Romani all'opera. I negotia nell'immaginario cinematografico 9788871404127, 8871404122

Il volume propone un'indagine sul rapporto tra storia, mondo romano e cinema. Il punto di vista è quello delle atti

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Italian Pages 160 [159] Year 2009

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Romani all'opera. I negotia nell'immaginario cinematografico
 9788871404127, 8871404122

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4

ROMANI ALL'OPERA I

negotia

nell'immaginario cinematografico

ARTI E MESTIERI NEL MONDO ROMANO ANTICO Collana edita con il patrocinio dell'Assessorato della Piccola e Media Impresa, Commercio e Artigianato della Regione Lazio

Comitato scientifico: Filippo Coarelli, Università di Perugia Giuseppe Della Fina, Università dell'Aquila Gianfranco Gazzetti, Soprintendenza Etruria Meridionale

In copertina: La ricostruzione di una follonica in una scena

© Roma

2009, Edizioni Quasar di Severino Tognon S.r.l. 4 1 -43 , 00 1 98 Roma- rei 0685358444

via Ajaccio

email: [email protected] e-ISBN

978-88-71 40-6 1 1 -4

di Rome (M. Apted, 2005).

ARTI E MESTIERI NEL MONDO ROMANO ANTICO

4 Carlo Modesti Pauer

ROMANI ALLO PERA I negotia nell'immaginario cinematografico

EDIZIONI QUASAR

per Giorgio, Lorenzo e Elisabetta

L'Autore ringrazia per la preziosa collaborazione in sede di revisione del testo Cecilia Ricci (Università del Molise), Salvatore Monda {Università del Molise) e Leopoldo Santovincenzo (RAI). Per l'organizzazione deifogli elettronici del catalogo dei titoli si ringra­ zia Walter Ambrosini.

PARTE l - IL CINEMA, LA STORIA E IL GENERE "ROMANO"

La storia in un minuto Quando non era possibile una Storia del cinema, già il cinema delle origini guardava alla Storia passata. All'alba del XX secolo la necessità di soggetti da realizzare era in crescita, collegata al bisogno di incrementare i cataloghi delle visioni, tanto nel formato "in scatola" del Kinetoscopio di Edison, quanto in quello su schermo del Cinématographe Lumière e degli innumerevoli epigoni. In questa fase l'invenzione di Edison, come quelle di Latham, Le Roy, Alberini e Skladanowsky 1 , è sconfitta dalla maneggevolezza e praticità del modello dei celebri fratelli francesi. All' indomani delle presentazioni ufficiali , i Lumière sono subissati di richieste, cen­ tinaia di ordini ai quali in quel momento possono solo rispondere: "per ora è un pezzo unico" . Tuttavia, nel volgere di pochi anni, la diffusione industriale del cinematografo di loro ideazione è capillare, e in ogni parte del mondo un operatore può presto girare brevi "documenti d'attualità'' che hanno come presupposto contingente quello di ripercorrere il sentiero estetico della fotografia. Il cinema del 1 896- 1 904 risponde prevalentemente a una domanda di rappresentazione in movimento di quella realtà che solo quarant'anni prima cominciava ad essere fotografata, appena dopo i primi esperimenti tra il 1 820 e il 1 850 di Niepce, Daguerre, Bayard, Talbot e Eastman; quest'ultimo vera cinghia di trasmissione col cinema, per l'invenzione e commercializzazione della pellicola a rullo in celluloide ( 1 89 1 ) . Il successo iniziale del cinematografo nel periodo a cavaliere dei due secoli va ascrit­ to principalmente agli aspetti di novità fantasmagorica e di curiosità tecno-scientifica2 : sono questi i motivi d'attrazione d'insieme piuttosto che il "potenziale narrativo" vero e proprio di una storia che non c'è, perché praticamente im possibile "raccontare" in un minuto o poco più; anzi, quando un nucleo primitivo di racconto si propone, passa inosservato. Destinata ad essere spazzata rapidamente via dal mercato, l'invenzione di Edison farà appunto in tempo a presentare, in quelle scatolone di legno su cui per 1 0 centesimi si appoggiavano gli occhi per osservare le brevi proiezioni (figg. 1 -2) , il primo esempio di Storia al cinema con tanto di "effetti speciali"3: The Execution ofMary, Queen ofScots pro­ dotto da Edison nel 1 895, filmato in esterni da Alfred Clark e William Heise. Tuttavia, come s'è detto, l'esito non fu quello sperato; la visione in quel piccolo formato (meno di un attuale visore iPod e senza la nitidezza della tecnologia digitale) rendeva difficile la comprensione della teatrale messinscena del "quadro" ricostruito: la decapitazione di Maria Stuarda, un soggetto poi riproposto nella sua completezza una decina di volte dal cinema e che fra le altre vide come interpreti della regina cattolica Katharine Hepburn 7

Fig. 2. Uno dei primi locali che offriva il cinetoscopio. San Francisco, 1899 ca.

Fig.

l.

Il cinetoscopio di Edison.

diretta da J. Ford e la diva svedese Zarah Leander4 , chiamata dall'UFA nazista diventata orfana di Marlene Dietrich, la "traditrice" passata alla democrazia USA5• La sequenza della durata di un minuto, è però indicativa delle potenzialità del mezzo nel suo testimoniare la presenza di comparse che saturano l'inquadratura, circondando il luogo della decapitazione dove la scena è affidata agli "impersonatori protagonisti": è l'epi­ fania di un genere, nel quale a partire dagli anni Dieci, e per oltre mezzo secolo, il mondo greco-romano sarà il protagonista dei tanti set cinematografici impegnati a ricostruire il passato. Rivedendo anni dopo su "grande schermo" l'Esecuzione di Mary, regina di Scozia, lo storico francese Sadoul vi notò un "precorrimento dei film d'arte francesi e italiani"6 che in Europa costituiranno i vertici produttivi della neonata industria di celluloide. Se gli Stati Uniti inaugurano il genere con il XVI secolo, in Europa la Francia guarda a Roma. Il primo esperimento storico dei Lumière è Néron essayant des poisons sur des esclaves (Promio, 1 896), una manciata di secondi forse ispirati a un dipinto di poco pre­ cedente (fig. 3), che apre in termini d'immagi­ nario anche il sotto-genere sulla crudeltà degli imperatori e sulle persecuzioni dei cristiani di cui il Nerone di Peter Ustinov rappresenterà l' apogeo7• Intanto, per compiere il necessario salto di qualità verso l'industria culturale, il cinema deve risolvere alcune questioni decisive, fra le quali il problema dei brevetti e l'accordo sugli standard internazionali, ad esempio il tempo di ripresa e proiezione. In questo periodo, in­ fatti, la durata varia dai 1 2 ai 48 fotogrammi al Fig. 3. Néron essayant des poisons sur des esclaves secondo e quando successivamente si assesterà (Mazerolle Alexis-foseph, 1859). 8

sui 20 secondi, il compromesso è raggiunto almeno in questa fase "murà' (con il cinema sonoro si passerà infatti a 24) , che vede anche affermarsi il formato 35 mm ( 1 909) . Per ritrovare i primi Romani all'opera, seppure indirettamente come legionari e car­ nefici, si deve guardare al boom delle Vite e Passioni di Cristo8 (fig. 4) . Lo sfruttamento commerciale della narrazione evangelica comincia fin dalle origini (già nel 18 97 si contano quattro pellicole sul tema) e in Italia, appena un paio d'anni più tardi, si ha notizia di una Passione di Gesù di Luigi Topi ( 1 899 ca.)9• Il pubblico per la prima volta viene identificato come un potenziale e vasto "mercato internazionale", il cui primitivo e più profondo ele­ mento aggregante è l'appartenenza alle diverse confessioni cristiane, tutte aventi in comu­ ne la fabula evangelica. Per questi brevissimi film è ovviamente eccessivo parlare di cinema storico-cristologico, si tratta in realtà di tableaux vivants, di regola ispirati alle cosiddette rappresentazioni sacre messe in scena più che aluo durante il periodo pasquale, secondo una uadizione spettacolare del cristianesimo che aveva fatto carta straccia, olue mille anni prima, dell'antico divieto divino - "non tiforai né adorerai alcuna immagine"- come ap­ pare nell'elenco biblico (cfr. Esodo 20, 2-17). Grande impulso in questo senso venne dal poverello d'Assisi, che incentivò notevolmente la consuetudine col suo presepio vivente concepito in funzione di spettacolo emozionante-edificante per il volgo analfabeta. È un terreno già coltivato da secoli su cui gli impresari del cinema "fenomeno da baraccone", snobbato dalle élite, si gettano avidamente, traducendo il desiderio idolauico soddisfatto dal commercio di santini e immaginette, in evento animato: l'intento di stupire anima anche il principale concorrente dei Lumière, l'illusionista Georges Méliès, progenitore inconsapevole del cinema di finzione e degli effetti speciali. Grazie a un guasto della mac­ china da presa, Méliès scopre l'immenso potenziale antinaturalistico del cinema e a lui si deve la prima rappresentazione di un miracolo quando nel 1 898 presenta Le Christ mar­ chant sur !es eaux, breve rievocazione, puruoppo perduta, del mitico prodigio sul lago di Tiberiade. In questo sotto-fi lone, si giungerà, attraverso il musical, ai Romani-marines di ]esus Christ Superstar (N. Jewison, 1973) e alle visioni problematiche di Scorsese ( The Last Temptation of Christ, 1 988) e Godard (je Vous salue, Marie, 1985), passando per Pasolini (Il Vangelo secondo Matteo, 1964) e Rossellini (Il Messia, 1 976) . Qui si può ricordare che il primo lungometraggio in tema sarà prodotto dal cinema italiano con il Christus di Giulio Antamoro ( 1 9 1 6) e la diva Leda Gys nel ruolo della Vergine10 (fi g . 5) .

Fig. 4. La Naissance, la Vie (D 'Alice, 1906).

et

la Mort du Christ

Fig. 5. Christus (Antamoro, 1916). L'annunciazione nelfilm ripropone il celebre dipinto del Beato Angelico. 9

Per concludere, nell'ambito del genere non si può dimenticare che a Roma nel 18 97 il Museo Foto-Elettrico Le Lieure, in sintonia con i trucchi di Méliès e la natura di at­ trazione fantasmagorica o meglio di tecno-magia del proto-cinema, offriva tanto una di­ mostrazione dei raggi X come "visione dell'invisibile" a 40 centesimi, quanto la Grotta di Lourdes con "apparizione e sparizione della Madonna a Bernardette" ma a 25 centesimi. 11 Qualche mese prima nel 18 96, un operatore Lumière, il torinese Vittorio Calcina, aveva ripreso per la prima volta in una "attualità'' un pontefice cattolico: Leone XIII. Vi si vede il papa seduto che benedice, attorniato da prelati; poi in esterni di passaggio in carrozza, sempre benedicente; infine disceso dal veicolo, si dirige verso una panchina, si siede e rivolge i saluti finali alla macchina da presa12•

Alla ricerca dell'equilibrio Per ripercorrere gli accadimenti del cinema delle origini e la formazione del genere storico e greco-romano in particolare, le mutazioni da seguire come traccia essenziale sono parallelamente la durata (la sua definizione entro uno standard accettabile) e lo svi­ luppo della narrazione (la determinazione della professione di sceneggiatore) . La lunga durata si presentò presto come una necessità, quando si ebbe l'imprevista opportunità di una luce sufficiente per riprendere un evento interamente nel suo svolger­ si. Per la prima volta negli Stati Uniti, a Carson City il 1 7 marzo 18 97 si disputava un incontro di boxe all'aperto; assicurandosi per una forte somma l'esclusiva delle riprese, Enoch J. Rector fissò su 3 .000 metri di pellicola un'ora e mezzo di film. V incolato dai limiti riproduttivi del momento (un rullo) , l'autore fu costretto ad un primitivo montag­ gio che ridusse l'evento del Match di boxe Corbett-Fitzsimmons a 7 minuti: le potenzialità narrative erano tuttavia evidenti, non solo per raccontare la cronaca13• Alla magia dei film di Méliès si deve il passaggio da un paio di minuti ad un quarto d'ora di spettacolo: al limite tra fantastico e fantascientifico (per l'adozione di fonti lette­ rarie quali J. Verne e H. G. Wells) e venato di situazioni comiche, l'ex prestigiatore presen­ tò nel 1 902 il suo film più conosciuto, degli oltre cinquecento noti, Le Voyage dans la lune lungo 1 4 minuti (fig. 6) . La storia secondo Méliès si trova però già nel suo ]eanne d'Are del 1 900, dodici quadri per un quarto d'ora, con rogo e apoteosi finale. Come lui altri autori, per lo più inglesi, conquistano il primo vero e proprio pubblico cinematografico, frequentatore delle fiere, delle prime sale e dei music-hall, allora deputati ad accogliere le proiezioni di vedute e attualità. In Francia nasce nel 18 96 la Pathè, prima e longeva14 società di produzione cine­ matografica, e nel 1 90 1 , quando Charles Pathè si associa con Ferdinand Zecca, inizia la produzione industriale di pellicole con una ripartizione strutturale che è possibile orga­ nizzare sommariamente in tre grandi generi: il comico, il dramma realista e il film storico. Già dal 1 905 sono in azione, come sarà poi per la produzione hollywoodiana, gruppi di specialisti composti da sceneggiatori, scenografi, operatori, registi e altre maestranze che si concentrano contemporaneamente su altrettante pellicole: molte sono di comici quali Max Linder e Andrè Deed (Cretinetti) i primi nomi celebri della storia del cinema a cui solo nel 1 9 1 3 si aggiungerà quello di Charles Chaplin. Con Quo Vadis? ( 1 902) la Pathé sancisce l'ingresso dei Romani al cinema: il tema è ancora una volta cristiano, ma il romanzo da cui è tratto il film lo colloca nel genere delle IO

ricosuuzioni storiche, perché il ruolo centrale della Roma di Nerone è decisivo nello svi­ luppo della vicenda. Scritto dal polacco Henryk Sienkiewicz, pubblicato nel 18 95, il ro­ manzo favoleggia dei primi cristiani a Roma e dell'incontro di Pietro, sulla via della fuga, con Cristo, cui segue l'inevitabile dietrofront fino al leggendario martirio. Se ne contano altre sei versioni, delle quali si tornerà a parlare più avanti. Di questo protokolossal della Pathé, Sadoul ricorda la scena nella quale si vede "un reziario abbattere un mirmillone in presenza di ventinove comparse romane incoronate di rose, bene allineate davanti a un colonnato antico dipinto su telà'15 dall'illusuatore Lorant-Heilbronn (fig. 7). I gladiatori sono i professionisti più rappresentati dopo i legionari nella storia del cinema: qui la scena riempita da figuranti prelude ai grandiosi movimenti di massa diretti tra breve dai maestri italiani.

Fig. 6. Le Voyage dans la lune (Méliès, 1902). Fig. 7. Un'illustrazione di Lorant-Heilbronn.

Verso la fine della sua carriera, incapace di rinnovare lo stile che lo ha reso famoso, Mèliès si getta in un visionario e impossibile La civilisation à travers !es ages ( 1 908 ) , insuc­ cesso preconizzatore del gigantesco lntolerance (D.W. Griffith, 1 9 1 5) , del quale è interes­ sante riproporre la brochure16: Uno dei film più artistici che sia mai stato presentato. Vt'a via drammatico, patetico, naturalistico, comico, satirico, ironico, divertentissimo sempre. l. Caino e Abele. Ilprimo delitto (4000 a. C.) 2. l druidi, sacrifici umani (500 a. C) 3. Nerone e Locuste provano i veleni sugli schiavi (anno 65) 4. Le catacombe di Roma, persecuzione dei cristiani (anno 200) 5. Fustigazione con un gatto a nove code (1400) 6. Leforche sotto Luigi Xl (1475) 7. L'inquisizione, la camera delle torture (1490) 8. Aggressione notturna. Signori e ruffiani (1630) 9. I tempi moderni. Un'aggressione notturna (1906) 10. La conferenza dell'Aia (1907) Il. Il trionfo del Congresso della Pace 11

Nello stesso anno, negli Stati Uniti, il cinema è ormai un fenomeno di massa. Nati nel 1 905 i nickelodeons, le prime sale ampie e confortevoli che offrivano spettacoli a co­ sti popolari1 7, avevano raggiunto numeri imponenti con circa diecimila esercizi attivi su tutto il territorio (fig. 8 ) . roffensiva produttiva nordamericana stava affilando le armi, preparandosi a rivaleggiare con la Francia, allora prima industria mondiale da cui gli ame­ ricani plagiano le ispirazioni, tanto che anche oltreoceano l'antichità in pellicola ha il suo capostipite in un Nero and the Burning ofRome ( 1 908 ) di Edwin Porter; e presto gli Stati Uniti si sarebbero confrontati anche con l'Italia, dove l'anno decisivo è il 1 905 e la storia s'in treccia sin da subito con la finzione. La presa di Roma ( 1 905) di Filoteo Alberini, girato in occasione del 35o anniversario dell'evento storico del 20 settembre 18 70, è il primo film italiano a soggetto. Alberini è un fotografo di Orte, esercente e inventore; si trasfe­ risce prima a Firenze e poi a Roma, dopo aver brevettato nel 18 95 il suo "Kinetografo". Nella capitale costruisce il primo "stabilimento italiano di manifattura cinematografica'', gli studi Alberini-Santoni dalle parti di via Appia Nuova18 • Nel 1 904 Alberini apre a piaz­ za Esedra il "Moderno", il primo cinema di Roma (oggi multisala Warner). La proiezione de La presa di Roma è organizzata in piazza, a ridosso delle mura roma­ ne nei pressi della breccia di Porta Pia. È un successo, in un tripudio di inni patriottici e stupore infantile per quei fanatismi luminosi della Storia. Centomila persone si accalcano per assistere al film anche nei giorni seguenti, poi, grazie al cinema ambulante, la visione sarà possibile in tutta Italia propagandando laicità e unità. razione del film si svolge in circa dieci minuti attraverso "sette quadri" che ricostruiscono le fasi finali della vicenda. rultimatum alle truppe pontificie, l'attacco e le cannonate che aprono il varco, la bandie­ ra bianca fatta issare da Pio IX sulla cupola di san Pietro e, nel settimo ed ultimo quadro, l'apoteosi con l'Italia (interpretata da una ragazza) circondata dal re Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini e Garibaldi, i "padri della patrià'19 (fig. 9) .

Fig. 8. L'interno di uno dei primi nickelodeons degli Stati Uniti.

Fig. 9. La presa di Roma (Alberini, 1905).

A partire da questo avvenimento, si delinea in Italia lo sviluppo del cinema di finzione in un crescendo impressionante di pellicole prodotte20, di nuove sale cinematografiche inaugurate e di neonate attività imprenditoriali, collegate al comparto industriale cine­ matografico che si va definendo sempre più come luogo autonomo nell'ambito dello spettacolo di massa. Già nel 1 907 alla Cines di Alberini e San toni si erano affiancate altre manifatture cinematografiche quali la Ambrosio, l'Aquila Film e la Rossi e Co. a Torino; la 12

Bosetti e la Comerio a Milano; la Manifattura Cinematografi Riuniti e la Troncone e Co. a Napoli. Il primo grande successo internazionale, con la Ambrosio di Torino, lo firma l'ex ti­ pografo e attore teatrale Luigi Maggi nel 1 908 con il film Gli ultimi giorni di Pompei21 , la cui accuratezza delle ricostruzioni suscita ammirazione e imitazione. Un critico francese ancora nel 1 9 1 1 scrive: "fin dal momento della sua presentazione, [Gli ultimi giorni di Pompei] rivoluzionò il mercato per il suo senso artistico, la sua messinscena accurata, l'efficacia dei suoi trucchi, la ampiezza della concezione e della esecuzione, nonché per la eccezionale qualità della fotografia"22• In questa direzione Maggi sarà infatti il primo cineasta della storia del cinema a usare migliaia di comparse. Nel 1 9 1 O gira Il granatiere Roland, ancora con Ambrosio, mettendo in scena il mito di Napoleone Bonaparte. Per le scene di massa della ricostruzione delle campagne militari arriverà ad usare per la prima volta 2000 figuranti23. Come si vedrà, aldilà del valore letterario, la spettacolare esplosione del Vesuvio de Gli ultimi giorni di Pompei tornerà più volte sullo schermo; questa storia di amore e lava rovente nella celebre città romana, ovunque nota perché restituita al presente proprio grazie alle modalità della sua scomparsa2\ è ripresa come icona universale dell'antico già pochi anni dopo, con lo stesso titolo, da G. Vidali ( 1 9 1 3) e da M . Caserini e E. Ridolfi ( 1 9 1 3)25• Il plot offre lo spunto per coniugare erotismo e catastrofe, una diade carsica che affiora nelle pellicole più diverse e di cui la vicenda di Pompei appare quale ouverture delle modernizzazioni hollywoodiane antitelevisive anni Settanta: un titolo per tutti L'inferno di cristallo ( 1 974) . Se in Italia la via al genere storico sta per caratterizzare la cinematografia attraverso un uso del mondo antico unico, in Francia la Societé Film d'Art fondata nel 1 907, con l'intento di attrarre un pubblico colto fino a quel momento refrattario al cinematografo considerato un intrattenimento popolare, guarda alla modernità e realizza L'Assassinat du due de Guise ( 1 908) diretto da Charles Le Bargy e André Calmettese, ambientato nel 1 588. Per la prima volta un compositore di fama, Camille Saint-Saens, scrive una parti tura appositamente per un film di finzione da eseguire live com'era uso all'epoca. La proiezione è ancora nei 1 8 minuti, ma l'incontro tra autore musicale e industria cinema­ tografica segna una svolta fondamentale, avviando un intreccio estetico risolutivo per la definizione dell'essenza espressiva del nuovo mezzo. A questo punto, a ridosso del 1 9 1 O, il cinema attraversa la sua prima crisi. I ni­ ckelodeons offrono prodotti sempre più scadenti e stereotipati, i prezzi si abbassano e la concorrenza si fa accanita. Fatta eccezione per il genere comico (slapstick) capace di comunicare grazie alle sue eccezionali caratteristiche fondamentalmente circensi e dun­ que corporee, il cinema ricorre a storie "già scritte" : tutta la letteratura traducibile in immagini, attingendo a romanzi, racconti, novelle, lavori teatrali26, opere liriche, ecc. Una domanda di "contenuti" determinata dalla incalzante necessità di dotarsi di una finzione narrativa funzionale a colmare il "vuoto" diegetico delle attualità documentarie e a oltrepassare la banalità delle pantomime teatrali che ormai saturavano le sale di tutto il mondo. Sono nate intanto le prime riviste specializzate, si discute sia di produzione e costi, sia di qualità e di professionalità, mentre si pone in evidenza come il pubblico borghese sembra essere il target da conquistare. Il nascente cinema Europeo dà fondo alla cultura artistica e letteraria del XIX secolo individuata da produttori e autori quale 13

luogo di sintesi narrativa dei rispettivi trascorsi nazionali, e parallelamente avvia il re­ cupero dei motivi palingenetici delle identità attraverso i richiami al passato, laddove possibile, anche remoto. Non è del tutto casuale che il primo lungometraggio italiano sia l'Inferno (1911) della Milano-Films, un successo mondiale che aNapoli ha trovato tra i suoi spettatoriBenedetto Croce, MatildeSerao, Roberto Bracco27 eAntonioScarfoglio, presenze rilevanti dell'intel­ lighenzia che fanno quasi un lasciapassare per la definizione della "settima arte". L.Inferno, basato visivamente sulle incisioni di Gustavo Doré, era costato l 00 mila lire ma rientrò abbondantemente dei costi "colossali" perché rimase in circolazione nelle prime visioni fino al 1920. Con i suoi71 ' segna, con molti altri film coevi di altri paesi, il passaggio allo standard di durata del lungometraggio la cui media attualeè di 90 '.

Dalprimato alla crisi: una storia italiana L.avvio della produzione di finzione storica coincide dunque con la nascita del cine­ ma italiano; la scelta come soggetto del Risorgimento nel suo momento più significativo, visto ne La Presa di Roma di Alberini, non trovò tuttavia un seguito adeguato28; mentre sono oltre un centinaio i film ispirati al mondo antico tra il1909 e il1926 , che scendono a circa sessanta se si escludono le pellicole cristologiche e le agiografie di martiri e santi. L.ltalia ha messo in circolazione un terzo della produzione mondiale su questi argomenti: i temi e i personaggi raccontati coprono più o meno tutto il periodo storico della Roma antica spaziando daRea Silvia o l'origine di Roma (A. DegliAbbati, 191O) a Teodora impe­ ratrice di Bisanzio (E.M. Pasquali, 1909)29• Specchio del suo tempo, il cinema italiano sceglie il passato di grandezza per portare sullo schermo una mitologia popolare, resa visivamente dalle ricostruzioni "colossali" ap­ prezzate in tutto il mondo, che sa coinvolgere il pubblico borghese attraverso la rilettura della storia anche per via letteraria. In quel momento, la giovane Italia a imitazione delle grandi potenze europee, aveva intrapreso, quasi all'indomani dell'unità, una politica coloniale che vide impegnato a fasi alterne il Regio Esercito a partire dall'episodio di Dogali (1887), passando per la brucian­ te disfatta diAdua (1896), fino all'occupazione dellaLibia (1911). A prescindere da con­ siderazioni di ordine politico, l'avventurismo colonialeè anche il segno di un tentativo di sprovincializzare una cultura nazionale assai fragile; è l'invenzione, benché tragicamente sulla pelle dell'Africa, di un Italia "universale" che vorrebbe sussumere quel "particulare" fissato secoli addietro come carattere culturale dal Guicciardini, quando intervenne nel dibattito politico del XVI secolo in glossa delle notazioni del Machiavelli, il quale aveva preventivamente notato il ruolo nefasto del clero nella mancanza di tensione morale di un ipotetico popolo italiano. Che tutto ciò si rifletta nel consumo culturale di una società la quale, seppure lentamente, procede all'adozione delle forme produttive di massa, è un fat­ to estetico incontestabile di cui, ad esempio, il Manifesto deiFuturisti e quel che ne segue è certamente l'esito artistico più compiuto. La teoria avrà uno sbocco anche nel cinema con il "Manifesto della Cinematografia futuristà'30 di Marinetti ( sottoscritto da Bruno Corra, Enrico Settimelli, Arnaldo Ginna, Giacomo Balla e Remo Chiti) pubblicato nel 1916 , stesso anno del film da lui diretto conA. Ginna Vita futurista. 14

Il ruolo di D'Annunzio, che qui è impossibile anche solo tratteggiare, è poi centrale nella proposta ben noradi estetizzazione della politica, indice di una lucidità teorica-per quanto venara di eccessi megalomani-che fece del Vare l'Impresario della Belle époque italiana, fino a condurlo alla scrittura delle insopportabili didascalie di Cabiria ( fig. l 0), eseguire per pagare i debiti di uno stile di vira provocatoriamente osceno e troppo oltre le proprie possibilità. Sono proprio queste didascalie, nell'ormai inestricabile legame tra "arte e mercato", una sin tesi perfetta della distruzione definitiva di ogni ideale poetico tardo-romantico.

