Tucidide tra Atene e Roma 888402479X, 9788884024794

L’opera di Tucidide è stata il piú importante modello di riferimento per la storiografia di tutti i tempi. Esponente di

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Tucidide tra Atene e Roma
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PICCOLI SAGGI

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Il

LUCIANO CANFORA

TUCIDIDE TRA ATENE E ROMA

SALERNO EDITRICE ROMA

ISBN 88-8402-479-x Tutti i diritti riservati Ali rights reserved -

Copyright © 2005 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l'adattamento, anche parziale o per estratti, per qual­ siasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il micro­ fìlm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

PARTE I TUCIDIDE E ATENE

I «TUCIDIDE FIGLIO DI OLORO » I.

DATA DI NASCITA

Tucidide dev'essere nato al pili tardi nel 455 a.C. Infatti fu eletto stratego per l'anno 4241'3 e l'età minima per ricoprire la strategia erano, per consuetudine, i trenta anni Non è necessario pensare che sia stato tra coloro che «correvano » per la otpattwia non appe­ na possibile.' Ed è anche opportuno ricordare che di Alcibiade, stratego per la prima volta nel 42 0 quando era trentenne, si diceva che fosse «troppo giovane (Tucidide, 6.12 .2; 6.17.1). .



Anche le prime parole dell'opera tucididea possono costituire un indizio a proposito dell'anno di nascita dello storico. Tucidide af­ ferma, infatti, nei primi quattro righi del suo proemio, di aver subi­ to intuito, «sin dai primi sintomi » (eùeùç Ka9tota�vou) , che il con­ flitto che stava per prodursi sarebbe stato «il pili grave » rispetto a «tutti i precedenti ». E spiega quali ragionamenti, e quali indizi, lo avevano portato a tale intuizione (1.1.1). Dunque sembra rivendica­ re la maturità del proprio intuito storico-politico: e ciò in riferi­ mento alla fase di incubazione del conflitto (436-432 a.C.). In so­ stanza Tucidide lascia intendere che, in quegli anni egli era già un competente politico, dotato di adeguata informazione storica. For­ se anche per questo la data di nascita non sarà proprio il 455 ma precedente di alcuni anni. ,

2.

FAMIGLIA

Al principio del proemio Tucidide si denomina semplicemente «Tucidide Ateniese &. Che suo padre si chiamasse Oloro si legge in 1. Una strategia nel 425/4 fu ipotizzata da MOLLER-STROBING, pp. 529 e M.AYOR, p. 62.

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sgg.;

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T U C I D I D E E AT E N E

un passo molto noto (4.104.4). Invece il nome della madre, Egesi­ pele, viene dalla tradizione biografica antica. In verità un dubbio è stato sollevato in relazione al nome del padre. In proposito già la tradizione antica era in difficoltà. I.:unica biografia antica di cui disponiamo, quella di Marcellino/ si esprime infatti nel modo seguente: «Bisogna sapere che OROLO, era il nome di suo padre: nella prima sillaba c'è il p e nella seconda il À. I.:altra grafia, anche secondo Didimo, è sbagliata. Che sia ORO LO lo dimostra la stele posta sulla sua tomba dove si legge OOl'Kl'.:\IMU.: OPOAOl' AAIMOY'l:IO�� ( Vita Thuc., 16). Que­ sto passo è stato tormentato dai moderni, ma è superfluo dare qui conto di tutte le proposte. Basti solo osservare, per apprezzare l'ef­ fetto negativo di queste manipolazioni, che l'epigrafe funeraria di Tucidide, citata da Marcellino, viene dai moderni editori quasi ge­ neralmente corretta,3 quantunque correggere ciò che si legge in un'epigrafe sia in genere molto sconsigliabile e nonostante la coe­ renza dell'intero contesto di Marcellino.4 Un solo intervento è ne­ cessario: al principio della frase palesemente è caduto uno dei due nomi, cosi simili e cosi vicini.5 È evidente che la tradizione biogra­ fica, per lo meno nella forma in cui la rispecchia Marcellino, faceva riferimento ad un documento - la presunta tomba di Tucidide, scoperta dall'archeologo Polemone di Ilio (ca. 220-160 a.C.) tra i «monumenti cimoniani {Kq..Loovux J.l.Vrlf.HX'ta) � -, ma non alle parole 2. Secondo HEMMERDINGER 1955, pp. 62-63, Mv È'tEÀEUta ovvero taùta ÈyÉvEto Èv t XElJlcOVt, ma OtEÀ.80vtoç aùtoù (sdl. toù XEtJlovoç) : una formula molto sinùle a quella conte­ nuta nella frase finale dell'incompiuto XXI anno che i moderni so­ gliano senza motivi cogenti espungere e che denota anch'essa un anno incompleto. In effetti, KaÌ OtEÀ.96vtoç aùtoù significa 'e quan­ do fini l'inverno': è dunque il surrogato di un raaonto da perfezionare.74 È illuminante che alla fine del primo anno di guerra ciò accada esattamente in concomitanza con la conclusione dell'epitafìo peri­ eleo: un testo evidentemente tardivo nell'ambito della composizio­ ne tucididea, un bilancio dell'esperienza ateniese in cui Tucidide dà corpo al suo pensiero alla luce della sconfitta (è il complemento indispensabile di 2.65, che costituisce la conclusiva riflessione post cladem dello storico) . L'immissione li dell'epitafìo avrebbe richiesto un perfezionamento del finale del primo anno di guerra, che Tuci­ dide non ebbe modo di realizzare. È sensato ritenere che, in generale/5 i discorsi appartengano alla fase piu recente e matura del lavoro tucidideo; che dunque siano stati composti per gruppi, ragion per cui alcuni di essi si corrispon­ dono e si "rispondono" a distanza. Essi abbondano nella prima par74· Un altro segno di incompletezza si può ravvisare nel discusso Ém1pxovto di 4.120.1, su cui cfr. GoMME, pp. 6or8 (non è necessario ipotizzare una derivazione da

