Il vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico [5 ed.] 8831136151, 9788831136150

Il terzo Vangelo ha sempre esercitato un fascino particolare, fascino che si ripercuote sull'autore del Vangelo ste

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Il vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico [5 ed.]
 8831136151, 9788831136150

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Gérard Rossé

IL VANGELO DI LUCA commento esegetico e teologico

o

Città Nuova

rn edizione, gennaio 2001 Grafica di copertina di Gyorgy Szokoly

© 1992, Città Nuova Editrice via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma Con approvazione ecclesiastica ISBN 88-311-3615-1 Finito di stampare nel mese di gennaio 2001 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M. Via S. Romano in Gadagnana, 23 00148 Roma - tel. 066530467 e-mail: [email protected]

PRESENTAZIONE

Questo commento al vangelo di Luca è proposto a lettori che hanno untJ certa pratica della questione biblica, senza essere specialisti in materia. Vintento è di offrire una spiegazione o interpretazione abbastanza dettagliata del vangelo, tenendo presenti i dati della ricerca esegetica attuale. Non si tratta, quindz: di un commento «spirituale», che rischia spesso di prolungarsi in un discorso moralizzante poco aderente al senso del testo. Ho anche evitato il linguaggio tecnico di un commento «scientifico», poco comprensibile a chi non è del mestiere. Eppure, non posso a/fermare che la lettura sia /aa"le: non tanto per l'impiego di una terminologia specialistica, quanto piuttosto per le difficoltà di interpretazione suscitate dal testo stesso, e per la mentalità richiesta per penetrare nella comprensio­ ne dello scritto evangelico. Bisogna in/atti tener conto dei «tre momenti attraversati dall'insegnamento e dalla vita di Gesù, pn"ma di giungere a noi» (Gesù - la comunità - l'evangelista), come a/ferma l' «Istruzione della Pontificia Commissione per gli stu­ di biblia· sulla verità ston·ca dei vangeli», del1964. Bisogna tener conto della distan­ za inevitabile che esiste tra l'evento e la narrazione, aver presente la storia dell'evo­ luzione delle tradizionz: il che obbliga a leggere il vangelo in prospettiva, e non come semplice cronaca. Certamente, non agevola lo sforzo di un lettore non abituato a tale ginnastica. Ho coscienza dei miei propri limiti. Giunto al termine de/ lavoro, sorge un sen­ so di impotenza. Sorge l'esigenza di ricomr:naare da capo: la propria comprensione dell'opera lucana evolve; tanti studi sono apparsi nel frattempo ... Lapparato delle note è pesante. Non vorrebbe scoraggiare, ma offrire a/lettore desideroso di approfondimento, informazioni complementarz: annotazioni di caratte­ re più tecnico rzguardo allo stz1e e alla lingua dell'autore, all'analisi di certe ipotes� ecc. Per il testo evangelico stesso, ho adottato uu traduzione piuttosto letterale dell'ortginale greco, aiutandomi però, per motivi pratici, con l'ottima traduzione del­ la Sinossi dei Quattro Vangeli di Angelico Poppi (Ed. Messaggero, Padova). Mi so­ no permesso di cambiare là dove giudicavo opportuno di farlo, sulla base del testo orzginale. Voglio infine rivolgere la mza gratitudine a don Pasquale Foresi, che ha solleci­ tato e incoraggzato questo lavoro, come pure all'editrice Città Nuova, che si è assunta l'onere di pubblicar/o.

INTRODUZIONE

l. L'EVANGELISTA

Il terzo vangelo ha sempre esercitato un fascino particolare, fascino che si riper­ cuote sull'autore del vangelo stesso e degli Atti degli Apostoli, identificato dalla tra­ dizione con Luca, il «caro medico» del quale Paolo trasmette i saluti (Fm 24; Co14, 14). I.:immagine familiare lo rappresenta come compagno fedele dell'Apostolo (2 Tm 4, 11). Successivamente, la pietà popolare lo annovera /ra i 70172 discepoli inviati in missione da Gesù, lo identifica con uno dei discepoli di Emmaus, lo presenta come il pittore della Madonna. Le prime testimonianze che attribuiscono Popera lucana a Luca medico, colla­ boratore di Paolo, risalgono alla seconda metà del II secolo: Ireneo (Adv. Haer. J, l, 1), il canone di Muratori, Tertulliano (Adv. Marcionem 4, 5). Il Prologo antimarcio­ nita (IV sec.) precisa inoltre che Luca proviene da Antiochia, è rimasto celibe, muore in Beozia, all'età di 80 ann�· scrive il vangelo in Acaia. \ Su quale base poggia l'attribuzione dell'opera a Luca? La critica interna con/erma i dati della tradizione? Sappiamo che gli auton· dei vangeli (canonici) non hanno firmato il /oro lavo­ ro; essi si consideravano ven· «servitori della parola>>, per usare l'espressione di Le l, 2. I.:esigenza di conoscere il nome dello scrittore, di individuar/o, nasce nel II secolo. Spontaneamente, per confermare la certezza di possedere in questi scritti l'autentica dottrina apostolica, la Chiesa dei primi secoli tende ad avvicinare il più possibile gli evangelisti ai fatti na"att� facendo di essi dei diretti testimoni dell'attività di Gesù o perlomeno dei discepoli di apostoli. Fin dalle prime righe del vangelo, nel prologo, appare chiaramente a qualsiasi lettore che l'evangelista Luca non poteva essere un apostolo-testimone. Senz'altro, gli Atti degli Apostol� in particolare la sezione del «noi», hanno contribuito sostanzialmente a far identificare l'autore con un compa­ gno di Paolo, e precisamente con Luca. Cosa risulta dalla critica interna? Il terzo evangelista descrive con più esattezza di Marco certe malattie, evita il giudizio malevolo sui medici (Mc 5, 26; cf Le 8, 43): una prova che l'autore è medi­ co? Di/atto, l'evangelista utilizza termini più appropnati di Marco, ma non· si serve di un linguaggio tecnico speciale della medicina - linguaggio che tra l'altro non esi­ steva ancora in quell'epoca - e quindi non supera, in materia, le conoscenze di una persona colta. È anche difficile considerarlo un compagno di Paolo: non tanto perché nella sua opera sono assenti punti fondamentali del pensiero teologico dell'Apostolo (p.es. la giustificazione mediante la fede, il problema del rapporto tra fede e opera, tra Van­ gelo e Legge), ma soprattutto perché, pur avendo una certa conoscenza dell'itinerario

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Introduzione

dei viaggi paolini, egli motiva in moilo sbagliato gli spostamenti, ignora fatti impM­ tantz: situazioni reali delle comunità paoline e de/ loro rapporto con l'Apostolo; non ha letto le sue lettere che, al momento in cui scrive Luca - continuo a chiamarlo per comodità con questo nome 1 , non erano ancora state raccolte in un corpus. Più specifica, invece, è la sua conoscenza del mare, della terminologia nautica. Nella descrizione del viaggio di Paolo a Roma, narrato negli ultimi capitoli degli At­ ti, Luca si/a apprezzare da questo punto di vista. Questo non vuoi dire che l'evange­ lista fosse un marinaio, ma che probabz"lmente aveva una certa esperienza di viaggi; almeno, ne dà l'impressione 2• È quindi legittima la domanda: Luca, prima di scrive­ re la sua opera, era uno dei tanti apostoli itineranti della Chiesa, uno di quegli evan­ gelizzatori che portarono il lieto annuncio nelle van·e zone dell'impero romano? In seguito, potrebbe essersi stabilito in una comunità, magari assumendo la responsabi­ lità di una scuola catechetica. È un'ipotesi come tante altre. Comunque, Luca non è mai stato in Palestina. Egli situa Nazaret su di un monte, pone la regione di Gerasa di fronte alla Galilea, sul lago di Genezaret, men­ tre la cittadina si trova a 50 km da/ lago, nella Decapoli,· e descrive gli usi e costumi palestinesi con la mentalità e l'occhio di un ellenista: immagina le case palestinesi costruite come quelle greco-romane, con cantina, atrio e diverse stanze, e n'coperte di tegole; crede che abitualmente i Giudei assumano la posizione sdraiata per mangiare, suppone che il vento caldo sia lo scirocco (vento del sud: Le 12, 55), mentre è il ven­ to dell'Oriente che porta la calura, ecc. Conoscendo il Mediterraneo, non parla mai del mare di Galilea, ma sempre de/ lago (di Genezaret): rispetta le proporzioni! È anche sensibile al bello; scrive con una certa arte ed equilibrio. E quindz: la pietà popolare gli ha volentieri riconosciuto i talentt' di un artista e l'ha promosso pit­ tore. Conosce molto bene i Settanta, cioè la versione greca della Bibhia; sembra ave� re una certa familiarità con la funzione sinagoga/e e altre pratiche giudaiche, mentre ignora il rituale del tempio di Gerusalemme e non s'interessa ai problemi della Leg­ ge (tema della purità, ecc.). Insomma, possiamo considerare l'autore del terzo vangelo e degli Atti un elle­ nista colto ' che ha vissuto in un'epoca posteriore a Paolo, forse nell'ambito delle chiese paoline. Possiamo anche immaginarlo come un ellenista affascinato dal Dio d'Israele, un «timorato di Dio» come ne esistevano molti e che frequentava le sina­ goghe della Diaspora, prima di incontrare il Vangelo. -

t·tudi� · to stotico· compagno di Paolo, 'j:)lÌ'Ò. àvér.lasciat'o dei ricordi che l'attuale autore degli At ha potuto sfruttare; difficilmente, però, Luca stesso è l'autore degli At e quindi del ter­ zo vangelo. , 2 Non si può, comunque, esdudere del tutto una pura conoscenza «da tavolino». In quell epoca, lo storico, per essere credibile, doveva fare sfoggio di conoscenze, dare l'impressio­ ne di aver viaggiato e di aver visto di persona i luoghi dove di svolgeva la trama della sua storia. 3 La sua profonda conoscenza della Bibbia, come pure del metodo midrashico, potrebbe anche farlo annoverare fra i Giudeo-cristiani della Diaspora; è l'opinione, p. es., di Maria-Luisa Rigato (a voce), e di Donald Juel, Luc-Actes. La promesse de l'histoire, > 106, Cerf, Paris 1981. LÉON-DUFOUR X., Etudes d'Evangile, Ed. du Seuil, Paris 1965 . LÉON-DUFOUR X., Le partage du pain eucharistique selon le Nouveau Testament, Seuil, Paris 1982. LÉON-DUFOUR X. , Résurrection de ]ésus et message pascal, Ed. du Seuil, Paris 197 1 . LEONARDI G., «Cercate e troverete . . . lo Spirito Santo» nell'unità letteraria di LUèa 1 1, 1 13 , in Quaerere Deum, Paideia, Brescia 1980ss, pp. 263ss. LINNEMANN E., Le parabole di Gesù, Queriniana, Brescia 1982 (titolo originale: Gleichnisse ]esu. Ein/uhrung und Auslegung, Gottingen 197 8 6). LINNEMANN E., Studien zur Passionsgeschichte, Vandenhoeck und Ruprecht, GOt· tingen 1970. LOHFINK G., Wie hat ]esus Gemeinde gewollt?, Herder, Freiburg 1983 . LOHRMANN D., Das Markus-Evangelium, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1987 . LOHRMANN D., Die Redaktion der Logienquelle, Neukirchen 1969.

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1nt. aor.

Ap. Bar. sir. art.

art. cit. AT

2 Bar.

Bb Blass.

Beli. BILL

BZ CD cond. cong.

cpl.

dat. def. Did.

: autori vari : aggettivo : «Analecta Biblica» , (collana di monografie su argomenti biblici pubblicata dal Pontificio Istituto Biblico di Roma) : Antichità Giudaiche, opera di Giuseppe Flavio : aoristo : Apocalisse siriaca di Baruch (anche 2 &r): del II sec. d.C. : articolo : articolo citato : Antico Testamento : Apocalisse siriaca di Baruch : Biblica : Blass-Debrunner, Grammatik des Neutestamentlichen Grie­ chisch, Vandenhoeck und Ruprecht, Gottingen 1965 12 : De Bello Judaico, opera di Giuseppe Flavio : H.L. Strack und P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testameni aus Talmud und Midrasch, C.H. Beck, Miinchen 1969 5 : Biblische Zet'tschri/t : Documento di Damasco (scritto esseno) : condizionale : congiuntivo : complemento : dativo : definito

: Didachè

1 En 2 En Eph. Theol. Lov. 4 Esd

: Libro di Enoch etiopico : libro di Enoch slavo

Ev. Th. EWNT

: Evangelische Theologie

femm .

fut. gen.

Giub. ibid. imper.

: Ephemerides Theologicae Lov�nienses : quarto libro di Esdra (l sec. d.C.) : Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament, Kohlhammer, Stuttgart 1980 (a cura di H. Balz - G. Schneider)

: : : :

femminile futuro genitivo libro dei Giubilei

: ibidem : imperativo

(ll sec. a.C.)

Abbreviazioni e sigle impers. impf. ind. inf. JHWH lett. LXX

3 e 4 Mac ms. mss. NRTh NT NTS

op. cit. p p45 p46

p66 p75

par. parall pass. p. es. pers. pf. PG PL prep. prop. ptc.

Q

lQ l Q ap. Gen l QH l QM l QS l QSa l QSb 4Q Flor 4Q Test

RB

R. Bib RScR s ss SBS

29

: impersonale : imperfetto : indicativo : infinitivo : Jahvè : letteralmente : i Settanta : terzo e quarto libro dei Maccabei : manoscritto : manoscritti

: Nouvelle Revue Théologique

: Nuovo Testamento

: New Testament Studies : opera citata : papiro : papiro Chester Beatty (l metà del m sec. ) : papiro Chester Beatty (ca. 200 d.C.) : papiro Bodmer II (ca. 200 d.C.) : papiro Bodmer XIV-XV: III sec.; Le e Gv 1 - 15 : paragrafo : parallelo : passivo : per esempio : personale : perfetto

: Patrologia Graeca : Patrologia Latina

: preposizione : proposizione : participio : «Quelle»: una delle fonti utilizzate da Mt e Le, accanto quella di Mc (secondo la teoria delle «due fonti») : dalla prima grotta di Qumrin : apocrifo del Genesi, manoscritto della I grotta di Qumrin : inni, trovati nella grotta l di Qumran : manoscritto della Guerra (grotta l di Qumrin) : Regola della comunità : Regola della congregazione (appendi ce a l QS) : Benedizioni (appendice di l QS) : Florilegi, trovati nella grotta 4 di Qumran : Testimonia (della grotta 4)

: Revue Biblique : Rivista Biblica : Recherches de Science Religieuse

: seguente : seguenti : collana scritturistica «Stuttgarter Bibel Studien»

a

30 sec. Sal. Salom. sg. sing. subord. Test. Ben}. Test. Giud. Test. Iss. Test. Lev. Test. Sim. ThWAT

ThWNT ThZ TM TOB vol. voll. WZNT ZNW

ZThK

Abbreviazioni e sigle

: secolo : Salmi di Salomone (l sec. a.C.) : singolare : subordinato : Testamento di Beniamino, dal Testamento dei Dodici Patriarchi (II-I sec. a.C.) : Testamento di Giuda (ibid. ) : Testamento di Issacar (ibid. ) : Testamento di Levi (ibid. ) : Testamento di Simeone (ibid. ) : Theologisches Worterbuch zum Alten Testament (ed. G. ]. Botterweck - H. Ringgren, 1973ss) : Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament, a cura di G. Kittel poi G. Friedrich, Ed. Kohlhammer, Stuttgart : Theologische Zeitschri/t : Testo masoretico (testo ebraico della Bibbia fissato a partire dal II sec. d.C. e vocalizzato dai Masoreti. : Traduction Oecuménique de la Bible, Ed. du Cerf, Paris (1975 per l'AT; 1972 per il NT) : volume : volumi : W. Bauer, Worterbuch zum Neuen Testament, De Gruyter, Berlin 197 1 ' : Zeitschri/t /ur Neutestamentliche Wissenschaft : Zeitschrt/t /ur Theologie und Kirche

TESTO E COMMENTO

CAPITOLO t

PRoLOGO: Le l, 1�4 1 1

Poiché molti misero mano a comporre una narrazione circa i /atti portati a compimento tra no� 2 come li hanno trasmessi a noi coloro che, fin dall'inizio, furo­ no testimoni oculari e ministri della parola, 3 è parso bene anche a me, che ho fatto ri_cerche, dall'origine, su tutto, accuratamente, scrivertene con ordine, o eccellente Teo/ilo, 4 a/finché tu conosca la solidità delle parole circa le quali sei stato istruito.

Luca introduce la sua opera con un prologo, secondo un procedimento let­ terario in uso fra gli storici dell'antichità. La costruzione è stilisticamente ricerca­ ta, il vocabolario scelto 2• Non c'è dubbio che egli si rivolge a un ambiente cristia­ no di cultura ellenistica. L'idea di iniziare con un tale prologo è suggestiva. L'auto· re vuole porre il suo scritto alla pari di altri lavori letterari della sua epoca, e mo­ strare così che il contenuto del libro non è riservato a una stretta cerchia di iniziati palestinesi, ma ha valore universale: la storia di Gesù appartiene alla storia dd mondo, e quindi ha qualcosa da dire anche agli uomini del mondo greco-romano. Benché adotti questo procedimento letterario, l'evangelista non si acconten· ta di fare come tutti, non cede ciecamente alla moda, imitando lo stile retorico. n prologo di Luca possiede la sua originalità. Contrariamente all 'uso corrente, l' au· 1 Per l'analisi dd prologo, in particolare: H. Schiirmann, Evangelienschrt/t und kirch/iche Unterweisung, in Traditionsgeschichtliche Untersuchungen zu den synoptischen Evangelien, Pat­ mos, Diisseldorf 1 968, pp. 25 1ss; E. Samain, L'évangi/e de Luc: un témoignage ecclesial et mis­ sionnaire, «Assemblées du Seigneur» 34, Cerf, Paris 1973, pp. 60ss; G. Klein, Lukas l, 1-4 als Theologisches Programm, in Zeit und Geschichte Dank.esgabe an R. Bultmann, Tiibingen 1964 (ripreso in Das Lukas - Evange/ium, Darmstadt 1974, pp. 170ss); I. du Plessis, Once More: the Purpose o/ Luke's Pro/ogue (Lk l, 1-4), in Novum Testamentum 16 ( 1974), pp. 259ss; Fr. Mus· sner, Kathexés im Lukasprolog, in ]esus und Paulus, Festschrift fiir W.G. Kiimmel, Van­ denhoeck und Ruprecht, Gottingen 1 978 2, pp. 253ss; G. Schneider, Zur Bedevtung von Kathexés im lukanischen Doppe/werk, in Lukas, Theologe der Heilsgeschichte, Verlag P. Han­ stein, Konigstein 1985 , pp. 3 1ss. . 2 Già la prima parola epeidéper (poiché, proprio appunto perché) è rara nella lettera­ tura greca e unica nella Bibbia. Altro hapax (cioè parola che ricorre una sola volta) nella Bibbia è il termine autoptés («testimone oculare») del v. 2. Hapax nel Nuovo Testamento: anatassesthai («comporre, riordinare»), diégésis («narrazione»). Parole che si incontrano soltanto nell'opera di Luca e non altrove nel Nuovo Testamento: èpicheirein («mettere mano»); kathexes (> 74• l, 3 5. Per bocca di Gabride, l'evangelista presenta ora una tradizione cristiana 7� densa di contenuto: «Spirito Santo verrà su di te Potenza dell'Altissimo adombrerà te» 76• Luca si serve di verbi che escludono ogni riferimento che possa far pensare da parte del lettore a qualche rapporto sessuale: Gesù non è nato, come certi eroi della mitologia greco-romana, dall'unione tra una divinità e un essere umano, tra un dio e una donna. Lo Spirito Santo operante in Maria non è una potenza gene­ ratrice, ma creatrice 77 • È lo Spirito fonte di vita (cf. Gn l, 2 ) , lo Spirito atteso per i tempi finali e che rinnova tutto, dato alla Chiesa il giorno di Pentecoste 78 , ma già

72 L'espressione «conoscere un uomo/donna» è un semitismo: avere rapporti sessuali. «Non conosco uomo» significa quindi «sono vergine>> (cf. Gn 24, 16; Gdc 1 1 39). Non bisogna restringere il senso dell'affermazione, leggendo per esempio: non conosco ancora il mio marito. «Conosco» è al presente e indica uno stato attuale e che vuole essere permanente. «Uo­ mo» è da capirsi in senso generico. (Vedi M. Orsatti, Verso la decodificazione di un'insolita espressione [Le l, 34}, in Rivista Biblica 3/4 [1981], pp. 343-357). 73 «La questione di Maria, in Le l, 34, è una tecnica letteraria destinata a far dire al rac­ conto la concezione verginale di Gesù» (L. Legrand, op. cit. , p. 240). 74 B. Prete, A proposito di Luca l, 34, in Rivista Biblica, 4 (1970), pp. 385s. 7' Questa tradizione, come mostra Mt l, 18.20, è prelucana, anche se la stesura attuale de­ ve molto all'evangelista. 76 Notare il parallelismo sinonimico. L'assenza dell'articolo davanti a «Spirito Santo» e «Potenza>> non ha valore specifico (cf. Le 2, 25-27). 7 7 «Lo Spirito Santo è l'azione del potere creativo di Dio, non l'elemento maschile in un matrimonio tra un dio e una donna>> (R E. Brown, op. cit. , p. 172). Egli non assume la funzione del padre nella generazione di Gesù (ricordiamo che Spirito, in greco, è al neutro, e in ebraico, al femminile). 78 Le l , 35a è da avvicinare a At l , 8: «riceverete una potenza dello Spirito Santo che ve"à su di voi>>. ,

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Il vangelo di Luca

manifestato nell 'attività pubblica di Gesù: queSto Spirito opera in Maria il grande intervento divino della salvezza. L'evangelista sceglie in particolare il verbo «adombrare>>, «coprire con rom• bra», lç> stesso verbo che egli utilizza nella scena della Trasfigurazione: la nube che copriva della sua ombra i tre discepoli (Le 9, 34): è la nube come segno della pre· senza divina. I due testi alludono alla nube che copriva il santuario, segno della presenza di JHWH in mezzo al suo popolo: «La nube coprì la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempì la dimora>> (Es 40, 35; 40, 38; Nm 9, 18; 10, 34; l Re 8, 10-12). Così la presenza di Dio aleggiava sopra Maria e la riempiva della sua potenza creatrice 79• La seconda parte del versetto è di difficile lettura: «perciò ciò ( = colui) che nascerà santo 0 sarà chiamato 8 figlio di Dio». - Una prima difficoltà è dovuta alla congiunzione «perciò»: Gesù infatti non è figlio di Dio a causa della sua nascita miracolosa, ma perché lo è dall 'eternità. Que­ st'ultimo ragionamento appartiene alla logica di una teologia dell'incarnazione che suppone la preesistenza del Figlio. Ma niente indica nd vangelo che Luca era a co­ noscenza esplicita e ragionata di una teologia sulla preesistenza dd Figlio incarnato. Probabilmente, la proposizione si deve intendere: poiché Gesù è Figlio di Dio, come fu capito dalla fede cristiana, non poteva nascere che ad opera dello Spirito di Dio; Gesù è Figlio di Dio dal suo concepimento, non solo dalla sua ri­ surrezione 81• «Luca sottolinea così la continuità del mistero di Gesù e quello della Chiesa e questa con­ tinuità si situa al livello della realtà ultima che anima l'uno e l'altro: la potenza dello Spirito di Dio» (L. Legrand, op. cit. , p. 147). 7 9 Diversi esegeti (p. es. R. Laurentin, Les Bvangiles de l'En/ance du Christ, cit., pp. 70-72) vedono in Le l, 35 un riferimento a Maria nella quale dimora il Figlio come presenza di Dio: 91 • È senz'altro legittimo chiedersi: storicamente, cos'è avvenuto? Cosa ha capi­ to Maria sul suo figlio, all 'inizio? Come e fino a che punto ha preso coscienza di ciò che accadeva in lei? Non è possibile dirlo. Certamente, avrà avuto l'aiuto e la luce necessari per il suo compito, come l'hanno avuti tutti i Setvi di Dio che l'hanno preceduta. «Que­ sta luce è tuttavia limitata, perché il mistero supera per sempre ogni espressione 90 J. McHugh, op. cit. , p. 1 1 1 . D verbo infatti è all'ottativo. Per l'impiego dell'ottativo in Luca, vedi I.H. Marshall, op. cit. , p. 66. Esistono formule conclusive simili nella Bibbia: Gn 30, 34; Gs 2, 21 ecc. 91 A. George, op. cit. , pp. 439s.

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ll vangelo di Luca

nel lingthggio degli uomini,· e, più profondamente, ogni · conosèènft umartà .. So­ no proprio questi limiti che permetteranno alla fede di Maria di progredire secon­ do la legge di ogni fede: mediante l'accoglienza dell'evento e della parola, median­ te la riflessione e la ricerca, mediante l'impegno di tutta la vita» 92 • Non c'è dubbio che Maria ha dovuto maturare, cercare di capire lungo la sua esistenza il mistero di suo figlio, il suo comportamento così originale e «scandaloso», e che soltanto dopo Pasqua ella giungerà alla fede piena, come i discepoli. .

Il genere letterario

Possiamo ora interrogarci brevemente sul genere letterario di questo brano; conoscendolo, possiamo afferrare meglio l'orientamento di base che Luca dà al racconto. Diciamo subito che l'evangelista non ha copiato pedestremente un mo­ dello preesistente. Non esiste neanche un modello standard nell'Antico Testa­ mento al quale riferirsi. Tuttavia, ritroviamo elementi caratteristici del genere an­ nuncio di nascita 9}, ma anche elementi appartenenti piuttosto al racconto di vo­ cazione 94 , ed elementi propri all'autore, come l'ultima risposta di Maria all'ange­ lo (v. 38). L'evangelista si ispira liberamente a questi diversi schemi narrativi per co­ struire un racconto originale che è nello stesso tempo racconto di annuncio di na­ scita e racconto di vocazione. Con il primo tipo, egli porta l'attenzione sul bambi­ no che sarà concepito, permettendo così al lettore di conoscere, fin dall'inizio dell'opera, la persona di cui parlerà nel vangelo: Gesù è il Messia e il Figlio di Dio (vv. 32-33.35). Con il secondo genere, Luca mostra che il suo interesse si rivolge anche a Maria e alla sua vocazione che è una vocazione alla maternità (v. 3 1 ), an­ che se tale maternità è da capirsi in stretta relazione con la sua fede (v. 38). Il parallelismo con l'episodio di Zaccaria (Le l, 5-23 ) è coscientemente volu­ to: tra Giovanni e Gesù ci sono continuità e differenze. I due sono doni di Dio, e la loro nascita apre la tappa decisiva della storia della salvezza. Ma l'affermazione della superiorità di Gesù sul futuro Battista è altrettanto chiara: concepito vergi­ nalmente, Gesù è il Figlio di Dio in senso unico ed è il compimento delle promes­ se a Israele. I due racconti di annunci di nascita suppongono la confessione di fe­ de cristiana che vede in Giovanni il precursore di Gesù, e in quest'ultimo il com­ pimento delle promesse. Diventa anche chiaro, ormai, che i due primi capitoli del vangelo di Luca non hanno per nulla l'intenzione di raccontare la storia dell'infanzia di Giovanni o di Gesù, una biografia della loro giovinezza 95• Siamo in presenza essenzialmente

. 92 Ibid. , p. 44 1 .

93 Vedi lo schema in nota 3 7 .

94 Così il v . 28: - collazione di un nome nuovo - garanzia di protezione divina: «il Signore con te». In questa prospettiva, l'annuncio della maternità (v. 3 1 ) corrisponderebbe alla missione ricevuta. Il modello di questo genere è visto nella vocazione di Gedeone ( Gdc 6, 1 1 -24). 95 H. Schiirmann, Aufbau} Eigenart und Geschichtswert der Vorgeschichte (Lk 1 -2), in Tra· ditionsgeschichtliche Untersuchungen , Patmos, Diisseldorf 1968, pp. 198ss. ...

Il vangelo dell'in/anziiJ: Le 1 - 2

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di un'opera teologiea che vuole presentare alla fede del lett6re, sin dall'inizio, Giovanni e Gesù compresi alla luce di Pasqua, e mediante riflessioni sull'Antico Testamento, sfruttando schemi narrativi esistenti sia nel mondo biblico sia nella cultura ellenistica (il parallelismo, l'uso letterario di un racconto d'infanzia che prefigura le future imprese dell'eroe) 96 • Il concepimento verginale

Il concepimento verginale di Gesù è una verità che incontra non poche diffi­ coltà ad essere accolta serenamente dal credente di oggi. Il fatto è che la mentalità moderna, imbevuta di storicismo e, diciamolo pure, di naturalismo, è ben diversa dalla mentalità con la quale il testo fu scritto ed era letto nella Chiesa primitiva. Diverso, di conseguenza, è oggi l'avvicinarsi a questo mistero della fede cristiana. Spontaneamente vogliamo una garanzia storica, ci mettiamo in cerca di pro­ ve, di testimonianze da parte di chi ha visto e constatato il fatto. L'attenzione si porta sul dato fisico e quindi sulla possibilità scientifica (medica) di un tale feno­ meno fisiologico (partenogenesi). Diamo un breve sguardo alla situazione letteraria. La tradizione sul concepi­ mento verginale è assente in Paolo, in Marco e nella tradizione giovannea, se ec­ cettuiamo la lettura dubbiosa di Gv l , 13 97 • La troviamo soltanto in Mt l , 18-25 e Le l , 34-35 (è perfino assente nei racconti di Le 2 che parlano dei «genitori» e di Giuseppe come «padre suo», in bocca a Maria! ) . I punti in comune tra Mt e Le sull'argomento mostrano tuttavia che la tradi­ zione esisteva prima di questi vangeli, ma era poco diffusa e relativamente tardiva (suppone infatti già un interesse specifico per gli inizi terreni di Gesù). Ecco allora il problema storico: da dove proviene questa tradizione? - Un segreto di famiglia divulgato dai parenti dopo la risurrezione? ll comportamento ostile dei familiari, soprattutto dei «fratelli» non lascia molto credito a quest'ipotesi. La loro mancanza di fede durante la vita pubblica di Gesù permette di supporre che Maria non ha loro rivelato nulla sul concepi­ mento verginale.

96 Vedi anche A. George, Le parallèle entre ]ean-Baptiste et ]ésus en Luc 1 -2, in Mélanges Bib/iques Béda Rigaux, Duculot, Gembloux 1970, pp. 147ss (ripreso in Etudes sur l'oeuvre de Luc, cit., pp. 43ss). 97 Due possibilità di lettura: - al plurale: , in Marianum, 45 [1983], pp. 127- 174. Nella stessa linea già Loisy, Mollat, Braun, Galot ecc.). Tale assenza (o comunque affermazione incerta; cf. Gv 6, 42-46 dove il rimprovero degli avversari: «di lui conosciamo il padre e la madre» non viene esplicitamente confutato) non favo­ risce l'ipotesi classica che pensa che Maria abbia comunicato tale verità al discepolo che Gesù amava e alla sua tradizione, e che da lì sarebbe entrata nella Chiesa. ...

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li vangelo di Luca

- t1icéiie suDa nascita «illegittima» di Gesò che ·drcolavano nel paése ? �. Rumori simili (se esistenti nel I secolo) possono portare la gente a capire il fatto come adulterio, non come concepimento verginale. Ma diventa possibile che la conoscenza di una tale situazione percepita co­ me «irregolare» circa la nascita di Gesù abbia potuto essere interpretata dalla /e� de pasquale come segno di un concepimento verginale (già conosciuto nella fede) . - L'ipotesi più comune considera Maria come la fonte. Esistono tuttavia del­ le difficoltà. L'interesse per gli inizi terreni di Gesù è tardivo ed è di natura teologica più che biografica: la riflessione della fede sull'identità di Gesù tende a porre agli inizi della vita sua ciò che ella ha compreso dopo la risurrezione 99 • TI suo rapporto filiale unico con Dio, l'agire potente dello Spirito sono visti presenti dall'origine 100 • «Anche se Maria e Giuseppe avessero taciuto il mistero di cui erano custodi, non era difficile per i credenti concludere che all'inizio dell'esi­ stenza terrena del Signore bisognava porre un diretto intervento di Dio che si con­ cretizzava in un annunzio e in una maternità meravigliosa» 101 • La funzione dell'angelo nel racconto dell'annunciazione va in tale senso: l'an­ nuncio del concepimento verginale non è frutto di una riflessione puramente razio­ nale, ma proviene da una rivelazione. La risposta di Gabriele (v. 35) alla domanda di Maria supera il problema particolare di Maria (di ordine biologico) e si situa sul piano della fede cristiana. Anche l'aspetto letterario lo conferma: la tradizione sul concepimento verginale come si trova espressa nei vangeli di Le e di Mt non sem� bra risalire a qualche racconto (il che supporrebbe all'origine i ricordi di Maria), ma ad affermazioni teologiche, a una confessione di fede sull'origine divina di Gesù. E quindi il fondamento della verità sul concepimento verginale è più la fede pasquale della comunità cristiana, che i ricordi personali della madre di Gesù. Conviene dunque non dare troppo peso all'opinione - non fondata nel te­ sto - che Maria abbia confidato al discepolo che Gesù amava (cf. Gv 19, 27) il se­ greto della sua maternità verginale: il silenzio (o perlomeno la scarsità) proprio della tradizione giovannea non dà credibilità a tale opinione 102 • Anche il testo attuale di Le 1-2 non va in questo senso: non pretende poggia_

98 Vedi R. E. Brown, op. cit, appendice 5 a pp. 727-739; ampio studio sulla storicità del concepimento verginale, in appendice 4, pp. 702-726; vedi anche i vari commentari di ]. Schmid, H. Schiirmann, J. Emst ecc. 99 Vedi in particolare P. Gibert, Bible, Mythes et récits de commencement, Ed. du Seui!, Paris 1986, soprattutto pp. 23 9-248. 1 00 La riflessione cristiana più arcaica mette la figliolanza divina di Gesù in relazione con la sua risurrezione mediante la potenza dello Spirito; l'approfondimento ulteriore vede tale realtà già presente in Gesù durante la sua attività pubblica (vedi la scena del battesimo), poi fin dali' origine. Ciò non contraddice il fatto che il pensiero sulla preesistenza del Figlio sia nato molto presto (in ambienti ellenistici): ma non diceva tanto una anteriorità nel tempo, quanto una superiorità in relazione al cosmo. 101 B. Prete, A proposito di Luca l, 34, in Rivista Biblica, 4 ( 1970), p. 391. 102 Bisogna anche tenere presente che l'interesse per l'inizio dell'esistenza di Gesù è sorto probabihnente quando Maria non viveva più. Inoltre, conoscendo la riservatezza orientale, è difficile ammettere che Maria si sia aperta ad altri sul suo stato fisico prima, durante e dopo il parto: un simile pensiero stona con la psicologia della donna in questa situazione! E comunque, viene deviata la prospettiva (cristologica) nella quale era considerato il concepimento verginale.

Il vangelo dell'infanzia: Le l 2 -

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re sulla testimonianza di Maria. Il vocabolario tipico dell a testimonianza: vi è as­ sente riguardo al nostro argomento. Invocare il fatto che Maria «conservava tutte queste cose nel suo cuore» (Le 2, 1 9.5 1 ) per dire che, appunto, ella sia la fonte della tradizione, è misconoscere il significato di tale frase che presenta Maria co­ me il tipo del credente che accoglie la parola, riflette sugli eventi, e non come co­ lei che la diffonde. Bisogna, al contrario, rispettare il dato significativo che appare in molti rac­ conti biblici di inizi (come il racconto della creazione): nell'annunciazione non ci sono testimoni; l'inizio proviene da Dio, appartiene quindi alla sfera della fede. Capire l'importanza che la riflessione cristiana post-pasquale su Gesù storico e risorto ha avuto nella formazione della tradizione sul concepimento verginale aiuta anche a dare a tale tradizione il suo giusto significato: la prospettiva è essen· zialmente cristologica e non mariologica; e cioè, l'attenzione dell'evangelista e del­ la Chiesa primitiva si portava non sulla verginità in quanto tale di Maria 10', ma sull'origine divina di suo figlio. La verginità di Maria mette in luce l'opera creatri­ ce dello Spirito riguardo alla nascita di Gesù. Dio solo è all'origine di Gesù; la parte umana consiste essenzialmente nell'accogliere tale agire 104• E Dio è all'opera non secondo la concezione pagana della teogamia, allora comune nella mentalità lO) An cora meno sull'aspetto fisiologico di tale problema: verginità durante e dopo il par­ to! Ciò non esclude �he per Luca, come mostra Le l, 34b, il concepimento verginale implica il dato biologico. 104 La tradizione primitiva come pure l'evangelista, si pongono primariamente sul piano dell'interpretazione teologica: Gesù è il Figlio di Dio in forza dello Spirito Santo; solo in secon­ do luogo, il dato fisiologico interessa in quanto acquista valore di > (come Luca) al posto di «ridere». 145 Non è da escludere che Luca sia stato influenzato dall'usanza greca e romana di dare il

76

Il vangelo di Luca

dei vicini e della parentela per imporre il noflt'e Zaccaria al b am ­ bino appare sorprendente: questo diritto appartiene ai genitori, soprattutto al pa­ dre (gli altri possono suggerire) . E perché proprio il nome Zaccaria? Non era uso di dare al figlio il nome del padre (anche se esistono eccezioni alla regola: Tb l , 9). La soluzione è probabilmente da cercare nell'arte narrativa dell'autore: un mezzo per preparare e rendere visibile al lettore l'accordo provvidenziale fra i due genitori sul nome da dare. L'intervento

l, 60-63 . Nella scena centrale, resa più vivace dall'impiego del discorso diretto, l'interesse di Luca si concentra sulla miracolosa imposizione del nome Giovanni. Da una parte la madre e dall'altra parte il padre, senza essersi concertati pri­ ma, indicano lo stesso nome 146• Storicamente, l'intervento della madre può apparire fuori posto, visto che in generale spetta al padre dare il nome al bambino. Ma nel nostro racconto importa che sia la madre, sia il padre diano rispettivamente questo nome: serve a mettere in luce l'accordo provvidenziale che è visto come un segno dal cielo 147 : Giovanni è un nome che proviene da Dio 148• l, 64. Appena 149 scritto il nome Giovanni, il vecchio sacerdote può di nuovo par­ lare 150• Si compie dunque quanto l'angelo aveva predetto: «non potrai parlare ./i'no al giorno in cui avverranno queste cose» (Le l, 20). D miracolo a sua volta diventa segno della veracità di quanto Gabriele aveva annunciato a Zaccaria sul futuro bambino. E Zaccaria prorompe in lode: da scettico diventa uomo di fede.

l, 65 . A questo nuovo prodigio, come un ritornello, risponde il timore dei pre­ senti, caratteristico della reazione umana dinanzi a una manifestazione sopran­ naturale.

nome tra il 7° e il 1 0° giorno dopo la nascita (vedi Ch. Perrot, Les récits de l'en/ance de ]ésus, cit., p. 49). Nell'Antico Testamento, il nome dato al momento della nascita: Gn 2 1 , 3 ... 146 Evitare le supposizioni gratuite che rischiano soltanto di non rispettare l'intenzione dell'evangelista: p. es., come è stata informata Elisabetta? da Zaccaria che avrebbe avuto tutto il tempo per avvertire sua moglie? da una rivelazione speciale? Se si suppone tlll accordo previo, il valore della scena starebbe soltanto nel fatto che Zac­ caria, scrivendo Giovanni , ha obbedito all'angelo. Ora, per gli assistenti, importa che il nome Giovanni sia dato da entrambi i genitori l'uno indipendentemente dall'altro: in tal modo, l'ac­ cordo potrà apparire come un segno divino. Nel v. 62 è scritto che i vicini «facevano cenni al padre»: l'evangelista sembra dimenticare che Zaccaria è soltanto muto, non sordo! In realtà, anche questo dettaglio rafforza l'intenzione di Luca: tra i due genitori non c'è stata una precedente concertazione. 1 47 P. Benoit, L'en/ance de ]ean-Baptiste selon Luc I, in Exégèse et Théologie, III , cit., p. 17 4 (l'articolo fu pubblicato nel 1956-57). 1 48 Nel v. 63 Zaccaria «scrive, dicendo»: corrisponde all'ebraico l'emor. (cf. 2 Sam 1 1 , 15; 2 Re 10, 6; l Mac 1 1 ,57: l. H. Marshall, op. cit., p. 89). 149 «all'istante» è un lucanismo (]. Jeremias, Die Sprache des Lukasevangeliums, op. cit. , p. 70). 1� «La sua bocca si aprì. . e la sua lingua» è uno zeugma: il verbo «aprire» non conviene per > (v. 3 1). Al posto di «tutte le nazioni» (Is 52, 10), Luca scrive «i popoli» (v. 3 1 ). Generalmente, egli riserva la parola laos (popolo) al popolo di Dio. Pensa Luca ai Gentili e a Israele che, insieme, costituiscono il nuovo popolo di Dio? D v. 3 1 ricorda anche Le l, 17: la funzione del precursore è di preparare un popolo al Signore. 86 Vedi anche At 28, 28. 87 Così Soeur Jeanne d'Are, Luc, «Les Belles Lettres», Desclée de Brouwer, Paris 1986, p. 18 in nota. 88 A. George, op. cit., p. 62. "') nt '. 89 Non si può dedurre dall'appellativo «suo padre» che il testo ignori il concepimento verginale, almeno a livello redazionale. Luca sa che il lettore sa! Significativa la reazione di alcuni manoscritti a sostituire «suo padre» con «Giuseppe». 90 A. George, op. cit. , p. 448.

Il vangelo dell'in/an:da: Le 1 - 2 del

101

Dal punto di vita letterario, il versetto sottolinea l'importanza del contenuto canto di Simeone, e funge da transizione all'oracolo successivo.

2, 34. Simeone di nuovo benedice, una benedizione all'indirizzo della famiglia di Nazaret, forse sul modello della benedizione di !sacco e di Giacobbe (Gn 27 e 48) 91 . Poi si rivolge direttamente alla madre del Messia. Per la prima volta, una nu­ vola appare nel cielo finora sereno e gioioso degli annunci messianici, il che pone questa profezia in forte contrasto con il Nune dimittis. Il Messia «è posto» 92 per la caduta e il rialzo 93 di molti 94 in Israele. Viene delineato il destino di Gesù presso Israele: egli sarà segno di contrad­ dizione. Inviato come segno di salvezza, egli di fatto, con la sua presenza, si scon­ trerà con la contestazione e con l'ostilità di molti suoi contemporanei 95 • Viene an­ ticipata l'esperienza di Gesù compresa nella linea dell'esperienza della Chiesa: Cristo è la pietra di costruzione, diventata testata d'angolo per coloro che credo­ no, e d'inciampo per molti Israeliti. L'accento è posto sul lato negativo: il rifiuto d'Israde provocherà la morte del Messia e l'allontanamento d'Israele dalla Chiesa. 2, 35. Simeone prosegue con una parola misteriosa (v. 35a) che concerne diretta­ mente Maria: una profezia enigmatica e anche difficile da situare nel contesto 96: una spada 97 trafiggerà l'anima di Maria. Le interpretazioni sono varie 98 • Conviene escludere la più comune che vede un riferimento diretto ed esclusivo alla Mater dolorosa, la Desolata ai piedi della croce. Luca infatti non conosce, nel suo vangelo, la scena di Maria ai piedi della 91 Per i patriarchi, la benedizione trasmetteva ai figli scelti i beni delle promesse divine fatte ad Abramo. Luca lo sapeva? 92 Il verbo scelto allude alla piet ra di costruzione posta per redificazione o la caduta degli uomini; l'imagine è imponante nella tradizione cristiana (cf. Rm 9, 33; l Pt 2, 6). Luca la ripren­ de dalla tradizione sinottica in Le 20, 17 (cf. Sa/ 1 18, 22) aggiungendo: «Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà; stritolerà colui sul quale cadrà» (v. 18, cf. Is 8, 15; Dn 2, 44). L'origine dell'immagine si trova in Is 8, 14 s ove Dio è detto pietra d'inciampo sulla quale molti Israeliti cadranno e si sfracelleranno. Invece, in Is 28, 16 Dio dice: «lo pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare . chi crede non vacillerà». Is 7, 14 (il segno dato ad Acaz) può aver suggerito rultima pane del v. 34. 93 La parola anastasis scelta da Luca suggerisce «risurrezione». 94 > in Le 2, 46. Anche il verbo «devo» non è utilizzato esclusivamente nelle parole di Gesù sulla passione (cf. Le 4, 43 ; 2 1 , 9), ma accompagna, in Luca, l'intera attività di Ge­ sù posta sotto il volere divino. Uno studio meno allegorizzante del testo mostra, di conseguenza, che l'epi­ sodio del ritrovamento nd tempio deve essere compreso senza riferimento specia­ le al mistero pasquale. La festa di Pasqua in Le 2, 4 1 , non prefigura ancora la ri­ surrezione, ma spiega perché Gesù si trova nel tempio, il luogo dove può incon­ trare i «maestri» d'Israele. L'incomprensione dei genitori riguarda la scena nella quale Gesù esprime il mistero della sua filiazione che caratterizza l'intera sua esi­ stenza, e non la non-comprensione della sua passione e morte. L'intenzione dell'evangelista sta nel mettere in luce la sapienza del giovane Gesù e la sua relazione filiale e obbediente a Dio, da dove scaturisce tale sapienza che impregna tutto il suo insegnamento e comportamento. GEsù A NAZARET: Le 2, 5 1 -52 51 E scese con loro e venne a Na1.1lret ed era loro sottomesso. E sua madre con­ servava tutte queste cose nel suo cuore. '2 E Gesù cresceva in sapienza e statura e gra­ zia presso Dio e gli uomini.

