Sibille e linguaggi oracolari. Atti convegno 8881471256

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Sibille e linguaggi oracolari. Atti convegno
 8881471256

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ICHNIA COllANA DEl DIPARTIMENTO DI SciENZE ARCHEOlOGICH>

E

STORICHE I>F.ll' ANTICHITA

3.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA FACOlTÀ DI lETTERE 1:: FilOSOFIA

SIBILLE E LINGUAGGI ORA COLARI Mito Storia Tradizione AlTI DEL CONVEGNO MACERATA-NORCIA - Settembre 1994

a cura

di

ILEANA CHIRASSI COLOMBO e

di

TULLIO SEPPILLI

MACERATA 1998

l

ISTITIJTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI"' PISA ROMA

Questo volume è pubblicato il contributo del M.U.R.S.T.

con

COPYRIGHT - incondizionata della profezia Sibillina. Per Origene nel Contro Celso sono eretici i Si­ byllistai (cioè quei Cristiani) che, «usano la Sibylla» e dei quali il

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pagano Celso dice che avrebbero potuto benissimo proporla come «figlia di Dio» ! Qui la contrapposizione è molto forte: Si­ bylla sarebbe meritevole di avere un ruolo nel racconto cristiano della venuta in terra di Dio, un Dio disposto a incarnarsi come ·figlia», non «figlio». Potrebbe trattarsi di un eresia molto grave! Celso inserisce la Sibilla in un elenco di personaggi del mito pa­ gano che potevano essere paragonati a Gesù, tutti maschi, Hera­ kles, Asklepios, Orpheus e tutti legati a morti violente, premessa di immortalizzazione, divinizzazione. Ma la Sibilla non è né può essere •la figlia di Dio» nell'ortodossia cristiana, dove può en­ trare solo come mediatrice ruolo tipico del personaggio extrau­ mano femminile, delle dee, nei pantheon politeistici, in partico­ lare delle •grandi» dee del Tardo Antico. In particolare Sibylla svolge il suo ruolo di mediazione come annunciatrice della ve­ nuta del Figlio di Dio. Le riconoscono questo importante ed uf­ ficiale ruolo Lattanzio e soprattutto Agostino con la sua celebre traduzione in latino dell'acrostico sibillino, ICTHYS (Pesce) ini­ ziali segrete di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore che compare nell'VIII libro degli Oracula Sibyllina. Nello specifico si tratta della Sibylla Eritrea ma l'identificazione non è importante poi­ ché ad un certo punto le Sibille tendono a scambiarsi tra loro pur mantenendo ed anzi attivando segni distintivi specifici. La Si­ bylla inoltre è celebre come la Cumana in quanto personaggio del VI libro dell'Eneide di Virgilio, guida di Enea nel suo viaggio all'Averno, trascinata da Virgilio la cui trasformazione in profeta e poi mago nel Medioevo è ben nota. Questa Sibilla cumana che già in Virgilio ha aspetti inquietanti di negromante legata a Diana Trivia e Hecate, si trasforma nelle vesti di rivelatrice di ve­ rità per tutti coloro che sono in grado di spingere la ricerca sino ai gradi estremi. La Sibylla Cumana accompagna Enea nel de­ scensus ad Inferos che secondo l'abile esegesi del Vergilii serius allegorizator Bernardo di Chartres Bernardo Silvestre { 1 1 061 1 60) nel Commentum super sex libros Eneidos si rivela un vero e proprio percorso iniziatico di tipo ermetico. Mentre nell' «Eneas» famoso testo del ciclo troiano, ancora la Cumana dona ad Enea un unguento meraviglioso e conosce la formula, la cantilena, che fa addormentare il cane infernale Cebero. La Sibylla appenninica media dunque la Cumana di Virgilio e la Tiburtina. E proprio quest'ultima pare rendere esplicita la scelta di questo preciso luogo, così in una versione romanza del testo latino, il « Liber regine Sibille», divenuto «Livre de Sibile»

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testo del XII secolo conservato in un unico manoscritto di XIII secolo edito da J. Haffen. Si tratta di un documento di notevolis­ sima importanza, come segnala anche Febo Allevi, proprio per il rapporto esplicito che la Sibylla stabilisce con quello che diven­ terà il suo territorio. Sibile è presentata qui è come «la plus sage» la più savia delle dieci che l'autore anonimo elenca con nomi in­ ventati, diversi da quelli dei canoni tradizionali. E sola tra loro ha il titolo di «reine» . La titolatura appare mediata da una «re­ gina nera• anche lei nella tradizione bella e sapiente, la regina di Saba con la quale è esplicitamente confusa dal momento che di lei proprio in questo testo si dice che nei suoi viaggi giunse sino alla corte di Salomone «E al rei Salomun/prist ele disputeisun», (ingaggiò una sfida con re Salomone (vv. 72-73 Haffen). Questa sapiente regina Sibilla è invitata a Roma per spiegare il sogno dei 1 00 senatori ma prima di parlare chiede di lasciare la città, di an­ dare altrove, non sull'Aventino tuttavia come è registrato nei manoscritti latini, ma altrove «nos al munt en alon/ki Apenin a nun» . Sceglie di andare lontano, all'Appennino! Un primo «los von Rom,. che può trovare riscontri facili nel groviglio di attac­ chi alla curia romana che segna la storia del papato centromedie­ vale nei suoi riflessi europei e più specifiche giustificazioni nella panoramica dei vari movimenti antiromani, anticuria che agitano il territorio umbromarchigiano tra il XII-XIII. Per la costruzione specifica del personaggio è importante co­ munque proprio il rapporto con la regina di Saba alla corte di Sa­ lomone che resterà costante nella tradizione «profana» della Si­ bilia capricciosa, gelosa oltre che sapiente. Rapporto forse già nascosto nella Sibilla ebrea Sabbe ricordata da Pausania nel cele­ bre excursus sibillino del libro X della sua guida della Grecia. L'identificazione tuttavia è esplicita nella Cronaca di Giorgio Monachos del IX secolo. Tra il XII e XIII secolo l'incontro tra Salomone e la Regina di Saba - qui con un nome, Bilquis - è pre­ sente in testi arabi e copti altomedievali. Bilquis sfida incontra, ama il sapiente re ebreo Salomone, ma non può nascondere sem­ pre sotto la gonna lunga il suo segreto, la gamba pelosa d'asino. Il saggio Salomone comunque interviene e la soccorre nel suo di­ fetto ! Per curare la pelosità asinina delle gambe chiederà ai de­ moni servitori della sua corte di inventare una crema depilatoria, un magico unguento, atto allo scopo. Per la tradizione cristiana altomedievale la regina di Saba si inserisce nel ciclo narrativo che mette in racconto la simmetria tra l'albero della conoscenza che

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provoca la caduta dell'Adamo edenico e l'albero dal quale fu tratta la croce che segna la salvezza dell'Adamo lapsario. Pietro Comestor (Historia scholastica, PL CXCVIII, col 1 3 70) ricorda la regina di Saba come Sibylla quando in visita alla corte di Salo­ mone gli rivela che l'albero appena tagliato era germoglio di uno dei rami dell'albero del paradiso dopo varie vicende piantato a Gerusalemme e destinato alla croce. Salomone accetta la profe­ zia e fa seppellire i pezzi di legno in un luogo dove viene co­ struita una piscina le cui acque ricevono dal legno virtù terapeu­ tiche miracolose. Più interessante la versione di Jean Beleth: l'al­ berto tagliato e dimenticato è messo come passerella per consen­ tire di superare un ruscello. La regina di Saba lo riconosce, non osa calpestare il legno e si inginocchia in adorazione (PL.CII, 1 5 1 ). Benché non esplicito è sottinteso anche qui il tema della deformità agli arti inferiori svelata nelle versioni orientali dove la regina di Saba alza le gonne per passare un rivo o attra­ versa un pavimento lucidato a specchio. Come la regina di Saba anche la Regina Sibilla appenninica non può nascondere il segreto del suo corpo, la sua intima mo­ struosità che in questo caso si rivela nella metamorfosi ciclica che trasforma settimanalmente il suo bel corpo in rettile mentre le sue fate non possono nascondere gli zoccoletti di capra bal­ lando il sabato sera con i giovani dei paesini montani. In altre versioni la Sibilla ha invece i piedi d'oca come nella Image du Monde di Honorius di Autun (XII sec.) tratto che ricompare più volte per le fate europee. Si tratta ancora di una variante di quella icona del femminile pensato e rappresentato come non perfetta­ mente umano che troviamo affiorare con insistenza in emblema­ tiche figure dell'immaginario simbolico già nel mondo antico nelle icone delle Sirene, della Sfinge, di Scilla, della Medusa, di Chimera che identifica tra l'altro anche una misteriosa Sibilla lombarda nel «Livre de Sebile». Si tratta di veri e propri mostri femmine ma anche le dee nascondono nel loro corpo i segni in­ sospettabili della loro ambiguità: ambiguità: Afrodite si fa rap­ presentare nel centro più famoso del suo culto a Cipro da una fallica colonna rastremata, mentre un'altra grande dea mediter­ ranea, la dea di Ascalona, Derketo duplicata dalla Atargatis dea Syria di Hierapolis è onorata in un grande stagno cultuale che le permette di soddisfare le esigenze della sua metà inferiore itti­ forme. Per ritornare al medioevo con Melusina, la celebre fata antenata dei Lusignan del Poiteau che il marito non deve mai ve-

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dere il sabato sera nella sua stanza da bagno per non sapere della sua trasformazione in drago. Mettere insieme tutti i vari elementi che hanno contribuito a creare nei suoi aspetti identificanti il personaggio della Sibylla fata centritalica si delinea via via im­ presa sempre più complessa. La frequenza del nome proprio Sybilia, Sibilina, Sibilia, Si­ bilia portato da donne di famiglie nobili e/o ricche negli archivi

marchigiani a partire dal XII secolo richiama la possibile cono­ scenza di poemi, romanzi, dove personaggi femminili con il nome di Sibylla recitano ruoli importanti e anche l'allineamento ad una moda piuttosto diffusa nell'Europa altomedievale dove Sibilla è nome di donne di alto rango a cominciare da Sibilla fi­ glia dell'imperatore di Costantinopoli che comunque diventata moglie di Carlo Mag no muta quel nome in Biancofiore. Tuttavia più che ad una moda mediata dai romanzi e poemi si può pen­ sare per l'onomastica piuttosto all'influsso della tradizione delle Sibille tardoantiche e cristiane che avevano popolarizzato il nome di Sibylla tanto da farlo diventare nome comune, sino­ nimo di donna in grado di profetizzare. L'uso già segnalato nel IV secolo d.C. da Servio nel commento a Virgilio, è significativa­ mente ripreso nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, opera guida per così dire, attraverso tutto il medioevo per confluire nel De Universo di Rabano Mauro: Sibille genera/iter dicuntur om­ nes [emine prophetantes. Queste ed altre indicazioni che si pos­ sono agevolmente aggiungere, segnalano in modo evidente un impegno femminile in pratiche di divinazione e di profezia. Non ci interroghiamo qui sul ruolo della profezia femminile nei mo­ vimenti eretici dei primi secoli cristiani ma richiamiamo nel con­ testo l'attenzione sulla presenza di una specifica attività oraco­ lare femminile proprio in zona. Più volte citato è infatti lo sto­ rico cinquecentesco Cipriano di Piccolpasso ( 1 524- 1 579) che ri­ corda la fama in tutta l'Umbria di figure femminili che «fanno professione di predicare cose future». Tra esse quella vedova che predisse al futuro papa Paolo III allora cardinale in visita al san­ tuario montano di Macereto, la sua elezione al pontificato entro breve tempo. Siamo in un'epoca ormai lontana dal momento di formazione della figura della Regina Sibylla come fata demonica, ma le notizie in fonti varie dell'attività ben nota nella zona di maghi, astrologi, e astrologhe, indovini anche di sesso femminile sono varie e note a partire almeno dal XIV secolo anche attra-

