Testa e croce. Una breve storia della moneta 8806208918, 9788806208912

Cos'è il denaro? A cosa serve e come funziona? È il denaro che appartiene agli uomini o sono gli uomini ad apparten

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Testa e croce. Una breve storia della moneta
 8806208918, 9788806208912

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La moneta è un'invenzione: uno strumento, non un fine. '

E una norma, non una merce. Nel suo stravolgimento da strumento a fine, da norma a merce, sta la degenerazione che essa ha subito nella storia.

Giorgio Ruffolo, economista, è stato parlamentare e ministro.

€ 17,00

Che cos'è la moneta? Simbolo o se­ gno? Mondana o numinosa? Sogno o sterco? In questo libro si tenta di dare una ri­ sposta non mistica a questa doman­ da. La moneta è un'invenzione che non viene dagli dèi o da un Dio, ma dalla genialità degli uomini; e che è rivolta a utilizzare razionalmente la capacità che essi hanno, unica tra le specie esistenti, di trasformare il lo­ ro ambiente. E dutJ.que uno strumen­ to, non un fine. E una norma, non una merce. Nel suo stravolgimento da strumento a fine, da norma a merce sta la degenerazione che essa ha subi­ to nel corso della sua storia, che que­ sto libro racconta. Nel gioco del mercato la moneta adempie la funzione svolta dai getto­ ni nel gioco della roulette. I gettoni non hanno alcun valore intrinseco. Se glielo si attribuisse usandoli come ric­ chezza accumulabile si rovinerebbe il gioco privandolo di una fine, quindi di un fine. Ricondurre la moneta alla sua funzio­ ne strumentale e normativa è il solo modo di restituirle la sua qualità di un potere al servizio di un'economia e non di un'economia al servizio di un potere.

In copertina: Quentin Metsys, L'usuraio e sua moglie, olio su tela, 1514, particolare. Parigi, Musée du Louvre. (Foto Lessing l Contrasto).

Giorgio Ruffolo, economista ed esponente di primo piano del riformismo italiano, ha lavorato tra l'altro all'Eni di Enrico Mattei e all'Ocse.

È stato ministro dell'Ambiente e

deputato socialista a Montecitorio, al Sena­ to e al Parlamento europeo, fondando nel 1981 il Centro Europa Ricerche di cui è tuttora presidente. Per Einaudi ha pubbli­ cato: La grande impresa nella società moder­ .

na (1967), Cuori e denari (1999). Quando l'Italia era una superpotenza (2004), Lo �pecchio del diavolo (2oo6), Il capitalismo ha i secoli contati (2oo8) e Un paese troppo lungo (2009). Scrive su «la Repubblica» e «L'Espresso».

Passaggi Einaudi

© 2011 Giulio Einaudi editore s . p.a . , Torino www . einaudi . it ISBN

978 -88-06- 2 0 89 1 - 2

Giorgio Ruffolo Testa e croce Una breve storia della moneta

Einaudi

Indice

p. IX

Introduzione. La moneta, una istituzione ideale

Testa e croce 3

I.

Quando la moneta non c ' era

6

II.

Dal baratto alla moneta La moneta anonima

II 15 22

40

III.

Il miracolo greco

IV.

La moneta romana

v.

La moneta nel Medioevo

45

Uno sgu�rdo ali' alto Medioevo

50

Il miracolo i t aliano

51

La vittoria sull ' aristocrazia

53

L a vittoria dei mercanti italiani sui loro concorrenti

55

Era quello italiano vero capitalismo ?

64

VI.

La moneta nell ' età moderna La conquista dell ' America

65 66

La rivoluzione commerciale . Le fiere di cambio

67

Le Città-Stato italiane

69

Dal commercio alla finanza

7I

L ' investimento politico

73

C apitalismo e Stati nazionali

76

VII.

I secoli lunghi del capitalismo Il secolo ispano-genovese

76 83

Il ciclo genovese

87

Il secolo lungo olandese

IOO

VIII.

Il lungo secolo britannico

VJII

Indice

p. I I 5

rx.

Il secolo americano : lungo o breve ?

I I6

L ' egemonia americana

I I8

I l dist acco dall ' oro

I2 I

Le « mosse » della controffensiva

I 27

Gli anni dell ' euforia

I 28

Gli anni dell ' irresponsabilità

I 29

Cotne prima, piu di prima

I3I

Un a prospettiva deprimente

I32

x.

Moneta senza fine o fine della moneta ?

I32

Che cos 'è, insomma, la monet a ?

I 44

N o n siamo mica scemi

I 47

Scomparsa della moneta ?

I 49

In crociera con l'alta finanza americana

di Giuseppe C assini

I 67

R ingraziamenti e dediche

r7 I

Indice dei nomi di persona

I ntroduzione La moneta, una istituzione ideale

Moneta: un nome fatidico, che nasce a Roma. È l' an­ no 3 9 0 prima di Cristo, e i Galli, penetrati nella città, muovono un assalto notturno alla rocca del Campidoglio, consacrata alla dea Giunone, che non soffre l' affronto e allarma i Romani agitando le oche, animali a lei sacri . L' assalto è respinto e i Romani riconoscenti dedicano un tempio alla dea « ammonitrice » : a Giunone Moneta. Questa la nascita del nome . Ma la nascita della cosa, della moneta, daterebbe a oltre un secolo prima, nella Lidia, parte occidentale dell' attuale Turchia . E secondo Erodoto si deve a Cre­ so, sovrano ricchissimo . Storicamente, dunque, la moneta è una invenzione recente . Per circa due milioni di anni, gli uomini ne ave­ vano fatto a meno . Lo scambio, invece, è antichissimo . Nasce, in pra­ tica, con l 'uomo, sotto forma di dono . Un dono, però, condizionato dall'obbligazione sociale e morale della re­ ciprocità : di una restituzione, se pur rinviata. Insomma, un dono per modo di dire, inserito in un rituale compli­ cato e meticoloso . Non ci fu dunque, per moltissimo tempo, la moneta. E per lunghissimo tempo il suo ruolo fu svolto da beni materiali desiderati per la loro utilità (come gli spiedi, le

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Introduzione

asce, gli animali, gli schiavi) o per la bellezza e il piace­ re che offrivano (i rpetalli preziosi, le donne) . Dunque, per il loro valore intrinseco . Tra questi beni si stabilirono delle distinzioni e del­ le equiv�lenze : per esempio, tra le armi e i tori (le armi di Glauco-valevano cento tori, quelle di Diomede sei) o tra le donne e i cammelli : in cammelli (dieci 'ç ento mil­ le) erano misurate le doti delle spose . Quegli scambi non erano semplici transazioni priva­ te ma eventi solenni, nei quali �i manifestava l ' onore e il prestigio del donatore . Si rivestivano quindi di un ca­ rattere sacrale che sarà successivamente trasmesso alla moneta sotto forma di inconscio . Nella sua forma concreta la moneta assume però fin dall'inizio du� qualità fondamentali : quella di merce, connessa con lo sviluppo degli scambi; quell3r di istitu­ zione, connessa con la sovranità politica. Queste due qualità sono antagoniste . Esse determinano una ten­ sione interna mai risolta tra la sua natura di derivato del mercato e quella di istituzione imposta al mercato dali: autorità politica . E il Principe (un monarca o una repubblica) a conia­ re la moneta, dichiarandone il valore stabilito in base al suo contenuto metallico, d'oro o d'argento . È il mercato a convalidarlo o a confutarlo, nell'esito degli scambi . Il Principe propone, il Mercato dispone . Il denaro, l'intermediario generico di cui la moneta è la rappresentazione estrinseca, ha una natura ideale . Non è materia, cui è legato solo come simbolo (l' oro, l' argento, ovviamente la carta delle banconote) . Non è Futilità intrinseca delle cose che esso rappresenta a dargli valore . Non è l'oro che dà valore al denaro, ma il contrario . Anzi, dal momento in cui le cose (anima­ li, oggetti, metalli) sono scelte come moneta, vengono rese direttamente inutilizzabili, come i chicchi di riso

La moneta, una istituzione ideale

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che in Birmania, perché non fossero usati come cibo o come seme, erano spezzati . Inoltre , all'opposto di ogni altro bene, la sua utilità consiste nel privarsene . Il denaro lo si utilizza disfacendosene . Inversamen­ te, quando una cosa scelta come moneta diventa tanto attraente per sé da essere desiderata per il suo valore intrinseco, viene subito demonetizzata, come accad­ de con i luigini d ' oro francesi dei quali le signore tur­ che amavano adornarsi (e i genovesi ne fecero incetta per guadagnarci sopra) . Insomma, il valore intrinseco e la funzione monetaria vanno nelle direzioni opposte, dell' appropriazione e dell' alienazione . Non deve sorprendere perciò l' abitudine invalsa di associare il denaro allo sterco, lo « sterco di Satana » , come qualche cosa d i cui liberarsi al piu presto : quella che gli psicanalisti hanno denunciato associando la stiti­ chezza con l' avarizia e la dissenteria con la prodigalità . D a questo punto di vista, il denaro è associabile al linguaggio . Anche quello si spende . Non a caso si dice « spendere una parola >> . E proprio come il linguaggio, non si tratta di un rapporto tra uomini e cose, ma di una relazione tra esseri umani che si svolge attraverso la circolazione . Circolano come denaro le relazioni umane come circolano le loro parole , e i metalli monetizzati dice il Libro d'Ore- serbano nel silenzio la nostalgia « del seno oscuro del monte da cui sono stati tratti » e cui ten­ derebbero a tornare : che cos ' altro è, se non l' espressio­ ne di questa tendenza regressiva, la « tesaurizzazione » ? C ome la parola, il denaro si svincola dal « seno oscu­ ro del monte » per proiettarsi nel futuro, letteralmente proijcere, pro-gettare, e il suo valore viene dal futuro, dal modo in cui il « progetto » sarà accolto e genererà una forza creativa che si chiama fiducia, un credo che si tradurrà in una scommessa: in un credito . I n questo messaggio rivolto al futuro s t a quella che

XII

Introduzione

Antonio Genov· e si ha definito « la ricchezza del segno » , l a potenza e l' efficacia del denaro . Come le divisioni del Papa, non è una forza mate­ riale, ma una energia ideale . Dipenderà dall'uso che gli uomini (e le donne) ne faranno se quell 'energia promuo­ verà un gigantesco progresso della condizione umana, o ristagnerà in una nuova ser.vitu .

Testa e croce

C apitolo primo Quando la moneta non c ' era

La moneta appare, dunque , soltanto a due milioni di anni dalla comparsa dell' uomo . Lo scambio, invece, nasçe, si può dire , con l'uomo . E però un tipo di scambio molto diverso da quello che cpnosciamo noi . Ha poco a che fare con l' econo­ mia. E un rito sociale . Gli antropologi, come Malinow­ ski e Mauss, lo hanno definito economia del dono . Un dono per modo di dire, perché esige rigorosamente una restituzione . L'economia del dono si estende in alcune zone del mondo dalla preistoria ai giorni nostri. Lo stesso Mali­ nowski ci rappresenta una scena di economia del dono testimoniata da un esploratore francese in un'isola a r 7 0 miglia dalla Nuova Guinea nel 1 7 9 3 . Centinaia di canoe si spingevano a forza di remi da est a ovest , in senso antiorario, cariche di indigeni che trasportavano sacchi di conchiglie variamente colorate, alcune molto grandi, altre piccole. Quella flotta sbarcò in una delle isole dell ' arcipelago . Dopo un festoso incontro con gli abitanti, tutti si disposero in cerchio , mentre si distribuivano le collane tra grida, risa, canti e danze . Si mangiava, si beveva un liquido che a giudicare dagli esi­ ti doveva essere alquanto inebriante . Il tutto in grande letizia, ma anche con grande solennità. Capi e sciamani dirigevano la cerimonia e distribuivano personalmente le collane piu grandi e sgargianti, accompagnandole con litanie rituali . Che cosa ricevevano in cambio ? Niente.

