Testi religiosi egizi
 9788841892602

Table of contents :
Indice......Page 537
Frontespizio......Page 4
Indice del volume......Page 0
Prefazione......Page 6
Introduzione......Page 10
Nota bibliografica......Page 24
Abbreviazioni......Page 31
I. L’Età Più Antica......Page 32
1. Dai «Testi delle piramidi»......Page 33
2. Un testo di teologia menfita......Page 160
3. Dal «Papiro drammatico del Ramesseo»......Page 163
1. Un anno di regno di User-ka.f......Page 166
2. Decreto di immunità per il personale di un tempio......Page 168
II. Il Medio Regno......Page 170
1. Dall’«Insegnamento per Meri-ka-ra»......Page 171
2. L’eguaglianza degli uomini......Page 175
3. Dal «Dialogo di un disperato con la sua anima»......Page 176
4. Dai «Testi dei sarcofagi»......Page 178
Dalle «Formule magiche per la madre e per il fanciullo»......Page 197
La nascita di tre re......Page 200
1. La fondazione di un tempio......Page 203
2. Dagli atti del tempio di Anubi a Illahun......Page 206
3. Fondazioni funerarie del principe di Assyut......Page 208
III. Il Nuovo Regno......Page 213
1. I canti rituali di Isi e Nefti......Page 215
2. La stele di Ramessese II al Gebel Silsilah......Page 226
1. Dal «Libro dei morti»......Page 229
2. Dal «Libro di chi è nella Duat»......Page 295
3. Dal «Libro delle bolge»......Page 302
4. Epigrafi funerarie......Page 307
Dal «Papiro magico Harris»......Page 312
1. Distruzione e salvataggio del genere umano......Page 328
2. Il racconto di due fratelli......Page 331
3. Il giudizio di Horo e Seth......Page 342
1. Dall’«Insegnamento di Any»......Page 358
2. Dall’«Insegnamento di Amenemope»......Page 360
3. Preghiere neoegiziane......Page 363
4. Massime incise sugli scarabei......Page 368
5. Lettera a una morta......Page 369
1. La nascita divina di Hats’epsut......Page 372
2. Hathor giovenca e la regina Hats’epsut......Page 376
3. La profezia per Thutmose III......Page 377
4. La nomina divina di Thutmose III......Page 378
5. La «stele poetica» di Thutmose III......Page 379
6. L’istituzione di una festa......Page 382
7. Una stele di Ramessese IV in onore di Osiri......Page 383
1. Gli dei di Menfi......Page 388
2. Tabella delle razioni mensili di incenso ai templi di Tebe all’epoca dell’inizio della XVIII dinastia......Page 390
3. I beni di Ammone al nuovo regno......Page 391
4. Donazione ad un tempio......Page 417
5. Dall’autobiografia di un sommo sacerdote di Ammone......Page 419
6. Un sommo sacerdote di Ammone parla di sé......Page 420
7. Scandali a Elefantina......Page 421
IV. Tell El Amarna......Page 422
1. La stele di frontiera a Tell el Amarna......Page 423
2. L’inno ad Aton......Page 426
3. Stele della restaurazione di Tutankhamòn......Page 432
V. La Bassa Epoca......Page 437
1. Il «Libro di Apopi»......Page 438
2. Dalla stele dell’anno VI di Taharqa......Page 451
3. Il rito della caccia con la rete......Page 452
4. Ricetta per l’unguento del tempio......Page 454
5. Teologia d’età romana......Page 456
1. Dai testi del sarcofago di Ankh-n.es-nefer-ib-ra......Page 464
2. Dal libro «Che il mio nome fiorisca»......Page 468
3. Epitaffio......Page 470
4. Un viaggio nell’aldilà......Page 472
Dal «Papiro magico di Londra e Leida»......Page 474
1. Un miracolo di Khonsu......Page 480
2. La dea lontana......Page 487
1. Preghiera tolemaica......Page 488
2. La sepoltura di un Ibis......Page 489
3. Dal libro sapienzale demotico......Page 490
1. Cambise a Sais......Page 491
2. Ammonimento ai prelati......Page 492
VI. L’Età Greca e la Fine del paganesimo......Page 494
1. Dalle «storie» di Erodoto......Page 495
2. Dalla stele di Mendes......Page 501
3. Ricordo di una incubazione......Page 503
1. Prefazione a una traduzione di una storia egiziana di Imute......Page 504
2. Indicazioni per una pratica magica......Page 508
3. Domande oracolari......Page 509
Una festa di Isi in epoca romana......Page 511
1. Un incantesimo copto pagano......Page 515
2. Gli ultimi pagani......Page 517
3. Iscrizione cristiana di File......Page 521
4. Il tramonto della religione egiziana......Page 522
Indice dei nomi......Page 524
Indice delle tavole......Page 536

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CLASSICI DELLE RELIGIONI Sezione prima, diretta da OSCAR BOTTO

Le religioni orientali Sezione seconda, diretta da PIERO ROSSANO

La religione ebraica Sezione terza, diretta da FRANCESCO GABRIELI

La religione islamica Sezione quarta, diretta da PIERO ROSSANO

La religione cattolica Sezione quinta, diretta da LUIGI FIRPO

Le altre confessioni cristiane

CLASSICI DELLE RELIGIONI SEZIONE PRIMA DIRETTA DA OSCAR BOTTO

Le religioni orientali

TESTI RELIGIOSI EGIZI A CURA DI SERGIO DONADONI

UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE

© De Agostini Libri S.p.A. - Novara 2013 UTET www.utetlibri.it www.deagostini.it ISBN: 978-88-418-9260-2 Prima edizione eBook: Marzo 2013 © 1970 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello, 28 - 10125 Torino. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dall’Editore. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org. La casa editrice resta a disposizione per ogni eventuale adempimento riguardante i diritti d’autore degli apparati critici, introduzione e traduzione del testo qui riprodotto.

PREFAZIONE Raccolte di testi religiosi egiziani tradotti in lingue di maggior diffusione che non quella originale non mancano: basti ricordare quella del Roeder, che ancor oggi costituisce uno strumento utilissimo di lavoro, e quella più agile del Kees, che, grazie a tagli intelligenti, mostra dei singoli passi come essi vadano messi a fuoco. Né dell’una né dell’altra raccolta questa che qui si presenta intende di prendere il posto: in certo modo aspira solo a completare un panorama della religione egiziana che su quelle si potrebbe formare, e ad arricchirlo di qualche scorcio, di qualche chiaroscuro più mosso. Ho insistito perciò a ragion veduta su testi che indichino cosa sia stata la religione non ufficiale, come essa si sia adeguata alla vita ed alla coscienza del popolo — e come d’altro canto la religione abbia determinato tutto un complesso di attività pratiche (economiche, amministrative, politiche) dalle quali non è possibile prescindere. Questi elementi ho cercato di mettere in mostra; e ho sottolineato anche i tratti di quel periodo della religione egiziana che (per essere venuta la civiltà indigena a contatto con quella di popolazioni straniere, e per avere da queste altre popolazioni mutuato in taluni casi la lingua di espressione) ha di regola meno interessato gli storici dell’una o dell’altra civiltà. Questo filo conduttore che è stato tenuto presente durante tutto il lavoro e che quasi ne è stato l’elemento determinante, non è stato comunque così conseguentemente sviluppato da non permettere a ogni momento la inclusione di testi religiosi già facilmente reperibili altrove, o comunque testimonianza della più canonica tradizione storico-religiosa relativa all’Egitto. Una antologia puramente suppletoria avrebbe avuto un tono assai più tecnico di quanto questa non intendesse avere, e in più di un lettore avrebbe creato — in pratica — una immagine singolarmente falsa della religione egiziana. Così si è giunti a una soluzione di compromesso, che guarda più a uno speciale colorito generale che a una rigida discriminazione. Chi leggerà le pagine seguenti avrà, alla fine, una idea abbastanza larga e precisa di cosa sia stata la religione dell’Egitto antico; solo sentita più nei suoi aspetti mondani (nei due poli della pietà da una parte, dell’organizzazione pratica dall’altra) che non nelle sue formulazioni teologiche e dottrinarie. E questa mi sembra che sia posizione legittima. Debbo però, subito, mettere in guardia il lettore troppo fiducioso, e con

una ampia confessione scaricarmi della responsabilità di errori in cui egli potrebbe forse facilmente cadere per colpa mia. Sarà prudente che nessuna illazione sul terreno della storia generale delle religioni egli tragga da specifici passi senza averli controllati e rivalutati nel testo originario egiziano. È per me una dolorosa e frequente constatazione vedere quanto spesso l’opera di valentissimi studiosi di cose egiziane sia traviata nell’uso che gli specialisti di altre discipline ne fanno senza prima aver ristudiato il punto di partenza. L’equilibrio originario vien spezzato, la frase che per l’uno era neutra diviene fondamentale per l’altro, e l’edificio si alza su fondamenta che son prive di controllo. La perizia del costruttore si rivela nella perfetta logicità della sua costruzione, cui non c’è da obbiettar nulla: eccetto che il materiale posto in opera senza una valutazione precisa della sua resistenza. Quali siano i vizi, le crepe nascoste, si deve poter immaginare facilmente. Il testo egiziano è spesso tale che la traduzione può esserne approssimativa: mancando una divisione di parole, di frasi, di versetti, bisogna che si costituisca una tradizione esegetica che ancora in molti casi non c’è. Ci son poi le difficoltà di una lingua la cui grammatica, la cui sintassi, il cui stesso lessico sono ancora in via di progressiva scoperta. E, su questo fondo, ci son le necessità di una «traduzione» che in taluni casi deve profondamente alterare la struttura egiziana della frase se vuol costruire una frase possibile in una lingua moderna (si pensi al semplice fatto che in egiziano di regola la frase subordinata non è legata alla principale da nessuna particella o temporale, o causale, o finale). La controprova normale della verisimiglianza di una traduzione consiste nel fatto che, una volta che si sia tenuto fede alle norme linguistiche, si ottenga un senso opportuno ed organico. In molti testi religiosi tale elemento di verifica manca, perché le frasi hanno la loro giustificazione in un ambiente mitologico o rituale che a noi è sconosciuto. (Si pensi a cosa sarebbero molti passi dell’Apocalisse senza un commento che ne ancorasse il senso a specifici momenti del pensiero cristiano primitivo). Tale difficoltà interpretativa non ha mancato di agire già in antico, e testi di tale genere sono stati presto corrotti; cosicché oggi per noi è spesso in pratica impossibile sceverare quella lezione vera su cui potremmo, se non altro, speculare circa il significato originale. A questa situazione di base si aggiungono quelli che sono normali difetti di traduzione. Lasciamo pur da parte gli errori e le sviste, che spero sian

ridotti al minimo, ma che certo ci saranno. Ma avverrà anche — e non è possibile che sia altrimenti, finché non sia meglio chiarito il valore del lessico egiziano — che la stessa parola italiana renda due o più sinonimi egiziani, o viceversa; che la divisione in versetti (o, più genericamente, la punteggiatura) sia arbitraria. Lo stile in taluni casi risente troppo del modello egiziano, in altri casi se ne allontana troppo: ci sarebbe voluta, in certo modo, l’energia con la quale la Bibbia è stata tradotta volta a volta da traduttori che son riusciti a costruire una speciale lingua la quale, nell’ambito della loro, riecheggiasse le cadenze di quella originale, e imponesse con la originaria autorità le frasi che nelle lingue delle traduzioni eran curiose, o assurde, o goffe, e che da allora han saputo anche in quelle acquistare una loro cittadinanza piena. Perché avvengano miracoli di questo genere bisogna, forse, aver più fede nella divinità della lettera di quel che si traduce; oltre che essere più ricchi scrittori di quanto io non sia. Io non intendo che di fornire un testo il più comprensibile ed il più fedele possibile; in un caso in cui i due aggettivi sono, purtroppo, spesso in opposizione l’uno con l’altro. Per la fedeltà, ho tenuto sempre presenti altre traduzioni, ove ve ne fossero: non si può impunemente trascurare l’opera esegetica altrui. Ma non mi sono sentito obbligato a giustificare né quando accettassi le interpretazioni d’altri, né quando me ne scostassi. Per la comprensibilità, ho adottato un sistema di trascrizione dei nomi e delle parole egiziane che fosse il più semplice e il più universale possibile, anche là dove scientificamente si potrebbe far di più1; e soprattutto ho abbondato in molte note molto elementari, che spesso ripetono il già detto (ogni testo deve in genere poter essere letto indipendentemente dagli altri), e che non intendono sfoggiar dottrina ma solo fornire al momento opportuno, se possibile, la notizia che rischiari l’intelligenza del passo. Se per alcuni dei testi qui riportati ci sarà chi vorrà dire quel che fu detto quando Anquetil Duperron presentò l’Avesta (che «se Zoroastro non aveva senso comune bisognava lasciarlo nell’oscurità»), io dovrei fare un lungo discorso di risposta. Ma di molti altri testi, eco fedele di un sentimento religioso e di un’ansia morale che possiamo ancora perfettamente capire, credo che anche chi non abbia interessi di tecnicismo specializzato potrà sentire la viva umanità. 1. Ragioni tipografiche han determinato allontanamenti dalle consuete trascrizioni. Con un apice su

d, t si indica ciò che in genere è il d e il t con un tratto sotto; con un apice su s si indica lo scin; con uno su g il suono schiacciato (g semplice è perciò sempre duro). Le quattro aspirate dell’egiziano son rese con h, h´, h, h´ se in traslitterazione; se in trascrizione, le prime due sone h, le seconde due kh.

INTRODUZIONE

La lunga civiltà egiziana, per tutta la sua durata, sente come componente vitale l’esperienza religiosa. Si potrebbe scriverne una storia usando proprio tale esperienza come parametro — e anzi, il saggio di una simile impresa che ha dato il Breasted costituisce uno dei più belli e congeniali contributi moderni alla comprensione dell’Egitto antico. La raccolta di testi che segue dovrebbe servire a rendere conto di questo peso della religione nella storia della Valle del Nilo, del suo offrirsi come interpretazione del mondo, come paradigma di esperienza morale, come strumento di esperienze sociali anche pratiche. Una raccolta più ampia dovrebbe riuscire a esprimere da sola quel che questi testi possono dire: ma se non si vuole estenderla oltre il limite pratico e se la si vuol rendere facilmente ed utilmente adoperabile da un lettore di normale e non specializzata cultura, alcune delle realtà implicite potranno esser sommariamente tratteggiate come preliminari, in un non ambizioso discorso, che il lettore più sapiente potrà senza scrupolo omettere: non gliene verrà nessun danno. *** La massa dei testi pervenuti permette in verità almeno due grandi possibilità di investigazione. Una, più attenta al valore universale di ogni parola umana, che si sforza di capire cosa voglia dire, in una traduzione non formale ma sostanziale, ogni concezione religiosa. In questi ultimi anni, così come agli inizi dell’egittologia, questo atteggiamento ha dato opere notevoli ed ha attratto studiosi di ferma preparazione e di vivace formazione culturale (basti pensare a uno Spiegel, a un Morenz o a un Drioton, un Daumas). Per costoro è evidente il fatto che una componente di tale peso di una cultura così ricca e «perfetta» come quella egiziana non può essere trascurata nella comprensione più reale se la si vuole inserire in un contesto di cui faccia parte non come curiosità estranea ma come fatto di base. Che cosa sia dio, come agisca nella natura, in che rapporto sia con l’uomo (e l’uomo con lui), in qual modo si regga l’armonia del cosmo nella dialettica della nascita e della morte, della fraternità e della lotta, e così via, sono domande che hanno un senso ben più ampio delle risposte che lo sottendono. A tali domande non formulate bisogna risalire, dunque, ogni volta che si vuol cogliere la vitalità delle soluzioni offerte, le quali non contano perciò altro che come prova e spia di un senso universale in cui le fedi e le angosce antiche possono essere credute e sofferte anche da noi. Da una parte la fondamentale ineffabilità della

esperienza del divino fa sì che un tentativo di espressione non sia in sé né migliore né peggiore di un altro, e solo più adatto a un certo ambiente — dall’altra parte sembrerebbe questo un caso di quella perpetua contemporaneità della storia che è la condizione stessa per intenderla. C’è da aggiungere che questo atteggiamento è esploso con tanta più autorevolezza e violenza quanto più le precedenti analisi di storia della religione egiziana si erano esercitate in una catalogazione di fatti, di concezioni priva di simpatia. L’eredità positivistica è durata assai più a lungo che altrove in campi dove la preparazione tecnica assorbe tanta parte dell’interesse dello studioso. La religione egiziana di un Erman, mirabile conoscitore di testi e di fatti, linguista e filologo sicuro e geniale, è la raccolta di una ricchissima serie di testimonianze guardata dal loro raccoglitore con un misto di curiosità e di raccapriccio intellettuale. Un libro prezioso, ma che all’esperienza religiosa è negato. E così le tante e così genialmente dotte indagini di un Sethe sulla religione primitiva dell’Egitto sono assai più attente a spremere dai testi succhi di storia politica che non a intenderli come elementi di vita religiosa. *** Tuttavia noi non ci metteremo qui su questa via di «traduzione» integrale della cultura religiosa egiziana in terminologia, e nemmeno in problematica, nostra, e per vari motivi, fra i quali il più importante mi sembra la non ripetibilità delle cose umane. Tanto è facile riportare a uno schema universale i casi singoli, tanto ciò è inutile per sentirne la realtà, che non consta altro che di casi singoli appunto. Il successivo porsi di problemi che possono apparire sempre identici è giustificato dal fatto che le risposte che si danno sono sempre diverse, anche quando possono suonare con le stesse parole; ed è solo nelle risposte, condizionate dal linguaggio, dalla cultura, dall’ambiente, dalle esigenze pratiche o sentimentali o teoretiche, che sta la storia. Una volta che si sia capita la fondamentale validità di una esperienza che sottintende la nostra stessa esigenza, non conviene insistere su questa consonanza che falsifica noi e l’oggetto delle nostre ricerche, ma piuttosto sulle puntuali caratteristiche delle risposte antiche. Così si ha come legittimo il quadro delle diverse soluzioni che sono state date, e non avviene di chiudere entro l’unico seme della intuizione iniziale il successivo vivere dell’organismo che ne deriva. Gli studiosi di varie tendenze che ci è avvenuto di nominare e altri numerosi di cui non abbiamo fatto il nome anche se non sono meno importanti, hanno meriti vari, ed è dal

reagire della impostazione degli uni su quella data dagli altri che le nostre cognizioni sono divenute esperienza della religione egiziana. Su queste quattro parole si imposta tutta la problematica. Qui, quella che noi sottolineeremo sarà l’ultima. E cioè cercheremo di mettere in evidenza soprattutto quel che è egiziano, in modo che i testi seguenti parlino, proprio perché meglio compresi nel loro significato particolare, il loro linguaggio universale. *** Cosa sia «dio» in Egitto non è facile dire. Anche la parola con la quale egli si chiama, nt’r, è di assai dubbia etimologia, cosicché non possiamo accostarci alla sua natura per questa rischiosa via. E, subito, c’è da chiedersi: «dio» unico, o «dio», singolare di «dèi»? È questo un problema dibattuto fin dalla più antica egittologia, e che si è rifatto vivo e vitale, quando, nella prospettiva dell’«Urmonotheismus» del padre Schmiedt, si è riesaminata l’impostazione dei dati egiziani a opera — poniamo — di uno studioso così lucido e così originale come lo Junker. Tuttavia, di questo monoteismo originario che sottenderebbe il politeismo (il quale sarebbe solo apparente) dell’età storica non mi sembra che si sian date inoppugnabili prove. Il «dio» cui si approda è quel che noi diremmo «la divinità» — con quanto ha di astratto e speculativo una tale parola, in contrapposto proprio con la esperienza religiosa calda. Che lo specular su «dio» finisca con il constatarne la unicità come necessaria alla sua natura è un punto di arrivo e non di partenza; e nei testi egiziani vi si arriva. Ma in quelli più antichi si ha a che fare con persone divine, e se il termine è usato genericamente, è un astratto non diverso da quel che si ha quando si dice «l’uomo» (che difatti a «dio» è talvolta contrapposto proprio in testi egiziani). In altre parole, la potenziale «unicità» del dio egiziano è venuta scoprendosi in concreto attraverso il travaglio della speculazione nei millennii. Intuita certo assai presto, raggiunta davvero in una limpida concezione forse mai. Dèi dunque, nella realtà delle concezioni. Più che per la loro natura, questi dèi sono riconoscibili per le loro funzioni. Il mondo divino rappresenta il punto di appoggio dell’esperienza non appena se ne voglia indagare la struttura. Che il mondo ci sia, che esso abbia determinate regole e determinata natura, che esso sussista, che vi si formi la società umana, e così via è da una parte un dato di fatto, ma dall’altra è oggetto di domande alle quali la risposta vien data con lo scaricare su un altro piano la realtà empirica, e riducendola così ad antefatto di se stessa — si potrebbe dire. Nel mondo degli dèi si giustifica, così, tanto il

mondo della natura che quello della storia. Ed è notevole come lentamente si vada modificando il contenuto della garanzia divina del reale mano a mano che al reale stesso la cultura laica riesce a dare una spiegazione razionale. La lettura dei «Testi delle Piramidi» qui tradotti basta per vedere con che calore si trasferisca sul piano mitologico qualsiasi esperienza di vita. In questa stessa raccolta i testi sapienziali tardi mostrano che a dio resta, alla fine, la responsabilità solo dei perché ultimi: è creatore, è provveditore, è principio di vita morale. Non interviene più impetuosamente in ogni momento, ma avvia i processi che si svolgono per conto loro. Ed è giusto che in tale concezione divenga anche realmente dio unico, in quanto «inconoscibile» causa prima. In questo arco fra la continua presenza di un dio garante della realtà dei singoli fatti e la inconoscibilità di un motore ultimo è la più profonda storia della religione egiziana, che affina le sue intuizioni originarie secondo cui ogni reale deve essere giustificabile col riportarlo a un piano diverso dall’empiria. Il fatto che i reali sono infiniti, rende praticamente infiniti gli interventi divini nel creato. E la lista degli dèi egiziani è in realtà lunghissima, anche se essi costituiscono un complesso assai poco rigido, con continue possibilità di aggiunte e con abbandoni di divinità che van perdendo di interesse. Per comodo di identificazione, si sogliono dividere questi dèi fra divinità locali e divinità universali, anche se i confini divisori dei due gruppi siano estremamente labili. L’Egitto storico è un «regno unito» formato da due elementi geografici ben distinti anche amministrativamente, la Valle e il Delta. Queste due grandi unità si suddividono a loro volta in una ventina di province ciascuna, i cosiddetti nômi, ognuno dei quali si incentra in una «metropoli» (per adoperare il termine della amministrazione tolemaica) che è sede di un dio, indicato come suo signore o padrone che si voglia tradurre. Questi «dèi cittadini», come son chiamati in egiziano, rappresentano la realtà cultuale più valida, e forse l’impalcatura del pantheon egiziano. I principalissimi possono essere indicati anche in un profilo sommario come questo. Scendendo dal Sud estremo verso il Nord troviamo a Elefantina (alla Cateratta) un dio criocefalo, Khnum, di cui si dice che crei l’umanità al tornio da vasaio, con due compagne, Satet e Anuqet, dalle tipiche corone. Poco più a Nord, a Edfu, il dio è solare: è rappresentato come un disco solare alato e come un falco, e si chiama Horo, come molti altri dèi falchi. A el Kab, che è stata la capitale sacra del regno preistorico d’Alto Egitto, la città è composta di due centri gemellati

di uno dei quali è patrona la dea dinastica Nekhbet, in forma di avvoltoio, dell’altra Horo in forma di falco. Nella Tebaide il dio più antico è Monthu, battagliero falco; ma a Tebe si venera Ammone, divinità di complesse origini, e forse assai vicina a quella che è venerata poco più a Nord, a Coptos, dove regna Min, itifallico dio della generazione che solleva con la destra un flagello e porta due alte penne sul capo. A Dendera è signora Hathor, dea celeste il cui nome vuol dire «Casa di Horo» e che è spesso rappresentata come giovenca o con attributi di giovenca. Ad Abido il dio indigeno è un Khenty Amentyu «Colui che presiede agli Occidentali», dio funerario di aspetto canino, che sarà presto sostituito da Osiri. Ad Akhmin c’è una seconda forma di Min, a Siut c’è un dio Up-uauet «colui che apre le strade» di connotazioni regali e di aspetto canino. A Ermopoli regna Thot, che i Greci chiamano Hermes, e che è il dio della luna, della scrittura, del sapere, rappresentato come ibis e come babbuino. A Eracleopoli è patrono Harsafe «Colui che è sul suo lago», dio ariete creatore; nel Fayyum impera Sobk coccodrillo. Nel basso Egitto (Delta) la disposizione delle province non è così a catena come nella Valle. A Menfi il dio è Ptah, antropomorfo, o meglio raffigurato come statua arcaica con gambe e piedi non staccati dal corpo, che è dio creatore e patrono degli artigiani. Con lui c’è Ta-tenen «la Terra sollevata» (con allusione all’emersione della terra dall’inondazione e del tumulo primordiale del caos liquido), e Sekhmet, «la Possente», una dea leonessa. Il suo figlio è Nefertum, un dio bambino, o forse all’origine un dio fiore. A Eliopoli, che sarà il centro del culto di Ra, il dio originario è Atum, cui è sacro il millepiedi e l’icneumone. A Letopoli c’è un Horo, veggente e cieco, detto «dai due occhi» (Horkhenty-irty); a Sais la dea è Neit, la sola creatrice femminile della mitologia egiziana, rappresentata da due frecce incrociate. A Buto, che è la capitale predinastica e il centro araldico del Basso Egitto, la dea è Uto, con aspetto di serpente come l’ureo regale. A Busiri c’è un dio dagli attributi pastorali (il bastone curvo e il flagello) con due penne sul capo: si chiama And’ty, e sarà poi sostituito da Osiri di cui sembra il prototipo. La non lontana Behbet ha come dea Isi (il «trono»). Thot riappare in una Hermopolis Minor, e Mendes ha un dio ariete (l’«Anima signora di Mendes») e una dea delfino. A Bubasti c’è la dea Bastet gatta. A Saft el Hennah, al confine con il mondo asiatico, comanda Sopdu, il dio falco con caratteri orientali nel costume.

Questo sommario elenco potrebbe naturalmente essere assai ampliato. Ma anche in questa forma essenziale appare il fatto che certe divinità si ripresentino in vari luoghi con lo stesso nome, il che dà loro immediatamente un respiro maggiore. E spesso a una indagine più precisa appare che c’è stato in antico un trasferirsi e un soppiantarsi di dèi, che mostra il carattere dinamico anche di questa teologia geografica, la sua funzionalità rispetto a una storia che molto spesso non conosciamo che per intuizioni. L’altra cosa da notare è che queste divinità han personalità assai complesse, al di fuori del fatto che sono localizzate. Hathor, ad esempio, oltre che essere la dea di Dendera, ha una funzione mitica che la lega al cielo, ma è patrona dell’amore e delle feste, è dea funeraria, è certo legata alla figura del sovrano. Min è anzitutto dio generatore, ma è anche patrono del deserto. E così via. La tipizzazione delle singole divinità diviene quasi impossibile se appena si riuniscono tutti i dati che si riferiscono loro. Contraddittorie appaiono perfino le più modeste, non appena abbiamo fonti a sufficienza per tentarne un profilo. Questo non è certo un fatto tipico per il politeismo egiziano, ed è anzi una condizione della sua validità e della sua disponibilità all’esperienza del mito. Un altro punto che non sarà sfuggito, è la frequenza con la quale dei singoli dèi si è ricordato che aspetto abbiano, e come esso sia spesso ferino. L’aspetto animalesco è fra le più vistose caratteristiche degli dèi egiziani, ed antico oggetto di scandalo e di incertezza. È ovvio che si sia cercato, in epoca moderna, di vedervi una chiara espressione totemistica. Escluderlo sarebbe difficile, specialmente considerando quanto vari tipi di cultura posson passar sotto tale definizione; ma è assai più difficile sostenerlo con fermezza, poiché nella società egiziana mancano nel modo più radicale quelle implicazioni di gruppi tribali e di rapporti fra tali gruppi che al totemismo danno senso. La società egiziana conosce una famiglia estremamente leggera come struttura, e priva addirittura di una terminologia che vada oltre i legami più elementarmente ovvii: padre, madre, fratello, sorella, figlio, figlia. La «tribù» è qualcosa che gli Egiziani riconoscono fra i barbari, ma non nel seno del loro mondo. La gente è identificabile dalle città in cui abita, non dal ceppo da cui proviene. In una società così poco interessata a calibrare i rapporti secondo cui debbono avvenire le nozze e a identificare i gruppi di consanguinei, parlare di totemismo non ha senso. D’altronde è stato notato che i nomi degli dèi egiziani spesso sono connesi

con i nomi degli animali che li rappresentano: Anubi è connesso con una parola per «cucciolo», Khnum con una per «ariete», Horo con una per «falco», e così via. Ma in ogni caso sembra che si sia piuttosto in presenza di un aggettivo che di un sostantivo. Non dunque Anubi = «cane», ma «canino», cioè «a forma, con natura di cane». È probabile che qui sia il punto: la rappresentazione animalesca è solo una metafora, per così dire, con la quale si indica un appellativo che deve servire a far capire certe qualità del dio. Così, in uno dei testi qui tradotti, la stessa dea è definita come avvoltoio e come giovenca a seconda delle necessità «metaforiche» che si presentano al redattore dell’invocazione. Le stesse rappresentazioni miste, in cui gli dèi appaiono con corpo umano e capo ferino, rafforzano questa ipotesi: è un modo di sottolineare che non si tratta di animali, ma di esseri «paragonati» ad animali, così come la sfinge rappresenta il leone in quanto personificazione della forza del re, e di cui perciò si illustra il carattere simbolico attraverso la mescolanza delle due nature in una sola immagine. Questo spiega anche perché spesso aspetto ferino abbiano anche quelle divinità che non sono connesse con un centro specifico, ma rispecchiano le esigenze universalistiche della monarchia accentrata da una parte e della speculazione cosmogonica dall’altra. La più importante fra queste è certo il dio del sole, Ra, che è anch’esso spesso raffigurato come ieracocefalo. Ma un’altra categoria assai particolare di divinità va anche presa in considerazione: quella delle divinità che si possono toccare e vedere, concretamente presenti nel mondo. Un certo numero di oggetti sono impregnati di divino: vari «pilastri» (il d’ed, che dà nome a varie città), vari scettri (il sekhem, lo was), una pietra a Eliopoli (il benben) e così via. Sono oggetti che han tutti come nome una designazione perifrastica (il «duraturo», d’ed; il «possente», sekhem; il «florido» was) come se non se ne volesse ricordare l’ineffabile nome proprio (così come della dea della peste, Sekhmet, il nome è «la Possente», con evidente perifrasi di cautela). Ma vi sono anche altri oggetti di culto concreti, e cioè gli animali sacri nei quali, secondo gli Egiziani, singoli dèi si incorporano così come possono incorporarsi nelle statue di culto; e — in questa categoria di elementi arcaici e tutto sommato secondari del pantheon egiziano — particolare importanza ha quell’essere in cui si impersona il dio sovrano per eccellenza, Horo, e che è il re. La divinità del faraone parte da questo presupposto, che il re faccia

concretamente presente nel mondo quella mitologica figura, o le due dee dinastiche, Nekhbet e Uto, di cui si è già detto. Sarà solo più tardi che il re sarà divino perché «figlio» di un dio, del dio universale Ra, il cui fiorire ed affermarsi è per l’appunto connesso con il fiorire ed affermarsi del concetto di sovranità universale del re. *** E qui, con questo concetto di filiazione, entriamo in un’altra immagine di questo mondo divino. L’atomismo delle divinità quali le abbiamo elencate fin qui le lascia ognuna valida per conto suo, entro la sfera della zona di culto, geografico o personale che esso sia. Ma una civiltà organizzata con una base territoriale così ampia come quella egiziana non può mantenere questa potenziale anarchia religiosa, a costituire un elemento incongruo proprio in un settore vitale. Gli dèi entrano in relazione stretta e frequente fra loro per varie vie. Prima di tutto nei sistemi teologici, poi nel mito. Fra i due concetti può esservi una certa parentela, anche se i punti ultimi di arrivo sono assai lontani. I sistemi teologici scalano, in un tempo che parte dalle origini del mondo, una serie di divinità, le quali spesso han la sola funzione di ritmare e scandire la storia della creazione. La più semplice formulazione di questa visione dinamica è quella che è anche la più diffusa, e che vuole che ad ogni dio si affianchi un coniuge e un figlio. Si hanno così delle triadi che integrano con la loro organicità le figure assolute e ferme degli dèi cittadini. Hathor a Dendera è la signora — ma ha sposo Horo e figlio Ihy. E così via. Questo permette già di legare fra di loro varie divinità, spesso con un criterio di vicinanza territoriale delle loro sedi di culto. Ma altri e più ambiziosi sistemi escono da questa esigenza. Fra questi, particolarmente notevoli quello dell’Enneade e quello dell’Ogdoade. Eliopolitano il primo, che narra come da Ra Atum nasca per una generazione che non ha bisogno di madre una prima coppia, S’u e Tefnut, da cui ne nasce una seconda di Geb (la terra) e Nut (il cielo), da cui nascono altri quattro dèi di complessa mitologia, Osiri, Isi, Seth e Nefti. A Ermopoli invece l’Ogdoade è la serie di quattro divinità caotiche rispettivamente maschili e femminili, che precedono il nostro mondo e da cui il nostro mondo sorge, come la terra sorge dall’acqua dell’inondazione pronta a nuova vita. Questo modello intellettuale non ha molte possibilità di imitazione. L’Enneade invece è un paradigma che ha molte copie, e vari centri religiosi egiziani hanno una loro enneade, che non è detto sia sempre di nove

dèi: «nove» è un termine generico di «plurale di plurale», un modo arcaico di designare la totalità. Più che non da queste speculazioni teologiche, gli dèi sono riuniti dalle vicende del mito. Un testo come quello relativo alle avventure di Horo e Seth mostra quale aspetto arcaico abbia la mitologia egiziana, e come il fervore di immaginazioni autosufficienti sia capace di germinare ciascuna una serie di interpretazioni successive. Ma in realtà della mitologia egiziana non sappiamo molto di più di quanto ci dicano allusioni tenui; e perfino il mito più importante, quello connesso con Osiri e Seth e con Horo e Seth, ci è noto in forma organica solo dalla tradizione greca di Plutarco. In ambedue questi miti, inestricabilmente e contradditoriamente confusi, c’è il perno comune di una lotta fra fratelli, che lottano proprio perché tali, in una perpetua distruzione e riconciliazione reciproca. Nel mito di Osiri si aggiunge lo schema del dio che soffre la passione, e che attraverso la sua passione si invera; che muore e rinasce e che con sé sa portare al rinnovamento di vita chi con lui si identifica. Le implicazioni regali di questo mito sono molteplici, e prima di divenire un dio salutare universale, Osiri è stato solo il sovrano morto, in confronto del sovrano vivo, che è Horo. In questi quadri mitologici, gli dei assumono volta a volta caratteri diversi, ma escono dalla staticità della semplice affermazione di una esistenza. Tuttavia, i legami fra le varie figure divine si san saldare in Egitto in un modo assai più delicato ed intellettualmente complesso, attraverso l’esperienza sincretistica. Lo speculare sulla natura e le funzioni degli dèi ha fatto sì che presto di alcune divinità si sentisse la fondamentale identità. L’una si è riconosciuta nell’altra, o meglio si è constatato che l’una si è «impersonata» nell’altra: così come un dio può impersonarsi in una statua, in un animale sacro, in un uomo (il re), così egli può anche impersonarsi in un altro dio. Questa specie di «ossessione» permette alla speculazione di compiere ampi passi verso il monoteismo senza abbandonare le formulazioni politeistiche, e permette di saldare in complesse figure divine (Ptah-Soker-Osiri; Ra-KhepreAtum-Harakhte) divinità assai lontane originariamente. Isi, che nella tradizione tardiva è myrionymos, è l’esempio definitivo di questa capacità delle divinità egiziane di combaciare l’una coll’altra all’infinito. *** Comunque, più che nella mitologia, il vero modo che gli dèi hanno di farsi elementi del mondo della storia sta nell’offrirsi al culto. È così che essi

prendono contatto con la società umana e con gli uomini singoli, così si fan moventi o giudici della attività umana. Ed è proprio nella storia di questi rapporti fra mondo e sopramondo che si coglie più efficacemente la qualità delle successive impostazioni religiose degli Egiziani. Tipico luogo di culto è in Egitto il tempio: in conformità col carattere fondamentalmente cittadino del dio, il luogo dove se ne celebra l’esistenza non è sacro di per sé (come potrebbero essere in altri ambienti le vette dei monti, i boschi o così via) ma lo diviene da che vi si è preparato l’ambiente perché il dio possa risiedervi come un principe nel suo palazzo. E il servizio divino è in gran parte analogo al servizio principesco. In taluni particolari templi si possono incontrare tuttavia elementi rituali singolari, tracce di più antiche concezioni. E tali che in alcuni casi sono all’origine di particolari miti (così, nella storia di Horo e Seth, la narrazione relativa all’interdetto dell’oro nel culto di Anty). Ma la monarchia accentrata menfita ha molto energicamente affrontato il problema dei culti, e già da quando noi abbiamo resti archeologici di edifici templari, ci rendiamo conto della loro fondamentale analogia per tutto il paese. Vuole la finzione giuridica che solo il re, divino di natura, possa accostarsi agli dèi, come unico celebrante per tutti i templi di tutto l’Egitto. In realtà nei santuari c’è una ricca presenza di sacerdoti divisi in varie classi, e retribuiti per la loro funzione in modo analogo a quel che succede negli altri rami dell’amministrazione dello stato. Per queste esigenze il tempio viene presto dotato di particolari fondazioni che finiscono col renderlo a un certo momento relativamente autonomo ed indipendente dall’amministrazione civile. Tuttavia, la tensione fra tempio e stato può apparire, ad occhi moderni, assai più pesante di quanto in verità non risulti a un esame preciso della situazione. Quel che è più interessante è il notare che per l’età più antica si ha l’impressione che i rapporti fra i singoli ed il dio non siano per nulla immediati, ma che essi avvengano attraverso la mediazione, per così dire, della società. Nelle tombe mancano scene religiose, e le preghiere non riguardano mai i privati. Agli dèi si rivolgono elenchi di titoli e ricordi delle loro qualità, ma non si chiede nulla, non ci si abbandona mai. La possibilità di pregare, il rapporto diretto, la pietà individuale, la fiducia e l’abbandono sono conquiste lente e dure, e presuppongono l’aver saputo raggiungere una funzione relativamente autonoma da parte di quelle classi inferiori che si affacciano

come pienamente qualificate solo col regno nuovo. Nell’età precedente i rapporti con il mondo divino avvengono per i privati attraverso le vie torbide e prepotenti della magia, alla quale spetta comunque il merito di aver riconosciuto il diritto del singolo a trattare con le forze che regolano il mondo. La storia del culto, mostrando da una parte la quasi inalterabilità di quello ufficiale e dall’altra il continuo nascere di nuove forme e di nuovi interessi in quello popolare è un reagente efficacissimo alla comprensione dei fatti della storia sociale dell’Egitto. Ad esempio, i culti popolari della colonia operaia dei cavatori delle tombe regali di Tebe a Der el Medina ci fan vedere un progressivo conquistare, attraverso forme cultuali collegiali riserbate agli operai, di autonomie anche amministrative. Il rimettersi agli oracoli amministrati dagli operai permette di sfuggire alla giustizia dello stato, il confidare alla divinità le proprie colpe e i propri dolori esautora le organizzazioni assistenziali ufficiali. I piccoli dèi, così cari al popolo minuto dell’epoca tarda, nascono da questa sua capacità di staccarsi dagli interessi della classe dirigente, di non sentirsene più una appendice senza particolari caratteristiche. Come esperienza cultuale d’altro canto si configurano i delicati rapporti fra la monarchia e il paese. Non tanto per gli atti di culto di cui il re è il soggetto ufficiale (l’«Unione delle Due Terre», la «Festa Sed», ecc.) quanto per il fatto che attraverso le fondazioni o il rinnovamento di fondazioni o le costruzioni dei templi, il re tratta con l’ambiente sacerdotale, con la nomina di certe persone a certi incarichi templari il re condiziona certe attività, o addirittura, con l’offrire se stesso o le sue immagini come oggetto di culto alla massa della popolazione il re rinsangua il concetto un po’ astratto della propria natura divina. Perfino una politica di lavori pubblici o di spese pubbliche può prendere facilmente l’aspetto di un intervento cultuale; e come un fatto cultuale arriva a configurarsi in gran parte perfino la più grossa riforma religiosa dell’Egitto antico, quella di Amenofi IV Ekhnaton. Ogni volta che la religione entra nella realtà mondana, insomma, si testimonia come (positivo o negativo) atto di culto. È per questo che, nelle pagine che seguono, alle testimoniaze del culto abbiamo dato più spazio di quanto non si abbia l’abitudine di fare. *** Una particolare categoria di testi, assai abbondantemente esemplificata, è

quella relativa alle idee circa la sopravvivenza. Fra i popoli antichi l’Egiziano è quello che con più perseverante e ferma fantasia ha speculato sull’Aldilà. In un atteggiamento dialettico, che alla cultura egiziana è connaturato, se la vita è l’antefatto della morte, la morte deve essere l’antefatto di una vita. Non perciò il vago e diafano regno delle ombre, come per i popoli semitici o per i Greci, ma un mondo pieno e valido, in cui l’istinto pone paure e angosce, ma la ragione ottimisticamente favorisce un potenziamento della vita terrena. Fra questi due poli — l’uno di istintivo terrore che deve essere esorcizzato, l’altro di una ricostruzione su un piano più alto ed eterno della esperienza mondana — si muove l’escatologia egiziana. Già dall’età predinastica i cimiteri, con il tener fede a certe regole nelle deposizioni, mostrano l’esistenza di un rito funebre: e con la regolarità della deposizione delle offerte e dell’orientamento dei corpi fanno intuire una specifica fede nella continuazione della vita secondo certi princìpi. Testi religiosi più tardi che alludono proprio a queste regole arcaiche di seppellimento possono forse essere stati formulati in questo tempo. In essi è il figlio che si rivolge al padre morto, evocandolo, e prendendo su di sé l’incarico di provvedere alle offerte che garantiscono la sopravvivenza. Questo rapporto figlio-padre assume un colorito mitologico preciso nel rapporto Horo-Osiri, che noi conosciamo già dai testi più antichi. Ma tale rapporto è, insieme, innegabilmente colorato di colori regali: Horo è il re vivo, Osiri il prototipo del re morto. E in verità le più antiche sillogi di testi funerari che noi abbiamo derivano dalle tombe regali, e sono connessi con un seppellimento e con sopravvivenze assai particolari. Non è qui il caso di parlare di questi «Testi delle Piramidi» di cui una abbondante scelta appare nelle pagine seguenti, e di cui si parla anche nella introduzione che le precede. Solo è da tener presente che il fatto che a favore dei sovrani si sia escogitato un complesso rituale avrà il suo peso importante nella storia delle concezioni funerarie egiziane. Testi che servono a garantire l’offerta, testi che servono a commentare e a rendere operanti i singoli gesti del rituale funerario, testi che «descrivono» l’Aldilà fornendo al re morto un modello di comportamento per le varie situazioni in cui nell’altro mondo possa trovarsi impegnato coprono di già in potenza l’intera area della letteratura funeraria seguente, che ne appare in certo modo condizionata. Ma insieme, la necessità di adoperare un così ricco materiale anche da parte di chi non ebbe funzioni regali, in quel processo che è stato chiamato la democratizzazione

dell’Aldilà, ha finito per far sì che ogni morto divenga un «re», e si assimili, perciò, a Osiri. Quel che in età tarda avrà il valore di una assimilazione misterica fra l’iniziato e il suo dio è, al momento in cui il fenomeno si manifesta pienamente, una vera e propria accaparrazione di diritti regali da parte di persone finora escluse da un certo tipo di sopravvivenza. Anche le concezioni funerarie vanno, del resto, arricchendosi e modellandosi sulle esigenze della società dei vivi. L’aspetto rituale della vittoria sulla morte si complica presto di risonanze morali: il pieno raggiungimento della beatitudine postuma non spetta che a chi ha saputo prepararsela con le sue virtù terrene. I due mondi, al di qua e al di là della barriera della morte, sono legati non solo concettualmente, ma moralmente. Una intuizione logica di coincidenza degli opposti viene arricchita e inverata, nella civiltà egiziana più tarda, da una esperienza concreta del vivere specifico. E, in altri casi, l’aspetto mitologico è negato appieno: alle leggende o alle speranze si oppone la calma disperazione di chi non crede. Il legame fra vivi e morti ha anch’esso la sua testimonianza in quelle istituzioni che fan perno sulla tomba: il culto funerario dell’offerta giornaliera, garantito più che dalla tradizione familiare dalle fondazioni disposte a tale scopo sia dai sovrani che da privati, e talvolta una frequentazione dei sepolcri a carattere sentimentale e quasi magico che fa sì che i vivi si appellino ai morti che giudichino nei casi che oppongono i sopravvissuti. E c’è chi si aggira fra le tombe per esorcismi e negromanzie. *** La lettura dei testi che seguono non basterà certo a vedere in un tutto organico la religione egiziana — ammesso anche che ciò sia cosa possibile e vera. La lettura di qualcuno fra i manuali più diffusi permetterà di inquadrare meglio queste testimonianze così varie, e probabilmente darà a quella lettura una pienezza più concreta. Queste poche parole di introduzione non pretendono a tanto: vogliono solo fornire la chiave a chi voglia entrare nel castello; ma l’esplorazione resterà un fatto personale, ché questa non è certo una guida bastevole. Khartoum, marzo 1969.

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ABBREVIAZIONI MDIK: Urk: v.f.s.:

WB:

Mitteilungen des Deutschen Instituts für ägyptische Altertumskunde in Kairo. Urkunden des aegyptischen Altertums hrsg. von GEORG STEINDORFF. «vita, forza, salute», traduzione convenzionale di una formula augurale che segue il nome del sovrano o di quanto con il sovrano è connesso. Wörterbuch der Aegyptischen Sprache im Auftrage der Deutschen Akademien hrsg. von A. ERMAN und H. GRAPOW, 5 voll. di testo, 5 di Belegstelle e 1 di indici, Leipzig, 1926-53.

I

L’ETÀ PIÙ ANTICA

MITI, SPECULAZIONE, RITI 1. — DAI «TESTI DELLE PIRAMIDI» Le piramidi costituiscono il punto di arrivo dello sviluppo della tomba regale dell’antico regno. L’esempio più antico che sia datato con sicurezza è la «piramide a gradini» di Saqqarah, che risale alla terza dinastia, e che rappresenta la prima costruzione di mole colossale che ci abbia lasciato la civiltà egiziana antica. Così la forma a scala di questo esempio arcaico come la forma più chiaramente e regolarmente piramidale delle grandi costruzioni di Gizah della IV dinastia sono probabilmente da intendersi come forme di una «architettura parlante» che allude a miti o a feticci solari: il tumulo primordiale su cui il dio del sole si è manifestato all’inizio del mondo, la «scala» che ha analoga funzione, la pietra «benben» che a Eliopoli finirà con il dare origine all’obelisco — sempre terminato in un pyramidion — sono certo elementi che vengono richiamati alla memoria degli Egiziani dalla sola forma della piramide. L’abitudine protodinastica di sottolineare per le sue dimensioni e per il suo carattere le tombe dei re rispetto a quelle dei suoi cortigiani e dei suoi sudditi assume così un colorito particolare. Ma tutte queste tombe non portano iscrizioni di sorta. Anche le modeste piramidi che i sovrani della V dinastia si fecero costruire a Saqqarah sono prive di iscrizioni, eccetto che nel caso dell’ultimo re della casata, Onnos. Questi, per quanto sappiamo, ha inaugurato l’uso di scolpire nella camera sepolcrale — sulle pareti e sul sarcofago — una serie di testi religiosi che certo erano già in uso nel rituale funerario regale anche per i suoi predecessori, ma che finora erano stati soltanto recitati durante le cerimonie. L’uso fu seguito, e nelle piramidi dei re (e delle regine) più tardi, della VI dinastia, questi testi sono di nuovo scolpiti. Nei passi qui tradotti si troverà il nome di Onnos o quello di Teti o di Pepi a seconda del sovrano dalla cui tomba provengono le formule riportate. Con la fine della monarchia menfita, l’uso ufficiale di questi testi tende a scomparire. Singole parti possono passare nei «Testi dei Sarcofagi» e nel più tardo Libro dei Morti: ma si tratta, in realtà, di una tradizione diversa. Solo con l’età saitica il gusto arcaicizzante del tempo richiama in alcuni casi in vigore questi formulari abbandonati da millenni: ma sono casi sporadici. Il testo, affidato a una circolazione assai ristretta e trasmesso da scribi dell’ambiente regale, non deve — in teoria — aver molto sofferto nella trasmissione, a differenza di quanto avviene per i testi rituali funerari più tardi, sottoposti ad amarissima sorte. La tecnica grafica ha particolari caratteristiche (così l’esclusione di ogni segno di essere vivente rappresentato intiero, in modo da evitare che — se per magia i segni geroglifici riprendessero valore reale — essi potessero o danneggiare il morto, o anche semplicemente andarsene lasciando il testo privo dei segni necessari; così la divisione del testo in una serie di frasi, ognuna delle quali è chiusa in un segno che indica nei geroglifici l’«edificio», quasi la nostra «stanza» in senso metrico). Anche l’ortografia obbedisce a regole diverse da quelle che saranno canoniche in seguito; ed errori di trasmissione si possono anche qui scoprire, e un esame filologico delle varianti non è né inopportuno né privo di risultati. Lo studio preciso di questi testi ha mostrato, però, che il problema della corretta interpretazione è assai più vasto che non un problema linguistico in senso proprio. All’analisi, questi testi funerari mostrano un carattere profondamente composito, sotto una vernice relativamente assai unitaria. I due strati vanno accuratamente distinti: il «redattore» ha specifici interessi, che lo mostrano appartenere all’ambiente eliopolitano. Atum (e Ra), i tipici dei solari di Eliopoli, hanno dunque una chiara posizione di preminenza: e questo ci indirizza subito a quel momento della storia egiziana in cui il clero di Eliopoli condusse con più energia la sua campagna di propaganda per la sua divinità, a cominciare dai primi accenni nella III dinastia fino alle tracotanti prese di posizione della V. È un esempio assai interessante di come materiale religioso antico e di varia origine possa essere piegato alle esigenze di una specifica mentalità teologica, ed è un caso da sottolinearsi nella storia della cultura religiosa. Ma, a parte il fatto in sé e la sua intrinseca importanza, è anche chiaro che prima di attribuire un certo valore a questi testi, bisogna vedere quanto non ne dipenda eventualmente dall’opera del «redattore».

Una volta affrontato questo problema iniziale, bisogna identificare le caratteristiche ed il valore dei singoli passi: e si scopre allora che il materiale che è stato adoperato non è per nulla omogeneo né come data di composizione, né come significato rituale. Ci sono testi funerari, che nelle loro allusioni a specifici costumi ci permettono una datazione assai precisa, ché è possibile metterli in rapporto con usi sicuramente datati dalle necropoli predinastiche. Ci sono testi che non conoscono ancora la situazione politica dell’Egitto storico, ma alludono a un regime di regni separati, con centri di culto che andranno in seguito perdendo di importanza. Ci sono testi che alludono come a divinità notevoli e ancora importanti a dei che praticamente sono scomparsi nel pantheon d’epoca storica. Ci sono d’altro canto testi che si riferiscono all’ambiente menfita, a quello protodinastico. La datazione dei singoli passi può essere estremamente importante, perché può in taluni casi prospettarci la possibilità di avere a disposizione materiale rituale databile per ragioni interne fra il V e il IV millenio a. C. Ma, in ogni caso, sarà rischioso pensare che tutto il contesto debba risalire all’età della singola allusione datata: in molti casi si può facilmente vedere con quanta libertà il «redattore» abbia fuso più capitoli, e formule di diverso tipo. Altrove può darsi che le suture siano meno evidenti. Questa ricerca dell’antichità relativa dei passi è, inoltre, assai poco aiutata dall’esame linguistico. È vero che certe differenze possono essere notate, così come alcuni usi caratteristici: ma nel complesso il tipo di lingua è piuttosto unitario, e non radicalmente altro da quello che è il normale egiziano dell’età menfita quale lo conosciamo dalle iscrizioni contemporanee. È probabile che, anche qui, agisca su un fondo più nettamente differenziato, l’elemento livellatore della lingua del «redattore». I criteri secondo cui il materiale è stato riunito sono estremamente larghi: il risultato è un rituale funerario, ma in partenza si hanno testi funerari di carattere privato, testi funerari regi, rituali di feste religiose, inni alle divinità, inni alle insegne regali, rituali di coronazione, formule magiche, frammenti mitologici, testi religiosi di ancor più complessa natura. Per disparati che siano, in genere si può dire che questi testi hanno in un carattere rituale il denominatore comune. E questo fa già sospettare quali possano essere le più evidenti difficoltà interpretative. Alla parola, il rito affianca una azione — che noi ignoriamo in questo caso; e sia l’uno che l’altra valgono per risonanze allusive, per richiami che non hanno veste esplicitamente razionale. Il valore del rito è spesso chiuso nel rito stesso, e rappresenta una esperienza per cui ai partecipanti tutto assume naturalmente un senso immediato, la cui chiave è assai di rado nel testo. La lingua del rito ha, inoltre, spesso caratteristiche sue: le invocazioni, le cadenze, il parlare allusivo e — in genere — una repugnanza al discorso esplicito intorbidano di regola anche le espressioni più facili. Uno stesso fatto viene in genere descritto per mezzo di due o tre formazioni in parallelismo (spesso con una interruzione per mezzo di un kolon di altra specie fra la seconda e la terza) delle quali in genere solo l’ultima è quella esplicita, mentre la prima o le prime due danno variazioni largamente mitologiche dello stesso tema. È facile poi che si abbiano ampliamenti per mezzo di allusioni mitologiche, spesso riferentisi a miti che ignoriamo. La similitudine non è, naturalmente, qui un artificio letterario, ma significa un dare reali e profonde radici entro una risonanza cosmica o mitica al singolo fatto; e così non sono artifici retorici le ripetizioni degli inni, le formule delle litanie e — più difficili che tutto il resto alla nostra comprensione intima — i giochi di parole. Attraverso tutti questi testi c’è un giocare sulle allitterazioni che non ha niente a che rivedere con artifici metrici o fonici, ma intende ogni volta (e lo intenderà per tutta la susseguente cultura egiziana) gettare una sonda entro l’essenza stessa delle cose, manifestare rapporti immanenti. La lingua e la parola sono cose sacre e autonome, e non è detto che la controprova di una formulazione verbale debba essere data dalla sua razionalità. Questi elementi puramente formali sono spesso quelli che rendono già all’origine difficile l’interpretazione di questi testi. In taluni casi un tono più genuinamente lirico oblitera ancor di più gli elementi di una espressione semplicemente espositiva e razionale. La folla di motivi che confluisce in questi testi è volta a volta, per quanto è possibile, delineata nelle

note ai singoli passi: in genere sulla scorta dell’esegesi del Sethe, che della pubblicazione e della indagine di questi testi ha fatto l’opera fondamentale della sua intera vita. Ma alcuni motivi possono essere già qui sommariamente delineati. Il motivo fondamentale della raccolta è che il sovrano morto non può sottostare al destino dei suoi sudditi: egli è dio, e questa sua qualità deve sottrarlo a quell’aldilà sotterraneo cui probabilmente è fin da ora connesso il culto di Osiri come patrono dei defunti. Quell’Osiri che il «redattore» ha dovuto accettare come un dio di prima importanza, senza però riuscir mai a comportarsi nei suoi riguardi con chiara simpatia. In un caso si ha, anzi, un esplicito attacco contro di lui e tutti gli dei della sua cerchia, che rappresentano un pericoloso gruppo di rivali al culto universale del dio solare. Osiri è — comunque — il re morto in quanto padre di Horo che è il re vivo: e anche in questi testi perciò si può spesso parlarne senza che questo comporti una pre cisa presa di posizione nei riguardi della sua più tipica escatologia. Così più di una volta si può detestare la terra e la sorte terrena, senza che questo comporti altro che eccezionalmente una presa di posizione contro Geb, il dio della terra che di Osiri è padre e che lo protegge. L’accentuato distacco fra il re e il suo popolo è una caratteristica della monarchia menfita, e coincide con la prima formulazione del re come dio tipico dell’Egitto e come accentratore di ogni funzione sociale e religiosa. Di questa sua singolare posizione le espressioni sono molte. L’arrivo del re nell’aldilà coincide con un turbamento nel mondo degli dei, che si alzano a fargli omaggio, che lo riconoscono come maggiore di loro (si ricordi che un re della III dinastia si chiama «Più divino che la Corporazione [degli dei]»), che lo pongono sul trono degli dei, che — in alcuni casi — fuggono spaventati davanti al suo minaccioso arrivo. In un caso il re dà loro la caccia e se ne nutre: ma questo «Inno cannibale» è di dura interpretazione nel significato generale. Questi modi così complicati di affermare il carattere unico del sovrano non sono i più comuni: in genere il re è fratello degli dei, o figlio di questo o quella di loro, e ha così subito speciali diritti. La topografia del suo aldilà è nelle varie zone del cielo (è notevole che queste stesse regioni mitiche scenderanno poi sotterra, quando diverranno sede di tutti i morti), e a quelle egli giunge vincendo le riluttanze dei guardiani e dei traghettatori che debbono interdirle ai profani, proprio perché è garantito nella sua qualità di re-dio. Il motivo dell’accesso al cielo ha molte varianti: il re vi giunge portatovi da specifici dei, o rapitovi dal turbine, o come fulmine, o salendo scale che gli dei gli preparano, o assimilandosi a uccelli e insetti, o sul fumo. E mentre in taluni casi sa così tempestosamente far valere i suoi diritti e sa assimilarsi ad animali selvaggi e feroci, in altri casi (e qui gioca l’influenza della più matura civiltà menfita) i suoi diritti sono garantiti da diplomi rilasciatigli dalla divinità solare suprema, e la sua posizione nell’aldilà è nell’ambito del dio solare, presso il quale trova impiego: come scriba, o magari come barcaiolo. E sarà degno del cielo perché sarà stato purificato dagli dei, o — addirittura — perché sarà stato provato il suo diritto davanti a un tribunale divino: concezione, quest’ultima, che sarà portata a maturità più tardi, in epoca di intense esigenze morali. Attorno a questo motivo basilare dell’arrivo del re morto al cielo, del suo distacco dal mondo degli uomini — che resta però ancora in suo potere —, del suo partecipare alla società divina, con la quale viene a colloquio e di cui costituisce argomento di conversazione, i «Testi delle Piramidi» ci danno un quadro per iscorcio di tutta la religione egiziana più antica. Le due grandi classi di dei — gli dei locali e quelli universali — sono tutte e due chiaramente rappresentate, a testimonianza di due diversi momenti della storia della religione egiziana. Molte divinità locali appaiono, anzi, più importanti di quanto non siamo abituati a considerarle in epoca più tarda: e questo certo dipende dal carattere rituale dei testi che, se si rivolgono a un dio, lo trattano ogni volta come il più autorevole. È naturale che, pur nel frequente simbolismo zoomorfico e nelle frequenti invocazioni a forme ferine o vegetali degli dei, ogni volta che si cerchi di stringere più davvicino l’essenza e il carattere della divinità, se ne riscontri la qualità ormai umanizzata. E, così, le allusioni ad animali o alberi sacri sono estremamente rare, e non tali comunque da

dare uno speciale colorito ai testi. Abbiamo qui ancora una prova del fatto che estremamente presto, e probabilmente già prima dell’inizio del periodo storico, l’Egitto ha elaborato un pantheon i cui dei han già in potenza certe caratteristiche etiche che li apparentano all’umanità e che dell’umanità fanno perciò loro prendere l’aspetto e i modi. Un fondo più arcaico e inassimilabile appare invece in alcuni oggetti sacri di cui si parla: il pilastro g’ed, la pietra benben e così via, che mantengono una più incomprensibile qualità divina, resto probabilmente di assai più antiche concezioni, che male si adattano alla esperienza degli dei antropomorfi. Il modo in cui queste divinità entrano nel mondo e vi agiscono è, fondamentalmente, definito dal mito. Da ogni dio ci si attende che si comporti non tanto in relazione a un suo «carattere» psicologicamente o eticamente definito, quanto secondo un paradigma mitico: quel che egli ha compiuto una volta determina la sua successiva capacità e possibilità di intervento nella storia di tutti i giorni. Il mito è così legato all’essenza del dio che raramente lo si nomina senza alludervi; ma, anche, è del tutto singolare che la allusione divenga racconto. Il testo deve essere capito da chi recita e soprattutto da colui cui esso si rivolge; e certo il dio conosce i suoi casi. Di tutte le allusioni mitologiche dei testi delle piramidi ben poche, perciò, sono quelle che davvero possiamo intendere appieno: il mito di Osiri, il mito di Horo e Seth, e questo secondo in due forme di diversa antichità, secondo l’una delle quali i due dei son fratelli, secondo l’altra sono invece zio e nipote, ché Horo è il figlio postumo di Osiri assassinato da Seth. Ma bisogna ben notare che, in questi racconti, gli elementi moralistici son del tutto assenti: tutti gli dei han diritto al culto e alla venerazione, senza che ci si chieda se hanno agito bene o male. Il dio non è un modello di vita morale, ma una forza di cui bisogna procurarsi il favore. Nel disordine dei miti contrastanti fra loro, un elemento di regolarità e di universalità è introdotto dalla presenza dei grandi dei cosmici, cari alla speculazione egiziana più tarda: Ra, Atum, Khepre, forme del sole; Geb, dio della terra; Nut, dea del cielo non così legata a specifici centri di culto come le altre dee celesti Isi, Nefti, Hathor; il Nun, dio dell’abisso primordiale; S’u, dio dell’aria, e così via. Queste divinità sono legate fra loro da narrazioni mitologiche del vecchio stampo, che coprono una interpretazione di casi estremamente diversi: da casi astrali a casi politici, ad avvenimenti della natura, a regole di pratica scientifica. Ma oltre a ciò, essi non sono in un generico rapporto, ma tendono a costituirsi in un sistema genealogico di cui è capo Ra (o Atum) e che attraverso la coppia di S’u e Tefnut, dei loro figli Geb e Nut, dei loro nipoti Osiri, Seth, Isi e Nefti tende a offrire un paradigma per complessi un po’ gerarchici, un po’ familiari che diano una certa saldezza organica al pantheon. Le Enneadi si moltiplicano e — anche se all’origine i «nove dei» sono solo una generica designazione della totalità degli dei, un plurale di un plurale (che gli Egiziani indicano con il «tre») — presto le Enneadi assumono formazioni nel complesso abbastanza ben definite e forniscono alla speculazione religiosa una base diversa da quella mitologica. La costituzione dell’Enneade, in ambiente eliopolitano, porta anche alla preminenza teorica del primo dio del gruppo, che è appunto il dio solare caro alla teologia della città. In una raccolta di redazione eliopolitana, come è questa dei «Testi delle Piramidi», dobbiamo aspettarci di trovarne una continua celebrazione. Ed è così infatti. Ra, o Atum Ra, è il supremo moderatore, il dio di cui sempre si sente il tono sovrano. Nella teologia eliopolitana è anche dio creatore: uscito dal Nun, dal caos liquido primordiale, decide di non esser più solo, e unendosi con se stesso, o sputando, crea la prima coppia di dei. Questi miti sono noti ai «Testi delle Piramidi», e così anche quelli relativi alla esistenza del caos, che oltre che dal Nun può essere personificato da un gruppo di quattro coppie di dei, inerti predecessori dell’attività creatrice di Ra. Questo ambiente mitico e teologico si rispecchia entro i «Testi delle Piramidi». Ma per una piena intelligenza, se non delle singole formule, almeno del tono di esse, bisogna notare che al tempo della redazione, e certo anche assai prima, ha già pieno gioco in Egitto il fenomeno del sincretismo. È, si può dire, il frutto, nel terreno religioso, della unità politica e soprattutto culturale dell’Egitto all’alba della storia. Poste a confronto l’una con l’altra, le tradizioni locali han subito un logorio critico, del quale da una parte ha profittato la religione dei grandi dei cosmici meno legati a particolarità locali, ma che d’altra parte avrebbe portato a un rinnegamento di tutta la tradizione se non si fosse saputo scorgere la figura

delle varie personalità divine l’una entro i tratti dell’altra. Gli dei più lontani possono essere così manifestazioni comuni della stessa divinità, che indifferentemente assumerà tratti del mito dell’uno o dell’altro, potrà presentarsi sotto la forma dell’uno o dell’altro. Il pantheon egiziano perde di contorni definiti, le figure si confondono, le allusioni possono riferirsi a un dio nella forma di un altro. È, per l’esperienza religiosa egiziana, un ardito processo che ha purificato di molti elementi contingenti e rozzamente primitivi le figure degli dei più antichi, postulando — di fatto, se non in una chiara formulazione speculativa — l’unità del concetto divino. Per noi è spesso un elemento di incertezza esegetica, e può apparirci come una infelice aspirazione a confondere tutti i caratteri differenziatori in una esperienza mistica che non abbia più contorni, e perciò sia priva di valore. È la riduzione all’assurdo della mitologia, dalla quale nascerà la più profonda esperienza religiosa dell’età feudale e del regno nuovo: e in questo è la sua fecondità. Durante la lettura dei «Testi delle Piramidi», a tutte le difficoltà che si frappongono all’immediato intendimento e che sono state prima parzialmente elencate, bisogna aggiungere anche questa, e tenerla ben presente per sciogliere almeno alcune fra le più evidenti e clamorose aporie. Da questa sommaria introduzione dovrebbe apparire quale sia l’importanza di questo antichissimo rituale funerario regale: è la base su cui va edificata la storia delle origini della religione egiziana, la raccolta di testi che sono probabilmente i più antichi che tutta la storia dell’umanità ci abbia tramandato. La difficoltà della lettura dipende fondamentalmente proprio da questo fatto: che si tratta di formulazioni vecchie — in alcuni casi — di oltre sei millenni, e in ogni modo non più giovani di quattro o cinque. È uno sguardo in un mondo profondamente diverso dal nostro, ma che pure il nostro deve sforzarsi di comprendere per riconoscervi la genesi dei suoi stessi problemi.

Casa dell’anima Nel corredo funerario dell’età seguente all’epoca menfita sono frequenti modellini plastici di ciò che può servire al defunto perché la sua vita futura non si distacchi da quella terrena. In questo ambito van collocati questi modelli fitili di abitazione, che riproducono case di assai modesta qualità, e cioè di quelle classi della società che ora van prendendo peso. (Torino, Museo Egizio, suppl. 16.030).

2131 O Onnos, tu non te ne vai certo come morto, tu te ne vai come vivo. Seduto sul seggio di Osiri, col tuo scettro in mano, tu impartisci ordini ai vivi. Il tuo scettro a bocciolo è nella tua mano, e ordini sono impartiti a coloro dalle sedi misteriose2. La tua mano è quella di Atum, le tue braccia sono quelle di Atum, il tuo ventre è quello di Atum, il tuo dorso è quello di Atum, il tuo sedere è quello di Atum, le tue gambe sono quella di Atum, la tua faccia è quella di Anubi3. Ti obbediscono le regioni di Horo, ti obbediscono le regioni di Seth4. 1. Questo e i seguenti numeri sono dati secondo l’edizione di K. SETHE, Die altaegyptischen Pyramidentexte, 4 voll., Leipzig, 1908-22. Base della traduzione e del commento è stato K. SETHE, Uebersetzung und Kommentar zu den altaegyptischen Pyrumidentexten, Glückstadt u. Hamburg, 4 voll., 1935-39- S. A. MERCER, The Pyramid Texts in Translation and Commentary 4 voll., 1952. — (Pyr. 134-135 c). Il morto assume funzioni regie nell’Aldilà. 2. I morti. 3. Cioè hai corpo umano e testa canina: che è aspetto tipico del dio dei defunti. 4. Horo e Seth come le due divinità cosmiche fra le quali è diviso il mondo,

2141 O Onnos, guardati dal lago! (4 volte)2. Vengono a te messi del tuo ka, vengono a te messi di tuo padre, vengono a te messi di Ra. Va’, dopo il tuo giorno3, a purificarti. Le tue ossa son quelle delle femmine dei falchi, le dee che stanno in cielo. Tu sarai a fianco del dio, e lascia la tua casa a tuo figlio che è il tuo successore (?). Quanto a chi dirà male nel nome di Onnos quando tu sarai uscito, Geb ha ordinato che sia un miserabile nella sua città, cosicché fugga e muoia. Purìficati nella frescura delle stelle! Cala giù le gomene di bronzo, per le braccia di Horo nel suo nome di «Colui che è nella barca di Henu»4. Lamentano per te gli Henememet5, quando ti han sollevato le stelle imperiture6. Entra nel luogo dove è tuo padre, nel luogo dove è Geb7. Che egli ti dia quel che è sulla fronte di Horo8, che tu sia illustre con quello, che tu sia possente con quello, che tu sia con quello alla testa degli Occidentali9. 1. (Pyr. 136 a - 139 d). Il morto ha un messaggio del suo padre divino che lo chiama a purificarsi in cielo; quindi tornerà sulla terra, e là regnerà sui morti. 2. Cioè, da recitarsi quattro volte. 3. La tua morte. 4. La barca di Sokaris. 5. La «gente solare»: è un termine che in seguito significa semplicemente «gente», ma in origine allude a un gruppo di persone residenti in cielo: son probabilmente i morti che là hanno sede. 6. Le stelle circumpolari. 7. Il dic della terra. All’inizio della formula, il padre del re morto è Ra. 8. L’occhio di Horo, con tutte le sue possibili interpretazioni mistiche. 9. I morti.

2151 O Onnos! Vanno i tuoi messi, si affrettano i tuoi nunzi verso tuo padre, verso Atum. «Atum, innalzalo a te, stringitelo nel tuo abbraccio. Non c’è un dio divenuto stella che non abbia compagno». «E sarò io il tuo compagno?». «Guardami: tu hai visto l’aspetto dei figli dei loro padri, che conoscevano la loro formula e sono (stelle) imperiture. Vedi i Due che stan nel Palazzo, che sono Horo e Seth»2. «Sputa sulla faccia di Horo3, per lui, e allontana il danno di lui. Afferra i testicoli di Seth4 e allontana la sua menomazione. È stato partorito per te quello, è stato concepito per te questo». «Tu sei partorito, Horo, come uno il cui nome è “Freme per lui la terra ”. (Tu sei concepito, o Seth, come uno il cui nome è)5 “ Trema per lui il cielo ”. Non esiste la menomazione di questo, non esiste il danno di questo — e viceversa; non esiste il tuo danno, non esiste il tuo danno, non esiste la tua menomazione. Tu sei partorito, o Horo, per Osiri; tu sei più illustre di lui, tu sei più possente di lui. Tu sei concepito, o Seth, per Geb; tu sei più illustre di lui, tu sei più possente di lui. Non va in malora il seme di un dio…, non andrai tu in malora… Non ti ha dato Ra Atum ad Osiri, egli6 non ha contato il tuo cuore, egli non si è impadronito del tuo cuore. Non ti ha dato Ra Atum a Horo, egli non ha contato il tuo cuore, egli non si è impadronito del tuo cuore. Osiri, tu non hai potere su di lui. Horo, tu non hai potere su di lui, non ha potere tuo padre su di lui. Tu appartieni, N. N., a questo dio. Han detto i due figli7 di Atum: “Alzati — han detto — nel tuo nome di dio”. Così diverrai completamente (?) tutti gli dei. Il tuo capo è Horo della Dat, o Imperituro; il tuo volto è Khenty-irty, o Imperituro; le tue orecchie sono i figli di Atum, o Imperituro; i tuoi occhi sono i figli di Atum, o Imperituro; il tuo naso è lo Sciacallo8, o Imperituro;

i tuoi denti sono Sopdu, o Imperituro; le tue braccia sono Hapi e Dua-mut.ef9, di cui tu hai bisogno quando sali al cielo, cosicché tu sali; i tuoi piedi sono Imset e Qebeh-senu.f10, di cui hai bisogno quando scendi al cielo inferiore, cosicché tu scendi; le tue membra sono i due figli di Atum, o Imperituro! Tu non perisci, non perisce il tuo ka. Sei tu il ka!». 1. (Pyr. 140 a - 149 d). Il re defunto invita per mezzo di messi Atum ad accoglierlo in cielo come stella, nella sua qualità di figlio del dio. Atum dice che in realtà non lui, ma Osiri e Geb sono i padri del morto, identificato con Horo e Seth (i due dei che si personificano nel sovrano). Benché rivali, essi non han più da temere vendetta. Il morto è quindi identificato con specifiche divinità per ogni parte del suo corpo. 2. Cioè il re (che sta nel Palazzo) nella sua duplice funzione di re della Vallata (Seth) e del Basso Egitto (Horo). 3. Per curarne l’occhio, cavato da Seth. 4. Per curarli dopo che sono stati strappati da Horo. 5. Omesso dal testo, e restituito dal Sethe per mantenere il parallelismo. 6. Osiri. 7. S’u e Tefnut. 8. Quale divinità? 9, 10. Due dei quattro figli di Horo.

2161 Io son venuto a te, Nefti; io son venuto a te Mesktet2! Io sono venuto a te Maa-Hery-terut3; io son venuto a te Meskhat-kau4! Ricordatevi di lui, di questo Onnos. È stato escluso Orione dalla Dat5, quando si è purificato colui che vive all’orizzonte6; è stata esclusa Sothis7 dalla Dat, quando si è purificato colui che vive all’orizzonte; è stato escluso Onnos dalla Dat, quando si è purificato colui che vive all’orizzonte. Si sia benevoli a lui8 grazie a loro; si sia freschi a lui grazie a loro nell’abbraccio di suo padre, nell’abbraccio di Atum. 1. (Pyr. 150 a - 151 e). Al sorger del sole, le stelle scompaiono, e con esse il morto trasformato anch’esso in stella. Ma sarà salvato grazie all’intervento delle dee che hanno accompagnato il sole nel viaggio notturno. 2. La barca serale del sole. 3. 4. Dee ignote, dal nome di dubbio significato. 5. La Dat (poi Duat) è una regione all’orizzonte del cielo, o, secondo altri passi, sotterra. 6. Cioè il sole, Atum. 7. La stella Sirio. 8. Al re defunto, Onnos.

2201 Si aprono i battenti dell’orizzonte, si tolgono i suoi chiavistelli2. Egli è venuto a te, o Corona del Basso Egitto! Egli è venuto a te, o Ureo! Egli è venuto a te, o Grande! Egli è venuto a te, o Grande di Magia! Purificato per te, venerabondo per te. Possa tu esser soddisfatta di lui! Possa tu essere soddisfatta della sua purificazione! Possa tu essere soddisfatta del suo discorso che egli ti dice! Come è bello il tuo volto, quando sei soddisfatta, quando sei nuova, quando sei giovane! Ti ha formato un dio, il padre degli dei. Egli3 è venuto a te, o Grande di Magia! È Horo che combatte per la protezione del suo occhio4, o Grande di Magia. 1. (Pyr. 194 a - 195 e). È una formula del rituale regio dei sovrani di Buto. 2. «L’orizzonte» è designazione tipica del sacrario. L’oggetto di culto è qui la corona del Basso Egitto, nominata con vari appellativi. 3. Il sovrano. 4. La corona identificata con l’occhio di Horo.

2211 O Corona del Nord, o corona In, o Grande, o Grande di Magia, o Ureo2! Possa tu dare il terrore di Onnos come il terrore tuo. Possa tu dare il timore di questo Onnos come il timore tuo. Possa tu dare il rispetto di questo Onnos come il rispetto tuo. Possa tu dare l’amore di questo Onnos come l’amore tuo. Possa tu dare che egli sia glorioso alla testa dei viventi. Possa tu dare che egli sia glorioso alla testa degli Spiriti. Possa tu dare che sia caldo il suo coltello contro i suoi nemici. O Corona del Nord, tu sei uscita da lui, egli è uscito da te. «Ti ha partorito la Grande Fiamma, ti ha adornato Ikhetutet3. Ti ha partorito Ikhet-utet, ti ha adornato la Grande Fiamma. Sei tu invero Horo che combatte a protezione del suo occhio». 1. (Pyr. 196 a - 198 d). Anche questa è formula da un rituale regio del regno di Buto (predinastico). La menzione degli «Spiriti» è quella che ne ha determinato l’impiego funerario. 2. Appellativi della corona regale del Basso Egitto. 3. La fiamma personificata in un serpente divino.

2261 Incantato è un serpente da un serpente, quando è incantato il vitello ancor senza denti uscito al pascolo. Ingoiati, o Terra, quel che è uscito da te. Mostro, sdraiati e avvolgiti. È caduta la Maestà del Pellicano2 nell’acqua. Serpente, capovolgiti, che ti veda Ra. 1. (Pyr. 225 a - 226 b). Formula contro i serpenti. 2. Allusione a un mito osiriaco praticamente ignoto.

2271 Tagliata è la testa del Grande Toro Nero. Serpente hp-nw, questo è detto a te. Scorpione h′sr-nt′r2, questo è detto a te. Capovolgiti, guizza nella terra: questo è detto a te. 1. (Pyr. 228 a - 228 b). Scongiuro contro i rettili. 2. Nomi di serpenti e scorpioni.

2281 Una faccia è caduta contro una faccia. Una faccia ha guardato una faccia. Allora uscì un coltello variopinto, nero e verde, contro di questo, e si ingoiò quel che aveva leccato. 1. (Pyr. 228 a - 228 b). Scongiuro contro i rettili.

2291 Questa è l’unghia di Atum2, quella che è sulla vertebra del collo di Neheb-kau e che placò la ribellione di Ermopoli3. Cadi, avvolgiti4. 1. (Pyr. 229 a - 229 c). Formula contro i serpenti. 2. Con la quale il dio spezza la vertebra del serpente (qui suo nemico) Nehebkau. Ricordare che ad Atum è sacro l’icneumone, nemico ai serpenti. 3. Forse ricordo mitico di un avvenimento predinastico, noto anche da altre allusioni. 4. Detto al serpente.

2311 Dir le parole: Il tuo osso è un arpione, cosicché tu sei colpito con l’arpione. I cuori2 sono allontanati (?). I Nomadi che siedono… sono abbattuti. È il dio Hemen3. 1. (Pyr. 235 a - 235 b). Scongiuro all’ippopotamo. L’arpione è spesso di osso di ippopotamo. Il gioco di parole del primo versetto è: qs.k qs qs.tw.k. 2. dei nemici. 3. Il dio falco di Asphynis. Quest’ultima frase è detta da chi pronuncia la formula in pro del cacciatore.

2361 Dir le parole: Kebeb hi ti ti bi ti. S’es figlio di Hifget: questo è il tuo nome. 1. (Pyr. 240). Formula contro i rettili. Notevole la fila di parole senza senso, secondo la tecnica magica più tarda.

2391 Dire le parole: È uscita la Corona Bianca ed ha ingoiato la Grande. La lingua della Corona Bianca ha ingoiato la Grande senza che si vedesse una lingua. 1. (Pyr. 243 a - 243 b). Formula contro i serpenti. Il Sethe vi ha visto un inno di vittoria dell’Alto Egitto sul Basso Egitto, rappresentati dalle due corone tipiche. La dea del Basso Egitto, Uto, è un serpente.

2411 Dire le parole: Spurgo del muro, vomito del mattone, è respinto quel che esce dalla tua bocca contro te stesso. 1. (Pyr. 246 a - 246 b). Contro i rettili.

2421 Dire le parole: È spenta la Fiamma, non si trova la Fiaccola nella casa di Colui cui appartiene Ombos. Un serpente che morde si è introdotto nella casa di chi egli voleva mordere per restare là. 1. (Pyr. 247 a - 247 b). Anche qui si allude alla dea del Basso Egitto (Uto), serpente infocato, e alla lotta con il regno del Sud («Colui cui appartiene Ombos» = Seth).

2441 Questo è l’occhio [duro] di Horo2. Afferralo, in modo che tu sia vittorioso (?) ed egli (sc. Seth) abbia timore di te. Spezzare i vasi rossi. 1. (Pyr. 248 a - 248 b). 2. La restituzione segue Sethe. È la mazza con la quale sono spezzati i vasi di terracotta sui quali sono scritte le maledizioni contro i nemici.

2461 Guardate come questo Onnos si leva in mezzo (a voi). Le due corna sul suo capo son due tori selvaggi. Poiché tu sei invero l’Ariete Nero figlio della Pecora Nera, partorito dalla Pecora Chiara, che hanno allattato le quattro Pecore. Viene contro di voi Horo con gli occhi cerulei. Guardatevi dallo Horo con gli occhi rossi, Cattivo per l’ira, alla cui anima non si può resistere. Vanno i suoi messi, si affretta il suo nunzio. Essi annunciano a Colui che alza il braccio nell’Oriente2 che va3 questo Unico in te, di cui Dun-anui (?)4 dice: «Egli dirà parole di comando ai padri miei, gli dei». Tacciono per te gli dei5. L’Enneade porta la mano alla bocca davanti a questo Unico in te, di cui Dun-anui (?) dice: «Egli dirà parole di comando ai padri miei gli dei». Lévati ai battenti dell’Orizzonte, passa i battenti del firmamento. Tu ti levi davanti a loro, come Geb che è davanti alla sua Enneade. Essi entrano e colpiscono il male6; essi escono e alzano le loro facce. Essi ti vedono come Min che è alla testa delle Iterty7. Si leva colui che si leva dietro di te, si leva tuo fratello dietro di te, si leva il tuo parente (?) dietro di te. Tu non perisci, tu non ti annulli. Il tuo nome dura fra la gente, il tuo nome si manifesta fra gli dei. 1. (Pyr. 252 a - 252 d). 2. Il dio solare, forse in atto di saluto. 3. «andare» forse in senso pregnante, come il nostro «trapassare». 4. Divinità in aspetto di falco. 5. Per rispetto. 6. È certo termine tecnico che indica una forma di saluto con inchino. 7. Qui l’espressione indica i due palazzi regali dell’Alto e Basso Egitto.

2471 Dire le parole: Io ho fatto per te (la parte di) tuo figlio Horo. Tremano i Grandi quando han visto la spada che è nella tua mano quando tu esci dalla Duat2. Salve, o Sapiente! Ti ha creato Geb, ti ha partorito l’Enneade3, è lieto Horo di suo padre, è lieto Atum dei suoi anni, son lieti gli dei dell’Oriente e dell’Occidente della Grande4 che si è manifestata fra le braccia di Colei che partorisce il dio5. Onnos è uno Onnos che vede, Onnos è uno Onnos che guarda, Onnos è uno che ode, (anche se) Onnos è uno Onnos che è là6. Onnos è Onnos. Sollevati sul tuo fianco, esegui il mio comando. Tu che odî il sonno, tu stanco, sta dritto, tu che sei in Nedit7. Si fa il tuo bel pane in Pe8. Prendi la tua possanza in Eliopoli. È Horo colui cui è stato ordinato di agire per suo padre. Il Signore della tempesta9, a lui è stato interdetta la bava10. Quando ti solleva, è lui che solleva Atum. 1. (Pyr. 257 a - 261 b). 2. Il re è identificato con Orione con la spada? 3. Come stella. 4. Sc. stella. 5. «il dio» è il dio solare. È dunque la dea celeste. 6. Cioè «defunto» (i morti: «coloro che sono là»). 7. Il luogo mitologico della uccisione di Osiri. 8. Una delle due città di cui consta Buto. 9. Seth. 10. Segno di furore.

2491 O voi, Due Combattenti2, dite di grazia al Nobile in questo suo nome: Onnos è quella pianta ses’ses’ spuntata dalla terra. È purificata la mano di Onnos da chi ha fatto il suo trono. Onnos è quel che è al naso del Grande Possente. Dopo che è venuto Onnos dall’Isola della Fiamma, Onnos ha posto là la giustizia al posto della colpa. Onnos è l’addetto alle stoffe, che sorveglia gli urei quella notte della grande inondazione uscita dalla Grande3. Sorge Onnos come Nefertum, come il fiore del loto al naso di Ra, quando egli esce dall’orizzonte quotidianamente. Colla sua vista gli dei si purificano. 1. (Pyr. 264 a - 266 b). Il re morto è il fiore che Ra accosta al suo naso, 2. Nome di guardiani dell’Aldilà? 3. La dea del cielo.

2511 Dire le parole: O Voi che soprintendete alle ore prima di Ra2, fate la via ad Onnos, affinché Onnos passi attraverso il posto di guardia (?) di Quelli dal volto minaccioso. Onnos muove a questo suo seggio come uno i cui seggi sono avanti, dietro cui è il dio eccelso, come uno cui è stata data la testa3, adorno di un corno di antilope acuto e forte, fornito di una spada acuta che taglia le gole. Quella che scaccia il dolore del Toro, Quella che punisce coloro che sono nell’Oscurità, è il vigoroso corno4 di antilope che è dietro il dio eccelso. Onnos ha legato i condannati, ha colpito Onnos la loro fronte5. Non è impedita la mano di Onnos nell’orizzonte. 1. (Pyr. 269 a - 271 b). Descritto il viaggio al cielo del re morto. 2. Le ore della notte. 3. Si ricordi l’uso delle «teste di riserva» nelle tombe della IV dinastia. 4. È femminile in eg.; perciò «quella che…». 5. È allusione alla scena della uccisione dei nemici con le braccia legate.

2521 Dire le parole: Alzate la vostra faccia, o dei che siete nella Duat. È venuto Onnos: guardatelo divenuto dio eccelso. Conducete Onnos tremando, adornate Onnos che ha protetto voi tutti, quando Onnos diceva parole di comando agli uomini2. Giudica Onnos coloro che vivono nel territorio di Ra; parla Onnos a questo territorio puro, dopo che ne ha fatto la sua sede con Colui che divise i Due Dei3. È possente Onnos rispetto a lui: Onnos afferra lo scettro ames se egli vuole scacciare Onnos. Risiede Onnos con i rematori di Ra. Onnos comanda quel che è bene, ed egli4 lo eseguisce: Onnos è il Dio Eccelso. 1. (Pyr. 272 a - 274 c). L’arrivo del re morto in cielo, dove assume funzioni di comando, in concorrenza con Thot, nel territorio di Ra. 2. Che ha curate le vostre offerte ed i vostri templi quando era vivo. 3. Cioè Thot. 4. Thot, che è il luogotenente di Ra, soppiantato in questa funzione dal re. ai cui ordini ora si mette.

2541 La Grande2 incensa il Toro di Nekhen3: L’ardore del soffio infocato è contro di voi che siete attorno alla cappella4. O Dio eccelso, ignoto di nome: (Da’) immediatamente5 una offerta di cibo al Signore Unico6. O Signore dell’Orizzonte, fa’ posto a Onnos. Se tu non fai posto a Onnos, Onnos di conseguenza farà una maledizione su suo padre Geb. La terra7 non potrà più parlare, Geb non potrà più difendersi. Chi è trovato da Onnos sulla sua strada, quello egli si mangia pezzo a pezzo. Predice il Pellicano, esce il Pellicano8 e si leva il Grande9 e parlano le Enneadi: «La terra sarà chiusa da dighe, unite saranno le due catene di montagne, congiunte saranno le due piagge, impraticabili saranno le vie per i Passanti, distrutti saranno gli scalini per gli Uscenti10. Tendi l’alzana, traversa la Mesqet11, colpisci la palla12 nel prato di Hapi13. Oh, i tuoi campi tremano, o Iad14, davanti al Pilastro delle Stelle15, quando essi han visto il Pilastro di Kenset16, il Bove del Cielo. È sommerso il Pastore dei Bovi davanti al suo zoccolo. Ah, abbiate terrore, tremate, o colpevoli, davanti alle tempeste del cielo! Egli ha aperto la terra con quel che egli sapeva, il giorno in cui egli voleva venire. Così ha detto il Grande-Terra-da-semina17 che abita nella Dat. Ecco, essa ti viene incontro; la (dea) Bell’Occidente ti viene incontro con le sue belle trecce. Ecco, essa dice: «Viene quegli che io ho partorito, colui il cui corno splende, il Pilastro dagli occhi bistrati18, il Bove del Cielo. Eccelso è il tuo aspetto, passa in pace. Io ti accolgo». Così dice la (dea) Bell’Occidente a Onnos. «Va’ e naviga al Campo delle Offerte, e porta la kepet19 a Colui che è sul suo cespuglio».

Così dice Colui che presiede alle sue mnwt20. … … … ‥21 Tu vedi Ra nelle sue legature, tu adori Ra nei suoi scioglimenti22, Nella (?) Grande Protezione, (in) (?) «Quegli che è nella sua porpora»23. Il Signore della Pace ti dà il suo braccio24. O voi, femmine di cinocefalo che tagliate le teste, che Onnos passi su di voi in pace: poiché egli ha annodato la sua testa al suo collo, ed il suo collo è sul suo torso in questo suo nome di «Annodatore della Testa». Egli annoda con esso la testa del toro Api in quel giorno del prendere al cappio il vitello. Ecco, coloro cui Onnos lo ha permesso, mangiano di (…); (coloro cui ha permesso che) bevano, bevono delle loro inondazioni. Oh, possa Onnos esser venerato là da coloro che lo vedono. Heken-utet è nel suo scettro La Tefnut di Onnos, che S’u solleva, amplia la sua sede in Busiri (D’dw), in Mendes (D’dt), nella necropoli di Eliopoli (D’dwt). Essa innalza i suoi due sostegni davanti ai Grandi. Essa scava un lago per Onnos nel Campo dei Giunchi. Essa rinsalda il suo (cioè di Onnos) podere nel Campo delle Offerte. Onnos giudica nella Mehet-uret25 fra i Due Contendenti, poiché il suo vigore è il vigore dell’Occhio di Tebi26, la sua forza è la forza dell’Occhio di Tebi. Onnos si è difeso da coloro che agivano contro di lui che rubavano a lui i viveri. Ecco, quando egli era là, era rubata a lui la sua cena. Ecco, quando egli era là, era rubato il respiro del suo naso: e così fu portato a fine il suo periodo di vita27. Ma (ora) Onnos è più forte di loro, e sorge28 sulla sua riva. Cadono i loro cuori sotto le sue dita; le loro viscere agli abitatori del cielo29, il loro sangue agli abitatori della terra, la loro eredità alla miseria, le loro case all’incendio,

i loro portali al Nilo30. Dolce sia il cuore di Onnos (2 volte). Onnos è l’Unico, il Bove del Cielo. Egli ha cacciato quelli che han fatto questo contro di lui, egli ha annientato quel che di loro è restato sulla terra. Connesso col suo trono è quel che gli ha dato suo padre S’u in presenza di Seth31. Quel che egli prende è quel che gli ha dato suo padre S’u in presenza di Seth. Quel che egli ha innalzato è quel che gli ha dato suo padre S’u in presenza di Seth. 1. (Pyr. 276 a - 294 c). 2. Con il determinativo dell’ureo. 3. Nekhen è la capitale religiosa dell’Alto Egitto. 4. La cappella della barca solare. 5. Lett. «sul posto». 6. Cioè il re. 7. Dio della terra è appunto Geb: le due frasi sono in parallelismo. 8. «Pellicano» è detto nei due casi, con due parole diverse (h’nt, psd’ty). 9. Osiri? 10. «Passanti» ed «Uscenti» con il determinativo degli esseri divini. 11. Regione del cielo: la Via Lattea? 12. Cioè, gioca a palla. Come passatempo per il defunto? 13. Uno dei quattro figli di Horo. 14. Nome di una stella. 15. Questa e le seguenti son designazioni del re come nuova stella in cielo. 16. Kenset è una regione celeste. 17. Wr-sk3t: un guardiano celeste. 18. Ai tori sacri si bistrano gli occhi come alle persone umane. 19. h’pt è uno strumento di navigazione di incerto carattere, che in epoca storica non ha più uso pratico, ma è solo usato dal sovrano durante alcune cerimonie, ed è, in seguito, identificato con il remo. 20. Parola di ignoto significato. 21. Ometto una frase assai oscura, che forse allude alla connessione del cadavere con la terra. 22. È questa l’unica testimonianza di questa concezione, secondo la quale la notte Ra sarebbe legato, e sciolto al mattino. («Adori» traduce il verbo tecnico egiziano dell’adorazione mattutina). 23. I due appellativi sono riferiti a un solo essere o a due, connessi rispettivamente con Ra legato e con Ra sciolto? 24. Una variante porta: «il tuo diploma». 25. La dea celeste («Grande inondazione») come giovenca. 26. Un nome del dio solare. 27. La morte del re è data come frutto di una cospirazione; non di esseri umani, naturalmente. 28. Come re. 29. Gli uccelli da preda. 30. Al Nilo in piena.

31. Seth è qui immaginato forse come la parte avversa del re che personifica Horo.

2561 Dire le parole: Ha preso Onnos l’eredità di Geb, ha preso Onnos l’eredità di Geb! Egli ha preso l’eredità di Atum, ed è sul trono di Horo, (come) primogenito. Il suo (cioè di Horo) occhio è la sua forza, La sua protezione è in quel che si è fatto contro di lui2. L’ardore dell’alito infocato del suo ureo è Renen-utet3 sopra di lui. Onnos ha posto il suo terrore nei loro cuori facendo una strage fra di loro. Han visto (questo) gli dei spogliandosi (?)4. Essi si inchinano ad Onnos in omaggio. «Traghettalo, o madre sua! Tirane l’alzana, o città sua! Ohé! Sciogli la tua fune!». 1. (Pyr. 301 a - 303 d). 2. La protezione di Horo è il suo occhio, che per l’appunto è quello che gli è stato cavato da Seth. L’occhio di Horo è, in effetti, l’ureo che si leva sulla fronte a sua difesa. 3. Una dea serpente, connessa in genere con l’agricoltura, ma che spesso personifica anche l’ureo. 4. Il gettar via le vesti può essere un atto di omaggio: così 1197 d-e dove gli dei gettano vesti e sandali.

2571 Dire le parole: C’è agitazione nel cielo. «Noi vediamo del nuovo»2. Così dicono gli Dei Primordiali. O Enneade, (uno) Horo è nella luce solare3. Servono lui i Signori dell’Aspetto4, attendono a lui le due Enneadi al completo, mentre egli siede, quanto a lui, sul trono del Signore Universale5. Onnos conquista il cielo, ne fende il bronzo6. È guidato Onnos per le vie di Khepre. Giunge Onnos alla quiete dalla vita7 nell’Occidente, e lo accompagnano gli Abitatori della Dat. Splende Onnos nuovo all’oriente. Giunge a lui il Divisore delle Liti8, inchinandosi. «Servite Onnos, o dei, che è più anziano del Grande»9. Così dice egli «e che ha potere sul suo trono». Conquista Onnos Hu10, si porta a lui in tributo l’Eternità. Si consolida per lui Sia ai suoi piedi. Fate festa per Onnos, poiché egli ha conquistato l’orizzonte». 1. (Pyr. 304 a - 307 c). 2. Cioè, il sovrano mentre egli giunge. 3. Lo Horo — cioè il re — sale al cielo sui raggi del sole. 4. nbw irw: andrà inteso in senso pregnante: i Signori di un determinato aspetto. 5. nb tm (più tardi letto «Atum»). 6. Di cui, secondo alcune concezioni, è formata la volta celeste. 7. Cioè, muore. 8. Thot. 9. Il dio solare. 10. Hu è la personificazione della parola di comando, e accompagnerà, con Sia, il «senno», le figurazioni di Ra.

2581 Dire le parole: Osiri è Onnos nel turbine. Il suo orrore è la terra, egli non entra in Geb2, cosicché sia annientato e dorma nel suo castello che è sulla terra, e le sue ossa siano spezzate3. Sono allontanati i suoi danni, poiché si è purificato Onnos con l’occhio di Horo. È allontanato il suo danno dai due Nibbi4 di Osiri. Onnos ha sciolto il suo efflusso alla terra in Kus5; è sua sorella, la Signora di Pe, colei che lo piange6. Onnos va verso il cielo, Onnos va verso il cielo, sul vento, sul vento. Egli non è impedito, non c’è uno da cui possa essere impedito. Non ci sarà una seduta per lui nel tribunale del dio. Onnos è colui che è sul suo Uno7, il primogenito degli dei. La sua focaccia viene in alto con (quella di) Ra; la sua offerta di cibi viene dal Nun. Onnos è uno che ritorna8. Egli va ed egli viene con Ra, egli visita i suoi castelli, egli distribuisce i ka e ritira i ka, egli spartisce danni e allontana danni. Onnos passa la giornata e passa la notte, e placa le Due Asce9 in Ermopoli. Il suo piede non è impedito, il suo entrare non è impacciato. 1. (Pyr. 308 a - 311 d). Il morto, identificato con Osiri, sale al cielo sul vento. 2. Geb è appunto il dio della terra. 3. È ancora ignota la mummificazione. 4. Le due Femmine di nibbio (le d’rty) sono Isi e Nefti. 5. Nel tifonico nômo di Ombos. Si allude forse alla ferita con la quale Osiri fu ucciso: «ha sciolto il suo efflusso alla terra» = «ha lasciato cadere il suo sangue». 6. Cioè, Uto. Il testo sarebbe dunque composto per i re predinastici di Buto. 7. Colui che appartiene a se stesso, o colui che ha una posizione particolare. 8. È un morto che ha potenza in terra anche dopo la morte. È un concetto affine a quello espresso dal francese revenant.. 9. Un «lago dei Due Coltelli» come località di Ermopoli in cui il Sole deve combattere è conosciuto da testi più tardi.

2601 Dire le parole: O Geb, toro di Nut! Onnos è Horo, l’erede di suo padre. È Onnos quegli che è andato ed è venuto, quarto di quei quattro dei2 che han portato l’acqua, che han dato la purificazione, che han fatto festa sul valore dei loro padri. Egli vuole che sia giusta la sua parola3 per quel che egli ha fatto. Quando è stato giudicato Onnos con Tefen e Tefnut4, le Due Verità han dato udienza, e S’u era testimone5. Han decretato le Due Verità che passassero a lui i troni di Geb, che egli si sollevasse a quel che egli volesse. Unisci le sue membra che son nel mistero6! Egli si congiunge a quelli che son nel Nun e dà la fine delle parole in Eliopoli7. Ecco, Onnos è uscito in questo giorno nel vero aspetto di uno Spirito vivente. Onnos interrompe la battaglia e punisce la lite. Esce Onnos come custode della Verità, ed egli la porta, poiché essa è presso di lui. Danzano (?) per lui gli Irati, gli passano la vita8 Quelli che sono nel Nun. Il rifugio di Onnos è il suo occhio9, la protezione di Onnos è il suo occhio, la forza di Onnos è il suo occhio, il vigore di Onnos è il suo occhio. O dei del Mezzogiorno, del Settentrione, dell’Occidente e dell’Oriente! Venerate Onnos, abbiatene timore, quando si è assiso nella tenda di pelle (?)10 delle Due Corti. Vi ha bruciato questo ureo, G’enen-utet11, quando essa ha incontrato i vostri cuori. Voi che verrete contro Onnos come qualcosa che si mette fra i piedi12, venite a lui (in pace), venite a lui (in pace)!

Onnos è il vitello (??)13 di suo padre, il germoglio (??) di sua madre. L’orrore di Onnos è il camminare nell’oscurità senza vedere, perché è capovolto14. Esce Onnos in questo giorno, e porta la verità perché essa è presso di lui. Non è dato Onnos alla vostra fiamma, o dei15.

Il re G’oser in abito da festa sed Dopo un periodo trentennale di regno, e da allora in poi con un ritmo più o meno triennale, i sovrani egizi celebrano una festa di «giubileo» (festa sed) di assai dubbio significato e di carattere assai arcaico. Qui un sovrano della III dinastia, G’oser, è raffigurato in un rilievo del suo tempio a Eliopoli nella tipica acconciatura di tale festa.

(Torino, Museo Egizio, suppl. 2671). 1. (Pyr. 316 a - 323 d). 2. Questi «Quattro dei» debbono essere quelli che altrove (1457 a) sono detti: «I Quattro dei del Cielo inferiore, gli Imperituri che traversan la Libia». 3. È termine tecnico per indicare chi vince in tribunale. 4. O «con l’orfano e l’orfana»? 5. O «e mancava un testimonio»? 6. La tomba. 7. «pronuncia le parole estreme»? 8. Un gesto raffigurato materialmente (la consegna del segno della vita) nei rilievi templari. 9. Si allude certo all’Occhio di Horo. la forza di Onnos è il suo occhio, 10. Il baldacchino sotto cui sta il giudice? 11. Dea serpente, solo qui nominata. 12. come un impedimento. 13. La parola del testo, ignota, è sostituita in un testo parallelo più recente con una per «vitello». 14. Così nell’Aldilà sotterraneo, concepito come paese degli antipodi. 15. Allusione a un giudizio cui deve sottostare il morto e che può essergli fatale.

2611 Dire le parole: Onnos è uno che scaglia il cuore (?)2, il figlio del cuore diS’u3. Ampio in ampiezza, feroce di luce. Onnos è uno che brucia davanti al vento, fino al limite del cielo, fino al limite della terra. Non appena si son vuotate di Onnos le mani del fulmine, Onnos traversa S’u, egli percorre Aker4, egli bacia la Corona Rossa, scagliato da Dio. Aprono a lui le braccia Coloro che sono nella ununyt5; si leva Onnos sul lato orientale del cielo, e porta quel che si alza al cielo (?). Onnos è quegli che adempie ai compiti della tempesta. 1. (Pyr. 324 a - 326 d). Il morto immaginato come la luce del fulmine. 2. Forse corrotto il testo. 3. Il dio dell’aria. 4. Il dio della terra. 5. Parte del cielo.

2631 Dire le parole: Son deposti i due galleggianti2 del cielo per Ra perché egli traghetti per loro mezzo fino all’orizzonte. Son deposti i due galleggianti del cielo per Harakhte perché Harakhte traghetti per loro mezzo presso Ra. Son deposti i due galleggianti del cielo per Onnos perché egli traghetti per loro mezzo fino all’orizzonte presso Ra. Son deposti i due galleggianti del cielo per Onnos perché egli traghetti per loro mezzo presso Harakhte e presso Ra. Si trova bene Onnos con il suo ka3, vive Onnos con il suo ka. La sua pelle di pantera4 è su di lui, il suo scettro ames è in mano sua, il suo scettro aba è in suo pugno. Egli si rende obbedienti i Trapassati; essi gli portano quei Quattro Spiriti Primogeniti5 che stanno a capo dei Portatori di Treccia6 che si levano al lato orientale del cielo, e si appoggiano ai loro scettri. Ed essi dicono il bel nome7 di questo Onnos a Ra, e mostrano questo Onnos a Neheb-kau8 perché si saluti l’ingresso di questo Onnos. Sono inondati i Campi dei Giunchi perché Onnos traghetti sul Canale delle Curve. Traghetta un traghetto questo Onnos fino al lato orientale dell’Orizzonte, traghetta un traghetto questo Onnos fino al lato orientale del cielo. Sua sorella è Sothis, la sua madre (?)9 è la Duat. 1. (Pyr. 337 a - 341 c). 2. I galleggianti di canne, mezzo più arcaico di trasporto che non la barca. 3. Si è presso il proprio ka quando si è morti. 4. Abito rituale. 5. Le «Anime di Buto»? I «Figli di Horo»? 6. Quella treccia sulla tempia che resta un distintivo dei bambini e di alcuni costumi rituali. 7. Il «bel nome» è il nome che si usa nella vita comune, in contrapposto al nome ufficiale. 8. Demone talvolta ostile, talvolta sottomesso a Atum. 9. mst’wt parola di incerto significato. «Madre»? «Parente da parte di madre»?

2671 Dire le parole: Il tuo cuore è tuo, o Osiri! I tuoi piedi sono tuoi, o Osiri! Le tue braccia sono tue, o Osiri! Il cuore di Onnos è suo proprio, i piedi di Onnos sono suoi propri, le braccia di Onnos son sue proprie. Si batte per lui una rampa fino al cielo, ed egli esce su quella fino al cielo. Egli esce sul fumo del grande incensamento. Vola questo Onnos come un uccello, e si posa come uno scarabeo2 sul trono vuoto che è nella tua barca, o Ra. Levati, allontanati, tu che non conosci la giuncaia3: siede questo Onnos al tuo posto, e naviga nel cielo con la tua barca, o Ra. Si spinge col palo questo Onnos lontano dalla terra nella tua barca, o Ra. Ecco, tu esci all’orizzonte; ed, ecco, egli ha il suo scettro nella sua mano, come pilota della tua barca, o Ra. Tu ti innalzi al cielo e ti allontani dalla terra: un allontanarsi dalla sposa e dall’abito regale4. 1. (Pyr. 364 a - 369). 2. In aspetto di Khepre. 3. Probabilmente il dio del sole, inesperto della navigazióne fluviale, in cui invece il morto è maestro. 4. Dalla famiglia e dalla funzione. «Abito regale» rende s’nd’wt.

2701 Dire le parole: Possa tu svegliarti in pace! Her.ef.ha.ef2, in pace! Ma-ha.ef, in pace! Traghettatore del cielo, in pace! Traghettatore di Nut, in pace! Traghettatore degli dei, in pace! È venuto Onnos a te perché tu lo traghetti con quel traghetto per cui sono traghettati gli dei. Onnos è venuto al suo fianco come viene un dio al suo fianco. Egli è venuto alla sua tempia come viene un dio alla sua tempia. Non c’è nessun accusatore vivo contro Onnos, non c’è nessun accusatore morto contro Onnos, non c’è nessun accusatore oca contro Onnos, non c’è nessun accusatore vitello contro Onnos3. Se tu, quanto a te, non lo traghetti, egli salta e si pone sull’ala di Thot4. Egli è colui che traghetterà Onnos a quel lato. 1. (Pyr. 383 a - 387 c). Formula per il traghetto all’Aldilà. 2. Il nome di «La-sua-faccia-è-la-sua-nuca» come il seguente «Egli-guarda-dietro-di-sé» sono nomi tipici per il traghettatore che remando deve guardare dietro sé per dirigere la rotta. 3. Né i vivi, né i morti, né i volatili, né i quadrupedi: tutta la creazione non ha da presentar querela contro Onnos nel tribunale dell’Aldilà. 4. Thot come ibis.

2721 Dire le parole: O Alto-Intangibile2, porta del Nun! È venuto Onnos a te. Fa’ che esso gli sia aperto. «Onnos è quel piccolo lì?» «Questo Onnos è alla testa del seguito di Ra. Non è questo Onnos alla testa degli dei Distruttori»3. 1. (Pyr. 392 a - 392 d). Scongiuro per una porta dell’Aldilà. 2. Il nome del portale è così approssimativamente tradotto. 3. Parola che appare solo qui.

2731 È annuvolato il cielo, si oscurano le stelle. Tremano gli Archi2, rabbrividiscono le ossa degli Akeru3. Cessano i movimenti quando essi han visto Onnos che sorge possente come un dio che vive dei suoi padri, si nutre delle sue madri. Onnos è il signore dell’astuzia, di cui ignora il nome sua madre. La dignità di Onnos è in cielo, il suo vigore è all’orizzonte come suo padre Atum che lo ha partorito4. Dopo che egli lo ebbe partorito, quello fu più vigoroso di lui. I ka di Onnos son dietro di lui, le sue hemsut5 son sotto i suoi piedi. I suoi dei son sopra di lui, i suoi urei sono sul suo vertice. La serpe-guida di Onnos è sulla sua fronte, quella che guarda l’anima6, quella la cui fiamma è efficace. Il collo di Onnos è saldo sul suo busto. Onnos è il toro del cielo, che fu privo7 e si pose in cuore di vivere dell’essenza di ogni dio, che mangiò i loro visceri quando essi vennero, con il ventre pieno di magia, dall’Isola della fiamma8. Onnos è uno che è provvisto, che si è incorporato gli Spiriti. Onnos è apparso come quel grande, signore degli imywset-aui9. Egli siede con le spalle a Geb. Onnos è colui che è giudicato con Colui il cui nome è nascosto, quel giorno in cui è sgozzato il Primogenito10. Onnos è un signore delle offerte, che annoda la fune11, che prepara egli stesso il suo pasto. È Onnos colui che mangia uomini e vive di dei, signore dei messaggeri, che distribuisce compiti. È l’Afferra-vertici che è in Kehau, colui che li prende al laccio per Onnos. È la Solleva-testa (serpe) colei che glieli sorveglia e glieli punisce. È Quegli che è sul Rossore colui che glieli lega. È Khonsu12 colui che uccide i signori, e li sgozza per Onnos, ed estrae per lui quel che è nei loro corpi. Il Messo è colui che egli (sc. Onnos) manda per punire.

È S’esmu13 che li fa a pezzi per Onnos e cuoce un pasto di loro nei suoi focolari della sera. Onnos è colui che mangia le loro magie e ingoia i loro spiriti. I loro grandi sono per il suo pasto mattutino, i loro medi sono per il suo pasto serale, i loro piccoli sono per il suo pasto notturno, i loro vecchi e le loro vecchie sono per il suo incensamento. Sono gli aatyw14 settentrionali del cielo, che accendono il fuoco alle caldaie cui essi attendono, con le cosce dei loro primogeniti. Gli abitanti del cielo fan servizio a Onnos quando i focolari son formati per lui con i piedi delle loro donne. Egli ha attraversato i due cieli nella loro interezza, egli è passato per le Due rive. Onnos è il grande possente che ha potenza sui possenti. Onnos è il falco che vola oltre i falchi, il grande. Quegli che egli trova sulla sua via, egli se lo mangia pezzo a pezzo. La importanza di Onnos è avanti (a quella) di tutti i nobili che sono nell’orizzonte. Onnos è un dio, più anziano dei più anziani. Lo servono le migliaia, gli fanno offerta le centinaia. A lui è dato un diploma di Grande Possente da Orione, il padre degli dei. Onnos è di nuovo apparso nel cielo, coronato15 come signore dell’orizzonte. Egli ha contato le vertebre, egli ha preso i cuori degli dei, egli ha mangiato la Rossa, egli ha ingoiato la Verde16. Onnos si nutre di polmoni, che son sapienti, ed è pago di vivere di cuori, così come delle loro magie. Ha nausea Onnos quando lecca le cose vomitevoli che son nella Rossa17, ma si rallegra quando la loro magia è nel suo corpo. Non sono rapite le dignità di Onnos da lui dopo che egli ha ingoiato il sapere di ogni dio. La durata della vita di Onnos è l’eternità, il suo termine è la perpetuità, in questa sua dignità di «Se vuole fa, se non vuole non fa»

che è nel limite dell’orizzonte sempre in perpetuo. Ecco, la loro anima è nel corpo di Onnos, i loro spiriti son presso Onnos … ….18 Ecco la loro anima appartiene ad Onnos, le loro ombre sono allontanate via da quelli cui esse appartengono. Onnos è colui che sorge, colui che sorge, colui che resta, colui che resta. Non verrà data la possibilità, a chi fa (male) azioni, di abbattere il posto del cuore19 di Onnos fra i vivi in questa terra per sempre, in eterno. 1. (Pyr. 393 a - 414 a). È il testo conosciuto come «Inno cannibale», che si presta a una doppia interpretazione, etnografica ed astrale. Vedi, in particolare, il commento di FAULKNER in «Journ. Eg. Archaeol.», X (1924), pp. 97-103. 2. Uno degli appellativi della volta celeste. 3. Gli dei della terra. 4. Atum sembra, dal verbo, averlo procreato senza bisogno di madre: è il mito della autogenerazione del sole, o della creazione effettuata dal dio solare. 5. Sono i corrispondenti femminili dei ka. Etimologicamente sarebbero in certo modo la «situazione». 6. «guarda» in senso pregnante: minacciosamente. «L’anima» dei nemici. 7. Allusione mitologica? 8. Una nota località mitologica ermopolita. 9. Titolo sacerdotale. 10. Allusione a un uso — scomparso in epoca storica — di sacrificio del primogenito, analogo all’usanza semitica? 11. Probabilmente della sua barca: padrone di muoversi a sua volontà. 12. Da non confondersi con il Khonsu tebano. 13. Dio della vendemmia e della pressatura dell’olio: il torchio, 14. Il Sethe intende «Die aus Mineral bestehenden», e interpreta la frase come designazione delle stelle circumpolari. 15. Con la corona bianca, come mostra il determinativo. 16. Sono corone del Basso Egitto. 17. La corona tipica del Basso Egitto. 18. La frase omessa presenta gravi incertezze di interpretazione. 19. È certo la piramide, cara dimora («posto del cuore») del re sulla terra («fra i vivi»).

2841 Dire le parole: Quegli che ha morso Atum ha riempito la bocca di Onnos2. Egli si torce un torcersi. Colpito è il Millepiedi da chi è nella casa. Colpito è chi è nella casa dal Millepiedi. Quel leone è dentro questo leone. Combattono i due tori entro l’Ibis3. 1. (Pyr. 425 a - 425 e). Formula contro i rettili. 2. Si immagina che Onnos morda quello che ha morso Atum. 3. L’ibis mangia scorpioni e millepiedi. Si allude a questo, oppure l’«ibis» è Thot? «Toro» per «serpente» è noto.

2941 Dire le parole: Onnos è Horo, uscito dall’acacia, uscito dall’acacia2, cui fu comandato: «Guardati dal leone». Esce colui cui fu comandato: «Guardati dal leone», è uscito Onnos dal suo ziro3, dopo che ha passato la notte nel suo ziro. Sorge Onnos al mattino. Egli è uscito dal suo ziro, dopo che ha passato la notte nel suo ziro. Sorge Onnos al mattino. 1. (Pyr. 436 a - 438 c). 2. La protezione di Horo (fanciullo?) da parte dell’acacia (altrove il sicomoro ha valore protettivo) può essere una variante del mito di Horo allevato nel Delta, e là protetto dai pericoli da dee amiche. 3. Lo ziro può essere il luogo dove si tengono i bambini neonati a dormire. Ma potrebbe anche alludere all’abitudine predinastica di seppellire i morti in ziri.

2981 Dire le parole: Sorge Ra, il suo ureo sul suo capo, contro questo serpente uscito dalla terra che è sotto le dita di Onnos. Egli taglia la tua testa con questo coltello che è nella mano di Mafdet che (abita nella Casa della Vita)2. Egli strappa quelli che sono nella tua bocca3, egli spreme il tuo veleno, con quelle quattro cinghie che sono a servizio del sandalo di Osiri4. Mostro, sdraiati! Toro5, voltolati! 1. (Pyr. 442 a - 443 c). Formula contro i serpenti. 2. Mafdet è una dea lince (o comunque felino capace di arrampicarsi) originaria del Delta (la «Casa della Vita» è in Sais ed è nominata in una iscrizione della I dinastia in relazione a Mafdet), che deve essere stata importante in periodo predinastico, e poi è praticamente scomparsa dal pantheon. 3. Cioè, i denti. 4. Allusione mitologica? 5. Anche altrove il serpente è chiamato «Toro».

3021 È chiaro (?) il cielo, vive2 Sothis, perché Onnos è il vivente, figlio di Sothis. Si son purificate per lui le Due Enneadi con le Stelle del Carro che non conoscono tramonto. Non tramonterà la casa di Onnos che è nel cielo, non perirà il trono di Onnos che è sulla terra. Si nascondono gli uomini, volano via gli dei3. Sothis ha fatto volare Onnos al cielo fra i suoi fratelli, gli dei. Nut ha denudato per Onnos la sua spalla. Le Due Anime4 che sono a capo delle Anime di Eliopoli si sono inchinate all’inizio del giorno, esse che passan la notte a far pianti sul dio5. Il trono di Onnos è presso di Te, o Ra! Egli non lo lascerà a nessun altro. Quanto a lui, Onnos esce al cielo presso di te, o Ra! Egli non lo lascerà a nessun altro. Quanto a lui, Onnos esce al cielo presso di te, o Ra! La faccia di Onnos è come (quella dei) falchi, le ali di Onnos son come (quelle de)gli uccelli, i suoi artigli son come (quelli del)le zampe del dio della Montagna del Serpente6. Non c’è una parola contro Onnos sulla terra fra gli uomini, non c’è una colpa sua in cielo fra gli dei: Onnos ha allontanato la parola (contro) di lui, Onnos (l’)ha distrutta, per salire al cielo. Upuaut7 ha fatto volare Onnos al cielo in mezzo ai suoi fratelli, gli dei. Onnos ha mosso le braccia come un’oca semen, ha battuto Onnos le ali come una femmina di falco. Vola colui che vola, o uomini! Vola Onnos via di fra voil 1. (Pyr. 458 a - 463 c). Il viaggio del re morto al cielo. 2. «palpita», come una stella. 3. Gli uomini si seppelliscono e vanno sotterra; ma gli dei (come il re) raggiungono il cielo. 4. Isi e Nefti? 5. Osiri. 6. È il dio falco del XII nômo dell’Alto Egitto. 7. Il dio lupo «che apre la strada».