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verso la documentazione in atti ufficiali volti ovviamente al con­ trollo ed alla repressione. Sottolineano la convergenza di fattori che potevano aver favorito in zona l'emersione di un personag­ gio femminile eccezionale specializzato sul versante del sapere. La Regina Sibylla infatti non è certo paragonabile ad altre figure femminili come la Diana paganorum dea e consimili coinvolte nei processi di stregoneria femminile. Per chiarire i percorsi della sua emersione bisogna cercare an­ che tra i movimenti cristiani di richiesta di rinnovamento, come mezzo di salvezza, della comunità, del gruppo e della società tutta nella prospettiva di una escatologia vicina, enunciata. Sono gli svariati gruppi «eretici», Catari, Patarini, Poveri Lombardi, Umiliati, Valdesi e molti altri importanti sulla scena sociopoli­ tica e religiosa dell'Europa, dell'Italia e della zona umbromarchi­ giana. Tra questi gruppi si può ritenere certa la circolazione di materiale vario tratto da testi apocalittici sibillini che sappiamo diffusi in Italia a partire dal X, XI secolo. I testi della Tiburtina con la sua analisi della storia delle nove generazioni ma anche i testi della Sibilla Eritrea con l'annuncio del giudizio, il judicii si­ gnum dell'acrostico latino divulgato da San Agostino, incorpo­ rato in molti breviari del XIII secolo e riplasmato nella stessa epoca da Tommaso da Celano nel famoso enunciato per la messa dei morti Dies irae, dies illalsolvet saeclum in favi/la,/teste Da­ vid cum Sibylla. L'annuncio dell'ultimo tempo, onni presente nella profezia sibillina si congiunge al richiamo irresistibile alla realizzazione in terra, magari per uno spazio breve, della dimen­ sione edenica, l'età dell'oro che è l'annuncio messianico della Si­ bylla Cumana. Un «Mistero della Natività di Cristo» recitato a Monaco nel XIII secolo presenta una Sibylla in tutto simile alla virgiliana, ma «gesticulosa» e scrutatrice delle stelle che annuncia la prima e la seconda venuta di Cristo come «re di grande nome:

Et nova saecula, rex novus faciet. E coelo veniet rex magni nomi­ nis (ed du Meri!, p. 1 89). Questo tipo di annuncio che il teatro

medievale dei misteri non manca di manipolare del resto in varie interpretazioni riverbera suggestioni lunghe che possono incon­ trare le interpretazioni visionarie della storia futura come attua­ zione del regno dello Spirito del monaco calabrese Gioachino da Fiore. L'annuncio messianico trova il momento dell'impegno pratico nei movimenti legati al francescanesimo e derivati che hanno nel territorio umbromarchigiano un luogo di elezione. In particolare può essere interessante la possibile elaborazione di

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modelli rovesci nell'ambito d i quelle correnti d i spirituali, i Fra­ ticelli e simili attivi in modo indipendente anche dopo il ricono­ scimento dell'ortodossia della regola francescana da parte di Onorio III nel 1 323. Non possiamo qui impegnarci più oltre su questi e analoghi argomenti che hanno ricevuto, assidua, capil­ lare ma certo non esauriente attenzione, ma vogliamo suggerire che proprio per la valenza profetica escatologica nell'attesa di un rinnovamento materiale e spirituale insieme, modelli sibillini po­ tevano essere utilizzati da movimenti che l'ortodossia poteva de­ finire destabilizzanti devianti, eretici, ed una Sibylla poteva vera­ mente qui diventare «maga». Da questo sfondo emerge la Sibylla della montagna, annun­ ciatrice del Cristo in quanto Cumana ma trasportata nella storia in quanto essere demonico in senso etimologico, vivente nel tempo-spazio intermediario che separa la realtà creata dal mo­ mento escatologico finale. Per questa sua qualità demonica la Regina Sibylla non può essere certo nemica dei demoni frequen­ tatori del luogo demonico per antonomasia, il lago di Pilato che è anche il suo lago, lago di Sibilla in documenti del XV secolo, lago doppio ad alta quota, un fenomeno geologico, noto come meta dei maghi prerinascimentali come Cecco d'Ascoli ma anche di anonimi astrologi, negromanti, indovini maschi e femmine. Le fonti di XIV, XV, XVI secolo che ci informano variamente sulla sua notorietà sono numerose e più volte pubblicate. Ma sono in particolare gli scritti di San Giacomo della Marca ( 1 393 - 1 476) a offrire spaccati di grande interesse sui modi attraverso i quali l'ortodossia percepiva le situazioni di dissidenza raccogliendole sotto le etichette scontate di pratiche magiche, sacrileghe, oscene. Dietro la vasta circolazione di questa dissidenza che si frantuma nei rivoli diversificati delle eresie possiamo pensare la circolazione dell'annuncio di una «nuova età» sulla falsa riga delle parole della Sibylla cumana della IV ecloga di Virgilio, una profezia sibillina più messianica che apocalittica adattata alle at­ tese di rinnovamento sociale e spirituale sulla scia del francesca­ nesimo radicale. La zona centroitalica si presenta terreno adat­ tissimo per progetti tra coloro che nel ritorno alla povertà, nel rifiuto della corsa alla proprietà privata, al cumulo di ricchezze, alla ricerca del guadagno, ponevano le condizioni per il ritorno alla originaria dimensione evangelica. Un ideale che richiedeva anzi tutti l'esempio del clero e potea contare sulla vocazione mo­ nastica, la vocazione all'eremitaggio che ha nella Vita e nella Re-

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gola di San Bernardo i suoi esempi più immediati ma non certo i soli. Le storie di Zelanti, Pauperi eremitani, Minori raccolti in­ torno Michele da Cesena Fraticelli seguaci di Angelo Clareno, Spirituali in lotta contro papa Giovanni XXII visto come l' Anti­ cristo, seguati di condottieri fieramente antiguelfi come Federico di Montefeltro «l'eretico e idolatra» accusato esplicitamente di negromanzia propongono per i secoli XIII-XIV l'intreccio in­ dissolubile tra lotta politica, rivendicazione sociale, eresia, in una serie fittissima di episodi di violenze di inquisizione, di processi e di condanne per pratiche magiche per tutti coloro che sulla via aperta dallo «spirito di libertà» venivano accusati di dare via li­ bera a «sensuali, giudei, scismatici». In questa situazione una Sa­ via Sibilla poteva esser fatta promotrice di istanze di ribellione personale e trascinare con se anche una Maria che in una leg­ genda dell'alto Ascolano ricordata da Joice Lussu lascia l'obbe­ diente passività dei racconti ortodossi, uccide Ponzio Pilato e ri­ fiuta di essere portata in Paradiso. In questo clima che attribui­ sce agli eretici e ai Fraticelli anche la liberazione della sessualità, anzi la ricerca della perfezione nel piacere del sesso, può situarsi con coerenza in un ambiguo rapporto tra ortodossia e trasgres­ sione anche il tocco libertino che insiste nella invenzione della fi­ gura della Sibylla sempre, savia, sempre profetessa ma anche se­ duttrice Regina di una corte segreta di piaceri. Emerge così il persona ggio di p roduzione colta che condensa almeno tre mo­ delli di femminilità noti: la profetessa, la regina di Saba, e Venus l'antica dea recuperata come «deesse d'Amor». Così nel titolo di un poemetto francese di XIII secolo che sta forse alla base o co­ munque è contemporaneo alla creazione tedesca della signora del Venusberg con la quale tante volte è stata confrontata la Si­ bylla italica che dalla Venus tedesca resta tuttavia ben distinta. La fusione dei tre modelli regala la fata agli scrittori, ai roman­ zieri ed ai pastori, narratori e poeti che la propongono nell'im­ maginario delle tradizioni popolari come risposta ai bisogni: soc­ corritrice, potente e sapiente, pronta ad accogliere le richieste di aiuto, soddisfare i bisogni, immediati materiali, di cura ma anche quelli più complessi dell'alienazione e dell'angoscia. Come un'altra Madonna. Questa ambivalenza Sibylla-Madonna si pone come risposta a quella esigenza specifica della «destorifica­ zione» in senso demartiniano che vede la creazione continua di fi­ gure e sperimentazioni del «sacro» come risposte funzionali e pressanti, spesso non quantificabili a bisogni che sono sempre va-

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riabili, individuali e collettivi e ignorano le fissazioni dogmatiche tipiche dei sistemi rigidi come i monoteismi. Nello specifico storico è importante comunque segnalare an­ che altre componenti. Il recupero del modello sibillino da parte dell'ortossia cristiana avviato nell'area alla fine del XIV secolo avviene attraverso la figura della Sibylla cumana che compare in­ sieme a Virgilio Dante Beatrice Giacobbe e Profeti con in mano i cartigli con i versi della IV ecloga significativamente nel grande affresco di scuola giottesca del transetto absidale della chiesa di San Francesco di Amatrice. Località importante non solo per es­ sere sulla direttrice per Montemonaco e Norcia ma anche perché secondo una tradizione viva nel primo '500 li si apriva la buca che consentiva ai visitatori avvertiti di uscire indenni dalle ca­ verne sotterranee di Sibylla. Giangiorgio Trissino nel poema «L'Italia liberata dai Goti• ( 1 548) ricorda infatti quel passaggio segreto come ben noto al grande Santo di Norcia Benedetto che sarebbe stato l'unico a entrare ed uscire a suo piacimento dal Re­ gno di Sibylla e ad aver lasciato utili istruzioni in proposito. An­ cora un significante abbinamento: la Regina Sibylla ed un grande Santo ma questa volta con una sottile implicazione «ermetica• sottesa a riprendere la tipologia del viaggio riservato ai cari­ smati. Del resto la riabilitazione delle Sibille nel XV, dove com­ paiono nelle chiese come nelle case private, come ben illustra qui Patrizia Castelli, è tutta nel segno della rivalutazione ermetica del sapere sapere «pagano• sottilmente preposto a quello giudaico-cristiano. Alla fine del XV secolo 1 O Sibille compaiono nel programma decorativo del f avimento della cattedrale di Siena eseguito da vari artisti tra i 1 482-85. La Sibylla cumana è presentata come colei che Virgilio menzionò nella IV ecloga, tiene nella mano de­ stra il ramo d'oro che Enea ha raccolto e sotto il braccio sinistro tre dei libri fatali, mentre altri tre, quelli rifiutati dai Tarquini giacciono ai suoi piedi. In alto a destra lapidaria la citazione dei primi versi dell'ecloga: Ultima Cumaei venit iam/carmine aetas. Il Trismegistos, aggiunto alle Sibille dopo sei anni, «è introdotto come Hermes Mercurius Trismegistos, contemporaneo di Mosè». Nella mano sinistra tiene una tavoletta con una chiara ci­ tazione dell'annuncio cristiano del Padre e del Figlio. Nella mano destra tiene un'altra tavoletta nella quale offre agli egiziani leges et litteras. Due personaggi maschili uno con turbante ve-

