Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. L’autenticità delle parabole [Vol. 5] 9788839904867, 8839904867

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Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. L’autenticità delle parabole [Vol. 5]
 9788839904867, 8839904867

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John P. Meier

UN EBREO MARGINALE Ripensare il Gesù storico

5. L'autenticità delle parabole

QUERINIANA

In memoriam Francis T. Gignac Daniel]. Harrington David Johnson Jerome Murphy O'Connor l7'i'1:1 1:-JT::> 11:-JT' Ll'7::>1Zl�:1

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Titolo originale: John P. Meier, A Margina! ]ew. Rethinking the Historical ]esus. Volume V: Probing the Authenticity of the Parables

©

2016 by John

P. Meier

(Originally published by Yale University Press)

©

2017 by Editrice Queriniana, Brescia

via Ferri, 75 - 25123 Brescia Otalia/UE) tel. 030 2306925 -fax 030 2306932 e-mail: [email protected] Tutti i diritti sono riservati. È penante vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissio· ne, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. - Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate, nei limiti dell5% di ciascun volume, dietro pagamento alla SIAE del com· penso previsto dall'art. 68, commi 4·5, della Legge n. 633 del 22 aprile 1941. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazio· ne rilasciata da CLEARedi (www.clearedi.org).

ISBN 978-88-399-0486-7 Traduzione dall'inglese-americano di MARTA PESCATORI Edizione italiana a cura di FLAVIO DALLA VECCHIA

www.queriniana.it Stampato da Grafiche Artigianelli Srl- Brescia

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RINGRAZIAMENTI

Come ho fatto in ciascuno dei volumi precedenti, inizio i ringraziamen­ ti esprimendo la mia sincera riconoscenza ai chirurghi, ai dottori e agli altri medici che hanno fatto in modo che potessi continuare a lavorare a questo progetto nonostante vari interventi e altri problemi di salute. Sti­ mo profondamente la loro competenza e la loro compassione. Con uguale stima ringrazio i miei colleghi dell'Università di Notre Darne, da quelli del Dipartimento di Storia a quelli del Dipartimento di Economia e dei molti altri dipartimenti. Non smetterò mai di stupirmi di quanti esperti nei vari ambiti secolari siano profondamente interessati al mio lavoro. Esprimo un sentito ringraziamento per il loro sostegno entusiastico. Soprattutto, però, devo esprimere la mia gratitudine agli amici e ai col­ leghi del Dipartimento di Teologia, che hanno dimostrato una pazienza inesauribile di fronte ai miei continui appelli alla loro competenza. Sono particolarmente grato ai colleghi del programma di «Cristianesimo ed ebraismo nell'antichità», specialmente ai professori Gary Anderson, John C. Cavadini, Brian Daley, Mary Rose D'Angelo, John Fitzgerald, Blake Leyerle, Candida Moss, Michael (Tzvi) Novick, Eugene C. Ulrich, James C. VanderKarn e Abraharn (Avi) Winitzer, nonché a Gregory E. Sterling, ora decano della Yale Divinity School. Un apprezzamento particolare va al professar Robert E. Sullivan, vicepresidente associato dell'Università di Notre Dame, per la sua consulenza accademica e pratica. I miei attuali ed ex assistenti, soprattutto Michael Cover, Anthony Giambrone, Justin Buol e Joshua Noble, mi hanno aiutato e mi hanno consig liato in moltissimi modi. I ringraziamenti vanno anche all'operoso personale della Biblioteca Hesburg dell'Università di Notre Dame, in particolare ad Alan Krieger, che sovrintende con cura alle acquisizioni per il Dipartimento di Teologia. Parimenti, il mio grazie va al personale della biblioteca della Graduate Theological Union di Berkeley, California, dove abitualmente 'mi accampo' ogni estate. Durante le mie permanenze a Berkeley sono generosamente ospitato dai sacerdoti della Congregazione della Santa Croce nel loro Cen-

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Ringraziamenti

tro. Nel corso degli anni il direttore del Centro, il reverendo Harry Cronin, è diventato un amico sicuro e un ospite sul quale si può sempre contare. Un sentito ringraziamento deve essere rivolto anche a coloro che hanno soste­ nuto la mia ricerca in modi molto concreti, soprattutto economicamente. Tra questi il signor William K. Warren J r., la William K. Warren Family Foundation, della cui cattedra di teologia sono titolare a Notre Dame, e il signore e la signora Robert McQuie. ll sostegno del signor Warren, in parti­ colare, è andato ben oltre l'ambito finanziario. Più volte si è preoccupato di esprimere il suo supporto e il suo incoraggiamento personale al mio lavoro. Desidero anche rivolgere un sincero ringraziamento alla redazione della Anchor Yale Bible, specialmente al dottor John J. Collins, direttore edi­ toriale, che è un grande studioso e un buon amico. Ha offerto molti sug­ gerimenti validi quando questo volume ha cominciato ad assumere la sua forma finale. In particolare è stato lui a convincermi a sviluppare il tema delle parabole in un volume separato, invece di concludere la serie con un grande Quinto Volume, come auspicavo all'inizio. Per l'efficienza e la velocità nel condurre il manoscritto nella produzione alla Yale University Press sono grato soprattutto a Jennifer Banks e a Heather Gold. Un ringraziamento riconoscente va anche alle riviste e ai libri che hanno presentato per la prima volta in altri formati abbozzi preliminari di alcune posizioni esposte in questo volume. Fra questi: The Parable o/ the Wicked Tenants o/ the Vineyard; Is the Gospel o/ Thomas Independent o/ the Syn­ optics? , in CHR.W. SKINNER- K.R. IvERSON (edd.), Unity and Diversity in the Gospels and Pau!. Essays in Honor o/Frank Matera (Early Christianity and Its Literature 7), SBL, Atlanta/GA 2012, 129- 145 ; The Parable o/ the Wheat and the Weeds (Matthew 13:24-30): Is Thomas's Version (Logion 57) Independent? , in ]BL 1 3 1 (20 12) 7 15-732; Is Luke's Version o/the Parable o/ the Rich Fool Re/lected in the Coptic Gospel o/Thomas? , in CBQ 74 (20 12) 528-547. Nelle ultime fasi della composizione di questo volume sono stato invitato a presentare alcune delle mie idee sulle parabole in un simposio in onore di Joseph Ratzinger (papa emerito Benedetto XVI) tenutosi dal 24 al 26 ottobre 2013 presso l'Università Lateranense di Roma e nella Città del Vaticano sotto l'egida della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger ­ Benedetto XVI. La mia conferenza fu poi pubblicata negli atti del simposio con il titolo: The Historical Figure o/Jesus: The Historical ]esus and His Historical Parables, in B. EsTRADA et al. (edd. ) , The Gospels. History and Christology. The Search of]oseph Ratzinger-Benedict XVI, 2 voli., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 20 1 3 , vol. l, 237-260. Devo ringra­ ziare in modo particolare i tre curatori dei due volumi, Bernardo Estrada,

Ringraziamenti

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Ermenegildo Manicardi e Armand Puig i Tarrech, nonché i miei ospiti e i miei commensali alla Domus Sanctae Martae nella Città del Vaticano, dove ho alloggiato durante il simposio. Espressa tutta la mia riconoscenza, dovrei forse anche riconoscere - e anzi spiegare ai lettori nuovi a questa serie - la speciale natura di questo vo­ lume sulle parabole. C'è un'infinità di libri sulle parabole di Gesù, di cui la maggior parte offre, pericope per pericope, un'esegesi critica dettagliata e/o una spiegazione popolare di ciascuna parabola sinottica. Con gli innume­ revoli volumi di questo tipo, che vanno dai grandi del passato come Adolf Jiilicher, C.H. Dodd eJoachimJeremias, agli studiosi contemporanei come Arland Hultgren e Klyne Snodgrass, non serve ripetere semplicemente il loro lavoro con lievi variazioni. Lo scopo di questo volume è piuttosto diverso. Esso di proposito non offre un'esegesi di ciascuna singola parabola attribuita a Gesù nei vangeli sinottici. Come il titolo stesso indica, cerca piuttosto di verificare l'attendi­ bilità di tali parabole. In altri termini pone la domanda fondamentale che qualsiasi ricerca sul Gesù storico dovrebbe continuamente porsi. In parole semplici, la domanda è: un antico testo ci racconta che Gesù di Nazareth disse questo, o qualcosa di simile, negli anni Venti o Trenta del I secolo d.C., ma lo fece veramente? I primi quattro volumi di Un ebreo marginale hanno sottoposto molti tipi diversi di detti evangelici a una valutazione critica per vedere se fosse possibile giudicarli 'storici' (o 'autentici', cioè derivati dal Gesù storico). La denuncia, l'imputazione e il tema principale del Volume 5 consistono nell'affermare che troppo spesso le parabole hanno avuto libertà di circolazione. Non sono state sottoposte alla stessa accurata e se­ vera indagine e ai criteri di storicità perché 'tutti sanno' che per la maggior parte, se non tutte, le parabole provengono da Gesù. È questa supposizione fondamentale - che io definirei infondata - a essere soppesata e trovata carente in questo libro. Questo volume cerca dunque di identificare quelle parabole che possono validamente rivendicare la propria autenticità. Solo quelle parabole saranno spiegate nel dettaglio, poiché l'esegesi delle para­ bole giudicate non autentiche spetta ai commentari ai vangeli in sé, non alla ricerca sul Gesù storico.

INTRODUZIONE

AL

VOLUME 5

LE PARABOLE: COME SI INSERISCONO NELLA RICERCA SUL GESÙ STORICO?

l. La strategia complessiva di

Un ebreo marginale

Non c'è dubbio che i lettori fedeli, che hanno percorso con me la strada lunga e polverosa della ricerca sul Gesù storico, abbiano già da tempo colto la strategia basilare che regola l'ordine degli argomenti in questi volumi. In breve, la mia strategia imita l'approccio usato in tutte le trattative contro­ verse, dai contratti di lavoro agli accordi di pace nel Vicino Oriente: prima si affrontano le questioni più semplici, poi si trattano i problemi difficili. Un ebreo marginale si è quindi cimentato subito con la vasta quantità di materiale che godeva di ampia attestazione e di una grande varietà di forme letterarie e di contenuto religioso. Questo materiale è stato prontamente sottoposto al vaglio di vari criteri di storicità. Da lì abbiamo proceduto di volume in volume dedicandoci gradualmente a tematiche più difficili, per non dire recalcitranti1• li Volume l ha dunque esposto i principi fondamentali che guidano la ricerca e alcune osservazioni sull'ambiente sociale, culturale, economico e familiare di Gesù che potessero fornire un contesto storico generale per la ricerca. Il Volume 2 ha preso in considerazione tre 'grandi interrogativi': Giovanni il Battista quale contesto religioso immediato e mentore di Gesù, il messaggio escatologico di Gesù sul regno di Dio presente-eppure-futuro (che riflette ma, anche, che trasforma l'escatologia di Giovanni) e la 'rea­ lizzazione' della presenza del regno nel ministero di Gesù attraverso le sue

1 J.P. MEIER, A Margina! ]ew. Rethinking the Histon·cal ]esus (AYBRL), 5 voli., Yale University, New Haven/CT 1991, 1994, 2001, 2009, 2015 [ed. it., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (BTC), 4 voli., Queriniana, Brescia 20084,20124,20103,2009, 2017]. In questa introduzione, i riferimenti alla letteratura secondaria sono limitati al minimo, poiché i riferimenti completi alla letteratura attinente saranno forniti nelle note dei capitoli seguenti e in particolare nell'appendice a conclusione di questo volume.

lO

Introduzione al Volume 5

'azioni potenti' o 'segni profetici' (che chiamiamo miracoli). L'abbondanza di segni e racconti ricchi di varietà provenienti da molteplici fonti permette­ va l'uso di una gamma di criteri di storicità, producendo un profilo del Na­ zareno piuttosto attendibile, benché ancora grezzo. li Gesù che emergeva dal Volume 2 era fondamentalmente un profeta escatologico, che operava miracoli, che rifletteva le tradizioni e le speranze che circondavano il pro­ feta Elia. Non intendeva essere un ritratto completo né adeguato di Gesù, ma semplicemente un punto di partenza sicuro, fondamento e cornice per un'indagine futura. Il Volume 3 procedeva a riportare l'obiettivo della critica storica da que­ sto limitato fuoco iniziale al messaggio centrale e alle azioni di Gesù. Ciò è stato fatto per avere una visuale ad 'ampio raggio' dei principali gruppi ebraici con cui Gesù interagiva o con i quali era in netto contrasto. Da una parte c'erano i vari compagni e seguaci di Gesù: le folle, i discepoli, il più ristretto circolo dei dodici e alcuni membri singoli di questo circolo. La difficoltà crescente del materiale era segnalata dal fatto che si potevano operare solo vaghe generalizzazioni sulle folle innumerevoli e senza volto, o persino su alcuni dei dodici. (Si confronti, per es. , la nostra ignoranza su figure come Bartolomeo, rispetto alla considerevole quantità di informazio­ ni che abbiamo su Simon Pietro). Dall'altra parte c'era una serie di rivali e di figure contrapposte. Farisei, sadducei e samaritani sono nomi ben noti a qualsiasi lettore dei vangeli e degli Atti. Tuttavia definire con precisione questi gruppi (per non parlare degli esseni o degli erodiani) si è dimostrato un compito scoraggiante, data la scarsezza e le distorsioni delle fonti del I secolo. Dalla seconda metà del Volume 3 le conclusioni nette si sono fatte sempre più rare. Nonostante questi ostacoli, il nostro ritratto iniziale di Gesù andava ampliandosi e approfondendosi gradualmente, grazie a scoperte discretamente attendibili sulla sua interazione sia con i sostenitori sia con gli oppositori. L'indagine dettagliata sui rivali di Gesù, soprattutto in merito al modo di vivere la Legge mosaica, ha portato naturalmente al tema estenuante del Volume 4, Gesù e la Legge. È stato a quel punto della nostra ricerca che parole come 'enigma' e 'indovinello' sono diventate motivi ricorrenti degni di un'opera wagne­ riana. L'affermarsi di una terminologia legata all"enigma' è stato infausto sia nel senso comune sia nel senso etimologico del termine: un indicatore inquietante che la nostra ricerca storica si stava spingendo su un terreno molto più difficile. Gli elementi enigmatici che ci siamo trovati ad affrontare avvicinandoci alla fine del cammino sono stati quattro: l'atteggiamento di Gesù verso la Legge, il suo uso delle parabole, il modo in cui descriveva se

Le parabole: come si inseriscono nella ricerca sul Gesù storico?

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stesso e gli altri (cioè autodesignazioni e 'titoli') e infine i suoi ultimi giorni a Gerusalemme culminanti nella sua morte. Ho lasciato di proposito questi quattro enigmi alle ultime fasi del progetto globale di ricostruzione del Gesù storico per una semplice ragione metodologica: solo dopo che fosse stato assemblato un quadro ragionevolmente certo delle parole e delle azio­ ni di Gesù nei primi tre volumi, gli enigmi finali, le mie Variazioni Enigma, potevano essere affrontati. Se non altro questo approccio ha garantito che ciascun enigma non fosse interpretato in un contesto vuoto o in un contesto più generale prodotto improvvisamente come un coniglio dal cappello di un mago2• Anzi, il ri­ tratto di Gesù quale (i) profeta escatologico che opera miracoli come Elia, (ii) che proclama e dà inizio alla riunione delle dodici tribù d'Israele nel tempo finale (da qui il coinvolgimento delle folle, la chiamata dei discepoli e la formazione dei dodici), (iii) che allo stesso tempo dibatte o si pone in contrasto con altri movimenti ebraici al volgere dell'era, forniva contesto, direzione, parametri e limiti alle innumerevoli ipotesi che potevano essere formulate per spiegare i quattro enigmi finali. Il problema metodologico fondamentale che questo approccio cercava di affrontare era, detto chia­ ramente, il seguente: come con Dio, così con l'esegesi storica, tutto è pos­ sibile; solo poche cose sono probabili; e solo una cosa è la più probabile di tutte. La griglia che si è andata costruendo lentamente lungo i primi tre volumi intendeva servire da quadro di riferimento che ci permettesse di su­ perare il passaggio dalle possibilità, attraverso le probabilità, alla posizione più probabile relativa a ciascun enigma. Il Volume 4 si è dunque dedicato al primo di questi quattro enigmi, Gesù e la Legge. Lungi dall'essere un modo facile di incrementare la nostra conoscenza di Gesù, la 'ricerca sulla Legge storica' (cioè, sulla sua esatta portata, contenuto e interpretazione nell'ebraismo dell'inizio del I secolo)

2 Un problema di molti libri e anicoli sulle parabole di Gesù riguarda i tentativi di scoprire il si­ gnificato apparentemente originale di una data parabola nel ministero del Gesù storico. La difficoltà spesso non affrontata di questo progetto è che tale 'scoperta' presuppone una comprensione globale precedente del messaggio e del ministero di Gesù che possa servire da cornice interpretativa delle parabole. Una comprensione, tuttavia, che non è mai stabilita dagli autori di questi libri prima del­ l'atto di interpretare le parabole. Anzi, piuttosto spesso un ritratto globale di Gesù è tranquillamente impanato dall'opera di un noto ricercatore (per es., Joachim Jeremias, Giinther Bornkamm o Ernst Kiisemann) per fornire alle parabole il contesto più generale necessario per scoprire il loro significato 'originale'. Si tratta di un problema ricorrente, per es., nel volume erudito e altamente documentato di K.R. SNODGRASS, Stories with Intent. A Comprehensive Guide to the Parables of]esus, Eerdmans, Grand Rapids/MI - Cambridge/UK 2008. TI ricercatore preferito da Snodgrass sembra essereJeremias (si veda, per es., l'Indice degli autori a pagina 817).

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Introduzione al Volume 5

in qualche modo si è dimostrata più problematica della stessa ricerca sul Gesù storico. Ci siamo ritrovati coinvolti nella complessa questione del­ l'illuminazione reciproca, con la conoscenza storica di Gesù e la conoscenza storica della Legge che hanno gettanto luce l'una sull'altra, anche se sono rimaste non poche ombre. Per es., ampie sezioni dei pronunciamenti di Gesù sulla purità (cfr. Mc 7 , 1 -23 ) dovettero essere giudicate creazioni della chiesa delle origini, mentre altro materiale legale fu consegnato al limbo del non liquet (non chiaro né in un senso né nell'altro). Nondimeno alcuni pronunciamenti legali distintivi di Gesù (halakot) hanno ottenuto il pre­ zioso riconoscimento di 'autentici': per es., la sua proibizione del divorzio e del secondo matrimonio, la proibizione di qualsiasi tipo di giuramento e il collegamento tra il comando di amare Dio del Deuteronomio (Dt 6,4-5 ) e il comando del Levitico di amare il prossimo (Lv 19, 1 8b) come primo e secondo comandamento della Legge. Oltre a queste singole scoperte, il Volume 4 ha offerto un grande vantaggio: il ritratto di Gesù quale profeta escatologico che opera miracoli è stato ampliato e arricchito dal ritrat­ to di Gesù che assume il ruolo di autorevole maestro della Legge, anche quando questo significava annullare talvolta singole norme della Legge. Tuttavia, da questo ampliamento dell'obiettivo emerge una certa tensione. Effettivamente le tradizioni sull'interpretazione della Legge da parte di Gesù gettano altra luce sul Gesù storico, ma rendono anche questo ritratto più enigmatico, rendendolo più complesso. Come esattamente il ritratto di Gesù quale maestro autorevole della Legge coincide con il ritratto di Gesù profeta escatologico e operatore di miracoli? Tutte le tessere del mosaico che lo ritraggono coincidono dawero o restiamo confusi? Troviamo qui un modello che ci seguirà nella nostra indagine degli altri enigmi: per alcune domande c'è risposta, il ritratto di Gesù si amplia, ma non tutti i dubbi sono risolti. Questo è dunque un risultato del nostro corpo a corpo con il primo dei quattro enigmi: il senso corretto di cosa sia fattibile nelle tappe finali del nostro viaggio. Sentiamo sempre più di avere a che fare con frammenti di un corpo molto più vasto di materiale che per noi è perduto. Visti isolata­ mente, i singoli pezzi rimasti potrebbero dire tutto o niente. Solo quando li collochiamo nella cornice più generale già costruita ci sono serie possibi­ lità di capire ciò che essi possono aver significato nel contesto storico del ministero di Gesù.

Le parabole: come si inseriscono nella ricerca sul Gesù storico?

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II. U problema particolare delle parabole Questa comprensione dei limiti della nostra ricerca, che induce al­ l'umiltà, è particolarmente importante quando passiamo dai pronuncia­ menti di Gesù sulla Legge al nostro secondo interrogativo, il discorso per enigmi delle parabole di Gesù. Almeno per quanto riguardava gli insegnamenti legali di Gesù, la gamma di significati possibili aveva con­ fini naturali intrinseci derivanti dal contenuto stesso dei pronunciamen­ ti. Qualunque sia stata la formulazione e l'intento della proibizione del divorzio da parte di Gesù, i detti sul divorzio non possono essere usati in alcuna ragionevole lettura storica dei testi per dire che Gesù incitava le persone a divorziare. n chiaro contenuto giuridico dei detti, letto nel contesto dei dibattiti ebraici sul divorzio intorno al volgere dell'era, im­ pedisce qualsiasi volo di fantasia storica. Allo stesso modo, a eccezione di alcuni chiari colpi di mano da parte di un critico postmodernista, la proibizione totale dei giuramenti da parte di Gesù non può essere forzata a significare l'opposto, cioè che Gesù raccomandasse l'uso frequente dei giuramenti come modo per assicurare la veridicità nell'interazione socia­ le. Similmente le varie forme del comandamento dell'amore non possono essere distorte fino a farlo diventare un invito alla vendetta sanguinaria illimitata sui propri nemici. Espongo queste osservazioni lampanti, per evidenziare che in molte pa­ rabole di Gesù manca un contenuto così owio e circoscritto. Una rapida scorsa ai principali libri sulle parabole degli ultimi cinquant'anni dimostra che, se si è determinati a imporre la moda del momento sulle parabole di Gesù (sia essa esistenzialista, strutturalista, socio-economica, postmoderna, marxista o nietzschiana) , queste parabole possono essere usate per significa­ re quasi tutto (o niente). Quando si arriva a interpretare le parabole come parte della ricerca sul Gesù storico, la necessità di una cornice interpretativa generale del ministero di Gesù, come quella ricostruita nei nostri precedenti quattro volumi, appare ovvia e pressante. Senza una simile cornice è diffici­ le, se non impossibile, indovinare che cosa Gesù poteva volere o non voler dire con una particolare parabola - soprattutto quando, letta da sola, una determinata parabola è soggetta a innumerevoli interpretazioni. Ciò che la ricerca sulle parabole del secolo scorso ci ha insegnato - o dovrebbe averci insegnato - è che, una volta che una determinata parabola è slegata sia dal suo contesto redazionale in un vangelo, sia dal suo contesto storico nel ministero di Gesù, un interprete brillante e fantasioso può farle assumere

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il significato che vuole. Soprattutto nel caso delle parabole, vale il vecchio adagio: un testo senza contesto è un pretesto. Questo, tuttavia, non è l'unico e nemmeno il maggiore problema metodo­ logico cui far fronte quando si parla delle parabole di Gesù. Nel caso delle parabole c'è un problema ancor più radicale che spesso non si affronta, un problema con cui qualsiasi detto di Gesù esaminato nei primi quattro volu­ mi di Un ebreo marginale ha dovuto fare i conti: questa unità di tradizione, presentata nei vangeli come proveniente da Gesù, risale effettivamente a Gesù? Oppure è una creazione dei primi che si fecero carico di tramandare la tradizione su Gesù nella prima e nella seconda generazione della chiesa, che la interpretarono e, attraverso questo stesso processo, ampliarono i detti e gli atti di Gesù? Oppure, in alternativa, un detto o un atto particolare di Gesù riflette a tal punto lo stile, il lessico e gli interessi teologici di un determinato evangelista da poter semplicemente essere una sua creazione? Nei volumi precedenti di Un ebreo marginale mi sono intenzionalmente concentrato sui detti e sugli atti di Gesù che, almeno a un primo esame, indicavano con forza che la loro autenticità poteva essere supportata da uno o più criteri di storicità. Talvolta le mie prime impressioni si sono dimostrate corrette, talaltra no. Ma negli ambiti come quelli di Giovanni Battista, del­ l' escatologia, dei miracoli, del discepolato e di determinati pronunciamenti legali, dopo tutto il vaglio critico, è rimasta una buona riserva di materiale. Spesso sono risultati validi l'uno o l'altro dei criteri. È qui che il Volume 5 segna una grande frattura. In questo volume soster­ rò che spesso, nel caso delle parabole, non si può avere tale risultato positivo. Nella maggior parte degli esempi, nessun criterio di storicità può fornire ra­ gioni convincenti in favore dell'origine di una determinata parabola in bocca al Gesù storico. Non serve dire che ciò non dimostra automaticamente che questa o quella parabola non vengono da Gesù. Tutto ciò che si affermerà è che non ci sono argomenti fortemente positivi in favore della storicità, e che la presunzione pregressa che la maggior parte delle parabole siano autenti­ che è un deus ex machina metodologico. Dunque, a mio parere, molte delle parabole attribuite a Gesù dovrebbero essere assegnate alla zona grigia del non liquet. In pochi casi, però, sosterrò che ci sono argomentazioni positive per affermare che alcune parabole sono in realtà creazioni della chiesa delle origini o degli evangelisti. Alla fine della nostra indagine identificherò alcune parabole che ricevono un sostegno convincente da uno o dall'altro criterio di storicità. Tuttavia si dimostreranno essere pochissime. Mi rendo conto che questa affermazione esplicita provocherà non poca costernazione tra i lettori abituati a prospettive molto più ottimistiche sul-

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l'autenticità delle parabole, comuni nei lunghi commentari sulle parabole, per non parlare di singoli saggP. L'eredità di grandi studiosi come Adolf Jiilicher, C.H. Dodd e Joachim Jerernias sopravvive comprensibilmente tra molti studiosi e ancor di più tra i laici eruditi. Qualsiasi tentativo di rovesciare la diffusa accettazione della maggior parte delle parabole come autentiche deve, sia all'accademia sia al pubblico in generale, la difesa minuziosa di una posizione che a molti lettori può sembrare inconsueta se non incredibile. Qualcuno potrebbe persino sospettare che si tratti di uno stratagemma oggi non sconosciuto tra gli accademici: uno studioso cerca di distinguersi nella moltitudine innumerevole di libri su Gesù o sulle parabole adottando una posizione stravagante o sensazionalistica, che garantisce l'attenzione media­ tica e, non a caso, le vendite dei libri. Essendo le reazioni negative o sospet­ tose quasi certe, mi sento obbligato a offrire ai miei lettori una spiegazione esauriente della mia posizione sulle parabole e una lunga e graduale argo­ mentazione circa la veracità della mia posizione. I capitoli che costituiscono il Volume 5 cercano di fare proprio questo. Giacché il corso dei pensieri che attraversa questo volume può diventare piuttosto intricato e complicato, può essere utile dare qui un'anteprima dei contenuti di ciascun capitolo. Il capitolo 3 7 (i capitoli di Un ebreo marginale sono numerati conse­ cutivamente per tutta la serie) guida il lettore attraverso sette asserzioni fondamentali sulle parabole di Gesù che getteranno le fondamenta per tutte le mie affermazioni successive sull'autenticità o sulla mancanza di autenticità delle parabole. Queste sono le mie 'sette tesi inattuali', che ini­ ziano con l'affermazione meno controversa e finiscono con la settima e più controversa4• Questa settima e ultima tesi annuncia il programma polemico

' È tardi, ormai, nel percorso della ricerca biblica, per tentare una bibliografia completa sulle pa­ rabole. Oltre ai volumi di singoli autori che forniscono lunghi commenti sulle parabole (elencati in appendice), si possono trovare bibliografie utili in WS. KISSINGER, The Parables of]esus. A History of lnterpretation and Bibliograhy (ATLA Bibliography Series 4), The Scarecrow Press, Metuchen/NJ London 1979; C.A. EVANS, Li/e of]esus Research. An Annotated Bibliography (NTTS 24), ed. riv., Brill, Leiden - New York- Kéiln 1996, 153 - 163 ; R. ZIMMERMANN et al. (edd.), Kompendium der Gleichnisse ]esu, Gutersloher Verlagshaus, Gutersloh 2007 [trad. it., Compendio delle parabole di Gesù, Queriniana, . Brescia 20 1 1]; R. ZIMMERMANN- G. KERN (edd.), Hermeneutik der Gleichnisse]esu, Mohr (Siebeck), Tubingen 2008. ll tentativo di una sorta di moderna Summa (3652 pagine!) sul Gesù storico si può trovare in T. HoLMÉN- S . E . PoRTER (edd.), Handbookfor the Study o/ the Historical]esus, 4 voll., Brill, Leiden -Boston/MA 201 1 ; per le parabole si veda il saggio di A.]. HULTGREN, The Message o/]esus Il: Parables, vol. 3, 2549-2571. 'Le persone inclini alla filosofia noteranno senz' altro il richiamo all'opera di Nietzsche, Unzeitgemiis­ se Betrachtungen [trad. it., Considerazioni inattuali, Einaudi, Torino 198 1 ] . Sta ai lettori, soprattutto ai wagneriani specializzati, decidere se siano più inquietanti le mie considerazioni o quelle di Nietzsche.

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Introduzione al Volume 5

di tutto il volume: la grande maggioranza delle parabole sinottiche manca di argomentazioni positive a sostegno della propria autenticità perché non può soddisfare nemmeno un criterio di storicità, soprattutto il criterio della molteplice attestazione delle fonti indipendenti. n lettore accorto solleverà quasi istantaneamente un'obiezione seria a questa posizione, un'obiezione trattata a lungo nel capitolo 3 8. Varie parabole che si trovano nei sinottici compaiono anche, in un modo o nel­ l'altro, nel Vangelo copto di Tommaso (d'ora in poi VCTI5• Per questo alcuni studiosi affermano che il criterio della molteplice attestazione per queste parabole è soddisfatto. Ovviamente è essenziale per il mio ragionamento che io dimostri che probabilmente questi paralleli nel VCT denotano una conoscenza diretta o indiretta di uno o più vangeli sinottici e non posso­ no quindi qualificarsi come testimonianza indipendenté. Dal momento che questa è una posizione altamente contestata, soprattutto nei circoli accademici nordamericani, è essenziale che io offra una difesa completa e dettagliata della mia tesi sul VCT, enunciata per la prima volta come Tesi 6 nel capitolo 3 7. Il capitolo 3 8 servirà quindi come difesa corposa della Tesi 6 attraverso l'esame dei singoli casi campione presi sia dai detti non parabolici, sia dai detti parabolici del Gesù sinottico che hanno paralleli nel VCT. Una volta accantonato il VCT, ci troviamo ad affrontare il compito di una prima verifica di tutte le parabole narrative nei vangeli sinottici (cioè Marco, Matteo e Luca) alla ricerca di possibili candidate per l' ambìto titolo di 'autentiche'. Ma come organizzare tale verifica di tutto il corpus delle parabole nei sinottici? Molti libri sulle parabole le raggruppano in base ai diversi temi teologici ai quali presumibilmente danno voce. Non sorprende che questo approccio si presti all'accusa di essere irreparabilmente sogget­ tivo, e la grande varietà degli schemi usati per categorizzare diversi gruppi di parabole avvalora tale accusa. Qualsiasi 'etichettatura' preliminare delle parabole e qualsiasi 'aggregazione' delle stesse in recinti teologici può fa­ cilmente falsare le carte prima di iniziare un'interpretazione dettagliata.

5 Qui faccio riferimento solo al Vangelo di Tommaso 'copto" perché sfortunatamente nessuna delle parabole narrative dei sinottici ricorre nei frammenti greci del Vangelo di Tommaso contenuto nella raccolta dei Papiri di Ossirinco. 6 Come vedremo, in alcuni casi possiamo trovarci a un punto morto, nel senso che non ci sono prove sufficienti per decidere in un senso o nell'altro per la dipendenza o l'indipendenza dai sinottici. In questi casi, la decisione deve essere il fastidioso non liquet. Tuttavia questo non indebolisce il mio punto fondamentale: di nessuna parabola nel VCT con un parallelo sinottico si può dimostrare con certezza l'indipendenza dai sinottici.

Le parabole: come si inseriscono nella ricerca sul Gesù storico?

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I l capitolo 3 9 tenta un approccio più imparziale, che richiede il raggrup­ pamento delle parabole in base alle loro fonti. In poche parole, il capitolo 3 9 pone una domanda fondamentale: in quale strato o corrente della tra­ dizione sinottica appare per la prima volta questa particolare parabola: Marco, Q Oa fonte del materiale comune a Matteo e a Luca che non si trova in Marco), materiale speciale matteano (M) o materiale speciale lucano (L) ? O abbiamo a che fare con un raro caso di parabola attestata in due tradizio­ ni sinottiche indipendenti (una 'coincidenza') come Marco e Q o M e L? Mentre procediamo in questa classificazione in base alle fonti, cominciano a emergere modelli interessanti e istruttivi. Uno di questi modelli colpisce in modo particolare: lungi dall'essere Marco o Q a contenere il maggior numero di parabole attestate per la prima volta in una di queste due fonti originarie, il numero di parabole narrative vere e proprie aumenta passando da Marco e da Q a Matteo e poi a Luca. Le parabole specifiche di Matteo sono più numerose di quelle trovate per la prima volta in Marco o in Q, e la tradizione speciale di Luca ne contiene il numero più alto in assoluto. Se non altro questo modello ci mette in guardia dal supporre acritica­ mente che ogni parabola rappresenti necessariamente il primo e storica­ mente più certo strato della tradizione di Gesù. Ogni parabola deve invece essere esaminata per vedere se offra indizi preliminari di poter soddisfare almeno uno dei criteri di storicità. Alla fine del capitolo 3 9 sarà chiaro che la maggior parte delle parabole non godono di tale prerogativa - motivo principale per cui questo volume, concentrato sul Gesù storico, non of­ fre studi dettagliati di ciascuna parabola sinottica. Sarebbe una perdita di tempo per qualsiasi ricerca sul Gesù storico, poiché solo poche in lizza per ottenere il riconoscimento di «risalire a GesÙ» soprawivono a una prima cernita. Inoltre la promessa preliminare di autenticità che le poche parabole rimaste offrono, necessita di essere indagata per esteso. Il capitolo 40 è dedicato a questa approfondita verifica. Dopo un'analisi dettagliata, le parabole del Granello di Senape, dei Fittavoli Malvagi della Vigna, del Grande Banchetto (oppure il Banchetto di Nozze) e dei Talenti (oppure delle Monete) offrono tutte ragioni positive per decidere che, nella sostanza se non nella forma precisa, derivano dal Gesù storico. Per ripetere quanto già detto: non si tratta di affermare che tutte le altre parabole sono creazioni della chiesa delle origini o degli evangelisti, benché alcune lo siano. Piuttosto, la grande maggioranza delle parabole semplicemente non fornisce prove sufficienti per esprimere un giudizio netto in alcuna dire­ zione (dunque non liquet, qualcosa di simile al verdetto scozzese di 'insuf­ ficienza di prove'). Dal mio punto di vista, né le esigenze di un particolare

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Introduzione al Volume 5

ritratto del Gesù storico, né l'impulso inconfessato della pietà cristiana, né il consenso degli studiosi può spingere queste orfane della tempesta della critica storica oltre la secca e condurle nel porto della 'autenticità'. Nella conclusione del Volume 5 affronteremo come si possa accettare questa di­ sfatta della visione comune e venerabile delle parabole, che cosa significhi per la nostra ricostruzione globale del Gesù storico e come, in particolare, possa influire sulla nostra trattazione dei due restanti enigmi.

III. Metodologia: un ripasso del codice della strada

La metodologia che guida Un ebreo marginale è stata esposta in modo piuttosto esteso nella prima parte del Volume l (25- 190). È stata poi bre­ vemente riassunta all'inizio del Volume 2 ( 12- 16), del Volume 3 (7-23 ) e del Volume 4 (25-34). A questo punto, i lettori storici della serie la cono­ sceranno a memoria. Si sentano liberi di saltare questa sezione e di passare direttamente al capitolo 3 7. Più di due decenni di conversazioni e di corrispondenza con i lettori di Un ebreo marginale mi hanno però portato a una visione del mondo reale che molti accademici potrebbero non considerare. Quando si ha a che fare con opere in più volumi, non tutti i lettori imitano le abitudini operative di autori, curatori e recensori. Ossia, non tutti i lettori interessati iniziano Un ebreo marginale dalla prima pagina del primo volume e procedono nella lettura degli ormai cinque volumi seguendo un ordine predefinito. Considerando seriamente che Un ebreo marginale fa parte della serie di testi da consultazione 'Re/erence Library', molti lettori leggono i vari volumi in momenti diversi, secondo gli interessi che li stimolano. Recentemente parlavo con un brillante studente universitario che diceva di aver appena finito di leggere il Volume 4, Legge e amore, pur non avendo mai letto nes­ suno degli altri tre volumi. Senza ironia, mi chiese quale volume avrebbe dovuto leggere poi. Sembrò piuttosto perplesso quando gli suggerii di se­ guire l'ermeneutica di Lewis Carroll: iniziare dall'inizio e fermarsi quando si arriva alla fine. In altre parole, tornare indietro e iniziare con il Volume l . (Vorrei che questo fosse un aneddoto inventato, ma, ahimè, è vero). Mi allontanai da quell'incontro chiedendomi quanti altri lettori di Un ebreo marginale avessero adottato un approccio simile. Per questi lettori eclettici in particolare è necessario che io offra un rapido ripasso sul metodo e sugli

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obiettivi della serie. In cambio, questo breve riassunto m i permetterà di rispondere concisamente ad alcune delle recenti critiche o degli approcci alternativi ai criteri di storicità adottati in questo volume. Partiamo da ciò che è fondamentale per il progetto complessivo: è essen­ ziale distinguere tra la ricerca sul Gesù storico da un lato e la teologia (con la sua suddivisione della cristologia) dall'altro. Per aiutare gli studenti uni­ versitari interessati a cogliere questo concetto, li invito a pensare a questa distinzione in termini spaziali. In un'università, la ricerca sul Gesù storico (se consideriamo seriamente l'aggettivo 'storico') è adeguatamente collocata nel dipartimento di storia. La ricerca è pertanto obbligata a seguire metodi e criteri (cioè le regole o le direttive per esprimere giudizi intellettuali) consoni a una storia accademica seria. Diversamente, la cristologia (cioè la fede che cerca di capire Gesù Cristo) è adeguatamente collocata nel di­ partimento di teologia della stessa università, poiché usa i metodi e i criteri adeguati alla disciplina accademica della teologia7• Per l'applicazione di questa distinzione al nostro studio delle parabole: una cosa è scrivere un li­ bro di commento su tutte le parabole attribuite a Gesù nei vangeli sinottici, concentrandosi sul messaggio di fede che i primi cristiani e soprattutto gli evangelisti intendevano comunicare e su ciò che queste parabole possono dire ai cristiani oggi. Altra cosa è cercare di decidere con discreta proba­ bilità quali parabole provengano effettivamente dal Gesù storico. Questo volume di Un ebreo marginale persegue la seconda alternativa. Come il lettore informato potrà senz' altro indovinare, ciò significa che questo libro non commenterà ogni parabola sinottica nel dettaglio con l'intento di tro­ varne il significato originale e l'applicazione alla vita moderna. Di volumi che perseguono questi obiettivi ne abbiamo già in sovrabbondanza. Se invece in questo volume insisto nell'erigere un alto muro di separazione tra la ricerca storica e la cristologia, ho un motivo valido per farlo, data la storia passata della ricerca sulle parabole. Nello studio delle parabole di Gesù si nota fin troppa confusione tra il ruolo delle parabole nella fede cristiana e nella teologia da una parte e il ruolo che esse svolgono - o dovrebbero svol­ gere - in una seria ricerca sul Gesù storico dall'altra. Non sto in alcun modo

7 A condizione che questa distinzione sia riconosciuta e osservata nella pratica, non ho obiezioni al fatto che i teologi considerino i risultati della ricerca sul Gesù storico e li includano nello sviluppo di una cristologia moderna; cfr. per es., P.]. CUNNINGHAM, A Believer's Search /or the ]esus o/ History, Paulist, New York Mahwah/NJ 1999. Si tenga però sempre presente che tali opere sono esempi di una cristologia informata storicamente, non della ricerca sul Gesù storico. Un caso eccezionale di in· elusione dei risultati della ricerca sul Gesù storico in una sintesi di cristologia e spiritualità per i lettori di letteratura varia è]. MARTIN }esus. A Pilgrimage, HarperOne, New York 2014. ·

,

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Introduzione al Volume 5

negando la grande importanza delle parabole per la vita e per la pratica cri­ stiana, che si estende dall'esegesi tecnica e dall'ermeneutica alla predicazione, alla catechesi, alla morale e alla spiritualità. La grande quantità di volumi dedicati alla spiegazione di ciascuna parabola sin ottica a livello accademico e popolare attesta il ruolo delle parabole come risorsa costante per il pensiero e per l'azione cristiana. La mia obiezione non è rivolta a questo studio teologico e a quest'uso delle parabole. La mia obiezione si rivolge allo scivolamento inosservato attraverso il quale la valutazione teologica dell'importanza delle parabole per la fede e per la pratica cristiane si trasforma gradualmente in una pretesa storica sulle origini delle parabole nel ministero del Gesù storico. La conseguenza pratica di questo scivolamento è che troppo spesso, anche in opere accademiche serie, le parabole hanno libera circolazione. Mentre altri detti di Gesù possono essere sottoposti a indagini accurate basate su vari criteri, le parabole sono accolte ben volentieri dall'accademia, che le introduce nel circolo esclusivo del materiale gesuano autentico. Riassumendo, dunque, questo libro si concentra sulle parabole storiche del Gesù storico. Come ho sottolineato in tutta la serie, il 'Gesù storico' non è racchiuso entro gli stessi limiti del 'Gesù reale'. Quest'ultimo Gesù, alme­ no in linea di principio, includerebbe tutto ciò che Gesù di Nazareth disse, fece e sperimentò negli oltre trent'anni della sua vita nella prima metà del I secolo d.C. Una buona parte della realtà totale che fu Gesù è andata per­ duta e non sarà mai recuperata. Al contrario, il Gesù storico è un costrutto astratto creato da studiosi moderni, applicando metodi storico-critici a fonti antiche. Se gli studiosi applicano questi metodi alle fonti appropriate con competenza professionale, logica attenta e integrità personale, abbiamo buone ragioni per aspettarci che la loro costruzione astratta si avvicini e in parte coincida con l'ebreo del I secolo chiamato Gesù di Nazareth. Date le gravi limitazioni delle nostre fonti, la corrispondenza fra la costruzione sto­ rica del XXI secolo e la realtà storica del I secolo nella sua totalità non sarà mai perfetta. Nel migliore dei casi, sarà un'approssimazione più o meno esatta di alcune delle cose che Gesù disse e fece negli ultimi anni della sua vita. Come il lettore può vedere da questa esposizione del mio obiettivo, non ho mai accettato lo scetticismo totale, il soggettivismo radicale o il prospettivismo associato a certi approcci alla storia vagamente etichettati come 'postmoderni'8• Analogamente allo scetticismo teoretico confutato

' Qui non è mia intenzione rifiutare alcuna posizione etichettata come 'postmodema', ma solo l'e­ spressione radicale del movimento che mette in dubbio il valore di un attento ragionamento basato su dati affidabili, che può portare a giudizi altamente probabili o persino certi sulla realtà, passata o

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da Aristotele, tali approcci sono in ultima analisi contraddittori e autole­ sionistici, soprattutto quando gli studiosi cercano di applicarli nell'ambito della ricerca storica seria. A dire il vero, riconosco pienamente sia i limiti delle nostre fonti, sia il pericolo costante di distorsioni e di autoproiezione da parte degli storici. Ma questi limiti e questi pericoli sono proprio ciò che rende l'accurata esegesi storico-critica e l'applicazione dei criteri di storicità enunciati chiaramente (contrari, diciamo, all'intuizione personale o a una 'relativa' agenda sociale e politica) indispensabili come protezione contro affermazioni sul Gesù storico irresponsabili o condizionate ideolo­ gicamente9.

presente. Applicato in particolare alla ricerca storica, un tale approccio mette in dubbio la capacità degli storici di conoscere avvenimenti passati e le persone coinvolte in quegli avvenimenti con certezza o con alta probabilità. Anzi, talvolta si intona il mantra nietzschiano: non ci sono fatti, solo interpretazioni. È questa Weltanschauung che io rifiuto. Ciò non significa che tutti gli approcci considerati postmoderni siano nemici di qualsiasi ricerca storica seria, inclusa la critica storica applicata alla Bibbia. Per es., si potrebbero sicuramente prendere in considerazione i modi in cui l' etnicità,la classe e il genere possono influenzare sia lo scrittore antico, sia l'interprete moderno. Per un esempio del continuo dibattito sul rapporto tra le varie forme di postmodernismo e gli studi biblici, si veda ]BL Forum, pubblicato in JBL 133 (2014) 42 1-458; la discussione include R. HENDEL, Mind the Gap: Modern and Postmodern in Biblica! Studies, 422-443; S.D. MooRE, Watch the Target: A Postmodernist Response to Rana! Hendel, 444-450; P. MISCALL- G. AICHELE-R WALSH, Response to Ron Hendel, 45 1 -458. Un risultato di questo dibattito è la scoperta che non c'è nulla di più instabile e relativo dello stesso termine 'posunodemo'. Hendel desidera distinguere tra «postmodemismo forte>>, che considera profondamente fallace e in­ sostenibile (analogamente al postmodemismo che io rifiuto) e (simile a un modemismo corretto o illuminato), che egli ritiene accertabile. Tuttavia ci si potrebbe chiedere se il postmodernismo debole di Hendel sfugga effettivamente alle obiezioni che egli rivolge al postmoder­ nismo forte. In un'arguta risposta, Moore rileva la gamma incredibilmente vasta di significati sotto cui opera il termine 'postmodemo'. Suggerisce che negli studi biblici > da parte di Stefano nel suo discorso durante il processo (A t 7 ,56) - si spiega probabilmente come parte dello schema consapevole di Luca di confron­ tare figure ed eventi fondamentali nel proprio vangelo e negli Atti, legando così i due volumi nonché le varie fasi della storia della salvezza. Come osserva J.A. FITZMYER, The Acts o/ the Apostles (AYB 3 1 ), Doubleday, New York 1998, 392-393 [trad. it., Gli Atti degli Apostoli. Introduzione e commento, Queriniana, Brescia 2003 , 393 ·396] , A t 7,56 è ricco di un lessico tipicamente lucano; è Luca che mette il titolo Figlio dell'uomo, quasi sempre in bocca a Gesù nei quattro vangeli, in bocca a Stefano nel versetto 56. Infatti, lungo tutta la descrizione del processo e dell'esecuzione di Stefano, Luca usa termini che ricordano il processo e la morte di Gesù. Si può anche notare, per inciso, che contrariamente a questa singola occorrenza di «il Figlio dell'uomo» che si riferisce a Gesù al di fuori dei vangeli, l'opera più apocalittica del NT, l'Apocalisse, non usa il titolo > (305). Per quanto riguarda il canto della vigna di Isaia (Is 5 , 1 -7),}. BLENKINSOPP (Isaiah 1-39 [AYB 19], Doubleday, New York 2000, 206) affer­ ma con decisione che il componimento poetico di Isaia si esprime . Alla luce di queste opinioni, ritengo che giungere alla conclusione che una realtà manchi semplicemente perché manca una classificazione particolare per quella realtà sia una strana forma di nominalismo. Come sottolinea Schipper (Parables and Con/lict, cit., 6), non dovremmo restringere la definizione di 'parabola' a quei relativamente rari casi nelle Scritture ebraiche in cui il sostantivo mdsdl è usato esplicitamente per definire un racconto breve

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Capitolo trentasettesimo

taumaturgo del nord di Israele (e forse di Geremia, il profeta celibe che predicava la distruzione del tempio) , nella sua narrazione delle parabole Gesù sembra aver ripreso con una certa consapevolezza i profeti anteriori e posteriori delle Scritture ebraiche, invece di riflettere semplicemente la più recente letteratura apocalittica o sapienziale di Israele. Certamente questa affermazione si oppone a un'ampia area di ricerca sulle parabole del secolo scorso. Da esegeti conservatori come Ben Witherington fino all'estrema sinistra delJesus Seminar, rappresentata soprattutto daJohn Dominic Cros­ san, le parabole di Gesù sono state trattate come esempi paradigmatici di Gesù quale maestro di sapienza o saggio29• Direi che questo è uno degli errori peggiori nell'assegnazione delle categorie. Come ho sostenuto nei

che funge da paragone: > è generalizzato fino ad essere un vago luogo comune religioso può includere allo stesso modo, con le parabole marciane e matteane, tutte le parabole lucane speciali, soprattutto i cosiddetti racconti esemplari. È forse significativo che, quando Gerhardsson afferma nel suo saggio The Narrative Meshalim in the Old Testament Books and in the 5ynoptic Gospels, cit., che tutte le parabole narrative hanno l'unico tema omogeneo del regno di Dio, ammetta che il buon Samaritano può essere un'eccezione (299). Altri studiosi potrebbero trovare altre eccezioni. " Questo elemento della definizione di 'parabola' è almeno implicito nella parte della definizione classica di Dodd che recita «una metafora o una similitudine presa dalla natura o dalla vita comune [ . . ]>> (The Parab/es o/ the Kingdom, cit., 16, il corsivo è mio [trad. it., 19s.]). .

.

62

Capitolo trentasettesimo

che poi dà alle fiamme (Mt 22,2-10), o sul mercante che consegna enormi somme di denaro ai suoi servi prima di partire per un lungo viaggio (Mt 25 ,14-30), o su un nobile che consegna somme di denaro minori ai suoi servi mentre è in viaggio per ricevere il titolo di re (Le 1 9 , 1 1 -27). Inoltre, benché si possa immaginare che un ricco possidente divida la sua eredità tra i due figli semplicemente perché il figlio più giovane glielo chiede e che tempo dopo il possidente riammetta il figlio minore al suo posto dopo che quello ha sperperato tutta la sua eredità (Le 15 , 1 1-32), un dramma simile difficilmente si qualifica come avvenimento 'quotidiano' o esperienza co­ mune nel ciclo della vita contadina o naturale. Persino la parabola di Marco dei Fittavoli Malvagi della Vigna (Mc 12, 1 - 1 1 ) , mentre sicuramente riflette le condizioni socio-economiche e la conflittualità di quel tempo, non ritrae affatto 'avvenimenti quotidiani', dal momento che riferisce di diversi omi­ cidi di servi e di un figlio, vendicato con l'uccisione di tutti gli affittuari da parte del padrone35• Anche nella Palestina del I secolo questo non accadeva ogni giorno, a fortiori nella Galilea di Antipa, dove la situazione interna fu relativamente pacifica durante il suo regno36• 2. Le parabole di Gesù sono sempre narrazioni inventate37• Non sempre. Non è per nulla finzione il fatto che nella Palestina del I secolo i seminatori uscissero a seminare, che parte del seme cadesse in aree non ideali e non riuscisse così a dare frutto, ciononostante - almeno a volte, in anni partico­ larmente buoni - crescevano raccolti sorprendentemente abbondanti (Mc 4,3 -8 parr. ) . Sicuramente in questa parabola, come in molte altre, Gesù usa la tecnica retorica comune dell'iperbole, tuttavia gli studiosi continuano a discutere se sia insolito il modo di seminare del seminatore o incredibil­ mente notevole la quantità del raccolto38• Ma la storia di base non è affatto

" Potrebbe però essere significativo che le parabole che contengono re, nobili, facoltosi mercanti e ricchi possidenti, spesso ritratti come coinvolti in atti o avvenimenti straordinari, tendano a raggrupparsi nelle parabole speciali

M e L, mentre gli avvenimenti comuni della vita quotidiana dei villaggi si trovano è un possibile indice delle fasi della tradizione

maggiormente nelle parabole marciane e Q. Questo

parabolica, o persino un indice di quali parabole provengano da Gesù stesso? 36

Cfr.

Un ebreo marginale 1 , 293 -294.

" L'elemento di fantasia nella definizione di 'parabola' è sottolineato da Smrr, Hear Then the Parable,

8.35-42. Riconosco subito che nessuna parabola presenta o afferma di presentare un resoconto di è questo il punto in questione. '" Sulle varie opinioni tra gli studiosi cfr. SNODGRASS, Stories with lntent, cit., 166-167, con la relativa

ci t.,

un evento storico unico. Non

letteratura ivi citata. Nel dibattito sul fatto che la semina precedesse normalmente l'aratura nella pra­

I secolo (e quindi su quanto realistica sia la parabola del Seminatore), cfr. Le parabole di Gesù, cit., 9-10; ID., Paliistinakundliches zum Gleichnis vom Siimann (Mark IVJ-8 pa�). in NTS 13 ( 1 966/1967) 48-53; K.D. WHITE, The Parable o/ the Sower, in

tica agricola palestinese del in panicolare J. }EREMIAS,

Le parabole di Gesù: sette tesi inattuali

63

fittizia. Se l'iperbole trasformasse automaticamente l'intera narrazione in finzione, allora la maggior parte dei rapporti annuali presentati alla facol­ tà da presidenti e decani universitari dovrebbero essere qualificati come finzione. Lo stesso si può dire per le parabole del Granello di Senape (Mc 4,30-32 parr.) e del Lievito (Mt 1 3 ,33 parr. ) . Ancora una volta è utilizzata l'iper­ bole (almeno in alcune versioni: «il più piccolo di tutti i semi», «diventa più grande di tutte le piante dell'orto e diventa un albero», «tre misure di farina))) per sottolineare un tema di primaria importanza, il contrasto tra piccoli inizi e grandi conclusioni. Ma il racconto fondamentale è esatta­ mente quel che accadeva e accade piuttosto spesso. Ciò è tanto più vero del Seme che Cresce da Sé (Mc 4,26-29) . Lo snellimento del racconto per evidenziare che il seme cresce per il suo dinamismo interno (automdte) qualcosa che il contadino non può causare né capire - spiega il silenzio sull'attività del contadino che dissoda e annaffia. Un'azione così ovvia da parte del contadino non è ignorata nella parabola; è semplicemente ignorata dal racconto in miniatura per sottolineare la posta in gioco. Che tutti gli altri racconti nelle parabole di Gesù siano inventati si può ammettere ai fini della discussione. Tuttavia dovremmo notare che, so­ stenendo tale posizione, gli studiosi affermano qualcosa che non possono provare in modo rigoroso. Anzi, alcuni commentatori suggeriscono che, nella similitudine della rapina dell'uomo forte o nella parabola dei Fittavoli Malvagi, Gesù alluda ad avvenimenti recenti noti al suo uditorio39• In verità questa è mera speculazione. Ma consiglia cautela quando si afferma che le parabole narrative di Gesù sono tutte inventate - eccetto quelle che hanno a che fare con i normali cicli della semina e della crescita. Tali affermazioni sono infatti piuttosto probabili, ma non, in senso stretto, dimostrabili in ogm caso. 3. Le parabole di Gesù sono sempre sovversive nei confronti delle credenze religiose tradizionalt; capovolgendole con finali a sorpresa oppure, in alternati-

]TS 15 (1964) 300-307; P. B. PAYNE, The Order o/ Sowing and Ploughing in the Parable o/ the Sower, in NTS 25 (1978/1979) 123- 129. Sulla questione più ampia dell'iperbole nelle parabole sinottiche, cfr. D. SECCOMBE, Incongruity Ùl the Gospel Parables, in TynBu/ 62 (20 1 1 ) 161- 172. " Inoltre c'è il caso speciale della versione lucana dei Talenti/Monete (Le 19, 12-27), in cui molti commentatori vedono un'allusione alla vicenda di Archelao (uno dei figli di Erode il Grande), che cercò nel 4 a.C. di ottenere il titolo di re da Cesare Augusto nonostante l'opposizione da parte di una delegazione di giudei e di samaritani. Su questa ipotesi cfr. HULTGREN, The Parables o/ ]esus, ci t., 285 [trad. it., 277]; SNODGRASS, Stories with Intent, cit., 537. Questa parabola, con l'interrogativo sul rife­ rimento ad Archelao, sarà ripresa nel capitolo 40.