ÉltclpxOI!at). 75. Senza farne una legge alla maniera di CwiKLINSKI, pp. 42 e sgg.

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te dell'opera e a partire dall'attuale vn libro scarseggiano.76 Forse anche perché in trent'anni e passa di lavoro intorno a questa sua opera rimasta incompiuta Tucidide ha ben il diritto di aver modifi­ cato il suo stile {Weil, pp. 162-68) . Constatare che il primo e l'ottavo anno di guerra erano ancora da rifinire (e per questo infatti non recano la « firma >>) significa pro­ spettare una situazione testuale piu articolata rispetto alla troppo schematica idea di due blocchi editi ( 1-4; 5.84-8) e due inediti (5.183; HG, 1-2.3.10) . Anche se ha con ogni probabilità fatto circolare singole parti della sua opera (i libri siciliani?), Tucidide non l'ha certo pubblicata {se non nel senso molto delimitato che questa no­ zione ha nel V e anche nel IV secolo di diffusione ad personam entro una cerchia). Dunque è solo con l'edizione senofontea che l'opera, complessivamente inedita, è stata davvero messa in circolazione. Il che significa che, di fatto, tà E>m.>l('\)Otoou �t�À.ia À.av9civovta,77 che Dio­ gene Laerzio attesta essere finiti ad un certo momento in mano a Senofonte, riguarda l'insieme dei libri tucididei: non soltanto i due « Paralipomeni che si trovavano talmente lontani da una stesura soddisfacente da essere sistematicamente privi delle « firme » d'au­ tore. �

76. Lo notava Dionigi di Alicarnasso (De Thuc., 16), forse sulla scorta di una osservazione del misterioso Cratippo, quando affermava che nell'vm libro c'erano numerosissirne occasioni in cui dei discorsi diretti sarebbero stati bene appropriati:

1tOÀ.MÒV J.IÈV KU'tÙ '!wviav YE\'O�VWV, 7tOUciJV l)' ÈV taìç 'A9Tjvatç ocra lltÙ lltaÀO'yWV KUl lll]JllJYOpHÒV È1tpUX91]. 77· DIOGENE WRZIO, 2.57·

