Teodoro di Mopsuestia. Replica a Giuliano Imperatore: Adversus criminationes in Christianos Iuliani imperatoris

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Teodoro di Mopsuestia. Replica a Giuliano Imperatore: Adversus criminationes in Christianos Iuliani imperatoris

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BIBLIOTECA PATRISTICA Collana diretta da: Mario N aldini Manlio Sirnonetti

Teodoro di Mopsuestia

REPLICA A GIULIANO IMPERATORE ADVERSUS CRIMINATIONES IN CHRISTIANOS IULIANI IMPERATORIS In appendice Testimonianze sulla polemica antigiulianea in altre opere di Teodoro, con nuovi frammenti del «Contro i Galilei» di Giuliano

a cura di

Augusto Guida

NARDINI EDITORE

In copertina: Publia, diaconessa di Antiochia, di fronte all'imperatore Giuliano. Miniatura dal codice Vaticano greco 1613, del X/XI secolo (si veda la Nota iconografica a p. 260).

Edizione a cura del Centro di Studi Patristici (Firenze) Questo volume è stato pubblicato con un contributo dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze Consulenti: Clara Burini, Paolo Carrara, Elena Giannarelli, Augusto Guida, Carlo Nardi, Samuele Olivieri, Francesco Stella © 1994 - Nardini Editore - Firenze

Ad Adele, ]o Caren, Maria

La prima idea di questo lavoro risale a una calorosa sollecitazione, dopo la pubblicazione del mio primo articolo teodoreo, da parte del compianto e non dimenticato Jean Gribomont. Ho discusso di molti punti del testo e del commento con Rudolf Kassel e Mario Naldini, che sono stati prodighi di preziose indicazioni. Con Paolo Carrara, Arnaldo Marcone e Manlio Simonetti ho avuto fruttuosi scambi di idee. Negli anni coloniesi ho potuto giovarmi non poco della dottrina di Edgar Pack. Per la consulenza su alcuni problemi di siriaco sono debitore a Lucas Van Rompay e inoltre a Riccardo Contini, Paolo Marrassini e Ida Zatelli. Mia moglie J o Caren mi ha aiutato in ricerche bibliografiche con pazienza e interesse. A tutti va la mia più profonda gratitudine.

INTRODUZIONE

1. CENNI SULLA VITA E LE OPERE DI TEODORO Le notizie biografiche su Teodoro sono scarne e concernono in gran parte gli anni giovanili, sui quali ci informa soprattutto una lettera indirizzatagli dal coetaneo Giovanni Crisostomo, l'Epistula ad Theodorumt. Poche sono altrimenti le fonti che ci offrono, per lo più occasionalmente, notizie precise sulle vicende biografiche di colui che nella tarda antichità fu uno degli esegeti e teologi più autorevoli, secondo per fama forse solo ad Origene. A parte quanto si ricava dagli stessi scritti teodorei o da notizie di contemporanei (ancora ad esempio il Crisostomo nelle lettera 112), informazioni ci sono offerte dalle Storie ecclesiastiche di Teodoreto (5, 27. 40) Socrate (6, 3), Sozomeno (8, 2), Gennadio di Marsiglia (12, PL 58, 1067 sg.), dagli scritti antipelagiani di Mario Mercatore2, dagli Atti del V Concilio ecumenico di Costantinopoli del 553 che

1 Ed. J. Dumortier, Paris 1966 (SC 117), che a p. 14 sgg. dà conto del trattato ascetico di PG 47, 278-308, un testo che non riguarda Teodoro di Mopsuestia, come ha mostrato definitivamente, sulle orme del Tillemont, Mémoires ... , 11, pp. 9-10 e n.VI pp. 556-557, C. Fabricius, in "Class. et Med." 20 (1959) pp. 68-97. Lo scetticismo dello stesso Fabricius sull'identità del Teodoro destinatario della lettera è invece eccessivo, non solo perché l'identificazione è già in Sozomeno 8, 2, 9 ma anche perché i dati biografici, ad esempio sulla famiglia e gli studi, corrispondono con quanto sappiamo altrimenti del Mopseata, già dalla Stona ecclesiastica di Socrate 6, 3. 2 ACO I 5, 1, pp. 3-70.

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condannò 66 tesi teodoree3, dal Pro de/ensione trium capitulorum composto intorno al 550 da Facondo di Hermiane4. Un succinto medaglione biografico ci è offerto dal vescovo nestoriano siro Bar~adbesabba di 'Arbaia nella sua Storia dei santi Padri perseguitati a causa della verità, composta agli inizi del VII secolo5. Per un quadro complessivo della produzione letteraria di Teodoro, autore fra i più prolifici del suo tempo, sulla conservazione delle cui opere nell'originale greco gravò il peso della condanna del Concilio ecumenico del 553, sono importanti due cataloghi nestoriani, il primo contenuto nella Cronaca araba di Se'ert composta poco dopo il 10966, l'altro compilato agli inizi del XIV secolo dal vescovo di Nisibi Ebedjesu7. Su vita e opere di Teodoro, fra gli studi moderni rimane fondamentale l'Essai sur Théodore de Mopsueste di Robert Devreesse del 1938, da aggiornarsi per le scoperte fino al 1974 con la Clavis Patrum Graecorum (CPG) a cura di M. Geerard, 2, nrr. 3827-3873. Un breve ma succoso schizzo su vita opere e caratteri della teologia di Teodoro si troverà nella voce a lui dedicata da Manlio Simonetti nel DPAC 2 (1983) coll. 3382-3386.s Teodoro nasce intorno alla metà del IV secolo, forse nel 3529, ad

3 ACO

IV 1 e2. Ed. I.-M. Clément e R.V. Plaetse, Tournhout 1974 (CCL 90A). 5 Ed., con traduzione francese, F. Nau, PO 9, 5 (1913) pp. 503-516; traduzione dal siriaco in tedesco a cura di S. Grill, Bar Chadbschaba. Geschichte der um der Wahrheit willen ver/olgten Viiter, Heiligenkreuz 1962, pp. 9-15. 6 Ed. A. Scher, trad. fr. P. Dib, PO 5, 2 (1950) pp. 284-291. Per la datazione di tale Cronaca si veda G. Graf, Geschichte der christlichen Arabischen Literatur, 2, Città del Vaticano 1947 (StT 133), p. 195. 7 ('Abdiso' Bar Berika) ed., con trad. latina, J. S. Assemani, Bibliotheca ... III 1, pp. 30-35. 8 Un inquadramento della figura e dell'opera di Teodoro sullo sfondo di Tradizioni teologiche e politica ecclesiastica delle chiese di Cilicio (sec. III/V), è presentato da P. Carrara in "Quaderni storici", n. s. 76 (1991), pp. 205-239. 9 Per la cronologia teodorea seguo R. E. Carter, Crysostom's ... , pp. 87-101; le sue conclusioni dipendono per altro da una datazione della nascita del Crisostomo al 349 (cf. "Traditio" 18 [1962) pp. 357-364) che, benché probabile (la tradizionale datazione in base a Palladio al 354 è stata dimostrata impossibile da G. Ettlinger, 4

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Antiochia di Siria, la città fondata nel 300 a.C. da Seleuco I Nicatore, che con una popolazione urbana di almeno centocinquantamila abitantilO costituiva nel IV secolo una delle metropoli dell'impero romano. Ricco e dinamico centro economico, punto di confluenza del commercio fra oriente e occidente e porta d'accesso ai mercati dell'impero persiano dei Sasanidi, Antiochia era anche rinomata per una fiorente vita culturale, con scuole e maestri di fama ai quali accorrevano da ogni dove discepoli destinati a diventare l'élite dell'amministrazione imperiale. Fra i primi grandi centri raggiunti dal messaggio cristiano diffuso dalla Palestina grazie alla predicazione di Barnaba e Paolo e quindi alla presenza stessa di Pietro, la città era divenuta ben presto una delle roccaforti principali della nuova religione, i cui membri proprio in essa ricevettero il nome distintivo di 'cristiani', e uno dei capisaldi della sua ulteriore irradiazione, soprattutto verso Orientell. Ricca di tradizioni e di stimoli culturali, la città partecipò attivamente fin dall'inizio ai dibattiti che si aprirono all'interno del cristianesimo, ed importanti contributi tanto all'elaborazione teologica quanto all'esegesi scritturale vennero da eminenti personalità che ressero la locale comunità cristiana o in essa operarono. In particolare nel settore dello studio delle Sacre Scritture merita di essere ricordata la figura del vescovo Teofilo (II metà del II secolo) per il carattere del suo approccio legato a un'interpretazione letterale dei testi 12, e so-

in «Traditio» 16 [1960] pp. 373-380), non è del tutto sicura: d. A.-M. Malingrey, Palladios. Dialogue sur la vie de Jean Chrysostome,l, Paris 1988, (SC 341), p. 106 n. 2. 10 Cf. J. H. W. G. Liebeschuetz, Antioch. City and Imperia! Administration in the Later Roman Empire, Oxford 1972, pp. 92-100. 11 Per la storia di Antiochia in età cristiana si veda in particolare G. Downey, A History ... , p. 272 sgg., nonché gli articoli dedicati alla città da O. Pasquato in DPAC 1, pp. 228-233 e L. Brottier in "Rev. Ét. Gr." 106 (1993) pp. 619-635. 12 I caratteri dell'esegesi teofi!ea sono illustrati da Simonetti, Lettera ... , pp. 4849 e Wallace-Hadrill, Christian Antioch ... , pp. 43-45; entrambi stabiliscono una linea di tradizione esegetica, sira ovvero siro-palestinese, sotto il comune segno dell'attenzione alla lettera del testo, da Teofilo a Doroteo, maestro di Eusebio di Cesarea, ad Afraate ed Efrem siro, ai grandi maestri della scuola antiochena. Merita

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prattutto il presbitero Luciano, martire nel 312, studioso e filologo di importanza centrale per la trasmissione del testo dei Settanta, in particolare dei Salmi, e del Nuovo Testamento, la cui revisione, condotta secondo criteri stilistici e devozionali, si affermò come quella ufficiale della Chiesa orientale e si impose in seguito anche in occidenten. Queste tradizioni ricevettero nuovo impulso e sviluppo alla metà del IV secolo grazie ali' attività ermeneutica di Diodoro di Tarso, il quale, sviluppando l'insegnamento e la linea esegetica di Eusebio di Emesa (t intorno al 359)14, è da considerare il fondatore della scuola teologica antiochena15: scuola non solo nel senso di indirizzo metodologico condiviso da varie persone, ma anche di rapporto di magistero e discepolato e di insegnamento di ricordare che Teofilo, così come Teodoro, fu autore di un'opera Sul!'incarnazio· ne di cui è superstite solo il titolo, recentemente recuperato nelle annotazioni di un lettore bizantino da G. Hansen, Zwei Splitter /riihchristlicher Literatur, in "Vigiliae Christianae" 47 (1993) pp. 85-87. 13 Cf. A. Rahlfs, Septuaginta-Studien I-III Gèittingen 21965, II pp. 236-237; III p. 161 sgg.; B. M. Metzger, Chapters in the History o/N. T. Textual Criticism, LeidenGrand Rapids 1963, pp. 1-41; N. Femandez Marcos-A. Saenz Badillos, Theodoreti Cyrensis Quaestiones in Octateuchum, Madrid 1979, pp. XXIX-XXXIX. StÙ rapporto fra gli studi filologici e l'esegesi antiochena si vedano inoltre le prudenti osservazioni di Ch. Schiiublin, Untersuchungen ... , pp. 13-14. 14 L'importanza di Eusebio di Emesa per l'esegesi e la teologia diodorea e antiochena, già indicata da Gerolamo nd De vir. in!. 119, è stata messa chiaramente in luce nell'ambito della questione cristologica da A. Grillmeier, Jesus ... , pp. 453457 e 505 sgg. (ed. it. pp. 574-579 e 658 sgg.). La portata dell'influsso esegetico eusebiano è venuta assumendo negli tÙtimi anni contorni ancora più chiari soprattutto in seguito alla scoperta della traduzione armena dd suo Commento all'Ottateuco: cf. F. Petit, Collectio ... , p. CI sg.; Ead., Les fragments grecs d'Eusèbe d'Émèse et de Théodore de Mopsueste. L'appor! de Procope de Gaza, in "Le Muséon" 104 (1991) pp. 350-352; L. van Rompay, L'in/ormateur syrien de Basile de Césarée. A propos de Genèse 1, 2, in "Orientalia Christ. Period." 58 (1992) pp. 245-251. Sui prodromi di motivi tipici della teologia antiochena nella tradizione siriaca si veda H. J. W. Drijvers, East o/ Antioch, London (Variorum repr.) 1984, I: Forces and Structures in the Development o/Early Syriac Theology, pp. 1-27, in particolare 13-15. 15 Per un quadro generale si veda H. Rahner, Antiochenische Schule, in LThK 1 (1957) pp. 650-652. B. Drewery, Antiochien II, in TRE 3 (1978) coli. 104-109 distingue fra una «prima scuola antiochena», da Teofilo a Luciano, e una «scuola antiochena più recente».

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legato a una istituzione16. Tale scuola, di cui Teodoro diventò il rappresentante più prestigioso, si caratterizza in campo esegetico per la decisa reazione agli sviluppi interpretativi dei testi sacri in chiave allegorica propugnati dalla scuola teologica alessandrina e per la coerente rivendicazione di una interpretazione aderente ai dati storici del testo: rispettosa innanzi tutto della lettera del testo, se non si preclude la prospettiva tipologica di un senso che allude a realtà future (theoria), essa respinge gli schemi ermeneutici dell'allegoria, dalle architetture seducenti ma fondati spesso su arbitrii associativi. Un letteralismo che si serve della strumentazione messa a punto dai commenti a carattere grammaticale e retorico della tradizione pagana, ma non è dedotto da esigenze ed influsso ditale tradizione, e si distingue dal letteralismo di altri esegeti cristiani, quali Eusebio di Cesarea Asterio e Apollinare, in quanto ha le sue radici e la sua motivazione profonda, come ha mostrato M. Simonettil7, in una nuova visione teologica dell'Antico Testamento in cui è drasticamente ridimensionato l'aspetto cristologico. Prima di diventare discepolo ed erede di Diodoro, Teodoro, figlio di una ricca e distinta famiglia antiochena, fu avviato a quegli studi di retorica che avevano il compito di prepararlo a una brillante carriera di awocato o di alto funzionario della burocrazia statale. Come maestro in tali studi, dall'età di circa quattordici anni, egli ebbe il più celebre letterato dei suoi tempi, il pagano Libanio, la cui scuola ad Antiochia attirava da ogni parte dell'impero giovani promettenti e ambiziosi 18. Compagno di studi in tale scuola Teodoro incontrò un altro giovane di nobile famiglia antiochena,

16Jn questo caso, come vedremo, unAsketerion antiocheno, nell'ambito del quale la successione di Teodoro a Diodoro ha i tratti di quella che secondo la terminologia antica si potrebbe definire come una lì ,alìom. 17 M. Simonetti, Note ... , p. 84 sgg.; Id., Lettera ... , pp. 158-159. 18 Libanio, Or. 62, 27. I caratteri della scuola di Libanio sono tratteggiati da P. Wolf, Vom Schulwesen derSpiitantike, Baden-Baden 1952. Uno studio prosopografico sugli scolari di Libanio è offerto da P. Petit, Les étudiants de Libanius, Paris 1957, i cui dubbi, sulla scia di P. Maas, in merito al discepolato libaniano del Cri-

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Giovanni il futuro Crisostomo, che, di poco più anziano, esercitò su di lui un influsso determinante per una svolta e la scelta di un nuovo genere di vita. La formazione scolastica avveniva sugli autori classici della cultura greca, prima Omero Esiodo e altri poeti, poi gli autori di prosa: gli storici come Tucidide e Senofonte e soprattutto gli oratori della grande stagione attica, Isocrate e Demostene in testa, scelti come modelli di riferimento su cui doveva formarsi lo stile dello scolaro, abituato così a esprimersi secondo le norme dell'atticismo, un linguaggio oramai artificioso canonizzato dall'imitazione classicistica. Oltre che nella retorica Teodoro, come ci informa Sozomeno, fu iniziato anche nella filosofia, una disciplina che il retore Libanio era lontano dal disprezzare: così, oltre che tracce di Platone, nei testi teodorei si trovano influssi del linguaggio e della dottrina aristotelica, soprattutto logica ed eticaI9. Una formazione dunque sui testi della tradizione pagana e sotto la guida di un maestro pagano come Libanio, che qualche anno prima era stato influente consigliere di Giuliano nel breve tentativo di restaurazione pagana e che anche dopo la morte del regale discepolo (26 giugno 363) non ne aveva rinnegato il programma culturale e continuava a impegnarsi nella difesa e nel mantenimento del grande patrimonio dell'ellenismo, interpretato come tradizione indissolubilmente legata al paganesimo. Ma la tradizione classica costi-

sostomo (p. 41) mi paiono per altro risolti dalle osservazioni di K. Miinscher in "BursiansJahresbericht" 170 (1915) pp. 152-153; cf. anche R Forster-K. Miinscher, Libanios, in RE 12, 1 (1925) col. 2540. 19 Sozomeno 8, 2, 7 àvi]P KaL 'tWV Ì.Epiòv i3li3MOv KaL 'tT)ç éiM11ç 1tm6daç P'l'tOpctlV 'tE KaL q,LÀ.ooé,q,wv LKaviòç bt,O'tl)µwv. Per l'attenzione e il rispetto verso la filosofia da parte di Libanio si veda P. Wolf, Vom Schulwesen derSpatantzke, Baden-Baden 1952, p. 13 n. 10; B. Schouler, La tradition hellénique chez Libanios, 2, Lille/Paris 1984, pp. 563-572 ne documenta le riprese platoniche e il disinteresse per Aristotele. Come maestro di filosofia il Tillemont, Mémoires .. . , 12, p. 434 suppone che Teodoro abbia avuto Andragazio, lo stesso del Crisostomo. Per la conoscenza di Platone da parte di Teodoro si veda ad es. il commento al fr. 7 della Replica; per Aristotele rimando al commento ai frr. 2, 3 e 8, 4, nonché a Wickert, Studien ... , pp. 52 e 93.

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tuiva la base su cui era fondata la formazione non solo dei pagani ma anche dei cristiani. Questi infatti, accettata la tradizione culturale pagana quale modello di riferimento letterario e stilistico, non avevano creato proprie scuole separate ed erano accomunati ai pagani dagli stessi studi e dagli stessi insegnanti, tanto che all'emanazione dell'editto sui retori con cui nel 362 Giuliano precludeva l'insegnamento a quanti si professassero cristiani20, avevano reagito con veemenza e durezza, vedendo in esso il proposito di escluderli dalla comune base educativa, il tentativo di una segregazione culturale. Accanto a tale educazione culturale nelle litterae humanae, per i cristiani c'era naturalmente la formazione religiosa, fondata sui testi sacri, che avveniva tanto a livello familiare quanto con la partecipazione alle cerimonie religiose, nelle quali la dottrina cristiana ha il suo annuncio, la sua spiegazione e la sua applicazione liturgica21. Non abbiamo notizie sulla fede religiosa dei genitori di Teodoro, ma è probabile che la famiglia fosse cristiana, come gran parte della popolazione antiochena: un elemento a favore di tale ipotesi è il fatto che anche un fratello di Teodoro, Policronio, divenne un importante personaggio della chiesa orientale, come vescovo di Apamea. L'importanza e il prestigio della famiglia sono sottolineati dal Crisostomo, che ne ricorda dignità, ricchezza e nobiltà22, nonché dai biografi di Teodoro; una conferma viene dalla carriera di Peanio, cugino di Teodoro nonché amico e sostenitore del Crisostomo, assurto nel 404 alla carica di Prefetto di Costantinopoli2J.

20 Per la più recente discussione su tale editto si veda E. Pack, Stiidte und Steuern in der Politik]ulians, Bruxelles 1986, pp. 261-300.

21 Sulla questione della mancanza di scuole cristiane rimando alla trattazione di E. Pack, Sozialgeschichtliche Aspekte des Fehlens einer 'christlichen' Schule in der romischen Kaiserzeit, in Religion und Gesellscha/t in der romischen Kaiserzeit. Kolloquium zu Ehren von F. Vittinghoff, hrsg. von W. Eck, Ki:iln/Wien 1989, pp. 185-263. 22 Giovanni Crisost., Ep. ad Theod. 1, 52 sgg. Dum.: à~la itai:p,KtJ, itÀoiirnç, r:ÙyÉvua. 23

Cf. PLRE 2, p. 818.

