Gli obelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca 882224060X

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Gli obelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca
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ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE «LA COLOMBARIA» « S TUDI» CXXXI

GIOVANNI CIPRIANI

GLI OBELISCHI EGIZI POLITICA E CULTURA NELLA ROMA BAROCCA

FIRENZE

LEO S.

OLSCHKI EDITORE MCMXCIII

ISBN 88 222 4060 X

Alla

cara

memoria di mio nonno

Giuseppe Andrei

PREMESSA

Giunto al termine di questa mia nuova fatica desidero rivolgere un grato pensiero a quanti, in questi lunghi mesi di travaglio intd­ lettuale, mi sono stati vicini con consigli e suggerimenti o con il de­ cisivo sostegno della loro fiducia. Ringrazio perciò di cuore il prof. Francesco Adorno alla cui sensibilità e cortesia devo la pubblicazione di questo lavoro nella prestigiosa collana «Studi» dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria>>; il Prof. Cesare Vasoli, il cui incoraggia­ mento è stato per me prezioso ed insostituibile; la Prof.ssa Gigliola Fragnito, alla cui generosa disponibilità molto deve la realizzazione di questo volume; il Prof. Leandro Ferini, ottimo consigliere ed amico; il Prof. Salvo Mastellone, aperto ad ogni costruttivo contri­ buto; il Dott. Augusto Guida, pronto a sciogliere ogni mia perples­ sità fùologica e la Signorina Antonella Marsini, della Biblioteca Ma­ rucdliana di Firenze, alla cui competenza devo in larga misura il reperimento del materiale iconografico. Il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecno­ logica e l'Università degli Studi di Firenze hanno contribuito al fi­ nanziamento delle mie ricerche e l'Accademia Toscana di Scienze e Lettere «La Colombaria>> si è assunta l'onere della presente pubbli­ cazione. Firenze, Ricorboli, Febbraio

1992 GIOVANNI CIPRIANI

- 7 -

CAPITOLO

I

L'ETÀ DI SISTO

V

Sisto V, a differenza di numerosi suoi predecessori, non amò mai in modo particolare le testimonianze dd mondo antico. Deciso avversario di ogni forma di paganesimo vide nelle opere della clas­ sicità la tangibile sopravvivenza della passata idolatria e non esitò a distruggerle 1 per far trionfare l'immagine di una nuova Roma, una Roma cristiana ancor più doviziosa e superba di quella dei Cesari. La sua instancabile attività edilizia e di pianificazione urbana è strettamente connessa a questo ideale, un ideale concretamente e metodicamente perseguito, destinato a trasformare in un breve vol­ ger d'anni una città pigra e sonnolenta in un vasto cantiere pul­ sante di vita. Solo in pochi casi Sisto V non solo ebbe rispetto ma vera e propria ammirazione per il frutto dd lavoro e dell'ingegno degli antichi. L'esempio degli obelischi egizi è forse il più significa­ tivo a questo riguardo ed è di indubbio interesse cercare di com­ prendere le intime motivazioni che guidarono Felice Peretti nella sua opera di recupero e di valorizzazione di queste eccezionali te­ stimonianze archeologiche. Già in epoca paleocristiana il popolo egizio era stato associato Per ordine di Sisto V fu interamente distrutto il Settizonio, un grande edificio ai dd PaLorino costruito da Settimio Severo e cdebrato da Francesco Albertini e da Bramante come uno degli esempi più importanti dell'architettura romana. Anche la tomba di Cecilia Metella doveva essere rasa al suolo e si salvò soltanto perché i Conservatori avvi­ sarono il papa che se fosse stata toccata ne sarebbe derivato un tumulto popolare per !"an­ tica credenza che la sua distruzione avrebbe comportato rovinose conseguenze per Roma. u terme dì Diocleziano, con il pretesto che rurbavano l'accesso alla chiesa dì Santa Maria degli Angeli, furono parzialmente abbattute e persino le starue di Giove Olimpico e di Apollo furono esiliate dal Campidoglio dove rimase solo quella di Minerva, opporruna­ mente trasformata in immagine della chiesa trionfante con una lunga croc mentre San Girolamo, sulla base delle sacre scritture, aveva addirit­ tura individuato nell'Egitto una terra degna di pellegrinaggio, dato che vi aveva trovato rifugio la sacra famiglia.' Lo stesso culto lsiaco, fondato sull'immagine materna della dea, spesso raffigurata con il figlio Horus, fu subito collegato a quello della Vergine Maria e persino molti degli attributi Isiaci, senza soluzione di continuità, divennero di pertinenza della madre dd Messia.' I caratteri gero­ glifici, secondo la defmizione data da Diodoro Siculo,' erano quanto di più ieratico fosse mai stato concepito per esprimere in forma scritta il rapporto fra Dio e l'uomo. La lingua degli antichi sacerdoti colpiva per il suo simbolismo misterico ed era ben visibile proprio a Roma, la città in cui il vicario di Cristo aveva esalato l'ul­ timo respiro presso gli orti Vaticani ed in cui era riuscito a creare una istituzione dal perenne retaggio.

