Vangelo di Luca. Introduzione. Commento a 1,1-9,50 [1] 9788839407139

Nel primo volume del suo grande commento al vangelo di Luca, François Bovon mostra come l'autore del terzo vangelo

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Vangelo di Luca. Introduzione. Commento a 1,1-9,50 [1]
 9788839407139

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VANGELO DI LUCA François Bovon Edizione italiana a cura di

Oscar Ianovitz Volume

1

Introduzione. Commento a 1 , 1 -9 , 5 0

PAIDEIA EDITRICE

ISBN

88 394 07 1 3 8

Titolo originale dell'opera: François Bovon Das Evangelium nach Lukas 1 . Teilband Lk 1,1-9,50 (Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament) Traduzione italiana di Paolo Pellizzari Revisione di Oscar Ianovitz � Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1 989 © Patmos Verlag & Benziger Verlag, Diisseldorf und Ziirich 1989 © Paideia Editrice, Brescia 2.00 5

PREMESSA

Come Luca al cospetto della storia del cristianesimo nascente, eccomi di fronte alla sua opera con le mie conoscenze e le mie convinzioni. Inten­ do accostare il vangelo di Luca con la stessa obiettività del ricercatore e la stessa fiducia del credente, nella speranza che da questo connubio sca­ turisca una vera comprensione. E so che ciò è possibile solo se Dio stes­ so mi conduce alla sua parola. Da esegeta non sono mai solo di fronte al testo. La lunga successione dei miei predecessori e la folla dei lettori credenti mi accompagnano. La spiegazione e anche la ricezione del testo hanno la loro storia, che del resto conosco soltanto per frammenti. Questa presenza simultanea ac­ canto a me dei padri e dei maestri di un tempo, e pure quella degli studen­ ti e dei colleghi di oggi, mi arricchisce. Ma il numero degli esegeti e la quantità della loro produzione anche mi scoraggiano. Mi sforzerò di te­ ner conto di questa produzione senza consentire che prenda il sopravven­ to sul testo, che deve essere sempre preminente. Tra tutti i lavori recenti su Luca, i più illuminanti sono stati le analisi formali delle pericopi e i contributi di studiosi ebrei ai vangeli. Ho riser­ vato troppo poco tempo allo studio degli esegeti più antichi, quelli del medioevo, della Riforma e dell'età moderna ( 1 8oo- 1 9 50). Mi sono li­ mitato ad alcune opere dell'epoca patristica e ai risultati degli studi e mo­ nografie, purtroppo ancora troppo poco numerosi, dedicati alla storia dell'interpretazione. Spero, nel 11 tomo, di poter rafforzare il dialogo con la storia dell'esegesi e della ricezione del testo nel corso del passato cristiano. Due temi centrali sostengono il mio commento: 1 . nonostante il suo interesse per la storia, Luca rimane il teologo della parola di Dio, che nondimeno può essere percepita solo attraverso la vita concreta e la pa­ rola umana; 2. Luca non elabora una cristologia separata dal rapporto vivo con Cristo. Un rapporto del genere tra pensiero e vita vale anche per l'ecclesiologia e l'etica. Per Luca è sempre mediante rapporti perso­ nali che uomini e donne partecipano alla chiesa e rimangono fedeli alle esigenze del vangelo. Sono convinto che Luca attribuisca un peso ugua­ le alla parola e al rapporto. Mi rimangono alcune parole da dire sulla nascita di quest'opera. I miei

8

PREMESSA

ringraziamenti vanno ai colleghi deli'Evangelisch-Katholischer Kom­ mentar e a quelli del Commentaire du Nouveau Testament che mi han­ no continuamente stimolato, incoraggiato e sostenuto nel corso del mio lavoro. La mia riconoscenza va anche a quanti mi hanno aiutato a mi­ gliorare l'espressione tedesca e la versione francese di questo primo vo­ lume: Elisabeth Hartmann ed Emi Batschmann, Albert Frey, Peter Strauss, Eduard Schweizer e Volkmar Hampel per il tedesco; Gilberte Thumeysen-Payot per il francese. Senza di loro questo lavoro non sa­ rebbe mai uscito: a loro va la mia più viva gratitudine. Ho redatto que­ st'opera in tedesco, il che talvolta si percepisce nella versione francese. Sono dispiaciuto per questo limite inevitabile e me ne scuso con i letto­ ri, assicurando loro che il secondo volume vedrà la luce in francese. Per dieci anni ho avuto la possibilità di discutere varie pericopi con i miei assistenti di un tempo, Denise Jomod e Marcel Durrer, in seguito Emi Batschmann e Frédéric Amsler. Senza la loro collaborazione non sarei mai riuscito ad affrontare né i principali commentari né una lette­ ratura secondaria praticamente illimitata. E mia moglie è sempre stata al mio fianco a ricordarmi come il testo biblico debba essere ogni gior­ no attuale. Sono debitore di molti suggerimenti alle studentesse e agli stu­ denti con cui ho letto il vangelo di Luca. Le mie attuali assistenti, !sa­ belle Chappuis-Juillard ed Eva Tobler, sono subentrate ai predecessori e mi aiutano nel prosieguo del lavoro. Isabelle Chappuis-Juillard m'ha aiutato a rileggere le bozze, insieme a Elisabeth Hartmann e Marie Moli­ na-Bovon. A loro ringraziamenti vivissimi. Vorrei esprimere la mia gra­ titudine anche a Janine Cherix che da molti anni decifra e dattiloscrive i miei manoscritti con competenza, efficienza e dedizione. La mia rico­ noscenza va infine al professar Jean Zumstein, direttore del Commen­ taire du Nouveau Testament, alle edizioni Labor et Fides, in particolare a Serge Molla, direttore letterario, e anche ai qualificati servizi del­ l'Imprimerie Atar di Ginevra. Una comunità di lavoro di questo genere avrebbe rallegrato Luca ! È stata per me preziosa e fonte di arricchimen­ to, e ringrazio con tutto il cuore questi collaboratori e queste collabora­ trici, come pure gli amici, la cui impazienza di vedere finalmente pubbli­ cato questo commentario - soprattutto nella sua versione francese - mi è stata di grande stimolo. Saint-Luc (Valais), 6 febbraio 199 1 . François Bovon La traduzione italiana è condotta sull'edizione in lingua francese, L'É vangile selon Saint Luc (I,I-9,JD), Genève 1 99 1 , con un occhio all'edizione originale in lingua tedesca.

INDICE DEL VOLUME

7 II

Premessa Abbreviazioni e bibliografia

23 23 24 27 29 30 32 35

Introduzione. L'opera di Luca 1 . Il testo 2. Piano e stile dell'opera 3 · La lingua 4· Genere letterario e intento 5· Le fonti 6. L'autore 7. La teologia

VANGELO 39 55 6I 77 96 115 I35 I 6o ISo I94 220 228 242 256 268 278 2.8 5 2.96

DI

LUCA

Prologo ( I , I -4) Il vangelo dell'infanzia ( I , 5-2, 5 2 ) Annuncio a Zaccaria ( I , 5 -2 5 ) Annuncio a Maria ( I ,26-3 8 ) Incontro di Maria e d Elisabetta ( I ,39-56) Nascita di Giovanni Battista ( I , 5 7-8o) Nascita di Gesù ( 2, I -2 1 ) Presentazione al tempio ( 2,22-40) Gesù dodicenne al tempio ( 2,4 I - 5 2) L'attività di Giovanni Battista e il battesimo di Gesù ( 3 , I -22) Genealogia di Gesù ( 3 ,23-3 8 ) Le tentazioni di Gesù (4, I -I 3 ) La prima predicazione di Gesù a Nazaret (4,14-30) Inizio del ministero in Galilea (4,3 1-44) La pesca di Pietro ( 5 , I - 1 1 ) Guarigione di un lebbroso ( 5 , 1 2- 1 6) Guarigione di un paralitico ( 5 , I 7-26) Vocazione e banchetto di Levi ( 5,27-39)

IO 311 3 19 3 26 335 339 345 3 60 3 86 403 4I6 430 450 465 470 49 I 499 515 5 29 538 544 5 57 5 62 570 5 89 599

INDICE DEL VOLUME Le spighe strappate di sabato ( 6, I -S) Guarigione della mano secca ( 6,6- n ) Scelta dei dodici ( 6,n- I 6) Guarigioni prima del discorso della pianura (6, I ?- I 9 ) Il discorso della pianura (6,20-49) Discorso della pianura, I . Beatitudini e «guai » ( 6,20-26) Discorso della pianura, n. Amore dei nemici e altro ( 6,27-3 8 ) Discorso della pianura, m. Il discorso in parabole ( 6,3 9-49 ) Il centurione di Cafarnao (?, I -IO) Il ragazzo di Nain (?,I I - I ? ) Testimonianza di Gesù sul Battista (7,I 8-35 ) Gesù e la peccatrice (7,3 6-so) La sequela delle donne ( 8,I-3 ) Parabola del seminatore e altro (8,4-21 ) La tempesta sedata ( 8,22-25 ) L'indemoniato di Gergesa ( 8,26-3 9 ) La figlia di Giairo e l'emorroissa (8,40- 5 6) Invio in missione dei dodici (9,I-6) Confusione di Erode Antipa (9,7-9) Distribuzione dei pani (9,IO-I?) Confessione messianica d i Pietro (9,I 8-22) La sequela (9,23-27) La trasfigurazione (9,28-3 6) Guarigione del figlio indemoniato (9,3 7-43a) Secondo annuncio della passione. Disputa dei discepoli. Il taumaturgo estraneo (9,4 3 b-so) Excursus

79 23 3 27 I 29 I

Nascita verginale e storia delle religioni Il diavolo La parola di Dio La remissione dei peccati

ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA

ABBREVIAZIONI E SIGLE Per le sigle di riviste, collane, dizionari e lessici si rinvia al repertorio di S.M. Schwert­ ner, lnternationales Abkurzungsverzeichnis {Ur Theologie und Grenzgebiete, :z.., iiberarbeitete und erweiterte Auflage, Berlin - New York 1992.. Si elencano qui le si­ gle non comprese o diverse da q uell e adottate dell'elenco di S.M. Schwertner: Emm GNT NTG TOB

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1975 Le abbreviazioni di testi antichi sono di norma quelle impiegate in Balz, H. Schneider, G. (edd.), Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, 2. voli., Brescia

1995-1998. Per i rimandi bibliografici in nota: i commentari del vangelo di Luca sono citati con il solo nome dell'autore e l'indicazione della pagina. Le altre opere e articoli so­ no indicati con il nome dell'autore, il titolo abbreviato e la pagina. I rimandi bi­ bliografici completi si trovano o all'inizio di ciascuna pericope o in uno dei due elenchi sottostanti. Si è costantemente usata la sigla Fs anche se non sempre il termine ricorre nei ti­ toli delle opere citate.

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Introduzione L'OPERA DI LUCA

I.

IL TESTO

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La doppia opera lucana è una realtà insieme visibile e astratta. Come ogni testo sacro, è stata rispettata fino al più piccolo iota, ma sottopo­ sta a un'esistenza storica, destinata a molteplici modifiche. I copisti del II secolo hanno ritoccato il testo con le migliori intenzioni e ne hanno con le loro correzioni nascosto il tenore originario. Ci sono stati teologi, co­ me Marcione, che hanno inteso purificarlo riducendolo, e altri, come Ta­ ziano, armonizzarlo con altri vangeli. Il suo stesso inserimento nel ca­ none, che avrebbe dovuto proteggerne l'integrità, lo ha modificato: ha conferito a quest'opera un carattere sacro che probabilmente Luca stes­ so non avrebbe auspicato. Inoltre, a partire da quel momento, il vange­ lo di Luca e gli Atti hanno cessato di essere i due tomi di un'opera uni­ ca in circolazione sul mercato librario. Nessun manoscritto, nemmeno il più antico, trasmette questi due tomi nella concezione e intenzione ini­ ziali. La critica testuale è parte della storia dell'interpretazione, ma con­ sente anche di ritrovare, attraverso questa storia, il tenore autentico del­ l'opera di Luca. n testo, nonostante numerose varianti, è in condizioni molto buone. L'opi­

nione di Marcione, il quale riteneva che il vangelo di Luca fosse stato de­ formato da interpolazioni giudaizzanti, non regge, perché lungo i capitoli ritroviamo costantemente gli stessi aspetti tipici di Luca. Probabilmente Marcione conosceva ancora una o più fonti di Luca, e se n'è servito per giu­ stificare i suoi tagli e talune «estrapolazioni» . S i possono distinguere tre, forse quattro forme del testo che corrispondo-

L'OPERA DI LUCA no meno a revisioni fatte in una sola volta che a trasformazioni successive. Il testo egiziano (soprattutto c:p 75, t-1;, B e C) si è costituito nel n secolo. Il te­ sto oècidentale (D, antichi testimoni latini, una traduzione siriaca [ms. Cu­ retoniano] e numerose citazioni nei Padri della chiesa) risale alla stessa epo­ ca del testo egiziano. Una terza forma, attestata già dal IV secolo, si trova nel manoscritto A per quanto riguarda il vangelo: si tratta del testo bizan­ tino, che sarà predominante per secoli (è quello stampato da Erasmo, chia­ mato textus receptus). Infine vi è incertezza nel riconoscere una quarta for­ ma, quella di un testo palestinese. Le varianti all'interno della tradizione manoscritta si spiegano in vari mo­ di: sviste dei copisti, influenza della tradizione orale o degli altri vangeli, so­ prattutto di Matteo, tendenze della teologia in fase di elaborazione o sensi­ bilità a questioni ecclesiologiche. Ecco a titolo d'esempio alcuni problemi di critica testuale posti da Luca. La forma originaria della seconda doman­ da del Padrenostro è: «Venga il tuo regno» o «Il tuo Spirito venga su di noi e ci purifichi» ( n,2) ? Il breve dialogo di Gesù con l'uomo che lavorava di sabato è originario o secondario ( 6,4 solo in D)? Gesù ha inviato in mis­ sione settanta o settantadue discepoli ( 10,2)? Nelle parole istitutive dell'eu­ caristia il testo autentico è quello lungo o quello breve (senza i vv . 19b-2o del cap. 22)? L'apparizione dell'angelo consolatore al Getsemani è già pre­ sente nella versione originaria o no ( 22,43-44)? L'espressione «e fu portato in cielo» (24,5 1 ) è un'aggiunta posteriore o no? (cf. anche 5,39; 9,5 5 ; ro, 20.4 1-42; I I ,8. I 3 .4 1 ; 1 2,19.21 .39; 1 6,9; 1 7, 3 6; 19,25; 20,20; 2 1 ,3 5; 22, 62.68; 23,1 3 . 1 5 • 1 7 • 3 5 ; 24,3 • 6. 1 2. 1 7 • 3 6 • 40-42. 5 2). 2.

PIANO E STILE DELL'OPERA

Piano dell'opera. Bossuyt-Radermakers; H. Conzelmann, Mitte; Fitzmyer I, 9 1 -97 (bibliografia, 105 s.); A. George, Etudes, 1 5-41; L'Eplattenier; R. Morgenthaler, Geschichtsschreibung; W. Radi, Paulus und ]esus; Talbert; C.H. Talbert, Patterns. Stile dell'opera. H.J. Cadbury, Style; H.J. Cadbury, Making; Fitzmyer 1, 107- 1 27 (bibliografia, 1 2. 5 - 1 27); E. Haenchen, Apostelgeschichte, 89-92; N. Tumer, The Style of Luke-Acts, in J.H. Moulton, A Grammar òf the Greek New Testament IV, Edinburgh 1 976, 45-63; W.C. van Unnik, Eléments artistiques dans l'évangile Luc, in L'Evangile de Luc, 1 29- 1 40; T. Vogel, Zur Charakteristik des Lukas nach Spra­ che und Stil, Leipzig 1 899.

L'opera completa è composta di due libri di pari estensione (quella in uso all'epoca, dovuta forse a ragioni commerciali) . ll primo descrive la vita di Gesù e il secondo la diffusione della buona novella a partire dall'atti­ vità dei principali testimoni. L'opera inizia con un prologo ( r, r -4 ) che presenta, da una parte, l'in­ tento dell'autore di elevare la tradizione evangelica al rango di opera letteraria e, dall'altra, il suo metodo e il suo obiettivo profondo. Poi Lu­ ca riporta con simmetria sbilanciata gli eventi che accompagnano la na-

PIANO E STILE DELL'OPERA scita di Giovanni Battista e di Gesù ( 1 , 5-2, 5 2). Inizia quindi, introdotto da un sincronismo complicato e solenne, il racconto dell'attività di Gio­ vanni e poi di Gesù ( 3 , 1 - 1 3 ). Luca articola la vita di Gesù in tre grandi periodi: il ministero in Ga­ lilea ( 3 , J4-9, 50), poi l'attività, l'insegnamento e le guarigioni lungo il cammino che lo conduce a Gerusalemme (da 9, 5 1 a, probabilmente, 19, 27), infine l'opera a Gerusalemme: ultimo insegnamento al tempio, pas­ sione, morte, risurrezione e ascensione di Gesù ( 1 9,28-24, 5 3 ). Il parallelismo tra Giovanni e Gesù che caratterizzava il vangelo del­ l'infanzia è assente dal racconto delle loro attività. Giovanni è una figu­ ra umana, con un piede nella promessa (è l'ultimo dei profeti) e l'altro nel compimento (è il primo predicatore del vangelo), e ha presto termina­ to di recitare la sua parte. Luca, che non ha intenzione di scrivere delle vite parallele, fa subito entrare in scena Gesù, il personaggio principale, accanto a Giovanni, poi dopo di lui. Fino a 4, 1 3 siamo ancora nei pre­ liminari. Luca sottolinea poi l'inizio dell'attività di Gesù con l'episodio largamente sviluppato della predicazione a Nazaret (4, 1 4-30). La figura di Gesù che propone in questa parte è quella del messia che guarisce (4, 1 4-6, 1 9 ) e insegna ( 6,20-49) mentre percorre le città della Galilea. La trasfigurazione (9,28-3 6) prepara il viaggio a Gerusalemme. La conversazione delle tre figure sulla partenza di Gesù (eufemismo per la sua morte) fissa nell'animo dei lettori il convincimento che la messia­ nicità di Gesù è caratterizzata dalle sofferenze. Secondo la concezione apologetica di Luca e dei cristiani del suo tempo, la passione attiene al piano di Dio (cf. Atti 2,23 ) . L'entrata solenne di Gesù a Gerusalemme , ( 1 9,28-44) inaugura logicamente il terzo periodo.

Se si vuole discernere un piano in questa seconda parte, bisogna forse os­ servare le varie allusioni alla progressione del viaggio (soprattutto in 1 3 ,22 e 17, I I ). Abbiamo così una prima sezione che va da 9,5 1 a 1 3 ,21. L'auto­ re presenta cosa sia l'esistenza cristiana secondo la volontà di Gesù (che si­ gnifica diventare discepolo? Come annunciare la buona novella ? Come Dio manifesta il suo amore?). Una seconda sezione, da 1 3 ,22 a 1 7,IO, costi­ tuisce formalmente la parte centrale del vangelo. Il tema principa le è quello della generosità di Dio verso coloro che sono perduti, generosità che tutta­ via non esclude la possibilità d'un rifiuto da parte degli esseri umani inter­ pellati (cf. gli invitati alla festa di J4,1 5-24, e il figlio maggiore in 1 5,2532). Questa seconda sezione enumera gli ostacoli alla salvezza: l'amore del denaro - che è un indizio della composizione sociologica delle comunità cri­ stiane al tempo di Luca -, la gelosia del popolo eletto e il rilassamento dei cristiani di fronte al ritardo della parusia. La terza sezione è costituita di parabole di orientamento escatologico ( I ?,I I-19,27).

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L'OPERA DI LUCA

Luca compone sequenze di una certa lunghezza e le inquadra con pe­ ricopi-cerniere che ne determinano l'indirizzo e il significato (così la pre­ dicazione di Gesù a Nazaret, che costituisce un vero e proprio program­ ma, 4, 1 6-30). Ma è capace anche di collocare determinati elementi cul­ minanti proprio nel bel mezzo delle sezioni e delle sequenze: la parabo­ la del figlio ritrovato esattamente a metà del vangelo nel suo insieme ( 1 5 , 1 1 -3 2) o il cruciale incontro di Gerusalemme proprio al centro degli At­ ti (Atti 1 5 ,1-3 5 ). Simili procedimenti di composizione e disposizione de­ gli episodi hanno la funzione di riassunti programmatici e forniscono una chiave d'interpretazione dell'insieme dell'opera (qualcosa di simile a ciò che la critica francese odierna chiama mise en abime). All'interno delle sezioni e delle sequenze Luca si serve di una tecnica narrativa molto semplice: presenta brevi storie che formano un insieme destinato a edificare e commuovere. Del resto questo procedimento per episodi gli era già dettato dalle sue fonti, ma lo perfeziona inserendo qua e là brevi sommari che fungono da transizione e pausa per riprendere fiato. Inoltre questi sommari consentono di assegnare agli avvenimenti raccontati valore generale. Mentre gli eventi stessi sono riportati all'ao­ risto (ad esempio l'episodio della peccatrice in 7,36-so), i sommari so­ no redatti all'imperfetto (ad esempio il ricordo delle donne che seguiva­ no Gesù in 8,1-3 ) . Di solito gli episodi superano in lunghezza i sommari. Luca, pur disponendo di una cultura che spazia in numerosi campi, ha fatto della semplicità il suo scopo. Rinuncia per quanto possibile agli effetti e alle tecniche di persuasione della retorica per adattarsi allo stile dei libri storici della Bibbia e dimostrare in questo modo la continuità tra i LXX e la sua opera; questa si colloca accanto ai libri della pro­ messa, in quanto ne racconta il compimento. Assume numerose costru­ zioni bibliche (ad es. il modo di cominciare un racconto: ÈyÉve:"t'o ÒÉ..., opéw, «dare piena misura» , suona ricercato rispetto al semplice 7tÀ7Jpow per indicare i 7tptl:y­ (L11'tl1, gli «avvenimenti » che sono accaduti, le opere di Dio. Così pure XIX­ -Bw� (uso dei LXX), là dove x11-8a «secondo,. , è ampiamente comune; 3 e an­ che la giustapposizione di livw.Se:v, «fin dall'inizio », à.xpt�w�, «con accura­ tezza » , e x11-8e:�i]� «ordinatamente» , laScia frastornato il lettore, che non ve­ de con chiarezza a quale verbo si riferiscano tali avverbi. 4 Paragonate ad altri prologhi, queste poche righe sono particolarmente brevi. s Questo non significa che Luca non sia un valente scrittore, ma che la sua grandezza non è legata all'osservanza degli usi letterari del suo tempo. Il prologo (vv. 1-4) è quasi troppo bello per essere naturale e vero. Alcuni passi degli scritti giovannei si avvicinano all'intento del prolo­ go di Luca, nella misura in cui ogni autore si pone sul piano del meta­ linguaggio per riflettere sulla sua opera ( Gv. 2.0,30-3 1; 2.I ,2.4-2.5; Apoc. 1,1-3; 2.2.,I 8-I9). Nella letteratura antica si trovano passi del genere sia all'inizio che alla fine di un libro. Mentre Gv. 2.0,30-3 I ci dice qualcosa del lavoro dell'autore e lo scopo dell'opera, la conclusione di Gv. 2. 1 , 2.4-2.4, nota supplementare di u n redattore, attira l'attenzione sull'iden­ tità dell'autore (un testimone oculare) e la validità della sua testimo­ nianza (à.Àl)-81)� 11Ù"tou i) (J.11p"tupt11 Èa"ttv). Allo scarto cronologico e teo­ logico tra Gv. 2.0,3 I (-t11U"tl1 ÒÈ: yÉyp111t"tl1t rvl1 1tt C''tE:UC'Yj"tE:, «queste cose sono state scritte affinché voi crediate » ) e Gv. 2.1,2.4 (oLÒ11(J.E:V 8-tt à.ÀYj1 Con E. Norden, Agnostos Theos, 3 1 6 n. 1, possiamo dire che Le. 1,1-4 sia il più bel periodo del N.T., ma ciò non significa che, paragonato a quelli della prosa classica, non sembri un po' troppo ben fatto. Si percepisce la fatica dell'autore. 1 H.j. Cadbury, Commentary, 492: «In generale, d'altra parte, come altri relativi in -1ttfl , ricorre quando non precede la frase principale». Secondo BDR, S 4S6·3 la proposizione introdotta da questa congiunzione si riferisce a qualcosa di conosciuto.

3 H.j. Cadbury, Commentary, 496 s.: « Qui c'è almeno una parola che il più rigoroso at­ ticismo riprova ... ll codex Bezae ed Eusebio (Hist. Ecci. 3.4,6; Dem. Ev. no) lo correg­ gono qui con xtX-8a, altro vocabolo postclassico che gli atticisti suggeriscono al suo posto (Frinico, ed. Rutherford, 49J ) » . 4 Cf. sotto, pp. 49 s. s Anche se, come osserva H.J. Cadbury, Commentary, 490, la brevità di un prologo era la norma. Pure W.C. van Unnik, Once More, 8 è colpito dalla sorprendente concisione del prologo di Luca.

PROLOGO

-8�� cxù-.ou i) [J.ctp'tuptcx èa-.(v, « noi sappiamo che la sua testimonianza è vera » ), corrisponde lo scarto tra Marco e Luca, tra la semplice testimo­ nianza e l'opera letteraria. Gli esegeti convengono unanimemente nel dire che Luca si serve delle for­ me letterarie del suo tempo. Divergono immediatamente sull'intento con cui Luca ha fatto ricorso a questa o quella forma. Dobbiamo prendere in con­ siderazione solo il disegno puramente letterario dell'autore (conquistare l'at­ tenzione dei lettori per la sua opera e il suo contenuto) ? Oppure al contra­ rio questo prologo apparentemente letterario e convenzionale costituisce un programma teologico? Possiamo considerare H.J. Cadbury e W.C. van Unnik quali sostenitori della prima interpretazione, G. Klein e R.J. Dillon della seconda. Due fatti si oppongono all'interpretazione affrettata e pre­ matura del prologo come programma teologico: 1 . a parte il termine o À0yo�, «la parola », che può essere assunto in molteplici accezioni, i vv . 1-4 non raCChiudOnO alcun tema teOlOgiCO esplicit0.1 2. n COntenUtO dell'opera non viene precisato, forse intenzionalmente, da parte di Luca (diversamen­ te da Atti 1 , 1 ) . D'altra parte non si può ricondurre il prologo a semplice procedimento letterario, nella misura in cui Luca è cosciente tanto della di­ stanza cronologica che lo separa dagli eventi ricordati quanto della tradi­ zione ininterrotta che cerca di fare da ponte tra le generazioni. Il prologo è costituito da un frase sola. Inizia con una falsa subordina­ ta causale, in realtà una concessiva, esplicitata da un infinito (v. 1 ); se­ gue una subordinata della subordinata che ricorda un fatto essenziale (v. 2); solo al terzo posto troviamo finalmente la proposizione principa­ le, solenne, dove l'autore si fa avanti (Eòo� x�o(, « mi è parso bene » ), pur rimanendo anonimo (v. 3 ); poi, in conclusione, la proposizione fi­ nale (tvcx, ((affinché» ) che comprende una breve subordinata relativa (v. 4). È chiaro che questo periodo proviene da una costruzione intenzio­ nalmente voluta e che nessun altro autore neotestamentario ha preso la penna con altrettanta solennità. La costruzione e il lessico presentano somiglianze con i prologhi di altre opere storiche o scientifiche dell'antichità. Il genere prologo 1 richiedeva che l'autore ricordasse i suoi predecessori, esprimesse un giudizio sul loro valo­ re, poi che insistesse sulla qualità della sua informazione (testimone ocula­ re, informazione di prima mano), presentasse il piano della sua opera e ter­ minasse con un cenno alla sua persona e allo scopo della sua impresa. Il pro­ logo comprendeva spesso una dedica, non perché l'autore avesse di mira un successo commerciale grazie al patronato del dedicatario, ma perché le­ gami personali d'amicizia o di riconoscenza lo univano a tale personaggio e alimentavano la speranza che l'opera sarebbe stata apprezzata dal dediI

Non sono nominati né Dio né Gesù.

2.

Cf. J.-D. Dubois, Prologue, 543

s.

LC. 1 , 1 -4

43

catario e dai suoi amici.1 Un'opera troppo lunga doveva d'altra parte veni­ re divisa in più libri. Per comodità di fattura e di diffusione, ma anche per ragioni di gusto e d'abitudine, la lunghezza di un libro non superava in me­ dia quella dei nostri vangeli più lunghi. Il prologo iniziale riguardava l'in­ sieme dell'opera, ma ogni libro era preceduto dal suo prologo più conciso, semplice richiamo del libro precedente e indice del successivo. Luca si pie­ ga a questo uso greco e il prologo degli Atti vi è conforme (Atti I , I ) . .. Per dare un esempio di prologo a un'opera in più libri, cito Dioscoride,3 medico di età ellenistica (1 sec. d.C.): «Benché siano apparsi, non solo nei tempi antichi ma anche al nostro tempo, numerosi trattati sulla prepara­ zione dei medicinali, i loro effetti e il loro controllo, cercherò, onorabilissi­ mo Ario, di impartirti un insegnamento su questa materia, e il mio proget­ to non è né inutile né irragionevole, perché i miei predecessori o non sono arrivati alla conclusione del loro compito, o si sono accontentati di mettere per iscritto informazioni orali» . 4 Due interrogativi rimangono troppo spesso trascurati: I . Dobbiamo stupirei o no che l'autore del vangelo non dica nulla del suo nome e del­ la sua persona in questo prologo ? 2.. Se la sua doppia opera voleva es­ sere un'opera letteraria, quale ne era il titolo? L'assenza del nome del­ l'autore mi sembra, nonostante una tradizione ecclesiastica in cui per modestia si amava l'anonimato,s un enigma, poiché aveva la possibili­ tà di menzionarlo nel titolo. Questo titolo si sarebbe dovuto trovare, co­ me subscriptio, alla fine del secondo volume; è stato soppresso o modi­ ficato quando il vangelo di Luca e gli Atti sono stati separati. La sub­ scriptio alla fine del vangelo di Luca, dimenticata nell'apparato critico di NA..6 , secondo il manoscritto più antico (1)75, che è datato al I 7 5 2.2.5 d.C.) si proclama: tÙtXyyÉÀLov xtX-rà AouxfJ.v,6 « vangelo secondo Lur Cf. A.D. Nock, ree. lo studioso tedesco.

( 50I

s.) a M. Dibelius,

Aufsatze, il quale corregge su questo punto

2 Con la particolarità che Luca ha fatto esprimere il contenuto del suo secondo volume al Risono stesso grazie a un adattamento del prologo degli Atti (Atti I,4-8). Anche il Con­ tro Apione di Giuseppe contiene un prologo principale all'inizio dell'opera e un secondo prologo all'inizio del secondo libro. Cf. A.J.B. Higgins, Preface, 79·

3 Cf. E. Samain,

Evangile, 64.

4 lltpi ilì..T)C; la-tp1xi}c; I,I. Cf. W.C. van Unnik, prologo di Tito Livio alla sua storia romana Ab

Remarks, 7-I 3 . Nel mondo urbe condita, praefatio.

latino cf. il

s Nel suo commentario Schiirmann, 2 n. 8 (alla fine) pensa che dare il nome dell'autore fosse superfluo per un'opera il cui ambito era, tra l'altro, ecclesiastico. W.C. van Unnik, Once More, 8 ricorda che l'autore nella maggior parte dei casi presentava il suo nome e forniva qualche dettaglio sulle circostanze che lo avevano condotto a scrivere. Cf. V. Martin - R. Kasser, P7J 1, I SO e tav. 6I (il titolo, posto al centro della pagina, scritto su tre righi, dunque una parola per rigo).

6

è

PROLOGO

44

ca » . Stesso enunciato nell'inscriptio, secondo altri manoscritti. • I ma­ noscritti degli Atti purtroppo non sembrano aver conservato traccia del­ la subscriptio originale. • I. Tutti coloro che iniziano a scrivere conoscono la difficoltà che si prova a cominciare e a soddisfare le aspettative del lettore. Così è impor­ tante osservare con attenzione il modo in cui un autore inizia. Luca co­ mincia ricordando i suoi predecessori cristiani (v. I ), ma per contrap­ porsi subito a quelli con il suo modo stesso di procedere. Questo non significa che faccia a meno di ogni somiglianza, poiché, come s'è visto, si collega per la forma ad altri predecessori, essi pure numerosi, cioè gli storici profani e altri autori scientifici. Secondo il loro uso Luca comincia ricordando l'opera dei predeces­ sori 3 con la dovuta enfasi, 7tOÀÀoi, «molti » . 4 Ora, a parte gli autori del vangelo di Marco e di Q, non sono ccmolti>> gli autori che hanno riferi­ to la storia di Gesù e degli apostoli. s

Che i «molti» predecessori abbiano intrapreso, letteralmente «messo mano all'opera », 6 non significa né che abbiano raggiunto né che abbiano fallito il loro scopo.? Luca si allinea con loro (cf. È7tEtÒ�7tEp 7toÀÀoL. €òo�E x&:­ (J-Ot), ma ritiene che la sua opera sia più solidamente documentata, dunque migliore delle loro. 8 •

Cf. NA'6,

I 50.