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Una svolta nella vita di Teodoro, una «metathesis» come la chiama il Crisostomo (Ep. ad Theod. 1, 47 Dum.), avvenne all'età di circa sedici anni, quando si decise ad abbandonare gli studi profani e i propositi di una carriera pubblica per ritirarsi in una sorta di comunità monastica ad Antiochia o nei suoi pressi, dove si raccoglieva un gruppo di giovani provenienti dal più alto milieu culturale antiocheno, ai quali si era già unito, abbandonando la scuola di Libanio, Giovanni Crisostomo. In tale ritiro di «asceti intellettuali», un Asketerion com'è chiamato dalle fonti antiche24, Teodoro intraprese una vita di preghiera e di studio delle Sacre Scritture sotto la direzione spirituale di due eminenti figure della com unità ortodossa antiochena, Carterio e Diodoro di Tarso. Quest'ultimo, braccio destro del vescovo Melezio, era uno dei più prestigiosi esegeti biblici del tempo: il suo metodo critico, come già si accennava, era contraddistinto da un'accurata analisi testuale che privilegiava una spiegazione innanzi tutto storica e letterale e si contrapponeva all'allegorismo che, affermatosi soprattutto per influenza della scuola teologica di Alessandria, nei successori di Origene aveva raggiunto forme esasperate. Gli anni dell'Asketertòn furono un periodo di preghiera e di studio approfondito che marcò la formazione di Teodoro come discepolo di Diodoro e lo preparò a una nuova vita dedicata completamente all'attività religiosa. Intrapreso il cammino in tale direzione, Teodoro ebbe però poco dopo un ripensamento, così che abbandonò il gruppo ascetico per tornare a occuparsi degli affari di famiglia25, col progetto di spo24 Nel testo di Socrate 6, 3 va per altro restituito il plurale amcY1n1péwv, come rilevò già H. V alesius; sul carattere del gruppo ascetico guidato da Diodoro e Carterio si veda A. J. Festugière, Antioche ... p. 181 sgg. Riprendo l'espressione di «asceti intellettuali» da R. Leconte, L'Asceterium de Diodore, in Mélanges bibliques A. Robert, Paris 1957, pp. 531-536; questi opera una opportuna distinzione dai tipi di scuole per il clero e di gruppi ascetici intorno a un vescovo, di cui si ha notizia alla fine del IV secolo soprattutto per l'occidente, ma forse si spinge troppo oltre nell'assimilare per organizzazione e funzione il gruppo diretto da Diodoro e Carterio alle celebri scuole di Edessa e Nisibi. 25 Probabilmente in seguito alla morte del padre, secondo quanto A. J. Festugière,

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sarsi e di indirizzarsi alla carriera pubblica apertagli dagli studi di retorica. L'appassionato appello del compagno di studi e di ascesi Giovanni Crisostomo, con le accorate esortazioni a ritornare sui suoi passi e a non rinnegare le promesse di una vita ascetica, ebbe però alla fine il sopravvento e Teodoro si convinse a rinunziare definitivamente ai suoi propositi di vita familiare e di carriera pubblica per ritornare nella comunità guidata da Diodoro. Da questa data, circa il 370, le notizie su Teodoro sono scandite dalla sua attività al servizio della chiesa, come esegeta, teologo, pastore. Formatosi alla scuola di Diodoro, allorché questi nel 378 fu nominato vescovo di Tarso, Teodoro ne assunse l'eredità ad Antiochia come maestro di esegesi scritturale: proprio intorno a quell'anno infatti, secondo quanto ci informa Giovanni di Antiochia (presso Facondo di Hermiane 2, 2, 12) ebbe inizio la sua attività letteraria, di esegeta, teologo e polemista, che si protrasse per un cinquantennio, fino alla morte nel 428. Il primo prodotto dell'attività esegetica teodorea è il Commento ai Salmz'26, uno scritto di vasto impegno dedicato all'amico Cerdone. In tale poderosa opera prima sono già presenti e chiaramente definiti nei tratti specifici che ritroveremo in tutti gli scritti di Teodoro le caratteristiche principali del suo metodo esegetico, sviluppato alla scuola di Diodoro: rispetto innanzi tutto per la lettera del testo, adesione ai dati storici, attenzione per le caratteristiche stilistiche dell'autore e per i tratti che nella versione dei Settanta sono condizionati dalle strutture grammaticali e sintattiche della lingua ebraica, che per altro Teodoro non conosce direttamente. Dal punto di vista interpretativo, David è considerato autore di tutti i Salmi, la cui composizione, avvenuta sotto diretta ispirazione dello Spirito Antioche .. . , p. 184 acutamente ricava dall'espressione npayµa:twv q,povcU;,uç nai:pci>wv usata dal Crisostomo, Ep. ad Theod. 1, 3 Dum. 26 CPG 2, nr. 3833. Ed. R. Devreesse, Le Commentaire ... , per i Salmi 1-80. L. van Rompay ha pubblicato in siriaco e tradotto in francese il Commento ai Salmi 118 e 138-148 (CSCO 435/ Syr. 189 e 436/ Syr. 190). Per la traduzione latina opera di Giuliano di Eclano si veda più sotto, p. 24 e n. 54.

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Santo, ha lo scopo di istruire ed educare il popolo di Dio e tutti gli uomini; dal punto di vista teologico si ha una drastica riduzione dei passi interpretati in chiave messianica come riferentisi direttamente al Cristo incarnato (Salmi 2; 8; 44; 109); per il resto è negato che l'orizzonte profetico di David andasse al di là dell'Antico Testamento: le stesse citazioni dai Salmi negli scritti neotestamentari sono viste non come indicanti realizzazioni di profezie ma come applicazioni di modelli esemplari a situazioni analoghe. Particolarmente prezioso è un testo di premessa al Salmo 118, solo da poco reso noto da una versione siriaca, dove è presentato come Trattato contro gli allegoristz'27. Tale introduzione è di particolare interesse perché in essa Teodoro, sull'esempio di quanto aveva fatto Diodoro in un'analoga premessa allo stesso Salmo2s, espone i principi dell'esegesi antiochena, dettati da aderenza al senso primario del testo, che è sempre quello letterale, e quindi polemizza con le interpretazioni di quanti, riprendendo i principi dell' allegoria con cui i pagani avevano cercato di togliersi dall'imbarazzo dei loro miti, li hanno adottati nei confronti della Bibbia richiamandosi a una presunta autorità di Paolo. Questi in realtà, chiarisce polemicamente Teodoro, si basa sempre su senso storico e valore letterale del testo, su di loro appoggiando l'eventuale interpretazione allegorica, mentre gli allegoristi sovente rigettano del tutto il senso letterale, considerato come qualcosa di basso e di indegno. Alla fine del suo trattatello Teodoro chiama in causa direttamente Filone e Origene come gli archegeti di tale allegorismo biblico esemplato sul modello pagano, una dipendenza dagli insegnamenti pagani che ha provocato errori non solo esegetici ma anche dottrinali. Scritto con mano sicura, talora anzi con una certa baldanza, il

27 L. van Rompay, Théodore (trad.) ... , pp. 1-18; alle pp. XXXVII-XLVII un'accurata presentazione e valutazione del nuovo testo. 28 Cf. L. Mariès, Extraits du Commentaire de Diodore de Tarse sur !es Psaumes: Préface du Commentaire - Prologue du Psaume CXVIII, in "Rech. Se. Relig." 10 (1919) pp. 79-101.

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Commento ai Salmi provocò indubbiamente reazioni polemiche e lo stesso Teodoro, dedicando anni dopo ancora a Cerdone un'opera Sul!'allegoria e la storia contro Origene e gli allegoristi, ebbe a riconoscere che quel suo primo lavoro aveva risentito dell'imperizia del principiante e non era stato composto con la necessaria prudenza29; nei suoi tratti essenziali esso rivela per altro una personalità formata e sicura di sé, padrona di un metodo esegetico già definito e maturo che, se in seguito si affinerà e approfondirà, rimarrà però immutato nei tratti di base, ancorato all'insegnamento del maestro Diodoro. Immediatamente successivo al Commento ai Salmi è il superstite Commento ai profeti minorz3o, caratterizzato anch'esso da una parafrasi impegnata a chiarire puntualmente il senso letterale così come le circostanze storiche e a respingere l'applicazione messianica delle visioni profetiche, riferite invece alla successiva storia di Israele. Degli altri commenti teodorei ai libri dell'Antico Testamento, sulla cui datazione non abbiamo elementi precisi, particolarmente importante per i temi trattati era il Commento alla Genesi, che nel IX secolo Fozio poteva ancora leggere integralmente; perduto per tradizione diretta, esso può essere in parte ricostruito da citazioni diverse, la cui consistenza si è arricchita di recente grazie a nuove scoperte3t. Ai primi anni dell'attività letteraria di Teodoro, nel periodo in cui cade la composizione del Contro Eunomio di Gregorio di Nissa, il Devreesse32 riconduce anche un analogo scritto teodoreo Contro Eunomio (CPG 2, nr. 3859), che distingue da un altro scritto polemico In difesa di Basilio contro Eunomio; la composizione di questo ultimo testo fu da Teodoro interrotta per dedicarsi, su richiesta

29 R

Devreesse, Essai ... , pp. 28 e 51. Ed. H. N. Sprenger, Wiesbaden 1977. 31 Si veda F. Petit, L'homme créé «à l'image» de Dieu. Quelques/ragments grecs inédits de Théodore de Mopsueste, in "Le Muséon" 100 (1987) pp. 269-281. 32 R. Devreesse, Essai ... , pp. 49-50. 30

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del vescovo Porfirio, all'esegesi del Vangelo di Giovanni. Tale Commento a Giovanni, che ci è giunto completo in versione siriaca, è datato dal Devreesse intorno al 385, mentre il Vosté l'aveva assegnato alla prima decade del V secolo33. Negli anni in cui Teodoro compiva la sua formazione teologica ed esegetica e iniziava la sua attività letteraria, la comunità cristiana di Antiochia era divisa da profondi contrasti fra ariani e ortodossi, e questi ultimi stessi erano scissi fra gli eustaziani, il gruppo guidato da Paolino che si richiamava al vescovo Eustazio, e la fazione dei seguaci di Melezio, che faceva capo a Diodoro di Tarso e Flaviano, quest'ultimo creato poi vescovo nel 38134. Col regno di Teodosio gli ariani perdono ogni potere, ma perdura tuttavia ad Antiochia la spaccatura fra gli ortodossi, che ritroveranno l'unità definitiva solo nel 413. Tale scisma antiocheno non ha per altro lasciato tracce dirette negli scritti di Teodoro, benché egli fosse legato a Diodoro e devoto a Flaviano, a cui deve probabilmente l'ordinazione sacerdotale nel 38335: «His literary and theological instincts may have saved him from this kind of controversy», come commenta un biografo moderno36. L'opera più importante degli anni antiocheni è indubbiamente lo scritto dommatico Sull'incarnazione, di cui ci restano purtroppo solo scarsi frammenti37, che ci permettono appena di renderci conto del grandioso sforzo teologico che si sviluppava nell'arco di quindici libri per chiarire e definire, in polemica contro ariani e apollinaristi, il problema della natura 33 R. Devreesse, Essai ... , p. 52; }. M. Vosté, La chronologie ... , p. 77, cf. "Rev. Bibl." 32 (1923) p. 541. Su un nuovo passo che integra il testo greco dd fr. 14 Devr. si veda A. Guida, Il Commento ... , pp. 61-62. 34 Per una storia dello scisma antiocheno si veda F. Cavaliera, Le schisme d'Antioche, Paris 1906. 35 Iste il/e est Flaviani magni Antiochensium sanctae Dei ecclesiae ponti/icis amantissimus discipulus secondo le parole di Giovanni di Antiochia riportate da Facondo di Hermiane 2, 2, 15. Su Flaviano è ancora fondamentale L. Tillemont, Mémoires .. . , 10, pp. 523-541 e 809-811. 36 H. B. Swete, Theodorus .. . , p. 936. 37 CPG 2, nr. 3856.

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divina e umana di Cristo e della coesistenza delle due nature in una sola persona. Tale opera, a cui di recente è stato rivendicato un influsso decisivo sullo sviluppo della cristologia agostiniana,s, consacrò Teodoro come teologo di assoluto valore e gli assicurò un indiscusso prestigio. Così, quando nel 392 si trattò di scegliere da parte ortodossa un teologo da inviare a difendere contro i vescovi macedoniani riuniti ad Anazarbo di Cilicia la dottrina della divinità dello Spirito Santo, la scelta cadde su Teodoro, che secondo la testimonianza di Esichio di Gerusalemme39 da qualche tempo si era trasferito a Tarso presso Diodoro, e lo si consacrò vescovo per equipararlo gerarchicamente agli avversari che doveva incontrare. Uscito vittorioso da tale dibattito polemico4o, Teodoro ebbe assegnato l'episcopato di Mopsuestia4I, dove le tradizioni pagane, legate al celebre oracolo di Mopso, erano ancora vive, «una vigna piena di rovi e di spine», come scrive Bar~adbesabba 42. Intale sede, dove rimase fino alla morte, Teodoro associò la cura pastorale con lo studio e l'esegesi scritturale e con l'impegno e l'intervento nei dibattiti teologici. Oratore apprezzato non solo nella sua diocesi, ma chiamato, come ci informa Giovanni di Antiochia43, in varie chiese orientali, fu ovunque ammirato per la sua dottrina, che gli assicurò prestigio anche presso la corte di Teodosio I, che lo 38 J. M. Dewart, The Influence o/ Theodore o/ Mopsuestia on Augustine's Letter 187, in "Augustinian Studies" 10 (1979) pp. 113-132. 39 ACO N 1, p. 90, lO=N 2, p. 125, 1. 40 Il testo della Disputa con i Macedoniani è superstite in siriaco, ed. F. Nau in PO 9, 5 (1913) pp. 637-667. 41 Narsai, nel V secolo direttore della scuola sira di Edessa e poi fondatore di quella di Nisibi, nella Omelia su Diodoro, Teodoro e Nestorio (trad. F. Martin, in "Journal Asiatique" 15, [1900] pp. 469-521) scrive che fu Diodoro che «envoya Théodore à une ville en proie au péché, qui était appelée du nom du vain Mopsus, le démon» (p. 482). 42 PO 9, 5 (1913) p. 507, con richiamo a Isaia 5, 3-6. Lo stesso Barhadbesabba collega la fine del culto di Mopso con l'assunzione dell'episcopato da parte di Teodoro. Sull'oracolo di Mopso si veda C. Mutafian, La Cilicie au carre/ours des Empires, l, Paris 1988, pp. 101-109. 43 PG 65, 877; Facondo di Hermiane 2, 2, 87 sgg.

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ascoltò a Costantinopoli, probabilmente in occasione del Concilio del 394, e Teodosio II, con cui ebbe anche scambi di lettere; a Giovanni Crisostomo non mancò di far sentire il suo appoggio negli anni dell'esilio, come testimonia una riconoscente lettera dell'antico amico44. L'attività esegetica proseguì con intensità e sistematicità, rivolta ora soprattutto agli scritti neotestamentari; del Commento a Matteo e del Commento a Luca ci sono rimasti solo pochi frammenti, tramandati per lo più dalle Catene45. Alla tradizione catenistica dobbiamo anche estratti dai Commenti alle Epistole paoline, composti dopo i Commenti evangelici: sono superstiti ampi brani soprattutto del Commento all'Epistola ai Romani, ma anche dei Commenti alla I e II Epistola ai Corinti e del Commento all'Epistola agli Ebrei46. Grazie ad un'antica traduzione latina abbiamo accesso all'intero Commento alle Epistole minori, composto intorno al 41547. Agli anni dell'episcopato parrebbe risalire anche il Commento all'Ecclesiaste, salvatosi parzialmente in traduzione siriaca48 e il perduto Commento a Giobbe, dove Teodoro ipotizzava un influsso 44 Ep. 112, PG 52, 668 = PG 56, 517; sull'occasione della lettera: L. Tillemont, Mémoires ... , 12, p. 438; sulla sua autenticità: C. Fabricius, in "Class. et Med." 20 (1959) p. 94. 45 Per Matteo: CPG 2, nr. 3840. Per Luca, oltre al frammento ACO IV 1 p. 52, 9-20 = CSEL 35, 1 pp. 253, 30-254, 13, si veda A. Guida, Il Commento ... , pp. 5968. Molti frammenti dei due evangelisti sono recuperabili anche dai Commenti evangelici di Teodoro Bar Koni, Iso'dad di Merv e della Gannat Bussame (per i quali vedi più sotto, n. 69). Un frammento dall'introduzione al Vangelo di Luca è inoltre citato dal monaco siro Emmanuel (X secolo; su di lui si veda A. Baumstark, Geschichte der syrischen Literatur, Bonn 1922, p. 238) nel sermone 27 del suo inedito Esamerone, secondo quanto indica E. Sachau, Die Handschri/tenverzeichnisse der Kg[. Bibliothek zu Ber/in, 23. Bd.: Verzeichnis der syr. Hss., Berlin 1899, p. 212. 46 CPG 2, nrr. 3846, 3847 e 3848. 47 CPG 2, nr. 3845. 48 Recentemente edito da W. Strothmann, Das syrische Fragment ... ; Id., Synsche Katenen ... ; lo stesso studioso (Der Kohelet-Kommentar des Theodor von Mopsuestia, in: Religion im Erbe Àgyptens. Beitrage zur spatantiken Religionsgeschichte zu Ehren von A. Bèihlig, hrsg. von M. Gèirg, Wiesbaden 1988, pp. 186-196) mostra come, di contro a quanto riferito nel 63° estratto teodoreo condannato dal concilio del 553, Teodoro riconosca il libro come ispirato e non lo escluda dal canone.

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della tragedia greca sull'autore biblico49, Perduto è anche il Commento al Cantico dei cantici, da cui Teodoro escludeva ogni allegoria, interpretandolo come un canto d'amore di Salomone per l'amata: la sua ipotesi sulla composizione in occasione di una festa alla corte del re è stata valorizzata in età moderna da Franz Dornseiff5o. Oltre che nell'ermeneutica biblica Teodoro fu impegnato, con un'intensa attività anche pubblicistica, nelle discussioni e nelle polemiche sui maggiori temi teologici, il cui dibattito spesso scuoteva violentemente e divideva le comunità cristiane. In particolare Teodoro continuò nella confutazione, già intrapresa nel De incarnatione, delle tesi di Apollinare di Laodicea e dei suoi seguaci, i sinusiasti, che vedevano nell'incarnazione di Cristo l'assunzione da parte di Dio di una forma umana, come di una veste esterna, non però della piena sostanza umana: il Dio-Logos come anima avrebbe preso sede nel corpo generato da Maria come suo rivestimento, per cui il Logos sarebbe il soggetto dotato di volontà, il corpo l' oggetto che agisce e soffre, senza propria volontà. Dell'opera in almeno 4 libri intitolata Contro Apollinare in cui Teodoro, trenta anni dopo il De incarnatione, combatteva tali tesi sono rimasti solo una ventina di frammenti51, Agli anni fra il sinodo di Diospoli (415), quando anche l'oriente fu coinvolto nella controversia pelagiana, e la morte di Gerolamo (419 o 420) risale probabilmente l'opera teodorea in due libri Contro quelli che sostengono che gli uomini peccano per natura e non per volontà diretta contro Girolamo e «il nuovo dogma» del peccato originale, diffuso in occidente e patrocinato da Sant' Agostino, secondo cui il peccato è connaturato all'uomo e si trasmette in con-

49 CPG 2, nr. 3835. Sulla fortuna di tale ipotesi fino in età moderna si veda M. Hengel, Judentum und Hellenismus, Tiibingen 31988, p. 199 sg. 50 CPG 2, nr. 3837; cf. F. Domseiff, Àgyptische Liebeslieder, Hoheslied, Sappho, Theokrit, in KleineSchri/ten 1: Antike und Alter Orient, Leipzig 21959, p. 197 n. 15. 51 CPG 2, nr. 3858.

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seguenza della colpa di Adamo52. Ai pelagiani Teodoro era già noto53, e Giuliano di Eclano, uno dei loro più prestigiosi rappresentanti e autore della superstite traduzione latina che rese noto in occidente il Commento ai Salmi 54 di Teodoro, era probabilmente già in contatto diretto con lui. Così quando Giuliano e alcuni vescovi pelagiani, espulsi dalle loro sedi in Italia in seguito alla condanna di papa Zosimo, giunsero esuli in Oriente, trovarono accoglienza verso il 421 a Mopsuestia; ospite di Teodoro, Giuliano ebbe anzi agio di comporre gli otto libri dell'opera Ad Florum in cui polemizzò con le tesi espresse da Agostino sul peccato e la concupiscenza. La notizia di Mario Mercatore55, secondo cui dopo la partenza di Giuliano da Mopsuestia Teodoro ne avrebbe condannato le tesi in un sinodo di vescovi di Cilicia, accolta dal Tillemont56 e

52 CPG 2, or. 3860. Il titolo è tramandato da Fozio, Bibl. cod. 177, che ne dà un sommario. Sulla posizione teodorea in merito alla dottrina del peccato originale, oltre aJ. Gross, Theodor ... , pp. 1-15 si veda A. Viiiibus, Regarding .. , p. 118, in polemica con Devreesse (che nega l'autenticità dell'opera) e con Amann (che vede un'evoluzione nel pensiero teodoreo). 53 Per i rapporti fra i Commenti a Paolo di Pelagio e di Teodoro è incerto a chi vada la priorità (cf. Th. De Bruyn, Pelagius's Commentary on St Paul's Epistle to the Romans, Oxford 1993, p. 3), ma mi sembra molto più probabile che l'influsso parta dall'esegesi antiochena. 54 Ed. L. De Coninck, Turnhout 1977 (CCL 88a). Un'accurata biografia di Giuliano è tracciata da A. Bruckner, Julian van Eclanum, Leipzig 1892 (TU 15, 3) in particolare pp. 46, 84, 113-6, 123, 172 sui rapporti con Teodoro; per un aggiornamento su quanto concerne la controversia pelagiana si veda F. Nuvolone, Pélage et Pélagianisme, in DS 12, 2 (1986) coli. 2889-2942. La traduzione del Commento ai Salmi teodoreo risale probabilmente agli anni precedenti il coinvolgimento di Giuliano a fianco di Pelagio, come L. De Coninck (Iul. Aecl. Opera, in CCL 88, Tournhout 1986, p. VII) ricava da quanto riferisce Gennadio di Marsiglia, De vir. in!. 46: In divinis scripturis doctus ... prius ergo quam impietatem Pelagii in se aperiret clarus in doctoribus ecclesiae fuit; F. Nuvolone (col. 2904) pensa invece che la traduzione sia stata compiuta durante il soggiorno a Mopsuestia, escludendo (col. 2906), senza alcun motivo cogente, che la notizia di Gennadio vada intesa come riferentesi a un'attività esegetica prepelagiana. 55 ACO I 5, 1 p. 23, 33-34. 56 L. Tillemont, Mémoires ... , 12, p. 449.

