Luca. Introduzione, traduzione e commento 8821596362, 9788821596360

Testo greco a fronte. Il Vangelo di Luca nella Nuovissima Versione dai Testi Antichi che assicura la fedeltà alla lingua

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Luca. Introduzione, traduzione e commento
 8821596362, 9788821596360

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MATTEO CRIMELLA, nato nel 1969, dal 1994 è presbitero della Chiesa ambrosiana Dottore in Scienze Bibliche, insegna Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale (Mila­ no) e al Seminario Teologico del PIME (Monza).

Vive presso una parrocchia di Milano e all'attività scientifica affianca il ministero pastorale.

Copertina: Progetto grafico di Angelo Zenzalari

Presentazione '\lOVA \ EHSIOl\E DELLA BIBBI \DAl TESTI A"'oTICIII

L

a Nuova versione della Bibbia diii testi antichi si pone sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore amargine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali), il cui primo volwne fu pubblicato nel 196 7. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contemporanee. I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un lato rendere conto dell'andamento del testo e, dall'altro, soddisfare le esigenze del lettore contemporaneo. L'aspetto più i.nllovativo, che balza subito agli occhi, è la scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, necessariamente, anche la possibilità di accostarsi più diret• tamente ad esse. Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo livello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini, i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secondo livello, dedicato al commento esegeticoteologico, presenta le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno, il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto dialogico. Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri, dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera

PRESENTAZIONE

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nel canone, la stmttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche fondamentali, le questimù inerenti alla composizione e, infine, la storia della sua trasmissione. L'n approfondimento, posto in appendice, affronta la presenza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebrazione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie Massimo Grilli Giacomo Perego Filippo Serafini

Annotazioni di carattere tecnico :\'LOVA VER!'IO'\E DEL L\ BIBRL\ DAl TESTI AYJ'ICHI

Il testo in lingua antica

n testo greco stampato in questo volume è quello della ventottesima edizione del Novum Testamentum Graece curata da B. Aland- K. Aland - J. Karavidopoulos - C.M. Martini - Bruce M. Metzger (2012) aulla base del lavoro di E. Nestle (la cui prima edizione è del1898). Le parentesi quadre indicano l'incertezza sulla presenza o meno della/e parola/e nel testo. La traduzione italiana Quando l'autore ha ritenuto di doversi discostare in modo significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti accorgimenti: indicano che si adotta una lezione differente da - i segni quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o versioni, o comunque ritenuta probabile; - le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono necessari in italiano per esplicitare il senso della frase greca. Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi diffuso e abbastanza affermato. r



I testi paralleli Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo commentato con il simbolo Il; i passi che invece hanno vicinanza di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo+.

La traslitterazione La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferimento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.

ANNOTAZIONI

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L'approfondimento liturgico Redatto da Matteo Ferrari, rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani, quindi nella versione CEI del 2008.

LUCA Introduzione, traduzione e commento

a cura di Matteo Crimella

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SAN PAOLO

Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 28th Revised Edition, edited by Barbara and Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, MUnster!Westphalia. IO 2012 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by pennission

IO EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 • 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 • 10153 Torino ISBN 978-88-215-9636-0

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TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Gli autori antichi sono concordi nell'attribuire la composizione del terzo vangelo a un personaggio di nome Luca. Nel 170 Taziano compose il Diatessaron (che significa «attraverso i quattro») nel tentativo di unificare in una sola opera i quattro vangeli: ne consegue che a quella data l'autorevolezza dei testi evangelici era già riconosciuta dalle Chiese. Inoltre, Marcione, Giustino, la Didachè e il Vangelo di Pietro (un testo apocrifo) citano e/o alludono al racconto di Luca, segno che il terzo vangelo già nel II secolo era ben conosciuto. Il Canone muratoriano (databile, secondo la maggioranza degli studiosi, attorno al 170-180) attribuisce a Luca la composizione di un vangelo, che colloca al terzo posto (il documento è mutilo e non sappiamo che cosa c'era al primo e al secondo posto). Anche Ireneo di Lione (circa nel 175-195) ascrive a Luca la composizione di un vangelo, precisando che l'autore è stato un compagno di Paolo (cfr. Contro le eresie 3,1,1 e 3,14,1): egli pone Luca dopo Matteo e Marco, prima di Giovanni. Tale ordine è rispettato da molti codici antichi in nostro possesso. Anche Eusebio di Cesarea insiste sul fatto che Luca fosse compagno di Paolo e autore di due volumi: il vangelo e gli Atti (cfr. Storia della Chiesa 3,4,6). Gli studi critici degli ultimi novant'anni hanno dimostrato la profonda unità fra il terzo vangelo e gli Atti: l'uno e l'altro sono pensati insieme, come volumi unitari. Tuttavia nel momento in cui si è costituito il canone del Nuovo Testamento (agli inizi del

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II sec.), i quattro vangeli sono stati raggruppati e il libro degli Atti è stato separato dal vangelo di Luca e posto appena prima delle lettere paoline, di cui fornisce il contesto. L'inserzione del quarto vangelo ha così scisso l'opera di Luca: in realtà era previsto che i due tomi fossero letti uno di seguito all'altro. A proposito del titolo dell'opera, nelle edizioni critiche del testo greco del Nuovo Testamento si pone abitualmente come soprascritta KATA LOUKAN, ovverosia «secondo Luca>>. Un simile titolo è certamente editoriale, posto cioè all'inizio del racconto da qualcuno che ha ordinato i differenti scritti del Nuovo Testamento. Tuttavia Hengel 1 ha dimostrato, analizzando attentamente papiri, codici, scritti dei Padri e versioni antiche, che già nel II secolo era largamente diffusa l'usanza di dare un titolo ai quattro volumetti. Le inscriptiones (poste in testa all'opera) o le subscriptiones (poste al termine) sono concordi: nel caso del terzo vangelo si usano le parole euangélion katà Loukan, ovverosia «vangelo nella versione di Luca>>. Un simile titolo (comune anche a Matteo, Marco e Giovanni) distingue i quattro testi dagli altri scritti antichi, solitamente contrassegnati dal nome dell'autore al genitivo e dal titolo dell'opera (come avviene, per il NT, nelle lettere cattoliche). L'inusuale inscriptio indica che gli evangelisti non intendono apparire in qualità di autori "biografici" come altri, ma attraverso la loro opera vogliono offrire la testimonianza dell'annuncio di salvezza di Gesù.

ASPETTI LETTERARI Genere letterario e accorgimenti stilistici Genere letterario. Il genere letterario del racconto lucano è quello evangelico, del quale Luca non è però l 'inventore. Egli riprende il genere letterario creato da Marco, ma accentua la dimensione biografica, inserendo la narrazione dentro una cornice per mezzo dei racconti dell'infanzia (cfr. l ,5-2,52) e delle apparizioni pasquali (c. 24) e offrendo pure alcuni riferimenti cronologici alla storia 1 Cfr. M. Hengel, Die vier Evangelien und das eine Evangelium von Jesus Christus. Studien zu ihrer Sammlung und Entstehung, Mohr Siebeck. TObingen 2008, 87-95.

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dell'impero romano (cfr. 2,1-2; 3,1). Secondo Burridge2 i vangeli, proprio perché concentrati sul ministero e sull'insegnamento di Gesù, dal battesimo fino alla sua morte in croce, rientrano nei canoni della biografia antica. La loro portata cristologica è interpretata come un invito a seguire Gesù e a imitarlo. Le biografie antiche non accumulano gli episodi della vita del protagonista, ma preferiscono sceglieme alcuni che ritengono essere più rappresentativi, facendo emergere la complessità di una personalità, al fine di porne in evidenza i vizi e/o le virtù. Così, la componente morale è prioritaria, mentre gli altri aspetti sono ad essa subordinati secondo le necessità. In una parola, le biografie dell'epoca più che al personaggio, s'interessano di ciò che egli rappresenta. I vangeli, invece, hanno un progetto diverso: loro scopo è convincere e confermare nella fede, condurre il lettore a confessare Gesù. Questa finalità fa la differenza e impedisce di definire i vangeli (e Luca in particolare) una semplice vita di Gesù: essi sono un invito alla fede, posto sotto la forma di un racconto storico-biografico. La genialità delle narrazioni evangeliche è proprio quella di convincere a credere, raccontando la vicenda di Gesù. Fonti. L'autore del terzo vangelo nel suo proemio fa riferimento ad alcuni precursori che si sono cimentati a narrare gli «avvenimenti che si sono compiuti» (l, l). Chi sono questi «molti» di cui Luca parla? Non è facile saper lo, ma il confronto con Marco e Matteo fa emergere somiglianze e differenze. Gli studiosi hanno ipotizzato che Luca abbia avuto sottocchio il racconto di Marco, abbia poi utilizzato la fonte dei detti (chiamata anche Fonte Q) comune anche a Matteo, infine abbia introdotto una serie di racconti propri che non hanno alcun parallelo né nei Sinottici, né in Giovanni. Circa il trentacinque per cento del racconto di Luca proviene dal vangelo di Marco; il terzo evangelista segue sostanzialmente l'ordine del secondo vangelo: ministero di Gesù in Galilea, cammino verso Gerusalemme, passione, morte e risurrezione. Tuttavia Luca compie alcune significative aggiunte: la «piccola inserzione» (6,20-8,3) che di fatto corrisponde al discorso della pianura e agli 2 Cfr. R.A. Burridge, Che cosa sono i vangeli? Studio comparativo con la biografia greco-romana, Paideia, Brescia 2008.

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episodi del capitolo 7, mentre la «grande inserzione» (9,51-18, 14) quasi coincide con il «grande viaggio» verso Gerusalemme. Luca però tralascia del materiale di Marco (piccola omissione): quanto è detto in Mc 9,41-10,12 viene soppresso nel terzo vangelo. Infine, l'evangelista sposta il discorso sul servizio (che in Marco segue immediatamente la terza predizione della morte [cfr. 10,42-45]) nel contesto della passione (cfr. 22,25-27). Non bisogna poi dimenticare che, se da un lato Luca concede ampio spazio al «grande viaggio», dall'altro omette tutti gli spostamenti di Gesù al confine e al di fuori della terra d'Israele (cfr. in Marco e Matteo i viaggi a Tiro, Sidone e Cesarea di Filippo, e i passaggi attraverso la Decapoli). La dipendenza da Marco non significa che Luca riproponga tale e quale la sua fonte: egli ha operato un vero e proprio lavoro di riscrittura. Anzitutto il greco del terzo vangelo è più raffinato di quello di Marco: lo stile è più elegante, alla paratassi subentra l 'i potassi, i termini aramaici vengono evitati. Inoltre Luca cancella i riferimenti alle emozioni di Gesù che Marco registrava (cfr., p. es., Mc 1,41 e Le 5,13; Mc 3,5 e Le 6,10). Altro materiale narrativo del terzo vangelo proviene dalla fonte dei detti (Q): quanto non c'è in Marco ma è condiviso da Matteo e da Luca è stato attribuito dagli studiosi a un'ipotetica fonte scritta, indicata con la sigla Q (dal tedesco Quelle, che significa «fonte»; da cui la curiosa espressione ormai in uso di «fonte Q»). Questo materiale è quasi interamente inserito nella piccola e nella grande inserzione, dove spesso si mescola con testi propri di Luca. Essenzialmente (con qualche eccezione) questi testi sono raggruppati in quattro sezioni (3,7--4,13; 6,20--7,35; 9,51-13,35 e 17,23-37). Infine, una parte importante del racconto (quasi metà) appartiene solo al terzo vangelo: è chiamato «materiale proprio» o, in tedesco, Sondergut. L'elenco è ricco e più ampio di quello che offriamo. Essenzialmente: il proemio (l, 1-4), il racconto dell'infanzia (l ,5-2,52), la genealogia di Gesù (3,23-38), la predicazione a Nazaret (4, 16-30), l'incontro con Marta e Maria (l 0,38-42), l'episodio di Zaccheo (19, 1-10), il lamento su Gerusalemme (19,4144); molte parabole: il buon samaritano (10,25-37), il ricco stolto (12,16-21), il fico sterile (13,6-9), la dracma perduta (15,8-10), il

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figlio prodigo (15, 11-32), l'amministratore scaltro (16, 1-8), Lazzaro e il ricco ( 16,19-31 ), il giudice iniquo e la vedova importuna (18, 1-8), il fariseo e l'esattore (18,9-14); alcuni miracoli: la pesca abbondante (5,1-11), la risurrezione del figlio della vedova di N ai n (7, 11-17), la guarigione della donna curva ( 13, l 0-17), la guarigione de li' idropico (14, 1-6), la purificazione dei dieci lebbrosi (17, 1119); alcuni episodi della passione: la ricompensa promessa agli apostoli (22,28-32), il detto sulle due spade (22,35-38), Gesù inviato a Erode (23,6-12), il buon )adrone (23,39-43); i racconti pasquali: l'apparizione ai discepoli di Emmaus (24,13-35), l'apparizione agli Undici (24,36-49), l'ascensione (24,50-53). Lingua. Da sempre il greco di Luca (insieme a quello della lettera agli Ebrei) è considerato come il più accurato ed elegante del Nuovo Testamento: il terzo evangelista pensa e scrive nella cosiddetta lingua koinè, ovverosia il greco che si era diffuso nel mondo antico con Alessandro Magno. Luca padroneggia stili diversi: nel proemio (l, 1-4) imita a perfezione i grandi classici, nei racconti dell'infanzia (1,5-2,52) si rifa alla Settanta (la traduzione greca della Bibbia), in altri passi utilizza la lingua corrente. Tale varietà è coerente col progetto narrativo e teologico di Luca: egli intende raccontare la storia della salvezza, ben ancorata nella rivelazione fatta a Israele (e attestata nella Bibbia che per Luca è di fatto la Settanta) e insieme aperta a tutte le genti. Stile. Luca racconta facendo uso di alcune modalità letterarie sue proprie. Ne mettiamo in luce un paio: le scene-tipo e il triangolo drammatico. Luca presenta la relazione di Gesù con gli scribi e i farisei, ricorrendo alle scene-tipo. Si tratta di situazioni che ricorrono più volte nella narrazione: le caratteristiche degli episodi sono simili, vi sono frasi-chiave, emergono però significative variazionP. Le quattro scene-tipo nelle quali troviamo i capi giudei sono le seguenti. l) Gesù mangia con gli esattori e i peccatori; scribi e farisei mormorano e Gesù replica (cfr. 5,29-32; 15,1-3; 19,1-10). 2) Gesù guarisce in giorno di sabato alla presenza dei capi giudei 3 Cfr. R.C. Tannehill, The Narrative Unity of Luke-Acts: A Literary Interpretation. 1: The Gospel According to Luke, Fortress, Philadelphia 1986, 170-171.