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Te sta

e croce

A che cosa servivano le collane ? Assolutamente a niente . Dopo un' intera notte di festa, alle prime luci dell' alba gli ospiti risalivano sulle loro canoe per dirigersi verso altre isole con il restante carico di conchiglie . E tutto ricominciava. Malinowski, che sbarcò in quelle isole ai giorni nostri, constatò che quella cerimonia, che chia­ mavano il cerchio (kula) si ripeteva immutata nei secoli durante l' inverno . Le flottiglie si alternavano, nel cari­ co e nella direzione . Da est a ovest portavano collane di conchiglie, da ovest a e�t sciarpe colorate . Sempre rigorosamente inutili . Il significato di quel dono, che sarebbe stato a suo tempo debitamente ricambiato, non era economico (ac­ quistare o vendere un bene di valore) ma sociale : stabi­ lire e rafforzare un legame di prestigio e di autorità. Lo scopo non era l'interesse dei singoli. Era un approfondi­ mento delle relazioni sociali, che prescinde da pratiche utilità. Mauss ha formalizzato questo coinvolgimento nel concetto di reciprocità, un rapporto che si costitui­ sce attraverso tre momenti: dare, ricevere, rendere . Sen­ za reciprocità non c'è dono . Ma allora, che razza di do­ no è ? La risposta è un po ' complicata. In quel rapporto l'oggetto >, si inserisce in tal caso il concetto dello scambio economi­ co . L'ira funesta vale i talenti, i corridori, i treppiedi, i lebeti (recipienti di bronzo per le carni) e le sette bel­ lezze . Insomma, l'ira si compra. Dopo di che il rappor­ to si estingue . Siamo fuori del dono . Siamo al baratto, alle soglie della moneta.

C apitolo secondo D al baratto alla moneta

La tradizione ci parla della moneta come dell ' inven­ zione di personaggi mitici (Teseo) o storici, co1p.e , i re della Lidia : Gige, Aliatte, Creso (vedi p. 9). , Ma la moneta non emerge dalla mente di un uomo . E il risultato di un processo storico che durò millenni . La caratteristica essenziale di questo processo era lo scambio diretto di beni, merci contro merci : il baratto. E sso si svolse tuttavia in forme diverse e complesse, man mano che gli scambi assumevano un ' irnportanza crescente t:_ispetto alla forma preponderante dell ' auto­ consumo . E grazie a questa complessità che civiltà com­ merciali avanzate, come quelle fenicie, sono cresciute senza bisogno di moneta raggiungendo un livello di svi­ luppo elevato . Ci sorprende che a C artagine , una città che traeva dagli scambi una parte essenziale della sua attività economica, potessero fare a meno della mone­ ta. Il fatto è che le civiltà non abbandonano facilmente i loro usi e costumi e li utilizzano talvolta fino ai limiti del loro potenziale . Il baratto assunse per lunghi secoli forme differen­ ziate e complesse , da quelle di una ridistribuzione au­ toritaria a quelle delle transazioni di mercato . E anche queste si svilupparono in forme differenti, dall' incon­ tro nei centri urbani {la piazza) al commercio invisibile . Quest ' ultimo era largamente utilizzato proprio dai C ar­ taginesi . Essi deponevano sulle coste di un paese abita-

Un a breve storia della moneta

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to da genti scontrose le merci offerte allo scambio e si ritiravano sulle loro navi . Gli « scontrosi » le esamina­ vano e, se accettavano lo scambio, depositavano le loro controfferte . I C artaginesi a loro volta le esaminavano . Se le ritiravano lo scambio era concluso . Altrimenti la partita continuava. Non si può dire che fosse rapida. Era però il modo per evitare guerre e saccheggi . C 'è un' amicizia fredda che fa a meno della conoscenza. Gli scambi, evidentemente , si limitavano dapprima a poche merci essenziali (grano contro olio, ad esempio) ma, col tempo , si normalizzavano nel prezzo e si differenziava­ no nelle quantità. Era, insomma, un discorso silenzio­ so . Lo stesso metodo fu adottato dagli egiziani nei loro commerci con le popolazioni dell' interno . Gli inconvenienti di queste pratiche si manifestava­ no soprattutto nelle forme della sovra o sottoproduzio­ ne, insomma, dello spreco . L' alternativa era di offrire la piu ampia possibile quantità di merci . Ma non era, ovviamente, praticabile . La soluzione fu trovata nel senso opposto : di scegliere come corrispettivo dell'offerta una sola merce che aves­ se valore per tutte le altre : come il bestiame , largamente disponibile e necessario . Il bestiame , in latino pecus, da cuipecunia fu per molto tempo la « moneta naturale » o, come è stata definita, la premoneta. L'unità premonetaria era il capo di bestiame , il caput. Di qui una parola carica di futuro: il capitale . C on quella prep1oneta si poteva comprare di tutto : anche il silenzio . E significativo che nell ' antica Grecia si dicesse della persona il cui silenzio era stato comprato che « gli era passato un bue sopra la lingua » . Come moneta, il bestiame presentava però dei gra­ vi inconvenienti . Non si poteva dividere in spiccioli; e, soprattutto, trasportarlo era un bel problema. Fu trovato allora, col tempo, un suo sostituto piu pra­ tico ma meno pacifico : i metalli con cui si fabbricavano

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utensili e armi . Si potevano trasportare facilmente, si potevano dividere , non richiedevano manutenzione . Si potevano ridurre in forme facilmente utilizzabili : la piu adatta si rivelò l' anello, la piu facilmente trasporta­ bile grazie al suo foro, anche la piu elegante. Gli ebrei ne fecero un largo uso : lo chiamavano kikkar. Un' altra forma era quella dei pani di rame , praticata da Cretesi minoici e da Greci micenei . Questa era una forma . tecnicamente molto piu avan­ zata. Si trattava di grossi rettangoli di un peso varian­ te tra i I o i 3 6 chilogrammi, e dello spessore di circa 6 centimetri sui quali si versava una colata di metallo fuso dividendola in pani . Una terza forma era la moneta-utensile costituita da strumenti della vita quotidiana che mantengono , alme­ no in un primo periodo , la loro funzione pratica : asce, spiedi (obeloi), pentole (!ebeti). Con la moneta utensile si arriva, nel VII secolo, nel­ la zona fitta di isole e di scambi dell' Egeo, davanti alle coste della Lidia, a usare in modo differenziato queste varie forme dello scambio . Per quelle di modesta entità si ricorreva o al semplice baratto o alla moneta utensi­ le , mentre per i pagamenti piu consistenti, specie per i traffici internazionali, si ricorreva all' oro e all ' argento in anelli o in lingotti, di determinato peso e composizione . Anziché pesarli a ogni scambio si cominciò a « segnar­ li » con un sigillo apposto da un' autorità: i sacerdoti dei santuari dapprima e poi i sovrani laici . I lingotti però erano pesanti e poco maneggevoli . Fu naturale ridurli a gocce di metallo . Il sigillo era garantito dall'autorità del santuario e del Principe . Per potervi apporre il si­ gillo le gocce erano schiacciate in dischetti di metallo (coniate). Era nata la moneta . Nella Lidia di Creso ? Può essere: anzi , è probabile . Ogni leggenda conserva un grado di verità.

Un a breve storia della moneta

Creso In una bella mattinata del 5 4 7 avanti Cristo a Sardi, capitale della Lidia, l' imperatore persiano Ciro II (il Grande) aveva issato un rogo, destinato al re Creso, da lui battuto in guerra e condannato a morte . Creso era famoso per le sue ricchezze smisurate . E inoltre, per doti soprannaturali magiche di cui sembrava fosse dotato . Certo, era st ato sconfitto, ma in modo poco onorevole per il vincitore, per­ ché sorpreso durante una tacita pausa dei combattimenti . I noltre si era troppo fidato dell ' oracolo di Delfi, costosissimo quanto oscuro nei suoi vaticini . Quello aveva vaticinato : se Creso attraverserà il fiume Halys cadrà un grande impero . E lui l' aveva attraversato . Di Creso, si favoleggiava intorno alla sua amicizia con Apollo . E che grazie a questa amicizia fosse invulnerabile e storie come quest a . Ciro era curioso di sapere come Creso se la sarebbe cavata sul rogo . Se la cavò benissimo . Ciro aveva appena acceso la cata­ sta e invocato il dio Apollo che il tempo si oscurò, si levò un gran vento e cadde una pioggia che spense le fiamme . Che restava da f-are? Ciro lo liberò e lo nominò suo Consigliere . Quel lieto fine è contraddetto da un' altra versione secondo la quale non ci fu nes­ sun rogo e nessuna onorificenza. Creso fu ammazzato senza tanti complimenti . Conoscendo le abitudini dei re persiani, propende­ remmo per questa seconda versione . Tra le invenzioni che si attribuiscono a Creso la piu famosa è quella della moneta. Anche questa, pare, abusivamente . Pare che le prime monete furono coniate, si, in Lidia, ma dal padre e dal nonno . Come spesso succede, comunque, la versione giornalistica prevalse . La moneta nasceva al tempo e nel luogo gius to . La ghirlanda di isole che fronteggiano la costa anatolica aveva sviluppato già a quel tempo una intensa attività di commerci . Abbandonando l ' ar­ dua coltivazione del grano, stentata in quelle terre aride e pietro­ se, si era preferito import arlo, specializzandosi nella cultura della vite e dell 'ulivo, molto piu redditizia. Ne era nata una ricca rete di scambi che dava luogo a una circolazione di metalli preziosi, oro e argento, in lingotti e in pagnotte. Fu facile a quel punto (si fa per dire) compiere il passo successivo : coniare quei circoletti che van­ no sotto il nome di moneta . I n Lidia la cosa fu incoraggiata dalla presenza di oro nel fiume Pat tolo, e di giacimenti nei quali oro e argento erano fusi in una lega naturale, che fu chiamata electron. Le prime monete pesavano 4, 7 grammi ed erano stampate con una testa di leone decorata con un raggio di sole, simbolo del re . Si coniarono anche monete divisionarie, del peso di o, 1 5 grammi per il commercio minuto . Le monete proliferarono in tutto il Mediterraneo .

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ro

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La garanzia della corrispondenza tra il peso-compo­ sizione dichiarato e quello reale fu lo Stato ad assumer­ la, pretendendo per le spese del conio un prezzo che si chiamò signoraggio . In cambio di questo lucroso servi­ zio, esso vietò l' emissione di moneta da parte dei privati riservandola alle sue « Zecche » . Era nata la politica mo­ netaria. Il baratto era sostituito dalle monete di Stato, coniate e diffuse dalle CLttà in reciproca competizione . I metalli piu frequentemente utilizzati furono il ra­ me , l' argento e l'oro . Essi conservavano il ricordo e l' attrazione delle pro­ fondità del monte da cui erano stati tratti : un' attrazione che va al di là delle virtu intrinseche del metallo , per as­ sumere un senso mistico . L'oro soprattutto si è caricato di un valore simbolico che suscita passioni inebrianti e cupidigie inquietanti. Forse la causa materiale di questa trasfigurazione sta nella sua inalterabilità (l'oro si dissol­ ve solo nel cianuro o in una mescolanza di acido nitrico e cloridrico) . Esso ha comunque assunto i toni del mi­ to e della leggenda: uno dei grandi sogni dell'umanità. C anta Mefistofele nel Faust di Gounod : dio de l'or e del mondo signor sei possente risplendente culto hai tu maggior quaggiu non v 'ha uom che non t ' incensi stan prostrati innanzi a te ed i popoli ed i re i bei scudi tu dispensi della terra il re sei tu della terra il dio sei tu.

L'oro è diventato, nella storia, l' angelo custode del­ la moneta.

