Theater, Theaterpraxis, Theaterkritik im kaiserzeitlichen Rom: Kolloquium anlässlich des 70. Geburtstages von Prof. Dr. Peter Lebrecht Schmidt, 24./25. Juli 2003, Universität Konstanz [1 ed.] 9783110928853, 9783598730191

Ein Schwerpunkt liegt auf literarischen Analysen der Tragödien Senecas als einzigen dramatischen Autor der Kaiserzeit, d

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Theater, Theaterpraxis, Theaterkritik im kaiserzeitlichen Rom: Kolloquium anlässlich des 70. Geburtstages von Prof. Dr. Peter Lebrecht Schmidt, 24./25. Juli 2003, Universität Konstanz [1 ed.]
 9783110928853, 9783598730191

Table of contents :
Vorwort
Inhalt
Graecia capta ferum victorem cepit. Überlegungen zum Verhältnis der römischen republikanischen zur griechischen Tragödie
Senecas Phaedra: Des Dramas Kern und sein episch-elegischer Rahmen
Theater ohne Bühne. Macrobius und Servius über das Drama
Die Vita Ambrosiana: Datierung, Terenzbild, Rezeption
Das römische Theaterwesen der Kaiserzeit im Spiegel der Inschriften
Dalla scena alla lettura: l’auctoritas dei tragici nella apologetica cristiana
Spectaculorum voluptates adimere... Zum Kampf der Kirchenväter gegen Circus und Theater
Antiquarisches Interesse für den Mimus und Pantomimus

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Theater, Theaterpraxis, Theaterkritik im kaiserzeitlichen Rom

Kolloquium anlässlich des 70. Geburtstages von Prof. Dr. Peter Lebrecht Schmidt 24./25. Juli 2003 Universität Konstanz

Theater, Theaterpraxis, Theaterkritik im kaiserzeitlichen Rom Herausgegeben von Joachim Fugmann, Markus Janka, Ulrich Schmitzer und Helmut Seng

K • G • Saur München • Leipzig 2004

Bibliografische Information Der Deutschen Bibliothek Die Deutsche Bibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http:ZMnb.ddb.de abrufbar. © 2004 by K. G . Saur Verlag G m b H , München und Leipzig Printed in Germany Alle Rechte vorbehalten. All Rights Strictly Reserved. Jede Art der Vervielfältigung ohne Erlaubnis des Verlages ist unzulässig. Gedruckt auf alterungsbeständigem Papier. Druck und Bindung: Druckhaus „Thomas Müntzer" G m b H , 99947 Bad Langensalza I S B N 3-598-73019-5

VORWORT Die Römer waren lebender Beweis für das berühmte Wort Demokrits: „Die Welt eine Bühne, das Leben ein Auftritt: gekommen, gesehen, abgetreten" (fr. 115, 3f.

ö KÖofioc;

mcr|vrj, 6 ßioq iräpoöoc • rjX0eg, E i ö e g , C(7rfjX0ex wi£p7tr|5à Ppoxóq) di Sofocle, che la negano. A chi, dunque, bisogna prestare fede, ad Arato o a Sofocle?, conclude lo scrittore cristiano. Sempre secondo Teofilo, altri, al contrario, sostengono che Dio interviene nelle vicende umane: per questa concezione provvidenzialista, che certo è più vicina alle idee dello scrittore cristiano, ben più numerose sono le attestazioni, da Omero e Simonide e soprattutto da Euripide (frg. 391, 397 Thyestes\ 1089 TGF) e poi da Menandro (Epitr. 734). La conclusione è che gli autori pagani sono in completo disaccordo tra di loro. Nell'opera di Teofilo le citazioni sono accostate l'una all'altra in modo disordinato e senza un vero commento; lo scrittore si limita a basarsi sulla auto-

3

Cf. L. BARNARD, Athenagoras: a study in second century christian apologetic, Paris 1972; B. POUDERON, D'Athènes à Alexandrie: études sur Athénagore et les origines de la philosophie chrétienne, Québec, Louvain, Paris 1997.