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che si oppongono al suo comportamento. Ali' obiezione di Gesù, che difende il proprio agire, i suoi avversari non sanno rispondere (cfr. 6,6-11; 13, l 0-17; 14, 1-6). 3) Gesù mangia in casa di un fariseo ma emerge un conflitto; esso offre l'occasione a Gesù di mettere in discussione il comportamento e le idee farisaiche (cfr. 7,36-50; 11 ,3 7-54; 14, 1-24). Il banchetto diventa cifra della salvezza donata da Gesù, offerta che chiede una risposta adeguata. 4) Infine, un capo giudeo chiede a Gesù che cosa deve fare per ereditare la vita eterna; si cita la Legge, ma poi sorge un problema per la sua interpretazione, al punto che si superano le aspettative di colui che aveva interrogato (cfr. 10,25-37; 18,18-23). Se sul piano della storia non vi sono collegamenti fra questi episodi, sul piano della costruzione del racconto si stabilisce una connessione che permette al lettore di interpretare e confrontare, entrando così nella ricca prospettiva della teologia di Luca. Il terzo evangelista ama poi rappresentare gli incontri di Gesù con persone che, invece di essere sole, sono in coppia4• Si pensi al fariseo Simone e alla donna peccatrice e alla differenza del loro comportamento nei confronti dell'ospite (7 ,36-50), oppure a Marta e Maria, la cui accoglienza del Signore è così diversa (10,38-42), o, ancora, ai due ladroni in croce che, per quanto accomunati dal medesimo terribile supplizio, sanno dire parole l'uno d'insulto, l'altro di supplice affidamento (23,39-43). Osservando poi le parabole, si nota che anche là appare un meccanismo molto simile: il sacerdote, il levita e il samaritano incontrano un ferito (l 0,3035), il padre è in relazione col figlio prodigo e col figlio maggiore (15, 11-32), Abraam è in contatto col povero Lazzaro e in dialogo con il ricco ( 16, 19-31 ), Dio è invocato nel tempio dal fariseo e dal pubblicano (18,9-14). Il procedimento narrativo che vede la presenza di tre personaggi in reciproca interazione è stato definito «triangolo drammatico». Questi episodi si caratterizzano, a prima vista, per la contrapposizione antitetica fra due personaggi il cui conflitto è risolto da un terzo. Ogni volta si presenta una coppia: due viandanti, due figli, 4 Cfr. M. Crimella, Marta, Marta! Quattro esempi di «triangolo drammatico;; nel «grande viaggio di Luca», Cittadella, Assisi 2009.

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due morti, due donne, due ospiti, due oranti, due ladroni. Ma il protagonista principale è la terza figura: il malcapitato assalito dai briganti, il padre della parabola, Abraam, Gesù, Dio. La chiave di volta di ogni racconto non sta tanto nella presentazione di due personaggi antitetici, ma nella contrapposizione dei punti di vista. Questi episodi combinano sottilmente suspense e sorpresa sul filo dell'intreccio, disponendo dei tre personaggi del triangolo drammatico che interagiscono all'interno di ogni pericope in modo del tutto originale. Il narratore suscita un'attesa che fa immaginare una soluzione ma, in luogo del superamento prospettato e/o atteso, Luca sorprende il suo lettore per mezzo di qualcosa d'inaspettato. L'imprevedibilità smorza la previsione e ogni pretesa di facile comprensione della vicenda, offrendo più ampio respiro alla narrazione e obbligando a riconoscere la novità introdotta dal racconto. La sorpresa, poi, si pone non solo al livello del racconto ma pure a livello rivelativo, cioè teologico. In altre parole, il lettore è guidato a entrare nella logica del regno di Dio e della rivelazione di Gesù e deve apprendere a valutare la differenza di reazioni, comportamenti, pensieri e parole dei personaggi che popolano i racconti. Il lettore, cioè, deve riconoscere palesi o sottili resistenze al regno di Dio e alla persona di Gesù. Il terzo evangelista educa cosi il suo lettore a discernere, lo rende cioè un interprete delle stesse vicende narrate. A sua volta il lettore, lasciandosi stupire dalle sorprese narrative, conoscendo la caratterizzazione dei personaggi e afferrando la logica delle parabole, scopre la novità rivelati va e teologica che i vari episodi intendono trasmettergli. Così egli diviene un lettore che, passo dopo passo, si allinea al punto di vista di Gesù e fa sua la logica paradossale del regno di Dio. Le resistenze, le obiezioni, le aperture, le trasformazioni dei personaggi sono un prisma per comprendere non solo come la rivelazione entri nelle pieghe dell'umanità, ma pure come l'umanità le offra la possibilità di dispiegarsi. Articolazione del racconto Normalmente è nella cornice che il narratore comunica al lettore che cosa deve aspettarsi dal racconto e come lo deve intendere. All'inizio (cfr. 1,1-4) Luca espone circostanze, metodo e scopo del

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suo scritto, mostrando il legame fra l'autore e i destinatari della sua opera. Il patto di lettura che il narratore propone al suo destinatario abbraccia non solo il vangelo, ma si estende pure allibro degli Atti. Non si parla né di Gesù né di Dio; neppure si fa riferimento all'Antico Testamento: Luca dichiara solo l'intento della sua opera, destinata a «far riconoscere» la fondatezza della fede cui Teofilo è stato iniziato (cfr. l ,4). Non c'è il quid (il «che cosa») del racconto, di cui Luca dirà poi, ma il quomodo (il «come»). In altre parole, il lettore è chiamato a intraprendere un processo di verifica per constatare di persona la fondatezza degli insegnamenti ricevuti nella prima catechesi di base. Il destinatario (chiamato Teofilo) non è una persona digiuna di cristianesimo, non uno che deve essere iniziato. Il racconto di Luca intende cioè consolidare la fede dei suoi destinatari. Andando all'ultimo capitolo del vangelo, all'episodio dei discepoli di Emmaus (cfr. 24, 13-35), troviamo l 'altra parte della cornice: vi sono due discepoli, Cleopa e un anonimo compagno; Gesù cammina con loro ma essi non lo riconoscono. Ascoltando però la sua parola, i loro cuori sono «infiammati» (24,32) e, allo spezzare del pane, finalmente i loro occhi si aprono e riconoscono il Risorto (cfr. 24,31 ). Questo è il passaggio richiesto a ogni lettore del vangelo: dal mancato all'effettivo riconoscimento di Gesù. La cornice dice che cosa è e come si deve intendere quel racconto. Se la cornice iniziale insisteva sulla necessità di riconoscere la fondatezza degli insegnamenti cui il destinatario era stato iniziato, quella finale mostra che tale riconoscimento avviene per mezzo della fede e riguarda Gesù, il Crocifisso risorto. Oggi gli studiosi sono sempre più convinti che il vangelo e gli Atti degli Apostoli siano da leggere insieme, come una sola opera pensata e scritta dall'evangelista come un'unità. La continuità dell'opera lucana è narrativa ma pure teologica. Due sono glielementi principali che unificano i tomi: il simbolo geografico e il tema del viaggio. Al centro del racconto di Luca-Atti v'è Gerusalemme: è la città della passione, della morte e della risurrezione di Gesù, ma è pure al cuore della fede d'Israele. Il vangelo si apre proprio a Gerusalemme (dopo il proemio, la prima scena è nel tempio, cfr. l ,5-25) e si chiude ancora a Gerusalemme: gli Undici e gli altri,

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dopo l'ascensione di Gesù, «ritornarono a Gerusalemme con gioia grande e stavano sempre nel tempio, benedicendo Dio» (24,5253). Luca poi, sovrapponendo il finale del vangelo e l'inizio degli Atti, comincia il secondo volume proprio a Gerusalemme, narrando ancora una volta- ma non senza differenze -l'ascensione di Gesù (At 1,1-11). Ma v'è pure il tema del viaggio. Il vangelo è dominato dal tema della salita verso la città santa: a partire da 9,51 Gesù «prese fermamente la strada verso Gerusalemme». Entrato poi nel tempio (cfr. 19,45), vi rimane e la passione, come pure la risurrezione, sono a Gerusalemme, senza andare in Galilea (come invece avviene nel vangelo di Matteo). Ne consegue che il vangelo è un grande viaggio che parte da Nazaret (luogo iniziale del ministero di Gesù) e giunge a Gerusalemme. Gli Atti, invece, partono da Gerusalemme e sono il cammino del vangelo verso gli estremi confini della terra, secondo l'ordine impartito dal Risorto agli Undici (cfr. At l ,8). Naturalmente c'è da chiedersi: come può Roma, il cuore dell'impero, corrispondere all'«estremità della terra» (At 1,8)? Si tratta di una contraddizione? Riteniamo che l'ordine del Risorto e il conseguente compito dei discepoli non si esauriscano nel racconto degli Atti, la cui narrazione giunge solo fino a Roma. La corsa del vangelo procede anche oltre e arriva sino al lettore, oggi. Si è visto come Luca adatti il racconto di Marco, sviluppando alcuni aspetti biografici assenti nel vangelo più antico. Tenendo dunque conto sia dell'elemento biografico, come di quello geografico e de li' importanza di Gerusalemme nell'opera lucana, possiamo individuare quattro momenti fondamentali nella narrazione: l, 1-4 Proemio Giovanni Battista e Gesù l ,5-4, 13 4, 14-9,50 Ministero di Gesù in Galilea 9,51-19,44 Il cammino verso Gerusalemme 19,45-24,53 Gesù a Gerusalemme Si nota come Luca situi con molta precisione e coerenza l'attività pubblica di Gesù in tre scenari ben definiti. L'indizio più chiaro di quest'ordine geografico è la dichiarazione di 9,51. A partire da qui inizia una sezione molto più estesa rispetto a Marco e caratte-

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ristica del terzo vangelo, quella del cammino verso Gerusalemme o «grande viaggio» (9 ,51-19,44). Nei capitoli precedenti l'attività pubblica di Gesù è collocata in Galilea (4,14-9 ,50), con un segnale d'inizio in 4, 14; dopo l'ingresso nel tempio (19,45), invece, Gesù non si allontana più dalla città santa (19,45-24,53). L'elemento biografico appare soprattutto ali 'inizio della narrazione, allorché Luca racconta l'origine, la nascita e il principio dell'attività di Gesù per mezzo di un serrato confronto con l'origine, la nascita e l'attività di Giovanni Battista. Dopo il proemio (l, 1-4), la prima parte del racconto (l ,5-4, 13) è tutta giocata su un confronto fra Giovanni il Battista e Gesù (genere molto amato nel mondo ellenistico, la cosiddetta sjnkrisis o comparatio). Luca apre il suo racconto alternando la presentazione di Giovanni il Battista e quella di Gesù. Sembra che Luca proceda con un parallelo perfetto: prima l'uno poi l'altro; in realtà l'evangelista mostra la sproporzione fra i due personaggi, anzitutto dedicando alcuni episodi solo a Gesù (2,22-40.41-52), per mostrare che l 'uno è solo il profeta dell'Altissimo, colui che prepara un popolo ben disposto (cfr. 1,76), mentre l'altro è colui che porta la salvezza; il bambino deposto nella mangiatoia in realtà è «un salvatore, che è Messia Signore» (2, 11 ), la luce che porterà la rivelazione di Dio a tutte le genti (cfr. 2,29-32). Anche gli inizi della loro attività confermano questa differenza: Giovanni è semplicemente il precursore (cfr. 3, 1-20), Gesù invece è il Figlio di Dio, come rivelano il battesimo (3,21-22), la genealogia (3,23-38) e l'episodio delle tentazioni (4, 1-13). Occorre sottolineare almeno ancora un aspetto. Il lettore, al termine di questa parte, conosce tutto a proposito dell'identità di Gesù: sa che è il Messia (il Cristo), il salvatore, il Signore, il Figlio di Dio, la luce delle genti. A informare il lettore di tutto ciò sono stati personaggi singolari: angeli (Gabriele e le schiere celesti), persone ricolme di Spirito Santo (Elisabetta, Simeone, Anna), la voce dal cielo e addirittura il diavolo. Il lettore, in certo senso, non deve scoprire più nulla; ormai conosce tutto dell'essere segreto di Gesù. La sua domanda dunque non sarà tanto chi è Gesù, ma come riconoscerlo, unendo il suo essere (ormai dichiarato) e il suo

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apparire, verificando la coerenza fra la sua identità e le sue azioni. Dopo il solenne portale d'ingresso, Luca narra l'attività di Gesù in Galilea (4, 14-9,50), ritenuta da quasi tutti i commentatori una sezione abbastanza omogenea e coerente con Marco, la fonte del terzo vangelo. Luca fa iniziare il ministero di Gesù a Nazaret (4, 16-30): l'episodio ha un forte ruolo prospettico. Il programma cristologico è come sintetizzato nello svolgersi di questo racconto: la proclamazione messianica si fonda sulle Scritture, il lieto annuncio ai poveri prefigura lo stile di Gesù, l'esempio delle azioni profetiche a favore della vedova di Sarepta e di Naaman il Siro anticipano l'elezione dei pagani, il rifiuto opposto a Gesù adombra la passione, il suo congedo rivela che Gesù domina gli avvenimenti. Vi è poi una serie di episodi molto vari: miracoli, istruzioni per i discepoli, prese di posizione contro gli oppositori, parole rivolte a tutti. Gesù mostra di avere autorità sui demoni, perdona i peccati, chiama a conversione, guarisce i malati, ha potere sulla morte. Ogni episodio apre uno scorcio sull'identità di Gesù che il lettore conosce bene dalla prima parte, ma sulla quale s'interrogano il Battista (cfr. 7, 18-23), Erode (cfr. 9,7-9), gli stessi discepoli (cfr. 9,45). Tutte le manifestazioni di Gesù sono coerenti con la proclamazione di Nazaret. Gesù ha dichiarato di essere colui che realizza quelle promesse ma, insieme, le supera. Indubbiamente compie opere che evocano alla coscienza d'Israele la presenza del Messia, ma ne fa altre (perdonare i peccati, comandare alla natura), riservate unicamente a Dio. Insomma, Gesù mostra di essere il Messia, ma la sua persona sorprende, interroga, supera di gran lunga le attese. In 9,51 c'è una forte cesura: inizia il «grande viaggio», la sezione più singolare del racconto lucano. La notizia del cammino verso Gerusalemme è ripetuta altre tre volte, scandendo la narrazione (13,22; 17,11; 19,28). In realtà, nonostante questa insistenza, l'itinerario geografico non è preciso. Pare insomma che Luca abbia voluto insistere a dire che Gesù sta camminando verso la città santa, anche se poi non pare muoversi molto; solo al termine (cfr. 18,35; 19,1) vi sono indicazioni che si stia avvicinando a Gerusalemme. Se l'inizio del «grande viaggio» è quasi universalmente riconosciuto dai commentatori, la chiusura della sezione è molto

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discussa. Alcuni pongono la fine del viaggio in 19,44, ma vi sono pure altre ipotesi interpretative che lasciano la discussione aperta (si oscilla da 18,14 a 19,48)5• Utilizzando i criteri dell'analisi narrativa, individuiamo una cesura in 19,44, alla fine del racconto del pianto di Gesù alla vista della città santa. In 19,45, infatti, lo spazio cambia: Gesù entra nel tempio e il suo cammino è ormai giunto a destinazione; cambiano pure gli attori: della folla e dei farisei non si farà più parola, mentre entrano in scena il popolo e i sommi sacerdoti con gli scribi. Rispetto alla fase precedente, quella del ministero in Galilea, questa è caratterizzata da una maggiore radicalità e complessità. Gesù sta camminando verso Gerusalemme, la città della passione, della croce e della risurrezione. L'opposizione alla sua persona cresce in modo esponenziale. Allorché Gesù vede Gerusalemme, piange (19,41-44): mentre Zaccaria proclamava la visita di Dio (cfr. l ,68) e la folla entusiasta acclamava: «Dio ha visitato il suo popolo» (7, 16), la città santa non accoglie la visita divina in Gesù. La prospettiva è più drammatica: si profilano non solo l'accoglienza ma pure il rifiuto e la chiusura (cfr. 18, 18-23 ). Inoltre l 'insegnamento di Gesù si fa più complesso. A prenderlo alla lettera, senza un minimo d'intelligenza, pare addirittura contraddittorio. Come unire, per esempio, l 'immensa bontà del padre della parabola (15,11-32) e il giudizio severo nei confronti del ricco epulone ( 16,19-31 )? Il padre va incontro al prodigo, esce verso il maggiore colmo d'ira, mostra di non avere la mentalità dei due figli, unicamente legata al dare e all'avere, al denaro e ai meriti da conteggiare: egli è ben diverso da loro e le sue ragioni, le sue scelte, il suo modo di agire sono di tutt'altra natura. Fuor di metafora: gli uni (che siano giusti e/o giudei) e gli altri (peccatori e/o pagani) devono scoprire la novità di un Padre misericordioso ma, soprattutto, devono abbandonare la loro logica economica (logica che accomuna il minore e il maggiore), per accogliere quella del 5 Osserva G.C. Bottini, Introduzione all'opera di Luca. Aspetti teologici, Franciscan Printing Press- Terra Santa, Jerusalem- Milano 2011, 27-28: La fine del "grande viaggio" «è variamente delimitata a seconda del criterio adottato. Per alcuni si conclude in 18,14 perché in 18,15 Luca riprende a seguire Marco; per altri si conclude in 19,27 o 19,28 oppure in 19,44 con l'arrivo di Gesù a Gerusalemme; per altri infine il viaggio culmina in 19,45-46 con l'ingresso nel tempio».