2 Scrive infani Lattanzio: «Apud Ciceronem C. Cotta pontifex disputans contra Stoi­

cos de religionibus et varietate opinionum quae solent esse de diis, ut more Academicorum

omnia faceret incerta, quinque fuisse Mercurios ait et enumeratis per ordinem quattuor, quintum fuisse cum a qua sit Argus occisus; ob eamque causam in Aegyptum profugisse atque Aegyptiis leges ac litteras tradidisse. Hunc Aegyptii Thoyth appellant, a qua apud eos primus anni sui mensis, id est September, nomen accepit. Idem oppidum condidit quod etiam nunc graece vocatur Mercurii civitas et Pheneatae coJunt eum rdigiosc. Qui ta· metsi homo fuit, antiquissimus tamen et instructissimus amni genere doctrinae adro ut ei multarum rerum et aniurn scientia Trismegisto cognomen imponeret. Hic scripsit libros et quidem multos ad cognitionem divinarum rerum perrinentes in quibus maiestatem summi ac singularis Dei asserir isdemque nominibus appellar quibus nos dominum et patrem. Ac ne quis nomen eius requireret dvWvvJ,J.ov esse dixit, eo quod nominis proprietate non egeat, ob ipsam scilicet unitatem. lpsius haec verba sunt: 6 bi 9O. TEMPESTI, Stori4 cit., tomo I, lib. XX, p. 324.

- 43

riconsacrare il monumento alla luce dd Cristo che filtrava attra­ verso l'arma gentilizia dd pontefice ,,. ed alcune parole lo espres­ sero con chiarezza: SIX11J S V PONT.

MAX .

OBELISCUM AEGYYrO ADVECTIJM AUGUSTO IN EIUS MAUSOLEO DICATUM EVERSUM DEINDE ET

IN

PLURES CONFRACTUM PARTES

IN VIA AD S. ROCHUM IACENTEM IN PRISTINAM FACIEM RESTmiTUM SALUTIFERAE CRUCJ FEUCJUS HJC ERIGI JUSSIT AN . D .

MDLXXXVIT

PO NT . III

Gli espliciti riferimenti all'Egitto, prima e ad Augusto, dopo sotto­ lineavano ancora una volta la natura pagana ma regale dd monu­ mento, per non parlare della croce «salutifera» a cui era dedicata una nuova iscrizione: CHRISTUS PER INVICTAM CRUCEM POPULO PACEM PRAEBEAT

QUI AUGUSTI PACE IN PRAESEPE NASCI VOLUIT

Simbolo di vittoria, la croce s'imponeva ora come garanzia di pace. La minacciosa aggressività espressa nell'obdisco Vaticano: 121

collocata

Ben sim boleggia ta ds la croce .