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PARTE II TUCIDIDE A ROMA

I I.:ARRNO DEI LIBRI GRECI DALLA MACEDONIA La prima notizia di una presenza a Roma del testo tucidideo l'abbiamo a proposito del vecchio Catone (234-149 a.C.), il quale, secondo Plutarco, si sarebbe avvicinato alla cultura greca. « Molto anziano », Catone ebbe tra mano « alcuni libri greci » e « ne trasse giovamento » ( Cato Maior, 2.5 ) . Il modo in cui Plutarco si esprime ( (( quando era molto avanti negli anni ») fa pensare al periodo suc­ cessivo alla vittoria romana di Pidna (168 a.C.) contro Perseo di Ma­ cedonia, quando Catone lavora alle Origines.1 Plutarco ( Cato Maior, 2.5 ) nomina due autori greci che Catone ha messo a frutto in quella tardiva sua esperienza della letteratura gre­ ca: Tucidide e Demostene. E indica anche con quale fmalità Cato­ ne ne affrontasse la lettura: « per le parti retoriche », con la precisa­ zione che si giovò « poco di Tucidide, di piu di Demostene ». È interessante quanto Plutarco osserva subito dopo a chiarimento: che cioè le opere di Catone, da quel momento in poi, furono « intarsia­ te », « ricamate » (òtmtmot!C\Àtnt) di citazioni e racconti presi di peso dagli autori greci e che vi si trovavano > . Si sa quanto Polibio esalti tale sua opzione di contro alle storie uni­ versali paratattiche e solo estrinsecamente coese degli altri storici ( Eforo è il bersaglio principale ) . Anche qui il modello era la narra­ zione tucididea, poiché essa riguarda una vicenda - la cosiddetta guerra peloponnesiaca - che aveva bensi preso le mosse dal conflit­ to fra due città, ma aveva ben presto, in prosieguo di tempo, coinn. Da leggersi in stretta connessione con 2.65, dove si afferma che la città avreb­ be potuto reggere ed evitare la sconfitta, se non fosse stata dall'interno messa in crisi dal personale politico post-pericleo.

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PARTE I l



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volto «i Greci ed una parte dei barbari, insomma la grande parte degli uomini come Tucidide afferma subito in apertura, nella pagina iniziale (1.1.2) , a riprova della massima grandezza del suo argomento. È qui l'antecedente vero della polibiana storia universa­ le « organica (crWfl e « severo », e afferma chiaramente che « tutti », dunque non solo i « rhetores )), hanno riconosciuto quelle qualità allo storico. Qui « severus >> corrisponde alla prima parte del giudizio di Dionigi (« nulla ha aggiunto o tolto alla narrazione che non fosse giusto »} e « pru-

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denS » corrisponde a « nulla ha scritto a capriccio ».72 Vi era dunque un giudizio già consolidato, e tramandatosi fino all'età di Cicerone e di Dionigi, al quale entrambi paiono attingere. Quando si riferisce ai « filosofi », Dionigi deve aver presente la tradizione aristotelica; non certo Platone, il quale nel Gorgia tratta duramente Temistocle e Pericle, presentando anche come corruttori e demagoghi proprio i due politici ateniesi cui Tucidide riserva il piu convinto degli elogi.73 Segno che anche su questo punto di rilie­ vo storiografìco Aristotele prendeva le distanze da Platone e si ac­ costava al giudizio tucidideo è il modo in cui Aristotele si esprime nella Costituzione di Atene (28.1 ) là dove include Pericle nel novero dei grandi e apprezzati « capi » e pone lo spartiacque dopo la sua scomparsa (« morto Pericle le cose divennero peggiori ). I.:apprezza­ mento esplicito di Aristotele per Tucidide lo cogliamo in un solo « fram­ mento » superstite : nell'ampia traduzione dalla n�xvwv I:uvaywyr\ che Cicerone ha inserito al principio del Brutus (46-47) e che culmi­ na nel duplice elogio dell'apologia pronunciata da Antifonte nel 4n e della valutazione che Tucidide ne aveva dato da testimone ocula­ re (ibid., 47).74 Sappiamo poco del OEpÌ ì.crtopiaç di Teofrasto ma è difficile che non trattasse dei maggiori storici del secolo precedente. Qualcosa di piu sappiamo, grazie a Marcellino ( Vita Thuc., 28-29) , dell'analoga opera di Prassifane, e possiamo arguire che in quel testo, probabil­ mente dialogico, a Tucidide venisse riservato il ruolo di "rappre­ sentante" della storiografia. Questi dati aiutano a comprendere il sommario, ma univoco, riferimento di Dionigi. Sarebbe interessante poter stabilire (cosa forse impossibile) se questi « filosofi >> cui si riferisce Dionigi adoperassero effettivamen­ te l'impegnativo termine « verità » e in che accezione. Cosi come è •

'J2. AuJAC, p. 148, afferma, a torto, che Dionigi si è sbagliato e ha esteso rettoat­ tivamente un consenso pro-tucidideo che era invece diffuso al tempo suo. 73- TucmmE, 1.138.3: elogio di Ternistocle; 2.65: elogio di Pericle. 74· « Se audiente locuples auctor scripsit Thucydides t (ARisTOTELE, fr. 137 Rose3 = fr. us Gigon). E « locuplen ha qui il valore di « fere id quod fide dignus � .