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ripresa senza riserve dal Devreesse57 e da altri, è però sospetta5s, perché una tale condanna, su cui non esistono altre informazioni e di cui lo stesso Giuliano sarebbe rimasto del tutto ali' oscuro, pare un autoschediasmo di Mercatore, dedotto dall'interpretazione di un simbolo di fede che egli per primo attribuisce a Teodoro e la cui genuinità è respinta dallo stesso Devreesse59. L'asserzione di Mercatore, d'altro canto, è ugualmente significativa perché egli, pur attaccando tanto i pelagiani per le loro dottrine sul peccato quanto Teodoro come 'nestoriano', mentre cerca di associarli non può fare a meno di sottolineare la distanza fra le tesi sul peccato teodoree e quelle pelagiane, una distanza ribadita negli studi moderni6o. In tre libri era inoltre redatto uno scritto diretto Contro la dottrina dei magi persiani6I. In tale opera, secondo quanto ci informa un sommario di Fozio (Bibl. 81), dopo aver confutato la dottrina di Zoroastro nel I libro, Teodoro esponeva la concezione cristiana della creazione e della salvezza apportata da Cristo. È rilevante, e messo in rilievo da Fozio, che Teodoro vedesse, come già Origene e il suo maestro Diodoro, alla fine dei tempi una apocatastasi dei peccatori, cioè la salvezza finale di tutti gli uomini ad opera di Cristo. La concezione della storia della salvezza come lo svolgersi di un unico atto divino di creazione e redenzione attraverso i due stadi

57 R. Devreesse, Essai ... , p. 164. Così di recente ancora F. Nuvolone, Pélage (cit. n. 54) col. 2905;]. M. Lera, Théodore ... , col. 386. 58 Si veda O. F. Fritzsche, De Theodori .. . , pp. 112-115. Ancora più radicalmente F. Loos, Pelagius, in "Realencycl. Protest. Theol." Leipzig 15 (31904) p. 772 sg., sostiene che a rigore dalla notizia di Mario Mercatore non si può nemmeno ricavare che Giuliano e i suoi abbiano lasciato Mopsuestia prima della morte di Teodoro nel 428, lo stesso anno in cui sappiamo che Giuliano si presentò a Costantinopoli a Nestorio: un passo consigliatogli forse dalle relazioni di Teodoro col nuovo Patriarca. 59 R. Devreesse, Essai ... , pp. 156-157; il testo è posto fra gli spuri in CPG 2, nr. 3871. 60 Si veda in particolare il capitolo dedicato a The Fallo/ Man: Theodore's 'Pelagianism' da R. A. Norris, Manhood ... , pp. 173-189. 61 CPG 2, nr. 3861, che però non registra l'importante testimonianza di Fozio.

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(katastaseis) della storia dell'umanità, quello del peccato sotto il segno della Legge e quello della vita futura nel segno della redenzione operata da Cristo, che ristabilisèe nella sua doppia natura il vincolo (syndesmos) fra realtà terrene e celesti spezzato dal peccato di Adamo, portava Teodoro alla dottrina della ricomposizione di tutta la creazione in un ordine finale di bene, nello stesso tempo restaurazione di un ordine iniziale spezzato e compimento del progetto cosmologico divino62. In questo quadro, la salvezza finale di tutti i peccatori era sostenuta da Teodoro anche nella citata opera Contro quelli che sostengono che gli uomini peccano per natura e non per volontà (2, p. 333, 11-20 Swete) nonché in un passo di un Commento evangelico, citato in siriaco da Salomone metropolita di Bassora (XIII sec.) nella sua opera intitolata Libro del!'ape63. Testimonianza dell'attività pastorale di Teodoro nel periodo vescovile sono le 16 Omelie catechetiche, pronunciate probabilmente per i catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo nella notte di Pasqua e conservateci integralmente in traduzione siriaca64. Le prime dieci Omelie spiegano il Simbolo di fede, l'XI è costituita da un commento al Padre nostro, le tre Omelie seguenti

62 Sulla dottrina delle due catastasi in rapporto al piano provvidenziale di salvezza e alla colpa di Adamo si vedano RA. Norris, Manhood ... , pp. 160-172 e S. Zincane, Studi ... , pp. 39-45. Sulla novità della concezione teodorea insiste A. Viiiibus, Regarding ... , pp. 119-120. 63 J. S. Assemani, Bibliotheca ... III 1, p. 323. Di tale dottrina dell'apocatastasi, messa in dubbio da Devreesse, Essai ... p. 103 n. 2 in base al commento teodoreo a 2 Thess 1, 9 (2, pp. 45-46 Swete), trattano W. de Vries, Das eschatologische Heil ... , pp. 336-337; S. Zincane, Studi ... , pp. 89-91 (in tali discussioni la testimonianza di Fazio, Bibl. 81 è stata per altro trascurata); Ch. Lenz, Apokatastasis, in RAC 1 (1950) col. 515 sg. 64 R Tonneau, Les Homélies .. ., p. XVI, le data al periodo antiocheno di Teodoro, fra il 383 e il 392, fondandosi sull'unico indizio che «certains détails de la cérémonie du bapteme supposent un cadre et des ressources de personnel que de grandes cités seules pouvaint offrir». Ma secondo un'esplicita testimonianza della Stona ecclesiastica di Esichio di Gerusalemme (ACO IV 1 p. 90, 22 sgg.) tale opera, citata come Mystici sermones, fu compiuta da Teodoro in età già avanzata (senectute iam cana debilitatus).

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commentano il rituale della messa, le ultime due il cerimoniale della messa. In tali Omelie abbiamo una esposizione coerente e integrale del pensiero teologico di Teodoro, nella cui interpretazione per altro gli studiosi si sono divisi fra chi come É. Amann vi ha basato la rivendicazione di una sostanziale ortodossia teodorea65 e chi come M. Jugie66 vi ha visto una conferma del tradizionale giudizio dei prodromi nestoriani in Teodoro. Nel 428, celebre e rispettato in tutta la chiesa, Teodoro morì nella sua sede vescovile di Mopsuestia. Subito dopo la sua morte le polemiche fra Cirillo e Nestorio sulla doppia natura di Cristo coinvolsero anche la figura di Teodoro, che venne sempre più a essere considerato come la fonte ultima delle dottrine nestoriane. Il Concilio di Calcedonia segnò un compromesso fra la posizione cirilliana e quella dei seguaci degli Antiocheni, ma ben presto il dibattito sulle dottrine teodoree, in merito non solo alla duplice natura di Cristo ma anche al peccato originale, si riaccese con veemenza; in Tre capitoli fu composto un dossier che raccoglieva gli errori di Teodoro (sei articoli), di Teodoreto (tre articoli) e di Ibas (un articolo). Nonostante la difesa della dottrina dei Tre capitoli come ortodossa da parte occidentale nell'ampia opera omonima di Facondo di Hermiane, la condanna definitiva di tali proposizioni fu proclamata dal Concilio di Costantinopoli del 553 e sanzionata, sotto le violente pressioni di Giustiniano, da papa Vigilio. Teodoro fu condannato come eretico e la sua memoria colpita da anatema67.

65 É. Amann, La doctrine christologique de Théodore de Mopsueste, in "Rev. Se. Rei." 14 (1934) pp. 161-190; Id., Un nouvel ouvrage de Théodore de Mopsueste, in "Rev. Se. Rei." 20 (1940) pp. 491-528; Id., Théodore ... , coll. 2555-78. Sulla linea di Amann, J. M. Lera, Théodore . .. , presenta un'esposizione sistematica della dottrina di Teodoro fondata essenzialmente sulle Omelie catechetiche, in cui vede «un nouvel éclairage sur son orthodoxie» (col. 392). 66 M. Jugie, Le "liber ad baptizandos" de Théodore de Mopsueste, in "Échos d'Orient" 34 (1935) p. 257 sgg. 67 Sulla vicenda dei Tre capitoli si veda la trattazione di É. Amann, in "Dict. Théol. Cath." 15, 2, Paris 1950, coll. 1868-1924. 27

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Invece nella chiesa nestoriana Teodoro, gran parte delle cui opere ancora egli vivente erano state tradotte in siriaco dalla Scuola di Edessa6s, assurse al prestigio di dottore indiscusso e di punto di riferimento primario soprattutto per l'esegesi biblica, citato semplicemente come l'Interprete, l'Esegeta per antonomasia; così, mentre gran parte delle sue opere, esposte al sospetto di eresia, non più lette né trascritte dagli ortodossi finirono per sparire nell'originale greco, esse hanno invece continuato a essere studiate e trasmesse in traduzioni siriache, e in particolare i Commenti vetero e neotestamentari di Teodoro sono stati ampiamente utilizzati citati e discussi nelle opere e nelle esegesi bibliche nestoriane, fra le quali vanno ricordati soprattutto gli scritti di Teodoro Bar Koni (VIII sec.), Iso'dad di Merv (IX sec.) e il Commento alle pericopi liturgiche che va sotto il nome di Gannat Bussame ('Giardino di delizie')69, Nell'ultimo secolo la scoperta, la pubblicazione e la traduzione dal siriaco di molte opere di Teodoro hanno ridato nuova consistenza alla sua figura, riportandone alla ribalta i procedimenti esegetici e l'argomentare teologico. L'analisi del metodo e della pratica esegetica7o ha consentito di evidenziarne i legami con la tradizione grammaticale e retorica dei commenti agli autori classici, di valorizzarne i pregi di un'adesione alla lettera del testo - senza trascurare di coglierne i limiti filologici causati anche dall'ignoranza dell'ebraico -, di individuare le conseguenze che tale approccio ermeneutico ha comportato per la valutazione teologica dei testi

68 Cf. A. Viiobus, History o/ the School o/ Nisibis, Louvain 1965 (CSCO 266/Subs. 26), pp. 14-19. 69 Si veda anche l'anonimo Commento alla Genesi pubblicato (CSCO 483/Syr. 205) e tradotto (CSCO 484/Syr. 206) da L. Van Rompay; all'introduzione di tale traduzione, p. XL sgg., rimando anche per la bibliografia più recente sui citati commentatori nestoriani. Le fonti della Gannat Bussame sono state analizzate da G. J. Reinink, Studien ... , che ha recentemente anche pubblicato e tradotto (Lovanio 1988, CSCO 501/Syr. 211 e CSCO 502/Syr. 212) il Commento per le domeniche di Avvento. 70 Si vedano in particolare gli studi di Bultmann, Die Exegese ... , p. 28 sgg., Devreesse, Essai ... , pp. 52-93, Schaublin, Untersuchungen ... , p. 84 sgg.

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sacri. L'esame della teologia teodorea ha portato a valutazioni contrastanti, talora opposte. Gli studiosi moderni si sono divisi infatti, ripetendo in parte le posizioni degli antichi, nel giudizio sulla obiettiva ortodossia soprattutto della sua interpretazione del peccato originale e della dottrina cristologica, se l'insegnamento di Teodoro sia o meno preludio al nestorianesimo71. Da un canto studiosi come Devreesse e Richard (che, sulla scia di Facondo di Hermiane mettono in discussione come interpolati e falsificati da avversari di Teodoro le citazioni in base alle quali egli fu condannato al Concilio di Costantinopoli del 553), Amann, Galtier e da ultimo Lera, rivendicano, pur talora con qualche riserva72, una sostanziale ortodossia alla sua distinzione di due nature (physeis) e affermazione di una sola persona (prosopon). Altri teologi invece, come Kihn, Jugie, de Vries, Grillmeier, Sullivan, Norris, vedono nella formula teodorea una ortodossia solo formale e, nel rivendicare la sostanziale attendibilità dei testi sui quali si pronunciò la condanna costantinopolitana, insistono a sottolineare come il Logos e l'uomo assunto rimangono nella concezione teodorea due soggetti differenti e come, mentre l'uomo viene ad assumere gli attributi del Logos, Teodoro, per timore di compromettere l'immutabilità divina, non accetti di predicare del Logos caratteri e vicende dell'uomo assunto, come la nascita le sofferenze la morte. Di là da tali valutazioni, si deve per altro sottolineare da un canto l'unanimità con cui vien dato atto a Teodoro di non aver inteso distaccarsi dalla 71 Per un quadro delle discussioni moderne sulla teologia teodorea si veda l'appendice II (Anthropology and Christology in Modern Discussion o/Theodore) di Norris, Manhood . ... , pp. 246-262. 72 Si veda ad es. quanto scrive É. Amann, Théodore .. . , col. 278: «Ce qu'on peut lui reprocher par con tre c' est, dans ses ouvrages techniques sur la matière, d' avoir, par un esprit de contention qui lui a joué d'autres tours, poussé à l'extreme ses déductions, d'avoir déroulé, quand il s'agissait des opérations de l'homo assumptus, des conclusions qui ne sont peut-etre pas entièrement inexactes, mais dont l' accumulation toute dialectique ne laisse pas d'inquiéter». Per le tesi sul peccato di Adamo Amann invece sostiene una evoluzione nel pensiero teodoreo, da posizioni ortodosse a tesi pelagiane.

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dottrina ortodossa, dall'altro come Teodoro si confronti senza remore, talora spregiudicatamente, con le differenti tradizioni vive e operanti nell'ambito della chiesa laddove vede la discussione teologica ancora aperta e passibile di sviluppo. In questo confronto fra il dato biblico, l'interpretazione datane da Paolo, la tradizione ecclesiastica, le deviazioni dottrinarie di ariani e apollinaristi, le tematiche e la terminologia provenienti dalla filosofia contemporanea, in particolare il neoplatonismo, Teodoro non esita a prendere posizione decisa soprattutto sul tema cristologico e a presentare visioni assolutamente originali quali il tema delle due catastasi, fondando comunque la sua concezione sempre sull'esegesi del dato scritturale. E tale concretezza di adesione alle Scritture, la capacità di coglierne tutta la ricchezza, rapportandole alle domande della teologia e alle tematiche della filosofia, costituisce la qualità fondamentale della personalità di Teodoro: quella che, di là dai contributi dati alla definizione del dogma, rende ancora oggi stimolante e ricca di fermenti la lettura delle opere di uno «scholar of astounding knowledge», «in thoroughness and consistency of thought» superiore a contemporanei e predecessorin, e che per la tarda antichità è da annoverare, per usare ancora le parole di A. Voobus, fra «the giants among the leaders of thought»74.

2.

TEODORO CONTRO GIULIANO

2.1 Il 'Contro i Galilei' di Giuliano Il 3 novembre 361 l'improvvisa morte di Costanzo II pose fine alla guerra civile che divideva l'impero fra il legittimo sovrano e il cugino Giuliano, proclamato Augusto dal pronunziamento mili-

73 A. Véiéibus, Theodore o/Mopsuestia, in "Encyclopaedia Britannica" 141973, voi. 22, p. 989. 74 A. Véiéibus, Regarding ... , p. 116.

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IL CONTRO I GALILEI DI GIULIANO

tare di Parigi della primavera 360. Divenuto reggitore unico dell'nnpero, Giuliano poté proclamare apertamente la sua adesione al pa ganesnno, riscoperto come la genuina tradizione dell'ellenismo e abbracciato segretamente già da una decina di anni sotto l'influsso di intellettuali neoplatonici incontrati in Asia Minore. Liberatosi della pelle d'asino che fin allora aveva celato la sua vera natura di leone, come scrive Libanio (Or. 18, 19) alludendo forse sarcasticamente al cristianesnno come culto dell'asinon, il nuovo nnperatore diede immediatamente il via a una serie di misure e di provvedimenti legislativi tesi a ristabilire il prestigio della religione pagana e a togliere al cristianesimo i privilegi assicuratigli da Costantino e Costanzo II. Se nei primi mesi, trascorsi a Costantinopoli, le iniziative giulianee parvero ispirate a principi generali di tolleranza, di cui beneficiarono gli stessi cristiani ortodossi, fin allora conculcati dal filoarianesimo di Costanzo II, ben presto divenne chiaro come il nuovo imperatore coltivasse un progetto di portata ben più ampia e mirasse sostanzialmente a ripristinare nell'impero una situazione precostantiniana. L'ambizioso progetto giulianeo era cioè di rifondare lo stato sulle basi della sua 'vera' tradizione costituita dalla religione pagana, eliminare dalle sue strutture ogni influenza cristiana, isolare i cristiani e il loro apparato ecclesiastico politicamente, socialmente e culturalmente in un insostenibile ghetto la cui unica via d'uscita fosse il ritorno ai costumi e alla religione dei padri, cioè la conversione al paganesimo. A tale programma 'totalitario' corrispose una strumentazione totalitaria, e cioè tanto legislativa quanto ideologica e culturale. Le leggi che vengono man mano emanate pongono le basi strutturali per la restaurazione pagana: dalla eliminazione dei privilegi accordati agli ecclesiastici, all'imposizione della restituzione ai templi dei beni loro sottratti, all'editto del giugno 362 che esclude dall'insegnamento pubblico i maestri che professino il cristianesimo. 75

Cf. Athanassiadi, L'imperatore ... , p. 57 (ed. ingl. p. 44).

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Parallelamente i circoli intellettuali pagani, soprattutto quelli legati agli ambienti del neoplatonismo, si impegnano in una campagna ideologica per creare consenso al nuovo imperatore e ne diffondono il programma con slogan e parole d'ordine che lo presentano come la realizzazione del sogno platonico del filosofo sul trono. Oltre al materiale pubblicistico già noto, come le orazioni di Libanio e il Discorso di ringraziamento tenuto da Claudio Mamertino per l'assunzione del consolato del 362, un anonimo Panegirico per Giuliano recentemente recuperato da un papiro egiziano ci offre un quadro significativo dei temi messi in circolazione e dei canoni, ispirati alle direttive dello stesso imperatore, ai quali risponde l'operazione propagandistica mirante a presentare il nuovo sovrano come l'anima che dà vita al corpo dell'impero, l'unica guida in grado di segnare la strada in base alla sua superiore conoscenza della natura delle cose, emanante dalla stessa ispirazione divina (entheos)76. A tendere le fila e a dirigere questo antico Kulturkamp/n era lo stesso imperatore, che nella battaglia ideologica entrò in prima persona con una serie di scritti e di pamphlets, in cui man mano chiariva i suoi obiettivi, dava direttive ai propri 'fedeli' e sottoponeva gli avversari al fuoco di violente e sferzanti polemiche. Così la produzione letteraria di Giuliano, in precedenza limitata a qualche obbligato discorso d'occasione, quali i Panegirici per Costanzo II e per Eusebia, dopo la presa del potere diventa fitta e concitata e sempre più tesamente polemica. Nei due scritti dedicati Alla Madre degli dei (primavera 362) e A Helios re (dicembre 362) mentre espone il suo simbolo di fede, secondo le linee neoplatoniche che contemporaneamente vengono sintetizzate nel catechismo pagano Sugli dei e sul cosmo del fedele Saturnino Secondo Saluzio, por-

76 Un anonimo Panegirico per l'imperatore Giuliano (Anon. Paneg. Iul. Imp.), introduzione, testo critico, commento a cura di A. Guida, Firenze 1990, in particolare col. Xl, pp. 53-54 col relativo commento a p. 114 sgg. 77 L'espressione è diJ. Geffcken, Kaiser Julianus, Leipzig 1914, p. 109.

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ta qua e là degli attacchi diretti ai cristiani; nelle orazioni Contro Eraclio cinico (marzo 362) e Contro i cinici ignoranti (inizio dell'estate 362) traccia una linea netta all'interno del paganesimo, e nel violento dileggio dei nuovi cinici che tanto hanno tralignato dalla tradizione antica associa i cristiani, in particolare asceti e monaci nei quali vede un grave pericolo contro il suo tentativo di restaurazione della vita delle città e contro la struttura stessa dello stato. Nei Cesari (dicembre 362), delineando attraverso una rassegna degli imperatori romani la figura del principe ideale, incarnata da quel Marco Aurelio di cui egli stesso si presenta come il genuino ed unico erede, gli affianca contrastivamente la figura dell' arcitiranno Costantino, servo del piacere e della dissolutezza, affiliato del cristianesimo, religione che promette impunità a empi e corrotti, giusto le parole di Cristo: «Chi è corruttore, chi assassino, chi maledetto e ributtato da tutti, venga qui fiducioso; con quest'acqua lavandolo lo renderò in un attimo puro. E quand'anche ricada nelle medesime colpe, purché si batta il petto e percuotasi il capo, gli concederò di ridivenire puro»7s. L'epistolario di Giuliano ci rivela per altro che mentre a Costantinopoli e ad Antiochia pubblicava tali testi più o meno d'occasione, che toccavano i cristiani ma solo di riflesso o in sfoghi limitati, egli si preparava a portare un attacco diretto con uno scritto che, parallelamente alle leggi miranti a metterne in crisi il ruolo sociale, ne scuotesse le fondamenta dottrinali confutandone principi religiosi, basi storiche ed elaborazioni filosofiche. La preparazione venne fatta con cura e con una diligente documentazione di prima mano sui testi cristiani: dopo la morte del vescovo ariano Giorgio di Alessandria, Giuliano nell'estate 362 scrisse personalmente prima al prefetto d'Egitto (Ep. 107 Bidez) poi al rationalis Porfirio (Ep. 106 Bidez) con l'ordine di curare che la biblioteca del vescovo, «ricca di scritti degli empi Galilei», che gli era ben nota per averla un tempo consultata e averne avuto in presti78

Caes. 336ab, trad. A. Rostagni, Giuliano l'Apostata, Torino 1919, p. 234.

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to libri da copiare, non andasse dispersa ma gli venisse trasmessa integra ad Antiochia. Alla composizione dello scritto Contro i Galilei Giuliano si dedicò nelle notti dell'inverno 362-3 ad Antiochia, mentre preparava quella spedizione militare contro il regno persiano dei Sasanidi nel corso della quale il 26 giugno 363 avrebbe perso la vita. L'opera, la cui prima menzione sicura si trova nella Monodia (Or. 17, 18) e nell'Epita/io (Or. 18, 178) di Libanio per Giuliano, databili intorno al 365, non ebbe probabilmente una pubblicazione o comunque una circolazione immediata, come indica il fatto che Gregorio di Nazianzo nelle due violente Invettive contro Giuliano, composte all'indomani della morte dell'imperatore e pubblicate nei primi anni del regno di Valente e Valentiniano, mentre cita e attacca altre opere giulianee, fra cui il Misopogon (composto anch'esso ad Antiochia nella seconda metà del febbraio 363), non dà prova di conoscenza diretta del Contro i Galilez79. L'opera giulianea, che è andata perduta per tradizione diretta, anche se forse salvatasi fino al XVI secoJo8o, è ricostruibile solo attraverso le citazioni degli autori cristiani che ad essa risposero81.

