Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Mentore, messaggio e miracoli [Vol. 2]

In questo secondo volume della ricerca di J.P. Meier si approfondisce il tentativo di dare una risposta al più grande en

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Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Mentore, messaggio e miracoli [Vol. 2]

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John P. Meier

UN EBREO MARGINALE Ripensare il Gesù storico

2. �entore,Enessaggio e miracoli seconda edizione

QUERINIANA

Imprimatur

+ Mons. P atrick]. Sheridan, vie. gen.

New York, 10 dicembre 1993

Titolo originale

A Margina/ ]ew. Rethinking the Historical ]esus.

Vol. 2: Mmtor, Message, and Miracles

Doubleday, a divisian c:l Random House, Inc., Nnr York (NY,

USA)

© 1994 by John P. Meier © 2002, 2003' by Editrice Querilliana, Brescia via Ferri, 75 - 25123 Brescia (Italia) tel. 030 2306925 - fax 030 2306932

internet: .queriniana.it e-mail: [email protected] www

Tutti i dirirti sono riservati.

È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana.

ISBN 88-399-0420-4 Traduzione dall'inglese-americano di: ANTONIO NEPI capp. 12-13) LAURA F'ERRARI (capp. 14- 16) ENZo GArn (capp. 17-23,

(Introduzione,

Conclusione)

Edizione italiana a cura di FLAVIO DALLA VECCHIA Stampato dalla Tipolitognifìa Queriniana, Bresdìl

RINGRAZIAMENTI

Ancor più del primo volutne, questo secondo volume di Un ebreo mar­ ginale si è awalso del sostegno e della collaborazione di stimati colleghi, talmente numerosi che non è possibile menzionarli tutti. Tra i professori presso la Catholic University of America che hanno letto il manoscritto ed hanno proposto suggerimenti vi sono Cristopher T. Begg, John P. Galvin, Francis T. Gignac, William P. Loewe e Frank Matera. Mi dispiace che il compianto prof. Cari]. Peter si sia spento prima di veder stampato questo secondo volume: i suoi saggi consigli ci mancheranno. Tra i professori di altri istituti che mi hanno aiutato nella ricerca vi sono Harold W. Attridge, della University of Notre Dame; Myles M. Bourke, in precedenza della Fordham University ed attualmente della Portsmouth Priory ; il compianto Raymond E. Brown, professore emerito dell'Union Theological Seminary di New York; John J. Collins della University of Chicago; Joseph A. Fitzmyer, professore emerito della Catholic University; DanielJ. Harring­ ton eJohn S. Kselman, entrambi della Weston School of Theology; eJohn P. Reumann, del Lutheran Theological Seminary. Sono particolarmente grato per il contributo di eminenti specialisti e­ brei, tra cui il prof. Shaye J.D. Cohen, della Brown University, Louis H. Feldman, della Yeshiva University di New York, Jacob Neusner, della U­ niversity of South Florida, e Burton L. Visotzky, del Jewish Theological Seminary di New York. Il mio ringraziamento a questi studiosi non signifi­ ca affatto che ognuno di loro sia d'accordo con tutto ciò che ho scritto qui. Sono io ad assumermi doverosamente la sola responsabilità delle po­ sizioni adottate in questo volume. Voglio tributare a parte una riconoscenza speciale all'editore generale della serie Anchor Bible Reference Library, il prof. David Noel Freedman, la cui solerte perspicacia mi ha fatto evitare diversi errori imbarazzanti. U­ na parola di gratitudine va altresì al prof. John Smolko, la cui competenza informatica ha contribuito non poco all'elaborazione del manoscritto. È mio desiderio ringraziare anche tutto il personale delle biblioteche della Catholic University of America; della Woodstock Theological Li-

6

Ringraziamenti

brary presso la Georgetown University; della Berkeley Theological Union; della Dominican House of Studies di Washington, D.C; dell'Union Theo­ logical Seminary di New York; del St. Joseph's Seminary, Yonkers, NY; della Weston School of Theology e della Episcopal Divinity School; della Harvard Divinity School. Infine, una parola di gratitudine va a Thomas Cahill, Michael Iannazzi e Jane Donahue, miei redattori presso Double· day, per la loro competenza nella pubblicazione di questo volume. La sostanza dell'excursus su Giovanni il Battista in Flavio Giuseppe era già apparsa, in un differente formato, sotto il titolo fohn the Baptist in Jo­ sephus: Philology and Exegesis, in JBL 1 1 1 (1992) 225-37. Sono grato alla rivista per l'autorizzazione ad utilizzare il materiale dell'articolo in questo volume.

INTRODUZIONE AL SECONDO VOLUME

l. Perché la strada è lunga e polverosa

«The best laid schemes o/ mice and exegetes . . ».n lettore mi permetta, i­ ronicamente, questa citazione tratta da To a Mouse del poeta scozzese Ro­ bert Bums, opportunamente riadattata, per dire che per quanto i topi e gli esegeti possano fare ottimi progetti, spesso questi vanno a monte. È il no­ stro caso: all'inizio, Un ebreo marginale doveva configurarsi come un opera in un solo volume sul Gesù storico. In seguito, si sono resi necessari due volumi; ora, dovranno essere tre. A parte la verbosità dell'autore (quello moderno, non quello antico), qual è il motivo di questa apparentemente e­ sagerata profusione di pagine e di energie? I motivi che mi hanno persuaso ad ampliare l'estensione originaria di questa monografia sono quattro. n primo motivo è che Un ebreo marginale non è un progetto autonomo. Esso rientra in un progetto più vasto, quello della Anchor Bible Reference Library, che è una serie di opere di consultazione. Questo significa che non sono libero di presentare nel mio Un ebreo marginale le mie idee o posizioni personali, senza prestare attenzione a voci o posizioni contrarie e divergenti. Qualsiasi serie o 'biblioteca di consultazione' richiede un cam­ pionario ragionevolmente schematico e rappresentativo di autori e di tesi. n desiderio di una esposizione globale ed imparziale ha richiesto quindi più spazio di quello originariamente previsto per questa biblioteca. n secondo motivo di questa trattazione più ampia è strettamente con­ nesso al primo. Un ebreo marginale è stato scritto e cerca di essere un contributo in una fase particolarmente intensa della ricerca su Gesù, quella che alcuni critici hanno etichettato come la «terza ricerca sul Gesù storico»'. La prima indagine produsse una sfilza di 'biografie liberali' di .

-' Sulle tendenze di questa nuova fase deUa ricerca, si veda CRAIG A. EVANS, Life-of)esus-Research

and the Ec/ipse of Mythology, in TS 54 (1993) J-36.

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Introduzione

Gesù nella Germania del XIX secolo e raggiunse il suo culmine e la sua conclusione nella Ricerca sul Gesù storico di Albert Schweitzer ( 1 906). Queste biografie liberali spesso rispecchiavimo la fantasia fin troppo fer­ vida dei loro autori, anziché i dati dei vangeli. La seconda ricerca, portata avanti specialmente da studiosi 'postbultmanniani' come Ernst Kase­ mann e Gi.inther Bornkamm negli anni '50, cercò di essere più attenta nella enunciazione dei criteri per le valutazioni storiche. Almeno in Ger­ mania, questa seconda ricerca si trascinava però il pesante fardello della filosofia esistenzialista del XX secolo. Negli anni '50 e '60, quanto più un libro sul Gesù storico era intensamente esistenzialista, tanto più riceveva un'accoglienza calorosa; oggi, invece, appare assai antiquato. Non v'è niente che invecchi più rapidamente della moda, o di una attualizzazione

à la page.

Negli anni '90, la terza ricerca ha tentato di essere più sofisticata nella sua metodologia, più autocosciente e più autocritica nell'affrontare le precomprensioni e gli orientamenti di un dato autore, e più determinata a scrivere storia, invece di una teologia o cristologia nascoste. La terza ri­ cerca beneficia delle recenti scoperte archeologiche, di una migliore co­ noscenza della lingua aramaica e del contesto culturale della Palestina del I secolo e di una visione più variegata del giudaismo (o giudaismi) intor­ no al trapasso delle epoche, nonché di nuove intuizioni offerte dall'analisi sociologica e dalla teoria letteraria moderna. Owiamente, nessuno di questi progressi esonera i ricercatori contemporanei - me compreso - dal subire l'influsso di pregiudizi personali o istituzionali. La migliore utiliz­ zazione di questi progressi è quella di fungere da argine contro una fanta­ sia sbrigliata e contro le deformazioni di presupposti ideologici già sedi­ mentati. Non mi mancano motivi, dunqu�;per immergermi nella piena della bi­ bliografia contemporanea ed unirmi ad altri autori nel vivace dibattito o­ dierno sul Gesù storico. Nella ricerca e nel dibattito su Gesù, non si trat­ ta di essere un altro intellettuale gregario che ama una buona battaglia; il dibattito è essenziale se vogliamo che la ricerca su Gesù mantenga un suo onesto livello di scientificità. Oltre ai criteri di storicità e ad altri orienta­ menti metodologici, la discussione e la critica reciproca tra gli studiosi so­ no di un'importanza decisiva per evitare che si verifichino sconfinamenti arbitrari e deviazioni fantasiose, un esito fin troppo noto della ricerca sul Gesù storico. Questa esigenza di dialogare con la copiosa letteratura generata dalla terza ricerca - così come con le opere rappresentative delle prime due è, quindi, un altro motivo per cui questo secondo volume presenta una

Introduzione

bibliografia così nutrita e così tante note. Al fine di mantenere una linea espositiva chiara per il lettore, ho seguito il formato adottato nel primo volume: il testo espone i temi principali nel modo più diretto e più sem­ plice possibile, data la complessità delle questioni in gioco. Le note, di­ rette principalmente agli specialisti, forniscono i riferimenti bibliografici, ulteriori informazioni dettagliate e discussioni su questioni secondarie. In questo modo, spero di fronteggiare discretamente la colluvie di libri e di articoli sfomati dalla terza ricerca senza tediare i lettori non specializzati. Un terzo motivo che giustifica la lunghezza del secondo volume - co­ me anche la necessità del terzo volume è la mia consapevolezza sempre più crescente che, troppo spesso in passato, sono state prese decisioni cruciali sulla storicità di specifiche parole o azioni di Gesù, in base a una argomentazione sorprendentemente scarsa. La stesura di questo secondo volume mi ha fornito l'opportunità di rileggere classici come La storia ·della tradizione sinottica di Rudolf Bultmann ed il Gesù di Nazaret di Giinther Bomkamm, questa volta, però, 'alla moviola', quando ho analiz­ zato i singoli testi evangelici nei minimi particolari'. Quel che mi ha ripe­ tutamente colpito è il modo sconcertante con cui questi ed altri autori hanno risolto la seria e cruciale questione della storicità dei testi in poche frasi, o, a volte, in modo del tutto evasivo. Sovente, nel saggiare la forza argomentativa delle loro concise affermazioni, mi sono reso conto che gli argomenti non reggevano. Purtuttavia, questi argomenti sono stati ripetu­ ti di libro in libro, di generazione in generazione, soprattutto per l'auto­ rità di alcuni giganti in campo esegetico, come quelli citati. Questa espe­ rienza mi ha convinto che le prove pro o contro la storicità di determina­ te parole o azioni di Gesù vanno ponderate e discusse non frettolosamen­ te; da qui, appunto, la lunghezza di questo secondo volume. Alla fine, an­ che se i lettori forse non saranno d'accordo con le mie conclusioni su de­ terminati testi, almeno sapranno su quali basi vi sono arrivato e i motivi per cui esse sono divergenti. Il quarto e ultimo motivo per cui ho scritto un tomo così voluminoso •deriva dall'argomento che è l'oggetto della sua terza parte: i miracoli di Gesù, così come sono raccontati nei quattro vangeli. In passato, fin trop­ pe indagini sul Gesù storico o ignoravano i racconti dei miracoli, o dedi­ cavano loro solo qualche cenno cortese in un solo capitolo. Liquidarli co­ sì in fretta, però, non rende giustizia all'ampia attestazione dell' attività -

'Onde non moltiplicare indebitamente le note, non ripeto in questi commenti introdunivi tuni i riferimenti bibliografici alle opere principali che si trovano nel corpo del volume.

lO

Introduzione

taumaturgica di Gesù praticamente in tutti gli strati della tradizione evan­ gelica, né alla forte incidenza che questa attività ebbe almeno su alcuni giudei della Palestina del I secolo. Le narrazioni dei miracoli di Gesù non si fondano affatto su congettu­ re, né su una apologetica cristiana seriore; su questo punto, il nostro ga­ rante è Flavio Giuseppe. Questo storico giudeo del I secolo, originario della Palestina, spende poche parole sul ministero pubblico di Gesù, ma nel suo abbozzo in miniatura, si staglia l'affermazione che Gesù fu «ope­ ratore di fatti sorprendenti [parad6xon érgon poietis, cioè, un taumatur­ go, simile al profeta Eliseo]»'. Oltre al fatto che Gesù fu un uomo saggio e un maestro che attirò a sé un largo seguito, questo aspetto taumaturgi­ co è tutto quello che Flavio Giuseppe menziona del ministero pubblico gesuano, prima di dirci bruscamente che Gesù fu deferito dai capi giudei a Pilato, il quale lo condannò alla crocifissione. In tal modo, Flavio Giu­ seppe, come i vangeli, ci lascia con l'impressione che la reputazione di Gesù come taumaturgo ebbe un ruolo non piccolo nella sua capacità di attirarsi il favore delle folle e l'attenzione non così favorevole delle auto­ rità giudaiche e romane. Evidenzio in corsivo la parola reputazione, dato che non è mia intenzione, né qui, né altrove, in questo libro, fare l'affer­ mazione teologica che Gesù realmente operò dei miracoli. Per lo storico è sufficiente sapere che certe opere compiute da Gesù furono considerate miracoli da molti, sia amici che nemici. È questa, pertanto, la chiave di parecchie considerazioni. Ricordo bene come il compianto prof. Morton Smith, durante i semi­ nari sul Nuovo Testamento alla Columbia University, fosse solito rimarca­ re che, senza i suoi miracoli, Gesù non avrebbe mai riscosso né l'entusia­ smo, né l'opposizione che contrassegnarono e alla fine conclusero la sua vita pubblica'. Durante il I secolo a.C. e il I secolo d.C. vi furono parecchi profeti e maestri in Palestina; tuttavia, nessuno di loro ebbe la combina­ zione di un così grande successo, di un così tragico destino e di un impat­ to così durevole come lo ebbe il Nazareno. Un motivo chiave di questa differenza risiede nell'atipicità delle caratteristiche di Gesù, un'atipicità in cui i miracoli svolsero un ruolo decisivo. 'Ant. 18,3,3 S 63-64; sull'autenticità e il significato del testo centrale del Testimonium Ffllvianum (la 'testimonianza' di Flavio Giuseppe su Gesù), rinviamo a Un ebreo marginale I, 57-85. Come verrà chiarito, non sono d'accordo né con l'equazione che Smith fa tra miracolo e magia, né con il suo ritratto di Gesù come un mago segretamente antinomiano. Tuttavia, c'è da dire che, in­ sieme a studiosi come DavidE. Aune, E. P. Sanders e John Dominic Crossan, Smith ha contribuito a correggere la miopia di critici che, per convenienza, non sono stati capaci di ravvisare l'imponente presenza di racconti di miracolo in tuni gli s[rati, persino nei più antichi, della tradizione di Gesù. 4

lntrodùzione Proprio per il fatto di attribuirsi il potere di operare miracoli, una pre: rogativa riconosciuta da molti, Gesù non fu un profeta o un maestro come gli altri. Nello stesso tempo egli agiva (l) come il profeta degli ultimi gior· ni, che sarebbero presto venuti e, tuttavia, erano in qualche modo già pre­ senti nel suo ministero; (2) come colui che avrebbe riunificato l'Israele de· gli ultimi giorni, le dodici tribù d'Israele, che erano simboleggiate dalla cerchia dei dodici discepoli che Gesù aveva formato attorno a sé; (3) come il maestro sia di verità morali generali, sia di direttive minuziose che ri­ guardavano l'osservanza della legge mosaica (per es., il divorzio), ed infine, fatto non meno importante, (4) come l'esorcista e il guaritore di malattie, con la fama di aver risuscitato i morti, alla stessa stregua di Elia ed Eliseo. L'esplosiva convergenza e il mutuo rafforzamento di rutte queste figure­ normalmente distinte - nell'unica persona di Gesù di Nazaret è ciò che fece di lui un personaggio eccezionale, nel bene e nel male, nella sua epo­ ca e in quelle posteriori. Detto più concretamente, tra tutti gli ingredienti di questa 'miscela', probabilmente fu questo aspetto taumaturgico quello che contribuì maggiormente alla sua importanza e popolarità sulla scena pubblica - così come all'avversione che egli suscitò in ambienti altoloca­ ti' -. Ad essere schietti, ci si chiede di quanta popolarità questo singolare predicatore e maestro giudeo avrebbe goduto, se non avesse compiuto miracoli. Senza miracoli, parecchi giudei palestinesi avrebbero potuto ve­ dere Gesù semplicemente come una versione 'più ottimistica' di Giovan­ ni il Battista, un'eco del suo precedente maestro, ma priva del suo vistoso ascetismo e del suo ambito d'azione così desolato. Senza miracoli, la figu­ ra, la fama e la sorte di Gesù sarebbero state del tutto diverse e, probabil­ mente, di assai minor rilievo. Senza miracoli, ci resta soltanto il personag" gio ritagliato da Thomas Jefferson e da tutti i susseguenti indagatori di un Gesù razionale. In sintesi, l'obiettivo di compensare l'ormai abituale assenza di qualsia­ si analisi seria della tradizione dei miracoli nella maggior parte degli studi sul Gesù storico è ciò che mi ha spinto a dedicare tanto tempo a questo aspetto saliente del suo ministero. Di conseguenza, la terza parte del se­ condo volume propone non solo una panoramica globale della tradizione dei miracoli nei suoi molteplici strati, ma anche un minuzioso inventario ed una disamina di tutti i racconti dei miracoli di Gesù che si trovano nei quattro vangeli. È questo il motivo per cui la strada si profila dinanzi a noi lunga e polverosa.

' Si veda C.A. EVANS, life�flesus Rese•rch, cit., 29.

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Introduzione.

2. Norme di circolazione

La metodologia che regola Un ebreo marginale era stata già esposta nella prima parte del primo volume (pp. 1- 190), ma, persino gli spiriti più intrepidi e indomiti che hanno percorso queste duecento pagine pro­ babilmente gradiranno un veloce ripasso delle norme di circolazione che vigono in questa nostra ricerca. In breve, il 'Gesù storico' non va ingenuamente identificato con la realtà totale di Gesù di Nazaret, cioè, con tutto ciò che Gesù pensò, disse, fece e sperimentò durante la sua vita o, semplicemente, durante il suo ministero pubblico. Oggi è impossibile ricostruire la totalità della vita di Gesù, o prospettarne un resoconto ragionevolmente esaustivo, a causa dell'enorme distanza nel tempo e della scarsità delle fonti dispo­ nibili. In antitesi al 'Gesù reale', il 'Gesù storico' è quel Gesù che possiamo recuperare o ricostruire utilizzando i metodi scientifici della moderna ri­ cerca storica. Il 'Gesù storico' è, quindi, una costruzione scientifica, una astrazione teorica degli studiosi moderni che coincide solo parzialmente con il Gesù di Nazaret reale, quell'ebreo che effettivamente visse ed o­ però i n Palestina nel I secolo d.C. Se il Gesù storico non è il Gesù reale, non è neppure il 'Gesù teologi­ co' investigato dai teologi secondo i loro rispettivi metodi e criteri. Per il­ lustrare in che cosa si distingue una ricerca storica su Gesù da una ricerca teologica, propongo l'esempio di un immaginario 'conclave non papale': un cattolico, un protestante, un ebreo, e un agnostico - tutti storici dalla seria onestà intellettuale, profondamente competenti nel campo dei mo­ vimenti religiosi del I secolo - sono rinchiusi nelle viscere della biblioteca della Harvard Divinity School, sottoposti a una dieta spartana, e obbliga­ ti a non uscire se non dopo aver elaborato un documento di consenso su Gesù di Nazaret. , Un requisito essenziale di questo documento sarebbe la sua elabora­ zione basata su fonti ed argomenti puramente e squisitamente storici. Le sue conclusioni dovrebbero essere verificabili da parte di qualsiasi perso­ na sincera che utilizza gli strumenti della moderna ricerca storica. Senza dubbio, un tale documento d'intesa, potrebbe peccare di un angolo di vi­ suale ristretto, di una percezione frammentaria e, forse, persino di alcune distorsioni. Certamente, non pretenderebbe di presentare una interpreta­ zione esaustiva - tantomeno ultima e definitiva - di Gesù, della sua opera

Introdtn.i011e

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e delle sue intenzioni6• Tuttavia, fornirebbe perlomeno una base comune scientificamente rispettabile e un punto di partenza per il dialogo tra per­ sone di diverso credo o agnostiche. Come ha mostrato il primo volume, esistono poche fonti per la cono­ scenza del Gesù storico oltre i quattro vangeli canonici. Paolo e Flavio Giuseppe offrono solo alcuni dati preziosi. L'affermazione che testi tardi­ vi come i vangeli apocrifi e il materiale di Nag Hammadi forniscono noti­ zie storiche indipendenti e attendibili su Gesù è frutto, in gran parte, di fantasia. Alla fine, ciò che resta allo storico è l'arduo compito di sottopor­ re i quattro vangeli al vaglio della ricerca di una tradizione storica. Il compito è dawero arduo, perché tutti questi documenti sono il prodotto delle chiese cristiane della seconda metà del I secolo. Scritti circa tra qua­ ranta e settanta anni dopo la morte di Gesù, essi sono saturi della fede cristiana in Gesù come il Signore risorto della chiesa. Pertanto, l'unica speranza di conseguire risultati attendibili si fonda su un esame minuzio­ so dei testi evangelici alla luce dei criteri di storicità. Nella ricerca del Gesù storico cinque criteri si sono dimostrati partico­ larmente utili: ( l ) il criterio di imbarazzo individua con precisione quei testi che difficil­ mente possono essere stati inventati dalla chiesa primitiva, dato che potevano creare situazioni imbarazzanti o difficoltà teologiche per la chiesa già durante il periodo del Nuovo Testamento (per es., il batte­ simo di Gesù per mano di Giovanni); (2) il criterio di discontinuità si focalizza su parole o fatti di Gesù che non possono provenire né dal giudaismo (o giudaismi) dell'epoca di Gesù, né dalla chiesa primitiva (per es., il rifiuto del digiuno volonta­ rio da parte di Gesù ); (3) il criterio della molteplice attestazione si focalizza sui detti o fatti di Gesù attestati in più di una fonte letteraria indipendente (per es., Mar' In modo non diverso dalla formattazione di hard disk nei computers, che può essere realizzata a ad un ceno pun­ to, consente vari livelli di interpretazione. La stessa raccolta di dati e il pronunciamento di un giudi­ zio sulla loro storicità componano, infatti, un certo 'liveUo basso' di interpretazione. Al di sopra di questo basso livello inevitabile, Un ebreo marginale tenta, per quanto è possibile, di lasciar emergere gradualmente e naturalmente un'interpretazione globale di Gesù e della sua opera dalla convergenza dei dati giudicati storici. In panicolare, Un ebreo marginale non intende imporre ai dati nessuna gri· glia interpretativa predetenninata, sia essa politica, economica o sociologica. Griglie di questo genere possono risultare utili in una fase posteriore dell'intepretazione, ma, ndla ricerca dd Gesù storico, esse non possono produrre dati che riguardano Gesù, né sono capaci di risolvere il problema della storicità dei dati. Ceno, Un ebreo marginale opera con dei presupposti, ma sono i presupposti gene­ rali della storiografia.

vari livelli, scrivere una storia o una biografia, benché sia sempre in rerp retativo sino

f4

Introduxion�

co, Q, Paolo, o Giovanni ) e/o in più di una forma o genere letterario (per es., un detto di Gesù su un certo tipo di miracolo, più un raccon­ to sullo stesso tipo di miracolo); così molteplice attestazione è quella che offrono Marco, Q e Paolo nell'affermare indipendentemente che Gesù proibì il divorzio; corrispondono al secondo esempio un detto di Q e racconti di Marco e di Giovanni, i quali attestano tutti la fama che Gesù aveva di aver dato la vista ai ciechi durante la sua vita; (4) il criterio di coerenza entra in funzione solo dopo aver isolato me­ diante altri criteri una certa quantità di materiale storico; secondo il criterio di coerenza, hanno molta probabilità di essere storici altri ma­ teriali che rientrano bene nella base di dati stabiliti preliminarmente mediante altri criteri; (5) il criterio del rifiuto e dell'esecuzione, invece di giudicare detti e fatti specifici di Gesù, esamina la linea seguita da Gesù nel suo ministero e si chiede quali parole e fatti corrispondono ad essa e spiegano la sua condanna e la sua crocifissione: un Gesù le cui parole e gesti non ab­ biano costituito una minaccia e una causa di rifiuto, specialmente da parte dei potenti, non è il Gesù storico. È possibile, inoltre, ricorrere a vari criteri che servono solo come 'rinforzo' o conferma di quelli primari. Fra questi criteri secondari (qual­ cuno li chiama 'dubbi') vi sono quelli che s'incentrano sulle tracce della lingua aramaica presenti nei detti gesuani e sugli echi dell'ambiente pale­ stinese del! secolo in cui visse Gesù. Ancor meno decisivi (qualcuno di­ rebbe inutili) sono il criterio della vivacità e della concretezza della narra­ zione e quello delle supposte tendenze generali della tradizione sinottica nella sua evoluzione. Come vedremo nella terza parte, credo che, a mo' di eccezione, vi sia una chiara tendenza della tradizione evangelica che può essere utile nella nostra ricerca. Nei quattro vangeli, la tradizione dei miracoli ha una note­ vole tendenza a essere anonima. Solitamente, non vengono menzionati né colui che richiede il miracolo, né il beneficiario, né il luogo e il momento in cui esso avviene. Come minimo, un racconto di miracolo in cui si men­ zionano nomi va contro questa tendenza all'anonimato, abbastanza u­ niforme della tradizione. Data la difficoltà che comportano l'articolazione e l'applicazione di questi criteri, non sorprende che alcuni studiosi spazzino via l'intera que­ stione di metodo e criteri. Preferiscono 'arrangiarsi'', senza pastoie meto-

' GEZA VERMF.s proclama il suo disdegno della «metodologia» e la sua preferenza per «l'arte di ar-

Introduzione

.15

dologiche. Tuttavia, qualsiasi studioso impegnato nella ricerca sul Gesù storico opera, de facto, con qualche metodo e criterio, anche se in modo incoativo e inconsapevolmente. Il pericolo di «arrangiarsi» è che facil­ mente si tende a ricavare dai dati le conclusioni che si desiderano e non quelle che i dati consentono. L'importanza di criteri applicati con metodo ai dati è che può costringere il ricercatore a dedurre conclusioni che non ha previsto e forse non desidera. Ho sperimentato la verità di questa osservazione nel redigere il cap. quindicesimo, che affronta la questione se Gesù proclamò il regno di Dio come un avvenimento futuro. In principio, mi aspettavo che certi passi in cui Gesù annuncia l'avvento del Regno dentro l'arco temporale della sua generazione avrebbero offerto la prova più chiara che egli considerava questo Regno come futuro, ma imminente. Tuttavia, dopo aver esaminato rangiarsi», arrivando tenacemente al dunque, ocnza pastoie metodologiche, nel suo The Religio11 o/ ]esus the }ew, Fortre5', Minneapolis 1993, 7. D problema, però,� che ogni indagine scientifica che non sia totalmente bislacca opera seguendo ceni criteri, siano essi o no riconosciuti, classificati, o ponderati. Il pericolo di non ponderare i propri metodi e criteri diventa quasi subito pwese nell'ope­ ra di Vermès. (1) Egli lavora implicitamente con il criterio della molteplice attestazione delle fonti, ma non usa adeguatamente questo criterio. Per esempio, per dimostrare che Gesù era un osservmte della legge cultuale, Vermès (p. 18) afferma che «i tre vangeli sinonici riportano che, dopo aver sana· to un lebbroso, Gesù gli ingiunse di presentarsi dinanzi a un sacerdote per un accertamento», e cita come prova Mc 1,44. Ora, però, nd giudizio della maggioranza dei commentatori, le versioni mattea­ na e lucana dell'episodio sono semplicemente i loro adanamcnti teologici Uel racconto marciano. C'è dunque un'unica fonte indipendente che attesta l'avvenimento storico. I paraUeli di Matteo e Luca attestano sicuramente gudJo che i rispt:ttivi eva.nMelisti pensavano di Gesù, ma non forniscono una prova indipendente per quello che concerne la storicità dell'evento (Anche se si preferisse la tesi di u· na dipendenza di Marco da Maneo, vi sarebbe ancora un'unica fonte indipendente). (2) Vcrmès usa anche una sorta di combinazione dei criteri di imbarazzo e di discondnuità (p. 17), ma, allorché si a­ dotta un criterio del genere, si deve essere moho cauti nd fare ricorso al materiale rabbinico. Pur­ troppo, Vermès palesa una libertà e una disinvolrura sconcertanti nell'usare non solo la Mishnd (re· datta intorno al 200 d.C.), ma anche la Tose/tà, i vari midrashim e targumim, e persino il Talmud di Gerusalemme (redauo nella prima metà del v secolo) ed il Talmud Babilonese (che, redatto nella pri­ ma metà dd VI secolo, raggiunse la sua forma finale nell'vm secolo). Il problema dell'utilizzazione dd materiale rabbinico per comprendere il giudaismo (o giudaismi) nei primi anni del t secolo d.C., un problema evidenziato dagli studi di Jacob Neusner in particolare, non viene preso sul serio da Vermès (pp. 7·10). Al contrario, si veda l'attenta disamina della questione- pur con uno scarso con­ senso tra loro- in E.P. SANDERS, ]ewish l..aw /rom fesus lo the Mishna. Five Studies, SCM - Triniry, London - Philadelphia 1990; IDEM, ]udaism. Praclice & Belref 63 BCE- 66 CE, SCM- Triniry, Lon­ don - Philadelphia 1992 [trad. it., Il Giudaismo. Fede e prassi (63 a.C.-66 d.C.), Morcelliana, Brescia 1999]; CRAIG A. EVANS, Mish11a a11d Messiah 'In Conle:ICt'. Some Commenls on facob Neusner's Propo­ sals, in ]BL 112 (1993) 267-289; e, come replica a Sanders ed Evans, cfr. ]ACOB NEUSNER, Mr. San­ tiers' Pharisees and Mine, in S]T 44 (1991) 73-95; IDEM, The Mishna in Philorophical Contexl and Out o/Canonica/ Bounds, in ]BL 112 (1993) 291-304. Per la valutazione che quest'ultimo autore citato fa della mia opera, rinviamo a ]ACOB NEUSNER, Who Needs 'The Hisloneal ]esus'?, in Bullelli11 /or Bibli­ ca/ Research 4 (1994) 1-14.

lntroJu'l.ione

questi detti chiave di Gesù (Mt 10,23; Mc 9,1; Mc 13,30) alla luce dei cri­ teri, sono stato costretto a una conclusione diversa. Molto probabilmente questi detti furono scritti dai primi cristiani, che, vedendo passare gli an­ ni senza nessuna parusia all'orizzonte, cercarono di rassicurare se stessi sull'avvento glorioso del Cristo. Nella stesura di questo volume, il peso dei dati e la forza dei criteri mi hanno obbligato a cambiare i miei punti di vista più volte. La mia perso­ nale esperienza mi ha convinto che, anche se la metodologia e i criteri possono risultare noiosi, sono però vitali per evitare che il critico veda nei dati ciò che ha previamente deciso di vedere. Le norme di circolazione non sono mai entusiasmanti, ma ci tutelano e ci permettono di avanzare nella giusta direzione.

}. Una mappa per

il percorso del secondo volume

Quanti hanno letto il primo volume di Un ebreo marginale conoscono il suo carattere in gran parte programmatico: si configura come un pro­ leg6menon all'opera nel suo insieme, una sorta di introduzione e questio­ ne di metodo. In esso si espone il problema del Gesù storico, il metodo da adottare per affrontare questo problema, l'informazione sulle origini e il retroterra di Gesù e, finalmente, in modo approssimato, una griglia cronologica della sua vita. Il primo volume si chiude con questa conte­ stualizzazione dello scenario. È solo in questo secondo volume che si inizia la trattazione diretta dd­ le parole e dei fatti di Gesù nel corso del suo ministero. Dato che questo tomo è molto più voluminoso del primo, forse per il lettore sarà utile ave­ re a disposizione una cartina o mappa stradale che lo guidi nel corso del­ le parti e dei capitoli che costituiscono questo libro•. Il secondo volume si divide in tre parti principali: Mentore, Messaggio e Miracoli. Mentore tratta di Giovanni il Battista; Messaggio tratta della proclamazione che Gesù fa del regno di Dio, e Miracoli tratta della narra-



Visto l'ampliamento dd progetto in tre volumi, ho deciso di dividere ogni volume in parti

separa­

re, con ogni volume che comincia con una sua prima parte. Questo altera il mio progetto originario

di numerare consecutivamente Lutte le parti di rutta l'opera (si veda il primo volume, p. 22).

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zione che i vangeli fanno di esorcismi, guarigioni, risuscitamento di morti e dei cosiddetti miracoli naturali.

(l) La prima parte, Mentore, s'incentra sull'unica persona che esercitò il più grande e singolare influsso sul ministero di Gesù, vale a dire Gio­ vanni Battista. Fin troppo spesso, nei libri sul Gesù storico, il Battista, così come i racconti di miracolo, godono di Wl cenno superficiale e ven­ gono frettolosamente liquidati. Tuttavia, una delle realtà più sicure che sappiamo su Gesù è che egli si sottomise volontariamente al battesimo di Giovanni per la remissione dei peccati, un awenimento imbarazzante che ciascun evangelista, a suo modo, cerca di neutralizzare. li Battista però non risulta così facilmente neutralizzato. Malgrado tutte le differen­ ze tra Giovanni e Gesù, alcuni elementi centrali della predicazione e del­ la prassi di Giovanni fluirono nel ministero di Gesù come altrettanta ac­ qua battesimale. Di conseguenza, non comprendere il Battista significa non comprendere Gesù, una massima confermata negli studi di recenti studiosi. Onde controbattere la tendenza a sminuire l'influsso di Giovanni, ho consacrato i primi due capitoli del secondo volume proprio al Battista. Il primo capitolo, il cap. dodicesimo di tutta l'opera, è intitolato Giovanni senza Gesù: il Battista e il suo rito battesimale. Qui, aiutato da Flavio Giu­ seppe e dai vangeli, ho cercato di comprendere il ministero, la predica­ zione, il battesimo e la morte di Giovanni indipendentemente da qualsia­ si rapporto che egli può aver avuto con Gesù. Specie quando si scrive per cristiani ormai awezzi alle presentazioni dei vangeli, qualsiasi studioso deve sforzarsi di inculcare il ritratto del Battista come un profeta ebreo indipendente che, prima di qualsiasi connessione con Gesù, ebbe Wla propria importanza e Wl proprio significato. Il ritratto del Battista che ne emerge è quello di un profeta ebreo del I secolo che proclama un messaggio escatologico venato da tratti apocalitti­ ci. Giovanni annunciò un imminente giudizio terribile che stava per ir­ rompere su Israele, un giudizio al quale un Israele peccatore poteva scam­ pare solo con Wl pentimento interiore, con una concreta conversione del­ la vita esteriore e mediante l'accoglienza di un battesimo amministrato u­ na volta per tutte dallo stesso Giovanni. Nella sua prassi penitenziale, nel suo uso di un rituale lustrale, così come nella sua critica implicita al tem­ pio e alle sue istituzioni come il mezzo per piacere a Dio e per ottenere il perdono, Giovanni ha alcune caratteristiche in comune con altre figure penitenziali giudaiche della sua epoca nella regione della valle del Giorda­ no, in particolare con i membri della setta giudaica di Qumran.

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Introduzione

Il collegamento con Qumran, però, soprattutto il ritratto romantico di un Giovanni cresciuto in una scuola propedeutica nel deserto della Giu­ dea, può essere esagerato. Certi tratti contraddistinguono Giovanni da Qumran e, di fatto, da quasi tutte le altre forme di giudaismo nella Pale­ stina del 1 secolo. Questi tratti includono un battesimo unico ed irripeti­ bile legato alla sua stessa persona (a tal punto a lui vincolato, da affibbiar­ gli il suo secondo nome «Battista»), la sua apertura a Israele senza discri­ minazioni e senza preoccupazioni di minuziose questioni di osservanza legale o di una creazione di una nuova comunità settaria all'interno del giudaismo, nonché la sua apparente mancanza d'interesse per il futuro del tempio di Gerusalemme, per quanto purificato e ripristinato nella sua vocazione originaria. È arduo dire in concreto che cosa precisamente Giovanni si aspettasse nel prossimo futuro attraverso questo giudizio e questa salvezza. Egli par­ la della venuta di un personaggio a lui superiore, di «uno più forte», che avrebbe battezzato con lo Spirito Santo, a differenza del mero rituale d'acqua di Giovanni. Resta però oscuro se questo personaggio «più for­ te» di lui sia un essere umano o angelico, un «Figlio dell'Uomo» celeste, o un messia terreno, o semplicemente Dio stesso. Forse il linguaggio vago indica che la profezia di Giovanni restava oscura persino a lui stesso. Qualunque fossero i particolari del messaggio di Giovanni, egli ebbe come segnala Flavio Giuseppe - un vasto e profondo impatto sui giudei del suo tempo, a tal punto che Erode Antipa, il tetrarca di Galilea, pensò che fosse meglio 'premunirsi', togliendolo di mezzo, per evitare che la sua influenza sulla gente fosse strumentalizzata a scopo di rivolta. Come chiarisce lo stesso Flavio Giuseppe, l'incubo di una rivolta si annidava nella mente sempre sospettosa di Erode, non nel messaggio e nelle azioni di Giovanni. Fu a questo profeta escatologico con il suo battesimo eccezionale che Gesù di Nazaret promise adesione presso il fiume Giordano un giorno imprecisato intorno al28 d.C. Mi occuperò della relazione tra Giovanni e Gesù nel cap. tredicesimo, intitolato Gesù con e senza Giovanni. Questa sua accettazione del battesimo di Giovanni e, dunque, presumibilmente, del suo messaggio fece di Gesù un discepolo di Giovanni, almeno in un certo senso più ampio. Ulteriori indizi nei vangeli, specialmente nel quar­ to vangelo, fanno pensare che Gesù possa essere restato per un certo tem­ po nel circolo più intimo dei discepoli del Battista. Ad un certo punto, comunque, Gesù abbandonò questo circolo di Giovanni, forse con alcuni dei discepoli di costui, per intraprendere un ministero per conto proprio. Il preciso rapporto tra la precedente adesione di Gesù al Battista e il

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suo nuovo ministero autonomo è stato recentemente oggetto di notevole dibattito, con studiosi che adottano posizioni tra loro agli antipodi. Hen­ drikus Boers, per esempio, mette in rilievo i legami perduranti tra Gio­ vanni e Gesù. Secondo Boers, Gesù continuò a vedere Giovanni, e non se stesso, come la figura cardine, come il personaggio finale ed escatolo­ gico prima dell'avvento del regno di Dio. Giovanni non segnalò Gesù, ma fu Gesù a segnalare Giovanni come la figura umana centrale al culmi­ ne della storia della salvezza. Agli antipodi, Pau! Hollenbach parla di una «apostasia» di Gesù da Giovanni. Presumibilmente, Gesù, all 'inizio, con­ tinuò la prassi battesimale di Giovanni così come il suo messaggio di un terribile imminente giudizio. Ad un certo punto, però, Gesù cambiò mes­ saggio, per annunciare la misericordia di Dio presente nell'oggi e, corri­ sponden temente, la prassi del battesimo cedette il passo alla prassi degli esorcismi e delle guarigioni. In realtà, onde poter creare i loro scenari semplicistici, queste due po­ sizioni estreme trascurano gran parte della complessità dei dati dei vange­ li. Detti che contraddicono una particolare teoria sono improvvisamente dichiarati inautentici e, senza nessun solido fondamento nel testo dei van­ geli, si ipotizzano diversi periodi di tempo nel ministero di Gesù. Se, in­ vece, passiamo attentamente al vaglio le tradizioni che si trovano nei quattro vangeli, il quadro che emerge è il seguente. Il quarto vangelo è probabilmente nel giusto quando segnala che Gesù imitò la prassi battesimale di Giovanni. Questo è un prezioso punto di contatto tra Giovanni e Gesù, un punto che risulta dimenticato o sop­ presso dai sinottici. V'è però un fatto ancor più importante: contraria­ mente a quel che suppone Hollenbach, non esiste motivo di pensare che Gesù abbandonasse questa prassi di battezzare una volta che l'aveva ini­ ziata. È verosimile che questa prassi battesimale confluì come acqua da Giovanni a Gesù e da Gesù alla chiesa primitiva, con il rituale che assun­ se diversi significati in ogni fase del processo. Dato che Gesù spostò il baricentro della sua predicazione dall'immi­ nente terribile giudizio di Dio all'offerta della misericordia di Dio, il bat­ tesimo come simbolo icastico per estinguere il fuoco futuro naturalmente si affievolì nello sfondo del ministero di Gesù. Inoltre, malgrado tutta l'enfasi sulla misericordia e sul perdono di Dio, tangibili ora nelle sue guarigioni e nella sua condivisione della mensa con i peccatori, Gesù non smise mai di proclamare il messaggio del Battista che preannunciava una futura venuta di Dio come giudice, una venuta incombente. Di fatto, un Battista con un messaggio di escatologia futura, da un lato, e di Gesù e di una chiesa con un messaggio di escatologia futura, dall'altro, fanno di un

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Ir�troduziont

Gesù totalmente privo di una escatologia futura una figura sospetta sin dall'inizio. Questo pone un grave problema per l'intero approccio di Marcus J. Borg e di John Dominic Crossan, i quali vogliono eliminare l'e­ scatologia futura dalla predicazione di Gesù. Per quanto Gesù si sia spin­ to oltre Giovanni, egli portò sempre con sé gran parte del suo antico maestro. In un certo senso, Gesù non fu mai senza Giovanni.

(2) Tutto questo discorso sull'escatologia ci conduce in modo naturale alla seconda parte del secondo volume, cioè al Messaggio. Si dà a tal pun­ to per scontato che al cuore del messaggio di Gesù ci sia il simbolo chia­ ve del 'regno di Dio' che, nello scrivere questo secondo tomo, in un pri­ mo momento ho volutamente tentato di vedere se potevo confutare que­ sto assunto. In un sondaggio iniziale dei testi ho cercato di dimostrare che 'regno di Dio' era per lo più una reliquia linguistica conservata dal giudaismo anteriore a Gesù, oppure un elemento chiave della primitiva predicazione cristiana retroproiettato nel messaggio di Gesù. È interes­ sante segnalare che, per quanto abbia tentato di continuare questa teoria revisionista o ipotesi di lavoro sovversiva nel cap. quattordicesimo, che indaga sul termine 'regno di Dio', non ho potuto farla funzionare e, per­ tanto, l'ho abbandonata. In questo caso, i fatti e i criteri di storicità rin­ viano fin troppo nella direzione opposta. Se il simbolo dinamico di Dio che assume il suo dominio potente su una creazione ribelle si trova in va­ rie parti dell'Antico Testamento, negli pseudoepigrafi e a Qumran, la precisa espressione 'regno di Dio' è estremamente rara prima di Gesù, specialmente se usata in un contesto di escatologia futura imminente. Assistiamo invece a una esplosione dell'uso di questa frase stereotipata come un simbolo centrale nei detti di Gesù nei vangeli sinottici. Una tale espressione non sembra una retroproiezione dall'uso del cristianesimo primitivo, dato che il sintagma 'regno di Dio' è relativamente raro in Pao­ lo, quasi scompare in Giovanni ed è del tutto assente in alcuni libri del Nuovo Testamento. L'unica conclusione logica è che il Gesù storico scel­ se del tutto consciamente un'espressio11,e inusuale per utilizzarla come il ricettacolo enigmatico, il «simbolo in tensione�� del suo complesso mes­ saggio sulla sovranità e sul regno di Dio. Di nuovo agli antipodi, si possono rintracciare due tendenze fonda­ mentali nella ricerca recente sul regno di Dio nell'insegnamento di Gesù. Alcuni studiosi, in particolare Crossan e Borg, asseriscono che Gesù parlò soltanto del Regno come presente nel suo ministero, o, alternativa­ mente, come universalmente presente nell'esperienza umana di quanti hanno occhi per vedere. Per questi autori ogni riferimento a un futuro

J,troduzio"e Regno escatologico deriva dalla chiesa primitiva. Al contrario, nel suo li­ bro assai elogiato Gesù e il Giudaismo, E.P. Sanders ritiene che Gesù parlò chiaramente solo di una venuta imminente e futura del Regno. San­ ders nega che uno qualsiasi dei detti autentici annunci chiaramente il Re­ gno come già presente nel ministero di Gesù. Ancora una volta, penso che la verità si trovi in un punto tra i due e­ stremi. La nutrita serie di detti di Gesù che parlano di un Regno futuro, detti che si trovano in varie fonti, rende assai arduo eliminare ogni riferi­ mento futuro nell'insegnamento del Gesù storico. Anche se si omettesse­ ro completamente i detti connessi con il misterioso Figlio dell'Uomo, l'at­ testazione di una escatologia futura nell'insegnamento di Gesù resta co­ piosa. Nel cap. quindicesimo, mi soffermerò a sostenere la prova di una escatologia futura sulla base di quattro detti chiave che io ritengo decisa­ mente autentici: (a) la petizione: «Venga il tuo Regno», nella preghiera del Padre Nostro (Mt 6,10 e par.); (b) la tradizione dell'ultima cena in cui Gesù annuncia che egli non berrà più del frutto della vite fino all'arrivo del Regno (Mc 14,25 e parr.); (c) la promessa che molti verranno dall'est e dall'ovest e siederanno a mensa con i patriarchi nel Regno (Mt 8,11- 12 e par.); e (d) le varie promesse future nelle beatitudini Q (per es., «saran­ no saziati», «perché saranno consolati», in Mt 5,3-12 e par.)_ - Penso sia chiaro, dunque, che Gesù parlò di un futuro avvento escato­ logico dd Regno. Nello stesso tempo, Gesù sembra proclamare con le sue parole e drammatizzare con le sue azioni che, in un certo senso, «il regno di Dio è in mezzo a voi» (Le 17,2 1 )_ Particolarmente significativo è il detto fondamentale di Q con cui Gesù interpreta la sua prassi esorcisti­ ca: «Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il re­ gno di Dio» (Le 1 1 ,20 e par.). Sanders si sforza di evitare l'ovvia conse­ guenza di questo detto autentico, ma, come cerco di mostrare nel cap. se­ dicesimo, accanto a un certo numero di altri detti, esso parla chiaramente del regno di Dio come già presente, benché in modo prolettico e non compiuto, nel ministero di Gesù, specialmente nei suoi esorcismi e nelle sue guang10m. Recentemente alcuni critici hanno obiettato che un Regno simultanea­ mente futuro e presente è una intollerabile contradictio in terminis. Si po­ trebbe replicare che la mentalità semitica soggiacente ad una buona pane della nostra letteratura biblica non era così eccessivamente preoccupata del nostro principio filosofico occidentale di non contraddizione. Più pertinentemente, il regno di Dio è però un simbolo che genera tensione ed incapsula un evento dinamico, tutto il dramma mitico di un Dio che viene con potenza a sbaragliare i suoi nemici e a instaurare il suo dominio

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definitivo in Israele. Un regno di Dio statico, inteso come luogo predefi­ nito o uno stato di cose determinato, non potrebbe essere simultanea­ mente presente e tuttavia in arrivo. Il regno di Dio come dramma mitico e dinamico permette invece una venuta in varie fasi, con battaglie strate­ giche già vinte, ma la cui vittoria finale deve ancora arrivare.

(3) Una delle manifestazioni più impressionanti del regno di Dio già presente nel ministero di Gesù era la sua pratica di esorcismi, guarigioni e altri miracoli. La tematica del messaggio del Regno annunciato da Gesù ci porta naturalmente alla sua attuazione del Regno nell'operare miracoli. La spinosa e complicata questione dei miracoli verrà trattata nella terza e ultima parte del secondo volume. Nel cap. diciassettesimo affronterò brevemente i problemi teorici che la stessa idea di miracolo crea per molta gente colta nel mondo occiden­ tale odierno. Pur esaminando en passant le obiezioni moderne che la scienza e la filosofia avanzano contro i miracoli, non rientra nei miei in­ tenti scrivere un'apologia della credenza in essi. Il punto che mi sta mag­ giormente a cuore è il fatto che un giudizio del tipo: «Dio ha operato un miracolo in questa particolare guarigione», è in realtà un giudizio teologi­ co, non storico. Uno storico può esaminare casi presentati come miracoli, rifiutare quelli per i quali esistono evidenti spiegazioni naturali e registra­ re casi in cui egli non è in grado di trovare spiegazioni naturali. Oltre questo, un giudizio puramente storico non può andare•. Proprio come uno storico deve rifiutare la creduloneria, così egli deve anche respingere l'affermazione a priori secondo la quale i miracoli non accadono o non possono accadere. Rigorosamente parlando, questa è u­ na proposizione teologica o filosofica, non una proposizione storica. An­ cor più, dunque, lo storico deve rifiutare l'asserzione non comprovata - e di fatto, confutata - di Bu!tmann e dei suoi discepoli, che «l'uomo mo­ derno non può credere nei miracoli». Voglio addurre un semplice fatto empirico delle scienze sociali: nel 1989, un sondaggio Gallup dimostrava che circa 1'82% degli odierni americani, presumibilmente uomini e don­ ne moderni (compresa gente colta e smaliziata), accetta la proposizione che persino oggi Dio opera miracoli. Bultmann e compagnia non possono venirmi a dire ciò che l'uomo moderno non può /are quando i dati empi­ rici e sociologici provano che l'uomo moderno /a proprio quel che essi negano.

' Cfr. C.A. EVANS, Ufe-of!esus Research, cit., 17.

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n cap. diciottesimo s'addentra nell'annoso problema dei miracoli. Ri­ spetto alle antiche concezioni dei miracoli e della magia, autori come Morton Smith, David Aune e John Dominic Crossan hanno messo netta­ mente in dubbio le tradizionali idee cristiane sulla natura dei miracoli. Secondo questi studiosi, che utilizzano sia gli antichi testi grecoromani, sia le moderne scienze sociali per avvalorare le proprie posizioni, non c'è nessuna reale differenza oggettiva tra i miracoli e la magia. 'Magia' è sem­ plicemente l'etichetta peggiorativa che i polemisti applicano ai miracoli dei loro avversari religiosi. In altre parole, sono i miei eroi religiosi a compiere miracoli, mentre i tuoi eroi religiosi compiono atti magici. Anche se questo approccio, di primo acchito, ha il fascino dell'oggetti­ vità e della imparzialità scientifiche, la realtà non è così semplice. Dopo un confronto tra le caratteristiche dei papiri magici greci e le caratteristi­ che dei racconti evangelici di miracolo, arrivo ad una conclusione simile a quella sostenuta da alcuni antropologi: miracolo e magia sono i due mo­ delli ideali che si trovano alle due estremità dello spettro di un'esperienza religiosa. A un estremo dello spettro, il modello ideale di magia annovera gli elementi di (l) un potere automatico posseduto dal mago, (2) in virtù di formule e rituali segreti con (3) la risultante coercizione delle potenze divine da parte di esseri umani (4) alla ricerca di rapide soluzioni a pro­ blemi pratici. Peraltro, la magia è solitamente contrassegnata da (5) uno spirito di individualismo o di imprenditorialità opposte a una permanen­ te comunità di fede. All'altro estremo dello spettro, i miracoli · appartengono in generale a un contesto di (l) fede in un Dio personale, alla cui volontà si sottomette la propria volontà nella preghiera, di 2 ( ) una permanente comunità di fe­ de, e di (3) una pubblica manifestazione della potenza di Dio (4) che non dipende da formula o rito prestabiliti. Tengo a ribadire che 'magia' e 'mi­ racolo' sono modelli o categorie ideali situati ai due estremi dello spettro; i casi concreti spesso fluttueranno in qualche punto tra i due. Per esem­ pio, i papiri magici greci rispecchiano regolarmente il modello ideale di magia, anche se a volte fanno la loro comparsa elementi di preghiera e di umile supplica. Similmente, la maggioranza delle guarigioni di Gesù nei vangeli tende a rientrare nell'estremo dello spettro, vale a dire nella cate­ goria del miracolo, anche se alcune, come la guarigione dell'emorroissa, hanno elementi affini alla magia. Per riassumere, non penso che il far rientrare il miracolo e la magia nello stesso fenomeno indifferenziato sia utile o rispetti la complessità dei dati. Di conseguenza, non sono d'accordo con la caratterizzazione di Ge­ sù come un mago ebreo proposta da Smith e Crossan. Quella di tauma-

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turgo è una categoria più adatta, che rispecchia più fedelmente il materia­ le evangelico. Se Crossan e Aune vogliono includere Apollonia di Tiana nella stessa categoria, io non ho obiezioni. Essa fornisce un punto di par­ tenza meno polemico ed emotivamente meno carico per la disamina e la valutazione dei dati. Nel cap. diciannovesimo affronterò i miracoli di Gesù così come ven­ gono raccontati nei quattro vangeli. Questo capitolo fornisce una rasse­ gna iniziale dei miracoli attribuiti a Gesù. Utilizzo i criteri di storicità per dimostrare il seguente asserto globale: durante il suo ministero pubblico, Gesù rivendicò di compiere miracoli; i suoi contemporanei, amici e nemi­ ci, pensavano che Gesù compisse miracoli; Gesù fece realmente alcune a­ 'ZÌoni straordinarie che i suoi avversari spiegarono sostenendo che egli era in combutta con potenze demoniache. In altri termini, il tentativo di con­ 'siderare la tradizione dei miracoli nei vangeli puramente come una crea­ zione della propaganda missionaria del cristianesimo primitivo è un sofi­ sma errato di certe tendenze della critica delle forme. Questo sofisma er­ rato fa naufragio tra gli scogli dei criteri di storicità, specialmente del cri­ terio della molteplice attestazione di fonti e di forme. Un Gesù completa­ mente senza miracoli, idea propagata da pensatori dell'illuminismo come T homas Jefferson, è un eccellente esempio di rimaneggiamento e rifusio­ ne di un profeta ebreo del I secolo per adattarlo alla sensibilità di un'élite ;J '· intellettuale moderna. Fin qui tutto ciò è molto chiaro. La visione diventa più oscura, allor­ 'ché da questo asserto globale passiamo a un inventario completo dei rac­ conti di miracolo contenuti nei quattro vangeli. Nei capp. dal ventesimo al ventitreesimo, mi occuperò dei miracoli di Gesù, rispettivamente degli esorcismi, delle guarigioni di malanni fisici, del risuscitamento di morti, ed infine di quella categoria miscellanea dei cosiddetti miracoli di natura (categoria che io in realtà rifiuto). In questi capitoli, i giudizi di storicità sono estremamente azzardati. La cosa migliore che si può fare, a mio pa­ rere, è distinguere questi racconti che sono assai probabilmente pure e semplici creazioni della chiesa primitiva, da quei racconti che in qualche forma possono pretendere di risalire al Gesù storico, per quanto possano essere stati rielaborati dalla successiva predicazione cristiana. I risultati di un'applicazione dei criteri di storicità per fare questa di­ stinzione talvolta sono sorprendenti e non sempre corrispondono a ciò che mi sarei aspettato o addirittura che avrei desiderato. Per esempio, a mio parere, dietro lo stravagante episodio dell'indemoniato geraseno chiamato Legione in Mc 5 c'è un esorcismo che Gesù compì nel distretto di Gerasa nella Decapoli. Invece, lo splendido racconto della sirofenicia ·

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che supplica Gesù di esorcizzare sua figlia sembra assai probabilmente u­ na creazione dei primi cristiani, intesa a simboleggiare la relazione tra giudei e pagani nella missione cristiana. La maggior parte dei cosiddetti miracoli di natura sembra derivare dalla chiesa primitiva, ma l'episodio di Gesù che sfama la moltitudine può rispecchiare qualche pasto ecceziona­ le che Gesù offrì durante il suo ministero pubblico. Tutti questi giudizi, lo ammetto, sono fortemente discutibili. Ciò che essi fanno risaltare è un punto basilare, ribadito in modo martellante nel corso di questo secondo volume : l'unico modo di pervenire a giudizi al­ meno probabili è una lunga analisi dei dati e una puntuale applicazione dei criteri di storicità. Ritorniamo al motivo per cui la strada si stende di­ nanzi a noi lunga e polverosa, ma, se non altro, ora abbiamo una mappa stradale con la quale cominciare il viaggio.

parte prima

MENTORE

Giovanni, che /u soprannominato Battista.. . invitava i giudei a partecipare al battesimo .. . (fLAVIO GIUSEPPE, Ant. 18,5,2 § 1 16- 1 17)

CAPITOLO DODICESIMO

GIOVANNI SENZA GESÙ D Battista e il suo rito battesimale

l. L'esistenza storica di Giovanni il Battista

La nostra indagine sulla cronologia della vita di Gesù alla fine del pri­ mo volume approdava a un risultato dalle tinte fosche. Situava due figure storiche, ambedue connesse con due impressionanti simboli di giudizio e di morte, in due date che incorniciano il ministero di Gesù: Giovanni il Battista' con il suo battesimo all'inizio del 28 d.C., e Ponzio Pilato con la ' La bibliografia su Giovanni il Battista è immensa, anche se gran pane di tendenza devozionale o non scientifica. Un orientamen[O per i principali repenori blb]iografici si può trovare nei se�uenti studi, elencati cronologicamente: MAKTI N DIBELIUS, Die urchristliche Oberlie/erung von fohannes dem Tiiu/er (FRLANT 15), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 191 1; MAURICE GoGUEL, Au seui/ de l'évangile. fean-Baptiste, Payot, Paris 1928; ERNST LoHMEYER, Das Urchristentum. 1. Buch. fohannes der Tiiu/er, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1932; ]OSEPH THOMAS, Le mouvement haptiste en Palestine et Syrie (150 av. j.C.-300 ap. ].C) (Universitas Catholica Lovaniensis 2d series, 28), Ducu­ lot, Gembloux 1935; CARL H. KRAELING, fohn the Baptist, Scribner's, New York 1951; ]. LEONARD FARMER, fohn and fesus in Their Days and Ours. Social Studies in the Gorpels, Psycho-Medical Li­ brary, New York 1956; A.S. GEYSER The Youth offohn the Baptist, in NovT l (1 956) 70-75; PAUL WlNTER, The Proto-Source o/ Luke l, in NovT l (1956) 184-199; }EAN STEINMANN, St. fean-Baptiste et la spiritUIJlité du désert, Seuil, Paris 1957; WH. BROWNLEE, ]ohn the Baptist in the New Light o/An­ cient Scro/ls, in The Scro/ls and the New Testament, a cura di Krister Stendahl, Greenwood, Westport (CT) 1975 (orig. 1957), 33-53; WOLFGANG TRILLING, Die Tiiu/ertraditiofl bei Matthiius, in BZ 3 ( 1959) 271 -289; GùNTHER BoRNKAMM, ]esus of Na:uzreth, Harper & Row. New York 1960, 44-52 [trad. it., Gerù di Na:uzreth. Claudiana. Torino 1977] ; WILLIAM R FARMER, ]ohn the Baptist, in IDB, 2. 955-962; J.A.T. ROBINSON, The Baptism o/]oh11 and the Qumran Community, Elijah, fohn, and 1•­ sus, in Twelve New Testament Studies, SCM, London 1962, 1 1 -27 e 28-52; ALBRECHT OEPKE, bdptò, t/c., in TDNT l ( 1964) 529-546, spec. 536-538.545-546 [trad. it., GLNT II, 41-88, spec. 61-65.86-88]; CHARLES H. H ScOBIE, )ohn the Baptrsl, SCM, London 1964; }EAN DANiàoU, fean-Baptiste. Tbnoin de l'agneau, Seuil. Paris 1964; HAifiWIG THYEN. Baptisma mettinoias eù 4phesin hamartion, in The Fu­ ture of Our Religious Pasl, scritti in onore di Rudolf Bultmann, Harper & Row, New York 1 971 (orig. 1964) 131-168; RAYMOND E. BROWN, ]ohn the Baptist in the Gorpel o/]ohn, in New Testament Studies, Image, Doubleday. Garden City (NY) 1968 (orig. 1965), 174-184; ROLAND Sci!OTz, ]ohannes der Tiiu/er ( ATANT 50), Zwingli, Ziirich 1967; WALTER WlNK, }ohn the Baptist tn the Gospel Tradition (SNTSMS 7), Cambridge University, Cambridge 1968; OTTo llOcHER, Ass ]ohannes der Tiiu/er kt!!n ,

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Mentore

croce il 7 aprile del 30 d.C. Questa formidabile simmetria non è sfuggita agli evangelisti o agli scrittori cristiani posteriori. Tuttavia, per quanta storia sia stata elaborata daDa1eologia posteriore, il Battista storico e il Pilato storico restano a cornice del ministero di Ge­ sù, come le due colonne imponenti di fronte al tempio di Gerusalemme2• La loro simmetria va oltre il piano simbolico e teologico. L'esistenza stori­ ca del Battista e di Pilato risulta confermata non soltanto da tutti e quat­ tro i vangeli e dagli Atti degli Apostoli, ma anche da Flavio Giuseppe. A differenza del Testimonium Flavianum (Ant. 18,3,3 § 63-64) esami­ nato nel cap. terzo, il resoconto offerto da Flavio Giuseppe su Giovanni Brot (Luk, vii.3 3)?, in NTS 1 8 (1971 -72) 90-92; ERNST BAMMEL, The Baptist in Ear/y Christian Tradi· lion , in NTS 18 ( 1971 ·72) 95·128; ]OHN H. HUGHES, ]oh n the Baptisl: the Forerunner of God Himse/f, in NovT 14 (1972) 191-2 18; ]. BECKF.R, ]ohannes der Tiiu/er und ]esus von Nal/Jreth, Neukir­ chener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1972; ]OHN REUMANN, The Quest for the HistortC41 Baptist, in U!'­ derstanding the Sacred Text, scritti in onore di Monon S. Enslin, a cura di John Reumann, Judson, Valley Forge (PA) 1972, 183-200; MoRTON S. ENSLIN, }ohn and }esus, in ZNW 66 ( 1 975) 1-18; RAY­ MOND E. BROWN, The Birth of the Messiah, Doubleday, Garden City (NY) 1977, 256-285.330-392 [trad. it., La Nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadella, Assisi 1981, 339-381.496-531]; }OHN p_ MEIER, }ohn the Baptist in Matthew's Gospel, in }BL 99 (1 980) 383 -405; HELMUT MERKLEIN, Dte Umkehrpredigt bei}ohannes dem Tiiu/er und }esus von Nal/Jreth, in BZ 25 (1981) 29-46; PAUL W. HOLLENBACH, Social Aspects o/]ohn the Baptizer's Preaching Mission in the Context o/Palestinian ]u­ daism, in ANRW IV19.1 (1979) 850-875; IDEM, The Convemon of }esus: From Jesus the Baptizer lo ]esus the Healer, in ANRW IV25.1 ( 1982) 196-2 19; IDEM, ]ohn the Baptist, in The Anchor Bible Dti:­ tionary, 6 voll., Doubleday, New York 1992, 3, 887 -899; ETIENNE NoDET, }ésus et ]ean-Baptiste selon ]osèphe, in RB 92 ( 1985) 320-348.497-524; WENDY J. COTTER, The Parable o/ the Children in the Marketplace, in NovT 29 ( 1987) 289-304; IDEM, Children Sitting in the Agora. Q (Luke) 7:31-3.5, in Forum 5 (1989) 63-82; CARI. R KAZMIERSKI, The Stones ofAbraham: John the Bapllst and the End o/ Torah (Matt 3,7-10 par. Luke 3,7-9), in Bih 68 (1987) 22-39; R.P. MERENDINO, Testi anticolestamentari in Mc l, 2-8, in RivB 35 ( 1987) 3-25; EDMO NDO LUPlERI, Giovanni Battista nelle tradivoni sinottiche (Studi Biblici 82), Paideia, Brescia 1988; IDEM, Giovanni Battista fra storto e leggenda (Biblioteca di Cultura religiosa 53), Paideia, Brescia 1988; M. CLEARY, The Baptist o/History and Kerygma, in ITQ 54 ( 1988) 2 1 1 ·227; ROGER Aus, Water into Wine and the Beheading oflohn the Baptist (Brown J udaic Studies !50), Scholars, Adanta 1988; D.A. BLACK, The Text o/Mark 6.20, in NTS 34 ( 1988) 1 4 1 - 145; W.E. MooRE, Violence to the Kingdom: ]osephus and the Syrian Churches, in ExpTim 100 ( 1 989) 174177; WALTER WJNK, ]esus' Reply to ]olm. Matt J 1:2-6/Luke 7:18-23, in Forum 5 (1989) 121-128; JosEF f.RNST, }ohannes der Tiiufer. lnterpretdtion-Geschichte·Wirkungsgeschichte ( BZNW 53), de Gruyter, Berlin - New York 1989; KNUT BACKHAUS, Die '1iingerkreise des Tiiu/ers ]ohannes. Eine Stud•e zu den religionsgeschichtlichen Urspriingen des Christentums (Paderbomer Theologische Studien 19), Schoningh, Paderbom 1991; ROBERT L. WEBB, fohn the Baptizer and Prophet. A Socio-Historti:al Study QSNTSup 62), JSOT, Sheffield 1991; OTTo BETZ, Was }ohn the Baptist an Essene?, in Untfer.. standing the Dead Sea Scrolls, a cura di Hershel Shanks, Random House, New York 1992, 205-214. Per la panicolare questione del Battista in Flavio Giuseppe, si veda LoUIS H. FELDMAN, ]osephus and Modern Scholarship /937-1980, de Gruyter, Berlin - New York 1984, 673-679.957; lDEM, ]osephus. A Supplementary Btbliography, Garland, New York - London 1986, 620.675. ' Si vedano le osservazioni di E.P. SANDERS, Jesus and ]udaùm, Fonress, Philadelphia 1985, 91 [trad. it., Gesù e il GiudaiSmo, Marietti, Genova 1992].

Giovanni senza Gesù

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il Battista in Ant. 18,5,2 § 1 16-1 19', non richiede una lunga difesa della sua autenticità. n testo fondamentale è testimoniato in tutti i manoscritti

' Dato che quosi tutti gli studiosi contemporanei non tengono conto dei due possi che riguardano Giovanni nella cosiddetta versione paleoslava (in realtà paleorussa) della Guma Giudaica. perchò: che erano presenti nella tradizione a lui nota (questo ci avvicina alla posizione incongruente di un Marco che conosceva Q l. Con qualche titubanza, Emst attribuisce l'idea di un bauesimo con uno spirito salvifico e un fuoco punitivo al Bauista stesso, an­ che se ammette che una reinterpretazione cristiana può aver messo l'accento sullo spirito salvifico ·{ pp. 305-309). ]. KLOPPENBORG,

Formatiorz, cit., 106-177, rilmine inceno se la lezione originaria di Q

fosse: «spirito e fuoco�. o solo «fuoco».

� Lo afferma giustamente C. ScoBIE, ]ob"

the &ptist, cit., 67,.

Giova;,;,; sen1/J Gesù

73

Nel complesso, a prima vista, la funzione punitiva o distruttiva del fuo­ co sembra avere più senso, ma anch'essa ha le sue difficoltà. Quando Giovanni in Mt 3, 1la dice: «lo vi battezzo con acqua», egli si riferisce a un determinato genere di battesimo amministrato a un determinato grup­ po di persone («vi»= voi) che hanno accettato la proclamazione di Gio­ vanni e si sono sottomesse alle sue esigenze. Il senso punitivo del fuoco e­ sige che il più forte amministri in realtà due battesimi, uno salvifico e l'al­ tro distruttivo. Dobbiamo interpretare «con Spirito Santo e fuoco», pro­ prio nel senso: ((Con Spirito Santo o fuoco», poiché la congiunzione «e» (kàt/ ha in realtà questo valore disgiuntivo. Dopo tutto, non avrebbe sen­ so dire che nel giudizio finale lo stesso gruppo di gente poteva ricevere un 'battesimo' salvifico e distruttivo90• Con ciò, ci imbattiamo in un'altra difficoltà. Il più 'forte non solo deve amministrare di fatto due battesimi, ma, ovviamente, deve farlo per due gruppi differenti: per coloro che devono essere salvati e per coloro che devono essere puniti o distrutti91• Ora, però, i destinatari di queste due ri­ compense assai diverse nell'ultimo giorno sono proprio lo stesso gruppo di soggetti ((M») che, unici tra i giudei dell'epoca di Giovanni, hanno a­ scoltato attentamente la sua voce e si sono sottoposti al suo battesimo ((do vi battezzo con acqua»). Evincere una distinzione tra i ((voi» che so­ no pronti a pentirsi ed i «VVi» che non lo sono è gratuito e fa violenza al testo92• Forse Giovanni vuoi dire che persino alcuni di coloro che accol­ gono il suo messaggio e il suo battesimo saranno distrutti nell'ultimo giorno? In tal caso, i candidati al suo battesimo potevano chiedersi se va­ leva la pena riceverlo, quando fra i battezzati alcuni si sarebbero salvati, mentre altri sarebbero periti. Un eventuale criterio morale che si può suggerire è l'idea che �lcuni dei battezzati avrebbero prodotto il ((frutto di conversione» (Mt 3 ,8), mentre altri no; ancora una volta, però, si tratta

"'La difficoltà non si elimina asserendo che il fuoco è salvifico o distruttivo, a seconda della perso­

na sulla quale è riversato. Presumibilmente lo Spirito viene inteso in un senso positivo, salvifico, pu­ rificatore e vivificante. Qual è, dunque, il senso dell'intera affermazione qualora la si interpreti cosl: «Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo salvifìco e con il fuoco salvifìco-o-distruttivo»? Questo per­ mette di capire perché alcuni che riflettono su questa interpretazione finiscono poi con l'espungere •Spirito Sant� mantenendo soltanto «fuoco». Per le mie obiezioni a questa soluzione radicale, si ve­ da più avanti. " Questo è l'approccio, per es., di C. SCOBIE, fohn the Baptist, cit., 73: «Sui malvagi, colui che vie­ ne riverserà un fiume di fuoco per punirli e distruggerli, ma sul popolo di Dio colui che viene river­ serà lo spirito di Dio . . . ». Similmente;]. GN!LKA, Jerus vnn Nazaret, cit., 81 [trad. it., 57]. " È eloquente il fatto che ]. ERNST, Johannes der Tiiu/er, cit., 54, debba ricorrere a questo approc­ cio arbitrario per trovare un senso nel testo.

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Mentore

di una distinzione del tutto gratuita, non presente nel testo di Q.,, Se se­ guiamo il detto Q sino alla sua conclusione logica, restiamo con Giovanni che afferma, senza nessuna spiegazione, che tra i giudei che egli battezza alcuni saranno salvati nell'ultimo giorno, mentre altri subiranno la stessa sorte di coloro che non sono stati mai battezzati. C'è da dire che, per Giovanni, è un modo strano di promuovere il suo battesimo. A mio parere, il motivo per cui queste spiegazioni dell'espressione: «e fuoco» in Mt 3 , 1 1 e par. sono così numerose e insoddisfacenti risiede nel fatto che queste due parole sono un'aggiunta a un detto che aveva perfet­ tamente senso senza di esse94• La forma di Marco non solo gode della molteplice attestazione, ma fornisce anche un'antitesi semplice ed equili­ brata, al contrario di un'antitesi squilibrata che porta soltanto acqua al mulino di spiegazioni svariate ed intricate. Sorprendentemente, alcuni che concordano nel rifiutare come origina­ ria l'espressione: ((Spirito Santo e fuoco», di Q hanno tentato un'altra so­ luzione più radicale: per costoro, nessuna delle forme attuali del detto sui due battesimi - né Marco, né Q, né Atti, né Giovanni - conserva le paro­ le originali. Per uno strano processo di sottrazione, si pensa che la formu­ lazione originaria doveva essere: ((ffia egli vi battezzerà con fuoco»". Un " È naturale per i lettori cristiani proiettare nd testo il messaggio della parabola dd grano e della dell e vergini sagge e stolte, ma questo, di fatto, è un proiettare un tema e· vangelico cristiano (e fortemente maneano) in un testo che è notevolmente privo di modalità di pen­ siero specificamente cristiane. � In favore della più lunga tradizione Q del loghion si potrebbe invocare un principio di critica te· stuale: lectio di/liàlior potior (la lezione più difficile è la migliore, dato che i copisti tendevano a n­ scrivere un testo difficile per renderlo più com prensibile) . Tuttavia, come qualsiasi regola empirica, e ancor più in critica testuale, da sola ha i suoi limiti. La lezione più difficile può fare una certa luce sul senso in un dato contesto. La mia opinione è che questo non è il caso deUa versione Q del deno sui due battesimi . " Forse il sostenitore più famoso di questa tesi è M. DIBELIUS, Die urchristliche Oberlie/erung, cit., ,0.,6. I s uoi argomenti. però, sono deboli. Egli fa appello all'episodio dei discepoli del Battista in Al 19,1-7, senza tener conto che si tratta di un prodotto della teologia redazionale di Luca, il quale vuo· le promuovere l'idea irenica che i discepoli di Giovanni sono già dei semi cristiani che hanno bisogno soltanto di un'istruzione ulteriore. Prendere troppo alla l et tera la loro dichiarazione di non aver mai sentito parlare di uno Spirito Santo, significa che essi non avevano mai avuto notizia dello «spirito di santità» di cui si parla nell'Antico Testamento e che affiora successivamente nella leueratura interte­ stamentario e nei testi di Qumran; questo è difficilmente plausibile. Ciò che Luca vuoi dire nel suo racconto è che questi sinceri seguaci di Giovanni non si erano resi conto che lo Spirito Santo era ora presente e veniva conferito nella chiesa cristiana. Una volta scopena la verità, essi naturalmente di­ ventano membri della chiesa. Dedurre da questo frammento di propaganda lucana che il Battista sro­ rico, diversamente dai profeti dell'Antico Testamento o dai vicini di Qumran, non parlò mai dello Spirito è completamente illegittimo. Dibelius sembra impegnato a fare del Battista un predicatore quasi esclusivamente di giudizio e di dannazione. Si veda la critica a Dibelius in ]. ERNST, ]ohanner der Tiiu/er, cit., 306-307. zizzania, o della parabola

GiòvtJnni senztJ Gesù

argomento a favore di questa forma è che essa propone un'antitesi ancor più equilibrata, un solo termine, «acqua)), in contrasto con Wl solo termi­ ne, che è il suo naturale antonimo, >. Giovan­ ni sa che la fine è vicina, conosce i requisiti per sfuggire alla distruzione: questo è tutto. Nella misura in cui, in una situazione di crisi percepita, u­ na personalità vigorosa e travolgente rivendica una conoscenza diretta ed intuitiva della volontà di Dio e dei suoi piani - conoscenza non mediata dai tradizionali canali della legge, del tempio, del sacerdozio o di una eru­ dizione scribale - ed è in grado di attirare a sé e al proprio messaggio un gran numero di gente, si può aggiungere l'etichetta di 'carismatico' a quella di 'escatologico', per integrare il ritratto di questo profeta. La maggior parte del messaggio di Giovanni potrebbe dare l'impressione che egli veda se stesso, alla stregua di Elia, come il diretto precursore di Dio. Tuttavia, Giovanni passa a descrivere un arcano personaggio ((più forte>> che deve ancora venire, di cui egli non è degno di slegare il legac­ cio del sandalo; costui è più forte perché il suo battesimo con lo Spirito

Sirltéi dimostri éne ·il battesimo · di Giovanni· 'è soltanto una préfigurazio­ ne simbolica di ciò che compirà appunto il più forte: la grande effusione dello spirito di Dio sul vero Israele, come avevano promesso i profeti in riferimento agli ultimi giorni. Non è chiaro se colui che è più forte sia Dio, Michele, Melchisedek, «uno simile a figlio d'uomo», Elia, Mosè, un profeta simile a costoro, un messia regale, un messia sacerdotale, o un profeta escatologico. Non è chiaro nemmeno per noi, forse perché non lo era a Giovanni. Ora, però, anche in questo barlume di speranza e di pro­ messa è implicito un ammonimento. Lo spirito verrà riversato nel futuro soltanto su quegli israeliti pentiti, sui quali Giovanni versa ora la sua ac­ qua; la sorte di tutti gli altri sarà soltanto il fuoco.