Una breve storia della moneta

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Questa sua funzione l'ha condivisa con l ' argento . Prima che la moneta coniata facesse "la sua comparsa, per mplti secoli fu anzi proprio l' argento a svolgere la princi11ale funzione di intermediario del baratto . La moneta anonima. ;

Fu quella d ' argento una moneta anonima, creata e usata in Mesopotamia per circa tre millenni . Furono i Sumeri a inventarla . Dei Sumeri sappiamo moltissimo da non molto tem­ po : all'incirca dalle prime scoperte della metà del secolo XIX e soprattutto dai grandi scavi del secolo xx, che ci hanno rivelato una civiltà a lungo sconosciuta. Da que­ gli scavi sono emerse 5o o mila tavolette di terracotta scritte in una lingua che è stato possibile decifrare gra­ zie a provvidenziali traduzioni dei testi in altre lingue conosciute . Ciò di cui non sappiamo niente - e stranamente nien­ te ci dicono i Sumeri stessi - è la loro origine . Si discu­ te se provenissero , pare, alla fine del IV millennio, dai monti ·z agros o per via di mare dall 'Afghanistan. Secon­ do una leggenda babilonese, un mostro mezzo uomo e mezzo pesce, Oànnes , emerso dal mare, avrebbe porta­ to ai selvaggi abitanti del luogo la civiltà. La leggenda trova riscontro in una ipotesi formulata di recente se­ condo la quale i Sumeri abitavano già sul luogo, che sta oggi sul fondo del mare . Tra il 1 4 mila e il 3 mila avan­ ti Cristo quello che è oggi il fondo del Golfo era infatti una larga vallata percorsa da due grandi fiumi (il Tigri e l ' Eufrate) cosparsa di laghi, ricca di raccolti : un vero paradiso che i Sumeri cantarono nei loro poemi come il dolce Dilmun, il paradiso terrestre governato dal dio Enki e dalla sua sposa Ninhursag : il paese dove non c ' è

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né malattia né morte , dove il leone non uccide e il lupo non aggredisce l' agnello . Quel paradiso giace oggi sotto l' isola di B ahrein, disseminato di pozzi dai quali sgorga la nera ricchezza del petrolio . Come gli altri paradisi terrestri apparsi nei miti s acri delle religioni antiche quel paradiso sarebbe un retaggio della memoria trasfi­ gurata dalla poesia : memoria remota di popolazioni che si sono succedute sulla scena di un mondo cangiante . E dunque , i Sumeri non . sarebbero giunti in Ì'Aesopo­ tamia né dai monti lontani né dal mare , ma sarebbero i discendenti di genti autoctone la cui presenza risale alla preistoria. I Sumeri si trovavano in condizioni molto meno fa­ vorevoli degli Egiziani , fondatori dell' altra grande ci­ viltà ad essi contemporanea . Una grande differenza era costituita dal N ilo . Il N ilo, dice Erodoto, è il dono che gli dèi hanno fatto all' Egitto . Un fiume grandioso, dal corso lineare e regolare , dalle piene prevedibili. Niente a che fare con il tumultuoso percorso dei due grandi fiunu asiatici, il Tigri e l'Eufrate, che costringevano le popolazioni rivierasche a interven­ ti difficili e costosi di arginamento e di regolazione (di­ ghe , canali) ponendo le città sumere , indipendenti l'una dall' altra, in continuo conflitto . Tuttavia, furono proprio quelle difficoltà ad agire da sfida sviluppando la ricerca, il calcolo, l' intelligenza. Un' altra grande differenza stava nel rapporto con il mondo esterno . L' Egitto era relativamente chiuso , se­ parato dal mondo esterno dai deserti e dal mare , con un retroterra oscuro e impenetrabile . La Mesopotamia, il p�ese dei due grandi fiumi , si affacciava da una parte e dall ' altra sulle due grandi correnti di traffico del Me­ diterraneo e del Golfo Persico , percorse d alle navi dei mercanti greci e fenici. Era dunque aperta agli scambi , dai quali soltanto poteva trovare risorse d i cui era pri-

Un a breve storia della moneta

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va, come il legname e i metalli, essenziali per lo svilup­ po dell' economia. I Sumeri risposero magnificamente a queste sfide . Per sfruttare la fecondità naturale della loro terra dove­ vano mobilitare investimenti poderosi che richiedevano un grande sforzo di ricerca. Per cogliere nello scambio l'occasione dello sviluppo dovevano inventare il modo di assecondarlo con strumenti di regolazione che permet­ tessero di superare le strettoie costituite dai rapporti di baratto . I Sumeri inventarono contemporaneamente la scrittura e la moneta: un sistema di registrazione degli scambi e un sistema di regolazione delle equivalenze . Le operazioni di scambio erano registrate con inci­ sioni cuneiformi (cosi nasce la scrittura) su gettoni con­ tenuti in buste di terracotta. I gettoni rappresentavano operazioni diverse : sembra che se ne contassero quindici tipi suddivisi in duecento sottoclassi . Gli scambi erano regolati non piu a due a due , come nel baratto, ma con il ricorso a un oggetto intermediario unico che dappri­ ma fu l'orzo (non l'oro) , e poi l' argento . Scrittura e moneta nacquero dunque insieme, realiz­ zando uno storico salto di civiltà. Questa rivoluzione non fu certo l'esito di un decreto, ma il risultato di un processo di innovazioni e adattamen­ ti complessi che probabilmente era cominciato ben pri­ ma della comparsa dei Sumeri, tra il XIV e il IV mille nnio . Si parla di loro predecessori, i Samarra, che si sarebbero installati da tempi immemorabili nella zona costiera del Golfo del Messico. Ma non ne abbiamo traccia. La nascita della moneta dovrebbe dunque essere re­ trodatata di qualche millennio dal tempo di Creso . Si trattava tuttavia non della moneta che noi cono­ sciamo , quella coniata e « firmat a » da un' autorità, ma di una moneta anonima. Chiunque poteva pagare con

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lingotti o con pezzi d'argento (se ne sono trovati nume­ rosi negli scavi) purché corrispondenti al peso stabilito attraverso le contrattazioni del mercato . Stava al mer­ cato controllare . Come questo sistema, ingegnoso ma complicato, po­ tesse reggere per qualche millennio, non è l'ultimo dei misteri . Si spiega forse anzitutto con la modestia delle risorse gestite dal mercato rispetto a quelle direttamente pro­ dotte e consumate dalla comunità e inoltre (e forse so­ prattutto) con il fatto che i principali fornitori di questa moneta anonima erano i sacerdoti del tempio cui i con­ tadini consegnavano il sovrappiu della produzione agri­ cola e che la ridistribuivano, indirizzandola verso altri impieghi, artigianali e commerciali, usando le barre e i lingotti d'argento. Erano insomma i banchieri del tem­ po, la cui parola difficilmente poteva essere contestata e che attribuivano a quella « moneta » una natura sacra .

C apitolo terzo Il miracolo greco

La storia presenta tempi e luoghi nei quali si produ­ cono grandi trasformazioni. Si parla allora di miracolo . Abbiamo detto dell' avventura dei Sumeri. Merita que­ sto titolo anche quella della Grecia nei secoli dal vn al v. Si indaga sulle ragioni oggettive dei miracoli, le co­ siddette « sfide » : nel caso della Grecia, per esempio, la povertà del suolo che non consentiva uno sviluppo dell' agricoltura sufficiente a sostenere una forte espan­ sione demografica, provocando e promuovendo il com­ mercio estero . Non c ' è dubbio che questa fosse la condizione og­ gettiva nella quale fiori il miracolo ellenico . I Greci ri­ nunciarono a produrre grano, importandolo, e si con­ centrarono s4lJa produzione di vino e olio, per la quale disponevano di terreni adatti; nonché sui prodotti arti­ gianali (oreficeria, gioielleria, armi, ceramiche, profumi) nei quali eccellevano per abilità e per gusto . Insomma, svilupparono il commercio, soppiantando gradatamente i Fenici, e diventando i piu grandi mercanti del Mediter­ raneo . Avendo distrutto le loro foreste , importarono il legname da quelle dei territori prospicienti il Mar Nero e costruirono le navi sulle quali trasportavano dapper­ tutto le loro merci . Le condizioni oggettive spiegano certamente una parte del miracolo . Ma un' altra, forse la piu importan­ te, è dovuta a condizioni soggettive insondabili: per

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i Greci, la superiorità dell ' intelligenza e dell' immagi­ nazione come poi, per i Romani, quella della discipli­ na e del coraggio . Come ai Sumeri riconosciamo il merito di avere pro­ mosso la creazione della moneta nella sua forma ano­ nima, ai Greci va attribuito quello di avere favorito la diffusione della moneta coniata e firmata: un passo de­ cisivo nella storia dell'economia. Come s'è detto, la creazione della moneta coniata è dovuta forse al penultimo dei re della Lidia, Aliatte, forse a Creso, l'ultimo e il piu famoso . Il metallo di cui era composta era l' elettro , una spe­ cie di ambra, lega naturale d ' oro e d ' argento (se si sfre­ ga emana scintille) estratto soprattutto dalle sabbie dei fiumi . Ebbe subito grande successo e fu imitato dalle città greche, prima quelle doriche , come Creta e Rodi, poi quelle ioniche, come Atene e Mileto . Consisteva in un lingotto tondo sul quale si imprime­ va un sigillo, emblema del soggetto emittente, anzi due : il primo sul dritto, rappresentativo del patrono divino (Atena, per esempio, nel caso di Atene) ; il secondo , sul rovescio , che raffigurava un simbolo (per esempio, sem­ pre nel caso di Atene, la civetta) . Dobbiamo domandarci perché la moneta anonima sia stata abbandonata in cambio della moneta coniata e firmata. Sono state date varie risposte . Fu Aristotele a formulare la prima che sembra an­ che la piu ovvia: che lo sviluppo degli scambi avesse re­ so troppo complicata la verifica del peso e preferibile l'uso di una moneta garantita da qualche autorità, che

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ci si limitava a contare, senza pesare . L' obiezione a que­ sta ipotesi, altrettanto ovvia, è che quell' ostacolo non doveva essere poi cosi grave se il sistema della moneta anonima, che chiunque poteva immettere sul mercato, aveva retto per tanti secoli. Altra ipotesi: per i pagamenti a clienti numerosi, co­ me i mercenari, era piu semplice contare anziché pesare le monete . Ahche qui vale l'obiezione : anche gli Stati mesopotamici avevano i loro mercenari ! Forse , la rispo­ sta migliore è che la nuova moneta, piu che semplificare le cose , le rendeva pi� convenienti: dal punto di vista economico, con l'opportunità offerta dalla coniazione, all ' autorità di incassare le rendite del cosiddetto signo­ r aggio (il pagamento dei costi della coniazione, suscet­ tibili di cospicue « creste ») ; e dal punto di vista politico, con il prestigio che al Principe derivava dall' impronta della sua effigie sulla sua moneta. Quest ' ultima, come sottolineò tra gli altri Maynard Keynes , sembrava la risposta piu ragionevole . Non tan­ to per le grandi monarchie , per le quali l' attività com­ merciale costituiva una frazione modesta del reddito complessivo e che non avevano problemi pressanti di competizione con altri grandi soggetti politici . Ma so­ prattutto per le Città- Stato , per le quali il commercio cos tituiva un ' attività vitale e che avevano grande in­ teresse a valorizzare la loro identità rispetto alle po­ leis concorrenti . Qui è necessario rilevare la fondamentale diversità rappresentata dal mondo economico ellenico rispetto a quello dei grandi imperi continentali. Esso, ricordiamo­ lo, fu preceduto dalla prima grande civiltà mediterranea, quella egea, minoico-micenea. L' ambiente geografico di quelle due civiltà, che le ospitò successivamente, fu il mare . Una vallata marina,