79 La tesi di una pubblicazione postuma del Contro i Galilei è sostenuta da R. Asmus, Die Invektiven des Gregorius von Nazianz im Lichte der Werke des Kaisers ]ulian, in "Zeitschr. f. Kirchengesch." 31 (1910) pp. 325-367, che mostra l'assenza di citazioni del C. Gal. nelle due orazioni gregoriane e spiega il riferimento a Porfirio in Or. 5, 41 come una replica all'elogio porfiriano da pane di Libanio Or. 18, 178 (pp. 357-360). Anche il Bemardi (SC 309, p. 46) concorda nell'escludere una conoscenza del C. Gal. da parte di Gregorio. La datazione delle due orazioni di Libanio è quella proposta dal Forster; cf. anche U. Criscuolo, Libanio e Giuliano, "Vichiana" 11 (1982) pp. 70-87; sulla composizione delle Invettive gregoriane vd. da ultimo L. Lugaresi, Gregorio di Nazianzo Contro Giuliano l'Apostata. Or. IV, Firenze 1993, pp. 39-46. Indubbi i rapporti, messi in luce da Asmus, fra l'Epita/io e le Invettive, anche se è incerta la priorità: di Libanio, come ipotizzava Asmus, con argomenti che mi paiono ancora validi (cf. anche U. Criscuolo, Gregorio di Nazianzo e Giuliano, in "TaÌl.aploKoç. Stud. Gr. A. Garzya sexag. a discip. oblata", Napoli 1978, p. 173) o di Gregorio, come propendono a credere i recenti commenti di Kurmann e Lugaresi. 80 Cf. Guida, Frammenti ... , p. 139 n. 1. 81 La più recente edizione è a cura di E. Masaracchia, Roma 1990. La pubblicazione del Neumann, Leipzig 1880 rimane tuttavia fondamentale per la sua introduzione e ancora preziosa anche per la ricostruzione del testo.

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Lo scritto si articolava in tre libri82, dei quali è rimasto pressoché integro il primo, intessuto nei primi dieci libri della confutazione di Cirillo di Alessandria; persa la seconda decade cirilliana, di cui ci sono giunte poche citazioni, del secondo libro giulianeo rimane solo qualche frammento, e ben poco si può dire sul terzo libro (di cui presento in Appendice, test. VIII, un nuovo passo), anche perché una presunta terza decade di Cirillo non fu forse mai composta. L'intento programmatico del Contro i Galilei è sintetizzato nelle frasi iniziali: Giuliano intende smascherare la presunta rivelazione divina dei cristiani quale perfida macchinazione di uomini che sfrutta la parte irrazionale dell'anima per trasformare in oggetto di fede una favola mostruosa. Nel I libro l'Imperatore discute le basi teologiche e filosofiche della fede cristiana, per mostrare come essa sia da considerare una degenerazione del giudaismo mescolata degli elementi peggiori dell'ellenismo, cioè del paganesimo. E i cristiani non solo hanno assunto e fatto propri tali elementi del giudaismo e dell'ellenismo, ma nel corso della loro storia hanno subito una progressiva degenerazione: Cristo ad esempio non ha mai sostenuto di essere il Logos né avrebbe mai approvato il culto dei martiri e dei loro sepolcri. Dai motivi generali teologici e filosofici, nel II libro della sua opera Giuliano passava a una confutazione 'interna' dei cristiani e delle loro Scritture, privilegiando un' argomentazione polemica messa a punto nelle diatribe filosofiche e impiegata in precedenza contro i cristiani soprattutto da Porfirio: l'individuazione cioè delle contraddizioni insite negli scritti neotestamentari, nell'ambito di uno stesso testo e fra testi diversi, in particolare fra i vari Vangeli e fra i sinottici e Giovanni, per provare come essi non siano fededegni e anzi si rivelino a un'analisi critica il mal riuscito prodotto di una macchinazione a fini di inganno83. 82 Decisiva la testimonianza di Michele Glica in PG 158, 476c, purtroppo sfuggita alla Masaracchia, Giuliano ... , p. 12, che rivanga dubbi su una questione già chiarita dal Neumann, Iuliani ... , p. 97. 83 Origini e sviluppi di tale argomentazione basata sulle diafonie sono trattati dal Merkel, Die Widerspriiche ..., 1971. Il metodo diafonico proviene dai dibattiti

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2.2. La Replica di Teodoro a Giuliano

L'attacco diretto portato dallo stesso Imperatore al cuore delle dottrine, della fede e delle tradizioni dei cristiani dovette avere un impatto violento e provocare tanto nel campo pagano quanto in quello cristiano un forte effetto di emozioni e reazioni, che risuonano ancora virulenti ben settanta anni dopo la morte di Giuliano, allorché Cirillo introducendo il proprio scritto di confutazione scrive che «i tre libri dell'Apostata contro i santi Vangeli e la pura religione dei cristiani turbano molti e hanno già provocato danni non lievi. Infatti le persone di carattere leggero e instabile cadono facilmente nelle sue reti e diventano ghiotta preda dei demoni; non solo, ma talora sono turbate anche persone progredite nella fede, ritenendo che egli conosca le Sacre Scritture, dal momento che da loro trae e accumula (ma senza sapere che cosa dice!) testimonianze su testimonianze a favore delle proprie tesi»B4. Il primo autore cristiano a replicare a Giuliano fu probabilmente Teodoro di Mopsuestia85, con uno scritto di cui, nel naufragio di tante sue opere, non conosceremmo nemmeno l'esistenza, se non ce ne avesse salvato dei frammenti la tradizione delle Catene, cioè di quei commenti biblici che redattori, per lo più rimasti anonimi, in età tardo antica e bizantina compilarono selezionando citazio-

filosofici ed era caro in specie agli scettici (J. Bames, La lhaq,wvla Pyrrhonienne, in "Cahiers Rev. Théol. et Phil." 15 [éd. A. Vodke, Lausanne 1990] pp. 97-106); d. anche A. Bertini Malgarini, Galeno. La salute come armonia, Roma 1992, pp. 79-81. 84 C. Iul. 3d-4a (SC 322, p. 106, 15-24). 85 Filippo di Side è l'unico altro autore di cui sia attestato uno scritto confutatorio di Giuliano prima di Cirillo: cf. Socrate, Hist. Ecc!. 7, 27 e Neumann, Iuliani ... , pp. 33-36 (e pp. 87-88 per Alessandro di Hierapoli). Che Apollinare di Laodicea oltre a uno scritto contro Porfirio in 30 libri componesse anche una confutazione del Contro i Galilei di Giuliano è un'affermazione ancora oggi ripetuta (ad es. Altaner-Stuiber, p. 314; P. Nautin in "Rev. Ét. Gr." 164, 1992, p. 667), benché il Neumann, Iuliani ... , pp. 10-12 abbia mostrato come essa si basi su un fraintendimento del passo di Sozomeno 5, 18, 6-8 che fa riferimento all'opera 'Y1tÈp ÙÀ:r18slaç, letta e stroncata, secondo la tradizione, dallo stesso Giuliano: cf. anche H. Lietzmann, Apollinaris von Laodicea und seine Schule, l, Tiibingen 1904, pp. 10 e 150.

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ni patristiche, collegate e 'incatenate' l'una all'altra senza alcuna o con brevi note introduttive, generalmente con l'unico attacco dato dall'intestazione della citazione. 2.2.1 La tradizione manoscritta 2.2.1.1 Frammenti 1 e 3-986 A trasmetterci la maggior parte delle citazioni (frr. 1 e 3- 9 della mia edizione) e a documentarci precisamente sul titolo stesso di uno scritto teodoreo diretto contro Giuliano è la Catena palatina al Vangelo di Luca, compilata da un anonimo redattore bizantino fra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo, e così denominata perché giuntaci integralmente in un solo codice87, scritto verso gli inizi del XIII secolo, l'attuale Vaticano Palatino greco 20 (Pal). Il primo in età moderna a individuare i frammenti teodorei fu Leone Allacci (1586-1669), che nel 1622 curò personalmente per conto del papa il trasporto da Heidelberg a Roma della Biblioteca Palatina, di cui Massimiliano I di Baviera dopo la vittoria sul Conte Palatino aveva fatto dono alla Santa Sede88. Scriptor della Biblioteca vaticana, negli anni seguenti l'Allacci ebbe il compito di fare una copia del prezioso codice della Catena a Luca, in precario stato di conservazione; a tale apografo, l'attuale codice Vaticano greco 193 3 (Vat), fu aggiunto da altra mano un indice degli autori citati nella Catena, dove risultano segnalati sei passi, sia sotto l'intestazione Ex Commentariis adversus Iulianum sia sotto Theodori Mophi (sic) ex Commentariis contra accusationes adversus Christianos Iuliani Apostatae. Lo stesso Allacci nella Diatriba de Theodoris, pubblica-

86 L'esposizione della tradizione manoscritta si basa sui miei studi: Frammenti ... , pp. 139-149 e Per un'edizione ... , pp. 87-95, ai quali rinvio per ulteriori dettagli. 87 Portatore di tradizione, ma solo per una breve sezione, ove per altro non ci sono frammenti teodorei, è il codice Vat. Reg. 3. 88 Sull'Allacci e sulle vicende del trasferimento della biblioteca palatina si veda la biografia curata da D. Musti nel "Diz. Biogr. Ital." 2, Roma 1960 (Fondaz. Treccani), pp. 467-471.

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ta postuma da Angelo Mai, segnalava l'opera in questi termini: «Adversus Iuliani apostatae calumnias laudatur in catena Graeca ad Lucam: Eh:o6oopou MmjJOUEITTLaç ÈK 1:(l}V itpòç i:àç Kai:à Xptm:LaV(l}V Ka1:11yoptaç 'louÀ.tavou i:ou ii:apaf3ai:ou. Ex commentariis Theodori Mopsuesteni adversus Iuliani desertoris criminationes in Christianos»s9. In seguito, verso gli inizi del XVIII secolo, il codice palatino e l'apografo allacciano furono riesaminati e i frammenti teodorei segnalati nell'indice dell'apografo vennero trascritti dal Vate raccolti, insieme con altri testi inediti, in un volume miscellaneo già nel 1738 segnalato nell'Indice generale dei libri manoscritti della Biblioteca Corsiniana di Roma, dove si conserva tuttora con la segnatura '1104 (41 F 25)' (Cors). Tale raccolta, opera di un dotto che aveva in progetto una pubblicazione di anecdota, rimase per altro inedita fin quando il teologo danese Friedrich Miinter, venuto a conoscenza durante un soggiorno a Roma che il volume corsiniano conteneva sei frammenti teodorei inediti, se ne fece una copia e, senza aver avuto modo di controllarne in Vaticana gli antigrafi, li pubblicò nel 1788 a Copenhagen nel primo e unico fascicolo di Fragmenta Patrum Graecorum9o. Basandosi sull'intestazione con cui il catenista introduce alcuni dei sei frammenti, il Miinter, come già l'Allacci, non ebbe dubbi a presentarli come estratti da un'opera composta da Teodoro specificamente in risposta allo scritto contro i cristiani di Giuliano. Di questa edizione dettero subito notizia varie dettagliate recensioni, nelle quali furono anche proposte congetture e interpretazioni diverse del testo greco, in un'unanime accettazione comunque dell'attribuzione a un'opera teodorea contro Giuliano91, I nuovi frammenti furono in seguito 89 A. Mai, Nova Patrum Bibliotheca, VI 2, Romae 1853, p. 130 (=PG 66, 195); cf. anche Neumann, Iuliani ... , p. 24. 90 Di due frammenti pubblicati dal Miinter come teodorei dal Vindob. Theol. Gr. 71, l'uno è in realtà di Teodoreto, l'altro proviene dal Commento a Giovanni di Teodoro: cf. Guida, Frammenti ... , p. 146. 91 Si veda la Bibliografia generale sotto le intestazioni: Anonimo, J. Ch. Doederlein eJ. G. Eichhorn.

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oggetto di un accurato studio da parte di Otto Fridolin Fritzsche il quale, basandosi sull'edizione del Mi.inter e correggendone con interventi congetturali le sviste più evidenti, soprattutto di stampa, li ripubblicò con un utile commento nello scritto De Theodori Mopsuesteni vita et scriptis. Commentatio historica theologica, Halle 1836. Il benemerito studioso però, rifiutando l'esplicita testimonianza della Catena palatina che, come abbiamo visto, cita esplicitamente i passi di Teodoro come ricavati da una sua opera di replica a Giuliano, li attribuì al perduto Commento a Luca. L'unico argomento per altro addotto dal Fritzsche a sostegno di tale tesi è essenzialmente 'ex silentio', che cioè né la tradizione antica né i cataloghi nestoriani delle opere di Teodoro fanno cenno di uno scritto teodoreo contro Giuliano. Il testo e il commento presentati nella Commentatio del 1836 furono poi sostanzialmente ripetuti, con qualche leggera variazione e aggiornamento, nella raccolta complessiva dei resti dei Commenti neotestamentari di Teodoro che lo stesso Fritzsche pubblicò nel 1847 a Zurigo: tale edizione, in cui le citazioni della Catena palatina sono presentate come frammenti del Commento a Luca, è la vulgata a cui ancora oggi si fa comunemente riferimento, in quanto riprodotta - con a fronte la traduzione latina del Mi.inter - nel volume 66 della Patrologia Graeca del Migne (Parigi 1859), coli. 715-728. Il magistrale studio sulle fonti antiche dei frammenti superstiti che Karl Neumann premise nel 1880 alla sua edizione dell'opera dell'Imperatore contro i cristiani costituisce una tappa fondamentale degli studi giulianei, ancora oggi un punto di riferimento obbligato per chi voglia accostarsi al testo di Giuliano. Il Neumann, quantunque si servisse nel pubblicare i frammenti giulianei trasmessi da Teodoro dell'edizione del Fritzsche (quella del Mi.inter poté utilizzarla solo per gli Addenda, p. 245), senza procedere a un riesame della tradizione manoscritta, ebbe il merito di dedicare un acuto e accurato esame storico-letterario ai frammenti teodorei in relazione ali' opera di Giuliano e soprattutto di confutare decisamente la loro attribuzione al Commento a Luca, rivendicandone 39

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l'appartenenza a uno scritto specifico di Teodoro in risposta a Giuliano. Egli mostrò infatti come le pericopi evangeliche chiamate in causa da Giuliano ed esaminate da Teodoro non riguardano solo il Vangelo di Luca, ma anche gli altri Vangeli e anzi in vari passi sinottici il testo discusso da Teodoro non è quello di Luca, ma degli altri evangelisti; inoltre altrove in nessun Commento scritturistico Teodoro cita mai per nome Giuliano. A tali argomentazioni del Neumann va aggiunto che il catalogo di Ebedjesu, così come quello della Cronaca di Se'ert, tralasciano di elencare anche altre opere di Teodoro92, il cui scritto antigiulianeo è probabilmente loro sfuggito perché mai tradotto in siriaco. Le conclusioni del Neumann sono state generalmente accolte dagli studiosi che si sono specificamente interessati ai frammenti antigiulianei, come ad esempio H. G. Opitz nell'articolo dedicato a Teodoro nella Realencyklopiidie di Pauly-Wissowa, il Macomber93, il Reuss nella sua recente edizione dei frammenti catenistici a Luca94. Purtroppo le Patrologie di Bardenhewer, Quasten e Altaner (-Stuiber) non fanno parola della questione, a cui curiosamente R. Devreesse non dedica più che un cenno nel suo fondamentale Essai dedicato all' Antiocheno95, così che l'attribuzione al Commento a Luca continua spesso a essere ripetuta sulla scorta del Migne, talora, acriticamente, anche da chi è a conoscenza del lavoro del Neumann96.

92 Cf. O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, 3, Freiburg i. B. 21923, p. 321; H. G. Opitz, Theodoros ... , col. 1889. 93 W. F. Macomber, Newly ... , p. 441 n. 4. 94 J. Reuss, Lukaskommentare ... , p. XXII. 95 R. Devreesse, Essai ... , p. 3 8, trattando del Commento a Luca scrive solo che i frammenti del Miinter «visent Julien l' Apostat»; nell'articolo dedicato alle Chaines ... , col. 1190, a cui ivi rimanda, si era per altro espresso con decisione: «Ils ne viennent pas du commentaire sur saint Luc, mais ÉK 1:éìiv npoç 'louì-.mv6v». A tale testo rimanda anche CPG 2, nr. 3842, che per altro non dedica all'opera antigiulianea un numero a sé stante, ma la cita sotto quello dei Fragmenta in Lucam. 96 Anche la Masaracchia nella sua edizione del C. Gal. rimane nel guado, oscillando fra una citazione dei frammenti tedorei come provenienti da un «comm. in

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Nel 1983 pubblicai nella rivista "Prometbeus" un primo studio sui frammenti teodorei tramandati dalla Catena palatina. Il riesame complessivo della tradizione manoscritta mi permise anche di identificare e pubblicare frammenti inediti dello scritto antigiulianeo di Teodoro, contenenti a loro volta nuovi passi del Contro i Galilei. Ad un ampio brano dell'opera, rimasto fin allora inedito, dedicai poi uno studio particolare in un articolo del 1984, pubblicato nella rivista "Sileno". 2.2.1.2 Frammento 2 Nuova luce e un importante contributo al testo teodoreo venivano intanto dagli studi sulla tradizione delle Catene alla Genesi condotti da Françoise Petit97, alla quale si deve la pubblicazione di tre frammenti (G23, G24 e G25), concernenti l'esegesi di Gen 15, 912. Tali frammenti, che provengono dall'originaria Catena alla Genesi composta nella seconda metà del V secolo ed utilizzata già da Procopio di Gaza, sono tramandati dalla Catena del gruppo tipo I Petit (tipo I e II Karo-Lietzmann), la cui ricostruzione è fondata sui seguenti codici: Bs: Basilea, Bibl. Univ. A.N. III 13, sec. X;

Len: San Pietroburgo (già Leningrado), Bibl. pubbl. gr. 124, sec. XIII; Mosq: Mosca, Museo storico, Vladimir 28 (Bibl. Sinod. 385), sec. X; manca G23; Sin: Sinai gr. 2, sec. X.

ev. Luc.» (pp. 12 e 48) e l'accettazione di uno scritto specifico antigiulianeo di Teodoro (p. 22), con il compromesso poi di citare i frammenti indicando l'opera teodorea «ÉK ,éiiv rrpòç 'IouÀ.,av6v (?) ap. comm. in ev. Luc.» (cf. indice p. 348). 97 F. Petit, Catena Sinaitica ... , 1977; Ead., Collectio ... , 1986. Proposito della Petit è ricostruire la Catena primitiva da cui dipendono da un canto l'archetipo delle Catene di tipo I e AB (I, II e III Karo-Lietzmann), dall'altro il Commentario all'Ottateuco di Procopio di Gaza; il primo volume di tale benemerita impresa ha visto da poco la luce: F. Petit, La Chaine .... , Louvain 1991-1992.

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INTRODUZIONE

G23 è riportato parzialmente (da n:pòç i:oui:o a À:uµT]voovi:m) anche dalla Catena di tradizione AB Petit (tipo III Karo-Lietzmann) in due versioni, una completa e una abbreviata. Per tale Catena la Petit utilizza i manoscritti: Palat:Vaticano, Palatino gr. 203; sec. XI9B; Par: Parigi, Bibl. Naz. gr. 128; sec. XII; Taph: Gerusalemme, Bibl. Patr. i:oo aytou Tacpou 3, sec. XII-XIII. I tre frammenti sono anche riportati anonimi, nella successione G25 G23 G24 e con un brano di collegamento fra G25 e G24, dal Commentario all'Ottateuco, dal titolo 'EKÀoyoov Émi:oµT], di Procopio di Gaza (Proc.). Tale opera è pubblicata in PG 87 (nella col. 348bc il passo in questione), che riproduce l'edizione di A. Mai (Classicorum Auctorum e Vaticanis codicibus editorum tomus VI, Romae 1834; alle pp. 331-332 il brano in oggetto), fondata sul cod. Vat. gr. 1441 del XVI sec.; il codice più antico, probabilmente fonte del resto della tradizione manoscritta, è il Monacense gr. 358 del IX sec.: esso è utilizzato dalla Petit per i tre passi G23 G24 e G25 e sulla sua base io stesso pubblico il brano di collegamento fra G25 e G2399. I codici della Catena I Petit riportano i vari frammenti sotto diverse intestazioni: Bs riporta G23 sotto l'intestazione aÀÀou Kai:à 'louÀLUVO'U ypa~av,:oç ,:01) n:apa~ai:ou, introduce G24 con il raccordo KaL µei:'òì,,tya e quindi G25 ancora con aÀÀou Kai:à 'IouÀtavou i:ou n:apa~ai:ou ypa~avi:oç. Len riporta G23 e G24 con l'intestazione Iw11pt., abbreviazione per Severo di Antiochia o Severiano di Gabala, e G25 come i:ou aui:ou. Mosq, che non ri-

98 Ho modificato la sigla Pal della Petit in Palat per evitare confusioni con l' abbreviazione del Palatino gr. 20, testimone dei frammenti 1 e 3-9. 99 Sul Commentario catenistico di Procopio vd. CPG 3, nr. 7430. I codici sono elencati da A. Rahlfs, Verzeichnis der griechischen Handschri/ten des Alten Testamentsfar das Septuaginta-Unternehmen, Berlin 1914 ("Nachr. der K. Ges. Wiss. zu Gottingen", Phil-hist. Klasse 1914. Beiheft), pp. 379-380. Il Mai tenne presente anche il Vat. Ottob. gr. 141 e un codice della biblioteca Albani (Petit, La Chaine ... , p. XXXIII n. 85), ambedue, a detta dello stesso Mai (praef, p. V), di scarso valore.