Cf. Plummer,

I ; Lagrange, I;

Fitzmyer

1, 3 5

s.

Sull'edizione e la diffusione dei libri nell'antichità cf. H.I. Marrou, LA technique de l'édition à l'époque patristique: VigChr 3 ( I 949) 2.08-2.2.4 ( = H.I. Marrou, Patristique et humanisme. Mélanges [PatSorb], Paris I976, 2.39-2.5 2.). ll lettore comprenderà come av­ venisse la fattura di un libro nell'antichità leggendo R. Gryson, Le recueil arien de Véro­ ne. . . (lnstrumenta Patristica I 3 ), Steenbrugge I982.. 2.

3 Cf. l'inizio del libro 1 (Beli. I,6) della Guerra giudaica di Giuseppe: è m: tò1pttp xa.l 'lou­ òa.iwv 1tOÀÀot 1tpÒ èp.ou -riÌ -rwv 1tpoy6vwv cruvt't��a.no !J-E't' à.xptl3tia.ç, «poiché molti pri­ ma di me, tra i giudei, hanno narrato con accuratezza la storia dei nostri progenitori • . 4 Cf. j.B. Bauer, IIonoi. s Cf. H.J. Cadbury, Commentary, 492. s., che fa vedere come 1t0ÀUc; sia frequente negli inizi di discorsi o di opere, ma non serva sempre a qualificare i predecessori. Cf. Atti I,3 e Ebr. I,I. 6 È1tt"X,e:tpÉw, cf. Lagrange, 2., che cita l a dedica a Nerone da parte d i tale Thessalos, me­ dico, il quale scrive 1tOÀÀwv t1ti"X,E1pl)ainwv... 1ta.pa.òouva.1 ( « avendo molti intrapreso . . . a consegnare » ) . 7 Cf. H.J. Cadbury, Commentary, 493 s., che coglie qui un a critica, mentre G . Klein, s. crede di notare un'allusione al carattere insufficiente di questi tentati­ vi anteriori.

Programm, I95

8 Le due altre occorrenze di 9,2.9 e I9,I J ).

C1ti"X,EtpÉw

in Luca hanno una connotazione negativa

(Atti

LC. 1 , 1 - 4

45

«Molti» volevano tiva'ta�aa&t Òt�"(lJO"tv, «comporre un racconto» . I òtfr "flJO'L> o «storia breve», per concatenare gli avvenimenti.:t Tale termine può anche significare un racconto storico} àva'taaae:a.Sat si­ gnifica - si osservi il prefisso - «allineare», «enumerare», e in un senso più ampio, «riprodurre nell'ordine >>, «seguire il filo degli eventi» , «narrare un racconto>> . Se Luca si serve di questo verbo, insolito parlando di un lavoro letterario, anziché di aunaaae:a.Sat, «comporre>>,4 bisogna concludere che i suoi predecessori hanno «riprodotto un racconto» forse orale, consegnan­ dolo allo scritto.

Se Luca fosse stato veramente soddisfatto del lavoro dei suoi prede­ cessori non si sarebbe preoccupato di redigere un nuovo libro. Tuttavia la sua critica rimane discreta e tutta implicita, non appare che dal con­ trasto con le sue intenzioni. 1 . Così i predecessori non si sono sempre preoccupati di risalire fino agli inizi (èivw-8e:v, «risalendo fino in alto>>, v. 3 ) . Né Marco né Q iniziano con la natività. 2. E non si sono spinti ab­ bastanza lontano; Marco e anche Q ignorano gli effetti della risurrezio­ ne. 3 · Inoltre il loro lavoro manca di precisione (à:xpt��. «con accura­ tezza» , v. 3 ). 4· Non hanno poi curato adeguatamente il lavoro di reda­ zione e di composizione (xa-8e:�Tjc;, «ordinatamente », v. 3 ). 5 · Infine il loro stile e i loro processi di scrittura non soddisfano le regole dell'arte di scrivere. Con l'espressione «gli avvenimenti che si sono compiuti tra noi >> Lu­ ca indica il contenuto delle opere precedenti e anche della sua opera ( 7te:­ p(, «a proposito di >> , è il termine tecnico per il titolo di un libro o di un capitolo) . 5 Non dobbiamo aspettarci né una monografia scientifica né un trattato dottrinario, ma un racconto di avvenimenti. 7tpli"((J.CX copre un largo ventaglio di significati: « azione », « atto » , «faccenda » . Qui il plura­ le 7tpcXy(J.a'ta è probabilmente l'equivalente greco del concetto semitico di p�(J.a'ta (debarim) «parole-atti» di Dio (Atti 5 , 3 2), eventi dunque del­ la storia della salvezza così come li concepisce Luca: là dove Dio, me­ diante la sua parola e l'annuncio dei suoi inviati, agisce con gli uomi­ ni. 6 Taie parola è sì accessibile al lettore non cristiano, ma non in tutta I

Klein, Programm, 196. :z. Cf. MM, s.v. per un racconto storico, cf. Ep, Arist. 8 e 3 22; 2. Macc. 2,3 2; 6,17 ; Diod. Sic. u,2.o,1; Luc. Hist. Conscr. 5 5; Polyb. 3 ,4,1; Dion. Hai. Ant. Rom. 1 ,7,4 ed Epist. Pomp. 3· Cf. W.C. van Unnik, Once More, 1 2.- 1 5 (e note assai ampie). 4 Diverse versioni antiche del N.T. hanno tradotto il verbo civa-tliaae:a-8at come se fosse sinonimo di avvtciaae:a&t. Cf. Bauer, s. v. s Ad esempio il lle:pt cipxwv (Dei principi) di Origene. 6 Su questa collaborazione di Dio e degli uomini nello svolgersi dei n:pci-yp.a-ta cf. F. BoCf.

G.

3 Òt�yljat�

PROLOGO la sua profondità.' In ogni caso nell'espressione di Luca è contenuta la connotazione storica del termine, che anche il lettore non avveduto può percepire. 7tÀYJpocpopÉw significa qui «compiere», «portare a compimento » (il senso usuale di «dare piena certezza » si applica solo a persone, ad es. Col. 4,12). Ma Luca intende, con questo verbo complicato e inusuale/ anche se già entrato nell'uso cristiano del tempo, far risuonare una con­ notazione religiosa: gli avvenimenti non hanno semplicemente « avuto luogo », sono stati «compiuti», costituiscono un compimento, sono quel­ lo che Dio ha voluto che fossero.3 Se il vocabolo profano 7tpci"'(tJ.IX, «azio­ ne » , può abbracciare la vita, la morte e la risurrezione del messia, que­ sto verbo 7tÀYJpocpopÉw, «compiere» e «certificare» , può veramente ab­ bracciare tutta l'armonia tra le promesse della Scrittura e la storia in cui esse si sono realizzate. 4

iv i}tJ.i'v, «tra noi» , risulta impreciso, perché gli eventi sono in parte molto anteriori a questo noi (l' i}tJ.i'v, «noi», del v. 2 è più preciso e si rivolge alla generazione di Luca in opposizione a quella degli apostoli). Tuttavia, para­ gonati all'estensione della storia del mondo o più esattamente al tempo dei padri, questi avvenimenti sono ancora recenti, e «compiuti tra noi» signifi­ ca dunque realizzati nell'ultima fase della storia della salvezza ( 1 6,1 6), che va dalla prima apparizione di Gesù fino al tempo di Luca. Uno storico pro­ fano come Tito Livio avvicina la fondazione di Roma ai lettori del suo tem­ po insistendo sul fatto che un unico popolo è portatore della storia. 5 Distan­ za cronologica e vicinanza emotiva sono inseparabili tanto nella storiogra­ fia biblica quanto in quella profana. La nostra identità, la nostra stessa esi­ stenza sono fatte dagli avvenimenti che si sono «compiuti» . Fede e memo­ ria fanno un tutt'uno per Israele. 2. Questo versetto, focalizzato sulla trasmissione del racconto, impli­ ca una coscienza precisa della storia. Luca appartiene a una generazio-

von, L'importance des médiations dans le projet théologique de Luc: NTS 2.1 ( 19741975 ) z.3-39 (= L'oeuvre, I 8 I-l.03 ). 1 Neli'A.T., dove il termine può assumere connotazione positiva o negativa, cf. Es. z.5,I i1tOt1Ja.xc; &U�J.cxrnÒt ltp(iy!J.CX'T:CX ( •hai fatto cose mirabili,. ). Nel N.T. cf. Ebr. 6,1 8; 10,1 e 1 1,1. Luca utilizza anche Épyov per il disegno di Dio realizzato dagli uomini nella storia, cf. Aui 13,z.. 2. Cf. 1.1. du Plessis, Once More, z.63. 3 In contrasto con G. Klein, Programm, 198, bisogna evitare di dire che gli avvenimenti del passato hanno trovato il loro compimento oggi tra noi (seguendo un'equazione for­ zata: il •noi» del v. 1 = il •noi» del v. z.). È troppo sottile. Notare piuttosto il participio perfeuo di 1tÀljpoqxlpÉw (avvenimenti passati con effetti nel presente). 4 Buono lo studio di questo verbo in Lagrange, 3 s., che ne ricava certo un senso profano, ma come manifestazione storica determinata la cui portata è riconosciuta. Cf. Bauer, s.v. (con bibliografia). 5 Ab urbe condita, praefatio.

LC. 1 , 1 -4

47

ne per la quale la memoria è già incanalata e legittimata da una tradi­ zione. La sua trasmissione è stata affidata a un gruppo che ha più peso dei «molti » autori: a coloro che sono divenuti fin dall'inizio testimoni oculari e servitori della parola. 7t si riferisce al segno, mentre la stessa espressione al v. 3 1 si riferiva alla promessa: Dio opera negli eventi, non è presente unica­ mente nei pensieri e nei sentimenti. L'accostamento tra le due tradizioni 1 ÒtÒ xcxl, che esprime una conseguenza, segue una logica cristologica stando a L. Legrand, Annonce, 2.43-2.48. :z. Cf. A. Vicent, Substantivaci6n. 3 Anziché SUpporre Un tCl''t'otl davanti a aywv, preferisco mettere una virgola dopo XÀl)­ -8�aE't'otl. 4 Su questo titolo cf. F. Hahn, Hoheitstitel, 2.8o-3 3 3 ; M. Hengel, Der Sohn Gottes. Die Entstehung der Christologie und die jUdisch-hellenistische Religionsgeschichte, Tiibingen •1977. 5 Cf. L. Legrand, Arrière-plan, 1 77-183.

94

ANNUNCIO A MARIA

crea una parentela tra le due madri. I L'indicazione «tua parente» fa da ponte senza aggiungere alcuna precisazione. Lei pure aspetta un figlio, nonostante l'età, .. e l'angelo aggiunge con un tratto lievemente poetico: « È al sesto mese,3 lei che era chiamata la sterile » . 37· L'angelo non può chiudere il suo discorso i n modo così modesto. Il v. 3 7 aggiunge dunque un tocco teologico e pio, grazie a una citazio­ ne di Gen. 1 8 , 1 4 ( « Quale parola che viene da Dio rimane senza effet­ to ? » ) . Che nulla sia impossibile a Dio è un topos dell'Antico Testamen­ to.'� Il contrasto non è tra Dio e la natura, ma tra l'onnipotenza di Dio e l'impotenza degli uomini. Qui, come anche in Atti 10,3 7, PlJ!Jo!X indica un evento promesso più che una semplice parola. L'uso del futuro 5 è proprio di una teologia della speranza: Dio realizzerà presto questa im­ possibilità. È meglio leggere 1taptÌ -tou '19eou, 6 « da parte di Dio » , che 7ta­ ptÌ -t ci> -Beci> «presso Dio » . 3 8. Maria si mette al servizio d i Dio (cf. 1 6, 1 3 ), nulla fa se non obbe­ dire, ma testimonia la sua adesione. La risposta umana si colloca nella storia ( « ecco la serva » ) e non in un'ontologia astratta ( .3 Il termine «grazia » è regolarmente reso nei LXX con x.tiptc; ed eÀeoc;. eÀeoc; si trova nel racconto ( 1 , 5 8 ) e anche nel Benedictus ( 1 ,72). Un orecchio giudaico riusciva a coglie­ re il significato del nome di Giovanni. Ma Luca ? Oppure rinuncia a una spie­ gazione perché non ama giocare con le etimologie? Il bambino è detto 'tÒ n:atòtov, «il bambino piccolo», ai vv 59, 66, 76 e So. Invece ai vv 4 1 e 44 leggiamo 'tÒ �pÉcpoc;, «il lattante»,.come per Gesù (2,12 e 1 6). Tale differenza segnala che la tradizione relativa a Gesù (e la redazione di Luca) preferisce �pÉcpoc;, mentre la tradizione legata al Battista .

.

7tGUÒtov.

Nei versetti 62-63 Zaccaria è presentato come muto. 4 La domanda che gli viene rivolta è decisamente greca e decisamente lucana con un articolo in testa e l'ottativo potenziale. 5 mvaxtÒtov, «tavoletta » (v. 63 ) è diminutivo di mvaxtc;.6 ÀÉywv, «dicendo», vale come il segno d'interpunzione dei due punti ed è probabilmente un semitismo (cf. 2 [4] Re x,x-6; Giud. 4,6-7).7 xaì. l] yÀwaaa aÙ'tou, «e la sua lingua » (v. 64) non è accompagnato da al­ cun verbo, perché il lettore non fa fatica a completare. 8 ((Tutta la regione montagnosa della Giudea » (v. 6 5 ) è forse un'indicazione sul luogo d'origi­ ne della leggenda? 9 Al centro dell'episodio non c'è solo il compimento della promessa secondo la natura, cioè la nascita del figlio, ma anche il compimento seGen. 4,I; l.5,2.5-z.6. Le due cerimonie sono tuttavia vicine l'una all'altra in Gen . l.I,3I 4· Cf. Gen. I7,5 . I 0-I4. 1 Su Mosè cf. Pirqe de-r. Eliezer 48 ( 2.7c), ricordato da R.E. Brown, Birth, 369. 3 Cf. Le. I,I3 e sopra, p. 67. Il nome di Giovanni era conosciuto in quel tempo: cf. Ne­ em. I l.,I 3 ·4z.; 1 Maee. z., I-z.; Le. 6,I4; Apoe. 1,9. 4 In Le. 1 ,2.0 si tratta solo di mutismo, ma in Le. 1,2.2. xwq:.b.; è ambiguo. 5 Sull'an. 't"o cf. BDR, § 267.2 n. 3; sull'ottativo potenziale cf. BDR, § 65.2. e 3 8 5 . I n. z.. 6 Confrontando Ez. 9,2. (mvaxt8tov) ed Ez. 9,I I (7ttvaxtc;) nella traduzione di Simmaco ci si rende conto che il diminutivo non era più percepito come tale. Si tratta forse di una tavoletta ricoperta di cera. Supponi per la scrittura in legno sono segnalati in Num. I7, 17; Ez. 37,1 6.20 e 4 Esd. I4,24. Cf. Bill. n, Io8-I Io. 7 Cf. H. Sahlin, Messias, I 56. Ma la formula si incontra anche nella lingua classica: Thuc. 6,54.7· 8 Sullo zeugma cf. BDR, S 479.2. Alcuni manoscritti suppliscono inserendo il verbo èÀU-81) («fu sciolta »). 9 Cf. Schiirmann 1, 83 n. I 8 .

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NASCITA DI GIOVANNI BATTISTA

condo la cultura, ossia l'attribuzione del nome. L'essere umano non ha soltanto un'esistenza biologica, ma anche un inserimento sociale, in se­ no alla famiglia e al suo popolo. Portare un nome è avere la possibilità di rapporti con gli altri ed essere sicuro della propria identità. A questo si aggiunge qui un elemento ulteriore: il nome mette il bambino in rap­ porto con Dio, poiché è l'angelo che l'ha enunciato. Il bambino sarà la consolazione dei genitori e il segno della compassione di Dio. Nella pro­ spettiva della storia delle tradizioni si può considerare la leggenda come un'eziologia di questo nome. Ma una simile interpretazione diacronica ha poca importanza rispetto all'interpretazione sincronica: la leggenda espone sul piano narrativo il significato del nome, mentre è questo no­ me l'emblema di tutto il racconto. Il bambino vive in uno spazio relazio­ nale più vasto della sua famiglia di credenti, e il racconto segnala qual­ cosa di più di un semplice ricordo di famiglia. Si situa nella vita di una comunità, e in tal modo non è che l'inizio, l'inizio di una vita pubblica. 67. Esattamente questo è ciò che il padre esplicita nella sua preghie­ ra. Come Elisabetta aveva ricevuto da Dio il dono dell'intelligenza spi­ rituale ( 1 ,42-4 5 ), Zaccaria può profetizzare nella pienezza dello Spirito santo (v. 67)! La religione d'Israele, legata alla storia e alla parola di Dio, era allo­ ra bloccata: tanto l'opera della salvezza quanto la parola creatrice di Dio appartenevano al passato. Si era nell'età degli scribi, dei letterati. La speranza dei più coraggiosi era tutta apocalittica. Ma attorno a Gio­ vanni e poi con Gesù la salvezza ridiventa attuale e la parola di Dio si fa sentire nuovamente. Tuttavia questo compimento non ha luogo im­ mediatamente: bisogna fare i conti con il tempo; i mesi della gravidan­ za di Elisabetta ne sono un segno. Zaccaria non può quindi proclamare ancora il compimento, può soltanto segnalarlo in modo profetico. Pure il Benedictus attesta questa compenetrazione di esaudimento e di attesa fiduciosa, questa «gestazione » della storia della salvezza, così come la ri­ leviamo fin dall'inizio della leggenda di Giovanni. Le parti poetiche de­ gli antecedenti della storia della salvezza costituiscono dunque il lato er­ meneutico dei p�!J-IX't!X che vengono raccontati.

Il Benedictus. Nonostante l'interruzione del v. 66b, la prima parte del Benedictus è l'esemplificazione della lode segnalata al v. 64 (v. 68).1 Al 1 Cf. J.-D. Dubois, fean-Baptiste, 100. 1 Sarebbe sbagliato supporre, a causa della formula tÀaÀe:t e:ÙÀoywv -ròv .Se:ov ( 1 ,64), che in origine il Benedictus ( 1 ,68-79) seguisse direttamente il v. 64 e che i vv. 65-67 siano stati aggiunti successivamente.

LC. 1 , 5 7 -80

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v. 66a si esprimeva la domanda carica di speranza di tutti i presenti: « Che sarà dunque questo bambino ? » . La seconda parte del Benedictus fornisce l'attesa risposta a tale domanda.

68a. Con riguardo alla storia delle forme, «Benedetto sia il Signore, Dio d'Israele>> (v. 68a), è naturalmente una formula di benedizione. 1 Al tempo di Luca questa formula ha trovato il proprio posto in conclusione, in mez­ zo o all'inizio di una preghiera (cf. Sal. 40[41],14; 71 [72.],1 8; 105 [1o6],48; 143 [144],1 ). Un inno esseno comincia in questo modo: > / probabilmente perché nella tradizione i vv . 68-75 si riferì•••

ignorarla. In Giuseppe è attestata solamente da alcuni manoscritti in un passo delle Ant. 12.,10,6; cf. K.H. Rengstorf, Coneordanee m, 588. Si può leggere una frase simile al v. 70 in 1QS 1,3 (cf. Fitzmyer 1, 3 84). 1 Cf. Grundmann, 72.: «à7t' a!w� viene usato come formula e non significa 'dall'inizio del tempo terreno', ma 'fin dai tempi più remoti'». 2. Cf. Le. 1 3 , 1 6 e Atti 10,3 8. 3 Cf. Le. 1 5, 1 I-32.. A detta di J.-W. Taeger, Menseh, che sottovaluta il ruolo del nemi­ co, Luca considererebbe l'uomo capace di tirarsene fuori con la sua volontà e la sua conversione. 4 Cf. F. Bovon, L'oeuvre, 1 7 1 - 1 74. 5 Così Plummer, 4 1 . 6 Gen. 2.4,1 2.; Giud. 1 ,2.4; 8,3 5 ; Rut 1 , 8 ; .1 Sam. (r R e LXX) 2.0,8. Cf. Plummer, 4 1 . 7 Sensibile a questo problema, H . Sahlin, Messias, 2.89 s . ritiene una glossa le parole «con i nostri padri» .

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vano a una prima fase, ormai superata, della liberazione, mentre la profe­ zia della seconda parte ( vv . 76-79 ) riguarda la nostra salvezza. Luca non prende questa leggera contraddizione in modo tragico. Forse percepisce ancora il legame tra la promessa ai padri del v. 70 (cf. «Abramo nostro pa­ dre» al v. 73 ) e il compimento attuale ( vv. 68-69 ). Il v. 72b ci riconduce alla promessa, al Dio che si ricorda, che vuole es­ sere il Dio fedele, che non dimentica la sua promessa. La sua alleanza è sacra ai suoi occhi perché è la sua alleanza (qui con Abramo, Gen. 1 7,4 ·7. 21; 22, 1 8 ) . La nozione di alleanza non compare molto spesso in Luca, malgrado tutta la sua tipologia presa dall'esodo, e riguarda sem­ pre Abramo (cf. Atti 7,8 ).' La lista dei paralleli veterotestamentari al v. 72b è lunga.:. C'è d'al­ tra parte un parallelismo, al centro della strofa, tra i vv. 72b e 73a, per l'accostamento veterotestamentario tra alleanza e giuramento a propo­ sito di Abramo (cf. Gen. 1 7,4; 22, 1 6- 1 7 e Sal. 104 [ 1 0 5 ],8-9).3 Ma anche l'accostamento compassione-alleanza è tradizionale (Deut. 7,9 e I [3 ] Re 8,23 ) . 4 Questi tre temi: alleanza, giuramento e compassione sono riu­ niti nei vv. 72-73a; sono associati anche alla liberazione ( vv. 68-69), il che è pure veterotestamentario. Il contenuto della promessa, cioè la di­ scendenza innumerevole e benedetta, non viene ricordato. In realtà è conosciuto da tutti. Al tempo di Luca l'attesa poteva essere nazionali­ sta, ma anche universalista. 5 Luca pensa a una chiesa composta di giu­ dei e gentili, mentre la tradizione definiva la comunità in maniera giu­ daica: Israele deve diventare grande e la condizione necessaria è la sua liberazione (vv. 73 b-74a ) . 6 73h-74a. Che il contenuto essenziale della promessa ad Abramo sia diventato la liberazione e non l'espansione del popolo 7 è una prova del­ la situazione miserabile dei giudei del tempo. Ci si ricorda della promes1 Le. 1,72; Atti 3,25; 7,8. In una sola occasione il termine indica l'alleanza in Gesù Cri­ sto (Le. 22,20). 2. Es. 2,24; Lev. 26,42; Sal. 105(1o6),4 5; Ez. 1 6,6o ecc. Cf. A. Jaubert, La notion d'al­ lianee dans le judaisme aux abords de l'ère ehrétienne (Patristica Sorbonensia 6), Paris 1963, JO S. 3 Cf. A. Vanhoye, Strueture, 3 8 2 s., che aggiunge un'applicazione della coppia alleanza­ giuramento a Davide in Sal. 88(89) .4·3 5-36. Cf. Sap. 1 2,21; 1 8,22. 4 Cf. P. Auffret, Note, 250. 5 Atti 3,25 cita Gen. 22, 1 8 o 26,4. 6 L'accusativo opxov crea difficoltà. Si tratta forse di una attrazione inusuale dell'ante­ cedente da parte del pronome relativo? O di un allineamento su aW'tTjplav al v. 7 1 ? Tut­ tavia, a livello del senso, opxov deve essere accostato a òta-8ljxTj� (v. 72.). 7 'tou òoiivat non lascia dubbi: una simile liberazione è l'obiettivo di Dio quando si ricorda.

LC .

I , 5 7 -8o

I 29

sa ad Abramo (vv. 72-73 ) e delle promesse a Davide (v. 69 ); ma biso­ gna, per esprimerle, servirsi delle categorie soteriologiche dell'esodo. La sintassi è meno espressiva del concatenamento dei pensieri che la sostie­ ne: la vicinanza del dativo -iJ!J.t\1 e dell'accusativo pua.Sé:v-.a.ç, due termi­ ni che si riferiscono alle stesse persone, è inusuale, come anche la funzio­ ne semantica dell'avverbio &.q>ol3wc; ( « senza timore » ) .1 Non si può soste­ nere che si tratti di una traduzione, perché non ci sono patenti semiti­ smi in questa frase. &.q>o�wc; riguarda gli uomini e non Dio, che pure è il soggetto del verbo dare. Una liberazione si accompagna, normalmente, a momenti di angoscia, ma qui la mano di Dio è così potente, così atti­ va, che il popolo è liberato dai suoi nemici senza dover temere. Noi sia­ mo insieme beneficiari del dono e oggetti della liberazione, per poter di­ ventare soggetti del nostro avvenire in Dio (vv. 74b-7 5 ) .1 74b-75 · In Israele la liberazione si realizza in concreto, cioè è anche sociale e politica, ma si realizza davanti a Dio (èvw7ttov etÙ'tou), nella vi­ ta religiosa (èv ÒatO'tlJ'tt, «in santità » ) e sociale (x1Xt ÒtxiXtoauvlJ, «e giu­ stizia » ).3 L'esodo promesso sfocerà in un'esistenza cultuale nella Terra Santa. Luca rimane fedele a questa prospettiva giudaica. Non l'ha né uni­ versalizzata né trasposta nell'escatologia, perché pensa all'impatto sote­ riologico della vita di Gesù e alla sua portata definitiva e universale, for­ se anche perché vede nella santificazione e nella giustizia un riassunto dei due più grandi comandamenti (cf. I o,26-28). Dietro la formulazione «per tutti i nostri giorni » traspare la sua etica di pazienza e fedeltà quo­ tidiane (cf. 9,2.3 ) .4 La struttura tutta teologica dell'indicativo e dell'im­ perativo nei vv. 7 3 b-75 stabilisce l'opera di Dio come fondamento del­ l'intera vita umana. 76-77. L'avvenire del Battista è descritto nel linguaggio della profezia. Luca interviene qui con maggiore incisività, perché l'oracolo esige una espressione più concreta rispetto al linguaggio innico dei vv. 68-7 5 . Al figlio di Maria è destinato il futuro di figlio dell'Altissimo ( I ,3 2.), a Gio­ vanni quello di profeta dell'Altissimo. La comunità originatasi dal Batti1 H. Sahlin, Messias, 29 1 ritiene che Luca qui abbia tradotto male e si ripropone di far meglio: 'tOU 7tOLE:tV lJ(J.� /ive:u q�ol3ou, Èx "X.E:LpÒç f:.-x..fJpwv poo.fJÉnaç. 2. C'è davvero simmetria tra il v. 71 e i vv. 73b-74a (liberazione dai nemici), così come tra il v. 70 e i vv. 72b-73a (fedeltà di Dio), ma c'è anche progressione nella misura in cui la liberazione prosegue mediante la vita con Dio (vv. 74b-7 5 ). 3 Questi due termini si trovano l'uno accanto all'altro in Sap. 9,3; Ef. 4,24 e in Philo Abr. 208 (santità nei confronti di Dio, giustizia verso gli uomini ). 4 Cf. Le. 9,23; F. Bovon, Luc le théologien, 404-4 1 0.

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sta ha messo in rapporto con Dio stesso (&vw1tt o v xuptou, «sotto lo sguar­ do del Signore » ) la missione profetica annunciata in ls. 40,3 e Mal. 3 , 1 . La comunità cristiana la mette in relazione con il messia Gesù. D'altra parte Luca insiste più sulla funzione profetica di Giovanni ( 3 , 1 -22) che sul suo battesimo. Ma questo profeta non ha più che un piede nell'anti­ ca alleanza, mentre l'altro è già nella nuova: è l'ultimo dei profeti, il pre­ cursore. La sua nascita e la sua missione si collocano sul liminare tra i due testamenti. ' ll Benedictus, s'è visto, passa stranamente sotto silenzio l'attività prin­ cipale di Giovanni: il battesimo, anche se è normale che in un canto di nascita la profezia rimanga misteriosa. Tuttavia le parole &v àcpiaet &!J-cxp­ 'ttrilv cxÙ'twv, «mediante la remissione dei loro peccati » , possono far pen­ sare al battesimo (cf. 3,3 ). L'espressione non si trova nell'Antico Testa­ mento," ma d'altra parte non è necessariamente cristiana.3 Ciò che Lu­ ca intende con queste parole viene chiarito dal resto della sua opera: non è il rito che dona il perdono né l'operato di Dio solo, ma con esso il mo­ vimento dell'uomo (o della donna) che, rientrato in sé, si volge verso Dio all'appello della profezia e del kerygma. È Dio che « dona » la penitenza e l'essere umano non deve far altro che accettarla come invito a una de­ cisione esistentiva (Atti 5,3 1 e 1 1 , 1 8 ). La salvezza stessa non può che venire con Gesù ( vv . 68-7 1 ) . Ma il precursore apporta più di quanto i profeti annunciassero a suo riguar­ do, apporta la «conoscenza della salvezza » (v. 77). Non è una cono­ scenza puramente intellettuale, dal momento che scaturisce dall'espe­ rienza esistentiva del perdono 4 e ha la sua origine in questa relazione viva con Dio, che è il frutto del pentimento che Giovanni predicherà. Il termine di yvwatç,5 «conoscenza », poco familiare a Luca, dev'essere in­ teso nel senso semitico di conoscenza pratica, di sapienza, di fede, di ri­ conoscimento. La sinagoga del giudaismo ellenistico ha ripreso forse ta­ luni elementi della yvwat di Augusto, rafforzata soprattutto in Oriente dalla venerazione re­ ligiosa per il monarca, viene qui smascherata e smantellata dall'afferma­ zione cristologica. 3 Contemporaneamente la polemica di Luca, con la sua insistenza sull'obbedienza di Giuseppe e di Maria, ha di mira i mo­ vimenti zeloti. Luca non mette in campo una teologia politica contro un'altra. Il suo vangelo è una critica sia dell'ideologia dei principi sia di quella degli zeloti. Il lettore moderno non percepisce più l'importanza per il potere di un censimento: il sovrano voleva conoscere il numero dei propri sudditi per sottometterli alle sue esigenze militari e fiscali. La Bibbia sa, a par­ tire dall'esempio di Davide, quale tentazione e quale pericolo possa co­ stituire un censimento: 4 il popolo appartiene solo a Dio; anche il re di­ vinamente eletto deve astenersi da ogni censimento e contare solamente sulla forza di Dio. Dio soltanto ha il diritto di contare il suo popolo (Num. I,26). Luca conosce forse il Sal. 8 6 ( 8 7) in un'interpretazione messianica, secondo la quale la nascita del messia deve avvenire nel cor­ so di un censimento universale? In ogni caso l'ostilità a ogni censimen­ to aveva raggiunto il suo culmine in Israele. Venire a compromessi con l'occupazione romana non era forse rinnegare l'unico padrone e Signo­ re, il Dio d'Israele? Questo problema aveva infiammato gli animi e di­ viso il popolo. Secondo Giuseppe (Beli. 2,8,2) la nascita del movimento zelota è associata a un censimento romano. Bisogna distinguere tra à:1toyp1X��' «iscrizione », «censimento », «inventa­ rio», e à:1tO't't!J-lJC'lt;, «valutazione», «stima » . La prima è la registrazione di ogni abitante (età, professione, stato civile, figli), che permette di determi­ nare gli obblighi militari e l'imposta personale; s la seconda conteggia i be­ ni e i proventi. 6 Luca usa à:7toyp1X�� nel senso corrente di censimento e il ver­ bo à:7toypci�&a-8-1Xt al medio col significato di «farsi registrare». 1 Schweizer, 2.

3 1 intende i vv 4-7 come introduzione a i vv 2.2.-3 8 di Le. 2.. 'tÒ ÒO")'!J-11 significa anzitutto •l'opinione» , poi « la disposizione,., •il decreto,., «l'editto,. .

.

e infine « la formula dottrinale,. , •il dogma» .

3 Cf. R . Pesch, Weihnachtsevangelium e W . Schmithals, Weihnachtsgeschichte, 2.86-2.94. Hipp. In Dan. 4,9,3 oppone il censimento dei credenti al censimento imperiale.

4 Cf. 2 Sam. (2 Re LXX) 2.4 e I Cron. 2. 1 .

5 Cf. P. Benoit, Quirinius,

695 s.

6 Tuttavia ci sono talvolta delle oscillazioni e capita che CÌ1toypatcp� sia utilizzato per la

seconda operazione.