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stito all'orientale, l'altro in abiti classici, icona simbolica dell'o­ riente e dell'occidente ricevono dal sapientissimo l'Istruzione. L'ipotesi di Francis Yates di vedere nella figura dell'uomo ve­ stito all'orientale Mosè il prescelto da Dio per dare la legge a Israele, forse non coglie esattamente nel segno ma in ogni caso il programma iconografico segue un intento preciso: indicare la superiorità del «pagano» Trismegistos come arcidepositario in­ dipendente dei segreti destini del mondo. Importante enunciato che do� rebbe essere riconsiderato per le molteplici implicazioni successive. Tutto questo non deve farci perdere di vista ancora la nostra Sibilla centroitalica e le sue avventura. Di grande importanza sono le censure, interpolazioni e sostituzioni che il testo prima­ rio della versione letteraria del nostro mito sibillino, il Guerin di Andrea da Barberino, subisce nelle varie redazioni posteriori, dopo l'edizione stampata padovana del 1 473. Il mutamento è si­ gnificante q uando al posto della Sibylla compare un'altro nome, Alcina, la fata cattiva, che Ludovico Ariosto introduce nel suo Orlando Furioso ( 1 5 1 5- 1 6) con modalità che suggeriscono l'in­ tenzione di rapportarsi simmetricamente proprio alla Sibylla di Andrea da Barberino. L'osservazione in proposito è di Walter Pabst che così commenta: «non vi è dubbio che con l'introdu­ zione del nome della Fata Alcina nel Guerino si è compiuta una intrusione rovinosa» (così nell'importante saggio del 1 955 ). La trasmissione, apertamente parodistica della Sibilla in maga è compiuta nella «Farsa de lo Magico» di Pietro Antonio Carac­ ciolo drammaturgo alla corte di Ferdinando I di Aragona a Na­ poli. Signora degli incantesimi di Norcia non è Sibylla ma la ce­ lebre fata del ciclo arturiano Morgana, qui degradata a sgual­ drina che «tutti quanti abbraccia et accarizalet dona a !or la ciza». L' Alcina ariostesca compare come sostituzione del nome proprio di una delle Sibille, certamente la Cumana, ritratta in­ sieme alla Sibilla Tiburtina ed una misteriosa Grippa, nella deco­ razione absidale della chiesetta di Santa Maria delle Sibille a Montegallo, paesino situato proprio sotto il monte Sibilla. Sui modi, le committenze, i perché ed i tempi di questa iconografia una ricerca, anche una microricerca potrebbe rivelarsi di singo­ lare portata. Possiamo comunque richiamare l'attenzione sul fatto che il recupero della Cumana nell'ambito dell'integrazione progressiva delle Sibille richiedeva un disgiunto preciso tra la Sibylla rivela-

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trice di Cristo e la Sibylla demonizzata, probabilmente una Si­ bylla millenarista, eretica. Come risposta a questa esigenza di distinguo si può interpre­ tare ad esempio il programma decorativo di Santa Maria del­ l' Ambro. Qui nella grande chiesa ricostruita ai primi del '600 Martino Bonfini dipinge tra il 1 6 1 0 e 12 sulle pareti della cap­ pella absidale i profeti ed ormai totalmente riabilitate le Sibille, che intervallano le raffigurazioni della vita di Maria. Tra le Sibille la Cumana con il dito teso indica la tavoletta ai suoi piedi con in­ cisi i versi messianici dell'ecloga IV virgiliana: magnus ab inte­ gro... A sottintendere il nuovo orientamento che mira a ricon­ durre nell'alveo delle attese autorizzate dall'alto e dal centro le richieste di mutamenti sul piano sociale economico, etico, e co­ gnitivo provenienti dal basso che avevano caratterizzato gli ul­ timi secoli del medioevo in occidente. Noi sappiamo che nonostante i processi di integrazione l'al­ tra Cumana, la Sibylla mutata in fata appenninica continuò a ri­ manere via come entità potente e soprattutto autonoma, coin­ volta nella elaborazione di una «mitologia» della tradizione orale i cui meccanismi continuano ad essere ancora poco noti, coin­ volta nel processo di costruzione di quel fenomeno che con molta approssimazione definiamo «folclore,., o «tradizione ... Da considerare comunque non luogo di sedimentazione di espe­ rienze, «superstizioni», sedimenti da lontananze più o meno ar­ caiche ma da cogliere come modo di trasformazione di dati messi in circolazione magari dai veicoli di un informazione uffi­ ciale e/o colta ma percepiti e riplasmati secondo i bisogni del contingente. Un'ultima considerazione si impone ed è un invito a riconsi­ derare «l'enigma» di quest'ultima ancora presente Sibylla, come problema storico e antropologico aperto. Università di Macerata

I DIVINAZIONE E COMUNICAZIONE

DARIO SABBATIJCCI

DIVINAZIONE SOTIO GIUDIZIO

Intendo non definire il concetto di divinazione, ma rilevare l'esigenza storico-religiosa di relativizzarlo alla cultura per la quale viene usato - relativizzarlo, cioè, ad un determinato si­ stema di valori. Nella nostra cultura troviamo una definizione lessicale che fa della divinazione l' «arte di presagire•. È una definizione appa­ rentemente assoluta, mentre in realtà è semplicemente insignifi­ cante. Una definizione significativa sarebbe: «pretesa di presa­ gire•. Tale definizione significherebbe che la nostra cultura non prende sul serio questa presunta «arte• . Il che si ricava appunto relativizzando la divinazione al nostro sistema di valori. Prendiamo i valori religiosi: è un fatto che la nostra religione non abbia istituzionalizzato preti indovini. Volgiamoci ai valori civili: troviamo che manca un riconoscimento pubblico profes­ sionale, ossia non c'è un'abilitazione all'esercizio della divina­ ZIOne. Si dirà che «pretesa di presagire• è un giudizio più che una definizione. Appunto: un giudizio, un qualsiasi giudizio, è una definizione relativizzata ad un sistema di valori. Per ricavare due diverse definizioni-giudizio della divina­ zione, mi servirò di due sommi poeti, Omero e Dante. Si tratta di una diversità prodotta da due diversi sistemi di valori; e i due poeti sono sommi perché sommamente rappresentativi dei due sistemi messi a confronto. Per Omero la divinazione è positiva, è il dono di un dio. Basta ricordare la presentazione di Calcante: . il più famoso degli indovini, che conosceva il presente, il futuro e il passato, e con la divinazione che gli aveva donato Apollo « ..

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DARIO SABBATUCCI

aveva guidato fino ad Ilio le navi degli Achei» (Il. , l , 68 sgg.). Per Dante è negativa. Anzi è una frode (gli indovini sono col­ locati nell'8° cerchio dell'Inferno, quello dei fraudolenti), ed è anche stregoneria-magia. Cito dal 20° canto dell'Infern o : Michele Scotto fu, che veramente delle magiche frode seppe 'l gioco. (vv. 1 1 6 sg.)

Ancora più interessanti, per un convegno sulle «sibille,., sono forse i versi 1 2 1 - 1 23 dello stesso canto, che suonano come una inappellabile condanna delle indovine: Vedi le triste che lasciaron l'ago, la spuola e l'fuso, e fecersi indovine: fecer malie con erbe e con imago.

Omero, Dante: letteratura, poesia. Ma qui parlo da antropo­ logo ad antropologi; e allora prendiamo un sommo antropologo invece che un sommo poeta, quale campione del nostro sistema di valori. Prendiamo E.B. Tylor, uno dei padri fondatori della anthropology. Il sommo antropologo la pensa proprio come il sommo poeta. Per lui, come per Dante, divinazione e stregoneria sono una stessa cosa, precisamente una frode: «una delle menzo­ gne più dannose che abbiano afflitto l'umanità» (Primitive Cul­ ture, s• ed., Londra 1 9 1 3, vol. l, p.1 1 2). Tylor è perfettamente inserito nel nostro sistema di valori. Per lui, come per la Chiesa, la divinazione non è una pratica reli­ giosa; il complesso divinazione-magia-stregoneria è da lui escluso dalla evoluzione religiosa che fa cominciare con l'animi­ smo. Insomma per Tylor non si hanno religioni divinatorie (o religione o divinazione), come per la Chiesa non si hanno preti-indovini. Certo c'è differenza tra Dante e Tylor: sei secoli di diffe­ renza, durante i quali qualcosa è certamente cambiato nel si­ stema di valori che chiamiamo cultura occidentale; ma poco o niente è cambiato per quel che concerne la definizione-giudizio della divinazione. Dirò che ai nostri giorni, se si dice vate per dire poeta, nes­ suno pretenderà, e meno che mai il poeta stesso, che si metta a vaticinare. Invece all'epoca di Dante il confine tra vate-poeta e

DIVINAZIONE SOTTO GIUDIZIO

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vate-indovino non era ancora ben marcato (per effetto del vatis latino). Tant'è che, alla vista degli indovini condannati ad avere il capo ritorto all'indietro, Dante si commuove, sente di dover par­ tecipare alla loro pena, ma Virgilio lo rimprovera, quasi per ri­ cordargli che lui è un vate d'altra specie. Tuttavia Dante fa qualcosa, vuoi per omaggio a Virgilio, vuoi per confessare tra le righe quanto la sua arte sia legata, per ere­ dità culturale, a quella della Sibilla Cumana che, come è detto (dall'indovino Eleno) nel 3° libro dell'Eneide (vv. 44 1 sgg.) scri­ veva responsi su foglie che si disperdevano al vento. Sta di fatto che egli nomina questa Sibilla a conclusione della terza e ultima cantica, quasi a suggello dell'opera. Diciamo pure che la nomina surrettiziamente, sotto le spoglie di una similitu­ dine (e neppure isolata, bensì accoppiata ad un'altra). Insomma, lo fa con la massima prudenza, ma lo fa. Il ricordo della Sibilla Cumana trova in tal modo un posto nel Paradiso; solo il ricordo, perché la Sibilla stessa certamente non poteva starei. Tutto que­ sto �ccade quando Dante ha avuto la visione di Dio, che adesso svamsce così come la neve al sol si dissigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. (Paradiso 33, 64-66)

Università di Roma - La Sapienza

CRISTIANO GROTIANELLI

POSSESSIONE E VISIONE NELLA DINAMICA DELLA PAROLA RIVELATA

La presentazione a questo Convegno di un contributo di ar­ gomento biblico non avrebbe bisogno di giustificazione se fosse stata inquadrata, come da programma, nel contesto di una breve sezione di tre contributi di argomento analogo. La scomparsa di tale contesto, determinata dal venir meno dei due altri interventi programmati, trasforma il mio in un vero e proprio discorso fuori tema, e per lo meno marginale. Non mi resta che cercare di spiegare per quale motivo il mio argomento, il rapporto fra due diversi tipi di trance «profetica», mi sembra importante anche in questo contesto, e c'entra qualcosa con la Sibilla. l . Possessione/ispirazione e visione

Ieri abbiamo sentito da Lincoln come la tematica della morte della Sibilla facesse derivare le pratiche divinatorie basate sull'os­ servazione e sulla deduzione dalle pratiche assai diverse, estati­ che e ispirate, tipiche appunto della Sibilla 1 • Si dovrà aggiun­ gere che la Sibilla era considerata, da Platone nel Fedro (244 b), come vaticinante in preda a delirio mantico, e precisamente da classificarsi fra i mantike1,; chromenoi entheo1,;, ove entheos {cito il vecchio Dodds, The Greeks and the lrrational, 1 95 1 ) «non si-

1

B.

L I NCOI.N,

sto volume,

La morte della

pp. 1 83- 1 98.