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Capitolo trentasettesimo

va, proponendo racconti enigmatici che si oppongono a qualsiasi interpretazione specifica40• Talvolta gli studiosi sembrano immaginare Gesù nei panni di uno studioso postmodemo o decostruzionista deciso a confondere i suoi studenti in una lezione sulla teoria, o di un maestro zen che aiuta i suoi discepoli, attraverso il ragionamento discorsivo, a capire che non c'è nulla da capire in una data affermazione41• Questo non è solo un esempio paradigmatico di retroproiezione della vita accademica attuale o delle tendenze culturali popo­ lari in tempi e testi antichi; più nello specifico, si può dimostrare che è falso. Per es., la parabola L del Ricco Stolto (Le 12,16-2 1 ) - in cui un ricco agricol­ tore progetta il suo futuro accrescimento e una vita di comodità, ma muore la notte stessa - è un riciclaggio da parte di Gesù di una verità tradizionale inculcata da sapienti e profeti dell'AT, dalla letteratura intertestamentaria e dalla filosofia greco-romana. Si trovano variazioni sul tema in Proverbi, Qoèlet e Ben Sira. Ben Sira presenta anzi una tesi molto simile - anche se in forma di detto sapienziale invece che di parabola - in 1 1 , 18-19 (cfr. 29, 1 1 ; 5 1 ,3 )42• L'unica variazione sul tema che Gesù introduce è il climax in cui Dio

40 Un esempio di questo approccio si può trovare in FUNK et al. (edd.), The Five Gospels, ci t., 30-32; stranamente WRIGHT (jesus and the Victory o/God, cit., 179) tende a concordare con i suoi avversari nel Jesus Seminar su questo punto. L'eccezionalità dell'impresa del Jesus Seminar è che le caratteristiche dell'insegnamento e dell'attività di Gesù che devono essere dimostrate attraverso l'analisi dettagliata delle fonti e l'applicazione dei criteri di storicità sono invece proclamate a priori come criteri per giu­ dicare il materiale autentico - un esempio paradigmatico di come dare per scontate le cose. 41 Per una illustrazione del decostruzionismo applicato alle parabole cfr. P.]. HARTIN, Angst in the Household: A Deconstructive Reading o/ the Parable o/ the Supervising Servant, in Neot 22 (1988) 373-390; Io., Disseminating the Word: A Deconstructive Reading o/ Mark 4:1-9 and Mark 4:13-20, in P.]. HARTIN -].H. PETZER (edd.), Text and Interpretation. New Approaches in the Criticism o/ the New Testament (NTIS 15), Brill, Leiden 199 1 , 187 -200; un approccio simile in ].D. CROSSAN, Cli/fs o/ Fa!!. Paradox and Polyvalence in the Parables o/]esus, Seabury, New York 1980. 42 Altri paralleli più generali, che sottolineano la natura fugace della vita e del suo godimento, il pericolo di confidare nelle ricchezze, la soddisfazione limitata che queste portano, e/o il giudizio che Dio pronuncia sull'arroganza dei ricchi, si possono trovare in testi tanto disparati come Qo 2 , 1 -26; 4,8; 5,10-19; 6,2; Gb 3 1 ,24-32; Sa/ 37; 39; 49; 73; Pr 3 ,9-10; Is 22, 13; Ger 9,22; Os 12,8-1 1 ; Sir 5,1-1 0; Sap 15,7- 12; I Enoch 97,8-10; cfr. 94,7 - 1 1 ; SENECA, Epistulae mora/es 101.2-5 [trad. it., Lettere morali a Luci/io, A. Mondadori, Milano 2007, 791-793 ] ; De consolatione ad Helviam 10.6- 10 [trad. it., in Dialoghi l, BUR, Milano 1958, 109- 1 10]. Chiaramente Gesù sta usando nel Ricco Stolto un tema noto nella letteratura profetica e sapienziale di Israele e di altre nazioni. Dunque la parabola del Ricco Stolto, con le altre parabole con le quali la raggruppo, non corrisponde al prolìlo delle parabole di Gesù come allegoria apocalittica, che veicola messaggi segreti ai suoi seguaci mentre resta criptica per gli esterni (jesus and the Victory o/ God, cit., 179-1 80). Wright delinea questo prolìlo come pane della sua strategia per creare una supposizione ab initio, secondo la quale le parabole sinottiche sono tutte materiale gesuano autentico, dal momento che l'unico Sitz im Leben comprensibile che potrebbero avere è il ministero pubblico di Gesù. Wright ritiene che, dal momento che le parabole di Gesù erano allegorie apocalittiche che veicolavano messaggi segreti incomprensibili agli esterni, non c'era motivo

Le parabole di Gesù: sette tesi inattuali

65

si rivolge direttamente al ricco definendolo stolto e annuncia la sua morte «questa notte stessa», fornendo così un'annotazione esplicitamente teologica ed escatologica, non presente nelle più antiche forme sapienziali di questa tradizione anticotestamentaria. I tentativi di evitare l'ovvia conclusione che Gesù stia semplicemente riciclando, con variazioni, un ben noto insegnamen­ to sapienziale e profetico ebraico implicano o l'introduzione nella parabola di un riferimento al regno di Dio (attraverso il tema del raccolto, che non è mai citato esplicitamente) oppure la sostituzione della versione della parabola nel Vangelo di Tommaso, che a mio parere dipende dalla versione di Luca43• Al di là di questi sotterfugi, abbiamo un chiaro caso di parabola del Gesù sinottico che, lontana da insignificanti finali a sorpresa alla O. Henry per rovesciare le aspettative religiose tradizionali, in realtà le afferma e le rinforza. Questa parabola non è un «attacco al mondo [religioso tradizionale]». Gli esempi si possono facilmente moltiplicare, ma suggerisco che, se si escludono le abili manipolazioni di studiosi moderni, le parabole del Se­ minatore, del Seme che Cresce da Sé, del Granello di Senape, del Lievito, la parabola matteana dei Due Figli e le parabole lucane del Fico Sterile, della Costruzione della Torre e del Re che va in Guerra riprendano tutte temi tradizionali in modi arguti e accattivanti, ma senza utilizzare finali a sorpresa che avrebbero sconvolto profondamente le aspettative di ebrei ferventi che si nutrivano delle proprie Scritture e delle tradizioni interte­ stamentarie circolanti in Palestina al volgere dell'era. Persino le parabole che evidenziano il capovolgimento della fortuna per azione di Dio prima o dopo la morte (per es., il Ricco e Lazzaro) avrebbero dovuto incoraggiare, invece che sconfortare, quegli ebrei che condividevano l'escatologia futura dei farisei o, a fortiori, le speranze apocalittiche di: gruppi come i residenti a Qumran. Non è in discussione che ci siano parabole con finali a sorpresa - per es. gli Operai nella Vigna (Mt 20, 1 - 1 6), il Buon Samaritano e il Figlio Prodigo. Ma queste non rappresentano tutte le parabole di Gesù. Anzi,

per cui la chiesa delle origini dovesse creare tali parabole, poiché ( 1 80). Come molte altre argomentazioni che postulano sin dall'inizio che le tradizioni evangeliche siano storicamente affidabili (cfr. tra gli altri Martin Hengel e Richard Bauckham), questa non resiste al vaglio di un esame dettagliato di casi particolari. Come argomenterò nei capitoli

38 e 39,

le parabole come quella del Buon Samaritano e del Grano e della Zizzania sono più probabilmente creazioni degli evangelisti o di coloro che hanno trasmesso rispettivamente le tradizioni L e M. Una volta definita questa posizione, la presunzione universale di autenticità di tutte le parabole decade. La questione dell'autenticità di ciascuna parabola deve essere giudicata nel merito. " Per gli argomenti a favore di questa posizione cfr. la trattazione dettagliata della parabola del Ricco Stolto nel capitolo

38.

66

Capitolo trentasettesimo

metterei in dubbio persino che rappresentino la maggior parte dei casi, soprattutto una volta che ci si renda conto che una semplice iperbole in un racconto altrimenti realistico non è la stessa cosa di un finale a sorpresa paradossale, che rovescia tutte le aspettative.

F.

LE PARABOLE or GEsù NEL VANGELO DI ToMMASo Tesi 6: I:affermazione che le parabole nel Vangelo copto di Tommaso rap­

presentino una tradizione indipendente e anzi più antica e più affidabile sulle parabole del Gesù storico è altamente discutibile. Che i detti nel VCT che hanno paralleli sinottici dipendano effettivamente, direttamente o indiretta­ mente, dai vangeli sinottici è un interrogativo emerso poco dopo la scoperta di Tommaso a Nag Hammadi nel 1 94544• Come sicuramente sanno tutti co-

« Qui seguo la data stabilita da J.M. RoBINSON, From the C!tff to Cairo, in B. BARe (ed.), Colloque international sur !es textes de Nag Hammadi (Québec, 22-25 aozlt 1978) (Bibliothèque Copte de Nag Hammad.i, Section Etudes 1 ) , Les presses de l'université Lavai, Quebec - Peeters, Louvain 198 1 , 2 1 5 8 , spec. 29. Tuttavia, mentre questa data sembra ancora essere generalmente accettata, l e circostanze precise della scoperta restano oscure. Il racconto stesso di Robinson è cambiato nel tempo e diversi studiosi hanno avanzato diverse ipotesi riguardo alle origini storiche dei codici e alle effettive modalità della loro scoperta. Per un possibile scenario (unitamente alla forte critica di alcune delle affermazioni di Robinson) cfr. N.O. LEWIS -].A. BLOUNT, Rethinking the Origins o/ the Nag Hammadi Codices. in JBL 133 (2014) 399-419; critiche simili sono espresse da M. GoooACRE, How Reliable Is the Story o/ the Nag Hammadi Discovery?, in JSNT 35 (2013) 303-322. All'inizio della nostra analisi del Vangelo di Tommaso è il caso di fare un'annotazione relativa alla terminologia. Uso l'espressione Vangelo di Tommaso o semplicemente Tommaso come termini generali per riferirmi a un'opera letteraria cristiana del II secolo d.C., conservata fino a noi in due forme principali: ( l ) i frammenti greci conservati nei papiri di Ossirinco, nello specifico POxy. l, P Oxy. 654 e POxy. 655 (che non appartengono tutti allo stesso manoscritto greco); e (2) il Vangelo copto di Tommaso, di cui è conservata solo una copia, vale a dire nel Trattato 2 del Codice II dei codici di Nag Hammadi scoperti nel l945. Il Vangelo copto di Tommaso co�tiene (secondo il calcolo dei curatori moderni) 1 14 detti, anche se con qualche lacuna. L'abbreviazione che uso nel Volume 5 di Un ebreo marginale per l'espressione è VCT, spesso seguita dal numero di un detto (= l6ghion). Molto probabilmente VCT è la traduzione di un testo greco (la lingua originale della composizione), ma i frammenti conservati nei papiri di Ossirinco rivelano alcune differenze di formulazione e di ordine rispetto al VCT. Per una descrizione dettagliata dei tre papiri di Ossirinco che contengono i detti di Tommaso, cfr. L. HURTADO, The Greek Fragments o/the Gospel o/Thomas as Arte/acts, in]. FREY - E. E. PoPKES-]. ScHROTER (edd.), Das Thomasevangelium. Entstehung - Rezeption - Theo/ogie (BZNW 157 ) , de Gruyter, Berlin - New York 2008, 19-32: cfr. S. GATHERCOLE, The Gospel ofThomas. Introduction and Commentary (Texts an d Editions for NT Study 1 1 ) , Brii!, Leiden - Boston/MA 2014, 4-8 (per la trattazione di Gathercole del manoscritto copto e il confronto tra i testi greco e copto, cfr. 9-24). Per una breve introduzione ai papiri, cfr. Un ebreo marginale l, 129-130, e la letteratura citata. Per l'opinione minoritaria secondo la quale la forma originale di Tommaso fu scritta in siriaco, cfr. N. PERRIN, Thomas and Tatian. The Relationship

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Le parabole di Gesù: sette tesi inattuali

loro che conoscono libri sulle parabole di Gesù, il dibattito prosegue ancora oggi45• L'indipendenza di Tommaso è sostenuta da un gruppo importante di studiosi nordamericani, anche se gli autori dissentono sul fatto che pochi detti singoli in Tommaso possano riflettere la dipendenza dai sinottici. Oggi, in alcuni ambienti, l'indipendenza di Tommaso è data per scontata al punto che difficilmente ci si dilunga nel discutere opinioni opposte46• Invece voci contrarie tendono a essere velocemente respinte dopo un'analisi poco - se

between the Gospel o/Thomas and the Diatessaron (Academia Biblica 5), Brill - SBL, Leiden - Boston/ MA - Koln - Atlanta!GA 2002, paJSim; una strenua difesa della composizione originale in greco è data da GATHERCOLE, ibid., 9 1 - 102. Una conclusione che emerge dal confronto dei frammenti greci con il VCT è che si dovrebbero forse ammettere fasi di tradizione e di redazione, nonché variazioni nei diversi manoscritti dell'opera. Tuttavia, a meno di ulteriori scoperte di manoscritti, le teorie su tali fasi o sulla gamma delle varianti devono restare mera speculazione; su questo punto, cfr. GATHERCOLE, ibid., 24-34. Citazioni o riferimenti sparsi al Vangelo di Tammaro negli scrittori cristiani posteriori del periodo patristico si possono trovare in The Greek Fragments, appendice di H. W. Attridge in B. LAYTON (ed.), Nag Hammadi Codex II, 2-7 (N HS 20-2 1 ) , 2 voli., Brill, Leiden 1989, vol. l , 103- 109; cfr. GArnERCOLE, ibid., 35-90. Uso l'aggettivo 'tommasino' (cioè che si riferisce al Vangelo di Tammaro) per fare riferimento al testo, al contenuto, alla teologia o all'autore (agli autori) di entrambe le forme testuali. Un ultimo punto: quando parlo del Vangelo di Tommaso nel Volume 5 senza ulteriori precisa­ zioni, mi riferisco sempre all'opera qui descritta. In altre parole, non uso mai l'espressione 'il Vangelo di Tammaro' o ' Tammaro' senza ulteriori precisazioni per riferirmi ad altre opere antiche che portano il nome di Tommaso, come il vangelo apocrifo chiamato Vangelo dell'infanzia di Tammaro, greco (su questo cfr. Un ebreo marginale l , 1 12, testo e nota 1 7). " Per una panoramica sulla letteratura e sulle posizioni contrastanti sul Vangelo di Tammaro, cfr. N. PERRIN, Recent Trends in Gospel o/ Thomas Research (1991-2006): Part l, The Historical Jesus and the Synoptic Gospels, in Czments in Biblica! Research 5 (2007) 183-206 (si noti la lunga bibliografia alle pagine 199-206). Per una raccolta di saggi che presentano i diversi approcci al problema di Tommaso e il Nuovo Testamento cfr. Das Thomasevangelium. Entstehung - Rezeption - Theologie, cit. ll saggio di}. FREv (Die Lilien und das Gewand: Ev Thom 36 un d 3 7 als Paradigma /iir das Verhiiltnis des Thomasevangeliums zur synoptischen Oberlie/erung, 122-180) offre nella prima parte ( 122-147) una panoramica sulla ricerca, utile soprattutto perché considera non solo le posizioni degli autori scelti ma anche i loro presupposti e i loro presupposti ermeneutici impliciti. Per altri compendi che affrontano anche questioni metodologiche cfr. S.]. PATTERSON, The Gospel o/ Thomas and fesus, Polebridge, Sonoma/CA 1993, 1-16; R. NoRDSIECK, Das Thomas-Evangelium, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 2004, 7-30; A.D. DECONICK, The Origina! Gospel o/ Thomas in Translation, Clark, London 2007, 2-24; N. PERRI N Thomas, the Other Go>pel, Westminster John Knox Press, Louisville/KY - London 2007, 1 -69 [ed. i t., Tammaro, l'altro van­ gelo, Queriniana, Brescia 2008, 1-77]; U.-K. PuscH, The Gospel o/Thomas, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 2008, 9-36; M. LABAHN, The Non-Synoptic Jesus: An lntroductzòn lo fohn, Pau!, Thomas, and Other Outsiders o/ the ]esus Quest, in Handbook /or the Study o/ the Hirtorical ]esus 3 , cit., 1933-1996, spec. 1976-1984; E.K. BROADHEAD , The Thomas-Jesus Connection, ibid., vol. 3, 2059-2080; C.W. SKJN­ NER, What Are They Saying about the Gospel o/Thomas?, Paulist Press, New York - Mahwah/NJ 2012. '" Frey (Die Lilien und das Gewand, cit., 122 - 1 80) osserva ( 136) che l'influenza di studiosi quali Hel­ mut Koester eJames M. Robinson nel difendere l'indipendenza di Tammaro ha portato alcuni circoli a una nuova «Ortodossia critica standard» (prendendo in prestito un'espressione di Christopher Tuckett) che non è affatto meno dogmatica della visione tradizionale della priorità delle tradizioni canoniche. Perrin (Recent Trends, cit., 196), rileva un certo 'stallo' sui temi della datazione e delle fonti. ,

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Capitolo trentasettesimo

non per nulla - dettagliata delle argomentazioni su un particolare l6ghion. Di conseguenza un serio dibattito con gli studiosi che mettono in questione l'indipendenza di Tommaso attraverso un'analisi accurata dei singoli l6ghia è quanto meno raro47• Non serve ripetere qui le mie argomentazioni generali che mettono in dubbio l'antichità e l'indipendenza del VCT che ho esposto nel Volume l di Un ebreo marginale48• Vorrei solo osservare che ogni volta che ho esami­ nato un detto del VCT durante la mia ricerca per i primi quattro volumi di Un ebreo marginale, il confronto con i sinottici ha fornito ragioni in favore della secondarietà di Tommaso sia che si tratti di dipendenza letteraria diretta o di dipendenza indiretta dovuta a una certa armonizzazione evan­ gelica, a una raccolta di detti estratti dai sinottici o semplicemente a oralità secondaria (o forse a un misto di tutte questa cose)49• Ma, arrivando allo -

47 Per esempi di autori che mettono in discussione l'ipotizzata indipendenza di Tommaso dai sinottici, cfr. gli articoli di C. L. QuARLES, The Use o/the Gospel o/Thomas in the Research on the Historical]esus o/]ohn Dominic Crossan, in CBQ 69 (2007) 517-536; S. GATI-IERCOLE, Luke in the Gospel o/ Thomas, in NTS 57 (20 1 1 ) 1 1 4-144. Più recentemente, libri interi si sono occupati della posizione contraria all'indipendenza di Tommaso dai sinottici; cfr. in particolare S. GATI-IERCOLE, The Composition o/ the Gospel o/ Thomas ( SNTSMS 1 5 1 ), Cambridge University Press, Cambridge 2012, 127-224; ID. , The Gospel o/ Thomas. Introduction and Commentary, cit., 176- 184; M. GoooACRE, Thomas and the Gos­ pels. The Case /or Thomas's Familiarity with the Synoptics, Eerdmans, Grand Rapids/MI - Cambridge/ U K 2012. Le varie pubblicazioni di Gathercole e di Goodacre sembrano aver messo sulla difensiva il > (GATHERCOLE, Luke in the Gospel o/Thomas, ci t., 1 16). La ragione di ciò è che per principio è estremamente difficile, se non altamente impossibile, dimostrare il non utilizzo di un testo nel mondo amico, per non parlare della dimostrazione che un autore antico non conoscesse un testo precedente. Al contrario l'uso di un testo precedente da parte di un autore (e quindi la sua conoscenza di quel testo precedente) in linea di principio è verifìcabile, per quanto possa essere difficile in un determinato caso. A dire il vero, la natura di Tommaso come raccolta di l6ghia fluttuanti, senza un contesto narrativo più generale, rende la verifica molto più difficile, per es., di quella della dipendenza di determinate pericopi matteane dai loro paralleli marciani. 50 Alcune monografie si concentrano su un sottoinsieme particolare dei l6ghia tommasini. Per es., uno studio che si limita ai detti di Tommaso che contengono parabole, aforismi e metafore che parlano del regno di Dio e che sono parallele al materiale nei vangeli sinottici si può trovare in J. LIEBENBERG, The

Language o/ the Kingdom and Jesus. Parable, Aphorism, and Metaphor in the Sayings Materia! Common lo the Synoptic Tradition and the Gospel o/ Thomas (BZNW 102), de Gruyter, Berlin - New York 200 1 .

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la Tesi 6 sproporzionatamente più lunga e assai più complicata delle altre sei tesi messe insieme. Per evitare un formato tanto ingombrante, presenterò l'analisi dettagliata dei casi campione di Tommaso e dei sinottici nel capitolo successivo, il capitolo 3 8. Tuttavia, per continuità nell'argomentazione, e anche per comodità del lettore, anticiperò e riassumerò qui le conclusioni raggiunte alla fine del capitolo 3 851 • Nel capitolo 38 esaminerò quindici l6ghia tommasini che hanno paralleli nei sinottici. La conclusione raggiunta dall'esame di ciascun l6ghion è che è probabile che la versione di Tommaso mostri segni di una certa dipendenza dal materiale sinottico. Come già osservato, il tipo di dipendenza può varia­ re da detto a detto. La dipendenza può essere diretta o indiretta, attraverso dipendenza letteraria o oralità secondaria, attraverso armonie evangeliche, compendi catechistici o mera memorizzazione, per quanto difettosa. Un corollario a questa conclusione è che Tommaso è importante non perché rappresenta una fonte primitiva e indipendente dei detti di Gesù. Tomma­ so è importante piuttosto perché fornisce un esempio sorprendente della storia della ricezione dei sinottici nel II secolo. L'importanza di Tommaso sta nel fatto che ( l ) mostra abbondantemente la combinazione delle ten­ denze alla fusione osservate in diverse opere patristiche del II secolo (per es., Policarpo, Giustino martire e la Didache), mentre allo stesso tempo (2) anticipa il culmine di queste tendenze alla fusione e all'armonizzazione del Diatessaron di Taziano. A dire il vero, questo esame di quindici l6ghia tratti da Tommaso non risolve automaticamente il problema di tutti i detti tommasini che hanno stretti paralleli sinottici (all'incirca metà dei 1 14 l6ghia nel VCD . Ma i ri­ sultati dell'esplorazione di questi quindici detti scarica l'onere della prova sulla parte avversa del dibattito. In linea di principio, chiunque si avvicini al VCT per la prima volta è obbligato a mantenersi completamente aper­ to alla possibilità che Tommaso fosse tutto direttamente o indirettamente dipendente da uno o più sinottici, o che fosse totalmente indipendente, o ancora che alcuni l6ghia fossero dipendenti e altri no. Così, se si partisse da zero, l'onere della prova spetterebbe a chiunque facesse un'affermazio­ ne qualsiasi in un senso o nell'altro. Ma, dopo aver esaminato VCT 5, 3 1 ,

" Data questa soluzione al problema di una presentazione ordinata, chiedo al lettore di perdonare la ripetizione del materiale nella Tesi 6 (qui nel capitolo 37) e nel capitolo 38. La ripetizione è necessaria per assicurare che ciascuna unità sia coerente e comprensibile se letta separatamente. La Tesi 6 nel capitolo 37 riassume quindi i risultati raggiunti alla fine del capitolo 38, mentre l'inizio del capitolo 38 ripeterà parte del materiale introduttivo della Tesi 6.

Le parabole di Gesù: sette tesi inattuali

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14, 54, 16, 55 , 47 e 99 al di fuori della tradizione parabolica, e i detti 20, 65 , 66, 5 7 , 72 e 63 nella tradizione parabolica, nel capitolo 3 8 sono arrivato alla conclusione che ciascun detto mostra dipendenza da uno o più sinottici. Una volta dimostrato che la questione sta in questi termini - sia nei frammenti greci, sia nel testo copto completo di Tommaso - tra­ mite una vasta gamma di fonti sinottiche e di generi, l'onere della prova è automaticamente scaricato. Perché non solo i l6ghia tommasini che sono stati esaminati dipendono dai sinottici. Oltre a ciò, molti di questi detti tommasini rivelano una mano redazionale che tende chiaramente a fondere e/o ad abbreviare varie forme dei sinottici per produrre la versione che si legge nel VCT. Inoltre gli studi compiuti da Christopher Tuckett, Charles Quarles, Jorg Frey, Simon Gathercole, Mark Goodacre e altri hanno mo­ strato che questa tendenza si estende ben oltre i l6ghia da me esaminati. Dunque diventa piuttosto probabile che chiunque abbia messo insieme il Vangelo di Tommaso conoscesse e abbia usato i vangeli sinottici nella sua attività redazionale. Questa conclusione vale anche nell'ambito ristretto dei frammenti greci di Tommaso trovati nei papiri di Ossirinco. Rimane teoricamente possibile che il curatore abbia ricevuto occasio­ nalmente nella sua composizione un l6ghion indipendente che ha lasciato intatto. Ma tale affermazione, fatta per un l6ghion specifico, deve essere provata, non solo affermata o data per scontata sulla base di un presunto consenso accademico. In presenza di un buon numero di l6ghia dei quali si può dimostrare con discreta probabilità che sono dipendenti dai sinottici, affermerei che l'onere della prova spetta a chiunque sostenga l'indipenden­ za. L'ipotesi predefinita dovrebbe essere la dipendenza, a meno che si possa dimostrare l'opposto in un caso particolare. A tutto ciò aggiungerei una nota personale dalla mia esperienza di anni di lavoro su questo materiale: devo ancora imbattermi in un commenta­ tore del VCT che abbia dimostrato in modo convincente che un qualsiasi l6ghion tommasino con un parallelo sinottico sia veramente indipendente dalla tradizione sinottica. Di certo molti casi possono ricadere nel temuto limbo del non liquet (non chiaro né in un senso né nell ' altro) . Ma anche qui direi che i risultati delle indagini nel capitolo 38 possono giustamente influenzare il nostro giudizio su questi esempi di non liquet. Se - come avviene - abbiamo un discreto numero di chiari esempi della dipendenza di Tommaso testimoniati in ogni fonte sinottica e in molti generi letterari, allora il giudizio di non liquet deve rimanere tale. Un simile giudizio non può essere assunto come predefinito, o per un presunto consenso acca­ demico, nella colonna della 'indipendenza'. Semmai i molteplici esempi 39,

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Capitolo trentasettesimo

del capitolo 3 8 possono portarci a credere che i casi non chiari siano più probabilmente prodotti della dipendenza, pesantemente rimaneggiati dal curatore tommasino. Ma se non ce la sentiamo di arrivare fino a questo punto, tali casi devono rimanere non liquet. Il risultato della Tesi 6 (che include come anticipazione quel che sarà dimostrato diffusamente nel capitolo 3 8) si può esporre piuttosto sem­ plicemente: è assai discutibile appellarsi a qualsiasi parabola in Tommaso (o a qualsiasi altro l6ghion, in questo caso) come testimone indipendente dei detti di Gesù52• In altre parole i l6ghia tommasini non possono essere usati per affermare che un particolare detto attribuito a Gesù nei vangeli sinottici sia autentico basandosi sul presupposto che Tommaso ci offra la molteplice attestazione da una fonte indipendente. Non essendo una fonte indipendente, Tommaso non offre tale molteplice attestazione. Ora è tempo di applicare tutto ciò che abbiamo visto in questa tesi alla questione più ampia del problema del Gesù storico e delle sue parabole, che esamineremo nella Tesi 7.

G. POCHE PARABOLE AUTENTICHE Tesi 7: Relativamente poche parabole sinottiche possono essere attribuite al Gesù storico con un buon grado di probabilità. In altre parole, relativamente poche parabole riescono a superare la prova dei criteri di autenticità che si ritiene che altri detti e atti di Gesù superino53 • Mi rendo conto che quest'affermazione sfida un forte consenso tra quanti fanno ricerca sulle parabole. Da AdolfJi.ilicher, passando per Joachim Jere­ mias e C . H. Dodd, fino a Norman Perrin, Robert Funk e Klyne Snodgrass, gli studiosi di varie ideologie e fedi (o di mancanza delle stesse) sono stati

" Alla fine della sua energica e convincente trattazione di >, dieci parabole (quattordici versioni) nella categoria «Le idee contenute [in queste parabole] sono vicine alle sue>> e undici parabole (dodici versioni - ma solo quattro delle undici parabole si trovano nei sinottici; il resto viene dagli apocrifi del NT o da scritti patristici) nella categoria . " Per un paragone tra le parabole di Gesù e quelle dei rabbini posteriori cfr. C. HEZSER, Rabbinische Gleichnisse und ihre Vergleichbarkeit mit neutestamentlichen Gleichnissen , in R. ZIMMERMANN - G. KERN, Hermeneutzk der Gleichnisse ]esu, cit., 2 17-237. Fra le opere che affrontano questo argomento, C. THOMA - S. LAUER, Die Gleichnisse der Rabbinen (Judaica et Christiana IO, 16, 18), Lang, Bern 1986; P. DscHULNIGG, Rabbinische Gleichnisse und das Neue Testament (Judaica et Christiana 12), Lang, Bem 1988; B.H. YouNG, ]esus and His ]ewish Parables, Paulist Press, New York 1 989; McARTHUR - ]OHN­ STON, They Also Taught in Parables, cit . ; A. APPELBAUM, The Rabbis' King-Parables. Midrash /rom the Third-Century Roman Empire (Judaism in Context 7), Gorgias, Piscataway/NJ 2010, spec. l'appendice, > di Gesù con il Gesù storico (The Brothers and Sirters o/ ]esus: An Epiphanian Responre to fohn P. Meier, in CBQ 56 [ 1 994] 686-700). Nella sua difesa della tesi di Epifania (cioè che i fratelli e le sorelle di Gesù fossero discendenti di Giuseppe a motivo di un matrimonio precedente), Bauckham usa come testimonianze cruciali il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dell'infanzia di Tammaro greco e il Vangelo di Pietro (in realtà una dubbia affermazione sul Vangelo di Pietro in Origene). Una critica a questa sua argomentazione e al suo strano uso di queste fonti patristiche è il mio On Retrojecting Later Questions /rom Later Texts, cit., 5 1 1 -527. (4) Bauckham si appella a diversi studi basati sulle scienze sociali per rafforzare la sua posizione sulle testimonianze oculari e sulla memoria. n problema è che altri

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chiedere come esattamente contribuiscano alla questione dell'autenticità di una determinata parabola. Non c'è dubbio che le parabole in particolare siano state dette e ridette e tramandate per decenni nella tradizione orale subendo varie modifiche. Molteplici esecuzioni orali sarebbero state inevi­ tabili, e hanno esercitato un'influenza conservativa e creativa sulla struttura e sul contenuto di base. Nonostante ciò, la dura verità è che non abbiamo DVD o smartphone del I secolo che conservino la voce viva di tali realiz­ zazioni e trasformazioni orali58• Tutto ciò che abbiamo sono i documenti letterari attentamente composti chiamati Marco, Matteo e Luca. Le critiche classiche delle fonti e della redazione indicano la dipendenza di Matteo e di Luca da Marco e da un'ipotetica fonte classificata come Q, insieme a unità singole dalle tradizioni speciali M e L. Di certo le incessanti tradizioni orali hanno continuato a essere disponibili e talvolta possono aver influenzato gli autori dei vangeli scritti. Ma l'influenza della tradizione orale viva sulla composizione dei quattro vangeli canonici è da dimostrare nell'esempio singolo, non si può semplicemente affermare. Dunque anche l'influenza della memoria non è una cosa che deve essere limitata alla composizione e alla tradizione orale. Per es., testi che fossero uditi o letti ripetutamente

studi basati sulle scienze sociali possono essere e sono stati invocati per mettere in dubbio l'affidabilità della testimonianza oculare; cfr., per es., }.C. S. REDMAN, How Accurate Are Eyewitnenes.� Bauckham and the Eyewitnenes in the Light o/Psychological Research, in JBL 129 (2010) 177-197. Questo ricorda due awocati che si affrontano in un processo penale, ciascuno dei quali chiama a deporre uno psichia· tra perché fornisca una consulenza tecnica diametralmente opposta alla perizia dell'altro esperto. (5) Troppo spesso i ricorsi dei biblisti agli studi sulla memoria presumono che la memoria svolga un ruolo importante solo nel trasmettere le tradizioni nella fase orale. Come ho già osservato in questo capitolo, soprattutto nel mondo antico la memoria dei testi ascoltati o letti in precedenza influenza anche gli scribi nella produzione o nella copiatura dei testi. Per alcuni commenti correttivi sull'uso degli studi sulla memoria nei dibattiti sulle fonti orali e scritte dei vangeli, cfr. A. KIRK, Orality, Writing, and Phantom Sources: Appeals to Ancient Media in Some Recent Challenges to the Two Documents Hypothesis, in NTS 58 (2012) 1-22; questo articolo dovrebbe essere letto con il suo saggio, Memory Theory and ]esus Research, in Handbook /or tbe Study of the Historical ]esus 1 , cit., 809-85 1 . " S u tutta l a questione della relazione tra la 'realizzazione orale' e l a formazione e la lettura dei testi del NT, cfr. L. W. HURTAOO, Ora! Fixation and New Testament Studies� "Orality", "Performance", and Reading Texts in Early Chn'stianity, in NTS 60 (2014) 321-340. Pur affermando l'importanza della parola pronunciata e della tradizione orale nel cristianesimo primitivo, Hurtado sottolinea che questa non giustifica l'assegnazione di un ruolo minore ai testi scritti. Mette giustamente in dubbio le affermazioni secondo le quali nei gruppi cristiani primitivi i testi non erano letti ad alta voce da documenti scrini, ma tramandati a memoria in azioni teatrali e che talvolta i testi cristiani erano composti in e attraverso tali realizzazioni orali. Allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che il nostro obiettivo nel Volume 5 è la trasmissione di singole parabole a opera di tradenti della tradizione sinottica nella prima e seconda generazione del cristianesimo. Che le singole parabole siano state o meno riunite in una piccola raccolta scritta di parabole prima che Marco e gli altri evangelisti componessero i loro vangeli è una cosa che non sappiamo e che non possiamo sapere.

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da uno scriba presumibilmente sarebbero rimasti nella memoria di quello scriba e avrebbero potuto esercitare una certa influenza se in seguito lo scriba avesse realizzato o copiato uno dei vangeli. Dal mio punto di vista, la comprensione corretta della complessità della tradizione orale e l'influenza della memoria sul materiale scritto e orale arricchiscono ma non invalidano il modello fondamentale creato dalla critica delle forme, delle fonti, della tradizione e della redazione, che comprende la teoria delle due fonti delle relazioni sinottiche. Un modello simile è sufficiente, almeno nella maggior parte dei casi, a spiegare le fonti e le relazioni tra le parabole sinottiche. Dunque se si desidera affermare, per es., che la forma matteana o luca­ na di una parabola marciana particolare dipende non solo da Marco ma anche da qualche variante orale vagante, spetta allo studioso dare voce a tale affermazione per convalidarla in quel caso particolare. Vaghi richiami generici all a memoria popolare e alle esecuzioni orali nelle culture antiche o analfabete difficilmente possono risolvere la controversia nel singolo caso59•

'" Sebbene i confronti con le tradizioni orali che stanno dietro all'Ilzade, all

'

OdiJSea e ad altri poemi

epici antichi e con le tradizioni e i poemi popolari tramandati oralmente in certe culture moderne l per es., quelle dei Balcani) siano illuminanti, si deve allo stesso tempo tenere presente la natura rela­

tivamente insolita della tradizione sinottica.

( l ) Le tradizioni che risalgono a Gesù inizialmente erano

puramente orali; tuttavia queste tradizioni orali erano trasmesse in una cultura che era anche scribale e che era stata scribale per molti secoli.

(2) Tra il periodo del ministero pubblico di Gesù (ca. 28-30

d.C.) e la composizione del primo vangelo sinottico trascorrono al massimo una quarantina d'anni

70 d.C.). Se si accetta la datazione talvolta suggerita 50 d . C . ) , il periodo di una tradizione puramente orale

(se accettiamo la datazione comune di Marco ca. per la composizione del documento Q (ca.

senza alcuna espressione scritta si riduce a vent'anni. Si dovrebbe trarre una conclusione analoga se si accettassero le teorie di alcuni studiosi marciani su fonti pre·marciane scritte, contenenti raccolte di

(3) Una volta che Q e Marco sono messi per iscritto e cominciano a circolare in altre chiese (sono entrambi conosciuti indipendentemente da Matteo e da Luca, che scrissero in chiese diverse all'incirca tra 1'80 e il 90 d.C.),

controversie, parabole, racconti di miracolo o un primitivo racconto della Passione.

si devono fare i conti con la ininterrotta traclizione orale, influenzata da un'oralità secondaria originata da queste fonti

scritte. ( 4) Che determinate fonti scritte, poco dopo la loro com parsa

,

fossero ritenute

particolarmente importanti e persino autorevoli (ma certamente non ancora canoniche) si può vedere Jal fatto che una percentuale tra

1'80 e il 90 percento di Marco fu assorbita e rielaborata da Matteo,

nonostante l'ovvia avversione di Matteo per lo stile e la teologia di Marco. Su questa questione cfr. D.C.

Matthew's Use o/ Mark: Did Matthew lntend lo Supplement or to Replace His Primary Source?, NTS 57 (201 1 ) 176-192. Inoltre, nonostante il fatto che Luca molto probabilmente non conoscesse

SIM, in

Matteo, adottò parimenti lo sgraziato Marco come struttura narrativa portante del proprio lavoro letterario estremamente vasto e più sofisticato.

(5)

In tutto il processo della trasmissione orale delle

parole e degli atti di Gesù e del loro conclusivo inglobamento nei vangeli scritti, si deve ricordare che non si stanno trattando racconti epici che narrano di eroi di un lontano passato o resoconti recenti di avvenimenti interessanti nell'ambito di un gruppo sociale d'appartenenza. Dopo gli avvenimenti cruciali collegati alla morte eli Gesù e i resoconti della sua risurrezione, i suoi seguaci (anche i testimoni oculari del ministero pubblico) trasmisero le tradizioni su di lui come «buona notizia>>, tradizioni sacre che

80

Capitolo trentasettesimo

Per es., una parabola creata a metà degli anni Trenta del I secolo d.C. da una persona che era stata seguace di Gesù alla fine degli anni Venti sarebbe stata senza dubbio sottoposta a innumerevoli realizzazioni orali e sarebbe stata ricordata in modi diversi prima di essere scritta nei vangeli sinottici. Le molteplici realizzazioni a cui fosse stata sottoposta tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Settanta - molteplici realizzazioni che possiamo solo supporre, non provare o verificare - non dimostrerebbero nulla circa la loro provenienza dal Gesù storico o da uno dei suoi discepoli. Per offrire due esempi specifici di parabole forse create dai primi cristiani: nel capitolo seguente vedremo che la parabola matteana del Grano e della Zizzania è molto probabilmente una creazione di Matteo stesso o dei tradenti della sua tradizione M60• Relativamente pochi studiosi cercano di dimostrare che questa parabola (e alcuni aggiungerebbero la parabola matteana delle Dieci Vergini) risale al Gesù storico. Nel capitolo 39 sosterrò che la parabola del Buon Samaritano è una pura creazione dell'evangelista Luca. In altre parole, quando si arriva a questa parabola lucana per eccellenza, è diffici­ le portare argomenti in favore dell'esistenza di una qualsiasi forma della parabola prima dell'evangelista, per non parlare del ricondurla a Gesù. Se questo è vero di due parabole molto note e spesso citate, quali argomen­ tazioni positive si possono addurre per dimostrare che altre parabole che mancano di molteplice attestazione non sono una creazione dei primi tra­ denti della tradizione di Gesù o di uno degli evangelisti? Persino un solido difensore dell'affidabilità della tradizione di Gesù nei vangeli come Birger Gerhardsson sostiene che «il cristianesimo primitivo si sentiva autorizzato a formulare nuovi mesalim narrativi del regno, [ . . . ] mesalim creati nello spirito del maestro ·e secondo le stesse linee dei suoi mesalim»61 • A questo punto possiamo riconoscere l'importanza cruciale della de­ cisione che il VCT non rappresenti una fonte primitiva e indipendente

erano talmente importanti per la salvezza di coloro che le conservavano e dei loro uditori da portarli a essere disposti a soffrire la persecuzione e persino la morte per la verità di ciò che proclamavano. Non è la stessa cosa della dedizione di un bardo alla trasmissione e allo sviluppo della poesia omerica. "" Nei capitoli seguenti incontreremo spesso il termine tecnico 'tradente'. Secondo la risorsa Internet Oxford Biblica! Studies Online, nell'uso accademico 'tradente' (in inglese tradent) significa «responsabile della conservazione e della trasmissione della tradizione orale, per es. un insegnante, un predicatore o un missionario>>; esempi di tali tradizioni orali sarebbero le controversie, i racconti di miracolo e le parabole. 61 GERHARDSSON, The Narrative Meshalim in the Synoptic Gospels, cit., 362. Prendendo Mt 13,5 1 -52 come indicazione di tale libertà creativa, Gerhardsson (363) conclude che «la questione dell'autenticità del singolo mdsal deve essere discussa, in ultima istanZI.l, caso per caso».

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degli insegnamenti di Gesù in generale e delle parabole in particolare. Se Tommaso fosse indipendente e primitivo, avremmo molteplice attestazio­ ne (o molteplice attestazione più ampia) per le parabole del Seminatore, del Granello di Senape, del Grano e della Zizzania, del Ricco Stolto, del Grande Banchetto, dei Fittavoli Malvagi, della Perla di grande valore, del Lievito, della Pecorella Smarrita e del Tesoro nel Campo. Ma come argo­ menterò ampiamente nel capitolo 38, questo non è assolutamente il caso. In linea di principio sono disposto a considerare la possibilità che, in un caso particolare, la versione di una parabola conservata nel VCT rappre­ senti una forma indipendente e primitiva - se qualcuno dovesse elaborare un'argomentazione convincente per questa posizione. In tutta onestà, però, avendo analizzato nel dettaglio tutte le parabole sinottiche con il VCT ac­ canto, devo ancora trovare tale argomentazione convincente. Si può però capire il motivo per cui studiosi da Jeremias a Crossan, tanto diversi nelle loro cristologie o nella mancanza delle stesse, si mobilitino in favore del­ l'indipendenza di Tommaso. Con questo otteniamo una molteplice attesta­ zione e un buon argomento per l'autenticità di nove parabole che altrimenti non potrebbero attenerla (il Granello di Senape è certa come coincidenza Marco-Q). Senza Tommaso, queste nove sono alla mercé della critica delle fonti come la maggior parte delle altre parabole. Peggio ancora, non solo il criterio della molteplice attestazione non vale; si deve dire lo stesso del criterio dell'imbarazzo62• Se non altro le parabole

'" Si potrebbe obiettare che il criterio dell'imbarazzo si può usare per quelle parabole che sembrano celebrare o additare a modello una persona di probità morale discutibile. Un esempio paradigmatico potrebbe essere la parabola alla quale si dà tradizionalmente il titolo eli Amministratore Disonesto (Le 16, 1 -9). Il problema di questa linea argomentativa, tuttavia, è che si presume di capire correttamente la parabola e quindi di rilevare correttamente l'attività immorale da pane dell'amministratore (si noti l'impatto preventivo del titolo tradizionale, «L'Amministratore Disonesto>>, con il presupposto che

questo titolo racchiuda il punto principale della parabola). Se invece si considera la prospettiva secondo la quale l'amministratore della parabola, per quanto irresponsabile nello sperperare gli averi del suo padrone (16,2-3) e quindi 'disonesto' in questo senso, non faccia nulla di disonesto riducendo le somme dovute dai debitori ( 1 6,5-7), ma piuttosto rinunci volontariamente alla parte

eli pagamento del debito

che sarebbe andato a lui come commissione sulle transazioni (cfr. per es. ].A. FITZMYER, The Gospel According to Luke [AYB 28 e 28A], 2 voli., Doubleday, Garden City/NY 1 98 1 , 1985, vol. 2, 1094- 1 1 02), l'amministratore, almeno alla fine del racconto, si dimostra furbo e prudente invece che disonesto. Di fronte a una crisi ha scelto la perdita a breve termine per il guadagno a lungo termine. Nondimeno, la questione più ampia è che prima di poter ricorrere all'argomentazione dell'imbarazzo nel caso di una parabola, si deve stabilire la propria interpretazione panicolare della parabola (cioè che la parabola esalta una persona equivoca proprio perché è equivoca) come corretta. Inoltre quella che si considera una persona equivoca nell'America del XXI secolo (per es., un padrone duro, esigente e punitivo) non necessariamente era la stessa cosa nell'antico Vicino Oriente.

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di Gesù si sono dimostrate le parti più conosciute e più amate dei vangeli, anche per i non credenti. Vari uditori nei vangeli sono talvolta sorpresi o turbati da ciò che Gesù dice, ma quasi mai la causa di tale sorpresa è una parabola narrativa. La reazione abituale alle parabole (quando si nota una reazione) è la perplessità o la richiesta di una spiegazione. Non serve dire che un critico moderno ingegnoso è libero di usare la sua capacità di inter­ pretare una parabola in modo imbarazzante o sorprendente, ma il critico successivo sarebbe altrettanto libero di offrire un'interpretazione diversa e non sorprendente. È sempre stato così con le parabole. Non ha senso per gli interpreti moderni celebrare l'indeterminatezza, la gamma sempre aperta dei significati possibili delle parabole solo per andare nella direzione oppo­ sta e insistere che questa parabola particolare deve avere questo particolare significato offensivo. La storia dell'interpretazione mostra che le persone che non amano una certa interpretazione di una parabola semplicemente ne adotteranno un'altra. Ma che dire di quei casi relativamente rari in cui la sorpresa sembra indiscutibilmente presente perché nella parabola si celebra un personaggio sgradevole? Il problema di questo genere di argomentazio­ ne è che l'esempio paradigmatico di tale sorpresa è la parabola del Buon Samaritano - proprio la parabola che, sosterrò nel capitolo 39, non viene né da Gesù né dai primi tradenti ma da Luca stesso. Gesù non era affatto l'unica figura religiosa in grado di pronunciare affermazioni sorprendenti o inquietanti nel I secolo d.C. Dalle lettere di Paolo all'Apocalisse di Giovanni si possono trovare molte affermazioni inquietanti o perturbanti nel canone del NT che non risalgono al Gesù storico. Che dire del criterio di discontinuità? Alcuni commentatori, come Ber­ nard Brandon Scott - forse cogliendo la diffi coltà di sostenere l'autenticità di una singola parabola presa isolatamente - hanno preventivamente sostenuto una supposizione a priori dell'autenticità delle parabole sinottiche in genera­ le se non per l'esatta formulazione, almeno per la loro struttura originante. Si devono fare i complimenti a Scott per aver riconosciuto la difficoltà di dimostrare l'autenticità delle parabole sinottiche e per aver affrontato cor­ rettamente questo problema. Tuttavia la prima parte dell'argomentazione di Scott in favore dell'autenticità sorprenderà chiunque conosca la tradizione parabolica delle Scritture ebraiche. Scott afferma che «il genere parabolico non compare nella Bibbia ebraica».6}. Egli basa quindi questa posizione su

''3 Hear Then The Parable, cit., 63-64. Scott è piuttosto schietto sul motivo per cui ha formulato il suo metodo in un certo modo. Accetta il principio metodologico (discutibile) esposto da Norman Perrin: «[ . . ] l'onere della prova ricade su chi afferma l'autenticità di un detto [ ]>>. Scott controbatte subito .

. . .

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un fondamento malfermo: «l racconti» nelle Scritture ebraiche «non usano la formula distintiva 'è simile a'>>. Ma lo stesso vale per molte parabole di Gesù: per es., il Seminatore, i Fittavoli Malvagi, la parabola di Matteo dei Due Figli, la parabola di Luca dei Due Debitori, del Buon Samaritano, del­ l' Amico Importuno a mezzanotte, del Ricco Stolto, del Fico Sterile, della Costruzione della Torre e del Re che va in Guerra, della Moneta Smarrita, del Figlio Prodigo, dell'Amministratore Disonesto, del Ricco e Lazzaro, della Vedova e del Giudice ingiusto, e del Fariseo e del Pubblicano. In realtà questo elenco ci ricorda che Luca in particolare, spesso, non usa formule introduttive che impiegano l'espressione «è simile a». Talvolta, in­ fatti, una parabola non è neppure etichettata come parabole. Altre volte un evangelista usa la formula «è simile a» mentre un altro non la usa; cfr., per es., l'introduzione di Matteo al Grande Banchetto (Mt 22,2: «li regno dei cieli è simile a un re . . . ») , a confronto con Luca (Le 14, 16: «Un uomo diede una grande cena . . . »). Se non fosse per la propensione di Matteo a usare le formule «è simile a» per introdurre le parabole (cfr., per es., la maggior parte delle parabole nel suo discorso parabolico di 13,3 -52), non potremmo nemmeno pensare che tale formula fosse così tipica delle parabole di Gesù. Matteo stesso, tuttavia, non usa costantemente l'introduzione, come si può vedere dalla prima parabola nel cap. 1 3 , il Seminatore (w. 3 -8). In verità si potrebbe sostenere che la formula «è simile a» sia implicita nell'atto stesso di usare un racconto breve a mo' di confronto, ma si può dire lo stesso delle varie parabole dell'AT. La realtà e le categorie per la realtà non sono da confondere. La parabola di Natan del povero e della sua pecorella non è meno una parabola perché manca della classificazione mdsdl o della formula «è simile a» nel suo contesto immediato. Ci sono altri modi di manovrare l'argomentazione basata sulla disconti­ nuità per stabilire che la maggior parte delle parabole sinottiche risalgono al Gesù storico? Si potrebbe ricorrere all'argomentazione più soggettiva,

che il caso cambia quando si tratta delle parabole di Gesù; qui l'onere della prova spetta alla persona che afferma che una parabola non viene da Gesù. Oltre al fatto che non penso che le motivazioni di Scott per spostare l'onere della prova reggano, un problema ulteriore di tutto il suo approccio è che presuppone il dilemma binario in base al quale si tratta con due soli interlocutori: chi difende e chi nega l'autenticità di una parabola. Questo approccio binario ammette implicitamente solo due giudizi possibili alla fine di una ricerca accademica: la parabola viene dal Gesù storico oppure no. Ma come abbiamo visto innumerevoli volte nei primi quattro volumi di Un ebreo marginale, il giu­ dizio ragionevole alla fine di un'indagine può invece essere non liquet. Ammessa questa terza opzione, il principio dell'onere della prova è formulato meglio così: l'onere della prova è a carico di chiunque cerchi di provare qualcosa; a questo proposito, cfr. Un ebreo marginale l, 182, n. 65.

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estetica, anistica o romantica che le p arabole di Gesù dimostrano un ge­ nio letterario e un intuito nuovo assai maggiore di qualsiasi altra parabola ebraica prima o dopo di lui. Ma così si entra nell'ambito del de gustibus64• I rabbini antichi avrebbero concordato con questa valutazione estetica? Anzi, oggi tutti gli studiosi ebrei ortodossi esperti delle parabole rabbiniche concorderebbero con questo giudizio estetico cristiano? Ne dubito65• Un altro approccio all'argomentazione basata sulla discontinuità indica che altri scritti del NT e anzi di altre opere cristiane del I e del II seco­ lo non contengono parabole analoghe a quelle di Gesù66• Il problema di questa argomentazione è che non ci dice nulla sulla creatività degli 'attori fondamentali' che tramandavano la tradizione delle parabole sinottiche nei primi decenni dopo il 30 d.C. Qui dovremmo fermarci un attimo e chieder­ ci: Cosa insinuiamo quando affermiamo che una particolare parabola dei vangeli sinottici risale, in una forma o nell'altra, al Gesù storico? Stiamo insinuando che uno o più 'testimoni oculari' del ministero pubblico di Gesù ascoltarono questa parabola, la ricordarono e la ripeterono nel circolo dei discepoli e nella chiesa primitiva come parte dell'insegnamento di Gesù. Questa parabola continuò a essere ripetuta - senza dubbio con diverse varianti nelle 'realizzazioni orali' - fino al momento in cui fu trascritta in uno dei sinottici (se non già in qualche fonte scritta precedente come Q o una raccolta pre-marciana)67 • Dunque affermare l'autenticità di qualsiasi parabola di uno dei sinottici significa affermare che ci fu una catena o un gruppo di tradenti orali che conservarono, ripeterono e trasmisero le vere parabole di Gesù per tre o quattro decenni. Dobbiamo supporre che i discepoli originari che trascor­ sero due o tre anni ascoltando, assorbendo e ripetendo le parabole di Gesù non abbiano mai imparato nulla su come comporre una parabola a effetto? I discepoli originari erano stupidi e ottusi come li fa sembrare Marco? I primi depositari cristiani della tradizione che ricevettero le parabole dai 'testimoni auricolari' e le ripeterono oralmente per decenni non impararono nemmeno loro nulla su come comporre parabole a imitazione del maestro?

64 Sul problema connesso all 'argomentazione estetica dell'autenticità delle parabole sinottiche, cfr. G. SELLIN, Lukas als Gleichnisen:iihler: die Erziihlung vom barmhe1"1.igen Samariter (Lk 1 0:25-37), in ZNW 65 ( 1 974) 166- 189, Parte l; ZNW 66 ( 1975) 19-60 Parte II, spec. 167-168. 6' Cfr. l'osservazione di APPELBAUM, The Rabbis' King-Parables, cit., 271 . 66 Cfr. Scorr, Hear Then the Parable, cit., 64. 67 Si deve ammettere che le variazioni nella realizzazione orale di una parabola possano risalire a Gesù stesso, che potrebbe aver raccontato essenzialmente la stessa parabola in occasioni diverse a uditori diversi e averla modificata di conseguenza.

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Il problema di tutta l'argomentazione basata sulla discontinuità, quando è applicata alle parabole, è che si ha a che fare con un gruppo di persone che si fece carico di conservare e trasmettere la tradizione che necessariamente esisteva - se le parabole sono autentiche - ma delle quali sappiamo poco più di nulla. In particolare non sappiamo quanto fossero creative e fino a che punto composero parabole a imitazione di quelle che ricevettero da Gesù o dai 'testimoni auricolari' di Gesù. C'è dunque un problema fondamentale nell'argomentazione della di­ scontinuità, quando la si applica alle parabole: funziona piuttosto bene quando paragoniamo Gesù narratore di parabole a Paolo o ad altri autori non sinottici del NT - nessuno dei quali, naturalmente, scrisse un vangelo sinottico o una parabola come quelle di Gesù. Questa argomentazione della discontinuità non funziona però con i tradenti anonimi delle tradizioni si­ nottiche orali, soprattutto delle tradizioni paraboliche. Qualcuno di molto esperto nel conservare e trasmettere la tradizione delle parabole di Gesù potrebbe anche essere abbastanza esperto nell'imitarne la tradizione. Dob­ biamo mantenere questa possibilità sempre presente quando ci chiediamo: questa particolare parabola risale a Gesù? Se, poi, né la molteplice attestazione né la discontinuità si applicano alla maggior parte delle parabole di Gesù, quale criterio può valere? Non molti commentatori sosterrebbero che è valido il criterio della morte di Gesù ­ anche se alcune delle parabole più pungenti potrebbero aver infastidito i suoi avversari e aggravato la tensione tra Gesù e le autorità di Gerusalemme. Si farebbe però fatica a immaginare l'incriminazione posta sopra la testa di Gesù sulla croce: «Gesù nazareno narratore di parabole». A Pilato non sarebbe potuto interessare di meno. Per quanto riguarda il criterio di coerenza (o continuità), esso può evi­ denziare il fatto che l'uso gesuano delle parabole ha senso se inserito nella grande tradizione israelitica che va dal profeta Natan ai rabbini del Talmud e oltre. Ma questo non ci dice nulla sull'autenticità di alcuna parabola sin ottica. Così ci ritroviamo con una conclusione sorprendente e sconcertante: oltre alle relativamente poche parabole che godono della molteplice at­ testazione, la critica storica è fortemente sollecitata a dimostrare che una parabola particolare risale al Gesù storico. In realtà una lettura attenta di molti dei lunghi commentari sulle parabole del NT scoprirebbe questo segreto imbarazzante, nascosto da affermazioni vaghe, generiche e prive di fondamento. n lettore più attento noterà quanto spesso si risponda al­ l'interrogativo sull'autenticità con l'osservazione generale che «numerosi

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interpreti di varie tendenze hanno concluso che [ . . . una particolare parabo­ la] è nel suo nucleo autentica»68 o, almeno, che «una parabola di questo tipo sarebbe stata certamente possibile nel ministero di Gesù di Nazareth»69• Alternativamente si dice che «non c'è alcuna ragione per escludere che la parabola [ . . ] derivi dalla tradizione proveniente dalla predicazione di Gesù»70• Oppure ci assicurano che «per ciò che concerne la sua autenticità non sembrano esservi questioni rilevanti»71• Anzi, talvolta questo argomen­ to curioso del silenzio si coniuga alla sensibilità estetica: «L'autenticità di questa parabola è raramente messa in discussione, soprattutto per via della sua qualità artistica e della sua potenza . . . »72 . Continuando a sottolineare l'importanza di un uso giudizioso dei criteri invece che delle grandi generalizzazioni quando si valuta l'autenticità delle singole parabole sinottiche, chiedo al lettore di considerare, in un caso con­ creto, i risultati derivanti dall'abbandono di un uso coerente dei criteri. Il tomo monumentale di Klyne Snodgrass, Stories with Intent, è una miniera di informazioni, sia sui linguaggi e sui testi antichi, sia sui commentatori e sul dibattito moderni. La consultazione di questo testo mi ha giovato spesso. Tuttavia c'è qualcosa di gravemente sbagliato in un metodo che, alla fine, vede il Gesù storico, la tradizione cristiana primitiva e qualsiasi evangelista fondersi praticamente nella stessa persona. Perché il risultato finale dell'approccio di Snodgrass è che nemmeno una parabola di tutti e tre i vangeli sinottici è fermamente rigettata come non autentica. Come arriva Snodgrass a questo critico vicolo cieco? Tra i molti problemi dell'approccio di Snodgrass, due si distinguono: ( l ) gli ovvi contributi degli evangelisti sono sminuiti minimizzando le peculiarità redazionali chiaramente pre­ senti in una parabola; e (2) l'autenticità di qualsiasi parabola è presunta a meno che si possa provare l'opposto (riesumando così il vecchio espediente dell'onere della prova)73• Ammetto prontamente: l'uso del criterio di au.