t re monti coronati

-

44

ds

-

una st ell a sulla quale, non a caso, e r a

ECCE CRUX DOMINI FU GITE P ARTES

ADVERSAE

VINCIT LEO DE TRIBU IUDA

lasciava ora il posto alla speranza della quiete e della redenzione. La «pax augusta» a cui nel Campo Marzio era stata dedicata una delle are più significative e superbe della classicità, '29 veniva qui evocata con palese evidenza. Lo stesso Cristo aveva visto la luce in quella pace ed anche Sisto voleva ora offrire una identica pace a tutti i credenti ricollegandosi alla mitica età dell'oro cantata da Vir­ gilio e rinnovando proprio in Santa Maria Maggiore il miracolo del presepe. Non a caso il pontefice aveva voluto dare il massimo ri­ salto alla cappella che custodiva nella basilica la tangibile immagine della nascita del Salvatore attorniato dai pastori ed aveva ordinato la costruzione e la decorazione di una nuova cappella affidando a Domenico Fontana l'incarico di realizzame la struttura architetto­ nica." 0 L'antica cappella del presepe, con tutto il suo contenuto, non doveva però essere distrutta ma trasportata nella sua integrità nella nuova, mura comprese, e la difficilissima operazione fu por­ tata a termine con pieno successo dallo stesso Fontana senza arre­ care il minimo dann o al vetusto manufatto. '" Una terza iscrizione collegava ancor più strettamente Cristo ad Augusto ribadendone la contemporaneità: CHRISTUM DOMINUM QUEM AUGUSTUS DE VIRGINE NASC111JRU M VIVENS ADORAVIT SEQ. DEINCEPS DOMINUM DICI VETUIT ADORO

11' no

L'Ara Pacis Augustae, .,.Jizza ta a Roma nd 13 a.

Cfr. FomANA, D�/ mod> . ' "' La vittoria romana, la fine del regno d'Etruria pesavano dunque come un'onta sulla memoria di quel sovrano che più di ogni altro aveva simbolicamente rappresentato la potenza della propria terra e solo Cosimo de' Medici, nuovo «Magnus Dux Ae­ truriae», dopo tanti secoli era riuscito a cancellare l'antico disonore e a restituire alla Toscana la sua corona e il suo scettro regale. La continuità fra passato e presente non poteva essere espressa con maggior chiarezza e non Firenze ma l'intera Toscana trionfava ac­ canto alla dinastia medicea ed alla monarchia da essa creata. ll ca­ rattere unitario dello stato toscano, il significato della sua antichità erano dati ormai costitutivi dell'assolutismo mediceo e la loro pe­ netrazione nei settori più disparati della vita politica e culturale del granducato diviene ancor più evidente analizzando alcuni scritti di poco posteriori alla data del fastoso matrimonio di Ferdinando e C ristina di Lorena. Un funzionario, Giovanni Rondinelli, commissario nel 1 5 9 1 a

"' lvi, pp. 1 68 - 1 69 . ' " lvi, p . 1 68 .

'" C fr . in proposito F. CRUC!ANl, l/ teatro d d GzmpidoglùJ e le /eJte romane de/ 1 5 1 3 Co n la nroitruvOne architellontC4 de l teatro dt A rnaldo Bruichi, Milano, ll Polifilo, 1 968; CIPRIAN1, Il mito etruJco cit., pp. 49-n. '" GuALITROTil, Della deJmvOne cit., p. 168. -