Segue una serie di tre conclusioni. 2, 5 1 . Tutto rientra nell'ordine: la manifestazione di Gesù nel tempio ha tolto per un momento il velo. Ora egli rimane sottomesso ai genitori, vive la sua realtà di un uomo fino in fondo, come conviene a ogni ragazzo della sua età e ad ogni figlio, secondo la legge di Dio: «onora tuo padre e tua madre» (Dt 5, 16). TI contrasto con la scena precedente è volutamente forte: dopo aver espresso la sua fondamentale indipendenza dalla famiglia umana, perché egli appartiene a Dio, Gesù vive una esistenza dd tutto normale (cf. Le 4, 22) fino al giorno della sua manifestazione pubblica: ma quel giorno non può più essere una sorpresa per il lettore, come lo era per i concittadini di Nazaret. Anche Maria, dopo il rimprovero fatto al figlio, e la sua incomprensione (Le 2, 48.50), ritorna ad essere la credente perfetta che accoglie e approfondisce tutti 1 45 Vedi in particolare lo studio già citato di H. J. de Jonge, SonshipJ WisdomJ Infancy. Luke IIJ 41-Jla, in NTS 24 ( 1 978), pp. 3 17ss. Mi riferisco a questo lavoro. Anche R. E. Brown, op. cit. , pp. 667s.

112

il vangelo di Luca

gli eventi e parole che accompagnano Gesù fin

la sua crescita.

dalla sua nascita 146: in ciò consiste

2, 52 . L'ultima conclusione si aggancia a Le 2, 40, e insieme fanno da cornice all'episodio sul ritrovamento di Gesù nel tempio 147, una illustrazione della sapien­ za di cui Gesù era ripieno (Le 2, 40; cf. 2, 46-47) e che ora, viene detta essere in progresso. Cresce anche la statura fisica 148 - non menzionata in Le 2, 40 - e in gra­ zia presso Dio e presso gli uomini 149• Se la finale può essere letta sullo sfondo di Prov 3 , 1-4, si può pensare che la grazia sia frutto della sua obbedienza al volere divino che permette a Dio di col­ marlo in proporzione della sua maturità, e crea in lui un'armonia che incide favo­ revolmente sugli altri. Insomma, Luca presenta un Gesù giovane che progredisce verso la completa maturità umana, fisica e spirituale, per diventare l'uomo che incontriamo all'inizio della sua vita pubblica.

CoNCLUSIONE AL VANGELO DELL'INFANZIA

Il genere letterario

Come defmire il genere letterario di questi primi due capitoli del vangelo di Luca? Certamente, non si tratta di un racconto biografico con l'intenzione di rife­ rire la storia dell'infanzia di Gesù, anche se lo stile è indubbiamente narrativo. Ci sono troppe lacune nell'informazione, troppe imprecisioni nelle descrizioni e, così come vengono narrate, diverse vicende tradiscono un certo grado di inverosimi­ glianza. Luca, da buon scrittore ellenistico, si è volutamente ispirato a criteri e mo­ delli letterari del suo tempo. Già il genere «racconto d'infanzia» non è nuovo; il porre alle origini i tratti salienti del futuro eroe di cui si narra la storia, è un modo di introdurre e preparare il lettore all'intelligenza della sua attività. Anche l'uso del parallelismo è frequente; ricordiamo le Vite parallele di Plu­ tarco 1'0• n confronto fra due personaggi mette meglio in luce le loro caratteristi146 Vedi l'inclusione tra Le 2, 19 e 2, 5 1 b. 147 D sommario può ispirarsi a l Sam 2, 2 1 .26 (anche doppia annotazione sull a crescita del

giovane Sa.muele) e di Prov 3, 4. Comunque, la notizia della crescita (in Le 2, 40 e 2, 52) è un elemento richiesto dalla biografia greca. Vedi W. C. Van Unni.k, Eléments artistiques de Luc, in L'Evangile de Luc, a cura di .F. Neirynck, Duculot, Gembloux 1 973 , p. 137. 148 Il greco helikia potrebbe anche indicare la crescita in età, ma sarebbe un'affermazione piuttosto banale. 1 49 Quest'ultima espressione si incontra in l Sam 2, 26 e in Prov 3, 4. B. Couroyer, sulla base di testi egiziani ai quali si sarebbe ispirato Prov 3 , 2, capisce grazia secondo il senso profa­ no di bellezza (A propos de Luc II, 52, in Revue Biblique, 1 [1979], pp. 92ss). Ma è difficile dare alla parola un senso diverso da quello già presente in Le 2, 40. 150 ll parallelismo esiste anche nell'Antico Testamento (Mosè!Elia, ecc . ), ma il confronto non è così diretto. Il giudaismo conosce racconti d'infanzia (influenza ellenistica).

Il vangelo dell'infanzia: Le 1 2 -

1 13

che rispettive� Nel vangelo ;di Luca (cc. 1•2), il parallelismo tra Giovanni e Gesù esprime la continuità del disegno divino nella storia della salvezza, e serve a sotto­ lineare la superiorità di Gesù sul suo precursore 151; ovviamente, le scene descritte (annunciazioni e nascite) sono già viste con l'occhio cristiano. La mentalità ellenistica del nostro autore si nota anche nd suo interesse per i personaggi secondari del racconto, che non siano soltanto Gesù o il Battista; in particolare le donne acquistano consistenza e personalità. Non è possibile inserire questi capitoli in un genere letterario definito e preesistente. Siamo in presenza di un'opera essenzialmente teologica, il cui scopo principale non è la descrizione di eventi storici, ma di dare il significato religioso di Gesù nella storia della salvezza, ponendo l'attenzione agli «inizi» compresi e approfonditi alla luce della fede postpasquale. In questa prospettiva, gli episodi dell'infanzia costituiscono lo sfondo narrativo dal quale emerge la proclamazione di chi è Gesù (e il Battista) per la fede cristiana: in questa proclamazione sta la ve­ rità di questi racconti. «La legittimità di tutta la storia dell 'infanzia non è fondata sull 'esattezza del­ la ricerca storica di Luca, essa è piuttosto da cercare nella confessione pasquale della comunità» 152• L'evento pasquale è il dato primo e fondamentale. La verità di quanto è scritto nel vangelo dell'infanzia dipende dal fatto che Gesù è veramente risorto ed è il Figlio di Dio. li movimento va dunque dalla realtà postpasquale della comunità che ha compreso e accolto la persona e il ministero di Gesù ora risorto, verso l'inizio, il punto di partenza sul quale viene trasferito l'intero contenuto della fede. Quindi, l'affermazione: Gesù, pienamente rivelato nell'evento pasquale, è grande, santo, Figlio, fin dall'inizio. Tutto è già presente alle origini, e Luca «presenta il mistero nella sua pienezza fin dali, inizio del vangelo. n seguito della narrazione mostrerà il lento awicinarsi ad esso da parte degli uomini» u' . Non sono allora Maria o gli altri protagonisti delle origini che hanno regi­ strato la loro esperienza, conservato e approfondito i loro ricordi - quali cristiani precoci - per consegnare, ben più tardi, il frutto della loro riflessione alla comu­ nità cristiana 1 54 • È questa comWlità stessa che, alla luce pasquale, e in un periodo rdativamente tardivo, ha riflettuto sul mistero della persona di Gesù trasferendo la sua comprensione all'inizio della vita del Messia; l'esistenza di Gesù - come quella del Battista - è così posta da sempre sotto il segno dell'intervento divino: di qui il significato e la funzione delle apparizioni angeliche e del tempio nel quale inizia e si conclude il vangelo dell'infanzia. E l'evangelista presenta la sua opera al lettore, invitandolo a partecipare al lieto evento, a intonare i canti di gioia come Zaccaria, Maria o Simeone - la ChieUl Luca airul accoppiate ·ftc! Simeane e Anni; le parabole gemelle del c. 15� Pietro e Paolo negli Atti ecc. u2 M . W. Bertsch, citato da }. Emst, Das Evangelium nach Luleas, cit., p. 128. 15} A. George, Pour lire l'Evangile selon Saint Luc, «Cahiers Evangile» 5, Cerf, Paris 1973 , p. 13. u4 Ci sono senz'altro ricordi storici (i nomi dei protagonisti ecc.), ma ben difficili da pre­ cisare.

1 14

Il vangelo di Luca

sa è la continuità di questi «poveri di JHWH» -, a celebrare nella propria comu­ nità la buona novella della natività del Signore. ll lettore è invitato a partecipare agli eventi raccontati perché essi esprimono il significato che Cristo, nel suo dise­ gno compiuto, ha dato all'intera storia umana e alla vita di ognuno 155 • Il problema delle fonti Diversi indizi - compresa anche l'espressione di fede compiuta che vi traspa­ re - rendono plausibile l'ipotesi che Luca abbia composto il vangelo dell'infanzia alla fine, dopo avere scritto l'insieme della sua opera 1 56• È un fenomeno che succe­ de normalmente per chi scrive libri. Molto più complessa è la questione delle fonti e della storia della redazione di questi capitoli. L'insieme è scritto nello stile sacro della lingua biblica: ma siamo in presenza della traduzione di un testo originale ebraico/aramaico, o di una imi­ tazione dello stile semitico, in particolare dei Settanta? Luca ha tradotto una fonte ebraica, ha rielaborato una traduzione greca già esistente di un originale ebraico, o ha scritto egli stesso la maggior parte del testo, senza documenti particolari (tranne alcuni canti e informazioni varie) ? Esistono giochi di parole tipicamente greci (cf. Le l, 28), giochi di parole tipicamente ebraici (cf. Le l, 72s), semitismi che suppongono una traduzione letterale di un testo ebraico/aramaico piuttosto che una imitazione di stile 157, ma anche costruzioni e riflessioni che presuppongo­ no la Bibbia dei Settanta e non quella ebraica 158 • «Lo stile personale del Terzo Evangelista non presenta mai delle deficienze tali da risultare una prova dell'origi­ ne estranea di un passo, né è mai così convincente da escludere la possibilità che sia esistita una fonte scritta» 159 • çon prudenza, possiamo soltanto dire che il lavoro redazionale, e cioè la ma­ no stessa dell'evangelista, è importante e presente ovunque 160 : egli non ha soltanto

1 55 La preoccupazione di attualizzazione concreta si nota anche nell'evidente intento di edificare il lettore, di presentare figure che possano servire da modello di comportamento cri­ stiano (soprattutto Maria). 1 56 Così P. Benoit, L'en/ance de ]ean-Baptiste selon Luc l , in Exégèse et Théologie, m, cit., p. 173 . Anche R. E. Brown, op. cit. , pp. 3 1 6s. D c. 3 del vangelo costituisce un buon inizio originario che non richiede i due primi capi­ toli. ll riferimento al battesimo di Giovanni come inizio (in At l , 22) «suggerisce l'ipotesi che Le 1 -2 possa essere stato premesso al vangelo dopo che il libro degli Atti fu terminato» (Brown, p. 3 17). Anche la genealogia di Gesù nel c. 3 si capirebbe meglio al suo posto attuale, se non ci fossero i cc. 1-2. 157 P. es. il waw apodosis in Le 2, 21, forse Le 2, 28: traduzione letterale nei LXX. 1 �8 P. es. Le l , 17 .3 1 . 119 R. E. Brown, op. cit. , p. 326, 160 Oltre ai lucanismi di stile e vocabolario caratteristici dell'intera opera, sono sviluppati anche temi cari all'autore: - il tempio e Gerusalemme come luoghi in cui avviene la svolta decisiva della storia della salvezza: sono il punto di partenza di Gesù, come pure della giovane Chiesa (e di Paolo); - il tema dello Spirito effuso che suscita profeti, e della gioia, espressioni del compimento delle attese messianiche, dell'inaugurazione del tempo nuovo; e quindi il tema della lode che ri­ flette il contesto liturgico della comunità;

Il vangelo dell'infanzia: Le l 2 -

1 15

copiato e messo insieme documenti preesistenti. n lavoro sembra inoltre essersi fatto in diverse tappe, con l'inserimento, in un secondo tempo, di cantici (il Ma­ gnificai, il Benedictus) e forse di altro materiale, soprattutto nel secondo capitolo (la scena di Simeone, il ritrovamento nel tempio). L'origine di questi eventuali testi e cantici è da cercarsi nelle comunità giu­ deo-cristiane della Palestina, forse di Gerusalemme, nell'ambiente dei «poveri di JHWI-1», pii Giudei fedeli alla Legge e al tempio, che hanno trovato in Gesù il compimento delle loro attese e speranze. La riflessione sull'Antico Testamento

Fondamentale è la ricca riflessione cristiana sull'Antico Testamento ereditata da Luca. Non soltanto lo stile, gli schemi letterari, ma i riferimenti e le allusioni al­ la Bibbia sono costanti e caratterizzano in gran parte l'originalità dello scritto di Luca. n giudaismo aveva l'abitudine di riflettere sulla Sacra Scrittura per attualiz­ zarla, spinto da eventi nuovi e da discussioni su casi controversi. Si parla di meto­ do midrashico 161 • Nella riflessione cristiana (e in Le 1 -2) si potrà forse parlare di tendenza o procedimento midrashico, ma il metodo è diverso: «L'esegesi ebraica scruta le Scritture per scoprirne la profondità e la portata attuale. ll movimento va dalla Scrittura alla storia e ai problemi del presente. n cristiano parte dall'evento Gesù Cristo ... Da qui va verso la Scrittura per comprendere meglio il Cristo, per scoprire gli annunci profetici, le prefigurazioni . . n movimento va da Gesù Cristo alle Scritture» 162• Per il giudaismo, prima è la Scrittura; per la Chiesa, primo è Cristo. Tutto è vi­ sto alla luce di Gesù risorto, orientato a lui diventato il punto fermo a partire dal quale vengono riletti e adattati, se necessario, le profezie, i personaggi che diventano tipi e prefigurazioni: Sara e Abramo, Gedeone, i genitori di Sansone, Anna e Samue­ le; tutte figure che ricevono per così dire una seconda vita nei personaggi di Le 1-2. La Scrittura ha la sua importanza anche perché manifesta la realtà di un Dio vivente che non cessa di portar avanti un suo progetto e di manifestare quello che Luca chiama la Sua eudokia (Le 2, 14), la sua benevolenza. .

Gesù n motivo dell'attesa colmata percorre tutto il vangelo dell'infanzia: tutte le promesse e speranze attraversano come un fiume la storia d'Israele per convergere

- il tema dell 'oggi come tempo della salvezza, compimento delle promesse divine e delle

profezie;

- il motivo della fedeltà dei protagonisti alla tradizione e alla Legge di Dio; non esiste in Luca la tensione paolina tra Legge e fede 161 Mtdrash significa cercare, scrutare, quindi interpretare, commentare. La ricerca si face­ va su testi legislativi (Halaka) e narrativi (Aggada) della Legge. 162 G. Rouiller · C. Varon e Il vangelo secondo Luca, Cittadella Ed., Assisi 1983 , p. 415. .

,

116

Il vangelo di Luca

questo bambino, anft'dhciato a ·Maria, nato ·umi..lrit!nte a Betlemme, pràelb tato e manifestatosi nel tempio di Gerusalemme. L'Antico Testamento proietta la sua luce - cristianizzata - sul significato di Gesù, il personaggio centrale dell'intero racconto; egli è il Messia, il re al quale è destinato per sempre il trono di Davide (Le l , 32s), l'Emmanuele della profezia di Isaia (Le l , 3 1 ), colui che colmerà i poveri, gli affamati e umili (Le l , 5ss), l'astro che sorge nel Cielo d'Oriente (Le l , 78), il liberatore e corno di salvezza (Le l , 68.69), il Servo, luce delle nazioni m a anche segno d i contestazione ( Le 2, 3 132.34), il portatore della pace (Le l , 79). Ma Gesù è anche illuminato direttamente dalla luce pasquale. Fin dal suo concepimento, egli riceve i titoli cristologici del kerygma della Chiesa primitiva: Salvatore, Signore, Figlio, il cui contenuto supera le attese veterotestamentarie. Non a caso questi titoli attribuitigli dalla fede postpasquale sono messi in bocca agli angeli e non a uomini (Le l , 35; 2, 1 1 ) e trovano nella prima parola di Gesù stesso il loro fondamento: il mistero della relazione filiale unica di lui con il Padre (Le 2, 49). Non chi sta storicamente agli inizi, chi ha assistito alla sua nascita terrena, ma solamente il credente che sta sotto la luce di Cristo risorto può parlare in mo­ do così totalizzante di Gesù.

!\lerso

Giovanni

Anche Giovanni, il profeta dell'Altissimo, è una figura di rilievo nel vangelo dell'infanzia, ma tutta subordinata a quella di Gesù: ne è il precursore. L'impor­ tanza data a Giovanni in questi capitoli, l'idea di sviluppare i suoi tratti in paralle­ lo a' quelli di Gesù, trova probabilmente la sua spiegazione nel fatto che egli ha il suo posto stabile nell'annuncio kerygmatico e quindi all'inizio della tradizione si­ nottica (Le 3) 163• Luca riconosce a Giovanni la funzione propria di convertitore, ma essa ha senso per la sua stretta relazione con il Messia: preparare un popolo al Signore (Le l, 16- 17). In fondo, Giovanni non appartiene più all'Antico Testamento come tempo di attesa, neppure al tempo della salvezza che inizia con Gesù. Egli fa da giuntura tra le due grandi epoche della storia della salvezza, quella delle promesse e quella del compimento. Maria

Se l'insieme dei racconti di Le 1-2 ha indubbiamente un orientamento cristo­ logico, è centrato su Gesù, nondimeno l'evangelista mostra un grande interesse 163 Ritengo meno probabile l'esistenza di. qualche polemica con il movimento battista al tempo di Luca (non c'è segno di rivalità fra Giovanni e Gesù, nel vangelo), o l'utilizzazione di una fonte proveniente dalla cerchia dei discepoli di Giovanni.

Il wngelo dell'in/tlfl%itl: Le I

-2

1 17

· per Maria *. '�:'angelo le dà il nome di «colmata dalla benevolenza divina)> (Le l, 28) che la definisce bene nel piano di Dio: offrire al Signore il > (l..c 2, 1 1 ). E difatti, là dove Gesù è presente, là la salvezza è offerta: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Le 19, 9), dice Gesù a Zaccheo. Essa è entrata nella storia degli uomini, presente nella Chiesa, anche se per Luca si tratta di un bene che soltanto nell'aldilà sarà pienamente realizzato. Occorrerebbe allargare l'argomento e anticipare il punto di vista di Luca sull'escatologia. A leggere i due primi capitoli del vangelo, è indubbio che la venu­ ta dd Messia, compimento delle promesse divine, costituisce un evento escatolo­ gico, inaugura una svolta definitiva nel tempo della storia della salvezza, ma non la sua fine. Sono già presenti e vissuti nella Chiesa quei beni di salvezza che, agli oc­ chi del giudaismo, avevano carattere finale: il perdono dei peccati, l'effusione del­ lo Spirito su ogni carne con i suoi effetti di gioia, di pace, di comunione fraterna. Ma appunto, egli dà a questo evento un carattere storico, presentandolo come la successione di un periodo ad un altro, e non il carattere apocalittico della irruzio­ ne dell'èra finale. L'evangelista, tuttavia, mantiene l'attesa tradizionale della Paru­ sia del Signore che porrà termine alla storia; ma l'accento cade decisamente sulla realtà presente 1 71• Su questa visione influisce non poco il senso della storia dell'el­ lenista Luca (più che il problema del ritardo della Parusia) 174 •

17' Conviene anche menzionare l'attenzione che l'autore, unico fra gli evangelisti, manife­ sta per il destino individuale subito dopo la morte (Le 12, 20; 23, 43 ) . Oltre alla tensione fra presente e futuro, bisogna tener conto di una «escatologia individuale» che si compie alla morte di ognuno, e di una «escatologia collettiva» attesa per la fine dei tempi (vedi A . George, Etudes sur l'oeuvre de Luc, cit., p. 347). 174 Per H. Conzelmann, in Luca, l'attesa apocalittica dell'imminente venuta gloriosa di Cristo alla fine dei tempi è stata sostituita da una «storia della salvezza» come risposta al ritardo della Parusia. Questa tesi non è sufficiente a spiegare l'importanza che la prospettiva storica ha nell'opera del III Vangelo (Conzelmann, Die Mitte der Zeit, J . C. B. Mohr, Tiibingen 1964 \ p. 127). Per la questione dell'escatologia in Luca, vedi E. E. Ellis, Lafonction de l'eschatologie dans l'évangile de Luc, in L'Evangile de Luc, a cura di F. Neirynck, cit., pp. 141ss.

120

Il vangelo di Luca

Storia dè7la sal1Jet.%à

Un altro aspetto venuto in luce nello studio del vangelo dell'infanzia, deve essere esaminato in modo più ampio. Luca scrive la sua opera nella prospettiva di uno storico occidentale: non una storia «cosmica>> alle soglie della fine dei tempi (visione apocalittica), ma una storia che evolve lungo il tempo, in periodi successi­ vi. Evidentemente, l'autore sacro non è uno storiografo moderno, non si preoccu­ pa molto della descrizione oggettiva dei fatti, dell'esattezza geografica e cronologi­ ca... Luca è uno storico dell'antichità 175, e per giunta cristiano. Egli segue gli usi della storiografia antica: introduzione all'opera, parallelismo, infanzia dell'eroe, discorsi dei protagonisti, ecc. Da storico, egli considera la vita di Gesù un fatto del passato 176 , e si sforza di presentare al lettore la progression.e di tale vita nel tempo, come pure r avanzare della parola del Vangelo da Israele a Roma. Come storico cristiano, l'attenzione si rivolge al piano divino che si attua nel corso dd tempo: quindi, «una presentazione storica degli eventi della salvezza» 1 77• Tipica di Luca è la periodizzazione della storia della salvezza: due epoche sono nettamente distinte (cf. Le 16, 16) : il tempo dell'Antico Testamento, tempo di pre­ parazione, nel quale lo Spirito profetico viene comunicato a singole persone, pe­ riodo tutto orientato alla venuta del Messia in possesso della pienezza dello Spiri­ to, e che inaugura il piano salvifico di Dio. La scena dd vecchio Simeone che salu­ ta la «novità» che porta nelle sue braccia esprime plasticamente il legame che Lu­ ca vede tra l'Antico Testamento e Gesù. Bisogna anche riconoscere un terzo tempo chiaramente distinto da quello di ·Gesù, il tempo della Chiesa nel quale lo Spirito è comunicato a ogni credente? Gesù si trova al centro del tempo? Si discute 178• Comunque sia, è chiaro che per Luca la storia della salvezza trova la sua grande svolta nella venuta e nella vita di Cristo e, pur essendo un fatto del passato, il tempo di Gesù, in un certo senso, prosegue nel tempo della Chiesa: la «memoria>> della sua vita permette ai credenti di seguire la sua via, camminare sulle sue orme. Gesù stesso, inoltre, come Signore risorto, continua a operare nella comunità mediante la sua dynamis che è lo Spiri­ to (cf. Le 24, 49; At l , 8). Luca distingue un «inizio» (arche) della Chiesa e un ini­ zio di Gesù (che incomincia con la sua attività pubblica); però «il tempo della Chiesa si definisce soltanto in funzione del tempo di Gesù che presuppone» 179•

175 Vedi W. C. V an Unnik, Eléments artistiques de Luc, in L'Evangile de Luc, a cura di F. Neirynck, cit., pp. 133ss. 176 Secondo H. Conzelmann, l'inserimento della vita di Gesù nella storia profana del tem­ po (Le 3, lss) è dovuto al fatto che l'«adesso» della proclamazione di Gesù (Le 4, 18ss) è ormai un evento del passato e viene di conseguenza descritto come un fenomeno storico (Die Mitte der Zeit, cit . , p. 156); è un concetto troppo limitato; l'«adesso» si estende al tempo della Chiesa. 177 X. Léon-Dufour, in Introduction à la Bible. Nouveau Testament, t. III. L'Annonce de l'Evangile (vol. 2°), a cura di A. George - P. Grelot, Desclée, Paris 1976, p. 123. 178 Vedi Fr. Bovon, Luc le Théologien, Delachaux et Niestlé, Neuchatel 1978, pp. 36s; L. Goppelt, Theologie des N. Ts. , II, cit., p. 615, nota 25 . 179 E. Samain, La notion de APXH, in L'Evangile de Luc, a cura di F. Neirynck, cit., p. 327.

CAPITOL0 3

A partire dal c. 3 , Luca si aggancia alla tradizione già messa per iscritto dai «molti» che egli ricorda nel prologo (Le l , l). Egli può quindi usufruire di diverse fonti, già parte del kerygma: il vangelo di Marco, la fonte Q (materiale in comune con Matteo) e una o diverse fonti proprie. Il paragone con Mc e Mt mostra che il lavoro redazionale rimane sempre importante, e permette anche di cogliere l'in­ tenzione propria dell'evangelista. Luca riprende e sviluppa la «trilogia degli inizi» 1 presente negli altri vangeli sinottici: l'attività di Giovanni Battista, il battesimo di Gesù, le tentazioni di Gesù; quest'insieme precede l'attività vera e propria di Gesù e ne dà il senso. Una prima grande parte del vangelo si conclude in Le 4, 44 2• Essa compren­ de l'attività di Giovanni al Giordano (Le 3 , 1 -20) e quella di Gesù in Galilea (Le 3 , 2 1 4, 44) . . . I luoghi sono ben delimitati. D Giordano è il settore proprio della predica­ zione di Giovanni. Luca sembra appositamente legare questo fiume al Battista: Gesù non vi comparirà mai dopo il suo battesimo, così come Giovanni non appa­ rirà mai in Galilea e in Giudea, campo riservato all 'attività di Cristo 3 • Ritroviamo if parallelismo tra Giovanni e Gesù 4 al quale il vangelo dell'in­ fanzia ha abituato il lettore; ma ormai si tratta del loro ministero effettivo, non sol­ tanto di annunci o di nascite. Pur seguendo le sue fonti, il terzo �angelista periodizza meglio, distinguen­ do nettamente il periodo di Giovanni da· quello di Gesù (vedi cesura tra Le 3 , 20 e 21). Il Battista fa parte del tempo delle promesse arrivato al termine, il tempo del­ la preparazione immediata; egli è il più grande dei profeti alle soglie del compi­ mento; ma l'inizio vero e proprio del tempo della salvezza avviene soltanto con l'attività di Gesù (cf. Le 16, 16). -

1 J. Radermakers - Ph. Bossuyt, Lettura pastorale del Vangelo di Luca, cit., p. 194 . 2 Seguo H. Schiirmann, Das Lultasevangelium, cit. , p . 146. 3 H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit, cit., pp. 12ss.

4 Alla vocazione. predicazione e incarcerazione di Giovanni corrispondono quelle di Ge­ Le 3, 2 1 -22; 4, 16-27.28-30. Vedi E. Schweizer, Das Evange/ium nach Lukas, NTD 3 , Van­ denhoeck und Ruprecht, Gottingen 1986, pp. 44s. Anche Radermakers - Ph. Bossuyt, op. cit. , pp. I 96s (più dettagliato). sù:

122

Il vangelo di Luca L'A'ITJVITÀ DI GIOVANNI BATTISTA: Le

3,

1 -20

l . La chiamata di Giovanni: Le 3, 1-6

1 Nell'anno quindicesimo del governo di Tiberio Cesare, essendo governatore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, Filippo, suo fratello, te­ trarca della Iturea e della regione della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, 2 sotto il sommo sacerdote Anna e Cai/a, avvenne la parola di Dio su Giovannz: figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 E venne per tutti i dintorni del Giordano, predicando un battesimo di conversione per la remissione dei peccatz: 4 come sta scritto ne/ libro del­ le parole d'Isaia, il pro/eta: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, fate dritti i suoi sentieri. 5 Ogni burrone sarà (sia) riempito e ogni montagna e collina abbassata; e a·ò che è curvo sarà (sia) (reso) dritto e a'ò che è aspro sarà (sia) (reso) vie piane. 6 E ogni carne vedrà la salvezza di Dio». 3, l . Con una introduzione che gli è propria, l'evangelista inserisce il ministero di Giovanni Battista nella storia universale; in realtà è la grande svolta della storia della salvezza annunciata dal Battista che viene posta in sincronismo con la storia romana e la situazione politica e religiosa della Palestina. L'autore imita la storiografia della sua epoca; ma nello stesso tempo, si ag­ gancia ai libri profetici dell'Antico Testamento: è infatti con uno stile simile che i profeti annunciavano la loro comparsa nella storia 5 • L'intenzione primaria dell'evangelista non è di datare con esattezza l'inizio della predicazione di Giovanni: a questo scopo bastava la menzione del 15° anno dell'impero di Tiberio, l'unica indicazione cronologica precisa che, difatti, posse­ diamo per datare la vita pubblica di Gesù 6• Luca presenta anche la situazione politica della Palestina 7: non si può allora affermare che avesse il chiaro intento di mettere in luce il valore universale di ciò

' Vedi Ger l , 1-3; Ez l , 1-3; Os l , l ; Am l , l ecc.; L. Goppelt, Theologie des N. Ts., n, cit., p. 607. 6 Augusto è morto il 19 agosto del 14 d.C. Secondo il nostro modo di contare (e cioè con­ siderando il l 0 anno di Tiberio dal 19 agosto del 14 al l9 agosto del l5), il 15° anno di Tiberio sarebbe da porre tra il l9 agosto del 28 e il l9 agosto del 29 d.C. Meglio seguire il conteggio del calendario siriano in uso anche in Palestina, ove l'anno comincia in autunno ( l 0 ottobre). In questo caso, il periodo dal 19 agosto 14 al 30 settembre 14 era già considerato come il l anno di Tiberio; quindi il 15° anno di Tiberio si situa tra il l ot­ tobre 27 e il 30 settembre 28 (datazione che concorda anche con l'indicazione di Gv 2, 20). Meno probabile quanto risulta contando a partire dall'autunno del 12 d.C., anno nel quale Tiberio era già unito ad Augusto. Per altri dettagli, vedi J. Schmid, L'Evangelo secondo Luca, Morcelliana, Brescia 1957, pp. 1 18-120 e 121- 125. 7 Ponzio Pilato fu governatore della Giudea e della Samaria dal 26 al 36 d.C. Secondo una iscrizione scoperta nel 1961, aveva il titolo di prefetto della Giudea. Risiedeva a Cesarea Marittima. Erode Antipa, figlio del re Erode il Grande, regnò sulla Galilea e la Perea (Transgiorda­ nia), dal 4 a.C. al 39 d.C.; dal 26 d.C. la sua residenza fu in Tiberiade. Filippo, fratellastro di Antipa, governò le regioni ad oriente e settentrione del lago di Ge­ nesaret, dal 4 a.C. al 34 d.C. Costruì la città di Cesarea di Filippo. o

o

L'attività di Giovanni Battista: Le J, 1-20

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che si sta compiendo in Palestina con la venuta del Messia. Egli vuole forse situare i fatti che sta per narrare nel tempo, un tempo che ormai appartiene al passato; e presentare al lettore il quadro nel quale si svolgerà l'azione dei protagonisti 8 • Certo, non è un tempo qualsiasi: Dio dà compimento alle sue promesse, in­ terviene nella storia e fa sentire la sua Parola salvifica. 3, 2. In ultimo, Luca nomina il sommo sacerdote (al singolare) Anna e Caifa. In realtà, soltanto Caifa era allora in funzione (dal 18 al 36 d.C.) 9, ma l'evangelista sa che Anna continuava a svolgere un ruolo attivo. «Avvenne la parola di Dio su Giovanni, figlio di Zaccaria>>. La chiamata di Dio tocca il Battista in un momento e in un luogo preciso. L'espressione (con il sincronismo del primo versetto) ricorda la chiamata dei pro­ feti, in particolare di Geremia 10, anch'egli consacrato fin dal seno materno ( Ger l, 5). È quindi mediante la persona di Giovanni, figlio di Zaccaria 1 1, che Dio ora interviene nella storia: «C'è " storia della salvezza" , perché uomini, sotto l'agire della parola di Dio, provocano una storia e la vivono» 12 • La chiamata avviene nd deserto (cf. Le l , 80 al pl.). Inutile localizzare con precisione. Per Luca, è il luogo della vocazione dd precursore. Di lì infatti egli deve venire, secondo la profezia di Isaia citato nel v. 4; è lì che il profeta è cresciuto nella vicinanza divina prima di essere inviato. 3 , 3. Dal deserto, luogo della sua vocazione, Giovanni viene nella regione del Giordano dove svolge la sua predicazione 13• Luca non lo vede stabile in un posto determinato, ma percorrere la regione dd fiume in lungo e in largo: quindi, nella veste di un profeta piuttosto che di bat­ tezzatore. A dare uno sguardo d'insieme ai vv. 3 - 14, si ha l'impressione che l'evangeli­ sta presenti l'attività di Giovanni alla luce delle tappe della predicazione cristiana 1 4 • Nei vv. 3ss, il profeta si muove e predica nel suo campo di azione , analoga­ mente all' annuncio missionario della Chiesa. Successivamente (vv. 7ss), le folle \'engono a lui per farsi battezzare e istruire, immagine che ricorda la catechesi bat­ tesimale.

Lisania è· poco conosciuto. La zona di Abilene si situa a nord-ovest di Damasco e faceva parte della Palestina. 8 Luca non è preciso nei titoli di funzione. Egli usa il termine generico derivato da igemon per indicare e l'imperatore e il governatore. 9 Anna, il suocero, fu sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C. 10 11

Ger l , l (LXX).

La menzione del padre può richiamare ruso tradizionale nei libri profetici (Ger l, l ; Os l , l ; G/ 1 , l ecc.), ma potrebbe anche indicare che Luca non aveva ancora composto i primi due capitoli del suo vangelo. 12 Fr. Bovon, Luc le Théologien, cit. , p. 82. n In Marco (Mc l , 4), Giovann i predica nel deserto. Luca distingue tra deserto e regione del Giordano. Storicamente, per Giovanni, il deserto poteva significare: il ritirarsi dall'Israele perverso. 1 4 Cf. H. Schiirmann , Das LuleJJsevangelium, cit., p. 155 .

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Il vangelo di Luca

Nel v. 3 , il cònt&Nto della' proclamazione di Gi\minni viene preso letteral­ mente da Mc l, 4: «predicando un battesimo di conversione per la remissione dei peccati». Il battesimo di Giovanni si distingue da riti simili esistenti in altre correnti battiste dell'epoca. È un rito ricevuto una sola volta 1\ non per auto-immersione, ma dal profeta in persona (o da un suo discepolo), che svolge quindi un ruolo atti­ vo 16 e pubblico. Si riconosce il carattere fortemente ·escatologico di tale battesimo: è dato per la remissione dei peccati, in vista dell'imminente giudizio finale di JHWH. TI bat­ tesimo sigilla la risoluzione di pentimento da parte dell'uomo, garantisce di conse­ guenza - nd nome di Dio rappresentato dal profeta il perdono escatologico, e promette (non dà) lo Spirito Santo che sarà effuso alla fine dei tempi. Così dun­ que, in vista dell'Eschaton, Giovanni compie un segno di salvezza da parte di Dio, al di fuori dei riti ufficiali di espiazione del culto giudaico. n confronto tra battesimo in acqua e battesimo in Spirito - che sembra risa­ lire al Battista - lascia supporre che la profezia di Ez. 36, 25-27 abbia avuto un ruolo essenziale nella mente di Giovanni. Dando il battesimo di acqua, egli voleva attuare la prima parte della profezia: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purifi­ cati» (v. 25) , e promettere come imminente la seconda parte: «Porrò il mio Spirito dentro di voi» (v. 27) 1 7 • Come interpreta Luca la tradizione già cristianizzata di Mc e Q sul battesimo di Giovanni? (Lo si può dedurre dall'insieme della sua opera). Nel terzo vangelo, il rito battista perde il suo carattere escatologico accen­ tuato, e diventa una preparazione messianica. n battesimo serve ad orientare l'uo­ mo verso la salvezza che sta alle porte nella persona di Gesù (cf. Le l , 77); il per­ dono dei peccati avviene nell'accoglienza di fede (cf. At 1 9, 4). Lo Spirito Santo sarà dato non soltanto al momento del grande intervento fi­ nale di JHWH, ma alla Pentecoste. Ciò che il profeta. promette col suo battesimo di acqua, si realizza nella Chiesa. Nella stessa linea, la conversione non è più · vista direttamente in funzione dell 'Eschaton , ma è la prima tappa per diventare cristiano e ricevere il battesimo; essa acquista una dimensione più morale 18, ponendo l'attenzione maggiormente -

" A differenza di Qumran p. es., ove si praticano abluzioni quotidiane di purificazione. D battesimo dei proseliti (sviluppato dai farisei) era dato una sola volta, ma aveva un altro significato. 16 Probabilmente, il battezzato non si immerge nell'acqua del fiume (battesimo per im­ mersione) , ma scende in acqua ed è Giovanni che versa l'acqua sopra il capo dell'interessato (battesimo per aspersione) . Lo suggerisce l'immagine parallela del battesimo in Spirito (Le 3 , 16) che è effuso (d. At 2 , 3 3 ) ; cf. anche testi come Ez 36 , 25 (H. Schiinnann). Meno fondata l'ipotesi di J. Jeremias che pensa ad un battesimo di immersione, Giovanni avendo soltanto una funzione di testimone. (Egli vede dietro il passivo «essere battezzato» di Le 3, 2 1 e parall. l'aramaico verbo tebal, intransitivo attivo Qal: tuffarsi (Neutestamentliche Theolo­ gie. Die Verkiindigung ]esu, G. Mohr, Giitersloh 1 97 1 , p. 58). 17 Vedi L. Goppelt, Theologie des N. Ts. , I, cit., 1975, p. 89; l'analisi di H. Schiirmann, op. cit. , pp. 156- 160. La profezia di Ezechiele era anche attuale nella comunità di Qwnrin (1 Qs 4, 2 1). 18 L'ebraico shub implica un cambiamento totale di rotta; il greco metanoia indica un cambiamento di mentalità.

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L'attività. di Giovanni Battista: Le JJ 1-20

sul comportltnento concreto che il batteZzato è chiamato· a vivere nella quotidia­ nità (cf. Le 3 , 7 ss ) 19• Tuttavia, Luca vede una reale continuità tra il battesimo di Giovanni e qud­ lo cristiano; e così fu probabilmente anche, nella storia della Chiesa, per il battesi­ mo dato «nel nome di Gesù Cristo» (en o epi to onomati Iesou Christou) 20 • TI bat­ tesimo cristiano prolunga e compie il rito di Giovanni, come risulta dalla parola di Pietro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cri­ sto, per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2, 38; cf. Le 24, 47 ). ll battesimo cristiano continua ad essere un battesimo di conversione per la remissione dei peccati. L'evangelista considera dunque Giovan­ ni anche come il precursore del battesimo cristiano. Ma Luca tiene anche a mantenere la differenza, e lo fa notare già grammati­ calmente 21 • Al battesimo cristiano è ormai legato il dono dello Spirito Santo, realtà che il Battista poteva soltanto promettere ma non dare. Mentre Giovanni è il soggetto che battezza, l'uso del verbo passivo nel rito cristianò indica che l'agen­ te è Cristo risorto (cf. Le 3, 16) e il ministero del culto è messo in secondo piano. È Gesù Cristo che inserisce il battezzato nella Chiesa. Inoltre, il fatto di evitare il sostantivo tende a porre l'accento non sul gesto visibile dell'aspersione di acqua, ma sulla realtà comunicata nel battesimo di ac­ qua. Nella visione cristiana di Luca, l'acqua diventa il supporto di un rito destina­ to a comunicare lo Spirito Santo; sparisce l'antitesi tradizionale tra battesimo in 22 • acqua opposto al battesimo in Spirito 3 , 4. Con una formulazione che sembra redazionale 23 , Luca introduce la citazione

di Is 40, 3 secondo la versione greca dei LXX 24 : essa è riferita identicamente nei

(in Mc e in Q) e quindi aveva già ricevuto una interpretazione cristologica nella tradizione anteriore 25 • N el Deuteroisaia, la voce d eli' araldo proclama il ritorno degli Israeliti dali'esilio babilonese; preceduti da JHWH, essi attraverseranno il deserto reso percorribile, simile a una processione fino alla terra patria. tre vangeli sinottici

1' Fr. Bovon, Luc le Théologien, cit., p. 299 . 20 Vedi M. Quesnel, Baptisés dans l'Espn·t, «Lectio Divina» 120, Cerf, Paris 1 985. 21 ll sostantivo «battesimo» è sempre riservato al rito di Giovanni, mai al rito cristiano; per quest'ultimo, Luca si serve del verbo al passivo «essere battezzato» (mai all'attivo, come per

Giovanni). 22 Per l'insieme, vedi lo studio di M. Quesnel, op. cii. 23 Per l'espressione «il libro di... » d. Le 20, 42; At l , 20; 7, 42. D tema della parola di Dio trasmessa nella parola dei profeti è caro all'evangelista. 24 Si pensa in generale che Luca segua la fonte Q, visto che, come il parallelo di Mt, egli omette Mc l, 2 ( citazione di M/ 3 , l combinata con Es 23, 20). Ma è possibile anche che Le e Mt abbiano seguito soltanto Mc, omettendo la prima parte della citazione (Mc l , 2), perché Marco cita come isaiano un testo di Malachia (così ]. Delobel, La rédaction de Le lV 14- 1 6a, in L Evan­ ;.ile de Luc, a cura di F. Neirynck, Duculot, Gembloux 1 973 , p. 220). 25 La finale del versetto «i suoi sentieri» sostituisce l'originale greco dei LXX: «i sentieri del nostro Dio», per facilitare la comprensione cristologica. '

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Il vangelo di Luca

Nella tradizioftè cristiana: dal deserto· pfdviene la voce del profeta il Batti­ sta - che predica la conversione in vista dell'imminente venuta del Messia 26• -

3 , 5 -6. Luca, solo fra gli evangelisti, prolunga la citazione isaiana fino al v. 5 (ls 40, 3 -5 LXX) 27 per arrivare così alla promessa di salvezza universale:

«ogni carne vedrà la salvezza di Dio». Egli si aggancia a quanto detto dal vecchio Simeone (Le 2, 30·32), preso an­ che lì dal Deuteroisaia. L'ellenista Luca è particolarmente interessato a quest'uni­ versalismo. Nella prospettiva lucana, Giovanni non è soltanto un profeta di penitenza, ma anche di salvezza; come precursore, egli è già illuminato dalla vicina salvezza messianica, e chiama gli Israeliti ad accoglierla. Predomina la figura del profeta e del predicatore più che quella del battista o dell'asceta 28 • 2. La catechesi di Giovanni: Le 3, 7-14

7 Diceva dunque alle folle che uscivano per essere battezzate da lui: «Razza di vipere, chi vi ha suggerito di sfuggire all'ira imminente? 8 Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo per padre Abra­ mo! Poiché vi dico che Dio può da queste pietre suscitare figli ad Abramo. 9 Ora anche la scure è già posta alla radice degli alberz�· dunque ogni albero che non /a /rutto buono viene tagliato e gettato nel fuoco». 1 0 E le folle lo inte"ogavano, di· cendo: «Che cosa dunque faremo?». 11 Rispondendo, diceva loro: «Chi ha due tuni­ che /accia parte con chi non ha; e chi ha vivert� /accia altrettanto». 12 Vennero an­ che dei pubblicani per essere battezzati e dissero a lui: «Maestro, che cosa fare­ mo?». n Egli disse loro: «Non esigete niente di più di quello che vi è stato prescrit· to». 14 Lo interrogarono anche uomini dell'esercito dicendo: «Che cosa faremo an­ che noi?» . E disse loro: «Non molestate nessuno e non calunniate, e accontentate­ vi dei vostri stipendi».