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Padre, che è tutta improntata alla gratuità e al dono. Se poi però si considera la parabola del ricco, il tono cambia: per lui è troppo tardi. L'insensibilità che l'ha caratterizzato in vita non ha più la possibilità di un riscatto. Ne viene allora il ritratto di un Dio che è un Giano bifronte, contraddittorio? Certamente no! L'insegnamento di Gesù è complesso e, solo tenendo insieme tutto, si è autenticamente suoi discepoli, lo si segue sulla strada verso Gerusalemme. La scoperta dell'infinita misericordia di Dio non può che diventare attenzione ai poveri; diversamente è pura e vuota retorica. Ancora una volta Gesù è sorprendente e il suo insegnamento ancor di più. Sorge una domanda: qual è la relazione fra il cammino verso la città santa (ovverosia la forma, per quanto stereotipata, della narrazione) e gli insegnamenti ai discepoli, le polemiche con gli avversari, i dialoghi, le parabole (cioè il contenuto)? Le risposte che gli esegeti hanno dato sono differenti. Secondo Conzelmann la costruzione redazionale del viaggio è rivelativa della concezione cristologica di Luca: «La consapevolezza di Gesù del suo destino di sofferenza viene espressa come viaggio. Intanto, Gesù è itinerante in luoghi non diversi dai precedenti. È il suo modo di essere itinerante che è cambiato. Ora egli ha dinanzi a sé la meta, per incamminarsi verso la quale di fatto, secondo 13,33, non deve imboccare un'altra strada» 6 • Luca non deve rivelare l'identità messianica di Gesù; l'accento dunque non cade tanto su chi è Gesù, ma su come si manifesta. Altri autori, invece, prediligono l'interpretazione ecclesiologica: la presenza di detti e di parabole, i numerosi insegnamenti e le controversie mostrano la tendenza parenetica e didattica, cioè ecclesiologica. Un terzo gruppo di studiosi, d'altro canto, sottolinea la portata sia cristologica sia ecclesiologica del «grande viaggio»: «Se Gesù sale alla città del suo destino secondo quanto è stabilito, prepara i suoi discepoli alla missione di annunciare e di proclamare il suo messaggio di salvezza dopo la sua morte e risurrezione sino ai confini della terra (At l ,8). Il racconto di viaggio diventa pure una collezione di insegnamenti per la giovane Chiesa missionaria dove l'istruzione dei discepoli 6 Cfr. H. Conzelmann, Il centro del tempo. La teologia di Luca, Piemme, Casale Monferrato 1996, 72.

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segue al dibattito con gli oppositori» 7• Sicché al tema della salita di Gesù verso Gerusalemme- in realtà salita al Padre- s'aggiunge il tema della sequela sullo sfondo della salvezza escatologica donata a Israele e ai pagani. Nel «grande viaggio» le azioni potenti di Gesù intendono «provocare la discussione e, in tal modo, svelare le radici profonde del rifiuto, delle resistenze» 8 • In altre parole, la narrazione del viaggio è la proclamazione del Regno che viene con Gesù. Perciò il lettore è condotto a entrare nelle vie paradossali di Gesù, cioè di Dio. Una tale ridda di interpretazioni mostra la grande ricchezza ma pure la complessità del «grande viaggio». Come una pietra preziosa dalle molte sfaccettature, così la narrazione lucana rivela la sua poliedricità: ogni tentativo di definizione ne evidenzia un aspetto senza esaurirne il significato. Quando finalmente Gesù arriva a Gerusalemme, entra nel tempio. Quest'ultima parte del racconto (19,45-24,53) è caratterizzata dall'unità di luogo: tutto avviene nella città santa. Gesù anzitutto insegna nel tempio (19,45-21,38): si difende dagli attacchi a lui rivolti, poi fa un discorso assai complesso, il cosiddetto «discorso escatologico» (21 ,5-36), il cui tono di speranza è più accentuato che nei paralleli di Marco e Matteo. Segue la passione vera e propria (che prende gli interi cc. 22 e 23). Di essa vale la pena sottolineare solo un aspetto: Gesù è rappresentato come un profeta sofferente, come il «servo di YHWH» di cui parla Isaia (cfr. Is 52,13-53,12). Il Messia, cioè, è annoverato fra i peccatori e intercede a loro favore; è rifiutato dai suoi e diviene colui che li salva; per coloro che lo uccidono invoca il perdono. V'è una vera e propria ironia del capovolgimento, cioè una sorpresa narrativa e teologica. Ne è prova il triplice «Salva te stesso!» rivolto al Crocifisso: prima sulla bocca dei capi (23,35), poi sulle labbra dei soldati (23,37), infine come urlo disperato delladrone (23,39). Capi, soldati e ladrone intendono la salvezza come capacità di scampare dalla morte onnai imminente: sarebbe la prova incon7 J.A. Fitzmyer, The Gospel According to Luke (1-JX): Introduction, Translation, and Notes, Doubleday, Garden City 1981,826. 8 J.-N. Aletti, L 'arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca, Queriniana, Brescia 1991, 99.

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futabile della messianicità. Gesù, invece, si dimostra il salvatore proprio perché non salva se stesso dalla morte. Il buon ladrone intuisce questo mistero nascosto del Crocifisso: egli riceve salvezza proprio in forza della morte di Gesù. Infine, l'ultimo capitolo del vangelo è dedicato ai racconti pasquali. Luca comprime i tre racconti (le donne al sepolcro, i discepoli di Emmaus, l'incontro degli Undici e degli altri col Risorto) in un unico giorno e li colloca a Gerusalemme. Il vangelo tennina, così, con Gesù che sale in cielo (cfr. 24,51 ): un modo per dire che Gesù appartiene onnai al mondo di Dio. Ma il racconto di Luca non è ancora tenninato perché continua con gli Atti degli Apostoli. Del secondo tomo offriamo solo due veloci annotazioni. Come già ricordato, anche il libro degli Atti ha un filo rosso legato alla geografia (cfr. At l ,8): si va da Gerusalemme a Roma. Dopo l'ascensione (At l, 1-11) la narrazione è ambientata a Gerusalemme (At 1,12-8,1a), poi si va in Giudea e Samaria (At 8, 11r-11, 18), infine verso i confini della terra (At 11,19-28,31 ). In questo modo la disposizione del secondo tomo di Luca è speculare al primo. L'altra annotazione: il libro degli Atti degli Apostoli (proprio a partire dal suo nome) può essere inteso come il racconto delle vicende degli apostoli (Pietro, Stefano, Filippo, Barnaba e, infine, Paolo). Ciò in parte è vero; in realtà, il grande protagonista del libro è il Signore risorto, che per mezzo del suo Spirito agisce negli apostoli. È la corsa della parola del vangelo nel mondo intero. La parola cresce (cfr. At 6, 7; 12,24; 19,20), si diffonde (cfr. At 13,49). Paolo addirittura si dedica tutto «alla Parola» (At 18,5) e alla fine del libro annuncia con franchezza e senza impedimento «il vangelo del Regno» (At 28,31 ), esattamente come Gesù.

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

La teologia di Luca è da leggere fra le righe del vangelo e degli Atti, disseminata in ogni pagina. Fra le molte dinamiche teologiche che emergono ne sottolineiamo solo alcune che rivestono una certa importanza.

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La storia della salvezza e l'escatologia Un contributo fondamentale del XX secolo sull'opera lucana è quello pubblicato nel 1954 da Conzelmann9• La tesi dell'esegeta tedesco, a partire da Le 16, 16, è che Luca distinguerebbe tre fasi nella storia della salvezza: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora è annunciata la buona notizia del regno di Dio, e ciascuno si sforza di entrarvi». Fino a Giovanni Battista compreso v'è il tempo d'Israele, ovvero il tempo della promessa; il Battista, diversamente da Mt 3,2, non annuncia il Regno ma è un predicatore di giudizio, come i profeti. Poi, con Gesù, è inaugurato il periodo del Regno annunciato e manifestato (cfr. Le 4,17-21; 18,31; 22,3 7; 24,25-27); il tempo di Gesù è, nella visione di Conzelmann, «il centro del tempo». Segue il tempo della Chiesa, inaugurato dalla venuta dello Spirito nella Pentecoste (cfr. At 2, 1-13 ). Rifacendosi all'esortazione del Risorto agli Undici («Non spetta a voi conoscere i tempi o i momenti»: At 1,7), Conzelmann conclude che lo Spirito «rende superflua la conoscenza di quando [le cose ultime] accadranno ... Luca si richiama consapevolmente al fenomeno dello Spirito per risolvere il problema della parusia» 10 • La soluzione è radicale: si rinuncia all'imminenza del ritorno del Signore, sostituendola con un'ampia storia della salvezza in cui lo Spirito è il protagonista. Il tentativo di Conzelmann non può che essere apprezzato, non fosse altro per la valorizzazione della redazione lucana e della categoria della storia della salvezza. Dopo sessant'anni, tuttavia, emerge anche qualche limite. La triplice scansione della storia della salvezza appare troppo rigida: il tempo della Chiesa non può essere separato nettamente da quello di Gesù, in quanto il protagonista del libro degli Atti è, ancora una volta, il Cristo risorto. Gli Atti affermano ripetutamente la continuità fra i due tempi. Fra Gesù e la Chiesa, l'ascensione- non a caso narrata due volte da Luca (Le 24,50-53; At l ,6-11) con un effetto di sovrapposizione ma pure con non poche differenze- rappresenta un collegamento, non una spaccatura. Anche la sostituzione dell'attesa escatologica con la Chiesa e la sua opera missionaria - sostituzione che ha dato vita al concetto 9

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Cfr. H. Conzelmann, Il centro del tempo. /vi, )46.

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di «protocattolicesimo» - appare essere il tributo che l'esegeta ha dovuto pagare a una certa teologia protestante. Giocando sulle parole è possibile dire: più che «il centro del tempo» Gesù è «il centro dei tempi». Il tempo d'Israele e quello della Chiesa, nella visione di Luca, non sono tutt'altra cosa rispetto al tempo di Gesù, ma sono con quello profondamente connessi. Negli Atti Luca ha inteso proseguire la sua opera, incentrata sulla storia della salvezza che nel tempo di Gesù ha avuto il suo «oggi» (cfr. Le 2, 11; 4,21; 19,5.9; 23,43) definitivo e che ora, sotto l 'impulso dello Spirito Santo (lo stesso Spirito del Risorto), si prolunga nella Chiesa e nel mondo. In altre parole: la considerazione della storia della salvezza rivela che al centro della teologia lucana sta la cristologia. Luca indubbiamente è uno storico, ovverosia un narratore che racconta una serie di vicende ancorate nella trama del suo tempo (cfr. 2, 1-2; 3, 1-2; 13,31 ). Il suo interesse non è tuttavia solo storiografico, ma pure teologico, in quanto racconta una storia nella quale interviene Dio. Non è dunque il ritardo della parusia a far scattare l'attenzione alla storia; egli nutre piuttosto la convinzione che non esiste salvezza fuori dalla storia. In questo senso Luca è in linea con la tradizione storiografica dell'Antico Testamento, che narra una vicenda nella quale Dio stesso interviene a favore d'Israele.

La relazione Chiesa-Israele Intrecciato col tema della storia della salvezza, v'è il rapporto fra Israele, la Chiesa e i pagani''· Dietro questa relazione v'è il problema di individuare un punto di vista che consenta di cogliere lo scopo e l'unità dei due tomi lucani (vangelo e Atti), senza cadere nella fatale alternativa fra storia e teologia, alternativa che ha caratterizzato per lunghi anni la letteratura secondaria a proposito dell'opera «a Teofilo». Il proemio del vangelo rivela sia il carattere storiografico sia la finalità ecclesiale dell'intera opera lucana; l'evangelista si è posto nel solco di Marco e ne ha condiviso il presupposto, mostrando l'identità fra il Risorto e il Gesù terreno. La narrazione di Atti, dal canto suo, non aggiunge molte integrazioni. 11 Cfr. V. Fusco, «Progetto storiografico e progetto teologico nell'opera lucana», in Id., Da Paolo a Luca. Studi su Luca-Atti, vol. l, Paideia, Brescia 2000, 15-56.

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Dal punto di vista cristologico il racconto è pienamente concluso con la risurrezione e l'ascensione (cfr. Le 24,50-53), nonostante quest'ultima sia narrata di nuovo all'inizio del secondo volume (cfr. A t l ,9-11 ). I discorsi (densissimi dal punto di vista cristologico) non aggiungono nulla a quanto già si conosce a proposito del kérygma (cioè del nocciolo dell'annuncio cristiano). Anche sotto il profilo escatologico gli Atti non aggiungono nulla: Paolo annuncia il Regno (At 28,30-31 ), la parusia è incompiuta come ali 'inizio del racconto (cfr. At l, 9-11) e alla conclusione del vangelo (cfr. 21 ,25-27). E tuttavia il racconto non è sospeso, in quanto il dialogo iniziale (At l ,4-8) prende una chiara posizione circa il ritardo della parusia. Proprio il problema del rapporto fra Chiesa, Israele e i pagani appare essere promettente per interpretare la finalità dell'intera opera lucana. Nel vangelo ci sono promesse che trovano compimento solo nel libro degli Atti. Il secondo tomo si chiude con un discorso di Paolo ai giudei di Roma (cfr. At 28,28). Queste parole sono un'eco di quanto aveva detto Simeone (2,29-32). La salvezza di Cristo ha raggiunto tutte le genti: nel momento in cui Paolo è giunto a Roma, nel cuore dell'impero, il vangelo può diffondersi in tutta la terra. In altre parole: l'intreccio narrativo non si risolve all'interno del vangelo, ma solo al termine di Atti, nonostante il cambiamento dei personaggi. Quanto si realizza è il piano di salvezza di Dio a favore sia dei giudei sia dei gentili, piano di salvezza che le resistenze umane non possono fermare. Il terzo evangelista, dunque, non mette sullo stesso piano i suoi due volumi. Il vangelo non è una pura ricostruzione storica ma la presentazione di un messaggio ancora attuale, destinato a interpellare il lettore e a illustrargli il cammino della sequela. Con il libro degli Atti invece Luca fronteggia l'accusa della rottura con Israele e quindi di introdurre una discontinuità nella storia della salvezza. Come i discepoli sono stati vinti nella loro cecità dal Risorto il quale ha aperto loro gli occhi per mezzo delle Scritture (cfr. 24, 1335), così in Atti Luca non offre solo una cronaca degli avvenimenti ma la loro interpretazione teologica alla luce delle Scritture. La chiave ermeneutica che permette di leggere queste esperienze della

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Chiesa, rimane sempre la risurrezione di Gesù. I due volumi sono dunque simmetrici, convergenti verso il medesimo centro: il vangelo è proteso verso la Pasqua; negli Atti, invece, la Pasqua aiuta a decifrare gli eventi successivi. Ne consegue un importante corollario a proposito dell'identità cristiana. Da una parte, il terzo evangelista cerca le radici della Chiesa a Gerusalemme, cioè nella continuazione di una storia della salvezza iniziata con Israele. Dall'altra, questa stessa storia si apre a quell'universalità di cui Roma rappresenta il quadro di espansione geografico e politico. V'è dunque continuità con Israele e, allo stesso tempo, sviluppo verso le nazioni: un doppio binario che rappresenta da una parte il compimento delle promesse delle Scritture, dall'altra la risposta alla ricerca religiosa del mondo greco-romano. Tale duplicità non è tuttavia da leggere come punto di partenza (superato) e come punto di arrivo: una tale interpretazione indurrebbe alla tesi del sostituzionismo (la Chiesa ha preso il posto d'Israele nell'economia divina), tesi inaccettabile e non iscritta nel testo. Luca non esclude, piuttosto ingloba per integrazione: il cristianesimo unisce il meglio di quanto presenta il giudaismo e il meglio del paganesimo ellenista. Paolo ripete che la speranza d'Israele trova la sua legittima realizzazione nella fede in Gesù (cfr. At 23,6; 26,6-8; 28,20). La promessa di salvezza è offerta a tutti i popoli proprio nella grande società romana.