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l' Egeo, cosparsa di isole . Quella civiltà marina era fio­ rita tra Creta e Micene . Il mare costituiva, in un tempo in cui le infrastruttu­ re del trasporto via terra erano ancora molto disagevoli, un mezzo particolarmente conveniente, specie quando si trattava, come nel caso dell ' Egeo , di un fitto arcipelago di isole tanto vicine le une alle altre da potersi, non di rado, scorgere a occhio nudo. Isole dotate di porti na­ turali, di insenature, di .ripari dai grandi venti, spesso alla foce di fiumi che si potevano risalire verso l' inter­ no . Ciò costituiva un potente stimolo ai commerci, e al tempo stesso una fonte di emulazione e di conflit t i . Altre grandi civiltà s i erano sviluppate lungo i l corso dei fiumi : l' Egitto , lungo il N ilo ; la Mesopotamia, �ra il Tigri e l' Eufrate ; l'India, sulle sponde dell' Indo; la Ci­ na, dello Yang-tse . Nessuna, però, fino allora, attorno al mare . Dice Platone che i Greci si adunavano come ranocchie attorno a uno stagno . Era uno stagno tutt ' altro che calmo e tranquillo . Po­ sto tra l' Europa e l'Africa, aveva, dell' una e dell ' altra: climi gelidi d'inverno e torridi d'estate; tempi immobili e tempi burrascosi, lunghe bonacce e improvvise tempeste . Forse questo concorse alla crescita di genti partico­ larmente cangianti e immaginose , capaci di affrontare situazioni diverse , aperte e curiose delle novità. Ulisse è il personaggio che viene subito in mente. E viene in mente un' altra caratteristica della storia ellenica. Come si sa essa si svolge, dopo il Neolitico e fino alla fine dell' Evo antico, in due grandi cicli : quel­ lo della civiltà egea, o minoico-micenea, e quello della civiltà ellenica propriamente detta, separate da un lun­ go Medioevo . Il primo ciclo va all' incirca dal XVI al XII secolo ; il secondo, dal v�I secolo fino al IV, quando la Grecia cede l' egemonia a Roma . Quel Medioevo fu una catastrofe: una successione di ondate barbariche, vere e proprie migrazioni di popoli

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(Volkerwanderungen) che cancellano gran parte delle con­

quiste della civiltà rovesciandone le istituzioni, a comin­ ciare dalla religione, con l'irruzione degli dèi dell'Olim­ po , maschi brutali che soppiantano le dee madri della terra e delle messi . Ma alcuni degli aspetti di quella civiltà micenea e minoica sopravvissero, e non solo nelle parti del t erri­ torio non occupate dagli invasori dorici : come l'Attica e Atene . Una volta esaurita la violenza dell' invasione, quegli aspetti rifiorirono come miti : soprattutto quelli omerici dell'Iliade e dell'Odissea, che stanno alla civiltà ellenica come la Bibbia a quella ebraica. Del resto, l' irruzione di genti barbare in un mondo progredito era già stata preceduta da altre invasioni e as­ soggettamenti: come quello, centrale per la civiltà egea, dei guerrieri micenei nei riguardi dei Principi minoici. Insomma, tra civiltà egea e civiltà ellenica non c 'è solo distruzione e sopraffazione, ma anche continuità e risonanza . Questa continuità s i manifesta anche nel campo del­ la moneta. Come s'è detto, la nuova moneta coniata e firmata nasce forse nella Lidia ellenizzata nel VI secolo e si dif­ fonde con folgorante rapidità in tutto il mondo elleni­ co , e anche fuori di esso. All' inizio del v secolo si contano qualche cosa come 2 0 0 monete che si 'fanno largo in una economia in gran­ de espansione . Le monete presentano sul lato dritto la testa della divinità protettrice : Elio a Rodi, Eracle a Kos, Apollo a Mileto, Abido a Mitilene, Afrodite a Ro­ di; e sul rovescio gli emblemi del culto: il leone a Mileto e a C nido, l' aquila ad Abido, la cetra a Mitilene, la rosa a Rodi, il cervo ad Efeso . . . Si tratta, artisticamente par­ lando, di piccoli capolavori. Talvolta essi recano il nome

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dell 'incisore, come : Teòdotos epoei, Teodoto lo ha fatto . Presto emergono, tra quelle centinaia di valute, tre prin­ cipali : quella di Egina, quella di Corinto, quella di Atene . Le testuggini di Egina si contrappongono dapprima al­ le civette di Atene. Ma nel 456 Atene sottomette l'isola e quelle emissioni cessano, per riprendere piu tardi, ma sotto tutela. Anche Corinto deve inchinarsi. Atene ha il vantaggio di disporre delle grandi miniere d' argento del La urio n. D9mina dapprima, politicamente, il settore orientale del Mediterraneo, per poi estendere la sua influenza in tutte le direzioni , nord-est, sud-est, sud-ovest . Offre con la sua grande flotta protezione alle città che fanno parte della sua Lega e gli fornisce con­ tributi annuali . La moneta ateniese, la dracma, nelle sue varie misure (tetradracma, decadracma) diventa il centro di un gran­ de sistema monetario . Dalla Zecca di Atene escono ogni anno milioni di monete, che vengono messe a disposi­ zione praticamente di tutte le città della Grecia cui pe­ raltro Atene vieta di coniare monete proprie : finché nel 4 I 3, durante la disastrosa guerra del Peloponneso, gli Spartani occupano le miniere del Laurion, spezzandone il collegamento con Atene . Ventimila schiavi fuggono da quelle miniere . La produzione di argento è troncata e Atene è costretta a coniare monete di rame in luogo dell' argento . Aristofane dichiara sconsolato: « quella (la moneta d' argento) è la migliore di tutte le monete che conosco ed è la sola a portare un buon conio e risuona ed è valida fra tutti i Greci e dovunque all' estero; ma voi non usate piu quella, ma questo pessimo denaro co­ niato ieri o l' altro ieri, che ha un cattivo suono >> . . Atene si riprende lentamente , ma la sua egemonia monetaria è finita . Presto ne sorge una nuova, imposta, per tutta la Grecia, il Mediterraneo e il Vicino Oriente, da Alessandro nel suo sterminato ma effimero impero . Una enorme massa monetaria invade il mondo gra-

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zie ai favolosi bottini di guerra accumulati da Alessan­ dro e allo sfruttamento delle numerose miniere sparse nel nuovo impero ellenistico: una massa paragonabile soltanto a quella che molto piu tardi invaderà l' Euro­ pa provenendo dalle miniere americane di Potosi . Si valuta attorno a I 8o mila talenti il tesoro reale di cui Alessandro si impadroni : circa 45 mila quintali d ' oro e d' argento. Quella massa, insieme con il prodotto delle miniere asiatiche fu immediatamente convertita in mo­ neta coniata, ma non produsse quelle conseguenze infla­ zionistiche che si manifestarono in Europa. Non esiste­ va allora un mercato, una rete di scambi che reagisse a quella irruzione con aumenti dei prezzi . Invece la nuo­ va massa monetaria tendeva a rifluire nei patrimoni te­ soreggiati, attraverso il fenomeno diffuso nell' antichità del nascondimento e dell 'interramento . Una funzione promozionale in senso economico avrebbe potuto svi­ lupparsi dall'organizzazione durevole di un impero el­ lenistico. Ma l'impero di Aless andro si disfece subito dopo la sua morte, decomponendosi nelle tre monarchie ellenistiche : macedone, siriana, egizia. Il compito di da­ re al mondo ellenistico una organizzazione monetaria unitaria fu assunto da Roma .

C apitolo quarto La moneta romana

Siamo nel secolo VIII prima di Cristo e la storia di Roma comincia con un belato di pecore : sono le greggi che affollano il Palatium, uno dei colli sopraelevati alla valle del Tevere . In alto stanno i boschi, fitti di lauri, di mirti, di grandi querce e faggi (il colle Querquetal, il Fagutal); in basso le paludi e gli acquitrini alimentati dalle inonda­ zioni del fiume . È quello un luogo propizio alla storia, ove si incontra­ no due frequentati percorsi, quello del sale che dal ma­ re giunge ai monti della S abina (la via Salaria) e quello (la via C ampana) che congiunge , in conflitto o in com­ mercio, Etruschi e Greci : un commercio fitto di scam­ bi: merci e schiavi . Sul Palatium sorge verso la metà dell'viii secolo un vil­ laggio di pastori che ogni mattina, all' alba, attraversano la porta Mugonia, risonante di muggiti, con le loro greg­ gi, per condurle al pascolo , tornando a sera nel modesto recinto che hanno chiamato, forse dal nome etrusco del fiume che scorre a valle (rumon) Roma . Scambiano le lo­ ro pecore (pecus, il nome primitivo della moneta) e i loro prodotti : latte, formaggio , lana, per procurarsi il grano ch.e anche alcuni di loro coltivano nelle poche terre fer­ tili ai piedi del colle . Praticano una religione primitiva, anch'essa silvestre e pastorale, popolata di piante e di animali . Lauri e mirti, buoi e cavalli, animali sacri per la loro rarità o abbondanti come i maiali che affollano i

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boschi e sono votati al sacrificio . Lupi e montoni (lupi, hirci) congiunti nei luperci; e capri votati a Giunone che fecondano le femmine in mistici amplessi . Gente semplice, i Romani, e assai prolifica. Chiamano i loro numerosi figli Primus , Secundus, Tertius . . . sen­ za eccessiva fantasia . Appartengono alla gente latina, giunta in Italia con la grande immigrazione indoeuropea all'inizio dei terzo millennio prima di Cristo . Fu quello un momento storico di grandi sommavi­ menti di popolazioni , che da varie parti approdarono alle coste o scesero nelle valli della penisola : Greci nel Mezzogiorno, Fenici in Sicilia, Etruschi fra Toscana ed Emilia, Italici (Osci Umbri Latini) tra gli Appennini e il Lazio . E alla frontiera fra le tre zone d'insediamento, etrusca, greca e italica, che si collocano le genti latine, e i Romani tra queste . Queste vicende sono state trasfigurate dalla leggen­ da. Una leggenda che la storiografia moderna ha sde­ gnosamente respinto come una favola. Ma una recente scuola, fondandosi sulle evidenze emerse dagli scavi, l ' ha rivalutata . Ad esempio , ha potuto rilevare l'esi­ stenza di una cinta muraria esattamente corrisponden­ te alla Roma quadrata di Romolo e risalente allo stesso periodo in cui la tradizione la colloca. Si tende oggi a considerare il mito di Roma non piu come una favola ma come vera storia, sia pur manipolata con intenzioni religiose e poli ti che . Si tratta, in realtà, non di una leggenda , ma di due . La prima, originaria, ci narra)una storia assai poco eroi­ ca, di lotte familiari e triviali che coinvolgono divini­ tà poco divine e molto mondane , partecipi delle pas­ sioni umane . C ' è un Dio protettore della stirpe latina , Marte, che per contrastare l' influenza di un altro Dio, Giove, protettore del popolo etrusco, si presenta sotto forma di un fallo osceno nella casa del re di Albalonga, Amulio , un usurpatore . Gli aruspici consultati dal re,

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filoetrusco, gli suggeriscono di concedergli la figlia per farselo amico . Ma la ragazza non ne vuole sapere e gli infila nel letto una schiava. Ne nascono due gemelli che il re, furioso per l'inganno , consegna a un servo perché li anneghi nel fiume . Il servo li mette in una cesta che approda là dove una lupa li scova e li allatta amorosa­ mente . Lupa è il nome che i latini dànno alle prostitute . Ed è una prostituta, moglie di un pastore , che in real­ tà allatta e alleva i gemelli . Cresciuti, quelli, chiamati Remo e Romolo (anch 'essi dal nome del fiume) e resi consapevoli della loro storia dal pastore , si presentano ad Albalonga, uccidono il re usurpatore, reinsediano il fratello e decidono, con una parte della popolazione al­ bana, di fondare una nuova città piu vicina al guado del Tevere . Ma qui i due fratelli si separano : Remo , con i Latini, vorrebbe fondarla sull'Aventino, per fronteggia­ re , di là dal fiume , la potenza etrusca; Romolo , affiliato agli E truschi, sul piu distante Palatino . Venuto questi a diverbio col fratello , Remo è ucciso e Romolo fonda quella Roma quadrata cui è riservato un destino fatale . Quando molto piu tardi gli storici romani si rivolsero alle origini di quella città divenuta potente, si imbattero­ no in questa assai poco esaltante narrazione (tradimen­ ti, prostitute , fratricidi) e si adoperarono a correggerla attraverso una di quelle revisioni politiche di cui nella nostra epoca Stalin è diventato maestro . Partendo dal­ la distruzione di Troia (avvenuta all' incirca attorno al I 1 4 0 avanti Cristo) raccontarono le vicende di un illu-· stre reduce della città, Enea, fuggiasco da Troia insie­ me con il padre e un gruppo di compagni, affidandogli il destino di fondare, sulle coste tirreniche d' Italia, una stirpe latina . Enea, che ha amato e abbandonato a C ar­ tagine una regina (la città fenicia ne serberà ricordo e rancore) si scontra dapprima con gli indigeni latini per poi pacificarsi con il loro re . Troiani e Latini dopo una breve lotta si fondono in una nuova stirpe e il figlio di