3031 Dire le parole: O dei dell’Occidente, o dei dell’ Oriente, o dei del Mezzogiorno, o dei del Settentrione! Quei quattro galleggianti2 puri che voi avete posto per Osiri nella sua uscita al cielo, perché egli passasse l’acqua fino al firmamento con suo figlio Horo al suo fianco per allevarlo e farlo sorgere come Dio eccelso nel firmamento3, poneteli per Onnos. «Tu sei Horo, il figlio di Osiri? Tu sei Onnos, il dio primogenito, figlio di Hathor? Tu sei il seme di Geb?» «Osiri ha comandato che Onnos sorgesse come compagno di Horo. Quei Quattro Spiriti che sono in Eliopoli4 (lo) hanno scritto nel registro dei due dei eccelsi che sono nel firmamento». 1. (Pyr. 464 a - 467 b). 2. Mezzo primitivo di traghetto. 3. Notevole che qui Horo appaia allevato da Osiri, 4. I quattro figli di Horo?

3041 Dire le parole: Salve o figlia di Anubi2, che stai alla finestra del cielo, amica di Thot, che stai sulle due stanghe della scala (a pioli)! Apri la via a Onnos, perché Onnos passi. Salve, o Struzzo sulla riva del Canale delle Curve! Apri la via ad Onnos, perché Onnos passi. Salve, o vitello di Ra, con quattro corna, che hai un corno a Occidente, che hai un corno a Oriente, che hai un corno a Mezzogiorno, che hai un corno a Settentrione. China questo tuo corno dell’Occidente per Onnos, perché passi Onnos3. «Tu sei un Occidentale purificato?» «Io esco dalla città del Falco»4. Salve, o Campo della (mia) Pace! Sian salutati i venerabili che sono in te5. Onnos saluta i venerabili che sono in te. «Gradevole è il Puro che è in me». 1. (Pyr. 468 a - 471 d). Omaggio alle divinità che aiutino l’ascensione del sovrano defunto. 2. È altrove (1180 b) nominata: Qebhut «Colei-che-versa-l’acqua-fresca». 3. Altrove il Toro del Cielo o il Toro delle Offerte aiutano egualmente il morto con le loro corna. 4. Il «Falco» è il sovrano in quanto Horo? 5. Cioè, i morti che già vi soggiornano.

3051 Dire le parole: È legata la scala da parte di Ra davanti ad Osiri, è legata la scala da parte di Horo davanti a suo padre Osiri. Quando egli va al suo spirito uno di loro è da questa parte, uno di loro è da questa parte2, e Onnos è in mezzo a loro. «Sei tu dunque un puro di sedi?» «Io vengo dalla sede pura». «Levati, Onnos!», dice Horo. «Siediti, Onnos!», dice Seth. «Prendetegli la mano!», dice Ra3. Lo spirito al cielo, il cadavere alla terra. Quel che prendono gli uomini, quando sono sepolti, son migliaia di pani, migliaia di vasi di birra che son sulla tavola di offerte di Khenty-amentyw4. Se l’erede è povero e non ha scritti5, scriva Onnos con il suo dito grande; ma non scriva egli con il suo dito piccolo. 1. (Pyr. 472 a - 475 c). L’arrivo del re in cielo sulla scala preparata dagli dei. 2. Sono uno da una parte, l’altro dall’altra. 3. Per aiutarlo. 4. Anche altrove questa divinità è il distributore dei viveri ai defunti. 5. e non ci sono possibilità per le offerte funerarie, perché non ci sono né i beni dell’erede né un contratto con un sacerdote funerario.

3061 Dire le parole: «Come è bello il tuo aspetto, come è rasserenante il tuo sguardo!» Così dicono essi, così dicono gli dei, quando esce questo dio al cielo, quando esce Onnos al cielo e la sua gloria è sopra di lui, il suo timore ai suoi lati, la sua magia davanti a lui. Ha fatto per lui Geb nel modo in cui fu fatto a lui. Vengono a lui gli dei Anime di Pe, gli dei Anime di Nekhen, gli dei che appartengono al cielo, gli dei che appartengono alla terra2. Essi hanno innalzato Onnos sulle loro braccia e tu esci, quanto a te, Onnos, al cielo e ti inerpichi su di lui in questo suo nome di «Scala». «Sia dato il cielo a Onnos, sia data a lui la terra». Così dice Atum. Chi parla a questo proposito è Geb. «Le località della mia regione, della regione di Horo e della regione di Seth, e il Campo dei Giunchi ti rendono onore in questo tuo nome di Duau3, come Sopdu che sta sotto il suo albero4. Ti ha egli5 sacrificato, quando il suo cuore disse che tu dovevi morire per lui? Ma, ecco, tu ti sei fatto il suo oppositore come il toro che tiene il campo fra i tori selvaggi. Tiene il campo, tiene il campo, il toro che tiene il campo. E così tu terrai il campo, o Onnos, alla loro testa, alla testa degli Spiriti in perpetuo». 1. (Pyr. 476 a - 481 d). Formula relativa al viaggio celeste del re. 2. Le Anime di Pe (Buto) hanno testa di falco (e appartengono perciò al cielo). Le Anime di Nekhen (Hierakonpolis) han testa di sciacallo (e appartengono perciò alla terra). 3. Duau è un dio patrono degli oculisti. Qui sembra nominato per allitterazione con una parola precedente. 4. Sopdu è un dio falco dell’Oriente del Delta, patrono dei Beduini. L’«albero» qui è ksbt: forse quello che come nbs («zizifo») appare nel nome della città sacra al dio (h’wt-nbs, oggi Saft el Henneh). 5. Questo «egli» innominato sembra essere Seth.

3071 Dire le parole: Un Eliopolitano è Onnos, o Dio! Un Eliopolitano come te (?) è Onnos, o Dio! Un Eliopolitano è Onnos, o Ra! Un Eliopolitano come te (?), o Ra! La madre di Onnos è Eliopolitana, Il padre di Onnos è Eliopolitano, Onnos stesso è un Eliopolitano nato a Eliopoli — quando Ra era a capo delle Due Enneadi, e a capo degli uomini era Nefertum2 — come uno di cui non c’è il compagno, erede di suo padre Geb3. Ogni dio che abbia a tendere (in ripulsa) il braccio quando a te si volga il viso di Onnos allorché egli ti adora, e ti invoca per la sua persona, o Dio, e per il suo naso, o Dio, non esista il suo pane, non esista la sua focaccia in mezzo ai suoi fratelli gli dei, non invii un invio, non…4 in mezzo ai suoi fratelli gli dei. Non si aprano per lui i battenti della barca Mesktet, non si aprano per lui i battenti della barca Mandet5, non siano giudicate le sue parole, come (quelle di) uno che è nella sua città6, non si aprano per lui i battenti del luogo di distruzione. È venuto a te Onnos. Onnos è il toro selvaggio della steppa, il toro dal viso eccelso, uscito da Eliopoli. È venuto a te Onnos, il toro selvaggio della steppa7. Onnos è proprio quegli che ti ha creato e che ti crea. 1. (Pyr. 482 a - 486 d). Una formula francamente solare nella prima parte. Si presenta il re morto a Ra nella seconda. 2. La preminenza di Nefertum è di gusto menfita. 3. L’erede di Geb è Osiri. 4. Frase poco chiara, in cui sembra si alluda all’attività sessuale. 5. Sono la barca notturna e la barca diurna del sole. 6. Sembra una allusione a costumi giuridici: ha diritto al giudizio chi è cittadino. 7. O vocativo: «O toro ecc.»,

3101 Dire le parole: Se è incantato Onnos è incantato Atum. Se è combattuto Onnos è combattuto Atum. Se è colpito Onnos è colpito Atum. Se è impedito Onnos in questa via è impedito Atum. Onnos è Horo. Viene Onnos dietro suo padre, viene Onnos dietro Osiri. O tu, il cui volto è sulla sua faccia, o Tu il cui volto è sulla sua nuca2, porta questo a Onnos. «Quale traghetto debbo portarti, o Onnos?» Porta a Onnos uno che si leva a volo e che si posa3. 1. (Pyr. 492 a - 494 b). Formula per l’accesso al cielo. 2. La consueta immagine del rematore che ogni tanto si volta. 3. Forse da intendersi come il nome proprio del traghetto.

3141 Dire le parole: Indietro, vitello che deve essere ucciso, sulle cui corna debbono essere le dita di Aker! Cadi, scivola! 1. (Pyr. 504 a - 504 b). Formula per un vitello sacrificale. Nel sacrificio egiziano la vittima è legata e gettata a terra prima di essere sgozzata. Le «dita di Aker» (lo spirito della terra) che debbono essere sulle corna del vitello alludono a questa posizione della testa della vittima rovesciata al suolo.

3171 Dire le parole: È venuto oggi Onnos, come quegli che presiede alla inondazione della corrente. Onnos è Sobk2, dalle penne verdi3, dal viso sveglio, dalla fronte innalzata, il furente4 uscito fra la gamba e la coda della Grande che sta nello splendore5. Onnos è venuto ai suoi canali che son nella riva dell’onda della Meheturet6 al luogo della quiete dai verdi campi, che è all’orizzonte. Onnos ha rinverdito le erbe che son sulle due rive dell’orizzonte, Onnos ha portato lo smalto del Grande Occhio che abita nel campo. Ha preso Onnos il suo trono che è all’orizzonte. Onnos sorge come Sobk figlio di Neit7. Onnos mangia con la sua bocca, Onnos orina e Onnos feconda con il suo fallo. Onnos è il signore del seme, che rapisce le donne via dai loro mariti, al luogo in cui Onnos vuole, secondo la sua brama. 1. (Pyr. 507 a - 510 d). Il re defunto come coccodrillo divino. 2. Il dio coccodrillo. 3. Le penne son certo da immaginarsi sul capo del coccodrillo-dio come in numerose rappresentazioni. 4. Il coccodrillo è per gli egiziani tipicamente «furioso». 5. Cioè partorito dalla dea del cielo. Sobk è presto assimilato a Ra. 6. Il cielo immaginato come massa liquida e personificato in una giovenca. 7. Anche altrove Neit è madre di Sobk.

3201 Dire le parole: Onnos ha ordinato la notte, ha inviato le stelle. Sorgono le Potenze2, e proclamano Onnos come Ba-by3. Onnos è questo figlio di Colei che ignorava, quando partorì Onnos a Colui dal viso Prezioso4 (come) signore della notte. …vi5, o signori! Nascondetevi, o uomini, davanti a Onnos! Onnos è Ba-by, il signore della Notte, il Toro senza cui la vita è impossibile (?). 1. (Pyr. 515 a - 516 c). Il re morto come astro che regola la notte. 2. Probabilmente son così indicate le stelle. 3. Altrove (502 a) è il portinaio del cielo. 4. Geb? 5. Un imperativo, in parallelismo con «nascondetevi»,

3231 Dire le parole: Si è purificato Teti nel Lago dei Giunchi2. Horo ha pulito la tua carne, o Teti, Thot ha pulito i tuoi piedi, o Teti3. S’u ha sollevato Teti al cielo. O Nut, porgi la tua mano a Teti! 1. (Pyr. 519 a - 519 c). La purificazione del morto e la sua ascesa al cielo. 2. Il «Lago» invece del consueto «Campo» dei Giunchi. 3. Horo e Thot come purificatori sono frequenti anche nella iconografia. Teti è il nome del re per cui è compilato il rituale.

3241 Dire le parole: Salve, o portinaio di Horo, che sta al portale di Osiri. Di’ per piacere il nome di Teti (…) a Horo. Egli è venuto con la saliva2 della tempia per questa sua tempia che è ammalata il giorno della luna nuova, che si fa calva il giorno del mezzo mese3. «Sai tu darle refrigerio con la magia (che tu hai fatto per il Grande) fra gli dei, nella sua condizione originaria in cui era?» Salve o femmina di ippopotamo dell’eternità4! Sei tu venuta contro Teti come femmina di ippopotamo dell’eternità? Egli ha brandito uno dei due scettri ames di Horo contro di te, e ti ha (colpito) con esso. … … … …. Salve, o asina mostruosa! Sei tu venuta contro Teti come asina mostruosa? Egli ti ha colpita con la coda (…)5 che è cresciuta (?) nel Lago di Osiri. Salve, o Khnum, che è punito (?) affinché plasmi6 Teti! Tu sei questa sua pianta ama che (calpesta) (?) il suo piede, che non può crescere sotto i suoi alluci. Tu sei uno dei Due Pilastri del Palazzo Eccelso7. 1. (Pyr. 520 a - 524 d). Testo composito, che riunisce invocazioni a un portinaio celeste e a demoni aggressori. 2. Spesso usata come medicamento magico. 3. Allusione a miti lunari. 4. L’ippopotamo è animale tifonico, così come l’asino della strofa seguente. 5. Parte del composto è in lacuna. Probabilmente si tratta di un nome di pianta. 6. Questa ultima strofa è incomprensibile. Khnum è comunque il dio vasaio che plasma gli uomini, e non si vede perché qui debba essere esecrato. 7. È designazione di molti edifici illustri, dal palazzo reale al tempio.

3271 Dire le parole: Messaggero di Horo, che egli ama, è Teti, che gli riporta il suo occhio2. Messaggero di Seth, che egli ama, è Teti, che gli riporta i suoi testicoli. Messaggero di Thot, che egli ama, è Teti* che gli riporta il suo braccio *3. Tremano per sé le Due Enneadi: son messaggeri che Teti ama, che conducono all’offerta funebre, e che condurranno Teti all’offerta funebre. 1. (Pyr. 535 a - 536 c). 2. Il morto è in relazione con Horo, Seth e Thot, alle mutilazioni di ciascuno dei quali porta rimedio. Le mutilazioni dei due primi sono ben note, meno quella del terzo. 3. La frase fra asterischi manca nel testo di Teti, ma figura nei testi paralleli. «Braccio» sarà l’ala di Thot-ibis.

3321 Dire le parole: Teti è quegli che è uscito dal Gioco del Serpente2. Teti è uscito dal suo alito infocato e torna. È andato Teti, o cielo, o cielo! È venuto Teti, o terra, o terra! Egli ha camminato sulla verde erba che è sotto i piedi di Geb3, egli calpesta le vie di Nut4. 1. (Pyr. 541 a - 541 e). 2. Un gioco che si gioca su un tavoliere a forma di spirale. Qui sembra si alluda a una vittoria al gioco, simile a quella di Rampsinito (Herod. II, 122) o di Setne. 3. Più tardi le erbe e le piante saranno «sul dorso» di Geb. 4. Il morto viene dal cielo in terra, e risale dalla terra al cielo.

3341 Dire le parole: Salve, o Ra, che traversi il cielo e che passi in barca Nut. Tu hai traversato il canale delle Curve. Teti ha afferrato la tua coda2, perché Teti è in verità un dio figlio di un dio. È Teti il fiore uscito dal Ka3, il fiore aureo uscito dalla Città del Salnitro4. Teti ha traversato Pe5, egli ha passato in barca Kenmut6: Teti ha attraversato Pe come Kherty che risiede in Nesat; egli ha attraversato in barca Kenmut come S’esmu che è nella sua barca del frantoio7. Voglia Iddio che Teti viva come Fetket8 vive. 1. (Pyr. 543 a - 545 c). 2. Ra in forma di toro. 3. Cioè il fiore primordiale su cui si è manifestato il sole? E il ka è un modo di designare il Nilo come agathodaimon? O non piuttosto il testo, anche qui come nei versetti seguenti, allude alle cerimonie di preparazione del cadavere per la sepoltura? 4. Iseum (Behbet el Hagar). 5. Buto. 6. Forse la necropoli di Buto. 7. S’esmu è il dio della preparazione dell’olio e del vino. La sua barca nwdt ha relazioni etimologiche con nwd «frantoio». 8. Fetket figura (123 g) come cantiniere di Ra.

3371 Dire le parole: Parla il cielo, trema la terra per il tuo terrore, o Osiri, quando tu fai la tua uscita. O voi, queste mucche, o voi, queste giovenche nutrici2, andate attorno a lui, piangetelo, lodatelo, lamentatelo, quando egli fa la sua uscita e va al cielo in mezzo ai suoi fratelli, gli dei.

Concubina Figurine femminili, spesso fittili, sono poste nelle tombe egiziane come «concubine» del morto, perché egli possa continuare in pienezza la sua attività vitale. È da notare che in molti casi a queste

statuette mancano le gambe, ché non possano fuggire, e che in altri casi si affianca una figurina infantile, che rappresenta la postuma prole. (Torino, Museo Egizio, suppl. 1151). 1. (Pyr. 549 a - 550 c). 2. Isi e Nefti, o le Mehut-uret, le giovenche del cielo.

3381 Dire le parole: Fame, non venire da Teti. Vattene, tu, al Nun; vagabonda, tu, all’onda! Poiché Teti è sazio: Non ha fame Teti, per quel pane di Horo che egli ha mangiato, che ha fatto per lui la Grande Donna2, perché egli se ne saziasse e perché tornasse nel suo stato. Teti non ha sete per S’u, Teti non ha fame per Tefnut3. Hapi, Dua-mut.ef, Qebeh-senu.f, Imset4, allontanano questa fame che è nel ventre di Teti, questa sete che è nelle labbra di Teti. 1. (Pyr. 551 - 552 d). 2. Designazione della capo-cuoca? 3. S’u come colui che produce la fame e Tefnut la sete in Pyr. 553 a (rovesciati rispetto a qui). 4. I quattro figli di Horo, che hanno in custodia i visceri del morto. In età più tarda i vasi canopi, dove appunto tali visceri sono conservati, sono decorati con le teste delle quattro divinità.

3421 Dire le parole: È Teti, o Isi! È Teti, o Asbet2! È Teti, o Nefti! Vieni a vedere tuo figlio: egli ha percorso il nomo di Athribis3, egli ha percorso la corona ureret4. La sacca di Teti è di pianta tun. La cesta di Teti è di pianta nenet. È venuto Teti, e porta quel che è desiderato e quel che è dato. 1. (Pyr. 556 a - 557 c). Il re come Horo ha percorso il regno del Sud e ne riporta tributi. 2. Dea che personifica l’ureo o il trono. 3. Qui sembra inteso come confine del regno del Sud. 4. La corona d’Alto Egitto.

3501 Dire le parole: O Tu (femm.) dall’ampio passo2 quando semini lo smeraldo, la malachite, la turchese come stelle! Se tu sei verde, è verde3 Teti; verde come una pianta viva. 1. (Pyr. 567 a - 567 c). 2. La dea del cielo che semina le stelle come pietre preziose. 3. «verde» è sempre anche «vegeto».

3591 Dire le parole: Ha emesso un gemito Horo per il suo occhio, ha emesso un gemito Seth per i suoi testicoli. È balzato l’occhio di Horo, quando cadde su quel lato del Canale delle Curve2, per salvarsi dalla mano di Seth. Lo vide Thot su quel lato del Canale delle Curve. Balzò l’occhio di Horo su quel lato del Canale delle Curve, e cadde sull’ala di Thot3 su quel lato del Canale delle Curve. O voi dei che traghettate sull’ala di Thot, verso quel lato del Canale delle Curve, verso il lato orientale del cielo per parlare con Seth per quest’occhio di Horo! Traghetta Teti con voi sull’ala di Thot, verso quel lato del Canale delle Curve, verso il lato orientale del cielo. Teti parlerà con Seth per quest’occhio di Horo. Possa tu destarti in pace, o «Colui che guarda dietro di sé»4, in pace! Possa tu destarti in pace, o «Colui che è entro Nut», in pace, barcaiolo del Canale delle Curve. Dite il nome di Teti a Ra, annunciate Teti a Ra. Va Teti a quel lontano palazzo dei Signori dei Ka5 in cui è venerato Ra al mattino nelle località di Horo e nelle località di Seth, come Dio di coloro che sono andati ai loro ka6. O Ra, imponi Teti a «Colui che guarda dietro di sé», barcaiolo del Canale delle Curve, perché egli porti a Teti quella barca del Canale delle Curve in cui egli traghetta gli dei a quel lato del Canale delle Curve, al lato orientale del cielo, e traghetti Teti a quel lato del Canale delle Curve, al lato orientale del cielo. Teti è alla cerca dell’occhio di Horo che gli appartiene (?) Teti conterà le dita7. Lavata è la faccia di Teti dagli dei, maschi e femmine, «Imset, Hapi, Dua-mut.ef, Qebeh-senu.f8,

il lato destro di Teti, che è Horo!» «Hu-g’enderu9, Khenty-uaduy.fy10, Nefti e Mekhentyen-irty11, il lato sinistro di Teti, che è Seth!» È riconosciuto Teti dal suo seggio, si ricorda di lui il suo rematore. Teti ha trovato il suo seggio vuoto nella stiva della barca d’oro di Ra. 1. (Pyr. 594 a - 602 c). 2. Un celebre canale dell’Aldilà. 3. Thot come ibis. 4. Il traghettatore. 5. I «Signori dei ka» son coloro che vivono coi loro ka, e cioè i re morti. 6. «Andare al proprio ka» è eufemismo per «morire». 7. Con valore di «dovrà contare», e allusione a una specifica cerimonia? 8. I quattro figli di Horo. Imset è originariamente femmina. Qui va inteso un vocativo, con un verbo sottinteso «prendete» (così come nella seguente frase parallela). 9. «Colui che ha percosso G’enderu» è designazione di Seth (D’ndrw = Osiri?). 10. «Colui che è davanti ai suoi due papiri». 11. Nefti è spesso connessa con Seth, Mekhenty-en-irty come nemico di Osiri. I quattro dei sembrano costituire un contrapposto sethiano ai Quattro figli di Horo.

3611 Dire le parole: Nun ha imposto Teti ad Atum2, Pega ha comandato Teti a S’u3, che faccia che siano aperti i battenti del cielo per Teti, a differenza della gente che non ha nome. «Afferra, tu, Teti per il braccio! Prendi, tu, Teti al cielo! Che egli non abbia a morire connesso con la terra, frammezzo alla gente!». 1. (Pyr. 604 a - 604 f). Il re va al cielo, l’umanità resta alla terra. 2. Nun il dio dell’abisso, Atum il dio del sole. 3. Pega è il dio della terra che galleggia sul Nun, S’u il dio dell’aria: la contrapposizione è in parallelismo con quella della frase precedente.

3621 Dire le parole: Padre di Teti, padre di Teti nell’oscurità, padre di Teti, Atum, nell’oscurità! Portati Teti al tuo fianco affinché egli accenda la lucerna e ti protegga come protesse Nun quelle quattro dee2 il giorno in cui esse protessero il trono: Isi, Nefti, Neit e Serqet-hatu3. 1. (Pyr. 605 a 606 d). Invito ad Atum ad accogliere il re defunto. 2. Ci è sconosciuto questo mito; ma forse il «trono» è la bara di Osiri. 3. Sono, queste dee, raffigurate ai quattro angoli delle cassette in cui sono contenuti i canopi, e talvolta ai quattro angoli del sarcofago.

3661 Dire le parole: O Osiri Teti, sorgi, levati! Ti ha partorito tua madre Nut, ti ha pulito la bocca Geb, ti protegge la Grande Enneade. Essi ti han posto il tuo avversario sotto i piedi. «Porta, tu, colui che è più grande di te», così gli han detto nel tuo nome di Itefa-ur2. «Solleva chi è più grande di te», così essi hanno detto nel tuo nome di Ta3 ur . Vengono a te le due sorelle Isi e Nefti, e ti sanano. Tu sei completo (km.ti) e grande (wr.ti) nel tuo nome di Km-wr4. Tu sei fresco (w3d’) e grande (wr.ti) nel tuo nome di W3d’wr5. Ecco, tui sei grande (wr.ti) e tondo (s’n.tì) come S’n-wr6. Ecco, tu sei curvo (dbn.ti) e tondo (s’n.tì) come il circolo (dbn) che percorre gli Hau-nebu7. Ecco, tu sei tondo (s’n.ti) ed eccelso (’3-ti) come S’n-’3-sk8. Ti han protetto (S3) Isi e Nefti in Siut (S3wt), poiché il loro signore sei tu, nel tuo nome di Signore di Siut, poiché il loro dio sei tu nel tuo nome di dio. Esse ti adorano (dw3), perché tu non ti allontani da loro, nel tuo nome di Dw3-m’r. Esse ti placano (?) perché tu non infurii (d’nd) nel tuo nome di D’ndrw9. Viene a te tua sorella Isi, gioiosa del tuo amore. Tu l’hai posta sul tuo fallo: esce il tuo seme in lei, acuto (spd.t), nella (sua qualità di) Sothis (Spdt); Horo l’Acuto (Hr spd) esce da te, come Horo è in Sothis (Spdt). È utile (3h’) per te da parte sua, nel suo nome di Spirito (3h’) che è nella barca D’ndrw. Egli ti vendica nel suo nome di Horo che vendica suo padre10. 1. (Pyr. 262 a 633 b). 2. Determinato con il segno del palazzo regale d’Alto Egitto. Qui va inteso come un aggettivo di nome di luogo, ed è titolo di Osiri. 3. Il nômo tinita. Anche qui si ha un aggettivo locale. 4. Da qui alla fine della formula si ha un continuo ed intraducibile giocare di parole. Ho messo fra parentesi le parole egiziane. Km-wr è il «Lago salato» presso Suez.

5. Il Mediterraneo. 6. Nome di mare, forse l’Oceano Indiano. 7. Le isole dell’Egeo. 8. «Il Grande Anello che Tramonta»? Dov’è? 9. Nome di una barca su una treggia simile a quella di Sokaris, a giudicare dal determinativo. Cfr. Formula 359, versetto 601 e, dove il titolo (come qui) deve valere «Osiri». 10. Harendotes.

3731 Dire le parole: Ohé, ohé! Levati, o Teti, prendi la tua testa, riunisci le tue ossa, raccogli le tue membra, scuoti la terra che è sulla tua carne, prendi il tuo pane che non muffisce, la tua birra che non inacidisce! Tu ti levi presso le porte che tengono lontani gli uomini. Esce per te Khenty-menut.ef2 ed afferra il tuo braccio. Egli ti porta al cielo, presso tuo padre Geb3: egli si rallegra del tuo arrivo, e ti porge la mano, egli ti bacia, egli ti vezzeggia, egli ti colloca come capo degli Spiriti che non conoscono tramonto4. Ti adorano Quelli delle sedi misteriose5, si riuniscono per te i Grandi, si levano per te i Vigili. È battuto per te l’orzo, è falciata per te la spelta. Si fanno offerte con questo alle tue feste dell’inizio del mese, si fanno offerte con questo alle tue feste dell’inizio della quindicina, come qualcosa che è stato comandato che si faccia per te da parte di tuo padre Geb. Levati, o Teti! tu non morrai! 1. (Pyr. 654 a - 657 e). Il morto risuscita, riunisce le sue membra (la mummificazione non è ancora conosciuta), ed è accolto in cielo. 2. Un portinaio celeste. 3. Che è in verità dio della terra. 4. Le stelle circumpolari. 5. I morti.

4011 Dire le parole: *È venuto (il re) da Pe2, rosso più della fiamma, vivo più dello scarabeo *3! Teti ha visto la Grande4, Teti ha preso la Grande, è caduta la faccia di Teti sulla Grande. Hu5 ha posto la sua tempia a Teti. Teti traversa in barca il suo lago, e il suo ureo lo segue. 1. (Pyr. 697 a - 697 e). Parole di un rituale di coronazione dei re di Buto. 2. Una delle due città di cui si compone Buto. 3. La frase fra asterischi manca nel testo di Teti e si ha solo da paralleli. 4. La «Grande» con determinativo del serpente, è l’ureo, simbolo regale. 5. Il dio della parola di comando. La frase deve essere frase idiomatica per «ha dato ascolto».

4031 Dire le parole: O Tu, il cui albero di aab verdeggia, che stai nel tuo campo! O Tu che apri i fiori, che stai sul tuo sicomoro! O Tu, smalto2 delle rive, che stai sul tuo albero di iam! O Signori dei campi verdi, oggi gioia! Teti sarà da ora in mezzo a voi, Teti uscirà nei vostri dintorni, vivrà Teti di ciò di cui voi vivete. O voi, Tori di Atum3, fate che Teti sia verde, ristorate Teti più che la corona del Basso Egitto4 che è su di lui, più che l’onda che è nel suo grembo, più che i datteri che sono nel suo pugno5. 1. (Pyr. 699 a - 701 c). Testo relativo all’offerta, rivolto ai geni vegetali che proteggano il morto. 2. «smalto» è detto del verdeggiare delle piante. 3. Esseri ignoti. 4. Si pensa certo al colore verde della corona. 5. Il re, seduto per terra, mangia e beve, con i datteri in mano e la brocca dell’acqua fra le ginocchia.

4081 Dire le parole: Parti della notte2, venite: Teti è partorito. O voi due, che avete concepito di giorno, in modo da attendere e da partorire colui, che è nella Città dell’Uovo, ecco, Teti voi lo avete partorito, ecco Teti voi lo avete nutrito. Lieto è il cuore di Teti come quegli che è nella Dat3. Lieto è il cuore degli dei per Teti, appena essi vedono Teti ringiovanito. Ecco, l’offerta del 6 del mese sarà la colazione di Teti, l’offerta del 7 del mese sarà la cena di Teti. Saran sacrificate giovenche da riproduzione a Teti nella festa wag4. Il desiderio esaudito in tale festa è il dono di Teti, poiché Teti invero è il Toro di Eliopoli. 1. (Pyr. 714 a - 716 e). Al re morto, divenuto stella, non manchino le offerte. 2. Le stelle. 3. Qui evidentemente immaginata in cielo. 4. Una festa lunare, forse celebrata nel mese intercalare.

4091 Dire le parole: O Teti, o Toro dell’Enneade, signore dei cinque pasti, tre in cielo, due in terra! La Mesktet e la Mandet2 sono quelle che trasportano questo3 a Teti nel nekhen4 del dio. L’orrore di Teti è lo sterco, egli rifiuta l’orina e non la beve. Vive Teti di cose dolci e dell’incensamento che si fa sulla terra. 1. (Pyr. 717 a - 718 c). 2. Le due barche solari. 3. Le offerte di cui constano i pasti. 4. Nekhen è termine che indica un edificio sacro circolare, che dà nome a Hierakonpolis e al tempio solare di User-ka.f. Cfr. SETHE, Zeitchr. f. aeg. Spr., LIII, pp. 55 segg.

4121 Dire le parole: Cade il Grande2 sul suo lato. Freme Quegli che è in Nedit3. Vien sollevato il suo capo da Ra. Il suo ribrezzo è il sonno, il suo odio la stanchezza4 O carne di questo Teti, Non imputridire, non marcire, non sia cattivo il tuo odore! Che il tuo piede non passi, che il tuo passo non muova, che tu non calpesti le secrezioni del cadavere di Osiri. Tu ti avvicini al cielo come Orione, è acuta la tua anima come Sothis5. Tu devi essere anima e anima sei. Autorevole devi essere, e autorevole sei. Si leva la tua anima frammezzo agli dei come Horo che abita in Iru6. Il tuo terrore si manifesta in cuore agli dei come la corona rossa che è sul capo del re del Delta, come la corona bianca che è sul capo del re della Vallata7, come la treccia che è sul capo dei Mentu8. Tu afferri il braccio delle Stelle Imperiture. Non saran distrutte le tue ossa, non andrà a male la tua carne, o Teti! Non sarà allontanato nessun tuo membro da te, poiché tu sei uno degli dei. Viene a te navigando contro corrente Pe, viene a te navigando secondo corrente Nekhen9. Piange per te la prefica, si (?) abbiglia per te il sacerdote funerario. Un «benvenuto in pace»10 a te, o Teti, da parte di tuo padre; un «benvenuto in pace» a te da parte di Ra. Sono aperti per i te i battenti del cielo, son spalancati per te i battenti dell’empireo11, Poiché è calato Teti come uno sciacallo d’Alto Egitto12, come Anubi che giace sul ventre13, come Upiw14 che sta in Eliopoli. Ha dato a te il suo braccio la Grande Giovanetta che abita in Eliopoli15, poiché non esiste una tua madre fra gli uomini, che ti abbia partorito.

La tua madre è la Grande Giovenca selvaggia che abita a Nekheb16, la corona bianca, il copricapo regale, dalle lunghe penne, dalle due mammelle pendenti. Ella ti allatta e non ti svezza. Sollevati sul tuo fianco sinistro, collocati sul tuo fianco destro, o Teti, perché siano stabili le tue sedi fra gli dei e si appoggi Ra su di te con la sua spalla. Il tuo odore è il loro odore, il tuo sudore è il sudore delle Due Enneadi. Tu sorgi, o Teti, col copricapo regale; afferra la tua mano il bastone e il flagello, impugna il tuo pugno la mazza. Si leva Teti come colui che abita nelle iterty17, che giudica gli dei. Tu appartieni alle Scintillanti18 che servono Ra, che sono davanti alla stella mattutina. Tu sei partorito nelle tue feste dell’inizio del mese come la luna, mentre Ra si appoggia a te all’orizzonte, o Teti19. Ti seguono le stelle Imperiture. Preparati finché venga Ra, o Teti, purificati in modo che tu esca per Ra. Non sarà vuoto il cielo di te, o Teti, in eterno. 1. (Pyr. 721 a - 733 d). La resurrezione del cadavere. 2. Osiri. 3. Il luogo dove fu ucciso Osiri. 4. Come segni di morte. 5. Giochi di parole nel testo egiziano. 6. Una località di tal nome è presso Elefantina. 7. La precedenza accordata al Delta (anziché, come, di consueto, alla Vallata) sembra datare la redazione alla IV o V dinastia quando tale uso è frequente. 8. I Beduini del Sinai, dalla tipica acconciatura. 9. Pe (Buto) e Nekhen (Hierakonpolis), le due vecchie capitali religiose dell’Egitto, a Nord e a Sud di Menfi. Qui si allude ai rappresentanti delle due città che accorrono ai funerali del sovrano. 10. Formula normale di saluto. 11. Traduzione di comodo del termine con cui è indicata quella parte del cielo su cui son collocate le stelle. 12. Le «Anime di Nekehn» (personificazione dei morti re del regno altoegiziano preistorico) hanno aspetto di sciacallo. 13. Anubi, il dio sciacallo, è rappresentato seduto sul ventre, come stanno i cani. 14. Anch’esso un dio sciacallo. 15. Nut, o Hathor, o altra dea? 16. Cioè Nekhbet appunto, raffigurata in genere come avvoltoio; ma qui (e altrove) giovenca

selvaggia e insieme insegna della regalità. 17. I due sacri palazzi regali d’Alto e Basso Egitto. 18. Stelle. 19. Allusioni astronomiche. Il mese comincia col novilunio, quando la sica lunare appare mentre il sole tramonta.

4151 Dire le parole: Salve, o Tait2, che sei sul margine del grande nido3! Affratella il dio con suo fratello. Sarai o non sarai? Sarai dunque o non sarai? Proteggi, tu, il capo di Teti cosicché esso non si sleghi, raccogli le ossa di Teti cosicché esse non si sleghino, poni l’amore di Teti nel corpo di ogni dio che lo dovrà vedere. 1. (Pyr. 738 a - 739 c). Testo relativo alla fasciatura delle ossa del cadavere. 2. Dea della tessitura. 3. Allusione mitologica incerta.

4251 Dire le parole: «O Osiri Pepi, tu sei vendicato2! Io ti ho dato tutti gli dei, e così le loro eredità e così le loro abbondanze, e così le loro cose tutte. Tu non morrai». 1. (Pyr. 775 a - 775 c). 2. Da immaginarsi recitato da Horo, il «vendicatore» di suo padre Osiri.

4271 «Nut2, allargati sul tuo figlio Osiri Pepi, cosicché tu lo celi da Seth». «Io lo custodirò». «Nut, tu sei venuta per celare tuo figlio?» «Io sono venuta invero, e custodirò questo Grande». 1. (Pyr. 777 a - 777 c). 2. Si ricordi che Nut è anche la dea dei sarcofago, oltre che quella del cielo. Essa custodisce e nasconde così il re morto divenuto Osiri.

4371 Dire le parole: Destati per Horo, levati contro Seth2, alzati come Osiri, come lo Spirito, il figlio di Geb, il suo primo(genito)3! Levati come Anubi che sta sul suo tabernacolo! Trema per te l’Enneade, son celebrati per te i tre inizi (delle stagioni)4. Tu sei purificato per il giorno della luna nuova, tu sorgi per la festa dell’inizio della quindicina. Lamenta per te il Grande Palo d’ormeggio5 come per «Colui che sta senza stanchezza» che abita in Abido6. Terra! ascolta quel che han detto gli dei, quel che dice Ra, quando rende spirito questo Pepi perché egli prenda la sua dignità di Spirito a capo degli dei, come Horo figlio di Osiri; quando egli gli dà la sua dignità di Spirito che è fra i Vigili di Pe, quando egli lo proclama come dio che è fra i Vigili di Nekhen7. Parla la terra: «Sono aperti per te i due battenti di Aker8, son spalancati per te i due battenti di Geb. Tu esci alla voce di Anubi9, quando egli ti rende spirito come Thot, cosicché tu dividi gli dei10, e tieni nei loro confini gli Archi11, fra i due scettri sekhem, in questa tua dignità di Spirito, che ti ha comandato Anubi. Se tu vai, va Horo; se tu parli, parla Seth12. Tu passi verso il lago13, tu avanzi verso il nomo tinita, tu traversi Abido. Si apre per te una porta nel cielo all’orizzonte, si allegra il cuore degli dei al tuo avvicinarti. Essi ti traggono al cielo nella tua qualità di anima, cosicché tu sei anima fra di loro. Tu uscirai al cielo come Horo che è sul s’eds’ed14 del cielo in questa tua nobiltà che è uscita dalla bocca di Ra

come Horo alla testa degli spiriti. Tu stai seduto sul tuo trono di bronzo. Tu ti allontani verso il cielo. Ti sono sgomberate le vie degli Archi15, che portan su a Horo. Il cuore di Seth è fraterno verso di te, come il Grande di Eliopoli. Tu traversi il Canale delle Curve16 nel Settentrione del cielo, come una stella che naviga sul Verdissimo17 che è sotto il ventre di Nut. La Dat18 ti conduce per mano al luogo dove è Orione dopo che il Toro del cielo ti ha dato la sua mano. Tu ti nutrisci del nutrimento degli dei di cui essi si nutrono. Il profumo di Dedun è su te, il giovinetto d’Alto Egitto uscito dalla Nubia19. Egli ti dà l’incenso con il quale sono incensati gli dei. Ti hanno partorito le Due Figlie del re del Delta20, che son su di lui, le signore della Grande21. Ti ha chiamato Ra nello zenit (?) del cielo come Horo che sta davanti alle sue cosce22, lo Satuty23 signore della Città dei Ribelli; come lo Sciacallo, prefetto degli Archi24; come Anubi che è alla testa della Terra Pura. Egli ti pone come Stella mattutina che abita nel Campo dei Giunchi, cosicché tu stai seduto sul tuo trono. Le tue membra a pezzi, sono innalzate dallo pskhent25 signore degli Archi. Tu hai fino il superfluo nel campo degli dei, di ciò di cui essi si nutrono; tu hai la tua qualità di spirito; tu hai i tuoi messaggeri; tu hai la tua intelligenza; tu hai i tuoi sterratori (?). Sia soddisfatto e dia il re, sia soddisfatto e dia Anubi26 le tue migliaia di cuccioli di antilope da parte del deserto, quando essi vengono a te con la testa china. Sia soddisfatto e dia il re, sia soddisfatto e dia Anubi le tue migliaia di pani, le tue migliaia di vasi di birra, le tue migliaia di pani grandi che escono dalla Corte larga, le tue migliaia di ogni cosa dolce, le tue migliaia di buoi, le tue migliaia di ogni cosa che tu possa mangiare e su cui tu possa porre il tuo desiderio. Ti segue (= serve) l’albero di iam,27 volge a te lo zizifo28 il suo capo

secondo quel che ti fa Anubi. 1. (Pyr. 793 a - 808 b). 2. Invito alla resurrezione del morto. 3. Osiri è il re morto. 4. L’anno egiziano ha tre stagioni. 5. Il palo che si conficca sulla riva e cui si lega la fune della barca. Qui personificato — in quanto di genere femminile — come prefica. 6. Osiri. 7. Certo due designazioni delle «Anime di Pe» e delle «Anime di Nekhen», che sono i re predinastici divinizzati. 8. Aker è un genio terrestre, Geb è il dio della terra; ma la porta sembra quella che dà accesso al cielo. 9. Il dio dei morti, che si occupa del loro sostentamento. 10. così come Thor ha «diviso» Horo e Seth. 11. I popoli stranieri nemici dell’Egitto; o semplicemente gli «uomini» in contrapposto agli dei? 12. Il re è identificato con i due dei dinastici. 13. L’ambiente dei versetti successivi è Abido, e là bisognerà collocare anche questo lago (sacro?). 14. Si tratta di una appendice della stanga su cui sono innalzate le immagini degli dei. Qui per traslato è attribuita al cielo. 15. Come altrove, qui gli «Archi» designano la volta celeste. 16. Un canale da attraversarsi per giungere nell’Aldilà. 17. Il mare. 18. Quella parte dell’orizzonte dove si produce il crepuscolo. Qui personificata. 19. Dedun è un dio nubiano. Qui ancora è colui che procura quell’incenso che in epoca più tarda viene in Egitto da Punt. Notevole il determinativo del dio in forma di uccello. 20. Queste due divinità (Saty-bity), note anche da fonte protodinastica sono state a torto identificate in seguito con S’u e Tefnut. Qui valgono certo come insegne regali. 21. La corona del Delta. 22. Delle offerte sacrificali? 23. Dio armato di coltello, forse patrono dei chirurghi e localizzato presso a Sohag. Cfr. KEES, Zeitsch. f. aeg. Spr., LXIV, pp. 107 segg. 24. Sciacallo = giudice. Il titolo è assai noto per l’Antico Regno della V dinastia. 25. È la parola greco-egizia con la quale sono designate le due corone dell’Alto e del Basso Egitto («Le due possenti»). 26. È la consueta introduzione della formula dell’offerta funeraria. 27. Un albero che dà ombra. 28. Un albero fruttifero.

4391 Dire le parole: Pepi è Satis2, che conquista i Due Paesi, l’ardente, che ha preso le Due Rive. È uscito Pepi al cielo. Egli ha trovato Ra in piedi e gli si avvicina; egli si assiede al suo fianco. Ra non permette che egli si ponga per terra, perché egli sa bene che egli è più grande di lui. È, Pepi, più spirito degli Spiriti, più prezioso dei preziosi. È duraturo Pepi più dei duraturi. Pepi ha celebrato una festa di vittoria per Nebthetepet3. Si è levato Pepi sul Settentrione del cielo con lui4, ha conquistato Pepi i Due Paesi come re degli dei. 1. (Pyr. 812 a - 814 c). Formula che ricorda la conquista del Delta da parte del Re della Vallata. 2. La dea della prima cateratta. 3. Dea di Eliopoli, compagna del dio del sole, identificata in seguito con Hathor e con la mano del dio, che genera con quella il mondo. È, politicamente, dea settentrionale, mentre Satis è dea meridionale. 4. Cioè Ra.

4411 Dire le parole: È zappata per te la terra2, è spezzata per te l’offerta innanzi a te. Quando tu vai su quella via su cui vanno gli dei3, volgiti a vedere queste offerte che ti ha fatto il re4, che ti ha fatto Khenty-amentyw5, quando tu andavi a quegli dei del Settentrione, le Stelle Imperiture. 1. (Pyr. 817 a - 818 c). Formula di offerta funeraria. 2. Lo «zappare della terra» è operazione rituale che dà anche nome ad una festa. 3. Ci si rivolge al re che muove verso l’Aldilà. 4. Il re successore. 5. Il dio dei morti di Abido, poi identificato con Osiri.

4421 Dire le parole: Caduto è dunque questo Grande sul suo fianco! È stato abbattuto (ndi) Colui che è in Nedit2! È preso il tuo braccio da Ra, è sollevato il tuo capo dalle Due Enneadi. Ecco, egli è venuto come Orione; ecco, Osiri è venuto come Orione, il signore del vino alla festa wag3. «Bello» disse sua madre. «Erede» disse suo padre4. Concepito dal cielo, partorito dal crepuscolo. Ti ha concepito il cielo con Orione ti ha partorito il crepuscolo con Orione. Vive chi vive, secondo quel che han comandato gli dei, e tu vivrai. Tu uscirai con Orione dall’oriente del cielo, tu calerai con Orione nell’occidente del cielo. La vostra terza5 è Sothis6, dalle pure sedi: essa sarà la vostra guida per le belle vie che sono nel cielo, nel Campo dei Giunchi. 1. (Pyr. 819 a - 822 c). Il morto ripete le vicende di Orione e diviene stella in cielo. 2. In Nedit è stato ucciso Osiri. 3. La festa wag è la festa del mese intercalare. Il titolo di «signore del vino» è altrove connesso con Osiri, qui chiaramente identificato con Orione. 4. Sono le parole pronunciate dai genitori al momento della nascita. 5. Oltre il morto e Osiri-Orione. 6. La stella Sirio, identificata con Isi.

4431 Dire le parole: Nut, sono usciti due occhi2 dalla tua testa. Ti sei presa Horo e la sua Grande di Magia3, ti sei presa Seth e la sua Grande di Magia. Nut, tu hai contato (ip) i tuoi figli, nel tuo nome di Lettiga (rpt) di Eliopoli4. Voglia tu contare questo Pepi alla vita, cosicché egli non perisca. 1. (Pyr. 823 a - 823 e). 2. Gli «occhi» della dea del cielo sono il sole e la luna. 3. La corona. 4. Il gioco di parole è responsabile del titolo. «Lettiga» è quel che serve a trasportare i bambini ed è un traslato per «madre». A Eliopoli sono nati Osiri. Isi, Seth e Nefti.

4521 Dire le parole: O tu, Pepi, levati, cosicché tu sia puro e sia puro il tuo ka. Ti purifica Horo con le acque celesti. La tua purificazione è la purificazione di S’u, la tua purificazione è la purificazione di Tefnut, la tua purificazione è la purificazione dei Quattro Spiriti delle Case2 quando essi rendono omaggio in Pe. Sii dunque puro: ti purifica tua madre Nut. La Grande protettrice3, essa ti protegge. «Presa per te è la tua testa, riunite sono per te le tue ossa» dice Geb. «Annullato è il male connesso con questo Pepi, annullato è il male connesso con lui» dice Atum4. 1. (Pyr. 841 a - 843 b). Testo di purificazione dei defunto. 2. I Quattro figli di Horo. 3. È ancora un titolo di Nut. 4. Valore catartico di questo battesimo nelle acque celesti?

4551 Dire le parole: Riempiti sono i canali, straripati sono i fiumi, con la purificazione uscita da Osiri. Sacerdote sem2, principe iry-pa, Dieci Grandi del Palazzo, Dieci Grandi di Eliopoli, Grande Enneade, sedete! Guardate questa purificazione del sovrano, questo Osiri Pepi purificato col salnitro semen e col salnitro bed. La saliva uscita dalla bocca di Horo, la bava uscita dalla bocca di Seth, è purificato con essa Horo. È sciolto a terra per suo mezzo ogni male che lo riguarda e che ha fatto a lui Seth. È purificato con essa Seth. È sciolto a terra per suo mezzo ogni male che lo riguarda e che ha fatto a lui Horo. È purificato con essa questo Pepi. È sciolto a terra per suo mezzo ogni male che lo riguarda e che ha fatto a te Nutkenu3 insieme con i suoi spiriti. 1. (Pyr. 848 a - 851 b). Testo di purificazione, che connette la inondazione con Osiri. 2. Il sacerdote funerario, chiamato con gli altri grandi del regno ad assistere al rito funebre di purificazione del sovrano defunto. 3. Personificazione della morte e della necropoli,

4671 Dire le parole: Ehi, Ra! Quel che tu hai detto «Oh, se avessi un figlio!» quando eri sovrano, o Ra, «Che fosse illustre, possente, venerando, con braccia che portano, * con ampio passo!» Ecco, (Pepi), o Ra, (Pepi) è tuo figlio. È illustre (Pepi), è venerando (Pepi), è possente (Pepi). Portano, le braccia di (Pepi)*2, è ampio il passo di Pepi. Splende questo Pepi all’oriente come Ra, passa egli all’occidente come Khepre. Vive questo Pepi di ciò di cui vive Horo, signore del cielo, come comanda Horo signore del cielo. Questo Pepi purifica Ra, questo Pepi cala sul suo trono, questo Pepi prende il suo remo, questo Pepi trasporta Ra come chi traversa il cielo, la stella sehed d’oro, l’ornamento del Toro della Luce3, lo spiedo d’oro che appartiene a chi traversa il cielo. Vola colui che vola, vola così Pepi di frammezzo a voi, o uomini. Egli non appartiene alla terra, Pepi appartiene al cielo. O Dio della sua città, il ka di Pepi è presso le tue dita4. Si è mosso come una nuvola questo Pepi verso il cielo come cicogna, ha baciato questo Pepi il cielo come falco, ha raggiunto questo Pepi il cielo come cavalletta5 che nasconde il sole. Questo Pepi non ha mancato di rispetto al re, E non ha venerato Bastet6. Questo Pepi non ha fatto…7 come Grande dei portatori di Lettiga. È il figlio di Ra, cui egli prepara il posto; ed egli preparerà il posto di questo Pepi. È il figlio di Ra che sarà sano, e sarà sano questo Pepi. (Solo) se egli avrà fame, avrà fame questo Pepi.

Icneumone L’icneumone, tema relativamente frequente di bronzetti tardi, è rappresentato talvolta stante, talvolta ir. marcia. Nel primo caso è in particolare connesso con Atum, nel secondo con Horo di Letopoli. L’icneumone,

nemico dei serpenti, è un travestimento di dèi che vincono i serpenti mitologici e che possono liberare dai serpenti terreni. Questo esemplare eccezionalmente ricorda Uto, dea serpente. (Torino, Museo Egizio, cat. 932). 1. (Pyr. 886 a - 893 c). 2. La frase fra asterischi è caduta per aplografia nel testo di Pepi. 3. Il dio solare. 4. presso di te (espressione arcaica). 5. Così i testi paralleli. Il testo di Pepi ha «come Harakhte», certo peggiore. 6. La dea gatto (o leonessa) di Bubasti. La frase ha valore mitologico o po. litico? 7. Parola di significato ignoto in una frase non comprensibile.

4761 Si purifica il cielo per Ra, si purifica la terra per Horo. Ogni dio che è fra loro, egli purifica questo Pepi. Pepi venera il dio. O Battistrada (?) di questo Pepi, addetto al Grande portale, annuncia questo Pepi a questi due dei grandi ed eccelsi. Perché invero Pepi è il fiore uneg, il figlio di Ra2, che sostiene il cielo, che guida la terra *che giudica*3 gli dei. Questo Pepi si assiede in mezzo a voi, o Abitanti della Dat, perché voi sosteniate questo Pepi come Ra, perché voi seguiate questo Pepi come Horo, * perché voi innalziate questo (Pepi) * come Upuaut, perché voi amiate questo Pepi come Min. O scriba, o scriba4, rompi la tua tavolozza, spezza i tuoi due calami5, straccia i tuoi rotoli di papiro! O Ra, scaccialo dal suo posto, e colloca Pepi al suo posto, in eterno, perché questo Pepi sia lieto, in possesso del bastone di comando. Ra, * scaccialo dal suo posto, e colloca (Pepi) al suo posto *. Questo è Pepi. Evviva! 1. (Pyr. 951 a - 955 d). L’arrivo del re purificato al cielo. 2. Un dio fiore. 3. Qui e in seguito le frasi fra asterischi mancano in Pepi e sono in testi paralleli. 4. Lo scriba degli dei sarà sostituito nel suo ufficio dal re morto. 5. Uno per l’inchiostro nero, uno per l’inchiostro rosso come in epoca classica?

4771 Dire le parole: Si scuote il cielo, trema la terra. Viene Horo, sorge Thot e sollevano Osiri sul suo lato. Essi fanno che egli si levi fra le Due Enneadi. Ricorda, Seth, poni nel tuo cuore quella parola che ha detto Geb, quella minaccia che ti han fatto gli dei nel Castello del Principe, che è in Eliopoli, perché tu hai abbattuto Osiri a terra, quando tu dicesti, Seth: «Io non gli ho fatto nulla», per avere potere con questo, liberato, per avere potere per Horo. Quando tu dicesti, Seth: «È lui che mi ha sfidato» e ne derivò il suo nome di Iku-ta2. Quando tu dicesti, Seth: «È lui che mi è venuto vicino» e ne derivò questo suo nome di Orione3, dal lungo piede, dall’ampio passo, che presiede alla Terra d’Alto Egitto. Sollevati, Osiri! Seth si è sollevato dopo aver udito la minaccia degli dei, detta per il padre degli dei. Il tuo braccio a Isi, o Osiri, la tua mano a Nefti, e tu possa camminare fra loro due. «Ti è dato il cielo, ti è data la terra e il Campo dei Giunchi, le località di Horo, le località di Seth; son date a te le città, sono riuniti per te i nómi». Così dice Atum. Chi ha parlato per questo è Geb. Aguzza il tuo coltello, o Thot, acuto e tagliente, che stacca le teste, che taglia i cuori. Stacchi le teste e tagli i cuori di coloro che si metteranno sulla strada di questo Pepi quando egli verrà a te, o Osiri; di coloro che respingeranno questo Pepi quando egli verrà a te, o Osiri, perché tu gli dia vita e salute. È venuto a te Pepi, signore del cielo;

è venuto Pepi a te, o Osiri, perché Pepi pulisca la tua faccia, perché ti vesta con vesti divine, per fare il servizio cultuale per te nella G’edit4. Sothis, la tua figlia che tu ami, è colei che cura le tue primizie, in questo suo nome di primizia5; è colei che guida questo Pepi quando questo Pepi viene a te. È venuto questo Pepi a te, signore del cielo, è venuto questo Pepi a te, Osiri, per pulire la tua faccia, per vestirti con vesti divine, per fare il servizio cultuale per te in Iadi, per mangiare un membro del tuo nemico e per tritarlo per Osiri, cosicché egli lo ponga come capo dei trituratori. È venuto questo Pepi a te, signore del cielo, è venuto questo Pepi a te, o Osiri, per pulire la tua faccia, per vestirti di vesti divine, perché faccia a te questo Pepi quel che ha comandato Geb che si faccia. Egli consolida il tuo braccio sul segno della vita, egli colloca il tuo braccio in modo che porti lo scettro was6. È venuto Pepi a te, signore del cielo, è venuto Pepi a te, Osiri, perché Pepi pulisca il tuo volto, perché ti vesta questo Pepi con vesti divine, perché compia il servizio cultuale per te questo Pepi. Horo, il tuo figlio partorito per te, è quegli che non ha collocato questo Pepi a capo dei morti: egli lo ha collocato fra gli dei, poiché è divino. La loro acqua è l’acqua di questo Pepi, il loro pane è il pane di questo Pepi, la loro purificazione è la purificazione di questo Pepi. Quel che Horo ha fatto per Osiri [egli lo farà per questo Pepi]. 1. (Pyr. 956 a - 970 c). 2. C’è, in egiziano, un gioco di parole. 3. Gioco di parole in egiziano. 4. La necropoli di Eliopoli. 5. Traduzione di comodo per mantenere il gioco di parole; rnpwt «primizie» e genericamente «vettovaglie» e rnpt è l’anno che si «rinnova» con Sothis. 6. È la consueta rappresentazione delle divinità, con lo scettro was in una mano e il segno della vita

nell’altra.

4821 Dire le parole: O mio padre Osiri Pepi, levati sul tuo fianco sinistro, poniti sul tuo fianco destro, verso quest’acqua nuova che io ti ho dato. O mio padre Osiri Pepi, levati sul tuo fianco sinistro, poniti sul tuo fianco destro, verso questo pane caldo che io ti ho fatto2. O mio padre Osiri Pepi, sono aperti per te i due battenti del cielo, sono spalancati per te i due battenti degli Archi3. Hanno pietà gli dei di Pe4 quando essi vengono ad Osiri al suono del lamento di Isi e di Nefti. Danzano per te le Anime di Pe5. Essi percuotono per te le loro carni; essi battono per te le loro braccia, essi scuotono le loro trecce6. Essi dicono ad Osiri: «Tu sei andato, tu sei venuto, tu ti sei destato, tu ti sei addormentato: e tu sei saldo in vita. Levati, e guarda questo; levati ed odi questo che ha fatto per te tuo figlio, che ha fatto per te Horo. Egli ha colpito chi ti ha colpito, egli ha legato chi ti ha legato, egli lo ha posto sotto la sua grande figlia che è in Qedem7; la tua Grande Sorella8, è quella che ha riunito la tua carne, che ha raccolto le tue mani, quella che ti ha cercato, quella che ti ha trovato sul tuo fianco9 sulla riva di Nedit, perché cessasse il lamento funebre nelle Iterty10. O dei, parlate con lui11, portatelo; e tu esci al cielo, e divieni Up-uaut12. Ti guiderà tuo figlio Horo per le vie del cielo. È dato a te il cielo, è data a te la terra, è dato a te il Campo dei Giunchi insieme con quei due Grandi dei usciti da Eliopoli13. 1. (Pyr. 1002 a - 1010 C).

2. È, questo, parte di un rituale arcaico predinastico (lo si deduce dal tipo di sepoltura descritto) del servizio funerario del figlio per il padre morto, prototipo del rapporto Horo-Osiri. 3. Il cielo. 4. Buto. 5. Lo JUNKER, Tanz der Mww, in «MDIK», IX (1940), pp. 1-39, ha provato che questo è un testo del rituale funerario di Buto. Le «Anime» sono i re già morti e divinizzati. 6. Tutte queste figure di danza sono bene identificate nel rituale. 7. Località ignota; ce n’è una in Siria, un’altra ha come «signora» una divinità scorpione. 8. Isi, che ricostruisce il cadavere smembrato dello sposo. Le due versioni, che figurano l’una accanto all’altra in Plutarco, figurano anche qui. 9. morto. 10. I due Palazzi regali. 11. Seth. 12. Il dio sciacallo regale, qui considerato come l’eccelso degli dei. 13. S’u e Tefnut?

4861 Dire le parole: Salute a voi, o acque2 che ha portato S’u, che han sollevato le Mendefty3, in cui ha purificato Geb le sue membra, cosicché i cuori sono al terrore, i cuori sono allo spavento. Pepi è nato nel Nun4, quando ancora non era venuto in esistenza il cielo, non era venuta in esistenza la terra, non eran venuti in esistenza i due sostegni5, non era venuta in esistenza la lotta6, non era venuto in esistenza questo terrore per l’occhio di Horo. Questo Pepi è uno della Grande Corporazione che fu in antico partorita in Eliopoli7, e che non è rapita per il re, e che (non) è portata via per i funzionari, che non è giustiziata, che non è giudicata colpevole8. Pepi è tale che non è giustiziato, che non è rapito per il re, che non è portato via per i funzionari. Non riescono vittoriosi in giudizio i nemici di Pepi: non va in miseria Pepi, non sono alte le sue unghia9, non è spezzato un osso in Pepi10. Se cala Pepi nell’acqua lo solleva Osiri, lo sostengono le due Enneadi. Se cala egli a terra lo solleva Geb, sostengono le Due Enneadi questo Pepi. Egli (cioè Ra) offre il suo braccio (a questo Pepi) verso il luogo in cui è dio. 1. (Pyr. 1039 a - 1045 c). 2. dell’inondazione. 3. È un duale femminile: son forse le due sorgenti mitiche del Nilo personificate. 4. L’acqua primordiale da cui è nato il sole. 5. Le due montagne su cui poggia il cielo. 6. di Horo e Seth. 7. L’Enneade. 8. Sono questi rischi terreni, non da sovrano ma da privato, 9. È certo frase tecnica, ma di ignoto significato.

10. Come pena giudiziaria?

4981 Dire le parole: Destati, Osiri, destati! O Pepi, levati e assiediti, scuoti da te la polvere2. Io vengo e ti do l’occhio di Horo3, perché resti per te presso di te. (… … ….) (Levati) per questa carne che vien dalla corte ampia. Esci, prenditi questo tuo pane dalla mia mano. O Osiri Pepi, io sono il tuo figlio che tu hai generato, io vengo portando (… … ….) 1. (Pyr. 1068 a - 1069 c). Formula di offerta funeraria di figlio a padre. Probabilmente di tipo arcaico con introduzione di elementi più recenti. 2. Il morto deve scuotere da sé la sabbia in cui è sepolto. 3. Il simbolo generale dell’offerta.

5041 Dire le parole: Il cielo è gravido di vino2. Nut l’ha partorito come sua figlia, la mattina. Egli3 si solleva, la sua terza4 è Sothis dalle pure sedi. Egli è stato purificato nei Laghi delle Adoratrici, egli è stato sciolto nel Lago degli Sciacalli. Rovi5, allontanatevi dalla sua via perché egli possa prendersi la parte meridionale del Campo dei Giunchi. È aperto il Canale maa, è allagato il Canale delle Curve. Sono stati posti i due galleggianti del cielo per Horo perché egli possa traghettare fino presso Ra, fino all’orizzonte. Sono stati posti i due galleggianti del cielo per l’Abitatore dell’Orizzonte, perché egli possa traghettare fino a Ra, fino all’orizzonte. Sono stati posti i due galleggianti del cielo per Horo di S’esmet perché egli possa traghettare fino presso Ra, fino all’orizzonte. Sono stati posti i due galleggianti del cielo per Horo Orientale perché egli possa traghettare fin presso Ra, fino all’orizzonte. Sono stati posti i due galleggianti del cielo per questo Pepi, lo Horo degli dei perché anch’egli possa traghettare fin presso Ra, fino all’orizzonte, perché egli si prenda il suo trono che è nel Campo dei Giunchi, perché egli scenda al lato meridionale del Campo delle Offerte. Pepi è un Grande, figlio di un Grande; egli è uscito fra le due gambe delle Due Enneadi. Pepi ha fatto l’adorazione mattutina a Ra, Pepi ha fatto l’adorazione mattutina a Horo Orientale; egli ha fatto l’adorazione mattutina a Horo abitatore dell’Orizzonte, egli si abbiglia (?) con il grembiale perché egli6 sia benevolo a questo Pepi, perché egli sia benevolo a Horo Hery-net.ef7, perché egli sia benevolo a Horo Hery-net.ef, perché egli sia benevolo a questo Pepi. 1. (Pyr. 1082 a - 1088 c).

2. Ricordo di Osiri-Orione «signore del vino» o più semplicemente allusione al rossore dell’aurora? 3. Il morto. 4. Cioè compagna. 5. Traduzione di comodo. 6. Horo. 7. Il successore?

5051 Dire le parole: Questo Pepi è uscito da Pe verso le anime di Pe2. È bendato (?) Pepi con la benda di Horo, è vestito Pepi con la veste di Thot3; Isi è davanti a lui, Nefti è dietro di lui; Upuaut, egli gli apre le vie4, S’u lo alza5, le Anime di Eliopoli battono per lui una rampa per unirsi all’alto6. Nut, essa porge il suo braccio a lui, così come essa fece per Osiri in quel giorno in cui egli approdò7. O Tu-la-cui-faccia-è-nuca8, traghetta Pepi al Campo dei Giunchi. «Di dove sei uscito?» «Io sono uscito da awaret»9. La sua compagna (?) è la serpe uscita dal dio, l’ureo uscito da Ra10. Traghettalo, deponilo nel Campo dei Giunchi. Quei quattro Spiriti che sono con Pepi, Hapi, Dua-mut.ef, Imset, Qebeh-senu.f11, due son da un lato, due dall’altro; ma questo Pepi è il timoniere, cosicché trova le Due Enneadi. Sono esse che porgono il loro braccio a Pepi, ed egli siede in mezzo a loro per giudicare. Pepi dice parole di comando a coloro che egli ha trovato là. 1. (Pyr. 1089 a - 1093 e). 2. È uscito da Buto per raggiungere i re defunti e divinizzati (Anime di Buto). 3. Allusione alla bendatura del cadevere? 4. Nella sua funzione di «Battistrada» regale, con facile gioco di parole. 5. Come dio dell’aria. 6. Per giungere al cielo. 7. Eufemismo per «morì». 8. Nome consueto di genio traghettatore. 9. Designazione di Buto? 10. È l’insegna regale. 11. I Quattro Figli di Horo, che fungono da rematori, mentre Pepi è il timoniere che guida la barca.

5151 Dire le parole: O due stanghe di Horo2, o due ali di Thot, traghettate questo Pepi3, non lasciatelo senza barca! Possa tu dare pane a questo Pepi, possa tu dare birra a questo Pepi con questo tuo pane di eternità, questa tua birra di perpetuità. Pepi è quegli che è connesso con questi due obelischi4 terrestri di Ra. Pepi è quegli che è connesso con questi due ses’ep5 celesti di Ra. Muove questo Pepi su questi due galleggianti6 del cielo che sono davanti a Ra. La sua carne è sotto questa brocca della libazione di Ra. È purificata la Terra meridionale davanti a Ra quando egli esce dal suo orizzonte. Questo Pepi è in cammino verso il Campo della vita7 verso il luogo di riposo di Ra nel fiarmamento. Trova questo Pepi Qebhut, la figlia di Anubi8 che gli si avvicina insieme con questi quattro orci. Essa rinfresca per loro mezzo il cuore del Grande Dio9 il giorno del suo destarsi, essa rinfresca per loro mezzo il cuore di questo Pepi per la vita. Essa purifica questo Pepi, essa incensa questo Pepi. Prende questo Pepi il suo vitto di quel che è nel granaio del Grande Dio, è vestito questo Pepi dalle Stelle Imperiture, naviga questo Pepi per essere a capo delle Iterty10. Egli siede sul trono che spetta a un fornito di qualità. 1. (Pyr. 1176 a - 1182 d). 2. Le stanghe con le quali si spinge la barca, 3. Il nome del re defunto. 4. L’obelisco è sempre connesso con il culto solare. 5. È in parallelismo con «obelischi». Ma che vuol dire? La radice significa «splendere». 6. Quei fasci di giunchi o papiri adoperati come barche primitive dai più antichi egiziani, come ancor oggi nell’Alto Nilo. 7. Sekhet ankh. 8. Il nome di questa figlia di Anubi, che accoglie il morto e lo ristora, significa «frescura».

9. Ra, o comunque un dio solare. 10. Il complesso dei santuari (e perciò degli dei) dell’Alto e del Basso Egitto.

5201 Dire le parole: O Voi quattro che presiedete a Coloro che portan le trecce2! Le vostre trecce son davanti a voi, le vostre trecce son sulle vostre tempie, le vostre trecce son sulle vostre nuche, sui vostri capi come acconciature di danza3. Portate questo naviglio a questo Pepi, portate questo trasporto a Pepi. Sarà Hekerer che lo traghetterà per Pepi, con Ma-ha.ef4, cosicché egli passi a quel lato in cui sono le stelle Imperiture5 ed egli esista in mezzo a loro. Se tardate a condurre questo traghetto a questo Pepi, allora questo Pepi sarà capace di dire quel vostro nome alla gente che egli conosce, ai suoi sudditi; allora questo Pepi sarà capace di strappare queste accon ciature di danza che sono sul vostro capo come le ninfee che fioriscono alla superficie del lago. 1. (Pyr. 1221 a - 1223 e). Formula per il traghetto all’Aldilà. 2. Sono i Quattro Figli di Horo. 3. «come danzatrici»; cioè, l’acconciatura che han le danzatrici, con i capelli riuniti e terminanti in una palla? 4. «Colui-che-guarda-dietro-di-sé»: nome da traghettatore celeste. 5. Le stelle circumpolari.

5211 Dire le parole: Traghettatore del lago, porta questo. Traghettatore del lago, porta questo. È l’oca ser che si porta; è l’oca set che si porta; è il bove che si porta. Si leva come nube Pepi, come un airone. Tu voli come il «Padre-del-fanciullo»2. Vieni, o Pepi, presso questi tuoi padri che dimorano nei peg’u3. È portato a questo Pepi il suo pane che non conosce muffa, la sua birra che non conosce inacidimento. Mangia questo Pepi questo pane tutto solo non lo dà, questo Pepi, a chi è dietro di lui: egli lo ha sottratto all’uccello rapace. 1. (Pyr. 1221 a - 1223 e). Si riferisce alla traversata del morto all’Aldilà. 2. Nome di un uccello simile alla gru. 3. «Luoghi di culto di Sokaris» li definisce il WB.

5271 Dire le parole: Atum è quello che si manifestò in un atto onanistico a Eliopoli. Egli mise il suo fallo nel suo pugno e ne ebbe voluttà; e generò i Due Fratelli, S’u e Tefnut. Essi si collocarono questo Pepi in mezzo a loro, essi collocarono questo Pepi frammezzo agli dei che presiedono al Campo delle Offerte. Dire quattro volte: «Esce questo Pepi al cielo, cala questo Pepi alla terra, in perpetuo». 1. (Pyr. 1248 a - 1249 d). In un mito cosmogonico si inquadra l’arrivo di Pepi fra gli dei.

5341 Dire le parole da parte di Horo: «Un’offerta che dà Geb». Indietreggia, fuggi, tu che onori Horo e veneri Seth! Indietreggia, fuggi, tu che onori Osiri e veneri Kherty! Indietreggia, fuggi, tu che onori Isi e veneri Nefti! Fuggi, o capo2 che onori Mekhenty-irty e veneri Thot! Indietreggia, fuggi, tu che onori i Khaau e veneri gli Imyw-iaw3! Io son venuto, io ho consacrato questa casa a questo Pepi. Questa sala è pura… Una porta è su di essa, difesa (?) da Khonsu4: essa è suggellata con due occhi cattivi5. Non fare che Osiri venga in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia. Allontanati, corri a Nedit6! Presto, corri a Ag’a! Non fare che Horo venga in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia. Tu digli questo suo nome di «Accecato da un porco»7. Corri ad ‘Anpet, presto, corri a Neter! Non fare che venga Seth in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia. Tu digli questo suo nome di «Tagliato»8. Corri alle Montagne Nere, presto, corri a Henet! Se viene Khenty-irty in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia. Tu digli questo suo nome di «Vomito». Corri a Dedenu (dove) ti han trovato tremante, presto, corri a Letopoli! Se viene Thot in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia. Tu digli questo suo nome di «Tu non hai madre». Corri, allontanati verso i tuoi due gusci d’uovo9! Corri a Pe, a Khersy-g’ehuty! Se viene Isi in questa sua mala venuta, non aprirle le braccia. Tu dille questo suo nome di «Ampia di Putrefazione».

Allontanati, corri alle Case di Manu! Presto, corri a Heg’ebet, al luogo in cui sei stata colpita10! Se viene Nefti in questa sua mala venuta, tu dille questo suo nome di «Sostituta senza matrice»11. Corri al Palazzo di Selkis, al luogo in cui sei stata colpita e le tue gambe sono state legate! Se vengono i Khaau e gli Imyw-iaw, tu di’ loro questo loro nome di «Accecati da un porco». Correte a […]! Se viene la venuta di Pepi con il suo ka, aprano la bocca i suoi dei; se egli desidera di scendere alla Nenet12, discenderà al luogo dove sono gli dei. Se viene la venuta di questo Pepi con il suo ka, aprano la bocca i suoi dei; se egli desidera di uscire al cielo, egli uscirà. Io sono venuto come giudice di Geb. Un’offerta che dà Atum: Io consacro questa piramide e questo tempio a Pepi e al suo ka, quel che circonda questa piramide e questo tempio a Pepi e al suo ka. Puro è questo occhio di Horo. Possa io goderne. Chiunque alzerà il dito contro questa piramide e questo tempio di Pepi e del suo ka, egli avrà alzato il dito contro Horo che risiede nel firmamento. Se accorrono a lui Nefti ed Isi (…) Geb se la sua parola è udita dall’Enneade, non ci sarà chi sia sotto di lui, non ci sarà chi sia sotto la sua casa. Sarà un esecrato (?), sarà uno il cui corpo è divorato13. 1. (Pyr. 1264 a - 1279 c). Su questo testo, importante come testimonianza di un momento in cui gli dei del ciclo osiriaco sono stati combattuti ed insultati, cfr. DRIOTON, Sarcasmes contre les adoranteurs d’Horus, in Mélanges syriens… Dussaud, pp. 495-506, che identifica il tono e scevera i vari momenti della redazione del testo. 2. Questo «capo» sarebbe un re predinastico, e la parola darebbe la chiave politica del singolare componimento. 3. Esseri ignoti. 4. Non ancora il dio lunare tebano, ma il toro a due teste. 5. Come le porte dipinte sui sarcofagi son munite di due occhi di protezione. 6. Là dove il dio fu ucciso.

7. Horo è privato del suo occhio da Seth che assume l’aspetto di un porco. Vedi più giù, il cap. CXII del Libro dei Morti (p. 314). 8. Cioè «evirato», come fu Seth da Horo. 9. I due gusci d’uovo da cui è nato l’ibis, personificazione di Thot; a Ermopoli, d’altronde, si mostravano i due gusci dell’uovo primordiale da cui era nato il sole. 10. Con significato osceno? 11. Plutarco racconta che Osiri giacque con Nefti credendola Isi. Il secondo appellativo deve alludere alla sterilità della dea, cui in seguito fu attribuito come figlio Anubi. 12. Il cielo inferiore. 13. È già l’idea del mostro che divora i peccatori nell’Aldilà, come nel cap. CXXV del Libro dei Morti?

5371 Dire le parole: O tu Pepi, alzati e siediti sul seggio di Osiri! La tua carne tutta è come Atum2, la tua faccia è come uno sciacallo. Da’ la tua bocca a Ra, che egli scacci il danno di quel che tu dici, che egli lodi la tua parola. Sorgi, dunque, in modo che tu non finisca, in modo che tu non perisca. Vive questo Pepi. Tua madre Nut ti afferra, essa ti si unisce. Prende Geb la tua mano quando tu vieni in pace presso i tuoi padri. Tu hai potere sul tuo corpo, tu che rivesti il tuo corpo. Tu esci come lo Horo della Dat che è a capo delle Stelle Imperiture. Tu siedi sul tuo trono di bronzo sul tuo lago fresco3, o tu che sei vivo come un «vivo»4, o tu che sei stabile (d’d) come un pilastro (d’d), per l’eternità! 1. (Pyr. 1298 a - 1301 c). Resurrezione del re defunto, e sua presa di possesso della sede celeste. 2. Cioè, il tuo corpo è umano, la tua faccia è canina. Così, spesso, anche altrove. 3. Il trono di bronzo è in cielo, che è esso stesso metallico. 4. Il determinativo mostra che questo è il nome di una specie di scarabeo.

5391 Dire le parole: La testa di questo Pepi è un’aquila quando egli sale, quando egli si innalza al cielo. Il capo di questo Pepi è lo stellato2 del dio quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. [Il cocuzzolo di questo Pepi è …] con Nun quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Il volto di questo Pepi è Upuaut3 quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Gli occhi di Pepi sono la Grande che è capo delle anime di Eliopoli quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Il naso di questo Pepi è Thot quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. La bocca di questo Pepi è Khenes-ur4 quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. La lingua di questo Pepi è l’alzana della barca solare quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. I denti di questo Pepi sono anime quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Le labbra [di questo Pepi sono… quando egli esce, quando egli si innalza] al cielo. II mento di questo Pepi è Kherty che risiede a Letopoli quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. La vertebra del collo di questo Pepi è il toro selvaggio quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Le spalle di questo Pepi sono Seth quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. (… ‥ quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. … ‥) di Pepi è Babu5 quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Il cuore di questo Pepi è Bastet quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Il ventre di questo Pepi è Nut

quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. [… ‥ quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Il … di questo Pepi] è le Due Enneadi quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. L’ano di questo Pepi è Heqet quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Le natiche di questo Pepi sono la Mesktet con la Mandet6 quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Il fallo di questo Pepi è Hapi quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Le cosce di questo Pepi sono Neit e Selkis quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Le gambe di questo Pepi sono le due Anime che sono a capo del Campo del Confine quando egli esce, quando egli si innalza all’orizzonte del cielo. Le piante dei piedi di questo Pepi sono la Barca solare quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Gli alluci di Pepi sono le Anime di Eliopoli quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Pepi è invero un dio figlio di un dio quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Pepi è il figlio diletto di Ra quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. È stato generato Pepi per Ra quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. È stato concepito Pepi per Ra quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. È stato partorito Pepi per Ra quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Questa magia che è nel ventre di Pepi quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Pepi è il grande scettro sekhem nel Grande Tribunale che è in Eliopoli quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. O Khenenu7,

quando egli esce, quando Pepi si innalza al cielo. O Horo, bambino piccolo, quando egli esce, quando Pepi si innalza al cielo. Nut, se essa non si unisce8 e non porge le braccia quando egli esce, quando questo Pepi si innalza al cielo; Geb, se egli non sgombra la via (?) quando egli esce, quando Pepi si innalza al cielo. Ogni dio che non batterà una rampa per questo Pepi quando egli esce, quando egli si innalza al cielo non esisterà la sua focaccia, non esisterà il suo luogo di refrigerio, non si laverà nel bacino, non gusterà la coscia, non porterà alla bocca la polpa della gamba, non sarà zappata per lui la terra, non sarà percossa per lui l’offerta9, quando egli esce, quando questo Pepi si innalza al cielo. Non è certo questo Pepi che dice queste cose a voi, o dei! È Magia10, che dice queste cose a voi, o dei! Pepi è il sostegno (??) che sta sotto Magia quando egli esce, quando egli si innalza al cielo. Ogni dio che batterà una rampa per Pepi, quando egli esce, quando Pepi si innalza al cielo, ogni dio che preparerà il suo trono nella sua barca, quando egli esce, quando Pepi si innalza al cielo, sarà zappata la terra per lui, sarà percossa per lui l’offerta, sarà fatto per lui un bacino, egli gusterà la coscia, porterà alla bocca la polpa della gamba, quando egli esce, quando questo Pepi si innalza al cielo. Ogni dio che prenderà il braccio di questo Pepi (per tirarlo) al cielo quando egli venga al Castello di Horo che è nel firmamento, il suo ka sarà (trovato) giusto di voce presso (il tribunale di)Geb11. 1. (Pyr. 1303 a - 1327 c). Sono due testi diversi, riuniti in uno dal ritornello. Il primo identifica ogni parte del corpo del morto con un dio; il secondo scongiura magicamente gli dei a servire il defunto. 2. «La milleanime», come si chiama il cielo coperto di stelle. 3. Il volto, come altrove, è canino. 4. Khenes è il nome di un lago. Ma può essere interpretato anche come «battente». Sarebbe il «Grande Battente». 5. Nome di divinità tifonica, il greco Bebon. 6. Le due barche del sole.

7. Nome divino. Qui e subito dopo sembra che il testo sia in disordine. 8. Questi compiti della dea nascono dal suo essere identificata con il sarcofago. 9. Frasi tecniche del rituale dell’offerta. 10. Heka, il dio della magia. 11. Geb come giudice tipico (per il giudizio fra Horo e Seth sull’eredità di Osiri). Altrove tale compito spetta a Ra.

5541 Dire le parole: È questo Pepi il figlio della Grande Giovenca Selvaggia2. Essa lo ha concepito, essa lo ha partorito, essa lo ha posto dentro la sua ala. Essa traghetta il lago con te, essa traversa lo stagno con te. La tua benda che proviene dal Palazzo è dietro di te il tuo scettro aba è saldo nella tua mano. Tu percuoti, tu hai il potere nella tua qualità di signore imakhu3. Sei tu quegli che serve Ra, dietro la stella del mattino? Non ci sarà male per te, non ci sarà male per il tuo nome sulla terra. 1. (Pyr. 1370 a - 1372 b). 2. Qui certo Nekhbet, la dea di Nekhen capitale religiosa dell’Alto Egitto, in genere raffigurata come avvoltoio. Perciò si parla più giù della sua «ala». 3. È un titolo che definisce un rapporto quasi di clientela.

5551 Dire le parole: È uscito Pepi da Pe2. È abbigliato come Horo, è addobbato come le Due Enneadi. Si leva Pepi come re, si innalza egli come Up-uaut3, egli ha preso la Bianca e la Verde4, la sua mazza è nella sua mano, il suo scettro ames è nel suo pugno. La madre di Pepi è Isi; egli ha poppato da Nefti. Pepi ha poppato dalla Sekhat-Hor5. Neit è dietro di lui, Selkis è davanti a lui. Sono annodate le gomene, sono connesse le barche6 per il figlio, per colui che non ha né fame né sete, né sete né fame, in questo lato meridionale del Canale delle Curve. O Thot che sei entro l’ombra del tuo cespuglio7, poni Pepi sulla penna8 della tua ala in quel lato settentrionale del Canale delle Curve. È sano Pepi, è sana la sua carne; è sano Pepi, è sana la sua veste. Egli sale al cielo come Mentu9 egli cala come l’Anima-della-sua-rete10. 1. (Pyr. 1373 a - 1378 c). 2. Buto, la capitale religiosa del Basso Egitto. 3. Il dio lupo di carattere regale. 4. Le corone della Vallata e del Delta. 5. «Colei che cura Horo» è il nome della nutrice divina del dio, spesso identificata con Hathor. 6. Le barche egiziane sono «montate» con piccoli pezzi di legno e tenute salde con funi. Ricorda la descrizione di Erodoto. 7. Titolo del dio. 8. La parola egiziana allude a una parte dell’ala non bene identificata. Thot è qui immaginato come ibis. 9. Una stella? 10. «Casa della rete» è il nome di un santuario di Thot.

2. — UN TESTO DI TEOLOGIA MENFITA1 Gli elementi esterni della tradizione di questo testo non sono certo tali da facilitarne l’interpretazione: l’archetipo da cui fu trascritto sulla stele era «roso dai vermi», e la stele è stata consumata dall’uso come macina di mulino. Ci sono integrazioni antiche e integrazioni moderne, e non è impossibile che già all’origine il testo su papiro derivi da una contaminazione di testi diversi. A questo punto si aggiunga la tecnica arcaica di composizione letteraria che presenta difficoltà interpretative, e che può averne presentate al redattore egiziano di età etiopica cui dobbiamo la stele. Malgrado questa serie di difficoltà, e malgrado il fatto che il testo ci pervenga in una copia così tardiva, non si può non comprendere almeno in parte questo scritto ove si voglia rendersi conto della più antica speculazione teologica. La estrema scarsezza di testi religiosi arcaici è rotta solo dai «Testi delle Piramidi»: dei quali il carattere singolare va sempre tenuto presente ogni volta che si voglia servirsene per ricerche che non riguardino strettamente la religione funeraria. Questo testo, di diversa origine, ci dà innanzi tutto notizia della lite fra Horo e Seth, del giudizio che fra loro dà Geb, della attribuzione ai due dei di una diversa autorità geografica. È una narrazione — parzialmente in forma drammatica — di un mito che è stato sempre fondamentale nella esperienza religiosa egiziana, e che qui è collegato probabilmente con una formulazione la quale offre a Menfi una particolare posizione nella geografia politico-religiosa dell’Egitto arcaico. È, cioè, la redazione menfita di un mito che noi conosciamo per lo più dalle allusioni dei «Testi delle Piramidi» — e cioè da una redazione in ultima analisi eliopolitana. Accanto a questa variante di un mito ben noto, abbiamo un testo relativo alla creazione, che integra e interpreta su un piano speculativo assai più elevato il mito eliopolitano (ed ermopolitano) dell’origine delle cose dal dio del sole. Non è più la mano, il seme, lo sputo del demiurgo ciò attraverso cui il mondo viene in essere: le forme del mito antico sono ora interpretate in senso spirituale. La volontà e la parola divina, personificate in due dei ben noti, Horo e Thot, sono quelli che assumono il compito di chiamare in esistenza quel che esiste. Si ha una concezione di un logos creatore, attraverso cui Ptah demiurgo (prima per volontà, poi per espressione) dà origine al mondo. Il fatto che, con diversi accorgimenti, questa teoria si ricolleghi a quelle più strettamente fisiologiche che son le più diffuse nella tradizione egiziana anche più tarda, pone in evidenza un carattere costante della cultura egiziana: il nuovo non soppianta il vecchio, ma gli si affianca e per quanto può lo giustifica. Ma in questo specifico caso, questo affiancamento ha anche precise ragioni di politica religiosa: opporsi alla tradizione teologica eliopolitana, o ignorarla, avrebbe finito col non affrontare quel problema del predominio di Ptah, il dio di Menfi, che qui invece è chiaramente riconosciuto in quanto la formulazione nuova del mito della creazione presuppone e completa quelle più antiche. Di questa concezione, che è fra le più nobili che abbia avuto l’antico Egitto, non è stata molto ampia la diffusione: Eliopoli prima, Tebe poi preferiscono per ragioni evidenti attenersi alle consuete cosmogonie di ispirazione solare. È solo in bassa epoca che questo antico documento può essere rivalutato appieno: un po’ per quell’amor d’arcaismo che già si comincia a manifestare nell’età etiopica, e al quale dobbiamo la copia dell’antico papiro, un poco perché Eliopoli e Tebe sono ormai città di assai minore importanza di quanto non sia ancora Menfi, ed un poco infine perché in un mondo di cultura più raffinata, e abituato ormai a concepire divinità estremamente elevate e spirituali, questa creazione per il logos appare più consona alla divinità che non quella per il seme o per la saliva. Questo tardivo gusto è quel che ha salvato un documento di una attività teologica che testimonia a quali sottili formulazioni sia giunto il pensiero religioso egiziano arcaico entro lo schema della mitologia tradizionale. Gli dei che han l’aspetto di Ptah2:

Ptah sul grande trono — … Ptah Nun — il padre che (generò) Atum.

Ptah Naunet — la madre che partorì Atum. Ptah il grande — È il cuore e la lingua dell’Enneade. …………‥ Egli ha aspetto di cuore come immagine di Atum; egli ha aspetto di lingua come immagine di Atum3. È il grandissimo Ptah che ha stabilito (la vita) a tutti gli dei e ai loro ka con questo cuore e con questa lingua in cui Horo ha preso forma come Ptah, in cui Thot ha preso forma come Ptah4. Accade che il cuore e la lingua abbiano potere su tutte le altre membra, per la dottrina che (il cuore) è in ogni corpo, e (la lingua) è in ogni bocca di tutti gli dei, di tutti gli uomini, di tutti gli animali, di tutti i rettili, di tutto quel che vive — mentre (il cuore) pensa e (la lingua) comanda tutto ciò che essi vogliono. La sua (cioè «di Ptah») Enneade è in cospetto a lui come denti e labbra — sono il seme e le mani di Atum5. Infatti è venuta in esistenza l’Enneade per il seme e le mani di Atum. L’Enneade invero è i denti e le labbra di questa bocca che pronunciò i nomi di ogni cosa, da cui sono usciti S’u e Tefnut6 che han generato l’Enneade. Il vedere degli occhi, l’udire delle orecchie, il respirare del naso fan salire7 al cuore. Ed esso fa che esca ogni conoscenza. È la lingua che ripete quel che ha pensato il cuore8. Così nacquero tutti gli dei e fu compiuta la sua Enneade. Venne in esistenza ogni parola divina per mezzo di quel che il cuore aveva pensato e che la lingua aveva ordinato. Così furono fatti i ka e le hemsut9, che procurano ogni abbondanza, e ogni offerta, per mezzo di questa parola. (Fu data la giustizia) a chi fa quel che si ama, (e il torto) a chi fa quel che si detesta. Così fu data la vita al buono e fu data la morte al malvagio. Così fu fatto ogni lavoro ed ogni arte, il fare delle mani, l’andare dei piedi, il moto di tutte le membra secondo il comando pensato dal cuore e espresso dalla lingua, che compie l’essenza del tutto. Accadde che lo (cioè Ptah) si chiamasse «Colui che ha fatto il tutto e che ha chiamato in esistenza gli dei». È PtahTa-tanen10 che ha creato gli dei, da cui è uscita ogni cosa, come offerte e abbondanza, come offerta agli dei, come ogni cosa buona. Così fu trovato che la sua potenza è più grande (di quella) degli altri dei. Così Ptah fu contento dopo che ebbe creato ogni cosa ed ogni parola divina. Egli creò gli dei, fece le città, fondò i nomi, pose gli dei nei loro santuari,

consolidò le loro offerte, fondò i loro santuari, fece i loro corpi simili ai loro desideri. Così entrarono gli dei nei loro corpi di qualsiasi specie di legno11, di qualsiasi specie di pietra, di qualsiasi specie di minerale, di qualsiasi specie di sostanze che nascano su di lui12 e di cui essi abbiano preso l’aspetto. Così si sono per lui riuniti tutti gli dei ed i loro ka, contenti ed uniti con il Signore delle Due Terre. 1. È una stele di S´abaka che riporta il testo di un papiro descritto dal redattore come antichissimo. L’esame linguistico mostra che la notizia è attendibile, e perciò diamo qui fra i monumenti dell’Antico Regno questo testo tramandato dalla bassa epoca. Seguo l’ultima edizione, data da H. JUNKER, Die Götterlehre von Memphis, in Abh. Pr. Ak. Wiss., Phil.-Hist. Kl., Berlin, 1939. 2. È un elenco delle varie forme di Ptah, il dio menfita. 3. «cuore», cioè volontà, e «lingua» cioè espressione, sono in questo testo gli elementi determinanti di tutta la creazione. 4. Horo è il cuore, Thot la lingua. 5. Questa dottrina della creazione per la volontà e la parola si affianca qui alla teoria della creazione determinata da un gesto onanistico di Atum, cui allude il testo. 6. La prima coppia di dei derivante dal demiurgo. 7. Cioè comunicano le sensazioni al cuore. 8. La speculazione teologica sembra innestata su un vero e proprio trattato di psicologia che spiega il meccanismo della sensazione e dell’espressione, 9. I geni femminili corrispondenti ai ka. 10. Ta-tawen è un dio menfita della terra, assimilato qui ed altrove a Ptah. 11. Si allude alle statue divine, corpi degli dei, opera di Ptah che è patrono degli artefici. 12. Ptah identificato con la terra.

3. — DAL «PAPIRO DRAMMATICO DEL RAMESSEO»1 A un dotto egiziano del medio regno si deve di averci conservato un papiro che è giunto a noi in frammenti, ma che ci dà notizia di un tipo di testi di cui non abbiamo altri esempi. Si tratta del «copione» che serviva al direttore della cerimonia religiosa della coronazione del re per guidare lo svolgimento di questo rito a carattere drammatico. Le «scene» si susseguono, e per ognuna è data una regolare serie di indicazioni. Si inizia con la descrizione di un gesto rituale, introdotto da un «accadde che», che — riportando probabilmente a un passato mitico il singolo atto — gli dà un valore universale, come risonanza nel presente di un paradigma valido per sempre. Questo gesto viene commentato ed esplicato sul piano mitologico: e questo è in genere per noi fonte di difficoltà, parte per la nostra ignoranza dei miti, parte per la singolarità e la larghezza della tecnica esegetica egiziana delle allusioni mitologiche. Vengono poi dati gli «incipit» del testo che deve essere recitato, e che noi non conosciamo. Anche qui l’intravedere il significato reale è assai difficile, sia perché il testo è ridotto ad una allusione, sia perché è nell’oscuro stile sacrale. Dopo questo richiamo al gesto e alle parole, c’è in genere un elenco degli attori impegnati nella scena, una indicazione del luogo dove essa si svolge o si immagina che si svolga, un richiamo al significato che ha, e in taluni casi l’elenco degli oggetti necessari alla rappresentazione. Le note apposte ai singoli versetti mostrano quanto è possibile capire o legittimo sospettare in questo testo. Per difficile che ne sia la interpretazione, è comunque opportuno di notare quanto la mitologia abbia in questa epoca arcaica la capacità di farsi sostanza di tutta l’esperienza religiosa, e come ricche di varianti siano le possibilità di esegesi dello stesso mito nel mondo egiziano.

(Scena IX) Accadde2 che l’orzo fosse posto sull’aia. Accadde che si portassero maschi3 che lo calpestassero. (È Horo che vendica suo padre). Horo dice parole ai seguaci (di Seth): «O …» … … … … …. Horo dice parole ai seguaci di Seth: «Non colpite questo mio padre». Battere Osiri | Fare a pezzi il dio | Orzo4. Horo dice parole ad Osiri: «Io ho colpito per te quelli che ti han colpito»5. I Seguaci di Seth | I tori| Letopoli6. Horo dice parole ad Osiri: «La sua spuma7 non deve spumeggiare contro di te». Seth | Gli asini | Salire al cielo8. (Scena XI) Accadde che fossero portati tre vasi ima e otto vasi menes alla prua delle Due Barche. È Horo che parla a Seth. Horo dice parole a Seth: «Non allontanarti portando Quello che è più grande di te». Seth | La barca | Festa dell’arrossare la barca9. Isi dice parole a Nefti: «Tu sei amabile10 di odore, tu sei dolce di profumo

di qualcosa»11. Osiri | Lo ima | I figli di Horo12. (Scena XIII) Accadde che al g’ed13 fosse portata un’offerta con la testa del capretto e con la testa dell’oca. È Horo che ha avuto potere, e per cui si fa quel che egli dice. Dire le parole: «Mi si dia il mio diadema». Due offerte di grano. Geb dice parole a Thot: «Dagli la sua testa, due volte». Il capo di Seth | L’offerta del capo del capretto e del capo dell’oca | La Casa dell’Oro14. (Scena XV) Accadde che una fune venisse posta al g’ed. È Seth che viene ucciso, mentre Horo comanda ai suoi figli. Horo dice parole ai Figli di Horo: «Fatelo stare su legato». Seth legato | Fare chinare il g’ed. (Scena XVII) Accadde che fosse portata (una pagnotta e una brocca di birra dal ritualista del servizio divino). È Mekhenty-irty15, dopo che (ha preso) i due occhi (da Horo). Horo dice parole a Mekhenty-irty: «Prendi i miei due occhi nel tuo volto, perché tu veda per loro mezzo». I due occhi di Horo | consegnati a Colui che non ha occhi16 | Alzare la mano | Letopoli. 1. È un rituale di coronazione di Sesostri I, da un papiro trovato in una tomba della tarda XII dinastia. La lingua assai arcaica e il tipo del formulario sembrano far risalire il testo al periodo delle prime origini. Il testo è stato ricomposto dai frammenti, edito e commentato da SETHE, Dramatische Texte zu altaegyptischen Mysterienspiele, Leipzig, 1928, pp. 81 segg. 2. È la parola che introduce ogni paragrafo, o scena. 3. Cioè animali maschi. La trebbiatura si effettuava in Egitto con tori e con asini. 4. Queste sono indicazioni sceniche (e così in seguito le frasi in posizione analoga). Osiri è identificato con l’orzo, i «Seguaci di Seth» sono gli animali che lo calpestano. 5. Horo batte gli animali che trebbiano. 6. Indicazione della località dove si immagina (o si svolge?) la scena. 7. Sc. di Seth. La «spuma» è la bava di chi s’infuria, come anche altrove. 8. È il nome del rito. 9. «arrossare» è forse «calafatare». 10. ima, in assonanza con il nome di un vaso nominato prima. 11. C’è qui una allusione al mito narrato da Plutarco sui rapporti fra Osiri e Nefti e sul meliloto?

(Questo sarebbe il «qualcosa» di cui Nefti odora). Cfr. PLUT.De Is., 14.38 seg. 12. I «Figli di Horo» sono considerati in effetti figli di Osiri. 13. Un pilastro sacro che dà nome a varie città, e che in genere è assimilato ad Osiri. Ma in questo testo sembra piuttosto connesso con Seth. 14. È il nome dell’opificio templare o regio. 15. È il dio cieco di Letopoli. 16. Mekhenty-irty.

LO STATO E IL TEMPIO 1. — UN ANNO DI REGNO DI USER-KA. F1 La V dinastia ha avuto nei secoli fama di pietà, e la sua origine è stata addirittura nella leggenda connessa con la famiglia di un sacerdote di Ra (cfr. p. 217). In realtà non abbiamo niente che ci dia esatto ragguaglio di come la casata si sia affermata; che abbia origini sacerdotali non è però impossibile. Dopo la politica accentratrice e scarsamente interessata alla vita dei santuari come centri autonomi che la III e la IV dinastia sembrano aver praticato, la V dinastia ha un tono assai più aperto nei confronti del clero — e della nobilità provinciale che con il clero di provincia in molti casi si identifica, in molti altri è connessa. È un momento in cui le forze vive della provincia riprendono vigore, dopo che il rigido processo unitario che ha formato politicamente l’Egitto ha raggiunto il suo culmine. Di questo nuovo atteggiamento più della cultura in genere che della vita politica egiziana in senso stretto, le prove e gli indizi sono molti. Fra l’altro anche la politica religiosa dei sovrani, per quel che possiamo intravederne. Un documento ufficiale come l’elenco di avvenimenti eponimi annuali contenuti nella cosiddetta «Pietra di Palermo» può offrirne un bell’esempio. Tutto quanto è (o appare) degno di ricordo in un anno di regno di User-ka.f è concluso in un elenco di offerte di vario genere a templi. Si tratta in genere di templi di città collegate con la regalità, in quanto o capitali attuali o capitali storiche. Ma si tratta, in ogni caso, di riconoscimenti della importanza di primo piano che questi doni hanno nella vita interna del paese: oltre a ciò e al censimento del bestiame (certo a scopo fiscale) non si ricorda nessun altro avvenimento. Può essere interessante calcolare a quanto ammonti la generosità regale. Si hanno qui complessivamente offerte per 204 arure e ½; ed essendo un’arura pari a mq. 2.735, il totale sarà di circa mq. 559.310. (Anno in cui2) il Re della Valle e re del Delta User-ka.f ha fatto come suo

monumento per: Gli Spiriti di Eliopoli3: 20 razioni d’offerta per ogni festa del 6 del mese. Campi: arure 36 e ½ (?) detratte dalla (terra) … di User-ka.f. Gli dei di Sep-Ra4: Campi: arure 24. 2 buoi e 2 oche ogni giorno. Ra: Campi: arure 44 nei nômi del Delta. Hathor: Campi: arure 44 nei nômi del Delta. Dei della Casa di G’ebawty5 (il dio di Buto): Campi: arure 54. Erezione di una cappella del suo tempio a Pe6 nel nômo xoita Dun-anui7: Campi: arure 2. Costruzione del muro del suo tempio.

Nekhbet nella cappella dell’Alto Egitto8: 10 razioni d’offerta quotidiane. Uto nel Per-nu9: 10 razioni di offerta quotidiane. Dei nella cappella dell’Alto Egitto: 48 razioni d’offerta quotidiane. III volta del conto del bestiame10. Cubiti 4, dita 2 e ½11. 1. È un estratto della «Pietra di Palermo», elenco epigrafico di avvenimenti che dan nome agli anni per l’età arcaica e menfita. User-ka.f è il primo re della V dinastia, durante la quale vi fu un fiorire di attività religiose e larghi favori ai templi. Il testo è pubblicato da H. SCHAEFER, Ein Bruchstück altägyptischer Annalen, in Abh. Pr. Ak. Wiss. Phil. Hist. Kl., Berlin, 1902, pp. 34 segg. 2. Rendo così il segno grafico per «anno» che include nella scrittura tutti i dati che seguono. 3. Gli dei di Eliopoli. 4. Un santuario solare. 5. G’ebawty è il dio di G’ebawt, nome arcaico di Buto. 6. Buto. 7. Dio falco, assimilato in seguito a Horo. 8. Dea dinastica d’Alto Egitto. 9. Dea dinastica di Basso Egitto. Il Per-nu è il suo santuario. 10. L’indicazione del censimento, unico avvenimento ricordato oltre l’attività rivolta a beneficare i templi. 11. È l’indicazione del livello della piena del Nilo, che è ricordato anno per anno.

2. — DECRETO DI IMMUNITÀ PER IL PERSONALE DI UN TEMPIO1 Il tempio di Copto in Alto Egitto ha conservato una serie di epigrafi che eternano sulla pietra i documenti con i quali i sovrani, dalla V dinastia in poi, hanno garantito i diritti del tempio rispetto allo Stato impersonato nel re. Possiamo così, attraverso lo studio dei successivi testi, seguire la lotta fra il potere centrale, che ogni volta cerca di riprendere quanto ha concesso, e il tempio che insiste — forte delle sue buone ragioni giuridiche — nel rivendicare le sue immunità. È, dietro il caso singolo, la lotta fra il governo regale e gli istituti provinciali (amministrazione e templi locali) che cercano di conquistare la loro autonomia e spezzare l’accentramento della monarchia menfita. I templi, che più facilmente possono attuare una politica coerente per un lungo periodo di tempo, sono certo stati elementi determinanti nei successivi momenti di questa lotta: che, attraverso specifici avvenimenti, sboccò nell’età feudale che conclude il regno menfita e prepara il regno medio. Dei primi accenni di questa lotta fra tempio e casa regnante è bel documento questo decreto di Nefer-ir-ka-Ra. Lo Horo User-khau2. Decreto regio al soprintendente dei sacerdoti Hem-

ur3. Non ho permesso che abbia autorità una persona qualsiasi di prendere qualsiasi sacerdote che sia nel nômo in cui tu sei, per qualsiasi servizio o lavoro del nômo, oltre il compiere il rito del suo dio nel tempio che è in esso nômo, e di accudire ai templi da parte di coloro che sono in essi. Poiché essi son protetti per la durata dell’eternità dal decreto del re Nefer-ir-ka-ra, e non c’è nessuno scritto a questo proposito per nessun servizio. Non ho permesso che abbia autorità una persona qualsiasi di distrarre gli officianti per un lavoro qualsiasi di qualsiasi campo del dio che sia lavorato senza pagar tasse dai sacerdoti. Poiché essi son protetti per la durata dell’eternità dal decreto del re Nefer-ir-ka-ra, e non c’è nessuno scritto a questo proposito per nessun servizio. Non ho permesso che abbia autorità una persona qualsiasi di prendere qualsiasi famiglia che sia in qualsiasi campo del dio che sia lavorato senza pagar tasse dai sacerdoti per qualsiasi servizio o lavoro del nômo. Poiché essi son protetti per la durata dell’eternità dal decreto del re Nefer-ir-ka-ra, e non c’è nessuno scritto a questo propossito per nessun servizio. Quanto a qualsiasi persona del nômo che prenderà qualsiasi sacerdote cui siano assegnati i campi del dio per i quali egli presta servizio in questo nômo, tu lo indirizzerai (?) all’Ufficio agricolo4 del tempio, e impiegherai lui stesso in qualsiasi servizio, sia seminare, sia… Quanto a qualsiasi persona del nômo che prende una famiglia che è sui campi del dio per qualsiasi servizio o lavoro, dirigila all’Ufficio agricolo del tempio, e metti lei stessa a qualsiasi servizio, sia seminare, sia… Ogni funzionario5, ogni parente regale, ogni heryseqer6, ogni persona che

agirà contro questo che ho decretato, sia dato alla Corte di giustizia e sia preso ogni possesso, ogni campo, ogni persona, ogni cosa che gli appartiene e sia posto a qualsiasi servizio. Suggellato in presenza del re, il secondo mese dell’inondazione il … dicesimo giorno. 1. Urk. I, 170 segg. È un decreto di Nefer-ir-ka-ra della V dinastia con il quale vengono sottratti all’autorità regia le persone e i beni del tempio. 2. È il nome d’Horo del re, messo come intestazione. 3. Titolo del documento. 4. Chi tenta di infrangere il decreto regio di immunità, diverrà soggetto all’autorità del tempio per le corvées. 5. Particolarmente interessante questa clausola che sconfessa chi agisca a favore della corona. 6. Titolo amministrativo.

II

IL MEDIO REGNO

LA CRISI DELLA COSCIENZA 1. — DALL’«INSEGNAMENTO PER MERI-KA-RA»1 Nell’età menfita era nato, come genere letterario particolarmente apprezzato, l’«Insegnamento»: e cioè una raccolta di regole di vita che si immaginavano date ai figli da un padre che, al termine di una splendida carriera, ha raggiunto la vecchiaia, e che vuol lasciare una eredità di saggezza. L’interesse di queste più antiche raccolte di sentenze risiede da una parte nella raffinata eleganza della lingua in cui sono dettate, dall’altra nella rappresentazione che ci offre della società egiziana del tempo e dei suoi ideali. È una morale assai semplice, assai interessata (e — anzi — soprattutto interessata) al successo mondano. Il rispetto per la gerarchia, l’osservanza delle abitudini tradizionali, le norme della etichetta sono gli elementi più appariscenti. Ma non bisogna svuotare, per questo, di ogni significato di più intima moralità quel mondo: si tratta della completa adesione alla società quale essa è. Ognuno deve sforzarsi di adattarsi al mondo così come esso è ordinato, poiché in tale ordine è già la garanzia della sua perfezione. Chi volesse sperimentare vie nuove, o volesse porsi problemi personali, non solo non arricchirebbe il mondo con i suoi problemi, ma ne porrebbe a rischio l’ordinata euritmia. Ansia di pietà, casi di coscienza, espressione religiosa sono assenti: si tratta solo di dare un modello di ideale cittadino, ligio alle regole di una società di per sé perfetta. Questo orgoglioso ottimismo è frutto certo di quella fiducia nelle istituzioni e nella capacità terrena di raggiungere felicità e perfezione, che è tipica della civiltà menfita, e che bandisce da quell’epoca ogni traccia di una pietà che non sia religione collettiva e sociale. Quando però la monarchia menfita entrò in crisi, i savi non predicarono più la automatica felicità di chi si attiene al costume e alla tradizione sociale: spaventati dai mutamenti rapidi, dalle improvvise ascese delle classi povere e dal tracollo della monarchia, dalla mancanza di sicurezza del domani, dal rimbarbarirsi del costume e dell’attività, alzano il loro lamento, e non sanno più proporre paradigmi, ma solo formulare rimpianti. Nasce, comunque, questo senso che la virtù è un fatto individuale, che non è sanzionata automaticamente dal successo mondano, che la responsabilità morale è cosa assai più ricca di risonanze e assai più complessa che non lo snodarsi della carriera amministrativa e il moltiplicarsi dei figli della famiglia menfita. Il mondo non è più l’infinita ripetizione di un modello perfetto, ma invece il sempre nuovo presentarsi di casi personali, che debbono essere valutati ognuno per conto suo. Quando si riprende la tradizione letteraria interrotta degli «Insegnamenti», il mondo è diverso: i padri possono ancora ammaestrare i figli, ma non possono più dare come esempio e norma di valore assoluto il mondo così come è e gli usi mondani quali sono. Dovranno anzi cercar di trovare una regola che sia fuori dalla automaticità della vita quotidiana, e che a questa dia valore secondo che più o meno riesca ad avvicinarlesi. In questo ambiente si manifesta per la prima volta con chiarezza un esplicito senso della religione come norma di vita morale. L’aldilà, che originariamente è riserbato a chi sappia ritualmente procurarselo, è ora solo per chi saprà superare il giudizio che meritano le sue azioni in vita. In questa forma mitologica si afferma comunque una salda aspirazione alla giustizia su basi assolute e non in rapporto a situazioni terrene. Così si fa strada l’idea che la divinità si serva e si celebri non tanto con il rito — riserbato a chi abbia i mezzi economici e la posizione sociale che gli consentano di celebrarlo — quanto con il semplice esercizio della virtù. E questa divinità che ha ora il compito di misura della virtù, è costretta sempre di più a farsi essa stessa morale, a lasciare da parte la sua vecchia qualità di «potenza», ora buona ora cattiva, e superiore in verità a ogni definizione in questo senso. L’antropomorfismo si fa sempre più evidente proprio perché al dio ora si chiede di essere giudice dell’uomo, e fornito in misura eminente di quelle qualità che l’uomo dovrebbe avere. Le qualità sociali del vecchio egiziano, il suo interesse per il prossimo, il suo atteggiamento di carità verso i miseri, l’affetto paterno ostentato dai prìncipi nei riguardi dei loro sudditi, passano ora agli dei: che si fanno attenti ed amorevoli verso gli uomini, li curano come loro creature, scrutano i loro bisogni,

si compiacciono di consolarli nei loro dolori. Questo nuovo atteggiamento non annulla le concezioni più antiche: non vi si arriva, infatti, dopo una rivoluzione che comporti nuove impostazioni di principio, ma come conseguenza di una ampia evoluzione, che non sembra avere avuto nella vita e nella esperienza religiosa il suo epicentro. Così possiamo trovare ripetuti concetti di gusto ritualistico, che a rigore non dovrebbero apparire in questo ambiente, e più di una contraddizione appare nel mondo religioso del tempo. Di questa novità e di questo tradizionalismo un documento interessantissimo è questo «Insegnamento» che al figlio Meri-ka-Ra indirizza un re della X dinastia, riprendendo la vecchia tradizione con assai mutato spirito. Del re ormai sono dimenticate l’origine e la qualità divine: il re è voluto da dio per proteggere gli umili, ha responsabilità davanti a lui, ma non ha più nulla della sublime distanza dalla terra dei sovrani menfiti, o di quella che di nuovo si attribuiranno — sia pure in diverso modo — i faraoni del regno nuovo. Uomo fra gli uomini, anche se con particolare funzione e particolare responsabilità, qui il re rivolge al figlio un insegnamento assai meno fiducioso in quel mondo, che pure è incentrato in lui, di quanto non lo fossero i compilatori di saggezze dell’epoca precedente.

I Leggi nel libro dell’esame (degli uomini) innanzi a Dio2 e muovi tranquillo nel luogo misterioso3. Quando l’anima giunge al luogo che essa conosce non devia dalla sua via di ieri; non la respinge nessuna magia quando essa giunge a Coloro che danno l’acqua4. I membri del tribunale che giudica i peccatori, tu sai che non sono miti il giorno in cui si giudicano i miseri, l’ora in cui adempiono al loro compito5. Cattivo è l’accusatore6… Non fidarti della lunghezza degli anni: essi vedono una vita come fosse un’ora. Quando una persona sopravvive dopo la morte7, le sue azioni gli sono presso come un mucchio. È l’eternità, invero, il restar là, e stolto è colui che vi si ribella. Ma quanto a colui che vi giunge senza peccato egli sarà là come un dio e muoverà liberamente, come i Signori dell’eternità. II Arricchisci la tavola d’offerte, aumenta(ne) i pani, da’ aggiunte alle fondazioni pie8.

È una cosa utile per chi lo fa. Fa’ prosperare le tue fondazioni secondo le tue forze: è il giorno singolo che dà all’eternità, l’ora è quella che abbellisce per il futuro. Dio è riconoscente in relazione a quel che si fa per lui. III È accetta la virtù del giusto più che non lo sia il bove di chi compie peccato. Opera in pro di dio — ed egli farà altrettanto per te — con offerte che riforniscano gli altari e con iscrizioni. Così il tuo nome resterà. Iddio sa fare, secondo quanto si fa per lui. Ben curati sono gli uomini, il gregge di dio. Egli ha creato il cielo e la terra secondo il loro desiderio. Egli ha scacciato per loro il «Furioso» dall’acqua9. Egli ha creato l’aria perché i loro nasi vivano. Sue immagini essi sono, usciti dalle sue membra. Egli sorge in cielo secondo il loro desiderio, egli ha creato per loro le piante e il bestiame e gli uccelli e i pesci per nutrirli. Egli ha ucciso i suoi nemici ed ha distrutto i suoi figli quando essi pensarono di far ribellione10. Egli ha fatto la luce secondo il loro desiderio e naviga11 perché essi vedano. Egli si è elevato una cappella dietro di loro, e quando essi piangono, egli li ode. Egli ha fatto loro dei prìncipi dall’uovo12, signori che proteggano le spalle dei deboli13. Egli ha fatto loro le formule magiche come armi per allontanare il colpo degli accidenti; e visioni nella notte come di giorno. Egli ha ucciso i malintenzionati fra di loro, come un uomo batte il figlio per il fratello14. Dio è uno che conosce ogni nome15.

1. Questo «Insegnamento» si immagina diretto da un re della dinastia eracleopolita al figlio, e dà concrete notizie circa il momento storico in cui è composto, e testimonia insieme una visione del mondo in cui l’esperienza del dolore ha introdotto una ricca eticità. L’edizione è quella di A. VOLTEN, Zwei altaegyptische politische Schriften, Köbenhavn, 1945. I tre estratti qui dati corrispondono alle II. 51-7; 657; 128-38. 2. Titolo di un’opera religiosa perduta? 3. L’Aldilà. 4. Le divinità che accolgono l’anima nell’Aldilà e le danno da bere. 5. Nel giudizio nell’Aldilà. 6. Altri: «È grave quando l’accusatore è il Savio» (sc. Thot). Volten: «non fare il furbo». 7. E non è completamente annientata, come è anche possibile. 8. Qui come attività di governo. 9. Forse si allude a un mitologico mostro acquatico (determinato con il coccodrillo). 10. Come è raccontato nella Distruzione dell’umanità: cfr. p. 365. 11. Il sole traversa il cielo in barca. 12. Cioè dei sovrani legittimi, tali dal grembo materno. 13. È, questa, quella funzione di amministrazione della giustizia che è indicata come tipica del re in quest’epoca. 14. Forse: punisce il figlio suo se reca danno al fratello. 15. «nome» nel valore di «essenza».

2. — L’EGUAGLIANZA DEGLI UOMINI1 È questo un testo funerario dei «Testi dei Sarcofagi», che appare su sei esemplari da Berscia. L’impegno con il quale è messo in bocca al dio demiurgo in persona l’asserto che tutti gli uomini hanno parità originaria di diritti copre sotto un manto mitologico e religioso un concetto che di questi tempi è al centro della speculazione: l’idea della giustizia, superiore a ciascun individuo, e che a ciascun individuo è egualmente dovuta quale che sia la sua condizione. Qui il demiurgo stesso dice che ogni uomo è come il suo simile, e mostra quale conseguenza che aria ed inondazione sono stati dati a ciascuno in egual misura dalla divinità. Più profondamente ancora legato alla civiltà del tempo è la rapida accusa che il dio rivolge agli uomini di aver violato le sue leggi: questo discolparsi e passare ad altri l’accusa del disordine che c’è nel mondo è risposta a un interrogativo che la coscienza religiosa del tempo si pone, chiedendosi come e perché il mondo, opera divina, sia così contaminato dal male, e chiamando responsabile il demiurgo dell’errore che inquina la sua opera. Nella risposta, che scagiona la divinità, noi abbiamo preziosa testimonianza della domanda, segno di quanto matura sia la civiltà religiosa del tempo, capace di impostare simili problemi.

(Parla il dio creatore) Io ho compiuto quattro buone azioni entro il portale dell’orizzonte. Io ho fatto i quattro venti, che ogni uomo possa respirare per loro come il suo compagno nel suo tempo. Questa è la (prima) di queste azioni. Io ho fatto la grande inondazione che il povero possa avervi diritto come l’uomo importante. Questa è la (seconda) di queste azioni. Io ho fatto ogni uomo come il suo compagno. Io non ho comandato che essi commettessero il male, ma è il loro cuore che ha violato quel che io avevo detto. Questa è la (terza) di queste azioni. Io ho fatto che i loro cuori cessassero di dimenticare l’Occidente2 in modo che le offerte divine fossero date agli dei dei nômi. Questa è la (quarta) di queste azioni. 1. DE BUCK, The Egyptian Coffin Texts, vol. VII, Chicago, BREASTED, The Dawn of conscience, New York, 1933, p. 221. 2. Cioè il paese dei morti, l’Aldilà.

1961, cap. 1130. Identificato già da J. H.