Il Gesù di Luca In che modo Luca presenta il personaggio Gesù? Il racconto evangelico accumula una serie di dati a proposito di Gesù nella prima parte (l ,5--4, 13): al termine di quella narrazione il lettore sa praticamente tutto circa il mistero del Nazareno; poi (4, 14-24,53) però deve verificarlo 12 • Nella prima parte la presentazione di Gesù è affidata a varie voci. Il narratore interviene solo quattro volte per caratterizzare il personaggio. Anzitutto, lo chiama «Messia del Signore» (2,26): si tratta di una definizione messianica il cui linguaggio è intimamente legato ali' Antico Testamento (cfr. l Sam 26,9; 12 Cfr. D. Gerber, «Il vous est né un Sauveur>). La construction du sens sotério/ogique de la venue de Jésus en Luc-Actes, Labor et Fides, Genève 2008.

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2Sam l, 16); non a caso l'espressione è messa in relazione con la «consolazione d 'Israele» (2,25) e con la salvezza per «tutti i popoli» (2,31 ). L'intervento salvifico del Dio d 'Israele per mezzo del suo consacrato (il «Cristo») è a favore del suo popolo come pure delle genti. Il narratore sottolinea poi, per mezzo della ripetizione, la particolare «sapienza» di Gesù (2,40.52): il fanciullo mostrerà una chiara comprensione della volontà del Padre suo, in vista del ministero che lo attende. Infine, nella catena genealogica il narratore risale fino a definire Gesù «figlio di Dio» (3,38). Oltre al narratore vi sono le voci celesti, in primis quella di Gabriele. L'angelo rivela a Maria la speciale relazione del nascituro con Dio, definendo Gesù «Figlio dell'Altissimo» (l ,32) e «Figlio di Dio» (l ,35), titoli che toccano la singolarissima relazione con il divino; gli sarà anche dato «il trono di Davi d» (l ,32), segno della sua messianicità. Ai pastori, poi, l'angelo manifesta la funzione di «salvatore» di colui che è chiamato «Messia Signore» (2,11): l'accumulo dei tre termini è davvero eccezionale, ma il lettore non ha elementi per comprendere il tipo di salvezza che Gesù realizzerà. Infine la voce dal cielo riconosce in colui che si è sottoposto al battesimo il «figlio, l'amato» (3,22), colui sul quale discende lo Spirito Santo (3,22). Nel racconto vi sono anche alcune voci umane. La prima è quella di Elisabetta: l'espressione «mio Signore» (l ,43) per designare il figlio nel grembo di Maria è ambigua (cfr. nota). È invece Zaccaria, «ricolmo di Spirito Santo» (l ,67) a caratterizzare colui che poi sarà identificato con Gesù: per mezzo delle metafore del «como di salvezza>> (l ,69, cfr. nota) e dell' «astro che sorge dall'alto» (l, 78) si introduce il tema della manifestazione potente di Dio in favore degli uomini, cioè la sua visita (cfr. l ,68. 78) a scopo salvifico. Simeone poi si riferisce esplicitamente alla «salvezza>> (2,30) offerta da Dio nella persona di Gesù. Infine, il Battista parla di uno «più forte di me» (3, 16), espressione del tutto aperta, ma che permette al lettore di istituire un confronto fra Giovanni e Gesù; inoltre il riferimento allo «Spirito Santo e fuoco» (3, 16) invita a vedere in colui che deve venire un temibile Messia caratterizzato come giudice. Anche se non è un personaggio umano, tuttavia bisogna ricordare pure il diavolo, che durante le tentazioni insiste sull'identità di

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Gesù come «Figlio di Dio» {4,3.9), L'ultima voce è quella dello stesso Gesù che, in risposta alla domanda di Maria, rimanda a un legame speciale con colui che chiama «Padre mio» (2,49) e alla cui obbedienza («devo») si sottomette. Al termine della prima parte il lettore ha accumulato una notevole serie di dati inerenti l'identità di Gesù (è il Messia, è il Figlio di Dio, è il salvatore), ma dal seguito del racconto attende di verificare ciò di cui è stato informato. Per mezzo dello scarto fra la storia raccontata e la costruzione del racconto il lettore può assolvere al suo compito. Nella seconda parte {4,14-9,50) la questione dell'identità di Gesù è un motivo dominante. Emerge anzitutto la tipologia profetica: Gesù è rappresentato coi tratti di Elia {4,25): come il profeta aveva ridato vita al figlio della vedova di Sarepta (cfr. IRe 17,17-24), così Gesù restituisce redivivo alla madre il figlio unico che era morto (7, 1117). Il riconoscimento di Gesù come «grande profeta» (7, 16) è una tappa importante nella scoperta progressiva della sua identità: per essere accolto come Messia, Gesù deve apparire come colui tramite il quale si sono compiute tutte le promesse di salvezza di Dio al suo popolo. La domanda di Erode (9,7-9) funge da transizione: ricapitola l'intera traiettoria seguita alle voci di Gesù «profeta» e introduce l'iniziativa di interrogare i discepoli. A domanda {9,18) i discepoli rispondono e la loro parola conferma l'identità profetica di Gesù da tutti riconosciuta. L'effetto sorpresa è creato dalla seconda domanda e dalla risposta di Pietro: «il Messia di Dio» (9,20). L'una e l'altra hanno la funzione d'introdurre nel racconto l'annuncio del destino del Messia {9,22). Mentre la figura del profeta era iscritta nella tradizione, la figura del Messia sofferente si rivela essere una radicale novità. Se i discepoli non dovranno dire niente a nessuno (9,21 ), dovranno però ascoltare e credere a quanto dice loro Gesù, come pure a quanto dirà la voce dalla nube durante la trasfigurazione: «Questi è il mio Figlio, l'eletto, ascoltatelo» (9,35). Con questi episodi termina la ricerca dell'identità di Gesù. Riconosciuto da tutti come profeta e messia dagli apostoli, deve ora iniziare il suo cammino verso la città santa. Il lettore, tuttavia, non può non chiedersi come si articoleranno l'identità profetica e quella messianica; non solo, ma pure come la componente regale

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della messianicità, rivelata dal Gabriele a Maria (1,32-33), potrà coesistere con la figura di un Messia sofferente. Nella parte del «grande viaggio» (9,51-19,44) Gesù è anzitutto presentato secondo la tipologia del profeta rifiutato. Per raccontare che il crocifisso è esattamente il Messia promesso a Israele, per iscrivere questo avvenimento tragico dentro la continuità della rivelazione attestata dalla Scrittura e riconosceme così il senso, Luca è ricorso non solo alla tipologia del profeta accolto e riconosciuto (4,22; 5,1-9,21), ma pure alla tipologia del profeta rifiutato (4,28-29; 9,22-19,27), affidando a diverse voci narrative (quella del narratore, ma pure quella del protagonista) la sua presentazione. Tracciando l'itinerario profetico di Gesù il terzo evangelista può, passo dopo passo, dare contenuto all'identità del Messia sofferente; per mezzo del dittico (profeta accolto e poi rifiutato), giocato sulla tipologia, Luca fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere la morte in croce. A questa prima grande tipologia Luca ne affianca una seconda, quella regale: il Messia sofferente è il discendente di David. Non a caso mentre Gesù si avvicina a Gerusalemme, la figura del profeta lascia spazio a quella del re. Dopo tanta insistenza sulle due tipologie, si comprende la specificità del racconto della passione (cc. 22-23) dove, a differenza di Marco e Matteo, tutti i personaggi riconoscono implicitamente o esplicitamente l 'innocenza di Gesù e, contestualmente, la propria colpevolezza: così è per le donne (23,27), per il «buon ladrone» (23,41 ), per il centurione (23,4 7) e per gli astanti che si battono il petto (23,48). La tipologia è a servizio del riconoscimento: il Crocifisso è al contempo l 'innocente profeta perseguitato e il re che accoglie il buon ladrone nel suo Regno. Il capitolo finale insiste sul tema della necessità (dei, «bisognava», «era necessario»). Prima in bocca agli angeli che citano le parole di Gesù (24, 7), poi nelle parole stesse del viandante ai discepoli di Emmaus (24,26), infine nel discorso agli Undici (24,44): per ben tre volte s'insiste sulla necessità della passione e della morte di croce. Ecco la sorpresa: la morte di croce non è stata un incidente brillantemente superato, ma è parte del piano salvifico di Dio. Nel

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prisma della Pasqua i discepoli comprendono Gesù alla luce delle Scritture, ma anche le Scritture alla luce di Gesù. La tipologia profetica e regale li ha condotti alle soglie del riconoscimento che il Risorto ormai dispiega all'interno del più ampio quadro della storia della salvezza. Ricchezza e povertà L'evangelista Luca è attento alla dimensione etica della fede. La sequela di Gesù chiede una radicale trasformazione dell'esistenza: si comprendono dunque i frequenti appelli alla conversione (3,3.8; 5,32; 15, 7.1 0). L'esigenza di una trasformazione della mentalità è strettamente connessa alla relazione con Gesù e al suo insegnamento. In particolare v'è un tema che attraversa l'intero racconto in modo singolare: l'uso delle ricchezze. Sul filo della narrazione il terzo evangelista fa molti riferimenti a povertà e ricchezza. Si inizia con la dichiarazione del Magnificai: «Ha ricolmato di beni gli affamati e gli arricchiti ha rimandato a mani vuote» (l ,53), si continua con la citazione di Isaia fatta propria da Gesù di «annunciare la buona notizia ai poveri» (4, 18), si passa poi alle beatitudini e ai guai (6,20-26) e a un discorso interamente dedicato al tema del possesso dei beni (12, 13-34); l'insegnamento si precisa (16,9-13) anche per mezzo della parabola di Lazzaro e del ricco (16,19-31); l'incontro con l'uomo ricco (18,18-30) è sotto il segno dal fallimento, mentre l'incontro con Zaccheo ( 19,1-1 O) diventa paradigmatico; infine, la vedova che offre due spiccioli è additata come esemplare (21, 1-4). Da questi passi molto differenti (si passa dall'inno, all'insegnamento, alla parabola, ecc.) emergono alcune dinamiche. La prima è la logica del capovolgimento nella sua forma bipolare: il potente conoscerà l'abbassamento, mentre l'umile sarà innalzato. Tale contrapposizione emerge nel Magnificai, ritorna nelle beatitudini e nei guai, è ripresa nelle sentenze a proposito del perdere e salvare la propria vita (9,24; 17,33), nell'antitesi fra «essere innalzato» ed «essere umiliato» (14,11; 18,14), nella parabola di Lazzaro e del ricco, nella contrapposizione fra «essere servito» e «servire» (22,24-27). Tale logica attinge la sua ispirazione nella tradizione

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apocalittica, interamente dominata dall'idea di un grande capovolgimento finale nel quale i potenti saranno annientati, gli empi puniti e gli umili esaltati. Luca fa suo questo linguaggio che guarda la storia a partire dal suo compimento, quando Dio pronuncerà una sentenza inappellabile di giudizio e di verità sulla storia umana: poveri e ricchi conosceranno dunque, per volontà di Dio, una sorte contraria al loro destino umano. Ma v'è una seconda dinamica; Luca illustra il potere negativo della ricchezza: essa non è intrinsecamente malvagia; ad essere problematico è l'atteggiamento del cuore umano nei suoi confronti, come mostrano efficacemente le parabole (12,16-21; 16,19-31) e l'incontro con l'uomo ricco. In positivo, come si realizza la salvezza del ricco? La risposta è data attraverso l'episodio di Zaccheo. Il ricco si salva non tanto alienando ciò che possiede, quanto più usando rettamente dei suoi beni e assumendo un atteggiamento di condivisione. V'è una figura reale e, al contempo simbolica e paradigmatica, prediletta da Luca: il banchetto dove è presente Gesù. Il terzo evangelista descrive il banchetto come il luogo dove Gesù insegna, analogamente al simposio greco, il cui modello più alto è il Simposio di Platone. Luca racconta di banchetti in cui Gesù impartisce il suo insegnamento (5,27-32; 14,1-24; 22,14-30) ma narra pure parabole di banchetti: l'invito al grande banchetto (14,15-24), la posizione dei servi e del padrone ( 17,7-8), la ricompensa ai servi (12,37). Il simposio greco era un'occasione d'incontro di una élite di intellettuali per discutere di argomenti filosofici. Il banchetto lucano è differente: intervengono non solo gli intellettuali ma tutti, soprattutto i poveri; l'insegnamento poi non si discosta dalle scelte dello stesso Gesù che, per mezzo del suo esempio, opera un vero e proprio capovolgimento dei ruoli. Anche le regole farisaiche legate alla purità vengono sovvertite da Gesù. Il banchetto, cioè, rappresenta in miniatura la comunità cristiana dove tutti sono chiamati: giusti e peccatori, poveri e ricchi, ebrei e pagani. I ruoli sono capovolti, i ricchi sono invitati a condividere, l'invitato deve porsi ali 'ultimo posto. È la logica del regno di Dio annunciata da Gesù, ribadita nell'ultima cena (22,24-27) e raccontata nei sommari degli Atti (cfr. At 2,42-48; 4,32-35).