NASCITA DI GES Ù Le fonti profane riportano che Augusto ha voluto più d'una volta fare il censimento di alcune province o valutare i propri beni (comprese le provin­ ce imperiali). Sembra che questi censimenti abbiano avuto luogo in periodi fissi (ogni quattordici anni), almeno in Egitto. Ma non ci fu mai un censi­ mento unico per tutto l'impero. I Luca si sbaglia sui fatti precisi, ma rende bene la tendenza storica del tempo, dell'imperatore in particolare, e i suoi ef­ fetti sul popolo.1 Al v. 2 si deve leggere lXU"rlJ o lXÙ't'�? E con o senza l'arti­ colo i)? Si deve leggere 7tpW't'lJ èyévno o èyévno 7tpw-rl}? Bisogna intendere 7tpW't'lJ come comparativo, nel senso di «anteriore» ? La traduzione: « Que­ sto censimento si svolse prima di quello del governatore Quirinio» è apo­ logetica) La traduzione tradizionale è verosimilmente quella giusta: « Fu il primo censimento ... » (tXU't'lJ senza l'articolo i), è il soggetto della frase e si ac­ corda nel genere con l'attributo,4 mentre i)ye[.Loveoov-roc; Kupl}vtou è un ge­ nitivo assoluto; 7tpw-roc; non ha il valore di comparativo, quanto piuttosto di superlativo). Secondo la cronologia di Luca (cf. 1,5.24.26.39·5 6.67) siamo ancora sot­ to il regno di Erode il Grande, o poco dopo la sua morte (4 a.C.) . Ma, secon­ do Giuseppe, Quirinio arriva in Siria solo il 6 d.C. per procedere, in quanto legatus Augusti pro praetore, cioè da governatore di una provincia impe­ riale, al censimento della Siria e della Palestina e alla liquidazione dei beni di Archelao, figlio di Erode il Grande, che era stato appena deposto e che aveva regnato fino a quel momento sulla Giudea a partire dalla morte del padre. 5 Si è tentato in tutti i modi di armonizzare Luca e Giuseppe: a Qui­ riDio è stata attribuita un'iscrizione frammentaria, 6 il titulus Tiburtinus, per il che sarebbe stato due volte governatore della Siria (cosa non impos­ sibile, ma poco usuale); si è anche ricordato che Erode il Grande era incor­ so, verso la fine della sua vita, nei rimproveri di Augusto e avrebbe dovuto prestare giuramento di fedeltà a Roma.7 Ma un giuramento non è una li7to­

yptXtp�.s

I Sulla massa di pubblicazioni scientifiche o apologetiche cf. P. Benoit, Quirinius. 2 Cf. P. Benoit, Quirinius, 697, che rimanda, a proposito di Augusto, a Suet. Aug. 28,1; Dio Cass. 5 3 ,30,2; Tac. Ann. I , 1 1 ,7, e scrive: «Tra i documenti che lasciò alla sua mor­ te, nel 14 d.C., si trovava un Breviarium totius imperii che aveva preparato fin dal 23 a.C. • . Tale documento faceva l'inventario di tutte le risorse dell'impero. D'altra parte, a detta di Dio Cass. 54,3S,I, Augusto intraprese un censimento di tutti i suoi beni nell'nIo a.C. 5 Lagrange, 67 e 69. 4 Cf. Kaegi, S ro8.5 e BDR, S 1 3 2. 1 . Nella stessa direzione P. Benoit, Quirinius, 694. 5 Cf. Ios. Ant. I7, 1 3,5; r 8,r,r e 2,1 (passi citati da P. Benoit, Quirinius, 707. 6 CIL XIV, 3 6 1 3 e ILS, 9 1 8; cf. P. Benoit, Quirinius, 703 s. 7 Cf. Ios. Ant. 1 7,2,4. 8 Quirinio sarebbe potuto essere un legato straordinario, designato per questo compito particolare, mentre il legato ordinario sarebbe stato Saturnino (legato forse dal 9 al 6 a.C.). Si potrebbe spiegare in questo modo la strana opinione di Tertulliano (Mare. 4, 19,10), secondo il quale ci sarebbe stato un censimento in Giudea sotto Saturnino. Sul le­ game tra CÌ1toypaq�i) e il giuramento cf. P.W. Barnett, 'A7toypalj)YJ, il quale non colloca il

LC. 2, 1 - 2 1

143

Giuseppe forse è male informato sull'età successiva a Erode i l Grande e la memoria del popolo potrebbe anche aver confuso i disordini successivi alla morte di questo re con quelli conseguenti alla deposizione di Archelao. Ogni volta si sollevò una grande ondata di speranza quasi messianica; e ogni volta la volontà imperiale ebbe la meglio su quella che si riteneva fosse la volontà divina. Così dunque Luca potrebbe parlare del periodo successivo alla morte di Erode e combinare questi dati con il censimento di Quirinio effettuato dopo la deposizione di Archelao. • 4-5 . Luca intende, al v. 4, la norma di applicazione dell'editto (v. 3 ) come causa del viaggio a Betlemme. Ma i censimenti si fanno sempre nel luogo di domicilio; anche i papiri prescrivono il ritorno al domicilio ai fini del censimento, e non al luogo d'origine."" Luca è certamente al corrente di questa prescrizione legale, ma la tra­ sforma per i suoi disegni narrativi e teologici, al fine di condurre Giu­ seppe e Maria dalla loro Nazaret storica alla città messianica di Betlem­ me. « Betlemme» è storicamente incontrollabile quanto la risurrezione. Questa città è legata a Nazaret come pasqua al venerdì santo. La solu­ zione romanzesca,3 secondo cui Giuseppe avrebbe abitato a Betlemme e non avrebbe fatto che rendere visita alla fidanzata a Nazaret, non risol­ ve nulla ( né 2,4 né I,27 precisano quale sia il suo domicilio esatto). Lo svolgimento del racconto presuppone Nazaret come domicilio e Betlemme come luogo d'origine. Altrimenti Luca avrebbe dovuto presentare Giuseppe come abitante di Betlemme e, al più tardi in 2,39, spiegare il suo trasloco a Nazaret. Ora, a quel punto, parla della « loro citth di Nazaret, senza altre precisazioni. Qui, al v. 4, ne approfitta per citare di sfuggita le località che saranno più tardi teatro dell'attività di Gesù. Giuseppe, in quanto pater familias, ha l'iniziativa e la sua origine davi­ dica viene indicata in modo ridondante.4 Di Maria è detto per la prima volta, incidentalmente, che è incinta. S Deve scioccare il lettore il fat­ to che una fidanzata 6 viaggi con il fidanzato, e per di più sia incinta. La censimento sotto Quirinio, perché intende 7tpW'tT) ( � primo » ) nel senso di 7tpO't'Ép1X ( �ante­ riore»). 1 Luca ha anche sentito parlare degli inizi della resistenza giudaica, di Giuda il Galileo in particolare (Atti 5,37), che insorse contro il censimento. :1. Cf. l'editto di Caio Vibio Massimo, prefetto d'Egitto ( 104 d.C.), volentieri ricordato a questo proposito. Il testo (PLond m, 904, 1 2 5 ) è citato da P. Benoit, Quirinius, 699.

3 s.

P. Benoit si mostra più favorevole a questa tesi in Quirinius, 700 che in Non erat, 1 10 (della raccolta).

4 Giuseppe è non solo della « casa» , ma anche della «famiglia» di Davide. s t"(XUOc;

male).

=

lyx�wv: «incinta,. (impiegato sia per una donna sia per una femmina di ani6 Sul fidanzamento cf. sopra, pp. 88 s. (a 1 ,2.7).

·

1 44

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condizione di fidanzata, anche se il fidanzamento fondava in diritto il matrimonio, non basta a spiegare questa situazione. Un romanziere po­ trebbe immaginare che Maria possedesse una proprietà fondiaria a Be­ tlemme e fosse venuta per registrarla personalmente. 1 Non cerchiamo di addolcire ciò che ha di scioccante questa fidanzata incinta 1 in viag­ gio. La provocazione sta in Luca. 6-7a. Nascita di Gesù ( 2,6-7.2 1 ) . Giuseppe e Maria sono «là» (ÈxEi'). La destinazione è raggiunta e i giorni «compiuti » . Già in 1 , 5 7 Luca faceva risuonare con 7tÀlJpow il compimento della promessa.3 Ma quello che si compie qui non è un tempo biblico, liturgico, sacro (in correlazione con il luogo messianico), ma un evento del tutto naturale e umano. Maria ha avuto una vera gravidanza e Gesù una vera nascita. Diversamente dalla mariologia successiva, che prolunga il miracolo nel tempo precedente (immacolata concezione) e successivo (verginità perpetua ),4 qui non c'è alcun nuovo miracolo. Nessun intervento divino ha risparmiato a Ma­ ria i dolori, l'angoscia di fronte all'incognita di un primo parto, le ore in cui questo si protrae, la debolezza crescente, la rottura della sacca del­ le acque, il sangue e la placenta. La mariologia ha rimosso questo reali­ smo dell'incarnazione nel dogma come nell'arte. E gli stessi protestanti sono smarriti davanti ai versi realisti di Kurt Marti: allora quando dio nel grido della nascita infranse le immagini di dio e tra le cosce di maria grinzoso rosso il bimbo giacque.s Perché Luca usa il vocabolo 7tpw-ro-roxo�, «primogenito» ? In sé l'aggettivo 7tpw-ro-roxo� non fornirebbe argomenti decisivi a favore dell'esistenza di r «La sua [di Maria] presenza non era richiesta dal censimento; il capo famiglia dichia­ rava tutti i suoi...» (P. Benoit, Quirinius, 700). 2. Certo, il testo non è sicuro. Oltre alla lezione di NA16 alla quale mi rifaccio, c'è una variante male attestata «sua moglie», e la variante confluente, la più diffusa in età bizantina: «la donna fidanzata con lui » . 3 Cf. sopra, p. I 2. I . 4 Già nel n secolo, nel Protevangelo di Giacomo ( I 9-2.o e 4-Io), s i affermano l a vergini­ tà in partu e post partum, come pure una nascita e un'infanzia della vergine circondate da miracoli. s Questa poesia, Weihnacht, è stata pubblicata nella raccolta di K. Marti, Gedichte am Rand, Teufen (Aargau), J y 974, 6.

LC. 2, 1 - 2 1

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fratelli d i Gesù secondo l a carne. Forse l'aggettivo rimanda alla volontà ori­ ginaria del Dio creatore al quale Gesù appartiene? I È forse diventato un titolo cristologico .. che indica il Signore, nella sua incarnazione e nella sua risurrezione, come il primogenito di una nuova umanità ? Ma Luca non usa quest'aggettivo nel contesto della risurrezione o del kerygma. Il qualifi­ cativo 7tpw-.o-.6xoc;, «che genera per la prima volta » , «primipara », è classi­ co, mentre 7tpW'tO'toxoc;, «primogenito» , è molto raro al di fuori della Bib­ bia. Il termine richiama la nascita dei padri o l'esistenza stessa d'Israele, pri­ mogenito di Dio.3 In ogni caso Luca pone Gesù nella sua relazione privile­ giata con Dio, e non con futuri fratelli e sorelle. 4 2 1 . Giuseppe rimane sullo sfondo della tradizione conservata in 1 ,263 8 ; 2,6-7a e 2 1 . Come il v. 6, il v. 21 parla del compimento dei giorni; così si realizza il programma previsto in 1,26-3 8 . Bambino giudeo, Ge­ sù è integrato nel popolo della promessa: riceve il segno della fedeltà di Dio e della sua alleanza con Israele, la circoncisione (v. 2 1 ) . Luca ricor­ da questo fatto senza interpretarlo, perché per lui, cristiano non giu­ deo, la circoncisione, che inseriva nel popolo d'Israele, non è più neces­ saria. Non può negare che Gesù fosse giudeo e che la sua nascita e la sua infanzia abbiano ancora fatto parte dell'antica alleanza. Ma ciò che lo interessa è il futuro di questo bambino, e, attraverso di lui, l'avvenire del popolo di Dio, quei tempi in cui fede e battesimo sostituiranno la circoncisione. Luca tuttavia non vuole anticipare tali conseguenze teolo­ giche. La disputa di Antiochia (Atti 1 5 ) gli offrirà l'occasione di espor­ re le sue idee in proposito in modo narrativo. Il semplice commento sul nome di Gesù (v. 2 1 ) non supera i limiti del racconto (cf. 1,3 1 ) : Gesù riceve il nome dato e ordinato dall'angelo. Dio vuole che Gesù si chiami Gesù e divenga, per ciò stesso, ciò che il nome descrive. È sorprendente tuttavia che Luca, dopo aver scritto il v. n, non giochi sull'etimologia di tale nome: «Jhwh salva » . s Circoncisio­ ne e attribuzione del nome sono trattati altrettanto sommariamente che per Giovanni Battista. Luca non ha nemmeno nulla da raccontare di paragonabile alla vivace scena di 1 , 5 7-66. Questo non lo disturba, perI èp.ol [ Dio] ycìp 'ltav 'ltpw-tMoKov, Num. 3 , 1 3 ; Es. 22,28[29]. La legge mosaica si è pre­ occupata del loro riscatto: Num. 1 8 , 1 5 . I !eviti si sostituiscono ai primogeniti d'Israele agli occhi di Dio: Num. 3 , 1 2. 2. Cf. Rom. 8,29; Col. 1,1 5 . 1 8; Ebr. 1 ,6; Apoc. 1,5. 3 L'aggettivo 7tpw-to'tOKO> potrebbe, anche se è improbabile, indicare un'origine precristia­ na. 4· L'accento posto sulla salvezza e sulla prospettiva universale è ti­ pico di Luca. Conseguentemente opto per una composizione redaziona­ le del Nunc dimittis (vv. 29-3 2), senza utilizzo di fonte. Nel qual caso i I

Sull'apertura alle nazioni fin da questo versetto cf. C. Escudero Freire, Devolver, 345 · Cf. H. Conzelmann, q>Wç x-rÀ., TWNT IX, 1973, 3 3 5 e n. 2.69. 3 Cf. Es. 34,2.9-3 5; 2. Cor. 3 , 1 8; forse anche Atti 6,1 5. 4 D. Jones, Background, 48. s Il plurale Àaol (qui, e anche in Atti 4,2.5-2.7) è eccezionale in Luca. 1

1 74

PRESENTAZIONE AL TEMPIO

vv. 34b-3 5, forse seguiti dallo stupore dei genitori (v. 3 3 ), avrebbero costituito l'unico discorso dell'aneddoto nella tradizione antica. 33· La profezia di Simeone ( 2,3 3-3 5 ). Perché Luca ha scelto l'espressio­ ne «suo padre» che ha provocato scandalo in tanti commentatori? I Per evitare la ripetizione di «genitori» (v. 27), e in questo caso «padre» dev'es­ sere inteso in senso giuridico e non biologico? Più probabile che ci si trovi qui sulla traccia di una fonte che, come le altre pericopi di Le. 2, non co­ nosceva ancora la nascita verginale. Ma -8aUtJ-a"çw, «stupirsi », , due volte). Il presente, già passato, del battesimo di Gio­ vanni I si oppone al futuro, già presente per Luca, del battesimo che of­ fre Gesù. Nell'Antico Testamento lo Spirito è solo promesso; nei vange­ li esso appartiene solo a Gesù; dopo la pasqua e l'ascensione (Atti 2 , 3 3 ) è donato ai cristiani. 1 Non si può dissociare completamente il battesimo nello Spirito santo dal rito cristiano del battesimo. Luca non si confina nel carisma e nem­ meno nel sacramento. Là dove c'è separazione (Atti 8 e 1 0), si tratta di una duplice eccezione che è legata alla storia della salvezza. Il battesi­ mo della chiesa è per Luca un duplice movimento: dal rito dell'immer­ sione (segno che la conversione è accettata, i peccati sono perdonati e che il nome di Gesù è stato invocato sul battezzato) all'imposizione del­ le mani (quale segno efficace del dono dello Spirito) . « Egli vi battezzerà nello Spirito santo e nel fuoco » annuncia al tempo della chiesa, il dono dello Spirito agli apostoli a pentecoste e l'incorporazione dei credenti nel­ la comunità di salvezza mediante il battesimo e l'imposizione delle mani. Il «fuoco » risale probabilmente alla prima versione di Q. Lo « Spirito santo » è un'interpretazione cristiana. Nell'Antico Testamento il fuoco 3 è immagine del giudizio; gli impenitenti vi sono destinati, come spiega il detto seguente, agganciato al precedente proprio dalla parola fuoco. Come Q, Luca tuttavia non pensa qui al giudizio escatologico, ma al­ l'effusione dello Spirito santo, di cui il fuoco è metafora (Atti 2.,3 -4). 1 7. La metafora del contadino corrisponde certo a una società agri­ cola, ma questa considerazione sociologica non dovrebbe far trascurare la componente letteraria, dal momento che l'immagine della mietitura I Le parole dc; !U't'avo1av (Mt. 3,n) devono essere messe in conto alla redazione mat­ teana. Cf. S. Schulz, Q, 3 68. 2. Cf. H. von Baer, Geist, I I I s.; F. Bovon, Luc le théologien, 2. 1 7-2.2.0. 3 Cf. P. Hoffmann, Logienquelle, 1 8-2.5.

LC. 3 , 1 -2 2

2I I

per raffigurare gli eventi escatologici è un'acquisizione culturale. Le fasi della mietitura sono menzionate in breve. I L' « aia » indica per metoni­ mia « il frumento battuto » , che il contadino solleva con il «vaglio » per far volare via la pula, e che raccoglie per riporlo nei granai. A quel pun­ to brucia la pula. tia�ta"toc;, « inestinguibile » , «che non si spegne », ultimo termine e pa­ rola chiave del passo, fa passare dalla metafora all'allegoresi e invita a un'interpretazione cristiana. Né Matteo né Luca hanno forzato l'alle­ goria, che si trova già, lieve, in Q.1 L'ultima espressione del Battista è in corrispondenza con le prime (so­ prattutto al v. 9, inclusione) : le immagini dell'albero (v. 9) e del frumen­ to (v. 17) implicano un appello al pentimento e una minaccia nello stile profetico dell'Antico Testamento. 1 8. Sul piano redazionale tuttavia Luca sottolinea qui l'aspetto felice e incoraggiante di questo annuncio (7tCX@ttXttÀwv,3 «esortando », e tÙl)"(­ "(tÀt�t"to, «annunciava la buona novella » ) . Luca non pone dunque Gio­ vanni esclusivamente a livello dell'attesa veterotestamentaria, 4 ma sulla soglia della nuova era.5 Grazie a lui il popolo (ì..ttOc;, di nuovo) ritrova il contatto con la buona novella. L'annuncio di Giovanni Battista negli Atti corrisponde a quello del vangelo: l'appello alla conversione seguita dal battesimo e la profezia messianica ne sono per Luca i due aspetti costitutivi. Il sommario del v. 1 8 funge da conclusione (7toÀÀti xttÌ. E"ttptt, «mol­ te altre » ) ma anche da nuova partenza ((LÉv, «da una parte » ) . L'evange­ lista vuole in effetti passare dall'annuncio ai due eventi principali della biografia di Giovanni: il battesimo che conferisce a Gesù e il suo arre­ sto. Perché sono riportati all'inverso della cronologia ? È per una priori­ tà teologica 6 che Luca mette la maggiore distanza possibile tra il Bat­ tista e Gesù e ricolloca il primo nell'antica alleanza? Certo, l'annuncio •••

I Gli infiniti (Òtaxa.9apat e auvayayeiv) come pure il collegamento di aò-toii ad à:1to-8ljxl) anziché a ai'tov sono il risultato del lavoro redazionale di Luca. 1 Secondo Midr. Cant. 7,3 ( I 2.7a) una parabola di r. Abin identificava il frumento con Israele e la pula con le nazioni; cf. Bill. 1, I 2.2.. 3 Altrove mxpaxaÀÉw può significare •pregare», •supplicare» (Le. 7,4; 8,3 I . 3 2..4I; Atti 9,3 8; 1 3 ,42.) o «esortare vivamente» qualcuno ad accettare o a conservare l'annuncio (At­ ti 2.,40; 14,2.2.). È questo secondo significato che va bene qui: Giovanni Battista esorta vivamente il popolo con molte altre affermazioni. Cf. Bauer, s.v. 7tapaxaì..Éw ( 2., in fine). 4 Contra H. Conzelmann, Mitte, 17. s Cf. E. Kriinkl, Jesus, 88-97; F. Bovon, Luc le théologien, I49· 6 Cf. H. Conzelmann, Mitte, I 5.

212

GIOVANNI BATTISTA E I L BATTESIMO D I GESÙ

del regno e la presenza dello Spirito santo entrano nella storia solo con il salvatore Gesù, ma l'ordine dei fatti in Luca ha una ragione più sem­ plice, che è letteraria: l'evangelista vuole chiudere con il Battista prima di passare a Gesù. Per lui il battesimo di Gesù attiene alla vita di Gesù e non più alla storia del Battista. 19. L'arresto di Giovanni ( 3 , 1 9-20). La fonte della notizia dell'arre­ sto è Mc. 6, 1 7- 1 8 . Luca ha migliorato l'informazione dal punto di vista logico e formale, seguendo l'ordine dei fatti: accusato da Giovanni, Ero­ de Antipa reagisce con la repressione. Ma la precisazione dell'azione incriminata (il matrimonio illegittimo) manca in Luca. Solo l'aggiunta «e di tutte le malefatte che aveva commesso» precisa cosa debba signi­ ficare «a proposito di Erodiade » . La lunghezza della frase obbliga Luca, cosa rara per il suo stile, a ri­ petere il soggetto, Erode, ma questa volta senza il suo titolo di tetrarca. Erode Antipa è un «cattivo » , Luca è dalla parte del « buono » , Battista, il che è tipico della letteratura popolare ma anche di quella biblica. 1 20. L'uso di XIZ'tiZXÀEtw, «chiudere» , in luogo del semplice òéw, « lega­ re », corrisponde a un linguaggio più ricercato, non a una precisazione supplementare. L'arresto di Giovanni, non ricordato esplicitamente da Marco, rappresenta per Luca il colmo della malvagità del monarca. An­ che in questo caso l'ultima parola è la più importante: la prigione. Luca conduce Giovanni Battista fino alle porte della prigione, non oltre. Non vuole e non ha nemmeno bisogno di raccontare la morte del Battista. Questa porta può rimanere chiusa; un'altra, quella del cielo, si sta per aprire per Gesù, il più forte. Luca potrebbe aver passato sotto silenzio il racconto della morte del Battista (Mc. 6,1 9-29 ) per ragioni estetiche, storiche o teologiche: avver­ sione per il modo di raccontare di Marco, conoscenza di una versione diversa, come quella raccontata da Giuseppe, o desiderio di evitare ogni concorrenza con il martirio e la morte del messia. Il numero stesso di queste ragioni possibili fa vedere che non sappiamo esattamente perché abbia omesso il vivace racconto di Marco. 2 1 . Il battesimo di Gesù ( 3 , 2 1 -22). Luca si basa su Marco. Il raccon­ to è consacrato al messia più che al precursore, di cui Luca elude il no­ me (cf. i due verbi al passivo) e che lo interessa più - lo abbiamo visto - come profeta e predicatore che come battezzatore. Seguendo la tradi­ zione, il battesimo di Gesù è, agli occhi di Luca, insieme conclusione e 1

Su Erode in Luca cf. a 9,7-9 (sotto, pp. 5 3 9 s.).

LC. J , I - 2 2

213

transizione. Tuttavia il punto essenziale non è il battesimo stesso, liqui­ dato in due parole (diversamente dal racconto pieno di solennità di Mc. 1 ,9 ), dal momento che poneva problemi alla chiesa delle origini: 1 se Ge­ sù è senza peccato, a ve'Va veramente bisogno di essere battezzato ? 2 Lu­ ca inserisce dunque questo episodio nel ricordo del successo del battesi­ mo di Giovanni, che gli è noto da Q (Mt. 3,5-6) e Mc. 1 , 5 . La raccolta d'Israele è cominciata con Giovanni Battista, ma ci vuole ancora l'inter­ vento di Gesù, il cui battesimo da parte di Giovanni è solo un prelimi­ nare secondo la storia della salvezza. Tuttavia esiste una tensione tra lo schema «appello di Giovanni al pentimento - conversione e battesimo del popolo - giudizio finale » e lo schema «precursore-messia, garante della salvezza prevista » . Tale tensione ha, a conti fatti, la sua fonte nelle Scrit­ ture stesse, dal momento che i testi apocalittici non contengono tutti una attesa messianica.3 Anche Luca ha riflettuto su questa tensione e l'ha risolta nel Benedictus. Il Battista e il suo perdono offrono al popolo so­ lo la conoscenza della salvezza (Le. 1,77), nulla di più, ma anche nulla di meno. Ogni tappa del tempo di Dio e ogni comunicazione tra la creatura e il suo creatore è punteggiata letterariamente da una preghier�, e questa è da parte umana l'atteggiamento appropriato. Mentre il battesimo è già compiuto (participio aoristo), la preghiera di Gesù continua (participio presente). 4 2.2.. Il racconto del battesimo 5 con i cieli che si aprono appartiene al genere apocalittico. 6 Tuttavia, mentre in Marco troviamo ancora una vi­ sione (e:lòe:v, «egli vide» ), Luca pone l'evento sul piano della storia (non si tratta però di una storia di vocazione, dal momento che non si rivolge 1

Si veda il dialogo tra Giovanni Battista e Gesù in Mt. J,14-1 5 . Cf. xwpl� lip.ap·dac; d i Ebr. 4,1 5 . 3 Ad esempio le profezie di Gioele. 4 Su Gesù in preghiera cf. L. Monloubou, Prière, 57· s Si è letta questa narrazione come un racconto di vocazione, una leggenda, un mito o una storia personale di Gesù. Con l'aiuto di targumim, ad esempio quello del sacrificio di Isac­ co (Gen. 22) e quello del sogno di Giacobbe (Gen. 28), F.-L. Lentzen-Deis, Taufe, 249289 definisce il battesimo di Gesù come una visione esplicativa, accordata in un momen­ to importante a un inviato ed eletto di Dio, e questo perché la comunità benefici della spiegazione. Lentzen-Deis trova dunque il contesto originario di questa pericope nella co­ munità giudeocristiana postpasquale. 6 Cf. ls. 63,19; Test. Lev. 1 8,6-7: «l cieli si aprirono e, dal tempio della gloria, la santità verrà su di lui con voce patema come da Abramo ad Isacco. La gloria dell'Altissimo sa­ rà pronunciata su di lui e lo spirito di intelligenza e di santità riposerà su di lui nell'ac­ qua» (tr. secondo J. Becker, Die Testamente der zwolf Patriarchen USHRZ m/I ], Gii­ tersloh 1980, 6o; Becker considera questi versetti un'interpolazione cristiana). 2.

21 4

GIOVANNI BAITISTA E IL BATTESIMO DI GESÙ

alcuna chiamata né è conferita alcuna missione). Lo Spirito stesso discen­ de concretamente su Gesù aw!J-a'ttx0 ELÒEt, «sotto forma corporea » . Quello che nella tradizione era una visione apocalittica accompagnata da una voce diventa dunque in Luca una scena storica con intervento di­ vino tangibile. 1 L'evento miracoloso, il dono dello Spirito, non è del re­ sto la conclusione del racconto. Luca fa risuonare, alla fine del testo, la voce celeste (rinuncia peraltro a un coro finale degli astanti meraviglia­ ti, perché Gesù, al quale la voce si rivolge, deve rimanere il centro degli eventi) . In questo modo Luca si colloca a metà strada tra Marco, nel qua­ le Gesù è l'unico a percepire la visione e la voce, e Matteo, che immagi­ na Gesù in mezzo a un numeroso pubblico. Luca conosceva bene il significato escatologico dello Spirito nella teo­ logia del giudaismo del tempo. Lo prova aggiungendo «negli ultimi gior­ ni» alla citazione di Gioele nel racconto della pentecoste, Atti 2, 17. L'evangelista attribuisce quindi al battesimo di Gesù o piuttosto all'in­ tervento di Dio che l'accompagna, un significato insieme heilsgeschicht­ lich ed escatologico. Luca ha forse pensato ad Is. 1 1 ,4 ? Non è sicuro; si lascia piuttosto ispirare dalla tesi giudaica dell'assenza dello Spirito nel tempo presente. 2 È opportuno pensare il rapporto tra l'effusione dello Spirito e la nasci­ ta verginale non a partire dalla cristologia a due livelli di Rom. 1,3-4 e nemmeno da quella che sarà successivamente la dottrina delle due na­ ture, ma sulla base degli unici passi di Luca che vi si riferiscono. Tutto il vangelo dell'infanzia annuncia che lo Spirito è ridiventato attivo alla fine dei tempi. Tutti ne sono toccati, soprattutto Maria ( 1 ,3 5 ) . Che lo Spirito sia stato all'opera nella nascita miracolosa di Gesù non vuol di­ re per Luca che il messia sia pronto per la sua missione. In vista di tale missione, più che per se stesso, Gesù ode ora la conferma dalla voce di Dio e riceve la forza dall'alto. Il misterioso «come una colomba » 3 appartiene allo stile della visio­ ne apocalittica. Luca ha fatto precedere queste parole dall'espressione «sotto forma corporea » che si può e si deve probabilmente rapportare sia all'aspetto della colomba che alla materialità della venuta dello Spi­ rito. Nel racconto di pentecoste Luca usa altre immagini radicate nella tradizione giudaica, il fuoco e le lingue; ma qui segue la sua fonte, Mar1 Stessa tendenza nei racconti dell'ascensione (Le. 2.4,5o-53 e Atti 1,9- n ) che storicizza­ no il kerygma dell'elevazione. :1. Cf. M.-A. Chevallier, Souffle de Dieu. Le Saint-Esprit dans le Nouveau Testament 1, Paris 1978, 48 s., che si riferisce a tSo,. 1 3 ,3 e r Macc. 4,46; 9,2.7; 14,4 1 . 3 Sull'enigma della colomba cf. Bill. 1 , 12.3-12.5; F.-L. Lentzen-Deis, Taufe, 1 7o-183; L.E. Keck, Dove; S. Gero, Dove; Fitzmyer 1, 483 s.

LC. 3 , 1-22

21 5

co, e riprende l'immagine della colomba che non ha paralleli diretti nel­ la letteratura giudaica. I

L'attestazione manoscritta delle parole della voce celeste invita ad allinear­ si al textus receptus da NA ..6• La critica interna, sensibile alla coesione del te­ sto, farebbe propendere piuttosto per la variante occidentale: «Tu sei mio fi­ glio, io oggi ti ho generato» (Sal. 2,7) ... Anche se Luca dimostra, in Atti I 3 , 3 3 , i l suo interesse per i l Sal. 2,7 , e benché la conformità al testo di Marco possa essere attribuita ai copisti, preferisco tuttavia il testo di NA..6: I . l'as­ similazione al testo di Matteo, il vangelo «ecclesiastico», sarebbe più vero­ simile di un'assimilazione a quello di Marco; 2. Atti 1 3 , 3 3 intende appog­ giare la risurrezione, non il battesimo; 3 . anche in altri passi le citazioni com­ binate hanno sempre disturbato i copisti. L'introduzione «e una voce venne dal cielo» ricorda Gen. I 5,4 e Dan. 4, 28 e 3 1 secondo Teodozione, ma è più apocalittica che scritturistica o rab­ binica, a motivo di questa voce che viene dal cielo (anche se cpwv�, «voce», è usuale nei LXX). Mentre nella letteratura rabbinica la bat qol, la «figlia della voce», «è stata concepita come l'eco di una voce divina » ,3 qui Dio par­ la direttamente a suo figlio. Ciò che la voce dice è da un lato l'attribuzione di un titolo, ispirata a Sal. 2,7, dall'altro l'espressione del puro amore divino, ripresa da Is. 42, I . Il Salmo 2 ha la sua origine nella teologia della regalità e nella litur­ gia di intronizzazione. L'interpretazione giudaica di tale salmo si è evo­ luta verso la speranza di un messia regale futuro, cosicché il nostro v. 22 esprime il compiménto di questa attesa escatologica. Il fatto che si tratti dell'attribuzione di un titolo a una persona significa che tale com­ pimento non rimane nell'astratto, nel vago e nel generico, ma che esso è legato alla figura umana di Gesù. Tutto ciò che Luca ha scritto fin qui su Gesù serve a stabilirlo come figlio di Dio. Per questo i lettori non im­ parano da qui nulla di dottrinalmente nuovo rispetto a t,p-3 2.4 Nuo­ vo invece il fatto che Gesù sia lì, che abbia ricevuto lo Spirito e udito lui stesso (cru, «tu » ) la voce. Non si tratta dunque di una adozione, ma del­ la rivelazione di una verità, di un segreto. E non è la rivelazione di una verità astratta, ma la confessione di una I Cf. J. Gnilka, Markus I, p.. .. NA16, 1 6:z. cita D, i testimoni principali della Vetus Latina, Giustino, Clemente Ales­ sandrino (leggermente diverso), Metodio, Ilario, Agostino e segnala ancora altre due va­ rianti, entrambe influenzate da Mt. Cf. B.M. Metzger, Textual Commentary, 1 3 6, che opta contro il testo occidentale. A. George, ]ésus Fils de Dieu dans l'Evangile selon saint Luc: RB 7:z. (1965) 1 8 5-:z.09 (= A. George, Etudes, :z.14-:z.3 6) è decisamente a favore del testo occidentale (pp. u 6-u8 della raccolta). 3 Cf. J. Gnilka, Markus I , 5:z.. 4 Cf. Le. :z.,u .