26 È interessante osservare la differenza tra il testo ebraico e quello greco della citazione. Nel testo masoretico si legge: «Una voce proclama: Nel deserto preparate la via di JHWH». «Nel deserto» è legato con «preparate»: si tratta di preparare la strada nel deserto: così leggeva­ no Giovanni Battista e la comunità di Qumran (l Qs 8, 12-14), per i quali fs 40, 3s sta a fonda­ mento della loro attività e permanenza nella zona desertica della Giudea. Gli Esseni di Qumrin capivano la citazione come rivolta a loro, chiamandoli ad osservare perfettamente la Legge e co­ sì preparare la venuta di Dio. Invece nel testo greco dei LXX, seguito dai vangeli, > 1 9• Di conseguenza, Gesù non utilizzerà il potere che effettivamente ha in quan­ to Figlio di Dio, per soddisfare le proprie necessità, ma mettendolo a servizio dei poveri, e accettando per sé fino all 'estremo le difficoltà della sua missione. Perché l'evangelista non completa la citazione, come fa Mt: «ma di ogni pa­ rola che esce dalla bocca di Dio»? Forse perché questa parola ormai viene diretta­ mente dalla bocca di Gesù (cf. Le 4, 2 1 -22) 20• Fin dalla prima tentazione, dunque, si manifesta la realtà profonda del Fi­ glio, il «cuore» da dove escono il suo comportamento e il suo insegnamento. A guardare bene, tra il diavolo e Gesù c'è un confronto senza lotta nel rac­ conto delle tentazioni. Dinanzi al Figlio, satana è vinto per definizione, nonostante il suo sforzo. In fondo, la tentazione acquista il valore di una rivelazione per il lettore. 4, .5. Come seconda tentazione, Luca presenta una visione dall'alto di tutti i regn1

16 In Luca, non sono mai gli uomini a dare il titolo di Figlio di Dio a Gesù (Le 23, 47; cf. Mc 1.5, 39; Le 22, 70 non fa eccezione), ma soltanto esseri sovrannaturali: il Padre (Le 3, 22; 9, 35), l'angelo (Le l , 32.35), il demonio (Lc 4, 3.9.4 1 ; 8, 28): quest'ultimo intuisce già qualcosa del mistero filiale. 17 In Mt (e probabilmente Q), «pietre» è al pl., e ricorda meglio il miracolo della manna. In Luca, la prima tentazione non ha più il senso messianico che poteva avere nella fonte Q: ripe­ tere il miracolo della manna a dimostrazione della sua messianità. Notiamo che in Q, l'introdu­ zione (vedi . 1 18, Cerf, Paris 1984, p. 502. �6 Solo qui e in Mt 4, 13 si ha la trascrizione Nazara (invece di Nazaret): proviene da una fonte non-marciana? O, come pensa U. Busse, Luca adatta il nome al modo ellenistico di scrive­ re le città semitiche (come anche Gadara, Gerasa) (Das Nazareth-Manz/est ]esu, cit., p. 32): vale anche per Mt 4, 13? 57 > 76• 70 li verbo atenizein («essere attento, fissato»): 12 in Le/At; gli altri evangelisti: O. 7 1 Peplerotai («è compiuto»): stesso tempo e verbo di Mc l , 15. Ma in Marco ciò che è compiuto è il tempo: il Regno di Dio sta alle porte. In Luca è la Scrittura come promessa di sal­ vezza. Lo stesso verbo riferito alla Scrittura torna ancora in Le 24, 44. 72 Vedi H. Schiirmann, Das Lukasevangelium, cit., in loco. 73 L'espressione 83 • E questo comportamento ri­ vela l'amore del Padre per ciò che è perduto, e attua tale amore, concretamente, nella storia ormai nel . }4 Ma Gesù disse loro: «Potete forse /are digiunare gli invitati a nozze mentre lo sposo è con loro? 35 Ma ve"anno giornz: e quando sarà loro tolto lo sposo, allora digiune­ ranno, in quei giorni».

Sempre rimanendo fedde all'ordine letto nella sua fonte (Mc) , Luca ripren­ de e rielabora un insieme che comprende la questione sul digiuno (Mc 2, 1 8-20) -

8 1 La formula indicava coloro che simpatizzavano con l'ideale religioso dei fariseismo 91 • L'argomento riguarda il digiuno «frequente», una pratica regolare, quindi, Ma che supera la normalità prescritta, che supera anche, nella mente di Luca, la pratica abituale della comunità cristiana; egli inoltre vi lega la preghiera. n digiuno era in grande stima nel giudaismo: vi si praticava un digiuno colletti­ vo obbligatorio il giorno dell'Espiazione (Yom Kippur: 10 tishri = sett./ott.) 92 e forse ancora, al tempo di Gesù, il 9 del mese Ab (luglio/agosto) in ricordo della distruzio­ ne del tempio (lutto nazionale) 9}; esistevano anche digiuni proclamati in occasione di catastrofi (siccità, ecc.) 94 • Accanto a questa pratica ufficiale, fioriva il digiuno pri­ vato su iniziativa personale o diventato abituale in certi gruppi religiosi 95• I farisei digiunavano due volte alla settimana (cf. Le 18, 12): il lunedì e il giovedì 96• Soltanto dalla nostra pericope sappiamo che anche i discepoli di Giovanni avevano l'abitudine di digiunare, seguendo in ciò lo stile di vita del loro Maestro (d. Le 7, 33s), e come preparazione all 'imminente venuta del giudizio divino. Il digiuno era normalmente accompagnato dalla preghiera. E Luca non man­ ca di notare quest'usanza anche fra i discepoli del Battista (cf. Le 1 1 , l ) ; egli ottie­ ne così il binomio - digiuno e preghiera - noto nel giudaismo (Tb 12, 8, ecc.) e che l'evangelista associa volentieri (Le 2, 37; At 1 3 , 3 ; 14, 23 ; 9, 9. 1 1). Comunque, nel nostro testo è un complemento senza conseguenza, poiché la risposta di Gesù non ne tiene conto: il problema non riguardava la preghiera.

34. La risposta di Gesù prende l'aspetto di un rimprovero direttamente indiriz.: zato ai farisei: «potete fare digiunare ... ?» (non così in Mc) . La presenza di Cristo lo Sposo - delimita un tempo unico, privilegiato, durante il quale i discepoli sono sotto la sua protezione (cf. Le 22, 35), un tempo caratterizzato proprio dal «man­ giare e bere» assieme a Cristo, ma un tempo ormai storicamente passato (d. Le 22, 29-30a). Nel periodo postpasquale, la Chiesa dovrà affrontare le difficoltà del­ la missione e della vita comunitaria, e i momenti di digiunare e di pregare non mancheranno (At 13, 3 , ecc.). La parola risale al Gesù storico? Essa riflette la caratteristica della sua dialet­ tica: invitare l'ascoltatore ad accogliere la logica di un suo comportamento a parti­ re dall'evidenza di un'immagine. Nel nostro caso, è ovvio che gli invitati a nozze w non possono digiunare durante la festa ! È dunque tempo di nozze! 5,

91 Sotto l'espressione eè il semitismo «flPo di .. . » nel senso di appartenenza a un gruppo, a una dottrina (cf. Le 1 1 , 19; At 23, 6). 92 Lv 16, 29ss; (At 27, 9). 93 Zc 7, 3 .5; 8, 19 (sarebbe rimasto solo il digiuno del 5° mese = Ab, al tempo di Gesù, senza contare il Kippur). 94 Cf. G/ 1 , 14. " Cf. Sa/ 35, 13; Dn 9, 3 , ecc. 96 Vedi BILL II, 241ss; IV/ l , 77ss; B. Reicke, Die Fasten/rage nach Luk. 5, JJ-39, in Theo­ logische Zeitschrift, 6( 1974), pp. 321s., 326ss. 97 Letteralmente: «i figli della camera nuziale», espressione semitica (ebraica) che confer­ ma l'origine palestinese del detto. La parola nymphon può significare «camera nuziale» (=

Il vangelo di Luca

1 90

Fa però difficokà il fatto che Gesù si paragoni allo Sposo, figura riservata nell'Antico Testamento e nel giudaismo a JHWH, lo Sposo d'Israde, non al Mes-

sia.

È tuttavia possibile che la formulazione e della finale di Marco («in quel giorno» al sg.), la Chiesa difende le proprie usanze ascetiche dalle criti­ che dei farisei. «In quel giorno» potrebbe alludere a un giorno determinato, e cioè al ve­ nerdì, come giorno di digiuno in relazione con la morte di Gesù (a differenza dei farisei che digiunavano il lunedì e il giovedì) 1 09 • Insomma, è difficile ricavare un'idea chiara dalla storia travagliata di questa pericope. 36 Ora diceva loro anche una parabola: «Nessuno mette Unll peua strappata da un vestito nuovo su un vestito vecchio/ altrimentt� certo, e strapperà il nuovo, e con il vecchio non si armonizzerà la pezza (tolta) dal nuovo. H E nessuno mette vino nuovo in otri vecch�· altrimentt: certo, il vino che è nuovo farà scoppiare gli otr� e tos

EWNT II, 1 146s.

109 Attorno al lOO d.C., il digiuno farisaico del lunedì e del giovedì sarà trasferito dai cri·

stiani al mercoledì e al venerdì. Vedi B. Reicke, art. cii. , p. 32 7 ; sul digiuno nella Chiesa antica, pp. 326ss.

Il confronto con il giudaismo: Le 5,

l

-

6, 19

1 93

queftf:J''si'tJfflerà e gli otri saranno perduti. ,.. Mà che il vino nuOtJo' sia messò 'in otri nuovi. }9 Nessuno, avendo bevuto del vecchio vuole del nuovo, perché dice: Il vecchio

è eccellente».

Luca crea una introduzione propria 1 10 alle due immagini del vestito e del vi­ no (= Mc 2, 21-22 ), e aggiunge un'inattesa terza parola (v. 39) sulla bontà del vec­ chio ! Luca ama il contesto del pranzo per dare occasione a parabole e trasformare l'insieme (vv. 29-39) in un simposio 1 1 1 • Il tema dell'incompatibilità tra vecchio e nuovo prolunga opportunamente la prima «parabola» di Gesù sull'incompatibilità tra digiuno e festa di nozze, anche se, in origine, il doppio esempio del vestito e del vino non apparteneva al contesto attuale e proviene da una situazione storica non più definita. 36. «Non si cuce una pezza di panno grezzo su un vestito vecchio» si legge in l\Ic 1 12 : sottolinea l'incompatibilità di combinare il nuovo col vecchio. Sulle labbra del Gesù storico, è da mettere in relazione con il suo annuncio sulla vicinanza dd Regno di Dio di cui afferma la novità rispetto all 'antico ordine della Legge. Si per­ cepisce l'avvertimento a non accogliere parte del messaggio suo per accomodarla al vecchio modo di vivere: ci vuole un cambiamento radicale. Luca modifica la sua fonte: egli rende ancor più evidente l'assurdità del pro­ cedimento espressa dall'immagine: strappare prima la pezza da un vestito nuovo! Nello stesso tempo, egli adatta il detto all 'esempio del vino: non soltanto il rattop­ po fa il vestito vecchio ancora più brutto 1 0, ma soprattutto rovina anche l'abito nuovo 1 14 • Quindi, a differenza di Marco, il danno non riguarda soltanto il vecchio ve­ stito, ma tutt'e due, e l'incompatibilità fra il nuovo e il vecchio è maggiormente accentuata: è assurdo distruggere un vestito nuovo per riparare stracci! «Il nuovo che Gesù ha portato non è fatto per riparare il vecchio, ma deve veramente prendere il posto del vecchio» 1 1 5• ll cambiamento operato da Luca è probabilmente dettato da una preoccu­ pazione che riguarda l'ambiente giudeo-ellenistico: ogni tentativo di voler rigiu­ daizzare il Vangdo e la vita della comunità è destinato al fallimento 1 16• 5,

t J O «Disse una parabola» è luc àno: Le 6, 39; 12, 16-; 13, 6; 14, 7; 15, .3; 18, 1 , ecc. Accordi minori tra Le e Mt: il verbo epiballein («mettere, aggiungere») e la particella ge («certo!») in Mt 9, 17/Lc 5 , 37. 1 1 1 Così Le 7 , 40ss; 14, 7ss; 15, lss. Vedi l'ipotesi di E. Troané, ]ésus de Nazareth, Déla­ chaux et Niestlé, Neuchatel 197 1 , p. 104. 11 2 Forse un detto di saggezza popolare adattato da Gesù alla sua predicazione (R. Bult­ mann, op. dt. , p. 102). 1 1.l Colpo d'occhio di una persona sensibile al bello! Marco è più realista: l'aggiunta nuova tira sul vecchio vestito e allarga lo strappo. 1 1 4 Kai... kai: da una parte ... dall'altra (Blass - Debrunner, op. dt. , n. 444/3 ). 1 1 s G. Schneider, op. cit. , p. 140. 11 6 H. Schiirmann, op. cit., p. 298.

1 94

Il vangelo di Luca

L'immagine può trovare un'applicazione anche nel contesto: il problema del digiuno. Non si tratta di fare proprie le pratiche religiose dei farisei o dei discepoli di Giovanni, e più generalmente dd giudaismo. La novità cristiana non si vive au­ mentando prescrizioni e pratiche 1 17• Il Vangelo è di un altro ordine e non si com­ bina col vecchio, come digiuno e festa di nozze non vanno insieme, come non si mette a posto un vestito logorato rovinando un abito nuovo... il vestito di festa dello sposo! 5, 37-38. La costruzione - e il senso - è parallela al primo esempio: nessuno mette il vino dell'ultima vendemmia 1 1 8 in otri vecchi fatti di pelle di capra, che hanno quindi perso l'elasticità; il fermentare del vino li farà scoppiare: e si perde e il vino e il recipiente. n v. 38 ne tira la conseguenza per la realtà cristiana: non introdurre pratiche religiose superate; alla novità del Vangelo deve corrispondere un ordine nuovo. Espresso sotto forma di esclamazione 119, è un invito a sganciarsi dal giudaismo, si­ tuazione che riflette la separazione che avverrà tra sinagoga e Chiesa alla fine del I secolo. 5 , 39. ll redattore conclude l'insieme con un detto proprio 120 che sembra esatta­ mente contraddire i concetti precedenti ! n vino vecchio è meglio del giovane! Con ogni probabilità, Luca enuncia una constatazione dettata e dal buon sen­ so e dall'esperienza missionaria. Non è facile staccarsi dalle vecchie abitudini; e dif­ ficile per i Giudei lasciare la loro religione per seguire la chiamata esigente di Gesù: il vino nuovo è meno buono! L'evangelista in questo modo spiega perché, di fatto, i Giudei in gran parte non hanno accolto il Vangelo. Egli capisce... e in un certo sen­ so li giustifica; e quindi nella storia bisogna abituarsi a vedere il vecchio e il nuovo camminare insieme, ognuno per la sua strada ... Non manca un certo humour!

117 A. Stoger, Vangelo secondo Luca , Commenti spiritual i del NT, Città Nuova, Roma 1966, p. 157 . 1 18 L'aggettivo n eos nuovo, nel senso di fresco, giovane; l'otre e il vestito sono kainos nuovo nel senso di non ancora utilizzato. 1 19 E quindi manca il verbo (cf. Blass - Debrunner, op. cit. , n. 127 /4). Bleteon è un aggetti­ vo verbale in -teon: unico nel NT (corrisponde a un gerundivo latino: «bisogna mettere»). 120 Una regola conosciuta n el mondo giudaico ed ellenistico (cf. Sir 9 , 10). È difficile dire =

=

se Luca fa una riflessione personale o se riprende una tradizione che potrebbe risalire a Gesù. Probabilmente, per vino vecchio s'intende il vino di due anni, e quindi il detto non allude all'in­ tenditore di vino stagionato, ma al bevitore che preferisce il vino della stagione passata a quello recente. Gesù penserebbe ai Giudei rimasti attaccati al periodo anteriore al tempo attuale carat­ terizzato dalla novità della sua proclamazione. Vedi B. Reicke, art. cit. , pp. 324s.

CAPITOL0 6

La controversia sul sabato: le spighe strappate: Le

6, 1-5

1 Ora avvenne che un sabato (secondo-primo) egli attraversò i campi seminati e

i suoi discepoli strappavano e mangiavano le spighe, stropicciando/e con le mani. 2 Ma alcuni dei farisei dissero: «Perché /ate ciò che non è lecito di sabato?». ' E Gesù n'spondendo, disse loro: «Non avete neppure letto quello che fece Davide quando eh­ be fame lui e quelli (che erano) con lui? 4 Come entrò nella casa di Dio e, avendo preso i pani della proposizione, mangiò e (ne) diede a quelli (che erano) con lui, (i pani) che non è lecito mangiare se non ai soli sacerdoti?». � E diceva loro: «Il Figlio dell'uomo è Signore del sabato».

Nel suo camminare attraverso il paese dei Giudei 1 , Gesù passa per i campi di grano, poi va in una sinagoga: il tutto di sabato. Sempre seguendo l'ordine trovato in Marco, leggiamo ora due pericopi - le spighe strappate e la guarigione della mano arida - che affrontano il tema dell' os­ servanza del sabato, tema certamente attuale e per Gesù storico e più tardi per le comunità cristiane, in particolare quella palestinese 2 • Nel terzo vangelo, questi due racconti sono posti in simmetria con i racconti sulla guarigione del lebbroso e del paralitico (Le 5, 12-26) : insieme inquadrano la scena centrale del simposio a casa di Levi '. Tutto è messo sotto la novità del tem­ po inaugurato dal Messia e della sua parola efficace. I conflitti riguardo al sabato sono da considerare fra le testimonianze più si­ cure della tradizione su Gesù 4 , anche se - considerando ora il racconto delle spi­ ghe strappate - rimane aperto il problema delle fonti ' e della storia della tradizio­ ne: la natura composita del testo attuale è assai probabile. · 1 Cf. H. Conzdmann , op. dt. , p. 11:= 2 J. Jeremias porta l'attenzione su una certa disposizione «giuridica» dei due racconti. Per incorrere nella condanna, il colpevole deve essere avvertito una prima volta dai testimoni sull'in­ frazione che compie, in modo che la volontarietà dell 'atto seguente sia manifesta. In Mc 2, 24 (spi­ ghe strappate) Gesù viene avvertito: se si mostra recidivo (episodio della mano arida), può essere accusato (Mc 3, 2) e condannato (Mc 3 , 6) (Neutestamentliche Theologie, I, cit., p. 266). 3 M. Theobald, Die An/iinge der Kirche, cit., pp. 92s. 4 J. Jeremias, Neutestamentliche Theo/ogie, I, cit., p. 265, nota 9. � Esistono concordanze tra Mt e Le che sollevano la domanda sulla possibilità, anche se poco probabile, di una tradizione diversa e forse più antica di quella di Marco: Mt e Le esplici­ tano che i discepoli strappano le spighe per mangiare; omettono la notizia «al tempo del sommo sacerdote Abiatar»; scrivono «ai soli sacerdoti>>, e non riportano Mc 2, 27. Ricordiamo anche l'oscura parola, forse autentica, di Le 6, 1: deuteroproto(tJ («SeCondo­ primo»).

Il vangelo di Luca

196

E la storicità? Difficilmente la comunità cristiantr·avrebbe inventato un inci­ dente così banale per fondare il suo comportamento nel conflitto col giudaismo 6• Non basta constatare che la critica dei farisei riguarda i discepoli e non Gesù per concludere ad una creazione della Chiesa 7 • Nelle discussioni fra rabbi, è sempre il maestro che prende la parola anche per legittimare un comportamento dei suoi discepoli: sia questo maestro Gesù storico o il Signore risorto 8 • Qual è il motivo storico della controversia? Tengo conto di due possibilità 9: i discepoli hanno violato le prescrizioni del sabato lavorando, e cioè strap­ pando e stropicciando le spighe (Luca lo nota esplicitamente) 10• ln questo caso, tuttavia, la risposta di Gesù sotto forma di controdomanda basata sull'esempio di Davide, non corrisponde al problema 1 1 ; - -i discepoli hanno infranto la prescrizione che si rifà a Lv 23 , 14ss e che vie­ ta di mangiare le nuove spighe prima della messe (dell'offerta della nuova raccol­ ta); i discepoli avrebbero quindi violato questa proibizione 1 2 , forse particolarmen­ te sentita nei sabati prima della raccolta (cf. il sabato «secondo-primo»: Le 6, 1 ) . -

H . Marshall, op. cit. , p . 229. 7 Contro R. Bultmann, op. cit., p. 14. 8 >. 70 ]. Schmid, L'Evangelo secondo Matteo, Morcelliana, Brescia 1957, p. 98. 1 1 H. Frankemolle, art. cit., p. 73 .

Il discorso in pianura: Le 61 20-49

211

Q , in quale veste. Come capire l e rispettive aggiunte: Luca ha messo i «guai» al posto delle beatitudini di Mt? O Mt ha tolto i «guai» pre­ sentati in Luca? O ci troviamo di fronte a un notevole lavoro redazionale di am­ plificazione? - È generalmente ammesso che il testo di Luca - per il contenuto - è più vi­ cino alla fonte comune, e che quest'ultima conteneva già legate le quattro beatitu­ dini che leggiamo nel terzo vangdo (Le 6, 20-23 ). La mano di Luca, comunque, ri­ mane ben visibile. - Più incerta la fonna originaria delle tre prime beatitudini: c'è chi ritiene che Gesù le abbia pronunciate in discorso diretto, nello stile profetico 72 ; c'è chi, al contrario, pensa a una formulazione alla terza persona, di tipo sapienziale (con­ servata in Mt) 73• I quattro «guai>> (Le 6, 24-26) esistevano nella fonte Q e quindi erano co­ nosciuti da Mt 74 , o sono opera di Luca? n . Comunque sia, il loro carattere secondario è riconosciuto, poiché presuppon­ gono le quattro beatitudini e sono stati costruiti a partire da esse. Sia Mt, sia Le (o le rispettive fonti), anche se in modo diverso, hanno sentito l'esigenza di ampliare i macarismi primitivi per attualizzarli con la situazione della comunità. «Essi (cioè i «guai») commentavano le beatitudini in modo responsabile per la situazione interna della Chiesa, e in questo modo hanno ottenuto per esse la loro attualità» 76•

nella fonte conrime

-

Consideriamo ora le quattro beatitudini già presenti insieme nella fonte Q (Le 6, 20-23 ) : l'ultima si distacca per forma (un tricolon) e contenuto (situazione ecclesiale) dalle tre prime; era un loghion indipendente aggiunto alle prime tre in un certo momento della tradizione, allo scopo di attualizzarle: la figura del pove­ ro, dell'affamato, dell'afflitto, si fonde con l'immagine del discepolo che viene perseguitato a causa del Figlio dell'uomo 77 • In origine troviamo allora la triplice beatitudine all'indirizzo dei poveri, affa­ mati, piangenti; insomma, una proclamazione paradossale, in prospettiva escatolo­ gica, che risale senza dubbio al Gesù storico.ll gruppo era probabilmente formu­ lato nel modo seguente: 72 H. Frankemolle (p. 63 ),}. Emst, G. Schneider (in loco), ecc. 73 ]. Dupont, Les Béatitudes, I, cit., pp. 274ss: la terza pers. è la formulazione più comune

nell'AT; in Luca, il pronome alla seconda pers. è presente soltanto nel secondo membro della frase e può essere considerato come redazionale. Nella stessa linea Hauck (ThWNT IV 370, nota 43);}. Schlosser, Le Règne de Dieu et /es dits de ]ésus, II, Gabalda, Paris 1 980, p. 425. Più complessa la soluzione di H. Schiirmann (Das Luleasevangelium, cit., p. 329): in origi­ ne alla terza pers.; in Q alla seconda pers., per Schiirmann, i «guai» già si leggevano in Q; ora essi vogliono la seconda pers. (quindi le beatitudini sono state adattate); Mt ritorna alla forma originale. 74 Così H. Schiirmann, H. Frankemolle, ecc. 75 Così J. Dupont (Les Béatitudes, I, pp. 335ss); P. Klein, Die lukanischen Weherufe Lk 6, 24-26, in Zeitschri/t /ur Neutestamentliche Wissenscha/t, 71 ( 1 980), pp. 150ss. Una giustapposizione di guai e di macarismi esiste anche nell'AT (e nel giudaismo): Is 3, 10s; Qo 10, 16- 17; Tb 13, 14ss (l Enoch 5, 7; 99, 2 ecc.). 7 6 H . Schiirmann , op. cit. , p. 341. n K. Th. Kleinknecht, Der /eidende Gerecht/ertigte, ].C.B. Mohr, Tiibingen 1984, p. 341.

212

Il vangelo di Luca «Beatf i po\1'eri,· perché di· essi è il Regno di Dio. Beati coloro che hanno fame, perché saranno saziati. Beati coloro che sono afflitti, perché saranno consolati» 78 •

La quarta beatitudine fu aggiunta in seguito: essa riflette la situazione di per­ secuzione. Non c'è motivo pregnante per non attribuirla anche, nel suo nucleo, a Gesù {anche se un'origine postpasquale rimane possibile). L'aggiunta era già fatta nella fonte Q. L'aggiunta dei «guai>> è l'ultima tappa nella formazione attuale di Le 6, 2028, forse contemporaneamente ai ritocchi lucani fatti sui macarismi stessi.

· 20 Ed eglz: avendo alzati i suoi occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati i pove­ ri, poiché vostro è il Regno di Dio. 2 1 Beati quelli che hanno fame adesso, poiché sare­ te saziati. Beati quelli che piangono adesso, poiché riderete. 22 Beati siete quando gli uomini vi odieranno, e quando vi metteranno al bando e insulteranno e proscrive­ ranno il vostro nome come malvagio a causa del Figlio dell'uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno e sussultate! Perché, ecco, la vostra ricompensa (è) grande nel cielo: in· fatti allo stesso modo facevano i loro padri ai profeti».

Ges� si rivolge ·79 direttamente ai discepoli che rappresentano rion ·la· gerar­ chia (i Dodici), ma la comunità cristiana, i credenti. Ad essi, egli indirizza non il discorso programmatico (già fatto in Le 4, 1 6ss), ma le esigenze centrali del Re­ gno. Non è un discorso chiuso, misterico, riservato ad iniziati, ma aperto all'uma­ nità, alla folla ben disposta silenziosamente presente (cf. Le 6, 17; 7, 1 ) . Gesù offre loro la sua parola efficace, capace di rovesciare la mentalità e il comportamento dell'uomo, di ri-crearlo come persona realizzata nella sua dimensione individuale e sociale. Ogni volta e ovunque questa parola risuona, l'attesa paradossale del Ma­ gnificai si sta realizzando, ma non come semplice rovesciamento di situazione (i poveri diventano ricchi e viceversa) , bensì in modo da superare la logica puramen­ te mondana: il rovesciamento awiene nella sfera trascendente.

6�- 20.

6, 20b. Gesù, nella veste del messaggero della buona novella, ha presentato il suo discorso progr amm atico a Nazaret, all'inizio della vita pubblica (Le 4, 16ss); la profezia di Is 6 1 , 1 -2 vi ha una funzione essenziale per qualificare il tempo di sal·

vezza che sta per giungere. Dichiarando adesso felici e fortunati i poveri, gli afflitti e gli affamati, Gesù dà compimento all a profezia isaiana 80, «Gesù proclama la sal­ vezza annunciata lì (cioè in Is) come una realtà ormai attuale» 81 • 1s J. Dupont, Les Béatitudes, l, cit., p. 343. Per la discussione sull'unità originaria di queste trè beatitudini, vedi J. Schlosser, op. dt. , II, 430ss. 79 «Diceva» all'imperfetto, conviene all'inizio di un discorso lungo, ma può anche indica­ re un insegnamento costante, ripetitivo. 80 La relazione delle prime beatitudini con Is 6 1 , 1 -3 è generalmente riconosciuta; nell'elenco isaiano mancano solo gli affamati. Vedi }. Schlosser, op. cit. , II, 433 . 8 1 H. Schiirmann, op. cit. , p. 326. _

Il discorso in pianura: Le 6, 20-49

213

Incomincio ad esaminare. il significato dellg--prima beatitudine a· Iiv�lio reda· zionale. Chi sono i poveri, per Luca? A differenza di Matteo, il terzo evangelista pen· sa non ad una qualità o disposizione spirituale («poveri in spirito») , ma ad una povertà concreta, reale: è la condizione precaria e critica del discepolo nel mondo, in particolare perché in balla delle vessazioni e privazioni di ogni genere «a causa del Figlio dell'uomo». L'antitesi con i «ricchi» (v. 24) indica che l'autore segue piuttosto -la nozio· ne greca di «povero» che considera la povertà sotto il punto di vista della situa­ zione economica, materiale: è l'uomo nella miseria, ridotto alla mendicità, inca­ pace di sovvenire ai propri bisogni, e quindi in balìa altrui, sfruttato, trattato in· giustamente 82• Ma questa condizione di precarietà è legata in Luca (come nella fonte) soprat­ tutto alla situazione di persecuzione subìta dal credente (sia questa situazione reale o solo prevedibile al tempo dell'evangelista). Luca non ha quindi di vista i poveri di ogni provenienza, gli emarginati sociali in generale, ma la situazione concreta dei cristiani. «Il punto di vista della beatitudine dei perseguitati a causa di Cristo è este-­ so alle beatitudini precedenti che, anche esse, interpellano direttamente i lettori cri­ stiani: sono essi i poveri, gli affamati, gli afflitti ai quali è indirizzata la promessa. Le privazioni della povertà e le sofferenze di ogni genere di cui parlano le prime beati.. tudini non sono superate dalla situazione di persecuzione alla quale si riferisce l'ulti­ ma ... Nella catechesi di Luca, le beatitudini diventano un mezzo per incoraggiare i credenti in mezzo alle difficoltà con le quali sono confrontati» 113 • In tale condizione di povertà, i discepoli sono dichiarati felici fin d'ora, non soltanto nel futuro Regno di Dio: non perché la povertà in sé sia felicità ( ! ), ma perché, essendo in tale situazione, essi sono già fin d'adesso i sicuri destinatari del futuro Regno che porrà fine a tutte le loro sofferenze 84• «Il Regno di Dio esiste. Fin d'ora appartiene (ai poveri) di pieno diritto. Preparato per essi, costituisce la loro eredità, anche se occorre ancora aspettare un po' prima di prenderne possesso» 85• Quando arriverà questo momento, nel pensiero di Luca? Alla fine del mon­ do, quando il Figlio dell'uomo verrà nella gloria per giudicare gli uomini? L'inte­ resse che l'autore dimostra per il destino di ognuno, l'importanza che dà all'esca­ tologia individuale sembra condizionare anche la prospettiva nelle beatitudini. È al momento della morte che il povero entrerà in possesso del Regno di Dio, del Bene celeste. La speranza non si porta più soltanto sugli eventi finali che daranno compimento alla storia, ma su ciò che costituisce l'evento decisivo per ognuno: la sua morte 86• 82 Vedi J. Dupon t , Les Béatitudes, TI, p. 2 1 : m, .pp. . 42s. L'evangelista non ha in mente né qualche movimento ascetico, né la povertà spirituale (distacco volontario dai beni materiali) . 83 l Dupont Les Béatitudes, III, Gabalda, Paris 197 3 , p. 96. 84 E il senso probabile dato dal presente estin («è»), nel testo. Vedi }. Dupont, op. dt. , II, ,

121.

Il Regno di Dio è visto come il bene salvifico pe r eccellenza pp. 330s); l'uomo vi giunge dopo la sua morte. 85 J. Dupont, op. cit. , n, 1 2 1 .

86 Jbid., 109-147.

(cf. H. Schiirmann, op. cit. ,

214

Il vangelo di Luca

6, 2 1 . l;a sèconda beatitudine concerne gli affamati. Essi fannò parte della catego­ ria dei poveri e già nell'AT, poveri e affamati sono associati 87 • Di nuovo, nella beatitudine lucana, non è questione di fame spirituale, ma reale. Nel mondo greco, il verbo utilizzato significa semplicemente aver fame, condizione previa per fare un buon pasto. Luca, tuttavia, non sembra pensare sol­ tanto a questa fame occasionale che si può saziare, ma alla situazione di coloro che non hanno il necessario per potersi sfamare; è vicino al senso biblico del termine. Gli affamati sono «poveri che non dispongono del minimo vitale>> 88• A questi poveri, Gesù garantisce il Regno di Dio sotto l'immagine del ban­ chetto escatologico, capace di saziare non solo la fame fisica, ma l'uomo nella sua interezza. . Al testo della sua fonte, Luca aggiunge nel primo membro della frase l' av­ verbio adesso che dà un preçiso orientamento alle beatitudini e ai «guai>>, ponen­ do l'accento sul tempo presente 89• Ma l'adesso delle beatitudini di Luca non ha più il senso che possiede l'adesso o l'oggi così caratteristico del tempo di salvezza arrivato con Gesù (cf. Le 4, 2 1 ) . I.:oggi come tempo di salvezza indica il tempo del compimento delle promesse, il tempo del ministero di Gesù, rispetto al tempo passato dell'attesa messianica. I.:adesso delle beatitudini lucane qualifica invece il tempo attuale come tem­ po di prova, di sofferenza, in opposizione al futuro. Nella prospettiva di Luca, il primo membro della frase parla dunque della situazione dei credenti che, nel tem­ po attuale, sono in condizioni precarie, ma che pure sono proclamati beati perché in futuro, al momento della morte, la loro situazione presente sarà rovesciata.

La terza beatitudine, rivolta a coloro che piangono, è costruita con un voca­ bolario e un significato più tipicamente greci: il piangere nel tempo attuale è oppo­ sto al ridere escatologico 90• Certamente, l'evangelista non intende soltanto riferirsi a un pianto specifico (per es., in occasione di un lutto) e occasionale, ma descrivere una condizione generale: il pianto come esteriorizzazione del dolore, dello sconfor­ to di tutti «coloro che nel mondo conoscono le privazioni e le sofferenze>> 9 1 • Essi rideranno ! Bisogna lasciare al verbo il significato greco che evoca la gioia senza la sfumatura negativa che spesso possiede il vocabolo biblico: un riso beffardo o vendicativo nei confronti di qualche nemico, uno sghignazzare. D ride­ re della beatitudine descrive la situazione opposta a quella del dolore vissuta sulla terra. Luca non vuole alludere al riso di vendetta da parte degli oppressi nei con­ fronti di coloro che, sulla terra, li hanno fatti soffrire. I.: uso del verbo ridere è un po' maldestro; probabilmente, l'evangelista l'ha scelto per creare un parallelismo più stretto con il «guai» corrispondente (v. 25b) . In questo caso, Matteo avrebbe

87

Is 32, 6s; 58, 7.10; Sa/ 107, 36.4 1 ; Gb 24, 4.10; Tb 4, 7.16. J. Dupont, op. cit., ll, 37ss; III, 45ss. 89 Vedi }. Dupont, op. cit. , III, lOOss; J. Lambrecht, op. cit. , p. 66 90 ll verbo piangere è più frequente in Luca che negli altri vangeli. Egli ha la tendenza ad introdurlo al posto di un altro vocabolo (cf. Le 7, 32; 19, 4 1 ; 23, 28). Vedi ]. Schlosser, op. cit. , II, 426s. TI verbo ridere (gelan) soltanto in Le 6, 2 1 .25 nel NT. 9 1 ]. Dupont, op. cit. , III, 75. sa

.

Il discorso in pianura: Le 6, 20-49

2 15

meglio il vocabolario originale, più biblico: beati gli afflitti 92, perché saranno consolati 93 , una beatitudine che ricorda la promessa isaiana di Is 6 1 , 2. Le tre prime beatitudini formano un'unità: sono rivolte agli stessi destinata­ ri, i poveri identificati con i credenti che, per la loro fede, sono esposti a varie si­ tuazioni di sofferenza e di precarietà. Fin d'ora possono ritenersi felici, perché ad essi è garantito il Regno di Dio, ricchezza suprema per i poveri, banchetto che col­ ma pienamente gli affamati, gioia senza fine per gli afflitti. Ovviamente, non è detto che tale applicazione esaurisca il contenuto di que­ sti macarismi: è l'attualizzazione particolare che l'evangelista fa alla luce delle cir­ costanze per la vita della comunità cristiana. Quale senso avevano queste beatitudini per Gesù stesso?

con�étvato

Contesto e significato storico delle beatitudini 94

I macarismi sono da capire nella prospettiva dell'annuncio sulla vicinanza dd Regno di Dio, e sullo sfondo degli oracoli di consolazione dd Deutero e del Tritoisaia, in particolare di Is 6 1 , 1-3. In questi testi sono presenti dementi fonda­ mentali del messaggio di Gesù: le promesse di consolazione rivolte a tante catego­ rie di poveri, la proclamazione di una buona novella che consiste in un intervento di Dio a loro favore, il tema della regalità di Dio come realtà che vuole diventare effettiva 95 • Nelle beatitudini, Gesù si presenta come il messaggero di gioia che proclama ormai imminente l'intervento di JHWH in favore dei diseredati. È un invito alla gioia rivolto ai poveri, affamati, afflitti, perché quest'intervento di Dio, col quale Egli vuole effettivamente esercitare la sua sovranità in loro favore, è alle porte. Con la missione di Gesù, «Dio ha avviato un processo che deve sboccare nella ve­ nuta gloriosa del suo Regno» 96• Notiamo fin d'ora due differenze con la redazione attuale delle beatitudini nel terzo vangelo: - In Luca, il Regno di Dio promesso nei macarismi si identifica con la pie­ nezza salvifica che si ottiene dopo la morte. Per Gesù predomina l'aspetto dinamico: è prima di tutto un atto di Dio, il suo intervento nel mondo, mediante il quale eserciterà effettivamente la sua rega­ lità 97 • E quest'evento è alle porte e già, nella predicazione di Gesù, sta illuminan­ do e cambiando il tempo presente . - La prospettiva di Gesù è diversa rispetto a Luca. Gesù proclama beati i poveri proprio perché ora il grande intervento divino è imminente e già fa sentire

92 L'afflizione è un dolore intenso e che si esteriorizza con grida e pianto (J. Dupont, op. cit. , II, 35 ss ) . Luca ha conservato il verbo originale nei «guai>>. 93 La «consolazione» è un termine in uso nel giudaismo per esprimere il compimento

escatologico (vedi ]. Schlosser, op. cit. , II, 428s). 94 In particolare J. Dupont, op. cit. , Il; J. Schlosser, op. cit. , II, 423-450; H. Merklein, op. cit. , pp. 45-53. 9'5 Is 40, 9; 49, 7ss; 52, 7; 55, lss; 61, lss; 65, 13; 66, 10 .. . 96]. Dupont, op. cit. , II, 1 13. 97 lbid. , p . 106.

216

.Il vangelo di Luca .

la· sua ptesenza. > 62 , Ma come spiegare la presenza del nome di Nain, mai citato nella Bibbia? R Latourelle rammenta giustamente un principio metodologico importante nello studio dei racconti evangelici: «Non si tratta, per gli autori del NT, di creare l'Evento Gesù a partire dall'AT, ma di leggere l'AT a partire dall'Evento Gesù. Ciò che è primo è Gesù e il suo ministero, di cui si trovano abbozzi e figure nell'AT, p. es. quella del profeta Elia» 63• Un parallelo eccezionalmente suggestivo proveniente dal mondo ellenistico, è da tempo citato. È un racconto dalla «Vita di Apollonia di Tiana>> (IV, 45), scrit­ ta da F. Filostrato attorno al 2 1 8 d. C.: Apollonia, un taumaturgo del II secolo d. C., incontra per strada il corteo funebre di una ragazza morta il giorno stesso del matrimonio. Egli tocca la bara, borbotta qualche cosa e la ragazza si sveglia e si mette a parlare, e poi torna alla casa paterna. Avendo ricevuto una ricca ricom­ pensa dai genitori di lei, il saggio Apollonia la dà alla ragazza per la dote. Il rac­ conto finisce sul dubbio razionalista dell'autore: era veramente morta o c'era an­ cora un po' di vita in lei? Le rassomiglianze sono notevoli e W. Grundmann 64 pensa che tutti' questi paralleli (inclusi i racconti di Elia ed Eliseo) sollevino la domanda se il nostro rac­ conto di Nain non sia una «leggenda vagante» riportata su Gesù. Osserviamo: senz'altro, Luca ha potuto in qualche maniera adattare la sua narrazione alla > sono, secondo il vangelo di Marco, i com­ ponenti del sinedrio che hanno arrestato e condannato Gesù (Mc 14, 43 .53 ; 15, 1). L'elenco può quindi derivare dal racconto marciano della passione. Nel contesto originario del Giusto sofferente, essi rappresentano gli avversari che agiscono con­ tro il Giusto. - «Essere ucciso» connesso con «risuscitare» 73 è un binomio che fa partè della tradizione più antica del kerygma pasquale che presenta Gesù come il Giu­ sto sofferente; ma Dio si dichiara in suo favore L'espressione ) è un semitismo per «in breve», connotazione di un intervento salvifico di JHWH alla fine dei tempi (cf. Os 6, 2) u,. La formula «il terzo giorno» è legata an­ che a un dato cronologico, come per esempio la scoperta della tomba vuota? ·

.

74

75•

Nel suo insieme, dunque, Mc 8, 3 1 (= Le 9, 22) è premarciano 77• L'influsso del kerygma primitivo è notevole, come notevole era la tradizione del Giusto sof­ ferente per la comprensione della morte di Gesù. Altro problema importante che riguarda la preistoria del detto: come spiega­ re il legame tra il concetto di «Figlio dell'uomo» (di tradizione danielica) e l'idea di sofferenza e di uccisione? Alla rappresentazione del figlio dell'uomo danielico,

infatti, è legata l'idea di esaltazione e di intronizzazione (Dn 7), non di sofferenza

e di morte violenta. Quest'ultimo tema è connesso alla figura del Servo di JHWH (Is 53) e del Giusto sofferente (vedi Sa/ 22 ecc.) . Avrebbe Gesù stesso operato per primo quest'unione tra Figlio dell'uomo e sofferenza? Forse la questione è più complessa e dipende primariamente dalla storicità del titolo «Figlio dell'uomo» in bocca a Gesù 78•

79 •

7)

n verbo «uccidere» appartiene alla tradizione deuteronomistica sul destino dei profeti

in Israele, legata a quella del Giusto sofferente.