B. LA TRADIZIONE L SULLE DIRETTIVE MORAU DI GIOVANNI Prima di considerare la tradizione marciana, è doveroso dare uno sguardo a Le 3,10-14, che l'evangelista inserisce tra due 'blocchi' di mate­ riale Q (Le 3,7-9. 15-18) che abbiamo appena esaminato. n tono, il telrul centrale e il vocabolario di questa inserzione sono notevolmente differen­ ti da ciò che precede e segue immediatamente. Folle, soldati, esattori di imposte si recano da Giovanni, chiedendo quali gesti concreti debbano compiere, senza dubbio come nel v.

l . BasandOmi sulla forte attestazione tesruale, sullo strutrura interna dell'intero vangelo e sul suo IM· luppo del 'segreto del Figlio' rivdato agli esseri umani solo in 1 5 ,39 (il centurione presso la croce), ri­ tengo probabile che l'autore faccia entrare il suo uditorio in questo segreto, svelandolo, fin dal primo versetto. Per quanto riguarda i problemi principali della teologia marciana nella sua globalità, un campione rappresentativo di opinioni e di metodi si può trovare nei libri seguenti: WilLIAM WREDE, DrJs Mes­

siasgeheimnis in den Evangelien, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1%9' (1901); ]AMES N. Ro­ The Prob/em ofHistory in Mark (SBT 21 ) , Allenson, Naperville (IL) 1957; W!LLI MARXSEN, Der Evangeliu Markus (FRLANT 67), Vandenhoeck & Ruprecht. Gottingen 1959; ULRICH W. MAU· SER, Christ in the Wildemm (SBT 39), Allenson, Naperville (IL) 1%3; ERNEST BEST, The Temptati� and the Passion: The Markan Soteriology (SNTSMS 2), Cambridge University, Cambridge 1%5; J{u. DOLF PEsCH, Naherwartungen. Tradition und Redoktion in Markus l J, Patmos, Dlisseldorf 1968; QUENTIN QUESNELL, The Wnd of Mark (AnBib 38), Biblica! lnstitute, Rome .1%9; KAiu. GEOR RE­ PLOH, Markus - Lehrer der Gemeinde (SBM 9), KBW, Stuttgan 1969; THEOOORE ]. WEEDEN, Mark. Traditions tn Conf/ict, Fortress, Philadelphia 1 97 1 ; ALOYSJUS M. AMBROZIC. The Hidden Kingdom (CBQMS 2), CBA, Washington D.C. 1972; MADELEINE BoucHER, .The Mysteriow Parable. A Lite­ rary Study (CBQMS 6), CBA, Washington D.C. 1977; HOWARD CLARK KEE, Community of New Age, Mercer University, Macon (GA) 1977; DAVID RHoADS - DoNALO MICHTE, Mark as Story. An lntro­ duction to the Narrative of a Gospel, Fortress, Philadelphia 1982; ERNEST BEST, Mark. J'he Gospel as Story, Clark, Edinburgh 1983; IDEM, Disciples and Di.rcip/eship, Clark, Edinburgh 1986; )ACK DEAN KINGSBURY, The Chrirtology of Mark's Gospel, Fortress, Philadelphia 1983; 0-IRJSTOPHER TUCKETI (ed.), J'he Messianù: Secret (issues in Religion and Theology 1 ) , Fortress - SPCK, Philadelphia . Lon­ don 1983; VERNON K. RoBBINS, ]esus tbe Teacber, Fortress, Philadelphia 1984; MARTIN HENGEL, Stu­ dies tn tbe Gospel of Mark, Fortress, Philadelphia 1985; ELIZABETH STRUTHERS MALBON, Narrative Space and Mythic Meamng in Mark, Harper & Row, San Francisco 1986; FRANK MATEM, Whal Are BINSON ,

Giovanni senza Gesù

santi enigmi, per focalizzarmi •soltanto su ciò che viene detto del Battista e, più in particolare, su ciò che potrebbe essere tradizione storica. Di conseguenza, la teologia redazionale propria di Marco; al tempo stesso affascinante ed elusiva, non sarà trattata in questa sede. Pertanto, tralascerò la prima sottosezione di l ,1-8, ossia la frase d'esor­ dio e la profezia (vv. 1-3), come interpretazione cristiana, anche se dovre' mo sempre tenere sott'occhio sino a che punto può aver influenzato, se non addirittura creato, la narrazione che segue. La terza sottosezione, un sommario della profezia di Giovanni sul più forte e sul suo battesimo con lo spirito (vv. 7 -8), è già stata esaminata in­ sieme al materiale parallelo di Q in Mt 3 , 1 1-12 e par. Resta dunque da af­ frontare l'analisi della seconda sottosezione· (vv. 4-6), la narrazione che presenta le circostanze esterne del ministero di Giovanni (il luogo della sua attività, la natura del suo battesimo, la reazione della gente, il suo ve• stito e il tipo di alimentazione). Questa sottosezione centrale ci dà l'op-

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tionsmethaper 'Evangelium ]esu Christr; der Sohnes Gottes' Mk 1 . 1 . lhre theologische und lite.arische Aufgobe in der ]esu., «perizoma», e questo sem­ bra essere il significato accettato da NAB, NEB, e RSV («cintola» o «grembiule»)u'. Il massimo che possiamo dire è che Marco o la sua tradi­ zione possono forse aver volutamente riecheggiato l'espressione di 2 Rt 1 ,8 dei LXX, nel descrivere Giovanni con una cintura di cuoio'". La cer­ tezza di tale riferimento in qualche modo s'indebolisce se consideriamo che portare una cintura di cuoio (invece di un perizoma di cuoio) proba­ bilmente non era del tutto inusuale nel mondo antico. Pertanto, quel che ci resta è un ritratto scisso: Giovanni vestito di peli di cammello non ha nessun riferimento tipologico a Elia; la sua cintura di cuoio può implicare un tale riferimento, ma non necessariamente. Dato che il vestito di peli di cammello manca di una solida tipologia nell'Antico Testamento, forse il mantello di Giovanni non designa altro che quel genere di ampia cappa che i nomadi del deserto (per es., i be­ duini) indossano per proteggersi dalla calura durante il giorno e dal fred­ do durante la notte. Per i nomadi del deserto, i peli di cammello erano naturalmente il materiale più facilmente disponibile - specialmente quan­ do lo si poteva ottenere senza dover uccidere un animale così prezioso È perciò lecito, perlomeno, interpretare i peli di cammello in Mc l ,6 non come un segno della tipologia di Elia e neppure come il tipico modo di vestire di un profeta, ma semplicemente come un riflesso del normale ab­ bigliamento dei nomadi del deserto"'. La cintura di cuoio potrebbe esse­ re un esempio della tipologia di Elia, •ma il parallelismo è così tenue (e so­ lo grazie ai LXX), che una decisione categorica è impossibile. Se il vestito di Giovanni rinvia a qualcos'altro di diverso dalla vita di un nomade del deserto, forse il suo intento è quello di mettere in rilievo la vita asceticaiJ6 -.

"' MARCUS )ASTROW, A Dù:honory o/ the Targumin, the Talmud Bob/i ond Ym�sholmi, ond the Mi­ droshic Literature, Pardes, New York 1950, prima edizione 1903, 37 s.v., accetta sia «cinturll» che «cintola)ll) come significati della parola nell'ebraico rabbinico. '" C'è sicuramente una stretta corrispondenza tra :onen dermatinèn pene:iirménm t!n orphjn autu dei LXX e xtmen dermatinen perì tin orphjn oulu di Marco. '" Così C. KRAEUNG, fohn lhe Boptist, cit., 14-15; similmènte, J. GNn.KA, }esus von N�lllrel, cit., 83 [uad ir., l 07]. ll6 L'uso del rermine 'asceta' spesso evoca rinunce appassionate, ma solo perché i commentatori ca­ ricano la parola 'asceta' di un bagaglio ideologico che essa non compona necessa riamente. Il senso di ogni esigenza 'ascetica è «pratica re un rigoroso autorinnegamento» o «essere di cost umi austeri,... In .

'

questo senso Giovanni era sicuramente

un asceta.

Che l'ascetismo derivi necessariamente da una

concezione gnosrica del mondo o del corpo come malva!(i non è affano vero. J. BECKER, johannes der

Tiiu/er, cit. , 26, suggerisce che l'ascetismo di Giovanni era una sorta di «dimostrazione escatologica». una religione umane, in vista del giudi-

Era un esodo, un uscire fuori dallo status quo di una vita e di

%

Mentore

che Giovanni aveva scelto, un motivo che riecheggia anche in Q (Mt 1 1,8 e par.) . .n nutrimento di Giovanni, a base di locuste e di miele selvatico, ha scatenato una ridda di congetture ancor più ampia di quella sul suo vesti­ to. Otto Bocher paragona Giovanni a vari asceti di matrice filosofica e re­ ligiosa del mondo antico, tra cui neopitagorici, neoplatonici (che sareb­ bero sorti solo secoli dopo), vegetariani, maghi, mistici, e ricercatori di o­ racoli'". Tutti costoro, afferma Bocher, in un modo o nell'altro, praticava­ no l'astinenza dalla carne e dal vino, così come dall'attività sessuale, per proteggersi dalla contaminazione di poteri demoniaci. Bocher cerca di sostenere questa teoria nel caso del Battista, suggerendo che, quando Q dipinge un Giovanni che «non mangia pane e non beve vino» ( Le 7,33; cfr. Mt 1 1 , 18), il termine greco per pane (drton) è in realtà una traduzione erronea dell'ebraico le/;lem, che può significare anche 'carne' . . Questa teoria, però, cozza contro varie difficoltà. Primo, occorre sem. pre diffidare di una soluzione per la quale il testo greco rappresenta un o� riginale aramaico, quando il greco ha perfettamente senso. Secondo, l'ar, gomento verte sulla parola 'pane', la quale ricorre soltanto nella forma lu­ cana del detto Q; ora è controverso se 'pane' figurasse originariamente nel loghion, come lo stesso Bocher ammette. Terzo, un confronto di Gio­ vanni con i rigidi vegetariani del mondo antico in realtà è illegittimo, dato che le locuste appartengono al mondo animale, non vegetale. Infine, non c'è nessun indizio nei testi del Nuovo Testamento di un Giovanni preoec­ cupato di evitare demoni. A differenza di Gesù, noo si dice mai che egli parli di loro o che compia esorcismi. Ugualmente contestabile è l'interpretazione che, partendo dall'alimen­ tazione di Giovanni, lo associa ai 'nazirei', quegli uomini dell'Antico Te­ stamento che si consacravano a Dio in modo esclusivo (si veda Nm 6,1 2 1 ) . L'unico punto di contatto possibile tra Giovanni e i nazirei è l'asten­ sione dal vino. Questa astensione potrebbe essere usata come argomento in favore del nazireato di Giovanni, se si potessero considerare come sto­ riche le parole dell'angelo Gabriele, quando appare a Zaccaria in Le 1,15: «egli [Giovanni] non berrà vino, né bevande inebrianti». A parte i l pro­ blema di assumere le parole di un angelo come dato storico, Raymond E.

zio imminente. Questa spiegazione ha il ,yantaggio di essere coerente con il contesto ambientale del

4eserto nd quale Giovanni svolge il suo ministero. Becker ha del tuno ragione nel rifiutarsi di vedere una preoccupazione· sacerdotale di purità rituale nell'ascetismo di Giovann i. Per Wl punto di vista differente, si veda W. FARMER. }ohn the Baptist, cit., 960-96 1. "' O. BùcHER, An ]ohaN��es Jer 1'iiu/er kein Brotì, cit., 91.

Gi011anni renlll Gesù

Brown ritiene che Luca dipinga in modo del tutto intenzionale Giovanni alla stessa stregua di Sansone e di Samuele, due personaggi dell'Antico Testamento privilegiati con racconti di annunci di nascita che insistono sul tema dell'astinenza da bevande alcoliche'"· In ogni caso, ai nazirei non erano proibiti né pane, né carne e, nella descrizione di Giovan­ ni, niente si dice di una sua astensione dal taglio della capigliatura, forse il segno più vistoso di un nazireo (cfr. le regole del nazireato in Nm 6,5.9.19)1)9. 1noltre, nei vangeli non v'è nessun indizio che Giovanni repu­ tasse il suo status speciale come uno status temporaneo, occasionato da un voto che poteva essere sciolto con un'offerta nel tempio di Gerusa­ lemme. Ora, però, è questa la forma del nazireato (originariamente meno istituzionalizzato e probabilmente vissuto per tutta la vita) che trova la sua formulazione legale in Nm 6. Questa istituzionalizzazione legale del nazireato sembra estranea al carattere carismatico ed escatologico della vocazione profetica di Giovanni. La menzione dell'uso di miele presso gli esseni e di locuste presso i re­ sidenti di Qumran sollecita naturalmente gli esegeti a costruire collega­ menti ipotetici tra Giovanni e Qumran"0• Si potrebbe persino fare appel"' R BROWN, Birth o/ Merswh, cit., 273-274 [trad. it., 362-363] (riferendosi a Gdc 13,4-5 e l Sam 1,9-15). Brown osserva: «Ricorrendo a codesto linguaggio stereotipato, Luca rraccia un ritratto di Giovanni il Battista, tradizionalmmR un asceta, come un nazireo fin d.Ua sua infanzia . ..... Se l' Anti­ co Testamento considerasse o no Somude un nazir= non è del tutto chiaro. Nel TM di l Sam 1 , 1 1+22, la madre di Samuele promette solo che il suo futuro figlio, che ella consacra a YHWH per un servizio perpetuo nel suo santuario, non userà mai un rasoio sui suoi capelli . Tuttavia, sia i LXX B ed un testo di Samuele di Qumran (4QSamA) hanno pamle aggiunte in questi due versetti che ren­ dono Samuele un nazireo, ed alcuni sostengono che i LXX e 4QSam qui rappresentano la lezione o­ riginaria. Per una argomentazione nei dettagli, rinviamo a P. KYLE M cCARTER ]R., I Samuel (AB 8), Doubleday, Garden City (NY) 1980, 53-54.56. Indicativo di quanto siano difficili e delicate tali deci­ sioni di critica tesmale è iJ fatto che lo stesso McCarter opta per la tesi che ntidr (> di A­ bramo26. Da questa possibile allusione, diversi esegeti hanno tratto ulte­ riori conclusioni su un riferimento al sacrificio di Isacco in Gen 22 (l "•qedat yi$biiq rabbinica), inteso come preannuncio del sacrificio di Cri­ sto sulla croce, ma una tale allusione non è affatto certa". A prescindere da un tale riferimento a Isacco, un punto è chiaro: Gesù, non Giovanni, è il prediletto del Padre_ (4) Le parole finali della voce celeste, «in te mi sono compiaciuto», provengono da Is 42, 1 : , in «si ricordarono.>, facendo chiaramente di lsraeJe il soggetto del verbo. Il mio problema, qui, non è la grammatica e la sintassi esatta del versetto, bensì la costellazione di temi evocativi. specialmente nel contesto più ampio del testo di /r 63 nel suo insieme. CLAUS WESITRMANN, lraiah 40-66 (QTL), Westm inster. Philadelphia 1969, 389 [trad. it. cit., 463], nota che, secondo alcuni esegeti, il 'mare' (yam) rui si fa riferimento nel v. 11 non è il Mar Rosso, ma il fiume Nilo. Benché ciò fornisca una correlazione più stretta con la scena battesimale, questo signi­ ficato di yam sarebbe assai inusuale nell'ebraico biblico. Ancora, HEl.MER RINGREEN la considera una possibilità nella voce yam do lui curata in TDOT 6 ( 1990) 95.

14()

Mentore

allora il messaggio della teofania: il Figlio di Dio, il messia regale davidi­ co, è unto con lo spirito di Dio per essere il profeta definitivo ed il servo del Signore inviato ad un popolo peccatore. Su quegli israeliti che lo a­ scolteranno, egli riverserà questo spirito della fine dei tempi, proprio co­ me esso è stato riversato su lui. Ogni dettaglio in questa.ricca sintesi della profezia e del compimento dell'Antico Testamento rafforza un messaggio non così subliminale: la persona in cui tutte queste cose si avverano è ov­ viamente superiore a Giovanni Battista, anche se è Giovanni a conferire. iJ. battesimo che fornisce il contesto e il preludio per la teofania. N on (:a­ sualmente, questa primitiva composizione cristiana sottolinea che è la teofania, non il battesimo di Giovanni in sé, ciò che rivela la verità su Ge­ sù. In altre parole, come ha sostenuto con acribia Anton Vogtle, la teofa­ nia di Mc 1 , 1 0- 1 1 è una composizione cristiana che esprime la preminen· za della persona e della missione di Gesù di fronte al suo potenziale riva­ le Giovanni. Non è sorprendente che un esegeta arriVi persino a definire il genere letterario del racconto del battesimo di Gesù una «visione inter­ pretativa» (Deute- Visù:m)". Orbene, la teofania non rispecchia qualche e-. sperienza interiore di Gesù in quel momento'", bensì il desiderio che ave­ va la chiesa cristiana della prima generazione di definire Gesù sin dagli stessi primordi del racconto evangelico primitivo, soprattutto perché questa definizione era necessaria per controbattere l'impressione di una subordinazione di Gesù a Giovanni, implicita nella tradizione secondo cui il primo venne battezzato da quest'ultimo. In effetti, l'imbarazzo cri­ stiano dinanzi al /atto del battesimo di Gesù fu probabilmente il fattore. principale nella creazione del racconto di tale battesimo, completato con una teofania interpretativa. Un possibile Sitz. im Leben fu forse la rivalità tra i cristiani e i seguaci del Battista nel cercare di guadagnare adepti per i rispettivi gruppi. In qualunque caso, io penso che l'essenziale della que­ stione sia chiaro: ricorrere ad una interpretazione psicologica del raccon­ to del battesimo come via di accesso all'esperienza interiore di Gesù si­ gnifica ignorare le intuizioni e gli apporti fondamentali di quasi un secolo di studi di critica della tradizione, delle forme e della redazione. Sono pronto ad ammettere che non tutti sono d'accordo con questa af­ fermazione. A prescindere da obiezioni di fondamentalisti e conservatori " FluTZLEO LENTZEN·DEIS, Die Tou/e ]eru Mcb Je, Synopti«rn (Frankfuner Theologische Stu­ dien 4), Knecht, Frankfurt 1970, spec. 195-289. " Cosi giustamente MAlmN DIBELIUS, Die Formgescbicbte Jes Evongeliums, Mohr (Siebeck), Tii­ bingen 197 1', 273; cfr. R. BULTMANN, Gescbicbte, eit., 263.

f41 solitamente argomentate s u basi aprioristiche, alcuni esegeti potrebbero dissentire per ragioni più sofisticate. Per esempio, James D.G. Dunn sug­ gerisce, a titolo di prova, che la teofania potrebbe offrirei qualche chiave d'accesso all'esperienza personale di Gesù nel suo battesimo. Dunn fa notare che i due concetti chiave che regolarono la predicazione e la prassi di Gesù in tutto il suo ministero furono la premura amorosa di Dio come Padre e l'impressionante potenza dello Spirito manifestate nell'opera di Gesù. Queste realtà gemelle, che Gesù, a quanto pare, sperimentò nel profondo del suo essere, sono in perfetta correlazione con la discesa dello Spirito e con la voce celeste («Tu sei mio figlio») dopo il battesimo di Ge· sù. Perciò, Dunn solleva prudentemente la domanda: che , che, naturalmente, si riferisce ad una schiera più ampia delle due figure solitarie di Giovanni e Gesù. Dal­ l'altro lato, Joseph Fitzmyer fa notare che «tutti>> manca nel testo paralle­ lo matteano e così «tutti» può essere un'aggiunta di Luca, un'aggiunta che spesso egli apporta alle sue fonti"'. Se fosse così, la forma originaria Q del detto avrebbe parlato semplicemente della sapienza cui viene resa giustizia ((dai suoi figli>>, e il riferimento a Giovanni e Gesù sarebbe stato perfettamente corrispondente. Certo, tutto questo è fortemente congettu­ rale. Se, al contrario, «tutti>> avesse fatto parte della forma originaria del detto, un accenno a due persone soltanto sarebbe stato artificioso. Inve­ ce, tutti i figli della sapienza probabilmente si riferisce a tutti i figli d'I­ sraele che si dimostrano autentici figli della sapienza accogliendo i suoi e­ missari. Qui, di nuovo, anche se solo implicitamente, Giovanni e Gesù sono abbinati come i due profeti della sapienza, ma il detto si focalizza piuttosto su tutti coloro che li ascoltano172• '" Nel nostro testo greco attuale, l'inclusione rimane la stessa nel senso, non nella fraseologia, dato che Le 7.32 legge paidioir, mentre 7.35 legge tékniin, ma se tutti questi detti si trovavano originaria· mente in aramaico, le porole usate (per es., ll'frayti') avrebbero potuto essere le stesse in enuambi i pass1. ,-, ]. fllZMYER, The Gospel According lo Luke, ciL, l, 681. Su un piano squisitamente statistico. Luca usa l'aggettivo ptir («tutto») più spesso di ogni altro autore nel Nuovo Testamento; egli ha una «predilezione �enerica» per l'aggettivo (rbrd. , 524). L"unico che si awicina di più a questa predilezio­ ne di Luca è Matteo. Pertanto, la mancanza dell'aggettivo «tutte» oel parallelo matteano di 11,19 (dove sarebbe rientrato splendidamente) potrebbe essere vista come argomento a sostegno di pantiin come redazione lucana di Q in 7,35. Tuttavia, i pochi manoscritti lucani che omeuono pdntOn, non incidono sull'argomento; praticamente rutti i commentatori respingono questa lezione più breve co· me secondaria. Secondo J. KwPPENBORG, Formation, cit., I l i , téknon si riferisce a Giovanni e Gesù. 172 Questo porrebbe essere tranquillamente il senso dd versetto nella sua redazione lucana, dato che Luca inserisce prima di tutta questa sortounità una tradizione separata, nella quale si dice che, dopo l'elogio di Gesù al Battista, «tutto il popolo che lo ha ascoltato ed anche i pubblicani, hanno ri­ conosciuto la giustizia di Dio» Uen., hanno «giustificato Dim>, usando edikàroran, lo stesso verbo che ricorre in Le 7 ,35]. Su runo questo si veda P. HoFFMANN, Studien, cit., 228-230; S. SCHULZ, Q. Die

228 Con questa svariata possibilità di interpreta-zioni e senza nessun chiaro mezzo per scegliere, si deve ammettere che Le 7,35 e par. rimane un enig­ ma. Forse è più prudente non far dipendere la nostra analisi della silloge sul Battista dall'autenticità di Le 7,35 e par. e dalla sua connessione origi­ naria con il resto di Le 7,3 1 -34 e par. Fitzmyer forse ha ragione nel dire che Le 7 ,35 non faceva ancora parte di questa unità (7 ,3 1 -34 e par.) nella fase più antica della tradizione. Più di un commentatore ha notato l'im­ prowisa comparsa del termine «sapienza» in Le 7,35, senza nessuna pre­ parazione ad esso nel contesto immediato della parabola dei ragazzi o della sua applicazione. Proprio la difficoltà che gli esegeti incontrano nel cercare qualche senso di 7,3 5 può rispecchiare il fatto che esso venne u­ nito alla parabola e alla sua applicazione solo in una tappa successiva. Questa unione forse avvenne durante la formazione di Q, quando 7,35 fu attratto nel resto dell'unità dalla parola gancio «figli»m . In effetti, può es­ servi un indizio che la tradizione originariamente terminava con il para­ gone antitesi tra Giovanni e Gesù in Le 7,3 3 -34 (= Mt 1 1 , 1 8- 19). Mentre i due detti su Giovanni e Gesù sono accuratamente costruiti secondo il pa­ rallelismo antitetico, l'accusa contro Gesù (introdotta da: «voi dite») è due volte più lunga di quella contro il Battista. La più lunga descrizione negativa di Gesù, che rompe il parallelismo con una frase ridondante («a• mico dei pubblicani e dei peccatori»), è forse un segnale che la pericope ha raggiunto la sua conclusione'". Siamo giunti al termine del nostro studio delle tre unità principali (Mt 1 1 ,2-6.7 - 1 1 . 16-19 e parr.) che costituiscono la seconda silloge sul Battista

Spruchquelle der Evangelisten, citc, 386. W W!NK, fohn the Baptist, cit., 22, preferisce l'idea che i ra· gazzi sono i poveri e i peccatori, che affluivano a Giovanni e a Gesù. Questa interpretazione non sor­

ge dal loghion e neppure dal contesto immediato di Q, bensì dalla ricostruzione che Wink fa del mi· nistero di Giovanni e dal suo rappono con quello di Gesù. Si resta perplessi dinanzi a questo auto· matico - e discutibl1e - abbinamenm di poveri e peccatori, una combinazione che E.P. Sanden ha criticato. A livello della teologia di Q, J. Kl.OPPENBORG,

Formallon, cit. 1 12 , vede «la fusione dd ben ,

noto motivo sapienziale della Sofia come predicatrice di conversione (Pr 1,20-33; 8,1-21) e come co­ lei che inabita i profeti (Sap 7 ,27) con lo schema teologico della concezione deuteronomistica della storia d'Israele».

'" ]. FITZMYER, The Gospel According to Luke, cit., l , 677-679. E. ARENS, The elthon-Sayings, cit., 22 9 pensa che l'uso di sophia per significare Dio come l'outore del piano di salvezza è «estraneo allo prospettiva dei w. 18-19b�>. Per questo suggerisce che (da frase sulla sophia era originariamente senza rapporto con l'attuale contesto••· '" E. ARENS, The elthon·Sayings, cit. , 228, non coglie l'essenziale quando, dinanzi alla maggiore lunghezza della descrizione negativa di Gesù, decide che >'". Di fatto, Matteo inverte il 'canone' dd­ l' Antico Testamento, con la To�à che viene interpretata profeticamente e alla luce dei profeti dell'Antico Testamento. Per Matteo, i profeti del­ l' Antico Testamento sono 'il canone nel canone' (si noti il «tutti i» prima di «profeti>>), che rinviano al futuro, alla grande svolta della storia della salvezza, l'evento-Cristo, specialmente alla morte e risurrezione di Gesù. Persino la legge è assorbita in questa grande funzione profetica dell'Anti­ co Testamento. Perciò, quando Matteo deve trovare un verbo per questo loghion, opta per un verbo che non funge mai, nell'Antico Testamento e­ braico, nei LXX o nel Nuovo Testamento, da predicato della 'legge' (tora, n6mos), vale a dire il verbo «profetizzarono>> (eprophéteusan). Per Matteo, quel che è vero dei profeti è vero della Torà: la loro funzione principale era rinviare in avanti al suo compimento escatologico in Ge­ sù'"'. Senza dubbio, Matteo può essersi sentito particolarmente libero di inserire nel detto il suo verbo carico di connotazioni teologiche, se il det­ to era carente di un verbo. Sono incline a pensare, perciò, che il laconico loghion lucano, enigma-

'" Nei LXX �i veda il prologo del Siracide, anche se lo schema qui vigente è in realtò triportito in legge, profeti ed altri libri 0,2.8-10.23-25). Ad eccezione di Le 24,44 (dove «i salmi>> occupano il ter­ zo posto) il Nuovo Testamento conosce sohanto la divisione bipanita. Nel Nuovo Testamento, que­ sta divisione bipartita ricorre dieci volte: Mt 5,17; 7,12; 1 1 ,13 (ma con l'inversione dell'orJine usua­ le); 22,40; Le 16,16: Cv 1,45 (ma non perfettamente coordinato); At 13.15; 24,14; 28,23; Rm 3.21. Anche Luca ha tre volte «Mosè e i profeti» ( 16,29; 16,3 1 : 24,27). Simile a questo stile lucano di «Mo­ sè e i profeti» è l'uso riscontrato a Qumran, dove, peraltro, «Mosè» e «i profeti» possono comparire

in frasi diverse; si veda per es., 1QS 1 ,3 («come egli [Dio) ha ordinato tramite Mosè e tramite tuni i profeti suoi servi»); 8,15-16 («Questo è lo studio della legge, che egli ha ordinato tramite Mosè, che sia fatto secondo tuno ciò che è stato rivelato da epoca in epoca, e come i profeti hanno rivelato me­ diante il suo santo spirito»). "' I tentativi, fatti da pochi esegeti (per es., Au!Jv.NDER SAND, lhn Gesetz und die Propheten [Bi­ blische Untersuchungen 1 1), Pustet, Regensburg 1974, 179 n. 8) di difendere il testo di Maneo come la formulazione originaria di Q non riescono a giustificare adeguatamente questa netta differenza nell'uso, che concorda cosl bene con il vocabolario e la teologia di Matteo. ll testo matteano è la le­ zione più difficile (come sostiene Sanders in favore della sua primitività) solo se si guarda aU 'uso re­ golare dell'Antico Testamento e del Nuovo Testamento, ma non crea affatto difficoltà per la panico­ late mentalità teologica di Matteo. 110 Questa concisa affermazione sintetizza una delle principali tesi del mio libro Law ond History in

M4tthew'r Gorpel (AnBib 7 1 ), Biblica! lnstitute, Rome 1976; si vedano specialmente le pp. 85 89. È -

sorprendente che ]. ERNsT non colga questo punto essenziale e reputi la fraseologia di Matteo più

primitiva di quella di Luca (johannes der Tiiu/er, cit., 66). Egli è forse eccessivamente influenzato da­ gli argomenti di P. HOFFMANN. Studien, cit., 5 1 -60, che palesa una scarsa conoscenza dello stile reda­ zionale e della teologia di Matteo.

Cesù lbn e"seniP Giovanni ..

.

237 ..

,.

tico e simile ad un miiiil, sia quello che si trovava in Q: «La legge e i pro­ feti fino a Giovanni��- A mio avviso, questa affermazione concisa e lapida­ ria, che subito suscita la questione sul suo significato, poteva trovarsi na­ turalmente all'inizio di una unità, con qualche spiegazione o commento susseguente. Peraltro, come segnala Jacques Schlosser, le due parti del detto lucano ricalcano la sequenza naturale della storia della salvezza (prima la legge e i profeti, poi il Regno). Al contrario, è difficile afferrare il preciso filo logico di Mt 1 1 , 12+13. La frase «tutti i profeti e la legge, in­ fatti, ecc.» come fonda o spiega la precedente affermazione sulla violenza che il Regno dei cieli soffre'"'? Pertanto, può darsi che sia stato Luca a conservare la sequenza originaria, così come la formulazione originaria di 16,16a. Questo concorderebbe con l'osservazione generale che gli esegeti fanno: Luca sembra aver conservato la sequenza e la formulazione origi­ narie d i Q più spesso che non Matteo. Benché questa 'regola' generica non si riveli vera in· tutte le occasioni e debba essere sempre provata in o­ gni singolo caso, qui, però, sembra essere valida. La seconda metà del detto (Le 16, 16b = Mt 1 1 , 12) è più problematica, poiché gli indizi redazionali non sono così nitidi ed il significato di alcu­ ne parole chiave resta dubbio. Tanto per cominciare, il verbo lucano «Viene annunziato�� [che sottintende una buona notizia] (euanghelizetat) è uno dei preferiti di Luca, mentre il corrispondente verbo matteano («soffre violenza», bidzetai) ricorre solo qui in Matteo e, di fatto, non ri­ corre mai altrove nel Nuovo Testamento. A parte questo, anche se bidze­ tai non figura in questo punto del detto lucano, esso 'trapela' nella frase successiva, dove Matteo usa un altro verbo che denota violenza (> non va erroneamente letto nel sen­ so che Giovanni fu colui che diede inizio alla proclamazione del Regno. Per quanto ne sappiamo, non lo fu. Come abbiamo già visto, il contrasse­ gno che differenziò Gesù da Giovanni fu il regno di Dio, proclamato ai poveri, attuato in guarigioni ed altri miracoli e celebrato nel condividere la mensa con gente emarginata dal punto di vista religioso. Di conseguenza, come accade così sovente nei detti della seconda sillo­ ge sul Battista, Gesù resta celato dietro il suo discorso sul regno di Dio o le sue manifestazioni. È il Regno ad essere il centro focale del loghion. «ll regno di Dio», come verrà dimostrato nel cap. quattordicesimo, sfugge ad ogni facile definizione, dato che è un simbolo dalle molteplici sfaccet­ tature con un'ampia gamma di significati. Centrale in questo simbolo è l'idea di Dio che viene con potenza per giudicare e salvare il suo popolo peccatore, Israele, alla fine della sua storia. Inevitabilmente, però, questa immagine ne genera altre. Se la signoria potente di Dio è realmente eser­ citata e ha un effetto sulle persone mediante il ministero di Gesù, allora ciò che in sé è trascendente (il giudizio e il potere salvifico di Dio) diven­ ta immanente e tangibile nella vita degli individui, così come nell'esisten­ za collettiva di Israele come popolo. Con il suo irrompere nel mondo presente attraverso il ministero di Gesù, il Regno instaura un certo cam­ po di forza o ambito di esistenza umana dove si sperimenta concretamen­ te la sua potenza. Per questo si dice che una persona «entra nel Regno», «è nel Regno», oppure «vede>> il Regno. È in questo senso --' il Regno co­ me realtà sperimentabile nella vita e nella storia umana - che si può dire che il Regno «soffre violenza)), o che i violenti «se ne impadroniscono». A questo punto Le somiglianze notate sopm rendono probabile il fatto che si tmtti di due tmdizioni contenenti alcune idee comuni, anziché di due creazioni puramente redazionali rispettivamente di Matteo e di Luca. In quest'ultimo caso, le somiglianze implicherebbero rimarchevoli coincidenze. Nello stesso tempo, ambedue le tradizioni sono state pesantemente rielaborare dai due evangelisti, come dimostra il rispettivo vocabolario caratteristico. '" Uso appositamente la vaga espressione «dirigenti giudei» per inglobare gruppi disparati com («in­ Ant. 9,7,6 S 182). A mia conoscenza, i soli due Giuseppe dove si dice che una persona compie paradO:xa érga sono

fatti, egli compi opere stupefacenti e prodigiose». passi in rutte le opere di

Flavio

proprio le descrizioni di Eliseo e di Gesù. '� Ceno, sia in AaviaGiuseppe che nei vangeli (tranne Gv 10,41), questo è un argomento

tio.

e

rrlen­

ma è un ar�omento denrro il contesto più ampio in cui il silenzio fa presagire qualcosa. Nel

XVIII libro delle Antichità

Giudaich�. Flavio Giuseppe presenta due figure profetiche notevoli, Ge­

sù e GiO"Vanni. Benché la trattazione di Gesù sia più breve di quella di Giovanni, una delle prime af­ fermazioni di Flavio Giuseppe su Gesù

è che egli fu un operatore di fatti prodigiosi. Il fatto che Fla­

vio Giuseppe non dica mai qualcosa di simile nella sua più lunga presentazione di Giovanni ci per­

mette di arrivare alla leginima deduzione che i miracoli non erano qualcosa per cui Giovanni era ce­ lebre tra i suoi contemporanei giudei, specialmente dato che la stessa distinzione appare implicita­ mente nella maggioranza delle fonti evangeliche ed esplicitamente in Gv l 0,4 1 .

·Mentore

262

Giovanni aveva operato miracoli'", ma, dalla testimonianza combinata di tutte le fonti evangeliche e di quella di Flavio Giuseppe, sembrerebbe che i settari non abbiano attribuito al loro maestro i miracoli se non suc­ cessivamente, in una fase tardiva del I secolo per competere più efficace­ mente con la propaganda missionaria dei cristiani. Per !imitarci alle ri­ vendicazioni fatte: per quanto le fonti ci concedono di sapere, Gesù so­ steneva di compiere miracoli, o 'atti di potenza', o 'segni' ( tra cui guari­ gioni ed esorcismi), mentre Giovanni non fece mai niente di simile. Que­ sta assenza o presenza di rivendicazioni di miracoli può essere in qualche misura correlata con il fatto che Giovanni mette l'accento sul giudizio im­ minente, mentre Gesù mette l'accento sulla gioia del Regno già presente nel suo ministero.

"' Si

veda J. ERNST, ]ohannes der Tiiu/er, cit., 212. Sarebbe un errore sostenere una credenza nel

potere taumaturgico del Battista durante la vita di Gesù facendo appello all'osservazione della gente comune (o forse di Erode Antipa, se accettiamo la lezione variante nel testo greco), che introduce racconto di Marco dell'esecuzione del Battista (Mc 6,14): () lascia pensare che Giovanni sia già motto nel momento in cui Gesù pronuncia queste parole.

264 Il primo motivo è in sé evidente per chiunque legga 1a narrazione dt Marco: Gesù non viene mai menzionato nel racconto degli avvenimenti che sfociano nell'esecuzione di Giovanni (6,17-29). In realtà, il brano di Mc 6,17-29 è molto più un racconto su Erode Antipa e sulla sua famiglia, anziché sul Battista, e tantomeno riguarda Gesù. Di fatto, gli esegeti sono continuamente costretti a trovare un motivo per il quale questo racconto venne .inserito da Marco nel suo vangelo, Si possono suggerire poche de­ boli connessioni di carattere letterario o teologico'"". Tanto per comincia­ re, l'episodio della morte di Giovanni fornisce un interludio mentre i Do­ dici partono in missione e poi ritornano da Gesù (6,6- 13+30-3 1). Fatto più importante, il tema del rifiuto e dell'esecuzione del profeta martire Giovanni è collegato con il rifiuto del profeta Gesù a Nazaret (6, 1 -6) ed infine con lo stesso martirio di Gesù a Gerusalemme. In Mc 6,17-29 varie parole ed espressioni, oltre a certe idee dominanti, nell'intenzione dell'e­ vangelista probabilmente rinviano in avanti al racconto della passione"', ma questo vago nesso è la migliore spiegazione che si possa offrire per la presenza in Marco di un racconto relativamente lungo che non ha nessu­ na relazione diretta con Gesù. Pertanto, anche se ogni parola di 6,17-29 rispecchiasse esattamente avvenimenti storici, il testo non aggiunge nulla alla nostra conoscenza del Gesù storico. . Vi sono, comunque, indizì, che no·n è possibile considerare ogni parola nella narrazione di Marco come storicamente esatta. Non voglio con que­ sto negare l'esistenza di un nucleo storico nel racconto, dato che questo nucleo è confermato dalla concordanza basilare di Marco con la descri­ zione assai differente della morte di Giovanni narrata da Flavio Giusep­ pe. Questo nucleo, però, è esiguo: Giovanni fu arrestato e poi fatto giu-

•� W. ScHENK, Ge/angenscha/t, cit., 470-473, respinge le seguenti proposte ed opta per uno «sche­ ma di riabilitazione ufficiale del martire vendicato», che egli pretende Ji trovare nel passo redaziona­ le di Mc 6,14-16. Secondo Schenk, 6,16 presenta la confessione di un Antipa pieno di rimorsi, che ha approfittato dell'offena di conversione di Gesù (cfr. 6,12)! Un'esegesi così distano non merita nessu­

na confutazione.

"' ]. ERNST, ]ohannes der Tiiu/er,

cit., 28-29. Per un altro tentativo di considerare Mc 6,17-29

al­ DE LA POTITRIE, Mors ]oharmis Bopti­ stae (Mc 6, 1 7-29), in VD 44 (1966) 142 - 15 1 , spec. 149-151. Il grado esatto dell'intervento redaziona­ le marciano nell'episodio è ancora oggetto di dibattito tra gli esegeti. Non sorprendentement�. R PESCH, Markusevangelium, cit., l, 337 [trad. it., l, 526], sostiene che Marco, redattore conservatoR>; non ha effettuato nessWl cambiamento sostanziale nella tradizione che aveva ricevuto, mentre W. ScHENK, Ge/angenscha/t, cit., 468-470, ravvisa continui tratti di redazione marciana. Per Schenk nes­ l'interno di un contesto teologico più ampio, si veda IGNACE

sun testo coerente anteriore a Marco costruì il testo attuale con vari racconti sulla morte del Battista e con motivi favolistici. La maggior pane degli esegeti propende per qualche mescolanza di tradizio­ ne e redazione; si veda l. DE LA PoTIEIUE, Mors, cit., 14�-145.

Gesù con e senXJZ Giovanni

165

sriziare da Anripa'"'. C'è poi il fatto che, in ambedue i racconti, anche se

in modo differente, questo nucleo esiguo ha come sfondo o motivazione il ripudio della sua prima moglie da parte di Antipa e il suo matrimonio con Erodiade, che era stata precedentemente sposata con uno dei fratel­ lastri di Antipa. Al di là di questo scarno nucleo, le due presentazioni di Marco e di Flavio Giuseppe sono del tutto dissimili, benché non si con­ traddicano formalmente l'una con l'altra ed ognuna abbia valore. Nel considerare gli elementi che probabilmente non sono storici nel rac­ conto di Marco, un posto privilegiato va accordato alla sua imprecisa infor­ mazione che la seconda moglie di Antipa, Erodiade, era stata precedente­ mente sposata con un fratellastro di Antipa, Filippo. Questo è del tutto i­ nesatto, come sappiamo da Flavio Giuseppe, nelle sue Antichità Giudaiche (18,5,4 § 136)"'. In realtà, Erodiade, sorella di Erode Agrippa I e nipote di Erode il Grande, sposò prima un fratellastro di Antipa noto semplicemente come Erode (un figlio di Erode il Grande e di sua moglie Mariamme II; Antipa era il figlio di Erode il Grande e di una samaritana, Maltace). Erode (cioè il fratellastro di Antipa) ed Erodiade ebbero una figlia di nome Salo­ me; fu questa Salome che sposò un altro fratellastro di Antipa chiamato Fi­ lippo (un figlio di Erode il Grande e di sua moglie Cleopatra di Gerusa­ lemme). Per cercare di scagionare Marco da un madornale errore stoiico, i commentatori cristiani hanno tradizionalmente parlato di «Erode Filippo» (scagionamento mediante conflazione), ma un tale poltergeist erodiano non è mai esistito al di fuori della mente di esegeti conservatori'48• "' L'esiguità di questo nucleo porrebbe ll!ltlbrare sconcertante, ma non sono solo nel mio giudizio; si veda la conclusione attentamente ponderata di J. GNILKA, Martyrium, cit., 91. "' Si veda G. THEISSEN, Die Legende der Tiiu/err - eine Volkriiberlie/erung mit Nachbarrcha/trper­ spektive>, Lokalknlorit, cit., 85-102, spec. 92. Tuttavia, non condivido tutte le sue teorie sull'origine cronologico e geografico del racconto di Marco. "" Per i tentativi di salvare Marco, si veda ROBERT A. GUEUCH, Mark 1-8:26 (Word Biblica! Com­ mentary, 34Al. Word. DaUas 1989. H l ; H HOHNER, Herod Antipar. cit., 1 3 1 - 1 36. È sorprendente che Hoehner, uno studioso rispettabile, si impegni in una apologetica conservatrice e in una argo­ mentazione speciosa per evitare di ammettere che Marco ha fatto un errore. Parecchi dei suoi argo­ menti si basano su vaghe generalizzazioni e supposizioni gratuite (per es., che )'aurore del vangelo se­ condo Marco poteva aver conosciuto membri della eone di Antipa come Giovanna e Manaen). ll suo argomento basilare sembra �re quello dogmatico: l'evangelista non può aver fano uno sbaglio simile. Per citare Hohner: «Sembra incredibile che l'evangelista, il quale ebbe accesso a fonti attendi­ bili, possa aver commesso tanti errori storici così madornali» (p. 134). l:onore della scuola conserva­ trice è salvaguardato da V. TAYLOR, The Gospel Acrordrng lo St. Mark, cit., 3 12, il quale propende per la tesi che qui Marco ha commesso un errore. Non v'è nessuna prova che Erode, il figlio di Mariam­ me II. fosse anche noto come Filippo; argomenti del tipo 'poteva esserlo stato' difficilmente rendono probabile che egli lo sia stato. Tutta questa elucubrazione ni!n pu6 n..condere lo sua vera natura di tentativo disperato di armonizzare Marco e Flavio Giuseppe.

Mentore

266

Similmente, ritenere .che Flavio Giuseppe sia un po' inesatto o confuso sarebbe un presupposto gratuito fatto per salvare ad ogni costo l'esattez­ za di Marco249• Flavio Giuseppe dimostra una conoscenza molto più am­ pia della genealogia erodiana rispetto a Marco. Allorché si guarda allo sbalorditivo albero genealogico dei discendenti di Erode il Grande e dd­ le sue dieci mogli, si può comprendere la confusione di Marco; l a com· prensione, però, non dovrebbe mai indurre a 'coprire'. In realtà, forse Marco ha commesso più di un errore genealogico in questo racconto. Vi è una buona possibilità che il testo di Mc 6,22a debba essere letto: «En­ trata sua [di Antipa] figlia Erodiade, danzò . . ». Se questa è la lettura cor­ retta, allora Marco sta scrivendo con l'erronea idea che Antipa e sua mo­ glie Erodiade avevano una figlia chiamata anch'essa Erodiade"'. In qua­ lunque caso, il punto principale è chiaro semplicemente dal suo errore su Filippo: se Marco può sbagliare così sulle parentele fondamentali che so· no il motore guida della trama di questo racconto dell'esecuzione di Gio­ vanni, perché dovremmo credere come storicamente affidabile il resto del racconto? Altri aspetti del racconto di Marco non sono rassicuranti. Flavio Giu­ seppe ci fornisce il luogo preciso dell'esecuzione di Giovanni: la fortezza di Macheronte, a est del Mar Morto. Anche se Marco non specifica il luogo della grande festa di compleanno di Antipa che serve ad ambienta.

�· n grande specialista flaviano LoUJS H. FELDMAN, che è Wl modello di giudiziosa prudenza, arri·

Ani. 18,5,1 §109 in }osephus. ]ewish Antiquities. &oks XVIII-XIX (LCL), cit., 76 n.b. '"' n testo di Mc 6,22 stampato nella Ua5GNT' recita: ..ktli eiselthUies tis thygatròs autri Hero(i)diti­ dos kiii orchesaménes («dopo essere entrata ed aver danzato sua [di Antipa] figlia Erodiade»). B. METzGER, TextWJl Commentary, cit., 89-90, passa in rassegna la confusa situazione testuale e riferisce che, con riluttanza, la maggioranza della commissione ha deciso di riprodurre il testo offerto sopra. ma con una valutazione D (molto incerto). In realtà, però, non sarei così pessimista. n testo riprodot­ to gode dell'attestazione del Sinaitico, del Vaticano, e del Beza. A differenza di alcuni dei tentativi di emendazione in altri manoscritti, il greco offerto sopra ha perfettamente senso, salvo che il lettore va alla conclusione che qui Marco si sta sbagliando; si veda il suo commento ad

non conosca la situazione storica da Flavio Giu�ppe! Non è il testo greco del Sinaitico, dd Vaticano e dd Beza a creare problema, ma le notizie storiche e i presupposti dogmatici che copisti cristiani (an­ tichi e moderni) riversano od testo. Se il testo sopraccitato era quello originasio,

è perfettamente chia­

ro perché scribi cristiani posteriori potevano averlo alterato onde evitare un errore da pane di Marco.

Se una delle altre lezioni (che identifica nella ragazza che danza la figlia di Erodiade) era originaria, è arduo capire perché gli scribi cristiani si sarebbero presi la briga di cambiare il resto per introdurre un errore storico. Perciò, se si misura

il testo sopraccitato con le fondamentali regole della critica te­ lectio dt//icilior è la mi­

stuale (va preferita la lezione attestata nei migliori e più antichi manoscritti, la

gliore, va preferita la lezione che spiega la nascita di altre lezioni), esso va giudicato come quello origi­ nario, con l'inevitabile giudizio che Marco ha commesso un altro errore storico. Su questo si veda E.

THEISSEN, DieLegende des Tiiu/ers, cit., 94; così pure W ScHENK, Ge/angenschaft, cit., 467-468.

Gesù còn e senza Giovanni

267

re l'esecuzione di Giovanni, è naturale dedurre dal contesto galilaico di quasi tutto il ministero pubblico di Gesù che la scena fatidica è ambien• tata in Galilea, forse presso il nuovo palazzo di Antipa, a Tiberiade. Que­ sta impressione generale risulta rafforzata da un concreto dettaglio della scena che Marco dipinge: gli invitati di Antipa erano «i grandi della sua eone, gli ufficiali e i notabili della Galilea». Si noti: i notabili della Gali­ lea, non della Perea, l'altra parte della tetrarchia di Erode, dove era ubi­ cata MacheronteV'. Sembra dunque probabile che Marco intenda situare l'imprigionamento e l'esecuzione di Giovanni in Galilea (quindi vicino geograficamente e teologicamente a Gesù). Non v'è motivo di pensare che Flavio Giuseppe, il quale è ben informato su Macheronte252, ci dia informazioni erronee, e così, ancora una volta, Marco ci offre una notizia inesatta. �,Non è lecito ricorrere all'escamotage di suggerire che la festa ebbe luo­ go in Galilea e da lì Antipa emanò l'ordine di giustiziare il Battista nella fortezza di Macheronte. La stessa narrazione di Marco richiede che il Battista sia imprigionato dove si sta svolgendo la festa: dopo la danza, la figlia fa la sua richiesta della testa di Giovanni ed aspetta sino a che il boia abbia eseguito l'ordine di Antipa. Poi, una volta ricevuta la testa dal boia, la figlia la consegna a sua madre (6,27-28). Se invece cerchiamo di salvaguardare qualcosa nel racconto di Marco riscrivendolo o emendan­ dolo pesantemente, sorge la questione del perché mai dovremmo scorno­ darci nel cercare di salvarlo. La soluzione più semplice è quella di distin­ guere tra l'attendibilità dei sinottici nel loro racconto del ministero esca'" Oosenrazione fatta da G. THEISSEN, Die Legmde des Tiufrn, cit., 85-102, spec. 91. Dall'altro la: to, Don si deve sostenere che Macheronte non poteva essere stato il luogo deUa festa di compleanno del re Antipa. Gli scavi a Macheronte possono avallare questa possibilità; si veda J. ERNST, Johannes der Tiiu/er, cit., 343, spec. nn. 246 e 248; cfr. ClTHMAR KEEL - MAx KOCHLER, Orte und Ltmdscha/tetr der Bzbel, 2 voli., Benzinger - Vandenhoeck & Ruprechr, Ziirich - Einsiedeln - Koln - Gottingeo 1982,2, 449-50; BENEDIKT SCHWANK, Neue Funde in Nabatiierstiidten und ihre Bedeutungfor die neu­ testamentliche Exegese, in NTS 29 (1983) 429-435. IWNER RlESNER, Johannes der Tiiu/er au/ MtU:hii­

rus, in BK 3 9 (1984) 176, segnala la scoperta di due sale da pranzo a Macheronte, una per gli uomini e l'altra per le donne secondo le

presumibilrnente

usanze

giudaiche. Questo concorda con la descri-· zione che fa Marco della figlia che entra per danzare per Antipa, e poi esce per parlare a sua madre, e poi rientra per parlare ad Antipa (Mc 6.22-25). Ora, però, queste osservazioni dimostrano solo due cose: ( l ) l'episodio marciano fu creato da giudei o giudeocristiani che potevano aver datD per sconta­ ta la separazione giudaica tra uomini e donne nei banchetti; (2) Antipa, come indicano anche altre fonti. era attento a non urtare la sensibilità dei suoi sudditi e pertanto tendeva ad osservare la legge e le usanze giudaiche quando egli era neUa sua tetrarchia. Niente di questo determina realmente qual­ cosa per la storicità della particolare narrazione in Mc 6,17-29.

"' Si veda la sua descrizione di Macheronte e il racconto del suo assedio- da parte dei romani in Beli. 7,6,1-4 § 164-209; così pure riferimenti sparsi in Ant. 14,5,2 § 83; 14,5,4 S 89; 14,6,1 § 94 e-96.

Mentore

268

tologico, del messaggio e del battesimo di Giovanni da una pane, e la lo­ ro attendibilità nel narrare la sua morte dall'altra. Nel primo caso, essi so­ no più attendibili di Flavio Giuseppe, nel secondo no. Lo storico, invece di mostrare le sue preferenze, si limita a narrare i fatti. Queste osservazioni sono suffragate da un'analisi letteraria del raccon­ to di Marco. Come tutti ammettono, nel racconto risuonano echi di varie tradizioni dell'Antico Testamento: la lotta del profeta Elia con il re Acab e la sua moglie malvagia Gezabele (per es., l Re 19,1-2; 2 1 , 17-26); il mar­ tirio e la persecuzione dei profeti in generale, e i motivi folklorici nel li­ bro di Ester'". Questi motivi folklorici riscontrano paralleli nei racconti grecoromani sull'amore, la vendetta, i giuramenti awentati, e donne che chiedono ciò che i re non vorrebbero invece concedere, tutto ciò nel con­ testo di banchetti regali'". L'impressione è quella di aver a che fare coo un folklore venato di forti sentimenti antierodiani (che forse hanno di mi­ ra specialmente le donne 'emancipate' della dinastia erodiana)"', un /olk­ lore che dopo essere stato riformulato (dai settari battisti o da cristiani?) «lme una leggenda della morte del martire, venne poi ulteriormente rie­ laborato da Marco in modo da trasformare il Battista in un precursore di Gesù, in morte come in vita. Con una storia della tradizione così com­ plessa, non desta sorpresa che gli esegeti discutano il preciso genere morfocritico di Mc 6,17-29. Sono stati proposti quelli del martirologio, della leggenda, e dell'aneddoto. Dopo un esame di queste varie proposte, Gerd Theissen opta, come migliore classificazione, per il genere dell'«a-

'" Simili motivi sono rintracciabili in Est 1,1-3.9-11; 5,6; 7;1.-6. R. Aus, Water tnto Wine, eit., 3974, accorda un forte rilievo al ruolo del libro di Ester nellafonnazione di Mc 6,17-29. A suo liVViso, il racconto venne prima composto in aramaico (o forse in ebraico) o in Palestina o in Siria e dovrebbe essere catalogato nel genere di una «haggadtì eziologica». Aus rifiuta in panicolare i tentativi che fan­ no Hans Windisch e altri studiosi di salvare la storicità dell'episodio di Marco: «In conclusione, la narrazione sul Bat tista [in Mc 6,17-29) non è storica . . » (p. 73). Pur ritenendo giusto quest ultimo punto, sembra forzato il forte rilievo che Aus accorda alla espansione ed adattamento midrashici del racconto di Ester, specialmente perché deve fondarsi su targumfm e midrashim di Ester che appar­ tengono a secoli posteriori (si veda la sua apologia alle pp. 2j-26). Simile all'approccio di Aus è il ri­ lievo che I. DE LA PoTIERJE accord a al carattere midrashico di Mc 6,17-29, con evidenti echi del libro di Ester (Mors, cit., 149). J. GNtLKA, più saggiamente, rifiuta un'insistenza unilaterale sul libro di E­ ster e delinea parecchi motivi differenti che riscontrano paralleli sia nell'Antico Testamento sia nella letteratura grecoromana (Martyrium, cit., 87 -89), "' Si vedano i paralleli segnalati da HANS WINDISCH, Kleine Berlrige zur evangelischen Oberliefe­ rung. 1 . Zum Gastmahl des Antipas, in ZNW 18 ( 1917-1918) 73-81. Trovo sbalorditivo il fano che Windisch pensi che gli aneddoti fortemente fantasiosi che egli seleziona da Ateneo ed Erodoto awa­ lorino la sroricità di Mc 6,17-29. Al contrario, se essi illustrano qualcosa, è il genere di fo/kiure «il regno del suo figlio» (Co/ 1,13). " In Matteo, bastléia («regno») viene usato 55 volte, basiléia ton uranon («regno del cielo[i]») 32 volte e basiléia tu theu («regno di Dio») 4 volte. ll plurale uranon (alla lettera «dei cieli») riflette la fonna plurale della corrispondente e, probabilmente, soggiacenle espressione aramaica malkUta' di f>, mentre quella di Luca abbia hia 1970, 496-497 [trad. it., Ezechiele (capp. 25-48), Paideia. Brescia 2001, 608-609]: >. Ciò che segue ha; ·ovviamente, gran­ de imponanza agli occhi di Gesù. L'inizio assoluto che: «amen, io vi di­ co» crea, si distacca dalle parole eucaristiche che precedono immediata­ mente in Marco. Per di più, il fatto che Gesù parli in modo generico dd suo bere del frutto della vite suona un po' strano dopo la solenne identi­ ficazione del vino con il suo sangue. Tutto questo potrebbe indicare che Mc 14,25 era un loghion isolato, necessariamente collegato, per il suo contenuto, con l'ultima cena, ma non connesso originariamente con le

tarla ca. al lOO d.C. (2) Inoltre, la recensione più lunga A è comunemente ritenuta posteriore alla re­ censione B e mostra un'influenza cristiana su aspetti del suo linguaggio. K. BERGER, Die Amerl·

Worte, cit., 5 nota 7, ammette questo, ma nega che valga per i testi che adduce come prova della sua tesi, anche se il disputato 'amen' non appare nella recensione B. Un approccio diverso è intrapreso da V. HAsLER, Amen. Redoktionsgeschichtilche Untersuchung xur Ein/uhrungs/ormel der Herrenworte «Wahrltch ich sage euch», Gotthelf, Ziirich Stuttgart 1969. Hasler, come Berger, nega che l'uso del Nuovo Testamento di 'amen' risalga a Gesù. Hasler tuttavia è in disaccordo con Berger sulla vera origine dei detti·amen nel Nuovo Testamento. Mentre Ber�er in· ·

dica le correnti apocaliuiche dd cristianesimo giudaico-ellenistico, Hasler si riferisce ai profeci cari­ smatici che parlavano nel nome del Signore esaltato. Se si tiene conto della chiara attestazione dei vangeli, confermata dai criteri della molteplice auestazione e della discontinuità, e si riconosce che la natura e la funzione dei profeti cristiani nel periodo del Nuovo Testamento è incerta, specialmente in riferimento alla creazione di detti del Signore, Hasler sembra rifiutare l'ovvia spiegazione di un feno­ meno a favore di una molro incena. Un'ipotesi ancor più inverosimile è avanzata da J. STIASSNY, in ]ésus accomplit 14 promesse, in BVC 59 (1964 ) 30-37, spec. 33. Stiassny suggerisce che Gesù non usava 'iimen ma 'iiken (la seconda paro­ la, come la prima, è un'asserzione di certezza). Si suppone che la lettera ko/in 'iiken sia stata più tar· di confusa con la lettera mem, producendo così 'iimen. A parte la complessità e la non plausibilità di una rale ipotesi, essa attribuisce troppa importanza alla trasmissione letteraria delle parole di Gesù nella prima generazione cristiana. La trasmissione orale (in cui tale confusione sarebbe altamente im­ probabile) esisteva prima di qualunque tradizione scritta e continuò ad essere influente attraverso la predicazione, la catechesi e la liturgia anche dopo ehe la tradizione di Gesù iniziò a ·essere messa per iscritto. Si potrebbe continuare con altre teorie (vedi, per esempio, BRUCE CHI!J'ON, 'Amm' - an ApprtNII:b through SyriJJc Go'{>els, in ZNW 69 [ 1978] 203-211; e una decisa confutazione in W.D. DAVIES - DA­

3 voU., Oark, Edinbur�h 1988, l , 490 nota 23 ), tuttavia l'argomento principale è chiaro. Passando in rassegna tutte queste soluzioni, non li può evitare la sensazione che si privile�ano spiegazioni svariate e complicate a quella ovvia. ]. ]ERE­ MIAS discute un certo numero di queste spiegazioni alternative e indica la loro debolezza in Zum ni· cht·responsorischen Am en , in ZNW 64 (1973) 122-123; cfr. New Tesl4mml Theo/or:y, cit., 36 nota 2; e J. FITzMYER, Luke, cit., l, 536-537. In Mc 14 ,25 . la sola presenza di amen non prova l'autenticità dd loghio,, ma fa da ulteriore sup· porto al principale argomento della discontinuità espoato nel testo. Anche se amen fosse un'aggiunta tardiva a un detto autentico di Gesù, è interessante notare che le tendenze redazionali ehe possiamo LE C. ALLISON, ]R., The Gospel According to Matthew [!CC],

osservare in questo caso vanno nella direzione opposta: sia Matteo che Luca omettono, indipenden­ temente, l'amen della versione di Marco.

Messaggiò

382

parole eucaristiche. Per coloro che considerano Le 22,18 come tradizione indipendente, la sua posizione prima delle parole eucaristiche conferma questa opinione, che rimane plausibile in ogni caso••. L'affermazione basilare di Gesù che egli non berrà più vino (il segno-rli uno speciale pasto festivo) è espressa in forma enfatica nel greco: il dop­ pio negativo u me + il congiuntivo pio («bere»), il tutto preceduto dall'ul­ teriore negativo ukéti (> (rkirtdo solo nel vangelo secondo Luca nel complesso del Nuovo Testamento) può benissimo tradire la ma­ no redazionale di Luca129• Poiché nelle beatitudini hoti («perché») è la pa­ rola usuale che introduce un monito, anche l'espressione di Luca «perché [guardate]» (idù gdr) può essere redazionale110• Il riferimento alla perse­ cuzione dei profeti dell'Antico Testamento ricorre con variazioni sia in Matteo che in Luca e quindi era già in Q. Tuttavia, dato che tali spiega­ zioni ulteriori non rientrano nella forma propria della beatitudine, il rife­ rimento alla persecuzione dei profeti può essere uno sviluppo secondario all'interno della tradizione Q, che era molto interessata alla profezia e ai profeti, sia ebrei che cristianill1•

m Cosi J. FrrzMvER, The Gospel Aa:ording lo I.Miee, cit., l, 635. Da non intendere nel senso che Gesù non possa avere messo in guardia i suoi discepoli su possibili vessazioni e per.;ecuzioni (il verbo dirfko può significare entrambe le cose) . '" Così H. SrnORMANN, Lukasevangelium, cit., l, 334 n. 62 [trad. it., I, 550 n. 62]; R GUELICH, The Sermon on the Mount, cit., 95; meno sicuro, H.E. T�. The So,; o/ Man in the Synoptic Tradi­ tion (New Testament Libraryl, SCM. London 1965, 123. Per l'opinione opposta, vedi J. FITZMYER. The Gospel According to Lulee, cit., l , 635. La precarietà di qualsiasi giudizio su questa questione è dimostrata dal fano che, mentre Matteo sostituisce il pronome personale al titolo Figlio dell'uomo

l, fa esattamente l'opposto in Mt 16.13 Il Mc 8,27. "' ]. FrrzMYER, The Gospel According to Lulee, eit., l, 635, pensa che Luca abbia aggiunto «in quel giornO» in parallelo-contrasto con «ora» che egli ha pure aggiunto nella prima metà della sua secon­ da e terza beatitudine. Come osserva ancora Fitzmyer, Luca ha sostituito skirtdO ad ogallùiO, che Mat­ teo invece mantiene da Q e che usa solo qui nel suo vangelo. Al contrario, Luaz usa aga/lido anche al­ trove (1,47: 10,2 1). "'Su un aspetto minore: la forma plurale di Matteo en tois uran6.S (ienerahnente: «nei cieli») può riflettere un substrato semitico (sia in ebraico che in aramaico «cielo» è sempre un nome plurale), mentre il singolare di Luca en to(i) urano(r) può essere un adattamento all'uso greco comune. "' ] . KLOPPENBORG, The Formatwn o/Q, cit., 173, seguendo ODJL H. STECK, /srael und das gewalt· same Geschicle der Propheten (WMANT 23), Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1967, 258nella sua fonte marciana in Mt 16,21 11 Mc 8.3

Messaggio Una forma probabilmente ipotetica delle quattro beatitudini di Q po­ trebbe quindi essere più o meno così. l . Beati i poveri 2. Beati gli afflirri

3. Beati quelli che hanno fame 4. Beati voi

perché di essi è il regno dei cieli. perché saranno consolati. perché saranno saziati. quando [gli uomini] vi insulteranno, e [vi] perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi a causa del Figlio del­ l'uomo. Rallegratevi ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nei cieli.

Gli esegeti di solito separano la quarta beatitudine Q dalle altre tre

perché è notevolmente diversa nella lunghezza, nella forma e nd conte­ nuto. Le prime tre sono concise, la quarta è più lunga delle prime tre messe insieme. Le prime tre parlano di categorie particolari di persone in uno stato di povertà socioeconomica che esse non hanno scelto, che non ha niente a che fare con un impegno nei confronti di Gesù e per la quale non possono fare niente. Le prime tre beatitudini poi promettono a que­ ste persone un rovesciamento totale del loro particolare stato di miseria nell'ultimo giorno (e cioè, gli afflitti saranno consolati, quelli che hanno fame saranno saziati). La quarta beatitudine parla di coloro che hanno sofferto volontariamente la persecuzione perché hanno scelto liberamen­ te di impegnarsi per il Figlio dell'uomo (= Gesù). Invece di un totale ca­ povolgimento di una condizione concreta, i pdseguitati ricevono una ge­ nerica promessa di ricompensa. Inoltre, la quarta beatitudine differisce dal punto di vista formale. Invece di uno schema conciso e lineare di (l) makdrios («beati») + (2) l'articolo determinativo con u n aggettivo o un participio + (3 ) una breve proposizione introdotta da h6ti («perché») che descrive il capovolgimento della situazione di sofferenza, la quarta beati­ tudine è formulata nella 2• persona («beati voi»)"', senza l'articolo deter­ minativo con aggettivo o participio, e con h6tan («quando») al posto di h6ti. Dal punto di vista funzionale la lunga proposizione introdotta da

25�. sostiene ohe 6,23c non

è coerente con la logica dei w.

22-23b. D v. 6,2k («perché rosì essi

per· ri·

seguitarono i profeti») non fornisce una ragione ulteriore a sostegno del v. 23b («perché la vostra

compensa è grande nei cieli ), che è il reale - e sufficiente - fondamento degli imperativi del 23a («rallegratevi cd esultate»). Vedi anche S. ScHui.z, Q. Die Spruchquelle der Eva11ge/isten, cit. , 456 n.

404.

"' Ho in mente qui la posizione ohe ho sostenuto più sopra, vale a dire, me la formulazione alla J' persona plurale di Maueo è più originale nelle prime tre beatirudini del discorso Q.

Il �o Ji Dio: •rr �no /utum

4U

hOtan prende il posto dell'asciutto aggettivo o participio, nel descrivere la dolorosa condizione di quelli che sono dichiarati beati. Solo dopo questa descrizione e due verbi all'imperativo che impongono l'esultanza si espo­ ne il motivo (h6ti) della felicità - beatitudine - in una vaga promessa di ricompensa futura nei cieli. : È opportuno, pertanto, mettere da parte la quarta beatitudine"'. Lun­ ghezza, forma e contenuto: tutti e tre questi elementi fanno pensare che essa originariamente non appartenesse al gruppo delle prime tre. Inoltre, nella sua forma redazionale può certamente alludere alla persecuzione sperimentata dalla chiesa primitiva'". Al contrario, le tre beatitudini che formano il nucleo originario tradizionale di Q"' possono essere state e­ nunciate insieme e tramandate insieme sin dall'inizio. Come vedremo dalla nostra analisi dell'Antico Testamento, dei deuterocanonici, degli a­ pocrifi e di Qumran, questa unione di tre o più beatitudini, sebbene fosse sconosciuta nell'Antico Testamento ebraico, cominciò ad apparire nel pe­ riodo intertestamentario. Inoltre, la prima beatitudine della serie Q sem­ bra fungere da affermazione generale e complessiva, essendo le due cate­ gorie dei «poveri» ('•nawim) e del «regno di Dio» molto vaste. Al contra­ rio, le due beatitudini successive danno forma concreta alla beatitudine generica includendo categorie e promesse più specifiche (gli afflitti e la loro consolazione, quelli che hanno fame e il loro essere saziati) . In breve, la forma più antica delle beatitudini Q di cui disponiamo è la seguente: Condizione dichiarata felice

Capovolg�mento di condizione

l . Beati i poveri makdroi hoi ptiichòi

perché di essi è il regno dei cieli. h6ti auton estin be basiléia ton uranon

"' Il fatto che nella quarta beatitudine manchi l'iniziale allitterazione del suono 'p' che si trova nel­ le altre tre beatitudini (pt0ch6i, penthUntes e peinòntes) può essere un'altra indicazione che essa non apparteneva alla serie originale di beatitudini, quando la serie apparve per la prima volta nella versio­ ne greca.

'" Su questo vedi M. BoRJNG. The Continuing Voice o/ ]esus, cit., 203-206. R GuwCH, The Ser­ mon on the Mount, cit., 1 12-113, riconosce che la lunga beatitudine sulla persecuzione probabilmen­

te esisteva nella tradizione più antica come loghion indipendente, ma sottolinea che il tema della sof­ ferenza faceva parte dell'insegnamento di Gesù ai suoi discepoli. In realtà, J. DUPONT, Ler béatrludes, cit., 2, 3 1 7-318 [trad. it. cit.], in base alla natura scarna della beatitudine Q originale, che non dice niente della morte dei discepoli a causa della loro fede in Gesù, afferma che la beatirudine ultima­ mente proviene da Gesù e non dalla catechesi cristiana primitiva. Per sostenere questa tesi, però, egli deve riconoscere che la precisazione «8 causa del Figlio dell'uomo» è probabilmente un'aggiunta se­ condaria ad opera della chiesa (pp. 377-378). "' D'ora in poi tutte le volte che uso l'espressione ..!c beatitudini che formano il nucleo tradiziona­

Jc, intendo queste prime tre beatitudini in Q.

4H;t 2. Beati gli afflitti maktiroi hoi penthuntes

perché saranno consolati. hoti autòi paraklethésontai

3 . Beati quelli che hanno fame maktiroi hoi pein6ntes

perché saranno saziati. hoti autòi chortasthesontai

Dopo aver isolato quella che sembra essere la più antica tradizione Q di una serie di beatitudini, facciamo per un momento un passo indietro per acquisire una comprensione più profonda del significato e della fun, zione di questa serie a partire dal suo sfondo nell'Antico Testamento e nella letteratura intertestamentaria.

2. Le beatitudini nell'Antico Testamento

e nella letteratura intertestamentaria

Come forma specifica dell'insegnamento sapienziale, le beatitudini (o 'macarismi', da makdrios, «beato», «fortunato», «felice») erano note nel­ l'antico Egitto, in Grecia e in Israele. Nell'AnticoTestamento, le beatitu­ dini appaiono specialmente nei salmi (26 volte) e nella letteratura sapien­ ziale (12 volte), soprattutto nel libro dei Proverbi. La beatitudine biblica è facilmente riconoscibile dal suo inizio: è introdotta in ebraico dal so­ stantivo 'afré («felicità», «beatitudine») e in greco dall'aggettivo corri­ spondente makdrios («beato», «felice»). A prima vista una beatitudine è un grido di ammirazione, di congratulazione e di felicitazione: «0 beati­ tudine di colui che . . o beato l'uomo che . . . [fa questo e quest'altro] !». n maestro di sapienza, mediante queste descrizioni della persona felice, mostra quali sono le azioni e gli atteggiamenti che promuovono la vera e duratura felicità in questa vita06• Implicitamente il maestro esorta i suoi .

>M

Anche se la beatitudine in definitiva ebbe origine dall'espressione usata per le congratulazioni o

felicitazioni della vita quotidiana, gli studiosi discutono sul Sitz im I..eben tecnico e letterario della

beatitudine. I due più probabili ambiti di provenienza sono la liturgia del tempio di Gerusalemme e

la scuola sapienziale. A favore di quest'ultima c'è la natura originariamente 'laica' e internazionale

della beatitudine, come pure il focalizzarsi della beatitudine sull'agire dell'essere umano e sulla sua felicità. In effetti, neU' Antico Testamento

'airé non viene mai affermato direttamente di Dio. Ciò biin.k («benedetto»), la preghiera di benedizione e rin·

contrasta decisamente con il grido liturgico

beriika) che è regolarmente rivolta a Dio nei salmi e in altre preghiere, pubbliche e È per mantenere questa distinzione lessicale e formale che io traduco regolarmente 'airé (greco: makdrios) con «beato» e biirilk (greco: eulughetos e eulogheménos) con «benedetto». Con ciò

graziamento Oa privare.

non si intende negare che quando le beatitudini assumono rilevanza teologica e entrambe le forme letterarie nella tradizione biblica si svilupparono avvenne

una

cena mescolanza

(dr. Le 1 ,42.45; l Tm

417 discepoli a seguire il comportamento o lo stile di vita che descrive nella sua beatitudine. Pertanto, pur essendo formalmente descrittiva, la beati· tudine ha funzione parenetica: la felicità descritta esplicitamente è impli­ citamente presentata come un obiettivo da perseguire. La beatitudine anticotestamentaria fondamentale si compone di due parti principali: l'esclamazione iniziale («Beato . . . !»)m e una descrizione della persona che è beata grazie alle sue azioni e ai suoi atteggiamenti . Per esempio, l'inizio di Sal l esclama: «Beato l'uomo che non segue il consi­ glio degli empi . . . ! ». Talvolta la ricompensa o l'esito felice di tale azione saggia è menzionata nel contesto, come nel v. 3 del Sal l : «Sarà come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo e le sue fo­ glie non cadono; tutte le sue opere riescono». È interessante tuttavia nota­ re. che il nesso causale tra azione giusta e premio non costituisce regolar­ mente una parte esplicita della forma della beatitudine (per esempio, con «perché» che introduce la ricompensa subito dopo la descrizione dell'a­ zione). Alcuni casi di tale nesso causale ricorrono nel libro dei Proverbi, per es. in Pr 3 , 13 : «Beato l'uomo che ha trovato la sapienza e il mortale che ha acquistato la prudenza, perché (kzì il suo possesso è preferibile a quello dell'argento . . . »ll8. Un importante elemento morfocritico da rileva-

1,11; 6,15). Sulla disputa nguardante la folllla e il Srtz tm Leben, vedi R GUELICH, The Sermmr mr the Mount. cit., 63-66. m In via eccezionale, le forme 'alriyw e 'airihU si trovano in posizione pospositiva in Pr 14,21i 16,20 e 29,18. 'M Un altro esempio è Pr 8,33-34. Gb 5,17-18 potrebbe averne rune le caranerisriche salvo che un negativo iussivo si frappone fra la beatitudine e la proposizione introdotta da ki («perché»). Esempi dal libro dei salmi noc sono così chiari. Un caso potrebbe essere Sa/ 128,1-2: «Beato l'uomo che te­ me il Signore e cammina nelle sue vie. Perché (kt1 mangerai del lavoro delle tue mani». Tuttavia, la congiunzione ki non è attestata nei LXX e la sua posizione nd testo ebraico può indicare che è piut­ tosto una particella enfatica che significa «Veratnmte, sicuramente, cènamente». Un altro esempio dubbio può essere Sa/ 94,12-14; il problema qui è che la proposizione introdotta da ki («perché»), che comincia il v. 14 è distante dall'iniziale 'aire haggeber («Beat\) l'uomo») che comincia il v. 12 e so­ lo vagamente connessa con questo. Qualcuno vorrebbe aggiungere Gen 30,13, ma due considerazio­ ni impediscono a questo versetto di essere un vero esempio della forma 'afre + nome (o un 'altra de­ scrizione della persona) + lei che esprime una ricompensa. (l) Invece dell'usuale 'airé all'inizio abbia­ mo l'espressione che ricorre solo qui: broir� «Per mia felicità!». Se (come qualche esegeta suggeri­ sce) si sostituisce con ba� oiri («la mia felicità è arrivata»), la differenza fonnale è ancor più grande. (2) La proposizione introdotta da ki in 30,1) sembra essere più un'esegesi dell'esclamazione iniziale che un'affermazione di una ricompensa. Perciò NAB traduce: «Lia disse: 'Per mia fonuna!' che vuoi dire: 'Le donne mi diranno fonunata'». Una traduzione simHe è admtata da E.A. SPEISER. Generis (AB l), Doubleday, Garden City (NYJ 1964, 229: «Lia disse: 'Per mia fonuna! Vuoi dire che le don­ ne mi considereranno fonunata'». Che la proposizione introdotta da lei espliciti quello che è conte­ nuto nell'esclamazione iniziale sembra essere anche l'interpretazione dei LXX: «mtJkaria eg6 h6ti maltiJri:.usin me hai gyntiikes». ·

Messaggio

l't' è che nel 'canone ebràicò dell'Antico Testamento non incontriamo di· verse beatitudini riunite in successione, ma l'unione di almeno due beati­ tudini in fila si ha in Sa/ 32, 1 -2; 84,5-6; 1 19,1-2; 137,8-9 e 144,15. La beatitudine era molto radicata nella concezione del mondo della sa­ pienza anticotestamentaria, che vedeva una correlazione tra comporta­ mento umano e premio o castigo, che sarebbero stati comunque speri­ mentati in questa vita terrena (per la maggior parte dell'Antico Testamen­ to, l'idea di un premio o di un castigo oltre la morte semplicemente non era nell'orizzonte teologico). Questa semplice, per non dire semplicistica, concezione della vita umana andò sempre più vacillando dopo l'esilio ba­ bilonese e fu messa in crisi anzitutto dalla sapienza pessimistica e critica presente in Giobbe e Qohelet, e poi dalla terribile persecuzione awenuta nella prima metà del II secolo a.C. durante il regno del monarca seleucide Antioco Epifane, quando giudei fedeli furono orribilmente torturati e martirizzati. Divenne dolorosamente evidente che il giusto non sempre sperimenta la felicità in questa vita; così la sapienza, fondendosi con la profezia per formare l'apocalittica, sviluppò un secondo tipo di beatitudi­ ne. Questa beatitudine apocalittica conservava il legame tra comporta­ mento giusto e felicità, ma proiettava questa felicità in un futuro al di là del mondo presente. Un esempio di tale beatitudine apocalittica si trova alla fine della ver­ sione ebraica del libro di Danielem. Dopo profezie riguardanti la perse' cuzione, la risurrezione dei morti e il trionfo dei giusti, il libro si chiude con una beatitudine e una promessa: >. Per quanto riguarda la forma, tuttavia, l Pt 3, 14 non è a rigore una beati­ tudine sul modello biblico consueto: l'uso di una proposizione condizio­ nale con l'ottativo (che colloca l'intera condizione su un piano ipotetico), seguita da un semplice makdrios, non segue un modello né vetero- né neotestarnentario. Lo stesso si verifica in l Pt 4,14: «Beati voi, se venite insultati [oneidizesthe] per il nome di Cristo, perché [h6tz] lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi». Qui la frase ha una proposizio­ ne introdotta da h6ti, che tuttavia non parla di un premio futuro nei cieli, che capovolge la condizione presente di una persona. Più precisamente, la struttura formale è di nuovo composta da una proposizione condizio­ nale e da un semplice makdrios, contrariamente alla formula biblica con­ sueta di una beatitudine. Nondimeno c'è una debole eco (sia nella forma che nel contenuto) di Mt 5 , 1 1 Il Le 6,22: , che praticamente significa «perché portate il no­ me di cristiani» (cfr. v. 16: «Ma se uno soffre come cristiano . . . »)149• Finora, il resto del Nuovo Testamento non conferma la teoria che le beatitudini di Gesù del discorso siano assai probabilmente creazioni dei primi cristiani. Le 'beatitudini' presenti nelle lettere sono poco numerose e diverse nella forma e, talvolta, anche nel contenuto. Non abbiamo però ancora esaminato il deposito più ampio delle beatitudini del Nuovo Te­ stamento al di fuori dei vangeli: il libro dell'Apocalisse. Proprio come l'Apocalisse parla di sette chiese, sette lettere, sette spiriti, sette candela­ bri, sette stelle, sette sigilli, sette corna, sette occhi, sette trombe, sette tuoni, sette teste, sette diademi, sette angeli, sette cataclismi, sette coppe, sette colli e sette re, così non è affatto un caso che il libro contenga esat­ tamente sette beatitudini. Non sorprende che le beatitudini dell' Apoca-­ lisse siano escatologiche piuttosto che sapienziali nel contenuto. Suscita una certa sorpresa il fatto che la maggior parte di esse non sia posta sulle

"' Vedi, per es., EDWARD GoROON SELWYN, The Firsl Epistle o/ St. Petet, Baker, Grand Rapido 1981' (orig. 1946), 191- 199.222. Per un dibattito sull'ampiezza e l'uso della tradizione evangelica in l Pù?tro, vedi ROBERT H. GUNDRY, 'Verba Christi' in I Petet: Their lmplications Concetning the Author­ ship o/ l Peter and the Authenticity o/ the Gospel Traditton, in NTS 13 ( l %6-1967) 336-350; la replica di ERNST BEST, l Petet and the Gospel Tradition, in NTS 16 ( 1 %9- 1970) 95-1 13; e la replica a Best di R. GUNDRY nel suo Further· Verba on Verha Christi in Firsi Petet, in Bib 55 (1974) 2 1 1 -232. La pre­ ,.,ntazione di Gundry della tradizione del vangelo in l Pietro è influenzata dal suo desiderio di affer­ mare la paremità della lettera da parte dell'apostolo Pierro, una tesi che Best confuta in maniera con• vincente. GERHARD MAJER,]esustradition im l. Petrusbrief?, in Gospel Perspectives. Volume 5. The ]e­ sus Tradition Outside the Gospels, a cura di David Wenharn, JSOT. Sheffield 1984, 85-128, definisce

l Pt 4,14 un esempio della «Verifìcabile dipendenza di l Pietro dalle parole del Signore, così come sono state conservate in Matteo» {p . . 102). È strano che Maier, a differenza di GWldry e ·Best, non presti adeguata considerazione a l Pt 3 , 1 4 . Riguardo a l Pt 3,14, E. BEST, l Peter, cit., 109, affettna: «Riteniamo che in questi' nostro esempio Matteo l'abbia accolto [Mt 5,10] dalla tradizione e che l'autore di l Pietro conoscesse questa tradizione, dalla quale lo riprese». R. GUNDRY dal canto suo considera la relazione tra l Pt 3,14 e la beatitudine su quelli che soffrono a causa della giustizia «in­ dubitabile» (Furthet Vetba, cit., 228). Nella sua conclusione, Best sostiene che, se l Pietro fu scritta a Roma verso la fine del l secolo d.C., può benissimo rispecchiare lo stesso tipo di. dip\!lldenza da una forma orale della tradizione del vangelo presenta anche in l Clemente. "' Vedi EDoUARD DES PLACE.'i, Lz Première Epitre de saint Pierre, Biblical lnstitute, Rome s.d., 5657. Des Places ritiene che en onomati Chn'stu del v. 14 e Christianos del v. 16 siano collegati; «Sin dal­ l'inizio le persecuzioni subite dai cristiani . . . furono 'per il nome' . . . )!lo. W OAVIES, ]ames and ]esus, cit., 68-69, fa notare che non solo autori neotestamentari come Giacomo e Paolo (e potremmo ag­ giungere l'autore di l Pietro), ma anche scritti postcanonici come la Diddchè e il Pastore di Erma non menzionano esplicitamente Gesù come fonte quando citano le sue parole, anche se all'inizio del n se-­ colo gli autori sono sicuramente consapevoli della fonte (ritenuta) ultima dei detti.