Sibilla

e l'origine delle pratiche divinatorie, in

que­

44

CRISTIANO GROTTANELLI

gnifica mai che l'anima ha abbandonato il corpo ed è 'in Dio', ma sempre che il corpo contiene un dio, come empsykhos signi­ fica che contiene una psyche•. Il latino che corrisponde a queste forme greche è l'espressione di Cicerone deus inclusus corpore humano impiegata in De Divinatione I 67 per qualificare la voce profetica di Cassandra (da confrontarsi con Platone, fon. 534 b­ d). Altre tradizioni (p er esempio il Tibullo delle Elegie Il, 5) ci presentano una Sibilla visionaria. Il quadro è complesso, e non conosco un tentativo riuscito di mettere ordine in questa materia. Nel suo fondamentale La musique et la trance, 1 980, Gilbert Rouget individua la trance della Sibilla nel Fedro platonico come trance di ispirazione, insistendo sulla differenza fra trance di ispirazione e trance di possessione 2 ; Dodds parla invece, più semplicemente, di possessione per questa forma e per altre ana­ loghe 3• Entrambi questi studiosi distinguono questa forma di trance da altre, fra le quali spiccano quelle che sono spesso lette dalle società che le conoscono r roprio come consistenti nel fatto che «l'anima ha abbandonato i corpo», e che sono spesso le gate a resoconti di visioni talvolta celesti. Riprendendo e modifi­ cando una tabella del libro di Rouget 4, si potrà indicare così una classificazione dicotomica dei tipi di trance che opponga la trance di ispirazione o di possessione e la trance estatica e visio­ naria (che Rouget chiama non trance, ma estasi): Trance estatica immobilità silenzio solitudine senza cr1s1 privazione sensoriale ricordo allucinazioni Il problema

2 G. 1 1 -90.

Trance di possessione movimento rumore presen �� di altre persone con CriSI sovrastimolazione sensoriak amnes1a assenza di allucinazioni

del rapporto fra i vari tipi di alterazione psichica

Rouavtaoiat) (ibid. 7.397 C). Tra l'emissione del messaggio e il suo destinatario, tuttavia, si inseriscono uno o più filtri, gli aLv[y­ !JUta, le oQai tfJç !JUvttxfJç di cui parla Plu­ tarco e che l'uomo deve decrittare, anche se è ugualmente inca-

11

Horn. hymn. in Merc. 546-49. Hcraclit. frgg. 7, 8, 9, 1 0, I l , 1 2 (Diano). " Cfr. Plut. de E delph. 6.387 B-C. " D. SABBATUCCI, Religione tradizionale ed esigenze soteriche, in Stori4 e civiltà dei Greci, lll/6, Milano 1 979, pp. 585-87. 1 1 P. ScARPI, Miti musicali o musicalità del mito?, in •Musica e Storia• 2, 1 994. p. 29 1 . La �avtoai•VYJ è un dono di Apollon già in //. l 72. Cfr. Eur. fon 1 79-83; Paus. X 6.1 -7. Anche la divinazione attraverso le api di cui è signore Hermes è un dono di Apollon (Horn.) hymn in Merc. 550-66) e così pure la cleromanzia viene insegnata dallo stesso dio delfico sempre ad Hermes (Apd. III 1 0.2, 1 1 5). 12

MANTEIS E ANIMALI: DAL SEGNO ALLA PAROLA

111

pace di guadagnare con il suo >..oyLUJ!Òç (ragionamento) la buivma (pensiero) del dio (ibid. 30.409 C-D). Sono questi filtri, a cui si devono aggiungere gli stessi segni ed eventi nonché il J.lavnç, a definire lo statuto della comunicazione mantica nella misura della gerarchia e della distanza irriducibile da cui è definito ogni rapporto tra uomini e dei. E se comunicazione è, il suo sbocco quasi naturale e il suo canale privilegiato per Plutarco (ibid. 2 1 .404 E) è !'«udito», àxoi], passando per la mediazione della Pythia, o più in generale dello specialista che possiede la téxvrt, come il 11avtt.ç, oùovwv fklti]Q (pastore di uccelli) di Eschilo Sept 24-26), che interpreta Èv woL.. xaì. q>QEOÌ.V ... i XQT)ati]QLOL OQVLiteç con la sua IÌ'IjiEubiJ tÉXVTJ (arte che non mente). Ed ecco Melam­ pous, prototipo del 11avtt.ç greco (ma il paradigma resta Kal­ chas 1 6), ottenere i suoi poteri mantici dopo che una covata di serpenti gli ha «purificato,., Èxxaitaì.QELV, le orecchie, àxoal (Apd. I 9. 1 1 , 97), purificazione risoltasi nell' ÈJ.UtVEuom aùtwL ttìv J.lavtL­ xiJv (ispirargli la mantica) in Esiodo frg. 261 M.-W. Ancora Me­ lampous libera Iphiklos dall'im� otentia coeundi dopo aver inter­ rogato un alyu:rnòç (avvoltoio) 7 • Ma l'udito è solo il canale, at­ traverso il quale si opera una sorta di duplice decodificazione, quella dello specialista e quella del consultante, al quale sola­ mente compete la scelta decisiva. Iphiklos poteva infatti attenersi alla terapia suggerita da Melampous come rifiutarla. Ambiguo o meno che sia, in quanto rifrazione, àvax>..aot.ç, della divinità (Plut de Pyth. 30.409 D), il responso, o più generi­ camente il messaggio, orienta l'evento o l'azione entro i canoni dell'ordine cosmico e gli conferisce quel senso indispensabile al­ l'esistenza umana. Questa funzione orientativa e questo potere di sottrarre alla casualità eventi ed azioni sul piano della codifi­ cazione del messaggio richiedono dei passaggi da situare nello stesso ordine del rapporto che si instaura tra significante e signi­ ficato. Ma non è possibile parlare di segno né di significante sino a che l'emittente, e cioè la divinità, non ha assunto un qualsiasi o�getto per designare il suo messaggio. Apollon stabilisce, ed ha stabilito, i tEÀ.TJEvtEç oùovoi., gli uccelli perfetti e fatidici, distin­ guendoli dai J.la'ljiLÀ.Òym oùovoi., gli uccelli dalla voce vuota (Horn.

16

Cfr. SABBATUCCI, Divinazione, o.c., p. 1 98 . 1 7 Pherec. FGrHisr 3 F 33; schol. Theocr. I I I 43.

1 12

PAOLO

SCARPI

hymn. in Merc. 543-49). È a questo punto che il dio OlJI!aivEL,

«indica», e l'oggetto diventa un indicatore e un segno sino ad as­ sumere la funzione di un significante se intendiamo il messaggio mantico come un «discorso» o come una catena parlata 1 8• Il si­ gnificato, che nella divinazione presenta i caratteri di una varia­ bile, è lo sbocco necessario ma anche il più delicato dell'intero percorso, ed è il prodotto della decodificazione, prima, e ricodi­ ficazione, poi, indispensabili perché il destinatario possa fruirne. La decifrazione del messaggio è allora l' àì..rrltEL•

(edd.), Eraclito, l frammenti, o.c., pp. 1 06-08. Divinazione, o.c., pp. 1 98-200. 28 SABBATUCCI, Divinazione, a.c., pp. 1 67-96. " Cfr. Heraclit. frg. 40 (Diano) ; Hdt. III 1 42.5, 143. 1 . "/.iynv < connesso con l'idea quantitativa di misura in Od. IV 451 -52, IX 335, mentre in Il. Il 1 2 5 esso esprime piut­ tosto la nozione di scelta. In Pind. 01. XIII 45-46b "/.iyELv evidentemente è un •saper dire il numero•. Cfr. anche Aesch. Ag. 572 (570), Prom. v. 973. 27

Cfr. Cfr.

DIANO-SEilRA

SABBATUCCI,

1 16

PAOLO SCARPI

Perché il mondo abbia senso, tuttavia, è indispensabile defi­ nirlo, fornirgli delle coordinate spaziali, entro le quali si colloca l'azione umana ma anche dove viene condotto il messaggio in­ viato dalla divinità. E il primo punto di riferimento non può che essere il centro, l'ò!Lt:pUÀÒç [ombelico] della terra su cui sedeva il «dio patrio» Apollon, sopra il cuore della terra, per dare responsi e che coincideva con Delfi 30 • Ma subito dopo intervengono le coordinate direzionali, bti bE!;u1 [verso destra] e t:n:' CtQUTtEQa [verso sinistra], come nei vv. 239-40 del canto XII dell'Iliade (cfr. sopra), che il poeta omerico provvede a precisare, :rtQÒç iJw T' TJEÀLÒv TE, «verso l'aurora e il sole», e :n:oTi �Òt:pov TJEQÒEvta, «verso la tenebrosa oscurità», che altro non sono che Est e Ovest. In questo modo «destra» e «sinistra» coincidono rispettivamente con oriente e occidente, che è il solo asse lungo il quale i Greci distribuivano l'ecumene abitata e lungo il quale si è sviluppato il loro immaginario cosmologico 3 1 , giacché «gli antichi ripartivano tra oriente e occidente tutte le cose del mondo» (schol. Od. VIII 29 TQ). Solo l'antro delle Ninfe, ad Itaca, mostrava un orienta­ mento Nord-Sud, ma se dalla porta settentrionale potevano en­ trare gli uomini, quella meridionale era l'ingresso degli dei (Od. XIII 1 09-1 2). Il Nord invece restava tutt'al più il paese dei favo­ losi e misteriosi Hyperboreoi, rifugio di Apollon e scandito dai t:palvETat [sembra] e dai ÀiyETm [si dice] di Erodoto (III 1 1 6. 1 -2), mentre il Sud non era meglio precisato 32 • Se ora È:n:i bE!;lll e t:n:' CtQLQ A\!l')lov ii�tvov òxft•Jv. 'Ev bf: 4»QOt'QOiç; TÒV ÙÌ..t:XllJ\10Vnv (Plut. Mor. 56hd); Zibn �iti.u �i·yn (Dion. Crisost. Orat. 36, 13); z;om (Paus.

164

SABINA CRIPPA

ma altre volte scrive, compone versi 20 di cui persino Omero SI sarebbe appropriato 21 Questa doppia modalità è già evocata da Virgilio (Aen. III 440-450) laddove presenta Eleno che chiede alla Sibilla di sce­ gliere il canale orale e non quello scritto (in questo caso le foglie) per pronunciare i suoi vaticini, ed è esplicitata in Servio (ad Aen. III 444) secondo il quale: «tribus modis futura praedicit: aut voce aut scripto aut signis». Le Sibille sembrano privilegiare il testo scritto: le profezie si­ billine di cui disponiamo, le uniche profezie 'reali', sono in forma scritta (archivi, raccolte di oracoli, libri). Il registro della scrittura è spesso presente, sia nelle rappresentazioni letterarie quando la voce diventa scrittura multipla, monito 22, ar ocalisse, comandamento cristiano - sia in quelle iconografiche 3• La Sibilla ci orienta invece verso la voce millenaria dell'an­ tica, forse originaria, Sibilla, verso le mille voci dell'antro di Cuma, il linguaggio delle visioni di Cassandra. Una voce è infatti la Sibilla di Eraclito (fr. 92DK): Sibylla de mainomeo stornati age/asta kai akallopista kai amurista phtheg­ gomene. Ed anche quella di Eumelo: timen de oi theou phonen lachousa adei ma/a mega 24• La Sibilla antica sembra quindi es­ sere soprattutto vocale, come pare confermare anche la tradì-

X 12, IO); qom toi•ç XQ!lOIJOÙç (Paus. X 12, l e 5); !Ila... acta canebat (Staz. Silvae, V, 3, 172); Fata canit (fib. Eleg. Il, 5, 15); Cecini (Sii. !tal. Xlii, 500); Cecinisse (Varr. Rer rust. l l, 3); canebat (Luc. Phars. V 151) etc.