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HULTGREN, The Parabler o/]erur. cit., 361 [trad. i t., 345] .

69 Ibid. ,

308 [trad. it., 297]. '" Ibid. , 257 [trad. it., 253]. 7 1 Ibid. , 233; cfr. 139. 143- 144 [trad. i t . , 23 1 ; cfr. 145. 149]. 72 SNODGRASS, Storz'er with Intent, cit., 1 18; cfr. 103. " Si potrebbero citare molti altri problemi, fra cui (l) il rifiuto di adottare e di limitarsi a una solu­ zione qualunque del problema sinottico e (2) l'assenza di un'esegesi dettagliata, versetto per versetto, di ciascuna parabola. Invece il ricorso a molteplici realizzazioni orali, la non esistenza di alcuna versione originale di una parabola e simili mantra oggi popolari, mascherano l'assenza di rigore metodologico. Quando si arriva al problema dell'autenticità delle parabole, l'intero progetto di Snodgrass si mantiene su un alto livello di generalizzazione,

di intuizione e di impressionismo artistico.

Le parabole di Gesù: sette tesi inattuali

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tenticità può essere noioso e laborioso, e porta talvolta risultati incerti o la fastidiosa conclusione del non liquet. Ma consideriamo l'alternativa fin troppo comune: la maggior parte dei libri sulle parabole, non diversamente da Snodgrass, arrivano a conclusioni che gli autori hanno predeterminato sin dall'inizio del loro progetto. E quelle conclusioni di solito includono l'affermazione chiave che la maggior parte, se non proprio tutte le parabole, risalgono - almeno nel loro 'centro' o 'nucleo' - al Gesù storico. Con la ricerca sulle parabole, come con la ricerca su Gesù in generale, il desiderio è spesso padre del pensiero - e del libro. In conclusione non mi illudo che le mie sette tesi inattuali ribalteranno improvvisamente il corso della ricerca americana sulle parabole. Con le parabole, come con quasi ogni altro ambito di ricerca universitaria, un dato campo di competenza si evolve sempre troppo facilmente in una camera di risonanza che produce un consenso auto-rinforzante. Se non altro, però, spero almeno che le mie tesi inattuali incoraggeranno il lettore a uscire dalla camera di risonanza della ricerca sulle parabole e a porsi la domanda fonda­ mentale che è stata la cifra di questo capitolo: come sappiamo che questa o quella parabola vengono dal Gesù storico? Alla fine di questo capitolo e di queste sette tesi, la mia risposta è semplice: in molti casi non lo sappiamo. Mi sia consentito sottolineare ancora una volta: non si tratta di affermare che spesso si può dimostrare l'opposto, cioè che questa o quella parabola in definitiva non vengono da Gesù. Piuttosto, come è stato spesso il caso con i racconti dei miracoli nel Volume 2, restiamo con un fastidioso ma onesto non liquet (non chiaro né in un senso né nell'altro). Tutto il consenso contrario non prova null a . Ma c'è - come è stato suggerito in questo capitolo - almeno qualche parabola che possa vantare uno o più criteri di storicità e quindi dimostrare di essere veramente creazione di Gesù? Ce ne sono ben poche, ma devono essere identificate con un esame attento dell'intero elenco delle parabole narrative sinottiche, per poter scegliere il numero relativamente basso di candidate promettenti. Dopo aver esaminato ampiamente la questione della dipendenza o dell'indipendenza di Tommaso nel capitolo 38, torneremo dunque a quell'elenco di parabole, nel capitolo 3 9, per scoprire le candidate che «hanno maggiore probabilità di avere successo» nella gara per il premio dell'autenticità. Comprensibilmente potremmo voler passare immediata­ mente a esaminare l'interessante elenco di parabole possibilmente autenti­ che, ma un interrogativo più importante si pone sul nostro cammino. Come vedremo, il criterio della molteplice attestazione delle fonti indipendenti si dimostrerà il più importante dei criteri quando si dovrà valutare la storicità

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Capitolo trentasettesimo

di ogni determinata parabola. Quindi, prima di passare a quella valutazione, dobbiamo essere chiari su un punto vitale: le parabole nel VCT fornisco­ no un'attestazione delle parabole sinottiche da una fonte indipendente? Oppure sono dipendenti da uno o più vangeli sinottici, e quindi inefficaci per soddisfare il criterio della molteplice attestazione? Nel capitolo 3 8 ci dedicheremo a questo interrogativo preliminare, difficile ma inevitabile.

EXCURSUS SUL CAPITOLO TRENTASETTESIMO

IL PROBLEMA DELL'ALLEGORIA

La natura dell'allegoria continua ancora oggi ad essere fonte di dibattito tra gli studiosi delle parabole (come lo era tra gli antichi studiosi greci e latini) , in parte perché l'allegoria in sé, anche indipendentemente dal suo rapporto con la categoria della parabola, è un tema vasto che resiste a defi­ nizioni precise1 • La comprensione della natura e del valore dell'allegoria è cambiata nel corso dei secoli, e si sarebbe in difficoltà a trovare una defini­ zione o una descrizione di allegoria che possa soddisfare oggi ogni studiosd. Qui mi limiterò a esporre per sommi capi l'interpretazione che governa la mia trattazione dell'allegoria, mentre eviterò i dibattiti tecnici dettagliati in cui gli accademici si affrontano sulla precisa definizione e funzione del­ l'allegoria. In senso lato, l'allegoria è un modo particolare di pensare, parla­ re, scrivere e creare arte, un modo che coinvolge l'uso estensivo e (quando è ben fatto) coerente dei simboli e/o delle metafore per comunicare un messaggio attraverso l'analogia. Un motivo per cui ho iniziato con questa descrizione generale dell'allegoria è che l'allegoria non è limitata alla lette­ ratura; i dipinti, la scultura, le composizioni musicali (per es. , Tristan und Iso/de di Richard Wagner) e altre opere d' arte possono anch'esse essere allegoriche'. Quando il termine è applicato alla letteratura, l'allegoria non deve essere ridotta a un genere letterario particolare. L'allegoria è piuttosto

1 Il lettore ricorderà che nel capitolo 37 la questione dell'allegoria si presentò nel contesto dell'uso da parte di Ezechiele di parabole allegoriche. Quindi, per non disturbare il corso dell'argomentazione principale, la trattazione del problema dell'allegoria è stata posticipata in questo Excursus. 2 A questo proposito cfr. i saggi ordinati storicamente inJ. WHITI\IAN (ed.), Interpreta/ton andAllegory. Antiquity to tbe Modem Perrod (Brill's Studies in lntellectual History 101), Brill, Leiden · Boston/MA ­ Koln 2000; R. CoPELAND - P.T. STRUCK, Tbe Cambridge Companion lo Allegory, Cambridge University Press, New York - Cambridge/UK 2010. ' Su questo punto cfr. i vari saggi in M. KRONEGGER - A .T. TYMIENIECKA (edd.), Allegory 0/d and New in Literature, the Fine Arts, Music and Theatre, and lts Continuity in Culture (Analecta Husserliana 42), Kluwer Academic, Dordrecht - Boston/MA - London 1994.

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Excursus sul Capitolo trentasettesimo

una modalità o tecnica retorica di parlare e di scrivere che si può trovare in molti generi letterari (per es., la poesia narrativa, la poesia lirica, le parabole, le rielaborazioni artificiose e polemiche della storia, e interi romanzi) . A li­ vello popolare l'allegoria è spesso ritenuta un racconto simbolico in cui ogni attore, azione, nome, oggetto o luogo in una sfera della realtà corrisponde a un altro attore, a un'altra azione, a un altro nome, a un altro oggetto o a un altro luogo in un'altra sfera della realtà. Intesa in questo senso limitato, l'allegoria non è solo una metafora estesa ma un'intera serie di metafore. Le singole metafore possono essere abilmente legate fra loro per formare un insieme coerente, oppure possono essere unite liberamente e artificialmente, con il significato che l'autore desidera imprimere imponendo relazioni e interazioni scomode o in un certo senso innaturali tra le metafore. Mentre in letteratura si possono trovare spesso allegorie molto artificiali e pesanti (per es., John Bunyan, Il pellegrinaggio del cristiano), tali esempi non riflettono certo tutta la gamma dell'allegoria, che ha una natura notevolmente elastica e flessibile4 • Un modo di pensare a un'allegoria ben realizzata è immaginare una narrazione che non sia semplicemente una serie di metafore collegate, ma soprattutto una grande metafora che si estende a tutta la narrazione e la awolge. In questo caso la misura in cui gli eventi singoli della narrazione si riferiscono punto per punto a elementi nel corrispondente ambito della realtà può variare molto da una narrazione allegorica a un'altra5. Per illustrare questa interpretazione dell'allegoria, evitando una conce­ zione troppo ristretta dell'allegoria derivante dal concentrarsi solo sul ma­ teriale dei vangeli sinottici o sulla religione in generale, esaminiamo prima un esempio secolare moderno di narrazione allegorica. Assai diverso da Il pellegrinaggio del cristiano è La /attoria degli animali di George Orwell (scritta nel 1943 - 1 944 e pubblicata nel 1945 ) , che può essere vista come una grande allegoria dall'inizio alla fine, un romanzo satirico che simboleggia e

4 J. BuNYA N The Pilgrim's Progress (Norton Criticai Edition), a cura di C. Wall, Norton, New York ­ London 2009 [trad. it., Ilpellegrinaggio del cristiano, UCEB, Fondi 1992); pubblicato originariamente nel 1678. Per le considerazioni sull'uso dell'allegoria da parte di Bunyan, cfr. le osservazioni scelte di S.T. Coleridge (379-380) e ].P. Hunter (407-4 1 1 ) nell'edizione critica Norton; cfr. anche J.F. FoRREST, Allegory as Sacred Sport: Manipulation o/ the Reader in Spenser and Bunyan, in R.G. CoLLMER (ed.), Bunyan in Our Time, Kent State University, Kent/OH - London/UK 1989, 93-1 12; B.A. ]oHNSON, Falling into Allegory: The "Apology" to The Pilgrim's Progress and Bunyan's Scriptural Methodology, ibid., 1 1 3-1 37; R. PooLEY, The Pilgrim's Progress and the Line a/Allegory, in A. DUNAN-PAGE (ed.), The Cambridge Companion lo Bzmyan, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2010, 80-94. ' Per un ulteriore approfondimento su queste idee, cfr. M. BoUCHER, The Mysterious Parable (CBQMS 6), CBA, Washington/DC 1977, 20-22. ,

Il problema dell'allegoria

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illumina il tradimento degli ideali che sostennero la Rivoluzione Russa con l'istituzione da parte di Stalin di un regime totalitario nell'Unione Sovietica. La fattoria degli animali è particolarmente istruttiva perché, per usare un linguaggio tecnico, il suo genere letterario è quello della favola animalé. Questo sottolinea che l'allegoria è ben altro che un singolo genere letterario o una tecnica retorica limitata a un singolo genere. Nell'allegoria generale di Orwell ci sono infatti molte corrispondenze specifiche: il maiale Vecchio Maggiore è Marx e/o Lenin; Napoleone, il maiale che detiene un potere tirannico sulla fattoria, è Stalin; Palladineve, il maiale leader più vivace ed eloquente è Trotsky; il Corvo è la chiesa ortodossa russa, e così via. Ma l'al­ legoria che è tutto il romanzo è molto più di una serie di brillanti equazioni tra metafore e realtà distinte. L'allegoria principale è più della somma delle sue parti. Tutto questo diventa un intricato esempio ermeneutico di arte letteraria e si comprende come l'allegoria possa operare a diversi livelli per lettori diversi o per periodi di tempo diversi. La /attoria degli animali è giustamente considerata un'allegoria per (a) l'intenzione esplicita dell'autore originale, (b) l'intenzione abilmente tra­ dotta nella struttura letteraria e nel contenuto del testo, e (c) l'intenzione che è chiaramente comunicata al pubblico originario che l'autore aveva in mentel. Come spesso succede nell'allegoria, l'offuscamento e la misti­ fìcazione non erano l'obiettivo dell'autore. Infatti il messaggio fin troppo chiaro dell'allegoria di Orwell gli rese difficile trovare un editore in In­ ghilterra proprio sul finire della seconda guerra mondiale8• Chiaramente, poi, riconoscere e interpretare La /attoria degli animali come allegoria che satireggia l'Unione Sovietica di Stalin non significa avviare una sorta di esegesi artificiale o forzata; l'interpretazione allegorica voluta dall'autore originario e compresa immediatamente dal pubblico originario è il signifi­ cato corretto e naturale (anzi, si potrebbe persino dire letterale). Tuttavia, come ogni buona allegoria e ogni grande opera d'arte, il valore di La /attoria degli animali non si limita all'intenzione dell'autore originale, alla situazio­ ne originante e al pubblico a cui si rivolgeva in origine. A causa del suo

6 Cfr. L. FERGENSON, George Orwel!'s Anima! Farm. A Twentieth-Century Beast Fable, in H. BwoM led.), George Orwell's Anima! Farm (Modern Criticai lnterpretations), Chelsea House, Philadelphial MS 1999, 109- 1 18. 1 L'intenzione è chiarita nella sua prefazione al romanzo; cfr. Anima! Farm. A Fairy Story (The Complete Works of George Orwell 8), a cura di P. Davison, Secker & Warburg, London 1987, 97- 1 1 4. 8 A questo proposito cfr. B. CRJCK, Tbe Making o/ Anima! Farm, in BLOOM (ed.), George Orwell's Anima! Farm, ci t. 29-43 [trad. it., Un 'introduzione all'introduzione che Orwelt soppresse, in La fattoria degli animali, Mondadori, Milano 1982, 15-24].

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Excursus sul Capitolo trentasettesimo

dinamismo interno e dell'elasticità del suo mondo metaforico, un'allegoria ben realizzata può trascendere la sua matrice originale e parlare a nuove platee in circostanze alquanto diverse. Per es. , La /attoria degli animali è letta ancora oggi da Americani del XXI secolo che temono che determinati sviluppi nella loro stessa nazione possano portare a totalitarismi fascisti o socialisti (si noti come sia possibile per i partigiani di destra e di sinistra interpretare l'allegoria principale a loro piacimento) . La grande allegoria funziona ancora, sia che i lettori attuali capiscano o meno tutte le 'equa­ zioni' pensate da Orwell. (Come possono sapere i giovani lettori americani o cosa può loro interessare che il maiale Piffero rappresenti Molotov?). La /attoria degli animali continuerà a essere letta e apprezzata finché ci saran­ no movimenti o sistemi politici i cui ideali possono essere traditi da leader menzogneri, brutali ed egoisti ai vertici e da seguaci volutamente ignoranti, inetti e paurosi alla base. I lettori attuali del romanzo non farebbero vio­ lenza all'allegoria al centro de La fattoria degli animali, anche se vedessero corrispondenze allegoriche che non sono necessariamente quelle originali pensate dall'autore o comprese dal pubblico originale. Tali nuove inter­ pretazioni allegoriche evocate dai problemi del XXI secolo non possono essere giudicate artificiali o studiate; sono in viva e organica continuità con il significato allegorico originale del testo. Al contrario, sia per i protestanti liberali, sia per quelli evangelici nell'America del XXI secolo, usare La /atto­ ria degli animali come polemica allegorica contro i presunti errori teologici dei loro avversari ecclesiastici" potrebbe produrre ingegnose dimostrazioni di interpretazione manipolatrice e fantasiosa del testo; ma chiunque si trovi al di fuori dell'arena teologica riconoscerebbe in fretta tale interpretazione come eisegesi premeditata, uno dei peggiori casi di interpretazione alle­ gorizzante. Si potrebbe quasi sentire l'ateo Orwell lamentarsi - anche se, giudicando da diversi commenti fatti altrove, probabilmente non si oppor­ rebbe all'applicazione dell'allegoria al papa, ai gesuiti e alla chiesa cattolica. In breve, l'allegoria adeguatamente realizzata e compresa è un'opera d'arte ben lontana dal letto di Procuste delle corrispondenti metafore «occhio per occhio», interpretazione popolare dell'allegoria. Applicando queste intuizioni alla questione molto più ristretta delle pa­ rabole sinottiche e del posto che in esse occupa l'allegoria, possiamo per un verso dare quel che spetta ad AdolfJiilicher. Era nel giusto quando ri­ fiutava l'esegesi allegorizzante estremamente elaborata e artificiale adottata da molti teologi patristici e medievali (ma non tutti) - un tipo di esegesi che si trova ancora in opere popolari e in terribili omelie. L'esempio più famoso di tale interpretazione ingegnosa benché artefatta è la lettura che fa

Il problema dell'allegoria

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sant'Agostino di Le 1 0,3 0-37 , la parabola del buon Samaritano (Quaestio­ nes evangeliorum, 2. 1 9)9• Agostino trova nella parabola un compendio di tutta la storia della salvezza, dalla caduta di Adamo alla salvezza per opera di Cristo e alla vita eterna con, per es. , Gerico che simboleggia la luna mutevole e che quindi significa la nostra mortalità umana. Tale allegoriz­ zazione, per quanto piacevole o divertente, è assai estranea all'intenzione dell'autore originale che si rivolgeva al suo pubblico originale (sia che fosse Gesù che insegnava ai suoi discepoli, o Luca che insegnava alla sua chiesa) . Il problema è che, in una reazione estremamente moderna alle distorsioni patristiche estreme, Jiilicher dichiarò che il Gesù storico non usava mai l'allegoria nelle sue parabole; anzi, l'allegoria era fondamentalmente oppo­ sta alle semplici parabole di Gesù con il loro unico punto di paragone (il tertium comparationis) . Ahimè, la dicotomia netta di Jiilicher si scontra sia con la natura dinamica ed elastica dell'allegoria che abbiamo esaminato, sia con il complesso inventario delle variegate parabole di Gesù. La verità è che le parabole attribuite a Gesù, così come si trovano nei sinottici, rivelano una relazione complicata e variabile con l'allegoria. Prendiamo un paio di esempi diversi per esaminare questa relazione fluttuante tra parabola e allegoria nelle parabole di Gesù. ( l ) La grande maggioranza degli esegeti ritiene l'interpretazione allegori­ ca della parabola del Seminatore (Mc 4 , 14-20 rispetto a 4,3 -8) un'aggiunta secondaria della tradizione cristiana primitiva, una creazione di Marco o di qualche autore pre-marciano10• Il lessico dell'interpretazione allegorica e alcuni dei relativi problemi affrontati sembrano riflettere la situazione della predicazione cristiana primitiva più che quella del Gesù storico. Tuttavia, benché secondaria in senso cronologico e ideologico, l'interpretazione alle­ gorica di Marco non è così estranea e collegata artificialmente alla parabola del Seminatore come l'interpretazione salvifico-storica di Agostino della parabola del Buon Samaritano. Nel caso di Marco, è vero che la sua inter­ pretazione allegorica del quadruplice destino del seme va oltre il significato originale della parabola, concentrandosi sulle disposizioni soggettive dei vari ascoltatori della parola che rispondevano a diverse pressioni esterne. Tutta-

9 Per il testo latino cfr. Sancti Aure/ii Augustini. Quaestiones evangeliorum (CC Series Latina 44B), Brepols, Turnhout !Belgio) 1980, 62-63 [trad. it., in Opere esegetiche X/2, Città Nuova, Roma 1997]. 1° Cfr. ]EREMIAS, Le parabole di Gesù, cit., 93-96; Dooo, The Parables o/ the Kingdom, cit., 14-15 [trad. it., 17]; CROSSAN, In Parables, cit., 4 1 -42; HuLTGREN, The Parables o/]esus, cit., 189-190 [trad. it., 192- 195]; Scorr, Hear Then the Parable, cit., 343-362. Snodgrass (Stories with Intent, cit., 1 64-166) rappresenta i relativamente pochi studiosi che sostengono che essa derivi da Gesù.

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Excursus sul Capitolo trentasettesimo

via la presenza stessa nella parabola originale dei quattro terreni diversi che determinano i quattro diversi destini del seme, in aggiunta al significato tra­ dizionale di simboli come le rocce, i semi, le spine e il raccolto abbondante in racconti che riguardano l'agricoltura, crea un certo dinamismo metaforico nella struttura e nel significato di base della parabola, che in cambio può facilmente generare il tipo di interpretazione allegorica fornita da Marco. Va detto che l'interpretazione allegorica di Marco è uno sviluppo successivo, non intrinseco né necessario per il testo originale; ma non manca un certo collegamento organico al testo che ha contribuito a generarla. (2) il caso della parabola di Matteo del Grano e della Zizzania (Mt 1 3 ,2430, che sarà trattata ampiamente nel capitolo 3 8) è più complicato. Anche indipendentemente dall'interpretazione allegorica di Matteo ( 1 3 ,37 -43 ), nella parabola vera e propria la serie di figure consuete (il padrone del campo, i suoi servi, la semina e il raccolto, le piante buone e cattive, la di­ struzione con il fuoco come evento finale opposto al raccolto) costituisce una serie di metafore ben note nella profezia e nell'apocalittica ebraica. Così il significato allegorico di base della parabola vera e propria è già dichiarato, anche se all 'uditorio non era ancora stato dato un catalogo pre­ ciso che identificasse il significato di ciascuna metafora. Anzi, verrebbe da chiedere: l'interpretazione allegorica matteana della parabola è veramente secondaria, un'allegorizzazione posteriore aggiunta a un testo che suggeriva e sollecitava ma non specificava alcuna interpretazione allegorica? Molti esegeti risponderebbero positivamente. Ma è anche possibile che la para­ bola e l'interpretazione allegorica siano opera di Matteo, che creò le due cose nello stesso tempo. Che l'interpretazione allegorica sposti in qualche modo l'enfasi della parabola non sarebbe di per sé un argomento contro tale possibilità, dal momento che spostamenti simili si vedono in alcune allegorie veterotestamentarie e rabbiniche. Se Matteo avesse creato contem­ poraneamente sia la parabola sia l'interpretazione allegorica come parte di una composizione coerente, allora la parabola non solo sarebbe un'allegoria a pieno titolo, ma anche l'interpretazione allegorica non sarebbe in alcun senso artificiale, secondaria o deformante. Saremmo infatti molto vicini a La /attoria degli animali di Orwell: l'allegoria completa sarebbe incorporata nella narrazione stessa e sarebbe l'intenzione originale dell'autore. La dif­ ferenza, naturalmente, è che Orwell né lo fornì, né desiderava un catalogo separato di equivalenze. (3) Ancor più intrigante è la parabola di Marco dei Fittavoli Malvagi della Vigna (Mc 12, 1 - 1 1 , trattata anch'essa nel capitolo 38). Qui, diversa­ mente dai due esempi precedenti, non c'è spiegazione allegorica separata

Il problema dell'allegoria

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né catalogo di equivalenze (in questo senso ci avviciniamo ancora di più a La/attoria degli animali di Orwell) . Se c'è un'allegoria presente in Mc 12, 1 1 1 , deve essere incorporata e comunicata dalla parabola stessa. Di fatto, chiunque conosca le Scritture ebraiche in generale e il canto della vigna di Isaia (Is 5 , 1 -7) in particolare - e questo includerebbe i giudei informati che ascoltavano Gesù che raccontava la parabola intorno al 30 d.C. - ricono­ scerebbe facilmente nella vigna Israele, nel padrone Dio, nei servi mandati dal padrone i profeti, e in coloro che rifiutano i servi le guide malvagie di Israele (o, più specificamente, di Gerusalemme). Inoltre i primi ascoltatori cristiani della forma marciana della parabola riconoscerebbero immediata­ mente nel figlio unico Gesù, nella sua morte violenta la crocifissione, nella punizione dei fittavoli la distruzione di Gerusalemme e nella citazione di 5al 1 17 ,22-23 LXX l'annuncio della giustificazione di Gesù nella sua risur­ rezione. Si dovrebbero ignorare totalmente entrambe le tradizioni, quella ebraica e quella giudeo-cristiana, per non riuscire a cogliere per gran parte, se non tutta, l'allegoria che è inerente alla parabola e che la pervade. Lungi dall'essere un espediente casuale, questa allegoria si trova nel cuore stesso della parabola ed è inestricabilmente legata ad essa. Nei Fittavoli Malvagi della Vigna, l'allegoria parabolica è tale che un'interpretazione allegorica separata come in Mc 4, 14-20 sarebbe superflua e noiosa. E tuttavia questa unione inestricabile non significa che l'allegoria perda il suo dinamismo e la sua flessibilità. Proprio per via di queste qualità, l'allegoria rimane soggetta a ulteriori interpretazioni e adattamenti, come è testimoniato nelle versioni di Matteo, Luca e Tommaso. In sintesi, una conclusione importante da trarre da questo breve esame dell'allegoria e della parabola è che ci si deve rivolgere a ogni parabola sinottica con una mente aperta e non con una griglia rigida. Le varie relazioni possibili tra parabola e allegoria devono essere elaborate e valutate nell'esegesi del singolo caso11•

" Ulteriori letture sul tema dell'allegoria in H.-J. KLAUCK, Allegorie und Allegorese in synoptischen Gleichnistexten (NTAbh 13 ), Aschendorff, Miinster 1978, 2a ed. con appendice 1986, 4-147; H. WEDER, Die Gleichnisse Jesu als Metaphern (FRLANT 120), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1978, 1990', 69· 75 [trad. it., Metafore del regno. Le parabole di Gesù: ricostruzione e interpretazione, Paideia, Brescia 1991, 89-95] ; C.E. CARLSTON, Parable and Allegory Revisited: An Interpretive Review, in CBQ 43 ( 198 1 ) 228-242; HULTGREN, The Parables o/Jesus, cit., 1 2 - 1 4 [trad. it., 32-33] ; SNODGRASS, Stories with Intenl, cit., 15- 17; D.E. AuNE, Allegory, in The \Y/estminster Dictionary of New Testament and Early Christian Literature and Rhetoric, Westminster - John Knox, Louisville/KY · London 2003, 30-32; S. BRITTAN, Poetry, Symbol, and Allegory. Imerpreting Metaphorical Language /rom Plato to the Present, University of Virginia, Charlottesville/VA - London/UK 2003 ; i vari saggi nella Parte II ( ) in G .R. Bovs­ STONES (ed.), Metaphor, Allegory, and tbe Classica! Tradition, Oxford University, Oxford · New York 2003, 15 1-256;]. TAMBLING, Allegory (The New Criticai Idiom), Routledge, London - New York 2010.

CAPITOLO TRENTOTTESIMO

LE PARABOLE E IL PROBLEMA DEL VANGELO COPTO DI TOMMASO

l La collocazione di questo capitolo nella trattazione globale

Considerato nell'insieme, il capitolo 3 7 ha urlato un forte 'no' all'idea co­ mune che le parabole sinottiche siano tra i detti più attendibili del vangelo attribuiti a Gesù, parte della tradizione fondamentale che ci dà accesso al Gesù storico. L'idea in controtendenza che ho espresso nel capitolo 3 7 è semplice: se scorriamo un elenco delle parabole sinottiche, tenendo presen­ ti i criteri di storicità, emergeranno poche candidate credibili per l'ambìto riconoscimento di materiale gesuano autentico. Se ammettiamo la verità di questo 'grido ribelle' accademico con cui si è concluso il capitolo 3 7, ci verrà spontaneo procedere in fretta verso un'ispezione preliminare delle parabole sinottiche per vagliare gli orizzonti possibili. Tuttavia il nostro procedere senza indugio verso un iniziale inventario delle parabole con i criteri come unità di misura incontra un ostacolo note­ vole. Come è già stato annunciato nel capitolo 3 7 , e come sarà dimostrato diffusamente nei capitoli 39 e 40, ci troviamo di fronte a un problema me­ todologico fondamentale: la natura della documentazione fa sì che il criterio della molteplice attestazione da parte di più di una fonte letteraria indi­ pendente svolga un ruolo sproporzionato nella valutazione dell'autenticità delle parabole1 • In altre parole, che una parabola compaia in più di una fonte indipendente spesso determinerà se la si deve collocare tra le pecore o tra i capri presso il trono del giudizio della critica storica. Dunque, dato

1 La formulazione completa di questo criterio parla di molteplice attestazione «in più di una fonte letteraria indipendente [ . . ] e/o in più di una forma o genere letterario (per es., parabola, racconto di disputa, racconto di miracolo, profezia, aforisma» ( Un ebreo marginale l , 169). Tuttavia, poiché qui ci occupiamo di una sola forma letteraria, cioè delle parabole, l'attestazione da molteplici forme non viene considerata. Di certo ci imbatteremo nella molteplice attestazione di un dato tema o di una data immagine in varie parabole, ma questo non fornisce la molteplice attestazione di una singola parabola. .

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

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il ruolo cruciale che il criterio della molteplice attestazione svolge in questo

processo, non servirà eludere o rimandare una domanda chiave: il Vangelo copto di Tommaso (= VC1) fornisce un'attestazione indipendente per alcu­ ne delle parabole che si trovano anche nei sinottici? Se è così, allora un certo numero di parabole altrimenti attribuite alla penna di capri non autentici potrebbe essere trasferita al gregge delle pecore vere. Se non è così, poche parabole riusciranno a entrare nell'ovile il giorno del giudizio critico. È quindi essenziale che, prima di passare all'analisi iniziale dell'elenco delle parabole (capitolo 39) , affrontiamo direttamente il problema posto dalle parabole del VCT che sono parallele al materiale sinottico. D'ora in poi ciò che questo capitolo cercherà di fare sarà fornire una dimostrazione dettagliata della posizione enunciata nella Tesi 6 del capi­ tolo 37: l'affermazione che le parabole nel VCT riportino una tradizione indipendente e persino precedente e più attendibile delle parabole è alta­ mente discutibile. Nel capitolo 37 questioni di spazio hanno permesso solo un'argomentazione breve e generale in favore di questa tesi. Nel capitolo 38 dimostrerò ampiamente che è più probabile che le parabole del VCT (e, anzi, la tradizione dei detti in generale) rivelino la conoscenza o l'influenza dei sinottid. Una volta stabilita questa posizione, la gamma precisa del materiale in cui il criterio della molteplice attestazione può operare ade­ guatamente diventa chiaro: il criterio si applica solo nel caso di molteplici fonti sinottiche che siano letterariamente indipendenti le une dalle altre. Le parabole nel VCT non sono di aiuto perché è improbabile che rappre­ sentino una tradizione indipendente. Per esporre la mia argomentazione in modo metodico, riassumerò prima alcune osservazioni generali su Tommaso che ho presentato nel Volume l di Un ebreo marginale>. Passerò quindi

2

L'espressione 'è più probabile'

fusa della documentazione,

il

è scelta per sottolineare che, data la natura limitata e talvolta con­

meglio in cui possiamo sperare è un giudizio su quale sia la posizione

più probabile.

' Un ebreo marginale ! , 127- 156. Il lettore paziente che ha attraversato tutti e cinque i volumi di l (come gran parte del materiale del Volume l) descri­

quest'opera capirà che queste pagine del Volume

vevano a grandi linee una posizione che doveva poi essere sondata più estesamente nei volumi successivi.

l esaurisse tutto quel che avevo da dire sul VCT. A questo punto può essere utile un ripasso della nomenclatura: il Vangelo copto di Tam­ maro e Tammaro sono i termini generali per un'opera cristiana del II secolo conservata sia in frammenti greci (i papiri di Ossirinco l , 654 e 655), sia nell'intera traduzione copta con alcune lacune, il Vangelo copto di Tammaro (=VCD. L'aggettivo che si riferisce a qualsiasi forma di quest'opera è 'tommasino'. Talvolta alternerò Vangelo di Tammaro, Tammaro e VCT solo per ragioni stilistiche, per evitare noiose ripetizioni dello stesso termine. Questa alternanza è possibile in questa trattazione perché i frammenti Alcuni critici sembra abbiano immaginato che il Volume tema del

greci non contengono esempi di una parabola narrativa completa presente anche nei sinottici.

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Capitolo trentottesimo

alle verifiche dettagliate di singoli detti e delle parabole attestati sia da Tommaso, sia dai sinottici.

Il Osservazioni generali sul Va ngelo di Tommaso in relazione ai sinottici Le singole verifiche dei detti nel VCT (e, quando validi, dei frammenti greci) non convincono per nulla se viste completamente isolate (a) dal qua­ dro più ampio della situazione del Vangelo copto di Tommaso nel contesto della letteratura cristiana del II secolo e (b) dalla relazione globale di Tom­ maso con i sinottici. È per delineare questo contesto più ampio che offro le seguenti sette osservazioni riassunte brevemente. L'esposizione completa di queste osservazioni si può trovare nelle relative sezioni del Volume 14• ( l ) La composizione del Vangelo di Tommaso deve essere collocata in una cornice più generale, cioè la ricca e variegata produzione di molti scritti cristiani nel II secolo d.C., alcuni gnosticizzanti, altri no. La seconda metà del XX secolo, soprattutto in ambito accademico nordamericano, ha as­ sistito a un esame frenetico dei frammenti di quasi tutte le opere cristiane del II secolo nella fervida speranza di scoprire un'altra fonte per il Gesù storico, presumibilmente antica e attendibile. Nessuna teoria era consi­ derata troppo stravagante. Per fare solo un esempio: invenzioni cristiane come il Protovangelo di Giacomo (cioè il Vangelo dell'infanzia di Giacomo) e lo spassoso Vangelo dell'infanzia di Tommaso (da non confondere con il vcn furono presentate come fonti serie per dati storici sulla famiglia di Gesù5• Nonostante questa esuberanza irrazionale nell'equivalente accade­ mico del mercato azionario, ricerche serie indicano che la maggior parte dei testi proposti, fra i quali anche le composizioni cristiane di Nag Hammadi, rivelano una certa influenza, diretta o indiretta, da parte dei vangeli sinot­ tici e di altre opere neotestamentarié. Il Vangelo di Tommaso, sia nei suoi

' Il lettore solerte di tutti i volumi di Un ebreo marginale che ricorda bene la trattazione del VCT nel Volume l si senta libero di saltare la sezione 2 di questo capitolo e passi subito alle singole verifiche nella sezione 3. Ma per tutti coloro che non hanno ancora letto il Volume l o hanno solo un vago ricordo delle pagine 127-156, questa sezione servirà per collocare le verifiche specifiche nel contesto più ampio. ' Cfr. i miei commenti su questa tendenza in MEIER, On Retrojecting Later Questions /rom Later Texls, cit., 5 1 1 -527. 6 Cfr. Un ebreo marginale l, 106-157. Particolarmente utili sono E. MASSAUX, In/luence de l'évangile

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

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frammenti greci, sia nella sua forma copta più completa, dovrebbe essere visto in una cornice più generale invece di essere letto in un vuoto storico o, ancor peggio, in una matrice del I secolo ipotizzata ma senza riscontro. (2) In questo contesto più generale dell'uso dei sinottici nelle composi­ zioni cristiane del II secolo, l'uso dei sinottici da parte di quegli scrittori chiamati 'i Padri apostolici' e 'gli apologisti' (per es., la Didaché, Policarpo, Giustino martire) rivela una tendenza affascinante e istruttiva. Invece di citare o di alludere semplicemente a una versione di un detto sinottico, gli scrittori cristiani del II secolo spesso combinano e fondono le diverse forme di un detto presente in più di un Sinottico7• La stessa propensione a fondere i sinottici si trova in Tommaso. Qui è fondamentale ricordare che i vangeli sinottici non sono solo il p rodotto di molteplici tradizioni orali, ma anche i produttori di ulteriori tradizioni orali in un flusso di oralità se­ condaria. I detti di Gesù uditi, quando si leggevano i vangeli negli incontri cristiani (liturgici o catechetici) e poi oggetto di omelie, erano ricordati e riutilizzati, con gradi diversi di libertà e di riformulazione teologica, da parte di autori del II e del III secolo. Oltre a contare sulla propria memoria, gli scrittori cristiani - in particolare Giustino martire - potrebbero avere anche usato armonie e riassunti catechetici di materiale evangelico, invece di dedicarsi al laborioso compito di cercare un detto in un rotolo o in un codice evangelico. (3 ) L'affermazione che la tradizione dei detti in Tommaso è indipendente dai sinottici spesso è stata motivata dal curioso ordine - o dalla mancanza di ordine - del VCT rispetto ai discorsi ordinati presenti nei vangeli sinottici. Tale affermazione trascura il fatto che Tommaso contiene detti e gruppi di detti ordinati in base a parole chiave e ad associazioni di temi affini. Non serve appellarsi a un ipotetico testo originale siriaco per vedere tali colle­ gamenti tra i detti nel VCP. Almeno in un esempio abbiamo l'indicazione

de saint Matthieu sur la littérature chrétienne avant saint Irénée (Universitas Catholica Lovaniensis 2/42), Publications universitaires, Louvain 1950, ristampato con supplementi, University Press, Louvain 1986; W.- D. KOHLER, Die Rezeption des Matthiiusevangeliums in der Zeit vor Ireniius (WUNT 2/24), Mohr (Siebeck), Tiibingen 1 987. Per la possibile influenza delle lettere di Paolo o anche della lettera agli Ebrei su Tommaso, cfr. S. GATHERCOLE, The Composition of the Gospel of Thomas, ci t., 227-262. Più propenso a vedere la continuità della tradizione orale piuttosto che l'influenza letteraria dei vangeli nella letteratura dell'inizio del Il secolo è H. KoESTER, Ancient Christian Gospels. Their Hùtory and Development, SCM, London - Trinity, Philadelphia!MS 1 990. 7 Cfr. gli esempi citati in Un ebreo marginale 4, 227-228 nn. 77 -80; 233-234 n. 89; 521 -522 nn. 80-81; 567-568 n. 176; 612-613 n. 263. 8 L'ipotesi di un originale Tommaso siriaco è sostenuta da N. PERR!N nel suo Thomas and Tatian, cit.; cfr. la sua reiterata difesa del siriaco quale lingua originale di Tommaso nel suo The Aramaic Origins

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Capitolo trentottesimo

che il compositore della versione copta di Tommaso ha riordinato inten­ zionalmente i detti (come sono conservati nei papiri greci di Ossirinco) per creare un nesso verbale tra i l6ghia9• Nel VCT si trovano anche gruppi, creati intenzionalmente, di forme letterarie particolari (per es., le parabole nei l6ghia 63 , 64 e 65), assemblati per sottolineare un messaggio teologico preferito (per es., i legami con il mondo materiale, e soprattutto con la ricchezza, che portano alla morte) 10• C'è un problema più grande nell'argomentazione che basa l'ipotetica indipendenza di Tommaso dai sinottici sull'ordine confuso o sulla mancanza di ordine dei detti nel VCT. Discernere la logica in base alla quale un au­ tore ordina il materiale dei detti è spesso un'impresa difficile, come si può vedere dalla disposizione di Luca dei detti Q e L nella sua narrazione del grande viaggio (Le 9-19). Di fronte alla sconclusionata sequenza dei detti di Luca, i commentatori del terzo vangelo talvolta ricorrono a spiegazioni contorte (per es. , Luca sta creando un grande chiasmo o seguendo l'ordine del Deuteronomio) e talaltra si arrendono disperati. In parole semplici: a volte non si riesce a cogliere una connessione nella presentazione del flusso di pensieri di Luca, o al massimo si coglie solo un tenue legame tematico.

o/ the Gospel o/ Thomas - Revisited, in Das Thomasevangelium. Entstehung - Re::.eption - Theologie, cit., 50-59. A favore della composizione in greco (la tesi comune) è S . GATHERCOLE, The Composition o/ the Gospel o/ Thomas, cit., 1 9- 125. Tuttavia Gathercole ( 125) opera una distinzione attenta e utile su questo punto. Da una parte, . D'altro canto, mentre è difficile riuscire ad avere certezze sulla questione della lingua originale dell'opera, Gathercole ritiene più probabile che Tommaso sia stato in origine composto in greco piuttosto che in aramaico. In ogni caso, esempi di collegamenti lessicali o concettuali tra i detti di Tommaso non si limitano assolutamente a un ipotetico originale composto in siriaco. Molti collegamenti di questo tipo sono rilevati nel VCT da NoRDSIECK, Das Thomas-Evangelium ci t.; cfr., per es.,

34.178.248.253 .374.384.

L'espressione «Spaccate il legno>> in POxy. l alla fine di un detto alle righe 23-30 (la prima parte di questo detto greco corrisponde a VCT 30) compare nel VCT come parte della seconda metà del detto 77. La ragione di questa trasposizione sembra essere che il termine copto poh, che può essere il verbo 'trovare' o il verbo 'tagliare', ricorre sia nel detto 77 a. sia nel77b. Inoltre, mentre il detto alla fine delle righe 23-30 in POxy. l presenta il seguente ordine delle parole: «Solleva la pietra e ivi mi troverai, spacca il legno e io sono là>>, tale ordine è inverso nel VCT 77, probabilmente per collocare le due occorrenze di poh quasi una vicino all'altra, con l'inserimento eli una sola parola copta. 10 Su questi accostamenti come indizi di dipendenza dai sinottici, cfr. J.M. SEVRIN, Un groupement de trois paraboles contre !es richesses dans l'Évangile selon Thomas. EvTh 63, 64, 65, in J. DELORME (ed.), Les paraboles évangéliques. Perspectives nouvelles, Cerf, Paris 1 989, 425-439; cfr. B. DEHANDSCHUTTER, I.:Évangrle de Thomas comme collection de paro/es de ]ésus, in]. DELOBEL (ed.), Logia - Les Paro/es de Jé­ sus - The Sayings o/]esus (BETL 59), Peeters - Leuven University, Leuven 1982, 507-5 15, spec. 51 1 -5 1 3 ; ID., Les paraboles de l'Évangile selon Thomas. La parabole du trésor caché (log. 109), in ETL 47 ( 1 97 1 ) 1 99-2 19; ID., La parabole de la perle (Mt 13,45-46) et l'Évangile selon Thomas, in ETL 5 5 ( 1 979) 243-265. 9

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Uscendo dai sinottici, si possono trovare casi simili di ordine o di disordine che lasciano perplessi nella presentazione di libri neotestamentari, come la prima lettera di Giovanni e la lettera di Giacomo. I commentatori si sforzano di scoprire la chiave ermetica o cabalistica dell'ordine di ciascun libro, ma nessuno degli schemi principali proposti mi convince. Nelle composizioni antiche e moderne alcuni autori sono buoni pensa tori e cattivi scrittori - o, se non altro, cattivi ordinatori del loro materiale. Inoltre non si può avere la sicurezza che l'autore di Tommaso abbia scelto e riordinato i suoi detti diret­ tamente dai testi dei sinottici. Se invece attingeva alle armonie evangeliche e ai compendi catechetici, non stava riordinando i sinottici veri e propri. Stava riordinando materiale che era già stato riordinato e forse mescolato. (4) Quando si ingaggia un corpo a corpo con l'ordine dei detti e con altri enigmi in Tommaso, si dovrebbe ricordare il programma esoterico che Tommaso annuncia all'inizio dell'opera. Tommaso dà a intendere di aver trascritto «le parole segrete che Gesù, il vivente, ha proferito» (prologo) . n primo detto nel vangelo promette che colui che trova l a (vera) interpre­ tazione di queste parole non gusterà la morte. n l6ghion 2 esorta poi chi cerca a continuare a cercare, perché trovare il vero significato dei detti di Gesù sconvolgerà e meraviglierà il cercatore, e alla fine lo farà regnare su tutto. Come ammonisce il l6ghion 3 , in questa ricerca si deve rifiutare l'insegnamento di «coloro che vi conducono» (presumibilmente i vescovi e i presbiteri della 'corrente principale' del cristianesimo del II secolo) . Per trovare il significato delle parole segrete di Gesù si deve cercare non la guida esterna delle autorità della chiesa, ma piuttosto la vera conoscenza del proprio io, separati dal mondo materiale e consci di essere figli del Padre vivente. Data questa visione della salvezza (che sembra molto simile alla spi­ ritualità new age americana) , l'ultima cosa che l'autore di Tommaso desidera è una raccolta ordinata di detti cristallini che sarebbero immediatamente intelligibili a chiunque e a qualunque osservatore esterno si imbattesse nel suo vangelo. Il riordinamento e la riformulazione del materiale sinottico rispondono all'intenzione dell'autore di rivolgersi a un'élite spirituale che sola, andando per tentativi, impari a farsi strada nel labirinto verbale e intellettuale di Tommaso e a raggiungere così la vita eterna. Dato questo programma, spiegazioni o ill ustrazioni trasparenti che rendessero chiaro il senso delle parabole sarebbero naturalmente state omesse dall'autore di Tommaso, qualora le avesse trovate nella sua fonte. (5) Valutando tutte queste considerazioni, non dovrebbe sorprendere che Tommaso presenti sempre forme più brevi e semplificate delle parabole che hanno paralleli nei sinottici. Un'ulteriore considerazione rafforza la no-

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Capitolo trentottesimo

stra idea che la versione più breve di Tommaso delle parabole di Gesù non provi affatto che Tommaso disponesse di tradizioni antiche e indipendenti. Dopotutto Matteo abbrevia regolarmente i racconti dei miracoli di Marco che prende da quel vangelo; Luca, allo stesso modo, talvolta condensa il materiale marciano. Come vedremo nelle nostre analisi delle singole para­ bole, un esempio importante dell'abbreviazione che Luca fa di Marco si trova nella parabola dei Fittavoli Malvagi della Vigna, dove Tommaso non fa altro che proseguire il programma lucano di sfrondare seriamente Marco. Un caso ancor più sorprendente è rilevabile nell'abbreviazione di Matteo della forma marciana della proibizione del divorzio in Mt 19,9 1 1 Mc 1 0, 1 1 12. Come abbiamo visto nel Volume 4 di Un ebreo marginale, la proibizione del divorzio da parte del Gesù storico riguardava solo il caso di un marito ebreo che ripudia la moglie e ne sposa un'altra, dal momento che tra gli ebrei comuni nella Palestina del tempo di Gesù solo il marito aveva il potere di divorziare. Marco (come Paolo in 1 Cor 7) adatta questa proibizione a un contesto legale romano, estendendo la proibizione anche alla moglie. Riflet­ tendo il retroterra della chiesa giudeo-cristiana, Matteo arriva ad abbreviare la doppia proibizione di Marco, limitando la proibizione al marito - e per pura coincidenza facendo eco alla formula originale pronunciata da Gesù. Si noti cosa è accaduto qui. Matteo abbrevia la formulazione marciana della proibizione, non perché dispone di una registrazione video di ciò che Gesù disse all'incirca nel 3 0 d.C. Piuttosto, Matteo accorcia il detto ripreso da Marco a motivo del proprio Sitz im Leben e del proprio programma teologico. Nel processo storico, la versione di Matteo è in realtà doppia­ mente lontana dall'insegnamento originale di Gesù. La sua coincidenza con l'insegnamento originale di Gesù (oltre all'eccezione che Matteo inserisce nella proibizione) è una pura coincidenza, non una prova di accesso diretto a una tradizione precedente indipendente da Marco. Abbiamo così in Mt 19,9 (che riscrive Mc 10, 1 1 - 12) un esempio paradigmatico del fatto che una forma più breve di un detto di Gesù non sia necessariamente prova di una fonte primitiva e indipendente. Allo stesso tempo Matteo e Luca da una parte e Tommaso dall'altra sono sufficientemente in grado di aggiungere materiale a una fonte quando con­ venga ai loro scopi redazionali. Un ottimo esempio è l'aggiunta matteana di Pietro che cammina sull'acqua al racconto di Gesù che cammina sull'acqua in Mt 14,22-23 , rispetto a Mc 6,45-52. Analogamente, anche quando omette parti del materiale di Marco nella parabola dei Fittavoli Malvagi, Matteo aggiunge alcune frasi sue. Allo stesso modo Luca abbrevia alcune sezioni del racconto di Marco della crocifissione e della morte, pur aggiungendo

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detti di Gesù che si adattano alla teologia del terzo evangelista. In sintesi, forme più o meno brevi di un detto, considerate isolatamente, non sono indicatori certi dell'antichità o dell'indipendenza di una tradizione. (6) Che si classifichi la teologia redazionale del VCT come gnostica, gno­ sticizzante, encratita o medio-platonica, Tommaso non mostra alcun inte­ resse per i temi importanti che permeano i quattro vangeli canonici. Questi temi includono le Scritture ebraiche, la storia di Israele in esse racchiusa, e l'idea di una storia della salvezza in più fasi, che vanno dalla profezia alla realizzazione negli avvenimenti progressivi della vita, morte e risurrezione di Gesù. Questa realizzazione della Scrittura in Cristo, che costituisce il centro della storia della salvezza, si estende anche nella vita della chiesa, la cui missione in questo mondo continua fino alla parusia. In netto contrasto, la visione negativa di Tommaso (per non dire la negazione) di questo mon­ do materiale spazio-temporale non lascia posto al corpo fisico, alla storia umana, al popolo eletto di Israele e a una chiesa organizzata quali luoghi e strumenti di salvezza. Le parabole, e altri detti di Gesù, sono metodica­ mente purificati da tali elementi. (7) Un'ultima considerazione che depone a sfavore di Tommaso quale fonte primitiva e indipendente dei detti di Gesù è l'ampia diffusione delle fonti sinottiche riflesse nel materiale parallelo di Tommaso11. I difensori dell'indipendenza di Tommaso spesso paragonano il VCT in generale, e le sue parabole in particolare, all'ipotetico documento Q. Il documento Q, ricostruito dal materiale che si trova in Matteo e in Luca ma manca in Marco, è una delle analogie preferite di chi sostiene l'indipendenza di Tommaso, dal momento che Q (come Tommaso, si dice) è una fonte molto antica che preesiste a tutti e tre i sinottici e può, secondo alcuni esperti di Q, risalire all'incirca al 50 d.C. Tommaso, si insiste, è un documento analogo. Ma questa attenzione limitata a Q non rende affatto giustizia alla gamma completa del materiale rappresentato nel VCT. Il VCT (e in larga parte anche i frammenti dei papiri greci) contiene non solo detti Q, ma anche materiale matteano speciale (M) e materiale lucano speciale (L) , come pure coincidenze Marco-Q e forse anche tracce del vangelo di Marco. Una simile raccolta di tutte le fonti sinottiche note, stipata grossomodo nella metà dei 1 14 detti del VCT, solleva seri interrogativi sulla presupposta antichità e indipendenza di Tommaso.

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Un punto sottolineato da Goodacre ( Thomas and the Gospels, cit., 20-25). Giustamente segnala anche che questa osservazione generale da sola non basta, deve essere seguita da un'analisi dettagliata dei singoli parallelismi, in un progetto che intraprende nel centro del suo libro.

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Questo è vero non solo dei detti simili a quelli sinottici in generale, ma anche delle parabole simili a quelle sinottiche in particolare. Il materiale marciano, una coincidenza Marco-Q, il materiale speciale M e il materiale speciale L hanno tutti dei paralleli nelle parabole di Tommaso. Se, come sembra probabile, le parabole del Grande Banchetto e dei Talenti/Monete sono esempi non di parabole Q ma piuttosto di parabole conservate sia in M sia in L, il numero delle parabole n arrative presenti esclusivamente in Q scende a due12: il lievito e la pecorella smarrita (il granello di senape è una coincidenza Marco-Q)13• Il materiale marciano con paralleli nelle parabole di Tommaso è analogamente rappresentato da due parabole, il Seminatore e i Fittavoli Malvagi della Vigna (più, naturalmente, il Granello di Senape). In via eccezionale, sono le parabole speciali M che hanno il numero maggiore di paralleli nel VCT: il Grano e la Zizzania, il Tesoro Nascosto nel Campo, e la Perla (alcuni aggiungono la Rete da Pesca, ossia il Pescatore Saggio del VCT, come quarto parallelo). Luca è il solitario che esce dal gruppo, con una sola parabola speciale L che ha corrispondenza in Tommaso, il Ricco Stolto. Il fatto che l'ampia diffusione di paralleli sinottici che si trova nei detti tommasini in generale corrisponda all'ampia diffusione delle parabole sin ottiche in particolare dovrebbe far riflettere chiunque sostenga l'antichi­ tà e l'indipendenza di Tommaso. Ma non è tutto. Se si aggiungono a questo ampio spettro di fonti sinot­ tiche alcuni segni probabilmente di tratti redazionali matteani e/o lucani (da trattare nei casi campione che seguono), l'affermazione che Tommaso sia una raccolta antica di detti di Gesù indipendente dall'influenza sinotti­ ca (diretta o indiretta) è esposta a seri dubbi. Come ho già sottolineato, la natura della dipendenza può variare da detto a detto; oltre alla dipendenza letteraria diretta, l'influenza dei sinottici su Tommaso potrebbe essere stata esercitata attraverso un'armonia evangelica, una raccolta di detti estratti dai sinottici, da un'oralità secondaria o forse da una mescolanza di questi fattori. Non è necessario conoscere la natura e la modalità esatta della di­ pendenza per cogliere il fatto fondamentale della dipendenza. Mentre le considerazioni qui elencate sono state sufficienti per la bre­ ve trattazione di Tommaso nel Volume l di Un ebreo marginale, ora è richiesto un approccio più dettagliato alla questione della dipendenza o indipendenza di Tommaso, dal momento che ci concentreremo più

" Argomenterò ampiamente questa posizione nel capitolo 40. " Le ragioni di questa prospettiva saranno esposte nel capitolo 39.

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specificamente sulla questione delle parabole di Gesù. Come ho osser­ vato nella Tesi 6 nel capitolo 3 7 , il problema pratico a cui ci troviamo di fronte in questa trattazione più dettagliata è che né lo spazio, né l'ambito di Un ebreo marginale permettono uno studio di tutti i 1 14 detti copti (ma nemmeno della metà che abbiano chiari paralleli sinottici) analogo a quello svolto da esperti come Wolfgang Schrage, Michael Fieger, Rein­ hard Nordsieck, April D. DeConick o Uwe-Karsten Plisch14. Come ho invece delineato nella Tesi 6, esaminerò detti scelti da ogni fonte sinottica: (i) la tradizione marciana; (ii) Q; (iii) la tradizione matteana speciale (M); la tradizione speciale lucana (L); e (v) la categoria particolare dei detti che si trovano indipendentemente in Marco e in Q (ai quali si fa riferi­ mento come 'coincidenze Marco-Q'). Allo stesso tempo, per assicurare la copertura di varie forme della tradizione, inizierò i casi campione con (A) esempi di generi letterari che stanno al di fuori della categoria di parabola e passerò quindi a (B) esempi dalle parabole di Tommaso che hanno paralleli nei sinottici. Per brevità, rivedendo i testi che sono stati esaminati nei volumi precedenti di Un ebreo marginale, riassumerò solo gli argomenti già offerti. I casi che non ho m ai trattato in precedenza saranno affrontati più ampiamente 1 5 •

III. ll rapporto di Tommaso con i sinottici: casi campione

A. pARALLELI IN DETII CHE NON SONO PARABOLE l . Metodologicamente è meglio iniziare con alcuni detti che sono con­

servati nei frammenti dei papiri greci di Tommaso, frammenti che talvolta concordano completamente e talvolta no con la successiva traduzione in

" SCHRAGE, Das Verhiiltnis, cit.; FlEGER, Das Thomasevangelium, cit.; NoRDSIECK, Das Thomas-Evan­ gelium, ci t.; DECONICK, The Origina! Gospel o/ Thomas in Translation, ci t.; PuscH, The Gospel o/ Thomas, cit. 1 5 Non appesantirò le note ripetendo regolarmente la litania degli studiosi su un fronte o sull'altro del dibattito; saranno citati solo pochi nomi e poche opere rappresentative. Per un elenco completo delle diverse opinioni sostenute da vari studiosi nel caso di ciascun l6ghion, cfr. , per es., NoRDSIECK, Das Tbomas-Evangelium, cit.; DECONICK, The Origina! Gospel o/ Thomas in Translation, cit.