Il reglfO di Dio: un regno futuro

425

l�rbbra di Gesù. In Ap 1 ,3 l'autore del libro pronuncia a nome proprio u­ na beatitudine iniziale su tutti coloro che leggono le sue parole; egli indi­ rizza un'altra beatitudine ai suoi uditori in 20,6 (con hdghios [«santo»] ag• giunto a makdrios). Come vedremo, l'autore non ha problema a interrom­ pere bruscamente il flusso della narrazione o del discorso per indirizzare una beatitudine al suo uditorio, per poi riprendere la narrazione interrot­ ta. A volte questa tendenza crea problemi perché non è facile distinguere chi esattamente stia pronunciando alcune beatitudini nell'Apocalisse. Altre due beatitudini sono formulare da un'anonima voce celeste o an­ :gelica (14,13; 19,9). In tre casi colui che parla può essere il Gesù risorto, ma non tutti i casi sono chiari. Ap 16,15b è una beatitudine immediata� mente preceduta da un'improvvisa e inatresa dichiarazione in prima per­ sona: «lo . . . >>, in 16,15a: «Ecco, io vengo come un ladro». Anche se non si identifica nessuno che parli, queste parole devono essere di Gesù. Tut­ tavia, il più ampio contesto immediatamente prima e dopo: «Ecco, io vengo come un ladro»; è un racconto alla terza persona dell'autore. Non è perciò del tutto chiaro se la beatitudine in terza persona in 16,15b sia un'affermazione da parte di Gesù o sia l'autore stesso che risponde a Ge­ sù: «Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo e la. sciar vedere le sue vergogne>>. Anche Ap 22,6-7 è piuttosto oscuro. Robert H. Mounce osserva: > dell'avvento del regno di Dio ai poveri - cosa che appunto proclama nelle beatitudini Q - è confermato dalla replica ai discepoli di Giovanni il Battista (Mt 11,2-6 Il Le 7 ,18-23). La risposta, do­ po aver enumerato vari miracoli, raggiunge il punto culminante dd racconto del ministero di Gesù con un'allusione a Is 61,1: «Ai poveri è predicata la buona novella». Come abbiamo visto nd capitolo tredicesimo ci sono buone ragioni per considerare la sostanza di questa pericope come storica. Tutto questo non significa che ogni seguace di Gesù fosse effettivamente povero o che Gesù si ti-

Il regno di Dio: un regno futuro

43 1

Cominciamo a intuire perché Gesù non fosse interessato a riforme po· litiche e sociali concrete né abbia fatto dichiarazioni su riforme del gene­ re, né per il mondo in generale né per Israde in particolare. Gesù non proclamava la riforma dd mondo; egli proclamava la fine del mondo. Perciò c'è una differenza d'accento importante tra Gesù e alcuni dei grandi profeti anticotestamentari (per es., Amos, Osea, Isaia e Geremia). Questi ultimi, pur profetizzando la condanna e la salvezza nd futuro, era­ no anche vivamente preoccupati dei mali politici e sociali del loro tempo. Per citare solo qualche esempio: Amos denuncia il crudde trattamento dei prigionieri di guerra (Am 1 ,3-2,}) e la vendita dei poveri come schia­ vi per pagare un misero debito (2,6-7)"8• Osea pronuncia una condanna sulla dinastia del re israelita Ieu perché costui aveva sterminato la prece­ dente casa regnante di Omri (Os 1 ,4 ) ',.. I libri di Isaia e di Geremia sono pieni di comandi e di moniti concreti che i profeti rivolgono ai re e ai funzionari di Giuda, persino su particolari questioni di governo e di di­ plomazia internazionale (vedi, per es., Is 7 , 1 - 1 6 ; }6-}9; Ger 2 1 , 1 - 1 0; 27-29; H-44). È vano cercare dichiarazioni altrettanto esplicite di Gesù sui mali so­ ciali più scottanti e sulle linee politiche del suo tempo: per es., la schia­ vitù, il dominio romano in Giudea o le pratiche economiche inique che opprimono i poveri di fronte all'inflazione. La denuncia diretta dello sfruttamento economico, così importante in certi profeti dell'Antico Te­ stamento, è ampiamente assente dalle parole di Gesù e la si può trovare solo attraverso un'esegesi forzata. La ragione di questo silenzio imbaraz-

volgesse solo ai poveri. Da Giairo, dal centunone con il setvo ammalato (o l'ufficiale del re con un fi­ glio ammalato) e dalle donne che erano state guarite in Le 8,2-3 (alcune delle quali forse appartene­ vano a una sfera sociale elevata) a Zaccheo, alla donna che a Betania lo unge con olio costooo e all'a­ nonimo abitante di Gerusalemme che fu in grado di dare a Gesù ospitalità per l'ultima cena, ci sono segni che - non diversamente dalle chiese urbane di Paolo - i molti discepoli poveri (insieme a Gesù o a Paolo stesso) potevano contare sull'aiuto materiale e sul sostegno fmanziario di alcuni discepoli più ricchi e influenti. In questo senso, almeno, coloro che erano in buone condizioni economiche po­

tevano essere annoverati rra i 'poveri' di Gesù a condizione che essi accogliessero il messaggio di Ge· sù e vivessero in coerenza e conformità con quel messaggio. In un certo senso, allora, l'espressione: «poveri in spirito», sia che venga dalla redazione di Matteo o che venga da Q"', coglie una catatteri­ stica di coloro che seguivano Gesù. "' Sul problema dell'interpretazione di Am 2,6, vedi FRANCIS l. ANDERSEN - DAVID NoEL FREED­ MAN, Amos l AB 24A), Doubleday. New York 1989, 3 10-313. "' Su questo passo, vedi HANS WALTER WOLFF, Hosea (Hermeneia), Fonress , Philadelphia 1 974 , 17-19. Questa denuncia politica da pane di Osea è tanto più interessante in quanto sembra che stori­ camente la rivolta di leu fosse ispiraca, o almeno approvala, dai «circoli profelici riunici anomo a E­ lia e a Eliseo (2 Re 10,30)» (p. 18).

·Messagf)b

432

zante è-semplice: Gesù era un profeta escatologico con sfumature apoca­ littiche come almeno alcuni dei profeti dell'Antico Testamento non furo• no. I.:awento definitivo del dominio regale di Dio era imminente; gli ap• pelli a una riforma politica e sociale lanciati - e spesso raffazzonati - da• gli esseri umani erano quindi estranei al suo pensiero. Oltre ai criteri della discontinuità e della coerenza, si potrebbe ricavare qualche argomento dalla molteplice attestazione, ma solo per il contenuto di alcune delle beatitudini del discorso, non per la loro /orma. Come ab­ biamo visto, l Pt 3,14 e 4,14 sembrano echeggiare rispettivamente la bea­ titudine breve e quella lunga sulla persecuzione. M. Eugene Boring, che ha ampiamente esaminato l'applicazione dei criteri di autenticità alle bea­ titudini, ritiene che i due testi della Prima lettera di Pietro possano in realtà essere riflessi indipendenti della tradizione preevangelica160• ' Ammesso questo, i due esempi in l Pt non sono attribuiti 11 Gesù, ma questo inserimento della tradizione di Gesù nell'ambito della parenesi cristiana senza un'esplicita attribuzione sembra essere lo stile consuet(j) delle lettere neotestamentarie e, di fatto, della letteratura cristiana succes­ siva come la Didachè e il Pastore di Erma161• l pochi riferimenti che Paolo fa a Gesù come fonte di alcuni detti sono l'eccezione che conferma la re­ gola. Secondo me, i due testi di l Pietro sono purtroppo gli unici casi ben fondati a noi pervenuti di una molteplice (e indipendente) attestazione delle beatitudini. Boring molto probabilmente ha ragione quando dice che l'eco delle beatitudini nell'epistola ai Filippesi di Policarpo (Fil. 2,3) non è indipendente da Matteo e da Luca'"'. Dopo aver riportato vari e­ sempi di «ciò che il Signore diceva quando insegnava» - vari loghia brevi tratti dai vangeli secondo Matteo e secondo Luca - Policarpo conclude citando: «Beati i poveri e quelli che sono perseguitati" a· causa della giusti­ zia perché di essi è il regno di Dio». Qui si può subito osservare la fusio­ ne dei vangeli canonici che era già in atto nel n secolo. «Beati i poveri, "" M . BoiiiNG, TH Continuùrg Vori:e o/]esus, cjr., 195.; vedi anche le osservazioni di E. BEST, I Pe­ ter, cit., 105-106.109. 1 1 1-1 13, che afferma che l'autore di l Pietro, come di l Clemente, conosceva blocchi della tradizione evangelica orale. Su l Pt 3 . 1 4 , Best pensa che la differenza tra l'uso di dioko in Mt 5,10 e plischo in l Pt 3 , 14 non sia importante «dal momento che non incide sul significato e che q.-'ulrima parola è particolannente preftrita in l Pietro" (p. 109 n. 2). 161

Sull'esistenza di una tradizione parenetica deUe parole di Gesù nelle lettefte neotestamentarie,

distinta dalla tradizione evangelica sinottica delle sue pwole - entrambe

le tradizioni

risalirebbero a

Gesù stesso, ma si sarebbero sviluppate in diveni Sitze im Leben nella chiesa primitiva - vedi }OHN

l'IPER, 'Love Your Enemies' (SNTSMS 38), Cambridge University, Cambridge 1979. "' M. BoRJNG, The Continuing Voree ofJesus, cit., 195.

Il regno' di Dio: un regno futuro

perché di essi è il regno di Dio>> è la forma lucana della prima heatirodi� tranne l'uso matteano della terza persona che è stato introdotto nel testo lucano. Questa tendenza matteana è assai comprensibile dal mo­ mento che proprio al centro della prima beatitudine lucana Policarpo in­ serisce l'ottava beatitudine matteana, quella breve sulla persecuzione, che si chiude con la frase di Matteo: «perché di essi è il regno dei cieli»'". Po­ licarpo quindi non può essere considerato un testimone indipendente delle beatitudini di Gesù. ·, Esaminando il Vangelo di Tommaro copto, e specificamente le beatitu­ dini nei detti 54, 68, 69a e 69b, Boring lascia apena la questione della di­ pendenza del Vangelo di Tommaso dai sinottici'"'. Io penso. che si possa dire qualcosa di più preciso su questa questione. Come ho estesamente argomentato nel capitolo quinto di Un ebreo marginale, i detti di tipo si­ nottico presenti nel Vangelo di Tommaso dipendono molto probabilmen' te, direttamente o indirettamente, dai vangeli canonici. Credo che la mia posizione sia confermata dai quattro detti in questione: «Gesù disse: 'Beati'"' i poveri, perché vostro è il regno dei cieli [plurale]'» (detto 54); «Gesù disse: 'Beati voi allorché vi odieranno e vi perseguiteranno. Non vi sarà luogo nel quale voi non sarete perseguitati'» (detto 68); «Gesù disse: 'Beati quelli che sono stati perseguitati nel loro cuore. Essi sono coloro che, in verità, hanno conosciuto il Padre'» (detto 69a), e «'Beati quelli che sono affamati, perché il ventre di colui che lo vuole sarà riempito'» (detto 69b). Indicherò solo gli esempi più evidenti di dipendenza da Matteo e da Luca in questi quattro detti. Il detto 54 ricalca la beatitudine di Luca sui poveri e questo non sorprende dal momento che il Vangelo di Tommaso propende spesso verso un orientamento lucano. Tuttavia la crescente in­ fluenza del vangelo secondo Matteo nel H secolo è evidente dall'espres­ sione rivelatrice «regno dei cieli», invece di «regno· .di Dio» di Luca. Al­ l'interno delle beatitudini, «regno dei cieli» è chiaramente una redazione Re,

"' Al

posto dd rdativamétlte raro panicipio perfett o passivo Jedwgmé110i («l:he ""'o stari perse­ mtivo deU'csperienza di

guitati») di Matteo, Policarpo usa il presente semplice diOieoménoi, for!le a persecuzione che sta vivendo la chiesa del suo tempo. ·�-M.

BoRING, The Contù>, dal v. 29 (dove si riferisce evi­ dentemente � tutti i segni descritti in 13 ,5-25) , il v. 30 proclama: «In ve­ rità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose [presumibilmente, sia i segni che preludono alla venuta del Figlio del­ l'uomo, vv. 5-25, sia la venuta stessa, vv. 26-27)"' siano avvenute». Curio­ samente, questo calendario abbastanza preciso viene poi controbilanciato o forse anche annullato da 13,32-33: .«Quanto poi a quel giorno o a quel­ l'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e .neppure il Figlio, ma [solo] il Padre. State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso». Questa ignoranza del tempo della fine diventa poi il fondamento per una esortazione finale alla vigilanza (che comprende la parabola del padrone di casa che ritorna in un momento che i suoi servi ignorano) in 1 3,34-37. Questa breve analisi del cap. 13 chiarisce molti aspetti importanti. Pri­ mo, si può capire la natura eterogenea delle varie componenti che costi­ tuiscono questo poliedrico discorso. In realtà, non tutte le parti del di­ scorso escatologico di Marco si possono definire perfettamente coerenti. n discorso è introdotto da Gesù con la predizione della distruzione del tempio di Gerusalemme. Questo evento è ovviamente l'oggetto specifico

"" V. TAYLOR, Tbe Gospel According tq St. Mark, cit., 520, commenta sulla para bola del fico: «11 fì. co è menzionato perché in Palestina, dove la maggior parte degli alberi è sempreverde, lo scorrere della linfa nei suoi rami e la comparsa delle foglie sono un segno sicuro che l'inverno è passato». C. MANN, Mark, cit., 534, sottolinea l'imponanza della «prevedibilità» e della affidabilità del fico: «La graduale compan;a delle foglie nel fico in primavera è sempre il primo segno certo della stagione: il mandorlo, al contrario, può spesso fiorire prematuramente e poi avere i fiori bruciati da una gelata tardiva». "' Il soggetto del greco engys estin («è vicino») non è espresso. La descrizione della venuta del Fi­ glio dell'uomo è il contesto immediatamente precedente (13,24-27) e quindi è lui il soggetto più pro­ babile. Tuttavia, è possibile anche un soggetto più vago come «>, si riferisce a tutti i segni apocalittici prece­ dentemente descritti"', con in più l'effettiva venuta del Figlio dell'uomo. In altre parole, il significato e la funzione di 13,30 dipendono dalla sua posizione nel suo attuale contesto alla fine della lista dei segni. Pertanto,

'" Per essere più ptecisi, l'altare elo il simulacro era quello del dio semitico «Baal dei cieli,. (bo'ol !tim&z), l'equivalente del greco Zeus 0/ympios; su questo vedi C. HARMAN - A. DI LELLA, The Book o/ Donie/, cit., 229. "' Su questo vedi la �piegazione e la bibliografia citata da G. BEASLEY·MURRAY, fesus and the Ki11g· dom o/ God, ci t., 328·329. '" Su questo vedi L. OBERLINNER, Die Stellung, cit., 62.

Il n!gfto ìJi Dio: un regno futuro

461

13,30 presuppone la composizione dell'enunciazione dei segni, la quale è comunque un brano composito, formatosi senza dubbio nell'arco di un ceno periodo di tempo nella chiesa primitiva, dato che riflette vari eventi dei primi decenni cristiani. In breve, 13,30, come sintesi e conclusione della lista dei segni, fu composto in una fase recente della storia della re­ dazione di Marco 1 3 . Molto probabilmente fu composto proprio per esse­ re collocato in questo punto nel discorso escatologico, dal momento che ha poco senso come loghion sparso e isolato. Per sua stessa natura, il det­ to fissa un limite di tempo che a sua volta richiede un contesto più ampio. Dire che questa generazione (cioè i giudei contemporanei di Gesù)226 non passerà significa non predire nulla se non c'è un contesto immediatamente precedente che spieghi che cosa sono «tutte queste cose>> ed è quello che Mc 13,5 - 12 fa. Sostenere che Mc 13,30 una volta abbia avuto qualche altro contesto, ora perduto, significa awenturarsi in congetture sull'inconoscibile allo scopo di evitare la conclusione naturale: il v. 30 fu composto come apice dell'elenco dei segni apocalittici, per riassumere e specificare ulteriormente il limite di tempo da essi stabilito. Data la lenta e complessa formazione di Mc 1 3 ,525, il versetto che fu composto per sintetizzare e specificare questo elenco di segni ben difficilmente può essere attribuito al Gesù storico. · Una seconda riflessione sulla base di Marco 13 depone contro l'auten­ ticità del v. 30. Quasi immediatamente dopo questo versetto abbiamo una pericope conclusiva, costituita da singoli detti e da una breve parabola; tutto questo contrasta con l'elenco dei segni in generale e con il v. 30 in panicolare perché sottolinea l'inconoscibilità del tempo della fine. Pure questa pericope finale è composita, però, come si è visto nel capitolo se­ sto (sui criteri di autenticità), il criterio dell"imbarazzo' rende probabile che soprattutto Mc 13,32 sia autentico: . Mentre questi due detti saranno in grado di fornire solide basi alla tesi di un Regno pre­ sente, scopriremo che un altro famoso detto di Gesù, ((Il regno di Dio è vicino>> (Mc 1 , 15 ) , è molto più problematico ed è meglio !asciarlo da par­ te. La nostra ricerca si concluderà con due detti affini che non menziona­ no il Regno in maniera esplicita, ma tuttavia implicano la sua presenza nel ministero di Gesù: la beatitudine rivolta a coloro che vedono ciò che i discepoli vedono (Le 10,23-24 e par.) e il rifiuto da parte di Gesù del di­ giuno volontario (Mc 2,18-20 e parr.).

2. Detti già esaminati: la seconda silloge sul Battista

(Mt 1 1,2-19)

Un modo relativamente 'indolore' di affrontare tale questione spinosa complessa è riprendere alcuni detti di Gesù che abbiamo già analizzato in· altri contesti e che abbiamo giudicato autentici. Alla fine del capitole precedente ho osservato come ( l ) l'invito di Gesù ai suoi discepoli di ri­ volgersi a Dio come 'abba' quando pregavano per l'awento del Regno e (2) la sua paradossale dichiarazione nelle beatitudini che gli infelici sono beati facciano pensare entrambi che il·Regno futuro esercita già un pote­ re trasformante sull'oggi del credente. In un certo senso, il credente è già sotto il dominio del regno escatologico di Dio. Questo non equivale a diL e

1/ regno di Dio: un regno già presente

471

re che il Regno �· già presente. Alcuni detti che abbiamo analizzato si spingono più in là della preghiera del Signore o delle beatitudini nell'in­ dicare che il Regno escatologico è già presente nel corso della vita terrena di Gesù e attraverso la sua attività6? Un promettente campo di indagine è la seconda silloge sul Battista in Q (Mt 1 1 ,2-19 Il Le 7 , 1 8-23 ; 16,16), che abbiamo esaminato nel capitolo tredicesimo. Come abbiamo visto in quel capitolo', con l'eccezione di Mt 1 1 , 12-13 Il Le 16, 16, le due versioni di questa seconda serie di materiali sul Battista mostrano un sorprendente grado di corrispondenza letterale, parola per parola, specialmente nei detti che formano il nucleo origina­ rio. Questo nucleo originario sembra sia giunto a una forma praticalmen­ te fissata già anticamente nella tradizione Q. Si tenga molto presente che il problema del rapporto di Gesù con il Battista non si può risolvere me­ diante titoli cristologici o strutture concettuali tipiche delle 'cristologie al­ te' presenti nei vangeli. Al di là di queste considerazioni generali, indizi di tradizione autentica di Gesù si trovano anche nelle singole unità che formano questa silloge di materiale. Nella prima unità (Mt 1 1 ,2-6 e par.), Giovanni, nel porre la questione dell'identità di Gesù attraverso i suoi inviati, non usa alcuna delle princi­ pali categorie cristologiche della chiesa primitiva. Piuttosto, egli pone u­ na domanda generica, aperta a molteplici risposte, che ha di mira ma non definisce una qualche figura escatologica: «Sei tu colui che deve venire [letteralmente, colui che viene]?». Né il giudaismo precristiano né il do­ cumento Q usavano «colui che viene» come titolo usuale per indicare il messia o qualche altro personaggio escatologico. Nulla nella domanda o nel contesto mostra che la perplessità di Giovanni sia simulata allo scopo di condurre i suoi discepoli a Gesù. Né la sua domanda è il grido ango­ sciante di chi ha una fede vacillante in Gesù, perché niente nel contesto immediato o in Q nel suo complesso suggerisce che Giovanni sia mai ar-

' È dunq ue giWitificato chiederci se certi eleni di Gesù vadano al di là dell'idea generica del futuro che influisce sul presente. Alcuni detti affermano con forza e in maniera esplicita la presenza del Re­ gno nel ministero di Gesù? Se tali detti esistono effettivamente, allora la distinzione tra escatologia futura ed escatologia realizzata nei detti di Gesù non è semplicemente una creazione dell'esegesi mo­ derna che andrebbe abbandonata come un anacronismo. Per l'opinione opposta, vedi R. DILLON, Ravens, cit., 615. ' Vedi il capitolo tredicesimo, paragrafo IV.A. Per comodità del lcmore, qui ripeto in forma sinteti­ ca le conclusioni principali sull'autenticità e l'interpretazione di testi cui si è giunti nel paragrafo IV:A. Ciò che è nuovo in aggiunta alla trattazione del capitolo tredicesimo è l'accentuazione che qui si pone su ciò che i loghio ci dicono sulla visione che Gesù aveva del regno di Dio come già presente nel suo ministero.

472

Messaggio

rivato alla fede in Gesù. Giovanni dubita di dover ripensare la sua visione sull'imminente epilogo della storia di Israele. Si chiede se sia possibile che, contrariamente alle sue precedenti aspettative, Gesù, il guaritore e predicatore della buona notizia, e non un giudice · terribile, sia lo stru­ mento di quell'epilogo•. Tuttavia, l'eventualità opposta, che Gesù non sia quello atteso, è ancora molto reale per Giovanni e i suoi discepoli («o dobbiamo attenderne un altro?»). Se la silloge fosse in origine stata in­ ventata dai cristiani per convincere i seguaci del Battista a diventare cri­ stiani, la forma di propaganda scelta sarebbe alquanto singolare. Come la domanda del Battista, la risposta di Gesù non corrisponde al­ le affermazioni cristologiche ben definite, proprie della chiesa primitiva. Gesù risponde a Giovanni in maniera indiretta e allusiva, ricordando a tutti quello che finora ha fatto e detto e lasciando poi al Battista trarre da sé la conclusione: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono; i moni risorgono e ai poveri è proclamata la buo­ na notizia (Mt 1 1 ,5 e par.). Se il testo Q riflette con una cena precisione la risposta di Gesù, Gesù avrebbe dunque fatto riferimento a vari passi del libro di Isaia dove queste guarigioni miracolose sono simboli della re­ denzione di Israele dall'esilio babilonese da pane di Dio e del ritorno dd popolo in una Gerusalemme rinnovata'. Ammettendo questo, la replica di Gesù è il segnale di un superamento

' David Noel l'reedman mi ha suggerito che, oltre al contenuto teologico deUa domanda posta a Gesù, si può intendere anche qualcosa di molto concreto. Giovanni è in carcere, di fronte ad una possibile esecuzione capitale. Sorge spontanea la domanda su chi dovrebbe essere il sostituto o il

successore di Giovanni. Gesù indica se stesso: lui è disposto ad essere quel successore, ma indica an­

che qualcosa di più. Egli ha compiuto dei miracoli, qualcosa che Giovanni non ha mai fatto. Con le figure di Mosè, Elia ed Eliseo come i grandi operatori di miracoli deU'Antico Testamento che si sta­ gliano sullo sfondo, Gesù proclama di essere qualcosa eli più di un semplice sostituto o successore

eli

Giovanni Con il suo ministero di proclamazione-e-miracoli, è iniziata una fase nuova del dramma e­

scatologico. ' J - ]EREMIAS, New Testament Theology, cit.,

103- 105 [trad. it., 123-127], dal linguaggio simbolico

de! libro di Isaia deduce che la risposta eli Gesù è altreltanto simbolica e non si riferisce ad alcun mi­ racalo che egli ha presurnibilmente compiuto (che è piuttosto il senso che Manco e Luca attribuisco­ no aUe sue parole). D senso autentico del passo, secondo Jeremias è: «Ma ora ecco venire l'aiuto a co­ loro che erano irrimediabi.lmente perdenti, ecco ridestati alla vita coloro che giacevano come morti»-. Jeremias evidentemente percepisce che c'è un'obiezione spontanea a questa interPretazione, e così aggiunge un'osservazione un po' zoppicante (p. 105 [trad. it., 126]): «Va notato che i lebbrosi e i moni non sono menzionati nei tre elenchi di Isaia. Il fatto che Gesù li menzioni significa che il com· pimento supera eli gran lunga rune le promesse, le speranze e le aspettative». Piuttosto, la conclusio­ ne.naturale dovrebbe essere che Gesù, pur alludendo a Isaia, sta tuttavia elencando i vari miracoli a lui attribuiti; il suo curriculum non corrisponde in maniera precisa a nessuno degli elenchi del libro eli Isaia.

Il repo ili Dio: un regno giò presmte

473

rispetto al ministero di Giovanni. Anche se Gesù di fatto riprende il mo­ nito di Giovanni di una fine imminente e la minaccia di un giudizio che attende coloro che rifiutano l'invito al pentimento, e probabilmente an­ che il rito del battesimo, egli mette l'accento però sul Dio che viene con potenza e misericordia per risanare e redimere il suo popolo, riunendo l'Israele disperso in un unico popolo escatologico. In realtà l'azione con la quale Gesù introduce definitivamente il tempo finale, cioè l'ultima nel suo elenco, non è una guarigione, ma la proclamazione della buona noti­ zia ai poveri, la buona notizia di cui si parla in ls 61,1, quella che alla let-. tera Gesù proclama ai «poveri» nella sua prima beatitudine nel grande discorso Q (Mt 5,3 Il Le 6,20). Gesù poi conclude la descrizione del suo mite ministero com un appel­ lo amorevole al suo maestro che l'ha preceduto, un appello appropriata­ mente espresso con una beatitudine: «E beato colui che non si scandaliz­ za [= è trattenuto dal credere] per causa mia>>. Come abbiamo visto nel capitolo tredicesimo, ciò che sorprende, tanto da essere quasi scioccante, è che l'episodio si conclude in questo punto, sospeso a mezz'aria, senza nessuna indicazione qui o altrove in Q (o in qualsiasi altra tradizione an­ tica nei sinottici) che il Battista abbia risposto positivamente all'appello di Gesù di avere fede in lui. Veniamo persino lasciati nel dubbio a chie­ derci: se Giovanni non ha aderito alla fede connessa con la felicità pro­ messa nella beatitudine, si riteneva che egli di fatto fosse stato escluso dalla beatitudine escatologica? Anche il più debole accenno di tale idea sarebbe controproducente per qualsiasi tentativo di attirare i discepoli di Giovanni al cristianesimo. In breve, i criteri dell'imbarazzo e della di­ scontinuità dimostrano ampiamente, come altrove, che la pericope è una tradizione autentica che proviene. da Gesù. Come si può vedere, questa tradizione in Mt 1 1 ,2-6 e par. non usa l'e­ spressione «regno di Dio». Tuttavia questo ci fornisce uno sfondo decisi­ vo per comprendere l'espressione quando essa appare nella successiva sil­ loge sul Battista da Q (Mt 1 1 ,7- 1 1 . 12-13 Il Le 7,24-28; 16, 16)'0• Rispetto

" G. BEASLEY·MlmRAY, ]esus and the Kingdom o/ God. cit., 38, sintetizza i' affermazione di Mt I l .2· 6 e par. in questo modo: «Dio nella sua potenza misericordiosa e sovrana come redentore si incontra nelle parole e nelle azioni di Gesù, e attraverso di lui questa sovranità è sperimentata nel presente, proprio come essa dovrà essere ereditata attraverso di lui nel futuro». Certamente, il discorso sul 'po­ tere sovrano' di Dio può introdurre il linguaggio del Regno in una pericope che non lo usa in manie­ ra esplicita. A difesa di Beasley-Murray bisognerebbe osservare che egli scrive questa sintesi dopo a­ ver trauato la questione dell'avvento del regno di Dio negli esorcismi di Gesù IMt 12,28 Il Le 1 1 ,20) e forse avendo in mente questo deno ad essi collegato.

Menagglò

474

al Battista, Gesù si distingue come uno che compie miracoli di guarigione e proclama la buona notizia ai poveri mentre percorre la terra di Israele in adempimento delle profezie di Isaia. Implicitamente siamo preparati a intuire che questo è il modo in cui il dominio regale di Dio su Israele nel tempo finale opera concretamente ed è sperimentato proprio ora, attra­ verso il ministero di Gesù. Sta avvenendo qualcosa di nuovo e di diverso nell'attività profetica di Gesù. Ciascuno, compreso il Battista, viene pro­ vocato ad accogliere la verità che Dio è il principio ultimo operante nelle parole e nelle azioni di Gesù, anche se gli eventi contraddicono le idee preconcette che si avevano su come sarebbe stato il tempo finale per I­ sraele. Tutto questo ha grande importanza quando passiamo ad esaminare la seconda unità nella silloge sul Battista. Come abbiamo visto nel capitolo tredicesimo, Mt 1 1 ,7 - 1 1 ll Le 7,24-28 è .un'unità ben strutturata, compo­ sta di vari detti indipendenti, .non necessariamente pronunciati nella stes-. sa situazione storica descritta in Mt 1 1 ,2-6 e par. Tuttavia, il soggetto, vale a dire il Battista, è il medesimo e si suppone che Gesù non abbia cambia­ to radicalmente le sue opinioni sul Battista da una testimonianza all'altra. Il punto focale assoluto di Mt 1 1 ,7-9 è la grandezza di Giovanni, che è vi­ sto come profeta e (misteriosamente) più che profeta, L'assenza di qual­ siasi categoria che potrebbe orientarlo verso Gesù (testimone, precurso­ re), in realtà l'assenza totale di qualsiasi riferimento a Gesù, definisce questo passo fortemente retorico come tradizione autentica di Gesù". Anche altri elementi in questo passo depongono a favore della sua auten• ticità. Per esempio, il carattere allusivo e indiretto del riferimento di Ge� sù a Erode Antipa è perfettamente comprensibile se il profeta Gesù, che era stato discepolo di Giovanni, sta parlando in Galilea del profeta che Erode ha recentemente imprigionato. Tralasciando la citazione anticotestamentaria in Mt 1 1 ,10 come proba­ bile creazione cristiana primitiva, continuiamo la valutazione bipartita di Giovanni in Mt 1 1 , 1 1 Il Le 7 ,28. Questo detto non solo conclude l'unità Q, ma contiene anche la prima ricorrenza dell'espressione «regno di Dio» in questa seconda silloge sul Battista: «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista ( 1 1 , 1 1a); tuttavia il più

11

Nello stesso tempo, nel contesto più ampio dell'intera pericope sul Ba[tista, si può scoprire Wl

implicito contrasto fra l'austero, ascetico, intransigente profeta del deserto e il gioioso Gesù, gauden­ te, cui piace mangiare e bere, amico dei pubblicani e dei peccatori, che porta la guarigione ai malati e la buona notizia ai poveri

(Mt l l ,2-6 e 11 ,18-19 e par.).

n reg,o'Ji bio: "" reg,o già presente

475

piccolo nel regno dei cieli [di Dio] è più grande di lui ( l l ,l lb)))". Come abbiamo visto nel capitolo tredicesimo, qualcuno potrebbe sostenere che il v. l l b sia una correzione cristiana dell'affermazione imbarazzante e radi­ cale nel v. l l a. Tuttavia la struttura concisa e curata dell'intero v. 1 1 , il preciso parallelo-con-contrasto retorico, particolarmente evidente nella forma più semitica del detto, e il modo tipicamente semitico di esprimere il paragone e la contrapposizione mediante affermazioni radicalmente opposte e in apparenza reciprocamente escludentisi (negazione dialetti­ ca), tutto questo dimostra l'autenticità dell'intero v. 1 1 nel suo insieme. I­ noltre, in perfetta aderenza con tutto quello che abbiamo visto sul c> e il suo a­ nello con sigillo". Il giudaismo non era certo solo nella sua credenza nella possessione

.'' P"'r il testo aramaico della Preghiera di Nabonide con traduzione inglese, vedi }OSEPH A. F!Tz.MyER - DANIELj. HARRJNGTON, A Manua/ of Pa/ertimim Aramaic Textr (BibOr 34), Istituto Bi­ blico, Roma 1978, 2-'; per la descrizione testuale e la bibliografia, vedi pp. 191-193. Per un'altra tra­ duzione inglese della Preghiera di Nabonide, vedi GEZA VERMÈS, The Dead Sea Scrollr in Engltsh, Penguin, London 1987', 274. Vedi il commento sui due testi di Qumran di D.C. DULING, Tertament ofSolomon, in The 0/d Tertament Preudepigrapha, cit., l, 945: «Abramo neli'Apomfo della Generi e probabilmente Daniele nella Preghiera di Nabonide sono considerati tipi di esorcisti>>. Un riferimento indiretto a Daniele si trova in una frase parzialmente conservata nel frammento 4 di 4QprNab, riga 4: « . . . come assomigli a Ds[nielel. . . » Q. FITZMYER - D. HARRlNGTON, Manua/, cit., 4-5). � Vedi J.M. VAN DER PLOEG, Le Praume XCI danr une recenrion de Qumrdn, in RB 72 ( 1965) 210217; IDEM, Un peti/ rouleau de praumer apocryphes (1 1 QprAPa), in Tradition und Glaube. Dar fr;ihe Chrirtentum in reiner Umwelt, scritti in onore di Karl Georg Kuhn, a cura di G. Jeremias e altri, Vandenhoeck & Ruprecht, Gòttingen 1971, 128-139. " La data, la paternità e la provenienza del Testamento di Salomrme sono ancora controverse. Per una rassegna delle opinioni, vedi D. DULING, TeSiament ofSolomon, cit., 935-959. Nella sua forma definitiva, il Testamento di Salomone è o un'opera cristiana o un'opera ebraica redana da un cristia­ no, ma esso deriva evidentemente da fonti e tradizioni ebraiche. " La data della redazione del Peslijla di Rt.b Kahana (uno dei mzdrashfm omiletici) è controver... Una datazione al v secolo d.C. è probabile, anche se senza dubbio molta parte del materiale è più an­ tica. Su questo vedi H.L. STRACK - G. STEMBERGER, lntroduction lo the Talmud and Midrash, Clark, Edinburgh 1991, 321. Per una traduzione del Pesiqta di Rab Kahana, vedi WILLIAM G. BRAUDE, J>esil!;a d•-Rab Kahiina, Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1975. Per una trauazione generale sulla demonologia nel giudaismo antico, vedi Str-B, 4/1, 501-535; su­ gli esorcisti (inclusi &ia re Salomone che i rabbini ebrei del periodo talmudico) si parla a pp. 533-'3'. Tunavia, nell'usare questo materiale bisogna fare attenzione alla tendenza di Str--B a creare sintesi a­ storiche da molti scritti giudaici di secoli diversi. " Su tutto questo vedi l'edizione riveduta di E. ScHùRER, The History of the fewish People, cit., 3/1, 342-343 [trad. it., 446-448] (esorcismo), 352-355 [trad. iL, 458-463] (coppe per incantesimi e a­ muleti in ebraico e aramaico) e 372-374 [trad. iL, 485-490] (Testamento di Salomone).

Il regno di Dio: un regno già presente

483

demoniaca e nell'efficacia dell'esorcismo tra il I secolo a.C. e il I d.C. Idee simili erano diffuse sia nelle religioni pagane che nel cristianesimo ed era­ no destinate ad aumentare 'in parallelo' con il sincretismo e la magia nel tardo impero romano28• I primi cristiani ritenevano che Gesù stesso aves­ se conferito loro il potere di compiere esorcismi; tutti e tre i vangeli sinot­ tici includono l'esorcismo nel mandato di Gesù ai suoi discepoli quando li invia in missione (Mc 6,7; Mt 10, 1 .7; Le 9, 1; cfr. Mc 9,38-40). Gli Atti degli Apostoli presentano Paolo come un esorcista (At 16,16- 1 8; 19,12) che i suoi rivali giudei tentano di imitare senza successo ( 1 9,13 -20)29• Il potere straordinario dei cristiani di compiere esorcismi fu un argomento usato dagli autori della patristica contro il paganesimo. Questo potere di­ venne di fatto tanto importante nella chiesa che verso il III secolo fu isti­ tuito un ufficio speciale di esorcista, che rimase nella chiesa romana come 'ordine minore' fin verso la fine del xx secolo. Data la lunga storia dell'esorcismo nel paganesimo"', la sua esistenza

" Vedi. � ts .• le tavole, il testo e la traduzione del Papiro magico di Parigi. righe 3007-308�. in !tr

OOI.F DEISSMANN, Licht vom Osten , Mohr [Siebeck] , Tiibingen 1923', 2 1 6-225; il materiale risale

al 300 d.C. circa. Più pertinenti rispetto al detto in Le 1 1 ,20 sono la fotografìa, il testo e la traduzione di un ostracon proveniente dalla città di Ashmounein in Egitto (pp. 259-260). Indirizzato al dio Kro­

nos, contiene una formula magica che cerca di chiudere la bocca a qualcuno per impedirgli di parla­ re a un'altra persona. La frase significativa è:

«erorkizokatd tù dJktylu tù theU» («lo ti impongo con

il dito di Dim>). Deissmann qui vede una mescolanza di elementi pagani e giudaici, mentre B. Cou­

ROYER, Le 'dnigt de Dieu' (Erode, VII/. 15), in RB 63 ( 1956) 481-495, pensa che il resto sia l'opera di

un giudeo egiziano sincretista (p. 482). In ogni caso, l'ostracon appartiene alla storia ddl'influsso

di Es 8,15 (e forse di Lc 1 1 ,20?), dal momento che risale al tardo periodo imperiale romano. L'immagi· ne del dito di [)jo poi continua in testi sincreristici del cristianesimo copto in Egitto. Una edizione

più completa e aggiornata dei papiri magici greci (ma senza i testi greci originali) si può trovare in H ANS DIETER BETZ (ed.), The Greelt Magica/ Pa('Yri in Transl4tion, lncluding the Demotic Spells, Uni­ versity of Chicago, Chicago - London 1986. Un utile esempio di racconto di esorcismo nella letteratura pagana dell'inizio del DI secolo d.C. è il

racconto dell'esorcismo di un giovane da parte di Apollonio di Tiana nella Vita Apo/lonii di

FILO­

STRATO, 4,20; il testo greco e la traduzione si possono trovare in l'C. CoNYBEARE (ed.), Philostratus. The U/e of Apollonius o/Tyana (LCL), 2 voli., Heinemann - Harvard University, London - Cambrid­ ge (MA) 1912, l , 390-393. Un altro racconto di esorcismo si trova in 3,38. Altri tre raccont i (2,4; 4,10; 4,25) non sono, in senso stretto, racconti di possessione e di esorcismo, ma piuttosto casi di uno spiritello maligno, un demone o un V11111piro che assumono forma visibile per recare danno agli esseri umani.

" Su alcune delle difficoltà connesse con il racconto dei sene figli di Sceva in At 19,14-16, vedi Jo­ SEPH A. FrrlMYER, 'A certain St:er��J, a Jew, • chief priest' (Acts 1 9, 14), in Der Treue Gottes Trauen. Beitriige zum Werlt des Lukas, scrini in onore di Gerhard Schneider, a cura di Claus Bussmann e Walter Racll , Herder, Freiburg - Basel - Wien 1991 , 299-30')0

Qui è

importante una precisazione: «La possessione di individui e il successivo esorcismo sono

sconosciuri nella Grecia anrica e classica, ma il germe di questa idea

è già

presente neli'Odis.re•

(V,396)» ij. HUI.L, Hellenistic Magie, cit., 62). Hull mene anche in evidenza (p. 63) che mentre ab-

Messaggio

484

nd giudaismo verso l'inizio dell'era cristiana e la sua presenza nd cristia­ nesimo sin dalle origini, sarebbe sorprendente non trovare alcuna traccia di esorcismo nel pensiero o nella pratica del profeta, maestro e operatore di miracoli ebreo del I secolo di nome Gesù. In realtà, sia la tradizione marciana che la tradizione Q, insieme a M e L, attestano abbondante­ mente che Gesù praticò l'esorcismo (Mc 1 ,23-28 e par.; 3 ,22-27 e parr.; 5 , 1 -20 e parr.; 7,24-30 e parr.; 9,14-29 e parr. ; Mt 12,22-23 Il Le 1 1 , 14-23; vedi anche Mt 9,32-34 e Le 13,10- 1 7.3 1 -33)3'. Gli esorcismi sono anche menzionati in vari sommari narrativi dell'attività di Gesù. Gli esorcismi godono di numerose testimonianze: le fonti attestano non solo una mol­ teplicità di casi di esorcismo, ma anche una molteplicità di forme di at­ tuazione. Essi ricorrono sia nelle narrazioni (racconti di miracolo, som­ mari narrativi) sia in vari tipi di detti (racconti di dispute, istruzioni mis­ sionarie). In realtà, gli esorcismi costituiscono la più ampia categoria a sé stante di guarigioni nei sinottici". Si potrebbe anche fare ricorso al crite­ rio dell'imbarazzo nella misura in cui gli esorcismi portarono i capi ebrei ad accusare Gesù di collusione con il principe dei demoni (Mc 3 ,22 e par.). A suo tempo tali accuse sfociarono nell'accusa di praticare la ma­ gia, un'accusa che si trova in scritti giudaici e pagani più tardi)). In una

biamo

la testimonianza di un racconto di esorcismo nd vicino oriente antico intorno al I secolo d.C..

le storie di singoli casi concreti sono rdarivamente rare. ••

Per un esame iniziale di testi sinortici attinenti al tema, che pongono l'accento sull'idea del regno

Das Reich Satans, in Bib �8 (1977) 29-61. Vedi anche gli ar­ GLNT, Bee/xebou/, Il, 239-242; Be/iar, II, 243-244; daimon, etc. , Il, 739-791; (con GERHARD VON RAD) diabti/16, ditiho/os, Il, 921-950; (con KNUT ScHAFERDIEK) stitanas, XI, 1397-1434. "J. DUNN, Mallhew 12,28 Il Luke 1 1,20, cit., 32, tenta di trarre una sorta di argomentazione dalla o dominio di Satana, vedi HEINZ KRUSE,

ticoli di WERNER FOERSTER nd

discontinuità mettendo in evidenza la relativa assenza della menzione di esorcismi nell'attività della

chiesa primitiva, come descritta negli Atti e la totale mancanza di qualsiasi menzione di esorcismi nelle varie fonne dd mandato postpasquale

(Mt 28,18-20; Le 24,26-29; Gv 20,21-23; Al 1,8). La

principale eccezione è lo cosiddetta 'finale lunga di Marco', specificamente Mc 16,17, che comunque risale al n secolo. Ammessa la tesi fondamentale di Dunn, bisogna tunavia tener conto della possibi­

lità che la chiesa primitiva considerasse i racconti degli esorcismi di Gesù, uniti al conferimento dei poteri ai discepoli nel discorso missionario di compiere esorcismi (Mc 6,7.13; Mt 10,1.8; Le 9,1), un conferimento di potere sufficiente per continuare a fare ciò che Gesù aveva fano. I conferimenti di autorità postpasquali tendono ad incentrarsi su quello che deve essere nuovo e diverso nell' au.ività dei discepoli dopo la pasqua. " Per i testi pagani e giudaici che accusano Gesù di praticare la magia, vedi MORTON SMJTH, Jesus the Magician, Harper & Row, San Francisco 1978. 45-67 [trad. it., Gesù Mago, G remese Roma 1990, 72-103]. Poiché sto cercando di determinare &mi particolari su un ebreo particolare dd I secolo e i suoi detti, rimango il più vicino possibile alle parole e alle categorie delle fonti primarie. Dal punto di vista della sociologia delle religioni, l'accusa di cacciare i demoni mediante Beelzebul (cioè, invocan­ do il nome di Bedzebul) può in realtà essere equivalente all'accusa di essere un mago; su questo vedi ,

l/ regno·Ji Dio: un regno già presente

485

cena misura; ci si potrebbe addirittura appellare al criterio della disconti­ nuità per il fatto che la modalità dell'esorcismo era diversa dalle molte 'tecniche' dd tempo. Nei casi rigorosi di possessione demoniaca nei si­ nottici (rispetto ai miracoli di guarigione con sfumature di esorcismo)", Gesù - contrariamente alla pratica comune nel mondo antico - di fatto non prega Dio, né impone le mani né usa incantesimi elaborati, formule magiche o oggetti religiosi. Egli non scaccia neppure i demoni «nel no­ me» di qualcuno, diversamente dai cristiani primitivi, che scacciavano i demoni nel nome di Gesù (At 16,18; 19,13)1'. Tutto quello che Gesù fa è «rimproverare» ( epitimao) , >.

non è con me è comro di me;

e chi non raccoglie con me, disperde•.

Se la domanda sui figli che scacciano i demoni (Mt 1 2,27 Il Le 1 1 , 1 9) fosse o no originariamente connessa con il detto sugli esorcismi e il Re� gno (Mt 12,28 11 Le 1 1 ,20) è più difficile da stabilire, ma probabilmente essi non furono uniti sin dall'inizio". In un aspetto, l'orientamento dei due detti è molto diverso. Mt 12,27 e par. è una domanda retorica che e­ spone un argomento ad hominem. In difesa di questo argomento Gesù ri­ conosce che i seguaci o i membri di un qualche gruppo ebreo non nomi­ nato («i vostri figli») compiono effettivamente esorcismi". Il semplice fat­ to che essi li compiono difficilmente dimostra che essi considerano che il loro potere venga da Beelzebul, il principe dei demoni, una conclusione che i capi ebrei rifiuterebbero in ogni caso per i loro seguaci. Come fan­ no, allora, questi capi a dedurre dal semplice fatto che i suoi esorcismi riescano che Gesù riceve il suo potere esorcistico dal principe dei demo­ ni? Allora, quei seguaci dei capi ebrei sono essi stessi la confutazione vi­ vente dell'accusa che gli scribi muovono contro Gesù («Per questo loro stessi saranno i vostri giudici»).

"J. DUNN, Mdtthew

12:28 ll Luke 1 1 :20, cit., 40-4 1 , ritiene che non si possa raggiungere un giudi·

zio definitivo su questo punto, ma non ritiene che una decisione nell'uno o nell'altro senso incida

di Le 1 1 ,20 e par. J. SCHLOSSER è tra coloro che sostengono con decisione che i due loghia fossero in origine separati (Le règne de Dieu, cit., l, 130132). In realtà, egli propone che il v. 19 sia stato creato in un secondo momento per facilitare l'unio­ ne dd v. 20 originariamente indipendente con il materiale Q in Le 1 1.14-15.17 - 1 8a. Il v. 19 è visto co­ me una creazione di apologisti cristiani 'razionali' da ERNST KASEMANN, Lukar 1 1, 14-28, in Exegeli· rche Verruche und Berinnungen, 2 voli., Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1965', l, 242-248, molto sul problema del significato e dell'autenticità

spec. 243 -244 . In contrasto con questo, secondo Kasemann, è la proclamazione kerygmatica nel v. 20 (che è autentico) che il Regno sta irrompendo attraverso l'attività di Gesù.

" H. KRUSE, Dar Reich Satanr, cit., 29-61 , spec. 38 n. 22, propone come implicito presupposto di questo argomento il fatto che alcuni esorcisti tra gli awersari di Gesù o per lo meno esorcisti che non seguivano Gesù abbiano scacciato demoni nel nome di Gesù. Qui Kruse mescola arbitrariamente la tradizione Q di Mt

12,27 e par. con la tradizione marciana in Mc 9,38-41 e par.

Il'"t.'"' 'di Dìo: un regno già ·presente

491

D tono e l'orientamento di Mt 12,28 Il Le 1 1 ,20 differiscono notevol­ mente dal versetto precedente44• Invece di una domanda retorica e di un argomento ad hominem, Gesù fa una precisa affermazione in 'una frase condizionale dichiarativa che non contiene nulla che egli consideri vera­ mente ipotetico: «Se invece io scaccio i demoni con il dito [Matteo: Spiri­ to] di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio». Più precisamente, l'ag­ gettivo «vostro» o il pronome «voi» non sembrano riferirsi alle stesse persone m Mt 12,27 e par. e in 12 ,28 e par. Nel v. 27, quando «i vostri fi­ gli» sono ironicamente chiamati in causa per essere > deve riferirsi ai capi ebrei che si oppongono all 'attività esorcistica di Gesù (o almeno la metto­ no in discussione). Il pronome «voi>> sembra riohiedere un referente diverso nel v. 28. Di­ fatti, non è affatto chiaro perché, se Gesù esorcizza con il dito di Dio, il Regno è .di conseguenza (ara) venuto proprio per i capi ebrei che nondi­ meno rifiutano i · suoi esorcismi come opera del principe dei demoni. Questi capi ebrei che contrastano e stigmatizzano gli esorcismi di Gesù sembrerebbero essere l'unico gruppo per il quale il Regno non sta venen­ do tramite gli esorcismi di Gesù. «Voi>> nel v. 28 sembra richiedere degli altri referenti, cioè i generici ascoltatori di Gesù, o i discepoli che egli sta istruendo riguardo al vero significato dei suoi esorcismi, o forse addirittu­ ra i beneficiari dei suoi esorcismi. Che senza alcuna indicazione di un cambiamento di uditorio «vostri>> e «voi>> si riferiscano a due gruppi così diversi in due frasi successive sarebbe assolutamente sconcertante in un dialogo reale di Gesù e anche in una composizione originale creata fin dall'inizio da Q. La conclusione immediata è che il v. 27 e il v. 28 non fu­ rono concepiti insieme fin dall'inizio della tradizione".

" ]. ScHLOSSER, Le règne de Dieu, cit., l, IJO, sottolinea una differenza morfocririca. Mentre le 1 1,19 e por. è un loghion in tre parti � rispecchia la fonna di un racconto di disputa (Streitgespriich) che si conclude con una minaccia (Drohwort). il v. 20 è invece un loghion in due pani, un oracolo

profetico che riflette la proclamazione della salvezza (Heilspred•gtl. Anche Schlosser ritiene che l'en·

19 differisca dal meno enfatico «io» nel v. 20 (che per di più è solo in pane auestato nella tradizione manoscritta greca). " Su questo vedi M. SATO, Q u,.d Prophetie, cit., 133; cfr. ). GND.KA, fesus vo" NIIZI'rel, cit., 135

fatico e antitetico «io» (ego) del v.

Messaggio

492

Inoltre, alcuni commentatori fanno rilevare che se il v. ·27 e il v. 28 fos­ sero stati uniti insieme sin dall'inizio, si potrebbe inferire una curiosa de­ duzione dal nesso tra i due detti46• Se Gesù si appellò all a legittimità degli esorcismi dei seguaci dei suoi awersari come argomento a favore della le­ gittimità dei suoi stessi esorcismi (v. 27), e se poi egli immediatamente presentò i suoi esorcismi come strumenti concreti per mezzo dei quali il regno di Dio viene proprio adesso (v. 28), non sarebbe logico concludere che Gesù ammetteva che gli esorcismi dei discepoli dei suoi awersari fos­ sero altrettanto e in egual modo strumenti dell'immediato awento del re­ gno di Dio? Gesù avrebbe veramente ammesso-una simile conclusione sull'attività religiosa dei suoi awersari"? Anche indipendentemente dal­ l'attuale finale della pericope Q (Mt 12,30 e par.: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde»), le pretese specifi­ che di Gesù di essere il messaggero del Regno e i suoi aspri attacchi con­ tro i suoi diversi awersari rendono tale conclusione assai improbabile, Tutto considerato, quindi, l'idea più probabile è che il detto chiave che collega gli esorcismi di Gesù e il Regno circolasse in un primo tempo in­ dipendentemente dal suo attuale contesto in Q. · La conclusione di tutto questo è che Mt 12,28 Il Le 1 1 ,20 deve essere interpretato indipendentemente dal più ampio contesto letterario in Q,' anche se non indipendentemente dal contesto generale del ministero e­ sorcistico di Gesù. Rimane un problema di critica delle fonti e della tra­ dizione, vale a dire se nel detto sia più originale «per virtù dello Spirito di Dio» di Matteo o «con il dito di Dio» di Luca", Molti commentatori pro­ pendono per Luca e con buone ragioni. Lo Spirito è un tema teologico prediletto sia dal vangelo secondo Luca che dagli Atti degli Apostoli. È

[trad, it., 172]; A. GEORGE, P4roles ik ]ésus sur ses miu>

(At 10,38). Anche George indica la tipologia dell'esodo-Mosè nel ritratto lucano di Gesù. In

effetti, tale tipologia è più marcata nel libro degli Atti che nel vangelo secondo Luca; per la sua pre­ senza negli Atti, vedi LUKE T. ]OHNSON,

The Literary Functìon of Possessìon in Luke-Acts (SBLDS 39), Scholars, Missoula (MT) 1977, 70-76. Nel vangelo secondo Luca, altre tipologie anticotestamen­ tarie, specialmente quelle di Elia e di Eliseo, sembrano altrettanto o addirittura più determinanti. Di fano, la tipologia di Mosè è più evidente in Macteo, tuttavia egli non ha inserito «dito di Dio» o qual­ che altra. allusione a Mosè in questo versetto. Si potrebbe anche osservare che, a rigor di termini, la

Es 8 che occasiona la menzione del > di Marco ( di Matteo) e non l', è molto probabilmente la lezione originaria della parabola. Se è così, allora probabilmente il di Marco è Gesù, che, com'è suo modo tipi-

le scorrerie dei beduini»); }OHN DRURY, The Parables in the Gorpels, Croosroad, New York 1985, 117-118. " Nello sleSIO tempo, biS> rappresenti presumibilmente il climax di questa unità. Un'attesa fu­ tura del Regno è presupposta da entrambe le parti nel dialogo ed è un e­ lemento presente in tutto il vangelo. Per evitare che il v. 2 1b sia una mera verità lapalissiana, talvolta dagli esegeti viene interpolato un avverbio co­ me «improvvisamente» o «inaspettatamente>>'", ma il problema insito in

che da qualsiasi altro autore neotestamentario (anche se quattro casi in cui esso rico� non sOno troppo significativi) e (2) che il senso è sempre quello di persone che stanno osseiVando attentamen­ te qualcuno (Gesù nei vangeli) o qualcosa (le porte di Damasco nd libro degli Atti) con lo scopo o· stile di vedere se qualcuno farà qualcosa o se accadrà qualcosa. Questo significato dd verbo corri· sponde più o meno al significato «apocaliuico» che io auribuisco al sosranrivo: ]'attenta osservazione

per vedere se accadrà qualcosa. L'unica volta in cui questo verbo appare nel significato dell'osservan­ za legale si trova, significa1ivamente, non nei vangeli o nel libro degli Ani, ma in Paolo (Ga/ 4,10). Tuttavia anche qui la precisa osservanza legale che Paolo menziona - osservanza di giorni, mesi, sta­ gioni e anni - implica calcoli di calendario.

of God, cit., 100, che suggerisce la traduzione ZMl)EWSKI, Die Erchatolagiereden, cit., 368-369, suggerisce il si­ gnificato di «non si può dire», «non è lecito dire», o anche «non si deve dire». Non è del tutto chiaro

"' Vedi

G. BEASLEY-MURRAY, fesus and the Kingdcm

«non possono dire giustamente»; ].

se questo senso modale debba essere mantenuto aJ futuro o debba essere collocato nel presente; que­ no

sottolineare la connessione del v. 21a con il precedente v. 20h

(érchetai il successivo v. 2 1 b (értin che ha un senso propriamente presente). esempio, R. B!JLTMANN, Geschichte, cit., 128; ]. }EREMIAS, New Tertament Theology, it., 121) (che inoltre passa con troppa facilità dal testo redazionale di Luca al Gesù

sto dipende dal

volere o

che ha senso futuro) oppure con '" Così, per cit.,

101

[trad.

storico). Vedi la critica che R. Orro oppone a questo tentativo di inserire un awerbio come «im­ prowisamente» nel suo

The Kingdom od God and the Son of Man,

cit.,

134- 135;

vedi anche J.

Scm.ossER, Le règne de Dieu, cit., l, 2 1 1 . H. CoNZELMANN, The Theolagy ofSt. Luke, cit., 120-125

Messaggrb tale soluzione è evidente. Per far sì che «è» abbia il senso di una profezia futura, una parola chiave che Luca avrebbe facilmente potuto inserire ma che di fatto non inserì viene letta in un testo in cui è assente. Il significato presente puro e semplice di «è» sembra di gran lunga l'interpretazione più naturale. Questo ci porta all'espressione più difficile di tutte, entòs hymon, tra­ dotta sopra «in mezzo a voi» (o «tra voi»), una versione comune nelle tra­ duzioni moderne. Alcuni esegeti contestano questa versione affermando che ent6s non significa mai «in mezzo a» nel greco antico, Tuttavia, le do­ cumentazioni tratte da testi greci - e in particolare di testi greci tradotti da una lingua semitica - provano il contrario. Che la preposizione ent6s avesse certamente il significato di «in mezzo a» nel greco antico è dimo­ strato da due passi della traduzione dell'Antico Testamento di Aquila (fatta probabilmente alcuni decenni dopo il completamento del vangelo secondo Luca/Atti) ed è supportato anche dalla traduzione dell'Antico Testamento fatta da Simmaco verso la fine del !l secolo d.C. '".

[trad. it. cit.l, e R. HIERS, The Kingdom o/ God in the Synoptic Tradition, cit., 22-29, respingono en­ trambi l'idea del Regno come presente in 17,20-2 1, ma entrambi lo fanno in base alla loro teoria ge­ nerale del significato del Regno rispettivamente in Luca o nei sinottici. Hiers in particolare commette l'errore di attribuire 17,20-21 alla parre principale del discorso che segue, invece di valutare il diver­ so messaggio che questi versetti esprimono come un'introduzione. 11' Un chiaro esempio de] significato di «in mezzo a» per ent6s si può vedere nella traduzione di A­ quila di Es 17,7: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Il TM ha h'qirbi!nu per ). Sa/ 140,5 è più problematico, dal momento che il significato del testo ebraico è oscuro, ma il senso dell'espres­ sione ebraica in questione (b-ra'6tehem) potrebbe essere «in mezzo alle loro azioni malvagie». Sirn­ maco di conseguenza traduce l'espressione entòs tòn lukiiin auton. Un altro elemento curioso ha ori­ gine da questa breve analisi: l'uso di entOs per significare 'tra' si trova sia in una traJuzione del1' Anei­ co Tes tamento che. è pedantemente letterale, ma talora sgrammaticata (Aquila), sia in una traduzione che è molto più vicina al greco idiomatico (Simmaco). Alla luce dell'Antico Testamento - per non parlare di testi pagani - è sorprendente che H. RlF.sEN­ fELD, Le règne de Deiu, cit., 195, cerchi di sostenere che il significato 'tra' o 'in mezzo a' non si trova «in nessun testo della letteratura greca, sia profano che biblico». È troppo significativo che i testi di Aquila non vengano mai menzionati. Riesenfdd cerca di 'svalutare' la testimonianza tratta da Simma­ ) po­ nendoli in contrasto con gli occhi e gli orecchi della folla che non vede, non sente o non compren­ de ( 1 3 , 13). 3 . Al contesto redazionale di Ma/leo in 13,10-15 si può ant:he attribuire il motivo della lezione «beati i vostri occhi perché [h6111» vedono invece di «beati gli occhi che vedono ciò che [ha1 voi vedete». Come osserva G. BEASLEY-MURRAY, ]esus and 1he Kingdom of God, cit., 358 n. 67, rifacendosi a C.F. Bumey e Matthew Black la differenza tra 'perché' e 'ciò che' potrebbe riflettere traduzioni

ki.·7't!f!IO 4i bio: un regno già presente

�49

Colpisce immediatamente la coerenza di questa beatitudine OOfi . al._ due tradizioni Q che abbiamo già giudicato autentiche: le beatitudini Q diffonni deU'ambigua parola aramaica di (o de"), che può essere sia una c:ongiunzione causale che un pronome relativo. Anche se è possibile. tale teoria non è net·c:ssaria per spiegare la redazione di Maneo Il 'perché' di Manco riecheggia perfetlamente la modificazione rcdazionale che h� opera· to in alcuni versetti immediatamente precedenti ne1 suo testo marciano. Mentre Mc 4,12 introduce la citazione di Is 6,9 · 1 0 con una congiunzione indicante lo scopo (hina, «per non vedere»), Marteo cambia la congiunzione (in 13,13) ndla stessa congiunzione causale che usa wche neUa.beatitudi­ ne in l 3 , 1 6 (hòti, «perché. . . non vedono»). Lo stesso preciso nesso redazionale tra la beatitudine Q e il contesto immediato non è evidente in Luca. La seconda riga deUa beatitudine in MI 1 3 ,16 (che si riferisce agli orecchi dei discepoli che sento· no) è difficile da giudicare, dato che vi sono argomenti sia a favore che contro la sua inclusione '.llolla fonna Q. Poiché abbiamo già il sospetto che Matteo assimili IJ,I6 al contesto più ampio, il riferimento agli orecchi che sentono e agli occhi che vedono potrebbe facilmente derivare da due citazioni di Isaia dove vedere e sentire sono collocati in posizione parallela quattro volte all'interno .di ue versetti (MI 13,U.\4.U). Tuttavia, una considerazione, derivante daDa struttura stessa deUa . beatitudine Q, contraddice questa argomentazione. Come affermo nel testo, la beatitudine in Mt lJ 16 1 7 e par. ha una struuura costruita sul parallelismo sinonimico e antitetico. La presenza di «orecchi» nel v. 16 si accorderebbe sia con il paraUdismo aU'intemo dd versetto che con il paral­ lelismo tra i due versetti . Luca può benissimo aver omesso il materiale in MI U, 16b per ragioni stilistiche: avveniva che la ripetizione di tante espressioni e metafore simili in due verseui successi' .v.i era goffa e noiosa per il gusto letterario.greco. Sono pronto ad ammettere che nessuna deUe po· .sizioni ha un titolo per prevalere; pertanto metto MI 13,16b tra parentesi quando lo aggiungo aDa fine di Le 10,23. Non sorprende che da un lato G. BEASLEY·MURRAY, jesus and lhe Kingdom o/ God, cit., includa MI U ,I6b nd detto Q, mentre daU'altro l. HAVENER, Q. The Sayings o/ jesus, cit., 1 3 1 , lo ometta. 5. Anche «> fosse nella versione del detto del documento Q è J FtTZMYER, The Gospel According lo Luke, cit., 2, 875; contrario (anche se aon sen2lll perplessità) è S. ScHULZ, Q. Die Spruchquelle der Evangelislen, cit., 420 (anche n. I 12). 6. Anche se gli studiosi sono divisi suU'argomento. ritengo più probabile che Matteo abbia sostituito «giusti» (dikaiol] a «re» (basiléis) di Q, che è mantenuto da Luca. n campo seman� di «giusto, giustizia, giustificare» è importante sia in Maneo che in Luca (mentre è per lo più assente in Mar­ co e- in Giovanni), e così decidere tra «re» e «giusti» non è facile. Tuttavia, il vangelo secondo Mat· reo usa l'af!8ettivo «giusto» (dikaios) più spesso (diciassette volte) di qualsiasi altro libro neotesta· mentario: inoltre, dikaios e dikaioryne rappresentano concetti chiave neUa visione teologica com­ plessiva deUa moralità, dd!'escatologia e deUa storia deUa salvezza di Matreo. Non può essere una pura e semplice coincidenza che per due volte altrove in passi che lasciano evidentemente intrave· dere la sua mano redazionale Matteo presenti i giusti insieme ai profeti (10,41; 23,29; vedi T MAN· SON, Tbe Sayi�tgs o/jesus, cit., 80). Al contrario, è in un testo Q che Maueo menziona un profeta insieme a· un monarca (MI 12,41-42 Il Le 1 1,3 1 -32). Inoltre, «re» sta bene con «profeti» in quanto insieme rappresencano un gruppo di figure stor:iche specifiche, concrete nella storia passata di l· scade narrata nelle Scritture. l re a>mpaiono accanto ai profeti non perché i primi fossero cosl ec­ ceDenti .come 'classe' , ma perché, insieme ai profeti, compendiano la storia della salvezza di lsrade nella sua tensione verso il compimento; J GNILKA, jesus von Nazaret, ci t, !52 [trad. it., 193], indi­ ca in particolare il re Davide, il pttsunto autore del libro dei salmi. I 'giusti' erano presenti al tem· .

.

,

-

550

Messaggrb

·all 'ini2lio dd disoorso della montagna/pianura (Le 6,20-2� e par.) e la re­ plica di Gesù agli inviati di Giovanni il Battista (Mt 1 1 ,2-6 e par.). Come

po di Gesù proprio come lo erano nel passato di Israele; il termine «re>• evoca molto meglio 'lud passato sacro. Per un'opinione diversa, vedi G. BEASLEY-MURRAY, }esus a11d the Kingdom of God, cit., 84. Ritengo forzata la proposta di H. McNEn.E, The Gorpel According lo St. Matthew, cit., 192, che la differenza tra Matteo e Luca sia dovuta a una confusione tra l'aramaico yfryn («gli inte· grU., «i giustv.) e l'aramaico iryn («principi», «capi»; l'equivalente ebraico [ftir] è tradotto con «re» [bariléur] nel codice Varicano di J Re 22�6); l'interesse redazionale di Motteo è una spiega­ zione molro più semplice. Per una storia della tradizione altamente ipotetica che fa derivare l'espressione «molti profeti e ""' dal quarto canto del servo di YHWH nel Deutero-lsaia, vedi WERNER GRJMM, Selige Augmuu­ gen, Luk. 10,23/ Alttertamentlicher Hintergrund und urrpriinglicher Sinn, in TZ 26 ( 1970) 172-183. Grimm tenta di ricavare «molti profeti e re» dal riferimento a «molte nazioni . . . [e] re» in Ir 52,15: > (v. 18a), ((i discepoli di Giovanni e i discepoli dei fari­ sei» (v. 18c), ((i tuoi discepoli» (v. 18d); ciascuna unità è collegata con una ripetizione del verbo «digiunare». Nelle prime due unità, � usa l'espres­ sione: ((i discepoli di» (Giovanni o i farisei), un modello che serve a sott� lineare la menzione finale di ((discepoli», che qui è accompagnata da un termine che ne modifica il significato: ((i tuoi discepoli>>. Tutti questi schemi verbali accentuano la contrapposizione tra altri discepoli ebrei (siano essi di Giovanni o dei farisei) e i discepoli di Gesù sulla questione del digiuno. . I vv. 19-20 Oa replica di Gesù) mostrano un uso analogo della ripeti­ ' zione di parole chiave e dell'inversione dell'ordine delle parole. La parola chiave ((discepoli>> scompare e la nuova parola chiave che accompagna il verbo (> è ((sposo>> (nymphios). Difatti, i vv. 19a, 19b e 20 con­ tengono tutti e tre il verbo ( appare o­ gni volta all'inizio della frase. Tanto più sorprendente, quindi, è l'inver­ sione dell'ordine delle parole e delle previsioni, quando ((digiunare» ap­ pare nell'ultima riga della pericope. È, infatti, l'unica volta in questo pas. so che > appare più o meno all'inizio della proposizione, dal momento che, contrariamente alle aspettative, ora si afferma che gli invi­ tati a nozze digiuneranno quando arriverà il tempo infausto designato con «allora>>. Questa inversione stilistica è rafforzata dalla relazione chiastica della proposizione temporale subordinata con la proposizione principale nel v. 1 9a e nel v. 19b: (> (v. 19a) (1inché. . . non possono . . . >> (v. 19b).

Messaggrò

562

' Tutt e queste osservazioni stilistiche ci aiutano ad apprezzare l'insieme anistico sapientemente equilibrato creato o da Marco o da qualche redat­ tore premarciano di racconti di dispute della cui opera Marco si è appro­ priato'"'. Marco utilizza la precisa simmetria-con-contrasto della pericope per mettere in rilievo due importanti affermazi>). Per convalf. dare questa opinione Muddiman deve asserire che la forma originale di

Mc 2,20

parlasse veramente

dello sposo che esce dalla camera nuziale (che simboleggiava la panenza di Gesù dalla Galilea e il

aparthi(O per creare altri commentatori di

viaggio a Gerusalemme); successivamente il verbo fu trasformato nel passivo un'allusione a ls 53,8. Tutto

questo

è

anificioso

e

arbitrario; come parecchi

questo passo, Muddiman vuole rimaneggiare il testo per adattarlo alla sua teoria. Per Gesù come sposo (con l'uso del sostantivo

nymphior),

vedi, oltre a questa pericope e ai suoi

paralleli sinottici, Mt 25,L5.6.10 Oa parabola delle dieci vergini); Cv 2,1-12 (a Cana Gesù è simboli­ camente lo sposo del banchetto nuziale, perciò il

nymphior

del racconto resta anonimo e non parla

mai); 3,29 (per tre volte, nella spiegazione che il Battista dà della superiorità di Gesù). Il libro dell'A­ pocalisse impLicitamente presenta il ç:iesù risorto come lo sposo escatologico della nuova Gerusalem­ me Oa chiesa degli ultimi giorni) in

Ap 21,2.9; 22,17. Si

parla delle nozze dell'agnello e dd suo ban­

chetto nuziale in Ap 19,7.9. Il rappono di Cristo con la sua chiesa è paragonato con quello di un ma­ rito con la sua sposa in 2

Cor 1 1 ,2, e più estesamente in

E/ 5,22-33. Una metafora simile è applicata a

YHWH e Israele nell'Antico Testamento, specialmenre nei profeti; vedi, per es., Or 2,4-25; 3,1-3;

/r

Il regM di Dio: un regno già presmte

56l

hjJ_ reso presente il gioioso banchetto di nozze del Messia con Israele;

quindi sarebbe inconcepibile, impossibile («non possono digiunare») per i suoi discepoli, per i suoi amici più intimi invitati a nozze, digiunare duran­ te il suo ministero"'. Un simile atteggiamento di penitenza o di afflizione sarebbe stato del tutto fuori luogo in presenza del messia-sposo. (2) La fine del v. 1 9b («Finché hanno lo sposo con loro»), invece, già allude alla possibilità di un tempo in cui i discepoli saranno privati dello sposo. L'allusione viene poi esplicitata nella profezia escatologica del v. 20, che giustifica il cambiamento nella pratica religiosa dei discepoli ri­ guardo al digiuno. Con la stessa introduzione solenne spesso usata dai profeti («Ma verranno i giorni», con il corrispondente «allora» che forma un'inclusione)'86, Gesù preannuncia che egli, lo sposo, sarà «tolto» ai suoi

1,21; 50, 1 ; 54,1·8; 62,4-5; Ger 2,2; 3,1-10; El 16,1-34; 23,1-49. Qui abbiamo un chiaro esempio di come metafore e titoli applicati a Dio nell'Antico Testamento furono riapplicati a Gesù nel Nuovo Testamento. Rimane la domanda se la semplice metafora in Mc 2,19a abbia agito da catalizzatore nel­ la chiesa primitiva, incoraggiando lo sviluppo dell'applicazione dell'immagine dello sposo a Gesù. Contrario

ali'opinione generale che «sposo» non fosse usato in riferimento al messia o a qualche

altra figura umana escatologica nel giudaismo antico è WILLIAM H. BROWNLEE, Messilmic Moti/s o/ Qumran ami the New Testament. in NTS J ( 1956-1957) 12-30.195-210, spec. 205. Brownlee cerca di dimostrare a panire da 1Qlsa(a) 61,10 che a Qurnran «sposo» era attribuito al sommo sacerdote messianico, il «.messia di Aronne» atteso negli ultimi giorni. Brownlee ritiene che i residenti a Qum­ ran abbiano deliberatamente moùi.ficato il testo di Is 6 1 , 1 0 per leggere: «mi ha avvolto con il manto ddla giustizia, come uno sposo, come un sacerdote, che si cinge il diadema». Brownlee considera questo testo come un illuminante paralJelo dei passi neotestamentari nei quali Gesù è presentato co­ me uno sposo o come un sacerdote. Giustamente critico nei confronti della tesi scarsamente fondata di Brownlee è ]OACIUM GNILKA, 'Briiutigam' - spiitjUdische> Meniarpriidikllt?, in TTZ 69 (1960) 298301. Gnilka_osserva che il TM di Is 61,10 non ha molto senso dov'è ed è spesso emendato. L"inter­ pretazione in 1Qlsa• 61,10 può essere solo un altro esempio dei tentativi di chiarire questo difficile testo; la metafora che è stata aggiunta, «come un sacerdote», fa semplicemente pane di questo pro· cesso eli chiarimento. Nulla inclica che si voglia intendere il messia sacerdotale della fme dei tempi. •M n tentativo di K. ScHAt"ER, ' . . . und dann werden sie /asten", cit., 140- 1 4 1 , di interpretare il ( 14,64). Anche il riferimento alla morte di Gesù in 2,20 indica la fine del ciclo dei racconti di controversia (3,6), dove per la prima volta veniamo a sapere di una congiura per mettere Gesù a morte: nale del verbo (al presente storico) sia il genere di inizio che ci si aspetterebbe in un racconto isolato circolante nella tradizione orale. ll tempo imperfeuo perifrastico del v. !Sa con i suoi soggetti specifici proviene invece dalla re· dazione marciana, che cerca di collocare il racconto tradizionale in una situazione concreta. Tale sin­ tola situazione concreta in realtà non si annonizza con la regola geJlerica che Gesù enuncia nel v. 19a, una regola che condensa tutto il suo ministero pubblico nel suo complesso. Quindi, dice Backh.aus, il tentativo redazionale di creare una situazione concreta in realtà altera il problema più ampio sollevato dalla domanda originale in 18cd. Come osserva R. PF.scH, Das Markusevongelium, cir., l, 171 n. 2 [rrad. it., 284 n. 2), anche nella forma marciana del racconto «si recarono allora da Gesù e dissero» (v. 18b) ha un senso impersonale. Se a chiedere fossero i discepoli di Giovanni e/o dei farisei, la domanda naturalmente sarebbe:·«Perché noi di@iuniamo . . . ?». Questo è ciò che Mt 9,14 fa quando rielabora Mc 2,18 per presentare i discepoli di Giovanni come gli interroganti. Penanro, ho dei dubbi sulla proposta di J. KHLUNEN, Dze Vollmacht, cit., 167, che nella fanna marciana del racconto a chiedere siano gli scribi dei farisei che compaiono nella pericope precedente (2,1�). 196 Non è questa la sede per avviare un dibattito esauriente su chi erano i farisei all'inizio del I seco­ lo d.C.; vedi l'accurata trattazione di E. SANDERS, ]udaùm: Practice & Belief, cit .. 380-451 [rrad. it.,

511-609].