20 QQaOÈç aÀ.Ào "tL EUtW impiegando insieme ai termine Oft!la Ja forma verbale EÙtov (dire). Il verificarsi di una simile interazione è esemplificata nella maniera più convincente dalla scena iniziale dell'Agam ennon e di Eschilo. La tragedia si apre con l'immagine della vedetta distesa su una terrazza della reggia di Argo che attende con ansia il segnale luminoso che annunci la presa di Troia. Dice la vedetta: « Ed ora spio il segnale di fiaccola, bagliore di fuoco che da Troia porti annuncio e voce di conquista» 35• Già nell'impiego terminolo­ gico che a ou11j3oÀov 36 associa i termini q:>anv e j3a!;Lv risulta evi­ dente il rap orto-interazione tra le due sfere precedentemente menzionate E7• Non a caso al verso 26 compare il verbo 01J11aivw nell'espressione ("tOQntique inspirée et collections oracu!dires, in '1\KernosK> 7, 1994, pp.J79-205, con le cui osservazioni mi sento, in molti casi, di poter concordare.

10

Eraclit B 92 D-K.

MARISA TORTORELLI GHIDINI

251

trascurata dagli studiosi; è nota ad Euripide 11, Plutarco 12, Pausania 13, ed è ripresa in Varrone 14• La profetessa canta la mitica fondazione dei giochi istmici fatta risalire alla contesa tra Poseidone e Elio, e ricorda le cele­ brazioni riservate a Poseidone sull'Istmo. I dati mitici che fanno da sfondo alle parole di Sibilla rientrano nell'interesse di Eu­ melo, rivolto alle stirpi di Elio e di Poseidone nel passaggio dal predominio del primo a quello del secondo 15, e sono coerenti con il complesso quadro mitico genealogico emergente nei Corinthiaca 16. È difficile stabilire se i versi fossero encomiastici, come af­ ferma Parke 17 o se, con l'accenno al territorio, preludessero alla profezia vera e propria. Certamente Sibilla aveva già un suo pre­ stigio se Eumelo poteva ricorrere a lei per legittimare gli eventi della storia mitica di Corinto, per giunta in una genealogia che per linea materna la riportava al dio dell'Istmo. Mancano ele­ menti per affermare che si tratti di una sibilla corinzia, ma non è neanche sicuro che sia la Sibilla di Delfi ispirata da Apollo, a cui c� n la stessa genealogia fanno riferimento Plutarco e Pausa­ ma. La presenza di Sibilla in un testo dell'VIII secolo problema­ tizza la cronologia delle fonti e indebolisce le interpretazioni che, per comune consenso degli studiosi, partivano dal fram-

11

Eurip., TGF 922 Nauck1; LAMIA, p. 506; Supp/. Snell, *312a, p. 7. 1 1 De Pyth. oraculis 398 c. " Paus. X, I2, t. 14 Var. in Lattanzio, Div.lnst. l, 6, 8; e inoltre lo scolio a Platone, Phaedr. 244 b; Suida S 355. " t. noto l'interesse di Eumelo per la storia mitica di Efira-Corinto in cui la con­ tesa tra Poseidone e Elio per il possesso di Corinto fu risolta dall'arbitrato di Briareo con la divisione del territorio tra Poseidone cui fu assegnato l'istmo e Elio cui toccò I'Acrocorinto. Cfr. P. DE fiDIO, Un modello di 'Mythistorie '. Asopia ed Efirea nei •Ko­ rinthiaka• di Eumelo, in F. PR ONTE RA (ed.), Geografra storica della Grecia antica, Roma-Bari I99 I , pp. 233-263. 1 6 Efira, figlia di Oceano (Eumelo, fr. 4 Kinkel), per prima abitò la terra corinzia e diede il nome più antico alla città. Altrove Efira è figlia di Epimeteo (le due genealo­ gie sono riferite entrambe nello scolio a Apollonio Rodio IV 1212 b), o moglie di Epi­ meteo (Ecateo, FGrHist I F 120). Non è inclusa nella lista delle figlie di Oceano in Esiodo. 17 H. W. PARKF., Sibyls and Sibyllme Prophecy in Classica/ Antiquity, London­ New York I988, p. I I S.

252

UN MODELLO ARCAICO DI SIBILLA

mento di Eraclito. Privilegiando Eumelo, assume particolare ri­ levanza - e tenterò di riportarne a trasparenza le motivazioni quella linea genealogica, sinora ritenuta un'invenzione di Euri­ pide 18 che attraverso Lamia risale a Poseidone. Su Lamia, madre di Sibilla, manca una documentazione si­ cura 19: Plutarco ritiene che sia l'eponimo dell'omonima città della Malide 20, mentre Euripide e le fonti che a lui, direttamente o indirettamente, risalgono orientano verso una figura d'origine libica. In ogni caso, la tradizione è concorde nell'ascriverla alla sfera d'influenza del dio Poseidone, il cui culto è ampiamente at­ testato sia a Corinto dove Sibilla canta la storia mitica della città, sia a Lamia, città nel territorio deii'Othrys, a cui secondo Plu­ tarco rinvierebbe il nome, sia infine in Libia dove la tradizione c � e parte da Euripide riferisce che era attiva una sibilla posido­ mca. Generalmente, nelle contese con altre divinità per il possesso di un territorio, Poseidone è sconfitto dalla divinità con cui si scontra (Atena ad Atene, Era ad Argo) e si vendica contro il ter­ ritorio che l'ha respinto. Solo a Corinto, nella contesa con Elio, il dio risulta, almeno apparentemente, vincitore 2 1 . La tradizione parla di un rapporto conflittuale tra Poseidone e Apollo, che nel culto sono invece stranamente legati 22• Ovunque è venerato nello stesso tempio con Apollo, Poseidone è l'originario titolare del culto e Apollo l'usurpatore 23• Talvolta la situazione si pre­ senta come uno scambio di santuari, come nel caso di Delfi che Poseidone avrebbe ceduto ad Apollo in cambio di Calau­ ria 24• Anche Poseidone è signore degli oracoli: a lui è sottomesso 18 l

1•

PARKE, o.c., p. 1 05. Cfr. Shwenn, R. E. X I I ( 1 924), coli. 543-559; J. B0ARDMAN, Lamia, in L/MC VI,

( 1 992), p. 1 89.

20 Solo alla fine del V sec. Lamia, città dell'Acaia, diventa capitale della Malide: è evidente l'artificiosa costruzione di Plutarco che cerca di adattare l'antica genealogia di Sibilla figlia di Lamia in chiave 'delfica'. 21 In realtà a Poseidone spetta solo l ' Istmo, mentre a Elio, lo sconfitto, l'intero territorio dell'Acrocorinto. " Nell'Iliade, le due divinità costruiscono insieme le mura d i Troia (Il. VII, 452; XII, 1 7) ed evitano di scontrarsi (/1. XXI, 435-469). " F. CAS,OLA, Inni Omerici, Milano 1 973, p. 90. 14 Callimaco, fr. 593 P fe iffe r. Non risulta che a Calauria sia mai stato venerato

MARISA TORTORELLI GHIDINI

253

l'oracolo dei morti a capo Tenaro 25 e un oracolo «primordiale,. del dio insieme con Gea è ricordato da Pausania a Delfi 26, sede indiscussa d'Apollo sin dall'VIII secolo. Qui si conservano tracce di Poseidone: all'interno del tempio di Apollo è attestato un altare del dio 27; la Pizia lo invoca tra gli altri dèi prima del va­ ticinio 28; e sacerdoti di Poseidone, i pyrkooi 29, traggono vaticini dalla fiamma del sacrificio. Ed è inoltre assai indicativo che Po­ seidone, e non Apollo, fosse considerato padre degli eroi epo­ nimi Delfo 30 e Parnaso 31 • È vero che mantis ufficiale del santuario delfico è la Pizia, sa­ cerdotessa d'Apollo, ma Si bilia, segno della persistenza di una tradizione mantica pre-apollinea, è accolta a Delfi come figura complementare, non esclusiva dell'altra. In piedi su una pietra presso il bouleterion 32, come a Delo dall'alto d'una roccia 33, Si­ bilia non risponde a domande di consultanti ma profetizza, soli­ taria, inevitabili destini. Questa opposizione, che almeno in epoca classica non fu dichiarato antagonismo, si evince anche dal nome che la sibilla assume a Delfi, a Delo, ma anche in Frigia e a Marpesso: Artemide, sorella di Apollo nata dalla stessa madre Letò ma, a differenza del fratello, dèa degli spazi liberi e selvaggi 34• Fuori da Delfi la presenza di Sibilla nel yÉVoç di Poseidone problematizza quel legame con Apollo che, nelle fonti più tarde, divenne così stretto da confondere la Sibilla con la Pizia (Virgi­ lio, Lucano). La sua natura posidonica l'attrae verso quella man-

Apollo; anzi è una delle poche sedi in cui l'originaria supremazia di Poseidone non fu mai dimenticata. " Plut., De ser. num. vind. 560c-e. 26

Paus. X, 5, 5-6.

" Paus. X, 24, 4. 28

Esc h., Eum. 27-9.

,. Paus. X, 5, 5-6. " Callim., fr. 52 Pfeiffer. " Paus. X, 6,

l.

" Plut., De Pythiae oraculis, 398 c. B Paus. x, 1 2, 2. Cfr. Poseidone nntluio;. " Cfr. VAt.fNZA MFt f, o.c., pp. 39-48.

254

UN MODELLO ARCAICO DI SIBILLA

tica terrestre 3s che generalmente si esprime senza bisogno di mediazioni, ctonica piuttosto che estatica. Se poi la sua genealogia fosse greca o straniera, le fonti sono discordi 36 e ci spostano su un'altra questione. In Plutarco due territori greci, la Beozia e la Malide, per motivi diversi 37, ma en­ trambi ben accetti a Delfi, sembrano contendersene l'origine; in Pausania, invece, benché le due figure oracolari, l'apollinea e la pre-apollinea, siano riunite in un'unica genealogia, si insinua il dubbio che il nome 'Sibilla' sia di origine libica. Un dato questo che sembra ricollegare Pausania ad Euripide, che è fonte dichia­ rata della sibilla libica di Varrone, seconda nella lista dopo la persiana e prima della delfica. Del Busiride, il dramma satiresco euripideo in cui fa la sua prima comparsa una Lamia libica, è rimasto solo il frammento riportato da Diodoro: «chi non conosce il mio nome esecrato ai mortali, Lamia della stirpe libica?,. 38• Anche il titolo dell'opera è incerto: Lamia o Busiride 39• In ogni caso, è evidente che se La­ mia figurava nel prologo non poteva essere un personaggio mar­ ginale. L'associazione con Busiride potrebbe essersi costruita in­ torno al dio Poseidone 40 di cui Busiride è figlio 41, come altrove è detto di Lamia, e lo confermerebbe il carattere selvaggio e ino­ spitale del re che sacrifica tutti gli stranieri che giungono sulla

" Il nome di Poseidone, secondo l 'ipotesi più diffusa, significa sposo della terra. In Omero epiteti terresti lo qualificano come ennosigaios o gaieocos. 36 Nel De Pythiae oraculis, 398 c, Plutarco concorda con la tradizione secondo la quale la prima Sibilla giunse a Delfi dall'Elicona dove era stata nutrita dalle Muse, ma conosce anche l'altra tradizione di Sibilla figlia di Lamia, nata da Poseidone, che viene dalla terra dei Malii. Anche Pausania ripona una tradizione delfica secondo la quale la prima donna che cantò oracoli aveva nome Erofile ma era sopranno minata con nome libico Sibilla. E avvene che si tratta della Sibilla più antica nata da Zeus e Lamia, figlia di Poseidone. 37 Ben accetto a Delfi è l'Elicona, monte delle Muse, che evoca l 'antico culto ri­ volto alle dee a Delfi, originariamente associato con il culto della Terra e legato alla sa­ cra fonte all'interno del sanruario; e ugualmente Lamia perché rinvia alla città della Malide, che è un territorio membro dell 'Amfizionia. J8 Snell, Suppl. • P· 7 •3 1 2 a: •Tlç toù�òv ovo�a toùno J VELOlt L OV jlQotoù; L oùx olòr A�iaç tf)ç Alj'luonxi')ç yrvoç; J ,. L'ambiguità della citazione di V arrone ( Latt., Div. lnst. l, 6, 8) 'in Lamiae pro­ logo' ha fatto pensare che il titolo del dramma fosse Lamia (Nauck, p. 506); Snell, ba­ sandosi sul P.Oxy. XXVII, 2455, fr. 1 9, corregge il titolo in Busiride. '° Cfr. le nozze tra Libia e Poseidone, il predominio culruale di Poseidone in Li­ bia (Hdt. IV, 1 88), ecc. 41 Ferecide Fre Hist. 3 F 1 7.