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GIOVANNI BATIISTA E I L BATIESIMO D I GESÙ

relazione personale secondo la metafora di una delle relazioni umane più strette, quella del padre col figlio. L'espressione affettuosa (o àytX7tl'j'to> (dopo iv -.q, 7tve:utJ.CX'tt, > , ((adorare>> . Il diavolo pretende il passaggio di poteri. La relazione del figlio con il padre è appena stata stabilita e il diavolo pro­ pone un'altra alleanza, pervertita. Spera forse che Gesù possa vivere or­ mai una duplice relazione o addirittura cambiare di campo? Gesù rispon­ de nuovamente con una citazione della Scrittura. 1 Luca sa che Dio esige di essere l'unico a essere servito ( 1 6, 1 3 ). La ten­ tazione di rinnegare Dio sorge nel campo del potere temporale e ha a che fare con il denaro. Politica ed economia divengono in questo modo il 1 In Luca 1tpocrxuvéw ha sempre una connotazione religiosa. Riservata a Dio e, dopo la risurrezione, a Gesù (Le. 24,52), la proskynesis consapevolmente intenzionale diventa idolatria se i destinatari sono diversi da Dio (Atti 7,43). Pietro corregge Cornelio che lo venera sconsideratamente (Atti 10,25-26) e Gesù rifiuta di compiere il gesto di fronte a Satana (Le. 4,7-8). Cf. J.M. Ntitzel, 1tpoaxuvéw, EWNT 111, 1983, 419-423 . 2. Vengono citati Deut. 6,1 3 e 10,20 secondo il testo del codex Alexandrinus. Altri testi­ moni importanti preferiscono (j)O�lJ�Tjcrn a 1tpocrxuvTjaet� e trascurano l'importante (J-O'W!�; cf. T. Holtz, Untersuehungen, 62 s.

LE TENTAZIONI DI GESÙ

terreno di un impegno esistentivo. L'attacco di Gesù, o meglio il suo con­ trattacco, non riguarda la politica o l'economia in se stesse, ma l'uomo o la donna che se ne servono per i propri interessi personali. Gesù reagisce non solo da pio giudeo, ma anche - così come il testo attuale lo presenta - da messia dei cristiani e da figlio dell'uomo. Gli scribi giudei respingevano non solo i miracoli di Gesù tacciandoli di stre­ goneria, ma anche l'affermazione cristiana secondo cui Gesù era il mes­ sia, considerandola diabolica. La risposta di Gesù, espressa in termini as­ sunti dal linguaggio dei primi cristiani, descrive la sua vita come servi­ zio a Dio senza alcun obiettivo demoniaco di onnipotenza personale. L'onnipotenza del messia è riservata al futuro, per il momento vige an­ cora il pessimismo del v. 6b. Per Luca sarà solo dopo la risurrezione, e addirittura dopo la parusia, che Gesù Cristo riceverà la potenza e la gloria su tutti i regni della terra. Per questo la seconda tentazione è pa­ rallela al racconto della salita a Gerusalemme quando Gesù apprende che messianicità e filiazione divina lo condurranno alla passione. 9-12. Alla terza tentazione il diavolo conduce Gesù sul punto più al­

to del tempio. I Anche questo passo viene da Q. Come al v. 5 , Luca non menziona esplici­ tamente il diavolo. «La città santa » in luogo di Gerusalemme appartiene alla redazione di Matteo. Con 'tou Òtcxc:puÀa�cxt ae:, «per custodirti senza tre­ gua », Luca prosegue la citazione di Sal. 90(91 ),1 1 . Èv 1taacuc; 'tcxic; òòoi.:; aou, «in tutte le tue vie» (fine del versetto nei LXX), era troppo generico per essere conservato. L'introduzione del v. 12 è probabilmente tradiziona­ le. 2. Invece e:LplJ'tCXt, «è stato detto», per la citazione della Scrittura dev'esse­ re di Luca (cf. Atti 2,1 6; 13,40). La tentazione ha luogo nel recinto del tempio. Dopo quella profetica e quella regale sopravviene forse la tentazione sacerdotale? 3 Il diavolo conduce Gesù nel luogo più pubblico che ci sia. La tentazione deve sag­ giare il rapporto del figlio con il padre, più che il potere miracoloso di Gesù. Perché è una tentazione, se il Sal. 90 (9 1 ) dice il vero? Gesù gli oppone un'altra citazione: «Non tenterai il Signore tuo Dio» (Deut. 6, 1 6 LXX). Allora il popolo aveva tentato Dio reclamando da lui dell'ac­ qua. Nelle tre tentazioni Gesù non vuole nulla per sé, per questo non I

Su 1t'tt')'UpiOV cf. H. Mahnke, Versuchungsgeschichte, n 6-n 8: lo 1t'tt')'UpiOV del tempio

(!tpov) non è una parte dell'edificio (va�) ma un rialzo vicino che non siamo più in gra­ do di identificare, oppure la sommità di una delle porte. 2. Cf. J. Jeremias, Sprache, 1 17. 3 Cf. H. Mahnke, Versuchungsgeschichte, I I 3 - 1 26. Critico in proposito U. Luz, Mat­ thiius r, 1 6 1 n. 14.

LC. 4, 1 - 1 3

23 9

mette alla prova Dio. Il diavolo cita la Scrittura, ma non la capisce. L'in­ terpretazione di Deut. 6, I 6 che i cristiani mettono sulla bocca di Gesù manifesta due aspetti: I . sensibilità alla metafora, poiché Sal. 90(9 I ), I I - I 2 non deve essere preso letteralmente; 2. la convinzione che l'aiuto di Dio, promesso nel salmo, non è automatico: il credente non fa neces­ sariamente esperienza del suo Dio affrontando dei rischi. La salvezza viene attraverso la sofferenza e la morte. Tale convincimento teologico, radicato nella Bibbia, non viene qui espresso a caso; probabilmente risponde a una critica, non dei miracoli, ma della croce di Gesù: perché Dio non ha risparmiato una simile mor­ te a suo figlio (cf. Le. 23,3 5 ·3 7 ·39 ) ? Ed ecco la risposta cristiana: per con­ vincimento di fede e non per impotenza Gesù non si è salvato da sé. An­ cora una volta non è solo la risposta di un credente, ma soprattutto quel­ la del messia dei cristiani messo sotto attacco. I 3 . Pur detenendo un grandissimo potere (v. 6), il diavolo non può forzare le decisioni umane. Alcuni, come Adamo 1 e il popolo nel deser­ to, soccombono alla tentazione; altri resistono, come Giobbe e Gesù. Satana ha esaurito tutti i suoi tentativi e se ne va, riconoscendo e mani­ festando fisicamente la propria sconfitta. Tuttavia persiste una minac­ cia, come lasciano intendere le parole «fino al tempo fissato», fino alla prossima occasione.

Il racconto ha assunto la forma di una discussione. Il diavolo e il figlio lottano con l'aiuto di citazioni bibliche come due rabbi. Tuttavia que­ sto è solo uno degli aspetti del testo, perché la narrazione è paragonabi­ le, per i suoi temi, a racconti di altro genere: quelli che propongono la tentazione, il peccato e la caduta di determinati personaggi, oppure la resistenza e il trionfo di credenti. 1 storia delle forme ne fornisce a mia conoscenza solo due esempi: Dan. 3 (i tre giovani nella fornace) e Sifre Lev. 22,3 2.3 Quest'ultimo riferisce la leg­ genda dell'imperatore Traiano che perseguita due giudei e dice loro: «Non appartenete voi al popolo di Anania, Misaele e Azaria (cf. Dan . 3 ) ? Che il vostro Dio venga a salvarvi>> . I giudei rispondono: «Anania, Misaele e Aza­ ria erano degni e Nabucodonosor aveva proprio meritato un segno. Ora né La

r Con Fitzmyer I, 5 u . e contra A. Feuillet, Récit, ritengo poco numerose le allusioni ad Adamo nelle tentazioni di Gesù e mi rifiuto di parlare qui di tipologia Adamo-Cristo. A detta di Feuillet, Luca intenderebbe presentare in Gesù vittorioso sul diavolo un modello etico per i battezzati nelle loro lotte contro il tentatore. 1 Cf. i racconti giudaici di tentazioni, in cui Satana si traveste per sedurre gli uomini, in Bill. I, 140 s. 3 Per Sifre Lev. 22,3 2,99d cf. J. Bonsirven, Textes rabbiniques, S 206, 4 5 s.

LE TENTAZIONI DI GE S Ù

noi né tu siamo degni ecc. » . Come il diavolo in Le. 4, l'imperatore si serve di argomenti biblici e dei privilegi riconosciuti del popolo di Dio e, come Gesù, i due giudei rifiutano per se stessi il diritto al miracolo. Dan. 3 e Si­ fra 22,3 2 insegnano che c�sa sia un segno di Dio. Luca è convinto con la teo­ logia giudaica e cristiana che I . Dio aiuta i suoi servi in difficoltà con mi­ racoli e accorda loro dei segni; 2. solo un falso profeta si serve di segni per il proprio interesse e 3 . solo gli ipocriti sono tentati di reclamare un miracolo. E ciò vale anche per i passi in cui Gesù rifiuta un segno (Le. I I,I 6.29-30). Se la polemica con i giudei costituisce il contesto originario dei raccon­ ti di tentazione, è anche possibile che la discussione tra Gesù e i farisei sui segni di Dio sia stata la radice storica delle tentazioni di Gesù. Il Nuo­ vo Testamento conosce anche altre tentazioni di Gesù: Le. 22,28.3946; Ebr. 2, I7; 4, I 5; 5,2 e Gv. 6,I 5 . 26-3 4; 7,I-4. Il che significa che il Gesù storico è stato tentato, I ma che i racconti di tentazione nei vange­ li non narrano quelle tentazioni, ma hanno origine nella polemica che la chiesa, come Gesù, ha dovuto condurre contro i dottori giudei. :z. Luca si sforza di redigere correttamente il suo racconto e di renderlo plausibile. Mentre Matteo pone l'accento sulle risposte di Gesù, Luca sottolinea gli attacchi del diavolo.3 L'inizio del racconto si collega al bat­ tesimo, ma la conclusione rimanda già alla passione. Il percorso di Ge­ sù seguirà lo stesso itinerario delle tentazioni: dal deserto a Gerusalem­ me. L'atteggiamento di Cristo conferma, diversamente da quello del po­ polo peccatore nel deserto, la fede nel solo Dio creatore e soprattutto salvatore d'Israele."' Ma rinunciando sia al segno sia al potere regale, si rivela come lo sconcertante messia, che sceglie la via del servizio e del­ l'obbedienza filiale. Per questo riceverà il segno della risurrezione e la dignità regale, ma solo dopo la sua attività in Galilea, la salita in Giu­ dea e la passione a Gerusalemme. 5 Che il messia Gesù agisca qui anche come profeta e sacerdote è possibile, ma difficile da provare. 6 Storia degli effeui. La storia dell'esegesi di Le. 4,I- I 3 è ricca di inse­ gnamenti/ perché l'interpretazione rispecchia sempre la situazione per­ sonale e storica dell'esegeta. I

Cf. Ch. Duquoc, Tentation, 32 s. Con Fitzmyer 1, 5 1 o. 3 Con J. Dupont, Tentation, 70. 4 A. Schlatter, Matthaus, xo8 mette in rapporto la prima tentazione (dei pani) con la fe­ de, la seconda (dei regni) con l'amore per Dio e la terza (del salto) con l'obbedienza; Ge­ sù si comporta così da pio giudeo. H. Harsch, lnterpretation interpreta le tentazioni a par­ tire dagli archetipi di C.G. Jung, ad esempio i pani sono associati alla nonna. 5 J. Dupont, Tentation, 70 insiste sul legame tra il nostro testo e il racconto della passione. 6 Cf. H. Mahnke, Versuchungsgeschichte, 123. 7 Cf. le due monografie di K.P. Koppen, Auslegung e di M. Steiner, Tentation. 2.

LC. 4 , 1 - 1 3

Per Ambrogio l'aspetto centrale del passo è quello etico. Gesù «sof­ fre a essere tentato dal diavolo perché in lui impariamo tutti a trionfare sul demonio» . I «tre principali giavellotti del diavolo» si manifestano successivamente nelle tre tentazioni, e sono l'ingordigia, la vanità, l'am­ bizione. I Secondo Origene le pietre sono le dottrine eretiche offerte ai cristiani al posto del pane."" Calvino, assai sensibile al pericolo che c'è a mettere l'accento sulle opere dell'uomo, si oppone a ogni assimilazione della tentazione di Ge­ sù alle nostre tentazioni. « Questo digiuno è stato come un blasone del­ la gloria divina che Cristo ha portato» .3 Sarebbe dunque onta e deri­ sione voler imitare Cristo. La tentazione non si riassume nell'ingordi­ gia, l'ambizione o la cupidigia; le tre tentazioni consistono nel prendere le distanze rispetto a Dio: ad allontanarsi da lui (prima tentazione), ad attribuire a Satana una potenza che è solo di Dio (seconda tentazione) e a servirsi della potenza di Dio nel proprio interesse (terza tentazione). K . Barth 4 si colloca sulla stessa linea di Calvino. Se Gesù avesse ce­ duto alla tentazione, avrebbe commesso un crimine infinitamente più gra­ ve di tutte le mancanze contro la morale o la legge, avrebbe commesso il male supremo. In nessuna delle tre tentazioni si tratta dell'invito a com­ mettere quello che è chiamato un reato o un crimine in senso morale o giuridico. «In tutte e tre si tratta unicamente di un consiglio o di una pro­ posta che si prefigge di condurre colui che, fin dal Giordano, ha comin­ ciato a intraprendere la via della penitenza, a non rimanere fedele, a se­ guire un'altra direzione rispetto a quella che porterà alla croce» . Alcuni teologi contemporanei vedono nella resistenza di Gesù alla ten­ tazione un esempio non solo etico ma anche spirituale. A essere esem­ plare è l'atteggiamento di Gesù verso Dio. Secondo G. Lafon 5 Gesù ri­ nuncia in ciascuna delle tre tentazioni a ogni possesso. « Perché l'uma­ nità ci sarà garantita solo dalla presenza in noi della mancanza, median­ te la sopportazione della nostra fame» . Né il pane né il potere offerti nelle due prime tentazioni bastano a fare di noi degli uomini. Nella ter­ za tentazione Cristo si rifiuta di disporre della morte. ((Egli esiste senza possedere alcunché, né una cosa, né tutte le cose, né se stesso» . E lo stes­ so i cristiani. Questa interpretazione tiene conto pure dei due assi della tentazione, l'asse cristologico e quello antropologico. I

Cf. Ambr. ln .Lc. 4,4-42; vengono citati 4,4 e 4,17. :r. Cf. Orig. Rom. Le. 29,3-5. 3 Giovanni Calvino, Harmonie, 1 1 7. 4 Cf. K. Barth, Kirchliche Dogmatik IV/I, 286-291 (cit. p. 287). 5 Cf. G. Lafon, Esquisse pour un christianisme, Paris 1979, 1 3 · 17·

LA PRIMA PREDICAZIONE DI GESÙ A NAZARET ( 4 , 1 4 -3 0)

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=

fung des ]obeljahres in der Nazarethpredigt ]esu. Zur apokalyptisehen Tradition Lk 4, 1 6-J o, in W. Eltester (ed.), ]esus in Nazareth ( BZNW 40), Berlin - New York I972, 3 8-50; R.L. Sturcb, «The Patris» ofjesus: JThS 2.8 ( I 977) 94-96; R.C. Tarme­ bill, The Mission of ]esus Aeeording to Luke 4,16-J o, in W. Eltester (ed.), ]esus in Nazareth (BZNW 40), Berlin - New York I972, 5 1-75; B.E. Thiering, The Three and a Half Years of Elijah: NT 23 ( 19 8 I ) 4 I - 5 5 ; M. Volkel, Der Anfang ]esu in Galilaa. Bemerkungen zum Gebraueh und zur Funktion Galiliias in den lukani­ schen Sehriften: ZNW 64 ( 1973 ) 222-23 2; T.V. Walker, Luke 4, L 6-3 o: RExp 85 (I988) 3 2I-3 24. I4 E Gesù ritornò nella potenza dello Spirito in Galilea, e la sua fama si dif­ fuse in tutta la regione. I 5 E insegnava nelle loro sinagoghe, elogiato da tut­ ti. 16 E si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò secondo la sua abitudine nel giorno di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. I7 E gli fu dato il libro del profeta Isaia. E come lo aprì, trovò il passo dove era scrit­ to: 1 8 « Lo Spirito del Signore è su di me perché mi ha unto. Per annuncia­ re la buona novella ai poveri, mi ha inviato, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il ritorno alla vista, per rimandare gli oppressi in

244

LA PRIMA PREDICAZIONE DI GESÙ A NAZARET

libertà, 1 9 per proclamare un anno di accoglienza da parte del Signore>> . 20 E arrotolò il libro, lo restituì all'inserviente e si sedette; e gli occhi di tut­ ti nella sinagoga erano fissi su di lui. 21 Cominciò allora a dire loro: « Og­ gi questa scrittura si è compiuta ai vostri orecchi >> . 22 E tutti gli testimonia­ vano approvazione e ammiravano le parole piene di grazia che uscivano dal­ la sua bocca e dicevano: «Costui non è il figlio di Giuseppe? >> . 23 Ed egli disse loro: . 28 E tut­ ti furono pieni di collera nella sinagoga, udendo queste parole; 29 si alza­ rono e lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero fin sulla cresta della collina sulla quale era costruita la loro città, per farlo precipitare giù. 30 Ma egli passò in mezzo a loro e se ne andò. I vv . 14-1 5 1 segnano una transizione e guardano all'indietro come in avanti. La parentela formale con 4 , 1 sottolinea la loro funzione di in­ troduzione.

Si discute vivacemente per sapere se in questo passo (vv. 14-1 5 ) si celi un racconto precedente degli inizi di Gesù.1 Le. 4,14-44 e Mt. 4,1 2-25 riela­ borerebbero una variante di questa tradizione, mentre Mc. 1,14-39 (e Mc. 6, 1-6?) ne trasmetterebbe un'altra. Tale tradizione (Q o un protevangelo di Luca ? ) sarebbe stata costituita da due grandi parti: a) il battesimo di Gio­ vanni e le tentazioni di Gesù; b) il primo annuncio, i primi discepoli e i primi miracoli. L'analisi particolareggiata di Delobel 3 prova che i vv 14-1 5 sono di Luca, cosicché non si può supporre altra fonte che Marco. H. Schiirmann osserva a proposito di 4,1 6-30: « Luca ha avuto a dispo­ sizione una variante della pericope di Nazaret di cui anche Marco ha avu­ to conoscenza (Mc. 6, 1 -6). Tale variante presentava già uno stadio di re­ dazione avanzato quando Luca vi ebbe accesso, ed era già arricchita, in sen­ so cristologico e universalista, dei vv 1 7-21 (23a) e 25-27. Il corpo di que­ sta pericope prelucana (che ritroviamo in Le. 4,1 6.2.2.23b-24.[28 ss.]) ave­ va conservato, diversamente da Marco (Mc. 6, 1-6), la versione più antica >> .4 .

.

1 Cf. Fitzmyer I, 5 21-524. :z. Cf. H. Schiirmann, Bericht. 3 Cf. J. Delobel, Rédaction. 4 H. Schiirmann, Traditionsgeschichte, 205 . Analisi approfondita della tradizione e del­ la redazione in R.C. Tannehill, Mission: vv 1 6-2.1: la tradizione non marciana limitata a Nazaret e al contesto (tra tentazioni e ministero di Gesù a Cafarnao), il resto è redazio­ nale; v. :u: molto lucano; vv 23-24: tradizione non marciana, soprattutto nel v. 2. 3 ; vv .

.

.

24 5 Altri attribuiscono un ruolo maggiore alla redazione: « Basandosi su Q (Mc. I,14-1 5 e 6, 1 -6), Luca compone l'episodio drammatico (4,16-30) del primo intervento di Gesù a Nazaret. Riprende da Q l'interpretazione che vi si trova già (cf. Le. 7,22-23 l Mt. 1 1,4-6), basata sulle beatitudini del ser­ mone nella pianura l sulla montagna, dell'azione di Gesù nel senso di Is. 61, I-2>> . ' Anche il modello deuteronomico del destino tragico dei profeti vie­ ne da Q, mentre Mc. 6,1-6 ne fornisce l'inquadramento. Le. 3,21-4,14 è con­ seguentemente uno sviluppo redazionale di Mc. I,J4- I 5 tranne che nell'en­ trata in azione di Gesù è il tempo a essere meno compiuto che la Scrittura. Tre aspetti sono chiari: 1 . il lavoro redazionale, che riguarda il linguag­ gio e il contenuto; 2. la comparsa di elementi eterogenei (v. 1 5 : > ... Si tratta piuttosto di un solo raccon­ to originario che si è sviluppato nel corso della sua trasmissione in due di­ rezioni. La variante di Marco pone l'accento sull'incredulità degli abitanti, la variante posteriore di Luca sul contenuto profetico delle parole di Gesù. Che la pericope sia lo sviluppo di due elementi originariamente separati, un logion isolato e una scena di successo di Gesù,3 non è verosimile. I due elementi dell'apoftegma (situazione e dichiarazione) vanno insieme fin dal­ l'inizio. La descrizione della situazione era meno definita nella tradizione rispetto alla dichiarazione (quest'ultima si ritrova in Ev. Thom. 3 1 [greco e copto] ), senza l'inquadramento ma accompagnata dal detto sul medico (cf. Le. 4,23 ). Luca ha dunque trovato in Q o più probabilmente in SLc una versione più ampia di quella di Marco, in cui la citazione della Scrittura e la sua spiegazione, e forse anche gli esempi presi dall'Antico Testamento (vv. 25-27) e l'attacco degli abitanti contro il profeta Gesù (v. 29) erano già presenti, anche se formulati diversamente. La stessa tecnica compositi:z. s -:z.7: tradizione in origine indipendente dal resto; vv . :z.8-3o: il rifiuto di Gesù è tradi­ zionale, l'evangelizzazione delle nazioni redazionale. Gli elementi essenziali di Mc. 6,1-6 sono ripresi da Luca, che ne attenua la portata. L'insieme della composizione di Le. 4, 1 6-30 è redazionale. 3 Così R. Bultmann, Syn. Trad., 3 1. 1 U. Busse, Manifest, 1 1 3 . 2. Fitzmyer 1 , 5 :z.8.

24 6

LA PRIMA PREDICAZIONE DI GESÙ A NAZARET

va di Luca, che combina e rielabora la sua fonte (o le fonti) in modo tale che il lettore non la riconosca più, esige, per quanto sia paradossale, l'esi­ stenza di un modello.

Per la storia delle forme la pericope è la rielaborazione artistica di un apoftegma già ben ricco. L'accento si è spostato dal detto stesso (v. 24 ) verso l'appello alle Scritture (vv. 1 7-2 1 ) e dalla parabola del medico (v. 23 ) verso gli esempi desunti dalla Scrittura (vv. 25-27). A partire dal­ l'incontro mancato tra Gesù e la sua città si è sviluppato, nel corso del­ la riflessione sulla Scrittura e la storia, un racconto carico di significato cristologico ed ecclesiologico. Ma diversamente dalla teologia delle let­ tere neotestamentarie la pericope rimane narrativa. 14. Il ritorno di Gesù avviene in due tappe, prima la salita dal Gior­ dano al deserto e a Gerusalemme (4, 1 .9), poi il ritorno a casa (4,14; cf. 2,3 9). La tentazione nel deserto provoca un ritardo, ma non una devia­ zione. L'unione di Gesù con lo Spirito viene espresso mediante l'annuncia­ zione dell'angelo a Maria ( I,J 5 ), la discesa dello Spirito al momento del battesimo ( 3 ,22) e le dichiarazioni del cap. 4, «pieno di Spirito san­ to», «condotto dallo Spirito», «nella potenza dello Spirito» , «lo Spirito del Signore è su di me » (vv. I . I 4 . 1 8 ) . Tali ripetizioni sono tutt'altro che improprietà di stile. Luca dichiara in questo modo che con Gesù la po­ tenza e la giustizia di Dio sono nuovamente attive e visibili nel mondo e nella storia. Sorprendente poi che Luca non restringa la presenza del­ lo Spirito al solo Gesù, ma includa quelli che lo hanno immediatamente preceduto: Zaccaria ( 1,67), Giovanni ( 1 , 1 5 ), Elisabetta ( 1 ,4 1 ), Maria ( 1 , 3 5 ) e Simeone ( 2,25 ), in quanto per l'evangelista lo Spirito della profe­ zia e lo Spirito del compimento sono un tutt'uno. In questo modo espri­ me l'arrivo dei tempi nuovi. Una simile svolta apocalittica avviene concretamente in un tempo e in un luogo. La Galilea è per Luca insieme una regione precisa e una grandezza teologica: il luogo storico e soteriologico in cui Gesù comin­ cia la sua opera. I

Luca parla qui per la prima volta della fama di Gesù. Un'informazione del genere pertiene al genere biografico. Per i greci la fama era spesso lo scopo stesso della vita. Luca indica questa fama di Gesù in diversi passi e ricor­ rendo a molteplici espressioni diverse: x11Ì. È�e7topeue-.o �x.oc; 7tepì. 11Ù'tou, «la fama si diffondeva riguardo a lui >> (4,3 7); Òt�p'X,e'to òè: fLiiÀÀov o Àoyoc; 7tepì. 11Ù'tou, «questo discorso su di lui si diffuse sempre più» (5,1 5); x11Ì. È�'iJÀ'I9ev I

Cf. a Le. 1 ,2.6 (sopra, pp. 87 s.).

2 47 ò Àoyoc; oò-roc; ... 1te:pt cxù"tou, «questo discorso si diffuse ... su di lui» (7,17). Anche se Luca è attento a evitare le ripetizioni lessicali, la struttura è la me­ desima: un verbp di movimento, una parola per gli elogi e i loro effetti, e la persona di Gesù come contenuto del discorso (1te:pt cxÙ"tou). A questo si ag­ giunge spesso l'indicazione della regione in cui questa �YJ!J-lJ, «fama », cir­ cola. Il termine �YJ!J-lJ, il cui senso è precisato dal contesto e dalla vicinanza di òo�cx�o�J-e:voc;, «tenuto in grande considerazione», non è semplice infor­ mazione su di lui,' né «voci su di lui >>/" ma veramente la fama o la celebri­ tà. Questo vale per la prima parte del vangelo. Nella seconda e soprattutto nella terza, sarà meno questione della celebrità di Gesù quanto degli attac­ chi contro di lui. Si osservi che Luca non è l'unico autore cristiano a parla­ re della fama e del successo di Gesù (cf. Mc. 1 ,28, da cui forse Luca ha preso la formulazione, e Mt. 9,26, una locuzione redazionale molto vicina a Le.

4·14b).

La differenza rispetto alla tradizione greca non sta dunque in una con­ seguente critica radicale di qualsiasi encomio da parte dei cristiani, ma nel rifiuto della propria magnificazione. Il cristiano non ricerca la fama per sé, ma celebra quella del suo Signore e dei suoi fratelli nella fede.3 Inoltre non fa l'elogio né della superiorità né delle vittorie, ma del giu­ sto comportamento e del servizio. Tuttavia non è esclusa ogni fierezza, come attesta l'affermazione di Paolo negli Atti a proposito dell'origine del vangelo: ccNon è in un angolo remoto che questi eventi sono succes­ si >> (Atti 26,26). Forse bisogna distinguere tra l'orgoglio e la (legittima) fierezza, alla quale i cristiani sapevano aprirsi. Secondo Le. 4, 1 4 la fa­ ma di Gesù era sicuramente legittima, anche se fino ad ora non aveva co­ minciato nulla alla luce del sole. Luca pensa forse che le tentazioni non siano rimaste sconosciute? 1 5 . A mo' di sommario, ecco il primo conciso compendio dell'attivi­ tà di Gesù: il suo impegno principale è ccinsegnare>> (non somiglia dun­ que né ai principi che dominano né ai sacerdoti che offìciano e nemme­ no ai profeti che proclamano). Il verbo òtòcicrxw, cc insegnare >> , applicato a Gesù, è in uso nella tradizione ancor prima di Luca. Non va inteso nel senso greco di un insegnamento scolastico, ma in quello giudaico di una spiegazione delle Scritture (Mc. 1 , 2 1 ) . Gesù che insegna è per Luca l'Unto escatologico d'Israele; e quindi il suo insegnamento è rivelazione Einheitsubersetzung, 1 2 1 . 2. Fitzmyer 1, 5 2 1 . Non fu senza esitazione né senza cambiamenti che i n epoca patristica i l genere lettera­ rio dell' Èyxwp.tov (panegirico, elogio) fu ripreso dai cristiani e divenne uno dei generi prin­ cipali della letteratura agiografica. Cf. A. Piédagnel, ]ean Chrysostome. Panégyriques de S. Paul, Introduction, texte critique, traduction et notes (SC 300), Paris 1982., :z.r-38. 1

3

24 8

LA

PRIMA PREDICAZIONE DI GESÙ A NAZARET

della cristologia e del compimento delle profezie. Luca resterà fedele a questo termine per caratterizzare sinteticamente l'attività di Gesù; lo use­ rà ancora in Atti 1,1, ma questa volta affiancato e preceduto da 7totéw, dal «fare» escatologico, come qui l'insegnamento stesso è preceduto dal­ le tentazioni. Il contenuto di tale insegnamento non è ancora specifica­ to, perché Luca non vuole rovinare in anticipo l'effetto dell'esempio clas­ sico che segue, la predicazione a Nazaret. L'insegnamento di Gesù e anche la predicazione della chiesa delle ori­ gini furono legati alla sinagoga. La predicazione giudaica, che era aper­ ta ai laici, consentì a Gesù e poi ai cristiani di esporre il loro annuncio (cf. Atti I J , 1 5 ). Perché Luca precisi «loro » sinagoghe, è difficile dirlo. Negli Atti parla spes­ so di «sinagoghe dei giudei» (Atti 13,5; 14,1; 17,1. 10). Se si esprime allo stesso modo qui, è per il fatto che 1 . come gli accade spesso si porta dietro una espressione di Marco (Èv 'tlJ auvaywy1J aÙ'twv, «nella loro sinagoga », Mc. 1, 2 3 ); 2) non si identifica con i giudei (cf. «la loro città», v. 29). Luca sottolinea di nuovo la fama di Gesù ricorrendo abilmente ad altre parole. La ragione di tale ammirazione diffusa: il suo insegnamento, come al versetto precedente, la sua vittoria sul diavolo (cf. il 7totti'v di Atti 1,1 ) . 16-2oa. La tradizione riguardante Gesù a Nazaret non era legata in origine all'inizio della sua attività (cf. Mc. 6, 1-6). Luca per parte sua in­ tende raccontare secondo un suo programma: la città d'origine Nazaret, presentata qui come rappresentativa di tutto Israele, ode per prima la buona novella (nel senso paolino), • e per prima anche vi resiste. Che Ge­ sù sia originario di questo borgo senza importanza non entusiasmava la chiesa delle origini (cf. Gv. 1,46), ma il peso della storia impediva di passarla sotto silenzio. Luca conosce le prime tre tappe di ogni biografia greca: nascita, pri­ mi anni in casa (oò �v 'tt.SpatJ.!J-Évoç, «dove era stato allevato » ) e forma­ zione scolastica (cf. Atti 22,3 ) .1 Gesù è presentato come un pio giudeo la cui educazione ha portato i suoi frutti; frequenta regolarmente la sinagoga xa'ttÌ 'tÒ tlw.Soç, «secon1

Cf. Rom. 1,16; 2.,10. Cf. W.C. van Unnik, Tarsus or Jerusalem. The City of Paul's Youth, tr. ingl. di G. Ogg, London 1962.; ora in W.C. van Unnik, Sparsa Collecta 1, Leiden 1973, 2.59-3 2.0; riassunto e critica da parte di F. Bovon, Luc le théologien, 3 74 s. In un contesto biogra­ fico -rpéq:>w, come à.va-rpéq:>w, non significa solo nutrire un bambino né solo istruirlo, ma indica la fase dell'infanzia passata in casa nella quale si riceve dal padre e dalla madre il nutrimento e anche la prima istruzione; cf. W.C. van Unnik, Tarsus, 3 3 s. 59-72. (libro). Va forse letto qui - con alcuni buoni testimoni - come in Atti 2.2.,3 à.vcxn�vo.;? 1