Fig.

IO.

Cabiria (Pastrone, 1913).

A sostegno viscerale dell'impresa contro la Libia, lo scrittore pescarese non fa certo mistero del suo razzismo nei confronti dei discendenti di Annibale -i "maomettani" come si diceva allora dei popoli islamici -quando scrive in un suo componimento del 1912 questa esortazione ai soldati, chiarendo chi avessero di fronte secondo lui: Occhio alla miraferma, o cristiani Solo chi sbaglia il colpo è peccatore. Vi sovvenga! Non uomini ma cani31• La messa in scena al cinema del passato di grandezza della Roma repubblicana in

lotta contro la rivaleCartagine trova le sue fonti in romanzi qualiSalammbo (G. Flaubert, 1862) e Cartagine in .fiamme (Emilio Salgari, 1906) che, filtrati dalla fascinazione dell'av­ venturismo coloniale giolittiano, sono riproposti in pellicola, il primo con Salammbo ( A. Ambrosio, 1911) e il secondo con l'epico Cabiria (G. Pastrone, 1914). E poi, ancora coniugando seduzione visiva e temi poetici per intercettare il pubblico più vasto possi­ bile, oltre al saccheggio delle tragedie romane di Shakespeare]ulius Caesar eAntony and Cleopatra32, si attinge ai poemi storici di Pietro Cossa: Nerone (1872), Messalina (1876), Mario e i Cimbri (1864), Cleopatra (1879) e Giuliano l'Apostata (1892), tutti ridotti in pellicola con una particolare attenzione anche maliziosa a Nerone e Messalina. Laltro referente con diversi adattamenti cinematografici, di cui si dirà, è lo Spartaco del ro­ manziere Raffaello Giovagnoli33, citato da Antonio Gramsci come esempio di romanw nazionalpopolare34• Ma c'è spazio anche per la comica in un Tontolini Nerone (1910) e 15

nella serie di Kri KrP5: Kri Kri Giulio Cesare (1906); Kri Kri e il 'Quo vadis?' (19 I2); Kri Kri gladiatore (1906) tutti prodotti dalla Cines diAlberini eSantoni che oggi si direbbero "instant movie" satirici36• Con questi numeri e premesse si configura l'inizio di un trionfo che troverà l'artefice dell'Ur-kolossal del genere storico greco-romano nel cineasta Enrico Guazwni: è lui che neli9 I3 conquista il mondo con Quo Vadis? ( fig. II), il primo film che riuscì ovunque a catturare l'attenzione del pubblico per più di due ore37• La Roma diGuazzoni è grandiosa e spettacolare: il regista-pittore si pone il problema della conquista dello spazio e della prospettiva nell'arte cinematografica, disponendo i suoi personaggi su diversi piani di profondità ( individuo, masse, ambiente naturale o architettonico) così da ottenere una composizione cinematografica che riempie l'inquadratura di"memorià', filmando un pa­ esaggio che è quello "reale" della campagna romana degli anni Dieci, ma in cui la "tecno­ magià' del cinema fa rivivere il mondo classico e le sue storie. In un gioco tra presente e passato, per costruire l'arena dove sarebbero stati ricreati i giochi dei gladiatori, si sceglie il campo di corse deiParioli38 mentre la facciata del senato e i templi romani sono realizzati nella vasta piana di Centocelle dove non c'è ancora l'aeroporto "F. Baraccà' e affiorano i resti della villa c. d. "ad duas lauros"39•

Fig. 1 1. Quo Vadis?(Guazzoni, 1913).

Quo Vadis? costa500 mila lire e incassa dieci volte tanto, imponendo un immaginario di riferimento ripreso con rispetto ancora daRidley Scott nel2000 conGladiator. Nel film"il possente Bruno Castellani ( Ursus) aveva letteralmente rubato le scene agli interpreti prin­ cipali. La stessa regina d'Inghilterra, che aveva assistito alla prima del film allaAlbert Hall diLondra, nel complimentarsi con il regista e gli attori presenti alla cerimonia, si rivolse a Castellani chiamandolo Ursus ed esprimendogli la sua simpatià'40• Le sequenze chiave del kolossal di Guazzoni diventeranno fonte per le sceneggiature negli anni a venire: la corsa con i carri, l'incendio della città, i cristiani gettatiai leoni, i giochi del circo. Ugualmente, deve molto al muscoloso Ursus del Quo Vadis? il celeberrimo Maciste ( il camallo genovese Bartolomeo Pagano, fig. I2) reinventato da D'Annunzio per Cabiria. Maciste è una ri­ duzione popolare dello stravolgimento concettuale dell'uber Mensch nietscheano operato dal poeta, che volgarizza in 'superuomo' il più filologico 'oltreuomo'41• I..:esito americano 16

Fig. 12.11 "Maciste"Bartolomeo Pagano.

Fig. 13. Primo Carnera nell'incontro con Max Baer.

dell'idea del filosofo tedesco sarà invece il fumetto Superman42 e bisognerà attendere il "feto cosmico" delfinale di2001: A space Odyssey (S. Kubrick, 1968) per trovare al cinema una più corretta trasposizione dell'intuizione di Nietzsche, di cui il regista del Bronx fu attento lettore. Il fascismo mussoliniano tenterà infine una traduzionefisica del personag­ gio dannunziano attraverso lo sfruttamento politico-propagandistico del gigantesco pugile friulanoPrimo Carnera, del quale il regime vietò la pubblicazione sui giornali delle foto a terra dopo il K.O. nell'incontro con Max Baer (14 giugno 1934, fig. 13), evidentemente inadeguate per un "superuomo" . ll successo di Giovanni Pastrone è nella imponente progettualità: Cabiria si gira in Tunisia, in Sicilia, sulleAlpi, e i set di Cartagine e Siracusa vengono ricostruiti in studio seguendo i consigli degli archeologi; per una partitura musicale originale la produzione si rivolge al maesuo Ildebrando Pizzetti che, combattuto tra la preoccupazione di svendere la sua arte ad uno "spettacolo da baraccone" e un'allettante proposta economica, scriverà "La Sinfonia del Fuoco" . Alla fine lo spettacolo durerà oltre tre ore e l'impatto è ovunque notevole, specialmente negli Stati Uniti dove conuibuisce ( con Maggi e Guazzoni) ad in­ fluenzare i padri delkolossal hollywoodiano: D.W. Griffith eC.B. De Mille43• Ancora oggi MartinScorsese che non a mai fatto mistero di amare il cinema italiano, ne parla così 44: "Ho visto Cabiria di Giovanni Pastrone per la prima volta negli anni Settanta e, come molti americani che scoprirono il film in quel periodo, sono rimasto sbalordito. Prima di tutto, mi sorprese il fotto che molte delle innovazioni che pensavamo fossero americane- il sontuoso movimento della macchina da presa, la dijfùsione della luce, lo stesso semo di ambizione epica - hanno avuto origine con questo film. In secondo luogo, e in maniera ancora più significativa, sono rimasto colpito dal film stesso, dalla sua straordinaria espressività, la sua maestosità visiva ed emotiva, le sue incredibili proporzioni, la sua maestria. È un film epico praticamente fotto a mano, dalle scenografie ai costumi al carrello, un'invenzione dello stesso Pastrone che precorre i binari per la macchina da presa'�

Intantoin Europa tira il vento della resa dei conti finale e dopo otto mesi anche l'Italia si getta nel massacro dellaGrandeGuerra. La produzione cinematografica ne risente e dal1917 è crisi. Tuttavia se nel dopoguerra le cinematografie diFrancia4s eGermania sapranno ripren17

dersi, come anche quelle di altri paesi euro­ pei, si pensi alla Danimarca di C.T. Dreyer o alla Svezia di Victor Sjostrom e Mauritz StUler, in Italia il passaggio al fascismo è ra­ pido e doloroso: il mondo del cinema ha bi­ sogno di libertà e molto denaro e alle energie intellettuali impegnate nel settore questi due fattori vengono improvvisamente a manca­ re. Ne segue un collasso produttivo che non consente a quell'industria prebellica, svilup­ patasi ancora sostanzialmente su base regio­ nale, di proseguire nel suo assestamento in una direzione nazionale. Solo un dato: dalle 220 pellicole prodotte nel 1920 si precipita alle 18 del 193 0 . n maestro elementare di Predappio all'inizio punta sulla radio e, per un maggiore controllo, nel 1928 nomina suo fratello Arnaldo vicepresidente della ne­ onata EIAR46• Quando si registra l'unico ritorno dei Romani, questo sarà tutto costruito ancora intorno alla propaganda coloniale e coinci­ derà con le celebrazioni per l'inaugurazio­ Fig. 14. Manifesto del film Quo Vadis? (G. Jacoby e ne di Cinecittà. Durante il fascismo il mito G. d'Annunzio, 1924). di Roma antica doveva rivivere nella realtà della retorica di piazza Venezia; il cinema di finzione, sottoposto a censura, deve volgere altrove il suo sguardo, così il solo personaggio mimetico incaricato di unire passato e pre­ sente sarà Scipione nel kolossal di Carmine Gallone Scipione l'Africano (1937). Gallone aveva già diretto un fortunato remake di Gli ultimi giorni di Pompei ( 1926) che insieme a Quo Vadis? (G. Jacoby e G. D'Annunzio, 1924) (fig. 14) e Messalina (Guazzoni, 1923) (fig. 15) costituirono le scintille finali della grandeur anteguerra.

Da Hollywood al Tevere Il mito di Roma e in generale della classicità per il popolo degli Stati Uniti è visibile anche al visitatore più sprovveduto che si rechi a Washington, dove gli edifici simbolo, per primo il Campidoglio sede del Congresso, manifestano tutta l'ammirazione per la Repubblica nata sul Tevere ventitré secoli prima. [altro mito fondamentale, consustanziale all'architettura e alla forma politica della neo­ nata Repubblica Presidenziale (1788), è di carattere teologico-teistico. Racchiuso nella Bibbia tradizionalmente presente in ogni camera d'albergo, ancora oggi emerge palese al turista co­ mune quel richiamo a Dio (biblico-teologico), sempre visibile anche nell'invocazione (teisti­ co-massonica) "In God we trust" stampata sul dollaro. Non è dunque necessario uno sforw di immaginazione per mettere in collegamento i richiami leggendari alle legioni romane nelle loro diverse fasi operative, con le differenti rappresentazioni degli eserciti americani, da Davy 18

Crocket (1909) a The Green Berets (1968)47• Come per i Romani, almeno così li immaginano gli americani, l'azione militare dei militari USA è giustificata a partire dalla significazione esca­ tologica del concetto dinamico di "frontierà' che sostituisce temporaneamente, nel periodo compreso dalla fine del XVIII secolo alle soglie del XX, quello immobile di "confine". La vio­ lazione di quest'ultimo, chiarito e codificato nella storia nazionale raccontata già da Griffith nel problematico Birth ofa Nation (1915), rende facilmente comprensibili le reazioni alle più drammatiche e sconvolgenti date della storia americana: il 7 dicembre 1941 e l'11 settembre 2001, lutti collettivi variamente rielaborati al cinema, com'è costume dell'industria culturale USA, in un macro-genere che può essere succintamente descritto come bible and rifle. Dire dunque che le pattuglie di Giubbe Blu sulle tracce dei "pellerossà' riecheggiano le legioni di Cesare a caccia di Galli è un'affermazione provvista di precise basi culturali: quantomeno nell'identificazione della missione civilizzatrice, fondamento etnocentrico­ all'epoca non ancora sottoposto a revisione48 - della tradizione occidentale quando si relaziona all"'altro". Un possibile riscontro di questa mitologia può trovarsi in un romanzo popolare, di enorme successo e di carente qualità letteraria, rivelatore essenziale della cultura nordameri­ cana nella sua evidente sintesi delle suggestioni sopra accennate: Ben Hur (1880). I.:autore, Lewis Wallace, generale dell'esercito Nordista che ha combattuto durante la Guerra Civile americana, divenuto poi senatore, governatore e infine ambasciatore, non è solo un mili­ tare professionista, è anche un fervente lettore delle sacre scritture. Mescolando abilmente Roma, Bibbia e Il conte di Montecristo, compone un best seller al quale il cinema si interessa da subito realizzando nel 1907, a due anni dalla mone dello scrittore, una prima versione di 20 minuti49• È fatale che qualche anno dopo, nel 1925, sia stato proprio Ben Hur il colossale guanto di sfida gettato da Hollywood al cinema storico-romano di Guazzoni e Pastrone. A preceder!o c'è il leggendario e perduto Cleopatra (J. G. Edwards, 1917), le ultime due copie sono andate distrutte in due incendi, con la vamp lheda Bara'0 che insieme alla diva italiana Giovanna Terribili-Gonzales in Marcantonio e Cleopatra (Guazzoni, 1913) e Helen Gardner nel britannico Cleopatra (C.L. Gaskill, 1912) - fortemente influenzati da Shakespeare e Sardou- si pongono come le progenitrici di oltre sessanta film (tra cinema e tv) ispirati alla regina d'Egitto con i vari Cesare e Antonio di contorno. Prima di Ben Hur, nei dintorni di Roma il regista di Cleopatra Gordon Edwards, specializzato in grandi produzioni per la Fox51, dirige una vita di Nerone (Nero, 1922)52 poco memorabile, forse perché distratto dalla nascita del nipotino Blake Edwards, il futuro regista della serie di commedie La Pantera. Rosa'3• Contemporaneamente, Louis Mayer, Samuel Goldwyn e Irving lhalberg, si preparano ad ingaggiare una battaglia produttiva tra major, prime di tutte con Fox e Paramount. I tre danno vita alla Metro Goldwyn Mayer che al suo esordio nel grande cinema mette in cantie­ re l'ultimo grandioso kolossal dell'era del muto superato solo dal coevo Napoléon del francese Abel Gance (1927). Fig. 15. Messalina (GuaZZQni, 1923) 19

Fig. 16. Ben-Hur. A Tale ofthe Christ (Niblo, 1925). l. Manifesto de/film; 2. Una scena con R. Novarro alla guida del carro; 3. Cameracar per le riprese della sequenza della corsa (il carro è di Messa/a); 4. Niblo e il direttore della fotografia girano una sequenza a Gerusalemme ricostruita in California presso i Culver Studios.

La sfida lanciata dalla neonata MGM si affida al best seller di Wallace. Per Ben Hur (F. Niblo, 1925) i preparativi cominciano nell923 e si decide di girarlo in Italia, (fig. 16) nell'idea di risparmiare e realizzare al contempo una pellicola che superi gli straordinari Guazzoni e Pastrone sul loro terreno. Le condizioni politiche e sociali costringeranno però la corazzata della MGM a fare rientro a Hollywood. Dopo un anno e più di lavorazione, Mayer e Thalberg sostituiscono il regista Charles Brabin con Fred Niblo, e George Walsh l'interprete di Ben Hur con Ramém Novarro54, allora all'apice della carriera; poi sopraffat­ ti dagli eventi -l'aumento vertiginoso dei costi per raggiri e truffe dei fornitori italiani, l'incendio su una Galea durante le riprese per una scena di battaglia navale e la diffidenza del neonato regime fascista, perplesso sull'immagine della Romanità suggerita dalla sce­ neggiatura- riportano il film in patria. Costato quasi quattro milioni di dollari (ma c'è chi dice oltre sei) non rientrò subito pienamente nella spesa; solo la sequenza della corsa delle bighe, di cui Niblo è fortemente debitore alla spettacolare ricostruzione fatta da Guazwni per Messalina (1923), costò 250.000 dollari e fu girata con decine di macchine da pre­ sa contemporaneamente. Alcune scene, prevalentemente quelle religiose, furono girate in 20

Technicolor e, come spesso accade nel cinema, tra gli assistenti alla regia c'era il ventiduen­ ne William Wyler che nel 1959 tornerà a Roma per dirigere il Ben Hur da 11 Oscar. La frase di lancio del film di Niblo fu "il film che ogni cristiano dovrebbe vedere!". Gli esperimenti sul sonoro cominciarono contemporaneamente all'apparizione del cinematografo Lumière, ma fu Edison a porre il problema, comprendendo sin da subito che il nodo da sciogliere stava nel trovare un sistema pratico di sincronizzazione tra la re­ gistrazione ottica e quella sonora55, Una lunga serie di brevetti e fallimenti56 condurranno allo scontro tra Fox e Warner attorno alla fine degli anni Venti, vinto dalla prima con il suo Movietone. Benché il primo film sonoro sia generalmente considerato The jazz singer (A. Crosland, 1927), vi era stato un precedente l'anno prima con Don juan (A. Crosland, 1926) che non era parlato ma dotato di musica e rumori, mentre il primo film con dia­ loghi completamente sincronizzati fu Lights of Neu; York (B. Foy, 1928), un poliziesco ambientato in tempo reale durante il proibizionismo (1920-33). I costi per passare da un sistema (muto) all'altro (sonoro) erano notevoli e s'intrecciarono con il crollo di Wall Street e la Grande Depressione, così l'affermarsi completo del "cinema parlato" fu un processo lento che si concluse solo alla metà degli anni Trenta57 . I primi Romani parlanti di Hollywood hanno la firma del realizzatore di kolossal per antonomasia, il regista con gli stivali icona della Paramount: Cecil Blount DeMille, conserva­ tore del Sud, fervente cristiano repubblicano di destra che amava dirigere i suoi film seguendo il motto delle tre B, boobs, blood and Bible!58 . Preceduto dai muri The Ten Commandments (1923) and The King ofKings (1927), il primo rifatto dallo stesso DeMille (1956) e il secondo da Nicholas Ray (1961), la prima incursione demilliana nelle antichità romane è The Sign ofthe Cross (1932), ennesima versione rimaneggiata del romanzo Quo Vadis? al quale gli sce­ neggiatori mescolano il dramma teatrale di Wilson Barrett The Sign ofthe Cross (1896), quasi un plagio di Sienkiewicz. Assieme a Clauderre Colbert, nel ruolo di Poppea a mollo nel latte, in un'indimenticabile seppur breve interpretazione di un Nerone misogino ed effeminato c'è Charles Laughton59, il quale tornerà nella toga come senatore Gracco in Spartacus (S. Kubrick, 1960). Secondo il critico Filippo Sacchi all'epoca recensore del film sul Corriere del­ la Sera, la Colbert è una "perfetta creatura di lussurià', mentre Fredric March s'impone con "maschia e gagliarda vivezza . . . nella splendida, corrusca, iattante figura di Marco"; e anche se Roma è "più americana del necessario" e nei "quadri sterminati e sontuosi, entro cui si in­ seguono e si accavallano visioni celestiali o marziali, voluttuose o terribili, martiri, pretoriani, cortigiane, plebei, quadrighe in corsa, donne nude, folle in tumulto, belve azzannanti, ci sarà una certa dose di rettorica, alquanto cattivo gusto e una cultura storica da opera-ballo", per l'autore della critica DeMille è comunque un "formidabile creatore di spettacoli"60• Nel 1933 la civiltà di Roma trova spazio anche nel musical Roman scandal (F. Turrle, 1933) attraversato da risvolti parodistici suggeriti proprio dal pomposo Il segno della croce. Il film costruisce un viaggio nel tempo con il più semplice degli espedienti, il sogno del protagonista, e le coreografie di Busby Berkeley sono meccanismi perfetti che rappre­ sentano in allegoria spettacolare la gioiosa capacità di cooperare del popolo americano, compatto e solidale in reazione alla spaventosa crisi economica. Il viaggio nel tempo aveva trovato la sua origine in un curioso e perduto film di 13 minuti della Parhè, Back to Life After 2,000 Years (1910), in cui proprio il mondo dei Cesari era il pretesto narrativo: un antico romano esce dalla tomba e si ritrova nella Roma del 191O. La storia antica è dun­ que il luogo di partenza di un tòpos classico del cinema di fantascienza, per di più mesco21

Fig. 17. C. B. DeMille dirige Claudette Colbert in Cleopatra (DeMille, 1934).

Fig. 18. Claudette Colbert e Mlrren William in Cleopatra (DeMille, 1934).

lata a una dose di horror (il risveglio dal sepolcro è un elemento altrettanto essenziale del genere61) . La Warner produrrà nel 1969 il debole 2000 years later (B. Tenzer) , ispirato al prototipo della Pathè, in cui l'antico romano Gregorius finisce nel XX secolo, sballottato tra cinema e tv in una serie di situazioni da commedia. Si tratta dell'unico antico romano che abbia mai lavorato per un network televisivo. Presente trasversalmente nella filmografia di DeMille, l'amata diade sesso-peccato troverà un luogo ottimale di realizzazione in Cleopatra (1934)62 (fig. 17) dove la raffigu­ razione della relazione tra Cesare, Cleopatra e Antonio è funzionale ad accentuare tat­ ticamente la declinazione "sensuale" e poco storica del film. Caratterizzato da sontuose scenografie art-dèco, Cleopatra rispecchia senza alcuno scrupolo filologico l'estetica del tempo: in una sequenza a casa di Calpurnia che riceve ospiti altolocati mentre Cesare è in Egitto, DeMille mette in scena un memorabile cocktail da attico di Manhattan con abiti da sera e paillettes. La diva Claudette Colbert è una voluttuosa e infida Cleopatra, Cesare è interpretato da uno stonato Warren William (fig. 18) e Antonio è il demilliano Henry W ilcoxon (tra le comparse si farà notare uno schiavo: il ventiquanrenne David Niven) . Reduci dai trionfi di King Kong, Schoedsack e Cooper attingono ancora al catastrofi­ co, questa volta con chiare allusioni al crack del '29, riproponendo la loro versione di The Last Days ofPompeii (1935) . In questa storia di un fabbro che diventa gladiatore, il lavoro, nella sua forma più classica e prometeica, è per la prima volta protagonista a Hollywood di un kolossal storico-romano (v. infra p. 72). I cambiamenti politici e sociali che intercorrono tra la Depressione e la fine della Seconda Guerra Mondiale, investono anche e soprattutto il cinema come fedele specchio culturale della società americana; questo elemento ne segna dal punto di vista del genere storico-romano la sparizione temporanea a favore di una produzione che guarda ad altre fonti, del passato ma assai più del presente, alle quali attingere per sviluppare soggetti e sceneggiature. Sono gli anni di Frank Capra, John Ford, Howard Hawks, Josef von Sternberg e di Orson Welles. A costoro si aggiungono gli esuli europei, principalmente tedeschi ed ebrei, fuggiti dai rivolgimenti totalitari che investono il Vecchio continente, primo fra tutti Fritz Lang63• Infine a scompaginare il genere poliziesco arriva dall'Inghil­ terra, chiamato dal produttore di vta col vento per dirigere un film sul disastro del T itanic, Alfred Hitchcock che girerà invece Rebecca ( 1940) . Al tragico affondamento si opposero gli armatori americani preoccupati di spaventare i viaggiatori dei loro transaclantici64• 22

Sul fronte industriale lo strapotere delle Major nel funzionamento dello Studio System fa parlare da tempo di monopolio; le società di Hollywood controllano la distribuzione e il circuito delle sale, tanto che alla fine, dopo la pausa bellica in cui il cinema USA rag­ giunge incassi e numeri di spettatori da record, una storica sentenza della Corte Suprema nel 1 948 impone a Fox, MGM, Paramount, Warner, Columbia, ecc. , di vendere le loro catene di sale cinematografiche con cui controllavano tutta la filiera dell'industria. Per ri­ trovare il genere storico-romano, dopo tre lustri di oblio, si deve attendere il 1 95 1 quando Mervyn LeRoy riapre le pagine di Quo vadis per la MGM che torna a girare a Roma dopo l'abbandono nel '24 durante la lavorazione di Ben Hur. l romani

in technicolor, tra fede e storia

Nel frattempo il fascismo aveva costruito nel 1 936 gli studi per "l'arma più forte" inau­ gurando Cinecittà, laddove trenta anni prima Alberini aveva realizzato i teatri di posa della Cines, poi distrutti da un incendio (quasi certamente doloso65) . Saccheggiata dai tedeschi nel '44, occupata dagli acquartieramenti alleati e poi dagli sfollati, Cinecittà negli anni dell'immediato dopoguerra aveva visto fiorire l'esperienza neorealista, decisiva per gli svi­ luppi del cinema italiano, ma aveva anche ripreso la strada popolare del genere storico-ro­ mano con l'esperto e scaltro regista Alessandro Blasetti, già fascista con poche incertezzé6, ora fervente cattolico e pacifista. Chiamato dalla Universalia Film controllata dal Vaticano per dirigere il kolossal agiografico Fabiola ( 1 949)67, Blasetti si inserisce con Genina, che esalta Maria Goretti prossima santa in Cielo sulla palude ( 1 949) , nel clima delle imminenti celebrazioni per l'Anno santo 1 950. Lobiettivo di Pio XII è chiaramente il mantenimento dell'egemonia culturale e morale sul corpo sociale femminile: oltre alla celebrazione del­ la "santità'' nelle donne delle origini imperiali (popolarizzata appunto da Fabiola), e del martirio infantile (la contadina undicenne Maria Goretti ammazzata da un balordo impo­ tente nel 1 902) , il Vaticano interviene sulla Madonna stessa con il dogma dell'Assunzione ( 1 950), aggiungendo un ulteriore tassello alla divinizzazione della 8EOTOKOS' . Limpida è la scelta pontificia nell'uso strategico del cinema: da una parte la riletrura in tempo reale del neorealismo secondo un'estetica esplicitamente cattolica (molto oltre il prete da CLN di Roma città aperta) , dall'altra il recupero di un genere popolare fon­ damentale per il cinema italiano qual'è quello storico-romano, permeato di significati catechistici. Tratto dal romanzo del cardinale Nicholas Wiseman (Fabiola o La Chiesa delle catacombe, 1 854) Fabiofa68, in pellicola già nel 1 9 1 3 e nel 1 9 1 8, celebra l'eroismo dei martiri cristiani durante la cosiddetta persecuzione di Diocleziano; costato la notevole cifra di 500 milioni, il film pareggia i conti e ne incassa 1 3 di più. La distanza dalla realtà del clericalismo medievaleggiante di quella Italia del 1 950 è tale che alla fine il giudizio del CCC69 sarà paradossalmente paradigmatico: "la visione è ammessa solo per gli adulti di piena maturità morale. Opportunamente corretto, il film potrebbe forse ottenere una migliore classifica"70• "Opportunamente corretto" significava ovviamente nel linguaggio clericale "con i tagli censori dovuti": verosimilmente gli abiti delle "prime cristiane" non erano conformi alla morale di Pio XII . "Adulti di piena maturità morale" significava in­ vece che un contadino padre di sei figli poteva "rimanere scandalizzato" dalla visione. In gioco c'è in realtà un conflitto tra immaginari: quello del martirio e quello delle comu­ nità giudeo-cristiane primitive, quello agiografico veicolato dalla pedagogia cattolica e 23

quello tendenzialmente più aperto al realismo storico spettacolare proposto dal cinema. Il Vaticano infatti giudicava insufficienti le ingerenze della DC sulle sceneggiature e più in generale non del tutto efficace il controllo della produzione cinematografica. Sono gli anni in cui Fellini deve far visionare al cardinale Siri il suo Le notti di Cabiria ( 1 957) , la storia di una prostituta scritta fra gli altri con Pasolini. Ricorda il regista: "La censura ave­ va proibito il film e io non volevo che bruciassero i negativi. Così, seguendo il consiglio di un amico gesuita intelligente e forse un po' spregiudicato, padre Arpa, andai a Genova da un cardinale famoso, considerato uno dei papabili e forse anche per questo assai potente, per chiedergli di vedere il film. In una minuscola saletta di proiezione situata proprio die­ tro il porto, aveva fatto mettere, al centro, una poltrona comprata il giorno prima da un antiquario, una specie di trono con un gran cuscino rosso e le frange dorate. Il cardinale arrivò a mezzanotte e mezza sulla sua Mercedes nera. A me non fu concesso di restare nella sala e non so se l'alto prelato vide davvero tutto il film o se dormì; probabilmente padre Arpa lo svegliava nei momenti giusti, quando c'erano processioni o immagini sacre. Fatto sta che alla fine disse: 'Povera Cabiria, dobbiamo fare qualcosa per lei!'. E penso che gli sia bastata una semplice telefonatà'71 • Per Fabiola di grande interesse è la recensione del futuro sceneggiatore dei Vite/Ioni e La dolce vita Ennio Flaiano; se ne ripropone un ampio stralcio, testimonianza nitida per questo preciso periodo storico del rapporto tra Roma antica e il cinema italiano: «Dopo aver visto quesro film (impresa non agevole perché dura tre ore) si è anzi indotti a credere che

l'impero Romano è un tentativo della Storia per fornire conforti a tutte le nostre tesi. Le guerre puniche di

Cabiria e di Scipione servirono benissimo al nazionalismo dannunziano di Federzoni e di Mussolini: e

il p ubblico applaudì, ritenendo che il Mediterraneo avesse conservato la stessa importanza che ai tempi di Attilio Regolo e traendo da questa certezza buone previsioni politiche e militari. Ma ecco: i senatori, i pretoriani, le matrone pullulanti in quei film non fanno a tempo ad invecchiare che vengono assunti in

Fabiola a dimostrare un'altra tesi, questa sfavorevole; Roma deve adeguarsi o perire, giungere ad un ac­ cordo con le masse cristiane o rinunciare al suo predominio. La tesi è troppo allettante, offre un parallelo tra il III secolo e il XX secolo: perché non dimostrarla? E come dimostrarla se non stabilendo che i cristia­ ni sono i comunisti di quel periodo? E riunendoli perciò in cellule, interessandoli a questioni annonarie, alimentando le loro speranze nell'arrivo delle truppe di Costantino-Stalin? E chi sono questi antichi romani se non sordidi capitalisti peggiorati dal paganesimo? Come osano pretendere che l'Impero resti in piedi senza i cristiani al governo? [ . . ] Forse a questa storia ha nociuto l'eccessiva preoccupazione degli .

sceneggiatori di renderla "moderna" e gradita anche al pubblico che predilige i film polizieschi e i grandi processi. Si è voluto arricchire lo spettatore, dandogli due film invece di uno e non lesinando nelle scene di massa: e così tutto il primo tempo e buona parte del secondo sentono di pittura ufficiale, di vira e costumi degli antichi romani»72.

