Torah e storiografie dell’Antico Testamento 9788801049084

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Torah e storiografie dell’Antico Testamento
 9788801049084

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. LOGOS Corso di Studi Biblici

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TORAH E STORIOGRAFIE DELL'ANTICO TESTAMENTO GIANANTONIO BORGONOVO e Collaboratori

VISTO, NULLAOSTA: Torino,

IS mano 2012

Can. Gennano Galvagno,

IMPRIMATUR:

Torino, 16

Mons. Vaher Danna,

rev. del.

mano 2012

Vie. Generale

© 2012 Editrice ELLEDia- 10096 Leumann TO E-mail: [email protected]

ISBN 978-88-01-04908-4

PRESENTAZIONE

LOGOS sta giungendo al termine del suo cammino con la pubblicazione del secondo volume della serie. Dopo quello dell'Introduzione generale erano ap­ parsi in ordine vario il volume dei Libri profetici e quello dei Sapienziali, per l' AT. Per il NT la successione di Sinonici e Atti, Letteratura paolina e Letteratu­ ra giovannea avvenne in ritmo costante. Intanto era comparsa la prima parte del volume delle teologie bibliche, dedicata ali' Antico Testamento, a opera di Mar­ co Nobile, seguita poi dal testo di Segalla per il Nuovo. Quasi tutti questi volu­ mi hanno già avuto ristampe, alcuni addirittura una seconda edizione (l 'Introdu­ zione generale, i Profeti e apocalittici, i Sinottici e, fra poco, i Sapienziali). Ora giunge il volume sul Pentateuco, curato dal professore Gianantonio Borgonovo. Giunti al termine di una vicenda non priva di imprevisti e di ostacoli, viene spontaneo uno sguardo retrospettivo. Il primo ricordo va agli autori che non so­ no più fra noi: fra i responsabili dei volumi ricordiamo Mauro Laconi, domeni­ cano ligure che operò a Torino e che ha curato l a prima edizione del nostro vo­ lume 5, dedicato ai Sinottici; Antonio Bonora, di Mantova, aveva curato il volu­ me 3, dedicato ai Sapienziali; Giuseppe Segalla fu l'autore del volume 8/2 sulla Teologia del NT. L'indice dei volumi richiama altri nomi, altrettanto cari e ap­ prezzati, di maestri e colleghi defunti: Luigi Cagni, Enrico Galbiati, Valerio Mannucci, Vittorio Fusco, Bruno Corsani, Giuseppe Barbaglio, Jozef Heriban, Settimio Cipriani, Anselmo Dalbesio. La maggioranza degli autori però è anco­ ra operante e rappresenta il lavoro esegetico che da oltre vent'anni a questa par­ te viene svolto in tutta Italia. In questi anni il panorama degli studi biblici ha avuto una progressiva evolu­ zione a causa dello sviluppo delle discipline ausiliarie e delle metodologie di ri­ cerca. L'interesse per il "mondo della Bibbia" è cresciuto in modo esponenziale, a causa dei ritrovamenti archeologici e della rinnovata attenzione alla letteratura non canonica coeva o non molto posteriore al periodo biblico; quanto alle meto­ dologie, al terremoto costituito dali 'affacciarsi della lettura strutturalista è sue­ ceduto un continuo rinnovarsi di proposte e sensibilità. Particolarmente signifi­ cativa è stata in campo cattolico la comparsa del documento illuminante della Pontificia Commissione Biblica su "L'interpretazione della Bibbia nella Chie­ sa". Di pari passo è proceduto lo studio sulle tradizioni della storia di Gesù. Di tali novità si incontrano tracce a volte rilevanti nei volumi più recenti della no­ stra collana. Il presente volume secondo, sui libri del Pentateuco, offre un esem­ pio particolarmente stimolante del modo ritenuto oggi più adeguato nell 'affron­ tare il problema di una letteratura tanto problematica, grazie agli interventi alta­ mente qualificati degli autori specialisti in materia. 5

La proposta didattica di questo corso di studi biblici venne studiata negli an­ ni cinquanta e maturò all'interno dell'Associazione Biblica Italiana, a cui aderi­ va la quasi totalità dei nostri esegeti. Diversi editori si misurarono con imprese del genere, ma solo alla Elledici riuscì di giungere al termine, prima con la col­ lana "Il messaggio della salvezza" (sotto la direzione di Giovanni Canfora, Pie­ tro Rossano e Silverio Zedda, già tutti ritornati alla casa del Padre), poi con l'at­ tuale Corso di studi biblici LOGOS, che rinnova la precedente. La novità del progetto era costituita dalla presenza contemporanea di trattazioni introduttive ai libri biblici, di saggi di esegesi dei libri studiati e di esposizioni di tematiche di teologia biblica presenti negli stessi libri. Si otteneva così un'immediata verifica in esercizio d'opera dei principi accostati nell'introduzione. La diversità degli autori garantiva anche una presa di visione della pluralità di sensibilità e di me­ todologie costituenti la ricchezza del momento esegetico attuale. Che nel frat­ tempo dai primi volumi a quest'ultimo si notino anche modifiche di impostazio­ ne, pur nella fondamentale continuità di procedimento, è cosa non solo com­ prensibile ma anche dovuta, a specchio di quello sviluppo di sensibilità e accen­ tuazioni di cui parlavamo. Si è cercato di dire ogni volta la parola più aggiorna­ ta nell ' ambito di un discorso moderato; confidiamo che professori e studenti possano apprezzare le stesse qualità, presenti in questo volume, da tempo atteso.

Professore alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, all ' Università Cattolica e Dottore della Biblioteca Ambrosiana, l'A. ci offre nella poderosa In­ troduzione un ampio panorama della ricerca, a partire dalla quale ha elaborato una visione originale e armonica del Pentateuco. Ne costituiscono il comple­ mento alcuni saggi esegetici e tematici, curati dallo stesso Borgonovo e da altri noti studiosi. Siamo loro grati per il prezioso apporto alla formazione biblica de­ gli Studenti delle Facoltà teologiche e degli Istituti di Scienze Religiose, che siamo certi sarà apprezzato dai colleghi Docenti. La Direzione del corso di studi biblici "Logos" Giuseppe Ghiberti Benito Marconcini Francesco Mosetto Fausto Perrenchio

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UNA PAROLA DI SPIEGAZIONE...

Un primo motivo di stupore per il lettore sarà sicuramente stato vedere sui banchi della libreria il volume secondo della collana Logos: «Finalmente!», avrà esclamato. Sarei davvero contento che questa esclamazione potesse essere ripe­ tuta dopo aver girato l'ultima pagina e chiuso il volume: «Finalmente quello che cercavo!». A incitamento del lettore, vorrei solo dire che - per quanto mi riguar­ da - questo lungo tempo di latenza non è passato invano. L'introduzione alla Tord-Pentateuco è cresciuta con il mio cammino di ricerca e oggi posso affer­ mare che i ventotto anni sin qui dedicati all 'insegnamento sono tutti confluiti nelle pagine che danno consistenza al presente volume. Niente è andato perduto e tutto ha contribuito a chiarirmi il sentiero percorso sino a questo punto di arri­ vo, molto lontano rispetto al punto di partenza che era in me, appena uscito dal­ la ricca fucina del Pontificio Istituto Biblico, dove ho imparato tanto da molti grandi maestri. Tutto servirà - spero! - a proseguire il cammino di ricerca senza salti o damnatio memoriae nei riguardi di quanto ci precede, ma con la consape­ volezza che tutto quanto il passato ci consegna deve essere riproposto per la progettazione di nuove piste di ricerca che non squalifichino le ricerche prece­ denti, ma le metabolizzino e le rilancino verso nuovi orizzonti. Un secondo motivo di stupore prenderà il lettore quando progressivamente si inoltrerà nel volume, specialmente nella Sezione esegetica, e troverà che non tutti i contributi seguono il metodo e le acquisizioni proposte nella Sezione in­ troduttiva. Ciò è senz'altro dovuto al fatto che al volume hanno collaborato di­ verse mani e che alcuni di questi contributi risalgono a molti anni addietro. Tut­ tavia, a questi limiti si sarebbe potuto ovviare invitando i collaboratori a rigene­ rare il loro scritto. Non l 'ho voluto fare per permettere che emergesse anche dal­ le diversità le possibilità euristiche di ciascun metodo e le sensibilità ermeneuti­ che di ciascun esegeta. La dialettica delle diverse voci vale più di ogni discorso a far comprendere il tracciato della ricerca sviluppatasi in questi ultimi decenni. Vorrei anche avvertire l 'attento lettore che, passando da una sezione all 'altra, le riprese e i rimandi esistenti non sono da considerare duplicati inutili. Perso­ nalmente, li reputo necessarie "progressioni" perché l'architettura del volume possa raggiungere una stabile e salda costruzione aggiungendo nuovi argomen­ ti, mentre si procede dall'introduzione, all'esegesi e alla teologia. Da ultimo, vorrei segnalare che la bibliografia generale posta all'inizio del­ l 'opera non riprende tutti i riferimenti presenti nel volume, ma offre una panora­ mica sintetica dedicata agli studi sul Pentateuco, alle nuove vie dell'ipotesi do­ cumentaria, alle introduzioni e ai commentari migliori per i libri che il volume affronta. Sarebbe stato troppo oneroso per l'economia generale del volume ri7

portare tutti i contributi pa:rziaU; di�semihati aft'inizio c!i ciascun capitolo e nel­ le note a piè di pagina. Tale bibliografia è soprattutto uno strumento di consulta­ zione per facilitare il riferimento agli studi generali sul Pentateuco e ai com­ mentari di ciascun capitolo esegetico. Per il resto, l 'intelligenza del lettore supplirà alle lacune dello scrivente. Gianantonio Borgonovo

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SOMMARIO

Presentazione Una parola di spiegazione

...

(GIANANTONIO BORGONOVO)

Sommario Abbreviazioni Bibliografia generale SEZIONE PRIMA: INTRODUZIONI Parte prima: La Tora, ovvero il Pentateuco (GIANANTONIO BoRGONovo) Capitolo primo: Introduzione Capitolo secondo: La "forma narrativa" di Tora, Nebfim, Ketubfm Capitolo terzo: Il problema del Pentateuco Capitolo quarto: L'ipotesi documentaria Capitolo quinto: Una nuova "proposta": la singolarità del Deuteronomio rispet­ to alle antiche tradizioni Capitolo sesto: Per una nuova lettura del Pentateuco Parte seconda: Le storiogratie della Bibbia (CLAUDIO BALZARETil) Capitolo primo: La storiografia deuteronomistica Capitolo secondo: La storiografia cronistica Capitolo terzo: La storiografia maccabaica SEZIONE SECONDA : SAGGI DI ESEGESI l. GIAN ANTONIO BORGONOVO, L' inno del Creatore per la bellezza della crea­ zione (Gn l ,l-2,4a) 2. GIAN ANTONIO BoRGONOVO, La grammatica dell'esistenza alla luce della storia di Israele (Gn 2,4b-3,24) 3. 0IANANTONIO BORGONOVO, L'irrevocabile promessa (Gn 1 5, 1-21 ) 4. lEAN-LoUis SKA, La scala di Giacobbe (Gn 28, l 0-28) 5. JEAN-LoUIS SKA, Il passaggio del mare (Es 14) 6. BERNARDO GIANLUIGI BO SCHI, La teofania del Sinai (Es 19-24) 7. MARco NOBILE, (Nm 1-2)

Il censimento e l'accampamento della comunità dell'esodo

8. GIANNI BARBIERO, «Ascolta, Israele» (Dt 6,4-25)

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9. LucA MAZZINGHI- GRAZIA PAPOLA, La "nuova alleanza" in Moab (Dt 29-30)

10.

GIANANTONIO BORGONOVO,

SEZIONE TERZA:

per i cristiani, esclusi i deuterocanonici, sono libri condi­ visi con l 'ebraismo. La Bibbia è un Libro composto da tanti libri. In sé, al primo approccio, sem­ bra un dato abbastanza ovvio e senza troppi problemi, se non quello di definire quali siano i libri che lo compongono. Al contrario, vi sono tanti libri accostati, alcuni dei quali sembrano indicare l'argomento trattato: libro della Genesi, del­ l'Esodo, dei Numeri, dei Giudici, di Giobbe... Altri sembrano indicare il nome del loro autore: libro di Isaia, di Geremia, di Esdra e Nehemia ... Altri ancora sembrano nomi più enigmatici: libro del Levitico, del Deuteronomio, di Qohe­ let ... Ma quanti problemi stanno celati dietro la generica preposizione "di"! Chi ha scritto, ad esempio, il libro della Genesi? Quando? Di che si tratta? A quale genere letterario appartiene: storia, mito, saga, leggenda, romanzo... ?

È necessario quindi prendere coscienza della complessità del Libro in esame, sintetizzando le conclusioni degli studi storico-critici degli ultimi due secoli. Dopo questa premessa che serve a collocare la presente trattazione nel contesto di tutto il Libro, sarà necessario addentrarsi nel problema dell'ipotesi documen­ taria per capire meglio la natura della Toni-Pentateuco. Lo scopo di questo capitolo non è di discutere il problema del canone, ovve­ ro dei confini del Primo Testamento. È giusto che ci si domandi perché questi li­ bri e non altri o perché il "sommario" del nostro Primo Testamento sia ridotto riun significativo indizio dovuto alla maturazione di una sensibilità che la Grande Chiesa ha sempre con­ servato e diversamente manifestato, già a panire dalla crisi marcionita del secondo secolo. C'è ancora bisogno di comprendere la vera ponata dell'affermazione circa l'unicità della figura di Dio e del dono di salvezza che si compie in Cristo Gesù. Da questo punto di vista, è molto imponante oggi capire cosa possa significare un compimento senza sostituzione, capace cioè di affermare il cristocentrismo del pia­ no salvifico, ma anche di non perdere subito nel rappono con il Nuovo Testamento la ricchezza perma­ nente che ci viene consegnata dalle Scritture ebraiche. DV 15, mentre afferma che «i cristiani devono ri­ cevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere: in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza», se fosse scritta oggi, dopo il cammino che ha ponato al documento della PCB del 200 l , darebbe maggior peso al momento profetico della "figura", senza de­ classare subito il preannunzio a qualcosa di «imperfetto e caduco». L'affermazione del superamento dell'antica economia non è un dato necessario del compimento cristologico. ma un suo impoverimento (cf AA.Vv., Lire /'Ancien Testament. Contribution à une lecture catholique de I'Ancien Testament, pour permettre le dialogue entre juifs et chrériens, Cerf - Centurion , Paris 1997). La tradizionale formula agostiniana «Novum in Vetere latere et in Novo Verus patere» (AUGUSTINUS, Quaest. in Hept., 2, 73 = PL 34, 623) appare troppo logora per essere in grado di esprimere bene il carattere irrevocabile dei doni e della chiamata di Dio per Israele (cf Rm 1 1 ,29), che sta in dialettica con il compimento cristologico. Su questo, si vedano N. LoHFtNK, L'alleanza mai revocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristia­ ni ed ebrei (Giornale di Teologia 201), Queriniana, Brescia 1991 [orig. ted. 1989]; E. ZENGER, L'allean· za mai revocata. Inizi di una teologia cristiana dell' Ebraismo, in N.J. HOFMANN - J. SIEVERS - M. MOT­ TOLESE (cur.), Chiesa ed ebraismo oggi. Percorsi falli, questioni aperte, Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici. Pont. Università Gregoriana, Roma 2005, 1 1 1 - 1 34. Le puole di Giovanni Paolo Il, pro­ nunciate il 1 7 novembre 1980 a Mainz, davanti ai rappresentanti della comunità giudaica tedesca, suo­ nano come una sorprendente e cristallina fonnulazione e come provocazione per una teologia cristiana della vocazione perenne d'Israele, > raggruppano oggi i seguenti cinque libri che fanno parte dei k'tllbfm: =

-

,

Cantico, Rut, Lamentazioni, Qohelet ed Ester. L'ordine è dovuto alla cadenza delle feste liturgiche in cui essi sono leni: pesai! (pasqua), Sàbuot (settimane o Pentecoste), tis'd b' 'iib (il 9 di Av, la memoria della di­ struzione del Tempio), sukkOt (capanne) e, un po' fuori serie, purim (cambiamento delle soni). Che questo sia un raggruppamento e un ordine tardivo è attestato da b. Bat. 14b, in quanto ordina così i k'rnbim: Rut, Salmi, Giobbe, Proverbi, Qohelet, Cantico, Lamentazioni, Daniele, Ester, Esdra (comprendente anche Nehemia) e Cronache. In molti manoscritti sefarditi le Cronache aprono la sequenza e il libro di Rut è po­ sto dopo Proverbi. Questo è un dato molto interessante perché starebbe a provare la relativa antichità del gruppo dei lpimes m'gill6t, prima della loro attribuzione alle feste del calendario liturgico giudaico. Da questo momento in poi l 'ordine del Libro si è adeguato all'ordine delle feste, con la sola eccezione di purim, che rimane ancora oggi una festa sui generis (cf H.E. Cl.EM, Megilloth, in ABD, IV, 680).

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staccati dal Tempio di Gerusalemme probabilmente alla fine del m secolo a.C." Essi non vanno confusi con i Samaritani (has-santronfm) di cui parla 2Re 17,29, il cui nome è derivato dalla capitale della Samaria (someron).'6 La Bibbia Samaritana comprende solo il Pentateuco," con non poche va­ rianti testuali, dovute a diverse cause: a) modifiche volontarie per correggere te­ sti ritenuti incomprensibili o armonizzare racconti paralleli, come il Decalogo (Es 20 e Dt 5), o cronologie ritenute difettose (cf Es 1 2,40: il Pentateuco Sama­ ritano armonizza il problema dei 430 anni, aggiungendo a Recent trends in Samaritan studies, CBR 3,1 (2004) 9-59; J. WEST, Competing traditions and the birth oftexts, SJOT 19 (2005) 290-301 . " Cf R.J. CooGINS, Samaritans and Jews, 10-12. " I Samaritani conoscono anche un Libro di Giosuè, che tuttavia non coincide con l'omonimo libro biblico e, in ogni caso, non è parte delle loro Sacre Scritture. Fu scriuo in arabo e contiene molto materiale leggendario su episodi che vanno dal tempo di Giosuè sino all'epoca Bizantina. A.D. Crown ha ipotizza­ to che un'opera della sella dei Dositeani sarebbe confluita nel Libro di Giosuè dei Samaritani al momen­ to della riconciliazione dei movimenti sacerdotali e non, nel tardo Medioevo (cf A.D. CROWN, Some tra­ ces ofheterodox theo/ogy in the Samaritan Book ofJoshua, BJRL 50 [ 1 967] 178-198). " Dal momento che il testo è stalo tramandato in modo del 1u11o indipendente rispetto alla Tora del rabbinismo farisaico, il Pentateuco Samaritano è uno degli strumenti privilegiali per la critica testuale dello stesso Pentateuco. Il sesto volume della Poliglotta di Brian Walton ( 1657). curato da Edmund Ca­ steli ( 1606-1 685). raccoglie circa 6.000 varianti del Pentateuco Samaritano rispeuo al TM; di esse l . 900 sono in accordo con la versione dei LXX.

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2. LA BIBBIA GRECA La Bibbia greca, detta comunemente Septuaginta o dei Settanta (LXX),19 originariamente era la sola versione in greco della Todi per la Biblioteca di Ales­ sandria (prima metà del III secolo a.C.). Progressivamente furono tradotti tutti gli altri libri biblici, sino a comprenderne di più rispetto alla Bibbia ebraica. Es­ sa è l 'attestazione della tradizione giudaica ellenistico-alessandrina, più aperta ad accogliere come Scrittura sacra non solo gli scritti ebraici o aramaici prove­ nienti dall'area palestinese, ma anche libri scritti direttamente in greco (come la Sapienza di Salomone, scritta attorno al 30 a.C.). A dire il vero, tuttavia, bisogna aggiungere che non si conosce con precisione il canone alessandrino prima del­ la condanna da parte del giudaismo rabbinico farisaico, lanciata nel 1 30 d.C. da Rabbi Aqiba, il leader della seconda rivolta giudaica. Tutte le copie manoscritte della Bibbia greca, infatti, eccetto pochi frammenti di papiri greci d'Egitto e il rotolo dei Profeti Minori trovato a Nal}al l;lever, sono di tradizione cristiana. La Bibbia greca adottò un ordinamento dei libri diverso. Così, dopo la tord, normalmente definita in modo quantitativo Pentateuco, i libri sono disposti sul­ la base del loro genere letterario. Eccone l'elenco, con i libri non presenti nella Bibbia Ebraica scritti in corsivo: libri storici: Giosuè, Giudici e Rut, Samuele (chiamati l e 2Regni) e Re (chiamati 3 e 4Regni), l e 2Cronache, l Esdra (Esdra greco), 2Esdra (= Esdra e Neemia), Ester (con ampie aggiunte), Giuditta, Tobia, l , 2, 3 e 4Maccabei; libri sapienziali: Salmi, Odi, Proverbi, Qohelet, Cantico dei cantici, Giobbe, Sapienza di Salomone, Siracide, Salmi di Salomone; libri profetici: i Dodici Profeti, Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruch, Lette­ ra di Geremia, Ezechiele, Daniele (con ampie aggiunte).

Da ricordare, infine, che la Chiesa Orientale segue grosso modo il canone della Bibbia greca, ancora più ampio delle aggiunte deuterocanoniche della Bib­ bia latina.

" L'apocrifo leggendario Lettera di Aristea (ll secolo a.C.) è una miniera di informazioni sulla ver­ sione greca dei Settanta (da vagliare accuratamente dal punto di vista storico) e sulla Biblioteca di Ales­ sandria. Aristea era un burocrate di Tolemeo Il Filadelfo, che ha regnato dal 281 al 246 a.C., e la sua let­ tera era indirizzata a un certo Filocrate. Si veda la versione italiana in Lettera di Arisrea a Filocrate, BUR, Milano 1995. Altri studi recenti: S. HONIGMAN, The Septuagint and Homeric Scho/arship in Alexandria, Rowtledge, London 2003; E. S. GRUEN, The Letter of Aristeas and the cultura/ context of the Septuagint, in M. KARRER - W. KRAUS (cur.), Die Septuaginta - Texte, Kontexte, Lebenswelten. lnternationale Fach­ tagung ••eranstaltet von SeptUJJginta Deutsch (LXX.D). Wupperta/20.-23Ju/i 2006, unter Mitarbeit von M. MEISER (WUNT 2 19), Mohr, Ttibingen 2008, 1 34-156; A. VAN DER Koou. The promulgation ofthe Pentateuch in Greek according to the Letter of Aristeas, in A. VomLA - J. JOKIRANTA (cur.), Scripture in transition. Essays on Septuagint, Hebrew Bible, and Dead Sea scrol/s in honour of Raija Sol/amo (JSJ.S 1 26), Brill, Leiden - New York - Kt11benhavn - Koln 2008, 1 79-192; T. RAIAK, Trans/ating the Septuagint for Ptolemy's library: Myth and history. in M. KARRER - W. KRAUS (cur.), Die Septuaginta, 176-193; B.G. WRtGHT, III, Transcribing, translating, and interpreting in the Letter ofAristeas. On the nature ofthe SeptUJJgint, in A. VomLA - J. JOKIRANTA (cur.), Scripture in transition, 147-162.

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3. LA BIBBIA LATINA Quanto alla Bibbia latina, il discorso si fa più complesso. Mentre Gesù e i primi discepoli che provenivano dal giudaismo palestinese leggevano ovvia­ mente la Bibbia ebraica, Paolo e le comunità giudeo-ellenistiche facevano già riferimento alla Bibbia greca, la quale divenne così la Bibbia dei cristiano-elle­ nisti, i soli cristiani rimasti, in quanto, dopo la fine sanguinosa della seconda ri­ volta giudaica ( 1 35 d.C.), i giudeo-cristiani furono di fatto emarginati dalla Grande Chiesa (Ebioniti, Nazaretani, ecc.). Proprio perché i cristiani-ellenisti "si appropriarono" della Bibbia greca, sorse all'interno del giudaismo una reazione che impose alla versione dei LXX una revisione molto accurata, per omologarla al testo ebraico che ormai si era imposto alla tradizione (massora) giudaica a partire dalla fine del I secolo d.C. Nascono da questa opera di revisione le ver­ sioni greche considerate più "letterali" (Aquila, Simmaco e Teodozione), che Origene ebbe a confrontare - con estrema acribia filologica - nella sua Exapla. La crisi marcionita della prima metà del II secolo d.C., quando Marcione ri­ fiutò il Primo Testamento e gran parte anche del Nuovo, eccettuate le sette gran­ di lettere paoline e Le 3-24 (disputatur) come suo unico vangelo, costrinse la Grande Chiesa a prendere posizione a riguardo dei confini del Libro. Una di­ scussione molto vivace sorse soprattutto nei riguardi dei cosiddetti deuteroca­ nonici, ossia quei libri che non erano parte della Bibbia ebraica, ma erano pre­ senti in quella greca. Prevalse alla fine l 'opinione di mantener li nella Bibbia cri­ stiana, sebbene gli scrittori filologicamente più preparati, come Origene e Giro­ lamo, mantenessero sempre un distinguo tra la Hebraica veritas e il resto delle Scritture. Lutero, nella sua traduzione della Bibbia ( 1 534), pose questi libri alla fine del Primo Testamento con questo cappello introduttivo: «Apocrifi. Questi sono

libri che non vengono considerati uguali alle Sacre Scritture e tuttavia sono uti­ li e buoni a leggersi>>. Di contro, il Concilio di Trento, nel decreto sui libri sacri (sessione IV, 8 aprile 1 546), riaffermò l'uguale dignità di tutti i libri di cui era

formata la Bibbia secondo la tradizione cattolica, la quale affondava le sue radi­ ci - ma solo in modo generico! - nella tradizione greca ed era trasmessa dalla Vulgata (ma non del tutto!).20 La versione latina, almeno per quei libri la cui lin­ gua originale era l'ebraico, fu eseguita da Girolamo dal 390 al 4 1 3 su esplicito incarico di papa Damaso I." Per gli altri libri scritti in greco, come per la Sa­ pienza di Salomone, o il cui testo ebraico originale non era più disponibile, come per il Siracide, le versioni furono prese dalla Vetus Latina, la prima versione "africana", così definita non perché se ne conosca il luogo di esecuzione, ma perché è documentata prima del 250 d.C. proprio a Cartagine, a motivo delle molte citazioni di Cipriano. A partire dal V secolo la Vulgata divenne il testo bi-

" Infatti, il Salmo UJ, l'Orazione di Manasse, il Terzo Libro di Esdra (= Esdra Greco o I Esd) e il Quarto Libro di Esdra e la Lettera ai Laodicesi per il NT, letti come Sacra Scrittura sino al Concilio di Trento, da quel momento in avanti furono considerati "apocrifi" dalla Chiesa latina. " Nel 382 sempre Girolamo aveva avuto l'incarico da papa Damaso di rivedere la versione latina dei Vangeli, con un esito non proprio entusiasmante, a differenza del suo lavoro di versione dall'ebraico.

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blico-tppunto "divulgato" in Occidente, e si impose di fano-con il VI secolo eo­ me l'unica versione latina utilizzata dalla Chiesa di Roma. Da qui si deduce la disposizione più usuale dei libri secondo le Bibbie della Chiesa latina:

l ) il Pentateuco; 2) i libri storici (come nella Bibbia greca, ma con la separazione di Esdra da Nehemia e soltanto i primi due libri dei Maccabei); 3) i libri sapienziali (come nella Bibbia greca, senza le Odi e i Salmi di Salo­ mone); 4) i libri profetici (come nella Bibbia greca, con Io spostamento dei dodici pro­ feti minori dopo i grandi profeti e con la Lettera di Geremia quale cap. VI di

Baruch). n Primo Testamento della tradizione cattolica è dunque composto da 46 libri. E questo è il "sommario" del Libro al quale anche noi ci atteniamo. Tuttavia, pur includendo in questo elenco anche i cosiddetti "deuterocanonici", che i pro­ testanti definiscono "apocrifi", per cercare il senso dell'organizzazione canoni­ ca dei libri preferisco seguire la triplice divisione della tradizione ebraica, che è in grado di esprimere meglio la valenza dei tre corpi scritturistici: la Tora >.

È vero che Io spostamento degli scritti profetici come ultima sezione del Pri­ mo Testamento, secondo l 'ordinamento della Bibbia greca, sottolinea maggior­ mente il carattere profetico della prima parte della Bibbia cristiana. Il criterio formale adottato fa però perdere molte possibilità di qualificare la poetica dei diversi corpi di Scrittura e di dare loro un senso teologico che s'impone a parti­ re dallo stesso tracciato del canone, come meglio apprezzeremo nei tre capitoli finali della presente Introduzione. 4. IL RUOLO CENTRALE DELLA TORA NEL CANONE EBRAICO I testi che stanno "ai confini" dei tre corpi di Scrittura del canone ebraico por­ tano in sé evidenti segni di organizzazione redazionale che danno senso alla !ri­ partizione e insieme evidenziano il ruolo centrale della Tora rispetto agli altri due corpi .'2 4.1.

L'incipit e la finale della Tora

La Tora inizia con un'azione compiuta da Dio ( 'el6hfm) (b're'sft). Sono le prime parole della Bibbia, ma anche l 'irruzione del protagoni" Cf B.S. Cun.os, lntroducrion to rhe O/d Testamenr as Scripture, Fortress - SCM, Philadelphia PA ­ London 1979, ' 1 984; CH. DoHMEN - M. OEMING, Biblischer Kanon. warum und wozu? Eine Kanontheo­ logie (QD 137), Herder, Freiburg i. B. - Base! - Wien 1992; J.L. SKA, lntroduzione alla /e/tura del Penta­ teuco. Chiavi per /"interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, EDB, Bologna 2000, 19-26.

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sta "Dio", che non ha avuto alcuna previa presentazione. È quindi presupposto che il lettore abbia già assunto informazioni su di Lui da altra parte: b're''Sft bara' 'llohfm èt luliitimojim W' et hti'tire:r «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn l ,l).

La stessa iniziativa divina appare quando, senza esplicita preparazione, JHWH fa irruzione nella storia di un piccolo clan seminomade, per dare ad Abramo al­ cune istruzioni - un po' strane, a dire il vero - circa il suo spostamento: wajj6'mer JHWH è/· àbrtim /ek-1'/ui me'ar�'kti umimmo/adl'kti umibbet 'tibfkti è/-hti 'tire:r lfSer àrèkkti. «Poi JHWH disse ad Abramo: "Va' a te, dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa pa­ tema verso il paese che io ti mostrerò">> (Gn 12, l ).

Il Dio J HWH, rivelatosi a Mosè (cf Es 3 , 1 3 - 1 5), è colui che inizia una storia di promesse con i padri semi-nomadi. Egli è il medesimo che ha posto in essere il mondo e una relazione con l'umanità pensata «a sua immagine e somiglianza» (Gn 1 ,26s) come interlocutrice che potesse rispondergli nella libertà. E come l' incipit della vicenda della Tora è in iziativa inaspettata e unilaterale di Dio, così è carica di sorpresa anche la chiusura della Tora: Mosè muore e la sua tomba rimane "utopica", letteralmente: senza luogo. Egli può vedere la �re.r «terra>> solo da lontano, dall'alto del monte Nebo, ma non può metterei piede, proprio lui che era stato mandato da J HWH a guidare il suo popolo sino a questa mèta. Eppure, le ultime parole non sono affatto di biasimo, ma una gloriosa epi­ grafe per Mosè e la sua missione:" Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che JHWH conobbe faccia a faccia, sia per tutti i segni e i prodigi che JHWH l'aveva mandato a compiere in terra d'Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese, sia per la mano forte e il grande terrore con cui Mosè aveva agito agli occhi di tutto Israele (Dt 34, 10-12).

Dal momento che l 'unica indicazione cronologica esplicita nel Deuteronomio si trova in 1 ,3, tutto è narrato come se si svolgesse «in quello stesso giorno>> (b''e.rem hajjom hazz.eh, cf Dt 32,48). Quel giorno, stando al «calendario dei sabati»," è un giorno sesto e quindi si può concludere che l'intero libro del Deuteronomio sia il

" Per questo testo si vedano in particolare: CH. DoHMEN, Der Tod des Mose als Geburt des Penta­ teuch , in CH. DOHMEN - M. 0EMING, Biblischer Kanon, warum und wozu? Eine Kanontheo/ogie (QD 137). Herder, Freiburg i. B. - Basel - Wien 1 992, 54-68; F. GARCIA L6PEZ, Deut 34. History and the Pen­ tareuch. in F. GARCIA MARTINEZ et alii (cur.), Studies in Deuteronomy. /n honour ofC. J. l.abuschagne on the occasion of his 65th birthday (VT.S 53), Brill, Leiden 1 994, 47-6 1 ; Io., La muerre de Moisés, la su­ cesion de Josué y la escritura de la Torah (Deuteronomio 31-34), in TH.C. ROMER (ed.), Thefuture ofthe Deuteronomisric history (BEThL 147), Universiiy Press - Peeters, Leuven 2000, 85-99; J.H. T!GAY, The significance ofthe end of Deuleronomy (Deuteronomy 34:10-/Z), in M.V. Fox el alii (cur.), Texrs, tem­ ples, and traditions. A tribute to Menahem Haran, Eisenbrauns, Winona Lake IN 1996, 137-145. " Di questo calendario, si parlerà ampiamente commentando Gn l (cf pagg. 4 1 1 -4 1 3). Dt 1,3 parla del «primo giorno dell'undicesimo mese». Dal momento che il «calendario dei sabati» è di 364 giorni, ogni data rimane fissata nel medesimo giorno della settimana di anno in anno. Quindi il giorno ! .Xl è sempre un giorno sesto, la vigilia di un sabato. Si veda per la documentazione il mio contributo G. BoR­ GONOVO, Significato numerico delle cronologie bibliche e rilevanza delle varianti testuali (TM - LXX ­ Sam), RSB 9,1 ( 1 997) 139-170: 157-161, con bibliografia specifica.

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testamento di Mosè,25 pronunciato prima del grande sabato della sua morte, nel quale entra solennemente salendo sul monte Nebo (cf 34, 1 ). La superiorità di Mo­ sè, in questa finale, è affermata senza esitazione, a differenza del testo problemati­ co di Nm 12,6-8: egli è prima e al di sopra di tutti i profeti che seguiranno (cf Dt 18,15). L'autorità del Pentateuco deriva quindi dall'autorità di Mosè."'

4.2. L'incipit e la finale dei n•btfm L'inizio dei n'bi'im rl'!onfm, con Gs 1 , 1 -8, si riaggancia alla conclusione del Deuteronomio, sottolineando da una parte la continuità tra l 'opera di Giosuè, il m··saret moseh «servo di Mosè», e Mosè stesso, ma dall'altra mettendo in evi­ denza la singolarità di Mosè, in quanto Giosuè non è mai chiamato - al pari di Mosè - 'ebed ]HWH «il servo di JHWH»: 'Dopo la mone di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, aiutante di Mosè: 2> (l)uqqim Ctmìspii(im: Dt 5 , 1 ; 1 1 ,32; 12, 1 ; 26,16): "Ricordatevi della Tora di Mosè, mio servo, al quale ordinai sull'Horeb decreti e giudizi per tutto Israele. "Ecco, io mando a voi Elia, il profeta, prima che venga il giorno di JHWH, giorno grande e terribile. ''Egli ricondurrà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i loro padri, così che io, venendo, non colpisca il paese con uno l)erem.

Anche questo testo riconosce a Mosè il ruolo singolare di «servo di JHWH>> e soprattutto pone sotto l 'autorità di Mosè la missione di Elia e di tutti gli altri profeti, dei quali Elia è ormai diventato il corifeo.

4.3. L'incipit e la finale dei k'tilbim Anche i k'tCtbim hanno un ìncìpìt e una finale in cui si rimanda al riconosci­ mento della primaziale posizione della Tora. Il Salmo t , con cui si apre il cor­ pus dei k'tCtbim'" invita a considerare quanto segue come una meditazione della Legge dì JHWH, la sola capace di formare un criterio di discernimento adeguato per distinguere il giusto dall'empio e il peccatore dall'onesto. In certo modo, i k'tCtbim applicano al singolo quanto i n'biim ri'Sonim applicano alla storia col­ lettiva del popolo:29 'Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, 'ma nella Legge di JHWH trova la sua gioia e la sua Legge medita giorno e notte. 'È come albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene.

I due libri delle Cronache sono l 'attuale chiusura dei k'tabim e 2Cr 36,22-23 è l 'ultima pagina anche della Bibbia ebraica. Essa quindi si chiude con l'appello a «salire>> a Gerusalemme: non è più il verbo esodico che indica l 'uscita dalla ca­ sa degli schiavi per salire verso la terra promessa ai padri (cf, ad esempio, Es

" Questo vale per tutte le edizioni della Bibbia ebraica che dipendono dal manoscritto D 19" di S. Pie­ troburgo ( l 007 d.C.). Alcune Bibbie sinagogali hanno l'ordine Giobbe - Salmi per il fatto che considera­ no Giobbe opera mosaica alla pari del Pentaleuco. " Non mancano infatti alcune relazioni lessicali inniganti tra Sal l e Gs 1 , 1-8 di sapore chiaramente deuteronomistico: ii/J> (Es 2 1 23), i l più antico corpo legislativo che raccoglie leggi che potrebbero risalire an­ che al periodo premonarchico, sino alle ultime aggiunte legislative della tradi­ zione sacerdotale (= P)10 nel post-esilio, come ad esempio Lv 6-7; 1 1 - 1 5; 24; 27. Il passato normativo e la fecondità del simbolo del cammino nel deserto ver­ so il possesso di quella terra promessa ai padri e donata da JHWH hanno creato lo spazio teologico appropriato per illustrare il significato della Tora. In questo contesto teologico, la Legge è la manifestazione della volontà di Dio che invita il partner della h'rit ad una risposta libera: JHWH ha liberato il popolo, ma il popo­ lo non possiede ancora quella terra che gli era stata promessa. Solo un assenso li­ bero e responsabile al comandamento permette al progetto di Dio di avere la sua piena realizzazione: >. Il profeta non è tanto colui che prevede o predice. In questa definizione tutto lo straordinario starebbe nel vedere o dire prima quanto accadrà. Non necessa­ riamente il profeta predice o prevede. Piuttosto, egli vede e dice. Dice una paro­ la per il suo oggi, una parola che spiega l'opacità dell'evento, ciò che rimane in­ sondabile agli occhi dei più. Egli vede al di là del fatto, rende percepibile quan­ to resterebbe oscuro e senza forma. Insomma, il profeta illumina il dipanarsi di Dio e del suo progetto nella muta storia di ogni tempo. La profezia biblica non è anticipatrice se non in via mollo accessoria. La sua facoltà di vedere non è necessa­ riamente legata all'avvenire; ha il suo valore proprio, istantaneo. Il suo dire non è un pre-

" Cf pagg. 193-214. Si veda alle pagg. 677-680. " Basti ricordare i c icl i narrativi dedicati a Elia ( I Re 17-19; 21; 2Re 1 -2) ed Eliseo (2Re 2-13).

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dire: è dato immediatamente nell'istante della parola. In essa, visione e parola sono alla ricerca di una scopena, ma ciò che esse svelano non è l'avvenire, è l'assoluto. "

Potremmo dire che il profeta ha una nostalgia di conoscenza: non della cono­ scenza del domani però, bensì del "totalmente Altro". Di fronte al silenzio di Dio, i profeti biblici sono coloro che riportano la Parola di JHWH nell'agone del­ la storia umana. Di fronte all'oscurità in cui l'uomo muove i suoi passi, essi so­ no coloro che illuminano una via da percorrere. Si comprende quindi il duplice significato di quel pro che i traduttori greci hanno voluto usare per tradurre il concetto ebraico di niibl', ponendolo davanti al verbo greco CfJTJ!!L «parlare>>: il :rtQOCfJTJtT]ç è colui che parla al posto di Dio, è il suo porta-parola; e, insieme, è colui che parla davanti e a favore degli uomini, trasmettendo loro l 'interpretazione autentica della storia. Tutt'e due le dimen­ sioni sono necessarie perché si dia l 'esperienza profetica. La profezia è il prisma attraverso il quale il tempo di Dio si riflette nei tempi molteplici della storia del­ l'uomo. Non è questo il luogo per introdurre l'analisi puntuale della letteratura profe­ tica. Mi sembra però necessario offrire i punti cardinali per comprendere la pro­ fezia biblica e assumere la strumentazione concettuale adeguata a cogliere poi la forma narrativa propria della storiografia deuteronomistica. Li sintetizzo in quattro vocaboli ebraici, con un campo semantico amplissimo: la ril"l;z, il diiblir, la b'rft e la tora."

2.1. rti•(l «lo spirito» Lo spirito dice il movimento della profezia biblica e la sua direzione princi­ pale: da Dio verso l 'uomo. Il vocabolo ebraico n2"b dà un ricco simbolismo: riZ'b è il vento, la brezza che risveglia la natura addormentata e la feconda; è il movi­ mento di freschezza che passando attraverso la gola (nepef) dei viventi permette la respirazione e ne sostiene la vita. Rabbi Abraham Joshua Hesche! ( 1 907 - 1 972), nato a Varsavia ma vissuto a New York dal 1 940, teologo e filosofo tra i più attenti del XX secolo a ricupera­ re l 'autentica spiritualità della tradizione giudaica, ama definire la profezia come l' incontro del Dio del pathos - il Dio che soffre per l'uomo e che è mosso a sol­ lecitudine per le sue creature - con la simpatia del profeta verso Dio. Il pathos di Dio muove il profeta a «sentire-con>>. Il moto dello spirito che da Dio va ver­ so il profeta dice soprattutto che nell'esperienza profetica Dio non è sentito co­ me oggetto. Dio è soggetto. Afferrare Dio, per i profeti, è essere afferrati dal suo spirito. Vedere Dio è essere scrutati dal suo spirito. Questo è ciò che contraddistingue i profeti biblici da tutte le forme di profe­ tismo divinatorio dell'antichità: non dalla magia, dall' ipnosi, dalla trance, dal-

" A. NEHER, L'essenza del profetismo, Marietti. Casale Monferrato 1 984, 9 (orig. frane. 1972). " L'ispirazione di questi appunti sta in A. NEHER, L" essenza del profetismo, 73- 1 4 1 .

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l 'estasi - tutte tecniche per indurre Dio a manifestarsi -, ma dallo spirito che proviene da Dio il profeta trae la sua ispirazione. La rivelazione del Dio biblico non è qualcosa di oggettivo che il profeta trova, ma l 'accesso ad un'esperienza che Dio propone. La rivelazione di JHWH tramite la sua riè'IJ non stabilisce quindi una relazione di tipo magico tra Dio e l'uomo, ma crea un rapporto d'intimità nella sfera pro­ priamente "spirituale". Vi è una diversità di fondo tra questo accesso e tutte le tecniche di divinazione. In esse si ha il tentativo di procurare in tutti i modi una conoscenza del domani. Nel profetismo biblico ci si trova dentro un'esperienza in cui si sente di dover parlare in nome di Dio, come Io esplicita il testo di Amos: «Il mio Signore JHWH ha parlato: chi può non profetare?» (Am 3,8). Nell'universo del profetismo biblico, non è l'uomo che cerca il contatto con Dio, ma è Dio che cerca il contatto con l'uomo. Dio è lì, prima che l'uomo lo at­ tenda, lo solleciti, Io provochi. Per questo, quando Israele pensa di avere tra le mani un qualsiasi "talismano" capace di condizionare la potenza del Sacro, JHWH interviene con i suoi profeti a ricordare che non vi è nulla che possa vin­ cere la sua volontà e nulla che possa condizionare il suo progetto (nemmeno il tempio di Gerusalemme, secondo Ger 7, 1 - 1 5 , e nemmeno Io /:lirem «scomuni­ ca>> e il sacrificio secondo l Sam 1 5 , 1 3-35). La parola di Samuele risuona sem­ pre con forza: «JHWH gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l'obbedienza alla sua voce? Ecco, obbedire val meglio che sacrificio, e prestare ascolto val meglio che grasso di montoni. Davvero la ribellione è come la divinazione, e l'ostinazione come il peccato per idoli o immagini. Poiché hai rigettato la parola di JHWH, egli ti ha rigettato come re» ( l Sam 15,22-23).

2.2. diibiir «la parola» Il profeta è l'uomo della parola. Se Io spirito indica il movimento principale della profezia biblica da Dio verso l'uomo, la parola è il risultato di questo in­ contro. La parola - in ebraico il ddbar di Dio è parola e azione insieme. Per questo motivo, i profeti biblici amano le come strumento privilegiato per annunciare il dabdr di Dio: parlano agendo. -

La caratteristica di parola e azione, suono ed efficacia, dice molto dell'iden­ tità profetica. Essa è continuazione e ripresentazione dell'attività creatrice di Dio. Una parola debole, magari inflazionata, perseguitata, tradita, che diventa, anzi è parola di Dio. Dio parla attraverso il profeta con parole umane e non lo trascina fuori dalla storia, ma lo trasporta in un rapporto unico con sé perché por­ ti la propria parola agli uomini per mezzo della parola di tutti i giorni.

Il profeta è cosciente di portare una parola non sua: . Eppure con questo non viene annullata la sua personalità, anzi le sue capacità ..

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poetiche sono potenziate. Nel momento dell'incontro tra lo spirito di Dio e la personalità umana di colui che parla, il profeta rimane se stesso. È quanto espri­ me la lingua biblica, in una formula sintetica molto ricca, quando deve introdur­ re una parola profetica, che di solito si traduce in italiano: «La parola del Signo­ re fu rivoltaal profeta... )). In verità, l 'ebraico dice con più forza: ((La parola di JHWH avvenne per il profeta... )). Si tratta di un vero e proprio avvenimento della parola che muove le capacità umane. n profeta non è colui che impara a memo­ ria una parola, per poi trasmetterla agli altri e nemmeno è un estatico, che parla "fuori di sé"; egli è l'artigiano della parola, colui che forgiando con cura la pa­ rola umana cerca di esprimere con essa l 'indicibile incontro con Dio. Forse è anche per questa ragione che tra tutti i libri biblici, quelli profetici rap­ presentano il punto più alto di creatività linguistica e simbolica, avendo dato alla tradizione d'Israele e a tutta l 'umanità un patrimonio simbolico impareggiabile.

2.3. b'ril «il patto» Quando la parola di Dio raggiunge il cuore dell'uomo, ne sgorga necessaria­ mente una risposta. Si stabilisce tra l 'uomo e Dio una comunione, che i profeti hanno amato presentare come b'rit, un vocabolo molto complesso da tradurre, comprendendo i significati di promessa, giuramento, patto e alleanza. Leggere il rapporto tra Dio e Israele nei termini di «alleanza>> è il contributo più originale che il profetismo ha dato alla storia religiosa dello jahwismo. È in­ fatti sulla base della predicazione profetica che la storia d'Israele è stata Ietta come la storia dell'alleanza tra JHWH e il suo popolo. I profeti hanno cercato con tutti i simboli e i mezzi espressivi di esplicitare il significato di questa relazione. A partire dalle esperienze politico-diplomatiche del mondo politico dell'An­ tico Vicino Oriente, b'rit dice anzitutto il diverso ruolo dei due partner in gioco. Dio è colui che muove il primo passo e invita Israele a entrare in relazione con lui. Dio chiama, l'uomo risponde. Dio è leale e fedele al suo patto, l'uomo si mo­ stra incostante e sempre incline al tradimento. Proprio per ricondurre Israele al­ la fedeltà minacciata o già tradita, i profeti presentano se stessi come gli amba­ sciatori o i porta-parola di Dio. Per svolgere una tale funzione, essi devono presentare le credenziali, al fine di rendere certo l'uditorio che davvero la loro parola è parola proclamata in no­ me di lHWH. La credenziale che essi possono offrire è l'esperienza della loro vo­ cazione. Molti libri profetici fanno direttamente riferimento al momento in cui i profeti si sono sentiti investiti della loro missione (si pensi ad Am 7 , 1 4- 15; Is 6; Ger l ; Ez 1 -3). I racconti di vocazione, prima di ogni possibile finalità biografi­ ca o mistica, sono le credenziali che il profeta poteva offrire al suo interlocutore per accreditarsi il diritto di parlare "in nome di Dio".

2.4. torfi «l'istruzione» Nel quadro dell'alleanza, il profeta è colui che richiama il popolo alla lealtà nei riguardi delle esigenze del rapporto con Dio, con termine più preciso nei ri109

guardi della tora «legge>> (intendendo con questo non ancora - in modo esclusi­ vo - i cinque libri del Pentateuco che furono composti definitivamente solo do­ po la tradizione profetica, quanto piuttosto la rivelazione comunicata da JHWH a proposito della via della vita e delle esigenze della giustizia). Per i profeti il riferimento alla tora non è etico, almeno in prima istanza. Ri­ chiamare all'osservanza della tora è molto di più che richiamare a ciò che è be­ ne: è anzitutto richiamare al rapporto con JHWH di cui questa ricerca del bene è espressione. Non si tratta semplicemente di un'esistenza indirizzata al bene, quasi si trattasse di un imperativo categorico, ma di ristabilire ogni volta quella relazione d'alleanza con Dio, da cui scaturisce il Suo bene. La vita etica è infat­ ti la risposta alle esigenze dell'alleanza. Per i profeti, la legge di Dio è il modo per cercare e rispondere concretamente al Dio della legge. Anche nella rilettura del passato come tora, i profeti hanno giocato un ruolo decisivo. Sono loro che hanno insegnato a rileggere il passato come legge e co­ me figura per poter interpretare il proprio presente. Infatti, l 'appello alla tora nelle pagine profetiche è sempre molto di più del semplice riferimento a norme operative. È un'illuminazione dell'oggi e della vita, memoria del passato, riletto con gli occhi della fede e anticipazione del futuro di Dio. Proprio per l'insegna­ mento profetico e per la rilettura del passato come figura si comprende perché Abramo, i padri... le vicende di Israele nel deserto rimangano anche per noi un insegnamento valido per il nostro presente: il passato è luce che illumina l 'om­ bra del nostro oggi e l'oggi offre le categorie per rileggere tutta la storia, dipa­ nando il disegno di Dio. Il profetismo biblico, attraverso l 'orizzonte descritto, crea il tempo della sto­ ria. Come giustamente li ha chiamati A.J. Heschel,16 i profeti sono i costruttori del tempo, in quanto hanno creato una concezione di tempo lineare, in cui il pre­ sente si trova orientato tra un passato e un futuro: dalla creazione all'escatologia, dall'inizio alla fine del tempo, dall' aleph che appartiene solo a Dio al taw che pure appartiene solo a Lui. E noi tesi, tra questi due estremi, ad essere di Lui e per Lui ot «simbolo, segno>>, che recepisce la sua rivelazione e liberamente gli risponde confessando il suo nome santo. La b'rft, spina dorsale e figura caratteristica del messaggio profetico, si di­ spiega lungo la linearità del tempo con le sue implicazioni. Passato, presente e futuro sono disegnati nei loro precisi contorni: memoria dei benefici di JHWH, denuncia dei tradimenti di Israele e promessa di un nuovo intervento divino. Il passato chiarisce il diverso ruolo dei partner dell' alleanza, reclama la sua man­ cata attuazione da parte del popolo e offre la ragione della speranza. Il presente non viene più interpretato come momento di abbandono da parte di Dio, ma co­ me fallimento del patto originario a causa dell'inadempienza del popolo e illu­ minato dalla prospettiva del nuovo intervento di Dio. Il futuro assume una figu­ ra concreta di speranza di un nuovo patto, nella prospettiva di quanto Dio ha già compiuto nel passato e nella confessione del peccato del popolo, la cui opposi" A.J. HEscHEL, l...es bdtisseun du temps (Collection "Aieph" 2), Les Éditions du Minuit, Paris 1 957.

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zione è la sola vera causa della fine del patto antico (si leggano, a questo riguar­ do, le grandi pagine della nuova alleanza: Os 2; Ger 31,31 -34; Ez 36, 1 6-36 e Is 54). La "spiegazione" della b'rft nella tridimensionalità temporale è evidente nelle pericopi qui ricordate: il presente, interpretato come conseguenza dell'in­ fedeltà del popolo, manifesta con tinte ancora più forti l'assoluta fedeltà di Dio. E proprio soltanto la sua fedeltà permette di qualificare antico il patto violato e ci apre alla speranza di un nuovo intervento divino per un nuovo patto che pur essendo in continuità con il precedente, perché non lo annulla, lo porta a compi­ mento. Quando la tradizione profetica giunge a piena maturità, al tempo dell'esilio, con la voce anonima di colui che ha lasciato i suoi oracoli nei capp. 40-55 del li­ bro di Isaia, il corpo dei libri profetici è ricapitolato dalla certezza che «Dio ha parlato>>. Come un rotolo ormai totalmente scritto, chiudendosi, è rilanciato ad una speranza eccentrica, la cui realizzazione è rimandata a «quei giorni>>, ai «giorni a venire>>, «al tempo seguente>>. Sul fondamento di quanto Dio ha già operato nel passato, si annuncia per il futuro che egli tornerà ad operare in modo nuovo e ultimativo: «I primi fatti, ecco, sono avvenuti e i nuovi io preannunzio; prima che spuntino, ve li faccio sentire>> (Is 42,9).

3. K·TfiBIM

È difficile offrire un'inquadratura sintetica del corpo eterogeneo dei k'tubim «gli scritti>> e trovare una sola forma narrativa che li conduca a unità, dal mo­ mento che la non-sistematicità è proprio la sua caratteristica principale. La di­ mensione sapienziale, che più di altri li caratterizza nell 'insieme, tanto da essere evidenziato quasi come categoria sintetica nella tradizione greca, ne sotlolinea soprattutto il carattere di contemporaneità: i krubfm «gli scritti>> sono opere che mettono al centro i problemi di ogni generazione umana. Forse anche per questo motivo è difficile datare con precisione molti dei libri qui raccolti. Si pensi, ad esempio, al libro di Giobbe, la cui composizione è sta­ ta collocata con un'oscillazione che va dal XIII fino al II secolo a.C., o al Penta­ teuco salmico del Salterio, o ancora al Cantico dei cantici. La rora è la forma di narrazione che risale al passato rendendolo un archeti­ po normativo valido per ogni tempo. I profeti sono un 'interpretazione del pre­ sente storico alla luce della rora confessata. Ora, potremmo dire che i krubfm so­ no la rappresentazione dei problemi e dell'esperienza dell'umanità in quanto ta­ le: anche la relativa dislocazione rispetto a "Israele" potrebbe essere spiegata in questo modo. La dimensione teologica non è cancellata o ignorata: non si tratta infatti di un discorso secolarizzato. Ma la dimensione teologica rimane un tra­ scendentale che sta dietro la quotidianità dei problemi. Così si spiega il recedere dell 'interesse per quanto è caratteristicamente jahwista e, di conseguenza, l 'ac­ cantonamento della confessione storico-salvifica dell'esodo e persino dello stes­ so nome JHWH. 111

L'attitudine del sapiente � propriamente filosofica, ma non profana né "lai­ ca". Come tutti gli antichi, anche i "filosofi" della tradizione biblica rimangono illuminati dalla loro fede, alla ricerca della verità perenne del mondo, della vita e deli 'uomo. Anche «gli scritti», pur nella loro frammentarietà e diversità, rive­ lano una trama teologica, in grado di ricapitolarli ad unità e di finalizzarli ad un compimento non ancora posseduto: la sapienza ha mostrato in tutte le epoche della storia salvifica di essere dalla parte della vita e del bene. Si pensi alla stu­ penda meditazione storica, quasi un midras, di Sap 1 0- 1 9: In tutti i modi, o Signore, hai magnificato e reso glorioso il tuo popolo e non l'hai trascurato assistendolo in ogni tempo e in ogni luogo (Sap 19,22).

Rileggendo il passato come rivelazione della Sapienza, ne scaturisce più limpido il progetto di Dio sul tempo e sul futuro, e mentre si descrive l 'esodo del passato, si aprono nuovi orizzonti escatologici (Sap 1 9,6-21).

4. LA "RICAPITOLAZIONE" (O DEUTEROSI) Nel Primo Testamento, v i è un fenomeno letterario sul quale voglio ora atti­ rare l 'attenzione. A dire la verità non è soltanto fenomeno letterario, in quanto proviene dalla vita e rimanda alla vita e anche alla formazione di tutti e tre i cor­ pi scritturistici della Bibbia Ebraica. Potrei indicarlo ricorrendo al vocabolo pa­ tristico bEV'tÉQWutç «deuterosi>>,17 riesumato da P. Beauchamp con nuovo signi­ ficato. Preferisco invece partire da un'immagine che - spero - risulti al lettore più eloquente e dia meno la sensazione di una temibile malattia da cui guardarsi. Nell 'antichità, i documenti scritti su papiro o su pergamena erano normal­ mente confezionati in rotoli (in latino, volumina). I fogli di papiro o i pezzi di " «Deuterosi• è già presente nei L XX (4Reg 23,4) a indicare i sacerdoti di secondo ordine o di se­ conda fila. Vi sono almeno una quarantina di passi patristici, in cui il senso fondamentale è quello della secondarietà delle tradizioni giudaiche rispeuo alla rivelazione della Legge divina. Di Girolamo potrem­ mo citare: /n /saiam, III, 8; XVI, 59; In Ezechielem, Xl, 36; In Mallhaeum, XXII, 23; Epistulae, 1 88,20; 1 2 1 , 1 O. Il testo più interessante è la Novella 146 di Giustiniano Imperatore (fa pane delle costituzioni pubblicate dopo la sua mone). Essa riguarda il dirino dato agli Ebrei di leggere le Sacre Scrinure in Ebrai­ co, Greco (LXX o Aquila) oppure Latino. Di contro però, nìv OÈ :n:ap' airtoiç >..eyo!J.ÉVJ.LV beutépwow WtayOQEUOJ.LEV :rtOvtEÀ> (Ger 25, 1 1 - 1 2 e 29,10-14) in Dn 9. È molto importante l 'aggancio del corredo numerico alla geografia e all'astronomia: quattro stagioni o quattro punti cardinali, sette pianeti e sette giorni della settimana, dodici segni dello zodiaco;" la storia talvolta è letta con categorie dualistiche: «L'Altissimo non ha creato un solo eone, ma due» (4Esd 7,50). Questa affermazione è fondamentale nella visione apoca­ littica. La discriminante non è più la separazione di Israele dalle genti, ma il giudizio tra i pii e gli empi, con un discernimento individuale. L'eone presente - ovvero la sto­ ria attuale - è votato alla morte e alla perdizione, e in esso stanno tutti gli empi. Ma Dio ha preparato per i suoi fedeli un eone eterno: esso farà irruzione allafine, quando JHWH stesso entrerà a combattere per vincere le forze del male. Da qui nasce il pessi­ mismo apocalittico nei confronti dell'attuale realtà mondana, ma anche il suo messag­ gio di speranza per coloro che attendono l 'intervento risolutore di Dio; l'apocalittico ama il linguaggio figurato e allegorico: difficile è definirlo simbolico, perché è un cifrario molto intellettualistico e con poco afflato poetico. Sono soprattut­ to le immagini teriomorfe (animali) e numeriche ad essere utilizzate per esprimere il senso della storia. Molto frequente è anche la citazione o l'allusione a testi precedenti o a scritti apocalittici già canonizzati dalla tradizione. Bisogna dire che il genere apo­ calittico ama molto l ' intertestualità autoreferenziale, rendendo in questo modo un simbolo polivalente ciò che in precedenza si riferiva a qualche evento storico partico­ lare. Così la profanazione del tempio, che nel libro di Daniele è un evento storico ben determinato, diviene una panoplia simbolica, saccheggiata dalle apocalissi seguenti; il concetto sintetico della speculazione apocalittica, che riassume in sé tutte le caratte­ ristiche sin qui esposte, è quello della fine dei tempi, o meglio del fine dei tempi. L'an­ tico eone va verso la sua fme a grandi passi; Dio sta per fare la sua irruzione definiti­ va nella storia, e ciò significherà la vittoria per i suoi fedeli, mentre si inaugurerà la nuova e definitiva creazione. Anche la grande coreografia è lo scenario simbolico che serve a sottolineare l ' importanza del momento. Perché, con la fine dell 'antico eone, tutta la storia e l 'intera creazione raggiungono il loro fine e la loro mèta. Il termine stesso "apocalisse" si comprende alla luce di questa rivelazione: all'illuminato apoca­ littico è dato di cogliere l'intera storia umana come un tutto unitario che procede li­ nearmente ed è ormai giunto al suo ultimo compimento.

"' Proprio da questa pagina di Daniele provengono alcuni numeri che diventeranno significativi nel­ l'apocalittica successiva: settanta, quattro, tre, sette, tre e mezzo (la metà di sette). Per questa numerolo­ gia si veda F.C. ENDRES - A. ScHIMMEL, Dizionario dei numeri. Storia, simbologia, allegoria, Red - Stu­ dio redazionale, Milano 1 99 1 , '2006 (orig. ted. 1984).

1 18

L'opinione dei rabbini più sopra ricordata, che cioè l 'apocalittica non ag­ giunga nulla alla Tora, è solo parzialmente vera. È vero che il genere apocalitti­ co deve rimanere coerente con le figure di Dio e di uomo offene dai primi cin­ que libri e che quindi non può dire nulla di nuovo al riguardo. Tuttavia è anche vero che, venendo dopo la profezia e la grande produzione sapienziale, essa possa sottolineare qualche aspetto in altra parte ancora latente. -1•

*

*

*

Tora, N'bf'fm e K'tublm si chiudono con un movimento di ricapito/azione: la Tora con una legge il cui comando è di «osservare la legge»; i profeti con un oracolo il cui contenuto è che «Dio ha parlato>>; la sapienza con un invito a «se­ guire donna Sapienza>>. Mentre si ricapitolano, i tre corpi scritturistici si aprono a una dimensione di futuro che impedisce la loro cristallizzazione archeologica e un loro ripiegamento autoreferenziale. È appunto la condizionalità radicale del comandamento deuteronomico, la promessa poliedrica di una nuova alleanza profetica e l'orizzonte creazionistico del progetto sapiente di Dio a tenere aper­ to l 'orizzonte del Libro, a impedirne la chiusura prima che esso abbia espresso sino all'estremo il rimando oltre se stesso, verso l 'evento stesso preparato da Dio come momento ultimo di compimento. Si potrebbe allora ritenere che il genere apocalittico sia il crocevia e il punto sintetico delle tre prospettive con cui si aprono Tora, N'bf'fm e K'tubim: ne urge il compimento, anzi anticipa il lorofine. Impedendo a quanto precede un isolamento archeo logico rivolto al passato, l'apocalittica conferisce alla Bibbia Ebraica un orientamento drasticamente "te/eologico", indirizzato al futuro e al compimento. Le poche pagine apocalittiche presenti nella Bibbia Ebraica sono indispensabili alla configurazione del Libro stesso, per comprendere che i tre corpi della Scrittu­ ra guardano - e ciascuno nel suo genere - al proprio fine, come compimento in un evento al di là del Libro stesso. Legge, profeti e scritti lasciano infatti apena una domanda: a quali condizioni la condizione del comandamento sarà attuata? quan­ do la promessa di una nuova alleanza troverà il suo adempimento? quando il pro­ getto di Dio raggiungerà la sua mèta? La speculazione apocalittica confessa che Dio stesso è la risposta a tali domande: sarà Lui a fare irruzione nella storia degli uomini per ponare a compimento il suo progetto di salvezza. "

",

Si è discusso molto se l'apocalittica debba essere vista come l'evoluzione ­ o la degenerazione - della profezia oppure come la conclusione naturale della tradizione sapienziale. Chiedendo venia della superficialità, mi sembra di poter dire che l 'apocalittica è il punto di fusione dei N'bf'im e dei K'tubfm, ma anche della Tora. Forse anche per questa ragione, l 'apocalittica ha una posizione di confine nel Libro e un posto instabile al suo intemo:23 essa mira a un evento che sta al difuori del Libro.

i

" Nella Bibbia ebnlica Daniele è collocato tra i Ktlibim, mentre nella Bibbia greca e latina si trova tra n'biim, accanto ai "grandi profeti" Isaia, Geremia ed Ezechiele. Per di più, nel canone ebraico, la posi·

zione del libro di Daniele è variabile, come si è notato in precedenza (pagg. 85.9ls).

l l9

Nell'apocalittica ritroviamo l 'orizzonte creazionale e salvifico disegnato dal­ Ia confessione di fede esodica in direzione simmetrica rispetto al Pentateuco: non dalla creazione del mondo e dell'umanità all'elezione di un popolo, ma dal­ l 'elezione di un popolo all'orizzonte di nuovi cieli e terra nuova (cf Is 66,22). Non è un caso che il Primo Testamento si fermi sul tema della creazione con più ampiezza proprio nel momento in cui prende in considerazione la nuova crea­ zione. Neli' apocalittica si ha la rilettura della profezia da parte di un sapiente, che vuole "comprendere" ed è guidato alla comprensione dalla rivelazione che riceve. In essa, rifluisce l 'universalità della riflessione sapienziale, nella valenza propriamente conoscitiva e razionale. Scrive Pau! Beaucharnp, dal quale ho attinto molti stimoli per comprendere il senso della !ripartizione del canone della Bibbia ebraica: Ghermite simultaneamente dalla loro unità e dalla loro fine, Legge, Profezia e Sapienza formano nell'apocalittica [ . . ] un precipitato, una condensazione che tiene il lettore a di­ stanza. [ ... ] L'Antico Testamento è sollevato sino alla fine dalle apocalissi; e proprio in es­ se la generazione di Gesù incontrerà le Scritture. Ma si avrebbe torto a vedere nelle apo­ calissi un altro Antico Testamento, un supplemento che interpreti un po' stanchi conside­ rano prodotto da una "generazione inquieta" o da "tempi turbati" o da una patologia mal definita, senza interesse. È stata invece la necessità di tutte le Scritture a produrre le apo­ calissi." .

" P. BEAUCJIAMP, L'uno e raltro testamento, 231.

1 20

CAPITOLO TERZO

IL PROBLEMA DEL PENTATEUCO

l. SGUARDO GENERALE

La Tora è il cuore del Primo Testamento, «insieme facciata e cupola»' di questo stupendo edificio. Nella tradizione rabbinica, i primi cinque libri biblici sono detti /:liimissa l}umm'se tora «i cinque quinti della Tora». Tale intrigante di­ zione non è presente nella Bibbia Ebraica. Tuttavia, in essa troviamo due espres­ sioni che, almeno nella redazione finale dei testi, possono riferirsi a questa rac­ colta di testi: seper torat lHWH «documento della Tora di JHWH>> (2Cr 17 ,9; Ne 9,3)' e seper torat m0seh «documento della Tora di Mosè>> (Gs 8,31 = LXX 9,2; Gs 23,6; 2Re 1 4,6; Ne 8,1 ).3 Le due designazioni esprimono un duplice valore teologico complementare. La prima dice l'origine della Tora: essa è stata rivela­ ta da JHWH a Mosè. La seconda sottolinea invece il riferimento a quell'autorità mosaica, che la tradizione giudaica e cristiana le hanno da sempre riconosciuto. n sintagma più antico sembra essere stato seper hat-tora ((il documento della Tora>> (Dt 3 1 ,26; Gs 1 ,8; 2Re 22,8. 1 1 ; 2Cr 34, 1 5 e Ne 8,3) o, più sinteticamen­ te, hat-tora (Dt 1 ,5; 3 1 ,9. 1 1 .24; 32,46 e Ne 8,2).' Forgiato in origine a indicare forse il solo Deuteronomio, tale sintagma passò poi nella tradizione giudaica a designare il corpus di tutti e cinque i libri e la loro unità contenutistica: si tratta infatti di un unico "insegnamento"' e di una "indicazione" unitaria, per vivere la propria appartenenza ali 'Israele di JHWH.

Tora è dunque un concetto poliedrico, più vicino a rivelazione in senso teo­ logico complessivo che non a legislazione in senso giuridico. Tuttavia, la tradu' H. CAZEURS, Pentateuch, in DBS VII, 855. ' 2Cr 34.14 aggiunge anche b'jad mOleh «[data] per mezzo di Mosè». 2Re 10,31; 1Cr22,1 1 ; 2Cr 1 2, 1 ; 3 1 .3.4; 35.26 hanno solo tora/ }HWH. In allri passi, invece del nome divino, s i usa i l generico 'i/Ohim (Gs 24,26; Ne 8,18). Ne 1 0,29 ha solo tora/ 'ilohim. ' O anche, come forma brevior, torat moseh: I Re 2,3; 2Re 23,25; Ml 3,22 = LXX 3.24 e Vg 4,4 (con l'aggiunta di abdi ); Esd 7,6; op­ pure siper mOleh: 2Cr 25,4 (in apposizione a b'tora); 2Cr 35, 12. ' Oppure has-siper (cf Ne 8,5) o anche solo tora (cf Dt 33,4). ' Si può discutere se Tora derivi dajara I o III (il problema, da un punto di vista semantico, a mio pa­ rere, sta più nell'eventuale unificazione delle due radici). Più probabile che derivi da jara (jrh III), il cui significato fondanJentale è di «proclamare, svelare, rendere pubblico». con forte accentuazione teologica (cf S. WAGNER,jara III, in GLAT 111, 1074-1085). Neii'AT, il verbo occorre solo in hiphil (45x) e indica sempre una relazione di ammaestramento tra due soggeni: il docente che ha posizione autorevole e il di­ scente che auende indicazioni e lumi dal moreh «maestro>> (solo 9 occorrenze nell' AT; ma si ricordi la funzione di primo piano del moreh ha�-�edeq «Maestro di Giustizia» a Qumran). Ben maggiore è invece la frequenza di tora (220x; cf G. LtEDKE - C. I'ETERSEN, tora, Weisung, in THAT Il, 1032- 1043).

121

zione greca con VO!J.Oç «legge» e soprattutto la polemica paolina hanno avuto una forte incidenza sulla successiva interpretazione cristiana della Tora in senso legalistico.• La dizione rabbinica l}iimi!!a l)umm'!e tora esprime bene anche la dialettica costitutiva tra unità e molteplicità, caratteristica originaria dei primi cinque libri della Bibbia. Da una parte, almeno considerata nella sua redazione finale, si tratta di un'unica opera; dall'altra, si evidenzia che è composta da cinque parti, in ebraico indicate con il loro incipit (b'resit, f'mot, wajjiqrii', b'midbiir, d'biirim) e, a partire dalla versione dei LXX, titolate con una designazione che allude in qualche modo al loro contenuto narrativo (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). L'opera dei "cinque in uno" fu forse divisa in cinque rotoli per motivi pratici: è infatti composta da 304.805 lettere (o caratteri alfabetici), 79.882 parole e 5.845 versetti,' poco più di un quarto dell 'intero Tanak ( 1 . 1 59.705 lettere). Un rotolo di questo genere sarebbe stato molto ingombrante e soprattutto difficile da svolgere e riavvolgere per cercare un determinato passo (si calcola che - per ec­ cesso - sarebbe dovuto essere lungo circa 33 metri !). Analogamente a quanto sarebbe accaduto ai poemi omerici,8 anche la Tora fu suddivisa in cinque rotoli, divenendo così Pentateuco! ' L'argomento, come si può intuire, è di importanza capitale e il suo sviluppo richiederebbe uno stu­ dio a sé. Riprenderò il problema nel paragrafo dedicalo alla leologia della Tora (pagg. 287-3 16). Per ora, si vedano L. MoNSENGWO PASINYA, La norion de nomos dans le Penrareuque grer, Préface de l. DE LA POTIERIE (Analecta Biblica 52), Biblical lnslitule Press, Rome 1973; H. CAZELLES, Le Pentateuque com­ me Torah, in CEN'TliE D'ÉTIJDES DES RELIGIONS DU LIVRE, Les règles de l'interprétation, éd. par M. TAR­ DIEU, Cerf, Paris 1987, 35-68 [ 1 3 1 - 1 4 1 ] ; A. F. SEGAL, Torah and nf>mos in recenr scholarly discussion, in ID., The other Judaism of/are antiquity (BJSt 127), Scholars Press, Allanta GA 1987, 1 3 1 -145; F. CROSE­ MANN, Le Pentateuque, une Tora. Prolégomènes et interprérarion de sa forme finale, in A. DE PuRY (éd.),

Le Pentateuque en question; Les origines et /a composition des cinq premiers livres de la Bible à la lu­ mière des recherches récenres (MoBi 19), Labor et Fides, Genève 1 989, ' 1 99 1 , 339-360; J. MAIER, Torah und Penrateuch, Geserz und Mora/; Beobachtungen zum jiidischen und christlich-theologischen Befund, in A. VIV!AN (Hrsg.), Biblis>. Per sineddoche però è venuto ad indicare i cinque rotoli in esse contenuti.

1 22

Si pensi, ad esempio, che il più lungo rotolo trovato a Qumrin, il Rotolo del Tempio ( I l QTS), misura m 8, 75; il grande rotolo di Isaia ( l Qls') m 7,35. Sulla base di questi pa­ rametri, mediamente i rotoli dei libri del Pentateuco potrebbero misurare 6{7 metri. I criteri adottati per la cesura in cinque rotoli sembrano essere eterogenei: di carattere compositivo, come l 'importante passaggio da Numeri a Deuteronomio; di carattere strut­ turale-narrativo, come la cesura tra Genesi ed Esodo; di carattere contenutistico, come per l 'inserzione di Levitico tra Esodo e Numeri (se il Levitico non ci fosse, non vi sarebbero salti strutturali e la narrazione non subirebbe alcun arresto). Per questa ecletticità nei criteri di cesura, i cinque rotoli risultano ovviamente di diversa lunghezza, e non di poco conto: le parole del Levitico, che è il rotolo più cono, non sono nemmeno i 3/5 delle parole di Genesi, che è il rotolo più lungo ( I l . 950 su 20.5 12). Per chi si diletta di numerologie, nella seguente tabella ripono un po' di confronti numeri­ ci riguardanti i cinque libri del Pentateuco e il libro di Isaia, che prendo come esempio per un veloce confronto con un libro significativo al di fuori della Tora, ma sempre parte del­ la Bibbia Ebraica. Il confronto con la distribuzione delle lettere potrebbe sembrare un ghi­ ribizzo di troppo, ma per chi conosce l'ebraico si potrebbero trarre almeno interessanti considerazioni a riguardo del grado di parsimonia delle matres lectionis.