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do l'abitudine» (il dativo che segue, al posto del genitivo possessivo, è una costruzione di Luca, cf. Atti 1 7,2., come anche «nel giorno di saba­ to» , che ritorna cinque volte nel vangelo di Luca e tre volte negli Atti). Il gesto di alzarsi per fare la lettura forse allora era comune. Luca non dice se Gesù fosse stato designato per fare quella lettura e pronunciare la predicazione, come era abitudine fare. Deve supporlo, perché se aves­ se voluto segnalare un'iniziativa eccezionale di Gesù, l'avrebbe indicato più chiaramente. Luca descrive peraltro in modo preciso il culto sinagogale del sabato. 1 Tra­ scura certo alcuni importanti elementi del culto come la prima parte (She­ ma ', preghiera, benedizione), e anche l'inizio della seconda (lettura della Torà). Ma poiché intende collocare un evento particolare nel quadro di uno svolgimento abituale, sceglie di porlo in mezzo alla seconda parte, che è più segnatamente didattica. Ritiene che un altro offìciante si sia incaricato della lettura della Torà. In Atti 1 3 farà aspettare Paolo ancora un momen­ to in più prima di presentare il suo intervento: dopo tutte le letture. Non sap­ piamo se nel 1 secolo le pericopi della Torà fossero già strutturate in un ci­ clo determinato. Probabilmente la scelta dei testi dei profeti era ancora li­ bera. Va detto che a quel tempo, nonostante la varietà dei tipi di omelie, i predicatori spiegavano spesso il seder (pericope presa dalla Torà) mediante allusioni alla hafr.ara (pericope presa dai profeti) e aiutandosi con quelle che sono chiamate peti/:Jot (soprattutto citazioni dagli agiografì).1 Colpisce nel racconto di Luca la composizione rigorosa della prima scena: Gesù si alza, riceve il libro, trova il passo, richiude il libro, lo re­ stituisce, si siede. Luca si guarda dal dire che Gesù fa la lettura, ne in­ dica solo l'intenzione: « si alzò per leggere>> , e cita il testo ( vv . 1 8-19). Il termine tnt'l')pÉ't'l'J�, «addetto » , > (Is. 61,2.) sarebbe stata fuori luogo. Cita secondo i LXX, il che lo conduce a un gioco di parole (òe:x'to�, > ), che in Luca ( 6,39) e nei LXX ( I Sam. [I Re LXX] I , I 2) può anche significare «proverbio>> , La risposta di Ge­ sù è ironica. L'immagine del medico è rara nel giudaismo e anche nella letteratura protocristiana (cf. 5,3 1 ) . ' In Ev. Thom. 3 I l'immagine del medico è accostata a quella del profeta. Questo logion è il risultato del­ l'unione dei vv . 2 3 b e 24 o proviene da fonti parallele? Impossibile sta­

bilirlo.1 La notevole frequenza del verbo «dire» (ÀÉye:tv, v. 2I; éì..e:yov, v. 22; Et7te:v , ÀÉyw, v. 24; ÀÉyw, v. 25 ) 3 esige qualche pre­ cisazione. Ci sono due categorie principali: a) la descrizione da parte di Lu­ ca delle parole profetiche di Gesù (vv. 2I .23.24); b) le parole di Gesù stes­ so in prima persona: CÌ!J.�" ÀÉyw U!J.LV, «sì, io ve lo dichiaro» (v. 24), espres­ sione considerata un semitismo che segna l'inizio di un oracolo; 4 È7t' CÌÀl)­ .Sdac; ÒÈ ÀÉyw U!J.t'll , > ) . Tale affermazione rivela il conflitto nascente tra il disegno di Dio e la volontà del popolo. In Gesù è annunciato l'anno di grazia del Signore (Èvtau-ròv xuptou òe:x-rov), ma nella sua città natale il profeta è male accolto (oùòe:tc; ... òe:x-roc;) . Si di­ mentica troppo spesso il legame che nei LXX si stabilisce tra l'anno giubilare e la terra natale: durante quest'anno di remissione (Lev. 25,10 Cf. Wettstein, 6 8 1 ; Bill. n , 1 5 6; Lagrange, 142 s. W. Schrage, Thomas·Evangelium, 75-77 ritiene invece che il logion di Ev. Thom. di­ penda dai vangeli sinottici, soprattutto da Luca. 3 L'El7tEV Bi del v. 24 riprende l'Elmv del v. 23 per ben sottolineare che la frase degli abi­ tanti di Nazaret è terminata. tÀEyov ed ÈpEin si riferiscono alle parole degli abitanti. 4 Cf. H.-W. Kuhn, li!'-ijv, EWNT I, 1980, 1 67. 1 68: « L'�-ijv preposto dei vangeli ricor­ re soltanto in detti di Gesù in una specie di formula di asseverazione e forse anche di au­ torità: �ljv (�ljv) ÀÉyw �iv/aot ». «Finora non è dimostrabile con sicurezza la presen­ za nel giudaismo antico di un non responsoriale 'amen' premesso ... Ma neppure è dimo­ strato che già Gesù stesso abbia usato 'amen a inizio di frase»; cf. Fitzmyer I, 5 3 6 s. 1

1

254

LA

PRIMA PREDICAZIONE DI GESÙ A NAZARET

LXX: Bta.�o�crt't'E acpecrtv bt 'tlJ� ril� 7tlicrtv 'tOt� xa.'totxoucrtv a.Ù't�V, «voi annuncerete la liberazione sulla terra a tutti i suoi abitanti» ) e di benedi­ zione (Lev. 25,21 LXX), ognuno ritornerà nella sua terra: xa.t �xa.cr-to� d� -.�v 7ta.-tptòa. a.ù-tou cbeÀe:ucre:cr.Se: «e ciascuno di voi ritornerà nella sua patria » (Lev. 25,10 LXX). È dunque conformemente alle Scritture che Gesù comincia nella sua città l'annuncio dell'anno di grazia. Ma l'invi­ to non è accolto. 1 25-27. Questi versetti contengono un'interpretazione c!istiana che ag­ giunge un seguito positivo al giudizio negativo: già nell'antica alleanza ci sono stati profeti che hanno operato al di fuori d'Israele.1 È il caso di vedervi non tanto un'allusione alla missione tra i gentili quanto piut­ tosto alla comunità di giudei e gentili. 3 Il v. 2 5 si collega meno ai passi degli Atti (cf. È1tt 1tlicra.v 't�V rl)v, «SU tutta la terra » , Atti I I ,28) che a quelli del Levitico relativi all'anno giubilare (Lev. 25), perché «tutta la terra >> (in origine tutta la terra di Israele) poteva essere interpretato in senso universale da Luca e, prima di lui, dagli etnicocristiani. 4 Si può supporre che questa interpretazione allargata sia opera della comunità di Antiochia, dal momento che i due esempi si riferiscono alla Siria ? Tut­ to quello che possiamo dire è che i vv. 26-27 rispecchiano un cristiane­ simo che ha già infranto le barriere del giudaismo. 28-30. La conclusione dell'episodio rompe chiaramente con Marco. La parola di Gesù al posto del miracolo, la resistenza dell'uditorio al po­ sto delle guarigioni, ecco ciò che caratterizza la versione di Luca. Gesù era venuto nella forza dello Spirito (v. 14) ed ecco che ora tra tutti gli ascoltatori (Luca ne dà una rappresentazione generalizzante) gronda la collera (v. 28). L'evangelista non ne spiega la causa, ma segnala solo il 1 Fitzmyer 1, 5 3 7 ritiene che se Luca, diversamente da Marco, non accenna alla famiglia di Gesù, sia per risparmiare Maria. L'ipotesi è verosimile solo se si pensa - cosa di cui dubito - che qui Luca riprenda e adatti Marco. 1 Diversi panicolari, come il cielo chiuso e i quarantadue mesi, sono assenti dal testo ve­ terotestamentario, ma compaiono nella letteratura giudaica e cristiana; cf. Sir. 48 , 3 e Giac. 5 , 1 7; cf. L.C. Crockett, Relations. 3 Cf. L.C. Crockett, Relations, il quale ne vede il compimento in diversi episodi degli Atti (Atti 1 1,2.8; IO,I-1 1,18). 4 «L'esempio di Elia ed Eliseo che concedono i doni di Dio a pagani fa prevedere che, rifiutato da Israele come lo è dai concittadini di Gesù, il messaggio della salvezza passe­ rà ai gentili. L'episodio di Nazaret fa così presagire ciò che si vede prodursi ad Antio­ chia di Pisidia e a Roma, e il modo in cui Paolo si comporta volgendosi verso i gentili è giustificato anticipatamente da quello che, già ai loro tempi, Elia ed Eliseo avevano fat­ to», J. Dupont, Salut des Gentils, 406 s. (della raccolta).

25 5

passaggio dallo stupore (v. 22) all'indignazione (v. 28). Perché Israele non abbia accolto la buona novella, è quanto Luca non capirà fino alla fine degli Atti. L'eleganza e la precisione 1 nella descrizione degli avvenimenti e an­ che dei luoghi (v. 29) corrispondono a quello che viene chiamato nella critica letteraria «effetto di realtà » . Luca descrive in modo concreto e plausibile, ma questo non corrisponde alla situazione geografica reale di Nazaret. Forse vuole creare un legame tipologico tra Nazaret e Ge­ rusalemme, tra il primo e l'ultimo tentativo di uccisione; 2. entrambi si svolgono «fuori dalla città » (cf. Ebr. 1 3 , 1 2- 1 3 e la morte di Stefano, Atti 7, 5 8 ). Il tempo della passione non è ancora giunto, e così Gesù pas­ sa semplicemente tra di loro (cxù-roç, « lui» cristologico). 7tOptUO!J-Gtt, « an­ dare», «camminare», è un verbo «teologico» , il verbo della salita dalla Galilea a Gerusalemme e di tutti i momenti della storia della salvezza (cf. 9,5 1 e 1 3 ,22).3 Siamo agli inizi: all'inizio dell'età nuova (dell'anno di grazia), della sua proclamazione da parte di Gesù, all'inizio del ministero di Gesù e an­ che della reazione umana. Tale inizio ha il suo posto non solo nel tem­ po ma anche nello spazio. Partendo da questo luogo si espanderà in tutto il mondo. Un intero programma è qui abbozzato: la parola di Ge­ sù che annuncia la buona novella di Dio e la mediazione del messia; pro­ grammatico ne è anche il contenuto soteriologico e purtroppo anche il rifiuto da parte degli uomini.4 1 Tj òcppUc; significa in senso proprio •il sopracciglio» , in senso figurato •la cresta» (di una collina o di una montagna). xa"taxplJf1Vt'i;w significa • far precipitare»; cf. 2 Cron. 25,11: •E i figli di Giuda catturarono vivi diecimila uomini; li condussero sulla cima di una ru ­ pe e li fecero precipitare dalla sommità della rupe, e si fracassarono tutti» . Lo stile di Le. 4,29 (si osservi anche livaa"t!iv"tt>, mentre il lettore greco capisce piuttosto: «Cosa c'è di comune tra te e me? >> . Luca aggiunge un Ét.x che fa pensare a un grido o a un so­ spiro,5 forse per far percepire meglio, attraverso l'interiezione, l'acce­ zione semitica. Il seguito toglie ogni dubbio: «Sei venuto a rovinarci» . 6 1

Cf. Bauer, s.v. e O. Bocher, Òctt!J.OVtov x-rÀ., EWNT 1, 1980, 649-657. Fitzmyer 1, 54 5 ritiene invece che Luca non stabilisca alcun legame tra i demoni e il diavolo, ma Le. I J , I I . I 6 prova che a tal proposito ha torto. Del resto il sapere cristolo­ gico dei demoni (Le. 4 ,4 1 ) è dello stesso ordine di quello del diavolo (Le. 4 ,J.9) 3 Cf. O. BOcher, òat�J.ovtov x-rÀ., EWNT I, 1 980, 6 5 1 : • L'escatologia del giudaismo an­ tico attende per l'epoca finale l'annullamento del potere del diavolo e dei suoi demoni ( 1 QS 3 ,2.4 s.; 4,2.o-2.2.; 1 QH 3,18; 1 QM 1 , 1 0 s.; 7,6; 12.,7 s.) • . 4 S i può dunque intendere i l genitivo òat!J.OVtou àxa-BGÉfJ-rou come spiegazione del termine 1tVEUjJ.a (genitivo epesegetico). 5 Su [a cf. Fitzmyer I, 545: «Esprime dispiacere o stupore» . 6 Il plurale •noi• intende indicare il mondo demoniaco, non il demonio e l'indemoniato. �

.

Questa diagnosi, impeccabilmente soteriologica ed escatologica, è segui­ ta da una non meno precisa formula cristologica. ò &yto� 'tou .Se:ou, « il santo di Dio», che ha la sua radice nell'A. T. (cf. Giud. 1 3 ,7; 1 6, 1 7 LXX [codex B] per indicare Sansone; Sal. 105 [ 1 o6], 1 6 per Aronne), è un tito­ lo arcaico attribuito a Gesù (cf. Mc. 1 ,24 e Gv. 6,69 ) . Qui l'espressione non indica il ministero sacerdotale, 1 ma il rapporto con Dio e l'origine divina della missione profetica. Luca riprende questo titolo. 3 5 · La parola di Gesù piena di autorità ordina il silenzio e annuncia l'espulsione. btt'tt(J.ciw, « biasimare » , «rivolgere rimproveri » , così come i suoi equivalenti ebraici e aramaici, nella letteratura giudaica possono assumere un senso tecnico; indicano la parola che Dio o il suo messag­ gero pronuncia per sottomettere gli spiriti maligni. 2 i�ÉP'X.O!J.CXt, «usci­ re» (tre volte in questo passo! ), non è una ridondanza maldestra né un fatto casuale: ogni gesto ha la sua funzione nel racconto e la ripetizione sottolinea, come in Marco, l'importanza degli esorcismi del messia per gli uomini, lettori inclusi. A proposito dell'espulsione Luca dice che il de­ mone, mentre sta uscendo, manifesta la sua sconfitta spingendo l'uomo tra i presenti e non facendogli alcun male. 36-37. I presenti tutti sono pervasi non solo di ammirazione, ma an­ che di timore religioso (-8ci(J.�oç).3 La parola di Gesù riporta la vittoria sul mondo demoniaco perché è piena di forza e potenza. Come le onde concentriche provocate da una pietra che rimbalza sull'acqua, il Àoyoç di Gesù, carico di autorità, suscita dapprima il miracolo, poi il .Sci(J.�O� dei presenti e infine l' �'X.oç, il «rumore» , la «reputazione» , in senso po­ sitivo, in tutto il paese. A Luca piace generalizzare. Con riguardo alla storia delle forme, Luca rimane fedele al racconto di Marco,4 dal momento che a ogni istante può introdurre sviluppi e interpretazioni suoi propri. Solo il titolo cristologico «santo di Dio » (v. 1 Nonostante il dotto studio di G. Friedrich, Beobachtungen zur messianischen Hohen­ priestererwartung in den Synoptikern: ZThK 5 3 ( 1 956) 265-3 1 1 . 1 Cf. H.-C. Kee, The Terminology of Mark's Exorcism Stories: NTS 1 4 ( 1967-1968) 13 2-246, che fornisce una buona analisi di Èm'tt(J.OCW e dell'equivalente radice semitica g'r (ad es. nell'esorcismo operato da Abramo mediante la preghiera e l'imposizione delle mani in 1QapGen 20, 1 6-3 2). 3 Cf. G. Bertram, .Sii(J.(3o> . E subito la lebbra lo lasciò. 14 Ed egli gli ordinò di non parlarne a nessuno, ma: «Va', mostrati al sacerdote e porta l'offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, in testimonianza per loro» . 1 5 Si parlava di lui sempre più e grandi folle si radunavano per ascoltarlo e per essere guariti dalle loro malattie. 1 6 Ma egli si ritirava nei luoghi deserti e pregava.

Dopo l'inserimento del racconto della pesca miracolosa, Luca riprende il filo del racconto di Marco che sta seguendo da 4,3 1 . Alcune somi­ glianze di dettaglio con Matteo potrebbero far pensare a una fonte di­ versa da Marco,X ma è più verosimile che Matteo e Luca abbiano rea­ gito in modo analogo e, ciascuno per conto suo, rielaborato la loro fon­ te nello stesso senso ... Il v. 1 2a si ricollega a 4,43 -44, saltando 5,1-1 1 : Gesù deve operare anche in altre città. I vv. 1 5- 1 6 divergono notevolmente da Mc. 1,45, versetto che ha irritato anche Matteo. Al posto delle proclamazioni intempestive del lebbroso guarito (Mc. 1,4 5 ), è invece la fama crescente di Gesù che provo­ ca, come in 4,43 -44, l'afflusso della folla e obbliga Gesù a ritirarsi nel de­ serto (5,1 5b-16). Il riferimento a questo soggiorno solitario serve da intror 2.

Cf. T. Schramm, Markus-Stof(, 91-99. Così anche Schiirmann I, 278 n. 39; U. Busse, Wunder, 105; Fitzmyer I, 5 7 1 . 574·

LC. 5 , 1 2- 1 6

2 79

duzione a 5,I7-39: la preghiera prima del conflitto con i farisei e gli �cribi, il ritiro prima dell'azione in altri luoghi. I Con la generalizzazione che espri­ me, il v. I 6 all'imperfetto segna una conclusione e opera una cesura. Ritroviamo le costruzioni care a Luca: xcxì. ÉyÉvt'to Év 'tcf) con un infini­ to, , xcxì. !òou > è Gesù e non l'uomo guarito).4 I A parte al v. 14 dove passa da éi a xa-BW> , 5 , 1 3 a ) . Ma soprattut­ to qui Gesù è il messia che guarisce, che rende l'individuo felice all'in­ terno del popolo eletto. Per la sensibilità giudaica la guarigione dalla lebbra è come una vittoria escatologica. Luca ci invita prima di tutto a una lettura storica di questo episodio nell'ambito delle categorie giudaiche. Ma guida anche noi, lettori cri­ stiani, a una seconda lettura, nella quale impariamo a capire la guari­ gione e la santificazione come annuncio della liberazione in Cristo e del­ l'obbedienza della fede. 1 Come ha visto bene Schiirmann I, 278 n. 3 3 , le parole di Luca auvljp'X,Ovto oiÀot 1tOÀ­ Ào1 si ispirano a un passo successivo di Marco: auviJ'X..SlJaav 1tOÀÀot (Mc. 2,:z.). z. Cf. Le. 4,40-44 e 9,1 1 . 3 Cf. Le. 4,42 e L. Monloubou, Prière, 57· Il frammento di un vangelo apocrifo, PEgenon 2, fr. I r, 3 2-42., racconta lo stesso mi­ 4 racolo o uno analogo. Si osservi a) entrambi i righi precedenti 30-3 1 (Gesù sfugge ai suoi avversari), che ricordano Le. 4,30; b) la precisazione riguardante l'origine della malattia (la frequentazione di altri lebbrosi); c) l'assenza dell'ordine del silenzio (a meno che non sia stato dato nella lacuna di questo papiro dopo l'ordine di presentarsi ai sacerdoti); cf. A. de Santos Otero, Ap6crifos, 98 e Hennecke-Schneemelcher I, 6o; v. sopra, p. :z.s 5 n. 3 ·

GUARIGIONE DI UN PARALITICO ( 5 , 1 7-26)

R. Bultmann, Syn. Trad., Erganzungsheft, 1 8; U. Busse, Wunder, u 5-1 34; J. Du­ pont, Le paralytique pardonné (Mt 9, 1-8): NRTh 92. ( 1960) 940-9 5 8; A. Feuillet, L'i�ooola du Fils de l'homme (d'après Mc. 2,1 0-28 et par.): RSR 42. ( 1954) 161192.; A. Jiilicher, Gleichnisreden n, 1 74-2.02.; K. Kertelge, Die Vollmacht des Men­ schensohnes zur Sundenvergebung (Mk 2, 10), in P. Hoffmann et al. (edd.), Orien­ tierung an ]esus (Fs J. Schmid), Freiburg 1973, 205-2. 1 3 ; H.-J. Klauck, Die Frage der Sundenvergebung in der Perikope von der Heilung des Geli:ihmten (Mk 2, 1-12 parr): BZ n.s. 25 ( 1 9 8 1 ) :z.:z.3-2.48; H. van der Loos, The Miracles of]esus (NT.S 9), Leiden 1965, 440-449; l. Maisch, Die Heilung des Geli:ihmten. Eine exegetisch-tra­ ditionsgeschichtliche Untersuchung zu Mk 2, 1-12 (SBS 5 2.), Stuttgart 1971; E. May, « . . . For Power went forth {rom Him. .. » (Luke 6,19): CBQ 14 ( 1 9 5 2) 93- 103; F. Neirynck, Les accords mineurs et la rédaction des évangiles. L'épisode du pa­ ralytique (Mt 9, 1-8 / Le 5, 17-26 par. Mc 2, 1-12): EThL 50 ( 1974) 2.15-2.30; T. Schramm, Markus-Stoff, 99-103.

17 E avvenne, nel corso di una di quelle giornate, che egli stava insegnando

e c'erano lì seduti farisei e dottori della legge che erano venuti da ogni vil­

laggio di Galilea e di Giudea e anche da Gerusalemme. E la potenza del Si­ gnore era all'opera per fargli operare guarigioni. 1 8 Ed ecco alcuni uomini che portavano su un letto un uomo che era paralizzato; e cercavano di farlo entrare e collocarlo davanti a lui; 19 e poiché non trovavano per do­ ve farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo fecero scendere con la sua barella proprio nel mezzo, davanti a Gesù. z.o Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, i tuoi peccati ti sono stati perdona­ ti!», 2.1 E gli scribi e i farisei si misero a discutere: «Chi è questo qui, che dice bestemmie ? Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo ? » . 2.2. Ma Gesù, che aveva conoscenza delle loro discussioni, replicò e disse loro: «Co­ sa dibattete nei vostri cuori? 2.3 Cos'è più facile dire: 'l tUoi peccati ti sono perdonati' oppure dire: 'Alzati e cammina?'. 24 Affinché voi sappiate che il figlio dell'uomo ha autorità sulla terra per perdonare i peccati», disse al paralitico: «lo ti dico: alzati e prendi la tua barella e va' a casa tua! » . 2.5 E subito quello si levò davanti a loro, prese ciò che gli serviva da letto e se ne andò a casa sua rendendo gloria a Dio. 26 E lo stupore li prese tutti ed essi rendevano gloria a Dio e furono pieni di timore e dissero: «Abbiamo visto oggi cose straordinarie» .

(Mc. 2.,r-r2 ) con lo stesso rispetto che in precedenza. La sua redazione comincia con l'espressione ben conosciuta xal. ÈyÉve:-to Èv (J.t� -twv lJ!J.Epwv, «e avvenne nel corso di una di quelle giorIn questo passo Luca segue Marco

GUARIGIONE DI UN PARALITICO nate.» .1 Tuttavia l'azione non inizia immediatamente come in 5 , 1 2 con un xiXl. lòou, «ed ecco», perché Luca pone prima un sommario ( 5 , 1 7), come in 5,1. Non parla del ritorno a Cafarnao (Mc. 2, 1 ), poiché aveva affermato (4,22-44) che Gesù non vi sarebbe tornato. Gesù insegna con piena autori­ tà (x1Xl. IXÙ'toc;, «ed egli>> ) . Trascura anche la folla che si accalca alla porta (cf. però il v. 1 8b, redazionale e il v. 19a, tradizionale, equivalente di Mc. 2,4a). Per la prima volta Luca fa entrare in scena i farisei e i dottori della legge quali uditori di Gesù, mentre Marco aspetta il v. 6 (Mc. 2,6) per par­ lare dei dottori della legge. Luca presuppone che i farisei siano conosciuti dai suoi lettori. Al v. 21 riprenderà da Marco il termine ì'PIX!J.IJ.IX'tEtc;, «seri­ bi », ma qui utilizza un termine più preciso - ma non attestato prima di lui (cf. Atti 5,34 e I Tim. 1,7) - vop.oòtòciaxiXÀ.ot, «insegnanti della legge» , for­ se perché in greco ì'PIX!J.!J.IX'tEUç, più vago, indica un cancelliere, un segreta­ rio, un esecutore e non il maestro. Che Luca introduca già fin d'ora questi futuri avversari di Gesù ha la sua logica: come spettatori, si trovano in pri­ ma fila. Luca aggiunge che vengono un po' da tutte le parti: Galilea, Giu­ dea, Gerusalemme, cioè i tre luoghi più importanti in cui si svilupperà l'at­ tività di Gesù. Visto che l'evangelista considera la città come luogo per ec­ cellenza di Gesù e, più tardi, della chiesa, c'è una certa ironia nel situare gli avversari nei villaggi. 2. Il fatto che l'opposizione a Gesù si organizzi qui in provincia è ripreso da Marco, ma, aspetto strano, Luca lo inquadra tra la frase generale di introduzione sull'insegnamento di Gesù (vv. 1 7a) e la conclusione del sommario sull'opera di guarigione (v. 1 7c).3 Questa frase conclusiva è redazionale; serve a collegare la parola all'azione del messia e prepara al racconto del miracolo. L'introduzione di Luca, il v. 1 7 nel suo insieme, acquista così in coerenza rispetto a quella di Marco. 4 Al v. 1 8 Luca segnala subito come Matteo (Mt. 9,2) il letto, sul quale gia­ ce il malato.5 Preciserà al v. 19 che si tratta di una specie di barella; il di­ minutivo xÀt'JtÒtov, «lettino », è più ricercato del xpli�IX't'tov, « giaciglio•• ,6 di Mc. 2,4. Parimenti indica il malato come av-8pw1toc; oc; 'Ìjv 1t1Xp1XÀEÀup.Évoc;, «un uomo che era paralizzato », al posto del termine non letterario e più po­ polare 7t1Xp1XÀu'ttxoc;, «paralitico••, di Marco. Il v. 1 8b è redazionale e ser1

Cf. Le. 5 ,1 2 : xaì ÉyÉvno ... Èv !J.'� -.wv m)Àtwv. 2. Su questa differenza tra città e villaggio cf. a Le. 4,43 (sopra, p. 266). 3 La formulazione alla fine del v. 17c, dc; -.ò laa-8at aù-.ov è ambigua, dal momento che aù-.ov può essere grammaticalmente complemento oggetto, ma anche soggetto del ver­ bo. Molti copisti, pensando a un complemento oggetto, hanno sostituito il singolare con il plurale (aù-.oUc;): «per guarirli» . 4 Con R . Bultmann, Syn. Trad., 70; E . Haenchen, Weg., 1 0 5 n . 6 ; T . Schramm, Markus­ Stoff, 100. s xaì !òou ed È1tt xÀtvl')c; sono due punti secondari di accordo tra Luca e Matteo. T. Schramm, Markus-Stoff, 99 s. vi vede gli indizi di una fonte parallela a Marco. 6 Phryn. Ecl. 41 (Fischer) raccomanda di evitarlo. È forse sotto la pressione delle sue fon­ ti che Luca lo utilizza lo stesso negli Atti (Atti 5,1 5 e 9,3 3 ) ?

LC. 5 , 1 7-26 ve a sostituire il v. 2 di Mc. 2. I Né Luca né Matteo trovano necessario dire che erano quattro uomini a portare la barella. Il v. 19 dice esattamente lo stesso di Mc. 2,4, anche se Luca riesce a usa­ re sistematicamente parole diverse. 1 L'effetto ottenuto non è necessaria­ mente migliore del modello. La sequenza dell'apertura del tetto e della di­ scesa del malato ha minor rilievo che in Marco: avendo già utilizzato il ver­ bo concreto 'YJz.Àaw, «lasciar andare le cinghie», «lasciar discendere», in 5, 4-5 a proposito delle reti da pesca, Luca lo sostituisce con il banale xa'!9tl]­ p.t, «far discendere» . Marco immagina che i quattro portatori pratichino un'apertura nel tetto di ramaglie, fango e paglia. Luca invece precisa per prima cosa che i portatori sono saliti sul tetto, il che è implicito in Marco, e, da cittadino qual è, immagina il tetto 3 coperto di tegole oppure di lastre, facili da sollevare (xÉpa�J-oc;, ogni tipo di oggetto in terracotta). 4 e:lc; -rò !J-É­ aov, «fino in mezzo » (forse anticipato da Mc. 3 ,3 ), rende la scena più dram­ matica. E!J-1tpoa'!9e:v -rou 'll]aou, «davanti a Gesù», esprime la supplica for­ mulata in maniera non verbale (cf. 4,40). -rÉxvov, « bambino mio» (Mc. 2, 5 ), non implica che il malato sia un bam­ bino; il vocabolo esprime piuttosto l'affetto paterno di Gesù. Luca preferi­ sce il vocativo « uomo » . Più significativo il cambiamento dal presente ti> . Sorprendentemente Luca condivide con Matteo questo tema del­ la paura, diversamente da Marco. Invece l' «oggi» della salvezza e lo straor­ dinario (1tczpci:òo�cz, «contrario all'opinione» , «imprevisto» , «meraviglioso») dell'azione di Dio attraverso Gesù sono temi tipici di Luca.7 1 Nei libri dei Maccabei la bestemmia è esorcizzata; cf. ad esempio 2. Macc. 14,2.4 in una preghiera: «Che per la grandezza del tuo braccio siano colpiti coloro che sono venuti, la bestemmia sulla bocca, ad attaccare il tuo popolo santo» . Cf. O. Hofìus, �Àa.aqrrJ[J.tll x-rÀ., EWNT 1, 1980, 5 2·7-S J 2. :t Matteo reagisce allo stesso modo: -ràc; l:v-Bup.�ae:Lc; a.Ù't'wv, Mt. 9,4. 3 Altri cambiamenti di dettaglio nel v. 22: a) aggiunta del 8i; b) preferenza per l'aoristo ehe:v con xpOc; anziché per il presente con il dativo; c) sostantivo (-roùc; 8ta.ÀO")'LatJ.Oùc; 11� -rwv) anziché verbo seguito da o-rL (la costruzione di Luca è così più leggera); d) aggiunta di un cìxoxpt.Selc; che si impone quando la reazione degli scribi e dei farisei passa dallo stadio dei sentimenti a quello dell'espressione orale; e) il -ra.U..a. di Mc. è cancellato (D gli sostituisce in Le. un xovlJpa). 4 In Mt. 9,2 . 6 invece Matteo ha tralasciato la parola •paralitico» . 5 Forse per influenza della tradizione orale (Matteo fa lo stesso) Luca inverte, rispetto al modello marciano, il posto delle parole •sulla terra» e «perdonare i peccati» . Sostituisce d'altra parte il sostantivo •paralitico» con il participio «paralizzato» e xÀLvt8Lov con xpci�-r-rov, considerandoli due miglioramenti. 6 Entrando nei particolari di questo v. 25, a) con Èvwmov a.Ù't'wv (Luca) caratterizza l'accaduto come disputa (l' ip.xpoa.Se:v xavtwv di Mc. 2,12. corrisponde alla fine di un racconto di miracolo); b) Luca evita ancora una volta, qui con una perifrasi (l:cp' o XIX'33-39: ThZ 30 ( 1974) 3 2 1-3 28; G.E. Rice, Luke J,JJ-6,u. Release {rom Cultic Tradition: AUSS 2.0 ( 1982) 1 27- 1 3 2; P. Rolland, Les prédécesseurs de Mare. Les sources présynopti­ ques de Mare 2, 1:8-22 et parallèles: RB 89 ( 1 982) 3 70-405; W. Schrage, Thomas­ Evangelium, 109- I I 6; T. Schramm, Markus-Stoff, 104- 1 I I ; A. Schulz, Nachfolgen und Nachahmen. Studien uber das Verhiiltnis der neutestamentlichen Jungerschaft zur urchristlichen Vorbildethik (StANT 6), Miinchen 1962., 97· I I 6; M.G. Stein­ hauser, Doppelbildworte in den synoptischen Evangelien (hb 44), Wiirzburg 1983, 42-69; S. Wibbing, Das Zollnergastmahl, in H. Stock - K. Wegenast - S. Wibbing, Streitgespriiche, Giitersloh 1968, 84- 107; J.A. Ziesler, The Removal of the Bride­ groom. A Note on Mark 2, 1:8-22 and Parallels: NTS 19 ( 1 972- 1 973 ) 1 90- 1 94; H. Zimmermann, Neutestamentliche Methodenlehre. Darstellung der historisch-kriti­ schen Methode, Stuttgart 1 967, 90-1 04. 1 77-1 80. =

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2 97 27 E dopo questo uscì e notò un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi! » . 28 Ed egli lasciò tutto, si alzò e lo se­ guiva. 29 E Levi fece un grande banchetto nella sua casa, e c'era una gran­ de folla di pubblicani e di altri che erano a tavola con loro. 30 E i farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai discepoli: «Perché mangiate e be­ vete con i pubblicani e i peccatori? » . 3 1 E Gesù rispose e disse loro: «Non sono quelli che stanno bene che hanno bisogno del medico, ma i malati. 32 Non sono venuto a chiamare alla conversione i giusti ma i peccato­ ri» . 3 3 Ed essi gli dissero: «l discepoli di Giovanni digiunano spesso e fan­ no preghiere, e anche quelli dei farisei, mentre i tuoi mangiano e bevono» . 3 4 Ma Gesù disse loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze men­ tre lo sposo è con loro? 3 5 Ma giorni verranno e quando lo sposo sarà stato loro tolto, allora digiuneranno in quei giorni» . 36 E disse loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo di un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti si sarà strappato il nuovo e il pezzo preso dal nuovo non si armonizzerà con il vecchio. 37 E nessuno mette vino nuo­ vo negli otri vecchi; altrimenti il vino nuovo farà scoppiare gli otri e an­ ch'esso si spargerà e gli otri andranno perduti; 3 8 ma il vino nuovo biso­ gna metterlo in otri nuovi. 39 E nessuno, che ha bevuto del vecchio, vuole del nuovo; perché dice: 'Il vecchio è migliore' » .