66

-

Cortona, dedicava proprio all a giovane granduchessa una singolare Descnzione della città in cui si trovava ad operare parlando minuzio­ samente del popolo etrusco sulla base dei testi più disparati ed an­ che di quella sill o ge anniana così cara ad Alessandro VI Borgia. «Non voglio or trattare», scriveva infatti, se era una della dodici città di Toscana o no, dirò solo che è antichissima e che fu sempre possente, valorosa e nobilissima città e uno de' capi della Toscana. E che delle principali memorie (come mostra Dionisio Alicar­ nasseo nel primo libro dell 'An tich ità romana e Mirsill o Lesbio nel libro del Origine d'Italia e de' Tirrenz) una è questa, che nel tempo che Pelasgi, popoli di Grecia mescolati in Italia con li aborigeni (i quali di poi si chia­ marono Latini) mossano guerra alli Umbri, p renderono ancora con gran ­ dissimo impeto Cortona, città di essi fiorentissima e grande, della quale si servirono poi per sede della guerra contro li Umbri . . . Furono li sopra­ detti Umbri gente antichissima . . . et i Pelasgi i primi g reci che venissero in Italia ave, dopo l'haver alcun tempo in essa regnato, mancaron di po ­ tenza due e t à innanzi alla guerra t roiana. D i maniera c h e contando gli anni che durò l' assedio di Troia e computando il tempo della rovina di essa all a edificazione di Roma e da lei all a natività di Nostro Signore e indi a oggi si posson numerare duemilanovecento anni in circa che Cor­ tona venne in mano de' Pelasgi . De' quali essendo mancata la potenza e cosi di poi de' Toscani e cresciuta la romana , divenne sua colonia.''"

I richiami alla «guerra troiana», alla «edificazione di Roma>> ed all a «natività di Nostro Signore» riassumevano le vicende cortonesi e le gesta di Umbri, Pelasgi, Etruschi e Romani che si erano avvi­ cendati in quella città le cui mura «di pietre grandissime e senza calcina e di lavoro e connessure simili a Fiesole e Volterra>>,' "" resta­ vano ancora a testimoniare la grandezza di un tempo e a far riflet­ tere sulla civiltà etrusca e sul suo retaggio. Del resto Giovanni Ron­ dinelli non era l'unico a metterlo in risalto, anche nel medico Paolo Mini compare lo stesso atteggiamento, come possiamo vedere nel suo Discorso della nobiltà di Firenze e de' Fiorentini, pubblicato nel 1 11 Biblioteca Marucdliana, Firenze (B.M.F. ) . G . RoNDINEI.U , Descn'vone di Cortona e suo contado /alla da Gri:wanni Rondine/li alla sereniJiima gran ducheJia di Toscana l'anno 1 5 9 1 , ms A230.7 , cc. 1 v-2v. Fra le copie esistenti di questa Desmzione Mauro Cristofani ha identificato come copia più antica quella conservata nd fondo Magliabechiano della Bi­ blioteca Nazionale Centrale di Firenze con segnatura XXV , 3 12 . Cfr. in proposito M. CRJ­ STOFAN!, p,. una stona del colln.ionrrmo archeologrco nella Toscana granducak. I. I grandi bronzi, «Prospettiv .,., 1 7 , 1 979, p. 1 3 . " ' B.M.F., RONDINEI.U, Desmzione cit., c . 3 r. - 67 -

1 5 93 , in cui il pretesto per la glorificazione cittadina si stempera nella cdebrazione dell 'intera Toscana ed il passato si fonde nd pre­ sente senza soluzione di continuità. Se i Toscani erano infatti «hora e ne' passati tempi huomini famosissimi per religione, chiarissimi per valore, nobilissimi per generosità>>,'90 i Fiorentini non potevano che essere collocati al vertice di questa scala di valori positivi e la stessa origine della loro città stava a dimostrarlo. Il problema dell 'origine di Firenze era stato dibattuto a lungo ma Mini voleva riproporlo perché non concordava con quanto Agnolo Poliziano aveva affermato e riteneva che la città fosse «111 o lto più antica della colonia condottavi da Augusto» . 191 Egli si chiedeva