MARISA TORTORELLI GHIDINI

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sua terra 42• Ma chi è questa Lamia libica? A giudicare da Dio­ doro 43, che sta raccontando la storia di una regina di Libia, bel­ lissima ma selvaggia e scellerata, a cui muoiono tutti i figli e che a sua volta uccide i figli alle altre donne, la Lamia euripidea do­ vrebbe avere gli stessi caratteri della regina del racconto. La ver­ sione più antica della storia è nei Libyca di Duride di Samo 44 dove, però, la natura terrifica di Lamia è conseguenza della gelo­ sia di Era. In entrambi i casi, il nesso tra maternità e violenza rie­ voca il personaggio di Medea cui, per altro, Pindaro 45 attribuisce qualità profetiche. La somiglianza con Medea, di cui Lamia sem­ bra quasi una duplicazione, potrebbe riportarci alla costellazione mitica evocata da Eumelo: la stirpe di Elio, la stirpe di Poseidone la saga degli Argonauti 46• Né va trascurato, nella prospettiva mi­ tica in cui ci muoviamo, che il ricordo di un re Lamo 47 il cui nome compare nell'episodio omerico dei Lestrigoni 48, anche lui figlio di Poseidone, appartiene a una tradizione facente capo a un epos argonautico pre-omerico 49• E se lo sfondo mitico in cui affonda la tradizione di Lamia è pre-ellenico, anche Sibilla figlia

" I figli di Poseidone come quelli di Ares sono selvaggi e violenti: Polifemo, Cri­ saore, Nauplio, ed altri. Già Omero conosce un Lamo re dei Lestrigoni ( Od. X, 8 1 e lo scolio al passo). Su Lamo: Ovidio, Met. XIV, 233; Orazio, Carm. 3, 1 7; scolio ad Ari­ stofane, Pax, 758; Esichio e Suida s.v. Lamos. La tradizione conosce anche Lamo, epo­ nimo di Lamia, figlio d'Eracle e di Omfale: Ovidio, Heroides, IX, 53-54; Stefano Bi­ zantino s.v. Lamia. 41 Diod. S. XX, 41 {flaoiÀwoav Acip.wv) . .. Dur., FGrHist 76 F 1 7: taÙnJV Èv lf)t Atjlù�t t.oiiQu; lv bfutÈQv fl;lxu>ritm t'f)l q'(LJvi)t b1à TÒV fiFÒV» '1 B 93 D-K: O àva!:; où tò IJUVTEiòv iott ròv iv ò.rÀq·oi;

ofiu i..tyn oi•u XQiHtn:t àMir. OTJimlvn. 51

Cfr. Eraclit B 95 D-K: ÒJmttl1']v XQi•n:tnv IÌIJFlvov. " Nel pensiero greco la mantica è il risvolto irrazionale della parola; si rivela at­ traverso la disarticolazione della norma e, in questo percorso a ritroso, individua la pa­ rola del dio.

MARISA TORTORELLI GHIDINI

257

richiedono adeguati apparati di interpretazione. È per questo che tra Apollo e la Sibilla non può esserci quel nesso che le fonti tarde insistono ad affermare: ai segni d'Apollo s'oppone l'inva­ samento e il grido di Sibilla. I verbi JlaLVOJlm 54 e qrlttyyo11m 55 orientano l'uno verso Dioniso o figure dionisiache, l'altro verso le figure della mone. In Eraclito Sibilla ha già le sue tradizionali connotazioni 56• L'espressione «con la voce attraversa mille anni,. non suggerisce soltanto (come nelle fonti latine 57) che Sibilla viva 1 000 anni, ma insinua la possibilità che la capacità profetica si proietti in un tempo millenario, futuro o passato, perché l'avvenire è già con­ tenuto nel passato primordiale 58• La penetrazione del tempo, che nella tradizione pitagorica è memoria catanica 59 e in Epime­ nide cretese 60 profezia del passato, appare un'anomalia nella sfera della divinazione che solo la 'follia' 61 riesce a giustifi­ care. Quella che sembrava una mera contesa territoriale, rivela una differenza più profonda: la parola di Apollo prevede il futuro immediato su cui, osservando i dettami del dio, l'uomo ha fa­ coltà di intervenire; la profezia di Sibilla, invece, proiettata verso eventi di lunga durata, non ha efficacia nel tempo contin­ gente.

,. Il verbo Jlniv"''m è attestato tre volte in Eraclito; ed è riferito esplicitamente a Dioniso in B 15 D-K: wutòç bt"'AtbY)ç xai àu)vvaoç. 6uux JlBlVovtat xaì ÀY)Yatl;oumv. " Cfr. L. KAHN, La mort à visage de [emme, in J.P.VERNANT - G. GNoll (edd.), La mort, /es morts dans /es sociités anriennes, Cambridge 1982, pp. 131 - 1 42. "' Eraclito usa Sibylla al singolare, altrove il nome è al plurale (Arist. Probl. 30): vedi VALENZA, o.c., p. 3 1 , n.73. Il termine indica genRA, R om.t, (.ùca grt'(.·.l, in • Q uaderni di Storia• 39, 1 994, pp. 5 -4 1 . " F . l Bernabè; dr. M . GHIDINI ToRTOR > I I I, in quuflwV yuHi.o"

!JUXaÀTflov fvih:ov ÜboJQ.

324

LES PORTE-PAROLE DES DIEUX

qu'Apollon avait fait jaillir, pendant l'invasion des Goths (en 263 de notre ère), pour sauver de la soif les citoyens (astous) réfugiés dans le sanctuaire. Grâce ainsi à cette «eau d'Apollon» (Apollô­ nos hydôr), grâce à ces «flux nymphéens• (nympheioisi rhoais), le généreux Festus «préserve•, à son tour, les citoyens, «en imitant la relation delphique avec Castalie. Car la mantique est chère aux Nym2f hes, par lesquelles un esprit divin coule pour les prophè­ tes» • Cependant, peut-on se fonder sur ce texte, d'un style si rhé­ torique et verbeux - comme le fait bien remarquer Parke - pour identifier la pêgê de Festus avec la «source sacrée» de l'adyton, et pour en déduire, de surcroît, qu'elle procurait l'inspiration pro­ phétique ? Ces épigrammes font partie de tout un ensemble de textes du Bas-Empire relatifs à des fontaines, aqueducs ou ther­ mes construits par des gouverneurs, des textes laudatifs qui montrent, comme le souligne L. Robert, «la popularité du motif de la 'merveille' (thauma)». Festus aurait embelli et protégé non pas la fontaine (hê krênê), dont parlait Kallisthène, mais une source qu'Apollon aurait fait jaillir «auparavant,. (prosthe), lors­ que les habitants, assoiffés, se trouvaient assiégés par les Goths 2 dans son sanctuaire 1• Certes, on peut toujours croire au pouvoir «prophétique» de la source de l'adyton didyméen, en évoquant un passage du De mysteriis de Jamblique (III, 11, 127), texte copieusement cité, où il est question de la «femme chrêsmôidos,. à Brankhidai (=Di­ dymes), qui, •prise dans les vapeurs de l'eau (ek toû hydatos at­ mizomenê), reçoit le dieu» (je traduis au plus près du texte). Bien entendu, on ne saurait ignorer ce texte et exclure a priori ce moyen d'inspiration. Mais l'on ne devrait pas non plus, à partir de cette information de Jamblique, transformer l'eau, dans l'a­ dyton d'A ollon, en «source de prophéties ,., et lui donner un rôle centra . Car, à bien lire ce passage du De mysteriis, le fait de recevoir des vapeurs constitue un des différents procédés suscep­ tibles de rendre la prophétesse •apte» (epitêdeia) à accueillir, «de l'extérieur» (exôthen), le dieu. Pour qu'elle arrive à cet état, Jam-

F.

10

Graccum , IV, 1929, n" 467. Fo,..>tNRmE, D1dyma, pp. 23-24. n•latives à J,., gouverneurs, d a ns Hellenica, IV, 1948, surtout pp. 65-87. H. W. PARK>, The Oracles of Apollo m Asia Minor, London, 1985, Suppl. Epigr.

" L. RoBERT, Epigrammes

pp. 93 sqq. (contre l'identification).

STELLA GEORGOUDI

325

blique distingue, en effet, diverses méthodes par la répétition de la conjonction eite: qu 'elle reçoive des vapeurs, qu'elle trempe dans l'eau ses pieds ou une frange de sa robe, qu'elle s'assoie sur un siège (appelé axôn, «essieu»), ou qu'elle tienne «la verge qui lui a été à l'origine transmise par un dieu>> , tous ces moyens ou façons d'agir sont appropriés pour que la rophétesse se prépare à «participer (metalambanei) au dieu » E2• La présence donc d'une eau «oraculaire» à Didymes n'est pas indispensable pour que la prophétesse devienne inspirée. Cette présence est d'autant moins nécessaire que la puissance divinatoire des dieux, selon Jamblique, n'est pas limitée à un des éléments (stoicheia), mais les remplit et les traverse tous, s'empare de l'eau, bien entendu, mais aussi de la terre, de l'air, du feu (De mysteriis, Ill, 12, 129). C'est sans doute pour cette raison également que la «divination inspirée» des oracles est qualifiée par Jamblique de «multiforme» (polymeres entheon manteion: Ill, 11, 123). La question de la grotte ne pose pas moins de problèmes que celle de la source, dans l'espace oraculaire. Car toute grotte ou crevasse n'est pas forcément associée à la Terre (avec t majus­ cule), toute ouverture dans le sol, tel le fameux chasma gês à Del­ phes, n'est pas obligatoirement une «bouche prophétique» de Gê, comme on le répète souvent 23• Le cas de l'oracle de Claros peut servir d'exemple contre toute généralisation abusive. Per­ suadés que les oracles ne pouvaient être rendus, «en des temps reculés», que dans une «grotte naturelle», plusieurs historiens de Claros avaient cru que l'expression bathys aulôn de Nicandre désigne une telle grotte, très profonde, située dans la montagne au nord-est: un lieu «idéal» donc pour être investi, q.'�Tibaç;; Souda, s. v. AwbWVI'}: yuvauuôv l'tQO.A Y, The Greck Questions of Plutarch (trad. ct comm.), 1 92 8 . réimpr., N,·w York, 1 975, pp. 59-60. P. A m a n d r y , tout en hésitant, scmhk enfin sc ralicr à c e t te idcntific.u ion. op. cit. (c i - d e s s u s , n . 75), pp. 1 1 8- 1 1 9,

1 2 5.