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interessante che proprio in questo passo Dionigi esprima la sua con­ cezione della storiografìa « Sacerdotessa della verità» : una formula che è anche un programma e che parrebbe rinviare anche ad altre suggestioni filosofiche (si pensi al proemio filosofico di Diodoro Siculo, dove gli storici sono definiti sacerdoti dell'umanità »). Certo, (( Verità » è la parola - sommamente impegnativa- che Tu­ cidide stesso adopera per definire il risultato del proprio lavoro in opposizione a quello degli altri storici che lo hanno preceduto (I.20.J).75 E subito dopo descrive il proprio sforzo di dar conto (( del­ le cose veramente dette » dai protagonisti delle vicende narrate, e van­ ta la (( fatica » (i:mm)vwç) che gli è costato (( il minuzioso accertamen­ to di ogni singolo fatto » {àKptf}ci� 1repì ÉKOO'tou). Dopo di che adotta, per definire il frutto della sua fatica, un altro termine ( tò cracpÉç: la piena chiarezza), che è equivalente per nulla minore di (( verità » (1.22). Da quelle premesse, cosi chiare e piene di un'alta consapevolezza di sé, discende il modo stesso del racconto tucidideo: esso offre, ogni volta, al lettore il risultato conclusivo e univoco della ricerca co­ me (( Unica verità », all'opposto del procedimento erodoteo consi­ stente nell'accostamento intimamente dubbioso delle diverse ver­ sioni o traduzioni raccolte. È insomma Tucidide stesso che ha con­ tribuito per primo, e validamente, a creare il mito di sé medesimo come « sacerdote della verità ». (( Verità » che ha due accezioni: verità in quanto accertamento dei fatti e verità come equità di giudizio sugli attori della vicenda. Dio­ nigi stesso sembra inclinare subito per questa seconda accezione, che gli consente di elogiare Tucidide per la sua capacità di tenersi lontano sia dal livore sia dall'adulazione. Distingue i personaggi cui non ha lesinato grandi riconoscimenti (Temistocle76 e Pericle) da •

75. Se, come è probabile, le allusioni precedenti riguardano Erodoto, è degno di nota che la rivendicazione di maggiore « verità » sia fatta contro di lui. 76. TucmmE, LIJ8.J, è citato da CicERONE, Ad Attia�m, 10.8.7; Brutus, 47; CoRNELIO NEPOTE, Themistocles, w; MARCELLINO, Vita Thuc., 51.

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quelli per i quali disse « ciò che era conveniente per ciascuno • (De­ mostene,77 Nicia, Alcibiade). Una compiuta teorizzazione in que­ sto senso si trova in Marcellino ( Vita Thuc., 6-27). La riflessione di Marcellino su questo argomento ha come presupposto la vicenda « strategia-esilio •· Perciò Tucidide viene elogiato per non aver (( ser­ bato rancore agli Ateniesi •, e come (( amico della verità • (cptÀ.aÀ:r181lç) per non aver « trattato ingiuriosamente • Cleone,78 e nemmeno Bra­ sida, « il responsabile della sua sventura •. E qui Marcellino introdu­ ce un paragone con « i p ili tra gli storici •, ai quali rimprovera ap­ punto un tale « risentimento personalistico • che li ha portati a (( di­ sinteressarsi della verità • (ilKtcrta J.LEÀ.i)crav aùtotç ti)ç MT]8Eiaç). Il primo bersaglio è Erodoto (già vulnerato da Plutarco con l'opusco­ lo monografìco De malWritate Herodo ti), il quale, (( trattato con insuf­ ficienza dai Corinzi, s'era vendicato sostenendo che a Salamina essi erano fuggiti •; poi è la volta di Timeo {che anche Polibio aveva sommerso di critiche, anche per questa ragione), di Filisto il quale « conduce una guerra di parole contro Dionisio II •, e infine di Se­ nofonte il quale avrebbe dato, alla fine del secondo libro dell'Ana­ basi, un offensivo e distruttivo ritratto di Menone, amico di Platone, appunto per malevola rivalità nei confronti di Platone.79 Lungo il percorso durato secoli, che va dalla proclamazione dio­ nisiana della cptÀ.Mr\Sna come virtli tucididea al preambolo di Mar­ cellino sulla àKpi�na 7tpayjlcitwv come carattere dominante di Tu­ cidide, vi è una serie di tappe del progressivo costituirsi del "culto" tucidideo. Ne indicheremo solo alcune, avvertendo che il culmine n I moderni eccepiscono che non c'è in Tucidide un elogio di Demostenc, ma probabilmente si tratta del riconoscimento del fatto che il piano risultato vincente a Pilo fu opera di Demostene (cfr. PRITCH ETT, P· ss). 78. Siccome Marcellino raccoglie materiali da varie fonti, gli accade di dire al par. 46 l'esatto contrario, che Cleone causò l'esilio di Tucidide, e perciò Tucidide lo rappresenta come un pazzo. 79. Il tema della rivalità Platone-Senofonte era piuttosto diffuso {Auw GELLIO, 14.3; ATENEo, rr.so4e-sosb; DroGENE LAERZro, 2.57).