C'è accordo Mt/Lc («essere destato il terzo giorno») contro Mc («essere svegliato dopo tre giorni»). I due verbi (egeirein e anistanai) appartengono al vocabolario del kerygma pasqua­ le. La scelta di «terzo giorno» loco «dopo tre giorni» è dovuta al fatto che r espressione «il terzo giorno» è la formula abituale del kerygma pasquale (cf. l Cor 15, 4). 74 l Cor 15, 3 -4; At 2, 23-24; 3 , 15; 4, 10; 5, 30; 10, 39s. " Secondo R. Pesch, il Sitz-im-Leben sarebbe da cercarsi nel kerygma missionario nei confronti di Israele, e nelle discussioni con il giudaismo (Die Passion des Menschensohnes, in ]e­ sus und der Menschensohn, cit., p. 172). 76 L. Ruppert, ]esus als der leidende Gerechte?, Stuttgarter Bibel Studien 59, KBW Stutt­ gart 1972, pp. 64s. i7 Ritroviamo elementi come la sofferenza e l'uccisione del Figlio dell'uomo anche nelle fonti proprie di Mt e di Le. 78 E la tesi di O. Cullm ann : «Entrambi i concetti, quello del Figlio dell'uomo e quello dell'Ebed JHWH esistevano già nel giudaismo. Il fatto interamente nuovo è però che Gesù abbia riunito proprio questi due titoli e concetti, uno dei quali ("Figlio dell'uomo") rappresenta nel giu­ daismo il titolo più elevato immaginabile, mentre l'altro ("Ebed J HWH") è l'espressione del più profondo avvilimento» (Cristologia del Nuovo Testamento, il Mulino, Bologna 1970, p. 252). 79 Vedi in particolare P. Hoffmann, Mk 8, 31. Zur 1-Ier/unkt und markinischen Rezeption e�ner alten Ueberlieferung, in Orientierung an ]esus, cit., pp. 170ss; e Studien zur Theologie der

330

Il vangelo di Luca

La questione· storica Con ogni probabilità, Gesù ha previsto e annunciato una sua morte violenta ed ha anche cercato di darle un significato, di inserirla nel suo messaggio sull a vi­ cinanza del Regno di Dio 80 • È chiaro che nel kerygma postpasquale, le predizioni 8 della passione tendono a precisarsi, a entrare nei dettagli alla luce dell'accaduto 1 • Ma esiste un nucleo primitivo che potrebbe risalire al Gesù storico? 82• Non pochi esegeti rn considerano Mc 9, 3 1 (= Le 9, 44) una parola originale di Gesù: «Il Figlio dell'uomo sarà consegnato nelle mani di uomini», nel senso: Dio consegnerà presto il Figlio dell'uomo nelle mani degli uomini 84• A favore dell'autenticità del detto si enumerano: - il genere letterario: un mashal, parola enigmatica, modo di parlare familiare di Gesù; - la paronomasia (gioco di parola); - il passivum divinum; - l'imprecisione della predizione che non è formulata ex eventu. Diversi esegeti aggiungono anche la previsione della risurrezione «dopo tre giorni»: - la menzione di «Figlio dell'uomo» include l'idea di esaltazione, quindi l'idea di risurrezione può appartenere fin dall'origine al detto sul «Figlio dell'uo­ mo»; - «dopo tre giorni» è un semitismo, e non corrisponde ai fatti di Pasqua 8' (quindi non è un vaticinium post eventum) . Non tutti gli studiosi però sono convinti:

Logienquelle, cit., pp. 82ss; R. Pesch, Die Passion des Menschensohnes, in ]esus und der Men­ schensohnes, cit., pp. 166ss; M. Bastin, ]ésus devant sa Passion, cit., pp. 122ss; M.-L. Gubler, Die Fmhesten Deutungen des Todes ]esu, cit., pp. 107ss; A. Vogtle, Todesankundigungen und Tode­ sverstiindnis ]esu, in Der Tod ]esu. Deutungen im N. T. , a cura di K. Kertelge, >. L'idea di montare tre tende può apparire strana; in realtà la parola >); in questo conteSto, bina ha probabilmente valore finale (che implica quindi una intenzione divina), anche se il senso consecutivo non è da escludere. Hina al posto di hoste è comune nella Koiné (M. Zerwick, op . cit., n. 353 ). 196 Vedi S. Légasse, ]ésus et l'enfant, cit., pp. 2 1-32.72-75 .

Il vangelo di Luca

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9, 46. Luca trasfonna il realismo della scena di Mc 9, 3 3-34 in una domanda sulla 197 •

preminenza fra i discepoli, cioè all'interno della comunità Visto che Gesù è sul punto di iniziare il viaggio verso Gerusalemme (cf. v. 5 1 ) , l'evangelista suppone che egli si trovi vicino alla Samaria (cf. v. 52) e non al centro della Galilea (dove egli situa Cafamao). Luca toglie anche regolarmente il motivo della «casa» (come luogo dell'insegnamento riservato ai discepoli), perché non gli piace presentare una comunità appartata dal mondo degli uomini Co­ munque, egli espone un insegnamento che ha valore ovunque, e quindi la localiz­ zazione della scena non ha importanza. Il senso di dialogismos è ambiguo: può significare sia discussione, sia rifles­ sione. L'uso normale in Luca e il contesto (v. 47a: «nel loro cuore») indicano che si tratta di una riflessione interiore, non di una discussione fra i discepoli 199 • Sarà l'occasione, nel v. 47, per riaffermare la conoscenza miracolosa di Gesù che pene­ tra i segreti dei cuori (cf. Le 6, 8). I discepoli si preoccupano della loro propria grandezza e prestigio all 'inter­ no della comunità, invece di porre nei loro orecchi (cf. v. 44a) la parola fondamen­ tale di Gesù sulla necessità delle sue sofferenze. Questa preoccupazione dei discepoli è formulata in una domanda indiretta: 00 essi riflettono in loro stessi su chi sia il più grande fra loro 2 • L'aggettivo «grande» ricompare alla fine del v. 48: Luca ha saputo includere rinsieme (vv. 46-48) sotto questa parola tematica. 198 •

9, 47. A differenza. di Mc 9, 33, Gesù non chiede cosa i discepoli pensino in cuor lo­ ro; egli lo sa e risponde con un gesto simbolico: pone 201 un bambino accanto a sé: il posto d'onore 202 • Non la tenerezza di Gesù, ma la vicinanza del piccolo a Gesù vie­ ne focalizzata 203 • È un gesto di accoglienza che ora il Signore chiarisce con la parola. 197 In Mc, i discepoli discutono l'uno con l'altro su chi è il più grande; in Le, i discepoli fanno una riflessione interiore su chi è il più grande tra loro. Luca ha di mira i rapporti nella vita comunitaria. Mt ne fa una domanda di catechismo: chi è il più grande nel Regno dei Cieli? t98 H. Schiinnann, op. cit., p. 575. 1 99 Per l'ellenista Luca, i termini dialogismos e simili evocano principalmente l'idea di una riflessione interiore, non di una discussione (cf. Le l , 29; 3 , 15; 12, 17 . ) . Vedi S. Légasse, op. cit. , p. 28. Quindi, non conviene tradurre: «subentrò una discussione tra loro», ma «entrò una ri­ flessione in loro» (en al posto di eis è comune nella Koine} . La presenza del verbo dia/ogizesthai nella fonte (Mc 9, 33) ha guidato la scelta del sostan­ tivo in Luca. 200 La costruzione è abituale in Luca che utilizza l'ottativo in una prop. interrogativa indi­ retta introdotta dall'art. neutro to: vedi Le l, 62; 19, 48; 22, 2.4.23.24; At 4, 2 1 ; 22, 30. L'impie­ go dell'ottativo è tipico di Luca fra gli evangelisti, e denota una certa cura letteraria. Il comparativo (meizon più grande) con senso superlativo è comune nel greco della Koiné (M. Zerwick, op. cit. , n. 147); idem nel v. 48: «il più piccolo» è scritto al comparativo. 201 Epilambanesthai («prendere», al posto del semplice lambanein di Mc 9, 36) è un verbo lucano. Luca ama i verbi composti: Lc/At: 12; Mt: l; Mc: l ; Gv: O; ancora 5 volte nel NT. TI ver· bo è seguito dall 'ace. (come in At 9, 27; 16, 19; 18, 17); altrove dal genitivo (Le 20, 20.26). 202 Plummer, op. cit., p. 257. 2o3 Luca omette il fatto che Gesù abbraccia il bambino (Mc 9, 36); generalmente, egli evi­ ta di mostrare i sentimenti del Maestro. ..

=

I Dodici alla scuola di Gesù: Le 9, 1-.50

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9, 48. Luca dispone in modo coerente col proprio punto di vista due loghia di di­ verse tradizioni, raccolti in Mc 9, 3 7.3 5. La prima sentenza si legge anche in Mt 10, 40 in contesto di missione; essa ricorda la regola rabbinica dello Shaliah: «L'inviato di un uomo è come l'uomo stesso» 204• In Mc, il detto appartiene alla parenesi ecclesiale, anche se «i bambini» in questione designano ancora messaggeri del Vangelo considerati di poco conto, esposti al disprezzo e alla poca ospitalità in seno alla comunità stessa. In Le, l'orizzonte missionario è perso di vista nel versetto 2'" che vuole essere interpretato alla luce della seconda sentenza (v. 48c) di proposito posta in conclu­ sione: vera risposta lucana alla domanda dei discepoli nel v. 46. Viene ora sottoli­ neata la grandezza del «piccolo» nella comunità. Se Mc 9, 3 5 raccomanda ai disce­ poli di diventare «ultimi» nella comunità, Luca esorta i credenti a prendere co­ scienza che nella comunità i piccoli sono i veri grandi, e ad agire di conseguenza. Egli quindi sottolinea non la grandezza che sta nel servire o nell'accogliere i picco­ li, ma la grandezza dei piccoli e quindi l'importanza di accoglierli; il pensiero si si­ tua nella linea di Mt 25, 35-40 206• D «bambino» dunque non è visto tanto come un modello da imitare né presentato come un semplice esempio 207, ma come un caso concreto di accoglienza; il modello è Gesù che lo pone nella sua vicinanza. Nell'intenzione di Luca, la prima sentenza (v. 48ab) esprime una duplice ve­ rità: la vera dignità dd bambino sta nd fatto che Cristo e quindi il Padre si sono identificati con lui; nello stesso tempo, la sentenza presenta la «ricompensa>> per chi accoglie il bambino: potrà stare a sua volta nella vicinanza di Dio, essere il suo pre­ diletto, poiché nell'accoglienza del piccolo, il discepolo accoglie Gesù e il Padre. Letto nel contesto dell'annuncio della passione, la fede suggerisce che l'iden­ tificazione di Gesù con i piccoli si è realizzata in modo particolare nel Crocifisso, espressione definitiva della solidarietà di Dio con l'umanità dei poveri. Come ha mostrato lo studio di S. Légasse 208, Luca ha con molta probabilità vi­ sto in «questi bambini>> i poveri della comunità, e si sforza di inculcare ai suoi lettori il rispetto nei loro confronti: sono i prediletti di Dio. 2 •

204 La parola può risalire a Gesù, ma ha avuto un notevole approfondimento c-ristologico nella tradizione (cf. Rm 8, 29; Eh 2, 1 1 - 18; Mt 25 , 35-40) che implica anche il passaggio all'iden­ tificazione di Cristo col «piccolo» (e non solo con l'inviato suo). La verità veterotestamentaria che Dio solidarizza con i poveri, i deboli, riceve nel comportamento e nell'insegnamento di Ge­ sù la conferma definitiva; vedere tale solidarietà espressa in Gesù crocifisso può essere un ulte­ riore passo della fede cristiana. Vedi S. Légasse, op. cit. , pp. lOOss; E. Brandenburger, Das Recht des Weltenrichters, Stuttgarter Bibel Studien 99, Stuttgart 1980, pp. 77ss. 20.5 «Nel mio nome» può ora significare in coerenza con la propria fede. 206 Vedi I. H. Marshall, op. cit. , p. 397. w Al posto di «uno dei bambini come questo» (Mc 9, 37a), Luca scrive: «questo bambi­ no» (v. 48a). 2os Op. cit. , pp. 72ss. 209 S. Légasse, op. cit. , p. 75.

Il vangelo di Luca

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L'evangelista esprime in questi versetti una preoccupazione . pastorale che percorre tutta la sua opera: la disuguaglianza tra fratelli; ma vi si scorge anche la sua preferenza personale per quell'ambiente dei «poveri» descritto nel vangelo dell'infanzia; tutto ciò diventa un appello a vivere concretamente - nella preferen� za per i poveri - quel rovesciamento dei valori cantato nel Magni/icat. L'amore per i poveri, per i deboli nella comunità è la condizione necessaria per attuare la fra� tellanza e la comunione dei beni presentate nei sommari degli Atti (At 2, 42 �47 ; 4, 3 2 3 5; 5, 1 2 1 6) , ideale che Luca vedeva realizzato nella prima comunità di Geru� salemme. -

-

9, 49. L'evangelista continua a seguire la fonte: l'apoftegma sull'esorcista stranie� ro: Mc 9, 3 8-40 210; lo rielabora a modo proprio 2 1 1 • Ecco quindi, parallelamente ai

vv.

46�48, un altro contrasto tra il pensiero dei discepoli e quello di Gesù.

Giovanni, figlio di Zebedeo, ne è il portavoce. I discepoli si sforzavano di impedire 2 1 2 a un estraneo al gruppo di compiere esorcismi nel nome di Gesù. Al posto di «perché non ci seguiva» (Mc) , Luca precisa: «perché non segue (Gesù ) assieme a noi»: per l'evangelista, far parte dd gruppo dei discepoli significa segui­ re Gesù. Egli non affronta il problema non ancora attuale, di chi vuole seguire Ge­ sù senza appartenere alla Chiesa. A livello redazionale, Luca riesce a stabilire un certo parallelismo con la sce­ na precedente: si tratta ora di avere anche una mentalità accogliente nei confronti dell'attività di non-discepoli. Nella tradizione, l'intervento di Giovanni riflette una situazione che la giovane Chiesa dovette affrontare, come mostra l'episodio di At 19, 13ss: l'esistenza di esor­ cisti non cristiani che si servivano del nome di Gesù per la loro attività: quanto valo­ re ha una tale attività «nd nome di Gesù» al di fuori della comunità cristiana? 2 u . Una simile situazione può risalire al Gesù storico? Esisteva già qualche esor­ cista che scacciava demoni nel nome di Gesù durante la vita pubblica di quest'ul­ timo? Non è possibile rispondere, ma altri argomenti vanno in favore della stori­ cità dell'episodio 2 14 •

2 10 La presenza di quest'apoftegma nel testo di Marco si spiega per parola-aggancio: «nel mio nome» (tra vv. 37 e 38s); questo legame dev'essere anteriore alla redazione marciana. 2 u - Costruisce una introduzione di stile semitizzante: «rispondendo ... disse» (wayya(an . . wayyo'mer) ove il verbo «rispondere» deve essere inteso nel senso di prendere l a parola, inter­ venire in una conversazione già iniziata. - Egli omette la risposta vera e propria di Gesù (Mc 9, 39b), concentrando tutto sul p� verbio: «chi non è contro di voi è per voi»: viene così accentuata l'esigenza della tolleranza ri· chiesta dal Signore. - Cambia il vocativo: «didaskale>> («maestro») in «epistata» (vedi c. 5, nota 15). - Al posto del dativo dopo il verbo seguire (>. ..

10, 25. > sono la traduzione della

stessa parola ebraica: leb (cuore). Luca diverge anche nell'uso delle preposizioni (LXX: tre volte ex; Le: una volta ex, 3 vol­ te en; Mc: 4 volte ex; Mt: 3 volte en ). 1 63 Paratassi a valore di condizionale: «Se fai questo, vivrai» (semitismo: Moulton, ll , op.

cit., p. 42 1 ) . 1 64

Vedi ]. Ernst, op.

cit. , p . 347.

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Il vangelo di Luca

si imbatté in ladron� i quali dopo averlo spogliato e coperto di bastonate, se ne andarono, lasciando/o mezzo morto. H Ora, per caso un sacerdote scendeva per quella via e vedendo/o girò alla larga. 32 Egualmente, anche un /evita arrivando sul posto e avendolo visto, girò alla larga. 33 Ma un samaritano, in viaggio, arrivò vicino a luz: e avendolo visto, ne ebbe compassione, 34 e avvicinatosi, gli /asciò le ferite, versando sopra olio e vino; fattolo salire sulla propria cavalcatura, lo condusse in un albergo e si prese cura di lui. 3� E tindomani avendo tirato fuori due denari (lz) diede all'alber­ gatore e disse: Prenditi cura di lui, e quello che spenderai in più, io, quando ritor­ nerò, te lo renderò. 36 Chi di questi tre ti pare che sia stato prossimo per colui che si era imbattuto nei /adroni?». 37 Quegli disse: «Colui che gli ha usato misericordia». Gesù gli disse: «Va', anche tu fa' altrettanto». co -�

A un certo momento della tradizione - forse da Luca stesso - la parabola del buon samaritano fu unita alla pericope sul doppio comandamento. Più che una parabola in senso tecnico, la narrazione si presenta come un «racconto per esem­ pi»; descrive un comportamento modello che l'ascoltatore è invitato a imitare: «Va' e fa' altrettanto»: questo a livello redazionale. Adesso Gesù non rimanda più l'interlocutore alla Legge per trovare la rispo­ sta alla sua domanda, ma alla vita concreta fatta di relazioni più o meno attuate 165 • I personaggi che si devono confrontare con l'anonimo uomo ferito sono agli estremi opposti: un sacerdote e un levita da una parte, un samaritano dall'altra; tanto basta per far emergere il carattere esplosivo della lezione: ogni restrizione del concetto di «prossimo» è abolita. A un primo approccio, il racconto è aperto a varie interpretazioni: è una po­ lemica contro la classe sacerdotale; è una critica del giudaismo che tende a isolarsi dal resto degli uomini; è problematica del rapporto fra Giudei e pagani; è protesta contro ogni discriminazione religiosa, razziale o sociale; è affermazione che la mi­ sericordia vale più del culto; è possibilità data a tutti gli emarginati del sistema re­ ligioso di amare e quindi di fare la volontà di Dio. Occorrerà distinguere tra tradizione e redazione nell'interpretazione della parabola, tenendo presente che non sempre il racconto si leggeva nel contesto at­ tuale. 10, 29. Considerando il vocabolario, è difficile sapere con sicurezza se il v. 29 pro­ venga nel suo insieme dalla tradizione o dalla redazione 166• Tuttavia, la formula­ zione parla in favore di un'origine prelucana, perché non corrisponde più al pun­ to di vista dell'evangelista e dei suoi lettori che vedono nella parabola un insegna­ mento sull'amore del prossimo più che una definizione della dimensione di pros­ simo in senso casistica.

165 Vedi R. Fabris, La Parabola del Buon Samaritano, in Amerai Dio e il prossimo tuo, cit., . p. 130. 166• Di Luca: il verbo «dire» con la prep. pros + ace. Invece, l'uso di mettere il pron. poss. 1 68 • Esclusi dal concetto di pros­ simo e dWlque dal dovere dell'amore erano i pagani, i samaritani, qualche volta il nemico personale, o semplicemente chi non faceva parte della propria comunità re­ ligiosa 169, come indica la prescrizione della regola della comunità di Qumran: amare tutti i figli della luce (= ddla setta), odiare tutti i figli delle tenebre (l QS l , 9-10). A Gesù è stato quindi chiesto di delimitare, all'interno dd popolo dell'al­ leanza, le frontiere del comando dell'amore 170• Luca non ha più in mente tale problematica. Egli ha superato il concetto giuri­ dico di «amore», e il prossimo significa ogni uomo. L'attenzione si concentra sull'esigenza dell'amore concreto richiesto al credente nei confronti di tutti. La pa­ rabola diventa un commento cristiano alla prescrizione di Lv 19, 18 (= Le 10, 27c). 10, 30. Gesù non si lascia condurre nella casistica. In modo originale, risponde con una parabola e quindi non risolve un caso legale, ma descrive un caso umano. Un uomo 1 7 1 è assalito dai banditi. TI racconto non è composto in modo da spingere il lettore a indovinare l'identità dell'uomo (senz' altro un giudeo per l'ascoltatore di Gesù) o dei briganti (zeloti?); gli interessa presentare la situazione di un uomo in urgente bisogno di aiuto.

t67 Varie spiegazioni sono avanzate: egli vuoi far capire che la sua prima domanda merita discorso approfondito; per cavarsi d'impiccio dopo aver fatto una domanda alla quale ha do­ vuto o saputo rispondere egli stesso; per togliere l'impressione di voler mettere Gesù alla prova; come esempio della superbia del fariseo che vuole aver sempre l'ultima parola e non accetta le­ zioni da altri, ecc. t68 R. Fabris, op. cit. , p. 136. 169 Vedi Fr. Mussner, Der Begri/1 des «Niichsten» in der Verkundigung ]esu, in Praesentia Salutis. Gesammelte Studien zu Fragen und Themen des N. Ts. , Patmos, Diisseldorf 1967 (l'arti­ colo è del 1955), pp. 126s; J. Jeremias, Die G/eichnisse ]esu, cit., p. 201 . 110 ] . Jeremias, Die Gleichnisse ]esu, cit., p . 201. Con ciò s i indica solo la problematica ori­ ginale alla quale corrisponde la parabola. Non si vuole affatto affermare che Gesù abbia rispo­ sto alla domanda di uno scriba: come improvvisare sul momento una parabola di tale bellezza e profondità di contenuto? ! Poteva benissimo essere un insegnamento dato ai discepoli. Comun­ que, la domanda attuale del legista riflette bene il Sitz-im-Leben originario nel quale è nata la pa­ rabola, e cioè il contesto delle discussioni di scuola di tipo rabbinico. 171 Anthropos tis è Wl modo tipico dell'evangelista per introdurre molte parabole: Le 14, 2.16; 15, 1 1 ; 16, 1 . 19; 19, 12. Il tis aggettivato è del redattore: Lc/At: 102; Mt: l ; Mc: 3; Gv: 7 . un

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Il vangelo di Luca

Non è'è dubbio che la p�rabola sia di origine palestinese (ton ogni probabi­ lità, di Gesù): chi racconta conosce la pericolosità per i viaggiatori della via che per circa 1000 m di dislivello 172 e 27 km di lunghezza scende dalla Città santa ver­ so Gerico; «il paese da Gerico a Gerusalemme è desertico e pietroso», scrive Fl. Giuseppe tn. 1 0, 3 1 -32. Entrano in scena due addetti al culto: un sacerdote e un membro della tribù di Levi - i !eviti avevano una funzione subaltema nel servizio liturgico del tempio: ordine, pulizie -. Tornano probabilmente da tale servizio - che durava una settimana - e si recano a Gerico, dove abitavano molti sacerdoti e !eviti con le loro famiglie. Non importa sapere perché non soccorrono il malcapitato 174 • Non c'è anti­ clericalismo nel racconto: non è detto che si astengono per motivi di purità cultua­ le. Tuttavia, la scelta di un sacerdote e di un levita, che rappresentano il fior fiore della società israelitica, non è casuale: sottolinea il contrasto con il personaggio­ sorpresa: il samaritano. 10, 3 3 . Senza dubbio, ci si aspetterebbe l'entrata in scena di un giudeo laico: il racconto verrebbe così ad assumere un tono anticlericale gradito anche alla folla. Ma come in molte parabole, ecco l' effetto sorpresa destinato a colpire l'ascoltatore e a farlo riflettere. n terzo personaggio, quello poi che chi ascolta sarà condotto a giudicare come modello di comportamento (v.36), è un samaritano 17\ odiato, eretico, peccatore. È un bell'esempio in cui si vede come Gesù porti l'ascoltatore ad accettare l'evidenza che deriva dalla logica del racconto, facendogli fare così un vero rove­ sciamento di mentalità; Gesù porta l'ascoltatore a entrare nella visione di un amo­ re senza barriere, un amore che rassomiglia a quello di Dio per l'uomo peccatore e che è ora manifestato nel comportamento di Gesù stesso. Accettare la conclusione della parabola implica il superare l'odio contro il samaritano e di conseguenza contro ogni straniero. Se infatti, per mettere in luce il rapporto tra soccorritori e ferito, Gesù sceglie di proposito un samaritano, allora cadono tutti i motivi reli­ giosi o nazionali: è un uomo che incontra un uomo, al di sopra di ogni discrimina­ zione di razza, di religione, di nazionalità.

172 Gerusalemme si trova a 750 m. sopra il mare; Gerico a 250 m. sotto il livello del mare. 17} Bell . IV, 8, 3 . 174 Generalmente, s i ritiene per motivi di purità legale (cf. Lv 2 1 , 1ss; Nm 19, 1 1 : non toc­ care un morto); lo pensavano morto o temevano che potesse morire per strada? Ma non è detto che il ferito era in fin di vita. ll levita comunque avrebbe potuto aiutarlo senza incorrere in uno stato di impurità (era tenuto alla purità soltanto durante il servizio nel tempio: cf. ]. Jeremias, Die Gleichnisse ]esu, cit. p. 202). Non si può allora considerare la > 205 •

203 W. Grundmann , op. cit. , p. 227. 204 B. Prete, «Una cosa sola è necessaria», cit., pp. 300ss. w l de la Potterie, Le titre KYRIOS dans l'évangile de Luc, in Mélanges B. Rigaux, cit., p. 132.

CAPITOLO 1 1

5 . LA VITA DEL DISCEPOLO: LA PREGinERA: Le 1 1 , 1·1.3 L'evangelista dedica ora un blocco letterario all'insegnamento sulla preghie­ ra. Esso è composto di tre parti: la preghiera del Padre Nostro (vv. 2-4), la parabo­ la dell'amico importunato di notte (vv. 5-8) prolungata con una esortazione alla preghiera perseverante (vv. 9- 13). Diversi esegeti ritengono che questa composizione sia opera di Luca 1 ; eppu­ re, non mancano indizi validi per attribuire il raggruppamento a uno stadio prelu­ cano, dove l'unità letteraria appariva uno sviluppo della terza domanda (lucana) del Padre Nostro: la preghiera per il pane 2• Matteo, da parte sua, insisterà sulla domanda di perdono (Mt 6, 14-15; cf. v. 12). Non manca, anche in questa catechesi sulla preghiera, l'impronta personale del redattore: - nel v. l , egli radica esplicitamente la preghiera cristiana nella preghiera di Gesù; - l'oggetto della domanda non è più qualsiasi cosa chiesta con fede, ma il dono dello Spirito Santo, il dono per eccellenza della salvezza, della vita cristiana. Emerge il pensiero proprio di Luca sulla pratica della preghiera che J. Du­ pont riassume con queste parole: «Egli non vuole fondarla sull'illusione che basti chiedere qualsiasi cosa a Dio per essere immancabilmente esauditi. La preghiera, infatti, non deve essere considerata un mezzo per fare pressione su Dio e ottenere che Egli ceda dinanzi a desideri umani. Solo la preghiera che apre l'uomo ali' azio1 Così R. Bultmann , op. cit. , p. 350. J. Jeremias (Die Gleichnisse ]esu, . cit. , p. 105) considera la formula tipica di Luca «e disse loro» del v. 5 (con la prep. pros + ace.) una sutura redazionale. 2 A favore di questa tesi è l'esistenza delrindusione col termine «Padre» (vv. 2.13); Luca stesso sarebbe poco incline a questo procedimento semitico (J. Dupont, Les Béatitudes, I, cit., pp. 65s; per la questione, vedi G. Leonardi, «Cercate e troverete... lo Spirito Santo» nell'unità let­ teraria di Luca 1 1, 1-13, in AA.VV, Quaerere Deum, Paideia, Brescia 1980, pp. 263ss). L'unità letteraria è stata costruita mediante parole-aggancio: «pane» (vv. 3.5. 1 1 Mt 7, 9), «dare» (vv. 3 .7.8.9.13) e il tema del chiedere. Anche a questo stadio prelucano - nella fonte Q? - il raggruppamento appare secondario. In un primo momento la parabola dell'amico importunato era probabilmente gemellata con quella del giudice importunato (Le 18, 2-5).Secondo H. Schiirmann, il Padre Nostro, vista la sua t rasmissione in un insegnamento sulla preghiera, servì molto presto da «nucleo» ( Grundwort) in una istruzione sulla preghiera che comprendeva Le 1 1 , 9-13 (Basi/eia-VerkUndi­ gung, in Logia, cit., pp. 1 5 1 . 186). Aggiungiamo che nel primo vangelo il posto attuale del Padre Nostro (Mt 6, 9-13 ), che interrompe l'unità sulle tre opere di misericordia, è chiaramente dovuto alla redazione; lo stesso vale per l'esortazione a chiedere (Mt 7, 7-1 1). =

Per ilpaese dei Giudei verso Gerusalemme: Le 9, 51 - 19,

44

ne dello Spirito, un'azione che lo conforma ai desideri di Dio e alle esigenze del suo Regno, è autentica» 3 • Il Padre Nostro: vv. 1-4 1 E avvenne che mentre egli era in un luogo a pregare, come ebbe finito, uno

dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2 Disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santt/ica­ to il tuo nome; venga il tuo Regno; 3 dacci ogni giorno il nostro pane quottdiano; 4 e rimetti a noi i nostn· peccati poiché anche noi li rimettiamo a ognuno che deve a noi; e non portarci in tentazione».

La preghiera del Padre Nostro ci è stata trasmessa in due versioni: quella lunga, la più conosciuta, di Matteo; e il testo breve di Luca. Simili per il contenuto delle domande (il testo breve di Luca è incluso in quello lungo di Matteo) e per l'ordine nel quale queste domande si susseguono, le due versioni hanno differenze importanti, al punto che ci si interroga se queste differenze possano spiegarsi uni­ camente come lavoro redazionale sulla fonte comune Q 4 , o se, almeno per Mat­ teo, non si debba piuttosto pensare a un'influenza dell'uso liturgico della preghie­ ra in seno alla sua comunità 5 • L'esame delle due versioni fatto da J. Jeremias 6 ha ottenuto un largo consen­ so. Egli arriva alla seguente conclusione: - se si considera l'estensione del testo, la versione breve di Luca è più primi­ tiva: l'uso liturgico tende infatti ad ampliare la preghiera con altre domande; inol­ tre, non si spiegherebbe l'omissione di domande da parte di Luca, se le avesse tro­ vate nella fonte; - se invece si tiene conto della formulazione verbale, Matteo è più primitivo di Luca; i ritocchi redazionali di Luca sono più sensibili, in conformità con l'ambiente ellenistico e con la propria prospettiva storico-salvifica. . La preghiera del Padre Nostro ha senza dubbio un'origine palestinese. Era recitata nella liturgia della comunità. H. Schiirmann 7 la considera una preghiera-

' La prière et son e/ficacité dans l'évangile de Luc, in RScR 69 ( 1 981), p. 55. " Così p. es. ]. Lambrecht, ? cit., pp. 126ss; G. Schneider, Das Vaterunser des Matthiius, in A cause de l'Évangile, cit., pp. 57ss: nella linea di ] . Dupont. , � I. H. Marshall (op. cit. , p. 455 ): è difficile che Matteo abbia aggiunto di proprio pugno

due domande a una preghiera che proviene dall'uso liturgico e quindi conosciuta da tutta la co­

munità. In realtà, si sposta solo il problema: chi, nell'uso liturgico, ha aggiunto le due doman­ de? Vedi anche H. Schiinnann, Basileia-Verkundigung, in Logia, cit., pp. l 50s. 6 Neutestamentliche Theologie, cit. , p. 190. 7 Il Padre Nostro alla luce della predicazione di Gesù, Città Nuova, Roma 1 967, pp. l 60s. Nella fonte Q poteva essere formulato nel modo seguente: «Padre (nostro nei Cieli) sia santificato il tuo Noine; venga il tuo Regno; il nostro pane, ton epiousion, dacci ogai;

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guida, un formulario condensato che costituisce quasi il nucleo centrale di ogni preghiera, il cui sviluppo era lasciato alla libertà di ciascuno. Ciò spiega perché la comunità matteana si senta legittimata ad aumentare le domande. Ben presto, il Padre Nostro acquistò anche un suo posto fondamentale nel contesto della catechesi postbattesimale, come elemento base dell'istruzione sulla preghiera. Lo troviamo in tale contesto già in Q. Esso proviene da Gesù stesso. Ha diverse analogie con la preghiera giudaica, in particolare il Qaddish e le Diciotto Benedizioni; ma l'impronta propria di Gesù è inconfondibile: la brevità, la concisione, la forza, una preghiera in linea con la novità del suo annuncio, con la radicalità delle sue esigenze e di un'esistenza inte­ ramente coinvolta dall'evento della vicinanza del Regno di Dio 8 • 1 1 , l . Mentre Matteo inserisce senza ulteriori precisazioni il Padre Nostro al cen­ tro del «discorso della montagna», Luca ha cura di indicare al lettore l'occasione nella quale Gesù insegnò questa preghiera ai discepoli. L'introduzione informa sulla circostanza storica della nascita del Padre Nostro o riflette solo l'interesse dell'evangelista di porre l'insieme in un quadro narrativo? Il versetto è senza dubbio redazionale 9 : Gesù in preghiera, e presentato co­ me modello per i credenti:. sono temi cari a Luca. I discepoli, vedendo Gesù pregare, vogliono imparare dal Maestro a pregare come lui. A questo motivo, Luca ne aggiunge un secondo, che potrebbe risalire a un ricordo storico: «come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» 1 0 • L'informazione testimonia che certi movimenti religiosi (anche Qumran) avevano le loro preghie­ re proprie, caratteristiche del loro ideale, del loro rapporto con Dio, del loro im­ pegno e quindi della loro identità. Insegnando ai discepoli il Padre Nostro, Gesù li inserisce in modo diretto nel suo rapporto con Dio e nella sua «causa» e li raduna quindi in comunità.

e rimetti i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori, e non farci entrare in tentazione» (vedi J. Lambrecht, Eh bien! Moije vous dir>>, cit., p. 129; G. Schneider, Das Vaterunser des Matthiius, in A cause de l'Évangile, cit. , p. 60; J. A. Fitzmyer, op. cit. , p. 901). 8 H. Schiirmann considera la formula «Abba ... venga il tuo Regno» come l'unico sicur0 logh ion sulla Basi/eia che sia un ipsissimum verbum ]esu; egli pensa che Le 1 1 , 2 sia già stato una preghiera di Gesù a Nazaret, adattamento di una preghiera sinagogale («Qaddish») (Basileia­ Verkundigung, cit. , pp. 186. 151). 9 La tipica costruzione lucana: kai egeneto con verbo finito (vedi c. l , nota 16); en to(t) + inf. a valore temporale; la costruzione perifrastica: einai + ptc.; l'uso dell'aggettivo indef. tis; il verbo «dire» con la prep.pros + ace.; l'espressione «come ebbe finito»: Le 5, 4. 1 0 Non c'era nessuna necessità di introdurre questo secondo motivo che né Luca né la co­ munità primitiva avevano interesse a inventare, poiché i discepoli, nel nostro versetto, prendono esempio anche da Giovanni Battista e non solo da Gesù (vedi J. Dupont, Les Béatitudes, I, cit . . p. 64, nota 2 ) . Fra l e eccezioni, W . Schmithals (op. dt. , p. 131) ritiene che anche questo tratto sia reda­ zionale: Luca si ispira a Le 5 , 3 3 per sottolineare la continuità tra il Battista e Gesù, tra i disce­ poli di Giovanni e i seguaci di Gesù. Ma proprio in Luca non viene in luce la continuità, bensì il contrasto fra il modo di comportarsi dei due gruppi.

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l t , 2 . La paternità di Dio su Israele è riconosciuta nella tradizione biblica e giu­ daica 1 1 • Almeno dalla fine del l sec. d. C., Dio viene invocato con il titolo «Padre

nostro» nella preghiera delle Diciotto Benedizioni recitata quotidianamente dal giudeo 12• Nella cultura palestinese, il sostantivo «padre» include non solo una no­ ta di intimità ma anche di sovranità. Dio è Padre in quanto Creatore, Signore del popolo che egli ha scelto. Ma proprio come tale, JHWH dimostra il suo amore misericordioso verso Israele, si dichiara pronto a perdonare le sue infedeltà. Auto­ rità e bontà sono dunque i tratti dominanti della paternità divina. Come Sovrano d'Israele, JHWH è chiamato «Padre nostro» o . L'uso del semplice «Padre!» in Luca, avrebbe origine nella tradizione liturgica delle comunità ellenistiche. Notiamo subito che Gesù ha potuto introdurre i discepoli nel suo rapporto con il Padre, senza perdere l'unicità di tale rapporto; Gesù infatti non si inserisce mai nel loro pregare il Pa­ dre. Ma permettendo ai discepoli di chiamare Dio Abba, Gesù coinvolge i discepoli nella realtà della vicinanza del Regno di Dio. Non bisogna poi dimenticare la realtà della «famiglia di Dio» (Mc 3, 3 1ss), della quale fanno parte coloro che compiono la volontà del Padre espressa da Gesù. La paternità divina in­ veste i discepoli in modo radicale, al punto di non poter più chiamare nessuno «padre», «per­ ché uno solo è il Padre vostro, quello del Cielo», Mt 23 , 9). Il discepolo che a causa del Regno ha abbandonato i legami familiari, ha ricevuto come Padre il Dio che Gesù chiama Abba; non a caso, nella parola sul centuplo, non si parla di «cento padri» (Mc 10, 29s) (vedi G. Lohfmk, Wie hat ]esus Gemeinde gewollt?, cit., pp. 57ss). Detto questo, non è risolto il problema se Luca («Padre !») o Matteo («Padre nostro nei Cieli») abbia conservato la formula primitiva. La discussione rimane aperta. A favore della for­ mula breve (in Luca): - l'abitudine di Gesù di invocare Dio con questo nome (Mc 14, 36; cf. Le 10, 21); - la possibilità che l'ampliamento del titolo (>. 16 Altri, per metter(lo) alla prova, cercavano da lui un segno del cielo. 17 Ma egli, conoscendo le loro intenzionz: disse loro: «Ogni regno diviso contro se stesso, viene devastato e una casa cade su una casa. 18 Ora, se anche satana è diviso contro se stes· so, come sussisterà il suo regno? Poiché dite che scaccio i demoni per mezzo di Belze­ bul. 1 9 Ora, se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebul i vostri figlz: per mev..o di chi (lz) scacciano? Per questo essi saranno vostri giudici. 20 Ma se per mezzo del dito di Dio io scaccio i demonz: allora è venuto per voi il Regno di Dio».

Un primo raggruppam ento ha per Leitmotiv il confronto Gesù-satana: da quale parte sta l'uomo? Esso comprende un breve racconto di esorcismo (v. 14) che introduce la controversia su Beelzebul (vv. 15-20), il loghion sul più forte (vv. 2 1 -22), un invito a stare dalla parte di Gesù (v. 23 ) e la pericope sul ritorno dello spirito impuro (vv. 24-26). . Si potrebbe considerare quest'insieme (in gran parte già presente in Q) uno sviluppo della seconda domanda del Padre Nostro: la venuta del Regno di Dio si manifesta già ora nell'attività vittoriosa di Gesù contro le forze sataniche; tuttavia, l'attenzione si porta di più sull'ostilità che Gesù ha incontrato nel suo ministero. La controversia su Beelzebul (vv. 14-20) si presenta come un «apoftegma au­ mentato» (S. Schulz, op. cit. , p. 208). Essa è trasmessa in Q (cf. Mt 12, 22-28), ma esiste anche una tradizione parallela in Mc 3, 22-27. Luca segue la fonte Q 68 , men­ tre Mt, com'è sua abitudine, combina Q e Mc. Non sfugge agli studiosi la natura composita dell'attuale insieme (vv. 14-20). Le ipotesi sulla storia della tradizione sono varie 69• Comunque sia, l'esistenza di

67 Inclusione tra i w. 29 e 5 1 : «questa generazione». Anche la pericope sulla richiesta di un segno (w. 29s ) è già preparata nel v. 16 e indica che per Luca l'insieme Le 1 1 , 29ss e Le 1 1 , 14ss fa parte dello stesso complesso. 68 Elementi redazionali: v. 16 che anticipa Le 1 1 , 29; v. 1 8b che ripete v. 15 e indica che Gesù risponde direttamente all'accusa del v. 15 e non alla richiesta di un segno (v. 16) (F. Neirynck, in Eph. Theol. Lov. l [1986] , p. 1 29 ) . Per l'ipotesi di una struttura concentrica di Le 1 1 14-20, vedi R. Meynet, Qui donc est «le plus/ort>>?, in RB 3 ( 1 983 ), pp. 342s. 69 Qualche esempio: E. Schweizer (Evangelium nach Matthiius, Gottingen 1973, pp. 184s) vede il nucleo pri,

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due tradizioni, entrambe palestinesi, indica l'attualità che tale controversia conti­ nuava ad avere nella comunità postpasquale in ambiente giudaico. Non dimenti­ chiamo che il Talmud di Babilonia trasmette il ricordo della morte di Gesù come di uno che ha operato magia e sviato Israele (San h. 4 3 a). 1 1 , 14. In modo scarno viene riferito un esorcismo, senza alcuna infotmazione di luogo, tempo, circostanze. Più che il ricordo di un fatto preciso, la menzione dell'esorcismo ha la funzione - già in Q - di introdurre la controversia che segue 70• Secondo il modo popolare di vedere, il mutismo è attribuito direttamente al demonio, un suddito di Beelzebul. E quindi, l'uomo parla quando la causa del male - il demonio - viene allontanata 7 1 • La reazione della folla è positiva. 1 1 , 15- 1 6. I contestatori rimangono nell'anonimato 72 e si dividono in due gruppi: i primi accusano Gesù di essere connivente con Beelzebul 73 ; alla domanda su quale

mitivo nei w. 14- 1 5 . 1 9; vi furono aggiunti i w. 17- 18, una tradizione che parla di satana (non di Beelzebul); il v. 20 è un'aggiunta secondaria al v. 19. H. Schiirmann (Basi/eia-Verkundigung, in Logia, cit., pp. 155s) scorge il nucleo primitivo nei w. 14.1 7a.20; a uno stadio ulteriore c'è l'influenza della tradizione marciana il cui nucleo si legge in Mc 3 , 24-25 (a sua volta accresciuto dai w. 23b e 26, poi dal v. 27 che dà un'applicazio­ ne cristologica). Le 1 1 , 19 è un'aggiunta secondaria ai vv. 17h- 18a, e appare quindi anche secon­ dario rispetto al v. 20 primitivamente legato ai w. 1 4 .17a. Per ]. Schlosser (Le Règne de Dieu dans /es dits de ]ésus, cit. , p. 132 la genesi di Le 1 1 , 1420 sarebbe avvenuta in tre tappe: - punto di partenza: l'apoftegma di Le 1 1 , 14-15.17- 18a; - in un secondo tempo fu aggiunto il v. 20,e per farlo, venne creato il v. 1 9; - il redattore, infine, inserisce i vv. 1 8b e 16. C'è anche chi vede in Le 1 1 , 14-26 una costruzione dell'evangelista, un «comparative mi­ drash>> Q. A. Sanders) fatto sul modello di Dt 9, 1 - 10. (In ambedue i testi appaiono i termini: «dito di Dio»: Le 1 1 , 20; Dt 9, 10; «più forte»: Le 1 1 , 2 1 ; Dt 9, 1 . 14). Nel passato Dio ha manifestato la sua salvezza scrivendo sulla pietra, ora la rivela nella cacciata dei demoni ad opera del Messia. E come Mosè, Gesù si rivolge a un popolo ribelle, condanna la sua falsa sicurezza e minaccia la sua distruzione se non accoglie l'opera di grazia del Signore (cf. Le 1 1 , 2 1 -22 .24-26 interpretati come lotta tra Israele [«il forte»] e Beelzebul [. 1 1 , 17. Come Matteo 75, Luca introduce la risposta di Gesù con l'affermazione che Gesù conosce il pensiero degli uomini: è un'affermazione ben ancorata nella tradizione evangelica (cf. Le 5 , 22; Gv 2, 24s); nel contesto (anche di Q) , essa ap­ pare un'aggiunta, poiché non corrisponde alla situazione degli avversari che di­ cono ad alta voce quello che pensano. La convinzione che Gesù conosce l'inti­ mo. dell'uomo è un implicito invito fatto al lettore a mettersi dalla parte della ve­ rità. In ciò che segue (v. 17b), Gesù risponde direttamente all'accusa del v. 15 e non alla richiesta di un segno (v. 16) inserita dall'evangelista a mo' di introduzione all 'insieme dei vv. 17-36. «E quindi, Luca non tiene conto del v. 16 che egli ha ag­ giunto qui come un secondo titolo, anticipato, e si attiene alla fonte» 76 • Gesù si serve di una «parabola>> che ha valore di proverbio: la guerra civile non può che portare alla rovina il paese dove ha luogo 77•

steo di Eqro: si tratta probabilmente di una distorsione dell'originale Baal-Zebul, distorsione fatta dagli Ebrei per ridicolizzare tale divinità e porla nel rango di idolo. Baal-Zebul = Signore-Principe o del palazzo (per Zebul: cf. l Re 8, 13; ls 63 , 15); Baal-Zehub Signore del letamaio o delle mosche. È anche sconosciuta la posizione gerarchica di questo «principe» nella credenza popolare dell'epoca di Gesù: era un capo di demoni a sua volta sottomesso a Satana? Equivale a Belial (cf. 2 Cor 6, 15; 1 QS1, 1 8.24, ecc.) ? Comunque, per Luca, come conferma il v. 18, Beelzebul è identificato con Satana. 74 Nell'espressione «segno dal cielo» «cielo» equivale a Dio; non si tratta dunque di segni cosmici (vedi V. Mora, Le signe de ]onas, «Lire la Bible» 63 , Cerf, Paris 1983 , p. 15). 7 S La versione lucana del v. 17 a è generalmente considerata più fedele a Q di quella di Matteo, anche se la mano del redattore si può notare nell'iniziale autos de. Dianoema («pensiero») è un hapax nel NT; si leggeva probabilmente nella fonte; Luca preferisce il termine dialogismos (Le 2, 35; 5, 22; 6, 8; 9, 46.47; 24, 38). Matteo sceglie la parola enthymesis che egli solo utilizza fra gli evangelisti (così come il verbo corrispondente) . La formula - «conoscere i pensieri» - può ispirarsi a una espressione biblica: Gb 2 1 , 27; Sa/ 93, 1 1 (LXX). Un po' controcorrente, F. Neirynck vorrebbe attribuire il v. 17a alla redazione lucana (vedi in Eph. Theol.Lov. l [1986] , pp. 122ss). 76 M.-J. Lagrange, op. cit. , p. 330. 77 Luca utilizza due volte il verbo composto dia-merizein («dividere») al posto del verbo semplice (in Matteo e Marco). L'espressione «casa che cade su casa», secondo Moulton (op. cit. , II, p. 428), è un semitismo (ripetizione del sostantivo: cf. Dt 4 , 32; 28, 64). =

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Luca unisce iir un solo esempio · le· due immagini parallele che leggiamo iD Mc 3 , 24-25 78, ma la sua versione può essere compresa diversamente: - la rovina delle case che cadono l'una sull'altra è il segno della divisione di un regno; - quando un regno è diviso, le case, cioè le famiglie, entrano in conflitto le une con le altre e si distruggono. La prima possibilità è da preferire: Luca ha alterato l'immagine: non più la casa-famiglia divisa da conflitti interni, ma case-edifici che crollano l'una sull'altra, segno della devastazione.