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Enea, Ascanio , fonda Alba, la città lunga, sulla cresta di vulcani dormienti, alta sulle terre laziali . Ne nascerà una dinastia di sedici re . E qui il nuovo mito si riannoda alla leggenda originaria, con l' usurpazione dell'ultimo dei re albani e la nascita dei gemelli fatali . Ma quella leggenda è purgata dai mitografi delle vergognose osce­ nità (il fallo pulsante) e delle circost anze politicamente imbarazzanti. Soprattutto di quella che riconosce a Re­ mo il ruolo del campione latino e attribuisce a Romolo quello del Quisling etrusco . Tito Livio, il bardo di Au­ gusto, si distinse nella esaltazione celebrativa di Romolo, sorvolando sul racconto del suo squartamento da parte dei nobili senatori ciascuno dei quali, per farne sparire il cadavere, se ne portò a casa un pezzo . La nuova leggenda dei mitografi, interessata a va­ lorizzare il comune destino dei Greci e dei Romani di­ menticando la parte avuta nella vicenda romana dagli E truschi, si confonde con la storia, quella vera e quella verosimile . Per esempio , con la decisione attribuita a Romolo di avere aperto le porte ai fuggiaschi delle altre città latine, offrendo loro un asilo e addirittura innal­ �ando al Dio Asilo un tempio sul colle del Campidoglio . E un fatto indubbio che la nuova città sia nata dall 'im­ migrazione di uomini esuli o espulsi da altre comunità: uomini soli, che per procurarsi le donne le razziarono brutalmente . Ed è un fatto ,gravido di storia. Roma, fondata sul Pala tino, si incontrò e si scontrò con gli abitanti dei colli vicini : Latini o Sabini, e con genti etrusche che si erano stabilite al di qua del Tevere . Ne era nata una specie di confederazione, il Septimontium, nucleo originario di quella successiva e famosa dei sette colli . Non era dunque una comunità etnica ma un' alleanza politica quella originaria che si sviluppò poi nella città di Roma . Abituata fin dall ' origine alla convivenza di gen-

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ti diverse, quella città conservò la capacità preziosa di integrare le diversità in una unità superiore . Una volta soggiogate genti diverse con la forza, i Romani riusci­ rono a integrarle nel loro Stato con la tolleranza. Nien­ te di paragonabile al razzismo degli Spartani e anche a quello degli Ateniesi, come pure dei Fenici : un limite grave alla loro espansione . Sta di fatto che nessuna Città- S tato, nell' antichità, diventò un impero , tranne Roma . I Romani nacquero insomma come una nazione di immigrati, un po ' come quella americana; e come quella liberata dai vincoli di tradizioni e obbedienze paraliz­ zanti e protesa verso il futuro . C ertamente , anche in questa società aperta si fron­ teggiarono quasi fin dall' inizio « conservatori » e « inno­ va tori » : i primi, prevalentemente Latini e S abini , lega­ ti alle attività economiche originarie della pastorizia e dell' agricoltura e socialmente inquadrati nelle familiae, raggruppate nelle gentes; gli altri, prevalentemente E tru­ schi cresciuti nel mondo delle attività nuove, artigianato e commercio, fiorite attorno al guado del Tevere, all'in­ crocio delle due grandi direttrici di traffico . Questo confronto divenne l' asse del grande conflitto storico tra patrizi e plebei . Ma, come Machiavelli osser­ vò , anziché causare lacerazioni paralizzanti, promosse un' energia dinamica che tendeva a scaricarsi all'ester­ no, nell 'espansione territoriale . Insomma, Roma fu fin dall'inizio una società aggres­ siva, scomoda per i suoi vicini, ma capace, una volta vin­ ti, di integrar li con un largo margine di tolleranza. Ren­ deva perfettamente questo concetto il poeta : «tu regere imperio populos, romane, memento: . . . pareere subiectis et debellare superbos. Romano , ricorda : a te il dovere di governare i popoli : rispettare i sudditi, stroncare i su­ perbi >> (Virgilio) . -

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Roma nasce effettivamente a metà dell' viii secolo, come nella tradizione riferita da V arrone e ribadita dalle recenti ricerche . Nasce come monarchia e per un secolo circa è guidata da re guerrieri e contadini che governa­ no una democrazia autoritaria di pastori e di agricolto­ ri adunati sulla cima dei colli . Nel corso di quel secolo la sua popolazione originaria di immigrati conosce un rapido sviluppo demografico di genti che proliferano nella valle, attorno al guado del Tevere , promuovendo i traffici del bestiame (il pecus, da cui il nome pecunia) nel Foro boario, quelli dell' olio e del vino nel Foro oli­ torio ; ma anche di altre merci e di schiavi . Si forma cosi un nuovo ceto di commercianti e di ar­ tigiani, privi di diritti politici ma ricchi di risorse accu­ mulate attraverso gli scambi : fondamento di quella che sarà la moneta. Si tratta per lo piu di gente etrusca, e cioè della nazione di gran lunga piu avanzata tecnica­ mente e culturalmente, che ha occupato le terre a nord del Tevere , proiettando a sud, tra i colli laziali, qualche intraprendente avanguardia. A questi nuovi ceti sociali si affiancano i gruppi costituiti dai clientes: le persone poste sotto la protezione dei possidenti, cui corrispon­ dono in cambio le loro prestazioni . Mercanti artigiani e clienti formano il grosso di un nuovo ceto che preme sul gruppo dirigente tradizionale - i patrizi - rivendicando l' abolizione di servi tu, soprattutto di quelle personali de­ rivanti dai debiti, e una partecipazio,ne al governo della società garantita da diritti politici. E la plebe. Si tratta di una massa di gente disponibile a soste­ nere chi si offra di rappresentare in sede politica le sue rivendicazioni . Questa funzione fu assunta a Roma da una famiglia di avventurosi imprenditori il cui caposti­ pite, Lucio Tarquinia , greco per parte di madre, etrusco per parte di padre ebbe, oltre ai doni naturali di una in-

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telligenza e di un carisma eccezionali, la ventura di sce­ gliersi per moglie una donna altrettanto eccezionale , per quei tempi, Tanaquilla, che seppe sviluppargli attorno una fitta rete di « relazioni pubbliche » . Lucio Tarquinio fu eletto re dai comizi curiati e confermato dal Senato . Ron1a, dunque , non cadde affatto, come a torto si è de tto , sotto il dominio dell ' E truri a . Fu il contrario . Fu l ' E truria - che non era uno S t ato, ma una confe­ derazione di città - a subire la supremazia di Roma quando questa, sotto la guida di Tarquinia e - cert a­ mente ! - dell a sua corte in prevalenza etrusca diven­ tò tanto potente da soggiogare un vasto territorio che si estendeva dal Tevere all ' Argent ario . R.o ma, dun­ que , divenne potente sotto la Monarchia, a lungo e a torto considerata come un' epoca politicamente poco signific ativ a . Una vera e propria esplosione demo ­ grafica portò la sua popolazione complessiva - città e territorio - a 6oo-8oo mila abit anti e una serie di conquiste e di trattati estese il suo territorio a circa 4 0 ooo chilometri quadrati, dalla attuale Toscana al­ la C ampania, con il Lazio al centro . Il dominio dei Tarquini continuò con il successore del primo Tarquinia , il Vecchio, quello che aveva lette­ ralmente trasformato Roma da villaggio a grande città, adorna di monumenti e di templi, popolata sui suoi sette colli, attorno a un Foro lastricato sulle antiche paludi. Servio Tullio gli succedette nel segno dell ' ambiguità. Di nascita servile, perché figlio di una principessa Ocrisia prigioniera di guerra e schiava di Tanaquilla, era stato allevato da lei come un figlio (qualcuno insinua che lo fosse) e cresciuto come uomo libero e addirittura gene­ ro . . del re . Quando Tarquinia è colpito a morte in una congiura di palazzo , questa etrusca di ferro annuncia che il re è soltanto ferito e che il giovane Servio pren­ derà temporaneamente il suo posto . Lui comincia a go­ vernare conquistando il favore del popolo con riforme

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democratiche , come la abolizione del nexus , la prigione per debiti, finché Tanaquilla può annunciare che il re è morto e ha affidato a Servi o la successione . Il Senato insorge contro la manifesta illegalità, ma il parlamen­ to (i comizi curiati) ratifica . Tanaquilla si fa giurare da Servio che conserverà il trono solo per consegnarlo a un nipote di Tarquinia, alla sua maggiore età . Ma Servio è ambiguo . Si comporta sempre piu come campione del popolo latino , novello Remo, insofferente del predomi­ nio etrusco . Alle minacce del Senato risponde annun­ ciando di essere « cos_tretto » a restare, a furor di popolo . Ormai è il padrone di Roma . E ne approfitta per ri­ formare radicalmente la costituzione. Nei collegi elettorali definiti territorialmente (le cu­ rie) la gente votava secondo il principio democratico > del si­ stema di Bretton W oods - come moneta di riserva, che

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doveva essere accettata qualunque fosse l' apprezzamen­ to del mercato . A meno di pretendere la sua sostituzio­ ne con l'oro. Quel legame con l'oro, posto espressamente alla base del sistema, era in pratica diventato puramente nominale . Quando però la bilancia dei pagamenti ameri­ cana cominciò a registrare crescenti disavanzi, dovuti alla pretesa di sostenere insieme spese militari e consumi, bur­ ro e cannoni, i 'governi europei, costretti ad accumulare crescenti quantità di dollari, cominciarono a premere sul governo americano, al tempo stesso arbitro e giocatore del sistema, presentando un' alternativa secca: o ristabi­ lire un cambio del dollaro non falsato, che danneggiava i concorrenti esterni, o osservare la regola di convertibilità del dollaro in oro che era stata posta a base del sistema ma era diventata un principio formale praticamente inappli­ cabile a causa della sproporzione tra le riserve auree e la circolazione dei dollari. Questa seconda parte dell' alter­ nativa era poco meno che una provocazione. Nel 1 9 7 I l' ambasciatore britannico rivolse al Dipar­ timento del Tesoro americano la richiesta di convertire in oro tre miliardi di dollari. Il generale De Gaulle fe­ ce, con ancora maggiore durezza, una mossa analoga . La drammatica scelta fu posta a un presidente estroverso, Nixon, molto preoccupato, al momento di annunciarla, che il suo discorso avrebbe preceduto, in prima serata, la popolarissima serie Bonanza. Con la sua decisione di >) . La scommessa sul valore futuro della moneta può orientare il mercato anziché esserne totalmente condizionati . In tal senso, la speculazione può assumere un ruolo regolatore . Tuttavia, affidarsi pienamente alla logica autopro­ pulsiva della liquidità comporta i devastanti rischi che abbiamo segnalato nel corso del nostro discorso . La do­ manda di moneta a scopi speculativi finisce, per la logica intrinseca dell' accumulazione, a prevalere sulla domanda di moneta a scopi transazionali e precauzionali. Si veri­ fica allora quella mutazione progressiva del capitalismo che Minsky ha rilevato (H . Minsky, Keynes e l 'instabi­ lità del capitalismo) : dal capitalismo imprenditoriale del secolo XIX al capitalismo manageriale della prima parte del secolo xx, dominato dalle grandi C orporations e al piu recente capitalismo manageriale monetario (money manager capitalism). Quest 'ultimo - noi lo definiremmo capitalismo finanziario - è caratterizzato da un' ottica di brevissimo periodo nella quale la massimizzazione a bre­ ve termine del reddito monetario prevale su qualunque disegno storico di sviluppo . Si tratta di un cambiamento profondo, non di un semplice alternarsi di proporzioni