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AUTORE, DATAZIONE E DESTINATARI

Autore Per individuare il profilo dell'autore del terzo vangelo percorriamo due itinerari: il primo è il cosiddetto «autore implicito», ovverosia l'identikit che emerge dall'opera stessa; il secondo percorso è quello di porsi in ascolto di alcune testimonianze della tradizione. Quali sono i tratti con cui l'autore si presenta nella sua opera? L'autore del vangelo spunta solo nel proemio (cfr. l ,3) e il suo nome è ignoto. Nel proemio si rifà alla tradizione dei «testimoni oculari» (l ,2) del ministero di Gesù, cui egli non appartiene; è quindi un cristiano della seconda o della terza generazione. Si tratta di un uomo colto, che conosce molto bene la Settanta, come pure la letteratura greca, sia quella alta come quella popolare. Si destreggia bene nell'utilizzo delle tecniche letterarie ellenistiche. Non è di origine palestinese, anche se forse ha visitato il paese, almeno Gerusalemme e le città della costa mediterranea. Pensa in greco ma ha una certa abitudine a sentire termini e nomi stranieri, sa destreggiarsi con le misure e le monete greche e romane. Ha una limitata conoscenza sia della religione greco-romana sia di quella giudaica, ha un'avversione per alcune pratiche pagane, mentre è pratico delle regole dell'esegesi giudaica. Molto probabilmente è un cristiano di origine pagana che però, prima di aderire alla fede cristiana, era un timorato di Dio (ovverosia un simpatizzante attratto dal giudaismo). Luca si destreggia bene anche nella selva della burocrazia romana e conosce le figure pubbliche dell'epoca, in particolare gli imperatori. Quali sono i tratti che emergono dalla tradizione? Il nome Loukds è un diminutivo greco di un nome latino (forse Lucius). Luca è nominato tre volte nel Nuovo Testamento , come compagno di Paolo. Nella lettera ai Colossesi si legge: «Vi salutano Luca, il caro medico, eDema» (4,14). Luca appartiene al gruppo di quelli che, insieme a Paolo, porgono il saluto anche nel breve scritto a Filemone: «Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei collaboratori» (2324). Le lettere ai Colossesi e a Filemone sono in stretto rapporto

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fra loro, perché inviate a Colosse e portate da Onesimo, schiavo di Filemone. Infine, nel momento in cui Paolo lamenta di essere stato abbandonato da tutti, Luca fa eccezione: «Dema mi ha abbandonato, essendosi innamorato del mondo presente, ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me» (2Tm 4, l 0-11 ). Luca è dunque presentato come un medico 13 (cioè una persona colta), amato e fedele collaboratore di Paolo. Inoltre, nonostante la cosa sia discussa, non pochi autori ricordano le cosiddette «sezioni noi» degli Atti (16, 10-17; 20,515; 21,1-18; 27,1-28,16), nelle quali i fatti sono narrati in prima persona plurale: ne verrebbe che Luca ha accompagnato Paolo nel secondo e nel terzo viaggio missionario. Anche la tradizione ecclesiale antica ricorda Luca. Due documenti spiccano per importanza. Il primo è la testimonianza del Canone Muratoriano: «Terzo è il vangelo secondo Luca. Luca, il ben noto medico, dopo l'ascensione di Cristo, quando Paolo lo prese con sé come compagno del suo cammino, scrisse a suo nome fondandosi su voci (ex opinione); tuttavia non vide il Signore nella carne ma allo stesso modo, poiché era abile ad accertare i fatti, poté narrare la storia dalla nascita di Giovanni» (linee 2-8). Il secondo è il Prologo cosiddetto «antimarcionita», del II secolo, che afferma: «Luca, siro di Antiochia, di arte medico, è divenuto discepolo degli apostoli; alla fine, avendo seguito Paolo fino al suo martirio, avendo servito il Signore senza distrazione, non sposato, senza figli, morì in Beozia all'età di ottantaquattro [o settantaquattro] anni, pieno di Spirito Santo». L'origine antiochena è confermata anche da Eusebio di Cesa13 Nell882 Hobart pubblicava un'opera consacrata al linguaggio medico di Luca (cfr. W.K. Hobart, The Medica/ Language ofSt. Luke. A Prooffrom Interna/ Evidence That «the Gospel According to St. Luke>> and «the Acts of the Apostles» Were Written by the Some Person, and That the Writer Was a Medica/ Man, Hodges Figgis - Longmans Green, Dublin - London 1882). Lo studioso irlandese analizzava con acribia il vocabolario lucano e lo poneva a confronto con le opere classiche della medicina antica (lppocrate, Areteo e Galeno), concludendo che Luca era medico. La ricerca è stata radicalmente contestata da Cadbury; egli ha mostrato che il supposto linguaggio medico di Luca è utilizzato pure dalla Settanta, da Giuseppe Flavio, Luciano e Plutarco, autori che non sono certamente medici. Afferma: «Lo stile di Luca non ha maggiori elementi che tradiscano una formazione e un interesse per la medicina di quanto non abbiano altri scrittori non medici» (H.J. Cadbury, The Sty/e and Literary Method of Luke, Harvard University, Cambridge 1920, 50).

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rea (cfr. Storia della Chiesa 3,4,6) e da Girolamo (cfr. Gli uomini illustri 7). A quanto si conosce dai passi neotestamentari, questi documenti aggiungono che Luca era d'origine siriana e che scrisse la sua opera in Grecia dove poi morì. I dati tradizionali e quelli che emergono dall'opera lucana vedono coerenze e contraddizioni. Che Luca fosse una persona colta è evidente; che fosse stato un compagno storico (almeno saltuario) di Paolo è più difficile da dimostrare 14; che sia siriano di Antiochia e sia morto in Grecia non è possibile provarlo, ma ciò non è in contraddizione con la sua opera. Data e luogo di composizione La tradizione ecclesiale ha indicato la Grecia come luogo della composizione del vangelo. Gli studiosi hanno pensato ad Antiochia, Efeso, Corinto e, addirittura, Roma (punto di arrivo del racconto degli Atti); tuttavia non ci sono argomenti probanti per confermare queste ipotesi: bisogna ammettere che fino a oggi non abbiamo elementi per sapere dove il vangelo sia stato scritto. È da escludere la Palestina, in quanto Luca ha una conoscenza abbastanza sommaria della geografia locale (cfr. 4,44; 17,11; 24, 13). Di più non si può affermare. Intorno alla data di composizione la discussione è ampia e coinvolge anche la datazione .di Marco, se s' ipotizza che Luca conosca il più antico vangelo e da lui dipenda. Alcuni autori vorrebbero porre la composizione prima del 70, altri dopo. Crediamo che i riferimenti alla distruzione di Gerusalemme (cfr. 19,43-44; 21,20-24) non possano essere sottovalutati, sicché è molto probabile che il terzo evangelista abbia composto il primo volume della sua opera intorno ali'S0-85. 14 A proposito delle «sezioni noi» affenna Marguerat: «[S]ostengo che l'identificazione dell'!ÌilE1ç collettivo con l"'io" di Le l non è appropriato, per tre ragioni: l) l"'io" autoriale non è equiparabile a un "noi" narrativo; 2) l"'io" di Le 1,1 è extradiegetico, mentre il "noi" delle sezioni è attribuito a un personaggio (collettivo) del racconto, il gruppo dei compagni di Paolo, dunque intradiegetico; 3) diversamente dal l'"io" del proemio, che domina dali' alto la storia raccontata, il "noi" non si rivolge direttamente al lettore e rimane interno alla storia raccontata» (D. Marguerat, La prima storia del cristianesimo. Gli Atti degli apostoli, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2002, 36).

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Destinatari La critica è abbastanza unanime nell'identificare l'uditorio lucano in un gruppo di cristiani provenienti dalla gentilità, ovverosia in membri delle Chiese del Mediterraneo orientale. Ma Luca punta anche a guadagnarsi un ampio uditorio nell'ambiente ellenistico. A questo scopo il terzo evangelista, pur dipendendo da Marco, sua fonte, ritocca alcuni dettagli che nel più antico vangelo sono fortemente legati all'ambiente palestinese: il tetto verosimilmente di frasche (cfr. Mc 2,4) diventa un tetto con le tegole (cfr. Le 5, 19); i termini in ebraico o aramaico sono grecizzati: Rhabbi (Mc 9,5) diventa epistata, ossia «Maestro» (Le 9,33); Talithà kum (Mc 5,41) sparisce e lascia spazio a un semplice «Fanciulla, alzati» (Le 8,54). Valorizzando il fatto che la duplice opera di Luca è indirizzata a Teofilo (cfr. Le l ,3; At l, l) e che il movimento spaziale del vangelo è una salita a Gerusalemme, mentre gli Atti si dirigono a Roma, Kilgallen ha proposto di cogliere qui un segnale indicativo dei destinatarP 5• In altre parole, l'evangelista offrirebbe una spiegazione di come la parola di salvezza di Dio ha raggiunto Teofilo, un membro della comunità di Roma. Il destinatario dell'opera lucana comprenderebbe così, nel luogo dove risiede, qual è stato il cammino della Parola che l'ha raggiunto. Tale ipotesi è indubbiamente suggestiva. D'altro canto occorre ricordare che l'ordine del Risorto di giungere «fino ali 'estremità della terra» (At l ,8) non trova il suo compimento nel racconto del secondo tomo di Luca: l'annuncio della salvezza giunge a Roma, il centro dell'Impero. In altre parole, il racconto di Luca-Atti è un solo segmento della più ampia corsa della Parola che raggiunge il lettore.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il testimone più antico del vangelo di Luca è un papiro (classificato con la sigla SJ)4), circa dell'anno 200, conservato a Parigi presso la Biblioteca Nazionale (Supplementi Greci 1120) e contenente 15

Cfr. J.J. Kilgallen, «Luke Wrote to Rome: A Suggestion», Biblica 88 (2007) 251-255.

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alcune pericopi dei primi sei capitoli. Della fine del II o dell'inizio del III secolo è il papiro Bodmer XIV (IP' 5), prima conservato a Ginevra, ma dal 2007 presso la Biblioteca Vaticana, contenente quasi per intero i capitoli 3-24 del vangelo: è in ottime condizioni e la calligrafia maiuscola dello scriba è leggibilissima. Del III secolo vi sono anche altri due importanti papiri: il papiro Chester Beatty I (IP45 ), conservato a Dublino presso la Biblioteca Chester Beatty e contenente ampi frammenti dai capitoli 6-14; il papiro di Oxyrhynchus XXIV (IP69), conservato a Oxford nel Museo Ashmolean e contenente alcuni versetti del capitolo 22. Circa le pergamene scritte con caratteri maiuscoli (o onciali), la più antica (intorno al 300) è conservata a Firenze presso la Biblioteca Laurenziana e contiene alcuni versetti del capitolo 22; è catalogata tra i Papiri della Società Italiana (2.124) e classificata tra i manoscritti del N uovo Testamento con la sigla Ol 71. L'intero vangelo è però attestato dai grandi codici onciali (ovverosia scritti con caratteri maiuscoli) del IV e del V secolo. Il più prestigioso è indubbiamente il codice Vaticano (B), uno dei più importanti manoscritti della Biblioteca Vaticana. Martin i, confrontando il papiro Bodmer XIV e il codice Vaticano, ha dimostrato che «[i]l testo di Le del codice B è sostanzialmente quello esistente all'inizio del secolo III in Bodmer XIV, e le diversità vanno attribuite a motivi casuali in entrambi o a qualche sporadico fatto editoriale che non ha operato in maniera sistematica». Aggiunge poi: «[T]utto fa pensare che l'ascendenza comune [del papiro e del codice] è da riportare più indietro nel tempo, senza che sia possibile precisame l'antichità. Si può tuttavia ritenere che essa ascenda almeno ad alcuni decenni prima del tempo di IP' 5 , il che ci porta a collocare l'archetipo IP'5-B non più tardi della fine del secolo 11» 16 • In altre parole, il codice Vaticano (B), pur essendo del IV secolo, custodisce un tipo testuale della fine del II secolo, non ancora influenzato dai lavori critici di Origene, né dalle concezioni teologiche della Chiesa del III-IV secolo e, dunque, non molto lontano dal testo originale. Significativo è il codice Sinaitico (N), del IV secolo, conservato 16 C.M. Martini, Il problema della recensionalità del codice B alla luce del papiro Bodmer XIV, Pontificio Istituto Biblico, Roma 1966, 149.

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alla British Library di Londra, dove v'è pure il codice Alessandrino (A), del V secolo; degno di nota è anche il codice di Efrem riscritto (C), del V secolo, conservato a Parigi presso la Biblioteca Nazionale (in quest'ultimo il testo di Luca ha parecchie lacune). Singolarissimo appare invece il codice di Beza (D), bilingue greco-latino del V secolo, conservato alla Biblioteca universitaria di Cambridge, uno dei più importanti testimoni del cosiddetto «testo occidentale». Le varianti di questo codice sono numerose e il testo degli Atti è di un nono più lungo degli altri onciali. Spesso i manoscritti della cosiddetta Vetus Latina17 e il codice siriaco Curetoniano (syc) 18 testimoniano il «testo occidentale».

17 Il tennine indica un insieme di traduzioni in latino della Bibbia sorte in epoca precedente alla Vulgata di Girolamo. 18 Il codice, risalente al V secolo, prende il nome dal suo scopritore W. Cureton ed è conservato alla British Library di Londra.

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KATAAOYKAN

Secondo Luca

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LUCA 1,1

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noÀÀoÌ ÈnEXElPTJOCXV àva:-ra~a:cr8a:1 ~l~YTJOlV nEnÀTJpoc:popTJ~Évwv Èv ~~iv npa:y~a-rwv, 2 Ka:8wç na:pÉ~ocra:v ~~iv oi àn' àpxfjç a:ù-r6n-ra:1 Ka:Ì ÙnTJpÉ-ra:t yEv6~Evot-roO Àoyou, 3 l~o~Ev Kà~oì na:pTJKOÀou8TJK6n avw9EV néicrtv , ma Luca non lo esplicita.