'" Collè�cs de troiS prêtres: Fouilles de Delphes, Ill, 3, 258, Il. 7-8; 301, 11. 1 0- 1 1 ; 302. 1 1 . 5-6; 303, 1 . 1 6; 305; I l . 1 3 - 1 5; 307, 1 1 . 1 -1- 1 5; 308, Il. 1 0- 1 1 ; 3 1 0, Il. 22-24; 3 1 6, 1 . 6 ct 1 1 :-; , Nott•s de chronologie delpl"que, · B u l l . Corr. Hellénique•, 22, 1 898, pp. 1 42 - 1 43.

STELLA GEORGOUDI

357

Plutarque d'ailleurs, en racontant l'égarement et la mort de la Pythie pendant une consultation ratée, pleine de trouble et de confusion, met sur scène, de façon distincte, tous les participants à cet épisode, parmi lesquels figurent séparément les prêtres (tôn hiereôn) et le prophète Nicandros (Sur la disparition des oracles, 5 1 , 438 AB). Il est vrai que Plutarque, dans le traité Sur l'E de Delphes, 5, 386 B-D, qualifie ce même Nicandros d'hiereus, lorsqu'il le fait disserter sur le sens de cette lettre consacrée. Comment s'expliquerait alors cette double qualification de Nicandros ? Certes, on pourrait se contenter à parler, pour la nième fois, de l'identité du prêtre et du prophète. On pourrait encore suivre É . Bourguet qui avait insisté sur «l'imprécision et l'impropriété des termes par lesquels Plutarque et les gens de son temps désignaient beaucoup de choses delphiques, même des institutions et des charges officielles» («Revue archéologique», 1 9 1 8, pp. 230-23 1 ). Mais il serait préférable de suivre, sur ce point, G. Roux et de remarquer que, lorsqu'un personnage porte plus d'un titre, cela ne signifie pas obligatoirement qu'il exerce plusieurs fonctions en même temps. Au cours de sa vie, il peut remplir successivement des charges distinctes, comme c'était peut-être le cas de Nicandros: il a été prophète avant de devenir prêtre à vie 96• Certes, il arrive parfois que le temps de deux exer­ cises se recoupe, ou presque: à Milet, Philodémos «fut stéphané­ phore en 67-66 et prophète (d'Apollon Didyméen) en 66» (L. Robert, Hellenica, XI-XII, 1 960, p. 449). Mais cette quasi coïnci­ dence concerne, en l'occurrence, deux fonctions de nature diffé­ rente: l'une politique, l'autre cultuelle. Répétons enfin que, presque partout dans les sanctuaires ora­ culaires, prophètes et prêtres assument des charges complémen­ taires mais distinctes: les prophètes (ou promanteis) s'occupent davantage de la procédure oraculaire - avec ou sans la présence

96 Cf. G. Roux, Delpbrs, p. 57. En outre, dans un passage des Questionts convi­ vaks (VIII, 2, 7 1 7 D) - qu 'on prend rarement en compte - un des personnages de Plu­ tarque dit: •vous, prophètes et prêtres, appelez (le dieu) Hebdomagenê (=né le septième jour)•; la construction de la phrase en grec (bai propbêtai kai biereis) va plu­ tôt dans le sens de la distinction emre propbétai et biercis (contrairement à Fascher, op. cit., qui les identifie). Cf. ÉPI�.• Arre allusiva and Alexandrian epic pocrry, in ·Classical Quaterly• 17, 1967, pp. 85-97), aunque sin el elemento propagandistico y apologético propio de esta literatura judía.

1, 1981,

392

JESUS-M. NIETO IBANEZ

Esto último implica la manipulación y modificación de los mitos griegos de acuerdo con unas directrices especifícas del pasaje co­ rrespondiente de los oráculos, en un principio en una dirección judía y, en algunos casos, con una orientación o readaptación cristianas. En consecuencia, en este trabajo deberemos distinguir entre los mitos de la tradición griega que se insertan directamente y de una forma activa en la narración de los diferentes libros de este corpus, y entre toda esa serie de referencias a personajes, temas, lugares, etc... de la mitología griega, que no son sino un puro re­ vestimiento literario, al mismo nivel que las expresiones formu­ larias. Empecemos por el primer tipo. El lenguaje mítico que do­ mina gran parte de los Oráculos Sibilinos, como forma de expre­ sión de una realidad concreta, lleva a la narración de determina­ das leyendas que se adapten perfectamente a sus objetivos. La selección que efectúan los autores de los distintos libros de los Oráculos Sibilinos permite diseñar unas líneas muy definidas, se­ gún veremos detalladamente a continuación. 1

-

Mitos teogónicos

y

cosmogónicos:

Como es habitual on la literatura apocalíptica, en los Orácu­ los Sibilinos nos encontramos también con un gran interés por el principio de la historia humana en una clara e íntima relación por su final. Esta idea explica la preocupación del sibilista por el desarrollo de la historia en períodos, representados por las diver­ sas razas o edades de los hombres, o los imperios y reinos que se han sucedido a io largo del devenir del mundo desde el paraíso bíblico hasta el juicio final 12• El libro 1 em�ieza con unas pala­ bras totalmente expresivas on este sentido 3:

11 Cfr. NIKIPRO\HT/KY, o.c., pp. 88-112, y J. J. Cc>LI.INS, The Sibylline Oracles of Egyptum judaism, Missoula, 1974, pp. 97-115. 13 'AQX,O�tvr¡ :tQlilTtl.; '¡'fVn1; IJE'QÓn:wv c'tvflQfÍmwv i'l):QI:; trr' fnXUTÍtJOl :rtºCXfllti•m•l n) fxnma. Ó:t:liXHt :TQ(V yfyoVEV. ;tÓOfl b'futiv. ll1UXJOU bt �fiJ.n

fnurtTOm xTrt, Gli Oracolz Sibillini e il motivo del re d'Asia nella /olla contra Roma, in ·Contributi dell'lstituiO di Storia antica dell'Universitá del Sacro Cuore-Mi­ lano• 8, 1982, pp. 18·26, y E. I'ARRt,.t, Translatio lmperzi. L'lmpero univi!Tsale da Ciro ad Augusto, Roma 1983, p. 145 ss.

LOS MITOS GRIEGOS EN EL CORPUS

397

se anuncian males para los distintos pueblos poderosos, inclu­ yendo a Frigia y Troya, se hace uso de los vaticinia ex eventu para predecir la conocida confrontación bélica (3, 205, 414-418; 4, 70-71 y 7, 52) 27• Más importantes son, sin embargo, los relatos de las mítica guerra de Troya que se insertan en la historia de la humanidad trazada por la Sibila de una forma muy particular. En 11, 122162 se narra la historia de la guerra de Troya y el famoso caballo. La anarquía cronológica es evidente, la leyenda de Rómulo y Remo aparece situada antes de la guerra troyana. No obstante, en otros lugares se insiste en esta confrontación legendaria para fijar el origen de Roma: en 3, 410 se habla de los Eneadas, y en 5, 8 y 12, 8 del descendiente de Asáraco, Eneas. Los versos 3, 414-418 y 11, 125 y ss. suponen una interpreta­ ción «religiosa» del mito troyano: •Ilio, te compadezco, pues en Esparta la Erinis hará brotar un bellísimo y magnífico retoño» (3, 414-415) 28• La mención de la Erinis, divinidad vengadora que persigue al criminal, como causante de esta guerra a través del personaje de Helena («bellísimo y magnífico retoño,.) parece indicar que esta guerra fue un castigo premeditado por los dioses (Dios, en una concepción monoteísta judea-cristiana). En este caso también podemos ver cómo el mito griego es utilizado y manipulado for­ malmente para la expresión de un contenido religioso muy claro. La alusión a la guerra de Troya es un tópico en los cronógra­ fos judíos y, después por herencia, en los cristianos 29• En con­ creto, el historiador hebreo Talo 30, continuador en época impe­ rial de la tradición cronográfica judía, en su obra Historias in-

27 Este mismo tema de Troya y Helena, así como el odio entre Asia y Europa, ocupa gran parte de la profecía de Casandra en la Alejandra de Licofrón, donde G. AMIOTn (JI rapporto fra gli Oracoli Sibillini e l'Alessandra di Licofrone, en La profezia nel mondo antico, Milano 1983, pp. 139-149) observa abundant; fJAaRRLICH, o.c., p. 210). Nero had already nudged Seneca into the underworld by 65 A.D., and the ashes of Vesuvius had buried the inquisitive elder Pliny during his heroic attempt to rescue the fugitives.

492

FREDERICK E. BRENK

were at least acquainted with Hesiod's Theogony. Thus, verse, and even the Sibylline Oracles, could have influenced Dion's de­ scription. Though treating the eruption from a scientific point of view, Dion did not omit the supernatural. Huge men like giants appear on the mountains, in the surrounding countryside, and in the air, leading men to believe, when the eruption does occur, that the Giants are in revolt. There is also a close chronological and thematic relationship in Dion between the eruption at Pom­ peii and the fire at Rome. Titus is in Campania, attending to the first catastrophe when the second occurs and he must rush back to Rome (66.24). As the Roman temples go up in flames - the Serapeum, the lseum, and the temple of Jupiter Capitolinus people begin to fear not a human but a supernatural (or divine) cause: To xaxov mix avttQWltlVOV ai..Aa OUI.JlOVIOV i!yEVHO.

Without himself offering a divine motive for either catastro­ phe, then, Dion suggests this possibility by underscoring the su­ pernatural impact upon the population. Plutarch's Sibyl, along with the reasons for her utterance, re­ mains unknown. Vesuvius is close to Cumae. An epichoric Sibyl should be interested in events happening in her own backyard. Unfortunately, if she ever did exist, her mouth had been closed for quite some time 1 0• The speaker in Plutarch's The Oracles at Delphoi 388E, not only fails to specify his Sibyl, but is not even interested in supernatural reasons for the eruption. He is only concerned with events, «hymned and sung in the Sibyllines,., clear proof of the veracity of the oracles. In the eschatological scene of Plutarch's essay on divine punishment, the visionary's daimonic guide is equally silent. We learn nothing about the

10 Archaeologists now believe the stone gallery at Cumae, called •Antro ddla Si­ billa•, datable to the IV-V Cents. B.C., had a military purpose. SeeP. AMALF!TANO et al. (edd.)., I Campi Flegrci. Un intinerario archrologico, Venice 1990, p. 292, who cite the testimonv of Pausanias for the lack of evidence of oracular activity at Cumae. I am grateful to Dr. Thomas l'riihlich of the German Archaeological Instirute, Rome, for bringing this to my attention. The Sibyl is closely related to Apollo and Delphi in art, though it is not clear the Sibyl was represented at all before the Roman period. See M. CAvuç "Q0E'J'1TtEuov. Cfr. BREHIER, o.c., p. 1 93 s. La nozione della neces· sità di un'esegesi •ispirata• dei responsi oracolari è presente anche in Cicerone, De di­ vinai. l, XVIII, 34: •Quorum omnium (ossia delle sortes e anche degli oracoli pronun­ ziati per ispirazione diretta) interpretes, ut grammatici poetarum, proxime ad eorum, quos interpret4ntur, divinationem videntur accedere•. 8 Cfr. ]. P EP IN , La 'challenge ' Homère-MoiSe au:r: premiers siècles chrétiens, in • Revue des Sciences Religieuses• 29, 1 955, pp. 1 05 - 1 22. Nel solco della tradizione giu­ daica si pongono i cristiani nel rivendicare l'autorità di Mosé rispetto ad Omero e a tutte le principali espressioni della cultura pagana. Cfr. A.J. D ROG E, Homer or Moses? Early Christian lnterpretations of the History of Culture, Tiibingen 1 989. ' Cfr. A. MOMIGUANO, Un 'apologia del giu.Uismo: il 'Contro Apione' di FLwio Giuseppe in Il/ Contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1 966, pp. 5 1 3-522, rist. in Pagine ebraiche, M ilano 1 985; L. TROIANI, L 'identit.i di Israele in Flavio Giuseppe e nella letteratura giu.Uico-ellenistica, in • Ricerche Storico Bibliche• l, 1 989, pp. 67-79. Un'influenza di Giuseppe su Origene, indotto dalla pole­ mica cclsiana a riprendere il tema dell'antichità e solida autorevolezza della sapienza ebraica, è dimostrata da L. FHOMAN, Origen's Contra Celsum and ]osephus ' Contra Apionem: the lssue ofjewish Origins, in •Vigiliae Christianae• H, 1 990, pp. 105-1 35. Sulla personalità e l'opera dello storico basti qui rimandare alle sintesi di L.H. FEL­ OMA,.., Flavius josephus Revisited: the Man, His Writings, and His Signif�eance, in H. TFMPORINI-W. Haase (edd .), in • A N RW • Il, 2 1 , 2, Berlin-New York 1 984, pp. 763862; H.R. MoEHRING, joseph ben Matthia and Flavius josephus: The jewish Prophet and Historian, ibi, pp. 864-944.