'" L'e!ipressione «gli scribi della sena dei farisei» è la più probabile delle lezioni proposte in Mc 2,16, dal momento che è attestata dai manoscritti più antichi e affidabili (tra i quali il Codex Sinaiti­ CUii e il Codex Vaticanus), è la lectio dzfficilior (l'espressione è unica nel Nuovo TestamentQ, ma cfr. Al 23,9), e spiega facilmente le altre lezioni sane a mo' di torrezione per offrire un testd più com­ prensibile (la ma�gior pane delle correzioni presenta l'espressione sinottica comune «gli scribi e i fa­ risei»). Sul problema testuale vedi B. METZGER, A Textwl Commentary, cit., 78.

ff�gno (J/ Dio: un regno già presente

.569

vono essere Interpretati In un senso molto più generico per designare persone che erano attratte dai farisei ed avevano adottato gli insegnamen­ ti e le pratiche del movimento farisaico. Questo può essere il significato dell'espressione quale appare in Mt 22,15- 16: «i farisei. . . mandarono dunque a lui [cioè, Gesù] i propri discepoli)). Un tale uso non è necessariamente anacronistico o indicativo di una conoscenza mediocre del giudaismo. Nelle sue An tichità giudaiche (13, 10,5 § 288-289), Flavio Giuseppe qualifica l'etnarca asmoneo e som­ mo sacerdote Giovanni Ircano I (che regnò dal 134 al 104 a.C.) come di­ scepolo (mathetés) dei farisei, prima che abbracciasse la dottrina e la cau­ sa dei sadducei. Questo probabilmente non significa che Ircano, un capo politico implicato in guerre e nella politica internazionale, osservasse scrupolosamente ogni precetto dell'etica farisaica. Piuttosto, il contesto suggerisce che egli cercava il sostegno dei farisei, chiedeva loro consiglio J e li lusingava dichiarando quanto fosse influenzato da loro. Un altro punto andrebbe anche tenuto presente: sia Matteo che FlaviO' Giuseppe usano la designazione «discepolo/i dei farisei)) verso la fine del· I secolo d.C., quando i farisei (o i primi rabbini loro seguaci) erano diven­ tati il gruppo dominante nel giudaismo dopo il 70 d.c.''". Perciò, anche se l'espressione non può essere squalificata semplicemente come un ana­ cronismo, il suo uso da parte di Marco, Matteo e Flavio Giuseppe può essere stato favorito dagli sviluppi entro il giudaismo dopo la prima rivol­ ta giudaica. Tutto questo ci può fornire qualche indizio sulla storia della tradizione in Mc 2,18c. Da un lato, Marco, Matteo e Flavio Giuseppe inducono a ri­ tenere che l'espressione «discepolo/i dei farisei)) sarebbe appropriata

1911

Uso qui intenzionalmente un linguaggio Y980 e generico per· descriveR: la situazione· nei dece�ni

immediaramente successivi al 70 d.C. Non è questa la sede per entrare nei complessi dibattiti riguar­ danti

(l) fino a che punto i farisoi come gn�ppo sopravvissero alla prima guerra giudaica e alla distru·

ma e

(2) l"esatta natura

zione di Gerusalemme (70 d.C.) iniziando ia riformulazione del giudaismo secondo il loro program·

del rapporto tra i farisei e i rabbini posteriori al 70 d.C. che furono i veri

maestri a compilatori del rorpus delle tradizioni che chiamiamo Mishnah e Talmud. Gli studiosi usa·

no termini diversi per designare il periodo anteriore e posteriore il 70 d.C. Per esempio, E. P. Sanders usa «fariseo» per designare un membro del partito farisaico prima del 70 d.C.; «rabbino» è usato per

indicare quegli studiosi che dopo il 70 d.C. «ereditarono e svilupparono tradizioni farisaiche, crean·

do alla fme il 'giudaismo rabbinìco'». Sanders riene conto di una qualche sovrapposizione nel caso di

ceni farisei che divennero rabbini eminenti dopo la prima guerra giudaica, in panicolare Johanan

ben Zakkai. Su tutto questo, vedi E. SANDERS, ]ud.aism. Practice & Belie/, cit., 4% n. IO, e più in ge·

n), ciascun• metà della domanda iniziale

tv.

18cd) contiene esattamente sei parole, se si contano anche le psrticelle. A causa della proposizione temporale subordinata e della collocazione dell'infinito

neuéueùl («digiunare») proprio alla fine dd­

la frase, la replica di Gesù (v. 19a) non si divide così nettamente. Tuttavia, se collochiamo la separa­

zione immediatamente prima dell'inizio della proposizione temporale nella replica di Gesù, la prima

metà ha di nuovo sei parole nel testo greco, mentre la seconda metà, che è la riga conclusiva dell'in­ tero passo, è leggermente più lunga e ha otto parole. Questa divisione della replica di Gesù non può; essere riprodotta esattamente in una traduzione, dal momento che •di8iunare»- deve essere unito con il verbo ausiliare «possono». "" Gi si potrebbe chiedere se il ltdi iniziale fosse presente nella fanna più antica dd v. 18b in greco. A giudicare dal modo in cui ktii regolarmente introduce una nuova pericope nel vangelo secondo Marco, anche quando la nuova pericope non ba un nesso reale con quanto precede, penso che la presenza del kdi iniziale nella più antica fanna greca dd v. 18 sia sicuramente verosimile, anche se non ·eena. In ogni caso, le mie osservazioni nel testo insistono sull'equilibrio fondamentale della pri­

mitiva unità, sia nella sua struttura bipartita che nella lunghezza delle proposizioni corrispondenti. Tale tesi non è inficiata dalla presenza o assenza di qualche monosillabo.

"" Contra, per es., R. BULTMANN, Geschichte, cit., 17, che propende per un loghion isolato di Gesù che venne ampliato dalla comunità cristiana primitiva in un apoftegma. Per Bultmann, questo

am­

pliamento ebbe luogo quando la questione dd rappono tra la chiesa e i seguaci del Battista era ancO­ ra

viva e attuale, ma la storia della tradizione marciana, diversamente da quella di Q e di Giovanni,

non sembra riflettere una tale pressante preoccupazione circa Battista nel periodo postpasquale.

il rapporto tra chiesa e i seRuaci del

1/�tJ.i/ Dio: "" regflo già presente

577

lare prassi dei suoi discepoli riguardo al digiuno"''? Nonostante l'assenza della molteplice attestazione per questo dialogo, numerosi criteri depon­ gono decisamente a favore dell'autenticità della tradizione. Primo, il criterio della discontinuità evidenzia che il digiuno volonta­ rio"' era una pratica osservata tra i fedeli sia nel giudaismo del I secolo

� Il semplice fano che il comportamento discutibile (cioè, la non osservanza· dd digiuno) 5ia attri­

buito ai discepoli di Gesù mentre gli interroganti rivolgono la loro domanda a Gesù non dovrebbe essere preso come un'indicazione che tutta o gran parte della pericope sio un'invenzion� della chiesa posteriore, che pone la sua difesa sulla bocca di Gesù. Questa supposizione scortetta sta proprio al­

l'inizio dd saggio di T. BURKILL, Should Wedding Guests Fast?, cit., 39-40, e infida i risultari della sua analisi. Come sottolinea DAVID DAUBE, Resp�nsobilities o/ Mo,-ter and Dzmpler in the Gospels, in

NTS 19 ( 1 972-1973) 1 - 15, la responsabilità del maestro per le azioni dei suoi discepoli è un principio differenti culture ed epoche stnriche (compresi il XIX e il XX secolo) ed è anestato sia nella letteratura rabbinica j!iudaica posteriore a Gesù. sia tra i fllosofi Mteci (per es., 5­ ampiamente riconosciuto In

crate) prima di lui.

"" Per una breve analisi ddla pratica del digiuno nell'Antico Testamento SHE DAVID HERR, Fasting and Fast Days, in

c

nel giudaismo, vedi Mo­

Enc}ud, 6. coli. 1 189-1 196; E.P. SANDERS, Jewish L.wfrom

]esus lo the Mishnah. Five Studies. SCM - Trinity Press International, London - Philadelphia 1990, 8184. lo genere.i commentatori concordano sul fano che in Mc 2,18-20 si discute del digiuno volontario, praticato per ragioni differenti da gruppi diversi di 'riformatori', di 'restauratori' o di 'apocalittici' nel giudaismo del ! secolo, compresi i farisei, i residenti a Qwnran e i discepoli del Battista. Gli ebrei os· servanti non appartenenti a nessun gruppo settario particolare potevano pure intraprendere digiuni per ragioni personali (Tb 12,8; Gdt 8,6). Dal tempo dell'Antico Testamento in poi, singoli israeliti co·

me pure intere comunità usavano il digiuno per esprimere il lutto dopo una morte (2 Sam 1,12; dr. 12,21), la penitenza (I Re 21,27; Esd 10,6) e un'intensa supplica, specialmente di fronte a una calamità reale o possibile (2 S.m 12, 16-23; Ne 1,4; Don 9,3). Il digiuno può anche essere stato connesso a volte cm. una-preparazione di una persona per un incomro con Dio o con il mondo celeste medianre una ri­ velazione (un possibile significato soggiacente a Es 34,28; l Re 19,8; Don 10.3). Non abbiamo alcuna

prova incontestabile che un digiuno pubblico annuale fosse imposto all'intera comunità israelitica pri­ ""' dell'esilio. Speciali digiuni per la comunità nel quarto, quinto, senimo e decimo mese sono chiara­

mente menzionati in l.tJc 8,19; dr. 7,3.5. Zaccaria dichiara che questi digiuni devono essere trasformati

in tempi di gioia, ma E. SANDiiiiS, ibiJ 82, ritiene che alcuni possano aver continuato ad osservarli; in .•

realtà «digiuni oltre a quello del giorno dell'espiazione possono essere stati considerati obbligatori nel tardo periodo biblico». Il giorno più importante di digiuno imposto all'intera comunità israelitica nel periodo postesilico, e l'unico prescrino nel Pentateuco, è Yom Kippur (il giorno dell'espiazione), pre­

scritto in Lv 16,29.3 1; 23,27.29.32; Nm 29,7. L'uso dell'espressione ebraica «mortifìcarsi» per descri­ vere

l'osservanza dello Yom Kippur suggerisce che dei giudei. compresi quelli de! I secolo d.C., si sot­ dal bere; si potevano pure aggiungere

toponevano a più che una semplice astensione dal mangiare e

pratiche come lacerarsi le vesti, vestirsi di sacco, coprirsi il capo di cenere o di terra e piangere.

Non c'è alcuna indicazione in Mc 2,18-20 o in altro testo evangelico che Gesù elo i suoi discepoli

non osservassero il digiuno dello Yom Kippur. Se. essi avessero trascurato tale digiuno solenne impo­ sto a runi gli ebrei, ci si sarebbe aspettati la narrazione di una accesa disputa che evidenziasse la 'tra­

sgressione' da parte di Gesù. I testi dei vangeli canonici verità storica su questo punto

-

-

che riportino o no con assoluta fedeltà la

descrivono Gesù che annulla varie singole leggi o istituzioni della

Torà (leggi alimentari, divorzio, giuramenti

e

voti, legge del taglione), ma il digiuno di Yorn Kippur

non è tra questi. Il silenzio è molto strano se Gesù rifiutò davvero il digiuno nel giorno dello Yom Kippur. Resta il dubbio su altri digiuni pubblici

(per es., il 9' giorno di.Ab, cbe commemorava la di·

578

Messaggio'

che nella chiesa primitiva. Forse ·almeno alcuni farisei, dato che Luca li menziona nella parabola del fariseo e del pubblicano (Le 18,9"14), digiu-· navano due volte la settimana (il lunedì e il giovedì) come sembrano indi­ care Did. 8,1 e il più tardo b. Ià'an. 12a; cfr. m. Ta'an. 1 ,6; 2,9; e la To­ se/tà a Ta'an. 2,4)211 • Non conosciamo le modalità e i tempi precisi del di­ giuno osservato dai discepoli del Battista al tempo di Gesù. Si presume che essi non seguissero il regime alimentare radicale del loro maestro (lo­ custe e miele selvatico), ma dall'austerità e rigore del Battista possiamo ragionevolmente arguire la rigida pratica del digiuno tra i suoi devoti se­ guaci. Non per niente la forma originaria della questione riguardava pro­ babilmente solo i discepoli di Giovanni; forse essi superavano persino i farisei nel loro zelo per il digiuno. In linea con la predicazione di Giovan­ ni, il digiuno per i suoi discepoli indubbiamente significava afflizione per il peccato e pentimento, unitamente alla supplica ardente a Dio di essere risparmiati dal tremendo giudizio nell'ultimo giomo2 12•

struzione del tempio da parte di Nabucodonosor), che, anche se non prescritti dal Pentateuco, sareb­ bero stati osservati comunemente dai giudei della Palestina. Il trattato Ta'an 4,7 della Mishnò afferma che «nella settimana in cui cade il 9" giorno di Ab è vietato tagliarsi i capelli o lavarsi gli abiti>>. Ciò che segue nella Mishnà indica che una qualche riduzione nell'assunzione di cibo era generalmente osservata, anche se i rabbini differivano sui dettagli. E. SANDERS, }ewish Law, cit., 83, sintetizza cosi la situazione: «è certo che al tempo di Gesù c'erano digiuni occasionali (per es., per la pioggia), e che potrebbero esserci stati uno o più digiuni regolari oltre a quello del giorno dell'espiazione. n candi­ dato più probabile è il 9" giorno di Ab*. In Mc 2 , 18-20, tuttavia, gli osservatori si stupiscono della differenza evidente nella pratica del di' giuno volontario tra due gruppi religiosi (i discepoli di Giovanni e i discepoli di Gesù) che hanno tanto in comune, specialmente circa la loro origine. "' Si deve ammettere che tali citazioni consentono solo di dedurre una possibilità. Solo Luca men­ ziona il nome «farisei» e parla in generale di «due volte la settimana>>. Inoltre, Luca non dice che questa sia una pratica osservata da tutti i farisei. Sia la Didaché che il trattato Ta'a11it (Afflizione) nel Talmud babilonese menzionano il lunedl e il giovedl, ma i farisei non sono menzionati nel contesto immediato di nessuno dei due passi. Did. 8,1 parla in maniera polemica degJi «ipocriti» (un epiteto che il vangelo secondo Marteo usa spesso riferendolo ai farisei e dal quale la Didaché può dipendere, direttamente o indirettamente). Secondo E. SANDERS, fewish Law, cit., 82, il testo della Didaché non vuoi dire che sia i giudei che i cristiani digiunavano due giorni ogni settimana; piuttosto. il punto in discussione è quali due giorni si debbano scegliere quando un individuo o la comuttità decidano di digiunare. Ta'an. 12a dice molto genericamente: «Se un uomo inizia un digiuno di lunedì e di giovedi durante tutto l'anno». Una successione di tre giorni di digiuno nell'ordine lunedì-�iovedì.Junedì suc· cessivo è menzionata nel trattato Ta'an. 1,6 (cfr. 2,9) della Mislmà, ma il contesto qui non è un d.igiu. no regolare intrapreso volontariamente da un fedele, ma piuttosto un digiuno comuniblri.o imposto da una corte autorevole nella particolare circostanza di una gravissima siccità. "' U tentativo di alcuni esegeti di considerare il digiuno dei discepoli di Giovanni come un'espres­ sione di lutto dopo la morte dd Battista è del tutto gratuito. Indipendentemente dall'aggiunta del v. l8a in una fase più tardiva della tradizione, sia la domanda che la replica si riferiscono alla pratica ge· nerale dei due gruppi, non a U.D. particolare digiuno in una panicolare occasione.

Il rey,no' di Dio: un regno già presente

'579

Anche diverse correnti del cristianesimo del I secolo. conoscevano la pratica del digiuno, Ciò si riflette non solo nella volontà di Matteo e di Luca di fare proprio Mc 2,18-20, ma anche 'nel materiale M speciale di Matteo (Mt 6,16- 18), nella descrizione che Luca offre dei capi della chie­ sa primitiva, compreso Paolo (At 1 3 ,2-3 ; 14,23)"', e nelle dettagliate i­ struzioni della Didaché (7 ,4; 8,1). Anche se non sentiamo singoli scrittori neotestamentari proporre la pratica del digiuno, è significativo che nes­ sun autore neotestamentario polemizzi contro di esso, né lo proibisca ca­ tegoricamente come pratica pia. Questo è tanto più straordinario quando si considerano le battaglie nelle chiese paoline sulla questione se siano da evitarsi completamente certi cibi, fatto che, naturalmente, non è la stessa cosa del digiunom. Data la diffusa pratica del digiuno nella chiesa del I secolo, è assai poco credibile che la chiesa primitiva abbia inventato un divieto del digiuno volontario (Mc 2 , 18- 19a) e poi alquanto maldestra­ mente abbia fatto marcia indietro inventando una spiegazione per dimo­ strare perché il divieto non dovesse più essere osservato (Mc 2 , 1 9b-20). Come semplice dato di fatto, nessun passo del Nuovo Testamento dimo­ stra che qualche gruppo di cristiani nella chiesa primitiva per principio abbia rifiutato di digiunare"'. Quindi, il rifiuto del digiuno volontario da

. "' Se il Paolo storico praticasse il digiuno da cristiano non è chiaro. I suoi riferimmti al digiuno in 2 Cor 6,5; 1 1 ,27 sembrano piuttosto descrivere la situazione di chi rimane senza mangiare (volonta·

riamente o no) a causa delle circostanze della sua missione aposwlica (per es., povenà, lunghe ore trascon;e nel lavoro e nella pre�hiera, ecc. ); vedi V FURNISH, Il Corinthians, cit., 344.355.518.

È su·

perfluo dire che questo non dimostra che Paolo talora non praticasse il digiuno; trarre una conclusio­ ne

dal silenzio che circonda questo argomento sarebbe arbitrario. At 9,9 descrive Saulo di Tan;o che

non mangia né beve, ma questo passo presenta una duplice difficoltà: ( l ) è una deUe tre ven;ioni del racconto che Luca fa della conversione a Cristo di Paolo e bisogna tener conto di una notevole rifor· mulazione cristiana e della redazione lucana del racconto; e (2) tecnlcamente, Saulo/Paolo non è an­ cora

un

cristiano a questo punto del racconto

narrati in 9,18-19). Vedi ancheA/ 13,2·3.

(il, SlJ9 battesimo e il

'" J. ROI.OFF, Das Kerygma, cit., 230, introduce

una

successivo prendere cibo sonp

cena confusione nella sua trattazione.quando

fa riferimmto a testi come Rm 14,17 e Col 2,21-23 come a passi the parlano di forme di digiuno.

Nell'Amico Testamento e nel giud aismo antico, digiunare significava astenersi da tutti (o quasi) i cibi e dalle bevande per Wl determinato· periodo di tempo (per es., 24 ore). Dopo il digiuno una pen;ona ricominciava a mangiare i cibi dai quali si era astenuta durante il digiuno. Testi come Rm 14,17 e Col 2,2 1 -23, qualunque siano i problemi precisi che stanno trattando (per es., tabù alimentari che proibi­

,feono la carne), si imeressano alla pratica di evitare particolari cibi in maniera permanente e per una questione di principio, in altre parole di norme dietetiche permanenti o di regole alimentari. Non si tratta qui del digiuno, così come evitare la carne Ji maiale per gli ebrei non è digiunare. Non c'è al­

cuna indicazione che diversi gruppi nella chiesa primitiva abbiano mai avuto dispute suUa questione

del digiuno sul tipo di quella di Paolo. "' Quando

C. CARLSTON, The Parabks o/ the Triple Tradition, cit., 121· 125, cerca di nCj!are l'au·

tmticità di Mc 2,18·19a e di attribuire l'intera pericope a controversie tra vari cristiani nella chiesa

Messaggio

580

parte dei discepoli di Gesù durante il suo ministero - presumibilmente a causa della pratica e dell'insegnamento di Gesù stesso"• - si pone in ner­ co contrasto con la pratica di pii giudei del I secolo a.C. e del I secolo d.C. e anche con la pratica della chiesa del I secolo. Oltre al criterio della discontinuità c'è il criterio della coerenza con al­ tri detti e altre azioni del ministero di Gesù. Come abbiamo visto, Gesù stesso fece commenti ironici sulla marcata differenza nella pratica tra l'a­ scetico Battista e Gesù «mangione e beone», notando come i critici trOI' vassero qualcosa da obiettare in entrambi i tipi di comportamento (Mt 1 1 ,16- 19 e par.). Forse per alcuni di coloro che lo osservavano, il suo banchettare insieme a pubblicani e peccatori (Mc 2,13-17; Mt 1 1 ,19; Le 19,7; cfr. Le 15,1) era ancor più riprovevole perché non era in alcun mo• do compensato altre volte dal digiuno volontario. Tutti questi aspetti del

primitiva, è Coscretto a ipotizzare un contesto ecclesiale del Y,uale peralrro non c'è alcun riscontro concreto. In contrasto con le sue affermazioni, e se non si leggono i vv. 19b-20 enuo il v. 19a, non c'è alcuna ragione per cui «Jllentre lo sposo è con loro» nel v. 19a debba essere interpretato come la fis­ sazione di un limite temporale e perciò come «un preannuncio alquariai indiretTo della passio'n"' (p. 122). Non è inoltre chiaro che «sposo» nel v. 19a «implichi una coscienza messianica abbastanza lu­ cida» (p. 121). L'uso di «sposo» poteva essere comprensibile agli interlocutori su un livello molto semplice della metafora: ria identità, la comunità voUe presentare il digiuno cri­ stiano come un fenomeno sui generis, come qualcosa di diverso dal digiuno giudaico. La tesi di Kiilu­ nen si basa su varie scelte non plausibili relative alla storia della tradizione (per es la menzione dei discepoli di Giovanni nel v. 18 è secondaria, i w. 1 9-20 formavano un'unità sin dall'inizio), ma forse · la difficoltà più grossa di questa resi è che non spiega mai veramente l'origine dell'idea che i discepoli di Gesù non digiunassero durante la vita terrena del maestro. Tale idea porrebbe questa ipotetica co· munità giudeocristiano in disaccordo con il Gesù terreno e inevitabilmente la colloche rebbe neUo stesso ambito degli ebrei dai quali presumibilmente essa intende differenziarsi. Tutta questa ipotesi sembra anificiosa. "' Nel corso della mia trattazione di Mc 2 , 1 8-20, ho parlato della pratica di non digiunare da parte dei discepoli di Gesù, dal momento che questo è il modo in cui la domanda e la controdomanda in Mc 2,18-19 enunciano la questione. Tuttavia. rome gli interroganti in 2,18 e qualsiasi altro ebreo del­ la Palestina darebbe per scontato, il maestro di un gruppo di discepoli è responsabile della loro con­ dotta e deve rispondere a qualsiasi domanda o obiezione su di essa. È poco credibile che Gesù abbia insegnato ai suoi discepoli la pratica religiosa notevolmente diversa e sconcertante di non digiunare e poi non abbia lui stesso osservato il proprio insegnamento. Come mostrerò più sono, il fatto che Ge­ sù stesso non digiunasse concorda con altri detti autentici (per es Mt II,16-19 e par.). .•

.•

Il regno di Dio: un regno già presente

581

comportamento di Gesù sono coerenti con la dimensione del suo mes­ saggio studiata in questo capitolo: non solo il regno di Dio era molto vici­ no, ma in un certo senso era già presente nel ministero di Gesù, portando guarigione e gioia a coloro che lo accoglievano. Il banchetto escatologico della salvezza, promesso nel futuro prossimo a molti che verranno dall'o­ riente e dall'occidente (Mt 8,11 e par.), era in qualche modo già a portata di mano per coloro che partecipavano alla gioia di Gesù al momento del pasto217• Questo rifiuto di digiunare, che Gesù instilla e i suoi discepoli pratica­ ·no, assume una risonanza speciale nell'ambiente giudaico della Palestina del l secolo. Possediamo un testo aramaico proveniente dalla Palestina del I secolo d.C. chiamato megillat ta'anft, il Rotolo del Digiuno, una sorta di calendario liturgico, che elenca i giorni dell'anno in cui il digiuno e l'afflizione erano proibiti perché quei determinati giorni erano giorni di letizia, che commemoravano eventi lieti della storia di Israele come le vit­ torie e il riconoscimento dei privilegi giudaici"". Decisivo qui è che tro­ viamo documentata in un testo della Palestina del l secolo l'idea che uno speciale giorno di letizia nella storia di Israele escludeva la possibilità di digiunare. Di fatto allora Gesù, con la sua generica proibizione del digiu­ no volontario, suggerisce che ogni giorno è uno speciale giorno di letizia per i suoi discepoli, un giorno in cui essi gioiscono al banchetto nuziale della salvezza portata da Gesù. Anche se il detto in Mc 2,19a non menzio­ na esplicitamente il regno di Dio, questa è con tutta probabilità la realtà alla quale ci si riferisce con l'immagine delle nozze. Quello che altri detti esaminati in questo capitolo proclamano esplicitamente, Mc 2,18- 19a lo sottintende: in qualche modo il Regno è già presente recando ai discepoli di Gesù una gioia perenne che esclude il pensiero stesso del digiuno. A questi due criteri principali bisogna aggiungere altre osservazioni se-

'" È significativo che persinò J. }EREMIAS che non accetta l'idea che Gesù parli del Regno come già il si­ gnificato di Mc 2,19» (The Parables o/]esus, cit., 1 17 [trad . it., 143)). Owiamente C. Dooo, The Pa­ rables o/ the Kingdom, cit., 87 [trad. it. I I I - 1 12], è deUa stessa opinione. '" Vedi J. FITZMYER, The Gospel According lo Luke, cit . , l , 598; anche }OSEPH A. FmMYER - DA­ NIEL J. HARRINGTON, A Manual o/ Palestinian Aramaic Texts (Second Century B.C. Second Century A.D.) (BibOr 34), Istituto Biblico, Roma 1978, S 150 (pp. 185-187). Come il commento a p. 248 os­ serva, la data di composizione del Rotolo del Dtgiuno è stata variamente coUocata nel 7 d.C., nel 66 d.C. o verso la fme del I secolo d. C. (la data preferita da Fitzmyer e Harrington). In ogni caso, il testo ha subito numerose redazioni e alcune aggiume sono state fatte al testo di base. Per una precedente edizione critica con commenti, vedi GUSTAF DALMAN, Aramiiirche Dialektproben, Heinrichs, Leipzig presente durante il suo ministero, è tuttavia disposto ad affermare: «L'' escatologia realizzata' è . . . ,

-

1927', 1-3.41-45.

582

Messaggio

condarie. Le metafore nettamente antitetiche dd digiuno e di una festa nuziale, condensate in un'unica domanda retorica, sono tipiche dell'effi­ cace linguaggio retorico e parabolico di Gesù. Quanto alla metafora dello sposo, incontriamo di nuovo un aspetto dell'insegnamento di Gesù che abbiamo già osservato frequentemente. Quando fa riferimento al proprio ruolo nel dramma escatologico, Gesù tende a farlo in maniera indiretta, spesso attraverso metafore e parabole sorprendenti o persino sconcertan­ ti (per es., Mc 3,27, il ladro nella parabola dell'uomo forte). Dato che non c'era alcuna tradizione nell'Antico Testamento o nel giudaismo antico che descrivesse il messia o un'altra figura escatologica umana come uno sposo, l'immagine potrebbe ridursi a una metafora casuale, un modo per introdurre il termine fondamentale di paragone: gli invitati a nozze non digiunano a una festa nuziale. Tuttavia, il fatto stesso che Gesù scelga di parlare del tempo in cui gli invitati non digiunano con le parole: «mentre lo sposo è con loro», piuttosto che semplicemente con un'espressione co­ me: «durante la festa nuziale», può indicare che egli intende un riferi­ mento indiretto o provocatorio a se stesso come l'araldo profetico - e in un certo senso il realizzatore - del Regno. Senza di lui i suoi discepoli non conoscerebbero la gioia di una festa nuziale senza fine o non si senti­ rebbero autorizzati a rifiutare ogni digiuno volontario a motivo di quel­ l'eterno banchetto. Oltre alle implicazioni per la concezione che Gesù aveva di se stesso, la pericope sul digiuno ha implicazioni anche per i discepoli di Gesù. Back­ haus dice a proposito di Mc 2,18-20 che esso offre «la prima testimonian­ za sicura di un gruppo sociologicamente circoscritto di discepoli riuniti attorno a Giovanni Battista»219• Considerando tutto quello che i vangeli ci dicono sui discepoli del Battista, ci viene data una grande quantità di informazioni dalle quali possiamo trarre una descrizione di un gruppo sociologico chiaramente definito - qualcuno direbbe una 'setta''" - all'in­ temo del giudaismo nella Palestina del I secolo, che prendeva le distanze da movimenti simili. Certamente, i discepoli del Battista possedevano pe­ culiarità e coerenza come gruppo all 'interno della più ampia comunità

"' K . BACKHAUS, fungerheire, cit., 1 5 1 . "" Per una breve trattazione dei problemi implicati nell'uso del termine 'setta' nella sociologia dd­ la religione, specialmente quando è applicato al cristianesimo primitivo, vedi BENGT HOLMBERG, So­ ciolagy and the New Testament. An Apprarsal, Fon:ress, Minneapolis 1990, 86- 1 17. A motivo di tutte le difficoltà che Holmberg evidenzia - specialmente il fatto che i vari autori danno alla parola 'setta' definizioni diverse e persino molteplici - evito di applicare questo termine ai discepoli di Gesù.

Il regno di Dio: un regno già presente

583

della Palestina. Avevano un'unica famosa guida, un predicatore e maestro che radunava attorno a sé seguaci ai quali egli amministrava una volta per tutte un battesimo strettamente associato con la sua persona (da qui, Giovanni Battista). Questo gruppo costituiva una precisa identità socio. logica all'interno della più ampia comunità religiosa del giudaismo della Palestina del I secolo, recitando preghiere speciali insegnate loro dal Bat­ tista (Le 1 1 , 1 ) e osservando speciali digiuni volontari (Mc 2, 18), dato che essi aspettavano con impazienza un giudizio finale che presto avrebbe messo fine al presente stato di cose. Se tutto questo faceva dei discepoli del Battista un gruppo sociologico distinto all'interno del giudaismo della Palestina, lo stesso bisognerebbe però dire dei discepoli di Gesù. Per anticipare ciò che vedremo in capito­ li successivi: anche se molti possono essere stati attratti da Gesù e aver condiviso il suo messaggio, Gesù si preoccupò di chiamare alcune perso­ ne singole a un genere più stabile di familiarità con lui (Mc 1 , 16-20; 2,14; Le 5,1 - 1 1 ; Gv 1,35-5 1). Alcuni di questi seguaci relativamente stabili for­ marono una cerchia ristretta attorno a Gesù chiamata «i Dodici»221 • Per lo meno riguardo a questi seguaci più stabili, ciò che era vero dei disce­ poli di Giovanni era vero anche per i discepoli di Gesù. Come ho soste­ nuto nel capitolo tredicesimo, Gesù molto probabilmente continuò l'inu­ suale pratica di battezzare che egli aveva appreso dal Battista. Anch'egli insegnò ai suoi discepoli almeno una preghiera memorabile (la cosiddetta 'Preghiera del Signore'). Forse ancor più importante dal punto di vista dei confini sociologici è il fatto che Gesù delimitò incisivamente il suo gruppo di discepoli non solo rispetto ai discepoli del Battista o ai farisei, ma a qualunque e a tutti i pii ebrei del tempo proibendo per principio la pratica del digiuno volontario in base al fatto che era giunto il tempo gioioso della salvezza. Il punto interessante qui è che una pratica che sta­ bilisce un confine sociologico fu fondata da Gesù nel suo messaggio deci­ samente escatologico. Come abbiamo visto nel corso di tutto il presente capitolo, Gesù affermava che il Regno che egli proclamava per il futuro era in un certo senso già arrivato. Di conseguenza, !ungi dall'esprimere u­ na fede puramente interiore sullo stato dell'anima o un'ardente speranza riguardo al futuro imminente, la proclamazione del regno di Dio ebbe un impatto concreto da parte di Gesù sulla vita socioreligiosa di coloro che

"' Una piena giustificazione di questa affermazione sarà data solo più tardi. Per una coraggiosa di­ fesa dell'esistenza e dell'importanza dei 'Dodici' durante il ministero del Gesù storico, vedi E. SAN­

DERS, ]esus and ]udaism, cit., 95-106 [trad. it. cit.l.

Messaggio

584 eranO< suoi

stretti seguaci, in maniera evidente nella questione del digiu­

no.

A questo riguardo è importante sottolineare che Gesù per una questio­ ne di principio dichiara che è impossibile per i suoi discepoli intraprende­

digiuni volontari, perché il tempo gioioso della salvezza che egli an­ nuncia e porta con sé è arrivato (Mc 2, 18- 1 9a). Ora, gli ebrei devoti pote­ vano decidere di digiunare o di non digiunare volontariamente come rite­ nevano opportuno222• A prescindere dai giorni festivi stabiliti dal calenda­ rio, nessuno aveva l'autorità di dire ai pii ebrei che essi non potevano di­ giunare in un particolare tempo o in un particolare modo. Si trattava di una libera scelta. Gruppi diversi di ebrei che si erano uniti insieme per motivi religiosi potevano decidere di digiunare in giorni diversi - per es., i farisei in un giorno e i discepoli del Battista in un altro -, ma ciò che è i­ naudito è che un qualche singolo maestro ebreo dicesse a persone estra­ nee alla cerchia ristretta dei discepoli che ciò che contraddistingue i pro­ pri discepoli da ogni altro gruppo di pii ebrei è il fatto che per principio i propri discepoli non possono digiunare affatto a motivo del messaggio e del ministero suoi particolari. In effetti, allora, almeno su questa questio­ ne del digiuno volontario, Gesù contraddistingue i suoi discepoli da tutti gli altri ebrei. Ecco almeno un modo in cui i discepoli di Gesù durante il suo ministero pubblico costituivano un gruppo sociologico distinto (di nuovo, alcuni si spingerebbero fino a usare il termine 'setta') all'interno del giudaismo della Palestina, come erano i discepoli del Battista, i farisei, gli esseni e i sadducei. Ovviamente la specificità di qualsiasi sottogruppo all'interno di una società più ampia presenta vari gradi di forza o di debolezza. Non penso che la specificità dei discepoli di Gesù durante il suo ministero abbia rag­ giunto quel punto di separazione che Shaye J.D. Cohen considera neces­ saria per la definizione di 'setta'. Cohen definisce una setta in questo mo­ do: «Un piccolo gruppo organizzato che si separa da un organismo reli­ gioso più ampio e asserisce di essere il solo a incarnare gli ideali del grup­ po più ampio perché lui solo comprende la volontà di Dio»"'. È signifire

�· 'm E. SANDERS, Jewish ·1..4tv, cit., 83, a proposito di Mc 2,1 8-22 osserw che «l'accusa [contro Oesù

e/o i suoi discepoli] implica che questi due gruppi [i farisei e i discepoli di Giovanni il Battista] con· sideravano questo panicolare digiuno come obbligatorio». A rigar di termini, non c'è alcuna 'accusa'

nel racconto e non vedo come si possa desumere un significato di obbligatorietà. D contrasto nel rac­

conto sembra essere piuttosto tra l'osservanza regolare dei digiuni volontari da parte di due gruppi religiosi e la totale inosservanza di tali digiuni da patte dei discepoli di Gesù. "' Per la sua definizione di 'setta', vedi la sua bella opera From the Maccabees

to the Mishnah (Li-

'lh�giiÒ 3i Dio: Ull reg11o già presente

estivo che Cohen sia disposto ad applicare questo termine ai cristian'esi­ mo primitivo dopo la morte di Gesù, mentre non lo usi (giustamente, io penso) in riferimento ai discepoli riuniti attorno a Gesù durante il suo ministero"". In sintesi, la brevità della tradizione in Mc 2,18-19a nasconde un suo profondo significato. Non solo offre un ulteriore indizio dell'idea che il regno di Dio è presente nel ministero di Gesù, ma dimostra anche che questa presenza era per Gesù non semplicemente un'idea, ma una realtà e una potenza che avrebbe naturalmente formato e certamente trasforma­ to la pratica religiosa dei suoi discepoli. Nella prospettiva di Gesù, il Re­ -gno presente avrebbe avuto conseguenze concrete per la comunità che viveva all'interno del giudaismo della Palestina"".

brary of Early ChristianÌty 7), Westminster, Philadelphia 1987, 125-127; per le sue osseiVazioni sul cristianesimo primitivo come setta religiosa !jiudaica, vedi pp. 166-171. Una definizione simile di set­ ta religiosa è offena da E. SANDERS, }udai>-m: Practice and Belie/, cii., 352 (dr. 3 62 ) [trad. il., 470-

47 1]: «Una setta religiosa considera se stessa come l'unico vero Israele e mtti gli altri ebrei come apo­ stati. Le linee di demarcazione sono rigide ed impenetrabili». In pratica, la sella religiosa invalid"ereb­

be il tempio di Gerusalemme. Al contrario, per Sanders, un panito ot

Miracoli

602

racoli di Gesù entro il contesto della filosofia e della scienza contempora­ nee, penso che un'adeguata definizione in termini generali potrebbe esseIn effetti, van der Loos insiste sull'aspetto 'contro natura' come prerequisito del miracolo (pp. 67-

69). Un'espressione più sfumata di questo punto si ha nella definizione di miracolo data da FRANCIS

]. BECKWITH, David Hume's Argument against Miracles. A Critica/ Analysis (University Press of Ame­ dea), Lanham, New York - London 1989, 7: «TI miracolo è un intervento divino che accade in senso contrario aJ corso regolare della natura all'interno di un contesto storico-religioso significante».

Per ragioni metodologiche ritengo saggio evitare l'adozione nel nostro linguaggio di 'naturale' e

'soprannaturale' quando definiamo il concetto di 'miracolo', poiché tale linguaggio può comportare

distinzioni filosofiche e teologiche che sono esrranee al materiale biblico che stiamo rrauando qui (e

nel caso di 'soprannaturale' più tardive di esso; vedi R. FULLER,

lnterpreting the Miracks, cit., 8- 1 1 ) . The Problem o/ Miracles, cit.,

Perciò diventa problematico per m e anche l'approccio di W CRAIG,

29-30, il quale cerca di evitare l'idea dei miracoli come «Violazione della natura», definendoli «eventi che si pongono al di fuori della capacità produttiva della natura>>, o eventi «che non possono essere spiegati pienamente facendo riferimento alle forze naturali chiamate in causa», o semplicemente e­ venti che sono fisicamente o naturalmente impossibili. Alcuni tra coloro che definiscono i miracoli in termini di natura (per esempio, «un evento prodotto da Dio stesso infrangendo le leggi della natu­ ra») procedono quindi a distinguere tra i miracoli che sono al di sopra della natura e che superano Ja natura (per esempio, il risuscitamento di morti), i miraco1i contrari alla natura (per esempio, i tre uo­ mini nella fornace ardente

[Daniele 3), che ne escono illesi), e i miracoli che vanno oltre (praeter) la

natura (per esempio, la stragrande maggioranza dei miracoli di guarigione); vedi FRANçOIS LEURET ­

HENRI BON, Modern Miraculous Cures, Farrar, Straus and Cudahy, New York 1957, 9.21-22. H. KEE, Miracle in the Early Christian Wor/d, cit., 147. precisa che nella Bibbia ebraica «i miracoli ricorrono in due forme principali: gesti straordinari che si dice siano compiuti dal Dio di Israele, quasi sempre in favore del suo popolo o per sconfiggerne i nemici; e gesti eseguiti da persone dotate di poteri divini, che fungono da agenti di Dio». Trattando specificamente dei miracoli di guarigione,

H. KEE, Medicine, Miracle and Magù:, cit., 3 [trad. it .. 17), li definisce guarigioni «compiute tramite un appello agli dèi e il conseguente intervento degli stessi dèi, sia direttamente, sia mediante un agen­

te eletto come intennediario».

Mescolando insieme la pietà luterana tedesca, una certa prospettiva sulla scienza e .de leggi della natura» ereditate dall'illuminismo, oltreché l'esistenzialismo heideggeriano,

R BULTMANN, Zur Froge 4es Wunderr, cit., 214.217-22 1 , distingue fra il miracolo, che tradizionalmente era inteso come un e­

vento contrario alla natura (un concetto al quale chi è moderno non può credere) e un evento mera­ viglioso che, inteso propriamente, è la rivelazione

a

un singolo individuo della grazia di Dio che per­

dona gli empi. Sulla distinzione di Bultmann e sul suo debito verso la concezione illuministica delle leggi di natura, vedi

R. LATOURELLE, The Miracles of.lesus, cit., 27-29 [trad. it., 40-45). Tratterò più

avanti l'affermazione di Bultmann secondo cui le persone istruite di oggi non possono credere nei miracoli. Nella trattazione dei miracoli da parte di Bultmann in riferimento al Gesù storico a sor­ prendere in modo particolare è la sua attribuzione di un'idea filosofica tarda di miracolo a Gesù e ai suoi contemporanei. Nel suo precedente ]esrn and the

Word, Collins (Fontana), London Glasgow, ·

1958 (orig., 1926), Bultmann sottolinea giustamente che Gesù condivideva con i suoi contemporanei la fede nei miracoli, una fede che non dovrebbe essere annacquata per adeguarla alla sensibilità mo­ derna (p. 123). Poi però Bultmann procede a descrivere questa fede dei contemporanei di Gesù (p.

124): «Ma nd pensiero giudaico un evento che è contrario aila natura, che accade al di fuori della ca­ tena nota e ordinaria di causa ed effetto, è detto miracolo e attribuito a una causa soprannaturale . . . ».

È questa una strana retroproiezione di una seriore tenninologia filosofica e di idee successive sui mi­ racoli nella vita e nei tempi di Gesù. ll tentativo di Bultmann (pp. 125.128) di chiarire la sua posizio­ ne aggiungendo che l'idea che aveva Gesù della causalità «non è astratta, ma concreta, e riferisce un

I miraOQ/i e le concezioni contemporanee

603

re la seguente'. Il miracolo è: l ) un evento insolito, sorprendente, o straordinario, che in linea di principio è percepibile da qualsiasi osserva­ tore interessato e 'mentalmente onesto'; 2) un evento che non trova alcu­ na spiegazione ragionevole nelle capacità umane o in altre forze note che operano nel nostro mondo spaziotemporale; e 3 ) un evento che è il risul­ tato di un atto speciale di Dio, che opera quello che nessun potere uma­ no è in grado di fare. Ciascuna di queste tre componenti della definizione mette in risalto un aspetto importante. ' l) La retorica cristiana parlerà a volte in senso lato del miracolo della grazia, del miracolo della risurrezione di Cristo, del miracolo della pre­ senza di Cristo nell'eucaristia, ma, nell'accezione rigorosa del termine, il miracolo implica un evento che è per sé percepibile da tutti gli osservato­ ri attenti e mentalmente onesti: per esempio, un uomo che tutti conosco­ no come cieco dalla nascita, senza speranza di guarigione, improvvisa­ mente vede tutto in modo perfettamente chiaro e dimostra ad altri che è in grado di vederci benissimo'. 2) n fatto è insolito e sorprendente proprio perché non è possibile tro­ vare alcuna spiegazione ragionevole del suo verificarsi entro l'ambito del­ le capacità umane e in qualsivoglia altra forza o potere conosciuto, esi­ stente e operante nel nostro mondo spaziotemporale". Ricorro a questa fenomeno specifico a uno casa ·precisa, come gli insegnava l'esperienza quotidian"" e che «il concet­ to di miracolo, il concetto di Dio nella sensibilità di Gesù, esclude il conceuo di natura», non aiuta molto. Contro questo approccio nel suo insieme si pone A. VOGTLE, The Miracles of]esus, cit., 96. ' Artingendo da molte altre definizioni che sono state proposte, ho cercato di formularne una che fosse la più ampia e neutrale possibile. Per felice coincidenza, le parole usate riecheggiano, in alcune parti, il vocabolario dei miracoli che troviamo nei vangeli. Spesso i vangeli usano djnamis (potere), érgon (opera), e seméion (segno), e meno frequentemente téras (prodigio, ponento, meraviglia), thaumtisia (cose mirabili) e parddoxa (cose strane e meravigliose). Per il momenro la definizione è for· mulata soprattutto con un occhio o.i moderni dibattiti filosofici e scientifici. Come vedremo nel pros­ simo capitolo, il concetto di miracolo dovrà essere ripensato quando si pone la questione dei miracoli in Wl contesto antico anziché in un contesto moderno. 7 Perciò non annovererei tra i miracoli né la risurrezione di Cristo dai morti né la sua 'presenza reale' nell'eucaristia, giacché in linea di principio nessuna delle due è apena al controllo empirico di un qualche osservatore o di tutti gli osservatori. Ceno, nelle loro differenti critiche a David Hurne e al suo rifiuto dei miracoli, Michael P. Levine e Francis J. Beckwith considerano miracoli rispettiva­ mente la presenza reale e la risurrezione. Come si può vedere dalla mia definizione di miracolo, riten­ go che entrambi gli esempi siano infelici, per quanto ambedue siano 'dati per scontati' nel dibattito tradizionale sui miracoli. Per la presenza reale (o, più tecnicameme, la transustanziazione), vedi Ml­ CHAEL P. LEVJNE, Hume and the Problem o/ Miracles: A Solution (Philosophical Studies Series 4 1 ), Kluver, Dordrecht - Boston - London 1989, 106-122.133-15 1. Per la risurrezione vedi F. BECKWJTil, David Hume's Argument against Miracles, cit., !, 50.65-66 (nota 5). ' Nel grido esasperato del cieco nato di Gv 9,32: «Non si è mai sentito che qualcuno abbia [mai] apeno gli occhi a un cieco nato», c'è una fonnulazione di questa componente ispirata al senso comu-

604

· Miracoli

descrizione in qualche modo impacciata per evitare la diffusa definizione del miracolo come un evento che va al di là delle 'leggi della natura' o delle 'leggi naturali', le trasgredisce, le viola, o le contraddice. n concetto di 'natura' o di 'legge naturale' è un concetto sfuggente, definito in modo diverso dalle differenti filosofie, persino nel periodo grecoromano, per non dire nella filosofa contemporanea•. L'idea filosofica che il regolare corso della 'natura' sia normato da leggi immanenti non trova alcun riscontro diretto nella stragrande maggioran­ za dei libri dell'Antico Testamento scritti in ebraico. Dal primo capitolo della Genesi in avanti, il mondo creato sorge dal caos e tende continua­ mente a ricadere nel caos. Soltanto il potere di Dio, non le leggi 'naturali' inerenti alle realtà spaziotemporali, impediscono al mondo di ricadere nel disordine. Dio dà o impone leggi alle sue creature. Queste leggi non sor­ gono 'naturalmente' dalle creature in base alla loro stessa essenza'". Non a caso sentiamo parlare di 'natura' (physis) soltanto quando passiamo al li­ bro deuterocanonico della Sapienza di Salomone (7 ,20; 13,1; 19,20), un'o­ pera scritta ad Alessandria e che riflette il platonismo medio che troviamo anche in Filone". Anche qui peraltro la 'natura' è intesa alla luce della tradizione dell'Antico Testamento, vale a dire come 'creazione' che è fatta e governata dalla parola e dalla sapienza di Dio". La natura non è una ne. Come fanno notare molti che scrivono sui miracoli. siamo qui di fronte a un problema fondam (la sottolineatura è mia). Questo 'persino' contiene in sé il giudizio implicito secondo cui sareb­ be più facile credere nei miracoli che hanno avuto luogo nel passato, piuttosto che in quelli che si di­ ce che accadano nel presente. Se questo giudizio implicito fosse condiviso da coloro che hanno ri­ sposto al sondaggio, se ne potrebbe dedurre che oltre 1'82 per cento di chi ha risposto crede che i miracoli siano accaduti in un qualche tempo nel passato. " La tabella che a p. 58 accompagna il sondaggio Gallup The People's Relzgion indica che la per­ centuale di consenso resta devata per quasi tutti i segmenti della popolazione, con fluttuazioni, per esempio, fino al 97 per cento per i protestanti evangelici neri, e verso il basso fino al 77 per cento per i maschi in generale e per gli uomini dai 30 ai 39 anni di età. Per una ulteriore analisi delle cifre, vedi

I miracoli e le concezioni contemporanee

(i23

i'appresentanti della società istruita e ricca, inclusi taluni scienziati e me­ dici. Il dato è stato appurato con certezza, in casi specifici e concreti, da sacerdoti e ministri in parrocchie frequentate da ceti sociali elevati. In realtà, soltanto il 6 per cento di tutti gli americani interVistati nel sondag­ gio Gallup si dicono completamente contrari all'affermazione che anche oggi Dio opera miracoli. Se Bultmann e i suoi discepoli intellettuali sono corretti nella loro visione sui miracoli e la mentalità contemporanea, ne consegue che soltanto il 6 per cento degli americani rientrano pienamen­ te nella definizione di persone realmente contemporanee. Una conclusio­ ·ne più plausibile è che soltanto il 6 per cento degli americani condivide la ·mentalità di alcuni professori universitari tedeschi". Nonostante Bultmann, il fatto è che gli odierni americani istruiti sono in grado di usare la luce elettrica e il telefono e allo stesso tempo di rite­ nere vero che i poteri del Creatore vanno ben oltre le conquiste che la ca­ pacità umana può conseguire o concepire. Se poi questi credenti istruiti siano coerenti o ragionevoli pensando in questo modo, è un'altra questio­ ne, ma il fatto che la pensino in questo modo è fuori discussione. Perciò il credo accademico secondo cui «nessuna persona moderna può credere nei miracoli» dovrebbe essere gettato nel cestino delle ipotesi dimostrate­ si empiricamente errate. Dopo tutto, è questo che si fa quando, nel caso di altre ipotesi, le scienze sociali dimostrano empiricamente che sono sbagliate. Non riesco a vedere perché, nel caso di questo credo specifico, non importa con quale passione sia sostenuto, si pretenda di fare eccezio­ ne semplicemente perché un numero così grande di accademici continua­ no a recitarlo.

GEORGE GALLUP, ]R - SARAH ]ONES, 100 Questians ond Answers: Religion in Americo, Princeton Re­ ligion Research Center, Princeton (NJ) 1989, IO. Fra tutti coloro che hanno espresso il loro parere sull'affermazione: «Anche oggi i miracoli vengono compiuti grazie al pmere di Dio», il 51 per cenro si è detto completamente d'accordo, il 29 per cento si è detto per lo più d'accordo, il 9 per cento si è detto per lo più contrario, c il 6 per cento del tutto contrario, mentre il 5 per cento ha detto di non saper rispondere. " Si confrontino i risultati del sondaggio Gallup con la dichiarazione fatta da B. Wu.SON, Mogie ond the Millennium, cit., 70, quando parla dei miracoli come di manifestazioni di un potere sopran­ naturale: «Se nelle rradizioni religiose ortodosse del mondo occidentale questi elementi appaiono co­ me un residuato del passato, e questo forse in particolare per coloro che sono religiosamente più i­ struiti, ciò nonostante tali elementi continuano a sopravvivere in una corrente sotterranea, tra i pro­ fani. Esistono come supermxioni . .,. (la sottolineatura è mia). Può darsi che per qualcuno 1'80 per cento sia più di una 'corrente sotterranea'. Abbiamo qui una collisione tra un fano sociale, così com'è rappresentato da Gallup, e una teoria sociologica, così com'è rappresentata da Wilson. Penso che non ci dovrebbero essere dubbi su chi ha ragione e chi ha torto. .

624

Miraa:Jli

Tornando alla mia prospettiva: per ragioni metodologiche limiterò le mie osservazioni circa i miracoli di Gesù alle modeste questioni che ho definito sopra. Non intendo approfondire le ampie questioni filosofiche che concernono la possibilità e la realtà dei miracoli. Desidero però chia­ rire che imbocco questa strada non come una scappatoia per sottoscrive­ re il credo, dimostratosi empiricamente errato, che dell'intreccio fra la religione e la magia neUa cultura ellenistica: la distinzione tra le due a volte dipende meramente dal contesto so· dale.

I miracoli e le concezioni antiche

643

B. TIPI IDEALI NEI VANGELI E NEI PAPIRI

' A mio parere l'approccio che più di ogni altro si awicina a una descri­ zione accurata del complesso rapporto tra i miracoli e la magia in questi due corpi letterari non è né di idemificazione totale del miracolo con la magia né di differenziazione radicale tra i due. Invece, leggendo queste due serie di testi l'immagine che sorge spontanea nella mente è quella di una scala degradante, di uno spettro o di una serie ininterrotta di caratte­ ristiche'0. Da un lato dello spettro c'è il 'tipo ideale' di miracolo, dall'altro sta il 'tipo ideale' di magia. In effetti, i singoli casi concreti si possono col­ locare in punti diversi lungo lo spettro fra questi due tipi ideali" . Quali sono le caratteristiche dei due tipi ideali di miracolo e di magia? Interrogativo ancor più importante (poiché abbiamo visto che nel mondo grecoromano il termine 'magia' era determinato spesso dalla condizione sociale e dalla vena polemica di uno scrittore): questi tipi ideali sono solo il frutto di un'immaginazione impegnata a far apologetica o polemica? oppure questi due tipi sono basati su dati solidi riscomrabili nei testi? A

l(l Avevo già deciso di accostare le due realtà come una sequenza continua, ponendo ai due estremi due tipi ideali, prima di leggere una proposta analoga avanzata da W. GooDE nel suo Magie and Reli­ gion, cit., 172-182, oltreché nel suo Religion Among the Primitives, cit., 50-55. Poiché le nostre pro­ poste sono simili, ne segnalo anche le differenze. l ) Goode è interessato al confronto e .al contrasto fra la religione e la magia e non tra il miracolo e la magia. La maggior ampiezza del suo interesse vuoi dire che alcun• delle sue descrizioni del limite estremo 'religione' entro una linea di continuità, con­ trapposto all'altro estremo deUa 'magia', non combaciano con il mio interesse, che è limitato ai mira­

coli. Per esempio, Goode sostiene che la magia ha meno attività cultuali ed una struttura più sempli­ ce della religione e che il professionista della magia è più libero di decidere se e quando dare inizio al processo magico. Owiamente, questi elementi di differenza non valgono quando si confronta la ma­ gia con i miracoli in panicolare piuttosto che con la religione in generale. 2) Alcune delle affermazib­ ni di Goode sulla magia non sembrano valere in ogni caso (per esempio, che entro lo spettro magio­ religione al punco escremo della 'magia' si deve presumere un grado inferiore di panecipazione emo­ tiva) e non sono state riprese nel mio elenco delle caratteristiche del miracolo e della magia. 3) Goo­ de è interesoato a un progetto molto ampio: mostmre come l'antropologia sociale possa distin�ere in generale tra la magia e la religione sulla base di criteri concreti. Qui propongo un progetto molto più circoscrino: cercare le caraneristiche oggettive che distinguono i resoconti evangelici sui miracoli di Gesù dalla magia presentata nei papiri magici greci. " Così W. GooDE, Magie and Religion, cit., 176-178. Sullo sviluppo e il perfezionamento della no­ zione del 'tipo ideale' in Max Weber, vedi H. KEE , Miracle in the Early Christian World, cit., 44-46. Nel proporre quella che nel migliore dei casi può essere detta una ripologia approssimativa, sono confortato dalle parole di B. WILSON, Magù: ond the Millennium, cit., IO: «Non ci sono quindi tipo­ logie defmitive, non esiste un'unica terminologia corretta. La tipologia usata qui è offerta soltanto nella speranza che ripi di questo genere possano illuminare alcuni rapporti in un diverso complesso di fenomeni in modo nuovo: non c'è alcun dubbio che abbia i propri limili e punti oscuri».

Miracoli

644

mio giudizio, i due tipi estremi che etichetto come 'miracolo' e come 'mà"­ gia' hanno una base concreta nei testi dei vangeli da un lato e nei papiri magici dall'altro. Per provare questa affermazione, inizierò con i miracoli dei vangeli e poi passerò a prendere in considerazione i papiri magici. Sostengo che nei racconti di miracolo dei vangeli vi sono alcune ten­ denze comuni che muovono nella direzione del tipo ideale che io chiamo 'miracolo'. A sostegno di questa tesi prendiamo in esame un racconto di miracolo nei vangeli che si avvicina molto a quello che io considero il ti­ po ideale di miracolo: il risuscitamento di Lazzaro in Gv 1 1". Sin dall'inizio e lungo tutto il racconto, il vocabolario della narrazione 'mette in scena l) un contesto di amore interpersonale tra Gesù, Lazzaro, Maria e Marta (si notino i verbi per esprimere amore in 1 1, 1 -5.35 -36, in particolare philéis nei vv. 34 e 36; egdpa al v. 5 ) ; e 2) un contesto di fede "personale in Dio e in Gesù (pistéuo [«credere>>] nei vv. 15 .25-27.40.45). Coloro che chiedono l'intervento miracoloso di Gesù sono piuttosto insi­ stenti, ma sanno che non possono costringere il potere taumaturgico dello stesso Gesù (vv. 4.2 1 -22 ); non sono clienti che pagano per un servizio e che perciò si ritengono in diritto di chiedere risultati concreti. Anche quando Gesù sembra rifiutare la loro richiesta e rinunciare a salvare Laz­ zaro, Marta afferma la sua fede, delusa sì ma nondimeno perseverante ( 1 1 ,22). Quasi dall'inizio del racconto il lettore è informato che, in realtà, Gesù aveva permesso che accadesse l'intero dramma del disappunto ini­ ziale e del miracolo finale perché il miracolo ha un obiettivo che va al di là del beneficio concreto fatto a Lazzaro (una nuova vita). Il miracolo vuoi essere sia una rivelazione della gloria di Dio che conduce alla fede, sia un segno che rimanda alla vivificante morte e risurrezione dello stesso Gesù (vv. 4.9-15.25 -27.40.45) . In effetti il risuscitamento di Lazzaro dai morti paradossalmente accelera il momento della morte di Gesù ( 1 1,4553; 12,9- 1 1). Ammessa questa pesante zavorra teologica, la semplicità del punto culminante del racconto sorprende ancor più. Quando Gesù, infi­ ne, compie il miracolo che attesta la sua unione perfetta con il Padre (vv. 4 1 -42) e comporta tali conseguenze fatali, egli risuscita Lazzaro con un solo imperativo laconico: ((Lazzaro, vieni fuori>> ( l i ,43 ).

" Questo racconto d! miracolo è insolitamente lungo, m a proprio l a sua prolissità aiuto a evidcn· ziare tendenze tipiche che si possono riscontrare anche, in vari gradi, in molti altri miracoli dei van· geli. La lunghezza del racconto inoltre fornisce un migliore 'confronto e contrasto' con gli esempi più estesi della mogio ellenistica, come quello che troviamo nel papiro magico di

Parigi.

J mirdcoli e le concezioni antiche Quello che intendo chiarire .qui ooli è se, tutto. o in parte,' il racoontb di Lazzaro sia storico. Intendo piuttosto richiamare l'attenzione su questo testo così come esso si trova all'interno di un'opera letteraria detta vange­ -lo. Il punto che voglio affermare è che per giudicare la questione del mi­ ncolo e della magia in questa opera letteraria occorre andare oltre consi­ derazioni di carattere meramente formale, concernenti il genere letterario, la struttura, i termini tecnici usati per 'miracolo' (per esempio, téras e seméion). Occorre prendere in considerazione anche il contesto", nonché -il contenuto di questo racconto e di molti altri simili ad esso che riscon­ triamo nei vangeli, in particolare i miracoli di guarigione (considerando il risuscitamento di Lazzaro, per così dire, l'esempio estremo di guarigione). Quali elementi significativi del contesto e del contenuto nel racconto di Lazzaro trovano eco in numerosi altri racconti di miracolo dei vangeli, :in particolare in quelli di guarigione? Anzitutto, è giusto dire che il con­ testo di molti di questi racconti all'interno di un dato vangelo è un conte­ "Sto di rapportQ personale e religioso tra Gesù e il fortunato destinatario ·o i fortunati destinatari dei suoi miracoli. Almeno implicitamente il conte­ sto dei miracoli nei vangeli è un contesto di fede, di fiducia o di discepo'­ lato". A volte si aggiungono- altri motivi: gli astanti rispondono con gesti di culto e lode di Dio e o di Gesù; oppure il destinatario del miracolo di­ venta un missionario non ufficiale, che comunica ad altri la notizia del miracolo compiuto da Gesù. Per dirla in termini astratti, in un modo o nell'altro il richiedente, il destinatario o il gruppo degli astanti entrano in un rapporto personale con la divinità o con l'inviato della divinità, en­ trambi pensati in termini marcatamente personali.

" Ritengo che D. AUNE, Magie in Early Christidnity, cit., 1526-152S, liquidi troppo in fretta la que­ stione se le differenze di cont>, usato da Marco, Gesù dice: «0 donna, grande è 14 tua /ede!>•.

A confronto, la promessa effettiva della guarigione nella seconda metà della risposta di Gesù è laco­ nica e quasi sopraffa11a dal punto principale, che è la fede: . Anche l'informazione sulla guarigione è concisa e generica: «Sua figlia fu guarita a quell'orli)). Così Matteo ha spostato deliberatamente il punto culminante dd racconto incentrandolo sul motivo della fede della donna così com'è espressa nella sua richiesta insistente. Su tullo questo vedi H. Hao, Matthiius

als lnterpret der Wundergeschichten, cit., 155-287, spec. 168- 1 7 1 . 1 82-189.263-284. Su Luca vedi P. A· CHTEMEIER, And He Followed Him, cit., 133-134: «Più dell'altro evangelista Luca ricollega ai racconti

I'mir11coli e le concezioni antiche

647·

Certamente, non ogni racconto di miracolo nei vangeli contiene un ri­ ferimento esplicito a una risposta religiosa personale a Gesù. A volte il rapporto personale va in primo luogo in un'altra direzione, con Gesù che prende l'iniziativa perché è mosso a compassione (per esempio, le due moltiplicazioni dei pani in Mc 6,34; 8,2). Tuttavia, in vari modi tutti e quattro gli evangelisti fanno affermazioni generalizzanti o programmati-. che che indicano che i miracoli vogliono condurre verso la fede e che co­ loro che si rifiutano di imboccare questa strada sono colpevoli. A sottoli­ neare maggiormente questo punto di vista è il quarto evangelista, che conclude sia la prima metà del suo vangelo (la fine del ministero pubbli­ co di Gesù in 12,37-43 ), che la seconda metà (20,30-3 1 , dopo l'apparizio­ ne di Gesù risorto a Tommaso) con affermazioni programmatiche sul ruolo dei 'segni' (i miracoli simbolici di Gesù) nel condurre le persone al­ la fede. In 12,37 l'evangelista lamenta che «pur avendo egli [Gesù] fatto segni così grandi, essi [le folle di Gerusalemme] non hanno creduto in lui». In 20,30-3 1 l'evangelista dice ai suoi lettori: «Ora Gesù ha compiuto molti altri segni alla presenza dei suoi discepoli, che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi [segni] sono stati scritti perché voi possiate credere che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio». Così Giovanni sottolinea due volte nel suo vangelo che non solo questo o quest'altro segno fatto da Gesù, ma i segni di Gesù nel suo insieme e per loro stessa natura hanno lo scopo di aiutare le persone a giungere alla fede in lui". Coloro che non consentono ai segni di operare come dovrebbero - poiché i segni non producono automaticamente o magicamente la fede - sono colpevoli. Una interessante variazione di questo tema della colpevolezza di chi non crede di fronte ai miracoli si trova in Marco. Dopo la prima moltipli-

di miracolo riferimenti al fano che o;oloro che avevano osservato i miracoli o che ne erano stati bene­ ficiati reagivano dando gloria a Dio . . . un atteggiamento che appartiene alla comprensione lucana della fede. . . Per Luca i miracoli costituisrono una chiara base legittima del discepolato>>.

dogma tra gli esegeti il fatto che nei vangeli - o quanto meno in c'è alcun roppono positivo tra i miracoli e il pervenire aUa fede. Tale posi­

" Per troppo tempo è stato un Marco e Giovanni -

non

zione nasce più da problemi che la teologia moderna si pone di fronte ai racconti di miracolo, che non nel confronto con i dati dei testi evangelici. Per una salutare alternativa al modo buhmanniano

di interpretare i segni nel quano vangelo vedi MARIANNA MEYE THOMPSON, Tbe Humanity o/ Jesus in the Fourth Gospel, Fonress , Philudelphia 1988, 63-81, spec. 80: «Nel quano vangelo l'obiettivo dei segni compiU!i da Gesù è di suscitare la fede. Gv 2, 1 1 ; 12,37 e 20,30-3 1 evidenziano questa con· nessione tra il vedere i segni e la fede. Là dove i segni non producono la fede (9,16; 1 1,47-53; 12,37), la deficienza non consiste né nell'insufficienza dei segni né nell'inadeguatezza della fede che essi pro­ ducono, ma piuttosto nei singoli individui che cocciutamente rifiutano di vedere». Vedi anche

MUSSNER. Die Wunder Jew, cit., 69-72.

�.

648 cazione dei pani e il cammino di Gesù sulle acque, ci viene detto che i di­ scepoli sulla barca sono fuori di sé per lo stupore «perché non capivano circa [la moltiplicazione] dei pani, essendo i loro cuori induriti» (Mc 6,5 1). Quindi, dopo la seconda moltiplicazione dei pani, Gesù rimprove­ ra questi stessi discepoli perché continuano a non capire e per la durezza del loro cuore (8,14-2 1 ) . Chiede loro quante ceste di pane hanno raccolto dopo ciascuna moltiplicazione. Rispondono con cifre precise relative &· ciascun episodio e tuttavia restano nel buio per quanto concerne il signi­ ficato più profondo di questi eventi. La pericope termina con la replica triste e ammonitrice di Gesù, che assume la forma di una chiara doman­ da retorica: «Non capite ancora?». Il rimprovero di Gesù ha senso sol­ tanto se le due moltiplicazioni dei pani (e, implicitamente, gli altri mira­ coli di Gesù che hanno avuto come reazione lo sconcerto ottuso e la mancanza di comprensione) erano intese a dare ai discepoli la conoscen­ aa della fede, se solo le avessero guardate con i loro occhi interiori. Che i miracoli di Gesù vogliano condurre alla fede - non però causarla· automaticamente - è presupposto anche da Matteo e da Luca. Per esem­ pio, entrambi riportano la replica di Gesù a Giovanni Battista, il quale a­ veva mandato a dirgli: «Sei tu colui che deve venire?». Gesù risponde fa­ eendo un elenco dei vari tipi di miracoli che ha compiuto, miracoli che realizzano le parole di Isaia, il quale dipinge un quadro del tempo della salvezza per Israele. Gesù quindi fa seguire un monito oscuro al Battista esortandolo a non rifiutare di credere in lui: «E beato colui che non si scandalizza [vale a dire, non viene impedito nel suo cammino verso la fe­ de] a causa di me» (Mt 1 1 ,2-6 e par.). Lo stesso tipo di monito, anche se espresso con maggior vigore, viene comunicato dai «guai a voi» che Gesù pronuncia contro le città della Galilea che si sono rifiutate di credere in lui: «Poiché se i miracoli [dyndmeis, 'azioni potenti'] compiuti in voi fos­ sero stati compiuti a Tiro e a Sidone, da lungo tempo esse si sarebbero pentite in sacco e cenere» (Mt 1 1 ,2 1 // Le 10,13). A dispetto di tutte le differenze nella prospettiva teologica, qui la posizione che è alla base si11 di Matteo che di Luca è quella che si riscontra anche in Giovanni e in Marco: i miracoli di Gesù possono aiutare la persona ben disposta a per­ venire alla fede in lui e il rifiuto di credere di fronte ai suoi miracoli è col­ pevole. In breve, tutti questi pronunciamenti negativi in Giovanni, Marco, Matteo e Luca nascono da un presupposto positivo che è onnipresente in tutti e quattro i vangeli: tutti i miracoli di Gesù mirano a condurre alla fe­ de, al pentimento e al discepolato. Coloro che si rifiutano di lasciare che i miracoli producano l'effetto inteso da Gesù sono colpevoli di incredulità.

J miracoli e le concezioni antiche

649

Sicché persino i brevi racconti di miracolo e i sommari sui miracoli di Gesù sono riportati all'interno di un contesto ampio: il rapporto religioso interpersonale fra Gesù e i destinatari dei suoi miracoli. L'esempio piut­ tosto lungo, dettagliato, del risuscitamento di Lazzaro non fa che esplici­ tare quello che è implicito nell'insieme dei vangeli. Questo accento posto sul rapporto interpersonale con Gesù nei rac­ conti di miracolo che troviamo nei vangeli ha un corollario ovvio. Fatte poche eccezioni, la potenza miracolosa di Gesù che guarisce o salva non è vista come una qualche forza impersonale sulla quale far pressione o da catturare, indipendentemente dalla volontà di Gesù di usarla o meno. Né si tratta del potere di una divinità capricciosa o di un demone che dev'es­ sere blandito o costretto da interminabili formule magiche esoteriche, da incantesimi, da miscele di ingredienti diversi, da ricette, amuleti, scongiu­ ri e invocazioni di nomi segreti degli dèi. Se si è d'accordo con Aune che «gli eventi straordinari che sono catalogati come magici dovrebbero con­ sistere propriamente nei risultati conseguiti con procedure ritualistiche che si crede producano i risultati desideratÌ»18, si dovrà dire che la stra­ grande maggioranza dei racconti evangelici sui miracoli di Gesù non può essere qualificata come magica. La stragrande maggioranza di essi non presenta Gesù nell'atto di impegnarsi in alcunché che possa essere ragio­ nevolmente chiamato rituale, certamente non un rituale del tipo di quello che riscontriamo nei papiri magici. Inoltre, i miracoli dei vangeli sono compiuti per un obiettivo di ben più ampia portata. Per dirla in parole semplici, nei vangeli i miracoli di Gesù sono presentati come segni e realizzazioni del potere benevolo del Dio d'Israele, che opera alla fine del tempo per salvare tramite il suo a­ gente Gesù non solo persone singole, ma l'intero Israele. I miracoli sono eseguiti per lo più per seguaci reali o potenziali, con l'ampliarsi della cer­ chia dei discepoli. Mi si permetta di sottolineare di nuovo che sto parlando qui soltanto del quadro dipinto nelle opere letterarie dette vangeli presi nel loro insie­ me. La questione relativa ai fatti storici originali sarà affrontata più avan­ ti. Tutto quello che intendo dire al momento è che nei vangeli si riflette un tipo particolare, una configurazione o un modello particolare di atteg­ giamento e di azione religiosa, un tipo che ha un profilo distinto e che " D. AUNE, MQgic ;,. Eorly Christilmiry, ci t., 1522. Anche oe Gesù per guarire un il tocco oldla sua mano o (raramente) la saliva, ci si deve chiedere se il gesto è considerato necessario per onenere la guarigione, dato che i medesimi vangeli contengono racconti che ritraggono Gesù che esegue gu ari­ gioni analoghe senza compiere questi gesri simbolici .

Miracoli

650

non dovrebbe essere mescolato con altri tipi alla rinfusa. TI racconto di Lazzaro ci aiuta in particolare a fonnulare come potrebbe apparire uno dei due estremi dello spettro entro il quale abbiamo collocato la realtà che va dal miracolo alla magia. Le caratteristiche dell'altro estremo entro questa gamma possono esse­ re ricavate dalle tendenze generali che riscontriamo spesso nei papiri ma­ gici grecoromani, risalenti al periodo che va dal II o dal 1 secolo a.C. al V secolo d.C.'". Per menzionare un esempio famoso, nel papiro magico di Parigi (PGM IV), alle righe 3007-308540, troviamo la 'ricetta' di un esor­ cismo che sembra una ricetta da cucina: l'olio di olive acerbe viene me­ scolato con erbe e polpa di frutti e quindi bollito in maggiorana appassi­ ta, mentre il mago/esorcista recita un elenco pressoché impronunziabile di nomi di molti dèi di differenti nazioni. Un altro elenco di nomi divini è invece inciso su un foglio di latta che viene quindi appeso al collo del pa­ ziente. Una lista ancor più lunga (che include «il dio degli ebrei, Gesù» [katà tu theit ton Hebraion Ieru]) viene quindi recitata dal mago che si pone di fronte al paziente e che procede poi a mescolare insieme racconti veterotestamentari, tradizioni ebraiche e detti egiziani. Talvolta basta una sfilza di vocali e sillabe senza senso ad aumentare la natura misteriosa delle formule. Lingue straniere, nomi e pratiche (in particolare quella e­ braica che rifiuta la consumazione di carne di maiale) sono mischiati tra

19 È

il caso di evidenziare qui, ancora una volta, un aspetto da me già sottolineato: l'obiettivo del

confronto intrapreso nel testo è di esaminare due raccolte di testi del periodo grecoromano e vedere se

le somiglianze e i contrasti tra di loro possano generare una tipologia utile allo studio dei miracoli

'e deUa magia nel pèriodo grecoromano. Certo, c'è un problema metodologico che non dovrebbe es­ sere trascurato: mentre i vangeli appanengono rutti alla seconda metà del l secolo d.C., i papiri magi­ ci che possediamo rientrano in un arco di tempo che abbraccia sette secoli, e molti di questi risalgo­ ,no al tardo impero romano, Peraltro, il problema dètla datazione non è così importante per il nostro scopo, poiché noi intendiamo elaborare tipi ideali, non evincere un rapporto causale o un'influenza letteraria. Sottolineo perciò che non sto usando i papiri magici �per fornire quelle che passano per

spiegazioni storiche di eventi o fenomeni che risalgono a secoli prima», un modo di

procedere che

H KEE, Mirade in the Early Christian World, cit., 288, giustamente censura. '" Oltre al testo greco e a quello tedesco in K. PREISENDANZ, Papyri Graecae Magicae, cit ,, l, 170173, e al testo inglese in H BETZ, The Greek Magica! Papyri in Translation, cit., 96-97, si possono tro­ vare fotografie del documento (risalente al 300 d,C circa), il testo originale e una traduzione in tede­ sco in A. DEISSMANN, Licht vom Osten, cit, 216-225. Una traduzione inglese con note è disponibile in CK BARREIT, The New Testament Background: Selected Documents, ed. riv., Harper and Row, San Francisco 1987, 34· 37, Informiamo il lettore che il modo usuale di citare i papiri magici greci preve­ de la sigla PGM ( Papyn' Graecae Magicae), seguita dal numero del manoscritto papiraceo in numeri =

romani e, quindi, dal numero o dai numeri della riga o delle righe in numeri arabici. L'enumerazione è secondo i volumi di Preisendanz.

651

Fmiraco1i e le concezioni antiche

loro; la natura sincretistica di questo pezzo di magia tardoromana è mar­ cata". Se in questo testo particolare la mistura linguistica e culturale può essere estrema, lo stesso modello di ricette strambe, sfilze interminabili di nomi divini, o serie senza fine di sill abe prive di senso, figura in quasi tut­ te le altre pagine delle collezioni di papiri pubblicate da Karl Preisendanz e Hans Dieter Betz. ll motivo per cui si moltiplicano parole, titoli divini e osservanze rituali tratti da molte razze e religioni è altamente pragmatico: si fa ricorso a tut­ to quello che in un modo o nell'altro può funzionare! Significativamente, nei testi magici troviamo sistematicamente slogans pubblicitari, aggiunti dagli editori per raccomandare una particolare formula magica: «Questa funziona dawero!», o «Se non funziona, tenta quest'alrra formula magi­ ca»". La vera ragione che sta alla base della moltiplicazione di nomi e sil­ labe senza senso risulta perciò evidente: l'una o l'altra delle parole o azi;­ ni magiche, si spera, premerà il bottone giusto e aprirà la porta che con­ duce all'effetto desiderato. Poiché è possibile che il mago non sappia qual è il tasto giusto, egli ne preme il numero più grande 12ossibile. Quan­ do schiaccerà il tasto giusto, il risultato voluto arriverà. E di importanza secondaria la questione se il potere imbrigliato dalla tecnica corretta sia considerato di natura personale o impersonale. Nella maggior parte dei testi la fedeltà duratura o l'amore personale a una divinità particolare è raramente di primario interesse".

" D. AUNE, Magie in Early Chrirtianity, cit., 1519, osse!Va saggiamente che il sincretismo nei papiri magici riflette semplicemente un più ampio fenomeno di sincretismo crescente nei culti delle religio­ ni dell'impero romano dal II al v secolo d.C. Poiché il nostro materiale proviene dall'Egitto ellenisti. co e romano. non sorprende che !e componenti più importanti di questa mistura culturale siano quella greca e quella egiziana. Gli elementi giudaici provengono da un giudaismo ellenistico di carat­ tere sincretistico, non direttamente dalla religione israelitica anesrata neU' Antico Testamento ebraico. l trani cristiani relativamente rari arrivano a noi presumibilmente tramite questo giudaismo sincreti­

stico. H.

BETZ, Magie and Mystery, cit ..

249, nora: «La magia cristiana si estese rapidamente verso il il più antico ma­

VI secolo d.C., trasformando e - in ampia misura, ma non totalmente - sostituendo

teriale allora classificato come 'pagano'». " H. BETZ, Magie a11d Myrtery, cit., 248. Come fa notare questo autore, a volte i papiri magici mo­ strano qualche interesse per la capacità di coanore gli dèi. Nel complesso, tuttavia, nei papiri magi(i questo interesse è sottaciuto, ma riemerge pienamente nei neoplatonici e tra i padri della chiesa. Betz affenne che dai papiri emerge per lo più solcan10 l'interesse per l'efficacia concreta e immediata della magia. " Per quanto concerne le divinità menzionate, sorprende l'accento notevole posto sugli dèi e suUe dee del mondo sotterraneo, nonché il fascino evidente subito di fronte agli elementi dell'universo fi.

siro, adeguatamente divinizzati.

652 I risultati che d si aspetta dai rituali magici e di cui parlano i papiri in­ cludono l'obiettivo serio e benefico dell'esorcismo, gli obiettivi relativa­ mente banali ed egocentrici di vincere una gara di cavalli, di guadagnare denaro, di guarire un naso colante, di sterminare cimici, di trovare un a­ mante, di avere un'erezione, e infine il proposito sinistro di fare del male ad altri, in particolare a un rivale in affari, in amore, in cause legali. Viene da pensare alla concezione della magia descritta da Bronislaw Malinow­ ski: è intrinsecamente pragmatica, un mezzo specifico messo in atto per conseguire un obiettivo preciso". In tutto questo la persona che chiedeva· aiuto al mago in fondo era un cliente, che con ogni probabilità pagava per i servigi professionali richiesti. In verità sotto un certo punto di vista il mago grecoromano era il tecnico professionalmente preparato del tem­ po, l'esperto chiamato per applicare la sua tecnologia speciale (magia), quando i mezzi ordinari non funzionavano o si desiderava ottenere risul­ tati immediati. In generale il mago, specialmente nell'ambiente religioso greco, recitava la propria parte da solo, benché a volte potesse avere un apprendista". Nei papiri magici non si trova l'idea di fondare o coltivace una comunità di credenti o di discepoli.