1 1 , 18. La verità di esperienza espressa con l'immagine del regno diviso (v. 17b) trova ora la sua applicazione sotto forma di domanda retorica al condizionale 79 : se in satana 80, immaginato come una organizzazione di tipo feudale, nasce il dissen­ so, il crollo del suo potere è inevitabile. È un argomento di buon senso, distinto dall'intento messianico di Gesù che è di combattere il regno di satana. Il v. 18b, maldestramente introdotto 81 , non fa che esplicitare il legame tra l'accusa del v. 15 e la risposta di Gesù: se io scacciassi i demoni nel nome di Beel­ zebul, sarebbe evidente che il regno satanico è internamente diviso e quindi sul punto di crollare. È una glossa redazionale 82 che forma inclusione col v. 15, e che l'evangelista si è sentito di inserire per chiarezza, vista l'aggiunta del v. 16; essa fa anche da transizione alla seconda risposta di Gesù (v. 19). 1 1 , 19. Nella seconda risposta 8', Gesù utilizza l'argomento ad hominem. Rivolgen­ dosi direttamente agli accusatori, ricorda la pratica degli esorcismi in uso fra di lo­ ro 84 • La risposta riprende i termini dell'accusa del v. 15 ed è formulata come con-

78 Matteo presenta tre immagini: regno, città, casa; Luca ha conservato la costruzione di Q, mentre Matteo segue Marco? Oppure Matteo segue Q simile alla tradizione marciana, e Lu­ ca semplifica ? 79 ll de kai iniziale è lucano: Lc/At: 33; Mt: 3; M� 2. Nel suo insieme, tuttavia, questa pri­ ma risposta (vv. 17b- 1 8a) è di stile semitico (per i dettagli vedi J. Schlosser, Le Règne de Diet4 dans les dits de ]ésus,cit., nota 23 , pp. 142s) . 80 Satana, per metonimia, sta per il suo regno. 81 Hoti legete («poiché voi dite» è ellittico, deve quindi essere completato: «lo dico q� sto poiché voi dite ...» (A. Plummer, op. cit. , p. 302). 82 J. Schlosser, op. cit. , p. 129; F. Neirynck, Mt 12, 25a/Lc 1 1, 1 7a et la rédaction des étJa,. giles, in Eph. Theol. Lov. l (1986), p. 129. La costruzione !egein («dire») con inf. è lucana. 83 Essa proviene da Q, non ha paralleli nella tradizione di Marco, e corrisponde letteral­ mente a Mt 12, 27: Luca aggiunge solo un de all'inizio (rafforza così il parallelismo della struttu· ra:vv. 1 8a.l9a.20a) ; inoltre il pron. hymon si trova prima del nome kritai («giudici», il che non è lucano (]. Jeremias, Sprache . . , cit., p. 20 1 ). 84 «l vostri figli» è un semitismo che significa «i vostri discepoli» (nel caso in cui Gesù si rivolge ai farisei come in Matteo; l'espressione è comune nel linguaggio sapienziale); o, più ge­ neralmente, in Luca, «gente fra di voi». Compiere esorcismi era una pratica corrente nel giudaismo: cf. Mc 9, 3 8 ; AT 19, 13s; Fl. Giuseppe, Ant.VIII, 2, 5; Bel!. VII, 6, 3 . .

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tro-domanda: i vv. 14.15.19 sarebbero un bell'esempio di *Poftegma del genere controversia con gli avversari (Streitgesprach), se non fosse per la finale: «per que­ sto essi saranno i vostri giudici», che ne fa una parola di minaccia R5 • Gesù rimprovera agli avversari di mancare di coerenza: perché non ricono­ scono nel suo comportamento ciò che ammettono per gli altri esorcisti, e cioè l'origine divina? Ma più profondamente, rimandando gli accusatori al giudizio escatologico, egli li accusa di cattiva volontà: il rimprovero sta allora nella linea del detto sulla bestemmia contro lo Spirito Santo che Marco trasmette proprio nel contesto della controversia su Beelzebul (Mc 3, 19). Letto alla luce del versetto che segue (v. 20), bisognerebbe dedurne che an­ che gli esorcismi compiuti dai Giudei, «i vostri figli», sono segno della venuta del Regno di Dio, il che, di certo, non è il pensiero di Gesù ! L'incoerenza conferma che il v. 20 era in origine indipendente dal v. 19, e che proviene da altro contesto. 1 1 , 20. Il versetto costituisce indubbiamente il culmine della sezione sulla contro­ versia Gesù-Beelzehul, e manifesta un assoluto contrasto tra le accuse di scacciare i demoni nel nome del capo dei demoni e la verità che negli esorcismi di Gesù in realtà si rende efficacemente presente il Regno di Dio. In origine, il v. 20 non faceva parte del contesto attuale 86• Abbiamo già nota­ to l'incoerenza col v. 19; aggiungiamo la diversa prospettiva (e genere letterario) che va a favore di un altro Sitz-im-Leben: non le controversie sull'attività esorcisti­ ca (non c'è situazione polemica nel v. 20) , ma l'annuncio salvifico di Gesù 87• Comunque, il loghion aveva trovato il suo posto attuale già nella fonte Q, co­ me dimostra il parallelo di Mt 12, 28 88, e c'è consenso nel far risalire la parola a Gesù stesso, almeno per il contenuto 89• L'espressione che si legge in Luca, «il dito di Dio» 90 , equivale praticamente all'espressione matteana «Spirito di Dio», e simboleggia la potenza di Dio. Tutta-

Gli esorcisti facevano ricorso a scongiure fatte risalire a Salomone, alla sua sapienza rice­ vuta da Dio (cf. BILL IV, 527ss.534). s5 vedi } Schlosser, op. cit., p. 130. 86 Loghion isolato (R. Bultmann, op. cit. , p. 1 1 ) o loghion conclusivo di un apoftegma pri­ mitivo (vv. 14. 17a.20) che potrebbe riflettere il contesto prepasquale di esorcismi compiuti da Gesù (H. Schiirmann, in Logia, cit., pp. 1 5 6s ) ? 87 Non Streitgespriich , ma Heilspredigt: vedi }. Schlosser , op. dt., p. 130. ss Secondo P. Hoffmann (op. cit., p. 37), la comunità di Q fa sua l'a ffe rmazione di Gesù .

sulla presenza del Regno per significare la sua propria attività, ma nella prospettiva dell'immi­ nente venuta del Figlio dell'uomo. 89 Es. J. Schlosser, op. cit. , pp. 134ss; H. Schiinnanri, in Logia, cit., pp. 1. 55 s ; P. Hoff­ mann, op. cit. , pp. 299s; H. Merklein, op. cit. , p. 63 , ecc. 90 In Mt 12, 28 si legge «con lo Spirito di Dio»: è l'unica differenza nel logion. Si discute per sapere chi tra Luca e Matteo abbia mantenuto la forma primitiva. La maggioranza degli esegeti pensa che Luca sia rimasto fedele alla fonte, per due motivi principali: - Mt evita gli antropomorfismi; - Le non aveva motivo per cambiare la fonte, se vi avesse letto «Spirito di Dio». - In senso inverso, A. George (Études sur l'oeuvre de Luc, cit. , pp. 127ss) attribuisce il cambiamento al terzo evangelista: - solo Luca utilizza anche metafore simili: «la mano di Dio» (Le, l, 66; At 4, 28.30 ecc.), «il braccio di Dio» (Le l, 3 1 ; At 13, 17); ritroviamo il gusto dell'evangelista per il linguaggio biblico;

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via, al contrario di locuzioni simili, come «il braccio di Dio» o 99•

96 Vedi O. Merk, in ]esus und Paulus, cit., p. 2 1 0; ]. Ernst, He" der Geschichte. Perspekti­

ven der lukanischen Eschatologie, Stuttgarter Bibel Studien 88, Stuttgart 1978, pp. 61s: l'atten­

zione della predicazione primitiva si concentra sempre di più sulla persona di Cristo: in lui or­ mai il credente sperimenta la realtà salvifica del Regno. 97 «l beni» del v. 21 sono diventati >: Es 32, 5 .20) rimandano all 'Esodo, in particolare al 5al 95 , 8ss: «Non indurite il cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova, pur avendo visto le mie opere. Per quarant'anni mi disgustai di quella generazione ... Perciò ho giurato nel mio sdegno: Non entreranno nel luo­ go del mio riposo». Dopo tante manifestazioni divine, la domanda di segno significa tentare Dio: e Dio rifiuta l'entrata nella terra promessa a «quella generazione». Gesù opera come JHWH durante l 'Esodo: viene tentato da «questa generazione»; rifiuta, con giuramento, la richiesta di segno. D legame tra moltiplicazione dei pani, riferimento ali 'Esodo e domanda di segno si trova anche nella tradizione giovannea (cf. Gv 6, 30s). TI contesto marciano potrebbe essere storico. 1 22 Per G. Schmitt, p. es., la parola autentica di Gesù è consetvata dalla tradizione di Marco. Essa fu attualizzata all'epoca della guerra giudaica (66-70 d.C.), epoca di febbrili attese di segni, con il richiamo al segno di Giona. L'unico segno dato a «questa generazione» è la di­ struzione di Gerusalemme. (Per tale interpretazione, Schmitt si rifà a una profezia apocrifa di

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2. La convergenza tra il testo di Le 1 1 , 29-32 e il suo parallelo Mt 12� 39-42 è piuttosto notevole. Due eccezioni importanti: - L'inversione dei loghia di Le 1 1 , 3 1 -32 nel testo di Matteo: in quest'ultimo, la parola sulla regina del Mezzogiorno è posta alla fine. Generalmente, lo sposta­ mento è attribuito a Matteo, intento ad avvicinare il loghion sugli uomini di Nini­ ve alla parola su Giona: il gusto della coerenza (Luca non avrebbe avuto alcun motivo per alterare la disposizione matteana, se l'avesse trovata nella fonte) . - La grande differenza d i contenuto tra Le 1 1 , 3 0 e Mt 1 2 , 40. Come spiega­ re questa differenza all'interno dell'accordo testuale degli altri versetti? Come un tentativo di interpretazione dell'enigmatico detto di Gesù che precede (Le 1 1 29/Mt 12, 39), fatto in modo indipendente da due diversi autori? Inoltre, tale ten­ tativo sarebbe stato compiuto prima o dopo la raccolta nella fonte Q? Tuttavia, una lettura più attenta fa emergere uno sfondo comune: il parago­ ne tra Giona e il Figlio dell'uomo. Questo lascia supporre che Q avesse un unico testo (= Le 1 1 , 30), e che sia stato Matteo a cambiare riferendo il segno di Giona alla risurrezione di Gesù, spiegazione più soddisfacente e comunque meno oscura, secondo il primo evangelista. A favore di quest'ultima supposizione si possono addurre le prove seguenti: - n contenuto di Le 1 1 ' 30 corrisponde meglio alla finale del v. 29: la persona del Figlio dell'uomo sarà un segno come lo era la persona di Giona 123 ; in Matteo, invece, il segno riguarda il destino del Figlio dell'uomo, il che appare come una ri­ flessione posteriore: «Nella parola matteana, è l'evangelista che riflette sul destino del suo Signore, non Gesù con i suoi avversari» - Mentre Le 1 1 , 30 conserva la linea polemica presente nd v. 29, Mt 1 2 40 sembra piuttosto una meditazione. - La spiegazione di Matteo non risponde all'intenzione di Gesù di dare un segno a «questa generazione malvagia>>: la risurrezione lo fu soltanto per i disce­ poli. Insomma, come di consueto, Luca pare più fedele nella trasmissione della sua fonte; Matteo, invece, vuole presentare al lettore una interpretazione più chia­ ra, anche se meno indovinata. ,

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3 . Come si è formata la composizione attuale? Due opinioni prevalgono fra gli esegeti: - Per alcuni, il detto originale è trasmesso in Le 1 1 , 29; il v. 30 fu aggiunto in seguito come tentativo di spiegazione; i vv. 3 1 -32 furono agganciati per ultimi (per il richiamo costituito dall'espressione «questa generazione» e la menzione di Giona) 125• Giona in Vitae Prophetarum, ove Giona è messo in relazione con un segno che consiste nella di­ struzione della Città san ta) (Das Zeichen des ]onas, cit. , pp. 123ss). Menzioniamo anche l'ipotesi secondo cui Gesù si riferiva non a Giona ma a Giovanni Battista (]onas è visto come Wl'abbreviazione di ]oan(n)es); soltanto più tardi il nome di Giona prese il posto di Giovanni. 12 3 Il genitivo «segno di Giona» (v. 29) è epesegetico = il segno che è Giona. 124 G. Schmitt, Das Zeichen des ]onas, cit., p. 123. m Grosso modo è l ipotesi di A. Vogtle, H. Schiirmann , ecc. '

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- Per altri, Le 1 1, 30 è stato inserito posteriormente (e forse dalla redazione di Q) tra il v. 29 e il doppio loghion dei vv. 3 1 -32, allo scopo di interpretare il v. 29 alla luce del v. 32; questa inserzione potrebbe anche includere la finale del v. 29: «se non il segno di Giona» 126•

4. L'interpretazione del testo è molto varia: a cosa allude Gesù con il segno di Giona? Se il v. 30 vuoi essere una spiegazione, appare come un tentativo mal riuscito, poiché è oscuro quanto la parola enigmatica di Gesù: in quale senso Gio­ na era un segno per i Niniviti? Non di rado, alla luce dei vv. 3 1 -32, il segno di Giona veniva riferito alla pre­ dicazione di Gesù (a Ninive, infatti, Giona ha soltanto predicato); e quindi, la pre­ dicazione di Gesù sarebbe l'unico segno dato a «questa generazione». La spiega­ zione non soddisfa per diversi motivi: - perché legge il v. 30 a partire dai vv. 3 1 -32 che non appartengono al detto originale; - perché il segno riguarda la persona del Figlio dell'uomo e non la sua attività; - perché il verbo (estai = sarà) è al futuro, quindi anche il segno; - perché Gesù, a differenza di Giona, ha compiuto anche miracoli 127 • Non conviene neanche scorgere il segno di Giona nella risurrezione di Gesù: essa fu segno soltanto per i credenti. ll segno sarà il Figlio dell'uomo nella sua venuta finale (Parusia) come giudi­ ce. Forse, è in questa direzione che conviene cercare la soluzione. Ma in che sen-

126

L'ipotesi dell'inserimento posteriore del v. 30 è di D. Liihnnann (Die Redakti'on der

Logienquelle, cit., pp. 34ss) ,di P. Hoffmann, G. Schmitt.

Secondo P. Hoffmann, con l'inserimento del v. 30, la predicazione di Gesù (appello alla conversione) e il suo significato per il giudizio finale, presenti nei vv. 3 1 -32, sono esplicitamente messi in relazione col futuro Figlio dell'uomo (v. 30). Ciò comporta per la teologia di Q che la predicazione di Gesù (la sua sapienza e parola profetica) ha valore permanente, e se Israele la ri­ fiuta (ora tramite la predicazione della comunità di Q), sarà sottomesso al futuro giudizio da parte del Figlio dell'uomo (op. cit.} p. 157). Per G.Schmitt invece, il v. 30 esprime soltanto la perplessità del suo autore dinanzi alla parola enigmatica sul segno di Giona; egli infatti si è sforzato di capire il v. 29 a partire dal v. 32: Ninive ha fatto penitenza alla voce di Giona , «questa generazione» non l'ha fatto ascoltando quella di Gesù: come può allora valere lo stesso segno (cioè il segno di Giona) per «questa gene­ razione»? , L ipotesi di un inserimento posteriore del v. 30 è comunque fragile: - l'aggiunta dei vv. 3 1 -32 presuppone piuttosto la presenza della parola-aggancio «Gio­ na» e quindi dei vv. 29d-30; - un inserimento secondario del v. 30 tra il v. 29 e i vv. 3 1 -32 avrebbe messo più in rilievo Gesù come predicatore di conversione ad Israele (sotto l'influenza dei vv. 3 1 -32, ove Gesù è ap­ punto presentato come predicatore, e non come giudice escatologico). La critica è di H.Schiir­ mann, Beo-bachtungen , cit.} p. 134. 127 Tesi simile ma per altri motivi, di G. Schwarz: con l'espressione «Figlio dell'uomo» (circonlocuzione semitica per «io» ) , Gesù stesso, nella sua predicazione prepasquale, è il segno per la sua generazione, come lo fu Giona per il suo tempo. Soltanto nella Chiesa l'espressione , «Figlio dell , uomo» viene riferita alla figura apocalittica del «Figlio dell uomo», e il verbo «esse­ re», prima al presente, è messo al futuro (op. cit. , pp. 207ss). ...

448

Il vangelo di LuCil

so, allora; può es� un segno =per questa generazione? E· quale aggancio ha con la figura di Giona? L'attenzione si porta sul libro di Giona: come è stato compreso dalla comu­ nità primitiva? Secondo certe tradizioni giudaiche 128 , Giona era considerato un segno dai Niniviti per il suo salvataggio miracoloso, inteso come un rapimento alla morte ad opera di Dio. TI profeta arriva a Ninive come uno che è stato strappato alla morte per intervento divino. E dunque, il Figlio dell'uomo che verrà come giudice sarà un segno quando apparirà a «questa generazione» come uno strappa­ to alla morte 129 •

5. Nella fonte Q, la composizione di Le 1 1 , 29�32 fu aggiunta al discorso su Beelzebul (Le 1 1 , 14-26); di conseguenza, l'intera sezione viene chiusa con una mi­ naccia di giudizio contro chi ha rifiutato di capire l'attività di Gesù come segno della venuta del Regno di Dio no. 1 1 , 29. Secondo la sua abitudine, il redattore costruisce la proposizione introdotti­ va: «ora, essendosi adunate le folle» m; essa è seguita non dalla domanda di un se­ gno (come nei passi paralleli di Marco e di Matteo), ma dalla risposta di Gesù che quindi presuppone la domanda già posta nel v. 16. L'introduzione apre la seconda parte di una tematica iniziata col discorso su Beelzebul: l'incomprensione che Gesù incontra sul suo cammino verso Gerusa­ lemme da parte di «questa generazione» 132 incapace di cogliere il vero segno in. viato da Dio: Gesù stesso.

128 Vedi J. Jeremias, in ThWNT IIT, 4 1 0ss; D. Zeller, op. cit. , pp. 522ss. 129 In questa linea, A. Vogtle,J. Jeremias, L. Goppelt, D. Zeller ecc. V. Mora riconosce nella missione di Giona verso i pagani la caratteristica del libro di Gi� na; il profeta diventa portatore del giudizio e della salvezza di Dio ai pagani. «In questa missione presso i pagani ( .. .) risiede il segno e la linea fondamentale del libro di Giona» (p. 55 ). Pertanto. col segno di Giona, Gesù si riferisce all'azione del Figlio dell'uomo nella storia che porterà alla conversione dei pagani (e Luca, negli Atti, descrive quest'azione già all 'opera); e questi ultimi s• ranno, accanto al Figlio dell'uomo, gli accusatori di «questa generazione» (pp. 5 1ss). Oltre a non tener conto dei vari stadi della tradizione, la debolezza della tesi, come nota D. Zeller (op. cit., p. 520, nota 3 1 ) sta nel fatto che Mora deve attribuire al Figlio dell'uomo la conversione dei pagani (cosa che non corrisponde alla funzione del Figlio dell'uomo). 13 ° H. Schiirmann, Beobachtungen . , cit., p. 135. Il riferimento al giudizio contro Israel� può essere presente già nel v. 30 (tradizione prima di Q?): il segno del Figlio dell'uomo prende il posto del segno di Giona (predicatore): «poiché il segno della conversione non è stato ricono­ sciuto, d'çra in poi sarà dato soltanto il segno del giudizio» (J. Ernst, op. cit., p. 380). 131 E redazionale: il genitivo assoluto («essendosi adunate le folle») ; . La soluzione migliore, comunque, rimane quella di attribuire l'azione a Dio considerato il Creatore dell'uomo nella sua totalità. 193 Vedi ]. Ernst, op. cit. , p. 385. S. Schulz (op. cit. , p. 96) attribuisce il v. 4 0 alla redazione: Matteo non avrebbe avuto al­ cun motivo di toglierlo se l'avesse trovato nella fonte Q; inoltre il vocabolario - «Stolti» e Dio visto come colui che fa - è lucano. Più convincente la posizione opposta espressa da }. Dupont (Béatitudes, I, p. 3 17): «L'ar­ gomento (del v. 40) fa appello al modo di agire del Creatore la maniera di ragionare è tipica­ mente giudaica». Matteo invece, secondo una tendenza propria, porta più l'attenzione sull'ap­ plicazione morale (Mt 23 , 26). Non si può quindi attribuire il v. 40 a Luca. ll Vangelo di Tommaso ha un detto (n. 89) simile, formulato in modo più semplice; ma sembra dipendere da Luca: > al presente; passa anche dalla terza pers. (= Le = Q) alla seconda pers. pl. (vedi S. Schulz, op. cit. , pp. 336s; P. Hoffmann, op. cit. , p. 165). Questa attualizzazione esiste già nella fonte Q, ma si desume dal contesto e non da ritoc­ chi nel detto stesso. - Matteo inoltre amplifica la situazione di persecuzione che la comunità deve subire (v. 34). - Matteo generalizza: parla del «sangue dei giusti», non soltanto del «sangue dei profeti». «Questa generazione» deve rispondere del sangue di tutte le vittime innocenti uccise, fra cui an­ che i profeti 224 A questa tradizione appartengono i motivi dell'invio di messaggeri a Israele da parte della Sapienza preesistente, del rifiuto della Sapienza da parte dei Giudei, della minaccia del giudizio: Prov l , 20ss; 8, lss; Bar 3, 9ss; 1 En 42 , l; 99, 8ss ecc (vedi F. Ch rist, ]esus Sophia, cit. , pp. 127ss) . L'uccisione dei messaggeri come fonna dd rifiuto della Sapienza non è ancora attestata nella letteratura sapienziale (p. 128). 225 S. Schulz, op. cit. , p. 345. Secondo l'esegeta, l'incontro della tradizione sapienziale con quella deuteronomica è piuttosto recente: non ancora nel giudaismo precristiano (p. 344). 226 «Per questo» è visto sia come elemento redazionale di Q per agganciare la sentenza al «guai» che precede, sia come una caratteristica del linguaggio profetico di minaccia (cf. Is 5, 825 ; Ger 23, 1 -2) e quindi come elemento costitutivo della sentenza. L'inizio del v. 49, «Per questo anche la Sapienza di Dio ha detto» è generalmente ricono­ sciuto come primitivo rispetto a Mt 23 , 34a: «per questo, ecco . »: - la Chiesa tende ad attribuire le parole a Gesù; - Luca non avrebbe inventato questa formula introduttiva (vedi F. Christ, op. cit. , p. 120) . Bisogna tuttavia tener conto della possibilità di due recensioni di Q. .

,

. .

470

Il vangelo di LuCil

l . La profezia si presenta non come un loghion di Gesù, ma come una parola detta dalla Sapienza di Dio. È piuttosto inatteso. Come capire l'espressione «Sa­ pienza di Dio»? - Come un attributo divino da tradurre: «Dio, nella sua Sapienza, disse»? 227 • - Come il titolo del libro di cui poi si cita un passo? Nella linea della tradizione sapienziale, conviene vedere la Sapienza come una realtà personificata, ipostatica, capace di inviare messaggeri e quindi anche di parlare. La Sapienza parla nella sua preesistenza: essa conosce la sorte violenta dei suoi messaggeri inviati ad Israele: il loro destino non è dunque assurdo, ma nelle mani di Dio. Nel contesto attuale (in Q come in Le), la Sapienza parla per bocca di Gesù: egli ne è il portavoce per eccellenza (cf. Le 1 1 , 3 1 ; 7, 35). Non è chiaro, tuttavia, se Luca identifichi Gesù con la Sapienza, e se quindi la Sapienza di Dio che parla sia Gesù in persona 228•

2. Qual è la funzione letteraria del v. 49a? Due possibilità: - È una formula che introduce una citazione, simile ad altre formule in uso nella letteratura rabbinica, quali «lo Spirito Santo dice», > e la seguente e curiosa im­ magine di «entrare nella conoscenza»? Non c'è bisogno di ricorrere alla gnosi ellenistica. La Bibbia stessa presenta la ricerca della conoscenza come un ideale religioso da perseguire: conoscere Dio implica l'adesione alla sua Volontà espressa nella Legge 256• Ora, l'élite intellettuale del giudaismo pretende avere il monopolio dell'in­ terpretazione della Legge. Ma gli scribi si perdono in una giungla di dettagli, di­ menticando l'essenziale. La «chiave della conoscenza>> riguarda dunque la retta interpretazione della Torah. Il rimprovero di per sé non è tipicamente cristiano 257 , ma era senz' altro compreso cristianamente: gli scribi, con i loro metodi, non favo­ riscono l'adesione del popolo ebreo al messaggio evangelico. A livello redazionale, non è da escludere un riferimento a Le l , 77: gli scribi

U4 In Matteo, esso apre la serie di «guai>> (Mt 23, 13) chiusa con il «detto della Sapienza», cioè con una minaccia di giudizio: è più logico. In Luca, inoltre, il «detto della Sapienza» figura come una inserzione che rompe la simmetria dei «guai>>. P. Hoffmann (op. cit.) ritiene originale l'ordine di Luca. Di conseguenza, l'esegeta legge il «guai» anche alla luce dei w. 49-5 1: il rimprovero riguarda non solo le false dottrine degli seri­ bi, ma anche le persecuzioni subite dai messaggeri cristiani. Non si può separare il Regno e i suoi inviati: perseguitare questi ultimi è fare violenza al Regno di Dio, togliere agli altri la possi­ bilità di entratvi (a livello di Q). 2.55 La versione lucana ha pochi elementi redazionali: Luca preferisce autoi al posto del pron. pers. hymeis («voi»); anche il verbo kolyein («impedire») può essere redazionale (miglio­ ramento della poco elegante formulazione in Matteo: coloro che vogliono entrare non lasciate entrare). 2� l Sam 2, 12; Is l, 3; 1 1 , 2.9; Ger 2, 8; 9, 2-5 ecc.; vedi S. Légasse, ]ésus et l'En/ant, cit., p. l09. Notiamo che il genitivo dell 'espressione «chiave della conoscenza» può essere letto come genitivo epesegetico (la chiave che è la conoscenza) o come genitivo di oggetto (la chiave che apre alla conoscenza, che ha per oggetto la conoscenza). L'immagine stessa della chiave suggerisce una casa. Nella linea sapienziale, si potrebbe capire: la chiave apre la porta della dimora della Sapienza (cf. Prov 9, 1): essa istruisce gli uomi­ ni e fa loro conoscere il piano salvifico di Dio. 257 Anche a Qumran si accusano «gli interpreti di menzogna ... di togliere la bevanda della conoscenza agli assetati>> (1 QH 4, 1 1 ). In qualche modo, il «guai>> può risalire a Gesù stesso.

Per il paese dei Giudei verso Gerusalemme: Le 9, 51 - 19_,

44

47�

ostacolano la conoscenza della salvezza arrivata con il Messia, impediscorlo al po­ polo di percepire, nell'annuncio di Gesù, l'intervento salvifico definitivo di Dio 2�8• L'inabituale espressione «entrare nella conoscenza» 259 orienta alcuni esegeti a interpretare Le 1 1 , 52 alla luce del parallelo di Matteo, e a mettere quindi in re­ lazione Regno di Dio come realtà presente e conoscenza della Torah, come già aveva fatto il giudaismo rabbinico: il Regno di Dio si realizza ovunque un uomo si sottomette coscientemente alla volontà di Dio 260 • Gli scribi, avendo la chiave dell'interpretazione della Legge, hanno di conse­ guenza il potere di aprire il Regno di Dio agli altri. S. Schulz 261 vede nell'ultimo «guai» il rimprovero della comunità giudeo-cri­ stiana di Q che sa di possedere la vera conoscenza della Legge e quindi di vivere in presenza di Dio che già regna in mezzo ad essa, contro i farisei, accusati di non in­ terpretare rettamente la Torah perché non ne colgono l'esigenza fondamentale dell'amore dd prossimo, e impediscono così al popolo di entrare nd Regno di Dio. 1 1 , 53-54. La conclusione è in gran parte redazionale 262, e si riallaccia, per porvi termine, alla scena del simposio (w. 37s), nominando insieme i due principali de­ stinatari degli improperi: gli scribi e i farisei. L'evangelista mette in evidenza l'ostilità crescente che Gesù incontra nell'éli­ te religiosa, ostilità che farà da sfondo al resto del viaggio verso Gerusalemme 263 • Luca sceglie verbi piuttosto rari, ma tutti tesi ad indicare una profonda av­ versione 264• Egli condensa il contrasto tra Gesù e i suoi avversari principalmente nel quadro di un simposio; l'accusa riguarda l'élite religiosa del paese, e denuncia l'egocentrismo e il legalismo dei farisei e l'incapacità di capire autenticamente le esigenze della Legge da parte degli specialisti in materia. Ma la raccolta dei «guai» invita il lettore a situare tale ostilità lungo tutta la storia della salvezza, a vedere negli improperi non una manifestazione di antisemi­ tismo 26' ma la rivdazione di una situazione ripetuta di ostilità dinanzi alla Rivela258 S. Légasse, op. cit., p. 109.

2'9 Eiserchesthai («entrare»), nei Sinottici, è il verbo abitualmente utilizzato in riferimento

al Regno di Dio. A. R. C. Leany (op. cit., p. 195) combina: chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini e ne togliete la chiave. 260 G. Strecker, Der Weg der Gerechtigkeit, cit._, p. 171. 261 Op. àt. , pp. l l l ss. 262 Forse Luca ha rielaborato una conclusione della fonte Q, come potrebbe suggerire la menzione dei grammateis («scribi») invece dei nomikoi («dottori della Legge»). 263 Vedi il presente dei verbi (= azione continua). 264 Deinos («terribilmente»: un'altra sola volta in Mt 8, 6 nel NT); enechein: essere irritato, prendersela con qualcuno; possibile che sia sottinteso cholon («odio» = avere in sé odio contro qualcuno (enechein ancora in Mc 6, 19 e Gal 5, l nel NT; e so­ lo Gn 49, 23 nei LXX); apostomatix.ein: in origine: «recitare a memoria»; qui: «provocare qualcuno a rispondere», «tirare dalla bocca» (hapax nella Bibbia); enedreyein: insidiare (un'altra sola volta in At 23, 2 1 nel NT); théreyein: andare a caccia, sorprendere (hapax nel NT). 26' E. Schweizer, op. cit. , p. 133.

476

Il vangelo di Luca

zione, smascherata già nella Scrittort stessa: («Sono stati disobbedienti, si sono· ri­ bellati contro di te, si sono gettati la tua Legge alle spalle, hanno ucciso i tuoi pro­ feti che li scongiuravano di tornare a te, e ti hanno offeso gravemente», Ne 9, 26). La storia d'Israele diventa paradigmatica e rivela in realtà la situazione dell'uma­ nità dinanzi a Dio («dal sangue di Abele»). In questa medesima prospettiva storico-salvifica, la Chiesa inserisce la sorte di Gesù e dei suoi seguaci: la novità del Vangelo non sarà proclamata e accolta a suon di tromba, essa seguirà lo stesso cammino dei profeti del passato: r annuncio di una parola, la possibilità del martirio. La raccolta dei «guai» riflette, indubbiamente, l'esperienza dolorosa che la comunità cristiana ha storicamente fatto nella sua missione verso i Giudei (i rim­ proveri contro i farisei rispecchiano una situazione postpasquale), prima della rot­ tura che portò alla scomunica da parte della Sinagoga, e all'insuccesso globale nei confronti di Israele. Non il popolo, tuttavia, viene accusato, ma i responsabili religiosi. Nel vangelo di Luca, la sorte della missione postpasquale presso Israele è già prefigurata nella vita e nel destino di Gesù. L'evangelista pone l'ostilità crescente incontrata da Gesù nella sezione del viaggio verso Gerusalemme, verso il martirio del Profeta per eccellenza.

CAPI'fOLO 12

7. ESORTAZIOt\ll AI DISCEPOLI NEL MONDO: Le 12, l-53

Siamo in presenza di un raggruppamento di parole di Gesù che sono esplici­ tamente rivolte ai discepoli in presenza della folla l . n quadro dei destinatari ricor­ da la scena che introduce il «discorso in pianura» (Le 6, 17 -20). L'evangelista continua a seguire la fonte Q, la completa con materiale della fonte propria (vv. 13-2 1 .33-38), fa ritocchi: l'insieme appare come una composi­ zione lucana. D Gesù di Luca si rivolge ai discepoli in mezzo al mondo, alla situazione quindi della comunità postpasquale. Con aggiunte proprie, Luca rafforza il rap­ porto tra Cristo e i suoi 2 , e fa così di quest'insegnamento un appello attuale e per­ sonale indirizzato al suo lettore. Il capitolo può essere così suddiviso: - vv. 1-12: un incoraggiamento a non aver paura davanti agli uomini tacendo, di conseguenza, il messaggio, ma a temere piuttosto ciò che nuoce alla salvezza; 1 La menzione della folla (vv. l e 54) e dell'ipocrisia (vv. l e 56) può fungere da inclusio­ ne all'insieme. Una struttura concentrica del c. 12 è stata proposta basandosi sui destinatari dell 'insegna­ mento e su di un loro intervento: a - vv. 1 - 12 ai discepoli b - vv. 13-2 1 : uno della folla disse c - vv. 22-40 ai discepoli b' - vv. 4 1 -53 Pietro disse a ' - vv. 54-59: alle folle Da notare l'antitesi tra a e a' (discepoli-folle) e h e b' (uno della folla - Pietro). La parte centrale (vv. 22-40) contiene i temi principali (non preoccuparsi per il presente, vigilare per il futuro) ridistribuiti nelle altre parti. (B. Standaert, L'art de composer dans l'oeuvre de Luc, in A cause de l'Évangile, cit., pp. 337s. ). Un'altra struttura concentrica è presentata da R Meynet, riguarda Le 12, l - 13, 2 1 ed è intitolata: saper giudicare in funzione della fme: Le 1 2 , 1-3: introduzione - Le 12, 4-34: sotto-sequenza - Le 12, 35 -46: pericope - Le 12, 4 7-5 3 : pericope centrale - Le 12, 54-59: pericope - Le 13, 1 - 16: sotto-sequenza - Le 13, 17-2 1 : conclusione. L'inclusione è data dalle parole «lievito» e «nascondere» (Le 12, 1-2;13, 2 1 ) (L'évangile selon Saint Luc - commentaire, Cerf, Paris 1 988, pp. 141ss). 2 -, Gesù è rimesso in con­ tatto con la folla. Viene in luce più che mai il contrasto tra i farisei dottori della Legge, ormai accaniti avversari (cf. Le 1 1 , 53s), e la folla sempre più numerosa 7, a sottolineare la popolarità che Gesù gode presso di essa; la folla farà da sfondo permanente nd suo viaggio verso Gerusalemme: Le 14, 25 ; 18, 36; 19, 3 ; 20, 45; 2 1 , 38. Ma Gesù si rivolge anzitutto ai discepoli 8 : ritroviamo la situazione letteraria (non storica) 9 della scena che introduce il «discorso in pianura». La menzione dei discepoli, forse non primitiva, è ora necessaria: sono i veri destinatari degli avver­ timenti che seguono. La seconda parte del versetto (v. l h) è un loghion tradizionale rielaborato dall'evangelista 10 • La parola di Gesù era un avvertimento contro il lievito dei fari­ sei: parola enigmatica che ha dato luogo a diversi tentativi di chiarificazione e di attualizzazione nella tradizione 1 1 • È difficile sapere se proviene da Q o se si tratta

' Così D. M. Sweetland, Discipleship and Persecution: A Study o/ Luke 12, 1-12, in Bb

65(1984), pp.61ss.

6 En hois (>: cf. Le 12, 17- 18), pure pre­ sente nel ,testo parallelo di Mt 6, 26. 97 E' l'unica volta in cui si parla di corvi nel NT; Mt parla soltanto degli uccelli del cielo, dimostrando il suo poco interesse per i casi concreti particolari (è poco probabile che Luca ab­ bia messo «corvi» al posto di «uccelli del cielo», per armonizzare con il v. 27, come pensa S. Schulz, op. cit. , p. 150). 98 Stesso stile p. es. in Prov 6, 6-8; 1 En 2, 1 -5, 4. 99 Vedi il parallelismo con Le 12, 6-7 . 1 1-12; E. Neuhausler, op. dt. , p. 7,, 100 J. Dupont, Béatitudes, I, p. 76, nota l . 101 L'esortazione di Gesù poteva avere una sua acuta attualità per i discepoli-missionari del gruppo di Q che giravano indifesi, senza bastone e borsa, e la cui apparente incuranza era segno profetico che testimoniava la vicinanza del Regno di Dio annunciata ad Israele (cf. P. Hoffmann, op. cit. , pp. 326s).· 102 ] . Dupont, Béatitudes, I, pp. 76ss, nota 2; W. Marche!, Abba, Vater, ). Gesù vuole dunque che il discepolo sia liberato da un determinato modo di vita dominato dalla preoccupazione e dall'affanno per le necessità terreni; e tale liberazione è data per la fiducia nel Dio che si è avvicinato in modo definitivo all'uomo e che già nel creato mostra la sua sollecitudine. 110 Oligopistoi «minicredenti» (Soeur Jeanne d'Are). TI termine è proprio della letteratu­ ra cristiana; lo troviamo solo qui in Luca (proviene da Q). In Matteo diventa un leitmotiv del suo vangelo: riflette la situazione di >; l'ansietà e l'af­ fanno saranno una costante della sua esistenza. Ora «si tratta di tagliar corto con ogni tentazione di cercare la propria sicurezza nei beni posseduti, e positivamente di porre i discepoli in una situazione che li porterà a cercare la sicurezza in Dio solo» 120• Per Gesù, il futuro dell'uomo non è un mondo e un'esistenza incerti che l'uomo crede di dover garantirsi con le proprie forze, ma il futuro dell'uomo è Dio, il suo Regno. Di conseguenza, l'uomo deve smettere di contare su se stesso come unico garante della sua vita per accettare che un Altro si occupi della sua esistenza, Colui che nella predicazione e poi nell'evento pasquale si è reso definiti­ vamente vicino all'uomo. «Cercare il Regno di Dio» è proprio la caratteristica dei tempi nuovi 121 e il modo di renderlo attualmente efficace. La parola di Gesù può essere generalizzata in quanto si oppone a tutte le ricerche di garanzie che non sia­ no Dio solo - anche quelle religiose - che l'uomo si costruisce per «assicurare» la sua esistenza 1 �. Nel contesto attuale (cf. w. 32.33-34), il > 52, cit.,

99 100

p.

F. Mussner, op. cit. , p. 120. In Mc 10, 3 1 (Mt 19, 30) si legge: «molti dei primi. ..»; Mt 20, 16 assolutizza: «cosl gli

ultimi...» (ma occorre tenere presente il contesto).

Luca introduce con «ed ecco» (frequente nei LXX: traduzione dell'ebraico wehinneh).

558"

Il vangelo di Luca

G�salemme: destino del Me1siai destino di IsrMle: Le 13, 31-35 31 In quella stessa ora, si avvicinarono alcuni farisei dicendogli: «Esci e parti di qui, poiché Erode vuole ucciderti». 32 E disse loro: «Partendo, dite a quella volpe: Ec­ co, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno sono compiuto. " Tuttavia, bisogna che oggi e domani e il giorno seguente io parta, poiché non è possibile che un pro/eta perisca fuori di Gerusalemme. 34 Gerusalemme, Geru­ salemme, che uccidi i profeti e làpidi coloro che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto radunare i tuoi figlz� nel modo con cui un uccello (raduna) la sua nidiata sotto le ali, e non avete voluto! '5 Ecco, la vostra casa vi è lasciata. Ma vi dico, non mi vedrete più finché venga il tempo quando direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore».