Capitoli

Versetti

Parole

Lettere

Genesi Esodo Levitico Numeri Deuteronomio

50 40 27 36 34

1 .534 1 .209 859 1.288 955

20.5 12 16.713 l l .950 16.413 1 4.294

78.064 63.529 44.790 63.530 54.892

TIJrlJ

187

5.845

79.882

304.805

TANAK

1 . 189

3 1.171

304.901

1 . 1 59.705

66

1 .291

1 6.933

66.905

Isaia

Distribuzione delle lettere nella Tora

Lenere Il :l l ., :"1 , T n c

.

:

27.057 16.344 2. 109 7.032 28.052 30.509 2.198 7.187 1 .802 3 1 .522 1 1 .916

Distribuzione delle lettere in Isaia

Lettere

Lettere .,

::l l c :: l) J

i'



> (Genesi, Esodo, Levitico, Nu­ meri, Deuteronomio, Giosuè e Giudici) ricordo le due opere di Agostino: In Heptateuchum Locutiones Libri Septem ( PL XXXIV,485-544) e Quaestiones in Heptateuchum (= PL XXXIV,547-776). =

b) Ottateuco: per il commento agli (Genesi, Esodo, Levitico, Nu­ meri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici e Rut), soprattutto riferito a qualche com­ mentario manoscritto, di cui si conservano copie riccamente illustrate, ricordo lin '1 889. '1963. Questa fondamentale opera era apparsa dapprima come articolo in tre puntate sulla rivi­ sta > ( ohel mo'ed), insieme all'uso del simbolo della colonna di nube, rende sospetto l' intero passaggio. Dt 3 1 ,23 è un versetto secondario e ripetitivo a riguardo del compito di Giosuè, un passo che s'incunea fra due momenti narrativi essenziali per la trama del libro, ovvero la scrit­ tura del cantico della testimonianza (DI 3 1 , 19-22) e la custodia del documento della legge (DI 31 ,24-30). Da ultimo, anche l'apologia di Giosuè in Dt 34,9 va giudicata secondaria, non aggiungen­ do alcunché di nuovo, ma piuttosto togliendo quell'alone di mistero che accompagna la morte di Mosè.

Potremmo concludere questo appunto critico sostenendo che l 'avvicinamen­ to di Giosuè al Deuteronomio ha provocato alcune anticipazioni che sono estrin­ seche non solo rispetto alla trama narrativa del Quinto Libro del Pentateuco, ma ancora di più rispetto ai libri precedenti (cf Es 1 7,9. 1 0. 1 3 . 14; 24, 1 3 ; 32, 1 7; 33, l l ; Nm 1 1 ,28; 1 3,16; 14,6.30.38; 26,65; 27, 1 8.22; 32,1 2.28; 34,17). ,. In DI, il nome di Gi� è scritto in tre modi diversi: fMII?'[bin·niJn] in 1,38; 3,28; 3 1 ,3.7. 14.23; 34,9; /M.frl"'in 3,21; e hOsi!' ' bin-nlln in 32.44. " Cf GARBINI, Il ritorno, 2001, 145-172; lo., Mito e storia, 2003, 36-38.

133

3. Il tema fondamentale del Pentateuco è la vicenda esodica, sviluppata nella sua complessa unità di «uscita dall'Egitto, la casa degli schiavi>>, «essere guida­ ti nel deserto (la consegna della legge al Sinai !)>>, per «entrare nella terra della promessa>>. Quest'ultimo elemento non è completato nella sua realizzazione, perché il comandamento guarda sempre in avanti, alla condizione del compi­ mento del primo comandamento. Tuttavia, il tema della «terra promessa ai Pa­ dri>> rimanda all'indietro, al momento in cui JHWH comincia a rivelarsi ai Padri affidando loro il dono della promessa. Il Dio dell 'esodo è «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe>> (Es 3,6). Non solo, questo Dio che al mo­ mento dell'esodo si fa conoscere con il nome-rivelazione di JHWH è anche l'uni­ co Dio creatore di cielo e terra (Gn 1 - 1 1 ). La solenne presentazione della teolo­ gia della Tora è un ulteriore motivo di unità dei primi cinque libri e della loro singolare permanenza, rispetto alla diveniente singolarità di ogni altro momento storico di Israele, da Giosuè in poi. 4. Infatti, la cesura dopo il Pentateuco dice la non necessaria ripetibilità della "conquista" di Giosuè, mentre nello stesso tempo dice la perenne validità della promessa della terra e la sua condizione legata all'osservanza del comandamen­ to: (Dt 30, 1 7s). L' «Israele della storia>> non potrà far appel­ lo a Giosuè (o ai Giudici, a Samuele, a Davide, ecc.) per risolvere i problemi che si porranno nei secoli successivi, ma l ' «Israele della fede» dovrà continua­ mente fare appello al comandamento condizionale del Deuteronomio per com­ prendere il senso della propria vita «sulla terra che JHWH tuo Dio sta per darti>>. Una sana teologia della terra è possibile solo mantenendo chiara la linea di dif­ ferenza tra il periodo mosaico e la storia dell'insediamento di Israele in Canaan.

1 34

CAPITOLO QUARTO

L'IPOTESI DOCUMENTARIA

BIBLIOGRAFIA

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o

o

Non ci si deve stupire delle molte difficoltà incontrate nel superare il momen­ to precritico e soprattutto l 'affermazione tradizionale - tutta da interpretare - cir­ ca l 'autorità mosaico del Pentateuco. Basti riportare per intero le risposte offerte dalla Pont. Commissione Biblica, nei suoi primi passi dopo la sua istituzione,' ' La Pont. Commissione Biblica fu istituita il 30 onobre 1902 con la Lenera apostolica «Vigilantiae» di Leone XIII (cf EB nn. 137-148).

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Sull'autenticità mosaica del Pentateuco (De Mosaica authentia Pentateuchi), datate al 27 giugno 1 906, così che sia evidente quale fosse la posizione ufficiale della teologia romana su questo problema all'inizio del XX secolo:' Ai seguenti dubbi presentati, il Pontificio Consiglio per gli studi biblici ha ritenuto oppor­ tuno rispondere come segue: l. Gli argomenti accumulati dai critici per combattere l 'autenticità mosaica dei sacri libri, che sono chiamati con il nome di Pentateuco, hanno tanto peso da dover affermare, mal­ grado le molteplici testimonianze di entrambi i Testamenti presi insieme, l'accordo perpe­ tuo del popolo giudaico, la tradizione costante della Chiesa e gli indizi interni che si sco­ prono nello stesso testo, che questi libri non hanno Mosè per autore, ma che sono stati re­ datti attraverso l'uso di fonti per la maggior parte posteriori a Mosè? Risposta: No. Il. L'autenticità mosaica del Pentateuco postula necessariamente una tale redazione di tut­ ta l'opera, cosicché occorre assolutamente che Mosè scrisse di sua mano tutte e singole le cose che sono scritte, o che le dettò ad amanuensi; o si può piuttosto ammettere l' ipotesi di coloro che pensano che egli ha affidato ad un'altra o a varie persone la scrittura dell'o­ pera che egli aveva concepito dietro il soffio della divina ispirazione, in maniera tale da riflettere fedelmente il suo pensiero, da non scrivere alcunché contro la sua volontà e da non omettere nulla; così alla fme, una tale opera così redatta, approvata dallo stesso Mo­ sè, autore principale e ispirato, fu divulgata con il suo nome? Risposta: No per la prima parte, Sì per la seconda. III. Si può concedere, senza alcun pregiudizio sull'autenticità mosaica del Pentateuco, che Mosè nella redazione della sua opera abbia fatto uso di fonti, sia documenti scritti che tradizioni orali, dalle quali abbia tratto, parola per parola oppure secondo l'idea di fondo, alcune cose e le abbia inserite nella sua opera, riassumendo le o amplificandole, secondo i l suo fine o dietro i l soffio della divina ispirazione? Risposta: Sì. IV. Salva sostanzialmente l ' autenticità mosaica e l ' integrità del Pentateuco, si può am­ mettere che in un decorso così lungo di secoli siano sopraggiunte ad esso alcune modifi­ cazioni quali: aggiunte fatte dopo la morte di Mosè da un autore ispirato o glosse e spie­ gazioni intercalate nel testo; alcuni vocaboli e forme del linguaggio più antico modificate in funzione del linguaggio più recente; lezioni errate da attribuirsi soltanto ad errori degli amanuensi sui quali sia lecito discutere e giudicare secondo le regole dell'arte critica? Risposta: Sì, salvo il giudizio della Chiesa.

Per comprendere queste molte domande, che com'era prassi erano create a tavolino per avere poi dalla Pontificia Commissione una chiara risposta, biso­ gna ripercorrere con un po' di pazienza la storia del problema, almeno a grandi linee, facendo però attenzione in modo particolare ai primi passi dell'ipotesi do­ cumentaria.

l. DAL PERIODO PRECRmCO A JEAN ASTRUC L'alba del periodo critico mantiene ancora l 'idea che Mosè, almeno in qual­ che pane, sia l 'autore materiale del Pentateuco. Nel Libellus' pubblicato nel 1 520 da Andreas Bodenstein Karlstadt ( 1 480- 1 541 ) è ripresa un'obiezione, già ' Si veda EB nn. 1 8 1 - 1 84, pp. 234-237; la fonte autentica è PONTIFICIA COMMISSIO DE RE BIBUCA, Re­

sponso de Mosaico authentia Pentateuchi, 27 iunii / 906, ASS 39 ( 1 906) 377-378.

' A.B. KARLSTADT, De canonicis Scripturis libellus, Viridimontanus, Wittenberg 1520.

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apparsa in periodo patristico (cf Omelie Clementine, III, 47), secondo cui Mosè non avrebbe potuto scrivere sulla propria morte. Dal momento però che lo stile dell'ultimo capitolo del Deuteronomio è identico a quanto precede, è necessario concludere che anche quanto precede non sia di mano mosaica. I dubbi si moltiplicarono nel XVII secolo. Th. Hobbes• (Leviathan, III, XXXIII, 4) sostiene che la definizione di Pentateuco come da >, come già aveva intravisto Noth. Tutta­ via, contro Noth, Rendtorff non pensa a queste unità come a "temi" portati dal­ Ia tradizione orale, ma vede in essi opere autonome trasmesse dapprima sepa­ ratamente e poi collegate in unità narrative più ampie da redattori come quelli dtr. Le promesse patriarcali, che per von Rad erano le tracce visibili più evi­ denti per l 'opera dello J, diventano per Rendtorff il segno più convincente di una redazione dtr; ma in questo modo viene distrutta completamente la possi­ bilità che esista uno J. '

Questo stesso modello fu applicato a Gn 2- 1 1 da F. Criisemann,84 il quale ha voluto dimostrare che questi capitoli non furono pensati come introduzio­ ne alla storia della salvezza, ma piuttosto rappresentano un prologo indipen­ dente a riguardo delle origini. E. Blum" - dopo aver riflettuto su li 'inconsi­ stenza dei criteri utilizzati per attribuire i testi alle fonti - spiega la differenza delle tradizioni come un lungo processo redazionale (dal i OOO al 400 a.C. cir­ ca). Qualcosa di analogo emerge dalla proposta di C. Houtman,8• che rifiuta l'ipotesi documentaria basata su un originario J e propone invece di leggere nel Pentateuco una redazione di tre unità narrative originarie: Genesi, Esodo­ Numeri e Deuteronomio.

" R. REN!mJRFF, Das Uberlieferungsgeschichlliche Problem des Pentateuch (BZAW 147), Walter de Gruyter, Berlin · New York 1976, 148. Si veda anche lo., The " Yahwist" as theologian' The dilemma of Pentateuchal criticism, JSOT 3 ( 1 977) 2-32. " F. CRùSEMANN, Die Eigensrandigkeit der Urgeschiclue; Ein Beitrag zur Dislwssion um den 'Jahwi­ sten' , in J. JEREMIAS - L. I'ERLTIT (curr.), Die Botschaft und die Boten. Fesrschrift fiir Hans Walrer Wolff zum 70. Geburtstag, Neukirchener Verlag. Neukirchen-Vluyn 1 98 1 , 1 1 -29. " E. BLUM, Die Komposirion der Viirergeschichre (WMANT 57), Neukirchener Verlag, Neukirchen­ VIuyn 1 984.

" C. HouTMAN, /nleiding in de Pentateuch. Een beschrijving van de geschiedenis van het onder:oek naar her ontstaan en de compositie van de eerste vijf boeken van het Oude Testament mel een terugblik en een evaluatie, Kok, Kampen 1980.

1 60

. Albert de Pury,87 dal quale abbiamo attinto per questo paragrafo, sintetizza in quattro correnti l'attuale situazione a riguardo dello J:88 a) Arroccamento su posizioni "classiche ". Non manca chi rimane saldamen­ te ancorato a von Rad e a Noth. Accanto a L. Schmidt,89 W.H. Schmidt!" F. Kohata!' J. Scharbert,"" e S. Kreuzer;3 potremmo ricordare in Italia la posizione di Enzo Cortese... Altri, come R. Smend,"' H. Seebass96 o F.J. Stendebach!' pur mantenendo uno J, non si sbilanciano a fissarne la data e ne parlano come si trattasse di una "scuola" o di una "tradizione". b) Uno J del X secolo, ma molto ridotto: altri autori, quali P. Weimar,98 E. Zenger,99 J. Vermeylen'00 e B. Peckham,'"' pur mantenendo l'ipotesi di uno J del periodo salomonico - comprendente la Urgeschichte di Gn 1 - 1 1 , i patriarchi e l 'esodo - ne riducono di molto l'estensione, considerando che molti testi, un tempo considerati jahwisti, sono in verità posteriori al X secolo. La vera diffi­ coltà sta nel fatto che in questo modo viene meno la compattezza dell'impianto " Cf A. DE PuRv. Yahwist ("J") Source, in ABD [1992], VI, 1013-1020; lo. (cur.), Le Penrateuque en question; Les origines et la composition des cinq premiers livres de la Bible à la lumière des recherches récentes (MoBi 19), Labor et Fides, Genève 1989, ' 1 99 1 . "' S i vedano anche R. B. CooTE - D.R. ORo, The Bible s first history. From Eden to the court of David with the Yahwist, Fonress, Philadelphia PA 1 989. " L. ScHMIDT, Oberlegungen zum Jahwisten, EvTh 37 ( 1 977) 230-247; ID., Penrateuch, in H.J. BoECKER (cur.), Altes Testament (Neukirchener Arbeitsbticher), Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1983, 80- 1 0 1 : 90-95. W.H. SCHMIDT, Ein Theologe in salomonischer Zeit? Pliiydoyer for den Jahwisten, BZ 25 ( 1 98 1 ) 82-102: lo., Einfohrung in das Alte Testament, Walter de Gruyter, Berlin 1 979, ' 1995, 72-74. " F. KOHATA, Jahwist and Priesterschrift in Exodus 3-14 (BZAW 166), Walter de Gruyter, Berlin ­ New York 1986; Io., Quel/enschriften im Pentateuch? Konsequenzen aus Textbeobachtungen in Exodus 3-14, AJBI 1 2 ( 1 986) 3-28. " J. SCHARBERT, Genesis 1-l/ (NEB.AT 5), Echter, Wilrzburg 1983, '2000; lo., Genesis 12-50 (NEB . AT 16), Echter, Wtirzburg 1 986, 1 995 (rist. 2000). " S. KREUZER, Die Fruhgeschichte /srae/s in Bekenntnis und Verkundigung des Alten Testaments (BZAW 178), Walter de Gruyter, Berlin - New York 1989, 1 14- 1 1 7. " E. CORTESE, Da Mosè a Esdra. l libri storici dell'antico Israele (BnS 2), EDB, Bologna ' 1985 = Le tradizioni storiche di Israele. Da Mosè a Esdra (BnS 2), EDB. Bologna '200 l . " R. SMEND, Die Entstehung des Alten Testaments, Neubearbeitete und erweitene Autlage (ThW 1), Koh1hammer, Stuttgan - Berlin - Koln 1978, '2000. " H. SEEBASS, Que reste·t-il du Yahwiste et de I'Éiohiste, in A. DE PuRY (cur.), Le Pentateuque en question; Les origines et la composition tks cinq premiers livres de la Bible à la lumière des recherches récentes (MoBi 19), Labor et Fides, Genève 1 989, ' 1 99 1 , 199-214. "' F.J. STENDEBACH, Das Menschenbild des Jahwisten, BiKi 42 ( 1 987) 1 5-20. " P. WEIMAR, Untersuchungen zur Redaktionsgeschichte des Pentateuchs (BZAW 146), Walter de Gruyter, Berlin - New York 1 977; Io., Die Berufung des Mose. Literaturwissenschaftliche Ana/yse von Exodus 2,33 - 5,5 (080 32), Universitatsver1ag - Vandenhoeck und Ruprecht, Freiburg (Schweiz) - Got­ tingen 1980; Io., Die Meerwundererz/ih/ung. Eine redaktionskritische Analyse von Ex /3,1 7 - 14,31 (AAT 9), Harrassowitz, Wiesbaden 1985 . ., E. ZENGER, Auf der Suche nach einem Weg aus der Pentateuchkrise, ThRv 78 ( 1982) 353-362; ID., 1srael am Sinai. Analysen und lnterpretationen zu Exodus 1 7-34 (Akademische Bibliothek), CIS Verlag, Altenberge 1982, ' 1 985. '"' J. VERMEYLEN, Laformalion du Pentateuque t) la lumière de /'exégèse historico-critique, IUL 12 ( 1 98 1 ) 324-346; lo., Les premières étapes littéraires de laformation du Pentateuque, in A. DE PuRY (éd.), Le Pentateuque en question; Les origines et /a composition des cinq premiers livres de la Bible à la /umière des recherches récentes (MoBi 19), Labor et Fides, Genève 1989, '199 1 , 149-197. "' B. PECKHAM, The composition of the Deuteronomistic history (HSM 35), Scholars Press, Atlanta GA 1985. �

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per giustificare uno J: è molto più difficile giustificare questi "frammenti" origi­ nariamente jahwisti che non giustificare un 'ampia narrazione. c) Uno J esilico o postesilico: accanto a M. Rose e J. Van Seters, che già so­ no stati citati, altri autori si sono aggiunti a sostenere che lo J - il cui materiale narrativo è quello già definito dali 'ipotesi "classica" - debba essere collocato durante il periodo persiano, nel V secolo a.C. Si possono qui ricordare Vorlan­ der, che parla di uno "Jehovista" (dal momento che non distingue un J da un E) del tempo de l i 'esilio; o anche Schmitt, che invece vede una redazione post­ esilica jahwista quale riscrittura di una precedente storia elohista. Il sintomo segnalato da questi due autori è interessante, perché in effetti l 'ipotesi di Rose e Van Seters appare essere "appiattita" verso il post-esilio, senza profondità storica. d) La soppressione dello Jahwista: nella linea di R. Rendtorff e E. Blum, che già sono stati ricordati, si giunge a non considerare più lo J un'opera storica di ampio respiro, senza rinunciare ali 'ipotesi che vi possano essere materiali narra­ tivi arcaici ricuperati da composizioni post-esiliche. In certo modo, questa posi­ zione mette in luce la semplificazione dell' ipotesi documentaria classica, che ha pensato a queste "fonti" come a opere letterarie nel senso moderno del termine, mentre possiamo solo affermare l 'esistenza di molteplici e frammentari racconti legati non facenti già parte di un'opera storica coerente, ma piuttosto legati a edifici, santuari, scuole, istituzioni, leggi. .. Narrazioni parziali trasmessi sia at­ traverso racconti popolari (tradizione orale) sia attraverso documenti di archi­ vio (tradizione scritta). Il problema posto dall'ipotesi di Rendtorff circa la rilettura deuteronomistica di alcuni passi del Tetrateuco (Pentateuco per noi) non va sottovalutata, ma la soluzione non necessariamente deve muoversi in linea con la sua risposta. Si potrebbe anche pensare che a partire dalla prima trama del Deuteronomio sia nato un duplice sviluppo narrativo: verso il basso, con la complessa formazione della storia dtr, e verso l 'alto, con il recupero di tutte le tradizioni antiche, sino alla Urgeschichte, molto più numerose e frammentarie delle sole J ed E. Anche la connessione tra i racconti dei padri e il Deuteronomio sarebbe me­ glio chiarita da quanto storicamente potremo dedurre dall 'ambiente vitale del deuteronomismo. Giustamente Thomas C. Romer'02 ha evidenziato nella sua te­ si dottorale a Ginevra che nella letteratura dtn e dtr i «padri» non designano i patriarchi, ma le generazioni dei figli di Israele che sono uscite dali 'Egitto. Ciò che in tale letteratura sembra essere omesso o ignorato è dovuto al fatto che dal Deuteronomio si sono espansi i due cerchi narrativi che fungono da premessa alla confessione di fede esodica: i racconti dei padri (Gn 1 2-50) e l 'eziologia metastorica'"' di Gn 1 - 1 1 .

''" TH .C. ROMER, lsrae/s Viiter. Untersuchungen zur Viirerrhematik im Deureronomium und in der deureronomistisclren Traditio11 (OBO 99), Universitatsverlag - Vandenhoeck und Ruprecht, Freiburg (Schweiz) - Gtittingen 1 990. '"' Per la comprensione di eziologia metastorica, rimando alle pagg.

1 62

268-273.

Rimangono aperti due altri problemi, che avremo modo di riprendere in seguito: a) il passaggio dal momento deuteronomico (compresa la scrittura della storia dtr) alla tradizione sacerdotale, che da esso si distingue e si di­ stanzia sia per vocabolario sia per teologia; b) la distinzione di un momento propriamente sacerdotale (P) separato dalla redazione del Pentateuco nel suo insieme, che pure è opera del sacerdozio di Gerusalemme (R"). Problemi che uno Jahwista "sfuggente"'"' - invece che mettere in ombra - pone ancora più in evidenza.

6.2. Elohista (E) La fonte Elohista (= E) è così chiamata sin dai primi passi dell'ipotesi docu­ mentaria, perché Dio non è mai designato con il nome JHWH prima del Sinai, ma solo con il generico 'élOhfm. La vicenda critica dell'E è curiosa, perché si è pas­ sati dal considerarlo il più importante dei "documenti" - in quanto all'inizio era attribuito a E anche quel materiale narrativo che in seguito fu attribuito a P - a farlo sparire quasi completamente. Anche nel XX secolo, tra i quattro "docu­ menti", l 'Eiohista fu quello che più frequentemente era eclissato nelle proposte critiche avanzate.

All'E sono stati normalmente attribuiti i seguenti passi: Abramo Giacobbe Giuseppe

Mosè Alleanza Cammino nel deserto Testamento e morte di Mosè

Gn 1 5 , 1 -6. 1 3-16; 20, 1 -17; 21 ,8-2 1 ; 21 ,22-34; 22,1-14. 19

Gn 28, 1 1 - 12. 1 7- 1 8. 20-22; 3 1 ,4-16. 1 7-24. 25-42. 45. 49. 50. 53-54; 3 1 ,5- 1 1 ; 35,1-8 Gn 37,20-24. 28a. 29-30. 36; capp. 40-41; 42,1a. 2-3. 6-7. 1 1 b. 13-26. 28b-38; 45.2-3. 5 - 1 5; 46, 1-4; 48, 1 -2. 7-14. 1 7-22; 50. 1 5 -26 Es 1 , 1 5-2 1 ; 3 , 1 . 4b. 6. 9- 13 . 15; 4, 17. 18. 20b; 1 3,1 7-19; 14,5a. 1 9a; 1 5 ,20-2 1 ; 17,4-7. 8-16; 1 8 , 1 -27 Es 1 9,2b-3a. 4-6. 16- 1 7. 19; 20, 1 8-2 1 ; 24, 1-2. 9- 1 1 ; 24, 1 2- 1 5a. 1 8b; 32,1 -6. 1 5-20; 33,3b-6. 7- 1 1 N m 1 1 , 1-3. 16-17. 24-30; cap. 12; 22,2-2 1 . 36-40; 22,21-23. 26 Dt 3 1 , 14- 15. 23; 34, 1 - 1 2

Alcuni vorrebbero attribuire all'E alcune sezioni di Giosuè: '05 per costoro il giuramento di Gs 24 sarebbe la pagina culminante e la conclusione dell 'E. La massima parte dei critici del XX secolo attribuisce tali segmenti narrativi alla storia dtr, che continuerebbe sotto alcuni aspetti la teologia di E, almeno sino al­ la fine dei due regni. È sempre stato difficile per i critici distinguere chiaramen­ te E dalle pagine considerate "proto-deuteronomiche" a causa di orizzonti teolo­ gici molto simili - si sosteneva. In realtà il vero problema dipende dal fatto che

'" Si vedano i contributi dedicati a tutte le sezioni del canone biblico in L.S. ScHEARING - S.L. McKENZIE (curr.), Those elusive Deuteronomists. The phenomenon ofPan-Deuteronomism (JSOT.S 268), Sheffield Academic Press. Sheffield 1 999. '" Bright Joshua IB, Weiser 1961; Eissfeldt 1965.

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la consistenza di E è fragile, una volta che il materiale antico sia ritrascritto in chiave dtr.106 Vi sono diversi elementi letterari che possono essere evocati a sostegno di un'origine settentrionale di E: la lotta allo Jabbok, in cui Giacobbe lotta con Dio, dà il nome a quel luogo, Penuel, città costruita da Geroboamo I, il primo re del Nord dopo la separa­ zione dei due regni ( I Re 12,25); Giuseppe chiede di essere sepolto nella terra natale, desiderio che viene ri­ cordato al momento della partenza dall'Egitto. Il luogo tradizionale della se­ poltura di Giuseppe era Sichem, città ricostruita da Geroboamo e capitale di Israele; in E, il territorio attorno a Sichem è acquistato pacificamente (Gn 33,18-19), contrariamente a J a seguito del fatto di Dina; l ' E ricorda gli eponimi delle tribù del nord (Dan, Neftali, Gad, Aser, Issacar, Zabulon, Efraim, Manasse e Beniamino), ma non Giuda. Gn 48, 13-20 ricor­ da il favore accordato a Efraim su Manasse, e il nome Efraim talvolta indica per metonimia tutto Israele; in Gn 48,22 la parte aggiunta per Giuseppe è detta sorprendentemente J'kem, ancora il nome della capitale; in E è Ruben a salvare Giuseppe dalla morte progeltata dai suoi fratelli; nello stesso contesto, è ancora Ruben che promette al padre Giacobbe di ri­ portare Beniamino sano e salvo dopo il viaggio in Egitto (Gn 42,37); in E i sovrintendenti di Es 1 , 1 1 sono chiamati siire missim, come i burocrati del regno di Salomone, per cui nacque lo scontento del Nord; il ruolo di Giosuè, di origine efraimita, è sviluppato in E, ma non in J; molti elementi di E coincidono con gli interessi levitici dei sacerdoti di Sii oh. Il racconto del vitello d'oro è raccontato solo in E. Anche il profeta Achia dapprima sostenne le parti del re Geroboamo, ma poi lo rigettò a seguito del­ la scelta di porre i due emblemi dei vitelli d'oro a Dan e Bete!. La violenza !e­ vitica è però biasimata in J; in Nm 12 la storia della denigrazione di Mosè dichiara Mosè superiore ad AroMe e a tutti gli altri profeti; l'iconografia di E corrisponde perfettamente all'ambito culturale di Israele e specialmente all'ambiente levitico di Siloh; un altro segno che E provenga da origini sacerdotali (del Nord) è il fatto che include un l ungo Codice, il Codice dell'alleanza (Es 2 1 -23). Tutti gli altri corpi legislativi della Bibbia Ebraica sono trovati in un contesto che è vicino a circoli sacerdotali: D, P, ed Ezechiele. Da quello che appare nella tabella riportante i passi attribuiti all'E, si nota che E ha tutti i maggiori quadri narrativi delle tradizioni antiche, dalla promessa pa-

''" Così si può spiegare come mai S. Mowinckel (The two sources of the Predeuteronomic primeval history {JE} in Gen. 1-11 [Avhandlinger utgitt av del Norske Videnskaps-Akademi i Osio. II, Historisk­ filosofisk Klasse 1937/2], Dybwad, Osio 1937) abbia potuto parlare di un livello E anche in Gn l I l . La -

confusione con il materiale antico J e i criteri diversi da quelli solitamente utilizzati per identificarlo, lo hanno ponato a considerare E come un ibrido di D, ovvero un livello più recente del tradizionale J.

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triarcale, a Mosè e l'esodo dall'Egitto, all'alleanza sinaitica, al cammino nel de­ serto, agli oracoli di Balaam, alla morte di Mosè e al passaggio del comando a Giosuè. Questo sta a dire che l'E, prima di confluire in un'unica narrazione con lo J (sotto Ezechia), è potuto esistere come fonte indipendente, esprimendo la sensi­ bilità del Nord e in modo più ristretto, dal momento che non riporta l'eziologia metastorica di Gn 1 - 1 1 : I ' Eiohista non inizia con la creazione di tutta l'umanità, ma con la promessa fatta al padre Abramo (Gn 1 5 , 1 -6), il che lo rende più simi­ le a quello che effettivamente poteva essere l 'interesse delle tradizioni antiche, che non raggiungeva l'orizzonte dell'intera umanità e tanto meno quello di tutto l 'universo. Guardando al materiale narrativo di E, si nota anche che quattro sono stati gli antenati ai quali E si è mostrato particolarmente interessato: Abramo, Giacobbe, Giuseppe e Mosè. Questi quattro personaggi sono tutti presentati come profeti che ebbero rivelazioni da Dio in visioni (Abramo in Gn 1 5, 1 ; Mosè in Es 3,4) o in sogni (Giacobbe in Gn 28, 1 1 - 1 2 . 1 7 - 1 8 ; 3 1 ,4-6; Giuseppe in Gn 38 ,20-24). Abramo è chiamato esplicitamente profeta in Gn 20,7 e Mosè è presentato come tale nel racconto della sua vocazione (Es 3). L'istituzione profetica è presentata in modo positivo e idealizzato, fino a comprendervi anche il veggente non israe­ lita Balaam, perché capace di opporsi al re Balak. Al contrario, l'istituzione mo­ narchica è molto biasimata. a) Alcuni spunti di teologia E Si potrebbe dire, in sintesi, che la teologia E è la riproposizione della teolo­ gia profetica, in particolare di quella del Nord. Da lì, infatti, avrebbe preso l 'av­ vio la ricostruzione storica narrata nell'E. Volendo mettere a fuoco qualche ulte­ riore contenuto analitico, si potrebbero ricordare i seguenti temi: 107 l) Il timore di Dio (jir'at lHWH)

Molti passi attribuiti all'E hanno come elemento teologico in comune la sot­ tolineatura del timore di Dio (jir'at JHWH): si vedano Gn 1 5 , 1 ; 20, 1 1 ; 22, 1 2; 28, 1 6- 1 7; 42, 19; Es 1 , 17.2 1 ; 3,6; 1 8,21 ; 20, 1 8-20. Lajir'at JHWH è la sintesi del sentimento religioso davanti alla manifestazione del sacro e della divinità, e po­ tremmo definirla tecnicamente un merismo,"18 i cui valori di obbedienza, lealtà e servizio al partner maggiore esplicitano la teologia dell'alleanza.

'"'A.W. JENKS, Elohist, in ABD [ 1 992], vol. II, 478-482: 480s. ''" In retorica, merismo o distribuzione (latino merismus, greco f1EQtap6ç, da !'ÉQOç «parte») è una figurn di discorso con cui, dopo aver riferito un singolo termine, si elenca una serie di sinonimi che illu­ strano più ampiamente il concetto di cui si sta parlando; tale elenco può anche essere solo alluso, in quan­ to già noto all'interlocutore. Nel nostro caso il «timore» è l'atteggiamento sintetico che allude a un lungo elenco di sinonimi presenti nella letteratura profetica: non solo la venerazione nei riguardi di Dio, ma an­ che l 'obbedienza, la lealtà, la soggezione, la confessione di Dio come Dio...

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2) L'alleanza (b'rtr) Il centro della storia E è l'alleanza presso il monte Horeb, il Sinai delle tra­ dizioni J e P. La narrazione di E starebbe alla base di RJE, la redazione che unì i due racconti J ed E al tempo di Ezechia. I n questo passo, R'E avrebbe privile­ giato il materiale elohista proprio per il rilievo dato agli eventi presso l 'Horeb (unica eccezione sarebbe Es 34 con un "decalogo" attribuito a J). Problema molto discusso rimase per lungo tempo il problema della presenza del "deca­ logo" (Es 20, 1 - 17) accanto al "Codice de li' Alleanza" (Es 2 1 ,22-23,33): se cioè tali testi dovessero essere attribuiti a E o se invece fossero l'esito di in­ serzioni posteriori. I dubbi circa la loro attribuzione a E non sono mai stati sciolti completamente, benché anche da parte di illustri esegeti si continuasse a considerarli materiale tipicamente elohista (cf ad es., l 'Einleitung di A. Wei­ ser'09). Il racconto all'Horeb-Sinai comprende anche l'episodio del vitello d'oro con il tradimento di Aronne (Es 32-34), che fu interpretato come il risultato della critica profetica alle due immagini "cananaiche" di JHWH collocate da Geroboa­ mo nei santuari di Bete! e di Dan ( l Re 1 2,26-30). Questo confermerebbe ulte­ riormente l'ipotesi dell 'origine settentrionale di E, probabilmente in un periodo non troppo lontano dali ' istituzione del nuovo culto e del nuovo sacerdozio orga­ nizzato da Geroboamo ( I Re 1 2,3 1 -33). Il fatto che il peccato di Israele sia stato compiuto proprio ai piedi dell'Horeb-Sinai, quando ancora non si è conclusa del tutto l'istituzione dell'alleanza con JHWH, serve ad E per giustificare la presenza della Tenda del Convegno, che nel racconto di Es 33,3b- 1 1 appare prima ancora di essere costruita (Es 35-40). L'episodio del vitello d'oro fa parte della consi­ derazione di Israele nella teologia di E, con la sua propensione alla trasgressione e al peccato e con la sottolineatura della gratuita misericordia di JHWH, sempre pronto a ricominciare lealmente la sua proposta di alleanza. Il grande peccato per E rimane sempre l ' idolatria (Gn 3 1 ,34-35; 35, 1 -4): per questo Israele ha sempre bisogno dell'intercessione di mediazioni profetiche come Mosè, che «parla faccia a faccia con Dio, come un uomo parla con il suo amico» (Es 33, 1 1 ). La consapevolezza del peccato umano e l'intervento di JHWH con il suo perdono sono parte di questa visione di E, che trova la sua origine nel contesto della teologia della b'"rlt. 3) La teologia della storia La visione storica di E ha un orizzonte ristretto a Israele in rapporto al suo Dio JHWH: ciò appare già chiaro dal fatto che la sua narrazione inizia non con la creazione, ma con la promessa fatta ai padri. È nel rapporto tra Israele e JHWH che si comprendono anche i problemi teologici generali del rapporto tra Dio e l 'umanità. Da qui si comprende come mai E ami sottolineare tutti gli aspetti della vita religiosa (preghiera, sacrificio, pellegrinaggio ed esperienze '" A. WEISER, Einleitung in dilS Alte Testament, Vandenhoeck und Ruprecht, Giittingen 1939, ' 1 966.

1 66

profetiche, come Gn 20,3 . 1 7; 28, 1 7 ; 35, 1 -8; Es 32, 1 -6. 1 5-20). Lo scofld della storia di Israele infatti è compreso in termini religiosi, anzi si potrebbe dire istituzionali, in quanto Israele è chiamato ad essere «un regno di sacerdoti e una nazione santa>> (Es 1 9,4-6). Il carattere di tale storia magistra vitae, vicino in stile e contenuti al Deuteronomio, è spiegato dalla critica letteraria classica come una derivazione da una comune origine, proveniente dal Regno del Nord. b) Data e luogo di origine di E Per le ragioni ricordate, l' Elohista è considerato una storia composta nel Re­ gno del Nord: in particolare, per l ' interesse ai santuari del Nord (Bete), Dan ... ), per la vicinanza con i temi del profetismo settentrionale e la vicinanza di voca­ bolario e di temi con il Deuteronomio, il racconto E è strettamente legato alla tradizione settentrionale. Tuttavia, questo legame potrebbe essere spiegato i n modo diverso: si potrebbe vedere qui una derivazione delle cosiddette narrazio­ ni E dall'impianto deuteronomista già teologicamente fissato. Questo legame con le tradizioni profetiche settentrionali è stato per molto tempo la ragione di ancoraggio di E con la cronologia del Regno del Nord. Dal­ l 'VIII secolo a.C. l'opinione dei critici è oscillata in modo sensibile verso un pe­ riodo precedente (a motivo del legame con i santuari settentrionali), tuttavia sempre altalenante tra i due estremi della separazione dei due Regni (fine X se­ colo) e la caduta di Samaria (721 a.C.). La data comunemente più accettata per la composizione di E è l'inizio del IX secolo a.C., privilegiando dunque il parallelo/antitesi tra Mosè ed Elia e il tema della fedeltà all'alleanza e il pericolo dell'idolatria, alla maniera del primo Elia ( I Re 1 7- 1 9). c) Il tramonto dell' Elohista La fonte (o documento o tradizione) E, dopo il primo periodo di gloria dovu­ to al fatto di comprendere ad modum unius E insieme alla tradizione P, si è sem­ pre mostrata la più fragile tra le fonti. Anche l'escamotage di vedere la sua fram­ mentarietà in relazione all'essere ben presto unita a J per mano di una redazione di stampo giudaita (R'E) è accusatio manifesta di una imbarazzante situazione che va giudicata con altri parametri. La sua ascendenza profetica è innegabile, ma ciò che rimane problematico è come si colleghi la tradizione profetica e la formazione dei racconti elohisti. Essa potrebbe essere spiegata anche - e meglio - pensando a un rapporto mediato con il profetismo, con il profetismo del Nord in particolare: passando cioè attraverso l'impianto dtn. È il Deuteronomio a da­ re al racconto della Tora quella inconfondibile striatura profetica. Non è la fon­ te E che deriva dal profetismo: anche il Deuteronomio si presenta come la sinte­ si del pensiero profetico, soprattutto per ciò che concerne il rapporto corretto tra monarchia e profetismo e la leale e corretta risposta di Israele ai dettami dell'al­ leanza con JHWH.

1 67

6.3. Il deuteronomismo (D) I critici del XIX secolo discutono molto sul contenuto originario del Deute­ ronomio e del suo codice di leggi promulgato da Mosè sull'altopiano di Moab, prima che Israele faccia il suo ingresso nella 'ere$ «terra» della promessa. Con­ siderando la disparità di contenuto - nonostante una forma apparentemente omogenea - molti pensano a un libro composito, cresciuto col tempo fino a ser­ vire da conclusione al Pentateuco. I più moderati considerarono come nucleo più originario Dt 1 -3 1 , per qualcu­ no già ritoccato da un redattore;"" alni pensano a Dt 5-26, con l 'introduzione di Dt 4,45-49 e una conclusione variabile;'" altri ancora lo riducono a Dt 1 2,1-26, 1 9. Lo stesso J. Wellhausen'" ipotizza due edizioni diverse: la prima composta da Dt 1 , 1 -4,44; 1 2-26; 27; la seconda da Dt 4,45-1 1 ,39; 28-30. Le due edizioni sarebbero state poi unite redazionalmente da colui che avrebbe posto il libro nella cornice del Pentateuco. L. Horst"' considera Dt 1 2-26 una compila­ zione di legislazioni precedenti, raccolte senza ordine e un po' alla rinfusa. Staerk e Steuemagel, 114 in base ali 'uso della seconda persona singolare {tu) o plurale (voi), ipotizzano - in modo però diverso - due "fonti" originariamente distinte. Si può dire che alla fine del XIX secolo è abbastanza diffusa l'ipotesi di distinguere strati successivi della scuola deuteronomista (D', D', D' ... ) .

n Deuteronomio dipenderebbe quindi da documenti precedenti sia per la sto­ ria sia per le leggi. Tendenzialmente esso è visto come un libro che riprende frammenti di tradizione trascurati da J ed E. Il solo elemento nuovo che viene sottolineato è l 'aspetto parenetico ed esortativo: il Deuteronomio è un codice di leggi esposto e spiegato in forma omiletica. Tutto questo prepara la definizione molto luterana di G. von Rad del Deuteronomio come gepredigtes Gesetz > (H o anche P" o P'). Si trova in Lv 1 7-26 e tratta specialmente della santità !evitica; dovrebbe risalire al tempo di Ezechiele o poco dopo e solo in un secondo momento sarebbe stato inserito nel documento sacerdotale già esistente; c) altre aggiunte supplementari (chiamate P', P' e P" da A. Kuenen o anche P' e P' da altri critici), che potrebbero provenire da mani successive tutte ricondu­ cibili alla medesima scuola. .

A. Bertholet e B. Baentsch hanno inoltre distinto due ulteriori raccolte di leggi: a) un rituale dei sacrifici (Opferthora) detto P" (Lv 1 -7); 1 SS b) una serie di precetti per la purità ((6har) o impurità ((um'a) antologica (Reinheitsvorschriften) P' (Lv 1 1 - 1 5), '56 che sarebbero stati inseriti nel docu­ mento sacerdotale quando P' era già stato unito ad H, prima che fossero inseriti i supplementi di P'. La prima ipotesi documentaria, quando parlava di una Grundschrift press 'a poco coincidente con quella che in seguito si sarebbe chiamata P - la considera­ va la parte più antica del Pentateuco, in quanto appariva essere il documento che meglio esprimeva il mosaismo e la figura dello stesso Mosè. Ora, è vero che al­ cuni critici come C. Bruston e A. Dillmann hanno continuato a ritenere P ante­ riore a D; tuttavia, progressivamente si è giunti a ribassare di molto la data di composizione del sacerdotale, fino a giungere a un consenso pressoché unanime nel ritenere P post-esilico, almeno nella sua redazione scritta. -

'" A. KLOSTE�MANN, Ezechie/ und Hei/igkeitssesetz, in lo., Der Pemateuch. Beitriige zu seinem Ver­ stiindnis und seiner Entstehungsseschichte, Deichen (Bi:ihme), Leipzig 1893, 368-418: 386. "' A. BERTHOLET, Leviticus (KHC 3), Mohr (Pau! Siebeck), Tiibingen 1 90 1 . Xli. '" B. BAENTSCH, Exodus-Levitikus-Numeri (HK.AT 1/2), Vandenhoeck und Ruprecht, Gi:iltingen

1903, 415.

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Anche il rapporto con Ezechiele andò progressivamente precisandosi. Il "nuovo culto" di Ez 44, 10-46, 15 si rivela come una fase intermedia tra D e P, in quanto le specificazioni legali sono più dettagliate di quelle del Deuteronomio e meno di quelle di Ezechiele. Dal momento che Ezechiele scrive la sua "nuova torti" nel 573 o 572, si deve dunque dedurre che P sia posteriore a questa data. Tuttavia, i critici più saggi, come S.R. Driver,'" sono andati molto cauti ad offrire una data precisa per collocare il documento sacerdotale, soprattutto per il documento fondamentale P.. I discepoli di Wellhausen la fissano dopo il ritorno dall'esilio. Secondo alcuni, ciò che Esdra avrebbe letto davanti al popolo non sarebbe stata la torti intera, ma soltanto il libro di Genesi. Coloro che invece so­ stengono che Esdra abbia letto tutto il Pentateuco al popolo, devono anche pre­ supporre che il Pentateuco sia stato composto dopo Ezechiele, ma anche prima del rimpatrio degli esuli. Se la data di composizione di P è post-esilica, rimane da comprendere per quale sentiero della tradizione sia avvenuta la trasmissione del materiale narrati­ vo qui confluito. Secondo i discepoli di Wellhausen, P avrebbe attinto al RJE, che aveva redatto la sua sintesi sotto Ezechia, manipolando alcuni dati tradizionali per farli quadrare con le proprie idee e finalità. Al contrario, Ch.F.A. Dillmann e S.R. Driver pensano che P sia ricorso a nuovo materiale tradizionale senza alcun adattamento manipolatorio. Il materiale legislativo è svalutato in modo sprezzante dalla scuola di Well­ hausen, attribuendo ad esso la causa della teocrazia giudaica post-esilica. Tale posizione non è stata però condivisa da tutti. Non sono mancati coloro che han­ no pensato al radicamento delle istituzioni post-esiliche nel periodo monarchi­ co, sebbene siano state poi sviluppate e adattate alla nuova situazione creatasi con il solo potere dei sacerdoti e senza più alcuna istituzione regale. In effetti, non pochi elementi sembrano condurre al periodo monarchico: i) Si pensi alla ohel «tenda>>, chiamata anche ohel mo'ed «tenda del convegno>>. Es 25-31 e 35-40 sono quasi per intero dedicati ad essa e ai suoi arredi. Molti episodi avvengono at­ torno o dentro la «tenda>>, come i sacrifici, che non possono compiersi se non davanti ad essa (Lv 1 ,3.5; 3,2. 8 . 1 3; 4,5-7. 14- 1 8; 6,9. 19.23; 14, 1 1 ; 16,1-34; 1 7, l -9; Nm 5, 1 7; 6, 1 0; 19,4). Tutte le leggi a partire da Lv 1 , 1 sono comunicate a Mosè dalla «tenda>>: wajjiqrti' 'e/-m6seh wajdabber ]HWH eltijw meohel mo'ed /e'm6r è enfaticamente siglata con una validità perenne: }Juqqat '6/tim l'd6r6ttim (o formule simili in Es 27,2 1 ; 28,43; 30,2 1 ; Lv 3, 17; 6, 1 1 ; 10,9; 16,29.34; 17,7; 24,3.8; N m 18,23; 19,10). Che la sia una finzione posteriore, quando ormai non esisteva più il Primo Tempio, sem­ bra essere un a priori della scuola di Wellhausen, per spostare la datazione di P al dopo­ esilio. Ma vi sono troppi elementi che fanno pensare a una memoria reale e quindi a un elemento letterario collegato con il periodo monarchico.

'" S.R. DRIVER, An introduction to the literature of rhe Old Testament, New edition, revised, Varda Books, Skokie IL ' 1897, '1913.

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ii) L'arca, le tavole, i cherubini, gli 'lìrim e rummrm.. tutti oggetti non più in uso nel pe­ riodo del Secondo Tempio. Difficile pensare a un'innovazione senza alcuna tradizione, se non altro come memoria storica che poteva risalire anche oltre il periodo monarchico. .

iii) La distinzione tra sacerdoti e !eviti. È solo P a distinguere tra sacerdoti e !eviti e a ri­ marcare che non tutti i !eviti sono sacerdoti, ma solo i discendenti da Aronne della fami­ glia di �adok. 2Cr 3 1 ,2 attribuisce a Ezechia la distinzione di tale gerarchia, ma questo in ogni modo non può essere l'esecuzione della tora di Ez 44,9- 16. iv) La «casa di Aronne» è privilegiata sopra tutti gli altri gruppi levitici, che P non fa par­ tecipi del sacerdozio del Secondo Tempio. L'unica analogia si trova con l'opera cronistica, che loda Ezechia come il più eccellente tra i re di Israele e Giuda, tanto da essere posto sullo stesso piano di Salomone, che stabilì l ' aronnita �adok come sacerdote del Tempio gerosolimitano. v) La centralizzazione dell'apparato sacrificate del Tempio sembra che sia da collegare a Ezechia. Su questo concorda sia la storia dtr che quella cronistica. Ciò avrebbe avuto co­ me conseguenza di porre tutti i sacrifici sotto l'egida dei sacerdoti aronniti, i quali nel me­ desimo tempo avevano assunto il potere nel tempio di Gerusalemme. vi) A Ezechia è attribuita anche la distruzione del n·�ustan, ovvero il serpente di bronzo di Mosè che era stato collocato all'ingresso del Tempio (cf 2Re 18,4). Questo fatto dimostra che una reliquia tanto impanante per la memoria di Mosè poté essere distrutta solo in un clima di grande favore per Aronne e di poca considerazione per Mosè, mentre E si dimo­ stra favorevole a Mosè e poco ad Aronne. vii) Gli stretti rapponi tra la casa di Aronne e la casa di Davide sono comprensibili sotto il regno di Ezechia e si trovano di fatto registrati anche in P nella notizia che Aronne è spo­ sato con la sorella di N 3\tson ben Amminadab, principe della tribù di � e antenato di Davide (Es 6,23 ; N m 2,3; Rut 4,20-22). 7. IMPLOSIONE DEL SISTEMA

'

La costruzione dell ipotesi documentaria, che sembrava essere diventato quasi un "dogma" per l 'esegesi critica, raggiunto il suo apogeo nella prima metà del XX secolo, diede segni di cedimento strutturale una generazione dopo la se­ conda guerra mondiale. Nel corso di quegli anni, ebbero grandi attenzioni le fon­ ti J e P, nell' impostazione "fissata" da G. von Rad. A soffrire fu invece la fonte Elohista, per la quale H. Cazelles profetizzava: «Ce malheureux élohiste n'a pas de chance»."' Le voci che osavano mettere in crisi l'intero impianto critico era­ no isolate ed, essendo incomprese, erano squalificate come un po' rétro. Voglio ricordare tra queste l'opera meritevole di Umberto Cassuto,"9 apparsa in ebraico '

'" H. CAZELLES, Pentareuch, in DBSup [1966], Vll, 804. '" La principale e anche più raffinata opera è U. CASSU10, La questione della genesi (Pubblicazioni del­ la R. Università degli Studi di Firenze. Facoltà di Lettere e Filosofia. 3. Serie), Le Monnier, Firenze 1 934, cui seguirono una serie di commentari a Genesi (A commentary on rhe Book ofGenesis. l. From Adam ro Noah, Gen l ,1 ·6,8a, The Magnes Press, Jerusalem 1961; A commenrary on rhe Book ofGenesis. Il: From

Noah lo Abraham, Gen 6.9-11 ,32. Wirh an appendix: a Jragment of Part ii/ {Ahraham and rhe Promised Land}, The Magnes Press, Jerusalem 1964). Un'esposizione sintetica della sua posizione fu offena prima in ebraico e poi inglese in: U. CASSU10, rorar luilìdor wsiddfirfm .iel siprè har-roriì: f'moneh siurfm (Publica­ tions of the Perry Foundation in !he Hebrew University of Jerusalem), The Magnes Press, Jerusalem 1941, '1953; trad. ingl.: The documentary hyporhesis and rhe composirion ofthe Penrareuch: eight lectures, With an introduction by J.A. BERMAN, Transl. from !he Hebrew by l. ABRAHAMS, Shalem, Jerusalem '2006 [' 1961).

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la prima volta nel l941 e tradotta in inglese nel 1 96 I . e la più equilibrata e cen� trata critica di R. Enrico Galbiati,'"" che - ingiustamente - fu molto criticato nel­ le recensioni scientifiche dell'epoca.••• L'opera di mons. Galbiati suggerisce in­ fatti che - anche ammettendo un'attribuzione a diverse fonti dietro il testo fina­ le che attualmente leggiamo nella Torti - alla fine il compito dell'interprete è di spiegare e comprendere il testo finale e non la sua (sempre ipotetica) preistoria e in esso si verificano criteri stilistici e compositivi sorprendentemente apprezza­ bili. Nel corso degli anni '70 e nel giro di tre brevi decenni ha avuto luogo una vera e propria rivoluzione copernicana. Un problema ancora aperto è la conciliabilità delle fonti con l'approccio del­ Ia Uberlieferungsgeschichte «Storia delle tradizioni)), il cui corifeo fu H. Gun­ kel. Si è visto, ad esempio, che G. von Rad e M. Noth, pur parlando di entrambi i modelli, mettevano in secondo piano l'idea di "fonti", preferendo il concetto di "tradizione". Ma una volta accettato il modello di tradizione, si procede celer­ mente lontano dal modello classico di quella che era appunto l'ipotesi documen­ taria (e non di diverse tradizioni). Un altro problema che ha fatto implodere tutto il sistema riguarda la datazio­ ne delle fonti. Non è casuale che le tendenze più "conservatrici" abbiano sempre optato per una datazione alta delle fonti del Pentateuco. Ricordo, ad esempio, William Fox Albright, il quale pensa che il Pentateuco fosse sostanzialmente completo nel 522 a.C. Sotto la voce di questo paragrafo, va ricordato anche il tentativo di spingere verso una data "alta" quelle tradizioni religiose caratteristi­ che di Israele che hanno avuto anche relazione con le fonti, ma che direttamente interessano fenomeni extra-letterari. Si pensi alla b'rft «patto, alleanza)) la cui antichità fu sostenuta da George E. Mendenhall in analogia ai trattati di vassal­ laggio ittiti (XIII e XIV secolo a.C.).'62

8. FORZA E DEBOLEZZA DELL'IPOTESI DOCUMENTARIA: l PRINCIPALI "CRITERI" Non vi è da stupirsi se l'impianto scientifico dell' ipotesi documentaria ha po­ tuto crollare in così breve tempo nelle sue strutture portanti . In verità, come sem­ pre accade per le ipotesi in ambito letterario, niente è totalmente nuovo, né to­ talmente da distruggere: basta lo spostamento di qualche fattore per avere un esi­ to rivoluzionario rispetto al punto di partenza. È esattamente quanto è successo. Si cominciò dapprima a mettere in crisi l'identità dell'opera Elohista; in seguito si pensò di spostare la cronologia dello Jahwista, fino a mettere in crisi anche la sua identità letteraria.

'"' E. R. GALBIATI, La struttura letteraria dell'Esodo. Contributo allo mulio dei criteri stilistici del­ Testamento e della composizione del Penrateuco (ScrinTheol 3), Paoline, Alba CN 1 956. "' Positiva fu l'accoglienza di A. RAVENNA, in Raslsr 22 ( 1 956) 477. Negative quelle di J. CoPPENS, in EThL 34 ( 1 958) 552 e di H. CAZELLES, in BoL ( 1 958) 37; soprauutto, con pesanti critiche, in VT 8 ( 1 958) 99-102. '"' G.E. MENDENHALL, Covenantforms in lsraelite tradition, BA 17 (1954) 50-76. l' Antico

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8.1. Punti di non ritorno dopo l'ipotesi documentaria Dopo il cammino critico percorso negli ultimi due secoli e mezzo dal mondo accademico occidentale a riguardo della formazione del Pentateuco, vi sono al­ cuni punti di non ritorno.

a) Il più importante di essi è il superamento del concetto di autorità mosaica nel senso precisivo di Mosè quale autore letterario del Pentateuco. Il problema spinoso è stato definitivamente risolto dal punto di vista critico, distinguendo diversi livelli di significato nel concetto apparentemente unitario di autorità mosaica del Pentateuco. Assunto in senso critico, il rimando all'egida mosaica significa qualcosa di meno dell'assunto tradizionale, in quanto Mosè non ha di­ rettamente scritto quei testi a lui riferiti, ma molto di più da un altro punto di vi­ sta, in quanto veramente il mito fondatore mosaico è insostituibile nella storia delle origini di Israele. Decisivo per comprendere le origini di Israele, tale ruolo di Mosè non viene affatto meno, anche se si lascia cadere i l ristretto senso di "autore letterario". L'autorità mosaica rimane affermazione sempre valida se ri­ ferita all'autorevolezza e al momento sorgivo della tradizione religiosa e lettera­ ria da cui si diparte la storia di Israele.163 b) Un secondo punto di non ritorno è di aver compreso più a fondo il modo di comporre degli antichi, i quali seguivano i canoni retorici ed estetici dell' epo­ ca, non identici ai nostri moderni canoni di composizione.164 È stato l'approfon­ dimento della conoscenza di essi ad aver fatto cambiare il modo di giudicare il Pentateuco, avendo trovato anche in altre letterature dell 'Antico Vicino Oriente analogie importanti per comprendere meglio anche la formazione del Pentateu­ co stesso.16' Ad esempio, uno dei comportamenti fondamentali degli autori anti­ chi era di non buttare mai alcun materiale a loro disposizione, anche se fosse stato "antitetico" rispetto ali 'ipotesi storica proposta dalla propria narrazione; uno degli escamotage più utilizzati consisteva nel mettere tali sezioni in appen­ dice, alla fine del racconto. Si legga in questa prospettiva il "secondo" matrimo-

"' Si veda E.R. GALBIATI, Mosè autore del Pentateuco, in Cento problemi biblici, Pro Civitate Chri­ stiana, Assisi l % 1 , 127- 140; Io., La questione di Mosè scriffore, in T. BALLARINI (cur.), Introduzione alla Bibbia, Vol. Il/ l , Marietti, Torino 1 969, 64-66; D.L. CHRISlENSEN · M. NARUCKI, The Mosaic authorship ofthe Pentateuch, JETS 32 ( 1989) 465-47 1 . "' Su questo punto si è mostrata già molto attenta l'enciclica Divino A.ff/ante Spiritu (30 settembre 1943); con Abramo: Gn 15 e 17. 9. Agar e lsmaele (ripetuto tre volte): Gn 16, 1 -2. 4-14; Gn 1 6,3. 15-16; Gn 2 1 ,8-19. IO. Predizione della nascita di !sacco: Gn 17, 16-19; 18, l 0- 14. I l . Il senso del toponimo di Bersabea: Gn 2 1 ,22-3 1 ; Gn 26, 15-33. 12. L'allontanamento di Giacobbe da Esaù: Gn 27, 1 -45; 28, 10 e Gn 26,34-35; 27,46; 28, 1 -9. 13. Giacobbe a Bete! (ripetuto tre volte): Gn 28,10. I la. 1 3 - 1 6; Gn 28, l lb-12. 1 7 - 1 8. 2022; Gn 35,9- 15. 14. Il nome di Giacobbe cambiato in Israele: Gn 32,25-33,20; Gn 35,9-10. 15. Giuseppe venduto in Egitto: Gn 37,2b. 3b. 5-1 1 . 1 9-20. 23. 25b-27. 28b. 3 1 -35; 39,1 e Gn 37,3a. 4. 1 2-18. 2 1-22. 24. 25a. 28a. 29-30. 1 6. JHWH chiama Mosè (tre volte): Es 3,2-4a. 5. 7-8; Es 3,1. 4b. 6. 9-15; Es 6,2-12. 1 7. Mosè e Faraone: Es 5,1-Q, 1 ; 7,14- 1 8. 20b-2l a. 23-29; 8,3b- l l a. 1 6-28; 9, 1 -7. 13-34; 1 0, 1 - 19. 2 1 -26. 28-29; 1 1 , 1-9; Es 7,10- 1 3. 19-20a. 22b; 8, 1-3a. l 2- 1 5; 9,8-12. 1 8. 11 miracolo del mare: Es 1 3,2 1 -22; 14,5a. 6. 9a. IOb. 1 3- 1 4. 19b. 20b. 2 l b. 24. 27b. 30-3 1 ; Es 1 4, 1 -4. 8. 9b. IOa. IOc. 15-18. 2 l a. 2 1c. 22-23. 26-27a. 28-29. 19. Manna e quaglie nel deserto: Es 16,2-3.6-35a; N m 1 1 ,4-34. 20. Acqua dalla roccia a Massa-Meriba-Qadei!: Es 17 ,2-7; N m 20,2-13. 2 1 . Teofania del Sinai/Horeb (tre volte): Es 19, 1 -2a; 24,1 5b-1 8a; Es 19,2b-9. 1 6b-17. 19; 20, 18-2 1 ; Es 19,10- 16a. 18. 20-25. 22. 11 decalogo: Es 20, 1 - 17; Dt 5,6-21 ; 23. Le "spie": N m 1 3 , 1 - 16. 2 1 . 25-26. 32; 14,1a. 2-3. 5-10. 26-29; Nm 1 3 , 1 7-20. 22-24. 27-3 1 . 33; 14, 1 b. 4. 1 1-25. 39-45. 24. Apostasia di Pebr: Nm 25,1-5; Nm 25,6-19. 25. Elezione di Giosuè: Nm 27,12-23; Dt 3 1 ,14-15.23. 26. Centralizzazione dei sacrifici: Lv 17 e Dt 12. 27. Animali impuri: Lv I l e Dt 14."'

c) lncongruenze e contraddizioni In molti casi il criterio delle incongruenze e contraddizioni si è dimostrato frutto di incomprensioni dell'interprete moderno, incapace di analizzare stilemi "' R.E. I'RIEDMAN, Torah (Pentateuch), in D.N. fREEDMAN (ed.), The Anchor Bible Dictionary, Dou­ bleday, Garden City NY 1992, vol. 6, 604-622: 609.

1 87

o forme testuali non più conosciuti. Può essere un criterio utile per far emergete le tensioni all'interno di un testo, ma non sempre tali tensioni portano alla dimo­ strazione che il testo sia composto a partire da fonti diverse. La parzialità di questo criterio si è manifestata, ad esempio, nel fatto che in Gn 1 - 1 1 la massima parte degli esegeti moderni"' trova due sole tradizioni, J e P. Tale risultato sembra essere piuttosto una semplificazione di un processo tra­ dizionale ben più complesso e non del tutto verificabile. La peculiarità di questo testo, con le sue incongruenze e contraddizioni, verrebbe però in parte spiegata tenendo in debito conto anche la fase tradizionale preletteraria o la lunga tradi­ zione letteraria extra-israelitica. Un altro caso significativo si ha nel racconto del diluvio. La critica letteraria, per altri criteri (cf sopra, al punto a), si vedeva costretta ad attribuire a P il di­ scorso di 'elohfm (Gn 6,13-22), che parla di una coppia di animali di ogni specie, senza distinguere tra animali puri e animali impuri, e a J il discorso di JHWH (Gn 7, 1 -5), che invece distingue fra sette coppie di animali puri e la sola coppia di animali impuri. Basterebbe questo passo per dedurre l'impraticabilità dell 'ipo­ tesi documentaria, almeno in questo caso. Non è infatti possibile che lo J, "lai­ co", si interessi della purità o impurità degli animali, mentre al contrario la sto­ ria P trascuri il dato. La soluzione sta nel cercare un'altra ragione per spiegare ciò che è definito "incongruenza" o "contraddizione". Tenendo conto della tecnica compositiva dell'antichità e del rispetto che gli antichi avevano per la tradizione a loro pre­ cedente, si potrebbe meglio spiegare questo passo nel modo seguente: il discor­ so di 'el6hfm in Gn 6, 1 3 -22 sarebbe la "memoria" del racconto tradizionale, una tradizione letteraria di circa due millenni antecedente il racconto biblico, mentre il discorso di JHWH in Gn 7,1-5 rappresenterebbe la "correzione" che l'autore biblico, attento alla purità e impurità degli animali, non vuole tralasciare per la sua narrazione. Egli non cancella il dato antico, ma lo reinterpreta accostando ad esso la distinzione introdotta con la propria sensibilità cultuale post-esilica. Interpretare i testi apparentemente in contraddizione senza ricorrere subito alla scappatoia della diversa fonte non significa affatto proporre di ritornare al momento precritico o leggere un testo in modo ottuso. In alcuni passi, è neces­ sario riconoscere l 'effettiva presenza di tradizioni diverse, tra loro semplice­ mente accostate e non del tutto amalgamate."'

'" L'elenco sarebbe davvero lungo: K. Budde, J. Wellhausen, H. Gunkel, R. Srnend sr., W. Eichrodt, O. Eissfeldt, G. von Rad, G. Fohrer, C. Westerrnann ... per citarne solo alcuni.

"' Basti pensare nel racconto del diluvio al numero di coppie di animali introdotte nell'arca o alla di­ versa cronologia della narrazione. Bisogna spiegare perché l'autore finale volle mantenere queste incon­ gruenze. Scartata l'ipotesi impossibile della "distrazione" o della "stupidità" del redattore, due tra le mol­ te risposte possibili per il quesito potrebbero essere: il rispetto reverenziale per due antiche tradizioni di fronte alle quali il recensore non sapeva decidere quale fosse la migliore, oppure - è la risposta che per­ sonalmente mi sembra migliore - l'autore ha voluto rispettare il dato tradizionale che parlava di una cop­ pia per ogni animale, ma ha poi aggiunto una sua propria interpretazione, in relazione alla legge sulla pu­ rit.à degli animali.

188

Ecco le principali contraddizioni che l'ipotesi documentaria spiega come risultato di com­ binazione di fonti originariamente indipendenti (qui indicate tra parentesi):

.., •

l . L'ordine delle cose create in Gn l (P) e Gn 2 (J). 2. Il numero degli animali da introdurre ne li' arca: senza distinzione tra puri e impuri (Gn 6, P) e distinguendo tra puri e impuri (Gn 7, J). 3. La lunghezza della vita umana fissata in 120 anni (Gn 6,3, J) e senza limiti (nelle ge­ nealogie P). 4. Il punto di partenza dell'itinerario di Abramo: da Ur (P) e da l;laran (Gn 15,7 e 24,4, J). 5. Beniamino nasce vicino a Betlemme (Gn 35,16-19, E), ma secondo P in Paddan Aram (Gn 35,23-26). 6. Ruben pensa di salvare Giuseppe, ma sono i Madianiti a prelevarlo dalla fossa e a venderlo schiavo in Egilto (E), mentre secondo J è Giuda a convincere i fratelli a non uccidere Giuseppe che lo vendono agli lsmaeliti. 7. Il suocero di Mosè, sacerdote di Madian, è tetro secondo E (Es 3, 1 . 1 8; 18,1-27), men­ tre è Reuel secondo J (Es 2, 1 6- 1 8; Nm 10,29). 8. Secondo P (Es 6,3) JHWH dice a Mosè che il suo nome era sconosciuto ai patriarchi, mentre secondo J i patriarchi conoscevano il suo nome (Gn 1 8, 14; 24,3.. . ). 9. Secondo E la tenda esisteva già nel racconto di Es 33,7 - I l , mentre secondo P la tenda è costruita solo dopo il racconto del vitello d'oro. IO. Le "dieci parole" hanno due redazioni: Es 20 (P oppure E) e Dt 5 (D). Taluni conside­ rano altra redazione anche il decalogo cultuale di Es 34 (J) . 1 1 . Il cibo del deserto secondo Es 1 6 (P) da subito è manna e quaglie; secondo Nm I l (E) prima vi è solo manna e dopo la lamentazione del popolo vi sono anche le quaglie. 12. Le "spie" di Giosuè: solo Caleb si pone contro il parere pessimista delle spie in Nm 1 3,30 e 14,24 (J), ma in Nm 14,6-9 (P) vi è anche Giosuè. 13. Il luogo ove abitano gli Amaleciti: con i Cananei secondo Nm 14,25.45 (J), nel deser­ to secondo Es 17,8- 16 (E?). 14. I rivoltosi con Core sono ingoiati dal terremoto in Nm 1 6,3 1 -33 (J), mentre sono poi consumati dal fuoco in Nm 16,35 (P). 15. 11 peccato di Pe'or: secondo Nm 25, 1 (J) sono le donne moabite a sedurre i figli di Israele, mentre secondo Nm 1 5,6 e 3 1 , 1- 1 6 (P) sono le donne madianite.'"

In conclusione, perché le "contraddizioni" possano essere adottate come cri­ terio per stabilire una diversità di tradizione o di fonte, è necessario vi sia la conferma di altri criteri. d) Stile e linguaggio

È vero che uno scrittore ha uno stile proprio, mentre un redattore scrive in modo anonimo e amorfo. Tuttavia si può parlare di "stile letterario" per un "au­ tore" secondo il nostro concetto moderno oppure per tradizioni letterarie carat­ terizzate, come il Deuteronomio (e la storia dtr).'" mentre invece per la maggior parte dei testi del Pentateuco la prova di stile rimane indeterminata.

11'

R.E. fRIEDMAN, Torah (Pentllteuch), 610-6 1 1 . "' Un elenco di circa cinquanta modismi caratteristici de1 1inguaggio P sono riportati da S.R. DRIVER, An inrroduction IO the literature ofthe 0/d Testament, T. & T. Clark, Edinburgh ' 1 89 1 , ' 1 9 1 3 , 1 3 1 - 1 35. M. WEINFELD, Deuteronomy and rhe Deuteronomic Schoo/, Clarendon Press, Oxford 1972, 320-365, ri­ porta un ampio elenco dei modismi dtn e dtr (citati in R.E. FRIEDMAN, Torah [Pentateuch], 610-61 1).

1 89

Accanto allo stile, spesso si invoca l'utilizzazione di un certo vocabolario o linguaggio. Ma il vocabolario o il linguaggio, per la massima parte dei casi, con­ ducono solo alla possibilità di attribuzione e non alla necessaria relazione. In conclusione, per poter avere risultati sufficientemente accertati, è necessario che questo criterio trovi altre conferme per essere veramente convincente. Ecco alcuni esempi di stile e linguaggio, tra i più significativi, che sono stati usati dai so­ stenitori dell'ipotesi per attribuire i passi alle tradizioni: l . Horeb e «montagna di Dio>> è il nome usato da D (e da E), mentre le altre tradizioni lo chiamano Sinai. 2. L'espressione «il luogo ove JHWH ha scelto di porre il suo nome» (o simili) è caraueristico di D (e di E). 3. Il verbo gù'' . " Si vedano anche questi altri testi in cui sabbat è in un contesto prossimo (e dialettico) rispetto a /r&ief «novilunio�>: 2Re 4,23; ls 66,23; l Cr 23,3 1; 2Cr 2,3; 8, 13; 3 1 ,3; Ne 10,34. Ciò significa che la dia­ lettica tra le due feste non è stara corretta, perché onnai veniva intesa con il significato nuovo di sabbat, quale festa settimanale (cf anche Gdt 8,6) . .w Ez 20,1 2; 22,26; 45,17. " Ez 20,20; 44,24. " Ez 20,13. 16.21 .24; 22,8; 23,38.

202

ne rimane ambigua e non si può decidere dal contesto se si allude alla festa eb­ domadaria oppure alla festa mensile lunare. Senza dubbio si può dire che non vi sono altri testi in Ezechiele che esplicitamente parlino di uno sabbat settimana­ le, eccetto Ez 46,1 : «La pona del conile interno, che guarda verso oriente, resterà chiusa durante i sei giorni lavorativi, ma sarà apena il giorno di sabato e sarà pure apena il giorno del novilunio».

Se tale norma non avesse la specificazione riguardante la chiusura della porta, ma solo la sua apertura, non vi sarebbe più alcuna possibilità di interpretare lo sabbat come festa ebdomadaria. In altri termini, sarei tentato di considerare que­ sto passo un' interpolazione, con la finalità esplicita di decosmologizzare il sa­ bato, staccandolo dalle fasi lunari, e poterlo interpretare in linea con quella festa ebdomadaria che tanta parte ha avuto nella strutturazione del calendario e della spiritualità giudaica, a partire dal dopo-esilio. Infatti, nel v. 3 e nel v. 4 in rap­ porto al v. 6 del medesimo capitolo appare la stessa dialettica sabbat-l)odes, che ha caratterizzato anche il primo versetto.•' L'importanza dello sabbat è sottolineata .anche dalla centralità che esso rive­ ste nella struttura delle 'iHeret hadd'biirim «dieci parole»," la cui redazione più antica è - a mio parere - quella di Dt 5.44 Confrontando infatti Dt 5,12- 1 5 , il pa­ rallelo di Es 20,8- 1 1 , con Gn 2, 1 -4a, sono giunto alla conclusione che Gn 2,1-4a, per parlare dell'opera creazionale di Dio, abbia assunto lo schema ebdomadario dalla settimana umana, ma che - in un secondo momento - la presentazione del "settimo giorno" di Dio in Genesi abbia influenzato il modo di interpretare il co­ mandamento del sabato. Più precisamente, ritengo che Dt 5 , 1 2- 1 5 preceda Gn 2, 1 -4a, mentre Es 20,8- 1 1 sia stato scritto successivamente e abbia una qualche relazione con il testo genesiaco. La connessione stabilita tra la settimana divina e quella umana crea un ponte tra il livello umano e quello divino: il primo diven­ ta segno per il secondo, il secondo fonda il primo."

3.4. La forma di governo La divisione del potere, com'è descritta in Dt 1 7- 1 8 , con la descrizione di un 'utopia regale mai realizzata, in stretta coordinazione con il levitismo sacer­ dotale e con la mediazione profetica, traccia una costituzione sociale precisa, che deve essere studiata per poter ipotizzare l'ambiente sociale del deuterono­ mismo. Il corpo legislativo dtn presenta infatti un modello originale di ideologia " L'occorrenza di Ez 46, 12 è un'eccezione che rimane invece da spiegare. " Cf N. LoHFINK, Zur Dekalogfassung von Dt 5, BZ 9 ( 1 965) 17-32 = ID., Studien zum Deuterona­ mium und zur deuteronomistischen Literatur. Band l (SBAB AT 8), Katholisches Bibelwerk, SIUttgart 1990, 1 93-209. Per un recente status qutestionis cf A. GRAUPNER, Die zehn Gebote im Rahmen al/lesta· mentlicher Ethik. Anmerkungen zum gegenwiirti11en Stand der Forschung, in H.G. VON REVENTLOW (Hrsg.), Weisheit, Ethos und Gebot. Weisheits- und Dekalo!ftraditionen in der Bibel und im friihen Ju­ dentum (BThSt 43). Neukirchener Verlag. Neukirchen - Vluyn 200 1 , 61 -95. " Il problema è ovviamente mollo più ampio di quanto venga qui trattato. Si vuoi dare solo una ra­ gione in più alla ricca discussione apena. " Rimando alla sezione esegetica per la dimostrazione di lutto questo (cf pagg. 4 19-426).

203

monarchica, in cui il potere regale è limitato e condizionato da altre mediazioni come il sacerdozio e il profetismo. Ciascun potere si trova subordinato anzitutto al santuario centrale e, in secondo luogo, all'autorità della Tortl.46 Il disegno co­ stituzionale del deuteronomismo ha alcuni importanti paralleli nella cosiddetta nuova Torà di Ezechiele (Ez 40-48) e nella predicazione di Aggeo e Zaccaria, ma mostra anche una proposta originale, almeno per quanto riguarda la contem­ poranea presenza della mediazione regale e sacerdotale. Bisogna però ricono­ scere che tale progetto rimase sempre un 'utopia e non riuscì mai a trasformarsi in una realtà socio-politica,47 anche perché un nuovo paradigma politico-sociale si delineò in quegli anni, con l 'unilaterale presa di potere di Giosuè, il sommo sacerdote. Il deuteronomismo potrebbe rappresentare l'ideologia sostenuta dal davidide Zorobabele e dal profeta-sacerdote Zaccaria, entrambi soppiantati da Giosuè, non per decisione di quest'ultimo, ma per la decisione politica persiana:" Il periodo tra la fine del VI e l'inizio del v secolo a.C., cioè la prima fase del post-esilio, ha avuto un'importanza fondamentale nella storia dell 'ebraismo, perché è quello che ha ela­ borato quel nuovo tipo di religione che ha trasformato in giudei quelli che in precedenza erano di fatto uno dei tanti gruppi cananei; l ' eliminazione della monarchia, con la conse­ guente scomparsa dell' ideologia regale, ha rappresentato l'elemento più significativo di tale trasformazione. Quello che accadde all'inizio della dominazione persiana in Palestina assunse perciò un valore paradigmatico e quella fase cronologica divenne una specie di tempo mitico, quello in cui pi ù tardi vennero proiettate le >.