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TRADIZIONE MS. DELLA REPLICA

porta G23, presenta G24 con l'attribuzione KuptAAou ÈmoKoJtou 'A11.i::;avè>pdaç e G25 come i:où a'Ùi:où ÈK i:où Km:à 'IouAtavoù. Sin dà anepigrafi G23 e G24 e introduce G25 sotto il titolo a.AAou Km:à 'IouAtavoù l3amAiooç100. Infine, G23 è anepigrafo nei codici greci della Catena AB Petit (tipo III Karo-Lietzmann), mentre è attribuito a Diodoro di Tarso - fra i cui «fragments douteux» il Deconinck101 riporta G23 Petit- nella Catena latina (anch'essa di tipo AB Petit, III Karo-Lietzmann) pubblicata a Firenze nel 1546 da Francesco Zeffi. Quanto a Procopio, egli presenta il testo come diretto contro «quanti empiamente (avootooç) sostengono che Abramo sia ricorso alla mantica». È stato merito di Paolo Carrara riesaminare tali brani, metterli in relazione allo scritto di Teodoro in risposta al Contro i Galilei di Giuliano, ricostruirne la successione originale (G25 G23 G24) grazie al confronto con la 'EKAoyfuv Èmi:oµYJ di Procopio e mostrare come l'ampio e unico brano risultante dal collegamento dei tre frammenti, con l'aggiunta del passaggio tramandato solo da Procopio, polemizzi con l' esegesi del brano della Genesi data da Giuliano nel I libro del C. Gal. e nota per altra via dalla citazione fattane da Cirillo (C. Iul. 356c358e, PG 76, 1049a-1053a)102. L'identificazione del nuovo passo teodoreo è importante non solo per il brano che ci rende noto, ma anche perché: a) conferma definitivamente attraverso una tradizione catenistica diversa dalla palatina l'esistenza di un'opera specifica antigiulianea; b) prova 100 Il Sin probabilmente rispecchia più da vicino la situazione originaria: il fatto che il titolo preceda solo G25 è infatti un spia che originariamente tale frammento doveva precedere G23 e G24, i quali, essendo in successione immediata, non avevano bisogno di una propria intestazione. 101 J. Deconinck, Essai sur la Chaine de l'Octateuque avec une édition des Commentaires de Diodore de Tarse qui sy trouvent contenus, Paris 1912, nr. 86. Il genuino commento diodoreo al passo è costituito dal fr. 26 Deconinck. Sull'attribuzione a Diodoro, che figura solo nella Catena latina dello Zeffi, si veda anche P. Carrara, Tre estratti ... , p. 280 n. 43. 102 P. Carrara, Tre estratti ... , pp. 267-284. L'attribuzione a Teodoro, su cui concordano i miei studi e quelli di Carrara, è accolta da F. Petit, Collectio .. . , p. 184 n. a.

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INTRODUZIONE

che tale scritto teodoreo non controbatteva solo l'esegesi neotestamentaria di Giuliano, ma concerneva per lo meno anche i brani in cui era chiamato in causa l'Antico Testamento. Ciò dà luce quindi a quanto indicato dal titolo stesso dell'opera ricavabile dal cod. Pal, che cioè Teodoro replicasse probabilmente al testo anticristiano di Giuliano nel suo complesso, non solo alla sua esegesi biblica: una conferma perciò all'ipotesi espressa dal Neumann che l'ampiezza della Replica non fosse certo quella di un «parvo libello»toJ. 2.2.2 Ordinamento dei/rammenti Secondo il metodo tradizionale delle opere apologetiche che si propongono di controbattere lo scritto di un avversario, la Replica seguiva probabilmente passo passo l'articolazione delle tesi del Contro i Galilei, come, di massima e pur con qualche eccezione, aveva fatto Origene in risposta a Celso e farà Cirillo nel suo Contro Giuliano. Per i frammenti teodorei (1 e 2 della mia edizione) che replicano al primo libro del Contro i Galilei, ricostruibile pressoché integralmente grazie a Cirillo, l'ordine di successione è dato quindi dallo stesso testo giulianeo superstite. Persa per tradizione diretta la seconda decade cirilliana, i frammenti di essa preservati in catene greche e siriache ci permettono solo qualche scarso recupero del II libro giulianeo; la perdita completa di una terza decade cirilliana, che è persino dubbio se sia mai stata scritta, lascia nel buio sul terzo libro di Giuliano. Sulla base sia di quanto Giuliano stesso preannuncia nel I libro sia dei resti superstiti, il Neumann ha ipotizzato che nel II libro Giuliano discutesse il contenuto dei Vangeli e nel III libro trattasse dei restanti testi neotestamentari. La conseguenza di tale ipotesi - passibile forse di un'ulteriore precisazione, in quanto Giuliano prendeva probabilmente prima in esame le azioni e gli avvenimenti della vi-

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Neumann, Iuliani .. . , p. 32.

TITOLO DELLA REPLICA

ta di Gesù (libri X-XV di Cirillo) e quindi le sue dottrine (libri XVI-XX) - per quanto riguarda i frammenti teodorei 3-9, è che essi provengano dalla replica al II libro del Contro i Galilei, in quanto tutti vertenti sull'esegesi di passi evangelici. Di più non si può dire e perciò per la disposizione dei frammenti l'ordine di presentazione più conveniente è quello della successione delle pericopi evangeliche, lo stesso in cui i passi teodorei ci sono resi noti dalla Catena palatinaI04.

2.2.3 Il titolo dell'opera L'opera teodorea viene citata dalla Catena palatina a Luca in una forma più ampia la prima volta che ne viene riportato un brano (fr. la della mia ed.), introdotto dall'intestazione 8eoòoop01! M&i,01! (em:taç add. manus recentior) ÈK 't(J)V Jtpoç .aç Ka'ta Xpionavoov Kauwoptaç 'l01JÀ.iavou .ou Jtapaf3a.ou, mentre i successivi frammenti sono introdotti dal titolo ÈK .oov 1tpoç I01JÀ1av6v o col solo nome di Teodoro. I codici della Catena sinaitica alla Genesi, come abbiamo visto, citano l'opera come Ka.a 'I01JÀ1avou f3ao111.iwç, Ka'ta 'IouÀ1avou 'tOU Jtapaf3a.ou, ovvero semplicemente Ka'ta 'louÀ.1avou. È probabile che il titolo originario sia quello riportato nella forma più ampia dalla Catena palatina: Ilpoç 'taç Ka'teòç µ6vov, oùxì. ùÈ KaÌ. Hlvc'iìv; vaÌ, KaÌ. Hlvc'iìv»•, avnnepooi;~ 'IouAtavÒç KaL Toiì xapl'Y, 'V µu0rov - àxoUElS yàp a'Ò'tO>'V ~orov'tOO'V · «"Ap'tov àyyÉÌ..rov ilqiayev liv0pro:n:oi;»h - É:n:1 'tÉÌ..oui; 6È xat 'tÒ'V 'ITJOO'U'V il:n:eµ'lj,ev Éxei.vOLi;;c 2. Ilpòç PTJ't'EOV O-Cl Èv npoo't'OLç µÈv ÈKELVOLç .au6'ooç E1JOEl3EITTEpoLç (lJtEO't'ELAEV, Èv

o

1 de titulo libri sive potius ~,~ì.,wv Theodori ex inscriptionibus frr. 1 et 2 emendo vide supra, p. 45 11 µ6vov Pa!P·C·(ut Paulus): µ6vwv pa]a.c. 12 post 'Iouì.,avòç et post ÉKEcvo,ç (18) spat. vac. ad verba Iuliani distinguenda reliquit Pal (sed KaÌ non est Iuliani!) 13-14 en:qme Pal: en:eµ,pe Cyrill. 14 n:veuµa pa]s.l. (ut Cyrill.): xapwµa PaJi.l. 15 xpéaµa Pal 16 npaa,:,a Pal: KUÌ i:à npam:,a Cyrill.; yàp Pal: n Cyrill. 17 Én:Ì i:ÉÀ.ouç Pal: Én:l i:Éì.e, Cyrill.

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REPLICA ALLE ACCUSE CONTRO I CRISTIANI DI GIULIANO IMPERATORE Confutazione del I libro del Contro i Galilei di Giuliano

Fr.1 Sull'elezione del popolo ebraico e la venuta di Cristo

-la 1. Alle parole dell'Apostolo: «Forse Dio è solo dei Giudei ma non anche delle genti? Sì, anche delle genti»•, Giuliano risponde con una domanda e Per quale motivo, dice, Dio inviava ai Giudei in abbondanza lo spirito profetico e Mosè e il sacerdozio e i profeti e la legge e gli incredibili prodigi dei loro miti - ecco infatti quanto proclamano: «L'uomo mangiò pane degli angeli»h - e alla fine mandò loro anche Gesù?c 2. In risposta a ciò va detto che in un primo momento inviò ai Giudei queste cose in quanto più religiosi, in un secondo momento però inviò queste stesse co-

• Rom 3, 29, sed oùxt ,cat ÉBvwv. Bibl. gent. nr. 635 b Ps 77, 25. Bibl. gent. nr. 200 CJul. C. Gal. 106c; p. 177, 17-118, 5 Neum.= fr. 20, 8-15 Mas.

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ADVERSUS CRIMINATIONES

l\eui;epotç &è i:à aùi:à i;aui;a KaÌ. J'tUOLV. 3. EL &è µT] l'tapelìe!;avi;o J'tClVl:Eç 1:01:E, ÙÀ.11.''UOl:EpOV l'tapel\et;avi;o· 6tEOaÀE1J8Y10aV yÙp l'tponpov imò 1:(l)V l'tpocprii:wv KaÌ. 1:(l)V l'tpoÀaj36vi:oov i;epaoi:Loov, 'lJJ'tEJ'tEOOV l\È JtavnÀ.wç ÉJ'tÌ, i;ou Xptoi:ou, 11nri8evmç Ùµwv Smoa716 C 5 µEVOL i;o'Ùç 8rnuç, KaL J'tÀ.aoµai;a KaL µu8ovç OVl:Wç EÙpovi;eç i;Ù ÀEyoµeva l'tEpÌ. aùi:wv, KaÌ. µrilìèv J'tÀ.EOV. 4. ÈmLlìT] yàp àµem8hooç dxov • AaflÉ J.LOL 6aµaÀ.LV 'tplE'tL-

f;ouoav Kat a1ya 'tpLnlf;ouoav Kat KpLÒv ,:pLnlf;ov,:a

20 KaL ,:puyova KaL :n:EplO'tEpav. eÀ.aflE 6È aui:éj'> :n:av,:a ,:au,:a KaL 6LELÀEV aui:à µÉoa KaL e0TJKEV aui:à avn:n:pooco:n:a aÀ.À.T)À.OLç · i:à 6È opVEa O'U 6LELÀ.E. Kai:ÉflTJ 6È opvEa È:n:L i:à 6L:x;oi:0µ11µa,:a KUL OUVEKa0LOEV au,:o'iç 'Aflpaaµ»h. 'tTJV 'tO'U q>avÉv,:oç ayyÉÀ.ou :n:poppTJOLV '1]1:0l

25

8EO'U 6Là i:11ç OLCOVLOi:LK'llç òpa'tE Kpa,:uvoµÉVTJV, ou:x;, roo:n:Ep uµE'iç, ÈK :n:apÉpyou, µnà 0uoLéòv 6È i:11ç µavnlaç È:n:L'tEÀ.ouµÉvTJç •... i:fi i:éòv otcovéòv È:n:L:n:i:,;ou flEflalav e6ELçE 'tTJV È:n:ayyEÀ.Lav.c

1 KEXPiio8m Pal: n xpiio8m Fritzsche, qui perperam verba I uliano tribuit

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REPLICA FR.

lb, 2 - 2, 1

questo, perché gli uomini, delusi nella convinzione di avere un dio invincibile, si volgessero di necessità alla ricerca del vero Dio.

Fr.2 Su Abramo e il suo sacrificio (Gen 15, 7-11)

1. (Giuliano:) Abramo faceva sacrifici, così come anche noi, sempre e incessantemente, e ricavava auspici dalle stelle cadenti, un uso che mi pare anch'esso ellenico; per di più traeva auguri dal volo degli uccelli, e per giunta aveva nel proprio amministratore un'esperto della mantica che interpreta i segnia. (Dopo aver citato a conferma della propria affermazione Gen 15, 1-6, Giuliano continua:) Perché qualcuno non pensi che tale esegesi faccia violenza al testo, gliene darò conferma riportando le parole che seguono. Il testo infatti così prosegue: «Gli disse: lo sono il Dio che ti ha condotto fuori dal paese dei Caldei per darti come eredità questa terra. Gli disse Abramo: Padrone signore, come conoscerò che la erediterò? Gli disse: Prendimi una giovenca di tre anni e una capra di tre anni e un ariete di tre anni e una tortora e una colomba. Gli prese tutti questi animali e li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; gli uccelli invece non li divise. Degli uccelli discesero sui pezzi e Abramo si sedette in mezzo a loro»h. La promessa fatta da colui che era apparso, angdo ovvero Dio, è confermata, come vedete, con l'arte che interpreta il volo degli uccelli, e la divinazione trova completamento essenziale nei sacrifici, che voi invece trascurate ... Il calare degli uccelli fu la garanzia che Dio mostrò a conferma della promessac. a cf. Gen. 24 h Gen 15, 7-11. Bibl. gent. nr. 84 230, 12-232, 17 Neum.= frr. 87-88 Mas.

e lui. C. Gal. 356c-358e; pp.

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ADVERSUS CRIMINATIONES

La replica teodorea è conservata dalla tradizione delle Catene alla Genesi. Su di essa rimando all'Introduzione pp. 41-43.

2. Km:rwopta Oe Ò.Ìl:r16éòç Éon KaÌ. auKoq:,av-da i:o'Ù 'Aj3paൠ,:o o't'.eaem µavi:LKÌÌ xprja6m Jtpoç l3el3aLOOOLV i:éòv ÀeyoµÉvoov 1JJtO 5 0eoù. 11 µev yàp OLOOVLOl:LKrJ Ò.Jto µ6vY)ç ,:rjç i:éòv 6pvÉoov Km:avo11aeooç ytvei:m. Évmù6a OE mxv,:a µÉµtKi:m, 't'.va µf] M!;n Km:à 1:U1J1:Y)V rì Kai:'ÉKELVY)V 1:f]V Jtapm:11pYJOLV yLvea6m 1:0 ÙELKV1JµEVOV. 3. où µriv oÙOE euatav JtOLY)Oaµevoç (j)ULVE,:Ul Ò.ÀÀà Otxoi:oµ11aaç, ei. µ11 i:tç KUL ,:oi,ç Km:'àyopàv KpEOJtOOÌl.o'Ùvi:aç euataç 10 JtOLELV C!JtO(J)llVElE KUL Jtavi:aç ,:oi,ç evov,:aç (µavnKfi xprja6m). 4. ELJtOVl:l µev OÙV on «IImOOJtOlllOELç», EJtLOl:EUOE ,:qi 0eqi, KUL coç UJtELpov foi:m ,:o yÉvoç aùi:o'Ù KUL KÀY)povoµ110EL 1:f]V yrjv•, ,:o ÙE Jt01:E KaL Jtooç É!:;111:EL, où JtEPL i:éòv pYJ6Évi:oov àµq:,taj3Y)1:00V, Ò.ÀÌl.à JtepÌ, i:éòv µf] pYJ6Évi:oovb· Éoopa yàp ,:o yÉvoç aÙ,:o'Ù És Évoç Àaµ15 j3avov àpxriv KUL JtÀELOl:OOV Éi:éòv dç ,:o JtÌI.Y)6uv6rjvm Oe6µevov, wai:e OLKta6rjvm -im'aùi:éòv 1:f]V ,:rjç ÉJtayyeÌl.taç yrjvc. 5. Jtpoç ,:o'Ù,:o ò 0eoç i:pta yÉVY) i:éòv ei.ç Km:a001JÀOOOLV 11µ"iv KUL Km:axpYJOLV KUL j3péòatv ÉKOEOoµÉvoov !;;cpoov JtapayELv ÉKÉÀEUOEV, i:ptei:L!;;ouaav OaµaÀLV KaL KplOV KaL a1ya, KaL Otxoi:oµY)6rjvm, KaL ,:puy6va

Fr. 2 § 2.-8. (verba Theodori) § 2.-3. Ka-tl]yopla- Suov,aç = Catena Sin. G 25 Petit. Testes: Cat. I Petit (Bs Len Mosq Sin), Proc. § 4. E1Jtovn- i,myysÀ.laç yrjv. Testis: Proc. (usus sum cod. Monac. Gr. 358, c. 95v, quocum concordar textus Vat. gr. 1441 in PG 87, 348b expressus) § 5.-6. itpòç i:oiìi:o - ,à H;ijç = Catena Sin. G 23 Petit. Testes: Cat. I Petit (Bs Len Sin), Cat. III Karo-Lietzmann (usque ad Àuµl]vwv,a1. Textus brevior: Palatl Parl Taphl; textus plenior: Palac2 Par2 Taph2), Proc. § 7.-8. où i:oùi:o,ç - ,Ò.À118Éç = Catena Sin. G 24 Petit. Testes: Cat. I Petit (Bs Len Mosq Sin), Proc. 4 µavnKji Bs Mosq Proc.: µavnKrjç Len Sin 6-7 Km:à mù,11v Len Mosq Sin 10 àitoç Mosq, oun auµfloì..,Koç Sin 16 :n:o,e, Bs Len Mosq : É:n:olu Sin 17 eµa8ev ex Proc. dubitanter recepì: om. Bs Len Mosq Sin 18 8u,m Len secutus scripsi: Sii,m ed. cum Mosq Proc. (Sin non vidi, de accentu in Bs fortasse correct non liquet)

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REPLICA FR. 2, 5-8

(Abramo) esponesse tutto all'aperto, che sui pezzi tagliati discendessero gli uccelli; d') che Abramo, visto ciò, si sedesse in mezzo a loro•. Con ciò mostrava: a) l'analogo assetvimento e castigo di tre loro generazioni; b) la permanenza nel deserto - come le tortore - e il loro ritorno e insediamento nelle proprie terre - come le colombe-; e) l'attacco dei nemici - come quello degli uccelli- d') e la protezione da tutto ciò, da parte di Dio che respinge facilmente i nemici - come Abramo gli uccelli - perché non facciano loro danno. 6. E che la conoscenza di queste cose non venga ad Abramo né da divinazione né da arte auspicale lo prova il brano successivo della Sacra Scrittura - «verso il tramonto Abramo ebbe una visione»b ecc. -, dove Abramo viene istruito come uno che non sa. 7. Non a queste cose dunque credette Abramo né tramite loro a Dio, come quelli che dai segni ricavano auspici, ma piuttosto per la parola di Dio credette a questi segni: da Dio infatti gli viene consentito di fare ciò. Nessun indovino o auspice ricava invece profezie da cose delle quali egli stesso compie qualcuna, ma da accadimenti esterni. Né certamente Abramo apprese dalla loro osservazione augurale, alla maniera dei cosiddetti aruspici. 8. Di conseguenza Abramo da ogni punto di vista è puro da tutto ciò: lui che né per arte d'indovino né mediante la divinazione dal volo degli uccelli o l'aruspicina o la mantica in generale ha creduto a Dio, ma al contrario a motivo di Dio ha creduto a queste cose, che senza la parola di Dio non avrebbero alcun significato né indicherebbero il vero.

• cf. Gen 15, 9-12 b Gen 15, 12

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ADVERSUS CRIMINATIONES

Refutatio libri II Iuliani Contra Galilaeos Fr. 3

Il passo è citato dal Pala cc. 45r-46r nel commento a Le 4, 1, dopo testi di altri autori, sotto il titolo 0eoooopov Mo'ljl(ou) dç i:ò aùi:6. PG66 717 e 5

1. Oùoev Katv6v, àoeBecn:ai:E 'lovÀ.tave, d KatyLVOOOKE,:m ÙJtÒ ,:oov Omµ6vwv Kat ÒµoÀ.oye'ì.,:m 0eòç Kat 3tELpa~E,:UL ÙJtÒ ,:01) a.pxov,:oç ,:oov Omµ6vwv µ'Ì) ÒµoÀ.oyovv,:oç ,:'Ì)v aùi:ov BamÀELav. 2. où yàp Kai:à ,:Òv aùi:òv xp6vov, ÙÀ.À.Ù 3tpo,:epov µEV 720 a àywvL~El:aL àyvofuva, TJTITJ0Etç OÈ ucn:epov yvwpL~El Kat ÒµoÀ.oye'ì. 10 ,:'Ì)v BamÀ.dav aùi:ov À.eywv· «O'Lùaµev OE i:tç EL° ou El ò aytoç ,:ov 'lopar]À.»b. où yàp 3tpÒ ,:ov BaJti:toµai:oç ,:ai,,:a ÒµoÀ.oye'ì., ÙÀ.À.Ù µnà ,:Ò BaJtnoµa Kat ,:Ò 3tELpao0rivm Kat KanÀ.0e'ì.v ÈK i:rìç Èpriµou VlKr]Oav,:a ,:Òv OtaBoÀ.ov Kai:à i:'Ì)v oapKa, Ka0'r\v Kat Èmtpa~ev aùi:6v. où yàp dM,ç ,:Òv 0eòv Aoyov ÈJtdpaoev a.v · JtÒ.15 Ol yÙp Kai:'OÙOLUV Ò 0eoç È Èv ò"A.Lyq:, an:oÀEL(J)8rtvm KaL OÙK Èv n:oÀÀ.q>, KaL cbç ÈKELOE 10 ltÈ ekev on ,:eaaapaKovm riµepaç ÈitOlY)OE µl] ÈÌ;EÀY)À.U8ooç 1:T)ç Èp{iµou. 13. ,:Ò be «OùK ÈKmtpaaELç KUpLOv ,:Òv E>e6v aou»e où ÀEyEL on «'Eµe», EL KaL E>eòç ~v· où 20 yàp cbç E>eòv Èn:dpa~ev ò l'>ta~oÀoç, o'Ù[>È cbç E>eòç 1tetpa~6µevoç aiteKpLvai:o, a"A."A.'cbç &v8poon:oç a"A.118ooç 1tetpa~6µevoç i:à ,:oov av8poon:oov e6v · ò yàp ÈKitetpa~oov i:òv E>eòv t{i"A.eyl;ev O'ÙV aùi:ou 1:l]V KaKlav KUKÀ.q:, KaL ÈK 25 1tEpto6ou Etç ,:Ò -..à et post ep11µ àvaÀ.aj3e'iv oapKa.