Sono questi dunque i due estremi che possono essere distillati dai due diversi ambiti della letteratura grecoromana, i quattro vangeli e le collezio­ ni di papiri magici. Come ho detto, sono gli estremi di uno spettro. In mezzo si colgono molte zone grigie e ciò vale non solo quando partiamo dalla magia come punto estremo dello spettro per muoverei verso i mira­ coli. Anche alcuni tra i racconti di miracolo nei vangeli mostrano elementi di magia. Forse l'esempio più chiaro è la forma marciana del racconto del­ la donna sofferente di una emorragia (Mc 5,24b-34), la quale arriva di sop­ piatto alle spalle di Gesù e tocca il suo vestito senza che lui la veda••. La

.... Questa visione pragmarica è attribuita specificamente ai papiri magici greci da H. KEE, Miracle i11 the Ea,ly Chr�stian Wo,/d, cit., 37: vedi gli esempi concreti che egli fornisce nel suo Mediane, Mi· ,ac/e and Magli:, cit., 108- l l 1 [trad. it., In-181]. " Per il mago visto come personaggio. che agisce da 'solisra', vedi H. BETZ, The Formallon o/ Authoritative Trad1tion, cit., 161, ma occorre cautela nel trarre conclusioni affrettate. Come nO[a Betz altrove (lntroth.aion, cit., xlvi), «è possibile che alcuni tra i maghi cbe scrivevano e usavano gli incan· tesim i fossero associati ai tetnpli delle divinirà egiziane • greche. Secondo la prassi egiziana il mago e· ra un membro permanente del sacerdozio del tempio». Anche qui, peraltro, non c'era alcuna idea di creare una nuova cerchia di discepoli " Sul potere magico-magnetico di guarire, trasmesso tramite il corpo, vedi E. HAENCHEN, Der Weg ]esu, cit , 207. Come afferma decisamente J. HuLL, Hellenistic Mogie, cir., 136, «in Marco la donna· s'attende una magia e l'ottiene». D. AUNE, Mogie in Early Chnstiomly, cit., 1536, è ancor più drasti· .

.

l'mir'llètlil e le concezioni antiche donna è guarita 'automaticamente', si direbbe, da una scarica di corrente elettrica che si sprigiona dal mantello di Gesù. Al momento della guarigio­ ne, Gesù non si rende conto di chi lo ha toccato o di che cosa stia acca­ dendo esattamente. Sente soltanto un potere uscire da lui. È giusto dire peraltro che tali guarigioni automatiche e anonime sono atipiche nei mira­ coli dei vangeli". Inoltre, anche nella versione marciana del racconto, è im-

co: «Le fdee espresse nel racconto della guarigione della donna non conlìnano con la magia, ma sono parte essenziale delle nozioni magiche tipiche dd mondo grecoromano». W. LANE, Mark, cit., 193, si sforza di mitigare il carattere magico di questo episodio sostenendo - in modo del tutto contrario alle indicazioJ1i che si trovano nel testo - che a dar via libera alla pmenza sanarrice di Gesù è S(ato il rap­ porto personale tra lo stesso Gesù e la donna. In effetti, dice Lane, Gesù ha prescelto la donna per­ ché non poteva consentirle «di ritornare a far parte della folla che ancora nutriva idee inficiate di su­ perstizione e di magia». Forse Gesù avrebbe dovuto prescegliere anche Marco. " Sottolineo il termine vangelo nell'espressione «miracoli dei vangeli». Alcuni dei miracoli negli Ani degli Apostoli sembrano tendere maggiormente verso l'estremo magico dello spettro: per esem­ pio, l'ombra di Pietro che guarisce quanti giacciono lungo la strada mentre egli passa (At 5,15) e i fazzoletti (suddria) e grembiuli (simikinthia) che avevano toccato la pelle di Paolo e che quindi guari­ scono i malati (19,12). Le reazioni degli esegeti a questi due racconti sono prevedibili. Alcuni passa­ no sotto silenzio il problema della magia (per esempio, Bruce nel suo commentario NICNT agli Atti degli Apostoli). All'altro estremo, E. HAENCTIEN, Die Aportelgeschichte, cit., 201 -202.497-498, vede qui due mati appaiati: l ) un volo della fantasia, che trasforma la vera concezione paolina di un apo­ stolo sofferente in un 'uomo divino'-ellenistico trionfante (un'etichetta problematico per taumaturghi nel I secolo d.C.); e 2) una rovinosa caduta negli orrori del protocattoticesimo che trasforma una teo­ logia della croce in una teologia della gloria (sulla natura problematico di molti dei presupposti della scuola bultmanniana quando trana la teologia lucana confrontandola con la teologia di Paolo, vedi J. FrrzMYER, The Gospel According to Luke, ci t., l, 3-29). Più sobria di Haenchen nella sua valutazione è EusABETH ScHOSSLER FIORENZA, Miracles, Mis­

simo, and Apologetics: An [,.trodJ.ction, jp Aspects o/&ligious PropagandtJ ;,. ]udtJism a"d Early Chri­

s/umity (University of Notre Dame Center for the Study of Judaism and Christianity in Antiquity 2), a cura di Elisabeth Schussler Fiorenza, University of Notre Dame, Notre Dame . London 1976, 1-2,, spec. 12-13: «Nella letteratura antica è. molto difficile distinguere la categoria del miracolo da quella della magia. Esse vanno mano nella mano. In At 1 9 , 1 1 -20 Luca ricollega strettamente tra loro i mira­

coli e la magia. La sua affermazione riassuntiva sui grandi poteri miracolosi di Paolo include dementi magici (19,11s.)». Tratti magici si possono vedere anche nel racconto delle 'c::secuzioni' miracolose di Anania e Saffira in At 5, U l; vedi N. BROX, Magie u,.d Aberglaube, cit., 160. L'episodio di Anani.a e Saffira fa nascere la possibilità che ci sia una correlazione fra i tratti magici negli Atti degli Apostoli e un'altra differenza caratteristica tro i mi.o;acoli negli Atti e quelli nei vange­ li. Nei quattro vangeli mancano totalmente i miracoli che puniscono direttamente delle persone. In­ vece, negli Atti degli Apostoli Anania e Saffira sono entrambi colpiti mortalmente perché mentono sulla vendita di una loro proprietà 4. Queoti aono esempi di preghiera intensa, non di maRia. Presi insieme, tutti questi casi segnalano un punto e­ levato di emozione e drammaticità nel racconto, non pratiche magiche. Essi non sono in alcun modo paralleli alle lunghe sfilze di nomi divini e di sillabe senza senso tipiche di alcuni testi magici ellenisti­

ci. Sicché ritengo che D. AUNE, Magie ;, Early Christianity, cit., 1534-1535, sbagli quando afferma che talitha koum e ephphota sono due espressioni che Marco presumibilmente ha conservato «con l'obiettivo di guidsre i taumaturghi cristiani nelle loro attività esorcistiche e di guarigione. Nel cristia­ nesimo primitivo perciò è possibile che queste espressioni aramaiche avessero la funzione di fonnn­

b. Se queste espressioni aramsiche

fossero stste davvero cosi importanti da questo punto di vista,

�rché allora non solo Maueo, ma persino Luca le hanno lasciate cadere nella loro versione dei conti marciani? Il fatto che nel tardo

1

roe­

secolo d.C. si riscontrino vari detti di Gesù, per esempio, iD

formule di incantesimo e su amuleti cristiani, non dimostra nulla circa l'intenzione dello stesso Gesù e degli evangelisti. Dagli inizi della chiess cristiane e certamente lungo tutto il periodo patristico, ls magia è S[ata un fenomeno riscontrabile all'interno del cristianesimo come in altre religioni grecoro­ mane; vedi N. BROX, Magie ,.,,; Aberg/allhe, cit., 157-180.

65 8

Mirarofi

gnate da un gesto simbolico (il contatto fisico, l'uso della saliva), a volte no". Per dirla in termini negativi, non ci sono incantesimi prolungati, liste

� l: uso della saliva da palte di Gesù (Mc7,33; 8,23; Gv 9,6) è menzionato a volte come una indie.!· zione di magia; così D. AUNE, Magù: in Early Chrirtianity, cit., 1537-1538, ma questo punto non è co· sì chiaro come pensa qualcuno. l ) ll senso esatto della saliva nei due racconti marciani è oggetto di contesa tra gli studiosi contemporanei. Mentre D. AUNE, Magie rn Early Christianity, cit., lo ritiene magico, E. YAMAUCHI, Magre or Mirac/e>, cit., 137- 140, spec. 139, sostiene che i medici del tempo ri· tenevano che la saliva avesse qualità terapeutiche: «Esiste una documentazione consiòerevolc sul far­ , to che [nel mondo grecoromano] la saliva era usata comunemente per trattare le malattie degli oc­ chi>). Tale affermazione però è messa in discussione da HOWARD CLARK KEE, Magie and Messiah, in Religion, Science and Magie in Concert and Conf/1d, a cura di Jacob Neusner, Emest S. Frerichs e Pau! V.M . Flesher, Oxford University, New York · Oxford 1989, 121-141, spec. 138, il quale affenna che del periodo ellenistico-romano non è srato conservato alcun caso di saliva come farmaco. Kee so·

stiene che la saliva come farmaco è assente anche dai materiali relativi a papiri magici greci che pro­ viene da questo periodo: i papiri magici greci, le coppe magiche e gli amuleti aramaici, nonché il Sepher ha-razim. Che senso ha dunque l'uso della saliva? Kee osserva che nella Torà (Lv 1,,8 e Nm 12,14) la saliva - che nelle Scritture non figura mai come elemento di guarigione - è invece contami­ nante. Kee penante ritiene che i due passi di Marco presentino l'iniziativa di Gesù come una sfida a). le leggi della purità: «­ mim Literature: The Reworking ofPopular Conceptions by Leamed Exorcists, in Religion, Science arrd Magie in Concert and in Con/lict, a cura di Jacob Neusner, Emest S. Frerichs e Pau! V.M. Flesher, Oxford University, New York - Oxford 1989, 27-58; NACHMAN BEN-YEHUDA, Witchcraft and the Oc­ cult ai Boundary Maintenance Devices, in ibid. , 229-260, spec. 233-244. " Sotto questo aspetto è degna di nota la libertà che si prende Morton Smith sia nelle sue tradu­ zioni çhe nella documentazione che raccoglie quando si trana di dimostrare che Gesù era un mago. Per esempio, traducendo Giustino Martire, M. SMITH, Jesus the Magician, cit., 54 [trad. it., 82], con superficialità usa la parola 'mago' là dove Giustino {Dialogo con Tri/one, 1 08,2) parla dell'accusa dei giudei secondo cui Gesù era un pldnos, 'ingannatore', vale a dire una persona che fuorviava il popo· lo. Ora, pldnos può significare mago quando il contesto rende chiaro tale significato, ma pltinos può avere una serie di significati molto più ampia di 'mago'. Perciò qualcosa nel contesto più ampio del passo che si sta traducendo deve giustificare il significato preciso di 'mago'. Orbene il contesto im· mediato deUe osservazioni di Giustino nel suo Dialogo con Trifone, 108,2 è costituito dal raa:onto di Matteo sulle guardie poste a custodire la tomba di Gesù e la menzogna inventata da.i sommi sacerdo­ ti dopo la risurrezione (MI 27,62-66: 28,I I - l5), in particolare l'affermazione dei sommi sacerdoti: «Signore, ricorcliamo che questo ingannaton: [pldnos] mentre era ancora in vita disse . . . » (Mt 27,M ) . Nel contesto il termine pldnos non vuoi significare altro che 'mentitore'. Imperterrito, Smith traduce ancora pltinos in Mt 27,63 come 'mago', nonostante il fatto che nulla nel contesto immediato favori­ •ca tale scelta. Si tratta di una traduzione quanto ma.i tendenziosa. E quel che è peggio, essa oscura U '

.

I miracoli e le concexioni antiche

669

composizione di queste due opere non è certa, ma con ogni probabilità sono state scritte entrambe durante il periodo di permanenza a Roma di Giustino, nel 150-165 circa d.C. Le affermazioni dell'ebreo Trifone nel Dialogo rappresentano presumibilmente quello che un ebreo disse a Giu­ stino durante una conversazione avvenuta un decennio o due prima ( 13 3 1 3 4 circa) , ma è difficile dire i n quale misura i l Dialogo costituisca Ul'l re­ soconto attendibile di una conversazione reale e in quale misura rispecchi la creatività teologica di Giustino. In ogni caso, nessun documento conte­ nente l'accusa che Gesù era un mago può essere datato a prima della metà del u secolo d.C. L'opera successiva contenente tale accusa è il Vero Discorso del pagano Celso (e la sua presunta fonte ebraica) , che utilizzò l'accusa di magia contro Gesù nel 178 d.C. circa72• Così, per quanto con·

fatto che Giustino è estremamente parco nell'applicare mago• e maghi/W• a Gesù, anche quando rife­ risce le accuse dei giudei. Una analisi di EDGARJ. GooDSPEED (ed.), lndex apologeticus, sive c!dvts fu­ stini Martyris operum altorumque apologetarum pristinorum, Hinrichs, Leipzig 1912, 167, mostra che nel Dialogo e nella sua Prima e Seconda Apologia Giustino ha usato l'aggettivo maghtk6s 8 volte e il sostantivo mdgos 16 volte. Peraltro, egli usa questi termini quasi sempre in riferimento agli uomini saggi che figurano nel racconto dell'infanzia del vangelo secondo Matteo, o agli egiziani oppure ad altri maghi pagani (in quanto opposti a Mosè), nonché per gli 'eretici' cristiani Simone e Menandro e per i demoni e gli angeli caduti. Solo in due passi (Dialogo 69,7 e Prima Apologia 30,1) egli usa questi termini in riferimento acl accuse contro Gesù. Sicché le traduzioni libere di Smith alterano dati che invece dovrebbero essere presentati con grande precisione. Nel suo Dialogo con Tri/one 69,7 Giusti­ no, dopo aver elencato vari tipi di miracolo operati da Gesù, lamenta che «coloro che videro accade­ re queste cose, dissero che si tranava di una visione magica, poiché essi osarono dire persino che egli [Gesù] era un mago e uno che conduce il popolo fuori strad.,. (hoi de kài ttiuta horòntes ghin6me711J pbantaJian maghtkin ghinesthai élegon. leài gdr mdgon éinai autòn etolmon léghein kdi laopltinon). Per il testo greco con traduzione francese e note, vedi GEORGES ARCHAMBAULT (ed.), ]ustin. Dialogue a­ ''" T.-yphon, 2 voll., Picard, Paris 1909, l, H8. Nella PrimtJ Apologia 30,1 Giustino riprende l'obie­ :zione di coloro che affermano che «il personaggio che noi chiamiamo Cristo, il quale era [semplice­ mente] un uomo tra gli uomini, ha compiuto con ane magica i miracoli che noi raccontiamo» [tòn

p;tr'hemin legoménon Chrislàn, tinthropon ex anthrr5p6n onta, magike(i) téchne(i) hds leg6men dynti­ meis pepoiekénatl . Per il testo greco con traduzione latina e note, vedi GERARD RAUSCHEN (ed.), Flo­ rilegium Patri.), che riflette l'antica cre­ denza secondo cui tali attacchi erano causati dalla luna'0• Manco a dirlo, mentre noi moderni riconosciamo che il ragazzo soffriva di epilessia, tan-

J. ROLOFF, Das Kerygma, cil., 150-151, sostiene l'idea opposta: la fede in questione è quella del ri· miedente. Tra quanti condividono questa posizione ci sono F. LANG, So/4 Gratio, cit., 323-324, il quale afferma che in tutti gli altri casi in cui ricorre il termine fede (pistir) in Marco all 'interno dti racconti di miracolo il riferimento è alla fede del destinatario del mifiOcolo; W. ScHENK, Tradition und Redaktùm, cit 90, il quale considera l'intero dialogo suUa fede come redazione marciana; e G. PETZKE, Die historische Froge. cit., il quale invece è convinto che si tratta probabilmente di materiale premarciano. Certo, in tutto quesro dibauiro ci si deve chiedere se sia probabile che un -vivace scam· bio di banute all'interno di un racconto di miracolo abbia conservato un detto del Gesù storico. È ragionevole notare che, nonostante le loro differen ze, Roloff, Schenk, Petzke e Achtemeier ritengono tutti che il dialogo tra Gesù e il padre sia un'aggiunta secondaria. Eppure, se dovessimo decidere che l'interpretazione di Pesch e Kertelge è giusta (vale a dire che la fede di cui parla Gesù è la propria fe­ de), un detto di Gesù che parla deila sua fede come fonte dei miracoli andrebbe certamente incontro ai criteri dell'imbarazzo e deila discontinuità: esso è unico all'interno dei quatuo vangeli (vedi G. PETZKE, Die historische Froge, cit., 198). ,, " W. ScHENK, Trodition und Redaluion, cit., 89, sottolinea quanto sia fuori luogo un discorso sulla ftde ail'intemo di un racconto di esorcismo; analogamente RoY YA-ru;, }esus and th!! Demonic t1U be Synopttc Gorpelr, in ITQ 44 ( 1 977) 39·57, spec. 47. " H. VAN DER Loos, The Miracles o/}esus, cit., 401, parla di una «unanimità sorprendente» neila diagnosi, pur notando (p. 405) che F. Febber preferisce la designazione di «isteria», comunque la si definisca.). WILKINSON, The Case, cii., 4 1, sostiene invece che alcuni dei sintomi nQn corrispondono agli attacchi di isteria; egli insiste nel dire che il ragazzo soffriva de le grand mal, l'epilessia. G. PETZKE, Dte hirtorische Froge, cit., 189-190, presenta diverse descrizioni antiche dell'epilessia e sotto­ linea come esse coincidono decisamente con i sintomi descritti da Marco. '" Non sorprende che nel mondo antiço questo influsso della luna sugli epilettici fosse inteso sia in termini naturali che in termini soprannaturali; vedi H. VAN DER Loos, Tbe Mt1ades o/}esus, cit., 40�; e l'excun·u.r sull'epilessia nel mondo grecoromano antico, in G. PETZKE, Die historische Frage, cit., 189-190. .•

·

Oli emrcismi di Gesù

777

to Marco che tutti i protagoniilti dell'episodio, Gesù compreso; pensano a un demonio e alla necessità della sua espulsione. Nessuno di questi aspetti in sé garantisce la storicità. Ovviamente, Marco utilizza U:materiale per sviluppare alcuni dei suoi motivi preferiti: il conflitto c!'escente tra Gesù e i suoi discepoli, la vittoria di Gesù sulle potenze demoniache e la necessità della fede (e della preghiera, che Mar­ co aggiunge in modo impacciato al v. 29)". Ciò nonostante, il racconto premarciano dd ragazzo posseduto ·ha su­ bìto senz'altro un'evoluzione lunga e complessa nella tradizione orale, prima·di arrivare a Marco, sicché potrebbe risalire anche fino alla vita di Gesù. In: particolare, è possibile che le divergenze e le aggiunte alla forma usuale di un racconto di esorcismo facciano riferimento a un incontro speciale e memorabile tra Gesù e il padre di un ragazzo epilettico duran­ te il ministero pubblico. Anziché la forma pura di un racconto di esorci­ smo, troviamo una mescolanza di racconto di esorcismo, di normale rac­ conto di guarigione (forse con un elemento del racconto di risuscitamen· to dai morti) e un racconto che incornicia un pronunciamento di Gesù (in questo caso il detto di Gesù sul potere della fede). Come fa notate Pesch nella sua analisi, alcuni dei motivi ricorrenti del racconto di esorci­ smo o del racconto di guarigione sono stranamente fuori luogo in Mc 9,14-27". Diversi elementi nel racconto (i discepoli che non riescono a e-

" L'operazione redazionale di appiccica"" una lezione morale a una preghiera, che non ha alcun coUegamento nel racconto vero e proprio, è un indizio ceno della redazione da pane di Marco di un racconto premarciano, una operazione da lui fatta per conseguire propri obiettivi; vedi G. PETZKE, Die historische Froge, cit., 194· 1 96. Sull'importanza della preghiera, inclusa la preghiera per i miraco· li, nella teologia di Marco, vedi SHARYN ECHOLS Down, Prayer, Power, and the Problem o/Su/fering.. Mari< 11,22-25 in th< Context o/ Markan Theo/og_y (SBLDS IO,), Scholars, Atlanta 1988. Mentre R. PF.scH, MarkusevtJngelium, cit., 2, 96-97 [trad. it., 2, 154-155], è d'accordo nel sostenere che i verset­ ti suDa preghiera (9,28-29) sono secondari rispetto all'originario racconto di miracolo, egli affenna che essi erano stati aggiunti aDii· tradizione quando essa arrivò a Marco. Ciò concorda con l'idea di Pesch di Marco come un redattore di .campo conservatore e in particolare con la sua tesi di un lungo 'racconto della passione' premarciano che risale fino a Mc 8,27-33 (vedi 2,1-5). Per quelli che io con­ sidero argomenti cogenti in favore deUa tesi che è stato lo stesso Marco ad inserire 9,28-29, vedi KARI..-GEORG REPLOH, Markus-Lehrer der Gemrinde (SBM 9), KBM, Stungan l %9, 2 1 1 -22 1 . Secon­ do D. KocH, Die Bedeutung, cit., 125-126, il contesto redazionale ancor più ampio di Mc 8-10 situa l'esorcismo entro i temi dell'epifania di Gesù nei suoi miracoli e il suo viaggio verso la mone e la ri­ surrezione. Curiosamente il desiderio di usare questo racconto del ragazzo posSéduto e di ampliarlo sembra essersi arrestato con Marco. Diversamente da alcuni altri miracoli nei vangdi, i vangeli e gli atti apocrifi non mostrano alcun interesse nell'usare o sviluppare questo ra�Conto; su questo punto vedi P. ACHITMEIER, Miracles and the Historical ]erus, cit., 473 . :; .oR. PEscH, MarkuJevangelium, cit., 2, 95 [trad. it., 2, 153].

Miracoli

778

sorcizzare, il padre che implora per suo figlio, la descrizione chiara dell'e­ pilessia, la richiesta di Gesù di un atto di fede che deve precedere l'esor­ cismo e forse il riferimento di Gesù alla propria fede come fonte dei mi­ racoli), sono dementi atipici dei racconti di esorcismo nei vangelL In ef­ fetti, alcuni elementi sono unici. Inoltre, in forte contrasto con gli altri principali racconti di esorcismo nd vangelo secondo Marco, non figura alcun titolo cristologico (cfr. «Gesù di Nazaret . . . il santo di Dio», in 1 ,24; «Gesù, Figlio del Dio Altissimo», in 5,7; «Signore», in 7,28). Il pa­ dre si rivolge a Gesù usando semplicemente il titolo di «maestro», che non è certo sorprendente (9, 17). Non risalta alcun interesse cristologico specifico. In aggiunta, il greco del racconto contiene diversi semitismi; è possibile che il racconto sia esistito in origine in aramaico". Tenuti pre­ senti tutti questi indizi che orientano verso una certa direzione, sono in­ cline a condividere la prospettiva di Pesch e di molti altri commentatori, secondo i quali dietro a questo racconto ci dev'essere un qualche ricordo storico del ministero di Gesù. Non è possibile dire di più. Forse vale la pena notare, tuttavia, che per­ sino Karl Ludwig Schmidt, un maestro nel lavoro di dissoluzione della cornice narrativa marciana e della conseguente riscoperta delle unità preevangeliche, era convinto che questo strano racconto risalisse effetti­ vamente a una qualche , suonano come «un�espressione!.lf;tereotipata, -eredita.ta»f>O. . Jl minimo che si possa dire è che l'espressione sembra presupporre uJ'l racconto completo, al quale con essa Luca si limita a far riferimento. Se accettiamo che l'idea che Gesù esorcizzò Maria di Magdala sia pre� lucana, si può dire qualcosa a favore della sua storicità? A mio modo di vedere non, c;i si può richiamar(!• -al - criterio dell'attestazione molteplice delle fonti.. -Lc 8,.2 è l'unica fonte, chiaramente indipendente, di questo motivo. La breve menzione nella 'finale lunga' del vangelo secondo Mar­ co (16,9: «Maria Maddalena, colei dalla quale egli [Gesù] aveva scacciato sette demoni») a mio modo di vedere riflette la conoscenza del vangelo secondo Luca (si vedano in aggiunta i riferimenti al racconto lucano di Emmaus in Mc 16,12-13 e all'ascensione lucana in 16,19). Tuttavia, stu­ diosi rinomati come Rudolph Pesch e Joseph Hug ritengono che Mc 16,9 rappresenti una tradizione indi pendente; sicché per alcuni l'argomento dell'attestazione molteplice può essere valido"' .

· " Su questò �i H . ScHùRMANN, Das Lukasevangelium, cit., l , 446 [trad. it., l , 709-710]; e l . Thl �l li{ l..Uke, dt.,· J 15. Schiirmann afferma persino che la menzione di tre dodile qu i (come in Mc 16,1 e in Le 24 , 10) riflette la legge del Deuteronomio rigua rd ante il numero minimo di testimoni rich iesto perché una testimonianza sia valida (Dt l9,1 5). È possib ile che qui dal testo lu· cano traspaia anche l'impanante ruolo missionario ricoperto da alcune donne neUa chiesa primitiva. �- HENGEL, Mari4 Magdakna, cir., 248, vede neH'elenco di tre donne come testimoni un fenomeno osserva1o anche neU'eleoco di Pietro, Giacomo e G iovann i come nucleo interno del gruppo dei Do, dici n-:

gelium, cit., l , 140-149 [trad. it., l, 237-250]. Pesch argomenta in panicolare contro le affermazioni di FRANZ MuSSNER, il quale nel suo Die Wunder Jesu è decisamente in favore della storicità dei due racconti sinottici di purificazione di lebbrosi. Ritenso che Pesch sia nel giusto quando critica molte deUe conclusioni di Mussner (per esempio, che

la

guarigione da parre di Gesù del lebbroso in

Mc

1 ,40-45 sia un miracolo 'antifarisaico' o 'anrirabbinico' operato da Gesù adirato contro l'ingiustizia arrecata al povero lebbroso da parre dei capi legalistici di Israele). Mussner sostiene che tu!lo questo evidenzia la natura 'unica' del miracolo di Gesù che restituisce al lebbroso la vicinanza con Dio, dalla quale era stato escluso perché tenuto lontano dal tempio di Gerusalemme. Gesù guarisce il lebbroso con un gesto marcatamente polemico che infrange la legge mosaica, vale a dire, toccandolo. Pesch è. nel giusto: tutto questo vuoi dire leggere nel testo greco di Mc 1 ,40-45 molte cose che di fatto non so­ no presenti in esso.

Le guarigioni operate da Gesù

843

tologico che opera mil'lll�li origil'la t'lecessariumente dalla primitiva teolo­ gia cristiana, non dal Gesù storico. È proprio qui però che le obiezioni di Pesch sono panicolarmente criticabili. Da tutto quello che abbiamo visto in questi due volumi della nostra opera nulla sembra più chiaro del fano che: l ) durante la sua vita Gesù operò come profeta ebreo e che tale fu ritenuto; 2) il messaggio profetico di Gesù era marcatamente escatologi­ co, tale da porre Gesù nel ruolo di 'un' profeta escatologico o 'del' profe­ ta escatologico; 3 ) Gesù si distingueva da molte altre figure profeti che del periodo (per esempio, Giovanni Battista e i 'profeti dei segni'), preten• dendo di compiere numerosi miracoli di guarigione, alcuni dei quali a­ vrebbero inevitabilmente richiamato alla mente dei pii giudei i miracoli di Elia ed Eliseo, gli unici profeti dell'Antico Testamento· che si segnala­ rono in panicolare per la loro attività taumaturgica. Perciò quella che Pesch definisce una vera e propria teologia cristiana primitiva - il quadro di Gesù come profeta escatologico operatore di mi­ racoli è invece un dato fermamente radicato nella tradizione che risale fino alla vita dello stesso Gesù. Ovviamente, questa idea è stata poi ripre­ sa e ulteriormente sviluppata nella chiesa primitiva, ma la sua esistenza in un racconto particolare non prova ipso facto che tale racconto sia una pu· ra creazione della chiesa. Più specificamente, che il racconto marciano della guarigione di un lebbroso rifletta questa immagine di Gesù non prova automaticamente la tesi di Pesch secondo cui tale racconto sarebbe semplicemente una creazione cristiana. Una terza difficoltà è costituita dal fatto che noi non siamo in alcun modo sicuri del significato preciso di 'lebbra' in questi racconti dei van­ geli••. Oggi il termine 'lebbra' è usato di solito in riferimento a quella che è nota come la malattia di Hansen, causata dal bacillo mycobacterium le­ prae. Nelle nostre traduzioni moderne della Bibbia il termine 'lebbra' è stato usato tradizionalmente, nell'Antico Testamento, per rendere il ter­ mine ebraico !iira'at, ma tale convenzione è tecnicamente fuorviante. In Lv 13-14, la legislazione più importante sull'argomento, !iira'at si riferi­ sce a tipi di escrescenza fungosa o a varie specie di muffa che si trova nei fabbricati e nelle abitazioni, nonché a varie infezioni della pelle negli es­ seri umani. Lv 13 non descrive con sufficiente chiarezza le lesioni sulla pelle umana e quindi non consente di formulare un giudizio clinico pre­ ciso, ma i sintomi descritti dal Levitico fanno pensare che varie condizio-

' " Per una trattazione dell'argomento 'lebbra' nella Bibbia, vedi DAVID P WRIGHT - RlCHARD N.

}ONES, Leprory, in Anchor Bible Drdionary. 6 voll ., Doubleday, New York 1992, 4. 277-282.

844

Miracoli

ni della pelle non siano lebb�a nell'accezione attuale. del termine. n voca­ bolo �iira'at include probabilmente condizioni come la psoriasi, l'eczema e la vitiligine. Di fano, è dubbio che il morbo di Hansen (vale a dire la lebbra nel senso scientifico moderno) esistesse nell'antico vicino oriente al tempo in cui fu codificata la legislazione sacerdotale nel Levitico (gros, somodo nel sec. VI a.C.?". Solo dopo il tempo di Alessandro Magno (morto nel 323 a.C.), disponiamo di una chiara documentazione relativa­ mente al morbo di Hansen nell'antico medio oriente. È possibile che al tempo di Gesù il termine 'lebbra' (in greco lépra) includesse anche il morbo di Hansen. D'altro canto, il Nuovo Testamento riflette la termino­ logia e le prescrizioni della legislazione dell'Antico Testamento, sicché è del tutto possibile che si riferisca ai tipi di malattia della pelle descritti nell'Antico Testamento. La lebbra in tal modo ci pone di fronte a un e­ sempio concreto di una verità più generale: i racconti di guarigione dei vangeli non consentono di solito una diagnosi precisa e dettagliata della malattia che affermano sia stata guarita da Gesù. Dobbiamo tenere bene a mente questo dato ora che dedichiamo la nostra attenzione all'analisi dei brani evangelici importanti che si riferiscono a Gesù che guarisce al­ cune persone dalla 'lebbra'.

A. Mc 1 ,40-45 (E PARR. ) - n racconto di Gesù che guarisce un lebbroso è una curiosa mescolanza di un modello consolidato sul piano morfocritico, di piccole aggiunte che sottolineano gli atteggiamenti e le emozioni dei due attori e di ritocchi re­ dazionali apportati da Marco. n racconto di guarigione in Mc 1 ,40-45, in cui sono assenti nomi di persona e di luogo")(), oltre che un legame forte con il contesto più ampio

" So bene che c'è un grande dibattito t�a gli studiosi sul tempo in cui è awenuta la codificaziooe della legislazione sacerdotale. Le stime vanno dal sec. VII! o VII fino al sec. VI o v. In ogni caso, se da W\ lato tendo a datare la codificazione verso il secolo VI, dall'alrro tuttavia ammetto senza difficoltà aleuna che molto del materiale contenuto nel codice sacerdotale può risalire in una cena forma al pe­ riodo preesilico. '"' Manca persino il nome proprio di Gesù. L'unica eccezione è il riferimento di passaggio a Mosè (v. 44), quando Gesù manda l'uomo guarito a offrire il sacrificio prescrino dal Levitico. Come avre­ mo modo di vedere, l'uso di pronomi soltanto per i due attori dà luogo a un lieve problema di inter­ pretazione nd v. 4'-

Le guarigioni operate da Gesù

dei capitoli 1-2, se8lJe lo schema morfocritico fondamentale di un .rac­ conto di miracolo'"': l ) il richiedente s'avvicina a Gesù e gli chiede di es� sere guarito (v. 40); 2) Gesù si accosta e guarisce la. persona che implora toccandola e rivolgendole alcune parole (v .4 1); si afferma il fatto e l'im· mediatezza della guarigione (v. 42); 3 ) nel caso speciale della lebbra, le conferma della guarigione è adombrata piuttosto che narrata, in quanto Gesù ordina al richiedente di presentarsi a un sacerdote per ottenere la dichiarazione dell' awenuta guarigione e per fare il sacrificio prescritto'"'. n sacrificio sigillerà l'integrazione del lebbroso, che in quanto tale era e· marginato nell'ordinaria vita sociale e religiosa di Israele (v. 44)'"'. Da notare in modo particolare nella struttura stringata di Mc 1 ,4 0-45 la ripetizione dei termini chiave «purificare» e «purificazione» (katharizo, katharism6s) nei w. 40.41 .42 e 44; la ripetizione connette insieme stretta· mente gli elementi del racconto fondamentale (w. 40-4 1)'"'. La stringatezza del nucleo del racconto di miracolo contrasta con la conclusione, in qualche modo verbosa e prolissa del v. 45. Integrano il racconto fondamentale pochi dettagli, che sottolineano gli atteggiamenti e le emozioni di entrambi i versanti. .

'" Vedi, per esempio, D,KOCH,Die Bedeutung, cit., 73. "' Cosi R.

PEscH, Jesu ureigene Taten>, cit., 7 1 ; D. KocH, Dre Bedeutung, cit., 73.

'" Per le norme dettagliare sulla separazione del lebbroso dalla vira ordinaria, vedi Lv 13,45-46; e i es5e fatti da FLAVIO GIUSEPPE, Contro Apione 1,)1 §§ 281-283; cfr. Bel/. 5,5,6 § 227; Antichità ),11,3 S 261 ·268. La grande attenzione prestata dagli ebrei alla 'lebbra' su persone, vestiti e abitazioni è anestata nel tranato della Mishnà dedicato interamente alla questione: Nega'im (tradotto da Danby come 'segni della lebbra"). Sicché l'atteggiamento fondamentale di Israele di fronte alla lebbra è rimasto essenziahnente lo stesso dai tempi dell" Antico Testamento, attraverso il sec. I d.C. (i vangeli sinottici. Flavio Giuseppe) fino alla Mishnà (fine del il secolo d.C.). tl\1 Sono stati fatti numerosi tentativi di tradurre kathani.O nel senso di «dichiarare puro,, anziché

commenti ad

di «rendere puroM>. In altri termini, a Gesù, che è � laico, viene richiesto di assumere (o usurpare) il ruolo del sacerdote levitico nel dichiarare puro un lebbroso. Questa spiegazione fa violenza al nucleo del racconto di miracolo così com'è ora, poiché: l ) 1,42 dice che «la lebbra si allontanò da lui» e per·

ciò il kìJi ek4tharisthe che segue inunediatamente può voler dire soltanto «ed

egli

fu

purificato»; 2)

come si può vedere dagli altri racconti di miracolo, il gesto di Gesù che distende la mano è inteso co­ me gesto terapeutico. Su tutto questo vedi V. TAYLOR, The Gospel According to St.

Mark, cit., 185. Al­

tri, al seguito di Johannes Weiss, trovano il significa10 di «dichiarare puro» non nel testo attuale, bensì nell'episodio storico o nella forma precedente del racconto alla base del testo marciano; per u­ no di questi tentarivi vedi C. H CAVE,

The Leper: Mark 1.40-45, in NTS 25 (1978-1979) 245-250. Ca­

ve non fornisce alcuna documentazione del fatto che a laici ebrei in Galilea durante il tempo di Gesù in

assenza

di un sacerdote venisse richiesto di dichiarare puri dei lebbrosi o che cercassero essi stessi

di loro iniziativa di farlo. Dato ancor più impanante, Cave non fornisce alcuna spiegazione conviD­ cente di come e perché un racconto siffatto, non miracoloso, sia stato trasmesso nella antica tradizio­ ne cristiana fmo a quando non fu trasformato in

un

racconto di miracolo.

846

Miracoli

Del lebbroso si dice che «implora»; «s'inginocchia�'"' e pronuncia una professione commovente e insieme concisa di fiducia nella volontà e po­ tenza benevola di Gesù: «Se vuoi, puoi purificarmi» (v. 40). Reagendo con forte emozione'06 e con un gesto drammatico, Gesù riprende il termi­ ne chiave della petizione in una risposta ancor più stringata (solo due pa­ role in greco): «[Io lo] voglio, [sii] purificato» (v. 4 1 ) . Quindi con una se-

,o:t L'originarietà della lezione «e inginocchiatosi>> (kài gonypctiml è oggetto di discussione, poiché la. documentazione dei manoscritti non è concorde e il versetto sembra sovraccarico. UBSGNTJ dà alla lezione una valutazione 'D' (molto incena) e la pone nel testo, ma tra parentesi. Testimoni im­ portanti come il Vaticano, il codice Beza e lo Washingtoniano la omertono; d'altra parte altri mano­ scritti importanti come il Sinaitico e quelli di Korideto lo riportano. Forse uno degli argomenti mi­ gliori a favore dell'originarietà è che a questo punto nel testo sia Matteo che Luca hanno espressioni equivalenti (benché con parole diverse): prosek:jnei («si prostrò in adorazione», Mt 8,2) e pesim epi pr6r6po11 («cadendo sul suo volto», Le 5,12). Sia V. TAYLOR, The Gospel Acrording to St. Mark, cit., 187, che R. PEscH, Markurevangelium, cit., 141 [trad. it., 241], sono in favore della conservazione dell'espressione; sull'intera questione vedi B. METZGER, A Textual Commentary, cit., 76. Anche qui nella descrizione dell'emozione di Gesù in 1,41 c'è il problema della scelta fra due le­ zioni molto diverse: «mosso a compassione» (rplanchnùthéir) o «adirato» (orghirthéiH. Un asperto strano del dibattito è che la maggior parte delle edizioni critiche del Nuovo Testamento greco pone rplanchnùthéir nel testo principale, mentre molti commentatori del vangelo secondo Marco (per e­ sempio, Taylor, Pesch , Guelich) quando interpretano il testo preferiscono 'adirato'. Questa spaccatu­ ra corrisponde alla diversità tra argomentazione 'incerna' ed 'esterna'. L'argomentazione 'esterna' sot­ tolinea che la stragrande maggioranza dei manoscritti depone a favore di 'mosso a compassione', mentre 'adirato' è sostenuto solcanto dal codice Beza, da pochi manoscritti della Vetus Latina e da E­ frem (ma tutre le versioni siriache attestano 'mosso a compassione'). D'altro camo, considerazioni 'interne' favoriscono 'adirato'. l ) È la lezione più difficile e quella che più presumibilmente può esse­ re stata cambiata nell'altra da successivi scribi per motivi religiosi. 2) Sembra corrispondere me!!lio al tenore del testo e all'altrettanto difficile participio del v. 43, embn"merdmenor (alla lettera: us,

cit .. 3 1 9·323. Se è vero che sono certamente presenti elementi del racconto di Naaman di 2 Re 5 (Naaman e il samaritano sono entrambi stranieri guariti da un uomo santo israelita, c'è un ritardo nella guarigione e la guarigione stessa è indiretta, lo straniero torna dall'uomo santo per ringraziare), i paralleli possono essere soprawalutati. Dopo tutto, in 2 Re, Mc l e ù: 17 oi tratta di un taumaturgo israelita che compie un miracolo straordinario di purificazione di un lebbroso; i paralleli nel vocabo­ lario e nei mocivi nascono naturalmente dalla categoria morfocritica che i tre racconti hanno in co­ mune. Per correttezza occorre far notare altresì le differenze tra ù: 1 7 1 1-19 e 2 Re 5. l ) Se altrove Luca menziona il profeta Eliseo che purifica Naaman (L: 4,27), qui non c'è alcun riferimento esplici· to a Eliseo o a Naaman. 2) Se altrove in Luca Gesù è salutaco come profeta per i suoi miracoli analo­ ghi a quelli di Elia e di Eliseo (7,16), qui ciò non accade; cfr. J. Fr!ZMYER, The G01pe/ According lo I...uke, cit., 2, 1 150 - 1 15 1 3 ) Se c'è un ritardo nell'esecuzione del miracolo in 2 Re � e. in Le 1 7 1 1 19, il ritardo è di diversa natura e per una ragione palesemente diversa in Luca. 4) Se 2 Re termina con un miracolo punitivo (il servo ingordo Giezi vede trasferita su di lui e sui suoi discendenti la lebbra di Naaman) qui - e da nessun'altra pane nella tradizione evangelica - non si ha alcun miracolo di punizione connesso con la guarigione. Per una breve rassegna sui punti di somiglianza con 2 Re 5, vedi R. PEscH, ]esu ureigene Taten?, cit., 127; una trattazione molto più dettagliata si ha in W. BRU· ,

.

,

-

NERS, D1e Reinigung, cii., 103-120; dr. 297·306. Tra i contatti interni a LIKIJ ci sono 4,27; 5,12·16; 9,51-55; 10.29·37; At 8. Si potrebbe far riferimento anche ad altri due racconti di miracolo, nel roe· conto dd grande viaggio, che sono sviluppati in forma di apoftegmi: la donna ricurva (IJ,I0-17) e l'oomo colpito da idropisia (14, 1-6). In breve, sarebbe un errore spiegare ù: 17 ,11·19 semplicemente in base a una sola fonte o influsso.

"' H. VAN DER Loos, The Mirac/es o/ ]esus, cit., 494·503; R LATOURELLE, The M1racles o/ ]esus, cit., 201 ·202 [trad. it. cit.). L'ipotesi, accennata da N. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Lule4s, cit.., 335, secondo cui originariamente il racconro del buon samaritano riconoscente era semplicemente u, no parabola (per esempio, come la parabola dd buon samaritano) non è stata ripresa dalla stragrande maggioranza dei critici, e comprensibilmente. Non c'è nulla nel testo lucano, o in una plausibile sto­ ria della tradizione basata sul testo lucano, che orienti in questa direzione.

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Mirocoli

Da che cosa partire per valutare una così grande varietà di prosperti­ ve? Anzitutto, questa ampia gamma di opinioni sulle origini del racconto ci ammonisce che non ci troviamo di fronte a un racconto così semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Abbiamo già visto che non è faci­ le riepilogare in poche parole il complesso messaggio teologico - o me­ glio i messaggi teologici - contenuto in non più di nove versetti. Il fatto stesso che questi nove versetti contengano un numero così notevole di prospettive teologiche differenti, operanti a vari livelli o in varie parti di questo racconto, suscita chiaramente la questione se non sia stato Luca a comporre di suo pugno questa pagina, con una iniziativa tutta e solo sua, ma il racconto pluristratificato, che sembra puntare contemporaneamen­ te in così numerose direzioni, sembra indicare che Luca ha redatto una tradizione L da lui ricevuta, producendo così un testo letterario molto complesso. Questa possibilità diventa una probabilità se si considerano le espres­ sioni strane, le parole insolite e le varie tensioni che si possono riscontra­ re in questi nove versetti. Un numero così grande di dati sorprendenti in uno spazio così concentrato rende difficile sostenere che Le 17,1 1 - 1 9 sia tutto e solo creazione di Luca, un prodotto uscito di getto dalla sua pen­ na. Se fosse vero che è stato lo stesso Luca a inventarsi l'episodio sulla base di vari modelli dell'Antico e del Nuovo Testamento si dovrebbe co­ munque rispondere a due interrogativi decisivi. l ) Perché Luca sin dall'inizio della pericope confonde il fettore facen­ do tutto il possibile per delineare lo scenario - o piuttosto, per non deli­ nearlo - con l'espressione incomprensibile ddrcheto dià méson Samaréias kài Galildias, alla lettera: «Stava passando attraverso il centro della Sama­ ria e della Galilea>> (v. 1 1 ) ? I tentativi di emendare o spiegare queste pa­ role sono innumerevoli ed è comprensibile che sia così'". La locuzione

"' Per una panoramica delle soluzioni proposte; vedi W. BRUNERS, Die Reinigung, cit.,

149-163; R.

ureigene Taten?, cit., 1 1 · 1 9. Che dià méson sia la lezione originaria (la lectio diffidlior, at· testata [a quanto pare] da: P", Vaticano, Sinaitico, e Codex Re�ius), oggi è ammesso quasi da tutti i commentatori; sulla questione tesruale vedi Die Reinigung, cit., 50-53. Per essere precisi, dià méson Samaréun kài Gali/Jias implica due problemi diversi. l) Dià con l'aeeusativo ha di solito un significa­ to causativo; l'idea di 'attrave�o· è espressa solitamente con Jià e il genitivo. Ci sono però anche casi rari di dià + accusativo nel senso di 'attraverso', nella poesia greca classica e nella prosa greca elleni­ stica; ved i J. FrrzMYER, The Gospel According lo Luke, cit., 2, 1 153. Non c'è nessun altro caso chiaro I'EscH, ]esu

di questo uso nel Nuovo Testamento e cettamente non in Luca-Atti. 2) Il problema più ampio è che non ha alcun senso, sul piano geografico, dire che Gesù mentre stava andando a Gerusalemme passò attraverso il centro della Samaria e della Galilea. Spesso i commentatori interpretano l'espressione nd senso che Gesù era in cammino (da ovest in direzione est?) lungo il confine tra la Samaria e la

Le guarigioni operate da Gesù

855

preposizionale dià méson (all'accusativo) non ricorre mai altrove nel Nuovo Testamento e nemmeno nei LXX. Non è certo parte dello stile re· dazionale lucano. È poco chiaro che cosa possa voler dire «attraverso il centro della Samaria e della Galilea», se la Samaria si trova a sud della Galilea e se Luca ha già detto che Gesù aveva lasciato la Galilea ed era entrato nel territorio della Samaria per incamminarsi verso Gerusalemme (9,5 1 -56). L'ipotesi di Conzelmann che Luca, il quale scrive trovandosi 'all'estero', non conosca con precisione le località geografiche di Galilea, Samaria e Giuda, è stata condivisa ampiamente, a ragione, ma non risolve tutto il problema'". Conzelmann sostiene che, dopo che Gesù è stato cac­ ciato via da un villaggio samaritanoin 9,52-55, torna in Galilea e di qui i­ nizia un viaggio che, attraverso la stessa Galilea, lo porta in Giudea e a Gerusalemme. Questa interpretazione non è affatto sicura. Dando inizio al racconto del grande viaggio con la solenne affermazione in 9,5 1-52, è chiaro che intende chiudere il periodo del ministero in Galilea (4,14-9,50). In 9,5 152 fa capire con chiarezza che Gesù sta entrando nel territorio della Sa­ maria perché intenzionato a salire a Gerusalemme. Luca non 'revoca' mai questa impressione facendo qualche affermazione esplicita da qualche

Galilea, ma R PF.scH, ]eS�< ureigene Taten?, cit .. 1 18 n. 12, si chiede se questa traduzione di diii mé· son Samaréias leài Galiltiias sia fùologicamente possibile. Ancor più urgente è la questione se essa sia possibile, vista la presentazione da parte di Luca del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, annunciato solennemente e iniziato in 9 ,51. Vedi la trattazione deUa questione sotto.

"' H CONZELMANN, Il centro del lempo, Piemme, Casale Monferrato 1996, 75-79. Conzelmann so· stiene che Luca «sembra immaginarsi la Galilea all'interno, ma attaccata alla Giudea, mentre sembra collocare la Samaria a nord della Giudea . . ... (p. 77). Questo non è impossibile, ma per confermare la sua teoria Conzelmann si vede costretto a interpretare 9,51-55 e quanto segue nel senso che, dopo essere stato rifiutato ai confini della Samaria, Gesù «torna in Galilea, svolge qui la sua attività, ora nella forma del 'vi aggio ' , va poi in Giudea, anch'essa un tempo già centro della sua attività. . .

»

(p.

78); analogamente l. MARSHALL, The Gospel o/Luke, cit., 404. Il problema con questo approccio è

che nulla in 9,51-55 o nei racconti che seguono afferma che Gesù sia mai tornato in Galilea dopo es. sere entrato in Samaria. 1n effetti, con l'eccezione del nostro problematico 17, 1 1 , della Galilea non •i fa mai menzione durante il lungo racconto del viaggio, per quanto •i• evidente che alcuni racconti singoli sarebbero meglio ambientati in Galilea o in Perea. Invece, della Samaria o dei samaritani si fa menzione in Le 9,52; 10,)3 (nella parabola del buon samaritano); 17,11 e 17,16. Il senso naturale del percorso narrativo è che, dopo che il ministero pubblico in Galilea è terminato, in 9,51-52, «Gesù va dalla Galilea o dal paese dei giudei a Gerusalemme non a/traverso la Perea (come in Marco e in Mat· reo), ma piuttosto si dirige verso la ciuà del suo destino [Gerusalemme] attraverso la terra che sim­ boleggia opposizione, la Samaria . . . » (J. FtTZMYER, The Gospel Acrording to Luke, ci t., l, 824). Ciò non vuoi dire negare che Luca abbia in qualche modo un'idea confusa della geografia della Palestina e dei governanti delle sue suddivisioni (da qui il riferimento a Erode Antipa in 13,3 1-32), ma, a mio modo di vedere, nulla nei capitoli 9-19 giustifica la scappatoia di Conzelmann di un ritorno in Gali­ lea dopo 9,51-55.

Miracoli

856

parte lungo i capitoli 9-19 sul fatto che Gesù rientri in Galilea126• Per noi peraltro il dato principale è che - qualunque sia la spiegazione del testo attuale di Le 17 , 1 1 - è molto più facile immaginare Luca che scrive que• sta pasticciata espressione geografica (, «Se voi non vedete segni e miracoli, non crederete»), mentre tutto prima e dopo è alla seconda persona singolare; b) la forte reazione di Gesù non sembra sufficiente· mente motivata da quanro precede nel racconto; c) non rientra in modo lineare nd finale dd racconto (l'ufficiale non arriva alla fede piena come risultato del segno compiuto da Gesù). Su rutto questo ve­ di R. BROWN,

Tbe Gospel According lo fohn, cit., l, 195-196 [trad. it., 252-255]; R. SCHNACKENBURG,

Tbe Gospel Accvrding to 5(. fohn, cit., l, 469;

E. HAENcHEN, fohannei>, come fa Bultmann.

Miracolt

906

un centurione di stanza a Cafamao, chiede a Gesù di guarire un 'ragazzo' della sua casa; là dove resta non chiarito se il 'ragazzo' fosse uno schiavo o un figlio'09• Gesù acconsente alla richiesta guarendo il 'ragazzo' a di­ stanza. Questo è quanto ritengo si possa dire con ogni probabilità. Gli ul­ teriori dettagli in ciascuna versione del racconto e i vari brani dialogici tra Gesù e il richiedente possono provenire dalla ripetizione del racconto all'interno della chiesa primitiva o dalla creatività dell'evangelista. In par­ ticolare, non mi sentirei di sostenere la storicità di nessuna parte specifica del dialogo tra Gesù e il richiedente, soprattutto perché il dialogo differi­ sce notevolmente nella versione di Giovanni rispetto alla versione Q"0•

6. Conclusione

Per riepilogare, vari criteri di storicità inducono a ritenere che il Gesù storico durante il suo ministero pubblico abbia operato determinati gesti che tanto lui quanto alcuni dei suoi contemporanei considerarono guari­ gioni miracolose di persone malate o inferme. I tipi principali di siffatte guarigioni riguardano persone con arti paralizzati, persone affette da ce­ cità (o da qualche impedimento alla vista) e persone che erano sorde e/o mute. Racconti singoli hanno una buona opportunità di risalire a qualche evento verificatosi nella vita del Gesù storico - per quanto possano essere stati rielaborati ed ampliati dalla teologia cristiana -, inclusi i racconti dell'uomo paralizzato che viene calato attraverso il tetto (Mc 2 , 1 - 1 2 e par.), dell'uomo paralizzato alla piscina di Bethesda (Gv 5 , 1 -9), del cieco Bartimeo che mendica nei pressi di Gerico (Mc 10,46-50 e parr.), del cie-

"" R. LATOURELLE,

The Miracles o/]esus, cit.,

136 [trad. it. cit.], sostiene che gli elementi più anti·

chi del racconto che soggiace sia a Q che alla tradizione giovannea includevano la notizia di un paga·

no residente a Cafamao il cui figlio era malato.

Non vedo come si possa stabilire con sufficiente pro·

babilità che la forma più arcaica del racconto parlasse espressamente di un pagano piuttosto che di un giudeo e di un figlio anziché di Wl servo.

'" Qui vorrei prendere le distanze da U. WEGNER, che cerca di salvaguardare la sostanza,

parole esatte, del dialogo tra Gesù e il richiedente

a rabbi Zera «O quanto pare senza ucci­ derlo�. I verbi correlativi nd racconto, f�l e lrfy, rendono improbabile questa interpretazione. Una

910

Miracoli

iL Se dunque i i discepoli di Gesù - non importa se soltanto'·dopo pasqua o anche prima - raccontavano episodi di risuscitamento da parte dello stesso Gesù, tali racconti, per quanto insoliti e sorprendenti, non erano però del tutto inauditi nel mondo mediterraneo antico. Né Gesù né i suoi seguaci avrebbero considerato l'idea di un uomo santo che risuscita i morti così stravagante come la considererebbero molti critici moderni. Allo stesso tempo si deve notare che racconti di risuscitamento sono rela­ tivamente rari tra i racconti di miracolo compiuti da Gesù, come del re­ sto lo sono tra i miracoli attribuiti ad altri personaggi famosi del periodo grecoromano o della Bibbia. 2) Un secondo punto da prendere in considerazione è il seguente. Se da un lato i racconti di risuscitamento da parte di Gesù sono relativamen­ te rari entro l'intero corpus dei racconti di miracolo dei vangeli, dall'altro tuttavia chiaramente essi sono sparsi in tutta una serie di diverse fonti let­ terarie, anziché essere concentrati in una sola fonte. I tre racconti evange­ lici che dipingono Gesù nell'atto di risuscitare persone defunte si trovano nella tradizione marciana (il risuscitamento della figlia di Giairo, Mc 5,2 1 -23 ) , nella speciale tradizione L (il risuscitamento del figlio della ve­ dova di Nain, Le 7,1 1 - 17) e nella tradizione giovannea (il risuscitamento di Lazzaro, Gv 1 1, 1 -46). Come avremo modo di vedere, ciascun racconto mostra indizi che fanno pensare che non si tratta di una creazione dell'e­ vangelista, bensì di una tradizione precedente da lui sottoposta a redazio­ ne. A questi tre racconti occorre aggiungere un detto di Gesù, vale a dire la risposta da lui data ai discepoli inviatigli da Giovanni Battista, nella tradizione Q: >), evitando in tal modo l'immagine di Cristo come 'buttafuori'. Lu­ ca omette semplicemente l'intera scena degli astanti in lutto evitando così di dover affrontare il problema di Gesù che getta personalmente fuori ca­ sa il coro dei piangenti. Come per il dettaglio degli astanti che ridono con risa di scherno, così per l'altro dettaglio della reazione fisica di Gesù che li caccia fuori personalmente, occorre dire: nessun altro racconto di mira­ colo nei vangeli presenta alcunché di simile. Arriviamo così a un'osservazione che abbiamo avuto modo di fare già numerose volte nella nostra panoramica. Nessuna delle considerazioni e­ lencate sopra, prese a sé, è in grado di stabilire che il racconto di risusci­ tamento della figlia di Giairo risale a un episodio verificatosi nella vita di Gesù. Tuttavia, la convergenza di tutte le considerazioni in un medesimo racconto di miracolo - la sua storia della tradizione così marcatamente lunga, l'insolita menzione del nome del richiedente .e della sua condizione di capo della sinagoga, gli indizi di un sostrato semitico e in particolare il sorprendente talitha koum, l'assenza di qualsivoglia titolo o affermazione cristologica e gli elementi dell'imbarazzo e della discontinuità - mi spin­ gono a ritenere che il racconto del risuscitamento della figlia di Giairo ri­ fletta effettivamente un episodio avvenuto durante il ministero pubblico di Gesù e da esso abbia origine. In altre parole, il racconto non è un'in­ venzione pura e semplice della chiesa primitiva, per quanto possa essere Stato dilatato e reinterpretato dalla fede cristiana. Se davvero però dietro al racconto di Giairo c'è un episodio storico, di che cosa si tratta? che co­ lia ha fatto Gesù di tanto clamoroso, da provocare questo racconto? Qui arriviamo ai limiti del conoscibile e a prendere piede è la speculazione pura. Come ho già segnalato, è possibile che la figlia di Giairo sia stata ef. fettivamente la destinataria di uno . dei miracoli di guarigione compiuti da Gesù, ma, poiché era in punto di morte, ben presto gli entusiasti seguaci di Gesù, forse già durante la sua vita, trasformarono l'episodio in un rac­ conto di risuscitamento dai morti. Altri studiosi ipotizzano che la ragazza fosse in stato di incoscienza o fosse caduta in un coma dal quale Gesù la risvegliò. In tale caso è possibile che l'episodio sia stato visto dai discepo­ li come un gesto di risuscitamento sin dall'inizio. In favore di questa pro-

il nominativo enfatico autos de per sottolineare Gesù come soggetto dell'azione, il senso più fotte dd verbo sembra qui giustificato.

È questa l'idea di W. BAUER, Worterbueh, cit., 6' e 478, il quale registra il caso di Mc 5,40 sotto senso letterale di «gettare fuori», o «spingere fuori» «più o meno forzatamente».

il

942

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spettive c'è un punto che ho già avuto modo di sottolineare: gli studiosi non sono in grado di addurre motivi convincenti per ritenere che il rac­ conto di Giairo sia mai circolato come racconto di miracolo di guarigione prima di essere trasformato - come si suppone - in racconto di risuscita­ mento. Agli agnostici resterebbe una soluzione molto diversa: l'intero e­ pisodio sarebbe stato inscenato da Gesù e dai suoi seguaci per ottenere credibilità e fama e conquistare più discepoli. Dal lato opposto dello spettro ideologico, alcuni credenti cristiani lascerebbero aperta la possi­ bilità di un vero miracolo di risuscitamento. · Quando si arriva a queste spiegazioni, esplicitamente agnostiche o cri­ �iane, dovremmo ricordare quello che abbiamo visto trattando il proble­ ma moderno dei miracoli e adducendo l'esempio delle indagini condotte a Lourdes. Il giudizio secondo cui «questo evento apparentemente mira­ coloso non potrebbe in alcun modo essere un miracolo, non importa di quale tipo», e il giudizio secondo cui «questo evento particolare è vera­ mente un miracolo operato da Dio», sono entrambe affermazioni che scaturiscono da una prospettiva globale, piuttosto che dall'analisi di dati relativi a un episodio singolo. Entrambe le opzioni, essendo di natura fi­ losofica o teologica, vanno oltre quello che l'indagine storica, in partico­ lare se applicata a racconti risalenti a duemila anni fa, sarà mai in grado di affermare in base alle proprie norme di documentazione e dimostra­ zione. Come ho sottolineato ripetutamente, questa nostra ampia indagine sul racconto di Giairo - e su tutti gli altri racconti di miracolo nei vangeli - può sperare di stabilire che determinati racconti, anziché essere una mera creazione della chiesa primitiva, risalgono effettivamente a una qualche azione del Gesù storico. A mio modo di vedere, questo è vero quando si parla del racconto del risuscitamento della figlia di Giairo, ma occorre accontentarsi di questa affermazione che - lo ammettiamo - è e resta vaga. ..

Il risuscitamento di persone de/unte

943

4. La tradizione lucana: il risuscitamento del figlio deUa vedova di Nain (Le 7,11-17)

A. LA COLLOCAZIONE DEL MIRACOLO ALL' INTERNO DEL PI Ù AMPIO RACCONTO LUCANO

ll racconto del risuscitamento dd figlio della vedova di Nain (d'ora in• nanzi parleremo semplicemente dd racconto di Nain) è una unità esclusi­ va del vangelo secondo Luca. Per questo è importante iniziare la nostra analisi prendendo in considerazione adeguata il posto che esso occupa al­ l'interno di tutta l'opera letteraria di Luca e della sua teologia. Dopo il di­ scorso della pianura (6,20-49, la versione lucana del discorso Q usato da Matteo per comporre il discorso della montagna), Luca prosegue parlan­ do del ministero pubblico di Gesù in Galilea con una serie di episodi che manifestano l'azione misericordiosa, salvifica, che Dio sta compiendo tra­ mite l'opera di Gesù. I miracoli di Gesù, di cui Luca ha fatto ripetuta, mente menzione nella sua esposizione dei primi giorni del ministero pub­ blico (4,3 1 -4 1 ; 5 , 1 2-26; 6,6- 1 1 ) , ora vengono riassunti con un 'taglio' spe­ ciale. Anzitutto, Gesù guarisce a distanza lo schiavo di un centurione ro­ mano e coglie l'occasione per lodare la fede umile, confidente dello stes­ so centurione rispetto a quanto egli ha trovato in Israele (7, 1 - 10). Quindi, semplicemente perché mosso a compassione, Gesù (che Luca chiama, in maniera singolare, «Signore») restituisce un ragazzo morto, figlio unico,. a una madre sconvolta dal dolore e per giunta vedova (7, 1 1-17)61• La folla reagisce con un'acclamazione che esprime il suo riverente timore: un

" LUKE TIMO'IHY }OHNSON, The Literary Furu:tion o/ Possessions in Lulee-Acts (SBLDS }9), Sch&­ lars, Missoula (MT) 1977, 97-98, sostiene che mettendo insieme questi due miracoli Luca intende rio chiamare alla mente la guarigione dalla lebbra operata da Eliseo in favore dd comandante militft straniero Naaman (= la �uarigione dello schiavo del centurione pagano) e il miracolo di Elia che risu­ scita il figlio della vedova di Sarepta ( il tisuscitamento del figlio della vedova di Nain). Se le cose stanno così, allora i miracoli in Le 7 si ricollegano anche all'allusione fatta da Gesù a questi racconti di Elia ed Eliseo nel suo discorso inaugurale nella sinagog11 di Nazaret (Le 4,25-27). Con onestà am­ mirevole Johnson riconosce che sta parlando di una equivalenza sommaria. In ogni caso, sembra es­ serci un desiderio inconscio da parte di Luca di superare la guarigione del servo del centurione con un miracolo ancora più grande. quello di 'risuscitamento. Su questo vedi U. BussE, Dte Wunder des Propheten ]esus, cit., 161· 162. Si potrebbe osservare che in capitoli vicini (2 Re 4 e 5) Eliseo da un ]a. to risponde all'implorazione di una madre perché sia restituito alla vita il figlio e dall'altro purifica Naaman dalla lebbra. =

944

Miracoli

grande profeta è sorto in mezzo ad essa e Dio ha «Visitato» il suo popolo (7 ,17). Questa idea di Dio che 'visita' il popolo d'Israele per salvarlo è, lungo tutto il ministero pubblico di Gesù, esclusiva del vangelo secondo Luca all'interno del Nuovo Testamento"'. Non tutti sono però così facilmente impressionati da questa visitazione misericordiosa. Sconcertato a quanto pare da tutte queste guarigioni, da questi gesti di risuscitamento, senza la prospettiva di un giudizio severo, Giovanni Battista chiede a Gesù, attraverso i suoi inviati, se sia lui «il più forte», il giudice spietato· di cui egli, in 3 , 15-17, aveva profetizzato la comparsa terribile: «Sei tu colui che deve venire?» (7, 19). Gesù risponde dichiarando che i suoi miracoli e la sua proclamazione della buona novel­ la ai poveri (cfr. 6,20-23 ) sono il compimento della promessa di salvezza fatta da Dio a Israele, in particolare così com'è stata espressa dal profeta Isaia (7 ,22). Significativamente, l'elenco dei miracoli culmina in 7,22 con

" L. JOHNSON, The Uterary Fu1rctiofl, cit., 98;· osì;erva giustamente che le due parti dell'acdama­ done deUa foUa io 17,16 esprimono di fatto una aola idea. Johnson vede connessioni !ematiche con Le 1 ,68; 19,44; At 7,23; dr. Le 24,19. Il discorso su Dio che 'visita' (ebraico, paqad) il suo popolo o per salvarlo o per punirlo fa parte di una tradizione veterolestamentaria ricca e presente anche ndl,a letteratura intenestamentaria, incluso il Documento di Damasco di Qumran, dove la visitazione dì Dio è connessa con il messia di Aronne e di Israele (CD 19. lO· 1 1 ) , ma il lin�uaggio della 'visitazione' llltrB nel Nuovo Testamento solo in forma limitata. Quando ha il senso teologico decisivo di intervento di Dio nella storia per salvare o per punire, il verbo ebraico piiqad nei LXX è reso regolarmente con episképlomai («sorvegliare», «avere cura di», «prendersi cura di», «fare visita a»). Nei LXX il verbo designa «l'agire divino nel quale il Signore, àlo uno speciale intervento nella vira, manifesta nell'ira o nella sua benignità il suo volere a un singo· lo o a un popolo, il più delle volte a Israele... La visitazione ha luogo quando Dio si riavvicina al po­ polo che giace nel peccato e nell'indigenza, e si mostra come il Signore della storia» (HERMANf:l. W. BEYER, episképtomai, etc., in GLNT III . 731 -776, spec. 738-739; vedi inoltre E. ROCHAIS, Les récits de murrection, cit., 36-38). Nel Nuovo Testamento Luca è l'autore che usa episkiptomai più di ogni aJ. tro (7 volte delle Il totali). A parte l'autore di Ebrei (2,6), che usa il verbo quando cita Sal 8,5, Luca è l'unico amore neotestamemario che fa di Dio il soggeclO di episképtomai, riproponendo i.n tal mo­ do l'uso rigorosamente teologico dei LXX. In effetti, nel vangelo secondo Luca Dio che opera trami· te Gesù è l'unico soggetio del verbo epùképtomai (mentre negli Atti degli Apostoli predominano i soggetti umani). Nel contesto del terzo vangelo, in particolare nei racconti dell'infanzia, quello che Dio fa nel racconto di Nain è .visto come il compimento della profezia di Zaccaria nel suo cantico, il Benedictus: Dio «ha visitato il suo popolo e operato la redenzione in suo favore»; il sole nascente «ci farà visita dall'alto per riSplendere su coloro che gùJCClono nelbJ tenebra e nell'ombra di morte» (u 1)6.43 ). È esattamente quello che Gesù fa a Nain. Sicché, roo quella meravigliosa genialità per crea· re nomi ed espressioni composite che solo gli esegeti tedeschi hanno, U. BussE, Die Wunder des Propheten ]esus, ci t., 174, definisce adeguatamente Le 7, l i · 17 «un racconto-epifania teologico-cristo· logico... l LXX usano anche il sostantivo derivato episkopi in riferimento a Dio che visita il suo popolo, di &OJito con accezione punitiva, ma a volte anche col senso di perdono. Mentre nei LXX episkop€ ri­ corre 47 volte, nel Nuovo Testamento il termine ricorre solo 4 volte. Non sorprende il fatto che lo usi

li risuscitamento dipersone de/unte

945

l'affermazione che «i morti sono risuscitati)), il che rimanda indietro eli­ rettamente al racconto di Nain appena terminato63• Chiaramente Luca ha posto i due racconti di miracolo del servo del centurione .e del figlio della vedova proprio prima della domanda del Battista per fornire a Gesù una base chiara per la sua risposta"' . Il Gesù lucano procede quindi a sottolineare un contrasto: nonostante tutte le differenze tra Giovanni Battista e lui stesso, le persone semplici (inclusi i disprezzati pubblicani) hanno già accettato sia Giovanni che Gesù, men­ tre i farisei e i dottori della legge hanno reagito con scherno al misericor· dioso progetto salvifico di Dio (7 ,29-30) .e in questo modo si sono esclusi da esso•'.

ooltanto Luca. per riferirlo a Dio che visita Israele tramite Gesù: «perch� ·non hai riconosciuto il tem· po della sua visita» (Le 19,44). Anche 1 Pt 2,12 usa il sostantivo per parlare della visita di Dio, ma·il riferimento è al giorno del giudizio alla fine del tem po. Il risultato di tutlo questo è che all'interno del Nuovo Testamemo soltanto Luca nel suo vangelo usa la terminologia della 'visitazione' in riferi­ mento al ministero di Gesù (il verbo imparentolto episkopio non è usato nel Nuovo Testamento in questo senso strettamente teologico in riferimento·a Dio che visita il &uo popolo). " Su questo vedi CHARLES H. TALBERT, Reading Luke. A Literary and TheologJC4l.Commm,_, OfJ the Third Gospel, Crossroad, New York 1982. Là dove, in 7,18, Luca afferma che i discepoli di Gio· vanni gli riferirono «su tutte queste cOSO>, l'espressione «tutte queste cose» abbraccia tutto quello che Gesù ha deuo e fauo. soprauuno la proclamazione della beatitudine ai poveri nel discorso della pianura e i due miracoli di 7 ,l-17. In particolare, per Talhen (p. 246) il miracolo di Nsin ha funzione legittimante, in quanto attesta che Gesù è persona.ggio attraverso il quale Dio opera. Sul potere 'con· validante' dei miracoli in Luca vedi PAUL ]. ACHTEMEIER, The Lucan Perspective on the Miracles o/Je­ sus: A Preliminary Sketch, in ]BL 94 (1975) 547-562, spec. 552-553. Come fa notare G. RocHAHò, Les récits de résurrection, cit., 18-19, c'era un motivo pratico per cui Luca scelse di porre proprio prima deUa replica di Gesù agli inviati del Battista non il racconto di Giairo, bensì il racconto di Nain. La versione marciana del racconto di Giairo termina con Gesù che vieta di divulgare in qualsiasi modo la notizia del risuscitamento della figlia di Giairo e Luca conserva fondamentalmente questa finale del racconto. Sicché il racconto di Nain, che termina con la diffusione dell'acclamazione di Gesù co­ me grande profeta che ba risuscitato qualcuno dai morti, conviene molto meglio alla replica degli in· viati del Battista. '" Vedi H. CONZELMANN, The Theo/oll!J o/St. We, cit., 191 [trad.it., 204]. Questa 'prova docu­ ment aria' deU 'argomento di Gesù è fornita da Luca con un riferimento all'attività sanante di Gesù che sta avendo luogo anche al momento in cui arrivano gli inviati del Battista: «In queUa stessa ora e. gli [Gesù] guari molte malattie e afflizioni e spiriti cattivi e restituì la vista a molti ciechi» (Le 7 ,21). Ovviamente, questa frase è opera di Luca, che l'ha inserita nella tradizione Q (cfr. Mt 1 1 ,2-4). In un oeno senso, insieme ai due racconti di miracolo eli 7,1-17, è l' equivalen te lucano del ciclo di nove racconti eli miracolo che Matteo sistema in Mt 8-9 per creare una base alla replica di Gesù al Battista in Mt 1 1 .5. " Su questo puoto vedi L. ]OHNSON, The Liter..y Fufldion, cit., 100·101. Alla p. 121 Johnson af­ fenna: «Anziché presentare tutto il popolo [di Israele] che rifiuta Gesù, egli [Luca] descrive più che può le persone comuni in termini positivi, disposte ad accettare sia Gesù che gli apostoli. Il rifiuto è iniziativa dei capi». Come altrove in Un ebreo marginale, devo chiedere a chi legge di distinguere ac­ curatamente tra le osservazioni polemiche fatte dagli evangelisti cristiani cODtro i farisei (ed altri

Miracoli

946

Queste opposte reazioni a Gesù, espresse dai farisei soddisfatti di sé da un lato e dal popolo comune desideroso di confessare i propri peccati dall'altro, sono quindi drammatizzate aJla fine del capitolo 7"". Una don­ na peccatrice bagna i piedi di Gesù con le sue lacrime di pentimento, mentre il fariseo, che ospita Gesù alla sua mensa, si chiede come mai lo stesso Gesù, che passa per profeta, permetta a questa donna di toccarlo (7,36-39)"'. Gesù mostra di essere veramente un profeta, ma lo fa rispon­ dendo con una parabola aJI'obiezione non espressa del fariseo. La para­ bola, sui due debitori che devono somme differenti e ai quali vengono condonati i debiti, sottolinea il nesso fra un grande perdono e un grande amore. Alla fine di questa parabola Gesù dichiara che i peccati della don­ na sono perdonati a motivo del suo grande amore66• L'ospite e commen­ sale stupito chiede: «Chi è costui che perdona persino i peccati?». Igno­ rando l'interrogativo, Gesù conclude la scena (e il cap. 7 ) dicendo alla donna quello che dice anche alla fine di vari miracoli di guarigione: «La tua fede ti ha salvata. Va' in pace» (7,50). I miracoli di guarigione e i mi­ racoli di perdono sono in tal modo legati insieme come manifestazioni concrete della visita di Dio al suo popolo tramite Gesù. Per riepilogare, in questo capitolo - chiaramente - Luca sta sviluppan-

gruppi giudaici) e il tentativo di una descrizione storica sobria dei farisei e degli altri partiti, un tenta­ tivo che faremo nel terzo volume. I miei tentativi di riepilogare una detenninata valutazione ·teologica dei farisei da parte di un certo evangelista non devono essere considerati espressione del mio punto di vista personale sulla reale situazione storica. "Vedi L. )OHNSON, The Uterary Fu11aion, cit., 102.

" Si noti qui il contrasto fra l'acclamazione della folla che confessa che Gesù è un «grande profe­ che risuscita persino i morti (7,16) e lo scetticismo dei farisei, per i quali l'accoglienza da parte di Gesù di una peccatrice è un segno che egli non può essere un profeta nemmeno nel senso 'ristretto' di una persona che gode di una conoscenza speciale (7,39). � D'altronde si potrebbe costruire il versetto centrale (7 ,47) in modo tale da significare invece che il fano che la donna ama tanto (tgdpfsen preso come un aoristo greco che rappresenta un perfetto se· mirico·con significato di presente) è prova del perdono dei suoi peccati. La connessione precisa tra Ja parabola dei due debitori e la dichiarazione di Gesù che i peccati della donna sono perdonati - un ta»

perdono che in qualche modo è connesso con il suo grande amore è og�eno di dibattito tra gli ese· geti e i teologi. In breve, il dibattito riguarda i due possibili significati di hoti al v. 47: «poiché» e «per -

il fano che». In un senso più ampio, il dibartito riguarda i presupposti teologici dai quali partono gli esegeti cristiani quando accostano un testo che non necessariamente aveva in mente i loro interroga· tivi. Vedi il diverso approccio di H. ScHORMANN, Lulearevongelium, cit., l, 434442 [trad. it., l, 687701]; l. MAR�HALL, Lulee, cit., 3 13 ; }. FITZMYER. The Gospel According lo Luke, cit., l , 686-687 . Po­ trebbe darsi che nella forma primitiva del racconto h6ti volesse dire «poiché» e che poi abbia preso il significato secondario di «per il fano che» quando, in un secondo momento, è stata inserita la para­ bola dei due debitori che ha fmito con l'alterare il rappono tra il perdono e l'amore. Ad ogni modo, poiché a me interessa soltanto il corso generale del pensiero nel contesto complessivo, per il mio o­

biettivo non è necessario cercare di decidere questi aspetti esegetici particolari.

Il risUJcitamento dipersone defuntt!

947

do una serie di importanti temi teologici. Dio 'visita' nella grazia il suo popolo, vale a dire viene ad operare in favore del suo popolo per portar­ gli la salvezza tramite il ministero pubblico di Gesù. ll popolo di Dio, malato e peccatore, riceve questa salvezza manifestata adeguatamente at­ traverso la guarigione fisica, il risuscitamento dai morti e, infine, l'equiva­ lente spirituale della guarigione fisica e del risuscitamento dai morti, vale a dire il perdono dei peccati. Questa salvezza è offerta in particolare ai poveri, agli emarginati, a coloro che nella società sono disprezzati: la ve­ dova privata di figJi••, la peccatrice disprezzata dal fariseo e persino lo schiavo di un centurione pagano. In forte contrasto, i rispettabili farisei e dottori della legge ridono di fronte a questo piano salvifico di Dio così come è manifestato in Gesù e in tal modo non possono essere coinvolti in esso. Se i capi ebrei - diversamente dalla popolazione - non credono, questa incredulità tuttavia è bilanciata dal riferimento al fatto che il popolo che Dio visita non è più circoscritto agli ebrei. La fede del centurione pagano, insieme alla guarigione del suo servo operata a distanza, rimanda a un tem­ po in cui il messaggio del vangelo raggiungerà i pagani lontani, i quali come racconteranno gli Atti degli Apostoli - lo riceveranno con fede e sa­ ranno in questo modo incorporati nel popolo di Dio". In tale maniera la profezia di Isaia, richiamata all'inizio del ministero del Battista, si compie: «E ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (ls 40,5 , citato in Le 3,6)71• È posM

Nel suo vangelo, come negli Atti, Luca mostra un interesse panicolare per le persone socialmen­

RoBERT F. O'TOOLE, The Unity o/ Luke's Theology. An Analysis o/ Luke-Acts (Good News Srudies 9), Glazier, Wilmington (DE) 1984 [trad. it., L:unità della teologia di Luca, LDC, Torino 1994): «Le vedove, più svantaggiate

te svantaggiate, in particolare per'fe donne e,.trale donne, per le vedove.

delle altre donne, sono particolarmente favorite in Luca». Come osserva O'Toole (p. 35), la vedova di Nain è in una situazione particolarmente disperata: è già rimasta senza marito ed ora è stata priva­ ta anche del suo figlio unico, per lei il più importante mezzo di sostegno finanziario e di rappresen­ tanza le�ale in pubblico all'interno di una società patriarcale. 10 Occorre sottolineare che, neUa visione teologica di Luca, i pagani non hanno sostituito Israele. Piunosto, sono stati incorporari in Israele senza una frattura completa nella storia della salvezza. Co­

me si esprime L JOHNSON, The Literary Function, cit., 123: «Per Luca l'idea di una ronura, di uno iato nella realizzazione del piano divino è impensabile. Affinché i pagani possano godere ora delle

promesse che erano state fane in primo luogo a Israele, quelle promesse devono trovare compimento all 'interno dello stesso Israele ed

essere

eotese lungo una linea di continuità ai pagtni. In una parola,

per Luca la chiesa pa�ana non rimpiazza Israele, ma è un'estensione deU'Israele vero e credenre». Pur non articolando questa comprensione di Israele esattamente aUa stessa maniera, sia Paolo in R, 1 1 , 17-20 (l'allegoria dell'olivo selvatico e dell'olivo buono), che l'autore della lenera agli Efesini, so­

no sulla stessa 'lunghezza d'onda' di Luca. " È significativo il fatto che, se da un lato tuni e quanro i vangeli citano ls 40 in riferimento a Gio­ vanni Battista, soltanto Luca tuttavia prosegue la citazione fino a Is 40,5 (in Le 3,6), includendo in tal modo il riferimento alla salvezza universale.