La figura di Levi compone in unità l a breve scena d i vocazione ( 5,27-28) e quella del banchetto che offre a Gesù ( 5 ,29-39). Una divisione tra 5, 32 e 33 avrebbe senso solo in Marco, che pone la domanda sul digiuno ( 5,3 3-39) in bocca ad altri interlocutori (Mc. 2, 1 8 ) . In Luca si trova in­ vece una discussione non interrotta tra i medesimi partecipanti. Anche se legato al suo modello Marco, Luca riunisce i due momenti del pasto in un tutto letterariamente armonioso. Questo presenta una scena di «simposio» , di banchetto, genere letterario che viene dalla tradizione greca e che Luca apprezza particolarmente (cf. 7,3 6-s o e 14,1 -24). I banchetti greci nella società e nella letteratura hanno dato origine a molti discorsi di circostanza. Un evento imprevisto, come l'arrivo di un ospite non atteso, ne forniscono talvolta l'occasione, come in Le. 7,3 7 o J4,2. Qui è lo sgradevole rorru�w, i mormorii di scontento di farisei e dottori della legge, a scatenare una discussione polemica. Il soggetto è suggerito dal quadro stesso. Con chi ci si vuole mettere a tavola? Gesù, chi vuole frequentare? Quando bisogna festeggiare e quando bisogna digiunare? Luca non tratta simili argomenti in omaggio alla cultura gre­ ca, ma a causa della situazione storica della sua chiesa. Questa è com­ posta di ex peccatori che, avendo deciso di «seguire» Gesù nel senso re­ ligioso del termine, e di «lasciare tutto», sono invitati a mettere la loro casa a disposizione della comunità. Questa chiesa ispirata da Gesù ha la volontà di lasciare aperta la porta ai peccatori. Contro ogni tendenza

VOCAZIONE E BANCHETTO DI LEVI della comunità a piegarsi su se stessa Luca ricorda l'atteggiamento ac­ cogliente di Gesù (v. 3 2) . Certo i peccatori sono accolti se si converto­ no, così Luca precisa dç (Lt't'avotcxv, «in vista della conversione» . La do­ manda su chi sia invitato è essenziale per Luca, che risponde: non solo Simon Pietro e i suoi ( s ,S-n ), ma anche peccatori come Levi ( 5 ,27-28), sull'esempio del quale anche gli etnicocristiani si sentono invitati. Tutti sono peccatori (anche Simone in 5,8), e tutti sono chiamati da Dio at­ traverso Gesù al pentimento e alla remissione dei loro peccati. La di­ stinzione tra il popolo di Dio e le nazioni rimane, ma spostata: ora al popolo di Dio appartengono coloro che si convertono, da qualunque parte vengano. I gentili saranno esplicitamente integrati nel popolo di Dio solo negli Atti, ma sono simbolicamente già presenti nel vangelo. C'è dunque qui una nuova interpretazione della legge di Mosè. Lo stes­ so vale per la questione del digiuno. I vv . 3 3 - 3 9 presentano una rispo­ sta sfumata: critica della pratica giudaica in nome della libertà escato­ logica e nuove direttive condizionate dal compimento escatologico. Parlare di simposio è quindi eccessivo: poiché per Luca la caratteristi­ ca degli avversari è di rimanere fuori, essi possono solo spiare dalla por­ ta o dalle finestre (se ce n'erano) ciò che dicono e fanno Gesù e i suoi discepoli. Una simile situazione corrisponde a quella del tempo di Luca, quando i «vicini » giudei criticavano dall'esterno la comunità cristiana.

Confronto con Marco. Il processo unificatore di Luca è già stato abboz­ zato da Marco e dalla tradizione che lo precede. Si vede bene che i versetti su Levi e sul digiuno sono un conglomerato di elementi indipendenti in ori­ gine. Il nome di Levi manca ancora nel banchetto secondo Marco (Mc. 2, 1 5 ). «La sua casa » potrebbe aver indicato in origine la casa dove Gesù vi­ veva o quella di qualche altro. Per quanto concerne la storia delle forme la chiamata di Levi e il «simposio» non sono legati. Lo stesso vale per l'epi­ sodio del digiuno che è stilisticamente un apoftegma e sfocia nell'immagine delle nozze. Le due parabole che seguono, raggruppate a causa della stessa dialettica del «vecchio » e del «nuovo», sono state indubbiamente aggiunte qui senza transizione, al più tardi da Marco. 1 Il logion autentico sulla fine della pratica del digiuno (Mc. 2, 19a) potrebbe essere stato attenuato dalla comunità delle origini per giustificare la sua nuova pratica (Mc. 2,1 9b-2o). In questo modo la tradizione è stata ripensata e adattata a ogni situazione nuova nella chiesa. 1 Ev. Tbom. 104 rispecchia Mc. 2., 1 8-2.o l Le. s,3 3-35, mentre il parallelo di Mc. 2.,2.12.2. l Le. 5,36-39 si ritrova in Ev. Tbom. 47, indizio che queste due pericopi erano tra­ mandate indipendenti l'una dall'altra in origine. A. Kee, Fasting difende l'unità originale di Mc. 2., 19a e 2.,19b-2.o e ritiene che la problemarica corrisponda a quella della chiesa delle origini e non di Gesù stesso.

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Luca sente che il quadro di Mc. 2,I 3 è redazionale e si prende la libertà di sopprimerlo. I Ne rimane solo una breve transizione e l'uscita di Gesù (v. 27a). Luca sopprime la riva del mare e l'insegnamento alla folla, perché ne ha già parlato prima (cf. 4,3 I-3 2; 5, I-3 ecc.). Ha sostituito tlòtv, «vide», con è:-8ea.acx-ro, «contemplò•, per preoccupazione di stile o per un motivo teolo­ gico (in tal caso la chiamata di Levi corrisponderebbe a una decisione di Ge­ sù presa dopo matura riflessione) ? Non possiamo stabilirlo. Luca omette il nome del padre di Levi (Alfeo), forse per evitare la confusione con Alfeo, padre di Giacomo, in 6,I 5 . Ben più importante è l'aggiunta posta alla fine, la stessa di 5,1 1 : seguire Gesù implica per i primi discepoli l'abbandono di tutti i loro beni (v. 28). Seguire Gesù non è solo un gesto iniziale (l'aoristo in Marco), ma una pratica costante (imperfetto in Luca).� n semplice fatto di sedere alla stessa tavola di Mc. 2, I 5 diventa in Luca un grande banchet­ to offerto da Levi.3 n dubbio non è più permesso, si tratta proprio della casa di Levi. Gli invitati che hanno preso posto «con loro» (al posto di «Gesù e i suoi discepoli » ) sono « una grande folla di pubblicani e altri» (v. 29 ). «La folla », termine favorito di Luca per indicare gli uditori di Gesù, gli evita di dire «i peccatori » , termine che metterà solo sulle labbra degli avversari (v. 30). Luca ha qualche problema a integrare Mc. 2,I 5c: «erano numerosi e lo seguivano» . Teologicamente questo «seguire» è al suo posto, ma è fuori po­ sto in una scena in cui i convitati mangiano sdraiati. Gli avversari di Gesù sono «i farisei» in generale (come in Matteo) e non solo alcuni di loro (co­ me in Mc. 2,I 6), ma Luca, fedele alle sue fonti, aggiunge «e i loro scribi»; per non ripetere poi tutta la situazione di Mc. 2,I 6a, riassume in «mormo­ rare» i sentimenti degli spettatori. yoyyu�w, «mormorare» , come Òtcxyoy­ yu�w, «non smettere di mormorare», sono termini redazionali che Luca ri­ prende dai LXX (cf. I 5,2; I9,7). Costruisce volentieri i verbi di dire con npo� e l'accusativo, «all'indirizzo di», anziché con il semplice dativo (vv. 30-3 I ). Il rimprovero dei farisei non è rivolto solo a Gesù (Marco e Matteo ripor­ tano è:a-8ltt, «mangia >> ), ma anche ai discepoli. Luca ha forse in mente, più di Marco, la situazione della chiesa ? L'espressione greca «mangiare e bere» si trova spesso in autori giudei quale equivalente di espressioni -ebraiche. 4 Al v. 3 I tinoxpt-8t1� ... elntv, «prendendo la parola ... disse», è redaziona­ le, come in Le. 5,22. Luca preferisce o[ ùytcxlvovn�, «quelli che sono san­ ti», a o[ lax.uovn�, «quelli che sono robusti» di Mc. 2,I7. lax.r.Jw ha sempre in Luca il significato di avere la forza di compiere qualcosa. Al v. 3 2 il perI In questo versetto (Le. 5,2.7) anche il codex D si sente libero, e ritorna a un testo vici­ no a Mc. 2.,1 3 . 2. Al v . 2. 8 la lezione l]xoloU.SYjaEv ( «egli seguì » ) è sicuramente ben attestata, ma è chia­ ramente dettata dai paralleli di Mt. e di Mc. 3 Ci sono alcune varianti al v. 2.9 che sono ispirate, almeno in patte, da paralleli di Mt. e di Mc., così ad esempio xal tkp.ap-rwÀwv (al posto di xaì liÀÀwv) e !U"' aÙ'tou (al posto di (J.E'r' av-rwv). 4 Cf. Bauer, s. v. 1tlVW.

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VOCAZIONE E BANCHETIO DI LEVI

fetto fì..·1j'ì..u-8a., «sono venuto» , indica meglio dell'aoristo -lj""A-8ov, «venni », di Matteo e Marco, l'evento compiuto con le sue conseguenze attuali. Luca sottolinea che la chiamata è una chiamata alla conversione. 1 Poiché il v. 3 3 è la risposta dei farisei, Luca sposta leggermente il secon­ do esempio ( «anche i discepoli dei farisei» ), per non dover dire «i nostri discepoli» in discorso diretto. Inoltre aggiunge la preghiera, 1 che non è del tutto logica qui} In Luca, come nel giudaismo e in Mt. 6, 1 - 1 8, il digiuno non va mai senza la preghiera (cf. Atti 1 3 ,2-3 ) . In Le. 1 8 , 1 2 è la decima a essere associata al digiuno. Per evitare la ripetizione di (JoCJ.-8'Y]'tCJ.t, «discepo­ li», e di V'YJa'te:uw, «digiunare», Luca scrive semplicemente ol �È aoì. ia-8lou­ atv xa.ì. 7ttvouatv, «i tuoi mangiano e bevono» (v. 3 3 , come al v. 30), stabi­ lendo così un legame tra i vv. 27-3 2 e 3 3-39. Forse Luca pensa già al lo­ gioo di Le. 7,34 ? Al v. 34 il nome di Gesù manca in numerosi manoscritti, ma il verbo al singolare è chiaro: il soggetto di e:l7tEv non può che essere Gesù. Più importante è il modo in cui Luca con qualche tocco trasforma il senso: «Forse che voi potete far digiunare gli invitati a nozze? » fa della pa­ rabola un'allegoria e classifica i farisei tra gli avversari. Come Matteo, Lu­ ca sopprime Mc. 2, 19b in quanto ripetizione di 2,19a. Al v. 3 5 Luca spo­ sta il xa.t, dando tutto il loro peso a «giorni verranno ... e ... allora » . Il pas­ saggio bizzarro in Marco dal plurale i)(J.Épa.t, «giorni» , al singolare Èv Èxe:tv1J '"Tl lJ(J.Épq., «in quel giorno» (Mc. 2,20), scompare. D che dà un solo periodo, più lungo, per il digiuno cristiano: il tempo della chiesa. Al v. 3 6 Luca percepisce che ci vuole una transizione tra le immagini (vv. 34-3 5 e 3 6-39). La sua aggiunta t'ì..e:ye:v �È xa.Ì. 7ta.pa.�o'ì..Tjv 7tpÒc; a.ù-toUc;, «e disse loro anche una parabola», fa capire cosa intenda per «parabola» (cf. sotto, al v. 3 6). Corregge, per quanto possibile, lessico e contenuto del­ l'espressione oscura di Mc. 2,21 e fa emergere un'idea supplementare: ta­ gliare un pezzo di stoffa nuova deprezza tutto il tessuto.4 I vv. 3 7-3 8 sono praticamente identici a Mc. 2,22.5 Quanto al v. 39, si presenta sorpren­ dente e inatteso, anche se si ricollega ai precedenti con la tematica di oppo1

Cf. F. Bovon, Luc le théologien, 2.99. 304. Nel prosieguo non si riprende il problema della preghiera; cf. Fitzmyer 1, 594· 3 =xv0.; compare 3 volte nel N.T.: 1 volta come aggettivo ( 1 Tim. 5,2.3 ), 2. volte come avverbio (qui e, al comparativo, in Atti 2.4,2.6), senza contare una variante importante di Mc. 7,3 (cf. Bauer, s.v. roryp.lj e =xv0.;). Come avverbio di modo 1t1.1xva «si trova già in Omero e si è conservato fino ai nostri giorni», S. Antoniadis, Evangile, 72.. 4 Luca sostituisce t! ÒÈ: p.l) rt (vv. 36 e 37) a t! ÒÈ: p.l) (Mc. 2.,2.1 .2.2.). L'aggiunta del re non apporta alcuna sfumatura al senso; cf. S. Antoniadis, Evangile, 2.90. s Uniche differenze: aggiunta di o ve&; alla seconda menzione del vino (v. 3 7b); sostitu­ zione con cxù-t&; della terza occorrenza di olvaXO!J.I%' per tutto dò che riguarda la fine dei tempi; cf. F. Hahn, Hoheitstitel, 393· In ambito cristia­ no al tempo di Luca la connotazione messianica è sicura. 6 Cf. R. Bulttnann, Syn. Trad., 1 67.

la vita di ogni discepolo giudeo, sia esso del Battista come dei farisei. I membri pii dei movimenti riformatori non praticavano il digiuno solo nelle occasioni in cui era obbligatorio, come nel giorno dell'espiazione o in occasione di catastrofi, ma anche volontariamente 1 e spesso. Il fariseo di Le. r8,9-14 digiuna due volte la settimana. Con il digiu­ no individuale si cercava di espiare una colpa, accompagnare un voto, la penitenza o la preghiera, di assicurarsi dei meriti. 1 Il digiuno del mo­ vimento riformatore farisaico aveva anche un senso collettivo: la prote­ zione della terra e il bene del popolo. «A motivo di questa concezione espiatoria del digiuno, appare, dietro al rimprovero, l'accusa di violare un dovere nazionale del popolo di Dio».3 Digiunare significa concreta­ mente astenersi dal cibo. Es. 34,28 e Deut. 9,9 rimarcano che Mosè non ha bevuto nemmeno acqua per quaranta giorni. Non siamo in gra­ do di sapere se erano vietate solo le bevande alcoliche o anche l'acqua. Colui che digiuna si fa vedere con il sacco e la cenere (Dan. 9,39). Mc. r,6. ci informa sull'ascetismo del Battista: non sorprende quindi che ab­ bia insegnato il digiuno ai suoi discepoli. Luca aggiunge la preghiera,4 probabilmente a causa della domanda posta dai discepoli a Gesù in rr,r. Gesù risponde con una domanda retorica. L'immagine delle nozze è chiara nel contesto dell'epoca; 5 in occasione di quella festa gli uomini avevano non solo il permesso, ma perfino il dovere di interrompere il digiuno. Un trattato rabbinico, Megillah Ta'anit, presenta la lista dei giorni dell'anno in cui il digiuno era vietato, perché ci si potesse dare alla gioia delle feste e al ricordo degli interventi storici di Dio in favore del suo popolo. 6 Il giorno delle nozze era equiparato a queste grandi ri­ correnze e in quella circostanza anche un maestro doveva interrompere il suo insegnamento della legge. Le nozze non erano certamente un even­ to cultuale, ma simboleggiavano la storia di Dio con il suo popolo (Os. 1-2; Ez. 20). L'accento era posto sulla gioia ancor più di oggi. VfJ!J.q>Wv significa di solito la camera nuziale ( Tob. 6,q . r 7); in questo caso indica forse la sala del banchetto di nozze come in Mt. 22,10 (altri Troviamo già nell'A.T. digiuni occasionali volontari: 2 Sam. (2 Re LXX ) 1 2.,16; Sal. 34(3 5 ), 1 3 ; Dan. 9,3 . 1 Giorno dell'espiazione: Lev. 1 6,19-3 1 . Penitenza: I (3) Re 11 ,17; G/. 1,14; 1,1 5-17; fs. 58,1-9. Lutto: Est. 4·3 · Quest'elenco proviene da Fitzmyer I, 596. 3 Cf. W. Grundmann, Markus, 65. 4 ÒÉlJO'I> (sabbato mane, secondo il testimo­ ne latino e); 4 e questo spiegherebbe la fame dei discepoli. Nessuna propo­ sta soddisfa completamente, ma l'autorità della Bibbia per fortuna non di­ pende dall'attenersi alla lettera.s Due opzioni del codex Bezae (D) sono più interessanti. Come Mar­ cione, e forse anche sotto l'influenza di un manoscritto marcionita, D sposta l'intero v. 5 per sistemarlo tra i vv . IO e II. Aggiunge invece un piccolo apoftegma che la maggior parte dei commentatori considera apocrifo,6 perché la sua distanza radicale dagli usi sabbatici e dalla leg­ ge si spiega soltanto nell'ottica di un tempo posteriore: «Lo stesso gior­ no vide un uomo lavorare in giorno di sabato e gli disse: Uomo, se sai ciò che fai, sei beato; ma se non lo sai, sii maledetto, perché trasgredisci la legge» .7 x

Cf. B.M. Metzger, Textual Commentary, 1 39· Un'altra ipotesi sottile s'incontra in MM, s.v.: in un manoscritto la parola aa�[:lci't(j) sarebbe stata troncata in due: aa� alla fine di una riga e [3t%-t(j) all'inizio della seguente. Per il valore numerico di � ( 2.) e di a ( 1), si sarebbe allora costituito il bizzarro òe:" tepo7tpw-t(j). 3 Cf. E. Delebecque, Moissonneurs, 72.-75 (un ��� avrebbe dato origine a Wa' poi, a cau­ sa del valore numerico di queste due lettere, a Òe:trte:po7tp> da parte di Gesù e la precisazione «alzatosi, si mise nel mezzo». Tale immediata obbedienza sottolinea in questa scena di miracolo il rappor­ to del malato con Gesù. Questi si mostra in Luca più arrogante che in Mar­ co? «lo vi chiedo» (v. 9 ) vuole forse essere ironicoP 0 Perché Luca non di­ ce nulla sul silenzio degli avversari (Mc. 3,5 ) ? 1 1 Forse vuol mettere l'ac­ cento sulla guarigione più che sul sabato? A partire dal v. 1 0 la rielaborar

Il testo del codex D del v. 6 è contaminato dai testi paralleli di Mt. e soprattutto Mc. Molti manoscritti eliminano 11Ù'tov dopo 1t�'tYJPOWtO òi. Alcuni, influenzati da Mc., optano per il futuro &p!Xl'tEOOEL. 3 La costruzione è già classica, cf. LSJ, s.v. Eùptaxw II.z.; significa «trovare l'occasione per», «avere la possibilità di» . 4 Sull'abuso d i infiniti d a parte d i Luca cf. S . Antoniadis, Evangile, 174 s. s Così il textus receptus. 6 Diversi manoscritti leggono al v. 7 XIX't' 11Ù'tou al posto del semplice 11Ù'tou, del tutto corretto. 7 Miglioramento stilistico al v. 8: d1ttv ÒÉ (Mc. 3,3: x11Ì ÀÉyet). 8 Cosa che spiace a diversi scribi, i quali aggiungono al v. 10 alcuni «con collera,. , altri •in collera », secondo Marco. Il miglior apparato in proposito in A. Huck - H. Greeven, Synopse, ad loc. Luca non tollererebbe una collera di Gesù; cf. B.M. Metzger, Textual Commentary, 140. 9 Cf. a 5,z.z. (sopra, p. Z-9l. n. z.). 1 0 Miglioramento al v. 9: e:l1tev ÒÈ o 'llJaO� 1tpÒ> ) indica una funzione e non una dignità, un servizio e non una posizione di potere. Come il ge­ nere letterario dell'elenco nominativo e anche i primi capitoli degli Atti ci fanno capire, la cerchia dei dodici fornirà i primi responsabili della chiesa. Certo qui per ora sono solo missionari é predicatori, ma dopo pasqua diventeranno i portavoce del vangelo e i ministri della chiesa e, al tempo di Luca, dopo la loro morte, ne saranno considerati i fondato­ ri e le colonne. ÈxÀÉjO(J.ett, « scegliere» , 1 indica qui un'elezione concreta, funzionale per un compito di servizio, e non l'elezione divina in senso dogmatico. L'indicazione dei nomi dei dodici sottolinea le loro responsabilità per­ sonali e nuove, che sono quelle non di un'attività ristretta, ma di un mi­ nistero duraturo.

è:xÀÉ"(O(J.1Xt ritorna spesso in Luca, non solo a proposito di Gesù (il figlio prediletto, «l'eletto» [Le. 9,3 5]), ma anche dei dodici (Atti 1,2; cf. 1 5,7), dell'apostolo di rincalzo (Atti 1,24) e di diversi servitori della chiesa (Atti 6,5; 1 5 ,22.25). Se i sette o altri responsabili sono scelti dagli apostoli e dal­ la comunità tutta intera, l'elezione dei dodici appartiene solo a Gesù. Se la scelta dei sette in Atti 6,1-5, presi dal gruppo di tutti i discepoli, e la lista dei loro nomi assomigliano all'elezione degli apostoli, la procedura di ele­ zione è diversa: in quel caso intervengono la comunità e le sue guide, il Si­ gnore è assente, sono richieste certe condizioni (Atti 6,3 ) e non è attribuito nessun titolo. 1 Il titolo di apostolo è un anacronismo al tempo di Gesù; tuttavia ciò che conta agli occhi di Luca è la presenza di questi uomini accanto a Gesù più che il titolo, presenza che fa di loro dei futuri testimoni (Atti r Cf. J. Eckert, èxÀÉyop.a&, EWNT I, 1980, r o r z.- r o q . Bibliografia recente in TWNT xfz., 1979, n6o s. W. Dietrich, Petrusbild, 90 s. ritiene che il verbo 6vop.li�w, utilizzato due volte, al v. 1 3 e al v. 14, non abbia ogni volta lo stesso significato: al v. 1 3 significa •dare un titolo» (quello di apostolo), al v. 14 •dare un nome•. 1 Su Atti 6, 1-6 cf. F. Bovon, Luc le théologien, 365-369. 391 s. e A. Weiser, Apostelge­ schichte I, 1 6 3 s.

332

SCELTA DEI DODICI

1,2.2-23 ). Saranno presto messi alla prova, istruiti, preparati, prima e du­ rante la passione e dopo pasqua. I Compiono è vero una prima missio­ ne (Le. 9,1-6), ma saranno pienamente apostoli solo dopo pentecoste e il dono dello Spirito santo. Luca li vede come grandi figure del passato. Pensa in termini di istituzione, ma non in un senso protocattolico; limi­ ta il numero degli apostoli a dodici e li radica nella vita di Gesù. Come grandi figure della storia della salvezza, 1 sono i primi testimoni della ri­ surrezione e, retrospettivamente, della vita e della morte di Gesù, le pri­ me guide della comunità madre, i rappresentanti delle dodici tribù del rinato Israele e missionari presso i giudei.3 Mentre la scelta dei dodici rappresentava per la prima tradizione orale il ristabilimento d'Israele, per Luca essa partecipa al divenire del popolo di Dio, cioè della chiesa. Se la pentecoste è la data della nascita della chiesa, la chiamata dei di­ scepoli, l'elezione e poi la formazione dei dodici ne sono come il conce­ pimento e la gestazione:� 14. Sono il primo e l'ultimo nome della lista 5 a contare. Simone, 6 che conosciamo già (4,3 8) e alla cui vocazione abbiamo assistito ( 5, 1 - I I ), occupa il primo posto/ È l'unico a ricevere un nome nuovo. Luca lo considera il portavoce e la prima guida della comunità di Gerusalemme, I

Cf. J. Roloff, Verkiindigung, 192. e passim. Cf. 1 H. von Campenhausen, Apostelbegriff, che ha distinto giustamente la concezione lucana dalla concezione paolina dell'apostolato: solo i dodici sono apostoli e, per essere apostolo, non basta aver «visto» il Risono, ma bisogna averlo accompagnato durante la sua vita terrena. 3 Sulla posizione di G. Klein, Apostel cf. F. Bovon, Lue le théologien, 379· 3 83-3 85. j. Dupont, Nom, 43 5-443 (dell'articolo) analizza lungamente Le. 6,1 3 ; a suo giudizio Lu­ ca, con la sua frase maldestra, vuole dire soprattutto che gli uomini scelti allora da Gesù sono quelli che oggi conosciamo con il nome di «apostoli» . Stando all'evangelista, Le. 6, 1 3 non segnala il dono solenne in quel momento del titolo di apostolo ai dodici. 4 Cf. G. Lohfìnk, Sammlung, 93-99, che così riassume la sua posizione: Gesù non ha «fon­ dato» la chiesa, ma ne ha cominciato la raccolta escatologica in modo decisivo. Questa raccolta procede a tappe, di cui la scelta dei dodici e più tardi la pentecoste sono tra le più importanti. s La tradizione manoscritta ha la tendenza, con l'uso di xa.l, a raggruppare i dodici a cop­ pie come in Atti 1 , 1 3 e secondo la regola missionaria del «a due a due» (Le. 10,2.). 6 Luca conosce altri con il nome Simone: Simone lo Zelota (Le. 6, 1 5; Atti 1 , 1 3 ); Simone il Fariseo (Le. 7,40); Simone di Cirene (Le. 2.3,2.6); Simone il Mago (Atti 8,9); Simone il conciatore (Atti 9,43 ). A partire da questo momento chiamerà l'apostolo principale con il suo nuovo nome, «Pietro,., a pane Le. 2.2.,3 1 e 2.4,34 (due affermazioni tradizionali); Atti 10,5. 1 8.32.; n,13 (in queste ultime quattro ricorrenze precisando che si tratta di Pietro). 7 Il codex D insiste sulla precedenza di Pietro, come attesta qui l'aggiunta di 7tpw-rov; cf. Ph.H. Menoud, Le texte occidental et la théologie du Livre des Aaes, in Ph.H. Menoud, Jésus-Christ, 59 s. e E.J. Epp, Tendency, 1 5 5 . 1 5 6. 1 57-164.

LC.

6, I 2- I 6

333

e anche come il primo testimone della risurrezione ( 24,3 4 ) . Con la chie­ sa giudeocristiana Luca vede in lui la pietra, cioè il fondamento della chiesa. 1 La chiesa di Luca tuttavia non è petrina. L'evangelista rivendi­ ca l'eredità di Pietro, ma la completa con quella di Paolo. Al v. 1 3 òvo­ (LcX�w, «dare il nome», «chiamare», è associato a un titolo collettivo, al v. 14 a un nome di persona; questo suggella da una parte la responsabi­ lità collettiva e, dall'altra, quella personale non trasmissibile. L'ultimo posto è quello di Giuda .. Iscariota.3 Il lettore cristiano sa che ha tradito e quello non cristiano è tenuto con il fiato sospeso dalla qua­ lifica di «traditore» . Iscariota è un soprannome ingiurioso ( (Le. 6,2 5 ) nei «guai». Può voler dire che Matteo ha ripreso queste espressioni dai «guai» che in questo caso avrebbe conosciuto? Quanto agli aù-rol, «essi>>, della seconda parte delle beatitudini di Matteo, sono probabilmente redazionali. A pro­ posito dell'ordine delle espressioni probabilmente è Luca ad aver rispettato la successione originaria (i poveri, gli affamati, gli afflitti). 1 Nella quarta e ultima beatitudine lucana la situazione (v. 22b), anziché essere indicata con una parola sola, viene largamente sviluppata. La subor­ dinata con 8-rav, «quando», obbliga l'autore a introdurre il verbo Èa-rÉ, «sie­ te voi ••, che mancava nelle prime tre. La beatitudine è rilanciata da un du­ plice imperativo (v. 23a), seguito da una giustificazione della gioia (lòoù y!Ìp . . . «perché ecco•• , v. 23 b) e un confronto con il passato (xa-rà. -rà. aù-rà. y!Ìp . . . «allo stesso modo, infatti ... •• , v. 23c). Questa struttura complicata è tradizionale e i due evangelisti la conoscono, ma potrebbe essere l'esito di una lunga elaborazione. Le diversità di lessico tra Matteo e Luca sono dif­ ficili da valutare: rappresentano due traduzioni di un unico e identico ori­ ginale? n carattere prettamente greco di Q invalida quest'ipotesi. La beati­ tudine si trova all'ultimo posto, il che si spiega con un principio di compo­ sizione ben conosciuto: una compilazione di detti deve concludersi elegan­ temente con una frase ampia e ben costruita. 1

Su

tutti questi punti mi trovo vicino a S. Schulz, Q, 76-78.

3 50

BEATITUDINI E « GUAI »

I «guai» vengono dalla tradizione o dalla redazione? Il loro carattere secondario è evidente, sono un pallido riflesso negativo delle beatitu­ dini. A favore della loro anteriorità rispetto a Luca possiamo sostenere: 1 . i «guai» forse hanno esercitato un'influenza su Matteo; I 2. contengo­ no costruzioni non lucane (li1tÉ'X,W con l'accusativo, «tenere» , «ricevere»; 1te:v.Siw, «essere nel lutto» ); 1 3· è abitudine giudaica opporre letteraria­ mente beatitudini e ccguai » . Gli argomenti a favore di una redazione di Luca stesso mi paiono tuttavia prevalere: 1 . Luca conosce il genere dei ccguai» ( IO, I 3 ; I I,42- 5 2; 17,1; 21,23; 22,22); 2. l'antitesi poveri-ricchi è tipica di L\lca (cf. Le. r 6, 1 9-3 r ); 3 · 1tWicXW, «avere fame», compare ac­ canto a È(J.1tt(J.1tÀYJ(J.t, «ricolmare», nel Magnificat ( 1 , 5 3 ); 4· XClÀw� ÀÉ­ yw, ccdire bene », è tipico di Luca (cf. Atti 28,2 5 ) e così 1tav-te:� o[ Civ.Spw1tot, cctutti gli uomini», 1tÀ�v, cceccetto» , «solo», ecc.; 5 · i ccguai» sono re­ datti alla seconda persona, che corrisponde alle beatitudini lucane.3 Come posso io, esegeta agiato, interpretare le beatitudini in un mon­ do diseredato ? Io non devo in ogni caso imporle agli altri. L'unico po­ sto che posso occupare non è accanto a Gesù, ma tra gli ascoltatori. Il mio unico diritto è ascoltarle. Questo fu, a quanto pare, l'atteggiamen­ to di Luca, che forse non osa nemmeno identificare i discepoli con i po­ veri. Certo Gesù li guarda, ma Luca non aggiunge alcun pronome di termine a tÀe:ye:v, ccegli disse» (diversamente dal v. 27). Il ccvoi » delle beatitudini e dei «guai» cala sopra i presenti e descrive in modo quasi apocalittico i veri beati e i veri sventurati. Tuttavia tutti si devono sen­ tire coinvolti. Per Luca la diagnosi di Gesù è irrevocabile, perché Gesù, come Mosè, viene dal luogo della rivelazione, dalla montagna, e ne ri­ porta ccparole di vita» (Atti 7,3 8 ) . Tra le beatitudini e noi c'è tutta la storia della chiesa. Ascetici, ri­ nunciamo tuttavia alla storia dei loro effetti nella chiesa, per cercare di capirle nel contesto di allora. E ci metteremo anche di buon grado sulla strada degli esegeti ebrei, 4 accordando grande importanza ai richiami della Scrittura (Is. 6 r , r-2; 29, 1 8-19; 40,29-3 1 ) e al quadro apocalittico I

Cf. sopra, p. 349· Seguendo F. Rehkopf, Sonderquelle, 8-1 1. I9 s. 96, j. Jeremias, Sprache, I39 dichiara non lucano 7tÀ�v e ltap(ixÀTlatc; in senso escatologico, e nemmeno xot"t'ÒI. "t'ÒI. aÙ"t'i%. 3 Anche j. Dupont, Béatitudes I, 2.99-342. e P.E. Jacquemin, Béatitudes considerano re· dazionali i «guai» . Per D. Liihrmann, Logienquelle, 54 sono sì tradizionali, ma non pro­ vengono da Q. Secondo Schiirmann I, 3 3 6. 3 39; H. Frankemolle, Makarismen, 64-66 e Schneider 1, I 5 I sono tradizionali, provenienti da Q, e Mt. li ha conosciuti e scartati. 4 Ho consultato D. Flusser, Notes; P.E. Lapide, Bergpredigt e S. T. Lachs, Observations. z.