3. — DAL «DIALOGO DI UN DISPERATO CON LA SUA ANIMA»1 Fra le opere letterarie del periodo immediatamente successivo alla fine del regno antico, particolarmente interessante è questo «Dialogo», in cui viene portato a calore drammatico il tono di pessimismo e di sfiducia che appare anche in altri scritti del tempo. Il mondo sembra all’autore un cumulo di ingiustizia e di dolore, decaduto tanto da un mitico passato che non c’è più cui rivolgersi, e una nemica solitudine lo occupa, in cui tutti sono ostili l’uno all’altro. È ripreso, con un tono assai più alto e pensoso, un motivo comune all’epoca, e cioè quella critica del mondo che comporta una rivalutazione della coscienza individuale, l’esame delle opere come testimonianza delle singole personalità, la diffidenza verso i valori tradizionali, sia politici che sociali e religiosi. In questa amara solitudine, lo scrittore si rivolge alla sua anima per prendere con lei consiglio: gli pesa continuare a vivere nel mondo ostile, e attratto dalla mitologia dell’aldilà, vuole uccidersi per arrivare presso dei che siano migliori degli uomini, ai quali possa concedere quella fiducia che non può più dare ai suoi simili. Il pensiero della morte e della quiete come beatitudine somma è nuovo e resterà inconsueto nella letteratura e nella civiltà egiziana. La gente «ama la vita e detesta la morte» fino nella tradizione epigrafica sepolcrale. Ma le brevi liriche nelle quali questo desiderio di quiete in un mondo migliore viene qui espresso, sono fra le cose più sentite e personali della letteratura egiziana. A questa protesta contro il mondo, l’anima oppone un altro punto di vista, anch’esso tipico del tempo. Proprio perché nel mondo non c’è un ordinato equilibrio, anche della mitologia funeraria c’è da diffidare. La morte non è una ignota felicità sopraterrena, ma l’orrore del distacco dalla propria casa, il pianto, il disfarsi dei corpi, invano protetti da inutili tombe, invano forniti di offerte che ben presto cessano. Questa inconoscibilità dell’aldilà mitico, questa diretta esperienza della miseria della morte qui si uniscono in un unico consiglio: godere la vita così quale è, metter da parte speculazioni amare, rituffarsi nel fluire del mondo, non più con la felicità antica che comportava una piena accettazione del mondo come perfezione, ma con una rassegnata volontà di dimenticare quanto di doloroso e di rischioso ci sia nell’ignoto aldilà. Consigli di questo genere, disincantati ed amari «carpe diem», appaiono anche altrove nella letteratura del tempo, e mostrano quanto profonda sia la crisi della religione tradizionale. Non della pietà, ché, dietro queste frasi apparentemente empie, c’è una considerazione personale di quelli che sono i dati della tradizione, cui duole di dover rinunciare, e ai quali ci si sottrae dopo una analisi di quanto avviene nel mondo, e con una ribellione, non per una dimenticanza e uno scetticismo pigro. Nel testo nostro, comunque, l’appassionata rappresentazione della morte, l’invito alla vita non sono determinanti. L’amaro pensatore perdura nella sua decisione suicida, e si getta nella fiamma, e rompe così la fatica di vivere e si sottrae così al caso terreno. Senza avere una specifica inquadratura religiosa, questo scritto è fra quelli che più chiaramente e più profondamente ci rappresentano cosa sia stata la crisi della civiltà egiziana (e perciò della religione egiziana) all’inizio dell’età feudale.

Allora aperse per me la mia anima la sua bocca: e rispose a quel che avevo detto: «Se tu ricordi il seppellimento è una angoscia del cuore è un portar lacrime rendendo misero l’uomo. È un portar via l’uomo dalla sua casa

e gettarlo sulla pendice2. Non ne esci per il cielo3 per vedere il sole. Quelli che han costruito in pietra di granito, che hanno edificato piramidi — belle per la loro opera —4 quando i costruttori son divenuti dei5 le loro stele son distrutte come gli sfiniti6, morti sulla riva, senza (un erede) sulla terra. Prende l’acqua le loro estremità7, brucia il sole similmente. Parlano loro i pesci dal fior dell’acqua. Ascoltami dunque: ecco, è bene ascoltare per la gente. Segui un giorno felice! Dimentica il dolore! 1. Il testo è quello di A. ERMAN, Gespräch eines Lebensmüden mit seiner Secle, in Abh. Pr. Ak. Wiss., Phil. Hist. Kl., 1896, 11, 56-58. Vedi anche A. SCHARFF, Der Bericht über das Streitgespräch eines Lebensmüden mit seiner Seele, in Stzber. Bayer. Ak. Wiss., Phil. Hist. Kl., 1937, Heft 9; e R. O. FAULKNER, The Man who was tired of Life, in «Journ. Eg. Arch.», XLII (1956), p. 21 segg. 2. Sulla costa del deserto, dov’è la necropoli. 3. Così sarebbe secondo la dottrina della sopravvivenza solare dei defunti. 4. Cioè i re antichi. 5. Quando sono stati divinizzati perché sono morti. 6. È il termine che designa i morti normali. 7. Sono gettati nel fiume.

4.— DAI «TESTI DEI SARCOFAGI»1 Con il costituirsi di un primo abbozzo di una borghesia cittadina e con il frantumarsi della autorità regia in una serie di corti principesche provinciali, ognuna modellata sulla vecchia corte menfita, va rapidamente aumentando, dall’età feudale in poi, il numero delle persone che ambiscono a una sepoltura confortata da tutte le pratiche rituali che nel regno antico sono riserbate al sovrano e a un esiguo gruppo di altissimi funzionari, per lo più suoi parenti. Avviene così che si diffonda ora l’abitudine (prima d’ora prerogativa della regalità) di corredare di iscrizioni religiose funerarie la tomba, che in epoca più antica ne era invece praticamente priva. I testi funerari erano stati scolpiti sulle pareti delle camere sepolcrali delle piramidi, ed erano stati raccolti ed ordinati secondo gli intenti e l’esperienza teologica dei sacerdoti di Eliopoli. Ora i testi sono più economicamente scritti — spesso in geroglifici assai corsivi — sulla cassa stessa, e più che alla redazione eliopolitana ci si rifà a quel che è tradizione locale. Si hanno così talvolta testi paralleli a quelli delle piramidi; ma più spesso si hanno capitoli assai affini a quelli come impostazione, come linguaggio, come origine, ma che con quelli non coincidono. Sono, questi, i cosiddetti «Testi dei Sarcofagi» di cui qui si dà qualche esempio, che mostra la loro fondamentale parentela con i più antichi «Testi delle Piramidi». Nella lingua, nella costruzione, nell’uso di corredare ogni capitolo con un titolo appare una mentalità e un uso più borghese. Alcuni capitoli rispecchiano mentalità e usi assai lontani da quelli regali. Altri sono sicuramente più tardi, e contemporanei all’età della redazione.

1 Inizio del libro del giustificare2 una persona nella necropoli3. O Osiri4 N. N., tu sei il leone, tu sei i Due Leoni5. Tu sei Horo che protegge suo padre; tu sei il quarto di quei quattro Dei6, quegli spiriti che portano l’acqua, che portano l’inondazione dalla spalla7 del loro padre. O Osiri N. N., alzati sulla tua sinistra, poniti sulla tua destra8. 1. L’edizione è quella di A. DE BUCK, The Egyptian Coffin Texts, 7 voll., Chicago, 1935-1961. 2. È questo un motivo insistente, che allude al processo cui nell’aldilà deve sottostare il defunto nella concezione tipica di questa epoca. 3. Che è la definizione in geografia umana dell’aldilà. 4. Il morto è, in questi testi, assimilato a Osiri, così come in quelli regali delle Piramidi. 5. Rwty, «I Due Leoni» sono S’u e Tefnut, e la personificazione dell’orizzonte. 6. I «Quattro Dei» son quelli di cui i «Testi delle Piramidi», 260, n. 2. 7. Questa «spalla» (o «coscia») è forse l’Orsa Maggiore con cui nel Cap. XVII del «Libro dei Morti» son connessi i Quattro Figli di Horo. 8. Ricorda «Testi delle Piramidi», 482, inizio.

2 Ha decretato Geb e ha bandito Rwty1: «È data a te la tua anima che è sulla terra, la tua ombra che è nel mistero». O Osiri N. N., alzati, che sia giustificata la tua voce contro i tuoi nemici! 1. Il dio della Terra e i due dei dell’Orizzonte.

3 O Osiri N. N., prenditi il tuo bastone, la tua stoffa, i tuoi sandali1 acciocché tu possa scendere al tribunale2 e sia giustificata la tua voce contro i tuoi nemici e le tue nemiche, secondo quel ha fatto la gente nei tuoi riguardi. Quel che essi fanno è un render giustizia in tuo cospetto in questo bel giorno3 nel tribunale. 1. Gli elementi di costume che rivelano la dignità di una persona. 2. Il tribunale dell’aldilà. 3. Il giorno dell’arrivo nell’altro mondo, il giorno della morte.

4 O Osiri N. N., (come) apre per te la terra la sua bocca, spalanca per te Geb1 le sue fauci su di te, (così) possa tu mangiare il tuo pane, possa tu prendere l’inondazione tua2, possa tu andare alla Grande Scala, possa tu andare alla Grande Città! Possa tu scagliare per te la tua fiamma a terra, e possa tu divenire un Osiri3. O N. N., si alzano per te i loro grandi, tremano per te gli scribi che sono sulle loro stuoie in cospetto di te4. Tu hai annodato per te le teste dei serpenti in Eliopoli. 1. Il consueto parallelismo fra «terra» e Geb, che della terra è dio. Il seppellimento diviene garanzia di sopravvivenza. 2. La libazione. Pane e acqua sono offerte tipiche. 3. Identificazione del morto con Ra e con Osiri? 4. Il motivo del terrore degli dèi all’arrivo del morto, come nei «Testi delle Piramidi».

5 Tu hai conquistato il cielo, tu hai conquistato la terra. Chi è dunque colui che porterà via questo cielo dalla tua mano, in veste di dio rinnovellato…? Sia giustificata la tua voce contro i tuoi nemici, eccetera.

7 È zappata la terra1 dopo che han combattuto i Due Compagni2. I loro piedi hanno scavato lo scavo del dio in Eliopoli. Viene Thot ornato della sua nobiltà, dopo che lo ha nobilitato il Signore Universale con ciò che è consono con la forza grande e tranquilla che è su di lui. Non ci sia combattimento, distruzione, disordine. Sia spenta la fiamma che esce, la peste e la collera che son presso il tribunale divino, quando si siede in giudizio in cospetto di Geb. Salute a voi, o funzionari degli dèi3! È giusto di voce questo Osiri N. N. presso di voi oggi, come fu giusto di voce Horo in quel bel giorno della apparizione4. È dolce il suo cuore presso di voi come fu dolce il cuore di Isi in quel suo bel giorno di far musica quando il suo figlio Horo prese le Due Terre5 come giusto di voce. 1. Cfr. «Testi delle Piramidi», 441. 2. Horo e Seth. 3. Il tribunale divino. 4. Il termine tecnico dell’assunzione al trono. 5. Come re legittimo erede di suo padre.

10 O Osiri N. N., è divisa per te la porta da Sefkhetâbui, è aperta per te la via buona da Upuaut1. Non c’è un dio che si volga per quel che gli è stato detto. Ecco quel che è stato detto: «Giusto di voce è questo Osiri N. N. rispetto ai suoi nemici, secondo quanto han giudicato davanti a te in questo giorno». 1. Con giochi di parole in egiziano.

18 O Osiri N. N., possa tu traghettare il cielo, possa tu traversare Behyt, possano adorarti quelli che sono sul Lago di Kha. Possano essi vederti quando sorgi dall’orizzonte orientale. (Vedano) quelli che sono nella Duat il tuo bel sorgere, quando tu esci nella Sektet e cali nella Âng’et1. Ha ordinato per te Horo in persona, signore dei pât2: «O Osiri N. N., possa tu uscire verso il grande tribordo del cielo! Possa tu calare verso il grande babordo della terra3 frammezzo a questi dèi che son al seguito di Osiri». «In pace, in pace! Presso Ra che è nel cielo!». 1. Le due barche del tragitto celeste di Ra. 2. È una delle designazioni dell’umanità. 3. Il defunto naviga in cielo con Ra.

20 O Osiri N. N.! Ha aperto per te Geb i tuoi occhi, mentre eri cieco, e ha steso per te il tuo ginocchio contratto1 Io ti ho dato il tuo cuore (ib) di tua madre, il tuo cuore (h’3ty) del tuo corpo. La tua anima è sulla terra, il tuo cadavere è sul suolo2. Il pane al tuo ventre, l’acqua alla tua gola, il dolce vento al tuo naso! O OsiriN. N.! Son benevoli per te coloro che sono nelle loro tombe, accorrono per te i signori delle loro sepolture e riportano per te le membra che sono lontane da te, cosicché tu sia consolidato per quel che ti era stato portato via3.

Adorazione della rondine e del gatto Al mondo degli operai della necropoli tebana risalgono numerose stele che mostrano culti diversi da quelli ufficiali dei grandi templi. Qui si adorano da parte di NebRa la Rondine (che è animale in cui. il defunto desidera di trasformarsi e che in età romana sarà sacra, a Isi) e il Gatto (che è ipostasi del dio solare, anche in ambiente e testi funerari).

(Torino, Museo Egizio, cat. 1591). 1. Anche qui la sepoltura è garanzia di resurrezione, con una rivalutazione di quella inumazione che era stata così icasticamente considerata come non degna di re in «Testi delle Piramidi», 361. 2. In genere l’opposizione è fra il cadavere alla terra, l’anima al cielo. Così ad es. «Testi delle Piramidi», 305. 3. È ancora la concezione del corpo che deve essere ricostituito. Così «Testi delle Piramidi», 260: «Unisci le sue membra che sono nel mistero».

22 Bambola di cera che tieni lontano il male1! Ti ha offerto Tefnut, la figlia di Ra, come qualcosa che le ha dato suo padre Ra. Dà a te la Valle pani, dalla tomba di tuo padre Osiri. Quando Ra morde qualcosa di dolce, egli te lo suole dare…2. 1. Connessa con le figure magiche di cera? 2. Il morto ha vantaggi da Osiri e da Ra.

45 Cade il tremito dall’orizzonte orientale, sono indicate le vie per entro i luoghi esclusi all’Osiri N. N. che sorge come Ra, che è alto come Tum. Lo ha unto Hathor e gli ha dato la vita nell’Occidente come (a) Ra ogni giorno. O Osiri N. N., non c’è nessun dio che porti via la roba da te, non c’è nessuna dea che porti via la roba da te nel giorno del valutare il carattere in cospetto del Grande1, signore dell’Occidente, cosicché tu potrai mangiare i pani che sono sulla tavola d’offerta di Ra in compagnia dei Grandi che sono nel Portale. Io sono invero Colui che apre le tue vie, che fa cadere per te i tuoi nemici, dopo che ho scacciato per te i congiurati che venivano contro di te a queste tue offerte di cibo, a queste tue dignità, dopo che io ho incrociato per te il mio braccio a questo proposito, in questo giorno in cui il tuo ka si è riposato con la tua anima (ba). Sono io Colui che ha aperto le vie, l’erede dei Due Fratelli, il figlio di Osiri. O Osiri N. N. giusto di voce, io ho posto le mie braccia a tua protezione e il potere di Isi è la tua forza. Ecco, tu, quanto a te, sei spirito, sei anima, sei possente più di tutti gli dei del Mezzogiorno e del Settentrione quando sorgono i Grandi che sono nell’Orizzonte, quando giubilano i seguaci del Signore Universale, quando son lieti gli equipaggi delle barche2. Son dolci i cuori di coloro che son nell’orizzonte, poiché ti vedono in questa tua dignità che ti ha fatto tuo padre Geb dopo che egli ha scacciato per te i tuoi avversari e i ribelli contro di te da dentro l’officina funeraria3. Anubi rende dolce il tuo odore, lui che sta davanti alla tua sede nella Tenda divina. Egli ti dà incenso a ogni momento… Essi ti salvano dalla mano dei Mastyw dal misterioso ceppo del carnefice4. Tu sei sorto alla prua della barca, tu hai autorità sul tribordo. Non si ha potere sulla tua anima, non si porta via il tuo cuore, non si fa che tu discenda entro il Grande Vano, in mezzo a coloro che fanno l’incantesimo del dio che spezza e che saccheggia in cospetto di chi lo ha creato. Tu non sei portato via, verso coloro che stanno sul luogo dell’esecuzione. Sei tu il re, figlio del nobile; esisterà l’essenza della tua anima, esisterà il tuo cuore con te. Si curerà di te Anubi a Busiri, giubilerà la tua anima a Abido,

si rallegrerà il tuo cadavere che è nel deserto5. Giubilerà l’imbalsamatore in ogni suo luogo. 1. Il consueto tema del giudizio. 2. Solari. 3. Pr-nfr. Si allude al rito della mummificazione, di cui Anubi ha la tipica cura. 4. La distruzione del cadavere è esorcizzata dalle cure che se ne ha. 5. Località osiriache. Il deserto è la tipica sede della necropoli.

317 Capitolo del trasformarsi in Hapi1. Trema il cielo e coloro che sono in lui si inchinano allorché vedono il Compagno quando va in giro. Gli danno venerazione e dicono: «Chi è questo dio partorito oggi? Khepre che viene dall’Isola della Fiamma2, nella cui barca vengono gli dèi, quando dà lunghezza al Signore dell’«eternità». Quando essi vedono me che sono sorto come Hapi, possente, unico frammezzo agli dèi e che sono assiso in fronte alle Due Enneadi, vengono gli dèi inchinandosi. Io ho fatto quel che mi piace, il mio aspetto è quello del cielo, la mia dignità è quella di Hapi. Guardatemi voi, o dèi, o spiriti che siete nel cielo, che siete nel deserto. Io ho gettato via il mio cordone ombelicale3, io ho fatto la mia barba, sorgendo come Hapi, suo figlio e suo successore. Io vado secondo i momenti, io vengo secondo le stagioni4. Sono io che porto le offerte e le abbondanze a questo re del Delta, dopo che son divenuto principe dell’Isola della Fiamma. Sono io Hapi, il signore dell’abbondanza5, che viene nella gioia, dolce di amore. Egli mi ha dato (la funzione di) suo figlio, egli ha ripetuto per me le sue coronazioni. La (sua) carne6 è più grande di lui (?); io sono sorto al suo posto, io sono più spirito di lui. Sono io il venerabile frammezzo ai nobili, colui che è nel cuore del Signore dell’istante… Sono io Ra, che è venuto in esistenza da se stesso. Sono io il Nun7, quando ha agito secondo quel che gli piaceva. Io vado secondo i miei momenti, io vengo secondo le mie stagioni ai suoi comandi. La mia dignità è presso di me frammezzo agli dèi. Io ho fatto quel che mi è piaciuto. Sono io Hapi, il signore dell’acqua che porta la verzura. Io non sono impedito dai Ribelli. È colui dall’alto tetto che è al suo fianco colui che mi ha dato questa mia dignità. Io ho fatto per voi i massacri, o dèi; io ho afferrato i vostri nemici. Guardatemi, voi; venite al mio seguito, datemi venerazione.

Io sono sorto come Hapi, diletto degli uomini, vendicatore degli dèi. Io ho scacciato i serpenti dai loro buchi; io ho aggredito i tori che erano sulle loro terre alte8. Non è voltata via la mia faccia, non sono impedite le mie braccia. «Bello è egli, questo dio che si rinnova9, per la cui utilità agisce Ra», così dicono Quelli dell’Oriente riguardo a me, quando mi vedono, un nobile di Hapi. Ecco, sono io certo il dio che si rinnova; sono io colui che era primo, il primigenio, il primogenito rispetto agli dèi10. Il mio posto è a prua della barca di Ra, nel centro della Duat inferiore. Io sono venuto e le Due Terre verdeggiano. Io son salito sulle terre alte, io mi sono arrampicato sul dorso delle scale11, secondo quel che ha fatto colui al quale mi sono avvicinato. Non sono stato tenuto lontano dal mio aspetto di Hapi, non sono stato impedito nel mio nobile aspetto di Spirito provveduto12. È Ra che mi ha fatto suo figlio, egli mi ha costruito con opera di dighe, egli ha esaltato il mio aspetto più di quello degli dèi, egli mi ha posto avanti alle Due Enneadi come un nobile, successore di Ra. Guardatemi voi, o dèi, venite al mio seguito. Datemi adorazione, poiché io sono Hapi che è nel suo anno. Dopo che son venuto oggi come dio del piano e del monte, ho visto le Due Rive verdeggianti, essendo sorto come Hapi, il primogenito, vostro vendicatore dal lungo passo, fino ai confini che io voglia. «Viene il dio figlio della terra». Così dicono gli dèi e gli spiriti dell’orizzonte a mio proposito, quando mi han visto, sorto come Hapi. Gli henememet13 son dietro di me (2 volte), come Ra quando fu partorito. Mi si offre Maat come a Ra14. Le mie hemsut15 sono quelle di Heqet16. Io conduco le focacce agli dèi, la preghiera dell’offerta agli spiriti17. Io addolcisco il profumo delle loro caverne. Mi son dati i sobk18 come compagni; Neith per i miei… Poiché sono io primogenito più di quei sette dei primogeniti19, dal volto misterioso, che sono presso il signore dell’eternità. Essi han paura di me, essi mi seguono dietro gli Spiriti. Le mie braccia pendono giù, mi agito con la mia carne (?) e sono assimilato a Khepre. Guardatemi, voi, dèi; venite al mio seguito; datemi adorazione. Poiché io

sono Hapi, il più grande degli Otto, per cui si rallegrano le due Enneadi di Ra. Dolce è il cuore di quelli che sono al seguito. Si fan giubilazioni alla porta dei Due Santuari20, poiché io ho ripetuto le offerte agli dèi. Essi mi guardano, poiché io sono sorto come Hapi. Io sono giunto come re, con il mio scettro sekhem nella mia mano, con la mia nobiltà nella mia mano. Io navigo per entro le nuvole. Le mie braccia pendono giù, mi agito con la mia testa. Io ho tagliato la diga dei Calvi, su cui stanno gli accusatori21. Essi tengono lontana la cosa22 dall’Isola della Fiamma. Quanto a ogni nemico, si allontani da me. Quanto a ogni accusatore che possa venire, si allontani da me, e se io lo trovo sulla mia strada, lo prendano i Furenti23 che sono sulle mie braccia, lo mangino gli Uccellatori che mi vengono dietro24: per il fatto che sono io certo Khepre che è venuto in esistenza da sé. Io sono venuto in esistenza dai frutti25 (?) di Ra, quando egli mi diede la luce del suo splendore… Il mio scettro g’am è nella mia mano divina, il mio scettro g’am è nella mia mano nobile…26. Guardatemi, voi, o dèi, quando io sorgo dal Levante, quando io vengo in esistenza come la secrezione del Toro dell’Occidente27. Sono venuto oggi nella barca di Ra, e han tremato per me Quelli che non conoscono distruzione28. Gli dèi mi danno adorazione entro (…) di lupo (?), quando vedono che io sono nobile per il dio. Thot guida (le cerimonie) per me29, con il rotolo del rituale nelle sue due mani. Egli dà a me l’autorità, egli consolida la mia venerabilità quando vede la nascita del dio da me. Egli consolida il mio nome di… Uno-che-sorge, quando mi vedono gli uomini e gli dèi come uno che sorge. Sono io l’anziano degli Otto, Hapi il primigenio, poiché io sono sorto come un Nobile. Sono uscito oggi da Elefantina30, e ho posto Nepi31 al mio seguito… Sono io lo sveglio di faccia che alza la fronte32, anziano più di Quelli che c’erano prima. Io son venuto in esistenza quando ancora non erano stati partoriti i tori, non erano state fatte le giovenche. Guardatemi, voi, o dèi; venite al mio seguito. Sono io il primevo delle Due Terre.

1. Le «Trasformazioni» sono un tema frequente dei «Testi dei Sarcofagi». Hapi è l’inondazione divinizzata, e insieme una ipostasi del Nun, il caos liquido primigenio. 2. A Ermopoli, luogo di nascita del sole dal Nun. Ma è anche il nome mitologico della tomba, da cui il morto risorge a vita divina. 3. Nel cap. XVII del «Libro dei Morti» questo gesto è «allontanare la colpa, scacciare il male». 4. L’inondazione ha in Egitto tempi assai regolari. 5. Ricorda che l’Egitto è «un dono del Nilo». 6. Colui che egli ha generato? 7. In tutto il testo c’è alternanza fra formulazioni solari e caotiche. 8. L’arrivo dell’inondazione purifica il paese. 9. Il «rinnovarsi» è tipica espressione per l’acqua della piena. 10. Titoli del Nun. 11. Son le rive a terrazze della Valle del Nilo. 12. «Nobile» è la stessa parola che indica la «mummia». Lo «Spirito provveduto» è quello per cui si è compiuto il rito. Il morto è Hapi perché è mummificato. 13. È una designazione di esseri umani connessi con Ra. 14. «Maat» è la tipica offerta che si offre a Ra. 15. Sono le corrispondenti femminili dei ka, le «situazioni». 16. Una delle dee della nascita. 17. Il Nilo procura le offerte agli dèi e ai morti. 18. I coccodrilli (col nome che è passato a indicare il dio coccodrillo). 19. Gli Otto dell’Ogdoade, di cui Nun è il più importante. 20. È una espressione per indicare la totalità dei templi. Dal Nilo vengono le offerte templari. 21. Allusioni non chiare. Forse astronomiche? 22. Quali cose innominabili? 23. «Furente» tipico è il coccodrillo. Che appunto vive nel Nilo. 24. La caccia agli uccelli palustri avviene negli stagni formati dalla inondazione. 25. Se veramente son «frutti» (dqr), forse è l’incenso. 26. L’opposizione è fra «dio» e «nobile», «mummia, defunto». 27. L’inondazione come efflusso del corpo di Osiri? 28. Le Stelle circumpolari. 29. Son le cerimonie per il morto, non quelle per il dio. 30. Elefantina, al confine meridionale dell’Egitto, è il luogo della Cateratta e miticamente è la sorgente del Nilo egiziano. 31. Il dio del grano. 32. Frasi che in «Testi delle Piramidi», 317 (p. 101) son dette del coccodrillo.

LA MAGIA DALLE «FORMULE MAGICHE PER LA MADRE E PER IL FANCIULLO»1 Testi di carattere magico sono già incorporati fra le formule dei «Testi delle Piramidi», e certo le pratiche magiche erano note all’Egitto più antico. Agli dei ci si può rivolgere con preghiere che li dispongano benevolmente ad accogliere le richieste dei fedeli, o con formule ed operazioni che abbiano un carattere compulsorio, e che ne determinino un automatico intervento nel corso degli eventi secondo quelli che sono i desideri del postulante. Si può inoltre influire sulle forze senza nome che personificate vagano per il mondo, e che possono danneggiare uomini e cose.

A queste ultime si rivolge in particolar modo la raccolta di formule di cui qui si ha un saggio, e che offre esempi delle varie tecniche esorcistiche. La formulazione in taluni casi è di estrema semplicità: all’essere che viene per danneggiare il bambino si dimostra che lo si conosce, con il darne una descrizione, e gli si impone di andarsene. In altri casi si hanno formulazioni mitologiche, che assimilano i casi del sofferente a quelli di un dio. O, alla malattia, si indicano i rischi cui si espone abitando le membra del malato, e si propone di ritirarsi nella sua stessa dimora. Non sono ancora i complicati testi magici più tardi. Notevole è il carattere scientifico della raccolta, che fondamentalmente raccoglie formule di protezione per bambini e per madri, e che in questa specializzazione ha già, in potenza, la struttura di un manuale. C (I, 9 segg.) Sguscia via, tu che vieni nell’oscurità2, tu che entri di soppiatto, il cui naso è la nuca, la cui faccia è rovesciata, che non riesci in ciò per cui sei venuto! Sguscia via, tu che vieni nell’oscurità, tu che entri di soppiatto, il cui naso è la nuca, la cui faccia è rovesciata, che non riesci in ciò per cui sei venuta! Sei venuta per baciare questo bambino? Non permetterò che tu lo baci! Sei venuta per farlo star zitto? Non permetterò che tu faccia sì che egli stia zitto! Sei venuta per fargli danno?

Non permetterò che tu gli faccia danno! Sei venuta per portarlo via? Non permetterò che tu lo porti via da me! Io ho fatto la sua protezione magica contro di te con piante di afay, …, con aglio che ti fa danno, con miele dolce agli uomini ma amaro a quelli che sono (nell’Aldi)là, con lordura di pesce abg’u, con cimase di fascia, con spina dorsale di pesce persico. D (II, 6 segg.) Formula per scacciare la malattia dei bambini. O tu (f.) che passi la giornata a tessere il cuscino di tuo padre Osiri! O tu (f.) che parli a tuo padre Osiri quando egli vive di erbe e di miele3! Sguscia via, o tu Asiatica che vieni per le montagne! O tu, Nubiana che viene per il deserto4! Sei tu una schiava? Va’ con il vomito. Sei tu una dama? Va’ con la sua5 orina. Va’ con il muco del suo naso! Va’ con il sudore delle sue membra! Le mie due mani sono su questo bambino. Le due mani di Isi sono su di lui, così come essa pose le sue due mani su suo figlio Horo6. E (III, 1 segg.) Scacciare un tumore7 da qualsiasi membro del bambino. Tu sei Horo, tu sei sorvegliato come Horo, tu sei Horo vivo. Io scaccio il dolore che è nelle tue membra, la malattia che è nelle tue membra. Il male è un coccodrillo rapido in mezzo al fiume, un serpente rapido di veleno. Tu che hai in mano un acuto coltello, vigoroso macellaio, non mangiare del suo bestiame, non piombare nel suo cervello. Sta’ attento a… Le loro caldaie sono spezzate, sono spuntati i loro coltelli. Fuggi, tumore! Cadi giù! O infiammazione8, fratello del sangue, compagno dell’ascesso, padre del foruncolo, sciacallo d’Alto Egitto9! Va’ passa la notte andando al luogo dove son le tue belle donne

che han posto mirra sulle loro chiome e incenso sulle loro spalle. Fuggi, tumore! Cadi giù! Non cadere sul suo capo, ma guàrdati da quel che esso getta! Non cadere sul suo cocuzzolo, ma guardati dalla sua lordura! Non cadere sulla sua fronte, ma guardati dalle rughe! Non cadere sulle sue sopracciglia, ma guardati dalla calvizie! Non cadere sui suoi occhi, ma guardati dalla cecità! (Non cadere sulle sue palpebre) ma guardati dal pianto! (?) Non cadere sul suo naso, ma guardati dal muco! Non cadere sui suoi zigomi, che sono le bacche di Hathor10! Non cadere sulla sua bocca, ma guardati dal nascondiglio! Non cadere sui suoi denti, ma guardati dalla puntura! … … … … … … … … ….11 Fuggi, tumore! Cadi giù. 1. A. ERMAN, Zaubersprüche für Mutter und Kind aus dem Papyrus 3027 des Berliner Museums, in Abh. Kgl. Pr. Ak. Wiss., Phil. Hist. Kl., 1901. È un ms. appena anteriore al Nuovo Regno con formule medico-magiche di cui si dà qui solo un saggio. 2. La frase è ripetuta una volta al maschile, una volta al femminile, contro qualsiasi demone. 3. L’allusione ci è inafferrabile. 4. Nomi di due malattie «straniere» e personificate come tali (la Siria è il paese delle montagne, la Nubia quello del deserto). 5. Del bambino malato; così come tutte le altre secrezioni. 6. Isi è spesso il prototipo del mago. 7. Traduzione di comodo. 8. Traduzione di comodo. 9. Lo sciacallo d’Alto Egitto è ricordato nei paragoni per la rapidità. 10. «zigomi» traduce impropriamente mndt, una parte della faccia fra occhio e zigomi, Mnd’ è invece «mammella», e il paragone con le rrmt («bacche») di Hathor viene certo da questo secondo valore. Alle rrmt son paragonate le papille del seno nella lirica amorosa. 11. Continua l’elenco delle parti del corpo.

FORME POPOLARI DEL MITO LA NASCITA DI TRE RE1 Il problema dei rapporti fra la figura del sovrano ed il mondo divino è una delle costanti della speculazione religiosa egiziana. È evidente il valore politico di una concezione che collochi il re nel mondo degli dei fin dall’epoca della sua vita (e della sua attività) terrena. Ma la cosa ha grande importanza anche in puri termini teologici: un re che sia dio è una garanzia per la vita religiosa del paese nel suo complesso, è una guida quotidiana per ognuno dei sudditi, ché per suo tramite la società terrena è immediatamente e solidamente connessa con quella celeste. La serenità della vita religiosa egiziana più antica è certo in gran parte conseguenza di questa sicurezza della guida divina del re. La teologia regale comporta vari atteggiamenti, e speculazioni in parte complicate dal parallelismo con quello che è il mito principe del pantheon egiziano, il mito di Osiri e di Horo, tanto più che ha anch’esso chiari caratteri regali: Horo è, infatti, il dio che in perpetuo si personifica nel sovrano vivente, Osiri è il dio in cui si assommano (personificandosi in lui) tutti i re defunti — in quanto padri del re vivo. La concezione che vuole il re immediata personificazione di varie divinità, o dio che trova nella sua stessa funzione la sua garanzia divina, si incontra, verso la V dinastia, con un’altra speculazione, secondo cui i sovrani sono figli del dio del sole, Ra. I primi accenni a tale interpretazione della figura regia si hanno già nella IV dinastia, quando il titolo di «figlio di Ra» appare sporadicamente: ed è certo un momento di crisi nella concezione regale, che non attribuisce più al re il carattere di una «personificazione» della divinità (così come è Horo, è Uto, è Nekhbet) ma lo subordina a un dio specifico, sia pure nella relazione così affettuosa ed intima quale può essere quella di figlio a padre. È il trionfo di un centro teologico vicino alla capitale, Eliopoli, i cui sommi sacerdoti hanno ottenuto particolare posizione alla corte menfita, e che arrivano così a esaltare il loro dio Ra — dio tendenzialmente universale, e adatto perciò a una posizione di predominio non collegato con le specifiche vicende politiche di una singola città. Strettamente legati al clero eliopolitano appaiono i re della V dinastia: i primi sovrani della casata gli elevano santuari, gli ultimi introducono nel protocollo regio quel titolo di «Figlio di Ra» che da ora in poi sarà regolarmente usato per il resto della storia egiziana. La fantasia popolare ha ben ricordato questo carattere, e, in pieno medio regno, un racconto di mirabilia ambientato entro un assai corretto quadro storico alla IV dinastia alla corte di re Cheope, ricorda la nascita miracolosa dei primi sovrani della dinastia seguente. Sono figli di Ra e della moglie di un sacerdote probabilmente eliopolitano. Nascono sotto le cure di divinità che il dio sovrano invia al momento opportuno, e che consacrano alla futura funzione regia i tre infanti. È probabile che nel racconto si narrasse anche come i piccoli fossero sottratti alla persecuzione del faraone, cui era noto che essi avrebbero sostituito) sul trono i suoi discendenti diretti: ma il papiro è frammentario. Le inesattezze storiche (i re sono dati come fratelli, il che non sembra esatto), i dati fantastici, la cadenza popolare del racconto, ci impediscono di considerare questo testo come documento in qualche modo ufficiale. Ma si tratta di un prezioso testo che indica quanto presto nasca il racconto mitologico (che avrà il suo fiore nel tardo nuovo regno) e come subito in esso gli dei sappiano assumere tono del tutto antropomorfico. E ci indica d’altro canto come sia già entrato nella più profonda coscienza popolare la regola secondo cui chi è figlio di Ra è sovrano in potenza: quella regola cui farà appello Hats’epsut (cfr. p. 419) così esplicitamente quando vorrà — nei suoi quadri ufficiali di Der el Bahari — garantire davanti ai sudditi i suoi diritti al trono in confronto degli altri pretendenti.

Uno di quei giorni capitò che Redg’edet cominciasse ad avere le doglie, ed il parto era difficile. Disse allora la Maestà di Ra signore di Sakhebu2 a Isi, a Nefti, a Meskhent3, a Heqet ed a Khnum: «Andate per favore, e fate partorire

Redg’edet dei tre bambini che sono nel suo grembo, e che sono destinati a esercitare questa funzione perfetta4 nel paese intero. Essi costruiranno i vostri templi, essi renderanno ricchi i vostri altari, essi faran prosperare le voste tavole da libazioni, essi aumenteranno le vostre offerte». Andarono così questi dei, dopo aver preso l’aspetto di danzatrici, e Khnum veniva con loro portando il bagaglio. Giunsero così alla casa di Ra-user5; e lo trovarono in piedi, con gli abiti sottosopra. Esse gli presentarono le loro menat6 ed i loro sistri, ed egli disse loro: «Mie signore, vedete, c’è una donna che sta soffrendo per un parto difficile». Allora esse dissero: «Faccela vedere: noi sappiamo sgravare». Ed egli disse loro: «Passate» ed esse entrarono da Redg’edet; e si chiusero in camera con lei. Isi le si mise davanti, Nefti le si mise dietro, e Heqet sollecitò il parto. Disse Isi: «Non esser troppo possente (user) nel suo grembo, in questo tuo nome di User-ref»7. Allora questo bambino le uscì rapidamente sulle mani, come un bambino di un cubito8, dalle ossa robuste. Le sue membra erano incrostate d’oro e la sua chioma era di lapislazzuli vero9. Lo lavarono, gli tagliarono il cordone ombelicale e lo collocarono su un quadrato di panno su mattoni. Quindi Meskhent avanzò verso di lui e disse: «Un re che eserciterà il regno su questo paese tutto»; e intanto Khnum dava salute alle sue membra. … … … … … … … … … … ‥10 Questi dei allora uscirono, dopo aver sgravato Redg’edet dei tre bambini, e dissero: «Sia lieto il tuo cuore, Rauser. Ecco, ti son nati i tre bambini». Ed egli disse loro: «O mie signore, cosa potrò fare per voi? Date questo sacco d’orzo al vostro portabagagli, e prendetevelo come ricompensa per fare con quello la birra». Khnum si caricò del sacco d’orzo, e si avviarono verso il luogo da cui erano venuti. Ma ecco disse Isi a questi dei: «Cos’è questo, che noi siam venuti senza fare un miracolo per questi bambini, da poterlo raccontare al loro padre11 che ci ha fatti venire?». Così, essi plasmarono tre corone da re, v.f.s., e le misero entro il sacco dell’orzo, e indussero il cielo in vento e pioggia, e tornarono alla casa. Dissero: «Mettete, per piacere, questo sacco d’orzo qui in una stanza suggellata, finché noi non siamo di ritorno dal danzare nel Nord». Così misero il sacco d’orzo in una stanza chiusa. Intanto Redg’edet si purificò con una purificazione di quattordici giorni, e

quindi disse alla domestica: «La casa è fornita?». Quella rispose: «È fornita in ogni buona cosa, eccetto che in vasi, perché non ne han portato». Allora disse Redg’edet: «E perché mai non han portato vasi?». Disse la domestica: «Non c’è qui di che preparare (la birra), eccetto il sacco d’orzo di quelle danzatrici, che è nella stanza sotto il loro suggello». Disse Redg’edet: «Va’ e prendine. Rauser penserà a darne altrettanto quando sarà tornato». La domestica andò, e aperse la stanza. Ed ecco che sentì voci e canti e musica e danza e feste e tutto quel che si fa per un re, là nella stanza. Essa andò e ripeté tutto quel che aveva sentito a Redg’edet. Essa percorse la camera, ma non poté trovare il luogo in cui questo si facesse. Infine appoggiò la tempia al sacco e scoperse che si faceva là dentro. Allora essa lo mise dentro una cassa, e poi dentro un’altra chiusura annodata con una cinghia di cuoio. E tutto questo mise in un’altra stanza in cui erano le cose sue, e suggellò tutto. Quando Rauser giunse di ritorno dai campi, Redg’edet gli riferì questi discorsi, e il suo cuore fu più lieto di ogni cosa, e si assisero e fecero un giorno felice. 1. È un racconto popolaresco, tramandato da un unico papiro (Papiro Westcar). Il testo fu pubblicato da A. ERMAN, Die Märchen des Papyrus Westcar, Berlin, 1890. Una bella traduzione con commento in G. LEFEBVRE, Romans et contes égyptiens, Paris, 1949, p. 70 segg. 2. È un tempio che ci è ignoto, ma deve essere fra Menfi e Eliopoli. 3. La dea del parto, così come Heqet. Khnum è il dio che forma gli uomini al tornio. 4. Cioè la funzione regale. 5. È il nome del sacerdote marito di Redg’edet. 6. Le menat sono i contrappesi della collana, e con menat e sistri le danzatrici accompagnano il ritmo dei loro movimenti. La presentazione di questi strumenti fa parte dei saluti, specie cerimoniali. 7. Le frasi delle levatrici divine danno i nomi ai neonati re. In realtà il re si chiama User-ka.f. 8. Un cubito è m. 0,523. 9. Gli dei hanno questa natura «minerale». 10. Con le stesse frasi, e solo con giochi di parole diversi per giustificare i diversi nomi propri, son descritte le nascite degli altri due re. 11. Ra.

L’AMMINISTRAZIONE DELLA RELIGIONE 1. — LA FONDAZIONE DI UN TEMPIO1 Questa relazione dei preparativi per la fondazione di un tempio è conservata su un rotolo di pelle; ha, cioè, i caratteri di un documento particolarmente prezioso ed importante. Il testo ha certamente carattere ufficiale: ma quel che è più notevole è il tono marcatamente letterario della relazione, che non dà tanto la notizia precisa dell’avvenimento nei suoi dati concreti, quanto un’ampia inquadratura di vita cortigiana in cui esso trova luogo. È la celebrazione dell’azione del sovrano, secondo schemi che saranno noti nelle relazioni ufficiali più tarde di imprese regali anche di altro genere: il re agisce dopo aver avuto un rapporto con la divinità, e dopo aver dato notizia delle sue decisioni alla corte, che trepidante sottostà al volere regale anche quando esso esplicitamente non tiene conto dei consigli che in un primo tempo ha sollecitato. È questo un modo di sottolineare quel carattere di arbitrio completo che si attribuisce al re in quanto infallibile interprete delle necessità del momento, e quasi moderatore della storia. La tensione del tono è, in questo caso, particolarmente eccessiva rispetto al tema, che non riveste carattere eroico. Ma è proprio questo atteggiamento che ci mostra quanto questa fondazione stia a cuore al sovrano, che ne sottolinea il carattere politico (o almeno sociale). La profonda crisi religiosa del periodo feudale aveva in parte fomentato tendenze agnostiche, ma ancor più un gusto per una pietà personale la cui importanza è immensa nella più tarda religione egiziana. Contro questi elementi di disgregazione della religione tradizionale lottano i sovrani, interessati a riprendere il controllo diretto del paese. In questa luce la fondazione di un tempio secondo il rito classico e per volontà regia è avvenimento di primissimo piano, e degno di ampia celebrazione: anzi, tanto più significativo quanto più sarà celebrato. Dietro i colori retorici della relazione, questo è il senso che bisogna saper dare a questo testo.

Anno terzo, mese terzo dell’inondazione, giorno 8, sotto la Maestà del re della Valle e re del Delta Kheperka-ra, figlio di Ra Sesostri, giustificato, vivente in eterno per sempre. Il re si levò con le due corone, e una seduta ebbe luogo nella sala dell’udienza. Si2 prese consiglio con quelli del seguito, gli Amici3 del palazzo, v.f.s., i funzionari nel luogo della solitudine4. Si comandarono parole dopo che si furono sentiti, si interrogò aprendo la faccia5. «Ecco, la mia maestà stabilisce un’opera e pensa un’impresa come qualcosa che sia vitale in futuro. Io farò monumenti e stabilirò decreti durevoli per Harakhte. Egli mi ha plasmato come uno che faccia quel che ha fatto per fare che si effettuasse quel che egli aveva comandato che facesse6. Egli mi ha posto come pastore di questo paese, perché egli sapeva chi lo avrebbe tenuto in ordine per lui. Egli mi ha offerto quel che egli protegge, quel che illumina l’occhio che è in lui7, facendo completamente tutto secondo la sua volontà, che mi ha … quel che ha deciso che sia conosciuto. Io sono un re per natura, un sovrano, v.f.s., a cui non si è dato8. Io ho conquistato quando ero infante; io ero già possente nell’uovo; io comandavo

come un principe. Egli mi promosse a Signore delle Due Parti9 quando ero ancora un bambino, quando ancora non mi si erano slacciate le fasce (?)10. Egli mi nominò signore delle genti, e io sono stato creato in faccia al popolo. Egli mi fece abitatore del Palazzo che ero un bambino, prima che fossi uscito dalle mie cosce11. Si è data a me la sua12 lunghezza e la sua larghezza. Io sono stato allevato come un conquistatore nato. Il paese mi è stato dato, io ne sono il signore. La mia gloria ha raggiunto l’altezza del cielo. Io sono perfetto per il mio fare (sacrifici) a chi mi ha fatto, e per il mio soddisfare il dio con quel che io gli do. (Io sono) suo figlio, il suo protettore13. Egli ha comandato per me che io prenda quel che egli ha preso. Così io son venuto come Horo, dopo essermi riconosciuto14. Io renderò stabili le offerte degli dei, io compirò opere, e cioè un grande tempio per mio padre Atum. Io farò che egli sia ricco come egli ha fatto che io conquistassi. Io rifornirò i suoi altari sulla terra, io costruirò la mia casa nella sua vicinanza. La mia bellezza sarà ricordata per via della sua casa. La piramide è il mio nome, il lago è il mio monumento. L’eternità è quel che fanno queste utili opere15. Non muore un re che è chiamato per le sue opere16. Anche se non si conoscono (più) i … che egli ha pensato, il suo nome è pronunciato per questo. Non perisce quel che è connesso con l’eternità. Quel che è fatto è quel che esisterà. (Questo è) cercare cose utili, poiché il nome è un cibo eccellente17: significa esser vigili per quel che concerne l’eternità.» Allora parlarono questi Amici del Re e risposero al loro dio: «Hu18 è la tua parola, Sia19 è al tuo seguito. O Sovrano, v.f.s., i tuoi consigli son quel che si attua, il sorgere del re20 quando unisce i due Paesi per tendere (la fune)21 nel tuo tempio. È splendido il guardare al domani come qualcosa di utile per la vita22. Non può la folla compiere (nulla) senza di te. La Tua Maestà v.f.s., è gli occhi di ognuno. Molto bello è che tu faccia un monumento tuo in Eliopoli, un sacrario degli dei presso tuo padre, il signore del grande tempio, Atum, il Toro dell’Enneade. Chiama in esistenza il tuo tempio, ed esso farà offerte alle tavole d’offerta23, farà servizio alla statua, sarà cordiale alle tue statue per la lunghezza dell’eternità.» Allora disse il re stesso al tesoriere regale, amico unico, soprastante alle Due Case dell’Oro e alla Casa dell’Argento, preposto ai segreti delle Due

Dee24: «Il tuo consiglio fa che sian fatte tutte le opere che la Mia Maestà desidera che sian (fatte). Tu sei il mio comandante, colui che farà secondo quel che è nel mio animo. Gli artigiani … la vigilanza è per colui che non ha stanchezza. Ogni opera appartiene all’intelligenza. Padrone delle mani è chi fa che sia perfetta. La tua ora è il tempo del fare25. È lunga e larga secondo il tuo desiderio… Comanda agli operai di fare secondo quel che hai stabilito». Allora si levò con il diadema e le due penne. Tutta la gente lo seguiva. Il ritualista capo, scriba del libro divino, tese la corda, sciolse la fune e la pose in terra. Fu fatto come questo edificio. Allora Sua Maestà fece che si passasse, il re si voltò davanti al popolo tutto, riunito in un posto, sia la Valle che il Delta… 1. È il resoconto, in stile letterario, della fondazione di un tempio alla XII dinastia. Edito da A. DE BUCK, The Building Inscription of the Berlin Leather Roll, Analecta Orientalia 17 (Studia Aegyptiaca, I), Roma, 1938, p. 48 seg. 2. «Si» = «il re» nel linguaggio ufficiale. 3. Titoli onorifici. 4. Il «Consiglio segreto». 5. Frase tecnica, di cui si intravede il significato. 6. Si noti il ricco alliterare. 7. Harakhte, «l’Horo dell’Orizzonte», è il dio solare. 8. Che non ha avuto bisogno di investitura. 9. L’Egitto, immaginato sempre in forma duale. 10. La traduzione è dubbia. 11. «mie», cioè «relative a me», della mia madre. 12. Del Palazzo. 13. I rapporti sono sempre immaginati come fra Horo e Osiri. 14. Dopo essermi reso conto di chi fossi. 15. Questa attività costruttiva fa sì che il re sia ricordato per l’eternità, per quanto essa dura. 16. Che lascia monumenti famosi. 17. La fama è utile come l’offerta funeraria per sopravvivere. 18. Il dio del comando. 19. Il dio dell’intelligenza. 20. «Sorgere», il termine solare, è adoperato per ogni apparizione in pubblico del sovrano. 21. «Tendere la fune», è l’operazione tipica della fondazione, quella con cui si traccia il piano del futuro edificio. 22. Naturalmente la «vita» è la sopravvivenza. 23. Dagli altari del tempio le offerte passeranno alle tavole d’offerta funeraria del sovrano. 24. Le Due Dee sono il Re, in quanto egli personifica le due dee dinastiche. 25. Il momento della tua autorità è quello in cui si dirige un’attività.

2. — DAGLI ATTI DEL TEMPIO DI ANUBI A ILLAHUN1 Al medio regno risale un incartamento relativo alla vita amministrativa di un tempio del medio Egitto, di non grande importanza — e perciò forse ancor più significativo di quel che dovesse essere una situazione media. La precisione burocratica del linguaggio, l’attenzione rivolta alle corrette registrazioni dei momenti e dei casi della vita del tempio, come ente non religioso ma amministrativo, ci danno il senso di quanto ferma sia la disciplina cui è astretta la vita templare. I santuari, oltre che centri di culto, sono uffici organizzati come tutti gli uffici pubblici: il che permette un comodo e facile controllo da parte dello Stato, e conferma quella politica di rinvigorimento delle tradizioni più strettamente templari in confronto delle tendenze centrifughe della pietà personale che è caratteristica della politica religiosa dei sovrani della XII dinastia, e che costituisce un aspetto del loro sforzo di riunificazione del paese dopo la dispersione dell’età feudale.

A) Verbale di consegna del materiale del tempio. Rapporto della quarta guardia2 di sacerdoti orari del tempio la quale smonta dal servizio mensile. Questo è quel che essi dicono: «Tutto il tuo avere è integro e in buone condizioni. Noi abbiamo contato tutti gli arredi del tempio e tutti i beni del tempio integri ed in buone condizioni per la prima guardia dei sacerdoti orari del tempio che montano di servizio nel mese». Rapporto della prima guardia dei sacerdoti orari di questo tempio, che montano di servizio mensile. Questo è quel che essi dicono: «Tutto il tuo avere è integro ed in buone condizioni. Noi abbiam preso tutti gli arredi del tempio e tutti i beni del tempio integri ed in buone condizioni dalla quarta guardia dei sacerdoti orari di questo tempio, che smonta dal servizio mensile. Il tempio è felicemente in buono stato». B) Copia di una lettera ufficiale dei registri del tempio3. Il nomarca, soprintendente del tempio, Nubkau-Ra è quegli che dice al ritualista capo Pepihotep: «Sappi che avverrà il sorgere di Sopdet4 nel mese IV della stagione Peret il giorno 16. Si voglia richiamare su questo l’attenzione dei sacerdoti orari del tempio della immagine di Sesostri, giustificato, di Anubi che è sulla Montagna del Serpente, di Sobk. Si faccia che sia trascritta questa lettera sul diario del tempio». 1. Sono documenti della XII dinastia, conservati a Berlino, che qui sono tradotti sul testo dato da K. SETHE, Aegyptische Lesestücke, Leipzig, 1928, p. 96 seg. 2. I sacerdoti orari, a servizio ciclico, son divisi in quattro «guardie» ognuna delle quali resta in carica per un mese a turno. A ogni cambio di servizio c’è un verbale di consegna come quello che qui è tradotto. 3. È questo un documento chiave per la cronologia egiziana: è la prima datazione di un sorgere eliaco di Sirio, su cui fondiamo tutta la più antica cronologia egiziana (Regno Medio e Antico).

4. Sirio.

3. — FONDAZIONI FUNERARIE DEL PRINCIPE DI ASSYUT1 Fra i più bei testi giuridici che abbiamo dall’Egitto più antico, si annoverano queste convenzioni fra Hapyg’efa, principe di Assyut, e il clero del tempio locale. Si tratta della istituzione di fondazioni pie perpetue ed inalienabili (ciò che oggi all’incirca è uno wakf), di cui il clero del tempio locale potrà godere, a condizione di adempiere a certi obblighi di rituale funerario a vantaggio del principe. È interessante che questi faccia parte — in realtà — del clero con cui stipula il contratto: secondo la tradizione dell’età feudale, in quanto principe e nomarca è anche sacerdote del dio cittadino. Ma nel corpo del contratto egli è attento a dividere fra la sua personalità ufficiale di funzionario e la sua personalità fisica, distinguendo fra i beni di cui ha la disponibilità come nomarca e quelli di cui ha proprietà come privato. In questa precisa impostazione giuridica si hanno brevi richiami a quella che è stata l’attività a pro’ del tempio esercitata dal funzionario, si stabilisce con precisione quali siano i caratteri della fondazione, quali i benefici che se ne attendono in corrispettivo. Tralasciando i particolari tecnici (chiari a qualsiasi lettore), si noti quale sia l’importanza di tali transazioni nella economia egiziana: si segue il formarsi di una proprietà templare, legata al culto funerario, e che perciò tende ad allargarsi indefinitamente, ché a ogni generazione chi intende assicurarsi un servizio funerario perpetuo deve da capo, entro l’ambito della stessa famiglia, lasciare una fondazione a un tempio — il solo capace di garantire che il servizio non sarà interrotto. L’inalienabilità di questi lasciti esclude che il patrimonio templare possa — almeno teoricamente — essere toccato. E si capisce come, quando oltre ai privati anche i sovrani intervengano con donazioni, il tempio possa divenire un vigoroso e importante centro di vita economica e, in taluni casi, elemento determinante nella vita del paese.

Il principe, nomarca, capo dei profeti, Hapyg’efa dice al suo sacerdote funerario2: «Ecco, tutte queste cose che io ho stipulato con questi sacerdoti son sotto il tuo controllo. Ecco, in verità, è il sacerdote funerario di una persona quegli che mantiene le sue cose, quegli che mantiene la sua offerta. Ecco, io ho fatto che tu conosca queste cose che io ho dato ai sacerdoti in cambio di quello che essi danno a me. Sta attento che non sia ritirato nulla di questo. Ogni parola relativa ai miei beni che io ho dato loro, possa tu fare che la senta il figlio tuo e tuo erede, che erediterà per me la funzione di sacerdote funerario. Ecco, io ti ho fornito di campi, di gente, di bestiame, di giardini, come ogni funzionario di Assyut perché tu possa fare per me il rito con cuore lieto. Tu stai su tutte le cose mie che io ho messo sotto la tua autorità. Ecco, questo è davanti a te per iscritto. Queste cose saranno al tuo figlio unico diletto3, che eserciterà per me le funzioni di sacerdote funerario alla testa degli altri tuoi figli, come usufrutto che non può essere diminuito e che egli non potrà spartire tra i suoi figli, secondo questa parola che io ho dato davanti a te. Contratto che ha fatto il nomarca, capo dei profeti Hapyg’efa, giustificato, con i sacerdoti orari del tempio di Upuaut signore di Assyut. Sarà dato per lui un pane bianco da ciascuno di loro alla sua statua che è sotto la cura del suo sacerdote funerario il primo giorno del primo mese della stagione akhet,

giorno dell’inizio dell’anno, quando la casa fa offerta al suo signore4, dopo che si è accesa la candela nel tempio. Ed essi usciranno al seguito del suo sacerdote orario per illuminarlo, finché essi raggiungano lo spigolo settentrionale del tempio, così come essi fanno quando illuminano i loro propri nobili (cioè «i morti») il giorno dell’accender la candela. Quel che egli ha dato loro per questo: orzo di Basso Egitto, uno staio per ogni campo del Dominio funerario come primizia della Casa del nomarca, secondo che fa ogni cittadino (nd’s) di Assyut come sua primizia. Ed ecco, egli fu il primo a fare che ognuno dei suoi concittadini facesse offerta a questo tempio con la primizia del suo campo. Egli ha detto: «Ecco, voi sapete quel che è di ogni cosa che dà ogni funzionario ed ogni privato cittadino al tempio come sua primizia. Non è cosa gradita a lui che si defalchi su ciò. Inoltre, nessun nomarca futuro non deve invalidare con i sacerdoti futuri il contratto di un nomarca5. Inoltre, questo orzo di Basso Egitto spetterà ai sacerdoti orari del tempio, persona per persona per ogni sacerdote wab che mi darà questo pane bianco, e non deve essere spartito fra tutti quelli che sono nel loro mese; perché essi danno questo pane persona per persona»6. Ed essi ne furono soddisfatti. Contratto che ha fatto il nomarca, capo dei profeti, Hapyg’efa giustificato, con il consiglio8 del tempio. Gli si darà pane e birra il giorno 19 del primo mese di akhet, il giorno della festa wag. Nota di quel che essi gli debbono dare:

Così egli dà loro per questo: 22 giornate templari dei suoi beni della casa di suo padre9, non certo dei beni della casa del nomarca. Giornate quattro al capo

dei profeti, giornate due a ciascuno di loro. Egli ha detto loro: «Ecco, quanto a una giornata templare, è 1/360 dell’anno. Voi dividete dunque ogni cosa che entra in questo tempio come pane, come birra, come carne della razione giornaliera — il che corrisponde a 1/360 del pane, della birra, di ogni cosa che entra in questo tempio — per ognuna di queste giornate templari che io vi ho dato. Ecco, questi son beni miei della casa di mio padre; non sono certo beni della casa del nomarca, perché io sono figlio di un sacerdote wab come ciascuno di voi. Ecco, passeranno queste giornate a tutto il consiglio del tempio che ci sarà (allora), dato che sono loro che mi provvederanno del pane e della birra che essi mi danno». Ed essi ne furono soddisfatti. Contratto che ha fatto il nomarca, capo dei profeti Hapyg’efa, giustificato, con i sacerdoti orari del tempio di Upuaut signore di Assyut. Essi gli daranno un pane bianco per ciascuno di loro alla sua statua che è nel tempio il giorno 16 del primo mese di akhet, nel giorno della festa wag. Ed usciranno dietro il suo sacerdote funerario per illuminarlo ed accenderanno per lui una candela così come essi fanno quando illuminano i loro propri nobili il giorno di accendere la candela nel tempio. Sarà inoltre questo pane bianco sotto la cura del suo sacerdote funerario. Quel che egli ha dato loro per questo: carbone, 1 sacco per ogni tero; carbone, 1 caldaia per ogni capra che essi danno al magazzino del nomarca contro ogni toro e ogni capra che è offerta dal tempio in cambio di quel che essi danno al magazzino del nomarca. Egli così ha rimesso loro questo, e ciò non può essere tolto dalla loro mano. E saran dati loro 22 boccali di birra, 1.200 focacce, dati a lui dal consiglio del tempio nel giorno 18 del primo mese della stagione akhet, in compenso di quel che essi danno, cioè un pane bianco ciascuno di loro, come qualcosa che esce per loro dal tempio, e (come compenso del)l’illuminarlo. Ed egli ha detto loro dicendo: «Quanto a colui che misurerà i carboni, ecco, sarà il nomarca del suo tempo10. Guardate, non ci deve essere diminuzione del pane, della birra che ha stabilito per me il consiglio del tempio e che io ho dato». Ecco, io ho stipulato questo con loro, ed essi ne furono soddisfatti. Contratto che ha fatto il nomarca, capo dei profeti, Hapyg’efa, giustificato, con il preposto ai funzionari della necropoli e con i Capi delle montagne11. Essi

debbono andare alla Casa di Anubi nel quinto dei cinque giorni epagomeni, la notte del capodanno e il giorno del capodanno per prendere due lucignoli che dà il grande sacerdote wab di Anubi per il nomarca Hapyg’efa, e andranno a illuminarlo finché raggiungano la sua tomba; e daranno uno dei lucignoli al suo sacerdote funerario, dopo che essi lo abbiano illuminato come essi illuminano i loro nobili12. Elenco nominativo

Campi

Preposto ai funzionari della necropoli

arure 400

Capo del distretto del deserto ….

arure 200

8 Capi delle montagne … … ‥

arure 1600

Quel che egli ha dato loro per questo: Campi: 2.200 arure di terreno alto13 dei beni suoi della casa di suo padre, non certo dei beni della casa del nomarca. Essi dovranno dare il polpaccio della coscia di ogni toro che sarà ucciso in questo deserto in ogni tempio. Quello che essi gli hanno dato. Il soprastante ai funzionari della necropoli, 2 brocche di birra, 100 focacce, 10 pani bianchi. Il capo del distretto del deserto: 1 brocca di birra, 50 focacce, 5 pani bianchi. Gli otto Capi della montagna: 8 brocche di birra, 400 focacce, 40 pani bianchi per la sua statua, sotto l’autorità del suo sacerdote funerario, nel giorno primo del primo mese di akhet, giorno di capodanno, quando essi lo illuminano. Egli ha detto loro: «Ecco, i campi che io gli ho dato, appartengono (rispettivamente) al Soprintendente dei funzionari della necropoli, al capo del distretto del deserto, a ogni capo della montagna che succederà, perché sono essi che provvedono a me il pane e la birra. E voi sarete dietro la statua che è nel mio giardino, al suo seguito quando essa procede alla Casa di Anubi, durante la festa dell’inizio di ogni stagione che si fa in questo tempio». Ed essi ne furono soddisfatti. 1. È una scelta da una serie di contratti che un principe di Assyut dell’inizio del Medio Regno ha stipulato per fondare il suo culto funerario. Sono stati pubblicati da GRIFFITH, The Inscriptions of Siut and Der Rifeh, London, 1888-89. Qui sono dati quelli ripubblicati da SETHE, Aegyptische Lesestücke, Leipzig, 1928, p. 92 seg. 2. «al servo del suo ka».

3. È il titolo del figlio erede diretto, che ha l’incarico del culto familiare. 4. O «quando è data la casa al suo signore»? 5. Sottinteso: «più antico». 6. Non basta essere sacerdote wab in servizio mensile per aver diritto all’orzo, ma bisogna anche aver fatto l’offerta al nomarca. 7. È la formula di consenso del contratto. 8. qnbt. 9. Cioè dei beni ereditari di famiglia e non di quelli di cui dispone come capo dell’amministrazione del nómo, connessi con la sua carica. 10. Il nomarca che sarà allora in carica. 11. Sembrano tutti funzionari della necropoli; situata come di consueto nel deserto. 12. Al sing. nel testo. 13. Terreno dove non giunge la piena del Nilo?

III

IL NUOVO REGNO

Papiro del Libro dei morti: l’Aldilà I papiri del Libro dei Morti (cfr. pp. 255 segg.) sono spesso ravvivati da serie di illustrazioni a colori o in bianco e nero, che commentano i vari capitoli. Qui si ha una rappresentazione delle regioni dell’Aldilà, in cui il defunto eserciterà una singolarmente fortunata attività di contadino. (Torino, Museo Egizio, cat. 1833).

I RITUALI 1. — I CANTI RITUALI DI ISI E NEFTI1 In epoca assai antica il rituale del tempio egiziano ha avuto la tendenza a unificarsi entro uno schema eguale per tutti i casi. È questo un portato della concezione che vuole che il sovrano sia unico sacerdote di pieno diritto in tutti i santuari, e che dà come risultato che si trova opportuno lo stabilire una volta per tutte quali sono le cerimonie caratteristiche fondamentali. I rilievi che raffigurano scene di culto si riducono così a un assai limitato numero di varianti, che si possono seguire dall’antico regno in poi. Dall’età tebana abbiamo non solo testimonianze indirette, ma veri e propri rituali, che contengono e riferiscono il formulario del servizio quotidiano. Testi affini ci sono giunti anche dalla bassa epoca, e mostrano come fondamentalmente la pratica del culto non abbia subìto serie modificazioni. Ogni mattina il sacerdote officiante (che ha funzioni di sostituto del sovrano nei singoli templi) dopo le purificazioni necessarie entra nel sacrario, e là rompe i suggelli del tabernacolo, estrae l’immagine del dio, la abbiglia, la purifica, provvede alle offerte, poi la richiude e la risuggella nel suo naos. È, in breve e schematizzato, il servizio di cui hanno bisogno anche i signori terreni. Ma caratteristica del formulario che accompagna queste cerimonie in fondo assai semplici, è il forte colorito osiriaco che esso ha assunto in ogni caso. Il sovrano (e perciò il sacerdote che lo rappresenta) insiste sulla sua qualità di Horo rispetto al dio — quale che egli sia — che è perciò sempre assimilato a Osiri. La «passione» del dio è un elemento che si intravede sempre dietro il rituale, anche se, naturalmente, non ogni dio abbia un mito di tale genere. Questo rituale comune è quello usato nel culto di tutti i giorni. Ma nei singoli templi si è mantenuta anche viva la tradizione più differenziata delle singole feste locali. Alcune hanno una storia antichissima, altre son più recenti. Spesso si configurano secondo uno schema comune: la statua del dio esce dal sacrario e dal tempio; e su una portantina portata a spalla dai sacerdoti va in processione, mostrandosi così eccezionalmente al pubblico in festa. Meta della processione è spesso un altro tempio, o dello stesso dio, o di un’altra divinità che riceve la visita. Son talvolta viaggi abbastanza modesti (così quelli di Ammone da Karnak a Luqsor o alla Valle dei Re — le tipiche feste tebane); talvolta invece son percorsi assai lunghi, come da Edfu a Denderah. Il dio allora può prender posto su una barca, e passare, in una processione fluviale sul Nilo, da una provincia all’altra. Queste «uscite» degli dei hanno evidentemente il loro rituale, anche se sono anch’esse abbastanza livellate nei particolari cultuali. Ma in altri casi le feste degli dei rispecchiano momenti anteriori al livellamento: così Min ha a Copto una festa notissima ed illustre, cui partecipa il re, e che anzi sembra che abbia particolare importanza nella attrezzatura cultuale della monarchia egiziana. Per l’epoca più tarda ci sono più ampie documentazioni: dalle descrizioni di Erodoto (cfr. p. 569) alle indicazioni rituali date dai testi epigrafici di Edfu. Fra questi riti a carattere più particolare certo van considerati quelli più specificamente imperniati sulla figura di Osiri. Erodoto ne parla come di «misteri», e una iscrizione di un funzionario della XII dinastia che ad Abido è andato a rappresentare il re a una di tali feste, ne dà una breve ed allusiva relazione, dalla quale sembra di poter dedurre che tali riti avessero davvero un colorito drammatico. Il testo che qui segue è certo connesso con una celebrazione di tipo simile: si descrivono i gesti e si riferiscono le parole che debbono dire le due donne che personificano Isi e Nefti e che lamentano Osiri. Sono date ogni tanto — sembra — brevissime indicazioni sceniche; e l’alternarsi delle parti recitate (o cantate) a due con le parti a uno mostrano una certa tecnica di regìa scenica, e sembra che la resurrezione del morto Osiri avvenga durante la recitazione, anche se per il resto il movimento di azione drammatica è ridotto al minimo. Per quanto riguarda la data del testo, va notato che esso ci è tramandato da quel Papiro Bremner Rhind datato con molta sicurezza dal colofone all’inizio dell’epoca greca: è perciò un documento della bassa epoca. Ma, per quanto certo la redazione in cui il testo ci è giunto sia da attribuirsi attorno a quel tempo, alcuni elementi possono far pensare a una trascrizione di un testo più antico, che risalga al regno nuovo. Per tali ragioni è stato qui collocato come esempio di un rituale diverso da quelli stereotipati e

risalente a tale epoca, quale che sia la data della copia pervenutaci.

Inizio delle strofe della festa delle due femmine di nibbio2, che si celebra nel tempio di Osiri che presiede agli Occidentali, il dio grande, signore di Abido, nel quarto mese dell’inondazione, dal giorno 22 fino al giorno 263. Si deve santificare tutto il tempio, e si debbono condurre due donne dalle membra pure e che sian vergini, le cui membra sian state depilate, con parrucche sul capo… con tamburelli in mano e con i loro nomi tracciati sulle loro spalle come Isi e Nefti. Esse canteranno dalle strofe di questo libro in cospetto di questo dio. Esse diranno: «O signor mio Osiri». 4 volte. Dire le parole da parte del sacerdote lettore capo di questo tempio: «O grande del cielo e della terra!». 4 volte. Dir le parole da parte delle due Fornite di trecce: «Bel giovanetto, vieni alla tua casa! Da molto, da molto non ti abbiamo visto. O bel Suonatore di sistro4, vieni alla tua casa. O tu che risiedi in — lacuna5 —, dopo che ti sei allontanato da noi, o bel giovanetto che sei partito e non era tempo; giovane, e non certo nella giusta stagione! Immagine sacra di tuo padre Tanen, seme misterioso uscito da Atum; signore esaltato sopra i suoi padri, primogenito del grembo della sua madre. Oh volessi tu tornare a noi nel tuo aspetto di prima, che noi potessimo abbracciarti e tu non ti allontanassi da noi! Bello di volto, grande di amore, immagine di Tanen, maschio, signore della voluttà! (Primogenito) che aperse il grembo, il cui corpo fu stanco quando fu bendato. Possa tu venire in pace, signore nostro, che noi ti vediamo, che le Due Sorelle6 possano (proteggere) le tue membra, senza che ci sia danno in te! … il male come quel che non è avvenuto. Le nostre teste si volgono sulle nostre facce (?). Lamento grande è fra gli dei, poiché non c’è il loro (?) decidere la via che tu hai fatto — tu o fanciullo, o giovinetto — prima del giusto tempo. Possa tu percorrere il cielo e la terra nel tuo aspetto di prima, in modo da essere il Toro delle Due Sorelle. Vieni, o giovane fanciullo, in pace; signore nostro, che ti vediamo. Unisciti con noi come un maschio. Tebha7 è portato al suo ceppo. Vieni in pace, figlio maggiore di suo padre. Sii saldo nella tua casa, non avere timore. Il tuo figlio Horo ti vendica, il Punito8 se ne è andato. Egli è nella sua bolgia di fuoco ogni giorno, e il suo nome è cancellato di fra tutti gli dei. Tebha è morto sgozzato. Tu sei nella tua

casa senza timore. Seth è in tutto il male che egli ha fatto. Egli ha disturbato il ritmo del cielo. Egli ha riunito per noi pensieri (malvagi?). La terra si è avvicinata a noi (?). Lordura è sulla fronte… Passa chi passa, morto9. I nostri occhi piangono su di te. Bruciano le lacrime (?), ahi, dacché si staccò il nostro signore da noi. O tu dal bel viso, signore di amore, o toro che fecondi le giovenche, vieni, o suonatore di sistro dal volto splendente, o unico, o giovane, o bello a vedersi! Signore delle donne, maschio delle giovenche, o fanciullo signore della bellezza — oh potessimo vederti nel tuo aspetto di un tempo! (Isi a solo) Come desidero di vederti! Io son tua sorella Isi, l’amore del cuore tuo, che sono in cerca del tuo amore, ora che tu sei lontano. Io riempio (di lacrime?) questa terra in questo giorno. (a due) Avvicinati, ti prego, a noi. Noi andiam cercando (?) la vita perché tu ci manchi. Vieni in pace, o signor nostro, che noi ti vediamo. O Sovrano, vieni in pace; scaccia la fiamma che è nella nostra casa; unisciti a noi come un maschio. Formula protettiva recitata dalle Due fornite di trecce. «O Osiri, Toro dell’Occidente, o unico durevole esaltato sopra gli dei, o fanciullo che genera, erede maggiore di Geb, rampollo del Dio fra gli dei, vieni alle Due Vedove! Ti serve l’Enneade al completo, ed essi scaccian per te Seth quando egli viene. Colui il cui nome è cattivo possa essere dietro il tabernacolo, in cospetto di tuo padre Ra, quando egli dà la punizione ai ribelli. Vieni qui alle tue lamentatrici, e allontana l’affanno che è nella nostra casa. Vieni qui alle tue lamentatrici, poiché certo non è cosa che ti si addica il dimorar solo. Il signor nostro è in pace nella sua sede. Colui che era più grande di lui ha abbattuto quello la cui faccia è mite, dacché Nebed10 si è unito (?) ai nemici di lui. Egli disordina la terra con i suoi piani, e lamenti grandi son fra gli dei. L’Enneade sta per te con la testa sul grembo11, poiché tu sei esaltato sugli dei. Dov’è quegli che calpestava la terra, che era grande già dal seno (materno), con l’ureo fiammeggiante sul capo? Quegli che partorì se stesso, secondo il suo desiderio, di dove viene? Dov’è il corpo di un dio, signore dell’amore, ricco di amore? O anima, possa tu vivere di nuovo! Proteggono le Due Sorelle le tue

membra, e così quelli che giunsero qui per te in antico. Lamentano per te tutto attorno, come… tutti gli dei. Vieni qui alle tue lamentatrici. Tuo padre Ra colpisce Nebed. L’Enneade ti serve tutto attorno, e scacciano da te i Rossi12. Allontana il grande affanno dalle tue Due Donne. La tua casa è in festa, poiché il Malvagio è al ceppo, il Ribelle è nel male che egli ha fatto. Egli ha sommerso il Paese con i suoi scellerati piani, egli ha abbattuto il cielo a terra; ma è stato ritirato e portato al luogo dell’esecuzione, e portato al ceppo dei ribelli. Tuo padre Ra curerà le tue necessità. Tuo figlio Horo ti proteggerà. Possa tu avvicinarti alla terra come soleva accadere, possa tu attraversare il cielo nei suoi quadranti, possa tu prender terra nella navata (?) del Grande Tempio, mentre le Due Donne ti servono. Levati! Levati! Ecco, Seth è nel luogo dell’esecuzione. Il tuo nemico non esiste più. Vieni alla tua casa, o Osiri, la tua sede dove si cerca di vederti; ascolta il pianto di Horo sulle braccia di sua madre Isi. Tu sei scacciato, dato a tutti i paesi: colui che riunirà il tuo corpo, egli avrà i tuoi beni. O grande iddio, fornisciti della tua forma. Non star lontano dalla tua casa, o Osiri. Vieni in pace alla tua sede, signore del terrore, nel cui aspetto è ogni bellezza. Tu, grande toro signore della voluttà, unisciti con tua sorella Isi, e togli così il dolore che è nelle sue membra. Essa ti abbraccia, e tu non ti allontani da lei. Metti la vita sulla fronte della Giovenca13. Oh, tu sei protetto, tu che annegasti nel nômo del Coltello14. Il male è come quel che non è avvenuto. Viene a te tua sorella per far durare (purificare) il tuo corpo, o grande dio vivente, o grande di amore, che ti sei levato in cospetto dell’Alto e Basso Egitto. Adornati, o signore degli ornamenti, o maschio, o grande, o signore della bellezza. Vieni a tua madre Nut, che essa possa stendersi su di te quando tu vieni a lei15, che essa protegga le tue membra da ogni male, che essa vada …, che essa scacci ogni male relativo alle tue membra, mentre la solitudine è tenuta lontana come quel che non è avvenuto. Il Fanciullo, il signore uscito della Nenet16, egli ha fatto questo paese come prima. Egli, il signore, il fanciullo uscito dal grembo di colei che gli dei resero pregna, che aperse l’Occidente17 (fuori dalla) giusta stagione. Se ne va, il fanciullo, e non è tempo. Tuo padre Ra ti proteggerà, tuo figlio Horo ti plasmerà, mentre Seth è in tutto il male che ha fatto. Vieni alla tua casa senza

timore. Dir le parole da parte delle Due ornate di trecce: «O bel Suonatore di sistro, vieni alla tua casa. Sii alto, sii alto, con la tua casa alle spalle, mentre gli dei sono sui loro seggi». (Isi a solo) Io sono una donna utile al suo fratello; tua moglie, tua sorella della stessa tua madre. Vieni a me di corsa, poiché mi struggo di vedere il tuo volto dopo non aver visto il tuo volto. Oscurità è qui per noi al mio sguardo, anche se Ra è in cielo. Cielo e terra sono uniti, e ombra è sulla terra oggi. Brucia il mio cuore per la tua separazione ingiusta; brucia il mio cuore perché tu mi hai volto le spalle: non c’ è colpa che tu abbia trovato in me. Le Due Regioni sono sollevate, sono intricate le strade mentre vado alla cerca per desiderio di vederti. Son come una città che non abbia baluardi, e mi struggo del tuo amore per me. Vieni, non esser solo, non esser lontano! Ecco, tuo figlio Horo respingerà Tebha al ceppo. Io mi nascondo fra i cespugli per celare tuo figlio che ti vendichi18, poiché è un triste stato l’esser lontani da te. Non è cosa che si addica alle tue carni. Io cammino sola, girando fra i cespugli, poiché molti sono irati contro tuo figlio. C’era una donna ostile al maschietto; ma io lo seppi, ed il giudice19. Io ho percorso le vie, io mi son voltata per mio fratello che mi ha abbandonato ingiustamente. Bruciano i cuori di miriadi di persone, rimpianto grande è fra gli dei. (a due) Noi lamentiamo il nostro signore; non fa difetto in noi l’amore per te, o maschio, signore della voluttà, re del Delta, signore dell’eternità. Sali (a volo) nella vita, o principe dell’eternità. È morto Nenrekh20. (Isi sola) O Re della Valle e Re del Delta, signore, che sei mosso alla Terra Santa21, non c’è nulla che resti di te di cui io possa riempirmi il cuore. O fratello mio, mio signore che sei mosso alla Provincia silenziosa, vieni a me, nel tuo aspetto di un tempo. Vieni in pace, vieni in pace! O re del Delta, o sovrano, vieni in pace! Oh se potessimo vedere il tuo viso come in antico, così come ho desiderato di vederti! Le mie braccia sono alzate per proteggerti, o tu che io ho amato. Io

ho amato le Due Regioni settentrionali (?) ricordando che tu hai preso la tua acconciatura in loro. La tua polvere è mirra. O sposo, o fratel mio, signore dell’amore, torna in pace alla tua sede. O bel Suonatore di sistro, vieni alla tua casa: da un pezzo, da un pezzo ne manchi. Segrete sono le tue cose come Toro dell’Occidente. Segrete sono le tue carni, entro la casa di Henu22. Salve, nel tuo nome di Principe dell’eternità. Viene a te Horo come campione. Egli rinsalderà (purificherà) le tue membra, egli raccoglierà per te l’umore che esce da te. Riunisci il tuo corpo, o grande Iddio; fornisciti del tuo aspetto. (a due) Vieni in pace, signor nostro, giovane di nuovo. Tuo figlio Horo ti vendica. Vieni entro la tua casa, inonda il tuo tempio con il tuo amore, o sovrano perfetto che essa estrasse dall’uovo, o unico, o possente di valore! Egli è invero un figlio che aperse il grembo; la possanza di Geb fu sulla madre sua. O adornato, o grande di amore che hai agito in rapporto con l’Occidente, il cui valore infuriò, signore della Duat, Toro dell’Occidente, rampollo di RaHarakhte, fanciullo bello a vedersi, vieni a noi in pace, in pace. Deponi la tua collera, scaccia l’ira. Signor nostro, vieni a noi in pace, in pace. (Isi a solo) Oh, tu giovane, vieni in pace; oh, mio fratello, vieni, che io possa vederti, re del Delta, principe dell’eternità. Non esser stanco nella stanchezza del tuo cuore, o signore nostro. Vieni alla tua casa senza timore. Il grande rito protettivo, non visto, non udito23. Dire le parole da parte del sacerdote lettore: «O bel suonatore di sistro, vieni alla tua casa. L’Enneade ti cerca per vederti, o fanciullo, o signore che hai aperto il grembo. O fanciullo, amore di te è sopra di te. Erede perfetto nell’aprirlo (cioè «il seno»), figlio prediletto uscito da Chi vede ed ode; Isi e Nefti (?) si son curate di te, non restare lontano dalla tua sede. Son rapite (?) le loro teste per l’amore che ti portano. Esse lamentano per te in lutto, col capo scapigliato (?). O Unnefer, signore dell’abbondanza, sovrano, grande di maestà, dio sopra gli dei, che fai navigare la barca di Colui che si generò, tu sei dappiù degli dei. Il Nilo è l’efflusso delle tue membra per far vivere la gente; signore dell’abbondanza, principe della verzura… grande, albero di vita che dà le offerte agli dei e offerte funerarie agli spiriti. Tu che ti risvegli integro, signore della bara, signore dell’ug′at, misterioso all’orizzonte, che splende al suo momento, che si

leva al suo tempo. A te appartiene la luce solare, o fornito di raggi. Tu splendi alla sinistra di Atum, tu sei visto al posto di Ra. Quando i suoi raggi sono oscurati (?), tu sei mummificato. Vola la tua anima dietro Ra. Tu splendi la mattina, tu tramonti la sera. Ogni giorno è il tuo esistere. Tu esisti alla sinistra di Atum eternamente in infinito quando tu sorgi. Un abbominio è Nebed, che è annientato in cospetto (di Ra [?]); egli è valutato secondo la testimonianza della sua violenza. Egli deve essere respinto, il ribelle, contro il quale è venuta questa distruzione. Il sacerdote imy-sehty24 ti fa offerta, egli venera tutti gli dei. Si allegra l’Enneade del tuo avvicinarti, e tu trascorri i tuoi giorni presso Ra ogni giorno. O Immagine, tu sei contemplato alla sinistra (di Atum); o Immagine, tu sei contemplato dai vivi. A te appartiene la luce del disco di Ra, a te appartiene l’Enneade al completo. Quella che è sul tuo capo25 si rallegra davanti a te. Raggiunge la sua fiamma i tuoi nemici. Rallegrati per noi, poiché le tue ossa son riunite per te, e il tuo corpo è contato ogni giorno. Tu entri come Atum al suo tempo, senza esser trattenuto. È reso stabile per te il tuo collo. Up-uaut apre per te la montagna e spalanca per te la sepoltura. A te appartiene il Signore della Terra Santa26. A te appartengono le Due Sorelle. Tu hai dimenticato per noi il tuo affanno. Esse raccolgono per te le tue membra con pianto. Esse vanno in cerca per curare il tuo cadavere. Stanchezza è su di loro… Possa tu tornare a noi, che non sia ricordato il ribelle contro di te. Possa tu tornare a noi nella tua forma di quando eri sulla terra. Metti da parte il tuo corruccio e sii calmo verso di noi, o signore. Prendi l’eredità dei Due Paesi, o dio, unico per perfezione di consiglio per gli dei. Vieni alla tua casa senza timore. Ti ama Ra, ti amano le tue Due Donne. Tu sei calmo nella tua sede per sempre. Dire le parole da parte delle Due adornate di trecce: «O bel Suonatore di sistro, vieni alla tua casa. Sii esaltato, quando volgi le spalle alla tua casa mentre gli dei siedono sui loro seggi. Oh, vieni in pace, re del Delta, vieni in pace! Tuo figlio Horo ti protegge. Possa tu allontanare il grande affanno dalle Due Donne. Possa illuminarci di gioia la tua faccia, o fanciullo, così come noi desideriamo di vederti. Vieni, vieni a noi: grande sarà la tua protezione (a causa) del nostro amore. Vieni alla tua casa senza timore.

O dei che siete nel cielo, o dei che siete nella terra, o dei che siete nella Duat, o dei che siete nel Nilo, o dei che siete a seguito del Nilo, seguiteci presso il signore, il signore dell’amore! (Isi) Fratello, maschio, signore della voluttà, oh, vieni a me. Si unisce il cielo e la terra, cosicché si manifesta l’ombra sulla terra oggi. È abbattuto il cielo sulla terra. Oh, vieni con me. Uomini e donne nella città sono in cerca del nostro signore, percorrendo il Paese per avvicinarglisi. Vieni a me! Il cielo è abbattuto sulla terra. Si fa che il dio venga alla sua sede27. Respira il vento al tuo naso. Il signore è entrato nel suo palazzo. O Ra, proteggi lo stanco! (?) Il tuo male sia contro di te, tu che fai il male! Poiché desidera il mio cuore di vederti, o erede, re del Delta, bel fanciullo. O signore dell’amore, vieni a me che io possa vederti oggi. Fratello mio, vieni che possiamo cederti. Le mie braccia sono allargate (?) per salutarti, le mie braccia son sollevate per proteggerti, o maschio, signore della giovinezza, fanciullo. Il nostro signore è protetto (?). Io sono una figlia di Geb e tu ti sei allontanato da me, giovane, e non certo alla debita stagione. Io percorro le strade, poiché l’amor tuo è in me. Io calco la terra senza stancarmi in cerca di te. Oh, vieni che io ti possa vedere. Io piango poiché tu sei solo. Vieni a me di corsa, poiché io desidero di vederti dopo che non ho visto la tua faccia. Oh, giubilo è nel tuo tempio; tu sei protetto, sei protetto in pace. (a due) Oh, oh! Il nostro signore viene alla sua casa. Esse compiono riti protettivi dietro il suo tempio28. Il nostro signore viene in pace sul suo trono. Tu sei saldo nella tua casa, senza timore. Sii alto, sii alto, signor nostro. Ascolta da lontano, o dio eccelso. Possa tu venire in pace vera, possa tu uscire presso Ra, e possa tu aver potere sugli dei. (Isi a solo) O Heny29 vieni in pace, che io possa vederti, o fanciullo, quando tu vieni nel tuo aspetto di fanciullo. Hai30 è caduto e Horo è il principe. Quegli che è più grande di te non può agire contro di te. Alzati fra le Due Sorelle, o tu amato da tuo padre, signore della letizia. È favorevole a te il cuore

dell’Enneade. Risplende il tuo tempio per la tua bellezza. Teme l’Enneade a causa del tuo aspetto maestoso, trema la terra per paura di te. Io son tua moglie, che agisce per te; una sorella benefica per il suo fratello. Vieni che io ti veda, o signore dell’amore. Sii alto, sii alto, o tu grande di aspetto. Vieni, che io ti possa vedere. O giovinetto, cammina! O fanciullo, vieni, che io possa vederti! Le contrade e le terre piangono per te; le regioni fanno lamento per te, in quanto tu sei Colui che si desta integro. Piangono per te il cielo e la terra, poiché tu sei più grande degli dei. Non c’è mancanza nell’adorare il tuo ka. Vieni alla tua casa senza timore. Tuo figlio Horo afferra per quel (?) che è il giro del cielo. Babay31 è in lacci, e non esiste il tuo timore. Tuo figlio Horo ti proteggerà. Egli farà cadere per te i soci di Nebed. Oh, signore che sei dietro di me …, io ti vedo oggi e il profumo delle tue membra è quello di Punt32. Ti adorano le Nobili (donne) in pace, e si rallegra l’Enneade intiera. Vieni a tua moglie in pace. Il cuore di lei palpita per amor tuo; essa ti abbraccia, essa non vuol restare lontano da te. Si rallegra il cuore di lei a vedere la tua bellezza, perché tu l’hai allontanata dalla casa segreta. Essa purifica il male connesso con le tue membra, e i colpi sono come qualcosa che non è esistito. Metti la vita sulla tua donna. Oh, sii protetto, tu che annegasti nei campi di Afroditopoli in questo giorno. È un gran lutto, ed un’azione malvagia di cui non c’è l’eguale. Piange per te la Giovenca con la sua voce, poiché il tuo amore è nel cuore di lei, ed il suo cuore palpita quando tu ne prendi gioia. Essa abbraccia le tue membra con le sue braccia. Essa viene a te di corsa — variante: in pace33 —, essa ti protegge da quel che si fa contro di te. Essa rende fiorenti le tue carni sulle tue ossa, essa connette per te il tuo naso alla tua fronte, essa raccoglie per te tutte quante le tue ossa. Tua madre Nut viene a te in pace. Essa ti costruisce con la vita del suo corpo. Tu sei anima, tu sei anima! Tu sei stabile, tu sei stabile! Abbi un’anima, o maschio, signore delle donne, con l’unguento34 sulla chioma, quando tu vai alla Terra di Dio35. L’unguento sulla tua chioma è di mirra che esce da sola. Esci e vieni in pace, in pace, o re del Delta, sovrano, vieni in pace. La Signora di Sais36, le sue mani sono su di te. S′entyt37, il suo cuore serve te. Tu sei un dio uscito da un dio, Mekaty38 che non esiste altro che lui. I tuoi capelli sono in turchese propria, quando tu vieni dai campi della turchese39. I tuoi capelli sono in lapislazzuli, a loro appartiene il lapislazzuli. Ecco, lapislazzuli è sui tuoi capelli. Il tuo colore delle tue membra che hai è

quello del ferro di Alto Egitto, le tue ossa sono fuse in argento, come tu sei un fanciullo (?). Le tue vertebre che hai sono di turchese — variante: il profumo dell’incenso sui tuoi capelli è quello di mirra che esce da sé —. Quel che è sulla tua testa è in lapislazzuli. Geb, egli porta per te le sue offerte, egli fa avanzare il dio uscito davanti a lui. (a due) O grande erede uscito da Ra, primogenito, bello di volto, anima vivente che è in Istenu, fanciullo uscito da Chi-vedee-sente, primogenito dei Due Tabernacoli40, erede di Geb, possa egli darti tutto quel che il sole circonda. Vieni alla tua casa, Osiri che giudichi gli dei. Sono aperti per te i tuoi occhi, che tu possa vedere per mezzo loro. Scaccia le nubi, e da’ luce alla terra in oscurità. Vieni alla tua casa, o Osiri che presiedi agli Occidentali, vieni alla tua casa. Tu che uscisti dal grembo con l’ureo sul capo, i cui occhi illuminano le Due Terre e gli dei, alzati, alzati, signore nostro! Il ribelle contro di te è al ceppo, non esisterà più. Sii durevole, sii durevole nel tuo nome di Durevole. Le tue membra sono a te, o Un-nefer, v.f.s.; le tue carni sono a te, o stanco di cuore. O Osiri, come è bello tutto quel che esce da te. Hu41 è quello che è sulla tua bocca. Tatenen42, tuo padre, solleva il cielo, che tu possa percorrerne i quattro quadranti. Vola la tua anima alla sinistra (di Atum), e tu sei l’immagine di Ra. Ti accolgono con giubilo quelli che sono nella Duat. Spalanca per te Geb quello che è in lui, ed essi vengono a te in pace. Va’, tu, in pace a Busiri! Alzati, o Osiri, alzati, alzati in pace. Viene a te Isi signora dell’Orizzonte, come essa generò 1’Unico43, guida degli dei. Essa ti proteggerà, essa ti custodirà, essa custodirà il figlio tuo Horo. Essa è una donna che ha fatto un maschio per suo padre, signora universale, uscita dall’Occhio di Horo, nobile che procede da Ra, uscita dalla pupilla dell’occhio di Atum quando sorse Ra la prima volta. — È finito. 1. R. FAULKNER, The Papyrus Bremner-Rhind, Bruxelles, 1933, pp. 1-32. Una traduzione con commento dello stesso autore in «Journ. Eg. Arch», XXII (1936), pp. 122 segg. 2. Isi e Nefti. 3. Il 4° mese della inondazione (Khoiak) è il mese dei misteri di Osiri. 4. Qui ed in seguito, Ihy, che è anche tipicamente il dio giovanetto figlio di Hathor. 5. «lacuna» è indicato dallo scriba egiziano. 6. Isi e Nefti. 7. Appellativo di Seth. 8. Perifrasi per i nemici degli dei (Seth, Apopi). 9. Forse è una allusione scenica all’ingresso di una figura di Osiri mummificato.

10. «Il malvagio» come attributo di Seth e di Apopi. 11. L’attitudine tipica del lutto. 12. Il rosso è colore tifonico. Seth e i suoi seguaci sono rossi. 13. La Giovenca è qui Isi. 14. Afroditopoli. 15. Si allude qui probabilmente al costume di raffigurare Nut sulla faccia interna del coperchio del sarcofago. 16. Il cielo inferiore. 17. Che è andato nell’Aldilà. 18. Isi alleva il figlio Horo nascondendolo fra i papireti del Delta dalle insidie di Seth. 19. Allusioni mitologiche. 20. Designazione di Seth. 21. La necropoli e l’Aldilà. 22. Sokaris, dio funerario. 23. Cioè eseguito non in pubblico, ma senza testimoni. 24. Titolo sacerdotale osiriaco. 25. L’ureo. 26. Anubi. 27. Didascalia scenica? 28. Didascalia scenica? 29. «Quegli che appartiene alla cassa», titolo di Osiri. 30. Seth. 31. Nome di un dio identificato con Seth. 32. La costa somala da cui vengono gli incensi. 33. La variante è indicata come tale nel manoscritto. 34. Propriamente quel cono di grasso odoroso che gli Egiziani mettevano sul capo durante i banchetti e le feste. 35. Indicazione generica dei paesi a oriente dell’Egitto. 36. Neit. 37. «La Vedova», nome di una dea giovenca presto identificata con Isi. Nel tempio di Dendera il pr S ′ntyt, la «casa di S′.» è il luogo dove si celebrano i misteri osiriaci. La bara di Osiri, da cui spuntano piante, si chiama in bassa epoca «Orto di S′.». 38. Appellativo di Osiri. 39. È un «campo» del cielo. 40. Itrty, il complesso dei templi — e perciò degli dei — dell’Egitto. 41. La parola di comando personificata. 42. Dio menfita della terra. 43. Qui sembra essere Horo.

2. — LA STELE DI RAMESSESE II AL GEBEL SILSILAH1 Il culto del Nilo è in Egitto assai meno diffuso di quanto non potrebbe far pensare l’importanza materiale che ha il fiume nella vita economica e sociale del paese. Esso è immaginato come un grasso personaggio in abiti da pescatore, che porta i pesci e gli uccelli acquatici che in lui vivono. Inni celebrano le sue qualità di apportatore di abbondanza e di «padre degli dei», in quanto connesso con l’oceano primordiale, il Nun, da cui tutto ha avuto origine. È probabile che a questo dio, così trascurato nel pantheon ufficiale, la pietà popolare si rivolgesse con più attenzione: le offerte che gli vengono largite al momento della piena son note a tutta la tradizione antica come sacrifici umani, e addirittura continuano nelle leggende fino all’epoca moderna. Di questo in realtà i testi antichi non ci parlano: ma questa iscrizione di Ramessese II in una città dove il Nilo era particolarmente vigoroso (il nome egiziano della città: «il luogo ove si rema» indica che là non ci si può più affidare alla vela) anche se il dio principale vi era Sobk, il dio coccodrillo, dà notizia di due specifiche feste che in onore del Nilo si celebrano in due date caratteristiche: alla fine della stagione secca l’una, e all’inizio della piena l’altra. Caratteristico della cerimonia è il gesto del gittare nel fiume un papiro, su cui probabilmente è scritto un elenco di offerte. Le allusioni mitiche del testo sono abbastanza chiare. Quel che è notevole per la politica cultuale del re è che la nuova festa — dedicata al Nilo e agli dei del Nun — è stabilita dal re come prova di una particolare sua pietà: ma il finanziamento non è autonomo, né deriva da specifiche fondazioni regie, bensì è posto a carico dei granai di Ammone tebano.

L’anno I, mese terzo della stagione s′emu, giorno 10, sotto la Maestà di … Ramessese II …2. Viva il dio buono, amato da Nun e da Hapi3, padre degli dei e dell’Enneade che è nell’onda, abbondanza, cibo e cacciagione4dell’Egitto, che fa vivere ognuno con il suo ka. La ricchezza è sulla sua via, l’abbondanza è sulle sue dita. L’umanità è in festa quando egli giunge. Sei tu l’unico, che si è creato da solo, senza che si sappia chi è in te. Ma il giorno in cui tu esci dalla tua caverna5, ognuno è in festa. Sei tu il signore dei pesci, l’abbondante di offerte, colui che fornisce l’Egitto di selvaggina. Non conosce l’Enneade colui che è in te. Sei tu la loro6 vita, poiché quando tu vieni si moltiplicano i loro pani, si forniscono abbondantemente i loro altari. Quel che essi fanno è giubilo, quando tu sorgi. Sei tu quello che ci sommergi, e corri cercando il modo di dar vita all’umanità come Ra da quando egli è signore di questo paese. Soddisfa Nun chi lo porta in pace; il suo collegio meridionale si riunisce in gioia. Egli ha amato suo padre Hapi, che ha fatto cose utili per tutto l’Egitto con quel che ha creato il suo cuore stesso, forte e vigile a ogni stagione per cercare di creare il loro sostentamento, facendo numeroso il grano come la sabbia, cosicché i granai sono gravidi per l’inondazione. Ecco, sua Maestà7 era a cercare un modo di essere utile al padre di tutti gli dei del collegio meridionale che presiede all’onda, e la sua faccia contava come

Thot8 per indagare le cose che essi amavano, (poiché) non c’è re che abbia agito come (?) lui dal tempo di Ra. Disse dunque sua Maestà: «È Hapi che fa vivere le Due Terre, che fa esistere il cibo del paese, l’abbondanza dopo che egli è scaturito. Ognuno, così, vive sotto il suo sguardo, e si diviene ricchi in conseguenza del suo comando. Ora io conosco quel che è nell’aula degli scritti e che è stabile nella casa dei libri: Hapi esce dalle Due Caverne9 per rendere abbondanti i pani degli dei e quando l’acqua pura è nei pressi di Khenut10, certo in questa sua sede egli diviene santo e gli si moltiplicano le offerte». Il Re della Valle e re del Delta, signore dei Due Paesi, User-maat-Ra Heqauaset, il figlio di Ra, signore dei diademi Ramessese Meri-amon dotato di vita eterna. Suo editto secondo quel che ha concepito il suo cuore. Ha ordinato sua Maestà che sia deposta un’offerta a suo padre Ammone re degli dei e ad Hapi padre degli dei e al Collegio meridionale che presiede all’onda, per due volte all’anno, al tempo dell’acqua pura a Khenut — il luogo santo su cui non secca mai l’acqua per nascondere lo splendore della Duat11 — per la vita, la forza, la salute del Re della Valle e re del Delta, signore dei Due Paesi, User-maat-Ra Iu-ra, il figlio di Ra, signore dei diademi Ramessese Meri-amon, dotato di vita come suo padre Ra ogni giorno. Fare offerta a questo dio con sacrifici nel mese primo della stagione akhet, giorno 5, e nel mese terzo della stagione s′emu, il giorno 5, come reddito annuale. Lista delle offerte di decine e centinaia di migliaia di anni del Re della Valle e re del Delta, signore delle Due Terre, Usermaat-Ra Meri-Ra, figlio di Ra Ramessese Meri-Amon, dotato di vita. Un vitello giovane, un’oca ro, e tre oche se. Elenco di questa offerta che è largita a tutti gli dei del Nun in questo giorno del gettare uno scritto ad (?) Hapi12. Il grano relativo è nei granai delle offerte di Amen-Ra re degli dei tutti, principe di Tebe13. 1. Il testo adoperato è quello di PALANQUE, Le Nil à l’époque pharaonique, Paris, 1903, p. 72 segg., che riproduce edizioni precedenti, e che — sembra — dovrebbe essere ricollazionato. 2. È qui abbreviata la titolatura del sovrano. 3. Nun è l’acqua primordiale, Hapi è l’inondazione. 4. La parola indica insieme i pesci e gli uccelli acquatici. 5. La caverna da cui, a Elefantina alla prima cateratta, nasce il Nilo secondo la tradizione. 6. Dell’Enneade. 7. Ramessese II. 8. Cioè egli meditava come Thot, il dio della scienza. 9. Le qrrty di Elefantina. 10. Silsilah.

11. Senso non chiaro. 12. Questa caratteristica cerimonia è ricordata anche in testi tolemaici. 13. Cioè, il carico delle spese per la cerimonia è attribuito al tempio di Ammone.

TESTI FUNERARI 1. — DAL «LIBRO DEI MORTI» 1 I testi che nell’età più antica erano stati scritti sui muri della camera sepolcrale dei sovrani menfiti, si erano fatti di assai più largo dominio nella successiva età feudale, quando era subentrata l’abitudine di scrivere direttamente sui fianchi della cassa funebre testi che permettessero al defunto non tanto di sopravvivere nell’aldilà, quanto di affrontare vittoriosamente le prove ed i pericoli cui potesse essere colà soggetto. L’uso di fornire di un gruppo di formule magiche il morto si è perpetuato nell’età tebana: ma anziché scriverle direttamente sul sarcofago, si suole ora raccoglierle su un rotolo di papiro, che viene deposto nella tomba. È quel che oggi viene detto il Libro dei Morti e che gli Egiziani chiamavano «Le formule dell’uscire di giorno»: poter tornare a contemplare la luce diurna fuori dalle tenebre del sepolcro è la cosa cui più di ogni altra aspirano gli Egiziani. «Testi delle Piramidi», «Testi dei Sarcofagi», Libro dei Morti sono dunque tutti apparentati in certo modo: tutti attingono allo stesso fondo magico-rituale di formule di varia epoca, di varia provenienza, di vario significato che, originariamente o secondariamente, può essere utile nell’aldilà: ma la scelta non è la stessa nelle tre raccolte, che solo in pochi casi danno formule eguali. Nei vari casi ha giocato un diverso criterio di scelta e l’opera di una «redazione» che ha sceverato il materiale, lo ha modificato secondo specifiche esigenze, lo ha fuso in unità più ampie, o lo ha frammentato, è fondamentale per definire l’aspetto e il tono ultimo delle raccolte. E si badi, inoltre, che in realtà e anche con queste limitazioni, non si deve pensare di trovarsi davanti a testi così rigidamente costituiti come è nella nostra tradizione. L’ordine in cui sono disposte le formule (i «Capitoli»), la scelta che ne è fatta nei singoli casi, fanno sì che ogni volta si abbia una raccolta diversa, che solo entro certe larghe linee si può riavvicinare agli altri esemplari. Così il numero di 190 capitoli del Libro dei Morti non si trova in nessun papiro, e la raccolta quasi completa è solo in un esemplare assai tardo, che convenzionalmente (e, proprio per la sua seriorità, in modo non storicamente corretto) è stato assunto come raccolta campione. In molti casi, dei singoli capitoli i vari papiri danno una versione assai diversa, per aggiunte o per omissioni, o per veri e propri mutamenti; e, in linea di massima, la correttezza del testo è assolutamente trascurata: in parte perché le copie sono preparate quasi industrialmente e senza un vero controllo, per l’uso stesso cltramondano cui debbono servire; in parte perché gli errori sono meno facilmente percepiti da chi ha fiducia nel testo proprio perché è misterioso ed incomprensibile. Che spesso gli Egiziani non si curassero affatto di capire quel che stavano trascrivendo è provato dalla stranezza degli errori in cui ci imbattiamo, e dallo stravolgimento di senso che ne deriva. Queste premesse mostrano come, in realtà, l’impresa di una lettura del Libro dei Morti sia forse più complicata che non quella della interpretazione dei «Testi delle Piramidi» di cui si è già detto: è la qualità stessa dei manoscritti che, più tardi e più sciatti che non i testi epigrafici antichi e regi, non offrono altro che raramente una base ferma per l’indagine esegetica. La traduzione, in genere, non poggia su un testo accertato filologicamente — anche perché manca ancora una vera edizione critica, se se ne escludano alcuni pochi capitoli studiati a parte. Per testi di questo genere sarebbe sempre più opportuno un commento che dica parola per parola, frase per frase, allusione per allusione quali siano le possibilità interpretative, senza ambizioni troppo definite che non la perentorietà di una traduzione. Ma un commento non può essere che assai rigidamente tecnico: e non si può ignorare qui il Libro dei Morti, anche se la traduzione rispecchi quella incertezza di formulazione e di tradizione sotto la quale si presentava d’altronde anche agli Egiziani stessi. Né bisogna dimenticare che, malgrado le continue e faticose incertezze puntuali, una lettura del Libro dei Morti dà comunque numerosi spunti per una visione dell’escatologia egiziana del regno nuovo. Si ricalca, certo, per molti lati quel che era già stato immaginato al tempo menfita; ma, nel complesso, il quadro è più semplificato. Il morto, nell’aldilà, è sotto l’autorità di Osiri che ha preso il passo su Ra come dio oltramondano; ma accompagnerà il sole, lo celebrerà, e vecchi elementi solari non mancheranno di

mantenersi in vita. Lo stesso titolo della raccolta («Capitoli dell’uscire di giorno») mostra che l’idea di non abbandonare la luce è il desiderio fondamentale e primo, così come nei «Testi delle Piramidi» si era detto che «l’orrore (del re defunto) è l’oscurità». D’altronde, in più di un caso è evidente che il morto è assimilato a Osiri le cui vicende così ricche di umana pietà (la morte per tradimento fraterno, la cerca del suo cadavere effettuata dalla moglie e sorella Isi, la sua resurrezione per opera di Isi stessa, la vendetta del figlio postumo) possono essere assunte a modello da chiunque speri che la morte non debba essere la fine di tutto, ma sia solo il principio di un diverso modo di esistere. «Osiri» è il titolo che si dà ai morti, anche se non sempre se ne deducano tutte le conseguenze che vi sarebbero implicite. Nell’aldilà si immagina che il morto possa continuare la sua vita nella tomba: e ci sono formule che garantiscono perciò la sua sopravvivenza fisica entro il sepolcro, come quella che lo garantisce contro il rischio che gli venga portata via la testa, o che il suo cadavere vada in putrefazione, o che debba mangiare i suoi propri escrementi (LI). Ma c’è anche un aldilà più lontano e beato, anche se di usi terreni: là si potranno coltivare campi di fecondità favolosa, in un paesaggio simile a quello dell’Egitto. Ma là potrà anche avvenire che al morto tocchino quei lavori obbligatori cui sulla terra sono tenuti gli Egiziani. Una formula li esonera da questi rischi (V), e un’altra, più radicale e di più audace immaginazione, va scritta su una o più figurine di contadini che, deposte nella tomba, dovranno presentarsi al lavoro in luogo del defunto, se egli venga chiamato e messo in nota (VI). In altri casi, invece, il morto cerca di procurarsi una posizione più elevata, quella di scriba del dio (XCIV), così come sulla terra è noto nella letteratura egiziana che quella condizione è la più redditizia e onorevole. Altre formule sono semplici ed antichi incantesimi, come quella contro i serpenti (XXXIII); e un colorito magico assai evidente hanno quelle in cui si insiste sulla conoscenza che il defunto ha dei nomi dei guardiani e delle regioni dell’aldilà (es. LXXII): proprio perché conoscere il nome è essere conscio dell’essenza del nominato, e perciò averne dominio. Del resto, abbastanza ampia parte è fatta alla descrizione delle regioni e dei rischi dell’altro mondo (così CXLIV), riprendendo ed allargando una tradizione che già è nota ai «Testi delle Piramidi», e che ha i primi documenti impegnativi nel periodo feudale con il Libro delle Due Vie e che nel nuovo regno ispira altra letteratura funeraria («Amduat» ecc.). Questa conoscenza però, in taluni casi, consta di più che non di soli nomi: si possono aggiungere tipizzazioni e riferimenti mitologici come nei capitoli CVIII e CXII Non sempre perspicui per noi, ma certo elementi che arricchiscono il contesto magico delle formule. Al mito, o almeno alla sua impostazione drammatica, spesso sembra che alludano quei capitoli in cui son riferiti e descritti i dialoghi del morto con coloro che egli incontra nell’aldilà (LVIII). I quali gli danno una importanza ed un valore simile a quello di un dio, con l’attribuirgli (o consigliargli) frasi che saranno eguali per tutta l’eternità, così come il mito è sempre eguale a se stesso. Un particolare ed interessante gruppo è quello delle formule che debbono permettere al morto di trasformarsi in animali o esseri divini, in modo da potere più facilmente uscir dalla tomba e inserirsi di nuovo nel mondo della vita terrena. (LXXVII, LXXXI a, LXXXVII): a questi capitoli si deve forse la notizia tramandata dagli scrittori classici circa la concezione egiziana della metempsicosi, che sembra in realtà ignota ai testi. In qualche caso il tono aggressivo e violento della più antica civiltà egiziana, quella che ha espresso l’«Inno cannibale» delle piramidi, appare ancora mantenuta: così nella formula relativa ai quattro venti che saran preda del morto (LXX); ma più spesso gli imprestiti arcaicizzanti riguardano più la forma (così le litanie di gusto rituale, LXXI, XLII) o la tecnica della struttura (come nei frequenti inni agli dei: XV). In questo materiale così ricco, e così univoco da valutare nel suo senso generale, anche se la traduzione dei singoli passi può apparir dubbiosa, e aleatoria l’interpretazione puntuale delle formule, alcuni capitoli fanno particolare spicco. Così il XVII, che contiene un antico testo con un commento di carattere teologico. Dobbiamo onestamente dire che il commento è assai più oscuro che non i passi commentati, e ci mostra in quale modo i sacerdoti ed i saggi egiziani speculassero sui loro libri sacri, e quanto sia oggi difficile per noi seguirli sul loro terreno.

Notevolissimo è anche il dialogo fra Osiri e il dio creatore Atum. La riluttanza di Osiri ad acconsentire alla dolorosa condizione di vivere fuori dal mondo dei vivi, in un aldilà di privazioni e di sgomento; la concezione di una futura fine del mondo, da cui solo i due dei si salveranno, sono dati che non ci giungono da nessun’altra fonte egiziana. Un gruppo di capitoli, infine, ci parla di una concezione di cui si possono indicare i precedenti, ma che solo qui arriva a maturità: la psicostasia. Si immagina che dopo la morte, il defunto sia accompagnato davanti a Osiri e là Thot ne pesi su una bilancia il cuore contro la verità. Mentre sui due piatti sono i simboli, il defunto recita una lunga «confessione negativa», con la quale nega di aver commesso peccati in vita. Se cuore e verità restano in equilibrio sui piatti della bilancia, il defunto ha diritto all’aldilà. Se no, un mostro, «la Divoratrice», è pronto a divorarlo e ad annullarlo così per sempre. Il testo, molte volte e in varie epoche rimanipolato, è al capitolo CXXV. Ma altrove si fa menzione della terribile prova (XVIII, XXII, CXXVI ecc.). È questo il testimone di un momento estremamente importante nella storia della religione egiziana: la sopravvivenza è determinata non più da un meccanico procedimento ritualistico, dal puro e semplice agire delle formule; ma da un rivestimento mitologico di una esigenza morale di virtù e di giustizia, che dà frutti più ricchi nella più tarda civiltà egiziana. L’elenco stesso delle colpe è interessante, ché ci mostra quali siano i limiti che l’egiziano si pone. Il carattere più sociale che rituale o mitologico di questa morale appare evidente a chi scorra le frasi della «confessione»: i diritti del prossimo sono molto più sentiti che non le norme della purezza rituale e degli interdetti. Ma una formula (XXX) serve a incantare il cuore perché non possa portar testimonianza contro il defunto quando reciterà la sua confessione. Questa idea di esorcizzare la coscienza è evidentemente una contraddizione in termini, ed ha assai affaticato gli studiosi che ammirano l’altezza della idea della «psicostasia». In realtà si tratta di due momenti diversi della speculazione, e mentre in un caso la viva esigenza morale assume forma mitologica, nel secondo questa forma mitologica diviene cosa a sé stante, grezzo elemento di una fantasia che ha dimenticato che cosa essa significhi, e che può perciò facilmente innestarvi sopra la sua pratica più tradizionale e ritualistica. Mentre la psicostasia, nella concezione più pura, resta un fatto personale del defunto (la sua coscienza fattasi divinità), e se ne esclude così la religiosità tradizionale, con la formula di incantesimo del cuore si ridà adito a quest’ultima perché intervenga e si interponga fra l’uomo e una mitologia già cristallizzata. Non c’è da chiedersi come possano coesistere i due momenti ma solo da notare come i due testi ci diano due momenti diversi di uno stesso sviluppo. Una lettura dei «Capitoli» mostra assai più ricche gradazioni, assai più numerose possibilità di quanto non sia stato qui genericamente elencato. Senza che il Libro dei Morti rappresenti per nulla nella religione egiziana una «Scrittura», e senza perciò sopravalutarne il peso nella letteratura religiosa egiziana, è comunque una raccolta assai autorevole di testi in gran parte di lunga tradizione. Se la lettura può esserne imbarazzante e dubbiosa, in parte questo va imputato alla scarsezza delle nostre conoscenze, in parte alle condizioni assai misere in cui ci è giunto il testo, ma soprattutto alla nostra non sufficiente esperienza di quello che è il modo dell’espressione religiosa egiziana: la fede nel valore della parola in sé, il gusto delle espressioni multiple (e apparentemente contraddittorie) che offre più i confini entro cui va collocato un certo concetto che non la sua espressione precisa. Sono questi gli elementi che offuscano per noi in gran parte il valore originario di questo testo.

CAPITOLO I Inizio dei capitoli dell’uscire di giorno, della celebrazione e glorificazione, dell’uscire e calare nella necropoli. È una cosa utile nel bell’Occidente2, che si dice il giorno del seppellimento, dell’entrare dopo l’uscire. Si dice: «Salve, o Toro dell’Occidente. Thot, il re dell’eternità, è qui. Sono io il dio grande del lato della barca, poiché io ho combattuto per te. Sono io uno di quegli dei del Tribunale che ha giustificato Osiri contro i suoi avversari quel giorno del dividere le parole. Io appartengo alla tua gente, Osiri. Io sono fra quegli dei figli di Nut che han fatto a pezzi gli avversari di Osiri, che hanno imprigionato i suoi ribelli. Io appartengo alla tua gente, o Horo, poiché io ho combattuto per te. Io sono entrato per il tuo nome. Io sono Thot che ha giustificato Osiri contro i suoi avversari quel giorno del dividere le parole nel grande Palazzo del Principe che è in Eliopoli. Io sono G’edy3 figlio di G’edy; si è stati gravidi di me in G’edu4, sono stato partorito in G’edu». «Se io sono con i piangenti e le lamentatrici di Osiri sulle rive di Rekhty, è giustificato Osiri contro i suoi avversari». Dicono così Ra e Thot: «È giustificato Osiri contro i suoi avversari». Così si dice. Io ho fatto la parte di Thot. Se io sono con Horo quel giorno del vestire Tes’tes’5, si aprono le caverne e si lava lo Stanco di Cuore, si aprono le porte segrete in Ro-setau6. Se io sono con Horo come protettore di questo braccio sinistro di Osiri che è a Letopoli, io entro ed esco fra coloro che sono nel giorno dell’allontanare i ribelli da Letopoli. Se io sono con Horo i giorni delle feste di Osiri, si fanno le offerte nel giorno sesto, e nel giorno della festa denyt a Eliopoli. Sono io il sacerdote puro in G’edu, il Leone che è nella Casa di Osiri, Quelli che innalzano la Terra. Io sono quegli che vede le cose segrete in questo Ro-setau. Io sono quegli che pronuncia il rituale all’Anima che è in G’edu7. Io sono il sacerdote sem fra i suoi compagni. Io sono il Grande, Capo degli Artisti8 il giorno del porre la barca di Sokaris sulla sua treggia9. Io sono quello che prende a zappare la terra il giorno del zappare la terra10 in Eracleopoli. O Voi che fate passare le anime perfette nella casa di Osiri, fate passare l’anima preziosa dell’Osiri N. N.11 con voi alla casa di Osiri, in modo che egli

senta come voi sentite, in modo che egli veda come voi vedete, in modo che egli si levi come voi vi levate, in modo che egli sieda come voi sedete. O Voi che date pane e birra alle anime perfette nella casa di Osiri, date pane e birra giorno e notte12 all’anima dell’Osiri N. N. giustificato presso gli dei signori di Abido, giustificato con voi. O Voi che aprite le strade e che sgombrate le vie alle anime perfette nella casa di Osiri, aprite dunque le strade, sgombrate dunque le vie all’anima dell’Osiri N. N. con voi, in modo che egli entri con ira ed esca con quiete dalla casa di Osiri, e non sia tenuto lontano, non sia impedito, ed entri lodato ed esca amato, sia giusta la sua voce, e sia fatto quel che egli ordina nella casa di Osiri, ed egli venga e parli con voi, e sia illustre con voi, e non si trovi là la sua colpa, in modo che la bilancia13 sia vuota del suo peccato. 1. Sono formule funerarie di diversa antichità, origine e significato che, scritte su un rotolo di papiro, vengono deposte nella tomba. Seguo l’edizione di E. A. WALLIS BUDGE, The Chapters of Coming Forth by Day, or The Theban Recension of The Book of the Dead, 3 voll., London, 1910. Lievi emendamenti del testo non sono segnalati, e così varianti minori. 2. Il paese dei morti. 3. Busirita. 4. Busiri. 5. Lo «Smembrato» = Osiri, come il seguente «Stanco di Cuore». 6. La necropoli menfita. 7. Osiri. 8. Titolo del sommo sacerdote di Menfi. 9. La festa di Sokaris. 10. Nome di una festa. 11. «Osiri» è un titolo che spetta al morto. 12. «Ai due tempi». 13. Al momento della psicostasia.

CAPITOLO II Capitolo dell’uscire di giorno e del vivere dopo la morte. Si dicono le parole: «O Uno che sorgi come Luna, o Uno che risplendi come Luna. Nu1 è in questa tua moltitudine alla porta. Mi sciolgono Quelli che sono nello Splendore e si apre la Duat. Ecco… Nu… esce di giorno per fare tra i vivi tutto quello che egli vuole». 1. Il nome del defunto per cui è scritto il papiro.

CAPITOLO V Capitolo per non permettere che un uomo debba compiere un lavoro nella necropoli. Si dicono le parole: «Io sono Quegli che ha giudicato il Figlio dello Stanco1, quegli che è uscito da Ermopoli, che vive dei visceri dei cinocefali». 1. Cioè il figlio di Osiri, Horo. Tale funzione di giudice è di Thot, il dio di Ermopoli, cui è sacro il cinocefalo.