La grande epopea della liberazione trova la sua conclusione epica con il can­ to di Es 15,3: «.IHWH è il suo nome». b) Il passaggio di ]HWH nella «none di veglia» (Es 11,1-13,16) Prima della soluzione definitiva dello scontro tra JHWH e Faraone che per­ mette al popolo di «uscire>> libero dalla «Casa degli schiavi» verso la terra della promessa, è necessario mettere in evidenza due altre "uscite" premonitrici: L'uscita di JHWH in Es 1 1 ,4: kal}ii$6t hallailà nij6$e'b'tok mi$rajim «Verso la metà della notte io esco in mezzo l'Egitto». Si tratta di un'uscita militare (cf 1 Sam 1 8,30; 2Sam 18,4; 2Re 5,2; Sal 44, 1 0; 60, 1 2... ). L'esodo d'Israele dal­ l'Egitto comincia di fatto con una grande uscita di JHWH. Per questo un gior­ no il salmi sta potrà cantare: «Quando Israele uscì dall'Egitto, la casa di Gia­ cobbe da un popolo barbaro, Giuda divenne il suo santuario, Israele il suo dominio>> (Sal 1 14, l s). L'altra uscita è un omen, un presagio. Mosè esce l 'ultima volta dal palazzo del faraone, abbandonandolo alla sua sorte: wajje$e' me'im-par'Oh boi)Ori 'ap «[Mosè,] pieno d'ira, si allontanò dal faraone» (Es I l ,8). -

La sezione ha un apporto di tradizioni varie." Si distingue abbastanza chiara­ mente il contributo di P (Es 1 2, 1 -20. 28. 40-5 1 ; 1 3 , 1 -2. 20; 14, 1 -4. 8. 9a�b. 151 8. 2 1 ab. 22-23. 26. 27a. 28-29)." L'attribuzione alle altre tradizioni è abbastanza controversa, anche perché il materiale attribuito a J sembra essere in contrasto con il racconto J delle piaghe. Con N. Lohfink,14 si è cominciato a parlare di uno strato proto-deuteronomico. L'ipotesi di Childs è la seguente: J: 12,12-23. 27b. 29-34. 37-39; 1 3 ,2 1 -22; 14,5b. 6. 9a. IOb. 1 1 - 1 4. 19b. 2 1 a�. 24. 25b. 27a�b. 30-3 1 ; E : 12,35-36(?); 13, 17-19; l4,5a. 7 . 19a. 25a; D: 12,24-27a; 1 3,3-16.

Come sempre, queste ipotesi sono per noi molto relative. Ciò che importa è verificare l'unità della composizione finale, perché a quel livello si pone il com­ pito deli' interprete. In Es 1 1 - 1 4 vi sono due quadri strutturalmente distinti, ma narrativamente interdipendenti e consequenziali. Immaginiamoci un grande affresco a dittico: " B.S. CHILDS, Exodus, 184-195.21 8-224. " Taluni distinguono ulteriori livelli di tradizione all'interno di P, a panire da B. BAENTSCH, Exodus­ Levitikus-Numeri (HK.AT 1/2), Vandenhoeck und Ruprecht, Gtittingen 1903; cf P. LAAF, Die Pa.Kha-Feier lsraels. Eine literarkritische und iiberlieferungsgeschichtliche Studie (BBB 36), Hanstein, Bonn 1970. � N. LoHRNK, Das Hauptgebot, 1 2 1 .

239

potremmo titolare le due pale il passaggio di Dio (Es 1 1 , 1-1 3, 16) e il passaggio del popolo (Es 1 3 , 1 7-14,31 ). Due «notti>> in cui l 'intervento di Dio sconfigge il faraone e sbaraglia gloriosamente il suo esercito. Ecco il risultato dell'analisi del primo quadro, senza entrare troppo nei particolari:" Preludio: Parla JHWH a Mosè + narrazione Predizione: Parla Mosè + > di cui si è detto, promulgando anche il rituale dei sacrifici, dei !eviti e le leggi di purità e di santità dei membri di questa assemblea, perché «voi siete per me una nazione santa>>. A partire, quindi, dal libro dell'Esodo abbiamo l'il­ lustrazione del quadro programmatico che era iniziato con l'alleanza sinaitica. Accanto alla dimensione cronologica, il secondo elemento complementare di unificazione di Nm 1 - 1 0 è la topografia. Il ricordo del Sinai non sta soltanto al­ l 'inizio della sezione, ma è presente lungo tutti i primi dieci capitoli, in cui più " È il calendario presente in tutto il Pentateuco, già nell'inno della creazione di Gn l,l-2,4a e che si avrà modo di studiare ampiamente nella sezione esegetica (cf pagg. 4 1 1 4 13).

253

volte il narratore ricorda di essere ancora al Sinai. Questo è molto importante perché mostra che dal Sinai nascono le mediazioni che erano in parte già de­ scritte nel libro del Levitico, con leggi che erano già state in qualche modo toc­ cate e trattate nei corpi legislativi precedenti. Un ultimo elemento unificatore è l 'affermazione ripetuta - quasi a modo di ritornello per ogni singolo argomento - che tutto quanto proviene da Dio: «JHWH parlò a Mosè dicendo: parla ai figli d'Israele e di' loro... ». Questo ritornello è un evidente indizio che indica l'inizio di una nuova sezione legislativa (o narra ­ tiva). .6' Il letto­ re sente l 'urgenza di questo appello come se egli stesso fosse presente ali 'Horeb e udisse le parole di Mosè nel paese di Moab. In altre parole, il Deuteronomio è un 'opera che intende formare Israele, nel senso forte che intende costruire un'i­ dentità di popolo, di storia e di relazione con il Dio JHWH •

., H.P. NAsun ldentity identification and imitation: The narrative hermeneutics ofBiblica/ Law, JLR 4 ( 1 986) 9-23: 12. Cf anche J.W. WATTS, Reading law; The rhetorica/ shaping ofthe Pentateuch (The Bi­ blica! Seminar 59). Sheflield Academic Press, Sheffield 1999, 127. Da quest'ultimo studio provengono ,

,

alcune delle intuizioni sviluppate in questo paragrafo. " Il senso di S'gullti è attestato anche nell'accadico sigiltu e si fonda su un particolare concetto all'in­ temo del vassallaggio dell'Antico Vicino Oriente. Esso significa peculium, «proprietà speciale», concet­ to che teologicamente viene trascritto con il concetto di di Dt 26:" l 'arco teologico teso tra la

promessa irrevocabile ai padri e l' «oggi>> della risposta alla legge, perché tale promessa possa continuare ad adempiersi; e il nesso tra liberazione esodica e dono della terra, dono che sarà reso possibile anche per le generazioni future a patto di mantenersi liberi da ogni altra schiavitù, per mezzo dell'unica 'iiboda che rende liberi, ovvero il primo comandamento e la legge proclamata.

II pensiero dtn scaturisce dalla relazione tra narrazione, legge e sanzioni: uno schema che ripropone in forma originale il formulario dei "trattati di alleanza", soprattutto dei cosiddetti trattati di vassallaggio di Esarhaddon (del 672 a.C.).66 È oggi più evidente che il modello letterario dell 'alleanza presente in filigrana an­ che nel libro del Deuteronomio fu in uso per molti secoli nell 'AVO. G.E. Men­ denhall67 aveva trovato una struttura analoga nei trattati hittiti, studiati da V. Ko­ ro5ec,68 i cui elementi principali erano:

" n verbo bdJ!ar è particolarmente amato da Dt: esso esprime anche la scelta del luogo ove JHWH ha deciso di far abitare il suo nome, ovvero il tempio di Gerusalemme (DI 12,5. 1 1 . 14. 18.2 1.26; 14,23.24.25; 15,20; 1 6,2.6.7. 1 1 . 15. 16; 17,8.10; 18,6; 26,2; 3 1 , 1 1 ); l'elezione del re ( 1 7,15), dei sacerdoti e dei !eviti ( 1 8,5; 2 1 .5) ed anche l'opzione fondamentale della risposta alla legge (30,19). Per una trattazione com­ pleta, si veda H. SEEBASS, in GLAT. l, 1 1 95-1230 (benché i giudizi teologici a riguardo dell'utilizzo dtn siano a mio parere discutibili). " Si vedano G. voN RAo, Deuteronomio; Traduzione e commento (AT 8), Paideia, Brescia 1979 (orig. ted. 1964); L. RoST, Das kleine geschichtliche Credo, in Io., Das kleine geschichtliche Credo und andere Studien zum Alten Testament, Quelle und Meyer, Heidelbetg 1965, 1 1 -25; N. LoHFINK, Zum "kleinen ge· schichtliche Credo" Dtn 26,5-9, ThPh 46 ( 1 97 1 ) 19-39; J.G. JANZEN, The "wandering Aramean" recon­ sidered, VT 44 ( 1 994) 359-375; J.W. WATTS, Reading law; The rhetorical shaping ofthe Pentateuch (The Biblica) Seminar 59), Sheffield Academic Press, Sheffield 1999; J.CH. GERTZ, Die Stellung des k/ei­ nes geschichtlichen Credos in der Redaktionsgeschichte von Deuteronomium und Pentateuch, in R.G. KRATZ - H. SPIECKERMANN (curr.), Liebe und Gebot. Studien zum Deuteronomium [Festschrift zum 70. Geburtstag von Lothar Perlitt] (FRLANT 190), Vandenhoeck und Ruprecht, Gottingen 2000, 30-45; D.L. CHRISTENSEN, Deuteronomy 22:10-34:12 (W BC 6B), Nelson, Nashville 2002, 629-642. " Un'ottima panoramica dei problemi introduttivi si può trovare in WEINFELD, Deuteronomy, Book of, I 992, 168-183. A riguardo dei trattati neo-assiri, si vedano FRANKENA, The vassal-treaties of Esarhaddon, I 965, 122- I 54; HAASE, Deuteronomium und hethitisches Rechi, 1 994, 71-77. " G.E. MENDENHALL, Covenantforms in lsraelite tradition, BA I7 (1954) 50-76. " V. KoROSEC, Hethitische Staatsvertriige. Ein Beitrag zu ihrer juristischen Wertung (Leipziger rechtswissenschaftliche Studien 60), Weicher, Leipzig 193 1 .

262

l. la presentazione dei contraenti; 2. il prologo storico, che serviva a giustificare la lealtà chiesta al vassallo; 3. la stipulazione del trattato; 4. la lista dei testimoni divini; 5. le benedizioni e le maledizioni; 6. la lettura periodica del trattato; la custodia del documento.

I trattati di Esarhaddon, scoperti nel 1 956, hanno offerto nuovi materiali per il confronto e per una migliore comprensione di come la medesima forma lette­ raria potesse subire diverse declinazioni. Con più precisione, i trattati di Esarhaddon presentano un giuramento di lealtà imposta dal sovrano al suo vas­ sallo, più che un patto tra due partner. L'esigenza fondamentale è espressa dal­ l' «amare con tutto il cuore e con tutta la vita» il partner maggiore69 (cf Dt 6,5) e il vocabolario dtn quale jiire' , sama' b'qol , si ri­ trova anche in questi trattati. L'analogia talvolta diventa identità di linguaggio, come nel caso delle maledizioni di Dt 28,23-35 e i trattati di Esarhaddon, righe 4 19-430.70 Nel contesto di tale notazione generale, che riguarda il legame diacronico e genetico con quanto può aver ispirato la struttura della composizione, dal punto di vista della struttura retorica è importante evidenziare l'analogia delle sezioni del Deuteronomio con il formulario dei trattati dell'AVO, mentre dal punto di vi­ sta della struttura narratologica sarà importante evidenziare il ruolo attanziale dei personaggi messi i n scena." L'indizio più importante per trovare la struttura retorica è un formulario che funge da incipit delle sezioni più importanti del libro: ì?lleh hadd'btirfm a!er dibber m6seh 'e/-ko/-jiirti'el b''eber hajjarden «Que­ ste sono le parole che Mosè ha rivolto a tutto Israele al di là del Giordano [ )>> Dt 4,44: wzoi hattora a!er-stim m6seh lip'ne b'ne jisrtiel «Questa è la legge che Mosè ha esposto ai figli di Israele [ . . ]>> Dt 28,69: elleh dibre habb'rft aser-$iwwa )HWH 'et-m6seh likr6t 'et-b'ni ji§rti'e/ b' 'ere$ mo'ab 3 1 ,9- 1 3 : lettura periodica della legge --> 32, 1-52: il cantico di Mosè 33, 1-29: le benedizioni di Mosè

B) esigenza fondamentale D) benedizioni e maledizioni [v. 19: E) testimoni}

F) lenura del patto

-->

2. LA POETICA DELLA TORA Il metodo storico-critico si è sviluppato nel contesto dell'ermeneutica ro­ mantica e da essa ha ereditato il mito genetico12 e il mito del genio spirituale." Il primo pona a cercare le fasi previe di un'opera, quasi che conoscendone la ge­ nesi si conosca meglio l 'opera stessa; il secondo conduce a pensare che un 'ope­ ra sia solo un medio da attraversare rapidamente per giungere alla conoscenza del genio spirituale che l'ha generata. Senza rifiutare del tutto gli stimoli per una corretta interpretazione che giungono da tali sollecitazioni, se ne possono intravedere alcuni limiti proprio dalla storia dell'ipotesi documentaria che abbiamo tracciato nelle pagine pre­ cedenti. La ricerca di quanto precede la redazione finale di un'opera è sì inte­ ressante, ma deve essere sempre subordinata alla conoscenza del prodotto fi­ nale: è buona cosa conoscere l ' ambito familiare e i genitori di un individuo per conoscerlo meglio, ma alla fine devo giudicare quella persona per quello che egli è effettivamente. Così pure, l'opera prodotta pona in sé l'oggettiva­ zione del mondo del suo autore; tuttavia, la distanziazione tra l'opera e il suo autore permette una dialettica tale per cui l ' artista crea con la sua opera un mondo, che talvolta è solo desiderato, progettato o amato, ma non vissuto dal­ l ' esperienza concreta. L'ermeneutica contemporanea, almeno da H.G. Gadamer in poi, e la consi­ derazione della Scrittura nella sua qualità di opera letteraria, hanno portato pro­ gressivamente a uno spostamento di accenti: dall'intenzione dell' autore all'in­ tenzione del testo, dal mondo dell'autore al mondo del testo, dall'ispirazione dell'autore all'ispirazione del testo. Il guadagno ermeneutico di una poetica centrata su tali spostamenti può essere illustrato ampiamente, come l'ha dimo­ strato Pau) Rica:ur, ma non è il compito di questo capitolo. La funzione di tale poiesis - operazione che non va limitata alla produzione poetica, ma riguarda la capacità rivelante del complesso fenomeno della Sacra Scrittura in ogni sua pagina - lascia trasparire una funzione referenziale del lin­ guaggio diversa rispetto al linguaggio ordinario o al linguaggio scientifico: essa " Il mito genetico è frutto anche del razionalismo positivistico nella sua versione evoluzionista.

" Cf T. ToDOROV, Teorie del simbolo, Garzanti, Milano 1984, 1 79-260 (orig. frane. 1977).

266

non descrive gli oggetti come il linguaggio ordinario, non li sottomette alla veri­ fica empirica come il linguaggio scientifico. La poetica di cui parliamo potrebbe essere definita come quell'apertura sim­ bolica che «ci restituisce un'appartenenza a un ordine di cose che precede la no­ stra capacità di opporci le cose come oggetti di fronte a un soggetto>>.74 Il pensie­ ro simbolico non è una regressione a un immaginario irrazionale o inconscio, ma la capacità di creare un mondo dinamico. La verità tensionale del simbolo è in grado di svelare la dialettica più originaria e più dissimulata, «quella che regna tra l'esperienza d'appartenenza nel suo insieme e il potere di distanziazione che dà spazio al pensiero speculativo>>.75 L'osservazione ricreuriana può essere ampliata dal simbolo alla narrazione. In questo caso, è il testo - nel suo senso più ampio, non necessariamente un testo scritto - a diventare il medium tra il vissuto e l'atto narrativo, tanto nel racconto di finzione, quanto nel racconto storico."• Ciò rimanda alla caratteristica simbolica del sapere umano, nella sua condi­ zione sempre mediata.17 Sorge proprio qui, nel medium dei tre termini mediatori (segno, simbolo e testo), la necessità di un'adeguata ermeneutica: il segno, in quanto è così affermata la condizione originariamente linguistica di ogni espe­ rienza umana comunicabile; il simbolo, che contribuisce a dissipare l'illusione di una conoscenza intuitiva, ricollocando il soggetto nel mondo in cui è venuto all 'esistenza e alla parola; il testo, come unità di misura adeguata del simbolico e, in particolare, l'atto di scrittura, che dà al linguaggio umano autonomia se­ mantica in rapporto all'intenzione dell'autore, alla ricezione dell'uditorio origi­ nario e alle diverse situazioni socio-culturali in cui il testo è stato prodotto. L'apporto più fecondo di tale intreccio sta nel fatto che il compito ermeneuti­ co viene collocato nella struttura ontologica dell'evidenza. Comprensione e spiegazione appaiono in vicendevole e perenne dialettica, dal momento che il criterio veritativo di ogni senso consiste in quell'epifania dell'essere che nessun senso può pienamente adeguare, perché non ne è mai l 'origine. L'ermeneutica non è riducibile alla sola spiegazione (o alla disputa sui diversi metodi), né d'al­ tra parte l'interpretazione può sostituirsi allo svelamento della verità, che si dà solo come rivelazione originaria. " «La poesia è la sospensione della funzione descrittiva. Essa non aumenta la conoscenza degli og­ getti. Da qui a dire che con la poesia il linguaggio rifluisce verso se stesso per celebrare se stesso, il pas­ so è breve. Ma, così dicendo, si cede al pregiudizio positivi sta secondo il quale solo la conoscenza empi­ rica è oggettiva perché verificabile. Non si evidenzia che si ratifica in modo acritico un ceno concetto di verità, definito mediante l' ade11uazione a una realtà di oggetti, e sottomesso al criterio della verifica em­ pirica>>: P. RICIEUR, Ermeneutica dell'idea di rivelazione, in lo., Testimonianza parola e rivelazione, Ro­ ma 1997, 109-153: 136 (orig. frane. 1977). " P. RtCIEUR, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un lin!iuaggio di rivelazione, Jaca Book. Milano 1976 (31 rist. 2001), 399 (orig. frane. 1975). " La synthesis o systasis, di cui parla Aristotele nella Poetica ( 1 450a 5.15) � interpretata da Ricceur come l'azione creativa che costruisce l'intri11ue e che corrisponde all'innovazione semantica della me­ tafora (cf P. RtCIEUR, Du texte à /' action: Essais d' herméneutique, II [Esprit), Seui], Paris 1986, 1 3). " Questa mediazione «si presenta come una sintesi immediata che precede la riflessione e non può essere analiticamente dedona nei suoi principi>> (P. RtCIEUR, De /' interprétation. Essai sur Freud, Seui l, Paris 1965, 448).

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L'ermeneutica si limita a delineare uno spazio in cui è possibile la manifesta­ zione dell 'Assoluto, senza poter a priori tematizzame i contenuti. Solo l 'effetti­ va autocomunicazione divina rende reale questo possibile. 2.1. LA POETICA DI GN 1-11

Per comprendere la poetica di Gn 1 - 1 1 , è necessario collocarla nell'habitat culturale dell'AVO, in cui affondano le loro radici i racconti di Gn 1 - 1 1 e nel cui confronto trovano la loro peculiarità. Tale confronto non deve tuttavia portare a un giudizio apologetico, sebbene sia difficile negare che i narratori di Gn 1 - 1 1 anche per il solo fatto di comporre i loro racconti dopo duemila anni di letteratu­ ra - abbiano raggiunto una sorprendente levatura estetica e un'ancor più profon­ da capacità teologica. Sono soprattutto due le caratteristiche che si evidenziano nel confronto: la demitologizzazione e la maggior attenzione alla storia. a) La «demitologizzazione»1' Sulla base dello jahwismo ormai maturo - è il dopo-esilio il tempo di com­ posizione di Gn 1 - 1 1 - e in polemica con la mitologizzazione della prima apo­ calittica, dalle trame narrative è stato tendenzialmente espunto ogni elemento politeista o mitologico (cf però Gn 6,1-4, che è stato lasciato in dialettica con la tesi sostenuta dal Libro di Enoc). Parliamo tuttavia di demitologizzazione e non di demitizzazione, perché - in verità - questi capitoli rimangono "mito". Tuttavia, per non creare inutili frain­ tendimenti, è necessario porre subito alcuni "distinguo", visto l 'utilizzo equivo­ co che il vocabolo "mito" ha assunto in questi ultimi due secoli. Quando si parla di "mito" per Gn 1 - 1 1 , esso non equivale affatto a "mitolo­ gia". Tale equazione era invece ancora condivisa da H. Gunkel all'inizio del se­ colo XX (e ancora da molti oggigiorno), quando affermava che ((il mito è di sua natura politeista e rappresenta frequentemente la divinità come strettamente lega­ ta alla natura>>. Se così fosse, appunto, "mitico" equivarrebbe ad anti-storico o a mitologico. Di conseguenza, non sarebbe corretto definire Gn 1 - 1 1 come "mito". Si può però assumere il concetto di mito dall'ambito degli studi della storia delle religioni e del simbolismo.79 In tale contesto, "mito" equivale a "simbolo in azione", in quanto il mito esprime plasticamente e drammaticamente ciò che la metafisica e la teologia definiscono dialetticamente. Cito due pagine elo­ quenti di Mircea Eliade:

" Per questa parte, si veda G. BORGONOVO, Bibbia e Mito, in Mito versus Fantasy, Com[I] n. 2 1 8

(2008) 17-29.

"' Ci riferiamo in modo panicolare alle opere di Mircea Eliade, Gaston Bachelard e Gilben Durand, dedicate all' immogiiUJzione della materia.

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"Dire" un mito significa proclamare ciò che è accaduto ab origine. Una volta "detto", cioè rivelato, il mito diventa verità apodittica: stabilisce la verità assoluta. [ .. . ] Il mito an­ nuncia la comparsa di una nuova "situazione" cosmica o di un evento primordiale. Per­ tanto è sempre la rappresentazione di una "creazione": vi si racconta come è stato fatto qualcosa, e in che modo questo qualcosa ha incominciato ad essere. Ecco perché il mito si identifica con l'antologia: parla solo di cose reali, di ciò che è realmente accaduto, di ciò che si è manifestato totalmente. 00 Le Immagini sono per loro stessa struttura polivalenti. Se Io Spirito utilizza le Immagini per cogliere la realtà ultima delle cose è proprio perché questa realtà si manifesta in modo

contraddittorio ed è quindi impossibile esprimerla tramite concetti. (Ben si conoscono gli sforzi disperati delle diverse teologie e metafisiche, sia orientali che occidentali, volti ad esprimere concettualmente la coincidentia oppositorum, modalità dell'essere facilmente, e per altro abbondantemente, espressa attraverso Immagini e simboli). È quindi vera l'Im­ magine in quanto tale, in quanto fascio di significati, mentre non lo è uno solo dei suoi si­ gnificati oppure uno solo dei suoi numerosi piani di riferimento."

In questa definizione di "mito": il mito non è semplicemente frutto di fantasia o sinonimo di favola, ma espressione intuitiva della forma della realtà; il mito non è una favola, ma un

simbolo in azione; il mito ha per oggetto la realtà e la storia dell'uomo, che il nostro linguaggio tende ad esprimere con un'approssimazione sempre asintotica e mai piena­ mente adeguata. «Il simbolo fa pensare»," e non è mai esaurito nel suo signi­ ficato; il mito non è antireligioso o politeista di sua natura, ma esprime la realtà del divino a seconda dell 'ambiente in cui viene utilizzato. In un ambiente mono­ teista, il simbolismo mitico assume le categorie monoteiste; il mito non è anti-storico o a-storico, ma è una forma poetica di leggere la storia, con un procedimento tipicamente sapienziale: ogni singolo avveni­ mento viene assorbito e rappresentato dall'archetipo simbolico. E una gram­ matica dell'essere che aspetta di venir attuata in ogni momento dell'esserci: [Gli scrittori ispirati] esprimono la profondità dell'essere in termini di tempo; grazie ad una risalita verso l'origine del tempo essi rappresentano simbolicamente la loro risalita fi­ no al cuore dell'essere.••

Con queste precisazioni, è possibile parlare di "mito" a proposito di Gn 1 - 1 1 , o , se si preferisce, "racconti che utilizzano· un linguaggio mitico" .

., M. ELIA DE, /t sacro e il profano, a cura di E. FADINI, Bollati Boringhieri, Torino 1967, ' 1984, 63 (orig. frane. 1956). " M. EuADE, Immagini e simboli; Saggi sul simbolismo magico-religioso, a cura di M. GJACOMEITI, Jaca Book, Milano 198 1 , 18s (orig. frane. 1952). " Cf il noto "manifesto" di P. RtC> il simbolo per ogni azione benedicente, il «cammino» o, meglio, l ' «essere condotti>> nel deserto diviene simbolo dell 'esperienza stessa di Israele in quanto popolo di Dio. Proprio per questo è nel periodo del deserto che vengono collocati i principa­ li corpi legislativi di Israele, nonostante che, quanto alla composizione, coprano l'arco cronologico di almeno sette secoli. Anche la Tora - rivelazione, istruzio­ ne e ammaestramento per la vita - trova la sua esemplarità in questo cammino di fidanzamento e di prova, di tradimento e di punizione, sepolcro e culla del vero Israele. La centralità paradigmatica del deserto può essere Ietta nella filigrana del­ l'ordito di tutto il Pentateuco, che - come si è visto nell'analisi retorica - mani­ festa un suo disegno organico e significativo. c) «entrare nella terra>> c. l ) l'entrata Il movimento iniziato con l 'uscita dall'Egitto e continuato con il cammino nel deserto ha un traguardo: entrare nella terra. Uscire dalla schiavitù per vaga­ re in un deserto senza mèta non è liberazione, ma dispersione ed errare. Vagare è maledizione:'02 basterebbe ricordare la condanna di Caino (Gn 4, 1 2) e l 'espul­ sione di Agar (Gn 21 ,9-21) che con il figlio Ismaele «vagava>> nel deserto di Ber­ sabea. La liberazione non può concludersi al Mar Rosso e neppure al Sinai. Sa­ rebbe una punizione (cf Es 32, 1 2; Dt 9,28 e Nm 14, 1 5- 1 6). Se questa fu anche la percezione avuta dai protagonisti dei fatti, non ci è da­ to sapere. È per noi impossibile risalire ai sentimenti di quegli uomini. La poeti'" Ez 37,12-13 usa il verbo alo, che spesso nei testi esodici è un sinonimo dija�a� "' In ebraico il verbo abad significa "vagare", ma anche "perdersi" e quindi "perire".

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ca del testo biblico ci presenta una comunità incerta e vacillante e un capo sicu­ ro del successo dell'impresa. Così dunque lo compresero coloro che rileggeva­ no nella fede le tradizioni antiche, ponendo in questa rilettura la loro esperienza del Dio liberatore. Il verbo ebraico bo''00 «entrare>> ha un campo semantico molto vasto. Può si­ gnificare venire, andare, giungere, entrare, avvenire ... La mentalità ebraica ama­ va più lo schema temporale dello schema spaziale: per questo si preferisce espri­ mere l 'idea dell'evento che si compie come un "venire ad", un "avvenimento" che apre il momento o il fatto presente all'«avvenire>> (come si può verificare, abbiamo lo stesso movimento semantico anche in italiano). Noi ora ci concen­ triamo sul significato di «entrare>>, senza perdere di vista le possibili armoniche che vengono create dall'uso del lessema nei diversi contesti. Entrare è un'esperienza fondamentale della vita dell'uomo:'04 suppone degli spazi chiusi, naturali o costruiti dall'uomo stesso. Tra gli spazi è privilegiato lo spazio sacro.'0' L'entrata può assumere dunque valore liturgico e può essere sot­ tolineata anche architettonicamente (cf pronao, propilei, scalinate, portali ... ): il richiamo simbolico è recensito anche dai testi biblici (Sal 15; 24; 1 00; Is 33,141 6 ...). Ma lo spazio sacro può trovarsi anche in luoghi aperti, come in Es 3 e nei racconti patriarcali. Si può parlare anche di spazio sociologico di gruppi o ambiti sociali in cui si entra a far parte: cf Dt 23 circa l'ammissione o l'esclusione dall'assemblea israe­ litica. In costruzione con la "terra" è frequente l'uso tanto del qal quanto del­ l' hiphil, con molte possibilità di sostituzione paradigmatica. Quando il verbo è in qal e il soggetto è dunque normalmente il popolo, il verbo può essere sostituito da «vedere>> (e quindi sfruttare la terra), «ereditare>>, «abitare>>, «prendere possesso>>. Quando il verbo è all' hiphil e quindi Dio è normalmente il soggetto, le sostituzio­ ni paradigmatiche più frequenti sono: «far riposare>>, , «far cavalcare>> (im­ magine molto vivace che immagina le colline come dorsi da cavalcare). Le opposizioni più interessanti sono: «uscire>>, , «essere tagliati fuori>>, , .

Come si è già notato e ancora sarà sottolineato in riferimento al contenuto teologico, il Pentateuco propriamente non si chiude con l 'entrata nella terra, ma con la promessa che J HWH farà entrare Israele nella terra e Israele potrà conti­ nuare a vivere in essa a condizione di osservare il primo comandamento. Tutta­ via, mentre la promessa di entrare nella terra è un dono certo di JHWH e fa parte dell'archetipo valido per tutti i secoli, la vita sulla terra è parte della condizione storica di ogni generazione: essa potrà essere custodita o persa a seconda della decisione libera di Israele.

"' Cf E. JENNJ, "bO� kommen", in THAT l, 264-269. '" Si ricordi l'espressione "polare" già analizzata a proposito dell'«uscire,., "" Cf G. VAN DER LEEUW, Fenomenologia della reli11ione, Boringhieri, Torino 1975 (orig. ted. 1933), §§ 57 e 64.

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c.2) la terra La 'ere.)" «terra»106 è il termine del movimento esodico. Se l'uscita dall'Egitto è il grande momento epico della liberazione, indelebilmente segnato nella me­ moria credente del popolo, la terra è invece una realtà stabile e permanente, mi­ racolo annuale di fecondità e di benedizione, che perdura al di là del tempo e della vita di ciascun figlio di Israele. Il materiale di teologia biblica a riguardo della terra è immenso.

l . Il primo arco storico che si impone congiunge tutto il cammino esodico, dall'Egitto a Canaan. In Egitto gli Israeliti erano emigranti; in Canaan sono re­

sidenti e proprietari. È l'arco che congiunge tutta la vicenda dell'esodo, da Mo­ sè fino a Giosuè, dalla «terra santa>> di Es 3 alla «terra santa>> di Gs 5. Un'unica grande epopea che proclama l'identità del Dio liberatore. Quanto era iniziato in Egitto si chiude ora nella terra di Canaan: lo chiude il popolo con il suo peregri­ nare, lo chiude Dio con il suo gesto di «donare>> la terra. Se questo non avvenis­ se, tutto quanto precede sarebbe senza senso: fallimento per il popolo, spregio per Dio (cf Es 32, 12; Dt 9,28 e Nm 14, 1 6). Gli estremi Egitto e Canaan servono per stabilire l 'opposizione tra «soggior­ nare» (da extracomunitario) e , un opposizione che ha valore teologico. Quando infatti si nella terra e con sguardo retrospettivo si guarda all'E­ gitto, se ne parla come di una peregrinazione in terra straniera (cf Es 1 8,2; 23,9; Lv 19,34; Dt 10, 1 9; 23,8). •

Questo arco storico fondamentale include altre correlazioni possibili, cui ab­ biamo già avuto modo di accennare: Mosè l Giosuè, Mar Rosso l Giordano, Fa­ raone l re di Canaan ...

2. Un arco minore si crea nel passaggio dal deserto alla terra coltivata, dalla vita nomade e "dispersa" alla vita sedentaria e "sicura". Secondo lo schema sti­ lizzato della narrazione biblica, solo pochi vissero questo arco per intero (Caleb e Giosuè), mentre la maggior parte visse soltanto un versante dell 'esperienza. Sul piano culturale si tratta semplicemente di due forme di vita diverse: la prima con un alone di bucolicità ideale (il pastore), la seconda circondata dalla grevità del lavoro agricolo, con insito il rischio di «dimenticare>> il Dio dell'e­ sodo. Tuttavia, i testi del cammino nel deserto si collocano da un altro punto di vi­ sta: gli anni del deserto furono castigo e dilazione, fatica e morte per molti. L'en­ trata nella terra è invece cessazione di queste fatiche. Per questo, vari testi parla'" Alcune opere che rimangono fondamentali per questa tematica: F. DREYFUSS, Le thème de /' hérita­ ge dans l"AT, RSPhTh 42 ( 1958) 3-48; G. VON RAD, Verheiflene Land undJahwes Land im Hexateuch, in Io., Gesammelte Studien zum AT, Miinchen \965, 87-100; S. ScHWERTNER, Das verheiflene l..alld. Bedeu­ tung und Verstiindnis des Landes nach denfriihen Zeu11nissen des ATs. Heidelberg 1 966; N. LoHFINK. Ri­ lievi sulla tradizione dell'Alleanza con i Patriarchi, RivBib 15 ( 1 967) 395-406; J.G. Pl.OGER, Literarkri­ tische,formgeschichtliche und stilkritische Untersuchungen zum Deuteronomium (BBB 26), Bonn 1 967; W. BROGGEMANN, The Land. Piace as Gift, Promise and Challenge in Biblica/ Faith, Philadelphia 1977.

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no di riposo e di pace quando devono·J'llf'lare dell'entrata (cf Es 33, 14; Dt 3,20; 1 2, 10; Gs 1 , 13. 15; 22,4). La terra può dunque chiamarsi «riposo» (m'nu/Jd). Il Sa1 95, 1 1 chiama la terra «il mio [= di Dio] riposo)).'"' L'opposto di questo riposo è l'«errare» e l' andare alla deriva (Nm 32, 1 3), il simbolo usato per la condanna di Caino (Gn 4,1 2ss), espulso dalla terra coltivata e costretto a vagare senza mèta. 3. L'arco maggiore e teologicamente più fecondo unisce la terra alla promes­ sa giurata ai padri. È lo schema promessa - compimento, che dà anche il nome a questa �res: «terra» promessa. È un legame profondo, poiché la promessa fonda il rapporto tra JHWH e Israele e rende la liberazione dall'Egitto il compimento di un giuramento divino.

I patriarchi sono portatori della promessa e possono sperimentare l'adempi­ mento di essa solo nella dimensione della «caparra». Per loro la terra rimane luo­ go di peregrinazione (cf Gn 1 7,8; 28,4; 37, 1 ; 47,9; Es 6,4). Nella maggior parte dei testi si specifica che la promessa è fatta ai padri, ma il dono alla loro discen­ denza (Gn 1 2,7; Dt 6,23; 7 , 1 3 ... ); in altri testi, la consegna della terra è fatta an­ che a loro (Gn 1 3, 1 5; 1 5,7. 1 8; 1 7,8; Dt 1 ,8; 1 1 ,9...). Alla discendenza si dà defi­ nitivamente, ai padri si dà come pegno: ma per tutti la permanenza del dono è sottoposta alla condizione di custodire il primo comandamento. Paradossalmente Abramo può possedere un po' della terra promessa, ma solo "a caro prezzo" e con la sua morte (cf Gn 23), quasi come un sacrificio fonda­ zionale. Solo attraverso la morte, Abramo e i padri prendono veramente posses­ so della terra giurata alla loro discendenza. Non è forse uno dei simboli più ric­ chi per esprimere la paradossalità dell'esperienza della fede?

2.4. LA POETICA DEL LIBRO DEL DEUTERONOMIO La struttura narrativa del pensiero dtn è data dalla relazione tra narrazione, legge e sanzioni, uno schema che ripropone in forma originale il formulario dei trattati di alleanza, soprattutto dei cosiddetti trattati di vassallaggio di Esarhad­ don (del 672 a.C.). '"" Nel contesto di tale notazione generale, che riguarda il le­ game diacronico e genetico con quanto può aver ispirato la struttura della com­ posizione, dal punto di vista narratologico è soprattutto importante evidenziare il ruolo attanziale dei personaggi messi in scena:""

'" Si ricordi l 'interpretazione teologica di questo testo offena nella lettera agli Ebrei (Eb 3,7-4,1 1). ''" Cf la sezione retorica alle pagg. 261-266. '" In questo paragrafo, utilizzo il vocabolario e alcuni elementi di namdtl1ogia. Si può vedere una presentazione introduniva dei problemi in M.A. PowELL, What is narrative criticism? A new approach to the Bible (GBS.NT), Fonress, Minneapolis, MN 1990; J.L. SKA, "Our fathers have told us" . lntroduc­ tion to the analysis of Hebrew narratil'e.< (SubBi 13), Pont. Istituto Biblico, Roma 1990, '2000; PH.J.M. STURGESS, Narrativity. Theory and practice, Clarendon. Oxford 1992; D.M. GUNN - D. NotAN FEWELL, Narrative in the Hebrew Bible (The Oxford Bible Series). University Press. Oxford 1993; J.L. SKA, Sin­ cronia: L'analisi narrativa, in H. StMtAN YoFRE (cur.), Metodologia dell'Antico Testamento (StBi[Deh] 25), EDB, Bologna 1995, 139-1 70.

28 1

a) Il narratore onnisciente che dirige gli eventi In una composizione sufficientemente ampia,110 sorprende che il narratore ­

a priori onnisciente - appaia in poche circostanze, lasciando quasi sempre ai

suoi personaggi il compito di condurre la vicenda e di esprimere il punto di vista dell'insieme. ' " Dalla lista riportata in nota, sarebbero quindi quattro i contesti principali in cui il narratore prende la parola: all'inizio del libro, al termine del primo discorso, al momento delle benedizioni-maledizioni e nella sequenza fi­ nale di Dt 3 1 -34. Più precisamente: in Dt 1 , 1 -3 , il narratore interviene a presentare i suoi per­ sonaggi principali ( «Mosè», «le parole» e «tutto Israele») e le coordinate spa­ zio-temporali del! 'azione («oltre il Giordano, nel deserto, nella valle dell'Araba, di fronte a Suf, tra Paran, Tofel, Laban, Hazerot e Di-Zahab>>; • ( 'al-seper mi/lip'né hakkdhtinfm ha/'wijìm). Si ve­ dano, per questo, i commentari. Tuttavia, la dizione di «seconda legge» può alludere anche alla «b'rfr che sta oltre la prima lfrit», quella b'rir delle piane di Moab, attestata in Dt 28,69 come attuazione della ltrit sinaitica, che assume capitale imponanza dal punto di vista teologico, se interpretata come trascrizione narrativa della nuova alleanza profetica. Per la valorizzazione di questa relazione, rimando a P. BEAU­ CHAMP, L'uno e /' altro testamento. 2. Compiere le Scrillure, Introduzione di A. BERTIJLETil (Biblica l ), Glossa, Milano 2001, 329-332. "' Si vedano soprattutto N. LoHFINK, Das Hauprgebot. Eine Untersuchung literarischer Einleitungs­ fragen zu Drn 5-11 (AnBib 20), Pont. Istituto Biblico, Roma 1 963, 54-72; G. BRAULIK, Die Ausdriicke fiir "Gesetz" im Bueh Deuteronomium, Bib 5 1 ( 1 970) 39-66; F.L. HossFELD, Der Dekalog als Grundgesetz eine Problemanzeige, in R.G. KRATZ - H. SPtECKERMANN (curr.). Liebe und Gebot. Studien zum Deute­ ronomium [Festschrift zum 70. Geburtstag von Lothar Perlill/ (FRLANT 190), Vandenhoeck und Ru­ precht, Gtittingen 2000, 46-59.

285

di magna charta della principale obbligazione che è l'amore per JHWH (cf Dt 6,4ss) quale risposta all'amore che JHWH ha già manifestato al suo popolo e che continuerà a manifestare con la sua lealtà senza confini (cf Dt 7,6- 1 3). e) Il popolo Il popolo come soggetto esplicito di un'azione appare solo al momento del lutto per la morte di Mosè (Dt 34,8). Indirettamente, si potrebbero ricordare an­ che le risposte alle dodici maledizioni levitiche di Dt 27, 15-26. Tuttavia, l 'aspetto narratologico più importante da rilevare è che l'intera pre­ dicazione di Mosè interpella il popolo come "uditore" responsabile (s'ma' jisrtiel) e lo interpella in quanto «lsraele>>.'23 L'azione è dal punto di vista narra­ tologico tanto forte, che si potrebbe addirittura dire che l' «> interpellato è - di fatto - creato da questa chiamata: mentre infatti la narrativa biblica può im­ plicare (o presupporre) un lettore, la legge Io determina. 124 E Israele è posto in es­ sere da questa interpellanza, perché solo chi obbedisce alla legge promulgata si riconosce in questa identità. In questo contesto, va riletto anche il fenomeno del Numeruswechsel, ovvero la dialettica tra il "tu" e il "voi". L'alternanza tra il singolare e il plurale della se­ conda persona non è tanto da considerare un indizio per risalire a una duplice tradizione precedente,''-' ma piuttosto uno stilema retorico e, forse ancora di più, un'arguta strategia narratologica.126 L'indirizzo variabile - al singolare e al plu­ rale - esprime in forma narrativa il nesso necessario fra la risposta personale e comunitaria all 'appello della legge. Non vi può essere un popolo che non sia la comunità di coloro che liberamente accolgono l'invito ad essere «uditori>>; ma lo S'ma' non fa appello solo a un individuo, bensì pone in essere un intero popo­ lo, Israele.

f) Il personaggio Giosuè L'evidenza narrativa a proposito di Giosuè è la non-essenzialità all'azione principale del libro. Trattandosi di testamento e di preparazione alla morte di '" È molto importante la ripetizione della totalità dell'Israele convocato e interpellato (kol-jisrti'il: Dt 1 . 1 ; 5,1; 1 1 ,6; 13.2; 1 8,6; 2 1 .2 1 ; 27,9; 29. 1 ; 3 1 , 1 .7. 1 1 .30 [kol-l(hal jisrti'il]; 32,45; 34,12). '" H.P. NASUTI, ldemiry, idenrificarion and imiration: The narrative hermeneutics of Biblica/ Law, JLR 4 ( 1 986) 9-23: 12. "' In questa linea andavano già i commentari di W. Staerk ( 1 894) e C. Steuemagel, 1897 ('1923). Più recentemente, G. MtNE1TE DE TtLLESSE, Sections 'Tu' el secrions 'Vous' dtzns le Deutéronome. VT 1 2 ( 1 962) 29-87; H. CAZELLES, Passages in the singular wirhin discourse in rhe plural of Dr 1-4, CBQ 29 ( 1 967) 207-2 19; N. AtROLDI, A proposito dei passi al singolare in Drn 1 ,6-3,29, Aug I l ( 1 97 1 ) 355-387;

CH.T. BEGG , The significance ofthe Numeruswechse/ in Deureronomy. The 'Prehisrory' ofthe question,

EThL 55 ( 1 979) 1 1 6-124. "' Cf, in senso strutturante, D.L. CHRISTENSI!N, Deuteronomy 1:1-21:9, Second, revised, and e•pan­ ded edition (WBC 6A), Thomas Ne1son, Nashville 1991, '200 1 , et: > che dalla nar­ razione "storica" dell'esodo e del Sinai giunge all'ano creatore, analogamente a Prv 8,22, in cui la l)okmd si autopresenla come il «principio del cammino» di JHWH (ri'Iit dar/W). Anche l'invito a domandare in Dt 4,32 (> (A. NEHER, L" essenza del profetismo, Marietti, Casale Monferrato AL 1 984 [orig. frane. 1972] , 1 80). ,.. Questa riflessione ci permette di ribadire una specificazione circa la categoria di "castigo". In Gn 1 - 1 1 più pagine possono essere presentate con la struttura di "delitto-castigo". Tra di esse, anche il rac­ conto del diluvio. Non bisogna però assumere i termini acriticamente, attribuendo al Dio di Gn 1 - 1 1 la RAo,

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3.2. Narrazione e ispirazione La questione del metodo, tante volte enfatizzata in esegesi, va riportata nel suo contesto proprio e ridimensionata sulla base di un giudizio epistemologico, in quanto ogni metodo è già espressione di una presa di posizione nei riguardi del problema veritativo. Bisogna superare la divaricazione istituita dal metodo cartesiano, che porta a identificare il criterio veritativo in un principio stabilito a prescindere dali'evidenza stessa della verità. Prendo a prestito una conclusione di A. Bertuletti: La fine della verità come questione critica che questa opzione comporta invita a rovescia­ re la prospettiva, restituendo la questione del metodo alla questione extrametodica della verità. Il criterio veritativo non ha lo statuto di un principio separato dall'esperienza effet­ tiva, ma della condizione immanente, perché questa si realizzi come esperienza della ve­ rità. Il metodo che può giudicare della verità è quello che essa ha preliminarmente istitui­ to come la "via" di accesso alla sua evidenza.'"

Per non incappare in questa impasse, quando si utilizzano gli apporti critici ­ letterari o storici che siano - nel momento dell'interpretazione bisogna evitare che da organon si trasformino in criteri che (pre)giudicano l'evento dell ' ispira­ zione, originario e da sé evidente. All'evento originario si è continuamente rimandati dalla fecondità del simbo­ lo. Attraverso il simbolo e la sua sovradeterminazione di senso, si è già progetta­ ti nel mondo, non potendo disporre dell 'inizio assoluto e, nel medesimo tempo, si scopre la possibilità di progettare quel futuro che costruisce la nostra stessa esperienza. Poiché il pensiero che riflette su di sé è sempre preceduto da un sape­ re che rende possibile l'atto riflessivo, si produce un movimento à rebours, che non raggiunge mai il fondamento, fa svanire il progetto di autofondazione e sco­ pre che la Lebenswelt originaria non è mai data, ma sempre presupposta. Il tema dell 'ispirazione, se collocato nel contesto più ampio di una narratolo­ gia, produce tre possibili guadagni: l ) L'ispirazione si comprende entro il darsi originario dell'evento, che deve essere «rivelazione» o «autocomunicazione». Tale autocomunicazione, per po­ ter essere comunicata, esige di essere trasformata in linguaggio umano. Essa precede e fonda ogni tentativo metodico di spiegazione e di comprensione. L'eduplice e ambivalente caratteristica del Dio salvatore e del Dio punitore. La categoria di "castigo" in que­ ste pagine vuole esprimere ] "'orrore'' del male, causato dal comportamento sbagliato dell'uomo. L'inter­ vento di Dio. in simboli giudiziali. evidenzia la presa di posizione dell'uomo. D'altra pane, con una for­ te coscienza che tutto dipende da Dio. si fanno risalire a Lui anche quegli eventi che sono l'epifania del male e che sono frutto della libertà sbagliata dell'uomo. Per un approfondimento del tema, cf D.J. A. CLINES, Noah'sflood, 1: The theology oftheflood narrative, FaT 100,2 ( 1 972s) 128-145; P.D. Mn.LER, JR., Genesis 1-11. Studies in structure and theme (JSNT.S 8). Univ. Press. Sheffield 1 978; H.P. MOLLER, Das Motivfor die Sinrflut; Die hermeneutische Funktion des Mythos und seiner Analy.> da percorrere (che è la strada del deserto, ma anche il comandamento per la vita). Israele nel deserto si è scoperto 'iinaw «povero>>: la radice è molto ama­ ta dalla spiritualità post-esilica degli anawfm, per CUi «povero>> e diventano sinonimi di pio e devoto; il deserto è un periodo di «educazione>> (jasser: v. 5). L'educazione, secondo lo stile pedagogico dell'epoca (solo dell'epoca?), era sempre connessa alla fatica e alla privazione, per giungere alla gioia di nuove conquiste. JHWH si dimostra nel deserto sapiente pedagogo del suo popolo: gli fa sentire il biso­ gno (l'umiliazione di cui si parla nei vv. 2.3. 1 6) per condurlo a comprendere la gioia della provvidente cura (>). È una legge della vita spiritua­ le, che Giovanni della Croce esprime in questi termini: «Dove ti nascondesti, in gemiti /asciandomi, o Diletto? Come il cervo fuggisti, dopo avermi feri­ to... Dopo aver piagato questo mio cuor. perché non lo sanasti? Giacché me l' hai rubato, perché così il /asciasti, senza prender con te quel che ruba­ sti?>>; il deserto è un periodo di nsh «prova>> (v. 2 e poi nel v. 1 6). Il verbo ebraico ha un campo semantico molto ampio, avendo in sé anche il tema del nostro «tentare>>: Neii'AT Dio può "tentare" l 'uomo come l ' uomo può Dio. Si pensi, per com­ prendere meglio, al moderno "tentativo" scientifico, all'"esperimento". Si "tenta" qualcu­ no nel senso dell' AT, quando lo si mette in una situazione in cui dovrà dare buona prova di sé o decidere o almeno manifestarsi. Secondo Dt 8 Dio è dunque educatore del suo po­ polo Israele quando lo pone in situazioni critiche, riducendolo alla fame, per esempio, o dandogli un sostentamento miracoloso. Queste situazioni eccezionali sono esperimenti dell'educatore, nei quali il popolo d 'Israele deve mostrare quello che ha in sé, deve cre­ scere e dare buona prova di sé."'

Ma la «prova» o la «tentazione» continua anche nella situazione di benesse­ re, quando Israele avrebbe dovuto già sapere che «l'uomo non vive di solo pane>> ma è totalmente dipendente da Dio che dona la vita e tutti i suoi bene­ fici (sarà questo il tema della seconda parte del capitolo); il deserto conduce ad una nuova «conoscenza>> (jada ': v. 2, v. 3 per ben tre volte e v. 5). Nella del deserto, Dio sarebbe venuto a conoscere che cosa Israele aveva nel cuore e Israele avrebbe raggiunto una nuova cono­ scenza di quanto Dio avrebbe potuto fare per lui e di chi sia JHWH. È un tema di provenienza profetica, particolarmente Osea e Geremia (cf, per citare solo qualche passo notissimo, Os 2, 16-25; I l , l ss; Ger 2; 9,22-23). JHWH è il Dio che chiama alla libertà e suscita la risposta libera del suo popolo: la «crisi>> del deserto è il giudizio che sempre l'uomo sperimenta nella sua vita. Questi "' N. Lo!IPINit, Ascolta, lsraele, 86.

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primi versetti del capitolo devono condurre l'ascoltatore a comptendere che Dio rimane sempre colui che chiama alla libertà per giungere alla vita e alla nuova «conoscenza» , anche in una situazione di benessere (vv. 7ss). In que­ sta luce va interpretata la finalità espressa ali' inizio di tutta la pericope. La condizionalità della benedizione non esprime l'ambiguità della proposta di Dio, ma il possibile esito della libertà umana: «Se tu avresti osservato o no i suoi precetti>> (v. 2); - il deserto come simbolo dell'"itinerario spirituale" d 'Israele (derek: vv. 2 e 6). Il cammino del deserto, che approda al dono della terra superando la «ten­ tazione>>, è simbolo fecondo del cammino obbedienziale dell'alleanza, che deve condurre a «temere>> J HWH, superando la tentazione di considerare i co­ mandamenti come gravame inutile ed inciampo alla propria emancipazione (cf Dt 6,4-25): «Osserva i comandi del Signore tuo Dio, camminando nelle sue vie e temendolo>> (v. 6). Il «timore di J HWH>> Uir'at JHWH) è uno dei concetti fondamentali nel lin­ guaggio dtn e dtr. '" I principali sinonimi utilizzati ci aiutano a comprenderne l 'ampio campo semantico del «timore>>: amare (Dt 1 0, 1 2); aderire (Dt 1 0,20; 1 3 ,5); camminare nelle sue vie (Dt 8,6; I O, 1 2); seguire (Dt 13 ,5); servire (Dt 6, 13; 10, 1 2.20; 13,5; Gs 24,24; l Sam 12, 14); mettere in pratica i comandamen­ ti (Dt 6,24); giurare nel suo nome (Dt 6,1 3; 1 0,20); ascoltare la sua voce (Dt 1 3,5; l Sam 12,14); osservare [i comandamenti] (Dt 5,29; 6,2; 8,6; 1 3,5; 17, 1 9; 3 1 , 1 2). Balza all'occhio il parallelismo tra «temere JHWH>> e «osservare>> i suoi co­ mandi: la relazione va spiegata secondo K. Baltzer a partire dal formulario del­ l' alleanza, in cui il «timore>> è un merismo che esprime la fedeltà d'Israele da­ vanti a Dio. In questo senso J . Becker dice che «temere JHWH>> va compreso co­ me «>, benché sia fi­ nito il deserto ed Israele abiti la terra della promessa. Si tratta di una catechesi per l'Israele dell "'oggi", fondata su un'avvincente operazione ermeneutica del "passato". E questa è l ' anima non soltanto di questa pagina, ma dell'intera Tora. '" Si leggano tutte le occorrenze in questa letteratura Dt 4, 1 0; 5,29; 6,2.1 3.24; 8,6; 10,1 2.20; 13,5; 14,23; 1 7 , 1 9; 28,58; 3 1 , 1 2. 1 3; Gs 4,24; 24, 14; Gdc 6,10; I Sam 1 2, 14.24; I Re 8,40.43; 2Re 17 ,7.25.28.32.39.41 . Si vedano H .P. STAHLI, jare', fiirchten, in THAT l, 765-778: 774; S. I'LATH. Furcht Gottes. Der Begriffj ir'iì im Alten Testament (AzTh 2,2), Calwer, Stuttgart 1963; J. BECKER, Gottesfurcht im Alten Testament (AnBib 25), Pont. 1st. Bi blico, Roma 1965; K. BALTZER, Das Bundesformular (WMANT 4), Neukirchener Verlag. Neukirchen-Vluyn 1960, ' 1 964, 22s.46s. "' Cf J. B ECKER, Gottesfurcht, !15.

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Ha ragione N. Lohfink quando afferma che i vv. 1 -6 hanno la struttura di un rib profetico (cf Mie 6, 1 -8; Ger 26,7-19; ecc.). L'indicativo salvifico del passato fa comprendere che ancora oggi ogni ricchezza è dono di Dio; e l 'imperativo etico del deserto fa da sfondo all'imperativo etico di sempre che consiste nell'osser­ vare il suo comandamento (= i suoi comandamenti).'" Con il v. 7 inizia una lunga proposizione condizionale che termina al v. 18; ad essa segue una seconda proposizione condizionale al negativo, molto più breve (vv. 19-20). Il lungo periodo ipotetico che forma il corpo del discorso è un indizio di particolare cura con cui l' autore vuole applicare l 'archetipo del deser­ to alla situazione nella �re$ «terra». Dopo la protasi (vv. 7-lOa), inizia la lunga apodosi - così strutturata: una breve frase positiva ( per la decisione di fede. In tale lungo comandamento condizionale compaiono tre ruoli "attanziali": Dio, il popolo e la terra.

a) la terra: essa viene lodata in un breve inno (vv. 7-9). Tenendo conto anche de li ' occorrenza conclusiva del v. l Ob, 'ere$ «terra>> occorre sette volte, con un'inclusione (vv. 7 e 1 0) che ripete il medesimo attributo 'ere$ (ohfi «terra bel­ la/buona>>. Nelle due frasi di questa inclusione appaiono i due verbi-chiave del­ la teologia dtn, con soggetto JHWH e oggetto Israele: «introdurre>> (si usa l' hiphil di bO') e «dare>> (mitan). È JHWH ad introdurre il popolo in questa terra e a do­ nargliela. La condizione del comandamento è dunque il dono già ricevuto. Israe­ le vive dunque nella condizione della pura grazia. Solo dopo che Dio ha fatto tutto questo, Israele è tenuto a osservare il comandamento divino, che non deve mai dimenticare. L"'inno alla terra" è composto dunque da un settenario di attributi. Dopo la lode creazionale (cf Gn 1 , 1-2,4a!) circa la sua «bontà l bellezza>>, si elencano i beni naturali della terra. Dato il clima della 'ere$ «terra>>, il bene naturale princi­ pale è in primo luogo l'acqua. Non si parla della pioggia: l'abbondanza di acqua prescinde da essa, forse in polemica contro i culti ba'alici. Questa terra ha suffi­ ciente acqua al suo interno, quale dono già provvisto dal suo Creatore : si parla di rh6mot, alludendo forse all'abisso, il rhOm di Gn 1 ,2, la massa originaria del­ le acque. 300

Poi si parla delle piante coltivate, nutrite da questa terra, e insieme del miele. Si tratta del "dialogo agricolo" tra l 'uomo e la terra, senza negare anche a questo proposito una punta polemica contro i riti della fertilità dei culti cananaici. Da ultimo si parla delle risorse minerarie, particolarmente presenti nelle zo­ ne meridionali (Mar Morto, Negheb e Araba), dove erano attive molte miniere lungo tutto il periodo monarchico. È il "dialogo tecnico", stabilito dall'uomo con questa terra. Potremmo ricordare Gb 28, 1 - l l , un'altra pagina stupenda do­ ve lo stupore del poeta intreccia la ricchezza del sottosuolo con la fecondità del­ la superficie, anche se in quel caso il tema viene sviluppato per illustrare me­ taforicamente la capacità di "ricerca" dell homo faber, incapace però di trovare il luogo della l)okma «sapienza». '

Questa «terra stupenda» è benedizione di Dio e deve suscitare la benedizione del popolo (cf Dt 26, 1 - 1 1 ). Ma è anche occasione di "crisi", perché la ricchezza procurata dal proprio lavoro potrebbe condurre a dimenticare che tutto è dono.

b) il popolo: l 'autore dtn analizza con raffinata psicologia il rischio del be­ nessere, in tre tempi (vv. 12- 1 3 . 1 4 e 17). l) vv. 1 2- 1 3: sono un quadro caratterizzato dal verbo rdba . Il cuore si inorgoglisce e dimentica Dio. Mangiare e saziarsi è situazione ambigua: può aprirsi alla benedizione di JHWH o può condurre a «dimenticarsi>> di Lui. Se il ricordo è il linguaggio della fede, la dimenticanza è l 'espressione dell'ateismo. Dato che per l 'Israele antico ciò era impossibile, dimenticarsi di Dio significava mettersi alla sequela di altri dèi (cf 6, 1 2- 1 5). La prosperità e il benessere possono essere strumenti di "re-ligio" (riconoscimento della benedi­ zione divina) oppure possono portare alla tentazione prometeica dell'autosuffi­ cienza. Dio non viene combattuto, ma dimenticato. Con orgoglio sprezzante, non si tiene più conto dei suoi comandamenti. 3) È quanto dice appunto il v. 17. Nel progresso economico dell'uomo sorge la tentazione fatale dell'orgoglio, che porta ali' autoesaltazione, cinica e burlesca insieme: «la mia forza e il mio braccio mi hanno procurato questa ricchezza>>. Nientemeno che la pantomima di un inno normalmente rivolto a Dio (cf Es 1 5,2; Is 1 2,2; Sal l l 8, 1 4; si ricordi anche quella stupenda pagina di ironia drammati­ ca in Gb 40,9- 14). L'uomo sente Dio come concorrente e pensa di emanciparsi, eliminandolo dall'orizzonte della sua esistenza.•ss '" Si ricordi la valorizzazione del progresso umano in Gn 4.

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Se Israele dovesse pensare in questo modo, avrebbe perso la prova. La rea­ zione esatta viene invece descritta nel v. 18: . Il ri­ schio più grande per la situazione di benessere è quello di accantonare Dio, co­ me ipotesi inutile e ingombrante. Perciò, in questa situazione il comandamento principale della parenesi dtn è il pressante invito a «ricordare>>, a «non dimenti­ care». E ciò eviterà ad Israele la tentazione di camminare dietro ad altre divi­ nità, apparentemente più efficienti dal punto di vista economico. Anche l 'ab­ bondanza è compimento di una promessa che viene da Dio: è un'abbondanza che risale al giuramento dell 'alleanza fatto con i Padri e che "oggi" si rivela. La dipendenza manifestata nel deserto, in cui si era sperimentato che l 'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, deve ora il­ luminare vitalmente l'esperienza attuale di benessere. La terra è dono di JHWH: è Lui che la fece così e la diede in dono ai figli di Israele; è sempre Lui a donare in essa tutte le ricchezze.

c) Dio: JHWH è presentato con quattro attributi che riassumono la sua azione storica nella vicenda dell'esodo, cui se ne aggiunge un quinto sulla benedizione che continua nell'oggi: V.

14:

hamm6$f'iikci me'ere.r mi$rajim mibbet 'cibtidim «che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, casa di schiavitù»

v. 15a:

hammolfkcikti bammidhdr haggdd6/ wehannord'

V.

15b:

hammt5$f'/'kd majim mi.f$Ur hal]alldmis >, richiama direttamente il deca­ logo: «se seguirai altri dèi e li servirai e ti prostrerai davanti a loro>>. La seconda espressione è un antonimo di «temere>>, i.e. «non ascoltare la voce di JHWH vo­ stro Dio>>, con una sfumatura che si avvicina all analoga espressione giovannea, quale formulazione della fede. '

La prosperità e il benessere diventano una minaccia e una tentazione per l'I­ sraele storico. Gli fanno assumere una visione della realtà ciclica, astorica, "ma­ terialistica", in cui si può anche fare a meno dell' ipotesi di un Dio liberatore, che ha scelto un popolo per stringere con lui un patto. L'autore dtn legge questa crisi al momento in cui il popolo deve cambiare vita e passare dalla vita noma­ dica a quella sedentaria. La memoria della vicenda esodi ca - «uscire dali 'Egitto>>-«camminare nel de­ serto>>-«entrare nella terra>> - getta la sua luce sulla situazione dell "'oggi". Così la storia si attualizza e il presente diventa storia, plasmato dalla figura del Dio de II' alleanza che invita alla fedeltà. Inoltre la memoria diventa il fondamento dell'imperativo etico: la t6rd-istru­ zione diventa tora-legge e l 'identità del Dio dell'esodo diventa il punto di par­ tenza dello stesso comandamento: «> avvenne così. Lo schema che Gn 1 - 1 1 applica a tutta l' umanità (eziologia metastorica) e che il Sal 5 1 ,7 applica al singolo orante (eziologia esistenziale), Es 32-34 lo applica alla storia del popolo d'Israele. Per questo parlo di eziologia storica. Alludendo al linguag­ gio teologico, potremmo anche parlare del peccato originale d 'Israele. Se è corretta tale interpretazione di Es 32-34, si comprende perché questo passo abbia assunto la posizione centrale nella narrazione della Tora: è l'e­ sperienza dell'Israele di sempre. Il periodo del deserto diviene normativa non solo perché i n esso è collocata l ' alleanza sinaitica, ma anche perché nella storia narrata e in tutti i corpi legislativi raccolti emerge chi è JHWH e chi è Israele.

È giusto, dunque, che nella cornice di Es 32-34 sia collocato uno dei ritratti più belli di JHWH, che Albert Gelin ha definito la «carta d'identità del Dio del­ l' esodo>> (Es 34,6-7): 'JHWH, JHWH, Dio misericordioso e clemente, lento all'ira e ricco di benevolenza e lealtà, 'che conserva la sua benevolenza per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli deifigli fino alla terza e alla quarta generazione."'

È una sintesi della teologia profetica. Il commentario migliore al passo è da­ to da quelle pagine profetiche che parlano dell'amore appassionato di JHWH, so­ prattutto Os 1 -2; 1 1 - 14; Ger 2-3; 30-3 1 ; Dt l O- I I ; Ez 16; 20; 23; 34; Is 54; 62 .. Osea ci offre la ragione del comportamento divino, inaccessibile ai nostri sche­ mi: (Os I l ,9). Una santità che si manifesta nella misericordia senza ambiguità, una trascendenza che si lega appassionatamente alla storia dell'uomo. JHWH con l'u­ scita dall'Egitto si era presentato come liberatore; ora, nell'intimità del deserto si manifesta come amore incondizionato. .

"' Atrenzione all'interpretazione corretta del contrasto tra le mille generazioni di perdono e le tre o quattro generazioni di punizione. Non si vuole presentare con questo una cena ambiguità in Dio, ma la illogica e infinita sproporzione della sua misericordia. JHWH è e rimane solo il Dio della salvezza. La pos­ sibile ambiguità sta nell'accoglienza o nel rifiuto da pane della libenà dell'uomo e non in Dio. Tutti i peccati sono perdonabili, dirà Gesù, eccetto il peccato (o la bestemmia) contro lo Spirito santo (Mc 3,29; Mt 12,31), ovvero eccello quando si riliuta il perdono.

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Si potrebbe procedere con un 'ulteriore riflessione circa il peccato originale di Israele. Il popolo è nato «nel peccato». JHWH non aveva ancora terminato di concludere la sua b'rft e il popolo lo aveva già tradito. Per usare un'affermazio­ ne di Paolo in Rm I l ,32: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia>>. L'esperienza d'Israele è in realtà l'esperienza di ogni uomo guando tenta di costruirsi una falsa libertà, apparentemente emancipata da Dio. E il momento in cui sperimenta la peggiore schiavitù. Il popolo liberato dall'E­ gitto doveva sperimentare una liberazione ancora più radicale: quella di capire che JHWH, quel Dio che lo stava conducendo nel deserto verso la terra della pro­ messa, non era manovrabile o influenzabile come una statua di legno e d'oro. Era un Dio «totalmente Altro>>. Da questo punto di vista, il tema della presenza di Dio assume tutto il suo spes­ sore a partire dali ' ironia della richiesta in Es 32, 1 -2: un dio > con Dio e può vedere la sua immagine, anche se solo di spalle.

'" Questo elemento andrebbe confrontato con la «teologia della bestemmia» di Ezechiele (cf, ad es., Ez 20,4 1-44; 36,20-23) o del Secondo Isaia (ad es., ls 48 , 1 1 ). "' Per una discussione su questo problema, si può vedere ALONSO - StCRE, l profeti... , 63-66. '" Cf G. VON RAD, Teologia dell'Antico Testamento, Il, 323s. '" H.W. HERTZBERG, Sind die Propheten Fiirbitter', in E. WORTHWEIN - 0. KAtSER (curr.), Tradition und Situation: Studien z. a/tte.> (i). Di Gàlga­ la vengono date due etimologie: gilgal significa «cerchio di pietre>> e quindi si collega alle dodici pietre che ricordano il passaggio del Giordano; ma a 5,9 è as­ sociata all'aver tolto (gli) il disonore di essere incirconcisi. Il gioco di parole prosegue poi col (7 ,26; 8,29) e il rotolare (gollu) delle pietre ( l O, 1 8). Nel caso di Gàlgala viene esplicitata anche la funzione di questi racconti, perché dovranno essere raccontati ai figli quando (4,6.2 1 ; cf Es 1 2 ,26). Così altri mucchi di pietre sparsi nel territorio e che esistono (7,26; 8,29; 1 0, 1 1 .27) sono collegati a un episodio, come quando si spiega il nome della Valle di Acor, cioè della o del taboo ('kr 7 ,25). Sulla pietra verrà scritta una copia della legge di Mosè (8,32) e una pietra ricorderà le parole del Signore scritte nel libro della legge (Gs 24,26-27). Non abbiamo spiegazioni solo di toponimi, ma anche de li' origine di certi gruppi come i gabaoniti > del Signore (nal)iiliih). Il sostantivo ebraico ricorre 50 volte in Gs su 220 in tutto il TM; esso indica una parte di possesso fondiario inalienabile, che si ottiene per eredità (yr!) o è data in dono (ntn); infatti più volte, fin dall'inizio, si ribadisce che questa terra è «do­ nata>> dal Signore ( 1 ,2.3.6. 1 1 . 1 3. 1 5). Questo dono della terra è collegato al (nw�). alla pace che il Signore procura al suo popolo ( l , 1 3 . 1 5 ; 2 1 ,44; 22,4; 23, 1 ). Il possesso della terra era già stato promesso da Dio ai padri; perciò alla fine del libro si afferma che le promesse si sono completamente realizzate (2 1 ,43-45; 23, 1 4- 1 5). Siccome però, secondo una diffusa pratica del diritto del Vicino Oriente Antico, l'eredità fondiaria è indivisibile se prima il defunto non ha provveduto a donarla, essa risulta un 'eredità in possesso comune di tutti i be­ neficiari (i b'ne yisriiel figli di Giacobbe) e in attesa della spartizione viene affi­ data a un amministratore, che in tal caso sarebbe Giosuè che deve cacciare gli abusivi del terreno, cioè i cananei.'9 Un metodo frequente di spartizione era ap­ punto la sorte (goriil), che è un modo per conoscere la volontà divina. Solo la tribù di Levi resta senza territorio, ma le sono assegnate delle città (cap. 2 1 ), perché la sua è il Signore (1 3, 14; 1 8,7). " Smend parte proprio da questo te5to per la sua ipotesi. percM la triplice ripetizione «sii rone e co­ nggioso» (vv. 6.7.9) dimostra un successivo intervento di un aUiore interessato alla legge (DtrN) che nei vv. 7-8 dà un nuovo significato alla formula e intende la legge come libro della legge scritta. " È noto il rappono con Giosia che riscopre il libro della legge. Inoltre, Giosuè non è un modello li­ mitato alla storiogralia deuteronomistica, perché anche in Ne 8,17 in occasione della lettura della legge e della festa delle capanne si aggiunge: «perché gli israeliti non avevano fano così dai giorni di Giosuè, fi­ glio di Nun, lino a quel giorno». Il rappono con Mosè suggerisce anche un collegamento con le tradizio­ ni del Pentateuco e perciò favorirebbe la leoria dell'esaleuco, perché la formulazione del credo storico fi­ niva con l'ingresso nella terra promessa (DI 26,5b-9). G.W. CoATS, The Book o[Joshua: Heroic Saga or Conquest Theme ' , JSOT 38 ( 1987) 15-32, sostiene che il libro abbia la fonna della saga eroica e che nei capp. 1-5 sia strenamente collegata al tema dell'esateuco. " A.M. Krrz, Undivided lnheritance and Lot Casting in the Book o[Joshua, JBL 1 1 9 (2000) 601-618.

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Vi è una tensione nel libro tra l'affermazione di una conquista completa e al­ tri indizi che sembrano smentirla, come l 'assegnazione di territori ancora da conquistare ( 1 3 , 1 -7). Altri indizi sono l'ammissione della presenza di cananei «fino al giorno d 'oggi» ( 1 3, 1 3 ; 14,14; 1 5 ,63; 1 6, 1 0), l ' ampio spazio riservato alla tribù non israelitica di Caleb ( 1 4,6- 14; 1 5 , 1 3- 1 9) e la presenza di tribù in Transgiordania. Gli ultimi tre capitoli cercano di affermare l 'unità di Israele per vie diverse: evitando la scissione (cap. 22), mettendo in guardia dal nemico in­ temo (cap. 23), impegnando il popolo in una scelta personale (cap. 24). Alla fi­ ne ognuno ritorna al proprio territorio (24,28; cf 2Re 12, 1 6 ): Israele è una fede­ razione che presuppone il posto inalienabile del singolo, della famiglia nel clan, del clan nella tribù, della tribù all'interno di Israele. È un sistema che si oppone alla drastica unificazione compiuta dalla monarchia. La guerra

Il libro inizia e finisce mettendo l ' accento sul libro della Torah, per cui i l possesso della terra non è garantito dalla forza delle armi, m a dall'osservanza della legge (23, 16); però la prima parte del libro insiste sulla guerra e sull' elimi­ nazione di tutti gli abitanti del paese. Come nel libro dei Giudici, le guerre che Israele combatte contro i cananei sono guerre condotte dal Signore, e per questo spesso chiamate "guerre sante" o "guerre di YHWH" (cf Nm 2 1 , 1 4 . Qualcuno pensa anche che all'origine del libro ci sia stato un "libro dei salvatori" (Retterbuch), una raccol­ ta di storie di eroi tribali del regno del nord di natura antimonarchica. l due grup­ pi, distinti in base al verbo che l i caratterizza, non vanno confusi con un 'altra di33 1

visione frequentemente usata: quella tra giudici maggiori e giudici minori. Que­ sti ultimi sono semplicemente ricordati con una breve annotazione in un paio di liste, invece i primi sono i protagonisti delle avventure narrate. Il problema fondamentale è però la natura di questo libro. Il materiale conte­ nuto si presenta nelle forme tipiche della letteratura popolare, che descrive per­ sonaggi esemplari spesso trattati in modo umoristico. Troviamo indovinelli, fa­ vole, saghe; anzi, buona parte del libro potrebbe essere definita una serie di sa­ ghe eroiche. Di conseguenza, sul piano storico ci si chiede quali informazioni offra il libro in merito all 'epoca storica descritta; invece, sul piano letterario ci si interroga sul modo con cui questo materiale è stato trasmesso e cucito insie­ me passando per varie tappe redazionali.22 La descrizione dell'epoca dei giudici servì a Noth per elaborare la sua teoria dell'anfizionia, cioè di una lega sacra tra le tribù, ma oggi si ritiene piuttosto che questa epoca sia una costruzione ideologica della scuola deuteronomistica; in­ fatti, il periodo di 480 anni che va dall 'esodo alla costruzione del tempio ( I Re 6, l ) è una cronologia teologica ( 1 2 generazioni di 40 anni). Il quadro storico è, inoltre, totalmente diverso da quello di Giosuè: la terra è occupata da altre popo­ lazioni e le tribù israelitiche sono sotto il loro controllo. Ciò ha indotto gli stu­ diosi a formulare varie ipotesi a proposito dell'origine di Israele. Indicazioni sto­ riche possono venire dalla presentazione negativa di Efraim, Betel e Dan, che saranno centri politici e cultuali del nord, e della tribù di Beniamino, da cui vie­ ne Saul; ma varie epoche possono candidarsi per queste polemiche e qualcuno ha addirittura collocato il libro nel contesto della lotta degli asmonei per il con­ trollo della Giudea (II sec. a.C.).'-1 Anche sul piano letterario sono state proposte varie teorie sulla formazione del libro. Al Dtr è attribuita la formulazione dello schema con cui vengono pre­ sentate le gesta dei giudici i n un 'altalena tra caduta, punizione e liberazione (2,6-3,6). Alcuni attribuiscono alla stessa mano anche la concretizzazione dello schema nell'esempio di Otniel (3,7- 1 1 ). Altri considerano il libro come una composizione letteraria indipendente, opera di un autore che ha elaborato il ma­ teriale a sua disposizione secondo un preciso piano e intento.