La riscoperta del cinema americano da parte del pubblico dal 1 945 in poi, dopo il digiuno imposto dalla legge Alfieri73 ( 1 938), è evocata da Flaiano. Linteresse per il mer­ cato italiano (dove si arriveranno a staccare nel 1 954 oltre ottocento milioni di biglietti) è enorme e a riprova si può aggiungere che Fabiola è distribuito dalla Warner. Intanto la Paramount e la Fox avevano ripreso il filone "sesso-peccato" con due kolos­ sal biblici: Samson and Delilah (C. B. DeMille 1 949) con Victor Mature ed Hedy Lamarr e David and Bathsheba (H. King, 1 95 1 ) con Gregory Peck e Susan Hayward. Vi è dunque una evidente attenzione per un ritorno al genere e non casualmente la rivale MGM, de­ terminata a dare battaglia sullo stesso fronte, avvia un scontro che culminerà nel delirio produttivo di Cleopatra ( 1 963), apprestandosi a sbarcare a Cinecittà dove ha spostato le 24

riprese di Quo Vadis, inizialmente previste presso i propri stabilimenti a Borehamwood, in Inghilterra. Dietro al sacro infatti si annida sempre il profano: "Gli americani decidono di girare a Roma Quo Vadis e sfruttare così i capitali accumulati in Italia con il noleggio e bloccati dal divieto di esportazione di valuta. Il macchinoso espediente in uso fino ad allora per aggirare l'inconveniente - l'utilizzazione di istituti religiosi aventi sede sia in Italia che in America - «costava)) loro circa il 25% della somma esportata. La produzione in Italia che usava i fondi congelati del noleggio, permetteva invece l'esportazione legale della pellicola finita. Per questa era necessaria una autorizzazione ministeriale, che nel caso di Quo Vadis fu concessa per due miliardi"74• Sottratto per divergenze d'opinione a John Huston, che si rifarà nel 1 966 col tombale The Bible75, il film viene affidato a l'esperto LeRoy - già fon­ datore del gangster-movie con il memorabile Little Caesar ( 1 930) e del chain-movie con l'altrettanto pregevole I A m a Fugitivefrom a Chain Gang ( 1 9 3 1 ) - che ha a disposizione, fissato in 7 milioni di dollari, il più grande budget mai visto dai tempi di Via col vento. Il regista, assistito da Anthony Mann, si avvarrà di 20.000 comparse reclutate tra i "bor­ gatari" amati da Pasolini; le abili maestranze italiane, molto apprezzate dagli americani, attrezzeranno oltre 1 00 set con gigantesche ricostruzioni scenografiche, statue ciclopiche e sfarzosi arredamenti in seguito riciclati in decine di film; per le scene clou sono dispo­ nibili 63 leoni, 7 tori e 450 cavalli con annessi domatori da circo e stuntman che presto affolleranno centinaia di "sandaloni" e "spaghetti western"; il costumista Herschel McCoy realizza 32.000 abiti, 1 1 .000 dei quali da altrettanti disegni originali, e ottiene un record neppure superato da Cleopatra (26.000) . A Ciampino, unico aeroporto di Roma allora, arrivano Robert Taylor, Deborah Kerr e Peter Ustinov: si apre la stagione dei paparazzi che seguono le star hollywodiane in giro per la città. A farsi le Vacanze romane stanno per arrivare anche Gregory Peck e Audrey Hepburn, accompagnati da William Wyler, che si fa un'idea di Cinecittà in vista dell'imminente ritorno di Ben Hur. Sul rapporto con la Storia antica della produzione cinematografica USA, si può ri­ cordare quanto ebbe ad affermare molti anni più tardi Peter Ustinov in un intervista televisiva76• Ustinov racconta che la sua parte per Nerone nel Quo Vadis di LeRoy, di cui si discuteva dal 1 948, era in bilico perché egli era ritenuto troppo giovane; l'attore trentenne replicò che l'imperatore all'epoca aveva neppure 30 anni e se i produttori avessero atteso ancora a lungo lui sarebbe stato anzi troppo vecchio. Dopo qualche tempo Usrinov rice­ vette la conferma per il ruolo, accompagnata da una nota che diceva: "le ricerche storiche effettuate hanno provato che lei aveva ragione" . La sottomissione della verità fattuale alla legge dello star system è semplicemente sintetizzata in questo ricordo di un attore, per il quale alla fine l'incarnazione dell'imperatore "dannato" fu il trampolino di lancio basato sulla rivalità con il Nerone di Charles Laughton. Il fatto che la produzione abbia accettato la segnalazione di Ustinov, per la quale non erano necessarie competenze di nessun tipo, a parte sfogliare l'Enciclopedia Britannica alla voce corrispondente, non significa che vi fos­ se nell'attore anche una volontà di "rileggere" l'ultimo dei Giulio-Claudii, ma piuttosto una sagace osservazione british per entrare da protagonista nella più sfarzosa produzione spettacolare del tempo. Di Storia non si interessa la produzione, che ignora perfino l' epo­ ca in cui vive Nerone, e in fondo neppure lo stesso Ustinov. Limmagine di Nerone, ovviamente in modo smaccato quella all'interno della costru­ zione per banali tesi ideologiche del Quo Vadis e consimili, è incatenata all'immaginario 25

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Fig. 19. La crocifissione a testa in giù dell'apostolo Pietro in Quo Vadis (LeRoy, 1951).

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Fig. 20. L'ultima cena in Quo Vadis (LeRoy, 1951).

edificato nel corso di venti secoli di falsità e censure, di una parte della storiografia romana prima (Damnatio memoriae) e della Chiesa cattolica poi, in questo caso per dimostrare l'impossibilità dell'autonomia della Storia dopo la Rivelazione. Gli ascoltatori che alla ra­ dio avevano appreso la notizia della "scopertà' della tomba di Pietro77, avrebbero poi visto la rappresentazione dello stesso mitico mondo antico in una "visione" capace di radicarsi nell'immaginario e assurgere a rango di conoscenza: a metà del film Quo Vadis si assiste alla leggendaria crocifis sione a testa in giù dell'apostolo Pietro, ai piedi del Colle Vaticano dove sarà edificata la basilica costantiniana. La sequenza (fig. 1 9) non è di derivazione pittorica - come invece quella dell'ultima cena (fig. 20)-, mancano la folla e i carnefici , come si vede viceversa nelle due più note opere in argomento, l'affresco michelangiolesco e la tela di Caravaggio78• La scelta di non attingere alla pittura rinascimentale è dettata dalla necessità di proporre un'immagine "iconostaticà', di breve durata (pochi secondi) e tuttavia memorabile come l'illustrazione di un "santina" del XIX secolo. Questo esempio, tra i più fecondi sull'argomento dell'intera storia del cinema, testi­ monia l'intreccio tra industria culturale, storia e interessi teologico-politici che caratteriz­ za seppure in forme diverse (a Hollywood si impone la visione protestante e una grande attenzione all'ebraismo) non solo le pellicole in cui il mondo romano è direttamente af­ frontato nei suoi legami con il cristianesimo, ma in generale anche l'epoca Repubblicana. Questa è ancora per lo più presentata come pagana (sinonimo di corrotta, barbarica e viziosa) o come propedeutica dell' awento del Cristo; a meno che non si tratti dell'uso politico-allegorico della Repubblica, specie nella sua fase di crisi quando si parla di Giulio Cesare per esaltarne il decisionismo o al contrario plaudendo ai tirannicidi79• Nel caso di Quo vadis non c'è dunque margine anche solo per tratteggiare l'imperatore seguendo il dibattito storico, e la "leggenda nerà' diventa l'inossidabile paradigma di riferimento della rappresentazione di Nerone, con aggiunta la beffa fonica, nomen omen.

Lo sviluppo delfilm storico-romano e la nascita della tv Intanto un nuovo elettrodomestico cambia la vita al pubblico delle sale cinematogra­ fiche e scompiglia progressivamente e in profondità le regole dello spettacolo. In Italia la televisione prenderà il via solo nel 1 95480, ma negli Stati Uniti costituiva già da tempo un problema per il cinema: introdotta nel l 939, riprende la trasmissione con regolarità nel do26

poguerra registrando una rapida espansione che vede nel 1 952 il 4% di famiglie dotate di un apparecchio televisivo, 1'89% nel 1 960 (oltre 50 milioni di televisori)81 • All'inizio degli anni Cinquanta il cinema è dunque impegnato sia sul fronte della concorrenza interna, sia contro la seduzione del nuovo prodotto, benché le caratteristiche della tv non siano ancora direttamente in conflitto con le sale e i loro film. C'è da aggiungere che un contributo alla crisi viene anche dal cinema stesso. A cinquant'anni dalla nascita c'è ormai un pubblico di seconda e terza generazione, abituato al linguaggio cinematografico fin da bambino (si pensi al prodotto Disney praticamente senza rivali al mondo), che non è più disposto ad entusiasmarsi di fronte a produzioni esauste e standardizzate. L industria culturale, proprio perché caratterizzata in tale ambito, si trova a dover rinnovare profondamente le forme estetiche espresse nel corso di mezzo secolo, sia all'interno dei diversi generi, sia nel cd. cinema d'autore. Tra le pieghe di questo processo, si affaccia all'inizio degli anni Sessanta, nelle principali cinematografie, una nuova generazione di registi che contribuirà al rinno­ vamento, tanto al botteghino, quanto nei riconoscimenti della critica più onesta82•

Il Cinemascope in una scena di The robe (Koster, 1953). Questa scena è ispirata a un celebre quadro di Tadema (cfr. Par. 2 e Fig. 71).

Fig. 21.

Alma

La Fox decide così di adottare una nuova tecnologia, il Cinemascope, e il 28 gennaio 1 953 Darryl Zanuck annuncia che lhe robe (H. Koster) sarà il primo film nel grande formato (fig. 2 1 ) , dotato inoltre di s uono stereofonico. È una rivoluzione estetica fon­ damentale che triplica di fatto sull'asse orizzontale l'inquadratura, accrescendo enorme­ mente anche la possibilità dell'uso di piani diversi nella medesima scena sfruttando la profondità di campo. Il direttore della fotografia Leon Shamroy, poi vincitore nella sua categoria dell'Oscar per Cleopatra Q. Mankiewicz, 1 963) , parlando di lhe robe dichiarò che era possibile filmare contemporaneamente fino a cinque personaggi in figura intera, accrescendo notevolmente le potenzialità narrative e spettacolari di ciascuna scena. Il for­ mato si diffuse rapidamente aprendo nuovi sentieri visivi e l'Italia fu il paese che nel 1 956, a tre anni dalla presentazione, poteva disporre del più alto numero in Europa, 30 1 1 , di sale allestite per il Cinemascope83• Tratto da un mediocre romanzo del pastore lurerano Lloyd Douglas, The robe è l'enne­ simo cocktail: 1/3 di Cristo, 1 /3 di Roma e 1 13 di melò; lo storico Sadoul lo definì "film mediocrissimo", tuttavia l'attrazione spettacolare prevalse e fu un successo da quasi venti milioni di dollari al botteghino nei soli Stati Uniti. Victor Mature nel ruolo di Demetrio, 27

in realtà Victor Maturi (il padre era un arrotino di Pinzolo emigrato in USA) , non era alle prime armi come muscoloso protagonista in questo genere "Sword and sandal". Lattore aveva già vestito i panni di Sansone nel 1 949, conquistandosi il ruolo di capostipite di seconda generazione tra i forzuti del cinema che si moltiplicheranno a decine quando il genere diventerà una specialità di Cinecittà di lì a poco. Mature in The robe è uno schiavo greco e per il pretestuoso sequel Demetrius and the Gladiators (D. Daves, 1 954) si tra­ sforma in gladiatore, per tornare in seguito ancor più indietro nel tempo nell'ambizioso The Egyptian (M. Curtiz, 1 954), un colossal che indaga le origini del monoteismo; nel 1 952 aveva già incontrato il mondo romano nella versione cinematografica di Androcles and the Lion ( 1 9 1 2) , la commedia di George Bernard Shaw. Il film Androcles and the Lio n (C. Erskine, 1 952) fu un insuccesso, completamente fuori registro per gli standard a cui il pubblico cinematografico era abituato : gli spettatori rifiutarono l'ironica denuncia dell'ipocrisia della Chiesa cattolica sottesa al testo teatrale, per di più prudentemente stemperata nella trasposizione in pellicola. Diretto da un prestanome, Androcles and the Lion fu prodotto da Gabriel Pascal, per il quale dovette sembrare opportuno non figurare dietro la macchina da presa. Pascal era in effetti reduce dal film più costoso e soprattutto più disastroso della storia inglese, tanto da porre fine alla sua carriera obbligandolo a tra­ sferirsi a Hollywood. Originario della Transilvania, Pascal aveva prodotto e diretto Caesar an d Cleopatra ( 1 94 5) con Claude Rains e Vivien Leigh, ricostruendo una teatrale Roma al tramonto della Repubblica presso i Denham Studios nel Buckinghamshire; anche in questo caso si trattava di una trasposizione per il grande schermo dell'omonima piece di G.B. Shaw, all'epoca novantenne e vispo autore della sceneggiatura. Intanto la MGM nello stesso anno di The robe, aveva presentato qualche mese prima un julius CaesarM (]. Mankiewicz, 1 953) che taluni ritengono la più riuscita versione cinema­ tografica della tragedia di Shakespeare, comunque memorabile per il cast85• Su questo film si pronunciò con acuta ironia il semiologo Roland Barthes che rimproverò a Mankiewicz la scelta dell'attore Louis Calhern nel ruolo del dittatore perché "incredibile, con la sua grinta di avvocato anglosassone, consumata ormai da mille ruoli secondari, comici o polizieschi, con quel cranio da bonaccione penosamente attraversato da un ciuffo da parrucchiere"86• Barthes, seguito da Christian Metz87, è il primo ad affrontare, analizzando il sistema dei segni contenuti e rinviati in un film, il rapporto estetico della Storia con le emergenze spettacolari. Egli sottolinea come non vi sia alcuna attitudine recettiva, da parte delle pro­ duzioni, di testi come ad esempio quello di Carcopino88 sulla vita quotidiana dei Romani, perché la produzione non cerca (ancora) la Storia ma la riproduzione di un Mito. Ciò che assume un significato nelle scenografie, nei costumi e nel trucco, è lo scambio simbolico tra l'immaginario sedimentato nel tempo e le sue possibili narrazioni nella forma cinema­ tografica. I rilievi di Barthes colgono da una parte la complessità (e per lui forse l'impos­ sibilità) del linguaggio storiografico, quando esso si propone di restituire all'immaginario del presente il passato attraverso la ricerca della verità storica e del realismo; dall'altra, sottolineano la inevitabile necessità di semplificazione del mezzo cinematografico che tra­ duce questo linguaggio specialistico nella forma audiovisiva. La tendenza a filmare la complessità attraverso il realismo narrativo da un lato, e l'inclinazione alla rappresentazione sintetica dell'immaginario spettacolare dall'altro, er­ roneamente apparvero in origine come divergenti nell'aperta separazione fra le attualità dei Lumière dalle fantasticherie di Méliès. 28

Nella fondamentale Sortie des ouvriers de l'usine Lumière (Lumière, 1 895)89 (fig. 22) , i l pubblico era, per così dire, costituito dai "lavoratori" stessi che nel tempo libero, an­ dando al cinema, si ri-vedevano uscire. Si può dire che a questa immediatezza a circo­ lo chiuso (officine � lavoratori � cinema � lavoratori � officine) , il cinema prende a sostituire il corpo dell'operaio con l'at­ tore che interpreta l'operaio, raccontando, diciamo così, la vita romanzata di questo operaio. Se per operaio volessimo poi in­ Fig. 22. Sortie tks ouvriers de l'usine Lumière (Lumière, tendere la società di massa che all'uscita dal 1895). lavoro va a vedere se stessa e la sua "storià', il quadro di riferimento appare più espli­ cito, e più nitido si presenta il ruolo arti­ ficiale dell'attore e del racconto all'interno di quello che diventa proiezione di uno "spettacolo della culturà'. In questo modo il cinema (con lo Spettatore che è progres­ sivamente "al corrente" della nuova "tecno­ magià') comincia a guardare, piuttosto che vedere, attendendo voyeristicamente ogni volta nuovi sviluppi spettacolosi. Contemporaneamente, i film di Méliès Fig. 23. S. Kubrick impegnato nelle riprese di Spartacus mettevano più esplicitamente in evidenza (Kubrick, 1960). il potenziale illusorio e fantasmatico del cinema, la sua natura "platonica'' di mezzo mistificante e artificiale, e soprattutto il po­ tere di manipolazione del regista (o di chi ha il controllo del prodotto finito). Il gioco delle apparizioni e sparizioni comiche nelle prime pellicole di Méliès è solo la prima e più innocente delle possibilità mistificatorie, che deflagreranno presto, tanto nel delirio propagandistico del cinema nazista e antisemita (fud Suj, 1 940)90, quanto nei sosia di Stalin in divisa bianca tra i bambini e i fiori rossi della steppa russa d'estate. Tra Hitler e Stalin, ossia nel mezzo dell'apparante tensione originaria tra Lumière e Méliès, c'è tut­ tavia mezzo secolo di cinema fino a quel Giulio Cesare criticato da Barthes. In breve, la mediazione dell'industria culturale. Una conciliazione costruita attorno alle oscillazioni del gusto dell'uomo medio, il protagonista del Novecento, l'onnivoro consumatore che Orson Welles definisce nel film La ricotta91 (Pasolini, 1 963) "un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista!", recitando con soddisfazione la battuta-opinione personale del regista di Accattone, che di Barthes fu grande ammiratore e raffinato critico92• Del significato della mediazione tra cultura e mercato, fra arte e profitto, tra Storia e finzione, è ben consapevole anche Stanley Kubrick che nel 1 959 diresse il kolossal Spartacus ( 1 960) (fig. 23) , tratto dal romanzo omonimo del black listed Howard Fast93, prodotto da Kirk Douglas (Bryna Productions) e disuibuito dalla Universal. Quando il 29

film fu annunciato in fase di pre-produzione, John Wayne e la cronista mondana Hedda Hopper - razzista e antisemita amica del famigerato senatore Joseph McCarthy e di Nixon, già accanita persecutrice del "socialista" Chaplin - attaccarono duramente il pro­ getto come "propaganda marxista". Stanley Kubrick è il primo regista-intellettuale a mettere mano ad un film storico­ romano con un budget di 1 2 milioni di dollari94, fu chiamato a sostituire Anthony Mann, dimissionario dopo due settimane di lavorazione per divergenze con Douglas e lo sceneggiatore Dalton Trumbo (anche lui black listed)95. Kubrick ha trent'anni e ha appena girato un capolavoro antimilitarista con Douglas - Paths of Glory ( 1 957) - vie­ tato in Francia fino al l 97596• Benché l'attore ebbe a scontrarsi col regista sul set di Paths of Glory per via della sua maniacale e proverbiale precisione, tanto da dire in quell'oc­ casione "Stanley è una merda di talento" , lo chiamò anche per Spartacus puntando evidentemente sul secondo aggettivo. Sulla portata di tale "maniacalità", J. Baxter, nella sua biografia del regista97, racconta a proposito di una scena di battaglia per Spartacus98: «trecento comparse, vestite di ruvido tessuto marrone, sono sparse su un pendio er­ boso sotto il sole cocente. Ognuna di loro regge in mano un cartello con un numero. Nessuno ha l'aria felice. [ . . . ] Nell'accento monocorde del Bronx [Kubrick] bisbiglia qualcosa al suo assistente, che prende un microfono. La sua voce tuona: "Numero 23. Spostati a sinistra. Numero l 04 - contorciti!". Il l 04 non si muove. "George", dice il subalterno "Stanley vuole che il l 04 si contorca" . I.: assistente alla regia si fa strada fra la folla e poi ritorna sui suoi passi. "È un manichino!" urla verso la torretta. Il volto del regista resta impassibile. Bisbiglia qualcosa all'assistente. "Stanley dice di metterei dei fili e farlo contorcere"» . Senza aver preso parte alla fase preparatoria Kubrick "incautamente" accetta; tutta­ via anni dopo intervistato dal critico Miche! Ciment per l'uscita di A Clockwork Grange ( 1 97 1 ) ricorda: «ln

Spartacus ho cercato - solo con

limitato successo - di rendere il film più reale possibile, ma ho do­

vuto battermi contro una sceneggiatura piuttosto stupida e di rado fedele a quello che si sa di Spartaco.

La storia ci racconta che per due volte egli cond usse il suo vittorioso esercito di schiavi fino ai confini settentrionali dell'Italia, dove avrebbe potuto uscire dal paese abbastanza facilmente. Ma non lo fece e riportò indietro il suo esercito per saccheggiare le città romane. Il perché di questo comportamento sarebbe stato il problema pitt interessante che il film avrebbe potuto affronrare. Erano forse cambiate le fi nalità della ribellione? Forse Spartaco aveva perso il controllo dei suoi capi, più interessati al bottino di guerra che alla propria libertà? Nel film a Spartaco venne impedita la fuga per lo sciocco inganno di un capo dei pirati che venne meno al patto di trasportare l 'esercito degli schiavi sulle sue navi. Se mai avessi avuto bisogno di convincermi dei limiti della forza di persuasione che un regista può avere su un film i n c u i i l produttore

è qualcun altro e l u i è semplicemente i l membro p i ù pagato della troupe, Spartacus m i

9

fornì prove sufficienti per tutta u n a vita))9 .

Quando discuteva con uomini quali Edward Muhl, massimo dirigente degli Universal Studios, Kubrick si era spesso sentito dire frasi come: "Le idee interessanti sono belle in un film, ma quello che conta è l'impatto sul pubblico", puntale manifestazione del rapporto simbiotico tra industria culturale e umori popolari, volubili e ingovernabili e tuttavia oggetto delle ossessioni dei produttori. I.: immaginario di questo genere di cinema entrerà così a far parte del film A Clockwork Grange: quando il giovane protagonista Alex è in carcere, il regista lo riprende mentre finge 30

di leggere la Bibbia con devozione beffando il cappellano. In realtà, fedele al suo perso­ naggio di minorenne perverso e violento, sogna di essere un centurione romano che frusta Cristo mentre sale al Gòlgota (fig. 24) . Kubrick gira questa sequenza onirica come quelle viste infinite volte nei film di gene­ re, mettendo in scena la standardizzazione dell'immaginario storico come fonte a cui attinge anche Alex per figurarsi le parole bi­ bliche in un sogno a occhi aperti . Il regista Fig. 24. Maleo/m McDowell in A Clockwork Orange (Kubrick, 1971). sembra così condividere l'affermazione: "il governo dello spettacolo, che attualmente detiene tutti i mezzi per falsificare l'insieme della produzione nonché della percezione, è padrone assoluto dei ricordi"100 • A riprova di ciò, i tagli effettuati sul film Spartacus in fase di montaggio definitivo sono proprio in direzione della conservazione di un immaginario preciso e contro la pos­ sibilità della verosimiglianza storica101 • Spariscono una decina di scene tra cui gran parte dei frammenti di battaglie (quelle di Luceria e di Metaponto) dove appariva possibile la vittoria di Spartaco e i suoi schiavi insorti; il Trace doveva essere ridotto ad un ribelle primitivo e spontaneistico e mai apparire come un "grande condottiero militare che per 4 anni combatte seminando il panico tra le migliori armate di Roma . . . " 1 02 • Ancor più espli­ cito e ampio è l'intervento che elimina la sequenza della proposta omoerotica di Crasso (L. Olivier) allo schiavo Antonino (T. Curtis) 103: nella piscina della sua villa 1 04 il console spiega al giovane, seguendo un'allegoria gastronomica, che il gusto per alcuni può passare indifferentemente dalle "ostriche" alle "lumache". La scena è stata ripristinata nella ver­ sione oggi disponibile in DVD. Spartacus sarà premiato con quattro Oscar - miglior attore non protagonista (Ustinov), fotografia, scenografia e costumi - ma soprattutto riceverà l'apprezzamento pubblico del neoeletto presidente J.F. Kennedy che metterà fine ai tentativi reazionari della Hopper, giusto prima di diventare lui stesso tragico protagonista di un filmato (amatoriale) che segnerà gli Stati Uniti per sempre.