8.

µa8e'iv

M

i:ov

AouKav :rtepì. i:o'Ù àyyeÀ.ou 3tOÀ.À.ax68ev ~V 5uvai:6v · :rtpéòi:ov µÈv :rtapa Ilei:pou Kal. i:éòv Zej3e5atou ULOOV evxoµevo;, n:ap6vi:cov i:q'> 'll]OOÙC, E3tEL1:a Kal. rcap'a'Ùi:ou µei:a 1:Y]V àvaoi:aOLV 1:EOOapaKovi:a 'l)µEpaç a'Ùi:o'iç ouvaÀ.L~oµevoud.

25

9. O'UK eypmjJe 5È i:ovi:o

'lcoa.VVl]ç et.l\ooç, É:rtEl. Kal. a.À.À.a µupta dl\ooç O'UK eypmjJee, i:axa Kal. 5t6n O'Ù.Oç eq,8l] ypa'ljlaç.

10. n:éòç 5È

ÈKELVO O'U Ka8op~ç, còç

O'UK aµa i:q'> euxw8m i:ov 'll]OO'UV Ka8eu5ovi:eç OL µa8l]i:aì. n:a-

13 avl:lpslav l!JU)(TJV Pal: correxi 14 µaxoµÉvl'jç KaL Kpai:ouo11ç Pal: µaxoµÉVl']V Kat Kpai:OUOl'JV Miinter (sic) et Fritzsche (sed Kpawiìoav ), qui l!JUXYJV servant

98

REPLICA FR. 8, 2-10

parlava ecco una gran folla e Giuda»a. 3. Perciò Giovanni nemmeno scrisse di ciò: perché nemmeno vide! Queste le parole di Giulianoh. 4. Coraggio e saggezza non significano non temere ciò che è terribile, bensì accettare alla fine razionalmente quanto pure si sa che è pauroso: e niente è per gli uomini più pauroso della morte, anche se essa sia per il bene di altri. 5. Poiché dunque anche Cristo avendo assunto la carne fu veramente uomo secondo lanatura della discendenza umana, conducendo la vita guidato da ragione e giudizio -la sua infatti è una vita effettiva non un'immagine o un'apparenza!-, per questo ha paura della morte secondo la natura umana e prega ed è confortato da un angelo. 6. Mentre la sua anima, guidata dalla ragione, desiderava scegliere la morte per il bene di tutti e il corpo invece vacillava per la paura, veramente era dunque possibile vedere nella debolezza del corpo il coraggio di un'anima che con la sola ragione combatteva contro la natura e aveva la meglio. 7. Non fare perciò confusione sulle nostre dottrine; se infatti diciamo Dio il Cristo secondo la natura eterna e senza principio proveniente da Dio Padre, non per questo non lo riconosciamo anche veramente uomo secondo la discendenza temporale e delle generazioni umane: non per trasformazione infatti diciamo che Dio Verbo divenne carne, ma per assunzione di carne. 8. Che Luca poi apprendesse dell'angelo, poté avvenire in molti modi; innanzi tutto poté saperlo da Pietro e dai figli di Zebedeo che erano insieme con Gesù che pregavac; poi da Gesù stesso dopo la resurrezione, quando trascorse con i discepoli quaranta giomid. 9. E Giovanni non scrisse di ciò, pur essendone a conoscenza, così come non scrisse di tantissime altre cose di cui pure era a conoscenzae , forse anche perché le aveva già scritte Luca. 10. E gli apostoli come non te ne avvedi? - non è che caddero addormentati nello

a Le 22, 45-46 (eke Le v.l.: ekev aùw,ç Le ed.); Le 22, 47 (Kat EU Le v.l.: EU ve! h, ois Le ed.; itoÀ.uç Le v.l.: om. Le ed.; 'louOaç Le v.l.: ò À.Éyoµevoç 'Iouoaç Le ed.) h Iul. C. Gal. fr. 7 Neum. = fr. 95 Mas.; Bibl. geni. nrr. 469 et 524 e cf. Mt 26, 37 (Mc 14, 33) d cf. Act l, 3-4 e cf. Io 21, 25

99

ADVERSUS CRIMINATIONES

paMoovi:m, Yva µ'Y]OÈ 6Eaaoov,:m ,:Òv ayyEÀOV, E'L YE ÉvEMOoi:o itpòç ,:Ò 6Eaaaa6m; oÙOÈ yap it6ppoo 6foç KUL EÒç mivi:aç :rcaoLv uvaµLx8iìvCll in

Teodoro17) dei popoli fra di loro a motivo dei

molti regni non rendesse più difficile agli apostoli di Gesù di adempiere il compito loro affidato da Gesù con le parole Andate e ammaestrate tutte le genti. È noto infatti che Gesù nacque sotto Augusto, che con la sua unica sovranità aveva ridotto allo stesso livello, se così posso dire, i molti popoli della terra. L'esistenza di molti regni sarebbe stata inoltre di ostacolo alla diffusione in tutta la terra della dottrina di Cristo, non solo per i motivi predetti ma anche perché gli uomini nei diversi luoghi sarebbero sta-

17 Si noti tuttavia che mentre Teodoro vede la mescolanza dei popoli come conseguenza delle guerre e della sottomissione successiva a diverse egemonie (di per se stessa quindi la mescolanza, conformemente alla concezione veterotestamentaria, non è positiva: gli Ebrei, come Teodoro rileva nella prefazione del Commento ad Amos p. 106, 11 sgg. Sprenger riuscirono ad evitare di «mescolarsi alle genti»), Origene pone piuttosto l'accento sullo stabilimento della pace universale come condizione per relazioni e 'mescolanze'; la linea origeniana viene ripresa ed espressa con ancora maggiore chiarezza da Eusebio, Hist. Ecc!. 1, 2, 23, che fa della condizione di pace la premessa indispensabile per le relazioni reciproche e le mescolanze dei popoli coç Kal dp~vriv fla0Ecav qJLÀ.[aç u Kal Éinµ,l;iaçrrpoç aÀ.À.~À.ouç EXELv. E ad Eusebio si rifà Diodoro di Tarso nel Commento all'Epz'. stola ai Romani 13, 1 (p. 107, 21 sgg. Staab), laddove, dopo aver accennato alla funzione provvidenziale dell'impero romano («l'impero romano ha svolto una funzione particolare nell'economia divina. Quando infatti il Salvatore stava per manifestarsi agli uomini, poco prima Dio pose al proprio servizio il dominio romano, rendendo per mezzo di esso la vita degli uomini mite e più pacifica»), continua scrivendo: «In vista dell' annuncio della vera religione Dio pose perciò fine alle continue guerre e concesse a città e popoli la possibilità di rapporti e scambi (avEÀ.ovwç 1:o[vuv wu 0Eou wùç ouv•x•cç rroÀ.ɵouç Kal Mvwç ,i,r,µ,l;iav rroÀ.w[ TE Kal eBvEOL l'Ha 1:ò 1:Tjç EÙo•flouç rroÀ.nE[aç K~puyµa)». È opportuno per altro rilevare come il tema della Èrr,µ,~[a quale frutto dell'impero ecumenico romano sia un motivo caro anche alla pubblicistica pagana contemporanea, presente ad esempio in Libanio che nel Panegirico per Costante e Costanzo (Or. 59, 170-172) sviluppa in tal senso un motivo topico della precettistica retorica, canonizzato da Menandro retore 377, 10 sgg.

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ti costretti a combattere e a far guerra ciascuno per la propria patria, come succedeva prima di Augusto e nei tempi antichi, ad esempio fra Peloponnesi e Ateniesi e fra altre genti. Come sarebbe stato allora possibile che si affermasse questa dottrina di pace, che non permette nemmeno di difendersi dai nemici, se alla venuta di Cristo la situazione dell'ecumene non avesse subito un mutamento e non fosse diventata dappertutto più pacifica?»18, Dopo Origene - col cui passo appena citato il testo teodoreo, pur sviluppando il motivo in maniera diversa, presenta significative concordanze anche verbali - il tema era stato poi ripreso e aveva assunto una particolare rilevanza con Eusebio, che del rapporto provvidenziale fra formazione dell'impero romano e avvento del cristianesimo fece uno dei cardini della propria visione di teologia politica, soprattutto nella connessione fra monarchia universale e pace universale come conseguenza dell'eliminazione dei conflitti fra i singoli stati. Dopo Eusebio tale tema diventa motivo ricorrente negli scrittori cristiani 19, ed è interessante come ad esso prestino attenzione e diano rilievo anche teologi di ambito antiocheno quali Diodoro di Tarso, Giovanni Crisostomo e Teodoreto di Ciro20. Il

18 Origene, C. Cels. 2, 30, 14-33 B. EUTprnl!;ovi:oç TOU 0rnu Tji 1),1:JaoKaÀ.lç; auwu LCl E6vri, 't'.va 'UJtò Eva yÉvrrcaL -céòv 'Pcoµal.oov f3aotÀ.Éa, KaÌ. µt] &tCl LÒ :n:pocpCloEL -cWv rroÀ.À.oov flamÀ.ELOOV aµLKTOV TOOV è0voov itpÒç aÀ.À.11À.a xaÀ.EltCOTEpov yÉV'lTUl TOLç l'>dstç ciiç ÈK 1tEpt61'>ou 'tlVOç. Le due locuzioni oltre che della terminologia retorica e filosofica risentono probabilmente anche del linguaggio mi-

79 Koppen, Die Auslegung ... , pp. 39 e 87; sulla stessa linea di Teodoro si schiera T eodoreto, la cui posizione è illustrata dal Koppen a pp. 85-86.

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litare, con riferimento alle manovre di avvolgimento e accerchiamento: basti qui ricordare Tucidide 4, 35, 3. 3, 14. Proseguendo sulla sua linea esegetica, Teodoro conclude chiarendo che con la citazione scritturale da Dt 6, 13 (Mt 4, 10, Le 4, 8) «Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo renderai culto» Gesù risponde in quanto uomo tentato, non in quanto Dio che parla di se stesso: tale risposta quindi non va interpretata come se Gesù dicesse «Adorerai me tuo Dio», ma si riferisce in termine generale a Dio includendo, commenta Teodoro, insieme con Dio Padre il Verbo e lo Spirito Santo. Da queste ultime parole di Teodoro il Neumann (Iuliani ... , p. 130) ricava che secondo Giuliano con la citazione scritturale da Dt 6, 13 Cristo avrebbe vietato l'adorazione sua e dello Spirito Santo e quindi che Giuliano a differenza di Celso (presso Origene, C. Cels. 2, 1 e 7) escluderebbe che Gesù stesso intendesse presentarsi come Dio. Tale ipotesi è per altro in contrasto con quanto supposto poco prima dallo stesso Neumann, che cioè in base all'interpretazione di «Non tenterai il Signore Dio tuo» come riferito da Gesù a se stesso «miratus erat lulianus diaboli temeritatem in tentationem vocantis deum». Probabilmente il chiarimento finale di Teodoro è solo un completamento alla propria interpretazione di i:òv 8e6v della citazione di Dt 6, 13, come prova il fatto che esso è espresso nella forma di una breve postilla (KaKeivo M Ìl.eKi:fov) e con tono non polemico ma puramente esplicativo: nell'ambito infatti dell'esegesi teodorea che riferiva le risposte all'umanità e non alla divinità di Cristo poteva sorgere il dubbio che il 8e6ç che Gesù non riferisce immediatamente a se stesso fosse Dio Padre e che quindi solo Dio Padre debba essere oggetto di adorazione. Che tale spiegazione sia data alla fine del commento dell'episodio delle tentazioni è fatto risalire dal Koppen (Die Auslegung ... , p. 66) ad influsso del Vangelo di Matteo, dove tali parole sono alla conclusione delle tentazioni (mentre in Luca le tentazioni terminano con la citazione di Dt 6, 16): è probabile però che sia stata piuttosto l'esegesi di (µii ÉK:n:upacrelç) Kupwv i:òv 8e6v crou, condotta nel paragrafo 13, a richiamare Teodoro alla tentazione del pinnacolo del tempio per completarne l'interpretazione con una postilla sul relativo Kupwv i:ÒV 0e6v crou (:n:pocrKUVTJOELç).

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Frammento4 Il testo è stato da me pubblicato per la prima volta in Frammenti ... , pp. 149-157. La pericope evangelica in questione è quella della moltiplicazione dei pani e dei pesci, episodio in cui Marco (6, 40) e Luca (9, 14) presentano una divergenza. Secondo la tradizione testuale più diffusa, infatti, il primo riporta che la folla si dispose a sedere per gruppi di cento e di cinquanta (Km:à ÉKm:òv KaÌ. Km:à 1tEYt:T)KOYta B S D 21 bo come si ricava dalla edizione di A. Merk 111992: à.và ÉKm:Òv KaÌ. à.và 1tEYtT)KOYt:a gli altri testimoni eccetto 33 1689 983 245 291 485 a ci 1 r sys che omettono il secondo à.va. e p45 che omette tutto), mentre Luca parla di gruppi di (circa) cinquanta (woEÌ. à.và 1tEYtT)KOVi:a p75 (ut vid.)S B CDL R::: 33 157 579 892 1012 12411342 2542 Lvt (e) Cs Or (38): à.và 1tEV'tT)KOvi:a gli altri testimoni eccetto à.và ÉKai:Òv KaÌ. à.và 1tEYtT)KOYta 8, secondo il

NTGLc). Il catenista segnala però che «colui che scrive in risposta a Giuliano» e altri esegeti hanno presente una situazione testuale opposta, in quanto leggono àvà ÉKai:Òv KaÌ. à.và 1tEYt:T)KOYt:a in Luca e woEÌ. à.và 1tEV'tT)Kov1:a in Marco, e a testimonianza di ciò riporta per esteso le relative esegesi. «Avendo l'Apostata accusato gli evangelisti di contraddizione perché l'uno dice àvà ÉKm:ÒV KaÌ.1tEV"tT)Kovi:a , mentre l'altro solo wç à.và 1tEYt:T)Kov1:a, la replica afferma che è vana la sua accusa basata sul fatto che l'un evangelista disse che si disposero a sedere àvà 1tEV"tT)Kov1:a, cioè Marco, mentre l'altro Ka1:à ÉKa1:òv KaÌ.1tEV"tT)Kov1:a, cioè Luca». Innanzi tutto due osservazioni. Il confutatore di Giuliano a cui il catenista fa riferimento è senza dubbio Teodoro di Mopsuestia; dopo infatti che nella prima citazione dell'opera contro Giuliano (fr. la di questa edizione) ne ha riportato per esteso titolo e autore, in seguito il catenista fa riferimento al titolo abbreviato o addirittura lascia il testo anepigrafoBO quando a un passo di Giuliano fa seguito la confutazione. Stile e procedere argomentativo confermano poi senz'altro l'attribuzione a Teodoro.

In secondo luogo è da notare che Teodoro viene ricordato insieme con altri esegeti per una variante testuale che, a quanto risulta dagli apparati cri80 Guida, Frammenti ... , p. 150 sgg.

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tici delle edizioni moderne del Nuovo Testamento - ad es. di H. von Soden, di A. Merk 111992 e di Nestle-Aland 261983 - e dalle citazioni dei Padri della Chiesa segnalate nei Biblia Patristica8I, non pare altrimenti attestata82. Nel caso di Teodoro, tuttavia, potrebbe anche trattarsi di una svista del catenista (o della sua fonte); questi, infatti, non riporta le parole stesse di Teodoro, ma le parafrasa, e al suo intervento sono probabilmente dovute le aggiunte chiarificatrici olov ò MapKoç e ò\mtEp ò AovKa.ç: la (errata?) identificazione di ò µÉv con Marco gli potrebbe essere stata suggerita da avaKÀ.L8iivm presente nel testo di Marco, che si riferisce però anche al membro seguente ò oé83. Quanto agli «altri esegeti», il catenista riferisce un solo altro passo, di cui egli stesso non conosce la paternità: in questo caso, comunque, non vi sono dubbi che l'anonimo ermeneuta avesse presente la situazione testuale esposta dal catenista 84. Per dimostrare l'inattendibilità documentaria dei Vangeli, Giuliano nel Contro i Galilei fece ampiamente ricorso a un criterio interno ai testi, quello cioè della OLacpwvta: l'individuazione di discordanze e contraddizioni tanto all'interno dei singoli Vangeli quanto fra i vari evangelisti doveva

81 Biblia Patnstica. Index des c#ations et allusions bibliques dans la littérature patristique, I: Des origines à Clément d'Alexandrie et Tertullien, Paris 1975; Il: Le troisième siècle

(Origène excepté), Paris 1977; III: Origène, Paris 1980; IV: Eusèbe de Césarée, Cyrille de Jerusalem, Épiphane deSalamine, Paris 1987; V: Basile de Césarée, Grégoire de Nazianze, Amphiloque d'Iconium, Paris 1991. 82 Il codice di Koridethi (e 050; E>; 038 Gregory) presenta, come si è visto, o.va ÈKm:òv Kal o.va 1tEV,rJKovrn sia in Mc 6, 40 sia in Le 9, 14. Ma si tratta solo di uno dei tanti casi di armonizzazione di quel codice: d. H. von Soden, Die Schri/ten des Neuen Testaments in ihreriiltesten e"eichbaren Textgestalt, I. Teil Il.: Untersuchungen, Berlin 1907, p. 1301.

83 Si noti anche che, secondo il testo offerto dal codice palatino, Giuliano aveva presenti le lezioni dw86n ,p61t itÀYJ8El ,iÌlv ÈanwµÉvwv ,Ò 8aiiµa Éf;a[pwv, éin Kal ì.\o,;epoç MapKou m,aii,a Ì.m:opiÌlv. Il passo potrebbe essere una superfetazione sul testo non ben interpretato di Teodoro; ad ogni modo si tratta indubbiamente di farina di sacco bizantino.

,o.

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fornire la prova dell'inattendibilità della loro testimonianza, da respingersi quindi complessivamente come equivoca e falsa. Tale forma di critica ha dietro di sè una lunga tradizione, in quanto le divergenze nel racconto dei vari evangelisti costituivano da tempo uno dei punti più delicati per la critica neotestamentaria. In ambito cristiano i problemi posti dalle diafonie, oggetto di discussione fin dai tempi di Papia, erano divenuti un termine obbligato di confronto, passaggio obbligato per tutti i maggiori esegeti, come, per fare solo qualche nome, Ireneo, Taziano, Clemente Alessandrino, Origene, Sesto Giulio Africano, Eusebio di Cesarea, Epifanio di Salamina, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Gerolamo, fino al De consensu evange-

listarum di Agostino, l'opera che per l'organicità della trattazione e il prestigio dell'autore costituì nei secoli seguenti il punto di riferimento classico per la critica neotestamentaria85. Come già gli gnostici, i polemisti pagani nei loro scritti non mancarono naturalmente di sfruttare il problema delle diafonie per gettare discredito sugli evangelisti e negare così attendibilità alla loro testimonianza complessiva. Se già Celso aveva fatto qualche rapida puntata in tale settore, fu soprattutto Porfirio, profondo conoscitore tanto dell'Antico che del Nuovo Testamento, a concentrare decisamente le armi della sua critica su quel particolare tipo di aporia testuale costituito dalle diafonie, e con un esame quanto mai attento e puntiglioso mise in luce tali contraddizioni sfruttandole per negare qualsiasi credito ai Vangelz86. Anche Giuliano, che nel comporre il Contro i Galilei ebbe come punto di riferimento principale, secondo l'esplicita testimonianza di Libanio, Or. 18, 178, la grande opera del «vecchio di Tiro», nell'ambito della critica agli scritti neotestamentari, a cui erano dedicati il secondo e il terzo libro della sua opera, si impegnò con particolare cura a

85 Il problema esegetico delle diafonie, dagli inizi fino a Sant' Agostino, è trattato nel fondamentale lavoro di H. Merkel, Die Widerspruche ... , 1971; sul periodo più antico e in particolare per Celso e Origene utili indicazioni sono offerte anche da R M. Grant, The Earliest Lives o!]esus, London (e New York) 1961. H. J. Vogels, St. Augustins ... , offre un accurato studio del De consensu Evangelistarum. 86 Sull'atteggiamento di Porfirio rispetto al N.T. e sul suo frequente ricorso all'argomento diafonico, oltre a Merkel, Die Widersprztehe ... , pp. 13-18, d.: J. Geffcken, Zwei ... , p. 300 sg.; P. de Labriolle, La Réaction ... , p. 251 sgg.; O. Gigon, Die antike Kultur ,md das Christentum, Giitersloh 21969, p. 119; A. Meredith, Porphyry ... , p. 1130.

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porre in evidenza le contraddizioni fra i racconti degli evangelisti: ciò si evince chiaramente dal fatto che dei pochi frammenti superstiti del II libro (frr. 1-16 Neum., corrispondenti, con qualche aggiunta e variazione ai frr. 90-107 Mas.) tre concernono specificamente le diafonie: il fr. 1 Neum.