Se Firenze adunche è più antica dell a colonia mandatavi da tre huo· mini qual'è la sua origine? Dove son l'origini che da gli scrinori le sono as· segnate? La prima, che la fa fondata da h uomo certo e pensatamente vuole che la fosse fondata meglio che 1 680 anni inanzi all ' avvenimento di Chri· sto. La seconda, che la fa fondare da huomini incerti ed a caso, non le asse· gna tempo alcuno determinato. Coloro che anribuiscono a Firenze la prima origine si muovono da tre connietture. La prima è dal nome comune e volgare che ella ha. La seconda è da uno de' suggelli che ella già usava. La terza è da una delle sue insegne. È questa insegna il lione, il suggello è lo Ercole ed il nome è Firenze. Da queste tre connietture mossi costoro vo­ gliono che Firenze ne' primi suoi natali fosse una dell e colonie di quell'Er­ cole che per proprio nome fu chiamato Libio. Fu quest 'Ercole figliuolo di Osiri, uno de' figliuoli di Cam e cosl bisnipote di Noè, dall a gentilità chia­ mato }ano ... E venendo all a seconda origine che è che Firenze sia stata fon· data da h uomini incerti e a caso, io dico che essendo vero quel che dicono i nostri istorici, che nel piano ove è oggi Firenze i Fiesolani facess ero due fiate la settimana i loro mercati . . . verissimo altresl è che la città di Firenze in esso è stata edificata . . . a caso, cioè mentre che i venditori, considerata la utilità, vi si accasano, vi edificano magazzini e botteghe e cercando di assi· curarle da' ladri le cingono di mura senza considerare se l'era troppo sotto Fiesole o no. Questa origine, favorita dai migliori nostri istorici, ha meno dd favoloso e più del verisimile della prima e . . . ella non deroga punto all a antichità e alla nobiltà di Firenze . . . potendo ell'essere stata molte centinaia di anni innanzi all'avvenimento di Christo.192 '"' P. MINI, Discono dd/a nobiltà di Fir�nu � �· Frarmti, di Paolo Mrnr; mdrro, fr /o. w/v � cill•di.no /rormtino, Firtt1 :uo , Manzani, 1 5 9 3 . Epistola dedicatoria indirizza ta a Nic· colò Capponi. "' lvi, p. 2 1 .

" ' lvr, pp. 22 · 2 5 . -

68

-

Erano dunque ancora diffuse negli ultimi anni del Cinquecento le favolose concezioni «arameiche» che, nate da Annio da Viterbo, avevano trovato a Firenze ampia diffusione. Come a Roma, anche nella città toscana in piena Controriforma i miti classici continua­ vano ad esercitare un fascino senza pari e non si esitava ad identifi­ care di nuovo Giano con Noè e a definire quest'ultimo «bisavolo» di Ercole. La complessa sintesi operata da Annio ed Egidio da Vi­ terbo,m tesa a sanare ogni frattura fra paganesimo e cristianesimo e a risolvere ogni dissidio nell'eterna manifestazione della volontà di­ vina, non aveva mutato la sua efficacia evocativa e di essa si conti­ nuava a discutere e a parlare. L'antichità di Firenze era ancora al centro delle dispute e non tutti erano sensibili a quanto Agnolo Po­ liziano si era sforzato di dimostrare. Firenze doveva esser più antica dell'età dei primi Triumviri e ritornava in primo piano l'ipotesi che Niccolò Machiavelli aveva affidato alle sue !storie fiorentine, quella dei mercati che «due fiate la settimana>> , .. gli etruschi Fiesolani avrebbero tenuto sulle rive dell'Arno costruendovi magazzini e botteghe fino alla creazione di una nuova città. Troppi legami esi­ stevano del resto fra l'Etruria di un tempo ed il nuovo granducato per non far risaltare come più verisimile l'origine etrusca di Fi­ renze. Essa, come ben sottolineava Mini, non deroga punto all 'antichità e alla nobiltà di Firenze ... essendo stata di quei popoli della riviera d'Amo che Catone chiama Fluentini e Arniesi , popoli tali che una parte di essi, trasferitasi a Roma, vi cognominò un borgo ed una tribù . ' "'