LC.

6,20-26

351

(Test. Iud. 2 5 ,4; 1QH I 8,q_- 1 5 ),X senza dimenticare questa constata­ zione: «Nelle parole ebraiche di Gesù erano presenti la componente spirituale e quella sociale» ... Ma il vangelo di Luca è uno scritto cristiano e tra Gesù e questa com­ posizione letteraria era già trascorso un periodo di storia della chiesa. Luca vuole ascoltare Gesù e farlo ascoltare, ma non può astrarsi dal suo lavoro letterario ed esegetico. Così, come una fotografia talvolta dice più sul fotografo che sulla persona fotografata, la doppia opera lucana rivela prima di tutto qualcosa del suo autore.3 20.24. Poveri e ricchi ( 6,20 e 6,24). Luca si rallegra che la tradizione abbia messo al primo posto i poveri. Mentre la tradizione giudeocri­ stiana era ancora legata al duplice significato di 7t'!wxoç, «povero» ma­ terialmente e spiritualmente, Luca assume questo termine in senso con­ creto. 4 Lungo tutto il suo vangelo descrive i discepoli come poveri o di­ ventati poveri. Questa immagine fa posto negli Atti alla nozione di con­ divisione. La parola 7t'!wx0 , esprime soprattutto la gioia pro­ vata in cuore. In questo senso il testo di Luca è coerente: descrive le ma­ nifestazioni esteriori della vita cristiana e non i sentimenti dei credenti. Il fondamento di questa gioia è allora esplicitato (v. 23b), aggiunto for­ se in un tempo in cui beatitudini e amore dei nemici erano già stati congiunti. I cristiani l'hanno preso, con fedeltà a Gesù ma senza grande originalità, dalla pericope sull'amore per i nemici ( 6,3 5 ) . Con il riferi­ mento al figlio dell'uomo (v. 22), questo cambia tutta la prospettiva, perché beati sono i cristiani perseguitati, e non più in generale tutti gli uomini che soffrono. D'altra parte la felicità escatologica non è più l'espressione teocentrica della giustizia di Dio, ma la manifestazione an­ tropocentrica della ricompensa 4 per il martire. L'espressione «i loro pa' Per Luca è qualcosa di più che cancellare un nome da una lista sinagogale. Loisy, 199 scrive che si tratta non solo di disprezzo per questo nome, ma di una condanna. 1 Con A. Hamack, Spri4che, 39, e contra S. Schulz, Q, 453 n. 3 80. 3 A detta di S. Schulz, Q, 454, che intende questi due imperativi come escatologici, il cambiamento andrebbe da liya.ÀÀLiia& (Mt. ) a axLp-cljaa.n (Le.). 4 1l termine !J.La-8&:;, che spesso disturba i protestanti, non ha in questo caso il significato che assume nella teologia cattolica tradizionale, nonostante Lagrange, 1 89, secondo il quale l'uomo che agisce bene acquisisce un diritto alla ricompensa. Sta a indicare un sa-

BEATITUDINI E « GUAI »

dri» I (cf. Atti 7, 52) potrebbe essere redazionale, ma non certo il lin­ guaggio banale del resto del v. 23c (x�X-r2L -r2L IXtht%, « allo stesso modo», ed È1tatouv, «facevano » ).1 In questo v. 23c la comunità di Q rende con­ to della propria identità: il suo ruolo in seno a Israele è profetico, come conferma il richiamo alla persecuzione. Nonostante le divergenze di forma con le prime tre beatitudini, la struttura teologica fondamentale non cambia: grazie alla sua prospettiva escatologica la condizione sto­ rica dei perseguitati può essere dichiarata felice. A dire il vero una simi­ le prospettiva non si addice più al tempo di Luca, perché i profeti sono ancora solo una minoranza. Ciò non toglie che l'evangelista possa lo stesso far propria l'idea essenziale: non ritiene forse, anche in Atti 14, 22, che la partecipazione al regno di Dio faccia seguito a sofferenze inevitabili? L'ampiezza dello stile dipende dalla retorica semitica, che sviluppa l'ultima parte di un discorso in vera e propria perorazione.3 Anche dal punto di vista del contenuto l'oratore conserva il punto più decisivo per la fine (cf. la prospettiva della persecuzione alla fine del­ l'insegnamento di Gesù in Mc. I 3 e alla fine del Padrenostro). Il quarto (v. 24a) bastano a concludere trionfalisticamente che i dodici apostoli so­ no identici ai « beati>> delle beatitudini. Il Gesù di Luca si rivolge ai di­ scepoli e al mondo; gli ascoltatori lo sentono parlare di due categorie di uomini senza sapere anticipatamente a quale delle due appartengano. Luca lascia aperto il testo e si guarda dal bloccare ogni prospettiva pa­ renetica. La composizione binaria tuttavia è carica soprattutto di kerygma. Per chi vuole sentirlo, !J.t:XXapwt, « beati», emette un suono gioioso per­ ché questa fortuna è immeritata, insperata. La concezione cristiana di Dio come persona e come padre autorizza un simile grido di gioia. Il figlio dell'uomo, che è causa di persecuzione (v. 22), è anche l'araldo di Qio (v. 20). La sua voce di allora (l'imperfetto ÉÀe:ye:v, «diceva », e non l'aoristo Et7tEV, «disse » ) può continuare a risuonare nella chiesa attra­ verso la bocca e la penna dei cristiani. Così già ora, in una situazione drammatica, gli uomini possono aver parte, una parte anticipata, alla felicità escatologica. La voce del figlio dell'uomo che è risuonata un tempo, la sua parola pronunciata oggi e il regno di Dio sono sulla stes­ sa linea: quella della fedeltà di Dio. Gesù ·stesso durante la sua vita non ha conosciuto né la ricchezza né il consenso, e per nascita non ha mai avuto parte ai beni culturali ed economici della classe superiore. La chiesa delle origini non era meglio assortita, e la situazione è cambiata solo al tempo di Luca. Ma questo non ha modificato l'annuncio, come si sarebbe potuto temere. Al con­ trario si è aggiunta una seconda strofa che ripete, a uso dei ricchi, la fe­ licità dei poveri. Ma Gesù e poi i primi cristiani hanno fatto anche l'esperienza del­ l'altro polo della realtà: anch'essi hanno preso parte alla felicità escato­ logica. Le ristrettezze hanno insegnato loro a scoprire altri beni, a guar­ dare ciò che è invisibile. Nel mezzo della loro situazione ingiusta hanno intravisto nella comunità un primo barlume del regno di Dio. Che le beatitudini si rivolgano non a un «tu» ma a un «voi>> è un segno di co­ munione, un indizio anticipatore per l'unità della chiesa.

DISCORSO DELLA PIANURA Il. AMORE DEI NEMICI E ALTRO ( 6,2 7 - 3 8 )

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Ad esempio Sir. 1 2,1. Cf. Zahn, 2.92. n. 62. Su (Jota.S� la bibliografia è sterminata: cf. TWNT xf:z., 1979, I I 79; W. Pesch, (Jota.S�, EWNT n, 1981, 1063-I065; J. Piper, Love, 1 62-170 (su Luca), che scrive (pp. 166 s.): �Luca non chiede mai a un uomo di agire contro i propri interes­ si fondamentali». 3 8av(t)l-çw significa all'attivo «prestare» (in origine: «prestare a interesse ad altri al di fuori degli amici" ), al medio �prendere a prestito» . 4 È probabilmente perché hanno percepito una problematicità che D i t sy" non trascrivo­ no o non traducono le parole 'tà iaa. s Cf. Es. 22,2.4(:z.5); Lev. 25,3 5-37· Secondo Deut. 23,21 il prestito a interesse a stranie­ ri era invece autorizzato; cf. Bill. I, 346-3 5 3 e n, 1 59· :t

373 pone «prestare» a «donare»: i l comune mortale presta, i cristiani invece donano; 4· -rà tacr. non significa concretamente lo stesso ammontare, ma in senso astratto lo stesso servizio; I 5 . questo esempio ulteriore ha una dupli­ ce sfumatura: pone un problema finanziario, ma nello stesso tempo critica ogni genere di reciprocità (tvcr. cX7tOÀcX�watv -rà tacr., «per riceverne l'equiva­ lente» ), in particolare ogni xciptc; umana (o -rò &:v-rcr.7toÒo!Lcr.), ogni beneficio in cambio. Se si presuppone questo significato metaforico, si capisce come -rà tacr. sia eloquente. Luca accetta di buon grado l'imprecisione della sua espressione quanto al prestito (con o senza interessi), purché la reciprocità universale sia espressa concretamente e stigmatizzata. Preferisco quest'ulti­ ma spiegazione. Tenendo conto del v. 34 verrebbe voglia di tradurre il v. 3 5 : «Prestate,.. anche se non potete sperare nulla in cambio» . Purtroppo &:1tEÀ1tt�w non si­ gnifica «sperare in cambio>> o «sperare in una ricompensa >>, ma «perdere la speranza », «disperare>> . Come spiegare allora questo verbo? Ci sono di­ verse soluzioni: 1. il testo originario aramaico aveva sfq, verbo che vuol di­ re «dubitare» e «colpire nelle mani>> . Il traduttore ha optato probabilmen­ te per il significato sbagliato; il testo in origine diceva: «Offrite il denaro e non battete nelle vostre mani (in segno di rifiuto) » ; 3 2. bisogna correggere il testo in &:v-rEÀ7tt�ovnc;, «pur sperando in cambio», o in È7tEÀ7tt�ov-rEc;, «pur mettendo la propria speranza»; 4 3 . riferendosi a Giovanni Crisostomo e alla Vulgata (nihil inde sperantes), si potrebbe pensare al significato di «pur sperando» già per il tempo di Luca; 5 4· si può introdurre una certa sotti­ gliezza nella traduzione e dire: «non disperando in alcun modo», cioè di­ sperando forse nel rimborso, ma certamente non dell'avvenire della perso­ na aiutata. 6 Mi sono deciso per questa traduzione e interpretazione.

Come intendere l'amore dei nemici dal punto di vista ermeneutico? Ci sono. tre tipi di interpretazione: 1 . Il modello esistenzialista (R. Bultmann): il comandamento di Ge­ sù regola i rapporti più ravvicinati/ la relazione dell' «io» e del «tu»; 8 I

Così Marshall, :z.6 3 . C. Spicq Agapè I , I I I n . :z. attira l'attenzione sugli imperativi al presente del v. 3 5 : ÒtX­ vtt�tn deve dunque essere tradotto: «Prestate abitualmente•. 3 Così G. Schwarz, Mllòév. 4 Per à.vttÀn:t�Ovt� si schiera Th. Reinach, Mutuum date, 5 :Z.; per Èn:e:Àn:t�Ovt� H. Per­ not, Co"ection, che rimanda ai LXX e soprattutto a Eur. Hipp. IOIO-IOI I . 5 Così Zahn, :z.9:z. n . 6 3 e Bauer, s.v. H . Pemot, Co"ection ritiene invece impossibile que­ sto significato. 6 La variante p.lJÒÉVtX al posto di p.lJÒÉv si spiega per dittografia (a partire da p.ljÒe:vtXn:tÀ­ m�o-n�) ovvero con la preoccupazione di dare senso al testo (p.lJÒéVtX à.n:tÀn:t�o-ne:c; a si­ gnificare: « senza deludere nessuno» ). Anche se ben attestata, è secondaria. 7 Cf. P. Ricoeur, Le socius et le prochain, in P. Ricoeur, Histoire et vérité, Paris 1955, 2.13·2:Z.9. :r.

3 74

AMORE DEI NEMICI E ALTRO

l'amore per i nemici è un comportamento esistentivo dell'individuo che attualizza l'amore del prossimo e lo adatta, allargando in questo modo la nozione di prossimo. Questa radicalizzazione dell'amore del prossi­ mo sfocia praticamente in una filantropia cosmopolita. 1 2. Il modello sociale (L. Schottroff}: 1 il comandamento di Gesù ha senso solo in una situazione politica o sociale concreta: detta ai discepo­ li il loro combattimento non violento contro il potere dei nemici. L'amo­ re dei nemici non è fatto di sentimenti, ma di azioni. Non è un caso se il comandamento relativo alla non violenza vi figura accanto, perché a quel tempo la non resistenza costituiva l'interpretazione adeguata e for­ mulava in questo modo una critica precisa nei confronti degli zeloti. L'amore dei nemici inteso in questo modo rappresentava, in piena ri­ bellione giudaica, il modo cristiano di lottare per l'onore di Dio e l'inte­ grità del suo popolo. 3 · Il modello sistematico permette di tener conto dei rapporti ravvi­ cinati come anche di quelli distanti, del nostro comportamento verso il proximus come anche verso il socius, perché i meccanismi di amore e di odio tra individui, gruppi sociali e anche nazioni funzionano in manie­ ra analoga. Il comandamento dell'amore dei nemici costituisce un'alter­ nativa praticabile rispetto agli altri sistemi, che sprofondano sempre nel­ la violenza e nella repressione. Come descriverne il funzionamento? a) Secondo la tradizione più antica (Le. 6,3 5c; Mt. 5,4 5 b) Gesù ha proclamato il comandamento di amare i nemici anche sulla base di una affermazione teocentrica (8'tt ... , « perché . . . » ) . Non si tratta di imitare Dio, ma di agire nel quadro di un rapporto reciproco. I discepoli, ai qua­ li il comandamento si rivolge, partono dall'iniziativa di Dio che per pri­ mo ci ha amati, noi suoi nemici. 3 Questa fondamentale affermazione relega il primo aspetto, prescrittivo, del comandamento al secondo po­ sto dopo ciò che Dio stesso compie. L'indicativo precede l'imperativo. Dio è più che un esempio di qualcuno che ama i suoi nemici. Egli ha amato per primo, ed è questa sua iniziativa che ci dà la possibilità e la forza di osservare il comandamento di Gesù.4 Senza l'amore di Dio, 8 Cf. M. Buber, lch und Du, in M. Buber, Werke, 1. Schriften zur Philosophie, Heidel­ berg 1962. 1 Cf. R. Bultmann, Jesus, Ttibingen 1958, 96-99; L. Schottroff, Gewaltverzicht, 1 97-200. 1 Cf. L. Schottroff, Gewaltverzicht. 3 Cf. J. Piper, Love, 173. Questa realtà corrisponde, a mio avviso, a ciò che Paolo affer­ ma della giustizia di Dio. 4 Cf. P. Pokomy, Core, 429, che si basa sulla giustapposizione delle beatitudini e del co­ mandamento dell'amore. J. Piper, Love, 76-8 5 accosta questo comandamento all'an­ nuncio del regno di Dio.

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che viene per primo, il comandamento di Gesù sarebbe debole e ineffica­ ce quanto la legge in Paolo. L'imitatio Dei non è che la conseguenza del­ l'amore primo di Dio per noi (Le. 6,3 6; Mt. 5,48). b) La persona che enuncia il comandamento, il soggetto di u(J.i'v Àtyw, «io vi dico» (Le. 6,1.7 e Mt. 5,44), non è né anonima né indifferente. Gesù ha compiuto di persona ciò che ha ordinato. Il seguirlo, l'imitarlo si fonda dunque sulla sua vita. Amare i propri nemici non significa ri­ manere un originale isolato, ma camminare sulle tracce di colui che, nel­ la sua agonia, ha pregato per i suoi aguzzini (Le. 23,34). c) Il comandamento è certo accompagnato da una promessa, e addi­ rittura dalla più alta che gli uomini possano sperare: diventare figli di Dio (Le. 6,3 5 b e Mt. 5,4 5 ). Dio vuole ricompensare con la vita quelli che lo amano, ma l'amore dei nemici non funziona nel sistema chiuso delle retribuzioni individuali. Facendo un atto di amore verso i nemici il cristiano opera per l'avvenire dei suoi avversari. Gesù e coloro che ci hanno trasmesso la tradizione e gli evangelisti sperano che l'atteggia­ mento nuovo nei confronti dei nemici dia a questi l'occasione e la pos­ sibilità di superare loro stessi la loro aggressività. Grazie all'atteggia­ mento dei cristiani il nemico trova di fronte a sé quale controparte un «tu», là dove si aspettava di affrontare un avversario. Se accetta questa situazione nuova, la sua posizione di fronte a se stesso, agli altri e a Dio si può sperare - cambierà. La teologia giudaica conosceva già l'effetto missionario della misericordia verso il nemico. I Gli autori del Nuovo Testamento vogliono conquistare l'avversario al vangelo. 1 L'amore dei nemici non ha dunque nulla della rassegnazione passiva. Possiamo contrapporre l'una all'altra la giusta e la falsa comprensio­ ne dell'amore dei nemici; quella errata è solo bipolare e mette faccia a faccia i nemici e noi, il che non è soddisfacente: Gesù esigerebbe qual­ cosa di impossibile, una propensione patologica a essere odiati. La buo­ na interpretazione include un terzo polo: Gesù che ci parla.

/

Gesù ·.

·

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·

noi

.

. nèmici

.

.

.

Quando intendiamo la voce di Gesù come una legge, rimaniamo nella citata interpretazione errata. Ma quando siamo in una relazione viven­ te con lui, possiamo arrivare anche ad amare i nostri nemici, perché siamo stati ricolrnati affettivamente da Cristo e da Dio. Così usciamo I 2.

Cf. mAb. 1 , 1 2 e O.J.F. Seitz, Love, 4 3 · Cf. I Pt. 311; I Cor. 9,19; inoltre Rom. 1 2,14.21; I Cor. 4,1 2; Le. 23,34; Atti 7,6o.

AMORE DEI NEMICI E ALTRO

dal sistema chiuso della vendetta apportatore di morte e offriamo al­ l'altro un nuovo rapporto nei nostri confronti e - speriamolo - con Ge­ sù (per questo il punto interrogativo, segno di speranza, nel nostro schema). Quando li amiamo i nostri nemici, non sono già più nostri ne­ mici. Per questo non è precluso sperare che ai loro occhi anche noi cessia­ mo di essere dei nemici. rifìuto della resistenza violenta (6,29-3 0). Mt. 5,3 9-42, Le. 6,29-30 e Did. 1 ,4 - 5 sono paralleli, nonostante qualche differenza di dettaglio e di contenuto. All'inizio (lo schiaffo, il miglio, la tunica) Did. 1 ,4 è più vicino a Matteo, alla fine (Did. 1 ,4- 5 , il tuo bene) più vicino a Luca. Questi testi non dovrebbero dunque basarsi tutti su una versione greca unica: a) Mt. e Did. parlano della guancia 1 destra, il che traduce, per una sensibilità giudaica, un crescendo di umiliazione; b) Matteo si immagina la scena davanti a un tribunale giudaico ( aoì. xpt.Sljv�Xt, «con­ durti di fronte al tribunale», Mt. 5,40): il giudice in Israele aveva in ef­ fetti il diritto di confiscare solo i vestiti di sotto, perché Dio, nella sua bontà, lascia il mantello (che serviva come copertura per la notte) in proprietà anche a un condannato. Le. e Did. pensano invece a briganti (cf. Le. 10,30), che si impadroniscono naturalmente della prima cosa che capiti sotto le mani, il mantello appunto; ,. un simile cambiamento nelle circostanze esterne richiede quindi una modifica delle immagini; c) nell'ultimo caso, che è duplice, Le. e Did. si corrispondono nell'uni­ co contenuto: quando qualcuno «domanda » 3 o «prende» (in ordine in­ verso in Did. ), il cristiano deve cedere. In Matteo l'altro «domanda» semplicemente in entrambi i casi, si tratti di un dono o di un prestito. Malgrado la diversità degli esempi e delle formulazioni, il comanda­ mento di Gesù è stato capito nello stesso modo dai primi testimoni. Il 2.9-30. Il

1 ataywv significa prima di tutto •mascella• (il termine abituale per « mascella» è yva­ .Soç o, forma poetica, yva.S(L&;). Per estensione il termine può anche significare «guan­ cia• («guancia» si dice normalmente 7taptui). xOpplJ significa «tempia» , ma per estensio­ ne si applica anche alla «guancia•. ataywv qui è preferito a 7taptta forse perché 7taptta è usato nella maggior parte dei casi al plurale. Parlando di guancia destra, Mt. e Did. pen­ sano a un colpo inferto dalla mano sinistra, il che non è per nulla naturale essendo la maggior parte delle persone, ieri come oggi, destrimana, ma era particolarmente umi­ liante tra i giudei, oppure piuttosto a uno schiaffo partito da sinistra, ma dato con il ro­ vescio della mano destra; cf. Bill. 1, 34z.; D. Liihnnann, Liebet, 4 1 8; C. Spicq, Agapè 1, 1oz. n. 7; U. Luz, Matthiius 1, z.9z. n. 14. :t Mt. pensa dunque a una situazione diversa rispetto a Le.: Mt. a un processo, Le. a un furto. 3 Si osservi la precisione del lessico: l'avversario domanda o esige (a!-!Éw), il proprietario reclama (cÌ1tat'tÉw).

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discepolo, qui chiamato in causa e messo a confronto con la sua respon­ sabilità in quanto individuo, deve in ogni caso cedere. Che la serie di comandamenti sia stata collegata all'amore dei nemici sottolinea come questo amore si realizzi in concreto: cedendo (il che chiarisce la condi­ zione sociale dei primi cristiani, persone perseguitate e prive di ogni pro­ tezione; non era questa per forza di cose la situazione degli ascoltatori di Gesù né quella dei lettori di Luca, individui in buona parte agiati e anche ricchi, cf. Giac. 2). La frase di Gesù sull' «altra» guancia, che invita i discepoli a non ren­ dere il male per il male, I parrebbe forse criticare implicitamente gli ze­ loti. Se l'esagerazione non è semplicemente retorica, Gesù raccomande­ rebbe in realtà un atteggiamento di provocazione per smascherare l'ag­ gressività della persona che ci sta di fronte, smontarla e dimostrare ciò che la non violenza ha di dinamico, nel senso di un Gandhi o di un Mar­ tin Luther King. Ma è forse una lettura anacronistica. 3 1 . La regola d'oro (6,3 1 ). Alcuni filologi riconoscono nell'etica di Gesù la critica radicale di ogni reciprocità e sostengono che la regola d'oro 2. sia giunta nell'etica cristiana più tardi,3 oppure che la versione originaria del discorso della pianura ne negasse proprio la validità, nel qual caso bisogna rifugiarsi in congetture e modificare il testo di Luca. 4 Rompere con la legge di reciprocità calcolatrice non contraddice, a mio giudizio, il realizzarsi di rapporti tra Dio e l'uomo. Per questo i primi cri­ stiani (più che Gesù stesso) possono accettare la regola d'oro sia nella sua forma positiva (Le. 6,3 1 ; Mt. 7, 1 2) che negativa (Atti 1 5 ,29 secondo il co­ dex Bezae e qualche altro ms.). Questa regola di saggezza non viene da I

Su questa esigenza etica nel giudaismo cf. J. Piper, Love, 3 5-39 ed E. Percy, Botschaft, 150- 1 5 2. :t Cf. R. Merkelbach, Stelle; inoltre A. Dihle, Rege/, 1 2: • La regola d'oro mostra perciò un duplice volto: mentre presuppone la sua formulazione in un tempo relativamente re­ cente rispetto all'attesa analisi razionale dei processi interpersonali, per l'efficacia del suo discernimento etico è radicata nella più arcaica idea di vendetta» . A detta di Dihle la regola d'oro appartiene a una tradizione sapienziale popolare che i filosofi accoglie­ ranno solo lentamente e che riprenderanno per mostrare il carattere potenzialmente uni­ versale della loro dottrina etica specifica. Sull'origine oscura della denominazione «rego­ la d'oro», attestata a quanto pare già dal XVI secolo, cf. C. Spicq, Agapè, 105 n. 3 · 3 Così A . Dihle, Regel. 4 Così R. Merkelbach, Stelle, 172, che propone di collegare il v. 3 1 al seguito del testo, di subordinarlo e di modificare la punteggiatura alla fine del v. 3 1, il che porta a: xal (ycXp èi%v} xa� .flÉÀE'tE tva 1t01Wai'Y Upoi'Y o{ av.flpW1tOI, 1t01(ij}'tE atrroic; ÒfJ.Otw> . Giudicando le per­ sone ci mettiamo al posto di Dio. Se possiamo e dobbiamo rimanere sal­ di nelle nostre convinzioni cristiane, dobbiamo però lasciare liberi gli al­ tri (&.7toÀue:-re:), lasciare che siano loro a decidere. Per i cristiani dai prin­ cipi saldi è un atteggiamento talora difficile: ci viene descritto in forma paradigmatica nell'atteggiamento di Gesù nei confronti di quelli di fuo­ ri (Le. r s , r - 3 ) . Conosciamo il nostro prossimo con le sue debolezze, ma sappiamo anche che Dio ci giudicherà tutti. Sul piano individuale e su quello della giustizia umana dobbiamo distinguere tra il giudizio che pror xaì l'lj xptve:n: imperativo presente negativo; xaì où l' lj xpt,9irn:: congiuntivo aoristo negativo con significato futuro, senza connotazione imperativa (l'imperativo aoristo sa­ rebbe xpWlJn). S. Schulz, Q, 146 pensa che la formulazione di Mt. 7,1 (tVIX !'�), più plastica, sia l'originaria; ritiene inoltre - del che dubito - che Mt. 7,2a, costruito secon­ do Mt. 7,2b, si trovasse già in Q e che Le. (6,3 8) l'avrebbe tralasciato. :z. Xll'tiXÒtx!X�w: «pronunciare un giudizio contro qualcuno», «condannare». 3 a7toÀUE'te:: da a7tO-ÀUw che significa «staccare» , «slegare» , «liberare» , «assolvere», «li­ cenziare» , «prosciogliere». 4 La forma di Mt. 7,2b (con il xal all'inizio e il verbo semplice l't'tplj.S�ae:'tllt) dev'essere quella di Q. A Luca piacciono i y!Xp e i verbi composti (tivttl'e:'tplj.O�anat). Anche Mc. 4,25 ha il verbo semplice. 5 Luca conosce il duplice uso di xplvw: in 7,43 e in 1 2,57 si tratta di una valutazione giusta, in 19,22 di una condanna.

AMORE DEI NEMICI E ALTRO

nunciamo sulle azioni e quello che riguarda le persone. Gesù non esige che approviamo tutto alla cieca senza discernimento; non è ostile a una valutazione esatta degli uomini e delle cose. Paolo lo ha capito quando dice che il credente illuminato dallo Spirito santo giudica tutto ( I Cor. 2, 1 5; stavolta à:vaxplve:t, «esamina», «verifica », e non xplve:t, «giudica », e nemmeno xa'taxptve:t, «condanna » ) . Luca esprime l'atteggiamento del­ la guida di anime (Le. 6,3 7), Paolo insieme quella del predicatore ( I' Cor. 2,1 5 ). Il v. 3 7 come anche il v. 3 6 collocano il donare e il perdonare al pri­ mo posto. Sotto il profilo storico il «non giudicate» di Gesù è polemico e ha di mira i capi d'Israele, che rinchiudevano la vita religiosa e sociale nella categoria dominante della legge. Luca ha colto bene la riscoperta da parte di Gesù dell'amore di Dio come fondamento della legge, e se n'è rallegrato: che i discepoli perdonino (à:1toÀue:n), non allo scopo egoi­ stico di ricevere il perdono nell'ultimo giorno, ma perché il perdono è entrato nella loro vita con l'annuncio di Gesù! Luca pensa qui solo al perdono o ha in mente anche i debiti che i cristiani pagherebbero al po­ sto degli altri o che rimetterebbero loro, o addirittura alla liberazione de­ gli schiavi? Non lo sappiamo, ma se essi agiscono liberamente e senza egoismo, avranno parte alla liberazione escatologica (à:1toÀ!J'I9�ae:a.z9e:, «voi sarete prosciolti» ) . Come Dio è 'XPlJO''toç, « benefico» , « buono» ( 6, 3 5 ) verso gli uomini, anche i discepoli devono, secondo Luca, provare il loro amore mediante il dono (ÒtÒo'te:, «date», 6,3 8a). Giustizia e perdono sono, nella riscoperta economia della salvezza, la risposta all'amore che Dio ci testimonia per primo. L'immagine per la retribuzione (v. 3 8b) viene dalle pratiche del com­ mercio. Il cliente farà scivolare la merce acquistata nella piega del suo vestito (e:l> , 14 E facendosi avanti, toccò la bara; quelli che la portavano si fermarono. Ed egli disse: «Giovane, io te lo dico, svegliati! >> , 1 5 Allora il morto si sedette e cominciò a parlare. Ed egli lo re­ stituì a sua madre. I 6 Il timore li prese tutti e rendevano gloria a Dio dicen­ do: «Un grande profeta si è levato tra noi >>, e: «Dio ha visitato il suo popo-

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7, 1 1 - 1 7

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lo» . 1 7 E questa parola sul suo conto si diffuse in tutta la Giudea e in tutta la regione. Le. ?, I I-I? è una pericope priva di paralleli negli altri vangeli. Eppure si trova proprio nel mezzo di una sezione proveniente da Q ( 6,20-7, IO; 7,I 8-3 5 ), ma probabilmente ha un'altra provenienza. Se Matteo l'aves­ se conosciuta, certamente non l'avrebbe trascurata. I Il racconto contiene taluni tratti tipici di Luca, ma anche alcuni ele­ menti che non gli appartengono: Nain (v. n ), ixxo(J.t'çw, «portare via », «portare a seppellire», e n-8vlJX�, > . 1 D rap­ porto del Battista rispetto a Gesù è simmetrico con quello del profeta Aba­ cuc rispetto al Maestro di Giustizia. L'altra formulazione è la nozione del profeta avido di sapere (cf. I Pt. I,Io-u ). Giovanni vorrebbe, come tutti i profeti, sapere esattamente quando giungeranno la fine e la salvezza escato­ logica. 2. o Ép'X,O[J.Evoc;, «colui che viene» , era una designazione usuale o invece eccezionale per il messia ? Su questo non c'è accordo. In Ab. 2,3 (1tpoaÒÉ'X.ou oc&t6v, 8-.t Ép'X,O(J.Evoc; lj�et, «attendilo, perché verrà veramente», secondo la versione di Aquila), l'espressione suppone una figura messianica (non neces­ sariamente né esclusivamente regale).:�. «Tutto ciò che è in rapporto con la salvezza 'viene' >> .3 3· Con il viaggio degli inviati che obbediscono (v. 20) e gli atti di guari­ gione di Gesù che si manifestano (v. 2 1 ) Luca ottiene un effetto drammati­ co: la figura messianica nella domanda (v. 20) e l'opera messianica nella si­ tuazione (v. 2 1 ). 4 Manca soltanto la parola illuminante di Gesù perché fi­ gura e opera coincidano. 4· «L'annuncio rivolto al Battista, nella forma che troviamo qui, rappre­ senta, espressa in una formulazione poetica molto semplice, una raccolta di detti messianici di Isaia: Is. 26,19 (i morti); Is. 29,1 8-19 (i sordi, i ciechi, i poveri); Is. 3 5 ,5-6 (i ciechi, i sordi, i paralitici, i muti) e soprattutto Is. 61, 1 (buona notizia per i poveri, i ciechi; senza contare i verbi decisivi 'guari­ re' e 'annunciare') » . 5 5 . La risposta d i Gesù, che interpreta le sue stesse opere, presenta il mes­ sia compassionevole e guaritore, e non la figura guerriera e di giustiziere di diverse aspettative giudaiche. 6 r

1QpHab 7, 1-5 (tr. Garda Maninez - Manone). A. Strobel, Untersuchungen, 265-277 osserva che la domanda non è •Sei tu colui che deve venire o no? » , bensì - con tocco etico - «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro ? » . 3 F . Hahn, Hoheitstitel, 393· Èpxop.tvo> , cf. 8,I4). Dopo la terza domanda retorica viene finalmente la risposta giusta (vtxt ÀÉyw Ù(J.tv, «sì, vi dichiaro » ) . Un profeta è un uomo che Dio ha chia­ mato e inviato. Bisogna ascoltare quest'uomo e accorrere da lui. Tipico di Gesù è una rivelazione in forma di enigma: «e più che un profeta » (cf. Le. I I ,3 1-3 2). Tra un profeta e il messia c'è solo un posto libero: quello dell'ultimo profeta, del profeta escatologico, del profeta simile a Mosè. 8 Questa in­ terpretazione protocristiana delle parole enigmatiche di Gesù si espli­ cita nella trasmissione di una citazione ibrida. 9 Anche la tradizione di x Cf. C. Daniel, Esséniens, 262-268, per il quale Gesù constaterebbe la fragilità degli ze­ loti (qaneh) di fronte ai romani paragonandoli a canne (qanna') agitate dal vento e criti­ cherebbe gli esseni troppo attaccati al lusso delle vesti. 2. Dal punto di vista retorico colpisce il contrasto tra il deserto e la canna che fa pensare all'acqua. 3 Cf. ad es. Luc. Hermot. 68 (cit. da Bauer, s. v. ). 4 Cf. il suo atteggiamento intrepido di fronte ad Erode (Mc. 6,18). 5 Si potrebbe adottare una punteggiatura differente e quindi costruire le domande retori­ che diversamente: mettendo il punto interrogativo prima dell'infinito (-Be:aacxa.Scxt, poi ìòe:iv). In questo caso bisognerebbe allora tradurre i tre 1:! con «perché•: «Perché siete andati nel deserto? Per contemplare una canna ... ? » . Preferisco mantenere la punteggia­ tura di NA�6• 6 In senso spregiativo (.1-c:tÀcxxo>, «piano » ), 1 termine raro negli altri autori del Nuovo Testamento (solo tre attestazioni) appare qui per la prima volta in Luca. Ritornerà nove volte, soprattutto negli Atti; viene impiegata in senso teologico per indicare il progetto di Dio (soprattutto Atti 2,23 e 20,27).1 La morte di Gesù risponde al disegno di Dio (Atti 2,2 3 e 4,28), che però esiste anteriormente al tempo delle profe­ zie (Atti I 3 ,3 6: al tempo di Davide) e anche dopo il tempo del giudizio (At­ ti 10,42 senza �ouÀ�, ma con il verbo opl�w, «designare », «fissare >> ). Il Dio che persegue in questo modo il suo piano non è il destino cieco, ma una per­ sona aperta al dialogo e capace di soffrire. Nel rifiuto delle guide d'Israele constata come gli uomini possano mettersi contro il suo disegno. La preci­ sazione di dç Écxu-roUc;, «nei loro confronti», mostra i limiti del potere uma­ no: i farisei e i dottori della legge si sono opposti sì al volere di Dio (cf. A t­ ti 20,27), ma solo fino a un certo punto, in quanto era destinato loro.3 E Dio rimane rattristato e furioso insieme, ma non forza nessuno.