CAPITOLO VI Capitolo per fare che faccia un us’abty1 i lavori della necropoli. Si dicono le parole: «O tu us’abty, se è messo in nota2 l’Osiri N. N. giustificato per fare tutti i lavori che si fanno là nella necropoli, scaccia per lui il danno che è in ciò relativamente alla persona e ai suoi beni. Mettiti in nota tu, in qualsiasi momento in cui si lavori per coltivare i campi, per annacquare le rive, per trasportare per acqua la sabbia dell’Occidente e dell’Oriente. ‘Lo faccio io! Eccomi!’ tu devi dire». 1. Così si chiama una statuetta che vien deposta nella tomba perché sostituisca il morto nei lavori obbligatori (liturgie) dell’Aldilà. Nella stessa tomba possono esservene fino a centinaia. 2. Nella lista dei lavoratori.

CAPITOLO XI Capitolo dell’uscire contro il nemico nella necropoli. Si dicono le parole: «O Tu-che-ingoi-il-tuo-braccio, allontanati da me. Io sono Ra, e sono uscito dall’orizzonte contro il mio nemico. Egli è stato dato a me, e non esiste il suo scampo dalla mia mano. Io ho allungato la mano come signore della (corona) ureret, io ho teso i piedi come uno che muove alle corone. Non ho lasciato il mio nemico dalla mia mano. Il mio nemico, egli è dato a me, non esiste il suo scampo dalla mia mano, poiché io mi son levato come Horo, mi sono seduto come Ptah, sono stato vittorioso come Thot, sono stato vigoroso come Atum; cammino con i miei piedi, parlo con la mia bocca, vado in cerca del mio nemico, cosicché egli è dato a me; non esiste il suo scampo dalla mia mano».

CAPITOLO XII Capitolo dell’entrare e dell’uscire. Si dicono le parole: «Omaggio a te, o Ra! Ecco, i misteri della Duat sono su questo bastone di Geb, su questa bilancia di Ra con cui egli pesa la Verità ogni giorno. Ecco, io zappo la terra e muovo il mio passo, cosicché divengo vecchio» 1. 1. Allusioni probabilmente solari.

CAPITOLO XV1 … … … … …. Adorare Osiri signore dell’eternità, Un-nefer; Harakhte delle forme molteplici, alto di forme; Ptah Seker Atum in Eliopoli signore della S’etit2, quando egli visita Hut-ka-Ptah3. Sono gli dei che guidano la Duat. Essi ti proteggono quando tu tramonti nella Nenet4. Ti abbraccia Isi in pace. Sono tenuti lontani i nemici dall’imbocco delle tue vie. Quando tu hai rivolto la tua faccia all’occidente, tu illumini le Due Terre con l’elettro5. Quelli che giacciono si levano per vedere per causa tua. Essi respirano l’aria quando vedono il tuo volto, quando sorge il disco solare dal suo orizzonte. Il loro cuore è sereno per quel che tu hai fatto. A te appartiene l’eternità e la perpetuità. … … … … …. Salve, tu anima dell’eternità, Anima-che-è-in-Mendes6, Unnefer, figlio di Nut. Egli è il signore di Igeret7. Salve, in quanto signoreggi Mendes. La corona ureret è salda sul tuo capo. Tu sei l’Uno che ha fatto la sua protezione. Tu ti riposi in Mendes. Salve, come signore dell’albero nart8. Quando è collocato Sokaris sulla sua treggia9 è scacciato il ribelle e colui che fa il male. Si fa che sia in pace l’ug’at al suo posto. … … … … ….

L’anima torna al defunto L’anima raffigurata come un uccello (Ba: la testa umana è qui mancante) torna a posarsi sul corpo e a rianimare il morto disteso sul suo letto funerario. Alla testa e ai piedi di questo sono figurine di Us’abty (cfr. p. 265) e nella zona centrale è raffigurata la scena del trasporto della mummia nel sarcofago in un naos rappresentato diritto sulla barca funeraria tra Isi e Nefti, mentre vari personaggi fanno lamentazioni o eseguono lustrazioni. (Torino, Museo Egizio, cat. 2805).

Salve, tu che ti allegri della giustizia, signore di Abido! Le tue membra han raggiunto la terra santa. Tu sei colui il cui orrore è la menzogna. Salve, tu che sei entro la tua barca, che porti l’inondazione fuori della sua caverna10, sul corpo del quale sorge S’u11. Egli è colui che sta in Nekhen12. Salve, creatore degli dei, re della Valle e re del Delta, Osiri, giustificato, che hai fondato le Due Terre con le tue arti benefiche. È lui il signore delle due rive. Possa tu dare a me la vita, che io cammini in pace. Io sono corretto e giusto, non ho detto consciamente menzogna, non ho compiuto atti cattivi. Adorazione a Ra quando sorge dall’orizzonte orientale del cielo con coloro che sono al suo seguito. … … … … …. O Tu Disco solare, signore dei raggi, che sorgi dall’orizzonte ogni giorno, possa tu risplendere in faccia all’Osiri N. N., cosicché egli ti adori al mattino e ti soddisfaccia alla sera. Possa uscire l’anima dell’Osiri N. N. con te al cielo, e salpi con la Madet e approdi con la Sektet e si mescoli a Coloro che ignorano la fatica13 nel cielo. L’Osiri N. N. dice, quando fa omaggio al suo signore, signore dell’eternità: «Salve, Harakhte e tu Khepre che sei venuto in esistenza da te stesso! Come è bello il tuo sorgere dall’orizzonte! Quando tu illumini le Due Terre con i tuoi raggi, tutti gli dei sono in giubilo poiché ti vedono come re del cielo. Nebet-unut14 è salda sul tuo capo, il suo ureo meridionale e il suo ureo settentrionale son sulla tua fronte. Essa ha posto la sua sede sulla tua fronte. Thot è saldo sulla prua della tua barca per punire tutti i tuoi nemici. Quelli che sono nella Duat escono avvicinandosi a te, per vedere questa bella immagine (tua)» 15 … … … … …. 1. È un lungo capitolo composto di inni al sole e di litanie, di cui diamo solo brevi estratti. 2. Santuario-tomba di alcuni dei (Sokaris, Osiri, ecc.). 3. «Palazzo del ka di Ptah», nome di un tempio di Menfi, e poi di Menfi stessa. 4. Il cielo inferiore. 5. La sostanza aurea di cui è formato il sole. 6. L’ariete sacro di Mendes. 7. Il regno dei morti, la necropoli. 8. Un albero mitologico. 9. Sokaris è raffigurato come una statua di falco su una barca di forma particolare che a sua volta è sempre situata su una treggia. Qui si allude alla festa del dio. 10. La caverna dalla quale scaturisce il Nilo.

11. Il dio dell’aria. 12. Dio in forma di falco che dà il nome greco alla città (Hierakonpolis) e identificato talvolta con Horo, talvolta con S’u. 13. Le stelle erranti che mai non si stancano: i pianeti. 14. «Signora di Ermopoli», una dea originariamente in forma di lepre, poi di leonessa (sia pure con orecchie da lepre) e perciò assimilata alle dee dell’ureo regale. La divisione in due dell’Egitto giustifica i due urei. 15. È la consueta concezione dei morti che si affollano a vedere il passaggio sotterraneo (nella Duat) del sole.

CAPITOLO XVII1 Uscire e discendere nella necropoli, essere al seguito di Osiri, essere pago delle offerte di Un-nefer giustificato. Uscire di giorno, apparire in tutte le forme in cui piaccia di apparire, giocare agli scacchi stando sotto la tenda, da parte dell’anima vivente N. N., fedele presso la Grande Enneade che è nell’Occidente, dopo essere approdato2. È cosa utile per chi la fa sulla terra. Si effettuano le parole per il signore Atum. Si dicono le parole: Io sono Atum, quando io ero solo nel Nun. Io sono Ra nel suo sorgere, quando cominciò a dominare su quel che aveva creato. Chi è dunque egli? È Ra. «Quando cominciò a dominare su quel che aveva creato» è Ra che sorge come re in esistenza, quando ancora non era venuto in essere il sollevamento di S’u3, quando egli era sul tumulo di quelli che sono in Ermopoli4. Io sono il grande iddio che è venuto in esistenza da solo. Chi è dunque egli, il dio che è venuto in esistenza da solo? È l’acqua, è Nun il padre degli dei. Variante: è Ra. Che ha creato i suoi nomi, signore dell’Enneade. Chi è dunque egli? È Ra. «Che ha creato i suoi nomi e le sue membra». È questo il venire in esistenza di questi dei che sono al suo seguito5. Colui che non è tenuto lontano dagli dei. Chi è dunque egli? È Atum che sta nel suo disco solare. Variante: È Ra quando sorge dall’orizzonte orientale del cielo. A me appartiene lo ieri, io conosco il domani. Chi è dunque egli? Quanto allo «ieri» è Osiri, quanto al «domani» è Ra, quel giorno in cui si giustiziano i nemici del Signore Universale e si dà il comando a suo figlio Horo. Variante: è il giorno della festa «Noi siam saldi» 6. È il toccar terra con la fronte alla sepoltura di Osiri da parte di suo padre Ra. Fu fatta la lotta degli dei al mio comando. Che cosa è egli? È l’Occidente. Ra vi fece scendere ogni dio e li combatté in loro favore.

Io conosco questo dio grande che è in esso. Che è dunque egli? È Osiri. Variante: «Hekenu-Ra» (gloria di Ra) è il suo nome. È l’anima di Ra, con cui egli stesso si è congiunto. Io sono questa grande fenice che è in Eliopoli che custodisce ed enumera per Quel che è. Chi è dunque egli? È Osiri. Quanto a «quel che è» è la sua secrezione. Variante: è il suo cadavere. Variante: è l’eternità e la perpetuità. Quanto all’eternità, è il giorno; quanto alla perpetuità, è la notte. Io sono lo Imy-sy7 nelle sue uscite8 e ho posto le due penne sul mio capo. Chi è dunque egli? Quanto allo Imy-sy è Harendotes. Quanto alle sue uscite: sono la sua nascita. Quanto alle due penne sul suo capo, è l’andare di Isi e di Nefti quando esse si posero sul suo capo quando esse erano due femmine di falco. Ed ecco che egli ebbe male alla testa9. Variante: sono i due grandi ed eccelsi urei che son sulla fronte di suo padre Atum. Variante: sono i suoi occhi mancanti dalla sua testa. Io sono sulla mia terra, io sono venuto dalla mia città. Cos’è egli? È l’orizzonte di mio padre Atum. È allontanata la mia colpa, è scacciato il mio male. Che cosa è ciò? È il tagliare il cordone ombelicale di N. N. È allontanato il male che mi è connesso. Cos’è questo? È la mia purificazione il giorno della nascita in questi due grandi ed eccelsi laghi che sono in Eracleopoli, le offerte della gente a questo dio che è là. Chi è questo? «Milioni» è il nome dell’uno, «Oceano» il nome dell’altro. È il Lago di Salnitro e il Lago di Maat. Variante: «Semenza di Milioni» è il nome di uno, «Oceano» il nome dell’altro. Quanto poi a questo grande dio che è là, è Ra in persona. Io cammino sulla via che conosco per il Lago dei Giusti. Che è questo? È Ro-setau. Il suo portale meridionale è in Inreref10, il suo portale settentrionale è in Iat-Usir. Quanto poi al «Lago dei Giusti» è Abido.

Variante: è la via su cui camminò Atum recandosi al Campo dei Giunchi. Io giungo alla terra degli Abitatori dell’Orizzonte, ed esco dalla porta santa. Cos’è ciò? È il Campo dei Giunchi, che produce le provviste per gli dei che sono dietro la cappella. Quanto alla porta santa, è la porta di quel che è innalzato da S’u11. Variante: è la porta della Duat. Variante: sono i battenti per cui passa Atum uscendo dall’orizzonte orientale del cielo. O Voi che siete innanzi, datemi le vostre mani. Io sono quegli che è venuto in esistenza da voi. Cos’è dunque questo? Questo è il sangue che è caduto dal fallo di Ra, quando egli si accinse a circoncidersi da solo. Allora vennero in esistenza gli dei che sono innanzi. Essi sono Hu e Sia12, che stanno al seguito di Atum quotidianamente. Io ho completato l’Occhio13, dopo che esso era diminuito in quel giorno della lotta dei Due Compagni. Chi è dunque egli? È il giorno in cui combatté Horo con Seth, quando egli inflisse la ferita alla feccia di Horo, quando Horo strappò i testicoli di Seth. Fu poi Thot che medicò queste cose con le sue dita. Io ho levato il ricciolo dall’ug’at nell’epoca dell’ira. Chi è dunque egli? È l’occhio destro di Ra quando si adirò contro di lui, dopo che egli lo aveva mandato via. Fu Thot, invero, colui che levò il ricciolo di lui, ed egli lo riportò in vita, in forza, in salute, senza alcun danno. Variante: si tratta del suo occhio quando era malato e piangeva il suo compagno. Allora Thot ci sputò su. Io ho visto questo Ra partorito ieri alle cosce della Meheturet14. Se io sto bene, sta bene egli — e viceversa. Chi è dunque egli? Questi sono i flutti del cielo. Variante: è l’immagine dell’Occhio di Ra, la mattina in cui è partorito ogni giorno. Quanto poi alla Mehet-uret, è l’ug’at di Ra. Poiché io sono uno di questi che sono al seguito di Horo, il supremo

parlatore, amato dal suo signore. Che è dunque ciò? Mesti, Hapy, Dua-mut.ef, Qebehsenu.f15. Salve, o voi signori della verità, tribunale che sta dietro ad Osiri, che procurate ferite nei colpevoli che sono al seguito della (dea) Hetep.es-khu.es16. Ecco, io sono venuto a voi, perché allontaniate ogni male che mi è connesso, come avete fatto per quei sette spiriti che sono al seguito del signore di Sepa, di cui Anubi ha fatto le sedi, quel giorno del «Vieni qui!». Che è dunque ciò? Quanto a questi Signori della Verità, è Seth con Isdes17, signore dell’Occidente. Il Tribunale dietro Osiri è Mesti, Hapi, Dua-mut.ef e Qebehsenu.f. Questi sono quelli che son dietro la Coscia18 nel cielo del Nord. Quanto a quelli che procurano ferite nei colpevoli che sono al seguito di Hetep.es-khu.es, sono i coccodrilli19 che sono nell’acqua. Quanto a Hetep-es-khu.es, è l’Occhio di Ra. Variante: è la fiamma quando essa è al seguito di Osiri e consuma i suoi nemici. Quanto a ogni male che mi è connesso, è quello che l’Osiri N. N. ha fatto insieme con i signori dell’eternità da quando è sceso dal grembo di sua madre. Quanto poi a questi sette spiriti, sono Mesti, Hapy, Dua-mut.ef, Qebeh-senu.f, Maa-it.ef, Hery-bak.ef, Horo Mekhenty-irty. Sono innalzati da Anubi a protezione della tomba di Osiri. Variante: dietro la cappella di Osiri. Variante: Quanto a questi Sette Spiriti, sono: Neg’ehg’eh, Meqedqed, Ka-en-redi-en.ef-nebi, Khenty-hut.ef, Aq-her-imy-unut.ef, Deser-irtyimy-hut-inesy, Seb-her-per-em-khetkhet, Maa-em-gereh-inen.ef-emheru. Quanto al portale del tribunale, il suo nome è Nerefur. Quanto poi a quel giorno del «Vieni qui da me!», è quando Osiri disse a Ra: «Vieni qui dunque, che io ti veda!». Così egli disse volto all’Occidente. Io sono Ba(wy).fy-hery-ib-ta(wy).fy («Le sue due anime sono in mezzo ai suoi due pulcini»). Chi è dunque egli? Osiri quando entra a Mendes dopo che vi ha trovato l’anima di Ra. Allora si abbracciarono l’un l’altro, e allora si manifestarono come le «Sue due anime». Quanto poi a «I suoi due

pulcini» sono Harendotes e Horo Mekhenty-Irty. Variante: Quanto a «Le sue due anime che sono in mezzo ai due pulcini» è l’anima di Ra, è l’anima di chi è in Tefnut20, queste sue due anime che sono in Mendes. Io sono questo gatto che ha spezzato l’albero is’ed presso di lui in Eliopoli quella notte in cui si annientarono i nemici del Signore Universale. Chi è dunque egli? Questo gatto eccelso, è Ra in persona. Fu chiamato «Gatto» (miw) quando Sia21 disse di lui: «È egli tale (miw) in quel che ha fatto?». Questa è l’origine del suo nome di «Gatto» (miw). Variante: È S’u in quanto attua il testamento di Geb per Osiri. Quanto poi al «che spezza l’albero is’ed presso di lui in Eliopoli», sono i Figli della ribellione, in verità, a causa di quel che han fatto. Quanto poi a quella notte del combattimento, è quando entrarono nell’Oriente del cielo e sorse lotta nel cielo e nella terra intera. O Ra che sei nel tuo uovo, che splendi nel tuo disco solare, che sorgi dal tuo orizzonte, che nuoti sul tuo bronzo22, che non c’è il tuo secondo fra gli dei, che navighi su quel che S’u ha sollevato, che causi il vento con l’alito infiammato della tua bocca, che illumini le Due Terre con il tuo splendore! Salva N. N. dalla mano di questo dio misterioso di aspetto, le cui sopracciglia sono le braccia della bilancia quella notte della Contatrice-di-rapina. Chi è dunque egli? È Ini-a.ef23. Quanto poi a «quella notte della Contatrice di Rapina», è la notte della Fiamma per i nemici. Quella che pone al ceppo i colpevoli in lacci, e ferisce le anime. Chi è dunque? È S’esmu24, è il carnefice di Osiri. Variante: è Apopi, in quanto egli era … Variante: È Horo in quanto aveva due teste, una portava i giusti, l’altra i colpevoli, dando la colpa a chi l’aveva commessa, e giustizia a chi veniva portando lei. Variante: È Horo l’eccelso che è in Letopoli. Variante: È Thot. Variante: È Nefertum Sopdu che tien lontano le cose dei nemici dal Signore Universale. Possa tu salvare N. N. da quei guardiani dei passaggi, carnefici dalle dita puntute, dai coltelli dolorosi, che sono al seguito di Osiri. Essi non avranno

potere su di me, io non cadrò nelle loro caldaie. Chi è dunque egli? È Anubi, è Horo Mekhenty-irty. Variante: È il Tribunale che tien lontane le cose dei nemici del Signore Universale. Variante: Il Grande dei Medici della Corte. I loro coltelli non avran potere su N. N. Io non cadrò nelle loro caldaie, perché io ne conosco il nome, conosco questo pressatore della casa di Osiri che è fra loro, che dardeggia con il suo occhio senza che lo si veda, che traversa il cielo con la fiamma della sua bocca, che riferisce l’inondazione del Nilo, senza che lo si veda. Io sono uno che è sano sulla terra presso Ra, che approda bene presso Osiri. Le vostre offerte non sono (tratte) da me, per Coloro che sono sui loro altari da olocausti, perché io sono fra i seguaci del Signore Universale secondo gli scritti delle trasformazioni. Io volo come falco, dopo aver schiamazzato come oca. Io anniento l’eternità come Neheb-kau. Cos’è dunque ciò? «Quel che è sui loro altari da olocausti» è l’immagine dell’occhio di Ra con l’immagine dell’occhio di Horo. O Ra Atum, signore del Tempio eccelso, sovrano, v.f.s., di tutti gli dei, possa tu salvare N. N. da questo dio la cui faccia è quella di un cane, le cui sopracciglia sono d’uomo, che vive delle vittime, custode di questa curva del Lago della Fiamma, che ingoia i cadaveri, che rapisce i cuori e che diffonde miasmi senza esser visto. Chi è dunque egli? «Ingoia-milioni» è il suo nome, quando è sul Lago di Unet. Quanto poi al Lago della Fiamma, è quello che è fra Naref e S’enit. Chiunque gli si accosti, stia attento al cadere alle spade. Variante: «Tagliatore» è il suo nome, ed è custode dell’Occidente. Variante: «Quegli-che-è-sulla-sua-volta» è il suo nome. O Signore del Terrore, tu che stai al di sopra delle Due Terre, signore del rossore, valido quanto ai luoghi di massacro, che vivi di visceri. Chi è egli dunque? È il custode delle curve dell’Occidente. Chi è egli dunque? È il cuore di Osiri. È lui che mangia tutto quel che è tagliato a pezzi. Colui cui fu data la corona ureret25 come capo di Eracleopoli. Chi è dunque egli? «Colui cui fu data la corona ureret come capo di

Eracleopoli» è Osiri quando gli fu decretata la signoria fra gli dei, quel giorno del riunire i Due Paesi in cospetto del Signore Universale. Chi è dunque egli? Quanto a «Colui cui fu decretata la signoria fra gli dei» è Horo, figlio di Isi, quando fu fatto principe sul seggio di suo padre Osiri. Quanto a «quel giorno del riunire le Due Terre» è il congiungere le Due Terre per seppellire Osiri. Anima (o «ariete» ?) vivente che è in Eracleopoli, che dà i ka, che scaccia i colpevoli, cui conducono le vie dell’eternità! Chi è dunque egli? È Ra in persona. Possa tu salvare N. N. da questo grande dio che rapisce le anime, che lecca la putredine, che vive nella corruzione, guardiano dell’oscurità che è nel buio, di cui han paura coloro che sono nella stanchezza. Chi è dunque egli? È Seth. Variante: È la Grande Vittima, è l’anima di Geb. O Khepre, o tu che sei entro la tua barca26, dio primigenio il cui corpo è l’eternità, salva N. N. da questi guardiani che contano, cui ha dato il Signore Universale la forza magica per fare la guardia dei nemici, che danno ferite ai colpevoli, dalla cui guardia non c’è scampo. Non configgeranno le loro spade in me, non entrerò nel luogo del massacro, non cadrò entro i loro luoghi di esecuzione, non resterò nelle loro trappole. Non mi si faranno offerte di ciò che gli dei hanno a schifo, perché io sono uno che passa puro entro la mesqet, uno cui si porta la cena nel vetro che è nella cappella (?). Chi è dunque egli? Questo «Khepre entro la sua barca» è Ra stesso. Quanto a «Questi guardiani che contano» è il cinocefalo, è Isi, è Nefti. Quanto a «Quel che è a schifo agli dei» sono gli escrementi, sono le menzogne. Quanto a «Chi passa puro per entro la Mesqet» è Anubi quando è dietro la cassa delle viscere di Osiri. Quanto a «Colui cui è data la cena nel vetro che è nella cappella» è il cielo, è la terra. Variante: È il Percotitore S’u (Luce) delle Due Terre in Eracleopoli. Quanto al vetro, è l’Occhio di Horo. Quanto alla cappella, è la tomba di Osiri.

Ben costrutta la tua casa, o Atum! Ben fondato il tuo palazzo, o Coppia di Leoni, che raggiungi questo! È purificato Horo, è divinizzato Seth — e viceversa. Io sono venuto da questa terra, sono giunto con i miei piedi. Io sono Atum quando sono nella mia città. Indietro, leone dalla bocca splendente e dal capo lucente! Volgiti alla mia forza! Variante: Volgiti alla mia potenza. Tu che fai la guardia senza essere visto! Fa la guardia a me Isi, dopo che tu mi hai trovato che avevo scompigliato i miei capelli sulla mia faccia, i miei riccioli sulla mia fronte. Io son stato concepito in Isi, io son stato partorito in Nefti. Isi scaccerà i miei guardiani, Nefti sconfigge chi mi dà turbamento. Il mio terrore è al mio seguito, la mia autorità è davanti a me. Piegano i milioni le loro braccia, circolano gli uomini per me, sconfiggono per me i guerrieri i miei nemici, tendono per me i canuti le loro braccia, danno a me i Due Fratelli dolcezza, placano per me quelli che stanno a Babilonia e quelli che stanno a Eliopoli. Ogni dio è sotto il mio terrore, per la grandezza del mio proteggere il dio contro chi lo bestemmia. Io ho gettato la pietra verde ed io vivo a mio gusto. Io sono al seguito di Uto la signora del cielo. Che è dunque ciò? «Egli è portato subito» è il nome della nuvola. Variante: il nome del luogo del supplizio. Quanto al «leone dalla bocca splendente e dal corpo lucente», è il fallo di Osiri. Variante: è il fallo di Ra. Quanto a «scompiglio i miei capelli sulla mia faccia, i miei ricci sulla mia fronte» 27 è Isi nella cappella. Essa si levò e lisciò i suoi capelli. Quanto a Uto signora di quelli che sono nella fiamma, è l’Occhio di Ra. Quanto a «Se esse salgono a me c’è diminuzione di loro» è la compagnia di Seth quando si avvicinò a essa. L’avvicinarsi è bruciante. 1. Di questo capitolo, di particolare importanza, c’è una edizione che comprende le varianti e che è dovuta a GRAPOW, Religiöse Urkunden, Leipzig, 1915-17. Il testo consta di una formula divisa in assai brevi paragrafi, corredati di un ampio commento esplicativo, ricco di varianti. Tale commento di rado ci aiuta alla comprensione; ma ci mostra quanto complesso fosse il sistema di esegesi egiziano dei testi religiosi. 2. «Approdare» è eufemismo per «morire».

3. Il gesto di S’u che ha separato la terra dal cielo. 4. Allusione al tumulo primordiale della mitologia ermopolitana. 5. In quanto nomi e membra del demiurgo. 6. Forse l’inizio dell’inno tipico della festa. 7. Titolo di Min. 8. Le feste del dio. 9. O non piuttosto da emendare «ed ecco, esse restarono sul suo capo» ? 10. La necropoli di Eracleopoli. 11. Quel che è innalzato da S’u è il cielo. 12. Gli dei l’uno del comando, l’altro della saggezza. 13. Allusione a mini dell’Occhio di Horo. 14. La vacca del ciclo. 15. I Quattro figli d’Horo. 16. «Essa-è-serena-e-protegge». 17. Divinità connessa con Thot, e poi con lui identificata. 18. La costellazione dell’Orsa maggiore. 19. «i Sobek». 20. Questi ultimi due dei sono altrove designati come «I due Pulcini». 21. Il dio del senno, al seguito di Ra. 22. Il cielo è talvolta immaginato liquido, talvolta metallico. 23. «Colui che alza il braccio». 24. È il dio del torchio. 25. La corona regia. 26. La barca solare. 27. Gesto di lutto.

CAPITOLO XVIII Si dicono le parole dallo Iun-mut.ef. Egli dice: «Io vengo presso di voi, o grande Tribunale che è in cielo, in terra, nella necropoli; io ho condotto l’Osiri N. N. Non esiste una sua colpa presso tutti gli dei. Fate che egli sia con voi ogni giorno». Adorare Osiri signore di Ro-setau e la grande Enneade che è nella necropoli da parte dell’Osiri N. N. Egli dice: «Salve, o tu che presiedi agli Occidentali1, Un-nefer che stai in Abido. Io vengo a te, e il mio cuore porta la verità. Non c’è colpa nel mio corpo. Io non ho detto menzogna consciamente. Io non ho commesso male azioni. Voglia tu darmi i pani che escono in loro cospetto sulle tavole d’offerta dei Signori della Verità2, e che io possa entrare e uscire nella necropoli senza che la mia anima sia impedita dal vedere il disco solare e dal contemplare la luna in perpetuo, in perpetuo. … … … … …. O Thot che hai giustificato Osiri contro i suoi nemici, giustifica l’Osiri N. N. come hai giustificato Osiri contro i suoi nemici in cospetto del tribunale che è in Eliopoli la notte della cena, quella notte della lotta per tenere prigionieri i ribelli, quel giorno in cui si giustiziavano i nemici del Signore Universale. Quanto al Grande Tribunale che è in Eliopoli, è Atum, è S’u, è Tefnut. Quanto ai prigionieri ribelli giustiziati, sono i confederati di Seth che ripetono la sua violenza. O Thot che hai giustificato Osiri contro i suoi nemici, giustifica l’Osiri N. N. contro i suoi nemici nel grande tribunale di Busiri, quella notte del drizzare il G’ed3 in Busiri. Quanto al grande tribunale che è in Busiri, è Osiri, è Isi, è Nefti, è Harendotes. Quanto al drizzare il G’ed in Busiri, è il braccio di Horo che presiede a Letopoli. Essi sono dietro Osiri come fagotti di vesti. O Thot che hai giustificato Osiri contro i suoi nemici, giustifica l’Osiri N. N. contro i suoi nemici nel Grande Tribunale che è in Letopoli la notte della cena in Letopoli». … … … … …. 1. Khenty-amentyu, il dio dei morti di Abido prestissimo identificato con Osiri. 2. I morti che hanno passato la prova della verità. 3. Il G’ed è un pilastro sacro, identificato con Osiri. Esso dà nome a varie città, fra cui Busiri (G’edu).

CAPITOLO XXII Capitolo del dare la bocca all’Osiri N. N. nella necropoli. Si dicono le parole: «Sorgo dall’uovo che è nella Terra misteriosa1 dopo che mi è stata data la mia bocca con la quale io parli in cospetto del Grande Dio signore della Duat. Non è allontanato il mio braccio dal tribunale di qualsiasi dio. Io sono Osiri signore di Ro-setau; possa l’Osiri N. N. far parte di coloro che sono sulla scala2. Io vengo secondo che vuole il mio cuore dal Lago della Fiamma3, che io ho spento». 1. È elemento della teologia solare ermopolitana, che comporta la nascita del sole da un uovo primordiale. 2. O «aver parte di ciò che è sulla scala». 3. È anche questo un elemento di mitologia ermopolitana.

CAPITOLO XXIX Capitolo del non permettere che sia preso il cuore di un uomo da lui nella necropoli. Si dicono le parole: «Indietro, o messaggero di qualsiasi dio! Sei venuto per prendere questo mio cuore dei vivi? Non ti sarà dato questo mio cuore dei vivi!…».

CAPITOLO XXX1 Capitolo del non permettere che sia tenuto lontano il cuore dell’Osiri N. N. nella necropoli. Si dicono le parole: O mio cuore della mia madre! O mio cuore della mia madre! Non levarti contro di me come testimonio, non accusarmi come testimonio, non accusarmi nel tribunale, non volgerti contro di me in cospetto degli Addetti alla Bilancia2. Tu sei il mio ka che è nel mio corpo, lo Khnum3 che ravviva le mie membra! Se tu ti volgi al bene, saremo salvi4. Non calunniare il mio nome alla corte che assegna la posizione alla gente5. Sarà bene per noi, sarà bene per il giudice, sarà lieto il cuore di chi giudica. Non dir menzogna contro di me davanti al dio eccelso signore dell’Occidente6… Dire le parole su uno scarabeo di nefrite7, montato in elettro e il cui anello è in argento. Si ponga al collo dello Spirito8. Questo capitolo fu trovato a Ermopoli, sotto i piedi della Maestà di questo dio illustre9, su un mattone di smalto d’Alto Egitto, come scritto del dio in persona, al tempo della maestà del re Micerino, giustificato, da parte del principe Hardedef10 che lo trovò mentre andava a fare una ispezione nei templi. 1. Questa formula è in genere iscritta su uno scarabeo che viene collocato sulla mummia al posto del cuore. Esso impedisce al cuore di testimoniare contro il defunto durante la psicostasia (nella sua funzione di «coscienza»). 2. Coloro che compongono il Tribunale di cui al cap. CXXV. 3. Il Dio creatore. 4. Se il cuore darà buona testimonianza, il defunto non sarà divorato e sopravviverà. 5. Il Tribunale dell’Aldilà. 6. Osiri, davanti al quale avviene la psicostasia. 7. I cosiddetti «scarabei del cuore». 8. È parola di rispetto con cui si indicano i morti. 9. S’epses, «illustre», è il nome di un dio ermopolitano, divenuto epiteto di Thot. 10. È un personaggio storico, vissuto alla IV dinastia come figlio di Cheope.

CAPITOLO XXXIII Capitolo per tenere lontani i serpenti. O (serpente) Rerek! Non camminare! Ecco, Geb e S’u1 sono levati contro di te, poiché tu hai mangiato un topo, che è l’abbominio di Ra; poiché tu hai morso le ossa di un gatto imputridito! 1. Gli dei della terra e dell’aria.

CAPITOLO XLII I capelli dell’Osiri N. N. sono Nun. La faccia dell’Osiri N. N. è Ra. Gli occhi dell’Osiri N. N. sono Hathor. L’orecchio dell’Osiri N. N. è Up-uaut. Le labbra dell’Osiri N. N. sono Anubi. I denti dell’Osiri N. N. sono Serqet. I molari dell’Osiri N. N. sono Isi. Le braccia dell’Osiri N. N. sono l’Ariete signore di Mendes. Il collo dell’Osiri N. N. è Uto. La gola dell’Osiri N. N. è Merty. Il busto dell’Osiri N. N. è la Signora di Sais. Il dorso dell’Osiri N. N. è Seth. Il petto dell’Osiri N. N. sono i Signori di Babilonia1. La carne dell’Osiri N. N. è il grande di Dignità. Il ventre e la spina dorsale dell’Osiri N. N. sono Sekhmet. Le natiche dell’Osiri N. N. sono l’Occhio di Horo. Il fallo dell’Osiri N. N. è Osiri. Le cosce dell’Osiri N. N. sono Nut. I piedi dell’Osiri N. N. sono Ptah. Le dita dell’Osiri N. N. sono Orione. Gli alluci dell’Osiri N. N. sono urei vivi. 1. Babilonia d’Egitto, presso l’odierno Cairo.

CAPITOLO XLVII Capitolo del non permettere che sia preso il trono di N. N. via da lui nella necropoli. Egli dice: «Il mio seggio è il mio trono. Venite, circondatemi! Io sono il vostro signore, o dei! Venite, seguitemi! Io sono il figlio del vostro signore, e voi mi appartenete da parte di mio padre che vi ha fatti!»

CAPITOLO LI Capitolo del non camminare a testa in giù nella necropoli1. Si dicono le parole da parte di N. N. «Il mio schifo è il mio schifo. Io non mangio il mio schifo. Il mio schifo è lo sterco, e non lo mangerò. Le offerte ed i viveri, non mi avverrà che io sia danneggiato da quello, non alzerò io le mani verso di quello, non camminerò su di quello con i miei sandali». 1. Il titolo non corrisponde al contenuto del capitolo, ma esorcizza un altro terrore del morto.

CAPITOLO LVIII Capitolo del respirare il soffio e dall’aver potere sull’acqua nella necropoli. Si dicono le parole: «Apritemi». «Ma tu chi sei? Chi sei tu? Dove sei venuto in esistenza?» «Io sono uno di voi». «Chi è quegli che è con te?» «È Merty». «Possa tu allontanarti da lui, testa da testa1. Non avvicinarti a Mesqet» 2. «Egli farà che io sia traghettato a questa casa di Gemheru3. Il nome del barcaiolo è ’ Raccogli-anime ’, il nome dei remi è ’ Pettinatori ’, il nome della meg’abet4 è ’ Spina ’, il nome del timone è ’Prova-giusti’ e così via (?)». «Celebra il funerale (?), tu, sul lago finché noi diamo a te5 un vaso di latte, una focaccia, un pane, una grande razione di carne nel tempio di Anubi». Quanto a chi conosce questo capitolo, egli esce dopo essere entrato nella necropoli del bell’Occidente. 1. Frase di significato dubbio. 2. Regione dell’Aldilà e della necropoli tebana. 3. «Colui che trova i volti». 4. La tazza con cui si prende l’acqua si chiama così; ma qui sembra indicare un altro strumento nautico. 5. Papiro: «a me».

CAPITOLO LXVI Uscire di giorno. Io so che sono stato portato in grembo da Sekhmet, che son stato partorito da Neit. Io sono Horo che esce dall’Occhio di Horo, io sono Uto che esce da Horo. Io sono Horo che vola, io mi sono posato sulla fronte di Ra, sulla parte anteriore della sua barca che è nel Nun.

CAPITOLO LXVII Capitolo dell’aprire il pozzo funerario. Si apre la caverna di Quelli che sono nel Nun; sono sciolti i passi di Coloro che sono nello splendore. Si apre la caverna per S’u. Se egli esce, anche io esco dal portale. Io calo nella voragine, io prendo la corda dopo che ho afferrato le funi (della scala?), nella casa di Colui che presiede ai suoi picchetti di approdo. Io calo al seggio che è nella barca di Ra1. Che io non abbia a soffrire per essere senza barca: il mio seggio è nella barca di Ra l’eccelso, o Splendore che sorge dal Canale del Lago. 1. Il morto nella barca del sole, come nella escatologia regia del Regno Antico.

CAPITOLO LXVIII Capitolo dell’uscire di giorno. Sono aperti per me i due battenti del cielo, sono aperti per me i due battenti della terra, sono aperti per me i chiavistelli di Geb, è spalancato per me il primo palazzo del Veggente. È il Custode quegli che mi scioglie, è quegli che aveva legato il suo braccio con me che scosta il suo braccio da me verso terra1. Si apre per me la Porta del Pellicano, si spalanca per me la Porta del Pellicano2. Ha fatto la Porta del Pellicano che io uscissi di giorno verso ogni posto dove io volessi. Io ho potere sul mio cuore, io ho potere sul mio cuore, io ho potere sulle mie due braccia, io ho potere sui miei due piedi, io ho potere sulla mia bocca, io ho potere sulle mie membra tutte, io ho potere su quel che esce alla voce3, io ho potere sull’acqua, io ho potere sull’aria, io ho potere sui flutti, io ho potere sul fiume, io ho potere sulle rive, io ho potere su coloro che agiscono contro di me, io ho potere su quelle che operano contro di me nella necropoli, io ho potere sugli ordini che si fanno rispetto a me sulla terra. Voi dunque direte a me: «Che egli viva dei pani di Geb!». Quel che mi fa schifo, io non lo mangerò. Io vivo di pani di spelta bianca e della birra di orzo rosso di Hapi nel posto puro. Io risiedo sotto la chioma della pianta di Hathor Khentet-It’en-usekh4, quando essa si reca ad Eliopoli portando gli scritti delle parole divine, il libro di Thot. Io ho potere sul mio cuore, io ho potere sul mio cuore, io ho potere sulla mia bocca, io ho potere sulle mie due braccia, io ho potere sull’acqua, io ho potere sui flutti, io ho potere sul fiume, io ho potere sulle rive, io ho potere su chi agisce contro di me, io ho potere su quelle che agiscono contro di me nella necropoli, io ho potere sugli ordini che si fanno riguardo a me sulla terra e nella necropoli. Io mi alzo sulla sinistra e mi metto sulla destra, io mi alzo sulla destra e mi metto sulla sinistra, io sto seduto, e io mi levo, e scuoto la mia polvere5. La mia lingua e la mia bocca sono guida sperimentata. Quando a colui che conosce questo libro, egli esce di giorno, e cammina sulla terra in mezzo ai vivi. Egli non sarà annientato in eterno. Buono, vero un milione di volte6. 1. «Colui che mi teneva la mano sopra, abbassa la mano». 2. Col Pellicano sono connessi miti osiriaci poco noti. 3. L’offerta funeraria.

4. Titolo della dea. 5. È la vecchia resurrezione del morto. 6. È la formula che nei testi medici conferma la validità di una ricetta sperimentata dal medico.

CAPITOLO LXIX Altra versione. Io sono la Fiamma, fratello della Fiamma, Osiri, fratello di Isi. Mi protegge mio figlio con sua madre Isi dai miei nemici. I miei nemici che fanno ogni cosa malvagia, son posti lacci alle loro braccia, alle loro mani, ai loro piedi per quel che han fatto di male contro di me. Io sono Osiri, il più vecchio della mia generazione1, il più vecchio degli dei eredi di mio padre Geb. Io sono Osiri, signore dei Primi, vivo di cuore, forte nell’afferrare (?), dal forte fallo, che sta fra i sudditi. Io sono Orione2 che si avvicina alla sua terra, tremante di fronte agli astri del cielo, corpo di mia madre Nut. Essa fu gravida di me secondo il suo piacere, essa mi partorì secondo il suo desiderio3. Io sono Anubi il giorno di Sepa; io sono il Toro nel Padule. Sono io Osiri, per il quale furono chiusi suo padre e sua madre il giorno della grande strage. Suo padre è Geb, sua madre è Nut. Io sono Horo, figlio primogenito del Sorgente (?). Io sono Anubi Sepa. Sono io il Signore del tutto. Io sono Osiri. O Primogenito, entra e di’ agli scribi dell’offerta, al custode della porta di Osiri… Io sono giunto, io sono uno Spirito, io sono contato4, io sono un dio. Io sono venuto e proteggo me stesso da solo. Io siedo sulla sede di Osiri. Io scaccio quel che fa male a lui sofferente. Io sono vigoroso, io son dio sulla sede di Osiri. Io sono stato partorito con lui, il giovane (?). Io scopro questa mia gamba (?). L’aldilà di Osiri, io apro la bocca agli dei che vi sono. Io siedo al suo fianco, di Thot, che esce lieto per i mille pani che sono sugli altari di mio padre, per i miei montoni (?), i miei vitelli, per i miei rossi buoi, per le mie oche ro, per le mie oche hetep, che io offro (?) a Horo, di cui io faccio offerta a Thot, che io sacrifico al Soprastante al Tribunale. 1. Il primogenito dei suoi fratelli. 2. Orione è assimilato a Osiri. Gioco di parole in egiziano fra «Orione» e «avvicinarsi». 3. Fu lieta di esser gravida di me e di partorirmi. 4. Sono registrato.

CAPITOLO LXX Altra versione. Io approdo al Soprastante al Tribunale, lo scriba dal cuore lieto. Io son contento per gli altari di mio padre Osiri principe di Busiri. Io passeggio per i suoi territori. Io prendo1 il vento dell’Est per i suoi capelli, io afferro il vento del Nord per la treccia: io impugno ed afferro il vento dell’Ovest per il suo ricciolo. Io circolo per questo cielo per i suoi quattro canti. Io afferro il vento del Sud per il suo ciuffo. Io do i venti ai miei vassalli in mezzo ai miei alimenti. Quanto a chi conosce questo libro sulla terra, egli uscirà di giorno e camminerà in mezzo ai viventi. Non morirà in eterno. 1. Il testo dice «bacio», certo al posto di un verbo di «prendere».

CAPITOLO LXXI Capitolo dell’uscire di giorno. O Falco che sorgi dal Nun, signore della Mehet-uret, rendimi sano come rendi sano te stesso. «Scioglilo, slegalo, mettilo a terra1, dà il suo amore» 2. Così dice di me il Signore dal Volto Unico3. «O Falco entro il tabernacolo, io penetro a quel che è sul tappeto (?)» dice Horo figlio di Isi. O Horo figlio di Isi, rendimi sano come rendi sano te stesso. «Scioglilo, slegalo, mettilo a terra, da’ il suo amore». Così dice di me il Signore dal Volto Unico. «O Horo nel cielo del Sud, o Thot nel cielo del Nord, io ho placato la Fiamma che infuriava, io ho innalzato la Verità a chi la ama». Così dice Thot. O Thot, rendimi sano, come rendi sano te stesso. «Scioglilo, slegalo, mettilo a terra, da’ il suo amore». Così dice di me il Signore dal Volto Unico. «Io sono il fiore di N-ar.ef4, la pianta nubeheh dell’orizzonte nascosto» dice Osiri. O Osiri, rendimi sano, come rendi sano te stesso. «Scioglilo, slegalo, mettilo a terra, da’ il suo amore». Così dice di me il Signore dal Volto Unico. O «Colui-che-ha-qualcosa (?) -come-piedi» che è nel suo momento — variante: «Colui-i-cui-piedi-sono-il-terrore» che è nel suo momento —, signore dei Due Pulcini5, i cui Due Pulcini vivono! Rendimi sano come rendi sano te stesso. «Scioglilo, slegalo, mettilo a terra, da’ il suo amore!» Così dice di me il Signore dal Volto Unico. O Hierakonpolita (masch.) che è nel suo (m.) uovo, signore (m.) della Mehet-uret, tu (femm.6) mi rendi sano, come rendi sana te stessa. «Scioglilo, slegalo, mettilo a terra, da’ il suo amore!» Così dice di me il Signore dal Volto Unico. «Sorgi, Sobk che sei in mezzo al tuo tumulo7! Sorgi, Neit che sei in mezzo alle rive, e scioglietelo, slegatelo, mettetelo a terra, date il suo amore!» Così dice di me il Signore dal Volto Unico. O Voi sette sostenitori che portate sulle spalle la bilancia quella notte del

contare la ug’at, che tagliate le teste, che decapitate i colli, che prendete i cuori, che rapite i cuori, che fate strage nel Lago della Fiamma — io vi conosco, io conosco i vostri nomi, voi mi conoscete come io conosco i vostri nomi. Io vi raggiungo, voi mi raggiungete. Voi vivete di me ed io vivo di voi. Voi mi rinverdite per colui che è nella vostra mano, lo scettro was che è nel vostro pugno. Voi mi ascrivete alla vita. La formula (?) dell’anno mi dà anni numerosi oltre i miei anni di vita, mesi numerosi oltre i miei mesi di vita, giorni numerosi oltre i miei giorni di vita, notti numerose oltre le mie notti di vita, finché io vada e sorga alla mia statua, e aria sia al mio naso, i miei occhi vedano in mezzo a Coloro che sono all’orizzonte, quel triste giorno della violenza. Quanto a colui per cui si fa questo capitolo, è un prosperare sulla terra presso Ra e (nel) bel tumulo presso Osiri. È cosa utile grandemente a una persona nella necropoli, e gli vengano dati pani che escono in cospetto (del dio), di quelli della spettanza di Ra, ogni giorno. Cosa buona e vera un milione di volte.

Papiro dell’Amduat: Ultima ora Il papiro che illustra il passaggio del sole nella Duat (cfr. pp. 329 segg.) divide il percorso in dodici ore, quante sono quelle di cu: consta la notte. Qui è raffigurata la XII ora, in cui Khepre (scarabeo) torna al mondo sulla testa di S’u, mentre Osiri mummiforme resta nell’Aldilà. (Torino, Museo Egizio, cat. 1782). 1. Lascialo andare. 2. «Fa’ quel che egli desidera». 3. Divinità solare. 4. Nome di geografia mitica. 5. Di tutte le coppie di dei giovani; in particolare S’u e Tefnut. 6. Il disordine dei generi grammaticali mostra che qui si sono sommati gli elementi di due frasi parallele diverse. 7. Titolo normale degli dei solari, nati su un tumulo primordiale uscito dal Nun, così come il coccodrillo (qui il dio Sobk) sta sulle secche del fiume.

CAPITOLO LXXII Capitolo dell’uscire di giorno e del penetrare nell’Aldilà. Salute a voi, signori della verità, privi di colpa, che esistete fino all’eternità, fino al limite dell’infinito! Io sono penetrato a voi, io sono uno spirito nelle mie manifestazioni, io ho potere sulle mie formule magiche, io son contato come uno spirito nobile. Salvatemi dai Furenti di questa Terra dei Giusti. Datemi la mia bocca perché io possa parlarvi, e mi si conceda di stendere le mani in vostra presenza, poiché io sono uno che vi conosce, io conosco i vostri nomi, io conosco il nome di questo dio eccelso, al cui naso voi offrite provvigioni. Kemkem è il suo nome, ed egli penetra nell’orizzonte orientale del cielo, ed egli prende terra nell’orizzonte occidentale del cielo. Egli mi fa passare, ed io muovo senza che mi respinga la Mesqet1. Non han potere su di me i ribelli. Non scacciatemi dai vostri portali, non chiudetemi i battenti in faccia, perché i miei pani sono in Pe, la mia birra è in Dep, son riempite qui le mie mani. Mi ha dato mio padre Tum… in cielo e in terra. C’è orzo e spelta in esso, non se ne conosce il numero. Mi si fanno offerte di cibo qui (?) da parte del mio proprio figlio. Vogliatemi dare l’offerta funeraria, l’incenso, l’olio e ogni cosa buona e pura di cui vive il dio in verità in eterno, in ogni aspetto che io voglia, navigando su e giù per il Campo dei Giunchi. Io sono i «Due Leoni». Quanto a chi conosce questo libro sulla terra, oppure se è messo per iscritto sul sarcofago, egli uscirà di giorno in ogni aspetto in cui voglia, ed entrerà nella sede senza che sia impedito il suo andare. Gli si dà pane e birra in gran quantità, di quel che è sulla tavola di offerte di Osiri. Egli entrerà in pace nel Campo dei Giunchi, secondo la conoscenza di questo decreto che è in Mendes. Si darà a lui là orzo e spelta, ed egli sarà di conseguenza fresco come quando era sulla terra. Egli farà quel che vorrà come quella Enneade di dei che sono nella Duat. Cosa buona e vera un milione di volte. 1. Regione dell’ Aldilà (e della necropoli tebana).

CAPITOLO LXXIII Capitolo del penetrare nell’Occidente, del penetrare nell’Imhet1. O Ariete eccelso di maestà, ecco, io son venuto e ti vedo. Io penetro nella Duat e vedo mio padre Osiri. Io scaccio l’oscurità da mio padre Osiri. Io sono il suo diletto. Io son venuto, io vedo mio padre Osiri… Io compio i riti per mio padre Osiri. Mi sono aperte tutte le vie che sono in cielo, che sono in terra. Io sono un figlio che ama suo padre. Io son venuto come un nobile, come uno spirito fornito. O voi tutti dei e dee, fatemi la strada. 1. L’Aldilà.

CAPITOLO LXXIV Capitolo dello stendere il piede e uscire sulla terra. Tu fai quel che tu fai, o Sokaris — due volte —, come colui che è nel suo palazzo, oppositore nella necropoli. Io sono lo Splendente che è sul distretto del cielo. Io esco verso il cielo, io salgo con l’aiuto dello Splendido. O (…)1 io son stanco, io son stanco. Io cammino, e son stanco, son stanco sulle rive che essi han saccheggiato nella necropoli. 1. È caduto il nome del dio invocato.

CAPITOLO LXXV Capitolo dell’andare a Eliopoli e prendervi sede. Io sono uscito dai confini della Terra. È accolta (presa?) la mia benda (funeraria) presso le viscere del cinocefalo. Io traverso di corsa il Palazzo Puro di Chi è nella Cassa (?)1; io ho calpestato i Palazzi di Remrem; io ho raggiunto i Palazzi di Ikhsesef; io sono entrato per le chiusure (?) sante, io son passato per la casa di Kemkem. Il nodo isiaco2 ha steso le sue due braccia verso di me. Esso (femm.) mi ha consegnato a sua sorella Khebent3 e a sua madre Seksek4. Essa mi pone all’oriente, dove sorge Ra, dove Ra è alto ogni giorno. Io sorgo, io entro, io sono nobile. Gli dei mi collocano su questa via santa su cui corre Thot quando calma i Due Combattenti5 e va a Pe e va a Dep. 1. Si tratterebbe di Osiri. Ma il determinativo è inopportuno. 2. Personificato. 3. «La colpevole». 4. «Distruzione». 5. Horo e Seth.

CAPITOLO LXXVII Capitolo del fare le trasformazioni in falco d’oro. Si dicono le parole da parte di N. N.: «Io sono sorto, io sono sorto come falco eccelso d’oro, uscito dal suo uovo. Io ho volato, io mi son posato come un falco di quattro cubiti di dorso, le cui ali sono in smalto verde d’Alto Egitto. Io esco dalla cabina della mesktet, quando mi è portato il mio cuore dal monte orientale. Io mi son posato sulla mandet dopo che mi son stati condotti in inchini coloro che appartengono all’età primordiale. Essi mi danno gloria quando io sono sorto e mi sono unito con il bel falco d’oro, la fenice al sentire il grido della quale Ra entra ogni giorno. Io siedo fra questi dei grandi della Nenut1. Collocano i campi offerte per me in mio cospetto, ed io ne mangio, io ne divengo spirito splendente. Io sono inondato, ed il mio cuore prende. Dà a me Nepi2 la gola, ed io ho potere su quel che riguarda il mio capo». 1. Il cielo inferiore. 2. Il dio del grano.

CAPITOLO LXXXI a Capitolo del far la trasformazione in un fior di loto. Si dicono le parole: «Io sono questo fiore di loto uscito dallo splendore, connesso con il naso di Ra. Io calo e lo cerco per Horo. Io sono il puro che esce dal campo».

CAPITOLO LXXXVII Capitolo del fare la trasformazione in «Figlio della terra» 1. Si dicono le parole: «Io sono il Figlio della Terra, lungo di anni. Io sono partorito la notte quotidianamente. Io sono il Figlio della Terra che costituisce (?) i limiti della terra. Io son partorito la notte, io son rinnovato e ringiovanito ogni giorno». 1. Serpente.

CAPITOLO XCIV Capitolo del richiedere il calamaio e la tavolozza1. O Grande che guardi tuo padre, custode del libro di Thot! Ecco, io son venuto, io sono spirito, io sono anima, io sono possente, io sono fornito degli scritti di Thot!.. Io ho portato il calamaio e la tavolozza, questi strumenti di Thot, e i segreti che son fra loro. Ecco, io sono uno scriba. Io ho portato la putredine di Osiri e scrivo con quella. Io faccio2 quel che dice il dio eccelso. Bene ogni giorno, in bene (?). Quel che mi hai ordinato, o Ra Harakhte, io lo faccio correttamente, e passo a Ra ogni giorno. 1. Gli attrezzi dello scriba. 2. «metto in iscritto e in debita forma gli ordini».

CAPITOLO C Libro del rendere prezioso lo spirito, per far che egli scenda nella barca di Ra con quelli che sono al suo seguito. Io ho traghettato la Fenice a oriente, e Osiri a Busiri! Io ho aperto le spelonche di Hapy1, io ho sgombrato le vie del sole, io ho trascinato Sokaris sulla sua treggia, io ho reso vigorosa la Grande nel suo momento, io ho cantato, io ho adorato il sole, io mi sono unito alle scimmie che sono in adorazione (del sole). Io sono uno di loro, io sono stato compagno di Isi, io ho rinvigorito quel che è utile, io ho annodato la gomena, io ho tenuto lontano Apopi e ne ho fatto ritirare i passi2. Ha dato a me Ra le sue due mani, e non mi terrà lontano la sua ciurma. Se ho vigore io ha vigore l’ug’at, e viceversa. Quanto a chi terrà lontano questo N. N. sarà tenuto lontano dall’uovo e dal pesce abg’u. Dire le parole su questa immagine disegnata per iscritto su un foglio vuoto e puro3, con polvere di vetro verde mescolata con acqua di mirra. Si ponga a questo spirito4 al suo petto, senza che si faccia toccare le sue membra. Quanto a ogni spirito per cui si faccia questo, egli scenderà nella barca di Ra ogni giorno quotidianamente, e lo conterà Thot5 all’uscire e al calare quotidianamente ogni giorno. Efficiente e trovato vero un milione di volte. 1. Le grotte donde sgorga il Nilo (Hapy). 2. «Io ho così compiuto tutto quel che deve fare la ciurma di Ra». 3. In altre parole, un foglio di papiro non ancora adoperato. 4. Si appende al petto del morto. 5. Che si comporta qui come in terra si comportano gli scribi che controllano la presenza degli operai.

CAPITOLO CIV Capitolo dello star seduti fra gli dei grandi. N. N. egli dice: «Mi son seduto fra gli dei grandi, son passato per la casa della barca Seheptet. È la mantide (?) quella che mi porta a vedere gli dei grandi che sono nella necropoli quando sono giustificato in loro cospetto. Io sono puro».

CAPITOLO CV Capitolo del placare il ka di N. N. Si dicono le parole: «Salve, o mio ka, o mia durata di vita, Ecco, io sono venuto a te1, io sorgo, io son vigoroso, io sono anima, io sono possente. Io ti ho portato il salnitro e l’incenso con cui io ti purifico, con cui io purifico il tuo trasudamento. Questa formula cattiva detta per me, questa purificazione cattiva fatta per me non mi viene data perché io sono questa pietra preziosa verde che è al collo di Ra, che han dato coloro che sono all’orizzonte. La loro chiarezza è la mia chiarezza (?) — Due volte. Il mio ka è come loro, l’abbondanza del mio ka è come loro. O Tu che alzi la bilancia, e levi la verità al naso di Ra in quel giorno, non fare che la mia testa sia portata via da me. Non sono certo io l’occhio che vede, l’orecchio che ode. Non sono certo io il toro dei caduti. Non si faranno certo di me2 offerte funerarie per coloro che stanno in alto — Variante: per coloro che stanno in Nut. Lascia che io passi per te, perché io sono puro, ed è giustificato Osiri contro i suoi nemici. 1. Chi muore raggiunge il suo ka. 2. Non sarò io sacrificato per fare offerta.

CAPITOLO CVIII Capitolo del conoscere le anime dell’Occidente. Si dicono le parole: Quanto a questo monte di Bakhu1 su cui questo cielo si appoggia esso è all’oriente del cielo, ed ha trecento canne2 di lunghezza e centocinquanta canne di larghezza. Sobk signore di Bakhu è a oriente di questa montagna, e il suo tempio è di corniola. C’è un serpente in vetta a questa montagna, che ha trenta cubiti di lunghezza e otto cubiti di petto, di selce bianca di bes’u3. N. N. conosce il nome di questo serpente che sta sulla sua montagna: «Colui-che-sta-sul suo-ardore» è il suo nome. Dopo il mezzogiorno volgerà i suoi occhi verso Ra, e avverrà una fermata nella barca divina, e un grande stupore fra la ciurma. Ed egli succhierà sette cubiti delle grandi acque4, e Suty5 farà che fugga lo spiedo contro di lui, di bronzo; e farà che egli vomiti tutto quel che ha ingoiato, e lo porrà Seth presso di sé. 1. Montagna mitica immaginata originariamente a occidente; qui a oriente, come in genere nei testi più tardi. 2. Misura di lunghezza di 100 cubiti. 3. Speciale qualità di selce. 4. Il serpente beve l’acqua su cui naviga il sole, e ne determinerebbe così l’insabbiamento se non intervenisse Seth che gli lancia lo spiedo contro. 5. Seth.

CAPITOLO CXII Un altro capitolo del conoscere le anime di Pe1. Si dicono le parole: Abitanti di Khat che siete entro Anpet, cacciatori con la rete che state in Pe, donne s’utet2 che non potete venire, birrai e panettieri sapete perché Pe è stata data a Horo? Io lo so, ma voi non lo sapete. Fu Ra che glielo dette, per compenso del male del suo occhio, per il fatto che Ra aveva detto a Horo: «Lascia che io veda quel che è avvenuto in esistenza dal tuo occhio oggi». Egli lo vide, e disse Ra a Horo: «Guarda quel maiale nero!» Egli si mise a guardarlo, e il suo occhio ebbe una fitta e sofferse grandemente3. Disse allora Horo a Ra: «Guardate, il mio occhio è come quando lo colpì Suty». E allora inghiottì il suo cuore4. Disse allora Ra a quegli dei che lo avevano posto sul suo letto: «Che stia sano! È Suty che si è trasformato in maiale nero. E così ha reso bruciante questo colpo che è nell’occhio di Horo». Disse quindi Ra a questi dei: «Lo schifo di Horo è il maiale». «Possa egli tornar sano, lo schifo di Horo è il maiale», così dissero gli dei al suo seguito. Dopo che Horo fu nella sua gioventù, accadde un sacrificio dei suoi tori, del suo bestiame minuto, dei suoi maiali. Quanto a Mesty, Hapy, Dua-mut.ef, Qebeh-senu.f, il loro padre è Horo, la loro madre Isi. Disse allora Horo a Ra: «Poni due fratelli a Pe e due fratelli a Nekhen… Essi staranno con me nel conto fino all’eternità». Rinverdì la terra, fiammeggiò l’uragano: fu l’origine del nome di «Horo che sta sulla sua pietra verde». Io conosco le anime di Pe: è Horo, è Mesty, è Hapy. 1. Cfr. K. SETHE in «Zeitschr. Äg. Spr.», LVIII (1923), p. 1 segg. Questo (e i seguenti) sono nomi di Buto. 2. Parola ignota. 3. Il mito non è facilmente ricostruibile. Ma che Seth danneggi l’occhio di Horo, e in particolare dopo essersi trasformato in un maiale nero, è ben noto. 4. «svenne», o simili.

CAPITOLO CXXIII Capitolo dell’entrare nel grande palazzo. Si dicono le parole: Salve, o Atum! Io sono Thot che divide i due compagni1. Io ho allontanato che essi combattessero e io ho annientato i loro lamenti, io ho salvato il pesce adu nel suo ritirarsi. Io ho fatto quel che tu hai comandato circa lui, e ho passato la notte dopo nel mio occhio. Io sono privo di colpe. Io sono venuto perché tu possa vedermi nella casa di Uhem-her2 quando comando parole, e gli Anziani sono sotto la mia guida, e a me appartengono i Piccoli. 1. Horo e Seth. 2. «Colui che ripete il volto».

CAPITOLO CXXV1 Capitolo dello scendere nella corte delle Due Verità2 da parte di N. N. Salute, o grande dio signore delle Due Verità3! Io sono venuto a te, mio signore, essendo condotto a vedere la tua bellezza. Io ti conosco, io conosco il nome dei quarantadue dei che sono con te in questa Corte delle Due Verità, che vivono del massacro dei malvagi, che ingoiano il loro sangue, quel giorno del contare il carattere davanti a Un-nefer. Ecco «Colui-i-cui-due-figli-sono-idue-occhi-signore-della-Verità» 4 è il tuo nome. Io sono venuto a te, io ti ho portato la verità. Io ho allontanato per te la colpa. Io non ho commesso colpe contro gli uomini. Io non ho maltrattato i bovini. Non ho commesso peccato in luogo della giustizia. Non ho conosciuto quel che non c’è5. Non ho contemplato (?) il male. Io non ho iniziato nessuna giornata richiedendo un dono da quelli che dovevano lavorare per me. Il mio nome non è giunto al soprastante della Barca divina. Io non ho bestemmiato il dio. Non ho colpito il misero. Non ho fatto quel che è il disgusto degli dei. Non ho causato malattie. Non ho affamato. Non ho ucciso. Non ho causato dolori a nessuno. Non ho sciupato i pani degli dei. Non ho rubato le focacce degli Spiriti6. Non ho commesso pederastia. Non ho commesso atti impuri. Non ho aggiunto e non ho sottratto allo staio. Non ho diminuito l’arura. Non ho falsificato la misura del campo. Non ho aggiunto al (contrap)peso della bilancia. Non ho portato via il latte dalla bocca dell’infante. Non ho scacciato le greggi dall’erba. Non ho preso alla rete gli uccelli (….?) del dio.

Non ho rapito i pesci dai loro laghi7. Non ho impedito l’acqua nel suo tempo. Non ho costruito una diga contro l’acqua corrente. Non ho spento il fuoco nel suo tempo. Non ho trasgredito i giorni d’offerta. Non ho tenuto lontano il bestiame dei beni del dio. Non ho impedito il dio nella sua uscita. La mia purezza è la purezza di questa grande fenice che è in Eliopoli, poiché sono io questo Naso signore del respiro, che fa vivere tutte le genti questo giorno della pienezza dell’ug’at in Eliopoli nel secondo mese della stagione peret, ultimo giorno, in cospetto del signore di questo paese. Sono io quegli che ha visto la pienezza dell’ug’at in Eliopoli. Non si produrrà male nei miei riguardi in questo paese nella Sala delle Due Verità perché io conosco i nomi degli dei che vi si trovano. O Lungo-di-Passo, che esci da Eliopoli, non ho commesso peccato. O Abbraccia-fiamma che esci da Babilonia, non ho rubato. O Nasuto8 che esci da Ermopoli, non sono stato invidioso. O Ingoia-Ombre che esci dalla Spelonca, non ho saccheggiato. O Spaventoso-di-Membra che esci da Ro-setau, non ho ucciso uomini. O Due-Leoni9 che esci dal cielo, non ho danneggiato lo staio. O Occhi-di-Selce10 che esci da Letopoli, non ho compiuto male azioni. O Fiamma che esci all’indietro, non ho rubato le offerte divine. O Rompi-Ossa che esci da Eracleopoli, non ho fatto menzogna. O Getta-fuoco che esci da Het-ka-Ptah11, non ho rubato nutrimento. O Cavernoso che esci dall’Occidente, non son stato insolente. O Bianco-di-Denti12 che esci dal Paese del Lago, non ho trasgredito. O Mangia-Sangue che esci dal luogo del supplizio, non ho ucciso il bestiame divino. O Mangia-Visceri che esci dal Tribunale della Trentina13, non ho accaparrato grano (?). O Signore della Verità che esci da Maaty, non ho rubato le razioni. O Traviato che esci da Bubasti, non ho spiato. O Aady che esci da Eliopoli, non ho fatto camminare la mia bocca14. O G’ug’u che esci da Aneg’, non ho litigato se non per le cose mie. O Uamenty che esci dal luogo di esecuzione, non ho commesso adulterio.

O Guarda-quel-che-egli-porta che esci dalla casa di Min, non ho commesso atti impuri. O Soprastante ai Grandi che esci da Imau, non ho incusso terrore. O Distruttore che esci da Pui, non ho trasgredito. O Incantatore-di-voce che esci da Urit, non mi sono scaldato. O Fanciullo che esci da Heqa-ag’, non ho reso sordo il mio volto a una parola verace. O Basty che esci da S’etit, non ho strizzato l’occhio15. O «La-sua-faccia-è-la-sua-nuca» che esci da Tepehet-G’at, non ho commesso sodomia. O Caldo-di-Piede che esci dall’aurora, il mio cuore non ha ingoiato16, O Oscuro che esci nell’oscurità, non ho insultato altri. O Porta-la-sua-offerta che esci da Sais, non sono stato violento. O Signore-dei-Volti che esci da Neg’afet, non si è affrettato il mio cuore17. O Serekhy che esci da Utenet, non ho trasgredito la mia natura, non ho posto un dio in non cale. O Signore delle Due Corna che esci da Siut, non sono stato molteplice di parole nei discorsi. O Nefer-Tem che esci da Menfi, non c’è la macchia mia, non ho commesso il male. O Tem-Sep che esci da Busiri, non ho insultatoli re. O Fa-secondo-il-suo-cuore che esci da C’ebu, non ho camminato sull’acqua18. O Percotitore (?) uscito dal Nun, non sono stato alto di voce. O Comanda-genti che esci dalla Residenza (?), non ho insultato un dio. O Neheb-Neferet che esci dal tuo castello, non ho fatto un gonfiamento19. O Neheb-kau che esci dalla città, non ho fatto distorsioni a mio profitto. O Illustre-di-Testa che esci dalla tua tana, non sono state grandi le mie razioni se non delle cose mie. O Alza-il-suo-braccio che esce da Igeret, non ho calunniato il dio della mia città. Salute a voi, o dei! Io vi conosco, io conosco i vostri nomi. Io non cadrò, e voi non colpirete. Voi non farete salire il mio peccato a questo dio al cui seguito voi siete. Non verrà la mia disgrazia per voi. Non sarà detto «Menzogna!» nei miei riguardi in cospetto del Signore

Universale, poiché io ho praticato la giustizia in Egitto. Io non ho offeso Dio, e non verrà la mia disgrazia per il re che è nel suo giorno. Salute a voi, voi che siete nella sala delle Due Verità, nel cui corpo non è menzogna, che vivete di verità e che sapete la verità in cospetto di Horo che è nel suo disco! Possiate salvarmi dalla mano di Babi20, che vive delle viscere dei Grandi, questo giorno del grande giudizio. Ecco, io vengo presso di voi e non c’è la mia colpa, non c’è il mio male, non c’è la mia iniquità, non c’è la mia accusa, non c’è persona cui io abbia fatto questo. Io vivo di verità, io conosco la verità. Io ho fatto quel che dicono gli uomini, quello di cui si compiacciono gli dei. Io ho soddisfatto il dio di quel che egli ama. Io ho dato pane all’affamato, acqua all’assetato, vesti all’ignudo, una barca a chi ne era privo. Io ho dato offerte agli dei e offerte funerarie agli Spiriti. Salvatemi, voi! Proteggetemi, voi! Non esiste un rapporto contro di me in vostro cospetto. Io sono uno la cui bocca è pura, le cui mani sono pure, cui si dice «Benvenuto in pace!» da parte di coloro che lo vedono: perché io ho sentito questo discorso che l’asino ha detto al gatto nel tempio di Colui che apre la bocca. Io son stato testimonio davanti a lui, quando egli gridò. Io ho visto il taglio della pianta is’ed entro Ro-setau21. Io sono uno stimato dagli dei, che conosce le loro cose. Io sono venuto qui per testimoniare la Verità… 1. Di questo capitolo c’è una parziale edizione critica: MAYSTRE, Les déclarations d’innocence, Le Caire, 1937. La bibliografia è vastissima. Ricordo SPIEGEL, Die Idee von Totengericht in der aeg. Religion, Glückstadt, 1935 e DRIOTON, Le Jugement des âmes dans l’ancienne Égypte, éd. de la «Revue du Caire», 1949. 2. «Due» è probabilmente solo un intensivo. 3. Qui è Osiri, davanti al quale una vignetta rappresenta condotto il morto da Anubi. Su una bilancia è posto il cuore a contrappeso del segno della verità. Registra l’operazione Thot, mentre un mostro è pronto, a fianco, a divorare chi non risulti puro. 4. Il nome sembra alludere a una divinità solare. E davanti al sole sembra che si giudicasse il morto in origine. 5. Quel che non ci dovrebbe essere, il male. 6. I morti. 7. Sembrano, questi, interdetti sacri. 8. È Thot. 9. S’u e Tefnut. 10. Mekhenty-irty. 11. Nome di Menfi (propriamente di un tempio della città). 12. Sobk. Il «Paese del Lago» è il Fayyum, regione del dio. 13. Uno dei tribunali civili. 14. Non mi sono vantato? 15. Imbrogliando perciò qualcuno. 16. Non sono stato ipocrita?

17. Non sono stato precipitoso? 18. Non sono stato avventato? 19. Non sono stato orgoglioso? 20. Dio spesso di carattere tifonico. 21. Si allude certo a cerimonie mistiche.

CAPITOLO CXXVI Si dicono le parole: O voi, quattro scimmie1 che sedete alla prua nella barca di Ra, che innalzate la verità al Signore Universale, che dividete il debole dal vigoroso, che placate gli dei con l’alito infocato della vostra bocca, che date offerte agli dei, e offerte funerarie agli spiriti, che vivete di verità, che ingoiate2 la verità, cuore senza menzogna, il cui ribrezzo è la colpa! Allontanate il mio male, distruggete la mia colpa. Non è il mio male a terra? È allontanato ogni male che mi è connesso, ogni mio peccato contro di voi. Concedete che io penetri nella Imhet3, che io entri in Rosetau, che io passi per i portali misteriosi dell’Occidente. Possano essermi dati focacce, vasi di birra, pani, come agli spiriti che entrano ed escono per Ro-setau. «Vieni, tu, che noi scacciamo il tuo male, che noi allontaniamo il tuo peccato. Il tuo male è a terra. Noi allontaniamo il male che ti è connesso, (gettandolo) a terra. Entra dunque in Ro-Setau, passa per i portali misteriosi dell’occidente. Ti si diano focacce, vasi di birra, pani, e possa tu uscire ed entrare secondo il tuo desiderio come quegli spiriti favoriti. Possa tu essere chiamato ogni giorno nell’orizzonte» 4. 1. Le scimmie sono animali sacri al sole, che celebrano con le loro grida il suo sorgere. 2. O «sapete». 3. L’Aldilà, o una sua regione. 4. Facendo parte del corteo del sole.

CAPITOLO CXXXII Capitolo del fare che torni un uomo a vedere la sua casa sulla terra. Si dicono le parole: «Io sono il Leone uscito a gran passi, io ho scagliato (il bumerang?), io ho preso con la rete1 — 2 volte. A me appartiene l’occhio di Horo, arriva a me l’occhio di Horo in questo momento. Io son giunto alle sponde». «Andiamo in pace, Osiri N. N.!» «Io son venuto, e non è stato trovato il mio difetto. La bilancia è vuota della mia colpa». 1. I due strumenti della caccia.

CAPITOLO CXLIV1 Il primo portale: «Capovolto di faccia, molteplice di aspetto, conoscitore dei nomi dei guardiani dei sette portali» è il nome del guardiano del primo portale; «Colui che orecchia» è il nome del suo custode; «Stridulo (?) di voce» ne è il nome dell’annunciatore. Il secondo portale: «Colui che allarga il petto» 2 è il nome del guardiano del secondo portale; «Colui che gira (?) la faccia» è il nome del suo custode; «Sabes» ne è il nome dell’annunciatore. Il terzo portale: «Colui che mangia la putredine delle sue parti posteriori» è il nome del guardiano del terzo portale; «Desto di faccia» è il nome del suo custode; «Malédico» ne è il nome dell’annunciatore. Il quarto portale: «Scansa-faccia di molte parole» è il nome del guardiano del quarto portale; «Desto di cuore» è il nome del suo custode; «… di faccia che scaccia l’iroso» ne è il nome dell’annunciatore. Il quinto portale: «Colui che vive di vermi» è il nome del guardiano del quinto portale; «Bruciante» è il nome del suo custode; «Se la tua faccia è … cade l’ira» ne è il nome dell’annunciatore. Il sesto portale: «Ikehent.ek-ha-kheru3 è il nome del guardiano del sesto portale; «Porta-faccia» è il nome del suo custode; «Tagliente di faccia, guardiano del lago» ne è il nome dell’annunciatore. Il settimo portale: «Son (?) taglienti» è il nome del guardiano del settimo portale; «Alto di voce» è il nome del suo custode; «Colui che tien lontano il volto dei malvagi» ne è il nome dell’annunciatore. 1. È questo uno dei numerosi capitoli in cui viene descritto un Aldilà molto ordinato, con guardiani e custodi di cui vengono insegnati i nomi. È frutto della stessa mentalità cui si deve il Libro dell’Amduat o il Libro delle Bolge. 2. Come fa il cobra irato. 3. Richiama una formula che si dice ai serpenti nei Testi delle piramidi.

CAPITOLO CLXXI Capitolo della benda pura. O Atum, S’u, Tefnut, Geb, Nut, Osiri, Isi, Seth, Nefti, Harakhte, Hathor del grande tempio, Khepre, Mentu signore di Tebe, Ammone signore dei troni delle Due Terre, Grande Enneade, Piccola Enneade, dei e dee che siete nel Nun, Sobk di S’edet, Sobk in tutti i suoi numerosi nomi, in ogni sua sede in cui voglia essere il suo ka, dei meridionali, dei settentrionali, quelli in cielo, quelli in terra! Questa stoffa pura allo spirito prezioso N. N.! Fate che esse siano utili! Scacciate il male che è connesso con lui! Questa stoffa pura a N. N.! Contatelo per l’eternità e la perpetuità. Scacciate il male che è connesso con lui!

CAPITOLO CLXXV1 Capitolo del non morire di nuovo. Si dicono le parole: «O Thot, cosa accade con i figli di Nut2? Essi han fatto ribellione, essi han commesso colpe, essi han creato inimicizie, essi han fatto massacri, essi han creato prigionie. Infine, essi hanno fatto del grande piccolo in tutto quel che ho creato». «Sii forte, Thot» così dice Atum. «Non devi vedere le colpe, non tollerarle. Diminuisci i loro anni, fa’ scorrere i loro mesi, poiché essi han fatto danno nascosti in tutto quel che tu hai creato». A me appartiene la tua tavolozza, o Thot; io ho innalzato a te il tuo calamaio. Io non sono fra costoro che fan danno e si nascondono e non si fa danno in me. Si dicono le parole da parte dell’Osiri N. N.3: «O Atum, cosa è che io vado al deserto4? Là non c’è acqua, là non c’è aria, ed è profondo profondo, oscuro oscuro, infinito infinito?» «Tu vivrai là in pace». «Ma qui non c’è piacere di donna». «Io ti ho dato di essere spirito in cambio di acqua, aria e piacere; e quiete in cambio di pane e birra». Così disse Atum. «E vedere la tua faccia» 5? «Io non tollero che tu abbia privazioni». «Ma ogni dio ha preso posto nella Barca dei Milioni» 6. «Il tuo posto appartiene (ora) a tuo figlio Horo». Così disse Atum. «Ma potrà egli mandare i grandi?» 7 «Io ho fatto che mandasse i grandi». «E sarà egli signore sul tuo trono?» «Egli sarà erede del trono nell’Isola della fiamma». «Come è piacevole quando un (dio) vede il suo compagno!» «Il mio volto vedrà il tuo volto splendido». «E cosa è la durata della vita?» disse Osiri. «Tu sarai per milioni di milioni in una durata di milioni. Ma poi distruggerò tutto quel che ho creato e questa terra andrà nel Nun, fattasi oceano come in principio. Io sono quegli che resterà, con Osiri, dopo che mi sarò trasformato di nuovo in un serpente, che gli uomini non conoscono, che gli dei non vedono…» 8.

1. Tengo conto di quanto è in KEES, Aegypten (Religionsgeschichtliches Lesebuch), Tübingen, 1928, p. 27 seg. 2. Seth ed i compagni. 3. Comincia qui un altro testo, anche se è riunito nello stesso capitolo. 4. Nel deserto sono le tombe. 5. Il sole. 6. La barca solare. Osiri si lamenta del suo destino, più misero di quello degli altri dei, che non sono stati destinati alla vita dell’oltretomba. 7. È frase proverbiale per indicare la pienezza del potere. 8. È questa una allusione a una fine del mondo, non nota da altri testi.

2. — DAL «LIBRO DI CHI È NELLA DUAT» 1 Con il nuovo regno si va regolarizzando la concezione dell’aldilà, e i rapporti fra l’oltretomba osiriaco e sotterraneo e quello solare e celeste. Il viaggio del sole, che la sera tramonta a occidente per poi rinascere a oriente alla mattina seguente, comporta un passaggio notturno attraverso il paese sotterraneo dove appunto stanno i defunti. È un viaggio diviso in dodici ore, e di cui è data una minuta descrizione. Questo, di cui offriamo in traduzione alcuni estratti, è il più diffuso fra i testi che nel nuovo regno descrivono l’aldilà. Il nome «Amduat» è tradizionale e significa appunto «Chi è nella Duat». In genere l’andamento della narrazione è assai meccanico e monotono, e mostra quanto nasca da una speculazione frigida di sacerdoti e non da una tradizione antica che scaturisca da una viva vena mitopoietica, come può accadere per simili concezioni dei «Testi delle Piramidi». La stessa metodicità della trattazione lo prova in questo caso, in confronto della estrosa singolarità delle affini ricerche nei testi più antichi. In alcuni casi, comunque, anche qui il racconto può animarsi un poco: così all’ora settima, quando si ha l’incontro con Apopi, il dragone nemico del sole, che (anche se già noto in epoca più antica) proprio verso questo tempo prende importanza nella mitologia solare come antitipo del dio celeste, a fianco della più antica (e ben altrimenti importante e mitologicamente significativa) coppia Horo-Seth. Altrove la descrizione dell’aldilà dà il carattere che conosciamo come tipico dell’ambiente della necropoli menfita di Ro-Setau, che sotto l’autorità del dio Sokaris è un paese dei morti desertico e popolato da serpenti. Il «Libro» è noto in due diverse versioni: una, più ampia, e corredata di vignette è in genere scolpita sulle pareti di tombe regali o su sarcofagi (in epoca tarda anche di privati). Non è sempre completa, ma — come spesso avviene per questi testi — una scelta di capitoli può sostituire l’intiera raccolta. Una versione più breve, priva di vignette, è invece tracciata su papiro, in genere per tombe di privati; ma anche di questa versione si hanno esempi epigrafici in tombe regali. È quella che qui abbiamo seguito.

ORA PRIMA Entra questo dio2 entro la terra per il portale dell’Orizzonte Occidentale. Sono 120 scheni3 da navigare, da questo portale, prima che egli raggiunga gli dei della Duat. «Onda-di-Ra» è il nome del primo Campo4 della Duat. «Misura-poderi» è il nome degli dei che sono al suo seguito5. Egli comincia a pronunciare parole di comando e a fare i consigli degli dei della Duat che sono in questo campo. Questo è fatto secondo questo modello6, che è un segreto della Duat. Quanto a chi conosce questo, il modello e il dio grande stesso, ciò gli sarà utile sulla terra in modo veramente efficiente e gli sarà utile nella Duat assai. «Colei che sacrifica i cuori dei nemici di Ra» è il nome dell’ora prima della notte, che guida questo dio grande da questo portale. … … … … …. 1. G. JEQUIER, Le Livre de ce qu’il y a dans l’Hadès, Paris, 1894; E. A. WALLIS BUDGE, The Egyptian Heaven and Hell, vol. II (The short Form of the Book Am-tuat and the Book of Gates), London, 1905. E. HORNUNG, Das Amduat. Die Schrift des verborgenen Raumes, 2 voll., Wiesbaden, 1963. 2. Il Sole. 3. Lo scheno (come è detto col nome greco) è una misura di lunghezza di circa 2 km. 4. Le divisioni della Duat hanno vari nomi in questo testo: «campi» (sekhet), «caverne» (qereret: ricorda il Libro delle Caverne, un’altra guida dell’Aldilà), «grotte» (tephet). 5. Il testo sembra qui corrotto. C’è un inizio narrativo, che è divenuto nome della divinità in seguito alla caduta forse di una linea del ms. base. 6. Si allude ai disegni, che debbono essere copiati. Questi avvertimenti pratici sono noti anche dal Libro dei Morti.

ORA TERZA Giunge in seguito in pace la Maestà di questo dio grande nel Campo dei Pertu1. Remiga questo dio sull’Onda di Osiri. Sono 309 scheni di lunghezza di questo campo; e di larghezza 120. Pronuncia questo dio grande parole (di comando) a coloro che sono al seguito di Osiri in questa città, ed egli misura per loro i poderi in questo Campo2. «Anime misteriose» è il nome degli dei che sono in questo Campo. Quanto a colui che conosce i loro nomi sulla terra, egli ascende al luogo dove è Osiri, e gli si dà acqua in questo Campo. «Onda-del-Signore-Unico-manifesta-in-pienezza» è il nome di questo Campo. Si fanno queste immagini misteriose delle Anime Misteriose secondo questo modello che è disegnato, come cosa segreta della Duat, con l’inizio della scrittura da occidente3. È una cosa utile per un uomo, sulla terra e nella necropoli, veramente efficiente. Chi conosce questo, quando passerà presso di loro, passerà i loro ruggiti senza cadere nelle loro trappole4. Chi conosce questo…, egli correrà avanti con Ra. Chi conosce questo come anima o spirito, avrà potere sui suoi piedi e non entrerà nel luogo dell’esecuzione, ma uscirà nelle sue forme e respirerà l’aria a sua ora. Il nome dell’ora che guida questo dio in questo campo è «Colei-chetrattiene-le-anime». 1. «Coloro che stanno all’imboccatura (della caverna?)». 2. Cfr. nota 5 dell’«Ora prima». 3. Cominciando a tracciare il disegno da ovest? 4. Immaginate come fosse con reti.

ORA QUINTA Viene trascinato questo dio grande sulle vie veraci della Duat della metà superiore della Caverna misteriosa di Sokaris1 che è sulla sua sabbia. Non si vede e non si guarda questa immagine misteriosa della terra che porta le carni di questo dio. Gli dei che sono (al seguito di) questo dio sentono la voce di Ra, quando egli chiama da presso questo dio. Il nome della Caverna di questo dio è «Segreta-di-strade, -misteriosadell’Occidente, -porta-del-palazzo-segreto, -luogosanto-della-Terra-di-Sokaris, -carne, -membra, -corpo-delia-manifestazione-originaria». Il nome degli dei che sono in questa caverna è «Animeche-sono-nellaDuat». Le loro forme che sono nelle loro ore sono le immagini di Horo stesso. … … … … … … … … … … … …2 Il nome dell’ora della notte che guida questo dio in questa caverna è «Colei-che-guida-quella-che-è-nella-sua-barca». … … … … ….

Harpocrate e Toeri Fra il fiorire di divinità protettrici nelle figurazioni di tarda epoca, ha particolare importanza Horo fanciullo (Harpocrate), che crescendo nascosto nelle paludi del Delta (simboleggiate dalle foglie di papiro) deve sottostare a prove e pericoli da cui esce vittorioso, fornendo così un modello di salvezza ai suoi devoti. Qui insieme con lui è raffigurata la dea ippopotamo Toeri patrona in particolare della maternità. (Torino, Museo Egizio, cat. 1669). 1. Sokaris è dio funerario menfita, signore di un Aldilà sabbioso e popolato di serpenti. Qui la barca del dio deve procedere su questo terreno secco. 2. Omesse le considerazioni sull’utilità del conoscere disegni e formule.

ORA SETTIMA Giunge in pace questo dio grande nella grotta di Osiri. Comanda parole la Maestà di questo dio grande a questa grotta e a questi dei che sono al seguito di questo dio. Egli prende un aspetto diverso in questa grotta per sviare Apopi con le formule magiche di Isi e le formule magiche del Primogenito1. Il nome della porta di questa città, per cui passa questo dio, è «Portale-diOsiri». Il nome della città è «Grotta-misteriosa». La via misteriosa dell’Amente2, avanza questo dio grande sulla sua barca santa su di lei. Egli avanza su questa via priva di acqua, priva di alzana3. Egli procede per le formule magiche di Isi, per le formule magiche del Primogenito, e gli incantesimi pronunciati da questo dio stesso. Si compie lo smembramento di Apopi nella Duat in questa caverna, che è vicina al cielo…4 Chi conosce questo, sarà uno che è nella barca di Ra in cielo e in terra. Ma chi mancherà della conoscenza di queste immagini, non saprà come scacciare il Neha-hor5. Quanto alla secca6 di questo Neha-hor nella Duat, è lunga 450 cubiti, ed egli la riempie con le sue spire. Quel che è sotto il suo controllo è reso tale che non vi può avanzare questo dio grande. Ma egli lo svia nella grotta di Osiri, e avanza questo dio da questa città nell’aspetto di Mehen7. Chi sa questo sulla terra, è uno di cui il Neha-hor non beve l’acqua. Non soggiacerà, l’anima di chi sa questo, alle vio lenze degli dei che sono in questa caverna. Chi sa questo, è uno la cui anima non sarà divorata dal Coccodrillo Ab8. Il nome dell’ora della notte che guida questo dio grande in questa caverna è «Colei-che-tien-lontano-colui-che-attaccachi-genera-(se-stesso), -colei-chefa-a-pezzi-il-Neha-hor». … … … … …. 1. Il sole e la sua barca si trasformano magicamente per sfuggire al serpente Apopi. Il «Primogenito» (smsw) sarà S’u: cfr. Pap. Magico Harris, I, 2. 2. L’«Occidente», terra dei morti. 3. Mancando l’acqua, la barca non può più essere tirata all’alzana. 4. Omesse le considerazioni sull’utilità. 5. Il «Tremendo-di-faccia»: coccodrillo o serpente mitico. 6. Come le secche del Nilo, pericolo per la navigazione. 7. Un serpente mitico, protettore del sole. 8. Coccodrillo mitico.

ORA DODICESIMA Giunge in pace la Maestà di questo dio grande in questa caverna del limite del crepuscolo. Viene partorito questo dio grande dall’aspetto di Khepre in questa caverna1. Si manifestano Nun, Imynut, Hehu e Hehet2 in questa caverna alla nascita di questo dio grande, quando egli esce dalla Duat e giunge in pace alla barca Andyt3, e sorge fra le gambe di Nut. Il nome della porta di questa città è «Colei-che-distinguegli-dei». Il nome di questa città è «Colei-che-si-manifesta-per-l’oscurità, -colei-chesorge-per-le-nascite». Caverna misteriosa della Duat, in cui vien partorito questo dio grande quando egli esce dal Nun e giunge in pace sul ventre di Nut4. Si fa questo come questa immagine che è disegnata a oriente del palazzo segreto della Duat. È cosa utile a chi la conosce sulla terra, in cielo e sulla terra. Inizio della luce, fine del crepuscolo, e dell’andare di Ra nell’Occidente e dei consigli misteriosi che vi fa questo dio grande. … … … … …. 1. Tornando nel cielo superiore, al termine del suo viaggio notturno, il Dio viene «partorito» da Nut, la dea del cielo, e assume l’aspetto di Khepre, il dio solare mattutino in forma di scarabeo. 2. Sono due delle quattro coppie primigenie della teologia di Ermopoli. 3. La barca solare del mattino. 4. Il sole è immaginato in navigazione sul «ventre» della dea del cielo.

3. — DAL «LIBRO DELLE BOLGE» 1 È anche questo un testo che descrive l’aldilà e che anch’esso deriva, in ultima analisi» da questa tendenza a fornire di una guida i morti: tendenza che ha le prime manifestazioni nel Libro delle Due Vie dell’età feudale. Anche qui l’aldilà è diviso in una serie di sezioni (6 «Caverne» anziché 12 «Ore») che il dio del sole percorre. Il testo è quello più carico di appellativi e di tono magico, e quello meno aperto a elementi di narrazione mitica. Ve ne sono vari esempi in tombe regali di epoca ramesside; è la più tarda delle grandi composizioni funerarie del nuovo regno, e la più rara.

O dei che siete nella Duat, la prima bolgia dell’Occidente, portinai del distretto dell’Igert2, Enneade del Principe dell’Occidente! Io sono Ra che è nel cielo, io entro nelle tenebre del crepuscolo, io apro il portale del cielo nell’Occidente. Prendetemi, tendendo le vostre braccia verso di me. Ecco, io conosco il vostro posto nella Duat. Ecco, io conosco i vostri nomi, le vostre caverne, i vostri segreti. Io so di che vivete quando Duaty3 vi ordina di vivere. Le vostre gole respirano quando udite la parola di Osiri. Quando io traverso la Duat e tramonto nelle vie dell’Occidente, le vostre offerte, la vostra dignità, la vostra potenza sono nelle vostre bolge. Voi avete udito le mie parole. Io vi ho chiamato per i vostri nomi. Ra dice agli dei che sono nella prima bolgia della Duat: «O Mordente4 che è nella sua bolgia, grande di terrore, primo nella Duat! Inchinati, ritira la tua spalla. Ecco, io entro nella terra del bell’Occidente per fare quel che si conviene a Osiri, per salutare quelli che sono in lui. Io pongo i suoi nemici ai loro ceppi, io dico parole di comando a coloro che sono al suo seguito, io rischiaro la tenebra della Camera misteriosa in favore di questo Osiri signore dei Due Paesi, N. N.5 figlio di Ra, signore delle corone N. N. giustificato, nel bell’occidente. O Tremendo-di-Viso6 che è nella sua bolgia, cui quelli che sono nella Duat consegnan le anime del luogo di esecuzione! Inchinati, ritira la tua spalla. Eccomi, io entro nel bell’Occidente per fare quel che si conviene ad Osiri, per salutare quelli che sono in lui. Io pongo i suoi nemici ai loro ceppi, io dico parole di comando a coloro che sono al suo seguito, io rischiaro la tenebra della Camera misteriosa per il re N. N. giustificato. O tu Figlio-della-Terra7 che circondi la Porta dei Passaggi8 per il principe della Duat! Inchinati, ritira la tua spalla. Eccomi, io entro nel bell’Occidente per compiere quel che si conviene a Osiri, per salutare quelli che sono in lui. Io pongo i suoi nemici ai loro ceppi, io dico parole di comando a coloro che sono al suo seguito, io rischiaro la tenebra della Camera misteriosa per il re N. N.

giustificato. O tu Enneade di Urei, le cui fiamme sulle cui bocche son destinate a bruciare i nemici di Osiri! Inchinati, ritira la tua spalla! Eccomi, io entro nel bell’Occidente per compier quel che si addice a Osiri, per salutare quelli che sono in lui. Io pongo i suoi nemici ai loro ceppi, io dico parole di comando a coloro che sono al suo seguito, io rischiaro la tenebra della Camera misteriosa, per il re N. N. giustificato. O Enneade degli dei che sono al seguito del Toro dell’Occidente! Inchinati, ritira la tua spalla! Ecco, io entro nella terra del bell’Occidente per fare quel che si conviene ad Osiri, per salutare quelli che sono in lui. Io pongo i suoi nemici ai loro ceppi, io dico parole di comando a coloro che sono al suo seguito, io rischiaro le tenebre della Camera misteriosa. O dei che siete nei misteri e che abitate la Duat, eccomi! Io sono entrato nell’Occidente, io ho traversato la prima bolgia, io ho parlato a coloro che vi sono. Quel che io ho detto è ciò che essi han fatto9. È quel che io ho ordinato, ciò di cui essi si son compiaciuti. Essi han piegato le loro braccia, essi han ritirato per me le loro spalle. Ecco io vi passo davanti perché voi possiate vedermi10. O Enneade degli dei che riposano nei sarcofagi (?) misteriosi, signori dei riccioli, i cui posti di riposo sono eccelsi, e soddisfatti nelle tenebre del crepuscolo! O Enneade degli dei grandi di silenzio nella terra d’occidente, che sono come guardiani delle anime, signori delle razioni nell’Occidente, che protendono le loro facce come cani per leccare la putredine e la sozzura! O tu, dio grande di aspetti, nella cui mano sono gli … di Osiri, la secrezione di Colui che presiede alla Duat! O tu dea grande di mistero, su cui sono i ribelli di Osiri, cui si affida la grande immagine del principe dell’Occidente, che presiede agli dei! Inchinate per me la vostra mano, ritirate per me le vostre spalle! Ecco, io entro nell’Occidente per fare quel che si conviene ad Osiri, per salutare quelli che sono in lui. Io pongo i suoi nemici ai loro ceppi, io dico parole di comando a coloro che sono al suo seguito, io rischiaro la tenebra della Camera misteriosa. Voi siete degli esseri in pace nei loro sarcofagi (?), dei cadaveri onorati, delle anime che ascoltano la parola di Osiri. Oh, eccomi, io entro fra voi.

Quegli certo respira che vede (me), quegli certo respira che vede (me), quegli certo respira che si allegra al mio aspetto. Io mi allegro per il re N. N. giustificato. O Osiri che sei nella Duat, io sono Ra. Dammi la tua mano. Sono io il signore dell’anima, il possente fin dall’epoca degli antenati, e colui che gli Occidentali temono. Io faccio quel che si addice alla Duat, io faccio sì che le anime posino sui loro cadaveri. Ecco, quando io poso sul mio cadavere, la Duat conduce le mie anime al luogo dei misteri… O Enneade di Osiri, che giudichi nella Duat di Osiri che presiede all’Occidente, quelli che lo seguono posano nella cappella del grande Figliodella-Terra11 che lo protegge; quelli della sua cerchia posano nei loro sarcofagi (?). Ai loro cadaveri misteriosi di modi si congiungono i serpenti che sono nella terra. O grandi dei, (date)mi la vostra mano. O Enneade che sei in Osiri, conducetemi verso le vie della Duat, verso le grotte misteriose. Io chiamo quelli che sono nelle Camere misteriose, io li curo, io faccio quel che loro si conviene, io li illumino, io caccio la loro tenebra, io faccio sì che essi posino sui loro troni, sui loro troni. Io pronuncio parole a quelli che sono al suo seguito, io rischiaro le tenebre della Camera misteriosa. Tu sei il Grande, il Soprastante ai Misteri, colui che presiede a (questo) posto. Io rischiaro le tenebre della Camera misteriosa per il re N. N. giustificato. O Enneade delle dee dritte sul deserto (?) sotto cui sono le immagini misteriose del Grande dell’Occidente! O Enneade degli dei che sono nei sarcofagi (?), venerati, che sono al seguito dei Capi degli Occidentali! O Grande Misterioso dai consigli nascosti, custode dell’immagine segreta di Osiri signore degli Occidentali! O Isi e Nefti, le due dee grandi dell’Occidente! Date le vostre braccia, annodate le vostre protezioni sulla grande immagine che è nelle vostre mani. O Ady misterioso di forme, che presiedi alla bolgia di Osiri! Tu possiedi l’aspetto di Colui che è preposto alla Duat; tu sei venuto in esistenza procedendo da lui; egli ti ha comandato di essere a capo della sua bolgia; tu possiedi il suo cadavere in decomposizione. Dei che vi rallegrate ad incontrarmi, datemi la vostra mano, accoglietemi, guidatemi verso le vie dell’Occidente, in modo che io possa dar vita ai cadaveri che vi sono, che io possa concedere che posino le loro anime su di loro, che io

li faccia respirare, che io illumini la loro tenebra, che io metta la quiete nella mia bolgia. Io vi saluto, o dei dell’Enneade che è in Osiri, i cui nemici io pongo sul loro ceppo; io vi dico parole di comando, io illumino le tenebre della Camera Misteriosa. Io passo presso di voi perché voi guidiate la mia anima; io passo presso il re N. N. giustificato perché egli guidi la mia anima. O Grande-della-Terra12, eccelso di valore, che trema facendo tremare quelli che sono su di lui13! O Doppia-Fiamma14, grande di fiamma, che dà il suo fiato infocato … egli stesso! O Serpente che è nel mondo inferiore, che non vede il dio grande! O Serpenti, o voi serpenti inferiori della Duat inferiore di Osiri, portinai del Segreto di Consigli, che non escono dalle loro bolge, eccomi! Io grido il vostro nome senza che mi vediate; io vi pongo nel vostro posto di esecuzione15. O Portinai della Grande di Tenebre, io faccio che voi siate fermi al vostro posto, così, così…16 Io vi ho posto a guardia (?) dei nemici di Osiri, che non possono sfuggire sotto le vostre dita. Restate dunque al vostro posto, distruggete dunque nelle vostre bolge nella Duat inferiore di Osiri, per compiere la sorveglianza dei suoi nemici. Voi siete i Figli della Terra, cui io ordino di custodire … i ribelli, di tagliare i colli di chi deve essere decapitato, di tagliare la testa di chi deve essere distrutto. Voi siete quelli che fanno quel che io vi ho ordinato, o Figli della Terra! O … ribelli che io ho collocato in essa, voi siete i nemici di Osiri, che gettate il male nella Terra segreta; io vi ho assegnati ai Figli della Terra, e voi non potrete sfuggire alla loro sorveglianza, così, così… Io li ho assegnati al luogo dell’annientamento. O voi che dovete essere annientati, o voi che dovete essere decapitati, nemici di Osiri, la cui testa è tagliata, che non han più collo, che non han più anima, annientati nei loro cadaveri, eccomi! Io passo sopra di voi; io vi assegno ai vostri mali; io vi conto come non esistenti: siete voi quegli oppressi dal male che risiedono nel luogo di annientamento. O Grandi serpenti, Figli della Terra, portinai del Luogo dell’annientamento, custodite e trattenetevi questi nemici di Osiri. Ecco, io passo dalla vostra bolgia, e mi poso nel bell’Occidente per fare che

esistano i loro ceppi contro di loro, per annientare le loro anime, per cancellare le loro ombre, per distruggere i loro cadaveri, per rapire i loro spiriti, per legare e incatenare i tuoi nemici, o Principe dell’Occidente. Quando io penetro nell’Occidente quelli che sono là fan festa incontro a me. 1. O delle Qererut. L’edizione che seguo per questo saggio di traduzione (del testo del primo dei sei quadri di cui si compone l’intera opera) è quella di A. PIANKOFF, Le Livre des Quererets, in «Bull. Inst. Fr. Arch. Or.», XLI (1942), p. 1 segg. 2. Uno dei nomi dell’Aldilà. 3. «Quello della Duat». 4. Con il determinativo di Serpente. 5. Qui è il nome del sovrano per cui è copiato il testo. 6. Neha-hor, e determinativo di serpente. 7. È determinativo di serpente. 8. Ro-setau. 9. «Le mie parole di comando sono state eseguite». 10. Così con un lieve emendamento. 11. Determinativo di serpente. 12. Serpente. 13. Che causa i terremoti? 14. Serpente: l’ureo regale (e perciò doppio). 15. «il posto in cui voi siete i carnefici». 16. Testo corrotto.

4. — EPIGRAFI FUNERARIE1 Sono esempi di varia provenienza e di varia epoca di iscrizioni tombali del regno nuovo. Il motivo religioso che in tutti i casi è sottolineato è che la sopravvivenza è condizionata dalle offerte dei supersititi: ai quali la stele si rivolge, e dai quali chiede che, in un modo o nell’altro, si occupino del morto. Spesso ci si contenta della pura e semplice recitazione della formula stereotipa, e si augura a chi compie questa leggera fatica («solo un soffio» di voce) che possa essere compensato in questo mondo e nell’altro e possa raggiungere quel che per un egiziano è la felicità e la fortuna. Altre volte la stele cerca di convincere il lettore a pronunciare la formula ricordando quali siano stati i meriti e le virtù del morto: è anche questo un modo assai tradizionale, che ha le sue origini nelle biografie convenzionali dell’antico regno. In altri casi, infine, la stele comporta un inno a una divinità cui si affida il compito di far sì che al defunto sia dato quanto gli spetta. La stele è di regola collocata nella tomba, e finisce per diventare il centro stesso delle cerimonie del culto funerario: davanti è posta la tavola d’offerta, e davanti ad essa si celebra il rito. In taluni casi essa rappresenta, si potrebbe dire, il morto. E così può anche essere altrove che nella tomba, se si vuole che al defunto vengano i vantaggi della vicinanza di un determinato santuario presso il quale non è materialmente sepolto. Così si spiega come ad Abido, presso il santuario di Osiri, il più illustre degli dei funerari, si addensino le stele di persone certo sepolte altrove. Oltre al testo, la stele comporta in genere illustrazioni varie, fra le quali è comunque tipica la scena del defunto seduto davanti alla tavola d’offerte che si accinge al banchetto.

A2 … … … … …. Egli3 dice: «O principi, o scribi, o sacerdoti ritualisti, o seguaci, o uomini dell’esercito! Se avete a cuore che vi amino i vostri dei cittadini; se volete trasmettere la vostra dignità ai vostri figli dopo che sia giunta la vecchiaia; allora dite: “ Un’offerta funeraria di …4, alto di penne, signore della vita, che dà l’amore, signore del seppellimento dopo la vecchiaia5. Che egli6 dia un uscire alla voce7 di pani, buoi, uccelli, ogni cosa buona e pura che esce sulla tavola d’offerte del Signore Universale, per il ka del cancelliere, grande preposto della Casa della regina madre, Kares… ”». 1. Do qui un piccolo gruppo, scelto assai arbitrariamente, di stele funerarie del Nuovo Regno, tali da mostrare quel che è il normale tipo del formulario. 2. È parte di una stele del tempo di Amenofi I, che dopo i titoli del morto, dice quali siano i suoi desideri. Edizione SETHE, Urkunden der 18. Dyn., Leipzig, 1906-9, p. 48. 3. Cioè il defunto Kares, di cui prima son dati i titoli. 4. Il nome del dio è in lacuna: sarà Ammone o Min. 5. Sono titoli del dio. 6. Il dio. 7. È formula tecnica. Faccia in modo che, al pronunciar della formula funeraria, il morto abbia l’offerta subito dopo specificata, creata magicamente dalla pronuncia.

B1 Sia pago e dia il re ed Osiri signore di Busiri, il dio grande, signore di Abido. Egli dia un uscire alla voce di pani, birra, buoi, uccelli, unguenti, vesti, e ogni cosa buona, pura, di cui vive un dio, e che dà il cielo, che crea la terra, che porta l’inondazione dalla sua caverna; e l’abbondanza, e il respirare dolce del vento del nord, e il bere l’acqua al gorgo della corrente — al ka del Principe dell’Oasi, parente vero2 del re, che egli ama, It-nefer, giusto di voce3, e di sua moglie che egli ama, Iy, giusta di voce. Monumento che ha fatto suo fratello4, lo scriba Horemakhet, che ripete la vita5. 1. Iscrizione contemporanea alla precedente. Edizione SETHE, op. cit., pp. 50-51. 2. «parente» è titolo di un grado a corte. «Parente vero» è indicazione genealogica. 3. È il titolo normale dei defunti; che allude al fatto che hanno bene sostenuto la prova della verità durante la psicostasia. 4. Si indica spesso chi abbia curato il corredo della tomba. In genere è il figlio. 5. È attributo funerario frequente in quest’epoca.

C1 Adorare Up-uaut, signore della Terra Santa, da parte dell’araldo del Visir Senusret. Egli dice: «Salve, Up-uaut, toro delle offerte, signore delle provvigioni, grande per la corona ureret! Appena uscito dal grembo materno egli si impadronì della corona ureret. Dio grande, uscito sazio2 per cui decretò Geb la sua eredità. Dio eccelso, signore di Ro-setau. Possa tu collocarmi fra i nobili seguaci che sono al tuo seguito!» 1. W. WRESZINSKI, Aegyptische Inschriften aus dem K. K, Hofmuseum in Wien, Leipzig, 1906, I, 15. 2. dal grembo materno.

D1 Adorare Ra quando sorge all’orizzonte orientale del cielo da parte del nobile principe soprastante al tesoro, Mery-Ra. Egli dice: «Salve, Ra Atum! Io sono uno di quelli che tu hai fatto sulla terra, che tu hai chiamato in esistenza sulla terra, che tu hai fatto come persone scelte fra la gente, che tu hai reso illustri per tutta la terra! Possa tu compiere il piano che hai comandato facendo avanzare il mio ka in tuo cospetto2. Possa io essere al seguito del tuo ka nella sektet3, frammezzo (?) i seguaci (tuoi) della andet, quando tu tramonti all’Occidente, mentre io sono con loro e si fa il mio posto in mezzo a loro. Io sono, invero, uno che adora Iddio; e non si è mai saputo che io abbia tardato durante questa traversata, quando io sono al seguito del mio signore. Io appartengo ai seguaci lodati e che vivono di verità. Io ho raggiunto la sepoltura (senza) colpa, facendo quel che giova al re. Non ci fu uno ‘ sbrigati! ’4 in me. Il mio signore è uno che ama la verità…». 1. WRESZINSKI, op. cit., I, 17. 2. «Come mi hai favorito in vita, possa tu continuare a favorirmi dopo morto». 3. Barca solare, come la andet. 4. Non c’è stato mai bisogno di sollecitarmi. Elementi di una autobiografia convenzionale sono frequenti nei testi funerari.

LA MAGIA DAL «PAPIRO MAGICO HARRIS»1 È uno dei più ampi papiri magici che ci abbia restituito l’Egitto, e il più importante fra quelli del nuovo regno. Come dice l’intestazione, si tratta di una raccolta di testi che hanno uno scopo ben preciso: quello di tener fermi e inoffensivi i coccodrilli nell’acqua. È opera di un redattore che sa adoperare e coordinare materiale di assai diverso tipo. All’inizio si hanno tre inni a S′u, il figlio di Ra, che qui è rappresentato come difensore di suo padre, e tale che garantisce la sicurezza del viaggio della barca solare, pronto com’è all’attacco contro i nemici che le si oppongano. Gli inni non han nulla di magico, ma alludono alle funzioni del dio e — con molta parsimonia — ai suoi miti. In quanto però il mago deve ora anch’egli operare a difesa di una barca che sulle acque terrene può essere aggredita come sulle acque celesti può essere aggredita quella del sole, così la celebrazione del difensore della navigazione celeste è, per magia simpatica, utile anche contro i coccodrilli. L’appello a Sepa, divinità millepiedi originariamente adorata a Eliopoli, probabilmente celebra l’autorità che questo dio ctonio ha sui rettili, figli anch’essi della terra. E l’appello agli dei primordiali di Ermopoli, signori del caos liquido originario, deve servire a porre in loro balìa i coccodrilli che nell’acqua appunto vivono. I richiami mitologici danno maggior valore all’invocazione. Ad Ammone dio onnipotente ci si rivolge per aiuto generico, e anche perché, come dio solare, ha ereditato dalla più antica mitologia la lotta con le creature maligne che nell’acqua ne insidiano la navigazione. Questo primo gruppo di formule consta in realtà di una serie di inni abbastanza comuni come intonazione, che assumono una particolare funzione cultuale. La seconda parte del testo è invece più tipicamente magica. Gli scongiuri, le frasi esorcistiche, le maledizioni, si fanno più dirette, l’operatore tende a identificarsi con la divinità che deve aver potere sui rettili, e fa allusioni mitologiche e richiami a concezioni che assai spesso ci sfuggono nel loro significato. Insieme con le formule viene data spesso l’indicazione del gesto che bisogna compiere perché l’operazione sia completa. È interessante notare che abbiamo figurazioni che mostrano l’attualità di questi testi: così in molte rappresentazioni di navigazione fluviale c’è a prua un uomo che fa gli incantesimi contro i coccodrilli, e talvolta si può vedere che tiene in mano quell’uovo di creta di cui parla una delle formule come di efficace mezzo apotropaico. Notevoli i passi in cui il mago esalta il suo favoloso potere: egli è capace di porre a soqquadro il cosmo se la sua volontà non sarà esaudita. Queste minacce fan parte del normale rituale magico, e non solo egiziano. Seguire i particolari dell’interpretazione può essere spesso rischioso e sempre difficile. Quel che è legittimo intuire e spiegare è dichiarato nelle note; ma, a parte i singoli punti, il testo mostra quanto ormai la esperienza magica sia concresciuta con quella religiosa, come la materia mitologica alimenti ormai indifferentemente l’una e l’altra — e forse, nel nuovo regno, addirittura più la prima che la seconda. Dietro queste formule, di carattere e di scopo essenzialmente pratico, non bisogna cercare naturalmente nulla che assomigli a più tarde concezioni della magia come forma speciale di presa di contatto immediata con forze ignote che regolano il mondo: qui si ha solo una applicazione alla vita quotidiana di elementi di una comune e vasta esperienza religiosa.

(Introduzione) Le belle formule da cantare che tengono lontano il Natante2 (= il coccodrillo). (Inno a S′u)3

Salve, o erede di Ra, figlio primogenito, uscito dalle sue membra, che egli ha prescelto davanti agli (altri) suoi figli, la cui forza è come quella del Signore degli Aspetti, che fa cadere i nemici ogni giorno. Se la barca (solare) ha vento favorevole, il tuo cuore è contento. La barca Andty4 è in festa quando vedono S′u, il figlio di Ra, in veste di trionfatore, quando egli configge il suo spiedo nel Maligno5. Quando Ra traversa il cielo alla mattina Tefnut6 è calma sul suo capo ma getta la sua fiamma contro i nemici di lui per ridurli a non esistenti. Tu che hai provvisto Ra con la Grande-di-magia7 come erede sul trono di suo padre; tu il cui ka è soddisfatto con il ka8 di Ra con il cibo e le vettovaglie di colui che gli è presso; (tu), per cui egli ha fatto un testamento come scrittura del signore di Ermopoli9, lo scriba … di Ra Harakhte nel palazzo del Castello Eccelso di Eliopoli. È saldo, è perfetto, è valido in iscritto sotto i piedi di Ra Harakhte10 in modo che egli lo renda valido per il figlio di suo figlio per sempre e eternamente. (Secondo inno a S′u) Salve, o tu figlio di Ra, generato da Atum in persona, da colui che è venuto in esistenza da solo11, senza che ci sia sua madre. Tu giusto, signore della giustizia; tu possente che hai potere sugli dei, che porti l’Occhio di Horo a suo padre Ra, che lo offri a lui con le tue stesse mani; che plachi la Grande nell’ira12; che alzi il cielo13, e lo tieni saldo con le tue due mani;

tu, su cui ogni dio si appoggia; re della Valle e re del Delta, S′u-figlio-di-Ra14, v.f.s.; tu dio della prima volta; tu che sei fornito dello splendore dell’ug′at in Eliopoli per abbattere i nemici di tuo padre, tu fai che proceda la barca (solare) in pace con l’equipaggio in allegrezza. Tutti gli dei sono in festa ed in gioia quando sentono il tuo nome. (Terzo inno a S′u) Tu sei misterioso e sei grande più degli dei in questo tuo nome di S′u, figlio di Ra! Sta, o Maga15, figlio di Seth16: io sono Onuri17 il grande, signore della forza. Tu sei eccelso, tu sei grande più degli dei in questo tuo nome di «Grandissimo». Tu sei elevato fino al cielo con le tue due penne in questo tuo nome di «Elevato quanto alle penne». Tu sei venuto da là (?) al tuo sostegno in questo tuo nome di «Colui che è sul tuo sostegno». Tu hai riportato la lontana18 con il tuo scettro in questo tuo nome di Onuri19. Tu tieni lontano il maltempo dopo che hai rischiarato le nubi in questo tuo nome di «Colui che allontana il maltempo». Tu tieni lontano il Rabbioso20 uscito dal Nun21 in questo tuo nome di «Colui che tiene lontani i rabbiosi». Tu configgi il tuo spiedo nel serpente maligno in questo tuo nome di «Puntuto di corna»22. Son più illustri i tuoi aspetti che (quelli degli altri) dei in questo tuo nome di «Colui che è a Tini». Ha iniziato Ra come tu inizi in questo tuo nome di S′u, figlio di Ra. Se tu afferri il tuo spiedo, tu fai cadere i nemici in questo tuo nome di Horo dal forte braccio. Tu tieni lontani i Trogloditi della Nubia.

in questo tuo nome di Luogotenente di Ra. Tu fai a pezzi i Beduini d’Asia in questo tuo nome di «Fanciullo primogenito». Vigoroso è il tuo nome più (di quello degli altri) dei in questo tuo nome di «Colui che è entro la Sektet»23. È provvisto il tuo naso di vita e di felicità (?) in questo tuo nome di «Fanciullo primogenito». La tua spada è sul capo dei nemici in questo tuo nome di «Signore della spada». Tu veleggi quando la barca (solare) veleggia bene in questo tuo nome di Maat. (Appello a Sepa) O tu Sepa24 che hai fatto il tuo corpo, o tu signore unico uscito dal Nun, o tu Hu che ti sei creato da solo, o tu che hai creato il tuo nutrimento che è in te, o tu che hai creato tuo padre, e la cui madre è nascosta. (Appello ai Cinque dei di Ermopoli) Salve, o cinque dei eccelsi25 usciti da Ermopoli, che non siete nel cielo, che non siete sulla terra, che il sole non illumina! Venite a me esaminate per me il fiume suggellate chi è in lui26. Voi che siete tuffati, non uscite fuori! Suggellate le vostre bocche, chiudete le vostre bocche, come è stata chiusa la finestra a Mendes27 quando (?) si rischiarò la terra a Oriente; come fu suggellata la bocca della vagina di Anta e di Astarte le due grandi dee che concepirono, ma non partorirono28. Esse furono suggellate da Horo,

esse furono aperte (?) da Seth. Sono quelli che stanno in cielo che fanno le formule magiche vostre29. (Inno ad Ammone) Adorazione di Amon Ra Harakhte, che venne in esistenza da solo, che fondò la terra quando cominciò, fatto dagli Otto dei del momento primigenio30 quando essi venerarono la Maestà di questo dio splendido, Ammone, dio primigenio delle Due Terre, quando egli sorse dal Nun e dalla Naunet31. Quel che si dice sull’acqua e sulla terra: «Salve a te, o unico che hai creato te stesso nei milioni, Lungo, largo e senza limiti! Tu possente, tu fornito, che hai partorito te stesso, ureo grande per la fiamma, Grande-di-magia misterioso di aspetti, anima misteriosa per la quale è fatto un maestoso aspetto, re della Valle e re del Delta Amon-Ra32, v.f.s., venuto in esistenza da per sé, Quegli dell’Orizzonte, lo Horo dell’Oriente, quegli che sorge e illumina e splende, lo splendore splendido più degli (altri) dei. Tu ti nascondi33 nell’(o: come?) Ammone34 il grande. Tu ti …35 nelle tue manifestazioni nel (o: come?) Disco solare. O Ta-tenen36 che ti innalzi più degli dei, vecchio che ringiovanisci e traversi l’eternità37, Ammone che sei saldo in ogni cosa38, o dio che hai iniziato il mondo secondo i tuoi piani! Vieni, dunque, a me, o signore — v.f.s. — degli dei, fa’ cadere per me ogni male; tutte le cose maligne che sono nel fiume possa tu farle per me come i ciottoli del deserto come i cocci rotti che son sulla strada». (Secondo inno ad Ammone) Dicono gli Otto Dei Primigeni, i grandi che venerano il dio che è fra di loro

le ossa del quale son d’argento, la carne del quale è d’oro, il copricapo39 del quale è di lapislazzuli vero. Gli Otto Dei dicono: O Ammone che si nasconde nella sua pupilla40, o Ammone che brilli nella tua ug′at, miracoloso di manifestazioni, santo che non si conosce, luminoso di aspetto che ti fai vedere nel tuo occhio, misterioso fra i misteriosi, il cui mistero non si conosce, lode a te fino al ventre di Naunet!41 Ti lodano i tuoi figli, gli dei. Si unisce Maat alla tua cappella misteriosa, ti celebra la madre tua Meret42. Tu hai fatto sprizzare la luce alla mattina presto43, tu hai circondato le Due Terre con la tua luce, Tu ti appoggi a questa montagna che è in Igeret44. Ti adorano le facce45, gli is′au46 ti adorano, ti accolgono le schiere degli sciacalli, e fan passare la tua barca (solare) per le montagne nascoste47. I tuoi cinocefali e le anime dell’Oriente (ti adorano), essi giubilano alla luce del tuo disco. Fan festa per te le Anime di Hierakonpolis quando i tuoi raggi irradiano i loro volti. Tu passi ai tuoi due cieli senza nemici mentre il tuo soffio infocato brucia il «Malvagio-di-faccia». Custodisce il pesce des′er la tua barca (solare), predice a te il pesce abd il serpente unty, e conficca l’Ombita48 il suo spiedo in lui, dopo che egli ha agitato (?) cielo e terra nella sua tempesta. Le sue formule magiche sono possenti per domare i suoi nemici, la sua lancia è confitta nello uben-ra19. Lo sorveglia Aqer, e fa le sue protezioni dopo che egli lo ha afferrato e lo ha cacciato nel suo covo(?). I tuoi due occhi50 lo mangiano… Lo divora la fiamma, che brucia uno più grande di lui.