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copto16• Per iniziare con un caso piuttosto forte: un buon argomento a so­ stegno della dipendenza si può elaborare per un detto contenuto in VCT 5, poiché il detto è anche parzialmente conservato in greco in un papiro di Ossirinco del III secolo (P Oxy. 654.27-3 1 ) che contiene alcuni detti di una forma precedente del Vangelo di Tommaso17• Il detto corrispondente in Mc 4,22a recita in modo piuttosto goffo: «U gdr estin ti kryptòn eàn me hina phanerothb> (una rigida traduzione letterale sarebbe: «Non vi è infatti nulla di segreto se non perché sia manifestato»). Le 8, 17 riordina cambian­ do l'ingombrante eàn mè hina («se non perché») in una semplice frase relativa, inoltre sostituisce con phaneròn ghenesetai («sarà manifestato») il verbo phanerothe che Luca non usa mai in Luca-Atti, mentre usa l'aggettivo phaner6s in entrambi i volumi. La riscrittura lucana che ne risulta recita: «U gdr estin krypt6n hò u phaneròn ghenesetai>> (letteralmente: «Perché non c'è [nulla] di nascosto che non sarà manifestato»)18• Sebbene P Oxy. 654 sia frammentario, quasi tutti i critici, da Joseph A. Fitzmyer a Marvin Meyer, Uwe-Karsten Plisch e Aprii D. DeConick accettano la ricostruzione «[u gàr est] in kryptòn hò u phane[ròn ghenesetat]»; in altre parole, la formulazione che risulta dalla redazione lucana di Marco19• In questo caso, dunque, non si può ricorrere alla scappatoia esegetica di qualche scriba cristiano copto che presumibilmente assimilò il testo copto di Tommaso al testo sahidico standard di Luca che conosceva, dal momento che i frammenti greci sono assai più antichi e indipendenti rispetto al manoscritto del VCT in nostro possesso (per non parlare della successiva versione sahidica standard dei vangeli). Inoltre in questo caso è proprio il testo copto di Tommaso ad allontanarsi leggermente dalla riformulazione lucana di Marco, perché la 16 Su questo punto metodologico, cfr. FREY, Die Lilien und das Gewand, cit., 1 22-180, spec. 146-147. Tuttavia non sarei pessimista come Frey quando si arriva ai detti di cui abbiamo solo la versione copta successiva. Nei casi in cui si può fare una verifica, la versione copta di un detto riproduce fedelmente la forma presente nei frammenti dei papiri greci. Non dovremmo presumere a priori che non sia questo il caso se abbiamo a disposizione solo il testo copto. Come Frey stesso sottolinea, ciascun caso deve essere verificato e valutato nel merito. 17 Su questo detto, cfr. TUCKEIT, Thomas and the Synoptics, cit., 145- 146; GATHERCOLE, The Composi­ tion o/ the Gospel o/ Thomas, cit., 187 -188; ID., The Gospel o/ Thomas. Introduction an d Commentary, cit., 222. " Introducendo phaner6n nella prima parte del v. 1 7 , Luca crea un equilibrio elegante, dal momento che la seconda parte del versetto si conclude con eis phaneròn élthe (preso, con un leggero cambiamento nell'ordine delle parole, dalla seconda metà di Mc 4,22). 19 Come segnala GATHERCOLE (Luke in the Gospel o/ Thomas, cit., 1 14-144, spec. 125, n. 49), si potrebbe probabilmente offrire qualche altra ricostruzione. Tanto più significativo è quindi l'accordo sulla ricostruzione di phaneròn ghen�setai tra molti studiosi diversi, alcuni dei quali appoggiano l'indi­ pendenza di Tommaso dai sinottici, mentre altri sostengono la sua dipendenza.

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grammatica copta impedisce l'uso di una frase relativa con un antecedente indeterminato20• Appellarsi a una diversa forma orale antica di Mc 4,22 altrimenti sco­ nosciuta, che probabilmente conoscevano sia Luca sia Tommaso, significa creare un imbarazzante deus ex machi'na che ignora i tipici cambiamenti re­ dazionali di Luca riguardo a Marco21• Il cambiamento redazionale di Luca della formulazione di Marco (da phanerothe a phaneròn ghenesetai') confuta anche qualsiasi spiegazione che faccia appello alla versione Q alternativa del detto (Mt 10,26 I l Le 12,2)22• In verità, se questa fosse l'unica volta in cui i frammenti greci di Tommaso mostrano la conoscenza del vangelo di' Luca, potremmo liquidare il loghi'on 5 come un puro caso. Ma il l6ghi'on 5 non è un esempio isolato; vari studiosi hanno evidenzifltO l'influenza lucana altrove nei frammenti greci. Per es., come ha sostenuto Jorg Frey in un'analisi lunga e dettagliata, l'influenza di Le 12,22-3 1 si può vedere nella versione abbreviata dell'esortazione «non preoccupatevi» conservata in P Oxy. 65 5 , coli. i. 1 - 1723 . Simon Gathercole ha spinto anche oltre il caso dell'influenza lucana offrendo dieci esempi dell'influenza di Luca su Tommaso, alcuni presenti nei frammenti greci e altri visibili persino nella versione copta di Tommaso. Non serve dire che una rilevanza particolare si attribuisce a quegli esempi che sono confermati dai frammenti greci dal

20 Invece di una frase relativa si usa la forma circostanziale del verbo. A tutti gli effetti, comunque, la riformulazione di Luca è attestata da VCT 5 , dal momento che la forma circostanziale del verbo sosti­ tuisce normalmente le frasi relative quando l'antecedente è indeterminato. Nella mia argomentazione sottolineo la concordanza tra il greco di POxy. 654.27-3 1 e Le 8,17, giacché è il parallelo più chiaro ed espressivo. Si potrebbe spingere oltre il ragionamento mostrando che un parallelo alla frase prece­ dente in P Oxy. 654.27-3 1 ([tò kekalymménon] ap6 su apokalyphtMset[ai sai. ] ) si può trovare in Mt l 0,26 (kekalymménon hò uk apokalyphthésetaz). Il futuro passivo apokalyphthésetai è Wla concordanza sorprendente, ma la tesi è in un certo senso indebolita dal fatto che il participio kekalymménon deve essere del tutto integrato nella lacuna in P Oxy. 654. Se il parallelo matteano dovesse essere accettato, non avremmo solo un esempio della dipendenza di Tommaso da Luca, ma anche un esempio della tendenza di Tommaso, da me documentata, a fondere Matteo e Luca. 21 Questo è tuttavia l'approccio adottato da alcuni; cfr., per es., DECONICK, The Origina! Gospel o/ Thomas in Translation, cit., 60-61 . Eccezionalmente Nordsieck (Das Thomas-Evangelium, cit., 45-47), che di solito ignora le prove della dipendenza di Tommaso dai sinottici, ammette che questo /6ghion è probabilmente influenzato dalla redazione di Luca, anche se, forse, attraverso la tradizione orale. 22 Questo punto non è colto da PAITERSON, The Gospel o/Thomas and]esus, cit., 2 1 -22. " La lunghezza dell'argomentazione di Frey ne preclude qui la ripetizione; cfr. Die Lilien und das Gewand, cit., 122-1 80; una veloce sinossi di questa conclusione si può trovare alle pagine 165 . 169.1761 80. È particolarmente interessante per la mia presentazione che Frey rilevi in Tommaso sia una ten­ denza ad abbreviare la sua fonte (più importante nel l6ghion copto che esamina che in quello greco), sia tracce di influenza lucana. Questa sarà un'osservazione che ricorrerà regolarmente nelle indagini di Tommaso che presenterò nel testo. . .

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momento che, nell'estensione relativamente limitata di questi frammenti, l'influenza del vangelo di Luca (l'ultimo vangelo sinottico a essere scritto) sulla formulazione dei detti in Tommaso non è solo chiaramente presente ma anche più volte attestata. Non deve quindi sorprendere se quando ci si rivolge al testo copto di Tommaso, che non ha equivalenti nei papiri di Ossirinco, l'influenza di Luca si trovi spesso, e talvolta come elemento dominante24• 2. Un secondo esempio di influsso lucano sui frammenti greci di Tom­ maso si può trovare nella prima metà di un detto in P Oxy. 1 .30-35, che nel VCT compare come l6ghion 3 1 . Siamo fortunati che questo famoso detto («Un profeta non è accetto nella sua patria») sia conservato, in forme diverse, in Marco, Matteo, Luca, Giovanni e Tommaso. Vediamo prima i quattro vangeli canonici25:

Non c'è un profeta

Nessun profeta è bene accetto

senza onore

senza onore

se non

se non

nella [sua) città natale

nella sua città natale

non riceve onore nella sua città natale

2� Cfr. Gathercole (Luke in the Gospel o/Thomas, cit., 125- 138) per i dieci casi campione (contando VCT 65-66 come unità distinte): VCT 5, 26, 3 1 , 3 3 , 47, 65-66, 99, 100 e 104 (non in quest'ordine nell'anicolo e non, come sottolinea Gathercole, con uguale forza probatoria in tutti gli esempi). Alla fine delle sue indagini Gathercole (143) conclude che l'influsso di Luca su Tommaso fu «molto pro­ babilmente indiretto», forse «attraverso un'armonia evangelica scritta>> e una «oralità secondaria�>. Mentre nell'insieme concordo con Gathercole su questo punto, alcuni degli esempi che vedremo più avanti potrebbero fornire ragioni in favore della fusione scribale in alcuni casi singoli. (Gathercole ha ripreso il suo articolo nella sua monografia, The Composition o/ the Gospel o/ Thomas, cit., 1 85-208, con l aggiunta di pochi loghia). Dato il collegamento tradizione-storia tra Paolo e Luca, forse non è per caso che Gathercole vede anche una certa influenza (diretta o indiretta) di Paolo su Tommaso; cfr. S. GATHERCOLE, The In/luence o/Pau! on the Gospel o/Thomas (§§ 53.3 and 1 7), in Das Thomasevange­ lium. Entstehung - Re:r.eption - Theologie, cit., 72-94; cfr. GATHERCOLE, The Composition o/ the Gospel ofThomas, cit., 227-249. Per ulteriori argomenti a favore della dipendenza del VCT da Luca, con una bibliografia dettagliata sulle fasi precedenti del dibattito, cfr. B. DEHANDSCHUTTER, L'Évangile selon Thomas: témoin d'une tradition prélucanienne?, in F. NEIRYNCK (ed.), L:Évangile de Luc. Gospel o/Luke (BETL 32), Leuven University - Peeters, Leuven 1 989, 197-207. " Patterson, nella sua trattazione di VCT 31 ( The Gospel o/ Thomas and Jesus, cit., 3 1 -32), non affronta mai un confronto dettagliato tra la forma e la sintassi del testo greco dei quattro vangeli canonici e POxy. 1 .30-35. D suo punto di partenza sono invece le teorie di storia della tradizione di Rudolf Bultmann e di Emil Wendling, che non sono mai verificate rispetto a tutti i diversi testi greci disponibili per un controllo. '

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Alcuni punti colpiscono immediatamente. Matteo ripete Marco quasi parola per parola e nello stesso ordine. L'unica differenza è che il testo greco originale di Matteo molto probabilmente non aveva il possessivo "sua" con "città natale" , anche se owiamente "sua" si coglie dal significato stesso di patris ('città natale', 'terra natale', 'madrepatria', 'luogo di origine della propria famiglia'). Forse per armonizzare perfettamente Matteo e Marco, alcuni scribi cristiani posteriori aggiunsero 'sua' (autu) al testo di Matteo. La parola che risalta come insolita in Mc 6,4 è l'aggettivo dtimos (letteralmente 'indecoroso'); non ricorre più nei quattro vangeli tranne nella ripetizione in Mt 13 ,57 . Anzi, le uniche occorrenze di dtimos in tutto il Nuovo Testamento oltre a questa sono due, in l Cor (4 ,10; 12,23 )26• In poche parole, la ripetizione parola per parola di Marco, che include il raro (per il NT) dtimos, argomenta decisamente a favore della dipendenza di Matteo da Marco. Luca non è fedele a Marco in questo detto come lo è Matteo. Per es., per evitare la doppia costruzione negativa («non è . . se non»), Luca so­ stituisce una dichiarazione semplice in cui l'aggettivo negativo 'nessuno' (udéis) modifica direttamente il sostantivo ' profeta': «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria». È ancora più significativo che Luca non adotti l'aggettivo di Marco dtimos, un aggettivo che non usa mai in Luca­ Atti. Usa invece un aggettivo diverso, 'accetto' (dekt6s) . Come dtimos, l'aggettivo dekt6s è relativamente raro nel NT, ricorre solo cinque volte: tre volte in Luca-Atti (Le 4,19 + 24; At 10,35 ) e due volte in Paolo (2 Cor 6,2; fi/ 4, 18). In altre parole, dekt6s non ricorre in nessun'altra parte dei quattro vangeli. Dal momento che Le 4 , 1 6-30 è molto probabilmente la riscrittura e l'espansione redazionale del breve racconto di Marco del ri­ fiuto di Gesù nella sua città natale, entrambe le occorrenze di dekt6s in Le 4 possono, in questo senso, essere considerate redazionali27• Lc 4 , 1 9 è una .

'" Nessuno dei due passi paolini si riferisce a Gesù. l Cor 4,10 parla ironicamente di Paolo e degli altri apostoli; l Cor 12,23 si riferisce a quelle parti del corpo umano comunemente giudicate meno onorevoli (cioè presentabili in pubblico). " Sulla questione della redazione da parte di Luca di Mc 6, 1 -6 al fine di creare una scena program­ matica che inauguri il ministero pubblico di Gesù, cfr. Un ebreo marginale l , 270-271 e la letteratura ivi citata. Ammettendo che Luca attinga anche da elementi della tradizione L e Q per rendere più corposa la grandiosa scena della storia della salvezza che il terzo evangelista crea in 4,16-30, U. Busse Was Na:zareth-Mani/est Jesu: eine Ein/uhrung in das lukanische ]esusbild nach Lk 4, 1 6-30 [SBS 9 1 ] , KBW, Stuttgart 197B, 40-4 1 ) ritiene che Le 4,24 sia semplicemente l a ripresa d a parte d i Luca d i Mc 6,4 con la sostituzione di dekt6s ad titimos. La formulazione lucana del versetto nel più generale contesto narrativo intende inserire Gesù nel destino dei profeti dell' AT, saldamente consolidato nella visione lucana della storia della salvezza: per es., il rifiuto costante dei profeti nella cornice globale di promessa

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citazione rielaborata di Is 6 1 ,2 LXX, un testo che solo Luca mette in bocca a Gesù. E, come abbiamo appena visto, tra le varianti del detto evangelico che ritrae Gesù come profeta rifiutato, dekt6s compare solo nella versione lucana. Per quel che riguarda l'isolata occorrenza di dekt6s negli Atti, At 10,35 fa parte del discorso kerigmatico al centurione Cornelio (10,34-43 ) . Quale che sia la fonte (o le fonti) ultima del discorso, ovviamente nella sua forma greca attuale è una composizione lucana28• In contrasto con que­ ste indicazioni chiare della mano redazionale lucana in Le 4,24 , le parole finali del detto lucano «nella sua patria» (en té patridi autù) riproducono esattamente la formulazione marciana. Per quanto riguarda la versione di Giovanni: come abbiamo osservato nei primi quattro volumi di Un ebreo marginale, il quarto vangelo è molto probabilmente indipendente dai sinottici per quel che riguarda le fonti letterarie. Le somiglianze tra i sinottici e Giovanni riflettono il fatto che sia le fonti sinottiche sia quelle giovannee derivano dalla matrice comune della tradizione orale della chiesa primitiva. Questa somiglianza senza di­ pendenza letteraria si riflette in Gv 4,44. Come Luca, Giovanni ha posto il soggetto 'profeta' prima del verbo e, come Luca, Giovanni scrive una semplice proposizione dichiarativa con una sola parola negativa (udéis in Luca, uk in Giovanni). Come Marco e Matteo, la negazione di Giovanni ('non') modifica il verbo, non il soggetto. Tuttavia, diversamente da tutti i sinottici, la frase di Giovanni non ha la copula 'è' (estin) come verbo. Giovanni usa invece il verbo transitivo riceve(échei) ed è l'unico a usare il sostantivo timen ('onore') come oggetto diretto. Giovanni è anche l'u-

e compimento mentre Dio dirige la storia umana verso il suo obiettivo di salvezza universale. Vari altri commentatori suggeriscono un tipo o l'altro di combinazione fra tradizioni vaganti e redazione lucana di Marco per spiegare la composizione di Luca; cfr. per es. BULTMANN, Die Geschichte, cit., 3 1 . 122; FITZMYER, The Gospel According to Luke !, cit., 526-527. 28 Per le varie ipotesi relative alla tradizione e alla redazione del discorso di Pietro a Cornelio e di tutto A t ! 0, cfr. ].A. FITZMYER, The Acts o/ the Apostles, cit., 459-460 [trad. it., 472-474] ; ]. ZMIJEWSKI, Die Apostelgeschichte (RNT), Pustet, Regensburg 1994, 408-416 [trad. i t., Atti degli apostoli, Morcelliana, Brescia 2006, 570-577] . Che Luca sia responsabile dei contenuti del discorso di Pietro è sottolineato da C.K. BARRETT, The Acts o/ the Apostles (ICC), 2 voli., Clark, Edinburgh 1994, 1998, vol. l, 497 [trad. it., Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia 2003 , 539]. Con una prospettiva diversa, G. ScHNEIDER (Die Apostelgeschichte (HTKNT 5), 2 voli., Herder, Freiburg - Base! - Wien 1980, 1982, vol. 2, 63 [trad. it., Gli atti degli apostoli. Testo greco e traduzione. Parte seconda, Paideia, Brescia 1986, 82-83 l sostiene che Luca abbia ripreso un discorso missionario tradizionale per gli ebrei e lo abbia adattato alla situazione in At 10. Per un esame piuttosto dettagliato delle varie teorie sulla tradizione e la redazione di At lO, cfr. A. WEISER, Die Apostelgeschichte (Okumenischer Taschenbuchkommentar zum Neuen Testament 5), 2 voli., Giitersloher Verlagshaus [Mohn], Giitersloh - Echter, Wiirzburg 198 1 , 1985, vol. l, 258-259. Weiser conclude che At 10,35 (con dektos) è uno dei versetti tipicamente lucani per contenuto e stile.

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nico tra i quattro vangeli a collocare il sintagma preposizionale «nella sua patria» non alla fine della frase ma immediatamente dopo la prima parola del detto, 'profeta' . Perciò solo la frase di Giovanni presenta la struttura grammaticale soggetto + sintagma preposizionale + oggetto diretto + verbo negativo. Giovanni è diverso anche per una sottigliezza di significato. Tutti e quattro i vangeli usano lo stesso sostantivo patris per indicare il luogo di origine di Gesù. Ma, diversamente dai sinottici, l'uso giovanneo di patris probabilmente ha il significato più ampio di 'terra natia' o 'madrepatria', invece di 'città natale'. Mentre i sinottici ritraggono il ritorno di Gesù nella sua città natale, Nazareth, Giovanni colloca il detto in un contesto in cui Gesù è appena tornato in Galilea da Gerusalemme e dalla Giudea, dopo aver attraversato la Samaria29• D risultato di questi confronti tra i quattro vangeli canonici è che la ver­ sione lucana del detto è molto probabilmente un caso di copiatura del testo di Marco, con la notevole eccezione che Luca sostituisce dekt6s ('accetto') ad dtimos (' disprezzato') di Marco30• L'impatto di questa conclusione si chiarisce quando ci volgiamo alla versione tommasina del detto nella prima metà di P Oxy. 1 .30-35: «Un profeta non è bene accetto [dekt6s] nella sua città natale». Nella formulazione e nell'ordine delle parole, il greco del detto

29 C'è da osservare che la parola 'Nazareth' ricorre solo nell'introduzione di Luca al racconto del rifiuto di Gesù, dopo la predicazione nella sinagoga nella sua patris; Nazareth non è nominata nelle versioni marciana o matteana del racconto. Tuttavia il contesto più generale di Marco e di Matteo indica che nelle loro versioni del racconto la parola patrfs si riferisce parimenti a Nazareth. Tutti e tre i sinottici hanno chiarito a questo punto che Gesù o crebbe a Nazareth, oppure era noto per essere 'di Nazareth' - o, alternativamente, come 'il Nazareno' o 'il Nazoreo' (cfr. Mc 1 ,9.24; Mt 2,23 ; 4 , 1 3 ; Le 2,4.39.5 1 ). Che patris non veicoli il significato più generale di 'madrepatria' nel racconto sinottico del rifìuto è chiarito dal riferimento al suo entrare «nella [o: nella loro] sinagoga» per insegnare; patrfs si riferisce quindi a un luogo particolare che ha una sinagoga - una sinagoga in cui i presenti conoscono Gesù per il suo passato fin troppo ordinario con loro e che quindi si offendono perché sono colpiti dalle sue infondate pretese di essere un maestro, un profeta e/o un operatore di miracoli. Nel contesto redazionale di tutti e tre i sinottici, questo ha senso solo a Nazareth. In antitesi, nel contesto di Gv 4,4345 patris sembra riferirsi a una regione o a un territorio generico, non a una città specifìca. Si noti che non ci sono riferimenti a una sinagoga nel contesto. Nel quarto vangelo, l'unico grande rifìuto di Gesù durante il suo ministero pubblico in Galilea non si verifica nella sinagoga di Nazareth, ma piuttosto nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,59) alla fine del suo discorso sul pane di vita (Gv 6,60-7 1). ll vertice del rifiuto del Gesù giovanneo prefigurato nel prologo (Gv 1 , 1 0- 1 1 ) è messo in atto nel racconto della Passione (capp. 18-19). '" Anche prediligendo l'idea che Le 4,24 rifletta una forma speciale L del detto, rimarremmo per il l6ghion 3 1 con lo stesso modello globale presente altrove in Tammaro (e che ripeteremo in esempi suc­ cessivi): una combinazione di varie forme sinottiche di un detto, spesso con la tendenza a 'propendere per' Luca. Quindi non ci si appellerà semplicemente a una presupposta tradizione comune a L e alla fonte di Tammaro. Ciò non spiega il modello di combinazione verificato sia qui sia altrove in Tammaro.

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di Tommaso fondamentalmente segue quello di Marco. Entrambi iniziano con «Non c'è» (uk estin), con il sostantivo 'profeta' che segue e il sintagma 'nella sua città natale' che conclude il detto. La differenza principale è che ( l ) Tommaso condivide con Luca la forma di una semplice frase dichiarativa con una sola particella negativa; e, cosa più importante, (2) solo Tommaso e Luca, tra tutte le versioni, usano l'aggettivo 'accetto' (dekt6s) che, come abbiamo visto, è molto probabilmente dovuto alla mano redazionale di Luca. Così, in una frase semplice che forma metà del l6ghion 3 1 , abbiamo sia la tendenza di Tommaso a combinare fra loro versioni sinottiche di un verso, sia la sua tendenza a imitare alcuni elementi singolari della redazione lucana delle sue fonti31 • In realtà l'influenza della versione lucana e la tendenza di Tommaso a combinare fra loro i sinottici può essere vista anche nella seconda metà del l6ghion 3 1 nel frammento greco: « . . . un medico [iatr6s] non pratica cure [pot'éi therapéias] per coloro che lo conoscono». Appena prima di Le 4,24, nel versetto 23 , Gesù ironicamente dice al polemico uditorio della sinago­ ga di Nazareth: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico [iatre1 , cura [therdpeuson] te stesso"». Che la versione greca di Tommaso collochi il detto relativo a un medico non in grado di curare subito dopo il detto relativo al profeta rifiutato (invece che prima, come in Luca) può riflettere la tendenza di Tommaso a combinare. Dal momento che è Marco (seguito da Matteo) ad affermare, subito dopo il detto sul profeta disprezza­ to (Mc 6,49), che Gesù lì non poté compiere alcun prodigio tranne guarire (etherdpeusen) pochi malati (Mc 6,5)32 .

" La versione copta del detto, VCT 3 1 (prima parte), traduce fedelmente la versione nel Tommaso greco (P Oxy. 1 .30-3 5). L'unico leggero cambiamento è che il sostantivo 'profeta' segue immediatamente la forma negativa «non è» (copto m'n) con «accetto>> (in copto sep, forma qualitativa del verbo sop, 'accettare') subito dopo 'profeta'. In effetti questo rappresenta l'ordine presente nel greco di Le 4,24; ma l'ordine di VCT 31 è con tutta probabilità dovuto semplicemente all'ordine sintattico naturale del copto (cfr. lo stesso ordine delle parole nella versione sahidica comune di

Le 4,24 che, tuttavia,

rivela una formulazione leggermente diversa; quindi VCT 3 l non è semplicemente un risultato del­ l'armonizzazione con lo standard sahidico). 12 C'è una distinzione esile ma interessante tra la formulazione di P Oxy. l e il Tommaso copto quando

si arriva al verbo 'curare' nel /6ghion 3 1 . Il frammento greco usa un verbo + costrutto nominale che dice letteralmente «operare guarigioni>> (poiéi therapéias). Forse questo potrebbe riflettere la riscrittu­ ra matteana di Marco in Mt 13,58: «E lì [Gesù] non fece [ep6iesen] molti prodigi>>. Il testo copto di Tommaso usa invece la forma verbale (therapéuo) che concorda con la formulazione marciana e lucana. Che Tommaso introduca in questo detto l'idea che conoscere un medico escluda l'idea di essere guarito da lui (un'idea contraria all'esperienza e al buon senso) può riflettere le sue preoccupazioni redazionali (gnosticizzanti? ) . Sulla bizzarra natura di questa idea, cfr. GATHERCOLE, Luke in the Gospel o/Thomas, cit . , 126 n. 52; cfr. ID., The Gospel o/ Thomas. lntroduc.tion and Commentary, cit., 344-345.

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3 . Che la versione greca di Tommaso 'propenda' qualche volta per Luca non significa che non conosca e talvolta non usi materiale specificamente matteano. Mentre vedremo più avanti un esempio importante di materiale matteano speciale (la parabola del Grano e della Zizzania) nella versione copta di Tommaso, esamineremo ora un chiaro caso di materiale M nei frammenti greci di Tommaso. li testo greco di Tommaso si trova in P. Oxy. 655 (col. ii. 1 1 -23 ) , che corrisponde alla seconda metà di Mt 10,16, e al­ l'ultima frase in VCT 39:

Siate avveduti

Siate avveduti

Siate avveduti

come i serpenti

come serpenti

come i serpenti

e semplici

e semplici

e semplici

come le colombe

come colombe

come le colombe

In tutti e tre i documenti abbiamo ovviamente a che fare con lo stesso detto, che ogni testo attribuisce a Gesù. P. Oxy. 655 corrisponde al testo greco di Mt l O, 16b quasi parola per parola. Lo stesso vale per VCT 39, che nel testo copto conserva persino le parole greche per gli aggettivi 'avveduti' (phr6nimos) e 'semplici' (akéraios) , le stesse parole greche che ricorrono in Mt 10, 16b e P. Oxy. 65533.

ll La leggera differenza nella formulazione all'inizio del detto deve probabilmente essere spiegata dai contesti diversi di Matteo e di Tommaso. ln Mt l0, 1 6a, che fa parte del discorso missionario matteano, Gesù parla ai suoi discepoli del pericolo a cui li sta consapevolmente inviando: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi>>. Mt 10,16b è quindi opportunamente introdotto come esortazione che procede logicamente da 16a: «Siate dunque avveduti. . .>>. Dal momento che Tammaro è una raccolta libera di detti, il /6ghion 3 9 non ha una carica missionaria come il contesto generale. Piuttosto, sia nella versione greca sia in quella copta del l6ghion, la prima parte del l6ghion 39 è un'affermazione critica sugli awersari di Gesù: «l farisei e gli scribi hanno preso le chiavi della gnosi e le hanno nascoste senza entrarvi. Quelli poi che vollero entrare, essi li hanno impediti». In antitesi con i farisei e gli scribi, la seconda parte dei /Oghion passa enfaticamente al tipo opposto di condotta richiesto dai discepoli: «Voi però siate avveduti . . . ». D'altronde l'unica differenza importante nella formulazione è in P Oxy. 655, quando i sostantivi 'serpenti' e 'colombe' sembrano mancare degli articoli determinativi presenti in Mt 1 0,16b e in VCT 39. Tuttavia si deve tenere presente che il testo del l6ghion 39 in POxy. 655 ha molte lacune, quindi qualsiasi ricostruzione patisce un certo grado di incertezza. Alcuni studiosi leggono infatti l'articolo determinativo con entrambi i sostantivi. Per il testo critico di POxy. 655 (col. ii. 1 1 -23) con note, cfr. ATTIUDGE, Appendix. The Greek Fragments, cit., 123-124. Fortunatamente il testo copto d el l6ghion 39 non presenta lo stesso problema. Alla fine, però, la presenza o assenza degli articoli de­ terminativi non cambia il significato, dal momento che gli articoli determinativi in Mt 10,16b veicolano un significato generico (si noti la loro assenza nelle traduzioni nell'inglese standard). Su Mt 10,16b e Tommaso, cfr. anche GATHERCOLE, The Composition o/ the Gospel o/Thomas, cit., 124.

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La questione della fonte del detto è interessante. Mt 10, 16b fa parte del secondo dei cinque grandi discorsi di Gesù durante il ministero pubblico, cioè il discorso missionario (Mt 10,5-42) . Matteo crea i suoi cinque lunghi discorsi mescolando fra loro tradizioni da Marco, Q e M insieme alle sue stesse creazioni redazionali. È questo il caso del discorso missionario, in cui Matteo trasferisce persino alcuni detti del discorso escatologico marciano (Mc 13 ,9-13) nella sua commistione nel capitolo 10. La prima parte del discorso missionario è per lo più una fusione delle tradizioni marciane e Q di un discorso missionario (un esempio di coincidenza Marco-Q)34• Mt 10, 16a invece («Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi») è un detto Q che si trova a sua volta, in una formulazione leggermente diversa, in Le 10,3 (nel secondo discorso missionario di Luca): «Andate. Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi». I versetti seguenti in Matteo ( 10,17 - 1 8) sono una rielaborazione di Mc 13 ,9. Stretto tra un detto Q in Mt 10, 16a e detti marciani in Mt 10,17-18, è dunque un detto matteano esclusivo in 10, 1 6b, che introduce senza interruzioni ai vv. 17-1 8. Mt 10, 16b si qualifica dunque come materiale M. All'interno del discor­ so, fa da cardine tra il materiale specifico della missione dei dodici e, più in generale, l'insegnamento sul discepolato rivolto al futuro di fronte alla persecuzione35• Ma questo 'materiale M' è tradizione M (una tradizione che circolava nella chiesa di Matteo che Matteo ha accolto nel suo vangelo) op­ pure è una creazione redazionale di Matteo stesso? Data la tendenza di Mat­ teo a riscrivere le tradizioni marciane e Q secondo il proprio stile, spesso è difficile distinguere la tradizione M dalla redazione matteana36• La brevità di Mt 10,16b rende qualsiasi giudizio al riguardo ancora più problematico. Tuttavia si può almeno osservare che l'aggettivo phr6nimos ('avveduto', 'scal­ tro', 'prudente') in Matteo ricorre più volte che in qualsiasi altro libro del NT. Matteo presenta sette delle quattordici occorrenze del NT e tutti tranne uno dei sette casi di Matteo sono una tradizione M oppure una redazione matteana37• Per quanto riguarda il sostantivo 6phis ('serpente'), Matteo ha

" Sui discorsi missionari, cfr. Un ebreo marginale 3 , I76- I 97 e la letteratura ivi citata. In merito alle coincidenze Marco-Q, cfr. spec. R. LAUFEN, Die Doppeliiberlieferungen der Logienquelle zmd der Markusevangeliums (BBB 54), Hanstein, Bonn I980. " Plisch ( The Gospel o/Thomas, cit., I I I) trascura la funzione di I0,16b nella struttura del discorso missionario quando afferma che «è legato solo in forma blanda al suo contesto». '6 Un esempio paradigmatico di questo problema è Mt 28,16-20, la pericope della 'missione universa­ le' che conclude il vangelo diMatteo. Per il problema della tradizione e della redazione in questo testo, cfr. ].P. MEIER, Two Dirputed Questions in Matt 28: 1 6-20, in ]BL 96 ( 1 977) 407-424. " L'aggettivo phr6nimos ricorre nel NT in Mt 7 ,24; 10,16; 24,45; 25,2.4.8.9; Le I2,42; I6,8; Rm I 1,25;

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solo un piccolo vantaggio tra i quattro vangeli (Matteo 3x, Marco lx, Luca 2x, Giovanni lx). L'aggettivo akéraios ('innocente', 'semplice') ricorre solo in Mt l O, 1 6b nei quattro vangeli, con solo altre due occorrenze in tutto il NT (Rm 16, 19; Fil 2,l5). Mentre nessuna di queste dimostra che il detto sia una creazione matteana invece che una tradizione M, il lessico di 1 0, 1 6b, preso nell'insieme, è certamente compatibile con questa possibilità. Ciò che rende probabile che 10,16b sia una creazione matteana è che, mentre le metafore di serpenti e colombe (con un ampio spettro di significati) e l'idea fondamentale espressa nel detto sono ben attestate nel mondo greco-romano e nelle Scrit­ ture ebraiche, la formulazione esatta del detto simile a un proverbio in Mt 10, 16b non ricorre in alcun documento che possa essere con sicurezza datato prima del vangelo di Matteo38• L'affermazione che Mt 10, 1 6b rappresenti semplicemente un proverbio diffuso o un mtisal ebraico comune che solo per caso si trova sia in Matteo sia in Tommaso non è quindi documentata39• Date

12. 16; l Cor 4,10; 10, 15; 2 Cor 1 1,19. Poiché Marco e Giovanni non usano la parola, e poiché delle due occorrenze in Luca solo una è una tradizione Q (Mt 24,45 Il Le 12,42), sei delle sette occorrenze in Matteo devono essere considerate o tradizione M o redazione matteana. " I commentari a Matteo citano regolarmente come grande parallelo un'affermazione attribuita a Rabbì Giuda bar Simeon (maestro rabbinico del IV secolo d.C.). L'affermazione si trova nel Midrash Rabbah sul Cantico dei cantici (2, 14): . (Per la traduzione inglese cfr. M. SIMON, Midrash Rabbah. Song o/ Songs, Soncino, London - New York 19383, 128). Una datazione comune per questo midrash rabbinico è il VI secolo d.C. circa, che collocherebbe la raccolta grossomodo cinquecento anni dopo il vangelo di Matteo. Ciò non si qualifica affatto come prova di un proverbio diffuso prima o intorno al tempo di Matteo, soprattutto perché il contenuto concettuale del brano midrashico non è quello di Mt 10,16b. Più nello specifico, il testo rabbinico non riproduce la formulazione esatta di 10,16b, come fanno sia POxy. 655, sia VCT 39. Un altro parallelo talvolta citato viene da un trattato copto trovato a Nag Hammadi intitolato Dottrina di Silvano, una sona di letteratura sapienziale cri­ stiana; per l'introduzione, il testo copto e la traduzione francese cfr. Y. J ANSSENS, Les Leçons de Silvanos (NH VII, 4) (Bibliothèque Copte de Nag Hammadi, Section Textes 13), L'Université Lavai, Quebec 1983. In 95,7-1 1 (pp. 48-49), mettendo in guardia dagli inganni di Satana, il maestro di sapienza esorta lo studente a unire la sapienza del serpente e l'innocenza della colomba. La Dottrina di Silvano fu pro­ babilmente scritta tra la fine del II e l'inizio del III secolo d.C.; ancora una volta non riproduce l'esatta formulazione di Mt 10,16b. Probabilmente l'uso originario (e il riutilizzo) di Mt 10,16b si deve trovare nelle lettere di Ignazio di Antiochia. In Poi 11.2 Ignazio allude a Mt 10,16b; ma mette verbo, aggettivi e sostantivi al singolare (giacché sta riformulando il testo come esonazione personale a Policarpo) e aggiunge enfasi verbale: [trad. it., in I Padri apostolici, cit., 140]. Questo non è che uno dei molti usi (ma mai diretti, citazioni parola per parola) del vangelo di Matteo da pane di Ignazio; cfr. per es., Smirn. 1,1; Phld. III,! ; Eph. XIX, 1 -3; cfr. KoHLER, Die Rezeption des Matthiiusevangeliums, cit., 72-96; J.P. MEIER, Matthew and lgnatius: A Response to William B. Schoedel, in D.L. BALCH (ed.), Social History o/ the Matthean Community, Fonress, Minneapolis/MN 1 991, 178- 186. 39 D.A. HAGNER, Matthew (World Biblica! Commentary 33A e B), 2 voli., Word, Dallas/TX 19931995, 1 .279, suggerisce cautamente che Mt 10,16b ; PuscH,

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le alternative percorribili, sembra più probabile che Mt 10,16b nell'insieme, o almeno la sua esatta formulazione greca, derivi dalla mano redazionale di Matteo40• Se è così, allora i1 !6ghion 3 9 come rappresentato in POxy. 655 (e naturalmente nel VCTI dimostra la sua dipendenza dal Vangelo di Matteo. Qui ci si potrebbe fermare un attimo per riflettere su un fenomeno più ampio che comincia a manifestarsi. Solo nel fondo molto limitato dei frammenti greci di Tommaso abbiamo già trovato indicazioni sicure del­ l'uso di Luca e di Matteo. L'indagine che segue del testo copto di Tommaso fornirà ulteriori esempi della dipendenza da Luca e da Matteo e offrirà esempi della dipendenza da Q e forse anche da Marco. Una simile esten­ sione delle fonti dietro Tommaso rende difficile credere alle tesi secondo le quali Tommaso rappresenta un'antica fonte indipendente dei detti di

The Gospel o/ Thomas, cit., 39, afferma che il detto era «una parola di sapienza che circolava proba­ bilmente in modo indipendente>>; analogamente H. GREEVEN, peristerd, in GLNT X, 1975, 37 n. 70; NoRDSIECK, Das Thomas-Evangelium, cit., 1 66. D. ZELLER, Die weisheitlichen Mahnspriiche bei den Synoptikern (Forschung zur Bibel 17), Echter, Wurzburg 1977, 136, considera Mt 10,16b un'espressio­ ne paradossale di sapienza profana che attraverso il processo della tradizione cristiana antica divenne un detto di Gesù. PATTERSON , The Gospel o/ Thomas and Jesus, cit., 36, vede il detto come , dando come base per questo giudizio una citazione di Bultmann (Geschichte, cit., 1 12), che semplicemente ripete il riferimento al nostro vecchio amico, il midra.S sul Cantico dei Cantici (cfr. n. 38). È significativo che nessuno di questi autori possa offrire un esempio di questo preciso pro­ verbio o parola di sapienza precedente o vicino a Matteo. In particolare né Filone né Flavio Giuseppe offrono un parallelo esatto per il pensiero e la formulazione. Una ricerca in M. E. BoRJNG - K. BERGER - C. CoLPE (edd.), Hellenistic Commentary lo the New Testament, Abingdon, Nashville/TN 1995, si conclude analogamente senza risultato. L'assenza di un parallelo esatto precedente a Matteo colpisce in modo particolare nell'opera di DECONICK, The Originai Gospel o/ Thomas in Translation, cit., 160, che in genere fornisce in abbondanza paralleli dei singoli detti. Alcuni commentatori, forse in preda alla disperazione, si sono spinti oltre (per es., Testamento di Ne/tali 8,9-10, nella sua forma attuale un'opera cristiana), ma le somiglianze verbali (per non parlare del pensiero) di tali testi sono talmente distanti da non poter essere definite paralleli significativi. 40 Per questa prospettiva cfr. , per es., R.H. GuNDRY, Matthew, Eerdmans, Grand Rapids/MI 1982, 191. L'esatta riproduzione della formulazione di Mt 10,16b si estende infatti fino all'imperativo 'siate' (ghinesthe), che compare in P Oxy. 655 (ricostruito) ed è accuratamente espresso in VCT 39 dal verbo copto per 'siate' (fope). In realtà W.D. DAVIES - D.C. ALLISON ]R., The Gospel According lo Saint Mat­ thew (ICC), 3 voli., Clark, Edinburgh 1988, 199 1 , 1997, vol. 2, 180-181, ritengono che l'imperativo in Mt 10,16b sia redazionale. Che una persona che cita o che traduce Mt 10,16b dica o scriva con più naturalezza 'siate' invece di 'diventate' è confermato non solo dalla Vulgata latina (estote), ma anche da quasi tutte le traduzioni inglesi della Bibbia di questo versetto dalla Bibbia di re Giacomo in poi. U. Luz, Matteo, 2: Commento ai capp. 8-17, Paideia, Brescia 2010, 142, sostiene che Mt 10,16b molto probabilmente deriva dalla tradizione M (forse già combinata con Q) perché va contro la teologia redazionale di Matteo. Nonostante i tentativi di Luz di evitare i rimandi ad altri passi di Matteo, il suo ragionamento appare strano, data la regolare esaltazione da parte di Matteo di coloro che agiscono in modo prudente (per es., 7 ,24; 10,23 [all'interno del discorso missionario! ] ; 24,45; 25,2) e di coloro che agiscono con intenzione pura e integrità (per es. 5 ,8.13.27 -30.48; 6,1; 15,10-20, 23 ,25-28).

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Gesù. Infatti, anche al di là della questione della dipendenza, il semplice fatto che Tommaso contenga detti che trovano paralleli non solo in Q ma anche nella tradizione speciale di Matteo e nella tradizione speciale di Luca rende assai dubbia la pretesa di una datazione antica della composizione di Tommaso. Come può essere che all'inizio della prima generazione cri­ stiana (affermazione spesso espressa per Tommaso) un singolo documento comprenda paralleli a Q, al materiale speciale M e al materiale speciale L? Ma stiamo andando troppo oltre. È tempo di passare dalla versione greca molto frammentaria di Tommaso alla sua forma copta completa (anche se posteriore). 4. Volgendoci al testo copto di Tommaso, partiamo da un esempio piut­ tosto semplice già analizzato nel Volume 4 di Un ebreo marginale, cioè Mc 7 , 15 Il Mt 15,1 14 1 • Nell'ampio dibattito sulle norme ebraiche di purità, il Gesù marciano afferma in 7 , 1 5 : «Non c'è nulla fuori di un uomo che, en­ trando in lui, possa renderlo impuro. Ma le cose che escono da un uomo sono quelle che lo rendono impuro». Nel Volume 4 abbiamo visto come Matteo redige Mc 7,15 in armonia con un punto di vista teologico e uno stile letterario tipicamente matteani. Mt 1 5 , 1 1 recita: «Non ciò che entra nella bocca rende impuro un uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende im­ puro un uomo ! ». Si notino i tratti tipicamente matteani: ( l ) Matteo attenua il tono assoluto di Marco («Non c'è nulla fuori di un uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro») facendo cadere i vigorosi udén . . . dynatai («nulla . . . che possa»). Una plateale revoca di tutto il sistema mosaico della purità legale riguardante il cibo è così evitata o almeno smorzata. (2) Allo stesso tempo questa omissione da parte di Matteo aiuta a creare quel tipo di equilibrio perfetto fra i due versetti che Matteo predilige. (3) Matteo crea equilibrio anche cambiando il plurale indefinito tà. . . ekporeu6mena («quelle cose che escono ») di Mc 7 , 15 con il singolare tò ekporeu6menon («ciò che esce») in Mt 1 5 , 1 1b. (4) Altri ritocchi matteani includono l'intro­ duzione del termine tipicamente matteano «bocca» (st6ma) in entrambe le parti del detto. (5) Infine Matteo usa un tuta («questo») riassuntivo nella frase finale («questo rende impuro un uomo») . È significativo che tutti e cinque i cambiamenti redazionali matteani siano ripresi in VCT 14. ( l ) VCT 14 contiene una semplice asserzione all'indicativo senza l'enfatico «non possa» marciano. (2) È presente l'accurato parallelismo

" Cfr. Un ebreo marginale 4, 4 14-436; cfr. GAlHERCOLE, The Composition o/ the Gospel o/ Thomas, cir., 178-179; ID., The Gospel o/Thomas. Introduction and Commentary, cit., 27 1

n.

20.

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dei due versetti creato da Matteo. (3) Ci sono soggetti al singolare in entrambi i versetti (petnabok. . . pe�nney) . (4) li sostantivo 'bocca' (tapro) compare in entrambi i versetti. (5) Un riassuntivo pronome di terza persona singolare (ento/J è usato proprio come nella versione di Matteo42• L'identità con l'attività redazionale di Matteo è semplicemente troppo forte per essere allontanata ricorrendo a tradizioni orali alternative, a molteplici realizzazioni orali o al­ l' assimilazione al NT sahidico standard posteriore43 • Come commentò una vol-

42 Come osserva Schrage (Das Verhiiltnis, cit., 56 n. 10), il pronome dimostrativo copto pai ('questo') sarebbe più consueto come traduzione del pronome dimostrativo greco tuta che il pronome copto di terza persona singolare maschile 'nto/ ('egli', 'esso'). Tuttavia persino Plisch ( The Gospel o/ Thomas, cit . , 66), che è un difensore dell'indipendenza di Tommaso dai sinottici, ritraduce il copto 'ntof come il greco tulo. Qui è d'obbligo una nota stilisti ca: la traslitterazione delle parole copte segue la prassi del CBQ (Catholic Biblical Quarterly). Questo implica che le lettere inglesi di solito usate per traslitterare l'alfabeto greco siano usate anche per le lettere copte che sono le stesse del greco. Per le speciali lettere copte dell'alfabeto, s è usata per sai, / per fai, h per bori, j per janjia' é per éima e ti per il digramma ti. Il tratto sopralineare è rappresentato da una e apicale. Semivocali, dittonghi e vocali doppie non ricevono una rappresentazione specifica in questo sistema. Quindi, per es., il termine copto per 'padre' è traslitterato eiot, e non yot. 41 Patterson (The Gospel o/ Thomas and ]esus, cit., 24-25) dichiara che la versione di Mc 7,15 Il Mt 15 , 1 1 che si trova in VCT 14 può essere considerata un detto indipendente che Tommaso acquisì «at­ traverso una corrente di storia della tradizione>> indipendente del vangelo di Marco. In Patterson manca in particolare un confronto dettagliato fra i testi greci di Marco e di Matteo e quindi la correlazione dei risultati con la versione sorprendentemente simile a quella di Matteo di VCT 14. A pag. 25, n. 33, cita brevemente il fatto che sia Matteo sia VCT aggiungono 'bocca' al detto, ma liquida questa formulazione identica come un richiamo a . Le altre modifiche redazionali matteane a Marco, attestate alla fine di VCT 14, sono semplicemente ignorate. Una via di fuga alternativa, quando i segni della dipendenza dai sinottici diventano troppo forti per essere facilmente rimossi, è appellarsi alla possibilità che gli scribi cristiani assimilassero il testo del VCT al testo sahidico standard del NT. Questa soluzione presenta vari problemi; qui ne accenno solo alcuni. (l) Talvolta il tema dell'assimilazione minaccia di diventare circolare. L'assimilazione al NT sahidico standard è naturalmente una possibilità. Qualche volta, però, l'affermazione della possibilità si tramuta velocemente nell'affermazione del/atto dell'assimilazione, senza argomentazione dettagliata sul testo specifico presentato. Dietro questo salto dalla possibilità al fatto sembra esserci un'argomentazione tacita e circolare: poiché sappiamo già (su quali basi?) che VCT è indipendente dai vangeli sinottici, qualsiasi segno forte di dipendenza (per es., le modifiche redazionali di Matteo o di Luca a Marco o a Q) devono essere il risultato di una assimilazione scribale. (2) Come vedremo presto, un fenomeno comune nei detti del VCT che hanno paralleli nei sinottici è la tendenza a combinare o a fondere le ver­ sioni matteane e lucane di un detto, con una leggera preferenza per Luca. Comunque si spieghi questo fenomeno, non può essere spiegato semplicemente come . ll testo che ne risulta nel VCTnon corrisponde ad alcuna forma del NT sahidico standard. Per es., nell'esame dettagliato della parabola dei Fittavoli Malvagi della Vigna (VCT 65-66) offerto nel testo troviamo tracce sia di Matteo sia di Marco, ma le impronte redazionali più visibili sono quelle di Luca - e anche la tendenza di Luca ad abbreviare la parabola, che Tommaso spinge al limite. Il testo che ne risulta in Tommaso non può essere descritto come assimilazione scribale a un testo evangelico. Inoltre gli studi dell'uso patristico dei sinottici nel periodo pre-niceno indicano una preferenza definita per la versione matteana di un detto e la tendenza ad assimilare testi alla forma matteana. Questo non è ciò che troviamo in generale

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Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

ta G .K. Chesterton, il fenomeno di un elefante con una proboscide è strano: il fenomeno di tutti gli elefanti con una proboscide ha l'aria di un complotto44• 5 . Procediamo ora con esempi più complessi, che implicano conflazione. In svariati paralleli di Tommaso con i sinottici scopriamo che VCT non segue un solo vangelo sinottico - che sia Luca o Matteo a redigere Marco ma mescola due o più sinottici. Un esempio breve ma chiaro della tendenza di Tommaso a fondere i sinottici è la prima beatitudine nel Discorso della montagna/Discorso della pianura (Mt 5 ,3 Il Le 6,20b, da cui un l6ghion Q, presente a sua volta in VCT 54) . Come è risaputo, mentre la beatitudine di Matteo è formulata alla terza persona («Beati i poveri in spirito, perché loro è il regno del cielo»), Luca ha una forma più semplice della beatitudine, formulata (almeno nella seconda parte) alla seconda persona plurale in discorso diretto («Beati i poveri, perché vostro è il regno di Dio» ) 45• Molti critici ritengono che la formulazione alla seconda persona di Luca sia più

nel VCT. Allo stesso tempo, c'è una ragione ovvia per cui in VCT 14 troviamo forti somiglianze con Matteo invece che con Luca (senza fusione fra Matteo e Luca): Luca non sostituisce Mc 7,15. Se dunque la somiglianza di VCT 14 con il testo matteano fosse semplicemente una questione di assimilazione scribale meccanica, dovremmo chiederci perché l'assimilazione è così discontinua: per es., il gdr che introduce il detto in VCT 14, una congiunzione non presente in Matteo; l'uso del pronome copto di seconda persona plurale come oggetto del verbo 'contaminare' invece del generico tòn dnthropon come in Maneo. (3) Più specificamente, nel !Oghion che stiamo prendendo in considerazione, non ci si può appellare a una presupposta assimilazione scribale di VCT 14 al testo sahidico standard di Matteo. Mt 15, 1 1 sahidico si distingue notevolmente dalla fine del !Oghion 14 nel VCT; cfr. il confronto in SCHRAGE, Das Verhiiltnis, cit., 55-56. Per prendere solo un caso: il pronome riassuntivo di terza persona singolare 'nto/non è presente nel sahidico Mt 1 5 , 1 1 , ed è interessante che il sahidico Mc 7,15 abbia il plurale 'ntooy. L'unica spiegazione plausibile del pronome riassuntivo di terza persona singolare n to/nel VCT è una resa non del tutto elegante del pronome riassuntivo eli terza persona singolare tuta nel greco Mt 15 , 1 1 . (4) Ampliando la pretesa di assimilazione scribale per comprendere tutto il VCT, notiamo che questa pretesa non è suffragata da certe parole ed espressioni teologiche chiave che sarebbero le candi­ date più owie per l'assimilazione ma che stranamente non dimostrano assimilazione in Tommaso. Per es., come si osserverà più avanti, Marco, Luca e persino Giovanni parlano senza eccezione del >. Se l'assimilazione non è verificata regolarmente in questo concetto centrale dei sinottici, perché dovremmo darla per certa altrove? 44 Cfr. G.K. CHESTERTON, Orthodaxy, Doubleday - lmage, New York 2001 ( 1 9081), 57 [trad. it., Ortodossia, Lindau, Torino 2010]. 45 Affermerei che quando la prima beatitudine di Luca si legge nell'insieme, la seconda parte della beatitudine chiarisce che la prima parte deve essere intesa come espressa alla seconda persona (nel greco non sono espressi né verbo né soggetto). Dunque hoi ptoch6i in Le 6,20b dovrebbe essere inteso come vocativo oppure in apposizione al soggetto implicito «voi>>. In Matteo, al contrario, hai ptoch6i è il soggetto del verbo implicito. '

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Capitolo trentottesimo

vicina alla forma Q originaria; ma come ho affermato nel Volume 2 di Un ebreo marginale, ciò non è per niente sicuro46• In ogni caso, quasi tutti concordano che Matteo rediga Q aggiungendo «in spirito» e cambiando «regno di Dio» (la locuzione attestata in tutto il NT e nei primi Padri) nella formulazione propria di Matteo nel NT, «regno del cielo" (letteralmente, 'dei cielt, che riflette il sostantivo aramaico per 'i cieli', semayya', che ricorre solo al plurale)47• Non sorprende che VCT 54 offra una forma conflata: «Beati i poveri, perché vostro è il regno dei cieli»48• L 'allocuzione alla secon­ da persona plurale e l'assenza di «in spirito» segue Luca, mentre «regno dei cieli» segue Matteo49• Così in sole otto parole copte abbiamo un esempio

'" Cfr. Un ebreo marginale 2, 408-420. 47 Di fronte al fatto che in tutto il corpus delle Scritture ebraiche, nei Settanta, negli pseudoepigratì dell'AT precedenti al II secolo d.C. e nei Padri apostolici solo Matteo usi «regno de!(i) cielo(i)» e che lo faccia intenzionalmente quando redige il materiale marciano e Q, Patterson (The Gospel o/ Thomas and Jesus, ci t., 42-43) può solo affermare: « [ . . . ] che Tommaso e Matteo, indipendentemente l'uno dall'altro, abbiano alterato una versione originale del detto sul 'regno di Dio' non è per nulla inverosimile. Entrambi apparentemente condividevano l'avversione ebraica per l'uso del nome divi­ no>>. Questa è un 'affermazione bizzarra per diversi motivi: ( l ) mentre la versione copta di Tommaso non usa mai la locuzione «regno di Dio>>, appare una volta o due (a seconda delle correzioni) nei frammenti greci di Tommaso. Quindi l 'autore (gli autori) del Tommaso originale greco in linea di principio non evitava(no) l'espressione. Inoltre, nel VCT, la parola copta per 'dio' (noyte) ricorre svariate volte nei l6ghia 30 e 100. (2) È strano parlare di 'avversione ebraica' dell'autore di Tommaso di fronte all'ostilità che il testo dimostra verso le usanze, la profezia e persino per le Scritture ebraiche in genere. (3 ) Il l6ghion 30 potrebbe suggerire che la relativa elusione del sostantivo copto noyte ('dio') nel VCT si debba a dispute teologiche cristiane interne. (4) Si oppone al dato statistico affermare che Matteo condividesse «l'avversione ebraica per l'uso del nome divino>> quando Matteo usa la parola théos (Dio) circa 55 volte (a seconda di come si giudicano le diverse letture), fra cui anche qualche caso di «regno di Dio>>. " Analogamente Tommaso recita letteralmente «regno dei cieli>>, essendo la parola copta per 'i cieli' al plurale: 'mpeye. " Può essere che Tommaso elida «in spirito>> perché per lui povertà spirituale significa una mancanza di gnosis vera e salvitìca (cfr. l6ghion 29). Come osserva Quarles (The Use o/the Gospel o/Thomas, cit., 517536, spec. 522), la presenza di «regno del cielo>> in questo detto non può essere attribuita alle preferenze redazionali di Tommaso. Come ho osservato in precedenza, VCT preferisce la forma assoluta o (meno frequentemente) «il regno del Padre>>. Il «regno del cielo>> di Matteo si trova solo tre volte in Tommaso: l6ghia 20, 54 e 1 1 4 - i primi due casi derivano chiaramente dal parallelo marteano. Poiché la conclusione del testo sahidico standard di Le 6,20 contiene un'assimilazione al 'regno del cielo' marteano, si potrebbe sostenere che VCT 54 è stato assimilato secondariamente dagli scribi cristiani al testo sahidico standard di Luca. Tuttavia questo approccio deve affrontare l'obiezione che la forma sahidica di Lc 6,20 è diventata così assimilata alla forma matteana che l'originale lucano «vostro è il regno di Dio>> è stata rimpiazzata dal matteano «di essi è il regno del cielo>>. Un'assimilazione così completa della seconda parte della beatitudine di Luca a Matteo, benché presente nella versione sahidica copta standard, non è presente in VCT 54. Che l'assimilazione alla versione sahidica standard dei vangeli non sia la spiegazione di VCT 54 è chiarito anche dal fatto che ( l ) VCT 54 esprime l'iniziale aggettivo 'fortunati' o 'beati' con l'aggettivo makdrios, mentre sia Mt 5,3 sia Lc6,20 nel NT standard sahidico usano l'aggettivo predicativo

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

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della conoscenza da pane di Tommaso sia di Matteo sia di Luca e della sua tendenza a fonderli50• Come già ossetvato, questa tendenza a fondere varie forme sinottiche dei detti di Gesù si trova in opere diverse nella letteratura cristiana del II secolo come la Didaché, la Lettera ai Filippesi di Policarpo di Smirne (in cui c'è anche la prima beatitudine in 2,3 !) e i detti di Gesù in Giustino martire51 . La tendenza di Tommaso a fondere, quindi, lungi dall'essere qualcosa di insolito, colloca decisamente il VCT nella corrente armonizzante degli scritti cristiani della metà del II secolo. 6. Si può trovare questa stessa tendenza a combinare Matteo e Luca anche in passi Q più lunghi. Si osservino, per es., le concordanze e le dif­ ferenze nelle versioni di Matteo e di Luca del detto di Gesù sulle divisioni che egli provoca in una famiglia Oe concordanze esatte sono in grassetto) : [nomisete] che io sia venuto [elthon] a portare pace sulla terra;

Non crediate

non sono venuto a portare pace, ma una spada.