Coloro che lo hanno ascoltato in Israele l'hanno « giustificato>> , gli «hanno dato ragione» (ÈÒtxcxlwacxv). Il verbo, raro in Luca, è stato vero­ similmente suggerito dall'ultimo logion della pericope (v. 3 5 ); significa che coloro che credono acconsentono al disegno di Dio e lo approvano. Il Signore si è mostrato giusto nella sua iniziativa benevola, non nel sen­ so della giustizia distributiva, bensì di una propensione tutta dinamica a salvare; secondo le regole dell'aequitas non sarebbe propriamente «giusto» . 4 3 1 . Questo versetto parte dalla constatazione tragica del v. 3 0. La parabola,5 introdotta da una domanda retorica, sta dunque per mette­ re in scena i recalcitranti, accusarli e appellarsi a loro. Non si può ne­ gare una certa tensione tra due generalizzazioni: quella della redazione 1 !XJu'ì..� è il prodotto della volontà (-BÉÀlJiJ.a.), come si vede bene in Ef. 1 , n : «Secondo la [3ou'ì..� del suo .SÉ'ì..ljiJ.!J.». 2. Cf. H. Conzelmann, Mitte, 141 s.; j. Dupont, Paulus an die Seelsorger. Das Vermiicht­ nis von Mi/et (Apg zo,I 8-J 6), Diisseldorf 1966, 85-90; F. Christ, Sophia, 78; Fitzmyer I, 179· 3 Nonostante � e D le omettano, le parole difficili tl> (Mar­ co, Matteo, Luca), anche se la cifra non è la stessa dappertutto (Marco, Gio­ vanni, Luca ). Infine, Luca non riprenderà l'episodio dell'unzione di Betania, proprio perché lo assimila a questo racconto (cf. 22,2-3 ). Chi conosce le regole della letteratura orale e dell'agiografia sa i vari usi che si possono fare di un episodio isolato. La tradizione del vangelo di Mar­ co dava dell'unzione una lettura cristologica; Marco la collegava alla sua teologia della croce e l'unzione messianica della testa (Mc. I 4,3 ) prefigura­ va il rito funebre (Mc. 14,8); e per questo l'episodio viene collocato nel con­ testo della passione, che in origine gli era estraneo. 4 Nella tradizione pre­ lucana l'unzione era raccontata da un'angolatura antropologica come leg­ genda, cioè come racconto del gesto eccezionale di una donna e quindi la discussione riguardava l'amore verso Gesù e non l'amore di Gesù. Il faccia a faccia tra l'ospite rispettabile e la donna imbarazzante permise allora sul 1 A. Legault, Application postula all'origine due episodi, uno in Giudea (Mt., Mc., Gv.), l'altro in Galilea (Le.), i cui racconti si sarebbero reciprocamente influenzati nel corso della tradizione; cf. in precedenza Zahn, 3 34· 1 Con j.K. Elliott, Anointing, 1 0 5 . 3 Questo quinto elemento manca in Giovanni. Sullo schema cf. J. Delobel, Onction, 467. 4 Cf. j.K. Elliott, Anointing, 106.

45 5 piano narrativo un confronto teologico: si arrivò al confronto tra il «più» e il «meno» di amore e anche alla parabola, in sé banale, che ne è scaturi­ ta. • Quest'ultimo sviluppo avvenne ancora nel corso della tradizione ora­ le. La parabola creò una tensione rispetto all'episodio, perché non ne illu­ strava il significato originario, ma lo stato attuale dell'interpretazione for­ matasi nel corso della tradizione. Il gesto spontaneo della donna disprezza­ ta era allora interpretato come espressione del pentimento umano e del per­ dono divino. Il che costituiva una dogmatizzazione, probabilmente con una motivazione catechetica. Poi si fece una riflessione sull'iniziativa divina e sulle dimensioni della grazia, ancora assente dall'episodio originario; nello stesso tempo l'amore fu quantifìcato e messo in rapporto con il peso dei pec­ cati. Mentre il v. 4 7a nella sua ambiguità riguarda ancora la storia della donna, il v. 47b spiega invece la parabola ed espone la teologia corrente usata nella catechesi. 1 Del resto c'è un paradosso in questa interpretazione secondaria, la quale pone il perdono divino al primo posto, ma riconduce la salvezza sul piano morale (cf. i due ÒÀtyov, «poco••, e i due 7tÀE'iov, «più», dei vv. 42 e 43, difficili da sostenere). Un simile sviluppo dell'interpretazione ha il suo contesto d'origine in una comunità che non riusciva a sottrarre l'istruzione dei suoi membri alla polemica con la sinagoga. Queste modulazioni polemiche sono per­ fettamente percepibili: l'ospite è diventato un fariseo (è un lebbroso in Marco e Matteo; è l'amato Lazzaro in Giovanni), e il « più grande » amo­ re della donna peccatrice non è senza rapporto con la vocazione dei gentili. Ogni neoconvertito vedeva dietro questi due personaggi (à:[J-cpO­ 'tEpot del v. 42) da una parte i giudei, che hanno « poco» peccato, dall'al­ tra gli etnicocristiani, che hanno «molto » amato. In questa situazione il racconto ha assunto una prima forma lettera­ ria, probabilmente nel materiale speciale di Luca. 3 La narrazione ha in comune, con altre pericopi di Luca, la coerenza della forma e alcuni trat­ ti particolari come i nomi propri e l'interesse rivolto agli interlocutori r Il creatore della parabola si è probabilmente ispirato ad altre parabole di Gesù, quella del debitore impietoso (Mt. 1 8,2.3-3 5 ) e/o dell'economo infedele (Le. 16,1-9). U. Wilk­ kens, Vergebung ritiene invece che il racconto e la parabola abbiano costituito un'unità fin dall'inizio: si tratterebbe di un apoftegma, il cui radicamento sarebbe stata la predi­ cazione del battesimo (con G. Braumann, Schuldner, 490). Wilckens propone d'altra par­ te di mettere a confronto la storia della peccatrice con la conversione di Asenet nel ro­ manzo giudaico ellenistico Giuseppe e Asenet. 2. Ritroviamo questa teologia mediana in molti scritti del cristianesimo delle origini, in cui l'amore gratuito di Dio coabita con il degno pentimento dell'uomo. 3 Cf. J. Delobel, Onction, 422-444. In realtà, tuttavia, il lessico che i sostenitori di que­ st'ipotesi attribuiscono a un Proto-Luca, è piuttosto propriamente lucano: ipw-rliw, tlp.ap­ 'tWÀ�, xÀatw, 1tapè& -roùc; 1t0òac;, tXpXO!J-txL, dmv 7tp�, verbi composti, ripetizione della preposizione dopo il verbo composto ecc.

GESÙ E LA PECCATRICE

di Gesù. Tuttavia il testo, così come lo conosciamo, porta nella lingua come nello stile l'impronta della redazione di Luca, che ha anche rida­ borato la fine dell'episodio. 1 Sullo slancio delle pericopi precedenti (in particolare s,20-24) Luca orienta l'interesse verso la radice cristologica della remissione dei peccati 1 e conclude con una formula pia (il v. so anticipa 8,48). Le formule di introduzione ripetute ( vv . 4 8 e so dopo il v. 44) segnalano anche da sole che il lavoro redazionale riguarda soprat­ tutto la conclusione. 3 36. Prima sequenza (7,3 6-39). L'invito (v. 3 6a) e la sua accettazione (v. 3 6b) 4 sono riferiti tutto d'un fiato.5 La prima metà del versetto com­ prende elementi che non sono lucani e forse nemmeno greci (tva, > ) a intendere e ascoltare (à:xouÉ-rw). L'evange­ lista ci ricolloca in questo modo nella situazione decisiva che era allora quella degli ascoltatori di Gesù (8,4-8), che in seguito è quella di tutti coloro che sono attenti alla parola di Dio (8,n-q).s I Cf. J. Dupont, Semeur, 107 e Emst, 269. L'espressione era già penetrata nel giudaismo; cf. Tob. 5,14-15; 7,7-8; 9,6-7; 2 Macc. 1 5 , 1 2; 4 Macc. 4, 1. W. Grundmann, xaì.Oç, TWNT m, 1938, 540-542 distingue in Grecia due significati diversi di xaÀÒc; xtiya.OOc;: uno sociopolitico e l'altro, introdotto da Socrate, etico e spirituale. 2. In 8,8 Luca preferisce tiya-81] a XGtÀlJ (Mc. 4,8) per sottolineare la qualità della terra; in 8,1 5 invece conserva l'aggettivo di Mc. 4,2.0. Si osservi il gioco degli articoli: in 8,8 due anicoli: •la terra, quella che è buona» ; in 8, 1 5 un solo anicolo perché la terra è ora co­ nosciuta: «la terra buona» . Il Diatessaron siriaco leggeva, stando a H.j. Vogels, Lk 8,8, «terra buona e grassa•. 3 Cf. H.-J. Klauck, Allegorie, 19 1 . Dicendo che le messi di Isacco corrispondono al cen­ tuplo delle semine, Gen. 2.6, 1 2 illustra la benedizione divina che viene presentata subito dopo. 4 Sul!' imo11ovi] che Luca aggiunge cf. L. Cerfaux, Fructifìez. s Il detto si ritrova in Le. 14,3 5 e, in alcuni manoscritti, anche in Le. n,:u e :u,4; cf.

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8, 4 -21

9- 10. La divisione d'Israele (8,9-10). La versione di Luca non affron­ ta, come quella di Marco, il problema della parabola in generale, ma concretamente quello dell'interpretazione di questa (a.�'t'Yj) in particola­ re.1 Il che conferisce al testo ( 8,4-2I ) una coerenza maggiore, ma crea una tensione tra le parole del v. 9 e la risposta di Gesù, che viene dalla tradizione, in 8,xo; 2 i discepoli riceveranno la risposta alla loro doman­ da nella spiegazione della parabola (8,I I-I 5 ) e il v. Io assume così il valore di un'osservazione preliminare indispensabile agli occhi del Gesù di Luca.3 Questo detto (8,xo) riguarda la divisione del popolo e riflette la posizione sociale particolare dei cristiani (UfJ.L'v, «voi») in seno a Israe­ le e più tardi tra i popoli ('t'oi'ç ÒÈ Àomoi'ç, «gli altri», «il resto» ). La tra­ dizione biblica permette ai primi cristiani di spiegare il doloroso falli­ mento della loro testimonianza e di superarlo grazie a una forte coscien­ za di sé della comunità. La chiesa cristiana deve ricordarsi del dono che Dio le ha fatto (u!J.tV ÒÉÒo't'a.t, «a voi è stato dato» ), e cioè la rivelazione dei segreti del regno di Dio. 4 Senza volervi vedere una tendenza anti­ gnostica,5 va sottolineata in Luca nelle parti redazionali, soprattutto ne­ gli Atti, una riserva nei confronti delle nozioni di conoscenza ( yvwva.t) e di misteri (!J.ucr't'�pta.). 6 Sulle orme di Paolo l'evangelista preferisce la terminologia della fede, a scapito di quella, spesso sapienziale, della co­ noscenza. Quanto al lessico apocalittico giudaico dei misteri di Dio, questo gli rimane estraneo. È solo per fedeltà alla tradizione che tra­ smette i detti di Gesù in cui compaiono 't'tX !J.UCT't'�pta., «i misteri » (il plu­ rale, che condivide con Matteo, diversamente da Marco, viene proba­ bilmente dalla tradizione orale). Secondo questa tradizione protocri­ stiana la proclamazione del regno di Dio da parte di Gesù appartiene all'apocalittica. I cristiani sono i destinatari di una rivelazione trasmes-

gli elenchi dei rimandi agli altri libri del N.T. in margine a Mt. 1 1, 1 5 e Apoc. 2,7 in NA16. 1 Luca ama ricorrere a verbi composti (È1tl)pw'twv) e usare l'ottativo (e:ilj). 2 Cf. J. Gnilka, Verstockung, 1 20. 3 Messo a confronto con Marco, l'equilibrio tra Le. 8,1oaa e 8,1oa� è spezzato, perché Luca abbrevia il secondo membro della frase; cf. J. Gnilka, Verstockung, 1 2 3 . 4 Quei manoscritti che come Eusebio sopprimono 't i}> , v. 39). L'identità dei successivi destinatari della notizia (czù-rotc;, «a loro », v. 3 6) non è precisata. Ciò che conta per l'evangelista è che l'informazione si diffonda. L'interpretazione della notizia ancora manca; Luca, nella sua intenzione kerygmatica, vi rimedia nei confronti del /ettore. Interviene dunque al v. 3 6, e con forza. Secondo lui gli spettatori hanno visto ( lBov­ nc;) come un indemoniato sia stato liberato. I due fatti, la possessione e poi la liberazione dai demoni, appartengono ora al passato (aoristo). Si può essere a conoscenza degli eventi della salvezza, ma ciò non basta per credere. Solo l'interpretazione cristiana trasforma il racconto stori­ co in vangelo. aci>>, richiede un complemento oggetto che viene espresso con "tà ytVOIJ-EVcx 1ta:ncx, «tutto ciò che succedeva>> .4 L'espressione rimane vaga 1

Cf. Lagrange, 2.60. 3 Cf. T. Schramm, Markus-Stoff, u .S . Cf. T. Schramm, Markus-Stoff, u .S s. 4 Nell'espressione -rà 'YivOI'-Eva 7tcXvra l'aggettivo 7tcXvra dev'essere considerato sostanti:t

5 39 e indica probabilmente il lavoro missionario dei dodici e l'opera di Gesù. In seguito Luca si sbarazza dell'ambiguo (XÙ'tou, «suo», e del maldestro dop­ pio soggetto di Marco (ÈyÉve:'to 'tÒ oVO!J.(X (XÙ'tou, «il suo nome era diventa­ to», ed eÀe:yov, « si diceva » ) con una nuova redazione elegante: X(Xt ÒtYj7tO­ pe:t ÒtiÌ 'tÒ ÀÉye:a-B(Xt tmo 'ttvwv, «e rimaneva perplesso, perché gli uni dice­ vano>> . La correzione di Èy�ye:p't(Xt in TjyÉp-8YJ all'aoristo ( « è risorto») è for­ se dettata da Mc. 6, 1 6 (oÒ'toc; TjyÉp.lJ.Yj). Se Luca toglie a Giovanni il titolo di Battista (ò �(X7t'tt'çwv), è probabilmente più per una ragione stilistica e grammaticale che teologica. 1 Ma non si capisce perché lasci cadere i mira­ coli di Gesù (Mc. 6, 1 4b). Luca si ferma su Erode quale soggetto unico; le opinioni della popo­ lazione 1 non ricevono espressione propria com'è il caso di Marco, ma risultano integrate nei dubbi del tetrarca (stilisticamente ben bilanciate: u7te) 'ttvwv u1to 'ttvwv a.ÀÀwv ÒÉ, « gli uni ... altri ... altri ancora ... » ). La seconda e la terza opinione ricevono un altro significato rispetto a Marco 3 (cf. sotto, p. 542.). Luca conserva i vari elementi nello stesso ordine di Marco: Erode per prima cosa viene a sapere le opinioni su Gesù, poi esprime il suo giudi­ zio. Se ciò corrisponde all'attività quotidiana di un sovrano del tempo, Luca però trasforma completamente tale opinione: ne rimane solo la constatazione storica (la messa a morte del Battista); al posto dell'affer­ mazione propriamente detta compare una domanda che, attraverso &:xouw 'tOt(XU't(X, « sento tutto questo» , si ricollega all'inizio ( �xo uae:v 'tiÌ ytvo!J.E:V(X 7ttXV't(X, « venne a sapere tutto quello che succedeva» , v. 7).4 E il monarca e i lettori si aspettano una risposta cristologica. Ma il rac•••

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vato. Se lttXYrGt è frequente in Luca (cf. Le. 1 2.,30; 1 6,14; 1 8,2.1), ytvO(LEVOV, al singolare o al plurale, come verbo o come sostantivo, è piuttosto raro (cf. Le. 2.1,3 1; 2.3,8; Atti 1 2.,9; :z.8,6).

1 Luca mostra chiaramente di non considerare corretto il participio (o �et7r-r1�wv) in fun­ zione di titolo. 2. Giustamente E. Haenchen, Weg ]esu, 2.37 osserva che l'esemplare di Marco che Luca aveva a disposizione doveva presentare in Mc. 6, 14 il plurale eÀeyov e non il singolare ÉÀeye:v, molto ben attestato. 3 Con le parole -rwv lipxet1wv ( •degli antichi profeti,. o •dei tempi antichi» ) Luca evita l'infelice ripetizione del termine •profeta » che troviamo in Mc. 6, 1 5 . 4 Ricordata fin dal v. 7, l'inquietudine di Erode (8LYJ1tOpEL) prepara l'atteggiamento finale del monarca, che rimane interrogativo (v. 9). Si osservi il passaggio dall'aoristo puntua­ le �xouaev all'impedetto durativo 8LYJltOpEL; Plummer, 2.4 1 . Il verbo 8tet7topÉw (a Luca piacciono i verbi composti con 8tet-) è assente nei LXX e compare solo in Luca nel Nuo­ vo Testamento (Atti 2., 1 2.; 5 ,2.4; 10, 1 7, sempre all'impedetto). Probabilmente Luca si serve di questo verbo in ragione della presenza del verbo semplice CÌ1topÉw (nella forma �ltOpeL) nel racconto della morte del Battista (Mc. 6,2.o), racconto che tuttavia lui non introduce nel suo vangelo.

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CONFU SIONE DI ERODE ANTIPA

conto non si ferma lì. Luca si riserva l'ultima parola anziché lasciarla a Erode: aggiunge una traduzione narrativa e psicologica del dubbio re­ gale, e cioè il desiderio di Erode di vedere Gesù (v. 9c), preparando in questo modo 23,6- 1 2. I 7a. Il destino di Erode Antipa si profila in modo discreto e sporadico dietro quello dell'eletto di Dio: suo padre regnava ( 1 , 5 ) al momento in cui la storia di Gesù comincia, e Antipa stesso era tetrarca della Galilea al momento della vocazione di Giovanni ( 3 , 1 -2). Per causa sua il Batti­ sta ha perduto la libertà (3,19-20) e la vita (9,9). Voleva scoprire l'iden­ tità di Gesù (9,7-9) per ucciderlo ( 1 3 ,3 1-3 3 ) o per manipolarlo (23,61 2). Di fronte alla resistenza di Gesù finirà per mettersi dalla parte di Pilato ( 23 , 1 2 e Atti 4,27) e deriderlo (23,I I ) . ·Suo nipote ebbe la morte meritata di un persecutore (Atti 1 2). Questo decorso fatale si intende so­ lo nella prospettiva degli eletti. Il ritratto di Erode Antipa che ne è usci­ to corrisponde così all'interesse per la storia della salvezza. Luca descri­ ve il potere politico non nello stile popolare e agiografico, ma da stori­ co, nella sua realtà e nei suoi limiti. Ma non è la persona di Erode Anti­ pa in sé il tema principale di Luca, il quale si interessa piuttosto all'atteg­ giamento del tetrarca e della sua famiglia nei confronti del nuovo mo­ vimento creato da Gesù e dai suoi discepoli. Il principe non è condanna­ to ipso facto. 2 Luca vorrebbe al contrario sollecitare l'interesse dei prin­ cipi del suo tempo per la causa del vangelo. Certo Erode Antipa è un cat­ tivo esempio, ma l'immagine che Luca ne dà non si presenta del tutto ne­ gativa: la sua perplessità è il necessario primo passo in direzione del van­ gelo (9,7). Di conseguenza il tetrarca si pone degli interrogativi 3 (9,9; 23,9) e soprattutto vorrebbe vedere (9,9; 23,8). Luca non condanna questa curiosità nei confronti di Gesù, al contrario." Però l'intenzione che vi si cela (9,9; 23,8) è colpevole, in quanto Erode vorrebbe vedere e ammirare un segno compiuto da Gesù (23,8) non per credere, ma per sentirsi confermato nella sua identità principesca. Secondo Luca un so­ vrano può reagire anche diversamente e dal fondo della sua ansia esiI H. Conzelmann, Mitte, 44 sottolinea giustamente che Erode Antipa è legato alle tre tappe della vita di Gesù (ministero in Galilea, viaggio, Gerusalemme). 2. M. Rese, Oberlegungen, 2. 1 2.-2 1 5 è di opinione diversa e ritiene che Luca abbia la ten­ denza a incupire la figura di Erode. 3 Per Grundmann, 1 8 5 il problema «Giovanni Battista» è agli occhi di Erode risolto; rimane la questione «Gesù» . 4 A detta d i Schmithals, 109, Erode fa questa domanda semplicemente per curiosità, an­ che se «in quanto domanda che nasce dall'imbarazzo ... sarebbe una tappa significativa nel cammino verso la verità» .

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stentiva considerare la fede cristiana come una scelta possibile (Atti 26, 28 ). Luca si aspetta molto dai signori di questo mondo per l'avvenire del­ la chiesa. Tutta la sua opera, in particolare Le. 23 ,6- 1 2, costituisce ac­ canto a Mc. 6, q- r 6 una chiave per l'interpretazione della pericope. 7h-9. Le tre identità possibili (vv. 7b-8) non hanno alcuna importan­ za in sé, l'unica domanda decisiva nella struttura del cap. 9 è quella cri­ stologica: ·dc:; ÒÉ Èa'ttv oO'toc:;, > ) . In Luca l'opinione pubblica identifica Gesù con un profeta risorto (à:vÉa'tYJ) e a titolo di possibilità questa credenza popolare gli sembra plausibile. •••

Queste tre ipotesi hanno in comune l'elemep.to profetico e il dato del redivivus. Esprimono tutte la sorpresa della popolazione di fronte al rin­

novamento della profezia, che si credeva esaurita,s e la misurano sul me­ tro del passato. Si crede possibile solo ciò che si conosce già. Luca non emette un suo giudizio su questo. Per lui sono probabilmente solo delle mezze verità: Gesù non è senza rapporto con la profezia dell'Antico Te­ stamento, ma non nel modo in cui pensano queste persone. In che mo­ do allora, lo verremo a sapere nei passi successivi. Gesù dava l'impres­ sione d'essere un profeta, il che è storicamente importante, e tutta la tra­ dizione sinottica ce lo trasmette. Non sono né gli aspetti messianici né ipotetiche motivazioni sacerdotali che hanno impressionato il popolo: ecco almeno quanto emerge dalla triplice risposta, quella del nostro passo e quella, parallela, di 9,19 (nello stesso ordine: Giovanni, Elia, un profeta). Certo si tratta di una semplificazione cristiana dell'opinione pubblica giudaica a proposito di Gesù. Ciò non toglie che, nonostante quest'influsso cristiano, l'elemento profetico rimanga il fattore dominan­ te.6 I miracoli (cf. Mc. 6, 1 4b) in particolare sono stati visti come segni di un profeta più che opere del messia. E nelle fonti giudaiche Gesù il taumaturgo fu presto bollato come mago.? Il passo di Le. 9,1-6 trasferiva l'attenzione da Gesù ai suoi discepoli, e attraverso loro sull'intera regione; ora si sposta sul sovrano di questo Cf. Mal. 3 ,23-24 (= 4,6-7 LXX ) ; Sir. 48,ro. Sull'attesa del ritorno di Elia nel giudaismo antico cf. F. Hahn, Hoheitstitel, 3 54-3 56. 3 Cf. J.D. Dubois, La figure d'Elie dans la perspective lucanienne: RHPR 5 3 ( 1973 ) 1 5 5176. 4 Cf. H. Conzelmann, Mitte, 19 s. 5 Cf. 1 Macc. 14,4 1 ; Rengstorf, u 6. 6 Su Gesù profeta cf. Le. 4,24; 7,1 6; 1 3 , 3 3 ; 24,19 e F. Gils, Prophète, 25-29. 7 Cf. M. Smith, ]esus the Magician, London 1978. r

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territorio e si indirizza verso l'opinione pubblica (9,7-9). Eccezional­ mente il capo politico è messo al centro, per metà nella sua funzione di giudice, per metà quale semplice individuo interessato. Erode Antipa non sa né cosa fare né cosa pensare. Come reagirà alla fine il monarca esitante? Luca, assieme ai primi cristiani, concluderà: male.

DISTRIBUZIONE DEI PANI ( 9 , 1 0- 1 7 )

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cure. 12. Il giorno cominciò a declinare. I dodici si avvicinarono e gli disse­ ro: «Congeda la folla, perché vadano ad alloggiare nei villaggi e nelle cam­ pagne dei dintorni e vi trovino provviste, poiché qui siamo in un luogo de­ serto» . 1 3 E disse loro: «Date loro da mangiare voi stessi». E quelli rispo­ sero: «Non abbiamo più di cinque pani e due pesci, a meno di andare noi stessi a comperare viveri per tutte queste persone>> . 14 C'erano lì circa cinquemila uomini. Disse ai suoi discepoli: «Sistemateli per gruppi di cin­ quanta persone circa ». 1 5 Loro fecero così e li sistemarono tutti. 1 6 Pren­ dendo allora i cinque pani e i due pesci e alzando gli occhi al cielo, li bene­ disse e li spezzò e li dava ai discepoli perché li servissero alla folla. 17 Essi mangiarono e furono tutti saziati: e la folla si portò via i pezzi di pane già spezzato avanzati, dodici ceste. Il contesto. L'introduzione a questa pericope (v. 1oa) serve anche da con­ clusione a un precedente episodio: 1 l'invio dei dodici in missione (9,1 -6). Anche se non ha nulla di preciso da raccontare su ciò che hanno fatto, Lu­ ca tiene a ricordare il rapporto che i dodici presentano a Gesù al loro ritor­ no. Questa introduzione si ricollega anche a ciò che segue immediatamen­ te, l'intenzione di Gesù di ritirarsi con i suoi discepoli (9,1ob). Dopo il tem­ po consacrato all'attività esterna è venuto il momento della riflessione al­ l'interno della comunità. La distribuzione dei pani (titolazione più precisa rispetto a «moltiplicazione dei pani>> ) avviene nella solitudine e si pone nel­ lo stesso rapporto con la missione che ha la celebrazione segreta dell'ulti­ ma cena con la predicazione pubblica nell'antichità cristiana.

I dodici apostoli hanno un ruolo importante da svolgere nella distribu­ zione dei pani (9, 1 0- 1 7) come nella missione (9,1-6). La « grande omis­ sione» di Luca (tra 9, 1 7 e x 8 ) 1 fa passare di colpo dal nostro racconto alla confessione di Pietro, che costituisce così una risposta impressio­ nante alla domanda di Erode (9,7-9). Ci troviamo dunque di fronte a una combinazione di due blocchi incastrati l'uno nell'altro: la missione e la distribuzione dei pani sono inseriti tra la domanda cristologica e la risposta. La tradizione. I quattro vangeli presentano sei resoconti di saziamento miracoloso: quelli dei cinquemila (Mc. 6,3 1-44 l Mt. 14, 1 3 -2.1 l Le. 9,1017), quelli dei quattromila (Mc. 8,1-10 l Mt. 1 5 ,3 2.-39) e quello dei cinque­ mila di Giovanni ( Cv. 6, 1-1 5 ), che riprende alcuni tratti particolari delle due varianti sinottiche. Non è dunque la situazione solita in cui Marco e Q presentano dei doppioni. Il secondo racconto di Marco cade in Luca nel quadro della «grande omissione». Una simile assenza sorprende, in quanto r Luca l'ha interrotto con la reazione di Erode all'attività di Gesù. Marco va oltre, poi­ ché inserisce anche un altro intermezzo, il racconto della mone di Giovanni Battista 1 Cf. sotto, pp. 5 5 7 s. (Mc. 6,1 7-:Z.9).

DI STRIBUZIONE DEI PANI

la localizzazione in territorio gentile e il numero simbolico dei sette panieri rimasti, che fanno pensare alla chiesa etnicocristiana, avrebbero potuto at­ tirare l'attenzione di Luca. Ma Luca evita i doppioni. I In ogni caso il rac­ conto di 9,IO- I 7 non subisce alcuna influenza dalla seconda distribuzione di pane narrata in Marco. La versione di Giovanni pure ha solo due punti di concordanza fortuiti con il racconto di Luca. 1 Luca lavora in 9,IO-I7 sul primo racconto di Marco, conservandone lo stesso ordine degli episodi e }asciandone vedere la forte influenza sul piano del contenuto. Le poche concordanze, di importanza variabile, con Matteo non bastano a concludere che i due vangeli dipendano anche, qui, da una ipotetica variante uscita da Q.3 La transizione di Mc. 6,3 I risulta forte­ mente ridotta (9,Io); l'allusione scritturistica alle pecore senza pastore vie­ ne soppressa e sostituita da guarigioni (9,I I ); eliminato anche il dialogo che era collocato tra l'ordine «date loro da mangiare voi stessi » e l'indicazione della presenza di cinque pani e due pesci (9,I 3 ); si riscontra la presenza di wad, «circa » (cf. Mt. J4,21 ) e di d1tEV, , che tro1 Il suggerimento dei discepoli (v. 1 3 b) è un'obiezione avanzata in maniera discreta più

che una proposta; cf. Loisy, 2.65 .

:t Contra A.M. Farrer, Loaves, che stabilisce in Marco un legame tra i cinque pani e i cinquemila uomini da una parte, i dodici pani di proposizione (Lev. 2.4,8 ) e le dodici tri­ bù dall'altra. « Settemila devono ancora ricevere i loro pani» (p. 4) e a p. 1 2. precisa che Luca ha conservato questo simbolismo di Marco.

3 In greco moderno il pesce, �pl, viene dal greco antico Ò�piOV (diminutivo di oljlov), il cui significato primo è «ciò che è arrostito» o «ciò che è cotto alla griglia » (Ò1t'taw, «gri­ gliare» , «arrostire» ), poi ciò che in quanto tale si aggiunge al pane per costituire l'intera vivanda. Solo in terzo luogo il vocabolo indica in particolare il pesce fritto; cf. Le. 2.4, 42.: ìx;Swç Ò1t