Anche l ' Opusculum de mirabilibus novae e t vetens urbis Romae, che il fiorentino Francesco Albertini aveva dedicato a Giulio Il, tornava alla luce assieme ai rapporti che sempre erano intercorsi fra l'antica Roma e la Toscana di un tempo ed il passato forniva, ancora una volta, la giustificazione del presente, come se quest'ul­ timo fosse l'emanazione del primo. Proprio per questo, non essen­ doci 191 Basti p=sar in cui sembrava compendiata l'essenza stessa dd cattolicesimo romano. Patrizi era animato da un sincero entusiasmo e la restaurazione della vera «re­ ligio» attraverso i testi ermetici era, a suo parere, naturale e neces­ saria. Per questo, accanto alle sue riflessioni sull'argomento, curò la pubblicazione dell'intero «corpus» attribuito al Trismegisto nd te­ sto greco di Turnèbe e Foix de Candale, corredandolo di una nuova traduzione latina e vi aggiunse l'Asclepius e alcuni brani tra­ mandati da Stobeo. Nessuno, in precedenza, aveva reso disponibili tante testimo­ nianze della tradizione ermetica. Patrizi, come ha ben sottolineato Frances A. Yates,' credeva fermamente nella sua missione fì.l oso­ fica. Egli riteneva che il Trismegisto «coetaneus . . . fuisse Mosy, sed paulo senior>>,' che la versione mosaica della creazione dovesse es1 Cfr. in proposito YAn:s, Giordano Bruno cit., pp. 204 -207 ed inolt� O. GlJERJUNl, Franc�sco Patnzlo e della ranssima edivon� della sua Nova philmophla, «ll Propu gn a­ tore», XII , 1 879, pp. 1 72-230; P. DoNAZZO W, Franc�sco Patrivo dt Cherso erudito del se­ colo XVI (1 529- 1 597) , «Atti o Memorie della Società lstriana di Archeologia e Storia Pa­ tria», XXVIII, 1 9 1 2 , pp. 1 - 1 4 7 ; P. M. ARCARJ , Il p�nsiero polittro di Francnco Patriv' di Chn-so, Roma, Zamperini e Lorenzini, 193 5 ; C. V ASOU, Francesco Patn].i da Chtno, Roma, Buhoni, 1 989. 1 Cfr. Y ATES, Gzordano Bruno cit., p. 204. . ' F. PATRIZI , Francisci Patncil nova de univtnls philosophia In qua an stoulica m� thodo non per motum sed per luum et lumlna ad pn·mam causam ascmditur dànde propria Patricil methodo tota In contemp latton�m venit divinitas postremo m�thodo platonzCIJ, r=m univtnitas a conditore Dro deducitur. Ad sanctimmum Gr�gon'um Xliii pont. max �t �ius Di

- 77 -

sere integrata con quella contenuta nel Pimander e soprattutto che Ermete parlasse > ponendo le basi del vivere civile e della stessa autorità sovrana. L 'Egitto aveva mo­ strato al mondo intero lo stretto legame esistente fra potere politico e potere religioso, fra dinastia regnante e classe sacerdotale ed ora tale legame doveva essere nuovamente ribadito perché solo l'u­ nione fra trono e altare avrebbe garantito magg i ori possibilità di vittoria alla Controriforma. Astri di pari fulgore , il papato e l ' im ­ pero dovevano fare appello alle loro comuni origini divine d al mo­ mento che l 'eresia luterana e quella calvinista avevano trovato a Ve-

cosabili et operation< paucis nota tc:ntataqu< con nili . Qua quidem singulari industria fac· tum est ut paulatim in abditam rt. KlRailll, Ad Akx4n· dnmr cit., Prac:fatio.

'" lvi, Epi.otola dedicatoria. L ' epi.oto!. è datAtA «e Collegio Romano K.al . !unii ! 666.. .

" ' lb1 d

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ad supremi opificis seu spiritus supramundani, in rerum conditarum ad­ ministratione omnia in omnibus operantis effluxum , tum ad politici mundi gubemationem , iuxta supramundani spiritus archetypon consti­ tuendam , mira ingenii felicitate et solertia alluserint."'

Qud complesso meccanismo allegorico, già utilizzato per cde­ brare Innocenzo X e la dinastia asburgica, tornava alla luce carico di nuove valenze simboliche. Chi incarnava infatti il supremo po­ tere spirituale e temporale se non Alessandro VII , l'unico sulla terra in grado di aprire e chiudere mmio dt U. """"""" popo1 984 ,

144 pp .

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zione integrale e commento a cura di M . K � I n preparazione

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