Apoteosi e disastri La produzione colossale americana del secondo dopoguerra, non solo con titoli stori­

co-romani o semplicemente biblici, sembrava essere la forma cinematografica capace sia di attirare gli spettatori di tutte le età e classi sociali, ma anche di puntellare un comparto industriale in crisi . Il gigantismo economico hollywoodiano rifletteva inoltre l'immagine degli Stati Uniti come nazione impegnata politicamente e culturalmente sul fronte della Guerra Fredda. La pubblicità per il film Ben-Hur (W. Wyler, 1 959) ne è un eloquente esempio: " 1 5 milioni di dollari, dieci anni di preparazione, un anno di lavorazione, 496 interpreti parlanti, 1 00 mila comparse, 8 ettari di scene, e tanto negativo usato da poterei avvolgere il mondo". L idea di avvolgere il pianeta con la pellicola è una efficace metafora della potenza dell'industria culturale americana, così come si era andata perfezionando a partire dai tempi dell'impegno massiccio a sostegno dell'intervento militare dell'aprile 31

Fig. 25. Un momento delle riprese della corsa delle bighe delfilm Ben-Hur (Wyler, 1959).

Fig. 26. Charlton Heston conduce la quadriga nella sequenza più popolare di Ben-Hur (Wyler, 1959).

Fig. 27. Lucerna del I sec. d. C, Antiken­ sammlung (Berlino).

1 9 1 7. Un piccolo esempio lampante di questa potenza spettacolare fu esponaro in Italia, dove la MGM decise di effettuare le riprese. Durante la lavorazione a Roma, tra i teatri di Cinecittà e la campagna nei dintorni, ogni ora paniva un autobus per un rour del set da 1 5 milioni di dollari. La spesa fu ben ripagata, Ben Hur incasserà 74 milioni di dollari solo negli USA e si conquisterà una fama duratura per gli 1 1 Oscar ottenuti su 1 2 complessivi a cui era can­ didato105, dimostrando all'America e al mondo che quella era la strada per lo spettacolo totale che meglio rappresentava l'industria culturale hollywoodiana in affanno (fig. 25). Quasi seguendo un plot, come per i l Ben Hur precedente del 1 925 il ruolo del protago­ nista fu inizialmente offerto a un altro attore ben più celebre e affermato del Charlton Heston106 reduce dai panni di Mosè, Burt Lancaster. Poi impegnato con Visconti per il più grande kolossal italiano (Il Gattopardo, 1 963) Lancaster rifiutò, sia come ateo, non avendo intenzione di fare propaganda al cristianesimo, sia per il disaccordo con l'impian­ to della sceneggiatura da egli ritenuto moralmente violento. Alla caotica gestazione dello script, e perciò non meritò la 1 2° statuetta, partecipò anche lo scrittore radical Gore Vidal che suggerì di coinvolgere un gruppo di archeologi inglesi in funzione di consulenti storici. Da questo punto di vista il risultato non è però superiore alla media dei precedenti; fatta eccezione per una discreta verosimiglianza della celebre corsa 32

dei carri (alla quale collaborò Sergio Leone), anche se proprio le necessità produttive e di sicurezza per gli stuntman imposero la scelta di modelli da parata (pesanti 200kg) invece dei veri carri in cuoio e vimini usati dagli aurighi romani (figg. 25-27). Un giudizio benevolo se si esclude di considerare la modifica "spettacolare" con lame squarcia ruote approntata sul carro di Messala. Infatti se ciò fosse accaduto davvero, come minimo "il pubblico avrebbe fischiato l'auriga e scandito slogan affinché venisse allontanato dalla pistà'107• Mentre la MGM incassa i profitti, la FOX prepara la sua risposta e annuncia il rema­ ke del Cleopatra DeMille-Paramount con l'intenzione di offuscarne il ricordo. Alla fine Cleopatra Q. Mankiewicz, 1 963) risulterà la più grande produzione mai realizzata al costo di 44 milioni di dollari, ma anche la più travagliata e disastrosa108, segnando insieme al coevo 7he Fall of the Roman Empire (A. Mann, 1 964) la fine di un'epoca e di un genere. Può essere interessante ricordare che lo scenario della Guerra Fredda, di cui sul fronte culturale la corsa verso la conquista di primati spaziali costituiva lo sforzo maggiore per i due contendenti, si riverberava inevitabilmente anche nel cinema. Nello stesso periodo in cui F OX e MGM producono i loro colossi, anche l'U RSS ha in cantiere il più grande film della sua storia. Iniziato anch'esso nel 1 96 1 , Guerra e pace (S. Bondarchuk) uscirà in sala in quattro parti tra il l965 e il l 967. Alla fine il film durerà complessivamente 487'. Per la sola sequenza della Battaglia di Borodino furono impiegati 1 20.000 veri soldati dell'Armata Rossa. Vincerà l'Oscar 1 968 come miglior film straniero.

Fig. 28. Elizabeth Taylor e Richard Burton sul set di Cleopatra (Mankiewicz, 1963)

Cominciato in Inghilterra con altri attori (a parte la Taylor) e un altro regista, R. Mamoulian, Cleopatra si sposta a Cinecittà dove, appena giunta negli studi, la pro­ duzione viene derubata dai "soliti ignoti" di costosi materiali per centinaia di migliaia di dollari109• Nonostante questo, ad Anzio, sul litorale pochi chilometri a sud di Roma, iniziano i lavori per la ricostruzione in scala l : l del porto di Alessandria; nel frattempo la regia è passata ad un poco convinto Mankiewicz, mentre nel ruolo di Antonio al po­ sto di Stephen Boyd (già Messala) è subentrato Richard Burton e nei panni di Cesare, Rex Harrison aveva sostituito Peter Finch (fig. 28) . Sulla Tuscolana, fuori dai cancelli di Cinecittà lunghe code di candidati figuranti sono in attesa di essere selezionati per le scene di massa; intanto, a via Veneto- appena vista nel film di Fellini110- i paparazzi aspettano al varco Liz Taylor, la prima diva ad ottenere un compenso di l milione di dollari (che alla fine diverranno 7) e reduce da un mai del tutto chiarito "tentato suicidio" dato in pasto alla famelica stampa sensazionalistica dell'epoca. 33

Il nodo storiografico, dopo le sperimentazioni di Spartacus, entra a far parte del pro­ getto alla maniera di Hollywood e i produttori di Cleopatra, incalzati dal "business della fedeltà storica", inseriscono orgogliosamente le "fonti" nei titoli del film per ricordare l'apporto alla sceneggiatura di Plutarco, Svetonio e Appiano. Alla fine prevale sull'insieme una miscela di commedia, ispirata dal teatro di G.B. Shaw, e di tragedia shakespeariana, unite agli elementi estratti dal mediocre romanzo di Carlo Mario Franzero 'The Life and T imes of Cleopatra', col risultato di scontentare gli spettatori o perfino annoiarli, come scrissero taluni recensori all'epoca. La medesima critica notò inoltre l'improbabile figura di Ottaviano -che tutti nel film già chiamano Augusto con tre anni di anticipo -, schiac­ ciata drammaturgicamente dal triangolo dominante lei, lui, l'altro.

Fig. 29. La ricostruzione del Foro Romano in The Fai! ofthe Roman Empire (Mann, 1964).

Nel 1 964 la Paramount1ll, dopo tre anni di lavorazione e un budget di 20 milioni di dollari, presenta The Fall of the Roman Empire. Girato in Spagna, a Las Matas, nei pressi di Madrid, su un'area di 23 ettari sorse la ricostruzione del Foro Romano a gran­ dezza naturale. Realizzato da John Moore e Veniero Colasanti, prendendo a modello il plastico del Museo della Civiltà Romana, comprendeva 400 statue (quella di Giove Capitolino alta 30 metri), 628 colonne, 35 edifici e 7400 metri di scalinate percorribi­ li, tutto su un'area in cemento armato di 500 metri per 300, fu "il più grande set mai realizzato" (fig. 29) , come non mancò di sottolineare la pubblicità del fi l m, insieme alla realizzazione dell'accampamento invernale di Marc'Aurelio sul Danubio a nord di Madrid (Sierra de Guadarrama). In questo caso il consulente scientifico è individuato nel premio Pulitzer Will Durant, filosofo e storico celebre per una colossale Storia delle civiltà, affiancato dalla produzione agli sceneggiatori Ben Barzman e Philip Yordan, i quali si avvarranno ampiamente anche del gigantesco affresco di Edward Gibbon Declino

e caduta dell'impero romano. Complessivamente la qualità dell'impatto visivo rispetto ai rivali FOX e MGM è lievemente superiore, sebbene la supervisione di un esperto non abbia impedito la realiz­ zazione di una battaglia contro un inesistente - nel 1 80 d.C. -impero sassanide; anche in questo caso, come per i carri di Ben-Hur, sulla scelta a sfavore dei reali nemici Parti prevalsero presumibilmente ragioni spettacolari. 34

S e i tre divi di Cleopatra di voravano la scena, in 1he Fall ofthe Roman Empire il cast è più composito e polifonico (Alec Guiness, J ames Mason, S tephen Boy d, Richard Harris, Cristopher Plummer, Mel Ferrer e Orn ar S harif) e l' unica davvero fu ori ruolo e del tutto al di sotto dei colleghi-pur assai contenuti-è la protagonista femminil e S ofia Loren, nei panni della figlia dell' imperatore Luci lla, diva "casareccià' ritenuta ( erroneamente) necessa­ ria al cast per sedu rre il succulento mercato itali ano. A proposito del rapporto tra storia e presente, T ullioKezich scrisse: "C' è da supporre che sia stato Barzman, in altri tempi noto come scrittore impegnato, a fare di Marco Aurelio una specie di Kennedy [ e] diCommodo un estrosoGoldw ater avanti letterà'11 2 , mentrei l trauma culturale diDallas aveva da appena due mesi interrotto l' azione politica delPresidente prima della naturale sca denza del manda­ to. Il film, il migliore relativamente al gruppo dik oloss al degli anni'50-'60, incass ò in US A poco più di4 milioni di dollari rivelandos i un coloss ale flop.Ness uno aHollyw ood investirà più un centes imo per una s uperproduzione di genere s torico- romano per decenni, fino a quando Ri dley S cottsarà annunci ato nel 1 998 come regis ta di Gladiator (2000).

Sandaloni per tutti: il peplumall'italiana Dopo Fabiola, fu chiamato ancora un reduce delVentennio a raccontare la Roma an­ tica , recuperando un personaggio che, insieme a Poppea, costi tuiva il paradigma popolare della corruzione e depravazione femminile. Gallone, già artefice del celebrativo Scipione l'A.fricano ( 1 937) , del quale ri utilizza le s cenografie e alcunes equenze di mass a, ripropone Messalina ( 195 1 ) con minori mezzi economici e in un clima moralista che cons ente di af­ frontare fin troppo s uperficialmente gli as petti "morbosi" diss eminati nella sceneggiatu ra, come la frequentazione dellaS ubu rra da parte della viziosa protagonista che sotto il nome di Licina amava conceders i in un lupanare. Non c' è margine dunque per rappresentare l' antico mesti ere aRo ma e il mondo che vi ruotava attorn o come le fonti lo hanno tramandato. Ci prova ancora qu alche anno dopoVittorioCottafavi conMessalina, Venere imperatri­ ce ( 1 960) , affidando il ruolo dellas ovrana alla procaceBelindaLee. Lo s tesso autore dichia­ rò alla fine di non ess ere troppo s oddis fatto del film, tuttavia affermò che "il pers onaggio di Mess ali na è interess ante perché si tratta di un cas o patologico" e alla fine "quel che mi piace in ques to fi lm sono le poche scene che osservano con attenzione la vita quotidiana dei Romani" 11 3 (fig. 30) . Il film fu vietato ai minori di 16 anni, dopo tre tagli: Messalina vista di spalle, coperta da un lungo asciugamano che apre davanti a Lucio; la silhouette

Fig. 30. Messalina (Cottafovi, 1951), sul­ lo sfondo una mescita di vini. 35

di Messalina, proiettata su una tenda, men­ tre esce nuda da una vasca; un gruppo di uomini e donne che si divertono in pisci­ na1 14. Il Centro Cattolico Cinematografico lo bolla con la E di escluso per tutti a causa "dell'atmosfera di sensualità in cui si svol­ ge la vicendà' e per "l'esibizionismo che vi si riscontra"1 15. Cottafavi si era trovato meglio nel genere dirigendo La rivolta dei gladiatori ( 1 958) e Le legioni di Cleopatra ( 1 959) dove, volutamente senza troppi scrupoli storici, aveva cercato di "fare dello Shakespeare nei film popolari"1 16. La produzione di genere, da Fabiola in poi, aveva mantenuto una continuità con una manciata di titoli fino al 1 955-56 per poi registrare una quasi scomparsa fino alla stagione 1 95 8-59 quando al botteghino si realizza l'imprevisto exploit di Lefatiche di Fig. 31. Pietro Francisci e Steve Reeves sul set di Le Ercole (P. Francisci, 1 958), primo in clas­ fotiche di Ercole (Francisci, 1959). sificat t7 con 862 milioni. Ricorderà anni dopo Mario Bava: "Poi venne la crisi del 1 956 in quanto gli americani cercavano di sof­ focarci e per un anno non si batteva chiodo. Fino a che Pietro Francisci salvò il cinema italiano (non è mai stato riconosciuto da nessuno) con Le fatiche di Ercole"118 (fig. 3 1 ) , u n cinema italiano che avviò l'ipertrofia degli anni Sessanta quando s i giunse a produrre anche più di 250 pellicole l'anno. Dopo Francisci, le produzioni si gettano sul successo reclutando i registi più di­ versi; tra essi Vittorio Cottafavi riesce a far passare la sua idea di popolarizzazione di Shakespeare. È un'intuizione innovativa, ben accolta dalla rivista più rappresentativa della nuova critica cinematografica, la francese «Cahiers du cinéma». Gli autori, che ad un altro livello avevano ad esempio già evidenziato la grandezza di Alfred Hitchcock ritenuto dalla critica austera una macchina da botteghino1 19, si prendono una vera "cot­ ta" per Cottafavi, ravvisando che il suo cinema "contiennent des beautés auxquelles nul autre cineàste europeén ne peut prétendre, deux sont des chefs d'oeuvres" 120, ma soprattutto andando in direzione contraria rispetto agli intellettuali italiani impegnati per lo più nel frusto dibattito sugli sviluppi del neorealismo e fondamentalmente disin­ teressati fino a quel momento a un genere popolare ritenuto in definitiva un fenomeno bassamente commerciale, indegno di un'ermeneutica che si avvale delle categorie este­ tiche della Storia dell'Arte. Il primo approfondimento sul genere arriva perciò ancora una volta da Oltralpe con un altro celebre articolo dei Cahiers i n cui il genere storico, comprendente i sottogeneri, romano, biblico, greco (mitico, epico), mesopotamico, egiziano, barbarico, è racchiuso nella definizione di Péplum e analizzato nel suo svilup­ po dai tempi di Guazzoni e Griffith al 1 962121• Questo fenomeno specifico italiano (fig. 32) si p uò circoscrivere nel periodo compreso tra le stagioni cinematografiche 1 958-59 e 1 964-65, all'interno delle quali sono almeno 36

Fig. 32. Locandine di alcuni "sandaloni" italiani.

cento i titoli di genere "peplum"; tra questi si trovano una decina di "Ercoli", una ventina di "Macisti" (tra cui il surreale Zorro contro Maciste, U . Lenzi 1963), una manciata di Ursus, i figli di Spartacus e Cleopatra, vari giganti, colossi, titani e una dozzina di gladiatori. Roma è evocata a vario titolo in diverse pellicole che spaziano dalle vicende originarie: Il ratto delle Sabine (R Pottier, 1 961), Grazi e Curiazi (T. Young, 196 1) , Coriolano, eroe senza patria (G. Ferroni, 1 964), Romolo e Remo122 (S. Corbucci, 1 96 1 ), Il colosso di Roma (G. Ferroni, 1 964) con il muscoloso G. Scott in veste di Muzio Scevola; alla Roma della guerra di Silla e del trionfo di Cesare: Solo contro Roma (L. Ricci, 1 962), Una regina per Cesare (P. Pierotti, 1 962) , Igiganti di Roma (A. Margheriti, 1 964), Giulio Cesare, il conquistatore delle Gallie (T. Boccia, 1 962); o a quella imperiale e tardo antica: La rivolta dei pretoriani (A Brescia, 1 964), Oro per i Cesari (R Preda, 1 963), Nel segno di Roma (G. Brignone123 1 959), Costantino il grande (L. De Felice, 1 962), Il crollo di Roma (A. Margheriti, 1 963); senza tuttavia segnare innovazioni significative nel rapporto con la Storia a fronte della specificità del genere. La novità del peplum all'italiana è in effetti nell'abbandono di ogni intenzione pedago­ gica. Agli spettatori di questi film non si presenta la Storia antica e meno ancora una rifles37

sione su di essa, come sostenne Banhes, ma piuttosto lo spettacolo della storia, nel quale emergono eroi esemplari immersi all'interno di eventi sempre decisivi nel conflitto fra bene e male, giusto e ingiusto. La morale di questi film è liberata da ogni debito teologico-ideolo­ gico e le sceneggiature possono così recuperare la purezza originaria della leggenda costruita sui caratteri essenziali e netti dei protagonisti. Se da un lato non c'è alcuna considerazione per la verosimiglianza storica, soprattutto per i limiti di budget, dall'altro è nel rapporto nar­ razione-pubblico che in questi film si riproduce - seppure in un contesto sociale moderno - quella che probabilmente era in un antico villaggio del Mediterraneo la relazione comu­ nicativa tra gli ascoltatori e l'aedo. Lautore della prima analisi critica sui Cahiers del peplum scrive che "il représente pourtant une forme d'art populaire dont seul le cinéma américain possède peut-etre l' équivalent avec le western"124, evidenziando le caratteristiche estetiche del fenomeno. Lo scrittore Giuseppe Marotta, anche autore di sceneggiarure e critico cinema­ tografico dell'Europeo, annota a proposito di Cartagine in fiamme (C. Gallone 1 959) : "go­ detevi le guardie risonanti di latta, con quei volti di senzatetto del Quarticciolo che da anni aspettano una favorevole risposta dell'INA Case"125• Marotta - forse inconsapevolmente ­ coglie l'aspetto antropologico del successo di questo cinema popolare nell'evocare la natura dei volti delle comparse, figlie del pubblico che ne decretava in sala il successo. È nei cinema di terza visione del Quarticciolo o di qualunque altra borgata romana e di altre metropoli, così come nei circuiti dei cinema provinciali, che la lunga "tenitura" dei peplum permette uno sfruttamento commerciale anche triplo rispetto agli altri film, con relativo profitto126• Quei volti di comparse che davano corpo alle decine di legionari, di schiavi, di barbari, pro­ venivano dal pubblico stesso e, nell'incarnare il contesto sociale in cui si sarebbe sviluppata la vicenda interpretata dagli attori-eroi, facevano vivere con un realismo imprevisto dentro lo schermo quello che essi stessi e il pubblico in generale vivevano nella realtà e ritrovavano mitizzato nell'esperienza visiva del film. La struttura semplice della storia, depurata come s'è detto dal peso delle ideologie storiografiche, coincide con la domanda semplice del pubblico: Ercole, Romolo, Spartaco o Muzio Scevola sono i leader di cui il popolo - sottoposto alle angherie di un potere kafkiano, oscuro e incomprensibile - avrebbe bisogno per risolvere con la sola forza dei muscoli il problema della casa, del lavoro, della fatica nella vita di tutti i giorni. Nell' orizwnte di speranza aperto dal boom economico, che nello stesso anno del trionfo di Ercole aveva trovato in Domenico Modugno il suo cantore ispirato127, il peplum intercetta i bisogni e i sogni più immediati di un'ampia classe sociale ancora parzialmente esclusa o ai margini della crescita economica e dal conseguente benessere128• A questo si devono aggiungere altri elementi formali, come la possibilità di mostrare ­ secondo l'idea che degli abiti antichi avevano i costumisti di Cinecittà - nudità ammic­ canti a un desiderio d'erotismo, tanto diffuso quanto represso, dal moralismo bacchettone dell'Italia di allora. Ancor più notevole in questo senso è l'attrazione offerta dalle scene di "violenze e torture"; il topos è la schiava frustata a schiena nuda, salvata da un muscoloso eroe che strappa a mani nude le catene che la imprigionano. Queste sequenze timidamen­ te sado-maso, furono sempre presenti col conforto dell'alibi del passato crudele seguendo a un'idea, per così dire, di "diritto penale" delle civiltà antiche, rappresentata secondo gli autori attingendo ai loro ricordi "scolastici" e all'immaginario letterario di derivazione salgariana dell'epoca. Sul piano visivo la libertà dal paradigma produttivo precedente, dai vincoli retorici e didascalici, consente a diversi registi (M. Bava, R. Freda, V. Cottafavi e S . Corbucci) di sperimentare un uso della fotografia a colori in chiave antinaturalistica 38

o più apertamente derivato dal mondo dei fumetti. I set e la lavorazione sono realiz­ zati in parte all'interno di Cinecittà sulle scenografie riciclate dai colossi hollywoo­ diani e in parte in esterni della campagna e del litorale romani, trasformati di volta in volta in Gallie o Pannonia, Creta o Itaca129. A completare uno sguardo d'insieme c'è la presenza di contrappunti comici, inseriti per scandire l'andamento della vicenda, Fig. 33. Salvatore Furnari (a sinistra) in una scena di spesso caratterizzati da personaggi buffo­ di Le legioni di Cleopatra (Cottafovi, 1960). neschi che discendono dalla commedia dell'arte, a cui si affianca di frequente qualche simpatico nanetto; di loro il più celebre è probabilmente Salvatore Furnari (fig. 33) con sei ruoli specifici nel peplum, su 20 com­ plessivamente proposti tra il 1 940 e il 1 980. Lanalisi di Siclier, che nel 1 962 sui Cahiers aveva parlato di genere popolare inventato dagli italiani il cui solo equivalente è il western hollywoodiano, trova una indiretta confer­ ma quando il peplum all'italiana si esaurisce improvvisamente durante la stagione 1 964-65 e l'anno dopo compare con un solo ultimo titolo, All'ombra delle aquile (E Baldi, 1 966), ambientato dopo la morte di Ottaviano. A soppiantarlo è il boom del "macaroni" western130 segnato dal primo successo di Leone, Per un pugno di dollari ( 1 964), posizionato al secondo posto assoluto con due miliardi di lire dietro a Agente 001 - Missione Goldfinger (G. Hamilton, 1 964) che aveva incassato tre miliardi e mezzo. Un ultimo sussulto in uno scenario culturale e produttivo completamente mutato è il mediocre Il ritorno delgladiatore più forte del mondo (B. Albertini, 1971), quando è già lenta crisi anche per il western all'italiana che cederà i vertici del botteghino all'ultimo genere popolare inventato dai "cinematografari" italiani, il cosiddetto poliziottesco131, capace, come il peplum e il western, di conquistare i mercati in­ ternazionali132. Un conoscitore di questi generi e di quelli di Hong Kong è il regista Quentin Tarantino, che a partire dagli anni '90 li introdurrà nel suo cinema rimescolandoli e risignifi­ candoli esteticamente. Il regista, in occasione della sua partecipazione come Presidente della Giuria del Festival di Cannes 2004, dichiarò in una intervista: "Negli anni '50, '60 e '70 [l'Italia] ha realizzato ogni tipo di film; non soltanto il cinema d'autore di De Sica, Antonioni o Visconti, ma anche quello di grandi artisti commerciali come Mario Bava, Riccardo Preda, De Martino, Pulci e Di Leo, con film sulla mafia, horror e peplum, oltre ai meravigliosi spa­ ghetti western. Non era solo cinema di settore, ma rivolto a qualunque palato" 133•

I romani nel salotto di casa La scomparsa del genere storico romano dalle cinematografie più attive, USA e Italia più di ogni altra, è evidente lungo il periodo compreso tra gli anni '70 e i '90 del secolo scorso. Qua e là spunta qualche titolo nei paesi dell'allora Est europeo o dell'America lati­ na, ma si tratta prevalentemente di realizzazioni di scarsa qualità, ininfluenti per il presen­ te discorso. Solo Charlton Heston sarà protagonista di due impegnative produzioni roma­ ne, ma sotto il riparo del testo di Shakespeare: julius Caesar (S. Burge, 1 970) e Antony and

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Cleopatra (C. Heston, 1 973) distribuiti in Italia rispettivamente con i titoli 23 pugnali per Cesare e All'ombra delle piramidi, entrambi fallimentari e per scelta svincolati da ogni eventuale debito storico. In 23 pugnali per Cesare l'ambientazione e i costumi sono quelli dei Romani dipinti nei quadri del XVI e XVII secolo, le corazze di Cesare, Antonio, Bruto e Cassio sono ricalcate su quelle di Carlo V esposte oggi nei musei di Madrid. Più tardi nel 1 980 si assiste al ritorno del film "impegnato" con Io, Caligola ( 1 979) di T. Brass, alla cui origine c'è in parte l'idea visiva e narrativa tracciata da Fellini nel Satyricon ( 1 969) e in parte il progetto non realizzato da Rossellinil34, suggestioni che rimangono inavvertibili a film terminato a causa dei complessi problemi produttivi, tanto che alla fine il regista fu escluso dal montaggio e per salvare il film fu creata la formula: "riprese dirette da Tinto Brass, edizione a cura della produzione, con inserti filmati da Franco Rossellini".

Fig. 34. Satyricon (Fellini, 1969). La Roma messa in scena nel

Satyricon di Fellini (fig. 34), poi nuovamente protagoni­

sta nel fi l m Roma ( 1 972) esplicitamente dedicato alla città adottiva del regista riminese, è presentata dall'autore come "un saggio di fantascienza del passato". Ricavato da una sceneggiatura basata sul testo di Petronio e La vita quotidiana a Roma all'apogeo del/1m­ pero di Carcopino, confluiti nella sceneggiatura organizzata da Fellini e Zapponi con la consulenza del latinista Luca Canali, Satyricon si presenta come un ritorno allo sguardo della Dolce vita, ma il tema della decadenza morale assume un più marcato significato metaforico e onirico, dipanandosi all'interno di visioni del passato che parlano al presente attraverso un linguaggio mitico e simbolico del tutto personale e psicanalitico, precipuo del cinema di Fellini. Satyricon è perciò un caso unico, del tutto estraneo ad ogni possibile tassonomia, inevitabilmente intrecciato con le opere precedenti e successive di un autore che gode di fama universale, non riconducibile, nel caso di questa ricostruzione, a un qualsivoglia discorso sul genere cinematografico. Per la superproduzione di Caligola il capitale fu garantito dal padrone di Penthouse, Bob Guccione, forte dei 5 milioni di copie vendute della sua rivista erotica eterna rivale di Playboy, con l'idea di coniugare attraverso lo scandalo spettacolo e cultura. Per garantire l' eru­ dizione furono arruolati Gore Vidal e Masolino d'Amico: tuttavia il progetto naufraga in uno scontro tutti contro tutti e alla fine sul Corriere della Sera il critico Giovanni Grazzini scrive: 40

Fig. 35. Due scene tratte dalfilm Caligola (Brass, 1979).