Luca ha messo insieme in un'unità letteraria due brani in origine distinti: la risposta di Gesù all'insidia di Erode (vv. 3 1 -33 ) che R.Bultmann considera un apoftegma biografico 1 01 ; e un lamento profetico seguito da una parola di giudizio contro Gerusalemme, che proviene da Q (cf. Mt 23 , 37-39). TI primo testo (vv. 3 1 -33), proprio di Luca, ha da sempre impressionato gli 0 studiosi. Bultmann confessa: «Per questo singolare brano, non ho spiegazione» 1 2• Non stupisce che le opinioni vadano da un estremo all'altro. Chi vede nell'apof­ tegma un frammento arcaico di ricordi storici della vita di Gesù; chi, al contrario, considera i vv. 3 1 -33 interamente redazionali, espressione del pensiero dell'evan­ gelista. 10' n principale esponente della prima tesi è J. Jeremias , che lasciando in om­ bra l'eventuale lavoro redazionale, si avvicina alla «parola enigmatica» 104 come a una ricca fonte di informazioni su Gesù: sappiamo così che Erode Antipa voleva realmente uccidere Gesù; che per quest'ultimo gli esorcismi e le guarigioni espri­ mevano la caratteristica fondamentale della sua attività; che Gesù si aspettava una morte violenta e si poneva nella linea dei profeti il cui destino era il martirio; anzi, egli pensava di essere lapidato (v. 34) come falso profeta 1 05 •

101 Dibelius lo annovera nel genere greco della chreia: risposte di una personalità impor­ tante introdotte da una breve domanda; J. Jeremias parla di «parola enigmatica>>. 102 Op. cit. , p. 35. Non manca tuttavia di proporre la sua interpretazione sulla formazione del brano: - o il v. 33 è un loghion indipendente aggiunto da Luca ad vocem «domani e il seguente»; - o il v. 32h è secondario e fu introdotto nel testo primitivo dei w. 3 1 -32a.33 (con l'aggiunta redazionale di plen (:5, il Regno di Dio futuro può essere visto come uno spazio, una casa nella quale si festeggia mangiando insieme: segno di comunione, di gioia, immagine della salvezza realizzata. Nella comunità cristiana, il banchetto eucaristico anticipa tale realtà: Luca lo ha in mente? 56 •

14, 16. L'introduzione narrativa della parabola non offre i tratti allegorici presenti nel racconto parallelo di Matteo («un uomo re», le nozze del figlio), e appare quindi più primitiva, anche se vi si riconosce lo stile di Luca 57• La descrizione ri· mane nelle generalità, ma crea rimpressione di un evento eccezionale: un grande convito serale con molti commensali. Secondo l'uso palestinese, l'invito è già stato fatto prima, e il compito del servo è di chiamare gli ospiti quando la cena è pronta (cf. Est 6, 14). Con l'affermazione che molti sono stati invitati, Luca prepara il secondo in­ vito del v. 23 . 14, 17. Venuto il momento, il padrone invia il suo servo. Mentre in Matteo i servi sono numerosi e quindi c'è stata un'allegorizzazione (servi = profeti), in Luca il padrone manda un solo servo 58 , il che corrisponde meglio alla semplicità originale di un racconto parabolico. «Venite ... è pronto! ». L'appello si legge già nella fonte (cf. Mt 22, 4) e può ri­ salire alla parabola primitiva. Emerge la prospettiva escatologica della predicazio· ne originale di Gesù: il Regno di Dio è vicino; per mezzo del suo Inviato, Dio con· voca Israele al banchetto di festa del Regno.

53 L'intervento di «uno degli invitati» e l'espressione ebraica > di recarsi a vedere il campo che ha comprato. Ma si compera forse un campo a occhi chiusi? E avendo già proceduto ali' acquisto, l'invitato poteva benissimo aspettare il giorno seguente per recarsi nella sua nuova proprietà. La scusa non regge ! 14, 19. Anche il secondo esempio è tratto dalla vita rurale. Comprare cinque paia di buoi implica che il proprietario abbia la possibilità di lavorare almeno 45 ettari di terreno 62: è un ricco. Ci si aspetterebbe che egli provasse i buoi prima di comprarli ! 63• 14, 20. L'ultimo rifiuto appare inverosimile nel contesto della parabola: prendere moglie non è un atto imprevedibile; l'invitato poteva conoscere con buon anticipo la data del matrimonio ed evitare l'offesa di un rifiuto dell'ultima ora all'invito fat­ togli per il banchetto. Il vangelo di Tommaso vede la difficoltà e cerca di aggirarla: l'invitato deve preparare il pranzo per un suo amico che si sposa ! La scena lucana si comprende nella linea della preoccupazione di Luca ed è, di conseguenza, un'aggiunta redazionale: il Regno esige un amore che supera ogni affetto naturale, anche l'amore per la moglie (cf. Le 14, 26) 64 • 14, 2 1 . Altra sorpresa: il padrone non rinuncia al banchetto e agli inviti, e manda Is 15, 3 LXX) . E fi che, per cause varie, si incontra tutta quella consistente fetta di società israelitica ridotta alla mendicità: persone allontanate dalla vita sociale e religiosa, segnate dal destino, senza futuro. Ed ecco che a loro viene offerta la possibilità del tutto inattesa di partecipare al banchetto. Il motivo - l'ira del padrone di casa contro i primi invi­ tati è un elemento della narrazione e non deve essere allegorizzato. Non è difficile scorgere in questi emarginati i destinatari principali dell'an­ nuncio di Gesù sulla vicinanza del Regno di Dio (cf. Le 7, 22 ) . JHWH, come Re ideale, ha deciso di prendere in pugno la sorte di chi non ha diritti in Israele. Anche se la mano del redattore non è assente 65 , il versetto appare in gran il servo «per le piazze e i vicoli della città» (cf.

-

- «Ho necessità di...» (echo anagken): è del greco ·classico ed ellenistico (cf. Le 23 , 17; 1 Cor 7, 3 7; Cd 3), ma non esiste nei LXX. - La formula «ti prego, abbimi per scusato» potrèbbe essere un latinismo: excusatum habeas me, rogo (Marziale, Epigr. 2, 79). 62 J. Jeremias, Gleichnisse ]esu, p. 176. 63 L'aoristo può tradursi: >: terza pers. pl. impersonale al posto del passivo: semitismo.

CAPITOLO . t5

c) Dio ama i peccatori: Le 15, 1-32

È generalmente riconosciuto che il c. 15, posto al centro della sezione del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, costituisce il «cuore del terzo vangelo» 1, «il vangelo nel vangelo». Come in Le 14, lss, una scena di simposio fa da sfondo a questa composizio­ ne, quadro ideale per pronunciare un discorso in forma parabolica 2 • Ma Gesù cam­ bia campo: non mangia più con farisei, ma con peccatori. Farisei e scribi sono pre­ senti, ma a distanza, indignati per il comportamento del profeta di Nazaret. I.:appd­ lo fatto in Le 14, 12-14 a invitare poveri ed emarginati a tavola, ora attuato da Gesù stesso, trova reticenza nei «giusti>>, ma trova anche, nel c. 15, la sua motivazione teo­ logica: condividere la gioia «soteriologica» di Dio per ciò che è perduto. La composizione del c. 15 è opera di Luca 3 su materiale preesistente. A una introduzione redazionale (vv. 1 -2), seguono due piccole parabole gemelle: della pecora perduta (vv. 3 -7) e della dramma perduta (vv. 8-10), di struttura parallela, e costruite in forma interrogativa: Gesù fa appello al giudizio dell'ascoltatore 4• Di nuovo si alternano un personaggio maschile e uno femminile. Probabilmente, le due parabole erano già unite nella fonte Q. A questa coppia parabolica, l'evangelista aggiunge (dalla fonte propria) un'ampia e artistica narrazione conosciuta sotto il titolo tradizionale di parabola del figlio prodigo (vv. 1 1 -3 2). Come per i personaggi dei precedenti racconti, il comportamento del padre - riflesso di quello di Dio e di Gesù - rimane centrale;

1 Titolo dell'articolo di L. Ramaroson, Le coeur du troisième Év�»�gile: Le 15, in Biblica 60 (1979), p. 348. 2 J. Delobel, art. cit. , in Eph. Theol. Lov. 3 (1966) , p. 46 1 . , Vedi una composizione simile in Le 1 3 , 1 -9. 4 La parabola della pecora smarrita si legge anche in Mt 18, 12-14. Si suppone che Matteo abbia omesso quella della dramma, forse per amore di simmetria (il «discorso comunitario» do­ ve si trova inserita la parabola della pecora smarrita è strutturato in due parti, ognuna conclusa con una parabola). Come capita spesso , la questione delle fonti divide gli esegeti. Opinioni principali: - le due parabole provengono dalla fonte Q (G. Schneider, H. Klein, ecc.); - la parabola della pecora smarrita si legge in Q, e quella della dramma nella fonte propria di Luca (Fitzmyer, ecc.); - viste le differenze tra il testo di Matteo e di Luca, Manson attribuisce anche la prima pa rabola alle rispettive fonti proprie (op. cit. , p. 283 ); - la seconda parabola sarebbe una libera composizione di Luca sul modello della prima (H. Conzelmann) : poco probabile, considerato il milieu palestinese che essa presuppone. ·

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Il vangelo di Luca

ma ora viéne anche descritta la condotta dei figli: il passo che l'uomo è chiamato a fare. La parabola può essere considerata un commento alla parola: «Non sono ve­ nuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione>> (Le 5 , 32) 5 • La composizione lucana del c. 15 è attraversata e unita dal motivo «perdere­ trovare» e dal tema della gioia: l' «esplosione di gioia>> 6 per les retrouvailles, e che Dio vuole condividere con tutti. Con ogni probabilità, Luca ha indovinato nella sua introduzione (vv. 1 -2) il Sitz-im-Leben originale di questa parabola. Mangiando con i peccatori, Gesù ha suscitato la critica dei «giusti» d'Israele. La risposta parabolica non lascia dubbi: egli rivela e attua il comportamento di Dio stesso, Padre dei perduti, un Dio che ha deciso di andare alla ricerca dell'uomo, in particolare di coloro che godono di poca stima, degli emarginati, che vuole accogliere con tenerezza e premura. È vero, inoltre, che le tre parabole offrono l'immagine di Dio e il comporta­ mento di Gesù che più corrispondono al cuore dell'evangelista 7• Vi si riflette senz'altro anche una preoccupazione pastorale: il problema dell'accoglienza dei peccatori. Da questo punto di vista, i tre racconti esprimono un pressante invito a cambiare mentalità, ad entrare nelle vedute di Dio, a capire il suo agire, condivi­ dere la sua gioia, condizione necessaria per entrare in comunione con Lui, e di conseguenza testimoniare con la propria apertura all'altro tale comportamento di­ vino. 1 Ora tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. 2 E i fa­ n'sei e gli scribi brontolavano, dicendo: «Costui accoglie i peccaton· e mangia con lo­ ro». 3 Ora disse loro questa parabola, dicendo:

15, l . Costruire una introduzione per dare una collocazione alle parabole narrate in seguito, è tipicamente lucano; e quindi questi primi versetti, con molta probabi­ lità, sono scritti dal redattore, come conferma anche il vocabolario 8 • Per compor-

5 F. Bovon, L'oeuvre de Luc, Cerf, Paris 1987, p. 32.

6 M.-J. Lagrange, op. cit. , p. 4 18; E. Rasco, Les paraboles de Luc XV, in De ]ésus aux Évan­ giles, Duculot-Lethielleux, Gembloux-Paris 1967, pp. 180ss.

7 Riemergono di continuo nei capitoli seguenti: Le 16, 1 -8a. 19-3 1 ; 17, 1 1-19; 18, 1 -8.9- 14; 19, 1 - 1 0. (Manson, op. cit. , p. 282). 8 ]. Jeremias Die Sprache. . . , cit., p. 243 ; J. Dupont, La parabole de la brebis perdue, in Étu­ des sur les Évangiles Synoptiques, II, cit., p. 628 con la nota 8; S. Légasse, ]ésus et l'En/ant, cit., p. 56. A favore di una composizione redazionale: , - l'uso della costruzione perifrastica, impf. del verbo «essere» + ptc., anche all inizio di una pericope (cf. Le 3 , 23 ; 4, 31 ecc.); - il verbo eggizein( «avvicinarsi») , utilizzato da Mt (7 volte) e Mc (3 volte) è familiare so­ prattutto a Luca: Le: 18; At: 6; e solo Luca lo costruisce col dativo di persona; - impiego iperbolico di pantes (> nel senso generale di «discorso para­ bolico» che include l'insieme 1 2 •

- l'inf. con valore finale ( «per ascoltare») loco ptc. fut. può riflettere l'uso della Koinè ( o può essere un semitismo); - «ascoltare» + gen. di persona è abituale in Luca: Mt: 3; Mc: 9; Lc. 13; At: 28; - l'u.so della particella te: Mt: 3; Mc: O; Le: 8, ma 141 volte negli Atti; - la predilezione per i verbi composti, soprattutto con dia (diagoggyzein: «brontolare fra di loro»), con syn (synesthiein: «mangiare con» + dat. di pers.); il verbo dechesthai con i vari prefissi (nel nostro caso prosdechesthai: «accogliere»); Luca non usa mai il semplice dechesthai negli Atti; - «dire» con la prep. pros + ace. (al posto del semplice dat.); e la formula «dire ora una parabola» («eipen de » o «elegen de . »: Le 12, 16.4 1 ; 14, 7; 18, 9; 20, 9.19. 9 Il binomio è scritto nello stesso ordine che in Le 5 , 30; più frequentemente, l'ordine è inverso:° Le 5 , 2 1 ; 6, 7; 1 1 , 57; 14, 3 (J. A. Fitzmyer, op. cit. , p. 1076). 1 Così }. Jeremias, Gleichnisse , cit., pp. 132.225, nota l . 11 W. Grundmann, op. cit. , p . 305. 12 Come in Le 5, 36; 12, 4 1 (I. H. Marshall, op. cit. , p. 600). Così M.-J. Lagrange, J. Ernst, W. Grundmann, F. Bovon (L'oeuvre de Luc, cit., p. 30). Notiamo la formula stereotipa: «disse ... dicendo» (l'ebraico inf. le'mor tradotto col ptc. legon: «dicendo», dai LXX). ...

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Il vangelo di Luca

Le parabole si rivolgmm ai fariSei e agli scribi; ma fin dall'inizio del primo racconto - «quale uomo fra di voi. . . » -, l'uditorio è più ampio n . È evidente che la parabola esisteva indipendentemente dalla sua attuale introduzione. La parabola della peCMa perduta: Le 1 5, 4-7 4 «Quale uomo tra voi, avendo cento pecore e perduta una di esse, non abban­ dona le novanta nove nel deserto e (non) parte dietro alla perduta, finché (non) Pab­ bia trovata? 5 E avendo trovato (la) mette sulle sue spalle, felice, 6 e arrivato a casa, convoca gli amici e i vicini dicendo loro: Rallegratevi con me, poiché ho trovato la mia pecora, la perduta. 7 Vi dico: così sarà più gioia nel cielo per un peccatore che si converte che per novantanove giustt: i quali non hanno bisogno di conversione». n racconto della pecora perduta forma una stretta coppia parabolica con la dramma perduta: stesso schema e insegnamento. n «gemellaggio» è prelucano, «come dimostra il parallelismo che unisce (le due parabole) e che riflette lo stadio della recitazione orale» 14• Nella corrispondente parabola di Matteo (Mt 18, 12·14), la parte narrativa è ridotta al minimo: un semplice «esempio» la cui conclusione (v. 14) si riferisce di­ rettamente al v. 12, mettendo fuori gioco il tema della gioia contenuto nel v. 13. I destinatari sono cambiati: non più gli avversari come in Luca, ma i discepoli. E quindi, cambia anche «la pointe»: non la gioia del pastore per il ritrovamento della perduta (Luca), ma la preoccupazione del pastore per la ricerca della smarrita. Globalmente, Matteo ha già trovato in Q la parabola nella sua forma attua· le 15 e la sua versione, nonostante ritocchi redazionali, sembra più primitiva di quella di Luca 16; essa infatti riflette meglio il senso originale: l'amore di Dio a fa. vore degli emarginati e dei peccatori reso visibile nel comportamento di Gesù. TI vangelo di Tommaso (n. 107), a sua volta, riporta la parabola della pecora perduta. Ma in quest'apocrifo, la pecora andata smarrita è la più grande, la prefe­ rita del pastore che va alla sua ricerca. L'insegnamento di Gesù è totalmente frain­ teso. Quest'ultimo fa appello al buonsenso degli ascoltatori: se un uomo perde una pecora dal gregge, certo farà l'impossibile per ritrovarla, non perché è la mi­ gliore, ma semplicemente perché gli appartiene. Così agisce Dio. Se per Dio il peccatore ha tanto valore, non è perché possiede delle qualità particolari, ma pro­ prio perché ha bisogno di aiuto. Ed è questo comportamento di Dio che per pri­ mo va in cerca di ciò che è perduto, che Gesù incarna e rende visibile mangiando con i peccatori e i pubblicani.

u Difficile che fra gli scribi e farisei ci fossero pastori, mestiere considerato impuro (}. Je­ remias, Gleichnisse , cit., p. 132). 14 S. Légasse, ]ésus et l'Enfant, cit., p. 56. 15 Non c'è infatti motivo perché Matteo cambi il «deseno» (Le) in «monti» come luogo dove il pastore lascia le 99 pecore: ha trovato il dettaglio nella tradizione, e cioè nella versione matteana della fonte Q. 16 W. Grundmann , J. Dupont, S. Légasse, E. Linnemann , S. Schulz ... ...

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15, 4. La domanda retorica: «quale (uomo) tra voi» è abituale in Luca (Le 5, 1 1 ; 12, 25 ecc.), m a può risalire alla fonte 17 • N el greco, l'aggiunta di uomo dopo l'ag­ gettivo/pron. interrogativo tis appare superflua: la sua presenza si spiega come pa­ rallelo di «una donna» della parabola gemella? J. Dupont nota l'effetto curioso di tale domanda rivolta a farisei e scribi: Gesù fa appello alla loro esperienza di pa­ stori, un mestiere che disprezzavano 18 • Il contrasto tra 99 e l mette in risalto l'interesse del pastore per la singola pecora: il fatto che la bestia si trovi in difficoltà basta per mobilitare la sua atten­ zione e le sue energie su quella sola pecora. Tuttavia, lasciare le altre 99 nel deserto non deve essere valutato come disin­ teresse o imprudenza. Il tratto è un elemento narrativo che serve a sottolineare la condotta premurosa del pastore a favore della perduta 19• Luca parla di «perduta»: è il Leitmotiv che percorre le tre parabole 20, assie­ me al tema della gioia per il ritrovamento.

· l? La domanda di Mt: «che ve ne pare?» è redazionale (cf. Mt 17, 25; 2 1 , 28; 22, 17.42; 26, 66) ; vedi ]. Dupont, La parabole de la brebis perdue, scritta nel 1968 e raccolta in Études sur les Évangiles synoptiques, cit., pp. 632ss; l'esegeta ha ripreso lo studio della parabola nel 1 975, Les implications christologiques de la parabole de la brebis perdue, raccolta sempre in Études , cit., pp. 647ss; in seguito citerò questa raccolta. «Un uomo» (tis anthropos) è nello stile lucano (che ama l'aggettivo/pron. tis), ma forse si leggeva già nella fonte (cf. Mt 18, 12: «se avviene ad un uomo .. ». Il ptc. «avendo» (Luca) è più elegante della costruzione condizionale di Mt; è probabil­ mente redazionale, visto che la costruzione condizionale appare poi nella seconda parabola (Le 15, 8). 18 Études. . , cit., pp. 633 .650. Da quest'osservazione non si può tuttavia dedurre il caratte­ re redazionale della domanda introduttiva del v. 4, come fa J. Dupont; l'incoerenza spiega solo il legame redazionale tra la parabola e l'introduzione generale dei vv. 1 -3 . 1 9 Vedi M.-J. Lagrange, op. cit. , pp. 4 16s. Inutile chiedersi se prima di partire il pastore abbia rinchiuso il gregge in un riparo, o lo abbia affidato alla custodia di un compagno, o addirittura lo,abbia lasciato in balia dei ladri o delle bestie feroci. Il suo agire dev'essere giudicato normale. (E possibile che l'immagine si ispiri a 1 Sam 17, 28). Luca scrive che l'uomo abbandona le 99 nel deserto (Mt: «sui monti»: cf. Ez 34, 14). J .Dupont attribuisce il cambiamento alla redazione lucana, in modo poco convincente: i lettori non avrebbero capito che in Palestina le zone montagnose sono inabitate (p. 635). E perché no? E anch� se fosse vero, che importanza ha per il significato della parabola? E ritenuto redazionale: - «abbandonare» (Le), più preciso di , «giusti», «conversione») . L'ipotesi di J. Dupont è seducen­ te, ma non tiene conto che - Luca, di propria iniziativa, non è portato ad allegorizzare; - il vero parallelo del v. 7 è il v. 10, cioè la conclusione prelucana alla parabola della dramma. - Quindi, l'altra ipotesi: la prima parte dell'applicazione si leggeva nella fon­ te dove la parabola della pecora perduta, come quella della dramma, era già alle­ gorizzata. Luca completa l'allegorizzazione ispirandosi a Le 5, 3 1 -32: «più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» 26 • Questa soluzione suppone che Luca abbia avuto sotto mano una diversa versione di Q rispetto a Matteo. Comunque sia, nell 'applicazione attuale, la «pointe» della parabola è stata spostata: «si passa da un racconto metaforico al senso reale e teologico, dalla sce­ nografia all'applicazione spirituale» 27 • La pecora perduta viene esplicitamente identificata col peccatore che si converte. Di conseguenza, l'attenzione si porta più sull'agire dell'uomo che si pente che sull'iniziativa di Dio che va in cerca della perduta. Luca inoltre pone la perduta in confronto con i novantanove «giusti che non hanno bisogno di conversione». L'applicazione attuale riguarda un problema ecclesiale: l'accoglienza del peccatore pentito nella comunità.

24 J. Dupont, op. cit. , p. 652; nella stessa linea, S. SchulZ, op. cit. , pp. 389s. 25 ]. Dupont, ibid. , p. 65 1 . 2 6 J. Jeremias, Die Sprache .. , cit., p . 248. Dove Matteo scrive il comparativo (ma/ton e: «più che. . », Luca ha soltanto la particella e senza un comparativo che la preceda. Normalmente, essa significa «O», «oppure», ma può esse­ re utilizzata come comparativo («più che») dopo un positivo (influenza semitica dove non esiste il comparativo e si utilizza la prep. min), o in senso esclusivo: «c'è gioia per un peccatore che si converte e non per novantanove.. ». Quest'ultima traduzione non è da scartare, visto che non è affatto questione di gioia per le 99 (E. Rasco, in De ]ésus aux Évangzles, cit. , pp. 175s; L. Rama­ roson, art.cit. , pp. 352s), anche se, sotto l'influenza di Mt 18, 1 3 , la maggioranza degli esegeti preferisce leggere il comparativo. A favore di un'applicazione prelucana: - > 1 18, Cerf, Paris 1984, p. 369; anche Béatitudes, III, cit., p. 1 19. 19 J. A. Fitzmyer, op. cit. , p. 1 106 li vede meglio situati prima nel contesto di Le 12, 42h-46 (che proviene da Q) .

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Il vangelo di Luca

Nel suo insieme, dunque, la �e di sentenze che fa da appendice alla para­ bola è già stata raggruppata nella tradi zione, come conferma anche il procedimen­ to per parole·aggancio 20• I vv. 8b e 9 furono composti a partire dalla parabola stessa; i vv. 10- 12, prima indipendenti dal contesto attuale, furono aggiunti succes­ sivamente. Luca, infine, completa col v. 13. Attualmente quest'appendice, nel suo insieme, appare come un'esortazione a diffidare dei soldi, e quindi presenta un giudizio globalmente negativo sull'agire - visto solo in chiave morale - dell'amministratore della parabola. Ne risulta un insegnamento sull'uso della ricchezza, proprio nella linea delle preoccupa zioni dell'evangelista. 16, 8b. Se il v. 8a vuole informare sul giudizio di Gesù nei confronti dell'agire dell'amministratore, il v. 8b si sforza di tener conto di tale apprezzamento e di ti­ rame una lezione per i credenti chiamati «figli della luce» 2 1 • Il loro comportamento viene messo a confronto con quello dei «figli di que· sto secolo» (cioè di questo mondo, coloro che agiscono secondo i criteri in uso fra i non-credenti): in senso negativo o positivo? - Nel primo caso, il comportamento dei li ascoltino.' 30 Ma egli dis­ se: No, padre Abramo, ma se andrà da loro qualcuno dai mortz: si convertiranno. 31 Gli disse: Se non ascoltano Mosè e i Profetz: neppure se qualcuno risorge dai morti, saranno persuasi.'».

La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro è già stata annunciata da Luca nel v. 14: essa concerne i philargyroi, gli amanti del denaro. Si tratta di un «racconto per esempi» a due «pointes», sviluppatosi in un «racconto di insegna­ mento», vista l'importanza assunta dai dialoghi. Nella prima parte (vv. 19-25) , la parabola illustra il rovesciamento di situa­ zione che avviene nell'aldilà, come già l'evangelista ha proclamato nel Magnificai (Le l , 53 ) e nelle Beatitudini (Le 6, 20-26). La seconda parte (vv. 27 -3 1 ; il v. 26 fa da transizione) porta l'attenzione non più su Lazzaro, ma sui cinque fratelli del ricco; essi rappresentano la continuità

82 J. T. Sanders, ]ews in Luke-Acts, cit., p. 20 1 . Punto di vista confermato soprattutto se il pas («chiunque. . .» ) iniziale proviene dalla re­ dazione lucana. s.J Cosl P. Hoffmann, op. cit. , p. 55, che attribuirebbe volentieri il legame tra il v. 17 e il v. 18 a Luca. In Le 8, 14 l'evangelista raggruppa nella parenesi sul possesso anche «i piaceri della vita». pensando pure a quelli sessuali. ...

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sulla �rra del comportamento del ricco deceduto che ora capisce: se non cambia­ no vita ascoltando la Legge e i Profeti, non serve neanche una risurrezione a con­ vertirli. Affermazione della validità della Legge e rifiuto di dare un segno conferi­ scono alla parabola il tono di un severo, quasi disperato ammonimento: la condi­ zione di ricco chiude inevitabilmente l'uomo alle esigenze di Dio. I problemi suscitati dal racconto sono numerosi. - La descrizione colorita e singolare dell'oltretomba (w. 22.26), di stile po­ polare, risale a Gesù? La costruzione attuale, in due parti, è originale? Se così è, l'accento della pa· rabola si porterebbe sulla seconda parte (Achtergewicht). Qual era allora il signifi­ cato primitivo del racconto? 84 • L'allusione a una risurrezione che non viene accolta non suggerisce piuttosto un'aggiunta secondaria dei vv. 27-3 1 , con riferimento alla risurrezione di Gesù e al rifiuto dei Giudei? Lazzaro diventa messaggero di risurrezione! La seconda parte della parabola potrebbe riflettere il contesto della polemica della giovane Chiesa con il giudaismo. - Abbiamo qui l'unico esempio di un personaggio parabolico che porta un nome: Lazzaro. Perché? E perché è il povero che porta un nome e non il ricco che 5 è l'attore principale? 8 • - Discussa anche l'origine della parabola: un racconto egizio penetrato in Palestina e che Gesù avrebbe potuto conoscere (H. Gressmann)? Un racconto giudaico senza influenza egizia trasformato dalla tradizione cristiana (R. Bult­ mann)? Una composizione di Luca? 86 •

84 Scrive J. Jeremias (Gleichnisse, cit., p. 185): «Gesù non vuole prendere posizione sulla questione ricco-povero, non vuole neanche informare sulla vita dopo la morte; egli racconta la parabola per mettere in guardia uomini che rassomigliano al ricco e ai suoi fratelli, sul minaccio­ so destino (che li aspetta)». Anche per O. Glombitza, la parabola insiste sul rischio del «troppo tardi !» per la rispo­ sta responsabile dell'uomo (Der reiche Mann und der arme Laz.arus, in NT 12 [ 1 970] , p. 173). 85 Sorge la domanda se esista un legame tra Le 16, 19ss e Gv 1 1 . Non può essere casuale la presenza del nome di Lazzaro e il riferimento alla sua risurrezione. È possibile che esistesse una tradizione prelucana e pregiovannea su Lazzaro, la guale influì su entrambi i racconti evan­ gelici (}. Kremer, Der arme Lazarus... , in A cause de l'Évangile, cit., pp. 571ss; soprattutto pp. 579ss). Giustificare la presenza del nome Lazzaro in Le 16, 19ss a causa del significato stesso del nome - «Dio aiuta» -, o con allusione a Gn 15, 2 (episodio di Abramo ed Eleazaro = Lazzaro) non convince. Non c'è aggancio, nella parabola, con questo testo veterotestamentario, e l'etimo­ logia del nome Lazzaro non ha alcuna funzione nel racconto (diverso Glombitza: colui median­ te il quale Dio aiuta [= Lazzaro] non può più intervenire a favore del ricco e dei suoi fratelli: art. cit. p. 178). 86 Per l'origine egiziana, diversi esegeti seguono lo studio di H. Gressmann, pubblicato nd 1918 (ma difficilmente accessibile), che riporta un racconto simile trovato in Egitto (IV sec. a.C.?) e che ha il suo corrispondente nella storia giudaica di Bar Ma}an, la storia del povero dottore della Legge e del ricco pubblicano (}. Jeremias, Gleichnisse, cit., p. 1 82; vedi anche nota 65 del c.14 di questo commento) . La parabola egizia sarebbe stata portata in Palestina dai giudei di Alessandria. R Bultmann (op. cit. , pp. 212s) pensa a un racconto giudaico (che l'esegeta ha letto nelle

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l/ vangelo di Luca

Possiamo supporre che Luca, secondo la sua abitudine, abbia rielaborato tradizione preesistente, tradizione che aveva la sua originalità propria rispetto a racconti simili dell'ambiente giudaico (vedi il dialogo con Abramo, la finale della parabola). una

Il posto attuale del racconto nel terzo vangelo e l'apporto redazionale (so­ prattutto nel v. 25) 87 sono indicazioni sufficienti per cogliere l'interpretazione stessa dell'evangelista. La parabola del ricco epulone si presenta come l'antitesi della parabola dell'amministatore astuto (Le 16, 1 -9). Se il comportamento di que· st'ultimo è stato reinterpretato come esempio di uno che rimette i debiti ai debito­ ri poveri, e quindi come modello del buon uso del denaro, il ricco della nostra pa­ rabola presenta il caso negativo: cosa succede al ricco che non amministra bene nel senso del Vangelo - la sua ricchezza? Anche la seconda parte della parabola è riletta da Luca in tale luce e rispon­ de alla domanda: è possibile ai ricchi scampare alla sorte terribile che la prima parte assegna al ricco epulone? 88• L'insegnamento globale corrisponde bene al pensiero dell'evangelista sulla ricchezza e chi la possiede: l'indifferenza alle esigenze di Dio, e la conseguente in­ differenza per chi sta nel bisogno 89• «Le sofferenze del ricco (nell'Ade) lo puni­ scono non della sua ricchezza come tale, ma perché, sordo all 'insegnamento di Mosè e dei Profeti, non ha capito l'urgenza della conversione. Interamente occu­ pato dai piaceri dell'esistenza, ha dimenticato la vita futura, ha trascurato il pove­ ro che era alla sua porta, ha misconosciuto Dio stesso» 90 •

leggende giudaiche pubblicate da Bin Gorion): una coppia di sposi ricchi e senza-Dio; la donna muore e va all'inferno; un ragazzo si offre di fare il viaggio nell 'inferno e torna con un messag­ gio per il marito, invitandolo a convertirsi. Per Bultmann, la conclusione originale che parlava di un messaggio dell 'oltretomba è sta­ ta cambiata nella tradizione cristiana per motivi polemici. Per M. D. Goulder (Luke. A New Paradigm, II, cit., pp. 634ss), Luca stesso, ispirandosi a Is 61 (pensiero del rovesciamento di situazione ) avrebbe composto il racconto. Vi troviamo in­ fatti le caratteristiche dello stile e del pensiero dell'evangelista, come il toucher pieno di colori, il pathos; il ricco appartiene alla classe media (quella dalla quale proviene lo stesso evangelista); l'escatologia è lucana (la mone individuale e la vita dopo la morte) ; il numero di cinque fratelli è caratteristico dell'evangelista (5 passerotti, 5 paia di buoi, 5 in una casa). La risposta di Abramo al ricco riprende temi presenti negli Atti 2.3.4 . . . 28 (cf. At 15, 2 1 ); l'insegnamento centrale sulla beatitudine dei poveri e il «guai» del ricco (senza specificare il lato morale del comportamento o la fede degli interessati) si ritrova nel Magni/icat e nelle Beatitudini, e non altrove. L'impronta di Luca è evidente, ma è sufficente per parlare di una sua composizione? 87 Vedi ]. Dupont, Béatitudes, ill , p. 60 con le note. 88 J. Dupont, ibid. , p. 1 1 1. 89 «Chiudendo il suo cuore a ogni sentimento di pietà, trincerandosi deliberatamente in un universo chiuso che vuole ignorare la miseria e le sofferenze del prossimo, i ricchi si preparo­ no essi stessi sulla terra una punizione inesorabile e definitiva alla quale saranno condannati do­ po la morte ... la perdita eterna è concepita in questo passo come un'assenza totale di comunio­ ne che risulta dal rifiuto deliberato sulla terra di ogni comunione fraterna» (A. Feuillet, La para­ bole du mauvais riche et du pauvre Lazare .. , in NRTh 101 [1979] , pp. 2 19s}. 90 J. Dupont, Béatitudes, III, p. 182. .

Per il paese dei Giudei verso Gerusalemme: Le 91 51 -

191 44

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16, 19. La· ·parabola incominci« mme�lla dell'amministr4mre asttlftt. «c'em 1111 uomo ricco». n versetto è redazionale 9 1 e descrive l'uomo ricco che vive nel lusso, con immagini care all'evangelista: il vestito come segno di ricchezza, il banchetto quotidiano come ideale di vita (cf. Le 12, 19) 92• La moralità del comportamento non viene presa in considerazione: non si parla né di disonestà, né di dissolutezza. 16, 20. In modo contrastante segue ora la descrizione più dettagliata del povero che porta il nome di Lazzaro, forma greca del nome ebraico/aramaico Eleazar: co­ lui che Dio soccorre, Dio aiuta. Difficilmente il lettore greco poteva cogliere questo significato; il fatto di avere un nome suggeriva piuttosto che il povero aveva una identità presso Dio. Lazzaro giaceva 93 presso il portone della casa del ricco: è il posto del mendi­ cante impotente, come la tavola è quello del ricco 94• Non serve indagare se egli fosse paralizzato e quale malattia della pelle avesse (la lebbra, come pensa Man­ son, è improbabile). Lazzaro ricorda Giobbe ( Gb 2, 7). Luca vuole commuovere il lettore sullo stato di afflizione del povero, che però appartiene alla categoria di p«rsone che Gesù proclama beate �.

16, 2 1 . Altro tratto: Lazzaro non aveva di che calmare la sua fame 96 , mentre il ric­ co non smetteva di banchettare; non poteva neanche nutrirsi con i pezzi di pane

91 D tis unito a un sostantivo è tipico di Luca: Mt: l; Mc: 2; Le: 38; At: 63 ; anthropos tis («un uomo»): Le 10, 30; 12, 16; 14, 2 . 1 6; 15, I l ; 16, 1 . 1 9; 19, 12: introduzione abituale a para­ bole in Luca. Euphrainein («fare festa»): solo Luca fra gli evangelisti: Le: 6; At: 2 (il sostantivo in At 2,

28; 14, 17).

Kath'emeran («ogni giorno»): una volta nella triplice tradizione (Mc 14, 49 e par.), poi so­ lo Luca ancora 4 volte nel vangelo e 6 volte negli Atti. Lampros («splendidamente»: hapax nel NT); ma solo Luca fra gli evangelisti utilizza.· ter­ mini della stessa famiglia: lampros, lamprotes. (]. Dupont, Béatitudes, III, p. 173, nota 2). 92 La porpora (colore regale: l Mac 8, 14) e il bisso o lino fine come indumenti intimi (uso egizio): vedi Prov 3 1 , 22: le vesti della donna perfetta; in 1 Q ap. Gn 20, 3 1 si tratta del regalo che il re d'Egitto fa a Sarai (vestito di bisso e di porpora). Porpora e bisso è diventato un bino­ mio stereot�o? n p7 dà un nome anche al ricco: Neues. Il senso è oscuro: forma abbreviata di Nineues che si legge nella versione sahidica? Proviene da Ninive? Da Finees nominato assieme a Eleaza­ ro (= Lazzaro) suo padre, in Es 6, 25; Nm 25, 7 ? 93 I l verbo ballein («gettare») è al più che perfetto, nel senso di «era stato gettato là e gia­ ceva» (Blass, n. 347 / 1 ) . Redazionale: tis con un sostantivo (>, lo scandalo, anche se inevitabile, non è necessario (Lagrange). 6 Lysetelein («essere vantaggioso»: hapax nel NT) invece di sympherein («essere meglio» in Mt, utilizzato in ragionamenti rabbinici: BILL I, 775 ) . ll perfetto del verbo rhiptein («precipitare») d à l'idea d i anteriorità; M.-J. Lagrange para­ frasa: «Meglio vale per lui morire - e di morte crudele - prima [e non solo piuttosto] di com­ mettere uno scandalo» (op. cit. , p. 452). Luca scrive «pietra da mulino» invece di «macina da somaro» (Mc e Mt che segue Mc): =

,

=

Il vangelo di Luca

650

L'evangelista non precisa l'identità di quei «piccoli» nomiilàtl nella fonte; le ipotesi, quindi , sono varie: i bambini in senso letterale (Manson), gli ignoran­ ti (Hauck) , i deboli nella fede (Kremer) , i cristiani disprezzati dalla società (Schmithals), gente di poco conto secondo i criteri del mondo (Leaney), i poveri di cui Lazzaro è un esempio ( Grundmann). Un testo come Le 10, 21 (i nepioi) orienterebbe verso la categoria religiosa dei poveri e umili, apparentati ai «poveri di JHWH» che Luca stima molto.

17, 3a. Luca aggiunge un «Guardatevene !» 7 che, come conclusione, rafforza la se­ rietà dell' awertimento. L'evangelista mette in guardia onde evitare il più possibile uno scandalo provocato per inawertenza? Il perdono fraterno: Le 1 7� Jb-4 3b «Se tuo fratello pecca, rimprovera/o; e se si pente, perdonagli. 4 E se sette vol­ te al giorno pecca contro di te e sette volte ritorna da te, dicendo: Mi pento� gli per­ donerai».

TI doppio loghion sul perdonare segue senza legame le parole sullo scandalo. Luca conserva l'ordine della fonte e conserva, meglio di Matteo, il parallelismo di forma e di contenuto 8 • Anche se l'insegnamento concerne i rapporti personali tra due «fratelli», membri cioè della comunità, la parola ha già l'aspetto di una regola di condotta seppure più primitiva del parallelo di Matteo. Essa si legge in una for­ ma più elaborata nella versione di Q seguita da Mt 9, dove è diventata una regola di disciplina comunitaria in tre tappe 10 • Il primo evangelista la riferisce all'inizio della seconda parte del «discorso comunitario» (Mt 18, 15- 17) e aggiunge altro materiale (Mt 18, 18-20) prima di riagganciarsi alla fonte Q e scrivere, anch'essa in forma più evoluta, la parola sulla necessità di perdonare sempre (Mt 18, 2 1 -22 = Le 17, 4).

l'ha letto in Q o sceglie un'espressione più comprensibile (o meno pittoresco) ai suoi lettori? Come Marco, Luca scrive ei + ind.pf. (condizionale reale) dove ci si aspetterebbe l'irrea­ le; secondo Zerwick (n. 3 1 1 ) dà forza all'affermazione: una tale morte sarebbe bene! «Lysetelei e » («è vantaggioso . . . che. . . »): il positivo con valore comparativo può essere un semitismo (anche se il greco non ignora tale costruzione). Hina impiegato in senso non finale: Luca, in generale, si mostra reticente per tale uso sbiadito di hina (J. Jeremias Die Sprache , cit., p. 58). 7 Le: 3 ; At: 2; mai in Marco e Matteo. L'ingiunzione può anche servire da introduzione ai vv. 3 -4 (come in Le 12, l; 2 1 , 34 1 . dando al pron. riflessivo (heautois) il valore di reciprocità: siate attenti gli uni gli altri. 8 Redazionale è la scelta del verbo epitimtin («rimproverare»: v. 3 ) , familiare all'evangeli­ sta, al posto di elegchein («riprendere»: Mt 18, 15) più primitivo (Matteo non lo usa altrove); e la scelta di epistrephein («ritornare»: v. 4). Vedi S. Schulz, op. cit. , pp. 320s. 9 L'origine pre-matteana della regola della «correctio fraterna>> (Mt 18, 15-17) è general­ mente ammessa. 1 0 R. Bultmann, op. cit. , p. 1 5 1 . ,

...

...

...

Per ilpaese dei Giuder: verso Gerusalemme: Le 9, 51 - 1 9, 44

65 1

La formulazione attuale della regola, in Matteo come già in Luca, riflette la 1 pratica della Chiesa, anche se l'esigenza del perdonare risale comunque a Gesù 1 •

17, 3b. La regola espone i passi da seguire nel caso di un'offesa personale. L'inizia­ tiva spetta all'offeso: egli deve mettere in pratica quanto prescritto in Lv 19, 17: «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo». Questo rimprovero ha un fine: la riconciliazione, e dunque non può essere interpretato come reazione di vendetta, sfogo d'ira, ma vuoi essere compreso co­ me una parola persuasiva per porre termine a un atto (Bauer) . La possibilità di un'ostinazione nel male da parte dell'offensore non è anco­ ra presa in considerazione. Tutto verte, nel detto di Luca, sulla prontezza a perdo­ nare subito, appena l'offensore si pente. Importa ristabilire i rapporti fraterni nel­ la comunità. 17, 4. n v. 4 riprende l'esigenza di perdono espressa nel detto precedente, ma con un crescendo: la prontezza a perdonare un fratello pentito non ha limiti. «Sette volte» (d. Sal 1 19, 164) indica la totalità, ancor più sottolineata con «al giorno» 12 • Nel nostro testo, il perdono presuppone il ritorno dell'offensore, vi­ sto che la regola ha di mira il ristabilimento dei rapporti d'unità (non la questione morale della decisione personale presa in cuor suo dall'offeso) 0• Il perdono è alla base della vita comunitaria. Esso è tanto più necessario e tanto più vi si insiste, in quanto l'evangelista sa per esperienza che la Chiesa è for­ mata da peccatori. D'altra parte, grazie a quest'esigenza di Gesù, anche il fratello-offensore sa che la rottura provocata per colpa sua non è irreversibile; egli può sperare nel per­ dono da parte dell'offeso e quindi nella possibilità di ricominciare una vita nuova. La forza

della fede: Le 1 7, 5-6

' E gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta la nostra fede.'». 6 Ma il Signore disse: «Se aveste fede come un granello di senapa, direste a questa pianta di gelso: Sràdicati e piantati nel mare, e vi obbedirebhe».

11 12

n termine di ): Mt : l; Mc : 2; Le: 10; At: 2 1 ; ancora sei volte nel resto del NT) appartengono al suo vocabo­ lario preferito. 47 Valore che Luca dà al nome semitico Ierousalem (de la Potterie, Les deux noms de ]eru­ salem dans l'évangile de Luc, in RScR 69 [ 1 981], pp. 57ss) . 48 Dia con ace. (meson) ha fatto sempre difficoltà, come dimostrano le varianti nei mano­ scritti; normalmente dia meson significa «a causa dh), «per il bene dh), e solo in forma poetica ha ricevuto il senso spaziale di «attraverso>); di qui i tentativi di correzione fatti dai copisti: di4 mesou (gen.): «attraverso il mezzo dh), o il più comune ana meson: «attraverso)>, «tra», o il sem­ plice avverbio meson ) è lucano, così come la sua preferenza per aner («uomo maschio))) piutto­ sto che anthropos. 52 Vedi W. Grundmann, Das Evangelium nach Markus, Berlin 1971', pp. 52s.

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17, ll. 1- dieci lebhrosi alzano la voce. Lv 13, 45 prescrive che essi devono gridare: «Immondo! Immondo ! Immondo !»; ma il loro grido è una preghiera: è l'invoca· zione del nome di Gesù 5' anche col titolo di epistates («maestro» nel senso di ca· po di cui si riconosce l'autorità), che Luca mette sempre in bocca ai discepoli (Le 5, 5; 8, 24.45 ecc.) . Nei Salmi (Sa/ 3 1 , 10; 5 1 , 3 ) , l'israelita implora Dio con «abbi pietà», un a1, pello all'amore grazioso e alla fedeltà di JHWH nei confronti del bisognoso e del peccatore. Traspare l'invocazione liturgica della Chiesa �.