Essa comincia dal suo capo e raggiunge le sue piante, essa brucia tutte le sue membra col suo calore. Tu fai navigare il tuo equipaggio con vento favorevole. Il Lago dei Due Coltelli51 è in pace sotto di te, è in letizia la tua barca, si allargano le tue vie da quando tu hai afferrato quel malvagio. Le (stelle) che non tramontano e quelle che (non riposano) e quelle dalle mille anime52 (sono in festa) quando tu ti avvicini in trionfo. Ti abbraccia il cielo, ti getta le braccia attorno tua madre quando tu hai passato l’orizzonte dell’occidente. Tende la terra le sue due braccia per prenderti, ti adora tutto quel che esiste. (Formula contro i coccodrilli) «Vieni dunque a me, o signore degli dei! Tieni lontani da me i leoni del deserto e i coccodrilli nel fiume, ogni bocca53 che morde nella sua tana. Indietro, Maga figlio di Seth! Tu non remighi con la tua coda, tu non afferri con le tue due braccia, tu non apri la tua bocca! Diviene l’acqua un soffio infocato di fiamma davanti a te! Il dito dei 77 dei è nel tuo occhio, e tu sei legato al grande picchetto di atterraggio di Osiri. Tu sei legato ai quattro … (sostegni?) di smeraldo dell’Alto Egitto che sono alla prora della barca di Ra! Sta, o Maga figlio di Seth! Guarda, io sono il Toro di Sua Madre!54» Dire le parole su una immagine di Ammone con quattro facce su un solo collo, dipinto sul pavimento con un coccodrillo sotto i piedi; gli Otto Dei alla sua destra e alla sua sinistra in atto di dargli gloria. Prima formula di ogni incantesimo sull’acqua

Di cui i soprastanti dicono: «Non fidarti di un’altra; è un segreto vero della Casa della Vita»55. «Uovo dell’acqua, spurgo della terra, … degli Otto Dei, grande nel cielo, grande nella Duat, che sta nel nido davanti al Lago dei Due Coltelli! Io sono uscito con te dall’acqua, io penetro con te nel tuo nido. Io sono Min di Coptos, io sono Min signore della terra di Coptos». Si reciti questa formula sopra un uovo di creta posto nella mano di una persona a prua della barca. Se esce quegli che sta nell’acqua56, lo si getti dentro l’acqua. Altra formula «Io sono il prescelto dei milioni, uscito dalla Duat di cui non si conosce il nome. Se si pronuncia il suo nome sulla riva del fiume esso si inaridisce. Se si pronuncia il suo nome sulla terra essa si incendia. Io sono S′u, immagine di Ra, che siede dentro l’ug′at di suo padre. Se apre quegli che è nell’acqua la sua bocca, se agita le sue due braccia, io farò che la terra cali nell’Oceano, e il Mezzogiorno divenga Settentrione, e la terra si metta a girare». Recitare quattro volte su una ug′at in cui sia una figura di Onuri disegnata sulla mano della persona. Altra formula «Vieni a me, vieni a me, o immagine dei milioni di milioni, o Khnum figlio unico,

concepito ieri e partorito oggi! Tu di cui io conosco il nome, che hai settantasette occhi e settantasette orecchie. Vieni a me, fa’ che sia ascoltata la mia voce come è ascoltata la voce del Grande negeg57 nella notte. Io sono la grande inondazione». Recitare quattro volte. Altra formula «O anima, o anima! Io sono Anubi Sopdu figlio di Nefti». Recitare quattro volte. Altra formula «Destra, destra, sinistra, sinistra! Io sono Anubi Sopdu figlio di Ra». Recitare quattro volte. Altra formula «Batte Isi con la sua ala: essa chiude la bocca del fiume, essa fa che il pesce giaccia sul limo. Non lo sommerge l’onda. Si abbatte Isi sull’acqua, si alza Isi sull’acqua. Le sue lacrime cadono nell’acqua. Ecco, Horo violenta sua madre Isi e le lacrime di lei cadono nell’acqua58 ……………………….59 È Isi che legge60: «Non ci sono coccodrilli» e che fa (il rito). Protezione magica, viene la protezione magica. (Omessa la formula VII, 12 - VIII, 1) Altra formula «Cala, cala dall’Oriente del cielo all’Oriente della terra! (?) O Ammone, sta’ come signore che prende la corona bianca di tutto quanto il paese! Non tacere!

Vieni di fretta! (?) Suggella le loro bocche! Tutti i rettili toccano il suolo per terrore davanti alla tua potenza, o Ammone!» Altra formula «Salve, o tu cinocefalo di sette cubiti, il cui occhio è d’oro, il cui labbro è di fuoco, tutte le cui parole sono fiamma. Tieni fermo il natante, in modo che io esca (?) sano». Altra formula «Tu non sarai sopra di me, poiché io sono Ammone. Io sono Onuri, il bel combattente, io sono il grande, il signore della forza. Non attaccare combattimento, poiché io sono Montu. Non minacciare (?) poiché io sono Sutekh. Non alzare le tue braccia contro di me, poiché io sono Sopdu. Non avvicinarti, poiché io sono S′edu61. I sommersi62, possano essi non avanzare; quelli che avanzano, possano essi non essere sommersi. Essi son gettati (?), navigando secondo corrente sulla corrente, come morti sul flutto. Son suggellate le loro bocche, come son suggellati i sette grandi suggelli suggellati per sempre». «O tu, nano che sei in cielo63 tu nano dalla grande faccia alto di busto e corto di gambe! Tu grande colonna che cominci dal cielo (fino) alla Duat!64 Tu signore del grande cadavere che riposa in Eliopoli!65 Tu grande signore vivente, che riposi in G′edet!66 A te è il Tale figlio della Tale! Custodiscilo di giorno, veglialo di notte, proteggilo come proteggesti Osiri da quello il cui nome è nascosto, quel giorno del seppellimento a Eliopoli. Io sono il Leone di Imet67, la casa della fenice.

Il tuo aspetto è quello di una scimmia dopo che è divenuta vecchia … quando mi scrivesti. Ci si sedette al Muro Bianco68 dicendo: “ Fa’ che mi faccia un tabernacolo di mezzo cubito ”. Benché tu sia un gigante di sette cubiti. Ti si dice: “ Non ti sarà possibile di entrare nel tabernacolo di mezzo cubito poiché tu sei un gigante di sette cubiti ”. Eppure tu entri e stai comodo in quello. … … … … …. Il tabernacolo fu aperto, il tabernacolo fu aperto, e colui che vi era dentro aveva la faccia di scimmia. Ahi, ahi! Fuoco, fuoco! Fu plasmata una statua (?) di cinocefalo». Altra formula. «O voi che siete entro il santuario settentrionale (?), nell’ipostila in cui si giudica, voi signori del santuario meridionale e del santuario settentrionale, levate il vostro viso contro Chi è nell’acqua! Osiri è sull’acqua, e l’Occhio di Horo è con lui. … quando mi scriveste ci si mise a sedere nel Muro Bianco dicendo: ‘Fa’ che mi si faccia un tabernacolo di mezzo cubito’. Si dice a te: ‘O uomo di sette cubiti e mezzo come farai ad entrarvi?’. Te lo si è fatto perché tu ci stia comodo. Maga, il figlio di Seth, è venuto e lo ha aperto. Egli ha visto chi vi è dentro, che aveva una faccia di scimmia e una criniera di cinocefalo. Ahi, ahi, ahi, ahi! Fuoco, fuoco, fuoco, fuoco! Non sono io che lo dico, non sono io che lo ripeto69: Maga il figlio di Seth è quegli che lo dice e che lo ripete». Recitare le parole su un disegno di due coccodrilli. (Omessa la formula A IX, 13-14) Altra formula per scacciare dai pascoli70 «Tu sei quegli che è portato71 dalla formula del pastore.

Gridò a gran voce Horo nel pascolo quando il suo bestiame gli disse ‘Aspetta’: ‘Fa’ che si gridi per me a Isi, la mia buona madre, a Nefti la mia sorella72, perché esse mi diano protezione al mio mezzogiorno, al mio settentrione al mio occidente, al mio oriente; perché sia suggellata la bocca dei leoni e delle iene, — il meglio del bestiame che ha alta la coda73, che mangia carne, che beve sangue —, per scacciarli, per prenderne le orecchie, per dar loro l’oscurità e non dar loro la luce, per dar loro la cecità (?) e non dar loro la vista, in tutti i miei campi questa notte. Fermati, tu, lupo cattivo! Vieni, che io faccia che tu passi il giorno essendo legato, senza che ti si sciolga. È Horo quegli che fa che tu lo trascorra (così). Il cielo è aperto sopra di te, sperde Huron74 le tue minacce. È tagliata la tua gamba da Arsafe dopo che Anta ti ha abbattuto. Una mazza (?) di bronzo è battuta sulla tua testa: la afferra Horo, e Seth spezza (per mezzo di lei). Naviga a Sud, a Nord, a Ovest, a Est: il pascolo è protetto tutto quanto, tu non vi (?) sei imprigionato. Non gettare il tuo sguardo su di me75, getta il tuo sguardo sulle bestie del deserto. Non posare il tuo sguardo sulla mia via, posa il tuo sguardo su un’altra. Io ti respingo e afferro la tua orecchia, in modo che ti sia data l’oscurità e non ti sia data la luce. Tu sei il pastore battagliero, o Huron!

Protezione! io dico «Protezione»’». Altra formula per chiudere le siepi «Io chiudo le siepi per mia madre Renen-utet sotto i miei piedi76. O Huron, scacciami (i nemici) dal campo! O Horo, non farci entrare nessuno! Io son provvisto del bel libro che Ra ha posto in mia mano e che scaccia i leoni e fa arretrare gli uomini, che scaccia gli uomini e fa arretrare i leoni! Chiudi la bocca dei leoni e delle iene e dei lupi e del meglio degli animali dalla coda alta, che mangiano carne, che bevono sangue! Chiudi la bocca dello hay! Chiudi la bocca del baga! Chiudi la bocca del g′eperem!77 Chiudi la bocca di Pakhet! Chiudi la bocca di Nu! (?) Chiudi la bocca di Sekhmet la bella! Chiudi la bocca di Toeri la viva!78 Chiudi la bocca di tutti gli uomini dalla faccia cattiva per far sì che si svigoriscano le loro membra, per non fare che sia battuta (?) la loro carne, e le loro ossa!79 Per far sì che sia secca la loro bocca, per dare loro l’oscurità, per non dare loro la luce in ogni campo mio questa notte. Setebet, artebehy80. Tu sei il pastore battagliero, Huron. Protezione! Io dico: ‘Protezione’. Idr idsn81 idrgh idsn sm mtn idsn sm im idsn

sm dgyn idsn sm dgbn idsn sm t′klt′ idsn dwrhs qn hs». — Pausa — … 1. Der Magische Papyrus Harris herausgegeben und erklärt von H. O. LANGE (Det Kgl. Danske Vidensk. Selsk. Hist. Fil. Medd., XIV, 2) Köbenhavn, 1927. È un testo fondamentalmente dedicato a incantesimi contro animali malvagi e specie coccodrilli. Ma incorpora materiale assai diverso per origine. 2. La perifrasi è naturale nel linguaggio magico. 3. S′u è il dio del vuoto fra la terra e il cielo: dell’aria e della luce. 4. Barca solare. 5. È il mito del serpente Apopi, che qui giustifica la presenza dell’inno nella silloge magica. 6. Qui, l’ureo. 7. La corona regale e l’ureo. 8. Qui è «nutrimento»? 9. Thot, lo scriba degli dei e visir di Ra, signore di Ermopoli. 10. E ivi al sicuro. 11. Attributo di Atum, autogenerato. 12. Questa frase e la precedente alludono al mito secondo cui S′u- Onuri riporta al dio Ra il suo occhio (Tefnut) -ureo placato. La «Grande» è appunto Tefnut. 13. È una delle funzioni tipiche del dio. 14. Scritto in cartiglio come un nome regale. 15. Nome di coccodrillo. Il distico è interpolato. 16. Qui dio maligno. 17. Appellativo di S′u: «Colui che riporta la lontana», con ricordo del mito secondo cui placa e riporta in Egitto Tefnut. 18. in.k h′rt. 19. in-h′r. 20. Col determinativo del coccodrillo. 21. È il mito di Apopi o altro mito affine. 22. Giochi di parole in egiziano, e così nelle frasi seguenti. 23. Barca solare. 24. È un antico dio millepiedi delle cui qualità assai poco si conosce. 25. Ermopoli ha un sistema di otto dei. Ma anche un gruppo di cinque dei è presupposto dal titolo «Grande dei Cinque nella casa di Thot» che è portato dal sommo sacerdote della città. 26. Naturalmente il coccodrillo. 27. Mito sconosciuto. 28. Mito sconosciuto relativo alle due dee asiatiche entrate in Egitto con il Nuovo Regno. 29. Genitivo oggettivo: «contro di voi». 30. L’Ogdoade primigenia di Ermopoli, di cui fa parte un Ammone che si suole identificare con l’omonimo dio tebano. 31. Una delle coppie dell’Ogdoade, il flutto primigenio e il cielo inferiore. 32. Il nome è chiuso nel cartiglio regale. 33. imn.k tw. 34. Imn. 35. Verbo di significato sconosciuto: è itn.k tw, in gioco di parole con itn «disco solare» che segue.

36. Dio menfita della terra. In gioco di parole con il verbo seguente. 37. Il sole che risorge ogni giorno. 38. «Ammone» Imn; «sei saldo» mn. Cioè, pantelsticamente, che «partecipi», «sei presente» in ogni cosa? 39. Secondo la descrizione abituale, si dovrebbe trattare dei capelli; ma un inno parallelo sembra intendere — a giudicare dal determinativo — l’ureo. La parola significa propriamente «quel che è sul capo». 40. Ammone è il dio del sole, che si nasconde nel sole, che è anche la pupilla del suo occhio. 41. Naunet è il cielo inferiore, immaginato qui — così come il cielo superiore — come una giovenca o una donna. 42. Il testo parallelo ha «le tue sorelle, le due Meret», che sono dee del rito e che son meglio dette sorelle che madre. 43. Gioco di parole in egiziano. 44. L’Aldilà. 45. «Gli uomini». 46. Il determinativo è di cane. Ma chi sono? 47. Sono esseri sovrannaturali che accompagnano la barca del sole quando passa al di là delle montagne dopo il tramonto. 48. Seth, che è a guardia della barca solare. I pesci che annunciano il nemico sono noti da altri testi. 49. Un serpente sovrannaturale. 50. Il sole e la luna? 51. Un lago mitologico. 52. «mille-le-sue-anime» è designazione del cielo stellato. 53. Determinativo: il serpente. 54. Titolo del dio solare. 55. È la scuola del tempio. 56. Il coccodrillo, nominato al solito per perifrasi. 57. Un uccello non identificato, che appare sia come essere reale che come essere mitologico. È un sostantivo che è tratto dal verbo che indica lo «schiamazzare» dell’oca. 58. È un complesso mitico a noi ignoto. 59. Sono omessi due versetti poco intelligibili. 60. Il mago dichiara che è Isi stessa che legge. 61. «Il Salvatore»: una forma di Horo. Tutti gli dei nominati sono dei bellicosi. 62. Cioè i coccodrilli. 63. Ptah- Πάταιϰος. 64. E arrivi giù fino alla Duat, qui immaginata sotterra. 65. È Osiri, che anche a Eliopoli ha un sepolcro. 66. La necropoli di Eliopoli. 67. Città del nômo letopolite, che ha Uto come dea. 68. Menfi. 69. Le parole precedenti, che sono parole di paura. 70. «scacciare dai pascoli» le bestie feroci. 71. Nel senso di «conquistato», «vinto»? 72. «Zia» in realtà: ma «sorella» è termine generico. 73. Leoni e iene sono «il meglio» delle bestie feroci («che han alta la coda»). 74. Divinità semitica (Hauran). 75. Lo sguardo degli animali feroci «affascina». 76. Forse si allude al calpestare il grano (Renen-utet, dea delle messi) durante la semina.

77. Tre animali feroci ignoti. 78. Sono tutte dee leonesse e ippopotami. 79. Senso malsicuro. 80. Determinativo di animale. 81. La formula è in una lingua sconosciuta che qui è approssimativamente trascritta.

FORME POPOLARI DEL MITO 1. — DISTRUZIONE E SALVATAGGIO DEL GENERE UMANO1 Il fatto che vari esemplari di questo testo appaiano fra i testi funerari regali basta a mostrare come si tratti in realtà di più che di una semplice novella mitologica, quale potrebbe apparire a prima vista. Se la trama ha un colorito romanzesco e un tono assai popolaresco (specie se la si confronta con l’analogo racconto biblico e mesopotamico); se l’interpretazione moralistica dell’avvenimento qui non arriva a maturazione (e si ha così una punizione che resta senza ragione sospesa a mezzo del compimento con un espediente ingenuo) l’impegno mitologico più ambizioso appare nella folla di dati eziologici che vengono posti a disposizione (spessissimo assai difficili da intendersi per noi) e nella testura stessa del racconto, che non fornisce solo la narrazione di un episodio — la ribellione e la punizione dell’umanità — ma dà il perché ed il come dell’ordinamento attuale del mondo. Questo scopo didattico è talmente presente, che non si può separare questo testo da quelli della letteratura più strettamente religiosa: sarà da porsi in serie con i pochi e tardi testi di contenuto più precisamente mitologico, come quelli del naos di Saft el Henneh.

Ora avvenne… la Maestà di Ra, il dio venuto in essere di per sé, dopo che egli fu sovrano degli uomini e degli dei insieme2. Ed ecco, gli uomini furono a pensare parole (ostili) contro di lui. Ora, Sua Maestà, v.f.s., era vecchia, benché le sue ossa fossero d’argento, le sue membra d’oro, le sue chiome di lapislazzuli vero3. Ed ecco, Sua Maestà si accorse delle parole pensate contro di lui dagli uomini. E disse Sua Maestà, v.f.s., a coloro che erano al suo seguito: «Chiamatemi il mio Occhio4, e S´u e Tefnut e Geb e Nut5, insieme con i Padri e le Madri6 che erano con me quando io ero nel Nun7. Ed inoltre il mio dio, il Nun, che porti la sua corte con sé. Portali di nascosto, perché non li vedano gli uomini e perché non fuggano i loro cuori. Tu verrai con loro al Grande Castello8, in modo che essi possano esprimere le loro manifestazioni di rispetto. Io vado nel Nun, al luogo in cui mi sono manifestato». Furono condotti così questi dei, e si collocarono questi dei ai suoi due lati, perché egli dicesse la sua parola toccando terra con la fronte in cospetto di Sua Maestà, in cospetto del padre dei primogeniti, creatore degli uomini, re della popolazione. Essi quindi dissero in cospetto di Sua Maestà: «Parlaci, in modo che noi ascoltiamo». Disse quindi Ra a Nun: «O tu dio anziano, in cui io mi sono manifestato, e voi dei primigeni! Ecco, gli uomini che sono nati dal mio occhio9, pensano parole (ostili) contro di me. Ditemi che cosa voi farete in questa occasione. Ecco, io indugerò e non li ucciderò finché non abbia sentito quel che voi direte in proposito»10.

Disse allora la Maestà di Nun: «O figlio mio Ra, dio più eccelso di chi lo ha fatto, più grande di chi lo ha creato! Siedi sul tuo trono. Grande è il terrore di te quando il tuo occhio muove contro quelli che cospirano contro di te». Disse allora la Maestà di Ra: «Ecco, essi sono fuggiti verso il deserto11, poiché il loro cuore è atterrito per quel che io ho detto per loro». Allora essi dissero davanti a Sua Maestà: «Fa’ che vada il tuo occhio e che per te colpisca con mali gli empi. … Essa12 te li colpirà. Essa cali come Hathor». Andò così questa dea e uccise gli uomini nel deserto. Disse allora la Maestà di questo dio: «Benvenuta in pace, o Hathor, che hai fatto quello per cui io ho fatto che tu andassi!». Disse allora questa dea: «Com’è vero che tu vivi per me13, io son stata possente sugli uomini, ed è stato dolce al mio cuore». Disse allora la Maestà di Ra: «Io sarò possente su di loro in Eracleopoli (?), e li sminuirò». Fu così che nacque Sekhmet14. All’ora di cena sguazzò nel loro sangue a cominciare da Eracleopoli15. Disse allora Ra: «Chiamatemi messaggeri che corrano rapidamente, che si affrettino come l’ombra di un corpo». Furono portati allora questi messaggeri sull’istante. E disse quindi la Maestà di questo dio: «Recatevi ad Elefantina, e portatemi didit16 in quantità». Gli furono portate queste didit, e la Maestà di questo dio grande fece che il Chiomato17 che abita in Eliopoli macinasse queste didit, e che inoltre schiave spremessero l’orzo per farne birra. Quindi furono poste queste didit in questa bevanda, ed essa fu come il sangue degli uomini. Si fecero 7.000 brocche di birra. Venne quindi la Maestà del re della Valle e re del Delta Ra con questi dei per vedere questa birra. Ora, venne la mattina dell’uccisione degli uomini da parte della dea nel giorno in cui essi rientravano. Disse allora la Maestà di Ra: «Quanto è bello questo!18 Con questo io proteggerò gli uomini!». Disse Ra: «Portatelo al luogo dove essa vuole uccidere gli uomini». Si levò presto la Maestà del re della Valle e re del Delta Ra, al termine della notte, per fare che si versasse questa bevanda soporifera. Furono così sommersi i campi per tre palmi sotto l’acqua19, per la potenza della Maestà di questo dio.

Venne allora questa dea al mattino presto, e trovò questo sommerso. Bella ne fu la sua faccia, ed essa si mise a bere, e fu una cosa gradita al suo cuore, tanto che se ne venne ubbriaca, e non riconobbe gli uomini. Disse allora la Maestà di Ra a questa dea: «Benvenuta in pace, o diletta! (Jamyt)». E questa fu l’origine delle Giovanette di Jamu20. Disse allora la Maestà di Ra a questa dea: «Si facciano per lei bevande soporifere nella celebrazione della festa annuale, e si distribuiscano alle schiave». Questa è l’origine del fare bevande soporifere in distribuzione alle schiave per la festa di Hathor da parte di tutti gli uomini fino dal primo giorno21. … … … … …22 Disse quindi Sua Maestà: «Come è vero che io vivo per me23, il mio cuore è assai stanco di vivere con loro…»24. 1. È un testo conservato in tombe regali (Seti I, Ramessese II, III, VI) e in una copia più antica sul catafalco di Tut-ankh-amòn). Le prime relazioni in CH. MAYSTRE, Le livre de la Vache du Ciel dans les tombeaux de la Vallée des Rois, in «Bull. Inst. Fr. Arch. Or.», XL (1941), pp. 53 segg.; la seconda in A. PIANKOFF, The Shrines of Tut-ankh-Amòn, New York, 1955. 2. Quando ancora uomini e dei vivevano insieme. 3. Secondo il consueto schema di descrizione delle persone divine composte di materie preziose. 4. L’Occhio (femm.) di Ra, è l’ureo e tutte le dee che con esso si identi ficano. 5. I figli e i nipoti di Ra. 6. L’Ogdoade ermopolitana. 7. Prima della creazione, nel caos primordiale. 8. Il palazzo reale. 9. Perché sono nati dalle lacrime di Ra, secondo un mito assai noto. 10. È motivo costante della narrativa egiziana che il re chieda consiglio prima di agire. Così qui Ra. 11. Il tipico luogo di rifugio di chi ha a spartir qualcosa con la giustizia. 12. L’occhio è una dea, identificata spesso con Hathor. 13. La formula normale del giuramento. 14. Dea leonina menfita, il cui nome significa appunto «Possente». 15. La frase è certo corrotta nel testo egiziano. 16. Frutti o minerali di color rosso. 17. h´nsktt: una divinità minore ignota. 18. Cioè questa bevanda. 19. «acqua» qui indica questa birra affatturata. 20. Mito e personaggi ignoti. 21. Rito ignoto. 22. Continuano leggende eziologiche per lo più su giochi di parole. 23. Il sole giura su se stesso. 24. Gli uomini. Il testo si fa sempre più lacunoso e corrotto. Si capisce che il dio abbandona la terra, facendo alzare come una giovenca la dea del cielo Nut, sul cui dorso egli si colloca e che fa puntellare da sostegni poiché essa teme. Dà poi disposizioni varie per lo più in brevi frasi che contengono ciascuna un gioco di parole.

2. IL RACCONTO DEI DUE FRATELLI1 Questa lunga novella è al confine fra la mitologia e il romanzo. Così come ci è giunta, sembra che in realtà tenga assai più del secondo, ed è possibile trovare numerosi paralleli ai singoli episodi nella novellistica popolare di molti paesi, sia antichi che moderni. Ma anche a una lettura estremamente superficiale non può sfuggire che vi son continui richiami a concezioni più strettamente mitologiche, paralleli a momenti del mito egiziano, trasposizione sul piano narrativo di concezioni teologiche note per altre vie, e che — infine — i nomi stessi dei personaggi sono nomi divini. Il racconto si divide facilmente in due parti: la prima è la storia estremamente diffusa del giovane casto che rifiuta l’amore cui non deve aspirare, e che dalla donna sprezzata è calunniato presso il marito che ne trae vendetta. È questa la parte più schiettamente narrativa, quella in cui è più difficile trovare appigli mitici, altro che nella onomastica. Assai diversa è la seconda parte del racconto, che ha inizio con la fuga del giovane ingiustamente accusato. Anche qui brulicano i temi della novellistica, ma il modo non è più quello appena venato di miracolo che appare nella prima parte, idillico e tutto colorato del senso della campagna egiziana. Qui è un torbido susseguirsi di avventure straordinarie, che mostrano subito come tutti i personaggi siano divini. Alcuni particolari, che vengono sottolineati, non hanno senso nel racconto, se non in quanto alludono a motivi esplicitamente espressi in altri miti. Forzando un poco la situazione, si è potuto adoperare questo racconto per ricostruire una concezione teologica egiziana assai complicata, quella della autogenerazione del sovrano. Anche in questa seconda parte, però, questi elementi di religione dotta e speculativa non debbono essere troppo sottolineati. Per quanto evidente sia che essi esistono, la lettura mostra tuttavia come il motivo — e più il gusto — novellistico siano caldi e vivi: la lingua, innanzi tutto, è il neoegiziano parlato, anche se assai sorvegliato e nitido, e non più la lingua ufficiale dei testi religiosi. Il formulario è quello dei testi più esplicitamente narrativi, il piacere dello straordinario è alla base della composizione. Si sente che il mito si presenta come falsariga, che ispira il narratore, il quale sa ricavarne risonanza per una storia rivolta ormai non più alla edificazione, ma fondamentalmente al diletto.

C’erano una volta due fratelli della stessa madre e dello stesso padre; Anup era il nome del maggiore, Bata era il nome del piccolo2. Quanto ad Anup, possedeva una casa e possedeva una moglie; e il suo fratello minore stava con lui come un figlio. Era lui che gli faceva i vestiti, era lui che andava dietro le sue bestie al pascolo; era lui che gli faceva la semina, lui che mieteva per lui; era lui che sbrigava per lui tutte le faccende dei campi. E, così, il suo fratello minore era un bel ragazzo, che non ce n’era l’eguale in tutto il paese; ed invero una forza da dio era in lui. Ora, dopo che molti giorni furono passati dopo di ciò3, il suo fratello minore era dietro le bestie al suo modo di ogni giorno, e tornava a casa sua ogni sera, carico di ogni erba dei campi, di latte, di legna, di ogni cosa buona dei campi, e lo deponeva davanti al suo fratello maggiore, che sedeva con sua moglie; e mangiava e beveva, ed usciva a passar la notte nella sua stalla, solo, in mezzo alle sue bestie. Ora, quando la terra si schiariva e veniva un altro giorno, (preparava dei …) cotti, e li deponeva davanti al suo fratello maggiore; e quegli gli dava i pani

per il campo, ed egli guidava le sue vacche per farle pascolare nei campi. Andava dietro le sue vacche, ed esse gli dicevano: «Buona è l’erba del posto tale», ed egli sentiva tutto quel che esse dicevano, e le portava al posto della buona erba che esse desideravano. E le vacche che gli andavan davanti4 diventavano belle in modo mirabile, e aumentavano i loro parti in modo mirabile. Quando fu l’epoca della semina, il fratello maggiore gli disse: «Preparaci una coppia (di vacche) per seminare, poiché il terreno sta emergendo5, ed è buono per seminare. E così, anche, tu verrai al campo portando la semente, poiché noi imprenderemo la semina domani». Così gli disse, ed il fratello minore fece ogni cosa che il suo fratello maggiore gli aveva detto di fare. Ora, quando la terra si rischiarò, e un secondo giorno venne, essi andarono al campo con la loro semente, e si misero a seminare, e il loro cuore era lieto in modo mirabile per il loro lavoro, fin dall’inizio del lavoro. Ora, numerosi giorni dopo di ciò, essi erano al campo, e restarono senza semente: e quello mandò il suo fratello minore dicendo: «Corri a prenderci della semente in paese». Il fratello minore trovò la moglie del suo fratello maggiore occupata a farsi pettinare. Egli le disse: «Alzati, e dammi la semente, che io torni di corsa al campo, poiché il mio fratello maggiore mi attende. Non indugiare». Essa gli rispose: «Va’, apri il granaio, e prenditi quel che vuoi. Non far restare per via la mia pettinatura». Il ragazzo entrò nella sua stalla, e prese un grande vaso, poiché era sua intenzione di prendere molta semente; e si caricò di orzo e di spelta, ed uscì carico di essi. Allora essa gli disse: «Cos’è il peso che è sulla tua spalla?». Ed egli le rispose: «Spelta sacchi tre; orzo sacchi due: totale cinque, quel che è sulle mie spalle». Così egli le disse. Ed essa parlò a lui dicendo: «C’è una gran forza in te. Io ho l’abitudine di osservare la tua vigoria ogni giorno». Ed ebbe il desiderio di conoscerlo in conoscenza di maschio: così si levò, e lo afferrò, e gli disse: «Vieni, passiamo un’ora lieta sdraiati insieme. Sarà utile per te; io ti farò dei bei vestiti». Allora il ragazzo divenne come un leopardo in furore, per il brutto discorso che ella gli aveva detto. Ed essa si spaventò in modo mirabile. Egli le parlò dicendole: «Suvvia, tu sei per me come una madre, e tuo marito è per me come un padre. Maggiore di me, è lui che mi ha tirato su. Cos’è questo grande abbominio che tu mi dici? Non far che mi sia detto di nuovo, ed io non

ne parlerò a nessuno, e farò che non esca dalla bocca mia per chiunque». Sollevò il suo carico, e se ne andò al campo. Quando arrivò dal suo fratello maggiore, si misero all’opera per il loro lavoro. Ora, quando fu l’ora della sera, il fratello maggiore si ritirò a casa, mentre il fratello minore era dietro le sue bestie, carico di ogni cosa dei campi; e spingeva le sue bestie davanti a sé perché passassero la notte nella loro stalla che era in paese. Ora, la moglie del suo fratello maggiore aveva paura che si riferisse quel che essa aveva detto. Essa prese del grasso e del sego, e si fece come se fosse stata battuta — falsamente — con l’intenzione di dire a suo marito: «È il tuo fratello minore quegli che mi ha picchiato». Suo marito si ritirò a sera, secondo la sua abitudine di ogni giorno. Giunse a casa e trovò sua moglie sdraiata e sofferente — falsamente. Essa non gli versò l’acqua sulle mani come era sua abitudine, e non aveva acceso la luce davanti a lui, cosicché la sua casa era al buio. Stava sdraiata sul letto a vomitare. Suo marito le disse: «Chi è che ha avuto questioni con te?» ed essa gli rispose: «Nessuno ha avuto questioni con me, eccetto il tuo fratello minore. Quando venne per prendere la semente per te, mi trovò che me ne stavo tutta sola e mi disse: “Vieni, passiamo un’ora lieta sdraiati insieme. Mettiti la parrucca”. Così egli disse rivolto a me. Io non volli ascoltare. “Non son forse io la madre tua? E il tuo fratello maggiore non è per te come un padre?”. Così io gli dissi; ed egli si spaventò, e mi picchiò perché io non ti riferissi nulla. Ora, se tu lascerai che egli viva, io morirò, per me. Sta attento quando tornerà; non lo (ascoltare), poiché io soffro per questa brutta storia che egli stava per fare ieri»6. Allora il suo fratello maggiore divenne come un leopardo; affilò la lancia, e la brandì in mano. Così il fratello maggiore si collocò dritto dietro la porta della sua stalla per uccidere il suo fratello minore quando sarebbe tornato la sera per far rientrare le sue bestie nella stalla. Al tramonto del sole, quegli si caricò di ogni erba dei campi, secondo il suo modo di ogni giorno, e tornava. Ma mentre la vacca di testa passava per entrare nella stalla, essa disse al suo pastore: «Ecco, tuo fratello maggiore sta in piedi davanti a te con la sua lancia per ucciderti. Fuggi davanti a lui!». Egli sentì quel che diceva la sua vacca di testa; ed ecco, un’altra entrò, e

disse lo stesso. Egli guardò sotto la porta della stalla e vide i piedi del suo fratello maggiore, che stava dritto dietro la porta con la lancia in mano. Allora depositò il suo carico a terra, e si gettò a correre per fuggire. Il suo fratello maggiore gli veniva dietro con la sua lancia. Allora il suo fratello minore si mise a invocare Pra-Harakhte dicendo: «O mio buon signore, sei tu quegli che giudichi il falso dal vero!». Stette Pra7 ad ascoltare tutto quel che egli pregava; e Pra fece che si producesse un’acqua grande in mezzo a loro per separarlo dal suo fratello maggiore; ed era piena di coccodrilli. Uno di loro era su una riva, e l’altro sull’altra. Il suo fratello maggiore fece due volte il gesto di battersi sulla mano per il suo non averlo ucciso. Allora il suo fratello minore gli gridò sulla riva dicendo: «Aspetta qui finché la terra non sia chiara. Quando il sole spunterà, si giudicherà fra me e te al suo cospetto, ed egli darà il falso al vero8. Poiché io non sarò più con te per l’eternità, e non sarò nel posto in cui tu sarai. Io me ne andrò alla Valle del Pino»9. Ora, quando la terra fu rischiarata e un secondo giorno venne, PraHarakhte sorse, e l’uno di loro poté veder l’altro. Allora il ragazzo si mise a parlare con il suo fratello maggiore, dicendo: «Cos’è questo tuo venirmi dietro per uccidermi a tradimento, senza aver sentito la mia bocca a parlare? Io pure sono il tuo fratello minore, e tu sei nei miei riguardi come un padre, e tua moglie è nei miei riguardi come una madre, no? Quando tu mi mandasti a prendere la semente, tua moglie mi disse: “Vieni, passiamo un’ora lieta, sdraiamoci insieme!”. Guarda, essa ti ha rovesciato questo in senso contrario». Così egli fece che quello sapesse tutto quel che era accaduto a lui con sua moglie. Quindi egli giurò a Pra-Harakhte dicendo: «Così, tu venivi per uccidermi a tradimento, con la tua lancia, sulla parola di una sgualdrina!». Ed egli andò a prendere una canna tagliente, e si recise il membro e lo gettò nell’acqua e il pesce siluro lo inghiottì10. Egli perse le forze e si fece misero; e il suo fratello maggiore soffriva nel suo cuore straordinariamente, e stava in piedi a piangere per lui ad alte strida, senza poter passare là dov’era suo fratello minore per via dei coccodrilli. Quindi suo fratello minore gli gridò dicendo: «Ecco, tu pensavi una cosa cattiva, e non pensavi a una cosa buona, o a una delle cose che io ho fatto per te! Vattene ora a casa, e custodisci le tue bestie poiché io non sarò più nel

luogo dove sei tu. Io me ne andrò alla Valle del Pino. Ma tu potrai fare una cosa per me, (venire) a custodirmi se saprai che qualcosa mi è successo. Poiché io mi strapperò il cuore e lo deporrò in cima al fiore del pino. Se il pino sarà tagliato ed esso cadrà a terra, tu vieni a cercarlo. Anche se dovessi passare sette anni a cercarlo, non lasciare che il tuo cuore si scoraggi. Quando tu lo avrai trovato, mettilo in un vaso di acqua fresca, ed io vivrò per vendicarmi di chi mi ha fatto torto. E tu saprai che qualcosa mi è accaduto quando ti si darà una coppa di birra in mano ed essa traboccherà11. Non attardarti, quando questo ti avverrà!». Così egli se ne andò alla Valle del Pino, e il suo fratello maggiore se ne andò alla sua casa, con la mano posata sul capo, ed era asperso di polvere. Giunse a casa ed uccise la moglie e la gettò ai cani. Poi si mise a lamentare il fratello minore. Ora, dopo che numerosi giorni furono passati dopo di ciò, il suo fratello minore era nella Valle del Pino e non c’era nessuno con lui. Egli passava la giornata a cacciare gli animali del deserto e tornava la sera a passar la notte sotto il pino in cima al cui fiore era il suo cuore. Ma dopo che numerosi giorni furono passati dopo di ciò, egli si mise a fabbricarsi una villa con le sue mani nella Valle del Pino; ed era piena di ogni cosa buona, poiché intendeva di metter su casa. Una volta egli uscì dalla sua villa, e incontrò l’Enneade che andava per sbrigare gli affari del paese intiero. Gli dei dell’Enneade parlarono fra loro, poi gli dissero: «Oh, Bata, toro dell’Enneade12! Tu te ne stai qui tutto solo, dopo che hai abbandonato la tua città fuggendo la moglie di Anup, il tuo fratello maggiore? Ecco, egli ha ammazzato sua moglie, e tu sei vendicato di tutto quel che è stato commesso contro di te». Il loro cuore era dolente a causa sua in modo meraviglioso. Pra-Harakhte disse a Khnum13: «Costruisci una donna per Bata, perché non stia solo». Così Khnum si mise a fargli una compagna; ed essa era bella nelle sue membra più di ogni donna che fosse in tutta la terra, e (il seme di) ogni dio era in lei. Vennero le Sette Hathor 14 a vederla, e dissero a una voce: «Essa farà una morte tagliente». Ma egli la desiderò in modo mirabile. Essa stava nella casa di lui, mentre egli passava la giornata a cacciare gli animali del deserto, a riportarli e a deporli davanti a lei. Egli le disse: «Non uscir fuori, che non ti abbia a rapire il Mare15: perché io non potrei salvarti da lui, poiché anch’io sono una donna come te16. Ecco, il

mio cuore è deposto in cima al fiore del pino. Se un altro lo trova io combatterò con lui», E così egli le aperse il suo cuore in ogni cosa. Ora, dopo che giorni numerosi furono passati dopo di ciò, Bata se ne andò a cacciare secondo il suo modo di ogni giorno. Uscì la ragazza per passeggiare sotto il pino che era presso la sua casa. Allora la vide il Mare, agitando le sue acque dietro di lei. Essa si mise a correre davanti a lui, ed entrò nella sua casa. Ed ecco il Mare gridò al Pino dicendo: «Afferramela!» e il Pino prese una treccia dei suoi capelli. Il Mare la portò in Egitto e la depositò nel luogo dei lavandai del faraone v.f.s. Ed ecco, il profumo della treccia dei capelli si manifestava nei vestiti del faraone v.f.s. e Si17 rimproverarono i lavandai del faraone v.f.s. dicendo: «Profumo di unguento è nei vestiti del faraone v.f.s.»18. E Si rimproveravano ogni giorno, ed essi non sapevano cosa fare. Il soprintendente dei lavandai del faraone v.f.s. venne sulla riva, e il suo cuore era amareggiato in modo mirabile per i rimproveri che aveva ogni giorno. Egli si fermò, stando sulla sabbia davanti alla treccia di capelli che era nell’acqua. Fece che si scendesse, e giela portarono. Si trovò che il suo odore era dolce in modo mirabile. Egli la portò al faraone v.f.s. Allora dissero al faraone v.f.s.: «Quanto alla treccia di capelli, essa appartiene a una figlia di Pra-Harakhte, in cui è il seme di ogni dio. Ecco, questo è come un tributo di un altro paese19. Fa.’ che vadano messaggeri per ogni paese straniero a cercarla. Quanto al messaggero che andrà nella Valle del Pino, fa’ che vadano genti numerose con lui per riportarla»20. Allora disse sua Maestà v.f.s.: «Benisimo, quel che avete detto!». E fece che partissero. Ora, dopo che giorni numerosi eran passati dopo di questo, le genti che erano andate in ogni paese straniero vennero a rapporto da Sua Maestà v.f.s.; ma non tornarono quelli che erano andati alla Valle del Pino, ché li aveva uccisi Bata, lasciandone uno per riferire al faraone v.f.s. Allora il faraone v.f.s. fece andare gente, e soldati valorosi e combattenti con i carri per riportarla; e c’era una donna con loro, cui si diedero in mano tutti i begli ornamenti femminili. La donna venne in Egitto con lei21, e si fece festa per lei nel paese intiero. Sua Maestà v.f.s. se ne innamorò mirabilmente, e la Si nominò grande favorita. Si parlò con lei perché dicesse quel che riguardava suo marito. Ed essa disse a Sua Maestà v.f.s.: «Fa’ tagliare il pino, ed egli perirà». Si fece che andasse una spedizione con asce di rame per abbattere il pino. Essi giunsero al

pino, e abbatterono il fiore su cui era il cuore di Bata. Ed esso cadde morto immediatamente. Ora, quando la terra si rischiarò ed un altro giorno venne, quando il pino fu abbattuto, Anup il fratello di Bata entrò in casa e si sedette per lavarsi le mani; e gli si dette un bicchiere di birra che traboccò; gli se ne dette un altro di vino che andò a male. Allora egli prese il suo bastone ed i suoi sandali, e insieme le sue vesti e le sue armi e mosse per andare alla Valle del Pino. Entrò nella villa di suo fratello minore e trovò il suo fratello minore sdraiato sul suo letto, morto. Egli pianse quando vide il suo fratello minore sdraiato morto, ed andò a cercare il cuore del suo fratello minore, che era sotto il pino sotto cui il suo fratello minore si sdraiava la sera. Egli passò tre anni a cercarlo senza trovarlo. Quando entrò nel quarto anno, il suo cuore desiderò di tornare in Egitto, ed egli disse: «Domani me ne andrò». Così egli disse nel suo cuore. Ora quando la terra si rischiarò ed un altro giorno fu venuto, egli si mise a camminare sotto il pino, e passò la giornata a cercarlo22, e tornò la sera intento a cercarlo di nuovo. Egli trovò un chicco, e tornò con quello; ed ecco, era il cuore di suo fratello. Andò a prendere una coppa d’acqua fresca, e ce lo mise dentro, e si sedette secondo il suo modo di ogni giorno. Or ecco, quando la notte fu calata, il cuore assorbì l’acqua e Bata palpitò in ogni suo membro. Si mise a guardare il suo fratello maggiore, mentre ancora il suo cuore era nella coppa. Anup, il suo fratello maggiore, prese la coppa di acqua fresca in cui era il cuore del suo fratello minore, e gliela fece bere, sicché il cuore tornò al suo posto, e (Bata) divenne come era stato. Così si abbracciarono l’un l’altro, e l’uno parlava con l’altro. Ed ecco che Bata disse al suo fratello maggiore: «Guarda, io mi trasformerò in un grande toro, di tutti i bei colori, la cui natura non sarà conosciuta23; e tu ti metterai a sedere sul mio dorso finché il sole si sarà levato. Quando saremo nel luogo in cui è mia moglie io mi vendicherò, e tu mi condurrai nel luogo in cui è il re24, poiché si farà per te ogni cosa buona ed egli ti compenserà con argento ed oro per il fatto che mi hai condotto al faraone. Poiché io sarò un grande prodigio, e si sarà in festa per me nella terra intiera25. Tu, te ne tornerai al tuo paese». Ora, dopo che la terra si rischiarò e un secondo giorno fu venuto, Bata assunse l’aspetto che aveva detto al suo fratello maggiore, ed Anup, il suo fratello maggiore, si mise a sedere sul suo dorso fino all’alba, e giunsero al luogo in cui era il re. Si fece che Sua maestà v.f.s. lo sapesse, ed egli venne a

vederlo, e si rallegrò a cagion sua in modo mirabile, e gli fece una grande offerta dicendo: «È un grande prodigio che si manifesta!». Si fece festa in suo onore nel paese intiero. Si compensò con argento ed oro il suo fratello maggiore, che tornò ad abitare nel suo paese, e gli si dettero genti numerose e beni numerosi, e il faraone v.f.s. lo amò in modo mirabile, più di qualsiasi persona nel paese intiero. Ora, dopo che giorni numerosi furono passati dopo di ciò, egli (sc. Bata) entrò nella cucina e si fermò nel luogo dove era la favorita, e si mise a parlare con lei dicendole: «Vedi, io sono ancora vivo». Essa gli disse: «Tu chi sei?». Ed egli le disse: «Io sono Bata. Io so che quando tu hai fatto distruggere il pino per il faraone v.f.s., era a causa di me, perché non volevi che io vivessi. Guarda, io son vivo ancora come toro». Allora la favorita ebbe paura in modo mirabile del discorso che le aveva fatto il marito. Essa (?) uscì dalla cucina e quando Sua Maestà v.f.s. si sedette per passare un giorno lieto con lei, essa mescé a Sua Maestà v.f.s., e il re fu buono con lei in modo mirabile. Allora essa disse a Sua Maestà v.f.s.: «Fammi un giuramento per dio dicendo ‘Quel che dirà (la favorita) io lo esaudirò’». Ed egli acconsentì a tutto quel che essa aveva detto. «Lascia che io mangi del fegato di questo toro, poiché egli non farà nulla». Così essa gli disse. Il re si addolorò in modo mirabile per quel che essa aveva detto, e il cuore del faraone fu addolorato per lui in modo mirabile. Ora, quando la terra si rischiarò e un secondo giorno venne, si proclamò una grande festa di offerta al toro, e il re fece che venisse un primo macellaio regio di Sua Maestà v.f.s. per far sgozzare il toro. Dopo di che si fece che fosse sgozzato. Ora, egli era sulle spalle della gente ed egli (sc. il macellaio) lo colpì alla cervice, e fece che cadessero due gocce di sangue a lato dei due stipiti di Sua Maestà v.f.s., ed una capitò da un lato della grande porta del faraone v.f.s., mentre l’altra fu dall’altro lato. Esse prosperarono come due grandi persea, ognuna delle quali era di prima qualità. Si venne allora per dire a Sua Maestà v.f.s.: «Due grandi persea sono germogliate come un grande prodigio per Sua Maestà v.f.s. nella notte, ai lati della grande porta di Sua Maestà v.f.s.». E si fece festa in loro onore per tutto il paese, e il re fece offerte per loro26. Ora, dopo che molti giorni furono passati dopo di questo, Sua Maestà v.f.s.

apparve alla sua finestra di lapislazzuli27, con una ghirlanda di fiori di ogni specie al collo, salì sul cocchio di elettro e uscì dal Palazzo regale v.f.s. per vedere le persea. Anche la favorita uscì con una pariglia dietro il faraone v.f.s. Allora Sua Maestà v.f.s. si assise sotto una delle persea, (e la favorita sedette sotto l’altra persea. Ed ecco Bata si mise a) parlare con sua moglie: «Ah, traditrice! Io sono Bata, io sono ancor vivo a tuo dispetto. Io lo so che tu hai fatto che fosse tagliato il pino per il faraone v.f.s. per causa mia. Io mi son trasformato in toro, e tu hai fatto che fossi ucciso». Ora dopo che numerosi giorni furono passati dopo di questo, la favorita si levò e mescé a Sua Maestà v.f.s., ed il re fu buono con lei. Ed essa disse a Sua Maestà v.f.s.: «Giurami per dio dicendo ‘Tutto quel che la favorità mi dirà, io glielo esaudirò’». Ed egli acconsentì a tutto quel che essa diceva. Ed essa disse: «Fa’ che sian tagliate le due persea e fa’ che se ne facciano dei bei mobili». E si esaudì tutto quel che essa aveva chiesto. Ora, dopo un momento, Sua Maestà v.f.s. fece che andassero degli artigiani che sapessero il mestiere e si abbatterono le persea per il faraone v.f.s. Stava a guardare la sposa regale, la favorita. Ed ecco una scheggia volò, ed entrò nella bocca della favorita ed essa la ingoiò; e rimase incinta nel tempo di compiersi un istante. Si fece di quelli (sc. degli alberi) tutto quello che essa volle. Ora, dopo che giorni numerosi furono passati dopo di ciò, essa partorì un figlio maschio. Si andò a dire a Sua Maestà v.f.s.: «Si è partorito per te un figlio maschio» e fu portato a lui, e gli fu data una balia e delle custodi, e si fu a far festa nel paese intiero, e il re si sedette per passare una giornata lieta, e fu in allegrezza. Sua Maestà v.f.s. lo amò subito in modo mirabile, ed egli fu nominato Principe regale di Kus´28. Ora, dopo che molti giorni furono passati dopo di questo, Sua Maestà v.f.s. lo fece principe ereditario di tutto il paese. Ora, dopo che molti giorni furono passati dopo di questo, egli compì molti anni come principe ereditario in tutto il paese. Così quando Sua Maestà v.f.s. volò al cielo29, Si disse: «Che mi sian condotti i grandi funzionari di Sua Maestà v.f.s. perché io faccia che sappiano tutto quel che mi è capitato»30. E gli fu condotta sua moglie, e ci fu un processo con lei in loro cospetto, e gli si dette ragione (?). Quindi gli si condusse il suo fratello maggiore, ed egli lo nominò principe ereditario di tutto il paese. Egli compì 30 anni31 come re d’Egitto e quindi passò alla vita. Suo fratello maggiore si alzò al suo posto il giorno del suo

approdo32. 1. Il testo e quello di GARDINER, Late Egyptian Stories, Bruxelles, 1932, pp. 9 segg. Una traduzione con sobrio commento e bibliografia in LEFEBVRE, Romans et contes égyptiens, Paris, 1949, pp. 137-158. Una indagine sul valore teologico del testo in H. JACOBSOHN, Die dogmatische Stellung des Königs in der Theologie der alten Aegypter, Glückstadt, 1939. Per un altro testo sugli stessi personaggi divini cfr. VANDIER, in «Rev. de l’Hist. des Rel.», tome CXXXVI (1949), pp. 5 segg. e VANDIER, Le papyrus Jumilhac, Paris, s. d. 2. Anup e Bata sono nomi divini (e scritti col determinativo divino). Nel racconto di cui dà notizia il Vandier, Bata appare come una forma di Seth. 3. Formula consueta di passaggio. 4. Cioè, dietro cui egli andava, che egli custodiva. 5. Il terreno «emerge» dopo l’inondazione. Nel fango si getta il seme, che è poi ricoperto con l’aratro. 6. Con la sera comincia una nuova giornata. 7. È la forma neoegiziana (con l’articolo definito) di Ra. 8. Affiderà chi ha torto a chi ha ragione. 9. Il nome è forse immaginario; ma in Siria — e al Libano pensa sicuramente il narratore — esisteva una località di tal nome. Anche Osiri morto giunge in Siria ed il suo cadavere è accolto in un albero, che è proprio un pino (as´). 10. Una simile evirazione nel mito di Attis che rifiuta l’invito di Cibele. Il siluro inghiotte, nel mito egiziano, il fallo di Osiri smembrato e gettato in acqua. 11. Nella storia di Setne e Siusire il mago nubiano lascia alla madre simili consegne, nel caso che abbia a soffrire danno nella sua spedizione in Egitto. 12. Anche questo è appellativo divino. 13. Il dio vasaio che crea gli uomini. 14. Il collegio delle dee che dicono la sorte ai neonati. 15. Il Mare è divinità violenta che figura anche in altri racconti dello stesso ambiente. 16. Altra possibilità di traduzione, con lieve emendamento: «tu non potrai salvarti da lui, perché tu sei solo una donna». 17. Il pronome impersonale esprime rispettosamente il re. 18. e dunque gli abiti sono lavati male. 19. Cioè: questo ti giunge come tributo di un paese lontano ed ignoto. 20. C’è evidentemente una distrazione del narratore: o si mandano messaggeri ovunque, o si mandano solo messaggeri con scorta alla Valle del Pino. 21. Qui è certo abbreviato il racconto: i soldati non riescono, mentre la donna con i suoi ornamenti seduce la moglie di Bata. 22. Naturalmente il cuore. 23. Un toro sacro. 24. Invece della parola «re» il testo ha qui e spesso in seguito l’impersonale rispettoso «Si». 25. Come si fa quando si trova un toro Api. 26. Il culto degli alberi è noto per più di un caso in Egitto. Ancora in epoca romana una persea, a Ossirinco, è oggetto di speciale tutela pubblica. 27. Il balcone da cui il sovrano si mostra al popolo. 28. Viceré d’Etiopia. 29. «morì». 30. Che il nuovo re sia Bata, e figlio perciò della sua moglie e di se stesso, è elemento tipico della mitologia regale. 31. Sotto la XVIII e la XIX dinastia il «giubileo» cade spesso al trentesimo anno di regno.

32. della sua morte. Il fratello maggiore succede qui al minore.

3. — IL GIUDIZIO DI HORO E SETH1 Il motivo della storia è qui francamente e dichiaratamente mitologico: è il mito principe dell’Egitto, che viene ripreso come tema di novella, appoggiandosi forse a più antiche versioni letterarie. Proprio in questo scendere dal piano teologico a quello della letteratura quotidiana e civile (anche se pia) si ha uno stravolgimento di estremo interesse. Gli dei sono portati sul piano della umanità più quotidiana, e il loro agire secondo moduli mitologici, indifferenti a una valutazione morale, assume improvvisamente un accentuato stridore entro queste nuove esigenze. Questo dio è ingiusto, quello lascivo, quell’altro ancora crudele, quell’altro rapace e disonesto. Se giustizia alla fine riesce a esserci, è perché si è arrivati alle minacce amare; e le insolenze, le ingiurie passano dall’uno all’altro. Cose straordinarie avvengono durante il racconto; ma non tanto quelle colpiscono, quanto questa così scanzonata pittura del mondo divino. È in realtà l’unica possibilità di sopravvivere che ha ancora il mito: ridotto a elemento di un favoloso popolare, non è sottoposto a un giudizio etico proprio per la immediata cordialità con la quale sono guardati gli dei. C’è un’aria di affettuosa malizia che pervade tutta la narrazione, e che è appunto il frutto di questa intimità che si può ora assumere nei riguardi del mito, di cui la speculazione religiosa più alta non sa più, in verità, che farsi. Mentre per il mondo dei teologi gli dei tendono a farsi sempre più vaghi e inconoscibili, privi di tratti caratteristici, definibili solo per negativi, pronti a passare l’uno nell’altro in una sola unità divina, che si manifesta sotto nomi più che sotto aspetti diversi, il popolo rivendica la chiara fisionomia che nel mito ogni figura divina ha per lunga tradizione, e quanto nel mito antico poteva coprire speculazioni di tipo assai diverso, diviene in questa tarda interpretazione elemento favolistico e psicologico. Anche gli accenni eziologici, che si incontrano frequentemente, non riescono ad assumere il peso che hanno — per esempio — nel racconto della distruzione dell’umanità. Qui sono fioriture secondarie, e i veri eroi del racconto sono gli dei, nella loro più tradizionale forma e nella loro più tradizionale funzione, e non come nei Due fratelli dove apparivano come una filigrana contro luce nel testo del racconto. Questa lunga storia è la testimonianza più vivace e interessante di cosa sia divenuta la mitologia in quest’epoca: abbandonata alle formule magiche e ai novellatori da una teologia troppo raffinata per servirsene ancora come di materia viva, serve tuttavia a far vibrare nel cuore del popolo una corda di schietta e fresca pietà, fatta di affettuoso interesse per divintà calate in moduli umani.

[…] il giudizio di Horo e Seth, misteriosi di manifestazioni, eccelsi, prìncipi più grandi di quelli mai esistiti. Dunque, un bambino divino2 era seduto in cospetto del Signore Universale per chiedere l’ufficio di suo padre, Osiri, bello di apparizioni, figlio di Ptah3, che illumina l’Occidente con il suo aspetto. E insieme Thot presentava l’ug´at4 al grande Principe che sta in Eliopoli5. Disse allora S´u, il figlio di Ra, in cospetto di Atum il Grande Principe che sta in Eliopoli: «La giustizia prevale sulla forza. Attuala dicendo: “Da’ l’ufficio a (Horo)”». Disse allora Thot all’Enneade: «È giusto un milione di volte». Isi levò un grande grido, e fu lieta grandemente. Così, essa si recò in cospetto del Signore Universale e disse: «Vento del Nord, va’ a Occidente e addolcisci il cuore6 di Un-nefer, v.f.s.». Disse quindi S´u, il figlio di Ra: «Presenta l’ug´at, è una cosa giusta per l’Enneade».

Disse allora il Signore Universale: «Cosa è questo vostro prender consiglio da soli?». Allora l’Enneade rispose: «Che prenda il cartiglio regio per Horo, e che ponga la corona bianca sul suo capo». Allora il Signore Universale restò zitto per un lungo periodo, adirato contro l’Enneade7. A questo punto Seth, il figlio di Nut, disse: «Fa’ che lo si mandi fuori con me, e io farò che tu veda le mie mani che vincono le sue mani in cospetto dell’Enneade. (Altrimenti) non si trova modo di privarlo»8. Allora gli disse Thot: «Non dobbiamo cercare di conoscere chi ha torto? Ora, si deve dare l’ufficio di Osiri a Seth, mentre c’è suo figlio Horo?». Allora Ra Harakhte si adirò moltissimo, poiché il desiderio di Ra era di dare l’ufficio a Seth grande di forza, figlio di Nut. Allora Onuri levò un grande grido all’Enneade dicendo: «Fate che si chiami Baneb-g´edet9, il grande dio vivo, perché egli giudichi i due giovani». Fu condotto Ba-neb-g´edet, il dio grande che sta a Setyt10, in cospetto di Atum, e con lui Ptah Ta-tenen. Egli11 disse loro: «Giudicate i due giovani, e tratteneteli da questo loro stare a bisticciare tutti i giorni». Allora rispose Baneb-g´edet, il grande dio vivo, a quel che egli aveva detto: «Non fare che noi diamo giudizi nella nostra ignoranza. Fa’ che si mandi una lettera a Neit, la grande madre divina. Quello che essa dirà, noi lo faremo». Allora l’Enneade disse a Ba-neb-g´edet, grande dio vivo: «È stato fatto un giudizio nella prima volta, nella sala Unicadi-Giustizia». Allora l’Enneade disse a Thot12 in cospetto del Signore Universale: «Fa’ una lettera a Neit, la grande madre divina, a nome del Signore Universale, il toro che risiede in Eliopoli». Disse allora Thot: «La farò, ecco, la farò, la farò». E si mise a sedere per fare la lettera. E disse: «Il re della Valle e re del Delta Ra Atum, diletto di Thot; il Signore dei due Paesi, Eliopolitano; il disco solare che illumina i Due Paesi con il tuo aspetto, la grande inondazione che afferra13 (mentre Neit la grande madre divina, che ha rischiarato il primo volto è viva, è sana, è giovane)14; l’anima viva del Signore Universale, il toro di Eliopoli che è buon re dell’Egitto. Argomento. Questo umile servo15 passa le notti a preoccuparsi di Osiri, interrogando le Due Terre ogni giorno, mentre Sobek sta saldo per sempre16.

Cosa è quel che noi faremo ai due uomini17 che da ottanta anni sono davanti al tribunale senza che si riesca a giudicare fra queste due persone? Mandaci (a dire) quel che noi dobbiamo fare». Allora Neit la grande madre divina mandò una lettera all’Enneade dicendo: «Date l’ufficio di Osiri a suo figlio Horo, e non commettete questi grandi atti di ingiustizia che non sono al loro luogo; altrimenti io mi adirerò, e il cielo cadrà a terra. E si dica al Signore Universale, il toro che sta in Eliopoli: “Raddoppia Seth nei suoi beni, dagli Anat e Astarte18, le tue due figlie, e poni Horo al luogo di suo padre Osiri”». Così la lettera di Neit giunse all’Enneade mentre essi facevano seduta nella sala Horo-che-sta-davanti-alle-corna. Si consegnò la lettera nelle mani di Thot, e Thot la lesse in cospetto del Signore Universale e dell’Enneade al completo. Ed essi dissero a una sola bocca: «Ha ragione questa dea». Ma il Signore Universale si irritò assaissimo contro Horo, e gli disse: «Tu sei debole nelle tue membra, e questo ufficio è più grande di te, bimbo dalla bocca dal cattivo sentore»19. Allora Onuri si irritò un milione di volte, e così l’Enneade tutta e cioè la Trentina20. Baba il dio21 si alzò e disse a Pra-Harakhte: «Il tuo tabernacolo è vuoto!»22. Allora Pra-Harakhte sofferse per la risposta che gli era stata data, e si sdraiò sul suo dorso e il suo cuore soffriva grandemente. Allora l’Enneade uscì fuori, e levò un grande grido verso la faccia di Baba il dio, e gli disse: «Escitene, il fallo che tu hai commesso è grande assai!». E se ne andarono alle loro tende. Il dio grande trascorse un giorno sdraiato sul suo dorso nella sua tenda, mentre il suo cuore soffriva grandemente, restandosene solo. Ora, dopo un certo tempo, andò Hathor23 la signora del sicomoro meridionale, e si fermò in cospetto di suo padre, il Signore Universale, e scoperse il suo sesso in faccia a lui24. Allora il dio grande ne sorrise. Quindi si alzò, e venne in seduta con la Grande Enneade, e disse a Horo e Seth: «Parlate, voi!». Allora Seth grande di forza, figlio di Nut, disse: «Quanto a me, io sono il grande di forza in mezzo all’Enneade e uccido il nemico di Pra ogni giorno quando io sto alla prua della Barca dei Milioni25, e non c’è nessun dio capace di farlo. Io prenderò l’ufficio di Osiri».

Allora essi dissero: «Ha ragione Seth, figlio di Nut». Allora Onuri e Thot levarono un grande grido dicendo: «Si darà l’ufficio al fratello della madre, mentre c’è il figlio carnale?». Allora disse Ba-neb-g´edet, il grande dio vivo: «Via, si darà l’ufficio al bimbo, quando c’è Seth, suo fratello maggiore?»26. Allora l’Enneade levò un grande grido in faccia al Signore Universale, e gli disse: «Cosa sono le parole che tu hai detto, e che non sono degne di essere ascoltate?»27. Allora disse Horo, il figlio di Isi: «Non sarebbe certo bello che io fossi defraudato in cospetto dell’Enneade, e che mi si togliesse l’ufficio di mio padre Osiri». Allora Isi si adirò contro l’Enneade e fece giuramento per dio in cospetto dell’Enneade dicendo: «Come è vero che vive la divina madre Neit, come vive Ptah-Tatenen alto di penne, che piega le corna degli dei, si porranno queste parole in cospetto di Atum, il grande principe che sta in Eliopoli ed egualmente di Khepre che sta nella sua barca». Allora le disse l’Enneade: «Non adirarti. Si darà la giustizia a chi ha ragione, e si farà tutto quello che tu dici». Allora Seth, il figlio di Nut, si adirò contro l’Enneade, perché essi avevano detto queste parole a Isi la grande madre divina. E così Seth disse loro: «Prenderò il mio scettro di 4.500 nemes28, e ucciderò uno di voi ogni giorno». Quindi Seth fece un giuramento al Signore Universale dicendo: «Io non discuterò più davanti al tribunale, finché ne farà parte Isi». Allora Pra Harakhte disse loro: «Traghettate all’Isola che è nel mezzo, e giudicate là, e dite ad Anty29 il barcaiolo “Non traghettate nessuna donna che abbia somiglianza con Isi!”». Allora l’Enneade traghettò all’Isola che è nel mezzo, e gli dei si sedettero a mangiare pane. Venne quindi Isi, e giunse ad Anty, il barcaiolo che stava a sedere vicino alla sua barca. Essa si era trasformata in una vecchia donna, e camminava curva curva e aveva un piccolo suggello d’oro in mano. Essa gli disse: «Io son venuta da te perché tu mi traghetti all’Isola che è nel mezzo, poiché son venuta con questo vaso di farina per il ragazzino che oggi fan cinque giorni che sta a badare a un po’ di bestiame nell’Isola che è nel mezzo, ed ha fame». Ed egli le rispose: «Mi han detto: ‘Non traghettare nessuna donna’».

Ed essa gli rispose: «Quel che hanno detto, non te lo han detto per via di Isi?». E allora egli le disse: «Che cosa mi darai perché io ti traghetti nell’Isola che è nel mezzo?». Allora Isi gli disse: «Ti darò questa pagnotta». Ed egli le disse: «Cosa mi fa la tua pagnotta? Ti traghetterò all’Isola che è nel mezzo, dopo che mi è stato detto ‘Non traghettare nessuna donna’ per il compenso di una pagnotta?». Allora essa gli disse: «Ti darò il suggello d’oro che è nella mia mano». Ed egli rispose: «Dammi il suggello d’oro». Ed essa glielo dette. Così egli la traghettò all’Isola che è nel mezzo. Ora, mentre essa avanzava sotto gli alberi, essa guardò e vide l’Enneade seduta a mangiar pane in cospetto del Signore Universale nella sua tenda. Allora Seth guardò, e la vide. Essa si era trasformata in una giovane bella di membra, che non ce n’era l’uguale in tutta la terra. Ed egli l’amò fino a starne male assai. Così Seth si alzò, mentre stava seduto a mangiar pane con la Grande Enneade, e si mosse per incontrarla quando ancora nessuno l’aveva vista eccetto lui. Quindi si mise dietro un sicomoro, e la chiamò dicendole: «Starei con te qui, bella bambina!». Ed essa gli disse: «Magari, mio grande signore! Io ero moglie di un pastore di mandre, e gli partorii un figlio maschio. Quando mio marito morì, il ragazzo fu a badare al bestiame di suo padre. E venne un uomo straniero, che, sedutosi nella mia stalla, così parlò al mio figliolo: ‘Ti picchierò e prenderò il bestiame di tuo padre, e ti butterò fuori’. Ora, il mio desiderio è di far sì che tu sia il suo campione». Le disse allora Seth: «Si darà il bestiame30 a un uomo straniero, quando c’è il figlio dell’uomo?». Isi si trasformò in un nibbio femmina, e volò via, e si posò in cima a un albero, e chiamò Seth, e gli disse: «Piangi su di te: è la bocca tua stessa che l’ha detto31, è il tuo senno stesso che ti ha giudicato. Che vuoi ancora?». Allora egli stette, piangendo. Quindi si recò al luogo dove stava PraHarakhte, piangendo. Gli chiese Pra-Harakhte: «Che hai ancora?». E Seth gli rispose: «La maligna donna è venuta da me di nuovo, ed essa mi ha di nuovo dato fastidio. Essa si è trasformata in una bella ragazza per la mia faccia, e mi ha detto: ‘Io ero la moglie di un pastore di armenti, che è morto. Io gli avevo partorito un figlio maschio, ed egli andava dietro al po’ di bestiame di suo padre. Un uomo straniero si è introdotto nella mia stalla con il mio figliolo; e io gli ho dato

pane. Ora, dopo che molti giorni sono passati dopo di ciò, l’intruso ha detto al mio figliolo: “Ti picchierò, e prenderò il bestiame di tuo padre, che diverrà mio”. Così egli ha detto al mio figliolo’. Così ella mi ha detto». Allora Pra-Harakhte gli chiese: «E tu che le hai detto?». E Seth gli rispose: «Io le ho detto: ‘Ora, si darà il bestiame allo straniero, mentre c’è il figlio dell’uomo?’. Così le ho detto. ‘Si picchierà la faccia dell’intruso con un bastone e lo si butterà fuori, e si metterà il tuo figliolo al posto di suo padre’. Così io le dissi». Allora Pra-Harakhte gli disse: «Ebbene! Vedi, sei tu che ti sei giudicato da te stesso. Cosa vuoi ancora?». Allora gli disse Seth: «Fa’ che si faccia venire Anty il barcaiolo e che gli si dia un buon ammaestramento, dicendo: ‘Perché l’hai fatta traghettare?’. Così gli si dirà». Allora si fece venire Anty il barcaiolo in cospetto dell’Enneade, e si tagliò la punta dei suoi piedi32. Allora Anty fece giuramento riguardo all’oro fino ad oggi, in cospetto della Grande Enneade, dicendo: «Che l’oro sia, per causa mia, cosa impura per la mia città!»33. Allora l’Enneade traghettò alla riva occidentale, e gli dei si sedettero sulla montagna. Al momento della sera, Pra-Harakhte con Atum il signore delle Due Terre, l’Eliopolitano, mandarono all’Enneade, dicendo: «Voi lì, state in seduta per far che cosa, costì? I due giovani, li farete passar la vita in tribunale? Quando vi giungerà la mia lettera, voi porrete la corona bianca sul capo di Horo figlio di Isi, e lo proclamerete al posto di suo padre Osiri». Allora Seth si adirò fino a starne male assai. E l’Enneade disse a Seth: «Perché ti adiri? Guarda, non si è fatto secondo quel che ha detto Atum signore delle Due Terre, l’Eliopolitano, e Pra-Harakhte?». Così consolidarono la corona bianca sul capo di Horo figlio di Isi. Allora Seth levò un grande grido in faccia all’Enneade e protestò dicendo: «Si darà l’ufficio al mio fratello minore, mentre vi sono io come suo fratello maggiore?»34. Quindi fece giuramento dicendo: «Si levi la corona bianca dal capo di Horo figlio di Isi, e la si getti nell’acqua, cosicché io lotti con lui per l’ufficio principesco». E così Pra-Harakhte agì in conseguenza35. Allora disse Seth a Horo: «Vieni, trasformiamoci in due ippopotami, e tuffiamoci nell’onda in mezzo al mare. Quello che si mostrerà entro un periodo di tre mesi di giorni, non gli si darà l’ufficio»36.

Così si immersero tutti e due. Allora Isi si sedette in lagrime, dicendo: «Seth uccide Horo, il figlio mio!». Quindi essa prese un gomitolo di filo, e ne fece una corda. Prese un deben37 di rame e lo fuse in forma di arma acquatica38, vi annodò la corda, e lo lanciò nell’acqua nel luogo in cui si erano tuffati Horo e Seth. Ma il rame morse nella persona di suo figlio Horo. Allora Horo levò un grande grido dicendo: «Vieni a me, o madre mia Isi, madre mia! Grida al tuo rame che si sciolga da me! Io sono Horo, il figlio di Isi!»39. Allora Isi levò un grido e disse al rame: «Sciogliti da lui! Ecco, è il figlio mio Horo, il mio bambino!». Allora il suo rame si sciolse da lui. Quindi essa lo lanciò di nuovo nell’acqua, ed esso morse nella persona di Seth. Allora Seth levò un grande grido dicendo: «Che cosa mi fai, o mia sorella Isi? Grida al tuo rame che si sciolga da me! Io sono tuo fratello della stessa madre, o Isi!». Allora essa sofferse nel suo cuore per lui assai grandemente. E Seth la chiamò dicendo: «Forse che tu ami più uno straniero40 che il tuo fratello della tua stessa madre, Seth?». Allora Isi gridò al suo rame, dicendo: «Sciogliti da lui! Ecco, è il fratello della stessa madre di Isi che tu mordi!». E così il rame si sciolse da lui. A questo punto Horo figlio di Isi si adirò contro sua madre Isi, ed uscì fuori e la sua faccia era terribile come un leopardo, ed il suo coltello di 16 deben era nella sua mano. Egli tagliò la testa di sua madre Isi41, e la prese fra le braccia e salì alla montagna. Così Isi si trasformò in una statua di selce che non aveva la testa42. Allora Pra-Harakhte disse a Thot: «Cos’è questa che è arrivata e che non ha la testa?». E disse Thot a Pra-Harakhte: «O mio buon signore, è Isi la grande madre divina, cui Horo, suo figlio, ha tagliato la testa». Allora Pra-Harakhte levò un gran grido e disse all’Enneade: «Andiamo, e diamo un grande ammaestramento». Così l’Enneade salì alla montagna per cercare Horo figlio di Isi. Ed ecco, Horo stava sdraiato sotto un arbusto di s´enus´a, nel paese dell’Oasi. Così Seth lo trovò. Lo afferrò, lo gettò sul dorso contro la montagna, e gli cavò i due occhi dal loro posto, e li seppellì nella montagna per illuminare la terra43. E le due pupille dei suoi occhi divennero due boccioli, e

germogliarono come due fiori di loto44. Allora Seth se ne ritornò e disse a Pra-Harakhte, mentendo: «Non ho trovato Horo», mentre lo aveva trovato. Poi Hathor45, signora del Sicomoro meridionale, andò e trovò Horo che giaceva piangendo sul deserto. Essa prese una gazzella, la munse e disse a Horo: «Apri gli occhi, che io vi metta queste (gocce di) latte». Così egli aperse gli occhi ed essa vi pose il latte. Ne mise nel destro, ne mise nel sinistro e gli disse: «Apri gli occhi!». Ed egli aperse gli occhi, ed essa li guardò e li trovò guariti. Quindi essa andò a dire a Pra-Harakhte: «Horo è ritrovato. Lo aveva privato Seth dei suoi occhi, ma io ho fatto che egli stesse di nuovo (bene). Eccolo che viene». Allora l’Enneade disse: «Che si chiami Horo con Seth e che si giudichino». Così furono condotti in cospetto dell’Enneade, e disse il Signore Universale in cospetto della Grande Enneade a Horo e Seth: «Venite, e ascoltate quel che io vi dico. Mangiate, bevete, e stiamo in pace, e cessate da questo litigare quotidiano»46. Disse Seth a Horo: «Vieni, passiamo una giornata di festa a casa mia». Allora Horo gli disse: «Lo farò, ecco, lo farò, lo farò!». Quando fu il tempo della sera, si fece per loro un giaciglio ed essi se ne andarono a dormire insieme. Durante la notte Seth tentò di violare47 Horo. Allora Horo mise le mani fra le sue gambe e prese il seme di Seth. Quindi andò Horo a dire a sua madre Isi: «Vieni a me, o Isi, madre mia! Vieni e vedi quel che Seth ha fatto contro di me». Ed aperse le mani, e le fece vedere il seme di Seth. Ella levò un grande grido, e prese il suo coltello, e tagliò le sue due mani, e le gettò nell’acqua, e gli procurò delle mani equivalenti48. Quindi essa prese un po’ di unguento dolce, e lo pose sul membro di Horo, e ne prese il seme in un vaso49. Quindi Isi andò con il seme di Horo, all’ora del mattino, nell’orto di Seth e disse al giardiniere di Seth: «Quali erbe sono quelle che Seth mangia qui con te?». Allora il giardiniere le disse: «Non mangia nessuna erba qui con me, eccetto la lattuga»50. Ed Isi pose il seme di Horo su di quelle. Allora venne Seth secondo il suo uso di ogni giorno, e mangiò le lattughe che egli mangiò, ancora e ancora. E così restò gravido del seme di Horo.

Quindi Seth andò a dire a Horo: «Vieni, andiamocene perché io possa litigare contro di te in tribunale». Così Horo gli disse: «Lo farò, ecco, lo farò, lo farò!». Quindi se ne andarono al tribunale insieme, e stettero in cospetto della Grande Enneade. Si disse loro: «Parlate, voi!». Allora Seth disse: «Fate che sia attribuito a me l’ufficio di Principe, v.f.s., poiché quanto a Horo che sta qui in giudizio, io ho compiuto opera di maschio su di lui». Allora l’Enneade levò un grande grido, e vomitarono e sputarono in faccia a Horo. Ma Horo rise di loro. Quindi Horo fece un giuramento a dio dicendo: «Falso è quel che dice Seth. Fate che si chiami il seme di Seth, e vediamo qual è il posto da dove risponde: e poi si chiami il mio, e vediamo qual è il posto da dove risponde». Allora Thot il signore delle parole divine, lo scriba veridico dell’Enneade, pose la mano sul braccio di Horo e disse: «Vieni fuori, o seme di Seth!». E questo gli rispose dall’acqua entro lo stagno. Allora Thot pose la mano sul braccio di Seth, e disse: «Vieni fuori, o seme di Horo!». Ed esso rispose: «Di dove debbo uscire?». Allora Thot gli disse: «Vieni fuori da un suo orecchio». Ed esso rispose: «Ora, dovrò uscir fuori dal suo orecchio, io che sono un liquido divino?». Allora Thot gli disse: «Vieni fuori sulla sua fronte». E così esso uscì come un disco solare d’oro sul capo di Seth. Seth allora si adirò assai assai, e levò la mano per afferrare il disco solare d’oro. Ma Thot lo prese da lui, e se lo mise come ornamento sul capo51. E l’Enneade allora disse: «Ha ragione Horo, ha torto Seth». Ma Seth si adirò assai assai, e levò un grande grido, quando dissero: «Ha ragione Horo, ha torto Seth». E Seth fece un grande giuramento a dio dicendo: «Non gli si darà l’ufficio, prima che non sia stato messo fuori con me52, e che ci costruiamo qualche barca di pietra e facciamo una gara di corsa tutti e due. Quegli che vincerà sul suo compagno, a lui si darà l’ufficio di Principe, v.f.s.». Allora Horo si costruì una sua barca di cedro, la stuccò di gesso, e la varò in acqua al momento della sera, senza che la vedesse nessun uomo che sia sulla terra intera. Quando Seth vide la barca di Horo, e si disse che era di pietra53, andò sulla montagna e tagliò un cocuzzolo di roccia, e si costruì una barca di pietra di 138

cubiti. Quindi essi scesero nelle loro barche in cospetto dell’Enneade. Ed ecco, la barca di Seth sprofondò nell’acqua. Ma Seth si trasformò in un ippopotamo54, e danneggiò la barca di Horo. Allora Horo afferrò il suo arpione55, e lo lanciò nella persona di Seth. Ma l’Enneade gli disse: «Non lanciarglielo!». Allora egli andò a prendere i suoi strumenti da navigazione, li mise nella sua barca, e scese la corrente verso Sais per dire a Neit, la grande madre divina: «Fa’ che si giudichi fra me e Seth, poiché sono 80 anni fino ad ora che noi siamo in tribunale senza che si riesca a giudicarci, benché non sia stato stabilito il suo diritto contro di me, mentre mille volte fino ad ora sia stata riconosciuta la mia ragione contro di lui, quotidianamente. Ma lui non guarda a quel che ha detto l’Enneade. Io ho litigato con lui nella sala Via-dellaGiustizia56, ed è stato riconosciuto il mio diritto contro di lui. Io ho litigato con lui nella sala Horo-che-è-davanti-alle-corna, ed è stato riconosciuto il mio diritto contro di lui. Io ho litigato con lui nella sala Campo-dei-Giunchi57, ed è stato riconosciuto il mio diritto contro di lui. Io ho litigato con lui nella sala Lagodei-Campi, ed è stato riconosciuto il mio diritto contro di lui. L’Enneade ha detto a S´u figlio di Ra: ‘Ha ragione in tutto quello che dice, Horo figlio di Isi’». Allora Thot disse al Signore Universale: «Fa’ che si mandi una lettera a Osiri, che giudichi i due giovani». Disse S´u, il figlio di Ra: «Giusto un milione di volte quel che Thot dice all’Enneade». Così il Signore Universale disse a Thot: «Siediti e fa’ una lettera ad Osiri, e sentiamo quel che egli dirà». Allora Thot si sedette per compilare una lettera a Osiri, dicendo: «Il Toro58: Leone che caccia per sé. Le Due Signore: Protettore degli dei e Domatore dei Due Paesi. Lo Horo d’oro: Colui che ha inventato gli uomini nel tempo originario. Il re della Valle e re del Delta: Toro che sta entro Eliopoli. Il figlio di Ptah59: Benefattore delle Due Rive, che sorge come padre della sua Enneade, che mangia l’oro e tutte le pietre preziose, v.f.s. Scrivici quel che dobbiamo fare per Horo e Seth, perché non prendiamo decisioni nella nostra ignoranza». Ora, dopo che (molti giorni furono passati) dopo di ciò, la lettera arrivò al re, figlio di Ra: «Grande di abbondanza, signore delle Provvisioni»60. Egli allora levò un grande grido quando la lettera fu letta in suo cospetto. Così egli rispose presto presto al luogo dove era il Signore Universale con l’Enneade,

dicendo: «Perché si fa torto a mio figlio Horo, quando sono io quello che vi rende forti? Poiché sono io che faccio il frumento e l’orzo per fare vivere gli dei61, come il bestiame dopo gli dei62. Non si trova nessun dio e nessuna dea per farlo (all’infuori di me)». Così la lettera di Osiri arrivò al luogo dove era Ra-Harakhte che stava seduto con l’Enneade nel Campo Bianco a Xois. La si lesse in cospetto di lui e dell’Enneade, e Ra-Harakhte disse: «Su, rispondi per me a questa lettera presto presto a Osiri, e digli questo a questa lettera: ‘Se tu non fossi venuto in esistenza, se tu non fossi stato partorito, frumento ed orzo esisterebbero lo stesso’». Così la lettera del Signore Universale arrivò ad Osiri, e fu letta al suo cospetto. Allora egli mandò a dire indietro a Pra-Harakhte: «Bello davvero tutto quello che tu fai, o inventore dell’Enneade! Si è concesso che la giustizia affondasse nella Duat63. Ma guarda anche tu quale è la situazione. La terra in cui io sto è piena di messaggeri dal volto sinistro, che non han paura di dèi e dee64. Io farò che essi escano e che rapiscano il cuore di ognuno che commette colpa; ed essi saranno qui con me. E cosa è questo mio esser qui, a riposare nell’Occidente, mentre voi state fuori tutti quanti? Chi di voi è più forte di me? Ma, ecco, essi hanno inventato la menzogna. Ora, quando Ptah il Grande a Sud del suo muro, il signore di Ankh-tawy65, fece il cielo, non ha detto forse alle stelle che vi abitano: ‘Voi tramonterete nell’Occidente ogni notte, nel luogo dove è Osiri’? ‘Ma dopo gli dei, anche i nobili e la gente poseranno nel luogo in cui tu sei’: così mi ha detto».

Stranieri sotto i sandali Il rituale funerario egiziano classico tende a seguire modelli regali: il fatto che il morto sia assimilato ad Osiri (originariamente figura del re morto) ne è la conseguenza più clamorosa. Ma ciò comporta anche particolari di costume, come questo del raffigurare i «popoli stranieri» sotto la suola delle scarpe, che allude all’atto regale del calpestare i barbari vinti.

(Torino, Museo Egizio, cat. 2327).

E dopo (molti giorni dopo) questo, la lettera di Osiri arrivò al luogo in cui era il Signore Universale con l’Enneade. Così Thot prese la lettera e la lesse in cospetto di Pra-Harakhte e dell’Enneade. Allora essi dissero: «Giusto è quel che dice il ‘Grande di Abbondanza, signore delle Provvisioni’ v.f.s.»66. Allora Seth disse: «Facciamoci portare all’Isola che è nel mezzo, che io possa litigare con lui». Così si andò all’Isola che è nel mezzo, e si dette ragione a Horo contro di lui. Allora Atum, signore delle Due Terre, Eliopolitano, mandò ad Isi, dicendo: «Porta Seth, chiuso in una gogna»67. E così Isi portò Seth chiuso in una gogna come un prigioniero. Allora Atum gli disse: «Perché impedisci che vi si giudichi, e prendi l’ufficio di Horo?». Allora Seth gli disse: «No, mio buon signore. Fa’ che si chiami Horo figlio di Isi, e gli si dia l’ufficio di suo padre Osiri». Così si portò Horo figlio di Isi, e gli si pose la corona bianca sul suo capo, e fu posto sul trono di suo padre Osiri, e gli si disse: «Tu sei il buon re dell’Egitto! Tu sei il buon signore v.f.s. di ogni paese fino all’eternità, per sempre!». Allora Isi levò un grande grido per suo figlio Horo, dicendo: «Tu sei il buon re! Il mio cuore è in letizia, perché tu illumini la terra con il tuo sembiante!». Allora Ptah a Sud del suo muro, signore di Ankh-tawy, disse: «E che si farà per Seth? Poiché, ecco, si è posto Horo sul trono di suo padre Osiri». Allora disse Pra-Harakhte: «Mi si dia Seth, figlio di Nut, perché sieda con me. Egli starà con me come un figlio, e urlerà nel cielo, e si avrà paura di lui»68. Allora si andò a dire a Pra-Harakhte: «Horo, figlio di Isi, si è levato come principe v.f.s.». Allora Ra si rallegrò assai assai, e disse all’Enneade: «Acclamate, acclamate! A terra, a terra69! per Horo figlio di Isi!». Allora Isi disse: «Horo sta come principe, v.f.s. L’Enneade è in festa, il cielo è in allegrezza. Essi prendono ghirlande quando vedono Horo figlio di Isi levato come principe, v.f.s., illustre in Egitto. Gli dei dell’Enneade, i loro cuori son paghi, tutta la terra è in letizia poiché vedono Horo figlio di Isi, cui è stato confermato l’ufficio di suo padre Osiri, signore di Busiri». 1. Da un papiro della XX dinastia. Seguo GARDINER, Late Egyptian Stories, Bruxelles, 1932, pp. 37 segg. Una ottima traduzione in LEFEBVRE, Romans et contes égyptiens, Paris, 1949, pp. 178 segg., con

introduzione e bibliografia. Da vedersi anche J. SPIEGEL, Die Erzählung vom Streite des Horus und Seth in Pap. Beatty I als Literaturwerk, Glückstadt, 1937. 2. Cioè Horo, figlio postumo di Osiri. 3. Che Osiri figuri figlio di Ptah è indizio di origine menfita del racconto. 4. L’ug´at, cioè l’Occhio di Horo, è definizione teologica della corona regale. Thot ha la consueta funzione di visir. 5. Atum, il «Signore Universale» di cui si parla dopo. 6. «addolcire il cuore» è espressione tipica del linguaggio epistolare. Significa «comunicare, annunziare». 7. Il Signore Universale è chiaramente partigiano di Seth per tutto il racconto. 8. Seth chiede una prova di forza fisica, che lo renda superiore, dato che non ha la giustizia dal suo lato. 9. Il dio ariete di Mendes, signore della generazione. 10. L’isola di Sehel, alla prima cateratta. L’ariete di Mendes qui è confuso con Khnum criocefalo, che della cateratta è dio. 11. Cioè il Signore Universale. 12. Thot, il dio della scrittura è lo scriba degli dei. 13. E questa una fittizia titolatura regale per il dio solare. 14. L’inciso deve in qualche modo indicare il destinatario. 15. Il modo di designare la prima persona nello stile epistolare. 16. Ra e Sobek sono i due figli di Neit. Mentre il secondo sta tranquillo, il primo è pieno di preoccupazioni. 17. Sono così chiamati, per antonomasia, Horo e Seth. 18. Le due dee semitiche che si son fatte egiziane nel Nuovo Impero. 19. «che sa ancora di latte»? 20. «Enneade» è un termine che gli Egiziani sentono come generico: in realtà si tratta di trenta dei; quanti sono i membri anche di un tribunale terrestre. 21. È una divinità minore che punisce i colpevoli nell’Aldilà. 22. Frase in qualche modo offensiva. Allusione mitica? 23. La dea dell’amore e della festa. 24. Il gesto è noto in altre leggende: così in Grecia e in Giappone. Cfr. LEVY, Autor d’un roman mythologique égyptien, in «Ann. Inst. Phil. Hist. Or. et slaves», IV (1936), p. 817. 25. È la funzione protettrice di Seth alla prua della barca solare (la «Barca dei Milioni»). 26. È questa l’altra forma della leggenda, in cui Horo e Seth sono fratelli. 27. Sembra che sia caduta la frase pronunciata dal Signore Universale. 28. È probabilmente una unità di peso. 29. È il dio di Anteopoli, un dio falco. 30. «bestiame» è iawt, così come «dignità, funzione, ufficio». Il gioco di parole è una astuzia di Isi. 31. Allude al gioco di parole di cui alla nota precedente. Horo e Seth contendono appunto su chi abbia diritto alla iawt di Osiri. 32. «Anty» = «Colui dagli artigli», «l’unghiuto». Ha unghioni invece di alluci. Questa è la leggenda che ne spiega il perché. (In realtà, come si è detto, si tratta di un dio falco). 33. L’oro, per la cui bramosia è incorso nella pena. È leggenda eziologica relativa a interdetti cultuali a Anteopoli. Un altro mito spiega lo stesso interdetto nel Papiro Jumilhac. 34. Di nuovo l’altro aspetto della leggenda. 35. Di nuovo partigiano di Seth, malgrado il giudizio di poco prima. 36. Prova di ordalia. 37. Unità di misura ponderale (91 gr.).

38. L’arpione per la caccia all’ippopotamo (che può essere in osso oltre che in rame). 39. Il frasario è quello delle formule magiche. 40. Probabilmente il testo è corrotto. 41. Questa decapitazione di Isi anche in Plutarco, che giustifica così la testa bovina della dea. 42. Certo allusione a qualche roccia o figura acefala di cui si diceva fosse Isi: ma la leggenda eziologica non è ambientata. 43. Che Seth cavi gli occhi (o meglio l’occhio) di Horo è dato tradizionale. Che i due occhi di Horo siano il sole e la luna è convinzione estremamente antica, qui ripresa in ambiente novellistico. 44. Ricordo del fiore di loto su cui appare il sole primigenio? 45. Hathor («Casa di Horo») è la madre, o la sposa di Horo. 46. Si ricordi il passo dei Testi delle Piramidi in cui la lotta quotidiana di Horo e Seth è data come condizione di storia, in confronto con l’epoca avanti l’inizio, quando non c’era ancor nulla, e neanche la loro lotta. 47. Il testo egiziano è molto più esplicito. 48. Un mito in cui a Horo vengono tagliate le mani anche nel Libro dei Morti. 49. Il testo egiziano è più diffuso. 50. Per gli egiziani è un afrodisiaco. 51. Riecheggia qui una leggenda secondo la quale Thot era nato dal capo di Seth. 52. Seth continua a proporre ordalie invece che giudizi legali. 53. Sembra che la proposta, inattuabile, di Seth relativa alla barca di pietra sia stata da lui immaginata per rimandare indefinitamente il giudizio. 54. L’ippopotamo è animale sethiano. 55. L’arpione (il testo dice «il rame») è arma tipica di Horo nel contrasto con Seth. 56. Sono qui elencati numerosi tribunali mitici. 57. Il Campo dei Giunchi è una ben nota località dell’Aldilà. 58. In questa titolatura fantastica «Il Toro» corrisponde al nome d’Horo dei sovrani terreni. 59. Sta per «Il figlio di Ra» delle titolature regali. 60. È la titolatura che qui vien data ad Osiri. 61. In quanto Osiri, fra l’altro, è anche la terra. 62. Non c’è qui l’idea del «bestiame di Dio», gli uomini? 63. Il mondo sotterraneo. 64. Osiri appare qui dio, più che dei morti, della morte, con colori minacciosi che non gli sono consueti. Per il fondo mitico del passo cfr. il cap. CLXXV del Libro dei Morti. 65. Quartiere di Menfi. Ptah è qui divinità suprema, il che fa pensare a una origine menfita del testo, anche se una nota finale di scriba dichiara scritto a Tebe il papiro. 66. Osiri. 67. Quel legno che è legato al collo dei prigionieri. 68. Seth è il signore del tuono e del temporale. 69. «Prostratevi».

LA PIETÀ 1. — DALL’«INSEGNAMENTO DI ANY»1 La letteratura sapienziale ha una nuova fioritura nel Regno Nuovo e presenta caratteristiche nuove rispetto alla tradizione precedente. Si sottolinea quel che serve a delineare il quadro di un ideale umano di tacita pietà, sottomesso al volere divino, non aggressivo davanti alla vita e al mondo, ma trepido di una fiduciosa attesa della provvidenza divina. La divinità tende anch’essa a sfumare in una generica immagine, con scarso rilievo mitologico e accentuati tratti etici. Senza che si arrivi alla esplicita formulazione di una nuova concezione teologica, quale appare in testi più specificamente sacerdotali, si ha qui il trasferimento nell’ambito della vita pratica di concetti che han più vigorosa espressione altrove. L’inconoscibilità del dio si traduce nel consiglio; «Non interrogare sulla sua immagine»; il fatto che il dio sia capace di valutare le esigenze di tutta l’ecumene e di tutto quanto su di essa vive, diviene: «Non essere scorato: il tuo dio ti darà sostanze». Così anche la formulazione del monoteismo solare perde l’impegno speculativo che ha altrove, e si riduce a una indicazione pratica: «Quanto al dio di questo paese, è il sole all’orizzonte». E va comunque sottolineato il fatto che questo spirito religioso non intende minimamente sottrarsi alla tutela del tempio: la pietà è, formalmente, ancora quella tradizionale e solo impegna più a fondo di quanto non sia avvenuto finora l’individuo singolo e la sua coscienza. I2

Celebra la festa del tuo dio, e ripetila al suo tempo. Si adira il dio, se la si lascia passare. Eleva un testimonio quando tu fai l’offerta: questa è una cosa di prima importanza per colui che la fa… Canti, genuflessioni ed incensamento sono il suo nutrimento, il baciar la terra è il suo avere. Chi fa così, dio renderà grande il suo nome… II3 Se tu vieni ad una divisione con tuo fratello e il tuo che è in tua mano è un magazzino4, il tuo dio farà che ci sia per te un aumento [dell’eredità (?)] di tuo padre. Essi (cioè gli dei) sanno se una persona è affamata o sazia nella sua casa, anche se le sue pareti la nascondono. Non esser scorato: il tuo dio ti darà sostanze. III5 Fa’ offerta al tuo dio, e guardati da quel che egli aborre. Non interrogare sulla sua immagine, non slanciarti su di lui, quando esce in processione, non te gli avvicinar troppo per portarlo.

Non abbassare il suo velo. Guardati dallo scoprirlo da quel che lo protegge. Scorga il tuo occhio le sue manifestazioni di collera e bacia la terra in suo nome. Egli mostra potenza in milioni di aspetti ed innalzato sarà colui che lo innalza. Quanto al dio di questo Paese6, è il sole7 all’orizzonte. Le sue immagini sono sulla terra. Quando gli si dà incenso come suo cibo quotidiano si ravviva il Signore del Sorgere. 1. A VOLTEN, Studien zum Weisheitsbuch des Ani, Kgl. Danske Vidensk. Selsk. Hist. Fil. Medd. XI, 2, Köbenhavn, 1925. 2. III, 3-9. 3. VI, 7-10. 4. Cioè: «solo un magazzino». 5. VII, 12-17. 6. L’Egitto. 7. S´u.

2. — DALL’«INSEGNAMENTO DI AMENEMOPE»1 Assai dubbia è la data di composizione di questa che è, comunque, la più recente delle raccolte sapienziali egiziane. I motivi riprendono spesso atteggiamenti della cultura neoegiziana, e cioè il fiducioso abbandono alla misericordia divina, capace di perdonare e di provvedere, perché l’uomo è per definizione peccatore e affidato a dio. Con la divinità non si può, ormai, quasi più aver rapporto diretto: se c’è, è perché da parte del dio se ne prende l’iniziativa. Il solo modo di entrare con lui in contatto è di occuparsi fattivamente in questo mondo della umanità, e collaborare così alla sua opera provvidenziale. La felice povertà del pio, la soddisfazione e la quiete dell’opera di carità sono elementi non di una vita sociale, ma di una vera e propria esperienza religiosa, che tende a trasferire in questo mondo il teatro della sua attività. È un fenomeno analogo a quello per cui, nell’età eracleopolita, l’elenco dei peccati di cui il morto dichiara di essere immune è per la maggior parte composto di colpe verso il prossimo, in modo da far coincidere moralità sociale e religione. Ma anche in questo ambiente non si dimentica per nulla quel che è dovuto alla religione tradizionale: l’allusione a Thot, nella massima VI, è legata a una assai chiaramente identificabile religiosità di scribi, che in quel dio vedono il loro protettore, e che tradizionalmente a lui han dato singolari prerogative di autorità. Il parallelismo con passi della saggezza salomonica è stato più volte notato: è probabile che in più di un caso questa sia la fonte letteraria di quella, e in genere si può dire che questi testi (come quelli) interpretano esperienze religiose che han forme affini in due civiltà ormai da molto tempo vicine l’una all’altra ed esperte l’una dell’altra. I2

Meglio è uno staio che il dio ti dà che cinquemila in ingiustizia… II3 Meglio è la povertà nella mano di dio che la ricchezza nel granaio. Meglio è (solo) pane quando il cuore è contento che ricchezza con crucci. III4 Non parlare con menzogna alla gente: è l’abbominio di dio, questo. IV5 Non danneggiare la gente col calamo ed il papiro6: è l’abbominio di dio, questo. V7 Quando tu trovi un debito grosso di un povero fanne tre parti. Gettane via due, e lasciane restare solo una e troverai questo come una via di vita.

Così potrai dormire, e quando avrai passato la notte, al mattino lo troverai come una buona notizia. VI8 È il naso dell’Ibis il dito dello scriba9: sta attento a non irritarlo. Il Cinocefalo risiede in Ermopoli ma il suo occhio percorre i Due Paesi. Se dunque egli vede colui che trasgredisce col suo dito, egli rapisce i suoi viveri con l’inondazione. Se lo scriba trasgredisce col suo dito non sarà nominato (al suo posto) suo figlio. VII10 A che valgono le (preziose) stoffe suh e mek se tu fallisci in cospetto del dio? VIII11 Dio è nella sua perfezione, mentre l’uomo è nella sua manchevolezza: ma svaniscono le parole che gli uomini dicono e svaniscono le azioni di dio. Non dire: «Io son senza peccato» e non darti da fare per raggiungerlo (?)12. Il peccato appartiene a dio13 esso è suggellato col suo dito. IX14 In verità, tu non conosci i consigli di dio; così non puoi aver contezza del domani. Mettiti nelle mani di dio e il tuo silenzio le farà abbassare15. X16 Non ridere di un cieco e non schernire un nano e non danneggiare la situazione di uno zoppo. Non schernire un uomo che è nella mano di dio17 e non esser severo contro di lui, se trasgredisce. L’uomo invero è fango e paglia18: iddio è il suo muratore.

Egli distrugge e costruisce ogni giorno egli fa migliaia di piccoli a suo gusto. Egli fa migliaia di sorveglianti quando è nella sua ora di vita. Come si rallegra colui che raggiunge l’Occidente19 essendo sano nella mano di dio. 1. H. O. LANGE, Das Weisheitsbuch des Amenemope, in Kgl. Danske Vidensk Selsk. Hist. Fil. Medd. XI, 2, Köbenhavn, 1925. 2. VII, 19 segg. 3. IX, 5 segg. 4. XIII, 15 segg. 5. XI, 20 seg. 6. Profittando della tua situazione di scriba o funzionario. 7. XVI, 5 segg. 8. XVII, 7 segg. 9. L’ibis, e più sotto il cinocefalo, è Thot, il patrono degli scribi. Lo scriba deve essere attento a non irritare il suo dio con il suo dito, cioè con il suo scrivere. Similmente XXIV, 4: «Il cuore dell’uomo è il naso di dio». 10. XVIII, 10 segg. 11. XIX, 15 segg. 12. Cioè raggiungere dio. 13. Sul peccato ha autorità dio, che lo giudica e lo suggella. 14. XXII, 5 segg. 15. Il «silenzio» è la timorosa modestia del pio davanti alla divinità (il «silenzioso» è figura tipica del tempo), che farà abbassare benevolmente le mani divine. 16. XXIV, 8 segg. 17. È la frase specifica per indicare i malati di mente? 18. Ciò di che son fatti i mattoni crudi usati in Egitto. 19. Cioè l’Aldilà.

3. — PREGHIERE NEOEGIZIANE Fra le composizioni che si trovano frequentemente nelle raccolte neoegiziane di testi miscellanei, sono preghiere alle divinità, scritte probabilmente in quest’epoca, e che alla divinità si rivolgono in modo ben diverso da quello tradizionale. I vecchi inni rituali insistono sui nomi del dio, sui suoi luoghi di culto, sui suoi attributi, e ricordano i suoi miti. La figura dell’orante scompare, e solo nei testi magici se ci si rivolge agli dei si fa loro presente per quali ragioni li si invochi. Questi nuovi inni, o preghiere, o comunque questi appelli alla divinità han carattere del tutto diverso. Scompare praticamente tutta la mitologia, agli dei si dà il più semplice nome, e ci si rivolge loro in tono familiare, e ciascuno esprime loro le sue necessità, la sua fiducia nel loro aiuto e nella loro misericordia. C’è una sottintesa polemica riguardo alla società mondana, con la sua organizzazione pesante di uffici e di funzionari, con la corruzione e la prepotenza che in quell’ambiente si annidano. Gli dei han la capacità di scorgere subito dove sia il giusto, chi debba essere aiutato, a chi si debba largire il favore nella carriera o la vittoria in tribunale. La svalutazione della società, che non è capace di garantire giustizia e ordine, è tipica della cultura neogiziana, e del suo ideale dell’uomo schivo e restio come modello di virtù; ed è d’altronde alla base della svalutazione del successo come elemento di giudizio per la qualità delle singole persone. In confronto dei grandi della terra, che hanno a loro appoggio tutto l’apparato del governo e la forza dello Stato, l’«orfano», il debole ha dalla sua gli dei — Ammone, Harakhte, Thot — e si compiace, perciò, della sua piccolezza che lo pone in questa posizione di clientela di un sovrumano signore. Così come della sua piccolezza, l’orante è ora conscio delle sue colpe e della sua miseria: davanti a dio non c’è luogo per la tradizionale fiducia in sé. Più che di un fatto religioso, queste preghiere testimoniano così di un intero sovvertimento nella civiltà spirituale egiziana. I1

Una vedetta della barca che (ben) conosce l’acqua è Ammone, un timone, [un …] che dà viveri a chi non ne ha, che fa vivere il servo della sua casa. Io non mi sono fatto un grande (della terra) come mio protettore… ma mio protettore è il mio signore, e io conosco il valore suo: è un protettore dal braccio vigoroso, senza rivali, unico forte, Ammone che conosce la pietà, che dà ascolto a chi grida a lui, Amon-Ra, re degli dei, toro dalla forte zampa, che si compiace della forza. II2 Amon-Ra, colui che ha dato inizio alla funzione regale3, il dio della prima volta4, il visir dell’orfano, che non accetta compensi dal colpevole, che non dice «Portate testimoni», che non guarda alle promesse…5 Giudica Ammone la terra con le sue dita, e la sua parola va al cuore. Egli giudica il colpevole, e pone quello nel luogo di punizione e il giusto nell’Amentet6. III7 O Ammone, porgi il tuo orecchio a chi è solo in tribunale, ed è orfano e non è un potente, e il tribunale gli fa del male per il denaro (che accettano) gli scribi della amministrazione giudiziaria, per le stoffe (date a)gli inservienti.

Ecco, Ammone prende l’aspetto del visir8, per far sì che vada assolto l’orfano. Ecco che l’orfano risulta innocente, ché l’orfano supera il potente. IV9 Vieni a me, o Ra Harakhte, fa’ tu per me i miei piani. Sei tu quegli che presiede all’azione, non c’è chi agisca senza la tua assistenza, ma sei tu quegli che agisce con lui. Vieni a me, Atum, ogni giorno. Tu sei il dio splendido. Il mio cuore va seguendo il fiume a valle verso Eliopoli10… Il mio animo è lieto, il mio cuore è in festa. Ascolta le mie preghiere, le mie preci, le mie adorazioni nella notte. Le mie invocazioni, che durano nella mia bocca, quelle ascoltale nel giorno, o solo unico, o Harakhte. Non c’è altri come lui, che protegge i milioni, che salva le decine di migliaia. O protettore di chi grida a lui, o signore di Eliopoli, non permettere che mi danneggino le mie numerose colpe. Io sono uno che dimentica i suoi doveri11. Io sono una persona senza intelletto, che passa la giornata seguendo la sua bocca, come il giovenco dietro l’erba. … … … … …. V12 Sii lodato, o signore della casa13, Cinocefalo14 dalla chiara criniera, dal dolce aspetto, dalla grazia tranquilla, amore di ognuno. Egli è di pietra scheret, egli è Thot. Egli irraggia la terra con la sua bellezza. Quel che è sulla sua testa è di diaspro15, bello è il suo fallo di cornalina. La sua benevolenza è versata sulle sue sopracciglia. Egli apre la sua bocca per far vivere. Dolce è il cuore della mia amministrazione: dacché entrò in essa Iu16, essa è diventata efficiente; dacché vi ha messo piede il mio signore, dolce è il vostro cuore, o voi che appartenete alla mia dimora. Rallegratevi, o miei vicini. Ecco, il mio signore, è lui che mi ha fatto17 poiché di lui era appassionato il mio cuore.

Thot, se tu sarai il mio campione non avrò paura a causa di nessuno18. VI19 Addolcisci il cuore di Ammone nel tuo cuore, ed egli ti darà una bella vecchiaia, e passerai il tempo della tua vita in dolcezza di cuore, finché giungerai ad essere un beato20. Il tuo labbro sarà sano, le tue membra salde, il tuo occhio vedrà da lontano, le tue vesti saranno di lino sottile, monterai cavalli, un bastone d’oro sarà nella tua mano, la tua mererit21 sarà nuova, aggiogherai destrieri di Siria, (servi) nubiani correranno davanti a te, come prigionieri che tu avrai riportato. Tu scenderai nella tua barca di legno di pino, fornita da prora a poppa, e raggiungerai il tuo bel palazzo, che ti sarai fatto tu stesso. [La tua bocca sarà piena di vino e di birra, di pane e carne in abbondanza]. Vitelli saranno sgozzati, (vasi di) vino saranno aperti, dolci canti saran fatti in tuo cospetto; il tuo capo profumiere (ti) ungerà di gomma, il tuo preposto agli stagni (giungerà) carico di ghirlande, il tuo soprintendente ai pascoli porterà uccelli di palude, il tuo pescatore porterà pesci, la tua nave verrà dalla Siria, carica di ogni buona cosa; la tua stalla sarà piena di vitelli, i tuoi tessitori saranno in buono stato, tu sarai saldo, e il tuo nemico cadrà. La (mal)dicenza sul tuo conto non ci sarà, e tu entrerai al cospetto dell’Enneade, e ne uscirai giusto di voce22. VII23 Vieni a me, Ammone; salvami in questo anno di miseria. S´u24 capita che non sorga più; la stagione della semina è venuta nella stagione secca, i mesi capitano sbagliati, le ore sono imbrogliate25. I grandi gridano a te, o Ammone; i piccoli ti cercano. Quelli che sono (ancora) nelle braccia delle loro nutrici (dicono): «Da’ l’aria, o Ammone!». E si trova che viene Ammone in pace, recando avanti a sé un dolce vento… VIII26 Possa tu trovare che Ammone faccia secondo il tuo desiderio nella sua ora di grazia! Tu sarai lodato fra i grandi, saldo nel Posto della Giustizia27. Amon Ra è il tuo grande Nilo28, che inonda le montagne, padrone dei pesci, abbondante di uccelli29. Ogni orfano si sazia. Colloca i funzionari nella sede dei funzionari, gli anziani nelle sedi degli anziani; colloca lo scriba del tesoro Qa-geba davanti a Thot, il tuo giusto (?).

IX30 Vieni a me, o Thot, o nobile ibis31, o dio per cui si strugge Ermopoli, o scriba delle lettere32 dell’Enneade. Grande che sta in Ermopoli, vieni a me e fa’ i miei piani, e rendimi abile nella tua funzione. Bella è la tua funzione più di ogni (altra) funzione, poiché essa rende grandi. Si trova che chi è abile in lei diviene un grande. Io vedo (?) molti, per i quali tu hai fatto: essi sono nel Collegio dei Trenta33, e son forti e potenti per quel che tu hai fatto. Sei tu colui che fa i piani per colui che non ha madre. S´ay e Renen-utet34 sono in tua mano. Vieni a me, e fa’ i miei piani. Io sono un servo della tua casa35. Fa’ che io possa parlare della tua potenza, in qualunque paese io sia36. Possa dire la folla: «È grande quel che ha fatto Thot!». Possano essi andare con i loro bambini per marchiarli37 alla tua professione: bella professione di un signore potente, tale che è lieto chi la esercita. X38 Il soprintendente degli archivisti Amen-em-inet del Tesoro del faraone, v.f.s., dice allo scriba Pen-ta-Uret, perché ti sia portato questo scritto, che dice39: «O Thot, portami ad Ermopoli, la tua città, dalla dolce vita! Tu farai il mio fabbisogno di pani e birra, tu guiderai la mia bocca nel parlare. Oh, se avessi Thot dietro di me (a protezione) la mattina (?). Vieni a me, quando io entro in cospetto dei Padroni [della Giustizia]40, che ne esca giustificato, tu alta palma dum di sessanta cubiti, in cui sono le noci, e vi sono i noccioli41 dentro le noci, e c’è acqua dentro i noccioli. Tu sei il mio portatore d’acqua in un luogo lontano: vieni a salvarmi, o Silenzioso, o Thot! Tu, fontana dolce per l’uomo assetato nel deserto: essa è chiusa per chi sa usare la bocca, essa è aperta per il silenzioso42. Viene il silenzioso, e trova la fontana. Ma, per l’ardente, tu sei chiuso. 1. Ad Ammone. Pap. Anastasi II, 9.2 segg., ed GARDINER, Late Egyptian Miscellanies, Bruxelles, 1937, pp. 17-18. 2. Pap. Bologna 1094, 2.3 segg. = Anast. II, 6.5 segg., ed GARDINER, op. cit., pp. 2, 16. 3. Il primo re. 4. La creazione. 5. Che non ha bisogno degli strumenti terreni di giustizia e che è incorruttibile. 6. Il paese dei morti; qui, dei beati. 7. Preghiera ad Ammone. Anast. II, 8.5 segg., ed GARDINER, op. cit., p. 17. 8. Ammone è il visir del povero. 9. Preghiera a Ra Harakhte, assimilato ad Atum. Anast. II, 10.1 segg., ed. GARDINER, op. cit., pp. 18 seg.

10. Chi parla è probabilmente a Tebe, che è a monte di Eliopoli. 11. «Io sono uno che ignora il suo sé». 12. Inno a Thot. Anast. III, 4.12 segg., ed GARDINER, op. cit., p. 25. 13. «casa» probabilmente in senso pregnante: «ufficio», «amministrazione». 14. Thot è rappresentato come cinocefalo. 15. «diaspro» è traduzione di comodo. Si descrive qui una statuetta che è nell’ufficio dello scriba, come immagine sacra. 16. Nome di Thot (il «cane»). Dacché nell’ufficio è stata posta la statua di Thot. 17. «Mi ha fatto progredire nella carriera». 18. Altre traduzioni sono possibili («non temerò il malocchio»). 19. Vantaggi per chi venera Ammone. Anast. IV, 3.2, ed. GARDINER, op cit., pp. 37 seg. 20. Alla morte. 21. Parte del carro: qui per il carro tutto. 22. Allusione al giudizio nell’Aldilà. 23. Preghiera ad Ammone. Anast. IV, 10.1 segg., ed. GARDINER, op. cit., p. 45. 24. Il dio dell’aria e dello splendore solare. 25. Si è voluto vedere qui una allusione allo sfasamento del calendario civile rispetto a quello astronomico. 26. Preghiera ad Ammone. Anast. IV, 10.5 segg., ed GARDINER, op. Cit., pp. 45 seg. 27. Der el Medinah, e la connessa necropoli. 28. Cioè colui che porta l’abbondanza, come fa il Nilo con l’inondazione. 29. Pesci ed uccelli acquatici arrivano dovunque e si moltiplicano durante l’inondazione, e ogni orfano può saziarsi. 30. Preghiera a Thot. Anast. V, 9.2 segg., ed. GARDINER, op. cit., p. 60. 31. L’ibis è l’animale di Thot. 32. «segretario». 33. Un’alta magistratura. 34. Il dio del destino e la dea delle messi, nominati spesso insieme per indicare l’abbondanza. 35. Cioè, uno scriba. 36. In altre parole, «possa tu favorirmi, in modo che io possa celebrarti e sia a tutti d’esempio della tua benevolenza». 37. Come si marchia il bestiame per garantirne la proprietà. Cioè «per consacrarli». 38. Preghiera a Thot. Sallier I, 8.2 segg., ed. GARDINER. op. cit., pp. 85 seg. 39. È introduzione di tipo epistolare. 40. Si allude al giudizio nell’Aldilà, dove Thot ha funzione di scriba che registra i risultati. 41. Traduzione di comodo. 42. Il «silenzioso», in contrapposto a «chi sa usare la bocca», l’«ardente» è l’ideale del saggio e del pio neoegiziano.

4. — MASSIME INCISE SUGLI SCARABEI1 L’abitudine di mescolare alla vita quotidiana elementi di pietà si fa frequente dal Nuovo Regno in poi. Così anche sugli scarabei — amuleti o suggelli, o tutte e due le cose insieme — si prende l’abitudine di incidere, invece del nome o di formule augurali o di disegni caratteristici, brevi frasi di colorito religioso, che in nuce rappresentino l’animo del proprietario dello scarabeo. Si tratta, come è ovvio, di materiale di delicata interpretazione e di assai diverso colorito. Il carattere di onnipotenza e di carità della divinità è spesso sottolineato; ma non mancano frasi più strettamente teologiche, e frasi che rispecchiano una religiosità più legata a moduli tradizionali (come l’ultima della nostra scelta, che accentua così evidentemente il valore sacrale assunto da Tebe nel tardo regno nuovo e in bassa epoca) o quelle che insistono sul valore consolante del vivere nel tempio del dio protettore. Si tratta in ogni modo di un materiale che offre un quadro affine a quello che appare dalle preghiere private neoegiziane.

Tutti gli avvenimenti sono nella mano di dio. Quel che ancora non esiste è nella mano di dio. Se Ammone è dietro di me, io non temo di nulla. Ammone vede; io non temo di nulla. La protezione della mia vita è il servire Ammone. Dio, la casa del suo favorito non teme di nulla. È dio che conduce alla felicità. Il favorito di dio è colui che ama la giustizia. Il favorito di dio è colui che lo loda. Il favorito di Ammone è chiunque lo adora. Dio ama chi lo ama. Dio innalza colui che lo ama. Amon-Ra è la forza del solo. Non esiste vero rifugio per il mio cuore se non Amon Ra. Vivere in tua presenza, o Ammone, è il dolce vento del Nord per il mio naso. Un-nefer, il mio luogo prediletto è il tuo tempio. Dio ama chi è assiduo nel suo tempio. Tutte le opere buone, Ptah ne paga generosamente il prezzo. È Ptah colui che inizia ogni buona azione. Ammone, il signore della vita e della potenza, è nascosto nel soffio di vita. È il favorito di dio colui che ama Tebe. 1. Cito direttamente da E. DRIOTON, Une nouvelle source d’information sur la religion égyptienne, in «La Revue du Caire», 1951, che ha raccolto ed interpretato una lunga serie di testi, spesso criptografici, su scarabei.

5. — LETTERA A UNA MORTA1 L’abitudine di inviare messaggi scritti ai morti nella loro sede oltremondana deponendoli nelle tombe, risale al tempo più antico. Ci si rivolge al defunto per averne soccorso, gli si specifica in quali condizioni ci si trovi, ed eventualmente quali torti si siano subìti. L’uso di tali rapporti con i familiari defunti ha chiare origini nelle concezioni relative alla sopravvivenza nell’aldilà, e nell’idea che dall’aldilà i morti continuino ad occuparsi delle cose della terra, su cui continuano ad avere (o potere avere) influenza. Ci son probabilmente anche particolari sviluppi superstiziosi di queste pratiche, di origine forse più complessa. L’esempio presente è un po’ diverso dai consueti: il coniuge sopravvissuto scrive alla moglie morta non per metterla al corrente di ciò che accade, ma per esorcizzarne — si direbbe — lo spirito, che non gli permette di vivere serenamente. Ricorda quanto la morta gli debba, e come egli l’abbia sempre rispettata e favorita, e chiede che cessi ora dal tormentarlo, e propone un giudizio divino in proposito: quel giudizio fra i vivi e i morti, in caso di danni che gli uni arrechino agli altri, e che nella letteratura funeraria più antica è invece invocato dal defunto contro chi violi il sepolcro. Dal finale della lettera sembra forse che il vedovo abbia intenzione di risposarsi, e venga prima a mostrare alla moglie defunta quali torti abbia subìto da lei, e come non possa più tollerare questo stato di cose. Interessante, nel documento, il sopravvivere della mentalità e delle pratiche arcaiche nel Nuovo Regno avanzato.