"I Guazzoni e i Pasuone che negli anni intorno alla prima guerra mondiale fecero le fortune del cinema italiano con i film ambientati nella Roma antica si rivoltano nella tombà'; e anco­ ra Caligola "è un porno-shop per plebi guardone e un supermarket del kitsch"135 (fig. 35). Se alla fine degli anni Sessanta si assiste alla scomparsa del genere dagli schermi cine­ matografici, contemporaneamente cresce la sua produzione per la televisione. Lonnivoro elettrodomestico si appropria progressivamente di tutto l'universo narra­ tivo precedente alla sua comparsa, sia attingendo agli elementi spettacolari, sia approfon­ dendo le potenzialità didattiche. In TV si trasferisce a poco a poco una fantasmagorica sintesi del mondo reale, dando vita ad un complesso sistema massmediatico, oggetto quotidiano di aspre critiche e celebrazioni sospette, che sarà messo in crisi solo all'alba del XXI secolo con l'avvento dell'Internet. Naturale è dunque il ricorso alla produzione di genere storico romano, offerta in forme diverse dalle televisioni pubbliche e commerciali. Le prime - con BBC e RAI in testa - dedicheranno grande attenzione alle riduzioni di Shakespeare, Omero, Virgilio o alle riletture di Plutarco, della Bibbia, dei Vangeli per le fonti antiche e di autori come Robert Graves (L Claudius regia di Herbert Wise, 1 976) in ambito moderno. Per le seconde, olue al recupero dei grandi spettacoli (da Cleopaua a Costantino) già visti al cinema, immancabile sarà il rilancio delle fonti letterarie popolari: Sienkiewicz ( Quo vadis) e Bulwer Lytton ( lhe Last Days ofPompeii). Complessivamente il problema principale anche per la televisione è ancora quello economico, risolto in questa fase rinunciando a ogni confronto. I fallimenti di Cleopatra e La caduta dell'impero Romano, al di là della crisi estetica del genere, costituivano il su­ peramento del limite nel rapporto costi e profitti, sicché il tentativo di ricostruire Roma e il suo mondo rincorrendo un'idea di verosimiglianza storico-spettacolare doveva essere escluso a priori. Impossibilitata quindi a competere con la "qualità'' del prodotto cine­ matografico, la televisione lungo il periodo dalla metà degli anni '60 fino alla metà degli anni '80, connota le sue produzioni impegnandosi in ricosuuzioni d'ambiente privato in cui abbondano le scenografie in interni; e le caratterizzazioni dei personaggi, sovente in chiave psicologico-morale, sono favorite dalla struttura narrativa a episodi cifra della serialità televisiva. Degli ultimi kolossal cinematografici resta e si amplifica la lunga dura­ ta, accresciuta a sei o otto ore da sceneggiarure articolate, talvolta verbose, distribuite per 41

appuntamenti settimanali generalmente di un'ora ciascuno; le scenografie abbandonano la magniloquenza pittorica del cinema e i costumi sono volutamente più "poveri", sicché, attraverso la scelta narrativa di accentuare la familiarità della storia nella presentazione della quotidianità nella Storia, è possibile anche contenere i costi di realizzazione. Un aspetto aggiuntivo, quasi un binario produttivo parallelo, è la diffusione di do­ cumentari sul mondo antico che affianca le fiction seriali negli intenti pedagogici delle televisioni, specialmente quando queste assolvono in tutto o in parte alla funzione di "servizio pubblico". In questo senso la realizzazione di documentari, benché presente nelle principali emittenti europee, è una caratteristica del palinsesto televisivo anglosassone: se la BBC dispone di un dipartimento specificatamente dedicato ai propri documenta­ ri storici, non si può tuttavia dimenticare la costante presenza televisiva dell'americano National Geographic cominciata sin dal 1 964 con la CBS, uno dei più grandi e impor­ tanti network USA, e poi passata alla rete ABC della Disney nel 1 973. La produzione documentaria136, vastissima e qui non oggetto di studio, può però essere in breve considerata individuando due aspetti essenziali: gli effetti culturali e le innovazioni tecnologiche. Nel primo caso ciò che appare più evidente è l'impatto complessivo delle realizzazioni documentaristiche sulle conoscenze del pubblico, in generale e perciò anche relativamente al mondo romano. Improbabile è certo il tentativo di "misurarle"; tuttavia, all' impegno didascalico delle aziende tv è fatalmente conseguente la crescita di nozioni elementari negli spettatori nei diversi campi del sapere trattati, e quindi anche in ambito storico (peraltro il più frequentato) . Tale incremento è registrabile indirettamente nella cre­ scente attenzione delle fiction, per quanto lontanissima dagli standard necessari dal punto di vista dello storico di professione, alla verosimiglianza del passato se non nel dettaglio, quantomeno nell'insieme della proposta, più attenta in fase di sceneggiatura a costruire un contesto generale in linea con gli sviluppi metodologici della storiografia con temporanea. Questi ultimi, assunti e digeriti nella forma divulgativa del documentario, si travasano poi nelle fiction anche perchè gli autori sono ben consapevoli che il pubblico a cui si rivolgono è in linea di principio il medesimo. In pratica se si decide di preparare un film tv in quattro puntate su Giulio Cesare, regista e autori non possono dimenticare che gli spettatori hanno avuto esperienza del personaggio attraverso le ricostruzioni didattiche, dove hanno avuto modo di ascoltare eminenti studiosi intervistati e vedere documenti originali o preziose collezioni archeologiche, ripresi nei più importanti musei del mondo comodamente seduti nel salotto di casa. I.:operaio che usciva dalle officine Lumière nel 1 895 ignorava certamen­ te le dinamiche strategiche dell'assedio di Alesia; il suo equivalente attuale, generalmente proprietario di un televisore a colori a schermo piatto con formato cinematografico ( 1 6:9) e incapace di stupirsi davanti a un treno che avanza in primo piano verso di lui, ha invece molto probabilmente acquisito informazioni sull'episodio delle Gallie (e non solo) che non sono sufficienti a collocarlo tra le elitè culturali della società in cui vive, ma gli consentono di valutare la qualità di una fiction sullo stesso argomento con "competenze" diverse da quelle del suo collega di fine Ottocento. Le innovazioni tecnologiche, di pari passo con l'evoluzione del linguaggio televi­ sivo nella sua totalità e con l'espansione del mercato (via cavo, satellitare, ecc.), hanno consentito lo sviluppo di un nuovo genere televisivo dai confini incerti, definito col neologismo docufiction137, basato sulla ricostruzione di fatti storici (o episodi di crona­ ca: si pensi ad es. alle ricostruzioni apparse subito dopo l'attentato dell' 1 1 settembre) , 42

secondo il metodo del documentario; uniti alla interpretazione di attori che fanno rivi­ vere i personaggi storici protagonisti delle situazioni rappresentate. Oggi esistono canali televisivi esclusivamente dedicati alla Storia e alla Scienza che dispongono di budget consistenti tali da consentire la realizzazione di prodotti di alta qualità, acquistati dalle televisioni di tutto il mondo (doppiati o sottotitolati) , per i quali la forma docufiction è quella più frequentata. Il più influente e diffuso è " History Channel", nato nel gennaio 1 995 dall'accordo di tre colossi della comunicazione (Hearst, Disney, NBC) riunitisi nel consorzio A&E Television Network e in Italia diffuso a pagamento dalla FOX di R. Murdoch sulla piatta­ forma satellitare S KY. L ultima produzione "History Channel" di grande rilievo è affatto casualmente dedicata alla storia romana: Roma, il trionfo e la caduta (2008) (fig. 36) , che consta di 1 3 puntate (6 1 1 minuti) realizzate nel format docufiction con gli esterni delle ricostruzioni girati in Lituania. li canale l'ha presentata così nel gennaio 2009 in Italia: "Questa serie, la più lunga mai dedicata all'antica Roma, segue le vicende dei protagonisti del trionfo planetario di Roma e poi del suo lenro e inesorabile declino. I protagonisti non sono solo i generali e gli imperatori romani, ma anche i grandi condottieri barbari che non cessarono mai di minacciare la supre­ mazia di Roma. I produttori di questa serie hanno accuratamente ricostruito le suade dell'antica Roma, le principali battaglie degli eserciti romani e i villaggi dei barbari ai confini dell'impero. Sono 1 3 episodi che illustrano in maniera originale la storia della Città Eterna. Un vero e proprio ex­ cursus che permetterà a tutti gli spettatori di saperne di più sulle lotte contro i barbari, sull'avvento del Cristianesimo, sulle ragioni che portarono alla fine dell'impero romano. Un tuffo indieuo nel tempo per conoscere personalità quali Spartaco e Costantino"138•

Fig. 36. Una scena di Roma, il trionfo e la caduta (2008) prodotto da History Channe/.

Fig. 37. Una scena di Ancient Rome: 7he Rise and Fa// oJan Empire (2006) prodotto dalla BBC.

Si tratta della risposta americana all'equivalente inglese della BBC Ancient Rome: The Rise and Fall of an Empire (2006) (fig. 37) , sei episodi di un'ora ciascuno, girati in Marocco, Tunisia e Bulgaria, presentati dal canale così: "Based on rigorous and extensive historical research, this epic drama-documemary series features an alt­ star cast induding Sean Perrwee, Catherine McCormack, Michael Sheen and David Threlfall. The rise and fall of the Roman Empire was shaped by dramatic stories of sex, violence and intrigue. Ancient Rome: 1he Rise And FaO OfAn Empire charts a period of 600 years - from the rise of the emperors to the sacking ofRome - and allows viewers to witness great battles, rivalries, rebellions and momentous achievements as they happened many centuries ago. With stunning locations and state-of-the-art visual effects, Rome is revealed as i t really was: gritty, magnificent and sometimes sordid"1 39•

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La BCC usa la definizione docudrama (drama-documentary) , alternativa alla più recen­ te docufiction; si tratta di una differenza difficile da argomentare poiché ogni definizione è sempre in ritardo rispetto all'accadere degli eventi da definire, in particolare quando ci si riferisce alle comunicazioni di massa innestate, com'è negli ultimi venti anni, all'interno di una rivoluzione tecnologica le cui caratteristiche principali sono la velocità e la voracità. La questione principale è quella dello scarto tra il vero e il falso nella rappresentazione, un problema attinente all'estetica qui non in discussione140, che nel caso dei documentari ( docudrama o docufiction) si risolve attingendo alle risorse esterne dell'onestà intellettuale: il nome del produttore e i consulenti scientifici. In questo senso la BBC è un marchio con una tradizione internazionale riconosciuta da oltre 60 anni che, ad esempio per Ancient Rome: The Rise and Fa/l ofan Empire, dichiara all'inizio di ogni episodio del suo docudrama: "basato su fonti letterarie dell'epoca e scritto con la consulenza degli storici contemporanei", risolvendo con l'autorevolezza la questione del rispetto della Storia e dello spettatore. Nel caso dell'italiana RAI, fino al 1 975141 sotto il diretto controllo del governo, la vo­ cazione didattica era enfatizzata e regolata dall'egemonia esercitata dalla cultura cattolica, operativa nelle produzioni per mano di dirigenti e funzionari di stretta osservanza de­ mocristiana. La DC, ininterrottamente al potere dal 1 948, aveva investito molto sull'uso politico-culturale della televisione, mediando abilmente tra le necessità commerciali e quelle confessionali. In questo contesto lo "sceneggiata tv" e il "documentario istruttivo" costituivano - nel bene e nel male - l'unica possibilità di avvicinare alla grande letteratura e alla Storia - oltre che a riaffermare le radici religiose - il pubblico di massa, per diversi motivi poco propenso a frequentare abitualmente la saggistica storica o i classici greci e latini. Così il ricorso agli accademici, scelti come consulenti per le produzioni televisive di finzione, diviene un elemento costante, almeno sulla carta. Nel documentario la tradizione televisiva italiana è però imparagonabile a quella an­ glosassone, perciò il pubblico RAl (e poi ancor più Mediaset) ha potuto vedere quasi esclusivamente prodotti acquistati all'estero. La divulgazione scientifica e della storia an­ tica nella televisione italiana è incarnata dal giornalista RAl Piero Angela, pioniere del genere e autore di fortunate serie ininterrottamente da oltre 40 anni, bollato talvolta come "positivista" per la sua visione laica della cultura. Per quanto attiene alle principali televisioni occidentali, sono oltre cento i titoli di fic­ tion del genere storico-romano (mini serie, film tv, sceneggiati, ecc.) distribuiti nell'arco di quattro decenni, ossia - come s'è visto - da quando il cinema mainstream interruppe quasi del tutto la produzione in questo settore. Tra questi titoli, in molti casi impossibili da censire per l'estrema difficoltà (spesso impossibilità) di reperire le copie (e comunque nella maggioranza dei casi qualitativamente trascurabili ai fini del presente lavoro) , tra la fine degli anni '60 e fino agli inizi degli anni '90 si possono ricordare i lavori di Rossellini per la RAl e le principali produzioni americane, inglesi e italiane. Rossellini in un articolo del 1 96 1 scriveva: "lo credo fermamente che il cinema e il teatro possono essere dei mezzi assai validi per l'informazione, la cultura e il progresso" 142• Attratto dalle nuove potenzialità divulgative della televisione e coerente con questa affer­ mazione, il regista decise di dedicare (dopo alcune delusioni cinematografiche e risolti i problemi personali con la Bergman) la sua attività di regista alla realizzazione di film per la tv, nei quali la Storia con chiari intenti didattici ebbe un ruolo determinante nei cicli di: L'età de/ferro ( 1 964, 5 puntate) , La presa delpotere da parte di Luigi XIV( l 966), Atti degli 44

Apostoli ( 1 968, 5 puntate), La lotta dell'uomo per la sua sopravvivenza ( 1 967-69, 1 2 pun­ tate) , L'età di Cosimo de' Medici ( 1972, 3 episodi) , oltre alle biografie di Socrate ( 1 970), Blaise Pasca/ ( 1 97 1 ) , Agostino d'Ippona ( 1 973) , Cartesius ( 1 973). Il mondo romano in sen­ so stretto è assente perchè la sceneggiatura pronta nel 1 97 1 di Caligola non fu purtroppo mai utilizzata 143, così come abortito fu il progetto di una Messalina di cui Rossellini riferì in un'intervista del 1 947 mentre lavorava a Germania anno zero: "Subito dopo realizzerò un film che mi interessa in modo particolare e per il quale ho già avviato il lavoro preparatorio. Sarà una sorpresa per quanti mi conoscono: perchè nessuno, penso, mi crederebbe capace di affrontare un soggetto storico e soprattutto della Roma imperiale. Il film che si intitolerà Messalina ri­ evocherà in maniera storicamente esatta la figura della famosa imperatrice puntando in modo particolare sulla buffa e corrotta vita sociale del tempo. Sarà un film romano e romanesco, ma non comico: o per lo meno non dichiaratamente comico. Interprete di Messalina sarà Anna Magnani, mentre per l'imperatore Claudio spero di poter avere Fabrizi. Il soggetto è di Federeico Fellini. Il film entrerà in lavorazione nel prossimo autunno"144•

Nell'opera di Rossellini le tracce del tentativo di restituire in pellicola la storia di Roma il più vicino possibile a come gli studiosi l'hanno ricostruita si trovano per­ ciò, come si vedrà nel successivo capitolo, nel contesto romano di Agostino d'Ippona (fig. 38) , e in minima parte in quello de­ gli Atti degli Apostoli e dell'ultimo film Il Messia ( 1 976) . I film televisivi ambientati nel periodo romano prodotti dalle diverse emittenti europee e americane, sono per lo più adat­ tamenti di Shakespeare o film a sfondo esplicitamente religios o, questi ultimi divi- Fig. 38. Agostino d1ppona (Rosse/lini, 1973). si in due macrogruppi: Antico e Nuovo Testamento. Nel caso italiano, ma in linea con le altre tv, tra i personaggi dell'Antico Testamento troviamo ad esempio Mosè (G. De Bosio, 1 974) , che ovviamente non ha implicazioni con Roma; mentre per il Nuovo spicca per impegno produttivo il Gesù di Nazareth (F. Zeffirelli, 1 9 77), una collaborazione fra la RAI e il network commerciale britannico ITC. Del risultato, molto seguito in tv, e di Zeffirelli, scrisse il critico Tullio Kezich all'epoca: "Nato dalla costola del maestro di Semo, da cui ha ereditato una forte professionalità, il regista fiorentino rappresenta compiutamente il versante deteriore del viscontismo, quando la regia diventa arredamento su uno sfondo ideologico degradato"145. Tra i vari film-tv e i seria! dedicati invece unicamente alla Roma antica, i titoli più significativi cominciano con The Caesars (Derek Bennett, 1 968), una produzione della inglese Granada Television per il network ITV, 6 episodi di un'ora l'uno ancora in bianco e nero. Vi si raccontano le vicende degli imperatori Augusto, Claudio, Tiberio, Caligola, Nerva e Vitellio, con l'obiettivo di consentire agli spettatori di comprendere le ragioni delle loro scelte politiche, seguendo come filo conduttore il realismo storico sotto la guida di esperti accademici. Gli autori hanno provato a ricostruire le storie dei Cesari, senza gli eccessi ideologici, le divagazioni romanzesche o il bozzettismo stereotipizzato che carat45

terizzano la comparsa dei medesimi nelle varie trasposizioni cinematografiche: l'Augusto quasi cristiano senza saperlo; il Caligola psicopatico e feroce; il Tiberio sotto il quale si manda a morte Cristo, ecc. Di grande successo e firmata dalla BBC è anche la serie l, Claudius (Herbert Wise, 1 976) , la riduzione televisiva delle due celebri opere di Robert Graves l, Claudius ( 1 934) e Claudius the God ( 1 935) 146 in 1 3 puntate di 50 minuti ciascuna147• L'imperatore è interpretato da Derek Jacobi, poi tornato al genere quando proprio per quel ruolo di Claudio storpio e balbuziente, con cui vinse l'Oscar inglese (BAFTA TV Award) , fu vo­ luto da Ridley Scott nel cammeo del senatore Gracco per il ritorno del kolossal "sword & sandal" Gladiator (2000) . La serie è d'impianto teatrale e appare esemplare nella ricostruzione della vita quotidiana della dinastia giulio-claudia, da Augusto a Nerone, mettendo in scena le trame di potere e il processo politico pubblico, rinunciando pri­ ma di tutto stilisticamente alle riprese in esterni per privilegiare la "routine" familiare. Nulla è risparmiato allo spettatore inglese che per la prima volta segue mezzo secolo di storia romana senza battaglie e legionari, gladiatori e corse di carri, dove piuttosto dilaga la corruzione, l'omicidio, l'incesto, la prostituzione, l'adulterio e l'omosessualità. Derek Jacobi, allora trentenne, fu sottoposto ad un complicato make-up per incarnare l'imperatore da vecchio, il cui racconto immaginario autobiografico è il filo conduttore della vicenda. Nel 1 983 la BBC tenta di ricalcare il successo di l, Claudius presentando la serie The Cleopatras (John Frankau, 1 983) . Basato sul libro "Histoire cles Lagides" ( 1 907) dello storico francese Louis-Thomas-Auguste Bouché-Leclercq, il serial, in 8 puntate da 50 minuti, ripercorre le vicende delle regine tolemaiche d'Egitto fino alla più nota, la VII, e a sua figlia, l'VIII avuta con Marco Antonio. The Cleopatras fu accolto tiepidamente dal pubblico e in qualche caso la critica britannica parlò di spettacolo indecoroso. Negli USA la produzione di serial ha una lunga tradizione industriale, quelli di am­ bientazione romana tornano ad affacciarsi all'inizio degli anni Ottanta e l'impegno produt­ tivo per almeno due titoli è quasi pari a quello cinematografico degli anni Cinquanta. Il primo, presentato dalla rete ABC (Disney) come "romanzo per la televisione" è Masada (Boris Sagal, 1 98 1 ) ; la ricostruzione dell'assedio presso l'omonima roccaforte nel deserto, alla fine del quale gli ebrei Zeloti scelsero il suicidio piuttosto che la resa all'esercito Romano. Il protagonista è il generale Lucius Flavius Silva, interpretato da Peter O'Toole già Lawrence ofArabia (D. Lean, 1 962) , a cui si oppone Elazar ben Yair (Peter Strauss) il leader zelota; le riprese in esterni sono state effettuate presso il sito ar­ cheologico nel deserto israeliano. Per evitare un flop negli ascolti, la ABC commissionò e trasmise prima del serial con lo scopo di alfabetizzare il pubblico alla vicenda poco cono­ sciuta dell'assedio un documentario (Back To Masada) . Con un budget di 30 milioni di dollari versati dalla Procter & Gamble, il network NBC lancia A.D. Anno Domini (Stuart Cooper, 1 985) come naturale sequel del Gesù di Zeffirelli148 e del Mosè di De Bosio; il produttore dei tre film-tv Vincenzo Labella è il me­ desimo, così come alle relative sceneggiature ha ogni volta collaborato Anthony Burgess, l'autore di A Clockwork Grange il romanzo portato al cinema da Kubrick nel 1 97 1 . Girato in Europa e in Nord Mrica, Anno Domini è un kolossal televisivo in 6 puntate da 8 5 mi­ nuti l'una, con un cast numeroso, tra cui spiccano Ava Gardner nel ruolo di Agrippina e James Mason come Tiberio, dispiegato lungo cinquant'anni di storia per seguire le vicen46

de narrate negli Atti degli Apostoli, ancora una volta parallelamente a quelle di Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone e dei loro familiari. In Italia, oltre a Rossellini, anche il regista Franco Rossi, già aiuto di M. Camerini e R. Castellani (che in tv firmerà una celebre Vita di Leonardo Da Vinci, 1 97 1 ) , si im­ pone nel genere Storico antico, intercettando a ragione il potenziale televisivo della let­ teratura classica, e dirige per la RAI (8 puntate di 55 minuti) Odissea. Le avventure di Ulisse ( 1 969) con l'apporto fondamentale per gli effetti speciali di Mario Bava e Carlo Rambaldi. Con meno successo e polemiche - taluni intellettuali ritennero una profana­ zione "tradurre" Omero in tv - Rossi dirigerà anche L'Eneide ( 1 974) avvalendosi della fotografia di Vittorio Storaro. Il regista approda infine alla Roma del I sec. d.C. con una versione televisiva di Quo Vadis? ( 1 985), una coproduzione tra RAI e diversi partner internazionali in 6 puntate da 55 minuti ciascuna. Il romanzo di Sienkiewicz è adattato dallo stesso regista con Ennio De Concini, "una delle levatrici" del peplum all'italiana, e F. Scardamaglia, figlio di Elio, il produttore dello sceneggiato. La serie approfondisce con una discreta cura del particolare la vita quotidiana a Roma, mirando prevalentemente a mettere in risalto il confronto tra mondo "pagano" e emergenza del cristianesimo. Mentre nella produzione L Claudius della BBC più o meno lo stesso periodo è narrato dal punto di vista del potere, con grande attenzione alla dimensione privata degli imperatori (vi si vede perfino un anziano Claudio seduto sul gabinetto, fig. 39), il Quo Vadis? di Rossi, uti­ lizzando la trama del romanzo come mero contesto, analizza la varietà dei riti e le forme della religiosità Romana ponendoli in contrapposizione con la "semplicità'' del "nuovo" culto proveniente dalla Giudea, ad esempio: presentando un incontro immaginario, con dialogo para-teologico, tra Petronio Arbitro (F. Forrest) e Paolo di Tarso (P. Leroy) . Lo zelo cattolico, inevitabile nelle realizzazioni italiane, conduce però ad eccessi che sfociano in grossolani anacronismi, come l'esibizione del simbolo della croce in mano a Tigellino in una sequenza del film (fig. 40) . Notevole, come solo nel precedente L Claudius e nel successivo Rome della HB0149, la presentazione di dettagli della vita quotidiana e la cura delle scenografie di interni e dei costumi, con una evidente influenza estetica del Satyricon di Fellini, orientata a evidenziare la lussuosa decadenza della cultura romana - tessuti e parrucche rimandano all' ancien regime nella Francia del XVIII secolo, visto nel Luigi XIV di Rossellini in televisione - in stridente urto con la nascente morale cristiana.

Fig. 39. Claudio seduto sulgabinetto in una scena di I, Claudius (Wise, 1916).

Fig. 40. Tigellino con in mano la croce in una scena di Quo Vadis? (Rossi, 1985). 47

Con qualche intento di rappresentare anche la vita quotidiana a Pompei, la coprodu­ zione USA-GB-Italia di 7he Last Days ofPompeii (Peter Hunt, 1 984) ripropone un adat­ tamento, il primo per la televisione, del romanzo vittoriano di Edward Bulwer-Lytton, schierando ua gli attori l'anziana leggenda Laurence Olivier (Gaio). Girato parzialmente nella vera Pompei e nonostante il budget da 1 9 milioni di dollari, l'effetto "cartone" delle scenografie è talvolta fin troppo evidente. Il critico del New York Times scrisse "it is a colossal failure" t so .