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settoriali. U n mutamento che Minsky giudica non come un progresso ma come un' involuzione : anche perché at­ traverso di questo - potremmo aggiungere - si verifica quella fatale inversione tra mezzi e fini dell 'economia che Polanyi aveva denunciato . Come dice Roncaglia, la speculazione diventa allora il Principe di Danimarca. Si coglie qui la differenza sostanziale tra lo scambio di merci reali e quello dei loro titoli rappresentativi (scambio finanziario) . Lo scambio di merci autentiche è regolato dai prezzi che ne misurano la scarsità e ne realizzano l'equili­ brio . Se la domanda dj caffè supera l'offerta il prezzo del caffè sale e la domanda si riduce (e/o l'offerta aumenta) . In­ vece : se le azioni rappresentative delle imprese produttrici di caffè aumentano di valore la loro domanda aumenta. La ragione è semplice : i titoli azionari riflettono non la scar­ sità oggettiva delle merci ma le valutazioni soggettive del mercato. Se le valutazioni sono positive i titoli aumentano indipendentemente dalle condizioni esistenti, nella speran­ za di aumenti ulteriori e spesso innescano circuiti imitativi e cumulativi: le cosiddette bolle, che possono svilupparsi prodigiosamente. Prima o poi l'equilibrio si ristabilisce. Ma tra il prima e il poi si sono prodotte ricchezze fittizie per loro natura ma del tutto reali nella distribuzione del reddito, con le relative diseguaglianze . Non è aumentata la produzione ma è cambiata la distribuzione . La piu recente crisi è stata provocata da una massic­ cia creazione di moneta endogena. Le bolle sono state fi­ nanziate non passivamente, ma suscitate e sostenute nelle forme e nei modi piu disinvolti dalle banche e dagli inter­ mediari finanziari. Quanto alle autorità monetarie, anziché controllare e contrastare questa inflazione finanziaria, esse l'hanno as­ secondata. Ciò si deve a due cause, una funzionale, l'al­ tra ideologica. La prima: la politica monetaria è molto piu efficace nel contrastare speculazioni al ribasso che al rial­ zo, creando un « pavimento » al di sotto del quale non si

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può scendere, mentre non è in grado qi opporre un soffitto all'euforia. La seconda è ideologica. E la convinzione che tutto ciò che viene dal mercato è bene. Mama knows best, la mamma sa quel che va fatto. È soprattutto questa credenza a spiegare il comportamento cieco e irresponsabile delle au­ torità monetarie americane. Per la verità Alan Greenspan, il celebratissimo Presidente della Banca Centrale, osò parla­ re, a un certo punto, di «euforia irrazionale » dei mercati. Ci informa, nella sua autobiografia, che l'idea gli venne mentre era in bagno: un luogo quanto mai opportuno per riflette­ re. Successe il finimondo. E Greenspan si guardò bene dal prendere un altro bagno. Non se ne parlò piu. La creazione di moneta endogena sfugge al suo control­ lo generando un processo di eterogenesi dei fini attraverso il quale quella che era lo strumento dell'economia, la mo­ neta, diventa il suo scopo . Ne deriva quella condizione di instabilità e di iniquità che abbiamo denunciato nel pre­ cedente capitolo. Ci si può allora chiedere se la via da seguire non deb­ ba essere proprio quella opposta alla logica della liqui­ dità e dell' accumulazione . E se , paradossalmente, non sia opportuno chiamare in causa ancora proprio Keynes . Prima di azzardare questa conclusione, ci sembra però opportuno riferire il punto di vista dell'establishment . L' autonomizzazione della finanza è considerata dal pensiero economico dominante come una irruzione scon­ volgente ma decis amente creativa, ricca di possibilità . Recentemente questo punto d i vista è stato illustra­ to da Niall Ferguson (Ascesa e declino del denaro. Una storia finanziaria del mondo) . N o n si tratta di un econo­ mista ma di uno storico, che illustra in modo provoca­ torio gli aspetti sconvolgenti ma a suo parere stimolanti ed esaltanti dell'irruzione finanziaria.

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Nel 2 oo8 il prodotto lordo mondiale era calcolato in 6 1 200 miliardi di dollari. Il valore totale dei titoli azionari era di poco inferiore, 5 7 5 00 miliardi di dollari . Quello dei titoli obbligazionari di oltre 8 2 ooo miliardi, il 3 5 per cento i n piu (World Federation o f exchange) 1 • D al 1 990 al 2 oo8 il reddito della famiglia media americana, al netto dell' inflazione, è rimasto sostanzialmente inva­ riato (un auménto del 7 per cento in diciotto anni) . La ricchezza finanziaria complessiva delle famiglie invece è cresciuta di tre volte grazie al doppio boom mobiliare e immobiliare . L'esplo,sione dei valori di mercato, co­ niugata a un tasso d' interesse relativamente contenuto, ha sostenuto i consumi e favorito un massiccio ricorso all 'indebitamento . L'indebitamento complessivo americano (privati, im­ prese, Stato) è salito dal 1 6o per cento del Pil nel 1 9 74 a oltre il 350 per cento del Pil nel 2 oo8 . Questa esplosione del debito si è accompagnata con un aumento altrettanto impressionante delle diseguaglianze. I grandi manager guadagnano - tra stipendi e trattamenti connessi - cifre da mille a duemila volte superiori a quelle del cittadino americano medio . Continuano a intascarli anche quando le loro imprese vanno in rovina. . Questi dati sembrerebbero confermare in pieno la nostra conclusione sulla instabilità e iniquità dell'attua­ le mutazione capitalistica. Invece Ferguson, con una brusca sterzata, li considera come il costo transitorio di una nuova avanzata dell'eco­ nomia. Con la stessa improntitudine deterministica con cui gli apologeti di Stalin presentavano,, levando gli occhi al cielo, le stragi dei kulaki come necessario costo della storia egli considera le devastazioni delle crisi finanziarie 1 Ci siamo permessi di rettificare i dati di Ferguson sulla scorta delle risultan­ ze piu recenti .

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come l'inevitabile costo del progresso . Riprendendo J a­ cob Bronowski, Ferguson afferma che la finanza è stata essenziale all' ascesa dell'uomo : non una sanguisuga ma un motore indispensabile del suo progresso . Progresso, prima ancora che materiale , culturale e artistico . Non ci sarebbero state le meraviglie del Rina­ scimento italiano senza le immense fortune finanziarie accumulate dai Medici; né la prosperità olandese senza l' organizzazione del primo mercato azionario mondiale . Né la nascita dell'economia capitalistica moderna sen­ za le follie finanziarie dello spadaccino J ohn Law (vedi pp. I4 I sgg. ) . La finanza coltiva l'arte grazie alle spese non produt­ tive dei banchieri e promuove la ricchezza reale grazie ai flussi monetari che mobilitano le risorse « reali », sia pure attraverso distruzioni creatrici . Ora, c ' è da chiedersi anzitutto, sommessamente, se vi sia oggi traccia di aurore rinascimentali dalle parti di Wall Street . O qualche retaggio dei Medici nelle im­ prese dei Madoff. Ma soprattutto c'è da chiedersi se l'esplosione della finanza mondiale alla quale stiamo assistendo, documen­ tata da Ferguson, non segni una storica inversione rispet­ to al passato per quel che riguarda i rapporti tra finanza ed economia. L'indubbio ruolo di stimolo richiamato da Ferguson trovava riscontro, nei cicli capitalistici dei se­ coli scorsi, in una sostenuta crescita del prodotto lordo . Ora, all' esplosione finanziaria fa riscontro in Occiden­ te un rallentamento della crescita economica. Non solo. Mentre non si scorge un contributo della prima alla se­ conda, emerge il peso che la finanza addossa all'economia, di un indebitamento alla lunga insostenibile . Ci si deve chiedere allora se il problema fondamen­ tale non sia, come sembra concludere Ferguson, di de­ cifrare da tutta la loro seducente complessità i mecca­ nismi della finanza, ma di ristabilire la condizione della

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moneta come strumento e non come fine dell'economia : di una economia che a sua volta sia rivolta alla stabilità e alla giustizia della società e non alla turbolenza e alla sopraffazione . N on risultano particolarmente convincenti e con­ fortanti a questo proposito le conclusioni di Ferguson sul ruolo etico ,della finanza: che sarebbe quello di « ac­ centuare le differenze tra gli uomini arricchendo chi è intelligente e fortunato e impoverendo chi non è intel­ ligente e fortunato >> . Elementare , Watson ! A nostro avviso si può avere una visione meno depri­ mente dell'essenza della moneta e del suo destino . Abbiamo ricordato che un processo di finanziarizza­ zione è presente in ogni ciclo capitalistico : è il suo « au­ tunno » (Braudel) . Ma, mentre nei cicli che abbiamo rapidamente passa­ to in rassegna esso si è presentato come una fase transi­ toria e terminale del ciclo, che dava luogo a un ciclo pro­ duttivo nuovo, in questo secolo americano ha assunto, con la liberazione dei movimenti internazionali del capi­ tale, le forme parossistiche di una finanza autoespansiva e autolegittimata che travolge il suo ruolo, da strumento legato al processo di accumulaziome dei beni a processo di un' accumulazione senza fine e senza fini della mone­ ta. Viene ancora in mente l'immagine del coarsing: della corsa dei levrieri dietro una lepre illusoria. In tal caso non c'è « progresso » di nuove forme creati­ ve della società, ma il perseguimento di 'una crescita sem­ pre meno produttiva di pubblica felicità e di fiducia nel futuro, sempre piu di angosciose frustrazioni, di lace­ ranti diseguaglianze, di effetti distruttivi della natura. La moneta rivela allora la sua ambiguità. La sua na­ tura di motore potente senza guida .

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Questa condizione dovrebbe suggerire una rispo­ sta radicale come quella espressa da Keynes che ri­ prese la proposta provocatoria di S ilvio Gesell (non fu il solo : anche un grande economista conservatore come Fisher l' avev a condivis a) di una tassa di d ecu ­ mulo della moneta : in pratica, un t asso d ' interesse neg ativo , che rendesse praticamente impossibile l' ac­ cumulazione della moneta non spesa: un modo pratico di togliere alla moneta la qualità fittizia di rnerce, la natura illusoria di ricchezza . Recentemente la proposta keynesiana è stata ripresa e rilanciata da due economisti italiani (Amato e Fantac­ ci, Fine della Finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne) nel senso estremo, dell'esplicito abban­ dono del principio della liquidità, che assimila moneta e credito in un flusso finanziario indistinto ; e nel ritorno alla separazione delle due funzioni : quella di un debito fatto per essere pagato e di una moneta fatta per pagare i debiti. Occorre insomma sottrarre crediti e moneta al mercato, impedendo la trasferibilità dei primi e, attraverso il decumulo, l' accumulazione della seconda. Conseguen­ temente, i prezzi della moneta e del credito dovrebbero essere fissati dall' autorità politica. Il mercato finanziario scomparirebbe. Si tratta, detto in parole povere , della fine del capi­ talismo . Infatti, riforme cosi rivoluzionarie non posso­ no essere neppure prospettate nell' ambito dell' attuale sistema economico e politico . Il decumulo della mçneta non può essere considerato come una « riforma » . E una trasformazione antropolo­ gica di portata analoga a quella delle grandi rivoluzioni sociali, come quella cristiana: inconcepibile all' interno dell: attuale mondo politico e morale . E insomma una rivoluzione nel senso pieno della parola, un rovesciamento di principi e di valori . Que-

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sta mutazione antropologica non può essere affidata a proposte accademiche per quanto ben congegnate, ma a una revisione radicale delle scelte di fondo dalle quali dipendono i nostri comportamenti . Per non lasciare nel vago le conclusioni del nostro discorso vorrei richiama­ re molto brevemente cinque grandi direttrici di cambia­ mento connesse con il decumulo della moneta.