GIOVANNI IL BATTISTA E GESÙ (1,5-4,13) Il terzo evangelista dedica la prima parte della sua narrazione a presentare il suo personaggio principale, di cui non ha fatto parola nel proemio. Egli, tuttavia. non si limita a introdurre la persona del Nazareno, ma compie l'operazione istituendo un continuo confronto fra Gesù e Giovanni il Battista, secondo il gusto del tempo che prediligeva la comparazione (in greco sfnkrisis). Con una continua alternanza di spazi e di personaggi, Luca mette in campo Giovanni e Gesù, prima bambini, poi adulti. D racconto presenta tre paralleli: anzitutto, l'annuncio della nascita di Giovanni e di Gesù, cui fa seguito l'incontro delle due madri (cfr. l ,5-56); la narrazione della nascita. della circoncisione e della crescita di Giovanni e di Gesù (cfr. 1,57-2,52); le attività del Battista onnai adulto cui segue il battesimo, la genealogia e le tentazioni di Gesù adulto (cfr. 3, 1-4, 13). Il primo parallelo (cfr. 1,5-56) è interamente giocato sulla differenza fra l'identità dei due bambini, ma pure sulla reazione umana alla rivelazione di Dio. Giovanni è solo un precursore, colui che preparerà «al Signore un popolo ben disposto» (l, 17}; Gesù invece è il Messia ed è «il Figlio di Dio» (1,35}. Zaccaria. il sacerdote, cui l'angelo Gabriele appare, non crede alla promessa divina. ricordando la situazione sua e della moglie e chiedendo elementi concreti per riconoscere la verità della parola proveniente dall'alto; invece Maria. la giovane ragazza di Nazaret, crede all'annuncio di Gabriele. L'intervento di Dio nella storia guida gli uomini a salvezza: è quanto canta Maria nel Magnificai (cfr. 1,46-55) dopo l'incontro con Elisabetta. Visitata dalla vergine, la madre di Giovanni riconosce sia la potente azione di Dio, sia la fede di Maria: dimensione teologica e antropologica s'intrecciano armoniosamente. Il secondo parallelo (cfr. l ,57-2,52) continua il confronto fra Giovanni e Gesù. La nascita del precursore è una festa per tutti: l'anzianità della madre che lo ha generato, il mutismo del padre, il suo stesso nome sono segni che Giovanni non sarà un bambino qualsiasi. La nascita di Gesù è molto diversa: si tratta di un bambino come tutti, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia; in realtà gli angeli si manifestano ai pastori e annunciano che egli è il «salvatore, che è Cristo Signore» (2, Il), prima di intonare il loro inno, il Gloria (cfr. 2, 14). Alla nascita e alla circoncisione del Battista segue il cantico di Zaccaria. il Benedicoo (cfr. l ,68-79): esso rappresenta una pausa d'arresto

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LUCA 1,7

'Nei giorni di Erode re della Giudea c'era un sacerdote di nome Zaccaria della classe di Abia; la moglie era discendente di Aronne e il suo nome era Elisabetta. 6Entrambi erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutti i comandamenti e le prescrizioni del Signore, 'ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile Discendente di Aronne (ÉK twv 9uy!XtÉpwv 'A!Xp(Aiv)- Alla lettera: «tra le figlie di Aronne». Il nome Elisabetta significa «Dio ha giurato», oppure «il mio Dio è pienezza>>. Ancora una volta Luca non ne esplicita il significato. 1,6 Giusti (cSLKU~o~) -La giustizia qui è lega-

ta all'osservanza scrupolosa di tutti i precetti della Legge mosaica. Osservavano (110pHlOj.IEVO~) - Alla lettera: «camminanti»; il cammino indica il comportamento secondo la Legge (cfr. Es 15,26; Dt 4,40; Salll9,1), cioè l'obbedienza a Dio.

nella narrazione ma, insieme, fornisce la chiave interpretativa per scoprire il senso degli avvenimenti. Intriso di riferimenti anticotestamentari, l'inno invita a situarsi in una storia più ampia che, a partire da Abraam e passando per David, si apre al futuro: nello sviluppo di questa vicenda si manifesta il piano salvifico di Dio. Come Zaccaria è «ricolmo di Spirito Santo» ( 1,67), cosi anche Simeone è «mosso dallo Spirito» (2,27) e pronuncia il suo inno, il Nunc dimittis (cfr. 2,29-32): non solo Gesù è il salvatore del suo popolo Israele, ma è pure la luce che porterà la rivelazione di Dio a tutte le genti, cioè ai pagani. L'apice narrativo e teologico è l'episodio di Gesù dodicenne al tempio (cfr. 2,41-52): per la prima volta Gesù prende la parola e interpreta il proprio comportamento (e se stesso) come segno del compimento della promessa di Dio. Egli rivela così la coerenza fra chi egli è e che cosa egli fa. Il terzo parallelo (3,1-4,13) vede il confronto fra Giovanni Battista e Gesù onnai adulti. Alla presentazione dell'attività del Battista (cfr. 3,1-20), segue un trittico riguardante Gesù: il battesimo (cfr. 3,21-22), la genealogia (cfr. 3,23-38) e, infine, le tentazioni (cfr. 4, 1-13). Le promesse proclamate da Gabriele si sono compiute: il Battista dimostra di essere il «profeta dell'Altissimo» (l,76). Gesù invece si manifesta per quello che è, il «Figlio di Dio» (l ,35). Intorno alla sua identità trova unità il trittico a lui dedicato: la voce celeste al battesimo dichiara: «Tu sei mio figlio» (3,22), la genealogia risale di figlio in figlio sino al «figlio di Dio» (3,38}, infine il tentatore apostrofa Gesù chiamandolo «Figlio di Dio» (4,3.9}, eco della dichiarazione battesimale. Nella narrazione degli inizi Luca differenzia sempre più le due figure, mostrando la superiorità di Gesù su Giovanni Battista. Tale superiorità va pure al di là delle promesse evocate per mezzo del linguaggio lirico-orante degli inni: Gesù infatti non è solo il Messia, ma pure il Figlio di Dio; la salvezza che egli porterà raggiungerà non solo i figli d'Israele ma anche tutti i figli di Adamo (la genealogia di Luca risale proprio sino ad Adamo e quindi a Dio). 1,5-25 L'annuncio a Zaccaria La struttura del brano è concentrica: A. Situazione iniziale: Zaccaria ed Elisabetta sono giusti, ma senza figli (vv. 5-7); B. Avvio del racconto: Zaccaria nel

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LUCA 1,8

m96n ~v ~ 'EÀtcra~E-r o-cEipa, mì IÌJl> (attestata dal codice Sinaitico [K] e da pochi altri) pare essere più appropriata di àvol~c;. da &vol yw, «aprire» (attestato dal codice Alessandrino [A], Vaticano [B] e da altri), in quanto le copie sinagogali del testo biblico avevano la fonna di rotoli. 4,18 Lo spirito del Signore (nv~fli.La Kup(ou)La citazione unisce passi differenti (tecnicamente si tratta di una conftazione) della ver-

sione della Settanta (lievemente differente dal Testo Massoretico): Is 6l,la.b.c.e; 58,6d; 61,2a. Del testo profetico sono omesse due espressioni: «fasciare quelli dal cuore spezzato» (ls 61, l d) e «un giorno di vendetta da parte del nostro Dio» (Is 61 ,2b ). Mi ha consacrato (exp~oÉv ,.u:) - Il verbo XPlw è collegato al titolo XP~otéc; («Messia», cfr. At 4,26-27 dove le due parole sono utilizzate insieme). Annunciare la buona notizia ai poveri

(E=ùayyEA.(oaoecn nrwxotc;) - Luca usa frequentemente il verbo per riferire la predi-

è colui sul quale riposa lo Spirito del Signore, è stato inviato ad annunciare la

buona notizia. Il lettore sa che Gesù ha ricevuto lo Spirito nel battesimo (3,22), mentre gli astanti lo ignorano, sicché l'uno e gli altri sono su posizioni differenti. Il riferimento a Elia ed Eliseo mostra che Gesù, come già gli antichi profeti, è accolto e rifiutato: proprio per questa duplice e necessaria caratteristica egli è davvero un profeta. Il suo ministero è, dunque, sotto il segno della continuità con quello profetico: i segni che compirà saranno analoghi a quelli da loro compiuti. Il passo di Isaia. La narrazione dà molto risalto alla lettura del brano profetico, rallentando il tempo del racconto. La struttura concentrica - Gesù si alza in piedi (v. 16b) e poi si siede (v. 20), gli viene dato il rotolo (v. 17) e al tennine lo riconsegna (v. 20), apre il rotolo (v. 17) e alla fine lo riavvolge (v. 20)- enfatizza la proclamazione deli' oracolo di Isaia (vv. 18-19), al cuore della pericope. Il testo profeti co citato da Gesù (cfr. Is 61, 1-2) non è identico a quello anticotestamentario

107

LUCA4,21

fu dato il rotolo del profeta Isaia; svolse il rotolo (e) trovò il passo dove era scritto: 18«Lo spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l 'unzione; mi ha mandato ad annunciare la buona notizia ai poveri, a proclamare ai prigionieri la libertà e ai ciechi la vista, a rimandare in libertà gli oppressi 19aproclamare un anno di grazia del Signore». 20 Poi riavvolse il rotolo, lo restituì all'inserviente e sedette. Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21 Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa 17Gli

cazione di Gesù (cfr. 4,43; 7,22; 8,1; 9,6; 16,16; 20,1). Che questa buona notizia sia spesso rivolta ai poveri è un altro tratto caratteristico di Luca. In greco 11-rwxoç indica «l'indigente, colui che non solo manca del necessario ma è pure incapace di procurarselo attraverso il proprio lavoro; la sua miseria lo riduce alla mendicità» (Dupont). 4,19 Proclamare un anno di grazia del Si-

accolto», «accettato», «gradito»; ma pure qualcosa che è «attivo», «propizio», «che fa del bene» (cfr. anche il v. 24). 4,21 Oggi (at).!Epov)- L'avverbio non indica semplicemente lo spazio cronologico di un giorno. La sua posizione enfatica segnala un elemento importante per la teologia di Luca. L'avverbio è usato anche altrove (cfr. 2,11;

gnore (KtlP~L evuxu-ròv Kup(ou o5ev a:ù"Couc;, lntO~W U}llV nVl è:O"Cìv O}lOtoc;' 48 O}lOt6c; Ècmv àvepWmp OÌKO~}lOUvn oiKia:v oc; EOKa:\jJEV Ka:Ì È~a9wEV Ka:Ì EeYJKEV 9E}lÉÀtOV ÈnÌ nìv nÉ-cpa:v· nÀt'J}l}lUpTJc; ~È yEVo}lÉVt'Jc; npooÉpYJ~EV ò no-ca:}lòc; "Cfi oiK~ è:KEivn, Ka:Ì oùK ioxucrEV cra:ÀEucra:t a:ùnìv ~tà -cò Ka:Àwc; oiKo~o}lfjcr9a:t a:ùn1v. 49 ò ÒÈ àKoucra:c; Ka:Ì ll~ not~cra:c; O}lot6c; Ècrnv àv9f)Wmp oiKO~}l~cra:vn OÌKl>. npensiero del fariseo riflette la coovinzione comune che un p-ofeta cooosca le persooe. 7,40 Maestro (liLc'lcicKaJ.E)- ntitolo, usato già per Giovanni Battista, è qui riferito per la prima volta a Gesù. lettore sa già che Gesù insegna (cfr. 4,15.31; 5,3.17; 6,6), ma questo titolo in bocca al fariseo è lUla semplia: fonnula di cortesia 7,41 Denari (liTy&pLa)- ndenaro è lo stipendio

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di un giorno per un operaio o per un servitore (cfr. Mt 20,2). Ne consegue che il primo debitore ha un debito che ammonta circa a un anno e mezro di lavoro, mentre il secondo a circa due mesi. 7,42 Condonò(i=x_apl.oato)- Il verbo ha un duplice significato: anzitutto È1tÌ nìv yf1v ~Vt"flcrEV àv~p nç ÈK rijç TtOÀEwç ExWV òat}lOVta KaÌ XjXSv(f) ÌKaV OÒK f:ve:òucra-ro Ì}lanov KaÌ ÈV obd~ oòK E}JEVEV ili' ÈV -roiç }l~}lamv. 28 iòwv ÒÈ -ròv 'I f1crow àvaKpa~aç npooÉTtEcre:v aù-rq> KaÌ òv6l!an oou ÈK~illov-ra ~atl!OVta KaÌ ÈKWÀOOllEV atrr6v, on OÒK àKoÀou9Ei llE9' ~l!WV. 50 eiJtEV òf 7tpÒ· 53 KaÌ OÙK È8É~aVTO aÙTOV, OTl TÒ npOO'WltOV aÙTOU ~V nope:u6~e:vov e:ic; 'Ie:pouoaÀ~~· 54 i86vre:c; 8È oi ~a9TJraì 'IaKw~oc; KaÌ 'IwawTJc; e:Inav· KUp1e:, 9ÉÀe:1ç e:inw~e:v nup Kara~fjvat à::nò -rou oùpavou Kaì à::vaÀwoa1 aùrouc;; 55 o-rpacpe:ìc; 8È tne:n~TJOEV aùroic;. 56 KaÌ Ènope:U9TJoav e:ic; ÉTÉpav KW~TJV. 57 Kaì nope:uo~wv aù-rwv tv Tfj 6&t> e:Intv ne; npòc; aù-r6V' à::KoÀouEhlow 0'01 OnOU Èèxv Ò::nÉPXf1. 58 Kaì e:ine:v am Ò'ITJO'Oli. Tale sottile ma sostanziale differenza invita il lettore a riconoscere che la medesima esperienza di Maria è possibile a lui, molti anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, nella vicenda di fede cui è stato iniziato. Se, infatti, l'ascolto diretto di Gesù è negato al lettore, in quanto esperienza legata alla presenza storica del Nazareno, non gli è invece sottratto l'ascolto della sua parola, accessibile per mezzo della mediazione del testo composto sulla base della trasmissione dei testimoni divenuti ministri di quella medesima parola (cfr. l ,2).

206

LUCA 11,1

11wç

Kaì ÈyÉvETo tv r4) dvat aùròv tv r6mf) nvì 1tpocrrux6J.1EVOV, f:mrucraro, drrév nç TWV J.! lJEravooOvn. 11 EÌnEV OÉ' av9pwn6Lveec; (cfr. Es 6,25; Nm 25,7.11), qualcuno avrebbe operato lo stesso collegamento qui inserendo il nome ci>LvHc; per il ricco; la tradizione poi sarebbe passata in alcuni manoscritti copti del III sec., sicché NeuT)c;

sarebbe la corruzione di ci>LvHc;. Nonostante la sua antichità questa lezione non riesce a imporsi. Porpora e bisso (nopcjlupav Kal ~uooov)­ L'abbigliamento è uno status symbol che permette di identificare il protagonista del racconto come una persona molto agiata: nell'antichità la porpora era il tessuto più raro e prezioso, mentre nella tradizione rabbinica era riservata ai re; di bisso, lino pregiato, era la veste che si portava sul corpo.

implica nessuna abolizione o sostituzione della Legge (v. 17): essa è addirittura rafforzata, come dimostra la proibizione di un nuovo matrimonio dopo il divorzio (pratica autorizzata da Dt 24,1-4). Già a partire dal racconto dell'infanzia Luca ha mostrato la continuità fra l'Antico Testamento e la rivelazione di Gesù (cfr. 4,21); la cosa sarà ribadita solennemente dal Risorto (cfr. 24,27.44). La Legge e i profeti indicano a coloro che intendono il loro significato, di sforzarsi per entrare nel Regno. 16,19-31 Parabola di Lazzaro e del ricco La parabola è lo sviluppo teologico di quella precedente (cfr. 16,1-9): essa è interamente giocata su un esempio contrario, perché quanto il ricco compie contraddice l'insegnamento di Gesù. Il denaro può diventare un idolo ed esercitare una signoria riservata solo a Dio. Il comportamento del ricco è contrario a quello dell'amministratore: l'epulone non usa le ricchezze per farsi amico il povero Lazzaro, e dopo la morte non v'è più la possibilità di mutare ciò che ormai è definitivamente fissato da Dio. Il lettore è condotto dalla narrazione stessa a stabilire un paragone fra l'epulone e l'amministratore astuto: essi sono agli antipodi, perfettamente speculari.

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LUCA 16,23

regno di Dio, e ciascuno si sforza di entrarvi. 17 È più facile che il cielo e la terra passino che un solo apice della Legge cada. 18 Chiunque ripudia sua moglie e ne sposa un'altra commette adulterio, e chi sposa una (donna) ripudiata dal marito commette adulterio». 19«C'era un uomo ricco che vestiva porpora e bisso e festeggiava ogni giorno splendidamente. 20lnvece un povero, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta piagato, 21 desideroso di saziarsi di quanto cadeva dalla tavola del ricco; perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22 11 povero morì e fu trasferito dagli angeli nel grembo di Abraam. Poi morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando tra i 16,20 Giaceva (~J3ÉP1T)to)- La forma del verbo è sibillina: può essere sia un passivo («era stato buttato li» da qualcuno, quasi come un oggetto), sia un medio («giaceva»): nella seconda accezione l' accento cadrebbe ancor più sulla solitudine dell'uomo. 16,21 Dì quanto cadeva (&11ò twv m11T6vtwv) - Il codice Alessandrino (A) e altri precisano: ((alcune briciole», armonizzando con Mt 15,27. Cani (KuvEc;) - Il cane è considerato im·

puro; essere abbandonati ai cani è un'onta (cfr. 3Re20,19LXX[TM 1Re21,19]); forse aleggia l'idea di una condanna divina (cfr. 3Re 16,4 [TM IRe 16,4]; 20,24 LXX [TM IRe 21,24]). 16,22 Grembo dì Abraam (K6l11ov 'Appru41) - L'espressione non ha paralleli ed è dun· que di difficile interpretazione. Alcuni autori spiegano la metafora in riferimento al bambino che sta nel grembo materno: Lazzaro sarebbe cosi consolato dal capostipite del popolo d'Israele.