L'impero colpisce ancora Alla fine degli anni Settanta comincia una rivoluzione tecnologica, ancora in ano, che coinvolge il sistema delle comunicazioni, dei linguaggi e sin dal principio trova appli­ cazione nel cinema. Lo sviluppo dei computer, che consentirà al giovanissimo Bill Gates di diventare in pochi anni l'uomo più ricco del mondo, permette la trasformazione delle informazioni scritte e grafiche nel formato digitale, riducendoli ad un semplice codice numerico binario, poco ingombrante, veloce e facile da gestire. Il primo segnale nel cinema si trova nella superproduzione di Superman (R. Oonner, 1 978) , costata all'epoca 35 milioni di dollari (82 milioni l'incasso in USA) di cui 3 mi­ lioni per i dieci minuti di M. Brando che interpreta Jor-El; si fece ricorso alla computer grafica solamente per la realizzazione dei titoli di testa. Successivamente il colosso Disney compie il passo decisivo: dopo la morte del fon­ datore Walt nel 1 966 (l'ultimo fi l m sotto la sua diretta supervisione fu 7he Jungle Book, W Reitherman) , la produzione cinematografica dei "classici"lst d'animazione attraversò il decennio successivo non senza difficoltà, spingendo la major alla ricerca di soluzioni innovative. Nel 1 980 il trentenne disegnatore newyorkese Steven Liesberger si aggi­ rava tra i diversi Studios con un breve filmato promozionale che univa l'animazione tradizionale alle nuove e primitive tecniche digitali. Nessuno dei produttori incontrati si pronunciò definitivamente, finché la Walt Disney Pictures si decise a rischiare accet­ tando di sperimentare la tecnica in un intero lungometraggio. Liesberger fu affiancato dall'esperto di effetti visivi Harrison Ellenshaw e nel 1 982 i due presentarono Tron (S. Liesberger, 1 982) (fig. 4 1 ) , il primo film a fare ampio uso delle tecniche di com-

Fig. 41. Una scena di Tron (Liesberger, 1982). 48

Fig. 42. Un dinosauro rea/iizzato in animatronics.

puter grafica 152• Contemporaneamente la ILM (Industriai Light & Magie) di George Lucas, nata dal team di esperti di effetti speciali autori di Star �rs (G. Lucas, 1 977) , aveva realizzato una scena di Star Trek Il: The Wrath of Khan (N. Meyer, 1 982) con la stessa tecnica digitale, poi perfezionata per dare forma in 3D, sia all'essere alieno di The abyss (J. Cameron, 1 989) , sia al cyborg di metallo liquido antagonista di Arnold S chwarzenegger in Terminator 2: judgment Day (J . Cameron, 1 99 1 ) . Il successo de­ finitivo della nuova tecnologia sarà determinato dall'incontro tra la ILM e Spielberg nella realizzazione di ]urassic Park (S. Spielberg 1 993). I dinosauri del fil m, in progetto dal 1 989 sulla base del manoscritto del libro di Michael Crichton (pubblicato l'anno successivo), originariamente dovevano essere realizzati in stop-motion, ma la velocità di crescita della tecnologia digitale e i risultati ottenuti indussero Spielberg e i produt­ tori a scegliere la computer grafica, anche se per ragioni tecniche e spettacolari alcuni dinosauri vennero comunque realizzati seguendo procedimenti elettro-meccanici (ani­ matronics) (fig. 42) . La diffusione delle tecniche di computer grafica (CG) ha spalancato le porte di un nuovo mercato, sia cinematografico che televisivo, che si è infine aperto al recupero del genere storico per il quale le difficoltà e i costi di ricostruzione di ambienti antichi o la realizzazione di scene di massa, tra le principali cause dei disastri economici dei colossal anni Sessanta, potevano ora essere superati con relativa facilità. Se Cleopatra (Mankiewicz, 1 963) e The FaLl ofthe Roman Empire (Mann, 1 964) segna­ rono la fine di un epoca produttiva nell'ambito di un genere, gli stessi titoli si ritrovano alle soglie del XX secolo quando il film storico-antico torna a far parlare di sé, al cinema e in televisione. Con Gladiator (R. Scott, 2000) e con Cleopatra (F. Roddam, 1 999), le produzioni investono nel colossal attingendo ampiamente alla CG, non nascondendo il debito estetico verso i predecessori, assolto attraverso citazioni e rimandi ammiccanti ai modelli del passato o attraverso un rovesciamento delle basi storiografiche. Il Cleopatra di Roddam è basato sul romanzo di Margaret George Memoirs o/Cleopatra ( 1 997) , in cui l'autrice simula un'autobiografia della regina proponendola in chiave "fem­ minista"; il film-tv (3 episodi da 50 minuti) è una coproduzione del network america­ no ABC con la Babelsberg lnternational Film Produktion (Germania) da 28 milioni di dollari girata in Marocco (Ouarzazate) , dove il film fu travolto da un drammatico lutto quando morì in un incidente stradale durante le riprese il costumista italiano Enrico Sabbatini, specializzato in film storici. Al posto che fu di lheda Bara, Claudette Colbert e Liz Taylor c'è l'esotica modella franco-cilena Leo nor Varela, figlia del noto neuro scienzia­ to Francisco Varela; mentre Giulio Cesare è l'ex 007Timothy Dal ton e Billy Zane, reduce dai panni del "ricco e cattivo" rivale di Leonardo Di Caprio in Titanic, è Marco Antonio. Il produttore esecutivo, Roberr H almi, dichiarò all'epoca: "We needed to do all this to be able to compete with the movies [ . . . ] I have to offer something different to the public, it has to be competing with the big screen, cable, the Internet. We have to catch people's eye and say, 'lhis is worth watching.' And unfortunately, that costs money."1 53 Tuttavia era certo anche ben consapevole che senza l'ausilio delle nuove tecnologie tutto sarebbe costato almeno il doppio. Sul grande schermo la vicenda vista in The FaLl of the Roman Empire è aggiornata da R. Scott in Gladiator sulla base del lavoro dello sceneggiatore David Franzoni, che aggiun­ ge elementi "spartachisti" e guarda esteticamente al colossal di Kubrick. Il budget fissato 49

Fig. 43. Una scena di Gladiator (Scott, 2000). Lo sfondo è completamente rico­ struito in computer grafica.

era di 1 03 .000.000 di dollari, in proporzione un terzo del costo finale di Cleopatra ( 1 963) , a fronte di un incasso complessivo di 457.640.000 di dollari solo nel 2000 (senza lo sfrut­ tamento dei passaggi televisivi e del mercato homevideo); decisamente un affare. Girato in Marocco, Tunisia, Italia e Malta, il film si chiude a Los Angeles negli studi cinematografici della Universal per filmare gli interni; in Italia il comune di Roma negò l'uso del Colosseo (nel 1 999 in restauro) e il primo anello dell'anfiteatro fu perciò ricostruito a Malta, mentre le gradinate successive (e la relativa folla) furono aggiunte in CG, così come altre inquadra­ ture panoramiche d'architettura, scene di massa, piogge di frecce e dardi, ecc. (fig. 43) . Casualmente anche questo film è stato segnato da un lutto per la morte improvvisa di Oliver Reed (Proximo), stroncato da un infarto in un Pub a La Valletta a riprese non ancora ultimate. Mancando alcune inquadrature con l'attore inglese, si presentò a Scott lo stesso problema che ebbe George Stevens con Giant ( 1 956) dopo lo schianto in Porsche di James Dean, all'epoca risolto con una controfigura ripresa di spalle. In questa occa­ sione, come per The Crow (A. Proyas, 1 994) funestato anch'esso dall'improvvisa morte di Brandon Lee figlio del leggendario Bruce Lee (pure morto sul set), il volto dell'attore defunto venne ricostruito e inserito in postproduzione con l'ausilio della CG. Come s'è anticipato, Scott ha sempre tenuto presente il passato del genere cinemato­ grafico che si accingeva a riportare in auge, e in diverse interviste ha ricordato la grande influenza sull'immaginario gladiatorio del pubblico del quadro di Géròme Pollice Vérso ( 1 872) (fig. 44) , riprodotto da Guazzoni nel Quo Vadis? (fig. 45) ; benché avvertito dai consulenti dell'imprecisione storica del gesto, Scott preferì rinunciare al realismo e con­ servare l'immagine che seguiva la decisione di mandare a morte lo sconfitto (fig. 46) e che generazioni di spettatori in un secolo di cinema sono stati "assuefatti" a vedere. Più gravi sono forse gli errori nelle diverse epigrafi visibili qua e là nel film quando, nei titoli di coda, si ringrazia esplicitamente per la consulenza la latinista di Harvard Kathleen Coleman. Vincitore di cinque Oscar, il film ha rilanciato il genere e a Hollywood sono tornati Ettore e Achille in Troy (W. Petersen 2004) e Alessandro Magno secondo Oliver Stone (Aiexander, 2004); mentre per il 20 l O è previsto Memoirs ofHadrian, basato sull' omo­ nimo romanzo di Marguerite Yourcenar e diretto da J. Boorman, il regista dell'incubo antropologico Deliverance ( 1 972) 154, 50

In alto a sinistra: Fig. 44. Il dipinto di ]ean-Léon Gérome Pollice Verso (1872). In alto a destra: Fig. 45. Una scena di Quo Vadis? (Guazzoni, 1913), che riproducefedelmente il dipinto di Gérome. A lato: Fig. 46. Il pollice verso in una scena di Gladiator (Scott. 2000).

Mai rassegnata alla sudditanza con Hollywood, la Francia trova nell'innovazione tec­ nologica la possibilità di affermarsi in un mercato più ampio, sfidando gli Studios di Los Angeles sul terreno del film spettacolare diretto a un pubblico internazionale. Il più attivo su questo fronte è il regista e produttore Luc Besson che si afferma con Nikita ( 1 990), poi rifatto nel '93 dagli americani (Point ofNo Return, J. Badham) , e con Leon ( 1 994) che lancia l'attore Jean Reno. Besson, attingendo ampiamente alle possibilità della CG, tenta anche la via più difficile del cinema di fantascienza e dirige Le Cinquième élément ( 1 997) , poi si muove verso lo scontro più arduo con il cinema per bambini, sfidando i colossi Disney e Dreamworks, dirigendo Arthur et les Minimoys (2006), del quale i due sequel attualmente in postproduzione testimoniano quantomeno il successo economico dell'impresa. Su questo terreno "dissodato" da Besson, il produttore francese Jacques Dorfmann, con alle spalle film come L'armée des ombres (J.P. Melville, 1 969) e il preistorico antropo­ logico La guerre du feu (J.J. Annaud, 198 1 ) , si mette dietro la macchina da presa e ten­ ta una risposta franco-canadese al Gladiatore con un nazionalistico Vercingétorix (200 1 ) (fig. 47) , dove l'eroe gallo è interpretato dall'ex Tarzan Cristoph Lambert e il ruolo di Cesare è affidato all'esperto Klaus Maria Brandauer. Sebbene per la prima volta, pure seguendo il De bello Gallico, il punto di vista "francese" mostri le varie tribù galliche e le loro ataviche divisioni, il Giulio Cesare di Brandauer venato di accenti nazistoidi e l'im­ barazzante sceneggiatura ne decretano il fallimento al botteghino. Per dare un'idea della scelta nei dialoghi, si può ricordare una sequenza chiave del film: Vercingetorige incontra una pattuglia romana nella foresta e, ormai convinto della "resistenza", anziché rispettare gli accordi e consegnare il tributo dovuto, decide di restituire il cavallo che tempo prima Cesare gli aveva regalato, accompagnandolo con una mano tagliata a un legionario e con 51

Fig. 47. Una scena da Vercingétorix (Dorfmann, 2001).

la frase: "Ridate a Cesare quello che è di Cesare", impossibile ma ammiccante allusione al passo evangelico redatto olue un secolo più tardi. Sulla stessa linea anche il novantenne e indomito Dino De Laurentiis, l'unico vero sfidante italiano - sul finire degli anni Sessanta - dell'industria hollywoodiana (presso la quale decide poi di uasferirsi): appoggiandosi al romanzo fantastorico "L ultima legione" (2002) del narratore V.M. Manfredi, abbraccia il revival del genere storico-romano e pro­ duce The Last Legion (Doug Lefler, 2007) . La comparsa della magica spada Excalibur e l'intreccio con la saga arturiana, posiziona il film in competizione, più che con Gladiator, con la saga di Indiana ]ones o I Pirati dei Caraibi. Sul Corriere della Sera Kezich con­ clude la sua recensione: "Mezzo secolo fa un prodotto siffatto avrebbe forse sbancato il botteghino"155• Con un budget di 67.000 .000 di dollari l'incasso finale sarà di neppure 6 milioni. Dopo Cleopatra, i romani in televisione tornano con la prima biografia dai 20 ai 56 anni di Giulio Cesare: ]ulius Caesar (U. Edel, 2002) , una coproduzione USA, Germania, Olanda e Italia, girata in Bulgaria (Gallia) e a Malta (Roma), costata complessivamente olue 25 milioni di euro. Trasmesso in due parti da 90 minuti, ]ulius Caesar è diretto con mestiere dal tedesco Edel (Christiane E - Wlr Kinder vom Bahnhof Zoo, 1 98 1 ) : a lui e ai produttori si deve il merito di aver tentato la rappresentazione di un giovane Cesare in un contesto storico mai visto prima in un film-tv, proponendo al grande pubblico il cursus honorum del futuro dittatore. Tuttavia la scelta dell'attore Jeremy Sisto, visto in tv nell'agiografia RAI ]esus (R. Young, 1 999) , avrebbe richiesto per l'invecchiamento uno sforzo maggiore, sicché il Cesare delle Idi di marzo appare poco credibile, non essendo neppure accennata l'odiosa calvizie. Un lutto oscura anche questa fiction: nei titoli di testa è la dedica a Richard Harris, scomparso a fine riprese, interprete di un Silla maniaco e san­ guinario, ancora erroneamente dittatore al momento della plateale morte. ]ulius Caesar è 52

recensito così sulle pagine del Corriere della Sera da Luciano Canfora: "La fiction di Uli Edel è uno sconcertante pasticcio". Il filologo, autore di celebri saggi sul generale romano, lamenta curiose invenzioni (''Cesare e Pompeo, uavestiti da gladiatori, si giocano qualche migliaio di legionari nel corso di una specie di duello") , anacronismi ("la improvvisa evo­ cazione della ��mezza luna fertile»: ne parla un attore di suada di tipo felliniano, pensando di riferirsi ad Alessandria di Egitto") e una sceneggiarura a tratti imbarazzante ("La povera Valeria Golino (Calpurnia) . . . è qui costretta a pronunciare - pensando a Cleopatra - una terrificante battuta: «Non si vorrà impedire a una donna di vedere la sua rivale!»'') 156 • Intanto la Rai e la Lux Vide dell'ex padre-padrone di viale Mazzini Ettore Bernabei157, specializzata in fiction storica e preti/detective, lancia la serie Imperium sui sovrani roma­ ni e la Roma cristiana: Augusto (R. Young, 2003) , Nerone (P. Marcus, 2004), San Pietro (G. Base, 2005), Pompei (G. Base, 2006) , Agostino (C. Duguay, 20091 58). Per Augusto il budget è di 20 milioni di euro, di cui 5 provengono dall'Italia, in una coproduzio­ ne internazionale con Francia, Germania, Spagna, Austria e Inghilterra. La troupe per la ricostruzione di Roma si sposta nei din­ torni di Hammamet in Tunisia, mentre il cast internazionale nel ruolo dell'imperato­ re prevede l'ormai anziano Peter O'Toole. Questi, in un intervista durante la lavora­ zione, alla domanda "perché il cinema, dai peplum movie fino al recente Gladiatore, ha sempre così amato il mondo dell'antica Fig. 48. Una scena di Augusto (J0ung, 2003). Lo sfon­ do è completamente ricostruito in computer grafica. Roma?" risponde: "Ma non solo il cinema. Il teatro, la letteratura . . . Basta pensare a Shakespeare: quel mondo a tinte forti, di eroi e guerrieri, ha sempre avuto gran richiamo spettacolare. L importante è accostarlo con serietà, a un buon livello culrurale"159• Con questa intenzione la produzione ha infatti ar­ ruolato uno stuolo di eminenti storici romani da diverse università160; tuttavia il risultato complessivo, costretto negli obblighi estetico-didascalici della prima serata sul principale canale nazionale generalista, non riesce a cogliere pienamente le indicazioni dei consulenti e quello che resta è un pastiche manieristico dove la storia è per lo più affidata a costumi e scenografie (fig. 48) . Nel flashback di Cesare in Egitto compare la più imbarazzante Cleopatra mai vista al cinema e in tv: l'ex miss Italia 1 995 Anna Valle. Il direttore di Rai Fiction, all'epoca Agostino Saccà, dichiarò: "Rimanendo fedeli alla storia, siamo riusciti a confezionare un grande racconto popolare, che descrive anche amori, inuighi, passioni e soprattutto il potere. Un impasto che dovrebbe funzionare"161 • Trasmesso in due parti da Raiuno nel dicembre 2003 , ottiene 8.008.000 spettatori (share 27,5 1 %) , meno del contemporaneo, e costato un decimo, Distretto di polizia di Canale 5 che raduna davanti alla tv 9.043 .000 spettatori (share 3 1 ,89%). Le successive produzioni Nerone e Pompei rientrano nello stesso progetto: gli elementi scenografici più costosi sono recuperati dal set di Augusto negli Empire Studios in Tunisia, in comproprietà dalla Lux Vide con la Carthago film di Tarak Ben-Ammar, le aggiunte (come il Colosseo) sono costruite man mano che la serie Imperium procede nel tempo 53

storico (in preparazione ci sono: Marco Aurelio, Costantino e La caduta dell1mpero) . Nel ruolo di Nerone c'è un giovane attore irlandese, Hans Matheson, che alla conferenza stampa, rispondendo ad una domanda sulla sua preparazione storica relativa al personag­ gio, dichiarava: "La mia conoscenza si basava soltanto sui clichè. Mi sono preparato per il ruolo leggendo il saggio di Richard Holland ma alla fine ho preferito fare di testa mia. Leggendo Nerone sui libri non riuscivo a capire la sua personalità'' 162• Il risultato finale è un bravo ragazzo tormentato da un rapporto difficile con la madre che lo porterà infine a perdere la testa, fino al matricidio e all'odio verso i cristiani. In una sequenza della prima parte, dopo il ritorno a Roma dall'esilio, Nerone conduce di notte a cavallo la giovane amata Atte (una schiava) sul Gianicolo per vedere Roma dall'alto illuminata dalle fiaccole e si lascia andare a considerazioni politiche: "Un mare di persone, mentre tutta la ricchez­ za è in mano a una manciata di nobili, e intorno a loro povera gente, persone disperate che lottano con ogni mezzo per cercare di sopravvivere". La ragazza risponde "Così è il mondo, non solo Romà' e il giovane Nerone conclude profetico "Ma anche il mondo può cambiare, se io cambierò Roma!" . La produttrice della Lux Matilde Bernabei conferma: "La storia ha vilipeso Nerone. Noi abbiamo tentato di riportarlo alla sua luce più vera: un uomo tormentato che, dopo essere partito bene nonostante le sofferenze dell'infanzia, è andato verso la negatività. Diventare un uomo di potere lo ha stravolto" 163• Dal set di Nerone, il fratello di Matilde, Luca Bernabei, annuncia Tito (poi Pompei) : "Il prossimo capitolo è dedicato all'im­ peratore Tito. Durante il suo regno, tre fatti importanti: la distruzione del Tempio di Gerusalemme, la distruzione di Pompei e l'inizio della costruzione del Colosseo. Come nel caso di Nerone, dove abbiamo cercato di rendergli giustizia, anche per il suo successore non ci limiteremo a snocciolarne la biografia, ma inquadreremo la sua vicenda nei grandi eventi storici"164• In realtà il progetto subirà una trasformazione radicale nel solco della tradizione delle varie versioni e divagazioni intorno a Gli ultimi giorni di Pompei (come l'ultimo do­ cudrama prodotto della BBC Pompeii: The Last Day - P. Nicholson, 2003) . Il Pompei della RAI è costruito come un melò romano-catastrofico, alla fine della vicenda di Tito (G. Gemma) non resta molto e il plot si dipana tra i fili del thriller politico (il protagonista Marco deve sventare un complotto) e della favola d'amore e conversione (tra Marco e la schiava Valeria) , sicché la storia di Roma - con la consulenza di Andrea Giardina e Angela Donati - appare fatalmente connessa alla vicenda cristologica, nello stile dei produttori LUX sempre più determinati in questa direzione tele-evangelizzatrice. Gli effetti speciali dell'eruzione e distruzione della città - per il produttore "meritevoli di attenzione a livello planetario"165 - sono stati realizzati in computer grafica con la consulenza di Anthony La Molinara, vincitore dell'Oscar del settore con Spiderman 2 (S. Raimi, 2004). Il critico tv Aldo Grasso fin troppo comprensivo scrive dopo la trasmissione di "attori che recitano in maniera approssimativa, con una direzione, quella di Giulio Base, più adatta all'illustra­ zione che alla scrittura, con una storia che appare sempre troppo scontatà'166• Che cosa accade mescolando il peplum cinematografico Il Gladiatore con il serial televisivo Sex & the city? Tenta la pozione la rete USA via cavo HBO in coproduzione con BBC: ne esce Rome (2005-07) che con 1 20 milioni di euro, è la più costosa produzione televisiva mai realizzata (fig. 49) , interamente girata a Cinecittà dove le vie di Roma, le piazze, i luoghi simbolo dell'architettura, riprendono vita in un gigantesco set come non 54

Fig. 49. La ricostruzione di un processo per omicidio da una sequenza di Rome (2005-01).

si vedeva dall'epoca di Cleopatra. L'idea originaria è di John Milius167, sceneggiatore di Apoca!ypse Now (F. Coppola, 1 979) e regista di Un mercoledì da leoni ( 1 978) , e ha uno svi­

luppo ambizioso: cinque stagioni da 1 2 episodi ciascuna (50 minuti ogni ep.) . L'obiettivo finale è riuscire a raccontare un secolo di storia, ancora una volta l'archetipo è L Claudius di Graves, attraverso le vicende dalla dinastia giulio-claudia ma la serie, dopo due stagioni, viene interrotta per problemi economici, crisi nella coproduzione internazionale e qual­ che polemica168• Due i protagonisti della prima stagione: da una parte Giulio Cesare (Ciaran Hinds) e la sua vicenda storica, seguita da Alesia alle Idi di marzo; dall'altra il tòpos dell'amicizia virile caratteristico di Milius che inventa due commilitoni vicini a Cesare, Lucio Voreno, religioso e incorruttibile primus pilus della XIII legione, e Tito Pullo, un manesco legiona­ rio, ubriacone e inizialmente senza illusioni. In mezzo scorrono e s'intrecciano le vicende politiche, sentimentali, pubbliche e personali degli uomini di potere e delle donne che tramano nell'ombra, in un turbine di passioni, tradimenti, corruzione e depravazione. Questo è probabilmente il motivo che ha spinto la RAI a non trasmettere la seconda stagione. Ufficialmente la rinuncia è spiegata dal basso indice di ascolto ( I O% di share su Raidue per la prima p untata e 5% alla dodicesima) ; tuttavia il rifiuto del pubblico è legato alle polemiche censorie, perchè la serie trasmessa in Italia non era quella vista dal pubblico della BBC. La violenza e il sesso esibito, i dialoghi espliciti, la "normalità'' dell' omoses­ sualità, la relazione lesbica di Servilia e l'incesto col fratello Ottaviano, un nudo frontale di Marco Antonio, sono stati censurati e sostituiti dalla RAI con scene edulcorate e girate appositamente per l'Italia. IL pubblico, a conoscenza della versione originale molto prima del lancio televisivo grazie alla rete internet, non ha apprezzato, sottraendo il proprio consenso al prodotto di cui conosceva i Limiti e di cui proprio quegli "eccessi" negati costituivano la novità più attesa. Consulente della serie è il Direttore del Dipartimento documentari storici della BBC Jonathan Stamp e per quanto non siano rare nella serie 55

le licenze narrative (nella sequenza davanti al Rubicone a Cesare sfugge un "dobbiamo valicare le Alpi") la qualità del contesto storico è per ora la più alta mai vista in un film su Roma archeologica. Nonostante ciò Luciano Canfora, seguendo un ragionamento stretta­ mente storico, ha affermato: "Divulgare errori è il peggio che si possa fare. È il più grande aiuto che si possa dare al conservatorismo culturale e alla difesa di tipo passatista dello studio degli antichi"169•

PARTE 2 - LA RAPPRESENTAZIONE DEL LAVORO E DEI MESTIERI NEL CINEMA STORICO - ROMANO

La pittura alla base del cinema: un panorama iconografico Il caso visto nel precedente capitolo del dipinto di Jean-Léon Gérome (Pollice Vt?rso, 1 872) e della sua influenza sul cinema170, costituisce in effetti la punta di un iceberg: la struttura dell'immaginario iconografico che confluisce nelle pellicole su Roma antica è infatti in debito con le decine di quadri realizzati, tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XX, da pittori ispirati dalla riscoperta del mondo classico, ciascuno seguendo personali re-visioni del passato, nel solco delle tesi estetiche del Winckelmann 171 • Il pittore decisivo per lo sviluppo del genere172 è il francese Jacques-Louis David. Probabilmente stimolato da 7he Oath ofBrutus ( 1 763-64) (fig. l ) del pittore e archeologo scozzese Gavin Hamilton (che aveva studiato a Roma da Agostino Masucci), ma anche ispirato dalla popolare tragedia di Corneille, Horace ( 1 640), a sua volta derivata dall'opera di Tito Livio Ab urbe condita (in particolare I, 25), David realizza Le Serment des Horaces ( 1 785) (fig. 2) e riscuote un immediato successo che lo condurrà al ritorno sul tema, pri­ ma con Les licteurs rapportent à Brutus /es corps de ses fils ( 1 789) (fig. 3) realizzata a ridosso della Rivoluzione, e poi con Les Sabines ( 1 799) (fig. 4), una tela visibilmente immersa nello scenario della contemporanea Francia in fermento. Nel 1 748, per l'impulso della monarchia borbonica, avevano preso il via gli scavi a Pompei; tuttavia solo nel 1 860, con l'unità d'Italia e la nomina di Giuseppe Fiorelli alla direzione dei lavori ( 1 86 1 ) , la continuità sistematica della ricerca archeologica diffonde una visione d'insieme dell'antica città sepolta; grazie al suo spirito divulgativo, il nuovo direttore intuisce la possibilità di restituire l'orrore del disastro attraverso la realizzazione

Fig. l.

Gavin Hamilton, The Oath of Brutus (1763-64).

Fig. 2. ]acques-Louis David, Le Serment des Horaces (1 785). 57

Fig. 3. ]acques-Louis Davù:l, Les licteurs rapportent à Brutus /es corps de sesfils (l 789).

Fig. 4. ]acques-Louis David, Les Sabines (1799).

Fig. 5. Alexandre Cabanel, Cleopatra testing poisons concondemned prisoners (l 897).

Fig. 6. Frederic Leighton, Wedded (1881-82).

dei calchi delle vittime, sepolte dalla furia dei flussi piroclastici. L: idea è un successo. Il sito archeologico organicamente tornato alla luce, che già dopo i primi interventi borbonici aveva suggerito lo spunto narrativo a Edward Bulwer-Lytton per 7he Last Days ofPompeii ( 1 834) , incrementa l'impatto del già diffuso "gusto pompeiana" sulla cultura visuale oltre che su quella letteraria. Unito al successo delle illustrazioni coloniali diffuse in Europa ­ tra le quali trionfano quelle dell'Egitto e del vicino Oriente - l'intreccio storico-estetico trova largo riscontro nella pittura, a partire dalla metà del XIX secolo; a questo punto le arti figurative amplificano la tendenza estetizzante, rispetto al già neoclassico David, sicché la corrente pittorica principale, assieme al filone "neopompeiano", è definita sarca­ sticamente art pompier173• Indipendentemente dai giudizi estetici, estranei a questa rassegna panoramica, all'in­ terno di tale ambito gli artisti più sedotti dal mondo Romano, Géròme e Alma-Tadema, 58

sono anche i due esponenti più noti e prolifici; a loro, fra i molti attivi in questo pe­ riodo174, si possono aggiungere: Alexandre Cabanel (fig. 5), Frederic Leighton (fig. 6), Charles Gleyre (fig. 7) , Domenico Morelli (fig. 8) , lhéodore Chassériau (fig. 9), lhomas Couture (fig. 1 0) , Henryk Siemiradzki (fig. 1 1 ) , Francesco Netti (figg. 1 2- 1 3)e Edward J. Poynter. Quest'ultimo dipinge la guerra di Roma contro Cartagine (fig. 1 4) , con tanto di scritta Delenda est Carthago incisa sulla catapulta, e soprattutto presenta Faithful unto de­ ath ( 1 865) (fig. 1 5) , il suo lavoro più celebre direttamente ispirato al Libro V-Capitolo 6 del romanzo The Last Days ofPompeii, chiaramente allusivo della devozione stoica al do­ vere, cifra del soldato Vittoriano. Géròme, in opposizione all'impressionismo germogliato dai turbamenti della neonata fotografia, oltre al già ricordato Pollice verso, propone ancora il Colosseo dei gladiatori

Fig. 8. Domenico Morelli, Bagno pompeiano (l 861). Fig. 7. Charles Gleyre, Les Romans passant sous kjoug (1858).