John Law La carrozza si fermò a Bloomsbury, poco dopo mezzogiorno . L ' azzimato bellimbusto scese precipitosamente verso di lui , la ma­ no già sull ' elsa, ma lui fu piu pronto . Una stoccat a dritta, un urlo e quello era li steso nel sangue . Lui, il piu bell 'uomo di Londra, adorato dalle donne , invidiato dai maschi , il giocatore accanito e fortunato , il conversatore brillante, vestito con elegante spiglia­ tezza, pronto allo scherzo giocondo . Non poteva esserci figura piu lontana da un economista matematico. Ma lui, John Law , lo era, economista geniale e prodigioso matematico . Quello stupido duello gli cambiò la vita. I mprigionato, processato, condannato a morte, fuggito , forse con la connivenza del Re , ramingo per l 'Eu­ ropa insieme con la sua amata Katherine , una donna sposata che amò per tutta la vita e con il suo grande progetto destinato a cam­ biare la storia dell 'economia . Era il I o di agosto del I 7 I 2 . Parigi, anzi Versailles, dove si fermò dopo aver toccato l ' Olanda e l ' I talia, viveva i giorni di una crisi economica e finanziaria profonda, causata dalle dissennate spese del suo prestigioso sovrano, Luigi XIV, il Re Sole, e da una mancanza disastrosa di denaro . Lui sapeva perfettamente che cosa era necess ario fare . Lo scrisse con la solita tranquilla sicurezza in una lettera all ' amico d' Orléans , Reggente di francia dopo la morte di Luigi. Una let tera un po ' altera e sprezz ante : « Conosco le mie forze e amo troppo il piacere per occuparmi di affari che non conosco a fondo . Le mie idee sono semplici, i principi in base ai quali le ho sviluppate sono veri e le conclusioni che ne ho tratto sono corrette » . Quelle conclusioni , l e espose alle Corti che aveva potuto av­ vicinare, e ai suoi piu autorevoli amici, tra i quali l ' economista C antillon e il memorialista S aint-Simon. Le avev a illustrate con la chiarezza con cui sapeva spiegare le cose piu complicate . Ma per molto tempo con scarsa fortuna . Figurarsi: una banca con il potere di emettere banconote, monete

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Testa e croce di cart a assicurate non sul valore dell ' oro ma su quello della ter­ ra ! U n giornalista scrisse : « N essuno parla della banca del signor Law se non per riderne » . Il re Luigi al quale l ' idea era stata illu­ strata, rimase piu che scettico . Forse non l ' aveva capita. Il piu convinto fu il principe Vittorio A medeo di S avoia, eccezional­ mente int ellige nte , che però fu dissuaso dai suoi consiglieri e se la cavò dicendo che il suo S t ato era troppo piccolo per u n ' idea tanto grande . Chi invece avendola capita fu final mente pronto a sostenerla quando la sorte gli consegnò il po tere , fu il suo ami­ co Filippo duca d ' Orléans . Si erano conosciuti in un bordello di lusso . Erano piu o meno coetanei. La w, con trentasei anni, piu vec­ chio di tre anni . Erano entrambi belli, atletici e brillanti e aveva­ no uno straordinario succe sso con le donne , anche se gli appe titi sessuali del duca erano assai piu voraci di quelli di La w. Le sue numerose amanti - stelle dell ' opera, attrici della C o médie fran­ caise , serve , figlie di diplomatici, piu raramente dame dell ' aristo­ crazia - venivano scelte per il carattere allegro , per l'esuberanza vogliosa nei banchetti nel bere e nel fare l ' amore, nonché per il disinteresse verso la politic a . L ' aspetto contava poco ; persino la m adre del duc a, la conte ssa palatina, os servò con s arcasmo : « non gli importa che siano belle . L ' ho spesso rimproverato per­ ché le sceglie cosi brut te » . Spesso in quei festini si trascendev a . I suoi amici dissoluti, i cosiddetti roués, come riferisce S aint­ Simon, si abbuffavano , bevevano a dismisura e url avano scon­ cezze a squarciagola . Insomma, dopo molti tentennamenti e rinvii e ripensamenti il progetto della B anca fu varato . E cominciò la grande stagione di John Law . Law fu autorizzato a fondare una banca (la B anque Roy�Je) con un capit ale di sei milioni di livres e a emettere banconote : mo­ neta di carta, si, proprio cart amoneta ! Le quali sarebbero state prest ate soprattutto allo Stato, che le avrebbe usate per rimbor­ sare i suoi creditori. Per accredit arle la B anca si impegnò a rimborsare i bigliet­ ti, a richiesta, in oro al valore nominale : il che metteva i cre­ ditori al rip aro da ogni rischio di « tos atura » delle monete . Il Reggente inviò ostentatamente, in pieno giorno , alla B anca, tre carri carichi di oro , che presumibilmente gli furono restituiti di nascosto la nott e . Cosi le banconote di carta furono ben accol­ te : servirono ad alleggerire il debito dello S t ato e a soddisfare un' economia assetat a . Ma questa n o n e r a che la prim a parte dell ' operazione . U n anno dopo John re alizzò , sempre c o n i l consenso del Reggen-

Una breve storia della moneta te, la second a . Si fece accordare il monopolio dei traffici con la Louisiana , una regione americana allora piu vasta della Fran­ cia, che si favoleggiava ricca di ogni bene : oro , tabacco, tè , le­ gni pregiati , diamanti enormi (uno , grosso come una biglia, lo si può vedere oggi al Louvre : si chiama Le Régent) . Su quella base fondò la « C ompagnia del Mississippi » , che avrebbe sfruttato le immense ricchezze di quella terra benedet ta; e ne emise pubbli­ camente le azioni a cinquecento livres nominali ciascuna . Dopo un breve period,.o di perpless ità quelle andarono a ruba. S aliro­ no a mille , poi a duemila, poi a diecimila , poi a ventimila livres . Si fecero altre successive emissioni . Parigi era impazzita. Cosi cantav ano gli chansonniers : Aujourd hui il n 1est pas ,questi o n De parler de Constitution1 Ni de la· guerre avec l'Espagne; Un nouveau pays de cocagne Que l'o n nomme Mississippi R oule à présent sur le tapis. 1

Rue Quinquenpoix , sede della Compagnia (c ' è anche oggi : nei pressi del Beaubourg) era una via strett a lercia e puzzolente . D all ' alba, al suono di una campanell a, al tramonto, vi si pigiava pericolos amente, per comprare azioni e seguirne le quotazioni , una incredibile folla : duchi e cocchieri, magistrati e tagliabor­ se, m aresci alli e prostitute . E, a proposito, anche dame di alto lignaggio, che promettevano ore di letizia in cambio di buone azioni (Galbraith ci informa che qualche cosa di molto simile ac ­ cadeva durante i ricevimenti dati dal grande finanziere Michael Milken al Beverly Hills Hotel, in piena febbre speculativa, negli anni Ottanta) . C ' era pure chi offriva a pagamento le terg a , che servissero da scrit toio . Presto Banca e Compagnia si saldarono in un Kombinat finan­ ziario all ' interno del quale girava la ruota della Fortuna: la Banca emetteva biglietti prestandoli allo S tato che pagava con quelli i suoi debiti e le sue spese , fornendo cosi al pubblico i mezzi per sottoscrivere le azioni della Compagnia il cui ricavato , chiuden­ do il cerchio , era riprestato allo Stato; e la ruota ricominciava a girare . Naturalmente si po trebbe obiettare : m� non dovevano servire allo sfrut tamento della Loui siana ? Questo era ciò che credeva la gente ; e che Law si era illu so di fare, secondo quan­ to aveva promesso . Ma la verità era che in Louisiana non c ' era proprio niente , oltre che foreste, piane desolate, paludi e sparse tribu di « indiani » non entusiasti di ricevere visite non previste . Per di piu , I nglesi e Spagnoli accampavano diri tti su quel terri­ torio, cercando di farli v alere in certi modi spicci. Le poche mi-

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Testa e croce gliaia di coloni che erano stati persuasi ad and arci avevano fatto una bruttissima fine . Cosicché nessuno voleva piu andarci, e il Reggente aveva mobilitato una banda di tipacci, chi amati arcie­ ri, che andavano sequestrando condannat i, debitori, prostitute e disgraziati di varia estrazione , imbarcandoli a forza sui velie­ ri dei negrieri, dove poteva accadere di tutto, anche di arrivare a destinazione , per una vita, o una morte , di stenti . E proprio ques ta fu la fine riserv ata alla povera Manon Lescaut (racconta­ ta dall ' abate Prévost) e al suo ardente cavaliere . Che la Louisiana fosse una « bufal a » e che le banconote fo s­ sero proprio di carta, e ba�t a, non t ardò a trapelare e a diffon­ dersi. La storia di Law in discesa è al tret tanto rapida di quella in salita, solo molto piu triste e molto meno colorat a . Possiamo risparmiarcel a. B asti dire che , dopo essere diventato addiri ttura Controllore Generale del Regno , dovet te subire la c aduta delle azioni della Compagnia, la dis truzione dei biglietti, l' abbandono del Reggente, la sparizione degli amici, le sassate della plebaglia arricchita e impoverit a di colpo , la ennesima fuga della sua vi­ ta, ramingo in Europa con la sua fedele e coraggiosa Katheri ne . Dopo es sersi dedicato a molte altre attività - anche la spia in­ ternazionale per conto del nuovo re d ' I nghilterra, in cambio del tanto sospirato perdono - approdò infine alla sua amata Venezia, che pure lo amava, e dove passava le giornate al C affè Florian, manco a dirlo, a giocare . Vincendo , quasi sempre . Vi mori il 2 I marzo del I 7 2 9 , a cinquantotto anni, serenamente .

Non siano mica scemi.

La prima direttrice è il nesso con il « comandamen­ to » della crescita. La via d 'uscita dalla crisi è angosciosamente indica­ ta dall'establishment nella ripresa della crescita di cui si spiano anche i minimi accenni . Ora, la crescita non può essere una condizione normale . La crescita continua è un'ideologia recente . Nella teoria economica classica non ce n'è traccia . Il destino dell'economia nel pensiero degli economisti classici è uno stato stazionario . La crescita continua è diventata solo in tempi relativamente recenti l ' assunto di un pen-

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siero ideologico , non scientifico (vedi in proposito Car­ la Ravaioli, in particolare : Il quanto e il quale: la cultura del mutamento e Ambiente e pace: una sola rivoluzione). L' abbandono di questo assunto assurdo non comporta però l' adozione di un modello di stato stazionario, diffi­ cilmente definibile in termini concreti, ma quello di una economia finalizzata non a una crescita astratta ma a concreti obiettivi di compatibilità ecologica, di benessere sociale, di sviluppo culturale : insomma, di un progetto sociale e di una programmazione economica: perfetta­ mente compatibili con una moneta non accumulabile . Una riflessione costruttiva su questi temi potrebbe trarre ispirazione dal modello steineriano di tripartizio­ ne tra mercato Stato ed economia associativa. Secondo tema di riflessione : nel lungo periodo solo una distribuzione del reddito meno squilibrata sia all'in­ terno dei paesi ricchi sia tra paesi ricchi e paesi poveri potrà permettere una crescita sana, sospinta da fattori reali, come i salari, e non da una abnorme espansione dei debiti. Terzo tema di riflessione : la formazione di una plu­ tocrazia mondiale che dalla possibilità di accumulare moneta nelle forme piu varie trae rendite e potere . Non una classe dirigente, ma una casta che somiglia molto piu alle aristocrazie decadenti che alle borghesie im­ prenditrici, sia per /quanto riguarda la sua (di�)funzione sociale, sia le sue bizzarrie esibizionistiche . E una « n a­ zione » che ha il suo governo . Abbiamo osservato altro­ ve come nella sua ultima trasfigurazione il capitalismo somigli sempre piu alla sua caricatura marxiana : la réa­ lité dépasse la fiction, come quella raccontata dal > non interferisse nello scambio delle merci il mercato riacquisterebbe tutta la sua efficacia di regolatore de­ gli scambi . Ciò che al mercato non si può chiedere è di dilagare nello spazio riservato alla libertà e alla re­ sponsabilità politica . Ciò che al mercato non si deve chiedere è di trasgredire il limi te che dà senso all' eco-