948

Miracoli

sibile che un riferimento a questo abbattimento di confini si trovi anche a conclusione del racconto di Nain: «E questa notizia su di lui [Gesù] si diffuse in tutta la regione dei giudei e nei territori circostanti»". È questa la visione della salvezza che sta alla base di Le 7 . Come risulta chiaro da questo capitolo, la cristologia di Luca non si trova mai come te· ma a sé stante, ma è piuttosto in funzione di questa visione della storia della salvezza". In questo tempo del compimento della promessa salvifica fatta da Dio a Israele, Gesù intraprende un ministero di guarigione tra il popolo di Dio analogo, ma più grande, a quello svolto dai grandi profeti e taumaturghi attivi in Galilea, Elia ed Eliseo". Guarendo i malati, risu-

" Su questa traduzione vedi G. ROCHAIS, Les récits de résurrection, cit., 28. Il testo greco di Le 7,17 contiene tutta una serie di problemi. L'espressione ho /6gos hùtos (alla lettera: > per «risvegliarlo>>, una metafora che i discepoli prendono alla lettera e che Gesù deve spiegare loro in termini di morte. Nulla nei vv. 1 1 -15 fa pensare che andare da Lazzaro comporti un qualche pericolo di morte per Gesù. Inoltre, nel­ l' attuale contesto l'esortazione: >. Ora molti dei giudei che erano andati da Maria e avevano visto quello che egli aveva fatto credettero in lui.

'" Resta incerto se una qualche pane di questo secondo dialogo "di Gesù con i suoi discepoli esi­ stesse nella tradizione preevangelica. G. ROCHAIS,

Les récits de résu"ection, cit., 123, sostiene che la

tmdizione conteneva la seguente versione ridotta del dialogo: «Quindi, dopo ciò egli disse ai suoi di­

scepoli: 'Lazzaro, il nostro amico. dorme'. l discepoli gli dissero: 'Se dorme guarirà'. Gesù disse loro: 'Lazzaro è morto. Ma andiamo da lui'». Rochais prosegue sottolineando

i paralleli fra questa tradi­ Mc 5,38-39. 'Ci sono altri

zione e l'affermazione di Gesù che la figlia di Giairo sta solo dormendo in

paralleli sparsi tra il racconto di Giairo in Marco e il racconto di Lazzaro, ma nulla che vada oltre quanto ci si aspetterebbe da due arcaici racconti cristiani di miracolo riguardanti risuscitamen,ti dai morti che circolavano all'interno della tradizione orale. Quale possa essere la sua fonte

o

le sue fonti,

il racconto del risuscitamento di Lazzaro è stato rimodel1ato in un ambiente giovanneo e secondo la teologia di Giovanni dei segni in misura tale che i confronti con racconti veterotestamentari e sinotti­

ci di risuscitamento dai morti sono di utilità molto ridotta; su questo punto vedi ]ACOB KREMER, u­ 'lJlrus. Die Geschichte einer Au/erstehung, KBW, Stuttgart 1985, 38-50. 144 Può darsi che questi deuagli curiosi, che fanno dd miracolo di risuscitamento un miracolo an­ cor più grande, siano stati aggiunti dall'evangelista come contrasto alla tomba vuota di Gesù (20,67), in cui i panni sepolcrali sono lasciati nella tomba, il che implica il messaggio che Gesù non vi tor­ nerà mai più, ma resta possibile che questi dettagli in 1 1 ,44 si trovassero nella tradizione preevangeli­

ca come parte della conferma della realtà del miracolo. Se fosse cosi, è possibile che la loro presenza nel racconto di Lazzaro abbia su�gerito all'evangelista il contrappunto di 20,6-7.

Il risusatamento di persone defunte

1001

Ho sottolineato numerose volte che questa ricostruzione è soltàht6 una vaga approssimazione e che diversi studiosi tolgono o aggiungono qua e là dei versetti, com'è del tutto comprensibile. Uno dei motivi di disaccor­ do è la probabilità che prima di arrivare a far parte del vangelo secondo Giovanni il racconto di Lazzaro sia esistito in uno stato 'fluido', per usare le parole di Dodd. Per decenni sarebbero state aggiunte varie amplifica· zioni. Perciò metto tra parentesi quadre alcuni versetti, per segnalare che essi forse non appartenevano alla forma più arcaica del racconto e che tuttavia è possibile che siano stati aggiwni prima del definitivo intervento redazionale dell'evangelista. Analogamente, non si può essere dogmatici sul testo esatto della tradizione preevangelica. In un determinato versetto è possibile che q_uelli che ora sono pronomi in origine fossero nomi pro­ pri e viceversa. E altresì possibile che varie espressioni di collegamento siano state lasciate cadere o siano state aggiunte successivamente. Ciò nonostante, personalmente attribuisco a questa ricostruzione ap­ prossimativa una qualche validità. Ad essa siamo arrivati non in modo ca­ priccioso, ma applicando vari criteri ragionevoli e chiaramente articolati. Una conferma a posteriori della fondamentale validità delle ricostruzioni si può ottenere anche confrontando il testo che io propongo con ricostru­ zioni alternative del racconto di Lazzaro suggerite dai commentatori più validi. Lungo tutto il processo di ricostruzione di questo ipotetico testo i­ niziale, intenzionalmente non ho attinto ad alcun modello di altri com­ mentatori. Ho cercato nella misura del possibile di percorrere da solo il mio cammino. Alla fine del lavoro, tuttavia, il nucleo della mia ricostru­ zione coincide nella sostanza con il testo fondamentale che sta alla base della stragrande maggioranza delle altre ricostruzioni, nonostante tutte le divergenze su versetti singoli che possono essere stati aggiunti o meno a questo nucleo centrale. Pressoché tutti concordano nel sostenere che al racconto fondamentale o 'nucleo' della fonte del nostro evangelista ap­ partenevano almeno i vv 1 .3.5, forse parti dei vv 1 1 - 15 . 17-18 (anche il v. 1 9 ? ) , parti dei vv. 3 3 -39 e dei vv 43-44 (anche il v. 45 ?). Si deve tener presente che alcune differenze di opinione nascono dal fatto che ad alcuni studiosi preme ricostruire un testo scritto fisso che sa­ rebbe esistito in una 'fonte dei segni' o in un intero 'vangelo dei segni', precedente di poco la redazione del testo da parte del nostro evangelista, mentre altri pensano più all'evolvere di una tradizione orale e altri ancora sono più interessati a ricostruire la più arcaica forma disponibile della tradizione orale. Alla luce di ciò, non sorprende che uno studioso come Fortna, il quale sostiene la tesi di un 'vangelo dei segni' , proponga un te­ sto piuttosto lungo, mentre studiosi come Schnackenburg, che non difen .

.

.

1002

Miracoli

dono tale teoria, suggeriscono un testo relativamente breve. Peraltro an­ che questi due studiosi, che rappresentano i due estremi nello spettro delle ricostruzioni, concordano quasi su tutto il 'nucleo' del testo. Si deve anche ammettere la possibilità che un versetto così come si trQ., va ora nel testo possa essere una riformulazione operata da Giovanni e al­ lo stesso tempo la sostituzione di qualche espressione similare, presente nella forma preevangelica del racconto. Per esempio, molti commentatori sono diffidenti quando si tratta di accettare il v. 45 come finale originaria del racconto: «Perciò molti tra i giudei che erano andati da Maria e ave­ vano visto quello che egli aveva compiuto credettero in lui». Se si osserva che il verbo chiave 'credere' (pistéuo) l ) è un verbo caro all'evangelista"' e 2) ricorre altrove in 1 1 , 1-45 soltanto in quei versetti che originano con ogni probabilità dallo stesso evangelista (vv. 15.25-27.40.42), si può ben capire perché molti commentatori preferiscano vedere la fine della tradi­ zione preevangelica al v. 44 (o anche al v. 4 3). D'altro canto, la reazione degli astanti costituisce un elemento che ri­ corre regolarmente alla fine di un racconto di miracolo. Più specifica­ mente, tutti i racconti di risuscitamento dai morti, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, terminano con un qualche tipo di reazione da parte degli 'spettatori', si tratti di una prostrazione in segno di omaggio, di stu­ pore, di lode, oppure di fede. Sarebbe molto strano se la forma preevan­ gelica del racconto di Lazzaro non contenesse alcuna reazione di sorta. Per questo nella mia ricostruzione non ometto il v. 45, che considero e­ spressione della reazione degli astanti, anche se capisco che per indicare tale reazione era possibile il ricorso anche a un verbo diverso da 'crede­ re'. Peraltro, nemmeno una reazione di fede sarebbe impossibile nella tradizione preevangelica. Dopo tutto, l'evangelista non aveva il monopo­ lio del verbo pistéuo e non c'è dubbio che egli condividesse molti vocabo­ li ed espressioni con la tradizione da lui ereditata. Per giunta, il racconto del risuscitamento di Tabita in At 9 termina con una reazione analoga a quella di Gv 1 1 ,45 : «E molti credettero nel Signore [= Gesù ] » (At 9,42)'46• Un altro problema collegato a ogni ricostruzione è che nessuno può sa-

14' In questo caso le statistiche sOno m olto· impressionanti: pistéuO è usato 98 volte nd vangdo se� condo Giovanni contro le I l volte in Matteo, le 14 in Marco e le 9 in Luca. IJ� Un confromo tra le due reazioni in greco è interessante, in particolare poiché non c'è motivo di pensare che il quarto evangelista conosc.:sse il testo di Atti: Cv 1 1 .45: pol/6i. . . epirteusan eù autòn [Gesù]. At 9,42: episteu.w11 pollòl �pt�tòn leyrion [Gesù].

Il risusdtamento di persone defunte

1003

pere con certezza in quale misura le parti iniziali e finali dei versetti che erano già presenti nella tradizione siano state modificate dall'evangelista al momento in cui egli ha fatto le proprie aggiunte. Per esempio, la fine del v. l , così come si trova oggi nel vangelo secondo Giovanni, è strana: «Ora c'era un uomo malato, Lazzaro di Betania, la città di Maria e Mar­ ta, sua sorella». Parte della confusione nel testo può essere dovuta all'ag­ giunta sia del nome di Marta (più l'identificazione della donna come so­ rella di Maria), sia alla ulteriore identificazione di Maria come colei che aveva unto il Signore (v. 2). L'inizio del v. 3 dev'essere stato anch'esso modificato in modo tale che parlasse di entrambe le sorelle: «Le sorelle gli mandarono a dire . . . ». Può darsi che, prima che fossero fatte tutte queste aggiunte, il v. l introducesse Lazzaro parlando delle sue condizio­ ni e il v. 3 introducesse Maria con il suo messaggio: «Ora, c'era un uomo malato, Lazzaro di Betania. Sua sorella inviò un messaggio a Gesù che diceva ... ». Altri ritocchi sono possibili in vari punti del testo (per esem­ pio, pronomi che in origine erano nomi propri). Tali ritocchi però sono destinati a restare ipotetici e fortunatamente non incidono sulla presen­ tazione di un'approssimazione a grandi linee, che è l'obiettivo da noi perseguito. 7.

È esistita una versione ancora più arcaica della tradizione di Lav.aro?

n testo preevangelico da me suggerito si pone in qualche modo fra il testo piuttosto ampio di Fortna e il testo conciso di Schnackenburg. Ri­ tengo che la mia ricostruzione abbia buone possibilità di riflettere il rac­ conto preevangelico di Lazzaro in un qualche stadio del suo sviluppo, �n­ che se qualcuno potrebbe chiedersi se essa rappresenti la forma più arcai­ ca della tradizione. Wilkens, Rochais e Kremer presentano tutti ricostru­ zioni ipotetiche di una tradizione sottoposta a rigorosa potatura che, ipo­ tizzano, si trovava dietro la fonte di cui l'evangelista è venuto a conoscen­ za. Per esempio, Rochais propone una tradizione di tipo sinottico così concisa, che tutti i personaggi, eccetto Gesù, sono anonimi147• '" G. ROCHAIS, Les ,jt:its de ,jsurrectio,, cit., 124· 129. Affermazioni analoghe sono fatte da W WILKENS, Die Erwecku"g des Ltlzarus, cit., 22-39, spec. 27;]. KREMER, Ltlzarus, cit., 88·89 (che ripor· ta il punto di vista di }Urgen Becker). Secondo Wilkens il racconto tradizionale primitivo include i w. 1.3.17.33-34.38-40.43-44. Diversamente da G. Rochais, Wilkens conserva il nome di Lazzaro nella più antica forma raggiungibile del racconto. La breve pericope, di stampo sinottico, proposta da K· remer, include i vv. 1.3. 17.38-39.41.43·44; questa versione conserva il nome di Lazzaro, Maria e Mar· ta al v. l.

1004

Mirìlroli

Che all'origine della tradizione J'Oisa· esserci· stato un breve racconto,

comprendente solo parti dei w. 1 . 3 .7 . 1 5 . 17.32.38-39.4 1 .43-45, è possibi­ le. Inoltre è altresì possibile che in questa primissima forma non si facesse menzione di «molti tra i giudeh>, ma si parlasse soltanto di «molte perso­ ne», con riferimento alla popolazione di Betania. Tuttavia, per ricostruire il testo esatto della primissima versione, Rochais deve dare per scontati alcuni presupposti che invece non sono affatto tali, e cioè: l) che il rac­ conto di Lazzaro esistesse in una forma scritta fissa nella fonte dei segni usata da Giovanni; 2) che noi siamo in grado di conoscere lo stile e la teo­ logia dell'autore di questa fonte dei segni; e } ) che possiamo usare tale conoscenza per discernere quali parole fossero presenti nella primissima versione. Su questi punti esprimo i miei dubbi. Non ritengo si possa dire con certezza che il racconto di Lazzaro esistesse per iscritto in una fonte dei segni e non oserei dire quali fossero i tratti stilistici e la teologia del­ l' autore di questa fonte dei segni"'. In particolare, metterei in questione la tesi di Rochais secondo la quale nella versione più originaria del racconto sia il malato che la donna che chiede a Gesù di intervenire erano anonimi. Tanto per incominciare, Ro­ chais ha il suo da fare per spiegare perché, tra tutti i possibili candidati, debbano essere stati scelti a posteriori, per i due personaggi anonimi, i nomi di 'Lazzaro' e di 'Maria'. Trovo molto congetturale la sua spiegazio­ ne complessa di come ciò sia potuto accadere"'•. Per essere più precisi, i­ noltre, nella nostra panoramica complessiva sui miracoli di Gesù abbia­ mo visto come - se si eccettuano i casi dei discepoli immediati di Gesù la tendenza generale dei vangeli sinottici sia di presentare come benefi­ ciari dei miracoli di Gesù durante il suo ministero pubblico persone ano­ nime. In pratica, a parte i discepoli immediati, l'unico destinatario di un miracolo di cui si fa il nome esplicito durante il ministero pubblico è Bar­ timeo e l'unica persona menzionata esplicitamente come richiedente è Ciairo. Questa carenza di ·nomi propri di persone, insieme ad altre osser­ vazioni su questi due racconti di miracolo, ci ha indotti a considerare

"' In particolare, ritengo c:he alcuni commmtatori dd vangelo seeondo Giovanni contrappongano teologia dei miracoli nell'ipotetica fonte dei segni alla teologia dei miracoti soste­ nuta dal quarto vangelo. Anc:he nel caso di una entità che noi sappiamo esisteva e c:he· possediamo tllltota (vale a dire, il quarto vangelo), articolare ron precisione la prospettiva sofisticata e complessa che l'evangelista aveva dei segni di Gesù non è un compito facile. Fare la stessa operazione con l'ipo­ tetica fonte dei segni - se mai è esistita - è un'impresa estremamente difficile, per non dire dd Pas54? finale, che consiste nd confronto tra le due prospettive. 14" G. RocHATS, LeJ rédts de résu"ection, cit., 125-126. troppo in fretta la

Il risusatamento di persone de/unte

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probabile il fatto che i due nomi propri risalissero a determinati episodi storici verificatisi durante la vita di Gesù. Una situazione parallela si può vedere nel vangelo secondo Giovanni. Anche qui, ad eccezione dei discepoli più vicini a Gesù, i racconti di mi­ racolo appartenenti al ministero pubblico non fanno mai il nome esplici­ to dei destinatari o dei richiedenti. Questo è vero anche nei casi in cui ci

aspetteremmo un nome. Per esempio, nel primo miracolo di Cana (2 , 1 1 1 ) restano in nominati non solo i l capocameriere e lo sposo, m a anche la stessa ((madre di Gesù». Se c'è un racconto di miracolo che esige un no­ me, è il racconto del cieco nato. ll risoluto mendicante che recupera la vi· sta grazie a Gesù domina l'intero cap. 9 di Giovanni e, dal punto di vista letterario, è il 'personaggio' più completo di tutti i racconti di miracolo nel quarto vangelo. Solo di lui si può dire che presenta una person alità a­ deguatamente sviluppata. E ciò nonostante rest a anonimo. Al pari di Banimeo in Marco, Lazzaro in Giovanni è l'unico beneficia­ rio di un miracolo durante il ministero pubblico di cui si faccia il nome e­ splicitamente (nonostante il fatto che egli non parli mai); al pari di Giairo in Marco, Maria in Giovanni è l' unica richiedente di cui si faccia il nome. Il racconto di Lazzaro dunque è anch'esso unico nel vangelo secondo Giovanni e il racconto di Bartimeo è unico in Marco anche per un altro motivo: il nome del beneficiario nel racconto è ricollegato a un nome di località. Questo 'andare controcorrente' rispetto a tutta la tradizione sui miracoli presente nel vangelo secondo Giovanni, questa 'discontinuità' rispetto al resto dei racconti canonici dei miracoli operati da Gesù duran­ te il suo ministero pubblico, mi induce a ritenere che i nomi di Lazzaro, di Maria e di Betania appartengano alla tradizione originaria, per quanto breve e di tipo sinottico essa fosse all'origine. L'obiezione principale a questa tesi proviene dalla possibilità di prestiti o di contaminazione da parte di una tradizione lucana speciale, alla quale· ora dobbiamo dedical'e la nostra attenzione. 8. I:in/lusso

della tradizione lucana?

Coloro che ritengono che il racconto di Lazzaro non risalga a un even­ to storico della vita di Gesù, così come coloro che affermano che la pri­ missima tradizione del racconto contenesse soltanto personaggi anonimi, a prescindere da Gesù, devono fornire qualche spiegazione. Per essere più precisi, questi critici devono spiegare come e perché fra tutti i nomi possibili siano stati scelti i nomi di Lazzaro e di Maria e quindi come sia-

1 006

Miracoli

no· stati collegati - unico caso fra tutti i racconti di ·miracolo che circola­ vano all'interno della tradizione giovannea - con il racconto di Gesù che risuscita un morto'". Il cammino percorso solitamente qui si richiama a due speciali tradi­ zioni 'L' nel vangelo secondo Luca: l ) la parabola di Lazzaro·e il ricco e­ pulone (Le 16, 19-3 1 ) , che presenta un personaggio, che non può non su· scitare le nostre simpatie, di nome Lazzaro, il quale alla fine muore, e che termina con l'osservazione estremamente amara: «non saranno convinti nemmeno se qualcuno risuscita dai morti»; e 2) il racconto di Gesù che fa visita all'abitazione di Marta e di Maria (in Le 10,38-42), dove Marta si dà da fare per servire a mensa, mentre Maria siede ai piedi di Gesù per a­ scoltarne le parole. A volte sono chiamate in causa anche altre tradizioni presenti nel vangelo secondo Luca. Per esempio, il racconto della donna anonima che lava i piedi a Gesù e li unge, in Galilea (Le 7,36-50), nonché i legami che questo racconto può avere (tramite una tradizione orale o scritta) con il racconto di Giovanni riguardante Maria di Betania che un­ ge i piedi di Gesù (Gv 12, 1 -8). Le fonti principali del racconto di Lazzaro vengono però ricercate di solito nella parabola di Lazzaro e del ricco e­ pulone e nel racconto di Gesù che visita Marta e Maria'". a) A prima vista la parabola di Lazzaro e il ricco epulone può sembrare una fonte promettente. È vero che a quanto pare circolasse soltanto al­ l'interno della corrente di una tradizione particolare, disponibile soltanto per Luca, ma il vangelo secondo Luca e quello secondo Giovanni mostra· no alcuni casi interessanti di 'fertilizzazione incrociata' o di 'contamina­ zione reciproca' fra le due correnti di tradizioni speciali"'. Non si può non restare sorpresi dal fatto che Lazzaro di Betania in Gv 1 1-12 e il po­ vero della parabola in Le 16 siano gli unici due personaggi all'interno del Nuovo Testamento che portano il nome di Lazzaro. Così come non può non sorprendere il fatto che, come Lazzaro è l'unico beneficiario menzio­ nato per nome di un segno compiuto dal Gesù giovanneo, così tra tutte le parabole dei vangeli Lazzaro è l'unico personaggio di cui si fa il nome. Le due narrazioni, nella parabola lucana e nel racconto di miracolo giovanneo, presentano altri paralleli sorprendenti. Un motivo per cui

"' Vedi, per .Sempio, G. Roc!WS, Ler récits de résurrection, ci t., 125. '" Su tutto questo vedi E. HAENCHEN, John, cit., 2, 69. Haenchen sottolinea giustamente che se

questi paralleli sono utilizzabili si deve pensare in tennini di trasformazione lungo la tradizione orale, non di Giovanni che copia a caso da vari passi del vangelo secondo Luca. 1'2 Occorre però mettere in guardia su un punto: quasi tutti i casi più sorprendemi di questa 'ferti· lizzazione incrociata' tra le due tradizioni ricorrono nei racconti della morte e risurrezione di Gesù.

N'risw.tt!itamento dipersone de/unte

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possano esistere diversi punti paralleli tra due fotme letterarie cosi dissi� mili (la parabola e il racconto di miracolo) è il fatto che, diversamente da numerose parabole attribuite a Gesù, la parabola di Lazzaro e il ricco e­ pulone è costituita da un racconto piuttosto ampio che intende presenta­ re un esempio e insieme comunicare una morale. Sotto questo punto di vista essa non è diversa dalla parabola del buon samaritano'". Sotto altri punti di vista, la parabola di Lazzaro ricorda un'altra parabola lunga che è esclusiva di Luca, la parabola del figlio prodigo. Ciascuna di queste due parabole è suddivisa in due parti e in ciascuna parte si raggiunge il punta culminante con una dichiarazione solenne fatta da un personaggio auto­ revole (il padre del figlio prodigo in 1 5 ,2 4 . 3 2 e Abramo in 1 6,25 26.3 1 )'"; La somiglianza nella forma, nella struttura e nel tono può indi­ care che queste e altre speciali parabole 'L' hanno condiviso un processo di formazione in un particolare ambiente protocristiano al quale Luca ha avuto accesso. Tenendo presente tutto questo, guardiamo più da vicino alle due metà della parabola di Lazzaro e del ricco epulone"'. Nella prima metà della ., Gli studiosi moderni fanno riferimento a questo tipo di racconto che fornisce un esempio o una morale agli uditori come a una

Beispielerziihlung;

vedi, per esempio, R BULTMANN,

Geschichte, cit.,

193. Se queste sottili precisazioni sono utili agli studiosi moderni, non si dimentichi che per gli udito· ri di Gesù un tale racconto sarebbe rientrato neUa categoria generale del mashal e che l'evangelista l'avrebbe etichettato senza alcun dubbio come un'altra paraboli (come ha fatto in realtà lo scrivano del

C01lex Beuze nel caso deUa parabola del buon samaritano e del ricco epulone). Su questo punto The Gospel Accordzng to Luke, cit., 2, 1 125- 1 126. SuUa somiglianza deUa parabola

vedi J. FmMYER,

di Lazzaro e il ricco epulone con le parabole del buon samarirano e del figlio prodigo come esempi di parabola di 'genere fiabesco', vedi CHRJSTOPHER R EVANS, Uncomfortable Words. V 'l/ they do noi bear Moses and the prophets, neither wi/1 they be ronvinced i/someone shou/J rise /rom the dead' (Lk 16:31), in ExpTim 81 (1%9-19701 228-23 1 , spec. 228. "' SuUe due parti o 'ordini' deUa parabola, vedi C.F. EVANS, UnaJm/ortable Words, cit:, 228-229! }ACQUES DUPONT, Les béatitudes (EBib), 3 voU., Gabalda, Paris 1969 (vol. l e 2), 1973 (vol. 3), 3, 173 [trad. it., Le Beatitudini, San Paolo, Milano 1 992']; A. FEUILLET, La parabole du mauvais riche et du pauvre Lauzre (Le 16, 1 9-Jl) antithèrt de la parabole de l'intendant astucieux (Le 16, 1-9), in NRT 101 (1979) 2 1 2-22 3 , spec. 216. "' Per la qu estione precisa che prendo in considerozione qui, vedi J ACOB KREMER, Der a""e

Laza­ Lauzrur, der Freund Jesus. Beobachtungen zur Beziehung zwischen Lk 16,19-JI und fohn 11,1-46, in A cause de l'évangile. Etudes sur /es Synoptiques et /es ActeJ (LO 123), scrirti in onore di Jacques

rus.

Dupont, Cerf, Paris 1985, 571 -585. Poiché il mio scopo è di confrontare la parabola lucana di Lazza­ ro con il racconto di Giovanni su Lazzaro, non m 'impegno qui in una esegesi denagliata della para­ bola, che contiene un numero di enigmi affascinanti. Per un'esegesi fondamentale vedi J. }EREMIAS,

The Parables o/fesus, cit., 182-187 [trad. it., Le Parabole di Gesù, Paideia, Brescia 1973', 223-228]; W. GRUNDMANN, Dar Evangelium nach Lukas, eit., 324-350; J. ERNST, Das Evangelium nach Lukas, cit., 471-477 [trad. it., 2, 665-673]; l. MARSHALL, Luke, cit., 632-6}9; J. FmMYER, The Gospel Accor­ ding lo Lulee, eit;, 2, 1 124-1134. Altro materiale si può trovare in A. O. STANDEN, The Parable o/ Di­ ves and La:r.arur, and Enoch 22, in ExpTim 66 (1921·19-22) 523 ; ]. RENIÉ, Le nìautHJis richs Le.,

Miracoli

roos

parabola di Luca (16,19.-26) il povero mendicante Lazzaro soffre tutta la vita senza sollievo, mentre il ricco epulone, alla cui porta Lazzaro è solito giacere, banchetta sontuosamente ogni giorno. Entrambi muoiono, solo per rendersi conto che il destino nell'aldilà è completamente ribaltato. O­ ra Lazzaro è consolato nel seno di Abramo (una metafora per indicare un luogo di conforto entro l'ambito riservato ai defunti) "•, mentre il ricco e· pulone soffre tormenti indicibili nel suo luogo di tortura, posto a una grande distanza dal seno di Abramo. A quanto pare il ricco epulone con­ tinua a pensare agli altri come a servi che devono soddisfare i suoi inte· ressi, poiché chiede al «padre Abramo» di inviare Lazzaro con un po' d'acqua a placare la sua terribile sete. Abramo risponde inizialmente li­ mitandosi a riaffermare il fatto del capovolgimento radicale del destino dei due uomini e quindi osservando come qualsivoglia passaggio dal suo seno al luogo dei tormenti sia impossibile. La prima metà della parabola termina in tal modo con Abramo che conferma la natura irreversibile e permanente del capovolgimento del destino dei due uomini. Per quanto concerne il nostro interesse specifico per la parabola come possibile fonte di Gv 1 1 , 1 -45 , il risultato è chiaro e semplice, benché non straordinario: la prima metà della parabola lucana ci fornisce un personaggio che attira le nostre simpatie il cui nome è Lazzaro e che muore.

XV1, 19-J I, in A nn"" thiokJgique 6 (1945) 268-275; N. RIMMER, Pdrdble

of Diver and Ùltlrus (Lu/Oe El, chiaramente della loro condotta peccaminosa che potrebbe portarli al luogo dei tormenti dove già si trova il loro fratello. Solo qui ri­ corre l 'affermazione che la condotta cattiva porta al luogo dei tormenti. In maniera corrispondente, nella seconda metà della parabola niente ci dice che i cinque fratelli siano ricchi, benché sia chiaro che si suppone che lo siano. La ricchezza però non è più l'aspetto preso di mira. La tesi inculcata nella seconda metà, della parabola non è che i ricchi soffriranno un ribaltamento della propria sorte nella vita ventura; si afferma piuttosto che un malfattore che non si pente sarà punito, il che è vero sia per i ric­ chi che per i poveri. Dunque il tema del ribaltamento, al pari del tema della ricchezza, scompare perché non rientra nel messaggio che intende comunicare la se-

'" SuUa mancanza di criteri o giudizi morali espliciti nella prima metà della parabola vedi ]. Du­ cit., 3 , 174-178 [trad. it. cit.J: Occorre sottolineare che questo i! vero per la pri­ ma patte della parabola letta isolatamente. Dupont sottolinea che, entro il contesto della redazione41 tutlo il cap. 16, Luca usa la parabola per inculcare l'impiego appropriato della ricchezza da parte dei ricchi per farsi amici tra i poveri e preparare in tal modo un'accoglienza felice per se stessi nelle >, suonerebbe sgraziato; sicché io uso l'articolo determinativo più l'aggettivo u­ sato come sostantivo (eccezion fatta per il sostantivo «lebbrosi»). 18) Gli esorcismi non sono menzionati in Mt 1 1 ,5 e parr., ma se ne parla nei detti di Gesù conserva· ti nella controversi� su Beelzebul (Mc 3,22-27 // Mt l2,22·30 Il Le 1 1 ,14-23), che è essa stessa rap. .

Il risusl:itamento di persone defunte

1 025

La stessa cosa si può dire circa il risuscitamento dai morti. Oltre ai rac­ conti in Marco, L e Giovanni, disponiamo del riferimento al fatto che al­ cune persone defunte sono state risuscitate in Mt 1 1,5 e par. Dunque, non soltanto l'affermazione che Gesù ha compiuto un tale genere di mi­ racolo è contenuta in quattro fonti differenti (Marco, L, Giovanni e Q); essa inoltre è espressa in due forme letterarie differenti (il racconto e il detto). Per giunta, la forma di detto che troviamo in Mt 1 1 ,5 e par. senza ombra di dubbio non è un fenomeno secondario derivato dai racconti su Gesù che risuscita persone defunte. Di fatto, il documento Q non contie· ne alcun racconto di risuscitamento dai moni da pane di Gesù, sicché non si potrà certo dire che il detto Q in Mt 1 1 ,5 sia un distillato di altro materiale Q sull'argomento. Indipendentemente da qualsiasi racconto, questa tradizione Q conserva l'idea, custodita gdosamente in un detto ohe si ritiene sia uscito dalla bocca di Gesù, che lo stesso Gesù ha risusci­ tato alcune persone defunte. Devo sottolineare ancora una volta che non intendo sostenere qui che questa attestazione molteplice delle fonti e delle forme prova che Gesù effettivamente ha risuscitato persone defunte. Essa prova però un'altra convinzione. Prova che la chiesa primitiva non ha inventato di sana pian· ta il quadro di Gesù che ha risuscitato persone defunte. L'attestazione molteplice delle fonti e delle forme depone decisamente a favore della te­ si che la rivendicazione. che Gesù ha risuscitato dei morti - indipendente· mente da quello che possiamo pensare sulla verità di tale affermazione risale al ministero pubblico e allo stesso Gesù. Chiaramente i primi cri­ stiani erano convinti che Gesù avesse risuscitato dei moni perché i suoi discepoli a loro volta avevano avuto la medesima convinzione già durante il suo ministero pubblico. Coh!!ro che respingono questa conclusione di solito cercano di rimuovere in un modo o nell'altro la documentazione fornita dall'arcaico detto Q. Possiamo distinguere tre approcci impanan­ ti intesi a negare validità al loghion Q. l) Alcuni studiosi asseriscono che tutto Mt 1 1 ,5-6 e par. non è un detto del Gesù storico, ma il prodotto della prima generazione cristiana"''. Più

�rata sia nella tradizione marciana che in quella Q. Cosi anche gli esorcismi godono di una atte· stazione molteplice sia delle fonne che delle fonti. •� Mentre R BULTMANN, Geschichte, cit., 22, ha una posizione sfumata per cui Mt 1 1,2-6 è una composizione della chiesa che incapsula un detto autentico di Gesù nei vv. 5-6, ]. Kl.OPPENBORG, Formation, cit. . 107, ritiene che «tutto quanto il racconto di dichiarazione sia una creazione postpa­ squale, nata dallo sforzo di attirare discepoli del Battista nel gregge cristiano». Per una trattazione

Miracoli

1026

sopra .in questo volume, al cap. tredicesimo, esaminando tutto il materia­ le dei vangeli in cui Giovanni Battista e Gesù interagiscono, abbiamo vi­ sto perché questo detto Q {in effetti, il nucleo centrale di tutta la tradi­ zione Q in Mt 1 1 ,2-6) deve essere considerato autentico. Non occorre ri­ petere qui tali argomentazioni in dettaglio. In sostanza, la pericope può essere considerata fondamentalmente storica per le seguenti ragioni"'. a) Il nucleo della domanda sollevata dal Battista («Sei tu colui che deve venire [ho erch6menos] o dobbiamo aspettarne un altro?») usa una termi­ nologia che evoca speranze escatologiche, ma non introduce alcun titolo messianico impiegato dal giudaismo al volgere delle ere o dai cristiani nei loro primissimi giorni. b) La pericope, al pari del materiale Q in generale, non presume che il Battista un tempo abbia creduto in Gesù e che ora stia mettendo in que­ stione quella sua fede. Piuttosto, fino ad ora nulla ha fatto pensare che il Battista abbia mai accolto Gesù come «colui che deve venire». • Sicché l'interrogativo sollevato dal Battista è reale e vitale per lui e la sua .cer­ chia, che intendono giudicare un precedente discepolo il cui messaggio e ministero si sono allontanati così nettamente dalle loro attese. Accettare Gesù vorrebbe dire rivedere molta parte della loro stessa prospettiva. c) La risposta di Gesù non usa alcun titolo cristologico della chiesa pri­ mitiva. In verità, Gesù sposta l'obiettivo da qualsivoglia genere di titolo che potrebbe definire la sua persona per orientarlo verso gli effetti eserci­ tati dal suo ministero nei confronti d'Israele: guarigioni e buona notizia ai poveri, la realizzazione della visione che Isaia aveva avuto degli ultimi giorni. La sua risposta resta allusiva, anziché diretta. d) Dietro alla beatitudine conclusiva di Gesù in Mt 1 1 ,6: «Beato chi non è impedito a credere a causa mia [alla lettera: beato chi non si scan­ dalizza di me] » , sta un appello discreto ma urgente a Giovanni ad andare oltre le delusioni subìte e ad accettare il ministero di Gesù come il modo scelto da Dio per portare la storia d'Israele alla sua consumazione secon­ do le promesse dell'Antico Testamento. Come accade in ciascuna beatitu­ dine, la promessa di felicità implica una minaccia di infelicità per chi non segue il sentiero giusto. e) L'intera pericope termina bruscamente con questa richiesta in forma

completa e una valutazione delle opinioni degli studiosi

su

Mt 1 1 ,2-6 e parr., vedi la trattazione al

cap. tredicesimo.

"' Sulla storicità fondamentale della pericope vedi W. KOMMEL,

lll.

Promise and Fu/filment,

cit.,

109-

Il risusCitamento di persone defunte

1027

di beatitudine, insieme alla minaccia implicita a chi non segue la direzilll­ ne indicata da questa stessa beatitudine. Non ci viene detto se Giovanni abbia mai riconosciuto la validità degli argomenti addotti da Gesù, se ab­ bia mai accettato il ministero di Gesù e Gesù stesso come «colui che deve venire». Ben !ungi dall'essere propaganda per convertire i seguaci del Battista al movimento di Gesù, questa pericope finisce con un silenzio imbarazzante circa la risposta del Battista all'appello di Gesù. �· · In tutto questo il k�rygma della croce, della risurrezione e della parusia annunciato dalla chiesa non ha avuto alcuna incidenza sulla domanda del Battista, sulla risposta di Gesù e la non risposta del battezzatore che chiu­ de la pericope, o piuttosto non riesce a chiuderla. Tenuto presente tutto questo, coloro che sostengono che Mt 1 1 ,2-6 e par. è semplicemente un'invenzione della chiesa primitiva devono addossarsi l'onere della pro­ va di questa loro tesi. Tutte le indicazioni puntano verso una tradizione radicata nel ministero del Giovanni storico e del Gesù storico. 2) C'è un secondo approccio col quale si tenta di neutralizzare l'inci­ denza di Mt 1 1 ,5 e par. Secondo questo approccio, alcune parti di Mt 1 1 ,5 possono anche essere autentiche, ma il riferimento ai morti che ri­ sorgono è un'aggiunta secondaria al detto, fatta dalla chiesa primitiva. Si potrebbe replicare che - se le cose stessero così - l'elemento secondario dev·'essere stato aggiunto molto presto, poiché il riferimento ai morti che vengono risuscitati era presente nelle due versioni Q che sono arrivate per vie indipendenti a Matteo e a Luca. Perché gli autori o i trasmettitori della tradizione Q avrebbero dovuto aggiungere il riferimento al risusci­ tamento dai morti, se il documento Q nel suo insieme non contiene alcun racconto di risuscitamento dai morti da parte di Gesù né alcun altro det­ to che faccia riferimento a iniziative di questo genere da lui intraprese? Come abbiamo già avuto modo di notare, il riferimento al risuscitamento dai morti in Mt 1 1 ,5 e par. non può essere ridotto a una qualche forma di distillato o riassunto del materiale Q reperito altrove, se è questa l'unica volta in questo documento in cui si fa menzione dei miracoli di risuscita­ mento dai morti compiuti da Gesù. Perché i custodi e trasmettitori della tradizione Q avrebbero dovuto aggiungere un tale riferimento ad un e­ lenco già esistente di miracoli, non è in alcun modo chiaro. A volte è stato affermato che la natura secondaria del riferimento al ri­ suscitamento dei morti può essere dimostrata sulla base di una certa di­ Scontinuità nel detto. Alcuni degli altri miracoli menzionati in Mt 1 1 ,5 e par. riecheggiano profezie del libro di Isaia, ma non nel caso del risuscita­ mento di morti. Sicché - si argomenta - «i morti vengono risuscitati» non appartiene alla forma originaria del detto. Ora, è vero che il riferimento

Miracoli

1028

ciechiche vedono, llgli storpi che camminano, ai. sordi che odono; rih­ cheggia effettivamente Is 35,5-6 e 42,18, mentre di lebbra e di risuscita­ mento dei morti non si parla nelle profezie. D'altronde; la sezione dd li­ bro di Isaia che molti studiosi definiscono Apocalisse di Isaia (ls 24-27) e­ salta effettivamente la distruzione da parte di Dio del potere della morte (ls 25,6-8; 26,19)'86• Poiché gli altri miracoli menzionati in Mt 1 1,5 e par. non sempre riecheggiano alla lettera le espressioni esatte che si trovano nei passi di Isaia, non c'è bisogno di supporre una citazione letterale nel caso dd risuscitamento dai morti"'. Certamente non potremmo.-esigere che tutte le profezie siano situate in una medesima sezione del libro di I­ saia, poiché la promessa della buona novella che viene proclamata ai po­ veri si trova molto più avanti, in Is 6 1 , 1 . Inoltre, se i primi custodi e trasmettitori della tradizione Q avessero ci­ maneggiato la lista dei miracoli in Mt 1 1 ,5 e par., o fatto aggiunte ad essa, ci si potrebbe chiedere perché non abbiano incluso anche il miracolo più frequente e noto, l'esorcismo, che - diversamente dal risuscitamento dai morti - è attestato in Q sia in racconti brevi che in vari detti (Mt 12,22-30 e par.). Si potrebbe argomentare che «i morti sono risuscitati» è un'aggiunta seriore anche chiamando in causa la struttura ritmica del detto Q così co­ me è giunto a noi. Esaminando Mt 1 1,5-6 e par. nel contesto dello studio dei modi di dire preferiti da Gesù, Joachim Jeremias trova che la cadenza binaria è tipica dei detti autentici di Gesù. Per. esattezza, Jeremias indi vi8

·

·�

Gli studiosi discutono se questi verseni siano stati aggiunti da un redattore più recente dd libro

di Isaia e se il loro significato originario riguardasse

la restaurazione nazionale di Israele o la risurre­ Isaiah l J-39 (OTL), Westminster,

zione dei moni alla fine del tempo. Per esempio, Orro KAISER,

Philadelphia 1974, 201, ritiene che l5,8a (YHWH «distruggerà la morte per sempre») sia un'aggiun­

ta fatta da un redattore seriore, che peraltro interpreta correttamente il versetto precedente sull'abo­ lizione della morte stessa. Kaiser, pp. 210.215-220, analogamente, pensa che 26,19 («i vostri morti vi­ vranno, i loro corpi risorgeranno») sia un'aggiunta tardiva al testo che parla della speranza della ri­

surrezione del corpo nell'ultimo giorno. Per una visione analoga di 25,8a ved i RE. CLEMBNTS, Isaiah 1-19 (NCB), Eerdmans - Marshall, Morgan and Scott, Grand Rapids - London 1980, 208-209, ma Oements interpreta 26,19 in riferimento alla restaurazione nazionale piuttosto che in riferimento alla risurrezione del singolo; per questo non considera il versetto una glossa seriore. In ogni caso, verso il

sec. I d.C. i versetti discussi erano nel testo del libro di Isaia ed erano ovviamente aperti a un'inter­ p�l8.Z:ione apocalittica.

Jr 26,19 [LXX] il vocabolario de ..i morti sono risuscitati» è presente, benché non in Mt I l ,5 e par. Is 26,19 [LXX] legge anastisontai hoi nekr6i, kài egherthisontai hoi en t6is mniméioiJ («i morti risorgeranno, e coloro [che sono] nelle tombe saranno risuscitati»). Si potrebbe quasi vedere Mt 1 1 ,5 come una combinazione nitida delle due espressioni nel suo semplice nekri>i eghéirontai. •r.

Di fatto in

modo così conciso come in

Il risuicitamento di persone de/unte

• 1 029

·dua il modello di sei righ� con due accenti riasCWla (tre righe più tre ri­ ghe) seguito da un riga a tre accenti come conclusione188• Personalmente sono contrario all'uso dell'argomento del ritmo per provare che è stato Gesù 'a pronunciare un determinato detto'"', ma l'argomento di Jeremias ha un suo uso limitato qui, in quanto mostra che il detto Q così com'è o­ ra dal punto di vista ritmico costituisce una unità a sé stante, non distur­ bata da una presunta aggiunta secondaria. Non c'è motivo di ritenere che 413. morti sono risuscitati» sia una glossa seriore aggiunta alla forma origi­ naria del detto. 3 ) Un terzo approccio che cerca di diminuire il valore del detto Q con­ 'Sh!te nell'ammettere che inizialmente tutto Mt 1 1 ,5 proveniva da Gesù e quindi nell'affermare che in origine Gesù intendeva queste parole da lui pronunciare in senso metaforico. Vale a dire, se per Marreo e Luca questo detto si riferisce ai miracoli compiuti da Gesù, il Gesù storico invece par­ lava di fatto dei benefici spirituali del suo ministero pubblico inteso come l'alba della consumazione del mondo. Proclamando la buona novella ai poveri Gesù restituiva la vista ai ciechi in senso spiriruale, faceva cammi­ nare gli storpi sempre in senso spirituale e ancora in senso spirituale risu­ scitava i morti a nuova vira. Questa interpretazione di Mt 1 1 ,5 è diffusa tra alcuni studiosi conservatori che intendono salvare l'autenticità del detto senza dover far fronte all'immagine scomoda di un Gesù storico -che sostiene di risuscitare i morti'l'l, ma la loro soluzione è esposta a tutta ooa serie di difficoltà. a) In questa soluzione l'intero Mt 1 1 ,5 e par. circolava nella prima ge­ nerazione cristiana perché e in quanto proveniva da Gesù, ma durante questo stesso periodo un grande numero di racconti premarciani di mira-

'" Vedi J. }ERE�nAS, Trologia del Nuot·n Testamento, cit., JOs. Nel testo greco }eremias trova il se­ gueme schénia ricorrente:

l.

typhlòi anablépusin chOiòi peripaturin lepròi kathamontai

[i ciedll tornano a vedere] [gli zoppi camminano] [i lebbrosi sono mondati]

2.

kài kiiphòi akùurin nekròi eghéirontai ptochòi eyanghelit.ofttrli

[e i sordi odono] [i moni sono risuscitati] [i poveri sono evangelizzati]

kài maktiriòs euin hòs eàn mi skandolirthe(i) en emòi [e beato è chi non prende scandalo per me] "' Vedi le mie osservazioni in Un ebreo marginale l, 174·179. "' Cosi, ad esempio, J. jEREMIAS, Trologia del Nuovo Testamento, cit., 124-128.

3.

1030

Miracoli

colo .( e direi anche alcuni racconti di miracolo prelucani e pregiovannei) erano anch'essi in circolazione. Come abbiamo visto, almeno alcuni di questi racconti di miracolo risalivano con ogni probabilità al ministero pubblico di Gesù, com'è il caso di Mt 1 1,5. Tra questi antichi racconti di miracolo occupavano un posto di rilievo racconti premarciani, prelucani e pregiovannei di Gesù che guarisce persone sofferenti per vari tipi di ce­ cità, di paralisi, di malattie della pelle e di sordità, nonché racconti di Ge­ sù che risuscitata i morti. Di fatto, solo la tradizione premarciana, che ap­ parteneva senz'ombra di dubbio alla prima generazione cristiana, cono­ sceva ciascuna di queste categorie. Sicché si fatica a immaginare che, con tutti questi racconti di miracolo in circolazione nella prima generazione cristiana, l'elenco Q sia mai stato inteso in senso metaforico. Non soltanto Matteo e Luca devono aver inte­ so l'elenco di Gesù in senso letterale. Sin dall'inizio i cristiani della tradi­ zione Q devono averla interpretata ovviamente in questo senso. In altre parole, data per scontata la reputazione di Gesù come taumaturgo, una reputazione che risale al suo ministero pubblico, in che modo un qualsia­ si gruppo di uditori ascoltando questo detto così lineare avrebbe potuto pensare che il linguaggio di Gesù taumaturgo a questo punto era soltanto metaforico? Questo interrogativo vale sia per coloro che ascoltarono Ge­ sù che pronunciava queste parole per la prima volta, sia per coloro che a­ ·Scoltavano la tradizione Q all'interno della chiesa primitiva. Manco a dir­ lo, è possibile sottrarsi a questa difficoltà ricorrendo a una soluzione salo­ monica, vale a dire sostenendo che i primi quattro verbi in Mt 1 1 ,5 e par. vanno presi alla lettera, mentre il riferimento ai morti risuscitati andrebbe inteso metaforicamente. Tale distinzione tra i 'miracoli' elencati è senza alcun fondamento nel testo ed è altamente artificiosa. b) Inoltre, potremmo chiederci: dove mai tra i detti di Gesù - o i rac­ conti su Gesù - troviamo un lungo elenco di azioni miracolose compiute da Gesù inteso in senso puramente metaforico? Nel caso un singolo ter­ mine sia usato in senso metaforico (e qui le immagini favorite sono quelle del 'vedere' e dell"udire'), il contesto rende il senso metaforico o spiri­ tuale perfettamente chiaro. In effetti, ammessa l'antichità e la vasta diffu­ sione della tradizione su Gesù operatore di miracoli, se si fosse voluto e­ vitare la confusione il contesto avrebbe dovuto far capire in modo del tutto chiaro che qui le parole andavano intese in senso metaforico. Per giunta, qualsiasi rischio di fraintendimento di solito viene evitato perché l'uso metaforico serve spesso a negare quello che i racconti di miracolo affermano: vale a dire che le persone reagiscono a Gesù (ri)conquistando la loro capacità di vedere e di udire. Per esempio, in passi come Mc 4,12

Il risuscitamento di persone defunte

103 1

e Gv 9,3 9-4 1 , Gesù rimprovera i suoi uditori. perché non vedono' e non sentono, vale a dire non capiscono la sua missione e il suo messaggio'"'. Questo senso metaforico e spirituale risulta ovvio dal contesto più ampio. c) Del tutto diverso dal contesto di questi usi metaforici è il contesto di Mt 1 1 ,5 e par. Qui il contesto è costituito dallo sconcerto e dai dubbi che Giovanni Battista nutre circa un precedente discepolo di nome Gesù. Come ho sostenuto nel cap. tredicesimo, l'imbarazzo per il dubbio del Battista riguardo a Gesù e l'imbarazzo ancor più grande provocato dal fatto che non si dice mai che il Battista abbia superato i suoi dubbi depo­ ne a favore dell'antichità del contesto. Nel suo ministero il Battista aveva proclamato la venuta imminente di un giudice severo che avrebbe con­ dannato i malvagi a una punizione terribile. Invece, Gesù che era stato un suo discepolo, finisce col superare il suo maestro nell'ampiezza e nel­ l'impatto del suo ministero, basando il suo successo su un messaggio di misericordia, di perdono e di guarigione, un messaggio che egli incarna nei suoi miracoli di guarigione. Non è questo che Giovanni Battista si aspettava e che aveva promesso, e in tal modo Giovanni pone l'interrogativo che gli preme: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?». È Gesù colui che è destinato a ricoprire un ruolo decisivo nell'epilogo del dramma escatolo­ gico d'Israele, nonostante il fatto che il suo ministero abbia preso una di­ rezione contraria a quanto il Battista aveva previsto? Come accade così spesso, Gesù devia l'attenzione da qualsivoglia tentativo di definire la sua persona orientando verso le azioni da lui compiute e gli effetti del suo mi­ nistero: i suoi miracoli e la proclamazione da parte sua della buona noti­ zia ai poveri. Questi, egli afferma a chiare lettere, sono i segni concreti i quali indicano che le promesse fatte dai profeti a Israele ora sono in via di compimento, per quanto ciò possa sembrare contrario al modo in cui Giovanni vedeva le cose. Gesù termina il suo elenco con un appello ur.·

�'' Ciascuno di questi esempi è istruttivo. In Mc 4,12 il contesto ampio è la comprensione o meno. (4,13) con il suo uso dei verbi di conoscenza e comprensione (6iddte, gn6sesthe). Inoltre, Mc 4,12 è una citazione parola per parola di ls 6,9·10, il che rende ancor più chiaro il riferimento al rifiuto del messaggio profetico. Gv 9,38·4 1 è più interessante per il fatto che il miracolo, che racconta sul piano letterale il dono deUa vi-; sta fisica fatto da Gesù a un uomo nato cieco in 9,1·7, occasiona l'uso metaforico di «ciecO» (typh/6s) delle parabole di Gesù, come fa capire chiaramente il versetto successivo

in riferimento ai farisei, i quali - con l'impiego della tipica ironia giovannea - applicano la metafora

a

se stessi al v. 40. n vocabolario di 'vedere' si sviluppa anch'esso lungo rutto il capitolo, daUa vista fisi·

ca che l'uomo riceve nel miracolo (vv. 1-7), aUa vista piena della fede, che egli infine acquista e di cui

parlano i w. 35-38.

1032

Miracoli

in fanna -di beatitudine, ma che ha. chiaramente di mira Giovanni (Mt 1 1 ,6ss. ): «E beato colui che non è impedito di credere a causa mia».

gente,

Non si deve permettere che questo messaggio e questi miracoli di miseri­ cordia diventino una pietra d'inciampo per il Battista, . che aveva atteso un messaggio ben più severo. Tenuto presente questo contesto, un'interpretazione puramente me· taforica del dare la vista ai ciechi, l'udito ai sordi e la vita ai motti ha mol­ to senso? Con la proclamazione in toni implacabili dell'imminente giudi­ zio di Dio, il Battista ovviamente voleva aprire gli occhi a coloro che era• no spiritualmente ciechi dinanzi al destino che incombeva su di loro e a• prire le orecchie a coloro che erano spiritualmente sordi al messaggio che li avrebbe salvati dall'ira di Dio. Sia i vangeli che Flavio Giuseppe affer­ mano che in effetti il Battista ebbe notevole successo in questa sua missio­ ne. Sicché dare la vista ai ciechi e l'udito ai sordi, se inteso in senso me­ taforico, potrebbe valere sia per il Battista che per Gesù. Se Gesù avesse usato le parole che troviamo ora in Mt 1 1 ,5 e par. in senso metaforico, es­ se non differenzierebbero a sufficienza il suo ministero da quello di Gio­ vanni né espliciterebbero il motivo della differenza. Se invece esse vengo­ no intese alla lettera, evidenziano i miracoli come il punto nel quale il mi­

nistero di Gesù divergeva da quello di Giovanni (Gv 10,4 1 : «Giovanni non ha fatto alcun segno»)·, come mezzi grazie ai quali il ministero pub­ blico di Gesù superava in potenza e capacità di impatto quello di Gio­ vanni e come la prova concreta del fatto che lo sconcertante messaggio di Gesù e il suo ministero pubblico costituivano il punto culminante del piano di Dio per Israele negli ultimi giorni. Se Gesù avesse inteso le sue parole in senso metaforico, sarebbe difficile cogliere la forza vincolante della sua argomentazione rivolta a Giovanni. Se invece alle parole che ha detto ha voluto dare un senso letterale, .la linea della sua argomentazione risulta chiara, indipendentemente dalla questione se Giovanni si sia la­ sciato convincere o meno da essa. In breve, non c'è alcun motivo solido per sostenere che Mt I l ,5 e par. è una creazione della chiesa primitiva e che in origine le parole di Gesù erano intese in senso puramente metafo­ rico. Ciò include la sua asserzione sul fatto che ((i morti sono risuscitati». Ho il sospetto che dietro a tutto il dibattito su Mt 1 1 ,5 e par. ci sià un problema più profondo: il desiderio perenne di far apparire Gesù come 'ragionevole' o 'razionale' all'uomo 'moderno' postilluminista, che guar' da alla realtà con aria sospetta, come un professore in un dipartimento di studi religiosi di qualche università americana. Forse il tentativo di vede­ re Gesù semplicemente come un filosofo stoico-cinico o come un antico

Il risuscitamento di persone defunte

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rabbino ebreo attivo tra H genti! 'Comune è la versione attuale, sofisticata, della ricerca, tipica dell'illuminismo, di un Gesù ragionevole, razionale, il maestro di moralità creato dalle forbici di Thomas Jefferson. I risultati di questo capitolo, come quelli dei precedenti capitoli sui miracoli, sono un monito salutare a prendere atto che il Gesù storico non combacia con la visione di molti accademici postilluministi per quanto concerne ciò che è ragionevole, razionale, o auspicabile in ambito religioso. A meno che intendiamo gettare a mare i criteri della storicità a favore di un Gesù cangiante che conferma immancabilmente le predilezioni reli­ giose di ciascuno, questi criteri ci impongono un'immagine di un ebreo palestinese del sec. I capace di compiere azioni sorprendenti, che tanto lui quanto alcuni tra i suoi uditori hanno considerato gesta potenti e mi­ racolose. Per Gesù queste azioni - incluse quelle che egli sostenne essere risuscitamenti di persone defunte - proclamavano e insieme attualizzava­ no, per quanto in maniera imperfetta, il regno di Dio promesso dai profe­ ti. Estrapolare queste gesta dal ministero pubblico del Gesù storico vuoi dire eliminare gran parte di quello che era per lui fondamentale. Dopo aver preso in esame tre categorie principali di miracolo (gli esor­ cismi, le guarigioni e i risuscitamenti dai morti), dobbiamo ora dedicare la nostra attenzione a quella che è forse la categoria più problematica, i cosiddetti miracoli sulla natura. Come avremo modo di vedere, il primo problema è costituito dal fatto che la categoria di miracoli sulla natura non è affatto una categoria valida.

I COSIDDETTI MIRACOLI SULLA NATURA

l.

I 'miracoli suDa natura' come categoria problematica per i vangeli

Se prendiamo in esame le categorie dei miracoli dei vangeli etichettati come esorcismi, guarigioni e risuscitamenti, non c'è alcun problema rile­ vante quando si tratta di definire ciascuna di esse. Espellere un demonio da una persona posseduta, guarire un malato liberandolo dalla sua infer­ mità, risuscitare una persona defunta restituendola alla vita, sono tutti concetti chiari, per quanto possano apparire incredibili all'uomo 'moder· , no'. Nei quattro vangeli ciascuna categoria vanta una forma letteraria piuttosto stabile, un vocabolario comune e un comune contenuto. Se ne­ cessario, è persino possibile distinguere all'interno di una data categ01ia delle sottocategorie. Per esempio, nei vangeli la guarigione di storpi, la restituzione della vista a ciechi e la purificazione di lebbrosi sono tutte sottocategorie distinte (ognuna contenente un certo numero di racconti singoli) . Anche queste sottocategorie hanno una forma, un vocabolario e un contenuto comuni. Non succede così per la categoria dei cosiddetti 'miracoli sulla natura', usata tradizionalmente per inglobare un ceno numero di racconti evan­ gelici di miracolo. In realtà, la forma, il linguaggio e il contenuto di questi racconti di miracolo sono talmente variegati, che ci si può interrogare a buon diritto se all'interno dei quattro vangeli i 'miracoli sulla natura' co­ stituiscano una categoria a sé stante, intelligibile come le categorie degli esorcismi, delle guarigioni e del risuscitamento dai morti. L'idea dei 'mi­ racoli sulla natura' è tutto meno che un'idea chiara e distinta secondo i criteri di Descartes. A essere più precisi, qualsivoglia tentativo di presen­ tare i 'miracoli sulla natura' come una categoria a sé e uniforme nei van­ geli si trova giocoforza ad affrontare obiezioni serie. l ) Già la stessa etichetta contiene un problema enorme, vale a dire la

I cosiddetti miracoli sullo noturo

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questione della definizione· di 'natura'. Sin dall'inizio -della terza parte di questo volume ho cercato di evitare nella misura del possibile il linguag­ gio della 'natura' e del 'naturale'. n vocabolario relativo alla 'natura' im­ plica due difficoltà principali. Da un lato, se si vuole usare il termine in maniera accurata, occorre anzitutto impegnarsi in pesanti dibattiti di filo­ sofia e teologia sulla definizione adeguata del concetto di 'natura' e arri· vare a una qualche conclusione concreta. Dall'altro, l'esegeta deve guar­ darsi dall'imporre al mondo dell'Antico e del Nuovo Testamento un'idea: di universo autonoma e autoreferenziale, che è tipica di alcune 5cuole della filosofia greca e della fisica newtoniana, ma non dei racconti di mi­ racolo dei vangeli. 2 ) Oltre al problema di una definizione astratta, c'è il problema più specifico di definire un 'miracolo sulla natura' rispetto all'esorcismo, alla guarigione e al risuscitamento. Un modo comune di definire un miracolo sulla natura è dire che esso parla del potere del taumaturgo nei confronti della materia inanimata e della sua capacità di mutarla, rispetto al potere che il taurnaturgo può avere nei confronti di persone vive, ma non sem­ bra una distinzione valida, giacché la categoria del risuscitamento dai morti (a volte assimilata alla categoria delle guarigioni) riguarda diretta­ mente il potere del taumaturgo nei confronti di quella materia inanimata che è il cadavere. Dunque il potere sulla materia inanimata non può co­ stituire una caratteristica essenziale che distingue un miracolo sulla natu­ ra da altre categorie di miracolo. Inoltre, a volte alcuni miracoli posti sotto la voce 'miracoli sulla natura' non riguardano semplicemente la materia inanimata. Per esempio, ipotiz­ ziamo, per amore di chiarezza e in funzione del nostro argomento, che Gesù abbia effettivamente camminato sulle acque del mare di Galilea. Nel compiere quest'impresa il suo potere miracoloso riguardava anche la capacità del suo corpo vivo di eseguire determinate azioni e non soltanto la qualità dell'acqua del mare di Galilea. Ancora una volta, la concezione chiara e uniforme di 'miracolo sulla natura' diventa problematica. 3 ) I racconti di solito designati come 'miracoli sulla natura' non hanno una forma comune, al di là della griglia fondamentale di un racconto di miracolo, e anche questo schema basilare a volte è forzato fino al punto di rottura. Come abbiamo visto, la forma dei racconti di miracolo, con tre parti fondamentali, comprende: a) l'ambientazione e la situazione ini­ ziale: il problema iniziale, la malattia, o il bisogno che può causare la ri­ chiesta di aiuto a Gesù o l'iniziativa di Gesù, insieme a varie circostanze collaterali e a un gruppo di astanti; b) il miracolo vero e proprio: le parole e/o i gesti di Gesù che guarisce la persona malata o va incontro alle sue

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Miracoli

necessità, insieme all'attestaZione del fatto che il miracolo è Vet"amente avvenuto, più qualche episodio o circostanza che confermano la realtà dd portento; c) la conclusione: spesso lo stupore degli astanti, la loro co­ sternazione, i loro interrogativi e dubbi, l'acclamazione, la lode, la fede (o l'incredulità) e/o il diffondersi della notizia dell'episodio e/o della fama di Gesù. Queste tre componenti fondamentali prevedono numerose va­ rianti, ma in molti dei 'miracoli sulla natura' l'una o l 'altra delle compo­ nenti fondamentali in pratica scompare. a) Nell'ambientazione, molto spesso il motivo della richiesta è sempli­ cemente assente. Certo, talune volte è assente anche in altri racconti di miracolo. Senza alcuna richiesta Gesù prende l'iniziativa di guarire alcu­ ne malattie (per esempio, il paralitico e il cieco nato in Gv 5 e 9), o di ri­ suscitare una persona defunta (per esempio, il figlio della vedova di Nain in Le 7 , 1 1 - 17). Tuttavia, anche in questi esempi Gesù di fatto reagisce alla necessità grave o urgente di qualcun altro. Mentre in alcuni dei 'miracoli sulla natura' manca anche questo elemento. Per esempio, la forma più o­ riginaria del racconto di Gesù che cammina sulle acque probabilmente non presentava i discepoli in pericolo (come nel racconto della tempesta sedata). Camminando sull'acqua Gesù si manifesta semplicemente nella sua maestà divina perché desidera farlo. Non si tratta di andare incontro ad alcun bisogno urgente di chicchessia. Analogamente, nella maledizione del fico, nessuno al di fuori di Gesù sente una qualche necessità e non si può certo dire che la sua fame sia un bisogno pressante o terribile, un bisogno peraltro che in ogni caso non potrebbe certo essere soddisfatto maledicendo un fico e quindi facendolo seccare. Nel racconto della tassa per il tempio in Mt 17,24-27, gli esattori chiedono se Gesù paghi o meno la tassa, non se la voglia pagare in quel­ l'istante (v. 24; cfr. v. 25). Sicché non c'è alcun bisogno grave o pressante. Anche interpretando la domanda degli esattori come una richiesta di pa­ gamento immediato, tale richiesta è tutto meno che la petizione di un mi­ racolo e la moneta per il pagamento poteva essere facilmente reperita per vie diverse dal miracolo, che peraltro non è mai raccontato. b) Stranamente, ad alcuni dei 'miracoli sulla natura' manca ciò che in altri racconti di miracolo costituisce il miracolo vero e proprio, vale a dire la parola o il gesto di Gesù che produce il miracolo. Per esempio, nell'ini­ ziativa della 'distribuzione di cibo alla moltitudine'', la preghiera di Gesù

' Uso l'espressione generica 'distribuzione di cibo alla moltitudine' per dtsignare le diverse versio· ni dei racconti evangelici su Gesù che nutre i cinquemila e su Gesù che nutre i quanromila.

[,'ro:riddetti miracoli :rulla natura

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i suoi gesti sul pane e sul pest:e sono 1ltmplicernente quei gesti che è so­ lito compiere l'ospite durante un banchetto giudaico solenne (semmai, nei racconti dei vangeli essi vengono menzionati per evocare paralleli con l'ultima cena e l'eucaristia cristiana). Non sorprende perciò il fatto che commentatori meno recenti discutessero se la 'moltiplicazione' dei pani e dei pesci avesse avuto luogo nelle mani di Gesù o nelle mani dei discepo· li. Il punto è che, diversamente dai racconti di esorcismo o di guarigione, si dice poco o nulla su quando e come esattamente avviene il miracolo. Per fare un altro esempio, il fatto che Gesù cammini sull'acqua costitui­ sce l'essenza di questo particolare miracolo sulla natura, ma nulla si dice. su qualche parola o gesto di Gesù che gli renda possibile camminare sul­ l'acqua. c) Talune volte manca la conclusione tipica di un racconto di miracolo, si tratti della reazione degli astanti o della diffusione della notizia del fab to miracoloso. Per esempio, nell'episodio della tassa sul tempio (Mt 17,24-27), il racconto termina improvvisamente col comando di Gesù a, Pietro di andare a pescare per trovare denaro sufficiente per pagare la tassa (v. 27). In tutte le versioni sinottiche della distribuzione di cibo alla moltitudine è assente la conclusione tipica del racconto di miracolo. Non si dice nulla né dell'acclamazione della folla attonita, né del diffondersi della notizia. Soltanto nella redazione giovannea del racconto tradiziona­ le si parla di una reazione da parte della folla (Gv 6,14- 15). Se ci si ferma a pensare a questo dettaglio, si vede come nella versione sinottica della distribuzione di cibo alla moltitudine la richiesta iniziale di un miracolo, la parola e il gesto di Gesù che produce il vero e proprio miracolo e la conclusione usuale siano tutti elementi assenti . . . Nemmeno queste differenze rispetto alla forma fondamentale di un racconto di miracolo ci aiutano però a raggruppare i cosiddetti miracoli sulla natura in una unica categoria uniforme di racconti diversi o di un racconto di 'non miracolo', poiché alcuni dei miracoli sulla natura di fat­ to seguono abbastanza da vicino la forma fondamentale del racconto di miracolo. Per esempio, la tempesta sedata ha tutte e tre le componenti più importanti e, in certa misura, lo stesso si può dire della maledizione del fico, se combiniamo insieme le due metà del racconto di Marco (Mc 1 1 , 12-14.20-2 1 Il Mt 2 1 , 1 8-20)2• Sicché l'incoerenza è totale: i cosiddetti e

.

· •·La f1111e di Gesù (Mc 1 1 .12 e par.) deve prendere il posto della neeessità pressante o grave di un •altra persona e il fatto che i discepoli odano la maledizione di Gesù ( 1 1,14) e che il giorno succes­ sivo vedano l'albero seccato sostituiscono l'attestazione e la conferma del miracolo. Il ricordo da par-

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MirtJCO!i

'miracoli sulla natura' non · sono· coerenti nemmeno tra di loro, n d loro distanziarsi dalla forma fondamentale del racconto di miracolo. " ·4) Oltre alle forme disparate, notiamo una grande varietà nel contenu­ to e di conseguenza nel vocabolario. Soltanto quello che Gerd Theissen definisce 'miracolo di donazione' consente di raccogliere sotto un unico denominatore alcuni, pochi miracoli sulla natura. Theissen definisce il miracolo di donazione come un miracolo in cui vengono forniti beni ma­ teriali in modo sorprendente. Questi miracoli conferiscono doni che van­ no oltre le semplici necessità vitali e che sono quindi straordinari, in par­ ticolare doni che derivano da materiale che è stato trasformato, moltipli­ cato e ammassato'. ll contenuto comune costituito dal fatto che Gesù, di­ rettamente o indirettamente, dà cibo (o bevanda) a persone che ne hanno bisogno, unisce insieme il miracolo di Cana e l'iniziativa con cui Gesù nutre la moltitudine e - in misura minore - la pesca miracolosa. La pesca miracolosa differisce dai due racconti che appartengono chia­ ramente alla categoria del miracolo di donazione in quanto - almeno nel­ la forma lucana del racconto - i pescatori di mestiere non avevano biso­ gno immediato di cibo per se stessi e presumibilmente avrebbero vendu­ to la maggior parte del pesce pescato, anziché consumarne personalmen­ te una così grande quantità'. Di fatto, nel racconto attuale in Luca, l'inte­ ra questione diventa controversa, perché Gesù ordina immediatamente ai pescatori di seguirlo e quindi in concreto di abbandonare il dono del pe­ sce che hanno appena ricevuto miracolosamente (Le 5 , 1 1 : per quello che altri critici chiamerebbero fonna secondaria, o 'genere', o 'Gattung'. • G. THEJSSEN, Urr:hrirtliche Wundergerchichten, cit., 102; come nota Theissen, in un senso più am· pio ogni miracolo è un'epifania, un 'apparizione della realtà celeste o divina neO'ambito della realtà visibile, terrena. Diversamente da Theissen, non considererei un miracolo di ep1/ania compiuto da Gesù né l'audi· zione e visione dopo il suo battesimo, né la sua trasfigurazione. l) Non è possibile pensare agli eventi dopo il battesimo come a miracoli compiuti o operati da Gesù; egli è piuttosto il destinatario deUa vi­ sione. In effetti, nel racconto di Marco (Mc 1,10- 1 1), che costituisce la più antica versione scritta del­ la tradizione che noi possediamo, Gesù riceve so/tonto la visione, che in ral modo rimane una comu­ nicazione privata di Dio Padre a colui che egli designa come suo Figlio. Tale evento non rientra neUa definizione di miracolo da noi assunta fin daU'inizio deUa terza pane di questo volume, una defini­ zione che esige che l'evento straordinario sia percepibile in linea di principio da qualsiasi osservatore interessato e non prevenuto. Se è vero che la questione non è del tutto chiara, Luca (3,21-22) sembra conservare l'idea di Marco secondo cui la visione è concessa a Gesù soltanto. Matteo, il quale sottoli­ nea la natura pubblica deUa rivelazione, estende quanto meno la voce celeste a un gruppo più ampio e non specificato in quanto fa dire ad essa (MI 3,17): «Questo è [non il marciano e lucano 'Tu sei'] il mio Figlio diletto,.. In ogni caso, stiamo trattando qui di una teofania o di una «visione interpretati­ v.,. (Deutevision è il tennine usato da F. LENTZEN-DEIS, nel suo Die Jàu/e ]esu, cit., 195-289), una vi­ lione di cui Gesù è destinatario, non un miracolo di epifania operato da Gesù perché altri lo vedano. 2) Lo stesso vale fondamentalmente per la trasfigurazione (Mc 9,2-10 e parr.). Anche in questo caso si trana di una vislone esoterica, non di un miracolo operato da Gesù e percepibile in linea di princi­ pio da tutti i presenti. Matteo definisce esplicitamente la trasfigurazione una «vision.,. (tò horama) che riprende lo tSphthe e hà éidon del racconto di Marco (Mc 9,4.9). La natura esoterica deUa visione è sottolineata non soltanto con la restrizione alla cerchia intima di Pietro, Giacomo e Giovanni, ma anche dal comando di Gesù che impone li discepoli di non dire nulla a nessuno della visione prima •

'l rosidlletti miracoli sulla natura

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3 ) Il miracolo di salvataggio implica un gesto d i salvataggio o dal mare ,in tempesta o dalla prigione. Nel ministero pubblico di Gesù troviamo

.solo un caso di salvataggio dal mare. L'unico episodio chiaro al riguardo è la tempesta sedata. 4) Il miracolo di maledizione (detto anche miracolo punitivo o miracolo di distruzione) produce qualche danno o effetto distruttivo inteso dal taumaturgo e ciò in base a una semplice parola o a un desiderio espresso o a un ordine impartito. Nel ministero pubblico di Gesù, l'unico esempio è la maledizione del fico. Guardando a questo elenco, nella nostra mente dovremmo sentire ri­ suonare immediatamente un campanello d'allarme. Quando abbiamo in­ trapreso la nostra iniziale panoramica o inventario dei racconti di miraco­ lo nei vangeli, abbiamo visto che (a prescindere dai paralleli sul piano let­ terario) i vangeli contengono sei esorcismi, quattro guarigioni e tre rac­ conti di risuscitamento. Queste categorie sono attestate da tutta una serie di differenti fonti evangeliche e, in numerosi casi, sia da racconti che da detti. In realtà, entro la categoria delle guarigioni troviamo categorie mi­ nori come la guarigione di storpi, la restituzione della vista a ciechi e la purificazione di lebbrosi, ciascuna delle quali a sua volta è attestata da tutta una serie di racconti provenienti da fonti diverse, nonché dalle due forme differenti dei racconti e dei detti. Il contrasto con le quattro categorie elencate· qui sopra ' non potrebbe

della sua risurrezione. 3) Una difficoltà ulteriore nella tranazione sia della teofania di Gesù al battesi· mo che della sua trasfigurazione consiste nel fatto che in ciascun caso il racconto completo della vi­ sione esoterica è attestato chiaramente da una sola fonte evangelica. a) Certo, personalmente ritengo che il documento Q contenesse anch'esso un racconto del battesimo di Gesù insieme alla successiva teofania, ma devo ammettere che mold esegeti rifiutano questo posizione e che in ogni caso non è possibile ricostruire quello che il documento Q poteva contenere esattamente. b) Per quanto concer· ne la trasfigurazione, disponiamo della tradizione marciana soltanto, che Matteo e Luca hanno redat· to per i loro obiettivi. Su questo punto non mi convince del tutto la tesi, pera1tro accuraramente ela­ borata, di BARBARA E. REID, The Tram/iguration: A Source · and Redddion Critica/ Study o/ Luke 9.28-36 (CahRB 32), Gabalda, Paris l993, la quale sostiene che, in aggiunta a Marco, Luca aveva ac· cesso a una fonte non marciana per il suo racconto della trasfigurazione. Secondo me, il modo mi· gliore per spiegare le differenze tra il racconto marciano e quello lucano è quello di tener conto della redazione lucana del testo marciano. Cosi, con una fonte soltanto per ciascuna visione esoterica, la questione della storicità è molto difficile da trattare. Che Gesù e/o i suoi discepoli abbiano fatto e­ sperienza di visioni spirituali durante il ministero pubblico è perfettamente possibile in linea di prin· cipio. Se questi racconti di visioni specifiche in occasioni specifiche riflenano originarie esperienze soggettive di Gesù e dei suoi discepoli, o se siano semplicemente veicoli di interpretazione usati dalla chiesa primitiva, è una quesrione che non saprei come risolvere. Un giudizio analogo si potrebbe for· mulare per quanto concerne le tentazioni di Gesù. ·

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Miracoti

essere più marcato. Ad eccezione dei miracoli di donazione, ciascuna ca­ tegoria conta un solo episodio e persino il miracolo di donazione vanta non più di due casi specifici. Particolarmente problematica è la situazio­ ne del miracolo di salvataggio dal mare in tempesta e il miracolo di male­ dizione. Oltre che ad essere rappresentata da un solo episodio evangeli­ co, ciascuna categoria si trova in una fonte soltanto e solo in una forma letteraria. Sicché il criterio dell'attestazione molteplice delle fonti e delle forme, che è cruciale sia nella nostra panoramica che nella nostra analisi detta­ gliata degli esorcismi, delle guarigioni e dei risuscitamenti, risulta sempli­ cemente 'non operativo' per i miracoli ·di salvataggio dalle acque in tem­ pesta e per i miracoli di maledizione. Per essere schietti, poiché l'attesta­ zione molteplice è risultato essere l'unico criterio di importanza assoluta nella valutazione delle tre più importanti categorie di miracolo, la sua i­ napplicabilità al caso dei miracoli di salvataggio dal mare in tempesta e di maledizione solleva un serio punto interrogativo sul tentativo di stabilire una qualche base storica nel ministero pubblico di Gesù per questi rac­ conti di miracolo. Dico questo non per decidere d'un colpo l'intera pro­ blematica. È chiaro però che un'analisi più accurata di questi racconti dovrà fornire motivi seri per affermarne un nucleo di storicità, se si vo­ gliono superare le iniziali impressioni negative che questi brani evangelici suscitano. Nel caso del miracolo di epifania, tutto sommato le cnse non sono messe molto meglio. Anche qui esso è rappresentato da un solo episodio, il cammino di Gesù sulle acque, che ricorre in una sola forma letteraria. Peraltro, il racconto può vantare effettivamente un'attestazione moltepli­ ce delle fonti e delle forme (Mc 6 e Gv 6), per cui merita un'attenzione maggiore che non le prime due categorie. L'ultima categoria che rimane, il miracolo di donazione, è l'unica cate­ goria che contiene un certo numero di racconti di miracolo, ma, come . abbiamo già avuto modo di vedere, i racconti importanti possono essere ridotti a due: il miracolo del vino a Cana e il miracolo della distribuzione di cibo alla moltitudine. La storia della tassa sul tempio non è affatto un racconto di miracolo. La pesca miracolosa, oltre a divergere sotto alcuni aspetti dai due principali racconti di miracolo di donazione, può essere benissimo il racconto di un'apparizione postpasquale di Gesù (com'è in Gv 2 1 ) retroproiettata agli inizi del ministero pubblico (dove si trova in Le 5). Se si tratta veramente di un originario racconto postpasquale, allo­ ra per definizione esso. non rientra nell'ambito d'indagine sul Gesù stori­ co così com 'è stata definita dal nostro Un ebreo marginale.

rrosiddetti miracoli sulla natura

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D miracolo del vino· a Cana parla effettivamente di un vero miracolo di donazione, ma anch'esso è privo di un'attestazione molteplice delle fonti e delle forme; è un episodio isolato, attestato solo dalla tradizione giovan­ nea. L'unico miracolo di donazione che vanti un'attestazione molteplice delle fonti (ma non delle forme)10 è la distribuzione di cibo alla moltitudi­ ne, di cui si parla sia nella tradizione marciana che nella tradizione gio­ vannea. Di fatto, la tradizione della distribuzione di cibo alla moltitudine occupa un posto a sé all'interno di tutti gli altri racconti di miracolo, in quanto è l'unico racconto presente in tutti e quattro i vangeli. Ciò nono­ stante, quando si arriva all'attestazione molteplice delle fonti, questa pre­ minenza si riduce in sostanza all'attestazione sia nella tradizione marciana che nella tradizione giovannea. Nonostante questa attestazione limitata, peraltro, la distribuzione di cibo alla moltitudine vanta un'attestazione migliore di tutti gli altri cosiddetti 'miracoli sulla natura' e quindi merita un'analisi più accurata degli altri racconti". Il risultato di tutte queste osservazioni è che la maggior pane di questi cosiddetti 'miracoli sulla natura', considerato che di fatto più di uno di essi presenta un solo racconto concreto e nella stragrande maggioranza dei casi manca l'attestazione molteplice delle fonti e delle forme, pone problemi gravi a chiunque cerchi di stabilire per essi una qualche base storica. Prenderò in esame ciascun racconto a sé, per vedere se i proble·

'" In Mc 8,19·20 il Gesù marciano ricorda ai suoi discepoli in una maniera quasi catechetica i due episodi della distribuzione di cibo alla moltitudine in Mc 6,30·44 e 8,1 ·9. Queste affennazioni sono considerate da quasi tuili gli studiosi creazioni redazionali di Marco. Per esempio, R. PESCH, Das Markusevangelium, cit., l, 4 1 1 [trad. it., l , 644], pensa che per i w. 18b·21 qualsiasi altra spiegazione diversa da queUa che attribuisce i versetti alla redazione marciana sia praticamente impossibile. Pesch rimanda alla presentazione dei due racconti di distribuzione di cibo alla mo1titudine come a due eventi distinti all'in�mo di una panicolare corrente narrativa; ciascuno dei due racconti si sa� rebbe coagulato attorno a un preciso vo�abolario usato per i cesti (kophinus e spyrfoon). Prospettive analoghe sulla natura redazionale di Mc 8,1 9-20 sono espresse da V. TAYLOR, 1'he Gospel According to St. Mark, cit., 363-364.367; W GRUNDMANN, Markus, cit., 164; R GUEUCH, Mark 1-8,26, cit., 4 19; C. MANN, Mark, cit., 334. Tra gli studiosi attuali che cercano di replicare agli argomenti a favo.., del­ la redazione marciana, R GUNDRY, Mark, cit., 41 0-416, rappresenta una minoranza molto ridotta. Alla fme, persino Gundry (p. 413) deve riconoscere che le sue osservazioni «non provano .l'origine tradizionale dei vv. 13 -14. 16-21». È difficile non vedere la mano redazionale di Marco in questo som· mario. Con questa ripetizione catechetica Marco opera sia sul piano teologico (in quanto sottolinea il suo tema del segreto messianico e la cecità dei discepoli dinanzi ad esso) che su quello letterario (in quanto riepiloga il punto culminante della prima metà del vangelo e prepara la seconda metà). L'attestazione migliore (confrontata con il racconto di Gesù che cammina sull'acqua) proviene dal fatto che all'interno della tradizione premarciana il racconto della distribuzione di cibo alla molti· tudine già circolava in due versioni differenci, la nutrizione dei cinquemila e la nutrizione dei quat­ tromila. 11

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Mirocoli

mi sono msormontabili. ·Poiché queSti racconti non appartengono a nes­ suna categoria precisa o a nessuna forma subordinata all'interno della più ampia categoria dei racconti di' miracolo, qualsiasi raggruppamento o or­ dine eli successione nella trattazione è in qualche modo arbitrario. Per convenienza partirò dai due miracoli attribuiti quasi universalmente alla creatività della chiesa primitiva, anche se molti apologeti cristiani vorreb­ bero invece difendere la storicità dei miracoli evangelici: Pietro che trova una moneta nella bocca di un pesce e Gesù che maledice un fico sterile. Il gruppo successivo che prenderemo in considerazione consta di tre racconti che vantano punti di somiglianza meno superficiali. Tutti e tte riguardano il rapporto di Gesù con i suoi eliscepoli, i quali sono presenta­ ti in situazioni di necessità mentre si trovano sulla loro barca sul mare eli Galilea. In ciascun caso la difficoltà dei discepoli è risolta da parole mira­ colose di Gesù: la pesca miracolosa che riesce improvvisamente dopo una notte di fatica inutile, Gesù che cammina sull'acqua e Gesù che placa la tempesta. Tuttavia, nonostante gli apparenti punti di somiglianza, trove­ remo che questi tre racconti appartengono a categorie differenti. Infine, prenderemo in esame gli unici due racconti che appartengono effettivamente a una medesima categoria: il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino a Cana e il miracolo della distribuzione di cibo ai cin­ quemila (o ai quattromila) . Entrambi questi miracoli si presentano come miracoli di donazione riguardanti in qualche modo il nutrimento. In tutto questo processo occorre sottolineare che le mie decisioni sono state raggiunte e saranno raggiunte non sulla base di un giudizio filosofi­ co formulato a priori (per esempio, siffatti miracoli non accadono sempli­ cemente perché non possono accadere) , ma piuttosto sulla base dei me­ desimi criteri di storicità che sono stati applicati alla tradizione di Gesù in generale e alle altre categorie di miracolo in particolare. Se arriveremo a dire che alcuni dei racconti presi in considerazione sono creazioni della chiesa primitiva, tale giudizio sarà formulato sulla base dei criteri di stori­ cità e non a partire da presupposti filosofici. Ecco perché questi racconti sono trattati in modo così ampio. Nella misura del possibile cerco di ga­ rantire che la decisione presa in ciascun caso sia basata sulla documenta­ zione, non su propensioni ideologiche.