Allo Spirito eccellente, Ankhiry. Cosa ho fatto contro di te di male, da essere in questa mala condizione in cui mi trovo? Cosa ho fatto contro di te? Quel che tu hai fatto è che mi hai posto la tua mano sopra2, per quanto io non abbia fatto nulla di male contro di te. Da quando io stavo con te come marito fino a questo giorno, che cosa ho fatto contro di te che si debba nascondere? Che cosa ti ho fatto? Quel che tu hai fatto è che io porti accusa contro di te3. Che cosa ho fatto contro di te? Io avrò un processo con te con parole della mia bocca in cospetto dell’Enneade dell’Occidente, e si giudicherà fra te e me (per mezzo) di questo scritto, poiché le mie parole e la mia lettera sono su di esso4. Che cosa ho fatto contro di te? Io ti ho fatto mia moglie quando ero giovane. Io son stato con te quando io esercitavo ogni ufficio. Io son stato con te, e non ti ho mai messo da parte5, e non ho fatto che il tuo cuore soffrisse. E questo io ho fatto quando ero giovane e quando esercitavo ogni ufficio importante per il faraone, v.f.s. E non ti ho mai messo da parte; ma ho detto: «È stata (sempre) con (me)!». Così dicevo. E chiunque venisse a me (quando ero [?]) in tuo cospetto, non lo ricevevo, per farti piacere, e dicevo: «Farò secondo il tuo desiderio». Ma ora, guarda, tu non lasci requie al mio cuore. Io verrò a giudizio con te, e si discernerà il torto dalla ragione. Ma ora, guarda, quando io esercitavo gli ufficiali per l’esercito del faraone e per la sua cavalleria, essi venivano gettandosi col ventre a terra davanti a te, e portavano ogni buona cosa per farne offerta davanti a te. Io non

ti ho nascosto niente nei tuoi giorni di vita, e non ho fatto che tu soffrissi nessuna pena in tutto quel che ho fatto con te come signore. Non mi hai trovato a farti torto come un contadino, entrando in un’altra casa6. Io non ho permesso che alcuno mi prendesse quel che io avevo guadagnato con te (?). E quando mi si collocò nello stato in cui sono, io divenni incapace di andarmene secondo il mio uso7, e io mi trovai a fare quel che fa uno del mio stato quando sta a casa (riguardo) i tuoi unguenti, ed egualmente le tue provviste, ed egualmente le tue vesti. E questo era portato a te, e io non lo ponevo in un altro posto, ma dicevo: «La donna8 è [là (?)]». Così dicevo, e non ti facevo torto. Ma, guarda, tu non sai riconoscere il bene che io ti ho fatto. Io scrivo per farti sapere quel che tu stai facendo9. Ora, quando tu sei stata malata di quella malattia che hai avuto, io (ho fatto venire) un capo medico, ed egli ti curò e fece quello che tu gli dicevi «Fa’ questo». Quando io andai al seguito del faraone, v.f.s., andando verso l’Alto Egitto, e questo era il tuo stato, io passai otto mesi senza mangiare e senza bere come un uomo. E quando io raggiunsi Menfi, chiesi (licenza) al faraone, e mi recai al luogo in cui tu eri10, e piansi assai con le mie genti in cospetto della mia contrada. Io detti stoffa di lino d’Alto Egitto per fasciarti, e feci che si facessero numerose stoffe, e ho fatto che non si trascurasse niente di buono che non fosse fatto per te. Ora, guarda, io ho passato tre anni fin qui, abitando (solo), senza entrare in un’(altra) casa11, per quanto non sia opportuno che faccia così chi è nelle mie condizioni. Ma, guarda, io l’ho fatto per te. Ma, guarda, tu non distingui il bene dal male, e si giudicherà te e me. Ma guarda, le sorelle nella casa, io non sono entrato da nessuna di loro. 1. È il Pap. Leida 371, pubblicato con altri testi similari più antichi (dall’Antico Regno in poi) da GARDINER and SETHE, Egyptian Letters to the Dead, London, 1928, pp. 8-23 e Pl. VII-VIII. Questo papiro è stato trovato legato a una statuetta di donna, probabilmente immaginata come messaggera per l’Aldilà. In molti casi queste missive ai defunti son scritte su piatti su cui probabilmente era deposta l’offerta funeraria. Il testo è assai scorretto, e in vari punti di dubbia interpretazione. 2. I morti possono perseguitare i vivi, «mettere la mano su» di loro. 3. Accusa davanti agli dei dell’Aldilà, che giudicheranno fra il marito vivo e la moglie morta. 4. Cioè «Poiché esso contiene le mie parole e la mia deposizione». La lettera è il documento dell’accusa. 5. «non ti ho mai ripudiato». 6. Fondando un’altra famiglia. 7. Allude a viaggi per ufficio?

8. Cioè «mia moglie». 9. «Io faccio questa deposizione perché tu ti renda conto…». 10. probabilmente sepolta. 11. senza risposarmi.

IL SOVRANO 1. — LA NASCITA DIVINA DI HATS´EPSUT1 Verso la metà della XVIII dinastia una lite dinastica pose a contrasto fra di loro i membri della casa regale: la regina Hats´epsut di puro sangue reale, riuscì a tener lontano per molti anni dal potere effettivo il fratellastro e sposo Thutmose III. Dietro la lotta fra i due si profilano due partiti che rispecshiano il diverso atteggiamento delle diverse classi egiziane rispetto alla politica di espansione imperialistica che la XVIII dinastia aveva cominciato ad attuare con una ampiezza ignota alla più antica civiltà. Nella contesa i due partiti — quello della regina e quello del re — portarono tutti gli elementi di cui potessero disporre, ed elementi di propaganda sono frequenti. In particolare, di propaganda religiosa: così questi testi che provengono dal tempio funerario della regina a Der el Bahari, e che commentano una serie di scene in cui è rappresentato il mito della teogamia da cui, secondo la tradizione, ha origine il sovrano legittimo. Il racconto popolare del papiro Westcar (cfr. p. 217) dà già pei un’epoca assai più antica una versione novellistica di questa concezione. Sotto Amenofi III il racconto ufficiale è ripetuto sui muri del tempio di Luqsor. Qui la funzione della rappresentazione e del commento è evidentemente quella di sottolineare la purezza del sangue della regina, e perciò i suoi diritti al trono a preferenza del fratellastro. Il tono della narrazione è estremamente ufficiale, e offre una nobile documentazione della concezione per cui il sovrano è «figlio di Ra», come dice la sua titolatura ufficiale, e perciò (per questa epoca che con Ra ha assimilato Ammone) figlio di Ammone Ra.

(Discorso di Ammone) «Dunque io parlerò a questi dei a proposito della eredità del signore delle Due Terre2, poiché è mia intenzione di congiungermi con la sua diletta3, la madre regale del re della Valle e re del Delta Ka-maat-Ra dotata di vita, Ahmose … e di essere a protezione delle sue membra, esaltandola …, poiché io le4 darò tutte le terre e tutti i paesi stranieri… ed essa guiderà i viventi… Io riunirò con lei le Due Terre in pace… Essa costruirà i vostri templi5, adornerà le vostre dimore… essa renderà floride le vostre fondazioni, renderà verdeggianti i vostri altari…. Fate cadere la rugiada dal cielo durante i suoi tempi…, fate che vengano a lei Nili abbondanti nella sua epoca, largite la vostra protezione alla sua vita e alla sua durata… Colui che la adorerà certo vivrà… chi bestemmierà il nome della Maestà di lei, io farò che egli muoia sull’istante»6. (Risposta degli dei) Dice la grande Enneade: «… Noi veniamo e largiamo la nostra protezione alla sua vita ed alla sua durata…». (Ammone si informa da Thot circa Ahmose, la futura madre di Hats ´epsut, e Thot risponde:) «Questa giovinetta7 di cui tu parli… il suo nome è Ahmose. Essa è bella più di ogni donna che sia in questa terra intiera ed è la sposa del sovrano, del

re della Valle e re del Delta Aa-kheper-ka-Ra, dotato di vita eterna. Quando ancora sua Maestà era un giovane principe…8». Così disse questo dio venerando ad Ammone signore dei troni delle Due Terre, e questi prese l’aspetto della Maestà9 di questo sposo di lei, il re della Valle e re del Delta Aakheper-ka-Ra. Essi la trovarono che si riposava nei penetrali del suo palazzo. Essa si destò all’odore divino, e sorrise alla Sua Maestà. Ed ecco, egli le fu subito accanto, arse di amore di lei, e pose in lei il suo desiderio. Egli le concesse di contemplarlo nel suo aspetto di dio, e dopo essersi accostato a lei che esultava a vedere la sua bellezza, egli ebbe desiderio di possederla nelle sue membra. E il Palazzo era inondato dal profumo del Dio e da tutti i balsami di Punt10.… La Maestà di questo dio fece tutto quel che desiderava con lei, ed essa lasciò che egli godesse di lei, e lo baciò… Disse dunque la sposa regale, madre regale Ahmose alla Maestà di questo dio venerando, Ammone signore dei Troni delle Due Terre: «Signor mio come grande è in verità la tua potenza! Cosa splendida (s´pss) è il vedere la tua fronte (h´3t)! Si è unita (h´nm) a te la mia maestà nel tuo splendore, e la tua rugiada è in tutte le mie membra!». Dopo che la Maestà di questo dio ebbe fatto tutto quel che desiderava con lei, disse Ammone, signore dei troni delle Due Terre rivolto a lei: «H’nmt Imn H´3t S´pswt11; proprio questo sarà il nome di questa figlia che ho generato nel tuo grembo, riunendo le parole che sono uscite dalla tua bocca. Essa eserciterà una sovranità perfetta su tutto questo paese, e la mia anima sarà sua, il mio potere sarà suo, la mia autorità sarà sua, la mia corona sarà sua. Sarà una regina che governerà i Due Paesi, e guiderà tutti i viventi … per quanto è circondato dal cielo… Io ho riunito per lei le Due Terre nei suoi nomi di signore12 sul trono di Horo dei viventi, e sarò a protezione dietro di lei ogni giorno insieme con il dio che sarà di turno quel giorno». (Ammone parla a Khnum13 che gli deve formare l’infante, e questi risponde:) «Ho creato questa tua figlia Ka-maat-Ra con vita forza e salute; con offerte, con abbondanza, con rispetto, con amore, con ogni cosa bella. Innalzo la sua immagine fino agli dei nella sua nobiltà grande di re della Valle e re del Delta». (Khnum plasma l’infante ed il suo ka sul tornio da vasaio, mentre la sua compagna Heqet infonde loro la vita)

Si dicono le parole da Khnum il creatore, signore di Herur14: «… Io vengo a te per crearti dappiù di tutti gli dei. Io do a te ogni vita e stabilità, durata, gioia che è in mio potere. Io ti do tutta la salute e tutti i paesi. Io ti do tutti i paesi stranieri e tutti i rekhyt15. Io ti do tutte le offerte ed ogni abbondanza. Io ti do di sorgere sul trono di Horo16 come Ra… Io ti do di essere alla testa dei ka di tutti i viventi, quando tu sorgi come re della Valle e re del Delta, nel Sud e nel Nord, come ha decretato il padre tuo Amon-Ra che ti ama». (Khnum e Heqet conducono la regina al luogo del parto, in cospetto di Ammone e di Meskhent. Dice questa dea:) Dire le parole da parte di Meskhent17: «Io pongo mia figlia come re della Valle e re del Delta. Io son (qui) per effettuare la mia protezione dietro di te, come Ra. Io ti do vita e durata più che a chiunque. Io ti auguro vita, salute, sanità, perfezione, dignità, letizia, cibi, offerte, abbondanza e ogni cosa buona ed un sorgere come re della Valle e re del Delta con moltissimi giubilei. Tu sei viva, sei stabile, sei durevole, sei lieta con il tuo ka in queste Due Terre tue, sul trono di Horo in eterno». (Hathor porge la bambina ad Ammone) È venuto questo dio venerando per vedere la figlia sua che egli ama Kamaat-Ra, vivente, dopo che essa è stata partorita. Ecco, il suo cuore è lieto grandemente. 1. Sono i testi con i quali viene commentata la serie delle scene che descrivono la nascita della regina da Ammone e dalla regina madre, nel tempio di Hats´epsut a Der el Bahari. Seguo SETHE, Urkunden der 18. Dynastie, Leipzig, 1906-1909, pp. 216 segg. 2. Del re. L’erede legittimo del sovrano deve essere un altro figlio di Ra (o, in quest’epoca Amon-Ra). 3. La regina. 4. «Le» è la figlia, che in questo caso assume la funzione regia. 5. Gli dei debbono proteggere questa figlia di Ammone perché essa, in quanto regina, fornirà i templi. 6. La frase, dall’aspetto generico, copre una precisa situazione politica: il regno della regina fu reso difficile dalla tensione fra il partito che caldeggiava lei e quello del fratellastro e sposo suo, Thutmose III. 7. La regina madre. 8. Lacuna. 9. Il dio si unisce alla regina assumendo l’aspetto del suo sposo terreno. 10. Il paese degli incensi e delle spezie (Somalia?). 11. Con evidente richiamo alle parole dette dalla regina è costruito il nome della fanciulla che ha da nascere. 12. La regina ha spesso atteggiamenti maschili. 13. È il dio della cateratta, immaginato come montone, o uomo criocefalo, che al tornio forma l’umanità. 14. Antinoe. 15. Uno dei nomi dell’umanità in quanto composta di sudditi del re.

16. Il «trono di Horo» è il trono d’Egitto (in quanto ogni re è la personificazione di Horo). 17. Come Heqet è una dea che presiede al parto.

2.— HATHOR GIOVENCA E LA REGINA HATS´EPSUT1 Il tempio funerario della regina Hats´epsut a Der el Bahari ha una cappella intitolata a Hathor. La dea, rappresentata sotto forma di giovenca, ha anche altrove funzioni funerarie. Essa accoglie benevolmente il defunto all’arrivo nell’aldilà. Qui, in particolare, essa allatta la regina, così come più tardi è rappresentata ad allattare altri faraoni. L’idea che il re sia allattato dalle dee è concezione antica, e prova della sua legittimità, poiché è quella che gli permette questa dimestichezza con il mondo divino. Hathor, che in taluni casi ha il compito di allevare Horo, è particolarmente adatta allo scopo, in quanto il sovrano è sempre immaginato come una rinnovata personificazione di questo dio. Tutto il testo tende, attraverso il discorso della dea, a sottolineare la legittimità del regno della regina.

Si dicono le parole di Hathor, signora di Dendera, signora del cielo, signora degli dei che sono in G´eser-G´eseru2: «O figlia mia diletta Ka-maat-Ra, io vengo esultando per il tuo amore, soddisfatta di questi tuoi monumenti e del bel luogo di soggiorno che tu mi hai fatto. Io son venuta da Pe, io son giunta da Dep3; ho traversato gli stagni, le paludi e le vie di Horo (?), e ho posato in Egitto a protezione. Il mio profumo giungeva a te da Punt4, dolce era il tuo profumo più di quello degli dei. Figlia mia del mio grembo, Ka-maat-Ra, Horo di elettro5, io sono la tua madre dolce di latte. Ti ha allattato la Mia Maestà con le mie mammelle, che entravano in te come vita e durata. Io lecco la tua mano, lecco le tue membra con la mia lingua dolce che esce dalla mia bocca6. Tu nasci ogni giorno nuovo sulle mani di tuo padre Ammone, che pone tutte le terre sotto i tuoi sandali». … … … … …. 1. SETHE, op. cit., pp. 236 segg. La dea accoglie la regina, che le ha dedicato il tempio. 2. Der el Bahari, dove è il tempio funerario della regina. 3. Buto: la dea è identificata con Uto. 4. Il paese degli incensi, di cui Hathor è signora. 5. Titolo rifatto su quello canonico di Horo d’Oro. 6. Come la giovenca fa col vitello.

3. — LA PROFEZIA PER THUTMOSE III1 Davanti alla documentazione della genealogia divina di Hats´epsut così particolareggiatamente esposta a Der el Bahari, il fratellastro, figlio non della grande sposa regale ma di una concubina, è costretto a cercare in altro ambiente le prove della legittimità del suo dominio. Cita così come elemento probante il fatto che mentre egli, come principe, era sacerdote nel tempio di Ammone, fu dal dio riconosciuto e avviato ana carriera regale, e identificato in questa sua qualità da una profezia divina. È anche questo un evidente motivo di propaganda; ed è comunque interessante e notevole che, in una lotta politica così serrata come quella che in questo periodo si combatte, l’elemento religioso abbia una così primordiale importanza. Certo per la tradizione che con tanta insistenza collega per tutta la storia egiziana la figura del re al mondo degli dei.

Mentre ero entrato in suo (cioè «di Ammone») cospetto nell’interno del tempio, mi fu profetizzato il dominio sulle Due Terre, i troni di Geb, e la dignità di Khepre a lato di mio padre, il dio perfetto, il re della Valle e re del Delta Aakheper-en-Ra2, dotato di vita eterna. … … … … …. 1. SETHE, op. cit., p. 180. Da una iscrizione assai lacunosa sul VII pilone di Karnak. Si allude a una designazione profetica di Thutmose III al trono da parte di Ammone, durante una cerimonia sacra. 2. Thutmose II, alla cui successione Thutmose III avanza diritti in concorrenza con la sorellastramoglie Hats´epsut.

4. — LA NOMINA DIVINA DI THUTMOSE III1 Il testo allude a una cerimonia che si immagina avvenga fra gli dei, e che comporta una vera e propria investitura del faraone, dichiarato tale da Thot, in quanto visir del re degli dei, Ammone. È naturalmente anche questo un testo propagandistico, che insiste su un carattere cortigiano ed ufficiale della corte celeste, la cui etichetta ricalca quella della corte terrena, in modo da dare il massimo di verisimiglianza umana a questa trasposizione mitica della nomina regale di Thutmose III.

(Il discorso di Thot) Si dicono le parole da Thot, signore di Ermopoli, che presiede a Heseret: «Atum signore di Eliopoli, con la sua Enneade; Ra-Harakhte con la sua Enneade: dei e dee che siete nell’Alto e nel Basso Egitto! Ascoltate questo discorso che ha ordinato Amon Ra signore dei Troni delle Due Terre in favore del re della Valle e re del Delta Men-kheper-Ra, suo figliolo carnale che egli ama. ‘Possa tu cingere le due corone! Possa tu sedere sulla piattaforma del trono! Possa tu fare milioni di giubilei mentre è salda la tua corona di re della Valle e re del Delta! Possa tu prendere le Due signore3 sul tuo capo, quando cingi la Grande di Magia4! Possa tu rallegrarti di essa! Tu sei il figliol mio che sorge in Tebe, fornito e possente fin dalla nascita … la cui spettanza dura nell’eternità sul suo trono di perpetuità’». (La risposta degli dei) Si dicono le parole dagli dei e dalle dee che sono nell’Alto e Basso Egitto: «Noi siam venuti a te, dio che presiedi a Heseret. Noi ci riuniamo per te a cagione di quel che ci annunci. Noi ascoltiamo questa parola che ha ordinato Amon Ra per il suo figliolo, il re della Valle e re del Delta Men-kheper-Ra, suo diletto, Thutmose, suo vendicatore5 che sorge in Tebe, suo discendente saldo di regno. Egli è il suo figlio primogenito, il suo erede …, il signore dei Due Paesi Men-kheper-Ra. Noi facciamo formule di saluto al posto in cui è la Sua Maestà, e pronunciamo la nostra formula di protezione dietro6 di lui, e veneriamo la sua bellezza …, e riuniamo per lui ogni cosa, così come ha ordinato Ammone per il suo figlio Men-kheper-Ra in eterno». 1. SETHE, op. cit., pp. 565 segg. 2. Thot è lo scriba e il visir degli dei. 3. Le due corone come personificazioni delle due dee dinastiche. 4. Il diadema regale. 5. Come Horo è «vendicatore» di Osiri, così ogni figlio è «vendicatore» di suo padre. 6. La protezione è sempre immaginata alle spalle.

5. — LA «STELE POETICA» DI THUTMOSE III1 È questa la più solenne delle stele di Thutmose III, ed una delle più notevoli che abbia restituito l’Egitto. In stile di altissimo tono retorico essa celebra le conquiste del re — che fu in effetti il più vigoroso conquistatore che abbia avuto l’Egitto — e le collega con Amon Ra, in bocca al quale è posta direttamente la celebrazione del figlio. Il dio appare come il responsabile delle vittorie del sovrano, che agisce per la gloria del suo divino genitore, e che gli manifesta la sua gratitudine con le costruzioni templari di cui si parla alla fine del carme. Tali costruzioni sono in parte ancor oggi identificabili a Karnak, e formano il nucleo del tempio di Ammone quale ci è arrivato oggi, dopo che questi ampliamenti han distrutto il più antico santuario del Medio Regno.

Dice Amon Ra signore dei troni delle Due Terre: «Benvenuto a me, mentre esulti a vedere la mia bellezza, o figlio mio, mio protettore, Men-kheper-Ra, vivente in eterno! Io sorgo per tuo amore, e il mio cuore gioisce quando tu bellamente ti dirigi al mio tempio, e le mie braccia circondano le tue membra in protezione di vita. Come è dolce il tuo affetto verso la mia immagine! Io ti rendo stabile nel mio santuario, io faccio cose meravigliose per te, io ti do forza e valore contro tutti i paesi stranieri, io pongo la tua potenza ed il tuo terrore in tutte le terre, il tuo spavento giunge fino al limite dei quattro pilastri del cielo. Io esalto la tua dignità in ogni persona, io pongo il ruggito della tua Maestà alle spalle dei Nove Archi2, mentre i grandi di tutti i paesi stranieri sono in tuo pugno. Io in persona allargo le mie braccia e li lego per te. Io incateno i Trogloditi3 a decine di migliaia ed a migliaia, i settentrionali a centinaia di migliaia come prigionieri. Io faccio che i tuoi nemici cadano sotto i tuoi sandali. Tu sconfiggi gli avversari ed i ribelli, poiché io ti ho concesso la terra nella sua lunghezza e nella sua larghezza. Gli Occidentali e gli Orientali sono sotto il tuo sguardo4 e tu traversi tutti i paesi stranieri a cuore largo. Non c’è chi si sollevi durante l’epoca della Tua Maestà, perché son io quegli che ti guida. Tu sei arrivato fino a loro, tu hai traversato le acque che scorrono contro senso5 di Naharain6, con la forza ed il vigore che io ti ho concesso. Allorché essi sentirono il tuo ruggito che era penetrato nelle loro terre, io mozzai loro il respiro nel naso, e posi il terrore della Tua Maestà nei loro cuori. Il mio ureo che è sulla tua fronte li bruciò, e fece un facile bottino dei Malvagi. Essa incendiò quelli che erano nell’Arcipelago con la sua fiamma. Essa tagliò le teste degli Asiatici, senza che ne sfuggisse uno, caduti tremanti davanti alla sua possanza. Io ho fatto che circolassero le tue vittorie per tutte le terre, mentre lo splendore del mio ureo era fra i tuoi sudditi.

Non si è manifestata ribellione contro di te per quanto circonda il cielo7. Essi son venuti con tributi sulle loro spalle, inchinati davanti alla Tua Maestà, come ho ordinato io. Io ho fatto che fossero spossati gli aggressori che venissero nel tuo tempo, col cuore bruciato dall’angoscia e con le membra tremanti. Io son venuto, e ho fatto che sconfiggessi i Grandi di Fenicia e li ho stesi sotto i tuoi piedi per le loro terre lontane; e ho fatto che essi vedessero la Tua Maestà come signore dei raggi, e che tu illuminassi i loro volti come mia immagine. Io son venuto, e ho fatto che tu sconfiggessi coloro che vivono in Asia, che tu percuotessi i capi degli Amu e dei Retennu. Io ho fatto che essi vedessero la Tua Maestà fornita della tua acconciatura, quando tu prendi le armi della battaglia nel tuo cocchio. Io son venuto, e ho fatto che tu sconfiggessi il paese orientale, che tu traversassi quelli che abitano nelle province del Paese di Dio8. Io ho fatto sì che essi vedessero la Tua Maestà come fulgida stella che getta la fiamma del suo fuoco, e che dà la sua rugiada. Io sono venuto, e ho fatto che tu sconfiggessi le terre dell’Occidente. Keftyw9 e Isy10 son sotto la Tua Maestà. Io ho fatto che essi vedessero la Tua Maestà come un giovane toro, saldo di cuore, aguzzo di corna, che non si può trattenere. Io sono venuto, e ho fatto che tu sconfiggessi gli abitanti dell’Arcipelago. I Paesi di Meten tremano per paura di te. Io ho fatto che essi vedano la Tua Maestà come un coccodrillo, signore del terrore nelle acque, cui non ci si può avvicinare. Io son venuto, io ho fatto che tu sconfiggessi gli abitanti delle Isole del Mediterraneo con i tuoi ruggiti. Io ho fatto che essi vedessero la Tua Maestà come un vendicatore che si leva sul dorso della sua vittima. Io son venuto, io ho fatto che tu sconfiggessi i Libi e gli Iuu-c’entyw con il vigore della tua potenza. Io ho fatto sì che essi vedessero la Tua Maestà come un leone affascinatore, quando tu li rendi cadaveri attraverso la loro vallata. Io sono venuto, io ho fatto che tu sconfiggessi le province e le terre. Quel che circonda l’Oceano è afferrato dal tuo pugno. Io ho fatto che essi vedano la Tua Maestà come un falco signore dell’ala, che conquista quello su cui posa l’occhio, secondo il suo desiderio.

Io sono venuto, io ho fatto che tu sconfiggessi quelli che sono in Hat-ta11 e che legassi gli Abitatori delle Sabbie12 come prigionieri. Io ho fatto che essi vedano la Tua Maestà come uno sciacallo d’Alto Egitto13, signore del passo, che va in esplorazione, che traversa i due paesi. Io sono venuto, io ho fatto che tu sconfiggessi i Trogloditi e i Nubiani fino al paese di Sat con il tuo pugno. Io ho fatto che essi vedano la Tua Maestà come i tuoi Due fratelli14, e io ho riunito le loro due braccia per te in vittoria. Le tue Due Sorelle le ho poste a protezione dietro di te, le braccia della Mia Maestà sono sopra per scacciare il male. Io ho effettuato la tua protezione, o figlio mio diletto, Horo «Toro vigoroso che si leva in Tebe» che io ho generato come dio in persona, Thutmose vivente in eterno, che fa per me tutto quel che desidera il mio ka. Tu hai innalzato il mio santuario con lavori di eternità, allargato e allungato più di quanto non fosse stato per il passato15. Il portale «Come è grande Men-kheper-Ra», Amon Ra si è fatto una festa della sua bellezza. Son grandi i tuoi monumenti più di quelli di qualsiasi altro re che sia mai esistito. Io ti ho ordinato di farli, e ne sono soddisfatto. Io ti rendo saldo sul trono di Horo per milioni di anni, e tu guiderai i viventi per l’eternità. 1. SETHE, op. cit., pp. 611 segg. 2. Il re come leone alle spalle dei nemici dell’Egitto («i Nove Archi»). 3. Popolazioni della Nubia (in contrapposto ai «settentrionali»). 4. «ti sono sottoposti». 5. Che scorrono, cioè, da nord verso sud, mentre il Nilo scorre dal sud verso nord. L’Eufrate. 6. La Parapotamia («i Due Fiumi», col nome semitico). 7. L’universo. 8. Punt. 9. I Cretesi? 10. È la forma egiziana di «Asia»? 11. La «parte anteriore (cioè meridionale) della terra». 12. I beduini nomadi. 13. Simbolo della velocità. 14. Horo e Seth. «Tuoi» nel senso che appartengono a te. 15. Sono i grandi lavori di Thutmose III a Karnak.

6. — L’ISTITUZIONE DI UNA FESTA1 Già la conclusione della «stele poetica» aveva messo bene in evidenza quanto la gratitudine del sovrano per il suo dio si traducesse in reali benefici al tempio. La stessa nomina miracolosa e la scelta del re avvenuta durante una cerimonia nel santuario di Ammone fanno capire quanto il clero del dio fosse intervenuto attivamente a prender partito nella lotta dinastica, e come, dopo aver per un certo tempo appoggiato Hats´epsut, avesse voluto accattivarsi anche la gratitudine del fratellastro. Fu questa, in effetti, una occasione per un intervento nella vita politica che il clero non si lasciò per nulla sfuggire, e che maturò poi nel tentativo di sfuggire a questo controllo templare che portò alla rivoluzione religiosapolitica di Ekhnaton. Questo testo che ricorda la fondazione di una nuova festa con la quale Thutmose III celebra le sue vittorie e le pone sotto il patrocinio di Ammone, mostra come nuove fondazioni venissero ad arricchire il dio, e cioè il suo sacerdozio, mentre d’altra parte se ne ingrandiva materialmente il tempio. Ammone, da questo momento, è il più interessato alla prosecuzione della politica di conquiste, e il suo santuario è quello che ne trae, fra tutti gli altri dell’Egitto, i più evidenti vantaggi.

La Mia Maestà istituì ex novo per Lui (Ammone) la «Festa della Vittoria», dopo che la Mia Maestà era andata nella prima campagna vittoriosa per abbattere la vile2 Retenu, per ampliare le frontiere dell’Egitto, nell’anno XXII, alla prima vittoria che Egli (Ammone) aveva decretato per me, quando mi guidò per una buona strada… Fu fatta la prima celebrazione della Festa della Vittoria nella … festa della Prima Festa di Ammone, e si fece che durasse cinque giorni. Fu fatta la seconda celebrazione della «Festa della Vittoria» nel giorno dell’Introduzione del dio della seconda festa di Ammone, e si fece che durasse sette giorni. Fu fatta la terza celebrazione della «Festa della Vittoria» la quinta festa di Ammone, in Henket-ankh3, dopo che la Maestà di questo dio fu andata alla sua «Bella Festa della Valle»4, e si fece che essa durasse cinque giorni… Sua Maestà stabilì una grande fondazione per la «Festa della Vittoria», che sua Maestà aveva istituito ex novo, consistente in pani, birra, buoi, vitelli, tori, vacche, uccelli, antilopi, gazzelle, stambecchi, incenso, vino, frutta, pani bianchi, offerte, e ogni cosa buona annualmente. 1. Dagli «Annali di Thutmose III», in SETHE, op. cit., pp. 740-741. 2. È l’aggettivo tipico. Retenu è la Siria. 3. Nome del tempio funerario di Thutmose III. 4. È questa fra le più importanti e note delle feste tebane.

7. — UNA STELE DI RAMESSESE IV IN ONORE DI OSIRI1 Alla fine del Regno Nuovo va datata questa lunga stele. Il tono ufficiale della datazione con la titolatura completa del re le dà un particolare valore, ché questo significa come uno specifico atteggiamento teologico assuma veste mondana, e si leghi alla autorità civile. L’inno a Osiri è assai nuovo come dettato, anche se molte delle concezioni sono tradizionali o note da altre fonti. Dopo avere identificato il dio nelle sue qualità, il re gli fa una relazione della sua attività che è assai diversa da quanto in genere i sovrani egiziani dicono agli dei. Non un resoconto di vittorie che comportino tributi nuovi al dio e ne allarghino l’autorità nel mondo, non elenchi di opere architettoniche, ma un testo assai simile alla «Confessione negativa» del Libro dei Morti, in cui si esclude di aver commesso una lista di peccati per lo più rituali. Questo atteggiamento di umiltà davanti al dio è del tutto inconsueto in un sovrano, che in genere tiene bene a differenziare il suo atteggiamento da quello degli uomini comuni proprio nel tono di familiarità che assume nei riguardi degli dei, che son suoi padri e suoi fratelli. Un simile colorito di pietà ritualistica è nella ultima parte del testo, che elenca quanto il re ha fatto per gli dei: sono celebrazioni di feste — assai interessanti per i particolari di rito che dietro le generiche frasi si possono intuire. Le ultime frasi impetrano l’aiuto e la grazia divina. Ma il testo nel suo complesso mostra quanto, in confronto del baldanzoso atteggiamento dei sovrani all’inizio del Nuovo Regno (e più ancora di quelli dell’epoca più antica) il concetto della divinità del re sia venuto affievolendosi. E questo vuol dire, sul metro mondano, che l’autorità sul tempio che al re era stata finora sempre facilmente riconosciuta, come a rappresentante di dio in terra, sia ora destinata a scomparire, dato che si son posti gli dei così lontano da questo mondo da doverli ormai dotare di una assoluta autonomia, per la quale essi sono capaci di agire direttamente attraverso la loro rappresentanza terrena (i sacerdoti) senza bisogno di intermediari regi. Già si profila quello Stato teocratico, che avrà la sua più coerente espressione teorica nella istituzione a Tebe della autonomia della città sotto il controllo delle «Divine Adoratrici» che, come spose del dio, ne possono facilmente curare gli interessi ed esprimere la volontà. Con Ramessese IV siamo all’inizio del processo di questo atteggiamento teocratico che finisce con il metter da parte il sovrano e con il quale comincia il periodo di lento disgregamento della più antica e classica civiltà egiziana. (Anno … mese …)2 dell’estate sotto la Maestà dello Horo3 Toro possente

che vive di verità, signore dei giubilei come suo padre Ptah-Tanen; Le Due Signore Protettore dell’Egitto, che soggioga i Nove Archi; Lo Horo d’Oro Ricco di anni grande di vittoria, re che ha creato gli dei e che ha fatto sussistere i Due Paesi; Il re della Valle e re del Delta, signore dei Due Paesi, signore del compiere il rito Heqa-Maat-Ra; Il figlio di Ra, signore delle corone come Horo dell’orizzonte (Harakhte) Ramessese, dotato di vita come Ra in eterno. Dice il re della Valle e re del Delta, signore dei Due Paesi Heqa-Maat-Ra, il figlio di Ra, signore delle corone, Ramessese, dotato di vita come Ra: «Io sono stato savio di cuore… Io non ho trascurato nessuno di loro4 tanto da non guardarli, e da ricercare i grandi più che i piccoli fra gli dei e fra le dee… Tutte le tue forme sono più misteriose che le loro. Quanto ai giorni che si dice che sian stati prima che Nut non fosse divenuta incinta della tua bellezza, si viveva…5 fra gli dei come fra gli uomini, i quadrupedi, gli uccelli e quelli che abitano le acque. Tu sei Luna6 nel cielo e tu ti ringiovanisci secondo il tuo

desiderio, e invecchi quando vuoi. Ecco, tu esci per cacciare l’oscurità, unto e abbigliato dall’Enneade, mentre incanti son pronunciati per glorificare la loro maestà e portare i loro nemici al luogo del loro supplizio. Così si dice. È un testo scritto e non un «di bocca in bocca»7, e i vivi contano per sempre il giorno e il mese per aggiungerli gli uni agli altri e saper la durata della loro vita. E tu, anche, sei il grande Nilo che si spande all’inizio della stagione. Dei ed uomini vivono dell’efflusso tuo. Io ho trovato la tua Maestà come re della Duat…8. Tu sei quegli che lo invia, quando il morto esce guidato verso la vita alla porta della tua città di Abido nel nômo Tinita9… I tuoi piani sono saldamente stabiliti. Ra si alza ogni giorno e giunge alla Duat10 per ordinare i piani di questo paese e dei paesi stranieri. Tu sei seduto come lui. Vi si chiama «anime di Demdem» tutti e due11. La maestà di Thot12 è al vostro fianco per scrivere gli ordini che escono dalla vostra bocca. Quanto a tutto quello che voi dite, voi siete una sola bocca, e i miei ordini di ogni giorno sono eseguiti. Tu sei alto nel cielo e maestoso sulla terra. Igert13 è stabile per i tuoi piani fino all’eternità. Come sei divino, come sei savio! Chi può paragonarsi alla tua Maestà, che ne dica l’elogio? Tu ti sei riconosciuto da te solo, o padre mio, o signor mio! Come mi rallegro! Certo son io che ti son devoto; io ti colloco nel mio cuore ogni giorno. Ecco, son io che rivelo i miei piani davanti alla Tua Maestà e davanti al grande consiglio che è dietro di te. La verità è in tutti loro, e non c’è menzogna in loro. Io sono un sovrano legittimo14, io non ho usurpato. Io son sul trono di colui che mi ha generato come figlio di Isi. Da quando sono divenuto re sul trono di Horo ho portato la verità a questo paese che ne era privo. Io so che tu soffri quando essa manca in Egitto. Io ho installato molte offerte per il tuo ka, ho aumentato quelle che c’erano prima ogni giorno. Io ho protetto gli schiavi della tua città, ho salvaguardato il tuo posto, ho fatto dei decreti per munire il tuo tempio di ogni specie di tesori15. In verità, io non ho respinto mio padre, non ho scacciato mia madre, non ho sbarrato il Nilo dove esso fluisce, non sono venuto dal dio ….16 nel suo tempio. Io vivo di quel che ama il dio il giorno della sua nascita nell’Isola della fiamma. Io non ho litigato col dio, non ho fatto male alla dea, non ho rotto l’uovo covato (?), non ho mangiato quel che mi fa ribrezzo, non ho derubato il misero di quel che gli appartiene, non ho ucciso il debole, non ho pescato il pesce nello stagno del dio, non ho preso gli uccelli con la rete, non ho tirato su un leone durante le feste di Bastet17, non ho giurato per Ba-neb-g´ed18 nel

tempio degli dei, non ho pronunciato il nome di Ta-tenen, non ho sottratto il suoi pani. Ho visto (?) Maat a lato di Ra, l’ho offerta al suo signore19. Sono divenuto un familiare di Thot con le sue scritture il giorno in cui si sputa sulla sua spalla20. Io non ho attaccato uno al posto di suo padre: so che questo ti fa orrore. Non ho tagliato l’orzo quando era piccolo, né l’erba matet prima che sia contata (?). O Osiri, io ti ho acceso la fiaccola il giorno in cui si avvolge la tua mummia; io ho scacciato Seth da te quando guastava il tuo corpo; io ho collocato il tuo figlio Horo come tuo successore. O Horo, io ho sputato nel tuo occhio quando fu cavato dal suo aggressore21. Io ho fatto trionfare la tua voce22, il giorno del giudizio. Io ho fatto che servano te l’Egitto e il Deserto, in quanto tu sei il sostituto di Harakhte. O Isi e Nefti, io ho alzato per voi le vostre teste, ho rinsaldato le vostre nuche per voi quella notte in cui si tagliano i … dei serpenti Saby davanti a Letopoli23. Io ho fatto trionfare la voce di Horo il giorno del giudizio, io vi ho messo i collari al collo, i sistri in pugno e i sistri sekhem dietro di voi, … O Min, io ho fatto che tu ti levi come un dio, eretto alto sul tuo sostegno. Io ho avvolto per te il tuo fallo con stoffa divina24. Io ho fatto che tutti si coprano la faccia quando tu ti rallegri durante la tua bella festa. O Pilastro di Sua Madre25, ho fatto che ti rispettino quelli che hanno dei «visi segreti» fra gli dei che si trovano nell’Aldilà. Coloro che sono nel loro stato primordiale vengono verso di te con i loro viveri davanti al tuo trono con l’Enneade. O Harakhte, io ho rovesciato per te Apopi, io ho fatto che la tua barca navighi senza naufragare nel bassofondo di Apopi nel suo grande viaggio. O Onuri, io ho messo la tua tavoletta sul tuo petto e le tue due piume sulla tua testa, il collare al tuo collo. Io ho compiuto la protezione del tuo corpo con i miei incantesimi e con le formule della mia bocca. Io ho scacciato ogni impurità che era nel tuo corpo. O Sekhmet, io ti ho dato la tua forza fra tutti gli dei; grande è la tua collera, e grande il rispetto di te fra gli uomini. Tutti i paesi sono sotto la tua potenza. Io ho fatto che tu possa prendere secondo il tuo desiderio in tutto il paese. O Geb, io ho messo la tua tavoletta al tuo collo, le due piume sulla tua testa, il collare al tuo collo. Io ho assicurato … la difesa del tuo corpo con i miei incantesimi e con le formule della mia bocca. Io ho cacciato ogni impurità dal tuo corpo. O Thot, io ti ho dato la tua tavolozza26 e ho riempito per te il calamaio d’acqua. Io ti ho dato di giudicare i Due Fratelli27, io ho cacciato per te il male,

ho fatto che aumenti la tua forza, e ho fatto che tu viaggi durante la grande tempesta. O Hathor, io ho messo il tuo collare al tuo collo, ho messo l’oro28 nella tua mano, grande è il ricordo di te e grande l’amore verso di te nel corpo del tuo bello Horo d’Oro, il tuo sposo che tu ami, o Hathor, mia signora. Il figlio invero è giusto quando è buono per suo padre, quando gli dà schiavi in soprappiù. Ecco, io non ho lasciato il bene dietro la mia mano per non farlo ai vostri ka con un cuore amoroso. Quanto al rendimento del mio destino in seguito alla mia devozione, (eccolo29). Il mio regno è lungo sulla terra, la terra è in pace, i Nili danno ogni qualità di viveri. Il mio corpo si è fatto vigoroso, il mio occhio brillante, il mio cuore felice ogni giorno. Io ho domato i ribelli, sottomettendoli sulla mia strada. Che i loro respiri siano serrati nel mio pugno, che io faccia respirare il loro naso secondo il mio desiderio come tu l’hai fatto. Quel che circonda il sole sia sotto il mio dominio. Offro questo ai vostri ka, poiché siete voi che l’avete creato. Che siate la mia protezione ogni giorno e che ogni male sia cacciato se si avvicina al posto dove sono. Che voi siate in futuro con i miei figli. Che essi siano signori in questo paese. Che sian forti esattamente come S´u e Tefnut30 — 2 volte —. Trasmettete la mia funzione ai miei eredi (poiché) l’orrore delle Vostre Maestà sono i ribelli31. Viva il re della Valle e re del Delta Heqa-Maat-Ra, il figlio di Ra, signore delle corone come suo padre Ra, che è grande di regalità come Horo figlio di Isi, Ramessese dotato di vita. Egli ha fatto questo come monumento a suo padre Osiri Khenty-amenty, il dio grande signore dell’eternità. Che gli sia data la vita! 1. Secondo la pubblicazione di KOROSTOVTSEV in «Bull. Inst. Fr. Arch. Or.», XLV (1947), pp. 157-160. 2. Data in lacuna. 3. In corsivo i cinque titoli del «Grande nome» del faraone. 4. Le divinità. 5. In lacuna va una parola che indichi privazione o comunque malo stato. 6. L’identificazione di Osiri con la Luna è antica; così quelle successive con il Nilo. 7. «È tradizione basata sulla autorità di libri scritti, e non orale». 8. Il testo è prima lacunoso, poi verisimilmente corrotto. 9. Come dio di Abido (Osiri Khenti-amentyw, «Colui che presiede agli Occidentali», cioè ai morti). 10. È il percorso del sole. 11. Questa assimilazione gerarchica di Ra e di Osiri, espressa così categoricamente, sanziona un lungo processo di ricerca di equilibrio fra tendenze diverse (e opposte) nel pantheon egiziano. 12. Thot è colui che rende operante e formula giuridicamente la volontà del re degli dei. 13. L’Aldilà. 14. Si ha qui un testo simile alla «Confessione negativa».

15. Allusione ai decreti di immunità oltre che alle fondazioni pie. 16. (In tale stato o in tale tempo da non doversi presentare). 17. Dea gatta o leonessa. 18. Il montone sacro di Mendes. 19. Maat, «la Giustizia», è figlia di Ra, cui essa appartiene. Il sacrificio egiziano è sempre immaginato come una simbolica offerta di Maat. 20. Lo sputo è cura magica. Un mito su una ferita alla spalla (o all’ala?) di Thot si intravede da altri testi, ma non si conosce. 21. Horo è stato accecato da Seth. Thot ha sputato sull’occhio per guarirlo. 22. È il termine tecnico della vittoria davanti al tribunale. 23. Mito sconosciuto. (Una decapitazione di Isi è nota, ma non sembra quella cui si allude). 24. Min, dio della generazione, è rappresentato itifallico. 25. Iwn-mwt.f. 26. Come a dio scriba. 27. Horo e Seth. 28. L’oro è sacro alla dea, che si chiama anche «Oro». 29. La cura del re verso gli dei suoi padri è compensata dalla loro protezione e dal loro benvolere. 30. I figli di Ra Atum. 31. Quali sono per definizione gli usurpatori.

IL TEMPIO 1. — GLI DEI DI MENFI1 È l’apertura di una lettera che comporta una assai minuta lista delle divinità adorate nella capitale in Basso Egitto. A capo del gruppo divino è chiaramente Ptah, il dio tradizionale della città, che vi è venerato in varie forme: certo specifiche immagini, ognuna delle quali ha la sua propria tradizione. Accanto al dio sono le forme di Sekhmet, la dea leontocefala che ne è considerata la sposa. L’elenco si arricchisce delle divinità della necropoli menfita: Anubi, Osiri e i re che là sono sepolti e divinizzati. Il dio della capitale meridionale, Tebe, non è dimenticato: Ammone appare in varie forme, così come sappiamo che a Tebe esisteva un culto di Ptah. Vi sono infine divinità locali (Smat e S´esmu di AnkhTawy, un quartiere di Menfi; Hathor del Sicomoro meridionale, ecc.), e divinità della regione circostante, Pra di Eliopoli o Sopdu di Saft el Henneh. Particolarmente interessanti in questo ambiente che in ultima analisi è assai ben delimitato geograficamente e perciò assai omogeneo, il gruppo delle divinità semitiche, Baal, Qades´, Baal G´apuna: testimonianze di quella apertura verso il mondo siriaco che è stata caratteristica della città fino all’epoca più tarda, e che si manifesta anche in questi atteggiamenti religiosi. Questo interesse per l’oriente e la dimestichezza con le divinità siriache è un elemento tipico del mondo neoegiziano, fin da quando Ramessese II dà alle figlie nomi teofori che ricordano dee semitiche, o alle dee semitiche consacra templi nella sua capitale.

La cantatrice di Hathor signora del Sicomoro Meridionale, Sety-Kau di nome, saluta la cantatrice di Ammone Sekhmetnefret che è nella Città del Sud2, moglie del sacerdote wab capo di Ammone, e grande sacerdote lettore di Uaset3, Amenem-hat, in vita forza, salute, con la benedizione di Ammone re degli dei. E dice: Quale è il tuo stato? Tu come stai? Ecco, io dico a Ptah, il grande, a Sud del suo muro4, a Sekhmet grande amata di Ptah5, a Sekhmet la (…), signora delle offerte del portale superiore, a Ptah del portale antico, a Ptah che esaudisce i desideri, (agli) dei che sono nella casa di Ptah, ad Amen-Ra signore dei troni delle Due Terre, grande ariete sacro della Bella Processione, ad Ammone del Castello degli dei, all’Enneade degli dei che sono nella casa di Ptah, a Baalit6, a Qades´, a Mer-na‘yt (?), a Baal G´apuna,

a Sopdu, a Smat signore di Ankh-Tawy7, a Pra8 della città (?) di (…), a S´esmu signore di Ankh-Tawy, a Ptah Khenty Tenen, a Ptah che è sotto il suo olivo, a Neb-Maat-Ra9 della cisterna di Ptah, a Hathor signora del Sicomoro Meridionale, nel suo nome di Mehyt-uret, a Sobek di Merira, a Toeri dell’ebano, a Sekhmet signora della Testa della Valle10, ad Ammone della pianta (?) abet, a Ptah signore che consolida la verità, a Ptah signore di Hemu, (ad) Hapi nella casa di Ptah, ad Anubi il bendatore che presiede alla casa divina, signore di Ta-g´eser, ad Osiri signore di Ro-setau, a … frt che è sulla tomba (?), all’Enneade che è a Ponente11, ai re della Valle e del Delta12 che sono a Ponente, che è a Occidente di Het-ka-Ptah13, ad ogni dio e ad ogni dea che è nella provincia di Menfi: «Fa’ che tu sia sana ogni giorno!» 1. È l’intestazione di una lettera fittizia, modello di bello stile neoegiziano, in cui la consueta formula augurale viene ampliata in un elenco probabilmente completo delle divinità menfite in epoca ramesside. Il testo (Pap. Sallier IV, 1 segg.) è quello di GARDINER, Late Egyptian Miscellanies, Bruxelles, 1937, pp. 88 segg. 2. Tebe. 3. Uaset è il distretto tebano personificato e divinizzato in una dea. 4. Uno dei titoli di Ptah, a sud del «Muro», cioè Menfi (il «Muro Bianco»). 5. Sekhmet è la compagna di Ptah menfita. 6. Questa e i seguenti son divinità semitiche, saldamente accasate a Menfi. 7. Nome di un quartiere di Menfi. 8. È la forma neoegiziana di Ra. 9. Amenofi III divinizzato, forse come statua o come fondatore della cisterna. 10. Le dee leonesse (come lo è Sekhmet) sono spesso adorate all’imboccatura degli wadi. 11. La necropoli, indicata con il termine antico per «destra» = «Occidente». 12. I faraoni sepolti presso la città. 13. Nome di un santuario («Tempio del ka di Ptah») che ha finito per designare «Menfi».

2. — TABELLA DELLE RAZIONI MENSILI DI INCENSO AI TEMPLI DI TEBE ALL’EPOCA DELL’INIZIO DELLA XVIII DINASTIA1 Una chiara definizione dei diritti economici dei templi è nella tradizione amministrativa egiziana. In questo ambito va collocata questa tabella che ricorda quale sia la quantità di incenso di cui i templi tebani possono disporre, e che dà, insieme, una lista dei santuari della città. È un tempio per ciascuno dei membri della triade tebana (Ammone, Mut, Khonsu), una per il dio menfita e un piccolo gruppo di templi funerari. Senza che tali elementi abbiano un valore decisivo, i rapporti fra le quantità d’incenso che ai vari templi son distribuiti dà indicazioni di quali siano i loro rapporti di importanza. L’enorme preponderanza di Ammone è quanto ci si attende in questo ambiente dove il dio è signore, e in quest’epoca che in lui ha visto il tipico dio dinastico. Ptah, il dio della capitale tradizionale del regno che ora è stata spodestata di fatto, è trattato come gli dei minori della triade, circa 45 volte meno del dio cittadino.

1. Dalla tomba di Ieneni a Tebe. Pubblicato da SETHE, Urkunden der 18. Dynastie, Leipzig, 1909-1916, p. 71. La tabella dà in alto i nomi dei templi, sotto l’indicazione «incenso, deben (misura di peso pari a gr. 91) in quantità di…», e in basso le cifre. 2. È un tempio di Luqsor «meridionale». 3. È il tempio funerario della regina Ahmes Nefertere. 4. È il tempio funerario di Mentuhotpe IV a Der el Bahari. 5. Località forse della riva occidentale del Nilo, davanti a Karnak.

3. — I BENI DI AMMONE AL NUOVO REGNO1 In confronto alle modeste fondazioni dell’inizio della XVIII dinastia, Ammone è andato aumentando di potere e di ricchezza per tutto il Regno Nuovo. Le guerre d’Asia e di Nubia sono combattute in suo nome, e delle spoglie una parte è regolarmente consacrata nel suo tempio. Le lotte dinastiche gli permettono di intervenire a largir favori a chi dei pretendenti al trono sia capace di favorirlo. Quando alla fine la rivoluzione di Ekhnaton ne confisca i beni, si hanno solo le premesse di una restituzione che avrà luogo poco dopo la morte del re eretico, e che dovrà non solo risarcire per quanto si è perduto, ma addirittura farsi perdonare, e perciò aggiungere nuove ricchezze e nuovi vantaggi economici a quelli più antichi. La ripresa della economia egiziana con la XIX dinastia, le guerre vittoriose di Ramessese III contro i «Popoli del Mare» comportano una ripetizione del tributo pagato al tempio di Ammone, che ora è più staccato dalle sorti della casata regnante, più chiuso in una sua tradizione provinciale tebana, ma è ancora in grado di far valere i suoi diritti tradizionali, di farsi pagare i favori che ci si attendono da lui dopo la lunga tradizione che lo ha elevato ai gradi di divinità regia. La pesantezza di questa influenza economica nella vita egiziana che il tempio ammoniano è venuto pian piano assumendo nei secoli, troverà la sua piena espressione politica quando Tebe si staccherà dal regno egiziano, e assumerà l’aspetto di una città santa, governata direttamente dal dio attraverso i suoi sacerdoti o la «Divina Adoratrice». All’epoca in cui è stato stilato questo documento il processo di distacco dalla compagine politica del regno non è ancora avvenuto, e anzi si esce appena dal regno di un sovrano energico e capace quale Ramessese III. La congiura che pose fine alla sua vita non riuscì a portare al trono il principe in cui favore aveva avuto luogo, e il successore legittimo, Ramessese IV, seguì al padre. Per ricordare al clero egiziano quali obblighi esso avesse verso il defunto, il nuovo re fece compilare a nome del padre assassinato un elenco delle offerte che ai principali santuari egiziani quegli aveva fatto. Se formalmente si tratta degli dei di Tebe, di Eliopoli, di Menfi, di tutto l’Egitto, in realtà le quote per i diversi gruppi di divinità sono assai diverse, e quelle tebane sono di gran lunga le più importanti. L’elenco comprende, in un ordine assai minuzioso, lavori ed offerte di qualsiasi genere: dai templi costruiti, ai mazzi di cipolle offerti nulla è trascurato, ed il ricordo di questi pii benefici deve essere garanzia all’esaudimento di quanto è chiesto nella preghiera che accompagna l’enumerazione. Poiché il re è morto, i voti dovranno valere per il suo successore che è esplicitamente ricordato, e raccomandato. Una lettura del testo dà il senso preciso di quale favolosa ricchezza — e di quale mal dominabile potenza — dovesse essere fornito il clero che in nome degli dei amministrava questi beni e si attendeva tali offerte durante un regno. Si tratta di un vero e proprio Stato nello Stato, con amministrazione sua propria, e capace di attuare una sua propria politica entro quella generale dell’Egitto, e — in ogni momento — di assumere una posizione determinante in qualsiasi campo. È ben comprensibile che Ramessese IV (di cui conosciamo altre prove di pietà: cfr. p. 434) compilando questo elenco cercasse di accattivarsi la benevola protezione di una classe che ormai era la sola che in Egitto avesse un peso a fianco del re, e forse già più che non il re stesso.

Anno 32, mese terzo di S´emu, giorno 6, sotto la Maestà del re della Valle e re del Delta User-maat-ra Meriamon, v.f.s., figlio di Ra Ramessese Signore di Eliopoli v.f.s. amato da tutti gli dei e le dee, re che sorge con la corona bianca come Osiri, principe che si leva nell’Igeret come Atum, signore del trono della Grande Casa entro il Paese Santo, che traversa l’eternità in perpetuo come re della Duat, re della Valle e re del Delta User-maat-ra Meriamun, figlio di Ra, Ramessese Signore di Eliopoli, il dio grande2.

Egli dice in preghiera, adorazione e venerazione i molti benefici e le gesta che egli ha compiuto come re e come principe quando era sulla terra, per la Casa del suo padre splendido Amon Ra re degli dei, di Mut e di Khonsu, e di tutti gli dei di Tebe; per la Casa del suo padre splendido Atum, signore dei Due Paesi, Eliopolitano, Ra Harakhte, di Ius-aas signora di Hetepet e di tutti gli dei di Eliopoli; per la casa del suo padre splendido Ptah, il grande che sta a sud del Suo Muro, signore di Ankh-Tawy, di Sekhmet la grande, diletta di Ptah, di Nefertum protettore dei Due Paesi, e di tutti gli dei di Het-ka-Ptah3; per i suoi padri splendidi, tutti gli dei e le dee del Sud e del Nord, e così anche i bei benefici che egli ha fatto per la gente del paese d’Egitto e d’ogni paese, per riunirli tutti, per fare che sappiano i suoi padri, tutti gli dei e tutte le dee del Sud e del Nord, tutte le genti, tutti i nobili, tutti i rekhyt, tutti gli henememet4 i benefici numerosi e le molte gesta che egli ha fatto quando era sulla terra come grande signore dell’Egitto. (Segue una illustrazione che rappresenta il re che prega davanti agli dei tebani. Quindi il testo prosegue con una preghiera:) Celebrazioni, preghiere, gesta, benefici che egli compì per la casa del suo padre splendido Amon Ra signore degli dei, di Mut, di Khonsu e di tutti gli dei di Tebe. Dice il re … Ramessese III5… il dio grande in preghiera per questo suo padre splendido Amon Ra signore degli dei, il primordiale, venuto all’esistenza al principio, dio divino, generatosi da sé, che tiene alto il braccio6 e innalza la corona atef7, che fa quel che è, che crea quel che esiste, che si nasconde dagli uomini e dagli dei8! Dammi le tue orecchie, o signore degli dei! Ascolta le mie preghiere, in modo da essere la mia protezione. Io son venuto presso di te, a Tebe, la tua città misteriosa9. Tu sei divino nell’Enneade degli dei che sono al tuo seguito. Tu sei tramontato in Neb-Ankh10, la tua sede santa in cospetto della faccia splendida del tuo santuario. Io mi son mescolato con gli dei signori della Duat come mio padre Osiri, signore della Terra santa11. Fa’ che la mia anima sia come le anime della Enneade che riposa al tuo fianco12 (che tramonta con te) all’orizzonte in eterno. Da’ aria al mio naso, acqua alla mia anima. Fa’ che io mangi le offerte e l’abbondanza della tua offerta divina. Fa’ che sia splendida la Mia Maestà, e che sia stabile in tuo cospetto come i grandi dei signori della Igeret13. Che io possa entrare e uscire14 presso di te come essi fanno. Possa tu comandare che la mia gloria sia come la loro rispetto ai miei

nemici. Rendi durature le mie offerte consacrate al mio ka15, che durino ogni giorno fino all’eternità. Io son stato re sulla terra come principe dei vivi. Tu hai consolidato la mia corona sul mio capo come tu hai fatto. Io entrai in pace nel Palazzo splendido, cosicché siedo sul trono in letizia di cuore. Sei stato tu che mi hai consolidato sul trono di mio padre, come tu hai fatto per Horo rispetto al trono di Osiri. Io non ho oppresso, io non ho privato altri del suo trono. Io non ho trasgredito il tuo comando che mi stava davanti agli occhi. Tu hai dato quiete e letizia al mio popolo, ed ogni paese fu in adorazione davanti a me. Io so le opere pie che tu hai fatto come re, ed ho moltiplicato per te i benefici e le gesta numerosi. Io ti ho fatto un Palazzo splendido di milioni di anni, saldo sulla montagna di Neb-ankh, in tuo cospetto, costruito in pietra viva, arenaria e pietra nera16, con porte di elettro e bronzo martellato, con piloni di pietra, che toccano il cielo, coperti di figure incise a scalpello in nome della Tua Maestà. Ho costruito un muro attorno, adorno di opere, fornito di terrazze e torri (?) in pietra viva. Ho scavato un lago davanti a lui, inondato dal Nun17, in cui ho piantato alberi e verzura come un Delta. Io ho riempito i suoi tesori con i prodotti dei paesi d’Egitto, con oro, argento e ogni pietra preziosa a centinaia di migliaia. I suoi granai eran sovrabbondanti di orzo e frumento, e le terre e gli armenti suoi, la loro moltitudine era come quella della sabbia della riva. Io ho tassato in suo favore tanto il Paese del Sud quanto il Paese del Nord; il Paese di Nubia e la Fenicia (vennero) a lui portando i loro tributi. Era pieno di prigionieri (di guerra) che tu avevi dato a me fra i Nove Archi18 e di giovani che io allevavo a decine di migliaia. Io ho scolpito la tua immagine, che riposa là dentro, e che ha il nome splendido di «Ammone che si unisce con l’eternità», ornata di ogni pietra preziosa vera, come l’orizzonte19. Quando essa appare, ci si rallegra a vederla. Io ho fatto per lei vasellame da tavola d’offerta in buon oro, e altro in argento e in rame, senza numero. Io ho reso numerose le offerte divine consacrate davanti a te di pane, vino, birra, e oche grasse, di numerosi buoi, torelli, vitelli, vacche, origi bianchi e gazzelle nel suo macello. Io ho tirato20 monumenti grandi come montagne in alabastro e pietra behes, scolpite con lavoro e che posano alla destra e alla sinistra del suo portale, incise con il grande nome della tua maestà fino all’eternità. E altre statue di granito e di arenaria, e scarabei21 di granito nero che posano nel suo interno. Io ho scolpito uno PtahSokaris, un Nefertem, e l’Enneade dei signori

del cielo e della terra, che posano nel suo22 tabernacolo, lavorati in oro buono e argento martellato e incrostati di pietre preziose vere, perfette per il lavoro. Io ho fatto per te là entro un palazzo regale splendido, come la grande casa di Atum che è in cielo. Colonne, montanti di porte, e porte erano di elettro. La grande finestra per il «Sorgere» (regale23) era d’oro. Io ho fatto per quello barche da carico per orzo e grano che navighino verso i suoi granai senza che mai si stanchino. Sul fiume io ho fatto per quello grandi navi del tesoro, cariche di cose numerose per il suo splendido tesoro. Esso era circondato da giardini e parchi, carichi di frutti e fiori per il tuo cospetto. Io ho costruito i loro padiglioni, con finestre (?)24. Io ho scavato un lago davanti, fornito di fiori di loto. Io ho fatto per te un Orizzonte Misterioso nella tua città di Tebe, in fronte al tuo santuario, o Signore degli dei, (col nome di) «Tenuta di Ramessese Signore di Eliopoli, v.f.s., nella tenuta di Ammone», salda come il cielo che porta il sole25. Io l’ho costruita, io l’ho ricoperta di pietra viva, con grandi portali di buon oro. Io ho riempito i suoi tesori con le cose che han conquistato le mie braccia, per portarle davanti a te ogni giorno. Io ho adornato per te Ipet del Sud26 con grandi monumenti. Io ti ho costruito ivi una casa, come il trono del Signore Universale, (detto) «Il tempio di Ramessese Signore di Eliopoli, v.f.s., che possiede la gioia in Ipet-sut». Io ho ripetutamente abbellito i tuoi monumenti in Tebe la Vittoriosa, la sede del riposo del tuo cuore, davanti al tuo volto, (chiamati) «Casa di Usermaat-re-Meriamun nella Casa di Ammone» come il tabernacolo del Signore Universale, costruito in pietra: una meraviglia adornata con un lavoro di eternità. I portali ne erano di pietra di granito, porte e battenti in oro. Io lo provvidi di giovani che avevo allevato, e che portavano offerte a decine di migliaia. Io ho fatto per te un tabernacolo misterioso in un blocco unico e bello di granito. Le sue porte eran di rame martellato, scolpite con il tuo nome divino. La tua grande immagine riposava in lui come Ra nel suo orizzonte, saldo sul suo trono per l’eternità nel tuo santuario eccelso e splendido. Io ho fatto per te una grande tavola d’offerte in argento martellato, montato in oro buono, e con figure niellate in oro katem, con statue del Signore, v.f.s., in oro martellato; e una tavola d’offerta che porta le tue offerte divine consacrate davanti a te.

Io ho fatto per te un grande sostegno per vasi per il tuo santuario, montato in buon oro, intarsiato di pietre. I suoi vasi erano d’oro, pieni di vino e di birra, per le offerte di ogni mattina in tuo cospetto. Io ho fatto per te un magazzino per la Festa dello Scoprire il Volto, con schiavi e schiave. Io li provvidi di pane, birra, buoi, volatili, vino, incensi, frutta, erbaggi, fiori, e pure offerte in tuo cospetto ogni giorno, in aumento sulle razioni di prima. Io ti ho fatto splendide ug´at di oro con intarsi, e un collare grande e completo di oro katem per legarle al tuo corpo a ogni apparizione nella tua grande e santa sede di Ipet-sut27. Io ti ho fatto una statua del Signore, in oro martellato, che posa nel luogo che conosce, nel tuo splendido tabernacolo. Io ti ho fatto grandi tabelle d’oro martellato, incise con il grande nome della tua Maestà, che portano le mie preghiere. Io ho fatto per te altre tabelle di argento battuto, incise con il grande nome della tua Maestà, con i decreti della Casa. Io ho fatto per te grandi tabelle d’argento martellato incise con il grande nome della tua Maestà, scolpite con lo scalpello (?)28, con i decreti e gli inventari delle case e dei templi che io avevo fatto in Egitto durante il mio regno terreno, per amministrarli in tuo nome per sempre in eterno. Sei tu il loro protettore, che ne risponde. Io ho fatto per te altre tabelle di rame martellato, in una lega di sei (parti ?), del colore dell’oro, incise e scolpite con lo scalpello con il grande nome della tua Maestà, con i decreti della casa e dei templi29, e così le molte preghiere e adorazioni che io ho fatto per il tuo nome. Lieto era il tuo cuore quando le udivi, o signore degli dei. Io ho fatto per te un vaso ka-her-ka grande, di argento puro, il cui labbro era d’oro, inciso con il tuo nome. Un coperchio c’era sopra, martellato in argento puro. E un vaso sh´nkt (= «filtro»?) grande, di argento puro, con un coperchio e un piede. Io ho lavorato le immagini di Mut e di Khonsu, scolpite e fatte di nuovo nelle Case dell’oro30, fatte in oro buono in spesso strato, con intarsi di ogni pietra preziosa che Ptah ha creato, con collari davanti e di dietro e ornamenti in oro katem. Esse posano con il cuore lieto per le imprese che io ho compiuto per loro. Io ho fatto per te grandi stele per il tuo portale, ricoperte di buon oro, con

figure intarsiate in oro katem. Grandi basi erano sotto di loro, ricoperte d’argento, con figure intarsiate d’oro, fino al livello del pavimento. Io ti ho dato dieci decine di migliaia di misure di grano per approvvigionare le tue offerte divine di ogni giorno, per trasportarle per acqua a Tebe ogni anno, per arricchire i tuoi granai di orzo e grano. Io ti ho portato i prigionieri dei Nove Archi, i doni dei Paesi e delle Terre straniere per il tuo santuario. Io ho fatto la strada per Tebe praticabile (?) per condurre davanti a te con molte provviste. Io ho deposto per te offerte alle feste dell’inizio delle stagioni, per consacrare offerte in tuo cospetto a ogni tua apparizione. Esse eran fornite di pane, birra, buoi, volatili, incenso e frutta senza numero. Esse furon tassate nuovamente sui grandi e sugli ispettori, come aumento di tutti i benefici che io avevo fatto al tuo ka. Io ho varato per te la tua barca sacra splendida «User-hat» di 130 cubiti31 sul fiume, di grandi pini dei boschi, meravigliosi, e ricoperta di buon oro fino al livello del Nun, come la Sekty32 di Ra, quando egli viene dalla Montagna Orientale, e ognuno vive alla sua vista. Una grande cabina era nel suo centro, di oro buono, intarsiato di ogni pietra preziosa come un palazzo. E teste di ariete33 in oro dalla prua alla poppa, ornate (?) con urei che portavano corone atef. Io ti ho condotto Punt34 come mirra, per circondare il tuo tempio ogni mattina. Io ho piantato arbusti di incenso nel tuo santuario. Non si era visto mai fin dal tempo di Dio35. Io ho fatto per te navi da carico, battelli e barche con arcieri forniti di armi, sul Verdissimo36. Io ti ho dato capitani degli arcieri e capitani delle navi, forniti di ciurme numerose, senza numero, per trasportare i prodotti della Fenicia e dei paesi al limite del mondo ai tuoi grandi tesori in Tebe la Vittoriosa. Io ho fatto per te armenti nell’Alto e nel Basso Egitto, con bestiame grosso, volatili, bestiame minuto a centinaia di migliaia, con soprastanti al bestiame, scribi, soprastanti alle corna, ispettori e numerosi pastori addetti; con foraggio per i buoi, in modo da fare offerte al tuo ka in tutte le feste, che il tuo cuore possa rallegrarsi di loro, o Principe dell’Enneade! Io ho fatto per te vigneti nell’Oasi Meridionale e nell’Oasi Settentrionale egualmente, senza numero, ed altri nel Sud con numerose liste. Ed essi furon moltiplicati nel Paese del Nord a decine di migliaia. Essi furono equipaggiati

con giardinieri fra i prigionieri dei paesi stranieri e furon completati di stagni scavati da me e provvisti di fiori di loto e con s´edeh37 e vino come quando si attinge l’acqua per le offerte in cospetto tuo a Tebe la Vittoriosa. Io ho fornito la tua città, Tebe, con alberi, verzura, piante isy, fiori di piante menhet per il tuo naso. Io ho costruito una casa per il tuo figlio Khonsu a Tebe, in pietra bella e viva, arenaria e pietra nera. Io ho rivestito le sue porte ed i suoi battenti con oro, con figure di elettro, come l’orizzonte del cielo. Io ho lavorato per le tue immagini nelle Case dell’oro con ogni pietra preziosa splendida che avevan riportato le mie braccia. Io ho fatto per te uno splendido quartiere nella città del Paese del Nord38, consolidata come tuo inventario per sempre. «Casa di Ramessese Signore di Eliopoli, v.f.s., grande di vittorie» è detto il suo nome per sempre. Io ho nominato per lei il paese d’Egitto a portar tributi. La gente di ogni paese si raccolse entro di essa. Era fornita di grandi giardini e luoghi di passeggio, con ogni tipo di palmeto, carichi dei loro frutti, e con un viale sacro illuminato dai fiori di ogni paese, da piante isy, da papiri e fiori redmet come sabbia. Io ho fatto per lui Ka-en-Kemet39, inondata come le Due Terre, nella grande Terra degli Olivi, che produce viti, circondata con un muro tutto attorno per miglia, fornita di grandi alberi in ogni sua via. C’è olio in lei (?) più che la sabbia della riva, per portarlo al tuo ka a Tebe la Vittoriosa. E vino come attingere acqua, senza numero, per offrirlo in tuo cospetto quotidianamente. Io ho costruito per te il tuo tempio in mezzo al suo suolo, adornato con rifiniture in pietra di Ayan40. Le sue porte ed i suoi battenti eran d’oro, montato in rame, e gli intarsi in ogni pietra preziosa, come le porte del cielo. Io ho plasmato la tua immagine splendida, con la quale tu appari come Ra quando illumina la terra con i suoi raggi. «Ammone di Ramessese Principe di Eliopoli» era il suo grande e splendido nome. Io ho colmato la sua casa con schiavi e schiave che io ho riportato dai paesi degli Asiatici. I sacerdoti orari del tempio erano …41, figli di grandi, che io avevo fatto divenire (tali). I suoi tesori eran inondati con le cose di ogni paese. I suoi granai raggiungevano il cielo. I suoi armenti eran più numerosi della sabbia. Stalle (sono piene) di bestiame offerto al suo ka. Le offerte quotidiane scn complete e pure in suo cospetto. I pollai contengono oche grasse. Le stie contengono volatili. I giardini

han viti provviste dei loro frutti, di primizie e di ogni fiore. Io ho fatto per te una splendida casa in Nubia, incisa con il tuo nome splendido, a somiglianza del cielo. «Casa di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., grande di vittorie» (è il suo nome) duraturo, che porta il tuo nome per sempre. Io ho costruito per te un tempio misterioso in Fenicia, come l’orizzonte del cielo che è nel firmamento, (detto) «La casa di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., in Pa-Kanan»42, come cosa che è nell’inventario a tuo nome. Io ho plasmato la tua grande immagine che posa entro di lui, (detta) «Ammone di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s.». A lei vennero gli stranieri di Retenu43, portando tributi davanti a lei perché era divina. Io ho condotto la terra unita a te sotto i suoi tributi per portarli a Tebe, alla tua città misteriosa. Io ho fatto per te statue nei nômi dell’Egitto. Esse eran per te (e) l’Enneade44 che fa prosperare questo paese. Io ho costruito per loro templi, giardini con i loro vivai, campi, bestiame minuto, armenti, schiavi numerosi. Essi son tuoi in eterno, il tuo occhio è su di loro, tu sei il loro protettore per l’eternità. Io ho lavorato per le tue immagini eccelse e grandi che sono nei loro nômi nelle terre d’Egitto. Io ho fatto che fossero in buono stato i loro templi che erano in rovina. Io ho raddoppiato le offerte consacrate ai loro ka in aumento sulle dotazioni che avevano prima. Ecco, io ho elencato tutto quel che ho fatto davanti a te, o mio padre splendido e divino, signore degli dei, in modo che sappiano gli uomini e gli dei i benefici che io ho fatto per te come imprese quando ero sulla terra. Lista delle cose, del bestiame grosso, dei giardini, dei campi, delle navi, delle officine, delle città che ha dato il faraone, v.f.s., al tempio del suo padre splendido Amon Ra, re degli dei, e di Mut, di Khonsu e di tutti gli dei di Tebe, come proprietà45 per sempre in eterno. «La casa del re della Valle e re del Delta User-maat-ra Meriamen v.f.s. nel dominio di Ammone»46 nel Sud e nel Nord, sotto la direzione dei funzionari dei templi di questo dominio, fornita di tutte le sue cose: capi 26.626. «Il dominio di User-maat-ra Meriamen, v.f.s., nel dominio di Ammone»47 nel Sud e nel Nord, sotto la direzione dei funzionari, fornito di tutte le sue cose: capi 970. «Dominio di Ramessese Signore di Eliopoli, v.f.s., nel dominio di Ammone»48 nel Sud e nel Nord, sotto la direzione dei funzionari, fornito di

tutte le sue cose: capi 2.623. «La casa di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., che possiede la gioia del dominio di Ammone»49 sotto la direzione del Primo profeta, fornita di tutte le sue cose: capi 49. «Armento di User-maat-ra Meriamen, v.f.s., nel dominio di Ammone che è (detto) User-maat-ra Meriamen, v.f.s., che fa prigionieri i ribelli sul Nilo» (o: «è un Nilo»): capi 113. «Armento (detto) User-maat-ra Meriamen, v.f.s., è quegli che lega i Mas ´auas´a nell’acqua di Ra», sotto la direzione del Direttore di Palazzo Piay. Mas ´auas´a: capi 971. «Armento (detto) Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., nel dominio di Ammone è un Nilo» (o: «sul Nilo»): capi 1.867. «Armento (detto) User-maat-ra Meriamen, v.f.s., nel dominio di Ammone», composto con le genti del Nilo, sotto la direzione del Visir del Sud: capi 34. «Armento (detto) Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., nel dominio di Ammone» sotto la direzione del preposto al bestiame Kay: capi. 279. «Dominio di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., grande di vittorie, la città che ha fatto per te il faraone, v.f.s., nel Nord, nella proprietà del dominio di Amon Ra, re degli dei, dicendo: ‘Come tu sei forte, tu farai che esso si mantenga fino all’eternità per sempre’»: capi 7.827. «Dominio di Ramessese Principe di Eliopoli nel dominio di Khonsu»: capi 294. Gente che egli dette al dominio di Khonsu in Tebe Neferhotep50, Horo signore della gioia: capi 247. Siriaci e Negri dei prigionieri di Sua Maestà, v.f.s., che egli diede al dominio di Amon Ra, re degli dei, e al dominio di Mut e di Khonsu: capi 2.607. «Archi51 di User-maat-ra Meriamen, v.f.s. che rende perfetta la sua casa nel dominio di Ammone»: coloni che egli diede a questo dominio: capi 770. Immagini processionali, statue e figure cui pagano imposte i funzionari, i porta-insegna, gli ispettori e la gente del paese, date dal faraone, v.f.s.: nei fondi della proprietà di Amon Ra, re degli dei, per proteggerle e per risponder per loro per sempre in eterno, dei: 2.756. Il che fa: capi 5.164. Totale capi: 86.486.

Bestiame grosso e minuto mescolato Giardini e vivai Campi Navi da trasporto e vascelli Officine per il pino e l’acacia Città in Egitto Città in Siria e in Etiopia

capi arure52

Totale

421.362 433 864.168½ 83 46 56 9 65

Cose riscosse, imposte di tutte le genti e di tutti i contadini della «Casa del re della Valle e re del Delta User-maatra Meriamen, v.f.s., nel dominio di Ammone»53 nel Sud e nel Nord sotto la direzione dei funzionari del dominio di User-maat-ra Meriamen, v.f.s., nel dominio di Ammone54 nella città55; del «Dominio di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., nel dominio di Ammone»56; della «Casa di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., padrone della gioia nel dominio di Ammone in Ipet»57; del «Dominio di Ramessese Principe di Eliopoli, v.f.s., nel dominio di Khonsu»; dei cinque armenti fatti per questo dominio, dati dal re User-maatra Meriamen, v.f.s., il dio eccelso, ai loro tesori, magazzini e granai come loro spettanze annue: Oro buono Oro del deserto di Coptos Oro di Etiopia Totale: oro buono e oro del deserto Argento Totale: oro e argento Rame Lino regale, lino mek, lino d’Alto Egitto buono, lino meridionale colorato, stoffe varie Filo Incenso, miele, olio, brocche varie

deben58 » » » » » »

217 61 290 569 10.964 11.546 26.320

deben

3.722 3.795 1.047

kite » » » » »

5 3 8½ 6½ 9 8

S´edeh, vino, brocche varie Argento come prodotto delle imposte del popolo dato per le offerte divine Frumento delle staia (?) delle imposte dei contadini Verdura Lino Uccelli acquatici come imposte degli uccellatori e dei pescatori Giovenchi, vitelli dei giovenchi, giovenche, buoi a corna corte, vacche, vitelli di Kedet, vitelli di ra degli armenti d’Egitto Giovenchi, vitelli dei giovenchi, buoi, giovenche, buoi a corna corte, vacche, come imposte della Terra di Siria

25.405

deben

3.606

kite 1

sacchi mazzi fasci

309.950 24.650 64.000 289.530

847

Totale Oche ra vive delle tasse stabilite Pino: navi da rimorchio (?) e traghetti Acacia: navi da rimorchio (?), barche per i canali (?), barche per il trasporto del bestiame, navi da guerra, barche kara Totale: pino e acacia

19 866 744 11

71 82

navi

Cose dell’Oasi in molti elenchi per offerte. Oro, argento, lapislazzuli vero, malachite vera, ogni pietra preziosa vera, rame, stoffe di lino regale, di lino mek, di lino d’Alto Egitto buono, lino meridionale, stoffe dipinte, brocche, uccelli e ogni cosa che ha dato il re Usermaat-ra Meriamen, v.f.s., il dio eccelso, come tributi del signore, v.f.s., per approvigionare il dominio dei suoi padri splendidi, Amon Ra, re degli dei, Mut e Khonsu a partire dall’anno I all’anno 31, che fa 31 anni. Buon oro katem: 42 anelli59 che fanno Oro buono in fili (?): anelli per dito 22,

deben

21

che fanno Buon oro in …60: anelli da dita 9, che fanno Buon oro in fili e in … con ogni pietra preziosa vera: un tondo della colonna di Ammone, che fa Buon oro martellato: una tabella, che fa Totale: oro buono in ornamenti Oro di seconda qualità in fili e intarsio: 42 anelli da dita, che fanno Oro di seconda qualità: due vasi, che fanno Totale: oro di seconda qualità Oro bianco: anelli da dito 310, che fanno Oro bianco: 264 perle, che fanno Oro bianco martellato: 108 anelli da dito per il dio, che fanno Oro bianco: 155 fili per ug´at, che fanno Totale: oro bianco Totale: oro buono, oro di seconda qualità, oro bianco Argento: un vaso con il labbro d’oro filato, che fa Argento: un coperchio (?) per il vaso, che fa Argento: un filtro per il vaso, che fa Argento: 4 vasi, che fanno Argento: 31 grandi ciste con coperchio, che fanno Argento: 31 cofanetti con coperchio, che fanno

»

3

kite

3

deben

1

kite



» » »

22 9 57

» » »

5½ 5½ 5

»

4

»



» » » »

30 35 16 48

» » » »

5 ½ 3½ 4

» » »

19 6 90

» » »

8 2 5½

»

183

»

5

»

112

»

5

» » »

12 27 57

» » »

3 7 4½

»

105

»

4

»

74

»

4

Adorazione di Amenofi I Nella necropoli tebana, e nel villaggio di Der el Medineh in particolare, fiorisce il culto di Amenofi I e di sua madre Ahmes Nefertere, che è celebrato dagli stessi operai. In questa vignetta di papiro funerario, la cantatrice di Amon Ta-Neg´emet è raffigurata in adorazione davanti al re-dio. (Torino, Museo Egizio, cat. 1784).

Argento: 6 vasi metrici, che fanno Argento martellato: una tabella, che fa Argento martellato: due tabelle, che fanno Argento in rottami Totale: argento in vasellame e rottami deben 827 (sic) kite 1¼ Totale: oro e argento in vasellame e rottami deben 1.010 kite 6¼ Lapislazzuli vero: due pietre, che fanno Rame martellato: quattro tabelle, che fanno Mirra Mirra Mirra Legno di mirra: (ceppi) Frutti di mirra in oipe Lino regale: pezze (o «vesti»?)63 Lino regale: sopravvesti (?) Lino regale: vesti hamen Lino regale: mantelli Lino regale: bende di Horo Lino regale: vesti … Lino regale: vesti idega Lino regale: tuniche Lino regale: vesti per la statua splendida di Ammone Totale: lino regale, vesti varie Lino mek: veste Lino mek: mantelli

deben

30

kite

»

18

»



» »

287 100

»

½

deben

14

kite

½

» » heqet61 hin62

822 5.140 3 20 15 100 37 94 55 11 2 1 690 489 4 1.383 1 1

3

Lino mek: in una coperta (?): una veste per la statua splendida di Ammone Totale: lino mek in abiti vari Buon lino d’Alto Egitto: vesti Buon lino d’Alto Egitto: vesti … Buon lino d’Alto Egitto: sopravvesti Buon lino d’Alto Egitto: vesti idega Buon lino d’Alto Egitto: tuniche Buon lino d’Alto Egitto: perizomi Totale: buon lino d’Alto Egitto, vesti varie Lino colorato: mantelli Lino colorato: tuniche Totale: lino colorato, vesti varie Totale: lino regale, lino mek, buon lino d’Alto Egitto, lino colorato, vesti varie Incenso bianco: vasi men Incenso bianco: vasi men Miele: vasi men Olio egiziano: vasi men Olio di Siria: vasi men Olio di Siria: vasi men Grasso bianco: vasi men Grasso d’oca Burro: vasi men Totale: vasi pieni S´edeh: vasi men colorati S´edeh: vasi kabu Vino: vasi men Totale: S´edeh e vino, vasi men e kabu Pietra herset: ug´at

1 3 2 4 5 31 29 4 75 876 6.779 7.125

8.586 2.159 12 1.065 2.743 53 1.757 911 385 20 9.125 1.377 1.111 20.070 22.556 (sic) 185

Lapislazzuli: ug´at Diaspro rosso: scarabei Malachite: scarabei Bronzo e pietra minu: scarabei Lapislazzuli: scarabei Pietre preziose varie: ug´at Pietre preziose varie: suggelli con figure Cristallo: suggelli Cristallo: perle Cristallo tagliato: vasi hen Legno lavorato: suggelli Alabastro: blocchi Pino: travi Pino: pali (o sim.) Stirace: 3 ceppi, che fanno Cassia: 1 ceppo, che fa Piante di qenny, mazzi Cinnamomo: misure mesty Cinnamomo: mazzi Uva: misure mesty Rosmarino (?): misure mesty Pianta ifet: misure mesty Frutti di palma dum del (paese di) Mehay, misure mesty Frutta: heqet Uva: ceste Uva: traici (propr. «corone») Melograne: ceste Terebinto (??) in oipe Bestiame grosso vario Oche ra vive

217 62 224 224 62 165

deben »

62 1.550 155.000 155 31 1 6 1 610 800 17 246 82 52 125 101 26 46 1.809 1.869 375 1.668 297 2.940

Oche turpu Uccelli acquatici vivi Oche grasse dei branchi (?) Salnitro: mattoni Sale: mattoni Fibra di palma: corde Fibra di palma: … tay Fibra di palma: serhet Fibra di palma: funi Piante di sebekhen Lino, behen Ideni-niw Piante heg´et: misure mesty Meteret puro

deben

5.200 126.300 20 44.000 44.000 180 50 77 2 60 1.150 60 50 750

Grano per le offerte divine delle feste del Cielo, delle feste dell’Inizio delle Stagioni, che il re User-maat-ra Meriamen, v.f.s., il dio eccelso, ha stabilito per suo padre Amon Ra, re degli dei, e Mut e Khonsu e tutti gli dei di Tebe, in aumento sulle offerte divine e in aumento sulle fondazioni, in modo da moltiplicare quel che era per lo innanzi, dall’anno 1 all’anno 31, che fa 31 anni: sacchi 2.981.674. Offerte per le feste che il re User-maat-ra Meriamen, v.f.s., il dio eccelso, ha stabilito per suo padre Amon Ra, re degli dei, e Mut e Khonsu e tutti gli dei di Tebe durante i 20 giorni di offerta della festa (detta) «User-maat-raMeriamen, -v.f.s., -che-rende-festiva-Tebe-per-Ammone» nel primo mese di S ´emu, giorno 26, fino al secondo mese di S´emu, giorno 15: totale 20 giorni. Dall’anno 22 all’anno 32, che fanno 11 anni. Con le offerte della festa di Ipet del Sud del secondo mese di Akhet, giorno 19, al terzo mese di Akhet, giorno 15, che fanno 27 giorni: dall’anno 1 all’anno 31, che fanno 31 anni. Pane buono: grandi focacce da offerta Pane buono: grandi focacce sid Pane buono: grandi focacce beh

1.057 1.277 1.277

Pane buono in mucchi a terra Pane: grandi focacce da offerta Fasci di papiro della casa dell’incenso Birra della stanza della birra, (vasi) 4.401, che fanno (manca) Pane buono, carne, pane «sabbiato», focacce rehes, misure hetep del santuario Pane buono, carne, focacce «sabbiate», focacce rehes, misure hetep dell’oro Pane buono, carne, focacce «sabbiate», focacce rehes, misure hetep del mangiare Pane buono, carne, focacce «sabbiate», focacce rehes, recipienti di commestibili Pane buono, carne, focacce «sabbiate», focacce rehes, vasi del principe (?) Pane buono dell’offerta divina: vasi di oro forniti Pane buono dell’offerta divina: focacce biat Pane buono dell’offerta divina: focacce persen Pane buono dell’offerta divina: focacce bianche Pane buono: grandi pani per mangiare Pane buono: ciambelle dolci Pane buono: pani del fuoco

440 43.620 685

165

485

11.120

9.845

3.720 375 62.540 106.992 13.020

6.200 24.800 16.665

Pane buono: pani grandi Pane buono: pagnotte di pane di grano Pane buono: focacce da offerta bianche Pane buono: pani piramidali Pane buono: kyllestis Pane buono: focacce da offerta … Pane di farina qunek: pani bianchi Pane buono: focacce Totale: pane buono, focacce varie pane «sabbiato» e rehes, ceste pane «sabbiato», oipe rehes, oipe farina, porzioni S´edeh: vasi S´edeh: vasi Vino: vasi Totale, S´edeh e vino, vasi Birra: vasi vari Olio dolce: vasi Olio dolce hen Incenso bianco: vasi Incenso: oipe varie Incenso infiammabile: vasi Olio rosso: vasi Olio: vasi Olio: hen

992.750 17.340 572.000 46.500 441.800 127.400 116.000 262.000 2.844.357 344 48.420 28.200 3.130 2.210 310 39.510 42.030 219.215 93 1.100 62 304.093 778 31 93 110.000

Miele: vasi Grasso bianco: vasi Olive: vasi Lino d’Alto Egitto: vesti Lino d’Alto Egitto: vesti Lino colorato: stoffe ifedu65 Lino colorato: tuniche Totale Cera Tutti i buoni frutti: misure kebes Tutti i buoni frutti: misure c´ay Frutta: misure hetep Frutta: misure denut Fichi delle tasse: oipe Fichi delle tasse: misure meha Fichi delle imposte: misure mesty Fichi: in oipe Fichi: misure c´ay Mehiwt: misure set Cinnamomo: misure hetep Cinnamomo: misure mesty Piante samu: misure hetep Verdura s´awt: staia Porri (?): staia Porri (?): mazzi (?) Uva: misure mesty Uva: misure c´ay Frutti d’Alto Egitto: staia Ruta (??): misure temu Papiro: sandali, paia

deben

310 93 62 155 31 31 44 261 3.100 620 620 559.500 78.550 310 1.410 55 15.500 310 3.100 220 155 1.550 620 310 6.200 117 1.550 8.985 620 15.110

Sale: sacchi Sale: mattoni Salnitro: mattoni Stoffa spessa: vesti Lino: stuoie Tamarisco: mazzi Giunchi: mazzi Cuoio: sandali, paia Frutti di palma dum, in oipe Melograni: in oipe Melograni: ceste Olive: vasi Vasi e stoviglie della imboccatura del canale eliopolitano Papiro colorato (?): oipe Nebedu: oipe Giovenchi Vitelli dei giovenchi Buoi Giovenche Buoi heny-sa Buoi a corna corte Torelli Vacche Totale: bovini vari Maschi di orige bianco Origi bianchi Maschi di gazzella Gazzelle Totale Totale: bestiame vario Oche ra vive Oche khet-aa vive

1.515 69.200 75.400 150 265 3.270 4.200 3.720 449.500 15.500 1.240 310 9.610 3.782 930 419 290 18 281 3 740 19 1.122 2.892 1 54 1 81 137 3.029 6.820 1.410

Oche turpu vive Gru vive Uccelli meset vivi Uccelli acquatici vivi Piccioni Uccelli part vivi Uccelli sa-as´a vivi Colombi Totale: uccelli vari Vasi del canale (?) pieni di pesce, sotto l’albero della nave (?) Pesce bianco Pesci s´ena tagliati Pesci tagliati Pesci: complessivamente Boccioli dei fiori delle imposte: parasoli Boccioli per mazzi alti Boccioli dei fiori delle imposte: «profumo di giardino» Piante isy: oipe Fiori: ghirlande

1.534 150 4.060 25.020 57.810 21.700 1.240 6.510 126.250

Fiori: corone Fiori azzurri: corde Fiori: mani65 Fiori: misure «mucchio» Fiori di loto: mani Fiori di loto: mazzi Fiori di loto: mani Fiori di papiro: mazzi Fiori di papiro: fusti (?) Mazzi grandi dei fiori delle

620 12.400 46.500 110 144.720 3.410 110.000 68.200 349.000

440 2.200 15.500 15.300 441.000 124 3.100 15.500 124.351 60.450

imposte Datteri: misure meg´ayw Datteri: rami tagliati (?) Erba: misure «mucchio» Erbe: mazzi Piante isy: mani Grano: mazzi Spighe: mani Boccioli: mazzi Boccioli: misure hetep

19.150 65.480 3.100 2.170 770.200 128.650 11.000 31.100 1.975.800 1.975.800

Il contenuto delle 2.756 statue e immagini che sono specificate prima: Oro buono e argento Pietre preziose vere: vari blocchi Rame nero, rame, piombo, stagno (?) Pino: ceppi vari Persea: ceppi vari

deben » »

18.252 18.214 112.132

kite » »

1½ 3 328 4.415

Come lieto è colui che dipende da te, tu dio, Ammone, toro della sua madre, principe di Tebe. Possa tu concedere che io giunga in buono stato, che io approdi66 in pace, riposando nella Terra Santa come l’Enneade. Possa io unirmi alle anime perfette che sono in Manu che vedono il tuo splendore all’inizio del mattino. Ascolta la mia preghiera, o mio padre, o mio signore. Io sono uno dell’Enneade che è al tuo fianco67: ma tu fa sorgere come re il figlio mio sul seggio di Atum, rendilo perfetto come toro vittorioso, signore, v.f.s., delle Due Rive, User-maat-ra Setepenamen, v.f.s., figlio di Ra, signore delle corone Ramessese (IV) Heq-maat Meriamen, v.f.s., seme uscito dalle tue membra. Tu sei quegli che ha profetizzato che egli sarebbe stato re quando ancora era un fanciullo. Possa tu farlo Principe, v.f.s., delle Due Terre sulla popolazione. Concedigli sovranità per milioni di anni, mentre ogni suo membro è completo e sano e integro. Consolida la tua corona sul suo capo, mentre egli siede sul tuo trono. Possa la Grande di magia68 posarsi69 fra le sue sopracciglia. Fa’ che egli sia divino più di ogni re, e grande come il tuo rispetto come signore dei Nove Archi. Fa’ che sia giovanile il suo corpo e si rinnovelli

ogni giorno, mentre tu sei uno scudo dietro di lui ogni giorno. Poni la sua spada e la sua mazza sul capo degli Asiatici, cosicché essi cadano in reverente terrore davanti a lui come davanti a Baal70. Amplia per lui i confini secondo i suoi desideri. Temano le terre e le contrade straniere in terrore davanti a lui. Concedigli che l’Egitto sia in festa, scaccia per lui ogni male, ogni disgrazia, ogni distruzione. Dagli letizia di cuore stabile nel suo cuore, giubilo, canto e danza per il suo bel volto. Poni l’amore per lui nel cuore degli dei e delle dee, la sua dolcezza e la sua maestà nel cuore degli uomini. Completa le buone cose che tu hai detto per me quando ero sulla terra per il figlio mio, che è sul trono mio. Tu sei colui che lo ha fatto divenire. Rinsalda il suo regno al figlio di suo figlio, in modo che tu sia per loro un protettore che risponde per loro, mentre essi sono per te servi con gli occhi rivolti al tuo viso, che fanno quel che è gradito al tuo ka per sempre eternamente. Le cose che tu hai predetto esistono salde e perfette; le cose che tu hai detto son salde come l’arenaria71. Tu mi hai aggiudicato un regno di duecento anni72: completali per il figlio mio che è sulla terra. Fa’ che sia illustre la sua durata più di ogni re, come compenso dei benefici che io ho fatto per il tuo ka, in modo che egli sia re per tuo comando. Tu sei colui che lo ha fatto sorgere: fa’ che non debba egli mutare ciò che tu hai fatto, o signore degli dei. Procura che le inondazioni sian grandi e ricche al suo tempo, in modo da fornire il suo regno con cibi abbondanti. Dagli i prìncipi che ancora non conoscono l’Egitto, con carichi73 sulle loro spalle per il suo splendido palazzo del re della Valle e re del Delta, signore dei Due Paesi User-maat-Ra Setepenamen, v.f.s., figlio di Ra, signore dei diademi Ramessese Heq-maat Meriamen, v.f.s. 1. Il grande Papiro Harris (ERICHSEN, Papyrus Harris I - Hieroglyphische Transkription, Bruxelles, 1933. E vedi anche SCHAEDEL, Die Listen des grossen Papyrus Harris, Glückstadt-Hamburg-New York, 1936) elenca alla morte di Ramessese III i beni che questi ha largito ai templi durante la sua vita. 2. È una titolatura, con accenti funerari, di Ramessese III, probabilmente datata al giorno stesso dell’assassinio. 3. Nome di un tempio menfita, passato poi a significare Menfi in genere. 4. Sono le diverse classi in cui si divide l’umanità. 5. Abbrevio la titolatura. 6. Titolo (e gesto) di Min. 7. È una complicata corona con penne e corna, propria di Osiri da cui passa ad altri dei. 8. Gioco di parole con il nome di Ammone (imn vale tanto Ammone che «celarsi»), che insiste sul carattere di inconoscibilità del dio. 9. L’inconoscibilità di quanto riguarda il dio si fa sempre più sottolineata nel Regno Nuovo. 10. «Signore di vita»: è il nome del quartiere funerario di Tebe. 11. Il re dice che è ormai nell’Aldilà.

12. Cioè la totalità degli dei che ti son compagni. 13. L’Aldilà. 14. Si ricordi che questo è il tema del Libro dei Morti. 15. Le mie offerte funerarie. 16. Cioè granito nero. È il tempio di Madinet Habu. 17. Il Num è l’abisso acquatico primordiale. 18. «che tu Ammone avevi dato a me fra i popoli nemici». Ramessese III ebbe a combattere vittoriosamente le invasioni dei Popoli del Mare. 19. Cioè splendente. 20. Si allude al trascinare i blocchi attraverso il deserto dalle cave al Nilo. 21. Statue colossali di scarabei sono note. 22. Del tempio. 23. Tale palazzo regale è ancora parzialmente conservato. 24. Significato dubbio. O «logge»? 25. È un tempio di Karnak. 26. Karnak sud. 27. Karnak. 28. O il bulino? 29. O «con il regolamento domestico dei templi». 30. È l’officina del tempio. 31. Circa 70 m. 32. Una delle due barche solari. 33. L’ariete è sacro ad Ammone. Rappresentazioni di simili barche sacre con decorazioni di questo tipo sono note. 34. Un paese sulla costa somala da cui gli Egiziani importavano incenso e mirra. 35. È un modo proverbiale per indicare la più remota antichità. In verità altri sovrani si vantavano di simili imprese (così Hats´epsut). 36. Il Mare (Mediterraneo). Ammone ha una sua flotta d’alto mare. 37. Una bevanda alcoolica. 38. Questa capitale settentrionale è forse Tanis. 39. Nome di una vigna. 40. Una cava presso Menfi. 41. Una designazione non comprensibile. 42. Cioè Canaan. 43. La Siria. 44. Qui, gli dei in genere. 45. Propriamente, proprietà provvista di titolo. 46. Il tempio di Madinet Habu. 47. Il tempio minore di Karnak. 48. Il tempio di Luqsor. 49. Il tempio sud di Karnak. 50. Il tempio di Khonsu in Tebe. 51. Cioè nemici (sconfitti). 52. L’arura è misura di superficie pari a 100 cubiti quadrati, cioè mq. 2.735. 53. Madinet Habu. 54. Tempio minore di Karnak. 55. La città per eccellenza, cioè Tebe. 56. Tempio di Luqsor.

57. Tempio di Karnak sud. 58. Il deben pesa gr. 91 ed è composto di 10 kite. 59. L’oro greggio era preparato in anelli. 60. In incrostazione? 61. Misura di capacità: 1. 4,785. 62. Misura di capacità: 1. 0,86. 63. Inutile avvertire che questi elenchi pullulano di parole la cui «traduzione» è approssimativa, e in molti casi impossibile. Il carattere di molte parole risulta dal punto in cui appaiono nelle liste. 64. Stoffe a quattro lati o a fili di quattro capi? 65. Una misura: «manciate»? 66. È il consueto eufemismo per «morire». 67. «Io sono ormai morto». 68. La corona regale. 69. «fraternizzare». 70. Cioè il loro stesso dio, entrato nel nuovo impero a tar parte del pantheon egiziano come dio guerriero. 71. Che è la pietra da costruzione tipica del tempo. 72. Questa profezia di regno di 200 anni, che non si è verificata per il padre. si verifichi per il figlio. 73. Sc. tributi.

4. — DONAZIONE AD UN TEMPIO1 È questo un tipo di stele che diviene usuale in tarda epoca, con la quale viene consacrato al dio un appezzamento di terreno, che è insieme posto sotto la sua autorità e la sua protezione. Si noti il tono contrattuale del testo, che ricalca il formulario dei contratti terreni, e insieme la facilità con la quale si inserisce nella procedura della donazione l’elemento soprannaturale dell’oracolo per cui il dio fa «segni di assenso». L’uso degli oracoli anche al di fuori dei casi di importanza statale (nomina di re, invio di spedizioni ecc.) si trova già nel Regno Nuovo in forme popolari di religione, e va man mano diffondendosi, e sotto varie forme perdura fino al tramontare del paganesimo ed oltre. Notevole qui che — evidentemente per ragioni giuridiche — l’oracolo è interrogato anche al momento in cui si fa l’offerta: è per garantirsi che il dio vorrà mostrare con la sua protezione la sua gratitudine, e per impegnarlo con la sua parola. L’anno XVI sotto la Maestà di … Osorkon2… alla festa di Ptah, suo buon

signore… Questo fu il giorno in cui fu dato un campo di … arure nei dintorni della città di … Totale … Totale: 15. Totale complessivo: 42 remen3. Il confine meridionale4 è la stalla di G´ed-amun-e.f-ankh figlio di Irswitef: (quello settentrionale…); quello orientale è il campo dello S´ardana5 sotto l’amministrazione del sacerdote Hori; quello occidentale il campo della casa di Ptah, il cui padrone è il padre divino6, sacerdote di Arsafe7 della casa di Ptah, scriba del tempio, scriba che conta il bestiame nella casa di Ptah, G´ed-Ptahe.f-ankh, figlio del sacerdote Nesmin. Da parte del sommo sacerdote di Arsafe re dei Due Paesi, grande principe di Sekhem-kheper, principe Nimrod8, figlio del signore dei Due Paesi Osorkon, la cui madre è G´ed-Mute.s-ankh. Egli ha ripetuto in cospetto di Ptah: «Mio buon signore, accetti questa fondazione agricola che …9 G´ed-Ptahef-ankh ha dato a te, come un bel dono della mia mano, e vuoi darmene il premio in vita, felicità, salute, grande durata di vita, lunga vecchiezza, da avere io stesso?». Questo dio fece violenti segni di assenso10. Ed egli disse di nuovo: «Mio buon signore, ucciderai qualsiasi persona di qualsiasi condizione in tutto il paese che abbia mai a contestargli questo, e cancellerai i loro nomi in tutto il paese, in modo che Sekhmet perseguiti le loro donne e Nefertum i loro figli?»11. Il grande dio fece violenti segni di assenso. 1. Pubblicata da E. IVERSEN, Two Inscriptions concerning private donations to Temples, in Kgl. Dansk. Vid. Selsk., Hist. Fil. Medd. XXVII, 5, Köbenhavn, 1941. 2. Sono omessi gli elementi della titolatura di Osorkon II. La data corrisponde all’854 a. C. 3. Varie lacune non permettono di veder chiaro negli addendi della somma. Il remen è mezza arura; l’arura è mq. 2.735. Totale, dunque, mq. 57.435. 4. Queste indicazioni di confine sono regolari nei contratti. 5. Gli S´ardana sono popolazioni dell’Asia Minore che migrarono coi Popoli del mare. Molti si

fermarono in Egitto come mercenari. 6. Titolo sacerdotale. 7. La casa regnante (XXII dinastia) provemiendo da Eracleopoli, Arsafe che di quella città è il dio ha particolare importanza. 8. È questo un principe della casa reale, cui è affidato il sommo sacerdozio nella città dinastica. 9. Omessa la titolatura del sacerdote offerente. 10. È il termine tecnico della pratica oracolare. Il dio acconsente alla domanda chinandosi in avanti. 11. Questa vendetta degli dei (Sekhmet, moglie di Ptah, per le mogli; Nefertum, figlio di Prah, per i figli) che deve rivolgersi ai parenti del trasgressore è qui contenuta in limiti assai rigidi. In altre steli le maledizioni hanno un netto colorito osceno, probabilmente di origine popolaresca.

5. — DALL’AUTOBIOGRAFIA DI UN SOMMO SACERDOTE DI AMMONE1 Il racconto della propria vita, e più propriamente del modo in cui uno abbia manifestato le sue virtù durante la vita, è un tema frequente della letteratura epigrafica egiziana. In questa luce va letto anche questo frammento autobiografico che mostra quale sia l’animo della classe sacerdotale: il titolare presenta come suoi meriti l’essere tebano, l’essere di famiglia sacerdotale, l’aver frequentato una scuola tebana, l’aver avuto già in casa una istruzione tecnica. Il senso della classe che comincia a chiudersi e che sta per trasformarsi in casta è evidente in questo atteggiamento.

Io sono un uomo di Tebe per parte di padre e per parte di madre, figlio di un secondo profeta di Ammone di Karnak. Io sono uscito come un ragazzo perfetto dalla scuola delle scritture nel tempio della Signora del Cielo2. Io sono stato istruito per divenire sacerdote wab nel tempio di Ammone come un figlio sotto la mano del padre3. Egli (cioè Ammone) mi favorì e mi distinse a causa del mio carattere. Io fui al suo seguito in verità, e quando fui promosso padre divino4 io vidi tutte le sue manifestazioni, e feci cose utili nel suo tempio, come lavori perfetti di ogni genere. 1. Da una statua di Bak-en-Khonsu al Cairo: cfr. LEFEBVRE, Sur l’âge du Grand Prêtre d’Amon Bakenkhonsou, in «Revue de l’Eg. Anc.», I (1927), pp. 2. Il tempio di Mut. 3. Poiché il padre era, come si è visto, sacerdote egli stesso. 4. Titolo sacerdotale.

6. — UN SOMMO SACERDOTE DI AMMONE PARLA DI SÉ1 Il processo che era già così chiaramente delineato nel testo precedente qui è pienamente attuato. Dopo un elogio di se stesso e il racconto di come la sua virtù sia stata ricompensata, il sommo sacerdote passa a descrivere la sua ampia famiglia, e allude alla carriera sacerdotale di coloro che la compongono. I templi tebani hanno posti sufficienti per collocarvi in veste di sacerdoti, di alto o basso grado, i discendenti di un così illustre prelato. Io sono un valoroso, vigile, utile al suo signore2, che ha fatto monumenti

nella sua casa con un cuore amante. Il mio cuore, che numera ogni lavoro, era occupato a cercare quel che fosse utile al mio dio illustre, cosicché egli mi fu favorevole per quel che io avevo fatto, tanto quanto io gli ero stato utile. Egli mi ha posto come capo supremo della sua casa, ed io giungo alla vecchiaia, al suo seguito e con il suo favore. Le mie membra sono fornite di salute, i miei occhi vedono, gli alimenti del suo tempio restano nella mia bocca, il favore del re è presso di me secondo quel che accorda Ammone3. Egli ha fatto che i miei figli, a generazioni, siano uniti al mio cospetto, e abbiano la funzione di profeti incaricati di portar sulle spalle la sua statua. Io sono Primo profeta secondo quel che accorda Ammone, e mio figlio è al mio lato come secondo profeta, e il mio secondo figlio è sacerdote sem nel tempio regale che è a occidente di Tebe e il figlio del mio figlio è quarto profeta con l’incarico di portare sulle spalle Ammone, signore degli dei, e il figlio del mio figlio è Padre divino e Sacerdote lettore dalle mani pure di Colui-il-cui-nomeè-nascosto. Conceda egli che sia stabile il mio nome sulla mia statua a lato di questo monumento che ho fatto nel suo tempio, e che sia ricordato il mio nome su di loro4 in futuro, per sempre. Mi lodino le generazioni che verranno in esistenza, e mi glorifichino per le mie belle opere, così come io sono un valoroso. 1. G. LEFEBVRE, Inscriptions concernant les Grand Prêtres d’Amon Romé-Roy et Amenhotep, Paris, 1929, pp. 9-10 (da una statua di Roy della fine del regno di Ramessese II o dell’inizio di quello di Meneptah). 2. Il «signore» è dio. 3. Il motivo letterario dei malanni della vecchiaia, noto agli Egiziani, è qui rovesciato. 4. La statua e il monumento.

7. — SCANDALI A ELEFANTINA1 Attraverso lo stile tecnico dell’inchiesta ufficiale appare qui come il sacerdozio profittasse della posizione di interprete della volontà divina che era venuto assumendo nel tardo Nuovo Regno. Si ha qui un complotto fra alcuni sacerdoti a danno di un loro collega, attuato mediante un falso oracolo. Una volta riconosciuta la frode, i sacerdoti sono allontanati dal tempio: ma il profeta del dio accetta un dono per riammettere uno dei colpevoli nel clero, e là egli avanza nella carriera. L’amministrazione civile sancisce in un primo tempo l’accaduto, ma poi (forse su denuncia di una delle parti lese) interviene con questa inchiesta. La quale dimostra quale spirito commerciale regnasse ormai nella classe sacerdotale, e come a questi suoi interessi mondani non esitasse a piegare la funzione che era venuta assumendosi di interprete legittima della volontà divina. Il controllo dell’autorità civile andrà facendosi sempre più leggero e inefficace, mano a mano che crescerà l’importanza anche politica del sacerdozio.

Rapporto relativo al fatto che il visir Nefer-renpet promosse il sacerdote wab Bak-en-khonsu a secondo profeta di Khnum. Questo wab2 aveva detto allo wab Neb-un-ef: «Istituiamo altri tre (posti di) wab e facciamo che il dio escluda questo figlio di mercante»3. Si testimoniò su questo, e si trovò che davvero aveva detto questo. Si fece che egli giurasse sul (nome del) re, v.f.s., che non sarebbe entrato nel tempio4. Ma egli dette cose5 a questo profeta, dicendo: «Lascia che io entri nel santuario». Questo profeta accettò le cose, e lasciò che egli entrasse nel santuario6. 1. A. H. GARDINER, Ramesside Administrative Documents, Oxford U. P., 1948, p. 75, 11. 9-15. Si tratta di un papiro di Torino (n. 1887) in cui si dà notizia di una inchiesta sul tempio di Khnum a Elefantina al tempo di Ramessese V. Su questo passo vedi anche SAUNERON, in «Revue d’Egyptol.», VII (1950), pp. 57 segg. che identifica i personaggi. 2. Titolo sacerdotale («puro»). 3. Si allude all’uso di far confermare le nomine dall’oracolo del dio, che qui dall’inchiesta risulta arbitrariamente manovrato dai sacerdoti. Il «figlio del mercante» è designazione di un personaggio di cui non è fatto il nome. 4. Sospeso dalla sua funzione per essere stato trovato colpevole. 5. Corruppe con doni, perché gli facesse riassumere la sua funzione. 6. Con l’attività sacerdotale sono naturalmente connessi vantaggi economici.

IV

TELL EL AMARNA

1. — LA STELE DI FRONTIERA A TELL EL AMARNA1 Con la fine della XVIII dinastia arriva a una crisi la coperta tensione fra il sacerdozio e la regalità. Il sovrano del tempo, Amenofi IV, comincia a favorire a Tebe stessa il culto di un dio «sole» (Aton) che si affianca alle altre divinità solari tradizionali, e in particolare a una forma di Ammone, Amon Ra, che durante il predominio della casata tebana ha assunto un valore di dio dinastico e di «re degli dei». Il nuovo dio appare sotto Thutmose IV e di nuovo sotto Amenofi III senza che nessuno vi fissi troppo l’attenzione. Il fatto però che ora gli venga elevato un santuario a Tebe, entro il recinto del tempio di Ammone, non può non suscitare gelosie sacerdotali. La storia degli anni seguenti mostra che esse eran pienamente giustificate: l’anno VI del regno, il sovrano abbandona la capitale tradizionale della sua famiglia, Tebe, e trasferisce la corte in Medio Egitto, in una regione nota soprattutto per famose cave di alabastro nel deserto retrostante. Là costruisce una nuova città, consacrata completamente al suo dio, cui dà il nome di «Orizzonte di Aton» (Akhet-Aton, oggi Tell el Amarna) e di là sempre più energicamente si dà all’opera di propaganda del nuovo culto. Essa comporta un elemento positivo, e cioè l’insegnamento della «dottrina», e insieme uno negativo, la persecuzione dei culti rivali, e in particolare del culto di Ammone. Il nome del vecchio dio tebano è proscritto, e si giunge fino a cambiare il nome del re (che significa «Ammone è pago») con un nuovo nome che celebra invece Aton: Ekhnaton («Colui che giova all’Aton»). Sui monumenti sono scalpellati via i segni che servono a scrivere il nome detestato, i templi sono spogliati dei loro averi, che vengono assunti di nuovo dall’erario, il clero è disperso. Si vorrebbe ricostituire tutta la società egiziana su nuove basi, e in una nuova città, lontano dall’ambiente che ha tradizionali interessi ed ereditaria autorità. L’offerta della città a dio comporta un particolare atteggiamento del sovrano, che — in certo modo — non è ospite del dio in una città di tradizioni mitologiche come poteva essere Tebe, ma lo ospita egli stesso in questa città elevata a gloria sua. Il fondo sacrale della nuova fondazione è manifestato anche dalla stessa organizzazione urbanistica: gli elementi dominanti del complesso urbano sono i templi, la cui costruzione in momenti successivi modifica anche la struttura del reticolato stradale. Strettamente connessi con gli edifici templari sono gli edifici regi. Le esigenze della amministrazione dell’impero, dei quartieri di abitazione per gli alti funzionari e per i dignitari non sono qui tanto considerati da determinare particolari sistemazioni urbane. E in questo Akhet-Aton si differenzia dalle più tarde capitali ramessidi (come Tani), in cui l’elemento civile è assai chiaramente messo in evidenza, come appare dalle descrizioni letterarie che ci restano delle nuove città. La regione in cui sorge la città è consacrata al dio, ed è perciò non tanto una provincia, ma una proprietà privata. E come tale è limitata da pietre di confine che portano tutte il testo che determina quale sia la proprietà del dio: è un elemento di tono giuridico e terreno, che ben si addice a sottolineare quali siano i rapporti fra sovrano e divinità. Il giuramento che fa il re di non mettere piede fuori dal territorio consacrato è da intendersi come un ammonimento alla società tebana, che non speri di poter di nuovo costituire l’ambiente normale della corte se non si trasferirà nella nuova sede. In effetti un certo numero di membri dell’alta società tebana segue qui il re, e ne costituisce — con uomini di minore tradizione — il palazzo. Ma la resistenza della classe dirigente tradizionale fa sì che, verso la fine del regno e poco prima della morte, sembra che il re abbia tentato di abbandonare la sua città e di riprender contatto con l’ambiente tebano. La stessa conferma del giuramento nel codicillo dell’anno VIII che è in calce alla stele nasconde i germi di una crisi, o il rifiuto a suggerimenti. Con la morte del re, la corte tornò presto alla vecchia residenza tebana, e la nuova città fu prima abbandonata, poi probabilmente depredata di tutto quanto contenesse di ancora utilizzabile. Sul luogo — evidentemente inadatto per un grosso centro urbano — non è più sorto nessun agglomerato degno di considerazione. Anno VI, mese quarto di peret, giorno 13…2.

In questo giorno Si3 fu in Akhet-Aton nella tenda di stuoia4 fatta per Sua Maestà, v.f.s., in Akhet-Aton, il cui nome è «Aton è soddisfatto». Si levò5 Sua Maestà, v.f.s., con una pariglia sul suo grande carro di elettro come Aton quando sorge dall’orizzonte dopo aver riempito le Due Terre del suo amore. Intraprese la bella via verso Akhet-Aton, nella prima volta del trovarla che fece Sua Maestà, v.f.s., per fondarla come monumento all’Aton, come aveva comandato suo padre … Aton … per fargli un monumento entro di essa. Si fece che si compisse una grande offerta di pani, birra, buoi, bestiame a corna corte, vitelli, uccelli, vino, frutta, incenso, ogni primizia buona nel giorno del fondare AkhetAton per l’Aton vivo, che prende i favori e l’amore che sono sulla vita, forza e salute del re… Ekhnaton… Andò verso Sud e stette saldo Sua Maestà, v.f.s., sul suo carro in cospetto di suo padre … Aton… sulla montagna sudorientale di Akhet-Aton, mentre i raggi di Aton erano su di lui come vita6 e durata per rinnovellare le sue membra ogni giorno. Giuramento che ha detto il re della Valle e re del Delta… Ekhnaton…: «Come vive mio padre … Aton…, come è dolce il mio cuore per la sposa regale e per i suoi figli! Che invecchi la sposa grande regale Nefretete … sotto la mano7 del faraone, v.f.s.! Che invecchino la principessa Merit-Aton e la principessa Meket-Aton sue figlie sotto la mano della loro madre in eterno! Il mio giuramento di verità, che il mio cuore dice, che io non dico menzogna per sempre: ‘La stele meridionale che è nella montagna orientale di Akhet-Aton, essa è la stele di Akhet-Aton. È quella presso cui sto, e non la sorpasserò verso sud per l’eternità’8. La stele sudorientale di fronte a lei sul monte meridionale di Akhet-Aton è giusto dirimpetto. Quanto alla stele centrale che è sulla montagna orientale di Akhet-Aton io sto presso di lei sulla montagna a levante di Akhet-Aton e non la sorpasserò verso levante per l’eternità. La stele centrale che è sulla montagna occidentale di Akhet-Aton di faccia a lei, le è giusto di fronte. Quanto alla stele nordorientale di Akhet-Aton io sto presso di lei, ed essa è la stele settentrionale di Akhet-Aton. Non la sorpasserò verso settentrione per l’eternità. La stele settentrionale che è sulla montagna occidentale di Akhet-Aton di

faccia a lei le è proprio dirimpetto. Così Akhet-Aton, a partire dalla stele meridionale fino alla stele settentrionale, misurando da stele a stele sulla montagna orientale di AkhetAton, fa itrw9 6, khet10 1 e 3/4 e cubiti 4. Egualmente a cominciare dalla stele sudorientale di Akhet-Aton fino alla stele nord-occidentale sulla montagna occidentale di Akhet-Aton fa itrw 6, khet 1 e 3/4, cubiti 4 egualmente precisi. Quanto a quel che è compreso fra queste quattro stele a partire dalla montagna orientale fino alla montagna occidentale, è Akhet-Aton vera e propria. Essa appartiene a mio padre … Aton… nelle montagne, nelle valli, negli stagni, nelle bonifiche, nelle terre alte, nei campi arati (?), nei campi, nelle acque, negli abitati, nelle rive, nella gente, nel bestiame, negli alberi, in ogni cosa che l’Aton mio padre ha fatto che venisse in esistenza per l’eternità intiera11. Non decadrà il giuramento che io ho fatto a mio padre Aton per l’eternità, ma anzi esso sarà stabile su una stele di pietra sul confine sudorientale ed egualmente sul confine nordorientale di Akhet-Aton. Non sarà cancellato, non sarà lavato via, non sarà scalpellato, non sarà stuccato con gesso, non sarà (comunque guasto)12. Se esso fosse reso illeggibile, se cadesse la stele su cui esso è, io lo rinnoverò di nuovo ancora nel luogo in cui era». Ripetizione di questo giuramento nell’anno VIII, mese primo di peret, giorno 8. Si era a Akhet-Aton. Il faraone, v.f.s., si levò sul suo grande carro di elettro per vedere le stele dell’Aton che sono sulle … montagne al confine sudorientale di Akhet-Aton …13. 1. Uso l’edizione di M. SANDMAN, Texts from the Time of Akhenaten, Bruxelles, 1936, pp. 119 segg. Cfr. anche LEEUWENBURG, De Grensstele’s van Amarna, in «Ex Oriente Lux», IX (1944), pp. 39 segg. 2. Ometto qui, e dove altrove sono puntini, lunghe titolature del sovrano o del dio. 3. Il «Si» impersonale che indica rispettosamente il sovrano. 4. Il re è ancora sotto la tenda nel luogo in cui sorgerà la sua futura capitale. 5. Il verbo con il quale si definisce il sorgere del sole e l’apparire in pubblico del sovrano. 6. È la figurazione consueta di Aton che con i suoi raggi porge il segno della vita al sovrano. 7. La guida. 8. Il giuramento comporta per il re l’obbligo di non abbandonare mai il territorio della città o forse più semplicemente di non ampliarlo a scapito delle proprietà o amministrazioni confinanti. 9. Misura di lunghezza; il greco schoinos. 10. Misura di lunghezza: canna. 11. Città e provincia sono consacrate al dio. 12. Lacuna. 13. Il testo del codicillo di conferma è lacunoso.