(90 Mas.) rileva divergenze fra Matteo e Luca a proposito della genealo-

gia di Cristo87; il fr. 7 Neum. (95 Mas.), tramandato dalla Catena palatina e che esamineremo in dettaglio più oltre (fr. 8 della Replica), contesta l'intervento consolatorio dell'angelo nel Getsemani, riferito da Le 22, 43, sulla base del fatto che l'episodio è taciuto da Giovanni, che pure era stato uno dei discepoli che avevano accompagnato Gesù nell'orto degli olivi; il fr. 8 Neum. (96 Mas.)88 a proposito degli avvenimenti immediatamente successivi alla resurrezione di Cristo accusa gli evangelisti di contraddirsi sia nella cronologia degli avvenimenti sia nel riferire le azioni delle donne recatesi al sepolcro. La Catena palatina ci rende nota nel frammento ora in esame una diafonia contestata da Giuliano a proposito di differenti numeri riferiti da Marco e Luca nell'episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Le parole di Giuliano, che Teodoro come in altri casi probabilmente citava alla lettera, vengono invece parafrasate dal catenista; questi inoltre, dopo aver introdotto con parole proprie la replica

(lJ àvtlppl']mç -AouKéiç),

pare ritagliare e collegare male, piuttosto che rimaneggiare di suo, la citazione del testo teodoreo, creando così delle oscurità e difficoltà di interpretazione che forse per noi sono anche accresciute da qualche guasto testuale. Soggetto di

µri EiXE (4, 3) potrebbe essere Giuliano o l'evangelista

(Marco o Luca che sia) a cui Teodoro attribuisce la lezione Km:Ù ÉKm:Òv KaÌ. Ka-tù rtEVl:rJKovta, mentre soggetto del seguente EiXE non può essere che Giuliano. Nel caso che soggetto di

µri

EiXE fosse l'evangelista, il se-

condo EiXE potrebbe essere corretto in EiXEç, con l'ipotesi di un'apostrofe

87 Cf. Porfirio, C. Christ. fr. 6 Hamack; inoltre Neumann, Iuliani ... , p. 16 sg.; cf. anche più sotto, pp. 199-201, Appendice, test. I. 88 Da completare con la testimonianza di Giovanni di Tessalonica segnalata da A. Brinkmann, Klassische Reminiscenzen, in "Rhein. Mus." 60 (1905) p. 632: cf. Appendice, test. VII. Si vedano anche tutte le altre testimonianze di diafonie contestate da Giuliano e discusse da Teodoro che ho raccolto nell'Appendice.

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a Giuliano quale si ha più sotto con a:rimu'iç. Quanto a KaÌ Kai;à :rtEV"tT)Kovi:a, ho inteso il Kal come parte della citazione, ma non si può escludere un collegamento con µ'Ì] EiXE: se non aveva anche «per cinquanta» (così nella ed. princeps). Di primo acchito ano i;ou Évoç, dipendente

da EcpTJ che regge anche i:à aµcponpa, è poco perspicuo, ma trova riscontro e chiarimento nel successivo (l:J'I() "tO'U :rtÀ.ELovoç wvoµaOEV aui;ouç. Riguardo ad o.À.À.ùlç l'IÈ Kal (3) che ricorre anche nei frr. 5b, 2 e 8, 10, nella ed. princeps di questo frammento ero rimasto incerto se andasse mutato nel più

comune o.À.À.ùlç "tE Kal, secondo la correzione di Fritzsche in fr. 8, 10. La locuzione, impiegata da Teodoro anche in Comm. in Ps 41, p. 260, 23 Devr., va invece senz'altro mantenuta, come ho mostrato in Per un'edizione ... , pp. 100-101 sulla scorta anche dell'uso, fra gli altri, di Plutarco e di Giovanni Crisostomo; la sua funzione è di confermare la dimostrazione precedente introducendo un nuovo argomento. Una nota merita anche 6u:x0pu,jnç (5), della cui accezione di 'frazione', 'divisione' i dizionari non producono esempi; di ascendenza veterotestamentaria è l'uso in tale senso del verbo 1'1La0pu:rii;w: cf. Lev 2, 6 nonché Is 58, 7 l'ILa0pu:rt'tE JtELVOJV"tl "tOV api;ov oov, ripreso nella Epistola di Barnaba 3, 3 e da Gregorio Naz., Or. 14, 1 (PG

35, 860a, citato già da Lex. Vindob. 6 44 Nauck) 6m0pu1j!m mLvwm i;ov TIVEtJµU"tLKOV api;ov. Quanto al carattere e al contenuto della risposta alle obiezioni di Giuliano, l'esegeta imposta la sua argomentazione senza ricorrere a scappatoie, come quella ad esempio, non di rado sfruttata da ermeneuti cristiani precedenti, che le divergenze non sussistono in quanto gli evangelisti tratterebbero in realtà di episodi differenti: egli ammette le differenze nel racconto dei Vangeli, ma le spiega e le giustifica sostenendo che mentre un evangelista riferisce con precisione di dettagli, l'altro, meno interessato a un tale tipo di esattezza, dà un'indicazione che è sì più generica, come awerte d'altronde lo stesso wç prima del numerale, non però errata. Tale impostazione ermeneutica concorda perfettamente con i caratteri dell'esegesi teodorea in analoghe questioni di diafonie quali sono stati ben evidenziati da H. Merkel nell'esame del Commento a Giovanni: «Teodoro è il primo esegeta della chiesa antica che ritiene possibili divergenze fra i Vangeli e non deve ricorrere a sottigliezze argomentative per venirne a ca-

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po»B9. Mentre altri esegeti cercavano di far concordare i racconti degli evangelisti anche nei minimi dettagli, Teodoro, insofferente di un tale metodo, che è spesso costretto a ricorrere ad argomentazioni speciose e cavillose, del genere di quelle in cui si distingueva in quegli anni soprattutto Epifanio di Salamina, accetta invece che l'uno o l'altro evangelista possa essere stato più o meno preciso nei particolari: difetto di specificità non significa errore. Per tale atteggiamento, che bada all'accordo sostanziale degli evangelisti senza dare troppo peso alle minuzie dei dettagli, e in parallelo a µl] 1tpoç UKPL~ELUV ... 1:L OÙV uùi:òv E"tl 1:l]V aKpL~ElUV a1tm1:EÌ:ç; del nostro passo (3-4; analoga espressione in Comm. in Mt 11, 28-30, fr. 67, 1 Reuss), si confronti quanto Teodoro scrive nel Commento a Giovanni a proposito delle divergenze fra gli evangelisti nel racconto degli episodi successivi alla resurrezione: «A mio giudizio, per provare la verità delle cose dette non si richiede altro che il grande accordo mostrato nei punti fondamentali; nelle minuzie (1tEpt i:ò aKpL~Éç), invece, e in quelle cose alle quali in quanto uomini dettero poco peso, le loro parole si trovano a non concordare ... ma poiché volevano narrare i fatti e ognuno di loro scriveva per conto proprio la sua storia, necessariamente di conseguenza si aveva una divergenza nelle minuzie»90. 89 Merkel, Die Widerspriiche ... , p. 188. Tale posizione di Teodoro è la conseguenza del fatto, continua il Merkel, che egli considera i Vangeli come un resoconto, senza appoggiarli alla formale ispirazione e quindi autorità dello Spirito Santo. Sulla dottrina di Teodoro in merito all'ispirazione dei testi biblici è da vedere anche il capitolo che le dedica D. Z. Zaharopoulos, Theodore ... , pp. 78-103. Dopo aver trattato particolarmente dei testi veterotestamentari, mettendo in luce le novità della posizione teodorea lo Zaharopoulos (senza conoscere o fare riferimento al Merkel) rileva: «lt was especially in his writings dealing with the New T estament that Theodore gave the human factor such prominence that we cannot credit him anymore with a traditional view of inspiration. The autonomy of the authors was explicitly emphasized» (p. 88). Più oltre (p. 123) viene espresso il giudizio che «in point of fact, in the field of patristic exegesis, no exegete, to our knowledge, stressed the principles of a rational exegesis with greater emphasis and universality then the bishop of Mopsuestia». Analogamente già R A. Greer, Theodore ... , pp. 114-119, dopo essersi soffermato in particolare sul rapporto fra i sinottici e Giovanni, conclude rilevando come «his (di Teodoro) refusal to get bogged down by small discrepancies in the various accounts, as well as his realization that such discrepancies were inevitable - ali this is in quite a modem spirit» (p. 118 sg.). 90 Teodoro Mops., Comm in Io, trad. lat. Vosté, p. 244, 23 sgg. (anche p. 252, 7): cf. sotto, p. 208 sgg., Appendice test. VII. Per altro, dopo un «accurato esame» anche delle «minuzie», nel Commento a Giovanni, così come anche a conclusione del frammento

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A proposito della divergenza nelle indicazioni numeriche fra Marco e Luca è opportuno ricordare che la questione fu affrontata anche da Agostino nel De consensu evangelistarum, composto intorno al 400. Non sappiamo se in questo caso il vescovo di lppona replichi all'obiezione di un autore specifico; è interessante comunque notare che la soluzione da lui proposta corrisponde sostanzialmente a quella di Teodoro, e che cioè l'un evangelista parla solo di una parte, mentre l'altro del tutto: Sane praeter-

mittere non oportet hoc loco intentum et ad cetera quae talia forte occurrerint Jacere lectorem, quia Lucas dixit quinquagenos iussos esse discumbere, Marcus vero et quinquagenos et centenos. Quod hic ideo non movet, quia unus partem dixit, alter totum; qui enim etiam de centenis rettulit, hoc rettulit quod ille praetermisit; nihil itaque contrarium est91, Da tale spiegazione Agostino ricava anzi una regola ermeneutica generale a cui ricorrere in casi analoghi, come quello di Mt 21, 2, Mc 11, 2, Le 19, 30, dove recor-

danda est illa regula quam de quinquagenis et centenis discumbentibus, cum quinque panibus turbae pascerentur, supra insinuavimus 92, Anche se l'esegesi agostiniana non replica probabilmente a un'obiezione specifica di un determinato avversario, ma rientra piuttosto in un esame sistematico di tutte le divergenze che un qualsiasi lettore può rilevare fra gli evangelisti93, la nuova testimonianza giulianea e la replica teodorea

qui in esame, Teodoro rileva un «perfetto accordo» anche nei punti che di primo acchio «sembrino discrepanti» (p. 245, 3 sgg.). L'articolazione della risposta El µÈv yàp µii

elxe 1aè>oxi'Jç), ugualmente in riferimento alla natura umana di Cristo. - A.oy1aµ0 KCXL KpLaEL JtoA.1nu6µEvoç. La natura dell'uomo, e quindi di Cristo in quanto vero uomo, è costituita, secondo la concezione antropologica dicotomica che Teodoro condivide con gli altri antiocheni, di un corpo mortale (aooµa) e di un'anima immortale e razionale (1jluXTJ)148. Per connotare l'anima razionale Teodoro ne indica le due funzioni qualificanti, intelletto e giudizio, secondo una terminologia tecnica filosofica che è documentabile ad esempio nel manuale di filosofia medioplatonica tramandato sotto il nome di Alcinoo e nella Para/rasi all'Etica Nicomachea detta di Eliodoro, ma che per altro già in un autore cristiano come Eusebio ha assunto un carattere formularel49. Mediante tale terminologia nel nostro passo trova quindi chiara espressione la visione teodorea secondo cui «reason carries with it a double capacity: the ability to learn what is right and what is wrong and the ability to choose what seems good to the agent», come scrive Norris, Manhood ... , p. 130. La trattazione dello studioso in-

147 Ad es. nei Commenti ai profeti minori (ed. Sprenger): Os 3, 5, p. 20, 20-21 (i3aOLÀ.ei, Zopoi3ai3ÉÀ. ... ÉK mii Ll.aull\ rnrnyoµÉvq,), Am 1, 11, p. 113, 21-22 o, µÈv ÉK mii "Hom'.J, OL lìÈ ÉK mii "laKwi3 rnrnyoµEVOL), Abd p. 157, 21-22 (muç 'lopa11À.l,aç ... ÉK mii laKwi3 Ka,ayoµÉvouç, come è da leggere col Wegner, invece di Ka,ayoµEvo,). Nel medesimo significato Teodoro impiega alternativamente anche Ka,étyw ,Ò yÉvoç ÉK, come in Comm. in proph. Abd p. 157, 12-13 Sprenger, Comm. in Mt 1, 16 (fr. 3, 18 Reuss) e 2, 1 (fr. 6, 10). 148 Sulla concezione dicotomica dell'uomo in ambiente antiocheno si veda S. Zincone, 0

Giovanni Crisostomo. Commento alla Lettera ai Calati. Aspetti dottrinali, storici, letterari, L'Aquila 1980, pp. 78-90; Id., Studi ... , pp. 9-19; P. Carrara, Cristologia e antropologia nei Padri Antiocheni, in "Riv. di ascet. e mist." 17 (1992) pp. 377-396. Delle concezioni dicotomica e tricotomica dell'uomo nella filosofia greca e del loro influsso su Paolo e le posizioni cristiane tratta A. M. Festugière, La trichotomie de I Thess. 5, 23 et la philosophie grecque, in "Rech. Se. Rei." 20 (1930) pp. 385-415. 149 Alcinoo (ovvero Albino), Didask. 178, 28 Whittaker (ivi 177, 4 e 9 per µétxw8m usato per la lotta fra passioni e À.oy ,oµoç); ps. Eliodoro, in Ar. Eth. Nic. CAG 19 pp. 58, 10 e 167, 14 Heylbut. Per gli autori cristiani, oltre al frequente uso di Eusebio (Praep. Ev. 6, 6, 24; 7, 8, tit. e 12; 15, 61, 11; Dem. Ev. 1, 1, 17; 3, 4, 30), si ricordi anche Atanasio, C. gent. 31, PG 25, 63bc. Quanto al dativo con il medio noÀ.«eum8m, l'espressione teodorea è improntata all'uso ellenistico vetero e neotestamentario (cf. 2 Mac6, 1; 3 Mac 3, 4; 4 Mac 2, 8; 4, 23; 5, 11; Act 23, 1)

177

COMMENTO FR. 8,

5

glese p. 21 sgg., in particolare 125-136 e 149-159, fornisce una approfondita analisi della dottrina teodorea dell'anima e della relazione anima corpo. Tale analisi mette chiaramente in luce gli elementi e gli influssi (neo)platonici nella distinzione e qualificazione delle caratteristiche delle due componenti dell'uomo - mortalità del corpo, immortalità dell'anima - e la differenziazione dal pensiero (neo)platonico, in quanto Teodoro non distingue vouç da lJ!UXfJ e vede l'anima non come facoltà contemplativa bensì «as a faculty whose noblest function is seen in the guidance of moral conduct and in the making of moral choices» (p. 129), direttamente responsabile (funzione della volontà legata all'anima, di contro all'intellettualismo neoplatonico) della scelta del bene e del male, influenzata per altro, ma non decisivamente, dalla debolezza della carne e dalla sua propensione a peccare, come mostra nel successivo § 61' opposizione di lJ!uxiìç ... :n:po8uµou µÉv11ç Àoy1aµéji al.pei.a8m e aooµm:oç iha:n:Gti:ovi:oç i:n lìetÀtTJÀOOoavi:oç i:6i:e. L'avverbio 'allora' si riferisce alla situazione nel Getsemani, quando Gesù svegliava i discepoli esortandoli ad alzarsi e pregare (dç itpooeuxiiv l'>mvaoi:11011). Ingiustificata l'interpretazione del Pirot, L'Oeuvre ... , p. 207, che parafrasa: «Supposé mème qu'ils n'aient rient vu, Jésus a pu, avant son Ascension, les instruire de ce qui s' était alors passé pour les exciter à mieux prier». Quanto al genitivo assoluto «grazie a Gesù che accennò loro», non mi pare sia da collegare strettamente alla principale opàv l'>È i:ÒV ayyeÀ.ov ouvÉj3mvev (col senso che gli apostoli videro l'angelo dopo che Gesù aveva accennato a quanto accadutogli durante la preghiera), ma che si tratti piuttosto di un anacoluto che presuppone sottinteso dal contesto che 'gli apostoli seppero dell'angelo', da Gesù stesso. Anche in questo caso - come già si è visto nei frammenti 3, 2; 3, 8 e forse 2, 7 - lo sviluppo di ulteriori ipotesi esplicative porta Teodoro a collegare e sovrapporre piani sintattici non perfettamente omogenei.

Frammento 9

Teodoro risponde in questo passo alla questione posta da Giuliano, per quale motivo Cristo non avesse compiuto alcun miracolo dinanzi a Erode. Il problema del mancato manifestarsi di Cristo tramite miracoli in occasione della passione è sollevato in termini analoghi dal pagano citato da

Mosco, Prat. spir. 17 PG 87, 2865a; non è pertinente invece l'altro passo a cui rimanda, Atanasio, De virg. 13, p. 47, 2 von der Goltz, dove i:pli:ov vale 'per la terza volta'.

186

COMMENTO FR.

9, 2

Macario di Magnesia: 1:lvoç xap1v ò Xp1mòç Jtpooax0dç 1:WV'l'JOEV ÙÀ.EKi:puwv "wç OÈ 'Y)PVYJOU1:0 ,:e, i:pli:ov,

cundum verbum Domini nostri

i:6n ÙÀ.EK'twp EKpa!;E OEui:ipav

renegasset, denuo cantavit, quasi

q:>wvriv, i:p6nov nvà Èmµapi:u pwv

testimonium perhiberet de veritate

i:fi Ù'ljlwol~ i:ou Kuplou KaÌ. 'iva

praedictionis. Curae ergo fuit evangelistis hoc tantum manifestare; un-

à.vaµvrion i:ov Ilhpov c1v ÈÀ.aì..11OE KaÌ. f\KOUOE napà i:ou Kuplou.

o

de et pariter dixerunt: «Non cantabit gallus, donec terme neges» (Mt 26, 34; Le 22, 34; Io. 13, 38), volentes significare: quia discutis et putas scire melius quam me quae futura sunt, definiet discussionem nostram gallus; non enim cantabit iuxta naturae legem, donec cantu suo testimonium perhibuerit de tua negatione, probans veritatem verborum meorum et redarguens arrogantiam tuorum verborum. ( p. 189, 5) Haec ergo verba: «Non

(p. 385, 19-24; cod. E) oi:E oùv i:o

cantabit gallus, donec neges» (Io 13, 38) ita dicit: tempore hoc non se-

npwi:ov ripvriom:o, ~ouÀ.rJOEL i:ou Kuplou opvLç napà 'tOV Kmpov

o

cundum cursum naturalem canta-

Èq:>0iy!;ai:o · oi:E OÈ ,:o i:pli:ov ripvri-

vit bis, sed secundum voluntatem

oai:o, i:6n Kai:à i:-ì,v wpLoµiv11v

et praeceptum Domini ad redar-

wpav ÈKwKuoEv.

guenda verba Petri. Postea autem secundum naturae cursum cantavit. Marcus ergo, ipso Petro volente,

o OÈ

MapKoç Km:Ù yvwµ'l']V 'tOU

203

APPENDICE -TEST. IV-V

haec magna cum cura descripsit, at-

IIÉi:pou imayopEuoaç ,:o EÙay-

que dixit quoties clamaverit gallus

yÉÀ1ov, EiJtE KUL ooaK1ç È1mpwv110E

in Simonis abnegatione: volebat

,:fi apvr)OEL ,:o opvrnv, OOOUVEL ,:m,

enim beatus Petrus ut in Scripturis

IIéi:pou 0éì-..ovi:oç ompéonpov

correptio suae culpae manifesta-

KEto0ai i:riç Lolaç aµapi:laç i:òv

retur.

i!ì-..qxov.

V Su una divergenza fra Giovanni 19, 17 e i sinottici nel racconto della via crucis Teodoro Mops., Comm. in Io 19, 17 (p.

Fr. 135 Devr.

240, 7-27 tr. Vosté) Quidam etiam hic putarunt haud

(p. 412, 4-6) 'Evoµlo0ri lha-

concordare verba evangelistarum in-

q,rovla ,:iç dvm 1Cav,:au0a ,:i-

ter se; quia Iohannes (19, 17) dixit:

01, i:ou µÈv 'Iroavvou ì-..Éyov-

«Baiulans sibi crucem exivit», dum

,:o; l,,:i «Bao,:af;rov i:òv o,:au-

alii (Mt 27, 32, Mc 15, 21, Le 23, 26)

pòv

scripserunt: «Apprehenderunt Si-

Àorn:éiìv l,,:i I lµrov1 Kuprivalq>

monem Cyrenaeum, ut tolleret cru-

,:Òv o,:au pòv ÉitÉ01J1Cav. Ùµ-

cem eius». At utrumque contigit.

q,6npa OÈ Èy Évci:o.

U1J1:0U

É~TjÀ0E»,

1:éiÌV



Cum enim Pilatus sententiam in eum tulisset eumque tradidisset eis cru-

(p. 412, 7-10; cod. E) "Aµa oùv

cifigendum, imposuerunt ei crucem

Kanù 1Kùo811 é, Xp 10,:oç È1té011Kav

et ita eduxerunt eum e tribunali. variae locum, uhi erat crucifigendus,

aircq'> ,:;Òv crtaupOV a'lrtOU, èmt6vteç OÈ ht ,:ov foì-..yo0&. ùn:rivi:rioav Ilµwv1 ,:qi Kuprivalqi KUL µci:ri-

inciderunt in Simonem eique cru-

yayov a'U'rOv Èrc'ÈKeLvov. KaL Ovi::wç

Dum autem procedebant ad Cal-

cem imposuerunt. llii ergo evange-

OÙùEµla ùiaq,wvla n:apà i:o"tç EÙay-

listae hoc dicere voluerunt. Iohannes

yEÀtoi:atç.

vero, hic etiam scopo suo intentus, narravit tantum quod aliis deerat. Et

204

APPENDICE -TEST. V-VI

ne extendamus librum, repetendo fuse quae ab aliis dieta sunt, pono hic, in certam confirmationem verborum illorum, Lucae (23, 26) verba tantum: «Et cum ducerent eum, apprehenderunt quemdam nomine Simonem Cyrenaeum, venientem de agro, et irnposuerunt ei crucem eius, et sequebatur eum». Ergo lohannes hoc dixit: «Baiulans sibi crucem, exivit», Lucas vero: «Cum ducerent eum, imposuerunt crucem eius super Simonem Cyrenaeum, venientem ab agro». Evidens est hoc posterius accidisse, dum procedebant per viam, illud autem, statim ac decreta est in eum mors, quando exivit e tribunali.

VI Sulla divergenza riguardo all'ora della crocifissione di Cristo fra

Mc 15, 25 e gli altri evangelisti L'obiezione era già in Porfirio (presso Pacato: cfr. Harnack, Neue Fragmente ... , p. 276 n. 2); cfr. anche P. de Labriolle, La réaction ... , p.