Perché d'ora innanzi ci saranno cinque persone in una casa divise; tre contro due e due contro tre saranno divise:

copto flesso naiatoy; e (2) VCT 54 usa il copulativo ne nella prima metà della beatitudine; lo standard saidico naiatoy è seguito dall'indicatore 'n, che è seguito a sua volta dal soggeno. '" Quarles (The Use of the Gospel of Thomas, cit., 5 18·524) offre una confutazione convincente del tentativo di John Dominic Crossan di dare una spiegazione soddisfacente della fusione di Matreo e Luca in VCT 54; cfr. J .D. CROSSAN, Four Other Gospels. Shadows on the Contours of Canon, Winston, Minneapolis/MN 1 985, 37. In effetti Crossan respinge la possibilità di conflazione con un colpo di mano, dichiarando che sarebbe «più semplice suggerire che Tommaso era mentalmente instabile». Si tratta di un altezzoso rifiuto di p ren dere in considerazione il fenomeno della conflazione negli scritti cristiani del TI secolo come la Didaché, Giustino martire e Policarpo (cfr. la nota seguente). Una critica analoga dell'argomentazione di Crossan si può trovare in GooDACRE, Thomas and the Gospels, cit., 50-52. Gathercole ( The Gospel of Thomas. lntroduction and Commentary, cit., 424) osserva che gli studiosi che sostengono l'indipendenza di questo l6ghion tommasino «spesso operano con un modello troppo scribale di possibile dipendenza�; qui l'oralità secondaria deve essere considerata una possibilità. " Sugli esempi di fusione nella Didaché e in Giustino martire (soprattutto per quel che riguarda i comandamenti dell'amore e la regola aurea), cfr. Un ebreo marginale 4, 522; 521 n. 80; 612-613 n. 263: sulla versione di Giustino martire della proibizione dei giuramenti da parte di Gesù, cfr. 233-234 n. 89. Nella Seconda Lettera ai Filippesi 2,3 di Policarpo, la formulazione (makdrioi hoi ptòchòi kài hoi diòk6menoi héneken dikaiosynes h6ti auton estin he basiléia tu theu) riflette fondamentalmente una fusione di Mt 5,3 + 1 0 combinati con alcuni tratti delle beatitudini lucane (omissione di 'in spirito', 'regno di Dù/) [trad. it., in l Padri apostolici, cit., 154).

Capitolo trentottesimo

122 Perché sono venuto a dividere uomo

contro suo padre e figlia contro sua madre e nuora contro sua suocera

padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro la figlia e

madre ,

figlia contro la

suocera contro sua nuora e nuora contro

la suocera.

e [i] nemici dell'uomo [sono] membri della sua famiglia.

Quando si considera la versione di VCT 16, si notano elementi propri sia di Matteo sia di Luca nel detto di Gesù52• Nella mia traduzione di VCT 16, ciò che è presente solo in Matteo è riportato in corsivo, mentre la for­ mulazione propria di Luca è sottolineata: «Gesù disse: "Forse gli uomini pensano che io sia venuto a portare pace nel mondo. Essi non capiscono che sono venuto a portare divisioni sulla ter­ ra: fuoco, spada e guerra. Ci saranno infatti cinque in una casa: tre saranno contro due e due contro tre: il padre contro il figlio e il figlio contro il padre; e staranno come persone solitarie [letteralmente: staranno solitari] "». Mentre gli studiosi discutono sulla ricostruzione ipotetica di una prece­ dente forma Q, i consueti suggerimenti offerti non contengono né tutte le parole in corsivo, né tutte le parole sottolineate nella mia traduzione di VCT 1 653• In altre parole, parte della formulazione della redazione di Matteo del detto Q e parte della formulazione di Luca dello stesso detto finiscono

" Su VCT 16, cfr. TUCKETI, Thomas and the Synoptics, cit., 146-147. Tuckett ritiene che la fone con­ cordanza con Luca rispetto a Matteo in ceni punti sia contraria alla teoria dell'assimilazione scribale posteriore di Tommaso al NT standard copto, dal momento che Matteo, non Luca, divenne il vangelo sinottico più popolare nella chiesa patristica. " Per una trattazione dettagliata di Le 12,5 1-53, cfr. la rassegna di opinioni di A. Garsky e C. Heil in A. GARSKY et al. (edd.), Documenta Q. Q 12:49-59, Peeters, Leuven 1997, 62 - 157; in forma più sommaria, J.M. RoBINSON - J.S. KLoPPENBORG (edd.), The Cn'tical Edition o/Q, Peeters, Leuven 2000, 377-387. In The Critica! Edition o/Q, né la versione matteana né quella lucana sono considerate del tutto libere da aggiunte redazionali. In panicolare, in Mt 10,34 11 Le 12,5 1 , la 'spada' di Matteo è preferita alla 'divisione' di Luca per la ricostruzione Q; Le 12,52 è omesso nella ricostruzione di Q (presumibilmente perché ritenuto redazione lucana); Mt 10,35 è per lo più preferito al più esteso Le 12,53, ma Mt 10,36 non è incluso nella ricostruzione di Q ed è presumibilmente giudicato redazionale. Analogamente, Fitzmyer (The Gospel According to Luke 2, cit., 994) ritiene che Luca >. Non è affatto un'argomentazione energica a sostegno della tesi che la doppia domanda di Luca rifletta Q, quando Marco presenta una domanda doppia e Matteo no. Parte del problema potrebbe essere che, dall'inizio del confronto (24), Crook è apparentemente vincolato alla tesi che la versione lucana della parabola sia indipendente da quella di Marco. Tuttavia l'autore esprime più avanti questa sincera ammissione (30): . Dichiaratamente a favore della doppia domanda introduttiva in Q è H.T. FLEDDERMANN, Q. A Reconrtruction and Commentary (Biblica! Tools and Studies 1 ) , Peeters, Leuven - Paris - Dudley/MA 2005, 660-662.

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Passo 2: Semina. Marco inizia la risposta alla domanda retorica con un semplice «Come un granello di senape . . . », mentre Luca usa una frase completa: «È simile a un granello di senape . . . ». Marco continua parlando semplicemente del seme che viene seminato sul terreno, un seme che è «il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno». Luca invece parla di un uomo [dnthropos] che prende il seme e lo getta nel suo giardino. Non afferma che il seme è il più piccolo. Passo 3: Crescita. In Marco, quando il seme è seminato, cresce (lette­ ralmente 'si innalza', al presente) , diventa più grande di tutti gli arbusti (letteralmente 'ortaggi') e produce (letteralmente 'fa') rami grandi. Luca afferma più laconicamente che crebbe (aoristo) e divenne un albero. Passo 4: Risultato. In Marco il risultato (baste) è che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra (cioè all'ombra dell'albero) . In Luca, invece, senza alcuna frase relativa al risultato, gli uccelli del cielo fecero il nido tra i suoi rami {citati per la prima volta in Luca). Passando ora a Matteo, vediamo la sua tendenza a mettere insieme ele­ menti sia della versione marciana, sia della versione Q: Passo l . Non c'è una domanda introduttiva. Anzi, Gesù comincia con l'affermazione singola, «Il regno del(i) cielo(z) è simile a un granello di senape» (hom6ia estz'n, come in Luca ma non in Marco). Passo 2. Come in Luca un uomo agisce prendendo il seme. Tuttavia, come in Marco, il verbo usato per mettere il seme nel terreno è 'seminare', non 'gettare', come in Luca. Matteo usa l'indicativo aoristo (éspeiren) mentre Marco usa il congiuntivo aoristo passivo in una frase temporale h6tan. Invece della forma marciana «sul terreno» e di quella lucana «nel suo giar­ dino», Matteo fa seminare all'uomo il seme «nel suo campo». Una frase separata afferma che il granello di senape «è il più piccolo di tutti i semi», affermazione presente in Marco ma assente in Luca. Passo 3. Matteo, per «quando crebbe», usa lo stesso verbo di Luca (éuxèsen), ma Matteo ha il verbo al congiuntivo aoristo (auxethe) in una frase temporale h6tan, che è parallela nella costruzione grammaticale, seb­ bene non nel verbo, al marciano h6tan spare. Matteo inoltre segue Marco inserendo l'affermazione che il seme «è [Marco: diventa] più grande di tutti gli arbusti» al presente indicativo. Ma poi, in un esempio paradigmatico della sua tendenza a mescolare, Matteo passa improvvisamente a Luca af­ fermando che la pianta «diventa [Luca: divenne] un albero». Passo 4. Matteo conclude seguendo fondamentalmente la costruzione grammaticale della frase risultativa di Marco (hOste) , mentre (mescolando ancora una volta) riprende il contenuto presente in Luca (= Q): «gli uccelli

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del cielo vengono [un'aggiunta matteana] e fanno il nido fra i suoi rami». Come Luca, e diversamente da Marco, i rami non sono stati citati fino alle parole finali della parabola. Così la tendenza matteana a mescolare le tradi­ zioni marciana e Q è chiara da un estremo all' altro della parabola. La versione del VCT nel l6ghion 20 continua il processo di mescolanza o di armonizzazione, anche se con una serie di tratti tipici dello stile reda­ zionale di Tommaso. Passo l . La parabola è introdotta con una singola frase (come in Matteo) che parla del 'regno dei cieli', utilizzando la locuzione redazionale matteana che è tipica di Matteo nell'ambito del NT e dei Padri apostolici e che ricorre varie volte nel VCT Questa singola frase, tuttavia, è in forma di domanda posta dai discepoli: «A cosa è paragonabile il regno dei cieli»? Così, mentre l'introduzione è sotto forma di una singola frase (come Matteo), è anche sotto forma di domanda (Marco Il Luca). Di fatto corrisponde precisamente alla prima parte della doppia domanda di Luca (Le 1 3 , 1 8a), anche se con il matteano 'cieli' sostituito da 'Dio' e con la citazione matteana dei discepoli ('loro' sia in Mt 13,3 1 , sia in VCT 20). Oltre a questa mescolanza, vediamo anche una tecnica redazionale tipica di Tommaso. Soprattutto nella prima parte del VCT, il redattore introduce una pericope mettendo sulle labbra dei discepoli una domanda (più raramente un'affermazione) che stimola una risposta da parte di Gesù72• Passo 2. Nel VCT Gesù risponde con una frase completa («È simile a un granello di senape») che richiama la domanda posta, riflettendo così Luca - e, nell'uso di una frase completa, Matteo. VCT prosegue subito con una frase principale separata (se accettiamo la consueta emendazione del testo copto) , affermando che «è il più piccolo di tutti i semi». In questo concorda con Matteo e con Marco in merito al contenuto, e grammaticalmente con Matteo per l'utilizzo di una frase principale, anche se nel VCTla piccolezza del seme è citata prima dell'inizio dell'azione73 • La frase del VCT «Quando

72 Cfr. l6ghia 6. 12, 1 8, 20, 2 1 , 24 (domanda in forma di richiesta), 37, 43, 5 1 , 52 (non una doman· da) , 53, 99 (non una domanda), 100 (non una domanda). Uno strumento utile a questo proposito è lo specchietto delle varie introduzioni ai l6ghia di Gesù in Tommaso in E.E. PoPKES, Parabeln in Thomasevangelium, in Kompendium der Gleichnisse Jesu, cit., 853 -854 [trad. it. Parabole contenute nel Vangelo di Tommaso, cit., 1333). 7 3 La sintassi di Marco in 4,3 1 -32 è a dir poco approssimativa e tortuosa, anche separatamente da h6tan spare nel versetto 32, che semplicemente ripete le parole che si trovano nel v. 3 1 (un caso di dualità marciana o forse di chiasmo?). A questo proposito cfr. HULTGREN, The Parables o/Jerus, cit., 397-398 [trad. it., 377-378]; M.L. BAILEY, The Parable o/ the Mustard Seed, in BSac 155 ( 1 998) 449459, spec. 450.

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cade sul terreno» usa la congiunzione greca h6tan, che si trova sia in Ma t­ teo sia in Marco, ma più precisamente hOtan dè, presente solo in Mt 13,32. L'espressione «sul terreno» (ejem pkah) è la traduzione esatta di epl tes ghés, che si trova solo in Marco. Alcuni commentatori sostengono anzi che l'e­ spressione sia un'aggiunta marciana alla parabola pre-marciana74• A prima vista VCT è l'unico ad aggiungere a 'terreno' la qualifica 'coltivato' (lette­ ralmente: 'su cui lavorano'). Tuttavia questa specificazione può benissimo riflettere la sostituzione operata da Matteo di 'nel suo campo' [agrò] con il marciano 'sul terreno', dal momento che 'il suo campo' è presumibilmente la terra che è stata lavorata o coltivata75• Passo 3. Il seme del VCT poi «produce [o: crea] un grande ramo», che richiama Marco: «produce [poiéi, letteralmente 'fa'] rami grandi». Il verbo copto usato da Tommaso, teyo o ta(o)yo ( = 'emette', 'produce'), riflette il poié6 di Marco; non c'è verbo equivalente in Matteo o in Luca. L'uso di Tommaso del singolare 'ramo' può riflettere la sua enfasi sul 'solo', 'unico', 'solitario' ricevente della conoscenza (uno gnostico?) presente in vari suoi detti76• Tutta l'espressione 'un grande ramo' (ounoèntar) riflette il klddus megdlus di Marco; i 'rami' in Matteo e Luca non hanno l'aggettivo quali­ ficativo megdlus ('ampi', 'grandi'). Tommaso usa dunque il verbo 'diventa' (espresso nel copto con il congiuntivo, che, seguendo una forma abituale del verbo, veicola il senso di un presente ordinario); il verbo può quindi riflettere il ghinetai di Matteo, anche se Tommaso usa il verbo nella sua descrizione del risultato. Passo 4. Infine, nell'epilogo tommasino, il grande ramo diventa un «ripa­ ro [greco: sképe] per gli uccelli del cielo». L'uso del sostantivo 'riparo' nel

" Cfr. HuLTGREN, The Parables o/]esus, cit., 397 [trad. it., 377]. " Schellenberg (Kingdom as Contaminmzt?, cit., 534 n. 37) suggerisce che, dal momento che en to agro sembra essere una delle espressioni matteane preferite, è probabilmente redazionale (cfr. Mt 1 3 ,24.27.3 1 .44; 24, 18.40). Se, dunque, si ritiene che 'sul terreno' sia l'aggiunta redazionale di Marco e 'nel suo campo' l'aggiunta redazionale di Matteo, la formulazione della parabola nel VCT a questo punto è molto probabilmente da spiegarsi come una combinazione di Marco e di Matteo; cfr. GATIJERCOLE, Tbe Gospel o/Tbomas. Introduction and Commentary, cit., 297 n. 2. Alcuni commentatori vedono anche nel 'coltivato' di Tommnso una sorta di allegoria gnosticizzante. 76 Diverse traduzioni rendono il sostantivo copto tar con 'pianta', che avrebbe più senso (almeno se si conoscessero solo la versione di Matteo o di Luca). Ma W.E. CRUM, A Coptic Dictionary, Wipf and Stock, Eugene/OR 2005 , 423-425, elenca solo 'ramo' o 'punto' come significato fondamentale di tar. Ulteriori elementi gnosticizzanti nella versione tommasina della parabola sono suggeriti da HuLTGREN, Tbe Parables o/]esus, ci t., 395 [trad. it., 375). Hultgren afferma che il grano di senape > (così KINGSBURY, The Parables o/]esus in Matthew 13, cit., 94) tra la serie e la narrazione è un'altra possibilità. Sul genere letterario di una serie di interpretazioni, cfr. }EREMIAS, Die Deutung, cit., 263. 121

Si noti che non si propone alcuna equazione tra 'i giusti' e il grano o tra 'il regno del Padre loro' e un granaio. Intenzionalmente in 13 ,43a dei giusti non si dice che saranno raccolti nel regno dagli angeli, un'affermazione che si sarebbe potuta fare facil,mente e che avrebbe aiutato a creare un collegamento tra Mt 13 ,30d e l3 ,43a. In ultima analisi, il v. 43a sembra quasi un ripensamento o un corpo estraneo in un nimstil intensamente concentrato sulla punizione dei malvagi. 12 4 Qui dissento energicamente da Koester (Ancient Christian Gospels, cit., 103 ) , il quale afferma che VCT 57 è precedente alla versione matteana perché nella versione tommasina «non c'è traccia del­ l'interpretazione allegorica che Matteo ( 13 ,36-43) ha aggiunto>>. Come sostengo nel testo, l'ultima parte di VCT 57 molto probabilmente riflette l'allegoria di Matteo. Si awerte il disagio di Plisch a questo proposito quando afferma che la sua interpretazione di VCT 57 >.

[Gesù] Gli disse: «Uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?>>.

[Gesù] Gli disse: «0 uomo, chi mi ha fatto mediatore?».

Disse loro:

Si rivolse ai suoi discepoli e disse loro:

«Fate attenzione e guardatevi da ogni cupidigia perché la vita di una persona non consiste nell'abbondanza dei suoi possedimenti».

«Sono forse mediatore?».

Egli [Gesù] narrò loro una parabola dicendo:

Gesù disse:

«Un uomo ricco aveva un campo

«C'era un uomo ricco

che produceva abbondantemente.

che aveva molti beni.

Egli ragionava tra sé dicendo:

Disse:

"Cosa farò,

"Userò i miei possedimenti

poiché non ho [un posto]

per seminare e mietere,

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

·

dove posso raccogliere i miei frutti?".

171

piantare e riempire

E disse: "Questo [è ciò che] farò: demolirò i miei granai e ne costruirò di

i miei granai di frutti".

più grandi e vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni.

E dirò a alla mia anima:

Questi erano i suoi pensieri

"Anima, hai molti beni,

su queste cose nel suo cuore.

accumulati per molti anni.

i Riposati, mangia, bevi, divertiti! " . Ma Dio gli disse:

'

"Stolto, questa notte stessa

E quella notte stessa

la tua anima ti sarà richiesta.

morì.

Le cose che hai preparato, a chi apparterranno?". Così [è del]la persona

·

Chi ha orecchie, intenda».

che accumula tesoro per sé, e non è ricca [delle cose che] riguardano Dio».

Uno sguardo a queste due tradizioni nelle forme lucana e tommasina verifica solo la serie di difficoltà elencate in precedenza. Sono possibili alcuni diversi scenari ed è difficile sapere come scegliere tra essi. Chia ­ ramente Le 1 2 , 1 3 - 15 I l VCT 72 riferiscono lo stesso scambio di fondo, mentre Le 1 2 , 1 6-2 1 Il VCT 63 raccontano la stessa parabola di fondo. Ma una versione dello scambio e/o della parabola dipende direttamente o indirettamente dall'altra? Oppure entrambi i testi presentano versioni indipendenti di un insegnamento che in ultima analisi risale a Gesù? O, almeno nel caso della parabola, Luca e Tommaso hanno entrambi ricevuto e rielaborato un t6pos comune della tradizione sapienziale, come esem­ plificato in Sir 1 1 , 1 8 - 1 9? Dato tutto quel che abbiamo già visto nei nostri esempi precedenti, ten­ derei a pensare che ancora una volta abbiamo a che fare in VCT 63 con un'abbreviazione radicale del materiale sinottico. Tommaso ha preso una parabola con un racconto piuttosto convenzionale dalla tradizione sapien­ ziale e l'ha condensata in una narrazione laconica e criptica di cui il lettore

172

Capitolo trentottesimo

deve «cercare e trovare» il significato (cfr. il prologo di Tommaso con i detti l e 2 ) . In sintonia con questo obiettivo redazionale generale Tomma­ so prende anche l'aneddoto lucano introduttivo e, in VCT 72, vi imprime una svolta in direzione di una cristologia gnosticizzante. Questo vale in particolare nella conclusione dell'aneddoto: l'osservazione moraleggian­ te di Luca sull'evitare la cupidigia - una verità che vale per ogni essere umano - è trasformata d'incanto nella domanda senza risposta sulla sua identità («Sono un mediatore?»). A mio parere, però, una cosa è suggerire una spiegazione basata sui miei esempi precedenti, un'altra passare da una spiegazione semplicemente possibile a una probabile. Quali segnali nelle due formulazioni di questa tradizione suggeriscono che Tommaso, diretta­ mente o indirettamente, conoscesse la composizione lucana di 12, 1 3 - 15 + 16-2 1 e ne fosse influenzato? In poche parole, sia l'introduzione sia la parabola vera e propria hanno vari tratti che si trovano solo in Luca nei vangeli sin ottici - e specificamente nella tradizione parabolica sinottica. Questi tratti argomentano a favore sia di una creazione lucana, sia di una forte redazione lucana in 12,13 - 15 + 16-2 1 . Procediamo passo passo a esporre l'argomentazione.

l . Considerazioni generali sulla tecnica lucana

di collegare gli aneddoti introduttivi e le parabole (a) Nel NT, solo Luca - come prefazione a una parabola narrativa - usa un breve aneddoto introduttivo che coinvolge Gesù e un interlocutore esterno alla cerchia dei suoi discepoli. Questa tecnica risalta perché, nei sinottici, la maggior parte delle singole parabole non hanno 'preparazioni' separate, con ciascuna preparazione predisposta per introdurre il messaggio della parabola che segue. Per es., nel discorso parabolico (Mc 4 , 1 -34 I l Mt 13,1-52 11 Le 8,4 - 1 8) abbiamo una cornice generale della scena, ma le singole parabole non affrontano i problemi sollevati da singoli interlocutori 146• Lo stesso vale per altre parabole marciane: i Fittavoli Malvagi della Vigna (Mc 12 , 1 - 1 1 ) e il Portiere che Veglia (Mc13 ,34.37 parr. ) 147• Analogamente le

"6 Si noti che Mc 4, 10·12 parr. introduce la spiegazione della parabola del Seminatore, non la para­ bola stessa. Coloro che chiedono la spiegazione sono «quelli che erano intorno a lui insieme ai dodici» (Mc 4,10) o «i discepoli>> (Mt 13,10 Il Le 8,9). "7 A dire il vero entrambe le parabole hanno come uditorio un gruppo che è stato citato in precedenza nella narrazione generale: i capi dei sacerdoti. gli scribi e gli anziani in Mc 1 1 27 , che restano ad ascoltare

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

1 73

parabole tipiche di Matteo (materiale M) mancano tutte di un'introduzione immediatamente precedente costituita da uno scambio tra Gesù e un 'estra­ neo', cioè qualcuno che è al di fuori della cerchia dei discepoli. li caso in cui più ci awiciniamo a una composizione del genere si trova in Matteo dove non un estraneo ma il capo dei dodici (Pietro) pone a Gesù una domanda sul perdono ( 1 8,2 1 -22), che introduce direttamente la parabola del Servo Spietato ( 1 8,23 -35). Il contesto globale del discorso matteano sulla vita e sull'ordinamento ecclesiale (cap. 18) suggerisce che Pietro rappresenta i capi della chiesa che sono istruiti su come mitigare la disciplina della chiesa ( 1 8,15-20) con la prontezza al perdono. È interessante, quando consideriamo le introduzioni alle parabole nella tradizione Q, notare una differenza tra la redazione di Matteo e quella di Luca. Matteo non fornisce mai un'introduzione speciale alle sue parabole Q. Al contrario, in Le 12,4 1 , Pietro (che ancora una volta rappresenta i capi della chiesa) pone una domanda che immediatamente innesca la parabola del Servo Posto a capo dei Beni (Le 12,42-48). In Le 14,15, «uno dei commensali» di Gesù espone genericamente la beatitudine di chiunque prenda cibo nel regno di Dio. Questo serve da preparazione per la versione lucana della parabola del Grande Banchetto (Le 14, 16-24 ). In Le 15,2, la critica dei farisei e degli scribi porta Gesù a narrare la parabola della Pecora Perduta ( 15,3-7). Appena pri­ ma che Gesù narri la parabola delle Dieci Mine o 'Monete' ( 19, 12-27), Luca ci informa che Gesù rivolge questa parabola a quanti pensano che il regno di Dio stia per manifestarsi perché Gesù si sta awicinando a Gerusalemme ( 19, 1 1 ). Notiamo quindi nella redazione lucana delle parabole Q, distinte da quelle matteane, la tendenza a fornire alle parabole una sorta di introduzione adattata a quella parabola in particolare. In genere, però, non c'è interazione reciproca tra Gesù e un 'estraneo' in queste brevi introduzioni. Data la tendenza di Luca a presentare alcune parabole Q con una pre­ fazione, non dobbiamo sorprenderei di sapere che le parabole tipiche di Luca risaltano perché molte di esse hanno un'introduzione che solleva l'ar­ gomento trattato nella parabola. In certi casi colpisce ancora di più il fatto che Luca dia alle sue parabole L introduzioni che implicano l'interazione tra Gesù e un estraneo. Gli esempi lucani includono i seguenti: (i) La parabola dei Due Debitori (Le 7,4 1 -43 ) rientra in un dibattito più ampio tra Gesù e Simone il fariseo.

la parabola dei Fittavoli Malvagi; e in 13,3 Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, le cui domande inne­ scano il discorso escatologico, alla fine del quale c'è la parabola del Portiere che Veglia. Ma in nessuno dei due casi la domanda o la provocazione di un singolo interlocutore introduce e innesca la parabola.

174

Capitolo trentottesimo

(ii) Come abbiamo visto nel Volume 4 di Un ebreo marginale, nella pa­ rabola del Buon Samaritano ( 10,3 0-37) Luca rielabora la pericope di Mar­ co relativa al doppio comandamento dell'amore (Mc 12,28-34) per creare un'introduzione al Buon Samaritano148• In questa introduzione lucana, un dottore della Legge e Gesù intraprendono una discussione su come eredita­ re la vita eterna che culmina con l'enfasi sull'amore del prossimo, passando quasi senza interruzione alla parabola. (iii) La parabola del Ricco Stolto (Le 12,16-2 1 ) , che stiamo trattando ora, è introdotta da un dialogo sulla divisione dell'eredità. (iv) La parabola del Fico Sterile (Le 13 ,6-9) costituisce il climax della risposta di Gesù ad 'alcuni' che lo informano dell'uccisione di alcuni ga­ lilei per ordine di Ponzio Pilato. La parabola conclude la replica di Gesù, secondo la quale non ci si dovrebbe preoccupare del destino degli altri, ma del proprio; dunque ci si deve pentire finché c'è tempo. (v) La parabola della Moneta Perduta (Le 1 5,8- 10) è unita da Luca alla parabola Q della Pecora Perduta come risposta alla critica dei farisei e degli scribi sull'accoglienza dei peccatori da parte di Gesù (15,2). Lo stesso si può dire della terza parabola del trittico di parabole di Luca sullo 'smarrimento', la parabola del Figlio Prodigo (Le 15, 1 1 -32)149• (vi) La parabola del Ricco e Lazzaro (Le 16,1 9-3 1 ) potrebbe forse essere inclusa nel nostro elenco, anche se tecnicamente lo scambio ostile tra i farisei - dei quali si dice amino il denaro - e Gesù, che annuncia il rove­ sciamento dei valori socio-economici da parte di Dio, ricorre nei w. 14-15 invece che immediatamente prima della parabola che affronta questo tema. (vii) La parabola della Vedova e del Giudice (Le 18, 1 -8) non presenta uno scambio completo, benché Luca fornisca alla parabola un'introdu­ zione speciale, affermando che Gesù disse «loro» (i discepoli? la folla?) di alimentare la perseveranza nel pregare per contrastare lo scoraggiamento. (viii) Analogamente la parabola immediatamente seguente del Fariseo e del Pubblicano (Le 18,9- 14) non è introdotta da un dialogo formale. Ma, ancora una volta, Luca introduce la parabola definendo l'uditorio specifico e l'inten­ zione di Gesù. La parabola è un rimprovero e un ammonimento per «alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri».

148 149

M EIER, Un ebreo marginale 4, cit., 558-562.

Non includo in questo elenco la parabola che segue il Figlio Prodigo, cioè l'Amministratore Disonesto (Le 16,1-8), dal momento che quest'ultima è introdotta semplicemente da: «Diceva anche ai suoi discepoli>>. L'uditorio è quindi cambiato dai farisei ai discepoli e il tema apologetico di trovare ciò che era perduto sembra essersi allontanato.

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

175

La nostra breve panoramica porta a una conclusione ovvia. Paragonato alle parabole di Marco e di Matteo, e paragonato persino al materiale mar­ ciano utilizzato nel terzo vangelo, Luca, nelle sue parabole L (e persino in alcune delle sue parabole Q) tende a fornire un'introduzione specifica alla parabola particolare che segue. L'introduzione mira a descrivere l'uditorio, lo scopo e/o il tema di una data parabola. In vari casi che comprendono parabole L, queste introduzioni sono sviluppate da Luca in brevi dialoghi tra Gesù e un estraneo, creando così una breve storia di pronunciamento (detta anche apoftegma o chréia) come introduzione alla parabola. Vediamo questa tecnica applicata in modi diversi alle parabole dei Due Debitori, del Buon Samaritano e del Ricco Stolto - e più vagamente alle parabole del Fico Sterile, della Moneta Perduta, del Figlio Prodigo e del Ricco e Lazzaro. Un aspetto interessante: il Ricco Stolto è considerata, con il Buon Samaritano, l'esempio più chiaro ed efficace di questa tendenza redazio­ nale lucana. Quindi ripetiamo: nell'ambito delle parabole sinottiche, solo Luca - e solo nelle sue parabole L - premette alla parabola uno scambio introduttivo tra Gesù e un estraneo. La nostra rapida rassegna di tutta la tradizione delle parabole neotestarnentarie sostiene fortemente che questo meccanismo introduttivo sia un'invenzione propria di Luca all'interno della tradizione sinottica. li corollario di questa conclusione è chiaro. Se l'introduzione ( 12 , 1 3 - 15) alla parabola L del Ricco Stolto ( 12, 1 6-2 1 ) è molto probabilmente un apof­ tegma specifico creato da Luca stesso, allora la comparsa di questo stesso apoftegma in VCT 72, nove detti dopo la versione tommasina del Ricco Stolto (VCT 63 ), ci porta a un 'ulteriore conclusione: l'aneddoto introdut­ tivo di Luca, non una vaga tradizione sapienziale condivisa, era conosciuto direttamente o indirettamente da Tommaso ed era stato adottato, con alcu­ ne notevoli modifiche redazionali, in VCT 72. Se così fosse, si solleverebbe un altro interrogativo. Se Tommaso ha preso VCT 72 dal vangelo di Luca, e se quell'apoftegma esisteva nel vangelo di Luca come aneddoto creato per introdurre la parabola del Ricco Stolto, può essere che Tommaso non conoscesse la versione lucana del Ricco Stolto? Non c'è dubbio che alcuni critici si opporrebbero a questa argomenta­ zione. Sosterrebbero che rimane teoricamente possibile che Le 1 2 , 13 - 15 e VCT72 rappresentino due forme indipendenti di una tradizione sapienziale comune. A dire il vero, non abbiamo una ripresa letterale come, per es., in Mt 1 0 , 1 6b e in VCT 39 (il detto «avveduti come serpenti»). Tuttavia ci sono somiglianze notevoli nella scansione dell'aneddoto e persino nella formulazione.

Capitolo trento/tesimo

176 2. Confronto fra Le 12, 13-15

e

VCT 72

Per partire dalle cose ovvie, le forme lucana e tommasina hanno entram­ be la stessa struttura e lo stesso contenuto di base: (a) un uomo non identificato chiede 'di punto in bianco' (nessuno dei due testi fornisce altre informazioni di fondo) che Gesù dica a(i) suo(i) fratello(i) di dividere un'eredità. Dal momento che in Luca la disputa sul­ l' eredità è tra due fratelli, il lettore supporrebbe naturalmente che i beni siano ereditati dal padre. Questo è esplicitato in VCT 72: «le cose di mio padre». Questa specificazione permette a Tommaso di inserire un' espres­ sione («mio padre») che, per il lettore introdotto alla conoscenza salvifica dell'opera, risuona come l'idea del Dio supremo trascendente rivelato da Gesù150• (b) Gesù risponde con una domanda retorica che inizia con l'allocuzione vocativa «0 uomo» e continua chiedendo chi abbia costituito (Tommaso: «fatto») Gesù giudice o mediatore (Tommaso usa solo l'espressione «un mediatore») in questa disputa familiare151• La domanda retorica di Gesù esprime ovviamente un rifiuto ad accogliere la richiesta dell'uomo. (c) Invece di chiarire il suo rifiuto o la sua logica in un'affermazione di­ retta rivolta all'uomo, Gesù si rivolge al gruppo più ampio che lo circonda (Luca: «Disse loro»; Tommaso: «Si rivolse ai suoi discepoli e disse loro») . Gesù rafforza così il rifiuto implicito nella sua domanda retorica non rivol­ gendosi più al singolo richiedente. In Luca e Tommaso la differenza nel-

"0 Mentre il Gesù tommasino di solito si riferisce al Dio supremo invisibile come «il Padre (vivente)>>, talvolta parla di lui come di «mio padre» (così i loghia 6 1 , 64 e 99). '" Che Luca usi il vocativo tinthrope ('uomo') senza l'iniziale 6 esclamativa mentre VCT 72 la usa (6 prome, 'O uomo') non è una vera differenza, è anzi del tutto spiegabile a partire dalle peculiarità grammaticali del greco ellenistico e copto. Mentre nel greco classico l'uso di 6 con il vocativo era la regola e la sua assenza costituiva l'eccezione, la situazione nel greco ellenistico si rovescia quando non si stia cercando volutamente di imitare l'attico classico o di dare enfasi a una grande emozione. Dunque l'assenza della 6 è la situazione normale nello stato delle cose del greco del NT, essendo eccezioni le scene in cui l'autore/oratore esprime fone emozione o (come Luca negli Attt) cerca di imitare l'uso classico. Su questo cfr. M. ZERWICK, Graecitas Biblica, Istituto Biblico, Roma 1 960', 1 1· 12 n. 35. Inoltre con un sostantivo maschile singolare come tinthropos c'è una forma vocativa speciale in greco (tinthrope, come qui) che non può significare altro che il vocativo. In questi casi, ò sarebbe ancora più facoltativa. D'altro canto nel copto non c'è un caso vocativo separato per i sostantivi, che non sono declinati come in greco e in latino. Nel copto il vocativo è di solito espresso dal sostantivo reso definito dall'articolo determinativo (come qui) oppure, per es., da un aggettivo possessivo. Ma poiché il sostantivo copto con un articolo determinativo può avere molti usi sintattici e quindi non è immediatamente identificabile come vocativo se non grazie al contesto, la ò esclamativa, presa dal greco, può essere usata per rendere chiaro il senso vocativo del sostantivo.

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177

l'uditorio al quale si rivolge ora non è grande quanto potrebbe sembrare. L'ultimo uditorio che Luca specificava nel cap. 12 erano precisamente «i discepoli di Gesù» ( 12,1 + 4) e quindi questo è il gruppo al quale ci si ri­ ferisce con «disse loro» ( 12,15). Tommaso, non disponendo di un contesto narrativo più generale, deve necessariamente aggiungere «i suoi discepoli», se questo è l'uditorio che lui intende. (d) Come capita spesso nei sinottici, quando uno scrittore adotta il rac­ conto di un altro, i due autori tendono a divergere soprattutto nella conclu­ sione del racconto (per es., Me 5 ,43 I l Mt 9,26; Me 8,2 1 ll Mt 16,12; Me 8,3 1 33 Il Le 9,22). Lo stesso succede qui: Luca presenta una chiara conclusione moraleggiante in cui Gesù esorta il suo uditorio a evitare l'avarizia, mentre Tommaso mostra la sua preferenza tipica per una conclusione criptica in­ vece che chiara, ripetendo la domanda retorica di Gesù. All 'interno di questa struttura letteraria comune, una certa quantità di parole o di espressioni simili suggeriscono la mano di Luca. Per fare qualche esempio: dei 1 14 detti in Tommaso, la grande maggioranza sono introdotti da «Gesù disse» o «Egli [Gesù] disse». Pochi sono i casi in cui semplice­ mente si capisce che Gesù sta ancora parlando dal detto precedente (così il l6ghion 27 dopo il 26). Sono piuttosto pochi i detti introdotti da «i suoi [o: i] discepoli». Maria (Maddalena) introduce il detto 2 1 . Nel detto 60 «Egli [presumibilmente Gesù] vide» precede il solito «Egli [Gesù] disse». Nel l6ghion 7 4 un non identificato «egli» è il soggetto di «disse»; l'allo­ cuzione immediatamente seguente («Signore») implica che il parlante sia un discepolo. È interessante che nel l6ghion 79 il detto sia introdotto da «Una donna tra la folla» (come in Le 1 1 ,27), che continua proclamando la beatitudine contenuta solo in Le 1 1 ,27, con il Gesù tommasino che ri­ sponde come in Le 1 1 ,28. La seconda metà del detto 79 passa quindi alla beatitudine ironica/tragica di Gesù rivolta alle donne sulla via della croce, in Le 23 ,29152• (Tommaso ama la fusione di ogni genere) . I detti 9 1 , 100 e 104 iniziano con un anonimo «essi» (forse avversari) . Ultimo aspetto, non per importanza, nel detto 1 14, che conclude tutta l'opera, Simon Pietro apre il l6ghion rivolgendosi a «loro» (apparentemente Gesù e i discepoli). L'obiettivo di questa rassegna sui parlanti che aprono i singoli detti in Tommaso è che l'introduzione «Un uomo disse» (peje ourome, cioè un verbo

152 Goodacre (Thomas and the Gospel. cit . 97· 1 08) considera VCT 79 «così straordinariamente lucano>> da dedicarvi un intero capitolo. Si tratta di fatto di un altro esempio paradigmatico della conoscenza e dell'uso da parte di Tommaso del vangelo di Luca, probabilmente l 'ultimo dei vangeli sinottici a essere stato scritto. .

178

Capitolo trentottesimo

finito con significato passato + articolo indeterminativo singolare + sostan­ tivo 'uomo') si trova nel VCT solo nel detto 72. Non è la stessa cosa degli altri pochi casi di un vago «dissero» o «disse» rilevati in precedenza, dove il pronome soggetto è semplicemente parte della forma verbale. In altre paro­ le, «un uomo disse» come formula di apertura di un detto non solo è insolita per Tommaso, ma è in realtà anche limitata a un singolo l6ghion, VCT 72. La rilevanza di questa osservazione sullo stile di Tommaso si può vedere quando si passa a Luca e si osserva un elemento del suo stile redazionale. Ci sono diversi casi in Luca in cui il pronome indefinito greco ti's ('alcuni' o 'qualcuno', ma nel greco ellenistico è anche usato come equivalente funzio­ nale di un articolo indeterminativo) introduce un interlocutore che inizia un dialogo con Gesù o provoca un commento da parte sua153• La forma singolare di ti's ('un tale', 'un uomo') svolge questa funzione in 9,57 («Un tale gli disse [a Gesù]»); 13,23 («Un tale gli chiese»); 14,15 («Uno dei commensali»). Il plurale ti'nes ('alcuni') si trova con la stessa funzione, per es., in 1 1 ,15; 13,1; 2 1 ,5. Quando si considera (i) che l'apertura copta del l6ghion 72, peie our6me na/(«Un uomo gli disse [a Gesù]») è l'equivalente funzionale dell'apertura di Luca ( 12,13), eipen dé tis. . . auto («Uno della folla gli disse») 154; e (ii) che questa apertura di pericope per designare un interlocutore e un 'estraneo' che inizia una conversazione con Gesù è una caratteristica della redazione di Luca, ma è estranea a Tommaso tranne per VCT 72 , è più probabile che la forma lucana dell'aneddoto influenzi la versione tommasina. La presenza di un tratto redazionale tipicamente lucano in un esempio isolato nel testo di Tommaso è rafforzata da una corrispondenza verbale citata in precedenza, cioè il fatto che Gesù si rivolga direttamente al suo

"' Per l'uso di tìs come articolo indeterminativoo, cfr. per es., Le 10,25: nomik6s tis è tradotto in molte Bibbie inglesi come 'un dottore della Legge' (RSV, NRSV, il NT riveduto della NAB), anche se un'espressione come 'un certo dottore della Legge' è una possibile traduzione. Sull'uso di tt's nel greco antico come articolo indeterminativo (che, in senso stretto, il greco antico non ha, diversamente dal copto), cfr. W. WATSON GOODWI N Greek Grommar, riveduto da C. Burton Gulick, Ginn, Boston 1958, 84 n. 387; H. WEIR SMYTH, Greek Grommar, Harvard University, Cambridge 1984, 3 10 n. 1267; sulla somiglianza di tt's e heis (il numerale 'uno') in questo uso, cfr. BDF 129 n. 247. 1 " La frase introduttiva di Luca, diversamente da quella di Tommaso, include l'espressione 'della folla' (ek tu 6chlu). Questa specificazione è resa necessaria dal più ampio contesto narrativo di Luca. In 2 1 , 1 Luca aveva sottolineato che una folla enorme si era raccolta attorno a Gesù, anche se Gesù intenzionalmente rivolge le sue osservazioni ai suoi discepoli (1 2,1+4). Nel v. 4 Gesù si rivolge a «voi, amici miei>> e nei versetti seguenti mette in guardia i suoi seguaci sulla persecuzione per amor suo e sulla necessità di una confessione impavida. Dunque quando Luca introduce un vago 'uno' in 12,13 è necessario chiarire che questo 'uno' non è uno dei discepoli ai quali Gesù si è rivolto finora, ma piuttosto un estraneo, uno della folla. Non avendo un contesto narrativo più ampio, Tommaso non necessita di un tale chiarimento. ,

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interlocutore come 'uomo'. Infatti in Tommaso questa è l'unica volta in cui Gesù usa questo vocativo, «0 uomo» (6 pr6me) . Come abbiamo visto, que­ sto equivale esattamente all'allocuzione vocativa iniziale del Gesù lucano in 12,14 (dnthrope). n punto cruciale qui sta nel fatto che, mentre il Gesù di Tommaso non usa mai questo vocativo 'uomo' altrove nella sua opera, quello di Luca lo fa. E l'altro esempio lucano in cui Gesù parla è chiara­ mente redazionale. In Mc 2,5, Marco (seguito da Matteo) presenta Gesù che si rivolge al paralitico calato dal tetto con il vocativo téknon («figlio [mio]»). Luca cambia questa allocuzione nella sua tipica dnthrope ('uomo') in 5 ,20. Che Luca tenda a usare dnthrope come allocuzione vocativa quando la sua fonte ha altre parole è chiaro dal racconto del rinnegamento di Gesù da parte di Pietro durante il processo giudaico. Nel secondo e nel terzo rinnegamento di Gesù il Pietro marciano non usa il vocativo 'uomo' (Mc 14,69-7 1 ) , anche se il terzo rinnegamento recita: «Non conosco quest'uo­ mo [dnthropon] di cui parlate». Diversamente da Matteo, che si mantiene piuttosto vicino a Marco, Luca inserisce intenzionalmente l'allocuzione vocativa dnthrope ('uomo') sia nel secondo sia nel terzo rinnegamento (Le 22,58-60). È dunque corretto dire che l'inserzione del vocativo 'uomo' al­ l'inizio dell'allocuzione diretta è un tratto redazionale di Luca, che lo usa due volte nel suo vangelo quando Gesù comincia a rivolgersi a un uomo che chiede il suo aiuto (il paralitico e l'uomo che discute sull'eredità) . Al contrario, in nessun punto Tommaso fa in modo che Gesù si rivolga a qual­ cuno con 'uomo', tranne in VCT 72 che, come abbiamo già visto, equivale alla pericope tipicamente lucana 12, 1 3 - 15 e riflette i tratti redazionali lucani testimoniati altrove nel terzo vangelo155• Un altro parallelo sorprendente tra Luca e Tommaso si può trovare nella risposta negativa alla richiesta dell'uomo in forma di domanda retorica (Le 12,14): «0 uomo, chi mi ha costituito [Tommaso: fatto] giudice o mediatore sopra di voi? [Tommaso ha solo il sostantivo 'mediatore' e non ha 'sopra di voi']». n termine lucano per 'mediatore' (meristes) è una parola relativamen­ te rara ma non senza riscontri nella letteratura greca precedente a Luca156• I pochi usi attestati nel periodo precristiano si riferiscono a una sorta di

"' È interessante notare che l'unico altro uso vocativo di pr6me ('uomo' in allocuzione diretta) in Tommaso è in VCT 61, dove Salome lo usa per rivolgersi a Gesù. 1'6 Per contro Riley Un/luence, cit., 230), basandosi sull'erronea opinione che il sostantivo greco merist�s non compaia prima del vangelo di Luca, costruisce una complicata teoria sull'influsso di Tom­ maso su Luca. La sua teoria è efficacemente demolita dalle citazioni pre-lucane fornite da GAniERCOLE, Luke in the Gospel ofThomas, cit., 139-141.

180

Capitolo trentottesimo

pubblico ufficiale legato alla finanza o alla distribuzione di fondi pubblici. Nel I secolo d.C. la parola sembra essere usata anche nel senso più generale di 'mediatore', in senso sia fisico, sia metaforico (per es., in riferimento agli oroscopi). Le uniche occorrenze del sostantivo copto equivalente (re/pose) in Tommaso sono nel nostro l6ghion, VCT 72 (bis). La tendenza tipica di Tommaso ad abbreviare e comprimere i sinottici è evidenziata qui nella sua omissione del 'giudice' di Luca, che permette a Tommaso di concentrarsi sull'idea di 'mediatore' (da qui la ripetizione della parola nella versione di Tommaso), una funzione che Gesù ovviamente rifiuta con la sua doppia domanda retorica157• Il rifiuto di Gesù del ruolo di mediatore ha del tutto senso nella teologia gnosticizzante di Tommaso. Come indica Gesù in detti come il 50, il 6 1 , il 77 e il 1 06, egli viene dal Tutto, dal mondo della luce, dal regno del Padre, che è per definizione 'l'indiviso'. La persona che non ha la luce della conoscenza che Gesù porta rimane divisa ed è così invasa dalle tenebre158• Questa esaltazione del concetto del non essere diviso è coe­ rente con la frequente lode di Tommaso de 'l'unico' e 'il solitario' (usando il sostantivo greco monach6s) come ideale cristiano.

157 Un manoscritto dello standard sahidico copto del vangelo di Luca omette allo stesso modo il sostantivo 'giudice', ma altri manoscritti sahidici lo riportano. In ogni caso, la versione più breve non sembra collegata alla possibilità che il testo di Tammaro sia assimilato alla versione sahidica standard o viceversa. Oltre alla presenza o assenza di 'giudice', il testo sahidico standard è una traduzione fedele del greco di Luca. Inoltre nel manoscritto copto di Luca che omette 'giudice', anche il sostantivo 'me­ diatore' è reso da un sostantivo diverso (re/por;) da quello presente in Tammaro. Si deve considerare anche il fatto che le versioni antiche in generale mostrano una notevole fluttuazione su questo punto nel testo lucano. Per una dettagliata valutazione di critica testuale sul problema, cfr. T. BAARDA, Luke 12, 1 3-14. Text and Transmisrion /rom Marcion lo Augustine, in J. NEUSNER (ed.), Chrirtianity, Judairm and Other Greco-Roman Cu!ts, Morton Smith Festschrift, 4 voli., Brill, Leiden 1 975, l . 107-162. Alla fine di questo esaustivo studio, Baarda ( 154- 155) conclude che VCT 72 «ha tutte le caratteristiche di uno sviluppo secondario>> e quindi . Concordo con Baarda anche quando ( 130· 155) scarta una versione dell'aneddoto introduttivo di Luca che si trova in un documento arabo del tardo X secolo d.C. scritto da un apologeta musulmano di nome 'Abd al-Gabbar contro le rivendicazioni cristiane. Dal mio punto di vista, la datazione tarda di questo docu· mento, oltre alle inconsistenti ipotesi necessarie per farlo risalire a un'ipotetica fonte giudeo-cristiana primitiva, rendono indifendibile che DeConick ( The Origina! Gospel o/ Thomas in Translation, cit., 229) faccia affidamento su di esso. "" Qui accetto l'interpretazione comune del difficile testo copto nel !Oghion 6 1 , che alcuni ritengono contenga una cattiva traduzione del greco; altri cercano di emendare alcune parole copte per dare più senso al pensiero. Per l'edizione critica con diversi suggerimenti per lezioni alternative nell'apparato, cfr. il testo copto curato da B. Layton e la traduzione inglese di T. O. Lambdin in Nag Hammadi Codex 11, 2-7, cit., 72-77. Per un esempio di tentativo di emendare il testo con un elenco di altre interpretazioni, cfr. PLISCH , The Gospel o/Thomas, cit., 150- 153; cfr. NoRDSIECK, Das Thomas-Evangelium, cit., 236-24 1 . Per un'interpretazione piuttosto diversa del loghion 61, che sposta il significato del detto nella direzione della teologia giovannea, cfr. D ECONICK , The Origina! Gospel o/Thomas in Translation, cit., 201 -204.

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

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Prima d i dedicarci direttamente alla parabola lucana del Ricco Stolto, si potrebbe fare il punto finale sulla formulazione esatta di Le 12,13 - 15 a confronto con VCT 72 , dal momento che alcuni commentatori potrebbero usare una formulazione differente per schierarsi contro la dipendenza da Luca. Come spesso capita in Luca, qualcuno si rivolge a Gesù in 12, 13 come 'maestro' (diddskale), mentre non c'è un'allocuzione introduttiva simile in VCT 72. 159• In realtà, lungi dal sostenere l'indipendenza di Tommaso da Luca a questo punto, l'omissione di 'maestro' in un'allocuzione a Gesù è esattamente ciò che dovremmo aspettarci in Tommaso. Anzi, è proprio il discepolo Tommaso a essere raffigurato in VCT 13 come colui che si rivolge a Gesù con il titolo 'maestro' (in copto psah) . Gesù corregge bruscamente Tommaso, dicendogli seccamente: «lo non sono il tuo maestro». Chiarita questa posizione teologica tommasina all'inizio della sua opera, sarebbe stato sorprendente se l'autore di Tommaso avesse permesso a qualcuno di rivolgersi a Gesù come maestro, dopo questo. Del tutto compatibile con il rifiuto di Tommaso del titolo verso l'inizio dell'opera è la totale assenza del sostantivo nel VCT. Dunque l'omissione del titolo all'inizio della richiesta dell'uomo a Gesù è ciò che ci aspetteremmo. Se mettiamo insieme tutte queste osservazioni che confrontano Le 12,13 15 a VCT 72, oserei dire che ci sono abbastanza tratti redazionali lucani, ampi e ridotti, che depongono in favore del fatto che il l6ghion tommasino dipenda in qualche modo dalla costruzione redazionale di Luca160• Se è così, e se Luca avesse o creato o revisionato attentamente 12, 1 3 - 1 5 per introdurre direttamente la parabola del Ricco Stolto, è difficile pensare che Tommaso non conoscesse la parabola anche nella sua forma lucana. Questa è un'osservazione generale importante da tenere presente, dal momento che ammetto senza difficoltà che la parabola vera e propria (Le 12, 16-2 1 ) non è verbalmente vicina al suo parallelo in VCT 63 come lo è la sua introduzio­ ne (12,13-15) a VCT 72. Nondimeno, anche nella parabola vera e propria troviamo tratti lucani riflessi nella forma tommasina della parabola.

159 È interessante che Luca usi il sostantivo didtiskalos nel suo vangelo più spesso (17 volte, quasi sempre riferito a Gesù) di tutti gli altri evangelisti neotestamentari, e anzi più di qualsiasi altro libro del NT. Al contrario, Atti usa il sostantivo solo una volta. '"" PAITERSON , The Gospel o/ Thomas and ]esus, cit., 54-56, non nota questi tratti redazionali lucani nella sua trattazione di VCT 72; al contrario di GADlERCOLE, The Gospel o/ Thomas. Introduction and Commenlary, cit., 482.

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Capitolo trentottesimo

3. Confronto fra Le 12, 1 6-21 e VCT 63 Cominciamo proprio dall'inizio della parabola. A prima vista l'apertura tommasina della parabola potrebbe sembrare talmente scialba da non in­ vogliare un secondo sguardo: «C'era un uomo [neyen ourome] . ». Tuttavia questo avvio apparentemente indeterminato di parabola presenta un'im­ pronta riconoscibile. Nei sinottici, solo Luca mostra la forte tendenza a ini­ ziare bruscamente le parabole narrative con 'un uomo' o 'un tale' (dnthropos tt's o semplicemente tt's) nelle primissime parole della parabola, senza alcuna forma introduttiva del tipo: «Il regno dei cieli è simile a . . . », oppure «Che ve ne pare?». Tra le parabole tipiche di Luca o pesantemente riviste da Luca, le parabole introdotte da forme dnthrop6s tis includono il Buon Samari­ tano ( 1 0 ,3 0 , anthrop6s tis) , il Fico Sterile ( 1 3 ,6, tis) , il Grande Banchetto (Q o più probabilmente L, 14,16, dnthrop6s tis), il Figlio Prodigo ( 15 , 1 1, dnthrop6s tis), l'Amministratore Disonesto (1 6, 1 , dnthrop6s tis), il Ricco e Lazzaro ( 16,19, dnthr6p6s tis), i Talenti o Monete (Q o più probabilmente L, 19,12, dnthrop6s tis) . In Marco o in Matteo non si vede questa tendenza generale, anche se le varianti testuali rendono qualche caso controverso161• Più nello specifico, nei vangeli sinottici l'espressione «un [certo] uomo ricco» (dnthr6p6s tis plusios) non è mai usata per introdurre una parabola narrativa - tranne in Luca. Infatti una rapida panoramica della distribuzio­ ne dell'aggettivo 'ricco' (plusios) nel NT è di per sé rivelatrice. Nei quattro vangeli, Matteo usa plusios 3 volte, Marco 2x, Luca 1 1 x e Giovanni Ox. Nes­ sun altro libro del NT si avvicina a Luca nel numero di occorrenze. Quindi non sorprende troppo sapere che in tutto il NT solo Luca usi l'espressione «un [tale] uomo ricco». Inoltre tutti i suoi utilizzi ricorrono all'inizio delle . .

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Simili a queste introduzioni lucane, ma con una definizione più specifica dell'uomo o degli uomini particolari coinvolti nella parabola, sono le parabole dei Due Debitori (Le 7 ,4 1 , daniste tini, 'un credi­ tore'), la Vedova e il Giudice ( 18,2, krit�s tis, 'un giudice') e il Fariseo e il Pubblicano (18,10, dnthropoi dyo, 'due uomini'). Inoltre ci sono due parabole marciane che iniziano con dnthropos, ma senza l'aggiunta di tìs: i Fittavoli Malvagi della Vigna (Mc 12,1) e il Portiere (Mc 13 ,34). Mentre il parallelo matteano segue Marco in entrambi i casi, Luca probabilmente riporta dnthrop6s tis all'inizio della parabola dei Fittavoli Malvagi (Lc20,9). Comprensibilmente, su un punto tanto irrilevante i manoscritti greci variano. Mentre alcuni manoscritti matteani posteriori riportano tìs in 2 1 ,3 3 , la versione testuale più probabile lo omette. Analogamente variano i manoscritti di Le 20,9; tìs può essere originale, ma questo non è certo. L'inizio della versione di Matteo della Pecora Perduta (18,12) si avvicina all'apertura con «un uomo>> (anthrop6s tis), ma in questo caso abbiamo a che fare con una domanda introduttiva e poi si inizia con una proposizione condizionale: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore . . ». Il parallelo lucano ( 15,4) rende l'apertura stessa della parabola una domanda: «Chi di voi, se ha cento pecore . . . ?». Su dnthrop6s tis nelle parabole lucane dr. le osservazioni conclusive di HEININGER, Metaphorzk, ci t., 220-223 . .