2. — L’INNO AD ATON1 Il documento più preciso che ci resti della teologia e del tono della religione di Ekhnatòon è un inno al suo dio, che appare in varie redazioni, riducibili fondamentalmente a due (la «lunga» e la «breve») nelle tombe dei nobili a Tell el Amarna. È questa la «dottrina» che essi si vantavano di avere udito dal sovrano, e la fedeltà alla quale è in questo momento necessaria per la vita sociale più elevata. Della diffusione di questa «dottrina» fra il popolo minuto degli operai e degli artigiani non sembra che il re si sia occupato: dall’acquartieramento operaio della città provengono, infatti, documenti di culti popolareschi e perfino del culto di Ammone, segno che là era una libertà di religione determinata dal disinteresse che per quell’ambiente si nutriva a corte. Quale sia il senso di questo inno è assai chiaro a prima vista: Aton, il «sole», è il dio primordiale, che tutto crea e che a tutto provvede. La sua presenza in cielo è garanzia di vita per tutto il mondo e per tutti gli esseri, che — in questa unione entro la provvidenza divina — ritrovano la loro intima parentela e una dignità che non può mai essere annullata. C’è così un fresco e profondo senso della natura, che tutta trepida all’apparire del sole, che tutta trova in lui la possibilità di essere e di sussistere, che tutta entra in pericolo e in crisi quando egli tramonta. L’esperienza imperiale, che ha portato a contatto degli Egiziani i popoli stranieri e che ne ha mostrato le profonde qualità umane, gioca vicino alla immediata intuizione naturalistica: anche i popoli lontani sono sotto la tutela del sole, anche a loro si è provveduto. Le loro qualità, le loro lingue, i loro costumi sono anch’essi opera di Aton e non barbariche aberrazioni della tradizione esemplare egiziana. È questo senso di intima fratellanza del cosmo l’elemento che più si suole mettere in evidenza in questo inno ed in questo ambiente. Si noterà, anzitutto, che tali atteggiamenti non sono nuovi nella speculazione egiziana: punto per punto l’inno ad Aton può avere dei precisi precorrimenti nella letteratura religiosa più antica. La novità è più nella formulazione che così fermamente esclude i dati mitologici, le allusioni sincretistiche, le contraddizioni fra i vari sistemi e le varie tradizioni, che annebbiano negli altri casi le più ricche e nuove intuizioni. Pensare, perciò, a origini straniere della religione atoniana non è per nulla necessario. Il monoteismo solare è un elemento ormai antichissimo nella esperienza religiosa egiziana; e così l’idea del dio creatore e provveditore. Qui la novità non è negli articoli di fede, ma nella chiarezza della impostazione e nel ripudio degli elementi di contraddizione. Il carattere egiziano della teologia atoniana si manifesta più chiaramente in alcuni particolari sui quali meno ci si suole soffermare, in quanto (se non altro) meno legati alle parti letterariamente più notevoli e più famose del testo. Alludo alla sottolineatura del carattere misterioso ed inconoscibile del dio. Che il sole traversi il cielo davanti agli occhi di tutti eppure resti ignoto nella sua essenza agli uomini, è pensiero non nuovo alla teologia egiziana. Qui è ripreso, ed è interessante in quanto è applicato ad un dio che ha il nome del «sole» come elemento del mondo fisico, in contrapposto ai nomi degli «dei» del sole (Ra, Atum, Khepre, Harakhte, Ammone, ecc.), e che perciò apparentemente sembra insistere sull’elemento più naturalistico. Ma il punto più notevole di questa inconoscibilità (tradizionale) è che essa cessa per una sola persona, per il sovrano. Questi è capace di intendere la natura divina, e in questo si afferma una sua particolare dignità nel creato. Senza il re il mondo non avrebbe un interprete della volontà e dell’azione divina; e al re, perciò, tocca di diritto la guida dell’umanità che, obbedendo a lui, si mette in regola con il flusso della creazione così come è regolata da Aton. Questo elemento della «dottrina» è quello più strettamente politico, che risuscita la concezione più antica della monarchia divina: quella che nell’Egitto arcaico aveva dato al re il potere di costituire il diritto con la sua volontà, e che lo aveva così chiaramente staccato dalla umanità per collocarlo nell’ambito degli dei. La teoria teologica della monarchia non era mai stata rinnegata in Egitto, come si è visto: ma già da molto (dalla fine dell’Antico Regno) era ridotta a un resto di speculazione ormai senza più presa nella realtà politica. Con Ekhnaton le vecchie intuizioni della più profonda coscienza religiosa egiziana

vengono rinnovate in funzione di un riammodernamento dall’interno della teologia regale, che restituisce al sovrano quel peso nella società che già da molto aveva perduto a vantaggio delle classi dirigenti.

Adorazione di Harakhte che si rallegra all’Orizzonte nel suo nome di S´u che è Aton2, vivente in eterno per sempre; e dell’Aton vivo che è in festa, signore di tutto quello che circonda Aton, signore del cielo, signore della terra, signore della Casa di Aton in AkhetAton, re della Valle e re del Delta che vive della verità signore dei Due Paesi Nefer-kheperu-Ra Ua-en-Ra, figlio di Ra che vive nella verità, signore delle corone Ekhnaton eccelso di durata; e della grande sposa regale che egli ama, la signora delle Due Terre Nefer-nefru-Aton Nefretete, viva, sana, giovane in eterno per sempre. Egli dice3: Tu sorgi bello all’orizzonte del cielo o Aton vivo, che hai dato inizio al vivere. Quando ti levi all’orizzonte orientale tutte le terre riempi della tua bellezza. Tu sei bello, grande, splendente, eccelso su ogni paese; i tuoi raggi circondano le terre fino al limite di tutto quel che tu hai creato. Tu sei Ra, e tu conquisti fino al loro limite. Tu le leghi per il tuo figlio amato4. Tu sei lontano ma i tuoi raggi sono sulla terra. Tu sei davanti (alla gente) ma essi non vedono la tua via5. Quando vai in pace all’orizzonte occidentale, la terra è nell’oscurità come morta. I dormienti sono nelle loro camere. le teste sono ammantate, non un occhio vede l’altro. Si rubino i loro beni che sono sotto le loro teste, essi non se ne accorgerebbero. Tutti i leoni escono dalle loro tane; tutti i serpenti, essi mordono.

L’oscurità è (per loro) chiaro. Giace la terra in silenzio. Il loro creatore riposa all’orizzonte. All’alba tu riappari all’orizzonte, risplendi come Aton per la giornata. Tu scacci le tenebre e lanci i tuoi raggi. Le Due Terre sono in festa: svegliate e levate sui due piedi. Tu le hai fatte alzare. Lavano le loro membra, prendono le loro vesti, le loro braccia sono in adorazione del tuo sorgere. La terra intiera si mette al lavoro. Ogni animale gode del suo pascolo. Alberi e cespugli verdeggiano. Gli uccelli volano dal loro nido, le loro ali in adorazione del tuo ka. Gli animali selvatici balzano sui loro piedi. Quelli che volano via, quelli che si posano, essi vivono quando tu ti levi per loro. Le barche salgono e scendono la corrente perché ogni via si apre al tuo sorgere. I pesci del fiume guizzano verso di te, i tuoi raggi arrivano in fondo al mare. Tu che procuri che il germe sia fecondo nelle donne, tu che fai la semenza negli uomini, tu che fai vivere il figlio nel grembo della madre sua, che lo calmi perché non pianga, tu nutrice di chi è ancora nel grembo, che dài l’aria per far vivere tutto ciò che tu crei quando cala dal grembo in terra il giorno della nascita, tu gli apri la bocca per parlare, e provvedi ai suoi bisogni. Quando il pulcino è nell’uovo (loquace nella pietra), tu lì dentro gli dài l’aria perché viva. Tu lo completi perché rompa l’uovo,

e ne esca per parlare e completarsi, e cammini sui suoi piedi appena ne è uscito. Come numerose sono le tue opere! Esse sono inconoscibili al volto (degli uomini), tu dio unico, al di fuori del quale nessuno esiste. Tu hai creato la terra a tuo desiderio, quando tu eri solo, con gli uomini, il bestiame ed ogni animale selvatico, e tutto quel che è sulla terra — e cammina sui suoi piedi — e tutto quel che è nel cielo — e vola sulle sue ali. E i paesi stranieri, la Siria, la Nubia, e la terra d’Egitto. Tu hai collocato ogni uomo al suo posto, hai provveduto ai suoi bisogni. Ognuno con il suo cibo, ed è contata la sua durata in vita. Le lingue loro sono diverse in parole, ed i loro caratteri anche, e le loro pelli. Hai differenziato i popoli stranieri. Ed hai fatto un Nilo nella Duat6 e lo porti dove vuoi per dar vita alle genti così come tu te le sei create. Tu, signore di tutte loro, che ti affatichi per loro, o Aton del giorno, grande di dignità! E tutti i paesi stranieri e lontani, tu fai che vivano anch’essi. Hai posto un Nilo nel cielo, che scende per loro7, e che fa onde sui monti come un mare e bagna i loro campi e le loro contrade. Come son perfetti i tuoi consigli tutti, o signore dell’eternità! Il Nilo nel cielo è tuo (dono) per gli stranieri e per tutti gli animali del deserto che camminano sui piedi; ma il Nilo (vero), viene dalla Duat per l’Egitto8. I tuoi raggi fan da nutrice a tutte le piante;

quando tu splendi, esse vivono e prosperano per te. Tu fai le stagioni per far sì che si sviluppi tutto quel che tu crei. L’inverno per rinfrescarle l’ardore perché ti gustino. Tu hai fatto il cielo lontano per splendere in lui e per vedere tutto, tu unico, che splendi nella tua forma di Aton vivo, sorto e luminoso, lontano e (pure) vicino. Tu fai milioni di forme da te, tu unico: città, villaggi, campi, vie, fiume, ogni occhio vede te davanti a sé e tu sei l’Aton del giorno sopra (la terra). Quando tu sei andato via e (dorme) ogni occhio di cui tu hai creato lo sguardo per non vederti solo, (e non si vede più) quel che tu hai creato, tu sei (ancora) nel mio cuore. Non c’è nessun altro che ti conosca eccetto il tuo figlio Nefer-kheperu-Ra Ua-en-Ra9. Tu fai che egli sia edotto dei tuoi piani e del tuo valore. La terra è nella tua mano come tu li hai creati. Se tu splendi essi vivono, se tu tramonti essi muoiono: tu sei la durata stessa della vita e si vive di te. Gli occhi vedono bellezza, finché tu non tramonti. Si depone ogni lavoro quando tu tramonti a destra10. Quando tu risplendi, tu dài vigore (…) per il re, e agilità è in ogni gamba da quando tu hai fondato la terra. Tu li alzi per tuo figlio11 che è uscito dal tuo corpo,

il re della Valle e re del Delta che vive della verità, il signore dei Due Paesi Nefer-kheperu-ra, il figlio di Ra che vive della verità, il signore delle corone Ekhnaton eccelso di durata di vita; e della grande sposa regale, la Signora dei Due Paesi Ne fer-neferu-aton Nefretete viva, giovane, per sempre in eterno. 1. L’inno figura di regola nelle tombe di Tell el Amarna. Il testo che qui si traduce è quello della tomba di Ay, che è il più completo. Edizione seguita è quella di SANDMAN, Texts from the Time of Akhenaten, Bruxelles, 1936, pp. 93 segg. Tenuta presente la traduzione di SETHE presso SCHAEFER, Amarna in Religion und Kunst, Leipzig, 1931, pp. 63 segg. 2. Racchiusi in due cartigli regali, sono questi i titoli del dio. 3. «Egli» è il morto Ay. 4. Cioè il re Ekhnaton. 5. Si continua la tradizione della inconoscibilità divina. 6. Il mondo sotterraneo. 7. La pioggia, eccezionale in Egitto, che disseta i campi degli altri paesi. 8. All’Egitto è riconosciuta una posizione di preminenza nella creazione. 9. È la titolatura regale di Ekhnaton. 10. La destra è l’occidente per gli Egiziani, che si orientavano verso mezzogiorno. 11. Il sovrano.

3. — STELE DELLA RESTAURAZIONE DI TUTANKHAMÒN1 L’esperienza di Ekhnaton non ebbe lunga durata. Pare che già verso la fine del regno il sovrano abbia tentato un riavvicinamento con il clero di Ammone, e cioè con il gruppo dei suoi nemici più potenti e più impegnati. I successori, dai regni effimeri, proseguirono l’opera; forse guidati, oltre che dalla forza delle circostanze, anche dalla ferma mano del futuro faraone Harmhab, che intravediamo dietro le singole figure di re, e al quale andrà ufficialmente la gratitudine sacerdotale. Chi riportò in modo definitivo la corte a Tebe fu Tutankhaton, che, in tale occasione, cambiò il nome in Tutankhamòn, cancellando l’allusione al pericoloso rivale del dio tebano («Perfetto di vita è Ammone» anziché «Perfetto di vita è Aton»). Il ritorno alla tradizione non appare come una concessione regia in questa stele che, usurpata in seguito da Harmhab (Harmais), è una lunga confessione dell’insuccesso dell’esperienza politica dei predecessori. L’interruzione del culto è descritta con tocchi assai vivi, che insistono sullo spettacolo dei templi abbandonati; e come conseguenza di tale triste situazione religiosa è data la decadenza dell’impero egiziano d’Asia, il disordine all’interno. Se non nella vendetta degli dei, certo l’atmosfera di guerra civile e l’incapacità ad affrontare il problema delle ribellioni in Siria (testimoniatoci ampiamente dagli archivi diplomatici del tempo, miracolosamente pervenutici) aveva le sue basi nella tensione fra corte e clero (e cioè le classi tradizionalmente dirigenti). Il motivo della ricostituzione dell’ordine in terra con l’ascesa di un nuovo sovrano al trono è un motivo classico nella epigrafia ufficiale egiziana, e si possono indicare paralleli numerosi. La peculiarità qui è data dalla svalutazione precisa e puntualizzata delle imprese precedenti, mentre in genere non si ha un giudizio sul passato; e il senso di questa ripresa di contatto con la tradizione si ha nella insistenza con la quale si sottolinea come si sia venuti incontro alle esigenze sacerdotali non solo restituendo quanto era stato tolto, ma raddoppiando e triplicando i vecchi beni sequestrati e ricostituendo il sacerdozio con un reclutamento nelle vecchie classi abbienti («figli di uomini illustri nelle loro città»), in confronto con l’uso dei sovrani di Tell el Amarna che si eran compiaciuti di descrivere come uomini nuovi i loro cortigiani e i loro funzionari. Il documento, entro la cornice del formulario, è assai nuovo e preciso, e mostra bene con quanta decisa volontà di rivalsa il sacerdozio abbia accettato di venire a patti con l’ultimo dei sovrani ribelli. Che di questa capitolazione non gli abbia neppure fatto merito, e che di tutte queste larghezze ottenute abbia in seguito reso grazia a Harmais non è fatto meno significativo. L’opera dei Ramessidi saprà riprendere con maggior tatto la lotta contro il clero che qui ha il testimonio della sua sconfitta: si saprà allora decentrare il culto, si valorizzeranno le divinità delle vecchie capitali, si costruiranno nuove città su cui Ammone non abbia diretta e tradizionale influenza, si sorveglierà il reclutamento dei sacerdoti. La vittoria del tempio su Tell el Amarna avrà mostrato ai sovrani ramessidi, con la sua intemperanza, la necessità di riprendere quella politica, anche se con molto maggior accortezza e più vivo senso della realtà dell’Egitto contemporaneo.

(Anno …), quarto mese della stagione dell’inondazione, giorno 19, sotto la maestà dello Horo… Tutankhamòn…2, diletto di (Amon-Ra) signore dei Troni delle Due Terre, che presiede a Ipet-Sut; di Atum signore delle Due Terre e di Eliopoli; di Harakhte; di Ptah a Sud del suo muro, signore di Ankh-tauy3; di Thot signore delle parole divine. Colui che si leva sul «(trono di) Horo» dei (viventi)4 come suo padre Ra ogni giorno; il buon (dio), figlio di Ammone; immagine di Ka-mut.ef5, seme splendido, uovo santo, semenza di Ammone stesso, (padre delle Due Terre), che costruisce il suo costruttore che plasma il

suo plasmatore6; per cui si son riunite le anime di Eliopoli perché egli fosse plasmato in modo da essere re dell’eternità, durevole Horo dell’infinito; buon principe che fa cose benefiche a suo padre e a tutti gli dei.

Horo sconfigge la Tartaruga Nella mitologia egizia sono frequenti i miti che oppongono un dio solare ai suoi nemici (il serpente Apopi, l’ippopotamo, la tartaruga, cfr. p. 509). Qui, in una stilizzazione di gusto tardo, a Horo è dato di

sconfiggere la Tartaruga, secondo la vecchia acclamazione «Viva Ra, muoia la Tartaruga«(nel cap. 161 del Libro dei morti). (Torino, Museo Egizio, suppl. 1387).

Egli ha fatto che ciò che era in rovina fiorisse come monumento di eternità; egli ha allontanato la colpa7 che era nei Due Paesi. La verità è salda, essa (fa che) il falso sia l’abbominio del paese, come nella Prima Volta8. Dunque, quando Sua Maestà si levò come re, i templi degli dei e delle dee, a cominciare da Elefantina9 (fino alle) paludi del Delta, (i loro …) eran caduti in abbandono, i loro tabernacoli erano andati in malora, ed eran divenuti campi che producevano erbacce; i loro sacrari erano come se non fossero mai esistiti; i loro cortili eran come vie battute. Il paese era in disordine, gli dei trascuravano questo paese. Se si inviava (una missione) in Fenicia per ampliare le frontiere dell’Egitto, non aveva successo per nulla. Se si pregava un dio o una dea, non venivano affatto: i loro cuori erano irati. Essi distruggevano quel che avevan fatto. Ora, dopo che giorni passarono dopo di ciò10, si levò Sua Maestà sul trono di suo padre, e si fece principe sulle contrade di Horo. La Terra Nera e la Terra Rossa11 furono sotto il suo dominio, e ogni terra si inchinava davanti al suo potere. Ed ecco, Sua Maestà era nel suo palazzo, che è nella Tenuta di Aa-kheperka-Ra12, come Ra entro il cielo. Ed era Sua Maestà occupata a governare questo paese e a sbrigare le faccende quotidiane delle Due Rive13. Allora Sua Maestà prese consiglio con il suo cuore, ricercando ogni occasione benefica, escogitando cosa potesse essere utile a suo padre Ammone, per plasmare la sua augusta immagine in elettro vero. Egli ha dato un’aggiunta a quel che era stato fatto prima, e ha plasmato suo padre Ammone, su tredici stanghe da portantina14, e la sua santa immagine è di elettro, di lapislazzuli, (di turchese) e di ogni pietra preziosa, mentre la maestà di questo dio augusto, in antico, era su undici stanghe di portantina. Ed egli plasmò uno Ptah a Sud del suo muro, signore di Ankh-tauy, e la sua immagine augusta era d’elettro (su) undici (stanghe da portantina) e la sua santa immagine era di elettro, di lapislazzuli, di turchese e di ogni pietra preziosa, mentre la maestà di questo dio augusto, in antico, era su (sei?) stanghe di portantina. E Sua Maestà ha fatto monumenti per gli dei, plasmando (?) la loro statua in vero elettro, il migliore dei paesi stranieri, costruendo i loro sacrari di nuovo

come monumenti eterni, forniti di proprietà eterne, dotandoli di offerte durevoli giornaliere, e rifornendoli di viveri sulla terra. Egli ha dato un aumento a quel che c’era prima, egli ha sorpas(sato) quel che si era fatto dal tempo degli antenati, egli ha introdotto sacerdoti wab e profeti, che sian figli di uomini illustri delle loro città, figli di personaggi noti, di cui si conosca il nome15. Egli ha aumentato i loro (averi) con oro, argento, bronzo e rame infiniti (…), egli ha riempito le loro officine con schiavi, schiave, tributi da parte di Sua Maestà. Tutte (le proprietà) dei templi sono raddoppiate, triplicate, quadruplicate in argento, (oro), lapislazzuli, turchese e ogni pietra preziosa, lino regale, lino bianco, lino sottile, olio d’oliva, gomma, grasso (…), incenso, incenso ihemet, mirra, senza limite di ogni buona cosa. Sua Maestà, v.f.s., ha costruito le loro barche fluviali di pino vero del migliore delle Scale16, dello scelto di Negau17, lavorato in oro, il migliore dei paesi stranieri. Esse illuminano il fiume18. Sua Maestà, v.f.s., ha consacrato schiavi e schiave, cantatrici e danzatrici, che son servi nella Casa del re; e i loro salari sono contati sul (…) del Palazzo Reale del Signore dei Due Paesi19. Io faccio che essi sian protetti e custoditi20 per i miei padri tutti gli dei, nel desiderio di placarli, secondo quel che essi vogliono, cosicché essi proteggano (l’Egitto). Gli dei e le dee che sono in questo paese, il loro cuore è in festa. I signori di tabernacoli sono in gioia. I paesi sono in giubilo e letizia. Esaltazione è per (tutto il paese). È avvenuto (qualcosa di) bello. L’Enneade degli dei che sono nei templi, le loro braccia sono alzate in adorazione, le loro mani sono piene di giubilei (di) eternità e perpetuità. Tutta la vita e la prosperità, che è loro prerogativa, è al naso21 dello Horo che ripete le nascite, figlio diletto (di suo padre Ammone Ra, signore dei Troni dei Due Paesi [?]), che egli ha plasmato per esserne plasmato; il re della Valle e re del Delta Neb-Khepru-Ra, diletto di Ammone; il suo figlio primogenito … vero e diletto; che protegge suo padre che lo ha plasmato per esercitare la regalità (…); il figlio di Ra, Tutankhamòn signore di Hermonthis. Figlio utile a chi lo ha plasmato, ricco di monumenti, numeroso di cose mirabili, che fa monumenti in giustizia di cuore a suo padre Ammone; bello di nascite, sovrano … In questo giorno Si22 è nel bel palazzo che è nella Tenuta di Aa-kheper-kaRa g. v. Ed ecco (Sua Maestà v.f.s.) è ringiovanita. Quegli che si affretta si affretta da sé23. Khnum24 lo ha modellato (…) forte di braccio, come Horo; non

ce n’è un secondo25 fra i valorosi di tutti i paesi. Che conosce come Ra, che (…) come Ptah, che intende come Thot, che stabilisce leggi eccellenti, che ordina (…), eccellente nella pronuncia. Re della Valle e re del Delta … Tutankhamòn… dotato di vita, stabilità, prosperità come Ra (in eterno per sempre). 1. È il documento con il quale, al termine dell’esperienza atoniana, la regalità riconosce al clero ammoniano i vecchi diritti e li aumenta. La stele, che è stata in seguito usurpata da Harmais, è pubblicata da LACAU, Stèles du Nouvel Empire (Cat. gén. du Musée du Caire), Le Caire, 1926, pp. 224 segg., tav. LXX, e studiata da J. BENNET, The Restoration Inscription of Tutankhamun, in «Journal of Eg. Arch.», XXV (1939), pp. 8 segg. 2. È qui omessa la titolatura completa. 3. Quartiere di Menfi. 4. Cioè il re. 5. «Il Toro di sua madre», titolo degli dei solari. 6. Ammone fa il re che a sua volta fa statue e immagini del dio. 7. L’eresia atoniana. 8. Il momento della creazione. 9. Il confine meridionale dell’Egitto. 10. È formula tipica della novellistica neoegiziana. 11. L’Egitto fertile e il deserto. 12. La «Tenuta (pr) di A.» (prenome di Thutmose I) è a Menfi. 13. Designazione dell’Egitto. 14. Una tale statua che per portarla in processione deve essere sostenuta da tredici stanghe (invece delle undici occorrenti prima): più pesante, e più preziosa. 15. È un ritorno al potere delle classi aristocratiche, allontanate da Ekhnaton che si compiaceva di uomini nuovi. 16. Designa la costa siriaca. 17. Presso Byblos. 18. Per lo sfarzo della loro decorazione. 19. Cioè il mantenimento di questo personale dei templi è pagato sul bilancio regale. 20. Che non siano soggetti a liturgie e tassazioni civili. 21. Gli dei danno da respirare vita e prosperità.: è un motivo frequente nelle arti figurative. 22. «Si» = il re. 23. Frase di incerto significato. 24. È il dio creatore. 25. Uno come luì.

V

LA BASSA EPOCA

IL RITUALE 1. — IL «LIBRO DI APOPI»1 La mitologia solare comporta già da un’epoca assai antica la descrizione di una lotta fra Ra (o altra divinità solare) e un nemico di vario genere, ma per lo più immaginato come serpente. È un parallelo al mito di Horo e Seth, i due celesti fratelli rivali, che non ne raggiunge però né la drammaticità né l’importanza nella coscienza religiosa egiziana. A protezione della barca solare sono immaginate varie divinità: ora è un serpente protettore, ora lo stesso dio Seth che sta a prua, pronto a combattere i nemici. Uno dei nomi che assume il dragone è Apopi. All’inizio dell’epoca greca risale la copia che possediamo di questo testo rituale, che deve essere quotidianamente recitato nel tempio di Ammone a Karnak. La recitazione, accompagnata dagli opportuni gesti che sono indicati, deve servire magicamente ad annientare la potenza del mostro; il rito celebrato nel tempio è perciò garanzia del mantenimento dell’ordine cosmico, della durata del sole; e — per un ampliamento del significato immediato dell’atto cultuale — serve anche a proteggere sulla terra colui che vi rappresenta il dio supremo, e cioè il re: come è distrutto magicamente Apopi, così sono magicamente distrutti anche i nemici e i ribelli. L’importanza del fatto rituale e la pesantezza del suo svolgimento sono accentuati nella tarda religione egiziana, quando va sempre più prendendo importanza una classe di sacerdoti specializzati. Oltre che come esempio di questo carattere magico di rituale tardo, il nostro testo è qui riportato per quella importantissima sezione che riferisce il monologo del dio creatore il quale narra l’origine sua e delle cose, e che ci dà per intero, e in varie concezioni parallele, i miti egiziani della creazione. Essi son di origine assai antica, come quelli cui si fa già allusione nei «Testi delle Piramidi»: ma qui sono esplicitamente riuniti in un contesto più chiaro di quanto non avvenga di consueto. Il testo, che emana da un ambiente sacerdotale dotto e ben preparato, è interessante anche per la storia dello stile più propriamente magico: l’estrema attenzione alla completezza delle formule, i lunghi elenchi, l’affastellarsi di frasi parallele sono frutto della ben nota cautela con la quale in ambiente magico vengono previste tutte le possibilità. Un accurato studio di un formulario di questo tipo può portare a precise gradazioni di valore delle particolari frasi, e — ad esempio — si può qui bene vedere cosa gli egiziani di questo tempo considerino necessario per formare una personalità: il corpo, l’anima, l’ombra, il nome, lo spirito, la magia, sono probabilmente qui in un rapporto più preciso di quanto non avvenisse per il passato. È evidente, comunque, il carattere dottrinario di un rituale di questo tipo: esempio di cosa sia la religione egiziana più tarda.

Inizio del libro dell’abbattere Apopi, il nemico di Ra, il nemico di Un-nefer, v.f.s., giustificato, fatto per la Casa di Amon-Ra, signore del Trono delle Due Terre2, che presiede a Ipet-sut3, quotidianamente. Capitolo dello sputare su Apopi. Dire le parole mentre sputi su Apopi 4 volte: «Questo è per Ra ed il suo ka questo è per il faraone4 ed il suo ka. È venuto Ra possente, è venuto Ra forte, è venuto Ra eccelso, è venuto Ra pronto, è venuto Ra in esultanza, è venuto Ra in bellezza, è venuto Ra come re della Vallata, è venuto Ra come re del Delta, è venuto Ra in serenità di cuore, è venuto Ra in trionfo. Vieni, dunque, al faraone, v.f.s., che tu possa respingere per lui tutti i nemici, così come egli abbatte per te Apopi e fa a pezzi per te il Malvagio. Egli

renderà omaggio al tuo valore, egli ti adorerà in tutte le levate nelle quali tu sorgi per lui, quando egli abbatte per te i tuoi nemici quotidianamente». Capitolo del cancellare Apopi col piede sinistro. Dire le parole: «Alzati dunque, o Ra: i tuoi nemici sono scacciati. Splendi dunque o Ra: i tuoi nemici sono caduti. Ecco il faraone, v.f.s., scaccia per te tutti i tuoi nemici. O Ra, scaccia tu tutti i suoi nemici in morte e in vita, Ecco, Ra ha potere su di te, o Apopi. Infuria la sua fiamma contro di te, essa ha potere su di te, il suo soffio infocato è pronto contro di te. Piomba il suo fuoco contro tutti i nemici di Ra. 4 volte. Piomba il suo fuoco contro tutti i nemici del faraone, v.f.s. Abbi potere dunque, o Ra, sui tuoi nemici. Muovi dunque o Ra, dal tuo orizzonte. Ti adorano quelli che sono nella (barca) Mesktet, ti attornia in esultanza l’equipaggio della tua barca, e tu ripeti il tuo sorgere in serenità di cuore nella (barca) Mandet5. Gloria a te, Ra Harakhte». 4 volte. Capitolo dell’afferrare la lancia per percuotere Apopi. Dire le parole: «Ha afferrato Horo la sua lancia di bronzo, ed ha colpito la testa dei nemici di Ra. Ha afferrato Horo la sua lancia di bronzo, ed ha colpito la testa dei nemici del faraone. Ecco, Horo, egli ha afferrato la sua lancia di bronzo ed ha percosso le teste dei ribelli davanti alla sua barca. Alzati dunque, o Ra: i tuoi ribelli sono puniti. È fatto a pezzi Apopi, sono caduti quelli che si erano uniti al Malvagio. Alzati dunque, o faraone: i tuoi ribelli sono puniti. Son fatti a pezzi i tuoi nemici, son caduti quelli che si erano uniti a loro6. Vieni dunque, o Ra, nel tuo splendore. Ti fan seguito quelli che abitano nei loro tabernacoli7, e ti adorano nella tua bellezza. Quando tu sorgi, quando tu risplendi, non esiste il tuo nemico. Le tue formule magiche sono a protezione delle tue membra. Il faraone adora Ra, e conficca la lancia in Apopi. Egli afferra la fiamma, e appicca fuoco con essa. Punisce il corpo dei tuoi nemici. Il fuoco è in te! La fiamma è in te! La fiamma è in te! Il fuoco è in voi, nemici del faraone, v.f.s. Essa vi divora! Alzati dunque, o Ra! Sono puniti i tuoi nemici. È stato messo il fuoco in Apopi, ed esso morde nelle spire del suo dorso8. Ahi, fuoco è in Apopi, mentre Ra è nel soffio di un vento favorevole. Il suo equipaggio si rallegra, quelli che abitano all’orizzonte sono in letizia al vederlo. Egli ha abbattuto i ribelli. Il fuoco si è impadronito di Apopi, il Rugghiante, il Malvagio. Non sono certo in pace, non sono certo in pace! Ra Harakhte, volgi il tuo bel volto al faraone, v.f.s. Caccia per lui ogni

nemico. Ed egli adorerà Ra in verità. Vittorioso è Ra su Apopi. Vittorioso è il faraone sui suoi nemici». 4 volte. Capitolo dell’incatenare Apopi. Dire le parole: «Sono incatenati gli incatenati. È incatenato Apopi, questo vile nemico di Ra. Possa tu non sapere quel che hai fatto, Apopi!9 Tieni lontano dunque il testimone che è in te! Fuggi nel suo furore, quando egli danneggia se stesso, ed è serrata la sua gola. Sau10 è legato. Voi siete incatenati da Horo, siete legati da Ra. Non esiste il vostro …, non esiste il vostro…, non esiste la vostra via (= fuga?) sotto le sue dita. Voi siete puniti da Ra, voi siete legati da Horo Mekhenty-irty»11. Capitolo dell’afferrare il coltello per colpire Apopi. Dire le parole: «Afferra, afferra, o Macellaio!12 Abbatti il nemico di Ra col tuo coltello. Afferra, afferra o Macellaio! Abbatti il nemico del faraone col tuo coltello! I vostri capi sono stanchi (?), o ribelli; questa tua vile testa è stanca (?), o Apopi, per la ferita inferta con il suo coltello dal Battagliero-di-Braccio. Appresta (spd) Sothis (Spdt) la fiamma, (brucia) (3sb) Asbyt che è sulla fiaccola. Abbattete il Malvagio con i vostri coltelli, fate a pezzi Unty13 con i vostri coltelli. Voi siete feriti per la vostra malvagità. Voi siete fatti a pezzi per quel che avete fatto. È giusto quello che vi accade. Voi siete trattati secondo il male che avete fatto. Trionfa Ra su di voi, Horo vi fa a pezzi». Capitolo del metter fuoco ad Apopi. Si dicono le parole: «Il fuoco è su di te, Apopi! Vile nemico di Ra! Abbi potere dunque, o Occhio di Horo, sull’anima e sull’ombra di Apopi. Divora lo splendore ardente dell’Occhio di Horo questo vile nemico di Ra. Divora lo splendore ardente dell’Occhio di Horo tutti i nemici del faraone in morte e in vita». Da dire come formula magica mentre si mette Apopi sul fuoco. Dire le parole: «Perisci! Non esistere, o Apopi! Ritirati, fuggi, o nemico di Ra! Cadi, abbattiti, ritirati! Io ti ho scacciato, io ti ho fatto a pezzi. Trionfa Ra su di te, o Apopi. 4 volte. Perisci, o Apopi. 4 volte. Indietro, ribelli! non esistere, tu! Io invero ti ho bruciato, io invero ti ho distrutto, io ti ho giustiziato come un malvagio che non deve esistere. Tu non esisti! Perisci! Non esistere! Tu non sei, o inesistente! Tu non esisti, in modo da non esistere. Perisci, non esistere! Io ti ho distrutto, o Apopi, nemico di Ra. Trionfa Ra su di te, o Apopi. 4 volte. Trionfa il faraone sui suoi nemici. 4 volte. Le tue braccia sono piegate14 dopo che egli (sc. Ra) è sorto. Trionfa Ra su di te, o Apopi! 4 volte. È fatto trionfare Ra su di te, o Apopi, in verità. È distrutto Apopi».

Si reciti questo capitolo su un Apopi disegnato su un papiro nuovo con inchiostro verde15. E si fa un Apopi di cera rossa, e ci si traccia sopra il suo nome con inchiostro verde, e si mette sul fuoco. Egli deve essere bruciato in cospetto di Ra quando egli si mostra al mattino, a mezzogiorno, ed egualmente la sera in cospetto di Ra, quando egli tramonta all’Occidente, e all’ora sesta della notte e all’ora ottava del giorno, e al calar della sera, fino a ogni ora del giorno e della notte nella festa della Luna nuova, nel giorno (…), nel giorno primo del mese, nella festa del sei e del quindici, ed egualmente ogni giorno. Abattere Apopi, il nemico di Ra nella tempesta, quando Ra splende. Abbattere Apopi in verità: il modo è bruciarlo in un fuoco di paglia (?), e metterne i resti in un vaso con urina, e lasciarli stare insieme. Tu farai in modo simile a questo alla sesta ora della notte e alla ottava ora del giorno. Mettere Apopi sul fuoco, sputarci molto molto dalla …16 ora del giorno, finché si volga l’ombra (cioè: fino a mezzogiorno). Dopo la sesta ora del giorno (sic), tu porrai Apopi sul fuoco. Sputagli sopra, calpestalo col tuo piede sinistro. È scacciato il Rugghiante, il Selvaggio di volto. Tu farai in modo simile a questo alla ottava ora del giorno. Sarà scacciato Apopi, in modo che non assalirà la tua nave. E tu farai in modo simile a questo quando sobbolle17 il temporale all’oriente del cielo e quando Ra tramonta all’occidente, per impedire che avvengano rossori all’oriente del cielo. Tu farai in modo simile a questo molto molto, per non permettere che si manifesti un temporale in cielo, per non permettere che si manifesti una tempesta in cielo. E tu farai in modo (simile) a questo molto molto, durante un temporale, finché splenda il sole. Abbattere Apopi in verità. È una cosa utile a chi la compie sulla terra, è una cosa che gli è utile nella necropoli18. Dà forza a questa persona più che l’autorità del suo soprastante19; è un salvarla da ogni cosa cattiva e malvagia in verità. Io l’ho visto capitare nei miei riguardi20. Libro primo dell’abbattere Apopi, il nemico di Ra. Si dicono le parole: «Cadi sulla tua faccia, Apopi, vile nemico di Ra! Ritirati tu, Avversario, tu ribelle senza mani e senza piedi! È tagliata la tua parte anteriore; e la tua ‘cosa’21 è sopra di te. Tu sei caduto, tu sei abbattuto: ti ha abbattuto RaHarakhte, egli ti ha cacciato, egli ti ha giustiziato, ti ha annientato il suo occhio. Tu sei caduto nel fuoco che esce dalla sua fiamma, che esce dal suo alito bruciante, che esce dalla sua violenza. Il suo alito bruciante è su di te. Il tuo furore è tenuto lontano da Isi con le formule che sono sulla sua bocca. La

tua anima è fatta a pezzi, le tue vertebre sono tagliate, Horo ti ha aggiunto danni, i figli di Horo ti sorvegliano e ti distruggono con la loro violenza. Ritirati, ritirati, volgiti, volgiti in fuga! Cadi, volgiti, ritirati, o Apopi! Ti volge in fuga la Grande Enneade che è in Eliopoli. Horo ha fatto che il tuo furore si ritiri, Seth ha annullato la tua violenza22, ti ha tenuto lontano Isi23, ti ha fatto a pezzi Nefti, ti ha messo in fuga la Grande Enneade che è a prua della barca di Ra. Lo spiedo di Seth è sulla tua nuca, i figli di Horo piantano in te le loro lance. Ti tengono lontano questi dei custodi dal Portale misterioso24. Esce il loro soffio infocato contro di te come una fiamma. Fuggi, volgiti, poiché il loro soffio infocato è una fiamma che esce dalla loro bocca. Cadi, sdrucciola, Apopi! Volgiti, fuggi, nemico di Ra. Tu sei caduto per la sua violenza, ti hanno abbattuto Coloro che sono nella sua barca. Indietro, tu! Tu sei maledetto, tu sei scacciato. Tu sei tenuto lontano nella tua violenza. Cadi, tu! Tu ti volgi in fuga, la tua anima è in fuga, è sconfitta la tua carne, ti si aggiungono danni. Si compie di te un macello e una strage. Si scaccia il tuo furore, ti è impedito il passo, son colpite le tue carni. È sviata la tua anima dalla tua ombra; perisce il tuo nome, è scacciata la tua magia. Tu sei distrutto … Tu non uscirai da questo luogo del tuo giudizio per l’eternità e per sempre. Si compie il tuo danno, si ripete il tuo incatenamento, tu sei imprigionato in prigionie dolorose. È tenuta lontana la tua violenza, si ritira il tuo furore. Impedisce Ra il tuo passo. Sei volto in fuga da questo tuo posto. Tu sei caduto, tu sei fuggitivo, tu sei destinato alla sciagura. Il Custode25 è custodito senza scampo. Non esiste più la tua anima, è stata distrutta la tua ombra. Tu sei stato destinato all’Occhio di Horo. Esso avrà potere su di te, esso mangerà di te a sua voglia. Cessa di esistere, orsù, o Apopi! Esso ti ha trafitto, esso ti ha volto in fuga, esso ti ha distrutto, esso ti ha annientato!». Dire le parole, continuando nel capitolo26 «Cadi sulla tua faccia, Apopi, nemico di Ra!» Esce il fuoco contro di te, uscendo come (o: «da») l’Occhio di Horo. Esce la grande fiamma contro di te, uscendo come (o: «da») Occhio di Horo. Ti ha investito l’ardente fiato della fiamma. Il fuoco è uscito contro di te. La sua fiamma duole nella tua anima, sul tuo spirito, nella tua magia, sul tuo cadavere, sulla tua ombra. La signora27 della fiamma ha potere su di te, il suo alito infocato distrugge la tua anima, essa annienta la tua essenza, essa distrugge le tue manifestazioni. Tu cadi davanti all’Occhio di Horo che imperversa contro il suo nemico. Ti consuma la Grande Bruciante. Ha potere

su di te l’Occhio di Ra. Ti divora la Divoratrice, in modo che non c’è resto del caduto (?) Orsù, volgiti in fuga. Tu sei fatto a pezzi, la tua anima è inaridita, il tuo nome è segregato. Taci, tu, o nome! (?) Cadi, tu, o nome! (?) Tu sei ignorato; tu sei tenuto lontano in modo che ti si ignori28. Fuggi, dunque! Volgiti dunque in fuga! Tu sei fatto a pezzi. Tienti lontano da coloro che sono nelle loro cappelle. O Distrutto, o Inesistente, possa tu non esistere, o Apopi, o nemico di Ra! Tu non sei, non è la tua anima. L’Occhio di Ra ha potere su di te, esso ti mangia ogni giorno. Ti divora la fiamma. Tu sei destinato alla Divoratrice, all’Occhio di Horo. La Splendente, essa ti consuma; essa mangia la tua anima, il tuo spirito, il tuo cadavere, la tua ombra. Non esiste il tuo …, non esiste il tuo … in eterno. Trionfa Ra su di te, o Apopi. 4 volte. Trionfa Horo sui suoi nemici. 4 volte. Trionfa il faraone sui suoi nemici. 4 volte. Fuggi, dunque! Volgiti in fuga a questa formula magica che esce dalla mia bocca a protezione del faraone, in perpetuo … o Apopi, o nemico di Ra! Perite, o nemici, o ribelli! 4 volte». Si dicano queste parole da parte di una persona pura e immacolata. Preparati un nome di Apopi scritto su un papiro nuovo. Mettilo sul fuoco davanti a Ra quando egli si mostra, davanti a Ra a mezzogiorno, davanti a Ra quando tramonta all’Occidente, di notte, di giorno, in ogni ora di ogni giorno, il primo del mese, la festa del sei, la festa del quindici, e così ogni giorno dell’abbattere i nemici di Ra-Harakhte. Stanza seconda dell’abbattere Apopi, il nemico di Ra. Cadete sulle vostre facce, o nemici di Ra. Tutti i ribelli, i nemici, i Figli della Ribellione29, i malintenzionati, questi ribelli di cui non esiste il nome, i giustiziati che han scontato la loro esecuzione, … condannati (?), ribelli, organizzatori di clamori, fomentatori di disordini, cadete, orsù! Cadete nel furore di Ra! Egli vi annienta, egli vi abbatte, egli fa cadere le vostre teste sulle vostre teste (cioè:’ l’una sull’altra’). Ecco, egli vi annienta; è lui che vi fa a pezzi. Sei inesistente! Siete inesistenti! Siete annullati! Non ci siete, non esistete, non siete! Son staccate le vostre teste, son decapitati i vostri colli, son spezzate le vostre vertebre, sono accresciuti i vostri mali, voi siete fatti a pezzi. Cadete per l’Occhio di Horo; è pronta la fiamma per voi, e il suo alito infocato ha potere su di voi. È sorto l’Occhio di Ra contro di voi. La sua (‘ di Ra’) vigoria ha potere su di voi; il suo Occhio ha potere su di voi. Esso vi mangia, esso vi annulla in questo suo nome di Divoratrice. Esso ha potere su di voi, in

questo nome di Possente. Voi cadete davanti al suo fiato bruciante; duole la fiamma che esce dal suo alito infocato; essa vi distrugge, vi distrugge! Esce il fuoco contro di voi, nemici di Ra, ribelli a Ra Harakhte, contro la vostra anima, il vostro cadavere, la vostra ombra. Esce il fuoco e vi consuma, l’ardore e vi arde, l’incendio e vi incendia, la Grande Bruciante e vi brucia. Essa vi divora, essi vi consuma, essa distrugge la vostra anima, il suo alito ardente annienta la vostra ombra. Voi uscite dall’esistenza, voi siete scacciati, voi siete bruciati, voi siete fatti a pezzi, si fa macello di voi, voi siete destinati al fuoco della Grande Fiamma signora dell’ardore. Il suo splendore mangia la vostra anima, il suo fiato infocato annienta i vostri cadaveri; essa vi colpisce con la sua grande fiamma, essa vi accoltella con il suo coltello, essa infuria su di voi con il suo furore, essa vi mangia con la sua fiamma, essa vi infiamma con la sua fiamma, essa vi infoca con il suo fuoco, essa vi arde con il suo ardore, essa vi divora con la sua voracità, essa vi spezza (sd’) in questo suo nome di ‘ fiamma’ (sd’t): essa vi brucia in questo suo nome di Grande Bruciante. Voi cadete davanti alla sua fiamma. Acuta è la grande fiamma che è nel suo alito infocato. Mangia il suo splendore la vostre anime. Cadete in modo che cadiate! Cadete adunque! Voi siete caduti ed abbattuti! Cadete per Ra! Cadete per l’impeto del furore di Ra! Non esistete per lui, non esistete! Egli vi distrugge, egli vi abbatte, egli vi fa a pezzi, egli vi punisce, egli vi distrugge, egli annienta il vostro nome, egli fa a pezzi la vostra anima, egli vi imprigiona, egli vi distrugge, egli vi atterrisce, egli vi annienta, egli vi fa cadere. Cadete, davanti alla Vorace (fiamma), poiché essa vi annienta. Cessate di esistere. Non esistete, in modo da non esistere! Non esistete, in modo da non esistere! Non esistete dunque! Non esistete voi, non esista l’anima vostra. Non esistete voi, non esista il vostro cadavere! Non esistete voi, non esista la vostra ombra! Non esistete! Non siate voi, non sia la vostra anima! Non siate voi, non sia il vostro cadavere! Non siate voi, non sia la vostra ombra! Non siate voi, non sia la vostra vita! Non siate voi, non sia la vostra generazione! Non sia unito il vostro capo alle vostre membra! Fuggite dunque davanti a lui! Volgetevi dunque in fuga, o ribelli! Non esistete, poiché vi minaccia Thot con le sue formule magiche. Il dio grande è più potente di voi. Egli vi ha afferrato, e fa che accada quel che voi detestate. Esce la fiamma che è nella sua bocca contro di voi. Bruciate, dunque, ribelli! Non esistete, poiché Thot vi ha minacciato con le sue formule magiche. Egli vi abbatte, egli vi fa a pezzi, egli vi distrugge, egli vi destina alla fiamma (?) che esce dall’Occhio di Horo. Essa vi divora a sua voglia. Essa vi distrugge nella

grandezza del suo calore. Essa non sarà allontanata nel momento dell’amore del suo cuore30, in questo suo nome di Cantatrice31. Non esistete, dunque, per lei! Fuggite, dunque, per lei! Fuggite, dunque, per lei! Volgetevi in fuga dunque per lei, voi tutti nemici di Ra, voi tutti, nemici di Horo! Essa vi trafigge, essa vi mette in fuga, essa vi distrugge. Non esistete, dunque, per lei! Tramontate, dunque, per lei! Non siate …, non siate … in perpetuo! Ra è trionfante sui suoi nemici. 4 volte. Trionfa Horo sui suoi nemici. 4 volte. Trionfa Osiri Khentamenti sui suoi nemici. 4 volte. Trionfa il faraone, v.f.s., sui suoi nemici. 4 volte. Io ho abbattuto Apopi, i ribelli, la Tartaruga32, il Malvagio, i Figli della Ribellione in ogni loro luogo, in ogni sede nella quale fossero. Io ho abbattuto tutti i nemici di Ra in tutti i loro luoghi, in ogni sede nella quale fossero. Io ho abbattuto tutti i nemici di Amon-Ra signore del Trono delle Due Terre, che presiede a Ipetsut in tutti i loro luoghi, in ogni sede nella quale essi fossero. Io ho abbattuto tutti i nemici di Ptah a Sud del suo muro, signore di Ankh-taui in tutti i loro luoghi, in ogni sede nella quale essi fossero. Come prima: ogni nemico di Atum. Lo stesso: ogni nemico di Thot signore di Ermopoli. Lo stesso: ogni nemico di Iusaas signora di Seg´met, di Hathor signora di Hetept33, Mano di Atum34. Ogni nemico di Horo Khenty-khety signore di Athribis. Ogni nemico di Khuit, la stoffa divina (?). Ogni nemico di Bastet la grande, signora di Bubaste. Ogni nemico di Osiri signore di Busiri. Ogni nemico dell’anima signora di Mendes, il dio grande (anima) viva di Ra35. Io ho abbattuto ogni nemico di Onuri-S´u, figlio di Ra; di Horo dal braccio pungente; ogni nemico di Amon Ra di Sma-Behdet36; ogni nemico di Anubi signore di Licopoli; ogni nemico di Sopdu signore dell’Oriente; ogni nemico di Horo Merty, signore di S´edenu; ogni nemico di Horo che è in Uw (?); ogni nemico di Harsomtus signore di Tided; ogni nemico di Horo in Pe e di Uto in Dep; ogni nemico di Haroeri signore dell’Alto Egitto — in tutti i loro luoghi, in ogni luogo dove essi fossero. Io ho abbattuto tutti i nemici del faraone in tutti i loro luoghi, in ogni sede in cui essi fossero». Si dicano queste parole da una persona pura e immacolata. Preparati37 ogni nemico di Ra, ogni nemico del faraone sia in morte che in vita, con ogni macchinazione che sia nel loro cuore, con il nome del loro padre e della loro madre e dei loro figli in ogni immagine, scritti con inchiostro verde su un papiro nuovo. Iscrivi i loro nomi sui loro corpi fatti di cera. E così legali con un

capello di filo nero. Sputaci sopra, cancella con il piede sinistro, abbattilo con la lancia e col coltello, mettilo su una fiamma in una fucina da fabbro. Quindi, il nome di Apopi brucialo su una fiamma di paglia (?) quando Ra si mostra, quando Ra è in alto, quando Ra tramonta all’Occidente, la prima ora del giorno e della notte, dall’ora seconda della notte fino all’ora terza della notte, quando albeggia, ed egualmente ad ogni ora della notte e ad ogni ora del giorno, la festa della Luna nuova, la festa del sei e del quindici, ed egualmente il primo del mese. Abbattere il nemico di Ra, abbattere Apopi in verità, per abbattere il nemico di Ra. Questo libro deve essere fatto in questo modo che è scritto, quando la barca divina traghetta, per abbattere il nemico di Ra, e ogni nemico di Horo Merty in Iat-pega. È una cosa utile per la persona su cui si recita questo libro in cospetto di questo dio splendido, come una cosa vera una infinità di volte. Libro dell’abbattere il nemico di Ra quotidianamente. Si dicono le parole: «Cadi sulla tua faccia, o Apopi, nemico di Ra! Affoga, affoga! Esci dalle rive! Sdrucciola! Ti attende chi attende nel suo attendere quando entra e quando esce (?). Cadi dunque nel lago del Nun! È Ra che ordina che ti si faccia a pezzi. Si leva la grande fiamma contro di te! L’’ Acuto’ è uscito sulla fronte di Heka38; aprono i due occhi Coloro-che-guardano-le-Due-Terre. Esce Neheb-ka, il grande, contro di te, dalla tenda di Chi-è-nella-Sua-cappella. Esce il tuo carattere contro di te. Infuriano gli urei, esce contro di te la fiamma dalla bocca dei Guardiani del Portale Misterioso. Non esistere, nemico, ribelle! Sii costretto, o Apopi. È sereno Ra sul suo sostegno entro la sua cappella. Salve, o Ra entro il suo serpente Mehent!39 La tua voce è giusta a paragone di Apopi! 4 volte. La tua voce è giusta a paragone dei tuoi nemici! 4 volte. La voce del faraone, v.f.s., è giusta a paragone dei suoi nemici! 4 volte. Su di te si sputa, o Apopi! 4 volte». Libro del mettere in fuga Apopi, il gran nemico, fatto al momento del mattino. Si dicono le parole: «Su di te si sputa, o Apopi, nemico di Ra — 4 volte. Possa tu allontanarti da Colui che è nella Sua cappella. Non esistere, o ribelle! Cadi sulla tua faccia! Si sputa sulla tua faccia. Ritirati dalla tua sede; le tue vie sono bloccate, le tue strade sono sbarrate. Tu sei paralizzato nel tuo posto di ieri. Non esiste il tuo valore; è vile (?) il tuo cuore; le tue membra sono in debolezza; tu sei mutilato; non esiste il tuo uscire; tu sei comandato a coloro

che sono sul ceppo della decapitazione; i Macellai (divini) dall’acuto coltello tagliano la tua testa, recidono il tuo collo; essi ti fanno (questo?) in ripetizione, in ripetizione; essi ti gettano sul fuoco che infuria; essi ti lanciano (?) nella fiamma nel suo momento (di furia). Essa ha potere su di te, essa mangia le tue membra, essa divora le tue ossa, essa annienta le tue membra. Porta Khnum i tuoi figli al suo ceppo; le tue membra sono un olocausto. Essa (cioè la fiamma?) annienta la tua anima, e non esiste il vagare sulla terra. Non c’è il consiglio delle tue braccia (?) in questo paese, o Apopi, nemico di Ra. Ti distrugge Haroeri, il figlio di Isi. Tu non sei concepito, tu non sei partorito; la tua anima non vaga in quel che S´u ha sollevato. Tu non vedi, tu non guardi. Tu sei distrutto. Non esiste la tua ombra, o Apopi, nemico di Ra. Su di te si sputa, o nemico. Non esiste il tuo nome, non sei ricordato da chi ti afferra. Si sputa sulla tua faccia, ogni volta che sei ricordato. Ra ti infligge ferite, Isi ti lega. Non esiste la tua anima fra le anime, non esiste il tuo cadavere in mezzo ai cadaveri. Ti morde la fiamma, ti mangia la fiamma, la fiamma si sazia di te, o Apopi, nemico di Ra. Ra è in letizia, Atum è in serenità di cuore. Haroeri, il suo cuore è dolce. Apopi è dato in olocausto, il Punito è dato in olocausto. Non esiste egli affatto. Non esiste la sua ombra in cielo o in terra. Apopi, nemico di Ra, su te si sputa. Non esistere, o Apopi! 4 volte». Dire le parole su un Apopi fatto di cera rossa, ed egualmente disegnato su un papiro nuovo. Porre sul fuoco davanti a Ra, ogni giorno; ugualmente il primo del mese, le feste del sei e del quindici. Abbattere Apopi sull’acqua, sulla terra, sulle rive. Libro del conoscere la forma di Ra e dell’abbattere Apopi. Si dicono le parole: «Il Signore Universale dice dopo che è venuto in esistenza40:’ Sono io che mi manifesto come Khepre. Quando io mi sono manifestato, si sono manifestati i manifestantisi. Si è manifestato ogni manifestantesi dopo la mia manifestazione. Numerose sono le manifestazioni che sono uscite dalla mia bocca. Non si era manifestato il cielo, non si era manifestata la terra, non erano ancora creati i vermi ed i serpenti in questo posto, ed io mi levai fra loro nel Nun (Nwn) in inerzia (nnw). Non trovai un luogo su cui star dritto. Fui intelligente nel mio cuore, feci piani con la mia faccia. Creai ogni essenza, essendo solo, quando ancora non avevo sputato (s´s´) come S´u (s´w), quando

ancora non avevo sputato (tfn) come Tefnut (Tfnt), quando ancora non si era manifestato un altro che potesse agire con me. Io posi le fondamenta col mio solo cuore. Si manifestarono molte manifestazioni di manifestazioni come manifestazioni dei figli e come manifestazione dei figli loro. Sono io che ho generato nel mio pugno, che ho fecondato nella mia mano. Io ho sputato (hr) con la mia propria bocca. Io ho sputato (s´s´) come S´u (s´w), io ho sputato (tfn) come Tefnut (Tfnt). Fu mio padre Nun che li allevò; l’occhio mio fu dietro di loro per una eternità. Essi procedettero da me dopo che io mi ero manifestato come dio unico. Eravamo tre dei, presso di me, dopo che io mi ero manifestato in questo paese. Si rallegravano S´u e Tefnut nel Nun, quando essi erano in lui, ed essi portavano il mio occhio dietro di sé. Dopo che io ebbi unite le mie membra, io piansi (rmi) su di loro e si manifestarono gli uomini (rmt) dalle lacrime uscite dal mio occhio. Essa41 infuriò contro di me quando venne e trovò che ne avevo messo un’altra al suo posto in sostituzione di lei, come occhio solare. Io allora ne elevai la posizione sul mio volto42, ed essa in conseguenza ebbe signoria su questo paese intero… Io sostituii quello che ne era stato preso. Io uscii dalle radici (?) e creai tutti i serpenti e tutto ciò che si manifesta da essi. Quindi S´u e Tefnut generarono Geb e Nut. Quindi Geb e Nut generarono Osiri, Horo-Khenty-irty, Seth, Isi e Nefti l’uno dopo l’altro. I loro figli, essi sono numerosi su questa terra. Dire: «Grande è la magia, un ka è la magia»43. Essi son comandati a distruggere i miei nemici, con le formule che sono sulla loro bocca. Io ho comandato costoro, venuti in esistenza dalle mie membra, ad abbattere questo nemico malvagio. Cada nel fuoco Apopi con un coltello sulla sua testa44… Non esiste il suo nome in questa terra. Io ho comandato che gli fossero inferte ferite. Io ho annientato le sue ossa, io ho distrutto la sua anima quotidianamente in perpetuo. Io ho tagliato le vertebre del suo collo. Taglia col coltello, fa’ a pezzi le sue carni, conficca nella sua pelle! Egli vien dato alla fiamma. Essa ha potere su di lui in questo suo nome di Possente. Essa ha forza spirituale su di lui in questo suo nome di Occhio Solare45. Brucia il nemico, annienta la sua anima, ardi le sue ossa! Le sue membra siano un olocausto! Ha dato ordini contro di lui Horo, che è grande di valore alla prua della barca di Ra. Egli lo ha trafitto con il suo spiedo di bronzo. Egli rende le sue membra come non esistenti. Colpisce la sua furia dopo il suo furore. Egli fa sì che egli vomiti dal suo cuore, quando è custodito legato e incatenato. Aker46 prende il

suo valore, dopo che io ho tagliato via le sue membra dalle sue ossa, dopo che io ho imprigionato i suoi piedi, dopo che io ho tagliato le sue braccia, dopo che io ho suggellato la sua bocca e le sue labbra, dopo che io ho spezzato i suoi denti, dopo che io gli ho tagliato la lingua dalla faringe, dopo che io ho portato via le sue parole, dopo che io ho accecato i suoi occhi, dopo che io gli ho strappato l’udito, dopo che io gli ho portato via il cuore dal suo posto, dal suo luogo dalla sua sede. Rendetelo inesistente! Non esiste il suo nome, non esistono i suoi figli. Egli non esiste, non esiste la sua famiglia!…’». (Il testo continua con formule del genere o addirittura eguali a quelle tradotte fin qui; si ripete anche un monologo di Atum, quasi con le stesse parole). 1. Il testo è quello di R. FAULKNER, The Papyrus Bremner-Rhind, Bruxelles, 1933, pp. 42 segg. Una traduzione in ROEDER, Urkunden zur Rel. des alten Aeg., Jena, 1923, pp. 98 segg., con indicazioni sul carattere dell’opuscolo (raccolta di formule di vario tipo contro il dragone nemico del sole, alle quali è stato aggiunto dal redattore un gruppo di formule a protezione del faraone dai nemici), sulla bibliografia anteriore, sul papiro (che contiene anche le Lamentazioni di Isi e Nefti, qui date a p. 150) e sul colofone che ne indica il nome del possessore e ne fissa la data ai primissimi anni dell’evo greco (Alessandro figlio di Alessandro). Il testo è stato anche commentato dal FAULKNER, in «Journal Eg. Archeol.», XXIII (1938), pp. 167 segg. 2. Karnak. 3. Luqsor. 4. Sempre Per-aa in questo testo. In alcuni casi solo il cartiglio. 5. Le due barche solari della sera e del mattino. 6. Il testo ha «a lui» per una ripetizione meccanica. 7. Nominati spesso come compagni della navigazione del dio sole. 8. Apopi è rappresentato come un serpente dalle molte volute. 9. Il testo, qui e di seguito, è di dura interpretazione. Si parla della coscienza? 10. Appellativo di Apopi. 11. Il dio falco cieco di Letopoli. 12. Col determinativo dei nomi divini. 13. Designazione di Apopi. 14. Atteggiamento di terrore. 15. O «fresco». 16. Qui il testo porta nbt «ogni»: ma si aspetta un numerale. 17. psi «cuoce». 18. Cioè da vivi e da morti. 19. Cioè, chi reciti questa formula è tale che il suo soprastante non può arrecargli danno. 20. Frasi personali di questo genere son frequenti in testi medici e magici. 21. «quel che ti aspetta»? «il destino»? 22. Seth mantiene qui il carattere di dio che protegge Ra dai nemici. 23. Certo come maga. 24. Il portale dell’Aldilà. 25. Allitterazione con un titolo di Apopi. 26. Si allude al motivo musicale su cui è stato cantato il precedente? 27. L’Occhio di Horo. «Occhio» è femminile in egiziano.

28. È anche questo un modo di distruggere la personalità. 29. Spesso nominati e immaginati mitologicamente. 30. Nel momento in cui desidera di far qualcosa. 31. In egiziano, una allitterazione. 32. Una delle personificazioni di Apopi. 33. Cfr. J. VANDIER, in «Rev. d’Eg.», XVI (1964), pp. 55 segg. 34. È un titolo della dea come personificazione della mano del dio primigenio che genera in quella. 35. L’ariete di Mendes. 36. Diospolis Parva, in Basso Egitto. 37. In immagini fornite di nomi. 38. La magia personificata e divinizzata. 39. Il serpente nelle cui molteplici spire trova protezione Ra. 40. Monologo del demiurgo che ricorda il momento della creazione. 41. L’Occhio solare. 42. È questa l’origine mitica dell’ureo del dio sole e del sovrano. 43. O è questa una glossa (proverbio?) introdottasi nel testo, e determinata dalla frase immediatamente seguente sulle formule magiche? 44. Così come è ritualmente raffigurato. 45. Una allitterazione in egiziano. 46. Divinità della terra.

2. — DALLA STELE DELL’ANNO VI DI TAHARQA1 L’idea che il sovrano possa avere tanta autorità sul mondo in generale da poter comandare anche agli elementi è una idea diffusa in Egitto. Tale comando può essere diretto e immediato, ma nell’epoca più recente si tende a rappresentare l’effettuarsi della volontà sovrana come un favore che al re è largito dalla divinità: il faraone ha quasi una funzione di intermediario. L’esempio presente è interessante in quanto il re che implora una abbondante piena del Nilo è di casata etiopica, e la sua esperienza gli impedisce di riconoscere come reale la mistica origine della piena dalle grotte del Nilo a Elefantina. Così si ha una spiegazione razionalistica e documentata di come si produca l’inondazione, che ha origine nelle piogge e nelle nevicate africane; e insieme si attribuiscono a un benevolo intervento della divinità sollecitata dal suo regale figlio le preziose precipitazioni atmosferiche. Che l’abbondanza serva innanzi tutto a permettere larghe offerte agli dei è regolare per la concezione egiziana.

Una meraviglia accadde al tempo di Sua Maestà in Khenthen-nefer. Mai si era vista cosa simile al tempo dei suoi predecessori, per la grandezza dell’amore verso di lui di suo padre Amon Ra. Sua Maestà aveva implorato una inondazione da suo padre Amon Ra, signore dei troni delle Due Terre, per non fare che si fosse miseri nel suo tempo. Ora, ogni cosa che uscisse dalle labbra di Sua Maestà, suo padre Ammone faceva che si realizzasse immediatamente. Quando arrivò il tempo della crescita dell’inondazione, essa si mise a crescere gradatamente ogni giorno, inondò le montagne del Paese Meridionale, inondò le dune del Paese Settentrionale. La terra era come un Nun in inerzia2, e non si potevano distinguere le secche dal fiume. La inondazione era salita fino alla città di Tebe, e Sua Maestà fece che si portassero a lui gli annali degli avi per vedere le inondazioni prodottesi ai loro tempi. E non si trovò niente di simile. La cosa è che una caduta d’acqua del cielo, in Nubia, aveva reso brillanti3 le montagne fino ai loro confini. Ognuno in Nubia abbondava in ogni cosa, e l’Egitto abbondava di tutto, ogni giorno. Essi ringraziavano il re, e il cuore di Sua Maestà era lieto più di ogni cosa per quel che aveva fatto per lui suo padre Ammone, facendo sì che potesse offrire offerte a tutti gli dei4. 1. V. VIKENTIEV, La haute crue du Nil et l’averse de l’an VI du roi Taharqa, in Rec. Trav. Fac. Lettres Univ. Ég., Le Caire, 1930; io seguo qui VANDIER, La famine dans l’Égypte ancienne, Le Caire, 1936, pp. 124-125. Cfr. M. F. LAMING MACADAM, The Temples of Kawa, vol. I, Text Oxford, 1955, pp. 22 segg. 2. m Nnw m nn, con allusione mitologica al Nun prima della creazione, immaginato appunto come la piena stagnante, dalla quale alla fine sorge la terra. 3. Con una nevicata? È questo il solo testo che dia una spiegazione scientifica della piena del Nilo, legandola a un avvenimento prodottosi in Nubia per le preghiere del re. Si ricordi che Taharqa era re di Nubia. 4. Con l’abbondanza il re può fare le debite abbondanti offerte agli dei.

3. — IL RITO DELLA CACCIA CON LA RETE1 Il faraone è sempre concepito in Egitto come inevitabilmente vincitore: il nemico — dato il carattere teoricamente universale della monarchia egiziana — è sempre un ribelle. D’altro canto la funzione del re egiziano è proprio quella di mantenere l’ordine nel mondo: egli è dunque obbligato a intervenire là dove esso sia turbato da ribellioni al suo dominio. A fianco delle imprese militari, il re ha modi più tipicamente rituali di mantener saldo il suo potere. Già dall’inizio del Medio Regno abbiamo testimonianze precise di un rito destinato a rendere inoffensivi i prìncipi stranieri: una formula di esecrazione contro ognuno di loro era scritta su un vaso di coccio o su una figurina di terra cruda, che veniva poi spezzato, o trafitta. La precisione dell’onomastica straniera e delle indicazioni geografiche è garanzia della efficacia del rito. Questa che qui abbiamo è una variante di epoca tolemaica del costume più antico: i nemici son presi nella rete come pesci, e quindi distrutti Così dovrà accadere anche in realtà. Si noterà comunque come in questo testo manchino in pratica tutti gli elementi caratterizzanti che rendevano così preziosi per noi (per le notizie che ci tramandano) e così efficaci dal punto di vista magico le formule di imprecazione del Medio Regno. Mentre negli esempi più antichi il rito è sicuramente vivo e sentito, qui ha assunto la consueta genericità e freddezza della cultura sacerdotale tolemaica, che eredita vecchie esperienze, senza esser più capace di mantenerle in vita. Formula per prendere gli uomini e per mettere i Due Paesi2, le terre e le

montagne di ogni paese sotto i piedi del re. Dire le parole mentre si respinge l’attacco dei quattro nemici3, i cui nomi son scritti sui loro petti con inchiostro fresco4 e che si pongono sull’altare da olocausti. Dire le parole quattro volte all’alba, due volte all’ora decima nel giorno verso «Horo che viene combattendo»5: «Horo Imy-S´enut6 sorge contro di voi! Sono presi i forti (avversari)7, i capi (ribelli), i prìncipi di ogni terra degli Asiatici e tutti i loro grandi, tutti i loro prìncipi, tutti i loro soldati, tutti i loro maghi, tutte le loro maghe che sono con loro, eccetera». Dire le parole: «Essi van tutti in prigionia al re N. N.8. Egli rapisce i vostri cuori dicendo:’ Il diritto su ciò è mio, non vostro, quando io mi levo contro di voi, (io) Horo figlio di Isi, protettore di suo padre Osiri’. Egli vi trafigge come immagine sacra di falco. Ritiratevi davanti a lui! Indietreggiate davanti a lui… il re N. N., come (davanti) a Horo. Ritiratevi voi, nemici di Pe!9 Siate distrutti! Tutti i prìncipi di tutti i paesi degli Asiatici, tutti i loro grandi, tutti i loro capi, tutti i loro soldati, tutti i loro maghi, tutte le loro maghe che son con loro, eccetera». Si dice: «Essi van tutti in prigionia verso il re N. N. Ritiratevi, voi che pensavate di non dover esser presi, nascosti nelle vostre città! Siate pescati (con la rete)10 la

notte, se non siete stati presi nel giorno! Siate pescati (con la rete), voi ed i vostri figli, se non siete stati presi voi ed i vostri fratelli!» 1. La formula è qui nella versione di Edfu quale è data da M. ALLIOT, Les rites de la chasse au filet aux temples de Karnak, d’Edfou et d’Esneh, in «Revue d’Égyptologie», V (1946), pp. 57 segg. 2. L’Egitto. 3. I nemici che stanno ai quattro punti cardinali (Etiopi, Asiatici, Libi, Popoli delle Isole), 4. È frequente l’abitudine di scrivere sulle figurine magiche il nome loro con inchiostro iresco («verde»). 5. È il nome di una statua davanti alla quale si celebra il rito. 6. «che è in s´enut», località ignota. 7. Le parole fra parentesi rendono i determinativi. 8. Qui sono i cartigli di Tolomeo X. 9. Buto. È questa la città d’origine del rito? 10. È la rete per la caccia agli uccelli che è adoperata nel rito.

4. — RICETTA PER L’UNGUENTO DEL TEMPIO1 Lunghe tradizioni di culto fan sì che nei tempi egiziani ben poco venga lasciato alla iniziativa dei sacerdoti e degli officianti: una serie di libri contiene le prescrizioni relative a ogni azione e a ogni momento. Un gruppo di sacerdoti è addetto alla custodia di tali testi, che vengono conservati in una biblioteca nel tempio stesso. La cultura templare tolemaica, che accentua il carattere conservatore e minuzioso della vita del santuario, si compiace di trascrivere sui muri degli edifici sacri il contenuto di questi rituali; questo, che indica come si debba procedere per la fabbricazione dell’unguento, è un esempio di quante regole e precauzioni vadano osservate per ogni particolare che riguardi il culto. E mostra a quale punto il ritualismo abbia ucciso in questo ambiente il senso religioso più schietto.

Istruzione per fabbricare l’unguento destinato alla cappella della Prima Festa da parte degli unguentari nell’officina del tempio. Un toro sacrificale giovane di cui siano stati tolti i testicoli e di cui non sia stato perforato il naso e che starà nella grande officina del tempio per il periodo di un anno. Lo si laverà nel lago del tempio mattina per mattina. Si laverà la sua sporcizia, dapprima, poi si avvolgeranno (?) i suoi zoccoli con fibre di palma, per un anno intero. Lo si farà entrare nel macello che sarà in gran pulizia, legato su un graticcio di canne. Il macellaio verrà per tagliargli la testa, estrargli il cuore e tagliargli le due gambe davanti. La parte posteriore sarà messa fuori. Avendo lavato il suo coltello con acqua, prenderà il suo grasso, e gli unguentari lo cuoceranno ad aria calda (?). Metterlo in un vaso di pietra tappato. Lasciare nel tesoro durante un anno. Ritirare il grasso dal vaso (?) in cui si trova. Profumarlo per mezzo di aromi. Far passare la notte. Aggiungere vino. All’alba, cuocerli (cioè «gli aromi») con questo grasso. Tingere di rosso con wab di resty2. Mettere in un vaso di pietra tappato. Se ne fa in una forma di argento o d’oro per il balsamario d’oro che serve per l’offerta quotidiana agli dei. Si applica questo unguento con due dita. Un ditale d’elettro riveste il dito che ne è fornito (?) per l’offerta al corpo divino. Si fa questo unguento per tutte le fiaccole che si accendono entro il tempio. Aromi da mettere in questo grasso: Grasso di toro sacrificale, 12 deben3; quantità da sottrarre per perdita per evaporazione, 1/5, cioè 2 (sic) deben, resta 10 deben. Resina di keti, 1 deben. Estratto di stirace, 2 deben. Aspalato, 1 deben. Lentischio, 1 deben.

Ginepro, 1 deben. Pignoli dolci, 1 deben. Vino ottimo dell’Oasi, 2 hen4. Acqua, 3 hen. Incenso s´w di seconda qualità, 2 deben. Dividere, per la fusione (?) in tre parti, la prima di 1/5, la seconda di 2/5, la terza di 2/5. Tingere in rosso con wab di mesty. 1. Seguo pedissequamente la traduzione, corredata e giustificata da un ampio commento, che di questo testo di Edfu (= CHASSINAT, Edfou, II, pp. 203-4, 210, 211-12, 214-15, 220-24, 227, 229-30) dà CHASSINAT in «Revue de l’Ég. Ancienne», III (1931), pp. 117 segg. 2. Parte di una pianta (forse le radici?). 3. Un deben è gr. 91. 4. Lo hen è 1. 0,46.

5. — TEOLOGIA D’ETÀ ROMANA Di particolare importanza fra i testi che sulle pareti dei templi di epoca tarda riportano rituali di vario genere, sono quelli conservati sulle colonne del tempio di Esna, in piena età imperiale romana. Sono in pratica i più recenti testi religiosi indigeni, e connessi con una teologia molto particolare, quella di Sais, che nel Delta ha elaborato una sua storia della creazione incentrata su Neit, e cioè — caso unico in Egitto — su una divinità femminile. Esna è a Sud di Tebe: ma poiché vi regna come signora Neit, essa è assimilata alla lontana città del Nord e ne mutua miti e situazioni teologiche, in un supremo sforzo di virtuosismo sincretistico. Dalla messe di testi del tempio qui abbiamo scelto un inno a Khnum, il dio creatore criocefalo che forma l’umanità al tornio da vasaio e che a Esna è anch’egli di casa, e una lunga ed esplicita storia della creazione, che narra in modo legato e coerente i casi delle origini, conglobando alla teologia di Neit quella di Eliopoli e quella di Ermopoli. In due modi diversi è evidente nei due testi un certo impegno «scientifico», sia naturalistico sia storico, che rende più metodiche antiche intuizioni e speculazioni. I testi sono stati studiati e tradotti da S. Sauneron, e da lui noi li abbiamo ripresi letteralmente: infatti il sistema grafico di Esna comporta virtuosismi di crittografia (basti ricordare che uno è scritto esclusivamente con figure di arieti, un altro solo con figure di coccodrilli). In contrasto con questo sterile gioco della scrittura, il pensiero testimoniato ha ancora una sua precisa personalità, ed è stato posto in rapporto con quella esperienza gnostica che in quell’epoca fioriva in Egitto. 1

I

Altro inno a Khnum Ra… Egli ha modellato al tornio gli dèi e gli uomini; Egli ha formato gli animali, i piccoli e i grandi; Egli ha fatto gli uccelli così come i pesci; Egli ha fatto i maschi riproduttori e ha posto sulla terra la stirpe femminile. Egli ha organizzato la corsa del sangue nelle ossa formando all’interno del suo laboratorio a forza di braccia. Ed ecco che il soffio della vita impregnava ogni cosa mentre il sangue formava…2 con il germe nelle ossa per costituire la materia prima di (nuove) ossa. Egli ha fatto che gli esseri femminili partoriscano quando il loro ventre ha raggiunto il momento giusto… Egli ha diminuito le sofferenze secondo il suo cuore3; Egli ha confortato le gole dando l’aria a quelli che respirano allo scopo di animare di vita le creature giovani all’interno del seno materno. Egli ha fatto crescere i ciuffi di capelli; Egli ha fatto spuntare la capigliatura

modellando la pelle sulle membra. Egli ha costruito il cranio; Egli ha modellato il volto per dare un aspetto caratteristico alle facce. Egli ha fatto aprire gli occhi; Egli ha aperto l’accesso alle orecchie. Egli ha posto il corpo in contatto stretto con l’atmosfera; Egli ha fatto la bocca per mangiare; Egli ha costituito la dentatura per masticare. E così ha staccato la lingua perché essa si esprima e le due mascelle, in modo da poterle allargare. La gola per deglutire e la faringe per ingoiare ma anche per sputare. La spina dorsale per sostenere …………‥ L’ano per compiere la sua funzione, la faringe per ingoiare, le mani con le loro dita per compiere la loro opera, il cuore per servire di guida, i testicoli per portare il fallo e anche per l’atto sessuale. Gli organi anteriori per consumare ogni cosa, l’organo posteriore per fornire l’aria ai visceri e anche per star comodi al momento dei pasti per dar vita agli organi interni al momento della notte. Il membro per l’unione sessuale e l’organo femminile per ricevere il seme e per moltiplicare le generazioni in Egitto. La vescica per orinare… Il membro virile per eiaculare e per aumentare quando è stretto fra le due gambe. Le tibie per camminare, le cosce per andare, mentre le loro ossa adempiono alla loro funzione a disposizione del cuore.

II4 Il Padre dei Padri5, la Madre delle Madri, l’essere divino che cominciò a essere all’inizio, si trovava nel grembo delle acque iniziali6, apparsa da se stessa, mentre la terra era ancora nelle tenebre, e nessuna terra era ancora apparsa, e nessuna pianta germogliava. Essa si diede l’aspetto di una giovenca7, che nessun essere divino o chicchesia non poteva conoscere. Poi si trasformò in un pesce lates8 e si mise in via. Essa rese luminosi gli sguardi dei suoi occhi, e la luce fu, Allora essa disse: «Che questo luogo in cui io sono divenga per me una piattaforma di terra, situata nel grembo delle acque iniziali, perché io possa appoggiarmi su di essa!».

Processione di animali Dalla città operaia degli scavatori delle tombe regali a Der el Medineh provengono numerosi appunti di testi o di disegni tracciati su scaglie di calcare bianco («ostraka») anziché su costoso papiro. Questo raffigura scherzosamente una processione religiosa in cui le figure umane sono sostituite da topi e sciacalli sacerdoti, e gli dèi hanno anch’essi forma animalesca, (Torino, Museo Egizio, suppl. 6333).

E questo luogo in cui Neit era divenne una piattaforma nel grembo delle acque iniziali, come essa aveva detto. E fu la «Terra delle acque» (= Esna) che è anche Sais. Neit prese il volo sopra questa emergenza, e Pi-neter venne in esistenza, che è anche Buto9. Essa disse: «Io mi sento bene su questa emergenza»; è così che venne in esistenza Dep, ed è così che «Terra del bene stare» divenne il nome di Sais. Frattanto, tutto ciò che il suo cuore concepiva si realizzava subito. Così, ella concepì uno star bene su questa emergenza, e venne in essere l’Egitto, in allegrezza. Essa creò i trenta dèi, pronunciando i loro nomi, uno per uno, e la letizia la prese quando essa li ebbe visti. Essi dissero: «Salve, o signora degli esseri divini, madre nostra, che ci hai dato l’esistenza! Tu hai fatto i nostri nomi, quando ancora non avevamo coscienza. Tu hai separato per noi la bianca aurora dalla notte, tu hai fatto per noi un suolo su cui potessimo prendere appoggio; tu hai separato per noi la notte dal giorno… Che efficacia, che efficacia in tutto quel che esce dal tuo cuore, o tu unica venuta in esistenza all’inizio: la durata eterna dei tempi passa davanti al tuo volto». Essa disse allora ai suoi figli: «Andiamo, eleviamoci su questo luogo, poiché è un suolo su cui possiamo prendere appoggio, per scacciare la nostra stanchezza. Avviamoci, attraverso le acque, a quel luogo, Esna e Sais, questa terra nel grembo dell’acqua iniziale, questa emergenza dello star bene sulla quale ci installeremo!» Ed essa depose una piattaforma di terra nel grembo delle acque iniziali, alla quale dette il nome di «terra alta». Essi dissero allora alla Grande e Possente: «O tu che ci hai generati, o tu da cui noi discendiamo, rivelaci ciò che non ha ancora avuto nascita: poiché vedi, ancora non c’è che questo, e noi ignoriamo ciò che avrà nascita». Neit disse allora: «Vi informerò di quel che nascerà. Elenchiamo ancora quattro parole generatrici d’essere, diamo forma a quel che riempie i nostri ventri, formuliamo quel che viene sulle nostre labbra, e in tal modo voi saprete tutto ciò oggi stesso». Essi fecero tutto quel che essa aveva detto, e la ottava ora10 giunse nel tempo di un istante. La giovenca Ihet11 si mise dunque a meditare su ciò che sarebbe avvenuto. Ed essa disse: «Un dio sacrosanto nascerà oggi. Quando egli aprirà il suo

occhio, la luce sarà; quando egli lo chiuderà, saran le tenebre. Gli uomini nasceranno dalle lacrime del suo occhio12, e gli dèi dalla saliva delle sue labbra13. Io lo fortificherò con la mia forza, io lo renderò efficace con la mia efficacia, io lo renderò vigoroso del mio vigore. I suoi figli si ribelleranno contro di lui, ma saranno abbattuti in suo nome, saranno colpiti in suo nome14: poiché egli è mio figlio, uscito dalle mie carni ed egli sarà re di questo paese per sempre. Io lo proteggerò fra le mie braccia, e nessun male non lo potrà raggiungere. Vi dirò il suo nome, che sarà Khepri al mattino. Atum a sera; ed egli sarà il dio risplendente in perpetuo, in questo suo nome di Ra, ogni giorno». Allora questi dèi dissero: «Tu evochi cose che noi ignoriamo15, in quel che noi udiamo». Così Khemenu divenne il nome di questi dèi, e divenne egualmente il nome di questa città. Allora questo dio nacque da secrezioni uscite dalla carne di Neit e che essa aveva posto nel corpo di questo uovo16. Quando egli infranse l’acqua iniziale fu l’origine della salita delle acque, in un punto unico. Seme cadde sull’uovo, quando egli spezzò quel guscio che si trovava attorno a questo dio sacrosanto: era Ra, che si era in questa guisa celato in grembo delle acque iniziali in questo suo nome di Amon l’antico17, e che doveva formare dèi e dee per mezzo dei suoi raggi, in questo suo nome di Khnum. Sua madre, la dea giovenca, chiamò ad alte grida: «Vieni, vieni, tu che io ho creato! Vieni, vieni, tu che io ho generato! Vieni, vieni, tu che io ho portato alla vita: io son tua madre, la giovenca Ihet!». Questo dio allora venne, sorridente, con le braccia aperte verso questa dea, e si gettò al collo di lei — poiché questo è quel che fa un figlio quando vede sua madre. E quel giorno divenne così il bel giorno dell’inizio dell’anno18. Poi egli pianse nell’acqua iniziale quando non vide più sua madre, la giovenca Ihet, e gli uomini nacquero dalle lacrime del suo occhio; e salivò quando la rivide, e gli dèi nacquero dalla saliva delle sue labbra19. Questi dèi anteriori riposano (ora) nei loro tabernacoli. Essi eran stati espressi man mano che questa dea li concepiva nel suo spirito. Essi proteggono (ora) Ra all’interno della cabina e acclamano questo dio dicendo: «Benvenuto, benvenuto a te, rampollo di Neit, opera delle sue mani, creazione del suo cuore! Tu sei il re di questa terra in eterno, come l’aveva predetto tua madre!». Frattanto essi (= gli dèi anteriori) scacciavano uno sputo della sua bocca

che essa aveva prodotto nel grembo dell’acqua iniziale; ed esso si trasformò in un serpente di 120 cubiti, che fu chiamato Apopi20. Il suo cuore concepì la ribellione contro Ra, con i suoi associati, originati dal suo occhio. Thot uscì dal suo (= di Ra) occhio in un momento d’amarezza, il che gli valse il suo nome di Thot21. Egli parlò con suo padre, che lo mandò contro la ribellione, nel suo nome di Signore della Parola di Dio22. E questa fu l’origine di Thot, signore di Ermopoli, in questo luogo, così come quella degli Otto Dèi del primo collegio anteriore. Neit disse allora a suo figlio: «Vieni con me verso Esna (cioè, Sais)23, questa base di terra posta nel grembo delle acque primordiali. Io pronuncerò il tuo nome alla tua città, e non ci sarà tregua all’ascoltazione del tuo nome, ogni giorno. Io t’allatterò perché la tua forza sia considerevole, per accrescere il timore di te; perché tu possa far massacro di quelli che ordiscano complotti contro di te». Ora, sette discorsi erano così usciti successivamente dalla sua bocca24: essi divennero sette Esseri Divini — quel che essa aveva pronunciato aveva dato nome al Discorso, aveva dato nome alla Parola di Dio, e aveva dato anche nome a Sais. Così erano nati i Sette Discorsi divenuti Dei di Meheturet25 che compirono la protezione di Mehet-uret in ogni luogo in cui ella andasse. Allora essa si trasformò in giovenca Ihet, collocò Ra fra le sue corna e nuotò portandolo. Allora gli Dèi dissero: «Ecco la Grande Nuotatrice con suo figlio». Questa fu l’origine del nome di Mehet-uret26. Ed ecco che passò un tempo di quattro mesi nelle città del Paese del Mezzogiorno (che si chiama la Punta del Paese, Khent-ta)27, impegnata a sconfiggere i nemici nati in odio a Sua Maestà. Una fiamma brillava davanti a lei in Alto e in Basso Egitto. Quando essa arrivò a Sais, la sera del 13 di Epiphi28 ci fu una bella e grande festa in cielo, in terra e in tutti i paesi. Essa prese allora la forma della dea Useret, prese il suo arco in mano, la sua freccia in pugno29 e si fermò nel Castello di Neit, con suo figlio Ra. Ra disse allora agli dèi che erano con lui: «Accogliete Neit in questo giorno, venite a rallegrarvi per lei in questo bel giorno, poiché essa mi ha condotto fin qui sano e salvo. Date fuoco a torce davanti a lei. Fate festa in suo cospetto fino all’alba!». 1. S. SAUNERON: Les Fêtes religieuses d’Esna aux derniers siècles du Paganisme (Esna V), Le Caire:

1962, pp. 95 segg. 2. Parola ignota. 3. «Cuore» è indicazione tanto della volontà che dell’ intelletto. 4. SAUNERON, op. cit., pp. 253 segg. 5. Benché Neit sia femminile, pure le si riconoscono a Esna tratti maschili connessi con la sua funzione primordiale. 6. Il Caos liquido primigenio (il Nun). 7. Tale aspetto è comune alle dee celesti in Egitto. 8. Come pesce lates in particolare la dea è venerata a Esna (Latopoli dei Greci). 9. Queste origini da giochi di parole giustificano la funzione particolarmente importante di alcune città sacre d’Egitto. 10. Cosa è questa «ottava ora»? 11. È il termine generico per le vacche, e in particolare per quelle sacre. 12. È il mito ben noto della nascita degli uomini dalle lacrime del dio Sole. 13. La creazione della prima coppia di dèi dallo sputo di Ra. 14. Cfr. la Storia della distruzione dell’Umanità a p. 365. 15. «Ignorare» è un gioco di parole con Khemenu: «Gli Otto» Dei di Ermopoli, la quale città si chiama appunto: «(la città de)gli Otto». 16. Si inserisce qui con un po’ di violenza, il racconto dell’Uovo cosmicc noto alla cosmologia ermopolitana. 17. Il consueto gioco di parole fra imn «celarsi» e Ammone qui serve a introdurre il dio in questa cosmologia composita. 18. Il giorno in cui Ra sorge con Sothis = Isi = Neit è l’inizio ufficiale dell’anno: qui è dato come l’incontro fra Ra e Neit. 19. Il bambino che piange quando la mamma si allontana e che saliva avidamente quando si accinge ad allattare è qui modello umano dei gesti mitici del dio. 20. Gioco di parole fra «sputare» (pây) e Âpop. 21. Giochi di parole. 22. Le «Parole-di-Dio» sono in genere i geroglifici. 23. Sais è identificata dalla glossa con Esna. 24. Sauneron ha rilevato i paralleli gnostici a questo passo. 25. È la dea dell’acqua celeste, assimilata a Nut e qui a Neit. 26. Che così può essere in effetti tradotto. 27. Gioco di parole: «Punta del Paese» è la Tebaide, e si dice Khent-Ta, che è però anche un nome di Esna. 28. La data della grande festa della dea, con fiaccolate notturne. 29. Neit è rappresentata arciera.

TESTI FUNERARI 1. — DAI TESTI DEL SARCOFAGO DI ANKH-N.ES-NEFER-IB-RA1 Con l’età saitica c’è in tutta la cultura egiziana un fiorire di un gusto arcaizzante, una ripresa di vigore delle tradizioni indigene sentite come guida del presente. Rinascono vecchi titoli amministrativi o cortigiani non più in uso dall’età menfita, le statue raffigurano personaggi in costumi passati di moda da secoli; le tombe copiano i rilievi e le figurazioni delle tombe dell’Antico Regno, e tornano di moda anche i testi funerari che da un pezzo si erano dimenticati. Proprio ai «Testi delle Piramidi» si rifanno spesso le formule religiose scolpite sul sarcofago di Ankhn.es-nefer-ib-Ra. Costei fu «Divina Adoratrice» a Tebe: ebbe, cioè, una complessa funzione fra il politico e il religioso, che comportava la piena autorità sulla città sacra. L’ideale teocratico del clero tebano riuscì, infatti, a staccare la città che era stata capitale dell’Egitto dalla normale amministrazione del regno, e a farne una unità politica separata. Dopo varie soluzioni, a capo della città fu posta la «Divina Adoratrice», e cioè una principessa di sangue reale (attraverso cui, mediatamente, il re poteva esercitare un controllo sia pur limitato), che non aveva marito terreno, perché sposa del dio, e cui succedeva un’altra Adoratrice, scelta per adozione. È una istituzione che dalla età etiopica continua fino all’età saitica, anche se (come impostazione più strettamente rituale) è assai più antica. Rappresenta una di quelle forme di dominio diretto della divinità che all’ambiente egiziano di epoca etiopica non sono ignote, e che ha finito col porre le più tarde dinastie nubiane completamente nelle mani del clero. Dei lunghi testi di Ankh-n.es-nefer-ib-Ra qui sono stati scelti alcuni pochi che meno ricalcano quelli antichi. Il n. 1 è una variante di miti osiriaci noti da altre parti: il torto subìto dal dio, il fatto che parti del suo corpo siano divorate da esseri acquatici, il giudizio davanti al tribunale divino, sono elementi che nel mito quale lo conosciamo da altre fonti hanno diversi aspetti. Il n. 2 riprende un vecchio concetto, tipico della mentalità amministrativa e del gusto burocratico egiziano: la situazione e la garanzia del defunto nell’aldilà sono stabilite da un vero e proprio decreto (con formulario calcato su quelli regali) dal demiurgo. Il n. 3 si allinea con i testi funerari in cui son dati elenchi di divinità che si prendono cura del morto (o delle parti del corpo del morto). Il n. 4 allude al rito secondo cui una figura di terra vegetale in cui sono collocati chicchi di grano viene plasmata a forma di Osiri: il rapido nascere dei germogli fa identificare con il grano il dio, e dà garanzia di resurrezione al defunto per il quale il rito è compiuto. Riti di questo genere sono conosciuti per l’Oriente antico, ma qui dal rito si sviluppa un lungo inno, in cui di Osiri è sottolineato, più che il carattere agrario, quella funzione universale che gli è riconosciuta dalla innologia più antica. A) Un mito di Osiri2

Mentre essi remavano nella notte, guizzò un nemico dall’acqua. «Ga» era il nome suo. Questo nemico afferrò la sua3 spalla sinistra. Gli dei si misero a piangere assai, alzando le loro voci fino all’altezza del cielo. Disse allora la maestà di Osiri: «Correte dunque, orsù! Ritornate a Seg ´met4, in modo che udiate le mie parole con lui, cosicché il colpevole sia di nuovo punito». Quando egli approdò alle porte di Eliopoli, Sia5 parlò al Signore Universale: «Sia sano il tuo cuore, signore degli dei! Osiri è alle porte di Eliopoli». Il Signore Universale disse: «Cosa è avvenuto delle sue carni, dopo che io ho fatto che si operasse su di lui nel Luogo Puro?6 Affrettatevi dunque,

o dei, introducetelo, in modo che sentiamo le sue parole». Ci si affrettò e fu introdotto. Allora disse il Signore Universale: «Salve, o Osiri, Toro dell’Occidente. Cosa è avvenuto della tua spalla?». «Guarda, io7 ho detto: ecco, io farò che tu lo sappia, e che lo sappia il tuo ka, o anima, tu che hai fatto che io andassi nel Luogo Puro, tu che hai fatto che io andassi nella barca Mandet. Un coccodrillo è guizzato e ha afferrato la mia spalla, e non si sapeva dove egli fosse. Fa’ che io parli con lui, e che il colpevole sia punito». B) Un decreto divino8 Decreto del Signore Universale alla Maestà di Thot9, per rendere spirito luminoso l’Osiri10 Sposa regale Ankh-nesnefer-ib-Ra, giustificata, Osiri presso la madre sua, la mano divina11 Nitocri, giustificata nell’Occidente. Ogni dio sarà a protezione delle membra sue. Ogni dea sarà come protezione dietro di lei. Anubi guarisca ogni suo male. Isi con sua sorella Nefti, Neit, Selkis, Tefnut, Nut che ha partorito gli dei, Mut, Sekhmet, Bastet, Uto, Satis, Horo l’anziano, Thot figlio di Ra, siano a protezione per lei. Ogni dio faccia il proscinema per lei. Ognuno di loro faccia il servizio orario di culto per la sposa regale Ankhnes-nefer-ib-Ra giustificata. D’ordine di Ra Atum, padre degli dei. C) Quel che fanno gli dei per la defunta12 Fa per te Atum il cielo d’oro, dopo che lo ha posto nella tua cappella che ha iniziato per te. Fa per te Ra il cielo come una vòlta di lapislazzuli vero… Fa per te tuo padre Nun tutti gli inni su quel che nasce in lui, ogni volta che egli è soddisfatto. Fa per te Ptah statue d’oro, su cui è inciso in iscritto il tuo nome. Fa per te Geb un posto là13, come fa … il comando di Ra. Fa14 per te Sokaris con le sue ali, cosicché egli ha fatto sì che venga a te vento ogni giorno. Fa per te il figlio della coppia di fratelli in scrittura vera, e fa i suoi inni in suo nome per l’eternità. Fa per te Horo con il suo flagello, e liba per te acqua ogni giorno secondo

l’ordine di Ra come sua opera. Fa per te Isi con la sua sorella fasce nel giorno del vestire. Così tu sei tranquilla nell’Occidente, mentre tuo figlio Horo è sul tuo trono15. D) Osiri padre del grano16 Si produce il grano dalle membra di Osiri, dopo che Thot lo ha posto nella Casa Bella17. Cominciano le parole a Osiri da parte della Maestà di Thot. Egli dice in adorazione, dice la Maestà di Thot a Osiri: «Queste piante che si producono con te sono il grano. Egli l’ha fatto per sostentare gli uomini». Allora disse la Maestà di Thot a Isdes18: «Grida:’ Venite a me!’ a tutti gli dei che sono nella Sala di Osiri». Essi furono subito introdotti, e mentre erano (gettati a terra) sui loro ventri in cospetto della Maestà di Osiri e di Thot, disse la Maestà di Osiri a Thot: «Di’ agli dei quel che si è prodotto da me, cosicché si rallegri il loro cuore». Essi dissero tutti insieme: «Salve, Osiri. Tu sei il grande dio vivente, signore dell’eternità, il buon dio signore della gioia, grande di apparizione come re dell’Egitto, buon dio come re del deserto, bello di apparizioni con la doppia corona, buon re dell’Occidente. Cento cubiti è la tua altezza, o signore del grano, per far vivere la terra. Zampilla l’inondazione del Nilo dalle tue membra. Temono gli dei la tua potenza, la reverenza tua è fra le dee, il tuo spavento è in ogni paese. Tu sei come un falco divino quando tu ti innalzi grande di reverenza per gli dei. Tu sorgi ogni giorno come il disco solare nel cielo. Quando tu sorgi portando i sette soli entro il il cielo19, ogni terra diviene calda al tuo uscire. Salve! tu sei Osiri, il toro di Abido, il falco di elettro di Ro-setau. Salve! Tu sei Osiri, il toro nella tomba, il falco di malachite dell’altura illustre. Salve! Tu sei Osiri, il toro di Eliopoli, il falco di lapislazzuli in Eracleopoli. Salve! Tu sei (Osiri), il toro del nômo eracleopolite e tebano, il falco di argento di Ius-aas. Salve! Tu sei Osiri, il toro di Dendera, il falco di elettro entro G´enuty. Salve! Tu sei Osiri, il toro di Tebe, questo falco di elettro, il toro vittorioso, Orione armato di spada (?). Dei e dee dicono a una voce: «O Osiri, salve! Tu sei il toro dell’Occidente, il dio vivo, l’anima dell’Occidente. Il grano che si è prodotto da te è in tuo

cospetto, senza allontanarsi da te per l’eternità per sempre». Ogni volta che zampilla l’inondazione del Nilo, si rallegrano gli uomini e così gli dei. Essi si rallegrano del grano che si è manifestato da te, e danzano sul grano uscito dalle tue membra. Uomini e bestiame, dei e dee danno gloria alla tua potenza che li ha creati. Essi baciano la terra per quel che si è manifestato vivo dalle tue membra, senza che lo si conosca. Ti fa Thot la protezione di te. L’anima si è messa dietro di te nella necropoli. Si fa per te un flabello di ogni pietra preziosa, e lo si pone nella tua mano perché essa domini… Si fa per te un flagello, e lo si pone nella tua mano per proteggere Osiri. Salve! Tu sei Osiri, il grande dio vivo, che ha partorito il grano, che ha fatto ogni opera che è venuta in esistenza dalle sue membra. Salve! Tu sei Osiri che ha creato il grano per far vivere il bestiame. Vivono gli dei per l’amor tuo in perpetuo, vivono gli dei di quel che han creato le tue membra, tu vivo dio della terra, diletto della verità, figlio di Ra, che egli ama in perpetuo. 1. Secondo il testo di C. E. SANDER HANSEN, Die religiösen Texte auf dem Sarg der Anchnesneferibre, Köbenhavn, 1937. Si tratta di una «divina adoratrice» di Ammone, figlia di Psammetico II e adottata dalla Divina adoratrice Nitocri. 2. 11.56-68. 3. di Osiri. 4. Nome di luogo, in gioco di parole con il verbo successivo. 5. Il dio del sapere che sta a fianco di Ra. 6. Il luogo dove si preparano le mummie. 7. Il testo passa alla prima persona: è Osiri che parla. 8. 11.161 -165. 9. In quanto visir degli dei, e incaricato perciò di far rispettare gli ordini del Signore Universale. 10. I morti sono assimilati ad Osiri, anche se donne. 11. È questo un titolo delle mogli del dio, che ricorda la prima creazione effettuata da Atum. 12. 11.230 - 236. 13. Nell’Aldilà (Geb è dio della terra). 14. Agisce, opera. Sokaris è dio falco. 15. Formula decisamente regale: Osiri, il re morto, è nell’Occidente; Horo, il re vivo, è sul trono. 16. 11.256 - 302. 17. L’officina della mummificazione. 18. Un dio al seguito di Thot. 19. Frase oscura.

2. — DAL LIBRO «CHE IL MIO NOME FIORISCA»1 La letteratura funeraria della bassa epoca riprende in parte i testi più antichi, spesso in nuove redazioni, le cui varianti provano come già allora essi fossero assai spesso del tutto incompresi. Ma a lato di questi «libri» classici, si forma tutta una nuova serie di opere assai più brevi ed organiche, in cui le allusioni mitologiche sono assai banali e facilmente comprensibili, in cui la lingua è assai vicina se non a quella della vita, almeno a quella della scuola. Non c’è una speculazione nuova, e neanche si può parlare propriamente di un tono popolare: è anzi una fioritura di testi di gusto e di origine sacerdotale, che mostrano però come anche nella classe dei tecnici del culto nasca un desiderio di semplicità in contrapposizione con le complicazioni incomprensibili della letteratura più antica.

Io sono Ra al suo sorgere, io sono Atum nel suo tramonto. Io sono Osiri che presiede agli Occidentali nella notte, nel giorno e in ogni ora di ogni giorno. Io sono l’ibis nero di testa, bianco di corpo, azzurro di dorso. Io sono Colui che recita il libro, la cui fronte è in cospetto dei signori di Eliopoli. Le vostre facce siano verso di me, o guardiani dell’Occidente, o custodi della Duat! Concedete che io possa entrare, concedete che io possa uscire, concedete che io sia uno di voi! La tua faccia sia verso di me, o Anubi figlio di Osiri, tu giusto guardiano della porta della Duat! Concedi che io entri nella sala «Distretto (?) della Verità». Concedi che io sia uno dei seguaci di Sokaris, poiché io sono uno di coloro che han l’offerta funeraria, poiché io sono puro. La tua faccia sia verso di me, o Hathor signora dell’Occidente, Maat alla quale si reca tutto l’Occidente! Concedimi che voli la mia anima al cielo con le anime degli dei grandi, e che si posi sul mio cadavere. Concedi che sia fresca per me l’acqua nel Tempio dell’Anziano come il Grande Anziano che è in Eliopoli! O Thot, possa tu farmi trionfare contro i miei nemici, come hai fatto trionfare Osiri contro i suoi nemici in cospetto del Grande Tribunale che è in Eliopoli quella notte del giudicare i lutti — in cospetto del Grande Tribunale che è in Busiri quella notte del drizzare il pilastro G´ed in Busiri — in cospetto del Grande Tribunale che è in Abido quella notte in cui Horo prese la sede natale degli dei — in cospetto del Grande Tribunale che è in Pe e in Dep2 quella notte del giustificare Horo figlio di Isi figlio di Osiri contro i suoi nemici — in cospetto del Grande Tribunale che è nella festa del «Grande-zappare-laterra-in-Abido» quella notte della festa di Heker3, quando si ripeté ad Osiri «Gloria!» quattro volte; quando si ripeté a Osiri che presiede agli Occidentali «Unnefer è giusto di voce!» quattro volte; quando si ripeté a Sua Maestà (?) «Gloria!» quattro volte.

O Thot, volgi la tua faccia a me, concedi che fiorisca il mio nome entro la mia città e nel mio nômo in perpetuo, come fiorisce il nome di Atum signore di Eliopoli in Eliopoli, come fiorisce il nome di S´u nella Menset4 superiore di Eliopoli. O Thot volgi la tua faccia verso di me, fa’ che fiorisca il mio nome entro la mia città, nel mio nômo in perpetuo: — come fiorisce il nome di Tefnut nella Menset inferiore di Eliopoli — come fiorisce il nome di Geb in Bu-s´emayt5 — come fiorisce il nome di Osiri che presiede agli Occidentali in Abido — come fiorisce il nome di Isi in Ta-ur6 — come fiorisce il nome di Osiri signore di Busiri nel campo (?) di Ang´ty nelle città del suo nômo (?)7 — come fiorisce il nome di Osiri in Eliopoli. — come fiorisce il nome di Uto a Dep — come fiorisce il nome di Nefti a Hebet8 — come fiorisce il nome di Isi in ogni nômo. — come fiorisce il nome di Ba-neb-g´ed9 (a Mendes) — come fiorisce il nome di Thot due volte grandissimo signore di Ermopoli (a Ermopoli). 1. È uno dei più diffusi testi funerari di epoca tarda. Traduco da BUDGE, The Chapters of Coming forth by Day…, London, 1910, III, pp. 175 segg., che riprende l’edizione del LIEBLEIN, Le livre «Que mon nom fleurisse», Leipzig, 1895. 2. I due quartieri di cui consta Buto. 3. Divinità ctonia immaginata come serpente. 4. Menset superiore ed inferiore sono due località presso Eliopoli da cui hanno origine S´u e Tefnut. 5. Località ignota. 6. Il nômo di Abido. 7. Il testo sembra che confonda la grafia di spt «nômo» e di Spd «Sopdu». 8. Cioè Behbet el Hagar, l’antica Iseum nel Delta. 9. Il montone sacro di Mendes.

3. — EPITAFFIO1 A fianco delle concezioni escatologiche ortodosse e tradizionali questo testo funerario di epoca tolemaica mostra un altro filone di pensiero, che ha anch’esso una sua lunga storia nella civiltà egiziana. Già dalla fine dell’età menfita comincia a levarsi, nel coro delle preghiere tradizionali, la voce degli scettici, di coloro che dubitano che l’aldilà sia davvero una terra di serenità e di giustizia, e che si affidano piuttosto alla immediata esperienza del pianto che accompagna la morte, del ribrezzo dei cadaveri abbandonati e delle tombe violate e deserte. Dalla tomba di un sovrano dell’età feudale si dice che provenga un canto posto in bocca a un arpista che invita a non pensare alla morte e all’aldilà, ma a limitarsi a desideri ed a gioie terrene, le sole di cui si abbia certezza. Qui questi atteggiamenti sono ripresi, certo non senza una allusione a questa dotta e ricercata tradizione: ma la forma in cui il dubbio e il terrore dell’oltretomba trovano espressione qui è più amara e desolata che negli altri esempi. Per la vitalità di questa tradizione può essere interessante notare che il motivo è ripreso anche in epitaffi cristiani copti.

«O mio diletto, o mio sposo, mio amico, sommo sacerdote, non stancarti di bere e di mangiare, di essere ebbro e di amare. Festeggia una bella giornata, segui il tuo cuore giorno per giorno. Non dar cure al tuo cuore. Che sono gli anni che non si passano sulla terra? L’Occidente2 è un paese di sonno, fonda oscurità, la sede di ‘ Quelli che sono là’3 che dormono nelle loro bare. Essi non si destano a vedere le loro sorelle, essi non guardano i loro padri, le loro madri. I loro cuori dimenticano mogli e figli». «L’acqua della vita, di cui tutte le bocche si nutrono è per me sete. Essa viene a quelli che son sulla terra; per me è la sete. Acqua è presso di me4, ma io non so il luogo dove essa sia da quando sono giunto a questa Valle5. Datemi acqua corrente da bere, ditemi ‘ La Tua Maestà non sia lontana dall’acqua’. Volgete la mia faccia al vento del Nord, alla sponda dell’acqua. Ah, fate che il mio cuore nella sua pena abbia refrigerio.

Quel che riguarda la morte, il suo nome è’ Vieni!’6. Tutti quelli che essa chiama a sé vengono subito a lei e i loro cuori sono spaventati per timore di lei. Non c’è nessuno, fra gli dei e gli uomini, che la guardi; eppure sono i grandi in sua mano come i piccoli. Non c’è nessuno che possa sviare il suo cenno da sé e da quelli che egli ama. Essa strappa i figli dalla madre più volentieri dei vecchi7 che girano a lei dattorno. Tutti temendo passano davanti a lei. Ma essa non porge loro orecchio. Essa non viene a chi la venera, non ascolta chi la loda, non guarda a quel che le viene offerto. O voi tutti che venite a questa terra8 offritemi incenso e acqua in tutte le feste dell’Occidente. 1. Da un’iscrizione per un sacerdote nell’anno 10 di Cleopatra. BRUGSCH, Thes. Inscr. Aeg. 926. Recentemente tradotto in SCHOTT, Altaegyptische Liebeslieder, Zürich, 1950, pp. 144-145. 2. Il paese dei morti. 3. Indicazione eufemistica dei morti. «Là» è l’oltretomba. 4. L’acqua dell’offerta funeraria che il morto non riesce a raggiungere anche se gli è vicina. 5. La «Valle» del deserto dove è la necropoli. 6. Tale è la parola che la caratterizza, in quanto è la sola che essa dica. 7. La morte preferisce i bambini ai vecchi. 8. La necropoli.

4 — UN VIAGGIO NELL’ALDILÀ1 Questa versione egiziana di un viaggio agli inferi è di epoca assai tarda: il papiro demotico che la tramanda è di età imperiale. Essa è un episodio di una assai complicata storia, in cui viene narrata la lotta fra due maghi, reincarnatisi per riprendere una loro gara, legata anche al prestigio nazionale, dato che l’uno è nubiano mentre l’altro è egiziano. Il mago egiziano è Si-usire, che nasce come figlio non più sperato di Setne, anch’egli principe mago — e personaggio, in ultima analisi, storico. Ancora fanciullo il mago reincarnato meraviglia tutti con la sua saggezza e il suo sapere; e perfino a suo padre è capace di fare da guida. Fra l’altro, lo conduce in questo viaggio oltremondano, la cui esperienza è per noi estremamente interessante, in quanto mostra quanto lontano dagli schemi tradizionali sia l’aldilà della fantasia popolare di questi tempi. È facile vedere tracce di concezioni greche in particolari singoli; ma più da notare il pessimismo con il quale sono descritti i casi di coloro che non sono amati da dio, e il rigoroso spirito antiritualistico. Questo, svalutando la concezione secondo cui il rito funerario è quello che assicura la felice sopravvivenza, riprende una concezione già nota, e cioè che è la virtù quella che conta nel giudizio oltraterreno: ma con un colorito nuovo, e cioè con una opposizione fra il povero virtuoso e il ricco peccatore che riecheggia il motivo di Lazzaro e del ricco epulone.

Setne vide un ricco, vestito di abiti di bisso, che stava vicino al luogo in cui era Osiri, ed era grande assai la situazione in cui egli era. Setne si meravigliava un mondo di queste cose che vedeva nell’Amente2; e Si-Usire gli uscì davanti e gli disse: «Padre mio Setne, non hai visto quel ricco avvolto in abiti di bisso che era presso il luogo in cui era Osiri? Quello è il povero che tu hai visto mentre lo portavano via da Menfi, e non veniva nessuno al suo seguito, ed egli era avvolto in una stuoia3. Questi, quando è stato portato nella Duat4, han misurato le sue colpe in rapporto alle buone azioni che aveva compiuto sulla terra. Si trovò che le sue buone azioni eran più numerose che le sue colpe, per il tempo della durata in vita che Thot gli aveva prescritto come spettanza. A causa della sua bontà sulla terra, fu comandato in cospetto di Osiri che fossero ceduti gli addobbi funerari di quel ricco che tu hai visto mentre lo portavan via da Menfi5, ed eran tanto più numerose le lodi6 che si facevan per lui che non per questo povero qui. Ed egli fu portato fra gli spiriti eletti come un uomo pio al seguito di Seker-Usir, e presso il luogo in cui è Osiri. Ma quel ricco che tu hai veduto, quando fu portato nella Duat han misurato le sue colpe in rapporto con le sue buone azioni, e han trovato che le colpe eran più numerose delle opere buone che aveva compiuto in terra. Fu giudicato in relazione a questo nell’Amente: egli è quell’uomo che tu hai visto, nel cui occhio destro è confitto il cardine della porta dell’Amente. E quando si chiude e si apre sul suo occhio, la sua bocca si apre ad un alto grido. Come è vero che vive Osiri, il dio grande, signore dell’Amente, io ti ho detto sulla terra che avrebbero fatto per te nel modo in cui si faceva per quel povero, e non ti si sarebbe fatto nel modo in cui si faceva per quel ricco7.

Disse Setne: «Figlio mio Si-Usire, molte sono le meraviglie che ho visto nell’Amente; ma fa’ che io sappia che cosa accade con quella gente che torce funi, e alle cui spalle c’è molto cibo, mentre ci sono altri il cui vitto è acqua e pane sospeso sopra di loro, e che saltano per portarlo giù, ed altri scavano fosse sotto i loro piedi per non permettere che essi li raggiungano?». Disse Si-Usire: «È una cosa vera, o padre mio Setne. Quegli uomini che tu hai visto a torcer funi mentre alle loro spalle c’è molto cibo, è la sorte degli uomini sulla terra che son sotto la maledizione di dio. Essi si affaccendano di notte e di giorno per campar la vita, e anche le loro mogli sono loro rubate alle loro spalle, e in genere non trovano mai un tozzo di pane da mangiare. Quando questi giungono all’Amente, di nuovo si trova che le loro colpe sono più numerose che le opere buone, e si trova che quel che accadeva di loro sulla terra, accade di loro nell’Amente, insieme con quegli altri uomini che hai visto, il cui cibo è acqua e pane sospesi sopra di loro, ed essi saltano per portarli giù, mentre altri scavano fosse sotto i loro piedi per far sì che non li raggiungano. Questa è la sorte degli uomini che, sulla terra, avevan la vita davanti a sé, ma dio scavava una fossa sotto i loro piedi perché essi non potessero raggiungerla. Quando questi giungono all’Amente, di nuovo è loro destinato che, quel che soleva accadere di loro sulla terra, accada di loro nell’Amente di nuovo. Considera questo nel tuo cuore, o padre mio Setne, che a chi è buono sulla terra saran buoni nell’Amente, e a chi è cattivo, saranno cattivi». 1. Da una complicata storia demotica. Il testo è tradotto secondo l’edizione di ERICHSEN, Demotische Lesestücke, Leipzig, 1937, pp. 41 segg. Cfr. però GRIFFITH, Stories of the High Priests of Memphis, Oxford, 1900. 2. L’Aldilà (1’«Occidente»). 3. Allude a un miserabile funerale che Setne e Si-Usire avevano incontrato sulla terra mentre si avviavano al viaggio oltremondano. 4. L’Aldilà. 5. Si allude a un altro funerale, sontuosissimo questo, in cui si erano imbattuti insieme con l’altro. 6. Le lodi delle prefiche, o comunque di chi lamentava il morto. 7. Setne, fiducioso nel valore del rito, aveva considerato migliore la condizione del ricco dal solenne funerale che non quella del povero, privo di garanzie ufficiali di immortalità.

LA MAGIA —DAL «PAPIRO MAGICO DI LONDRA E LEIDA»1 Della vasta letteratura magica di bassa epoca, sia in egiziano che in greco, il documento più ampio e più notevole è questo papiro di cui parte è conservata a Leida e parte a Londra. È una lunga raccolta di formule, una specie di prontuario per un professionista, che dà una assai varia visione di quelle che sono le pratiche magiche, le tecniche diverse che possono venire adoperate, gli scopi cui può rivolgersi la magia. Le evocazioni di spiriti e di divinità, attraverso un fanciullo che funge da medium e che viene prima opportunamente saggiato nelle sue qualità e quindi incantato, non trovano riscontro nella magia più antica. L’incantesimo amatorio e la formula per fare perdere il senno sono di più tradizionale composizione e di tecnica ben conosciuta. Interessante è nelle formule — per lo più qui non riportate — l’uso di parole magiche dal suono barbarico, spesso di consonanza semitica, e talvolta invece greche; il greco, d’altronde, appare talvolta usato liberamente.