Struttura Il libro dei Giudici si lascia facilmente dividere in tre parti: un'introduzione ( 1 , 1 -3,6), il corpo principale e una conclusione (capp. 17-2 1 ). Un tempo la con" R. BARTELMUS, Forschung am Richterbuch seit Martin Noth, TRu 56 ( 1 991) 221 -259; K.M. CRAIG Jr., Judges in Recent Research, CBR l (2003) 159- 1 85. " l. HIELM, Jerusalem"s Rise to Sovereignity: Zion and Gerizim in Competition (JSOT SS 404), T&T Clark. London 2004, 195, collegandosi anche alla tesi di Strange. Vi sono elementi che si adattano bene all'epoca ellenistica: il sacrificio della figlia di lefte ricorda l'Ifigenia in Aulide di Euripide, Sansone ri­ chiama i miti di Eracle, elementi della favola di lotam hanno paralleli nella letteratura greca. Al contrario T.C. BUTLER, Judges (WBC), Nelson. Nashville 2009. lxxiv, lo colloca alla nascita della monarchia, nel­ la rivalità tra Saul{ls-Boshet e Davide. Un'opinione diffusa ritiene che il canto di Debora (cap. 5) sia la composizione più antica dell'AT.

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elusione era ritenuta un'appendice, ma ormai tale opinione è stata abbandonata perché si è riconosciuto il ruolo di questi capitoli nella struttura complessiva. Qualcuno fa iniziare le storie dei giudici da 2, 1 1 (usando il criterio della morte di Giosuè come inclusione: 1 , 1 e 2,6- 10); ma poiché segue la presentazione dello schema deuteronomistico che regge le vicende dei singoli giudici, la seconda notizia della morte di Giosuè si può considerare come l ' inizio di una seconda introduzione. Diversi studiosi hanno notato una struttura concentrica, con Ge­ deone al centro. 24 Per i l corpo principale del libro sono state proposte altre divi­ sioni, come quella in sette cicli attorno ai cosiddetti giudici maggiori, oppure quella che fa corrispondere i dodici giudici al ciclo dell'anno solare. Qualcuno mette al centro del libro la storia di Iefte, che sarebbe stata inserita spezzando in due un'originaria lista unica di giudici minori ( 1 0, 1 -5 e 1 2,7- 1 5)." Più che la disposizione degli elementi è interessante la progressione del li­ bro, da cui risulta un progressivo deterioramento della situazione. Per esempio, lo schema deuteronomistico non si presenta in forma completa in tutti i casi, an­ zi diventa via via più frammentario e incompleto. Il primo giudice, Otnièl, è esemplare sotto ogni aspetto, ma con l 'ultimo, Sansone, è rimasta solo una trac­ cia dello schema, quando costui comincia a liberare Israele di sua iniziativa ( 1 3,5). Sembra che quanto più spazio è dedicato a un giudice tanto peggiore sia (solo per i primi giudici viene indicata la durata del periodo di pace), per cui il ciclo di Sansone costituisce il climax. I primi tre giudici pongono le basi per le storie successive perché stabiliscono qual è il ruolo dei capi. Con Debora inizia un rovesciamento dei ruoli, perché il giudice Barak non è in grado di fare da guida; al suo posto, per liberare Israele, Dio usa due donne. La storia di Gedeo­ ne mette in scena tre generazioni di una stessa famiglia: dopo la vittoria egli ri­ torna alle pratiche idolatriche (il suo nome era Ierub-Baal) e prende una concu­ bina cananea, dalla quale avrà un figlio adoratore di Baal e omicida, Abimèlec, che come presagisce il suo nome («mio padre è re») si proclamerà re, ma farà una misera fine. In contrasto coi giudici minori che hanno molti figli, Iefte met­ te fine alla propria famiglia per un folle voto. Anche Sansone fallisce il suo com­ pito non riuscendo a farsi una famiglia con dei figli, anzi viola la norma che proibiva i matrimoni con le straniere. Questo progressivo deterioramento diventa uno sfacelo nella conclusione. Un uomo di Efraim di nome Mica si fabbrica degli idoli per un santuario priva­ to e si procura un sacerdote (cap. 1 7), ma la tribù di Dan che è alla ricerca di un territorio si porta via con sé il sacerdote e il santuario di Mica (cap. 18). La con­ cubina di un [evita viene uccisa a Gàbaa in violazione delle leggi dell'ospitalità (cap. 1 9) e tutto Israele si impegna a vendicare questo delitto eliminando quasi " D.W. GoooiNG, The Composition ofthe Book of Jud!ie·'· Eretz Israel 16 ( 1982) 70-79; D.A. DoR­ The Literary Structure of the O/d Testament. A Commenrary an Genesis-Malachi, Baker, Grand Ra­ pids 2004, 1 1 9, nota una corrispondenza tra il prologo e l 'epilogo: (a) guerra santa contro i cananei ( 1 , 1 -2,5); (b) declino ciclico d' Israele (2,6-3,6); (b') permanente idolatria d' Israele (capp. 1 7 - 1 8); (a') guerra civile contro i beniaminiti (capp. 19-21 ) ; al centro stanno le vicende dei sette giudici maggiori. " Una presa di posizione contro la lettura del libro come unità letteraria autonoma è quella di S. Fao­ LOV, Rethinking Judges, CBQ 7 1 (2009) 24-41. SI!Y,

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del tutto la tribù di Beniamino (cap. 20), ma alla fine cercano di ricostruire la tribù consentendo un ratto delle figlie di Silo (cap. 2 1 ). Altri elementi mostrano questo deterioramento, come la presentazione delle figure femminili. Acsa soddisfa le sue giuste rivendicazioni ( 1 , 12- 1 5), Debora è un'autorità e Giaele un eroe (capp. 4-5), la figlia di Iefte è sacrificata (cap. 1 1), la moglie di Sansone è uccisa ( 1 5,6), la filistea Dalila fa catturare Sansone (cap. 16), la concubina del levita è violentata, uccisa e fatta a pezzi (cap. 1 9), le vergi­ ni di Iabes e le fanciulle di Silo sono rapite e violentate (cap. 2 1 ) Anche dal punto di vista mil itare si passa da una fase di vittorie a una di fallimenti, infe­ deltà e tragedie personali. Ogni volta che un israelita muore di mone violenta è sempre per mano di un altro israelita! .

Rapporti col libro di Giosuè Il libro dei Giudici è formalmente collegato al libro di Giosuè sia per la for­ mula con cui inizia (> (2, 1 1 ; 3,7. 1 2; 4, 1 ; 6, 1 ; 1 0,6; 1 3,1). b) Allora Dio lascia che Israele sia oppresso dai nemici (2, 1 4; 3,8. 1 2; 4,2; 6, 1 ; 10,7; 13, 1 ). c) In questa situazione di oppressione Israele grida al Signore (3,9. 1 5 ; 4,3; 6,6; 10, 10). d) Dio suscita quindi un salvatore (3,9. 1 5), anche se è sempre il Signore a procurare la vittoria al suo popolo. e) Il nemico viene soggiogato (3,30; 8,28; 1 1 ,33) e finalmentefl il paese ottiene il «riposo>> (3, 1 1 .30; 5,3 1 ; 8,28). Questo schema deuteronomistico dà al libro la sua i mpronta decisiva e ab­ biamo visto come progressivamente si dissolva. Lo schema mostra in atto la teologia de ll'alleanza, per cui se il patto viene osservato c'è la benedizione, mentre alla disobbedienza segue la maledizione. Ma al popolo è chiesta solo l 'obbedienza e non un impegno militare contro i nemici, perché la salvezza resta sempre un dono del Signore, che sa infondere coraggio e rassicurare con dei se­ gni (6, 15-2 1 .33-40). (3, l O; 6,34; 1 1 ,29; 13,25; 14,6. 19; 15, 14) scende sul giudice, perché è il Signore ad agire. Il messaggio del libro è dunque rivolto a un popolo che si trova nel momento dell'oppressione, perché ri­ torni all'obbedienza dell'alleanza, perché il Signore è sempre pronto ad ascolta­ re il lamento del suo popolo. Nello stesso tempo è un invito a non aver fiducia nelle possibilità autonome di procurarsi la salvezza.

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La monarchia La struttura della parte conclusiva del libro è segnata dal ritornello che «in quel tempo non c'era un re in Israele» ( 17,6; 1 8 , 1 ; 1 9, 1 ; 2 1 ,25), per cui «ognuno faceva come gli sembrava bene» ( 1 7 ,6; 2 1 ,25)." A prima vista sembra che il li­ bro sia un manifesto a favore della monarchia davidica per superare una tragica situazione di anarchia, quale appare negli ultimi capitoli, ma vi sono molti indi­ zi che mostrano un atteggiamento polemico nei confronti della monarchia, non solo perché i nemici sono sempre rappresentati da un re, ma soprattutto perché vi troviamo una forte dichiarazione antimonarchica nell'apologia di lotam contro Abimèlec (9,8- 15). Il problema di trovare una guida per il popolo è fondamentale nel libro (a differenza di Gs), perché all'inizio del libro e all'inizio dell'ultimo atto leggiamo la stessa domanda e la stessa risposta: «chi di noi andrà per primo a combatte­ re .. ? Il Signore rispose: Giuda andrà ... » ( 1 , 1 -2 = 20, 1 8). Esso inizia con la fine a Gerusalemme di un re, che a sua volta aveva catturato altri settanta re ( 1 ,6-7), ha al centro il tentativo fallito di Abimèlec di farsi re, e finisce col ritornello che non c'era un re in Israele. I singoli giudici appaiono alla fine strumenti inutili e spesso portano la crisi all'interno di Israele (per esempio 1 2, 1 -7); inoltre l'eroe ha come unico quadro di riferimento la propria famiglia: sono individualisti, co­ me si vede chiaramente con Sansone. La conclusione riconferma allora l'impor­ tanza del sistema tribale, cioè della propria famiglia (2 1 ,24). .

Vedremo anche nel libro di Samuele la polemica contro la monarchia. Dalla conclusione del libro dei Re emergerà il senso complessivo della storiografia deuteronomistica e il suo rapporto con l 'istituzione monarchica.

Le donne Una caratteristica del libro dei Giudici è la notevole presenza di figure fem­ minili: se ne contano una ventina, e ciò è ancor più significativo dato l 'orienta­ mento patriarcale della società israelitica. La loro presenza risalta ancora di più perché il loro intervento nella storia risulta positivo, al confronto di quello ma­ schile. Ma le letture femministe della Bibbia hanno ridimensionato questo spa­ zio.,. Ad esempio, molte vengono indicate in modo generico, senza un nome, e ciò serve a svalutare un personaggio, invece i maschi sono addirittura accompa­ gnati da una nota genealogica. Sei donne sono presentate come esterne alla co­ munità dell'autore o perché straniere o perché prostitute. Inoltre le donne sono definite dalla loro relazione parentale con un uomo (moglie o figlia) oppure dal loro rapporto con un territorio (quelle di Iabes e di Silo). Dunque, il testo ha una ,. La venione della LXX inserisce il libro di Rut tra Gdc e l Sam perché il racconto si colloca «BI tem po dei giudici» (l , l ), ma descrilto in modo più sereno, per cui si interrompe il passaggio dal caos alla monarchia e l 'attenzione si sposta al terna dell'ospitalità in giustapposizione a Gdc 19·2 1 . " A. BRENNER (ed.), A Feminist Companion lo Judges (The Feminist Com panion t o the Bible 4), Sheffield Academic Press, Sheffield 1 993; A. BRENNER (ed.), Judges (The Feminist Companion to the Bible [Second series] 4), Sheffield Academic Press, Sheffield 1 999.

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prospettiva maschilista, come è evidente quando si serve delle donne per rende­ re infamante la morte del guerriero (9,54). La lettura femminista non consiste tanto nel rivalutare le figure femminili della Bibbia, ma nel cambiare il punto di vista del lettore, che diventa una lettri­ ce; si tratta di leggere dal punto di vista di una donna, cioè di tener conto delle differenze di genere che sono di natura culturale. Per esempio, gli esegeti (ma­ schi) hanno accusato Giaele di slealtà (4, 1 7-22), perché Sisara si aspettava di essere accolto dalla moglie di un suo alleato e invece viene ucciso proprio da lei. Ma il primo a violare le leggi dell'ospitalità è Sisara, che va nella tenda del­ la donna e non dal capofamiglia, inoltre è lui a chiedere cose e a pretendere che la donna mentisca negando che lì ci sia un «uomo». Giaele piuttosto che un omi­ cidio commette un atto di legittima difesa, come si può cogliere anche dalle al­ lusioni sessuali nel modo in cui fu ucciso (più chiare a 5,27). Si tratta di un sim­ bolo della vittoria deli' emarginato sulla violenza strutturale della società (ma­ schilista: vedi 5,30).

4. IL LIBRO DI SAMUELE 4.1. Aspetti letterari Problemi Il testo ebraico del libro di Samuele non ci è giunto in buono stato, in parti­ colare per le omissioni dovute a omoteleuton e aplografie, per cui si è di solito usata la versione greca per correggere il TM. La situazione è cambiata con la scoperta dei manoscritti di Qumran; infatti, si vide che le varianti della versione greca erano basate su un testo ebraico differente dal TM. Questa osservazione portò alla cosiddetta "teoria dei testi locali" di F.M. Cross, che collega i tipi te­ stuali a tre aree geografiche (Egitto, Palestina, Babilonia); ma oggi si preferisce parlare di una fluidità del testo precanonico. L'altra difficoltà che presenta lo studio di questo libro è data dalla sua inte­

grità e dai suoi confini. Nel TM il libro di Samuele costituisce un unico libro, co­

me indica la somma dei versetti nel colofone, ma la traduzione greca ha riunito assieme il libro di Samuele e quello dei Re facendo un gruppo di quattro "libri dei Regni". Anche la Vulgata conferma l'unità del libro («incipit liber Samuhelis id est regum primus et secundus»). L'uso greco ha poi influenzato gli umanisti: Bomberg lo adottò neli' editio princeps della Bibbia rabbini ca ( 15 17) e da allora è diventato un uso comune anche per il testo ebraico. Un 'altra minaccia all'inte­ grità del libro è venuta dall'ipotesi deuteronomistica, secondo cui la storia sareb­ be distinta in epoche grazie alle inserzioni del Dtr e così si sarebbe creata un'e­ poca dei giudici da Gdc 2 a l Sam 12, infatti Samuele compare sulla scena con le caratteristiche di un giudice e da I Sam 13 inizia l'epoca della monarchia unita. Oltre ai confini esterni del libro sono risultate problematiche anche le divi­ sioni interne del libro. L'approccio tradizionale distingue tre parti caratterizzate 337

da ciascuno dei tre protagonisti: Samuele (1 Sam 1 - 1 2), Saul ( 1Sam 1 3-3 1 ), Da­ vide (2Sam); però lo studio delle fonti ha ricostruito una situazione più com­ plessa. In un primo tempo si sono identificate in l Sam 8- 14 due fonti o filoni paralleli, uno filomonarchico e uno antimonarchico, che poi vennero identifica­ ti con le due fonti J ed E del Pentateuco. In un secondo tempo non si sono più cercati strati, ma si è visto nel materiale presente nel libro una collezione di sto­ rie in origine indipendenti (magari collegate a santuari come Gàlgala, Mispa, Rama), che erano poi state collegate insieme a formare una narrazione continua. In questo tipo di approccio, proseguendo il lavoro di Leonhard Rost, si sono identificati un antico "racconto dell'arca" ( 1 Sam 4-6 + 2Sam 6), una storia del­ l'ascesa di Davide (una specie di Bildungsroman, fatto di frammenti dalla sezio­ ne 1 Sam 23 - 2Re 5, ma poi ampliata da altri studiosi) e una storia della succes­ sione di Davide (2Sam 9-20 + I Re 1 -2).10 Successivamente si è passati allo stu­ dio della redazione con la teoria di Noth, che includeva Sam nella storia deute­ ronomistica, ma che comunque riconosceva pochi interventi del Dtr in Sam. Questi approcci alla storia della formazione del libro si occupano soprattutto di collocare nello spazio e nel tempo queste fonti o tradizioni e in genere le vedono molto prossime agli eventi narrati, se non addirittura contemporanee, e attribui­ scono l 'atteggiamento antimonarchico a un'origine settentrionale della tradizio­ ne. Gli studi più recenti hanno invece operato una svolta partendo dalla forma canonica del testo letto con un approccio narrativo e, nella misura in cui ricono­ scono l'arte del narratore e l'artificiosità della composizione letteraria, spostano sempre più in basso la datazione del testo." Questa situazione complessa.ci induce ad analizzare il libro partendo dai sin­ goli blocchi identificati nel corso delle precedenti ricerche e di indicare alcuni elementi strutturali. La tradizione di Si/o I primi tre capitoli descrivono la fine del regno del santuario di Silo, dove era conservata l'arca, a causa dell 'indegna condotta dei figli del sacerdote Eli. L'i­ nizio del libro è un richiamo al libro della Genesi: Elkanà ha due mogli, una con figli e l'altra sterile, che stanno nella stessa relazione come Abramo, Sara e Agar, ma qui la scena è dominata dalla moglie sterile, Anna. Questa allusione costitui­ sce un annuncio del tema del libro, cioè la fondazione di una famiglia, la dinastia regale. Nel pellegrinaggio annuale al santuario Anna prega per ottenere un figlio e viene esaudita. Dopo averlo svezzato lo riporta al santuario e lo offre al Signo­ re (sii'u/ 1-yhwh: il gioco di parole ha fatto pensare che in origine si riferisse in" L. RosT. Die Uberlieferung von der Thronnachfolge Davids (BWANT 42), Kohlhammer, Stuttgart 1926, oltre alla storia dell'ascesa di Davide e alla Ladeerziihlung aveva identificato anche un resoconto sulla guerra ammonita ( 10,6--1 1 , l ; 1 2,26-3 1 ). " Una rassegna di studi che segnano una svolta verso la critica letteraria è quella di K. BODNER, Ark­ Eology: Shifting Emphases in "Ark Narrative'' Scholarship, CBR 4 (2006) 169-197. La critica letteraria riesce a spiegare anche le difficoltà testuali: J.E. HARVEY, Tendenz and Textua/ Criticism in l Samue/ 2-10, JSOT 96 (2001) 71-8 1 .

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vece a Saul, vedi anche 1 ,20). In questa occasione Anna eleva un cantico (2, 1 1 0; cf il Magnificai). Il seguito mette in contrapposizione i progressi del figlio di Anna, Samuele (2, 1 1 . 1 8-21 .26; 3, 1 - 1 0. 1 9-2 1 ), col declino dei figli di Eli (2, 1 2- 1 7.22-25.27-36; 3, 1 1 - 1 8). La fine della casa di Eli (segnata anche dalla sua progressiva cecità) costituisce anche l 'inizio del racconto sull'arca (cap. 4). In questo confronto viene anche prefigurata un'altra carriera divergente: quella dell'ascesa di Davide rispetto al declino di Saul. Il cantico di Anna costituisce una chiave ermeneutica per leggere il seguito del libro, anzi di tutta la storia, che anche se non vedrà spesso la presenza divi­ na, andrà comunque compresa in un'ottica teocentrica. Il Dio che «abbassa ed esalta» (2,7) e che «darà forza al suo re>> (2, 1 0) è il Signore della storia. Il canti­ co forma anche un' inclusione con gli ultimi capitoli di 2Sam, dove ricorrono espressioni simili: Dio che è «roccia>> (2,2; 2Sam 23,3), che abbassa ed esalta (2Sam 22,28), che benedice il re (2, l O; 2Sam 22,5 1 ), che fa vivere e morire (2,6-8; cf 2Sam 22, 1 7- 1 9). Il riferimento a un re sembra fuori posto, ma esso annuncia un'ideologia della regalità davidica. La chiamata di Samuele (cap. 3) è conforme alle altre vocazioni profetiche e perciò autentifica la sua parola come parola profetica, ma nel seguito della sto­ ria Samuele ricoprirà anche altri ruoli, come quello di giudice, sacerdote e veg­ gente. La s..toria dell'arca

J. chiamata di Samuele contiene anche un messaggio profetico sulla fine

deIla casa di Eli che viene raccontata nella successiva storia de li' arca, la quale

inizia col resoconto del disastro in cui va incontro Israele di fronte ai filistei quando l'arca viene catturata (cap. 4). Ma in tutta questa vicenda Samuele non è presente; per questo si è pensato a un racconto autonomo (capp. 4-6), che com­ prendeva anche il trasporto dell'arca a Gerusalemme (2Sam 6) e che fosse il hieròs l6gos, il racconto fondatore del tempio di Gerusalemme, che conteneva l'arca. La collocazione di questo episodio subito dopo la presentazione negativa della casa di Eli dà un particolare significato alla perdita dell 'arca, perché viene vista come conseguenza del peccato dei figli di Eli. Il rapporto tra parola profeti­ ca e suo compimento (3, 19) è mostrato dai parallelismi tra la chiamata di Sa­ muele (3,2- 1 8), che riceve il messaggio sulla condanna della casa di Eli, e la morte di Eli (4, 1 2- 1 8): Eli è seduto e non può vedere (3,2; 4, 1 3 . 1 5), uno corre da lui (3,5; 4, 1 2) ed Eli chiede cosa succede (3, 17; 4, 1 6). La morte di Eli serve an­ che come anticipazione della caduta di Saul (Eli era seduto sul «suo trono>> 4, 1 3). I mali che la presenza dell'arca procura ai filistei sono un'allusione alle pia­ ghe d'Egitto, espressamente citato in 4,8; 6,6. Nello stesso tempo l 'episodio ri­ manda alla perdita dell 'arca in occasione della distruzione di Gerusalemme e dell'esilio: «se n'è andata lontano da Israele la gloria>> (4,21 -22: giilah kahOd). Lo scontro tra Israele e i filistei si trasferisce in un campo di battaglia parti­ colare: nel tempio del dio Dagon, dove l'arca viene trasportata, come era abitu339

dine trasportare le immagini delle divinità dei popoli sconfitti. Lo scontro è dun­ que uno scontro tra due divinità e rivela la natura ultima del vero salvatore d'I­ sraele. L'arca viene perciò restituita, ma si ferma al campo di Giosuè (6, 14) e così richiama l 'ingresso nella terra promessa ad opera dell'altro Giosuè, quello del libro omonimo, e crea l'attesa per un nuovo inizio. Il cap. 7 presenta Samuele come giudice che libera Israele e segna anche la fi­ ne dell'epoca dei giudici. Nello stesso tempo vengono ricordate le esigenze del­ l 'alleanza e la necessità di servire solo il Signore; perciò il popolo abbandona gli altri dèi e ottiene la vittoria sui filistei e si capovolge la situazione del cap. 4. Però sembra che il popolo non abbia capito che è il Signore che guida la storia, perché nell 'episodio successivo chiederà un re. La nascita della monarchia

l Sam 8-1 2 descrive le varie tappe che portano all'intronizzazione del primo re: Saul. Nella prima scena (cap. 8) poiché i figli di Samuele si comportano in modo indegno (come quelli di Eli !), il popolo va da Samuele a chiedere un re «come avviene per tutti i popoli» (v. 5), ma Samuele risponde con un elenco di soprusi e di pretese che avanzano i re. Nella seconda scena (9, 1-10, 1 6) Saul viene mandato dal padre a cercare le asine che si erano smarrite e, poiché non le trova, va a consultare il veggente Samuele, che poi lo unge re di nascosto. La ter­ za tappa ( 1 0, 1 7-27) vede Samuele e tutto il popolo riuniti per scegliere attraver­ so la sorte il re e viene designato Saul. Nella quarta tappa (cap. I l ) Saul è accla­ mato re in seguito a una vittoria contro gli ammoniti nello stile degli antichi giu­ dici. Alla fine (cap. 1 2) Samuele pronuncia un discorso di addio in cui dichiara la propria rettitudine e invita il popolo alla fedeltà al Signore per evitare una brutta fine. I diversi modi in cui Saul viene fatto re mostrano l ' importanza di questo evento che viene suggellato in più forme tradizionali: unzione regale, sorte divi­ na, prestanza fisica ( 1 0,23), acclamazione del popolo, azione vittoriosa contro il nemico. Ma la critica delle fonti, fin dall'inizio, ha distinto in queste cinque sce­ ne due filoni paralleli: uno antimonarchico (B) e uno filomonarchico (A) in que­ sta successione: B (cap. 8), A (9, 1- I O, 1 6), B ( l O, 1 7 -27), A (cap. I l ), B (cap. 1 2). Anche se la scena centrale ( 1 0, 1 7-27) sembra filomonarchica perché la scel­ ta tramite sorte può indicare l'espressione della scelta divina e i vv. 24-27 rive­ lano un entusiasmo per il re, il testo mostra elementi stridenti, come i vv. 17-19 che riprendono il tono polemico del cap. 8. Inoltre, il gettare le sorti può essere visto come una forma di disapprovazione del Signore verso la monarchia, per­ ché altri casi simili riguardano la scoperta di uno colpevole di aver danneggiato la comunità ( 14,38-46; Gs 7,1 6-26). Infine, la stesura di un «mispa( del regno», cioè di diritti e doveri (v. 25), pone un limite al potere del re. I due filoni sono stati poi collegati dagli studiosi alle due fonti del Pentateu­ co: J filomonarchica ed E antimonarchica (Eissfeldt attribuì il cap. 1 1 alla fonte laica). Invece Noth attribuì l 'atteggiamento antimonarchico al Dtr e quello filo340

monarchico a una fonte predeuteronomistica; per lui i l discorso del cap. 1 2 se­ gnava la fine del! 'epoca dei giudici. Al contrario altri attribuiscono l'atteggia­ mento filomonarchico al Dtr, mentre quello che mira a discutere il problema della monarchia è attribuito a una seconda edizione deuteronomistica. Ma l'ac­ costamento di queste scene produce come effetto finale una struttura simmetrica da cui emerge un primato de li ' atteggiamento antimonarchico, che finisce per trovarsi ai due estremi e al centro. Altri elementi sottolineano il tono antimonar­ chico di questi capitoli. Innanzitutto, nelle cosiddette sezioni filomonarchiche non si trovano esplicite dichiarazioni a favore del re (in 9,16; I O, l si usa niigfd e non melek). Inoltre, il cap. 7 che precede immediatamente questo ciclo di rac­ conti è un'apologia per la teocrazia del periodo dei giudici, che erano in grado di intervenire nelle crisi che il popolo doveva affrontare. Un problema a parte riguarda la collocazione nello spazio e nel tempo di questi racconti. Fino a non molto tempo fa li si riteneva coevi agli eventi narra­ ti. Il discorso di Samuele del cap. 8 è stato visto come una critica al regno di Sa­ lomone oppure alle monarchie delle città-stato cananee, ma è stato anche collo­ cato nel clima della ribellione di Assalonne, già nel regno di Davide. L'episodio della ricerca delle asine da parte di Saul è stato attribuito a una tradizione popo­ lare autonoma da Samuele, che sarebbe stato aggiunto in seguito, mentre in ori­ gine si trattava di un anonimo veggente; però il fatto che Samuele, noto a tutto Israele «da Dan a Bersabea>> (3,20), venga presentato come uno sconosciuto per Saul non indica necessariamente una fonte diversa, ma può essere uno strata­ gemma letterario per creare una certa suspense. Alcuni pensano che la vittoria sugli ammoniti (cap. I l ) rappresenti più da vicino le circostanze storiche in cui Saul divenne re; infatti viene investito dallo spirito di Dio ( 1 1 ,6) come gli antichi giudici. Però può darsi che la narrazione sia stata deliberatamente composta per evidenziare questo confronto coi liberatori del passato, insinuando che anche se c'è un re la salvezza arriva ancora secondo la vecchia modalità e che perciò ba­ stava il vecchio sistema tradizionale premonarchico (come nel cap. 7).

Il regno di Saul Saul è già presente dal cap. 9 e occupa la scena fino alla sua morte ( I Sam 3 1 ), però alcuni indizi suggeriscono di limitare la storia del suo regno ai capp. 1 3 - 1 5 . L'inizio di questa sezione è segnato dalla tipica formula (incompleta: 1 3 , 1 ) dell'accessione al regno tipica dei libri dei Re e la fine è indicata profeti­ camente dallo strappo delle vesti di Samuele ( 1 5 ,28) e dal fatto che Samuele non vedrà più Saul e Io piange come morto ( 15,35: 'bi). Subito dopo c'è infatti l'unzione di Davide (cap. 16). La funzione di questi capitoli è quella di giustifi­ care il motivo per cui Saul fu ritenuto indegno di essere re d'Israele. Se leggia­ mo in un unico blocco i capp. 8- 15 vediamo un contrasto tra il re che il Signore concede al popolo (liihem , 8,22) e il re che il Signore prenderà per sé (/f 16, 1 ), per cui il destino di Saul è già segnato dali' inizio: il popolo ha rigettato il Signore (8,7; 1 0, 1 9) e ora il Signore rigetta il loro re ( 1 5,23.26 sempre il verbo ms). 341

Il motivo specifico del rigetto di Saul, che viene messo al centro di questi ca­ pitoli, è la disobbedienza: per due volte Saul non esegue completamente le istru­ zioni di Samuele. La prima volta offre un sacrificio senza aspettare Samuele (cap. 1 3) e la seconda volta non esegue il voto di sterminio contro gli amaleciti, perché risparmia il re e il meglio del bottino (cap. 15). Al centro sta un altro epi­ sodio che mostra l 'inadeguatezza di Saul, perché è suo figlio Gionata ad assol­ vere il compito di liberatore, che attacca l 'accampamento filisteo, mentre il Si­ gnore sconfigge i nemici. Anzi, Saul non fa che passare da un errore all'altro: maledice chiunque mangerà prima che lui abbia finito di vendicarsi dei «suoi ne­ mici>> ( 14,24). Gionata, ignaro di ciò, mangia e quindi il padre lo condanna a morte, ma il popolo interviene a sal vario. Saul, che disobbedisce a Dio, pronun­ cia la condanna a morte del proprio figlio e poi risparmia dallo sterminio il re de­ gli amaleciti ( 1 5,9)!

La storia dell'ascesa di Davide Quando Rost identificò questa fonte egli si riferiva a pochi frammenti che andavano da I Sam 23 a 2Sam 5, 1 0, ma successivamente c'è stata la tendenza ad ampliare questo materiale, prima includendo 1 6, 1 - 1 3 , che era presupposto da 2Sam 7,8 (Davide come pastore), arrivando fino a 1 Sam 1 5 , 1 perché il capitolo precedente finiva con un sommario del regno di Saul. Anche la datazione ha fi­ nito per spostarsi sempre più in basso; infatti si è supposta una funzione propa­ gandistica sotto Davide (paragonata all'apologia di Khattushilish per legittima­ re un usurpatore), sotto Salomone, sotto il sanguinario Ieu, sotto Ezechia o, infi­ ne, sotto Giosia (per legittimare la pretesa sui territori settentrionali). Se si tiene presente che il problema di l Sam 8- 1 2 era quello di capire come mai un popolo che aveva come unico re YHWH sia poi diventato una monarchia umana, allora il problema che emerge dopo il cap. 13 è quello di legittimare la dinastia davidica. Dal punto di vista letterario la storia di Saul è ben costruita: dopo l 'istituzio­ ne della monarchia ( I Sam 8- 1 2) egli inizia il suo regno con una guerra contro i filistei (cap. 1 3) e allo stesso modo lo finisce (cap. 3 1 ). Ma tutta questa storia è segnata dal contrasto tra il re respinto dal Signore per la sua disobbedienza e il nuovo unto, Davide. Si pone così il problema della legittimità della linea regale davidica: la monarchia è dinastica, ma la monarchia israelita non proviene dal suo primo re. l Sam 1 3 -3 1 cerca di risolvere questo problema sia mettendo in contrasto i due re, sia inserendo la mediazione di Gionata, il figlio di Saul, che in quanto erede può abdicare, almeno simbolicamente, consegnando i propri ve­ stiti e le armi a Davide ( 1 8,4), il quale non aveva potuto fare lo stesso coi vestiti di Saul ( 1 7 ,38-39).32 Le vicende di Saul sono ora collocate nella storia dell'ascesa al potere di Da­ vide, e la loro conclusione svolge un preciso ruolo in questo passaggio a Davi­ de. La serie di eventi che porta alla fine di Saul costituisce, a prima vista, un 'u" D. JOBLING, The Sense of Biblica/ Narrative (JSOT SS 7), Sheffield Academic Press, Sheffield 1978, 22.

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nità letteraria ( I Sam 27-3 1 ), perché tutti gli episodi sono tra di loro collegati e unificati dal tema dello scontro finale tra Saul e i filistei. Essi sono preceduti da tre episodi in cui Davide è tentato di uccidere Saul, poi Nabal e poi ancora Saul (capp. 24-26), ma egli non cede a questa tentazione e così non si macchia del lo­ ro sangue. Anche il materiale che segue (2Sam 1 -4) ha a che fare con una serie di morti: nel passaggio del potere reale a Davide diversi membri del partito di Saul vengono eliminati (un amalecita, Abner, ls-Baal). Ma anche in questi casi Davi­ de si proclama sempre innocente ( 1 , 16; 3,28; 4, 1 1 ). Dunque, sia nel materiale precedente che in quello successivo si parla di morte, di colpa, di vendette. For­ se era opinione diffusa che Davide fosse implicato in queste morti, come dice esplicitamente Shimei quando impreca contro Davide dichiarandolo sanguina­ rio (2Sam 16,7-8). Se circola l'opinione che Davide sia un sanguinario, e il libro delle Cronache usa proprio questo motivo per spiegare come mai Davide non possa costruire il tempio ( l Cr 22,8; 28,3), allora occorre una prova di innocenza: i capp. 27-3 1 dichiarano questa innocenza nella forma della narrazione. Il prologo alla storia di Davide è l'episodio dell 'unzione segreta ad opera di Samuele ( 1 6, 1 - 1 3), un testo che alcuni ritengono posteriore perché l 'unzione verrà ripetuta più tardi (2Sam 2,4; 5,3), ma che serve a giustificare agli occhi del lettore la legittimità del successivo comportamento di Davide. Tutto il seguito della storia è fatto di doppioni, probabilmente risalenti a tradizioni diverse, ma che mostrano anche a livello compositivo l' importanza e la problematicità del­ l'istituzione monarchica. Davide va alla corte di Saul perché chiamato come musicista ( 1 6,14-23), oppure capita per caso nel campo di battaglia e sconfigge Golia ( 1 7, 1-1 8,5). Saul è invidioso per i successi di Davide ( 1 8, 1 2-26.28-30) e attenta due volte alla sua vita ( 1 8, l O- I l ; 19,9- 1 O) e due volte gli promette una figlia in sposa ( 1 8, 17-27). Gionata interviene due volte presso suo padre Saul a favore di Davide ( 19, 1 -7; 20). Davide è tradito due volte proprio da coloro che egli aiuta (cap. 23), due volte risparmia Saul (24; 26) e due volte si rifugia da Achis, un re filisteo (2 1 , 1 1- 1 6; 27). Al centro di questa serie di doppioni emerge isolata la storia di Nabal e Abi­ gail (cap. 25), la cui importanza è segnata dalla notizia della morte di Samuele al­ l' inizio (v. 1). L'episodio è al centro delle due occasioni in cui Davide ha la pos­ sibilità di uccidere Saul, ma gli risparmia la vita; perciò sottolinea ulteriormente l 'estraneità di Davide alla fine di Saul, adombrata nella morte di Niibiil (letteral­ mente «lo stolto>>). Nabal aveva rifiutato di aiutare Davide, che perciò si dirige contro di lui per punirlo, ma la moglie Abigail si reca da Davide per scusarsi al posto dello stolto marito e il discorso della donna contiene la giustificazione del­ l'ascesa di Davide: il Signore è con lui e gli darà una casa duratura. Davide be­ nedice allora il Signore per avergli risparmiato di versare sangue. Ma quando la donna racconta al marito ciò che ha fatto, il marito si ammala e muore. L'insistenza sull'innocenza di Davide, che in questi capitoli sembra una spe­ cie di capobanda, appare evidente nella sua assenza alla morte di Saul. L'esito del confronto tra il declino di Saul respinto e l'ascesa del nuovo eletto si nota anche nella disposizione delle scene: 343

a: 27, l-28,2. Davide inganna Achis: cbmpie razzie, tna non lascia vivo nes­ sun testimone, per cui Achis è convinto che Davide stia invece combattendo contro Giuda. Quando i filistei si muovono per combattere contro Israele anche Davide è convocato e risponde ad Achis in modo ambiguo: «tu sai già quello che farà il tuo servo». b: 28,3 - 1 2. Saul inganna la negromante di Endor: si reca di notte, travestito per non farsi riconoscere, e chiede alla donna di evocare Samuele, che era mor­ to. La donna si spaventa quando riconosce Saul, che aveva bandito tutti i negro­ manti dal regno. b ' : 28, 1 3-25. Samuele compare e condanna Saul. a ': cap. 29. Achis assolve Davide, perché se ne fa garante e dichiara per tre volte di non aver trovato nulla di male in lui; ma i filistei rimandano indietro questo gruppo di ebrei. c: cap. 30. Davide sconfigge gli amaleciti e il bottino è distribuito a tutti e mandato in dono anche agli anziani di Giuda. c': cap. 3 1 . Saul è sconfitto dai filistei, i suoi figli vengono uccisi e lui stes­ so ferito si getta sulla propria spada e muore. Il suo cadavere è appeso alle mura di Beisan, da dove di notte verrà sottratto per essere bruc iato e sepolto a Iabes di Galaad, la città con cui era iniziata la storia di Saul re (cap. I l ). Questo gruppo di capitoli appare ben organizzato: dapprima vi è la descrizio­ ne delle trasformazioni dei caratteri dei personaggi (le prime quattro scene sono in una disposizione concentrica: a b b ' a '); poi, le ultime due scene mostrano nei fatti la conseguenza di questa trasformazione. Il tema dell'inganno, presente nelle scene centrali (b b ), è fondamentale per il passaggio della regalità da Saul a Davide: ambedue non sono ciò che appaiono e il lettore sa che Davide non è un traditore, ma il futuro re, e che Saul non è più il re. '

All'inizio del secondo libro Davide riceve la notizia della morte di Saul (al­ tro doppione) ed eleva un lamento (2Sam l). Egli comincia a regnare su Giuda, mentre in Israele è stato fatto re un figlio di Saul, Is-Baal. Solo dopo altre morti Davide diventa anche re d'Israele e conquista Gerusalemme (cap. 5). A questo punto Davide trasporta l'arca a Gerusalemme (cap. 6) e vuole costruire una casa per il Signore, ma il profeta Natan (cap. 7) annuncia che sarà invece il Signore a costruire una casa per Davide, mentre sarà suo figlio, il suo successore, a co­ struire il tempio. Questo oracolo di Natan costituisce un momento importante per il suo contenuto teologico e per questo ha subito diversi rimaneggiamenti durante la sua trasmissione. 2Sam 6-8 sembra costituito da materiali diversi, perché il trasporto dell'arca rimanda alla storia dell'arca all'inizio di l Sam, mentre l'oracolo di Natan non ha alcun rapporto con la narrazione; qualcuno l 'ha ritenuto un discorso composto dal Dtr. Ma il materiale è stato accostato in maniera tale da contrapporre l 'arca (cap. 6) e la dinastia (cap. 7), che sono i simboli delle due esistenze di Israele: le tribù e lo stato. Questa giustapposizione è incorniciata dalle notizie sui figli e sugli ufficiali di Davide (5, 1 3-16; 8,15- 1 8) e dalle notizie sulle guerre di Davide (5 ,1 7-25; 8, 1 - 14). Nel caso delle battaglie è significativo il confronto tra la pri344

ma narrazione, in cui i l Signore è sempre presente e guida le operazioni nello stile tipico delle guerre del libro dei Giudici, e la seconda relazione sulle guerre del re, dove l 'iniziativa è sempre di Davide e il Signore è messo in secondo pia­ no (8,6. 14).

La storia della successione Si è spesso ritenuto che la storia della successione a Davide fosse la più anti­ ca opera storiografica israelitica e che risalisse a testimoni oculari per la viva­ cità della descrizione, per l 'assenza dell'intervento divino, per i caratteri così umani dei personaggi, e la si collocava ali' epoca di Salomone, perché essa de­ scrive le tappe attraverso cui Salomone arriva al trono soppiantando i fratelli Amnon, Assalonne e Adonia; difatti egli compare sulla scena solo in l Re e solo dopo che i rivali si sono, per così dire, squalificati. Ma è stato fatto notare che la descrizione di una scena così privata come la violenza a Tamar (cap. 1 3) non consente di usare l 'aggettivo "storico" in senso stretto. Si è poi spostata la reda­ zione di questa storia nella corte di Gerusalemme sotto Ezechia, cioè quando ini­ zia un passaggio verso uno stato vero e proprio con un'amministrazione centra­ le. Qualcuno scende all'epoca postesilica e vi vede una polemica contro il mes­ sianismo davidico. Altri parlano di una "storia di corte" interessata alla psicolo­ gia dei personaggi più che alla propaganda politica; per questo è concentrata su Davide e finisce con la sua morte. Qualcuno la attribuisce a circoli sapienziali; per cui si tratterebbe di una narrazione con intento didattico, come le istruzioni dell'egiziano Amenemhet; altri ancora pensano che appartenga alla letteratura di intrattenimento. La delimitazione di questa storia crea una serie di problemi. Innanzitutto, l'i­ nizio è stato posto a 6, 1 6, poi a 9, 1 (magari preceduto da 2Sam 2 1 , 1 - 14), poi hanno aggiunto gran parte dei capp. 2-4. Così anche per la fine si è proposto 2Re 2, 1 2 oppure 2,46. Ma il problema più grave è l'eliminazione di 2Sam 21 -24, trattati come un'appendice. Se teniamo davanti il testo nella sua forma finale, la storia si può dividere in tre momenti, che hanno sempre a che fare con i figli, ma che mostrano anche l ' inadeguatezza di Davide, che invece di andare in guerra sta a casa a insidiare la donna del suo guerriero, non prende posizione davanti alla violenza del figlio Amnon ma si fa circuire dalla donna di Tekòa, infine scappa davanti al figlio Assalonne.

All'inizio Davide concede generosamente al figlio di Gionata, ultimo erede della dinastia di Saul, di sedere sempre alla sua tavola, cioè di entrare a far parte della sua famiglia (cap. 9), ma nello stesso tempo si mostra cinico contro Uria l 'ittita, al quale porta via la moglie Betsabea facendolo uccidere in battaglia (cap. I l ). Natan lo rimprovera e annuncia la morte del figlio di Davide che ora nascerà da Betsabea, la quale poi sarà la madre di Salomone (cap. 1 2). La scena successiva è un dramma familiare: il primogenito Amnon violenta la sorella Ta­ mar e il fratello Assalonne lo uccide per vendicare la sorella (cap. 1 3); egli do­ vrà fuggire, ma poi otterrà il perdono (cap. 14). Il terzo momento è la storia del­ la ribellione di Assalonne che si proclama re (capp. 1 5 -20). Mentre nelle due 345

scene precedenti il dramma si svolgeva all'interno di una casa. qui siamo all'e­ sterno. Già all'inizio Assalonne è alla porta della città a farsi amici e questa vol­ ta Davide è costretto a partire da Gerusalemme per tomarvi solo dopo la morte del figlio ribelle.

Le appendici 2Sam 21 -24 contiene materiale di diversa natura, ma esso è stato organizzato in una forma coerente, a chiasmo:

a carestia inflitta dal Signore per il massacro dei gabaoniti fatto da Saul b elenco di eroi dell'esercito di Davide e loro prodezze c salmo (= Sal 18): riferimento all'inizio del regno (v. l ) c' salmo: riferimento alla fine del regno (v. l) b' elenco di prodi di Davide e loro prodezze a' peste inflitta dal Signore per il censimento di Davide

2 1 , 1 - 14 2 1 , 1 5-22 cap. 22 23, 1 -7 23,8-39 cap. 24

La posizione di questi capitoli funge quasi da sommario del regno di Davide; infatti la parte che segue ( I Re 1 -2) è già centrata su Salomone. Se siamo alla conclusione del regno di Davide, allora possiamo leggere come unità l'insieme 2Sam 5-24, cioè tutto il periodo di regno su tutto Israele, quindi i capp. 5-8 (an­ che questi costruiti a chiasmo) e 2 1 -24 costituiscono i confini della narrazione coerente dei capp. 9-20. La funzione di questo inquadramento potrebbe sembra­ re quella di offrire una visione positiva di tutto il regno di Davide, perché anche la colpa del censimento è già stata scontata da Davide e in questa maniera si cer­ ca di attenuare l'immagine negativa che emergeva dai ca pp. 9-20. Ma questi ca­ pitoli finali svolgono anche un ruolo importante nel distinguere la storia in due fasi : Davide benedetto (capp. 2-7) e Davide condannato (capp. 9-24).

Essi formano inoltre un'inclusione con l'inizio del primo libro: il salmo di 2Sarn 22 corrisponde al cantico di Anna, che aveva introdotto il tema dell'inver­ sione ( I Sam 2). Ora Davide ha realizzato il programma annunciato: egli è l'ulti­ mo diventato primo. Manca ancora una cosa per essere il vero re obbediente al Signore, come aveva chiesto Samuele, e ora, in conseguenza della piaga che ha colpito il popolo a causa del censimento da lui ordinato, il re diventa, come An­ na, uno che prega e si abbandona obbediente al Signore (2Sam 24)."

" Abbiamo accettato il suggerimento di D.G. fnm.t, Shining the Lamp: The Rhetoric of2 Samue/ 524, Tyndale Bulletin 52 (200 1 ) 203-224; vedi anche W. BRUEGGEMANN, 2 Samue/ 21-24: An Appendix of Deconstmction?, CBQ 50 ( 1 988) 383-397. Poiché 2Sam 2 1 , 12 - 1 4 riprende la vicenda delle ossa di Saul

( I Sam 3 1 , 1 2- 1 3) e 2 1 ,7 riprende il patto con Gionata ( I Sam 20, 1 5 - 1 6), questi capitoli sono la conclusio­ ne adeguata di tutti e due i libri di Samuele. DoRSEY, The Literary Structure, 1 35, propone una struttura concentrica: (a) Samuele succede al vecchio Eli ( I Sam 1-7); (b) insuccesso di Saul ( I Sam 8 - 1 5); (c) ascesa della popolarità di Davide nel regno di Saul ( I Sam 1 6-20); (d) svolta: YHWH rovescia te fortune di Saul e Davide ( l Sam 21-31 ) ; (c' ) ascesa di Davide al potere (2Sam 1 -8); (b') insuccesso di Davide (2Sam 9-20); (a') Salomone succede al vecchio Davide (2Sam 2 1 - I Re 2).

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4.2. Aspetti teologici

L'elezione Fin dal l ' inizio della monarchia il re è l 'eletto di Dio. I l Signore ha scelto (bài]ar) Saul ( l Sam 10,24) e Davide (2Sam 1 6, 1 8; cf anche l Sam 16,8- 10). Ma a differenza dell'ideologia comune del Vicino Oriente Antico, in Israele il re pur essendo l 'eletto può essere rigettato se a sua volta rigetta il Signore ( l Sam 15,23). La profezia di Natan (2Sam 7) descrive il rapporto tra Dio e i l suo eletto come un rapporto tra padre e figlio (v. 14; un'idea attestata anche nelle culture extrabibliche; Ugarit, Egitto) e dichiara da parte di Dio un impegno incondizio­ nato (v. 1 5). Prima ancora di stabilire questo particolare rapporto col suo re, Dio ha co­ munque scelto il suo popolo, anche se questa scelta non è espressa col verbo biil]ar tipico della terminologia del Dt. L'elezione del popolo è forse da attri­ buire a un processo di democratizzazione o a sviluppi successivi in conseguen­ za del fallimento della istituzione regale (per esempio, in l -2Re il Dtr non par­ la mai dell'elezione dei discendenti di Davide). Vi è anche l 'elezione di Geru­ salemme o Sion, cioè del «luogo che il Signore sceglierà» (frequente in Dt) e anche l 'elezione del sacerdozio. Con la costruzione del tempio l 'unicità del luo­ go di culto che il Signore si è scelto diventerà un criterio per giudicare la con­ dotta dei re. La regalità

l Sam 8- 1 2 costituisce un testo fondamentale deli' AT, perché viene fondata ma anche messa in discussione l 'istituzione monarchica. II re è infatti una figu­ ra centrale per tutto l' AT, non solo nei libri storici, ma anche per i l profetismo che è una spina al fianco dei re; inoltre molti libri deli' AT sono attribuiti a un re (i Salmi a Davide, i libri sapienziali a Salomone). Anche dopo la sua scomparsa dalla storia, questa figura sarà al centro delle attese messianiche e arriverà fino al Regno di Dio annunciato da Gesù, che è appunto «il re dei giudei» secondo un'espressione frequente nei racconti della passione. A livello letterario sono emerse tensioni tra testi a favore o contrari alla mo­ narchia, perché si trattava di conciliare la novità con la concezione tradizionale del Signore come unico re del popolo. Un simbolo della regalità del Signore è anche l'arca, che è il suo trono regale (2Sam 6,2); perciò il suo trasporto a Geru­ salemme, la capitale di Davide, conferma il passaggio alla nuova istituzione; es­ sa è così collegata alla monarchia che quando Davide deve fuggire da Gerusa­ lemme i )eviti se la porterebbero dietro (2Sam 1 5,24-29). Accanto a questo epi­ sodio sta la profezia di Natan, che esplicita il senso del trasporto dell'arca; non è Davide che fa una casa (tempio) per il Signore, ma è il Signore che fa una casa (dinastia) a Davide (2Sam 7). Ma oltre al tema dell'elezione, la profezia di Na­ tan annunciando la stabilità per sempre della casa e del trono (v. 16) introduce il tema del messianismo. 347

TI re vierte «Unto)) (miiJ, 1 Sam 9, 16) e quindi diventa codsacrato (mOJ�IJ I Sam 1 6,6); egli possiede un carattere indelebile perché anche quando è stato rigettato resta sempre l' «unto>> (2Sam l , 14. 1 6): è questo il motivo per cui Davide gli ri­ sparmia la vita ( l Sam 24,7. 1 1 ; 26,9. 1 1 . 16.23). Questo carattere sacrale del re è ritenuto tipico del regno del sud, proprio di Gerusalemme, come viene espresso nella profezia di Natan con la promessa della dinastia davi dica; invece nel regno del nord l 'investitura aveva un carattere carismatico, tipico anche del periodo dei giudici: Saul diventa re per una visione del profeta Samuele ( I Sam 9, 15- 1 6), per un sorteggio ( l 0,2 1 ) o perché investito dallo spirito del Signore ( I l ,6). Da­ vide è unto re di Giuda (2Sam 2,7), ma diventa re del nord attraverso un'allean­ za (5,3).

L'elezione incondizionata ha sorretto la speranza di un futuro discendente da­ vidico che avrebbe realizzato un'era di pace e di benessere universale. Ma con l'esilio questo messianismo regale subirà una crisi e vedrà accanto a sé altre for­ me di attesa escatologica come quella di un profeta come Mosè, di un servo del Signore, di un figlio dell'uomo o, addirittura, di un intervento diretto del Signo­ re senza alcun intermediario. S. IL LIBRO DEI RE S.I. Aspetti letterari

Problemi34 Come i l libro di Samuele anche il libro dei Re costituisce un'unica opera nel­ la Bibbia ebraica; esso fu diviso in due nelle edizioni a stampa seguendo la ver­ sione greca dei Settanta, che unisce in un solo gruppo i libri di Samuele e dei Re sotto il titolo di «libri dei regni>>. La Volgata ha poi modificato il titolo in «libri dei re>>, per cui gli attuali I Re e 2Re corrispondevano a III Re e IV Re. Vi è una certa arbitrarietà nella divisione in due libri, perché viene spezzata la storia del re Acazia e quella di Elia. Un ulteriore problema del testo del libro riguarda le differenze tra il testo ebraico e alcune versioni greche. Per esempio, nei Settanta vi sono quattro lunghe inserzioni (dopo I Re 2,35; 2,46; 1 2,24; 1 6,28) e diverse varianti nell 'ordine di successione. Il libro dei Re si presenta come un'opera storica. TI richiamo alle fonti e la struttura cronologica rivelano la consapevolezza di uno storico che invita il let­ tore a controllare la veridicità del suo racconto, consultando quelle fonti per noi scomparse. Inoltre, l'archeologia ha offerto alcune conferme al testo biblico. La stele di Mesha, re di Moab, del X sec. a.C. conferma i rapporti tra questa popo­ lazione e Israele (2Re 3,4-27). L'iscrizione di Siloe dell'VIII sec. descrive il completamento della conduttura d'acqua dalla sorgente di Gihon all'interno di

" M. AVIOZ, The Book of Kings in Recent Research (Part i), CBR 4 (2005) 1 1 -55; ID., The Book of Kings in Recent Research (Part ii), CBR 5 (2006) 1 1 -57.

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Gerusalemme fatto sotto il re Ezechia (2Re 20,20). Gli ostraca di Lakish sono lettere scritte poco prima della caduta di Gerusalemme e testimoniano che i ba­ bilonesi stavano accerchiando la città. Oltre a queste informazioni provenienti dal suolo palestinese vi sono conferme provenienti dalla Mesopotamia: il pri­ sma Taylor descrive la campagna militare di Sennacherib contro Gerusalemme all'epoca di Ezechia (2Re 1 8- 1 9); l ' obelisco nero di Salmanassar III ricorda il tributo di leu re d'Israele, un episodio assente dalla Bibbia. L'omissione di eventi che fecero epoca nella politica internazionale del Vici­ no Oriente Antico può essere giustificata dal carattere locale della storia di un re­ gno cuscinetto tra i grandi imperi; però la lettura attenta del libro solleva alcuni dubbi sulle sue informazioni storiche. La somma della durata dei regni dei re del nord da leu a Osea è di 143 anni e sette mesi, ma la somma dei corrispondenti re­ gni del sud è di 166 anni. La soluzione di questo problema cronologico è fonda­ mentale per la ricostruzione della storia d'Israele. perché questa è l 'unica crono­ logia completa cui collegare sia altri eventi della storia biblica sia una datazione assoluta in corrispondenza ad eventi extrabiblici. Una cronologia coerente può esser ricostruita cambiando le cifre degli anni sulla base del testo di alcune ver­ sioni greche, oppure si può ritenere che le cifre siano inventate e abbiano maga­ ri una funzione simbolica. Ma la soluzione più diffusa è quella di ricalcolare gli anni supponendo sistemi di calendario differenti. Forse c 'erano calendari diver­ si tra nord e sud; inoltre l 'inizio dell'anno poteva cadere in primavera o in au­ tunno. Potevano esserci periodi di co-reggenza tra un re e il suo successore. Inol­ tre i mesi di regno precedenti il primo capodanno potevano essere calcolati come primo anno oppure ignorati. La narrazione degli eventi copre quattro secoli di storia: infatti inizia col re Davide nel X sec. a.C.; perciò dobbiamo supporre che l 'autore ebbe a disposizio­ ne fonti e documenti antichi. Tre fonti sono espressamente citate: il libro delle gesta di Salomone ( I Re 1 1 ,41 ), il libro delle cronache dei re di Israele (citato 1 5 volte) e i l libro delle cronache dei re di Giuda (citato 1 8 volte). Oltre a queste fonti si suppone fossero disponibili anche documenti amministrativi e tradizioni orali o scritte sui profeti, come il materiale riguardante Elia ed Eliseo ( l Re 17 2Re 13). Si è anche supposto uno sviluppo di questa tradizione profetica, che al­ l'origine usava forme semplici come leggende di pochi versetti, e che alla fine giunse a forme complesse come i cicli epici (il ciclo della siccità in I Re 17 - 1 9). La struttura

La caratteristica letteraria più evidente del libro è la sua organizzazione cro­ nologica basata sulla successione dei regni, ognuno dei quali inizia con una for­ mula che riporta il nome del re e del padre (e per i re di Giuda anche della ma­ dre), il sincronismo col contemporaneo re del nord o del sud, la durata del regno e il giudizio morale: > dello spirito di Elia (2Re 2,9).3' La tradizione rabbinica dice, infatti, che Elia fece otto miracoli ed Eliseo sedici. Elia ferma la pioggia, moltiplica l'olio, fa rivivere un bambino, fa scendere la pioggia, fa scendere il fuoco sull'altare e sui soldati, divide in due il Giordano. Eliseo replica questi miracoli, ma li rende ancora più complessi: può far risorgere un morto anche dopo la propria morte ( 1 3,21). L'attività di Eliseo si trova incorniciata tra noti­ zie sui re di Israele (Acazia e loram) e di Giuda (loram e Acazia), costruite con una certa simmetria: tutti e quattro i re sono esplicitamente messi in rapporto con la casa di Acab; inoltre i due re di Giuda hanno lo stesso nome dei due re d'I­ sraele, perciò l'assimilazione tra nord e sud ha raggiunto il culmine. 2Re 1 -2 ri­ guarda la successione profetica centrata sulla scomparsa di Elia. Nel cap. 3 la presenza di Eliseo è secondaria, perché si limita a pronunciare un oracolo sulla guerra contro Moab. Dopo inizia una serie di miracoli (4,1-6,23) con al centro la guarigione dell'arameo Naaman (cap. 5); Eliseo annuncia la fine della dram­ matica carestia durante l'assedio di Samaria (6,24-7,20); si reca a Damasco e annuncia a Hazael che diventerà re di Aram (8,7- 15); incarica un profeta di un­ gere Ieu come re d'Israele (9, 1 - 10). A questo punto i compiti assegnati dal Si­ gnore a Elia sull'Oreb sono stati eseguiti: ungere Eliseo come profeta, Hazael come re di Aram e Ieu come re d'Israele. Il regno di Giuda

Dopo la fine del regno del nord (cap. 17), Gerusalemme ritorna al centro del­ la storia e ci troviamo così nella stessa situazione iniziale dei libri dei Re. Tutti sanno già come finisce la storia: Gerusalemme farà la stessa fine di Samaria. Ma perché il regno di Giuda non si è convertito nonostante l 'esempio della fine del " N. LEVINE, Twice as Much of Your Spirit: Pattern. Parai/el and Paronomasia in the Miracles of Elijah and Elisha, JSOT 85 ( 1 999) 25·46. CE!' ' e altre traduzioni moderne traducono > li riceve Gionata dai nuovi re ( 10,20.89; 1 1 ,57-58) e servono nei rapporti coi sovrani ( 1 0,60.62; 1 1 ,24; 1 3,36.37); anche Simone riceve le stesse cose ( 14,39.43-44). Dunque, i tre figli tradiranno l'impegno qui preso da Mattatia, anche a nome lo­ ro, di camminare nell'alleanza dei padri (v. 20); infatti, alla fine del libro l'ere­ dità dei padri non è più la legge, ma la terra, secondo la risposta di Simone al­ l'inviato del re, quando gli mostra il proprio oro e argento ( 1 5,32-34). È un pre­ sagio funesto, perché anche il re Ezechia aveva fatto Io stesso coi messaggeri di 384

Babilonia, e Isaia lo interpretò come annuncio dell'esilio (2Re 20, 1 2-29). Simo­ ne verrà ucciso da un suo ufficiale che aveva molto argento e oro ( 1 6, 1 1 - 1 6) e che cercherà anche di uccidere il successore comprando l 'esercito con oro e ar­ gento ( 1 6, 1 9). La presenza costante di questi elementi, rifiutati da Mattatia ma ricercati dai suoi figli, collocano le successive vicende dei maccabei sotto un segno negativo e illustrano con disincanto la logica della lotta politica, che muove Antioco ver­ so le sue conquiste; quando, infatti, si trovò senza soldi prese la decisione di in­ vadere la Persia per riscuotere tributi «e ammassare molto denaro» (3,30-31 ).

A differenza dei suoi figli, Mattatia rifiuta i doni offerti, ma compie il sacrifi­ cio a suo modo: uccide sull'altare un giudeo che stava per sacrificare. Si tratta di un 'uccisione rituale, quella con cui si sgozzano gli animali, infatti il verbo usato (2,24 Empa!;Ev) è tipico del libro del Levitico. La scena ha molte somiglianze con quello che fece Pincas, il nipote di Aronne, che durante il soggiorno di Israe­ le nel deserto uccise un israelita con la sua donna madianita (Nm 25). Anche al­ lora si trattava di apostasia, perché i maschi erano stati indotti dalle donne stra­ niere ad adorare i loro dèi e il Signore si era adirato contro Israele; ma la reazio­ ne di Pincas aveva posto fine alla calamità, perciò il Signore promise un sacer­ dozio perenne a lui e alla sua discendenza. Pincas diverrà un modello, soprattut­ to per il suo zelo per il Signore (Sal 106,28-3 1 ; Sir 45,23-24), e verrà ricordato dallo stesso Mattatia nel suo testamento (2,54). 2. IL SECONDO LIBRO DEI MACCABEI

Contenuto e struttura"

Il rapporto tra i due libri dei Maccabei e simile a quello tra i due libri di Esdra nella LXX: il secondo libro non è la prosecuzione del primo, ma racconta parte della stessa storia sotto un'altra prospettiva. Il testo che ci è giunto si presenta come un riassunto fatto da un anonimo epitomatore di una precedente opera in cinque libri di un tal Giasone di C irene, solo qui ricordato (2,23 ). Al riassunto sono premesse due lettere indirizzate ai giudei d'Egitto per invitarli a osservare la festa della dedicazione del tempio e la festa delle capanne. La data della pri­ ma lettera sembra suggerire che l'epitomatore potrebbe aver completato il suo lavoro attorno al 1 24 a.C. Rispetto a l Mac c'è, però, una riduzione cronologica perché l'eroe della sto­ ria è solo Giuda Maccabeo. Senza alcun accenno alla sua famiglia, egli domina la scena dal cap. 8; dopo la morte di Antioco IV Epifane, purifica il tempio e in­ fine, dopo una serie di campagne militari, sconfigge il suo grande avversario, Nicanore. A questo punto il libro finisce con l'istituzione della commemorazio­ ne della vittoria su Nicanore ( 1 5,36; l Mac 7,49). Siamo nel l60 a.C. e il libro tace sulle successive vicende degli altri fratelli maccabei. Il fatto che il libro si " D.S. WILUAMS, Recent Research in 2 Maccabees, CBR 2 (2003) 69-84.

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fermi alla vittoria di Giuda su Nicanore, cioè prima deli'elogio di Roma di l Mac 8, può far pensare che 2Mac sia una correzione di l Mac (in tal caso la presunta opera originaria di Giasone di Cirene potrebbe essere un'invenzione), quasi per evitare la lettura nazionalistica che il primo libro sembrava suggerire.12 Il primo episodio, però, prende le mosse un po' più indietro nel tempo rispet­ to a l Mac, perché presenta la politica benevola dei predecessori di Antioco IV, in particolare di Seleuco IV ( 1 87- 175 a.C.). Ma anche qui il tesoro del tempio è minacciato e questo rimanda di nuovo a l Mac, dove le prime azioni di Antioco IV riguardavano la spoliazione del tempio e, in una delle ultime scene, Simone mostrava il tesoro ad Atenobio, l'inviato del re ( I Mac 15 ,32-36). Qui diventa evidente un accenno già presente in l M ac, cioè che tutta la re­ sponsabilità della persecuzione cade sugli stessi ebrei; infatti compare un som­ mo sacerdote traditore: Alcimo (cap. 14). Ma 2Mac apporta anche una correzio­ ne a l Mac, il quale poteva essere interpretato in un'ottica nazionalistica, come un'esaltazione della volontà di potenza della dinastia maccabaico-asmonea; al contrario, 2Mac rifiuta esplicitamente la violenza ed esalta i l martirio; infatti, quando Giuda compare sulla scena è stato già preceduto dal martirio di Eleaza­ ro e dei sette fratelli; inoltre qui è evidente che è il Signore a combattere per Giuda. Infine, il profeta atteso è qui presente nei panni di Geremia, che compare ali 'inizio, quando nasconde gli arredi del tempio (2, 1 -7), e alla fine, quando in una visione consegna a Giuda una spada d'oro ( 1 5 , 1 4- 1 6), quasi a sostituire quella spada di Apollonia che Giuda aveva usato in tutte le guerre secondo l Mac 3 , 1 2. A parte le due lettere iniziali ( 1 , 1-2, 1 8) e la prefazione e conclusione dell'e­ pitomatore (2, 1 9-32 e 1 5,37-39), il resto si può raggruppare in due grandi parti: la premessa alla rivolta maccabaica (3, 1-1 0,9) e la guerra di Giuda contro i se­ leucidi (10,10-15,36). La prima parte è costruita su un crescendo della persecu­ zione, da Seleuco IV ad Antioco IV, e contiene materiale non presente in l Mac. Proprio l'accento messo sulla persecuzione fa pensare che l'opera sia nata nella diaspora egiziana, che di fatto fu perseguitata. Guardando invece al protagonista principale, si possono considerare i capp. 1 -7 come la premessa ali 'ingresso sul­ la scena dell'eroe, in cui emerge il ruolo negativo di molti pretendenti alla cari­ ca di sommo sacerdote, al posto del puro Onia (Simone, Giasone, Menelao). In tal caso c'è una coincidenza con lo schema tipico della storiografia deuterono­ mistica (i primi quattro momenti coinciderebbero con la premessa): '3

" R. ZwrcK, Unterhaltung und Nutzen. Zum literarischen Profil des 2. Buches der Makkabiìer, in J. FROHWALD-KùNIG - F. R. I'ROSTMEIER - R. ZWICK (Hrsg.), Steht nicht geschrieben? Studien zur Bibel und ihrer Wirk•m!lsge.•chichte. Festschrift fiir Georg Schmuttermayr, Pustet, Regensburg 200 l , 125-149, ri­ tiene che si tratti soprattutto di un'opera di intrattenimento (2Mac 2,25: IJmxaywyla) e il riferimento a Giasone sia una Quellenfiktion ( 145 ). " G.W.E. NICKELSBURG, Jewish literature between the Bible and the Mishnah: a historical and lite­ rary introduction, Fonress. Philadelphia 198 1 , 1 1 8.

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benedizione peccato punizione svolta giudizio e salvezza

Gemsalemntt! sotto il sommo sacerdote Onia III ellenizzazione di Gerusalemme sotto Giasone e Menelao rappresaglia di Antioco IV morte dei martiri e preghiere del popolo vittorie di Giuda

cap. 3 4, 1-5, 10 5,1 1--6, 17

6, 1 8-8,4 8,5-15,36

Caratteristiche teologiche

La teologia di 2Mac è più ricca di quella di l Mac. A Dio vengono attribuite molte qualità e addirittura la creazione del mondo dal nulla. Le profezie sono considerate realizzate e ciò porta a considerare la sofferenza fisica del giusto al­ l 'interno della concezione della retribuzione divina. In questa concezione nasce la teoria del martirio e l'idea che Dio ricompenserà e preserverà il giusto in una nuova creazione con la risurrezione della carne e la vita eterna. Lo spazio che separa l'uomo da Dio, da una parte, aumenta sempre più perché è occupato da angeli e cavalieri celesti, ma, dall'altra, diventa facilmente attraversabile grazie alle manifestazioni divine e alle visioni. La comunicazione tra il divino e l'uma­ no diventa sempre più strutturata e la preghiera d'intercessione non è più limita­ ta solo agli angeli come antecedentemente, ma possono intercedere anche i san­ ti del passato ( 1 5, 1 2- 1 6) e addirittura sulla terra si può intercedere per i defunti ( 12,44-45). A differenza di l Mac, qui domina lo stile retorico greco, tipico della storia cosiddetta patetica, caratterizzata da cifre esagerate, dali 'invenzione di dialoghi e da interventi miracolistici, ma conservando documenti storici autentici (cin­ que lettere)." L'epitomatore, inoltre, vuole edificare il lettore, perciò è meno po­ litico di l Mac e dà importanza ai temi religiosi. Egli intende persuadere i giudei che abitano in Egitto a restare fedeli al tempio di Gerusalemme, forse in polemi­ ca contro le tendenze autonomiste della diaspora egiziana, che aveva costruito un tempio a Leontopoli (vicino all ' attuale Cairo), come qualche secolo prima quello di Elefantina (vicino ad Assuan). Supponendo la distinzione tra storia profana ( I Mac) e storia religiosa (2Mac), abitualmente si privilegiano le infor­ mazioni di l Mac contro 2Mac, ma rovesciando l 'argomentazione, si potrebbe rivalutare 2Mac come fonte storica, perché qui è più facile riconoscere la fra­ seologia religiosa. Il martirio

2Mac rappresenta il martirio dei sette fratelli in contrapposizione al monu­ mento funebre costruito da Simone Maccabeo in l Mac. A Modin, la città dei " Secondo R. DoRAN, Tempie Propaganda: the Purpose and Character of 2 Maccabees (CBQMS 12), The Catholic Biblica! Association of America, Washington 1 98 1 , e 2 Maccabees and "Tragic Hi· story", HUCA 50 ( 1 979) 107- 1 1 4. l'etichetta "storiografia patetica" o tragica sarebbe inadeguata. perché si tratta di un'espressione usata in senso polemico da Polibio.

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suoi padri, Simone aveva fatto erigere sette piramidi come monumento funebre «a perenne memoria», una piramide per ciascun membro della famiglia: per il padre, la madre, i quattro fratelli già morti e una per sé ( l Mac 1 3,25-30). Ma questo desiderio di ottenere un nome eterno, implicitamente condannato già in lMac, ora viene sostituito dalla speranza nella risurrezione. Dopo che il sommo sacerdote Giasone ha introdotto l'ellenismo a Gerusa­ lemme, la situazione precipita: Menelao compra a sua volta il titolo di sommo sacerdote. Giasone cerca di riprendere il potere, ma Antioco interviene diretta­ mente a Gerusalemme saccheggiando anche il tempio e pianificando una com­ pleta ellenizzazione dei giudei, costretti a seguire usanze ellenistiche, pena la morte. Viene emanato addirittura un decreto per costringere i giudei a mangiare le carni sacrificate agli idoli e proprio a questa ingiunzione sono dedicati due scene di martirio: quello di Eleazaro e quello dei sette fratelli. Essi costituiscono un'unità che si conclude a 7,42: «ma ora basti quanto s'è esposto circa i pasti sacrificali e le incredibili crudeltà>>. A differenza di I Mac, al decreto di persecuzione (6,8-9) qui non segue subi­ to la reazione violenta di Mattatia e poi il martirio di coloro che rifiutarono di combattere di sabato. Al contrario, viene subito la reazione non violenta dei mar­ tiri, a cominciare dalle due donne che avevano circonciso i figli e di chi si era na­ scosto nelle caverne per osservare il sabato (6, 1 0- 1 1 ). Invece, Giuda Maccabeo era già entrato pacificamente in scena prima della persecuzione religiosa; infatti egli con altri dieci «si ritirò nel deserto, vivendo tra le montagne alla maniera delle fiere insieme a quelli che erano con lui; e vivevano cibandosi di alimenti erbacei, per non contrarre contaminazione>> (5,27). A questo punto, quando Eleazaro compare sulla scena, subito si pensa a un altro Eleazaro, quello dei cinque fratelli maccabei che si era inutilmente sacrifi­ cato sotto un elefante per farsi un nome ( l Mac 6,43-46). Forse il confronto con I Mac è ancora più sottile. Là c'è un padre (Mattatia) che usa la violenza e che pone come esempio da seguire gli antenati, e ci sono i fratelli che portano avan­ ti la lotta del padre; invece qui c'è un anziano (Eieazaro) che pone se stesso co­ me esempio ai giovani, e ci sono i sette fratelli che imitano quell'esempio non violento. Alla successione tra Mattatia e i suoi figli si sostituisce quella tra Elea­ zaro e i sette fratelli, dei quali non viene ricordato il padre (anche Giuda qui compare senza padre). Il silenzio sul padre è una sconfessione del legame col passato, che invece Mattatia enfatizzava, e del legame col futuro, cioè della di­ scendenza che diventa dinastia. La morte di Eleazaro doveva essere un nobile esempio per i giovani, e di fat­ to lo fu: subito dopo viene narrato il martirio di sette fratelli. Anch'essi muoiono per lo stesso motivo, cioè perché obbligati a mangiare «carni suine proibite>> (7 ,2 = 6, 1 8). Il numero «sette>> suggerisce che l 'esempio di Eleazaro è stato effetti­ vamente imitato da tutti i giovani. Un altro aspetto è il ruolo fondamentale svol­ to dal fratello più piccolo. Si tratta di un motivo diffuso nel folklore e anche nel­ l' AT (Davide tra i figli di lesse): il più giovane è anche il più saggio e salva i fratelli più vecchi. Il più piccolo è anche il più scaltro e spesso riesce a prender388

si gioco del cattivo, che aveva preso prigionieri i suoi fratelli. Invece in 2Mac la conclusione è imprevista, perché l'ultimo non salva i fratelli, ma conferma la sua funzione di saggio perché sa rovesciare il senso di quello che stava accadendo: proprio chi muore ottiene il premio della vita, mentre il persecutore verrà giudi­ cato. Con il martirio dei sette fratelli finisce anche la prima parte del libro (capp. 1 -7), perché poi compare sulla scena l'eroe della storia: Giuda Maccabeo (S, l ). A differenza di 1 Mac, la comparsa delle armi è preceduta dalla testimonianza dei martiri e così viene suggerito che la vera vittoria sull'ellenismo non sarà di na­ tura militare. Le battaglie, infatti, verranno tutte descritte seguendo il modello della guerra santa dell'epoca dei giudici, secondo cui il compito dell'uomo è so­ lo la preghiera e quello di Dio è l' intervento diretto nella battaglia. Novità teologiche

La crisi maccabaica provocò un progresso nella rivelazione biblica, perché pose in modo acuto il problema della retribuzione individuale; infatti l'attesa di un intervento futuro e definitivo di Dio che assicura il trionfo del suo popolo si scontra con l'esperienza della morte dei giusti a motivo della propria fede. L'af­ fermazione della risurrezione individuale è la risposta che il libro di Daniele e 2Mac dànno a questo problema. Si tratta di una novità perché per l'uomo del­ l' AT la morte era un limite insuperabile: il morto non è più (Sal 39, 1 4), solo un'ombra del corpo sussiste nello sheol, un oltretomba dove regna l'oscurità e dove non si fa più l 'esperienza di Dio (Sal 88,7. 13). Di conseguenza, la misura della grazia divina è data dai beni terreni : lunga vita, discendenza, ricchezze. Ma questa speranza è messa in crisi dalla morte prematura dei giusti: proprio la fedeltà religiosa ottiene come ricompensa quello che dovrebbe essere un castigo, cioè la morte violenta. Non basta più sperare nella salvezza futura del popolo (come nella visione delle ossa inaridite: Ez 37, 1 - 1 4). L'apocalisse del libro di Daniele interpreta allora in maniera realistica le attese di Ez 37 e Is 26: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l' infamia eterna» (Dn 1 2,2). E questa è la speranza che sostiene i sette fratelli con la loro madre.