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rità dei poeti, della quale fa un uso disinvolto (cioè senza preoccuparsi del contesto in cui i versi citati erano stati scritti, ma solamente badando all'accezione che poteva tornare utile). 4 Questo è, sostanzialmente, il metodo degli apologeti, anche dei più dotti e più intelligenti, non soltanto di Teofilo di Antiochia e di altri apologeti minori, come lo Pseudo Giustino, autore del de monarchia,5 1.1 Clemente di Alessandria Gli stromata di Clemente raggiungono, invece, una maggiore profondità. In essi lo scrittore annuncia un suo programma culturale: egli vuole condurre il lettore verso quella che egli chiama "la fisiologia veramente gnostica". 6 L'opera è destinata alle persone colte di Alessandria, per mostrare loro che solo lo gnostico cristiano è veramente pio: e ciononostante, egli può, e deve, servirsi della loro cultura e della loro lingua ed evitare il più possibile di basarsi sulla Scrittura. Solo lo 'gnostico', infatti, è veramente religioso, per cui, quando i filosofi avranno imparato quale è il vero cristiano, condanneranno la propria ignoranza. Essi perseguitano alla cieca, a caso, il nome di 'cristiano', e senza criterio chiamano 'atei' coloro che conoscono il vero Dio, così come l'accusa di ateismo era una accusa corrente nei confronti dei cristiani. 7 E con i filosofi conviene forse ricorrere agli argomenti razionali più convincenti, sì che essi, già esercitati sulla base della loro cultura, possano intendere, anche

4

Ma anche questo derivava dalla buona tradizione stoica; cf. Cicerone, nat.deor. 1,14,36— 15,41, ed in particolare la osservazione sarcastica dell'epicureo Velleio: ... ut etiam veterrimi poetae, qui haec ne suspicati quidem sint, Stoici fuisse videaniur.

5

Le citazioni degli apologeti sono state raccolte da N. ZEEGERS-VAN DER VORST, Les citations des poètes grecs chez les apologistes chrétiens du Ile siècle, Louvain 1972. Naturalmente il nostro esame di tali citazioni ha di mira quello che è indicato dal titolo del nostro contributo, per cui si prescinde totalmente da una storia del testo dei tragici greci, storia della quale Clemente potrebbe costituire una tappa, ma che è problema che non ci riguarda.

6

Come è stata studiata recentemente da L. RIZZERIO, Clemente di Alessandria e la „(pvoioXoyia veramente gnostica". Saggio sulle origini e le implicazioni di un'epistemologia e di un'ontologia „cristiane", Leuven 1996.

7

È famosa, a proposito della accusa di ateismo rivolta ai Cristiani, la testimonianza del Martyrium Polycarpi: "Distruggi gli atei!", gridava la folla al proconsole, per incitarlo a condannare a morte nell'anfiteatro Policarpo.

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se non si sono ancora mostrati degni di partecipare alla potenza della fede (strom. 7,1). I filosofi greci, secondo Clemente, hanno scoperto alcune dottrine e raggiunto un certo grado di conoscenza della verità, o per merito proprio o per effetto della ispirazione divina, o perché hanno 'rubato' le dottrine dell'AT (e di conseguenza tutti dipendono dall'insegnamento di Mosè), o perché la filosofia, che un tempo era possesso di Dio, fu 'rubata' dagli angeli malvagi e data agli uomini. 8 La prima soluzione è giustificata sulla base della dottrina, di origine stoica, delle 'nozioni comuni'. In strom. 5,87,2ss. Clemente dice che il termine 'soffio di vita', posto entro l'uomo da Dio secondo il racconto di Gen 2,7, corrisponde alla ragione umana. Esso fu un principio che imitava il suo stesso Logos (cf. strom. 5,94,4-5). Tutto questo dimostra che vi è una stretta affinità tra la mente umana e il Logos, Figlio di Dio. Per questo motivo non meraviglia se alcuni filosofi greci, grazie all'elemento divino che dimorava in loro, furono in grado di raggiungere un'idea esatta del primo Principio o scoprirono alcune dottrine che possono essere considerate come il riflesso della verità eterna (strom. 1,94,3. 1,20,1). Non soltanto Dio con la creazione fece sì che l'uomo possedesse un principio divino, e cioè la ragione, ma anche, nella storia dell'umanità, ispirò poche persone elette. Questi 'sapienti nella mente' sono i filosofi greci (strom. 1,26,2. 1,87,2. 6,154,1. protr. 68,2). Lo spirito che ispira i filosofi è perciò sostanzialmente identico allo spirito divino che ispirava i profeti dell'AT; simili ai profeti furono, in parte, Pitagora e Platone (strom. 5,29,4). Per quello che riguarda il cosiddetto 'furto dei Greci', in strom. 1,87,2 Clemente sostiene che, tra le dottrine filosofiche, alcune sono state effettivamente rubate ai profeti, mentre altre sono state scoperte dai filosofi stessi. Ad esempio, in strom. 2,100,3 Clemente approva la formula platonica (cf. Plat. Tht. 176b) della 'assimilazione a Dio' e sottolinea la forte somiglianza tra di essa e la legge giudaica; per spiegare questo accordo, egli asserisce che Platone vi giunse o per caso o perché fu direttamente ispirato dagli oracoli della 8