I conddetti miracoli sulla natura

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3. D racconto della tassa sul tempio (Mt 17,24-27)

Spesso per amore di completezza il racconto della tassa sul tempio" è inserito nell'inventario dei racconti di miracolo dei vangeli, di solito entro la categoria dei 'miracoli sulla natura'", ma secondo i criteri di critica del­ le forme questa pericope non è Wl racconto di miracolo e, rigorosamente parlando, in essa non viene narrato alcun miracolo. Di fatto, questo rac­ ' conto, esclusivo del vangelo secondo Ma tteo e caratterizzato dal vocabo­ lario, dallo stile, dalle connessioni letterarie e dagli interessi teologici tipi­ ci di questo evangelista", è così strano, che è difficile annoverarlo in una

" Per la trattazione nei commentari classici vedi W. GRUNDMANN, Das Euangelium nach Mallhiius, 409-4 1 1 ; ]. MEIER, Matthew, cit., 195·198; R GUNDRY , Matthew, cit., 355-357; W. DAVJES - D. ALLISON, Matthew, cit., 2, 73 7 · 749. Altra bibliografia utile: J. DUNCAN M. DERREIT, Peter's Pemry, in l.Aw in 1be New Testament, Danon, Longman & Todd , London 1970 (pubblicato in una forma pre­ cedente in NouT 6 [1%3] 1-15); H.W. MONTEFIORE, Jesus and the Tempie Tax, in NTS I l (19641%5) 60-7t; H. VAN DER Loos, The Mirocles of]esus, cit., 680-687; NEIL J. McELENEY, Mt 17,24-27 Who P.Ud the Tempie Tax? A Lesson in Auoidance o/ Scandal, in CBQ 38 ( 1976) 178-192; RICHARD ]. CASSIDY , Matthew 11,24-2 7 - A Word on Ciui/ Taxes, in CBQ 4 l (1979) 571 -580; W. HORBURY, The Tempie Tax, in Jesus and the Politics o/ His Day, a cura di Emst Bammel e C.F.D. Moule, Cambridge University, Cambridge 1984, 265-286; R. BAUCKHAM, The Coin, cit., 219-252. Tra le fonti giudaiche fondamentali per la nostra conoscenza della tassa sul tempio ci sono Es 30,1 1-16 . L'episodio equivalente in Giovanni è narrato non come evento separa­ to in un giorno diverso, ma come conclusione del racconto della purifica­ zione (2,13-22) in 2, 18-22. Dopo che è stato citato il versetto della Scrit­ tura relativo al tempio (la 'casa' 2 , 1 7 ) i «giudei» (il vocabolo fisso con il quale Giovanni designa le autorità ostili di Gerusalemme) provocano Ge­ sù con la domanda: «Quale segno ci mostri [per giustificare o legittimare il fatto] che tu faccia queste cose?». Da notare che sia in Marco che in Giovanni questa domanda sul diritto (o l'autorità) di Gesù di purificare il tempio termina con una frase che contiene gli stessi vocaboli greci: tduta poiéis («tu fai queste cose>>). È questo un indizio valido del fatto che, nonostante tutte le differenze redazionali, ci troviamo di fronte a un medesimo racconto fondamentale. Sia in Marco che in Giovanni, dopo la purificazione e a causa della puri· ficazione, le autorità ufficiali di Gerusalemme contestano Gesù e lo sfida­ no a dare una qualche prova del fatto che egli è autorizzato ad agire così, una qualche spiegazione o ragione del perché «fa queste cose>>. In en­ trambi i racconti Gesù non risponde direttamente, bensì in maniera enig­ matica, o con una controdomanda o con un detto simile a un enigma. Poiché questo intimo nesso logico tra la purificazione del tempio e la contestazione di Gesù si trova, in maniera indipendente, sia in Marco che in Giovanni, questo parallelismo fa pensare che in origine la contestazio­ ne di Gesù seguisse immediatamente la purificazione del tempio, secon­ do l'ordine di successione che il racconto di Giovanni ha conservato"'. n risultato di questa analisi è che, nonostante tutte le differenze nella disposizione del materiale e nel linguaggio, sia Marco che Giovanni atte­ stano un antico complesso di materiale narrativo che narrava l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, la sua purificazione del tempio e la contestazione te

" Su qu.sto vedi C. Dooo. Historicol Trodition, cit., 160-162 [trad. it., 203-205]; R. BROWN, The Gospel According lo ]ohn, cit. l, 1 19 [trad. it., 157]. ,

Miracoli

1076

del suo gesto da parte delle autorità di Gerusalemme62• Sicché le tre più importanti sezioni di Mc 1 1 erano presenti già nella tradizione primitiva che l'autore premarciano conobbe e usò. Ad essere altrettanto significati­ vo è quel materiale che, a quanto pare, non era presente nella primissima tradizione discernibile che raccontava questi tre episodi. Se Giovanni da un lato mostra di avere una conoscenza perfetta dell'ingresso trionfale, della purificazione e della conseguente contestazione all'autorità di Gesù, egli tuttavia non contiene tracce dell 'episodio della maledizione del fico. In verità, poiché Matteo dipende da Marco per la sua versione di questo episodio, di questo racconto di miracolo non è possibile trovare nes­ sun'altra versione indipeJtdente nei quattro vaQgeli6'. Ciò fa pensare che,

" Presuppongo qui quella che sembra l'opinione della maggioranza tra gli esegeti, vale a dire che il

quano evangelista ha spostato

la .purificazione del tempio agli inizi del ministero pubblico sia per 8\1'.

volgere l'intero quano vangelo in un'aura di pasqua·passione, sia per fare del risusciramenro di Laz·

zaro la principale causa scatenante per l'arresto di Gesù. Su questo punto vedi Un ebreo marginale,

l, 370-372, e la trattazione del risuscitamento di Lazzaro più sopra. Come ho notato in Un ebreo margino/e 1. 50-52, concordo con la maggioranza dei commentatori giovannei del sec. xx sul fatto che Giovanni auinge a una tradizione analoga a quella dei vangeli sipottici, ma indipendente da essa.

Questa posizione_è già stata confermata dalla mia trattazione di .varie pericopi (per esempio, la guari­

gione del servo del centurion� o del figlio dell'ufficiale regio) e sarà confennata di nuovo dalla mia trattazione del racconto di Gesù che cammina sull'acqua e della distribuzione di cibo all a moltitudi­ ne, in questo capitolo. Sicché

la teoria . Tutto quello che manca è l'iniziale esortazione che troviamo in Mc 6,50: «Fatevi coraggio». Subito dopo il detto di rivelazione di Gesù, invece, Giovanni si disco· sta radicalmente da Marco e presenta una finale del racconto molto di­ versa e molto brusca. La finale marciana è molto più tipica di un raccon· to di miracolo: l) Marco espone la soluzione del problema; la separazio­ ne da Gesù è superata dal fatto che Gesù sale in barca con i discepoli e la sua presenza placa il vento impetuoso (6,5 1ab); 2 ) Marco nota il grande stupore dei testimoni del miracolo (6,5 l c) ; 3 ) Marco conclude l'intero racconto con la sua tipica teologia redazionale, sottolineando il fatto che, nonostante il miracolo compiuto da Gesù, i discepoli non compresero la sua vera identità (6,52). Invece, Giovanni fa terminare il racconto così in fretta che alcuni ese­ geti si trovano in difficoltà a spiegare il versetto finale (6,2 1): «Allora essi [i discepoli] vollero prenderlo [Gesù] sulla barca e immediatamente la barca fu sulla riva dove stavano andando». n fatto che sia poco chiaro se i discepoli riuscirono o meno a prendere Gesù in barca con loro non ha importanza. Non appena vogliono farlo, subito - e quindi miracolosa­ mente la barca si trova sulla sponda lontana (nel racconto di Giovanni, quella di Cafamao) che i discepoli avevano cercato con tanta fatica di raggiungere'". Poiché, a causa del forte vento, i discepoli erano riusciti ad allontanarsi dalla riva di partenza remando solo tre o quattro miglia, l'arrivo immediato alla sponda opposta può essere letto soltanto come un secondo miracolo aggiunto al primo (di Gesù che cammina sull'acqua); o deriva da quellom? 1.

·.

-

"' L'avverbio

euthéOs («immediatamente»)

in Gv 6,21 dovrebbe essere inte90 nel senso preciso di

Cstantaneamente», come risulta chiaro dagli altri due casi in cui Giovanni lo usa: la guarigione dd paralitico (5,9) e il canto del gallo dopo il rinnegarnento di Pietro ( 1 8,27). Non abbiamo qui il feno· meno marciano di eythy's usato con eccessiva frequenza e quindi indebolito nel suo significato. "' Sull'immediatezza dell'arrivo come dato miracoloso vedi C. G!BLIN, The Miraculous cit.,

97. Giblin fa l'interessante osservazione secondo cui l'arrivo immediato all 'altra sponda

Crossing, è la con·

·-1 cosiddetti miracoli sulla natura

1 1 15

Di questo 'miracolo su: un altro miracolo' c'è un indizio in Marco, in quanto il vento contrario cessa non appena Gesù sale in barca. Non dob­ biamo sorprenderei più di tanto se questo miracolo accennato nella tradi­ zione premarciana, nel vangelo secondo Giovanni sia diventato un mira• colo vero e proprio. Di norma la tradizione giovannea tende ad accentua­ re l'aspetto miracoloso rispetto ai vangeli sinottici (per esempio, soltanto nel vangelo secondo Giovanni Gesù guarisce un cieco nato e risuscita un mono che è da quattro giorni nel sepolcro). Sicché, mentre in Marco il vento che si placa aiuta senza dubbio i discepoli a remare più spedita­ mente verso la loro destinazione, in Giovanni non si parla di vento che si calma o di discepoli che remano più agevolmente. Tali dettagli sarebbero stati superflui perché la barca viene trasportata di colpo e miracolosa­ mente a destinazione. Tanto è il potere dell'epifania della Parola fatta car­ ne quando dichiara il suo ego eimi. Di fronte a questa epifania sarebbe im pensabile che i discepoli continuassero il loro remare profano, per quanto spedito a questo punto, per arrivare alla sponda con strumenti comuni. Chiaramente, il marchio dell'elevata cristologia giovannea si ri· scontra ovunque nel versetto conclusivo del suo racconto'".

••

C. LA VERSIONE ORIGINARIA DEL RACCONTO Dopo aver passato in rassegna i contenuti del racconto di Giovanni e i punti salienti sui quali essi concordano o non concordano con Marco, quale potrà essere la nostra conclusione circa la forma primitiva del rac-

seguenza del

fano che Gesù va verso i discepoli Cllmminando sull'acqua, della"sua ·autoidentificazi6'

ne e della disponibilità dei discepoli a riceverlo. Se questa osservazione ci aiuta ad apprezzare l'unità organica del racconto, ritengo tuttavia che sia esagerato affermare, come fa Giblin (p. 98), che l'arri­ vo immediato e miracoloso della barca è «l'intento principale del racconto�>.

'" C. GmLIN, The Miraculous Crossing, cit., 98-99; sostiene che sull'acqua, inclusa la sua miracolosa conclusione, aiuta: come emerge dal racconto, sono in particolare i

l)

il racconro di Gesù che cammina

a distinguere tra i discepoli credenti (che,

Dodici) e la folla non credente; 2) a preparare il di­

scorso che farà Gesù a ciascun gruppo; e 3) a preparare la reazione di ciascun gruppo a Gesù, in par­ ticolare la professione di fede di Pietro (6,68-69). Si tratta di un'ipotesi suggestiva, ma occorre am­ mettere che nulla nella parte finale del cap. 6 indica che la ·reazione positiva di Pietro e dei Dodici sia basata sulla loro esperienza di Gesù che cammina sull'acqua e sull'arrivo miracoloso della barca al­ l'altra sponda. Come può il lettore sapere che la reazione di Pietro è basata su questi miracoli anziché (o, oltre che) sul grande 'segno' che domina il capitolo, la distribuzione di cibo ai cinquemila? Se il racconto di Gesù che cammina sull'acqua e l'arrivo miracoloso all'altra sponda sono così impananti, perché l'evangelista non dice esplicitamente che anch'essi sono 'segni'?

1 116

Miracoli

conto, .una forma che esisteva prima della redazione di Marco e di Gio­ vanni? Dubito che siamo in grado di ricostruire tale versione originaria parola per parola, in particolare nella conclusione,. dove Matteo, Marco e Giovanni divergono l'uno dall'altro. Ciò nonostante, le concordanze tra Marco e Giovanni e i punti in cui i loro interventi redazionali risultano e­ videnti, ci consentono di ipotizzare quale possa essere stato il contenuto fondamentale del racconto originario. Al pari di qualsivoglia altro rac­ conto di miracolo, esso doveva avere tre parti principali: l) l'ambienta­ zione e le circostanze che l'accompagnavano; 2 ) il detto e/o l'azione di Gesù che compie il. miracolo; 3 ) la reazione degli astanti, oltre a ulteriori conseguenze del miracolo e/o una conclusione. l ) L'ambientazione e le circostanze concomitanti. a) L'ambientazione temporale e geografica: sia nella tradizione premarciana che in quella pregiovannea, il racconto era già connesso con quello della distribuzione di cibo ai cinquemila. Questo legame poneva il racconto di Gesù cht cammina sull'acqua entro il contesto di una fase culminante del ministero pubblico di Gesù in Galilea. Ovviamente, la natura stessa del racconto di Gesù che cammina sull'acqua situava la pericope con maggior precisione presso e sul lago di Galilea (in Giovanni noto anche come lago di Tibe· riade). Punti di divergenza sulla collocazione del racconto della distribu· zione di cibo ai cinquemila nei vari vangeli, oltre che il disaccordo sulla ' destinazione dei discepoli in barca , rendono impossibile una collocazione geografica più precisa, nonostante i numerosi tentativi degli esegeti di ar· monizzare i racconti'". b) L'azione iniziale di Gesù: in entrambi i racconti - ma in modi diffe­ renti - una qualche iniziativa di Gesù è all'origine della partenza dei di· scepoli e in questo senso del problema della separazione che Gesù dovrà superare con il suo miracolo. In Marco, senza alcuna spiegazione, Gesù obbliga i discepoli a partire prima che egli saluti la folla e la congedi. Sol­ tanto dopo Gesù sale sul monte a pregare. In Giovanni, vista l'intenzione della folla di prenderlo e farlo re, Gesù si ritira sul monte (non si dice nulla del fatto che si mette a pregare). La folla sparisce semplicemente dal racconto e i discepoli lasciati a se stessi, dopo aver atteso per un po', a quanto pare, verso sera decidono di imbarcarsi. La linea di pensiero co­ mune a entrambi gli evangelisti è che, a motivo di una qualche iniziativa di Gesù, i discepoli partono in barca senza di lui, mentre egli sale sul

"� Per un esempio di tale annoniztazione, che mostra più erudizione che senso cririco, vedi HEINZ KRUSE, jesus Seefahrten und die Stellung von ]oh. 6, in NTS 30 ( 1984) 508·530.

"l cosit!Jetti miracoli sulla natura

1 1 17

monte a pregare. Utilizzando un po' di terminologia dallo strutturalismo: all 'inizio del racconto Gesù imposta una contrapposizione bipolare (i di­ scepoli sospinti in mare, Gesù da solo sulla terra) , che è poi superata o mediata dall'epifania di Gesù. 2) Il vero e proprio miracolo. Il detto e l'iniziativa di Gesù hanno co­ me conseguenza un'epifania che supera la separazione. Separati da Gesù e remando di notte contro un forte vento, i discepoli faticano enorme­ mente ad avanzare sul mare. D'improvviso, dalla tenebra vedono spunta· re Gesù che cammina verso di loro sul mare. Come altrove nella Bibbia, la reazione tipica dei destinatari di un'epifania è il timore, così come la ri­ sposta di Gesù al loro timore è il tipico detto di identificazione, di rivela­ zione e di conforto: «Sono lo [o: 'lo sono']». Qui è degno di nota il fatto che, quando si arriva al centro del racconto, Giovanni e Marco si trovano ìn piena sintonia. n 3) La reazione degli astanti e la conclusione del racconto: su questo punto non si può dire nulla di certo, se non che - oltre al fatto ovvio che i problemi dei discepoli vengono risolti - i discepoli stessi si ritrovano uni­ ti a Gesù, la cui presenza accelera il loro arrivo a destinazione. Oltre a questa conclusione fondamentale e (si potrebbe dire) necessaria di que� sto racconto di miracolo o di epifania, ciascun evangelista va per la pro­ pria strada. Marco anzitutto fa placare il vento, il che presumibilmente consente ai discepoli di remare speditamente fino alla riva (benché non sia questo ciò su cui si insiste). Egli quindi conclude il racconto con· il suo argomento caratteristico dei discepoli stupiti e incapaci di comprendere. A questo -punto Matteo contraddice chiaramente Marco, poiché il primo evangeli­ sta non conserva il segreto messianico ma preferisce che la rivelazione di. venti pubblica. Di conseguenza, dopo che il vento si è calmato, «coloro che erano nella barca» (un'espressione generalizzante, che consente ai lettori di partecipare) adorano Gesù (Matteo usa il suo verbo preferito poskynéo per 'adorare') con una professione di fede corale: «Veramente tu sei il Figlio di Dio». Questa acclamazione anticipa la confessione di fe­ de di Pietro a Cesarea di Filippo { 16,1) e ancor più precisamente la con. fessione del centurione e dei suoi compagni presso la croce (27,54). Co­ me abbiamo visto, Giovanni ha un taglio completamente differente: la stessa presenza di Gesù in barca porta immediatamente e miracolosa­ mente i discepoli all'altra sponda. Poiché ciascuna finale è tipica della teologia di ciascun evangelista, non si può dire alcunché di certo sulla finale del racconto primitivo, oltre all'osservazione ovvia: camminando sull'acqua in un'epifania maestosa

1118

Miracoli

Gesù si ricongiunge ai discepoli in difficoltà, i quali quindi con il loro maestro raggiungono l'altra riva. Insomma, il contenuto fondamentale del racconto originario è piutto­ sto chiaro: dopo il nutrimento dei cinquemila e in risposta a una qualche iniziativa di Gesù, i discepoli salgono in barca e incominciano la traversa­ ta del lago di Galilea senza di lui. Col sopraggiungere della notte, eccoli remare con fatica e con poco progresso a causa del forte vento contrario, mentre Gesù è solo sulla terraferma, su di un monte. D'improvviso i di­ scepoli vedono Gesù che cammina verso di loro sul mare. Ne sono spa­ ventati, ma Gesù dice loro: «Sono io [ego eimt1 , non temete [mè phobéi­ sthe]». Gesù è così ricongiunto ai suoi discepoli che ora raggiungono in fretta l'altra sponda, senza difficoltà. Abbiamo qui un conciso racconto di miracolo, appartenente alla categoria morfocritica dell'epifania, l'unico miracolo di epifania che Gesù compie durante il suo ministero pubbli­ co"'.

D. Lo SFONDO ANTICOTESTAMENTAIUO DEL MIRACOLO DI EPIFANIA Ho già fatto notare come il racconto di Gesù che cammina sull'acqua utilizzi il vocabolario e le tematiche che si riscontrano nelle epifanie del­ l' Antico Testamento, nonché in rappresentazioni della Sapienza di Dio che dispiega il potere divino sulle ribelli acque del caos. Potremo valutare meglio l'origine di questo miracolo evangelico analizzando più da vicino, e distinguendoli meglio l'uno dall'altro, questi motivi dell'epifania divina e del potere di Dio sul mare così come sono espressi nell'Antico Testa­ mento. l. A interessarci più da vicino sono quei passi dell'Antico Testamento in cui Dio o la Sapienza di Dio personificata camminano sull'acqua o at­ traverso l'acqua ostentando maestà e potenza. Nel testo masoretico (TM) del libro di Giobbe, il Dio Creatore è descritto poeticamente come colui che, alla creazione, «ha calpestato [o camminato sopra] i luoghi elevati [o la schiena] del mare» (9,8b). L'espressione 'calpestare', o 'camminare so­ pra' (dorik 'a() è una metafora che fa riferimento al potere di Dio di do-

111

Come ho già indicato preferisco seguire il vocabolario dei vangeli sinottici e considerare la tra­ Sfìgurazione di Gesù come una 'visione' che i discepoli hanno di Gesù, piuttosto che un 'miracolo' che lo stesso �ù 'compie'.

frosiddetti miraroli sullo natura

1 1 19

minare il mare, che nella mitologia dell'antico vicino oriente era descritto spesso come il mostro del caos, il principio del male, del disordine e della morte, contrapposto al Dio creatore (o agli dèi creatori) u•. Questo passo di Giobbe è particolarmente significativo per il racconto di Gesù che cammina sull'acqua, perché per l'azione del camminare sul­ l'acqua viene usata quasi la medesima espressione sia nella traduzione greca dei Settanta (LXX) di Gb 9,8b che in Mc 6,48 ll Gv 6,19. Gb 9,8b [LXX] descrive Dio creatore quale peripaton . . . epì thtilasses [«che cam­ mina su[!] mare»)"'. Mc 6,48 descrive Gesù quale peripaton epì tes thtilaJ­ ses (la stessa espressione, ma con l'articolo determinativo prima di 'ma­ re'). Gv 6,19 ha la stessa espressione di Marco, con il participio all'accu­ sativo per concordare con la sintassi della sua frase: peripatunta epì tes thaltisses. I LXX hanno in qualche modo 'demitizzato' la descrizione di Dio facendolo 'camminare' sul mare anziché 'calpestare' o 'pestare' il ma­ re e omettendo l'immagine della 'schiena' o delle ' alture' del mare. I LXX dicono invece che il Signore cammina sul mare «come su terra a­ sciutta» (has ep'edtiphus). Sicché nel linguaggio e nelle immagini i LXX sono più vicini del TM alla descrizione dei vangeli su Gesù che cammina sull'acqua. In ogni caso, l'immagine di Dio creatore che cammina sulle acque come su terra asciutta esprime efficacemente il suo potere illimita­ to sul mare e in effetti su tutte le forze della creazione, un potere che gli esseri umani non hanno. Nel miracolo raccontato dai vangeli la stessa in.. magine viene applicata a Gesù. 2. Si dovrebbe notare, peraltro, che la descrizione di Dio in Gb 9,8b non ricorre all'interno di una epifania. D'altro canto, immagini di questo genere su Dio che cammina sulle acque irrequiete e profonde del caos ri­ corrono nel discorso grandioso che Dio fa a Giobbe quando gli appare in una epifania parlando «dal turbine» (Gb 38,1). Quando creò il mondo, Dio soltanto fu in grado di chiudere l'abisso e di porre limiti alle sue on-

·� In verità, nell'inno ricco di immagini di Gb 9, «calpestare il dorso dd mare» potrebbe essere tm'imrnagine che evoca Dio che leueralmente calpesta il dorso dd mostro marino, così come nello mitologia di Ugarit il dio Baal (= «Signore») combaue il dio Yamm (= «Mare») e lo sconfigge. Su questo vediJ. HE!L, Jerus Walking on the Sea, ci t., 39-40. '" È interessante notare che appena tre versetti più avanti, in Gb 9,1 1 , Giobbe dice di Dio: «Se do­ vesse passarmi accanm, non lo vedrei». Il linguaggio del 'passare accanto' subito dopo la menzione di Dio che cammina sul mare è sorprendente per chi conosce il racconto marciano di Gesù che cam· mina sull'acqua. Peraltro in questo caso il parallelo è meramente verbale. Dio che 'passa accanto' in Gb 9,1 1 è l'esatto contrario di una teofania; è il movimento divino che, come la maggior parre dei

movimenti divini, è invisibile ai semplici mortali come Giobbe.

1 120

Mir11colì

de (38,8-1 1 )0'. In effetti, Dio soltanto, e nessun omuncolo come Giobbe, era presente alla creazione, quando penetrò nelle profondità del mare e camminò sulle profonde acque dell'abisso (38, 16: il verbo. peripaté6 ['camminare'] e lhaldssa ['mare'] ricorrono nei LXX di questo versetto). Abbiamo qui le immagini e il linguaggio di Gb 9,8b nel contesto di una e­ pifania; sono espressioni poste sulla bocca di Dio che descrive il suo atto creativo, un atto che lo separa infinitamente da tutti i mortali. 3 . Immagini similari nel contesto di una epifania terrificante si possono trovare in Ab 3,14. Anche qui l'immagine fondamentale di 'calpestare' (diirak 'a() è usata in riferimento a Dio che ostenta il suo potere sulla creazione, allo stesso modo in cui vince in battaglia i nemici del suo po­ polo Israele: «hai calpestato [o pestato] il mare [con] i tuoi cavalli». I LXX traducono qui con libertà: di Dio si dice che ha fatto cavalcare i suoi cavalli sul mare o nel mare, benché la tendenza generale delle imma­ gini sia la medesima. 4. Con il passo di Abacuc vediamo le immagini di Dio creatore che cal­ pesta le acque del caos e le sottomette utilizzate ora come metafora per e­ sprimere la salvezza del popolo di Israele. Questa metafora della salvezza è più chiara quando l'immagine di Dio che cammina sul mare o attraver­ so il mare, che origina nella teologia della creazione, viene applicata espli­ citamente alla salvezza di Israele da parte di Dio, quando questi ha guida­ to il popolo attraverso il Mar Rosso, nell'esodo. Sal 77,20 loda Dio per questa impresa: «In [o attraverso] il mare fu la tua strada e il tuo sentiero in molte acque e [ = ma] le tue orme non furono conosciute [viste]». La liberazione al Mar Rosso viene descritta nei vv. 17-2 1 con le immagini ti­ piche di un'epifania del Dio creatore, del cui potere si fa esperienza di­ retta nel mare, anche se egli non può essere visto direttamente. ll Dio che controlla il mare mugghiante dà al suo popolo la possibilità di attraver­ sarlo.

oK

Fortunatamente questo testo è attestato nei frammenti del

Targum di Giobbe rinvenuti nella

grotta I l di Qumran ( I IQtgGb). Per il testo e la traduzione vedi J. FITZMYER - D. HARRINGTON, A

Manual o/ Palestinian Aramaic Texts, cit., 36-39. Diversamente da alcuni successivi torgumim classici, l l QtgGb è una traduzione piunosto lenerale e sobria del testo ebraico di Giobbe in aramaico. Poi· ché questo vale per i frammenti che possediamo (incluso 38,8- 1 1 ). è ragionevole ritenere che succeda così anche per le parti del targum che non ci sono giunte. Per chi vuole esaminare il materiale corri­ spondente del Targum classico di Giobbe (secc. IV·V circa d.C.), nonché altri passi della leneratura rabbinica, rimando alla raccolta contenuto in J. HEIL, Jerus Walking on the Sea, cit., 40-56. A mio modo di vedere, il materiale rabbinico tardivo è di poca utilità per detenninare la fonna primitiva dd racconto di Gesù che cammina sull'acqua, che presumibilmente circolava tra i cristiani già nella pri­ ma metà del sec. I d.C.

r cosiddetti miracoli sulla natura

1 12 1

5 . A un quadro mitologico ancor più drammatico di YHWH che scon­ figge il mostro caotico del mare, vale a dire prosciuga il Mar Rosso affin­ ché Israele lo possa attraversare nell'esodo, fa ricorso con grande potenza poetica il brano di Is 5 1 ,9-10. Siffatte immagini sono tipiche del Deutero­ Isaia, il quale ricollega sistematicamente tra loro i motivi della creazione e quelli della redenzione, considerati entrambi trionfi di Dio sulle potenze del caos',.. È questa la tesi che vuole affermare con forza il Deutero-Isaia con le immagini che usa all'inizio di una promessa di salvezza in 43 ,16: «Così dice YHWH, che apre una strada nel mare e nelle acque potenti un sentiero». Siamo praticamente di fronte allo stesso linguaggio usato in riferimento a Dio nel libro della Sapienza ( 14,3 ). 6. Per la versione giovannea del miracolo di Gesù che cammina sull'ac­ qua è particolarmente importante una tendenza decisiva della tradizione sapienziale dell'Antico Testamento. In tutta una serie di passi questa tra­ dizione trasferisce alla Sapienza di Dio personificata il complesso di im­ magini legate al Dio creatore che cammina sulle acque primordiali e at­ traverso di esse, o che apre una strada attraverso il Mar Rosso per Israele: a) per esempio, in Pr 8, la Sapienza divina descrive se stessa come artigia­ na o architetto all'opera al fianco di Dio durante la creazione, nell'atto di assisterlo quando egli pose al mare i suoi limiti (Pr 8,29; cfr. Cb 38,8- 1 1); b) in dipendenza da Pr 8, Ben Sira scrive un poema (Sir 24) nel quale la Sapienza esalta se stessa, lodando tra l'altro la sua presenza alla creazione e il fatto che «sull'abisso profondo [del mare primordiale] lo ho cammi­ nato fperiepdtesa], le onde del mare . . . ho dominato» (Sir 24,.5-6); c) in li­ nea con questa tradizione il libro della Sapienza trasferisce alla Sapienza di Dio l'azione salvifica di YHWH che conduce Israele attraverso le ac­ que del Mar Rosso e lo guida nella sua peregrinazione attraverso il deser­ to con la teofania della colonna di fuoco (Sap 10,17-18): �

la tempesta col suo potere e non pregando Dio. Il riferi­ TAYLOR, The Gospel According to St. Mork, cit., 273.276, alla fiducia di Gesù in Dio è fuori posto in questo contesto. Sulla questione vedi R. GUNDRY, Mork, cit., 239. La questione storica ressato ad altre questioni. Qui Gesit placa mento di V.

e archeologica se una barca sul mare di Galilea potesse avere un qualche tipo di poppa protetta ha ri­ cevuto una chiarificazione grazie alla scopena fatta nel 1986 di resti di uno scafo di una barca di le­

gno nel fango presso la riva del lago a circa 2 km a nord di Magdala, sulla sponda occidentale. Per un breve resoconto vedi RAINER RIESNER, Dos Boot vom See Gennf!1.1Jre/. Endeckung und Bergung, in BK

41 (1986) 135-138; }ACK FINEGAN, The Archeology o/ the N= Testomenl. The Lrfe o/ fesus ond thè Begirming o/the Early Church, ed: riv., Princeton University, Princeton - New York 1 992, 82. La bar­ ca, sorprendentemente ben conservata e ora custodita allo Yigal Allon Museum nd kibbutz di Gin­

nosar, risale a un periodo tra il sec. l a.C. e gli inizi del sec. Il d.C. Finegan restringe questo periodo al

tempo tra il 120 a.C. e il 40 d.C. l resti della barca conservati nel kibbutz di Ginnosar hanno le se­

guenti dimensioni: 9 metri di lunghezza, 2,5 metri di lasghezza e 1,25 metri di profondità. Nella

strmrura è chiaramente visibile una poppa e può darsi che essa forse coperta da una qualche piat­ taforma su cui stava il timoniere. Se ciò è vero, si potrebbe immaginare Gesù che dorme sotto questa piattaforma. Ovviasnente questo prezioso repeno archeologico non prova la storicità di Mc 4,35-4 1 ,

m a melle i n guardia d al negare che la scena evangelica non possa essere storica perché la descrizione dell'imbarcazione non corrisponde a quello che si sarebbe trovato in una barca di pescatori sul mare di Galilea nd sec. l d.C. Su questo vedi R. GuNDRY, Mork, cit., 246, che replica a R. PESCH, Dos Morkusevongelium, cir., l , 271 [trad. it., l , 432], secondo cui il modo con il quale Marco descrive J.j barca riflette il racconto di Giona l, vale a dire un'imbarcazione piuttosto grande che solca il Medi­ terraneo piuttosto che un piccolo natante sul mare di Galilea. '" Come avremo modo di vedere, l'interpretazione di R. GUELICH, M4rk 1,8-26, cit., 267, è esage­ rata: «Il loro grido [dei discepoli in 4,38] . . . non è una richiesta, ma un'espressione di disperozrone e ira diretta contro il loro 'maestro' . . . che a quanto pare non si preoccupava di loro» (il. corsivo è mio). •�

Su questo vedi R. GUNDRY, Mark, cit., 239.

1 142

Miracoli

sia consapevole dd pericolo e preoccupato per esso. Essi,.fondamental­ mente si lamentano perché Gesù non sta dimostrando questo suo interes­ se facendo qualcosa di concreto per aiutarli. Ciò implica che i discepoli. per quanto vagamente, ritengono che Gesù sia in grado di fare qualcosa per aiutarli. Tutto sommato, si tratta di una petizione molto strana per un miracolo, benché s'inserisca bene nelle altre tensioni e contrasti del rac­ conto. Il panico e la rudezza dei discepoli non si può dire che esprimano fede in Gesù (vedi il v. 40) , eppure la domanda presuppone effettivamen­ te che i discepoli abbiano una qualche esperienza di questo 'maestro' la cui parola autorevole compie anche miracoli, per quanto - fino ad ora in Marco - soltanto miracoli di esorcismo e di guarigione. 2) Confrontato con la lunga ambientazione, il racconto del miracolo ve· ro e proprio (v. 39), insieme all'affermazione del verificarsi dell'evento mi­ racoloso, occupa un solo versetto. Al v. 39, Gesù risvegliato «rimprovera il vento e dice al mare: 'Calmati, taci'>>. Due verbi nel testo greco conten­ gono tutto quello che costituisce il comando di Gesù che produce il mi­ racolo: «E venne una grande calma». Proprio perché il miracolo vero e proprio è così conciso, i verbi usati per riferire l'ordine impartito da Ge­ sù sono tanto più sorprendenti. Gesù «rimproverò» (epitimesen) il vento; il verbo epitimdo («rimproverare») è usato a volte anche altrove in Marco per descrivere gli esorcismi di Gesù (Mc 1 ,25; 3 , 12; 9,25) . Inoltre, Gesù usa la colorita metafora: «sii imbavagliato», quando ordina al mare di ta­ cere. Lo stesso verbo è usato nel primo esorcismo compiuto da Gesù quando ordina al demone ( 1 ,25) : «Sii imbavagliato ed esci da lui». Se ne deve dedurre - almeno per quanto riguarda il contesto marciano - che Gesù 'esorcizza' le potenze demoniache che scombussolano il mare così come esorcizza quelle potenze che sconvolgono persone possedute167• ll versetto conclude quindi con l'affermazione che questo esorcismo del vento e delle onde ha come risultato «una grande calma>>, che corrispon­ de perfettamente alla «grande tempesta» al v. 37.

'" Vedi K. KERTELGE, Die Wunder Jesu, cit., 92-93; R. PEscH, Dar Markurevange/ium, cit., l, 272 [trad. it., l , 433]; R. GUEL!CH, Mark 1,8·26, cit., 267; R. GUNDRY, Mark, cit., 240 contesta questo a· spetto, ma è troppo concentrato sulla questione dei paralldi extracristiani. Ci si dovrebbe chiedere piuttosto in che modo il linguaggio di Marco potesse impressionare un lettore che stava leggendo di seguito il vangelo secondo Marco, un lettore che fino a questo punto s'era imbattuto nella combina· zione di 'rimprovero' e di 'sii imbavagliato' soltanto nd racconto di esorcismo di Mc 1,21-28. In ve­ rità, nel vangelo secondo Marco le due espressioni ricorrono insieme - di fatto, ndla medesima frase ­ solranw nel primo esorcismo marciano e nella tempesta sedata. L'approccio di Gundry alla questione è troppo atomistico.

l cosiddetti miracoli sulla natura

1 143

3) La reazione e l'acclamazione di conclusione (vv. 40-4 1 ) contengono elemento di sorpresa e in qualche modo di disturbo. Dopo l'afferma­ zione del miracolo ci si aspetterebbe un qualche tipo di reazione (grande timore) e una qualche acclamazione («Che cos'è questo . . . ?») da parte degli astanti. Tutto questo è presente al v. 4 1 , ma prima il taumaturgo in­ terrompe il corso fluido del racconto che sta per arrivare alla sua conclu­ sione tipica. Al v. 40 Gesù rivolge ai suoi discepoli un rimprovero nella forma di una doppia domanda retorica, reagendo in tal modo al loro rim­ provero, anch'esso espresso nella forma di una domanda retorica (v. 39). I rimproveri espressi dai discepoli e da Gesù sono in corrispondenza tra di loro, sia nel contenuto che nella forma. Nel suo rimprovero Gesù chie­ de con una domanda retorica: nella domanda di Gesù è interessante, poiché guarda sia indietro che avanti•••. Guarda al­ l'indietro, alla precedente esperienza dei discepoli del potere della parola di Gesù manifestato nel suo insegnamento e nei suoi miracoli, un'espe­ rienza che a questo punto avrebbe dovuto produrre fede, e invece non l'ha prodotta. Non tutto però è perduto. Lo stesso «non ancora>> guarda anche in avanti, con l'attesa di un qualche futuro momento in cui i disce­ poli avranno fede. Incontreremo altri «non ancora» di questo genere più avanti nel vangelo secondo Marco. Dopo che è stato espresso il rimprovero di Gesù (che sul piano lettera­ rio disturba il corso normale del racconto), il brano trova la sua conclu­ sione tipica. La manifestazione del potere miracoloso suscita «grande ti­ more>> (si notino le espressioni di collegamento: grande tempesta-grande calma-grande timore). In sé il timore reverenziale è la risposta adeguata al miracolo e non va identificato con la codardia dei discepoli.;•. Quindi co-

,

un

'" Così giustamente D. KOCH, Die Bedeutung, cit., 97. Koch conclude correttamente che la corri· spondenza tra l'aspro rimprovero mosso dai discepoli a Gesù e l'aspro rimprovero mosso da Gesù ai discepoli fa pensare alla natura redazionale di entrambi i rimproveri. IM Per > i suoi precedenti miracoli di esorcismo e di guarigione. "' Per il posto occupato daU'interrogativo dei discepoli in 4,41 all'interno deUo sviluppo marciano dd tema del mistero deUa persona di Gesù, che all'inizio dd racconto evangelico è noto soltanto a Dio e ai demoni, vedi ]. KINGSBURY, The 'Divine Man', cit., 253-254; vedi l'analisi strutturalista del medesimo punto svolta da B. VAN lERSEL - A. LINMANS, The Storm on the Ldke, cit., 34-36. Sostenen· do che la mancanza di un titolo specifico riflette «Wl contesto prepasquale>>, R LATOURELLE, The Miracles of Jesus, cit., 109 [trad. it., 149], qui non coglie l'orientamento complessivo deUa teologia marciana.

I cosiddetti miracoli sulla natura

1 145

presenti chiaramente tutte e tre le parti principali. Si discute invece a quale sottocategoria esso appartenga. Alcuni esegeti, sottolineando la qualità 'epifanica' della tempesta sedata, ipotizzano che, come nel caso del racconto di Gesù che cammina sull'acqua, abbiamo qui una qualche specie di combinazione di un salvataggio in mare e di una epifania m. An­ cora una volta, non posso dirmi d'accordo. A mio modo di vedere, il rac­ conto di Gesù che cammina sull'acqua è un'epifania, ma non è - rigoro­ samente parlando - un racconto di salvataggio, poiché i discepoli non so­ no in pericolo mortale. Invece, penso che il racconto della tempesta seda­ ta sia un racconto di salvataggio (i discepoli stanno correndo un pericolo mortale), mentre non è una epifania in senso stretto174• Dico 'in senso stretto' perché tutti i miracoli di Gesù hanno una certa dimensione 'epifanica'"'. In un modo o nell'altro tutti rivelano qualcosa di una presenza divina e di un potere divino che si manifesta improvvisa­ mente entro l'ambito terrestre. Di conseguenza, molti dei miracoli di Ge­ sù suscitano timore e stupore tra gli astanti e un certo numero di essi ri­ manda direttamente alla natura speciale di Gesù e al mistero della sua persona. Per esempio, il racconto del risuscitamento del figlio della vedo­ va di Nain conclude con tutti gli astanti che sono colti da timore (ph6bos). Essi quindi esprimono un'acclamazione corale che definisce il mi. stero della persona di Gesù come un profeta tramite il quale Dio col suo potere salvifico si è reso presente e palpabile per un momento al suo po­ polo (Le 7 ,16): «Un grande profeta è sorto in mezzo a noi e Dio ha visita· to il suo popolo». Quest'ultima espressione ovviamente getta luce sull'e­ pisodio del racconto, ma non per questo io classificherei questo miracolo particolare di risuscitamento come un racconto di epifania.

iCEKrELGE, Die Wuntkr ]esu, cit., 93.96, ritiene che l'intento principale dd racconto sia l'epi­ D. KocH, Die Bedeutung, cit., 92-93, afferma che il raccon to è tanto un'epifania che un racconto di salvataggio. W. GRUNDMANN, Das Evangelium nach Markus, cit., 105, si esprime con maggior prudenza quando afferma che il racconto riceve un «tratto teofanico». Per un'argomenta­ "' K.

fania di Gesù;

zione chiaramente anicolata sulla tesi che il racconto marciano della tempesta sedata è un'epifania di salvataggio vedi ]. HEIL, Jesus Walking on '" Anéhe

B. VAN lERSEL

-

the Sea, cit., 127- 131. A. LtNMANS, The Storm on the LA/ee, cit., 20, negano che la forma origi­

naria dd racconto fosse un'epifania, ma lo fanno basandosi su altri motivi (l'anonimato degli spetta· tori originari). R. LATOURELLE,

The Miracles of Jesus,

cit., 102 [trad. it., 140] , lo definisce «un mira·

colo di salvataggio)), ma lo situa nella medesima categoria che Theissen etichetta come 'miracoli di donazione': la distribuzione di cibo alla moltitudine e il miracolo dd vino a Cana.

'" A quanto pare è in questo senso che M. DIBELIUS, Formgeschichte, cit., 90-93, parla di Novellen racconto della

('favole', racconti di miracolo) come racconti di 'epifanie' e include tra gli esempi il tempesta sedata.

Miracoli

1146

:, Analogamente, i miracoli di Gesù nel quarto vangelo rivelano in un modo o nell'altro la sua 'gloria', come dice chiaramente il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino a Cana (Gv 2,1 1): iniziali, il bisogno, la richiesta); 2) del miracolo vero e proprio (vv. 7 -9a, Gesù va incontro al bisogno); e 3 ) della reazione conclusiva (vv. 9b-l l, la conferma della realtà del miracolo, una quasi-acclamazione di stupore e la fede nel taumaturgo)2110 • Più specificamente, il miracolo del vino assomiglia in qualche modo al­ l'unico altro miracolo di donazione di cui si parla all'interno del ministe" ro pubblico, la distribuzione di cibo alla moltitudine'"'. l) L'ambientazione: a) in ciascun racconto Gesù si trova di fronte alla necessità di nutrire un gruppo che va ben oltre la cerchia immediata dei suoi discepoli (Gv 2: gli invitati a nozze; Gv 6: la folla che aveva seguito Gesù)'"'; b) il motivo del bisogno è sottolineato in un dialogo fra Gesù e un altro personaggio nel racconto (Gv 2: sua madre; Gv 6: il discepolo Filippo); c) il materiale tutt'altro che promettente che Gesù userà per an­ dare incontro al bisogno viene quindi introdotto nel racconto (Gv 2: sei

obiettivo, infatti, è proprio quello di connettere il racconto di Cana con gli episodi successivi. gnificativo che R. FoRTNA.

The Fourth Gospel, cit., ,9, pur attribuendo almeno pane dd v. 12

t si­

al suo

'vangelo dei segni', preferisca vederlo come un'introduzione alla guarigione dd figlio dell'ufficiale re­ gio. Diversi commentatori (per esempio, R. PESCH,

The Miracles of ]esus,

Das Weinwunder,

cit., 222.224 ; R

LATOURELLE,

cit., 208-209 [trad. it., 280-281]) sembrano decisi a conservare il v. 12 come

parte della tradizione originaria in modo tale che esso possa fungere da sostegno a un'ulteriore teo­

ria: nella tradizione primitiva si parlava dei fratelli di Gesù e non dei suoi discepoli come persone

presenti alla festa nuziale, insieme aHo stesso Gesù e a sua madre. Ritengo che questa sostituzione sia

quanto mai congetturale. Essa non coglie l'inclusione tra la prima menzione dei discepoli al v. 2 e la

seconda al v. l l e suppone che quescioni di critica testuale successive, dovute ai manoscritti greci del vangelo secondo Giovanni, ci consentano di cogliere le primitive forme preevangeliche delle tradizio­ ni giovannee, un presupposto molto dubbio .

. � Petun'analisi dettagliata della struttura dd ratconto vedi R PESCH, DQs Weinwunder, cit., 221. "'' Riprendo qui, adattandole, le osservazioni di C. DoDD, H1storical Tradition, cit., 223-224 [trad.

il., 273-276]. Come ho già avuto modo di osservare, gli altri candidati come 'racconti di donazione' non hanno i requisiti sufficienti. l ) Nel racccmto della rassa sul tempio (Mt 17 ,24-27), il ritrovamento

da pane di Pietro di una moneta in

bocca al pesce è solo predetto ma non narrato e la pericope nel

(Gv 21,1 -14 Il ù: 5,1- 1 1) in origine è un racconto postpasquale, non un racconto che fa pane del ministero pubblico di Gelù: il cibo procurato è abbandonato, del tutto o in gran parte, senza che venga consumato da suo insieme non è un racconto di miracolo. 2) Il racconto della pesca miracolosa

coloro per i quali è stato procurato (i discepoli che sono chiamati a seguire Gesù). R. PESCH,

Weù1wunder, cit., 220, osserva che la

Das

categoria del 'miracolo di donazione' può essere suddivisa in

due sottocategorie: un miracolo di moltiplicazione (così la distribuzione di cibo ai cinquemila) e un miracolo di trasfonnazione (così il primo miracolo di Cana).

"" Ovviamente, il bisogno è più urgente nel caso della distribuzione di cibo ai cinquemila.

Nel pri­

mo miracolo di Cana il bisogno pressante è piuttosto quello di evitare all'ospite la vergogna tipica di un

ambiente culturale dove a dominare sono le categorie della 'rispettabilità' o 'onorabilità' e del 'di­

sonore' o 'vergogna'. Si può parlare di bisogno da parte degli ospiti nella misura in cui gli stessi ospiti venivano e andavano durante la festa nuziale che durava alcuni giorni. siano arrivati proprio quando il vino era finito.

È possibile che alcuni

di loro

1 160

Mira&Oii

giare di pietra come oontenitori di aoqua e racqua per riempirle; Gv 6: cinque pani e due pesci); d) l' iniziale reazione di Gesù è di comandare ad altri di fare qualcosa che sembra non avere alcun rapporto con la risposta concreta alla necessità in questione (Gv 2: Gesù ordina ai servi di riempi­ re le giare di · acqua; Gv 6: Gest) ordina ai discepoli di far distendere la folla sull'erba). 2) Il miracolo vero e proprio: il vero e proprio momento del miracolo e la vera e propria maniera in cui il miracolo viene eseguito non sono mai descritti; c'è un aspetto 'velato' in entrambi i racconti. 3) La conclusione: ciascun racconto si chiude con un'affermazione che conferma la qualità raffinata e la grande quantità del nutrimento procura­ to da Gesù (Gv 2: il miglior vino conservato sino ad ora: Gv 6: dodici ca­ nestri di frammenti raccolti).

B. LA NATURA DIVERSA, ALLUSIVA DEL RACCONTO Nonostante i paralleli notati sopra, il miracolo del vino a Cana ha mol­ te caratteristiche che contraddistinguono questo brano rispetto alla stra­ grande maggioranza degli altri racconti di miracolo nei vangeli. A colpire immediatamente è il fatto che il racconto presenta ovunque un carattere indiretto, allusivo. Tre elementi chiave del racconto di miracolo (la richie­ sta nell'ambientazione, la parola e/o il gesto di Gesù che opera il miraco­ lo e l'acclamazione) sono narrati tutti in maniera indiretta, enigmatica o i­ romca. l l, Anziché una petizione chiara, m presenta solo un'osservazione laco­ nica della madre di Gesù (v. 3): «Non hanno più vino»201• Non sorprende che i commentatori differiscano riguardo alla questione se s'intenda de­ scrivere la madre che si limita a fare un'osservazione, chiedendo vaga­ mente a Gesù di intervenire, o se essa richieda specificamente un miraco­ lo. Come in grande parte di questo racconto, troviamo ellissi e silenzi là

"' Questo annuncio laconico può essere il motivo per cui alcuni manoscritti (in panicolare la ma­ origin ale dd Sinaitico) aggiungono una spiegazione più ampia all'inizio del v. 3: «Non avevano vi­ AO; poiché il vino della festa nuziale era stato consumato; allora . . . ». Nonostante la preferenza di R BULTMANN, Dos Evongelium des Johonnes, cit., 80 n. 6, per questa lezione più lunRa, ritengo che qud­ la più breve adottata da UBSGNT' («quando terminò il vino») sia quella originale. Come fa notare B. METLGER, Textuol Commentory, cit., 201, i più antichi e migliori manoscritti appol!l!iano questa le­ no

zione più breve.

I coridiletti miracoli sullo noturo

H6l

dove sarebbero nece'Ssarft! ulteriori spiegazioni. I commentatori da sem­ pre cercano di riempire i vuoti, uno sforzo che non di rado non coglie il vero e proprio punto focale del racconto e ne distorce il contenuto so­ stanziale'"'. 2) ll miracolo vero e proprio viene narrato in una maniera ancor più indiretta che non nel racconto della distribuzione di cibo alla moltitudi­ ne, dove l'iniziativa di Gesù che prende del cibo, rende grazie e lo distri­ huisce descrive Gesù quanto meno impegnato in una maniera solenne ed orante sul cibo. Nel miracolo del vino a Cana tutto quello che Gesù fa è di impartire due ordini ai servi: riempire le giare con acqua (v. 7); attinge­ re parte del liquido e portarlo al capotavola (v. 8). Gesù non dice nulla direttamente sull'acqua. I servi sono coloro che eseguono le azioni cru­ ciali durante le quali, si suppone, ha luogo la trasformazione dell'acqua in vino. Il fatto della trasformazione quindi è menzionato soltanto di pas­ saggio al v. 9: «Quando il capotavola ebbe assaggiato l'acqua diventata vi­ no . . . >>. ·· 3) Anche l'acclamazione conclusiva è indiretta ed allusiva. Un racconto >. Que­ sto articolo ti rirorda che uno srudio può essere estremamente erudito e del tutto acritico. Altrettan­ to immaginoso, per quanto non sostenga che abbiamo a che fare con un episodio storico, è J. GRASSI, The Wedding al Cana, cit., B 1- U6; i paralleb tra Gv 2,1-11 e At l-2 (per non dire del bbro dell'Eso­ do, di Gioele e dei Giubilei, di l QS e CD e di vsrie opere rabbiniehe) ci fanno pensare all'inventiva deU'esegesi parrisrica. Sfortunatamente, anche esegeti ben più sobri sono tentati di riempire quelle che ritengono lacune nel racconto; si veda, per esempio, M. LAGRANGE, Evangi/e selon Saint ]ean, cit., 55. "" Oltre a svolgere lo funzione di una specie di acclamazione stupita (per quanto ignara e perciò i­ ronica) alla fine del racconto di miracolo (contro P. MEYER, ]ohn 2,10, cit., 193), il commento del ca­ potavola serve anche da confenna del fatto del miracolo, che è stato raccontato in una maniera pani­ colarmente indiretta e velata.

Miracoli

1162

di ciò-che Gesù procura a essere sottoliooata

alla fine dd brano. n mira· colo dei pani e dei pesci è un miracolo che implica la moltiplicazione del medesimo tipo di cibo; il miracolo di Cana è un miracolo di trasformazio­ ne di un elemento (l'acqua comune) in un altro (vino eccellente), mentre la quantità resta la medesima. Dato ancor più importa11te, peraltro, e in sintonia con l'ironia giovannea, la persona che esalta la qualità del vino in 2 , 10 non sa che sta proclamando un miracolo. Invece, la folla che è stata miracolosamente nutrita con i pani e i pesci risponde acclamando Gesù come il vero profeta-re che è venuto nel mondo (6, 14- 15)",.. Se il racconto del miracolo di Cana terminasse con la quasi acclamazio­ ne in 2,10, potremmo pensare che nessuno, eccetto i servi, sapesse del miracolo. Invece, la sintesi conclusiva del narratore (v. 1 1 ) ci informa che in questo primo segno Gesù «manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». Persino in queste parole conclusive il laconico raccon­ to di Giovanni resta conciso fino allo sconcerto. Ci viene detto come i di­ scepoli, che non sono stati menzionati dopo il v. 2, sapessero del miracolo mentre il capotavola no. In ogni caso, il narratore conclude il racconto a­ bilmente, fornendo una doppia reazione al miracolo: l'acclamazione del capotavola ignaro, pronunciata dinanzi all'anonima coppia di sposi, e la fede dei discepoli, che ha per oggetto GesÙ207• Questo carattere allusivo, velato del miracolo di Cana non è l'unica ca­ ratteristica che contraddistingue questo miracolo rispetto agli altri. Esso è anche l'unico racconto di miracolo nel ministero pubblico di Gesù in cui sia coinvolta sua madre208• È l'unico racconto di miracolo che colloca Ge­ sù in una festa di nozze e chiama in causa il vino. Se da un lato il quarto evangelista sottolinea questo miracolo come il primo tra i segni compiuti da Gesù (e in certo senso il paradigma e l'archetipo di essi), nei vangeli sinottici esso è assente non solo all'inizio del ministero pubblico, ma an­ che dall'intera gamma della tradizione dei miracoli conosciuta dagli stessi

"" Qui come altrove in questo confronto utilizzo

il racconto giovanneo della moltiplicazione dei

pani come la versione più adatta a un 'confronco e contrasto' con Gv 2,1-11.

"' Forse un aspetto patticolarmeme sottolineato dalla doppia reazione al miracolo è che la sempli­

ce esperienza degli effetti benefici di un miracolo non equ ivale alla fede nel taumaturgo né

necessa­

riameme conduce ad essa, ma ciò forse significa leggere troppo nella doppia finale. '"' Si noti la precisazione: «del ministero pubblico». Del tutto diversi sono i vari miracoli che cir· condano il concepimento di Gesù e i racconti dell'infanzia, ma questi non sono operati da Gesù e perciò non appattengono al suo ministero pubblico (e quindi non fanno pane del nucleo del k/,ryg­ ma

neotestamentario). Per completezza, si dovrebbe menzionare anche la presenza della madre di Gesù nella descrizione lucana della riunificazione della chiesa embrionale in Gerusalemme dopo !"a­ scensione di Gesù e perciò presumibilmente ali" evento di pen tecoste IAt 1.14; cfr. 2,1).

I cosiddetti miracoli sulla natura

1163

ftllgitli sinottici. DiversiUllente da alcuni altri miracoli giovarmel (la di· stribuzione di cibo alla moltitudine, Gesù che cammina sull'acqua, la pe­ sca miracolosa), esso non gode dell'attestazione molteplice delle fonti. In effetti, diversamente dalla guarigione del cieco al cap. 9 e dal risuscita­ ' mento di Lazzaro al cap. 1 1 e quindi diversamente da qu alsivoglia altro racconto di miracolo in Giovanni - questo miracolo manca di qualsiasi ti­ po di racconto parallelo nei vangeli sinottici209• All'interno dei quattro vangeli il miracolo del vino a Cana si trova realmente tutto solo. -

C. L' INDIVIDUAZIONE DEI TRAITI GIOVANNEI DEL RACCONTO Questa strana somiglianza e insieme differenza dal resto della tradizio­ ne evangelica sui miracoli, la natura laconica, allusiva del racconto, l'enig­ matico scambio di battute tra Gesù e sua madre e la presenza palese della teologia giovannea espressa in simboli (ma fino a dove si deve spingere il simbolismo?), tutto questo rende il nostro racconto panicolarmente diffi­ cile per chi voglia interpretarlo e farlo risalire a una tradizione arcaica. Ciò che un esegeta dichiara un'aggiunta ad opera del quano evangelista, un altro esegeta giudica pane della fonte dei segni o del vangelo dei segni che si presume l'evangelista abbia usato. Dietro alla 'fonte dei segni' (una raccolta scritta di racconti di miracolo), o al 'vangelo dei segni' (una spe­ cie di quarto vangelo sinottico, senza i grandi discorsi di Giovanni), si troverebbe una forma ancor più primitiva del racconto di Cana, in circo­ lazione in modo indipendente nella tradizione orale. È poi effettivamen­ te esistito un tale stadio primitivo e come doveva apparire il racconto in questo arcaico stadio orale? Di fronte a così numerosi interrogativi e opinioni conflittuali, forse la procedura migliore che possiamo operare è ripetere quella da noi adotta­ ta quando abbiamo preso in considerazione il risuscitamento di Lazzaro in Gv 1 1 . Cercheremo di isolare quei tratti stilistici e teologici che con o­ gni probabilità provengono dalla mano dell'evangelista. Come abbiamo visto nel racconto di Lazzaro, ci è possibile identificare abbastanza age-

.,. Un'altra caratteristica che contraddistingue il primo miracolo di Cana rispetto alla maggior par­ te degli altri miracoli nel quatto vangelo è l'assenza di un discorso di interpretazione di Gesù che se­ gue il racconto di miracolo o è intrecciato con esso. Con una chiara inclusione, soltanto il secondo miracolo di Cana (la guarigione del figlio dell'ufficiale regio in 4,46-54) manifesta una analoga assen­ za di materiale discorsivo nel racconto giovanneo di miracolo o dopo di esso.

Miracoli

1 164

volmente quegli elementi dd racconto, che presuppongono il più ampio contesto letterario e teologico del vangelo secondo Giovanni (o quanto meno il più ampio contesto di una fonte distinguibile), elementi che per­ ciò non risalirebbero a un racconto primitivo isolato e a un qualche even­ to storico che sta dietro ad esso. Anche se alcuni comn1entatori preferi­ scono attribuire questi 'tratti giovannei' a una 'fonte dei segni' o a un 'vangelo dei segni' che il quarto evangelista avrebbe usato, tali tratti sa­ rebbero ancora il prodotto dell'autore che ha redatto tale fonte, contrap­ posti a una tradizione primitiva risalente al ministero pubblico di Gesù. Ci sono elementi nel racconto che presuppongono il più ampio conte­ sto letterario e teologico del vangelo e perciò la mano dell'evangelista'". l) Il primo e più ovvio elemento che presuppone una qualche unità letteraria più ampia è l'espressione iniziale di 2,1: «E il terzo giorno . . . ». Questo inizio del racconto di Cana ha senso soltanto entro il contesto più ampio degli eventi precedenti, nel cap. l del vangelo. In verità, «il terzo giorno» completa un modello di calcolo dei giorni che inizia in 1.,29. quando Giovanni Battista rende testimonianza a Gesù come Agnello di Dio: «Il giorno dopo [te(i) epaurion] . . . ». Le stesse parole ricorrono in 1 ,35 («il giorno dopo» due discepoli del Battista seguono Gesù e stanno con lui) e l ,43 («il giorno dopo» Gesù esorta Filippo a seguirlo in Galilea e incontra Natanaele). Sicché l'espressione «il terzo giorno» riprende la conclusione dell'incontro di Gesù con Natanaele, dove lo stesso Gesù promette a Natanaele che vedrà cose ancor più grandi ( 1 ,50), in effetti l'epifania del Figlio dell'Uomo ( 1 ,5 1). Nel contesto immediato, perciò, «il terzo giorno» completa il racconto della chiamata dei primi discepoli"' . La promessa che i discepoli vedranno il Figlio dell'Uomo celeste in tutta la sua gloria viene ad avere un suo primo compimento parziale nel primo segno di Cana (2, 1 1): «Questo inizio dei segni Gesù fece in Cana di Gali­ lea e rivelò la sua gloria e i discepoli credettero in lui». ll racconto di Ca­ na è dunque una specie di perno. Esso completa la chiamata dei primi di­ scepoli (l'inizio di una selezione), anche in quanto segnala l'inizio dei se­ gni di Gesù. Più avanti analizzeremo in maniera più ampia questo ruolo

'" Per tentativi precedenti di scoprire la mano dell 'evangelista vedi, tra gli altri, K. ScHMIDT, Der joha,,eische Charakter, cit., 32-43; P. MEYER, ]oh, 2,10, cit., 191-197 . Dovrei informare bene chi leg­ ge circa un presupposto dal quale parto: non penso me primo dell'attuale quariD vangelo esistesse un intero 'vangelo dei segni'; sicché i riferimenti in Gv 2,1-11 ad altre parti del vangelo devono pro­ venire dalla mano dell'evangelista. "' Vedi, per esempio, R BROWN,

GIT, ]oh, 2, 1-1 1,

cit., 146·147.

The Gospt/ Acrording lo Joh11, cit., l , 105

[trod. it., 137 ]; J.

SuG­

l-&Osiddetti miracoli sulla naturiJ

1 165

duplice della pagina su Cana. Non sorprende che altri significati siano letti spesso nell'espressione «il terzo giorno>> in 2,1. Per esempio, molti autori vedono un riferimento velato alla risurrezione'". n fatto che in 2,4 Gesù parli della sua 'ora' che non è ancora venuta (vale a dire l'ora della sua passione e glorificazione) rafforza in qualche modo questa ipotesi. I­ noltre, nella pericope successiva, la purificazione del tempio, Gesù predi­ ce che riedificherà il tempio distrutto (una metafora del suo corpo croci­ fisso) «in tre giorni)) (2,19; cfr. vv. 2 1 -22). Peraltro, c'è un ostacolo note­ vole all'adozione di questa interpretazione de «il terzo giorno)) in riferi­ mento alla risurrezione: il vangelo secondo Giovanni, diversamente da al­ cuni altri scritti neotestamentari, non si riferisce mai alla risurrezione di Gesù con l'espressione «il terzo giorno)). Si direbbe che se Giovanni a­ vesse voluto che in 2,1 i suoi lettori cogliessero un'allusione alla risurre­ zione avrebbe dovuto usare «il terzo giorno)) in connessione con la risur­ rezione anche da qualche altra parte del suo vangelo. d Forse l'interpretazione più ambiziosa e anche più controversa de è quella di M.-E. Boismard21'. Secondo Boismard, a partire dalla prima comparsa del Battista in 1 , 19, il quarto evangelista è andato costruendo con cura un modello di sette giorni di rivelazione progressiva, che raggiunge il suo punto culminante nel primo miracolo di Cana. Boi­ smard sostiene che l'evangelista ha inteso sottolineare il parallelismo tra la prima creazione del mondo in sette giorni, compiuta dalla Parola pree­ sistente (Gv 1 , 1 -5), e la nuova creazione compiuta da Gesù, la Parola fat­ ta carne ( 1 ,3 . 17), anch'essa presentata simbolicamente in sette giorni, co­ me accade in 1 , 19-2,1 1. Se questo parallelismo così lineare è seducente, non è tuttavia esente da difficoltà. L'esegeta deve faticare non poco per trovare un modello di sette giorni propO'Sto in Gv 1 ,19-2,1 1 . n primo giorno della testimonian­ za del Battista ( 1 ,19-28) non è contato esplicitamente come tale; lo stesso si può dire del presunto quarto giorno, in cui Simon Pietro va da Gesù ( 1 ,40-42). Nemmeno il giorno o i giorni tra l'incontro di Gesù con Nata­ naele sono contati o narrati come tali, ma sono semplicemente presuppo-

"' Così, tra gli altri,. C. Dooo, The. InterpretoJwn o/ the Fourth Gospel, cit., 299-JOO [trad. it., 367368]; M. BoiSMARD, Du haptime ò Cana, cit., 106-Hi7; J. SUGGIT, ]ohn 2, 1-11, cit., 147-148; con esi­ tazione J. CHARLIER, Le signe de Cana, cit., 45. Per «il terzo giorno» in riferimento aUa risurreziorx vedi Mt 16.21; j7 .23; 20,1; Le 9.22; 18,33; 24,7.46; At 10,40; l Cor 15,4 (che mostra come fosse uno formula fissa nel credo cristiano primitivo). '" M. BoiSMARD, Du bapteme à Cana, cit., spec. 13-24. Uno schema analogo, ma con una maggiore insistenza sull'ecclesiologia è presentato da T. BAJ!ROSSE, Tbe Seven Days, cit., 507,516.

Miracoli

1 166

sti da (Mark vi. 30 ss), in NTS (1961-1962) 135- 151; Fl\EOERICK W. DANKER, Mark 8,3, in JBL 82 (1963) 2 15-216; J- KNACKSTEDT, De duplici miraculo mulupliCtJtionis panum, in VD 41 (1963) 39-5 1 . 140-153; Io., Die beiden Brotvermehrungen im Evangelium, in NTS IO (1963-1964) 309-335; B. VAN IERSEL, Die Wun­ derbare Speisung und das Abendmah/ in der synoptisehen Tradition, in NovT 7 (1964) 167- 194; GERHARDT FRIEDRICH, Die beidm Erziih/ungen 110n Speisung in Marie 6,31-44; 8, 1-9, in 1Z 20 (1964) 10-22; A.G. HEBERT, History in the Feeding o/ the Five Thousand, in Studia Evangelica. Vol. II (TU 87), a cura di EL. Cross, Akademie Berlin 1964, 65-72; ALKUIN HEISING, Exegese und Theologie der alt· und neutestamentlichen Speisewrmder, in ZKT 86 (1964) 80-%; Io., Dre Botscha/t der Brotvermeh­ n�ng (SBS 15), KBW, Stutrgan 1%7'; CYRILLE VOGEL, Le repas sacrr au poisson chez les rhrétiens, in RevScRe/ 40 ( 1966) 1-26; A.-M. DENIS, La sedion des parns selon s. Mare (6, 30-8,26), une théologie de I'Eucharistie, in Studia EvangeliCtJ. Voi. IV (TU 102), a cura di F.L. Cross , Akademie, Berlin l� 171- 179; B.E. TliiERING, 'Brealnng o/Bread' and 'Harvest' in Mark's Gospel, in NovT 12 (1 970) 1 - 12; ]. ROLOFF, Das Kerygma, cit., 237-269; K. KERTELGE, Die Wunder je.ru. cit., 129-145; HERMANN PATSCH, Abendmahlsterminologie aurserhalb der Einsetzungsberichte, in ZNW 62 ( 197 1 ) 2 10-23 1; }EAN-MARIE VAN CANGH, Le thème der poissons dans /es récits éva11geliques de lo multiplication des pains, in RB 78 ( 197 1 ) 7 1-83 ; lo., LJ muluplieation des pains dans l'évangzle de Mare. Essai d'exégère globale, in I.:Evangile selon Mare. Tradrlion el rédadion (BETI 34), a cura di M. Sabbe, Leuven Uni­ versiry - DuctÙot, Leuven - Gembloux 1974, 309-346; D. KocH, Die Bedeutung, eit., 99-104.1091 10; ]. DUNCAN M. DERRETT, Leek-heds and Methodo/ogy, in BZ 19 (1975) 101-103; IGNACE DE LA ,

l crisidJetti miracoli sulla natura

un� ·sefk dH:Matteristiche-uniche. Tanto pet cominciare, la sua classifica­ zione morfocritica: il racconto della distribuzione di cibo alla moltitudine è l'unico miracolo di donazione nei quattro vangeli a parlare di moltipli­ cazione, diversamente dal miraèolo di Cana, che è l'nnico miracolo di do­ nazione a parlare di trasformazione. Esistono tutta una serie di ulteriori differenze rispetto al miracolo di Cana: in Gv 2,9 la trasformazione del­ l' acqua in vino è affermata esplicitamente (benché quasi come una forma di ripensamento): «Quando il maestro di tavola assaggiò l'acqua diventata vino [tò hydor 6inon ghegheneménon] . »"". Invece, dal risultato del mira­ colo della distribuzione di cibo alla moltirudine si deve dedurre ciò che non è mai affermato eSplicitamente: che a un qualche punto, si tratti del momento quando Gesù rendeva grazie, o quando iniziò a spezzare il pa­ ne, o quando egli e i suoi discepoli si misero a distribuirlo, il pane (e con esso il pesce) si moltiplicò. È tipico del miracolo di donazione che il vero e proprio miracolo sia raccontato in una maniera 'velata' o indiretta"". Per i nostri obiettivi è più importante il tipo unico di attestazione di tui gode la distribuzione di cibo alla moltitudine. Questo miracolo è l'u­ nico raccontato in tutti e quattro i vangeli e l'unico raccontato due volte .

.

·

Le sem primitive de 18 multiplicatiol'l des paim, in ]esus aux origines de 18 christologie (BE­ TL 40), a cura di Jacques Dupont, Leuven University - Durulot, Leuven - Gembloux 1975, 303-329; I. In linea con

alcuni

tratti dell'escatologia giudaica dd

tempo, è possibile che Giovanni abbia usato questa espressione misteriosa 'colui che viene' come una descrizione criptica di Elia, l'ultimo precursore umano di Dio stesso. Durante il suo tempo, nella cer­ chia dei discepoli di Giovanni è possibile che Gesù sia cresciuto condividendo tale aspettativa. Quando diede inizio al proprio ministero pubblico escatologico, e in particolare quando scoprì il proprio potere di compiere miracoli simili a queUi di Elia, è possibile che Gesù sia arrivato a vedere se stesso come l'Ella di cui Giovanni aveva promesso l'avvento. Al pari di innumerevoli teorie evolu­ zionistiche, questa è tanto impegnativa quanto impossibile da provare. Nei volumi di Un ebreo mar­ ginale ho intenzionalmente evitalO una teoria altamente congetturale che «spieghi tutto» in favore di un'altra scelta: soppesare giudiziosamente la documentazione per arrivare a conclusioni modeste, ma abbastanza certe su quello che il Gesù storico ha fatto e ha detto.

1248

Conclusione o/secondo volume

etici generali (per esempio, l'amore e il perdono), ma ebbe anche la pre­ tesa di fornire indicazioni concrete su come osservare la legge mosaica (le h•lakot). Alcune sue prese di posizione sulla legge mosaica suscitarono controversie con altri gruppi.di giudei, non da ultimo perché a volte Ge­ sù, pur proclamando senza ombra di dubbio la legge come parola di Dio a Israele, si ritenne autorizzato ad abrogare o mutare alcune istituzioni specifiche e concrete nella legge, intervenendo - per esempio - sul divor­ zio, i giuramenti e i voti, e - secondo alcuni esegeti - persino sulle norme della Torà riguardanti il cibo kosher. Questo aspetto di Gesù che imparte direttive 'concrete e insieme controverse' , nonché il suo insegnamento generale sulla legge, aggiunsero ulteriori ingredienti a una miscela già densamente esplosiva. Gesù non si presentò solo come il profeta escato­ logico del regno di Dio futuro, non solo come il taumaturgo simile ad E­ lia, che rende già concreto e palpabile per i suoi seguaci il futuro regno di Dio, ma allo stesso tempo come maestro in grado di dire agli israeliti co-· me osservare la legge di Mosè, in effetti in grado di dire agli israeliti che cosa avrebbero dovuto osservare e che cosa non avrebbero dovuto osser­ vare della legge. Sicché, la cosiddetta natura 'carismatica' di Gesù, che si può cogliere nel suo ministero profetico e nella sua attività taumaturgica, affiora anche nel suo insegnamento sulla legge. Da vero carismatico, Gesù fondava la sua autorità di interpretare e persino mutare la legge non entro i canali dell'autorità riconosciuti tradizionalmente (la legge con le sue consolidate modalità di interpretazione, le nonnative dei sacerdoti e dei tribunali le­ gali, o i detti di famosi maestri), ma piuttosto nella sua capacità personale di conoscere direttamente e intuitivamente qual è la volontà di Dio per il suo popolo Israele negli ultimi giorni. È questo un altro aspetto della sua pretesa di essere il profeta carismatico del tempo finale, una pretesa ora ulteriormente dilatata, dall'attività rigorosamente profetica e taumaturgi­ ca a un'attività più 'scribale', di interpretazione della legge, nonché di guida per la condotta concreta. A questo punto, la convergenza e confi­ gurazione dei ruoli molteplici in un medesimo uomo di nome Gesù di· venta estremamente densa e complessa. Introducendo l'insegnamento di Gesù sulla legge in questa sintesi pre­ liminare, mi rendo conto di essere andato oltre i limiti imposti al secondo volume di Un ebreo marginale e di aver anticipato quello che ci attende nel terzo volume. Per ragioni di metodo, il ritratto e la sintesi possibile al­ la fine del secondo volume sono necessariamente ristretti nella loro por­ tata. Con una lieve esagerazione, si potrebbe dire che il secondo volume si è concentrato principalmente su 'Gesù visto in se stesso'. Con l'unica

Conclusione al secondo volume

1249

eccezione di Giovanni Battista, non ho illustrato i rapporti e le interazio· ni di Gesù con altri personaggi o con altri gruppi di ebrei. Il punto focale ha riguardato piuttosto il nucleo del messaggio di Gesù (il regno di Dio) e le sue azioni salienti (i miracoli) 'in se stessi' e nel loro rapporto recipro• co e non primariamente nel rapporto con i loro uditori o destinatari'. Ora che abbiamo portato a termine questo lavoro di focalizzazione preliminare su Gesù, possiamo iniziare ad allargare il fascio di luce, per così dire, per far luce sui vari personaggi singoli e i gruppi condizionati dalle sue parole e azioni e che hanno reagito ad esse. L'ampliamento del cerchio comporterà l'inclusione in esso della sua cerchia immediata (in particolare i Dodici), il gruppo più o meno ampio di quei giudei favore­ volmente disposti nei suoi confronti (i discepoli in un senso più ampio) é i vari gruppi socioeconomici o religiosi con i quali egli ha interagito (per esempio, gli esattori e i peccatori, i farisei e ·i sadducei). !Questo ampliamento del cerçhio, owiamente, ci coinvolgerà nella que­ stione cruciale del rapporto di Gesù con la legge mosaica, sia dal punto di vista della sua interpretazione, che dal punto di vista della sua pratica cdncreta. La posizione assunta nei confronti della legge mosaica da que­ sto profeta escatologico, araldo del Regno 'futuro e insieme presente' e taumaturgo alla stregua di Elia, in particolare quando egli entra in dibat• tito su di essa con altri gruppi giudaici, renderà ancor più pressante l'in­ terrogativo: chi ritiene di essere quest'uomo? Abbiamo trovato una spe­ cie di risposta parziale a tale interrogativo nel volume secondo, per quan­ to senza trattare direttamente di questioni complesse del tipo l ) quali de­ signazioni escatologiche o messianiche e quali titoli escatologici o messia­ nici esistessero nel giudaismo al tempo di Gesù e 2 ) quali di queste desi� gnazioni - nel caso - possano essere state usate in riferimento a Gesù o dallo stesso Gesù durante il suo ministero pubblico. Per una risposta più esauriente a tali interrogativi dobbiamo passare al terzo volume. Quantò meno sono emersi, però, alcuni modelli e alcune direttrici fondamentali per orientare i nostri passi su questa via lunga e polverosa.