Le parabole e il problema del Vangelo copto di Tommaso

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parabole tipiche di Luca: il Ricco Stolto ( 12, 16), l'Amministratore Diso­ nesto ( 1 6,1) e il Ricco e Lazzaro ( 1 6 , 1 9 ) 162• Abbiamo ovviamente a che fare con un 'indicazione della mano redazionale di Luca163• È significativo, quindi, che la parabola del Ricco Stolto in VCT 63 inizi con l'esatto equiva­ lente copto del lucano anthropu tinòs plusiu. Anzi, non solo la versione di Tommaso inizia con ourome emplousios («un uomo ricco»); cosa ancor più sorprendente, questa introduzione non usa l 'aggettivo copto per 'ricco' ,ma l'aggettivo greco che è uno dei preferiti di Luca: plusios 164• Di fatto questa è l'unica volta in cui plusios compare nel VCT. Altrove nel VCT è utilizzata la parola copta standard per 'ricco' o 'uomo ricco' (rmmao), che ricorre nei detti 81 e 1 10. Inoltre è impiegato il sostantivo composto copto mentrmmao ('ricchi'), attestato nei detti 29 e 85 . In breve, la spiegazione più semplice del motivo per cui l'aggettivo greco plusios e, anzi, tutta l'espressione lucana 'un uomo ricco' si trovi all'inizio di una parabola tommasina - e, in partico­ lare, all'inizio della versione tommasina del Ricco Stolto - è la dipendenza, diretta o indiretta, dalla versione lucana della stessa. In questo caso non ci si può appellare alla teoria secondo la quale VCT 63 è stato assimilato al testo sahidico standard di Luca, dal momento che il testo usa l'aggettivo copto nativo, non il greco, per 'ricco' 165•

162

Negli ultimi due casi (l'Amministratore Disonesto e il Ricco e Lazzaro) il verbo èn («c'era>>) separa l'aggettivo plusios dal precedente anthrop6s tis. Nel primo (il Ricco Stolto), l'espressione è al caso genitivo e dipende dal sostantivo ch6ra ('la terra'). Tanto più interessante è quindi il fatto che Luca 'anticipi' l'espressione genitiva nella frase per farla diventare l'apertura della parabola. 163 Quindi sorprende che Heininger (Metaphorik, cit., 1 13 ) assegni anthrtJpu tinòs plusiu (. Invece di raccontare una storia su persone ed eventi (il vehicle) che operano metaforicamente come indicatori di una realtà diversa (il tenor, per es., Dio, il suo regno, il suo popolo), i cosiddetti racconti esemplari riguardano in realtà le persone e le azioni di cui essi narrano. «Non serve un passaggio a un'altra arena e quindi siamo giustificati quando parliamo della loro 'peculiarità relativa'>> 04-15). Così persino Snodgrass riconosce «un'atmosfera>> diversa nel caso dei racconti 'esemplari lucani' o delle 'singole parabole indirette', che rientrino in una categoria separata o meno. 21 Si dovrebbe osservare qui una distinzione interessante. Una certa fonna (o variazione) della fraseo­ logia tìs ex hym6n esisteva in alcune parabole Q e detti Q (per es., M/ 7,9-10 Il Le 1 1, 1 1 - 12; Mt 18, 12-14 Il Le 15,4-7). Le parabole dnthròp6s tis sono invece tipiche di Luca. 22 In verità sia Marco sia Matteo hanno parabole che iniziano con un riferimento a un dnthròpos, ma senza tis. Sellin vede una notevole differenza in queste parabole marci ane e matteane. In esse l' dnthropos è nel racconto la figura principale che domina l'azione esercitando il potere alla fine della parabola (per es., i Fittavoli Malvagi della Vigna, spec. in Mc 12,9). Sellin afferma che questo non vale altrettanto per l'dnthròp6s tis nelle parabole L

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Capitolo trentanovesimo

logo di Gesù con il fariseo che protesta per il gesto della peccatrice che unge i piedi di Gesù) all'ultima parabola L nel vangelo (il Fariseo e il Pubblicano che pregano nel tempio di Gerusalemme, introdotta dall'affermazione che Gesù, che di lì a poco sarebbe arrivato nel tempio di Gerusalemme, rivolse questa parabola agli ipocriti) . Quando abbiamo esaminato la parabola del Ricco Stolto nel capitolo 38, abbiamo notato quante delle brevi ambientazio­ ni introduttive alle parabole derivano forse dalla mano redazionale di Luca. È sicuramente il caso della domanda del dottore della Legge su come ereditare la vita eterna (Le 10,25) , che è sia l'introduzione alla parabola del Buon Sama­ ritano, sia un prodotto della massiccia rielaborazione della pericope di Marco sui due comandamenti dell'amore (Mc 12,28-34). Sono queste introduzioni o cornici narrative lucane a orientare l'interpretazione delle parabole L, non un'espressione introduttiva come «il regno di Dio [o: del cielo] è simile a . . », il tipo di introduzione che è familiare in Marco e in Matteo. (4) Molti dei racconti nelle parabole L - e non solo nei cosiddetti racconti esemplari - avviano il rovesciamento dello stato delle cose, delle aspettati­ ve o dei valori - o, in altre parole, l'attraversamento dei confini. Questo è certamente il caso del Buon Samaritano, in cui i ministri di culto ebrei non aiutano un (probabile) correligionario ebreo disperatamente bisognoso di aiuto, mentre un samaritano 'straniero' (cfr. Le 17, 18) è mosso a compas­ sione e lo salva. .

B.

IL BUON

SAMARITAN O IN

DETTAGLIO

In questo contesto più generale di ciò che è caratteristico o tipico delle parabole L in generale e di quella del Buon Samaritano in particolare, esa­ miniamo ora i motivi specifici per sospettare che Luca stesso abbia creato la parabola del Buon Samaritano23:

" La bibliografia sul Buon Samaritano è immensa, anche se gran parte della letteratura è dedicata a temi omiletici, pastorali o etici. Storie dell'interpretazione che forniscono un'ulteriore bibliografia in­ cludono W. MONSELEWSKI, Der barmherz(ge Samariter (BGBE 5), Mohr (Siebeck), Tubingen 1967; H. G. KLEMM, Das Gleichnis vom barmherziger Samariter. Grundzuge der Auslegung im 16.117. Jahrhundert (BWANT 6/3 ), Kolhammer, Stuttgan 1 973. Oltre ai classici commentari su Luca, cfr. i classici libri sulle parabole, fra i quali]EREMIAS, Le parabole di Gesù, ci t., 246-254; CROSSAN, In Parables, cit., 57 -66; DRURY, The Parables in the Gospels, cit., 132- 135; DoNAHUE, The Gospel in Parable, cit., 128- 134; Scorr, Hear Tben the Parable, cit., 189-202; SNODGRASS, Stories with Intent, cit., 338-362. Per una serie di saggi che applicano un approccio strutturalista a questa parabola, cfr. }.D. CROSSAN (ed.) , The Good Samaritan (Semeia 2), Scholars, Missoula/MT 1974. Per saggi ermeneutici più ampi, cfr. S. WACKMAN PERPICH,

Alla ricerca di possibili candidate: un esame delle parabole sinottiche

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( l ) La struttura di Le 1 0,25 -3 7 (introduzione narrativa più parabola) depone a favore di una composizione olistica da parte di Luca. Le 1 0,25-37

include due fasi principali di una conversazione fatta di botta e risposta tra un dottore della Legge e Gesù. Ciascuna delle due fasi principali (prima l'introduzione e poi la parabola) ha esattamente la stessa struttura interna (in ciascun caso, un tipo di Streitgespriich o racconto di disputa). Le due fasi, con le loro due strutture parallele, si amalgamano per creare un impatto letterario unitario ed efficace24•

Fase l . Introduzione narrativa v. 25 prima domanda del dottore della Legge a Gesù: Che cosa devo /are? v. 26 prima risposta di Gesù sotto forma di controdomanda: che cosa è scritto nella Legge? v. 27 il dottore della Legge costretto a rispondere alla sua stessa do­ manda con una forma abbreviata del duplice comandamento dell'amore v. 28 risposta di approvazione di Gesù che si conclude con un comando: fa' questo

A Hermeneutic Critique o/ Structuralist Exegesis, with Specific Re/erence to Lk 1 0.29-37, University Press of America, Lanham/MD 1 984; LW. M AZAMI SA , Beatific Comradeship. An Exegetical-Herme· neutical Study on Lk 1 0:25-37, Kok, Kampen 1987. Fra le altre opere, EJ. LEENHAJIDT, La parabole du Samaritain, in Aux sources de la tradition chrétienne (M. Maurice Goguel Festschrift), Bibliothèque Théologique, Delachaux & Niestlé, Neuchatel 1950, 132-138; B. GERHARDSSON, The Good Samaritan - the Good Shepherd? (ConBNT 16), Gleerup, Lund 1958; ID., The Narrative Meshalim in the Synoptic Gospels, cit., 339-363; H. GoLLWITZER, Das Gleichnis vom barmhen:igen Samariter, Neukirchener Ver­ lag, Neukirchen 1962; RW. FUNK, The Old Testament in Parable: The Good Samaritan, in Language, Hermeneutic, and Word o/God, Harper & Row, N ew York 1966, 199-223; JLH. McDoNALD, The View /rom the Ditch - and Other Angles, in S]T 49 ( 1996) 2 1 -37; R. BAUCKHAM, The Scrupulous Priesl and the Good Samaritan: ]esus' Parabolic lnterpretation o/the Law o/Moses, in NTS 44 (1998) 475-489; P.F. EsLER, ]esus and the Reduction o/ Intergroup Conflict: The Parable o/ the Good Samaritan in the Light o/Social Identity Theory, in Biblical lnterpretation 8 (2000) 325·357; R. RouKEMA, The Good Samaritan in Ancient Christianity, in ve 58 (2004) 56-74; M.P. KNOWLES, What Was the Victim Wearing? Lite· rary, Economie, an d Social Contexts /or the Parable o/the Good Samaritan, in Biblica! Interpretation 12 (2004) 145-174; T KAZEN, The Good Samaritan and a Presumptive Corpse, in Svensk Exegetisk A rsbok 21 (2006) 13 1 - 144; P.M. SPRINKLE, The Use o/Ge1zesis 42:18 (no/ Leviticus 18:5) in Luke 1 0:28: ]oseph and the Good Somari/an, in Bulletin /or Biblica! Research 1 7 (2007) 193·205; B. W. LoNGENECKER, The Story o/the Samarita n and the Innkeeper (Luke l 0.·30·35). A Study in Character Rehabilitation, in Biblica! Interpretation 1 7 (2009) 422-447. 24 Scorr, Hear Then the Parahle, cit., 190, sostiene che «una forte coesione interna collega fra loro la domanda del dottore della Legge e la parabola>>, ma fornisce un modo per alcuni versi diverso di interpretare il parallelismo tra la Fase l e la Fase II.

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Capitolo trentanovesimo

Fase 2. Parabola del Buon Samaritano v. 29 seconda domanda del dottore della Legge a Gesù: Chi è mio prossimo? w. 30-36 risposta di Gesù in forma di parabola che culmina in una controdomanda: chi è il prossimo in questo racconto? v. 3 7 a il dottore della Legge costretto a rispondere alla sua stessa domanda: chi ha avuto compassione v. 37b risposta di approvazione di Gesù sotto forma di coman­ do: anche tu /a' così. n parallelismo sfaccettato, fino alle parole chiave ripetute come «fa'», è troppo perfetto per essere una mera coincidenza. Ciò vale specialmente perché, come abbiamo già visto, solo Luca tra i sinottici fornisce un'intera serie di introduzioni narrative a queste parabole. Come minimo, quindi, la struttura generale di 10,25-37, con il suo elegante parallelismo tra le due fasi principali della narrazione (aneddoto + parabola), è composizione propria di Luca. Si può però dire qualcosa di più sulla sua attività redazionale in ciascuna delle due fasi? (2) La narrazione introduttiva (un tipo di racconto di disputa, di apof­ tegma o di chréia) è chiaramente un prodotto della redazione lucana, come attesta un'intera serie di parole, espressioni e costruzioni grammaticali tipi­ camente lucane25• Ma l'argomentazione in favore della pesante redazione lucana si fonda su una base ancora più solida. Come abbiamo visto nel Volume 4 di Un ebreo marginale quando abbiamo trattato il duplice co­ mandamento dell'amore, Le 10,25-28 è semplicemente la riformulazione da parte di Luca del 'dialogo scolastico' sul primo comandamento di Mc 12,28-34. Non è coinvolta nessun'altra fonte oltre a Marco26• È quindi Luca stesso ad avere creato la struttura della domanda del dottore della Legge, la controdomanda di Gesù, la risposta del dottore della Legge alla sua domanda e il comando finale di Gesù, tutti legati insieme ordinatamente

2l

Per un elenco di termini e di tratti stilistici lucani in 10,25-28, cfr. SELLIN, Lukas (Part m. cit. Sellin include nel suo elenco: kài idzi (un septuagentismo); tiS collocato dopo un sostantivo (Matteo Ox, Marco lx, Luca 29x, Atti 39x); la formulazione della domanda del dottore della Legge nel v. 25b, che corri· sponde esattamente a Le 18,18b, dove Luca sta pure riscrivendo Marco (10,17), introducendo la forma participiale poiésas; l'introduzione del discorso diretto tramite ho dè eipen pròs aut6n nel v. 26a; e la compressione in un'unica frase tramite kài delle due citazioni scritturistiche che sono separate in Marco. 26 Questo è uno dei punti su cui non concorderei con Sellin. Non c'è motivo di presupporre altre fonti (per es., Q o materiale speciale L) per spiegare la creativa redazione lucana di Mc 12,28-34. Su questo, cfr. Un ebreo marginale 4, 49 1 -565, spec. 556-562.

Alla ricerca di possibili candidate: un esame delle parabole sinottiche

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dall'inclusione del verbo 'fare' [poiéo] . La domanda introduttiva posta dal dottore della Legge, «Che cosa devo /are [poù?sas] per ereditare la vita eter­ na?» è attentamente bilanciata da Luca con il comando conclusivo di Gesù: «Fa' [p6iei] questo e vivrai»27• Inoltre Luca rafforza la disordinata versione marciana del duplice comandamento comprimendo i due comandamenti dell'amore separati in un comandamento unico in due parti in 1 0,27 . Il verbo 'amerai' (agapeseis) è usato solo una volta, con Dio e 'il tuo prossi­ mo' come doppio oggetto in una lunga frase che culmina con l'espressione chiave «il tuo prossimo come te stesso». Questa formulazione compressa del duplice comandamento dell'amore conclude, enfatizzandolo, il tema del prossimo con l'espediente dell'accento sulla parte finale, offrendo così una transizione scorrevole alla seconda domanda del dottore della Legge nel v. 29: «E chi è il mio prossimo?». Il versetto che si interpone (v. 28), che comunica l'approvazione, il comando e la promessa di Gesù («Hai risposto bene; fa' questo e vivrai») ha una sorta di duplice funzione. Da una parte conclude l'aneddoto introduttivo (fase I) con l'inclusione dei due verbi «fa'» e «vivrai» (w. 25 + 28). Dall'altra parte anticipa la parabola (fase II) , che si conclude nel v. 3 7b esattamente con la stessa forma verbale del co­ mando come nel v. 28: «Fa' [p6iez] questo». In sintesi, basta confrontare Le 10,25-28 parola per parola con la sua unica fonte, Mc 12,28-34, per capire che l'introduzione narrativa al Buon Samaritano è una massiccia riscrizione della pericope da parte di Luca. L'intricata struttura e i modelli verbali sono creazione redazionale di Luca ed è questa creazione redazionale ad avere un parallelo perfetto nella parabola che segue. (3 ) Prima di procedere a esaminare la parabola stessa, dovremmo os­ servare un'ulteriore costruzione redazionale che lega fra loro la narrazione introduttiva e la parabola. Allo snodo fra l'aneddoto e la parabola si collo­ ca la domanda del dottore della Legge che cerca una definizione di «mio prossimo». Di per sé, questa è una domanda piuttosto ragionevole da parte di un dottore della Legge. Quando si impongono degli obblighi, le leggi devono tracciare linee e limiti chiari: si può arrivare fino a un certo punto ma non spingersi oltre. Quindi una definizione attentamente delimitata di chi si qualifica come prossimo potrebbe sembrare necessaria, se il dottore della Legge vuole conoscere e rispettare l'esatta portata del suo obbligo

27 Tradotta in modo penosamente letterale, la domanda introduuiva del dottore della Legge in 10,25 recita: «Avendo fatto che cosa erediterò la vita eterna?>>. Questo uso circostanziale (avverbiale) del participio poiésas all'inizio della prima domanda evidenzia il concetto di 'fare', che contribuisce a legare insieme tutto Le 10,25-37.

216

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di amare il prossimo28• Ma questo è esattamente ciò che il Gesù lucano si rifiuta di fornire. Con il tipico rovesciamento o inversione di prospettive, aspettative o valori umani visto in molte parabole L, Gesù procede nei vv. 30-37 a definire la categoria di prossimo non da persona qualunque ma, a sua volta, da dottore della Legge. Tu sarai prossimo di chiunque (anche di persone di una diversa religione o di un diverso gruppo etnico) vedrai nel bisogno. Alla fine la categoria di prossimo non è una questione di concetti astratti o di leggi ma di azione concreta (/a' lo stesso) di fronte alla sofferenza concreta. Così, contrariamente alle affermazioni di alcuni studiosi, non c'è incoerenza o rottura di fondo nella trattazione della categoria di prossimo quando si passa dall'apoftegma alla parabola29• Piuttosto le due fasi del­ l'intera pericope sono composte attentamente da Luca per condurre l' ascol­ tatore (un fittizio dottore della Legge, un uditorio cristiano reale) attraverso un processo di «trasvalutazione di tutti i valori»30• L'ascoltatore inizia con la comprensione del prossimo (come definita da Lv 19, 1 8b: il membro della comunità cultuale di Israele) e conclude con una comprensione trasformata del prossimo (come Gesù lo ha 'definito' in modo libero) . Il tema teologico

28

Questo punto è sottolineato da BAUCKHAM, The Scrupulous Pn"est, ci t., 475. 29 Così giustamente SELLJN, Lukas (Part II), cit., 23-24; cfr. C.A. EVANS, Luke's Good Samaritan and the Chronicler's Good Saman'tans, in T. HATINA (ed.), Biblù:allnterpretation in Early Christian Gospels. Volume 3 : The Gospel of Luke (Studies in Scripture in Early Judaism and Christianity 16; Library of NT Studies 376), Clark, London · New York 2010, 32-42, spec. 4 1 -42. Per l'idea che un mutamento nel significato di 'prossimo' tra la Fase I e la Fase II , cfr. ScoTT, Hear Then the Parable, cit., 1 9 1 -192; analogamente LONGENECKER, The Story o/the Samaritan, cit., 422-427; cfr. ]. LAMBRECHT, Response to Ganvood P Anderson. Parables in Luke, in ETL 86 (2010) 1 7 7 - 1 84, spec. 1 82. È significativo che Longenecker, ammettendo che al­ cuni autori hanno dato senso a Le 10,25-37 nel suo contesto lucano, non giudichi questa (423-424 n. 3 ) . Qui abbiamo la presupposizione comunemente accertata (più che provata) che una parabola primitiva stia alla base della formulazione lucana, una parabola che molto probabilmente risale al Gesù storico. Anzi, molti commentatori non considerano nemmeno la possibilità che, nello stesso atto compositivo, Luca abbia creato la parabola e massicciamente riscritro la pericope marciana sul primo comandamento (Mc 12,2834) per fornire un'introduzione tipicamente lucana. 30 È naturalmente con un richiamo ironico a Friedrich Nietzsche che uso questa famosa espressio­ ne, «la trasvalutazione [o rivalutazione, rovesciamento] di tutti i valori>> ( Umwerthung alter Werthe), proclamata alla conclusione della sua opera L'Anticristo. Per il testo tedesco nel contesto più generale di Der Antichrist. Fluch au/ das Christentum, cfr. F. NIETL5CHE, Siimtliche Werke, 15 voli., Deutscher Taschenbuch/Miinchen · de Gruyter/Berlin - New York 1 980, 6.253 [trad. it., J;Anticn'sto. Maledizione del cristianesimo, Adelphi, Milano 1977, 53]. La mia trasvalutazione o rovesciamento dell'espressione «la trasvalutazione di tutti i valori>> consiste nel fatto che io la stia usando, nel contesto del Buon Sama­ ritano, per descrivere l'esaltazione della virtù della compassione, qualcosa che Nietzsche aborriva. Per la trasvalutazione o rovesciamento dei valori come caratteristica delle parabole L, cfr. SELLI N Lukas (Part I ) , cit., 183-184. ,

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generale del rovesciamento, enfatizzato da Luca sin dal primo capitolo del suo vangelo (per es., 1 ,46-55), trova un'espressione memorabile in questa trasvalutazione del significato di 'prossimo'. Di fatto, una volta che ci si renda conto che questa trasvalutazione della categoria di 'prossimo' è il punto focale di 1 0,25-37, né la Fase I né la Fase II di per sé hanno del tutto senso. Per es. la domanda del dottore della Legge nel v. 29 («E chi è mio prossimo?») , che innesca il racconto della parabola, salterebbe fuori dal nulla se la Fase I non fosse costruita atten­ tamente proprio per introdurre e motivare la domanda. Analogamente, lo scambio conclusivo tra Gesù e il dottore della Legge nei vv. 36-37 sulla vera definizione del proprio prossimo non avrebbe avuto senso se la domanda del dottore della Legge nel v. 29, stimolata dall'aneddoto introduttivo, non avesse a sua volta introdotto la parabola31 • La struttura di collegamento che unisce i versetti dal 25 al 3 7 non può essere smontata senza danni consisten­ ti sia alla sua arte letteraria, sia al suo movimento di pensiero. Le due fasi necessitano l'una dell'altra per creare un messaggio teologico sufficiente­ mente completo e una composizione letteraria sufficientemente completa. (4) Nel momento in cui si analizza la parabola vera e propria, non sor­ prende sapere che il suo lessico e il suo stile sono completamente lucani e riflettono, tra gli altri tratti, la tendenza a imitare la versione greca dei Settanta32• Inoltre il lessico lucano fondamentale si collega con gli interessi

" Il ritratto lucano dell'intenzione del dottore della Legge nel porre le due domande e la sua ricezione del messaggio della parabola è dibattuto tra i commentatori, con molti che giudicano il dottore della Legge un personaggio negativo. Per l'idea che il dottore della Legge sia una figura positiva che , cfr. N. LANE , An Echo o/Mercy. A Rereading o/tbe Parable o/the Good Samaritan, in C.A. EvANS - H.D. ZACHARJAS (edd.), Early Christian Literature and lntertextuality, Volume 2: Exegetica!Studies (Studies in Scripture in Early Judaism and Christianity 15; Library of NT Studies 39), Clark, London New York 2009, 74-84. Lane basa la sua argomentazione su un'ipotetica allusione a Es 34,6-7 in Le 10,37. Devo ammettere di avere difficoltà a sentire «l'ecm>. Jl Per un elenco di parole, espressioni e costruzioni tipicamente lucane nella parabola vera e propria, cfr. SELLIN, Lukas (Part III), cit., 35-36; STANTON, Tbe Gospels as Historical Documents 2, cit., 300. Sellin elenca quelli che noi consideriamo i lucanismi più importanti: anthropos tis (oltre alle parabole L, cfr. At 9,33); peripfptein (altrove nel NT solo in At 27,4 1 ; Gc 1 ,2 ; presente nei LXX in 2 Regni 1 ,6; Pr 1 1 ,5 ; Rt 2,3; DnLXX 2,9; 2 Mac 6,13; 9,7.2 1; 10,4); plegàs epithéntes (altrove nel NT nello stesso senso solo in A t 16,23, ma in Ap 22, 1 8 con un altro significato); katà con l'accusativo per uno specifico complemento di luogo (Le 16x; At 53 x) - con l'articolo determinativo questo utilizzo ricorre nel NT solo in Luca (5x) e Atti (19x); ktenos (altrove solo in At 23,24; l Cor 15,39; Ap 18,13; frequente nei LXX, per es. Gen 1,25.26.28; 2,20; 3,14; 6,7; 8,19; Es 1 1 ,5), ma nel NT solo in Luca-Atti nel senso di 'animale per il viaggio'; aghein (Luca 13x, Atti 26x, Marco 3x, Matteo 4x; nel resto del NT 2 1 x); epi con l'accusativo per un complemento di tempo (Luca 3x, Atti 12x, ept' t�n aurion ricorre anche in At 4,5), epanérchesthai (altrove nel NT solo in Le 19,15; presente nei LXX in Gen 50,5; Lv 25, 1 3 ; Gb 7,7; Pr 3,28; Tb"A 6,17; 2 Mac 4,36). Colpisce anche l'alta concentrazione di insolite parole composte, diciassette delle quali ·

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teologici essenzialmente lucani. Per fare un esempio sorprendente: solo Luca tra i sinottici dimostra interesse per i samaritani. I termini 'Samaria' e 'samaritani' sono assenti in Marco e Q, le nostre fonti più antiche dei sinottici. In Matteo la parola 'Samaria' compare solo nel comando negati­ vo che Gesù dà ai dodici all'inizio del discorso missionario (Mt 10,5b-6): «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele». Come abbiamo visto nel Volume 3 di Un ebreo marginale, questo detto M è probabilmente una formulazione della chiesa primitiva oppure una creazione redazionale di Matteo stesso33 • Luca-Atti contrasta nettamente con l a quasi totale assenza dei samaritani e della Samaria in Q, Marco e Matteo34 � Per capire perché dovrebbe essere così, è meglio partire con l'affermazione esplicita dell'intenzione di Luca negli Atti e tornare poi al suo vangelo. Nel discorso del Gesù risorto che apre gli Atti degli Apostoli, Gesù - cioè Luca che parla attraverso Gesù annuncia lo schema geografico nonché storico-salvifico degli Atti ( l ,8): «di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».35• Questo schema è quindi adeguatamente sviluppato nei capitoli successi degli Atti. La predicazione del vangelo, che inizialmen­ te ebbe successo a Gerusalemme, incontra la crescente persecuzione da par-

ricorrono solo in 10,30-35; questo è un tipico trano dello stile lucano. In sintesi, Sellin afferma che, oltre agli hdpax leg6mena che possono essere spiegati per la maggior parte come derivanti dai LXX, non si possono indicare locuzioni chiaramente non-lucane o pre-lucane che possano arguire una forma pre­ lucana della parabola. Analogamente, Stanton sostiene che «la strunura delle frasi e il lessico in questa parabola [cioè il Buon Samaritano] ne giustificano l'amibuzione - per quanto riguarda la sua forma letteraria - al nostro evangelista>>. Stanton concorda effettivamente con Sellin che gli hdpax leg6mena nella parabola derivano per la maggior parte dai LXX, che Luca cerca di riecheggiare. Indica anche l'elegante stile letterario di tuna la pericope, incluso l'uso di tre frasi participiali una dopo l'altra nel v. 30. Stanton si spinge a osservare che i semitismi (presi dai LXX) in questa parabola non sono numerosi come in altri brani del terzo vangelo. Piuttosto, sostiene Stanton, quel che abbiamo nella parabola del Buon Samaritano è un'interessante mescolanza di alcuni semitismi (in realtà septuagentismi) con un alto numero di parole ed espressioni greche classiche. Come osserva Sparks (The Semitisms o/ St. Luke's Gospel, cit., 129-138), questa stessa mescolanza stilistica si vede nella seconda parte degli Atti. Sparks suggerisce che il motivo sia lo stesso in entrambi i contesti: cioè, «san Luca scrive con parole sue il racconto che deve esporre» (137), invece di trovare un racconto già completo da riscrivere per introdurvi una combinazione di septuagentismi e di greco classico. Anzi, alla fine del suo articolo (1 38), Sparks arriva persino a suggerire che Luca non avesse altre fonti per il suo vangelo oltre a Marco e Q. JJ Un ebreo marginale 3, 572-573. " Come indico in Un ebreo marginale 3, 579-583, l'unico altro scritto nel NT oltre a Luca-Atti che tratta il rapporto di Gesù con i samaritani è il vangelo di Giovanni. " Sulla discussa natura della funzione di At 1 ,6-8 nella narrazione globale dell'opera, cfr. A. BALE, The Ambiguous Oracle: Narrative Con/iguration in Acts, in NTS 57 (20 1 1 ) 530-546.

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te delle autorità ebraiche (capp. 1-5 ) , che culmina nel martirio dell'ellenista Stefano (capp. 6-7 ). La persecuzione scatenata dalla testimonianza e dalla morte di Stefano provoca la fortunata missione dell'ellenista Filippo (se­ guito da Pietro e Giovanni) tra gli abitanti della Samaria (8,4-25) . Filippo evangelizza poi le città costiere della Giudea, finendo a Cesarea (8,26-40) , dove Pietro convertirà presto la prima 'comunità' pagana, il centurione Cornelio con la sua famiglia e gli amici (cap. 1 0)36• Nel frattempo alcuni el­ lenisti dispersi dalla persecuzione hanno raggiunto Antiochia in Siria, dove per la prima volta proclamano il vangelo in modo programmatico e diffuso ai pagani e agli ebrei ( 1 1 , 19-25 ). Quello che prima era stato un persecutore dei cristiani, Saulo/Paolo (il cui racconto di conversione è stato abilmente intrecciato con tutti questi sviluppi della fiorente missione cristiana), si associa alla predicazione di Antiochia. Da lì è inviato per iniziare la sua missione estesa alle terre dei pagani fino ai confini della terra (espressione che si rivela riferirsi a Roma, la capitale dell'impero)37•

'6 Come si collochi la conversione dell'eunuco etiope per opera dell'ellenista Filippo (At 8,26-40) nello sviluppo generale della missione in questa parte degli Atti non è del tutto chiaro. Parte del pro­ blema è che Luca ci lascia incerti sullo stato dell'etiope. All'inizio del racconto, egli è completamente convertito all'ebraismo, o piuttosto è la tipica figura lucana, il pagano 'timorato di Dio'? La risposta a questa domanda cambia in parte se si intende il termine 'ewmco' (eunuchos) nel suo senso letterale, fisico oppure semplicemente come definizione di un funzionario di corte. Per quel che sappiamo, nel periodo precedente al 70, un eunuco fisico non poteva convertirsi pienamente all'ebraismo a causa della proibizione di Dt 23,1 (23,2 nel TM; la letteratura rabbinica posteriore sviluppa diverse distinzioni giuridiche su questo punto). Tuttavia, qualunque sia la tradizione soggiacente all'attuale testo di At 8,26-40, essa è stata massicciamente rivista da Luca, quindi la domanda deve essere come Luca intende 'eunuco', un punto che resta non chiaro. Per una trattazione degli importanti problemi storico-critici e letterari connessi con questi interrogativi, cfr. J. ZMIJEWSKI, Die Apostelgeschichte, cit., 359-369 [trad. it., 480-494]; C.K. BARRETI, The Acts o/ the Apostles l, cit., 420-426 [trad. it., 459-467] ; ].A. FITZMYER, The Acts o/ the Apostles, ci t., 4 10-4 12 [trad. it., 4 1 7 -419] . Fitzmyer sostiene che la linea di sviluppo nel racconto lucano della diffusione della fede cristiana richiede che l'eunuco etiope sia «visto come un giudeo, o forse un proselito giudeo>> (410 [trad. it., 417]). Non tutti i commentatori concordano. Per es., E. HAENCHEN, Die Apostelgeschichte (MeyerK 3 ), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 9686, 264, ritiene che Luca abbia intenzionalmente lasciato incerta la condizione religiosa dell'etiope. B.E. WILSON, "Neither Male nor Female": The Ethiopian Eunuch in Acts 8, 26-40, in NTS 60 (2014) 403-422, accentua il tema dell'ambiguità, interpretando l'etiope come un vero eunuco fisico, una figura liminale che supera le categorie definite, quindi un perfetto rappresentante del tema lucano della rottura dei confini. Per un approccio che muove in questa direzione, cfr. S. ScHAUF, Locating the Eunuch: Characterization and Narrative Context in Acts 8:26-40, in CBQ 7 1 (2009) 762-775. " Che Roma potesse essere considerata, per specifici scopi teologici e letterari, è confermato dalla descrizione del martirio di Paolo a Roma in l Clem 5,7 : «Giunto al confine del­ l'occidente [ . . . ] allora [Paolo] lasciò il mondo» [trad. it., in I Padri apostolici, cit., 52]. (Forse, però, l Clemente allude qui al programma di Paolo di andare in Spagna, citato in Rm 15,24-28). Il tema di Roma come confine dell'Occidente (usando il termine dysis, letteralmente il 'tramonto' del sole)

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Vediamo quindi che Luca non solo ha realizzato le parole del Gesù risor­ to in A t l ,8 nel preciso ordine profetizzato, ma che ogni suo passo nel pro­ cesso che si sta svolgendo prepara o innesca anche il passo successivo. Che questo modello di sviluppo lineare rifletta il programma teologico specifico di Luca è chiarito dall'inclusione della Samaria come passo importante nel processo, mentre sorprendentemente la Galilea, il punto d'avvio e il centro iniziale del ministero pubblico di Gesù, praticamente scompare dagli Atti. La Galilea non svolge alcun ruolo nella profezia iniziale del Gesù risorto o nella sua realizzazione38. Il posto di primo piano della Samaria nella prima parte degli Atti è quindi non solo il risultato di fatti storici; rivela la scelta redazionale e il programma teologico di Luca. Alla luce di questo programma teologico chiaramente enunciato negli Atti, possiamo ritenere la presenza dei samaritani nel vangelo di Luca come opposta alla loro assenza in Marco e Q e alla loro quasi-assenza in Matteo. Proprio all'inizio (Le 9,52-53 ) del racconto del grande viaggio (capp. 9-19 nel suo vangelo) , Luca presenta una scena in cui alcuni samaritani negano a Gesù l'ingresso nel loro villaggio perché sta viaggiando verso il santua­ rio di Gerusalemme (il rivale del centro di culto samaritano sul monte Garizim)39• Gli indignati discepoli Giacomo e Giovanni vogliono invocare il fuoco dal cielo per distruggere i samaritani inospitali, ma Gesù esercita la misericordia semplicemente andandosene verso un altro villaggio. Che la misericordia di Gesù verso i samaritani porti frutto è annunciato in seguito nel racconto del grande viaggio, quando Gesù cura dieci lebbrosi (una narrazione speciale L in 1 7 , 1 1 - 19), uno dei quali è samaritano40• li fatto che

è toccato anche da Ignazio di Antiochia, Rm 2,2, analogamente in un contesto di martirio cristiano a Roma [trad. it., in I Padr·iapostolici, cit., 122] . Sull'interpretazione di questo riferimento geografico, cfr. BARRETI , The Acts of the Apostles l, ci t., 79-81 [trad. i t., 109- 1 1 2]; FITZMYER, The Acts o! the Apostles, cit., 206-207 [trad. it., 187]. 18 Oltre ai due riferimenti retrospettivi alla Galilea del ministero pubblico di Gesù (A/ 10,37; 13,3 1), la Galilea è citata solo di sfuggita nel sommario globale sullo stato della chiesa in A t 9,3 1 : . 39 Su questo, cfr. Un ebreo marginale 3 , 575-577. '° Cfr. Un ebreo marginale 2, 574-575. Come si può vedere in queste rassegne sul problema, i samari­ tani erano considerati agli occhi degli ebrei e dei pagani e nelle opere letterarie di Luca e Giovanni come gente 'di mezzo' o 'liminale', non pienamente ebrei né pienamente pagani - benché i samaritani storici si considerassero 'Israele'. Quindi nel vangelo di Giovanni, in cui Gesù non ha contatti significativi con i pagani durante il ministero pubblico (si confrontino i racconti del servo del centurione e della donna siro-fenicia nei sinottici), il breve contatto con i samaritani in Cv 4 serve da prefigurazione della missione ai pagani che sarà resa possibile dalla morte-risurrezione di Gesù (cfr. Cv 12,20-26). Correttamente, quindi, in tutto il vangelo di Giovanni, solo i samaritani attribuiscono a Gesù un titolo che suggerisce

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solo lo 'straniero' samaritano (che tuttavia non è qualificato come 'pagano') e non gli altri nove lebbrosi (presumibilmente ebrei) torni a ringraziare Gesù per la propria guarigione può anticipare il racconto degli Atti in cui la diffusione del vangelo ai samaritani che lo ricevono contrasta con la persecuzione a Gerusalemme (At 8,2-25 ) . In altre parole il contrasto tra l'incredulità e la fede negli Atti (si noti l'enfasi sulla fede in 8,12-13) può essere prefigurato dal fatto che, quando solo il samaritano in Le 17 torna a glorificare Dio e a ringraziare Gesù, Gesù afferma intenzionalmente che la fede del samaritano lo ha guarito e salvato (con il doppio significato del verbo sozo in Le 1 7 , 1 9 ) . Gli altri nove lebbrosi, che non ringraziano né credono, finiscono col ricevere solo una guarigione fisica. Di fatto si potrebbe anche suggerire che questo racconto lucano di miracolo, con il suo contrasto implicito tra la fede samaritana e l'incredulità ebraica, può rimandare a uno schema più generale negli Atti: nei suoi viaggi missionari, Paolo incontra regolarmente l'incredulità da parte di molti ebrei e si rivolge poi ai pagani, che (con alcuni ebrei) ricevono il vangelo con fede ( cfr., per es., At 13 ,44-54; 18, 1 - 1 1 ; 19,8- 10; 28,17-28). Solo se si coglie la funzione globale dei samaritani nella teologia della sto­ ria della salvezza e della 'geografia della salvezza' di Luca - una prospettiva teologica peculiare di Luca-Atti nel NT si può apprezzare pienamente il carattere lucano della parabola del Buon Samaritano. La figura chiave del samaritano, che agisce con misericordia verso un ebreo al contrario dei rappresentanti ufficiali della comunità cultuale ebraica, è l'incarnazione perfetta del grande tema lucano dell'attraversamento dei confini inizia­ to nel vangelo e realizzato completamente nella missione ai pagani negli Atti41• Anzi, non è affatto casuale che questa parabola ( 10,29-37) appaia -

il suo impatto universale e quindi la missione universale nel suo nome (4,42: >. Questa descrizione è l'esatto contrario di tutto ciò che rappresenta il Buon Samaritano. Dunque un tratto stilistico lucano saliente, il monologo interiore, manca necessariamente dalla parabola del Buon Samaritano. È strano che molti commentari del vangelo di Luca e del libro delle Cronache non citino questa corrispondenza o la possibilità che Luca usi consapevolmente questo racconto nella sua parabola del Buon Samaritano e non vi prestino un'attenzione particolare. Tra i pochi commentatori che sollevano la questione, alcuni negano qualsiasi collegamento tra la parabola e 2 Cr 28,8- 15, talvolta per motivi apparentemente apologetici. Altri ancora riconoscono il collegamento ma solo di sfuggita. Per una breve storia della trattazione dell'argomento nella letteratura accademica, cfr. I. KALIMI, Robbers on the Road to Jericho. Luke's Story o/ the Good Samaritan and lts Origin in Kings!Chronicles, in ETL 85 (2009) 47 ·53 . Kalimi osserva che il Cronista potrebbe a sua volta essere stato influenzato da un racconto prec�dente sul trattare i nemici con gentilezza in 2 Re 6,20-23, anche se Kalimi sostiene giustamente che i legami tra 2 Cr 28 e Le 10 sono molto più forti. Kalimi lascia aperto l'interrogativo se l'uso di 2 Cr 28,8-15 nella parabola sia da attribuire a Gesù o a Luca. Favorevole a vedere l'influenza di 2 Cr 28,815 su questa parabola è anche EVANS, Luke's Good Samaritan, cit., 32-42. Evans arriva a suggerire (32) che «la parabola ha di fatto 'sviluppato in modo prolisso il racconto' di 2 Cr 28, 1 - 1 5>>. Per un elenco degli studiosi che accettano l'influenza del racconto in 2 Cr e di coloro che negano o ignorano tale possibilità, cfr. le note l e 2 di Evans a pagina 32. Simile a Evans nell'approccio generale, ma ancor più dettagliato nella trattazione delle somiglianze e delle differenze tra 2 Cr 28,8- 15 e il Buon Samaritano è E. ScHEFFLER, The Arsau!ted (Man) on the ]erusalem-Jericho Road: Luke's Creative Interpretation o/ 2 Chronicles 28:15, in HTS Theologiese Studies/Theologica! Studies 69 (2013 ), 8 pagine (online, http:// . .

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l'artista Luca il materiale fondamentale per la sua opera d'arte letteraria, un tipo di midras su un racconto anticotestamentario che gioca con la polarità Samaria/Giuda e la supera43• Ricapitolando, dunque, la parabola del Buon Samaritano, con la sua introduzione, è assolutamente lucana a qualsiasi livello immaginabile: la macrostruttura di Luca-Atti, la macrostruttura del racconto del grande viaggio, la struttura letteraria tipicamente lucana con l'aneddoto introdut­ tivo seguito dalla parabola, il parallelismo esatto nella struttura letteraria prima dell'introduzione e poi della parabola, la teologia lucana che per­ mea entrambe le parti della pericope bipartita, il lessico e la grammatica tipicamente lucane, e naturalmente l'attenzione tipica di Luca sulla figura del samaritano, che, in stile midrashico, è sostanziata da una narrazione anticotestamentaria. Quando si ripercorrono tutti gli elementi lucani che formano questo insieme letterario-teologico, ci si deve chiedere perché uno studioso dovrebbe avvertire la necessità di scoprire la parabola pre­ redazionale soggiacente che Luca ha nelaborato. Anche se sospettassimo un tale sostrato, come potremmo scoprire cos'era? Se eliminiamo ogni tratto teologico, strutturale, letterario e filologico lucano da 1 0,25-37, quale ipo­ tetico poltergeist ci rimarrebbe? E, più nel merito del progetto di Un ebreo marginale, come potremmo passare da questo poltergeist al Gesù storico

www

. hts.org.zalindex.php/HTS/article/viewFile/2010/3870). Come Evans, Scheffler lascia aperta la possibilità che una forma della parabola o forse alcuni stimoli che hanno portato alla nascita della parabola lucana possano essere attribuiti a Gesù. Scheffier suggerisce, per es., che Gesù potrebbe aver richiamato l'episodio descritto in 2 Cr 28 per neutralizzare l'odio ebraico verso i samaritani, che i suoi seguaci in seguito richiamarono il suo uso di questo passaggio scritturistico, e che Luca abbia poi creato la parabola del Buon Samaritano dal testo anticotestamentario e dallo stimolo dato dall'uso gesuano dello stesso. Mentre tutto questo può essere possibile, sembra di essere impegnati nel disperato tentativo di recuperare qualcosa della parabola per Gesù, quando l'attuale forma della parabola - e l'unica forma a noi disponibile - viene chiaramente dalla mano creativa di Luca. 45 Su questo dr. GoULDER, Characteristics, cit., 68; BuLTMANN, Geschichte, cit., 22 1 ·222. È significativo che J.·M. VAN CANGH, Le Bon Samaritain. Une création de Jésus ou de Luc?, in R BIERINGER - G. VAN BELLE - J. VERHEYDEN (edd.), Luke and His Readers. Adelbert Denaux Festschri/t (BETL 182), Leuven University - Peeters, Leuven 2005, 239-263, nel tentativo di ricostruire la parabola originale di Gesù che soggiace al testo di Luca, si senta obbligato a riscrivere il racconto fondamentale in modo che i tre viag­ giawri che si imbattono nell'uomo ferito si rivelino essere un sacerdote, un levita e un israelita laico. Che Van Cangh debba anche riscrivere altre pani fondamentali della pericope lucana per arrivare alla forma originale della parabola (per es., la parabola originale era la risposta diretta alla domanda del dottore della Legge: ) non ispira fiducia. Ma il problema fondamentale dell'approccio di Van Cangh è che, mentre sottolinea l'enorme creatività redazionale di Luca, dà per scontato che dietro l'attività lucana ci fosse una parabola che risaliva al Gesù storico. Per ripetere la nota di fondo di questo quinto volume, perché dovremmo presupporre questo scenario?

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Capitolo trentanovesimo

e alla parabola che egli ipoteticamente compose? La domanda si fa tanto più pressante quando ricordiamo i risultati della nostra rassegna dei gruppi ebrei o quasi-ebrei nel Volume 3 di Un ebreo marginale44• Il risultato della nostra trattazione sui samaritani è stato che molto probabilmente il Gesù storico aveva avuto poco contatto diretto con i samaritani e raramente - se mai accadde - parlava di loro. Questa conclusione, raggiunta ampiamente a prescindere dall'interesse per la parabola del Buon Samaritano, rende tanto più futile il progetto di ricostruire la parabola originale in bocca al Gesù storico - cosa che non ha impedito ai commentatori di abbracciare il progetto con entusiasmo45• Il mio giudizio su questo progetto di ricostruzione, per quanto seve­ ro, non intende essere insensibile. La tenacia di coloro che desiderano affermare che questa parabola risale a Gesù è facilmente comprensibile. Ma siamo onesti sui motivi di tale tenacia: secondo me non sono interessi storico-critici a spingere le persone a ribellarsi spontaneamente all'idea che il Buon Samaritano - e di fatto altre parabole L, come il Figlio Prodigo non derivi dal Gesù storico. Nella vita dei cristiani e, analogamente, dei post-cristiani, forse nessun 'altra parabola si è inserita tanto profondamente

44 Si veda la mia trattazione in Un ebreo marginale 3, 555-583, spec. 577-579, con le note relative (spec. 577-578 n. 172). Come ho indicato a pagina 578. l'opinione degli studiosi sull'origine della parabola del buon Samaritano è eterogenea. Il lettore attento noterà che, mentre nel Volume 3 propendevo per una certa tradizione pre-lucana dietro la parabola del Buon Samaritano (pur senza sostenere la definitiva paternità del Gesù storico; cfr. 578 n. 173 ), da allora sono giunto alla conclusione che manchi la prova che nella tradizione L circolasse una tale parabola pre-redazionale. " È straordinario osservare quanti commentatori della parabola del Buon Samaritano diano per scontato (invece di darne ragione) che la parabola, in una fonma o nell'altra, derivi dal Gesù storico. Questo vale per esegeti diversi nel loro approccio come Jeremias (Le parabole di Gesù, cit., 246-254, in cui persino lo scambio iniziale con il dottore della Legge è apparentemente accettato come occasione storica della parabola) e Scott (Hear Then the Parable, cit., 189-202, in una presentazione critica più ricca di sfumature, che distingue il significato originale della parabola e l'intento redazionale di Luca). Molte trattazioni ammettono in teoria che si debba distinguere una forma originale della parabola in bocca al Gesù storico e il testo che ora abbiamo da Luca. Tuttavia, nella pratica, la distinzione è velocemente abbandonata o dimenticata e le composizioni ipoteticamente distinte di Gesù e di Luca si fondono nei dettagli dell'esegesi. Per vari esempi di questi approcci cfr. BAUCKHAJ\1, The Scrupulous Priest, cit., 475-489; EsLER, Jesus and the Reduction o/ lntergroup Con/lict, cit., 325-357; KAZEN, The GoodSamaritan, cit., 1 3 1 - 144; SPRINKLE, The Use o/Genesis 42:18, cit., 193-205. Questa elisione (spesso non riconosciuta) del livello della composizione di Luca e dell'ipotetico livello della creazione da pane di Gesù della parabola è proclamata con onestà ristoratrice da Esler (325) quando dichiara l'ipotesi per cui, sia che la parabola sia «autentica, sia che si tratti di una creazione lucana (idea che preferisco), Luca comprendeva così bene il messaggio di Gesù che per gli scopi principali non importa molto che si tratti di materiale gesuano autentico oppure no>>. Per chiunque sia seriamente impegnato nella ricerca del Gesù storico, importa.

Alla ricerca di possibili candidate: un esame delle parabole sinottiche

225

nella consapevolezza delle persone in un'età così giovane e cruciale. Come si può vedere dai risultati del Jesus Seminar, persino critici che assegnano senza remare gran parte della tradizione evangelica all'invenzione cristiana posteriore, spesso oppongono resistenza all'idea che Gesù non abbia pro­ nunciato la parabola del Buon Samaritano (o del Figlio Prodigo)46• Una

46 Cfr. per es., FUNK et al. , The Five Gospels, cit., 323-324 (il Buon Samaritano in caratteri rossi) , 356-357 (il Figlio Prodigo i n caratteri rosa). I curatori osservano che quasi il 5 0 % dei membri del ]esus Seminar hanno votato rosso per il Figlio Prodigo: «Pochi voti neri hanno spostato la media verso la cate­ goria rosa» (357). ln The Five Gospels, il rosso rappresenta il giudizio secondo cui «Gesù indubbiamente disse questo o qualcosa di molto simile>>; il rosa indica il giudizio secondo cui ), una nota geografica che ricorre verso la fine del viaggio di Gesù a Gerusalemme! In poche parole, la conoscenza lucana dei samaritani, come evidenziato nel suo vangelo e negli Atti, si può riassumere come segue: i samaritani erano considerati stranieri e un gruppo religioso distinto agli occhi degli ebrei (ma non erano considerati pagani); un importante motivo di tensione tra samaritani e giudei è lo stato del tempio di Gerusalemme quale meta propria di pellegrinaggio religioso; i samaritani sono propensi a credere facilmente ai miracoli, cosa che li porta all'ingenuità di fronte ai ciarlatani; tuttavia si dimostrano aperti a ricevere il messaggio cristiano. Imputare a Luca o al personaggio letterario del 'buon samaritano' di fornire in questa parabola una precisa conoscenza delle idee dei samaritani del l secolo sulla Legge mosaica in generale o sulle leggi di purità che riguardano i morti in particolare significa andare oltre le prove. Anzi, ancora oggi, quanto conoscono gli studiosi con certezza delle leggi di purità samaritane relative ai morti nel periodo precedente il 70 d.C.?

228

Capitolo trentanovesimo

fornire una qualche sorta di struttura, formulazione e messaggio primitivi per ciascuna parabola. Lasciatemi essere chiaro: non sto affermando che ciascuna parabola L è sicuramente un prodotto puro dell'evangelista Luca come il Buon Samaritano. È sicuramente possibile che alcune parabole L risalgano alla tradizione speciale L che Luca ricevette e revisionò. In realtà un simile scenario sembra probabile in pochi casi, in particolare nella parabola dell'Amministratore Disonesto (Le 1 6,1-8). Questa parabola è così opaca nel suo messaggio che Luca ha aggiunto una serie di appli­ cazioni diverse ( 16,9-13) - si potrebbero definire note sparse per possibili omelie sulla parabola. Nessuna di queste applicazioni deriva realmente dalla parabola. Il problema è che, mentre l'Amministratore Disonesto può essere il candidato migliore per un certo tipo di tradizione pre-lucana, essa è anche, per ammissione universale dei critici, la più sconcertante delle pa­ rabole sinottiche, poiché invita a una serie quasi illimitata di interpretazioni diverse e persino contraddittorie48• Se questo vale anche a livello del testo

48

Snodgrass

(Stories with lntent, cit., 406-409) elenca sedici approcci diversi all'interpretazione di

questo esempio enigmatico di parabola. Paradossalmente sostiene anche che la parabola abbia origine in Gesù basandosi sul fatto che una «parabola così notoriamente complessa>> difficilmente sarebbe stata creata dalla chiesa primitiva. Suggerisco a chiunque provi interesse per questa argomentazione di ripas­ sare prima i volumi da

l a 4 di Un ebreo marginale e di catalogare tutte le affermazioni difficili, confuse,

imbarazzanti o infondate attribuite a Gesù nei vangeli, ma che finiscono con l'essere giudicate creazioni della chiesa delle origini o di

un

evangelista. Per un'esame delle diverse tendenze nell'interpretazione

dell'Amministratore Disonesto nel corso dei secoli, cfr. B.C. DEN NERT

A Survey o/ the lnterpretative History o/ the Parable o/ the Dishonest Steward (Luke 16:1-9), in P. WALTERS (ed.), From Judaism lo Christianity: Tradition and Transition (Thomas H. Tobin Festschrift; NovTSup 136), Brill, Leiden - Bo­ ston/MA 2010, 145- 152. Il contributo di Dennert fa da appendice a un saggio di E. Lupieri nello stesso volume, Mammona iniquitatis: Can We Make Sense o/ the Parable o/ the Dishonest Steward?, 13 1 - 143. ,

Dennert e Lupieri ritengono entrambi che l'Amministratore Disonesto sia una delle parabole evangeli­ che più difficili da interpretare; entrambi avvertono che il modo migliore di procedere sia concentrarsi sul significato della parabola all'interno del più generale contesto lucano. Lupieri in particolare esprime il suo scetticismo sulla possibilità di identificare il significato originale di questa parabola per quel che riguarda Gesù; afferma che gli basterebbe semplicemente riuscire a capire cosa intendeva l'evangelista

034

9). Per una storia più dettagliata dell'interpretazione dell'Amministratore Disonesto nel XIX IRELAND, Stewardship and the Kingdom o/God (NovTSup 70), Brill, Leiden ­ New York - Koln 1992, 5-47. Ritengo candidate ancor meno convincenti come parabole autentiche del n.

e nel XX secolo, cfr. D.].

Gesù storico i 'racconti esemplari' di Luca, oltre al Buon Samaritano e all'Amministratore Disonesto. In

questo non concordo con il ragionamento di T.A. Friedrichsen ( The Tempie, a Pharisee, a Tax Collector, and the Kingdom o/ God: Rereading a Jesus Parable (Luke 18:10-14a), in JBL 124 [2005] 89-1 19), che usa il fatto che la parabola del Fariseo e del Pubblicano sia un racconto esemplare proprio di Luca (con l'improbabile modello del pubblicano) quale base per sostenere la storicità della parabola come

proveniente da Gesù. Friedrichsen desume che, dal momento che la parabola non è semplicemente un racconto sull'umiltà nella preghiera (qualcosa che è affermato più che dimostrato), a livello del Gesù

storico la parabola si riferisce almeno implicitamente al regno di Dio. Viene in mente il vecchio detto che

Alla ricerca di possibili candù.Mte: un esame delle parabole sinottiche

229

letterario che Luca ci dà, che cosa dire della forma, della formulazione e del messaggio di un'ipotetica tradizione pre-lucana? E come passare da questa ipotetica tradizione pre-lucana a Gesù? Qui torniamo alla questione fondamentale che, dal mio punto di vista, rende l'attribuzione di qualsiasi parabola L al Gesù storico quasi impossibile. Quindi, riassumendo: non pretendo di poter dimostrare che tutte le parabole L sono creazioni di Luca come, a mio parere, il Buon Sarnaritano. Neppure pretendo di poter dimostrare che nessuna parabola L risalga al Gesù storico. Quel che affer­ mo è che nessuno studioso, usando rigorosamente i criteri di autenticità, può dimostrare che una qualsiasi parabola L risalga a Gesù. Al massimo, anche se abbiamo buoni motivi per suggerire la presenza della tradizione L, quando si tratta del Gesù storico ci ritroviamo di nuovo con un verdetto di non liquet.

IV. Una conclusione equilibrata della nostra indagine La ricerca moderna sulle parabole sinottiche, che inizia all'incirca con l'opera di Adolf ]iilicher, è stata segnata nell'insieme da un solare ottimi­ smo sulle parabole: della maggior parte, se non di tutte, si può presumere

ciò che si afferma gratuitamente si può gratuitamente negare. Inoltre Friedrichsen sostiene che c'è una distinzione tra l'introduzione di Luca alla parabola (v. 9, che mette in guardia da coloro che confidano nella propria rettitudine e disprezzano gli altri) e la preghiera vera del fariseo. Ma nella parabola vera e propria, la preghiera del fariseo (nonostante la sua formulazione come preghiera di ringraziamento) si concentra su se stesso, non su Dio. La sua preghiera è affetta da un terribile caso di 'io-centrismo' e mette superficialmente a confronto il fariseo giusto con in generale e con il pubblicano vicino in panicolare. Non c'è dunque grande separazione tra l'ammonimento nell'introduzione e la manchevolezza presentata nella parabola. Né la natura frastornante del rovesciamento delle aspettative, con il pubblicano esaltato come il modello da imitare, depone contro la composizione da parte di Luca. Un tale rovesciamento delle aspettative e/o dei valori è comune nella teologia lucana sin dal capitolo l del suo vangelo (cfr., per es., Le 1 ,24 .51 -53.59-63) ed è perfettamente esemplificato nel Buon Sama­ ritano. Inoltre, anche se le argomentazioni di Friedrichsen dimostrassero che la parabola del Fariseo e del Pubblicano non è stata creata da Luca stesso, ancora una volta saremmo semplicemente trasferiti a livello di una tradizione pre-lucana, non necessariamente a livello del Gesù storico. Per battere su uno dei temi principali di questo capitolo: una delle barriere più grandi alla dimostrazione che la maggior parte delle parabole provengono da Gesù è la difficoltà di passare da una possibile tradizione pre­ evangelica all'insegnamento di Gesù stesso. Quali ragionamenti possono aiutarci a superare il baratro quando i criteri si applicano a così poche parabole?