LA SIBILLA VOCE DEL DIO PER PAGANI, EBREI E CRISTIANI

509

del regno di Artaserse I (465- 424 a.C.) 10, permane nel popolo giudaico la coscienza che la propria vicenda continui ad essere scandita da annunzi profetici. Lo stesso Giuseppe Flavio, oltre a presentarsi come dotato del carisma della profezia in quanto ap­ partenente a una famiglia sacerdotale, sacerdote a sua volta ed esperto esegeta scritturistico 1 1 , definisce come tipicamente pro­ fetica l'attività dello storico che conosce il passato per divina ispirazione e narra con fedeltà gli eventi presenti in quanto illu­ minato dallo Spirito 12• Egli inoltre si dichiara detentore di quella tipica tecnica divi­ natoria che è l'interpretazione dei sogni, capace di svelare il senso « delle espressioni oscure usate dalla divinità», essendo stato scelto «per annunciare il futuro» quale bu'txovoç di Dio. L'appellativo di profeta, infatti, è riservato ai grandi personaggi della tradizione biblica. Giuseppe definisce il proprio statuto profetico in rapporto ad una serie di prerogative. lnnanzitutto egli sperimenta sogni notturni « nei quali Dio gli aveva predetto le calamità che stavano per abbattersi sui giudei » . Dotato di un 'ampia e approfondita conoscenza delle «profezie dei libri sacri», egli gode dell'ispira­ zione divina nell'interpretazione di tali profezie, essendo anche in grado di attribuirle alla situazione presente 13• Questo singolare carisma, consistente nella facoltà di attua­ lizzare l'antica parola profetica, è vivacemente descritto dallo stesso autore in occasione dell'evento decisivo della resa ai Ro-

10 Contra Apionem VIII, 37-4 1 dove, a conclusione della menzione dei ventidue libri che racchiudono l'intera 'sapienza' ebraica, dichiara: • Dai tempi di Artaserse fino a oggi ogni evento è stato narrato. A tali scritti, però, non si attribuisce fiducia quanto ai precedenti, perché la successione dei profeti non è precisa• (Flavio Giuseppe, In di­ fesa degli Ebrei (Contro Apione), a cura di F. Calabi, Venezia 1 993, pp. 58-6 1 ). Con tale affermazione, peraltro, non si nega l'esistenza di una bLabox� profetica, ma piutto­ sto si sottolinea la mancanza di quella assoluta esattezza che rende inattaccabile la te­ stimonianza dei libri dei profeti anteriori. 11 Cfr. Contra Apionem X, 54: •Per nascita sono un sacerdote e conosco il sapere contenuto in tali libri• (se. i libri sacri). Il rapporto sacerdozio-profetismo ha avuto inizio con lo stesso Aronne (Ant. III, 1 92; cfr. III, 2 1 4- 2 1 8). 11 Cfr. Contra Apionem VIII, 37-38: • Non è permesso a chiunque scrivere storia e non vi sono discordanze negli scritti ma solamente i profeti hanno appreso per ispi­ razione divina i fatti più antichi e lontani e hanno scritto con chiarezza come si è svolto ciò che è avvenuto ai loro tempi • ( trad. Calabi p. 59). " Beli. lud. III, 8, 3 (350-353). Testo e traduzione di G . Vrrucn, Flavio Giuseppe. La guerra giudaica, vol. l, Milano 1974 ( 1 9821), pp. 548-55 l .

510

GIULIA SFAMENI GASPARRO

mani: «In quel momento - dichiara - si sentì ispirato {t:vftouç yE­ VÒ!LEvoç) a penetrarne il senso e, rievocando le terrificanti visioni dei recenti sogni, rivolse al dio una tacita preghiera. . ,,.. Quindi, dopo aver affermato che Dio ha scelto la sua anima «per annun­ ciare il futuro,., si consegna ai Romani non �uale traditore del suo popolo bensì quale buixovoç del Signore 4• Giuseppe conosce inoltre tutta una folla di individui, ovvero intere categorie che nel variegato scenario del giudaismo con­ temporaneo, sia in Palestina sia nelle regioni della Diaspora, de­ tengono il carisma profetico ovvero se ne arrogano falsamente il possesso. Tra i primi sono i Farisei, la cui scienza si caratterizza anch'essa, in base al principio già filoniano della necessità di una particolare ispirazione divina per la corretta interpretazione della parola biblica, come espressione di una specifica facoltà di 15 rivelazione , e gli Esseni. Tra costoro lo storico ne ricorda molti .. che si dichiarano ca­ paci anche di prevedere il futuro, esercitati fin da ragazzi nella lettura dei libri sacri, in varie forme di purificazione, e nelle sen­ tenze dei profeti,. . Ne conclude che "'è raro che falliscano nelle 16 loro predizioni » • In pari tempo, nell'epoca convulsa dell'insurrezione giudaica di cui egli fu protagonista e testimone, Giuseppe Flavio registra il divampare di una fiammata profetica variamente rappresentata da quelli che egli bolla come «falsi profeti » e istigatori del po­ 17 e i numerosi individui polo alla rovina. Tali Teuda l'Egiziano che si fanno avanti come "'ispirati da Dio», in possesso dei "'segni

14 Beli. Iud. I I I , 8, 3 (353- 354). Per l'uso di buixovoç per definire gli attuali deten­ tori del carisma profetico distinguendoli dai ltQOb' U:n:òxnJ.lm. J.LOi'Qav fxmou xénm tàç tòt itvuxTOQinç•. A parere di Parke, si tratta di una composizione poetica di età ellenistica

(cfr. Sibyls, o.c., p. 40). Cfr. D.L. PAGE, Further Greek Epigrams, 1 98 1 , pp. 489-490. " Ibi § 7. Cfr. Plut. De Pyth. or. 1 4 , 401 B: • Herofile, l'eritrea, poiché aveva il dono della divinazione (llnVTIXÌJV yrvo11>'V1JV) fu chiamata Sibilla•. Sulla Sibilla di Eritre cfr. F. GRAF, Nordionische Kulte (Bibliotheca Helvetica Romana XXI), Vervey 1 985, pp. 335-350. " Lattanzio sottolinea che a ciascuna delle numerose Sibille, con l'eccezione della Cumana •i cui libri sono tenuti nascosti dai Romani, per i quali è un sacrilegio che essi cadano sotto gli occhi di alcun altro che non i Quindecemviri•, sono attribuite delle raccolte oracolari. Tuttavia a tali libri è data genericamente la denominazione di sibil­ lini: •essi sono mescolati e non li si può distinguere, né assegnare a ciascuna la propria opera, salvo per la Sibilla di Eritrea, che ha messo il suo vero nome nelle sue predizioni e ha proclamato che sarebbe stata chiamata Erofile, pur essendo nata a Babilonia• (Div. lnst. l, 6, 1 3). Naturalmente l'autore fa riferimento alla letteratura sibillina giu­ deo-cristiana di cui mostra di conoscere alcuni libri, corrispondenti in parte a quelli dell'attuale raccolta (ved. oltre). I n particolare, alla Sibilla Eritrea Lananzio attribui­ sce quello costituente l'attuale Libro III, di netta matrice giudaica. .. Paus. X, 12, 8: di questa Sibilla, di nome Demo - nota Pausania - non sono tra­ mandati oracoli bensì si mostra una piccola urna di pietra custodita nel santuario di Apollo, contenente le sue ossa. 87 Ibi § 9. Il Periegeta configura anche una strana ascendenza del personaggio, di­ chiarandola figlia di Bcroso e di Erymante. E conclude: •Ma alcuni la chiamano la Si­ bilia Babilonese e altri Egiziana•. Anche lo ps.Giustino (Cohor. ad Genti/es 37) cono­ sce una Sibilla •nata a Babilonia, figlia di Beroso autore della Storia caldea•. Sulla que­ stione intricata dei rapporti fra la Sibilla Babilonese e quella Ebraica si rimanda alle complesse analisi di A. Perctti (o.c., in nota 64).

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GIULIA SFAMENI GASPARRO

gano 88, dell'esistenza di una Sibilla ebraica, quale ormai intorno alla metà del II sec. d.C. non poteva essere ignorata a fronte del­ l'ampia produzione oracolare di origine giudaica, largamente cir­ colante anche negli ambienti cristiani e in questi già frequente­ mente imitata con la creazione di nuovi testi per propagandare il proprio messaggio religioso. Una visione parzialmente coincidente con la prospettiva deli­ neata da Pausania, con la sua reductio di alcune delle numerose Sibille della tradizione all'unico personaggio di Erofile, identifi­ cata alla Sibilla eritrea, sembra soggiacere alla singolare composi­ zione poetica rinvenuta nella città di Eritre, dove una serie di scoperte archeologiche ed epigrafiche hanno rivelato l'esistenza di una sacra sede dedicata alla Sibilla 89• L'epigramma in versi, databile nel II sec. d.C., contiene ancora un'autoproclamazione della profetessa che si dichiara Cll oiflou JtQÒ:rtOÀoç XQ'IJO�tokòyoç, fi­ glia della Ninfa Naiade e di un uomo, Teodoro, confermando la duplice ascendenza peculiare del personaggio, situato a mezzo tra l'umano e il divino. Al di là dell'affermazione «patriottica» della sua vera origine da Eritre piuttosto che da qualsiasi altra località 90, e del quadro naturistico in cui si colloca la sua nascita, in armonia con l'iden­ tità materna (« .. .l'antro tappezzato d'edera che mi ha visto na­ scere»), particolarmente espressive della peculiare fisionomia del personaggio sono le successive dichiarazioni : « . . . è là che, seduta su questa roccia, enuncio la serie dei miei oracoli, annunciando ai mortali i mali che li attendono. Durante una vita di tre volte trecento anni ho conservato la verginità e percorso tutta intera la terra » 9 1 • Profetessa di sventure, la vergine percorre nella sua estrema longevità un arco assai ampio di secoli, durante il quale si fa pe-

" Una menzione della Sibilla giudaica anche in Eliano, VH , 35. Cfr. S. R F. JNACH, Deux inscriptions de I'Asie Mineure. II. Le sancruaire de 14 Si­ by/le d'Erythrée, in • Revue des Érudes Grecques• 4, 1 89 1 , pp. 276-286; GRAF, o.c., pp. 335-337. "" • La mia patria non < un'altra città, ma ben Eritre• - ella dichiara, rivelando il chiaro intento dell'autore della composizione, ossia quello di smentire le pretese di al­ tri centri sull 'origine della profetessa . • , Vs. 5 - 1 0: • Kwmom; b' �vryxrv t�òv yovov. ljJ tvi XQlJOIIO Ùç/ l>Ut