È interessante osservare come la comparsa nell'AT della fede nella risurre­ zione della carne coincida anche con la prima affermazione della creazione dal nulla, che si trova nel discorso con cui la madre esorta al martirio i figli, in par­ ticolare il più giovane (7,22-23.28). All'inizio esso riprende il tema della mater­ nità: non tocca alla madre dare la vita, ma allevarla. La madre nutre e fa cresce­ re un essere che vive nel suo grembo, ma che ha ricevuto la vita da Dio. Poi pas­ sa al tema della creazione, che raggiunge un'estensione universale: Dio ha crea­ to il cielo e la terra, cioè tutto, perciò prima della creazione non esisteva nulla. Questa è la prima affermazione esplicita della creazione ex nihilo, come traduce la Vulgata. Alla fine la madre conclude col richiamo alla misericordia: il più piccolo, coi suoi fratelli, dopo la morte le sarà restituito, come in una nuova na­ scita, perché ogni nascita è sempre un dono di Dio. 389

Un episodio rttm'ginale (2Mac 1 2,38-45) assumerà molta importanza nella storia della teologia cristiana, perché servirà a giustificare il sacrificio per i mor­ ti e il purgatorio. Alcuni giudei muoiono in battaglia contro gli idumei, ma i sol­ dati sono stanchi e inoltre è arrivato il sabato, giorno in cui non è lecito combat­ tere. Essi devono purificarsi, probabi lmente perché durante le battaglie si veni­ va a contatto con cadaveri e con cose impure, come prescrive Nm 3,21 -24. Pas­ sato il sabato vanno a recuperare i corpi dei caduti per trasportarli nei sepolcri dei loro padri. Sotto la tunica dei morti vengono, però, trovati amuleti o oggetti offerti agli idoli della città di lamnia, dove avevano fatto un'incursione ( 1 2,8-9). Se l 'osservanza della legge rende invincibili (8,36), l'inosservanza della legge li espone alla morte. Qui il riferimento è a Dt 7,25, che ordina di distruggere que­ sti oggetti dei pagani. Si tratta comunque di una tentazione che risale alle origi­ ni di Israele; infatti in Gs 7 il colpevole, che non osserva il voto di sterminio, ma tiene parte del bottino, viene scoperto e lapidato. Il caso più famoso è in l Sam 1 5 : in occasione del mancato sterminio degli amaleciti, Samuele annuncia a Saul che il Signore Io ha rigettato come re. li peccato commesso dai caduti costitui­ sce pertanto una minaccia per tutta la comunità, perché potrebbe iniziare un nuo­ vo tempo dell'ira divina; perciò Giuda fa offrire un sacrificio in espi azione per­ ché siano assolti dal peccato. Questo stesso episodio costituisce il più evidente fondamento biblico della dottrina tradizionale del purgatorio.

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SEZIONE SECONDA

SAGGI DI ESEGESI

CAPITOLO PRIMO

L'INNO DEL CREATORE PER LA BELLEZZA DELLA CREAZIONE (Gn 1,1-2,4a) GIANANTONIO BORGONOVO

BIBLIOGRAFIA

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l. STRUTTURA LETTERARIA

Non fa problema il limite iniziale della pericope, dal momento che coincide con l'inizio del libro di Genesi e dell'intera Bibbia. Qualche discussione si deve invece introdurre circa la conclusione della pagina. L'inizio di una nuova frase subordinata circostanziale in 2,4b è un indizio importante per collocare la con­ clusione in 2,4a, nonostante la strenua, ma non convincente, difesa della voca­ lizzazione masoretica.' ' Cf, ad es., U. CASSUTO, A commentary on the Book ofGenesis. l. From Adam 10 Noah, Gen l ,J6,lla, Magnes Press, Jerusalem 1 % 1 . T. STORDALEN, Genesis 2.4: Restudying a locus classicus. ZAW 104

( 1 992) 163-177, considera Gn 2.4 come un versetto-ponte fra il mito della creazione di Gn l e il mito delle origini in Gn 2-3, da leggersi come un unico grande racconto, strettamente unito alla pagina del pri­ mo capitolo.

394

Discutiamo subito l 'ipotesi di W. H. Schmidt,2 in quanto ci offre l 'opportu­ nità di mostrare come sia possibile ricuperare gli studi storico-critici in nuova prospettiva. A suo parere, Gn l sarebbe la fusione redazionale di due racconti precedenti, di cui il primo costruito in base alle parole divine (Wortbericht) e il secondo in base alle azioni divine (Tathericht). Il primo sarebbe una versione più recente ed evoluta del secondo, più arcaico ed immediato. Si può ricuperare lo studio di Schmidt, lasciando cadere gli sviluppi diacro­ nici della sua ipotesi, e sfruttando la sua analisi in prospettiva sincronica. In Gn l , vi sono di fatto una sequenza di dieci parole iu.uive (vv. 3. 6. 9. I l . 14. 20. 24. 26. 28. 29) e una sequenza di otto verbafaciendi (vv. 4. 7a. 7b. 1 6. 17. 2 1 . 25. 27). Tuttavia, s i noti che questi verba faciendi non corrispondono esatta­ mente alle "otto opere", in quanto non sono distribuiti in modo equilibrato: men­ tre il secondo, il quarto e il sesto giorno hanno due azioni divine per la medesi­ ma opera, il terzo giorno ha solo una sua parola. Le due sequenze invitano a scoprire il senso di tale "lista". In effetti, la pagi­ na è una lista strutturata in forma innica, con vocaboli che si rincorrono a mo' di fugato e la ripetizione di formule fisse.

Prendiamo in esame i formulari, che compaiono in modo leggermente diver­ so per ogni opera.J Come esempio, leggiamo i vv. 3-5: l . introduzione 2. comando 3. esecuzione 4. giudizio 5. azione divina 6. "nome"4 7. conclusione ordinatrice

Dio disse: «Vi sia luce!». E vifu luce. Dio vide che la luce era bella. Separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce "giorno" e le tenebre "notte" . Venne sera e poi mattino: primo giorno. '·

Dal momento che otto sono le opere narrate, abbiamo per 8 volte la ripetizio­ ne del medesimo formulario con poche, ma significative variazioni: J• opera (vv. 3-5) 2• opera (vv. 6-8) 3• opera (vv. 9-1 0) 4" opera (vv. 1 1 - 1 3) S' opera (vv. 14- 19) 6• opera (vv. 20-23) 7"- opera (vv. 24-25) 8" opera (v v. 26-31 )

l.

2.

l.

2.

l.

2. 2. 2. 2.

l.

l. l. l.

l.

2.

2.

4. 3. 5. 3. 3. 6. 4. 3. 4. 3. 5. 4. 5. 4. 3. 5. 4. *

*

5. •

6. 6. •

(5.)

7. 7.

.. * *

5.

7. 7.

l giorno

Il giorno __,

lll giorno

7.

lV giorno V giorno

6. 3. 4.7.

VI giorno

6.

__,

1 W. H. SCHMIDT, Die Schopfun/l,sgeschichte > di Dio (ysbt). Il «settimo giorno» divino non è tuttavia tempo ozioso, ma - come espri­ me il v. 3, che è centrale in questa microstruttura - è il tempo di una nuova atti­ vità, la «santificazione» (1./qdS) del tempo, reso fecondo da nuova «benedizione» (\jbrk).

L'elemento settenario ritorna anche in altri particolari dell'inno: i formulari di ogni opera sono sette, quando sono tutti presenti; il verbo biira' «creare» occorre sette volte (vv. 1 , 1 . 2 1 . 27 [3 volte]; 2,3. 4); il primo versetto è composto di sette parole (i masoreti non hanno collegato gli et con il maqqep) e il secondo versetto di quattordici parole; ' In molti manoscrini la lettera hé di b'hibb4r''dm è serina più in piccolo. Si trana di una panicolarità (b. Me­ na/i. 29b), con una simpatica spiegazione riguardante la differenza dei due mondi creati da Dio, il mondo presente creato con la lettera hè, e il mondo futuro con la lettera jod, invita a leggere b'hibbdr'am come se fosse b'hè b'rtiam «con la [lettera hé] egli li [= cielo e terra] ha creati>>. Si veda anche E. Tov, Textual criticism ofthe Hebrew Bib/e, Second revised edition, Fonress Press • Royal Van Gorcum, Minneapolis · Assen, Netherlands 1992, '200 1 , 58. che non sembra avere alcun rilievo semantico, ma già presente nei manoscritti antichi. Il Talmud

396

elohim occorre trentacinque volte (7X5); 'ere$ «terra>> occorre ventun volte (7x3 ), Siimajim «cielo>> dodici volte; tre

volle appare invece il sintagma «cielo e terra>> ( I , I ; 2, l . 4a); la formula di approvazione di Dio («vide che era bello>>) compare sette volte;• la triplice ripetizione del «settimo giorno» in 2, I -4a sta in tre stichi di sette parole ciascuno ... Bisognerà dunque spiegare quale sia il significato del numero «sette>>. Ritorniamo per ora alla considerazione della struttura letteraria. Si diceva poco sopra che Io schema ottonario delle opere s'intreccia con il settenario della settimana. Si guardi con più attenzione all'ordine delle opere: l . luce (giorno e notte)

2. finnamento = cielo (acque di sopra e di sotto)

5. luci del finnamento 6. animali acquatici e volatili 7. animali terrestri 8. uomo

3. terra - mare 4. piante

Molte le soluzioni offerte per spiegare questo ordine lungo la storia dell'ese­ gesi. Una pista classica parla di opus distinctionis ed opus ornatus: tre giorni per l'opera di separazione e tre giorni per l'opera di ornamento. Ma c'è una diffi ­ coltà: le piante sono già create il terzo giorno e il tema della "separazione" è an­ cora fondamentale nel quarto giorno, almeno, giorno in cui vengono creati gli astri. D'altra parte, sebbene vi sia una certa corrispondenza fra i luoghi e le opere che ad essi appartengono, non per tutti gli elementi vale questo rapporto. J. Wellhausen, ad esempio, ha cercato di far combaciare gli elementi con uno sche­ ma di questo tipo: luce astri

acqua uccelli

cielo pesci

terra animali/uomo.

H. Gunkel, per ovviare all'evidente inversione centrale (cielo-acqua vs. pe­ sci-uccelli), ha ipotizzato che originariamente lo schema fosse di questo tipo: luce astri

cielo uccelli

acqua pesci

terra (+ piante) animali l uomo (+ nutrimento)

Lo schema non risponde alla difficoltà segnalata, circa la creazione degli astri dopo le piante. Secondo H. Gunkel, la risposta sarebbe da trovare ipotizzando la ricerca di uno schema armonico, con la necessità quindi di riprendere la serie con gli astri che corrisponderebbero alla luce del primo giorno. Altri pensano che la posizione degli astri sia da interpretare come un segno di demitologizza­ zione: essi sono "declassati" fra le creature terrestri ... Le due spiegazioni non soddisfano pienamente. Cerchiamo quindi un'altra soluzione, seguendo P. Beauchamp.' Come prin­ cipio di organizzazione, assumiamo i due fuochi dell 'opera creatrice, ricordati ' Un motivo in più per considerare spuria l'aggiunta della LXX al v. 8. ' P. BEAUCHAMP, Création et séparation, 43ss.

397

in inclusione ( 1 , 1 e 2,4) - all'inizio e alla fine della pericope: cielo e terra. Dal cielo derivano per susseguenti separazioni le opere fisse; e verso la terra conver­ gono le altre opere fino al vertice della creazione, l'uomo. Partiamo dalla corrispondenza già registrata, ridisposta però in modo più perspicuo: luce . luminari

vegetali nubi mento.

cielo-terra-mare animali-uomo

In questa duplice serie, il quarto giorno - con la quinta opera - è in parallelo alla prima opera del primo giorno, come le piante sono in parallelo al nutrimen­ to vegetale che Dio offre all'uomo e agli animali. La sequenza potrebbe essere espressa con il binomio cielo e terra, conferendo alla "terra" il valore sintetico dell'ambito dominato dall'uomo, e al "cielo" l'ambito che non compete al do­ minio umano. Già da qui si potrebbero dedurre la grandezza e i limiti dell' uo­ mo: egli è re sulla terra, ma il suo dominio non si estende al mare e al cielo: cielo cielo

terra terra.

cielo terra

Scrivendo la sequenza in modo leggermente diverso: cielo

cielo

terra

cielo

terra terra.

Per avere una sequenza più "logica", dovremmo invertire il binomio centra­ le, così da ottenere: cielo - cielo - cielo l terra - terra - terra. Ma la nostra "logi­ ca" non rispetterebbe la "logica" dell'inno. Sulla base di quest'apparente spo­ stamento, potremmo invece formulare un'ipotesi, tenendo conto che si tratta del quarto giorno e della quinta opera: i vv. 14- 19 si trovano qui proprio per essere al centro della settimana creazionale. Ciò spiegherebbe anche la particolare lunghezza della narrazione, che, in modo troppo sbrigativo, è stata talvolta giu­ dicata un'anomalia.' Al contrario, la particolare lunghezza diventerebbe un ulte­ riore indizio della centralità del quarto giorno nella struttura ebdomadaria. Vi sono altre prove che confermano questa centralità: a) la presenza delle formule di finalità, espresse dal sintagma del verbo ntitan , per gli astri nel v. 1 8 (mtisal) e per l'uomo nei vv. 26 e 28 (rada e kiibaS); c) la lunghezza del racconto: basti dare uno sguardo alla tabella che riportiamo

qui di seguito, per verificare la distribuzione equilibrata del racconto nell ' ar­ co dei sei giorni di lavoro:

• G. von Rad giudica questi versetti «intollerabilmente sovraccarichi»; per H. Gunkel «tutte queste fonnule non sono ben ordinale».

398

[

numero delle parole

giorno

parola-comando

m

I

I

207 206

69

{

3-4 5

3-4 5

6 7-10

7-8

III IV

v

149

2

2

II

69 69 57

opera l

VI

6

d) ancora più significativa è la ripetizione di alcuni termini-chiave nel contesto

dell'intera pagina. Appaiono così i rimandi al primo e al settimo giorno. Si veda la seguente tabella: l giorno qàrà ' hobdi/

{

111 giorno Il giorno qàrà'(2x) qàrà ' hobdil (2x) mfn (3x)

or - IJ6Sek jom - lajla

IV giorno

habdfl (2x)

V giorno bàrek

VI giorno bàrek

mln (2x)

mfn (5x) qidde!

VII giorno bàrek

or - IJosek jom - lajld mo'àdim

1/Sbt

e) un ultimo motivo che può confermare la centralità del quarto giorno è la stes­

sa struttura dei vv. 1 4- 1 9; il quarto giorno, a buon diritto, può dunque essere detto «Mittwoch»:9 v. 14:

Dio disse: «Vi siano luminari nella volta celeste, A. per separare (hobdif) il giorno dalla notte:

v. 15:

e servano da luminari nella volla celeste

v. 16:

Così avvenne. Dio fece due grandi luminari: quello maggiore

B. siano segni per le feste, i giorni e gli anni C. per illuminare

B. per governare

e quello minore v. 17: v. 18:

v. 19:

(hli'ir) la terra».

(mem!lila) il giorno

B. per governare (memlàla) la notte, insieme alle stelle. Dio li pose nella volta celeste'" C. per iUuminare (hà'ir) la terra, B. per governare (mlisal) sul giorno e sulla notte A. e per separare (hobdil) la luce dalle tenebre.

Dio vide che era hello. Venne sera e poi mattino: quarto giorno.

La rilevanza della centralità del quarto giorno dovrà essere chiarita dall 'ese­ gesi, ma si può già intuire quale via percorreremo. L'autore di Gn l (P) vuole fondare il calendario liturgico in uso al suo tempo: la Iegittimazione della sepa­ razione del tempo sacro dal tempo profano risale all'atto creativo di Dio. Dal punto di vista della struttura di superficie, il quarto giorno rimanda alla separa­ zione fondamentale di luce e tenebre (primo giorno) e anticipa la separazione derivante dalla "santità" del settimo giorno. ' Per questa struttura A(B)C Il BB Il CBA si veda P. BEAUCHAMP, Création et sépararion. " Dopo «volta celeste>>, i LXX aggiungono Eìç > 29 ( 1982) 67s; Io., Genèse 1.2c, Ugarit et t Égypte, CRAI ( 1 982) 5 1 2-525; F. ,

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Il problema principale posto dai primi due versetti sta nella domanda se essi presuppongano una concezione di creatio ex nihilo oppure una rappresentazione "demiurgica" dell'atto creativo: Dio è pensato come "creatore" o come "de­ miurgo"? Se "demiurgo", l 'opera di Dio consisterebbe in un'opera ordinatrice di una "materia preesistente"; se "creatore", invece, la sua opera significherebbe l'inizio assoluto del tutto. Il problema si pone già a livello filologico, non tanto per il testo consonantico, ma per la vocalizzazione massoretica. Le frasi dei vv. 1 -2 potrebbero infatti essere intese: a) come proposizioni principali paratattiche; b) oppure come un periodo sintattico più complesso, la cui principale sarebbe da cercare nel v. 3: «All'inizio, quando Dio creò il cielo e la ter­ ra... , Dio disse>>. Dal punto di vista filologico entrambe le soluzioni grammaticali potreb­ bero essere accolte. I massoreti hanno vocalizzato come se b'ré'Sit fosse in stato costrutto (frase subordinata: «quando in principio Dio creò ... >>), ma poi vi hanno posto sotto un accento disgiuntivo (tipl}a), indicando quindi di interpretare il lessema non come congiunzione, bensì come semplice avverbio (frase paratattica: ) . Così avevano interpreta­ to anche tutte le versioni antiche. La traslitterazione origeniana dell'ebraico in greco ­ �QT]OL8 o �aQT]OT]8 - e Sam bara!ét sembrano presupporre la presenza dell'articolo (baréslt); ma tale differenza è dovuta più alle regole fonetiche della scuola grammaticale

402

di Tiberiade," che non a diverso valore semantico o sintattico. Anche b'rè'lft andrebbe classificata come un'espressione assoluta, alla pari di mèrè'Sft (ls 46, 10), mèrò 'S (ls 40,2 1 ; 4 1 ,4) o di mèoldm (in Prv 8,23 in parallelo a mèrò'S}. I grandi grammatici ebrei medievali hanno interpretato i vv. 1 -2 come frasi subordinate. Rashi, ad esempio, traduce: «Quando Dio iniziò a creare il cielo e la terra - e la terra era... - Dio disse... »." Per sostenere la subordinazione, E. A. SPEISER, 9ss, cita i paralleli del­ l 'AVO, in particolare l'incipit di Enuma eli! e di Atrabasrs. Ma A. HEIDEL, The Babylo­ nian Grnesis, 95s, aveva già giustamente obiettato che l'accadico eniima (o inuma) corri­ sponde all'ebraico b'jom (Gn 2,4b), e non a b'rè'Sft. Da un punto di vista stilistico, vi è un motivo in più per leggere i primi due versetti in pa­ ratassi. Gn l è infatti costruito con frasi brevi e solo a questo punto si avrebbe una sintas­ si complessa. Per queste ragioni, alla fine, preferisco mantenere i vv. 1 -2 in paratassi, co­ me frasi principali accostate.

Il senso della prima frase è stato sintetizzato in modo eccellente da F. Delitzsch: L'affermazione che all'inizio Dio ha creato il cielo e la terra non esclude solo l'idea del­ l 'eternità del mondo a parte ante, ma mostra che il vero e proprio inizio del tutto fu la creazione del cielo e della terra."

In effetti, il v. I dice in modo lapidario che l'inizio assoluto sta in un'azione di Dio ed essa è l'origine della totalità che verrà in seguito ordinata dall'azione divina. Il verbo usato è bara','" un verbo ben caratterizzato nella Bibbia ebraica, in quanto JHWH (o Dio) è sempre il soggetto delle 48 ricorrenze e non è mai uti­ lizzato con un complemento indiretto che indichi il materiale con cui Dio agi­ sce. In particolare, questo verbo è utilizzato da due autori: il Secondo Isaia e la tradizione P. Nelle I l occorrenze del II-Is, il verbo esprime l'azione creatrice originaria e il nuovo agire di Dio nella storia (in questo senso si vedano anche Es 34, 10; Nm 16,30; Ger 3 1 ,22). Nelle I l ricorrenze della tradizione P, bara 'in­ dica sempre l'azione creatrice di Dio all'inizio del tutto. É. Dantinne," sulla ba­ se dei cinque passi in cui bara' non significa «fare>> ( I Sam 2,23; Ez 2 1 ,24; Gs 1 7, 15. 1 8; Ez 23,47), deduce che in origine la radice verbale avrebbe potuto si­ gnificare «tagliare, separare, tranciare». La sua conclusione è che gli ebrei «per esprimere l'idea di creazione [ .. ] hanno usato un termine al quale si associa la nozione di separazione, cosl spesso esplicitamente formulata nel racconto stesso della creazione»." La notazione ha una sua rilevanza, anche perché la struttura letteraria mette in evidenza Io stesso concetto. Tuttavia, nel contesto di Gn l , il verbo sembra ormai del tutto lessicalizzato e sta ad indicare l'azione singolare di Dio ( 'elohfm) «in principio». .

" Per questo problema, si veda E. Tov, Textual criticism ofthe Hebrew Bib/e, 39-49. " RASHI OE TRoYES � RABBI SHELOMO I�J:!AQI, Commento alla Gene.>, e KI.SAR, la «totalità della terra>>, erano il frutto del mischiamento delle due acque, dolci e salate (Apsu e Tiiimat), nel racconto biblico essi sono invece l 'esito dell'unica azione di Dio. Non si può dedurre dal solo vocabolo biira•la concezione di creatio ex nihi­ lo. Per raccogliere ulteriori elementi utili alla discussione del problema, si devo­

no dapprima leggere le tre frasi del v. 2, che descrivono la situazione tra l'inizio assoluto e l'opera ordinatrice di Dio. Le tre frasi circostanziali23 sono del tipo "quando-non-ancora" e si ritrovano anche nei poemi di Enuma elis e di Atrai:Jasis. Propriamente, non sono da prendere come la raffigurazione del caos iniziale, in quanto vi è già stata l'azione di Dio precedente, ma come un nulla relativo, o meglio, come il non-ancora-esistente: si descrive la situazione ante­ cedente alla creazione, presentandola con tratti antitetici rispetto all'esperienza storica. Se la terra, nella situazione presente, è sperimentata come un ordine sa­ pientemente architettato, allora essa non era ancora così. Se la luce e le tenebre creano oggi un'alternanza perfetta che desta stupore, allora non era ancora co­ sì... Tale sottolineatura dice che il baricentro del problema è antropocentrico, vale a dire l'umanità di questa storia. a) «La terra era tohU wiibOhu>>

Nella Bibbia Ebraica, tohCt (20x) indica un luogo desertico (Dt 32, 1 0; Gb 6,1 8; 12,24; Sal 107,40) e ne sottolinea l 'idea di luogo orrido, squallido, vuoto. In Is 45, 1 8 e Gb 26,7, è l'antonimo di creazione, quasi come un niente, in paral­ lelo a 'epes, hebel, rfq (cf l Sam 1 2,21 [2x]; ls 29,2 1 ; 40, 17; 41 ,23; 44,9; 45, 19; 49,4; 59,4). Quanto al secondo lessema, bOhU, dal punto di vista semantico non sembra avere alcun valore proprio: occorre 3x nella Bibbia Ebraica (oltre al no­ stro passo, in Is 34, I l e Ger 4,23), sempre in coppia con tohU, di cui sarebbe al­ litterazione poetica. Non c'è dunque bisogno di cercare paralleli nel sumerico BAU, la dea presente anche nella mitologia fenicia di Sanchuniaton - a noi in par­ te nota tramite Eusebio di Cesarea - con il nome di �uov.24 I due lessemi, che non sono quindi propriamente un'endiadi ma uno sdoppia­ mento poetico, comunicano l'immagine di una «squallida vuotezza>>. La versio­ ne greca dei LXX, àoe m:o ç xai àxm:aoxeua"toç «invisibile e disadorno», sembra essere stata influenzata dalla rappresentazione del caos della mitologia " Nella prosa ebraica, la frase circostanziale è il modo più usato per iniziare una narrazione: cf, ad es., Gn 3, 1 ; 4 , 1 . Ma qui è un inizio assoluto. " Cf E. TESTA 272; M. GORG, Tohu wabohu - ein Deutungsvorsch/ag, ZAW 92 ( 1 980) 431-434; G. GARBINI, La cosmogonia fenicia e il !0 capitolo della Genesi, in G. DE GENNARO (cur.), l/ cosmo nella Bibbia (Studio Biblico Teologico Aquilano), Ediz. Dehoniane, Napoli 1982, 1 27-154; M. GORG, Ein wei­ terer Tonna11el Gudeas fiir die Gottin Baba, BN n. 38s ( 1 987) 30-32; D. T. TSUMURA, Nabalkutut, Tu-a­ bi[-uj and tohu wabohu, VF 19 ( 1987) 309-315; W. G. LAMBERT, Afurther note on tohU wabohU, VF 20 ,

( 1 988) 135.

404

greca. Aquila (XÉ'VO>f.«l xaì. oùbév «deserto e nulla») e Teodozione (XEVÒ'V xaì. o'ÙbÉv >. Se Gn l venis­ se definito una ((creazione per mezzo della parola>>, si applicherebbero a questo testo gli sviluppi successivi della tematica sapienziale nell'AT, nel giudaismo e nel NT.33 In Gn l , piuttosto, si sottolinea la potenza creatrice del comando di Dio. Quando Goethe, in contrapposizione al giovanneo (dn principio era la Pa­ rola>>, scriveva che (dm Anfang war die Tal>>, si avvicinava di più al significato originario di Gn l , che pone ali 'inizio non un ddbdr, ma un comando di Dio. Elementi paralleli si trovano in Enuma elis (IV, 22-26) e nella cosmogonia egi­ ziana. .

or (duce>> è la prima creatura. Si deve comprendere un tale primato nell'ideo­ logia di P, più che non in base ai paralleli dell'AVO. Tenendo presenti gli aggan­ ci strutturali tra il I, il IV e il VII giorno, si deve concludere che la primazialità della luce va collegata all'importanza del tempo nell'ideologia sacerdotale.34 Con la luce è creato il tempo e il ritmo ordinato di esso (giorno l notte) e non tanto lo " Si ricordino le pagine di Gb 28; Prv 8; Sir 24; Sap 7-9; Gv l; Col l e per il giudaismo rabbinico il tema della memrti' > 1 2 ( 1 986) 12- 16; A. W. VON EIFF, Der Mensch - Hohepunkt und Ende der Evolution ?, StZ 205 ( 1 987) 531 -540; G. ANGELINI, Il "dominio " della terra ; Genesi / ,28 e la questione ambientale, RCI 69 ( 1 988) 407-4 18; A. SONORA, Creazione e libertà umana in Genesi 1-11, 67 ( 1 991)

" U. NERI (cur.), Geni!si (Biblia AT 1), EDB, Bologna 1995, 19.

414

44 1-454; CH. UEHLINGER, Vom dominium terrae zu einem Ethos der Selbsbeschriinkung, BiLi 64 ( 1991 ) 59-74; A. GOTISCHALK, The image ofman in Genesis and the Ancient Near East, in R . J. R ATNER et alii (cur.), Let your colleagues praise you; Mem. Stanley Gevirtz, . La prima particolarità sta nel fatto che la creazione dell 'umanità non avviene solo tramite un comando e un'azione di Dio, ma viene espresso l' intero cam­ mino decisionale. La seconda particolarità si coglie nel giudizio del v. 3 1 : tale giudizio non è diretto ali 'umanità, ma - in generale - a quanto Dio ha fatto; per l'uomo, sembra che il giudizio rimanga in sospeso, in attesa della sua libera ri­ sposta. La struttura retorica è molto curata e va inquadrata nel contesto del sesto giorno (vv. 24-3 1 ) per apprezzarne la simmetria. Anche questo è un indizio del­ Ia particolare attenzione riservata alla creazione de li' umanità:

X.

I discorso di Dio (wajjo'mer 'flohim): comando per creare gli animali v. 25a: wafhi-ken + esecuzione del comando v. 25b: lode (wajjar' 'élohtm kt t6b)

B.

v. 26:

A. A'.

v. 24:

II discorso di Dio ( wajjo'mer 'élohim ) : decisione e compito

l (v. 27: creazione dell'umanità) l

c.

B'.

v. 28:

III discorso di Dio (wajjo'mer elohim): benedizione e compito

D. D' x.

V. 29: v. 30:

IV discorso di Dio (wajjo'mer 'élohim): cura provvidente per l'umanità e per gli animali + wafhi-kln V. 3 1 : )ode (wajjar' e/6hfm ... w'hinneh (Oh m'Od) + conclusione del sesto giorno

La centralità e la grandezza dell'umanità in relazione a Dio, elementi che emergono dali' analisi dettagliata dei vv. 26-3 1 , sono già evidenziati dalla strut­ tura di superficie.

" Sino a Gn 4,25, 'ildiim va inteso come un collettivo e non come un nome proprio. Si vedano le pun­ tualizzazioni di D. BoURGUIIT, L'homme ou bien Adam?, ÉTR 67 (1992) 323-327.

415

Il discorso di Dio si apre con un plurale: naaseh 'tidiim. Potrebbe essere una reliquia della tradizione culturale dalla quale Gn l ha attinto ispirazione. Già nella tradizione dell'AVO la creazione dell'uomo era sottolineata da una deci­ sione dell'assemblea divina: si ricordino, ad esempio, Enuma eli! VI, 5-8 e Atra�asis I, 175-220. Tuttavia, sembra improbabile che P, tanto attento ad espungere ogni tratto mitologico, abbia lasciato un plurale compromettente. L'interpretazione di questo plurale ha una storia esegetica molto lunga. l Padri spesso l'hanno interpretato come indizio teologico per affermare che nella creazione è già ali' o­ pera la Trinità: è una evidente rilettura teologica, impropria da un punto di vista storico. Tra gli esegeti moderni, molti" spiegano il plurale ricorrendo alla rappresentazione della corte celeste (come in IRe 22,19; Gb 1 -2; Is 6,8). Ma P non conosce tale rappresentazio­ ne e un'angelologia, preoccupato com'è dell'unicità e dell'assolutezza di Dio. Altri tenta­ no sentieri diversi: W. Eichrodt lo spiega come volontà di istituire una differenza tra l ' io dell'uomo e Dio; A. Dillmann pensa che P voglia serbare la rivelazione dell'io di Dio al momento dell'esodo (Es 6) ... 56

Dal punto di vista grammaticale, lo si potrebbe spiegare come pluralis deli­ berationis, in quanto il pluralis majestatis non sembra essere usato in ebraico biblico.�7 Benché questa soluzione grammaticale sia plausibile, non si può esclu­ dere del tutto l'intuizione introdotta da A. Dillmann, a partire dall'ipotesi di una tradizione narrativa che già esprimeva la decisione divina con il plurale della corte celeste: usando il "noi" e non l "'io" si vorrebbe rimandare altrove - e pre­ cisamente al momento dell'esodo - la manifestazione piena dell'"lo" di Dio. b'$0lmem1 kid'mutenu. Le due preposizioni ebraiche b' e k' hanno lo stesso si­ gnificato: la variazione è stilistica ed è dovuta al parallelismo, che non è solo uno stilema della poesia, ma anche della prosa ebraica. Hanno dunque tradotto correttamente sia i LXX (xani) sia Girolamo (ad), nell'utilizzare la stessa pre­ posizione. Il primo lesse ma, $elem, indica per lo più l'effigie plastica, la statua ( l Sam 6,5; 2Re 1 1 , 1 8; 2Cr 23, 17), oppure le statue degli idoli (Ez 7 ,20; Am 5,26; Nm 33,52). Secondo P. Humbert, «tutti i passi dell' AT intendono $1m uni­ camente nel senso di effigie esteriore, rappresentazione plastica, senza estensio­ ne morale o spirituale del termine».58 Ma C. Westermann afferma che la conclu­ sione di Humbert è troppo affrettata, perché in Sal 39,7; 73,20 il senso è piutto­ sto quello di immagine, in quanto ombra o sogno: del resto, non vi sono prove per pensare con Humbert, che in questi testi il lessema $1m derivi da un'altra ra­ dice.,. Quanto al secondo lessema demut, è chiara la derivazione dalla ydmh, ((essere simile»: demut in 2Re 16,10 è un modello per altare; in Ez 23, 14s e 2Cr " Cf A. ALT, H. GUNKEL, G. VON RAD. Si veda F. FEsTORAZZI [1963]. " Si veda uno status quaestionis dettagliato in C. WESTERMANN, 203-217. " L'unico esempio spurio di pluralis maje.> e «santifica>> il settimo giorno. Anzi, si potrebbe dire che è la settimana creazionale a fondare la dialettica di diastole e sistole, portante per tutta la storia sacerdotale. La settimana creazionale viene espressa da un settenario antitetico (6+ 1 ), in cui i due momenti sono tra loro in posizione polare asimmetrica. Il verbo che crea asimmetria in questa polarità è qiddes, che indica la separazione dalla feria­ lità lavorativa e l'appartenenza esclusiva a Dio. La mèta dei sette giorni, il loro baricentro, è il settimo giorno. Il "settimo giorno di Dio" è il fine dell'uomo e di tutta la creazione. D riposo di Dio non è ozio, ma attività nuova e completamento del lavoro precedente. 423

C'è una fecondità nuova del settimo giorno, che supera la fecondità dei giorni la­ vorativi."' Ali 'uomo, tuttavia, è concessa una prolessi, un anticipo di essa, nella festa e nel culto; in esso, Dio benedice l'uomo e l'uomo risponde a Dio con una benedizione di lode. Per scoprire la ricchezza di questo pensiero, citiamo due altri testi della tradi­ zione P. in cui si istituisce una peculiare relazione tra la «gloria [di JHWH]>> (kiibOd) e il «settimo giorno>>: Es 24, 1 2- 1 8 ed Es 39-40. a) Es 24,12-18

La struttura sabbatica della seconda teofania di Es 24 descrive la permanen­ della «gloria>> sul Sinai e introduce la rivelazione cultica di Es 25-3 1 . Richia­ miamone sinteticamente la struttura retorica: za

A. v. 1 2 : ordine di JHWH a Mosè perché salga sul monte e vi rimanga B. v. 1 3: Mosè sale con Giosuè A'. v. 14: gli anziani devono attendere B. v. l5a: Mosè sale sul monte C. v. 15b: la nube coprì il monte D. v. 1 6aa: la gloria di JHWH dimora sul monte

D'. v. 17: l'aspetto della gloria di JHWH sulla cima del monte C'. v. 1 8a: Mosè entra nel mezzo della nube B ' . v. l 8b: Mosè salì sul monte e vi rimase 40 giorni

Da un veloce sguardo allo schema grafico della composizione, appare che lo schema ebdomadario antitetico (6+ l) sta giusto al centro del nostro testo: la nu­ be coprì il monte per sei giorni, ma il settimo giorno JHWH chiama Mosè. Nella teofania di Es 24, 12-18, il settimo giorno è dunque il giorno del "collo­ quio" tra Dio e Mosè, il giorno della "manifestazione" della kbOd lHWH, dopo i sei giorni di "velamento" nella nube. b) Es 39-40

Anche il completamento della costruzione del santuario e la sua inaugurazio­ ne presentano analogie con Gn. Il testo andrebbe letto nella sua interezza. Si no­ ti, almeno, in 39,32.43 e 40, 16s.33b la stessa terminologia di Gn per la conclu­ sione dei lavori: " Questo è il valore teologico del •ponare a compimento ogni suo lavoro ne/ senimo giorno• di Gn 2.2. I LXX hanno h "tfi fti'ÉQQ "tfi lx"tfi («nel sesto giorno>>) invece del TM baj-jom ha!-�biT. In questo

modo. tuttavia. viene persa una valenza teologica imponante attribuita al «settimo giorno» di Dio. La correzione dei LXX distrugge di fatto questa valenza. riducendo il "lavoro" di Dio a quello della ferialità dei sei giorni precedenti.

424

39,32:

39,43:

Cosifu finito tutto il lavoro della Dimora della tenda del convegno (wattekel kol­ 'il:b&lat mi�kiin 'ohel mO'ed). Mosè vide tutta l'opera (wajjar' m�eh 'et-kol-hamm'la'ka) e riscontri:J che l'ave­ vano eseguita come il Signore aveva ordinato. Allora Mosè li benedisse

(waj'barek 'otiim). 40, 16s: Mosèfece in tutto secondo quanto il Signore gli aveva ordinato. Così fece: nel secondo anno, nel primo giorno del primo mese (i.e. un IV giomo)fu eretta la Dimora.

40,33b: Cosi Mosè terminò l'opera (waj'kal m�eh 'et-hamm•Ja'ka).

Come al termine della costruzione dell'universo vi fu il riposo divino nel "settimo giorno", così al termine della costruzione della tenda vi è la discesa della gloria divina."' L'apparizione della gloria di JHWH nella nube, benché non esplicitamente inserita in uno schema ebdomadario, ma solo in una sequenza antitetica lavoro l termine dell'opera, significa che Dio prende dimora in mezzo al suo popolo: 40, 33-35: ... Così Mosè termini:J l 'opera. Allora la nube coprì la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché lo nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore riempiva la Dimora.

Il termine della costruzione, il "riposo", coincide con la dimora della nube e della gloria nel santuario. Anche il "settimo giorno" di Es 24 era impostato sulla dialettica di nube e gloria: si può dedurre che la pienezza del "settimo giorno" è l 'abitazione (S'kfniì) di Dio in mezzo al suo popolo.

c) «Sabato di Dio» e «sabato dell'uomo» L'asimmetria polare tra lavoro e riposo assume, attraverso questi testi, il suo profondo significato. Il "sabato dell'uomo", attraverso il culto e la festa, dà si­ gnificato alla temporalità dell'uomo, in quanto l 'uomo entra in dialogo con Dio e riceve da Dio quella fecondità del "sabato di Dio", che è la meta della creazio­ ne. Nel sabato, l'uomo scopre il senso del suo lavoro e scopre la direzione del suo essere-tempo: il sabato non è tanto la mancanza di lavoro, ma è soprattutto presenza di Dio. Attraverso i l sabato, la temporalità dell'uomo si dilata su Dio: La legge del Sabato cerca di convogliare corpo e spirito nella dimensione del sacro; essa cerca di insegnarci che l' uomo è in relazione non soltanto con la natura ma anche con il creatore della natura. Che cos'è il Sabato? È lo spirito sotto forma di tempo. Con il nostro corpo noi apparteniamo allo spazio, ma il nostro spirito, la nostra anima si leva verso l'e­ ternità e aspira al sacro. Il Sabato è ascesa a un vertice [ ... ] Il Sabato è un microcosmo del­ lo spirito, come se riunisse in sé tutti gli elementi del macrocosmo dello spirito."

L'uomo non scopre il senso del suo essere-tempo nell'attivismo, non è la sua capacità di homofaber a redimere i limiti della sua temporalità, ma la partecipa-

" Non sfugga il possibile valore simbolico dello spazio sacro della tenda quale microcosmo che tta­ scrive la vicenda del macrocosmo. " A. ]. HESCHEL, Il Sabato. Il suo significato per l'uomo moderno. Traduzione di L. MoRTARA - E. MORTARA DI VEROLI, Garzanti, Milano 1972, '20()1, l l2ss.

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zione al riposo di Dio e la sua dimensione di homo religiosus, in quanto anticipa la mèta del settimo giorno di Dio. In essa egli troverà la sua piena dignità. Se la k'bOd JwHW è "dimora" e "presenza" divina in mezzo al suo popolo,.. e se il "settimo giorno di Dio" è in relazione a questa gloria, tale dimora di JHWH in mezzo al suo popolo è il vero traguardo del polarismo del tempo. Ma al lora il senso della temporalità umana è la comunione con Dio, che si dischiude nel simbolo del settimo giorno di Dio. La storia va verso Dio. La sabbdt è un poten­ te acceleratore del cammino della storia verso Dio.'" Stupenda è a questo propo­ sito la pagina conclusiva delle Confessioni (XIII, 35-38): Signore Dio, poiché tutto ci hai fornito. donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sa­ bato, la pace senza tramonto. Tutta questa stupenda armonia di cose assai buone, una vol­ ta colmata la sua misura, è destinata a passare. Esse ebbero un mattino e una sera. Ma il settimo giorno è senza tramonto e non ha occaso. L'hai santificato per farlo durare eternamente. li riposo che prendesti il settimo giorno, dopo compiute le tue opere buone assai pur rimanendo in riposo, è una predizione che ci fa l'oracolo del tuo Libro: noi pure, dopo compiute le nostre opere. buone assai per tua generosità, nel sabato della vita eterna riposeremo in te. Anche allora sarai tu a riposare in noi, come ora sei tu a operare in noi. Sarà, quello, un ri­ poso tuo per mezzo nostro, come sono, queste. opere tue per mezzo nostro. Tu però, Si­ gnore, operi sempre e riposi sempre. Non vedi nel tempo, non ti muovi nel tempo, non ri­ posi nel tempo, e tuttavia compi le nostre visioni temporali, il tempo stesso e il riposo do­ po il tempo. Noi vediamo dunque la tua creazione perché esiste; ma essa esiste perché tu la vedi. Noi vediamo all'esterno che è, all'interno che è buona; ma tu la vedesti fatta quando e dove ve­ desti che doveva essere falla. [ . . ] Possono alcune opere nostre essere buone, certamente per tuo dono, ma non eterne; eppure dopo di esse speriamo di riposare nella tua grandiosa santità. Tu però, Bene mancante di nessun bene, riposi eternamente, poiché tu stesso sei il tuo riposo. La comprensione di questa verità, quale uomo potrà darla a un uomo? quale angelo a un angelo? quale angelo a un uomo? Chiediamo a te, cerchiamo in te, bussiamo da te. Così, così otterremo, così troveremo, così ci sarà aperto." .

4. CONCLUSIONI 4.1. La dominante di Gn l non è rivelare come Dio abbia creato l 'universo e l'uomo, ma in vista di quale mèta. L'uomo, in quanto partner di Dio, è invitato a unirsi alla lode del Creatore: >, attributo del serpente (3, 1 ), e 'driìmmfm ((nudi>>, attributo che esprime la condizione dell'uomo e della donna (2,25); - il comandamento di 2, 1 6s, che viene ripreso in 3,4s, ma stravolto; il tema della nudità-vergogna, che è ripreso, ma con valore opposto (cf la correlazione del pronome fnéhem in 2,25 e 3,7s). Nel dialogo tra il serpente e la donna (vv. 1 -5), che è un finissimo capola­ voro di analisi psicologica, il narratore non parla più di Dio come JHwH 'elohim, ma solo di 'él6hfm. In questo caso, si potrebbe meglio tradurre in mo­ do astratto: la divinità. Si tratta infatti della proposta alternativa a quella del Dio vivo e vero. E dopo il dialogo, senza alcun morboso indugio, con brevissimi tratti, il nar­ ratore espone la trasgressione (v. 6) e le sue conseguenze (vv. 7-8). Nei vv. 9- 1 9 vi è anzitutto l ' istruzione del processo, con la convocazione delle parti, l 'istruttoria preliminare e l'interrogatorio (vv. 9- 1 3). Manca la parte del dialogo tra Dio e il serpente. Il dialogo di Dio con la donna e con l'uomo ruo­ ta attorno ai simboli della nudità, quale esito della nuova conoscenza, e del "mangiare", come oggetto formale del comandamento che ingiungeva di "non mangiare". A seguire, poi, vi sono tre sentenze parallele e contemporanee: pronunciate da Dio contro il serpente, la donna e l 'uomo. Nell'insieme, quindi, il processo ha un andamento simmetrico: vv. 9-12: interrogatorio dell'uomo interrogatorio della donna v. 13: sentenza per il serpente vv. 14s: sentenza per la donna v. 1 6: vv. 17-19: sentenza per l'uomo

Chiuso il processo, nei vv. 20-24 sta l'esecuzione della sentenza. Si tratta di versetti complessi e compositi, un vero e proprio crogiolo di elementi mitici ete­ rogenei, segno evidente della ricca tradizione soggiacente. Sono ormai mitemi Iessicalizzati, che il narratore mostra tuttavia di utilizzare con abilità, per con­ durre a termine il suo racconto: si veda, ad esempio, i l v. 20, in cui la donna è presentata quale hawwa, ((madre di ogni vivente>>, In tale conclusione sono as' Nella seconda e terza sentenza, non viene usato il narrativo wajjO"mer, ma la frase nominale 'el­ hti'iiia limar per la donna (v. 1 6); �/'iidàm limar per l'uomo (v. 17).

433

segnati nuovi ruoli : hawwa - ovvero datore di vita - non è il serpente,' ma la donna, in quanto ella è tramite della benedizione divina. La generazione è infat­ ti un segno della benedizione divina che supera il baratro della morte. L'accumulo di tali elementi ha la funzione di chiudere l 'arco narrativo inizia­ to con il cap. 2: temi quali "divenire come dèi", "conoscenza del bene e del ma­ le", "morte e albero della vita", "esclusione dal giardino" sono coerenti con la trama di racconto tessuta in queste pagine. In conclusione, questa è dunque la struttura di superficie di Gn 2,4b-3,24:

A. Il pro�:eno di Dio sull'umanità (2,4b-25) a. vv. 4b-9. 1 5- 17: la relazione dell'umanità con Dio e la terra-giardino +

vv. l 0-14: nota geografica sulle acque del giardino

b. vv. 1 8-25: la relazione dell'uomo con la donna voluta da Dio B. La risposta dell'umanità: il "delitto" e le conseguenze (3,1 -8) B •. La reazione di Dio: il processo e il "castigo" (3,9-19) A'. Esecuzione l conclusione: nuove relazioni dell' umanità (3,20-24).

2. LA TRAMA EZIOLOGICA" Sulla base degli indizi lasciati qua e là dal narratore, si tratta di trovare la coerenza degli elementi narrativi reperiti. Ciò permetterà, in un secondo mo­ mento, di ricercare nell'ambito dei testi biblici altre pagine che ripropongono un'analoga comunicazione discorsiva, per essere in grado di decifrare la trama eziologica sottesa al linguaggio mitico. Si deve riconoscere che in un articolo del 1 962, ormai divenuto un classico e punto di partenza di molti altri studi, L. Alonso Schokel• aveva già intuito gli in­ dizi essenziali, collegandoli discorsivamente - si direbbe con i l nostro linguag­ gio odierno - allo schema narrativo dell ' alleanza. La vicenda di Gn 2-3 sarebbe stilata a partire dalla confessione della storia salvifica d 'Israele: Dio ha creato Israele come suo popolo al Sinai, nel deserto, ha stretto con lui un patto, lo ha fatto riposare nella fertile terra di Canaan, con una legge (è il primo comanda­ mento, secondo il Deuteronomio) che permettesse di prolungarvi la vita: se Israele avesse osservato il comandamento, avrebbe vissuto nella terra nel benes' In talune lingue semitiche !lawwiì designa il seTpente: cf l'antico aramaico /.rwh (CII. F. JEAN - J. HOF­ Dictionnaire des inscriptions sémitiques de /' Ouest, Brill, Leiden ' 1965, 84), l'aramaico palesti­ nese i)iwjiì e il mandaico i)ewjiì (E.S. DROWER - R. MACUCH, A Mandaic dictionary, Clarendon, Oxford 1963, 1 42a). " Per altri tipi di analisi più approfondite, rimando a G. BORGONOVO, La "donna" di Gen 3 e le "don­ ne" di Gen 6,14; Il ruolo de/femminino nell'eziologia metastorica, in G.L. PRATO (cur.), Miti di origine, TIJZER,

miti di caduta e presenza del femminino nella loro evoluzione interpretativa; XXXII Settimana Biblica Nazionale (Roma, l4-18 settembre 1992), RSB 6,1-2 ( 1 994) 7 1 -99. ' L. ALONSO SCHÙKEL, Motivos sapienciales y de alianza en Gn 2-3, Bib 43 ( 1 962) 295-315.

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sere; se invece Israele l ' avesse trasgredito, avrebbe sperimentato la maledizione e sarebbe stato espulso in esilio. Alonso Schokel scrive: «Si yo preguntara cual es el puesto preferido de la siguiente constelaci6n de verbos lqh hby ' smr 'bd 'zb dbq $Wh Im '-qwl yr', me responderfa cualquiera que nos encontramos en el Deuteronomio; y yo replicaria que nos encontramos en Gn 2-3. [ ... ] No es extraiio que ben Sira hablase de esta escena en térrninos de b'rft ( 1 7,7-14)».'"

E più avanti: ." Le conclusioni cui si giungerà riprenderanno in parte queste affermazioni. Con nuove motivazioni, saranno più fondate.

Vi sono tre indizi importanti nel testo di Gn 2-3 che permettono di reperire la discorsività unitaria della narrazione: l ) il caratteristico nome divino JHWH 'elohim, che è proprio del presente racconto rispetto a tutte le altre tradizioni, co­ me anche neli' insieme di Gn 1 - 1 1 ; " 2) Gn 2, 1 5 con i due verbi ahad e stimar; 3) Gn 2,24, con altri due verbi tipici del linguaggio dtn e dtr, azab e diihaq. 2.1. Il nome divino ]HWH

'ilohtm

JHWH Dio suona quasi come una professione di fede: "JHWH è Dio".13 Posto dopo l 'inno creazionale di Gn l , il titolo richiama - almeno nella composizione finale del testo - la forza performante delle dieci parole e delle otto azioni di 'elohim cantate nel settenario della creazione. L' 'elohim di cui si è parlato ha un'identità: è il Dio dell'esodo, è JHWH. D'altra parte, la forma del titolo presuppone un confronto apologetico con qualcun altro che si presenta come elohfm o che addirittura spinga ad esserlo. In 3,1-5 vi è la proposta menzognera del serpente che si oppone al vero Dio: perciò in quei versetti è utilizzato semplicemente elohim, come nome astrauo e ambi­ guo di "divinità". Il serpente ne è la figura narrativa, come portavoce e rappre­ sentante della proposta alternativa ad JHWH:14 un'alternativa che passa attraverso una decisione "sapiente" e sfocia ne li 'esito decisivo di vita o morte. In quanto " L. ALONSO ScHòKEL, Motivos sapienciales, 308s. 1 1 Ibidem, 3 1 5. " Eccelluati, come si è visto, i vv. 3 , 1 -5. JHWH '1/0hfm è utilizzato in totale 36 volte nella Bibbia ebraica: 20 volte nel nostro contesto; e poi in Es 9,30; 2Sam 7,22.25; 2Re 1 9, 1 9; Gio 4,6; Sal 72, 1 8; 84,12; ICr 1 7, 1 6. 17; 28,20; 29, 1 ; 2Cr 1 .9; 6,41 .42; 26, 18. " Si ricordi, come esempi o, la conclusione dello scontro tra Elia e i profeti di Ba'al: «JHWH è Dio! JHWH è Dio!» (lHWH hU'M- e/6him, I Re 1 8,39). " Cf infra, a riguardo delle valenze simboliche del serpente.

435

Dio (vero), JHWH è creatore benedicente, garante della fecondità della creazione e unico possessore della vita (piena). È uno che può disporre anche della morte: ciò è espresso dalla relazione narrativa 'tidiim «umanità>> l 'tidiima ((terra, suolo>>, con tutte le sue armoniche. In quanto JHWH, Dio è colui ( 2 1 ( 199 1 ) 95- 1 06; A.M. PELLETIER, Le signe de lafemme, NRTh 1 1 3 ( 1 99 1 ) 665-689; B . CASTILLA Y CoRTAzAR, t.Fue creado el varon antes que la mujer? Reflexiones en torno a la antropologia de la creacion, ATh 6 ( 1 992) 3 1 9-366; J. GA LAM BUSH , addm from 'dddmd, 'i!!afrom i!. Derivation and subordination in Genesis 2.4b-3.24, in M.P. GRAHAM ­ W.P. BROWN - J.K. KuAN (eds.), History and interpretation; Essays in honour offohn H. Hayes (JSOT.S 173), JSOT Press, Sheffield 1 993, 33-46; TH. O' LoUGHLIN, Adam's riv and the equality of the sexes; Some medieval exegesis of Gen 2 :21 -22, IThQ 59 ( 1 993) 44-54; PH.A. BIRO, "Bone of my bone [sic!] and .flesh of my .flesh " , ThTo 50 ( 1 993s) 521 -534; K. KoENEN, " ... denn wie der Mensch jedes Tier nennt, so sol/ es heiflen" (Gen 2,19); Zur Bezei­ chnung von Rinden im Alten Testament, Bib 75 ( 1 994) 539-546; T. STOROALEN, Echoes of Eden. Genesis 2-3 and symbolism of the Eden garden in Biblica/ Hebrew literature (CBET 25), Peeters Press, Leuven 2000; E.G. DAFNI , > dei vv. 5a.7a è un sinonimo di "essere sapiente" (cf Ger 32, 19). La stessa caratterizzazione si tro­ va in Egitto (testi delle piramidi): un amuleto egiziano per dare acutezza e forza era fatto di pelle di serpente. La proverbialità della sua astuzia giunge fino al NT (Mt l O, 1 6) ed è un dato diffuso in tutte le culture. Alla sapienza del serpente è legata spesso la ricerca dell'immortalità, come !ematica tipicamente sapienzia­ le, i.e. la ricerca della legge che vinca le barriere della morte. c) Il serpente come simbolo del caos. Tiiimat a Babilonia era raffigurata co­ me un enorme serpente, come nella mitologia ugaritica ltn (cf il biblico Levia­ tan e Tannin). Nel testo di Gn 3 non abbiamo un dualismo di forze, quasi che i l serpente sia un anti-Dio. È invece una creatura, anche s e la più astuta. L'autore ha usato questa figura per oggettivate il male nel racconto, non per personifi­ carlo. Il serpente di Gn 3 non ha ancora le caratteristiche di un "diavolo", an­ che se, leggendo il testo nell'insieme della Scrittura, è facile assumere una pro­ spettiva sintetica, attribuendo al serpente i contorni tratti da riflessioni teologi­ che posteriori. Il ruolo attanziale del male non poteva meglio essere rappresen­ tato da colui che nelle mitologie circonvicine era presentato come il "nemico di Dio".56 d) Il serpente come simbolo di fecondità. Legato al simbolo della perenne giovinezza, il serpente, specialmente nell'ambito cananaico, assume anche va­ lenza fallica. Non si può allora negare un accenno polemico ai riti cananaici del­ la fecondità, in cui si prometteva vita e forza vitale.57 In conclusione, il serpente è l'obietti vazione del male, l'inclinazione malva­ gia dalla quale l 'uomo storico si trova in qualche modo sedotto, quel groviglio di domande che J. Hehn ha definito «il più abissale problema dell'esistenza>>." Il racconto non vuole rispondere direttamente alla domanda da dove venga il ma­ le, perché l ' autore - come il lettore! - non ne conosce l'origine. La figura del serpente permette di esprimerne narrativamente l ' aporia. Il male viene dalla proposta del serpente, ma il serpente è una creatura divina. E dunque: il male è forse creato da Dio? No, senz'altro. E Dio in ogni modo rimane superiore al ser­ pente e quindi al male. Nell'essenziale semplicità di un racconto è messa a fuoco l 'aporia del male. Per il male non c'è un 'eziologia disponibile nella nostra esperienza di uomini, benché sia evidente che il male si dà. Il male è lasciato sussistere come enigma " Uno dei titoli attribuiti al serpente nella letteratura accadica è «nemico di Dio». " Nell 'ambito biblico si potrebbe citare l'episodio - abbastanza oscuro nella sua redazione finale ­ del serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto (Nm 21 ,4-9). Sul culto del serpente, si veda lo stu­ dio di B. MUNDKUR, The eu/t of the serpenr. An interdisciplinary survey oj its manifestations and origins, SUNY, Albany 1983. " J. HEHN, Die biblische und die babylonische Gottesidee. Die israelitische Gottesfassung im Lichte der altorientalischen Religionsgeschichte, J.C. Hinrichs'sche Buchhandlung, Leipzig 1 9 1 3, 224.

45 1

irrisolto. Si potrebbe chiamare questo enigma libertà umana: ma dal racconto appare che il male non è semplicemente la libertà umana, nemmeno la somma delle scelte negative dell' umanità. Il male possiede una signoria, che rende schiava la libertà umana. Il dialogo tra la donna e il serpente è un capolavoro di finezza psicologica. L'autore si mostra attento a cogliere quella che potremmo definire la psicologia del peccato. La domanda iniziale (v. 1 ), del tutto generica, è già una distorsione della realtà. Non è vero che Dio aveva dato un comandamento tanto assurdo. Ma in questo modo la donna ha dovuto rendersi conto della pesantezza del comanda­ mento, che ora viene da lei stessa interpretato in modo eccessivamente legalisti­ co. Ella aggiunge (v. 3b) > ( I l ,8). La pace tra la stirpe nuova dell'uomo e il serpente segna l 'avvio di una nuova creazione, in cui è cancellata la maledizio­ ne originaria. È una pacificazione promessa da Isaia per la salita al trono di un nuovo re di Giuda. Ma la parola profetica, fondata sulla fedeltà di JHWH alla sua promessa, non si ferma negli angusti spazi del presente prossimo. Essa trova la sua piena realizzazione nel presente messianico di Gesù Cristo e nella stirpe nuova che in lui fa corpo. In Ap 12, il simbolo della lotta tra il serpente e la stirpe della donna viene ri­ preso e arricchito delle armoniche introdotte dalla riflessione apocalittica del Medio Giudaismo. Il cap. 12 è infatti una meditazione simbolica sul senso della storia umana dalla creazione alla redenzione: una storia della progressiva cadu­ ta umana, a cui fa riscontro un intervento salvifico di Dio. Il simbolismo della donna in quel testo è polivalente. Essa è anzitutto l'umanità nel suo complesso e travagliato rapporto con Dio: creata nella perfezione, caduta, ma chiamata ad una perfezione ancora maggiore (il figlio che la donna porta in grembo), che sarà accompagnata da un travaglio. Più in particolare, la donna di Ap 1 2 diventa il popolo d'Israele. L'AT aveva usato molte volte il simbolo femminile per parlare del rapporto privilegiato d'Israele con JHWH. La sovrapposizione dei due simbo­ li ha un valore teologico per Ap: la storia d'Israele va letta e compresa all'inter458

no della storia dell'umanità. Ciò viene posto in atto collegando i simboli gene­ siaci con quelli profetici. Ancora più in particolare, la donna di Ap 12 è la Ma­ dre del Messia: «ella partorì un figlio, un maschio, destinato a governare tutte le genti con uno scettro di ferro>> (Ap 1 2,5). La citazione del Sal 2,9 è sufficiente­ mente perspicua, anche perché ripresa altre volte in Ap 2,27 e 1 9, 15." Infine, in collegamento con la donna >, il serpente...

Il mito è stato però demitologizzato da Gn 2-3, soprattutto perché è stato in­ quadrato nella teologia dello jahwismo: è la fede jahwista - maturata dalla pre­ dicazione profetica e dalla sintesi deuteronomica - a regolare l'assunzione del mito e ad offrire le strutture teologiche portanti. Anche se il linguaggio mitico viene utilizzato per la raffigurazione stessa di JHWH (cf gli antropomorfismi e le diverse "figure" di Dio come vasaio, giardiniere, costruttore...), la concezione di JHWH Dio è coerente con la rivelazione esodica. Il bagaglio mitico è posto al • Cf Introduzione a Gn 1-l/, pag. 269.

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servizio della eziologia metastorica che vuole rispondere al senso di questa umanità storica, vale a dire comprendere i "perché" di un' umanità creata da JHWH Dio, ma limitata dalla morte, dalla fatica e dal peccato. La domanda principale riguarda dunque il mistero della vita umana e la ri­ cerca della vera sapienza. Il racconto eziologico crea un archetipo, e propone la sua sapienza, con una venatura polemica rispetto ad altre proposte. In modo par­ ticolare, il racconto si muove i n due direttrici polemiche: l ) contro una conce­ zione metafisica del male e la spiegazione offerta dalla tradizione enochica;89 2) contro una falsa interpretazione del limite dell'uomo e una concezione religiosa ingannevole.90 La vera via alla vita sta nella proposta del comandamento e del­ l'alleanza con JHWH. La condanna di altre proposte religiose è la tensione soggiacente al nostro racconto, perché il peccato principale - secondo i profeti e la predicazione dtn era l'abbandono di JHWH per la sequela di altri dèi: chi segue altre divinità, illu­ dendosi di diventare dio (è la proposta del serpente in Gn 3 , 1 -5), rimane deluso ed emarginato dalla vera vita. Contro l'interpretazione enochica che colloca l 'origine del male a livello an­ gelico, Gn 2-3 invita a spiegare la radice del disordine e del male presente nella creazione nell'enigma della libertà. Il male è una relazione interrotta e conflit­ tuale tra l'uomo e Dio, che genera a sua volta altri conflitti: tra uomo e donna, tra umanità e animali, tra umanità e cosmo. 4.4. In Gn 2-3, non si parla tanto di un peccato originale (nel linguaggio teo­ logico: "originante"), ma del peccato dell'uomo di sempre, tanto radicato nel cuore del! 'uomo che fin dall' inizio segnò la sua esistenza (''peccato originale originato")!' La Denkform ebraica ama questo modo di procedere che potrem" Si veda l'ipotesi avanzata in G. BORGONOVO, La mediazione di Adamo; Un conflillo interpretativo originario, in Redenzione in Cristo e universalità del peccato; La questione del peccato originale, ScC 126 (1998) 337-370. "' Genericamente si potrebbe definire tale concezione religiosa come "cananaica". In essa, il mistero della vita umana è risolto nella sacralizzazione della potenza sessuale: fecondità, morte, cultura e benes­ sere erano considerali delle varianti delle ierogamie divine (Ba'al). Il modello archetipico per il racconto di Gn 2-3, al contrario, non è il mondo divino, ma l'uomo storico in dialogo con il Dio dell'esodo. " La leltura esegetica ha offerto molto materiale per una riflessione teologica, soprattutto per i grandi temi antropologici. L'interpretazione del dogma del peccato originale ha dato vita in questi decenni a una vivacissima discussione, che non è possibile qui recensire e per la quale si vedano: H. RoNDET, Le péché origine/ dans la tradition patristique et théolo11ique (Grandes Études Religieuses), Fayard, Paris 1967; P. GRELar, Rifle.tsioni sul problema del peccato originale (StBi 3), Paideia, Brescia 1968, ' 1 994 (orig. frane. 1968); A. VANNESTE, Le dogme du péché origine/, Traduit du Néerlandais par A. FREUNn (Recherches Mricains de Théologie 1 ), Nauwelaerts, Louvain - Paris 197 1 (orig. ol. 1 969); W. TRtLLtNG, Schopfung und Fa/l nach Genesis 1-3, St. Benno, Leipzig 1973, '1990; Z. ALSZEGHY - M. FUCK, / primordi della Sal­ vezza, Marielli, Casale Monferrato 1978 ; A. DE YILLALMONTE, El pecado origina/. Veinticinco aiios de controversia : /950-/ 975, Naturaleza y Gracia, Salamanca 1978; A.M. DUBARLE, /1 peccato originale. Prospellive teolo11iche ( NST 22), EDB, Bologna 1984 (orig. frane. 1983 ); H.M. KOSTER, Urstand, Fa/l und Erbsiinde in der katholischen Theolo11ie unseres Jahrhunderts (ESt NF 1 6), Pustet, Regensburg 1 984; G. MARTELET, Libera risposta ad uno scandalo. La colpa originale, la sofferenza e la morte, a cu­ ra di R. USSEGLIO - P. GtANNONI (GdT 1 77), Queriniana, Brescia 1987 (orig. frane. 1986); J. BUR, Le pé-

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mo definire "triangolare": partire da una base di dati molteplici per risalire ad un unico punto di partenza. Osea, ad esempio, è uno specialista di questo sche­ ma: le origini d'Israele sono sintetizzate nei giorni di Gabaa (9,9); se l'orizzonte del discorso è Samaria, il suo peccato è il vitello di Bét- 'Awen (10,5); se l'oriz­ zonte è tutto il popolo dell'elezione, i l simbolo archetipico diventa Giacobbe, che soppianta i l fratello fin dal grembo materno ( 12,3s ). Anche il Sal 5 l , per parlare della radicalità del peccato nell 'individuo, adotta Io stesso schema: la vi­ ta di peccato è spiegata risalendo ali' inizio («nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre»). Così la storia di peccato del popolo viene spiegata nella sua tragica evidenza riportando alla nascita stessa del popolo il primo tradimento (Es 32-34; cf anche Sal 106,6; Dn 9,6-8; Esd 9,7; Ne 9; MI 3,6-7; Ger 3,19-25; 7,25; 1 1 , 1 0; ls 43,22-28), quando ancora l'alleanza sinaitica non era stata completamente siglata. Una simile struttura torna nella lettera ai Romani: Rm 1 , 1 8-3,20 è la dimostrazione fenomenologica che «Giudei e Gre­ ci, tutti, sono sotto il dominio del peccato». D'altra parte, questa situazione è tanto radicale e solidale fra gli uomini che parte dal primo uomo, «visto che tut­ ti hanno peccato>> (Rm 5,12-21 ) . Risalire all 'origine per spiegare il presente è un tratto tipico della mentalità ebraica. Se la base da cui si parte è l'esperienza umana tout court, il vertice del triangolo eziologico sarà l'origine dell'umanità. Il che non significa avere una conoscenza in più riguardo all'origine, ma una comprensione più profonda del fatto che «non c'è nessuno che non pecchi>> ( I Re 8,46), che «l'istinto del cuore umano è incline al male fin dalla sua giovinezza>> (Gn 8,2 1 ) e che «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio>> (Rm 3,23). Nel narrare Gn 2-3, l'autore è guidato dall'esperienza storica più volte vissu­ ta da Israele durante la sua storia (cf la storia dtr): peccato - castigo - perdono. Di qui viene la risposta eziologica al problema posto: l'uomo sperimenta il limi­ te e il male, perché ha rifiutato la proposta di vita del comandamento e la comu­ nione con il Dio dell'alleanza. Tale decisione negativa proviene certamente dal­ l ' uomo, perché fin dali' inizio è stato così. Eppure l'uomo è stato creato da Dio! Il racconto lancia solo un lampo di luce sul mistero di una libertà posta in essere da Dio e capace, nell'assurdo, di chiu­ dersi a Lui. 4.5. In tale lettura dell'eziologia metastorica, non si parla di uno "stato origi­ nario" che, con i suoi doni preternaturali, precede cronologicamente la condi­ zione di peccato. Il testo infatti non vuole rispondere alla domanda circa il pri­ ma rispetto al peccato: l'attenzione è centrata sull'"oggi" dell'umanità. Tutta­ via, vi è una tensione creata dalla narrazione stessa tra l'originario di Dio (Gn 2) e l'originale dell'uomo (Gn 3), ovvero fra il disegno ab tEterno di Dio e il moché origine/. Ce que /' Église a vraiment dit (Théologies), Cerf, Paris 1988; J.A. SAYÉS, Teolog(a del pe· cado origina/, Burg 29 (1989) 9-49; F.G. BRAMBILLA, Alllropologia teologica. Chi è l'uomo perché te ne curi? (Nuovo Corso di Teologia Sistematica 12), Queriniana, Brescia 2005.

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do storico - di questa storia concreta - di essere dell'uomo. Gn 2 è l'ideale divi­ no colto a partire dal negativo del reale, perché l'uomo, nella sua esistenza, può cogliere ancora la sproporzione tra l'ideale e il reale, tra il dover essere e l'esse­ re reale, tra il disegno di Dio e la sua concreta realizzazione: «> (Rm 7,19). Nel periodo del giudaismo medio, con il Libro dei Giubilei e soprattutto con l'ultima apocalittica (IV Esdra; cf 4 Esd 7,1 1 8), il racconto di Gn 2 viene crono­ logizzato come un periodo che precede la "caduta" dell'umanità. A questa lettu­ ra apocal ittica si collega la riflessione agostiniana che sistematizza tale pensiero parlando del peccato originale come della perdita dello stato originario. 4.6. n punto di partenza della riflessione di Gn 2-3 è l'alleanza con JHWH, vis­ suta nel periodo storico; il punto di arrivo è la creazione e la condizione di tutta l'umanità. Il che significa che anche Gn 2-3 è un modo di fare escatologia. L'e­ scatologia apocalittica riprenderà più volte i simboli di questi capitoli (cf «figlio dell'uomo», «paradiso», il rapporto "animali-uomo" ... ). La riflessione sull'ori­ ginario di Dio e sull'originale dell'umanità, ovvero la protologia, è di fatto una riflessione escatologica di direzione opposta (cf Is I l ; 25,6- I O; Ap 1 2). Come l 'escatologia parte dalla situazione reale per guardare al futuro della liberazione archetipica (Cristo) in cui si instaurerà il progetto ideale del Regno, così la pro­ tologia parte dalla situazione negativa attuale, per risalire all 'eziologia archeti­ pica (Adamo) e al progetto divino ideale.

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CAPITOLO TERZO

L'IRREVOCABILE PROMESSA (Gn 15,1-21) GIANANTONIO BORGONOVO

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Non è casuale che la b'rft tra Abram e JHWH di Gn 1 5 si trovi al centro del ci­ clo di Abramo (Gn I l 27 25 I l ): ' essa è davvero il cuore della narrazione pa­ triarcale su Abramo, perché promessa di JHWH e fede di Abram sono il nocciolo di quanto il narratore di Genesi vuole trasmettere a riguardo di Abramo. ,

-

,

Sono molteplici i problemi posti da questo capitolo. A livello di critica lette­ raria, già J. Wellhausen' aveva riconosciuto in Gn 1 5 due racconti accostati (vv.

1 -6 e 7-2 1 ) e, con pochi indizi probanti a dire il vero, aveva assegnato la prima parte ad E e la seconda a J. Tutto quanto aveva paternità dubbia era da attribui­ re, a suo parere, a RJE. Tuttavia, egli stesso riconosceva che Gn 1 5 fosse uno dei capitoli dove l'ipotesi documentaria fosse difficile da applicare.

I critici successivi seguirono il sentiero aperto da Wellhausen e molti videro in Gn 15 l'inizio della storiografia elohista, senza tuttavia mai giungere a unanimità di giudizio.3 Le attribuzioni furono sempre molto discusse - e discutibili - giun' Si veda l'Introduzione, pagg. 226-227. CfC. WESTERMANN, 1 39-148; R. RENDTORFF, Gn 15 im Rahmen der theologischen Bearbeitung der Viitergeschichten. 74-8 1 ; E. BLUM, Die Komposition. ' J. WELLHAUSEN, Die Composition des Hexateuchs und der historischen Biicher des Alten Testa­ ments. Reimer, Berlin 1878, ' 1 899. ' Cf E. CoRTESE, Le tradizioni storiche di Israele. Da Mosè a Esdra (BnS 2), EDB, Bologna 2001, 79ss. Al seguito di R. SMEND, Die Entstehung des Alten Te.•taments (ThW l ), Kohlhammer, Stuttgart ­ Berlin - Kiiln 1978, ' 1 989, egli attribuisce Gn 15,1-6 alla revisione di J, chiamata Js.

468

gendo sino allo "squartamento" (in senso etimologico) dei versetti. Si vedano qui a confronto, come esempio, le posizioni di G. von Rad, H. Seebass e R. Kilian:• G. von Rad:

J:

1 .2*.3*.4.7-12.17.18.

E: 2*.3*.5.6. 1 3- 1 6. Aggiunta: 19-2 1 . H. Seebass: J:

1 b�.2a.[2b.3b].4.6.[7].8- 1 2a.b. 17-18.

E: 3a.5. 1 2aj3. 13a. l 4a. l 5 . 1 6a. Aggiunta: l *.7. 1 3b. l4b.[ 1 6a]. l6b.I9-2 l . R. Kilian: J : 1*.2.7*.8- 1 1 . 1 2*. 17. 18. E: 4a*.5.6. 1 3*. 14*. 1 6. Redattore: l *.3.4a�.b.7* . 1 2*. 1 3*. 14*. 15. 19-2 1 .

Altri parlano di mano dtr o pre-dtn.' Il limite di questa impostazione è dupli­ ce: da una parte, l ' inevitabile ipoteticità che talvolta diventa arbitrarietà nelle at­ tribuzioni, essendo la criteriologia adottata inevitabilmente sfuggente; dall'altra parte, la semplificazione dell' ipotetica trasmissione delle tradizioni antiche è fatta prevalere sull'unità testuale nella sua redazione definitiva, che invece, pur non cancellando la ricchezza delle tradizioni ad essa precedenti, ma anzi sul presupposto di essa, non deve andare perduta. Una via di approccio a Gn 1 5 molto più feconda è data da coloro che parlano di unità tessuta da un vero e proprio autore letterario - singolo o gruppo che sia poco importa - il quale lavora su materiali tradizionali. Si veda, con questa sen­ sibilità, già il contributo di H. Cazelles," il quale, pur ipotizzando un racconto «militare>> (E) ed un racconto patriarcale sul tema della posterità (J), difficil­ mente definibili per la frammentazione dell' attribuzione, li interpreta come me­ dium per comprendere meglio l'unità testuale definitiva: J:

3-5.9b. !Ob. l l b. l 2bc. l 3bc. l4. 1 7bd. l 8b. l 9-2 1 ;

E : 1 .2.6-8.9ac. l0a. l l a. I 2ad. l 3a. l 5 . 1 6.17ace. l 8ac. In questa linea si muovono anche L. A. Snijders, che parla di un testo antico, rielaborato da J, o anche C. Westermann, che parla di due scene accostate, e N. Lohfink, che ipotizza una struttura binaria parallela, con l 'aggiunta dei v v. l Sb!)-2 1 .