230

Capitolo trentanovesimo

senza ulteriore indugio che provengano dal Gesù storico. Quelle escluse dal gruppo come il Grano e la Zizzania o le Dieci Vergini, sono viste come deviazioni dal corpus principale delle parabole, che viene sicuramente da Gesù perché la maggior parte dei critici lo sostengono. È questo consen­ so così spesso dichiarato ma raramente dimostrato che il Volume 5 , ma soprattutto il presente capitolo, cerca di mettere in discussione. Spogliate dell'immeritata presunzione di storicità, la maggior parte delle parabole non possono costruire argomentazioni convincenti in favore della propria autenticità. La creazione da parte della chiesa primitiva o degli evangelisti sembra una spiegazione probabile non solo per il Grano e la Zizzania e le Dieci Vergini, ma anche, dal mio punto di vista, per la maggior parte delle parabole L, se non tutte. I casi meno chiari - in altre parole, la maggior parte delle restanti parabole - sono giustamente assegnati al limbo del non liquet: nessun argomento forte fa pendere l'ago della bilancia in un senso o nell'altro. Cosa ci resta, quindi? In verità molto poco. La nostra indagine ha trovato solo un caso di molteplice attestazione: la coincidenza Marco-Q della pa­ rabola del Granello di Senape. Inoltre il criterio dell'imbarazzo suggerisce una sola candidata tra le parabole marciane: i Fittavoli Malvagi della Vigna. Con pari sgomento di pii ed empi, nessun criterio di storicità supporta al­ cuna parabola tipica di Matteo o di Luca, per quanto amate possano essere. Anzi, il notevole aumento delle parabole che si trovano solo in Matteo o in Luca (a confronto con Marco o Q) , unito alle forti tendenze redazionali di queste parabole M e L, dovrebbe rendere i critici molto più sospettosi verso le parabole proprie degli ultimi due sinottici. Tuttavia due casi speciali nella nostra indagine rimangono problematici. Se la parabola dei Talenti (o delle Monete) e la parabola del Grande Banchetto sono semplicemente casi di parabole Q pesantemente riviste da Matteo e Luca, mancano della molteplice attestazione e devono essere affidate alla categoria del non liquet. Se, però, rappresentano due esempi di parabole riferite indipendentemen­ te nelle tradizioni M e L, si può costruire un'argomentazione a partire dalla molteplice attestazione. La valutazione dettagliata della storicità e dell'interpretazione di queste quattro sole candidate - il Granello di Se­ nape, i Fittavoli Malvagi, i Talenti e il Grande Banchetto è ciò a cui ci dedichiamo ora. -

CAPITOLO QUARANTESIMO

LE POCHE ELETTE

Per molti lettori di Un ebreo marginale la conclusione del capitolo 3 9 probabilmente non è stata molto gradita. Dopo tutti gli sforzi fatti sulle parabole narrative dei sinottici negli ultimi tre capitoli, apparentemente ci ritroviamo solo con questo: quattro parabole che potrebbero qualificarsi come candidate per l'ambìto riconoscimento di provenire dal Gesù storico. In realtà il nostro disappunto dovrebbe essere accompagnato da un senso di déjà vu. Ci siamo già trovati in questa situazione. Nel Volume 4 di Un ebreo marginale abbiamo dedicato parecchio tempo al rapporto di Gesù con le regole di purità ebraiche solo per concludere che gran parte del ma­ teriale evangelico sul tema veniva dai primi tempi della chiesa. Sottolineai allora ciò che sottolineo ora: risultati così negativi sono paradossalmente un'acquisizione positiva. Per es. , nel caso delle leggi di purità, sono stati ci­ tati troppo spesso in modo superficiale elementi dei sinottici per ricostruire il Gesù storico - che fosse un Gesù radicale che rifiutava totalmente le leggi di purità o un Gesù osservante che accettava il sistema di purità metten­ do in discussione singole questioni nell'ambito accettabile del dibattito. È un'acquisizione positiva rendersi conto che entrambe le pretese e le defini­ zioni sono ugualmente dubbie. Più in generale, è un'acquisizione positiva prendere consapevolezza del fatto che diversi tratti di alcune descrizioni di Gesù comunemente accettate sono semplicemente falsi e dovrebbero essere abbandonati. Ancor più in generale, la nostra ignoranza su alcune aree del Gesù storico è molto maggiore che su altre, e saperlo è di vitale importanza per qualsiasi ricercatore. Almeno per quel che riguarda le leggi di purità, un buon numero dei miei lettori cristiani potrebbero scuotere le spalle e pensare: «Non è una gran perdita». (Non serve dire che molti lettori ebrei non sarebbero d'accordo). Sospetto che il mio pubblico cristiano reagirebbe con meno indifferenza se fosse posto di fronte alle mie conclusioni sulle parabole sinottiche. Qui ci imbattiamo in un problema fondamentale del metodo storico-critico:

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Capitolo quarantesimo

vìola le pari opportunità. Sfortunatamente, cercare di essere solo un po' critici è come cercare di essere solo un po' profondi. Nel corso dei volumi precedenti di Un ebreo marginale ho applicato rigorosamente il metodo storico-critico ai detti e agli atti di Gesù riferiti nei vangeli per discernere cosa sia e cosa non sia autentico. Per quanto possibile, ho lasciato che le tessere andassero a incastrarsi dove dovevano. Ora non posso ritirarmi improvvisamente o abbandonare questo metodo semplicemente perché non mi piace il risultato nel caso delle parabole. Un metodo critico diventa criticamente importante proprio quando va contro i nostri desideri e ci costringe a confrontarci con verità e probabilità poco piacevoli. Nonostante la saggezza ricevuta da più di un secolo di ricerca sulle parabole e nonostante le mie inclinazioni personali, una ricerca storica equilibrata mi ha portato a una conclusione ampiamente impopolare: solo quattro parabole sinottiche sono possibili candidate per il giudizio di 'autentiche'. Come ab­ biamo visto, sono il Granello di Senape, i Fittavoli Malvagi, il Grande Ban­ chetto e i Talenti/Monete. Sono le uniche sopravvissute alla cernita iniziale che abbiamo avviato nel capitolo 39. Ma un esame più dettagliato di ciascuna parabola confermerà la nostra prima impressione su queste elette sopravvissu­ te? li presente capitolo cerca di rispondere a questa domanda. Esamineremo ciascuna parabola di seguito, prima passando in rassegna le idee fondamentali sulle fonti, le strutture e il contenuto, quindi ci chiederemo se la parabola può soddisfare i criteri di storicità. Fortunatamente nel caso del Granello di Senape e dei Fittavoli Malvagi abbiamo già svolto nel capitolo 38 gran parte del difficile lavoro esegetico preliminare necessario, quando abbiamo studiato il possibile rapporto di queste parabole con il VCT. In questi due casi, prima richiameremo i risultati del nostro esame precedente, li svilupperemo, quindi vaglieremo la questione della storicità di ciascuna parabola.

I. Il Granello di Senape (Mc 4,30-32 I l Mt 13,3 1 -32 1 1 Le 13,18- 19) 1

Per ricapitolare quanto abbiamo visto nel capitolo 38: la versione della parabola nel VCT (l6ghion 20) è molto probabilmente una fusione delle ver-

1 Oltre ai commentari classici sui vangeli e sulle parabole di Gesù. cfr. C.R. BoWEN, The Kingdom and the Mus/ard Seed, in A]T 22 ( 1 918) 562-569; A.]. MATrnEWS, The Mustard "Tree", in ExpTim 39

233

Le poche elette

sioni presenti in tutti e tre i vangeli sinottici. Diversi elementi della parabola propri rispettivamente di Marco, Matteo e Luca compaiono tutti in VCT 20. In particolare, in un'unità così breve del materiale dei detti, è difficile riuscire ad attribuire al puro caso un fenomeno tale - tanto più se concor­ diamo con vari esegeti che parte del materiale sinottico che ha riscontri nel l6ghion 20 riflette l'attività redazionale di uno o più evangelisti sin ottici. Archiviato il l6ghion 20, il successivo argomento da prendere in consi­ derazione è il rapporto fra le tre versioni sinottiche della parabola. Come suggerito dalla nostra indagine dei testi di Marco, Luca e Matteo nel ca­ pitolo 38, la soluzione più probabile è che in questa parabola abbiamo un esempio di coincidenza Marco-Q. In altre parole, un detto attribuito a Gesù è stato conservato in diverse forme in due rami indipendenti della tradizione orale primitiva, rami che classifichiamo come Marco e Q2• Tali

( 1 927- 1 928) 32-34; K.W. CLARK, The Mustard Plani, in Classica! Weekly 37 ( 1 943-1944) 8 1-83; A.M. HuNTER, The Interpretation o/the Parables, in ExpTim 69 ( 1 957- 1 958) 100- 1 04; N.A. DAHL, The Parables o/ Growth, in ST 5 ( 1 95 1 ) 132- 166, spec. 147 - 148; H.-W. BARTSCH, Eine bisher ubersehene Zitierung der LXX in Mark. 4,30, in TZ 15 ( 1 959) 126-128; O. Kuss, Zum Sinngehalt des Doppelgleichnisses vom Sen/korn und Sauerteig, in Bib 40 ( 1 959) 641 -653 (= Zum Sinngehalt des Doppelgleichnisses vom Sen/korn un d Sauerteig, in Studia Biblica et Orientalia [AnBib I l] , 2 voli., Istituto Biblico, Roma 1 959, vol. 2, 7385); F. MuSSNER, 1 QHodajoth und das Gleichnis vom Sen/korn (Mk 4,30-32 Par.), in BZ 4 ( 1 960) 128-130; J. DUPONT, Les paraboles du sénevé et du levain, in NRT 89 ( 1 967) 897-913; ID., Le couple parabolique du sénevé et du levain, infesus Christus in Historie un d Theologie, Hans Conzelmann Festschrift, Mohr (Siebeck), Tiibingen 1975, 33 1 -345; KINGSBURY, The Parables o/]esus in Matthew 13, cit., 76-84; K.P. HERTZS CH , fésus herméneute. Une étude de Mare 4,30-32, in S. FRUTIGER (ed.), Reconnaissance à Suzanne de Diétr.ich: Foi el Vie: Cahiers bibliques, Foi et Vie, Paris 1 97 1 , 109- 1 16; H.K. McARTHUR, The Parable o( the Mustard Seed, in CBQ 33 ( 1 97 1 ) 198-210; J.D. CROSSAN, The Seed Parables o/]esus, in JBL 92 ( 1 973) 244 -266, spec., 253-259; ID. , In Parables, cit., 45-49; R. W. FuNK, The Looking-Glass Tree Is /or the Birds, in Int 27 ( 1973) 3-9; A. CASALEGNO, La parabola del granello di senape (Mc 4,30-32), in RivB 26 ( 1 978) 139- 1 6 1 ; R LAUFEN, BASILE/A und EKKLESIA. Eine traditions- und redaktzonsgeschichtliche Untersuchung des Gleichnisses vom Sen/korn, in Begegnung mit dem Wort (Heinrich Zimmermann Festschrift, BBB 53), Hanstein, Bonn 1 980, 1 05 - 140 ( Die Doppeluberlie/erungen der Logienquelle und des Markusevangeliums [BBB 54], Hanstein, Bonn 1 980, 174-200); C.L. BLOMBERG, When Is a Para/le! Rea!ly a Parallel? A Test Case: The Lucan Parables, in WTJ 46 ( 1 984) 78- 1 03 ; KoGLER, Das Doppelgleichnis, cit.; W.J. CorrER, Tbe Parables o/ the Mustard Seed and the Leaven: Their Function in the Earliest Stratum o/Q, in Toronto Journal o/ Theology 8 (1992) 38-5 1 ; V. HIRTH , Die baumgrosse Sen/staude - Bild der wahren Konigsherrscha/t, in BN 83 ( 1996) 15-16; BAILEY, The Parable o/ the Mus­ tard Seed; CROOK, The Synoptic Parables o/ the Mustard Seed and the Leaven, cit., 23-48, spec. 24-33; LIEBDIBERG, The Language o/ the Kingdom and fesus, cit., 276-3 35; T.A. FRIEDRICHSEN, The Parable o/ the Mustard Seed: Mark 4,30-32 and Q 13,18-19. A Surre;oinder /or Independence, in ETL 77 (2001) 297-3 17; FLEDDERMANN, Q. A Reconstruction and Commentary, cit., 658-673; ScHELLENBERG, Kingdom as Contaminant?, cit., 527-543. 2 P er uno studio dettagliato del fenomeno delle coincidenze Marco-Q, cfr. LAUFEN, Die Doppeliiber­ lie/erungen, cit. Per una breve rassegna delle diverse teorie sulle fonti sinottiche applicate al Granello di Senape, cfr. KOGLER, Das Doppelgleichnis, cit., 3 1 -42. La presentazione di Kogler è inficiata sia dalla =

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Capitolo quarantesimo

coincidenze Marco-Q non sono nulla di nuovo per i lettori di Un ebreo marginale. Abbiamo incontrato un primo esempio di questo fenomeno al­ l'inizio del Volume 2 , cioè nella promessa del Battista di «colui che viene» per battezzare in Spirito Santo (Mc 1 ,7-8 Il Mt 3 , 1 1 - 12 I l Le 3 , 15-18)3. Fra gli altri esempi esaminati in Un ebreo marginale, il detto di Gesù sul legare l'uomo forte (Mc 3 ,27 I l Mt 12,29 I l Le 1 1 ,2 1 -22) e il discorso missionario (Me 6,4- 13 I l Mt 10, 1 .5-15 11 Le 9,1 .2-5)4. ln quest'ultimo caso Matteo mostra la tendenza a combinare materiale marciano e materiale Q, mentre Luca mantiene separate le due tradizioni (Lc 9,1 .2-5 = Mc; Le 10, 1 - 12 = Q). Come nel discorso missionario, così nella parabola del Granello di Senape, Matteo combina Marco e Q. Una volta ammesso che fossero due forme primitive indipendenti del Granello di Senape, è inutile chiedersi quale sia la forma originale della parabola. È piuttosto plausibile che, durante il suo ministero pubblico, Gesù abbia narrato questa parabola più di una volta, adattandola al preciso uditorio e allo scopo del momento. In ogni caso, la parabola ha assunto chiaramente forme diverse nella tradizione orale della chiesa primitiva. For­ tunatamente, nonostante le molteplici realizzazioni orali che possono aver avuto luogo, la struttura e il contenuto fondamentali della parabola rima­ sero pressoché fissi fino alla sua redazione da parte dei tre autori sinottici. Tutti e tre sviluppano il racconto attraverso un'introduzione e poi tre fasi della narrazione5. "L introduzione presenta Gesù che annuncia un paragone

sua adozione dell'improbabile ipotesi di un Deuteromarco (cioè Matteo e Luca attingono da una forma posteriore, minuziosamente rivista del Marco che abbiamo), sia dal fatto che presuma (invece di argo­ mentare) l'origine del Granello di Senape nell'insegnamento del Gesù storico. L'idea che il Granello di Senape fosse presente sia nella fonte di Marco sia in Q è ampiamente accettata dagli esegeti che trattano questa parabola; cfr. per es. DAHL, The Parables of Growth, ci t., 147; DuPONT, Le couple parabolique, cit., 333; KINGSBURY, The Parables o/]esus in Matthew 13, ci t., 76-77; McAlm-IuR, The Parable o/ the Mustard Seed, cit., 198- 199; CROSSAN, TheSeed Parables o/fesus, cit., 254; FRIEDRICHSEN, The Parable o/ the Mustard Seed, cit., in cui porta argomenti contro l'insolita teoria di Fleddermann secondo la quale Marco conosceva Q (Q. A Reconstruction and Commentary, cit., 665-666). ' Cfr. Un ebreo marginale 2, 62-80. Questa particolare coincidenza è unica nella tradizione sinottica perché ha paralleli indipendenti in At 1 3 ,25 e Gv 1 ,26-27.33. ' Per il detto sul legare l'uomo forte, cfr. Un ebreo marginale 2, 508-5 17; per il discorso missionario, cfr. Un ebreo marginale 3 , 17 6-1 97 . 5 A mio avviso l a presenza d i u n mini-racconto o d i una trama semplice (che presenti, almeno im­ plicitamente, un inizio, un centro e una fine che implicano una sorta di processo o di cambiamento) giustifica il fatto che il Granello di Senape sia definito una parabola invece che una similitudine. Su questo non concordo con Snodgrass e con vari altri studiosi delle parabole. Snodgrass esige una trama dettagliata perché un'unità della tradizione passi dalla categoria di similitudine a quella di parabola. Per questo sistema di classificazione. cfr. SNODGRASS, Ston'es with lntent, cit., 9-15. Ritiene essenziale

Le poche elette

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tra il regno di Dio/cielo con un avvenimento particolaré. ( l ) n racconto metaforico che segue l'introduzione inizia con un granello di senape che viene seminato nel terreno/campo/giardino; Marco e Matteo ricordano che è «il più piccolo di tutti i semi». (2) Il granello di senape cresce e diventa una pianta («la più grande di tutte le piante» in Marco e Matteo) e diventa addirittura un albero (in Matteo e Luca) . (3 ) Il risultato della crescita è che gli uccelli del cielo vengono a /are il nido fra i suoi rami (o alla sua ombra, nella versione di Marco). In questa breve parabola enigmatica abbiamo un buon esempio della de­ scrizione di C. H. Dodd della funzione di una parabola di stimolare la mente al pensiero attivo7• Questa parabola non è un enigma mistico che illumina gli studiosi portandoli a capire che non c'è nulla da capire a livello raziona­ le. Al contrario, alcune cose di questa parabola sono chiare sin dall'inizio. ( l ) n Gesù sinottico illumina il significato di 'regno di Dio' paragonando­ lo a un semplice processo ben noto: l'interramento di un seme di senape che a tempo debito crescerà fino a diventare una pianta (o un albero) di notevo­ le altezza. li fatto che tutte e tre le versioni sinottiche del racconto passino dalla semina attraverso la crescita (il verbo auxdn6, 'crescere', è usato da Matteo e Luca, mentre Marco usa anabdin6, 'innalzarsi' o 'ascendere') fino alla produzione di una grande pianta suggerisce che almeno parte del mes­ saggio veicolato dal paragone abbia a che fare con il tema dell'eccezionalità

classificare il Granello di Senape come similitudine, invece che come parabola, perché «nessuna delle forme [sinottiche] presenta una trama sviluppata>> (216). 6 Come spesso è indicato nei libri sulle parabole di Gesù, la formula comparativa «il regno di Dio è simile a . . . » intende paragonare il regno non al singolo sostantivo che segue immediatamente nel testo (per es., un granello di senape, una manciata di lievito, un tesoro, un mercante) ma piuttosto a tutto il racconto, avvenimento o processo narrato nella parabola. Lo stesso punto è evidenziato spesso in riferi­ mento alle parabole rabbiniche posteriori che iniziano con formule simili, siano esse lunghe (>. McARTH UR , The Parahle of the Mustard Seed, cit., 203, considera la possibilità che Mc 4,32b sia più vicino al testo di Dn 4 , 12 LXX, mentre Matteo e Luca (e probabilmente Q) sono più vicini al testo di Dn 4,12 di Teodozione. Ma McArthur aggiunge immediatamente che può darsi che non vi sia dipendenza da alcun testo dei­ I'AT. Favorevole a vedere un'allusione a Dn 4, 12.21 LXX in Mt 13,32 è J.T. PENNINGTON, Re/ractions o/Daniel in the Gospel of Matthew, in C.A. EvANS - H.D. ZACHARIAS (edd.), Early Christian Literature and lntertextuality, 1 : Thematic Studies (Studies in Scripture in Early Judaism and Christianity 14; Li­ brary of NT Studies 391), Clark, London - New York 2009, 65-86, spec. 68, dove definisce l'allusione a Daniele un 'cammeo'. Pennington non esclude possibili riferimenti anche alla versione dei LXX di Sa/ 1 03,12; Ez 1 7 ,22-23 e Ez 3 1 ,5-6. 22 L' uso profetico o apocalittico dell'iconografia dell'albero in questi passi dell'AT può essere a sua volta preso in prestito da uno dei grandi miti del mondo antico: 'l'albero cosmico' o persino 'l'albero della vita'. Sulla persistenza dell'iconografia dell'albero della vita e del giardino dell'Eden nella lettera­ tura dell'ebraismo antico e del cristianesimo delle origini, cfr. P.T. LANFER , Allusion to and Expansion

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i monti «abitano gli uccelli del cielo» (tà peteinà tiì uraniì kataskenosei)23• Quel che separa questo passo poetico all'interno di un inno di creazione di lode e di ringraziamento dai testi profetici precedenti è che l'espressione «abitano gli uccelli del cielo» fa semplicemente parte di una descrizione realistica delle bellezze della natura creata da Dio. L'espressione non è una metafora per qualcos'altro; non è certamente un simbolo di escatologia apocalittica o della riunione dei pagani a Sion. Altre due osservazioni mettono in dubbio il tentativo di trovare una profezia anticotestamentaria specifica alla quale la conclusione della nostra parabola presumibilmente allude. La prima: ciascun testo greco dell' AT che abbiamo esaminato cita non solo gli uccelli del cielo, ma anche le bestie del campo. Tuttavia il motivo costante di tutti e quattro i testi anticotestamen­ tari è assente nella parabola sinottica del Granello di Senape in ogni sua forma. Questa assenza conferma l'ipotesi che la parabola del Granello di Senape usi un tema agricolo generale presente nell'AT e altrove, e non un testo specifico tra quelli presi in esame24• La seconda osservazione: l' espres­ sione comune «gli uccelli del cielo» (tà peteinà tiì uraniì) ricorre in vari altri detti del Gesù sinottico (Mt 6,26; 8,20 I l Le 9,58; Le 8,5) senza innescare una caccia al tesoro tra gli esegeti per il particolare passo anticotestamentario cui fa riferimento questa espressione comune.

o/the Tree o/ Li/e and Garden o/ Eden in Biblica! and Pseudepigraphal Literature, in EvANS - ZACHARIAS (edd.), Early Christian Literature and lntertextuality, cit., 97-108. " Nei LXX il versetto continua con . Il TM ha invece (benché la rara parola ebraica per 'fronde' crei difficoltà testuali). Dunque il TM contiene un riferimento indiretto agli alberi in cui dimorano gli uccelli; non c'è nulla riguardo agli alberi nella versione dei LXX del versetto. Tuttavia l'accordo tra Mt 1 3 ,32 e Sa/ 103 ,12 LXX (tà peteinà tu uranu kataskenosei [kataskenun in Mt 13 ,32]) porta B. Kowalski (Der Matthiiische Gebrauch des Psalters im Kontext seiner Parabeluberlie/erung, cit., 593-608) a parlare (599) di una citazione pa rola per parola del versetto del salmo in Mt 13,32 (come anche, si potrebbe aggiungere, nelle versioni marciana e lucana) . 2 4 Qui concordo con LIEBENBERG, The Language o/ the Kingdom and Jesus, cit., 291 -294; analoga­ mente, CROSSAN, The Seed Parables o/fesus, cit., 255. McARTHUR, The Parable of the Mustard Seed, cit., 202-203, è incerto sulla questione. Altri autori sostengono che questo o quel testo dell'AT sia la fonte primaria dell'allusione. Kogler (Das Doppelgleichnis, cit., 1 74-177, spec. 163- 165) spicca per l'argomentazione secondo la quale nella prima fase della tradizione (forse originata dal Gesù storico) l'allusione fosse al TM di Ez 1 7 ,23, ma che il collegamento chiaro con la versione masoretica di questo testo anticotestamentario fosse andato perduto quando la parabola fu tradotta in greco. La sua posizione dipende da una ricostruzione alquanto dubbia della storia della tradizione della parabola, basata sul­ l'ipotesi di un Deuteromarco. La tesi di Kogler diventa ancor più discutibile quando arriva ad affermare che l'allusione a Ez 17,23 conferisce alla parabola un carattere messianico, con il quale Gesù intendeva riferirsi a se stesso in modo velato come il messia che inaugura il regno di Dio.

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Il risultato di questa rapida rassegna di testi anticotestamentari citati come retroterra della nostra parabola è chiaro: critici immaginosi hanno forzato troppo l'espressione finale della parabola del Granello di Senape leggendovi allusioni specifiche all' AT che non ci sono. il finale della para­ bola usa semplicemente un linguaggio biblico tradizionale - linguaggio pre­ sente in vari contesti dell'AT - per esprimere in modo grafico un'afferma­ zione fondamentale: la signoria regale di Dio nel tempo finale può iniziare in un modo piccolo e apparentemente insignificante, ma si espanderà per suo stesso dinamismo interno in una grande realtà che offrirà dimora sicura per molti. Non serve ripercorrere tutto l' AT per capire che il linguaggio metaforico degli 'uccelli del cielo' indica un gruppo di persone avvolte dal regno e che in esso dimorano. Che questo gruppo rappresenti le tribù di Israele riunite, o i pagani che trovano casa tra il popolo di Dio, o addirit­ tura tutta l'umanità ricreata nel tempo finale, è una cosa che la parabola, presa in sé, non chiarisce. Come molte parabole, essa suggerisce un mes­ saggio fondamentale mentre allo stesso tempo stimola la mente con varie possibilità e ulteriori applicazioni. Questo non è per negare che talvolta il Gesù storico possa aver impiegato un'allegoria dettagliata nella parabola: i Fittavoli Malvagi della Vigna è una candidata eccellente. Ma in contrasto con tale allegoria, i due versetti del Granello di Senape si accontentano di evocare il presagio del regno di Dio con pochi temi fondamentali: la cresci­ ta, il contrasto e la riunione di un gruppo che dimora al sicuro nel regno. Si può cogliere altro da questo piccolo grappolo di temi? Letta da sola, la parabola del Granello di Senape dice relativamente poco. Per verificare più profondamente il significato della parabola dobbiamo collocarla in un contesto più generale. Infatti la chiave per qualsiasi interpretazione più ampia di una singola parabola di Gesù si trova nella risposta a una domanda fondamentale: qual è il contesto più generale fornito dall'insegnamento e dal ministero del Gesù storico che può collocare questa parabola in un uni­ verso di significati più generale e tuttavia più specifico25? Solo questa corni­ ce più generale, costruita per la maggior parte senza attingere alle parabole (per evitare un ragionamento circolare), può fornire un contesto valido per

" Dobbiamo ricordare, a questo punto della nostra indagine, che stiamo ponendo domande sul contesto storico del ministero stesso di Gesù intorno al 28-30 d.C. Dunque il contesto letterario creato dall 'attività redazionale di ciascun evangelista (cioè il discorso parabolico relativamente breve di Mc 4 all'inizio del ministero di Gesù, il discorso parabolico molto più vasto e costruito in modo più abile di Mt 13 all'incirca a metà del ministero pubblico, e il contesto libero, in forma di flusso di coscienza del tortuoso racconto del grande viaggio in Le 9-19) non può owiamente fornire la risposta alla domanda che stiamo ponendo in questo frangente.

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interpretare le parabole a livello storico. Che riflettano criticamente sul proprio metodo o meno, i cercatori del Gesù storico regolarmente e quasi automaticamente interpretano ogni data parabola collocandola all'interno di quello che essi ritengono essere il messaggio globale di Gesù26• Abbiamo così interi libri che interpretano le parabole come, per es., proclamazioni profetiche dell'escatologia futura, critica profeti ca delle strutture sociali, economiche e politiche del I secolo, lezioni brillanti di un saggio su come affrontare la vita in questo mondo, o invito gnosticizzante ad aprire gli occhi sul regno di Dio sempre presente nella propria vita. n problema è che troppo spesso, soprattutto in libri dedicati a spiega­ zioni dettagliate di ciascuna parabola di Gesù, il contesto interpretativo generale è o semplicemente dato per scontato oppure è intenzionalmente preso in prestito da qualche celebre ricercatore (per es., Joachim Jeremias, Ernst Kasemann o E.P. Sanders) o, alternativamente, da qualche celebre filosofo (per es., Martin Heidegger o Paul Ricoeur). In entrambi i casi, ra­ ramente gli specialisti delle parabole giustificano la loro scelta particolare del contesto più generale in cui inseriscono le parabole. Di certo si sa che nessuno studioso può fare tutto, specialmente in un lungo libro che analizza ciascuna parabola nel dettaglio. Ma tale approccio non sfugge all'obiezione dell'arbitrarietà o del ragionamento circolare. Almeno pensando nei termini del Gesù storico, con quale diritto l'autore di un libro sulle parabole colloca le parabole nella cornice più generale di un Gesù escatologico rivolto al fu­ turo (comeJeremias o Sanders) invece di un Gesù che insegna una sapienza sowersiva rispetto all'esistenza e alla società umana attuale (come Crossan o Funk)? In definitiva, perché l'interpretazione di una parabola di Gesù sia credibile a livello storico, l'interprete delle parabole deve giustificare non solo l'analisi dettagliata di ciascuna parabola, ma anche l'interpretazione globale del Gesù storico che dà senso alla singola parabola27.

26 L'importanza del contesto storico della predicazione e del ministero di Gesù per l'interpretazione delle parabole è stata uno dei grandi contributi alla ricerca sulle parabole da parte di Joachim Jeremias e di C. H. Dodd. Secondo me, però, sia Jeremias sia Dodd (e molti altri dopo di loro) hanno forzato troppo questa idea quando hanno immaginato di poter discernere la situazione esatta in cui il Gesù storico espose una determinata parabola e l'esatto uditorio al quale la rivolse (distinti dall'ambientazione redazionale creata dagli evangelisti). Con poche eccezioni, in particolare i Fittavoli Malvagi della Vigna, le parabole hanno un messaggio troppo generico per permettere tale specificità. Gesù può aver narrato la stessa parabola fondamentale in situazioni diverse a uditori diversi per diversi scopi retorici. 27 Di sicuro la mia obiezione non ha effetto su quanti abbandonano qualsiasi interesse per il Gesù storico o per il significato delle sue parabole nel contesto giudaico-palestinese del I secolo. Gli studiosi che non si preoccupano del Gesù storico in genere cercano (o creano) il significato delle parabole in un contesto moderno o postmoderno, sia esso cristiano o, per es., un'analisi socio-economica manu-

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È questo rompicapo accademico (e soprattutto il pericolo di un ragio­ namento circolare) che mi ha portato a collocare la mia trattazione delle parabole di Gesù così avanti nel progetto globale di Un ebreo marginale. I primi quattro volumi di Un ebreo marginale hanno lentamente definito i contorni del ministero e del messaggio di Gesù, a partire dalle sue origini e dalla cronologia della sua vita (Volume 1 ) , proseguendo con la trattazione del suo mentore Giovanni il Battista, che preparò la strada per il messag­ gio escatologico centrale di Gesù e la sua rivendicazione di aver realizzato diversi miracoli (Volume 2), la sua azione intenzionale di riunire vari cir­ coli interni ed esterni di seguaci unita alla collocazione consapevole di se stesso al di sopra di e contro altri gruppi che gareggiavano per l'influenza nel giudaismo palestinese del I secolo (Volume 3 ) - tutti aspetti che hanno sgombrato la via per lo studio dei suoi insegnamenti sulla Legge mosaica (Volume 4). Mentre un esame così dettagliato delle sue parole e dei suoi atti inevitabilmente ha comportato di prestare attenzione a vari detti e simili­ tudini metaforiche, ho evitato attentamente di riferirmi al corpus delle sue parabole nell'insieme per ricostruire le principali componenti del ritratto che emerge. Così, all'inizio del Volume 5, avevamo già a disposizione una raffigurazione piuttosto dettagliata del ministero e del messaggio di Gesù, la cornice prefabbricata in cui ora possiamo collocare le parabole per un'in­ terpretazione più completa. Non riuscirò a sottolineare abbastanza che questo lungo processo - la strada lunga e polverosa dei primi quattro volumi - è essenziale per capire le parabole come parte del messaggio storico del Gesù storico. Lette iso­ latamente, come pezzi autonomi di arte letteraria privi di qualsiasi autore o contesto del I secolo, le parabole possono significare qualsiasi cosa un interprete brillante voglia che significhino - lo testimonia la ricerca sulle parabole dal 1960 in poi. Di fatto, in un contesto moderno, un'ermeneutica radicale potrebbe affermare che tutta l'interpretazione evangelica non è altro che un'autobiografia mascherata da critica storica o letteraria. In una

sta, un'analisi psicologica da un punto di vista freudiano o junghiano, un'ermeneutica esistenzialista della vita umana che prescinde da Dio e dalla religione, o persino un'ermeneutica postmoderna che rivela l'indeterminatezza delle parabole, un'ermeneutica che per gioco capovolge ogni cosa e la mette a soqquadro senza mai arrivare a un messaggio definito (la diversità è tutto). Mentre un tale esercizio letterario-intellettuale può dimostrarsi un piacevole passatempo, si deve accettare sin dall'inizio che in approcci simili, non controllati da criteri o dal contesto storico, una data parabola significhi o possa significare qualsiasi cosa lo studioso voglia che essa significhi. Le parabole diventano semplicemente test psicologici, come le macchie di Rorschach, con i quali l'interprete può giocare: si ha ragione se si pensa di averla.

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teoria simile, quello che il testo dice o il modo in cui il lettore implicito ipoteticamente risponde al testo è semplicemente ciò che il critico mo­ derno vuole che il testo dica, semplicemente il modo in cui egli risponde al testo in base alla sua vita. A mio parere l'unico baluardo per difendersi da un approccio solipsistico alle parabole - parabole usate come specchi adulatori davanti al volto del critico - sta nel costruire prima un ritratto del Gesù storico che prescinda ampiamente dalle parabole, poi nell'inserire le parabole all'interno del ritratto che è emerso. Da qui la mia collocazione delle parabole così avanti nel progetto globale. Data questa strategia, applichiamola alla parabola che abbiamo sotto mano. Come si inserisce la parabola del Granello di Senape nel ritratto di Gesù abbozzato nei primi quattro volumi? li Volume 2 ha fornito argomenti a sostegno del Gesù profeta escatologico simile a Elia che proclamava il re­ gno futuro di Dio che in una certa misura era già presente e attivo nel mini­ stero di Gesù. L'aspetto del 'già' del regno nel ministero di Gesù sembrava senza dubbio misero e insignificante a confronto con la più ampia situazio­ ne della politica del pugno di ferro palestinese o romana. Ma Gesù affermò che nella sua azione liberante di esorcizzare gli indemoniati, «è [già] giunto a voi il regno di Dio» (Mt 12,28 11 Le 1 1 ,20)28• Spedire un gruppo raffazzo­ nato di dodici discepoli in una breve missione di predicazione a varie città israelitiche potrebbe essere sembrato a molti un vuoto gesto simbolico, ma Gesù affermò che il modo in cui una città riceveva o rifiutava i suoi inviati avrebbe determinato il suo fato e il giudizio finale29• In altre parole Gesù affermava che ( l ) il dominio di Dio era già efficacemente all'opera nella sua predicazione e nelle guarigioni; (2) per quanto piccola apparisse la sua missione al momento, c'era un collegamento organico vitale tra quella e la vasta e visibile venuta di Dio a giudicare e salvare nell'ultimo giorno. È in questo contesto che dobbiamo ascoltare il messaggio del Granello di Senape: nonostante le apparenze, il regno è presente e cresce - e tuttavia che contrasto ci sarà tra i suoi piccoli inizi e il suo grande epilogo, quando tutte le tribù di Israele, prefigurate dalla cerchia dei dodici costituita da Gesù, saranno riunite30• Dodici discepoli raccolti attorno a Gesù e le do­ dici tribù riunite nuovamente alla fine: che contrasto, eppure un contrasto che comporta un collegamento vivo, integrale. Così, usando il linguaggio presente nei profeti e nei salmi di Israele, Gesù profeta escatologico pro-

" Un ebreo marginale 2, 478-522. " Un ebreo marginale 3, 17 6-197 . JO Ibid, 168- 1 76.

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nuncia la parabola del Granello di Senape non come una verità evidente su grandi cose che hanno piccoli inizi, ma piuttosto come una sintesi inten­ zionalmente minuscola del grande racconto del regno di Dio: presente e 'sepolto' nel terreno del ministero apparentemente misero di Gesù, ma che certamente si espanderà in un vasto regno che abbraccerà l'intero Israele di nuovo riunito. Il Granello di Senape è un esempio perfetto di parabola come profezia, di realtà quotidiana come simbolo di un'escatologia in cui un 'già' e un 'non ancora' in contrasto fra loro sono organicamente collegati. Ancora una volta vediamo che le parabole appartengono a Gesù in primo luogo come profeta piuttosto che come maestro di sapienza. Alla fine di questo esame della parabola del Granello di Senape, la do­ manda se la parabola risalga al Gesù storico si risponde quasi da sola. Unica tra le parabole in tutti e tre i sinottici, il Granello di Senape soddisfa il criterio della molteplice attestazione delle fonti indipendenti, essendo attestata sia in Marco sia in Q. A questo argomento principale possiamo ora aggiungerne un secondo a conferma: la parabola soddisfa anche il criterio della coerenza. Si adatta perfettamente al messaggio escatologico e al mi­ nistero di Gesù profeta che abbiamo lentamente ricostruito nei precedenti volumi di Un ebreo marginale. In modo curioso e piuttosto buffo, quindi, la parabola del Granello di Senape incarna e proclama veramente il trionfo dei più piccoli. Nei capitoli precedenti e in questo del Volume 5 è stata giudicata autentica una parabola di due versetti, mentre la lunga e molto più ammirata parabola del Buon Samaritano è stata giudicata una creazione di Luca. Come l'ebreo Gesù direbbe, pensa un po'.

II. I Fittavoli Malvagi della Vigna (Mc 12, 1 - 1 1 1 1 Mt 2 1,33-43 Il Le 20,9-18)31

Poiché è assai più lunga di quella del Granello di Senape, la parabola dei Fittavoli Malvagi della Vigna ha richiesto una trattazione più dettagliata

" Non serve ripetere qui le lunghe bibliografie disponibili nelle monografie su questa parabola; si vedano in panicolare le bibliografie in K. SNODGRASS, The Parable o/ the Wicked Tenants (WUNT 27), Mohr (Siebeck), Tiibingen 1983, 1 1 9-126 (integrato dall'esegesi e dalle note sulla parabola in SNODGRASS, Stories with lntent, cit., 276-299.677-686); U. MELL, Die 'anderen' Winzer (WUNT 77), Mohr (Siebeck), Tiibingen 1994, 387 -426; J.S. KLOPPENBORG, The Tenants in the Vineyard, cit., 587-

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nel capitolo 38. Per ricapitolare i risultati della nostra indagine, la struttura della parabola così come si trova in Mc 12, 1 - 1 1 comprende cinque fasi: l . La preparazione, in cui un uomo pianta una vigna e la dà in affitto a

dei contadini (fittavoli); 2. l'invio degli schiavi del padrone perché ritirino il raccolto dai conta­ dini; gli schiavi sono rifiutati, picchiati e in alcuni casi uccisi; 3 . l'invio del figlio del padrone, con il padrone che spera che i contadini rispettino suo figlio; 4. l'uccisione del figlio da parte dei contadini, che sperano di ereditare la vigna; 5. la doppia conclusione, con ciascuna conclusione che inizia con una domanda retorica posta da Gesù e alla quale c'è una risposta imme­ diata o spiegata da Gesù: a. Gesù chiede cosa farà il padrone e risponde che il padrone farà morire i contadini e darà in affitto la vigna ad altri; b. Gesù chiede: «Non avete m ai letto nelle Scritture?» e spiega la sua stessa domanda citando Sal 1 1 7 ,22-23 LXX: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo . . . »32•

618. Ciò che mi sta a cuore nel prosieguo del capitolo è valutare se la parabola dei Fittavoli Malvagi, tutta o in parte, risalga al Gesù storico. Le osservazioni esegetiche saranno quindi limitate a ciò che è rilevante per questo punto, mentre le questioni secondarie saranno relegate alle note. Per un'esegesi dettagliata di tutti gli aspetti di questa parabola si vedano, oltre alle monografìe appena citate, i classici commentari su Marco, in particolare R. PESCH, Das Markusevangelium (HTKNT 2), 2 voli., Herder, Freiburg - Base! - Wien 1976, 1977, 2.21 3-224 [trad. it., Il vangelo di Marco. Parte seconda, Paideia, Brescia 1982, 323 -338]; R.H. GuNDRY, Mark, Eerdmans, Grand Rapids/MI 1993, 659-664.682 -691; P. LAMARCHE, Evangile de Mare (Ebib 33), Gabalda, Paris 1996, 278-28 1 ; C.A. EVANS, Mark 8:27-16:20 (World Biblica! Commentary 34B), Nelson, Nashville/TN 200 1 , 2 1 0-240; A. YARBRO CoLLINS, Mark (Hermeneia), Fortress Press, Minneapolis/MN 2007 , 540-549; ]. MARcus, Mark (AYB 27 e 27 A), 2 voll., Yale University, New Haven/CT - London 2000, 2009, vol. 2, 80 1 - 815. Per una trattazione che rinuncia intenzionalmente all'interrogativo sull'origine della versione marciana della parabola nel ministero di Gesù in favore della sua interpretazione nel contesto marciano (soprattutto il riferimento agli 'altri' ai quali è data la vigna in Mc 12,9), cfr. K.R. IVERSON, ]ews, Genttles, an d the Kingdom o/God: The Parable o/ the Wicked Tenants in Narrative Perspective (Mark 12:1-12), in Biblica! Interpretation 20 (2012) 305335 (considerando gli 'altri' come riferimento ai pagani ) . 3 2 Dal punto d i vista grammaticale, l a citazione d i Sa/ 1 17,22-23 LXX in Mc 12,10b- l l costituisce un'apposizione e una spiegazione del sostantivo grapMn ('testo della Scrittura') oggetto del verbo udè anégn6te (> (CROSSAN, op. cit., 96); cfr. FUNK et al. , The Five Gospels, cit., 1 0 1 .5 1 0 -5 1 1 ; anche ]EREMIAS, Le parabole di Gesù, cit., 89-90 («La parabola tratteggia realisticamente lo spirito rivoluzionario dei contadini della Galilea verso i grandi proprietari terrieri non del luogo»). Nello stesso senso, B.]. Malina - R. L. Rohrbaugh (5ocial-5cience Commentary on the Synoptic Gospels, Fortress, Minneapolis/MN 2003', 200) suggeriscono che la parabola pre-marciana fosse un'ammonizione rivolta non contro le autorità del tempio di Gerusalemme ma piuttosto contro i proprietari terrieri di Galilea che non risiedevano nelle loro proprietà e che espropriavano ed estorce· vano . Uno dei problemi di questo approccio (oltre al fatto che ignora completamente il contesto plausibile sul quale concordano tutti e tre i sinottici per inventare un contesto puramente ipotetico) è che presuppone una Galilea in continuo subbuglio politico e sociale al tempo di Gesù. In realtà, paragonata alla Giudea, la Galilea di Erode Antipa sembra essere stata relativamente calma e stabile; a questo proposito cfr. Un ebreo marginale l, 286-298. Infatti, dopo uno studio dettagliato della situazione, delle guerre e dei tumulti, M.H. Jensen (Climate, Droughts, Wars, and Famines in Galilee as a Background/or Understanding tbe Historical ]esus, in ]BL 13 1 [2012] 307 324) conclude che in Galilea . Inoltre si dovrebbe osservare che nulla nel racconto di Marco indica che i fittavoli siano contadini oppressi e impoveriti o che il padrone della vigna sia straniero o viva all'estero, contrariamente a PEscH, Das Markusevange· lium, cit., 2.2 15 [trad. it., 327]; cfr. anche MARcus, Mark 2, 8 1 1 . Come osserva Evans (op. cit., 232), i papiri ellenistici dell'Egitto indicano che talvolta - un'osservazione che si adatta meglio alle ricche autorità del tempio che, almeno in tutte le versioni sinottiche, sono l'obiettivo della parabola. Anzi, se si insistesse nel voler trovare uno sfondo socio-economico verosimile per questa parabola in bocca al Gesù storico (in ogni caso un progetto di dubbia riuscita), la Giudea, e in particolare Gerusalemme, governata fondamentalmente giorno per giorno dalle ricche famiglie dei sommi sacerdoti e dalla nobiltà laica, sarebbero le candidate più probabili. Ed è esattamente questa l'ambientazione in cui tutti e tre i sinottici collocano la parabola. ·

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di Marco e qualsiasi fonte ipotetica possa esserci dietro a Marco. Quindi, nonostante le quattro versioni in nostro possesso, il criterio della molte­ plice attestazione delle fonti indipendenti non offre argomenti in favore dell'autenticità della parabola. Si potrebbe invece essere tentati di costruire un'argomentazione a partire dal criterio dell'ambientazione palestinese discussa nel Volume l di Un ebreo marginale34: cioè che la parabola riflette le condizioni della viticoltura nella Palestina ebraica al volgere dell'era (in altre parole, un' argomentazio­ ne legata alla 'plausibilità contestuale' o al 'colore locale' alla Gerd Theis­ sen). Di fatto, John S. Kloppenborg ha riunito un'impressionante raccolta di cinquantotto papiri dei primi secoli a.C. e d.C. che trattano problemi socio-economici legati alla viticoltura nel Mediterraneo orientale35• Questi papiri spaziano su argomenti molto vari, come l'affitto di una nuova vigna, le dispute con i fittavoli per via delle paghe, le lamentele per le tasse sulla vigna, accuse che i lavoratori fossero stati espulsi ingiustamente dal padrone da una vigna che avevano in affitto, lamentele su alcuni lavoratori che aveva­ no preso possesso di una vigna, denunce di furto e di violenza al momento del raccolto e un procedimento giudiziario contro precedenti affittuari di una vigna. I temi fondamentali del conflitto e della violenza implicati nel­ l'affitto delle vigne e dell'inasprimento dei termini di affitto sono dunque ben documentati per il periodo attorno al volgere dell'era. Mentre alcuni dettagli nella narrativa dei Fittavoli Malvagi possono risultare una forzatura (per es., la volontà del padrone di inviare il proprio figlio dopo che i suoi servi sono stati picchiati e persino uccisi; la convinzione dei contadini di poter ereditare la vigna se uccidono il figlio), l'intero scenario si adatta bene a quelle che sappiamo essere le vigne coltivate e in affitto nel I secolo a.C. e d.C.36• Tuttavia questo è tutto ciò che ci possono testimoniare i papiri.

34 Un ebreo marginale l , 177. Alcuni autori si riferiscono a questo argomento in termini di 'coerenza', intesa in senso ampio: cioè la coerenza non semplicemente con altre parole e atti di Gesù, ma anche con la geografia, la cultura e la storia palestinese in cui egli operava. " KLOPPENBORG, The Tenants in the Vineyard, cit., 355·586. Kloppenborg fornisce anche un utile compendio dei principali approcci all'interpretazione dei Fittavoli Malvagi nel XIX e XX secolo: (i) come allegoria sviluppata dalla chiesa delle origini (50· 70); (ii) come parabola allegorica pronunciata da Gesù stesso (7 1 · 105); e (iii) come 'narrazione realistica' originale in seguito rivestita di interpretazioni allegoriche 006·148). ' 6 L'affermazione da parte di alcuni commentatori (per es., JEREMIAS, Le parabole di Gesù, cit., 89-91) che i fittavoli ritengono che l'arrivo del figlio sia segno che il padre è morto e che quindi la morte del fi­ glio li renderebbe liberi di ereditare la vigna (i) introduce arbitrariamente nella parabola un meccanismo chiave della trama che semplicemente non è presente nel testo (un problema comune nell'esegesi delle parabole sinottiche) e (ii) presume una situazione giuridica che non valeva nella Palestina dell'inizio

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Mentre alcuni papiri raccolti da Kloppenborg si riferiscono alla Galilea, la maggior parte presenta le condizioni dell'Egitto dal III secolo a.C. al IV secolo d.C. La parabola dei Fittavoli Malvagi potrebbe quindi essere stata composta da chiunque conoscesse la viticoltura del Mediterraneo orientale di quel periodo. Niente del 'colore locale' o della 'plausibilità' della para­ bola implica che l'autore sia Gesù di Nazareth o un ebreo palestinese37•

del I secolo d.C., né in base al diritto romano, né a quello ebraico. I tentativi contorti degli studiosi come Jeremias di dimostrare quanto fossero realistiche le aspettative dei fittavoli distorcono la situa­ zione politica e sociale reale della Galilea al tempo di Gesù e ignorano il fatto che l'assassinio a sangue freddo del figlio per mano dei contadini invalida ogni pretesa che essi potrebbero altrimenti avanzare secondo la legge romana o ebraica di ereditare la vigna. Su questi punti cfr. M ARCUS, Mark, 2, 803 -804. Per un tentativo serio di equilibrare gli elementi realistici della parabola con quelli immaginari o molto fantasiosi, cfr. MELL, Die 'anderen' Winzer, cit., 1 17 - 1 3 1 . A mio parere gli elementi non realistici nel racconto iniziano in Mc 12,5 dopo che i fittavoli non solo picchiano, insultano e feriscono vari schiavi, ma arrivano a uccidere uno degli schiavi del padrone. È incredibile che il padrone continui a mandarne , qualsiasi pretesa di narrazione realistica è svanita da un po'. Qui devo dissentire da Kloppenborg (The Representation o/ Violence in Synoptic Parables, in E.M. BECKER - A. RUNESSON [edd.], Mark and Matthew I. Comparative Readings: Understanding the Earliest Gospels in their First-Century Settings [WUNT 27 1 ] , Mohr [Siebeck], Ti.ibingen 201 1 , 323-3 51), quando afferma (334-335) che i vv. 1 -8 hanno «almeno una parvenza di verosimiglianza>>, mentre non ne ha il v. 9, con la sua conclusione da deus ex machina. Quando arriviamo al v. 9, la nave della narrazione realistica è già salpata da un pezzo; ha superato l'orizzonte alla fine del v. 5 . " Per i paralleli con i Fittavoli Malvagi nelle parabole dei rabbini posteriori, cfr. EVANS, Mark 8:271 6:20, cit., 220-222. Evans fonde la questione della plausibilità delle azioni dei personaggi nella parabola con l'interrogativo se i Fittavoli Malvagi risalga al Gesù storico; ma una cosa non dipende necessaria­ mente dall'altra. Inoltre Evans (224-228) usa pretesi semitismi del testo marciano ed echi del TM e del (molto posteriore) targum di Isaia (su questo, cfr. Un ebreo marginale 2 , 334-335 n. 1 1 3) per sostenere l'autenticità della parabola. Un problema dell'argomentazione di Evans è che egli sembra operare con un'impostazione binaria: la parabola viene dal Gesù storico o dalla chiesa cristiana grecofona poste­ riore della Diaspora. Qui come altrove, nelle dispute sull'autenticità, è ignorata una terza opzione: la creazione ad opera dei discepoli di Gesù, che hanno sentito le sue parabole e imparato da esse durante il ministero pubblico, e hanno imitato la sua creatività all'inizio della chiesa di lingua aramaica in Palestina. Questa terza possibilità si ricollega a un suggerimento avanzato da molti studiosi in favore dell'autenticità della parabola, soprattutto esegeti conservatori che sostengono che tutto Mc 12 , 1 - 1 1 (anche le due conclusioni) venga dal Gesù storico. Questi esegeti indicano che nell'originale semitico della parabola c'era un gioco di parole sul termine ebraico che indica il 'figlio' (ben) e il termine ebraico che indica la 'pietra' ( 'eben). Questo gioco di parole avrebbe legato la narrazione propria della parabola ('figlio' al v. 6) con la seconda conclusione della parabola ('pietra' al v. 10). Quindi tutta la parabola risalirebbe a Gesù e non alla chiesa grecofona posteriore di Marco o dei suoi predecessori. Questo approccio presenta due problemi: ( l ) presumibilmente, Gesù avrebbe parlato come al solito aramaico. L'ebraico ben è usato come prestito in aramaico, ma la parola aramaica nativa per 'figlio' è bar. Inoltre, anche se l'aramaico usa 'eben per 'pietra', possiede anche le parole aramaiche native per quel concetto,

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Capitolo quarantesimo

Se né la molteplice attestazione né la coerenza sostengono l'autenticità dei Fittavoli Malvagi, c'è qualche altro criterio che può servire allo scopo? A mio parere si potrebbe affermare che la parabola risalga a Gesù in base al criterio dell'imbarazzo (o, se si preferisce, della discontinuità) - anche se, certamente, l'argomentazione è lunga e tortuosa. Per cercare di chiarire la linea di ragionamento, esporrò l'argomento in tre passi fondamentali. 1 o passo: Il nimsal letterariamente distinto dal racconto della parabola. La nostra argomentazione inizia con una serie di scoperte che vengono dalla critica delle forme e della tradizione applicata alle parabole sinottiche. Per cominciare: come abbiamo visto più volte nei capitoli precedenti, il nucleo di ciascuna parabola sinottica è per definizione un racconto breve autono­ mo con almeno un inizio, un centro e una conclusione impliciti. In alcune parabole il Gesù sinottico aggiunge al racconto (che di solito, anche se non sempre, è narrato al passato) una sorta di commento o di applicazione del messaggio della parabola, ciò che i rabbini posteriori chiameranno nimstil. È essenziale tenere presente che questo commento da parte di Gesù, quan­ do è presentato alla fine della parabola, non fa parte della narrazione vera e propria, cioè il racconto costituito da eventi passati. Il nimstil è invece aggiunto dopo che gli eventi che costituiscono il racconto parabolico sono giunti alla conclusione38. Questo deriva naturalmente dalla funzione del nimStil, cioè spiegare o applicare la narrazione conclusa all'uditorio. ( l ) Per fare un esempio singolare: è solo dopo che il racconto del Buon Samaritano (Le 10,30-35) è concluso che Gesù pone al dottore della Legge la domanda (1 0,36): chi si è dimostrato il prossimo della vittima dei bri­ ganti? Quando il dottore della Legge risponde «Chi ha avuto compassione di lui» (letteralmente, «colui che ha esercitato compassione verso di lui»), Gesù conclude la sua applicazione o interpretazione della parabola con un

fra cui la famosa kepa'. Poiché tutte le retroversioni dai nostri testi greci dei vangeli in un supposto originale aramaico devono rimanere ipotetiche, dobbiamo ammettere la possibilità çhe la forma origi· naie aramaica della parabola usasse bar per 'figlio' e kepd' per 'pietra', eliminando l'ipotizzato gioco di parole. (2) Anche ammettendo che l'originale aramaico della parabola usasse bén e 'eben, la presenza di questo gioco di parole non dimostra che tutto Mc 12,1-1 1 derivi dal Gesù storico. Ammettendo una fase creativa in cui i discepoli di Gesù imitarono la sua produzione di parabole all'inizio della chiesa di lingua aramaica in Palestina, niente impedirebbe che tali discepoli avessero creato il gioco di parole, quando aggiunsero 12, 10-1 1 per fornire una proclamazione della giustizia per il proprio figlio attuata da Dio, dopo che la narrazione si era conclusa semplicemente con la morte del figlio. 38 Alcuni potrebbero vedere Mt 25,29 Il Le 19,26 come un'eccezione, ma la massima contenuta in questi versetti si può intendere come un commento conclusivo espresso da un personaggio all'interno del mondo della parabola. Analogamente Le 16,3 1 , con l'introduttivo eipen dè auto («rispose»), è apparentemente pronunciato all'interno del mondo della parabola da Abramo, che si rivolge al ricco.

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comando: «Va' e anche tu/a' così» ( 1 0,37). Si nota non solo che il nimsal viene dopo ed è letterariamente distinto dal racconto nella parabola, ma anche che il commento conclusivo di Gesù può assumere diverse forme letterarie. Alla fine del Buon Samaritano il suo commento usa una domanda e un comando all'interno di un dialogo; altrove il suo nimsal è una semplice affermazione diretta, lunga o breve. (2) È interessante notare che, nei pochi casi in cui una parabola manca di nimsal, un'espressione breve all'inizio della parabola può svolgere la funzio­ ne di interpretazione indiretta della parabola che segue. È il caso della para­ bola Q della Casa sulla Roccia. Le due parti della parabola sono introdotte da «chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile a . . . Chi invece ascolta e non le mette in pratica è simile a . . . » (Mt 7 ,24+26 I l Le 6,47+49) . Analogamente l'unico accenno di interpretazione della parabola Q del Servo Posto a Capo dei Beni - oltre al contesto escatologico più gene­ rale - è contenuto nella domanda di apertura: «Chi è dunque il servo fidato e prudente, che . . » (Mt 24,45 I l Le 12,42). Al contrario alcune parabole presenti in Matteo e Luca mancano di qualsiasi elemento interpretativo al­ l'inizio o alla fine della parabola stessa (distinta dal contesto più generale o dalla cornice redazionale) . È il caso delle parabole del Granello di Senape, del Lievito, del Grande Banchetto e dei Talenti (o delle Monete)>9• (3 ) Per quanto riguarda le parabole M, si possono trovare molte parabole con un nimsal, anche se altre ne sono sprovviste. Il Grano e la Zizzania è unica per il fatto di imitare la parabola marciana del Seminatore: invece di una breve applicazione alla fine della parabola, una lunga spiegazione allegorica è collocata a una certa distanza dalla parabola, con altro materiale interposto. Le parabole del Tesoro N ascosto nel Campo e della Perla non hanno nimsal, mentre la Rete da Pesca (Mt 13,47 -48) riceve una spiegazione allegorica escatologica lunga come la parabola stessa (vv. 49-50). Il Servo Spietato e gli Operai della Vigna hanno entrambe applicazioni generiche brevi, mentre il nimsal dei Due Figli è più lungo e più specifico. L'Ospi­ te senza Abito Nuziale torna alla forma breve e generica del commento («molti sono chiamati, ma pochi eletti»), come la parabola M finale nel vangelo di Matteo, le Dieci Vergini («Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora»). .