L'amministratore, infatti, arriva al paradosso della spregiudicatezza per assicurarsi un futuro, l'epulone è invece chiuso nella torre d'avorio della propria ricchezza, concentrato sull'oggi e sulla sua breve durata; per l'amministratore il tempo è breve, ma c'è spazio di manovra, per il ricco è ormai troppo tardi. Il racconto fittizio, poi, è giocato sulle differenze marcate: da una parte c'è un ricco, rappresentato nel fasto della sua opulenza; dall'altra un povero, ritratto nel grigiore della sua penosa indigenza; dopo la morte il capovolgimento delle sorti è netto. A questo punto si apre un confronto con Abraam: esso rappresenta un vero e proprio giudizio sullo stile di vita del ricco. Quanto il patriarca rifiuta di permettere ai fratelli deli'epulone, la parabola lo provvede letterariamente ai suoi lettori. L'ironia è che ciò che non è permesso nel racconto, il racconto di fatto lo procura. Silenzi. La parabola tace alcune notizie, lasciando al lettore il compito di interpretare i silenzi. Un primo silenzio è l'assoluta mancanza di intreccio nella presentazione dei due protagonisti (vv. 19-21). L'epulone e il povero sono caratterizzati nella loro netta contrapposizione, ma non succede nulla: non un incontro, non una parola, non un gesto. Dopo la morte lo stesso ricco rivela di conoscere

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LUCA 16,23

èra ~5n Émipaç roùç ÒEç llÙt' (t'IlO~} ÈKpt~WSf')n KllÌ cput'E08f')n ÈV t'ft SaÀaoon· KllÌ ùn~KOUOEV av Ù}liV. 7 Tiç ~È è:ç Ù}lWV ~oOÀov éxwv àpot'ptWVt'll ~ not}llllVOVt'll, oç EÌoe:À86vn ÈK t'OU àypou Èpd llÙt'>: è scarsamente attestato nella grecità classica, mentre è presente nella Settanta in senso traslato («trappola>>, «inciampo>>, cfr. IRe 18,21 [TM lSam 18,21]; 25,31 [TM 1Sam 25,31]). Qui ha il senso di un atto che conduce qualcuno all'abbandono della fede. 17,2 È meglio (ÀooLtW:'i) -Alla lettera: «paga

tutto cerca di convincerli a confonnare il loro punto di vista col punto di vista nonnativo del racconto fittizio, espresso da Abraam e attestato nelle Scritture. Tale punto di vista è precisamente quello di Dio. 17,1-10 Istruzioni conclusive ai discepoli Un filo rosso unisce questa sequenza in apparenza sconnessa: è la vita comunitaria. Gesù si rivolge ancora ai suoi discepoli (v. l, cfr. 16,1 ), poi agli «apostoli» (v. 5; cfr. 9, l O), segno che le istruzioni riguardano strettamente la comunità cristiana a proposito di temi importanti quali gli scandali (vv.l-2), il perdono (vv. 3-4), la fede (vv. 5-6), il servizio (vv. 7-10). Le immagini utilizzate sono iperboliche e devono essere comprese nel loro contesto. Scandalo eperdono. Gli scandali (comportamenti amorali, parole perverse che scioccano) fanno vacillare la fede di alcuni fratelli all'interno della comunità Chi provoca l'apostasia di altri è destinatario del severo avvertimento (v. 2) di Gesù (il «guai» ricorda 6,24-26 e 11-42-52), in quanto commette un peccato che induce il fratello a peccare a sua volta. Evitare scandali è cosi decisivo che al timore di compierli è preferibile un castigo

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LUCA17,7

30Quegli

replicò: ''No, padre Abraam, ma se dai morti uno andasse da loro, si convertirebbero". 31 Gli disse allora: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neppure se uno risorgesse dai morti si lascerebbero persuadere"». 1Disse ai suoi discepoli: «È impossibile che non vengano scandali, tuttavia guai a colui per mezzo di cui vengono. 2È meglio per lui che una pietra di mulino sia posta intorno al suo collo e sia gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli. 3 State attenti a voi stessi! Se tuo fratello ha peccato, rimproverato, ma se si convertirà, perdonagli. 4E, se peccasse contro di te sette volte al giorno e per sette volte si rivolgesse verso di te, dicendo: "Mi converto", gli perdonerai». 5Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 6 11 Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a [questo] gelso: "Sradicati e piantati nel mare" e vi ubbidirebbe. 70ra, chi fra voi, avendo un servo che ara o che pascola quando torna dal campo, gli dirà: "Presto, vieni, mettiti

17

ciò che è dovuto», da cui: «è vantaggioso», «è meglio)); hapax legomenon in Luca (cfr. Th 3,6). 17,4 Sette volte (ÉTmtKLc;)- Non è certo da prendere alla lettera: il numero sette indica la totalità., sicché ha il valore di «sempre». 17,5 Accresci in noi la fede (npoo9Ec; TÌ~tiv n(onv)- Alla lettera: «aggiungi a noi fede»,

che può essere interpretato nel senso di «aggiungere più fede a quella che già abbiamo», oppure «aggiungere la fede agli altri doni». 17,6 Gelso (>, morus).

ben conosciuto a quell'epoca: gettare il colpevole in mare appesantito dalla zavorra di una grossa pietra. Emerge l'immagine di una comunità dove i membri sono affidati gli uni agli altri. Tuttavia i conflitti all'interno della compagine comunitaria sono inevitabili e devono essere gestiti. La regola per gestire una crisi provocata da una grave colpa è esplicitata in tre tempi: rimprovero, accoglienza della conversione, perdono (v. 3). Al perdono gratuito e perenne di Dio (cfr. 6,36-38; 11,4) corrisponde il perdono umano. Fede e servizio. Alla domanda degli apostoli- precisamente, solo i Dodici (cfr. 6,13)- di accrescere la fede (v. 5), Gesù non risponde direttamente; per mezzo di un'iperbole afferma che una fede pur minuscola può compiere cose meravigliose. Ritorna l'immagine del granello di senape (cfr. 13,19) in riferimento non più al Regno ma alla fede di coloro che appartengono al circolo più stretto intorno a Gesù. Tuttavia, non è chiaro perché gli apostoli pongano una simile domanda: forse la richiesta è associata al potere di compiere segni meravigliosi (cfr. l 0,17), col rischio di insuperbirsi. In questo contesto la breve parabola (vv. 7-10) assume la sua rilevanza. Essa s'inscrive nella cultura sociale dell'epoca, secondo cui il servo (o

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LUCA 17,8

àvam:crE, 8 aÀÀ' OÙXÌ ÈpEi aÙ-r] ÒÉ1v -roii uioii -roii àv9pWnou i&iv Ka:Ì oÙK o1f1Ecr9E. 23 Ka:Ì è:poumv Ù}Jiv· iòoù è:KEi, [~·] iòoù ti'>òE· }l~ ànD.Sr]-rE }JT]ÒÈ ÒtW~T]TE. 24 WCJTtfp yàp ~ àcrt"pa:~ àcrrpamoucra: ÈK 'tfjç ùnò -ròv oùpa:vòv EÌJX>Ilf.Levoç K!lÌ. civElpwrrov.I.Li! fvtperr6f.Levoç)- La duplice attitudine contro Dio e gli uomini caratterizza la generazione del diluvio e Yoal,taz secondo Giuseppe Flavio (cfr. Antichità giudaiche 1,3,1 § 72; 10,5,2 § 83).

e senza possibilità di appello, cosi si manifesterà la verità ultima di Dio alla parusia del Figlio dell'uomo. La domanda finale dei discepoli (v. 37) riguarda lo spazio dove tutto questo accadrà. La risposta enigmatica, per mezzo dell'immagine dell'avvoltoio, non è di facile interpretazione: forse si wole ribadire la certezza del giudizio su ogni uomo (come è sicuro che laddove c'è un cadavere ci sono anche gli avvoltoi). Inutile speculare sugli spazi della parusia, piuttosto che fantasticare sul calendario. 18,1-8// giudice iniquo e la vedova importuna La parabola del giudice iniquo (vv. 2-5) è incorniciata da un 'introduzione (v. 1) che ne anticipa il significato, precisando che il tema è la preghiera perseverante.

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LUCA 18,3

3

x~pa ~è: ~v Èv Tfj noÀEt ÈxEivn xaì ~PXE-ro npòç aò-ròv Myouoa·

ÈK~l1òv ~aoecn, ò dc; Cl>aptoaio. 15 Gli presentavano anche dei bambini piccoli, perché li toccasse; vedendo (ciò), i discepoli li rimproveravano. 11

ticipio perfetto passivo è usato in senso teologico, rimandando cioè all'azione di Dio. Forte l'ironia, in quanto il verbo è utilizzato per caratterizzare i farisei (cfr. 16,1.5). Il 18,15-30 Testi paralleli: Mt 19,13-30; Mc 10,13-31 18,15 Bambini piccoli - Il termine ~pÉcjloç indica sia «il bambino non ancora nato» (cfr.

1,41.44; Sir 19,11), sia !'«infante», il «lattante)), il «bambino piccolm) (cfr. 2,12.16; At 7,19). Luca preferisce questo termine a nuLo(ov (cfr. Mt 19,13; Mc 10,13), che tuttavia mantiene nei vv. 16.17. Toccasse - Il verbo lintOIJ.UL ha spesso valore terapeutico in Luca (cfr. .5,13; 6,19; 8,44.4.5.46.47; 22,.51).

senso teologico) e sostituirsi a lui nella valutazione degli uomini, considerati un nulla? L'anonimato (non si dice chi siano questi «alcuni», v. 9), impedendo di circoscrivere la situazione al singolo caso, permette una più ampia identificazione. Ma la sorpresa della parabola sta nella conclusione (v. 14), nella quale Gesù pretende di conoscere e di rivelare il punto di vista di Dio. Egli dà conto della reazione di Dio alla preghiera dei due uomini e mostra che è avvenuto un vero e proprio ribaltamento: l'esattore che si è riconosciuto peccatore è proclamato giusto, mentre il fariseo pieno di sé torna a casa privo di quella giustizia che pretendeva di possedere. L'esattore, pregando Dio nell'umiliazione, ha ottenuto il perdono, mentre il fariseo ha peccato proprio pregando, arrogandosi il potere di giudicare una persona e negando a Dio la possibilità di perdonare e all'uomo quella di essere redento. Il Dio del fariseo non solo non è il Dio di Gesù ma non è neppure il Dio d'Israele, cosi come lo conosciamo dalle Scritture. Il proverbio finale (cfr. 14,11) richiama il Magnificai (cfr. 1,48.52): la logica di Dio e la logica dell'uomo sono agli antipodi. 18,15-30 Entrare nel Regno Sulla strada verso Gerusalemme due incontri - il primo con alcuni bambini piccoli e il secondo con un uomo ricco - permettono a Gesù di precisare qual è la condizione del discepolo. I due episodi s'illuminano a vicenda, essendo incentrati sul tema dell'accesso al Regno (cfr. vv. 17.24). A partire da qui la narrazione (dopo la «grande inserzione» di 9,51-18, 14) riprende a seguire da vicino il corso del racconto di Marco.

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LUCA 18,16

16

ò OÈ: 'I T]OOuç npooEKaÀÉoaro aùrà ÀÉywv· a· Én Év oot ÀEtnEl' n6:vra ooa ÉXEt.ç nWÀT]OOV KaÌ Ot6:òoç nrwxotç, KaÌ E~Etç eT]oaupòv è:v [ rotç] oùpavotç, KaÌ ÒEupo àKoÀoueEl. }.101.. 18,17 Amen (èqL~v)- Cfr. nota a 4,24. Chi non accoglie... bambino (o c; &v ~~ cSÉ~lltcu ... mu&(ov)- Grammaticalmente sono possibili varie interpretazioni: «Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino», oppure: «Chi non accoglie il regno di Dio come si accoglie un bam-

bino)); solitamente si preferisce la prima. 18,20 Non commettere adulterio ... tua madre ~~ ~LXEOOuç ... ~v ~lltÉpa)- L'ordine dei cinque comandamenti (tutti provenienti dalla cosiddetta «seconda tavola», cioè la seconda parte del Decalogo) differisce da Mt 19, 18-19 e Mc IO, 19 (che seguono il Testo Masoretico

l bambini. L'intervento dei discepoli mostra fino a che punto la scelta di Gesù di accogliere alcuni bambini piccoli fosse in contrasto con la mentalità corrente. Il bambino non rimanda all'innocenza o alla purezza (idee, queste, «romantiche»), semplicemente evoca una categoria sociale fragile: i bambini non avevano diritti, dipendevano dagli adulti, religiosamente non erano ancora maturi. Essi appartenevano ali 'universo femminile, erano cresciuti dalle madri, e non condividevano sino alla pubertà lo status degli adulti. La reazione di Gesù non idealizza il bambino, ma ne fa una figura del credente (v. 16). In altre parole, nessuno può entrare nella logica del Regno senza mettere interamente in discussione i valori del proprio mondo. Il comportamento dei discepoli mostra che essi non hanno compreso il comando di Gesù di accogliere il bambino (cfr. 9,48) e sono tuttora legati a una logica mondana. Ancora una volta Gesù cambia il loro modo di vedere. Un dialogo. Il personaggio che si presenta a Gesù (v. 18) è all'opposto dei bambini: mentre quelli non avevano alcun diritto, questi è un notabile, un capo; benché non si precisi l'identità dell'uomo, gli altri «capi» menzionati da Luca erano leader religiosi (cfr. 8,41; 14,1 ); forse anche costui appartiene alla stessa categoria. Il notabile pone la stessa domanda posta dal dottore della Legge in 10,25 a proposito della vita eterna. Ci sono pure differenze fra le due scene, in quanto il dottore della Legge, che all'inizio metteva alla prova Gesù (cfr. 10,25), non è detto

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LUCA 18,22

Gesù li chiamò a sé, dicendo: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché loro è il regno di Dio. 17 Amen, vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso». 18 Un notabile lo interrogò, dicendo: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 19Gli disse Gesù: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio. 2°Conosci i comandamenti: non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». 21 Quegli disse: «Tutte queste cose le ho praticate dalla giovinezza». 22 Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa sola ancora ti manca: vendi tutto quanto possiedi, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro ne[i] cieli, poi vieni, seguimi!>). 16

e il codice Alessandrino [A] della Settanta) ed equivale a quello che si trova in Rm 13,9; Gc 2,ll, Filone (cfr. Il decalogo 51), codice Vaticano [B] della Settanta di Dt 5,17-20 e al Papiro Nash (un testo ebraico trovato in Egitto e risalente al 150-l 00 aC.). Mentre la versione di Marco e Matteo riporta la fonnu-

lazione ebraica, quella di Luca rispecchia la recezione giudaico-ellenistica del decalogo. 18,22 Distribuiscilo (cSuxcSoc;) - Il verbo liLa6Liiw!lL è più preciso del semplice cSLiiw!lL (cfr. Mt 19,21; Mc 10,21); Luca lo utilizza per caratterizzare la donazione dei beni ai bisognosi (cfr. At 4,35).