A) Evocazione con la coppa Tu dirai al bambino: «Apri gli occhi». Quando egli apre gli occhi e vede la luce, tu farai che egli gridi dicendo: «Cresci, cresci, o luce! Esci, esci o luce! Sali, sali, o luce! Ascendi, ascendi, o luce! Tu che sei fuori, vieni dentro!». Se egli apre gli occhi e non vede la luce, gli farai chiudere gli occhi e griderai a lui di nuovo. Dire le parole: «O oscurità, togliti da davanti a lui! O luce, porta dentro la luce a me. O S´ay2 che è nel Nun, porta dentro la luce a me! O Osiri, che è nella barca Nes´met, porta dentro la luce a me! O quattro venti che siete fuori, portate dentro la luce a me! O tu nelle cui mani è il momento che appartiene a queste ore3, porta dentro la luce a me! O Anubi, tu buon pastore, porta dentro la luce a me! Poiché tu darai protezione (?) a me qui oggi. Perché io sono Horo figlio di Isi, il buon figlio di Osiri, e tu porterai gli dei del luogo del giudizio, e tu farai che essi compiano le mie faccende, ed essi faranno che le mie cose progrediscano. Netheòu, tu farai che essi facciano questo. Perché (io sono) Touramnei, Amnei, A-a, Mes — due volte —, Ornouorf — due volte —, Ornouorf — due volte—, Pahorof… Pahrof, Io… Touhor, fate che prosperi questo bambino, la cui faccia è chinata su questo olio, e tu (scorterai) Sobk a me finché egli venga fuori. Setem è il mio nome. Setem è il mio nome giusto. Poiché io sono L(ot), M(oulo)t, Toulot, Tat, Peintat è il mio nome giusto. O grande dio, il cui nome è grande, appari a questo bambino senza fargli paura e senza menzogna, in verità!». Tu dovrai pronunciare queste formule sette volte, e gli farai aprire gli occhi. Se la luce è buona ed egli dice: «Anubi sta entrando», tu reciterai in

cospetto a lui. Dire le parole: «O Rig´, Murig´, o To-ur-to! O tu bel maschio partorito da Herieou, la figlia della Nemet! Vieni a me, poiché tu sei il fiore di loto che è uscito entro il loto di Pnastor e che illumina la terra intera. Salve, o Anubi, vieni a me, tu alto, tu possente, tu sovrastante ai misteri di coloro che sono nella Duat, tu faraone di coloro che sono nell’Amente4, tu grande medico, tu buon figlio di Osiri5, tu la cui faccia è posta fra gli dei, tu ti manifesti nella Duat davanti alle mani di Osiri. Tu sei al seguito delle Anime di Abido, poiché esse tutte vivono per te, queste anime, quelle della santa Duat. Vieni sulla terra; mostrati a me qui oggi. Tu sei Thot, tu sei quegli che uscì dal cuore di S ´ay, il padre dei padri di tutti gli dei. Vieni alle bocche della mia tazza oggi, e dimmi una risposta verace a qualsiasi cosa su cui io chieda, senza falsità. Poiché io sono Isi la saggia, colei le parole della cui bocca avvengono». Dire le parole sette volte6. Tu dirai al bambino: «Parla ad Anubi dicendo:’Esci, introduci gli dei’». Quando egli va per loro e introduce gli dei, tu domanderai al bambino dicendo: «Sono entrati gli dei?». Se egli dice: «Sono entrati», e tu7 li vedi, tu reciterai davanti a loro. Dire le parole: «Levati per me, levati per me, o S´ay! Levati per me, Mera, il Grande di Cinque, Didiou, Teng´iou, fa’ giustizia per me. O Thot, fa’ che la creazione riempia la terra di luce! O ibis nel suo nobile volto, nobile che penetra i cuori, fa’ che la verità sia tutta fuori, tu grande dio il cui nome è grande». Dire sette volte. Tu dirai al bambino: «Parla ad Anubi, dicendo’Porta una tavola per gli dei, e fa che essi si assiedano’». Quando essi si sono assisi, tu dirai: «Porta una (brocca) di vino, stappala per gli dei. Porta del pane, e fa’ che mangino, fa’ che bevano, e fa’ che passino una giornata lieta». Quando essi hanno finito, tu parlerai ad Anubi dicendo: «Interrogherai per me?». Se egli dice «Subito», tu gli dirai: «Il dio che è disposto a interrogare per me oggi, fa’ che egli si alzi». Se egli dice: «Si è alzato», tu gli (cioè «al bambino») dici: «Di’ ad Anubi:’ Leva le cose di mezzo’». Tu reciterai davanti a lui dicendo: «O S´ay di oggi, signore di oggi, o tu cui appartengono questi momenti!». Tu farai che egli (cioè il bambino) dica ad Anubi: «Il dio che vorrà interrogare per me oggi, fa’ che egli dica a me il suo nome». Quando egli si

leva e dice il suo nome, tu lo interrogherai circa ogni cosa che tu voglia. La sua «raccolta degli spiriti»8. Tu porterai sette mattoni nuovi prima che sian stati mossi, in modo da voltarli dall’altra faccia. Tu li porterai essendo puro, senza fare che tocchino cosa al mondo, e li collocherai di nuovo nel modo in cui erano collocati. Tu porrai tre mattoni sotto l’olio9, e gli altri quattro mattoni tu li collocherai attorno al bambino, in modo che non tocchi alcuna parte di lui il suolo. Oppure sette rami di palma, che adopererai nello stesso modo. E tu prenderai sette pani puri e li collocherai attorno all’olio, con sette zolle di sale e tu prenderai un piatto nuovo e lo riempirai con puro olio dell’Oasi, e lo andrai aggiungendo al piatto gradatamente, senza produrre intorbidamento (?), cosicché divenga perfettamente chiaro. Tu porterai un bambino, puro, che non sia ancora stato con donna, e parlerai sulla sua testa mentre egli è in piedi, prima, (per vedere) se sarà utile10 andando alla coppa. Se è utile, tu farai che egli giaccia sul ventre; tu lo vestirai di una tunica di lino pulita, con una cintura nella parte superiore della tunica. Tu reciterai la formula di cui sopra sulla sua testa, mentre egli guarda giù osservando l’olio, per sette volte, mentre i suoi occhi sono chiusi. Quando tu avrai finito, fagli aprire gli occhi, e interrogalo su quel che vuoi. Tu farai questo fino all’ora settima del giorno. La formula che tu pronuncerai in anticipo sul suo capo, per provarlo nelle sue orecchie se sarà utile nel recarsi alla coppa. Dire le parole: «Nobile ibis, sparviero, falco nobile e possente!». Tu reciterai questo sulla sua testa per sette volte. Se tu reciti questo, le sue orecchie parleranno11. Se le sue due orecchie parlano, egli è molto, molto buono; se è la sua orecchia destra, egli è buono; se è la sua orecchia sinistra, egli è cattivo. Prescrizione per incantare una coppa rapidamente, cosicché gli dei entrino e ti diano risposta verace. Tu porrai il guscio di un uovo di coccodrillo, o quel che è in esso, sulla fiamma: sarà incantata immediatamente. Prescrizione per farli parlare. Tu porrai una testa di rana sul braciere, ed essi parleranno. Prescrizione per portare gli dei dentro di forza. Tu porrai bile di coccodrillo e mirra macinata sul braciere. Se tu vuoi che essi entrino rapidamente di nuovo, poni stecchi di anaci (?) sul braciere, insieme con gusci d’uovo, come sopra, e l’incantesimo agirà subito.

Se tu vuoi evocare un uomo vivo, tu porrai solfato di rame sul braciere, ed egli viene. Se tu vuoi evocare uno spirito, tu porrai la pietra saur e la pietra ilekh sul braciere, e lo spirito verrà dentro. Se poni il cuore di una iena o di una lepre, benissimo due volte. Se tu vuoi evocare un uomo annegato (hesy)12, tu porrai pietra di granchio marino sul braciere. Se tu vuoi evocare un uomo assassinato, tu porrai sterco d’asino con un amuleto di Nefti sul braciere, ed egli verrà. Se tu vuoi che tutti loro se ne vadano, tu porrai sterco di scimmia sul braciere, ed essi partiranno tutti alle loro sedi e tu reciterai la formula di commiato. Se tu vuoi evocare un ladro, tu porrai polvere di croco e allume sul braciere. La formula che tu reciterai quando li rinvii alle loro sedi: «Buon commiato! Gioioso commiato!». Se tu vuoi che gli dei vengano a te e che la coppa eserciti la sua magia rapidamente, tu prenderai uno scarabeo e lo annegherai nel latte di una vacca nera e lo metterai sul braciere; egli attuerà la sua magia nel momento stesso e la luce verrà. Un amuleto da legarsi al corpo di colui che ha la tazza, per far sì che essa attui la magia rapidamente. Tu prenderai una fascia di lino di sedici fili, quattro di bianco, quattro di (verde), quattro di azzurro, quattro di rosso, e li farai in una sola fascia, e li lorderai con il sangue di upupa, e tu li legherai con uno scarabeo nel suo atteggiamento di Ra13 annegato, avvolto in bisso, e tu lo legherai al corpo del bambino che ha la coppa, e attuerà la sua magia rapidamente. Non c’è nulla di meglio di questo, al mondo. B) Una interrogazione della lampada Tu andrai in una cella buia che sia pura, e tu scaverai un buco nuovo in un muro orientale, e tu prenderai una lampada bianca, in cui non sia stata messa ocra o acqua di gomma, che abbia il lucignolo pulito, e tu la riempirai di olio dell’Oasi nuovo e pulito, e tu reciterai la formula di adorazione a Ra al mattino al suo sorgere, e tu porterai la lampada accesa dalla parte opposta al sole, e reciterai per lei le formule sotto riportate quattro volte, e la porterai nella cella

essendo puri tu e il bambino. Tu pronuncerai la formula al bambino, senza che egli guardi la lampada e mentre egli ha gli occhi chiusi, sette volte. Tu porrai mirra nel braciere. Tu porrai il tuo dito sul capo del bambino, mentre egli ha gli occhi chiusi. Quando tu avrai finito, fagli aprire gli occhi verso la lampada: egli vedrà l’ombra del dio attorno alla lampada, ed egli interrogherà per te circa quel che tu vuoi. Tu devi compiere il rito a mezzogiorno, in un posto senza luce. Se tu interrogherai per uno spirito dannato, un lucignolo di tela da vele è quel che porrai nella lampada e la riempirai di burro puro. Se è per qualche altra faccenda, un lucignolo puro con olio vero e puro è quel che porrai nella lampada. Se tu vuoi evocare un uomo o una donna, unguento di rosa è quel che tu porrai nella lampada. Tu porrai la lampada su un mattone nuovo e anche il bambino deve sedere su un altro mattone, a occhi chiusi. Tu reciterai sulla sua testa quattro volte. Formula che tu reciterai alla lampada e al lucignolo prima di recitarla al bambino. Dire le parole: (segue la formula)14. C) Incantesimo amatorio O scarabeo, o scarabeo, tu sei lo scarabeo di lapislazzuli vero, tu sei l’occhio di Ra, tu sei l’occhio di Atum, la palma (della mano) (?) di S´u, il cuore (?) di Osiri. Tu sei il toro nero, il primo, che uscì dal Nun mentre la bellezza di Isi era con te. Tu sei Raks, Raparaks, il sangue di quel cinghiale selvaggio che è stato portato dalla terra di Siria in Egitto… Io ti invio: vuoi tu andare per le mie commissioni? Lo farai? Tu dici: «Mandami all’assetato, che la sua sete possa essere spenta; e al canale, che possa essere inaridito; e alla sabbia del s ´nyt15, che possa essere dispersa senza vento; e al papiro di Buto, che la lama possa essergli presso. Mentre Horo è salvo per Isi, le catastrofi aumentano per gli Egiziani, cosicché né uomo né donna fra di loro è lasciato». Io ti mando: fa’ lo stesso a loro. Io ti mando al cuore della Tale figlia della Tale, e tu porrai il fuoco al suo corpo, la fiamma alle sue viscere, tu porrai la follia al suo cuore, la febbre alla sua carne. Falle dare l’inseguimento della costellazione della Spalla dietro quella dell’Ippopotamo16; fa’ che essa compia il moto del sorgere del sole dietro l’ombra, seguendo il Tale figlio della Tale in ogni posto in cui egli sia, innamorata di lui, pazza per lui, senza più capire ove

essa si trovi. Levale il sonno la notte, dàlle lamento e ansia il giorno. Fa’ che non mangi, fa’ che non beva, fa’ che non dorma, fa’ che non sieda all’ombra della sua casa, ma unicamente lo segua in ogni posto in cui egli sia, e che il suo cuore smemori, il suo occhio vaghi, il suo sguardo sia proteso, ed essa dimentichi il luogo ove essa è, finché non veda lui, l’occhio di lei nell’occhio di lui, il cuore di lei al cuore di lui, la mano di lei nella mano di lui… Fa’ che la punta dei piedi di lei sia dietro il calcagno del piede di lui nella strada, a ogni momento, senza mai cessare. Presto! Presto! In fretta! In fretta!17 D) Magia nera (Formula) per rendere folle qualsiasi uomo e qualsiasi donna. Tu prenderai un capello dell’uomo che tu vuoi insieme con un capello di un uomo morto. Tu li legherai l’uno all’altro e li legherai al corpo di un falco, e lo lascerai andar via vivo. Se tu vuoi far questo per vari giorni, metti il falco in qualche posto, e allevalo in casa tua. 1. GRTFFITH and THOMPSON, The Demotic Magical Papyrus of London and Leiden, 3 voll., London, 1904-9. Si tratta di una raccolta di testi magici di vario carattere, conservata in un manoscritto del III secolo d. C. di cui diamo solo qualche esempi). I passi tradotti sono rispettivamente: A = II, 1 III, 35; B = = VI, 1-11; C = XXI, 32-43; D = vs. col. XXIX. 2. La divinità del destino, che nei testi greci affini porta il nome di agathos daimon. 3. Cioè il dio che ha in questo momento l’autorità. 4. L’«Occidente» come paese dei morti. 5. Anubi è figlio di Osiri e di Nefti anche per Plutarco. 6. «sette» (e altrove in questi testi 77): numero rituale. 7. Da correggere evidentemente in «egli». 8. È il termine tecnico che indica la parte manuale, non formulare, della operazione magica. 9. Cioè sotto la tazza in cui sta l’olio. 10. Cioè se sarà adatto a fare da medium. 11. Si allude a uno speciale suono nelle orecchie. 12. Hesy è l’uomo annegato e pertanto considerato santo. 13. Lo scarabeo è animale solare, ed ha un «atteggiamento di Ra». 14. Qui omessa. 15. Nome di luogo. 16. «Fa’ che essa agisca come la costellazione della Spalla, che segue sempre la costellazione dell’Ippopotamo». 17. Frequente questo incitamento, che riguarda la rapidità con la quale deve compiersi l’incantesimo.

IL MITO 1. — UN MIRACOLO DI KHONSU1 È una stele che proviene da un tempietto greco-romano di Khonsu a Tebe, e che certamente è un falso tardivo. La datazione, fittizia, comporta un protocollo che è in parte quello di Thutmose IV, in parte quello di Ramessese II. Al secondo dei sovrani comunque certo il falsario pensava di riferirsi, e certo anche il nome della principessa di Battriana è calcato sul nome della principessa hittita che fu sposa a Ramessese II, e le cui nozze con il faraone furono celebrate con molta solennità, e ricordate in una stele di cui si hanno duplicati: un testo, anche quello, di evidenti ambizioni letterarie. Allo stile epigrafico ufficiale qui si cerca di adeguarsi; ma in realtà si ha piuttosto come risultato il tono della novellistica neoegiziana. I viaggi di divinità sanatrici sono noti nell’Oriente antico. Già alla fine della XVIII dinastia sappiamo che da Babilonia fu spedita in missione in Egitto la dea Is´tar alla corte di Amenofi III. Qui il viaggio è invece effettuato da un dio tebano che si reca in Asia. La storia è certo destinata a far propaganda alle virtù sanatrici e esorcistiche del titolare del tempio, e probabilmente anche a stabilire in che modo e secondo quali regole dovessero essere divise le offerte. Interessante è la funzione che assumono le diverse statue dello stesso dio, che appare qui in due forme. Così anche Ammone, a Tebe, ha varie manifestazioni; e anche di Ammone c’era una immagine destinata a viaggiare. La novella di Bentres´, più che un documento di precisa speculazione religiosa, è uno scorrevole testo narrativo che presuppone — e perciò per noi testimonia — un ben definito modo di religiosità, in cui gli dei intervengono nelle cose umane, compiono miracoli, esprimono la loro volontà. Ma tutta questa facilità di manifestazioni presuppone l’opera di interpreti della volontà divina, e cioè dei sacerdoti che consolidano per tal via la loro importanza nella tarda società egiziana. Sua Maestà2 era dunque in Naharain3 secondo il suo costume di ogni anno;

e i grandi di tutti i paesi stranieri vennero inchinandosi e in pace, poiché l’autorità di Sua Maestà giungeva fino all’estremo settentrione. I loro tributi di argento, oro, lapislazzuli, turchese, ogni pianta aromatica del Paese di Dio4, erano sulle loro spalle; e ciascuno voleva essere da più del suo compagno. Il principe di Bekhten5 fece portare i suoi tributi, e pose in testa ad essi la sua figlia maggiore, rendendo così onore a Sua Maestà e implorandone il soffio vitale6. Ella fu estremamente cara al cuore di Sua Maestà, più di ogni altra cosa. Così le fu fatta una titolatura come «Grande sposa regale Nefru-Ra»7, e quando Sua Maestà fu tornato in Egitto, essa adempié ad ogni funzione di regina. Accadde l’anno 258, giorno 22 del secondo mese dell’estate, mentre Sua Maestà era a Tebe la Vittoriosa, signora delle città, a compiere le cerimonie per suo padre Amon Ra, signore del Trono delle Due Terre9, nella sua bella festa di Ipet del Sud10, la sua sede favorita della Prima Volta11, che si venisse a dire a Sua Maestà: «È giunto un messaggero del principe di Bekhten, carico di numerosi doni per la regina». Allora fu fatto passare in cospetto di Sua Maestà

con i suoi doni. Egli disse rendendo onore a sua Maestà: «Gloria a te, Ra dei Nove Archi!12 Dacci la vita che vien da te!». Egli disse, baciando la terra in cospetto di Sua Maestà, e ripeté dicendo a Sua Maestà: «Io vengo a te, o sovrano signor mio, per Bentres´13, la sorella minore della regina Nefru-Ra: una malattia è penetrata nelle sue membra. Voglia la Tua Maestà comandare un savio che la visiti». Disse allora Sua Maestà: «Mi si conduca il personale della Casa della Vita14 e i funzionari della corte». Essi furono subito introdotti, e Sua Maestà disse: «Ecco, io vi ho fatto chiamare perché udiate questa parola. Orsù, portatemi un conoscitore fra di voi che sappia scrivere con le sue dita». Venne il regio scriba G´ehuty-em-heb15 in cospetto di Sua Maestà, e Sua Maestà ordinò che partisse per Bekhten con questo messaggero. Il savio giunse a Bekhten, e trovò Bentres´ con i sintomi di chi è posseduto da uno spirito. E trovò che era un nemico con cui era possibile combattere16. Allora il principe di Bekhten mandò di nuovo a Sua Maestà, dicendo: «O sovrano signor mio, fa che la Tua Maestà ordini di far portare un dio (a Bekhten». Questo messaggio arrivò) a Sua Maestà l’anno 26, il primo mese d’estate, durante la festa di Ammone, mentre Sua Maestà era a Tebe. Sua Maestà allora riferì in cospetto di Khonsu Tebano Neferhotep, dicendo: «Mio buon signore, io riferisco in tuo cospetto sulla figlia del principe di Bekhten». Quindi fu fatto entrare Khonsu Tebano Neferhotep da Khonsu-chegoverna, il grande dio che scaccia gli spiriti vaganti. Disse Sua Maestà in cospetto di Khonsu Tebano Neferhotep: «Mio buon signore, se tu volgi la faccia verso Khonsu-che-governa, il grande iddio che scaccia gli spiriti vaganti, si farà che egli vada a Bekhten». Profondo cenno di consenso, due volte17. Proseguì Sua Maestà: «Fa’ che sia con lui la tua qualità di protettore magico, in modo che io possa fare che vada Sua Maestà18 a Bekhten per salvare la figlia del principe di Bekhten». Profondo cenno di consenso, due volte di Khonsu Tebano Neferhotep. Quindi egli dette le sue qualità di protettore magico a Khonsu-che-governa-in-Tebe19, 4 volte. Sua Maestà ordinò che facessero andare Khonsu-che-governa-in-Tebe verso la grande barca sacra, con una scorta di cinque battelli da trasporto, cocchi e cavalli numerosi a destra e a sinistra. Questo dio giunse a Bekhten in un anno e cinque mesi compiuti. Il principe di Bekhten venne con i suoi soldati ed i suoi grandi incontro a Khonsu-che-governa, si gettò ventre a terra e disse: «Tu vieni da noi e ci sei benevolo secondo quel che ha comandato User-maat-

Ra Setep-en-Ra»20. Quindi questo dio andò nel posto in cui era Bentres´, fece la protezione magica della figlia del principe di Bekhten. Essa stette subito bene; ed ecco che disse lo spirito che era con lei in cospetto di Khonsu-che-governa-in-Tebe: «Benvenuto in pace, o grande dio che scacci gli spiriti vaganti. Bekhten è la tua città, i suoi abitanti son tuoi servi. Io stesso sono un tuo servo, e me ne andrò nel luogo donde son venuto, per far sì che sia sereno il tuo cuore circa quel per cui tu sei venuto. Voglia la Tua Maestà fare un giorno di festa con me e con il principe di Bekhten». Allora questo dio fece un segno di assenso al suo profeta, dicendo: «Fa’ che il principe di Bekhten faccia una grande offerta in cospetto di questo spirito». Mentre dunque capitavano queste cose e Khonsuche-governain-Tebe operava con lo spirito, il principe di Bekhten stava con i suoi soldati, ed aveva grande timore. Allora fece una grande offerta in cospetto di Khonsu-che-governa-in-Tebe e lo spirito del principe di Bekhten, per fare un giorno di festa in loro onore.

Lo hesi Pamun Il monumento di arenaria nubiana è di età romana, e rappresenta un hesi (lodato) di nome Pamun. Il titolo è caratteristico, in età tarda, di coloro che muoiono annegati nel Nilo e che per ciò stesso vengono divinizzati. La tradizione è nota agli scrittori classici, che tramandano la definizione (nota anche da epigrafi) di έσίης per questi eroi.

(Torino, Museo Egizio, cat. 1556).

Allora lo spirito se ne partì in pace per il posto che gli piacque, secondo l’ordine di Khonsu-che-governa-in-Tebe; ed il principe di Bekhten si rallegrò molto grandemente, con ogni persona che fosse in Bekhten. Quindi prese consiglio con il suo cuore dicendo: «Farò che questo dio resti qui a Bekhten, e non lo farò ritornare in Egitto». Così questo dio soggiornò per tre anni e nove mesi a Bekhten. Ma una volta che il principe di Bekhten dormiva sul suo letto, egli vide questo dio che era venuto sulla scala (?) della sua cappella, ed era in forma di un falco d’oro che si levava al cielo in direzione dell’Egitto. Egli si risvegliò in agitazione, e disse al profeta di Khonsu-che-governa-in-Tebe: «Questo dio è ancora qui con noi? Vada in Egitto; tornino i suoi carri in Egitto». Così il principe di Bekhten fece che questo dio partisse per l’Egitto e gli dette tributi numerosissimi di ogni cosa buona, e truppe e cavalli numerosissimi. Essi giunsero a Tebe in buono stato, e allora Khonsu-chegoverna-in-Tebe si recò alla casa di Khonsu Tebano Neferhotep, e depose i tributi che gli aveva offerti il principe di Bekhten sotto forma di ogni cosa buona in cospetto di Khonsu Tebano Neferhotep, e non lasciò nulla di questo alla sua casa. Giunse Khonsu-che-governa-in-Tebe alla sua casa in pace nell’anno 33, il secondo mese d’inverno, il giorno 9, sotto il regno di User-maat-Ra Setep-en-Ra, che possa aver vita in eterno come Ra! 1. Ho avuto sott’occhio il testo quale è dato da DE BUCK, Egyptian reading Book, Leyden, 1948, pp. 106 segg. Ma ho tenuto naturalmente presente la traduzione di G. LEFEBVRE, Romans et contes égyptiens, Paris, 1949, p. 219, che ha il vantaggio di tener conto di una revisione dell’originale (già alla Bibliothèque Nationale, oggi al Louvre). L’introduzione del Lefebvre dà una corretta notizia dei problemi offerti dal testo e della bibliografia. 2. Precede, come abbiam detto, la titolatura regia che abbiamo omesso. 3. Il «Paese dei Due Fiumi», la Parapotamia classica. 4. In genere il Paese di Punt, qui invece il Libano. 5. La Battriana, con la quale l’Egitto antico non sembra abbia avuto contatti diretti fino all’epoca persiana. 6. È, questa, frase ufficiale: i tributari chiedono sempre al faraone «il soffio della vita». 7. La sposa hittita di Ramessese II, di cui questa è la rievocazione novellistica, si chiama Maat-Hornefru-Ra. 8. Per la cronologia interna del racconto, bisogna coreggere in 23. 9. Karnak. 10. Luqsor, sede di una celebre festa. 11. La «Prima Volta» è il momento della creazione. 12. I «Nove Archi» rappresentano il complesso dei nemici tradizionali dell’Egitto. 13. Probabilmente Bent-res´(ep) «Figlia del (dio)Res´ep»; nome pienamente semitico. 14. La Casa della Vita è una specie di alta scuola di medicina e di magia. 15. Un personaggio storico di questo nome e di queste funzioni è noto per l’epoca di Ramessese II.

16. È questo, linguaggio tecnico dei medici. 17. Nella prassi oracolare egiziana, gli dei fanno movimenti che vanno interpretati. 18. È il dio che va a Bekhten (una delle due forme di Khonsu). 19. Che è così come un delegato del suo omonimo più importante. 20. Il prenome di Ramessese II.

2. — LA DEA LONTANA1 Questo breve e lambiccato inno a Hathor è uno fra i documenti più espliciti di un mito della dea, che ha potuto essere ricostruito dallo Junker riunendo una serie di allusioni frequenti nei testi tolemaici. Tefnut, una dea leonessa, vive in Nubia dove è feroce signora del posto. Ra vuol fare venire in Egitto questa sua selvaggia figliola, e manda a convincerla S´u e Thot, che riescono a persuadere la dea trasformandosi in scimmie, e raccontandole una serie di storie. Arrivata a Elefantina, la frontiera dell’Egitto, la dea muta carattere, e si fa benevola e festosa, e assume la forma di Hathor: la dea celeste dell’amore e della danza. Ma il suo feroce carattere primitivo è ricordato nelle orge del suo culto.

Salve, o Hathor, signora di Dendera, dai nascosti consigli nella Nubia; signora del terrore a capo di Hen, abitante del paese dei Trogloditi, che giudica Uten, signora della fiamma, che arde la Terra dei Negri, da quando Atum fece nh’s2 in questo tuo nome di Negra. Signora delle scimmie fra i babbuini3, in questo tuo nome di Utet4. O tu forte in Kenset5 quando essa si adirò … suo padre Ra in questo tuo nome di Sekhmet6. A te inviò Ra il suo cuore7 dietro di te in questo suo (testo: tuo) nome di Ibis8. 1. DUEMICHEN, Hist. Inschr. II, 57 d (da Dendera), nella elaborazione di JUNKER, Auszug der Tefnut Hathor aus Nubien, in Abh. Kgl. Pr. Ak. Wiss., Phil. Hist. Kl., Berlin, 1911. 2. Parola di dubbio significato, in allitterazione con nh’st «negra». 3. Gli dei inviati a convincere Tefnut assumono aspetto di scimmie. 4. È uno strumento sacro al culto di Hathor. 5. Il paese della Nubia meridionale da cui proviene la dea. 6. La dea leonessa di Menfi, identificata con Tefnut; leonessa nubiana. 7. Thot. 8. Gioco di parole fra «inviare» (hab) e «ibis» (heb). Ma l’ibis è anche l’animale sacro a Thot.

LA PIETÀ 1. — PREGHIERA TOLEMAICA1 Sono tre preghiere che mostrano come anche in epoca assai tarda continuino il linguaggio e il culto tradizionale. C’è la prosecuzione di una speciale pietà, di tipo neoegiziano, in cui ci si rivolge direttamente agli dei, ci si compiace della loro benevolenza, si è fieri di essere loro fedeli. Il tono appassionato delle vecchie preghiere è comunque qui scomparso: fa posto a una assai più compassata espressione di pietà.

Egli dice: «Ti rivolgo la mia preghiera, o signore mio Osiri, perché tu mi ringiovanisca, poiché io sono il tuo seguace; perché tu mi divinizzi fra i seguaci del tuo ka che sono nel favore della Tua Maestà; perché tu vivifichi la mia anima fra gli Illustri2 che sono buoni per il tuo cuore. In eterno». Egli dice: «Ti rivolgo la mia preghiera, o signora mia Isi, poiché sono il seguace della Tua Maestà. Sii benigna per me con il tuo bel volto. Fa’ per me un soffio di vita connesso con un vento che porta il respiro fra i servi perfetti che seguono il tuo ka. In eterno. Ti rivolgo la mia preghiera, o signore mio Ptah. Glorificami, poiché io sono il tuo seguace. Vivifica la mia anima con l’entrare e l’uscire a seguito del tuo ka. In eterno». 1. È scolpita sopra una statua naofora di un personaggio menfita. Pubblicata da E. DRIOTON, À propos d’une statue naophore d’époque ptolémaïque, in «Bull. Inst. d’Ég.», XXXIII (1950-51), Le Caire, 1952, pp. 247 segg. 2. iqrw.

2. — LA SEPOLTURA DI UN’IBIS1 Il culto degli animali sacri risale in Egitto all’epoca preistorica: ma sembra che presto, con il farsi antropomorfe delle divinità, esso abbia perso dell’importanza primitiva, anche se teste ferine e simboli ferini restano connessi con la maggior parte degli dei. All’inizio dell’età dinastica sembra che si debba ascrivere la costituzione di alcuni culti di specifici animali sacri, che non ebbero però un peso particolare nella religione egiziana ufficiale. Con le tendenze popolareggianti che appaiono nell’età ramesside, vicino a quello di numerose divinità minori prende nuovo respiro il culto degli animali sacri. Non solo: ma mentre finora in genere la santità dell’animale era limitata a un solo individuo, ora si tende a venerare tutta la specie. È un fenomeno che certo ha radici in assai più antiche superstizioni, e che è favorito dall’atteggiamento regio, benevolo verso queste forme di religiosità non incentrate nel tempio. Di questo nuovo tipo di zoolatria è questo un esempio particolarmente antico (fine XIX dinastia) in confronto ai numerosissimi esempi che si potrebbero citare dalla XXVI dinastia in poi.

L’ibis venerabile che lo scriba … Hori della Casa di Osiri ha sepolto, dopo che lo ebbe trovato nel canale di Men-pehty-Ra2 l’anno 93, primo mese della stagione di S´emu, giorno 25. 1. W. SPIEGELBERG, Neue Urkunden zum ägyptischen Tierkultus, in Stzb. Bayr. Ak. Wiss., Hist. Phil. Kl., 1928, 3, Abh. Si tratta di una iscrizione su una giara da vino in cui è stato seppellito un ibis trovato annegato (e perciò particolarmente sacro) da uno scriba di un tempio — non identificato — di Osiri. 2. Il nome è quello di Ramessese I. Ma il documento è della fine della XIX dinastia. 3. di un re non identificato.

3. — DAL LIBRO SAPIENZIALE DEMOTICO1 Vicino alle forme di ritualismo templare ormai sempre meno vitale e vicino alle forme di una pietà popolare che spesso è così rozza da prendere forma di superstizione, la bassa epoca ha saputo mantener viva quella esigenza di una religione morale che scalda, fino a sentirli come forme di culto e di pietà, il rispetto e l’interesse per il prossimo, la pratica della virtù. Diretto erede della tradizione sapienziale neoegiziana (cfr. p. 379 segg.) è il libro sapienziale demotico, che si distacca assai dal quadro che in genere ci si presenta della religione egiziana tarda. I2

Se dio benedice un cieco, la sua via è aperta. II Non mentire quando tu sei interrogato, perché c’è, dietro di te, un testimonio (sc. dio). III Se il bastone è lontano dal padrone, il suo servo non lo ascolta. Dio benedice colui che in giusto modo punisce. IV (a proposito di chi lascia la sua città) Chi è lontano, la sua preghiera è lontana, e i suoi dei sono lontani da lui. V Il cuore di dio è soddisfatto quando davanti a lui viene saziato il povero. Se tu hai possessi, danne una parte a dio: è la parte dei poveri. VI Chi dà da mangiare al povero, quello lo prende presso di sé dio in perpetua grazia; poiché il cuore di dio si rallegra del fatto che si sia dato da mangiare, più del cuore di colui che lo riceve. 1. Vedi A. VOLTEN, Kopenhagener Texte zum demotischen Weisheitsbuch, Kopenhagen, 1940; ID., Das demotische Weisheitsbuch. Studien und Bearbeitung, Kopenhagen, 1941. 2. I passi sono rispettivamente: I = Pap. Insinger 11.24; II = P. Ins. 27.1; III = P. Ins. 14.11-12; IV = P. Ins. 28.15; V = P. Ins. 16.3-4; VI = P. Ins. 16.13-14.

LA VITA DEL TEMPIO 1. — CAMBISE A SAIS1 È questo il primo esempio di quello che fu l’atteggiamento del sacerdozio egiziano durante l’occupazione persiana. Per quanto ostile in principio al dominio straniero, e per quanto in genere implicato nell’organizzazione delle ribellioni, pure il clero è sempre disposto a contrattare il suo appoggio contro specifici favori ai templi. In particolare, in seguito, prima aizzerà e lascerà poi quasi sempre sprovvisti di mezzi economici i sovrani nazionali che combattono contro la Persia e che dovrebbero proprio nelle ricchezze accumulate nei templi trovare la naturale fonte per il finanziamento delle loro guerre. Qui, appena Cambise arriva a Sais, Ug´a-hor-resnet (che pure era stato un ammiraglio della flotta egiziana che avrebbe dovuto impedire la conquista persiana) non ha più che interessi templari, e si occupa di far scacciare dal tempio di Neit quegli stranieri che vi si erano collocati: assai più probabilmente i Greci là penetrati sotto Amasi che non le truppe persiane di occupazione.

Il fedele del suo dio cittadino e di tutti gli dei, il principe, il conte, il cancelliere regale, l’amico unico, il parente vero del re che lo ama, lo archiatra Ug´a-hor-resnet, figlio di Tem-irdis, dice: «Io mi son lamentato presso la maestà del re della Valle e re del Delta Cambise a causa di tutti gli stranieri che si erano installati nel tempio di Neit, perché fossero cacciati di là, in modo che il tempio di Neit fosse in tutto il suo splendore di prima. Sua Maestà ordinò che fossero scacciati tutti gli stranieri che si erano installati nel tempio di Neit, che si distruggessero tutte le loro case e tutte le loro impurità che erano in questo tempio. Dopo che essi ebbero portato (le loro cose) essi stessi fuori dal muro di questo tempio, Sua Maestà ordinò che fosse purificato questo tempio di Neit e che vi fossero collocate tutte le persone addette (…) e i sacerdoti orari del tempio. Sua Maestà ordinò che si dessero le offerte a Neit, la grande madre del dio, e ai grandi dei che sono in Sais, come prima. Sua Maestà ordinò di (guidare) tutte le loro feste e tutte le loro processioni come si faceva prima. Sua Maestà fece questo perché io avevo fatto sì che Sua Maestà conoscesse la grandezza di Sais, che è la città di tutti gli dei, che vi son stabili sui loro troni in perpetuo». 1. È un paragrafo di una autobiografia di un ammiraglio di Psammetico III che, dopo la sconfitta egiziana, si accostò a Cambise e lo introdusse nel mondo indigeno. Il testo è quello di POSENER, La première domination perse en Égypte. Recueil d’inscriptions hiéroglyphiques, Le Caire, 1936, pp. 14-15.

2. — AMMONIMENTO AI PRELATI1 Dal maggior tempio tolemaico d’Egitto, quello di Edfu, provengono questi avvertimenti, scolpiti sulla parete e bene in vista. Sembra che si alluda a qualche caso preciso; ma è comunque un interessante particolare di costume questa deplorazione della mancanza di coscienza religiosa nei sommi gradi sacerdotali, che della loro posizione profittano solo per sfruttare i beni del tempio. In epoca tolemaica il controllo regio sui santuari è assai più rigidamente attuato di quanto non fosse avvenuto da molti secoli a questa parte: sotto il tono pio delle due iscrizioni c’è probabilmente ancora un’eco di questa sorveglianza, naturale in un regime così energicamente accentrato come quello dei Tolomei.

I O profeti, o grandi sacerdoti wab, sovrastanti ai misteri, sacerdoti wab del dio, voi tutti che entrate presso gli dei, sacerdoti lettori che siete nel tempio, giudici, preposti alle tenute, amministratori dei campi che siete nel vostro mese2 nel tempio di Horo di Edfu, dio grande, signore del cielo! Volgete il viso a questa casa in cui vi ha collocato Sua Maestà3. Egli naviga in cielo guardando qui; ed egli ne è soddisfatto se si è in regola. Non entrate(vi) in peccato, non penetrate(vi) in impurità. Non dite menzogna nella Sua casa! Non stornate nulla dalle provvigioni! Non riscuotete le tasse danneggiando il piccolo in favore del potente! Non aggiungete al peso ed alla misura, ma diminuite su di loro. Non saccheggiate con lo staio! Non danneggiate le offerte dell’Occhio di Ra!4 Non svelate le cose che voi vedete come misteri dei santuari! Non stendete la mano sui beni della Sua casa, e non spingetevi fino a rubare in cospetto del Signore, portando nel cuore un pensiero sacrilego. Si vive dell’abbondanza degli dei: ma abbondanza si chiama quel che esce dall’altare, dopo che se ne è appagato il Dio5. Ecco: egli naviga nel cielo ed egli percorre la Duat, ma i Suoi occhi son fissi sulle sue cose là dove si trovano. II O grandi profeti di Edfu, eccelsi padri divini della Grande Sede!6 Non fate male ai servi della Sua casa: poiché Egli ama molto molto quelli che sono al Suo servizio. Non contaminatevi, non commettete peccati, non danneggiate la gente dei campi e della città, poiché essa è uscita dai Suoi occhi7, ed essa vive di Lui! È dolente il Suo cuore per le colpe che deve punire; ma quel che non è fatto subito, aspetta ai Suoi piedi (?)8. Non interrompete prima del tempo, e non parlate senza freno nelle discussioni, e non coprite con la voce la voce di altri9. Non fate giuramento su nessuna cosa. Non sostenete la menzogna contro la verità invocando il Signore. Voi siete dei grandi: ma non passate

(lunghi) periodi di tempo senza invocarlo, quando siete liberi dal servizio delle offerte e dal canto nella Sua casa e entro il Suo dominio10. Non frequentate la sede delle donne, e non fatevi quel che non vi si deve fare! Che non vi siano feste nella Sua casa, se non nel luogo in cui il complesso degli officianti celebra (il rito festivo). Non sturate anfore nei domini sacri: solo il Signore beve là! Non celebrate il culto secondo il vostro gusto: per cosa guardate allora gli antichi scritti e i rituali che sono in vostra mano, come materia di studio per i vostri bambini? 1. Sono due testi di Edfu, frequentemente citati, che qui do dal testo ripresentatone (con una nuova interpretazione) da ALLIOT, Le culte d’Horus à Edfou au temps des Ptolémées, Le Caire, 1949, pp. 184 segg. 2. I sacerdoti sono divisi in tribù che si alternano ogni mese nel servizio divino. 3. Qui, il dio. 4. L’Occhio di Ra è Hathor = Maat, cioè le offerte fatte della sostanza stessa della «verità». 5. I sacerdoti fruiscono di quel che resta del sacrificio. 6. Il tempio di Edfu. 7. Allusione al mito della creazione degli uomini dalle lacrime del dio solare. 8. Forse: la punizione, che gli duole di dover subito impartire, attende «presso di lui», non è dimenticata. 9. Il superiore deve lasciare all’inferiore il tempo e il modo di giustificarsi. 10. Nei mesi in cui non è di servizio la tribù cui i sacerdoti appartengono.

VI

L’ETÀ GRECA E LA FINE DEL PAGANESIMO

I GRECI E L’EGITTO 1. — DALLE «STORIE» DI ERODOTO Erodoto non è il primo scrittore greco che abbia lasciato una descrizione dell’Egitto: prima di lui Ecateo aveva già osservato e valutato i costumi degli Egiziani. Ma mentre il testo del più antico viaggiatore ionico non ci è noto che per frammenti e per alcune dubbie attribuzioni, il racconto erodoteo è completo e sicuro. Quale che possa essere il valore documentario dei dati forniti da Erodoto (e oggi si tende a dargli più credito di quanto non si solesse una cinquantina d’anni fa), per un lato la sua testimonianza è inoppugnabile: e cioè là dove rispecchia quello che è il sentimento dei Greci nei riguardi della civiltà egiziana, il loro stupore, la loro critica. L’Egitto di Erodoto è un paese mirabile, dove la lunga esperienza e la secolare saggezza han dato alla vita quotidiana e alle abitudini una impronta di razionalità che in Grecia non si trova: è — insomma — un paese visto sotto un angolo assai speciale. Fra le notabili cose egiziane, Erodoto parla anche della religione; e insiste in particolar modo su quanto è simile e su quanto è dissimile da quella greca. Il suo mondo patrio gli è sempre il termine naturale di paragone, e può in più di un caso nascondergli la retta interpretazione: ma in questo egli non fa che inaugurare (per noi: e in realtà probabilmente solo prosegue) una pratica che sarà costante per tutta l’epoca greco-romana, e che a un certo momento determinerà un particolare tono della religione greco-egiziana. Gli dei d’Egitto sono assimilati agli dei di Grecia; le tradizioni greche vengono geograficamente localizzate in Egitto; i miti egiziani vengono interpretati secondo esigenze greche. Gli elementi più vistosamente esotici (come il culto degli animali, le regole di purezza e così via) sono naturalmente quelli posti più in evidenza, per normali esigenze narrative, come quelle che più colpiscono l’ascoltatore. E da questo momento accadrà che certi aspetti della religione egiziana divengano tradizionalmente quelli più spesso messi in luce dalla tradizione classica prima, cristiana poi. Erodoto è prezioso per la descrizione che dà di una vita religiosa che noi conosciamo in massima parte da testi ufficiali e che qui ci si presenta invece quale appare a uno spettatore pieno sì di simpatia, ma estraneo. È in questo fondo di volontà di interpretazione, di fraintendimento in buona fede, di assimilazioni sincretistiche che si sviluppa la più tarda religione dell’Egitto greco-romano. Costumi religiosi degli Egiziani1

Di gran lunga i più pii fra tutti gli uomini hanno questi usi. Bevono in tazze di bronzo, che puliscono ogni giorno; e non questo sì, quello no: ma tutti. Portano vesti di lino, sempre di bucato, e a questo stanno attentissimi. Si circoncidono per pulizia, preferendo l’esser puri all’esser belli. I sacerdoti si radono il corpo tutto ogni due giorni, in modo che né pidocchi né altri animali impuri nascano in loro, che son destinati a servire gli dei. La veste portano i sacerdoti solo di lino, e i sandali di papiro; ed altra veste non è loro lecito di portare, né altre calzature. Si lavano due volte al giorno con acqua fredda, e due volte la notte, e compiono per così dire infinite altre pratiche religiose. Ma godono anche non pochi vantaggi: dei loro beni non consumano e non spendono nulla, ma si cuocion loro pani del tempio, e ogni giorno han grande abbondanza di carni di bue e di oca, e si dà loro anche vino di vite; di pesce invece è loro proibito di cibarsi. Nel loro paese gli Egiziani non seminano affatto fave, e quelle che nascono non le mangiano né crude né cotte; i

sacerdoti poi non ne tollerano neanche la vista, stimandolo un legume impuro. Non uno solo è sacerdote di ogni singolo dio, ma ve ne son molti, di cui uno è il sommo sacerdote; quando uno ne muoia, suo figlio ne prende il posto. I tori li considerano sacri a Epafo e perciò li esaminano così: se vi scoprono anche un sol pelo nero, non li considerano puri. Questo esame è compiuto da uno dei sacerdoti addetto a questo compito sull’animale in piedi, e sdraiato; e gli fa tirar fuori la lingua per vedere se è pura dei segni prescritti, che io descriverò in un altro punto; e guarda anche se i peli della coda son spuntati normalmente. Se in tutte queste cose è puro, lo segna arrotolandogli una striscia di papiro attorno alle corna, e quindi avendovi impastato sopra della terra da sigilli vi imprime il suggello del suo anello; e così lo portan via. Per chi sacrifica un toro privo di sigillo, pena è la morte. Così il bestiame è esaminato. Per loro il sacrificio è così ordinato: conducono il capo del bestiame suggellato presso l’altare dove voglion fare il sacrificio, e accendono il fuoco; quindi, a lato, versano sulla vittima del vino, e invocando la divinità la sgozzano; quando l’han sgozzata, ne tagliano la testa. Il corpo dell’animale viene spellato, e dopo aver molto maledetto la testa, la portano — là dove sia un mercato e dei commercianti greci residenti nel paese — al mercato, e la vendono. Quelli fra i quali non abitino Greci, la gettano nel fiume. Maledicono queste teste dicendo che se deve avvenir qualcosa di male o al sacrificante in persona o all’Egitto intero, cada su quella testa. Per quel che riguarda le teste degli animali sacrificati e la libazione del vino, tutti gli Egiziani hanno questi stessi usi in tutti i sacrifici; e da ciò viene che nessun egiziano assaggerebbe la testa di nessun animale esistente. Ma la estrazione delle viscere e la combustione è diversa a seconda dei diversi sacrifici; e dirò come accade nel culto di quella che è considerata la maggiore delle divinità, e che ha le maggiori solennità religiose. Quando hanno scuoiato il bove, recitano preghiere e vuotano il corpo degli intestini, lasciandovi i visceri e il grasso, tagliano le gambe, l’estremità della coscia e le spalle e il collo. Fatto questo, il resto del corpo del bove lo riempiono di pani puri e di miele e di uva passa e di fichi e di incenso e di mirra e degli altri aromi, e riempitolo così, lo bruciano, versandovi sopra olio in abbondanza. Fanno il sacrificio dopo aver digiunato, e mentre le vittime bruciano tutti si percuotono. Ma quando han finito di percuotersi, celebrano un banchetto con quel che avevan messo da parte delle bestie sacrificate.

La festa di Osiri2 Sacrificar maiali agli dei gli Egiziani non lo considerano lecito, se non a Selene e a Dioniso3 contemporaneamente con la luna piena; e allora, sacrificati i maiali, ne gustano le carni. Perché proscrivano i maiali nelle altre feste, e in questa li sacrifichino, c’è una leggenda sacra a questo proposito che gli Egiziani raccontano, e che io so, ma non mi si addice riferire. Questo sacrificio di maiali si fa per Selene. Quando la vittima sia sacrificata, si riunisce la punta della coda, la milza e l’omento tutti insieme, e si nascondono con il grasso dell’animale attorno al ventre, e poi si consumano col fuoco. Le altre carni son mangiate nel plenilunio in cui compiano il sacrificio; ma in un altro giorno non se ne mangerebbe. I poveri fra di loro, che non han di che scialare, plasmano dei maiali di pasta, e, dopo averli cotti, quelli sacrificano. In onore di Dioniso, la veglia della festa ognuno sgozza un maiale davanti alla propria casa, e lo dà da portar via a quello dei porcari che glielo ha venduto. Per il resto gli Egiziani celebrano la festa di Dioniso quasi allo stesso modo dei Greci, escluso quel che riguarda i cori. Ma invece dei falli, hanno trovato altro, e cioè delle statuette alte circa un cubito, che si posson muovere con dei fili, che le donne portano in giro per i villaggi facendone muovere il membro, che non è di molto minore che il resto del corpo. Precede un suonatore di flauto, ed esse seguono cantando Dioniso. Per quale ragione abbia un membro così grande e quella sola parte del corpo muova, è argomento di una leggenda sacra. Le grandi feste egiziane4 Gli Egiziani non celebrano una sola festa l’anno, ma ne hanno anzi frequenti. La più importante e popolare è quella nella città di Bubasti, la seconda a Busiri è sacra ad Isi. In questa città infatti è un grandissimo santuario di Isi, e questa città è costruita in mezzo al Delta egiziano. Isi, in lingua greca, è Demetra. La terza la festeggiano in onore di Atena, a Sais. La quarta in onore del Sole a Eliopoli. La quinta a Buto in onore di Latona, la sesta a Papremi in onore di Ares. Quando ordunque si recano a Bubasti, si comportano così. Navigano insieme uomini e donne, e molta è la folla di entrambi in ogni barca. Delle donne alcune hanno nacchere e le fanno risuonare; altri suonano il flauto per tutto il viaggio, e il resto degli uomini e delle donne cantano e battono le mani. Quando nella navigazione giungono a una città, facendo avvicinare la barca alla terra fanno così: alcune delle donne fanno come ho detto, altre pungono le

donne di quella città, altre ballano, altre si alzano e si tiran su le gonne; e questo fanno in ogni città che sia sulla sponda del fiume. Quando giungono a Bubasti, celebran la festa con grandi sacrifici, e si consuma più vino di vite in questa festa che in tutto il rimanente dell’anno. E quel che si riunisce fra donne e uomini, senza contare i bambini arriva ai settecentomila, secondo che riferiscono quelli del posto. Qui capita questo; e come celebrino la festa per Isi in Busiri l’ho già detto prima. Dopo il sacrificio si percuotono tutti, uomini e donne, in numero di molte decine di migliaia di persone. Per chi si percuotano, sarebbe per me empio di dirlo5. Quelli che sono Carii residenti in Egitto, fanno ancora più di quelli, in quanto si tagliano la fronte con coltelli, e in questo si manifestano stranieri e non Egiziani. Quando si riuniscono a Sais, nella notte del sacrificio accendono tutti lucerne all’aperto tutto attorno alle case. Le lucerne son dei piatti pieni di sale e di olio, e lo stoppino vi sta su e brucia tutta la notte. Questa festa si chiama delle Lampade accese. Quelli degli Egiziani che non vengano a questa festa, badando alla notte del sacrificio, accendono anche tutti loro le lucerne, e così non sono accese solo a Sais, ma per tutto l’Egitto. In onore di chi questa notte ha avuto queste luci e questo onore è spiegato da una leggenda sacra che viene riferita. Quando si va a Eliopoli ed a Buto in pellegrinaggio, vi si offre semplicemente un sacrificio. A Papremi compiono sacrifici e cerimonie come negli altri posti; ma appena il sole declina, alcuni pochi dei sacerdoti restano occupati attorno alla statua del dio, mentre la maggior parte di loro, armati di mazze di legno si piantano all’ingresso del tempio; altri, che sciolgono dei voti, in più di mille persone, ciascuno col suo legno si piantano dalla parte opposta. L’immagine sacra, che sta in un piccolo tabernacolo di legno dorato, vien trasferita il giorno prima in un altro edificio sacro. I pochi che sono stati lasciati attorno all’immagine, tirano un carro a quattro ruote su cui è il tabernacolo e la statua contenuta nel tabernacolo. Quelli che si son fermati nei propilei non permettono l’ingresso; quelli che sciolgono il voto, aiutando il dio, li percuotono, ed essi si difendono. Quindi nasce una grossa battaglia a colpi di bastone, le teste si rompono, e molti, io penso, muoiono per le ferite; benché gli Egiziani m’abbian detto che non ne muore nessuno. La gente del posto dà

questa come origine della festa: in quel tempio abitava la madre di Ares, e Ares, che era stato allevato in segretezza, fatto adulto sarebbe venuto per unirsi alla madre, e i servi della madre, come quelli che non l’avevan visto prima, non gli avrebbero permesso di entrare, ma lo avrebbero respinto. Egli allora avrebbe condotto gente da un’altra città, avrebbe trattato duramente i domestici, e sarebbe penetrato dalla madre. Da questo dicono che deriverebbe quest’uso delle percosse nella festa di Ares. La storia di Sethos6 Dopo di lui, mi dissero che regnò un sacerdote di Efesto, di nome Sethos. Questi trattava con indifferenza la casta militare egiziana, pensando che non ne avrebbe mai avuto bisogno. Fra l’altro fece loro il torto di privarli delle loro terre, mentre sotto i re precedenti avevano avuto dodici arure a testa. Ed ecco Sanacharibo condusse contro l’Egitto un grosso esercito di Arabi e di Assiri, e i guerrieri egiziani non vollero venire in aiuto. Il sacerdote, ridotto a non saper che fare, entrò nel sacrario, e si lamentava con la immagine del dio di quel che correva il rischio di soffrire. Mentre si lamentava, lo prese il sonno, e gli sembrò, nella visione, che il dio si levasse a fargli animo dicendogli che non gli sarebbe successo nulla di spiacevole se si fosse fatto ad incontrare l’esercito degli Arabi; gli avrebbe mandato lui stesso i salvatori. Fidando in queste visioni, egli arruolò quelli degli Egiziani che lo vollero seguire, e mise il campo a Pelusio (là infatti è l’accesso all’Egitto). Nesuno dei guerrieri lo seguì, ma bottegai, e artigiani, e gente di mercato. Là arrivati, gli avversari si accamparono; ma la notte si riversarono su di loro topi campagnoli a rodere le loro faretre e gli archi, e inoltre le corregge degli scudi. E così il giorno dopo mentre loro spogli fuggivano, molti ne caddero. Ed ora questo re si leva in pietra nel tempio di Efesto, con un topo in mano, e con una iscrizione che dice così: «Chi mi guarda sia pio!». I misteri di Sais7 A Sais, nel santuario di Atena, dietro la cella c’è la tomba di Colui8 il cui nome non stimo pio pronunciare in questa occasione; e si stende lungo tutto il muro di Atena. Nel recinto sacro si levano grandi obelischi di pietra, e c’è un laghetto fornito di uno zoccolo in pietra, ben lavorata ed adorna torno torno, che per grandezza, a quanto mi parve, è simile al lago detto «Circolare» a Delo. In questo lago la notte si fanno delle rappresentazioni della sua passione, che gli Egiziani chiamano misteri. Ma benché io sappia molto di più sui singoli

punti di queste cerimonie, voglio mantenere un religioso riserbo. 1. II, 37-40. 2. II, 47-48. 3. Altrove Erodoto dice che Dioniso è Osiri. 4. II, 59-63. 5. Erodoto considera valida, per quanto egli sa del culto di Osiri, la regola greca dei misteri e del silenzio che deve avvolgerli. 6. II, 141. 7. II, 170-171. 8. Osiri.

2. — DALLA STELE DI MENDES1 L’arrivo dei Tolomei in Egitto apre un nuovo periodo nella storia del paese: i Greci non sono più ospiti — come era avvenuto per l’età saitica e per l’età persiana — ma padroni dell’Egitto. Si presenta subito un problema di convivenza su basi assai diverse da quelle precedenti. Alla vecchia città greca d’Egitto, Naucrati, si affiancano nuove fondazioni: Alessandria e Tolemaide d’Alto Egitto. In questi centri si ha una vita culturalmente greca e formalmente indipendente. Nel resto del paese, alla vecchia classe amministrativa si affianca (e in taluni casi la sostituisce) la nuova greco-macedone. Il paese ha come lingua ufficiale il greco, Greci si stanziano liberamente in tutto il territorio, per lo più come coloni militari. I rapporti fra questi due strati di popolazione non sembrano essere stati — in genere — difficili: una opposizione politica (che non è mancata) non ha impedito una rapida interpenetrazione fra i due popoli, e un accentuarsi di quegli atteggiamenti religiosi che già erano testimoniati da Erodoto. I Greci danno nomi greci agli dei egiziani, ma li venerano nei templi locali, nelle loro forme locali, e con il rito locale; gli Egiziani prendono dimestichezza con atteggiamenti del pensiero greco. Ne nasce una religione composita, dove gli elementi popolari assumono sempre maggior peso, proprio per l’ambiente in cui questo nuovo aspetto della religione si sviluppa. La stele di Mendes è testimonianza delle prime prese di contatto fra la dinastia macedonica e il mondo religioso indigeno: il re — sottolineando il suo carattere di erede dei faraoni — partecipa alle cerimonie di consacrazione dell’ariete sacro. La zoolatria (che Augusto, in una simile occasione, spregerà con una famosa frase a proposito del toro Api: «Io ho l’abitudine di venerare gli dei, non gli animali») è qui accettata dal sovrano, che vede in questo suo partecipare a un culto così tipico, la possibilità di entrare nel mondo religioso del paese su cui ha il dominio, ma al quale è in fondo straniero. E questo è tanto più notevole se si pensa che proprio con Tolomeo II si impianta — con una collaborazione fra teologi greci ed egiziani — un nuovo culto, quello di Sarapi: frutto appunto di una politica religiosa di ampio respiro, che tenta di fondere elementi di diversa origine in una nuova figura divina, che sia tipica dell’Egitto in quanto esso è signoreggiato dai Macedoni.

L’anno [1°], mese primo della stagione di peret, giorno (…) venne Sua Maestà per visitare l’Ariete Sacro, signore di Mendes, per impetrare vita dal signore della vita, per ottenere la regalità dal signore di quella, facendo quel che vogliono gli arieti prìncipi2. Visitò Sua Maestà l’Ariete vivo, come prima volta del suo visitare gli animali (sacri) da quando si era levato sul trono di suo padre. Visitò Sua Maestà i suoi […] dietro i … come si era fatto in antico dai Re3 cominciando la visita. Sua Maestà prese la fune di prua della barca di questo dio4 quando egli navigava nel «Lago Grande», quando egli veleggiava sulla aqenu5 come avevano fatto i re suoi predecessori, facendo per lui ogni cerimonia della visita come è scritto

perché egli giungesse a Mendes. Lo fece sorgere6 Sua Maestà sulla sua portantina. Ed ecco, egli era dietro questo dio come a suo signore7. Traghettò … il dio fino a Up-neteruy, il luogo del suo incontro della Prima Volta. 1. Estratto da una stele di Tolomeo II, di notevole importanza storica. SETHE, Hieroglyphische Urkunden der Griechisch-römischen Zeit, Leipzig, 1904-16, pp. 28 segg. 2. Gli arieti sacri sono i «re» della loro razza. 3. Tolomeo si comporta, e lo sottolinea, come gli antichi faraoni. 4. Tirando l’alzana. 5. Un lago sacro presso Mendes. 6. Uscire in processione. 7. Il re segue l’ariete divino portato in processione.

3. — RICORDO DI UNA INCUBAZIONE1 È questo, il documento di un atteggiamento nuovo e personale: chi ha fatto incidere l’iscrizione ha avuto intenzione di speculare sulla natura della divinità locale, e ne ha potuto appurare il carattere solare. A Talmis (il luogo donde proviene il testo) era di stanza un distaccamento di soldati romani, e uno di questi è certo il dedicante che ha voluto applicare una tecnica ben nota nel mondo ellenistico per entrare in contatto diretto con la divinità: il sonno nel tempio dopo opportune pratiche lustrali. Tale uso è noto anche in Egitto, e, come di regola anche altrove, è particolarmente frequente per aver relazioni con divinità sanatrici, che nel sonno indicano la cura da scegliere. Qui lo scopo è più complesso e la visione che appare al soldato giustifica l’opinione che Manduli sia un dio del sole: egli è descritto secondo una tipologia fondamentalmente egiziana e con un formulario fondamentalmente greco. In questo fondersi di elementi di religiosità e di teologie così disparate (il dio solare cui ci si rivolge per un rapporto immediato, così come si fa per le divinità sanatrici; l’interesse teologico di chi vuol sapere quale sia la natura del dio; la lingua e il formulario greci; la tipologia egiziana) questo è un esempio particolarmente ricco di che cosa sia il sincretismo greco-egiziano quale appare a un soldato romano dislocato in Nubia, e di come la religione egiziana possa uscire dai suoi limiti geografici solo a patto di snaturarsi e di contaminarsi con elementi presi a prestito da altre esperienze.

O signore che irradi raggi, Manduli, Titano, Macareo! Avendo osservato alcuni segni splendidi del tuo potere, ho meditato e mi sono preoccupato, volendo sapere senza dubbi se tu sei il Sole. Mi feci straniero a ogni malvagità e ad ogni empietà, e mi mantenni casto per lungo tempo, e mi posi questa notte a dormire per una divina pratica di pietà, e ottenni la conoscenza. Acconsentendo, infatti, mostrasti a me te stesso che traversavi con la barca la volta del cielo in una aurea corrente. E avendo fatto la tua discesa navigando alle ombre sotterra, come tremenda e nottivaga luna, e dopo esserti lavato nella santa acqua dell’immortalità, appari come un fanciullo. Tu venisti, levandoti al momento opportuno, al tuo tabernacolo, fornendo alla tua immagine e alla tua cappella un soffio di vita e grande potenza2. E da qui io conobbi che tu o Manduli, eri il Sole e il signore che tutto vede, e il signore di tutti, e l’eternità (αἰών) che su tutto ha potere. O felici le genti che abitano nella sacra Talmi, che Manduli ama, e che è sotto lo scettro di Isi dalle belle trecce, dagli infiniti nomi. 1. È una iscrizione in greco piuttosto barbaro, dipinta sulla parete del tempio di Manduli a Talmis (odierna Kalabs′ah, a sud della prima cateratta del Nilo). Viene ricordata una incubazione con la quale il fedele ha cercato di indagare la qualità del Dic. Il testo è pubblicato, nella più recente edizione, da H. LEWY, A Dream of Mandulis, in «Annales du Serv. des Ant. de l’Ég.», XLIV (1944), pp. 227 segg., con numerose restituzioni (qui accolte), commento, e indicazioni bibliografiche. 2. Probabilmente il raggio del sole levante cade sulla statua del dio. Così avveniva per Sarapi ad Alessandria (il LEWY ricorda RUFIN, Hist. Eccl., XI, 23).

GLI EGIZIANI 1. — PREFAZIONE A UNA TRADUZIONE DI UNA STORIA EGIZIANA DI IMUTE1 È uno dei più begli esempi di letteratura greco-egiziana, in cui una cultura di tipo ellenistico è posta al servizio di una mentalità religiosa in cui elementi greci ed elementi egiziani si confondono. L’ignoto scrittore conosce l’egiziano, da cui dichiara di tradurre. Ed infatti il tono del frammento iniziale è perfettamente affine a quello dei racconti demotici, di cui sembra in parte che ricalchi addirittura le formule. Il seguente racconto del miracolo di Asclepio-Imute mescola gli elementi classici e quelli egiziani in modo del tutto inestricabile. Il racconto del miracolo è diffuso nella letteratura ellenistica. Nell’Egitto antico esso è conosciuto, e anche con questa sfumatura che è presente in questo racconto, in cui il dio colpisce e guarisce per ricordare e per educare. Di questa funzione di banditore al mondo greco e in termini di civiltà greca di una divinità egiziana lo scrittore mostra di avere perfetta coscienza. Così va intesa l’affermazione che «ogni lingua greca narrerà la tua storia, ed ogni uomo greco venererà il figlio di Phtha, Imouthes», dove i nomi egiziani degli dei sono sostituiti a quelli greci di cui egli è detto servitore. …avendo sentito ciò Nectanibi2, ed essendo assai irritato per coloro che

eran fuggiti dal tempio, volendo meglio rendersi conto del loro numero su un elenco, comandò a Nechaute3, che allora esercitava il sommo sacerdozio, di fare entro un mese ricerca accurata del libro. E quegli, avendolo ricercato con molta energia, lo portò al re avendo impiegato nella ricerca solo due, anziché trenta, giorni. Dopo averlo letto, il re molto si stupì per la divinità della storia, e avendo trovato che ventisei erano i sacerdoti che avevano condotto il dio4 a Menfi da Eliopoli, concesse ai discendenti loro il meritato titolo di profeta. E non solo, ma fece restaurare il libro5, e arricchì lo stesso Asclepio di altre trecentotrenta arure fertili di grano, e questo tanto più per aver saputo dal libro che il dio aveva goduto di grandi segni di venerazione da parte di Menchere6. Io7, avendo più d’una volta messo mano a tradurre questo libro in lingua greca, mi resi conto di chi stessi per annunciare all’eternità; e avanzando io nella composizione, il mio ardore fu trattenuto dalla vastità della storia; poiché era mio intendimento il darla al pubblico. Infatti, non ai mortali ma solo agli dei è data la capacità di trattare della potenza degli dei. Quando io fossi stato impari, non ne avrei avuto vergogna solo innanzi agli uomini: ero trattenuto anche dai rimproveri cui mi sarei esposto, se il dio fosse risultato offeso, e dalla povertà della descrizione che andavo completando della sua virtù immortale. Se gli avessi reso servigio, invece, la vita mia sarebbe stata felice e la fama immortale. Il dio è infatti assai disposto alla beneficenza; giacché, anche coloro

la cui pietà è momentanea, egli li ha salvati quando l’arte medica è stata impotente contro la loro malattia8. Per questo, messa da parte ogni temerità, aspettavo il tempo opportuno della vecchiaia, e rimandavo il compimento. L’età giovanile è infatti troppo fervida di immaginazione, e la giovinezza e lo slancio, con le loro aspirazioni, fan presto a guastar la disposizione dell’animo. Trascorse un periodo di tre anni senza che io punto mi vi affaticassi; e per tre anni mia madre fu travagliata da una empia quartana. Tardi ed a mala pena mettemmo senno, e ci presentammo supplici al dio, pregandolo di concedere a mia madre una cessazione dalla malattia. Egli, apparso in sogno, favorevole qual è verso di tutti la salvò con semplici rimedi; e noi rendemmo con sacrifici le dovute grazie al nostro salvatore. Ma quando anche a me, dopo di ciò, un improvviso dolore si manifestò al fianco destro, subito mi rivolsi al salvatore della umana natura, e di nuovo prontamente esaudendomi pietosamente, mostrò con ancor più energia la sua disposizione all’operare il bene, che io mostrerò quanto sia vera, ora che mi accingo ad annunciare i suoi tremendi poteri. Era la notte, quando riposava ogni essere vivente, eccetto quelli sofferenti, e la divinità con più energia si mostrava; e me bruciava una violenta febbre, ed avevo convulsi di soffocamento e di tosse per il dolore che avevo al fianco. Stordito dalla fatica, caddi inconscio nel sonno. E la madre, come si fa per un figlio — e lei è di natura particolarmente affettuosa —, piena di sofferenza per la mia prova, mi sedeva a lato senza prendere neanche un poco di sonno. Ed ecco improvvisamente vide — e non era sogno, né sonno, ché gli occhi erano aperti ed immobili, anche se non vedevano con chiarezza, poiché una divina e terrificante visione le si presentò, e le impedì facilmente di osservare o il dio stesso o i suoi ministri. Solo vide che era qualcuno di più grande di quanto non sia normale fra gli uomini, vestito di bissi luminosi, e che portava nella sinistra un libro; e che solamente mi osservò due o tre volte da capo a piedi, e quindi scomparve. Quando si fu ripresa, ancor tremante essa cercò di destarmi. E avendo trovato che io ero privo di febbre e che ero tutto asperso di abbondante sudore, si inchinò all’apparzione del dio, e mi strofinò e mi rimise in me. Quando io mi misi e discorrere con lei, voleva narrarmi il miracolo del dio, ma io, prevenendola, tutto le riferii. Quello infatti che essa aveva visto in visione, a me era apparso in sogno. Quando mi furano cessati i dolori al fianco ed il dio mi aveva dato ancora una medicina che mi aveva fatto cessare il

dolore, mi misi a bandire i suoi benefici. Ancora una volta noi ce lo propiziammo con sacrifici secondo le nostre possibilità; ma egli, per mezzo del sacerdote che nelle cerimonie sacre lo serve, mandò a chiedere il compimento della promessa da tempo annunciatagli. E noi, per quanto non ci sapessimo debitori a lui né di sacrifici né di offerte votive, pure di nuovo con queste cose lo supplicavamo. Ma quando ebbe ripetutamente dichiarato che non si curava di queste cose, ma di quel che una volta io gli avevo promesso, non sapevo più che pensare, e quando ormai ero addirittura agli stremi, mi si presentò questo divino compito dello scrivere. Quella volta che ti accorgesti, o signore, che io avevo lasciato da parte il tuo libro divino, celebrando la tua provvidenza e riempito della tua divinità, mi accinsi all’ispirata fatica della storia. E credo di dispiegare ampiamente la tua intelligenza col farmene profeta: infatti in un altro libro ho spiegato secondo verità in un trattato fisico il convincente racconto della creazione del mondo. Ed in tutto il mio scritto ho colmato lacune ed eliminato sovrabbondanze, e dovendo fare una trattazione piuttosto ampia, pure son riuscito ad esprimermi concisamente, e ho narrato una volta per tutte una storia piuttosto complessa. Da questo io deduco, o signore, che il libro è stato compiuto secondo il tuo favore e non secondo la mia abilità. In verità, si accorda con la tua natura divina una simile scrittura; e come inventore di questa, o massimo fra gli dei, Asclepio, tu maestro, sei distinto dagli universali rendimenti di grazie. Ogni dono di offerta votiva o di sacrificio dura solo per l’immediato momento, e nel successivo perisce; ma la scrittura è un ringraziamento immortale che continua in ogni momento a far fiorire la memoria. Ogni lingua greca narrerà la tua storia, ed ogni uomo greco venererà il figlio di Phtha, Imouthes9. Riunitevi qui, o genti pie e buone; ritiratevi, voi invidiosi ed empi. Riunitevi … quanti servendo il dio vi siete salvati dalle malattie, quanti partecipate della scienza medica, quanti tribolate alla ricerca della virtù, quanti siete stati magnificati da abbondanza di benefici, quanti siete stati salvati dai rischi del mare! Ad ogni luogo è indigena la potenza salvatrice del dio. Io infatti sono sul punto di annunziare le miracolose manifestazioni, la grandezza del suo potere, i doni dei suoi benefici. E le cose stanno così: il re Menecheres, avendo piamente celebrato tre dei, raggiunse una gloria eterna, avendo avuto la buona fortuna di raggiunger la fama con questo libro. Al sepolcro di

Asclepio, figlio di Efesto, di Hermes, figlio di Horo10, e di Caleoibis, figlio di Apollo11, egli fece offerte di amplissime ricchezze, e come compenso ne ebbe abbondanza di prosperità. Difatti nei suoi tempi l’Egitto non ebbe a soffrir di guerre, ed ebbe così abbondanza di infinite messi: ché i paesi sottomessi prosperano per la pietà di chi è loro preposto, e viceversa quelli in cui egli si comporta empiamente, son soggetti a sventura. Il modo in cui il dio Asclepio annunciò a Mencheres che si occupasse della sua (tomba…)12. 1. Pap. Oxyrh. XI, 1381 (secolo II d. C.): è la traduzione greca di un testo egiziano che al massimo — a giudicare dai nomi — può risalire all’epoca tolemaica. L’inizio è lacunoso. 2. Probabilmente Nectanebo II, l’ultimo re indigeno egiziano, noto come mago nella leggenda grecoegizia, e reputato padre di Alessandro Magno. La tarda novellistica lo ha come eroe. 3. Forma secondaria del nome (saitico) di Necho. 4. Cioè Ii-em-hetep = Imouthes = Asclepio, venerato a Menfi. 5. Il motivo del «restauro» del libro è egiziano: cfr. la Stele di S’abaka. 6. Cioè Micerino, un re assai popolare a cominciare dall’epoca saitica. 7. Per noi il traduttore, dato lo stato in cui ci è giunto il papiro, è anonimo. 8. Ha sanato anche quegli incurabili che gli si son rivolti solo al momento del bisogno e non per una consuetudine di devozione. 9. È quel che subito dopo dice, con terminologia greca, Asclepio figlio di Efesto. 10. Thot figlio di Horo ci è ignoto. 11. Non si identificano queste due divinità. Apollo è in genere Horo. 12. Qui si interrompe il papiro.

2. — INDICAZIONI PER UNA PRATICA MAGICA1 Il mondo greco-egiziano eredita dall’ambiente neoegiziano il gusto delle pratiche magiche. Questo papiro, greco, ricalca nel modo più evidente un formulario egiziano e allude a miti egiziani e divinità egiziane. Per converso si ricordi il papiro magico di Londra e Leida (cfr. p. 545) che, scritto in demotico, contiene frasi in greco, in taluni casi trascritte in caratteri indigeni. L’idea di volere previsioni per il futuro non sembra tipica della più antica civiltà egiziana, ed è legata allo sviluppo che è andato prendendo nella bassa epoca l’idea del destino, che è il presupposto logico alla possibilità del vaticinio.

Grande è Isi, la signora. Copia del sacro libro trovato nelle stanze segrete di Hermes2. Questo è il modo relativo alle 29 lettere3 con le quali agirono Hermes e Isi, allorché essa cercava il suo fratello e sposo Osiri. Invoca il sole e tutti gli dei dell’Abisso4 circa quello su cui tu vuoi avere un auspicio. Prendi 29 foglie di palma maschio, e scrivi su ciascuna delle foglie i nomi degli dei. Dopo aver pregato, tirale su a due a due, e leggi quella che è rimasta per ultima. E troverai il tuo auspicio in che cosa consista, e sarà luminosamente vaticinato. 1. È un testo greco su un papiro del III secolo d. C., il Pap. Oxyr. VI, 886. 2. Similmente si hanno queste «stanze segrete di Thot (= Hermes)» in una delle storie del Pap. Westcar. 3. O «parole scritte»? 4. Il Nun egiziano.

3. — DOMANDE ORACOLARI1 L’uso di rivolgere agli dei domande per averne guida e approvazione risale — nell’uso comune — al Nuovo Regno. Si ricorda come, per esempio, la spedizione che la regina Hats’epsut inviò al paese di Punt fosse attuata in accordo con un oracolo di Ammone. Così da oracoli viene sancita la nomina a sacerdote, e nella monarchia nubiana (che con la cultura egiziana è strettamente connessa) la pratica degli oracoli ha valore determinante per tutta la vita politica ufficiale. Una particolare importanza ha la pratica oracolare in un ambiente che ben conosciamo: quello degli operai della necropoli di Tebe, a Der el Medineh, nel tardo Nuovo Regno. Il culto popolare di Amenofi I divinizzato è affidato a operai stessi con funzioni sacerdotali; e all’oracolo del re-dio ci si rivolge spesso, anche per faccende giudiziarie. È probabilmente un modo di sbrigare le faccende della colonia operaia senza far intervenire direttamente l’autorità amministrativa normale. Con il crescere del carattere di immediatezza di rapporti fra fedeli e divinità e con l’accentuarsi del gusto ritualistico che è proprio della più tarda religione egiziana, l’uso degli oracoli si fa — per opposte ragioni — sempre più frequente. D’altronde il carattere di elusione della normale via amministrativa ha fatto sì che, in epoca romana, il controllo su queste pratiche oracolari fosse piuttosto attento. L’uso tuttavia restò fiorente, e ancora in epoca cristiana si posson trovare richieste di responso oracolare, rivolte con la vecchia formula alla nuova divinità. 2

I

Se è Her-ug’a figlio di Onnofre il vecchio quello che ha rubato le cose, fammi uscir fuori questo foglietto.

II3 A Zeus Helios grande Serapi e agli dei associati. Chiede Menandro: se mi è concesso sposare, fa uscire questo.

III4 O mio signore Sarapi Helios, benefattore, è meglio che mio figlio Fania e sua moglie non vengano ad un accordo con il padre di lei, ma si oppongano, e non stipulino il contratto? Fa’ uscire questo, se sei d’accordo. Addio5.

IV6 72 — se riceverò la mercede 73 — se resterò là dove sto andando 74 — se sarò venduto 75 — se ricevo beneficio dell’amico 76 — se mi è dato di contrattare con altri 77 — se mi riconcilierò con (mio) figlio (?) 78 — se riscuoto viatico 79 — se riscuoterò il danaro 80 — se vive quegli che è in paese straniero 81 — se guadagno dall’affare 82 — se saranno messi all’asta i miei beni

83 — se troverò da vendere 84 — se sarò capace di compiere quel che penso 85 — se diverrò un mendicante 86 — se diverrò uno schiavo fuggitivo 87 — se invecchierò (?)7 88 — se diventerò senatore 89 — se se si interromperà la mia fuga 90 — se divorzierò da mia moglie 91 — se sono stato avvelenato 92 — se prenderò il mio

V8 O dio del nostro patrono san Filosseno, se ci comandi di portare al tuo nosocomio Anup, mostra il tuo potere, e venga fuori questo foglietto. 1. Assai diffuso in epoca greco-romana è l’uso di rivolgersi direttamente agli dei per aver responsi su faccende private. In genere si presentavano due foglietti con due domande sullo stesso argomento, una positiva, l’altra negativa. Il dio faceva uscire quella che conteneva la risposta. L’uso si è perpetuato in epoca cristiana. 2. Domanda oracolare demotica, da Tebtynis. ERICKSEN, Demotische Orakelfragen, in Kgl. Dansk. Vidensk, Selsk., Hist. Fil. Medd. XXVIII, 3, Köbenhavn, 1942, testo C. 3. Pap. Oxyrh. IX, 1213 (II secolo d. C). Greco. 4. Pap. Oxyrh. VIII, 1148 (I secolo d. C). Greco. 5. La chiusura,ἔρρω (σo), è quella delle lettere. 6. È un elenco di domande numerate, di cui son salve quelle dal 72 al 92, O è un registro di richieste all’oracolo, o è un prontuario per una tecnica mantica un po’ diversa da quella delle domande precedenti, Greco. (Pap. Oxyrh. XII, 1477, del III-IV secolo d. C). 7. O «se diventerò ambasciatore». 8. Greco. Pap. Oxyrh, VIII, 1150, del VI secolo d. C.

FUORI D’EGITTO UNA FESTA DI ISI IN EPOCA ROMANA1 Il testo nel quale Apuleio descrive la festa dell’apertura dell’anno nautico a Corinto può bene rappresentare quale sia stato il carattere della ultima fioritura della religione egiziana. Fattasi religione universale, essa ha perso gran parte del suo valore specifico; ha semplificato la sua mitologia, ridotta in pratica soltanto al mito osiriaco; ha sfoltito il suo vecchio pantheon, e ha imperniato sulle figure di Isi, Arpocrate e Sarapi la sua popolarità. Già i rapporti dei Greci con l’Egitto avevano fatto sì che nel mondo dell’Egeo cominciassero a essere noti culti egiziani; la politica marinara dei Tolomei favorì consciamente questa diffusione, e Sarapi assunse presto un colore di dio egiziano da diffondersi per tutto il Mediterraneo. In Asia Minore, in Grecia, in Sicilia, a Roma stessa furono fondati templi egiziani, in cui era celebrato un culto ispirato a quello del paese d’origine, ma in realtà profondamente modificato. Le vicende della diffusione furono alterne. A Roma stessa si dovette vincere una assai dura ed energica ostilità ufficiale; ma finalmente il culto isiaco vinse le persecuzioni e le diffidenze, e si diffuse per tutto l’impero. Il passaggio attraverso intermediari ellenistici dette a questo culto un carattere misterico, di cui non si può propriamente parlare per l’età più antica. Gli Isiaci debbono subire iniziazioni, e salgono su su per una specie di gerarchia spirituale di cui in Egitto non c’è traccia. Si organizza una specie di chiesa, con obblighi che impegnano i singoli membri, con una lingua liturgica (il greco), con simboli (in genere di origine egiziana, ma con influenze greche) il cui significato è noto solo ai membri della comunità religiosa. Dell’origine egiziana sono evidentissime, in questa religione, le tracce: ma manca del tutto il vecchio senso. Gli elementi faraonici restano come una mascheratura formale di cui bisogna giustificare il valore mediante una interpretazione simbolica. Al rito spesso sono associati anche gruppi non iniziati, certo con intento propagandistico. La presenza di questi fattori estranei — quali sono testimoniati anche in questo testo — comporta elementi ancor più chiaramente lontani dalle origini egiziane, ma che legano più strettamente il culto isiaco al nuovo ambiente in cui esso ora fiorisce.

Ed ecco, un po’ alla volta, avanzano i preludi della processione solenne, magnificamente addobbati, secondo il gusto di ciascuno. Questi, con un cinturone alla vita, rappresentava un soldato; quello, in clamide succinta, figurava un cacciatore per gli stivaletti e gli spiedi; un altro, con sandali dorati, con veste serica, con monili preziosi e capelli finti in testa e con incesso ondeggiante fingeva di essere una donna. Un altro che metteva in mostra schinieri, scudo, elmo e spada lo avresti potuto credere uscito dalla scuola dei gladiatori. E non mancava quello che per gioco faceva il magistrato con i fasci e la porpora, né quello che con il pallio, il bastone, i sandali e la barbetta da capra rifaceva il filosofo, né quelli che con due diverse canne imitavano l’uno l’uccellatore col vischio, l’altro il pescatore con l’amo. Vidi anche un’orsa addomesticata che, abbigliata come una matrona, era portata in portantina e una scimmia che con un berretto tessuto e con una tunica gialla di Frigia portava un bicchiere d’oro come fosse il pastore Ganimede, e un asino con ali attaccate che seguiva da presso un vecchio male

in gambe: e nell’uno potevi riconoscere Bellerofonte, nell’altro Pegaso, e dei due c’era da ridere. Mentre qua e là vagavano questi buffi divertimenti popolari, già si metteva in moto la vera e propria processione della dea liberatrice. Donne, splendenti nei loro abiti bianchi, liete di portare vari attributi, fiorenti di corone primaverili, coprivano di fiori che estraevano dal grembo la via per la quale avanzava la santa compagnia. Altre, con lucidi specchi alle spalle, mostravano davanti alla dea, man mano che essa avanzava, gli atti di ossequio. Altre, portando pettini d’avorio, col gesto delle braccia e il movimento delle dita fingevano di ornare e pettinare le chiome regali; altre spargevano la piazza di vari unguenti e di un balsamo divino che lasciavan cadere goccia a goccia. Veniva quindi un gran numero di uomini e di donne con lucerne, con fiaccole, con candele e altri lumi artificiali, per propiziare Colei che è all’origine degli astri celesti. Quindi seguivano vari concenti, e flauti e tibie risonavano in dolcissime melodie. A questo seguiva un piacevole coro, formato di sceltissimi giovani in veste nivea e scintillanti negli abiti festivi. Facevano ritornello con una elegante poesia che un abile poeta aveva composto e musicato col favore delle Camene e che preludeva col suo contenuto ai voti più solenni. Venivano anche i flautisti sacri al grande Sarapi, che su un flauto traverso, volto verso l’orecchio destro, andavano suonando il motivo consueto del tempio del dio; e numerose persone che avanzavano gridando che si desse via libera alla processione. Allora giunse la folla degli iniziati ai misteri divini, uomini e donne di ogni grado e di ogni età, luminosi nel candore delle loro vesti di lino, le une coperte i capelli roridi di veli trasparenti, gli altri col capo lucido per i capelli rasati fino alla radice: astri terreni di questa grande religione. Levavano un suono tintinnante ed acuto coi loro sistri di bronzo, d’argento e perfino d’oro. I soprastanti al culto, personaggi illustri, avvolti strettamente in candidi abiti di lino che li fasciavano scendendo dal petto giù fino ai piedi, portavano gli attributi caratteristici degli dei potentissimi. Il primo di costoro protendeva una lucerna che splendeva vivamente di chiara luce, non simile a quelle nostre che illuminano a sera le mense, ma in forma di barca d’oro2 che lasciava uscire da un foro nel suo centro una fiamma piuttosto larga. Il secondo era vestito in modo simile, ma con tutte e due le mani portava quegli altari detti «ausilii», ai quali il giusto nome è stato dato dalla provvidenza ausiliatrice della dea

suprema. Il terzo veniva alzando una palma sottilmente lavorata in foglia d’oro, nonché il caduceo di Mercurio. Il quarto mostrava l’emblema della giustizia, e cioè una mano sinistra raffigurata a palma aperta: questa, con la sua naturale pigrizia, priva di abilità e di capacità, pareva più adatta alla giustizia che non la destra. Egli portava inoltre anche un vasetto d’oro, arrotondato in forma di mammella, dal quale libava latte. Il quinto portava un vanno d’oro coperto di rami d’oro, il sesto portava un’anfora. Ecco avanzano gli dei, degnando di servirsi di piedi umani per avanzare. Ecco lo Spaventoso che fa da messo fra i superi e gli inferi, dall’alta faccia parte nera parte dorata, che porta alta la testa canina, Anubi. Egli ha nella sinistra il caduceo3, con la destra scuote una palma verdeggiante. Subito dietro di lui veniva una giovenca in piedi, fecondo simulacro della dea genitrice universale4. Questa immagine era portata sulle spalle da uno dei beati ministri, che avanzava dignitosamente. Un altro portava la cista che conteneva coperti nel suo interno i segreti della magnifica religione. Un altro portava nel suo felice grembo la veneranda immagine del sommo nume, non simile ad animale domestico, né ad uccello, né a fiera e neanche ad uomo; ma, con ingegnosa invenzione e degna di reverenza per la sua stessa stranezza, argomento ineffabile di una religione più alta e che deve esser protetta da profondo silenzio, è raffigurato in splendente oro sotto la forma di una piccola urna abilissimamente vuotata, dal fondo ben rotondo, coperta di mirabili rilievi in stile egiziano5. Il suo orificio, non molto in alto, sporgeva in un becco, e dalla parte opposta era fissata un’ansa il cui contorno si allargava descrivendo un’ampia curva, su cui era collocato un aspide dalle spire contorte, che alzava il capo gonfio e striato. …Avanzando pian piano fra queste cose e il tumulto della festa giungemmo presso la riva del mare… Là, furono disposti secondo il rito i simulacri degli dei. C’era una nave magnificamente costruita e mirabilmente dipinta con pitture in stile egiziano. Il sommo sacerdote la purificò purissimamente con una fiaccola splendente, con un uovo e con zolfo, dopo aver profferito solennissime preghiere con la sua casta bocca, e la mise sotto il nome della dea e gliela dedicò. La vela di questa felice nave portava lettere ricamate in oro: quelle lettere esprimevano il voto per la felice ripresa della navigazione. Già si alza l’albero, di rotondo pino, sublime per splendore, e ben visibile per una coffa che attira gli sguardi. La poppa portava scolpito un cigno,

e risplendeva per le lamine d’oro che la coprivano, e tutta la carena, di chiaro cedro, splendeva lucida. Allora tutti, tanto gli iniziati che i profani, ammucchiavano vanni carichi di aromi e di altre offerte dello stesso genere e fan libazioni di latte sulle onde. Alla fine la nave è riempita di larghi doni e di fauste offerte, è sciolta dalle gomene dell’ancora, ed è restituita al mare da un particolare e sereno vento. Quando essa si è tanto allontanata che la si vede a mala pena, tutti coloro che portavano gli oggetti sacri li ripresero, e con entuasiasmo si misero sulla via del ritorno al tempio, avendo ricostituita la processione. Ma quando arrivammo al tempio stesso, il sommo sacerdote e quelli che portavano innanzi a lui le immagini sacre e quelli che eran stati iniziati già da prima nel venerabile sacrario, entrati nella camera della dea dispongono secondo il rito le vive immagini. A questo punto uno, che tutti chiamavano lo Scriba6, in piedi davanti alla porta, chiamato come per una assemblea il gruppo dei pastofori (è questo il nome del sacrosanto collegio), da un alto palco comincia col leggere da un libro voti augurali per il principe, il senato, i cavalieri e tutto il popolo romano; per i naviganti e per le navi che sono sotto la legge del nostro Impero; e quindi annunzia in lingua e con rito greco la ploiaphesia7. Un immediato clamore del popolo confermò il voto che questa parola augurale si effettuasse felicemente. Fuori di sé dalla gioia, la gente porta virgulti, verbene, corone, e bacia i piedi della dea, la cui statua d’argento era sulla scalinata; e se ne torna a casa. 1. APUL. Metam., XI, 8 segg. 2. Si ricordi naturalmente la barca solare. 3. È identificato, cioè, con Hermes Psicopompo. 4. Isi in forma di giovenca. 5. È una forma di Osiri frequente in epoca romana (Osiri canopico). 6. È il sacerdote lettore (khery-heb) egiziano, che ha la funzione di leggere il rituale. 7. «L’apertura della navigazione».

RAPPORTI CON IL CRISTIANESIMO 1. — UN INCANTESIMO COPTO PAGANO1 L’interesse di questo incantesimo risiede nel fatto che, mentre si rievoca un mito relativo a Horo (mito che ci è sconosciuto), la lingua in cui esso è scritto è il copto, e cioè la tipica lingua dell’Egitto cristiano. È un raro documento del sopravvivere di esperienze dichiaratamente pagane entro il nuovo mondo.

Ascoltate Horo che piange, ascoltate Horo che sospira. Dice: «Patisco e mi struggo per sette fanciulle dalla terza del mattino alla quarta della sera. Non una di loro era nel sonno, Non una di loro si è addormentata». Rispose a lui Isi, sua madre, nel tempio di Habin2 — era il suo viso rivolto su sette fanciulle erano sette fanciulle rivolte al suo viso —. Dice: Horo perché piangi? Horo perché sospiri?» Dice: «Tu non vuoi che io pianga, tu non vuoi che io sospiri dalla terza del mattino alla quarta della sera mentre mi struggo per sette fanciulle? Non una di loro era nel sonno, non una di loro era addormentata». Se tu non mi hai trovato e non hai trovato il mio nome prenditi una coppa ed un poco d’acqua. Sia un piccolo soffio, sia un soffio della tua bocca sia un soffio del tuo naso. Pronunzia su di loro:

Pkechps… 1. Per quanto scritto in copto, lingua tipicamente cristiana, l’incantesimo è ancora pagano. A. KROPP, Ausgewählte Koptische Zaubertexte, 3 voll., Bruxelles, 1930-31, n. 1. 2. Presso Antinoe ed Ermopoli; cfr. DRESCHER, Apa Claudius and the Thieves, p. 76, n. 1.

2. — GLI ULTIMI PAGANI1 Pur sotto un certo numero di tratti chiaramente leggendari e convenzionali, queste Memorie danno una idea abbastanza attendibile di quali siano stati gli ultimi atti della lotta del Cristianesimo trionfante nei riguardi della religione tradizionale. Alle ben note imprese dei patriarchi Teofilo e Cirillo in Alessandria contro il Serapeo e la scuola neoplatonica corrisponde, in provincia, questa implacabile caccia ai pagani. Essi son qui accusati dei più nefandi crimini, e — poiché la giustizia rifiuta di punirli benché confessino subito le loro colpe — debbono intervenire le autorità spirituali che chiamano su di loro la vendetta divina, e danno al fuoco gli idoli e gli idolatri, che essi riconoscono per ispirazione. La religione pagana è qui rappresentata come culto di demoni; e in verità non si riesce a riconoscere nessun elemento tradizionale nei dati offerti dal narratore. Fino il nome del dio (Kothos) è ignoto al pantheon egiziano classico.

C’era una città, a occidente del lago, in cui veneravano un idolo di nome Kothos, che stava innalzato su una finestra dentro una casa; e quando entravano nella porta della casa, chinavano per lui la testa fino a terra, e lo adoravano. Andarono i presbiteri di quella località e riferirono al mio padre2 tutto quel che facevano i pagani, e come rapissero i bambini piccoli dei cristiani e ne facessero sacrifici al loro dio Kothos. Del resto, avevano un giorno teso loro una imboscata, e li avevan trovati mentre compivano il delitto, e prendevano i bambini dei cristiani e li portavano ad uccidere in sacrificio sull’altare al loro dio. Così presero una quantità di loro e li misero in prigione e li interrogarono verbalmente, ed essi dichiararono, senza tortura3 dicendo: «Noi abbiamo spesso ucciso i bambini piccoli dei cristiani. Li attiriamo dando loro dei pezzi di pane con qualcosa da mangiare, finché li nascondiamo in certe località segrete, tali che non si possano da fuori sentire le loro voci. In questo modo siam soliti ucciderli. Versiamo il loro sangue sull’altare, ed estraiamo le loro viscere e le tendiamo come nervi per le nostre cetre e cantiamo con esse ai nostri dei. Il corpo in genere lo bruciamo e lo riduciamo in cenere. Ogni luogo di cui noi sappiamo che vi son sepolti tesori, prendiamo una quantità di questa cenere, e ve la collochiamo sopra. Poi cantiamo con le nostre cetre, i cui nervi sono le viscere dei piccoli bambini, e subito i tesori appaiono fuori, e noi li prendiamo come vogliamo». In questo modo4 gli uomini che eran stati presi dettero del danaro per liberarsi; poiché i capi di quella provincia sono gente avida di danaro. Come questo ebbe sentito dalla bocca dei presbiteri, il santo vescovo Abba Macario, si levò e andò con loro. E andammo con lui io ed altri due personaggi; e quei due presbiteri camminavano innanzi a noi.

Quando fummo penetrati nella provincia per un cinque miglia, vedemmo un tempio che era il loro. E il padre mio avanzò verso il lato del tempio; e gli dissero i due presbiteri: «Padre mio, allontaniamoci da questo luogo che non ci uccidano». Ma egli disse: «Com’è vero che vive il Signore, anche se dovessero uccidermi non me ne andrò prima di esserci entrato!» e avanzò dal lato della porta del tempio. E subito il demone in alto sulla porta insieme a Kothos l’idolo grida rono: «Venite a noi, e cacciate fuori Macario di Tkòu, poiché un tremito ci ha preso a sentire la sua voce. Se egli resta ancora un minuto in questo posto, noi ce ne andremo e non torneremo in questo luogo di nuovo, e non ci volgeremo a guardarvi». A sentir ciò i sacerdoti vennero fuori — e avevano armi in mano, e lance e asce — e insieme le donne andaron su sul tetto del tempio per gettarci pietre addosso, e gli dicevano: «Sei tu Macario di Tkôu, il malfattore, che sei venuto qui? E che vuoi? Il nostro dio ha cessato di darci istruzioni, e l’odio tuo è in noi. Allontanati da noi. Che hai da spartire con noi?». Rispose il santo e disse loro: «Se non ho nessuna faccenda in comune con voi, cos’è che avete voi in comune con i figli dei cristiani che immolate agli idoli?». Ed essi risposero e gli dissero: «Non è verità». E disse loro il santo: «Se non è, fatemi entrare e visitare il tempio». Ed essi gli dissero: «Vieni». Ma i due presbiteri si spaventarono, e non vollero venir dentro. Si levarono allora venti uomini, e chiusero la porta dietro di noi, decisi ad ucciderci. Noi eravamo quattro in tutto, ed essi ci dissero: «Si è compiuto oggi il vostro periodo di vita: ecco l’ora della vostra uccisione». Subito alzarono il mio padre e lo afferrarono per primo fra noi, come un agnello immacolato; e quindi noi altri tre fummo alzati dai pagani, e ci collocarono per il sacrificio sull’altare del loro dio Kothos; e le donne si rallegravano dicendo: «Festeggiamo oggi il nostro dio con i malfattori cristiani». Disse il loro capo: «Si vada e si informi il nostro sommo sacerdote prima di tutto. Innanzi di ucciderli, chiamatelo al sacrificio del nostro dio Kothos». Il resto fu d’accordo con lui e il nome del loro capo era Omero. Se ne andò quello che mandarono, ed io parlai e dissi al padre mio, con il quale ero legato: «Se tu resterai senza pregare che noi siam salvi, ecco che è giunta su di noi l’ora della nostra morte». E rispose il padre mio dicendomi: «Non aver timore, figlio mio Pinution, e Cristo ci aiuterà». Ancora parlavamo, ed ecco il santo Apa Visa batté alla porta. Quelli non gli risposero, e lui gridava da fuori dicendo: «O signore Iddio onnipossente,

che traesti Pietro fuori dalla prigione per quanto le sue mani ed i suoi piedi fossero legati, e facesti che la porta gli si aprisse senza chiave, mentre i guardiani ed i soldati che avrebbero dovuto sorvegliare la porta erano addormentati; e l’angelo del Signore lo precedeva, finché lo condusse sulle porte di ferro che davan fuori nella città; tu ora vorrai far certo che questo tempio si apra da solo!». E subito la porta del tempio si aprì immediatamente, ed entrò il santo Apa Visa con alcuni monaci; e facevano quattordici uomini. Quando essi furono entrati e li videro i pagani, furono in confusione e si fecero come pietre inanimate. Subito fummo sciolti e disse il santo Apa Visa al padre mio: «Fa’ una di queste due: o tu appicchi il fuoco ed io prego, o tu preghi, ed io appicco il fuoco». Gli disse il padre mio: «No, ma anzi leviamoci e preghiamo tutti insieme, finché il fuoco cali giù dal cielo e bruci il tempio». E si levarono e pregarono, e una voce fu su di loro dicendo: «Riparate fuori dalla porta del tempio!». Ancora non avevamo volto indietro la faccia, che ecco una grande fiamma di fuoco circondò tutto attorno il tempio intiero, e i muri del tempio caddero a terra, e il fuoco li divorò fino alle fondamenta. Il padre mio allora maledisse il tempio dicendo: «Nessun albero che dia ombra vi nasca per l’eternità. Divenga albergo alle fiere e ai rettili della terra». E in quel momento un demone impuro entrò in un uomo, e se ne andò alla città gridando: «Che tutti i pagani fuggano, perché, ecco, Visa e Macario di Tkôu son venuti!». Il padre mio incontrò Omero, il loro capo, sulla via. Egli era il sommo sacerdote, e il padre mio conobbe in ispirito che egli era il capo che avevan mandato a cercare. Gli disse il padre mio: «Perché non sei venuto e non hai celebrato la nostra uccisione quando volevano sgozzarci per il tuo dio Kothos?». Ed egli gli disse: «Tu stesso non meriti di essere vittima per il nostro dio, poiché tu sei vecchio». Immediatamente il padre mio fece segno ai frati dicendo: «Afferratelo e legatelo!». E quel sacerdote impuro gridò dicendo: «O grande iddio Kothos, archistratega dell’aria, fratello di Apollo, salvami, poiché io son quegli che ti fa ufficio di sommo sacerdote». Gli disse il padre mio: «Ti brucerò vivo, con il tuo dio Kothos». Andarono e giunsero alla città, e la folla degli ortodossi uscì e si diresse verso di loro. Allora egli ordinò loro che accendessero un fuoco e gettassero Omero il sacerdote in esso; e quelli lo bruciarono con gli altri idoli che trovarono nella sua casa. Il resto dei pagani, una quantità di loro divenne cristiana e prese il

battesimo. Alcuni altri non vollero, ma presero quel che possedevano e lo gettarono nel lago e nei pozzi, e se ne andarono, loro ed i loro idoli, in un luogo deserto. Noi facemmo il conto degli idoli che eran stati distrutti in quella occasione, e trovammo che assommavano a trecentosei idoli. Quanto a quelli che erano fuggiti, i cristiani andarono a stare nelle loro case. 1. Dalle Memorie di Dioscoro, pubblicate da REVILLOUT in Mém. Ac. Inscr. Belles Lettres, 1.re série, VIII, che io ho avuto sottocchio nella edizione del MALLON nella Chréstomatie (pp. 25 segg.) della sua Grammaire copte, Beyrouth, 1904. 2. In senso spirituale. 3. Senza neanche bisogno di ricorrere alla tortura. 4. Dato che con tanta facilità potevano procurarsi tesori.

3. — ISCRIZIONE CRISTIANA DI FILE1 È questa l’epigrafe che commemora come, sotto Giustiniano, il tempio di Isi a File fosse trasformato in chiesa cristiana. Era esso l’ultimo santuario pagano che fosse rimasto attivo nel paese fino a questa epoca, dopo che l’editto di Teodosio aveva bandito i vecchi culti: al confine con la Nubia, abitata dai temuti Blemmii, per un esplicito patto con quella popolazione pagana si era mantenuto aperto al culto questo tempio, permettendo ai devoti addirittura di portar via ogni anno per un certo tempo il simulacro della dea. Quando, con Giustiniano, l’impero fu abbastanza forte per non temer più le scorrerie dei nomadi nubiani, un episcopato fu installato a File, e fu tolto l’ultimo appiglio al paganesimo indigeno.

Per l’amore che porta agli uomini il signor nostro Cristo, il piissimo apa Teodoro vescovo ha trasformato questo tempio in santuario di santo Stefano. Che ciò sia bene nella potenza di Cristo. 1. LEFEBVRE, Recueil des inscriptions grecques chrètiennes d’Égypte, Le Caire, 1907, n. 567.

4. — IL TRAMONTO DELLA RELIGIONE EGIZIANA1 Il Corpus hermeticum, come si suol chiamarlo, riunisce un certo numero di testi di varia origine e di varia data. Nel complesso è un materiale in cui la speculazione greca si compiace di rivestire forme egiziane, collegandosi a quello Hermes che si identifica con Thot, il dio ermopolita della saggezza. Non è impossibile trovar tracce di speculazione egiziana in questo o quel particolare; e l’esperienza gnostica con la quale il Corpus hermeticum è connesso ha avuto certo importanza anche per il cristianesimo primitivo, cui è potuto perciò pervenire qualche elemento della più antica religione egiziana. Ma più che per questi così lontani legami qui si cita questo passo dell’Asclepius (un’opera giuntaci solo in traduzione latina) per la chiara e drammatica coscienza che ha il tardo paganesimo egiziano e del suo alto valore e della sua fine imminente.

O forse non sai, o Asclepio, che l’Egitto è una immagine del cielo, o — il che è più vero — un trasferimento e una discesa di tutto quel che è governato ed esercitato nel cielo? E se bisogna dire con più verità, il nostro paese è il tempio del mondo intero. Eppure, poiché bisogna che il savio tutto prevegga, non vi è lecito ignorare questo: tempo verrà in cui apparirà che invano l’Egitto abbia con instancabile religiosità onorato piamente la divinità; e tutta la santa venerazione degli dei cadrà vanificata. Dalla terra, infatti, la divinità si ritirerà al cielo, ed abbandonerà l’Egitto: e quella terra che era stata la sede della religione perderà la sua gloria, vedovata della presenza dei numi… Allora questa terra santissima sede di sacrari e di templi sarà pienissima di sepolcri e di morti2. O Egitto, Egitto! Della tua religione, solo sopravviveranno le favole, ed anche quelle incredibili ai tuoi posteri, e solo avanzeranno le parole incise sulle pietre che narreranno le tue pie imprese. 1. ASCLEPIUS, III, 24 b (ed. SCOTT). 2. La tradizione cristiana intende questa come una allusione al propagarsi in Egitto del culto dei martiri.

INDICI

INDICE DEI NOMI A Abido. Ady. Afroditopoli. Ag’a. Ahmes Nefertere. Ahmose. Aker. Akeru. Akhet Aton. Akhmim. Aldilà. Alessandria. Alessandro Magno. Amenemope. Amenofi I. Amenofi III. Amenofi IV, (v. anche Ekhnaton). Amen Ra. Amente. Ammone. Amon Ra Harakhte. Âng’et (Andyt, Andet, Andty), (v. anche Mandet). Ang’ty. Anime di Buto. Anime di Eliopoli. Anime di Nekhen. Anime di Pe, v. anime di Buto. Ankh-n.es-nefer-ib-Ra. Ankh-tawy. Anpet. Anta. Anteopoli. Antinoe. Anty. Anubi. — Sopdu. Anup. Anuqet. Api (Toro). Apollo. Apopi. Apuleio. Aqer. «Archi». Ares.

Arsafe. Asbet (Asbyt). Asclepio. Asphynis. Astarte. Atena. Athribis. Aton. Atum (Tum), (Tum). — mano di A. — occhio di A. Augusto.

B Baal. Baal G’apuna. Baalit. Babilonia. Babilonia (d’Egitto). Baba (Babu, Baby, Bebon). Bak-en-Khonsu. Bakhu. Ba-neb-G’edet. Barca dei milioni. Bastet. Bata. Battriana, v. Bekhten. Behbet el Hagar, v. Hebet. Bekhten. «Bell’Occidente». Benben. Bentres’. Berscia. Blemmii. Bubasti. Busiri. Buto, (v. anche Anime di B.). Byblos.

C Caleoibis. Cambise. Campo dei Giunchi. Campo del Confine. Campo della Vita. Campo delle Offerte. Canaan. Canale del Lago. Canale delle Curve.

Carii. Cheope. Cirillo. Città dei Ribelli. Coptos. Corinto.

D Dat, (v. anche Duat). Dedun. Dei Primordiali. Demdem. Demetra. Dendera. Dep. Der el Bahari. Der el Medinah. Dioniso. Diospolis Parva. Divina Adoratrice. D’ndrw (barca). Dua-mut.ef. Duat,(v. anche Dat). — D. inferiore. Duaty. Duau. Due Asce. Due Dei. Due Leoni. Dun-Anui.

E Ecateo. Edfu. Efesto. Elefantina. Eliopoli, (v. anche Anime di E.). Ekhnaton. Enneade,; — le 2 Enneadi:; — la grande E:; — la piccola E:; — E. di Urei:; — Toro dell’E:;. Epafo. Eracleopoli. Ermopoli. Erodoto. Esna.

«Eternità». Eufrate.

F Fayyum. Fenice. Fenicia. Festa della luna nuova,; — della valle; — della vittoria,; — delle lampade accese; — dell’inizio delle stagioni; — dello scoprire il volto; — Denyt; — di Heker; — Sed; — Wag. Fetket. Figli della Ribellione. Figli di Horo. File.

G Geb. G’ebawty. Gebel Silsilah, (v. anche Khenut). G’ed. G’edit. Gemiheru. G’enen-utet. G’enuty. G’eser-G’eseru. Giustiniano. Gizah. «Grande di Magia». Greci.

H Habin. Hai. Hapi, (v. anche Nilo). Hapi (figlio di Horo). — prato di H. Hapy-g’efa. Harakhte. Hardedef. Harendotes. Harmais (Harmhab). Haroeri. Harsafe (v. Arsafe).

Harsomtus. Hathor,; — Sette Hathor. Hats’epsut. Hau-Nebu. Hebet (Behbet el Hagar, Iseum). Hehet. Hehu. Heka. Heken-utet. Hekerer (Heker). Helios. Hemen. Henu («Barca di —»). Heny. Heqet. Her.ef.ha.ef. Hermes,; — H. Psicopompo. Hermonthis. Hermopolis Minor. Her-ur. Hery-bak.ef. Heseret. Hesy («Annegato»). Hetep.es-khu.es. Hetepet. Hierakonpolis. Hor-Khenty-Irty. Horo. — H. di S’esmet. — H. Hery-net.ef. Horo Merty. Hu. Hu-G’enderu. Huron. Hut-ka-Ptah.

I Iad. Iat-Pega. Iat-Usir. Igeret. Ihet. Ihy. Ikhet-Utet. Iku-ta. Illahun.

Imhet. Imset, (v. anche Mesti). Imute (Ii-em-hotep). Imynut. Imyw-iaw. Ini-a.ef. Inreref. Isdes. Is’ed. Iseum (v. Hebet). Isi. Isola della Fiamma. Is’tar. Ius-aas.

K El Kab. Karnak. Kehau. Kem-kem. Kenmut. Kenset. — Pilastro di K. Khaau. Khat. Khebent. Khenenu. Khenes-ur. Khenty-Amentyw. Khenty-irty. Khenty-khety (Horo Kh.). Khenty-menut.ef. Khenty-uaduy-fy. Khenut (Gebel Silsilah). Khepre. Kherty. Khnum. — Khnum Ra. Khonsu. Khonsu-che-governa-in-Tebe. Khonsu-in-Tebe-Neferhotep. Khuit. Kothos. Kus.

L Lago dei Due Coltelli. Lago dei Giunchi. Lago dei Giusti.

Lago degli Sciacalli. Lago della Fiamma. Lago di Kha. Lago di Maat. Lago di Salnitro. Lago di Unut. Latona. Latopoli. Letopoli. Licopoli. Luna. Luqsor.

M Maa-ha.ef. Maa-hery-terut. Maa-it.ef. Maat. Maaty. Macario di Tkôu. Madinet Habu. Mafdet. Maga. Maket-Aton. Mandet. Manduli. Manu. «Mare». Mehen. Mehent. Mehet-uret. Mekaty. Mekhenty (en) irty. Mendefty. Mendes. Menfi. Menset. Mentuhotpe IV. Meret. Meri-ka-Ra. Merit-Aton. Mer-na‘yt. Merty. Meskhat-kau. Meskhent. Mesktet, (v. anche Sektet). Mesqet. Mesti, (v. anche Imset).

Micerino. Min. Montagna del Serpente. Montu. Mut.

N Naref. Naucrati. Naunet. Neb-Ankh. Nebed. Nebet-unut. Neb-Maat-Ra. Nebthetepet. Nectanebo. Nedit. Nefer-ir-ka-Ra. Nefertum. Nefretete. Nefru-Ra. Nefti. Neha-Hor. Neheb-kau. Neit. Nekhbet. Nekheb. Nekhen. — Toro di N. Nenet, (Nenut). Nenrekh. Nep(r)i. Nesat. Nes’met. Neter. Nilo,. (v. anche Hapi). Nitocri. Nubia. Nun. Nut. Nutkenu.

O Occhio di Horo, (v. anche Ug’at). Occhio di Ra. Occhio di Tebi. Ogdoade («Gli Otto»). Ombos. Onnos, segg.

Onuri. Orione. Orsa Maggiore. Osiri. Osorkon II. Ossirinco.

P Pakhet. Papremi. Pataikos. Pe. Pega. Pelusio. Pepi. Pi-neter. «Pilastro di Sua Madre» (Iwn-Mwt.f). Pi-neter. Plutarco. Psammetico II. Psammetico III. Ptah (Phtha). Ptah khenty tenen. Ptah Soker. Ptah Soker Osiri. Ptah-Ta-tenen. Punt.

Q Qades’. Qebeh-senu.f. Qebhut. Qedem.

R Ra,; — Pra,; — Khnum R. Ra Atum. Ra-Harakhte,; — Pra-H. Ra-Khepre-Atum-Harakhte. Ramessese I. Ramessese II. Ramessese III. Ramessese IV. Ramessese V. Rampsinito. Ra-user. Redg’edet.

Renen-utet. Rerek. Roma. Ro-setau. Roy.

S S’abaka. Saby. Saft el Hennah. Sais. Sakhebu. Sanacharibo. Saqqarah. Sarapi (Serapeo). Satet (Satis). Sau. S’ay. «Sciacallo». S’edenu. S’edet. S’edu. Sefkhet-Âbui. Seg’met. Seheptet. Seker-Usir. Sekhat-Hor. Sekhem. Sekhmet. Seksek. Sektet, v. Mesktet. Selene. Selkis (Serqet). S’enit. Sepa. Sep-Ra. S’epses. Serqet-hatu. S’esmu. Sesostri, I. Seth. Sethos. Setne. Setyt. Sia. Signore dal Volto Unico. Signore Universale. Sinai.

Siria. Sirio, (v. anche Sothis). Siusire. Siut (Assyut). Sma-Behdet. Smat. Sobk. Sohag. Sokaris. Sopdu,; — Anubi S. Sothis, (v. anche Sirio); — Sopdet. Stefano (S.). S’u. Sutekh. Suty.

T Ta-G’eser. Taharqa. Tait. Talmis (Kalabs’a). Tanen. Tanis. «Tartaruga». Ta-Tenen. Ta-Ur. Tebe. Tebha. Tefen. Tefnut. Tell el Amarna. Teodoro (Vescovo). Teodosio. Teofilo. Terra di Dio. Tes’tes’. Teti. Thot. Thutmose I. Thutmose III. Thutmose IV. Tided. Tini. Toeri. Tolemaide. Tolomeo II.

Toro dell’Occidente. Toro di Sua Madre (Ka-Mut.ef). Trogloditi. Tutankhamon.

U Uas. Uaset. Ug’a-Hor-resnet. Ug’at, (v. anche Occhio di Horo). Uhem-her. «Unione delle due terre». Un-nefer. Unty. Upiw. Up-uaut. Useret. User-hat. User-Ka.f. Uto.

V Valle dei Re. Valle del Pino. Visa.

X Xois.

Z «Zappare la terra».

INDICE DELLE TAVOLE Casa dell’anima Il re G’oser in abito da festa sed Concubina Icneumone Adorazione della rondine e del gatto Papiro del Libro dei Morti: l’Aldilà L’anima torna al defunto Papiro dell’Amduat: Ultima ora Harpocrate e Toeri Stranieri sotto i sandali Adorazione di Amenofi I Horo sconfigge la Tartaruga Processione di animali Lo hesi Pamun

.

Frontespizio Prefazione Introduzione Nota bibliografica Abbreviazioni I. L’Età Più Antica Miti, speculazione, riti

4 6 10 24 31 32 33

1. Dai «Testi delle piramidi» 2. Un testo di teologia menfita 3. Dal «Papiro drammatico del Ramesseo»

33 160 163

1. Un anno di regno di User-ka.f 2. Decreto di immunità per il personale di un tempio

166 168

Lo stato e il tempio

II. Il Medio Regno La crisi della coscienza

1. Dall’«Insegnamento per Meri-ka-ra» 2. L’eguaglianza degli uomini 3. Dal «Dialogo di un disperato con la sua anima» 4. Dai «Testi dei sarcofagi»

La magia

Dalle «Formule magiche per la madre e per il fanciullo»

Forme popolari del mito

166

170 171

171 175 176 178

197

197

200

La nascita di tre re

200

1. La fondazione di un tempio 2. Dagli atti del tempio di Anubi a Illahun 3. Fondazioni funerarie del principe di Assyut

203 206 208

L’amministrazione della religione

III. Il Nuovo Regno I rituali

1. I canti rituali di Isi e Nefti 2. La stele di Ramessese II al Gebel Silsilah

Testi funerari 1. Dal «Libro dei morti» 2. Dal «Libro di chi è nella Duat» 3. Dal «Libro delle bolge» 4. Epigrafi funerarie

La magia Dal «Papiro magico Harris»

Forme popolari del mito 1. Distruzione e salvataggio del genere umano 2. Il racconto di due fratelli 3. Il giudizio di Horo e Seth

La pietà

203

213 215 215 226

229 229 295 302 307

312 312

328 328 331 342

358

1. Dall’«Insegnamento di Any» 2. Dall’«Insegnamento di Amenemope» 3. Preghiere neoegiziane 4. Massime incise sugli scarabei 5. Lettera a una morta

358 360 363 368 369

1. La nascita divina di Hats’epsut 2. Hathor giovenca e la regina Hats’epsut 3. La profezia per Thutmose III 4. La nomina divina di Thutmose III 5. La «stele poetica» di Thutmose III 6. L’istituzione di una festa 7. Una stele di Ramessese IV in onore di Osiri

372 376 377 378 379 382 383

1. Gli dei di Menfi 2. Tabella delle razioni mensili di incenso ai templi di Tebe all’epoca dell’inizio della XVIII dinastia 3. I beni di Ammone al nuovo regno 4. Donazione ad un tempio 5. Dall’autobiografia di un sommo sacerdote di Ammone 6. Un sommo sacerdote di Ammone parla di sé 7. Scandali a Elefantina

388 390 391 417 419 420 421

Il Sovrano

Il tempio

IV. Tell El Amarna 1. La stele di frontiera a Tell el Amarna 2. L’inno ad Aton 3. Stele della restaurazione di Tutankhamòn V. La Bassa Epoca Il rituale 1. Il «Libro di Apopi» 2. Dalla stele dell’anno VI di Taharqa

372

388

422 423 426 432 437 438

438 451

3. Il rito della caccia con la rete 4. Ricetta per l’unguento del tempio 5. Teologia d’età romana

Testi funerari

1. Dai testi del sarcofago di Ankh-n.es-nefer-ib-ra 2. Dal libro «Che il mio nome fiorisca» 3. Epitaffio 4. Un viaggio nell’aldilà

La magia Il mito

452 454 456

464

464 468 470 472

474

Dal «Papiro magico di Londra e Leida»

474

1. Un miracolo di Khonsu 2. La dea lontana

480 487

1. Preghiera tolemaica 2. La sepoltura di un Ibis 3. Dal libro sapienzale demotico

488 489 490

1. Cambise a Sais 2. Ammonimento ai prelati

491 492

La pietà

La vita del tempio

VI. L’Età Greca e la Fine del paganesimo I Greci e l’Egitto 1. Dalle «storie» di Erodoto 2. Dalla stele di Mendes 3. Ricordo di una incubazione

Gli Egiziani

1. Prefazione a una traduzione di una storia egiziana di Imute 2. Indicazioni per una pratica magica 3. Domande oracolari

Fuori d’Egitto

Una festa di Isi in epoca romana

Rapporti con il cristianesimo 1. Un incantesimo copto pagano 2. Gli ultimi pagani 3. Iscrizione cristiana di File 4. Il tramonto della religione egiziana

Indice dei nomi Indice delle tavole

480 488

491

494 495 495 501 503

504

504 508 509

511

511

515 515 517 521 522

524 536