Su questa tematica citiamo solo (exempii causa) alcuni titoli: A. MÉHAT, Étude sur les 'Stromates' de Clément d'Alexandrie, Paris 1966; S.R.C. L i l l a , Clement of Alexandria: a study in christian platonism and gnosticism, Oxford 1971; R. MORTLEY, Connaissance religieuse et herméneutique chez Clément d'Alexandrie, Leiden 1973.

Vauctoritas dei

tragici nella apologetica cristiana

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Scrittura. Anche in strom. 5,29,3s. Platone e Pitagora sono presentati come strettamente dipendenti da Mosè. Questo era già stato detto da Giustino e da Filone: quello che importava a Clemente, come ai suoi predecessori, era mostrare la sostanziale identità di dottrine tra la filosofia greca e l'insegnamento della Scrittura, e, in questo modo, anche l'origine divina della filosofia greca. Comunque, se Dio non ha impedito il furto dei Greci, è stato perché esso possedeva una sua utilità. La teoria del 'plagio' libera la filosofia da ogni connotazione diabolica, per quanto essa possa essere imperfetta. Tale teoria non è un attacco assoluto alla cultura greca, ma un mezzo per associare il cristianesimo alla sapienza del mondo. È uno stratagemma argomentativo che si presentava ad un uomo, come Clemente, che apparteneva a due mondi che fino a quel momento erano divisi. Questa teoria, dunque, costituisce una giustificazione del concordismo, della ricerca delle 'nozioni comuni', ed una ellenizzazione del cristianesimo, pur volendo essere esattamente il contrario. Il 'senso comune', poi, di cui si parlava, ha come suo autore Dio stesso, e può essere considerato come una specie di profezia. La filosofia è, quindi, un riflesso della verità cristiana. Di conseguenza, l'intento fondamentale di Clemente è quello di ricondurre la filosofia a un disegno divino, qualunque sia stata la sua origine. Addirittura, da alcuni versi di Sofocle (Polyidos frg. 366 TGF / 398 TrGF) e di Timocle (frg. 36 CAF 2) Clemente ha derivato anche il titolo e il carattere della sua opera, come egli dice in strom. 4,6,2ss. Così, per introdurre la ricerca sulle idee platoniche, Clemente in strom. 4,155,1 ricorre, esordendo, a una citazione di Euripide: „Beato colui che ha appreso la disciplina della ricerca, e non si spinge a molestare i concittadini né ad inique azioni, ma studia l'ordine che non invecchia della natura immortale, come e in che forma si è costituito. In questi uomini non si trova mai pensiero di vergognose imprese" (Eur. frg. ine. 910 TGF). È chiaro da tutto quanto abbiamo detto che l'atteggiamento di Clemente verso la cultura greca è più meditato (e questo è noto a tutti) e che, relativamente all'argomento che ci interessa, l'attenzione rivolta alla poesia dram-