In ogni caso, il lavoro della critica letteraria è servito a focalizzare quei pro­ blemi posti dalla narrazione, che ora sinteticamente elenchiamo:

l) Gn 15 tratta più temi contemporaneamente (vv. 2-4: promessa di un figlio; v. 5: promessa di numerosa discendenza; vv. 7-2 1 : promessa della terra), men­ tre i racconti patriarcali più antichi hanno per oggetto un solo tema; • Cf G. VON RAD, 243ss; H. SEEBASS, Gehorren Verhe ijJungen.. . ?, 189-209; R. KILtAN, Die vorprie· sterlichen Abraham.>. CALVINO: «La vista delle stelle ... dovette toccare il cuore di Abrarn con questo pensiero: Dio, che con la sua sola parola ha in un istante prodotto un così grande esercito per orna" S. WEIL, L'ombra e la grazia, Introduzione di G. HoURDIN, Traduzione di F. FORTINI (Testi di Spi­ ritualità), Rusconi, Milano 1985, 120. " II segno delle stelle a riguardo della promessa di una ricca discendenza si ritrova in Gn 22,17; 26,4; Es 32,13; Dt 1 ,10; 10,22; 28,62; 1Cr 27,23; Ne 9,23.

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re il cielo prima morto e senza nul la , non potrl forse riempire con una discendenza una casa mona?>).11

Chi volge lo sguardo alla metafora celeste crede in Colui che insegna per metafora. v. 6: la fede di Ab ram

Mentre Abram sta contemplando il segno, il narratore offre la chiave inter­ pretativa della sua adesione: w'he 'émin ba-Jhwh wajjai}S'beha lo tdiiqéì. È la conclusione della prima parte del racconto, espressa da un punto prospettico che è ormai chiaramente influenzato dalla teologia profetica. Data la sua ricchezza, vale la pena di soffermarvisi con particolare attenzione. Anzitutto, è necessario studiare i tre lessemi chiave che compaiono nella fra­ l ) w'he'emin (da y'mn); 2) wajjai)Sbehii (verbo I}Mab) e 3) tdiiqéì (sostantivo dalla V$dq). se:

l ) La radice 'mn. Il verbo ebraico da noi tradotto con «credere» corrisponde all h iphil del verbo 'mn , una radice ebraica che è rimasta nella nostra liturgia '

con l 'aggettivo amen, "certo", "affidabile". Normalmente costruito con la pre­ posizione b', fondamentalmente significa "fissare la propria stabilità su", "stabi­ lirsi su".22 Abram scelse la parola della promessa divina come fondamento della sua esistenza. Dal punto di vista biblico, la fede è un atto umano globale che tende anzitutto alla persona di Dio, è un atto di relazione da persona a persona, di gran lunga più comprensivo del "ritenere per vere" delle affermazioni. Il pri­ mo caso del credere biblico non è l' accusativo, ma il dativo della persona su cui si fonda la propria consistenza. L'elemento primario e decisivo non è dunque un elenco di verità da credere. La formula "credo che" (accusativa) è quindi insuf­ ficiente per rendere la ricchezza del concetto della fede biblica.23 Abram trova la sua saldezza in Dio, nel senso che fonda il suo futuro sulla promessa di Dio, si apre al futuro che è Dio stesso, capace di trasformare tutte le cose passate e pre­ senti in simboli anticipatori di tale futuro. Per questo motivo, Paolo torna spesso a parlare della fede di Abramo, vedendo in lui il primo credente alla maniera di Cristo Gesù (cf, soprattutto, Rm 4 e Gal 3)." " U. NERI. Genesi, 2 1 4s. " Tre lesli isaiani sono particolarmenle importanli per lale concezione della fede: ls 7,9b; 28.16; 30, 15. Soprattutto il primo lesto del profela della fede, pone in luce la valenza semica della «Siabililà», usando il verbo 'mn in niphal (� "essere slabili") e in hiphil (= "lrovare stabililà", "credere"): 'im IO' te emfnu kf 16' te'amenu «se non crederele, non avrele stabilirà». " Nella maggior pane delle lingue indoeuropee il verbo "credere" può avere anche il significalo di "rilenere (soggenivamenle) che": ad es., "credo che domani faccia bello... ". Questa valenza non appanie­ ne al campo semanlico della radice mn. '' «Le Chiese sarebbero dovute rimanerne memori. In tal caso - e la cosa è finalmenle avvenuta con il Concilio Valicano 1 1 -. ollre al punlo di vista della verità, avrebbe avuto il suo dirino anche il problema dell'importanza dei dogmi. cioè il problema della vicinanza maggiore o minore al punlo focale, ossia al lema centrale della rivelazione che è la "volonlà divina all'alleanza"; si sarebbe dovulo dare inollre la pre­ ferenza alla vivezza dell'allo di fede rispello al catalogo delle dourine dogmaliche delerminalo sollanlo conlenutisticamente. In questo senso, una riflessione per riandare al significato biblico del credere - e il

476

2) Il verbo l}iiiab, "accreditare". In questo senso, il verbo appare in Lv 7,18; 1 7,4; Nm 1 8 ,27, ed esprime il compito dei sacerdoti nei riguardi di un sacrificio offerto: dichiarare se l ' atto sacrificate valeva oppure non valeva di fronte a JHWH. Ora questo giudizio è pronunciato da JHWH stesso nei riguardi dell'atteg­ giamento di Abram che accoglie la promessa, giudicandolo in base alla teologia profetica (cf, ad es., Os 6,6). 3) La (dtiqa, "giustizia": è un concetto di relazione, nel senso che è giusto colui che si pone nelle disposizioni corrette, quelle richieste dal rapporto stesso. La relazione giusta dell'uomo con Dio è di riconoscere la necessità dell'obbe­ dienza della fede davanti a colui che si presenta come l 'origine stessa della li­ bertà dell'uomo. Dio, nella sua promessa, ha indicato ad Abram il suo progetto: fare di lui il capostipite di un popolo, del suo popolo. Abram ha accolto la pro­ messa con l'obbedienza della fede. Si è dunque posto davanti a Dio con la giu­ sta relazione, riconoscendo a Dio il ruolo di Dio. La giustizia di Abram diventa quindi un'eziologia normativa per ogni esperienza di fede: all' uomo che cerca il senso del suo futuro, Dio si fa incontro con la sua proposta di senso ultimo, chie­ dendogli di purificare ogni risposta idolatrica. La giustizia è la fede, in quanto riconoscimento di Dio come baricentro della nostra stabilità.15 Se questa è un 'interpretazione plausibile del v. 6, non si possono escludere due altre inter­ pretazioni: la prima si potrebbe denominare archeologica, in quanto fa riferimento ad una interpretazione evidenziabile con una specie di scavo filologico del linguaggio utilizzato; la seconda teleologica, in collegamento intertestuale con la riflessione teologica paolina:

a) lnterprnazione archeologica. L'autore di Gn 1 5 può aver trovato la sentenza del v. 6 (o

una simile) nella tradizione a lui precedente. Il versetto potrebbe essere tradotto anche nel modo seguente, senza alterazioni dal punto di vista filologico: «Ahram credette ed [Ahram/ considerò questo segno a lui favorevole». Per spiegare il senso di tale traduzio­ ne, ci si potrebbe rifare ai paralleli mesopotamici dei rituali hciru, che sono tramandati dai testi ikrihu."" In queste preghiere ritorna spesso un'espressione difficile da tradurre: kittam suknan." Il kittum di cui si parla - che corrisponde esattamente al concetto di $'dciqa - sa­ rebbe da intendere come la riuscita favorevole dell'estispicio o, più in genere, della prati­ ca divinatoria che si sta iniziando. Se così fosse, la preghiera è una domanda perché gli dèi pongano (§uknan) nella vittima un responso oracolare favorevole all 'arante. Nel caso di Gn 1 5 non abbiamo nessuna pratica di divinazione, ma un ome n astrale, che Abram legge come segno favorevole offertogli da Dio. In questa interpretazione, la $'dciqa sareb­ be quindi parallela al giuramento divino della seconda scena del capitolo.

nostro testo ne è un modello fondamentale - diventa ad un tempo un aiuto significativo lungo la via ver­ so l'ecumenismo. Inoltre, un nuovo orientamento della fede cristiana, alla luce del futuro, consente un dialogo fecondo con i progeui secolarizzati del futuro, del marxismo e di analoghe concezioni del mon­ do» (A. DEtSSLER, /o sarò sempre con te. Meditazioni .

    >, oltre che essere la trascrizione del nome della città di Ur.

    478

    zione di questa nuova parola divina risenta molto del linguaggio dtn." Ma que­ sto indizio va interpretato nel senso che non è possibile pensare alla stesura de­ finitiva del testo prima del VI secolo a.C., ovvero prima del deuteronomismo. v. 8: obiezione di Abram

    L'obiezione di Abram nel v. 8 non è un dubbio, ma la richiesta di un segno (cf Gn 24, 14). E il segno offerto da JHWH è, a sua volta, la richiesta che Abram deve adempiere. Lutero ha commentato: Con quell'immensa fiducia per la quale è giusto, Abram si fa avanti e chiede un segno: non per se stesso - poiché non sarebbe stato lui a prendere personalmente possesso della terra - ma per i suoi discendenti, perché la loro fede non venisse meno nelle terribili per­ secuzioni e contraddizioni che sarebbero sopravvenute;"

    vv. 9-12 e 17: il rituale del giuramento

    Si tratta di un rituale molto antico, ancora praticato - a quanto sembra - al tempo di Geremia (Ger 34, 17ss): durante l'assedio di Gerusalemme tutti i pa­ droni di schiavi si erano decisi a liberare gli schiavi e lo giurarono solennemen­ te con una b'rft:" una volta divisi in due gli animali, il contraente passava in mezzo alle due parti "smezzate", invocando su di sé la maledizione nel caso in cui non si fosse attenuto al giuramento. Un tale rito spiega anche la struttura grammaticale del giuramento ebraico, a prima vista un po' strana. L'ebraico infatti esprime il giuramento con la con­ giunzione ipotetica 'im (oppure ki): usa la negazione 'im lo' «Se non>> per il giuramento positivo («giuro che>>) e l'affermazione 'im per il giuramento negativo (). In realtà, dietro questa struttura grammaticale ebrai­ ca sta una formula di automaledizione, ben raffigurata dal rituale di cui si sta trattando: (= giuro che), «mi avvenga così se... >> (= giuro che non). In questo frangente, c'è però un ulteriore elemento importante da sottolinea­ re, perché solo una delle due parti passa attraverso gli animali: il fuoco, ovvero Dio. Ciò annulla la possibilità di smentita o di ricorso in appello. È l' assolutez­ za della promessa che non ammette inadempienze. Parola di certezza per chi già possiede la terra o parola di speranza per chi la terra non la possiede più? È uno dei passi più profondi e più rassicuranti: in questo modo radicale, tangibile, con­ creto e scandaloso, viene descritto il legame costitutivo di JHWH con Israele e la " Tale linguaggio è frequentissimo in Dt (3,18; 4,5.14.26; 5,28; 6, 1 ; 7,1 ; 9,6; l l ,8 . 1 0s.29; 1 2, 1 ; 19,2. 14; 2 1 , 1 ; 23.21; 28,2 1 .63; 30,16. 18; 3 1 , 1 3 ; 32,47). " Cf U. NERI, Genesi, 2 1 5 . " Questo rituale spiega anche i l sintagma caratteristico per l a stipulazione di u n patto: ktirar b'rrt «ta­ gliare un paliO», con evidente riferimento allo squanamento degli animali. Questo rito è aueslato anche a Mari, con l'uccisione di un asino.

    479

    'ere�jisrii'el: «con Abram e la sua discendenza per sempre)) (cf Le 1 ,55). JHWH è il Dio della b'rit, del giuramento di essere-lì, di essere il Presente ('ehjeh 'iiser 'ehjeh: Es 3,14). Questo è il centro della vita divina. Un Dio che si è impegnato e si impegna totalmente per Israele, e attraverso Israele per questa umanità e per questa storia. La nostra esistenza è legata inscindibilmente al giuramento di Dio di manifestarsi come amore (e a sé ha legato inscindibilmente questa umanità, diventando uno di noi).

    Quanto alla lista degli animali preparati per il rituale di giuramento, si è no­ tato che sono ricordati gli animali dei sacrifici;" ciò spiegherebbe anche perché tortora e piccione non vengano squartati." Segue l'episodio enigmatico degli avvoltoi che tentano di rapire le carni pronte per il rituale. Una scena che Westermann definisce un "intermezzo". La maggior parte dei commentatori lo decifra come un omen sfavorevole,"' che fun­ ge da preludio ai vv. 1 3- 1 6, quasi a sottolineare la rapacità del popolo che vuole mantenere schiavi i discendenti di Abram, in opposizione al progetto divino. IsHODAD: «Ciò rappresenta la malvagità degli Egiziani, che cercavano di annientare e di distruggere Israele». RUPERTO DI DE!ITZ: «[Gli uccelli rapaci] significano gli Egiziani, rapaci e duri padroni».

    LUTERO: «Gli animali uccisi sono il popolo d'Israele, che in Egitto fu in vari modi mal­

    trattato e afnitto. Gli uccelli che vogliono divorare le carni sono il faraone e gli Egiziani. Abram, padre di questo popolo, scaccia gl i uccelli: poiché la promessa fatta ad Abram non lascia che questo popolo, anche se duramente oppresso. sia schiacciato del tutto»."

    Col v. 1 2 si entra nel vivo del rituale, che si conclude propriamente nei vv. 17ss. Gli elementi della scenografia sono: 'iilii{a, «tenebre)), tardema, «torpore>>, 'émiì, «terrore>> e il fuoco. È lecito pensare che questa scenografia sia pensata nella cornice di una visione che Abram ebbe durante il rito d'incubazione presso qualche luogo sacro (cf anche Gn 1 2,7). Le tenebre ('dliitiì) sono indispensabili perché Dio possa agire: «nessun uomo può vedere Dio>> (Es 33,20). Il vocabolo ebraico utilizzato è molto raro: ricom­ pare soltanto in Ez 1 2,6.7 . 1 2, neli' azione simbolica con cui il profeta annuncia l'esilio. II «torpore>> (tardema) di cui si parla è quello stato di estasi particolare in cui i sensi si chiudono al sensibile per cogliere l 'al di là delle cose e in cui Dio può agire.38 Il ( 'éma l)dsekii g'doliì) è la reazione " Cf C. WESlERMANN, 267. con documentazione. Già lshodad di Merv (che compilò una "catena"' su Genesi nel IX secolo) lo spiegava in questi tennini: >, importante teologicamente per la posizione che essa ha nel nostro racconto: pri­ ma del giuramento della terra, Dio svela ad Abram il senso della storia futura. In un tempo in cui poteva essere messo in crisi il compimento della promessa pa­ triarcale,'" questa rivelazione è una rilettura e una rinnovazione della promessa antica e, insieme, un' interpretazione del presente. La parola si compone di una previsione sulla sorte di Abram (v. 15) e di una previsione sulla sorte della sua discendenza (vv. 1 3 - 1 4 e 1 6). Emerge un tratto universalistico dal punto di vista teologico: JHWH, che opera in Israele, è il Dio che conduce anche la storia degli altri popoli. La schiavitù d'Egitto - manca il nome esplicito, ma è presente il numero della permanenza dei figli d'Israele in Egitto (400 anni , cf i 430 anni di Es l 2,40s) - è descritta a partire da una situa­ zione sedentaria con due prospettive: è esilio (ger ((forestieri>>, in terra non pro­ pria) e oppressione (wa 'iibadum w 'innu '6ttim, ((saranno fatti schiavi e oppres­ si>>). Una variazione interessante rispetto alle tradizioni che abbiamo già incon-

    " Cf G. VON RAo, Genesi, 252. "' Si pensi al tempo esilico, ad esempio, con la penlita della terra della promessa...

    48 1

    trato. L'indicazione cronologica del v. 1 6 è diversa da quella del v. 1 3 : ora si parla di «quarta generazione» e non più di 400 anni. Incongruenza cronologica41 dovuta alle diverse fonti tradizionali, dicono molti commentatori." In realtà, po­ trebbe essere interpretata come una rilettura "caleidoscopica", dove Egitto e Ba­ bilonia si sovrappongono, esodo ed esilio si spiegano a vicenda. La «quarta ge­ nerazione>> è infatti il tempo di ritorno dall'esilio babilonese (cf i 70 anni di Ger 25, l l s e 29, 10 e la rilettura di Dn 9,24ss). Anche il ricordo della morte di Abram, in connessione con il futuro della di­ scendenza, ha un significato teologico. Abram deve morire prima, in pace;43 una morte beata, eppure «senza vedere>> l'adempimento della promessa. Non è forse quanto capiterà a molti della sua discendenza dopo di lui? Infine, l'accenno ali' «iniquità degli Amorrei>> che non ha ancora raggiunto il colmo, avvicina il passo a Dt 9,4-5; Lv 18,24-27; 20,22-24; I Re 14,24; sono te­ sti tardivi e servono da indizio per un'eventuale datazione della composizione fi­ nale. vv. lS-21: contenuto del giuramento (e ampliamento)

    Nel giuramento del v. 18 il racconto raggiunge la sua mèta. D fuoco di JHWH passa tra gli animali ed Egli solo si impegna in questo solenne giuramento (kiirat b'rit): «Alla tua discendenza ho dato questa terra dal Fiume d Egi tto sin al grande fiume, l'Eufrate» '

    l'zarakti niitattf 'et-hii'iire� haz-zo't min-n'har mi�rajim 'ad-hanntihtir hag-gtid6/ n'har-p'rtit

    Quasi fosse un protocollo notarile, il testo ricorda il solenne impegno assun­ to da JHWH per la discendenza di Abramo. Per rimarcare la verità della promes­ sa, l'oracolo usa il verbo al qatal (o perfetto): niitattf, «ho datO>>. È una decisione irrevocabilmente sancita. E per chi viveva in un periodo di crisi perché la terra non la possedeva più, un appello alla speranza. L'estensione della terra promessa corrisponde ali' ideale regno davidico-salo­ monico nel momento di massimo splendore (cf IRe 5,1 ).44 La specificazione fi­ nale (il fiume Eufrate) sembra invece una glossa esplicativa, non in stile con la stringatezza deli'oracolo. " Il tennine d6r «generazione» non ha mai il valore di 100 anni in nessun passo deii'AT. Cf invece la posizione di A.E. CLAMER. Genèse, 267: «L'oracolo annuncia il ritorno degli Ebrei nel paese di Canaan dopo la quarta generazione da contare non a partire da Abramo, ma dai figli di Giacobbe che per primi si stabilirono nel paese dei faraoni. l quattro nomi ricordati in Es 6, 1 6-20 corrispondono alle quattro gene­ razioni delle quali si parla qui». " Cf documentazione in C. WESTERMANN, 270; G. VON RAD, 251 . " F. Delitzsch ricorda nel suo commentario che per la prima volta in Gn 15,15 appare JdMm. " Thrtavia IRe 5 , 1 non parla di «fiume d'Egitto» (n'har m4rajim), ma di «Confine d'Egitto» (g'bul

    mi�rajim).

    482

    Anche i vv. 1 9-2 1 , gftlm!Yiaticalmente""!h:edenti, hanno·un tono prosastico, rispetto alla solennità del giuramento. La lista dei popoli che abitano la terra di Canaan è frequente nella letteratura dtn e dtr (Es 3,8. 1 7; 1 3,5; 23,23.28; 33,2; 34, 1 1 ; Dt 7 , 1 ; 20,7; Gs 3, 1 0, ecc). Di solito, queste liste hanno cinque o sette membri: qui ne abbiamo addirittura dieci, di cui i primi tre (Keniti, Kenizziti, Kadmoniti) e i rpii'lm non compaiono in altre liste. Di contro, mancano gli Evei." Si tratterebbe di popoli incontrati sulla via del ritorno dall'Egitto oppure di popoli "inglobati" nel regno davidico-salomonico. Se questa sia la lista più antica (N. Lohfink) o più recente (A. Dillmann), è una questione destinata a ri­ manere senza risposta. 3� CONCLUSIONE

    Nelle due parti di Gn 1 5 abbiamo quindi due racconti diversi quanto alla tec­ nica narrativa e all'ambiente spirituale che vi si respira. La conclusione di Gerhard von Rad è oggi solo parzialmente accettabile: ). Nel sogno Giacobbe vede prima la scala, poi gli angeli, infine JHWH stesso. L'oracolo tratta del futuro e contiene tre elementi principali dopo che Dio ha rivelato la sua identità: una prima promessa relativa alla «terra>> (v. 1 3), una seconda relativa alla discendenza (v. 14) e una terza relativa al ritor­ no (v. 15). La seconda parte, invece, è interamente dedicata alle varie reazioni di Gia­ cobbe: la prima, verbale, al risveglio subito dopo il sogno (vv. 16- 1 7); la secon­ da, al mattino, consta d i gesti di tipo cultuale (vv. 18-19); infine, la terza, di nuo­ vo verbale, ossia il voto dei vv. 20-22. Nella prima parte il personaggio princi­ pale è JHWH (vv. 1 3- 15); Giacobbe rimane passivo. Nella seconda parte solo Giacobbe è attivo, poiché JHWH è assente. Si possono intitolare le due parti: l 'apparizione di JHWH e la reazione di Giacobbe.

    2. Gli indicatori di tempo e di luogo. Il v. 1 0 funge da introduzione generale al racconto perché pone l'episodio all'interno di un viaggio fra Bersabea e Harran, e perciò anche all 'interno della storia di Giacobbe. Il v. I l introduce il quadro specifico dell 'episodio, ma specialmente della prima parte. Si svolge in un «cer­ to luogo>> (quadro di tutto l 'episodio), dopo il tramonto del sole (quadro tempora­ le fino al v. 1 8). Con il v. 12 inizia l'azione propriamente detta, cioè il sogno e il suo contenuto, prima visivo (la scala), poi verbale (l'oracolo) (vv. 12- 1 5). Al v. 1 6, Giacobbe si sveglia dal sonno. Nel v. 18 un indicatore di tempo () segnala una nuova tappa nella reazione di Giacobbe dopo l'esperienza della none. Si può notare una certa progressione in questa parte (vv. 16-22): du­ rante la notte, sacro terrore (vv. 16-17); al mattino, venerazione e riconoscimento (vv. 18-19); infine, solenne voto che riguarda il futuro lontano (vv. 20-22). ' Per più particolari, vedi SKA, "Our Fathers",

    486

    1-3; 33-36.

    Scherrtaticamente, possiamo 11rticolare l'episodio nel modo seguente:• l . Introduzione (quadro): vv. 10(- 1 1 )

    2. Apparizione di JHWH: vv. ( 1 1 -) 1 5 Introduzione (quadro): v. l l Visione: vv. 1 2- 1 3aa (« ... e JHWH stava sopra di essa))) Oracolo: vv. 1 3af3- 15 (>. L'invito ha qui la stessa funzione performativa:'• attraverso queste parole Israele diviene "oggi" il popolo di Dio. L'orizzonte è il solenne rinnovamento dell'alleanza di 26, 1 6-19. Destinatario dell'invito è dsraele>>, il che conferisce un significato comuni­ tario al (dU>> dei versetti seguenti, prima di tutto al precetto dell'amore del v. 5. È dunque al popolo, alla comunità che si dirige la parola di Dio: al singolo essa giunge solo in quanto parte di essa. L'intenzione "ecclesiologica" dell'autore viene ribadita dal possessivo plurale di '•lohenu, ((il nostro Dio>> (v. 4b). •

    ((JHWH '•[ohenu JHWH 'el}iid>> (v. 4b)

    La traduzione di queste quattro parole, unite asindeticamente (letteralmente, esse suonano: dHWH nostro Dio JHWH uno>>), presenta due difficoltà: la prima è di ordine sintattico: come collegare proposizionalmente queste parole; la secon­ da di ordine lessicale: quale sia il senso dell'aggettivo numerale 'el}iid, "uno/uni­ co". Le principali interpretazioni proposte si possono ridurre a quattro tipi.'" Tre di questi intendono il brano come un 'unica proposizione, uno vi legge due pro­ posizioni. A. dHWH, il nostro Dio, è un solo JHWH>> B . dHWH, il nostro Dio, JHWH è uno/unico» C. (dHWH è il nostro Dio, JHWH soltanto>> D. dHWH è il nostro Dio, JHWH è uno/unico» Nella soluzione di tipo A, la copula sta tra la seconda parola C''lohenu) e la terza (JHWH) . Questa interpretazione viene probabilmente proposta dalla LXX (XVQLOç o 1'tEòç �flÙJV XVQtoç Eiç Èanv). Si obietta a questa traduzione che il ripetere il tetragramma al soggetto e al predicato sa di tautologia. Altri autori " Sul tema dell"'ascolto" della parola di Dio, un tema fondamentale nella teologia del Deute� mio, cf A. MELLO, •Ascolta. Israele!». L'ascolto della Parola nel Deuteronomio, PSV l ( 1 980) 27-4 1 , spec. 37-39. Mello stabilisce uno streno rappono tra "ascolto" e "amore". A sua volta, Bovati souolinea il significato antropologico del "silenzio" nel dialogo interpersonale: «> (Targum Neofiti l su Dt 6,4, secondo R. LE DÉAUT, Targum du Pentateuque, lV [SC 2711, Paris 1980, 72-73). " Ultimamente si pronunciano per un'interpretazione monoteistica del nostro testo WEINFELD, Deu­ leronomy, 349-350, e L.-J. BoRo e D. HAMIOOVU�, Écoule, /srae/ (Deut. 6,4), VT 52 (2002) 13-29, qui 2 1 -24.

    543

    monolatria. Il v. 5 («amerai») aiuta a comprendere )"'unicità" del rapporto tra JHWH e Israele come quella di due innamorati. Probabilmente confluisce qui an­ che l 'esperienza di Osea, il profeta dell'amore. Per ogni innamorato la persona amata è unica: l 'amore vero è totalizzante (cf Ct 6,8s: «Sessanta sono le regine, ottanta le concubine, senza numero le ragazze: ma una sola ( àbat) è la mia co­ lomba, la mia perfetta>> ).'• JHWH ha amato Israele con un amore unico (cf Dt 32, 1 2: «1HWH lo guidò da solo (hiidiid): non c'era con lui alcun dio straniero>>): egli chiede a Israele reciprocità, com'è tipico dell'amore. •

    (v. Sa)

    È da notare anzitutto l ' improvviso passaggio al singolare, dopo il plurale «nostro Dio>> del v. 4. Come abbiamo osservato, il soggetto logico di questo "tu" è «Israele>> (4a). Che nel v. 4b il collettivo venga inteso in senso plurale e nei vv. Sss in singolare si spiega forse con i l Fatto che qui l'appello si fa perso­ nale: si vuole attingere ciascun israelita personalmente (così il comando del v. 7 si rivolge ad ogni padre di famiglia, singolarmente, non al gruppo inteso come collettività). Che il soggetto rimanga Israele fino al v. 9 è d'altra parte chiaro dal termine Je arekii, «le tue porte (di città)>>. Abbiamo tradotto il w' iniziale con «perciò>>, per esprimere lo stretto legame sintattico e logico che questa congiunzione stabilisce con l 'affermazione prece­ dente." Dall 'affermazione che JHWH è il Dio d'Israele consegue il comando del­ l 'amore («JHWH è il nostro Dio, perciò amerai JHWH, il tuo Dim>). L"'amore" è l 'atteggiamento fondamentale di un vassallo nei confronti del suo signore: se nel v. 4 si stabiliva che JHWH è il "sovrano" di Israele, si comprende come il v. 5 ne tragga la conseguenza. Dali 'altra affermazione del v. 4, «JHWH solo>>, scaturi­ sce nel v. 5 che l 'amore dev'essere «con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze>>. A 'el;iid, «unO>>, corrisponde kol, «tutto>>." Il verbo 'hb "amare", in ebraico come in italiano, ha un vario spettro di si­ gnificati. 59 Qui il contesto parla di un amore meno "affettivo" e più "fattivo". Ciò d'altra parte corrisponde all'uso di 'hb nel Deuteronomio, che vede nell'a­ more la disposizione di fondo da cui scaturiscono le opere di JHWH nei con­ fronti di Israele (cf 4,37; 7 ,8. 13; I O, 1 5. 1 8; 23,6). L'amore di Israele viene pre­ sentato come risposta all 'amore di JHWH (5 , 1 0; 6,5; 7,9; 1 0, 1 2 ; 1 1 , 1 . 1 3 .22; 1 3,4; 1 9,9; 30,6. 1 6.20). Comune a tutti questi passi è l'associazione dell'amore con l 'osservanza dei comandamenti (!mr, cf 5, lO; 7 ,9; I l , 1 .22; 1 9,9; 30, 1 6), ,. In questo senso vedi sopranuno LoHANK, Gol/ im Buch Deuteronomium, 1 1 0-1 1 1 ; BRAULIK, Deu­ Io., Deuteronomium, 56. Weinfeld aggiunge un altro esempio, altamente significativo, quello di Gn 22,2 («Prendi il tuo figlio, il tuo unico [/�idekti], che tu ami») (Deuteronomy, 35 1 ). Anche qui 'el)ad, «unico», è unito ad «amare»: si trana stavolta del rappono padre-figlio, che anche Osea prende a simbolo dell'amore di JHWH per Israele (cfOs 1 1 ,1). " Cf NIELSEN, Wei/ Jahwe, 292. " «Der eine Goll forden den ganzen Menschen» (SMEND, citato in BERTHOLET, Deuteronomium, 24). '' Cf 'h b, ThWAT l , 105- 1 28 (= GLAT l, 209-254) (J. BERGMAN, A. HALDAR, G. WALLIS); DTAT l, 53-63 (E. JENNI). Esso corrisponde ai vari tipi di amore espressi in greco dai verbi: lQaW, ayaltaw e cpViw. Dev'essere il contesto a precisarlo.

    teronomio, 50;

    544

    con il servizio a JHWH ( 'bd, 10,12; 1 1 ,1 3), in una parola con l'obbedienza fatti­ va."' Nello stesso senso va anche il NT (cf Gv 14,15; 1 5 , 1 0; ! Gv 5,2-3). Non che le due cose coincidano: nell'"amore" il Deuteronomio indica il principio unificante, la radice interiore dell 'osservanza della Legge. Ciò che JHWH chie­ de ad Israele non è qualcosa di esteriore: è un'obbedienza che nasce dal cuore, da un atteggiamento di libertà e di gioia, non di costrizione.•' Il rapporto tra "amore" e "Legge" percorre tutto il Deuteronomio, ed in particolare è l'anima del nostro capitolo.62 Un tale tipo di amore trova un parallelo nei trattati di vassallaggio del mondo antico.63 Parlare di "amore" era usuale nel linguaggio diplomatico dell 'epoca: si voleva con questo indicare l 'atteggiamento di "lealtà" che un vassallo doveva te­ nere con il suo signore (e viceversa). Il signore aveva pretese di "esclusività" nei confronti del suo vassallo: l'alleanza con altri sovrani sarebbe stato un atto di tradimento. L'esigenza dell'"amore" si concretizzava nelle obbligazioni par­ ticolari che il vassallo doveva al suo signore (dovere di assistenza, di aiuto mili­ tare, tributi vari... ). L'amore non era qualcosa di facoltativo, ma faceva parte delle obbligazioni di un vassallo con il suo signore: ne derivavano, in caso di inosservanza, gravi maledizioni. Per pertinenti che siano queste somiglianze, il richiamo ai trattati di alleanza non esaurisce la ricchezza che il verbo "amare" riveste nel nostro brano. "Ama­ re" appartiene anzitutto alla sfera familiare (rapporto genitori/figli; uomo/ donna) e amicale (cf Dt 1 3,7): lo stesso linguaggio diplomatico usa categorie tratte dalla vita familiare. In particolare è innegabile la presenza, nel nostro brano, del linguaggio amoroso tipico del rapporto sponsale (cf il «Dio geloso» del v. 1 5). È possibile anche l 'allusione al rapporto filiale, cui è simile quello del discepolo verso il maestro ... Si tratta, a nostro avviso, di elementi che non si escludono, ma che sono complementari e che confluiscono insieme nel co­ mando di Dt 6,5.

    "' Cf C. WIÉNER, Recherches sur /'amour pour Dieu dans /'Ancien Testament, Paris 1956; A. l'ENNA, Amore nella Bibbia, Brescia 1 972; J. CoPPENs, La doctrine biblique sur /'amour de Dieu et du prochaine, EThL 40 ( 1964) 255-257. " L'elemento della "gioia" è caro alla tradizione rabbinica. Cosl ad esempio commenta w'ahabtti (DI 6,4) Sfomo: «Tu ti rallegrerai nel fare ciò che è buono ai Suoi occhi. quando tu ti accorgerai che non c'è una finalità più nobile di quesla». Sfomo giunge a questa interprelaZione intendendo wahabtti non come un comando, ma come una promessa ( in ebraico esprime soprattutto l 'interiorità di una persona; esso è la sede dei sentimenti e dell'intelligenza.•' L'amore per JHWH e l ' os­ servanza della sua Legge devono attingere non solo l 'esterno, ma l'interno del­ l'uomo. È l 'esigenza che Ger 3 1 ,33 esprime in modo esemplare: «Metterò la mia torah dentro di loro, la scriverò sul loro cuore>> (cf Dt 6,6). «Anima (nepeS)>> è sinonimo di «cuore>>, ma accentua l 'elemento "vita". Es­ sa è il "respiro", il "desiderio", materializzato nella gola. La tradizione giudaica ha interpretato l 'espressione nel senso: "fino a dare la tua vita". Questo è anche secondo Gv 1 5, I 3 la forma più grande di amore. Ed è un senso, questo, che si ri­ trova nei trattati orientali di alleanza. Di per sé m''od è un avverbio, che significa "molto", "in eccesso": il nostro testo (e 2Re 23,25, da esso chiaramente dipendente) è l' unico caso in cui m'od ha valore di sostantivo. In unione con il binomio dtr >, v. 6b, cf v. 24).72 Egli è così sicuro dell'origine divina di questi precetti che non esita a metterli in bocca a Mosè, e quindi sotto la diretta ispirazione del Dio dell 'Esodo (cf 6, 1 ). Per essere partner di JHWH, Israele deve real izzare il piano di Dio nei suoi riguardi: all"'unità" del cuore (v. 5), corri­ sponde l'unità della vita (vv. 6-9). Tutta la vita dev'essere penetrata dalla paro­ la di Dio, sia nei suoi aspetti personali che in quelli comunitari. Il codice dt rappresenta questo sforzo di concretizzare nei singoli aspetti della vita di Israe­ le la volontà di Dio. •

    « ... saranno nel tuo cuore>> (v. 6b)

    La continuità con il brano precedente viene confermata dalla ripresa dell'im­ portante termine /ebiib . Anche l 'espressione «essere nel cuore>> ricorre nel lin­ guaggio dei trattati di alleanza." Essa è frequente ancora nella letteratura sapien­ ziale, sia fuori74 che dentro Israele (cf Prv 3,3; 4,4.21 ; 6,2 1). «Essere nel cuore>> esprime l ' interiorizzazione di un insegnamento: esso s i riferisce certo all'im­ primere nella memoria (cf 4,9),75 ma non si esaurisce qui; include anche la com­ prensione e l'amore per la parola ricevuta. Nel Deuteronomio appare, oltre che nel parallelo I l , 1 8 («porrete nel cuore e nell'anima queste mie parole>>), in 30, l l - l4, un brano singolarmente vicino al nostro testo. Il comando «che oggi ti prescrivo>> (30, 1 1 ; cf 6,7: nei due casi si tratta della legge mosaica) è «nella tua bocca e nel tuo cuore>>: sono le due forme attraverso le quali Israele assimila, fa propria, la parola di Dio. •

    «le ripeterai ai tuoi figli e le reciterai ... >> (v. 7a)

    Se il v. 6 riguardava il cuore, il v. 7 riguarda dunque la bocca, la parola. Il primo verbo traduce l 'ebraico snn pi.: esso riflette quello che in oriente era ed è tuttora il metodo comune d'insegnamento nelle scuole, cioè il ripetere un brano fintanto che esso si fissa nella memoria. Singolare nel Deuteronomio è che que-

    n Si 1ra11a di una costante del Deuteronomio: la legge viene proclamata «oggi• (cf 4,40; 5,1.3; 7,1 1 ; 8, 1 . 1 1 ecc.); è con questa generazione, non con i padri. che JHWH stringe alleanza; a questa generazione, che egli interpella e sceglie, manifesta la sua volontà ( 1 1 ,2; 29,9- 14). Bovati osserva: «Non solo viene cosi indicata la validità permanente delle parole pronunciate dal Signore e dal suo servo Mosè; ma in più si evidenzia che è nell'istante presente che si gioca l'obbedienza e la scelta di Dio» (Deuteronomio, 86). Braulik sottolinea la dimensione liturgica dell' : > ! "'azione", e nella "fronte" («tra gli occhi>> ! ) ! '"intenzione", il "pensiero". A significare che l'agire e il pensare d i ogni israe­ lita sia costantemente informato dal volere di JHWH.114 • >). L'analisi ci ha fatto comprendere lo Shema• come un documento di alleanza. In antitesi con il trattato che univa Israele al sovrano assiro, esso afferma che l 'u­ nico sovrano di Israele, l'unico suo Dio, è JHWH. Dei trattati di al leanza lo She­ ma ' ripropone la struttura fondamentale a due tempi: clausola fondamentale (v v. 4-5) e disposizioni particolari (vv. 6-9). Ma, come abbiamo osservato all'inizio, esso non è unicamente un testo letterario: ha impregnato come pochi alni testi la vita di Israele e della Chiesa. La tradizionale interpretazione rabbinica del trinomio ((con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le tue forze>>, anche se grammaticalmente contesta­ bile, è molto aderente alla vita. Un'interpretazione dice: ((Che il tuo cuore non sia diviso in rapporto al Luogo>>.89 Come Dio è uno (la tradizione ebraica sottoli­ nea questo significato di 'el;iid), così il cuore di chi lo serve dev'essere uno, uni­ ficato. Integrità del cuore è sinonimo di santità, ma anche di salute mentale. Nel­ la nostra civiltà schizofrenica e divisa in una miriade di istanze, trovare il punto unificante, il centro dell'esistenza, è elemento fondamentale per una vita psichi­ camente corretta."' "Con tutta l'anima" viene inteso dalla tradizione rabbinica: "anche se prende

    la tua anima"!' Quest'interpretazione è fatta risalire a Rabbi Aqiba, che nell 'ora del martirio apparve sorridente di fronte al tiranno Rufo. Quando costui gli chie­ se il motivo di questo atteggiamente rispose: ((Ogni giorno ho recitato lo Shema e mi tormentavo pensando quando avrei l'occasione di compiere queste tre co­ se: con tutto il cuore, con tutta l 'anima e con tutte le sostanze. Io ho amato con tutto il mio cuore e con tutte le mie sostanze, ma non ho potuto amare con tutta la mia anima. Lo posso fare adesso, per questo sono contento>>. Era l'ora di reci­ tare lo Shema, e Rabbi Aqiba mori recitando questa preghiera, esattamente men­ tre pronunciava la parola 'elyid, "uno". Era una confessione di fede nell'unicità



    Luzzato, citato in LEIBOWITZ, Studies, 65. " SifDev 6,5 (BIETENHARD, 82). «Il Luogo» sta per il nome di Dio. Cf A.-C. AvRn., •Écoute, /sroel». Réflexions sur la vie consacrée, NRTh 1 1 8 ( 1996) 709-726: 717. "' «>, cf 8, 1 7- 1 9). Il "timore" è l'atteggiamento religioso fondamentale, quello della creatura che sa qual è il suo posto di fronte al Creatore. D'altra parte la posizione enfatica dell'oggetto fa intendere l'espressione come equivalente a: «soltanto JHWH, tuo Dio, teme­ rai>>.109 Essa libera cioè l'uomo dal timore di qualsiasi altra cosa o persona ( l ,2 1 .28; 3,2.22; 7 ,18; 20, 1 .3; 3 1 ,6.8; per il NT cf Le 1 2,4-7). ,.. Cf WUGAARDS, Deuteronomium, 79, che

    a sua volta cita BALTZER. Bundesformular, 42. Le parole

    di Gesù nell'ultima cena (''Fate questo in memoria di me") hanno lontane radici!

    "' Poiché b'rit ha il significato fondamentale di "impegno solenne", "promessa" (cf DTAT l, 295-

    306), è consentaneo che la fedeltà all"'alleanza" assuma il senso del "ricordo", mentre l'infedeltà viene

    sentita come "dimenticanza" (si veda in questo senso Gn 9, 15; Ger 14,21; Le 2.72). ''" In questo senso il "timore" è un principio antitetico a quello dell'amore (cf IGv 4,17: «Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi te­ me non è perfeno nell'amore»). l rabbini si resero conto di quest'antinomia, si veda il commento di Sifre a Dt 6,4: «Agisci per amore. La Scrittura distingue colui che agisce per amore da colui che agisce per timo­ re. Chi agisce per amore ha doppia ricompensa (''colui che agisce per amore" è Abramo. mentre "colui che agisce per timore" è Giobbe, nella tradizione rabbinica) ... Ma tu agisci per amore! lnfani non c'è amore dove c'è timore. e non c· è timore dove c'è amore, eccetto unicamente nel rnppono con il Santo, benedeuo egli sia» (SifDeut 32, BDITENHARD 8 1 ) Lohfink nota opponunamente come "temere JHWH" non sia un co­ mandamento 1m i tanti, ma una delle forme del comandamento fondamentale (Hauptgebot, 75-76). '"' Cf in questo senso WEINFELD, Deuteronomy, 336. .

    557

    Anche 'bd "servire" è frequente nel Deuteronomio per esprimere l'atteggia­ mento fondamentale di lealtà nei confronti di JHWH: 110 esso si accompagna ad "amare" ( 1 1 , 1 3 cf 1 3,5) e a "temere" ( l 0,20). In rapporto con la divinità ha il senso di "render culto" (cf 4,19; 8,19; 1 2,2...); ma nel nostro caso sembra essere presente anche un senso più ampio (cf 5, 13; 15,12.1 8.19). Alla schiavitù dell'E­ gitto (ricordata al v. 1 2) il Deuteronomio contrappone il servizio di JHWH. Un concetto analogo viene svolto, in senso inverso, in 28,47-48. Come fa comprendere Dt l 0,20, «giurare nel nome di JHWH>> equivale a rico­ noscerlo come Dio. Il «giurare per un altro dio» significa l'apostasia da JHWH (Ger 5,7; 12,6; Sof 1 ,5; Am 8, 14); al contrario, «giurare per il nome di JHWH>> ha il valore di una professione di fede in lui (ls 19, 1 8; 65, 1 6; Ger 4,2; Os 4,15; Sal 63, 1 2).111 •

    «Non seguirete altri dèi, divinità dei popoli che vi stanno attorno>> (v. 14)

    L'associazione «seguire>> gli idoli (hlk 'al]iire, lett.: "camminare dietro") l «dimenticare>> JHWH fa pensare a Os 2, 1 5. Come "dimenticare" appartiene alla sfera dell'amore, così il parallelo rende verosimile questo senso anche per "cam­ minare dietro": il linguaggio amoroso riprenderà al v. 1 5 («Dio geloso»). L'e­ spressione hlk 'a}Jiire'12 appare anche in contesto militare (dove indica la sequela di un condottiero)' " e in contesto cultuale (dove indica la "processione" dietro l ' immagine di un dio, e in senso metaforico l'adorazione di una divinità).'" I due sensi, soprattutto il secondo, si addicono bene anche al nostro passo: ma la connotazione amorosa ci sembra raccomandata dal contesto (cf ancora Os 2,7; Ger 2,2.25).'15 A differenza di Osea, dove la tentazione proviene dai vari ba'alim, a cui Israele è tentato di attribuire la fecondità del suolo (Os 2,7.14), qui l'autore indi­ ca il pericolo nelle «divinità dei popoli che vi stanno attorno>>. Secondo la pre­ sentazione di Dt 7, nella terra promessa non resteranno, dopo la "conquista", popolazioni che adorino altri dèi (cf anche 20, 1 6- 1 8). Solo tra i popoli vicini ci sarà gente che adori divinità diverse da JHWH (cf 1 3,8). •

    « ...perché il Signore tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso>> (v. 15)

    Si noti la stretta consequenzialità della motivazione con gli imperativi che precedono. Anzitutto il tema della gelosia (v. 1 5a) si collega con la menzione "' Anche questa parola appartiene alla tradizione dei trattati di alleanza "Servo" è tennine usuale con cui un vassallo designa la propria posizione nei confronti del suo signore: cf l'iscrizione di Barrakab (ANET. 655); e anche 2Sam K.2.6. 14; 10,19. "' In questo senso G. GtESSEN, Die Wurzel �·. "schworen", Bonn 1 98 1 , 178-1 80. "' Essa ricorre ancora in Dt 4,3; 8,19; 1 1 ,28; 13,3; 28,14, in cui si riferisce agli «dei sttanieri», e in 13,5 con riferimento a JHWII. "' Cf 'al}àre, ThWAT I. 220-224 (HELFMEYER) ( GLAT l, 43 1-437). '" Cf H. W. WOLFF, Hosea, Neukirchen 1965, 48: W. RuDOLPH, Hosea, Giiters1oh 1 966, 72. "' Cf in questo senso WEINFELD, Deuteronomy, 295, il quale cita il parallelo accadico a/tiku arki, che ricorre nel linguaggio dei trattati di alleanza, ma che ha anche una connotazione erotica. =

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    degli «altri dèi» (v. 14). Quindi la minaccia del castigo, v. 1 5b, si collega con il , v. 1 3a. Infine il tema della santità della terra, emerso nell'ultima espressione, viene spiegato con la presenza, in mezzo al popolo e quindi alla terra, di JHWH, presenza concretizzata nel santuario centrale di Gerusalemme: ta­ le presenza farà sì che JHWH >; vv. 1 6- 1 8: «non tenterete - osserverete comandi/leggi/decreti - tu farai>>), co­ sì come dal cambio di numero singolare/plurale. Le due serie sono complemen­ tari nel senso che la prima si riferisce alla "clausola fondamentale", la seconda alle "clausole particolari". Dal punto di vista diacronico, abbiamo notato che nei vv. 1 8- 1 9 è presente una concezione teologica diversa da quella dei vv. 1 0-15. Mentre là l'osservanza della legge veniva vista come risposta al dono della terra, qui il dono della terra viene presentato come ricompensa all'obbedienza alla legge. Ciò orienta verso una collocazione dei vv. 18- 1 9 in epoca esilica: Israele si trovava materialmente nella stessa condizione, al di là del Giordano, supposta nel discorso di Mosè. Per altro verso la serie "comandi, leggi e decreti" del v. 17 ha ispirato la redazione dtr di 2Re 23,3, e sembra quindi appartenere alla redazione giosianica di Dt. Ciò in­ duce a restringere ai vv. 1 8- 1 9 il contributo della redazione successiva, esilica. •

    «Non tenterete il Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa>> (v. 16)

    Il parallelo con Es 17, 1 -7 fa cogliere lo stretto legame esistente tra i vv. 15 e 16: il brano dell 'Esodo infatti riassume la "prova" a cui Israele ha sottoposto JHWH a Massa nella domanda: «JHWH è in mezzo a noi sì o no?>> (v. 7; cf Dt 6, 1 5). Leggendo il v. 1 6 di seguito al v. 15, il senso della "tentazione" è quello di trasgredire gli obblighi dell'alleanza per vedere se Dio interviene a punire Israele (questo è il senso di "essere in mezzo", v. 15). L' accento andrebbe cioè '" Cosl LOHFINK, Gott im Buch Deuteronomium, 1 20ss; BRAULIK, Monotheismus, 125. Contro MAYES, Deuteronomy, 175, seguito da ThWAT VII, 60.

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    sul fatto di abusare della pazienza di Dio, di intendere la sua pazienza come as­ senza dalla storia. In Es 1 7 la domanda ha un senso positivo, come invocazione di assistenza, aiuto; è quella tipica dei momenti di bisogno, quando sembra che Dio non mantenga fede alle sue promesse.122 Nell'un caso come nell'altro la ten­ tazione consiste nel chiedere a Dio un "segno" ulteriore della sua "presenza", oltre a quelli che egli ha già dato: è un "non fidarsi", un imporre a Dio le proprie regole, non accettando quelle che egli dona. m Questo va contro al fatto che JHWH è «il vostro Dio>> (v. 16a; cf v. 4). • «Osserverete diligentemente i comandi del Signore vostro Dio, le clausole del­ l ' alleanza e i decreti che egli vi ha dato>> (v. 17)

    La "tentazione" di Dio è connessa dunque con la disobbedienza; cf 9,22-23; Nm 14,22; Sal 78, 1 7s.40-41 .56. Questi passi fanno cogliere lo stretto legame tra il v. 1 6 e il v. 17. L'osservanza della Legge va esattamente in senso contrario al­ la "tentazione" di Dio. Se la disobbedienza è provocazione, sfida a JHWH (> da una parte, «clausole dell 'alleanza e decreti>> dall'altra non coincidono:'25 effettivamente gli altri usi di edot («clausole dell'alleanza>>: Dt 4,45 e 6,20) in­ ducono a vedervi indicata tutta la legge dt, parenesi e corpo legislativo, pratica­ mente Dt 5-26; Io stesso si può dire anche di l}uqqim . 126 Si tratterebbe dunque di un'endiadi avente lo stesso valore delle d'bdrim del v. 6. Se questo è vero, allora il fatto che nel v. 6 queste leggi siano poste in bocca a Mosè, al pre­ sente (), mentre qui vengono attribuite a JHWH, al passato, esprime quan"' In questo senso vanno le considerazioni di RENAUD, Dieu ja/oux, 55-56, e WEINFELD, Deutero­ nomy, 346. "' >): per lui esiste il pe­ ricolo di considerare la Legge come qualcosa di estraneo, che non lo tocca («che JHWH vi ha comandato>>, v. 20). L'apprendimento della Legge è insufficiente: bi­ sogna unirlo a quello della storia della salvezza. Ogni generazione ha il dovere di "diventare contemporanea" degli avvenimenti dell'esodo: sotto pena di sen­ tirsi estranea all'identità del suo popolo. '38 •

    «Che cosa sono queste clausole dell'alleanza...?>> (v. 20)

    La domanda di senso: «Che cosa sono queste clausole dell'alleanza...?>> sup­ pone quanto detto nei vv. 1 6- 1 9, cioè che il popolo viva secondo i precetti di JHWH, in maniera diversa da quella dei popoli d'attorno (v. 14 cf 19). Un tale modo di vita singolare, "alternativo", suscita meraviglia, provoca la domanda.139 La serie con cui vengono indicate le "leggi", hii 'i!dot wl}uqqfm whammisptitim «le clausole dell 'alleanza, i decreti e i giudizi>>, appare ancora soltanto in 4,45. Il primo termine, che abbiamo già trovato al v. 17, indica l' insieme della legge mo­ saica come documento dell'alleanza tra JHWH e il suo popolo: esso è da conside­ rare sinonimo di hammi$Wiì "il comando" (v. 25). Gli altri due costituiscono un bi"' Si vedano ad esempio le linee 283-30 l dei trattati di Asarhaddon: «Asarhaddon, re d'Assiria,. .. vi ha fatto giurare che voi le [= le clausole dell'alleanza] avreste trasmesse ai vostri figli e ai vostri nipoti, alla vostra discendenza e alla discendenza della vostra discendenza, che nascerà nell'avvenire, di prescri· vere loro quanto segue. .. » (traduzione secondo LoZA. Caréchèses, 49 1 ; cf ANET, 537). "' Cf sopra, p. 536. '" Ciò traspare in forma evidente nella celebrazione ebraica della cena pasquale (cf sopra, nota 106). "' Le conseguenze pedagogiche implicite in questo "porre domande" sono indicate in C. BISSOLI, •Quando tuo figlio ti domanderà .... tu gli risponderai» (Dr 620s), ParVi 28 ( 1983) 363-372. Citiamo: «Per entrare nel mondo religioso di Israele si deve fare "domanda", deve precedere uno stupore che per· cepisce in qualche misura la novità, e quindi la gratuità e indisponibilità di ciò che pur quotidianamente o frequentemente la società compie ed anzi comanda di compiere» (p. 372). Aggiungiamo: l'annuncio ca· techetico è possibile solo dall'interno di una comunità di fede, che possa mostrare un esempio credibile di come si vive secondo la legge di Dio. È da una comunità di fede che nascono le domande.

    565

    nomio ricorrente nel Deuteronomio avente valore di endiadi: essi sono da consi­ derare come apposizione di 'ed6t. La finale del versetto opera un brusco accostamento tra il "noi" («nostro Dio») e il "voi" («Vi ha comandato»). Da una parte il figlio riconosce che JHWH non è solo Dio di suo padre, ma è anche suo Dio; dali' altra sente le leggi come estranee a sé: non vede il legame esistente tra il fatto che JHWH è «nostro Dio» e l'osservanza della Legge. Questo legame dovrà chiarire la risposta. È evidente il richiamo ai vv. 4-9: l'affermazione che JHWH è il Dio di Israele (vv. 4-5) era sta­ ta accostata al dovere di «mettere nel cuore» la Legge (vv. 6-9). Ma di ciò non era stata data la motivazione: o meglio, la motivazione era implicita nel nome stesso di JHWH, ed ora viene resa esplicita. 2.3.2. 11 richiamo al passato (6,21-23)

    Anche se la caratterizzazione unilaterale della religione dell' AT come reli­ gione della storia, in contrapposizione con le "religioni della natura", va sfuma­ ta, indubbiamente essa coglie un aspetto fondamentale del!' AT. In particolare la rivelazione di JHWH è chiaramente collegata al suo agire nella storia del popolo di Israele: quando l' AT vuoi definire chi sia JHWH non espone una dottrina teo­ logica: racconta una storia. È nel suo agire che JHWH si rivela. Il nostro brano è perfettamente inserito nel contesto. Sia nella scelta dei fatti che sono ali' origine della storia del popolo, sia nel vocabolario usato, i v v. 2 1 23 dimostrano la mano del!' autore dt . A differenza delle "catechesi eziologiche", dove l 'esposizione della storia serviva a spiegazione di un rito o di un monu­ mento, qui il racconto del passato ha la finalità di giustificare l'osservanza della Legge: esso ha quel significato giuridico che nei trattati di alleanza dell'Antico Oriente aveva il "prologo storico". D'altronde Io stesso decalogo introduce i singoli comandamenti con la presentazione di JHWH come «colui che ti ha fatto uscire dali ' Egitto, dalla casa di schiavitù>> (5,6).140 Il racconto della liberazione da una parte fonda giuridicamente il diritto di JHWH di essere «tuo Dio», e per­ ciò di esigere obbedienza; dall'altra mostra che Israele non deve aver paura di sottomettersi a JHWH: egli non è un Dio esoso, al pari di Faraone. Il "servizio" di JHWH conduce alla libertà, non alla schiavitù. «Eravamo schiavi del Faraone in Egitto... » (v. 2 1 ) A differenza d i Dt 26, in cui lo schema interpretativo dell'Esodo è quello dei salmi di Iamentazione (oppressione - lamento - liberazione), lo schema dei vv. 21 -23 è quello tipico dell'emancipazione di uno schiavo.'•' I termini «far usci­ re» (vv. 21 .23) e «introdurre» (v. 23) hanno un valore giuridico: essi indicano il primo la liberazione, il secondo l'assunzione al proprio servizio di uno schiavo (abiidfm, v. 2 1 a; cf v. 1 2). Ciò poteva avvenire o per pagamento di un riscatto o •

    '" Sul ruolo del "prologo storico" nella teologia dell'AT cf J. L'HouR, La morale de /'Alliance, Paris

    1966. 13-5 1 .

    "' Cf LoHFINK, Grandi parole, %-101 ("l modelli interpretalivi usati").

    566

    con un atto di forza: nel nostro caso si tratta della seconda alternativa («con ma­ no forte», v. 2 1 ). Chi con la forza strappava uno schiavo dal suo padrone (non era un atto di violenza, ma di liberazione, di regola compiuto dal go'el hadddm) acquistava con ciò stesso diritto di proprietà su di lui. •

    «> di cui qui si parla indica il corretto rapporto con JHWH quale partner deli' alleanza. '"' Neli' AT $'daqiì si rife­ risce non tanto alla conformità con una norma, ma al rispetto dei legami comu­ nitari;"' e poiché l'argomento del nostro capitolo è l'alleanza di JHWH con il suo popolo, «giustizia>> va intesa come l'atteggiamento di lealtà, di fedeltà al pro­ prio partner divino.'" La fedeltà a JHWH è indissolubilmente legata all'osservanza (kf nism6r /a'iisot: «se faremo attenzione a mettere in pratica>>, o «se eseguiremo con dili­ genza>>) di . Mi$wiì (che abbiamo tradotto al plurale per mancanza di un termine astratto corrispondente) ha lo stesso significato di 'ed6t (v v. 1 6 e 20): indica tutta la legislazione dt, parenesi e precetti particolari, pre­ sentandola come l'imposizione del sovrano dell'alleanza (; cf vv. 20 e 24). L'accento posto sulla Torah non va confuso con il le­ galismo di cui parla Paolo: l'autore ha precisato che l 'osservanza della Legge nasce dal rapporto personale con Dio (cf vv. 5 . 1 3 . 2 1 ) e qui aggiunge che la vali­ dità del rapporto con Dio () si misura dali'obbedienza ai suoi coman­ di. Il Nuovo Testaemento non dice altrimenti (cf Mt 7,2 1 ; Gv 15,10). L'osservanza della Legge avviene . È vero che si può pensare, in senso spirituale, ad una vita vissuta "alla presenza di Dio": ad Abramo viene ingiunto di (Gn 17, 1 ). Ma in Dt l'espressione lipne JHWH ha quasi sempre un senso cultuale, in particolare con riferimento al tempio centrale di Gerusalemme (cf 1 2,7. 12. 1 8; 14,23.26; 1 5,20; 1 6, 1 1 ). Poiché l'osservanza delle leggi è prevista all'interno della terra, è probabile che qui il riferimento sia fatto alla presenza concreta di JHWH in mez­ zo al suo popolo nel luogo da lui scelto ( 1 2,5. 1 1 . 14.2 1 ...). In Dt 6 certo non si parla di culto, ma di vita morale: come i vv. 6-9 hanno fatto capire è tutta la vita, sia nella sfera privata che in quella pubblica, '" Cf KREUZER. Frii11eschichte, 143. «>. Il discorso vero e proprio si apre con un pronome personale «voi>>, che ricorre anche all'inizio del v. 9 e del v. 15. Mosè comincia a parlare rievocando gli eventi accaduti in Egitto e lungo il cammino di quarant'anni nel deserto e termina con un'esortazione a custodire e fare le parole dell'alleanza. Seguono i vv. 9- 1 4 nei quali sono presentati tutti i contraenti dell'alleanza (vv. 9-10 e vv. 1 3- 14), i quali «sono schierati>> (v. 9) e «Stanno>> (v. 14) «davanti al Signore>>; al centro (vv. 1 1 - 1 2) è indicato lo scopo dell'assemblea: «passare nell'alleanza>>. Tutti coloro che hanno ascoltato Mosè, e che all' inizio erano sta­ ti indicati genericamente con «voi>> (v. 1 ), sono ora elencati, per sentirsi diretta­ mente coinvolti nella risposta da dare, secondo la funzione e la responsabilità connesse al proprio ruolo e alla propria posizione all'interno dell 'assemblea di Israele. " L. ALONSO ScH6KEL J. MATI!OS - J. M. VALVERDE, PenJateuco, Il (Los Libros Sagrados). Cristian­ dad, Madrid 1 970, 379. Lohfink ipotizza che alla base del nostro testo stia un fonnulario liturgico relati­ vo alla rinnovazione dell'alleanza ai tempi di Giosia. Sulla questione, cf T.A. LENCHAK, Choose a Life, 19-20.33; G. PAPOLA, L'alleanza di Moab, 24-25. " La differenza sostanziale riguarda 29,1 5-28, che la maggior pane dei commentatori divide in 29,15· 20 e 29,2 1-27. Per questa articolazione cf G. PAPOLA, L'alleanza di Moab, 42-46 e relativa bibliografia. ·

    577

    Il terzo passo (vv. 1 5- 1 7) si collega ai vv. 1 -8 : prima dell'esposizione della legge, formulata in modo esortativo, che proibisce di seguire altri dèi (v. 1 7), Mosè fa un'altra breve rievocazione dei fatti accaduti fino a quel momento. Nel testo ebraico il v. 1 8 si apre con un sintagma («e accadrà»), che introdu­ ce una sezione che va fino al v. 28 e che viene ripetuto ancora all'inizio di 30, 1 : qui inizia l'annuncio del rovesciamento della situazione presentata in 29, 1 8ss. Il quinto passo è costituito da 30, 1 - I O, racchiuso dalla ripetizione dei sintag­ mi «tornare al Signore» e «ascoltare la sua voce» (v. 2 e v. I O). Dopo il dram­ matico quadro del compimento della maledizione, questa unità presenta il rove­ sciamento di quella situazione e l 'irrompere di una straordinaria benedizione. Segue una riflessione sulla legge dal punto di vista della sua vicinanza a Israele (vv. 1 1 - 14). L'ultimo passo (30,1 5-20) propone l'alternativa tra benedizione e maledizio­ ne nella modalità di un'esortazione a scegliere la vita e la benedizione, «amando il Signore>> (v. 1 6 e v. 20), e a evitare la morte e la maledizione che certo si com­ pirà, se Israele diventa idolatra. Della scelta che Israele deve compiere sono te­ stimoni il cielo e la terra (v. 19). Se si confronta l'articolazione di questi capitoli con quella del trattato di al­ leanza, da un lato emerge che gli elementi comuni sono il paragrafo storico (29, 1 -8); la lista delle parti (29,9- 14) e le benedizioni e maledizioni con la pre­ senza dei testimoni (30, 15-20); ad essi alcuni autori aggiungono e la stipulazio­ ne e l 'ammonizione (29 , 15-20); dall'altro si constata che manca uno degli ele­ menti fondamentali di un trattato, cioè le stipulazioni particolari; inoltre, fuori dal modello tradizionale risultano i vv. 29,21-30, 1 4, ritenuti infatti inserimenti successivi. Quanto all'assenza delle stipulazioni, l 'esortazione di 29, 1 7 riguarda il cuore stesso della legge, cioè il divieto di seguire altri dèi; non mancano d'altronde i ri­ ferimenti ai precetti dell'Oreb, che evidentemente non sono stati abrogati (cf 30,8. 1 0. 1 1 . 1 6) e mantengono la loro validità. Rispetto a 29,2 1-30,14, se è inne­ gabile che questa parte non faccia parte dell'abituale formulario di alleanza e che ci siano ragioni plausibili per considerarla più recente, proprio per tali moti­ vi questi versetti sono probabilmente la chiave per interpretare il testo nella sua stesura definitiva.

    Le particolarità di questa sezione, tra l'altro molto ampia rispetto all 'insieme dei due capitoli, riguardano sia la forma sia il contenuto. Sebbene 29, 1 8-27 e 30, 1 - 1 0 presentino rispettivamente la maledizione e la benedizione, tuttavia non si tratta in questo caso di eventualità aperte e alternative poste davanti a Israele e legate alla disobbedienza e ali' obbedienza, come si trova per es. in Dt 28, ma di due tempi di una storia, profeticamente annunciati nel loro succedersi: prima le maledizioni, che si abbattono immancabilmente sul singolo e su tutto il popo­ lo, poi le benedizioni, di cui il popolo beneficerà quando sarà terminato il tempo della sua prova. Inoltre, il primo evento alla fine è ricondotto improvvisamente 578

    nell'oggi del redattore (cf 29,27), con un effetto di attualizzazione e di azzera­ mento della distanza temporale. La maledizione e la benedizione, legate alla tra­ sgressione e alla fedeltà alla legge, non possono più essere interpretate come semplici alternative giuridiche, ma diventano in questo modo occasione di una riflessione teologica sulla storia, sul modo di agire di Dio, sulla possibilità di obbedire alla legge stessa. In questa luce, si comprende come anche l 'ultima par­ te, 30, 15-20, pur proponendo la tematica consueta della benedizione-maledizio­ ne e dei testimoni si presenta nella forma dell 'esortazione a una scelta tra due possibilità, le cui conseguenze sono state oggetto della lunga considerazione precedente. La vita o la morte non sono alternative astratte, ma si caricano del­ l' esperienza del popolo riletta attraverso una riflessione sapienziale.

    2. ESEGESI Dt 29,1-8

    Si tratta del prologo storico alla formulazione dell'alleanza. Il testo richiama tre fatti storici significativi per Israele: l 'uscita dall'Egitto (vv. l b-3), il cammi ­ no nel deserto (vv. 4-5) e l 'occupazione della Transgiordania con l'arrivo alle so­ glie della terra (vv. 6-8), il tutto concluso dalla parenesi del v. 8. Particolare ri­ salto è dato alla seconda parte, perché è la voce stessa del Signore che si inseri­ sce nel discorso di Mosè per rievocare questo momento. La forma della perico­ pe è quella del cosiddetto "schema di dimostrazione" (cf Dt 8,2-6). All 'inizio il verbo «Vedere>> (v. l b), ripetuto ancora in 2a e 3a, permette di rievocare quanto il Signore ha fatto in Egitto nel passato. Al centro, nel v. 5b, ricorre il verbo , che esprime ciò che implica per la fede quanto si è visto. Infine, al v. 8 i l percorso è concluso da uno schema parenetico, segnalato dalla presenza del verbo , in cui si esorta ad applicare quanto precede all'agire, cioè al­ l ' osservanza delle parole dell'alleanza. Vv. I-3 L' introduzione ricorda testi precedenti del Dt, come 1 ,30; 3 ,2 1 ; 4,3.9.34; 7, 1 8; 1 0,2 1 ; l i ,2-7. Nei vv. l b-2 si insiste due volte sul tema del «vedere>> ciò che Dio ha fatto: grandi prove, segni e grandi prodigi. Il v. 3 ne è l'interpreta­ zione teologica, nuova per il libro del Dt. Se Israele non è capace di compren­ dere, se è cieco e sordo, ciò dipende dal fatto che Dio non gli ha concesso que­ sta grazia fino a oggi. Se fino al presente Israele è stato privo di un cuore che lo rendesse in grado di comprendere, ora invece, dopo il cammino nel deserto (o proprio in forza di quel cammino), il Signore concede al popolo i mezzi che gli consentono di conoscere il suo Dio, un cuore per capire e riconoscere, ma an­ che occhi per vedere oltre le apparenze e orecchie per ascoltare quanto viene detto. L'affermazione mette in risalto l 'importanza dell'iniziativa divina (cf Ger 3 1 , 1 8; Lam 5,21 ), senza che peraltro ci illumini sui motivi delle scelte di Dio, che restano misteriose. L'idea non sarà sviluppata che nel NT (cf Mt 16,17; Le 579

    24,25-26; Gv 6,36-37; 1 2,37-38). La conclusione del v. 3 («fino ad oggi», che nella traduzione della CEI è invece posta ali 'inizio del v.) stabilisce un ponte temporale tra la generazione dell'esodo e quella dell'esilio.

    Vv. 4-5 I prodigi avvenuti nel deserto avevano in realtà posto Israele nella situazione di poter credere; Dio non nega la sua luce ed è piuttosto Israele che non è stato capace di riconoscerlo (cf 5b). Il v. 4 ripete quanto già detto in Dt 8,4, mentre il v. 5a fa riferimento al miracolo della sopravvivenza di Israele nel deserto, privo di pane e di vino (ancora per il pane, cf Dt 8,3). Nel ricordare il cammino nel deserto si fa riferimento alla guida del Signore e ciò che viene descritto illustra appunto le caratteristiche di tale guida, mediante la presentazione di eventi straordinari. Paradossalmente, nel luogo in cui maggiormente si sarebbe dovuto provare il deterioramento e la consunzione, dove le condizioni ambientali non permettono che nulla si mantenga intatto, la vita è potuta continuare. Il cammi­ no di quarant'anni nel deserto ha uno scopo preciso. Il Signore conclude il suo intervento affermando: «affi nché sappiate che io sono JHWH vostro Dio». Il ver­ bo «conoscere/sapere>> (jd) ha insieme i significati di "comprendere" e di "rico­ noscere". Quanto Dio opera è finalizzato sempre all' uomo, con l 'intenzione di condurlo alla conoscenza. Proprio per questo motivo è il Signore a parlare in 11 pers. Tale formulazione mette in evidenza la presenza personale del Signore nell 'attività da lui compiuta e nella parola pronunciata.

    Vv. 6-8 Con i l v. 6 riprende a parlare Mosè, che sintetizza brevemente alcuni degli avvenimenti accaduti all'arrivo nelle piane di Moab; in particolare il ricordo va alla guerra vittoriosa contro i due re Amorrei e alla spartizione delle loro terre tra le tribù di Ruben, Gad e Manasse (vv. 6-7); la conclusione del discorso ha i l tono di commento conclusivo a quanto detto (v. 8 ) . Le vittorie su Sicon re degli Amorrei ed Og re di Basan sono ricordate in Nm 2 1 ,2 1 -35; Dt 2,26-36 e 3 , 1 -7 (cf Sal 1 36, 19-20). Sulla assegnazione della Transgiordania alle due tribù e mez­ za, cf Dt 3,12-17. N eli ' esortazione del v. 8 le «parole di questa alleanza» (stessa espressione in 2Re 23,23) si riferiscono, come nel caso di Dt 28,69, a tutto il complesso delle leggi di Dt 1 2-26 con l 'aggiunta delle benedizioni e delle maledizioni. Alla rac­ comandazione alla fedeltà alla Legge, espressa con i verbi usuali, e > segue un elenco: non dovrà esserci uomo o donna, fa­ miglia o tribù; quindi una frase relativa introduce i l contenuto vero e proprio dell'esortazione, che, a sua volta, è articolato in due parti, legate strettamente da un rapporto di consequenzialità: ((il cui cuore si volga oggi da JHWH nostro Dio>> (p6neh me'im }HWH), ((per andare a servire gli dèi di quelle nazioni>>. La

    ., L'argento e l'oro degli idoli non sono soltanto il segno del loro splendore apparente e della loro presunta potenza; essi esercitano un'anrazione sottile seducendo il cuore dell'uomo, rendendolo orgo­ glioso e arrogante, e allontanandolo dalla sua completa dedizione al Signore (cf Dt 7 ,25; 8 , 1 3 - 1 4. 1 7; 17,17; Is 2,7-8; Ez 16,17; Os 2,10; Ag 2,8).

    584

    formulazione dell'ammonizione ricorre di nuovo in 30,1 7 e ha la particolarità di identificare ciò che provoca l 'abbandono del Signore: il cuore di un singolo o di una comunità prende una direzione diversa e si orienta verso un altro cam­ mino. In tal modo si sottolinea maggiormente l 'aspetto della scelta personale e consapevole, sia attraverso il cuore, sia attraverso i l verbo di movimento. Non si tratta, semplicemente, di praticare un'azione cultuale piuttosto che un'altra, ma di intendere la natura e la qualità di un rapporto da cui scaturisce una conse­ guenza di carattere evidente e pubblico: abbandonando il Signore si va a servi­ re gli dèi di quei popoli che Israele ha visto e conosciuto. Il singolo Israelita e ogni comunità sono perciò esortati a evitare un peccato che ha tratti sapienziali, perché riguarda il modo complessivo di concepire la propria identità, la realtà e il modo globale di vivere. Si tratta di camminare o meno nella via del Signore, e dunque di vivere in obbedienza alla sua parola, lasciandosi guidare da lui. L'unità si conclude con una breve espressione introdotta dalla stessa formula utilizzata per il comando: «non ci sia tra voi radice che produca veleno e assen­ zio>>; i due vocaboli, di traduzione incerta () si ritrovano in­ sieme anche in Am 6, 1 2; Ger 9, 14; 23, 1 5; Lam 3,19; cf Dt 32,32; Os 10,4. L'i­ dolatria è una tentazione sempre attuale («oggi») e diventa per l 'uomo pericolo­ sa come un veleno.

    Dt 29,18-28 Il sintagma all'inizio del v. 1 8 sposta l 'attenzione verso una nuova dimensio­ ne di tempo: il futuro; Mosè prevede la possibilità della trasgressione e della sua conseguente punizione che rende concreta ed effettiva la maledizione scritta nel libro. Il passaggio dalle vicende del singolo (vv. 1 8-20) a quelle della colletti­ vità (vv. 2 1 -27) permette di articolare la sezione in due unità a cui si aggiunge il v. 28 di carattere sapienziale. Vv. IS-20

    I vv. 1 8-20 sono delimitati da una inclusione: «le parole di questa impreca­ zione>> (all' inizio del v. 1 8) e «tutte le imprecazioni dell'alleanza>> (alla fine del v. 20); i l tema è la possibilità che qualcuno se ne allontani cadendo così nella maledizione. Il carattere collettivo dell'alleanza poteva far nascere una tentazio­ ne; il singolo può approfittare, anche se apostata, della benedizione estesa alla comunità.21 Mosè tratteggia il ritratto di un uomo che si illude di trovare benes­ sere e vita facendo conto solo su di sé, e che, forse a motivo della prosperità di cui gode, non riesce più a vedere dov 'è e chi è l'origine del bene e ritiene di po­ ter sfuggire agli effetti dell'imprecazione dell'alleanza. 11 La conclusione del v. 1 8 si presenta difficile: l'apostata pensa che «il terreno irrigato faccia sparire quello arido». È forse un detto proverbiale che già la Settanta non comprese traducendo «affinché il pec­ catore non porti con sé in rovina l'innocente»; la Vulgata ugualmente non comprende e traduce: et absu­ mat ehria sitientem . . . Il testo sembra esprimere la falsa speranza del peccatore (il terreno arido) che pen­ sa di poter sfuggire alla punizione all'ombra della comunità dei giusti (il terreno irrigato).