Fig. 9. 7héodore Chassériau, Tepidarium de Pompei (1853).

Fig. l O. 7homas Couture, 7he Romans ofthe Decadence (1847). 59

Fig. 1 1. Henryk Siemiradzki, Le torce di nerone (1876).

In alto a sinista: Fig. 12. Francesco Netti, Lotta dei gladiatori du­ rante una cena a Pompei (1880). In alto a destra: Fig. 13. Elmo in bronzo usato da Netti come mode/JQ per il suo dipinto, Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A lato: Fig. 14. Edward]. Poynter, The Catapult (l 86872). 60

(fig. 1 6) insieme al mito, anch'esso icona fondamentale per il cinema, dei cristiani sbra­ nati dai leoni (fig. 1 7) ; poi rievoca quella che per lui è l'essenza della vita di Cesare: la relazione con Cleopatra e l'assassinio delle idi (fìgg. 1 8- 1 9) . L a contemplazione della vestigia archeologiche d a parte degli intellettuali eu­ ropei, da tempo parte essenziale dell'esperienza formativa aristocratica attraverso il

Fig. 16. jean-Léon Gérome, Ave Caesar morituri te salutant (1859).

Fig. 15. Edward ]. Poynter, Faithfol unto death (l 865).

Fig. 17. Jean-Léon Gérome, lhe Christian Martyrs Last Prayer.

Fig. 18. jean-Léon Gérome, Cleopatra e Cesare (1866).

Fig. 19. ]ean-Léon Gérome, L'assassinat de César (1867). 61

Grand Tour, in Géròme, e più ancora in Tadema, trova pieno sviluppo in una pittura volta a restituire una "vita" ai luoghi archeologici che le fotografie (o la visita diretta) mostrano vuoti e in rovina. Gli scavi o i resti affioranti del mondo romano diventano set e sulle tele, ricostruiti nelle parti mancanti (come oggi si fa con la CG), tornano a vivere le vicende quotidiane dei gloriosi abitanti, tra storia e (molta) immaginazio­ ne. Mentre ancora Géròme evoca ad esempio un prigioniero di guerra a ridosso delle mura cittadine (fig. 20) , il commercio degli schiavi (fig. 2 1 ) e una bottega di sculture (di cui non sorprende il punto di vista simile a certe inquadrature delle successive produzioni cinematografiche) (fig. 22) , l'olandese Lawrence Alma-Tadema, natura­ lizzato inglese nel 1 873, si afferma come il più comp leto illustratore dell'anti chità romana.

In alto a sinista: Fig. 20. ]ean-Léon Gérome, Cave canem, prisonnier de guerre à Rome (l 881). In alto a destra: Fig. 21. ]ean-Léon Gérome, Vente d'une esclave (1884). A lato: Fig. 22. ]ean-Léon Gérome, Breathes Lifo into Sculpture (1893). 62

Alma-Tadema175 realizza le sue tele mediando abilmente tra uno scrupoloso ricorso alle fonti e la sua personale ispirazione e visione della storia. Una vasta biblioteca perso­ nale, un catalogo fotografico ben fornito e diversi viaggi a Roma e Pompei ( 1 863, 1 875, 1 878 , 1 883) , sono la base archeologica del suo lavoro; quest'attenzione "scientifica", ca­ ratteristica del contemporaneo clima positivista, si traduce in una rappresentazione este­ tizzante del mondo antico, popolata di oggetti quotidiani, epigrafi, sculture, ambienti e materiali (figg. 23-24) che il pittore fotografa nei musei oppure esamina di persona durante le visite agli scavi; e quando queste condizioni mancano, si avvale del suo archivio di foto, cartoline, disegni e illustrazioni scientifiche.

Fig. 23. Lawrence Alma- Tadema. An Exedra (1871). L'ampia panca marmorea è la tomba di Mamia, sulla Via dei Sepolcri alla periferia di Pompei.

Fig. 24. Una scena di 1he robe (Koster, 1953) chiaramente ispi­ rata al dipinto di Alma- Tarkma.

Rivive così la grande storia atuaverso le opere dedicate a Tarquinio il Superbo e Cesa­ re (fig. 25) o agli imperatori: Caracalla, Vespasiano, Adriano, Claudio, Eliogabalo e Tito (fig. 26). Leffetto rnitico Pompei/Fenice - una città fantasma riemersa dalle ceneri - su Alma-Tadema è invece ben visibile nelle ricostruzioni di ambienti privati (figg. 27-30) , arredati talvolta anacronisùcamente con l' oggettistica vista al Museo Archeologico Na­ zionale di Napoli; finché nel 1 9 0 1 quando il cinema è in fasce, realizza Interior OfCaius Martius's House (fig. 3 1 ) , in effetti (e presumibilmente involontariamente) una ricostru­ zione per la scenografia di un Quo Vadis? o Gli ultimi giorni di Pompei. 63

Linteresse del pittore verso il lavoro dei romani è parte essenziale del suo programma iconografico. Attraverso di esso la quotidianità rivive materialmente sulla tela, filtrata dallo sguardo del collezionista-archeologo appassionato della cultura antica e testimo-

Fig. 25. Lawrence Alma-Tadema, Ave, Caesar! lo, Saturnalia! (1880).

Fig. 26. Lawrence Alma- Tadema, The Triumph of Titus, A.D. 71 (1885). 64

Fig. 27. Lawrence Alma- Tadema, The discourse (s. d}.

Fig. 28. Lawrence Alma- Tadema, Tibullus at Delia's House (l 866).

Fig. 29. LawrenceAlma-Tadema, Confidences (1869).

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Fig. 30. Lawrence Alma- Tadema, An Oleander {1882).

Fig. 31. Lawrence Alma-Tadema, lnterior of Caius Martius' House (1901).

n iato dalle opere dove sono rievocati i mestieri: l'architetto alle prese con il Colosseo e lo scultore col cesto degli attrezzi bene in evidenza; oppure la bottega di un vasaio nella Britannia romana e il commercio di fiori nelle strade della gaudente Pompei (figg. 32-33) ; o ancora un lontanissimo collega celebrato con affiato mimetico nel dipinto A Roman Artist (fig. 3 4) . Nel 1 883, mentre Cesare Maccari ha appena avviato i lavori degli affreschi per i l Pa­ lazzo del Senato176, Alma-Tadema espone con successo a Roma alla Mostra internazionale di Belle Arti e le sue tele impressionano fra gli altri un ventenne e semisconosciuto Ga65

In alto a sinista: Fig. 32. Lawrence Alma-Tadema, Ihe Flower Market (1868).

In alto a destra: Fig. 33. Lawrence Alma- Tadema, Hadrian Visiting a Romano-British Pottery (1884). A lato: Fig. 34. Lawrence Alma- Tadema, A Roman Artist (1874).

briele D'Annunzio; per quest'ultimo è un esperienza i cui ricordi riaffioreranno senz'altro nel 1 9 1 4, quando ormai "Vate" accetterà di collaborare con Pastrone alla messa in scena di Cabiria. Troppo giovani invece all'epoca della mostra i fondatori del kolossal storico Lui­ gi Maggi ( 1 867- 1 946) e Enrico Guazzoni ( 1 876- 1 949); tuttavia la mancata presenza all'esposizione romana non ha certo impedito anche in questo caso l'incontro: sia Maggi che Guazzoni, l'uno tipografo, l'altro studente all'Accademia di Belle Arti a Roma e poi cartellonista e decoratore, travasano nell'allestimento dei loro film le suggestioni delle opere di Tadema e dei suoi colleghi con le quali successivamente, per formazione e espe­ rienza professionale, entrarono comunque in contatto177•

!! lavoro e i mestieri: una perlustrazione Linteresse del cinema per la vita quotidiana, benché generico e motivato da ragioni commerciali piuttosto che di vera considerazione per la storia, coincide con la nascita del genere "romano", decisamente influenzato per le scenografie e i costumi dalla pittura. Ad essa viene riconosciuta tacitamente un'autorevolezza tale da essere accolta come una 66

delle fonti principali da produttori e registi, i quali, durante la fase di documentazione e sceneggiarura, vi attingono largamente. Inolrre, la tendenza dell'industria cinematografica alla produzione di forme standardizzate renderà duraturo il ricorso a tale fonte, quantun­ que sempre più indiretto. Infatti, col progredire delle produzioni, i nuovi film attingono formalmente ai successi precedenti poiché sussiste, come caratteristica propria nello svi­ luppo del cinema di genere, una congenita inclinazione all'autoreferenzialità estetica (si veda l'esempio del rapporto tra il kolossal The Robe e un dipinto di Alma Tadema, figg. 23-24) . La concatenazione di rimandi intertesruali e transtesrualil78 giungerà così alle soglie degli anni Settanta del XX secolo (con l'esclusione degli esperimenti d'autore) , finché progressivamente i mutamenti tecnologici e culturali, ricordati nel capitolo precedente, generano diversi tentativi di concreto avvicinamento dell'industria culturale alle fonti storiografiche dell'accademia o a quelle ad essa contigue; tra questi, la serie Rome della HBO costituisce certamente il caso più ardito e interessante, a prescindere dalle inevita­ bili critiche (peralrro in parte giustificate) . Tuttavia, sul tema oggetto di questo lavoro, meritevoli di qualche considerazione aggiuntiva sono certamente i casi unici di Scipione l'Africano che, s'è detto, nonostante la retorica del regime a proposito della Roma impe­ riale è la sola pellicola in argomento prodotta dal fascismo e dell'hollywodiano The Last

Days ofPompeii. Programmato per l'uscita in coincidenza con l'inaugurazione degli Studios aurarchici, la cui campagna pubblicitaria proponeva come slogan: "Perché l'Italia Fascista diffonda nel mondo più rapida luce della civiltà di Roma'', Scip ione l'Africano oltre a "volersi porre agli antipodi delle ricostruzioni di paccottiglia che i cinema stranieri ci avevano dato del loro cosiddetto mondo romano"179, vorrebbe essere a suo modo la risposta dell'Italia fasci­ sta a Der Triumph des Wi!lens ( 1 935) di Leni Riefenstahli80, il documentario celebrativo dell'adunata nazista di Norimberga (4 - 1 0 settembre 1 934) . Il film tedesco si apre sulle nuvole, con una soggettiva aerea che si rivelerà essere il velivolo su cui viaggia il Fuhrer: una vera creatura messianica discende sulla Germania. Ma se Hitler aleggia, Mussolini percorre e attraversa. Il primo attinge ad un'estetica tragica e la messa in scena del Reich organizzata da Joseph Goebbels e Albert Speer guarda all'estasi delle masse, alla distanza sacrale tra leader e popolo. Il secondo invece, costretto al confronto con gli altri due precedenti poteri (il Re e il Papa) , deve ripiegare sulla commedia dell'arte, ovvero a un "andare verso" il popolo recitando mille ruoli come Leopoldo Fregoli181 a beneficio dei cineoperatori e fotografi del Luce. È il duce "divo" dell'epoca, star multiforme dell'istituto propagandistico fondato nel l 924 per mezzo del quale s'impone agli italiani: a torso nudo sugli sci al Terminillo; in ruba e frac presenzia serate di gala e taglia nastri; con bustina in carta di giornale e cazzuo­ la pone prime pietre; in basco fantozziano e doppiopetto visita le bonifiche; col fazzoletto annodato sulla pelata miete il grano; in abiti bianchi da marinaio naviga in barca a vela; in completo da minatore visita le solfatare; decolla dall'aeroporto di Centocelle in giubbotto e calottina di pelle; in tight e bombetta accarezza un leone (cucciolo) ; in paltò e borsalino distribuisce la befana fascista; "pratica'' - ma sopratturto ne indossa le divise - la scherma, l'equitazione, il nuoto, il tennis, l'automobilismo, la caccia; si infila in ogni tipo di uni­ forme e visita truppe fino all'ulrimo travestimento, con un pastrano e un elmetto tedeschi quando tenterà invano di fuggire in Svizzera a bordo di un camion della Wehrmacht. 67

Così il generale Scipione (Annibale Ninchi) è costruito sul duce (Mussolini) dei ci­ negiornali di regime e la Roma del 200 a.C. è l'Italia del 1 936 1 82, sullo sfondo: l'entusia­ smato e obbediente esercito di legionari, calcomania immaginaria degli otto milioni di baionette invocate dal dittatore in un celebre discorso contemporaneo alla lavorazione del kolossal: "È dal 1 929 che milioni e milioni di uomini, di donne e di fanciulli soffrono le conseguenze di una crisi che oramai non si può non ammettere che sia dovuta al sistema. (Applausi). È dunque un grande ramo d'ulivo che innalzo tra la fine dell'anno XIV e l'inizio dell'anno XV. Attenzione, questo ulivo spunta da un' immensa foresta: è la foresta di 8 milioni di baionette (applausi) bene affilate e impugnate da giovani intrepidi e forti" 183.

Quando nel film appare la medesima "retorica da balcone" recitata da Annibale Nin­ chi nella corazza di Scipione, "un po' declamatorio" 1 84 con "il suo intransigente tono apo­ logetico"185 - scrive la critica sulla stampa dell'epoca - , nel buio complice della sala, qua e la il pubblico non trattiene una certa ilarità. Il cortocircuito semiotico è crudele: il duce romano - prima della battaglia di Zama - esorta le legioni nella mimesi di Mussolini a piazza Venezia che arringa le baionette dai balconi posando a "duce Romano". Non pote­ va essere detto pubblicamente, tuttavia non pochi dovettero notare già allora come quelle immagini esondassero dalla forma del simulacro, scivolando nel grottesco involontario, nell'auto-satira. Il propagandistico Scipione l'Africano186 esibisce una Roma popolata di masse statiche e osannanti in un'anacronistica marea di saluti fascisti 1 87 al passaggio del generale, stretto tra i fasci littori, fatalmente destinato alla gloriosa battaglia (fig. 35) .

Fig. 35. Scipione /'AfocatUJ (Gallone, 1935).

In questa direzione, il lavoro è celebrato nella forma mitica del fabbro infaticabile che forgia le armi per la vittoria, una visione allegorica - e non l'unica debitrice del cinema sovietico di Ejzenstejn e Pudovkin - che nelle intenzioni degli autori188 dovrebbe indurre nello spettatore l'ideale collegamento all'economia di guerra intrapresa dal regime dopo le sanzioni ( 1 935). 68

Cinecittà e Scipione l'Africano sono progetti nati negli gli anni del massimo consenso ma a cose fatte coincidono con le prime incrinature: l'avvicinamento pro­ gressivo alla Germania urta contro le tra­ dizioni del Risorgimento e della Grande guerra, mentre il divario tra stili di vita della borghesia cittadina e mondo rurale si accentua; l'Italia è un paese dove il reddito medio è la metà di quello francese, un terzo di quello inglese e un quarto di quello sta­ tunitense; il tè, lo zucchero e il caffé sono prodotti di lusso, gli addetti nell'industria Fig. 36. Scipione l'Afocano (Gallone, 1935). e al terziario sono rispettivamente il 26% e il 22%, il resto della forza lavoro è ancora attivo nell'agricoltura (oltre il 50%) . Nel film, tuttavia, i contadini romani sono solo comparse ai margini delle strade, figuranti che ac­ clamano i giovani volontari accorsi numerosi alla chiamata di Scipione; come dovrebbero anche accorrere gli spettatori maschi a quella di Mussolini che, a ridosso dell'uscita in sala del film, ha ideato il Corpo Truppe Volontarie per sostenere la reazione clerico-fascista di Franco in Spagna. Sul giornale «Il Legionario», quotidiano di propaganda fascista nella guerra civile spagnola, si legge: "Il legionario ha dai venti ai quarant'anni. Ha lasciato a casa una fa­ miglia tranquilla, un mestiere, una professione onorata. Non aveva nulla da scontare, da farsi perdonare, nulla da sfuggire. Eppure, senza che nessuno ce l'abbia mandato a forza, eccolo qui da un anno e mezzo, con le armi a tracolla, con la divisa stinta, trasparente per la consunzione, tenuta insieme per le sue innate virtù di risparmiatore"189, proprio come gli "storici" legionari del film. In realtà "per ottenere dei volontari si usavano pres­ sioni e inganni. Alcuni uomini furono richiamati o si presentarono volontari per andare in Africa come coloni e si trovarono, invece, dopo alcuni giorni o settimane, in viaggio per la Spagna''190• Alla vita dei campi torna nondimeno Scipione-Ninchi-Mussolini: nella scena finale lo si vede nella sua villa, con moglie e figli, scrutare un orizzonte di "pace e benessere"; in campo lungo una coppia di buoi traina l'aratro (fig. 36). Il mestiere delle armi, insieme a quello del "politico", è il più rappresentato: il solda­ to - dal generale al centurione, dai pretoriani ai semplici legionari - popola senza eccezio­ ni il genere in questione, spesso soggetto a una rappresentazione ideologica che muta nel corso dei cento anni di cinema191 • Nel caso di Scipione l'Africano, unico nel genere, come s'è visto l'uso politico della Storia non è solo strumentale ma strutturale al regime stesso, e il film non può che esserne il fedele e banale specchio. Già nel 1 953 sul versante delle allusioni, in seguito a questo passato, il critico cinematografico Giulio C. Castello nota che il balcone da cui parla Nerone nel kolossal americano Quo Vadis? è visibilmente ricon­ ducibile - come suggestione critica della democrazia al delirio tirannico - al Mussolini di piazza Venezia192• All'immaginario della romanità falsificata dal fascismo si deve aggiunge­ re il fondamentale apporto dell'orribile ricordo lasciato in Europa dall'esercito hitleriano, sicché nella produzione cinematografica del dopoguerra si nota una diffusa "nazistifica­ zione" dei legionari. I soldati dell'esercito Romano, in particolare i pretoriani, tendono 69

Fig. 37. Due immagini del blitz "in stile" nazista dei soldati romani in Ben Hur (W}ler, 1959).

ad essere presentati come le SS (Schutzstaffel) o la Gestapo (Geheime Staatspolizei), viste sin dal 1 942 nei film di guerra hollywoodiani ed europei: sfondano porte e finestre, ir­ rompono nei mercati a cavallo, bruciano villaggi come fossero a Marzabotto, arrestano gli oppositori politici, torturano con ferocia i nemici. Nei kolossal biblico-cristologici193 l'impatto estetico dei rastrellamenti degli ebrei - e l'ombra lugubre dello sterminio nazista nei campi del nord Europa - si riverbera con maggiore caratterizzazione: il blitz (fig. 37) nella casa di Ben-Hur dopo la caduta accidentale della tegola sulla testa del governatore194, all'inizio dell'omonimo film del 1 959, è paradigmatico di questo viraggio "repressivo" dell'immagine dell'esercito Romano, su cui grava pertanto un alone fascista adatto per facili allegorie da usarsi nelle trame dei film. Per trovare i legionari protagonisti, un centurione e un soldato semplice, si deve guar­ dare alla serie televisiva Rome della HBO, dove la vita quotidiana, sia nell'esercito, sia dopo il congedo, è esplorata con attenzione dagli sceneggiatori tracciando la vicenda di Lucio Vo reno e Tito Pullo lungo i ventidue episodi complessivi. I due di ritorno dalle Gal­ lie, un po' come i loro colleghi contemporanei negli Stati Uniti dopo il Vietnam, sembra abbiano il problema dei veterani 'moderni': devono trovare un lavoro, ricollocarsi nella quotidianità urbana195• Lex centurione Voreno, dopo aver fallito nella carriera di com­ merciante di schiavi e di macellaio, è coinvolto nell'ascesa politica da Cesare in persona e diventa magistrato dell'Aventino (fig . 38). Il legionario Pullo, anche lui macellaio e poi scagnozzo al soldo d'un losco affarista della Suburra, in seguito viene assunto dalla madre 70

Fig. 38. Cesare nomina magistrato l'ex centurione voreno in una scena della serie tekvisiva Rome (2005-07).

dell'adolescente Ottavio, il futuro Augusto, come maestro d'armi e di vita. Alla fine della prima serie, poco prima delle idi di marzo, Voreno raggiunge il rango di senatore, ancora per volontà di Cesare che, ai dubbi di Cicerone sulle origini plebee dell'ex centurione, risponde: "Voglio che il senato sia composto dagli uomini migliori della Repubblica, non solo dai più ricchi" t 96. Per oltre mezzo secolo, l'immaginario di riferimento con qualche eccezione può dirsi omogeneo, mostrando complessivamente un mondo Romano di celluloide in cui il pro­ tagonista principale è il potere nelle più diverse manifestazioni, prime fra tutte le sue di­ namiche "sensuali" e "conflittuali" . I consoli e gli imperatori, i senatori e la corte, i nuclei famigliari e le relazioni personali, sono gli attori della scena principale e nelle loro azioni sono attorniati dei necessari schiavi e militari. Oltre all'organizzazione gerarchica di una cultura marziale, di cui s'è appena detto, risulta evidente al pubblico dei pèplum la rappresentazione di una sistema economico organizzato sulla manodopera schiavile alla base della società romana. Degli schiavi, come classe in fondo alla piramide sociale quasi sempre senza distinguo particolari 1 97, si può dire che il loro protagonismo è in genere collegato all'impianto ideologico delle due principali riletture storico-letterarie a cui attinge il cinema: lo schema marxiano - o di classe - (ad es. Spartaco) , e quello cristiano - o morale - (ad es. Fabiola). Presente sempre sullo sfondo ­ come servitore più o meno specializzato nella domus patrizia, come contadino nei campi, operaio nelle miniere e più in generale come addetto ad ogni attività di fatica in ambito commerciale - lo schiavo nella declinazione storico-marxiana incarna un programma di emancipazione sociale (materialista e rivoluzionario), proiettato anacronisticamente nel passato; lo stesso accade nella revisione cristiana, dove però l'affrancamento è di origine soprannaturale. Nelle fiction in cui il destino di uno schiavo (o di una schiava) si svolge nella sceneggiatura in funzione di parabola della Salvezza (immateriale e ultraterrena) , il riferimento è alla "libertà interiore" come emancipazione dal paganesimo più che dalla servitù 1 98 e l'evento cenuale è sempre l'incarnazione umana della divinità: lo schiavo s'im­ batte "casualmente" in Gesù Cristo in persona, oppure in oggetti magici a lui appartenuti (ad. es. la tunica) , o infine nel mitico primo apostolo Pietro o nel visionario Paolo di Tarso (in Quo Vadis? appaiono insieme) , ricavando dall'incontro un'esperienza soprannaturale 71

e gli strumenti spirituali per comprendere la "verità'' sulla condizione umana e dunque testimoniarla (martirio), generalmente con happy end. Come nella realtà storica, anche nella finzione il mestiere di gladiatore è un possibile snodo della vita dello schiavo e conduce alle vicende dei tanti film dove protagonisti sono i lottatori nell'arena. Nel segno di Spartaco, il forzato trace proveniente dalle miniere che guida la storica rivolta199, s'inseriscono specialmente i "sandaloni" italiani, tanto che una pellicola quale Gli invincibili dieci gladiatori (N. Nostro, 1 964) costituisce una sorta di spin offdi Spartacus ( 1 960) . M a l a vita del gladiatore può anche scaturire da una scelta volontaria come quella di Marcus in The Last Days ofPompeii ( 1 935). Il film di Ernest B. Schoedsack, solo in parte debitore del romanzo (fig. 39) , è un caso unico nel quale il lavoro è il vero protagonista.

J:OREWORD

1\tthough the story of this pictu re is an originai one. ond the chorocters and plot h o �e no relation to those in the noYei

by

S i r Edwa rd

Sulwer­

Lytton . acknowledgement is mode of his description of Pom pe ii which has inspired the phy s i ca l s etting of this pictu re.

Fig. 39. Nei titoli di testa di The Last Days ofPompeii (Schoedsack, 1935) si riconosce l'influenza dell'omonimo romanzo di Sir Edward Bulwer-Lytton nella realizzazio­ ne de/film.

In una Pompei in cui si vive come a bordo dell'ignaro Titanic, Marcus (Preston Foster) è un onesto e simbolico homo fober (fa proprio il fabbro) e quando la moglie e il figlioletto sono vittime di un incidente stradale (travolti da una biga) scopre di non avere denaro a sufficienza per pagare un medico. Decide di guadagnare provando a battersi nell'arena, da lui fino a quel momento esecrata, dove in effetti riesce a vincere, ma quando torna a casa con i soldi è troppo tardi. Distrutto dal dolore, abbandona il lavoro e si trasforma in uno spietato e avido gladiatore professionista. Un giorno si accorge di aver ucciso du­ rante i giochi il padre di un ragazzino col quale aveva stretto amicizia; intravedendovi il figlio perduto decide perciò di adottarlo. In seguito un'indovina predice ai due l'incontro, durante un prossimo viaggio d'affari in Giudea, di un uomo potentissimo che cambierà loro la vita; Marcus riesce così a contattare Pilato (Basil Rathbone), benché la profezia fosse ovviamente riferita a Gesù (che poi vede ma ne respinge il messaggio giudicandolo una sciocca superstizione) . Attorno a questo equivoco, con il figlio ormai adulto e segre­ tamente cristiano contro la volontà del padre - diventato un ricchissimo e potente lanista, crudele "macellatore" di schiavi nell'arena - la vicenda giunge all'epilogo allorché, nel pie­ no della spettacolare distruzione provocata dall'esplosione del Vesuvio, la metanoia invade "finalmente" il cinico e ambizioso Marcus, ormai pronto a sacrificare la propria vita per salvare il figlio adottivo e la sua ragazza Clodia (Dorothy Wilson). 72

Per l'ex documentarista Schoedsack, Pompei è come New York200, città inconsapevoli dell'imminente disastro che incombe su entrambe (l'esplosione del vulcano nel 7 9 d.C. e il crollo della Borsa nel 1 9 2 9 201 ) . La storia del self made man Marcus è una metafora del lavoro nell'America degli anni Venti: ormai concepito unicamente come arricchimento personale e desiderio di potere disumano, forma degenerata dell'american way of /ife che secondo gli autori è alla base del tremendo crack economico. Rifiutando i coevi gangster-movie, che gettavano uno sguardo sulla faccia sporca dell'America in depressione e di cui si trova traccia nel film in certi atteggiamenti del protagonista, la soluzione alla crisi va cercata nel ristabilimento dei valori liberaldemo­ cratici il cui spirito, sostengono gli sceneggiatori, ha le radici nel messaggio cristiano. La Roma imperiale nel film appare perciò condannata (gli USA hanno sempre guardato al periodo della Repubblica come mitologia fondativa) , e in qualche misura la pellicola tenta di esprimere impalpabilmente anche il rifiuto della Roma contemporanea, affatto repub­ blicana perchè in mano al fascista Mussolini. 1he Last Days ofPompeii è un flop come pure, per l'appunto in ambito fascista, Scipione l'Africano ( 1 9 37) di Carmine Gallone, in preparazione a Cinecittà al momento dell'uscita del film di Schoedsack. Il lavoro quotidiano, i tanti mestieri e professioni che rendevano possibile l'economia e la stessa società romana, sono presentati nel repertorio fotografico del paragrafo succes­ sivo. In conclusione di questa breve ricognizione intorno ai film più significativi, si può dire che la rappresentazione al cinema delle diverse attività che impegnavano gli abitanti di Roma e (raramente) delle altre città dell'impero, compare come scenografia p iù o meno accurata relativamente al budget disponibile. Per quanto, come s'è visto, Kubrick abbia disconosciuto la piena paternità di Spar­ tacus, la ricerca storica per questo film è comunque più evidente che altrove: oltre a una puntuale ricostruzione dell'addestramento dei gladiatori e della loro vita all'interno della scuola di Capua gestita da Lentulo Batiato (Peter Ustinov) , nel film sono presenti diversi accenni ai mestieri. In una sequenza in cui si racconta l'organizzazione dell'accampamen­ to di insorti, Spartaco (K. Douglas) passa in rassegna un gruppo di ribelli e a ciascuno, per ricollocarlo all'interno del suo progetto, chiede il precedente lavoro da schiavi (fig. 40) .