17, 14. Contrariamente al racconto di Le 5, 13s, Gesù non guarisce i lebbrosi pri· ma di mandarli dai sacerdoti, ma dà subito l'ordine di mostrarsi ad essi " . Come per il siriano Naaman ( 4 Re 5 LXX), il miracolo avviene a distanza. È indovinato considerare l'ordine di Gesù una prova di fede che egli aspetta dai lebbrosi? Per Naaman era stato così. TI sacerdote aveva il compito, dopo l'esame dd caso, di dichiarare impuro il lebbroso, e aveva anche il dovere di dichiararlo puro, dopo la guarigione; e questo non perché svolgeva la funzione di medico, ma come interprete della Legge 56• Co· munque, per il guarito significava la reintegrazione nella comunità civile e religiosa. La notizia della guarigione (purificazione) è sobria. Appare probabilmente un'intenzione parenetica di Luca: è l'obbedienza alla parola di Gesù che ottiene l'esaudimento (cf. Le 1 1 , 28). 17; 15. Si apre la seconda parte - fuori schema - del racconto: il ritorno di un sa­ maritano per ringraziare, come aveva fatto Naaman. Luca però non rivela subito di chi si tratta: «uno di loro»; egli prepara la sor­ presa, mettendo prima in luce la fede dello sconosciuto. Quest'ultimo infatti vede la sua guarigione: un vedere che non si limita alla constatazione della salute fisica ritrovata, ma implica l'apertura alla fede. «Glorificando Dio» '\ egli riconosce nel-

, L'invocazione del nome di Gesù è rara negli scritti del NT: 3 volte in Marco, 5 volte in Luca (E. Charpentier, in «Assemblées du Seigneur» 59, cit., p. 70). 54 L'intero versetto potrebbe essere redazionale: kai autoi (senza enfasi) all'inizio della prop.; l'espressione «alzare la voce» si legge solo nell'opera lucana (At 4, 24; cf.· Le 1 1 , 27; At 2, 14; 14, 1 1 ; 22, 22); è un settantismo (Gdc 2 1 , 2; 1 Sam 1 1 , 4 LXX). Epistates («maestro») : solo Luca (7 volte) nel NT. '� «Ai sacerdoti» al pl. (in Le 5, 14 è al sg.): forse semplice concordanza letteraria: ognuno è inviato al rispettivo sacerdote (del suo villaggio d'origine). Difficile sapere se Luca usi il plura­ le per rendere possibile l'andata del samaritano da un sacerdote samaritano. Di nuovo la costruzione lucana: kai egeneto en to(i) + inf. con valore temporale, e un ver­ bo finito nell'apodosi. 56 R . de Vaux, Les Institutions de l'Ancien Testament, cit., p. 356. Una volta constatata la guarigione, l'ex lebbroso deve sottomettersi a diversi riti e fare un sacrificio (al tempio di Gerusalemme). Vedi Lv 14, lss. 57 La mano del redattore è evidente: iasthai («curare», «guarire») è lucano (il verbo usuale per la guarigione dalla lebbra è katharizein: «purificare»: d. v. 14);

662

Il vangelo di Luca

la guarigione operata da Gesù l'agire di Dio; la preghiera di lode, nel terzo vangè­ lo, è la reazione di gioia che caratterizza i tempi messianici, e che affiora alle lab­ bra dinanzi alle meraviglie com piute da Cristo. Ancor prima di dame l'identità, l'ex lebbroso è presentato ai lettori come modello di comportamento.

17, 16. n guarito rende gloria a Dio e rende grazie a Gesù 58 : per il credente sono

due atteggiamenti inseparabili: in Gesù, Dio si lascia incontrare. L'ex lebbroso accompagna il suo ringraziamento con un gesto di prostrazio­ ne 59: segno di profondo rispetto, ma che ad un lettore cristiano suggerisce anche un atto di adorazione. Ed ecco la sorpresa: era un samaritano ! n pathos fa parte dell'arte narrativa dell'evangelista. La convivenza tra lebbrosi giudei e samaritani è verosimile, visto che un leb­ broso perdeva la sua identità sociale e religiosa. È vero, Luca, secondo la sua abitua­ le discrezione, non dice esplicitamente che gli altri nove lebbrosi erano giudei, ma non c'è dubbio. Si sono messi in cammino verso il tempio di Gerusalemme per of­ frire il sacrificio prescritto? La via giusta, comunque, adesso conduce a Gesù.

17, 17- 18. La risposta di Gesù 60, formulata con una successione di tre domande, costituisce la «pointe» del racconto. La prima domanda dichiara che tutti hanno beneficiato della guarigione. La seconda constata l' assenza di nove dei guariti. L'ultima esplicita ciò che que­ sti avrebbero dovuto fare: non basta la guarigione; essa avrebbe dovuto essere per essi il segno di una realtà nuova; non tornando da Gesù, hanno mancato nell'essenziale.

hypostrephein (>).

20, 7 . Con una confessione d'ignoranza, gli avversari pensano di cavarsi d'impac­ cio; in realtà, svelano la loro ipocrisia e cattiva fede: essi temono anzitutto di dover ammettere la verità. Ma affermando la loro incompetenza a giudicare Giovanni, ammettono la stessa incompetenza nei confronti di Gesù. Per il lettore, è implicito il riconoscimento- della superiorità di Gesù e dell'origine divina dd suo insegnamento. ·

20, 8. La risposta di Gesù consiste nel rifiuto di dare risposta alcuna, perché essa è già venuta bene in luce nella controversia. Non c'è via di mezzo, e l'uomo è invita­ to a una risposta nel pieno rispetto della sua libertà; spetta ad ognuno fare la scel­ ta di fede dinanzi alla quale Gesù lo pone. La questione dell'identità messianica di Cristo sarà approfondita in seguito 14•

12 Syllogiz.esthai («ragionare», «discutere insieme») è un hap11x nel NT (conosciuto nel greco classico); Luca ama i verbi composti con syn. Notare l'espressione letterale: «cominciando a discutere insieme dicendo fra di loro». La prep. pros + ace. dopo il verbo «discutere» proviene dalla fonte (Mc 1 1 , 3 1 ) . 13 K.atalithaz.ein («lapidare») è un hapax nella letteratura greca cristiana (più frequente: lithaz.ein o lithobolein). In questo versetto, Luca (come Mt) migliora il testo della fonte (anacoluto). 14 Luca segue testualmente la fonte; cambia soltanto il tempo del verbo «dire» (aor. inve­ ce del pres. storico di Mc) .

Gesù insegna nel tempio: Le 19, 45 21, 38 -

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3 : PARABOLA DEl VIGNAIOLI OMICIDI: Le 20, ,� 19 . 9 Ora cominciò a dire al popolo questa p11rabola: «Un uomo piantò una vigna e la diede in a/fitto a degli agricoltoti e partì lontano per molto tempo. 10 E a tempo (op­ portuno) mandò un servo dagli agricoltori, affinché gli dessero del /rutto della vigna. Ma gli agricoltori, dopo averlo percosso, (lo) rinviarono (a manO vuote. 11 E mandò an­ cora un altro servo; ma essz: percosso e oltraggiato anche quello, (lo) rinviarono (a ma­ ni) vuote. 12 E ne mandò un terzo; ma essi, ferito anche questo, lo gettarono (fuori). 0 Il padrone della vigna disse: ((Che cosa /arò? Manderò il mio figlio diletto; forse di lui avranno riguardo". 1 4 Ma gli agricoltori, vedendo/o, ragionavano tra di loro dicendo: "Costui è l'erede; uccidiamo/o, perché l'eredità divenga nostra". 1' E gettatolo fuori del­ la vigna, lo uccisero. Che farà dunque loro il padrone della vigna? 16 Verrà e farà perire questi agricoltori, e darà la vigna ad altri». Ora avendo udito (ciò) dissero: «Non sia mai!». 17 Ma egli, fissando lo sguardo su di loro, disse: «Cos'è dunque ciò che è stato scritto: La pietra che i costruttori hanno riprovato, questa è diventata testata d'angolo? 18 Chiunque cadrà su quella pietra si s/racellerà; stritolerà colui sul quale cadrà». 19 E gli scribi e i gran sacerdoti cercarono di mettergli le mani addosso in quell'ora, ed ebbero timore del popolo. In/atti avevano capito che per loro aveva detto quella parabola.

La parabola-allegoria dei vignaioli omicidi è l'ultimo racconto parabolico del terzo vangelo, e anche la più discussa per la sua forte allegorizzazione (simile a Mt

22, 1- 14).

D a una parte essa possiede l e caratteristiche del genere parabolico: una sto­ ria che culmina nella fine (la pointe) e la cui «morale» si deduce dall'insieme del racconto: un uomo pianta una vigna, l'affitta a vignaioli. Al tempo della vendem­ mia, manda diversi servi e infine il proprio figlio per averne i frutti: invano ! Anzi, i servi sono maltrattati e il figlio perfino ucciso. Quale sarà la reazione del padrone nei confronti di questi vignaioli? D'altra parte, i tratti allegorici sono particolarmente sviluppati; quasi ogni dettaglio descrittivo ha doppio senso: il padrone è Dio, la vigna è Israele, i vi­ gnaioli sono Israele e i suoi capi, l' invio dei servi rappresenta la successione dei profeti inviati ad Israele, il figlio è Cristo, la sua uccisione è la crocifissione, infine c'è l' allusione alla Chiesa che riceve l'eredità di Israele, e all a risurrezione di Gesù. Insomma, una vera e propria presentazione sintetica della storia della salvezza let­ ta in chiave cristiana, che culmina nella morte e risurrezione di Gesù. Un tale racconto può risalire al Gesù storico? Poteva egli farsi capire dall'uditorio presentandosi come «figlio diletto»? Poteva alludere a un popolo che avrebbe ricevuto in eredità le promesse divine fatte all'Israele antico? e interpreta­ re la condanna d'Israele come dovuta alla sua uccisione (più che al rifiuto di acco­ gliere il suo annuncio)? Come abbiamo detto, le discussioni fra gli esegeti sono aperte e le soluzioni proposte si orientano in varie direzioni: - Jiilicher 1� , il padre dello studio moderno delle parabole di Gesù, parte dal

15 Die Gleichnisreden ]esu, n, Darmstadt 196J, pp. 38'ss (ed. nuova).

Il vangelo di Luca

762

presuppofto che Ge$ù si sia servito del nobile genere parabolico é non dell'allego­

ria. Il racconto dei vignaioli omicidi, giudicato come allegoria, è quindi attribuito alla Chiesa. Sulla scia di Jiilicher, troviamo Bultmann, Kiimmel, Hahn, ecc. - D'accordo con il presupposto di Jiilicher, C. H. Dodd 16 e nella sua linea J. Jeremias, V. Taylor, van Iersel, si sforzano di dimostrare che, in origine, quella dei vignaioli era una parabola allo stato puro, e proveniente da Gesù. L' allegorizzazio­ ne sarebbe avvenuta soltanto nella Chiesa. Si tratta di mostrare che lo svolgimento del racconto primitivo è : era uso affittare un terreno, una vigna, con un contratto in base al quale gli operai erano pagati in natura. Può certo sorprendere il rifiuto dei vignaioli di dare il dovuto al proprietario che, vista la serietà della si­ tuazione, invia il proprio figlio. Ma questi tratti inverosimili - la pazienza del pa­ drone, l'insensata decisione dei vignaioli di uccidere il figlio per impadronirsi del­ la vigna - si possono spiegare alla luce della situazione tesa della Palestina di allo­ ra. Vi dominava il sistema di latifondo: grandi proprietà mal coltivate, spesso in mano a ricchi stranieri. Il gesto dei vignaioli - rifiuto di pagare il fitto, atti di vio­ lenza 17, desiderio di impossessarsi della vigna - non è affatto improbabile, soprat­ tutto dopo la rivolta di Giuda il Galileo (6 d. C.). Inoltre, la parabola originale era narrata secondo lo schema temario (invio di due servi + il figlio), frequente nelle parabole di Gesù. Per J. Jeremias (e anche per J. A. Fitzmyer ed altri), il loghion 65 del vangelo di Tommaso, considerato più primitivo di Mc 12, 1ss, viene a proposito per con­ fermare la tesi dell' allegorizzazione progressiva di una parabola originale allo stato puro 18 • n loghion in questione ha infatti pochi tratti allegorici: non c'è il riferi­ mento a Is 5 ; è conservato lo schema ternario; sono assenti le allusioni al cambio di eredità e alla risurrezione (la citazione di Sa/ 1 18, 22 segue come parola di Gesù indipendente nel loghion 66) 19• Rimangono tuttavia serie perplessità sulla priorità di questo loghion 65 nei confronti della tradizione marciana. È più probabile che siamo in presenza di una adattazione della versione lucana, che elimina i tratti allegorici 20• Difficilmente il loghion può servire da testimone dell'esistenza di una pura parabola originale.

16

Le parabole del Regno, cit., pp. 1 1 9ss. 17 L'apparizione del figlio fa pensare che il padrone sia morto: occasione buona per impa­

dronirsi della proprietà! 18 In modo meno convincente, J. Jeremias (Gleichnisse , cit., p. 74) interpreta il significa� to originale della parabola nella linea di Mt 22, 1 - 10: Gesù giustifica il motivo della sua offerta del Regno di Dio ai poveri: Voi, capi d'Israele, avete sempre rifiutato ! Quindi, la vigna sarà data ai poveri. 19 Loghion 65 : «Un uomo per bene aveva una vigna: la diede ad operai perché la lavoras­ sero e per riceveme il frutto dalle loro mani. Inviò il suo servo affinché gli operai gli dessero il frutto della vigna. Afferrarono il suo servo, lo percossero, per poco lo uccidevano. Il servo se ne andò, e lo disse al suo padrone. Il suo padrone disse: Forse non l'hanno (ri)conosciuto? Inviò un altro servo: gli operai percossero anche costui. Allora il padrone inviò suo figlio. Disse: Forse avranno riguardo per mio figlio. Questi operai, quando seppero che era lui l'erede della vigna, lo afferrarono (e) lo uccisero. Chi ha orecchie, ascolti!». Loghion 66: «Gesù ha detto: Mostratemi la pietra che i costruttori hanno scartato: è la pietra d'angolo». 20 H. Schiirmann ha dimostrato la dipendenza del vangelo di Tommaso da quello di Luca ...

Gesù insegna nel tempio: Le 19, 45 - 21, 38

763

'"" Alle conclusioni di Jiilicher, ma con uno studio più approfondito e aggiorna­ to, giunge J. Blank 21 : non siamo di fronte a una parabola primitiva di Gesù, ma ad una creazione postpasquale: una specie di montage costruito a partire da motivi ve­ terotestamentari: il motivo della vigna in prospettiva di minaccia di condanna (ls 5, 1-5), combinato col motivo dell'invio dei profeti (Ger 7, 2 1 -28) 22 , legato al motivo della persecuzione degli inviati di Dio. Questi motivi sono attualizzati in relazione al destino di Gesù, l'ultimo inviato chiamato «figlio», ucciso e risorto (cf. Sa/ 1 18, 22). J. Blank ritrova così nel racconto marciano una categoria di pensiero caratte­ ristica della tradizione di Q: il destino di Gesù compreso nella linea della persecu­ zione dei profeti (Le 1 1 , 49-5 1 ; 13, 35 e parall. ), e l'attribuzione del titolo di «fi­ glio» (risalente alla relazione filiale di Gesù con l'Abba) al Profeta escatologico (Le 10, 2 1 -22; Mt 1 1 , 25-26.27). Ciò conferma che la tradizione di Marco, nella sua forma preletteraria, ha contatti profondi con la teologia di Q. Blank considera di conseguenza la nostra parabola un racconto profetico di giudizio ambientato nella comunità giudeocristiana della Palestina: una testimonianza della controversia tra i discepoli della giovane Chiesa e la comunità giudaica. - In reazione al presupposto di Jiilicher, non pochi esegeti, in particolare X. Léon-Dufour 2', ricordano che la distinzione tra parabola e allegoria è occidentale (ellenistica) . Gesù invece parlava in meshalim, sentenze proverbiali, parole enig­ matiche, racconti che in se stessi potevano avere «tratti significativi», comportare allusioni velate: il proprietario è Dio, la vigna è Israele, i vignaioli sono Israele e i suoi capi, il frutto da consegnare è la fedeltà all'Alleanza. La tradizione presinotti­ ca ha sviluppato ulteriormente il carattere allegorico mediante l'ausilio di testi scritturistici (in particolare Is 5, 2; Sa/ 1 18, 22), e ha accentuato la prospettiva sto­ rico-salvifica o ecclesiale, e cristologica: destino di morte e di risurrezione di Gesù visto retrospettivamente, ed eredità data alla Chiesa 24•

Penso che quest'ultima soluzione sia la migliore. Non si può non tener conto del carattere parabolico del racconto: lo schema ternario, il crescendo narrativo

(Das Thomasevangelium und das lukanische Sondergut, in Traditionsgeschichtliche Untersuchun­ gen ., cit., pp. 228ss). L'esame specifico per la nostra parabola è stato fatto da B. Dehanschutter, La parabole des vignerons homicides (Mc XII, 1 -12) et l'Évangile selon Thomas, in L'Évangile selon Mare, a ..

cura di M. Sabbe, Duculot, Gembloux 1974, pp. 203ss; argomento ripreso dallo stesso autore in Logia, a cura di J. Delobel, Lovagna 1982, pp. 507ss (e già affrontato prima in L'Évangile de Luc, a cura di F. Neirynck, Duculot, Gembloux 1973 , pp. 287ss). 2 1 Der ]esus des Evangeliums, Kosel, Miinchen 198 1 , pp. 1 17ss; anche E. Hanchen, Der Weg ]esu, Berlin 1 9682, p. 402. 22 In Ger 7, 21 -28, lo stesso Geremia si pone come ultimo profeta; se Israele non ascolta, JHWH lo condannerà. 23 Études d'Évangile, ed. du Seuil, Paris 1965, pp. 304ss; vedi inoltre G. Schneider, op. cit. , p. 398; il commento di R Pesch al vangelo di Marco cit., p. 214. Purtroppo, Léon-Dufour non tiene conto della teoria delle due fonti. 24 Léon-Dufour (op. cit. , p. 329) considera Mt 2 1 , 41b (vigna data ad altri) parte della pa­ rabola originale (il che è improbabile) e osserva che, a differenza di Is 5, non si parla di distru­ zione della vigna, ma della sostituzione dei vignaioli, e conclude che per Gesù la vigna non è l'Israele storico, ma la realtà permanente del Regno.

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Il vangelo di LUC4

rivolta� ascoltatori, l'as­ senza del motivo della risurrezione nella parabola primitiva. E difficile, in questo caso, parlare di montage fatto a partire da alcuni motivi veterotestamentari 25 , così come non è buon metodo rinchiudere Gesù in schemi occidentali prestabiliti, ob­ bligandolo a parlare in parabole pure. L'impiego del mashal, e la chance data an­ che a Gesù di ragionare secondo lo schema deuteronomista - invio-uccisione-giu­ dizio - sono elementi a favore dell'origine prepasquale della parabola-allegoria dei vignaioli omicidi. Lo conferma infine l'assenza di un'allusione alla risurrezione nel racconto primitivo. La scelta dell'immagine della vigna non poteva non includere, già per Gesù, un riferimento all'Israele della storia -e alla sua condanna nel caso di rifiuto del Profeta escatologico. La parabola era adatta ad essere ulteriormente allegorizzata: forse mediante un contatto più esplicito con Is 5 , 2 con l'aggiunta «cinse di una siepe, scavò un frantoio e edificò una torre» (Mc 12, l ) ; l'aggiunta dell'invio di un terzo setvo e di molti altri poi uccisi: Mc 12, 5 rompe lo schema temario e disturba il crescendo della narrazione; l'aggiunta del motivo ecclesiale del passaggio della vigna ad altri (Mc 12, 9b), e della citazione di Sal l l 8, 22s. Viene in luce la comprensione cri­ stiana della storia della salvezza: la morte e risurrezione di Gesù ne costituisce la svolta 26 •

t=he· culmina nell'uccisione dd figlio, la domanda finale

Nella versione lucana (omissione dell'allusione a Is 5 e aggiunta del v. 18) l'aspetto cristologico è accentuato: il racconto anticipa in modo profetico il desti­ no di Gesù interpretato, come suggerisce il v. 18, nell'ottica di Le 2, 34: Cristo è la rovina e la risurrezione di molti in Israele. Non a caso, Luca rivolge la parabola contemporaneamente a due tipi di ascoltatori: al popolo (laos: v. 9) e agli scribi e ai sommi sacerdoti (v. 19). Ai primi, il racconto annuncia l'eredità delle promesse fatte a Israele: il «popolo» rappre­ senta gli «altri» (v. 16) ai quali sarà data in affitto la vigna, il popolo di Dio com­ posto dall'Israele fedele e dai pagani convertiti.

25 Blank, op. cit. , p. 127. La creazione postpasquale di una allegoria·in forma di racconto parabolico (come si presenta difatto Mc 12, lss) è più unica che rara. 26 Non c'è dubbio che la parabola-allegoria sviluppi motivi presenti nella tradizione di Q: l'invio e il destino di Cristo posti nella linea dell'invio e del destino dei profeti; la designazione di «figlio» legata al pensiero del Profeta escatologico; anche la maniera indiretta di riferirsi alla risurrezione di Gesù mediante una citazione può rivelare uno stadio arcaico... Vorrei tuttavia osservare che l'allusione a Is 5 , 2 (in Mc 12, l ) è fatta secondo: LXX (dove si legge: «cinse con siepi» anziché > è maldestra in Luca: visto che di tre fratelli si è già parlato, ne rimangono quattro ! 75 La distinzione dei due eoni è frequente nella letteratura giudaica soprattutto apocalitti­ ca: essa oppone il mondo presente, cioè la vita umana nella condizione mortale dell'esistenza terrena, al mondo futuro visto come un mondo di eterna beatitudine e gloria. 76 Un pensiero (non insegnamento ! ) simile in l En. 15, 4-5.6-7 con riferimento al matri-. monio dei figli di Dio (angeli) con le figlie degli uomini di Gn 6, lss: « ... Voi, prima eravate spi­ rituali, viventi la vita eterna che non muore mai, e perciò io non avevo fatto, (anche) per voi, le donne: perché gli (esseri) spirituali, in verità, (hanno) la loro sede nel cielo». 77 Incertezza nei manoscritti per l'espressione «si sposano e sono dati in matrimonio»; certi manoscritti hanno «sono nati e sono generati» (gennontai kai gennosin). Per la questione delle varianti testuali, vedi I. H. Marshall , op. dt. , p. 74 1 . 78 Secondo 1 En. l O , 1 7 , i giusti genereranno per mille generazioni. Le donne partoriscono senza dolore (Ap. Bar. 73 , 7 ) . Vedi A . George, Études sur l'oeuvre de Luc, cit. , pp. l 80s. 79 In >.

Già nel vangelo di Marco, il brano è legato a quanto precede mediante la pa­ rola-aggancio , e fa da contrasto con il comportamento degli scribi criti­ cato prima. È difficile sapere se quest'apoftegma biografico 1 sia costruito sulla base di un ricordo storico risalente a Gesù, o se si tratta di una «scena ideale», cioè di un insegnamento in forma di storia creato dalla comunità primitiva su un tema cono­ sciuto nel mondo antico: la piccola offerta dei poveri è gradita alla divinità più dei grandi doni dei ricchi. Il motivo si incontra nella letteratura greca, buddista, rab­ binica. n significato originale, a sua volta, rimane incerto 2 : Gesù loda il gesto della vedova che dà quanto possiede e quindi dimostra la sua totale fiducia nella Prov­ videnza divina? È anche possibile che Gesù critichi un sistema religioso (imposto dagli scribi) che obbliga la povera gente a privarsi anche dd necessario 3 • In Marco, che serve da fonte a Luca, la scena è legata al rimprovero contro gli scribi, e diventa un insegnamento rivolto ai discepoli: l'azione della vedova è

1 R. Bultmann, op. cit. , pp. 58.32s. 2 A. G. Wright («The Widow's Mites: Praise or Lament? A Matter o/ Context, in CBQ 44 [1982], pp. 256ss) espone le principali interpretazioni: - non conta la somma data, ma quanto rimane ancora in tasca al donatore; - non la quantità importa, ma lo spirito col quale si dà (spirito variamente compreso: generosità, distacco, abnegazione, ecc.); - un insegnamento di Gesù sul superfluo. Si può anche vedervi un avvertimento a non lasciarsi ingannare dalle apparenze, o un'esort�zione a fidarsi totalmente di Dio (vedi sintesi in J. A. Fitzmyer, op. cit. , pp. 1320s). 3 E la tesi di A. G. Wright, art. cit. Il brano può capirsi nella linea della regola del korban criticata da Gesù in Mc 7, l 0-13 : in caso di necessità, il bisogno dell'uomo prevale sul dovere religioso dell'offerta all'altare. In origine la parola critica di Gesù era rivolta alla folla. Marco (Mc 12, 43a) introduce i discepoli come destinatari dell'insegnamento.

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Il vangelo di Luca

presentata come un esempio da imitare. n brano vuole forse mettere in guardia i credenti contro il pericolo di disprezzare e di sottovalutare i poveri nella Chiesa. La vedova è il tipo di persona che Dio predilige e alla quale Gesù rivolge di prefe­ renza il suo annuncio sulla vicinanza del Regno di Dio. Un tale fatto deve incitare i discepoli non solo ad imitare l'esempio di questi poveri rappresentati dalla vedo­ va, ma ad aver premura e cura di loro 4 • Luca lega meglio con la scena precedente. Non c'è variazione di luogo; Gesù è sempre nel tempio, nella posizione seduta del maestro che insegna. n rimprove­ ro contro gli scribi così come la scena della vedova sono indirizzati ai discepoli: il contrasto tra gli scribi, tipo del ricco, e la vedova, tipo del povero, viene sottoli­ neato .5 . È probabile che nella mente dell'evangelista l'insegnamento raggiunga di nuovo una sua preoccupazione principale sul problema della ricchezza: un invito ai ricchi a comportarsi come la vedova, e cioè a dare tutto, come condizione radi­ cale per essere autentici discepoli di Cristo.

2 1 , l . Secondo la sua abitudine, Luca rielabora specialmente il versetto introdutti­ vo, allo scopo e di legarlo meglio con la scena che precede, e di concentrare l' at­ tenzione sui ricchi, opposti alla vedova 6• Nel giudaismo, l'elemosina era diventata un'istituzione di assistenza ai pove­ ri, e il tempio raccoglieva soldi da ogni parte (tasse, voti, doni) per i vari usi del culto. Flavio Giuseppe parla di diverse sale del tesoro 7 , da situare nel cortile delle donne, dove c'erano varie cassette; la tredicesima era riservata ai doni volontari. L'offerente dichiarava al sacerdote di servizio la somma e l'intenzione del dono; il sacerdote controllava la moneta e la faceva mettere nella cassetta corrispondente 8 • 2 1 , 2. Al dono dei ricchi fa da contrasto l'offerta della vedova definita poverella 9• Da sempre la vedova rappresenta il tipo di persona indifesa, bisognosa dell'aiuto altrui. n suo gesto appare tanto più sorprendente. Ella offre due lepta, la più piccola moneta (di bronzo) che circolava in Pale­ stina. Pilato ne coniò molte. Marco spiega ai suoi lettori che ciò equivale a un qua� drante (moneta romana di rame). Luca elimina questo latinismo. Con un quadran­ te si potevano comprare l 00 g. di pane 10•

4 J. Gnilka, Das Evangeli'um nach Marleus, cit., p. 178. 5 Luca elimina la menzione della folla (Mc 12, 4 1 ) , e abbrevia l'introduzione concentran­

do l'insieme sul contrasto ricco-povero.

folla . ..

6 Mc 12, 4 1 introduce una scena indipendente: Gesù si siede dinanzi al tesoro e osserva la

Matteo omette l'episodio. 7 Bell. 5, 200; 6, 282. Gazo-phylakion: palazzo del tesoro. Luca pensa alle cassette delle elemosine piuttosto che al l uogo del tempio chiamato > con il pensiero del giudizio divino già formulato nel v. 22. Il tema dell'ira di Dio contro Israele è biblico (Dn 9, 16; 1 1 , 36 ecc.; cf. l Ts 2, 16), ma si trova soltanto qui in bocca a Gesù. «Questo popolo» determina il senso di «la terra>>, parallelo nello stesso ver­ setto: non il mondo intero, ma la terra palestinese o la Giudea. Luca non pensa a una catastrofe universale, ma al giudizio di Dio su Israele visto nell'evento della rovina di Gerusalemme. Insomma, Luca ha davanti a sé i fatti del 70 di cui vuole cogliere il significato religioso: non è ancora un elemento della tribolazione esca­ tologica, ma un evento storico compreso come giudizio di Dio 91 • 2 1 , 24. n v. 24 descrive alcuni aspetti della «miseria», della tragedia che colpisce Gerusalemme. Luca si esprime con formule bibliche 92• Massacri e deportazioni sono la 'Sorte normale dei vinti; l'evangelista aggiunge la profanazione della Città santa calpestata dai pagani. Indubbiamente, egli ha davanti agli occhi le atrocità del 70 (cf. Bel!. 6, 9, 3 ) e le loro conseguenze, che durano ancora al tempo in cui scrive la sua opera: il popolo d 'Israele è deportato, il paese invaso, Gerusalemme non è più il centro religioso, e di tutto ciò non si vede la fine 93• Il giudizio di Dio pesa tuttora sulla città, e questo finché durano i >, «vertigini provocate dal vino» (hapax nel NT); methe: >) all'assoluto è proprio di Luca (Le 24, 46; At l, 3; 3 , 18; 17, 3 ) ; «desiderare con desiderio» (= ardentemente desiderare) è un'imitazione dei LXX (vedi anche nota 122): cf. At 5 , 28; 23, 14. P. Pesch nota dei lucanismi in punti chiave: «prima del mio soffrire» (v. 15); «d'ora in poi» (v. 18); «distribuire>>. L'espressione , ecc.) 97• Poggiando gli argomenti sulla fragile base della linguistica, le conclusioni so­ no a loro volta incerte. Indubbiamente, Le 22, 15-18 posto prima dell'istituzione dell'Eucaristia (vv. 19-20) è meglio situato che il «frammento» di Mc 14, 25 certamente arcaico: le pa-

94 H. Schiinnann (Comment Jésus a-t-il vécu sa mort?, cit., p. 53 nota 100) attribuisce alla redazione la precisazione cronologica «prima di soffrire» (v. 15); l'invito «Prendete ... e distri­ buite» (v. 17b); il doppio gar dei vv. 16 e 18: sono ritocchi orientati in senso eucaristico. � Ue 22, 19b-20 a/s ursprungliche Textuberlie/erung, in Traditionsgeschichtliche Untersu­ chungen . . , cit., p. 188. 96 Ma vedi l'osservazione di J. Jeremias (op. cit., p. 191 nota 1 15): dallo stile lucano di un testo non si può concludere ad una creazione meana: l'evangelista ha l'abitudine di rielaborare la fonte. 97 P. Benoit, Le Récit de la Cène en Luc XXII, in Exégèse et Théologt"e, l, cit. , pp. 186ss. R. Pesch, Wie ]esus das Abendmahl hielt, cit., pp. 4 1 ss; Das Abendmah/ und ]esu Todesverstiindnis, in Der Tod Jesu. Deutungen im N. T. , cit., pp. 148ss. Tuttavia, espressioni come pio apo (Mc = pio ek) e «Venuta del Regno di Dio» (diff. Mc) suggeriscono l'esistenza di una variante del loghion escatologico di Mc 14, 25 piuttosto che una rielaborazione redazionale di Luca sui loghion di Marco (vedi J. Schlosser, Le Règne de Dieu dan les dits de ]ésus, l, cit., p. 385). Soluzione intermedia: considerare Le 22, 15-16 uno sdoppiamento redazionale dei vv . 1718, ad opera dell'evangelista. In questa linea: Dibelius, Die Formgeschichte des Evangeliums, Tii­ bingen 1966 �, p. 2 1 1 ; F. Hahn, Die altestamentlichen motive in der urchristlichen Ahendmahlsu­ berlie/erung, Ev.Th. 27 ( 1 967) , p. 357; E. Schweizer, Das Herrenmahl im N. T. , in Neotestamen­ tù:a. Deutsche und englische Au/siitze 1951 .. 1963, Zi.irich/Stuttgart 1963 , p. 358; E. Haenchen, Der Weg ]esu, cit., p. 481 . .

Il vangelo di Luca role escatologiche difficilmente· avrebbero potuto essere pronunciate

su 'tlll calice già eucaristizzato 98• Secondo P. Benoit 99, per l'evangelista che ignora il rituale della cena pasqua­ le giudaica, il calice del v. 17 è identico a quello eucaristico del v. 20: Gesù pro­ nunciò successivamente le due parole sul medesimo calice, e cioè sul terzo. È più probabile, tuttavia, che Luca abbia in mente due diversi calici della ce­ na, e questo indipendentemente dalla questione se egli conoscesse o (meglio) non conoscesse il rituale della cena pasquale giudaica. Insomma, Luca considera i w. 15-20 lo svolgimento di un pasto, e soltanto l'ultimo calice (v. 20) è quello eucari­ stico 100 • Sempre secondo P. Benoit 101 , Luca avrebbe composto i vv. 15-18 come cena pasquale giudaica per opporla al rito nuovo dell'Eucaristia (vv. 19-20) : l'Eu­ caristia sostituisce l'antico rito giudaico. È meglio, tuttavia, supporre che Luca veda i vv. 15-20 come un insieme (e non come due parti in contrasto), e che i vv. 15-18 abbiano principalmente la fun­ zione di porre l'istituzione dell'Eucaristia nel contesto pasquale.

3 . QUESTIONI DI STORIA

La cena pasquale giudaica TI mangiare un pasto, in Israele, non si limitava all'atto di sfamarsi, ma aveva anche una dimensione religiosa e sociale. In particolare, il pranzo di festa seguiva un vero e proprio rituale con la frazione del pane, i vari calici di vino e le benedi­ zioni (beraka) recitate sugli alimenti. Il pasto era creatore di comunione (rompere il pane e distribuirlo ai presen­ ti) e memoria della bontà di JHWH. Più che frutto del lavoro dell'uomo, il cibo era visto come dono di Dio all'uomo, in particolare come segno della fedeltà di JHWH alle sue promesse, soprattutto in relazione alla terra ricevuta, di cui ora, nel pasto, il giudeo godeva il frutto. n pranzo di festa era rallegrato con il vino, se­ gno di gioia e di amicizia. Quando il «calice di benedizione» (il terzo calice) veni­ va offerto agli invitati, essi erano associati alla benedizione su di esso pronunciata. Il pasto solenne era particolarmente suggestivo e ritualizzato in occasione della Pasqua. La celebrazione voleva fare rivivere a ogni Israelita l'intervento salvi­ fico di JHWH nella notte della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto. «Non i no­ stri padri soltanto redense il Santo, ma anche noi redense con essi, siccome è det­ to: E ci fece uscire di là, per farci venire e dare a noi la terra che aveva giurato ai nostri padri>> (Pesahim 10, 5 ) . Pasqua finì per essere il memoriale di tutta l'opera salvifica, passata e futura, di JHWH a favore del popolo eletto.

c() in

98 La collocazione di Mc 14, 25 alla fine dell'Eucaristia può riflettere un intento pareneti­ uso nella liturgia: la recezione del Corpo di Cristo apre alla speranza escatologica. 99 ln Exégèse et Théologie, I, cit., pp. 191s. 100 Così H. Schiirmann , in Traditionsgeschichtliche Untersuchungen , cit., p. 188, nota ...

184.

101

Op. cit. , p. 192.

La via verso l'introniu.azione celeste: Le 22 - 24

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Preliminari del rito della cena pasquale giudaica 102 D 10 Nisan, veniva comprato l'agnello (Es 12, 3 ) . A partire dalla sera del 14 Nisan, si bruciava ogni resto di pane lievitato e

tutto il lievito che si trovava nella casa. Nel pomeriggio seguente (sempre del 14 Nisan), gli agnelli erano immolati nel tempio dal padre di famiglia o dal suo rappresentante, tra le ore 15 e le 17 103 ; il sangue era versato sull'altare dal sacerdote. Poi, l'agnello veniva arrostito in casa, stando attenti a non spezzargli alcun osso. La cena pasquale giudaica

Si consumava al calar della sera (apparizione delle prime stelle), all 'inizio dd 15 Nisan, e doveva concludersi a mezzanotte. Vi partecipava un numero di perso­ ne sufficiente a mangiare l'agnello senza lasciare resti (circa 12-15 persone). n pranzo si svolgeva in posizione reclinata, secondo l'uso greco-romano 104: sdraiati su una kline (divano), il gomito sinistro poggiato su un cuscino, la mano destra li­ bera per mangiare. - Si riempiva e beveva un primo calice di vino. n padre di famiglia recitava la benedizione: «Benedetto sei tu, Signore Dio nostro, Re del mondo, che dai a Israele questa festa per la gioia e il ricordo. Sii benedetto, Signore, che santifichi Israele e la festa». Venivano poi portate erbe (lattuga) amare, pane non lievitato (massot), purè di frutta in aceto (baroset) , l'agnello; si riempiva il secondo calice di vino. - Quando tutto era pronto, iniziava la haggada pasquale. n figlio più giovane (o un bambino) poneva la domanda rituale: «In che cosa differisce questa notte da tutte le notti?». n capofamiglia rispondeva con le parole di Dt 26, 5-8. Questo me­ moriale (zikkaron) terminava con la prima parte dello Halld ( = Sa/ 1 13 - 1 18) 105 • Si beveva il secondo calice di vino. - Il pranzo vero e proprio cominciava con la frazione dd pane e la benedi­ zione. I pezzi erano distribuiti ai convitati (il pane serviva anche da posata per at­ tingere nel piatto). Si mangiava l'agnello e altri cibi e si beveva a volontà. - Alla fine del pasto, si riempiva un terzo calice di vino sul quale veniva pro­ nunciata una benedizione, sollevando il calice una spanna sopra la tavola (il calice era chiamato «calice di benedizione»: cf. 1 Cor 10, 16). - Il tutto si concludeva con il quarto calice di vino e la recita dei rimanenti salmi dell'Hallel (Sa/ 1 14- 1 18 o 1 15 - 1 18). 102 Le informazioni provengono dall'AT (Es 12; Dt 16) e dal trattato Pesahim della Mish­ che risale al II sec. d. C., ma contiene ricordi antichi. 1 03 Il grande numero di agnelli da immolare non permetteva più l'osservanza di Es 12, 6 (uccisione al calare della sera). 104 Non più come prescriveva Es 12, 1 1 : in piedi, col bastone in mano. 105 Chiamato Hallel, perché i Salmi iniziano con un Alleluia. La prima parte comportava Sa/ 113 secondo l'uso degli Shammaiti; Sa/ 1 13 - 1 14 secondo la tradizione degli Hilleliti. na

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Gesù ha celebrato l'ultima cena secondo il rito della Pasqua giudaica, dando un significato nuovo alla frazione del pane all'inizio del pranzo e al terzo calice al­ la fine? L'ultima cena: una cena pasquale? La domanda, a prima vista, appare superflua. Non è esplicitamente afferma· to in Mc 14, 1 . 12. 14.16? Non c'è dubbio che per la tradizione sinottica Gesù ab­ bia : Gesù avrebbe fatto un digiuno totale come segno di in­ tercessione a favore di Israele colpevole 12 5 • n banchetto, probabilmente, ha avuto più il significato di «comunione di tavola>> che di astinenza, presa sotto il segno della speranza e non della penitenza. La parola profetica afferma quindi piuttosto che Gesù mangia per l'ultima volta questa Pasqua con i discepoli, non che egli ri­ nuncia a mangiare (E. Schweizer). Il suo pensiero si innalza verso il compimento finale che avverrà nella (o mediante la) venuta del Regno 126: allora la Pasqua attua­ le troverà la sua piena realizzazione come liberazione e alleanza definitiva. La parola possiede diversi tratti che possono risalire a Gesù: - la coscienza della sua morte imminente; - la certezza di non rimanere nella morte; - la fedeltà al suo messaggio sulla venuta del Regno di Dio, nonostante l' ombra della morte (nella Chiesa, l'attesa nel contesto del banchetto eucaristico rice­ verà un orientamento cristologico: la Parusia, cf. l Cor 1 1 , 26) ; - l'immagine del Regno come banchetto di festa (cf. Le 13, 29). n loghion, d'altra parte, ha caratteristiche lucane: - il motivo del compimento (cf. Le 4, 2 1 ; 9, 3 1 ; 24, 44; At l, 16; 3, 18); - l'interpretazione tipologica dell' AT: la Pasqua giudaica, sostituita dall 'Eucaristia, prefigura e annuncia il banchetto escatologico nel Regno di Dio 12 7• La parola profeti ca del v. 16 potrebbe essere costruita dall'evangelista sul modello del loghion autentico del v. 1 8 128• 22, 17. D secondo loghion (v. 18) è introdotto con una frase che ricorda da vicino Mc 14, 22b-23 ; vi ritroviamo i termini: kai introduttivo, «calice» senza articolo (in

12' J. Jeremias, op. cit. , pp. 247ss. L'esegeta si basa sulla doppia negazione ou me present� nelle formule di giuramento; e vede sottinteso nel verbo phago («mangiare» al cong. aor. 2) un impf. aramaico a senso imperativo con sfumatura volitiva (nel parlare galileano): «Vi affermo. ormai non voglio più mangiare ... ». Questi argomenti sono deboli: ou me si legge anche in frasi non di giuramento (vedi una costruzione simile a Le 22, 16 in Mc 9, 1), e l'impf. aramaico può anche avere una sfumatura di possibilità (J. Schlosser, Le Règne de Dieu dans les dits de ]ésus, I, cit., p. 390). Non era neanche compreso come voto d'astinenza dall 'evangelista, come rivela l'espres­ sione apo tou nyn («d'ora in poi») del versetto seguente che si riferisce a ciò che sta per accade­ re successivamente al momento in cui si parla e quindi non include ciò che succede in quel pre­ ciso momento (Marshall, op. cit. , p. 798). ]. Jeremias d'altronde, dopo la 2• edizione della sua opera sull'ultima cena, ha rinunciatC' all a formula «voto di astinenza» per una espressione più sfumata: «dichiarazione di astinenza• (vedi La Demière Cène. . . , cit., p. 247 nota 20). 126 La prep. en può anche avere il senso strumentale. 127 A. George, Etudes sur l'oeuvre de Luc, cit., pp. 289.293 . 128 Il vocabolario non permette di attribuire il detto con sicurezza a una fonte preluc... (come pensa J. Jeremias, Die Sprache. . . , cit., p. 286), né alla pura redazione lucana (vedi }. Sch ­ losser, op. cit. , pp. 376s).

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contrasto con Le 22, 20; l Cor 1 1 , 25 ), il ptc. «rese grazie (euchanstesas), -il verbo eipen («disse») e «prendete», il pron. «questo». Di qui la domanda: siamo in pre­ senza di una costruzione lucana fatta a partire da Marco, o di una formulazione stereotipa prelucana influenzata dal linguaggio del pasto giudaico, o di quello pro­ prio del culto cristiano? È difficile pronunciarsi 129• Gesù riceve il calice dalle mani di un altro e compie l'azione di grazie secon­ do l'uso giudaico di lodare Dio per i doni ricevuti. l Tm 4, 4-5 lo spiega: «Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera». ll verbo eucharistein all'assoluto («rendere grazie»), che si legge anche in Mc 14, 23 ; Mt 15, 36; 26, 27; l Cor 1 1 , 24, appartiene al linguaggio cultuale della Chiesa no, e ha dato origine alla parola eucaristia. Normalmente, il capofamiglia beve per primo, imitato poi dai presenti che bevono ognuno dal proprio calice. TI testo non permette di dire se Gesù abbia o no bevuto da questo calice, ma egli ha compiuto un gesto significativo facendo circolare il suo calice di vino fra i discepoli: essi sono resi partecipi del dono di be­ nedizione, di salvezza escatologica nel Regno di Dio, come indica la parola che se­ gue 13 1 • Per Luca, è anche un invito alla comunione fra i credenti significata dall'Eucaristia. 22 , 18. Questo detto profetico merita un'attenzione particolare. Il parallelo Mc 14, 25 mostra che ci troviamo dinanzi al nucleo originale di Le 22 , 14-18, dinanzi a un loghion autentico di Gesù pronunciato durante l'ultima cena, o perlomeno duran­ te uno degli ultimi pasti del Maestro con i suoi discepoli.

Le 22, 18

Mc 14, 25

Perché vi dico d'ora in poi (apo tou nyn) non berrò più (ou me) dal (apo) frutto della vite fino (al tempo) che non sia venuto il Regno di Dio.

Amen vi dico non berrò mai più (ouketi ou me) del (ek) frutto della vite fino a quel giorno quando lo berrò nuovo nel Regno di Dio.