    585

    La risposta richiama il tema della responsabilità personale, sviluppando testi come Dt l ,36-39 e 7, l O e ponendosi accanto alla formulazione classica di Ez 1 8. Si tratta dunque di un tema comune dell 'epoca: a ognuno sarà chiesto conto del suo operato. Il vocabolario usato ricorda anche Geremia: «ostinazione del cuore» è espressione caratteristica che il profeta usa in più occasioni (3, 17; 7,24; 9, 1 3; 1 1 ,8; 1 3 , 1 0; 16, 1 2; 1 8 , 1 2; 23,1 7) e richiama la necessità di una adesione interiore e non solo formale ali 'alleanza. La maledizione è >, ripetuta ben 1 2 volte; con l'aggiunta delle due ricorrenze nei vv. 8 e 9b abbiamo un totale di 14 (7X2) ricorrenze del nome sacro, il Signore. I commentari individuano per l 'intero passaggio una struttura concentrica, che mette in risalto il nucleo centrale dei vv. 4-6, che annunziano la conversione del popolo ed il ritorno dall'esilio: vv. 1 -3: conversione del popolo e primo annunzio del ritorno; v. 2: «ritornare al Signore ed ascoltare la sua voce>>; «oggi>>; «con tutto il cuore e con tutta l'anima>>; v. 3: il Signore «fa tornare>> (2x);2' vv. 4 -7: annunzio del ritorno, della conversione e delle maledizioni riservate ai nemici; vv. 8- 1 0: ancora sulla conversione e sulle sue conseguenze benefiche. V. 8 : «ritornare al Signore ed ascoltare l a sua voce>>; «oggh>; v. 9 : «il Signore tor­ nerà a gioire>>; v. 10: «con tutto i l cuore e con tutta l ' anima>>. Questi tre vv. formano una chiara inclusione con i tre iniziali. Il punto di partenza di questa articolazione è l'analisi dei primi tre verset­ ti nei quali si riconosce un periodo ipotetico con apodosi al v. 3. L'analisi fi­ lologica del periodo consente una diversa lettura che limita la protasi al v. la, mentre sia le azioni di Israele sia quelle del Signore costituiscono frasi prin­ cipali che disegnano un movimento simmetrico: Israele torna al Si gnore e JHWH torna a Israele. Pertanto, gli atti compiuti dal Signore non sono condi"' In particolare P. Buis ha dimostralo la strena dipendenza del nostro testo da quello delle benedizio­ ni e delle maledizioni del cap. 28; lo studio di questi paralleli dimostra come le maledizioni che il cap. 28

    annunziava per Israele sono rovesciate e presentate invece come benedizioni. 1' Cf W.L. HoLLADAY, The Root Sabh in the Old Testament with Particular Reference to its Usages in Covenantal Contexts, Leiden 1958. " Il testo ebraico legge sab sebfit, che può essere tradotto >. La vita e la morte: alla luce di quanto detto, la benedizione che consiste nella vita non è tanto un premio quanto piuttosto la conseguenza dell'amore. Ciò è " Come si è visto nell'introduzione questo brano contiene un nucleo più antico, rilevabile nei vv. 16.1 9.20, nucleo ampliato nella successiva redazione deuteronomistica. Si tratta, secondo Lohfink, di un primitivo testo liturgico che il redanore deuteronomista avrebbe storicizzato ed inserito nel contesto at­ tuale. Secondo R.P. Merendino, i vv. 16. 19.20 costituiscono allo stesso tempo il nucleo e la conclusione della più antica catechesi deuteronomica rintracciabile in Dt 5-6. catechesi che ha il suo centro in Dt 6,10-13. Seguendo questa tesi Merendino può allora affermare che Dt 30, 15-20 è, nel libro del Deutero­ nomio, il testo più antico in cui si parla dell'amore per Dio come fonte di vita. u Cf N. LoHFINK, "Ascolra. lsraele"". Esegesi di testi del Deuteronomio. Paideia, Brescia 1968, 57-76. � R.P. MERENDtNO, La via della vira, 49. Per una attualizzazione di questa pericope cf M. GIORDANO, Per una cultura della vita: "scegli dunque la vita" (Dt 30.19), RasT 30 ( 1 989) 99-120.

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    chiaro soprattutto nel v. 20 dove la vita viene identificata con Dio stesso, de­ scritto come «la tua vita e la tua longevità>>. Scegliere JHWH, il Signore, signifi­ ca scegliere la vita. La redazione deuteronomista, inserendo la possibilità della morte e del castigo, ha messo in luce la responsabilità umana. Se, da un lato, la vita è dono di Dio, dall'altro l 'esperienza dell'esilio ha messo in luce la necessità di una risposta umana. Il testo accosta così, senza tentare di conciliarle, libertà e grazia, anticipando un tema che sarà proprio del Nuovo Testamento. Per il tema della scelta tra vita e morte, vedi i testi sapienziali di Prv 8,35; 12,28; 1 3, 14; Sir 1 5, 1 6- 17; cf Ger 8,3; 2 1 ,8. Significativo infine è il richiamo alla discendenza, indirettamente richiamata nel «moltiplicarsi>> del v. 1 6 ed esplicitamente menzionata alla fine del v. 1 9. L'alleanza non è un episodio isolato, ma riguarda, come si è visto, l ' «oggi>> di Israele (qui ai vv. 15. 1 8. 19); la scelta di amare il Signore non riguarda il singolo soltanto ma la comunità ed essa, con le sue scelte "di oggi", prepara il futuro per la comunità "di domani". 3. SINTESI TEOLOGICA: L'alleanza nel paese di Moab e la nuova alleanza dei profeti

    Le opinioni relative al significato di fondo di Dt 29-30 sono molto varie: un nutrito gruppo di autori (da F. Delitzsch a L. Alonso Schokel) pensa di trovarsi di fronte a una cerimonia di rinnovamento dell'alleanza al Sinai; altri, invece (R. Clifford), a un ampliamento o a una conferma della stessa alleanza; altri ancora (G. von Rad, N. Lohfink) pensano al resoconto di una nuova alleanza, diversa da quella deii'Oreb.3' La redazione finale del nostro testo si colloca in epoca esi­ lica, un periodo nel quale Israele si interroga se l'alleanza tra Dio e il suo popo­ lo sia ancora valida (cf Ger 14,21 ). La risposta dei profeti deli' esilio, Geremia ed Ezechiele, è l'annunzio di una che verrà a sostituire la pri­ ma (cfGer 3 1 ,3 1-34; 32,37-4 1 ; Ez 36,24-28; Is 55,3). Anche il nostro testo sem­ bra parlare dell'alleanza ali 'Oreb (Dt 29,24) come di un qualcosa che gli Israeli­ ti non hanno saputo cogliere, perché il loro cuore e i loro occhi erano chiusi (29,2-3). Significativamente il nostro testo presenta prima le maledizioni (29,21 27) e soltanto dopo le benedizioni (30, 1 - 1 O); le prime infatti si sono già avvera­ te, segno della rottura della prima alleanza. La conversione operata da Dio (30, l ­ l O) costituirà il cuore d i una alleanza diversa. Il testo di Dt 29-30 presenta notevoli punti di contatto con i testi profetici re­ lativi alla nuova alleanza, sopra citati. Temi comuni sono: la promessa di un profondo, interiore cambiamento dell'uomo: un «cuore nuovo>>, nel linguaggio di Ez 1 1, 1 9; 36,26, un nuovo modo di conoscere Dio " Rimandiamo alla ricca nota bibliografica contenuta in CHOLEWINSKt, Zur theologischen Deutung des Moahhundes, 96, n. 4. Queste le conclusioni di G. von Rad: >, si ritorna subito alla modalità della per­ cezione:

    " Si veda anche J. VONDRAN, Elijas Dialog mit Jahwes, 417-424.

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    «Quando ricominciò a sentire," Elia si copri il volto con il mantello, uscl e si fermò al­

    l'ingresso della caverna, ed ecco una voce per lui e disse: "Allora, che ci fai qui Elia?". rispose: "Sono pieno di zelo per JHWH degli eserciti, poiché i figli di Israele hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi pro­ feti; sono rimasto da solo e ora si tenta di togliermi la vita"» (vv 13-14).

    Ed egli

    La stessa domanda e la stessa risposta! Scartata l'ipotesi della glossa o del­ l'interpolazione, si deve supporre che il narratore abbia voluto una tale ripetizio­ ne letterale. Egli ha collocato al centro l'estasi e attorno ad essa, l'evento della Parola (il v. 9a in parallelo" al v. l 3b), con il medesimo dialogo (vv. 9b- l 0 e 1 3b- 14a). Nel v. I l a la parola di JHWH dà un ordine, nel v. 13a Elia, dopo esser­ si velato il volto, lo esegue. Per risolvere alla radice il problema di questo duplicato, ci sarebbe l'ipotesi di considerare un' interpolazione quanto intercorre fra il v. IO, la prima risposta di Elia, e il v. 1 3, la seconda domanda. Ma questa scena è proprio il centro di tutto il ciclo di Elia, e il fatto di avere una ripetizione deve essere preso come in­ dizio narratologico significativo. Come in altri casi, i duplicati non sono soltan­ to risultati d'interpolazione; essi possono essere indizi retorici per comprendere la struttura del testo. Se si dovesse eliminare la sezione dell'esperienza mistica di Elia, giudican­ dola una interpolazione, si risolverebbe - apparentemente - un altro problema, sollevato dai critici e legato alla logica generale del libretto. Prima di questa scena, il racconto ha presentato già altri episodi: Elia che minaccia la siccità, che agisce contro il re ingiusto a favore di una vedova di Sarepta, che combatte coloro che sostengono la religione cananaica ... Sembrerebbe più logico trovare l'incontro con Dio all 'inizio dell'attività di Elia oppure non trovarlo affatto. Che l 'esperienza di Dio stia nel bel mezzo dell 'attività di Elia crea qualche problema ai moderni: perché proprio adesso? come ha agito Elia fino ad ora? Ma questa è proprio l'originalità tracciata dall'itinerario spirituale di Elia. L'esperienza fon­ dante sembra però sparire subito nel nulla. Tutto finisce in un brevissimo atti­ mo. Elia precipita di nuovo nella normale sensibilità (v. 1 3), ma il qol d'miima daqqa ha cambiato la sua esistenza e ha orientato la sua ricerca di Dio in altra direzione. Per questa ragione, il quarto momento decisivo dell'estasi è rimpiazzato dal­ la quarta scena (vv. 13-18), che dà un orientamento diverso alla vita del profeta, sebbene sia ancora lontana dalla perfezione mistica del rapimento finale. Alcune particolarità narrative della quarta scena: - il dialogo - e di conseguenza la quarta scena - è l 'esecuzione del comando precedente (v. I l ) e, nello stesso tempo, è una continuazione dell'esperienza mistica: Elia ((sente» e un qol gli è rivolto (v. l 3b), non più un diibiir (cf v. 9b); " È il modo migliore per tradurre kilmil'', con sfumatura incoativa.

    " Si noti la variazione nei due eventi della parola: nel v. 9 si ha whinneh d'bar-JHWH e/tijw wajjomer, mentre nel v. 13 whinnèh 'iltijw qol wajjomer.

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    la prima domanda della «voce» e la risposta di Elia sono verbatim identiche all'inizio del dialogo precedente; mentre nel v. I l a vi era un invito a restare sul monte, nei vv. 1 5ss l'invito è a ritornare sui propri passi, scegliere altre collaborazioni per nuove mansioni, ovvero l'unzione di I:Iazael, di Ieu e di Eliseo, e ritirarsi come eremita nel de­ serto di Damasco; rimane enigmatico l 'accenno finale ai 7000, 1e cui ginocchia non si sono pie­ gate a Ba 'al e la cui bocca non l'ha baciato. È una conclusione del discorso divino che non può essere sbrigativamente giudicata casuale, considerando la nota abilità del narratore. Il valore della quarta scena, dopo l'esperienza mistica della grotta, serve dun­ que ad introdurre un nuovo periodo della vita di Elia. Egli non sarà più un com­ battente per JHWH, ma un uomo pienamente guidato dalla parola di JHWH, alla ricerca del rapimento definitivo. 4. LETTURA ESEGETICA vv.

    1-3a: prima scena

    Vi è una sottile ironia: A/Jab appare soggiogato dalla potente regina Gezabe­ le. A lei deve rendere conto di quanto succede. È la regina a prendere provvedi­ menti contro Elia: un malìik è inviato da Gezabele a Elia, come un ma/'ak lHWH incontra Elia nel deserto di Bersabea. Quale dei due recherà la parola vincente? In modo narrativo, ma molto efficace, il narratore mette a fuoco il problema: non è l'apoteosi del Carmelo ad essere l'occasione per rivelare il vero volto di Dio, ma l 'apparente sconfitta. JHWH non ha bisogno di eroi che combattano per lui, ma è Lui stesso ad essere il sostegno e il conforto per coloro che gli rimangono fedeli. Di fronte alle minacce di Gezabele, Elia entra in crisi. Colui che ha vinto la sfida, si trova dalla parte del perdente. Ma soprattutto, il Dio per il quale egli ha combattuto, sembra disinteressarsi del suo profeta. Ma non è così. L'accenno ai 7000 del v. 18 va interpretato proprio in parallelo al motivo della crisi per Elia: il profeta ha pensato di essere rimasto solo, ma JHWH sa che ben 7000 tra i figli d'Israele non hanno mai piegato le ginocchia e contaminato la bocca con Ba 'al. Il trionfo e l'efficienza di Jhwh sono diversi, ed Elia dovrà accorgersene. Nel v. 3, è meglio stare con il TM e vocalizzare wajjar' «e vide». Le versioni antiche'• preferiscono vocalizzare wajj7ra' ; ma in questo modo si pensa che Elia tema Gezabele. Il viaggio di Elia è invece un pellegrinaggio, più che una fuga. Egli se ne va non tanto per paura, ma soprattutto perché è in crisi con il suo Dio: dov'è il Dio di Abramo? Ad Abramo non era forse stato promesso: > da con­ frontare con il rab 'atta ]HWH del v. 4b); i quaranta giorni e le quaranta notti sono un riferimento al tempo trascorso da Mosè sul monte di Dio (cf Es 34,28), confermato anche dalla mèta del cammino di Elia, l 'Horeb; è possibile anche un riferimento ai quarant'anni trascorsi da Israele nel deserto. Elia ha bisogno d'incontrare di nuovo il Dio dell'esodo, per comprendere chi Egli sia, perché la "divinità", a favore della quale egli ha sempre pensato di combattere, sembra assente. Elia, nel deserto di Bersabea, riceve dunque la conferma: la sua vita è impor­ tante agli occhi di Dio, quanto quella di Ismaele e quella di tutto il popolo du­ rante il cammino nel deserto. Ma questo non basta ancora al nostro narratore: egli vuole mostrarci che questo Dio ha da dire qualcosa al suo profeta, perché capisca che JHWH non è solo una divinità vincente: è un Dio trascendente, "Al­ tro". vv.

    9-12: terza scena

    L'arrivo ali'Horeb, il luogo sacro per eccellenza (cf Es 3,1 -6), è la mèta ulti­ ma del pellegrinaggio di Elia. Sarà anche il punto di partenza per una nuova teo­ logia. Quanto a «la caverna>> ('el ham-m''iira), in cui Elia entra per passare la notte, l'articolo dice che si tratta di una caverna nota o determinata, non di una caver­ na qualsiasi. Dal momento che nel racconto non si è ancora parlato di alcuna ca­ verna, e quindi l 'articolo non può avere valore anaforico, si deve supporre che sia la caverna già nota al lettore. Non può che essere la caverna di Mosè. Non sfuggano anzitutto le valenze simboliche in cui i l narratore ambienta l 'esperienza del l ' Horeb: essa avviene nella caverna e di notte. Si tratta di due simboli a valenza caratteristicamente femminile, appartenenti al Regime nottur­ no, direbbe G. Durand:19 " Cf G. DURAND, Le strutture antropologiche dell' immagioorio (= La Scienza Nuova 12), Ed. Deda· lo, Bari 1972 (si vedano soprattutto le pagine sintetiche 381-481). Per la caverna si vedano le pp. 242s e

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    «Tra la grotta e la casa esisterebbe la stessa differenza di grado che c'è tril la madre mari­ na e la madre tellurica: la grotta sarebbe più cosmica e più completamente simbolica del­ la casa. La grotta è considerata dal folklore come matrice universale e s'apparenta ai gran­ di simboli della maturazione e dell'intimità come l'uovo, la crisalide e la tomba [ . . . ] La caverna è dunque la cavità geografica perfetta, la cavità archetipa, "mondo chiuso dove la­ vora la materia stessa dei crepuscoli cioè luogo magico dove le tenebre possono riavva­ lorarsi in notte>>.20 ",

    Quanto al valore eufemizzante della notte, ci basti citare qualche strofa del

    Cantico dell'anima che si rallegra di conoscere Dio per fede di S. Giovanni

    della Croce: Que bien sé yo la fonte que mona y corre, aunque es de noche. l . Aquella eterna fonte esta escondida, que bien sé yo do tiene su manida, aunque es de noche. [ ... ) 5. Su claridad nunca es oscurecida, y sé que toda luz della es venida, aunque es de noche. [ .. . ] 10. Aquf se esta, llamondo a las criaturas, y de esta agua se hartan, aunque a oscuras, porque es de noche. 11. Aquesta viva fuente que deseo, en este pan de vida yo la veo, aunque es de noche.

    La sorgente ben so che emana e scorre, anche se è notte. l . Quella fonte eterna sta nascosta,

    ma io so ben dove sta riposta, anche se è notte.

    5. La sua chiarezza mai viene offuscata, ed ogni luce so che è da lei venuta, anche se è notte. lO. Qui se ne sta, chiamando le creature, che dell'acqua si sazian anche se al buio. perché è notte. I l . Cotesta viva fonte che io bramo, in questo pane di vita io la vedo, anche se è notte."

    In contrapposizione alla visione solare dell'eroe della prima parte del libretto (appartenente al Regime diurno), sta nascendo in questa grotta, di notte, una vi­ sione di Dio mistica, capace non solo di cantare vittoria davanti alla luce, ma anche davanti alla sconfitta e al fallimento. Non è necessario domandarsi se questo è veramente ciò che l 'autore ha volu­ to dire. Ambientando in questo modo la visione di Elia, l 'autore ha già detto. Il valore simbolico non è sempre esplicitamente voluto da colui che scrive: appar­ tiene al senso dei simboli evocati, che va al di là di ogni spazio rigidamente ideo­ logico, in quanto il simbolo sta sulla soglia tra l 'esperienza e il linguaggio, tra il J)ioç e il À.oyoç, come ripetutamente afferma P. Ricreur.22 Il discorso meriterebbe un approfondimento tutto particolare: serva almeno aver lanciato una provocazione, per leggere anche con questo la ricchezza del nostro testo. per la notte, soprattutto le pp. 196-208 e 2 19-22 1 . Ai due Regimi fondamentali ipotizzati da G. Durand per la fantastica trascendentale si potrebbero, in certo qual modo, far corrispondere i due archetipi junghiani di animus e anima. "' lbid., 243. " wvi) au:n:aç ÀVtl:ijç (la voce di una brezza leggera); Vg: sibilus aurae tenuis; Syr: il suono di una parola delicata (ql' dmmll' rkjk'); la voce di coloro che lodano nel segreto (qiil m'sabl]in bal]iiSQJ). Tg: b) traduzioni moderne: CEI: il monnorio di un vento leggero; Vaccari (PIB): nel silenzio, un legger monnorio; Nardoni: il rumore d'un'aura lieve; TOB (in nota): il fruscio di un silenzio leggero; Interconfessionale in Lingua Corrente: come un lieve sussurro; una brisa tenue; (ingl.: ... ?) NBE: KJV: a stili small voice; Einheitiibersetzung: ein sanftes, leises Siiuseln...

    Dunque, il problema esiste e non per i singoli vocaboli, ma nel sintagma che ne risulta, con un esito apparentemente paradossale. Per cui i traduttori preferi­ scono parafrasare. Qol è la voce o qualcosa che si fa sentire, qualcosa di perce" Per ulteriori approfondimenti, si veda A. S. VAN DER WOUDE, in THAT Il, 498-507.

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    pibile come il tuono; d'mdmii è un sostantivo che deriva da '1/dmm, ·una radice abbastanza usata come verbo, che significa «divenire o essere silenzioso>>, «di­ venire o essere immobile>> (cf Gs l 0). Il sostantivo è invece più raro; infatti, ol­ tre al nostro passo, occorre solo in Sal l 07,29: joqem s" 'iirii lid'mtimii wajjeljeiu gallehem «[JHWH] ridusse la tempesta al silenzio, tacquero i flutti del mare>>; e nella visione notturna di Elifaz in Gb 4, 16: ja am6d w'/6'- 'akkir mar'ehU t"munci /'neged 'éndj d'mdmii wdqol 'esmd' «Stava in piedi, ma non riconobbi il suo aspetto. Una figura davanti ai miei occhi. Silenzio ... Poi udii una voce>>. En­ trambi questi passi confermano che il significato fondamentale del sostantivo è «silenzio>>. Si comprende quindi la difficoltà dei traduttori, in quanto il sintagma è un qualcosa di paradossale, propriamente un ossimoro. Quanto al l'aggettivo attribuito a questo silenzio, anch'esso potrebbe fare qualche problema: daqqa deriva da '1/dqq che significa «stritolare, ridurre in polvere>>. L'aggettivo è applicato, ad es., alla manna (Es 1 6,14); oppure è usato in Is 29,5 per indicare la polvere (cf anche Is 40, 1 5). È interessante l 'uso in Gn 4 1 , il racconto del sogno del faraone, in quanto là si applica sia alle vacche ma­ gre, sia alle spighe vuote, alla pari del suo simile - dal punto di vista grafico, in ebraico quadrato - raqqii, da \)rqq Il, che significa «essere sottile, magro>>. Se il primo va meglio per le spighe (vuote), il secondo va meglio per le vacche (ma­ gre). Il testo di l Re 19, 12, con buona probabilità, non vuoi fare riferimento tan­ to a un silenzio «sottile>> o «tenue>>, ma a un silenzio , o meglio «SVUOtatO>>. In queste tre parole si ha quindi un ossimoro, a prima vista oscuro e parados­ sale. Ma se Elia è un mistico, può esprimere la coincidentia oppositorum della sua esperienza estatica. In effetti, la formula si trova in un contesto di incontro con Dio. Per chiarirne meglio il significato e a prova che si tratti di un ossimoro cercato, si ricordi il suo contesto prossimo. Primo momento: w'ru•IJ. g'dold w'/J.dzmtiq « . e un vento gagliarda e forte». Già in questo sintagma qualcosa non quadra: o colui che scrive non conosce l'e­ braico (!) o, attraverso una concordanza anch'essa paradossale si vuole esprime­ re qualcosa di diverso. È vero che ru•IJ. in ebraico può essere sia maschile sia femminile, benché normalmente sia usato al femminile. Ma nel presente sintag­ ma l'accostamento fra la ru•IJ. g'dola e il ru•IJ. /J.dztiq è troppo stridente: prima femminile e subito dopo maschile!" Anche i participi seguenti (m'pdreq hdrfm um'sabber s"laim) sono al maschile, in stridente contrasto con il femminile ini­ ziale: il che sta a dire che l'autore, attraverso questo espediente grammaticale, vuoi comunicare qualcosa in più. Sarebbe molto più semplice in questi casi am­ mettere un errore scribale; ma, per fortuna, i massoreti che hanno tramandato il testo, non hanno ragionato come i moderni. .

    .

    " n paradosso della compresenza di femminile e di maschile è un indizio che sta iniziando un 'espe­ rienza mistica. Cf San Giovanni della Croce (Canciones del alma): «;Oh noche que guiaste! l ;Oh noche amable mtis que el alborada! l ;Oh noche que juntaste l Amado con amada, l amada en el Amado tran· sformada!» .

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    Il paradosso grammaticale del che spacca i monti e spezza le rocce davanti al Signore esprime l 'entrata in un contesto di­ verso dalla fisicità. Elia sta sperimentando qualcosa di interiore, non di esterio­ re; e attraverso l'espediente grammaticale di cambiare improvvisamente il ge­ nere, si vuole indicare la conjunctio oppositorum della via mistica. Il primo mo­ mento si conclude con: 16' biirfi"l) JHWH > 7 ( 1 985) 129-149; E. W. NICHOLSON, God and his people. Covenant and theo/ogy in the 0/d Testament, Clarendon, Oxford 1 986; J. VER­ MEYLEN, Le Dieu de la promesse et le Dieu de t alliance (LeDi v 1 26), Cerf, Paris 1 986; P. C. MATHEW, Berith: the semitic concept of divine human relationship (Semitic Theological Se­ ries 3), Ashram, Kottayam 1 987; G. E. MENDENHALL, The nature and purpose of the Abraha­ mic tradition, in P. D. MILLER, JR. - P. D. HANSON - S. D. McBRIDE, JR. (curr.), Ancient lsrae­ /ite re/igion. Essays in honor of Frank Moore Cross, Fortress, Philadelphia PA 1987, 337356; N. LOHFINK, /1 concetto di "alleanza" nella teologia biblica, CivCatt 142,3 ( 1 99 1 ) 353367; G.E. MENOENHALL - G.A. HER ION , Covenant, in ABD, l, 1 1 79-1202; S. A. PANIMOLLE (cur.), Alleanza - Patto - Testamento (DSBP 2), Boria, Roma 1992; E. ZENGER (cur.), Der neue ,

    621

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    André Neher ha definito la b'rft «la dimensione intima del tempo biblico».' La trovo la definizione più bella e intrigante. E continua: .

    La b'rit è la consegna pi ù alta che Israele ha dato alla storia religiosa dell 'u­ manità . Ma si deve subito riconoscere che furono i profeti gli "architetti del tem­ po", come ama definirli A.J. Heschel: essi hanno plasmato questo concetto, che, attraverso la sintesi del Deuteronomio, è divenuto poi il baricentro della Tora e della teologia biblica. 2 Sarebbe velleitario pensare di illustrare in poche pagine la ricchezza teolog ic a della b'rit biblica e qui condensare l 'esuberante letteratura ' A. NEHER, L'essenza del profetismo, Traduzione di E. PIATIELLI (Radici 4), Marieni, Casale Mon­ ferrato 1984, 96. ' Non si vuole con questo ritornare alle posizioni di W. EICHRODT, Teologia dell'Antico Testamento, Parte 1: Dio e popolo (BT 14), Paideia, Brescia 1979 (orig . ted. 1933! In ilaliano la seconda parte del 1935 e la lerza del 1939 non sono stare lradone). Com'è noto, in reazione allo sroricismo e sono l'impul­ so della teologia kerigmatica, W. Eichrodt ha trovato nel concetto di alleanza il centro attorno a cui co­ struire tutta la leologia del Primo Testamento. La discussione, seguita alla Teologia di G. von Rad (prima edizione dei due volumi: 1957 e 1 960), ha fatto risorgere il problema di una comprensione dell'AT a par­ tire da un unico concetto, sebbene in tennini diversi rispetto agli anni di Eichrodt (cf ad es. , W. ZIMMER­ Ll, Alttestamentliche Traditionsgeschichte und Theologie, in H. W. WOLFF [cur.], Probleme biblischer Theologie. Gerhard von Rad zum 70. Geburtstag, Christian Kaiser, Miinchen 197 1 , 632-647; S. HERR­ MANN, Die konstruktive Restauration. Das Deuteronomium als Mille biblischer Theologie, ivi, 155- 1 70; molto interessanle quest'uhimo intervento, in quanto lrova il centro di una teologia deii'AT nel Deurero­ nomio, che a suo parere è rilettura e formulazione definiriva della fede di Israele). C. Westennann ha ra­ gione di affennare che «è compito di una leologia veteroteslarnenlaria descrivere e compendiare ciò che tutto l'AT dice di Dio in lulte le sue parti. Presentare una pane come fosse la più imponanle e ad essa su­ bordinare ruue le ahre, o al tutto anteporre, in quanlo delenninante, un concetto - ad es. alleanza o ele­ zione o salvezza -, o innanzitutto ricercare che cosa ne costituisca il centro, sign ificherebbe avere un'i­ dea distorta di questo compito» (C. WESTERMANN, Teologia dell'Antico Testamento [AT.S 6), Paideia Editrice, Brescia 1983, I l ; l'originale tedesco è del 1978). Tuuavia, è necessario lasciar emergere dal­ l'interno del teslo biblico stesso le struuure portanti della sua comprensione (si veda, il lavoro avvialo da qualche anno nella Facohà Teologica dell'Italia Seuentrionale, di cui un primo saggio è stato pubblicato in «Teolol\ia» 26 [200 1 ) 1 29-212, con conlributi di P. Rora Scalabrini, R. Vignolo e dello scrivente).

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    che è stata prodotta sull'argomento, anche solo negli ultimi anni. Lo scopo del presente contributo di teologia biblica ha minori pretese e vuole introdurre i molti temi toccati, stando ancora sulla soglia, lasciando intuire quale potrebbe essere la loro ricchezza, se fossero adeguatamente approfonditi. Non entro nella discussione a riguardo dell'etimologia di b'rft: è un proble­ ma ancora aperto, e in ogni caso non influisce sul tema teologico che si sta af­ frontando, in quanto la teologia si fonda pi ù sull'enciclopedia che sull' etimolo­ gia.' Certo, è sempre opportuno seguire il tracciato etimologico di un lessema, se la ricerca è convincente e utile. M. Weinfeld' ha riassunto la discussione etimologica in quattro ipotesi principali: l ) da brh I «mangiare>>, dal momento che un patto si concludeva con un solenne pasto ri­ tuale (così H.F.W. Gesenius, E. Meyer, L. Kiihler, E. Jacob, J. Hempel). Ma il verbo è tan­ to raro e non si riferisce mai a pranzi rituali; 2) dall'accadico birlt «tra>> (preposizione). In un testo di Mari (ARM II, 37, riga 1 3s), si è trovata l'espressione f!Dram qattilum birit X u birit Y «Uccidere un asino tra X e Y>> (cf il rito di giuramento attestato anche in Gn 15,7-21 e Ger 34, 1 8s). Secondo M. Noth.' il sin­ tagma accadico qattilum birit ... u birit... sarebbe divenuto in ebraico ktirat b'rft ben . . . uben . .. , i l cui significato originario sarebbe stato «uccidere [un animale] tra X e Y>>. M a è arduo sostenere che l 'oggetto principale - asino o altro animale - sia stato rimpiazzato in ebraico da ciò che in accadico è una preposizione,' redupl icando la preposizione origina­ ria con ben! 3) da brh II «scegliere», con espansione semantica nel senso di «determinare, fissare>>, come da lph «vedere>> deriva bzwt «pattO>>, che in ls 28, 1 5 e 1 8 si trova proprio in paralle­ lo a b'rft. In questo caso, b''rft significherebbe anzitutto «decisione, determinazione>> (cosl F.P.W. Buhl, P. Karge, F.J. Delitzsch, H.L. Strack, W. Nowack, E. Kutsch). Ma la base fi­ lologica è tutta ipotetica; 4) dall 'accadico biritu (CAD Il, 254s) o bilertum (AHw I, 1 29s) «vincolo, catena>> (così R. Kraetzschmar, O. Loretz, W.F. Albright, E. Vogt, M. Weinfeld ... ) . In effetti, in accadico (riksum da raklisum), in ittita (i!!Jiul da i!!Jija-), in arabo ('aqdu da 'aqada), come anche in latino (vinculum da vinc·ire), in greco (cruv8iptTJ - e simili - da cruvd8TJ1J.t) e in italiano (alleanza dal latino alligare, tramite il francese alliance), i vocaboli che indicano il tratta­ to derivano da una radice che significa . II senso principale di b'rft, in questo ca­ so, sarebbe quindi di «obbligazione, imposizione>> da parte del contraente principale, il quale si impegna a sua volla a proteggere il vassallo. Dal momento che l 'obbligazione de­ ve essere accompagnata da un «giuramento», i due vocaboli si trovano spesso in paralle­ lo, a partire dai trattati ittiti della seconda metà del II millennio a.C.: non solo in ebraico (b rft l ala), ma anche nelle altre lingue (vedi in accadico riksu l mamitu, come in greco '

    ' Si ricordi il saggio avvertimento di 1. BARR, Semantica del linfltiD!(gio biblico, Introduzione all'edi­ zione italiana e traduzione di P. SACCHI (CSR), Il Mulino, Bologna 1 968, 155 (originale inglese 1961 ): «L'etimologia non è, e non pretende affatto di esserlo, una guida per comprendere il valore semantico delle parole nel loro uso corrente, ma questo valore deve essere stabilito dall' uso corrente e non dalla de­ rivazione». ' M. WEINFELD, GLAT, l, 1 59 1 - 1 594 (led.: 1WAT, !, 782-784). ' M. NoTH , Die altrestamenrliche BundschliejJen im Lichte eines Mari-Texres, in Mélanf(es lsidore Uvy (Annuaire de I'Institut de Philologie et d'Histoire Orientales et Slaves. Université Iibre BruKelles 13, 1953), Éditions de I 'Institut, Bruxelles 1955, 433-444 = Io., Gesammelte Srudien zum Alte11 Tesrament, Band l (ThB 6), Kaiser, MUnchen 1 957, ' 1960, 142- 1 54. Anche J.A. SOGGIN, Akkadisch TAR berHi und hebriiisch n·�� n�::. VT 1 8 ( 1 968) 2 1 0-215, segue questa ipotesi. • In accadico birir è stato costrutto di birllu «intervallo, interstizio» (AHw l, 128).

    623

    oexoç / auv9�K1]). Questo spiegherebbe anche la sovrapposizione, almeno parziale, dei campi semantici di «alleanza» e .'

    Ma il "primo compito"• di un esegeta resta di studiame l'utilizzo nella Bib­ bia Ebraica.' In essa, il significato fondamentale di b'rft «impegno, obbligazio­ ne» si rifrange in un'ampia iride semantica: , e quindi «patto, alleanza, contratto>>.'" Dovendomi limitare all'ambito teologico della b'rtt, dopo una breve premes­ sa sull'origine e la formazione del simbolo ( l ), ne esporrò i due significati prin­ cipali: l'impegno unilaterale di Dio (2) e l'ingiunzione di JHWH per Israele (3). Di seguito, analizzerò la dialettica introdotta dai profeti - in genere, ma soprat­ tutto dai profeti deli' esilio - tra la b'rft, violata dal partner umano (4), e la nuova b'rit, ricreata da JHWH (5). Osservando poi la disposizione canonica dei testi, si constaterà che la tora (con i corpi legislativi) viene a trovarsi di fatto in una "di­ sposizione" intermedia tra il dono iniziale (la promessa) e il perdono finale (la nuova b'rit) (6). Infine, gli ultimi due paragrafi metteranno a fuoco il tema del compimento (7) e il possibile equivoco (8), dovuto al fatto che nella tradizione cristiana bta6�XTJ-testamentum vengono ad indicare anche le due parti del ca­ none biblico. 1 Altra documentazione in M. WEINFELD, GLAT, l, t�93-t597 (ted.: TWAT, l, 783-78�): E. Kui'scH, DTAT, l, 295s (ted.: THAT, l, 339s): P. BUis, La notion d'alliance dans l'Ancien Testament, 43s. ' La dizione "primo compito" è polemica, contro l'affermazione di Edmond Jacob (citata da J. BARR, SemJJntica de/ linguaggio biblico, 1 57): «Il primo compito di un ebraista di fronte a una parola consiste nel recuperare il significato originario da cui sono derivati gli altri>> (E. JACOB, Theology of the 0/d Te­ stament, Hodder and Stoughton, London 1958, 159; originale francese 1955). ' Si veda soprnttutto il primo capitolo ( «Signilication de berit•) di P. B uts, La notion d'alliance dan.s /'Ancien Testament, 15-46. Per quanto riguarda la statistica, riporto i dati da E. KurscH, DTAT, I, 295 (te­ desco THAT, I, 341): nella BE b'rit occorre 287x (solo al singolare): Gn 27x, Es 1 3x, Lv I OX, Nm 5X, Dt 27x, Gs 22x, Gdc 7x, ISam 8x, 2Sam 6x, I Re 14x. 2Re 1 2x. ls 1 2x (11-ls 4X, 111-ls 4x), Ger 24x, Ez 1 8x, Os 5K, Am l K, Abd l x, Zc 2x, MI 6x, Sal 21 K, Gb 3x, Prv l x, Dn 7x , Esd l x, Ne 4x, l Cr l Jx, 2Cr 17x. In senso propriamente teologico, b'rit occorre in numerosi passi della letteraturn esilica e immediatamente

    postesilica, come pure della letterntura dtn e dtr. Anche i testi sacerdotali, con la legge di santità, offrono un buon numero di occorrenze (39K). " Già alla fine del XIX secolo si era avveniti del vasto campo semantico di b'rlt (cf J. J. PH. VALE­ TON, JR., Bedeutung und Stellung des Wortes n·�� im Priestercodex, ZAW 1 2 [ 1 892] 1 -22; lo. . Das Wort n·�:. bei den Propheten und in den Ketubim. Resultat, ivi, 245-279; lo . Das Wort n·�=- in den jehovisti­ .

    schen und deuteronomischen Stucken des Hexateuchs, sowie in den verwandten historisclum Buchem, ZAW 1 3 [ 1 893] 224-260; R. KRAETZSCHMAR, Die Bundesvorstellung im Alten Testament in ihrer geschichtlichen Entwickelung, Elwert, Marburg 18%, 245). Come hanno notato sia M. WEINFELO, GLAT, l, 1 597 (led.: TWAT, l, 785), sia E. KuTScH, DTAT, I, 306 (led.: THAT, l, 352), la traduzione in greco creò

    ulteriori problemi. l LXX, infatti, invece di utilizzare il comune 01tovb1] «trattato, patto• per tradurre

    b'rit, preferiscono bta61\X1J in ± 267 passi. Ora, bta61\X1J significa ; o riconosce: waj'hf lf d'bar JHWH «la parola di JHWH avvenne per me>>; o ancora, definisce il suo discorso un ne'um JHWH «oracolo di JHWH»,24 egli " Su questo aspetto, si veda, in particolare J. ASSMANN, Potere e salvezza. Teologia politica nell' anti­ co Egitto, in Israele e in Europa (BCS 239), Einaudi, Torino 2002 (orig. ted. 2000) . " Si vedano H. FRANKFORT, Kingship and the Gods; A study on Ancient Near East religion as the in­ tegration of sociery and nature, University of Chicago Press, Chicago - London 1 948; S. MoWINCKEL, He that cometh. The Messiah concept in the Old Te.> ora valgono per tutto Israele, e come un tempo Davide fu testimone di JHWH per le popolazioni di Ca­ naan, Israele lo sarà per tutti i popoli della terra: «>,51 frequente­ mente associato alla 1/:;wh («trasgredire la h'rft che JHWH ha comandato>>) e pre­ ferito nella letteratura dtn e dtr; e infine azab «abbandonare, trascurare>>." Biso­ gna comunque notare che la violazione della b'rft non porta mai alla cancella­ zione totale del rapporto posto in essere, ma solo viene denunciata la trasgres­ sione, come afferma bene Lv 26,44: «Tuttavia, quando saranno nel paese dei loro nemici, non li rigetterò e non mi stancherò di loro fino ad annientarli completamente, annullando (/'hiipir) la mia b'rft con loro, poi ­ ché io sono JHWH loro Dio>>.

    L'hiphil di 1/prr I è in effetti ambiguo: esso equivale all'accadico miimita pa­ Ta$U o al latinofoedus.frangere. È importante notare che il corrispondente greco

    dovrebbe essere o:rcovbàç À:ll ELV «sciogliere i trattati». I LXX hanno invece pre­ ferito tradurre f•'hiiper b'rft con 't'Ì'(V bLU8iptT(V lìLaoxEbal;ELV, proprio per evita­ re di tradurre con il valore semantico di annullamento completo. che pure è pre­ sente nell'ebraico 1/prr l." Infatti, a fronte del fallimento di Israele e del suo tra­ dimento della b'rit, che i profeti hanno sempre denunciato con tonalità veemen­ ti, non si è mai giunti alla rescissione definitiva del rapporto con JHWH. Anche il testo di Ger 31 ,32, che sarà discusso qui di seguito, non afferma la cancellazio­ ne della b'rft del Sinai, ma la sua violazione (è utilizzato ancora l'ambiguo 1/prr hi.).54 Ma proprio su questa continuità con il passato, Geremia può riproporre una nuova b'rit per il futuro. La b'rit rimane in sé unica ed è il partner principale a dargli nuova vita, come appunto avveniva nei trattati politico-diplomatici dell' Antico Vicino Oriente oppure - con un amore illogico, esclusivo di JHWH - a cancellare l'adulterio e la prostituzione denunciati in Os 2. E così il concetto di b'rft non solo è proiettato verso il passato - le origini, il patto originario -, ma anche verso l 'inedito del futuro.

    " L'unica eccezione dovrebbe essere Sal 89,40: P. Buis (La notion d' alliance dans l'AT, 124s) l'attri­ buisce al genere . "' 20x in hi.: Gn 17,14; Lv 26,15.44; Dt 3 1 , 1 6.20; Gdc 2, 1 ; I Re 1 5 , 1 9 ( -+ 2Cr 16,3); Is 24,5; 33,8; Ger 1 1 , 10; 14,2 1 ; 3 1 ,32; Ez 1 6,59; 17,15. 1 6. 1 8. 1 9; 44,7; Zc 1 1 , 1 0; 3x in ho.: Ger 33,20 (problema te­ stuale). 2 1 ; Zc 1 1 , 1 1 . " Dt 17,2; Gs 7, 1 1 . 1 5; 23,1 6; Gdc 2,20: 2 Re 18,12; Os 6,7; 8,1 (Il "al toriitiptifa'tl). " Dt 29,25; I Re 19, 1 0. 1 4; Ger 22,9; Dn I l ,30. Altri verbi meno utilizzati sono: Iiiqar «mentire>>, .faka� «dimenticare», mà'as «rigettare>>, btiza «disprezzare>>, �il/il «profanare», biigad «tradire>>, Ji�er . Per queste analisi, rimando a P. Buts, La notion d' alliance dans l' AT, 126; M. WEtNFEl-D, GLAT, l, 1 606ss (ted.: TWAT, l , 789s). '·' Ch"• l, in KB, 974s; E. KUTSCH, in THAT, D, 486-488; L. RuPPERT, in TWAT, VI, 773-780. In par­ ticolare, si veda W. THtEL, HiiFiiR B'RoT. Zum Bundbreciren im Alten Tesramenr, VT 20 ( 1970) 21 4-229. " W. THIEL, HiiFiiR B'RoT. Zum Bundbrechen im Alren Tesramenr, 229.

    634

    S. LA NUOVA ALLEANZA

    Pur essendo molti i linguaggi e le tonalità utilizzati per parlare dell'alleanza futura (cf ad es., la prospettiva matrimoniale di Osea 2, 1 6-25 con la promessa di purificazione di Ez 36,24-28), vi è un comune denominatore tra tutti i profeti: la nuova b'rit è una promessa unilaterale di JHWH, egli è il solo a prendeme l'ini­ ziativa con una gratuità totale: per il suo «eterno amore>> ( 'ahiibat '6/am: Ger 3 1 ,3) Dio stesso rovescia le sorti, cambia il cuore, dona il suo spirito, affinché la legge trasgredita possa diventare legge del cuore. A dire il vero, Geremia (VII-VI secolo a.C.) è il solo a parlare esplicitamente di b'rit l].ii.dasa «nuova>>, in opposizione all'alleanza dei padri. L'oracolo di Ger 3 1 ,3 1 -34 (LXX 38,3 1 -34) - da alcuni critici attribuito ai discepoli, da altri fatto risalire alla prima predicazione del profeta, originariamente rivolta al solo Re­ gno del Nord - è un punto di riferimento fondamentale per l' intera tradizione biblica:" > (mil-/'bad hab-b'rit 'dser-klirat 'ittlim b'l]ijreb: Dt 28,69): è un modo per trascrivere la promessa profetica e per affer­ mare la possibilità di un ricominciamento.60 Tale struttura teologica è tanto profondamente radicata nel pensiero degli storici dtr, che persino nella narrazio­ ne del vitello d'oro (Dt 9- 10 e, più ampiamente, Es 32-34) essi colgono l'occa­ sione per esprimere l'intreccio inscindibile di b'rft dello l;loreb e di nuova b'.rft profetica:6' quasi a dire che non può darsi la prima b'rit sinaitica con le sue leg­ gi, se non nelle condizioni stabilite dalla nuova b'rft profetica, le quali soltanto possono rendere possibile l'attuazione - alnimenti impossibile - della legge di­ vina.

    " Cf pag. 630, nota 36. " Si veda W. L. HoLLADAY, Jeremiah 2, 207s.218-220. E inoltre M. WEINFELD,Jeremiah andthe spi­ ritua/ metamorphasis of lsrae/, ZAW 88 ( 1 976) 17-56: D. HEYNS, History and narrative in Jeremiah 32, OTEs 7 ( 1 994) 261 -276: D. ROM SHILONI, An exilic addition or a Deuteronomistic redaction?, VT 53 (2003) 201-223: J. M. 0ESCH, Zur Makrostruklur und Textintentionalitiit von Jer 32, in W. GROSS (cur.), Jeremia und die "deuteronomistische Bewegung" (BBB 98), Bellz Athenaum, Weinheim 1995, 2 15-223.

    "' Sulla nuova b'rit di Dt 29-30, si veda il contributo esegetico di L. Mazzinghi, pagg. 573-597. " Forse questa lettura toglie l'imbarazzo per l'eccezionalità di Es 34, sottolineata da P. Bu1s, La no­ tion d' al/iance da11s /'AT, 180: «Si tratta di un caso del tuuo isolato che non permeue conclusioni genera­ li per la forma letteraria» (traduzione mia).

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    In un'altra pagina d i "ricominciamento" per l 'Israele del post-esilio (Is

    54,9- 10), il Secondo Isaia collega la vicenda di Noè alla nuova b'rft, chiamata «mia alleanza di pace»: «Questa per me è come le acque di Noè, quando giurai di non riversare più le acque di Noè sulla terra; così ora ho giurato di non adirarmi più con te e di non farti più minacce. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te la mia benevolenza (l}asdi), né vacillerebbe la b'rit della mia pace (b'rft §'/ami) ha detto JHWH, che ti usa misericordia (m'ra/Jdmek)».62

    Come la b'rit con Noè è stabile, incondizionata ed eterna, così anche la nuo­ va b'rit promessa per il futuro di Gerusalemme sarà incondizionata, perché ba­ sata sulla fedeltà affidabile di JHWH stesso. In questo modo, si dà la possibilità di riscrivere la nuova b'rit nel contesto della eziologia metastorica di Gn 1 - 1 1 , ed anche la b'rft sinaitica viene riscritta in Gn 2-3, nella cui trama è infatti possibile leggere la vicenda dell'Israele stori­ co.63 La storia mesopotamica del diluvio si conclude con la glorificazione dell'e­ roe protagonista, scampato alla catastrofe, glorificazione che significa immorta1ità.64 Noè invece, che non può accedere alla condizione di immortalità, riceve una nuova benedizione e la nuova b'rft, la cui caratteristica principale è di esse­ re unilateralmente sancita da Dio e gratuita, come la nuova h'rft dei profeti. Si è già accennato sopra ed è un dato abbastanza condiviso tra i commentato­ ri l'analogia di struttura narrati v a tra Gn 9,8- 17 e Gn 17. 6' Ma il confronto deve essere preciso. La b'rft con Noè è una proiezione della b'rft con Abramo da un punto di vista letterario, ma una eziologia della nuova b'rft profetica da un pun­ to di vista teologico. È importante indurre la motivazione teologica del paralle­ lo: universalizzando la categoria di b'rlt, si è voluto legare la storia del popolo della b··rrt a quella di tutta l'umanità. Ma da questo confronto strutturale risalta anche la diversità dei segni delle due b'rft: l 'arcobaleno è segno cosmico, appar­ tenente all'ambito della creazione e indipendente dalla volontà dell'uomo, men­ tre la circoncisione è un atto di risposta al comando di Dio, e quindi è da collo­ care su di un piano storico-esistenziale. Come il nuovo inizio dopo l 'esilio può essere instaurato soltanto per un nuovo intervento di JHWH, che cambia il cuore del suo popolo e unilateralmente promette la sua b'rit «per amore del suo nome» (cf Ez 36,22), così il nuovo inizio dopo la catastrofe del diluvio. E così la pro-

    " Altro testo ino di difficoltà. Si veda J. D. W. WATTS, Isaiah 34-66 (WBC 25), Word Books, Dallas TX 1987, '2005, 794-800.

    " Per la definizione di eziologia metastorica. cf pagg. 268-273; su Gn 2-3, cf pagg. 462-466. " L'immortalità de li 'eroe nei racconti mesopotamici è attestata anche dal suo nome: il sumerico ZI.u•.suo.RA, reso da Berosso in greco 21.0ou6Qoç, e l'akkadico uta-napiiti(-ruqu) significano «[l'uomo dal) tempo di vita prolungato>>. L'etimologia dell'ebraico no�i! è preisraelitica, e forse va proprio cercata nelle tradizioni mesopotamiche: cf HAL, 647a. " Il parallelo era già stato notato da Rupeno di Deutz (In Genesim IV, 35 CCCM 2 1 , 32Is). Si ve­ da, ad es., G. J. WENHAM, Genesis 1-15 (WBC l), Word Books, WacoTX 1987, 191-196. =

    637

    messa rivolta a Noè diventa la trascrizione eziologica della nuova b'rit che i profeti hanno annunziato dopo il fallimento dell 'antica.66

    6. LA T{JRA COME DISPOSIZIONE INTERMEDIA TRA IL DONO E IL PERDONO Il seguente paragrafo è stato ispirato da una pagina magistrale di Paul Beauchamp:67 «Per annunziare la novità che interviene nell'alleanza, il secondo Isaia dichiara semplice­ mente che essa è in continuità con l'elezione di Abramo, con l'alleanza di Davide e quel­ la di Noè. Ora, queste alleanze individuali sono più antiche, nella cronologia presentata dai testi, di quella del popolo. Fatto sorprendente, la loro figura è più vicina alla nuova al­ leanza grazie a un dato capitale: l'assenza di condizioni. [ ... ] Si ammetterà dunque che il discorso dell'alleanza detta antica è attraversato da un altro discorso, che proviene al tempo stesso dalla sua origine e dal suo termine. Di modo che, come la Legge, l 'alleanza antica è un dispositivo intermedio tra due tempi, tra due doni, tra il dono e il perdono. [ ] La certezza che l'alleanza nuova � più antica dell'antica abitava gli uomini che l'annun­ ziarono. Essi ce ne hanno lasciato un segno evidente ri -scrivendo la legge e i profeti alla luce dell'alleanza nuova. L'interpretazione del libro fatta a partire dalla conclusione rende semplicemente giustizia al modo con cui il testo fu compilato e organizzato». ...

    A partire dal momento del (relativo) compimento della nuova b'rit, ovvero dal momento del deuteronomismo (520-5 15 a_C.), vengono riscritti i testi e teo­ logicamente riletto il passato che ha generato Israele, così come era custodito e tramandato dalla memoria collettiva_ In questa rilettura teologica, il Sinai non è il momento originario o il luogo di nascita di Israele, ma il punto intermedio e l ' incrocio tra la b'rit-promessa di Abramo e la nuova b'rit-rinnovazione dei profeti, i quali hanno sì denunciato il tradimento della b'rft sinaitica, ma non il suo annullamento. Al contrario, hanno sostenuto che il dono dell'inizio si ripeteva come perdono nel momento del ri­ cominciamento. Sulla base dell'assoluta gratuità e dell' impegno unilaterale di JHWH, dopo la catastrofe dell'esilio, poteva ripartire una nuova storia, in cui JHWH stipula con Israele una b'rit eterna a favore di tutti i popoli, come dopo la distruzione del diluvio Dio aveva stipulato la b'rft eterna con Noè. E infine - o meglio, in principio - la b'rit originaria di Gn 2, proiettata neli ' idealità del crea­ tore che vede tutto quanto ha fatto e lo giudica tob m'od (Gn 1 ,3 1 ), viene di fat­ to ad essere la proiezione dell'eschaton.

    " Proprio per questo motivo, la riscrittura eziologica del diluvio giustifica l'espansione simbolica nella direzione battesimale, mollo frequente nei commenti patristici, collegandola ai lesti paolini della xatVO'tTJç �wljç del battezzato (Rm 6,4) e della xatv'ÌJ X'tLotç di colui che è in Cristo (2Cor 5,17; Gal 6,15). Non è allegoresi, ma simbolo originariamente parte del racconto. " P. BEAUCHAMP, L'uno e /' altro testamento. Saggio di /e11ura (BCR 46), Paideia, Brescia 1985, '2000, 3 1 2s (originale francese 1976).

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    7. IL COMPIMENTO Passando al Nuovo Testamento, la prima impressione è che il tema della lfrfr scompaia quasi del tutto o almeno passi in secondo piano. È un'impressione che si ricava soprattutto dai quattro vangeli. L'unico testo evangelico, in cui è esplicitamente ricordata l'alleanza, sono le parole di Gesù durante l 'ultima cena. In Mt 26,28 e Mc 14,24, Gesù dice: mù"to yaQ Èonv 1:Ò ai11a !101! 1:fjç bta8rptf)ç «Questo è il mio sangue dell'alleanza>>. Le 22,20 e l Cor 1 1 riportano parole leggermente diverse: Toùm "tÒ :rto"t�QLOV � 'ltaLv� bta8�Kf)ç Èv 1:Q> aL!la"tL !101! 6' . Al di fuori di questo contesto, i vangeli sembra che non si interes­ sino più al tema dell'alleanza. Ma questa impressione è sbagliata, almeno per due ragioni. La prima è l'im­ portanza che la b'rìt ha assunto negli scritti del Periodo del Secondo Tempio (cf la comunità di Qumriin,"9 e i suoi influssi sulla teologia di Paolo, Giovanni e la lettera agli Ebrei). La seconda ragione sta nella vicenda stessa di Gesù - il suo annuncio e soprattutto la vicenda pasquale della sua morte in croce e della sua resurrezione: essa è stata compresa dalla prima comunità cristiana proprio alla luce della nuova b'rit profetica. Sin dalla prima pagina del vangelo di Marco, Gesù si presenta con un chiaro kerygma: ITE:n:ÀTJQWtaL 6 xaLQÒç xat ijyytxEv T] j3aoiÀEi.a toii 9EOii' llEtavoEitE xat :n:totEUEtE Èv t«jl EÙayyEÀL

    (Mc 1 , 1 5).

    L'attesa dell'apocalittica - quell'attesa che aveva trasformato la nuova al­ leanza profetica nell'attesa di un'irruzione di Dio pensata come un grande scon­ volgimento cosmico che avrebbe posto fine alla storia presente inaugurandone una nuova - viene identificata progressivamente alla croce di Gesù. Proprio l'A­ pocalisse sottolinea che il momento della croce sul Golgota è quel momento cruciale in cui Dio ha fatto la sua irruzione finale: il Golgota è il momento della battaglia finale: quanto era atteso nell'apocalittica ora (Gv 1 9,30; cf Ap 1 6, 1 7). Questa era anche la certezza di Gesù, quando annunciava che oppure: (Le 1 1 ,20). La pretesa di Gesù fu ratificata dalla prima comunità cristiana, che rilegge la sua vicenda alla luce della promessa profetica della nuo­ va b'rit: la croce è il sangue della nuova alleanza, lo spirito di Gesù è lo spirito " l Cor 1 1 ,25 ha una leggera variante rispetto a Le 22,20: Tolito 1:Ò 1tO'tTJQWV il xatvi) l'ltalh\XTJ

    �01:iv Èv 1:cj) �llcj) alf.la'tL

    " brjt �d.>, «cammino nel deserto>> e di «entrata nella terra>>, è infatti preceduto non solo dai racconti dei padri (Gn 12-50), come atto istitutivo della promessa affidata a coloro che al Sinai sarebbero diventati il popolo di JHWH, ma anche dalla sezione che riguarda l'umanità nel suo insieme e l 'universo, co­ me teatro della storia umana (Gn 1-1 1 ). Nel racconto delle origini, non compare il nome di Israele, né alcun altro elemento che possa riguardare la vicenda del popolo dell'elezione, se non in trascrizione eziologica. Tuttavia, quanto accade poi per Israele, a partire dalla chiamata di Abramo, non riguarda solo un popolo, ma l 'umanità intera: wnibr'ku b'ka k6/ misp'/J6t hii'ddama «in te saranno benedette tutte le famiglie della terra>> (Gn 1 2,3). E proprio per questa ragione, l 'inizio di questa storia deve essere fatto risalire alle origini del tutto, b'resft «in principio>>. Ugualmente, all'estremo opposto, la fine non potrà essere un evento che riguarda il solo Israele, pur nella singolare e irre­ vocabile mediazione che i l popolo di JHWH mantiene per tutta la storia dell'u­ manità, ma dovrà essere il futuro stesso di Dio.

    " Cf pagg. 215-219.

    661

    Vi è una pagina straordinaria di A. Neher, che esprime con profondità poeti­ ca le dialettiche di inizio e di fine, di eternità e di finitudine. La storia umana ap­ pare nella sua decisività, eppure sempre in posizione "arretrata", come seconda e penultima rispetto al Primo e all'Ultimo che è Dio stesso: ." •

    Se tutto viene fatto risalire alle origini, anzi se queste origini non sono che il momento "secondo" e "penultimo" rispetto al modo di presentarsi di Dio nella storia, significa anche che la salvezza di Dio - intesa come fsu 'd o amtTJQLa - è un evento che si presenta in tante forme mutevoli lungo la storia dello stesso Israele. L'archetipo del la salvezza non resta qualcosa di segregato nel passato, ma una fonte inesauribile di speranza per nuovi interventi salvifici, imprevedi­ bili e imprevisti, come mostra con evidenza la preghiera salmica.55 In questa luce, un punto decisivo nella storia di Israele fu il passaggio da una salvezza intesa come liberazione dall'oppressione dei nemici all'intorno, ad una salvezza intesa come liberazione dal l'apostasia da JHWH dei nemici all'interno."' Da quel momento in poi, Ia salvezza non è più l'annientamento dei nemici ester­ ni, ma il «ritorno>> (fsuhà) che segue il perdono concesso da JHWH stesso. E non è un caso che il nesso tra perdono e salvezza sia presentato in modo particolare proprio dal Secondo Isaia, colui che tra i profeti si dimostra il più sensibile a scorgere il nesso tra creazione e redenzione (si legga Is 40,27-3 1 ). " A. NEHER, L'esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, Tnduzione di G. CE­ STAR!, Introduzione di S. QUINZIO (Dabar. Saggi Teologici 2), Marietti 1820, Genova 1983, 238 (orig. frane. 1970). " In quasi la metà dei Salmi le radicij!' e pdh compaiono una volta o anche più frequentemente (cf J.F. SAWYER, ;;t• j!', 120), in proporzione schiacciante rispetto agli altri libri. Per un approfondimento, si vedano G. BERNINI, Le preghiere petritenziali del Salterio. Contributo alla Teologia dell'Antico Testa­ mento, Pont. Univ. Gregoriana, Roma 1953; É. BEAUCAMP, Le présent du salut dans le livre des Psaumes, in G. C. BOTTINI (cur.), Studia Hierosolymitana 111. Nell'ottavo centenario ( 1182· 1 982) dei Francescani in Terra Santa (SBF.P 30). Franeiscan Printing Press, Jerusalem 1982, 47-73; P. BEAUCHAMP, Salmi notte e giorno (OrBi), Cittadel la Editrice, Assisi 1983. '2004 (orig. frane. 1980). " Cf per questo C. WESTERMANN, Creazione, 203-207.

    662

    La polarità di creazione e redenzione emerge anche dal Nuovo Testamento. La prima sezione dei vangeli non è soltanto una premessa alla storia della pas­ sione di Gesù di Nazaret, ma - più a fondo - ciò che Gesù opera con i suoi segni rende presente l'azione benedicente di Dio: egli ricrea l'essere creato da Dio che è caduto in malattia, che ha bisogno del pane quotidiano o che è in pericolo di morte ... Ma soprattutto nella teologia paolina, se è vero che l'unico mistero di Cristo somma in sé il momento della creazione e il momento della redenzione, che si fa palese con la risurrezione, è anche vero che creazione e redenzione non sono unite in modo confuso nell'unico mistero. «[ . . . ] la redenzione non sopravviene da fuori alla creazione dato che questo mondo è di Cristo e per Cristo; del pari occorre dire che la creazione non è un collocare il mondo in una neutra esistenza, ma in un preciso ambito di salvezza cristiana. Non meraviglia perciò che questa collocazione del cosmo in un quadro salvifico - naturalmente tramite l'uomo in cui trova piena espressione - si esprima storicamente in una ansia e quasi in una impa­

    zienza che esige la liberazione dal peccato: Rm 8, 1 9-22»."

    La dialettica teologica insita nel concetto di benedizione, teso tra creazione e redenzione, dice dunque che ab (J!terno Dio ha progettato di rivelarsi e di comu­ nicarsi in una relazione d'amore, e che a principio il mondo creato, lungi dal­ l ' essere in antitesi a Dio, è posto in essere da questa relazione costituti va con Dio, perché possa essere il luogo in cui l'uomo sperimenti la vicinanza divina di «Colui che c 'è» (cf Es 3 , 1 4s) e la chiamata alla comunione della b'rit. La crea­ zione, la promessa ai padri, la b'rit del Sinai, la (ri)nascita di Israele dopo l 'esi­ lio, la vita-morte-risurrezione di Gesù, il cammino storico della sua chiesa, i nuovi cieli e la terra nuova ... sono i momenti diversi e non interscarnbiabili del­ la manifestazione della benedizione divina lungo la storia; una benedizione che tuttavia si articola in creazione e redenzione, con una polarità insopprimibile.

    "' G. COIZANt, Creazione, in L. PACOMtO et alii (curr.), Dizionario Teologico lnterdisciplinare, Ma­ rieni, Torino 1977, I, 601-614: 605s.

    663

    CAPITOLO TERZO

    L'OPERA STORICA DEUTERONOMISTICA: PROFEZIA E COMPIMENTO GIANANTONIO BORGONOVO

    BIBLIOGRAFIA

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    Il presente capitolo, dedicato alla teologia deuteronomistica, presuppone la soluzione letteraria dell'opera dtr e del suo legame con il Deuteronomio, quale è stata illustrata nella sezione introduttiva del volume.' Il momento storico del deuteronomismo (520-5 15 a.C.) ha introdotto le categorie teologiche e storiche adeguate non solo per ricreare il quadro sistematico delle origini di Israele - i pa­ dri e la vicenda esodica -, ma anche per ridisegnare l'interpretazione delle vi­ cende politiche che hanno segnato i secoli X-VI a.C. sino alla caduta del Regno di Samaria (72 1 a.C.) e, un secolo e mezzo più tardi, del Regno di Giuda (586 a.C.). L'ipotesi di M. Noth, pur avendo contribuito - e non poco - a far com­ prendere l'origine e il senso di una storiografia "israelitica" nel momento dell'e­ silio, ha sempre più presentato i suoi limiti problematici, tra cui principalmente l'unicità di autore e il suo isolazionismo culturale, al di fuori di ogni legame isti­ tuzionale. I tentativi di superare tali impasse, sia con l'ipotesi di una aggrega­ zione di molteplici redazioni esiliche nella direzione iniziata da R. Smend e se­ guita dai suoi discepoli,' sia con l'ipotesi di due tappe redazionali nella direzio­ ne di F. M. Cross,3 non ha portato a risultati del tutto convincenti; prova ne sia l 'instabile e diversificato esito dei risultati. Solo una lettura pregiudicata può trovare nella diversità del materiale stori­ co-narrativo dei libri di Giosuè, Giudici, Samuele e Re un 'unica mano composi­ tiva.' D'altra parte, però, non è facilmente confutabile una qualche unitarietà di prospettiva e di giudizio teologico nel trattare i diversi materiali narrativi. Il mo-

    ' Si vedano le pagg. 193-214. 'A panire da R. SMEND, Das Gesetz und die Vo/ker. 494-509. Si veda la discussione alle pagg. 173ss. ' F. M. CRoss, JR., The themes of the Book of Kings and the structure of tile Deuteronomistic history. Si veda la discussione alle pagg. 172- 1 73. ' Cf ad es. Y. AMrr, The Book ofJud!!es. The an ofediting, Translated from the Hebrew by J. CHIPMAN (BIS 38), Brill, Leiden 1 999: lo. Hidden polemics in Biblica/ narratil'e, Translated from the Hebrew by J. CHIPMAN (BIS 25), Brill, Leiden 2000. .

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    do migliore per risolvere l'intricato problema, come si è proposto in questo vo­ lume, è di pensare a un certo lasso di tempo' in cui, a seguito del Deuteronomio e prima della nascita della scuola sacerdotale, "questa mano" avrebbe riletto e composto le tradizioni storiche della Terra d'Israele, a partire dall"'insediamen­ to" sino all'esilio. Già la scelta di questi due eventi, l 'insediamento e l'esilio di­ mostra quanto sia importante e decisivo il kerygma del Deuteronomio, più che la ricostruzione storiografica in senso documentario moderno. Ciò non significa cadere nell'eccesso di coloro che sostengono che tutte le tradizioni storiche sia­ no state create nel post-esilio. Perché è proprio l ' identità presupposta e nello stesso tempo plasmata dal kerygma deuteronomico a costruire un atteggiamento di obbedienza e di ascolto della tradizione precedente. In altre parole, la memo­ ria fondatrice fa nascere e costituisce - in senso forte di costituente - l 'Israele della fede: proprio perché ascolta, Israele costruisce la sua identità e si appropria di quel passato che gli viene comunicato come sua propria storia. Lo spirito deuteronomistico, sintesi del profetismo e sua emanazione, ad un certo momento viene meno e si spegne. Ai profeti si sostituisce la classe scriba­ le, l 'oracolo cede terreno all'interpretazione, la creatività è rimpiazzata dal si­ stema e dalla ricerca di ordine e precisazione: nasce così la scuola sacerdotale, con la sua Priesterschrift, un contributo altrettanto importante per la formazione della Tora, ma di tutt'altro tenore rispetto al momento deuteronomico e deutero­ nomistico. Analogamente ad altri momenti di passaggio della storia umana, il passaggio è preparato in un arco di tempo abbastanza lungo, ma poi d'improvvi­ so si ha la percezione che l'habitat spirituale sia profondamente cambiato.'

    La dialettica teologica che appare a riguardo di temi rilevanti nei quadri del­ la storia dtr è stata per lo più utilizzata come indizio per ipotizzare due (o più) momenti di composizione. Tale interpretazione di per sé è possibile. Ma prima di pensare che si tratti di un conflitto da attribuire a diverse redazioni dtr, va son­ data la possibilità che la tensione sia stata creata dalla nuova prospettiva del­ l 'autore dtr in opposizione o in correzione della fonte più antica - e sempre ri­ spettata, mai cambiata o eliminata, come volevano i canoni compositivi dell'an­ tichità. È appunto l 'ipotesi che cercherò di perlustrare, attraversando i principali temi della costellazione teologica dtr. Un'ultima premessa è necessaria, prima di entrare nel vivo dell'esposizione, e riguarda il metodo per identificare quali siano i principali temi teologici dtr. Si potrebbe partire dai modismi e dal vocabolario, per poi catalogarli e ordinarli at­ torno a tematiche (così, ad es., ha fatto M. Weinfeld'). Ma questo metodo, pur

    ' Dal 5 1 5 sino a tutta la prima metà del V sec. a.C. è una datazione verosimile. pensi. ad es a Gs 13-2 1 , una sezione P che si incunea nell'insieme dtr del libro di Giosuè. Cf su questo E. CORTESE, Josua l 3-21. Ein priesterschriftlicher Abschnitt im deuteronomistischen Geschichts­ werk (080 94), Universillitsverlag - Vandenhoeck und Ruprecht, Freiburg (Schweiz) - Goningen 1990. Per la contrapposizione tra dtr e P, si veda Ira gli altri E. A. KNAUF, Die Priesterschrift und die Geschich­ ten der Deuteronomisten, in TH. C. ROMER (cur.). The future ofthe Deuteronomistic hisrory. l O 1 - 1 18. ' M. WEtNFELD, Deuteronomy and the Deureronomic Schoo/, 320-365. Egli ordina modismi e voca­ bolario dtr attorno a dieci !ematiche principali: lotta contro l'idolatria (compresi ammonimenti e polemi• Si

    .•

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    avendo il valore di una recensione statistica del vocabolario utilizzato, non di­ stingue a sufficienza i libri da cui il vocabolario stesso proviene. Gli stessi temi rischierebbero di essere ripetuti, in quanto difficilmente separabili (si pensi al tema del rapporto tra il dono della legge e della terra). Inoltre, per essere precisi, bisognerebbe ripetere i diversi modismi, evitando di sovrapporli l'uno all'altro, in quanto ogni sovrapposizione rischia di diventare una catalogazione forzata. Essendo infine un prospetto statistico, si tende ad eliminare i lessemi estremi, o perché troppo comuni (come, ad es., b'rit) o perché troppo singolari (come, ad es., «giurare nel nome di JHWH» ). Quindi, come per ogni sintesi, recensire i principali temi della teologia dtr si­ gnifica rischiare l'interpretazione, mettendo in evidenza un impianto teologico che non può limitarsi alla sola recensione del vocabolario o del computo statisti­ co dei modismi occorrenti, ma deve esprimere anche le linee di forza della stes­ sa narrazione, sia in senso verticale (ovvero, la gerarchia dei temi trattati), sia in senso orizzontale (la diacronia narrativa). l. JHWH NOSTRO DIO, JHWH UNO

    Al protagonista dell'intera vicenda storica va lasciato il primo posto anche in questa esposizione tematica. Tutto parte da JHWH e tutto è ricondotto al suo amo­ re. Quando il Deuteronomio riflette sulla ragione di questa scelta divina, non tro­ va altra risposta che l ' amore stesso di JHWH: «Non perché siate il popolo più grande, JHWH si è legato a voi e vi ha scelto: siete infatti il più piccolo tra tutti i popoli; ma perché JHWH vi ama e ha rispettato il giuramento fatto ai vostri padri, JHWH vi ha fatto uscire con mano potente e v i ha liberato dalla casa degli schia­ vi, dal potere di faraone, re di Egitto>> (Dt 7,7-8). Anche le dieci parole del co­ mandamento non possono non iniziare da qui. Più che di premessa, si tratta in realtà del fondamento su cui si costruisce ogni risposta di Israele: «lo sono JHWH tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra di Egitto, dalla casa degli schiavi>> (Dt 5,6).

    La rivelazione a Mosè sull'Horeb fa da spartiacque tra il tempo dei padri e il riconoscimento dell'unicità di JHWH, che progressivamente passa da una singo­ larità affettiva del legame stesso (monolatria o enoteismo") al riconoscimento che); centralizzazione del culto, ovvero scelta del luogo e teologia del tempio come luogo in cui abita il nome di JHWH; esodo-palio-elezione; credo monoteistico; osservanza della legge e lealtà nel palio; ere­ dità della terra; retribuzione (benedizione e maledizione); profezia e compimento; la regalità e la dinastia davidica; e infine la parenesi. ' Per approfondire questo sviluppo. si vedano G. E. WRIGIIT, The 0/d Testoment ogoinst its environ­ ment (SBT 2). SCM, London 1 950; O. LORETZ, Des Gottes Einzigkeit; Ein oltorientolisches Argumenro­ tionsmode/1 zum "Schmo Jisroe/" , Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darrnstadt 1997; A. ScHENKER, u monothéisme isroélite: un Dieu qui trascende le monde et /es dieu:c, Bib 78 ( 1 997) 436-448; TH. C. RùMER, L'Ancien Testoment est-il monothéiste?, in P. GtSEL - G. EMERY (éds.), Le christionisme est-il un

    monothéisme? Actes du 3e cycle de théologie systémotique des Focultés de théologie de Suisse romonde,

    Avec la collaboration de N. GtROUD - TH. LAUS (LiTh 36), Labor et Fides, Genève 200 1 , 72-92; M. S. SMITH, The origins of Biblica/ monotheism. /srae/'s polytheistic background and the Ugaritic texts, Uni­ versity Press, Oxford 2003; A. LEMAIRE, La nascita del monoteismo. Il pufl/o di visto di uno storico (StBi

    668

    teoretico che «lHWH solo è Dio e non ve n 'è albi» (Dt 4,35). A questo proposito, basti qui ricordare due passi cruciali. Nel cantico di Dt 32, chiave di volta deli 'intero libro: i tempi antichi sono ca­ ratterizzati da una visione teologica monolatrica, vale a dire non ancora mono­ teistica in senso teoretico: (così ha tradotto anche Aquila): cf E. Tov, Textual criticism ofthe Hebrew Bib/e, Se­ cond revised edition, Fortress - Van Gorcum, Minneapolis - Assen 1992, '200 1 , 269. Si deve supporre che questa sia una Vorlage testuale più antica e corrella per l'imbarazzo di un' affermazione teologica problematica in un contesto ormai rigidamente monoteistico. L'originale ebraico b'né 'é/6him (oppure 'élim, > (Dt 6, 1 5). Ricompare nel quadro della rinnovazione del patto, dopo il "peccato originale" del vitello d'o­ ro: «tu non devi prostrarti a un altro dio, perché JHWH-qannii' è il suo nome: egli è el qannii'>> (Es 34, 14 [2x]).'" te

    Il titolo esprime lo «zelo di JHWH>> (qin'at lHWH: 24x nella Bibbia ebraica), che si manifesta nel rapporto ardente con Israele, sia a suo favore (ad es. 2Re 1 9,3 1 ) sia contro (ad es. Gs 24, 1 9). È importante però ricordare che l'ambiva­ lenza della qin'd non sta in Dio, allo stesso modo che non sta in Lui l'ambiva­ lenza del giudizio. Il comandamento di Dt 5,9s Il Es 20,5s dipinge el qanna' come colui . La desc:ririone è riplftll dalla "carta d'identità" di Es 34,[6-]7:21 «[JHWH, JHWH, è Dio misericordioso e clemente, paziente, ricco di benevolenza e fedeltà,] che conserva bene­ volenza per migliaia di generazioni, che sopporta colpa, trasgressione e peccato, ma sen­ za fare amnistie, che chiede conto della colpa dei padri ai figli e ai figli dei figli di terza o quarta generazione». Le varianti introdotte da Es 34 sono rilevanti: l) l'inversione del negativo e del pos itivo, con l'esito di accentuare il negativo; 2) l'eliminazione di «coloro che mi odiano» e di «coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti», con la generalizzazione del di­ scorso; 3) l'aggiunta della frase intermedia «che sopporta colpa, trasgressione e peccato, ma senza fare amnistie» (l'ultima frase è particolannente difficile: w'lo' naqqeh fnaqqeh). Le tre varianti di fatto moderano l'esuberanza della > ( I Re 1 4,8) al suo Dio JHWH. E proprio dall'opposizione ad ogni forma di sincretismo, deriva quella connotazione polemico-militante che è tipica del sin­ tagma «andare dietro a» (htilak 'al}ii re).