" Con questa affermazione non considero l'espressione comune e generica

  • > nel v. 9; su questo si veda MARcus, Mark, cit., 2, 804-805 . Alla luce dello sviluppo del racconto paraboli co, si dovrebbe osservare come il tema anticotestamentario d'Israele quale vigna di Dio in alcuni casi è collegato dai profeti alla denuncia dei capi di Israele che hanno danneggiato o distrutto la vigna (per es., Is 3,12-14; Ger 12,10). " Il numero degli schiavi inviati e il numero di invii variano in ciascun resoconto sinottico. Non c'è nulla di intrinsecamente inverosimile nella presentazione marciana dell'invio di un solo schiavo dal momento che il suo «riùrare da loro la sua parte del raccolto>> si sarebbe potuto riferire non al trasporto di un grande cesto di uva, ma piuttosto alla ricezione del valore monetario della vendita di parte del­ l'uva. Che in effetti si esercitasse violenza su tali emissari legali in un contesto agricolo è attestato dai papiri ellenistici; oltre al lungo dossier compilato da Kloppenborg, cfr. M. HENGEL, Das Gleichnis von den Weingiirtnern Mc 12:1-12 im Lichte der Zenonpapyri und der rabbinischen Gleichnisse, in ZNW 59 ( 1968) 1 -39, spec. 1 1 -3 1 . Il curioso verbo kephali66 (Mc 12,4), usato in altri scritti greci nel senso di 'compendiare' o 'riassumere' (cfr. per es. Sir 32,8) ma mai altrove nel senso di 'picchiare sulla testa', ha dato il via a infinite speculazioni da parte dei commentatori; dato l'ordine ascendente degli oltraggi nella versione marciana del racconto e il fatto che il verbo ekephaliosan sia seguito immediatamente da etimasan (>), il verbo misterioso molto probabilmente si riferisce al colpire o ferire una persona sulla testa, o forse al maltrattare la testa in modo offensivo (per es., radendo il capo o la barba; cfr. 2 Sam 10,2-5 e la sua versione LXX); per diversi suggerimenti cfr. MELL , Die 'andemz' Winzer, ci t., l 02- 104. L'ordine dei due verbi si oppone al suggerimento ingegnoso di].D. Crossan (The Parable o/the Wicked Husbandmen, in]BL 90 ( 1 97 1 ) 45 1 -465, spec. 452) che il servo a cui si fa riferimento in Mc 12,4 sia Giovanni Battista. Inoltre la decapitazione di Giovanni in Mc 6,27 è narrata con una diversa forma composta del verbo: apekephdlisen, una scelta strana, se Marco pensa che qualsiasi lettore vi colga un rimando nel migliore dei casi oscuro. Ancora più improbabile è il suggerimento di alcuni studiosi (per es., D. STERN, ]esus' Parables /rom the Perspective o/ Rabbinic Literature: The Example o/ the Wicked Husbandmen, in C. THOMA - M. WYSCHOGROD [edd.], Parable and Story in ]udaism and Christianity (Studies in Judaism and Christianity), Paulist Press, New York Mahwah!NJ 1 989, 42-80, spec. 63-68) che nella parabola originale (in quale forma possibile?) Giovanni Battista fosse la figura finale mandata ·

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    (3 ) L'invio del figlio inizia con il tempo imperfetto (durata nel passato) giacché il verbo si riferisce a uno stato di cose in divenire (eichen: «Ne aveva ancora uno, un figlio amato»)42• Dopo questo unico esempio di imperfetto, la narrazione torna alla serie di aoristi appena l'azione del racconto riprende con «inviò» il figlio. (4) L'uccisione del figlio continua la catena di aoristi: i contadini «dis­ sero» tra loro «uccidiamolo»; così «uccisero» il figlio e lo «gettarono fuori della vigna»43• (5 ) Quando però si arriva alla doppia conclusione della parabola, costi­ tuita da due domande retoriche poste da Gesù, avvertiamo un'improvvisa interruzione nella serie di aoristi. La prima conclusione in particolare se­ gnala che stiamo lasciando il mondo del racconto fatto di eventi trascorsi. (i) Nella prima domanda retorica Gesù chiede bruscamente, usando il futuro: «Che cosa farà dunque il padrone della vigna?». Gesù risponde alla sua stessa domanda con altri tre verbi al futuro: «Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri»44•

    dal padrone della vigna. Come indica Marcus (Mark, cit., 2.803 ) , nella parabola il figlio è ucciso da un gruppo chiamato 'i costruttori' (molto probabilmente intesi sin dall'inizio come le autorità del tempio di Gerusalemme), mentre Erode Antipa, il tetrarca della Galilea, era l'unica persona che aveva il potere di uccidere il Battista, sia in Marco che in Flavio Giuseppe. 42 L'attributo in 12,6 della persona rimasta come «figlio amato» (hyiòn agapet6n) può servire a molte­ plici scopi letterari e teologici: ( ! ) Nella composizione globale di Marco, esso evoca le due descrizioni di Gesù da parte della voce dal cielo in occasione del battesimo e della trasfigurazione ( 1 , 1 1 ; 9,7). (2) Ci può essere un riferimento anche a !sacco, figlio di Abramo, che la versione dei LXX di Gen 22,2 descrive come >. Si noti come la domanda di Dio: diventi la domanda di Gesù: . Mentre non tutte le argomentazioni che Crossan porta hanno la stessa validità, la sua intuizione fondamentale sull'interruzione nel v. 9 è convincente. Una posizione simile (ma non la stessa) è tenuta da Klauck (Allegorie und Allegorese in synoptirchen Gleichnistexten, cit., 3 10), il quale vede il v. 9 come un'aggiunta pre-marciana alla parabola. Dal punto di vista di Klauck, la conclusione nel v. 9 introduce un deus ex machina in contrapposizione con la «conclusione aperta della parabola originale>>.

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    Capitolo quarantesimo

    muore a metà del v. 8). Anzi, alla fine della parabola vera a propria nel v. 8 restano in scena solo i contadini, e la grave ingiustizia dell'assassinio (che permette la presa di possesso della vigna) sembra essere l'ultima parola del racconto. È questo squilibrio morale ed estetico nel v. 8 che la prima con­ clusione nel v. 9 ripara. Nel v. 9 il padrone e i contadini sono ripresentati come personaggi principali (come lo erano nel v. l ) con il padrone come attore che determina il corso degli eventi (come nel v. 1 ) . In quanto attore decisivo, egli ristabilisce la giustizia uccidendo i contadini (una giustizia oc­ chio per occhio, chiaramente) e ripristina la situazione originale presentata all'inizio della parabola dando la vigna in affitto ad altri (presumibilmente contadini che terranno fede ai loro obblighi legali, come Mt 2 1,4 1 afferma esplicitamente). (3) Ma la prima conclusione della parabola nel v. 9 offre una conclusione soddisfacente? Solo fino a un certo punto. La prima conclusione, con l'ucci­ sione dei contadini e il nuovo contratto di affitto della vigna, risolve lo stato di cose esageratamente ingiusto di 12,8, dove i contadini assassini restano impuniti e liberi di impossessarsi della vigna. Eppure . . . eppure . . . questa prima conclusione ci lascia ancora con l'assassinio irrisolto dell'amato figlio unigenito, sul cui cadavere ora sono forse ammucchiati i cadaveri di tutti i contadini uccisi. Questa prima conclusione non si qualifica né estetica­ mente né moralmente come soluzione del tutto soddisfacente del nucleo narrativo della parabola. Questo è ciò che probabihnente ha generato la seconda conclusione nei vv. l 0- 1 1 , costituita da (i) la domanda retorica introduttiva di Gesù che immediatamente porta (ii) alla risoluzione finale della tensione narrativa attraverso la citazione di Sa/ 1 17 ,22 - 23 L:XX4 6•

    '6 Sui molti problemi filologici, esegetici ed ermeneutici legati al Sa/ 1 18 (LXX Sa/ 1 1 7 ) , cfr. i com­ mentari classici sui salmi, per es. F. DELITZSCH, Die Psalmen, Brunnen, Giessen - Basel 1 894 (ristampa 1984 ), 703-710; A. WEISER , I Salmi. Parte seconda: Ps. 61-150, Paideia, Brescia 1984, vol. 2, 794-803; H.]. KRAUS, Psalms 60-150, Augsburg, Minneapolis/MN 1989, 392-401; R.G. BRATCHER - W.D. REYBURN, A Translator's Handbook on the Book o/ Psalms, United Bible Societies, New York 1991, 986-995; K. ScHAEFER, Psalms (Berit Olam), Liturgica! Press, Collegeville/MN 200 l, 288-291; cfr. anche J. JEREMIAS, «Kephale gonias -Akrogoniaios», in ZNW29 ( 1930) 264-280; MELL, Die 'anderen' Winzer, cit., 126-127. Il salmo (e in panicolare i w. 22-23) ha generato molte monografie; cfr., per es., M. G!ESLER, Christ the Rejected Stone . . . , Universidad de Navarra, Pamplona 1974; M. BERDER, "La pierre rejetée par !es bdtisseurs": Psaume 1 18,22-23 et son emploi dans !es traditionsjuives et dans le Nouveau Testament (EBib 3 1 ), Gabalda, Paris 1996; M. MARI, secondo D.M. STEC, The Targum o/ Psalms (The Aramaic Bible 16), Liturgica! Press, Collegeville/MN 2004 , 2. Stec propende per una data tra il IV e il VI secolo d.C., >. (2) Coloro che sostengono che Q sia la fonte sottolineano le concordanze verbali esistenti, la concordanza fondamentale nella trama e le tendenze redazionali di Luca e soprattutto di Matteo a riscrivere le parabole. Ciò detto, le difficoltà pratiche implicate nella ricostruzione di un ipotetico testo Q sono evidenziate in ].M. RoBJNSON P. HoFFMANN - }.S. KLOPPENBORG (edd.), The Crt1ical Edition o/ Q, Peeters, Leuven 2000, 432-449; il testo Q suggerito è più che altro una rete di spazi vuoti, di parole fra parentesi e di interi versetti che non contengono altro che punti di domanda. Si avverte un'onestà corroborante. Una volta che si sia rifiutato il dogma a priori che il testo Q delle parabole era più o meno il testo di Luca, diventa molto difficile stabilire che aspetto potrebbe aver avuto l'ipotetico testo Q. -

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    gli ospiti di rimpiazzo nella sala della festa (Mt 22, 1 0: synegagon; Le 14,2 1 : eisdgaghe). Quanto colpisce questo elenco? La presenza di parole che ricorrono frequentemente o quasi costantemente nei quattro vangeli (per es. 'dire', 'fare', 'venire', 'uscire' , 'uomo', 'città', 'via', 'inviare') è insignificante per la questione delle fonti. Altre parole (per es., 'padrone', 'schiavo') sono comu­ ni a varie parabole. Quando mettiamo da parte tutte queste parole comuni, il lessico condiviso nelle versioni matteana e lucana non è così ricco: kaléo usato nei due sensi di 'invitare' e di 'chiamare' , het6imos usato per indicare che il pasto 'è pronto per essere mangiato' e orghizo usato nello stesso punto in entrambe le versioni per esprimere la rabbia del padrone. Ci si potrebbe anche chiedere: il racconto fondamentale condiviso da Matteo e da Luca può essere narrato senza queste parole chiave? Alla fine la nostra lista di dieci parole o temi comuni conferma semplicemente il fatto che abbiamo a che fare con la stessa parabola narrativa, non con due parabole differenti. Ma Mt 22,2 - 1 0 e Le 14,16-24 non condividono abbastanza lessico e sintassi identiche nello stesso ordine o in ordine simile da qualificarsi come due rielaborazioni redazionali della stessa unità della tradizione Q75• (3 ) Così, per eliminazione, giungiamo alla conclusione che le due versioni della parabola molto probabilmente derivano da fonti distinte M e U6• Ma in questo modo ci ritroviamo ad affrontare entità ipotetiche talmente vaghe che a confronto fanno sembrare il documento Q affidabile. Che aspetto avevano queste versioni M e L quando entrarono per la prima volta in possesso di Matteo e di Luca? Erano scritte o erano semplicemente tradi­ zioni orali vaganti? E se una versione fosse già stata scritta mentre le altre erano ancora orali? Come distinguiamo il materiale tradizionale che Matteo e Luca ricevettero da quello che ciascun evangelista aggiunse o alterò? L'accumulazione di questi difficili interrogativi vuole renderei consapevoli

    " Qui non concordo con diversi commentatori fra i quali TRILL!NG, Zur Uberlie/erungsgeschichte, ci1., 263; HASLER, Die konigliche Hochzeit, cit., 29; VbGTLE, Gott und seine Gàste, cit., 12; MARTENS, Produce Fruit Worthy o/ Repentance, ci t., 163; HOPPE, Tischgespriiche, cit., 1 15 - 1 17; SCHOTTROFF, Von der Schwierigkeit, cit., 593 (trad. it., in ZIMMERMANN, Compendio, cit., 927]; l. MIGBISIEGBE, Loyalty to }esus, cit., 474. Alcuni studiosi semplicemente ipotizzano che Q sia la fonte comune senza esaminare il problema nel dettaglio; così, per es., PÉREZ FERNANDEZ, Rabbinic Texts, cit., 95-120. Weren (From Q to Matthew 22:1- 14, cit., 678-679) suggerisce che la versione di Matteo del Grande Banchetto sia il risul­ tato della combinazione di due parabole separate, la prima sicuramente presa da Q e la seconda forse. 76 Questa è la posizione adottata da HuLTGREN, The Parables o/]esus, cit., 333-335 [trad. it., 320-322] con un'utile tabella a p. 334 [trad. it., 321]; analogamente BEARE, The Parable o/ the Guest at the Ban­ quet, cit., l (che argomenta in modo contrario rispetto a B.W. Bacon e T.W. Manson, i quali ritengono che la parabola sia presa da Q); SMIT, Fellowship, cit., 159.

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    di quanto poco sappiamo una volta che definiamo una parabola sinottica prodotto di tradizioni M e L separate. Al massimo tutto quello che possiamo fare sono osservazioni generali su uno o due redattori, osservazioni basate su ciò che essi tendono a fare con il materiale marciano e Q in altri casi e su che cosa sono le loro teologie redazionali. Possiamo quindi applicare queste ipotesi alle due versioni del Grande Banchetto. Dopo aver identificato come meglio possiamo il materiale redazionale nelle versioni matteana e lucana e dopo aver sottratto questi ele­ menti redazionali ai testi matteani e lucani, metteremo in correlazione queste ipotetiche versioni M e L della parabola con il profilo essenziale che abbiamo estratto dalle versioni matteana e lucana all'inizio di questo processo.

    2. Un'analisi dei tratti redazionali matteani in Mt 22, 1-1 O Iniziamo con l'ambientazione della scena da parte di Matteo per il suo racconto nel v. 2. Matteo ama introdurre le parabole e le similitudini con forme del tipo «Il regno dei cieli è simile a» (cfr. 1 3 ,24.3 1 .33 .44.45 .47 .52; 1 8,23 ; 20, 1 ; 25 , 1 ) e ama anche presentare re, nobili e persone ricche nelle sue parabole (per es. Mt 13 ,24-30.45-50; 1 8,23 -35; 20, 1 - 16; 25, 14-30)77• Qui ne abbiamo un esempio. La maggior parte dei commentatori vede la sua mano nell'espansione di un racconto relativamente semplice (meglio riflesso in Luca) in una grande allegoria della storia della salvezza78• Il pasto festivo nella parabola originaria è diventato il banchetto di nozze ( = il banchetto escatologico) che il re (= Dio Padre) dà per suo figlio (= il Gesù esaltato)79•

    77 Sul significato esatto dell'aoristo passivo homoiothe (letteralmente «reso simile a») in Mt 22,2, cfr. le varie possibilità prese in considerazione da MiiNCH, Die Gleichnisse Jesu, cit., 139-140: per es., passivo divino, fase previa nella venuta del regno, aoristo gnomico, un semitismo che riflette il perfetto stativo ebraico. I:interpretazione dell'aoristo come 'aoristo atemporale descrittivo' è difesa da NALPATHILCHIRA, Everything Is Ready, cit., 125- 127; in effetti si riduce a un aoristo gnomico o a un perfetto stativo semitico. 78 Per questa idea comune, cfr. per es. }EREM IAS , Le parabole di Gesù, cit., 75-80; HuLTGREN, The Parables o/]esus, cit., 342-349 [trad. it., 327-335]; più brevemente, Dooo, The Parables o/ the King­ dom , cit., 90-91 [trad. it., 1 16-1 17]. Per un tentativo prolisso ma non convincente di negare la pesante allegorizzazione di Matteo (motivato dal desiderio teologico di far risalire la forma matteana al Gesù storico) cfr. SNODGRASS, Stories with Intent, ci t., 3 1 7-32 1 . I: interpretazione allegorica comune è negata anche da ScHOTTROFF , Verbeissung, cit., 479-485 [trad. it., in Compendio, cit., 758-768]; ma il motivo in questo caso è il desiderio di Schottroff di trovare un messaggio sociologico nel testo. 79 Questo punto è spesso tralasciato dai commentatori che assimilano troppo questa parabola a quella dei Fittavoli Malvagi. Nella versione di Matteo del Grande Banchetto, Gesù è il figlio completamente

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    Varie caratteristiche allegoriche sembrano essere state prese in prestito dalla parabola marciana del giudizio pronunciata da Gesù durante i suoi ultimi giorni a Gerusalemme, cioè i Fittavoli Malvagi della Vigna (Mc 12,1-8 I l Mt 2 1 ,33 -3 9)80• Come nella sua versione dei Fittavoli Malvagi, anche in quella del Grande Banchetto Matteo presenta più di una delegazione di schiavi inviata per esprimere una richiesta o una rivendicazione (si noti la stessa espressione greca apésteilen tùs dulus autu, «egli mandò i suoi schia­ vi», in Mt 2 1 ,34 e 22,3 ; e pdlin apésteilen dllus dulus, «mandò di nuovo altri servi», in Mt 2 1 ,36 e 22,4). Matteo sta chiaramente rivedendo la versione del Grande Banchetto che ha ricevuto, assimilandola alla parabola del giudizio (i Fittavoli Malvagi) che era già ancorata nell'ambientazione degli ultimi giorni di Gesù a Gerusalemme. Questo utilizzo di strutture e di formulazioni parallele, mantenuto da Matteo in tutto il suo vangelo per formare grandi unità di materiale, conti­ nua con l'assassinio degli schiavi inviati con la seconda delegazione (22 ,56). Così sia nei Fittavoli Malvagi, sia nel Grande Banchetto Matteo ha due delegazioni di schiavi; e in entrambe la seconda delegazione affronta la violenza e anche l' omicidio81• L'assassinio degli schiavi è piuttosto sconvol­ gente nella parabola dei Fittavoli Malvagi, anche se in un certo senso com­ prensibile sullo sfondo culturale delle relazioni tese e agitate tra proprietari terrieri e contadini affittuari nel mondo mediterraneo antico. Al contrario, l'assassinio degli schiavi mandati a invitare ipotetici amici o conoscenze del padrone di casa al suo banchetto non ha alcuna base nel mondo narrativo e distrugge il tono di plausibilità con cui la parabola era iniziata. Ancora

    pronto a celebrare il proprio banchetto di nozze; in altre parole, è presentato della trilogia delle parabole in Mt 2 1 ,28-22 ,14, come anche i «testi insanguinati>> di Mt 23 ,29-32 e 27 ,25. ScHOITROFF, Verheissung, cit., 483 [trad. it., in Compendio, cit., 764-765] lascia aperta la questione del riferimento alla distruzione di Gerusalemme, ma questa posizione sembra essere dettata dalla più ampia agenda della sua interpretazione sociologica. 83 Ovviamente la città che è implicita nel comando del re (epì tàs diex6dur ton hodim si riferisce al punto in cui iniziano le vie e le strade della città) è diversa dalla città ostile che il re ha distrutto. . .

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    Matteo collega la sua parabola M separata dell'Ospite senza Abito Nuziale (22,1 1 - 14). Avendo reso la parabola originale un'allegoria della storia della salvezza nel tempo attuale della chiesa, a Matteo serve un epilogo al giudizio finale per chiarire le cose. Perché solo allora, nella teologia di Matteo, ci sarà la separazione definitiva dei cattivi dai buoni e i primi saranno puniti come meritano. Tale è il destino dell'ospite il cui abito è contestato e che è gettato fuori dal banchetto tra un coro di temi familiari (vv. 1 3 - 14; cfr. 8,12; 25 ,30) : «fuori nelle tenebre» e «pianto e stridore di denti»84• Lasciando da parte la parabola separata dell'Ospite senza Abito Nu­ ziale, siamo ora nella condizione di isolare le principali alterazioni reda­ zionali operate da Matteo sulla parabola primitiva, alterazioni funzionali all'allegoria dell'evangelista: (i) Il padrone di casa è stato 'promosso' re e il pasto festivo si è tramutato in un banchetto di nozze per il figlio del re85• Il tema del banchetto nuziale

    84 Che il racconto dell'ospite che non ha un abito nuziale adatto non sia una parte originale della parabola del Grande Banchetto è opinione comune tra i commentatori; cfr., per es., Merriman (Mat­ thew xxii. 1 - 14, cit., 61), che segnala la differenza tra la presenza di 'schiavi' espresso con dU!oi nella versione matteana del Grande Banchetto (22,3.4.6. 8. 1 0) e l'improvvisa comparsa di 'servi' (ditikonoz) in Mt 22, 1 3 . Trilling (Zur Oberlie/erungsgeschichte, cit., 257) ritiene che Matteo abbia creato 22 ,1 1-14 come aggiunta alla parabola del Grande Banchetto invece di combinare due parabole diverse che già esistevano indipendentemente nella tradizione. Considero la sua prospettiva la posizione più probabile, contrariamente a HASLER, Die konigliche Hochzeit, ci t., 28 (che rivela un uso acritico dei paralleli rab­ binici posteriori del Talmud palestinese come 'fonti' della parabola sinottica del Grande Banchetto; un problema simile si incontra in PÉREZ FERNANDEZ, Rabbinic Texts, cit., 95-120; cfr. EICHHOLZ, Gleichnisse der Evangelien, cit., 135). Via (The Relationship, cit., 178-179) sostiene in modo analogo che l'ospite senza abito nuziale esistesse già nella tradizione sulla base del fatto che, se Matteo l'avesse creato dal nulla, avrebbe reso più scorrevole il collegamento con il Grande Banchetto. Dal momento che ritengo quanto meno che la parabola distinta dell'Ospite senza Abito Nuziale non sia una parte originale della parabola del Grande Banchetto, non riprendo un problema minore che ha turbato diversi esegeti (molri dei quali attribuiscono acriticamente il detto al Gesù storico), cioè il significato esatto del famoso detto in Mt 22 , 14: «Molti sono chiamati, ma pochi eletti». Per le diverse opinioni, che spesso rivelano le preoccupazioni teologiche che coinvolgono i commentatori, ma che non riguardano il contenuto e il significato originale del Grande Banchetto e dell'Ospite senza Abito Nuziale, cfr. per es. MusURJLLO, Many Are Called, cit., 583-589; SuTCLIFFE, Many Are Called, cit., 1 3 1 ; DAWSON, The Gate Crasher, cit., 304-306; MEYER, Many (= Alt) Are Ca!led, cit., 89-97 (Meyer fornisce un utile sommario delle opinioni di altri autori). Klein (Botscha/tfiirviele, cit., 427-437 ) ha la cortesia di ammettere apertamente di essere impegnato in una riflessione ermeneutica. Una delle soluzioni più intriganti (per non dire stravaganti) del problema posto dal versetto è che l'uomo gettato fuori dal banchetto rappresenti Giuda Iscariota (così CRIPPS, A Note, cit., 30); questa soluzione, appellandosi all'uso del vocativo hetliire in Mt 22,12 e 26,50 (rivolta qui a Giuda), ignora la linea temporale allegorica che l'intera composizione matteana di 22, 1 - 1 4 crea. Alla fine il v. 14 non si adatta ai vv. 1 - 1 0 né a 1 1 - 1 3 ; cfr. MONCH, Die Gleichnisse Jesu, cit., 255.285; cfr. STORY, Alt Is Now Ready, cit., 75; ScHOTIROFF, Verheissung, cit., 4 8 1 [trad. it., 759]. "' Su questo tema in varie fonti ebraiche, soprattutto nell 'Apocrifo di Ezechiele forse pre-matteano, cfr. BAUCKHAM, The Parable o/ the Royal Wedding Feast, cit., 47 1 -488.

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    anticipa la parabola M delle Dieci Vergini in Mt 25, 1 - 1 3 , una parabola con forti tratti redazionali matteani, se non una creazione matteana86• (ii) Le due delegazioni separate con schiavi diversi non hanno senso nella parabola originale del Grande Banchetto, ma hanno perfettamente senso nella versione matteana della parabola dei Fittavoli Malvagi. Qui la prima delegazione è picchiata, uccisa o lapidata, rendendo necessaria una seconda delegazione di schiavi diversi. Non è questo il caso della forma primitiva del Grande Banchetto. (iii) L'uccisione di tutti gli schiavi della seconda delegazione è del tutto fuori luogo in un racconto che narra di invitare amici a un banchetto di nozze. Richiama il tema del destino dei profeti martirizzati, un tema che ha senso nell'allegoria dei Fittavoli Malvagi. Nella versione matteana del Gran­ de Banchetto il tema dell'assassinio degli schiavi sembra essere applicato ancora all'assassinio dei 'profeti' cristiani (cioè i primi missionari cristiani; cfr. Mt 23 ,34), anche se l'adattamento crea qualche difficoltà. (iv) L'invio delle truppe e l'incendio della città sono owiamente allegorici e non concordano con il racconto di fondo della parabola originale. (v) Il motivo di 'cattivi e buoni' alla fine della parabola principale è un tema teologico matteano che introduce la parabola aggiunta dell'Ospite senza Abito Nuziale. Quanto togliamo questi elementi redazionali dalla versione matteana della parabola, risulta una correlazione interessante. Il testo completo di Matteo meno le sue caratteristiche redazionali produce un racconto breve piuttosto simile al profilo essenziale in cinque parti della narrazione della parabola che abbiamo costruito passando 'ai raggi X' sia la versione mat­ teana, sia la versione lucana della parabola per ottenere un denominatore comune. Sia nella versione matteana ridotta (privata degli elementi redazio­ nali), sia nel nostro primo profilo essenziale abbiamo identificato lo stesso racconto originario: (i) Un uomo (apparentemente facoltoso) dà un banchetto. (ii) Invia i(l) suoi(suo) schiavi(o) a convocare al banchetto gli ospiti che erano stati precedentemente invitati. (iii) Gli invitati oltraggiano l'ospite. Infatti ciascuno di essi si rifiuta di andare alla festa, nonostante l'insistenza del padrone di casa che tutto è pronto. (Forse c'era qualche accenno a interessi o affari personali degli

    86 Cfr., per es., DoNFRJED, The Allegory o/ the Ten Virgins, cit.; Donfried propende per una compo­ sizione di Matteo.

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    invitati che essi ritengono più importanti del banchetto, ma questo punto non è chiaro). (iv) L'ospite adirato, oltraggiato dagli invitati originari, reagisce invitando a pranzo tutti coloro che i suoi schiavi incontrano per le strade della città. (v) L'onore dell'ospite è così ripristinato con la sala da pranzo piena di ospiti, mentre gli invitati originari sono implicitamente disonorati dal­ l'essere rimpiazzati da persone di stato sociale inferiore (un punto cui nel racconto originario si accenna appena: i rimpiazzi sono tutte le persone che agli schiavi capita di incontrare per le vie).

    3 . Un'analisi dei tratti redazionali lucani in Le 14, 1 6-24 La correlazione tra il nostro ipoteticamente originario 'profilo essenziale' (ricavato da Matteo e da Luca) e la versione matteana della parabola meno le aggiunte redazionali matteane offre una guida nella valutazione della forma lucana della parabola. Anche con questo aiuto, però, il compito di discernere la redazione lucana rimane difficile87• (i) Da un lato Luca non effettua la pesante allegorizzazione e l'espansione della narrazione intraprese da Matteo. Dunque c'è relativamente poco da togliere come unità di materiale ovviamente lucano (si confronti Mt 22,67 . 1 1 - 14). Ma questo significa che la parabola come è ora nel vangelo di Luca sia esattamente ciò che lui ha ricevuto? Non ci si dovrebbe affrettare in un giudizio simile in modo acritico. (ii) Dall'altro lato sono visibili alcuni temi teologici tipici di Luca, in par­ ticolare le tematiche di ricchi e poveri, élite ed emarginati, e il pericolo di essere assorbiti dai beni e dalle preoccupazioni del mondo presente88• Inoltre

    87 Per un tentativo di ricostruire il racconto pre-lucano con un profilo essenziale che consideri seria­ mente tutta la redazione lucana in 14, 16-24, cfr. BRAUN, Feasting and Social Rhetoric in Luke 14, cit., 64-73. A mio parere il suo tentativo di ricostruzione è guastato dal fatto che egli ritenga, senza alcuna argomentazione oltre al ricorso ad autori precedenti, che la versione di Tommaso sia indipendente da Luca (p. 67, con la n. 18). "" Per un salutare promemoria che Luca, come anche Matteo, ha rielaborato la tradizione ricevuta, cfr. HAHN, Das Gleichnis, cit., 60.68.70. È bene tenerlo presente, dal momento che gli esegeti tendono a supporre che Luca sia molto vicino non solo alla sua fonte immediata ma anche alla parabola originale proclamata da Gesù; cfr., per es., VèiGTLE, Gott und seine Giiste, cit., 13. Anzi, in un suo precedente saggio, Die Einladung, cit., Vogtle offre una ricostruzione del testo originale greco della parabola che ipoteticamente sta dietro le due versioni sinottiche ( 1 90). Come ammette francamente, la prima parte della sua ricostruzione, fino al punto in cui il padrone di casa adirato dà ordine ai suoi servi di uscire

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    potrebbe fare capolino un minimo di allegoria storico-salvifica verso la fine della narrazione89• Per es., le due fasi distinte della missione dello schiavo per invitare nuovi ospiti al posto dei vecchi (Le 14,2 1 -23 ) sembrano non necessarie. Nella prima fase della missione dello schiavo, egli è mandato agli emarginati sociali e/o economici (i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi) che vivono nella città dell'ospite (14,2 1 : «Esci subito per le piazze e per le vie della città»)90• Quando la missione non raccoglie abbastanza persone da riempire la sala del banchetto nella casa dell'ospite, lo schiavo è mandato in una seconda missione, ma questa volta apparentemente al di fuori della città ( 14,23 : «Esci per le strade e lungo le siepi»). Nella mente di Luca le due missioni potrebbero rappresentare in miniatura il racconto della missione cristiana negli Atti degli Apostoli: prima agli ebrei (soprattutto nei capp. 1-9) e poi ai pagani (soprattutto capp. 10-23 , con i capp. 10-15 a fare da transizione)91• Più specificamente, nella rappresentazione dei viaggi missiona­ ri di Paolo in Atti troviamo un modello interessante quando l'apostolo passa di città in città: mentre alcuni ebrei accettano il vangelo, molti lo rifiutano, cosa che porta Paolo a rivolgersi ai pagani (cfr. , per es. , At 13 ,42-48; 18,1 - 1 1 ; 19,8-10; 28,23 -28). La parabola lucana del Grande Banchetto finisce in 14,24 con un'affermazione formale («Perché io vi dico») che sottolinea il tema del contrasto e del rovesciamento: nessuno degli invitati originari gusterà il pasto, al contrario di emarginati ed estranei, invitati all'ultimo minuto92•

    per le strade a invitare chiunque vi si trovi, è quasi parola per parola Le 14,16-2 1a. Come si chiarirà, rilevo la mano redazionale di Luca in questa sezione della parabola più di quanto lo faccia Vogtle. Per l'idea che Luca, come anche Matteo, usi l'allegoria nella sua rinarrazione della parabola, cfr. STORY, Alt Is Now Ready, cit., 77. 89 Gathercole ( The Gospel o/ Thomas. lntroduction and Commentary, cit., 454) pensa che sia la versione lucana sia quella tommasina della parabola mostrino tracce di allegoria; al contrario Sterling (Where Two or Three Are Gathered, cit., 106) ritiene che sia «assente un'interpretazione allegorica della parabola» nella versione tommasina. 90 Questo non significa che ogni persona storpia e cieca della Palestina del I secolo fosse necessa­ riamente emarginata in senso economico o sociale. Anzi, una persona ricca poteva diventare cieca o menomata. Ma molti ebrei palestinesi di quel tempo (o di qualunque altro tempo) non dovevano essere ricchi e nemmeno 'in buone condizioni finanziarie' in senso pieno. Per la maggior parte degli ebrei palestinesi che si mantenevano facendo gli agricoltori, gli artigiani, i commercianti o gli operai a giornata, una ferita fisica seria poteva costituire una minaccia rilevante per il benessere economico. Non per nulla nei suoi due elenchi in 14,13 + 2 1 (che creano una inclusione) Luca inizia ogni volta con e prosegue poi con . 91 Smit (Fellowship, cit., 165-166) suggerisce un'interpretazione allegorica leggermente diversa dei due gruppi alla fine della forma lucana della parabola; entrambi si riferiscono alla missione ai pagani, la duplicazione dell'invito indica che la missione ai pagani continua. 92 Si può capire perché parlo di «un minimo di allegoria storico-salvilìca>> nella versione lucana e non di un'allegoria vera e propria in cui ciascun punto della parabola avrebbe una corrispondenza esatta

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    La presenza di questa confluenza di terni lucani nella versione di Luca della parabola ci mette in guardia dal supporre che la forma più breve e meno pesantemente allegorizzata che Luca presenta sia identica alla tradi­ zione L da lui ricevuta o alla versione ancor più primitiva della parabola che stava dietro le tradizioni M e L. La mano redazionale lucana ha plasmato il suo testo, ma la distinzione fra la tradizione e la redazione è meno chiara in Luca che in Matteo. Nonostante tutto, abbiamo alcuni indizi della mano redazionale di Luca. Per es., l'introduzione di Luca alla parabola è tanto chiaramente redazio­ nale quanto quella di Matteo93• Come è sua abitudine con le parabole L, l'introduzione di Luca ( 14,15- 16) consiste in un'ambientazione preliminare della scena (la scena tipicamente lucana di un pasto) e in uno scambio ver­ bale (un breve aneddoto) che solleva uno dei terni affrontati dalla parabola. La scena introduttiva è quindi seguita dalla frase iniziale «Un uomo . . . » (dnthrop6s tis, v. 16). Come abbiamo visto più volte durante il nostro esame delle parabole di Luca (soprattutto il Ricco Stolto), questo modello di aned­ doto introduttivo (o detto) + «un uomo [o donna]» è un segnale attendibile della redazione lucana (per es., 10,25-37; 1 1 , 1 -8; 12,13-2 1 ; 1 3 , 1 -9; 14,25-33 ; 1 5 , 1 -3 .8- 10. 1 1-32; 1 8 , 1 -8.9-14)94• Che cosa potrebbe esserci stato all'inizio della parabola nella tradizione orale prima che Luca lo rimodellasse è dif-

    nella storia della salvezza e della primitiva storia della chiesa. Né nel resoconto lucano del ministero pubblico di Gesù né in quello matteano sentiamo che tutti gli ebrei hanno rifiutato il messaggio di Gesù e che quindi tutti sono stati puniti o esclusi. Ciò avrebbe privato di senso la cerchia dei dodici, la cerchia più ampia dei discepoli e dei sostenitori sedentari e persino le folle talvolta entusiaste e talvolta volubili. Inoltre nella presentazione di Luca, sia nel suo vangelo sia in Atti, alcuni farisei, governanti, scribi e ricchi si dimostrano ben disposti verso Gesù. Anzi, in Atti sentiamo sia di farisei, sia di sacer­ doti ebrei che si uniscono ai primi cristiani a Gerusalemme (cfr., per es., At 1 5 , 1 .5; 6,7 ) . Dunque non si dovrebbe cercare di rendere la narrazione nella parabola una mappa per la storia della salvezza in generale o per la storia della chiesa delle origini in particolare, con una perfetta corrispondenza biuni­ voca. Ciò si dimostra vero anche della versione più altamente allegorizzata della parabola in Matteo: il rifiuto totale dell'invito (alla salvezza) da parte degli invitati originari e la loro conseguente distruzione non riflettono ciò che è narrato nel vangelo di Matteo e ciò che sembra essere la storia antica di questa chiesa fortemente giudeo-cristiana. " Su questo cfr. VOGTLE, Gott und seine Giiste, cit., 13- 14. Uno studio completo sulla composizione redazionale di Luca del contesto più generale si può trovare in G. HorzE, ]esus als Gast (FB 1 1 1 ) , Echter, Wiirzburg 2007, 2 14-260; cfr. HOPPE, Tirchgespriiche, cit., 1 15 -130; HEIL, The Meal Scenes, cit., 106- 1 1 1 . Per l'enfasi sul retroterra culturale ellenistico della composizione redazionale in Le 14, cfr. tutta la monografia di BRAUN, Feasting and Social Rhetoric in Luke 14, cit., spec. 1 -2 1 . 1 45 - 1 8 1 . 94 In aggiunta alla trattazione di parabole lucane come il Buon Samaritano e il Ricco Stolto nei prece­ denti capitoli di questo volume, cfr. BRAUN, Feasting and Social Rhetoric in Luke 14, cit., 65 (con n. 10). Come osserva Braun, dnthrop6s tir è «peculiare degli scritti di Luca nel NT», con sette ricorrenze su nove nelle parabole ( 1 0,30; 12, 16; 14,16; 1 5 , 1 1 ; 16, 1 . 19; 19,12), mentre una ricorrenza è in una chréia

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    fi.cile a dirsi. L'apertura originale della parabola sarebbe potuta essere «il regno di Dio è simile . . . », o qualcosa di analogo. li motivo di questa ipotesi è che, nell'aneddoto introduttivo di Luca, un commensale del pranzo al quale partecipa Gesù pronuncia con devozione una beatitudine rivolgendosi a Gesù: «Beato chi prenderà cibo [cioè condividerà un pasto] nel regno di Dio». Dal momento che è estremamente raro che qualcuno oltre a Gesù nei vangeli sinottici usi l'espressione «regno di Dio» nel proprio discorso, è possibile che questo versetto sia una 'retroformazione' di Luca95• In altre parole Luca potrebbe aver preso «regno di Dio» dall'inizio originale della parabola tradizionale, averla usata nel suo aneddoto introduttivo e aver sostituito il suo tipico «un uomo» come inizio della parabola. La possibi­ lità che «regno di Dio» in origine fosse all'inizio della parabola potrebbe trovare ulteriore supporto nel fatto che la versione matteana della parabola inizia con «il regno di Dio è simile a un re . . . ». Tuttavia questo suggerimento resta solo una possibilità, dal momento che Matteo dota regolarmente le sue parabole di un'apertura di questo tipo: «Il regno dei cieli è simile a . . . ». Infatti la formulazione precisa che Matteo usa qui con la forma verbale dell'aoristo passivo (letteralmente, «il regno di Dio fu fatto simile a . . . », Mt 22,2) si trova anche in 1 3 ,24, l'inizio della parabola del Grano e della Zizzania - una parabola che, come abbiamo visto nel capitolo 38, è stata fortemente modellata dalla mano di Matteo (se non semplicemente creata da Matteo) . Inoltre, dato che Matteo rende l'ospite del Grande Banchetto un re che festeggia il matrimonio del figlio, l'introduzione che richiama «il regno dei cieli» corrisponde perfettamente all'attività redazionale di Matteo. Dal momento che, quindi, sia Matteo sia Luca possono essere responsabili delle rispettive aperture, dobbiamo continuare a mantenere l'incertezza sul modo in cui iniziavano in origine le versioni M e L della parabola. L'invio lucano di un solo schiavo a raccogliere gli invitati originari può essere un elemento tradizionale che riflette la relativa semplicità della ver­ sione primitiva della parabola, in cui un privato e non un re sta dando il

    (1 4,2) e una in un racconto di miracolo (At 9,33). «Alternativamente e quasi altrettanto spesso, Luca usa anér tis, anch'esso solo in Luca nel NT>>. 9' Sull'espressione > nell'insegnamento di Gesù, cfr. Un ebreo marginale 2, 285-592, spec. 285-298.345-348.468-470.586-592. Sulla funzione dell'esclamazione dell'ospite in Le 14,15, cfr.

    M. MARSHALL, «Blessed is Anyone Who Will Eat Bread in the Kingdom o/ God». A Brie/Study o/ Luke 14. 15 in Its Context, in C. TuCKETf (ed.), Feasts and Festivals (Contributions to Biblica! Exegesis and Tbeology 53), Peeters, Leuven - Paris - Walpole/MA 2009, 97 - 1 06, spec. 1 05-106.

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    banchetto96• Tuttavia, dal momento che Luca - diversamente da Marco o da Matteo - manda solo uno schiavo alla volta nella parabola dei Fittavoli Malvagi della Vigna (Le 20,10-12; cfr. Mc 12,2-5 Il Mt 2 1 ,34-36), l'uso di un solo schiavo in tutta la parabola del Grande Banchetto (Le 14, 1 7 .2 1 -23 ) potrebbe riflettere la mano redazionale di Luca. La relazione fra la tradizione e la redazione lucana nell'elenco delle scuse degli invitati (Le 14, 1 8-20) è allo stesso modo poco chiara. Che tutti gli ospiti si scusino all'ultimo momento ( 14,18a) è richiesto dalla trama del racconto centrale. Ma la fonte delle tre scuse specifiche elencate da Luca ( 14 , 1 8b-20) è discutibile. Ritengo che almeno la presente formulazione delle scuse sia dovuta all'attività redazionale di Luca97• Per prima cosa, ci sono indizi di lessico e stile lucani98• Secondo elemento, alcuni studiosi di Luca hanno rilevato una tecnica redazionale lucana che coinvolge modelli compositivi di ripetizioni e modelli specifici di scuse ripetute nel terzo van­ gelo e in Atti; Le 14, 1 8-20 ne sarebbe un esempio paradigmatico99• Terzo elemento: almeno alcune delle scuse riflettono interessi redazionali lucani (per es., essere prigionieri dei propri possessi materiali, lasciare che i lega­ mi coniugali impediscano la chiamata al discepolato) 1°0• Quarto aspetto:

    96

    Così Vé>GTLE, Gott und seine Giiste, cit., 14; sulle diverse opinioni relative a questo punto, cfr. The Parable o/ the Guest at the Banquet, cit., 4 (con n. 5). 97 Beare ( The Parable o/ the Guests at the Banquet, cit. , 2) ritiene che Luca sia >

    (1 66). In questo caso è la paura che lo schiavo ha del padrone a ridurlo non alla totale inattività (ha scavato e seppellito il talento), ma piuttosto a una mancanza di coraggio e di iniziativa che nasce dal timore del rischio e della possibile perdita. Non riesce quindi a rispondere alla sfida della situazione in cui si trova. "8

    Come abbiamo già visto,

    è questo 'centro di gravità' nel racconto globale delle Mine a impedirci

    di accettare l'idea che il tema del Pretendente al Trono sia la narrazione principale o dominante nella parabola. 159 I.: interrogativo se il padrone debba essere visto come un simbolo di oppressione socio-economica

    in una società ingiusta

    è stato sollevato ripetutamente da interpreti sensibili ai problemi sociali sin dai

    primi anni Novanta del Novecento. In primo piano tra tali critici Fortna (Reading }esus' Parables, ci t.,

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    come la forza che lo ha spinto a tenere stretto l'unico talento che aveva, invece di rischiarlo per ottenere di più. La sua totale incapacità - proprio 2 1 1 -228) Rohrbaugh (A Peasant Reading, ci t., 32-39) e Herzog (Parables as Subversive Speech, ci t., 150168). Tra gli studiosi che hanno sviluppato questa linea interpretativa in una direzione o nell'altra (per

    es., critica postcoloniale, teologia della liberazione e/o ermeneutica femminista) vi sono Folarin (The Parable o/ the Talents in the A/rican Context, cit., 94-106), Fricke ( Wer ist der Held, cit., 76-80), Pilch (The Parable o/the Talents, ci t., 366-370), Ford (jesus' Parable o/the Talents, cit., 1 3 -24), Schottroff (The Kingdom o/ God, cit., 170- 1 7 1 ), Joy (Matthew 25:14-30 , cit., 1 3 1 - 142), Braun (Re/raming the Parable, cit., 442-448), e Dowling (Taking Away the Pound, cit., 1-68.69-96.2 1 0-2 1 5 ) . Fondamentale per la

    maggior parte di questi approcci (alcuni dei quali sono solo Rohrbaugh riscaldato) è l 'inversione della presunta visione di Matteo e Luca (il padrone rappresenta Dio o Cristo al giudizio finale, gli schiavi sono discepoli o leader cristiani, i primi due schiavi sono giustamente ricompensati per il loro zelo nel compiere la volontà di Dio e il terzo schiavo è giustamente punito per non essere riuscito a compiere la volontà di Dio) per riprendere ciò che si afferma essere il messaggio originale di Gesù (il padrone rappresenta i sistemi socio-economici oppressivi in generale e il capitalismo in particolare, i primi due schiavi sono traditori che collaborano con il sistema e quindi alla propria oppressione, e il terzo schiavo è il coraggioso contestatore, ribelle o delatore che osa denunciare o smascherare il sistema ingiusto rifiutandosi di collaborarvi, anche se la sua ribellione lo espone alla punizione). Secondo la visione di Fortna, per es., l'attuale forma della parabola in Matteo o in Luca è banale o inutile. Va contro ciò che sappiamo essere stato il vero insegnamento del Gesù storico, che si preoccupava non della religione o della morale ma soprattutto di questioni economiche (Reading fesus' Parables, cit., 2 15). Ovviamente all'opera in Wl simile approccio non è solo un'ermeneutica marxistalliberazionista specifica dei vangeli, ma anche una visione particolare del Gesù storico - una visione che, nella maggior parte di questi studi, è presupposta invece che dimostrata. Uno dei sostenitori più noti di questo approccio è Rohrbaugh, il cui saggio del 1993 è spesso citato dagli studiosi successivi che seguono questa linea interpretativa. Rohrbaugh si appella a ciò che gli antropologi ci hanno insegnato sull'economia contadina, soprattutto nella cultura mediterranea antica, una cultura che gli esegeti occidentali moderni hanno difficoltà a capire a causa dei presupposti del capitalismo occidentale. Ammette che non si può essere sicuri dell'ambientazione storica originale o dell'uditorio della parabola. Dal suggerimento che l'uditorio potrebbe includere contadini galilei, Rohrbaugh passa velocemente a concentrarsi su questo ipotetico uditorio di contadini. Per i conta­ dini, i ricchi erano di per sé cattivi; sfruttavano i contadini poveri con la loro economia di scambio che moltiplicava la ricchezza dei ricchi ma dirottava qualsiasi surplus i contadini potessero produrre nella loro economia di beni limitati. Dunque, nella parabola, il terzo 'servo' (Rohrbaugh non traduce dulos con 'schiavo', una traduzione che avrebbe indebolito tutto il suo approccio) è cattivo solo agli occhi di coloro che condividono la mentalità elitaria del padrone ricco. Per un uditorio contadino, il servo ha fatto cosa degna di onore preservando ciò che gli era stato affidato senza prendere parte al sistema capitalista oppressivo accettato dal padrone e dai primi due servi. Rohrbaugh sostiene la sua interpretazione appellandosi a un passo del Padre della chiesa del IV secolo, Eusebio, il quale offre una breve parafrasi di una versione diversa della parabola che lui sostiene si trovi nel Vangelo dei nazorei (o nazareni) giudeo-cristiano. Rohrbaugh afferma che la struttura chiastica nella versione del Vangelo dei nazorei presenta il terzo servo, quello cha ha mantenuto intatto il denaro, come colui che il padrone accoglie con gioia. Avanzando di un passo in un'ipotesi improbabile, Rohrbaugh suggerisce che la versione della parabola nel Vangelo dei na:zorei abbia conservato la forma più originale della parabola e che le tradizioni canoniche abbiano quasi subito alterato il racconto. Alla fine Rohrbaugh offre la possibilità che Gesù possa aver pensato che la parabola fosse ambigua: le élite presenti nell'uditorio di Gesù avrebbero interpretato la parabola come una buona notizia per i ricchi e una cattiva notizia per i contadini, mentre i contadini presenti nel suo uditorio avrebbero preso la direzione opposta. È

    Le poche elette

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    dopo aver descritto la natura esigente e forte del suo padrone - è riassun­ ta dalla brusca conclusione della sua spiegazione: «Ecco ciò che è tuo». piuttosto chiaro che Rohrbaugh ritiene l'interpretazione dei contadini quella corretta, ma conclude con una nota evasiva di studiata incertezza. Cosa dire di tale approccio? Mentre le intenzioni dei suoi sostenitori sono ammirevoli, le buone inten­ zioni non necessariamente garantiscono un'esegesi corretta. ( l ) È significativo che la maggior parte degli autori citati non si dedichi a un'analisi dettagliata dei testi matteano e lucano in base alla critica deUe forme, della tradizione, deUe fonti e deUa redazione. Molte decisioni esegetiche sono semplicemente enunciate invece che dedotte o dimostrate (per es., che la versione matteana deUa parabola sia più ori­ ginale di queUa di Luca). Un'ipotetica versione originale deUa parabola in bocca a Gesù è spiegata senza che sia prodotto alcun testo ipotetico (cfr., per es., FRICKE, Wer ist der Held, cit., 78-79). Il riferimento è fatto talvolra non a un testo originale ma a una «struttura originante» (così per es. P!LCH, The Parable o/ the Talents, cit., 367). Qui il problema è che spesso alcuni dettagli deUe narrazioni evangeliche e anche la formulazione sono mantenuti selettivamente, più spesso da Matteo ma qualche volta anche da Luca. (2) Sorprendentemente in tutto il processo il mondo metaforico essenziale deUa narrativa parabolica è spesso ignorato a favore di una lettura realistica deU'originale ipotetico, come se il racconto parlasse direttamente di condizioni economiche e sociali (a questo proposito, cfr. CHENOWETH, The Vulnerabi­ lity o/ the Literalist, cit., 176-177 . 1 82-183, contro Herzog). Ma chi, dunque, avrebbe bisogno di una parabola per offrire una simile critica? (3) Anzi, perché, con tutta la critica non-metaforica diretta e schietta che rivolge a determinate pratiche sociali (per es., il divorzio, i giuramenti, l'osservanza troppo rigida del sabato), Gesù non critica mai l'oppressione e l'ingiustizia socio-economica prevalente del suo tempo, cioè la schiavitù? Le pratiche deplorevoli del capitalismo troppo aggressivo impallidiscono a confronto con le orribili realtà deUa schiavitù nel mondo greco-romano. Tuttavia, neUa parabola e neUa prassi, Gesù non sembra turbato dall'istituzione che apparentemente dà per scontata. Potrebbe essere per questo motivo che alcuni commentatori preferiscono tradurre duloi deUa nostra parabola con 'servi' invece che 'schiavi', nonostante il fatto che 'schiavi' sia di gran lunga la traduzione più probabile (cfr. gli articoli di Beavis e Glancy citati in precedenza). Ci si potrebbe chiedere se tutto l'approccio della teologia della liberazionelmarxista avrebbe senso nel racconto se duloi fosse inteso come schiavi del padrone e non servitori assunti. Per es., la spiegazione di Herzog dipende dal fatto che il terzo schiavo sia il potente 'dipendente' di un aristocratico; questo dipendente, secondo Herzog, ha avuto parte neU'oppressione dei contadini poveri e ora, da onesto 'informatore' , rischia di esporsi aU'ira dei contadini che ha oppresso, quando è gettato fuori dalla casa del padrone per diventare un lavoratore a giornata. Non serve dire che questo non ha senso quando dulos è inteso come 'schiavo'. In realtà non tutti i contadini della Galilea erano estremamente e ugualmente poveri; alcuni contadini più benestanti potevano possedere uno schiavo e quindi non si sarebbero schierati automaticamente con l'ipotetica­ mente eroico terzo schiavo che si oppone al suo padrone. (Riguardo al problema di usare 'contadino' come una categoria omogenea e unica per gli studi del NT, cfr. S. L. MATIILA, Jesus and the 'Middle Peasants'? Problematizing a Social-Scientific Concepl, in CBQ 72 [2010] 29 1 - 3 1 3 ). Questo punto indebo­ lisce l'approccio di Fortna, che almeno riconosce che duloi in questa parabola significa 'schiavi'. Forse è per questo che suggerisce l'idea altamente improbabile che la parabola originale di Gesù mancasse di qualsiasi scena deUa resa dei conti (cioè Mt25,19-28). Si tratta di un consiglio disperato. (4) Che il terzo schiavo sia un eroe che coraggiosamente rigetta le strutture oppressive del capitalismo nascondendo sotto terra (o in uno straccio) il denaro che gli viene affidato si scontra con l'affermazione chiara che lo schiavo ha nascosto il denaro per paura (M/ 25,25 Il Le 19,2 1 ) , non per opporsi audacemente al suo pa­ drone. A questo proposito, cfr. WoHLGEMUT, Entrusted Money, ci t., 1 15 - 1 16. (5) L'appeUo aU'ipotetica terza versione deUa nostra parabola nel Vangelo dei nazorei risente di una serie di inconvenienti. Non è arrivato a noi alcun testo completo di questo vangelo; fondamentalmente dipendiamo da citazioni e parafrasi dei primi autori cristiani. Da queUo che abbiamo deU'opera, sembra essere stata una sorta

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    Capitolo quarantesimo

    n suo padrone gli risponde prima con una denuncia raggelante («servo malvagio e pigro») che intende essere l'esatto opposto della doppia lode ai primi due schiavi («servo buono e fedele»)160• In modo derisorio ripete la breve descrizione poco lusinghiera della personalità che il suo schiavo gli ha rifilato, senza dire se sia vera o falsa1 6 1 • Usa invece l'opinione che lo schiavo ha di lui per motivare le sue lamentele e la sua accusa: forte di tale di traduzione targumica del vangelo di Matteo in aramaico (cfr. il commento di P. V!ELHAUER in New

    Testament Apocrypha. I. Gospels and Related Writings, ed. rivista da W. Schneemelcher, traduzione inglese curata da R.McL. Wilson, James Clarke . WestminsterJohn Knox, Cambridge/UK - Louisvillel KY 1991 , 159; cfr. Un ebreo marginale I, 1 10-1 14). Ma pur escludendo l'analogia di un targum, Na:zorei mostra una precisa conoscenza di Matteo e la dipendenza da Matteo. Mettendo insieme il problema, la versione della parabola in Na:zorei sembra mescolare elementi della parabola dei Talenti/Mine con dettagli della parabola (lucana) del Figlio Prodigo; cfr. FlTZMYER, The Gospel According to Luke 2, cit.,

    1232. Ancor peggio, nel caso dei Talenti/Mine, Eusebio non riporta il testo del Vangelo dei Na:zorei nella

    sua Theophaneia (di cui abbiamo solo frammenti dell'originale greco, mentre tutto il testo è conservato in una traduzione siriaca slava), ma ci dà solo una breve parafrasi (cfr. PG 24, coll. 685.688). Inoltre non è per nulla chiaro se nella narrazione ci sia il tipo di struttura chiastica supposto da Rohrbaugh. Come osserva Wohlgemut (Entrusted Money, ci t., 1 1 3 - I I4), la lettura chiastica di Rohrbaugh fonde due diverse reazioni del padrone che Eusebio distingue: la minaccia pronunciata contro uno schiavo e 'la parola pronunciata contro' un altro schiavo. In sintesi, il Vangelo dei na:zorei, che dipende dal Matteo canonico, di tarda e incerta provenienza, parafrasato piuttosto che citato, non è utile per decidere la forma primitiva della parabola che sta alla base delle versioni matteana e lucana (nonostante FoRTNA,

    Reading Jesus' Parables, cit., 25·26). Anzi, persino il Jesus Seminar (The Parables o/Jesus. Red Letter Edition, cit., 55) ritiene che la versione nel Vangelo dei nazorei ; cfr. anche VAN EcK, Do Not Question My Honour, cit., 1 -2. (6) Infine si deve distinguere tra l'esegesi storica e le varie forme

    di ermeneutica

    contestuale (marxista, liberazionista, femminista) che cercano

    di far parlare testi antichi di questioni attuali, indipendentemente dal fatto che tali questioni siano comparse o meno negli orizzonti mentali degli scrittori antichi. Quale che sia la validità ermeneutica

    di tali approcci per il presente, in genere finiscono con il fare violenza ai testi evangelici o a una sobria e credibile ricostruzione del messaggio del Gesù storico.

    A onor del vero, nel caso dei Talenti/Mine, almeno la maggior parte dei critici ammette prontamente che per gli evangelisti la parabola parlava del giudizio finale di Gesù sullo sforzo morale cristiano (o, alternativamente, sul confronto di Gesù con le autorità di Gerusalemme, il suo rifiuto da parte loro e

    la conseguente distruzione di Gerusalemme). Collocano il loro stesso vangelo di consapevolezza sociale in bocca al Gesù storico, non nella teologia 'deformante' degli evangelisti.

    Al

    contrario, Dowling si

    distingue come commentatore che cerca di leggere la forma canonica della parabola di Luca come una critica sociale dell'abuso di potere esercitato contro gli oppressi, soprattutto (nel contesto più generale di tutto

    il vangelo di Luca) le donne. Ciò

    che infatti Dowling dimostra è che, nel mondo accademico

    postmoderno, un abile interprete che abbia adottato una particolare ermeneutica moderna (per es., la teologia della liberazione, la teoria postcoloniale e lo femminista) può far dire a un testo qualsiasi cosa l'interprete voglia che esso dica. Questo non ci dice nulla del messaggio del I secolo di ceni maestri del

    I secolo, siano essi Matteo,

    1 60

    Luca o Gesù.

    Come spesso osservano i commentatori matteani, Matteo ha la tendenza a moltiplicare gli aggettivi

    rispetto alla sua fonte. Ciò è chiaro in questo caso, dal momento che Luca ha solo ) e katast�s6 (