129 H . Schiinnann e J. Jeremias optano per un testo prelucano influenzato dalla pratica eucaristica della Chiesa. ]. Schlosser (op. cit. , p. 380) conclude la sua analisi del versetto dicendo che non esistono indizi positivi che permetterebbero di considerare il v.17 prelucano. Infatti anche i termini pro­ pri del versetto, come il verbo dechesthai («ricevere») , potrebbero essere redazionali, come lo è senz'altro il verbo diamecrizein nel senso di «spartire», «distribuire» (cf. At 2, 45). Insomma, l'interpretazione del testo è bloccata nell'incertezza: una tradizione arcaica o un lavoro redazionale di Luca? 130 Altrove, il verbo è seguito dal dativo: Le 17, 16; 18, 1 1 ; At 27, 35; 28, 15; Gv 1 1 , 4 1 ecc. n t H. Schiinnann , Comment ]ésus a t-il vécu sa mort?, cit., pp. 95ss. -

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n paragone indica che nella prima parte il loghion differisce per vocàbolario e per stile; nella seconda parte, anche per contenuto: in Mc, l'attenzione si porta sul banchetto escatologico come simbolo della salvezza nel Regno di Dio. In Le,

l'accento è posto sulla venuta del Regno di Dio, più che sul futuro banchetto. Spesso, Mc 14, 25 1 3 2 viene giudicato più arcaico, e Le 22, 18 è visto come una riformulazione lucana di Mc 14, 25 . Ma non è da escludere il contrario: la se­ conda parte di Le 22 , 18 è forse più originale: la soluzione migliore sta nel consi­ derare il testo di Mc e di Le due versioni, indipendenti l'una dall'altra, di un me­ desimo loghion aramaico primitivo? 03• Gesù si congeda dai suoi con una dichiarazione solenne: egli annuncia la sua morte come iÌn minente, tuttavia non si sofferma sull'angoscia dinanzi al futuro pa­ tire, ma parla del Regno di Dio, del banchetto escatologico. Quindi, la prospettiva della morte non ha distrutto la sua convinzione sulla venuta del Regno di Dio; egli non si sente fall ito. Gesù manifesta la certezza di non rimanere nello sheol. Dio in­ terverrà in suo favore. Come? Non lo dice; e quest'imprecisione è un solido argomento per l'origi­ ne prepasquale del loghion. L'iniziativa rimane interamente nelle mani di Dio: un

132 Visto il parallelismo meglio conservato in Mc 14, 25b (in relazione a Le 22, 16b), e considerata l'abitudine di Gesù di usare immagini concrete come quella del mangiare e del bere nel Regno, (Luca in confronto appare scialbo: «fino a che non sia venuto il Regno di Dio»). m E la conclusione di J. Schlosser, che ha riesaminato la questione della priorità (op. cit. , pp. 373-4 17). Troviamo infatti nel versetto tracce di redazione lucana assieme ad elementi non lucani eppure diversi da Mc 14, 25 . Apo tou nyn («d'ora in poi») è lucano e sostituisce la serie di negazioni in Mc: ouketi ou mé (stile barbaro ma che non ripugna a Luca: cf. Le 10, 19). L'espressione «bere dal/del frutto della vite» è semitica e nella formula >: - per conformità alla situazione dell'ultima cena: Giuda ha già tradito; - perché la promessa di ricompensa riguarda i discepoli in generale, non solo i Dodici. 239 ]esu Abschiedsrede, cit., pp. 21 -35; Le Récit de la Dernière Cène, cit., pp. 5 1 -56.80-83 . 240 Manson op. cit., p. 339; V. Taylor, The Passion Na"ative o/ St. Luke, cit., pp. 65s.

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Luèa ha aggiunto solo il v. 34 proveniente da Marco. Lo confermerebbe il dato

linguistico: 8 parole su 15 sono comuni tra il v. 34 e Mc 14, 29-30, mentre il v. 33 ha unicamente 3 parole molto secondarie in comune con il parallelo di Mc. Inol­ tre, il v. 33 (-34) ha un suo corrispondente in Gv 13 , 37 (-38): anche fi, la scena è si­ tuata nel discorso di addio, e non sulla via verso il monte degli Ulivi: di qui la pos­ sibilità che esistesse una tradizione (orale?) indipendente da quella di Marco, se­ guita da Luca 241 • Ma c'è anche un'ulteriore possibilità: l'insieme dei w. 3 1-34 proviene da una fonte propria, e niente proviene da Marco 242 • Comunque sia, non mancano indizi confermanti che «elementi di varia pn>­ venienza sono stati legati insieme» 243 • A favore dell'unità dei vv. 3 1 -33 si potrebbe aggiungere che essi sono co­ struiti sullo sfondo dell' AT. ll v. 3 1 si ispira indubbiamente al libro di Giobbe, do­ ve Satana è presentato come l'accusatore degli uomini dinanzi a Dio ( Gb l , 6-12; 2, 1 -6). Anche nel testo di Luca, Satana riceve da Dio il permesso di provare i di­ scepoli. Ma l'agire di Satana non porterà al fallim ento totale, alla crisi di fede defi­ nitiva, perché limitato dalla preghiera di Gesù e dal rinvigorimento che lo stesso Pietro infonderà nei fratelli. Si nota poi l'influenza di 2 Sam 15, 20-2 1 ( = 2 Re 15, 20-2 1 : LXX) sui vv. 32-33 244•

In quale contesto originale situare il loghion dei w. 3 1 -32? n dettò ·p'resup­ pone una situazione che ha luogo quando ormai Gesù non vive più e Pietro, in qualche modo, prende il suo posto 245 ; una situazione, d'altra parte, che mette in pericolo la fede dei discepoli. Per E. Linnemann, questa situazione non è da riferirsi alla passione di Gesù, ma al tempo della Chiesa. Le 22, 3 1 -32 è una parola profetica della Chiesa primiti­ va pronunciata nel nome del Risorto, per preparare la comunità a ;superare una prova speciale, forse una persecuzione 246• Rimane tuttavia più probabile che la prova da superare da parte dei discepo­ li sia quella della passione: lo scandalo della croce. TI detto mette in luce il ruolo 241 Altri contatti tra Le e Gv: - Gesù è chiamato «Signore» da Pietro; - prontezza di Pietro a dare la vita; il gallo canta una sola volta (anche in Mt). Non si può parlare di dipendenza letteraria diretta (H. Klein, Die lukanisch-johanneische Passionstradition, in ZNW 67 [1976] , p. 172; Soards, The Passion according to Luke, cit., p. 37). 242 Così K. H. Rengstorf, op. cit. , p. 248; A. Plummer, op. cit. , p. 503 . 243 J. Ernst, op. cit. , p. 598. Per es., il passaggio dal vocativo «Simone» alla 2a pers. pl., poi alla 2a pers. sg. (vv. 3 1 -32); il cambiamento di nome: Simone (v. 3 1 ), Pietro (v. 34). 244 Parola di Davide a lttai: «Torna indietro e invita i tuoi fratelli a ritornare (epistrepson tous adelphous). Risposta di lttai: «... dovunque sarà il mio signore, per morire o per vivere, là sarà anche il tuo servo». 24' Vedi H. Schiirmann, Le Récit de la Dernière Cène, cit., p. 52. 246 Studien zur Passionsgeschichte, cit., pp. 70ss. Non corrisponde alla passione: l'azione di Satana rivolta solo contro i discepoli, non con­ tro Gesù; Pietro ha un ruolo di guida nella Chiesa (posizione adeguata col tempo postpasquale); anche la posizione di Gesù corrisponde a quella del Risorto (pp. 74s). -

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determinante di Pietro: è il primo ad avere un'apparizione del Risorto all'origine del suo «ritorno» (Le 24, 34) e punto di partenza della fede pasquale degli Undici. Le 22, 3 1 -32 è una testimonianza interessante sul ruolo svolto da Pietro nel racco­ gliere i discepoli di Gesù dalla loro dispersione. «La salda fede pasquale della co­ munità riposa, secondo Le 24, 34, sulla testimonianza di Simone, dal quale il Ri­ sorto si è fatto vedere. Con questa informazione, Luca si trova vicino alla formula di confessione di 1 Cor 1 5 , 3b-5 , probabilmente la più antica testimonianza sull'inizio della fede pasquale» 247 • Termini come «fede», «fratelli», rivelano non solo un linguaggio postpasqua­ le, ma ecclesiale; e rendono quindi possibile la lettura parenetica di questi versetti, messa in rilievo da H. Schiirmann 248• Se, come afferma l'esegeta, il pasto comuni­ tario (l'Eucaristia) era il luogo normale dell'esortazione apostolica rivolta ai cre­ denti, è chiaro che la funzione di Pietro si estende a tutti i responsabili della co­ munità che dovranno fortificare la fede dei presenti: il pericolo, per la fede cristia­ na, non consiste forse nella tentazione di rifiutare e di misconoscere la passione di Gesù come legge della propria vita? 249• I vv. 3 3-34 appaiono allora un complemento indispensabile: un invito a chi ha la funzione di corroborare i fratelli a ricordarsi della propria fragilità; si è in grado di assolvere a questa funzione grazie all'intercessione di Cristo. Un insegna­ mento che riecheggia altrove nel NT: 1 Cor 10, 12; Gal 6, l ; Gc 3 , 1s L'insieme ci permette anche di intravedere come Luca situi Pietro e i disce­ poli in relazione �a passione. Anche se omette di parlare della defezione dei di­ scepoli (Mc 14, 27 ) e della fuga (Mc 14, 50), rivela nondimeno che la loro fede era crollata (cf. Le 24, 2 1 ) . Pure la fede di Pietro vacilla: a livello redazionale, l'espres­ sione «quando sarai ritornato» allude alla sua «conversione» e prepara l'annuncio del rinnegamento (v. 34) raccontato in seguito nei vv. 54b-62. Per l'evangelista, tuttavia, conformemente alla preghiera di Gesù, Pietro non ha perso del tutto la fede: lui solo segue Gesù (Le 22, 54), si pente fortemente della propria debolezza (v. 62) , corre da solo al sepolcro vuoto (Le 24, 12) 2'0 • .

Un problema a parte costituisce il ptc. epistrepsas (v. 32), tradotto «ritorna­ to»: la sua interpretazione chiarisce se il detto originale comportava o meno un'al­ lusione al rinnegamento di Pietro (e quindi era legato o no alla passione) . Per molti esegeti, infatti, una tale allusione mancava, sia che il ptc. venga considerato un'aggiunta redazionale di Luca 2n , sia che venga compreso come un semitismo 252• I LXX si servono infatti del verbo epistrephein per tradurre l'ebraico wayashob («di nuovo») . In questo caso si può leggere: 247 G. Schneider, Lukas Theologe der Heilsgeschichte, cit., p. 149; anche A. George, cit. , pp. 390s.407s. 248 Le Récit de la Dernière Cène, cit., pp. 52ss. 249 Ibid. , p. 53. 250 G. Schneider, Lukas Theologe tkr Heilsgeschichte, cit., pp. 148s. 251 R. Bultmann, op. cit. , p. 288.

op.

52 Se si tratta di un semitismo, risale forse all'ambiente aramaico-palestinese; indicazioni 2 in tale senso: - il nome «Simone»; la metafora del vagliare il grano (A. George, op. cit. , p. 408). -

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; «di nùmWd&trobora i tuoi fratelli»: Pietro ha già dovuto farlo· prime, du­ rante il ministero di Gesù? - «corrobora i tuoi fratelli ogni volta (che essi sono provati)» 25 � . - J. Jeremias vede il semitismo nel valore del ptc. come forma verbale ahundans (ptc. grafico), da rendere: «rivolgendoti a corroborare i tuoi fratelli>> 254• Nel significato greco, il verbo epistrephein può avere: - senso transitivo e figurato: «avendo riportato i tuoi fratelli, rinsaldali>>; - senso intransitivo e spaziale: «una volta ritornato (a casa tua, o a Gerusalemme) ... »; - senso intransitivo e religioso: «una volta convertito... »; - senso intransitivo e religioso, ma conservando il linguaggio metaforico: «una volta ritornato (a me) . » 255, Quest'ultima traduzione è da preferire, almeno a livello redazionale 256• ·

· -

..

22, 3 1 . La parola di Gesù è introdotta senza pausa nel discorso 257 , con la ripetizio­ ne del nome: «Simone, Simone» 258, che dà il tono al loghion : è al tempo stesso predizione, rivelazione, avvertimento e conferimento di un incarico. Dall'inizio della passione, Satana ritorna esplicitamente in scena: entra nd cuore di Giuda (Le 22, 3 ), e adesso ha la funzione di provare i discepoli. La rappresentazione è miti ca ( Gb): dialogo di Satana con Dio per ottenere il permesso di indurre l'uomo alla caduta; permesso ottenuto (come indica l' aor. del verbo «reclamare»), e successo garantito se non vi fosse l'intervento di Gesù. Per­ ché Gesù prega solo per Pietro? La domanda è fuori posto; il detto infatti non vuole informare su mosse ultraterrene tra Satana, Dio e Gesù, ma a partire da un dato storico, fare una riflessione di fede sul posto preminente di Pietro fra gli Un-

253 Secondo B. Prete, il semitismo indica la ripetizione di un'azione. Quindi, «come ha già fatto Gesù sostenendo la fede dei discepoli, (Pietro) deve rinsaldare la fede dei fratelli quando que­ sta è provata» (L'Opera di Luca. Contenuti e prospettive, ed. LDC, Torino 1986, p. 99, nota 42). 254]. Jeremias, Die Sprache . , cit., p. 291 . 255 A . George, op. cit. , p. 358, nota l . 2S6 D verbo con senso intransitivo è dello stile di Luca: ancora Le 17, 4 e 8 volte negli At; è aente negli altri sinottici, trarme nella citazione dei LXX in Mc 4, 12 e parall. (Bultmann, op. àt. , p. 288). D verbo fa parte del linguaggio missionario: At 3, 19; 9, 35; 1 1 , 21 ... ; l Ts l , 9; 2 Cor 3, 16. 257 Secondo alcuni mss. importanti come p75, Codex Vaticanus, ecc. Ma la formula intro­ duttiva: «ora il Signore disse» è comunque largamente attestata (codici Alessandrino, SinaiticuJ. famiglia della Koinè, ecc.). Prevale generalmente il criterio: lectio brevior potior. 258 La doppia chiamata potrebbe essere di Luca (cf. Le 8, 24; 1 0, 4 1 ; 1 3 , 14; At 9, 4), an­ che se il nome Simone è da attribuire alla fonte: da quando Gesù ha dato all 'apostolo il nome di Pietro (Le 6, 14), Luca non l'ha più chiamato Simone. Redazionale : tou + inf.; forse tdou («ecco»): serve a mettere in azione, o a porre l'atten­ zione su quanto segue. Exaiteisthai («reclamare», «rivendicare») e siniazein («Vagliare»): hapax nel NT. ll primo verbo si legge ancora in T. Benj 3 , 3 (ma in una tradizione manoscritta ritoccata da mano cristia­ na: la lezione deriva da Le 22, 3 1 ; vedi Apocrifi dell'A. T., I, a cura di P. Sacchi, UTET, Torino 1 98 1 , p. 9 1 1 nota). Siniazein non esiste nel greco classico; il verbo normale per vagliare è séthein. d. Tre­ smontant (op. cit., p. 623) pensa a una deformazione di sinomai: «>; il sen­ so può essere diverso e indicare la rapidità con la quale Pietro cade nel rinnegamen­ 2 to: un fatto talmente rapido che il gallo non ha il tempo di cantare due volte 67• Rispetto a Mc, Luca attenua la gravità del tradimento dell'apostolo: quest'ul-

263 Hetoimos («pronto»): d. At 23 , 15; Kyn"e!; phylake («prigione»); il verbo poreuesthai nell 'espressione «andare alla morte» al posto di synapothanein («morire con») di Mc 14, 3 1 . Invece l'iniziale ho de eipen auto(z) («ora egli disse a lui») non è lucano: Luca evita rego­ larmente la formula quando la legge in Mc ( 1 1 volte su 12); inoltre, non scrive mai negli At: ho de eipen + dat. Q". Jeremias, Die Sprache , cit., p. 1 7 1 ) . 2 64 E . Linnemann , Studien zur Passionsgeschichte, cit., pp. 93 ss 2l6 Egli tralascia il solenne amen; aggiunge il vocativo Pietro (solo Luca usa questo vocati­ vo nel NT: At lO, 1 3 ; 1 1 , 7); preferisce la prep. heos (come Gv 13, 38) alla congiunzione prin («prima>>). 2 66 Alektorophonia (gallicinium): cf. Mc 13, 35. 267 ] . A. Fitzmyer, op. cit. , p. 1426. ...

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timo nega di conoscere Gesù. L'evangelista usa il verbo rinnegare in senso assoluto per coloro che hanno rifiutato il Messia appendendolo sulla croce (At 3 , 13s), o per esprimere un rifiuto totale (Le 12, 9). La predizione di Gesù si avvererà alla lettera (cf. Le 22, 5 4 �60.61). Gesù annuncia un tempo di tribolazioni: Le 22, 35-38 n E disse loro: «Quando vi ho mandato senza borsa e bisaccia e sandali, vt è mancato forse qualcosa?». Essi dissero: «Niente». 36 Disse loro: «Ma adesso, chi ha una borsa la prenda, e così la bisaccia, e chi non ce l'ha venda il suo mantello e si compri una spada. 37 Poiché vi dico che ciò che è scritto deve compiersi in me: 11E fra iniqui (senza legge) è stato annoverato''. E in/atti quello che mi riguarda sta per aver fine». 38 Essi dissero: «Signore, ecco qui due spade!». Ma egli disse loro: «Basta!».

D discorso d'addio si conclude con l'aggiunta di un ultimo raggruppamento di loghia, in armonia con quanto precede: il tema della prova dei discepoli in rela� zione con la passione di Gesù; lo sguardo sulla vita trascorsa con Gesù (vv. 3 1 .35) e al tempo stesso l'apertura sul futuro, ma un futuro nero. L'insieme è sviluppato sotto forma di dialogo, anche se si tratta di una composizione costruita con l' acco� stamento di parole di diversa origine. - I vv. 35-36 costituiscono il nucleo primitivo. Sono contrapposti, sotto for­ ma di parallelismo antitetico, due tempi: a un periodo sereno che coincide col mi­ nistero di Gesù, segue un tempo di difficoltà; questo cambiamento esige, da parte degli apostoli, una svolta nel loro comportamento. - n v. 3 7 inizia con un «poiché» che soltanto indirettamente dà fondamento al cambiamento espresso nei vv. 35-36; la sua funzione è di legare il motivo della passione ai versetti precedenti. - n v. 38 si riaggancia al tema della spada (v. 36) e inserisce meglio l'insieme nel racconto della passione (cf. Le 22, 49-5 1). Siamo in presenza di materiale prelucano leggermente ritoccato da Luca 268• ll quadro è cupo e anche enigmatico. I vv. 35-36 appartenevano in origine al contesto della passione? Si parla di spada (v. 36) in senso letterale o metaforico? Qual è il significato primitivo del detto? n v. 3 5 soprattutto la menzione della borsa, della bisaccia e dei sandali rinvia al discorso d'invio in missione (Le 10, 4 ) 269, correggendo le istruzioni n da-

268 L'analisi dei versetti mostrerà la mano del redattore. Tuttavia, è degna di nota r assen­ di parole e di frasi caratteristiche di Luca, il che va a favore di una fonte prelucana (V. Tay­ lor, op. cit. , pp. 67s; H. Schiirmann, ]esu Abschiedsrede, cit., pp. 1 1 6ss ) . 269 Curiosamente, Gesù che parla ai Dodici rinvia alle istruzioni date ai Settanta ! Una pic­ cola svista dell'evangelista? È più probabile che l'accostamento sia voluto: un'apertura alle per­ secuzioni nel mondo pagano al tempo di Luca (Schmithals, op. cit., p. 2 1 3 ; Bartsch, ]esu Schwertwort. Lukas XXII 35-38. Ueberlie/erungsgeschichtliche Studie, in NTS 20 [ 1 974], pp. 196s). Secondo P. Hoffmann, Luca non attualizza subito i loghia sull 'invio in missione (come fa Mc), ma riferisce prima le regole passate, «storiche», poi la loro correzione (Studien zur Theolo­ gie der Logienquelle, cit., p. 244). za

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te. In questa ptospettiw Le 22, 3'5-36 appare cotne"lm'attualizzazione fatta nella Chiesa, per adattare l'insegnamento di Gesù a tempi e situazioni che cambiano. La missione fuori della Palestina crea problemi nuovi per gli evangelizzatori; non possono più contare sull 'ospitalità dei fratelli, soprattutto se si tratta di missionari che si avventurano in terre non ancora toccate dal Vangelo. Paolo ne è un esem­ pio: egli non manca di portare con sé denaro, qualora la situazione lo esiga (cf. Rm 15, 24) 270 • Per altri, Luca avrebbe in mente più precisamente le persecuzioni. TI tempo di Gesù era visto come un periodo ideale durante il quale i discepoli godevano della pace per la presenza del Signore; il tempo della Chiesa invece è caratterizza­ to come tempo di persecuzioni (Le 2 1 , 12-24) ; il libro degli Atti fornisce esempi a questo proposito. Gli apostoli devono tenersi pronti in vista di tale situazione 27 1 • È anche possibile generalizzare, come fa H. Conzelmann 272 , e ritenere che il simbolismo della spada riguardi la lotta cristiana quotidiana contro le insidie di Satana. In una prospettiva più soteriologica, G. Theissen 273 vede in questi versetti una reazione di Luca contro i carismatici itineranti del suo tempo, che continua­ vano a osservare regole ascetiche inadeguate. Il contenuto stesso della parola invita a collocarla nd ·contesto della passio­ ne, il che rende plausibile pure la sua autenticità. Anche altrove (Mc 2, 20), Gesù mette in relazione la sua morte con l'inizio di un tempo di tribolazione (calamità escatologiche) per i discepoli. Questo presuppone una comprensione metaforica della «spada», comprensione che si legge anche in Mt 10, 34. A favore dell'auten­ ticità dd detto conviene aggiungere l'assenza di allusioni alla risurrezione, di rife­ rimenti all'esperienza gioiosa dello Spirito e al successo missionario iniziale 274 • Si tratta quindi difficilmente di una creazione della comunità postpasquale, anche se la formulazione attuale (con la ripresa di Le 10, 4 ) suppone un lavoro letterario. L'inserimento del brano nel racconto della passione e l'aggiunta del v. 37 ac­ centuano la relazione con la passione, il rapporto tra il destino dei discepoli e quello del Maestro. I discepoli «nella prima missione (9, 1 -6. 10) erano gli apostoli di un maestro, per cui, specialmente Luca, sottolinea la buona accoglienza della sua attività (d. 4, 15; 5 , 25s; 7, 16). D'ora in poi saranno gli apostoli di colui che è trattato come un malfattore. . La sorte degli apostoli corrisponderà a quella del .

·270 E. Schweizer, op. cit. , pp. 2265. 271 A. George, op. cit. , p. 39. Xll Op. cit. , p. 74. zn Sociologia del cristianesimo primitivo, cit., pp. 93s. 274 M. Bastin, ]ésus devant sa Passion, cit., p. 156.

167.

·Poco convincente l'interpretazione letterale di «spada» (v. 36) fatta da H.-W. Bartsch

(art. cit. , pp. 190ss): all'approssimarsi della sua morte, Gesù invita i discepoli a prepararsi alla

guerra messianica della fme dei tempi. Gesù non pare aver invitato alla lotta, nello stile degli zeloti: non corrisponde né al suo insegnamento e comportamento (cf. Le 22, 49-5 1 ) , né a ciò che la tradizione ha potuto pensare di lui. Del tutto fantasioso è anche supporre che l'evangelista volesse giustificare il comporta­ mento di quei cristiani che durante la guerra giudaica non erano fuggiti a Pella, ma erano rima­ sti a Gerusalemme e si erano difesi con la spada (pp. 201s).

La via .verso l'intronizzazione celeste: Le 22 - 24

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{d. 2 1 , 12- 19) che non è caratterizzata dal combattimento ron la spada, ma dall'essere consegnato (. . . ) » 275 • La posizione di Le 22, 35-38 nd racconto della passione, e precisamente nel contesto dell'ultima cena, offre a H. Schiirmann una lettura in chiave pareneti­ ca 2 76 piuttosto sofisticata: i versetti rivelerebbero una preoccupazione della Chiesa formulata durante la celebrazione eucaristica: il diritto degli evangelizzatori ad es­ sere assistiti materialmente dai fratelli. maestro

L'ultimo versetto non di rado viene considerato un'aggiunta redazionale allo scopo di agganciare Le 22, 35-38 alla narrazione in corso; esso serve da passaggio al racconto dell'arresto di Gesù (vv. 49-5 1 ) . Prendendo alla lettera l'invito del Maestro (v. 36), la funzione letteraria dei discepoli è di porre il discorso, e quindi l'attenzione del lettore, sull 'imminente in­ troduzione della passione. La spada non simboleggia più il tempo delle difficoltà, ma l'arma utile per opporsi agli avversari. Due temi emergono: - l'incomprensione dei discepoli, sia che la risposta finale di Gesù - «Basta» - venga compresa in senso ironico (due spade sono senz'altro sufficienti per quanto mi aspetta ! ) , sia che venga intesa come espressione di grande delusione da par­ te di Gesù, che perciò tronca subito il discorso 277 ; - la netta presa di posizione contro l'uso della violenza: Gesù non è uno ze­ lota. La guarigione dell'orecchio del servo, che Luca solo riferisce (Le 22, 5 1 ), lo dimostrerà.

22, 35. Con la formula non lucana «e disse loro» m, viene introdotta la parte ron­ clusiva dd discorso di addio. Gesù ricorda agli Undici, ma secondo una terminolo­ gia rivolta ai Settanta (Le 10, 4 d. 9, 3 ), la loro missione prepasquale. Tale periodo è già guardato come tempo passato e viene idealizzato: avendo lasciato tutto, affi­ dandosi totalmente a Dio, essi sperimentano la legge del centuplo, la cura provvi­ denziale del Padre (cf. Le 12, 22ss), che essi riconoscono nell'aiuto e nell'ospitalità ricevuti da quelle persone che danno ascolto al messaggio evangelico 279• . .. 22, 36. «.Ma adesso» esprime una svolta radicale: i tempi sono cambiati. Questo nyn («ora») non caratterizza il presente come tempo di salvezza, secondo l'uso che

275 P. K. Stock, Il raccon to della passione nei.vangeli sinottid, I (ad uso degli studenti), Ed. Pontificio Istituto Biblico, Roma 1989, p. 93 . Secondo Bartsch (art. cit, p. 200), Luca si serve della citazione di Is 53, 12, inserita nel te­ sto, come predizione di quanto accadrà nella passione, e precisamente per dire che la crocifis­ sione tra due ladroni (che Luca identifica con portatori di spada, criminali: Le 23, 32; cf. At 2, 23 ) non solo è voluta da Dio, ma anche prevista da Gesù. 276 Le Récit de la Dernière Cène, cit. , pp. 62ss . m T. W. Manson, op. cit. , p. 34 1 ; V. Taylor, op. cii. , p. 67. 278 La mano di Luca si osserva nell'uso della prep. ater («senza»): ancora Le 22, 6 nel NT; e nella forma ellenistica outhenos (>. Ma Pietro dichiarò: «Uomo, non (lo) sono». 59 E trascorsa circa un'ora, un altro insisteva, dicendo: «Per davvero, an­ che questo era con lui: e, in/atti, è Galileo». 60 Ma Pietro disse: «Uomo, non so quello che dici». E sull'istante, mentre egli ancora parlava, un gallo cantò. 61 E il Signore, essendosi voltato, guardò Pietro, e Pietro si ricordò della parola del Signo­ re, come egli aveva detto: Prima che oggi un gallo cantt� mi rinnegherai tre volte. 62 E uscito fuori, pianse amaramente.

zo

ne

D'ora in poi il racconto di Luca si discosta notevolmente da Marco nell'ordi­ di successione degli eventi. Mentre in Mc troviamo la disposizione: interrogato­

rio notturno di Gesù - maltrattamenti - rinnegamento di Pietro; in Luca abbiamo rordine inverso: rinnegamento d.i Pietro - maltrattamenti - interrogatorio mattu� tino di Gesù; la seduta notturna del Sinedrio è spostata al mattino. Viene così sol­ levato il difficilissimo problema delle fonti: Luca segue una tradizione propria o rielabora il testo di Marco? La questione sarà esaminata in seguito. Osserviamo intanto che, essendo spostato l'interrogatorio dalla notte al mat� tino, l'ordine attuale nel terzo vangelo è coerente e può inoltre corrispondere al desiderio di rendere i fatti più plausibili. L'episodio del rinnegamento di Pietro si svolge sul finire della notte (il canto del gallo) e deve di conseguenza precedere il radunarsi mattutino dd Sinedrio. Così facendo, però, Luca rovina il ditticq mar­ ciano che contrappone professione messianica di Gesù (interrogatorio) e rinnega­ mento del discepolo. La nuova disposizione in Luca ha per effetto cambiamenti significativi:

per parlare dell'arresto di Gesù (Mc 14, 48; Gv 18, 12; At l , 16) . Luca se ne serve volentieri per indicare la cattura di un prigioniero (At 12, 3; 23, 27; 26, 2 1 ) (Plummer, op. cit. , p. 5 14); il verbo agein («condurre»: Mt: 4; Mc: 3 ; Le: 13; At: 26) e il composto eisagein (> in un attributo divino (ma diventa curioso il sedersi alla destra di un attributo ! ) , oppure vuole spiegare «Potenza» con il complemento «di Dio», creando un pleonasmo. 390 «Tutti» è peculiare di Luca. L'intero versetto è lucano: eipan de («ora dissero»); ho hyios tou theou («il Figlio di Dio») con doppio articolo; il verbo «dire>> con pros + ace. (J. Je� mias, Die Sprache . . , cit., pp. 299s). ­

.

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Il. vangelo di Luca

seduto alla destra di Dio, pretende di essere il re messianico incoronato, l'erede pro­ messo e atteso della casa di Davide e che è stato stabilito da Dio nella dignità e nel rapporto intimo di «figlio» (2 Sam 7, 14; Sa/ 2, 7). La domanda del Sinedrio è quindi concepibile in bocca a Giudei, visto che rimane sul piano delle pretese messianiche. Ma per Luca e i suoi lettori cristiani siamo arrivati al culmine della testimo­ nianza di Gesù. Il titolo di «Figlio di Dio» esprime la realtà più profonda e divina del Cristo, annunciata dall ' angelo a Maria (Le l , 35), ricevuta pienamente nella ri­ surrezione (vedi At 2, 30-36) e inclusa nella proclamazione dd Cristo fatta dagli apostoli (At 5 , 42; 9, 22; 17, 3 ; 18, 5.28). Se per i membri del Sinedrio la dichiara­ zione del v. 69 suggerisce una pretesa messianica terrena su Israele, per l'evangeli­ sta essa proclama la condizione celeste e perenne del Risorto. La risposta di Gesù, simile a Gv 18, 37 nella sua formulazione, potrebbe di nuovo essere evasiva: «Lo dite voi, non io! ». Ma il contesto (la reazione dell'udito­ rio nel v. 7 1 ) richiede una risposta positiva, nel senso: «lo lo sono, come voi dite», anche se essa include una riserva: l'incapacità dei presenti, per mancanza di fede, a capire correttamente tale realtà.

22, 7 1 . La conclusione dipende senza dubbio da Mc 1 4, 63 -64a 391• Significativa­ mente, al posto di : v. 26) e agein («condurre»: v. 32); da �ungere «seguire» (v. 27) come verbo di movimento. Vedi A. Biichele, op. cit. , pp. 44s. La mano del redattore è presente nella scelta di heteroi (« altri» duale, al posto di allot): Mt: 9; Mc: O; Gv: l ; Le: 32; At: 17; la formula de kai («e anche») è caratteristica di Luca e di Paolo; anairein («prendere su», «suppliziare»): Mt: l; Le: 2; At: 19 e 2 altre volte nel NT.

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Il vangelo di LuC4

Ritroviamo gli elementi principali dd racconto di Marco (Mc 15, 22-32.36): Ge­ sù crocifisso assieme a due briganti; le sue vesti, secondo l'uso, spartite fra i soldati preposti all'esecuzione; la scena degli scherni; il titulus della croce; l'offerta di aceto. Le differenze, tuttavia, sono importanti: l'ordine dei .fatti narrati è diverso tra Mc e Le. Inoltre, Luca omette: - il termine Golgota; - il gesto di offrire vino. mescolato con mirra, e il rifiuto di Gesù (Mc 15, 23 ): la bevanda serviva a stordire il condannato per alleviare la sua sofferenza 116; -.il riferimento all'ora della crocifissione (Mc 15, 25); - la ripresa della parola contro il tempio, negli scherni dei passanti (Mc 15, 25 ); - le parole dei sommi sacerdoti e degli scribi: > (v. 34a) dice che il discorso non è chiuso; inoltre, uno di loro, Giuseppe d' Arimatea, è detto buono e giusto (v. 50 ) 1 19• La solidarietà di Gesù con gli uomini è duplice: - Luca ricorda subito che Gesù è stato crocifisso con i malfattori (v. 33), an­ noverato fra i peccatori (cf. Is 53 , 12); da questa situazione, egli offre il perdono divino. Così facendo, Gesù non solo vive fino in fondo l'insegnamento sull'amore del nemico, ma realizza la missione di salvare ciò che è perduto. - Gesù resiste alla triplice tentazione proveniente dai capi, dai soldati e da uno dei malfattori, di salvare se stesso. L'aggancio è probabilmente con la triplice tentazione nel deserto (Le 4). Rinunciando all' autosalvezza, Gesù rimane solidale con l'uomo peccatore e aspetta da Dio solo l'intervento salvifico, vivendo di nuo­ vo il suo insegnamento: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi per­ derà la propria vita.. . la salverà» (Le 9, 24) . Pur attenuato rispetto al racconto di Mc, lo sfondo veterotestamentario della riflessione cristiana sulla morte di Gesù è sempre presente: in particolare Sa/ 22, 78. 19; 69, 2 2 . I salmi parlano della passio justi; la loro scelta mostra l'intento di inse­ rire la morte di Gesù nella corrente spirituale e teologica del Giusto sofferente 120• Luca sembra aver di mira in modo speciale il comportamento di Gesù come modello per il martire cristiano; Stefano ne darà l'esempio per primo. Gesù ri­ sponde ai carnefici col perdono , non maledicendo; egli resiste fino in fondo alla tentazione di cedere, di abdicare alla fede per salvare la propria vita: l'effetto è la conversione di molti. Anche se il racconto della crocifissione che leggiamo in Mc (e sul quale si basa Ic) è impregnato della riflessione sull'AT, e quindi dell'interesse cristologico più che di quello storico, la narrazione conserva ricordi indubbiamente storici: la crocifissio­ ne di Gesù insieme con due briganti, la spartizione delle sue vesti, gli schemi, il titu­ lus della croce ... Ma questi ricordi non sono mai stati messi insieme per costruire un resoconto esatto e imparziale dei fatti. Non c'è mai stato nella tradizione un reso­ conto primitivo interpretato successivamente dalla riflessione cristiana. Fin dall'ini­ zio, gli episodi sono stati scelti e formulati al fine di capire la Passione secondo i pia­ ni di Dio; altri motivi si aggiungeranno in seguito nella tradizione 121 • 23 , 3 3 . ll corteo arriva a destinazione: un luogo chiamato Cranio 122, forse per la fonna della collina, non perché vi fosse uno scarico di teschi (vietato dalle regole di purità). La localizzazione è incerta : vicino al lato settentrionale della città , dopo 119

Vedi Soeur Jeanne d'Are, Évangile de Luc, cit., p. 189 . Vedi G. Rossé, Il grido di Gesù in croce, Città Nuova, Roma 1984, pp. 63ss. 12 1 U na panoramica sulla questione in G. Ros sé, op. cit., pp. 37ss. 122 Come già con il sostantivo Getsemani, Luca evita il termine aramaico Gol ota (cf. Mc g 15, 22). Il ptc. kaloumenos («chiamato») per introdurre un nome proprio è tipico di Luca: Le: 1 1 ; At: 13 (nel NT, solo ancora tre volte in Ap) Q. Jeremias, Die Sprache... , cit., p. 53). Come Mt , egli preferisce il verbo erchesthai («arrivare>>, > come una volgare curiosità di gente che assiste a uno spettacolo (è improbabile). La locuzione (tipicamente lucana e paolina) de kai («ora» o «e anche») e il riferimento a Sa/ 2 1 , 8 (LXX) potrebbero portare alla conclusione che Luca in clu da anche il popolo negli scherni. Ma de kai si trova pure in proposizioni di contrasto (Blass, n. 442, l ); e Luca separa i due verbi coordinati in Sa/ 2 1 , 8) att ribuen do «guardare» al popolo, e «a rric ciare U naso» ai cap i (J. A. Fitzmyer op. cit. , p. 1504). Meno probabile un'influenza di Is 52, 14s o Zc 12, 10 (atteggiamento della folla dinanzi al condannato). n9 Il verbo ekmytkerizein, presente in Sal 21, 8 (LXX) si legge soltan to in Le 16, 14 e 2.3, 35 nel NT. L'impf. dà il sen so della ri petizione , della durata. 140 A. Biichcle op. cit. , p. 47. 141 C. F. Evans, op. cit. , p. 869. 142 «Messia di Dio» non si legge altrove nel NT, e soltanto una volta nella Bibbia greca (LXX) per Davide: 2 Sam 23, l . I LXX utilizzano più frequentemente «Cristo del Signore»: 1 Sam 24, 7 . 1 1 ; 26, 9.1 1 .16.23 ecc. 10 La forma verbale è diversa: ptc. pf. pass. in Le 9, 35; fonna aggettivata in Le 2.3 , 35. n titolo si legge ancora in alcuni manoscritti di Gv l , 34; può riferirsi al Servo di JHWH di Is 42, l; è frequente in l En. (39, 6; 40, 5 ecc.) come titolo del Figlio dell uomo Ci sono varianti nei manoscritti: il genitivo «di Dio» è posto con > 2'. Come in Mt e Gv, la pericope non è più la conclusione del racconto della Passione, ma è diventata il preludio alle apparizioni del Risorto narrate in seguito: la prima tappa per un approfondimento del mistero dell'evento pasquale. Chiaramente, l'evangelista si sforza di rendere meno appariscenti certe in­ coerenze di Mc. Egli evita la contraddizione dell'indicazione cronologica di Mc 16, 2, la riflessione delle donne su come rimuovere la pietra, il loro silenzio poco cre­ dibile. Più importanti sono i cambiamenti a favore della propria intenzione teologica. L'entrata delle donne nel sepolcro riceve significativamente un altro orienta­ mento. Mentre in Mc esse vedono per primo l'angelo che annuncia loro che la tomba è vuota, in Luca sono le donne a constatare l'assenza del corpo di Gesù, e 2 questa constatazione precede il messaggio dell'angelo 6• In Mc l'affermazione è es­ senzialmente teologica (kerigmatica): Dio rivela un evento inatteso: la risurrezione di Gesù, che non può essere frutto di una riflessione umana. In Le emerge una tendenza apologetica («confermare la fede» : 2Le l , 4): all 'accertamento della tom­ 7 ba vuota segue la spiegazione soprannaturale • L'intervento principale dell'evangelista sulla sua fonte si legge nel messaggio stesso dell'angelo. - L'annuncio riguarda meno il fatto della tomba vuota (Luca elimina «ecco il luogo dove l'avevano posto»: Mc 16, 6c) che non il Risorto stesso: egli è vivo. un

24 Op. cit. , p. 157 . È vero, tutti questi punti possono essere relativizzati, visto che mancano informazioni precise su questi eventi. Quando i discepoli fuggirono in Galilea? Quale fu la prima reazione dei Giudei dinanzi a una tradizione cristiana sulla tomba vuota? La presenza delle donne può spiegarsi per motivi letterari: la tradizione conosceva l'uso di visitare una tomba. L'indicazione cronologica può provenire dal culto, ecc. Così I. Broer (op. cit. , pp. 42ss) critica J. Kremer e conclude che non ci sono elementi sufficienti per poter arrivare a un nucleo storico. Conclusione, a mio avviso, a sua volta eccessiva: bisogna tener conto dell'arcaicità della tradizione, del fatto che la tomba era conosciuta, della menzione esatta del nome delle donne (in particolare, Maria Maddalena è presente in entrambe le tradizioni, sinottica e giovannea). 25 B. Rigaux, op. cit. , p. 205. 26 Luca parla di due uomini in vesti sfolgoranti, ma pensa ad angeli, come mostra Le 24, 23. 27 Vedi }. Delonne, op. cit. , pp. l l Os.

La via verso l'intronizzazione celeste: Le 22 - 24

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- Le donne non ricevono un messaggio da trasmettere ai discepoli, ma sono invitate a ricordarsi delle parole del Gesù prepasquale. L'insegnamento di Gesù sul proprio destino (le predizioni della passione-ri­ surrezione) e l'evento pasquale vengono collegati. «Per Luca, l'evento pasquale è principalmente punto di partenza per una comprensione più profonda dell'opera di Gesù, per una cristologia» 28 • Morte e risurrezione fanno parte dell'identità messianica di Gesù. Contrariamente a Mc, e con più verosimiglianza, le donne annunciano agli Un­ dici e agli altri «tutto questo» (v. 9). Ma il risUltato è lo stesso: le loro parole sono prese per chiacchiere e non credute. Anche per Luca, dunque, la fede nella risurre­ zione di Gesù non poggia né sulla testimonianza delle donne, né sulla realtà della tomba vuota. Quest'ultima apre un punto interrogativo; essa diventa segno soltanto «se illuminata dall' autotestimonianza dd Risorto rivelantesi agli apostoli» 29• Componendo il racconto, l'evangelista ha già in mente il seguito della sua opera e lo prepara. La funzione della Galilea come luogo delle future apparizioni del Risorto (Mc 16, 7) è passata sotto silenzio; la Galilea è unicamente la regione della predicazione prepasquale di Gesù. In Luca, i discepoli non si spostano; ri­ mangono a Gerusalemme e nei dintorni: Gerusalemme infatti è il luogo degli in­ contri con Gesù risorto. Il gruppo delle donne e dei discepoli non si riduce all'elenco dei testimoni del v. 10, né ai soli Undici (chiamati già «apostoli» nel v. 10), ma comprende «gli altri» (vv. 9 . l O): tutti coloro che troveremo radunati nella sala alta prima della Pentecoste (At l , 13ss) . Luca sta costituendo il nucleo iniziale della comunità cri­ stiana di Gerusalemme. 24, l . n racconto primitivo cominciava con una indicazione temporale presente nella tradizione sinottica e giovannea: «il primo giorno della settimana», cioè la domenica 30• La Chiesa apostolica ha l'abitudine di ancorare in questo modo la sua proclamazione agli eventi della storia (d. l Cor 1 1, 23 ) . Grammaticalmente, Luca lega la frase con la precedente (mediante men . . . de) e sottolinea il muoversi adesso delle donne, in contrasto con il loro riposo di saba­ to. È possibile che è abituale nell 'AT e nella letteratura giudaica (vedi J.-M. Guillaume, op. cit., p. 2 1 , nota 2 per i testi). n fatto che siano «due» uomini è spesso attribuito a un'intenzione particolare dell'evan­ gelista: per dare validità (giuridica) ad un messaggio sono necessari due testimoni (X. Léon­ Dufour, op. cit. , p. 209; Ph. Seidensticker, op. cit, p. 93) . Ma Luca ha ripreso il tema dei due messaggeri dalla tradizione (cf. Gv 20, 12; anche nell'AT: Dn 12, 5; Zc 4, 14; 2 Mac 3, 26 ecc.) e lo applica in modo quasi stereotipo nella sua opera: Le 9, 30; At 1 , 10. Anche i fenomeni di luce o di vesti sfolgoranti (vedi Le 2, 9; At 12, 7; 9, 3; 22, 6; 26, 13) accompagnano normalmente le manifestazioni soprannaturali nell'AT e nella letteratura giudai­ ca (soprattutto apocalittica). Per i termini della famiglia astrapte (