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PARTE I I



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« teoretico ,. di questa tendenza è espresso da Luciano, alla fine del II sec. d.C., nell'opuscolo Come si deve comporre un'opera storica (nroç &ì i.cr'topiav cruyypaljlnv). Anche in uno scritto mirante a svalutare in blocco come opinabi­ le, o senz'altro come mendace, la storiografìa greca, il Contro Apione di Giuseppe Flavio (fine I sec. d.C.), Tucidide - che peraltro Giu­ seppe mette a frutto sistematicamente quando scrive la Guerra giudai­ ca - riceve il suo speciale omaggio, sia pure espresso à contre-ca?Ur. La strategia polemica di Giuseppe nell'opuscolo Contro Apione consiste nel far leva non solo sulle contraddizioni tra i vari storici greci ma anche sulle loro reciproche polemiche: naturalmente il « sofisma » consiste nel presentare come taccia di menzogna quella che spesso era confutazione di un dato, correzione di una notizia. Perciò il quadro che Giuseppe dà della storiografìa greca rassomiglia piutto­ sto ad un immenso tribunale della storia, nel quale Eforo accusa di > Ellanico, Timeo Eforo, e cosi via fino all'icastico « Ero­ doto tutti ,.. 80 « Persino a proposito della spedizione persiana - sog­ giunge - vi è dissenso tra i piu famosi storici su ciò che effettiva­ mente accadde » (e qui si coglie bene la voluta confusione tra dis­ senso e accusa di falso) « e persino Tucidide da alcuni è stato accu­ sato come falsificatore, eppure pare (òoK&v) aver scritto la storia del suo tempo nella forma piu esatta possibile » (I.J.I8). In questa frase, che deve concedere il meno possibile al pur prediletto Tucidide, si apprezza tutta l'ambivalenza di OoKEì:v: esso indica quello che « pare ,. agli altri (e dunque potrebbe non essere vero, bensi una semplice « opinione », Ml;a) ma anche quello che - ciò non è escluso - allo scrivente appare : è un'espressione che non esclude che lo stesso autore condivida quel giudizio, ma non lo impegna. A chi avrà pensato Giuseppe quando ha scritto che « alcuni » con­ traddicono Tucidide? Certo un'opera come la Raaolta di omissioni tucididee di Cratippo si prestava bene a questo gioco polemico. Il tucididismo di Giuseppe è profondo. Non si tratta dell'adozio8o. G r u s E PPE, In Apionem, I .J.I6.