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nomia, anziché trasformar la nella corsa dei cani dietro una lepre finta. In un libro intelligente, anche se pervaso da un'ideo­ logia mercatistica quasi mistica (Filosofia del denaro, Ar­ mando, 1 985) Vittorio Mathieu denuncia il prelievo che un Mefistofele con le fattezze del Ministro del Tesoro, manovrando la p!anche à billets, effettua sulle risorse crea­ te dalla « libera e rischiosa attività » dei capitalisti grazie ai loro « sacrifici » e alla loro « dignità >>. Questa visione reto­ ricamente virtuosa si rovescia nello specchio di Alice della finanza: dove la planch� à billets è manovrata dai banchie­ ri i quali scaricano « liberamente » ma assai poco « dignito­ samente » i loro « rischi » sui « sacrifici » del contribuente . Viene voglia di usare le stesse parole con le quali Mathieu chiude il suo libro, non si capisce perché, in francese: nous ne sommes pas dupes, che possiamo tradurre in buon italia. . . no: non szamo mzca scemz. Scomparsa della moneta ?

Giunti alla conclusione di questo libro possiamo rivol­ gerei la domanda che abbiamo posto e rinviato all' inizio di questo capitolo . Che cos 'è la moneta ? Possiamo ora azzardare una risposta. La moneta è una invenzione . Una invenzione che non viene dagli dèi o da un Dio, ma dalla genialità de­ gli uomini e che è rivolta a utilizzare razionalmente la capacità che essi hanno, unica, tra le specie esistenti, di trasformare il) oro ambiente . E dunque uno strumento, non un fine . E una norma, non una merce . Nel suo stravolgimento da strumento a fine, da nor­ ma a merce, sta la degenerazione che essa ha subito nel­ la sua storia . Nel gioco del mercato la moneta adempie la funzione svolta dai gettoni nel gioco della roulette . I gettoni non hanno alcun valore intrinseco . Se glielo

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si attribuisse , usandoli come moneta da accumulare , si rovinerebbe il gioco privandolo di una fine, quindi di un fine . Ricondurre la moneta alla sua funzione stru­ mentale e normativa è il solo modo di restituirle la sua qualità di un potere al servizio dell 'economia e non di un'economia al servizio di un potere. Nel nostro racconto è emersa la tendenza della moneta alla smaterializzazione . È possibile, come abbiamo anti­ cipato poc ' anzi, che il fulmineo progresso delle tecniche di informazione, che permettono di renderla immediata­ mente accessibile a tutti, consenta di fare a meno anche delle sue ultime vestigia materiali attraverso un sistema di registrazioni automatiche, con una totale e generale visibilità della ricchezza e della sua circolazione, e con la conseguente scomparsa delle mediazioni parassitarie, ba­ se del potere della plutocrazia. Sarebbe la sorte suprema dello sterco del diavolo: finire in bellezza.

In crociera con l 'alta finanza americana di Giuseppe C assini

Giuseppe Cassini mi ha inviato, come contributo al mio libro, que­ sta fantasia concreta su un immaginario « vertice » della finanza america­ na sul Titanic . Lo pubblico tale e quale, con il suo consenso.

Se il « Titanic» fosse ancora in esercizio, non avrebbe forse ospita­ to in navigazione gli alti papaveri della finanza americana negli anni ruggenti prima della Grande Crisi del 2oo8 ? Questo, allora, sarebbe il resoconto di quella lunga crociera.

Chi ballava sul « Titanic>> dell'alta finanza ? Ballavano tutti i passeggeri di I 8 classe, ovviamente, inebria­ ti dallo champagne che scorreva a fiumi . Avevano perso i freni inibitori, come spesso accade al mondo della finanza , incline per natura a navigare in acque infide , sfiorare le secche e non fer­ marsi mai . Sul piroscafo erano stati installati perfino i computer abilit ati al flash trading, le transazioni elettroniche che consento­ no di comprare e vendere titoli per milioni di dollari in una fra­ zione di secondo . Entrando nel salone da ballo e nelle sale da gioco si poteva rico­ noscer li ad uno ad uno, facce note negli ambienti che contano . Gran giocatore era ad esempio il presidente di Merrill Lynch, Stanley O'Neal, un tipo che non amava spartire il potere né gradiva essere contraddetto . Merrill Lynch era un gruppo tra i piu rispettati per le sue consulenze societarie di alto bordo ; eppure il suo presidente si lasciò attrarre dal gioco d' azzardo quando vide quelli di Lehman Brothers guadagnare somme enormi giocando alla roulette dei mutui subprime. Allora si mise anche lui a puntare sul settore ipotecario, fino ad impossessarsi della First Franklin, specializzata in mutui immobiliari a rischio . Siccome non gradiva essere contraddetto, nessuno dei suoi fiatò quando si mise a puntare, oltre che sui deri­ vati semplici, anche sui derivati sintetici , un prodotto sofisticato

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Giuseppe Cassini

della chimica finanziaria1 • Tra il 2 005 e il 2 007 Merrill Lynch fece profitti da capogiro . Tutti attorno al tavolo verde si brindava con champagne di marca al presidente O ' Neal, che proclamava « State certi che abbiamo la gente giusta al posto giusto per gestire i rischi e controllarli » , indicando col dito il suo « mago » , John Thain , uno che aveva presieduto il New York Stock Exchange . Nel frattempo , però, era accaduto un fatto strano : erano spari­ ti i crocieristi della Bear Stearns Bank . Il presidente, James Cay­ ne , in due decenni aveva fatto lievitare l' istituto al quinto posto nell 'empireo delle banche d� affari targa te USA . Siccome C ayne e i suoi accoliti erano frequentatori assidui di quei saloni, la loro as­ senza non passava inosservata e gli altri cominciavano a porsi delle domande (« avranno il mal di mare ? staranno smaltendo qualche sbornia in cabina ? ») . Chi chiedeva di loro agli ufficiali addetti alla I 8 classe si sentiva rispondere in modo evasivo . Poi accadde un fatto ancor piu inquietante: sparirono i Lehman Brothers. C ' era ancora chi ci scherzava sopra, si sprecavano battute sal aci (« si saranno chiusi in cabina a sperperare con qualche hostess i guadagni realizzati al tavolo verde ? ») . Ma il perdurare di quelle assenze cominciava a suscitare un' ansia insolita, la stessa prova­ ta dai passeggeri in crociera sul Nilo nel giallo di Agatha Christie . Finché una sera il commissario di bordo, un tipo alla Poirot , entrò nel gran salone da ballo , invitò a far silenzio ed esclamò : « L adi es and gentlemen, sono desolato di dovervi annunciare il decesso dei Bear Stearns e dei Lehman Brothers , intossicati da un eccesso di bulimia . I medici sono intervenuti troppo tardi per s alvar li . Le loro spoglie mortali verranno sepolte in mare con una sobria cerimonia a cui siete tutti invitati » . Nel settembre 2 oo8, quando i l Titanic iniziò a colare a picco , Merrill Lynch si trovava allo scoperto per I 2 miliardi di dollari; per non sparire nei flutti si fece vergognosamente salvare dalla Bank of America , che in compenso incassò 45 miliardi di soldi pubblici . E dov 'era finito S tanley O ' Neal ? Naufragato ? Neppure per sogno . 1 I deriv ati, noti come C DO (Collateralized Debt Obligations) , sono pacche tti di decine di titoli che a loro volta contengono centinaia di mutui subprime, in mo­ do da suddividere meglio i rischi di default. I Credit Default Swaps (CDS) sono con­ tratti assicura tivi il cui detentore s ' impegna, dietro riscossione di un premio, a su­ bentrare nelle eventu ali perdite su un mutuo o su altri crediti. I derivati sintetici o SCDO (Synthetic Collateralized Debt Obligations) sono un amalgama di C DO e ài CDS . Ossia, se i derivati semplici contengono veri titoli e veri mutui, i deriv ati sin­ tetici sosti tuiscono i mutui veri con Credit Default Swaps, spesso generati al compu­ ter . S arebbe come met tere all ' asta il Colos seo ? Non proprio : vendere il Colosseo è proibito dalla legge, mentre piazzare derivati sintetici è lecito.

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Avendo intravvisto dagli oblò u n iceberg che s i avvicinava, s i era fatto elargire un'ultima buonuscita di r 6 1 ooo ooo $ (centosessan­ tun milioni di dollari) che - in aggiunta ai 2 80 ooo ooo $ (duecen­ tottanta milioni) intascati in quattro anni fra stipendi e bonus vari - gli consentirono di accaparrarsi una lussuosa scialuppa tutta per lui e tagliar la corda in tempo . Nel gotha della r • classe non potevano mancare i dirigenti del Citigroup , al f epoca principale banca del mondo , presente in 1 40 paesi con 2 00 milioni di clienti . Tra un giro di walzer e una puntata al tavolo verde se la spassavano allegramente : chi avrebbe potuto dubitare della solvibilità di quel gigante ? Grazie alla deregulation degli ultimi decenni il Citig!oup si era espanso come schiuma in ogni campo della finanza (banca d' investimenti , assicurazioni , bro­ keraggio) . Se qualche C assandra - incrociando i loro dirigenti sul ponte - avesse profetizzato che un giorno , chissà, il governo fede­ rale sarebbe diventato il maggior azionista della banca, tutti loro si sarebbero fatti grasse risate. (« Che dice mai la C assandra ? Si rende conto che noi siamo i 'primary dealers' dei Buoni del Tesoro americano, ossia quelli che fanno il prezzo ? ») . Ma quando la nave si inabissò, accadde proprio questo : confrontato ad una perdita di 1 9 miliardi di dollari nel 2 oo8 , il Citigroup si mise nelle mani del Tesoro , che dové acquistarne il 40% pur di salvarla.

Il passeggero piu blasonato. Nessun dubbio che il passeggero di 1 • classe piu altolocato fosse

Lloyd Blankfein , principe-consorte della regina delle banche d ' in­ vestimento : la Goldman Sachs , nata nel 1 869 e tuttora operante sotto il motto )> . Degli altri due non s i afferrò altro che u n sussurro .

Quis custodie! custodes ? Come su tutti i transatlantici la plancia di comando aveva due timoni : uno era riservato al segretario al Tesoro e l ' altro al capo della Fed . Al comando del primo c ' era Henry Paulson, al comando del secondo c ' era Ben Bernanke (che aveva sostituito Alan Green­ span) . Negli anni ruggenti dell ' Amministrazione Bush nutrivano 4 Si è calcolato che con le regole piu restrittive imposte nello S tato della C ali­ fornia (i famosi California Standards) le emissioni automobilistiche si riducono del 40% rispetto ai Federa! Standards fissati da W ashington.

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entrambi una tale fiducia nella sicurezza della nave da trascorrere piu tempo nei saloni di I 8 classe che in plancia di comando . Assi­ curava Greenspan nel 2 004 e confermava Bernanke nel 2 oo6 di non ravvisare alcun rischio di collisione con quegli iceberg che gli esperti chiamavano subprime. La vigilanza delle sale da gioco era per legge affidata alla Securities and Exchange Commission (SEC ) , nella persona della signora Linda Chatman Thomsen, segnalata dal « Wall Street Journal » nel 2 004 come una delle pri �e