497 e G. Rinaldi, Tracce ... , pp. 106 e 110; Bibl. gent. nr. 433. Teodoro Mops., Comm. in Io 19, 14 (p. 238, 32-239, 17 tr. Vosté) «Erat autem parasceve», id est feria sexta hebdomadis, et «hora itidem (sexta)» (Io 19, 14). Pro illis qui putant evangelistarum verba sibi contradicere, aliis dicentibus «Hora tertia», aliis «Hora sexta», oportet circa hoc necessario aliquid dicamus. Pariter atque lohannes, dixerunt Matthaeus (27, 45) et Lucas (23, 44) ab hora sexta tenebras fuisse. Statirn enirn atque exivit Pilatus ac sedit pro tribunali, tradidit Iesum crucifigendum; et postquam cruci affixus est, inceperunt tenebrae esse, prout dixerunt evangelistae. Quod autem Marcus (15, 25) dixerit horam fuisse tertiam, non est mirum propter multas rationes. Primo, quia his eventibus non fuit praesens; deinde quia non fuit discipulus Domini nostri, sed a Petro vel ab aliquo alio apostolo didicit; tertio, quia de momentis et horis omnes homines diverse opinantur, nec ullum detrirnentum advenit narratis factis ex dubio circa horas. Insuper oportet praecipue notemus,

205

APPENDICE -TEST. VI-VII

Marcum non de facto aliquo determinato et noto dicere horam fuisse tertiam. Sed simplici modo ac generatim narrans quae evenerunt, recte dixit ea locum habuisse bora tertia, ita designans totum intervallum temporis quo haec evenerunt; deinde addidit: «Crucifixerunt eum». Ergo hoc: «Erat bora tertia», refertur ad narrationem omnium eorum quae interim evenerunt; illud autem: «Crucifixerunt eum», deinde additur ordinate quoad praecedentia.

VII Sulle divergenze fra i quattro evangelisti nel racconto della resurrezione di Cristo Da un frammento del libro 14 del Contro Giuliano di Cirillo, superstite in traduzione siriaca (fr. 18 ap. Neumann, Iuliani.... , p. 70, con versione latina di E. Nestle) siamo informati che Giuliano aveva sottoposto a serrata contestazione il racconto dei quattro evangelisti sugli episodi connessi alla resurrezione di Cristo: «Scribit evangelistas sanctos sibi contradicere, cum dicant: Maria Magdalena et altera Maria, secundum Matthaeum (28, 1), vespere sabbati cum lucescit prima sabbati venerunt in sepulcrum; secundum Marcum (16, 2) autem, postquam illuxit solque ortus est. Et apud Matthaeum (28, 2) angelum viderunt et apud Marcum (16, 2) iuvenem; et apud Matthaeum (28, 8) exierunt et nuntiaverunt discipulis de surrectione Christi et apud Marcum (16, 8) tacuerunt nemini quicquam dicentes. Propter quae vituperationem infert scripturis sanctorum et dicit eos stare adversus semet ipsos» (Giuliano, C. Gal. fr. 8 Neum.=fr. 96 Mas.). Alla critica giulianea, riscontrabile forse già nelle quaestiones III e IV a cui risponde Gerolamo nella Lettera 120 (cf. G. Rinaldi, in "Annali di Storia dell'Esegesi" 5 [1988] p. 98 sg.), fa riferimento anche Giovanni di Tessalonica nell'omelia Sulla concordanza dei racconti evangelici a proposito della resurrezione del Signore (ed. F. Combefis, Auctarium novum, Paris 1648, p. 813e; cf. A. Brinkmann in "Rheinisches Museum" 60 [1905] p. 632) KUL

aùx wç q>

dolorem, noluit sicut il-

le alla annoncer aux di-

KaÌ. 0.1tEÀ.0oucra 'tOtç

lae abire et quiescere,

sciples qu'il n'y avait

µa0l]i:a'iç O.VTJYYELÀ.EV,

sed ivit nuntiare disci-

pas de corps dans le

OLTJ0Eiaa µEi:à i:&v

pulis corpus iam non

tombeau, carelle pen-

µa0T]i:&v

esse in sepulcro, spe-

sait que, avec leur dili-

EÙpEiv · µEi:an0E'ia0m yàp avi:Ò ùmMµ~avE.

suum.

,:Ò

Mapta

aw µa

rans fore ut diligentia il-

gence, elle pourrait le

lorum corpus invenire

trouver; elle pensait en

1CaÌ. µEi:à 'tÒ 0.1tEÀ.0EtV

posset. Putabat enim

effet que quelqu'un

i:oùç µa0T]i:àç 1ta.À.1v

aliquem corpus e loco

d' autre l' avait emporté

EµELVEV iv i:c'ì> µvT]µELq>

213

APPENDICE - TEST. VII

dimovisse; hoc apparet ex verbis eius ad apostolos. Reversa est er-

quelque part. Quand e!le vint avec eux au tombeau et qu'ils ne l'eu-

go cum eis ad sepulcrum, et postquam illi abierunt, noluit ipsa recedere a sepulcro; itaque meruit etiam ante omnes videre Dominum nostrum suscitatum. (p. 247, 23) Ut hoc igitur ageret is evangelista,

rent pas trouvé et qu' eux s' en furent allés, meme ainsi elle ne se résolut pas à partir, si bien que, avant tous, elle fut favorisée de voir notre Seigneur après sa

ordine ipso eventuum coactus est. Quod autem aliae mulieres venerun t prius cum ea et dein reliquerunt eam et abierunt in locum suum, non censuit in libro suo scribendum esse. Hic enim fuit eius scopus; primo, ut ordinate narraret quae evenerunt; deinde ut manifestaret amorem quem Maria actu probavit; minime autem ut alias accusaret. Ex multis aliis revera facile est cuilibet volenti, scire magnam fuisse Mariae dilectionem erga Dominum nostrum.

214

résurrection. (p. 69) D'avoir clone fait cela, Jean y fut obligé par l'ordre des (choses) qui s' etaient passées; mais que !es autres femmes fussent allées d'abord avec elle et puis l'eussent abandonnée, il ne songea pas à l'exposer, son but à lui étant de raconter à la suite !es (choses) qui s' étaient passées et d'indiquer l'amour de Marie.

µovl] · f>Lò tcat npò mxvrisic.o0l] LlìE'ì.v i;Òv

i;oov

Kupwv.

APPENDICE -TEST. VII

(p. 247, 32) Magna cura fuitevangelistae hoc etiam ostendere. Sicut enim semper accusat incredulos, - hoc iterum recolimus, et iam ab initio diximus - ideoque narrat omnia nihil omittendo eorum quae nullam excusationem relinquant adversariis; ita iuste etiam vult publice honorare illos qui non tantum crediderunt, sed etiam magno amore fidem suam demonstrarunt. Accedamus ergo ad illud quod promisimus, et dicamus ordinem eventuum, quem etiam hic evangelista observavit in narratione sua, ostendamusque concordiam verborum Marci cum sociis eius. (p. 248, 4) Dicit igitur: Venit Maria

Fr. 138 Devr.

Magdalene tempore nocturno, ut adimpleret erga eum officium quod

(p. 414, 23-24; cod. E) l]'tlç É:1mlìi1

solebat fieri erga mortuos, et vidit

µovov Eil'>E 'tÒv ì..t8ov à:rtoKuÀ.t-

lapidem non esse positum contra

o0Év'ta,

sepulcrum, neque respexit aut intuita est intus. Hoc refert sermo

~À.0Ev à:rtayyE°LÀ.m 'toiç µa0TJ'taiç 'tau'ta.

0opu~ou :rtÀ.T)o0Eioa,

evangelistae. Festinavit tantummodo et attonita cucurrit ad discipulos. Et cum invenisset Simonem et Iohannem, qui scripsit haec, dixit eis: Tulerunt corpus Domini nostri, et ad locum alium quam priorem transtulerunt illud. Hoc audito, discipuli statim cucurrerunt desiderantes scire quid acciderit. (p. 248, 12) Currentibus illis duobus simul, lohannes praecucurrit

(p. 414, 24-29; cod. E) tilv ÉÀ.0moov

citius Petro, at intus non intravit;

.à µÈv o06vta d,pt\0TJ tM~, .ò l'>È

inspiciens autem, vidit posita lin-

ooulìapLOV '.)(OOpLç,

teamina. Venit deinde Simon, et ingressus sepulcrum vidit uno loco iacere omnia linteamina, alio vero sudarium solum quod fuerat super caput eius. Providentialiter hoc fe-

215

APPENDICE - TEST. VII

cit Dominus noster, ne putarent discipuli furtum aliquod commissum

'Lva µ11 -i:uµ~oopuxlav oì. µaElTJ-i:aÌ.

fuisse. Non enim corpus tantum

ÈVVOT]OùlOL KUL KÀ.03tT]V, ÙÀ.À.'O"tl

quis furatus esset, relictis linteis in

Ka"tÙ "tw] 6LÉ8pE'l(lE 3, 5; 6La-

l; lb, 2; 2, 2 (bis); 3, 2; 3, 4; 3,

5; 3, 6 (bis); 3, 7 (bis); 3, 8; 3,

8pÉ'l(lm 3, 5; 6m,:paq>T)vm 3, 5 fim,pL~f]V 2, 5

9; 3, 13; 3, 14; 4, 3 (ter); 5b, 2;

fiLaq>ÉpEL 3, 4

6,2;6,3;6,4;6,5;6,6;6, 7;

fiLaq>Euyw] fiLaltE(j)EUYO'tOç (m.) 7, 2

6, 9 (bis); 7, 2; 8, 6; 8, 8; 8, 9;

6mq>8t'ipm 7, 2

8, 10 (quinquies); 9, 1*

fiLU(j)OpOV (n.) 3, 4

fitt] EfiEL 3, 8

6Laq>wvov (n.) 4, 3

fiElKvuµL] fiElKvumv 2, 6; fiELKvuç

6L6aarnÀ.laç (gen.) 3, 5

3, 10; ,:Ò fiELKVUµEVOV 2, 2;

èb ELKVU,:O 3 , 8 6uÀ.lçt 8, 6 fiELÀ.Lç: ,ÒV 8ava,:ov 8, 5 fiEKamç 6LMvm 0Eq> 6, 9 Moµm] 6t6µtvov (n.) 2, 4; 6rnµÉvOLç (m.) la, 5 6tu,Époç l Èv n:pc.o,OLç ... Èv 6tu,ÉpoLç la, 2 6tiÀ.oç 9, 3 fil]Àéiì] fil]À.éiìv 2, 5; fil]À.ouv,:wv (n.)

2,8

230

fiLfiUOKW l fiLfiUOKEL 2, 6; fiLfiaOKOV'tOç (m.) 5b, 2 M6wµL] M6wç 6, 5; fiLMv,:wv (m.) 6, 7; fiLMvm 6, 9; M6oa8m 6, 7; 6oùvm 6, 7 6LtÀ.qxw] 6LfJÀ.q;tv 3, 13 fiLESLùlV 4, 3 6LO'tl 3, 12; 8, 9 6mitvL{;oµÉvwv (m.) 8, 10 6LXITTOµÉw] 6LXITTOµf]aaç 2, 3; 6Lxo,:oµT]8T)vm 2, 5 fiLxornµriµam 2, 5

INDICE TEODOREO

l'>odw l l'>oKwv 8, 5; l'>oKetv 3, 13;

9, 3; ;oav 8, 10; ov,;a 3, 8;

M!;n 2, 2 MKl](Hç l Èv l'>oKTJOEL 8, 5

OiJoav 3, 5; 7, 3; ,;a ov,;a 6, 5;

Mvaµm] Mva,;m 3, 5; l'>uvaµÉvq,

elvm 3, 12; 7, 2; em:m 2, 4 eme'iv vd. À.Éyw

(m.) 6, 4; l'>uvaµevov (m.) la,

elç 2, 4; 2, 5 (bis); 3, 12 (bis); 3, 13;

4; 3, 10; 9, 3 (bis); l'>uvaµÉvwv

5b, 2 ( Èç um:epov); 5b, 2; 6, 7

(m.) 4, 5; 11Mva,;o 3, 7; l'>uv11-

(ELç aKpov); 7, 2 (Èç i;aÙ,;o); 8,

8fjvm 6, 5 l'>uva,;ov (n.) 6, 4; 8, 8

10 (bis)

elç] Èvoç (m.) 2, 4; 4, 5; EVU la, 5; µla 6, 3; µtéiç 6, 3; ev 4, 5; 7,

Èav vd. KaV Èaui:ou 2, 4 (coniect.); 5b, 2; -c'ì> la, 4; -éòv la, 4 ; -ouç la, 5 Èyyam:plµu0ov 5a, 1 Èyyevfo0m 5b, 2 èyyuç 7, 3 Èyw] 鵃 3, 13; Y]µéÌJv la, 6 (bis); 6, 5; 6, 8 (coniect.); 6, 9; 8, 7; Y]µtv 2, 5; 3, 7 (,;Ò ÈQJ'Y]µtv); 3,

7 (ÈQJ'Y]µtv) bis; Y]µéiç lb, 1 ÈBÉÀ.w l ÈBÉÀ.wµev la, 6; ÈBÉÀ.etv la, 6; 6, 7; i\0eÀ.ev 5b, 2; vd. 0ÉÀ.w

eSvoç 6, 3 ; -EL lb, 1; -11 la, 6 (bis); 7,3*; -éòv la, 5; 7, 3* et ind.: la, 3; 3, 1; 3, 13; 4, 3 (bis); 6, 5; 7, 2; 8, 10 (e\'. ye); opt.: 2,

3; 6, 3 (bis); sine verbo: 4, 3

2; Èvoç 4, 3

eha la, 5 (rcaÀ.m µÉv ... el0'ai'i0tç) ÈK (È!;) lb, 2; 2, 4; 2, 5; 2, 7 (ter); 3, 2; 3, 12; 3, 13 (ÈK rcept6bou); 5b, 2; 7, 2 (bis); 8, 5; 8, 7 (bis) EKam:oç] -ov (m.) 4, 5; -m la, 4 ÈKa,;ov 4, 5 EKj3aotv À.aµj3avEL 6, 7 ÈKl'>el'>oµÉvwv (n.) 2, 5 ÈKE'ivoç]-ou (m.) 3, 5; 5a, 1; 9, 1*; -ot 9, 2; -otç la, 2; la, 4 (bis); -l']V

2, 2; 5a, 1;

-O

3, 14; 8, 10;

-q, lb, 1 Èni:od, 12 (bis) ÈKÀ.eyoµevoç la, 6 ÈKitELpasw l ÈKitELpasWV 3, 13; ÈKitEtpaom 3, 13*

elMì.wv la, 4

ÈKi:l811µt] ÈK0eivm 2, 5

erne ind. 6, 9

ÈK,;pÉitELV 3, 7

ELKoi:wç 3, 12

ÈÀ.ÉYXELç 6, 5

etµl ] Èm:t (v) la, 4 (em:tv); la, 6;

ÈÀ.itlç owi:11plaç la, 4

2, 2; 3, 2; 3, 7; 8, 4; ~ 6, 5; 6, 7;

ȵqJT]VUç 4, 3

8, 4; ;v 3, 7; 3, 10 (bis); 3, 13;

Èv la, 2 (bis); la, 4; la, 5; 2, 5; 3, 5

4, 5 ; 6, 6 (bis); 8, 5; 8, 6; 8, 8;

(bis) 3, 7 (bis) 3, 8; 3, 9*; 3, 12

231

INDICE TEODOREO

(quater); 5a, 1 (bis); 6, 5; 6, 9; 8, 5; 8, 6; 8, 10 Èvav,aoç] Èvavd.oov Kai:al>poµriv 2, 5; ,;ouvavi:tov 2, 8 Èvavuouvi:m 4, 3 ÈvMl>oµm l ÈvEMl>o,;o 8, 10 Èvoooaç fo0rìi:a 9, 3 EVELµt] EVEO,:L ,;Ò ECp'TjµLV 3, 7 EVEICEV 811oaupou 6, 5 Èvtau,;ouç 3, 12 EVLEov la, 5 ; SYJ"tELV 8EOV lb, 2;

3, 7; 6, 9; 8, 7 (0. KaL Ilai:poç);

istJni 2, 4

-0 lb, 2; 2, 4; 2, 7; 2, 8; 3, 5; 3,

s11i:tJ0Eooç ixoµEvov 4, 3

7; 3, 13; 6, 9; -6v la, 4; la, 5; lb, 2; 2, 7; 2, 8 (bis); 3, 13 (bis);

sci>oov 2, 5

3, 14 (e. A6yov); 8, 7; 8, 7 (0.

i\

la, 6; 2, 2; 2, 7

(i\ ... i\); 2, 8; 3, 10

Aoyov); -éiiv la, 5;-ouç la, 3

(i\ ... i\); 3, 12 (bis); 3, 12 (i\ ...

611oaupou 6, 5

i\); 4, 5; 5b, 2 (i\ ... i\); 5b, 2

6v11rnu (n.) 3, 4

(i\ ... i\ ... i\ ... i\);6,3 (i\ ... i\ ... i\ ...

6uolav 2, 3; 6uolaç 2, 3

i\);6,3;6,8;6,9;8, 10;9, 1*

6um12, 7

'Hì.laç 3, 6

6ui:tKl]V (i;ÉXVYJV) 2, 8

T]µEÌ:ç vd. Èyoo

6uool 6uovmç 2, 3

riµÉpaç (ace.) 3, 12 (bis); 8, 8 'Hpool>11v 9, 1*

lmpEUELV 6, 3

riuaoµm] T]UYJ6Elç 3, 2; T]UYJ-

'l11oouç 9, 1*; rnu 'I11aou 5b, 2; i:qì

6évmç la, 3 11uoovl oùx ~uov ... i\ 5b, 1

'l11oou 8, 8; 8, 10; "tOV 'l11oouv 5a, 1; 8, 10 Ì.Kav6v (n.) 7, 2

6avai:oç]-O'U 3, 6; 3, 8; 8, 4; -ov 7, 2; 8,5; 8, 6 6auµa 9,3 6auµa1;,oo] 6auµa1;,Etç 3, 3; 6auµaSYJ"tal 9,2 6fo l n6ppoo 6foç 8, 10 6Eaoµm] 6EaOùlV"tal la, 4; 8, 10;

'lva ind. impf.: 6, 9; con.: la, 4; la, 6; lb, 2; 2, 2; 3, 8; 8, 10 (bis), 9, 2 (bis); opt.: la, 4 (Yva 6EaOùlV"taL Kat yvoÌ:Ev) 'IouÀ.iav6ç la, 1*; -ou 5b, 1; 'Iou À.iavÉ3, 1 loov (n.) 3, 4

6moaµEVOV (m.) 2, 5; 6moa-

la6i:11rnç àvn iaayoµÉv11ç 6, 9

µEVOL la, 3; 6Eaoao6m 8, 6; 8,

'lopat]À. 3, 5

10; 9, 3

'Iooavv11ç 8, 9

233

INDICE TEODOREO

Ka8apevuv i:ofrrwv 2, 8

ÒpvÉwv 2, 2; Kai:avorioewç

rn8apiiiç ÒQJ8ij 3, 8

:rtEpL aÙ,:a. 2, 7

Ka8eçijç À.aµ~O.VELV 4, 5

Kai:amoi:evoemv Éaui:ovç la, 5

rn8EtJOùl1rn8ev0ovcEç :rtapaOEOov-

KUl:UQ)UVÈç elvm 7, 2

,:m 8, 10; ~apeio8al ,:e KaÌ.

Kai:aqJpovrioaç (i:òv 'l11oouv) 9, 3

Ka8EVÙELV 8, 10

Kai:a.xp11mv KaÌ. ~piiimv 2, 5

Ka8Ò 3, 10 Ka8oÀ.LKwi:Épaç ,:ijç olKouµÉv11ç Èçouolaç lb, 1

Kai:Épxoµm] Kai:ei...8eiv 2, 5; Kai:ei...8eiv ÈK ,:ijç Èpriµou 3, 2 Kai:mopiiiv (o) 6, 8

rn8opéiç 8, 10

KU,:1JYOp[a 2, 2; 6, 8

rn8òiç èiv ~ovi...111:m 3, 5

KEÀ.EtJùl 1 ÈKÉÀ.EUOEV 2, 5

Kmvòç 1Kmv0 ouÀ.À.oy Loµ0 6, 3;

Kl]p'llçm i:riv i:iiiv oùpaviiiv ~aOL-

oÙOÈv Kmv6v 3, 1 KUL:rtEP partic.: 7, 2; 9, 1*; 9, 3 Kmp6ç] Kai:à Kmp6v la, 5; lb, 1

À.elav 3, 4 KLV1]8fj :JtO.Vl:U oµO'U Ka,:Ù :rtO.Vl:ùlV

7,3

KaKlav OLTJÀ.Eyçev 3, 13

KÀ.a.oµa 1:0'U ap,:ou 4, 5

Kav (rnì. Èa.v) ind.: 3, 12; con.: 3,

KÀ.l]pOvoµÉw 1-TJOEL 1:f]V yijv 2, 4

12; 6, 2; 6, 4 (KUV i:e ... KUV i:e

Kmva. (ylvw8m) 6, 7 (bis); 6, 9

µri); 6, 5; 6, 9; 8, 4

KOOµOV À.U8T]OE08m 7, 2

Kai:a. gen.: 7, 3; 9, 3; ace.: la, 5; la,

Kpai:Éoo] Kpai:OtJVl:ùlV (m.) lb, 1;

6 (ter); 2, 2 (bis); 2, 3; 2, 6; 2,

µaxoµÉvl]ç KUL Kpai:OtJOl]ç 8,

8 (ter); 3, 2 (quinquies); 3, 8;

6; Kpai:rioaç éx8pou KUL :rtO-

4, 5 (bis); 5a, 1 (bis) 7, 2; 8, 5 (ter); 8, 7 (bis); vd. Ka86 Kai:ay6µevoç ÈK i:iiiv :rtai:Épwv 8, 5 Kai:aoéxw8m aùv À.Òy