che rifiuti (o accetti) le sue indicazioni, mentre il notabile, che da principio pare meglio disposto verso il Maestro, alla fine intristisce. L'opposizione fra i bambini e il notabile è forte, quasi a confenna della logica del Magnificai (cfr. 1,52). Gesù rifiuta l'appellativo «buono» (v. 19): la sua risposta ricorda quella data al diavolo (cfr. 4,8), ribadendo cioè la sostanza del primo comandamento (cfr. Es 20,2-6), che attribuisce l'adorazione unicamente a Dio. L'affennazione dell'uomo di una totale fedeltà ai comandamenti (v. 21) spinge Gesù a porre un'ulteriore domanda ancora più radicale. Il ricco. La richiesta di Gesù è di vendere «tutto quanto» (v. 22): l'enfasi sulla totalità è solo di Luca (Mc 10,21 e Mt 19,21 si limitano alle proprietà) ed è coerente con quanto Gesù ha domandato ai discepoli (cfr. 14,33). L'invito di Gesù descrive una procedura d'azione: i beni devono essere anzitutto distribuiti ai poveri per avere un tesoro in cielo; evidente il richiamo alla contrapposizione fra tesoro celeste e tesoro terrestre (cfr. 12,21.33-34): il tesoro terrestre cattura il cuore e mette in competizione due padroni (cfr. 16,13). Non si tratta, dunque, unicamente di una richiesta funzionale all'abbandono della casa per seguire Gesù; più radicalmente si tratta di una condizione interiore per la sequela. «Il valore paradigmatico dell'episodio consiste nell'illustrare il potere negativo della ricchezza: il pericolo insito in essa, anche se non per un'intrinseca malizia delle

LUCA 18,23

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ò OÈ àxoucraç -rau-ra TtEpiÀuJtoç ÈyEv~err ~v yàp JtÀoucrtOç crcp6òpa. 24 'Iòwv OÈ aù-ròv ò 'lf1crouç [7tEp{ÀuJtov yEv6~Evov] EiJtEv· Jtwç Oucrx6Àwç oì -rà XP~~a-ra éxov-rEç Eiç -r~v ~acrtÀEiav 'tOU 9EOU EÌ 9Ecf> Ècrnv. 28 EÌJtEV OÈ ò né-rpoç· iooù ~~Eiç àcpév-rEç -rà iòta ~KoÀoue~cra~Év crot. 29 ò OÈ EiREV aù-roiç· à~~v ÀÉyw Ù~iv on oùOEiç Ècrnv oç àcpfjKEV OÌK{av ~ yuvaiKa ~ àOEÀcpoùç ~ yovEiç ~ 'tÉKV. Cercava- Il verbo C11t~ all'imperfetto indica uno sforzo ripetuto e continuo. Di nascosto dalla folla (ci tE'p oxÀ.Ou)- Alla lettera la preposizione significa «senza»; già

Gesù. Il risultato dell'ingresso di Satana in Giuda si manifesta immediatamente per mezzo del contatto fra Giuda e i capi: il suo atto è coerente con le predizioni della passione (cfr. 9,44; 18,32). Riemerge pure il motivo del denaro, che Luca ha ripetutamente denunciato come causa di perversione (cfr. 12,13-34; 16,9-13; 18,22): è il segno della soddisfazione degli avversari. 22,7-13 Preparazione della cena pasquale In netta contrapposizione con la notizia del complotto, Luca narra dell'iniziativa di Gesù che sovranamente domina gli eventi. Come già per l'ingresso in Gerusalemme (cfr. 19,28-36), Gesù anticipa ai discepoli quello che dovranno compiere per preparare nei dettagli la cena pasquale. Quanto sta per accadere non è la conseguenza del piano omicida dei capi e dell'azione di Satana, ma è il frutto di un progetto che Gesù sta per portare a termine. Un 'aurea misteriosa. Luca è il solo evangelista che attribuisce a Gesù l'iniziativa di preparare la cena pasquale (in Mc 14,12 sono i discepoli che propongono): per mezzo di un discorso di predizione, anteriore agli avvenimenti, egli dispone ogni cosa. L'invio di due soli discepoli e la reticenza rispetto al luogo della cena

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LUCA22,12

4Andò

a parlare con i capi dei sacerdoti e con gli ufficiali sul modo di consegnarlo loro. 5Essi si rallegrarono e stabilirono di dargli del denaro. 6{Giuda) acconsentì e cercava l'occasione opportuna di consegnarlo loro di nascosto dalla folla. 7Giunse il giorno degli Azzimi [ne]l quale bisognava immolare la Pasqua. 8{Gesù) inviò Pietro e Giovanni, dicendo: «Andate a preparare per noi la Pasqua, così possiamo mangiame». 9Quelli gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo?». 10 Rispose loro: «Ecco: quando entrerete in città vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d'acqua. Seguitelo nella casa in cui entrerà; 11 direte al padrone di casa: "Il Maestro chiede: dov'è la sala dove posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". 12 Egli vi mostrerà al piano superiore un locale grande e arredato; là preparate». alcuni autori classici (Aristofane, Plutarco, Epitteto) collegano oxJ..oç (folla) con 96pupoç («tumulto»): l'idea, dunque, è di consegnare Gesù lontano da ogni confusione causata dalla folla. + 11,1-6 Testo affine: Gv 13,2.27 //11,7-13 Testi paralleli: Mt 26,17-19; Mc 14,12-16 11,7 La Pasqua- Luca utilizza tò mioxa per indicare > richiama l'idea del sacrificio (cfr. Sir 50, I5; anche Lv 4, 18.25.30.34 e Nm 28,7-8). In altre parole, il pane e il vino divengono i segni del corpo ucciso e del sangue sparso, manifestando il valore salvifico della morte di Gesù che compie la nuova alleanza promessa da Dio. Il traditore. Per mezzo della metafora della mano (v. 21 ), che indica la persona e la sua volontà, il narratore ritorna sulla figura del traditore, chiedendo al lettore un esercizio interpretativo, in quanto il nome è taciuto. Il lettore indubbiamente comprende trattarsi di Giuda (cfr. 22,3), ma nella narrazione regna l'incertezza, che serpeggia tra gli apostoli (v. 23). Tale incertezza ha un forte valore: il gruppo con cui Gesù ha condiviso il rito che istituisce la sua memoria si riconosce un gruppo fallibile, all'interno del quale è presente addirittura il tradimento. La partecipazione alla cena non garantisce dall'infedeltà. Tuttavia, ancora una volta, Gesù mostra di dominare gli avvenimenti: la consegna del Figlio dell'uomo non è un incidente, ma s'inscrive nel disegno di Dio e, dunque, avrà come orizzonte

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LUCA22,25

me». 20E, dopo aver cenato, (prese) la coppa allo stesso modo, dicendo: «Questa coppa è la nuova alleanza nel mio sangue, versato per voi. 21 Ma ecco: la mano di chi mi consegna è con me, sulla mensa. 22Poiché il Figlio dell'uomo se ne va secondo ciò che è stato fissato, ma guai a quell'uomo da cui è consegnato!». 23 Essi, allora, iniziarono a discutere fra loro chi fosse mai colui che stava per fare questo. 24 Ci fu anche una disputa fra loro: chi di loro fosse il più grande. 25 Disse loro: «l re delle nazioni le governano e coloro che esercitano su di esse l'autorità si fanno chiamare benefattori. 19,28; 26,30-35; Mc 10,41-45; 14,26-31; Gv 13,36-38 22,25 Benefattori - Il titolo di EUEpyÉtTiç era spesso dato a dèi, principi e imperatori soprattutto come «benefattori-protettori» di wta città, di Wl popolo, addirittura dell'intera umanità Mardocheo è ironicamente chiama-

to «nostro salvatore e perpetuo benefattore» (Est 8,12n), ma nello stesso modo è celebrato il sommo sacerdote Onia come «benefattore della città (di Gerusalenune))) (cfr. 2Mac 4,2). Nell'iscrizione di Priene si fa menzione del compleanno di Augusto, esaltando i «benefici» che egli ha recato al mondo intero.

la salvezza. Colui che si è fatto mediatore dell'azione del Maligno (cfr. 22,3) non è maledetto, ma è messo in guardia da un solenne «guai» (v. 22). 22,24-38 Discorso d'addio Luca ha ampliato il racconto dell'ultima cena con una serie di dialoghi fra Gesù e i discepoli: inserisce qui materiale che gli altri Sinottici collegano alla terza predizione della passione (cfr. Mc 10,41-45; Mt 20,24-28), creando un vero e proprio discorso d'addio. Già nell'Antico Testamento (cfr. Gen 49; Dt 33) e pure nel mondo greco-romano, una persona importante, prima della sua morte, teneva ai familiari o ai vicini un discorso a proposito della vita passata e del futuro, spesso esortando o mettendo in guardia i successori e gli eredi circa le proprie responsabilità. Il discorso di Gesù assume questo tono. Il più grande. Nel momento dell'annuncio della morte prossima e del tradimento da parte di uno dei discepoli, la disputa di questi ultimi sul più grande è particolarmente incongrua Era già sorta in precedenza (cfr. 9,46-49), ma il suo riapparire alla cena mostra che è un problema sentito dagli apostoli e un'importante questione per la Chiesa, una questione che deve essere trattata effettivamente alla luce della morte di Gesù. La risposta ripropone il capovolgimento dei valori già annunciato nel Magnificai (cfr. 1,52): il concetto di autorità non è rifiutato, ma trasferito su compiti socialmente inferiori. Il contro-modello è costituito dal comportamento dei sovrani ellenistici presso i quali lo statuto di signore e di benefattore è legato alla loro capacità di dominare. Inoltre, in una società che circondava di onore i più anziani, i più giovani ne erano privi; allo stesso modo il ruolo e lo status di un servitore era molto basso nella scala sociale.

LUCA22,26

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Ù}lEiç OÈ oùx ou-rwç, àU' ò }lEl~WV Èv Ù}liV ytvÉo9w wç ò VEW'tEpoç K> (23,49), erano presenti alla sepoltura (cfr. 23,55) e saranno pure perseveranti in preghiera nella sala al piano superiore (cfr. At 1,14). I due discepoli in cammino verso Emmaus fanno parte del gruppo degli Undici e di «tutti gli altri» (v. 9) ai quali le donne avevano annunciato l'esperienza avuta al sepolcro. Questo stesso gruppo è poi destinatario dell'apparizione del Risorto (vv. 36-49) e riceverà l'ordine di non allontanarsi da Gerusalemme in attesa del dono dello Spirito (v. 49; cfr. At l ,4-5). Il narratore presenta una progressione nell'incontro col Risorto. Tutto è giocato sulla polarità fra l'assenza e la presenza. Colui che è cercato dalla donne è assente; è presente ma non è identificato dai due discepoli di Emmaus per essere poi riconosciuto allorché si rende invisibile ai loro occhi; infine, gli Undici e gli altri lo incontrano, lo vedono, sono invitati a offrirgli qualcosa da mangiare. Anche la trama è unitaria: tutto il capitolo «deve essere compreso come una serie continua di eventi correlati, non come isolate pericopi che possono essere adeguatamente comprese in modo isolato» (Tannehill). Se nel primo episodio protagoniste sono le donne, nel momento in cui tornano dal sepolcro si recano dagli Undici e dagli altri (v. 9). Due di questi discepoli sono protagonisti del cammino verso Emmaus

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LUCA24,4

preparato. 2Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro 3e, una volta entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Erano confuse per questo ed ecco due uomini si presentarono a loro in lwtque misfatto wto abbia conunesso, il caso sarà definito sulla parola di due testimoni o tre te-

stimooi» ): si tratterebbe dunque di due testimoni qualificati che provengono dal mondo divino e che attestano la veracità dell'annwtcio. Altri interpreti rifiutano questa spiegaziooe, in quanto

le donne sono al sepolcro e non davanti a wta corte di giustizia: il raddoppio sarebbe Wl modo per intensificare l'effetto dell'annwtcio stesso. In veste sfolgorante (w Èo9fln aatpantooon) -Il particolare suggerisce che i due uomini siano angeli (cfr. v. 23; At l,l O; l 0,30 ).

ma alloro ritorno trovano ancora gli Undici e gli altri (v. 33). Questi stessi sono destinatari dell'apparizione del Risorto, testimoni dell'ascensione, per tornare poi colmi di gioia nel tempio di Gerusalemme. Cosi ogni episodio si chiude sospeso su personaggi che ricompaiono nella trama successiva. Lo stesso Pietro, rappresentato colmo di stupore nel suo venire dalla tomba (v. 12), è destinatario di un'apparizione del Risorto narrata ai due discepoli di Emmaus nella forma di un'analessi esterna, cioè di un ritorno indietro che evoca un avvenimento anteriore alla storia raccontata ma che supera la soglia della narrazione stessa (v. 34). L'unità è rilevabile pure a livello dell'intreccio. L'episodio delle donne al sepolcro, dopo la complicazione del mancato ritrovamento del corpo (v. 3), si apre all'azione trasformatrice rappresentata dal messaggio dei due uomini (vv. Sb-7) che dà avvio alla soluzione (v. 8). Ma l'annuncio agli Undici e agli altri (vv. 9-10), invece di stemperare la tensione narrativa nella situazione finale (con effetto di soluzione) l'accresce, trasformandosi in ulteriore complicazione. L'episodio dei discepoli di Emmaus oscilla fra il mancato e l'effettivo riconoscimento del Risorto; tuttavia, nel momento in cui Cleopae il suo compagno tornano a Gerusalemme, la notizia dell'apparizione del Risorto a Simone (v. 34) riannoda la trama con l'episodio precedente, conclusosi sospeso sullo stupore di Pietro (v. 12). L' incipit del terzo episodio ritorna sullo sconvolgimento e la paura dei discepoli (v. 37), cui s'accompagna la mancanza di fede (v. 41): è la stessa reazione avuta nel primo episodio a fronte deli'annuncio delle donne (v. 11 ). Risulta cosi che i tre episodi sono saldati fra loro e in profonda unità, in quanto solo alla fine del terzo v'è la soluzione della complicazione con la quale si era chiuso il primo. 14,1-12 Le donne al sepolcro L'episodio fa da ponte fra la scena della morte di Gesù, la sua sepoltura e i racconti delle apparizioni. Al centro del racconto c'è il sepolcro: le donne entrano in esso (vv. 1-2) e poi lo lasciano (v. 9); lo stesso fa Pietro (v. 12). E tuttavia il ruolo del sepolcro, a partire da questo racconto, diventa irrilevante: «Non è qui, ma è stato risuscitato» (v. 6). La reazione delle donne. Tre sono le incursioni del narratore nell'animo delle donne. In primo luogo esse s'interrogano. La loro ricerca è approdata a trovare la pietra rimossa dal sepolcro (v. 2) e ad appurare la mancanza del defunto (v. 3). Esse, che avevano osservato «come il suo corpo era stato deposto» (23,55), ora ne verificano l'assenza. Tuttavia l'osservazione della tomba vuota suscita non la fede, ma la perplessità. A fronte dell'apparizione dei due uomini dagli abiti sfolgoranti,

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Èv Èo9fin à:crrparrroucrn. 5 È}lcpo~wv ~È yEVo~wv aùrwv KCÙ KÀ1VOUOWV 't