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ne d i un modello letterario particolarmente adatto a d ù s i accinga a trattare monografìcamente di una guerra di importanza epocale, o che lo storico che ha deciso di narrarla ritiene tale. Basti pensare all'esordio (dopo i capitoli proemiali) del Bellum Iugurthinum sallu­ stiano, o al proemio di Livio alla guerra annibalica (libro xxi ) , o anche al proemio delle Historiae tacitiane. Giuseppe raccoglie nel preambolo del primo libro alcune delle riflessioni capitali dell'ope­ ra tucididea e dimostra di avere ben meditato in particolare le pagi­ ne in cui Tucidide riflette sul proprio racconto e ne trae un bilan­ cio. Questo vale ovviamente per la contrapposizione « verità/dilet­ to » (« ho scritto per gli amanti della verità, non per gratificare i lettori » ,81 che rende bene l'opposizione istituita da Tucidide tra « immediato successo di pubblico » e « acquisizione durevole >>, tra àyroVtcriJ.a Èç -rò 7tapaxpil1J.a ÙKoUEt v e K't'IÌIJ.a) , 82 vale ovviamente per l'iniziale rivendicazione di verità (particolarmente bruciante per Giu­ seppe, un vinto che ha fatto proprie le ragioni dei vincitori e tutta­ via intende respingere le mostruose deformazioni della verità di cui il suo popolo è vittima),83 ma vale soprattutto per il bilancio origi­ nale sulle cause della sconfitta. È qui che si fa strada nella sua mente il grande modello tucidideo (2.65.11-13 ) : la vera causa della sconfitta - scrive infatti ( 1.9-12) - non fu tanto la superiorità militare romana, quanto la cr-rcimç interna, la divisione che aveva dilaniato gli Ebrei, per esclusiva responsabilità dei « capipopolo » ( rupavvm ) e del loro agire « brigantesco » . È evidente la suggestione di quella che a ragio­ ne può considerarsi la diagnosi ultima di Tucidide sulle ragioni della sconfitta di Atene culminante nella duplice e coerente denuncia delle iotm ota�oÀ.ai e delle totm otaopai.84 Inutile addentrarsi qui nella raccolta delle molte riprese tucididee in Giuseppe. Conviene forse segnalare come questo lato del suo lavoro fosse ben rilevato

81. Bellum Iudaicum, 1.30: adotto l'efficace e pertinente traduzione di H.StJ. Thackeray (Loeb Classica! Library). 82. TucmmE, 1.22.4. 83. Bellum Iudaicum, 1.2; 1.7-8. 84. TucmmE, 2.65.II-12.

PARTE I I



TU C I D I DE A ROMA

nel corso della tradizione successiva. Niceforo Callisto Xantopulo (morto ca. il 1335), nella sua Storia Ecclesiastica, gli rende omaggio come al c!>tA.W..1\811ç 1tap' 'E�paiotç Ì.cr'topucòç 'lcOOll 1tOç (« lo storico ebreo amico della verità ,. : presso i cristiani Giuseppe gode di buona stampa soprattutto grazie al famoso e controverso testimonium su Gesti}, ed istituisce un raffronto significativo: Filone « guardava a Platone; Giuseppe a Tucidide ,., in particolare ÈV 't).88 Qui è ben presente il motivo secondo cui Tucidide avreb«

85. Historia Ealesiastica, in PG, vol. 145 coli. 747 (tj�tÀo.Àr\9llç) e 801 (Giuseppe tucidideo �). 86. Cui reagi, parlando di molto altro, Estienne. 87. Moralia, 870 o. 88. lvi, 855 c. La « sola parola � cui allude Plutarco è IJ.OX9llp6v (TucmmE, 8.7J.J ) .

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be dovuto avere un atteggiamento ostile a Cleone: non però perché colpito anche personalmente dalla sua nefasta azione ma per il ca­ rattere in generale condann abile di essa; evidentemente Plutarco non conosce ancora la tradizione su Cleone accusatore di Tucidide e quindi promotore del suo esilio.89

89. MARCELLINO, Vita Thuc., 46.

ss

VIII EPILOGO In epoca di decisa prevalenza atticista nel gusto letterario Tucidide divenne modello incontrastato. Non è da ritenersi casuale che, al­ lora, Luciano abbia proclamato - sia pure per ragioni contenutistiche e di metodo, non di stile - Tucidide « legislatore ,. del genere storia­ grafico (Hist. conscr., 42). L'opuscolo lucianeo fu composto intorno al 165 d.C., dopo le campagne in Armenia e in Partia di Avidio Cassio e Lucio Vero. In quanto siriaco d'origine, Luciano conosceva me­ glio di altri - che da storici cortigiani avevano narrato quelle guer­ re - luoghi e fatti: e certo non era animato da speciale devozione per il dominio romano. Dopo aver fustigato la storiografia del suo tempo, servile verso il potere e servile nell'imitazione, fino ai limiti del ridicolo, del modello tucidideo, Luciano fornisce il profilo del­ lo storico ideale (cap. 41) : « Ecco dunque come deve essere lo stori­ co secondo me : impavido, incorruttibile, libero, amico della verità e della libertà di parola, uno che - secondo la battuta di quel comi­ co dice pane al pane, uno che mai per amicizia o per odio sia indotto a concedere o a negare [ . . . ], giudice equanime [ . . . ], uno che non ha patria - quando scrive - né città né sovrano [ . . . ], uno che riferisce che cosa è veramente accaduto (n 7té7tp