'Sull'ìmponanzo del roppono di Gesù con altre persone e altri gruppi eli persone per la compren· sione dello stesso Gesù, vedi B. WtTHERINGTON, The Chn!tology o/]esus, cit., spec. 33·143. Concor­ do con la suo tesi fondamentale, ""' ho deciso di rimandare questa t..-,;,ne al terzo volume.

LA GALILEA DURANTE IL

MINISTERO DI GESÙ •

Mar

C68rva di Filippo

Mediterraneo

Lago di Semeconitide •

Glschala Seleuda

.. ..

Tolemaide

Corazin •

'

v

Jotapata







Genezaret

Cana

Magdala

Sepphoris

• Nazaret ..

M. Tabor

Nain



Dora

Agrippina •

=

'l!

@ O

20 miglia

1l -,-_._,,--...,. , l..

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20km

D ScltopoU



E

o



r.

Archdao r. 4 a.C. - 6 d.C. (E.)

MALTACE (samaritana)

MARIAMME U l Erode (erroneamente Filippo)* c. Erodiade l Salome III c. Filippo

l

Filippo c. Salomone III 4 a.C. - 34 d.C. (T.) r. m. 34 d.C.

Erode Antlpa c. (l) Figlia di Arete IV (R. di Nabatea) (2) Erodi ade r. 4 ;�.C. - 39 d.C. (T.)

Erodi alle Erode Agrippa I c. ( I l Erode (erroneamente Filippo)* terrarchi� di Filil_'pc) e Lisania come r. (2) Erode Antipa R. dal J7 d.C. - tt:tiarchia di Antipa aggiunta nd 40 d.C. - Giudea e Samaria aggiunte nd 4 1 -44 d. C. m. 44 d.C.

'------ CLEOPATRA (di Gerusalemme)

1-----

c. -

Erode di Calcide c. Bernice U r. Calcide 4 1 -48 d.C. (R.) m. 48 d.C.

Aristobulo IV m. 7 a.C.; C. Bemice I

l

MAIUAMME I (asmonea) m. 29 a.C.

* Marcq confonde Erode, il figlio di Mariamme II, con Filippo, ciò ha fallo in modo che alcuni studiosi dd Nuovo Testamento abbiano parlato (erroneamente) di Erode Filippo come primo marito di Erodiade.

n. ca. 73 a.C. m. 4 a.C.

Re Erode il Grande

Etnarea

Tetra rea

;

T.

coniugato

Re

R. ; E. ;

c.

regno

morte

m. =

; ;

nascita

;

n.

LA FAMIGLIA DI-ERODE IL GRANDE

Erode il Grande ebbe dieci mogli. Sono e.lencari qui solo le mogli e i discendenti che interessano direttamente chi studia Nuovo Testamento.

ANNI DI REGNO DEl PRINCIPES (IMPERATORI) ROMANI comparati con le date dei prefeni/procuratori di Giudea, Samaria e Idumea

OTTAVIANO (AUGUSTO) 3 1 a.C. (banaglia di Azio) 27 a.C. (assume il titolo di Augusto) 14 d.C. (muore)

[Prefetti] Coponio M. Ambivio Annio Rufo

6--9 d.C. 9-12 (?) 12-15 (?)

Valerio Grato Ponzio Pilato Marcello

1 5-26 26--36 36--37

TIBERIO 1 4-37

GAIO (CALIGOLA) 37-4 1 Marullo

CLAUDIO 4 1 -54

37-41 (?)

[Regno di Agrippa I sul restaurato regno dei giudei, 4 1-44] [Procuratori] 44-46 C. Cuspio Fado Tiberio Giulio Alessandro 46-48 Venti dio Cumano 48-52

NERONE 54--68 M. Antonio Felice Porcio Festo Lucceio Albino Gessio Floro

52--60 (?) 60--62 (?) 62--64

Rivolta giudaica

66--70

64-66

GALBA, OTTONE, VITELLIO (tutti nel 69)

VESPASIANO 69-79

ABBREVIAZIONI

l . Abbreviazioni dei nomi de/ libri biblici (con i deuterocanonici)

Gen Es Lv Nm Dt Gs Gdc 1-2Sam 1-2Re 1-2Cr Esd Ne Tb Gdt Est AggEst 1-2Mac Gb

Sal Pr

Qo

Ct Sap Sir fs Dt-Is Tr-ls Ger Lam Bar EpGer Ez Dan OrAz Sus Bel

Os Gl Am Abd Gn Mi Na Ab So/ Ag Zac Dt-Zac Mal Mt Mc Le

Gv At

2. Abbrevillzioni dei nomi dei libri apocrifi e dei padn" antichi Adamo ed Eva 2-J Ap. &r. Ap. Mos. As. Mos. 1-2-3 Enoch Ep. Arist. Giub. Mart. Is. Odi S. OrSib Salmi S. Test. T Levi T Ben.

Vita di Adamo ed Eva Apocalisse di Baruc sirillca, greca Apocalisse di Mosè Assunzione di Mosè Enoch etiopico, slavo, ebraico Lettera di Aristea a Filocrate Libro dei Giubilei Martirio di Isaia Odi di Salomone Oracoli sibz1lini Salmi di Salomone Testamenti dei dodici patriarchi Testamento di Levi Testamento di Beniamino, ecc.

Rm

l-2Cor Gal E/ Fil Col 1-2Ts 1-2Tm Tt Fm Eb Gc 1-2Pt 1-2-JGv Gd Ap

Abbreviaxioni

1255

Ap. Pt. At. Pii. Vang. Eb. Vang. Eg. Vang. Heb. Vang. Gc. Vang. Naass. Vang. Pt. Vang. Tom.

Apocalisse di Pietro Atti di Pilato Vangelo degli Ebioniti Vangelo degli Egiziani Vangelo degli Ebrei Protovangelo di Giacomo Vangelo dei Naasseni Vangelo di Pietro Vangelo di Tommaso

Born. 1-2 Clem. Drd. Diogn. Herm. Mand. Sim.

Lettera di Barnaba Prima e Seconda lettera di Clemente Didachè Lettera a Diogneto ERMA

Eph. Magn. Phld. Pol. Rom. Smym. Tra!!. Mar. Pol. Poi. Phil.

Mandati Similitudine Visioni Lettera di Ignazio agli E/esini Lettera di lgna1.io ai Magnesi Lettera di lgna1.io agli abitanti di Filadelfia Lettera di lgnl.l1.io a Policarpo Lettera di lgna1.io ai Romani Lettera di lgna1.io agli abitanti di Smirne Lettera di lgna1.io ai Tra/lioni Martirio di Policarpo Lettera di Policarpo ai Fi/ippesi

Ant. Bib.

PSEUOO-FILONE, Antichità bibliche

Ign.

Vir.

3. Abbreviazioni dei nomi dei rotoli del Mar Morto e di testi co"elati

CD f:Iev LQ Mas Mird Mur p Q l Q, 2Q, 3Q, ecc. lQapGen lQH lQis'·b lQpAb

(Testo della Geniza del) Cairo, (documento di) Dama­ sco Testi di Nahal - Hever Letteratura di Qumran Testi di Masada Testi di Khirbet Mird Testi del Wadi Murabba'at Pesher (commentario) Qurnran Grotte numerate di Qurnran, contenenti materiale scrit­ to; seguite dall'abbreviazione del libro biblico o apocrifo Genesis Apocryphon della grotta l di Qurnran Hodayot Unm) della grotta l di Qumran Prima o seconda copia di Isaia della grotta l di Qurnran Pesher su Abacuc della grotta l di Qumran

1256

Abbreviazioni

1QM 1QS

Mil�imti (Rotolo della guerra) Serek hayya�ad (Regola della comunità, Manuale di disci­ plino) Appendice A (Regola della congregazione) a 1QS Appendice B (Benedizioni) a lQS Rotolo di rame della grotta 3 di Qumran Florilegio (o Midrashim escatologici) della grotta 4 di Qumran Testi «Jllessianici» in aramaico della grotta 4 di Qumran Preghiera di Nabomde della grotta 4 di Qumran Testimonio della grotta 4 di Qumran Testamento di Levi della grotta 4 di Qumran Filatteri delle grotta 4 di Qumran Melchiredek della grotta 11 di Qumran Targum di Giobbe della grotta 1 1 di Qumran

lQSa I QSb 3Q15 4QFior 4QMess ar 4QprNab 4QTestim 4QTLevi 4QPhyl 1 1QMelch 1 1QtgGb 4. Targumim

Tg. Onq. Tg. Neb. Tg. Ket. Tg. Frg. Tg. Sam. Tg. lsa. Tgm. Pal. Tg. Neo/ Tg. Pr.-]. Tg. Yer. l Tg. Yer. Il Tg. Yem. Tg. Est. l, Il

Targwn Onqelos Targum dei profeti Targum degli scritti Targum frammentano Targum samaritano Targum di Isaia Targumim palertineri Targum Neo/iti l Targum Pseudo-Gionata Targum gerosolimitano l Targum gerosolimitano Il Targum yemenita Targum di Ester primo o secondo

5. Abbreviazioni di Ordini e Trottati nella letteratura mis�nica e co"elata

Per distinguere i trattati che hanrto lo stesso nome nella Mishnà, nella Tose/tà, nd Talmud babilonese e nel Talmud di Gerusalemme, usiamo (in corsivo) m., t. , b. o T prima del titolo del trattato. Così, m. Pe'a 8,2; b. Sabb. 3 la; y. Mak. 2.3 Id: t. Pe;a 1.4 (Zuck. 18 [= numero di pagina dell'edizione della Tose/tà di Zuckermandel]). 'A bot 'Arak.

AZ

BB Bek. Ber. Be�

'Abot 'Arakin 'Aboda Zara Baba BaiTa Bekorot Berakot Besa (= Yom Tob)

Abbrevid'lioni Bik. BM BQ Dem. Er. Ed. Git. Hag. Hal. Hor. Hul. Kel. Ker. Ket. Kil. Maaf Mak. Makh. Meg. Meil. Men. Mid. Miqw. Moed MQ M5 Nafim Nazir Ned. Neg. Nez. Ntd. Ohol. Or. Para Pe'a Pes. Qidd. Qinnim Qod. RH Sanh. Sabb. Seb. Sebu. Seqal. 5ota 5ulek.

1257

Bikkurim Baba Mesi'a Baba Qamma Demai 'Erubin 'Eduyyot Gi(tin J:lagiga Hallo Horavot Hullin Kelim Keritot Ketubot Kil'ayim Ma'aferot Makkot Makfirin (=Mafqin) Megilla Me'ila Menabot Midd�t Miqwa'ot Mo'ed Mo'ed Qatan Ma'afer Seni Nafim Nazir Nedan·m Nega'im Neziqin Ntddah Oholot 'Orla Para Pe'a Pesahim Qiddusin Qinnim Qodaiin Roi HaHana 5anhedrin Sabbat Sebi'it Sebu'ot Seqalim 5ota 5ukka

1258

Taan. Tamid Tem. Ter. Tohar. T Yom 'Uq. Yad. Yebam. Yoma Zahim Zebah. . Zer.

Ta'anit Tamid Temura Terumot Toharot Tebul Yom 'Uq#n Yadayim Yebamot Yoma (=Kippurim) Zabim Zebaf?im Zera'im

6. Abbreviazioni di altre opere rabbiniche

'Abot R. Nat. 'Ag. Ber. Bah. Bar. Der. Er. Rab. Der. Er. Zut. Gem. Kalla Mek. Midr. Pal. Pesiq. R. Pesiq. Rab Kah. Pirqe R. El. Rab. Sem. Sipra Sipre Sop. S. 'Olam Rab. Talm. Yal.

'Abot di Rabbi Natan 'Aggadat Beresti Babilonese Barai/a Derek Eres Rabba Derek Eres Zuta Gemara Kalla Mekilta Midrai; citato con le comuni abbreviazioni dei libri bo blici; ma Midr. Qoh. = Midrai Qohelet Palestinese Pesiqta Rabbati Pesiqta di Rab K.ahana Pirqe Rabbi Eliezer Rabbah (seguito dall'abbreviazione dei libri biblici: &... Rab. [con i punti] = Genesi Rabbah) Semahot Sipra Sipre Soperim Seder 'Olam Rabbah Talmud Yalqut

7. Abbreviazioni dei trattati di Nag Hammadi

Act. Pt. 12 Apos. Allogenes l Apoc. Gc.

Atti di Pietro e dei dodici apostoli Allogenes Prima apocalisse di Giacomo

Abbreviazioni 2 Apoc. Gc. Apoc. P!. Apoc. Pt. Apoa: Gc. Apocr. Gv. Apoc. Ad. Asclepio Bat. A Bat. B Bat. c

Dia!. S. Disc. 8·9 Ep. Pt. Fil. Euc. A Euc. B Esp. Val. Eugnostos Ex. An. Hyp. Are. Hypsiph. Ins. Si/v. Interp. Con. Marsanes Melch. Noema Norea Orig. Mon. Praf Shem Pr. P!. Pr. Ring. Seni. Sextus Soph. G. C. Stele Seth Test. Ver. Tom. Con. Trai. Res. Trat. Seth Trai. Tri. Tuono Prot. Trim. Vang. Eg. Vang. Phil. Vang. Tom. Vang. Ver. Zost.

1259 Seconda apocalisse di Giacomo Apocalisse di Paolo Apocalisse di Pietro Apocrifo di Giacomo Apocrifo di Giovanni Apocalisse di Adamo Asclepio 21-29 Sul battesimo A Sul battesimo B Sul battesimo C Dialogo del saggio Discorso sulle Ottave e le None Lettera di Pietro a Filippo Sull'eucarestia A Sull'eucarestia B Un'esposi1.ione valentiniana Eugnostos il Benedetto Esegesi sull'anima Ipostasi degli arconti Ipsi/rone Dottrina di Silvano Interpreta1.ione della conoscen1.0 Marsanes Melchisedek Concetto di Nostra Grande Poten1.0 Pensiero di Norea Sull'origine del mondo Parafrasi di Shem Preghiera dell'apostolo Paolo Preghiera di nngra1.iamento Sentenu di Sesto Sapien1.0 di Gesù Cnsto Tre stele di Seth Testimonian1.0 veritiera Libro di Tommaso l'avversario Trattato sulla risurre1.1one Secondo trattato del grande Seth Trattato !ripartito Tuono, mente perfetta Protennoia trimor/ica Vangelo degli Egil.iani Vangelo di Filippo Vangelo di Tommaso Vangelo della Ven'tà Zostriano

1260

8. Abbreviazioni di n"viste comunemente usate, di opere di riferimento e collone

AAS

Acta apostolicae sedis

AcOr

Acta orientalia

AASOR AB

Annuai of the American Schools of Orientai Research Anchor Bible

ACW

Ancient Christian Writers

A/0

Archiv for Orient/orschung

AH A]A A]BA A]P A]SL A]T

American ]ournal ofArchaeology Austra/ian Journal of Biblica/ Archaelogy American ]ournal o/ Philolog:y American ]ournal o/Semitic tanguages and Literature American Journal o/Theology

AGJU

ALBO ALGHJ AnBib

ANEP ANESTP

Arbeiten zur Geschichte des antiken J udentums un d des Urchristenrums F. Rosenthai, An Aramaic Handbook

Anaiecta ·lovaniensia biblica et orientalia Arbeiten zur Literatur und Geschichte des hellenisri· schen Judentums Anaiecta biblica ].B. Pritchard (ed.), Ancient Near East in Pictures ].B. Pritchard (ed.), Ancient Near East Supplementarr

Texts and Pictures

ANET Ang

].B. Pritchard (ed.), Ancient Near Eastern Texts

AnOr

Anaiecta orientalia

ANQ

Andover Newton Quarterly

ANRW

Au/stieg und Niedergang der romischen Welt

ANTF AOAT AOS

AP APOT Arch ARW ASNU

Angelicum

Arbeiten zur neutestamentlichen Textforschung Alter Orient und Altes Testament American Orientai Series J. Marouzeau (ed.), L'Année philologique R.H. Charles (ed.), Apocrypha and Pseudoepigrapha o/

the 0/d Testament Archaeology Archiv for Religionwissenschaft

ASOR

Acta seminarii neotestamentici upsaliensis American Schools of Orientai Research

ASS AsSeign ASSR ASTI

Acta sanctae sedis Assemblées du Seigneur Archives des sciences socio/es des religions Annua/ o/ the Swedish Thealogical Institute

ATAbh ATANT

Alttestarnentliche Abhandlungen Abhandlungen zur Theologie des Alten und Neuen Te­ staments H. Grollenberg, Atlas o/ the Bible Das Alte Testament Deutsch

AtBib ATD

ATR

Angliam Theological Review

Abbrrlna%ioni

1261'

Aug AusBR AUSS BA

Augustinùmum Australian Biblica! Review Andrews University Seminary Studies Biblica! Archaeologist

BAR BARev BASOR

Greek-English Lexicon o/ the New Testamenl Biblica! Archaeologist Reader Biblica! Archaeologist Review Bulletin of the American Schools o/ Orienta! Research

BAC BAGD

BBB BBET

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BibOr BibS(F) BibS(N)

BIES BIFAO Bijdr BIOSCS

Biblioteca de sutores cristianos W. Bauer - W. F. Amdt - F.W. Gingrich - F. W. Danker,

Banner biblische Beitriige Beirrage zur biblischen Exegese und Theologie

Bulletin o/ tbe Council on tbe Study o/ Religion F. Brown - S.R Driver - C.A. Briggs, Hebrew and English Lexicon o/ the 0/d Testament F. Blass - A. Debrunner - R.W. Funk, A Greek Grom­ mar o/the New Testament F. Blass - A. Dehrunner - F. Rehkopf, Grammatzk des neutestamentlichen Griechisch Bibbia e oriente Bibliotheca epbemeridum theologicarum lovaniensium Beirrlige zur evangelischen Theologie Beitriige zur Fi:irderong chrisdicher Theologie Beirrlige zur Geschichte der biblischen Exegese Bulletiil d'histoire et d'exégèse de l' Ancien Testafnenr B. Reicke - L. Rost (edd.), Biblisch-Historisches Hand­

worterbuch R Kirrel, Biblia Hebraica B1blia hebraica stuttgartensia Beirriige zur historischen Theologie Biblica Biblische Beitriige

Bible Bhashyam Bibel und Leben

Biblica et orientalia Biblische Studien (Freiburg, 1895-) Biblische Studien (Neukirchen, 195 1-)

BK

Bu/letin o/ the lsrael Exploration Society (= Yediot) Bulletin de l'institut /rançois d'archéologie orientale Bijdragen Bulletin o/ the lnternational Organization /or Septuagint and Cognate Studies Bulletin o/ the ]ewish Palèstine Exploration Society Bulletin o/ the ]ohn Rylands University Library of Man­ chester Bibtl und Kwche

BKAT

Biblischer Komrnentar: Aires Testament

BLit

Bibel ulfd Lituf'gie

B]PES B]RL

1262

BN BO BR RSac RSOAS BT BTB BTS BurH BVC BWANT ByF BZ BZAW BZNW BZRGG CAH

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CCath CH CHR CIG CII CIL CIS

Cf

C] T CNT ConB ConBNT ConBOT ConNT CP CQ CQR CRAIBL

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Ahbf't!IJitniom Bib/ische Notiz;en Bibliotheca orientalis Biblica/ Research Bib/iotheca Sacra Butletin o/ the Schoo/ o/ Orienta! (and A/rican) Studies The Bzble Translator Biblica! Theology Butletin Bib/e et terre sainte Buried History Bzble et vù: chrétienne Beitriige zur Wissenscha& vom Alten und Neuen Testa­ ment Bib/ia y /e Biblische Zeitschri/t Beihefte zur ZA W Beihefte zur ZNW Beihefte zur ZRGG Cambndge Ancient History Cahiers évangile Cahiers de la Revue biblique Cahiers théologiques Commentaire de l' Ancien Testament Cultura biblica Catholic Bzblzeal Quarterly Catholic Biblica! Quanerly - Monograph Series Corpus christianorum Corpus catholicorum Church History Catho/ica Historica/ Review Corpus inscriptionum graecarum Corpus inscnjJtionum iud4icarum Corpus inscnptionum latina.rum Corpus inscrzptionum semiticarum Classica! ]ournal Canadian ]ouma/ o/ Theology Commentaire du Nouveau Testament Coniectanea biblica Coniectanea biblica, New Testament Coniectanea biblica, Old Testament Coniectanea neotestamentica Classica/ Philology Church Quarter/y Church Quarter/yReviet,IJ Comptes rendus de l'IJCadimie des inscn'ptions et be/les­ lettres Compendia rerum iudsiCill'llm ad Novum Testamentum Corpus scriptorum orientalium Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum

Abhmmrlioni

1263

Cf]

C1M

CTQ CurTM DACL DBSup D]D DRev DS DTC EBib EDB EHAT EKKNT EKL Encfud EnchBib Erlsr Er]b EstBib EstEc! EstTeol ETL ETR EvK EvQ EvT EWNT ExpTim FB FBBS FC FRLANT

GAT GCS GKB GKC GLNT GNT GRBS Greg GTA GT] HALAT

·

Calvin Thea/Dgical Journal Conrordia Theological Monthly (o CTM) Concordia Theological Quarterly Cu"ents in Theo/ogy and Mission Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie Dictionnaire de la Bible, Supplément Discoveries in the J udaean Desert Downride Review Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion rymbolorum Dictionnaire de théologie catholique Études bibliques L.F. Ha rtrnan (ed.), Encyclopedic Dictionary ofthe Bib/e Exegetisches Handbuch zum Alten Testament Evangelisch-katholischer Kommentar zum Neuen Testa­ ment Evange/isches K.irchenlexicon Encyclopedia Judaica (197 1) Enchin'dion biblicum Eretz lsrael Eranos Jahrbuch Ertudios bib/icos Estudios eclesidsticos Estudios teo/Ogicos Ephemen'des theologic4e lovanienres Études théologiques et re/igieuses Evangelische K.ommentare Evangelica! Quarterly Evangelische Theologie H. Balz - G. Schneider (edd.), Exegetisches Worterbuch z.um Neuen Testament Expository Times Forschung zur Bibel Facet Books, Biblica! Series Fathers of the Church Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments Grundrisse zum Alten Testament Griechische christliche Schriftsteller Gesenius-Kautzsch-Bergstriisser, Hebriiische Grammatik Gesenius' Hebrew Grammar, a cura di E. Kautzsch, trad. A. E. Cowley Grande Lessico del Nuovo Testamento Grundrisse zum Neuen Testament Greek, Roman, and Byz.antine Studies Gregorianum GOrringer theologische Arbeiten Grace Theological Journal W. Baumgartner e altri, Hebriiisches und aramiiisches Lexicon z.um Alten Testament

1264

HAT HDR Hey] Hib] HKAT HKNT HNT HNTC HR HSM HSS HTKNT

HIR HTS HUCA HUT IB IBS ICC IDB IDBSup lE] Int 105 ITQ ]A ]AAR JAC JAL ]ANESCU ]AOS ]AS

JB

]BC ]BL ]BR ]DS ]EH ]EOL ]ES ]ETS ]HNES ]HS J]S ]MES

Ha.odbuçh zum Alten Testament Harvard Dissertations in Religion Heythrop ]oum.U Hibbert ]ournal Handkommentar zum Alten Testament Handkommentar zum Neuen Testament Handbuch zum Neuen Testament Harper's NT Commentaries History o/ Religions Harvard Semitic Monographs Harvard Semitic Studies Herders theologischer Kommentar zum Neuen Testi ment Harvard Theological Review Harvard Theological Studies Hebrew Union College Annua/ Hermeneutische Untersuchungen zur Theologie Interpreter's Bible Irish Biblica!Studii!S International Criticai Commentary G.A. Buttrick (ed. ), Interpreter's Dictionary o/ the Bibl" Volume supplementare a IDB lsrael Exploration Journal Interpretation Iirae/Orienta/ Society Irish Theological Quarterly Journal asiatiqt�e Journal o/the American Academy o/Religion Jahrbuch fiir Antike und Christentum Jewish Apocryphal Literature ]ournal o/ the Ancient' Near Eastern Society o/ Columbz.o University Journal o/ the American On;nta!Society Journal o/Asùm Studies A. Jones (ed.), ]erusalem Bible RE. Browo e altri (edd.), The ]erome Biblica! Commen­ tary Journal o/Bi'blical L1ierature ]ournal o/Bible and Religion Judean Desert Studies Journal o/ Ecclesiastica! History Jaarbericht . ex oriente lux ]ournal o/ Ecumenica!Studies ]ournal o/ the Evangelica! Theologica/Society John Hopkins Nesr Eastern Studies Journal o/Hellenic Studies Joumal od ]ewish Studies Journal o/Middle Eastern Studies ..

Abbreviln.ioni ]NES ]POS ]PSV ]QR

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LCQ LD

LLAVT LPGL LQ LR LS

LSJ

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MDB MDOG

1265 ]ournal o/ Neu Easlem Studies Joumal o/ the Palestine on·ental Society fewish Publicalion Sodety Version ]ewish Quarterly Review Jewish Quanerly Rcvic:w Mon ograph Series }ournal o/ Religion ]oumal o/ Religious S�,.dies }ournal o/Religious History Journal o/ Roman St..Jies ]oumtJl o/Religious Thought

Jiidische Sduiften aus h!illenisrisch-romischer Zeit

Journal /or the Study o/]udot!im in the Persian, Helleni­ stic and Roman Periods ]ournal/or the Study o/ the New Testamenl ,

Joumal for the Study of the New Testament - Supple­ ment Series ]oumal /or the Sttdy o/ the 0/d Testamenl J,urnal for the Study of the Old Testament - Supple­ ment Series

]ournal o/Semitic Studies ]ournal/or the Scientific Study o/ Religion ]ournalfor Theoiogy (lnd the Church ]ouma/. o/ Theoiogiclll Studies ]udaiC9: Beitriige U4m Verstiindnis... - � St;llin (ed.), Kommentar zum Alten Testament L Koehler W, Baumgarmer, Lexicon in Veteris Testa­ menti libros Kerygma un4Dpg�a King ]ames Version -

Kleine Texte

Linguislicll biblica

�brary of Chl:istian Oassics Loeb Classical Library

Lutheran Church Qaurterly Leaio clivina E. Vogt, Lexù:on.�nguae ararnaicae Veteris Testamerrti G.W.H. Lampe, Patri.,stic Greek Lexicon Lutheran Qt�arJerly Lutherische Rundschau Louvain Studies Liddeli-Scott-Jones, Greek-English Lexicon Lexicon for Theoiogie und Kirche Lava/ thétJJogique et phiiosophique Lumière et vie Lutheran World McCormick Quarterly Le monde de la Bible Mitteilungen der deutschen Orient-Gesellschaft

Abbreviazioni

1266 MeyerK

MGW] MM MNTC MPAIBL

MScRel MTZ Mus MUSJ NAB NCB

NCCHS NCE NEB Neot

NFT NGCB NHS NICNT NICOT

NIV N]BC N]V NKZ NovT

NovTSup

NRT NTA

H.A.W. Meyer, Kritisch-exegetischer Kommentar iiber das Neue Testament

Monatsschri/t for Geschichte und Wissenschaft des Juden· tums J.H. Moulton G. Milligan, The Vocabulary o/ tbc Greek Testamen/ -

Mofftttt NT Commentary Mémoires présentés à l'académie des inscriptions et bel. les·lettres

Mélanges de science religieuse Miinchener theologische Zeitschrift Muséon Mélanges de /'université Saint foseph New American Bible

Neui Century Bible RD. Fuller e altri (edd.), Nw Catho/ic Commentary on

Holy Scripture

M.RP. MèGuire e altri (edd. ), New Catholic Encyclope· dia New Eng/ish Bible Neotestamentico New Frontiers in Theology Nuovo Grtlnde Commentario Btblico

Nag Hammacli Studies New lritemationid Commentary on the New Testamenr New lntemational Commentary on the Old Testament

New International Version New ]erome Bfblicol Commentary New ]ewish Vers'ion Neue kirch/iche Zeitschri/t Novum Testamentum

Novum Testamentum, Supplementi

La noiwellé revue théologique New Testament Abstrads

NTAbh NTD NTF

Neutestamentlidté Abhandlungen Das Nelle TeStament Deutsch Neutestamentliche Forschungen

NITS

New Testament Tools and Stud.ies

NTS

Numen OBO OIP OLP

OLZ Or OrA nt OrChr

New TestamentSbldies

Numen: lntemational Review /or the History of Relt­ gions Orbis biblicus et orientalis Orientai Institute Publications Orientalia lovaniensia periodica

Orienta/ische Uteraturuitung Orientalia (Roma) Oriens antiquus Oriens christianus

OrSyr OTA

OTL

PAAJR PCB PEFQS PEQ PG

PGM Phi/ PJ

L:Orient syrien

OJd Testament Abstracts Old Testament Library

Proceedings o/ the American ACildemy o/Jewish Research

M. Black - H.H. Rowley (edd.), Peake's Commentary on

the Bib/e Pa/estine Exploration Ft.�nti, Qt.�arter/y Statement Palestine Exploration Q�Jarter/y

]. Migne, Pauologia graeca K. Preisedanz (ed.), Papyri graecae magicae

PhilologtJS Pa/iistina - Jahrbuch

PL PO

]. Migne, Pauologia latina Patrologia orientalis

PSB PST]

Princeton Seminary Bul/etin Perkins Schoo/ o/Theology ]9Mrnal

PTMS PVTG PW

Pittsburgh Theological Monograph Series Pseudoepigrapha Veteris Testamenti graece Pauly-Wissowa, Reai-Enzyklopiidie der k/assischen Alter­

tumswissenscha/t

PWSup QD

Supplemento a PW Quaestiones disputatae

QDAP RAC RANE RArch

Q114rterly o/the Department o/AntiqtJities in Palestine Rea//exicolf /iir Antike und Christentum

RB

RCB RE REA RechBib

RE] Re!S Re!Soc Re!SRev

RES

ResQ RevExp RevistB RevQ RevScRel RevSem RGG RHE RHPR RHR RIDA

Records of the Ancient Neax East

Revue archéologique Revue bib/iq��e Revista de cultura biblica Rea/en1.yklopiidie /iir protestantische Theologie und Kir­ che Revue des itt.�des anciennes Recherches bibliques

Revue des études jtJives Religious Studies Re/igion and Society Reltg,ious Studies Review Répertoire d'�igraphie sémitique Restmation Qwlrterly Review and Expositor Revista biblica Revt.�e de Qumran Revt.�e des S!iences religieuses Revue simitique Re/igion in Geschichte und Gegenwart Revue d'histoire ecclésiastiqfll! Revue d'historie et de pbilosophie religieuses Revue de l'histoire des reh"gions Revue internatiotlll/e des droits de l'antiquité

1268

Ahbreviavoni

RivB

Rivista biblica Regensburger Neues Testarnent Romische Quartalschrift for christilche Altertumskunde und Kirchengeschichte RevieiJJ of Religion La revue re/ormée Rivista degli studi orientali R'evue des sciences phìlosophiques et théologiques Recherches de science religieuse Revised Standard Ver.tion Revue théologique de Louvain Revue de théologie et de philosophie Revue de l'université d'Ottawa RevZ:Sed Ver.rion Sacris erudiri Studien zum Alten und Neuen Testament Sources bibliques Studies in Biblica! Archaeology Sitzungsberichte der bayerischen Akademie der WissNI­ schaften Stuttgarter biblische Beitrlige Studii biblici/ranciscani liber annuus La sainte bible de ]érusalem Society of Biblica! Literature Abstracts and Seminar Pa­

RNT

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RR RRef RSO RSPT RSR RSV RTL RTP RUO RV SacEr SANT SB SBA SBAW SBB SBFLA SBJ SBLASP SBLDS SBLMasS SBLMS SBLSBS SBLSCS SBLTT SBM SBT se

ScEccl ScEs SCHNT SCR Scr ScrB ScrHier so

SE Sem SHT SJ S]LA

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SBL Dissertation Series SBL Masoretic Studies SBL Monograph Series SBL Sources for Biblica! Study SBL Septuagint and Cognate Studies SBL Texts and Translations Stuttganer Bibelstudien Studies in Biblica! Theology Sources chrétiennes Sciences ecclésiastiques Science et esprit Studia ad corpus hellenisticum Novi Testamenti Studies in Comparative Religion Scripture Scripture Bulletin Scripta hierosolymitana Studies and Documents Studia Evangelica I, II, -III, ecc. (= TU 73 [ 1 959), 87 [1964) , 88 [1964); l02 [1968), 103 [1968), 1 12 [197))) Semitica Studies in Hisrorica:l Theology Studia judaica Srudies in Judaism in Late Antiquity ·

Ab�ioni S]T SMSR SNT SNTSMS so

SOTSMS SP SPap SPAW SPB SPC SR sss

ST STANT STDJ Str-B

StudNeot StudOr SUNT SVTP SymBU TAPA TBei Tbl

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TG/ THKNT ThStud TLZ TP TPQ TQ TRE

TRt'll

1269 Scottish ]ourruzl o/Thetilogy Studi e materiali di storia thlle religioni Studien zum Neuen Testament Society for New Testament Studies Monograph Series Symbolae osloenses Society for Oid Testament Study Monograph Series J- Coppens e a1tri (edd.), Sacra pagina Studia papyro/ogica Sih.ungsberichte der preussischen Akademie der Wissen­ scbaften Studia postbiblica Studiorum pau/ìnorum congressus internationalis catholi­ cus 1961 (2 volumi) Studiei in Re/igion/Sciences re/igieuses Sclnitic Study Series Studia theologica Studien zum Alten und Neuen Testament Studies on the Texts of the Desert of Judah [H. Strack e] P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Te­ stament Studia neotestamentica Studia orientalia Srudien zur Umwelt des Neuen Testaments Studia in Veteris Testamenti pseudoepigrapha Symbolae biblicae upsalienses Transacttons of the American Philologica/ Association Theo/ogische Beitriige Theo/ogische Bliitter Theologische Bucherei The Bible Today B.M. Métzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament Theology Digest G. Kittel - G. Friedrich (edd.), Theologico/ Dictionory o/ the New Testoment G.]. Botterweck - H. Ringgren (edd.), Theological Dic­ tionary o/the 0/d Testament Texts and Studies Theologische Forschung Theologie und Glaube Theologischer Handkommentar zum Neuen Testament Theologische Studien Theologische Literoturzeitung Theologie urrd Philosophie Theologisch-Praktische Quortolschri/t Theologische Quartalschrift Theologische Reol-enzyklopiidie Theologische R evue

Ahhreviawni

1270 TRu TS TSK TToday TTZ

TheokJgische Rundschau TheokJgical Studies TheokJgische Studien und Kritiken TheokJgy Today Trierer theokJgische Zeitschn/t

TU

TWAT

Tex te und Untersuchungen G.]. Botterweck - H. Ringgren (edd.), Theologisches

TWNT

G. Kittel - G. Friedrich (edd.), Theologisches Worterbuch

TynBul TZ UBSGNT UNT

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WZKM WZKSO ZAW ZDMG ZDPV ZHT ZKG ZKT ZMR ZNW

Worterbuch 1.um Alten Testament

1.Um Neuen Testament Tyndale Bulletin Theologische Zeitschn/t United Bible Societies Greek New Testament Untersuchungen

zwn

Neuen Testament

Union SemiMry Quarterly Review VigilitJe christitJMe Verbum caro Verbum domini Vox evangelica Verkundigung und Forschung K. Aland (ed.), Voilstiindige Konkordan1. 1.um griechi­ schen Neuen Testament Vivre et penser ( RB 194 1 -1944) Verbum salutis .

=

Vie spirituelle Vetus Testamentum

Vetus Testamentwn , Supplementi

Westminster Dictionary o/ the Bible Westminster Historical Atlas o/ the Bihle

World History of theJewish People Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament

Die Welt des Orients Westminster TheokJgical ]ournal

Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testa­ ment WJSSeDSChaftliche Veroffentlichungen der deutschen 0rientgesellschaft

Wiener Zeitschri/t /iir die Kunde des Morgenlandes Wiener Zeitschri/t for die Kunde Sud- und Ostasien Zeitschri/t for die altlestamentliche Wissenscha/t Zeitschri/t der deutschen morgenliindischen Gesellscha/t Zeitschri/t des deutschen Paliistina-Vereins Zeitschri/t /iir historische Theologie Zeitschri/t for Kirchengeschichte Zeitschri/t /iir katholische Theologie Zeitschri/t /iir Missionskunde und Religionswissenscha/t Zeitschri/t /iir die neutestamentliche Wissenschaft

Abbreviavoni ZRGG ZTK ZWT

127 1

Zeitschri/tftir Religions- und Geistesgeschichte Zeitschri/t /iir Theologie und Kirche Zeitschri/t /iir wissenschaftliche Theologie

9. Abbreviazioni varie

AT LXX par(r). s.v. TM Vg VL Il

Antico Testamento Septuaginta!Settanta Parallelo(i) nei vangeli sub verbo Testo masoretico Vulgata Vetus Latina Due pericopi (spesso nel documento Q) che sono fon­ damentalmente parallele, benché con alcune differenze nella formulazione.

INDICE DELLE CITAZIONI BIBLICHE

Antico Testamento Genesi l

1 ,2 1,20-23 1 ,3 1 2 3,1 3 ,6 8, 1 1 12,1-3 13 13,1 - 1 1 (LXX) 13,10- 1 1 (LXX) 15,2 15,15 22 22,2 22,12 22,16 25 ,25 (LXX) 28,10- 17 28,12 28,12 (LXX) 30,13 30,13 (LXX) 3 1 ,3 1-32 (LXX ) 49,2 (Tg) 49,10 49,33

321, 507, 604, 1 166 137 1223 872 98 50 545 137 54 89 89 89 1012 1008 138 138 138 138 94 292 1 1 83 310 417 417 1 124 333 835 1008

Esodo 3 , 1 - 12 3 , 14

812 1 125

3,14-15 4,1 1 7,14-12,30 7,22 7,8- 13 8 8,3 8,12-15 8,15

8,15 (LXX) 8,15 (4QpaleoExodm) 8,19 (Eng) 9,25 14 14,23 .3 1 15,3 (Tg) 15,17-18 15,18 15,18 (Tg) 16 17,7 17,7 (LXX) 19,6 20,14 23,20 23,20 (LXX) 30, 1 1 - 1 6 3 1 , 18 33,18-34,6 33,19 33,22 34,6

1 125 861 1079 495 701 494 495 495 483 , 495, 4%. 497, 505, 50tJ. 507, 508 495 506 495 1081 321 1079 333 341 302, 333 333 1223 528 528 302, 32 1 270 197. 202, 203 202 1045 505 1 124 1 124 1 124 1 124

lttdice delle ciUIVoni bibliche 34,9 34,9 (LXX) 34,28

528 528 577

Levitico

10,1-12 10,3 1 1,29-}8 . 13 13 ,45-46 13-14 14,5-6 14,50-52 15,8 16,29.3 1 18,16 20,2 1 22,32 23,27.29.32 . 25

1079 360 l l80 843 845 843 100 100 658 577 270 270 360 577 341

Numeri

6 6,1-2 1 6,5.9.19 19,2 19,13 20-2 1 20,12 20,13 23 ,2 1 27,14 29,7

Deuteronomio

1-26 4,1 9,10 16,20 18,15-18 18,15.18 18,15 . 18-19 19,15 2 1 , 18-21 2 1 ,20 32,5.20 32,1 1 32,13 32,33

97 96 97 482 100 360 360 303 360 577

495 436 495, 505 436 949 33 1 144 784 220 220, 242 210 137 98 51

1273 32,51 33,5

Giosuè

360 302

3,15 19,28

106 1 191

Giudici 1,7 1,16 5 ,20 6,l lb-17 8,23 l l , 12 l l ,34 13,4-5 14,10 14,12

789 87 328 812 303 1 168 138 97 l l87 1 187

I Samuele 1 ,9-15 1 , 1 1.22 G.JOO 7,6 8,6-22 9,1-10,16 12,1-2 . 1 3 14,24 16, 14-23 18,10- 1 1 19,9-10 24,22 (LXX)

97 97 107 30"3 303 303 385 480 480 480 !59

2 Samuele

1 , 12 6,6-7 7,8-17 7,10-14 7,11-15 7,11-16 12,16-23 12,21 13,1 15,23.28 16,10 16,14 (LXX) 17,16 17,22 19,23 24,1

577 1079 303 340, 341 326 820 577 577 818 88 1 168 88

88

88 1 168 373

lndice delle citiJVoni bibliche

1274 1 Re 1 ,24 3,13 4,13 7,46 1 3 , 1 -5 13,4-6 13,4-6 (LXX: J Re) 17 17,7-24 17,7-24 (LXX: 3 Re) 17,8-16 17,10 (LXX: 3 Re) 17,12 17,12 (LXX : J Re) 17,17-18 17,17-24 17, 17-24 (LXX: 3 Re) 17,18 17,19 17,23 (LXX: 3 Re) 17 ,23b 17,23b (LXX: 3 Re) 19,1-2 19,8 19, 1 1 19,13.19 2 1 , 17-26 2 1 ,27 22,26 (Vat) 2 Re 1 ,8 1 ,8 (LXX: 4 Re) 1 ,9-12 2,1-18 2,8. 1 3 - 14 2,23-24 3 , 13 4 4,1-7 4,8-37 4,8-37 (LXX: 4 Re) 4, 18-37 4,20 4,25 4,28

159 1 168 93 1 89 1079 802 802 959, 966 789, 950, 951 950 12 1 1 950, 961 95 1 , 959 951 934 187, 909, 950 951 998 921 95 1 , 965 951 951 268 577 1 124 94 268 577 550

93, 94 95 1079 92 94 1079 1 168 943 , 953 1211 95 1 , 958 951 187, 909 934 1209 998

4,42-44

5,1 -14 5,1-15 5 , 1 -27 5, 1-27 (LXX: 4 Re) 5,10-14 5,20 5,27 10,30 13,20-21 15,5 18-19

1209, 1 2 1 1 , 1212, 1213, 1214, 1 222 921 1209 1209 187, 838, 853, 857. 858, 943 841 92 853 853 838 1209 1079 43 1 187, 909 1079 270

1 Cronache 2,22-23 17,14 20,5 21,1 28,5 29, 1 1 29,22

93 1 299 932 373 299 299 818

4,33 .36-37 4,43 4,43 (LXX: 4 Re) 5

2 Cronache

1,1 4,17 4,17 (LXX) 13,6 24 ,5 26,16-21 30,26 35,3 35,21 36,15-16

Esdra

5 , 3 1 (LXX: l Esd) 9,6-7 9,6-15 9,10-1 1 . 15 1p,6

818 89 89 818 1045 1079 818

818

1 168 273

93 1, 932 151 151 152 577

Indice delle citazioni bibliche

Neemia 1 ,4 9,6-37 9,16-37 9,36-37 10,33

577 151 107 152 1045

Ester 1 , 1 -3.9- 1 1 1 , 17 2,5 5,6 7,2-6

268 960 93 1 , 932 268 268

Giobbe 5,17-18 9 9,8b 9,1 1 38,1 38,8-11 38,16

417 1 1 19 1 1 18, 1 1 19, 1 120 1 1 19 1 1 19 1 120, 1 12 1 1 120

Salmi 1,1 1 ,3 2 2,7 2,9 5,3 8,4 8,5 10,16 12,8 18,5 (LXX) 19,5 22 22,2 (LXX) 22,29 23,2 24,7-10 29,10 3 1 , 1 -2 (LXX) 32,1-2 38,14 44,5 45,7

341 417 138 138 327 301 505 944 301 2 10 961 960 309 1210 299, 301 1 2 10 301 301 421 4 18 861 301 299

1275

47 48,3 5 1 ,4.9-14 5 1 ,7 60, 10 63 , 1 68,25 74,12 77,17-21 77,20 78,8 81,17 84,4 84,5-6 87,5 87,5 (LXX) 91 93 93 , 1 -4 94,7 - 1 1 (LXX) 94,12-14 95,3 96 96,10 96,13 97 97,1-6 98 98,9 99 99,1-9 103,19 104,7 104,7 (LXX) 105,33 106,3 107 107,23-32 107,25 107,28 107,29 108,10 1 10,1 1 1 8,26 1 18,169-170 (LXX) 1 1 9,1-2 128,1-2 137,8-9

301 301 77 100 67 87 301 301 1 120 1 120 210 98 301 418 528 528 287 , 482 301 301 2 10 417 301 301 301 367 301 301 301 367 301 301 299, 301, 590 1 153 1 153 1063 395 1 153 1 153 1 153 1 153 1 153 67 812 65 545 418 417 418

Indice delle atazi011i bibliche

1276 140,5 140,5 (LXX) 144,15 145 145 , 1 1 145,12 145,13 146 146,5 - 1 0 149,2

Proverbi

1,1 1 ,20-33 3,13 8,1-21 8,33-34 14,21 16,20 29,18 3 1,8

Qohelet 1,1

Cantico dei Cantia

2,12

Isaia

1,16 1 ,2 1 2,1-4 2,2-4 2,2-5 5,16 6,1-13 6,5 6,5-7 6,9-10 7,1-16 7,10-14 8,6 8,13 9,5-6 9,6-7 (LXX) 10,33-34 1 1 , 1 -5 1 1 , 1 -9

528 528 418 301 299 299 299, 301, 590 301 429 301

818 228 417 228 417 417 417 417 861

818

137

1 00 561, 562, 563 397 327 307 360 303 303 1092 549, 103 1 43 1 303 837 360 303 303 56 338 78

1 1 ,2 1 1 ,4b 13,9 20,1-4 24 24-27 24,1-27,13 24,3 24,6.7 24,21 -22 24,21-23 24,23 24,23 (Tg). 25 25,6-7 25,6-8 25,6- 10 25,8 25,32 26,19 26,19 (LXX) 28,4 29,18 29,18-19 29,20 29,23 30,18 3 1 ,4 3 1 ,4 (Tg) 3 1,9 3 1 ,12-14 32,15 32,19 32,20 32,32 33 33,1-24 33,17.22 (Tg) 33,22 34,4 34,6-8 35,1 35,2 (LXX) 35,4 35,5 35,5-6 35,6 35,6 (LXX)

137 327 51 99 304 1028 187 336 1063 5 13 304 304, 334, 336 334 1 176 1 175 397, 1028 379 187 1 150 187, 1028 1028 1063 838 187 188 360, 361 418 336 334 51 1 175 77 56 418 1 150 304 304 334 304 1063 379 88 88 188, 366 838 187' 872, 1028 861 861

India delle ci/4Vtmi bibli{:he 36-39 40 40,3 40,5 40,9 40,9- 10 40,10 4 1 ,2 1 42,1 42,1 (LXX) 42, 1-4 42,7 42,18 43,1-8.15 43,1-13 43,5-6 43,15 43,16 44,6 49,10 49,24-25 50,1 50,8 5 1 ,2-3 5 1 ,4-6 5 1 ,9-10 52,7

52,7 (Tg) 52,7-10 52,13-53,12 52,15 53,8 53,8 (LXX) 53,12 53,12 (LXX) 54,1-8 54,4-8 54, 1 1 - 12 55,5 56,1 56,1 !LXX) 56,10 58,6 59,19 59,19-20

43 1 947 44, 86, 87' 88, 89, 161, 20� 947 334, 336 367 367 303 132, 138 132 493 838 1028 304 1 125, 1 126 395 303 1 12 1 303, 304 412 5 13 563 545 54 397 1 12 1 303 , 3 1 3, 334, 336, 341, 367, 488 334 303 139, 309 550 562, 573 573 513 5 13 563 1 176 307 327 545 545 861 557 397 367

127?

61,1-2 61,1-3 6 1 ,2 61,2 (LXX) 61,7 61,10 61,10 ( l Q!ìlsa') 62,4-5 63 63,10 63 , 1 1 63 , 1 1 (LXJQ 63 ,1 1,(1QSisa') 63,19 64,4-6 65,1-5 65,13 66,10-14 66,15.18

327 307 411 137, 189, 430, 473, 1028 187 , 557 411 188, 4 1 1 411 436 563 563 563 139 78 78, 139 139 139 139 107 77 1 4 12 307 367

Geremia 2,2 3 , 1-10 3,1-13 3 ,12. 14.22 5,17 5,17-18 6,6 6,26 7,29 7,34 8,12-23 8,19 10,7.10 1 1 ,16 16,1-4 16,9 20,33 2 1 , 1-10 25,10 26,20-24 27-29 28,4

563, 1 176 563 1 176 52 1063 1063 1063 138 210 1 179 1063 304 304 56 99 1 179 304 43 1 1 179 273 43 1 380

60 60,1-14 61 61,1

Indice delle citazioni bibliche

1278 28,6 30,8-9 3 1-33 31,1 33, 14-26 34-44 35 35,6 (LXX) 46,10 46,18 48,15 5 1 ,57

Lamentazioni 1,3 1,3 (LXX) 4,8 4,8 (LXX)

Ezechiele

1,1 1 ,26-28 7,7.10 7,7.10 (Tg) 7,1 9 12,26-28 16 16,1-34 20,4 1 23 23 , 1 -49 28,22 33 36,16-38 36,23 36,25-26 36,25-27 36,35 36-39 37,15-28 38, 16.23 38,18-23 38,22 38,23 38,23 (LXX) 38-39 39,27 39,29

380 304 304 304 304 431 99 380 379 304 304 304

528 528 545, 546 545, 546

139 1 106 336 334 51 404 1 176 563 360 1 176 563 360, 361 304 361 360, 361 361 77, 100 362 362 304 360, 361 361 51 364 364 362 360 77

Daniele

1-7 2 2,13 2,13-1 4 2,14 2,34.45 2,36-45 2,44 3 3,1 5 3,33 3,54 (LXX) 4,1-37 4,3 (Eng) 4,14 4,17-37 (Eng) 4,19.21 4,22 4,24 4,24 (Theo) 4,28 4,3 1 4,3 1 -32.34 4,34 (Eng) 5,5 5 , 12 5,12 (LXX) 6,27 7 7 , 1 -27 7,13 7,27 8,19 9,3 9,4-19 9,16 10,3 1 1 ,3 1 1 1 ,36 12, 1 -3. 13 12, 1 1 12,12 12,12-13

Orea

1,4 2,4-25

305 306 960 960 960 306 306 299, 306 602 52 299 305 1079 305 305 305 520 305 499 499 499 299 305 305 505 78 78 305 65 306 183 299 51 577 107 51 577 460 51 306 460 418 418

431 562

Indice delle cit/JVoni bibliche 2,11-13 2,12 2,14 3 , 1 -3 6,6 9,10.16 9,10-17

1279 Michea

1063 1063 1063 562 536 1063 1063

2,6- 1 1 2,12 - 13 4, 1-4 4,2 4,7.8 4,8 4,9 7,1 7,1-4

Gioele 1,7.12 2,16 3,1-5

1063 562 77

Naum 3,12

Amos 1 ,3-2,3 2,6 2,6-7 2 , 1 1 - 12 4,4-13 4,9 5,18-20 7,4 7,8 7,16 8,2 8,10 9,13-14

21 (Tg)

1,28 2,1 3,14 3 , 17

1,7 1 , 14-16 2,2 3,15

299, 304, 334, 335, 336 335

1 ,4 1 ,4 (LXX) 1,5 1,6 1,6 (LXX) 1 , 10 1 , 1 1 - 12 1,16 3,6 3,6 (LXX) 4

1 14 1 , 1 148, 1 15 1 , 1 150 1 150, 1 150, 1 15 1 !l'H 1151 1 15 1 1 15 1 545 545 1081

861 687 1 120 1063

So/oma

Giona l

1063

Abacuc

43 1 43 1 43 1 97 1063 1063 189 51 1 123 273 1 123 138 1 175

Abdta 21

273 304 397 960 336 357, 366 304 1056 1063

1 144, 1 150, 1 152 1 15 1 1 15 1

laccaria 7,3.5 8,19 9,9 12,10 13,4 14,5 14,5-9 14,9 14,9 (Tg) 14,14 14,16 14,16-17 14,16-19

379 51 51 304

577 577 183, 437, 1058 138 93, 94 183, 367 367 305, 335, 336 335 1058 397 3 13 305

MaiBchia 1,1 1,11 3,1 3,1 (LXX)

397 397 183, 197, 201, 202, 203 202

Indice delle cittnioni bibliche

1280 3 , 1 -2 3,2 3,23-24 4,1

367 51 183, 1246 51

l Esdra 5,3 1 (LXX)

93 1 , 932

10,14 10,17 - 1 8 13,1 14,3 18,15 19,20

3 10 1 12 1 604 1 12 1 3 10 604

Siracide

Tobia 3 , 17 6,7-8. 16-18 8,3 8,19 (LXX) 1 1 ,19 (LXX) 12,3.14 12,8 13 1 3 , 1 -5 1 3 , 1 - 15 1 3 ,2-18 13,6-10 13,1 1 13,11-17 13,15- 16 14,6

838 480 480, 5 1 3 1 1 87 1 1 87 838 577 307 307 313 307 307 397 307 419 397

Giuditta 8,6 11,1 9,12-14 13,9-17 14,3-19 16,16.1 8.21 ·.

Sapienza

2,1Q;...3. ,12 2-5 3,1-9 3 ,8 4,2Q;...5. ,23 5,16 6,4 6,20-2 1 7,20 7,27 9,4.10 9,17 10,10

577 1 168 308 308 308 308

309 3 13 309 309 309 309 3 10 310 604, 819 228 310 78 292, 299, 3 10

prologo, 2-25 prologo, 24-25 14,1-2 14,20-27 15,3 15, 1 1 - 13 24 24,5-6 24,19.21 25,7-10 32, 1 32,1-2 36,1-3 36, 1-17 36,4 36,5 36,14 36,16 43 44-49 44-50 48, 1 - 1 1 48,12 tLXXY 48,20-49,10 49,10a 50,3 5 1, 1

236 3 16 4 19 419 1 180 373 7 17, 1 12 1 1 12 1 1 180 419 1 186 1 186 362 307 , 3 13 362 362 7 17 7 17 717 3 16 3 16 1246 78 3 16 316 799 307

&mc 3, 1-8 4,21-5,9

307 307

l Maccabei 2,57 3,18 9,10

3 12 311 545

2 Maccabei 1,7 1 ,24

3 12 3 12

Indice delle citaxioni bibliche

2 , 17 3,22-30 7

1281

3 12 1079 3 12, 3 13

7,923 .28-29 7,14 13,4

3 12 3 12 3 12

Nuovo Testamento 3,1 1-12

Matteo 1-2 1 ,6-7 1 , 18-25 2,1 2,1.7.16 2,5 2,15 2,16 3 3,1 3 , 1-2 3,1-6 3,2 3,3 3,4 3,5 3,7 3,7-10

3,7-12

3,7b-9 3,8 3,8bc 3,9 3,10 3,10a 3,10b 3,11

3 , 1 1a 3 , 1 1bc 3 , 1 1d

40, 138 819 138 636 667 358 138 901 138 34, 87 108 116 206, 541 203 93 87 50, 5 1 , 57 49, 50, 53, 54, 57, 6 1 , 62, 64, 66, 7 1 , 76, 78, 79, 145, 180 49, 50, 52, 76, 79, 83, 186, 276 49 52, 73 55 50, 54, 66 50, 5 1, 66, 69, 72, 75 56 56 63, 69, 70, 74, 79, 1 0 1 , 15;, 158, 159, 183, 184 73 63 63

3 , 12 3 , 12c 3 , 12d 3,13.16-17 3 , 14-15 3,16 3 , 17 4,1-11 4,3.6 4 , 12 4,12-17 4 , 17 4,23-24 4,24 5,3 5,3-10 5,3-12 5,5 5,6 5,7-9 5,10

5,11 5 , 1 1- 12 5,16 5 , 17 5,17-19 5,18 5,18bc 5,20 5,21-48 5,23 -24 5,23-25

62, 7 1 , 85, 129, 130, 145 56, 64, 69, 72, 75, 78 79 79 128 127, 147, 154 104, 1 3 1 132, 138, 1040 129, no, 285 129 182 762 82, 206, 2 3 8 , 467, 541 727 172, 809 406, 436, 467, 473 420 348, 404-441 436 434 438 423, 424, 432, 434, 436, 437, 441 423 420, 437 351 223, 236, 244, 890 349 384 279 291, 348, 349 349 1053 353

Indice delle citazioni bibliche

1282

5,25 5,26 5,32 5,38-48 5,48 6,1 6,1-18 6,9 6,9- 13 6,9-15 6,10 6,14 6,14-15 6,15 6,16-18 6,19-21 '6,25-3'4 6,29 7,7-1 1 7,11 7,12 7,19-29 7,21 7,27a 8,1-4 8,1-17 8,2 8,2-4 8,3 8,5 8,5a 8,5b 8,5-10.13 8,5-13

8,6 8,7 8,8 8,8-9 8,10

182 383 277 880 291 351 358 358 350, 358 1049 2 1 , 348, 349, 427, 465 1061 358 1061, 1068 579, 585 439 1 14 1 820 1067 351 236 1066 348 1050 726, 84 1 , 890 782 846 788 890 75 1 887 887 905 726, 73 1, 779, 787, 789, 808, 809, 886, 899, 890, 901 , 1202, 1233 793, 809, 887, 891 788, 889, 890, 891, 892 890, 891, 897, 963 887 389, 891, 897, 904

8,1 1 8 , 1 1 -12

8,12 8,12b 8,13 8,13a 8,13b 8,13c 8,14-15 8,16 8,18-22 8,23-27 8,23-9,8 8,28 8-9 9,1 9,1-8 9,2.6 9,9-17 9,14 �.18 9,18-19.23-26 9,18-26 9,18-34 9,20-22 9,22 9,26 9,27 9,27-3 1 9,32 9,32-33 9,32-34 9,35 9,35-38 10 10,1 10,1-2 10, 1-42 10,5-6

391, 394, 396, 581, 897 2 1 , 348, 3 88404, 428, 465 , 789, 897, 1049, 1226, 1227 392, 394, 395. 396 388 389 887 887 887 782, 726 727 , 782 782 726, 1 136 782 765 781, 782, 791 . 841, 945 762 726 809 782 102 864, 888, 936 726 918 782 726 654 955 , 961 835 732, 726, 780. 794, 840, 983 782 779, 780, 781 . 782, 791, 886 484, 774, 794 727 782 445, 449 483, 484 445 541, 542 398

c,Jice deiJe ciiiiZiom" bibliche 10,6 10,7 10,7-8 10,8 10,17-25 10,19-20 10,23

10,32-33 10,41 11 1 1 ,1 1 1 ,2

11 ,2-3 11,2-4 1 1 ,2-5 11,2-6

1 1 ,2-19

1 1 ,3 1 1 ,4 1 1 ,4'5 1 1 ,4-6 1 1 ,5

890 541, 483 542, 73 1 484, 73 1, 841 445, 446 494 16, 348, 3 8 3 ' 384, 442, 445, 446, 447' 448, 449, 450, 452, 456, 458, 462, 465, 1090 35 1 549 809 445 8 1 ' 182, 1 99, 226, 23 1 , 84 1 , 1037 175, 184, 186 945 5 15, 556 181, 187, 190, 192, 193, 194, 195, 201 , 206, 207, 209, 228, 230, 240, 245, 430, 47 1, 473, 474, 486, 536, 550, 555;570, 586, 591' 648, 782, 794, 809, 84 1 , 1025, 1026, 1027, 1 128 49, 50, 1 5 7 . 175, 179, 180, 229, 232, 2331 234, 276, 279, 470, 471 65, 184 553, 1037 1024 175, 176 410, 472, 553, 782, 793, 809, 84 1, 809, 840, 841, 859, 877'

1283

1 1 )-6 1 1 ,6 1 1 ,7 1 1 ,7a 1 1 ,7b 1 1 ,7b-9 1 1 ,7b-9c 1 1 ,7-9

1 1 ,7- 1 1

1 1 ,7-11a 1 1 ,7-13 1 1 ,7-19 1 1 ,8 1 1 ,9 1 1 ;9bc 1 1 ,9c 1 1 ,10 1 1 , 10a 1 1 ,10c 11,11

1 1 , 1 1a

1 1 , 1 1b

1 1 , 1 1 -12

910, 945, 983, 1024, 1025, 1027, 1028, 1029, 1030, 103 1 , 1032, 12.33, 1234, 1243 193, 7 3 1 , 736, 1025, 1028 190, 194, 229, 1026, 1032 86, 89, 176 195 196 200 196, 198 198, 199, 200, 201, 203, 204, 207, 209, 210, 230, 245, 474 175, 1 8 1 , 195, 196, 204, 209, 228 475 473 181, 198 % 207, 251 198 200 45, 2 0 1 , 203 , 204, 209, 474 203 203 204, 205, 206, 207, 208, 209, 215, 230, 238, 240, 242, 291, 474, 475, 476, 533 , 536, 555 197, 204, 205, 207, 208, 230, 474, 475 175, 197, 204, 205, 206, 207, 208, 230, 475, 476, 477 34, 224, 291

Indi� delle cit61i0fli bibliche

1284 1 1 , 1 1b-13 1 1 ,12

1 1 , 12a 1 1 , 12 - 1 3

1 1 , 12-15 1 1 ,13 1 1 ,1Jb 1 1 ,14 1 1 , 14-15 11,15 1 1 ,15-19 1 1 ,16 1 1 , 16a 1 1 ,16b 1 1 , 16b• l7 11 ,16-19

1 1 ,18 1 1 ,18-19

1 1 ,18-19b 1 1 ,19

1 1 ,20 1 1 ,20-24 1 1 ,21 1 1 ,23 1 1 ,25-30 12 . 12,2-19 12,9-14 12,1 1

175 207, 215, 234, 235, 237, 238, 239, 275 242 176, 179, 180, 232, 233, 234, 278, 279, 47 1 , 473, 476, 477, 537, 555 232 176, 234, 236, 237, 238, 395 242 37, 232, 238 232 232, 1233 246 181 , 2 14 2 10, 239 239 210, 2 1 1 176, 181, 21 0, 2 1 1 , 220i 224, 228, 230, 23 1 , 239, 245, 580 96, 2 1 5 , 2 1 6, 224 176, 2 1 0, 216, 200, 22 1 , 222, 224, 228, 235, 258, 474, 1225, 1227 221 215, 216, 2 18, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 24 1, 375, 580, 1 189 827 73 1 , 827 648, 1038 763 437 782 470 726 804, 869, 870

12,14 12,15-16 12,18 12,22 12,22-23

12,22-23&

12,22-24 12,22-30 12,24 12,25-26 12,25-30 12,26 12,27 12,27-28 12,28

12,29 12,30 12,39-41 12,41 12,41-42

12,42 .

12143-45 12,49-!iO 12,50 13,2.10 13,9 13,10-15 13,10-17 L3 , 1 1 13,13 13,13-15 13,16 13, 16b 13,16-17 13, 17 13,38 13,43 13,54-18,35

745 727 901 781 484, 73 1 , 779, 780, 781, 794, 886 779, 781 759, 774, 794 487, 488, 1024, 1028 668, 791 489, 509 489, 490 488 487, 489, 490, 491 735 238, 291, 442, 443, 473, 478, 487, 488, 489, 490, 491, 492, 493 , 503, 706 68, 489, 509, 510 492 1 152 1019, 1 152 549 820 487, 503 1049 351 548 232 548 548 548 548, 549 549 548, 549 549 548, 549, 552 549 395, 1048, 1049 232, 1048 1047

l�tdice delle Git11xi011i bibliche

13 ,57 14 14,1 14,2 14,2.8 14,3 . 1 0 14,3-12 14,9 14,13-21 14,17 14,19 14,22-33 14,28-3 1 14,28-32 14,28-32a 14,32 14,35-36 15,1-20 15,15 15,21-28 15,22 15,23.26 15,24 15,28 1Ji ,29 15,30-3 1 15,32-39 15 ,34 16,1 16, 1 - 12 16,6 16,9 16, 1 1 - 12 16,13 16,13 -20 16,14 16,14-18 16,16 16,16-19 16,17 16,18 16,18- 1 9 16,19 16,21 16,24 16,28

190 1131 894 901 34 182 263 894 726, 1 194 1 196, 1209 1 194 1099 732, 750, 1048 1 100 1 100, 1 135 1 105 727 1048 1048 899, 889 780, 787 890 398, 890 389 1 197 809 1 194 1 1 96 57, 1 1 17 1048 57 1 1 69 57 413 1048 34 233 989 1048 351, 420 1048, 1049 1048, 1089 1048 238, 4 1 3 , 1 165 351 451

1285 17 17,12-13 17,13 17,15 17,18 17,19•20 17,20 17,23 17,24 17 ,24-25a 17,24-27

17,25 17 ,25b-26c 17,25-26 t7,26 17 ,26d 17,27

17,27a 18 18,1 18,6.8.9 18,8 18,10-19 18,13-14 18,15-18 18,15-20 18,17 18,30 18,35 19,3-12 19,9 19,23-24 19,24 20,1 20,20 20,29 20,29-34 20,30.31

1039 37 34, 232 771 771, 901 1066 1066, 1 067 1 165 1036, 1046, 1054 1046 726, 1036, 1037, 1039, 1045, 1046, 1048, 1049, 105 1 , 1052, 1053 , 1 159 1036 1046 395, 1054 1054 1047 732, 751, 1037, 1047, 105 1 , 1052, 1053, 1054 1047 1048, 1052, 1054 1051 1050 809 351 52 1089 1048, 1226 1048 182 353 277 393 291 291 1 165 835 983 726, 732, 840 780

Indice dette cil�oni bibliche

1286 2 1 ,5 2 1 ,9 2 1 ,14 2 1 ,14-15 2 1 ,14-17 2 1 , 18-20 2 1 , 18-22 2 1 ,19 2 1 ,20 2 1 ,2 1 2 1 ,22 2 1 ,23 21 ,28-3 1 2 1 ,3 1 2 1 ,3 1-32 2 1 ,3 l b 2 1 ,32 2 1 ,43 22,1 -14 22,9-10 22,13 22 ,15-16 22,40 23,4 23 ,13 23,15 23,29 23,33 23,36 23,39 24 24,23 24,30 24,45 -5 1 24--25 25 ,1-13 25,14-30 25,36 25,39.43 -44 26,6 26,6- 13 26,16 26,28 26,29 26,3 1.33

437 65, 184 809, 983 780, 840 840 1037, 1038, 1055, 1080 726 1038 1038 1066 1067 256 257 238, 275, 291, 348 82 , 83 ' 2 5 4 , 255, 258 349 36, 255, 257 238, 291, 1·049 1 176 237 393, 394 569 236 493 348 395 549 50 534 383 524 523, 532 455 439 524 1 176 439 182, 183 182 841 980 238 108, 126 3 82, 387, 879 190

26,36 26,37 26,38 26,39 26,40 26,42 26,50 26,51 26,5 1-54 26,5 1a 26,52 26,52-23 26,53 . 26,54 27,54 27,62-66 27,63 28,10 28, 1 1 - 1 5 28,16-20 28,20

Marco l 1,1 1 , 1 (B) 1,1 (Bezae) 1,1 (Sin) 1, 1-2 1,1-3 1 , 1 -8 1 , 1 -15 1 ,2 1,2-3 1,2- 1 1 1,3 1,3-4 1,4

1 ,4-5 1,4-6 1,5 1 ,6 1,7

877 879 879 500 879 351 880 879 877, 879 880 880 880 880 880 895, 1 1 17 668 667, 668 1095 668 125, 564, 566, 890 1059

853, 1098 84, 567' 1 144 84 84 84 84 85 83, 84, 85 36 203 84, 203 36 45, 91, 203 86 33, 34, 37, 52, 87 ' 89, 92, 107' 108, 1 16, 147' 206, 224 43 93 89, 147, 155 93, 94, 95 65 , 7 1 , 1 5 9 , 183, 5 1 6

lndice delle citazioni bibliche

1 ,7-23 1 ,7-8 1,8 1 ,9 1 ,9-1 1 1 ,10 1,10- 1 1 1,1 1 1 , 12 1 , 12-13 1 , 14 1,14-15 1 , 15

1,16 1 , 1 6-20

1 , 17 1 ,2 1 1,21-28 1,21-32 1,21-39 1 ,22 1 ,23-27 1,23-28 1 ,24 1 ,24-25 1 ,25 1 ,27 1,27-28 1 ,28 1 ,29 1 ,29-3 1 1,30 1 ,30-3 1 1,31 1,32-34 1,34 1 ,39 1,40

1 101 62, 63, 76, 79, 85, 542 70, 7 1 , 1 0 1 , 137' 155 106, 155 36, 128 104 136, 137. 140, 154, 1040 132, 138 43 285 182, 263, 539 206, 538 453, 470, 538, 539, 540, 542, 543, 544, 5'15, 546, 547, 645, 745, 1072 835 458, 583, 1092, 1094, 1097 1098 760, 762 172, 666, 1 137 862 862, 1 1 89 760 761 484, 760, 762 778, 1 168 922 481 , 1 142 1 137 922 761 , 847 750 726, 761, 861 750 697, 726, 730 863 727, 761 922 727 646

1287 1 ,40-45

1,44-45 1-3 1-10 2 2,1 2 , 1 -2 2,1-12

2 , 1-3,5 2,1-3 ,6

2,5 2,7 2,12 2,13- 1'7 2,14 2,15 2,15b 2,15 - 17 2,15-18 2,16 2,17 2,18

2,18a 2 , 18b

2,18c

2,18-19 2,18-19& 2,18-20

646, 726, 841, 842, 845, 847, 848, 849, 850, 852, 853, 857, 858, 859, 1233 92 1 , 922 1 137, 1 138, 1 144 7 1 8, 729 798, 799, 802 762 666 698, 726, 797, 799, 80 1 , 802, 807, 888, 906, 1046, 1233 805 246, 562, 565, 566, 568, 570, 796, 801 646 150, 667, 802 762, 922 376, 565, 580, 1092, 1226 583, 835 1092 575 1225 796 568, 570 52 8 1 , 1 02 , 156, 568, 573, 574, 575, 580, 583 559 575 569 562, 564, 572, 580 579, 581, 584, 585 470, 558, 559, 560, 565, 566, 568, 570, 575, 577, 578, 579, 580, 582, 586

India delle citavoni bibliche

1288 2,19 2,19a 2,19b-20 2, 19-20 2,20

2,21-22 2,24 2,26 2,28 3 3,1 3,2 3 , 1-5 3,1-6

3,2 3,4 3,5 3,6

3 ,7-12 3, 10-12 3 , 1 1 - 12 3 , 12 3,17 3,20 . 3,20-30 3 ,20-35 3 ,2 1 .3 1 -35 3,22 3,22-27 3,23 -26 3 ,23 -27 3 ,24-21 3,26 3,27

376, 559, 560, 581 563, 573 , 581 565, 579, 585 57 1 , 1 177, 1 189 562, 563, 564, 565, 566, 567, 57 1, 572, 573 560 566, 568, 801 730 802 808 882 526 806 667, 726, 801, 802, 803, 804, 805, 806, 808, 868, 870, 871-, 1046 868 802, 805, 806, 871 808, 846 565, 566, 568, 570, 745, 801, 805 , 922 666, 794, 847 727 922 1 142 815 730 730, 741 865 1 189 667, 742, 774 484, 487, 542, 1024 489, 509 489 478 509 68, 489, 5 1 0, 5 1 1 , 51 5, 516, 517. 556, 582,

3,29 3,35-5 ,43 4 4,1-34 4,8 4,9 4,10 4,10-12 4,1 1 4,1 1-12 4,12 4,12-17 4,13 4,23 4)5 4,35-41

4 ,3,...'5,43 4,37 4,38 4,39

4,40 4,41 4-5 5 5,1-20

5 ,6.7 5,7 5,1 1-13 5,12 5,17.20 5,20 5,21 -24.35-43

586, 591, 736, 1 129 1059 923 1 13 1 , 1 136, 1050 1 136, 1 137 1 15 1 232 532 548, 557 557 557 549, 1030, 103 1 762 103 1 232 1 136 726, 1 107, 1 136, 1 14 1 , 1 150, 1 156 729, 925, 1 137 1 107, 11 50, 1 15 1 , 1 154 1 107, 1 149, 1 15 1 1 105, 1 107, 1 144, 1 1 5 1 , 1 153 1 147, 1 147, 1 169 922, 1 151 729 24, 932 , 953 743, 744, 75 1, 764, 766, 769, 771, 786, 1 137, 1232 769 778, 922, 1 144, 1168 743, 765 766 646, 922 769, 770 726

J,Jia delle cii4Ziom bibli&be

5,2 1-43

5,22 5,22-35.38 5 ,22-40 5,23 5,24 5,24-34 5,25 5,25-32 5,25-34 5,34 5,35 5,35-37 5,36 5,37 5,38-39 5,38-40 5,39 5,40 5,41 5,41 -42b 5,42 5,42a 5,42c 5,42-43 5 .43 5,43a 5,43b 6

6,1-6 6,1-13 6,3 6,6 6,6- 13.30-3 1 6,7 6,7 - 1 1

681, 864, 918, 1070, 1 174, 1234 75 1, 752, 918, 935, 936, 998 926 929 814, 864, 888 920, 92 1 , 925 861, 864 865 666 726, 756, 1 175 646 752, 756, 864, 939 92 1 646, 927, 932 921 923, 1000 830 923 , 924, 952 92 1, 940, 94 1 657, 750, 863, 938, 952, 965 928 815, 865, 922, 1019 92 1 928 913 830, 921, 961 922, 929 925, 928 1042, 1 1 12, 1 194, 1 195, 1196, 1 1 97, 1206, 1207, 1208 264, 558, 762, 841 1 1 10 190 904 264 483 , 484 446

1289 6,7.13 6,7-8,21 6,8 6,12 6,13 6,14 6,14-16 6,15 6,16.17a 6,17-29 6,17b 6,17c 6,18 6,21 6,22 6,22a 6,22-25 6,24 6,25 6,26.33 6,27-28 6,29 6,30-33 6,30-34 6,3044 6,30-8,21 6,31 6,32-34 6,32-44

6,34-58 6,36 6,37 6,38 6,41 6,44 6,45 6,45 -5 1 6,45-52

541 , 730, 73 1, 736, 774 730 730 264 484, 841 34, 262. 894 262, 264 1019, 1 1 12 1 1 12 263, 264, 267, 268, 27 1 113 1 1 13 269 1 1 14 266 266 267, 1 1 10 34 34 1 1 10 267 81, 102, 570 847 1208 666, 824, 1043 , 1 1 0 1 824, 872, 11 01 873 1208 262, 726, 1 192, 1 194, 1202, 1 204, 1205, 1206, 1207, 1212, 1216 1 1 10 1210 730 1 196, 1209 730, 873, 874, 875, 1 194 730 763, 826, 828, 1 104, 1208 1 104 726

Ifftltid tklle citazioni bibliche

l�

6,45-53 6,45-8,26 6,46 6,47 6,48

6,48d 6,49 6,49-50a 6,50 6,50c 6,51 6,51 -52 6,51c-52 6,52 6,53-56 6,55-56 6-8

7 7 , 1 -23 7,2 7,1 1 7 , 1 1 -17 7,13 7,17 7,23-25 7,24-30 7.24-8,2 1 7 ,25b-30 7,27 7 ,27-29a 7,28 7,3 1-33 7,3 1-35 7,3 1 -16 7,3 1 -37

7,32

1099

1 101 1 104 1 104, 1 106 1 105, 1 1 13, 1 1 19, 1 122, 1 123, 1 124, 1 125, 1 129 1 105 1 107, 1 108 1 105 1 107, 1 1 1 1, 1 1 14 1 104 1 105, 1 107 922, 1 105, 1 109, 1 1 14 1 104 730, 1 106, 1 132 666 727 1 101, 1 1 03, 1204 787 788 730, 788 815 960 952 960 830 646. 764, 786, 1 101, 1 172 828 786 730, 890 ; 786 778 872 848 726 709, 779, 8l6, 838, 861, 867,, 874. 875, 907, 1 101 861

7)2-37 7,33 7,}4 7,36-37 7,}7

8

8,1-9 8,1- 10

8,4

8,5 8,6 8,6-7 8,7 8,8 8,11 8,1 1 -2 1 8,14 8,14-21 8,16 8,17 8,17-21 8,19 8,19�20 8,22 8,22-26

8,22-27 8,22-10,52 8,23

824, 827' 830, 1 101 485, 658, 828, 829, 830 657, 750, 815, 875, 937 92 1, 922 922 1 194, 1 1 95, 1 1 96, 1 1 97, 1205, 1206, 1207 1205 666, 726, 824, 1 194, 1202, 1203, 1204, 1205, 1206, 1207, 1218 730, 1205 730, 1209 730, 788, 1210 1215, 1216, 1217, 1218, 1223 1 172, 1 196, 1216 788 774 57 730 262, 824, . 1 149, 1205 730 730 1 149, 1203 730 1043 763, 828 709, 726, 779, 810, 824, 826. 828, 829, 836, 838, 867, 872, 907, 1 101, 1233 824 810 485, 658, 828, 829, 873

1291

Indice delle citozr'oni bibliche

8,26 8,27 8,27-30 8,27,33 8,27-16,8 8,28 8,29 8,31 8,32-33' 8,34 8,34-38 8,34--9,1 8,35 8,35-38 8,36-37 8,38 8-10 9 9,1

9,2 9,2-10 9,4.9 9,7 9,9- 13 9,10 9,1 1 9,1 1-13 9,14 9,14-27 9,14-29

9,17 9,17-18 9,18 9,18-26 9,19 9,20-22

830 413, 450 825 777 1073 34, 262, 1019 450, 1 144 413, 450 450 35 1, 450, 452 450 450 450, 539 45 1 450 45 1 , 1 149 777 764, 774, 786, 787, 791, 792 16, 348, 366, 383, 384, 385, 442, 445, 450, 45 1 , 452, 453, 454, 455, 456, 462, 463, 465, 499, 567, 762, 1090 921 1040 1040 452, 1 146 263, 825 774 774 269, 1246 774 430, 772, 773, 774, 777 484, 666, 729, 75 1 , 757, 77 1 , 772, 773, 923, 1232 774, 778, 952 776 774, 936 918 775 776

9,21-24 9,23 9,25 9,27 9,28-29 9,29 9,33 9,33-50 9,33-34 9,37 9,38-39 9,38-- 40 9,42 9,42-50 9,43 9,45 9,47 10 10,2-12 10, 1 1 10,15 10,21 10,23-2