    2. ISRAELE, s'gullti DI JHWH Parlando di JHWH, si è già dovuto necessariamente anticipare il partner della relazione, Israele. Tuttavia, l 'identità di Israele - tema centrale nella letteratura dtn e dtr - necessita di particolare attenzione, per essere compresa come s'gulld " Cf Dt 6,14; 8,19; 1 1 ,28; 1 3,3; 28,14; Gdc 2,12.17.19; IRe 9,6; 1 1 ,10; 14,9. La lista completa dei passi si può trovare in F. J. HELFMEYER, Die Nachfolge Gortes im Alten Testament (BBB 29), Hanstein, Bonn 1968, 1 3 1 - 1 52. La locuzione è attestata anche negli annali di eone, per indicare l'adesione o l'ap­ panenenza politica a un gruppo, nelle lettere di Tell ei-Amama, negli annali di Mur�ili� e nei trattati in­ ternazionali initi (cf F. J. HELFMEYER, 'a�are, in GLAT, l, 43 1 -438: 434; orig. ted.: TWAT, l, 221 -224: 222). Per approfondire, si vedano anche A. KUSCHKE, Die Menschenwege und der Weg Gortes im Alten Testament, StTh 5 ( 1 95 1 ) l 06- 1 1 8; F. NùTSCHER, Gorteswege und Menschenwege in der Bibel und in Qumran (BBB 15), Peter Hanstein Verlag, Bonn 1958; A. GROS, le suis la Route. Le thème de la Route dans la Bible (Thèmes Bibliques), Desclée de Brouwer, Bruges - Paris 1961; F. J. HELFMEYER, halak, in GLAT, Il, 443-462 (orig. ted.: TWAT, Il, 41 6-434). " F. J. HELFMEYER, GLAT, l, 436. " Cf Dt 1 3,5; I Re 1 4,8; \ 3,2 1 ; 2Re 23 ,3 . Anche Ger 2,2 e Os 1 1 ,10 potrebbero essere influenzati dal dtr. " F. J. HEifliEYER, GLAT, Il, 453.

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    di J HWH.29 A parte Qo 2,8 e l Cr 29,3, che si riferiscono alle ricchezze del re, le altre 6 occorrenze del vocabolo della BE (Dt 7,6; 14,2; 26, 1 8; Es 1 9,5; MI 3, 17; Sal l 35,4) sono di ambito dtn e dtr, o da esso direttamente dipendono, e forgia­ no quasi un attributo tecnico del ruolo di Israele. Il senso del vocabolo è quello di un bene personale, più che la modalità con cui si è acquisito il bene stesso, come chiariscono le iscrizioni mesopotamiche e anche l'ebraico mishnico e talmudico. Nei testi giuridici mesopotamici sikilru denota in modo generico un bene di cui ci si è appropriati (cf Cod. Ham. § 1 4 1 ). Nelle iscrizioni storiche, si riferisce al bottino di cui ci si è impadroniti. In ambi­ to religioso, soprattutto neli 'onomastica, l'uso di sikiltu in accadico è analogo a quello dei testi biblici che definiscono Israele la s'gulla d i JHWH. Nella Vulgata, Girolamo utilizza peculium o popolus peculiaris: forse si è la­ sciato influenzare dali 'uso talmudico, in quanto peculium sta ad indicare un pos­ sesso acquisito da coloro che hanno capacità giuridica limitata (donna, ragazzo, schiavo o straniero). Evidentemente un tale significato non poteva essere facil­ mente adattato in senso metaforico a Dio, e ciò spiega come mai i traduttori ara­ maici e siriaci abbiano preferito risalire alla versione greca dei LXX, che aveva­ no optato per ÀaÒç JtEQLm)omç «popolo eletto», traducendo con /:labbfbfn > IRe 12,28: hinnèh 'èlohèkajisrdel 'd.fer he 'èlflkd mè'ere$mi$Tdjim «ecco i tuoi dei, o Israe­ le, che ti hanno fatto salire dalla terra d'Egitto»

    La condanna teologica del culto del regno del Nord presuppone la predica­ zione profetica. La storiografia dtr è imbevuta di jahwismo profetico:" e proprio " Per l'analisi della struttura letteraria della pericope, si veda lo studio ancora valido di E. R. GAL· BIATI, La struttura letteraria dell'Esodo. Contributo allo studio dei criteri stilistici dell'Antico Testamen· 10 e della composizione del Pentateuco (ScrinTheol 3), Paoline, Alba 1956. Cf inoltre R. W. L. MoBERLY, At the mountain of God. Story and theology in Exodus 32-34 (JSOT.S 22), Sheffield Academic Press, Sheftield 1983; E. BLU M, lsraèl à la montagne de Dieu. Rernarques sur Ex 19-24; 32-34 et sur le contex­ te littéraire et historique de sa composition, in A. DE PliRY (éd.), Le Pentateuque en question; Les origi­ nes et la composition des cinq premiers livres de la Bible à la lumière des recherches récentes (MoBi 19), Labor et Fides, Genève 1 989, ' 1 99 1 , 271-295; B. RENAUD, L'alliance, un mystère de mi.>, Jan Assmann ha pagine davvero fondamentali, che meriterebbero un approfondimento. «Il patto politico quale modello d'un nuovo scopo dell'intreccio di rapponi fra Dio, popolo e individuo è all'origine di una nuova forma di religione, d'una religione che non è più rappresentata negli ordinamen­ ti e nelle istituzioni politiche, ma che si colloca quale ordine autonomo accanto all'ordine politico e vi si contrappone anzi a tratti criticamente. Questo passo che Israele compie, e raffigura e commemora nel­ l'immagine dell'esodo, è la decisiva teologizzazione della politica che è alla base di tuue le altre teolo­ gizzazioni. A quest'interpretazione si contrappone tuttavia il fatto che il modello politico del patto si di­ spiega pienamente solo nel Deuteronomio e nella scuola deuteronomica>> (l. ASSMANN , Potere e salvezza. Teologia politica nell'antico Egillo, in Israele e in Europa, Traduzione di U. GANDINI [BCS 239], Einau­ di, Torino 2002, 43-47 lorig. ted. 2000]).

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    Partendo da questo impianto ideologico, si può comprendere il giudizio sulla storia dei due regni, di Samaria e di Gerusalemme. Le opposte valutazioni che la storia dtr sembra offrire a riguardo della regalità non sono necessariamente da attribuire a due redazioni dtr distinte, l'una del periodo di Giosia e l'altra del pe­ riodo esilico.'" Potrebbero essere dovute alla dialettica tra materiale tradizionale

    e posizione propria degli storici dtr."' Di fatto, per comprendere quale sia stata effettivamente la valutazione complessiva della regalità nella storia dtr, bisogna ritornare ancora una volta alla profezia di Natan.•• Nei piani narrativi presenti in 2Sam 7, appaiono almeno tre centri d'interesse che, a modo di un caleidoscopio, si sovrappongono senza annullarsi né separar­ si completamente. Anzitutto, vi è il problema se il tempio debba essere costruito da Davide o da Salomone; in obliquo, nella cornice di questo tema, vi è uno slargo sul significa­ to teologico del tempio (come si è già visto sopra). Non sembra invece che vi sia tra le righe una polemica tra una posizione a favore del tempio e una ad esso contraria.•2 E si potrebbe pensare che questo primo centro d'interesse sia una Ko­ nigsnovelle, cioè un'eziologia della casa reale, con la funzione di spiegare la ra­ gione e la finalità della costruzione del palazzo reale con annesso il tempio, co" Secondo alcuni esegeti (R. D. Nelson, R. E. Friedman, D. N. Freedman, J. Rosenbaum, G. E. Ger­ brandt, E. Cortese, C. D. Evans, H. Weippen, G. Vanoni, A. Fanuli, N. Lohfink, P. Dutcher-Walls, A. D. H. Mayes), la duplice redazione può meglio spiegare la dialettica interna al dtr su alcuni temi nevralgici, come il ruolo della regalità e il tempio: l'edizione giosiana sarebbe infalli carauerizzata da una visione più ollimistica, sostenuta dalla politica di Giosia, che mirava sia a una riforma religiosa, sia a un progeuo di riunificazione delle tribù seuentrionali, quasi una restaurazione dell'antico regno davidico; l'edizione esilica, invece, riflellerebbe il pessimismo e il giudizio ormai completamente negativo sulla regalità, che viene giudicata la prima responsabile della catastrofe avvenuta. Oltre al pioniere di tale ipotesi (F. M. CROSS, JR .. The theme.< ofthe Book of Kings and the structure of the Deutemnomistic hi.1·tory, «Annual of the College of Jewish Studies» 3 ( 1 968) 9-24 = lo., Canaanite myth and Hebrew epic; Essays in the hi­ story of the re/igion of ls.-ae/, Harvard University Press, Cambridge MA 1 973, 274-289), per un bilancio complessivo si veda J. L. StCRE DiAZ, La investigacion .mbre la historia deuteronomisra; desde Martin Noth a nuestro.< dias, EstB 54 ( 1 996) 36 1 -4 1 5: 389s. "' Questa mia posizione allude alla "memoria fondatrice" del deuteronomismo (cf G. BORGONOVO, La memoria fondatrice. Storia e ideologia. identità e costituzione di un popolo. // caso della "ricapito/a­ zione" deuteronomica, ScC 133 [2005] 327-354) e non intende allinearsi alle posizioni di P. K. McCAR­ TER, JR., I Samuel (AncB 8), Doubleday. Garden City NY 1 979, 18-23: lo., // Samuel (AncB 9), Double­ day, Garden City NY 1984, 6-8, che parla di un materiale pre-dtr di ascendenza profetica: oppure anche di A. F. CAMPBELL, Ofprophets and kings. A Late Ninth Century document (/ Samue/ 1 - 2 Kings IO) (CBQ.MS 17), Catholic Biblica! Association of America, Washington DC 1 986, il quale parla di una "me­ moria profetica" della fine del IX sec. a.C., che starebbe alla base del racconto dtr di l Sarn l - 2Re IO. In questo mi trovo più in sintonia con J. VAN SETERS, In search of history. Hisroriography in the Ancient world and the origins ofBiblica/ history, Eisenbrauns, Winona Lake IN 1983 (ristampa 1997), quantun­ que per me gli storici dtr siano post-esilici. " L'oracolo di Natan a Davide è ricordato, più o meno direttamente, anche in IRe 2,4; 8,25; 9,5; 1 1 ,36; 1 5,4; 2 Re 8,19. Si vedano D. J. McCARTHY, /1 Samue/ 7 and rhe struaure ofthe Deuteronomic hi­ story, JBL 84 ( 1965) 1 3 1 - 1 38; l'H. DE ROBERT, L' avenir d'un orac/e: citations et re/ectures bibliques de 2 Samue/ 7, ÉTR 73 ( 1 998) 483-490. " F. M. CROSS, The ideologies of kingship in the Era of Empire: Conditional covenant and eterna/ decree, in Io., Canaanite myth and Hebrew epic, 2 19-273: 242, scorge la volontà di armonizzare due cor­ renti di pensiero: la prima che oppone al tu di Davide l ' egli di Salomone; l'altra che oppone due diverse teologie del tempio.

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    me accadeva negli editti reali dell'antico Egino.63 In ogni modo, il personaggio esaltato da questo primo tema è senz'altro Salomone. Un secondo centro d'interesse si sposta su Davide e ciò è confermato dai molti paralleli dei vv. 8-10 con altri testi in cui Davide è al centro deli' attenzio­ ne."' La rilettura di Davide, ormai idealizzato, rivela un interesse più teologico che storico, sotto la penna dtr.•' Niente osta di pensare che il processo di idealiz­ zazione si fondi su un antico oracolo di elezione dinastica. Ricordo, a questo proposito, l'ipotesi che il titolo ndbf� dato ai profeti di Israele, si riferisse all'o­ riginario compito di «nominare>> o «proclamare>> il re scelto da JHWH,66 come fe­ ce Samuele per Saul ( l Sam 9) e Davide ( I Sam 1 6, 1 - 1 3). Infine, un terzo centro d'interesse sposta l'attenzione sul casato (bajit) di Da­ vide (2Sam 7, 1 l b. l 6): l'accento non è più su Salomone, né su Davide, ma sulla discendenza davidica nel suo insieme. Essa sarà stabile per sempre: è l 'elezione della dinastia davidica, che sarà approfondita in altri testi (cf Sal 89 e 1 32). Si può già sentire la valenza escatologica in quel per sempre: l'unità stabilita tra Davide e la sua dinastia, tra l'arca e il tempio della Città Santa rendono la dina­ stia davidica portatrice e veicolo della besed di JHWH per il suo popolo. A. Stein­ mann ha correttamente definito questa promessa un "messianismo potenziale". Il centro d 'interesse pro-dinastico - è difficile dire se anch'esso debba risalire al­ l ' originario oracolo di Natan - apre il varco a quella rilettura che, soprattutto al­ la scomparsa della monarchia, avrebbe permesso il sorgere della speranza mes­ sianica."' Il giudizio degli storici dtr a proposito dell'istituzione monarchica è basato sulla promessa di 2Sam 7, 14s:

    " Cf S. HERRMANN. Die Konigsnovelle in Agypten und in lsrael, WZ[L) Reihe 3 ( 1 953- 1 954) 5 1 -62. " 'dni l'qa!Jtika min-han-naweh «ti ho preso dal pascolo• (cf Sal 78,7 1 ; 89,2 1 ; ICr 17 ,7); lih'jot nagid... , che apre la formula, sottolinea esattamente la differenza rispetto a un fondamento giuridico comunemente inteso. Il primo comandamen­ to è quindi conseguenza de li 'unicità di JHWH, come amore che risponde ad amo­ re: se JHWH è l'unico Dio per Israele, la totalità della vita di Israele deve appar­ tenergli. L'oggi di colui che ascolta diventa la risposta possibile a ciò che egli ri­ corda dell'agire di JHWH che l'ha condotto e plasmato sino a giungere a quel mo­ mento.

    In sintesi, la legge è anzitutto dono di JHWH, che accompagna Israele nel cammino del deserto (cf Dt 8,1-6) e lo conduce sino all 'esperienza della piena libertà." Essa diventa la risposta della fede di Israele all'azione liberante di Dio: è il cammino (hdldkd) che, muovendosi verso la libertà autentica, conserva il dono della terra,74 come il cammino del deserto fece approdare ad essa. La leg­ ge, in quanto dono di JHWH e risposta di Israele, è espressione di un legame in­ terpersonale e comunitario, perché è nella comunione con l'altro che si costrui­ sce un corretto rapporto con Dio. Per questo la legge è il metro di giudizio della storia del popolo della b'rit (cf 2Re 17 , 1 3-16), come i profeti hanno da sempre insegnato. Su questo, si legga una pagina stimolante di Paul Beauchamp: «La legge è preceduta da un "Sei amato" e seguita da un "Amerai". "Sei amato": fondazio­ ne della legge, e "Amerai": il suo superamento. Chiunque astrae la legge da questo fondamento e da questo fine. amerà il contrario della vita, fondando la vita sulla legge invece di fondare la legge sulla vita ricevuta. La legge co­ sì pervertita diventa una rete tanto più asfissiante e mortifera quanto più le sue maglie sono fitte. La sua durezza è da temere meno della sua sottigliezza. Essa si ricongiunge ali' idolo come alla sua peggior trasformazione. Ciò che la tradisce tuttavia - siccome, per nostra salvezza, di fatto si tradisce - è la soddisfazione di accusare, in cui necessariamente ci pre­ cipita questo modo di osservare la legge. Il Vangelo si fonda su questo punto d'impatto>>." " K. BALTZER, Das Bundesformu/ar (WMANT, 4}, Neukirchener Verlag, Ncukirchen-VIuyn 1 960. '1964, 40-47; D. J. McCARTHY, Treaty and coveiUJnt: A study inform in the ancient orienta/ documents and in the 0/d Testament (AnBib. 21a). Pont. Istituto Biblico, Roma 1963, '1978, 109-140; G. VON RAD, Dasfiinfte Buch Mose: Deuteronomium (ATD, 8). Vandenhoeck und Ruprecht, Gottingen 1964, ' 1 983, 13-16; W. BEYERLIN, Die Pariinese im Bundesbuch und ihre Herkunft, in Gotteswort und Gorres Land (Fs. H. W. Henzberg), herausgegeben von H. G. VON REVENTLOW, Vandenhoeck und Ruprecht. Gottingen 1965, 9-29; con gli appunti critici di W. SC'HOTTROFF, 'Gedenken' im a/ren Orient und im Alte/l Testa­ meni. Die Wurzel ziikar im semitischen Sprachkreis (WMANT 15), Neukirchener Verlag, Neukirchen­ VIuyn 1964, 385-388. " Si ricordi, in particolare, il sintagma milan tfmi /ip'ne (cf hat-tora haz-zot 'ti!er lini noten /ip'nikem hajjom >." Il cananeo 'lylh, sempre in coniugazione causativa, significa "far salire, offrire un'offerta"." In aramaico si ha una curiosa situazione, in quanto 'lh come radice verbale, nel senso di "far salire, offrire un 'offerta", viene sostituita da slq39 e da qrb,41J che nel Rotolo del Tempio, all'epoca qumranica, diventa tennine tecnico, come in Lv 1-7. È atte­ stato comunque anche l'uso di 'lh.41 Un significato analogo è espresso anche nell' AT con 'lh (H i). Il sostantivo ola (olocausto) ha una storia diversa. L'acca­ dico conosce sacrifici che vengono bruciati, come per es. maqliltu," da qalU II (arrostire, bruciare), riferito a qualunque tipo di sacrificio combusto. Alla stessa maniera anche nei testi ugaritici, il sacrificio da bruciare è indicato con srp.'' il cui contenuto sembra molto più vicino alla 'ola ebraica di quanto non lo sia il maqliitu accadico.44 Nell'ambiente punico si ha l'espressione Ilm kll, per indicare un sacrificio la cui carne, almeno quella del bestiame grosso, i sacerdoti e gli offerenti non pos­ sono mangiare; mentre, con il tenni ne kll, si indica un sacrificio di cui una parte della carne non va all'offerente, ma ai sacerdoti, insieme a una certa retribuzioID., li sacrificio di comunioM in Ugarit, BibOr 14 ( 1972) 133-14t; J. BERGMAN - H. RINGGREN - B. LANo, zQba}J, in TWAT Il, 509-53 1 ; J. MtLGROM, Leviticus, 2 1 7-225. Per un panorama preciso sulla complessilà storica del sacrificio di comunione israelitico cf l. CARDELLINI, / sacrifici dell'antica alleanza, 133- 1 4 1 . 229-247. " La traduzione italiana deriva dal latino olocaustum e dalla LXX ÒÀoxau�wf.l..Eiaç, mentre quando si tratta della testa o del sangue di una vittima ha!!> e in quello di "peccato/colpa". Nell 'accezione sacrificale non si ha trac­ cia di asam al di fuori de l i ' AT e di alcuni scritti di Qumran. La sua comprensio­ ne però risulta molto complessa e una soluzione della problematica diventa forse possibile, attribuendo al tennine significati diversi a seconda delle circostanze: dal significato di "colpa" a quello di "fatti illeciti", soprattutto nella sfera del sacrum, anche se non intenzionali; dal senso di "risarcimento dei danni causati" fino a quello di "sacrificio" per annullare gli effetti malefici degli errori commessi. Il sacrificio per il peccato (Lv 4, 1-5, 13) può essere offerto solo a condizione che il peccato sia stato commesso inavvertitamente. Condizione essenziale è sa­ pere chi ha peccato; si forma così una casistica. Il soggetto può essere il sommo sacerdote, la comunità di Israele, un 'autorità civile ed infine una persona del po­ polo. Nel caso del sommo sacerdote (vv. 3 - 1 2) e della comunità di Israele (vv. 1 3-2 1 ) la vittima richiesta è un giovenco. Nel caso di una autorità civile (vv. 2226) è richiesto un capro per il sacrificio, mentre nel caso del singolo cittadino (vv. 27-35) si può offrire una capra oppure un'agnella. Le fasi del rito si trovano complete nel caso del sommo sacerdote. I l rito prescritto viene sviluppato se­ condo una sequenza di azioni rituali e di espressioni esplicative.69 Questo rito, con alcune varianti, è valido anche per gli altri tre casi. Una differenza da notare è la mancanza, nel caso del sacerdote, del rito di espiazione che ha per conse­ guenza il perdono della colpa (4,20.26.3 1 ; 5,6. 10. 1 3). Nei quattro casi si ripete, quasi in maniera stereotipa, l 'espressione che indica la natura del peccato: "fa­ cendo qualche cosa proibita dalle prescrizioni di JHWH". La formulazione resta però ancora generica. Le prescrizioni in Lv 5,1-6 si distinguono dalle precedenti. Il soggetto è un israelita. Quattro situazioni sono descritte secondo questo schema: descrizione del misfatto e rispettiva conseguenza. È importante notare che il carattere di inavvertenza è presente negli ultimi tre casi, mentre manca nel primo: presentazione del misfatto, (che oggi chiameremmo) omertà (v. l ); contatto con una cosa impura (v. 2); contatto con una impurità umana (v. 3); giuramento sconsiderato e imprudente (v. 4).

    Nella ricapitolazione si richiamano le quattro situazioni su esposte, come fa­ centi parte di un insieme, e, dopo la riaffermazione della colpevolezza (v. Sa), il " Nelle due azioni preparatorie (vv. 3-4a) si determina la vittima del sacrifico e il luogo. La prima par­ te del rito vero inizia con l'imposizione della mano sul capo della vittima e la sua immolazione (v. 4b). poi inizia il rito del sangue. più circostanziato di quello dell"olocausto e del sacrificio di comunione. In due atti preparatori (v. 5). il sacerdote consacrato prende il sangue della vittima, lo porta nella tenda del con­ vegno e in quattro azioni descrive il rito: inlingere il dito nel sangue. aspergere il sangue per sette volte verso la tenda, spalmare col sangue i comi dell"altare dei profumi e infine versare il sangue rimasto alla base dell"altare dell'olocausto. La seconda parte del rituale (vv. 8-10) prevede il prelievo delle parti gras­ se, secondo le prescrizioni valide per il sacrificio di comunione, e la combustione di queste sull'altare dell'olocausto. La terza ed ultima parte del rituale (vv. 1 1- 1 2), in due azioni. prescrive che tutto i l resto della vittima sia portato in un luogo puro e lì venga bruciato.

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    testo richiede la confessione del peccato (v. 5b), come condizione necessaria per poter iniziare il rito di espiazione (v. 6). La vittima presentata in onore di JHWH è qui chiamata a.Mm, corrispondente a un'agnella o a una capretta, offerta per il sacrificio espiatorio o di puri fie azione. Il testo non ripete il rituale, perché pre­ suppone quanto era stato già ordinato in Lv 4. Il testo poi sviluppa una casistica basata sulla possibilità economica dell' of­ ferente (vv. 7-1 3). Qualora il soggetto non abbia la possibilità di comperare un animale (senza specificame il sesso), potrà scegliere fra due tortore o due pic­ cioni. Per il fatto che nel testo si richiede una tortora per il sacrificio espiatorio e l'altra per l'olocausto, è probabile che il brano non si riferisca soltanto ai casi ri­ guardanti il sacrificio espiatorio, ma sia da intendersi in maniera più generale: tale disposizione è pensata a favore dei più poveri in qualsiasi occasione, nella quale si richiede un sacrificio espiatorio o un olocausto.70 Il testo di Lv 5 , 1 1 - 1 3 prevede anche il caso di un israelita poverissimo che non può procurarsi neanche due tortore. A lui viene concesso di presentare, sen­ za incenso e senza olio, un'ablazione di ca. 1 ,26 Kg71 di farina come sacrificio espiatorio. Il sacerdote prenderà una manciata di farina come memoriale, e la la­ scerà bruciare sull'altare, poi compirà il rito che libererà l 'offerente dalla colpa. Il testo conclude, riferendosi a Lv 2, con un accenno alle spettanze dei sacerdo­ ti; è curioso che se ne parli solo qui, dove, tra l'altro, il materiale per il sacrificio è il più povero; il tema viene però ripreso in Lv 7,7-9. Lv 6, 1 7-23 tratta ancora del sacrificio per il peccato, ma sotto un'altra angolatura: determinazione del luogo per l 'immolazione, prescrizioni sulla manducazione della carne da pane dei soli sacerdoti e sacralità della carne della vittima offerta per il peccato. Il brano di Lv 5,14-26 contiene le prescrizioni rituali sul sacrificio di ripara­ zione (a.Mm). Il testo, sempre in stile casistica, si divide in due blocchi: vv. 14- 19 e vv. 20-26. n primo blocco è composto da due casi (vv. 15-16a e vv. 17- 18a), e termina con una conclusione generale (v. 19), dopo aver esposto i riti espiatori ce­ lebrati dal sacerdote (vv. 16b. l8b). Mentre nel secondo blocco è descritto un solo caso architettato in maniera più complessa e formalmente diversa dai due prece­ denti. In questi testi la materia cultuale e fortemente mescolata col materiale giu­ ridico del diritto privato.72 '" Anche qui le fasi delle azioni rituali sono riportate meticolosamente: azione introdunoria; scelta della vittima; presentazione della vittima al sacerdote (questa manca nel cap. 4), il quale offrirà prima quella destinata al sacrificio espiatorio: immolazione, che consiste nel tagliare il collo del volatile vicino alla nuca senza però staccare la testa. Il rito del sangue segue in parte lo schema già conosciuto, ometten­ do l 'atto di spalmare il sangue sui comi dell'altare, ma aggiungendo l'atto di spruzzarlo sulla parete, mentre il resto viene versato alla base dell'altare. Manca la consumazione sul fuoco di alcune parti della vittima, contrariamente a Lv 1 , 15. Il rito espiatorio celebrato dal sacerdote conclude il rituale. " Sulla questione della metrologia cf l. CARDELLINI, / sacrifici dell'antica alleanza, 256 nota 32; 261 nota 42. " Nei due casi del primo blocco si parla di un'azione peccaminosa preterintenzionale: contro le cose sacre di JHWH (miqqodU lHWH) nel primo caso e contro i precetti di JHWH (mi!fW61 lHWH) nel secondo. Nella presentazione della vittima (vv. 15b.l 8a) manca l'oggetto diretto (la sua asam) nel secondo caso, perché l'azione criminosa è diversa; infatti, il danno contro le «cose sacre di JHWH» è quantificabile, ma non lo è quello contro i «precetti di JHWH>>, per questo motivo manca, in questo caso, il conteggio di una

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    Il caso del secondo blocco (vv. 20-26) invece è molto diverso dagli altri. L'a­ zione criminosa (v. 2 l a) è espressa con una frase generale, per sottolineare che si tratta di misfatti i quali, in qualche maniera, pur riguardando il prossimo, sono rivolti contro JHWH: si tratta di mancanze che toccano la sfera dell'inganno, del ricatto e del reato di appropriazione indebita. Il materiale giuridico di questo ca­ so appartiene alla sfera del diritto privato e le azioni toccano la sfera del diritto penale, secondo le distinzioni a noi più familiari. Da notare la mancanza di ogni accenno ad atti preterintenzionali, che sono tipici nei casi precedenti e in quelli riguardanti il sacrificio /:laua 't. Col v. 2 1 a si cerca di incastonare l'architettura di questo caso in una atmosfera sacra, parlando di trasgressioni contro JHWH, le quali richiedono non solo una ricomposizione del contenzioso fra cittadini (vv. 23-24), ma anche un atto cultuale per ristabilire i rapporti con la divinità (cf an­ che Lv 1 9,20-22), offrendo il sacrificio di riparazione. Il rito di espiazione chiu­ de anche quest'ultimo caso. Il sacrificio di riparazione è ripreso in Lv 7,1-6 per determinare il 1uogo del­ l' immolazione della vittima, il sangue da versare alla base dell'altare, le parti grasse della vittima da bruciare sull'altare e le prescrizioni sulla manducazione della carne della vittima da parte dei sacerdoti. In Lv 7,7 si affronta il problema delle spettanze dei sacerdoti. Al sacerdote che ha compiuto il rito di espiazione spetta la carne dei sacrifici l)a((a 't e 'tUam. Dalla complessità dei rituali risulta evidente l'importanza dei sacrifici espiatori. In Israele per ogni festa e per ogni ricorrenza è richiesto il sacrificio espiatorio: al primo giorno del mese, durante le feste di Pasqua, delle Settimane e delle Capanne (N m 28, 1-3 1 ; Ez 45,2 1-25), per la consacrazione del tempio, dell'altare, dei sacerdoti, dei !eviti, per la rior­ ganizzazione del culto (Es 29, 1 -37; Lv 8, 1 -36; Nm 8,5-2 1 ; Ez 40,39; 42, 1 3 ; 43, 18-26; 44,29; 45, 1 7-20; 46,20; 2Cr 29,2 1 -23; Esd 8,35; Ne 1 0,34), nelle of­ ferte dei capi tribù (Nm 7) e nei sacrifici dei neosacerdoti (Lv 9). È, inoltre, il sa­ crificio tipico per la puri ficazione della puerpera, di chi soffre di scolo e di ogni sorta di contaminazione (Lv 1 2, 1 -8; 14, 1 0-3 1 ; 1 5 , 1 -30; Nm 6, 1 -2 1 ; 1 5,22-29; Ez 44,27)."

    È probabile che nella incessante riflessione sul peccato sia subentrata, in se­ guito, la necessità di distinguere ulteriormente determinati contenuti di azioni erronee, indicando l'atto riparatorio e lo stato di colpevolezza con la radice '!m."

    pena pecuniaria, basata sul valore del danno causato. Inoltre la presenza della forma stereotipa b'"erk'lc4 (= corrispondente al valore stabilito) nei due casi, permette di considerare il capro non soltanto come vit­ tima per il sacrificio di riparazione, giustificato dall'uso di /''ti. ( àzkara), da bruciare sull'altare (v. 3). Un interesse particolare è dedicato al resto dell'o­ blazione, come spettanza dei sacerdoti discendenti di Aronne (vv. 3.10). Il testo presenta un secondo caso (v. 4) nel quale si parla di un'ablazione non più cruda (vv. 1-2) , ma cotta nel forno. Due sottocasi (vv. 5-7) presentano altri due modi differenti di cuocere l ' oblazione: sulla piastra (v. Sa) o in pentola (v. 7a), però so­ Io per I'oblazione cotta sulla piastra è prevista la suddivisione in parti (v. 6a). Nei vv. 8-9 vi è un mutamento di stile e si autorizza l 'offerente ad offrire in ono­ re del Signore una delle oblazioni sopra descritte. Si ripetono le fasi, come nei vv. l -2, con l'aggiunta di una nuova azione rituale che consiste ne li 'avvicinare l 'oblazione all'altare. Il testo poi fa seguire disposizioni speciali in stile di divie­ to e di comando: - divieto di offrire l'oblazione preparata con lievito (v. I l a); - divieto di bruciare la pasta lievitata e il miele sull'altare (vv. l lb- 1 2); - ordine di salare l'oblazione prima di offrirla e di non far mancare il sale dell'alleanza sull'oblazione (v. 13a); - ordine di usare il sale su tutte le offerte (qui il testo usa qorban; v. l 3b). Un ultimo caso (vv. 14- 1 6), nuovamente in stile casistico, chiude il capitolo. Si tratta di un nuovo tipo di offerta chiamata «oblazione di primizie» composta di spighe di grano abbrustolite e di chicchi di grano novello (v. 14) insieme al­ l 'olio e all'incenso. In questo caso manca l'atto di presentazione dell'oblazione al sacerdote, passando subito alla fase centrale del rito: la consumazione sull'al­ tare del memoriale. Questo rito si trova ancora in Lv 6,7 - I l , ma dettato da inte­ ressi diversi. L'oblazione, il cui memoriale viene bruciato su li 'altare, diventa (Lv 2,3. I O), paragonata al sacrificio espiatorio e a quello di ripara­ zione e, come la carne di questi sacrifici, potrà essere mangiata solo dai sacer717

    doti in un luogo sacro (Lv 7,9- 10). Anche qui viene espressamente vietato l'uso del lievito. In Lv 6, 12-15 l 'oblazione diventa l'offerta giornaliera del sommo sa­ cerdote, che deve essere tutta bruciata sull'altare. Nei testi cultuali l' oblazione, che in altri contesti e in epoche diverse ha una caratteristica di "dono" e di "tri­ buto", appare quasi sempre collegata ai sacrifici maggiori, soprattutto ali' olo­ causto, come una parte complementare, accompagnata a volte anche da libazio­ ni di vino (Lv 23, 1 3; Nm 1 5, 1 - 1 2). In un paio di casi mantiene un suo valore in­ dipendente: come sacrificio per il peccato (Lv 5, 1 1 - 1 3) offerto da un nullatenen­ te e come offerta per la gelosia (Nm 5,1 5)!' b) l'booa

    Con questo vocabolo in Lv 1 -7, s'intende l'incenso, associato, oltre che ai pa­ ni di proposizione (Lv 24,5-9), soprattutto all 'oblazione (Lv 2, 1 . 1 5 . 1 6; 6,8), quasi un suo elemento costitutivo, scelto come parte del memoriale, da bruciare sull'altare. Il suo uso è vietato nell'oblazione per il peccato (Lv 5, I l ) e nell'o­ blazione della gelosia (Nm 5,1 5). Nei papiri di Elefantina,"' l'offerta dell 'incen­ so, più che essere abbinata ali' oblazione, sembra che faccia parte di una enume­ razione di offerte e non risulta come porzione della minl}.d. In questo senso l'of­ ferta dell 'incenso è menzionata anche in Is 43,22-25; Ger 17,26; 4 1 ,5; Ne 13,9; l Cr 9,29. L'offerta dei profumi però, oltre ad avere una storia antica e comune anche nei rituali di altri popoli, costituisce un dono particolare, chiamato q'{6ret. In Es 30,34-38 vengono stabilite le regole della miscelazione di varie sostanze aromatiche (fra le quali è presente anche l'elemento l'b6niì zakkd = incenso pu­ ro) per formare l'offerta dei profumi. L'importanza delle offerte aromatiche è giustificata dalla presenza dell'altare dei profumi (Es 30, 1 - 1 O; 37 ,25-29; 39,38; 40,5.27), a cui è attribuita una santità tutta particolare, probabilmente per la sua vicinanza al Santo dei Santi. Questo tipo di offerta profumata, miscuglio di va­ rie sostanze aromatiche, è presentata dal sacerdote due volte al giorno (Es 30,78) ed è anche menzionata nel rituale del giorno dell'espiazione (Lv 16, 1 2- 1 3), come un fumo odoroso dall'intrinseco valore purificatorio. Richiamando quel sostrato antico di fumo aromatico destinato a calmare gli dei, rimasto nell'e­ spressione rea}] hann/1}6"1} (odore piacevole che calma), esso si trova neli' olo­ causto, nell'oblazione e nei sacrifici di comunione. Il rito che accompagna l'of­ ferta dei profumi, esprimente gioiosa venerazione per JHWH, l 'unico vero Signo­ re del popolo, assume quel senso purificatore che diventerà il denominatore co­ mune dei sacrifici israeliti!' " Sulla minM cfN.H. SNAITH, Sacrifices in the 0/d Testament, VT 7 ( 1 957) 3\4-316; R. RENDTORFP, Studien zur Geschichte des Opfers, l 69- l 98; H.-J. FABRY - M. WEINFELD, minl}lih, in TWAT IV, 987 - l 00 l . Cf l'ampia monografia di A. MARX, Les offrandes végétales dans I'Ancien Tesrament (1994); l. CARDEL­ UNI, l sacrifici dell'antica alleanza, 52-62. 142-157. " Cf P. GRELOT, Documents araméens d' Egypte (LAPO 5), Cerf, Paris 1972, nr. 102 rr.21-25; nr. 103 rr.9- IO; nr. l 04 r. l l. " Sull'argomento c f M . HARAN, The Use of lncense i n the Ancient lsrae/ite Ritua/, VT IO ( 1 960) 1 1 3- 1 29; R. DE VAVX, lnstitutions Il, 301-302; E. CCITHF.NFIT, Parfums, in DBS VI, Paris 1960, 1 3 1 2- 1 323; D. KE!.LERMANN, /ebonlih, in TWAT IV, 454-460.

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    c) lel]$m

    Pani, varie specie di focacce e dolci appartengono a quegli elementi dell'of­ ferta "vegetale" ampiamente documentata in tutta l 'area mesopotamica e anche a Ugarit. In Israele ricorre la tavola di JHWH su cui apparecchiare il «cibo del Si­ gnore» (Lv 2 1 ,6.8; 22,25; Nm 28,2; Ez 44,7.16). Un tipo di offerta denominata lel]$m happiinim, tradotta con «pani della proposizione», secondo Lv 24,5-9 ve­ niva deposta su una tavola (= altare) davanti a JHWH. Tale offerta consisteva in dodici focacce di farina disposte in due file di sei e su ogni fi la veniva messo l 'incenso puro che, bruciato in onore di JHWH, avrebbe reso piacevoli le focac­ ce, divenute "cosa santissima" e consumate solo dai sacerdoti in un luogo san­ to.96 Nell'ipotesi di A.R. Johnson;' accettata anche da R. de Vaux,•• J'espressio­ ne le}Jem happiinfm è resa con di JHWH; letteralmente suone­ rebbe: . Per questo motivo alcuni testi, attenti alle espressio­ ni troppo antropomorfe e troppo simili ai riti pagani, hanno modificato l 'espres­ sione in «pani della serie>> ( l Cr 9,32; 23,29; Ne 1 0,34; 2Cr l 3, l l ), come pure la «tavola della faccia>> (Nm 4,7) diventa (l Cr 28, 1 6; 2Cr 29,1 8).09 Anche l'espressione simile o alternativa le}Jem 'i!lohfm (Lv 2 1 ,6.8. 17.2 1 ; 22,25), alla lettera «pane degli dei>>, è carica del suo significato arcaico di cibo destinato agli dei. Tale concetto era scomparso, da quando la forma plurale fos­ silizzata 'elohim aveva assunto il significato definitivo, riferito al Dio di Israele Creatore e Signore.'00 L'offerta vegetale le}Jem happiinfm nei testi dell' AT aveva con molta probabilità lo scopo di riproporre costantemente il patto stipulato con le 12 tribù, le quali attraverso questa offerta si riconoscevano subalteme a JHWH e a lui debitrici del loro sostentamento. C) QUATTRO TERMINI SIGNIFICATIVI NEI RITI SACRIFICALI a) qorbiin

    È il termine più generale per indicare sia i sacrifici di animali, sia le offerte vegetali. Nel senso cultuale è esclusivo e tipico dei testi del Levitico (40x), dei Numeri (38x) e di Ezechiele (2x). Deriva dalla forma causativa della voce ver­ bale hiqrfb un dono, un'offerta alla divinità. Nella LXX viene tradotta OWQOV e nella Vulgata con hostia, victima, sacrifi­ cium e oblatio. Probabilmente il termine qorbiin è stato creato per comprendere " Cf Es 25,30; Nm 4,7; 1Sam 2 1 ,6-7; 1 Re 7,48 .

    ., Aspecrs of rhe Use of rhe Term panim in rhe O/d Tesramenl, Festschrift O. Eissfeldt, Halle an der Saale 1947. 159. " Les sacrifices, 38 . ., Questa reazione giustifica. in qualche maniera, l 'ipotesi di P.A.H. DE BoER (An Aspecr of Sacrijice, VfS 23 [ 1972) 35-36) secondo cui sul pane veniva stampigliata la faccia della divinità. richiamandosi a una prassi dei cananei, conosciuta anche da Geremia (7, 18; 44,19). L'autore stesso però conviene che l'i­ dea di una simile offerta, che simultaneamente è dono per la divinità, ma anche dono da parte della divi­ nità, appartenga a un'epoca dell'Israele ancora sincretista. '"' CfGK § 1 24g; W. HERRMANN, Gorrerspeise undGorrertrank in Ugarit und /srae/, ZAW 72 ( 1 970) 205-216.

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    ogni sorta di sacrificio e offerta con una sola parola, il cui concetto primario e fondamentale è quello di "dono".'"'

    b) rruma La retta interpretazione di questo vocabolo è molto difficile, per l'influsso dell'esegesi giudaica, secondo cui la parte indicata della vittima veniva presen­ tata con un gesto rituale, muovendola verso l'alto e verso il basso; significato ba­ sato sull 'etimo 1Wm in forma causale, nel senso di "elevare". Dalle antiche ver­ sioni e dai targum sembra che il vocabolo t'ruma appartenga al campo semanti­ co indicante il prelievo di una parte dal tutto. Secondo il Rotolo del Tempio ( I l QTS), specialmente col. 60 r.4, t'riìma non significa una azione rituale. Dal­ lo studio comparato con la rispettiva terminologia accadica (tarimtu) e ugaritica (trmmt) si può dare al vocabolo t'ruma il significato di "dono, contribuzione sa­ cra, tributo", distinto da ogni colorazione rituale propria'"' (Es 29,28; 35,5.21 .24; Lv 22, 1 2; Nm 5,9; 1 8,8. 1 1 . 1 9.24-29; Ez 20,40; 44,30; Ne 10,38.40). c) rnupa

    È un termine tipico ed esclusivo dei libri dell'Esodo, del Levitico e dei Nu­ meri . Le versioni antiche sono fondamentalmente concordi nell'attribuire a que­ sto termine il significato di "dono, offerta" senza accenni a un particolare rito. Filone nel De specia/ibus legibus, l, §§ 144- 1 47 si richiama esplicitamente a ati'j8oç (peno; Lv 7,30-34), ma non pare che dia particolarmente rilievo al ter­ mine rniìpa, se non quello di àrtaQX� (parte prelevata dal sacrificio e destinata ai sacerdoti). La sua interpretazione simbolica (§§ 1 5 1 - 1 52), invece, sarà la ba­ se da cui prende avvio l 'esegesi posteriore (mMen 5,6; tMen 7, 17-1 9; bSuk 37b; bMen 6 1 b-62a; Sifra 39b). Quasi tutti i commentatori moderni si rifanno alla in­ terpretazione giudaica basata sul valore simbolico del "muovere dondolando in avanti e in dietro" quelle parti prelevate dal sacrifico, sulla base dell'etimo nwp in forma causativa. Così infatti sono stati interpretati i brani Es 29,24.26; Lv 7,30; 8,27.29. Come avvenisse la cerimonia non è detto, ma le parti in questio­ ne, secondo il senso simbolico del rito, venivano prima dai sacerdoti presentate a JHWH con l 'atto del movimento in alto, poi da JHWH stesso venivano date ai sa'" Cf J. KiiHLEWEIN, qrb, in THAT Il, 677-678; H.-J. FABRY, q6rbtin, in TWAT VII, 165 - 1 7 1 . "" Cf rruma come tributo ai sacerdoti o a l tempio ( Es 25,2.3; 35,21 .24; 36,3.6; Lv 22,12; Nm 5,9; 18,8-19; Ez 20,40; 44,30; Esd 8,25; Ne 10,38.40; 12,44; 1 3,5), come dono a JHWH per la vittoria conse­ guita (Nm 3 1 ,52) e come termine collegato alla coscia/spalla e al peno della vittima sacrificale (Es 29,2728; Lv 7,32-34; 10,14-15; Nm 6,20). Sull'argomento cf A. VINCENT, Les rites du ha/ancement (tenoùpiìh) et du prélèvement (teroOmàh) dans le sacrifice de communion de I'Ancien Testament, in Mélanges sy­ riens offerts à Monsieur René Dussaud par ses amis et ses élèves (BAH 30), Geuthner, Paris 1939, 270272; N.H. SNAITH, The Wave offering, Ex pT 74 ( 1962/63) 127; W. VON SoDEN, Mirjam-Maria "(Gones-) Geschenk", UF 2 ( 1 970) 269-272; M. DIETRICH - O. LoRETZ - J. SANMARTIN, Das Ritua/ RS 1 .5 = CTA 33, UF 7 ( 1 975) 527; J.-M. DE TARRAGON, Le eu/te a Ugarit, 66.103; HAL IV, 1645- 1 647; J. MILGROM, Leviticus, 473-48 1; T. SEIDL, t'rllmii - die Priesterhebe? Ein angeblicher Kultterminus - symaktisch und semantisch untersucht, BN 79 (1995) 30-36; L. WAcHTER - T. SEIDL, rrumah, in TWAT VIII, 758-764; I. CARDELLINI, l sacrifici dell'antica alleanza, 240 nota 76.

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    cerdoti, come loro spettanze sacre, con l'atto del movimento in basso. Nei tem­ pi recenti, sulla base di un confronto con la terminologia delle culture circonvi­ cine a Israele, viene messa in discussione l'interpretazione simbolica del termi­ ne-rito l'nupiì a favore del significato di "dono sacro, consacrato", prelevato dal sacrificio e dato al sacerdote.'"' In alcuni testi diventa quasi impossibile cogliere la differenza di significato fra l'rumfi e t'nupd. Comunque, è innegabile che que­ sti termini nei testi cultuali dell'AT indichino anche dei gesti particolari di ele­ vazione e di dondolamento dei doni-offerte al cospetto di JHWH. d) iiieh

    Anche l'interpretazione di questo termine, reso normalmente con «sacrificio di fuoco>>, è molto incerto. Dai testi Lv 2 1 ,6.2 1 ; 23,8.25.27.36.37; 24,7-9 il si­ gnificato di "offerta, dono" senza accenno al fuoco sembra imporsi. L'espres­ sione tipica ré•IJ nll}o•IJ lalHWH che accompagna 'isseh sia nei rituali per sacrifi­ ci di animali sia in quelli per le offerte vegetali, riferendosi alla parte che viene bruciata sull 'altare come memoriale, non significa altro che "dono, sacrificio, offerta che piace a JHWH". '"' Anche nelle versioni antiche105 e nei targum, 'isseh non viene compreso come "sacrificio di fuoco": Aquila traduce 'isseh con JtUQ6ç = frumento. In seguito, l 'autorità dell'esegesi giudaica, secondo cui 'isseh deriva dalla radice 'es (fuoco), si è imposta fino ai nostri giorni, giustifi­ cando la traduzione di 'isseh come "sacrificio di fuoco o da consumarsi con il fuoco". Tuttavia, da studi comparati con la terminologia ugaritica si ritiene at­ tualmente che 'isseh non ha nulla a che fare con 'es (fuoco), ma significherebbe semplicemente "dono" .'06

    D) LA FUNZIONE DEL SANGUE NEI RITI SACRIFICALI In Levitico e Numeri l'importanza dell'elemento sangue dei sacrifici di ani­ mali s'impone per il suo costante uso. Lo sviluppo di una sempre più profonda '"' Per un confronto con la cultura babilonese, cf G.R. DRIVER, Three Technica/ Terms in the Penta­ teuch, JSS l ( 1 956) 100-105; per un confronto con quella egiziana, cf J. MILGROM, The Alleged Wave-Of­ fering in /srael aruJ in the Ancient Near East, !El 22 ( 1972) 33-38; per un confronto con quella ugaritica cf J. GRAY , The Legacy of Canaan . The Ras Shamra Texts and their Relevance to the 0/d Testament (VT.S 5), Brill, Leiden '1965, 196; D.R. H tLLERS, Ugaritic SNPT .. Wave-offering .., BASOR 198 ( 1 970) 42; J.-M. DE TARRAGON , Le eu/te a Ugarir, 64-65; cf anche G.A. ANDERSON, Sacriftces and Offerirrg in Ancient lsrae/. Srudies in their social and polirica/ lmportance (HSM 4 1 ) , Scholars Press, Atlanta 1987, 1 33-135. Per una valutazione conclusiva di queste indagini cf HAL IV, 1622; H. RtNGGREN, nwp, in TWAT V, 320-32 1 ; l. CARDELLINI, l sacrifici dell'antica alleanza. 239 nota 75. ·� cr Es 29. 1 8; Lv l; 2; 3; 8,21 .28; 23. 1 3 . 1 8 ; Nm 28.8. "'' La LXX traduce 'iUeh con xaQltu>J.la (offena. dono; Lv 23x; Nm l lx; Es 2x e Dt lx), con lh>oia (sacrificio; Lv 9x) e con 6l..oxamwJ.la (Lv 7X; Nm 2x; Es l X). Da questo breve sguardo è difficile stabi­ lire che già nella LXX 'iiSeh sia stato posto in relazione con l!.f (fuoco), contro V. HAMP, 'es, in TWAT I. 458. I Targum e la siro-PeJina rendono iSieh con qorban. "" Cf J. HOFTllZER, Das sogenannre Feueropfer, in B. HARTMANN et alii (curr.), Hebraische Worifor­ schung. Festschrift zum 80. Geburtstag von W. Baumgartner (VT.S 1 6). Bri i ! , Leiden 1 967. 1 1 4- 134; G.R. DRIVER, Ugaritic and Hebrew Words, Ugaritica 6 ( 1 969) 1 8 1 - 1 86; J. MILGROM , Leviticus, 1 6 1 - 1 62; G. DEIANA, /1 giorno dell'espiazione, 97-98.157 nota 78.

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    coscienza di essere in stato di impurità e di peccato nei confronti di JHWH ha for­ temente contribuito ad evidenziare, attraverso il sacrifico di animali, l 'elemento sangue, capace di produrre effetti purificatori ed espiatori.107 Il desiderio di espiazione diventa tanto potente, che in molti casi, anche al di fuori dei tipici sa­ crifici espiatori , si ricerca l'effetto della virtù espiatoria."'" Il sangue, elemento privilegiato per il rito dell'espiazione, non ha virtù espiatoria in quanto sangue, ma in quanto sangue della vittima immolata e offerta in sacrificio. Esso, nel sa­ crificio, diventa veicolo dell'espiazione e viene considerato, nel suo mistero, come carico di energia vitale. Il sangue della vittima per il sacrificio del pecca­ to, dopo il gesto rituale di sette aspersioni (Lv 17, 1 1).

    L'aspersione del sangue è causa, specialmente nei sacrifici espiatori, della purificazione dell'altare, del tempio e anche della terra (Es 29,37; Ez 43,20-26; 45, 1 9; 2Cr 29, 1 5 . 1 7) e della espiazione dei peccati (Lv 1 5 ,3 1 ; 1 6, 1 5- 1 6). A contatto con l'elemento sacro, che è la vita, in quanto appartenente solo a Dio (Gn 4, 1 0; 9,4), ogni vivente contaminato, morto o in via di dissoluzione, si ria­ nima e il mondo inanimato, avvolto nel disordine e nel caos a causa dell'impu­ rità, ritorna, per mezzo dell'altare e del sangue, purificato e di nuovo unito al santuario, dove dimora la gloria di JHWH, dove c'è ordine, bellezza e santità. In tal modo tutto il popolo, attraverso l'altare e il sangue ritrova la sua purità. La comunione con JHWH viene ristabilita dal principio vitale che risiede nel san­ gue, principio divino e energia unificatrice e sacramentale. È nel gran giorno dell'espiazione (Lv 1 6) che il popolo di Israele ritornerà ad essere un popolo santo, perché la presenza di JHWH, che il peccato e l 'impurità avevano allonta­ nato, ritornerà nel santuario, dopo esser stato purificato con il rito del sangue (Ez 43, 1 -5. 18 .20).'09 '"' A differenza di altri aspetti del culto sacrificale la presenza del sangue come elemento energetico, calarchico e apotropaico nei riti sacriticali o solo cuhuali è ben documemala nelle uibù degli Arabi del sud, nei 1es1i in ili. fra i cananei e in Grecia. Se è vero che in Grecia il sangue è soprallullo legalo al lerro­ re, alla morte e all'ohrelomba. nel rilo di giuramento (EscHn.o, l sette a Tebe, rr.42-4R; SENOFONTE, Alla­ basi, 1 12,9) è anche garanzia ed elemenlo che espia la colpa dell'assassino (EscHn.o, Eumenidi, rr.448452 la puriticazione avviene con l'aspersione del sangue di un vtoB'lÀOiiç j:lmoii sacrificato. Simile rito è ripetulo da APOLLONIO RODIO nelle Argonautiche, libro IV rr.704-709). Cf anche D.J. McCARTHY, Further 11otes on the symbolism of 8/ood and Sacrijìce, JBL 92 ( 1973) 205-210. "" Cf Es 29,33; 30, 15; Lv 1 ,4; 14,19.20.53; 1 6,24.25; Nm 8,19.2 1 ; 17. 1 1 . 1 2; 25,13; 35,33. "" Sull'argomento cf L. MORALDI, Espiazione sacrifica/e, 222-252; L. SABOURIN, Sacrijìce, 14941497; N. FOGUSTER, Si.ihne durch 8/ut. Zur 8edeutung von Leviticus 17,JJ, in Studien zum Pentateuch.

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    3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

    Nel sommario sguardo sui sacrifici (Lv 1 -7), presentati in base all'oggetto materiale che li costituisce, si è stabilita una prima classificazione, forse la più concreta. I sacrifici però possono essere suddivisi anche in base a una loro tipo­ logia: come dono o tributo in sacrifici propiziatori, votivi, di ringraziamento, spon­ tanei; come sacrifici di alleanza e di comunione; come sacrifici espiatori. Oppure possono essere suddivisi in base alle occasioni nelle quali vengono richiesti: come sacrifici pubblici nelle feste e nelle grandi occasioni; come sacrifici privati; come sacrifici conclusivi di periodi di malattia o di impurità. Nella suddivisione dei sacrifici in categorie, si intrecciano il sacro, gli spazi, i tempi, la storia, gli eventi e i sentimenti religiosi del singolo e della comunità di fronte alla divinità. Inoltre, le fredde e meticolose descrizioni, scarne per le si­ stematizzate suddivisioni usate in Lv 1 -5, più che rituali, sembrano rappresenta­ re dei manuali di culto accademici, scritti per i sacerdoti, perché apprendano be­ ne la loro arte, per adempiere senza errori tutte le fasi del rito, durante la litur­ gia, distinguendo soprattutto le azioni dell'offerente da quelle proprie del sacer­ dote. Per questo motivo non c'è il minimo accenno, in questi brani, a canti o ge­ sti che sicuramente accompagnavano la cerimonia sacrificale, durante lo svolgi­ mento del culto nel tempio."" È probabile che molte fra le preghiere, le suppliche e le lodi che troviamo nel libro dei Salmi siano state utilizzate nel tempio duran­ te le cerimonie. Il rigore e la precisione con cui dovevano essere compiute le azioni rituali prescritte sono continuamente richiamati attraverso formule giusti­ ficative del tipo: «è un olocausto>> (Lv l ,9. 1 3 . 1 7), «è un'oblazione>> (Lv 2,6. 1 5), «è un sacrificio per il peccato>> (Lv 4,2 1 .24; 5,9). Uno sbaglio avrebbe potuto compromettere l'efficacia del rito. I rituali ripresi in Lv 6-7 sono invece dominati dalla parola toriì (istruzione, norma) ed hanno un altro ordine rispetto a Lv 1 -5, mettendo all'ultimo posto il sacrificio di comunione, l'unico sacrificio nel quale parte della carne andava an­ che ali' offerente. La descrizione minuziosa delle assegnazioni delle parti dei sa­ crifici che spettano ai sacerdoti giustifica l ' interpretazione amministrativa di Festschrift W. Kornfeld. Herder. Freiburg i .Br. 1977, 143-164; A. SCHENKER, Das Zeichen de.< 8/utes und die Gewissheit der Vergehung im Alten Testament. Die siihnende Funktion des 8/mes auf dem A/tar nach Lev 17.10-12, MiinTZ 34 ( 1 983) 195-2 13. "' Basta sfogliare i libri delle Cronache per imbattersi ripetutamente negli addeui all'accompagna­ mento della "liturgia" con canti e suoni ( I Cr 9,33; 1 5 , 1 6.2 1 : 1 6,4-6.40-4 1; 23,5; 25,6-7; 2Cr 23,18; 30,21 -22: 3 1 ,2-3). Canti, danze e preghiere accompagnavano le cerimonie rituali anche nelle altre cultu­ re; cf per es. G. FURLANI, Il sacrificio della religione dei semiti di Babilonia e di Assiria (Memorie della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Serie Sesta: Classe di scienze Morali Storiche e Filosofiche, Vol. IV/3), Bardi, Roma 1932, 2 1 9-225; ERODOTO, Storie l, 132; Il, 39-41 .

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    questi rituali, raffonata dalla presenza deli 'espressione qodes qi'JdiiJfm, cioè ((ciò che è strettamente separato, distinto da tutto il resto». Questi testi di carattere amministrativo, e quindi non procedurali, stabiliscono anche norme sul fuoco perenne e sul corretto smaltimento delle ceneri dei sacrifici. In essi si distinguo­ no minuziosamente i pasti sacri dei sacerdoti, fatti con il resto dell'oblazione e con la carne dei sacrifici espiatori, dal banchetto sacrificate, fatto con la carne dei sacrifici di comunione, a cui partecipano l'offerente e i suoi. Addirittura nel­ le norme rituali di Nm 7,87-88; 28; 29 veniva annotato il materiale sacrificate che l'offerente aveva presentato per il tempio e per il sostentamento dei sacer­ doti (cf Ez 45, 13-17; 46,1 1 - 1 8). Accanto a questi vi è un altro rituale di tipo "procedurale", in quanto descri­ ve la sequenza dei sacrifici durante le vere azioni "l iturgiche"."' In questi rituali c'è un ordine diverso e il primo sacrificio è quello per il peccato. Nel rituale per il nazireato (N m 6, 1 3-2 1 ) il testo richiede, nei vv. 1 3- 1 5, ciò che (nell'ordine: olocausto, sacrificio espiatorio, sacrificio pacifico e offerta di pani) il nazireo deve presentare al sacerdote, ma nei vv. 16-17, l'ordine cambia e il sacerdote of­ fre, per primo, il sacrificio per il peccato, poi gli altri. Il rituale procedurale, in­ fatti, prevede il sacrificio espiatorio all'inizio, seguito dall'olocausto e dagli al­ tri sacrifici. Tale ordine è mantenuto nei testi basilari di Es 29; Lv 8-9; Ez 43, 1927; 2Cr 29,20-36. Il rituale procedurale diventa la chiave interpretativa della va­ lenza religiosa dei sacrifici e della visione religiosa del mondo secondo i sacer­ doti del secondo tempio di Gerusalemme. La convinzione profonda dell'effetto deleterio per tutto il popolo, provocato dal peccato e dalla impurità, ha stimola­ to la ricerca di un riequilibrio, per ristabilire i legami con JHWH. Il sacrificio per il peccato diventa essenziale nelle celebrazioni delle feste e nei grandi eventi. I concetti di santità, sacralità, purità e, in senso negativo, quelli di peccato e di impurità diventano le strade maestre su cui rifondare il rapporto di alleanza fra JHWH e il suo popolo. Tutto questo diventa possibile a partire dal concetto base della presenza della gloria di JHWH nel tempio. All'ordine cosmico ed eccelso per santità, dovuto alla presenza di JHWH, corrisponde un disordine disgregatore di caos, di deserto, di morte, di non essere e di impurità dovuto al peccato, al­ l'allontanamento e alla rottura di ogni legame con JHWH. L'unica possibilità di salvezza concreta è il ritorno alla santità. La pericolosa situazione di caos, di un caos ormai chiaramente rituale, potrà aver termine soltanto attraverso rituali che ristabiliscano: le relazioni spaziali : tra Santo dei Santi e mondo, attraverso la mediazione dell'altare; le relazioni o interazioni sociali: tra JHWH, popolo, sacerdozio e individuo; e tra individuo, popolo e JHWH, attraverso la mediazione del sacerdote; le relazioni temporali: tra il settimo giorno, le feste e il resto de l tempo. L'elemento che dà significato pieno ai rituali è il sacrificio e, in modo particolare, quello espiatorio, in cui l 'uso sacrificate del sangue ha il potere di rista"' Sull'argomento cf B.A. LEVINE, Ugaritic descriptive Rituals, JCS 17 ( l %3) 105- 1 1 1 ; A.F. RAINEY, The Order ofsacrifices in 0/d Testament Ritual Texts, 485-498.

    724

    bilire le relazioni rotte fra JHWH e il suo popolo. Il sangue è il veicolo della vita, elemento divino per eccellenza, che purifica, risana e ritrasmette ordine ed esi­ stenza. Ristabilito così il passaggio dallo stato di contaminazione e peccato a quello di purità spaziale, sociale e temporale, per il dono di un'alleanza sacra, ancora viva, esplode la gi oi a che si manifesta con l 'olocausto, bruciato tutto in onore di JHWH, e con il sacrificio di comunione che ne conferma la presenza in mezzo alla comunità purificata, valorizzando i conseguenti valori etici, segno di unione dei singoli cittadini fra di loro. Dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) e la dispersione del popolo eletto, abbandonata l'idea di ogni possibile ripresa politica, nasce una profonda riflessione teologica, incentrata su Ile categorie cultuali: ordine e caos, sacro e profano, puro e impuro, vita e morte. Si tenta di salvare l'unità etnica di Israele minacciata di estinzione. L'unità del popolo della promessa si riformerà attorno al tempio con la caratteristica di popolo santo, dovuta alla presenza di JHWH; se, da una parte, tutto questo spingerà ad una minuziosa ricerca di conoscenza di ciò che è impuro e che può annullare la santità, dali' altra si cercherà di rielabo­ rare un rituale efficace, in cui, attraverso il sacrificio espiatorio, il sacerdozio potrà ristabilire la sacralità della terra e la santità del popolo."' Se i sacrifici e i rituali sacrificali sono il mezzo dato ad Israele per ristabilire la relazione con il suo Signore, la realizzazione non è automatica. Israele è chiamato ad attuare quanto Dio gli ha rivelato e deve abbandonare la pretesa, comune a tutti i popo­ li, di voler piegare la divinità ai propri progetti con gesti e riti magici. Per questo motivo i rituali sono trattati all'interno della pericope del Sinai come prescritti da Dio stesso. Bisogna ricordare che l 'immagine del dio che comunica con l'uo­ mo direttamente o per iscritto è tipica delle culture del Vicino Oriente Antico."-' Il desiderio profondo dell'uomo di entrare in comunione con la divinità e di interpretame le volontà è presente in ogni riga dei testi religiosi. Il tempio, fra l 'altro, è anche una specie di "università", in cui specialisti d'ogni settore sono sempre all'erta giorno e notte per interpretare sogni, eventi astronomici e segni d'ogni tipo e per capire le volontà degli dei. Inoltre, lungo i secoli hanno preso forma riti particolari per le necessità della comunità e dell 'individuo, con la con­ vinzione che l 'uso di formule e di gesti antichi e immutabili abbia il potere di scuotere la divinità e di attirarla nella sfera terrena per beneficiare o per distrug­ gere. A mano a mano che l' idea di dio si purifica, l'uomo si accorge di trovarsi sempre più impuro. L'evoluzione religiosa in Israele è espressa in modo magi­ strale per bocca dei profeti, quando questi con sferzante ironia mettono in ridi­ colo la pratica di rivolgersi alle statue per ottenere benefici e per comunicare con la divinità. Dietro l 'ironia c'è la convinzione religiosa che non ha senso fab"' Nei papiri di Elefantina della seconda metà del sec. V a.C .• ricorre l'olocausto, il sacrificio di co­ munione e l'offerta dell'incenso. La mancanza però di ogni accenno al sacrificio per il peccato (!la!!d 't) è una conferma che, al più presto, nell 'epoca persiana i sacrifici espiatori hanno acquisilo un impanante ri­ lievo.

    "·' Per un quadro complessivo sulla documentazione cf l. CARDELLINI, Lo scritto normativo dimenti­ cato e ritrovato (2 Re 22.3-23,3), in E. MANtCARDI - A. PrrrA (curr.), Spirito di Dio e Saae Scritture nel­ l' autotestimonianza della Bibbia, RSB 1-2 (2000) 39-57.

    725

    bricarsi un dio su misura, perché il vero Dio è imggiungibile. Di qui la proibi­ zione in Israele di costruirsi ogni tipo di immagine. Alla proibizione delle im­ magini non può seguire, per pura analogia, anche la proibizione dei riti, perché per comunicare l'uomo ha bisogno di parole e di gesti. A questo punto subentra la riflessione innovativa sacerdotale che viene esposta nella pericope del Sinai. I popoli circonvicini avevano elaborato riti, gesti e formule ineccepibili, con lo scopo di obbligare gli dei ad entrare in comunione con l ' uomo secondo parame­ tri umani, convinti di un magico potere dei riti sacrificali ai quali anche la divi­ nità avrebbe dovuto sottostare. In Israele avviene il rovesciamento della situa­ zione. I narratori ebrei eliminano le immagini e modificano profondamente la genesi dei sacrifici e dei rituali. Sul Sinai è Dio stesso che stabilisce come Israe­ le dovrà mettersi in comunione con lui. Non sono più i sacerdoti o i ministri di culto che creano i riti con la pretesa di stabilire un ponte tra la divinità e l 'uma­ nità, ma è Dio, per mezzo di Mosè, che ordina a Israele come costruire il santua­ rio e come svolgere l'attività cultuale fin nei minimi particolari. Nulla è lasciato alla creatività umana, tutto è determinato da Dio e la comunione con lui avrà luogo solo se Israele rispetterà quanto gli è stato ordinato. I sacrifici e le loro ti­ pologie, l'uso dei materiali, la compilazione di manuali a servizio dei sacerdoti per l 'attuazione corretta dei riti e le pratiche li turgiche fisse e occasionali sono senza dubbio il frutto di una evoluzione storica sia a livello terminologico e se­ mantico che contenutistico, le cui tensioni vengono però superate in epoche re­ centi nella riflessione teologica sacerdotale che arricchisce i sacrifici e i rituali sacrificati del significato di mezzi privilegiati in cui si radica la vita sociale di Israele e in cui si attua la relazione fra Dio e il suo popolo, la verità teologica più significativa del pensiero biblico.

    726

    INDICE

    Presentazione

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    Una parola di spiegazione . . (GIANANTONIO BORGONOVO) .

    Sommario

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    Abbreviazioni

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    Bibliografia generale

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    Sezione prima: INTRODUZIONI Parte prima: La T6rfi, ovvéro il Pentateùto (GIANANTONIO BORGONOVO) .....................................................

    Capitolo primo: Introduzione ....................................................... l. La Bibbia ebraica ...................................................................... 2. La Bibbia greca ....... .................................................................. 3. La Bibbia latina .........................................................................

    .

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    4. Il ruolo centrale della Tora nel canone ebraico ......................... Capitolo secondo: La ''forma narrativa" di

    2. 3. 4. 5.

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    Torfi, N'bi'im,

    K•tubim ........................... .................................... .......................

    1 . Tora

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    N'bi'im ....................................................................................... K··rabtm ...................................................................................... La "ricapitolazione" (o deuterosf) ...... ............. .......................... L'apocalittica e l'aldilà del Libro .............................................

    . .

    ..

    Capitolo terzo: Il problema del Pentateuco ................................

    l . Sguardo generale ...................................................................... 2 . Pentateuco t Tetrateuco, Esateuco e d Enneateuco .................. 3. Riaffermazione critica del Pentateuco ......................................

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    101 101 1 06 Ill l l2 l l6 121 121 125 1 32 727

    Capitolo quano: L'ipotesi documentaria ...................................

    l. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

    ..

    Dal periodo precritico a Jean Astruc ... ...................................... . Gli inizi dell'ipotesi documentaria (Urkundenhypothese) ........ L'ipotesi dei "frammenti" (Fragmentenhypothese) .................. L'ipotesi dei "complementi" (Ergiinzungshypothese) ............... La "nuova" ipotesi documentaria (Neuere Urkundenhypothese) Analisi delle quattro "fonti" ...................................................... . Implosione del sistema ............................................................... Forza e debolezza dell'ipotesi documentaria: i principali "criteri" .

    l . L"'ideologia" del deuteronomismo ........................ ................... 2. Il momento "assiale" del deuteronomismo (520-5 15 a.C.) .. 3. I cambiamenti prodotti storicamente dal Deuteronomio ........... 4. La scrittura della Legge ............................................................. 5. Il Deuteronomio come "Protonomio"? ..................................... 6. Deuteronomismo, tradizione sacerdotale e antiche tradizioni storiche ...................................................... .....

    Capitolo sesto: Per una nuova lettura del Pentateuco ...............

    La retorica del libro d i Genesi ........................................... La retorica del libro dell'Esodo ........................................ La retorica del libro del Levitico ....................................... La retorica del libro dei Numeri ........................................ La retorica del libro del Deuteronomio .............................

    2. LA POETICA DELLA T()/U. ...........................................................

    2. 1 . 2.2. 2.3. 2.4.

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    3.

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    Protologia ed escatologia .................................................. Narrazione e ispirazione ................................................... . Il cammino nel deserto come archetipo della Tora ........... Es 32-34: "chiave di volta" della teologia della storia (deuteronomistica) ............................................................ 3.5. Dt 32: il nucleo originario dello jahwismo ....................... 3.6. La morte di Mosè come nascita di Israele .........................

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    LA TEOLOGIA DELLA T6RÀ ........................................................

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    La poetica di Gn 1 - 1 1 . . . . . . . . . . La poetica dei racconti patriarcali ..................................... La poetica dei racconti esodici .......................................... La poetica del libro del Deuteronomio ............................. ...

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    .

    l . LA RETORICA DELLA T6RÀ . . . . . . . . . ............................................... .

    1.1. 1 .2. 1 .3. 1 .4. 1 .5.

    »

    .

    ..... .......... ..................... ................................

    Capitolo quinto: Una ''nuova proposta": la singolarità del Deuteronomio rispetto alle antiche tradizioni ... .............

    pag.

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    303 308 314

    Parte seconda: Le storiografie della Bibbia (CLAUDIO BALZAREITI) ..............................................................

    .

    Capitolo primo: L a storiogratia deuteronomistica ....................

    ..

    l . Unità e discontinuità dell'opera deuteronomista ......................

    ..

    2. 3. 4. 5.

    Il libro di Giosuè ................................. ...................................... Il libro dei Giudici .................................... ................................ Il libro di Samuele .................................................................... Il libro dei Re ............................................................................

    .

    ..

    ..

    ..

    Capitolo secondo: La storiografia cronistica ............... ..............

    ..

    l . Il problema dei libri di Esdra e Neemia .................................... 2. I due libri delle Cronache .........................................................

    .

    ..

    Capitolo terzo: La storiogratia maccabaica ............................... l . D Primo Libro dei Maccabei

    ...................

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    2. Il Secondo Libro dei Maccabei ................................................ .

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    pag. 3 1 7 ))

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    Sezione seconda: SAGGI DI ESEGESI l . L'inno del Creatore per la bellezza della creazione (Gn l , l-2,4a) (GIANANTONIO BoRGONovo) ..................................................... l . Struttura letteraria ............................................................... 2. La struttura di altri racconti di creazione ............................ 3. Commento esegetico ........................................................... 4. Conclusioni ......................................................................... .

    .. .. ..

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    2.

    La grammatica

    dell'es istenza alla luce della

    .

    l . Struttura letteraria ............................................................... 2. La trama eziologica ............................................................. 3. Commento esegetico ............................................................ 4. Conclusioni .......................................................................... 3. L'irrevocabile promessa (Gn 15, 1 -2 1 ) (GIANANTONIO BORGONOVO) .......................... - ....-............. .. .. l . La struttura letteraria ............................................................ 2. Esegesi 3. Conclusione .......................................................................... . 4. La scala di Giacobbe (Gn 28, 10-22) (JEAN-LoUIS SKA) . . l . Studio sincronico ................................................................. . 2. I vari livelli della narrazione . .. . . . . 3. Gn 28, 10-22 e il suo contesto ............................................... .. ..

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    storia di Israele

    (Gn 2,4b-3,24) (GIANANTONIO BORGONOVO) ............................

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    5. Il passaggio del mare (Es 14) (JEAN-LoUis SKA) ...................... l . Il contenuto di Es 14 ............................................................ 2. I due racconti primitivi ........................................................ 3. L'opera del redattore ............................................................ 6. La teofania del Sinai (Es 19-24)

    . .

    ..

    (BERNARDO GIANLUIGI Boscm) .................................................

    .

    .

    Introduzione .............................................................................. . Capitolo 19 ................................................................................ Capitolo 20 ................................................................................ Il Decalogo (vv. l - 1 7) . . . . . . . . ....... . . .. . Il Codice dell'alleanza (Es 20,22-23,33) .................................. . 7. Il censimento e l'accampamento della comunità dell'esodo (Nm 1 -2) (MARCO NoBILE) . . .. .. . . ..... .... .. ... . . . . l . Critica testuale ...................................................................... 2. Analisi letteraria e filologica ................................................ . 3. Analisi del contenuto e significato ...................................... . 4. Spunti di teologia biblica ..................................................... . 8. "Ascolta, Israele" (Dt 6,4-25) (GIANNI BARBIERO) ................... l . Introduzione ......................................................................... 2. Analisi del testo .................................................................... 9. La "nuova alleanza" in Moab (Dt 29-30) .

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    (LUCA MAZZINGHI - GRAZtA PAPOLA) ....... ................................. .

    l . Introduzione ......................................................................... 2. Esegesi 3. Sintesi teologica ................................................................... . l O. «Una voce di silenzo svuotato>> ( l Re 19, 1 - 1 8) (GIANANTONIO BORGONOVO) ..................................................... . l . l Re 19 nel contesto del "libretto di Elia" ............................ 2. La struttura generale del "libretto di Elia" ........................... . 3. Lettura narratologica di I Re 19 ........................................... 4. Lettura esegetica .................................................................. .

    ............... ............................................ .......................

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    493 493 494 499 501 501 502 506 506 510 517 518 519 528 531 533 534 540

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    Sezione terza: TEMI DI TEOLOGIA BIBLICA

    l . La b'rft biblica: impegno e obbligazione (GIANANTONIO BORGONOVO) ..................................................... .

    l. 2. 3. 4. 730

    Le radici di un simbolo vitale .............................................. L'impegno unilaterale di JHWH ............................................ .. L'ingiunzione di JHWH per il vassallo Israele ....................... . L'alleanza tradita .................................................................. .

    .

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    5. La nuova alleanza .................................................................. 6. La Tora come disposizione intermedia tra il dono e il perdono 7. Il compimento ....................................................................... 8. Rimozione di un equivoco fatale .......................................... 2. La benedizione: creazione e redenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .

    (GIANANTONIO BoRGONovo)

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    l . Interesse teologico per il tema del Dio creatore ................... 2. La rilevanza teologica del tema della creazione .................. 3. Benedizione e creazione ....................................................... 4. Benedizione e redenzione .................................................... . 5. Creazione e redenzione: dialettiche teologiche .................... 3. L'opera storica deuteronomistica: profezia e compimento .

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    (GIANANTONIO BORGONOVO)

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    l . JHWH nostro Dio, JHWH uno .................................................. 2. Israele, s'gulla di Israele ........................................................ 3. La terra ( 'ere�jisrii el) ........................................................... 4. Il tempio dedicato al nome di JHWH 5. La regalità e il casato di Davide ............................................ 6. La legge ................................................................................ 7. Profezia e compimento ......................................................... 4. I sacrifici in Le 1-7. Una sintesi di teologia storico-biblica

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    (INNOCENZO CARDELLINI)

    pag. 635

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    l . L'interpretazione del sacrificio nella letteratura moderna .... 2. Offerte e sacrifici israeliti ...................................................... A) Sacrifici di animali .......................................................... B) Offerte vegetali ............................................................... C) Quattro termini significativi nei riti sacrificali ................ D ) Le funzioni del sangue nei riti sacrificali ......................... 3. Considerazioni conclusive ................................................... .

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