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matica si inserisce in un piano più vasto, che non contiene solamente la citazione erudita. La citazione è funzionale ad un progetto culturale ben preciso. 9 1.2 Origene Dopo Clemente, l'atteggiamento di Origene nei confronti della cultura classica (e quindi anche della poesia drammatica) muta sensibilmente. Sul piano teorico Origene non è più così 'aperto' alla grecità pagana, pur utilizzandone in profondità la filosofia. La sua attività di maestro cristiano, inoltre, fu più fortemente delineata: lo dimostra il gran numero di omelie dedicate al testo sacro, le quali occupano un grande spazio all'interno della sua produzione. I trattati teologici ed i commenti non ricorrono mai, si può dire, alla citazione di testi poetici. L'unica eccezione è rappresentata dal cantra Celsum, il quale, essendo opera di polemica, doveva mettersi, per qualche aspetto, sullo stesso piano del suo avversario pagano. 1.3 Esempi di accordo tra paganesimo e cristianesimo L'adattamento della cultura pagana a quella cristiana e il loro confronto reciproco costituiscono, dunque, il motivo centrale della 'filosofia' di Clemente. Certo, gli argomenti per i quali il cristiano Clemente va alla ricerca di attestazioni sono i più disparati; più frequenti sono quelli di contenuto morale. Ma tenere conto di tutte le citazioni dei poeti, effettuate da Clemente, è impossibile a causa del loro numero infinito. Talune, poi, appaiono ai nostri occhi inconcludenti e poco funzionali, spesso arbitrarie; Clemente non ha il nostro stesso modo di citare e il suo scopo è diverso dal nostro. 10 È inevitabile, quindi, fare una cernita. Un esempio di quanto vogliamo dire è costituito da una interpretazione della storia greca e della storia ebraica, considerate in parallelo tra di loro. In strom. l,163,lss. Clemente ricorda che, stando al racconto di Diodoro Siculo (cf. 14,33), una colonna di fuoco sarebbe stata vista da Trasibulo nella sua 9

Si legga, sul metodo delle citazioni di Clemente, lo studio di A. VAN DEN HOECK, Techniques of Quotation in Clement of Alexandria. A view of ancient literary working methods, VChr 50 (1996) 223-243.

10

C f . VAN DEN H O E C K ( s o p r a n. 9 ) p a s s i m .

L'auctoritas dei

tragici nella apologetica cristiana

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marcia verso Atene. Ora, altrettanto avvenne per gli Ebrei durante la loro peregrinazione nel deserto (Ex 13,21). Certi avvenimenti della storia greca confermano, quindi, la verità della storia ebraica. Anche in un oracolo pagano si dice (strom. 1,163,4): "Dioniso, dalla molta gioia, colonna (otOXoi;) per i Tebani", e questo essere 'colonna' deriva,

secondo Clemente, dalla storia

ebraica: lo dimostra l'episodio che abbiamo ora indicato. E anche Euripide, nell'Antiopa

(frg. 203 TGF) dice : "Dentro stanze di bovaro una colonna del

Dio Euios, incoronata di edera": ora, per Clemente, la colonna di cui parla Euripide significa l'impossibilità di rappresentare in immagine Dio (strom. 1,163,4-6), mentre la colonna illuminata, che si legge nell'oracolo, oltre a significare questa impossibilità di rappresentare Dio, simboleggia la stabile permanenza di Dio, la sua luce immutabile, cui non si può dar figura: tanto è vero che prima di erigere le statue gli antichi erigevano colonne e le veneravano come immagini di Dio. 2. Il teatro e gli apologeti greci 2.1 Contro il politeismo La condanna del politeismo è, logicamente, l'atteggiamento preliminare degli scrittori cristiani. Le loro argomentazioni a questo riguardo riprendono molti temi della stessa filosofia pagana, in particolare dello scetticismo accademico o dell'evemerismo: a dimostrare quanto stiamo dicendo bastano, qui, solo degli accenni. Secondo Atenagora (suppl. pro christ. c.29 p. 154), se gli dèi erano veramente tali, non dovevano rivolgersi all'oro (citazione di Euripide, frg. 324,1-3 TGF), perché non dovevano aver bisogno di niente né morire; oppure gli dèi erano stati, precedentemente, soltanto degli uomini, e spregevoli per la loro ignoranza e incapaci di resistere al desiderio delle ricchezze. Esempi di questo genere, cioè di uomini ritenuti dèi dalle età successive, sono Castore, Polluce, Amfiarao, così come anche i naufraghi credono che Ino sia divenuta Leucotea (adesp. frg. 100 TGF), o Palemone sia divenuto una divinità (adesp. frg. 101 TGF). Anche Clemente ricorre ai poeti tragici per confutare l'idolatria. La sezione di strom. 5,128 è dedicata alla confutazione dell'esistenza della dea fortuna, una divinizzazione sicuramente di carattere popolare. A questo scopo lo scrittore ricorre ad una citazione di Filemone (frg. 137 CAF / 125 PCG) e ad

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Claudio MORESCHINI

una di Sofocle (frg. 1028 TGF / adesp. frg. 621 TrGF). Quest'ultimo frammento è di dubbia autenticità, perché appare influenzato, come altri passi poetici che vedremo, dal monoteismo giudaico: Zeus, infatti, è in questo frammento pseudosofocleo come il più grande degli dèi, e addirittura li trascende: "Neppure agli dèi tutto avviene secondo la loro scelta, tranne che a Zeus: egli, sì, possiede il termine e il principio" (strom. 5,128,2). 2.2 II vero Dio Il culto del vero Dio è audacemente assimilato ad una iniziazione misterica da Clemente, il quale, certo, non vuole asserire che il culto cristiano sia escluso a chi non è iniziato, ma che un certo aspetto sacrale è presente anche in esso. In strom. 4,162,2-4 si legge che iniziatore al mistero sarà lo stesso Salvatore, proprio come dice la tragedia (Eurip. Bacch. 470-472. 474. 476), della quale cita soprattutto i versi che introducono 'le orge del dio'. La discussione teorica del problema di Dio è affrontata, prima di Clemente, già da Atenagora, il quale osserva (suppl. prò christ. 5,1) che i poeti e i filosofi non furono ritenuti atei, 11 quando si soffermarono a discutere di Dio. Euripide, nell'esprimere le sue perplessità a proposito di quelli che le presunzioni volgari consideravano dèi, dice: "Se abita nel cielo, Zeus non dovrebbe rendere infelice il medesimo uomo" (Eur. frg. ine. 900 TGF). E spiega che quello che è intelligibile secondo la scienza è Dio, per cui è calzante questa conclusione: ópag KOÙ

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Richard KLEIN

Schreiben beginnt damit, daß der Autor die Gefahren aufzählt, welche die weltlichen Tugenden bedrohen, um die sich die jungen Leute bemühen sollten. Dabei sieht er insbesondere die männliche Haltung durch die Verweichlichung der Tänzer und die Gerechtigkeit durch die Eidbrüchigkeit der Mimen bedroht. Wie aber, so fährt er fort, sollte ein Lehrer nicht Schmerz empfinden, wenn er sieht, wie das ehrenvolle Betragen, das er seinen Schülern nahebringt, im Hippodrom bzw. im Theater in Verlegenheit gebracht bzw. verspottet wird? Zunächst, meint er, sollten die ihm anvertrauten jungen Leute durch gutes Zureden, wenn sie dadurch aber nicht gehorchen, durch Schreckbilder von ihrer Vorliebe fürs Theater abgehalten werden. So könne man sie am ehesten zu tüchtigen Männern und hervorragenden Rednern erziehen. 31 Isidor ahnt indes bereits, daß diese Methode bei vielen nicht zum Erfolg führen wird; denn er fährt fort, daß j e n e wohl darauf bestehen, daß der Besuch von Spielen ein eingeführter Brauch und zudem gesetzlich nicht verboten sei. Daher wählt er einen anderen Weg der Überzeugung. Er schlägt vor, ihnen den Grund für die Einführung der Spiele zu erklären, die im Grunde doch j e der Verständige „als Gift nach Absicht des Teufels, des Feindes des Menschengeschlechts" verabscheue. 3 2 Kluge Leute hätten nämlich erkannt, wieviel freie Zeit vor allem die Angehörigen der Heere in den Städten, aber auch die übrigen Bürger hatten, und wie vor allem die ersteren ihre Muße nicht in gutem Sinn gebrauchten, sondern immer wieder an Unruhen und Umsturz dachten. Um einen äußeren wie inneren Krieg zu verhindern, seien auch die Herrscher interessiert gewesen, ihnen eine Beschäftigung zu geben und eine Gelegenheit, ihre Streitsucht auszutoben. So sei der ständige Wettkampf der Pferde sozusagen ein politischer Wettstreit für Leute, die ihr hitziges Gemüt nicht bändigen könnten und gewohnt seien, unüberlegt irgendwelche wage-

31

Ibid. 1 4 3 6 : T r i v 5e dvSpiav r| xwv 6pxT|ax