Fig. 40. Spartacus (Kubrick, 1960). 73

Fig. 41. Agostino d'Ippona (Rosse/lini, 1973).

Fig. 42. Quo Vadis (Rossi, 1985).

Una donna si rivela tessitrice, c'è un carpentiere e muratore, poi un cuoco che sarà asse­ gnato alle salmerie dall'assistente di Spartaco, e infine un cantore: è il primo incontro del protagonista con Antonino (T. Curtis) , futuro amico fraterno fino alla tragica fine. Il primo a proporre il lavoro con la determinazione di farne un soggetto importante, per quanto di sfondo all'azione principale, s'è detto essere Rossellini con Agostino d1p­ pona. Girato nel febbraio del 1 972 a Pompei, Ercolano, Paestum, Nepi e a Roma nelle chiese di Sant'Agnese e San Clemente, Agostino è ambientato durante il periodo della disputa teologica con i donatisti, mentre Roma sta per cedere ai visigoti di Alarico (4 1 0). Rossellini, alla presentazione in anteprima mondiale a Torino, aveva dichiarato d i aver scelto Agostino "perchè anche noi ci stiamo avviando alla fine di una civiltà, e mi pare che possa servire molto agli uomini di oggi riflettere su un momento storico in cui, come oggi, si stava preparando un'epoca nuova'' 202 • Come scrive al regista l'amico e collabora­ tore Luciano Scaffa, "stiamo lavorando alacremente. . . soprattutto alla ricerca di vicende concrete" 203, il film propone la quotidianità della vita di Agostino nella città di cui è vescovo, evitando quanto più possibile l'agiografia. Qui è interessante ricordare la precisa ricostruzione di una follonica (tintoria) in una casa cristiana (fig. 4 1 ) , a cui è riservata dal montaggio definitivo una sequenza di un minuto e venti secondi: vi si vedono alcuni addetti, impiegati nella preparazione delle tinture (azzurro, giallo e rosso) e sullo sfondo un vasaio (con forno per la cottura) e un paio di falegnami, al lato destro un grande telaio. Una situazione simile è proposta anche da Franco Rossi nel Quo Vadis, dove l'attenzione del regista è posta sui giovani fullones, mostrati con le gambe colorate dalla tintura utiliz­ zata nel processo di pestatura dei filati e dei tessuti all'interno delle vasche (fig. 42) . La realizzazione di uno spaccato del mondo del lavoro presentata compiutamente per la prima volta nel progetto didattico-spettacolare di Rossellini, non solo come veloce sfondo all'azione principale ma con ricostruzioni documentaristiche dell'ambiente e degli strumenti, è tuttavia piuttosto rara. Meritoria di essere qui menzionata, per la relativa complessità produttiva, è la serie di sequenze dedicate al lavoro in fattoria per il film-tv Nerone (2004) . La location, individuata in Tunisia, simula un praedium, un fondo ubi­ cato vicino a un fi u me presso cui viene cavata l'argilla, con annessa villa (fattoria) che in virtù della sceneggiatura ospita il piccolo Nerone, affidato dalla nonna alle cure pedago­ giche dello schiavo greco Apollonia. Ricostruendo l'antica dimora, gli scenografi hanno riprodotto piuttosto fedelmente una figlina per la fabbricazione dei laterizi e le immagini 74

Fig. 43. Nerone (Marcus, 2004).

Fig. 44. Nerone (Marcus, 2004).

mostrano gli officinatores (fig. 43) che lavorano all'interno della .figlina, impegnati assieme ad alcuni artigiani nella produzione di vasi e anfore olearie (fig. 44): se ne comprende l'uso poiché, nello stesso set, a margine di un uliveto che circonda la villa è ricostruito un frantoio con un realistico trapetum (fig. 45) e il relativo via vai di contadini che vi vuotano i cesti di olive appena raccolte. In questo panorama di "rarità'', si trovano le singolari sequenze dedicate al lavoro in Romolo e Remrr04 (S. Corbucci, 1 96 1 ) e La leggenda di Enea (G. Rivalta 1 962) . I film raccontano le due diverse e mitiche versioni della nascita di Roma, con le sequenze finali che presentano l'edificazione di un accampamento fortificato. Sia il gruppo originario 75

Fig. 45. Nerone (Marcus, 2004).

al seguito di Enea, sia quello guidato da Romolo (entrambi interpretati dal Mister Universo Steve Reeves), al momento deci­ sivo si attivano come "collettività'' metten­ do a disposizione le varie abilità. Questa suggestione "socialistà' è ben evidente nel­ la sequenza di Romolo e Remo, sceneggiato come un western da Sergio Leone, Duccio Tessari e Ennio De Concini, nella quale Corbucci mostra di aver appreso e meta­ bolizzato la lezione di Ejzenstejn (in particolare La linea generale, 1 929) che a quel Fig. 46. Romolo e Remo (Corbucci, 1961). tempo circolava abbondantemente nelle sale adibite a cineforum, poi sbeffeggiate da Fantozzi nella celeberrima sequenza della proiezione "obbligatoria" in azienda della Corazzata Potemkin. Guardando all'estetica del cinema sovietico, Corbucci inserisce perciò immagini quasi documentarie, in un efficace montaggio di mani, volti e dettagli diversi, che alludono al lavoro collettivo come "vero" fondamento della futura Città (fig. 46) e rivolge indirettamente lo sguardo all'articolo uno della Costituzione italiana, dove si introduce la Repubblica (da appena 1 5 anni) voluta dalla collettività e fondata appunto sul lavoro.

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PARTE 3 - LE IMMAGINI DEL LAVORO NEL CINEMA DI GENERE STORICO - ROMANO: UN PERCORSO FOTOGRAFICO

Il cinema di genere storico-romano, il più frequentato dalle produzioni che scelgo­ no di raccontare il mondo antico, presenta dunque i mestieri e le professioni dei Romani generalmente come sfondo all'azione; con l'esclusione di quanto detto nel capitolo prece­ dente a proposito di alcuni titoli, nei quali si è ravvisata l'intenzione dell'autore di rendere più o meno co-protagonista, per ragioni diverse, il mondo del lavoro. In un libro sul cinema si è perciò pensato, più che rievocare le situazioni in un lungo capitolo scritto con un numero ridotto di immagini, di presentare al lettore una selezione ragionata di quante più riproduzioni possibile dei fotogrammi estratti dai film in cui, come scenografia, i Romani all'opera sono rappresentati. Le immagini di questo capitolo sono quindi il prodotto dell'analisi dei film usati come fonte principale per rea­ lizzare il presente volume. La filmografia, dalle origini a oggi, che in qualche modo entra in contatto con la Roma archeologica conta oltre 500 titoli (tra cinema e tv) , dei quali si omette la pubbli­ cazione dell'elenco. Questi titoli, infatti, comprendono anche produzioni che per diverse ragioni, ricordate nella Parte l , non hanno potuto o voluto mettere in scena il lavoro oppure sono film perduti o irreperibili (nel caso del muto questo problema è assai fre­ quente) . Operata questa separazione, le pellicole utili all'analisi che ha guidato questa ricerca si riducono al 1 3% e alla visione di ciascuna di queste solo 32 titoli presentavano i requisiti per poter comparire nel percorso fotografico. Il risultato finale sono le immagini che seguono, variamente commentate laddove le diverse didascalie si rendevano necessa­ rie, utili o interessanti. Per ragioni editoriali, in primo luogo il contenimento del costo del volume, le immagini, originariamente fotografate a colori ove tale è l'originale, sono state trasformate in bianco e nero.

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Fig. l . julius Caesar O. Mankiewicz, 1 953). Una via di Roma con al centro un negozio di pollame, anche vivo (diffuso nella cucina romana, come ricorda Apicio, è il piccione condito con miele e datteri), a destra un ortolano.

Fig. 2. Rome (M. Apted, 2005). Lex centurione Voreno si adatta a lavorare come macellaio (lanius). In evi­ denza il maiale, la carne più consumata dai romani.

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Fig. 3. Spartacus (S. Kubrick, 1960). Nell'accampamento degli insorti, si ricrea la vita cittadina. Qui gli schia­ vi che avevano lavorato come macellai o cuochi si mettono al servizio della nuova comunità "liberata".

Fig. 4. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). Il protagonista Marco Vinicio a cavallo nella "periferia" della città. In pri­ mo piano una macelleria (un montone e la sua pelle): sullo sfondo, era le mura, un addetto del settore caseario produce probabilmente burro. 11 burro non è in realtà diffusissimo a Roma, sia per l'abbondanza di olio, sia per le difficoltà di conservazione; era destinato infatti più che altro ad usi medico-cosmetici.

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Fig. 5. Rome (M. Apted, 2005). I.:ex legionario Pullo tra le vie caciotte esposte su foglie di fico.

di

Roma passa davanti ad una rivendita di

Fig. 6. julius Caesar (U. Edel, 2002) . Il giovane Cesare con la figlia Giulia (al centro in secondo piano) fanno "sbopping". In primo piano un ortolano riceve il denaro da una donna con la cesta della spesa.

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Fig. 7. Cleopatra Q. Mankiewicz, 1 963). Giulio Cesare al porto di Alessandria (ricostruito ad Anzio) è attratto dalle olive.

Fig. 8. Ben Hur (F. Niblo, 1 925). Un commerciante di mele decanta la sua merce nella Gerusalemme romana del I sec. d. C.

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Fig. 9. Rome (M. Apted, 2005). Un contadino con il suo carro di ortaggi scelto da una matrona per i suoi acquisti.

Fig. 1 0. Nerone (P. Marcus, 2004). Veduta di un piccolo mercato: al centro in basso un banco di farine; ai lati banchi di verdura.

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Fig. 1 1 . Augusto (R. Young, 2003). Un panificatore (pistor).

Fig. 1 2. julius Caesar (U. Edel, 2002). fl pane è finito e la folla s'indigna. tavole dell'espositore.

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In alto a destra tre pagnotte sulle

Fig. 13. Rome (M. Apted, 2005). Una matrona in portantina incrocia un garzone del pane per una consegna a domicilio nella zona dei ricchi, la "Beverly Hills" di Roma.

Fig. 14. Anno Domini (S. Cooper, 1 985). Un banco del pesce.

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Fig. 1 5. ]ulius Caesar (U. Edel, 2002). Una bottega del pesce; a destra un'iscrizione indecifrabile denuncia le difficoltà di comunicazione, durante la lavorazione del film-tv, tra consulenti storici, regista, scenografi e carpentieri.

Fig. 16. Cleopatra Q. Mankiewicz, 1 963). Giulio Cesare al porto di Alessandria acquista del vino proveniente dall'isola di Samo.

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Fig. 1 7. Gli ultimi giorni di Pompei (M. Bonnard e S. Leone, 1 959). Due dei protagonisti in una mescita (popina o taberna) di Pompei; in secondo piano l'oste (caupo) passa tra i tavoli e serve il vino.

Fig. 1 8 . Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985) . Una taberna nelle vie di Roma, a desrra s'intravede una botte; all'interno verosimilmente si giocava d'azzardo.

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Fig. 1 9. Demetrius and the Gladiators (D. Daves, 1 954). Un'imponente ricostruzione di vasai. A destra due forni per la cottura delle ceramiche.

un

laboratorio di

Fig. 20. Nerone (P. Marcus, 2004). ll piccolo Nerone attraversa unafiglina (v. supra, p. 74): a sinistra si scorge un addetto alla pestatura dell'argilla.

Fig. 2 1 . Ben-Hur (W Wyler, 1 959) La bottega di un "celebre" falegname (lignarius) in Giudea. Le botteghe dei fa ­ legnami non sono presenti in film di genere romano, ad eccezione di quelli che intrecciano la vicenda cristiana.

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Fig. 22. Rome (M. Apted, 2005) Un vasaio (fiy;ulus), in basso a destra, a lavoro direttamente su strada come era uso in città.

Fig. 23 La leggenda di Enea (G. Rivalta, 1962). I primi carpentieri lfabri tignarii) di Roma, al comando di

Enea, edificano le difese per la battaglia.

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Fig. 24. Rome (M. Apted, 2005). Una bottega di coltelli, l'a.rrotino rifà i1 filo alle lame usurate.

Fig. 2 5. Nerone (P. Marcus, 2004). La bottega di un fabbro lfaberferrarius) in una via secondaria di Roma. Si nota la ruota: il fabbro all'epoca era in realtà anche l'odierno gommista, essendo le ruote cerchiate di ferro per evitare la rapida usura del legno.

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Fig. 26. Scipione l'Africano (C. G allo ne 1 937). La fucina di un fabbro. L'ambientazione, per la scelta della fotografia, esalta il mito della professione nell'unico fil m di genere romano realizzato durante la dittatura fascista. ,

Fig. 27. 1, Claudius (H. Wise, 1 976). ll laboratorio di uno scultore (jìctor).

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Fig. 28. Rome (M. Apted, 2005). Alcuni operai ifabri, opifices) alle prese con un sistema di argani e carrucole issano una colonna al Foro.

Fig. 29. Rome (M. Apted, 2005). Il cortile di una bottega di scultori. Un artigiano lavora a una statua in marmo.

92

Fig. 30. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). In una ricca casa romana alcune donne dedite alla realizzazione di un mosaico. Si tratta probabilmente di un opus musivum, ma la ricostruzione cinematografica sembra più allude­ re ad un passatempo come l'odierno puzzle.

Fig. 3 1 . The robe (H. Koster, 1 953). Uno scultore a metà della realizzazione di una figura maschile.

93

Fig. 32. Agostino d'Ippona (R. Rossellini, 1 973). Unfollo (tintore) miscela le polveri e l'acqua (con soda, urina animale o umana) per ottenere U colore desiderato. Il colore rosso, utUizzato per la sequenza, poteva essere ottenuto da una specie di molluschi (Murex Brandaris) realizzando U prezioso rosso porpora, oppure da una pianta (.&bia tinctorum).

Fig. 33. Rome (M. Apted, 2005). La follonica in questa scena produce lana indaco. U colore si poteva ottenere dalla fermentazione delle foglie di due diverse piante (Indigofira tinctoria e Isatis tinctoria).

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Fig. 34. Rome (M. Apted, 2005). Un'anziana tessitrice (textrix) in una bottega che affaccia sulla strada.

Fig. 35. Spartacus (S. Kubrick, 1 960). Nell'accampamento degli insorti, si ricrea la vita cittadina. Qui le don­ ne sono attive nelle varie specializzazioni del settore tessUe: filatura e tessitura. Sullo sfondo, in alto al centro, si può notare un ponte stradale in cemento armato dalle parti di Guadalajara. In Spagna furono girate molte sequenze del film (Colrnenar, Viejo, Alcazarde Hernandez, Navacerrada, Taracena e lriepal).

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Fig. 36. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). Tre giovani pestatori con i piedi immersi in un bacino per la tintura (lacuna folumica).

Fig. 37. Rome (M. Apted, 2005). In questo film appare l' unica scena, nell'intera cinematografia su Roma antica, dove si vede un soffiatore all'opera in una bottega di vetraio (vitrarius).

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Fig. 38. Messalina (C. Gallone, 1 937). Trattativa al foro tra un mercante di cavalli e un compratore.

Fig. 39. Le legioni di Cleopatra (V. Cottafavi, 1 959). Sullo sfondo un commerciante di asini.

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Fig. 40. L'ultimo gladiatore (U. Lenzi, 1 964). I legionari utilizzano alcuni Britanni catturati come contadini­ schiavi per l'aratura di un campo.

Fig. 4 1 . Nerone (P. Marcus, 2004). Un frantoio per la produzione di oUo attivato a mano da due schiavi.

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Fig. 42. Scipione l'Africano (C. Gallone, 1 937) I contadini di Roma si fermano, eccitati al passaggio dei vo­ lontari in partenza per la battaglia decisiva di Scipione contro Annibale.

Fig. 43. Pompei (G. Base, 2007). Un pastore e un bovaro, nella campagna di Pompei, discutono delle scosse di terremoto che preannunciano la catastrofe.

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Fig. 44. Spartacus (S. Kubrick, 1 960). Nell'accampamento degli insorti una donna munge la capra, sullo sfondo si raccoglie il grano razziato nei campi dei patrizi.

Fig. 4 5 . Romolo e Remo (S. Corbucci, 1 961). Nella sequenza iniziale del film si evidenziano le origini degli abitanti di Roma: pastori.

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Fig. 46. Agostino d'!ppona (R Rossellini, 1 973). In primo piano un gruppo di attori travestiti, sullo sfondo la bottega di un barbiere (tomor).

Fig. 47. Augusto (R. Young, 2003). Il banco di un cambiavalute (argentarius o nummu!drius) al Foro.

101

Fig. 48. Rome (M. Apted, 2005). Un commerciante di uccelli esotici. In primo piano una gabbietta con due parrocchetti daJ collare (Psittacula krameri), i più noti pappagallini verdi.

Fig. 49. Spartacus (S. Kubrick, 1 960). Il senatore Gracco (C. Laughton), seguito daJ giovane Giulio Cesare (]. Gavin), acquista le colombe per un sacrificio da un venditore ambwante nei pressi del tempio.

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Fig. 50. Ihe Last Days ofPompeii (E. B. Schoedsack, 1 93 5) . Marcus (P. Foster) acquista da ambulante dei dolciumi per il figlio adottivo davanti alla bottega di un giocattolaio.

un

Fig. 5 1 . The Last Days of Pompeii (E.B. Schoedsack, 1 935). La bottega di giocattoli in un'inquadratura dall'interno: si intravedono pupazzetti di legno e cavallucci, repliche di opliti e un carro con buoi.

1 03

Fig. 52. Quo Vàdis? (F. Rossi, 1 985). Una bancarella di calzature. La scena si ispira al vicus Sandalarius ( una via della Suburra) dove si concentravano le botteghe dei fobri soliarii, i

fabbricanti di calzari. Si tratta dell'unica apparizione di questa attività nell'intera cinema­ tografia di genere storico-romano. I modelli scelti dal regista sono eccessivi e lussuosi, in sintonia con lo spirito della serie televisiva che mostrava, in opposizione alla nuova morale cristiana, una Roma decadente e corrotta nei costumi.

Fig. 53. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). Un venditore di setacci e altri attrezzi per la cucina (mestoli e piatti in legno).

1 04

Fig. 54. Gladiator (R Scon, 2000). La lavagna degli allibratori che raccolgono le scommesse sono il portico del Colosseo.

Fig. 55. Agostino d'Ippona (R Rossellini, 1 973). Un banco di anfore per uso domestico, il venditore trana con Agostino l'acquisito di un vaso.

1 05

Fig. 56. l, Claudius (H. Wise, 1 976). AJ centro un amico di Claudio (a sinistra, D. Jacobi) acquista un'erma di Seiano da un rivenditore di statuine; il giovane e futuro imperatore assiste perplesso.

Fig. 57. julius Caesar (U. Edel, 2002). Cesare (di spaHe) davanti al banco di un commerciante di vasellame in ceramica e vetro. La figlioletta Giulia sceglie un portagioie.

1 06

Fig. 58. La rivolta dei gladiatori (V. Cottafavi, 1 958). Al centro un commerciante di anfore e cesti controlla la sua mercanzia; a sinistra un banco di onaggi con agli, cipolle e verdure di campo.

Fig. 59. Messalina (C. Gallone, 1 9 5 1 ) . Un carro trainato da buoi, adibito a servizio pubblico cittadino, at­ traversa un mercato.

1 07

Fig. 60. Nerone (P. Marcus, 2004). Ricostruzione di un mercato a Roma.

Fig. 6 1 . Pompei (Giulio Base, 2007). I primi banchi di un mercato subito a ridosso di una delle porte di ac­ cesso a Pompei. Al cenuo un banco di tessuti, in basso a sinistra una vendita di piatti e pentole.

1 08

Fig. 62. Messalina (C. Gallone, 1 9 5 1 ) . Limperatore Claudio (M. Benassi) tratta con un commerciante orien­ tale (gemmarius), a domicilio, l'acquisto di gioielli per Messalina.

Fig. 63. Rome (M. Apted, 2005). Azia (P. Walker) sceglie una collana proposta da una venditrice di ornamenti preziosi, anche in questo caso, trattandosi di una patrizia, a domicilio.

1 09

Fig. 64. 7he Last Days ofPompeii (E.B. Schoedsack, 1935). Marco (P. Foster), ormai ricchissimo, compra una spada preziosa da un venditore che lo raggiunge sul terrazzo della sua lussuosa villa di Pompei.

Fig. 65. La rivolta dei gladiatori (V. Cottafavi, 1 958). Un commerciante di vasellame in ottone.

1 10

Fig.

66. Rome (M. Apted, 2005). Un'asta di schiavi. Secondo gli sceneggiatori, i due sono segnati con la ver­

nice per distinguere le caratteristiche e dunque il valore. Il gesto della mano sul capo indica lo schiavo di cui il banditore sta parlando e non va inteso come derivato dal cerimoniale della manumissio (liberazione dello schiavo) .

Fig. 67. 7he Last Days ofPompeii (E. B. Schoedsack, 1 935). Una matrona ascolta le qualità di una schiava nera prima della trattativa. La scelta del colore della pelle è strategica: il nero, per il pubblico americano del XX secolo, è lo schiavo per antonomasia, anche se a Roma questi costituivano una minoranza e la definizione di . razza era SCOnOSCiUta. "

"

111

Fig. 68. 7he robe (H. Koster, 1953). Marcello (R. Burton) di spalle ascolta la proposta di una coppia di schiavi goti. Per questa importante sequenza di l O minuti è stato ricostruito il più grande set di un mercato di schiavi, popolato da centinaia di comparse e attori secondari nella parte dei diversi mercanti.

Fig. 69. Spartacus (S. Kubrick, 1 960). Il lanista Lentulo Batiato (P. Ustinov) controlla i denti di Spartaco (K. Oouglas) per verificarne lo stato di salute.

1 12

Fig. 70. Messalina (C. Gallone, 195 1 ) . Un commerciante di tessuti sistema le merci dopo una vendita.

Fig. 7 1 . Gli ultimi giorni di Pompei (M. Bonnard e S. Leone, 1 959). Uno dei protagonisti tenta di rubare un asciugamani da un negozio di Pompei. La proprietaria è distratta da un uomo mascherato da cavallo perché è in corso una festa nelle strade della città.

1 13

Fig. 72. The Last Days of Pompeii (P. Hunt, 1 984). Glauco (N. Clay) sceglie una stoffa per una tunica durante una passeggiata per le vie di Pompei, un po' Manhattan.

Fig. 73. Agostino d'fppona (R. Rossellini, 1 973). La pietra all'ingresso della città di lppona impedisce l'ingresso diurno dei carri, gli schiavi sono costretti a trasportare le botti di vino a piedi.

1 14

Fig. 74. Ben Hur (F. Niblo, 1 925). l tre ordini di rematori (remiges) in una trireme. Gli schiavi La posizione è errata, i rernatori non erano sovrapposti in verticale, ma alloggiati su ponti sfalsati.

ai remi erano circa 180.

Fig. 75. Ben Hur (F. Niblo, 1925) . li battitore del tempo di voga e uno schiavo in "punizione".

1 15

Fig. 76. 1, Claudius (H. Wise, 1 976). La vita delle donne alla eone dell'imperatore prevedeva il relax. La scena della serie tv ripropone una seduta di massaggi eseguiti da schiave nere.

Fig. 77. Cleopatra Q . Mankiewicz, 1 963). Via vai al Foro di portantine con gli schiavi addetti, al centro Antonio (R. Bunon) . Le portantine sono presenti con regolarità nei film di genere storico-romano; in questa sequenza la folla e il gran movimento confermano per Roma lo status di più grande metropoli dell'antichità, al contempo lo spettatore anglosassone può facUmente figurarsi l'analogia con Londra o New York. Entrambe le circostanze erano nelle intenzioni della produzione.

1 16

Fig. 78. 1, Claudius (H. Wise, 1 976). Una schiava parrucchiera si prende cura della complicata acconciatura della nobile padrona.

Fig. 79. Rome (M. Apted, 2005). Veduta di una stalla adiacente alla domus patrizia: il palafreniere (agaso o anche stabularius) si prende cura dei cavalli, in alto a destra un maniscalco ifaberferrarius).

1 17

Fig. 80. Rome (M. Apted, 2005). Un tonsor rade Giulio Cesare (C. Hinds) in un accampamento nei pressi di un acquedotto, in alto a sinistra si intravede un gruppo di legionari che prova la formazione a testuggine (testudo). Molto evocativa, e frequente al cinema, è la situazione di un uomo potente che offre la giugulare al rasoio del barbiere: basterebbe un piccolo gesto...

Fig. 8 1 . Rome (M. Apted, 2005). Lo schiavo "segretario personale" di Cesare attraversa una via ai confini della città, dove sorgono le enormi residenze dei ricchi; due imbianchini rinfrescano le mura di recinzione di uno di questi edifici con una "romanella'' (il lavoro edile realizzato al "risparmio").

1 18

Fig. 82. Rome (M. Apted, 2005). La cucina della residenza di Azia, nipote di Cesare, con a lavoro i numerosi cuochi necessari aJ suo funzionamento. In primo piano uno schiavo taglia i testicoli di un maiaJe che saranno serviti, nella scena successiva, all'adolescente Ottaviano come "ricostituente". Nel mondo antico era diffusa la credenza che nelle parri del corpo risiedesse il principio attivo delle funzioni svolte dall'organo medesimo, in questo cas o si allude alla maturazione sessuaJe del futuro imperatore.

Fig. 83. Rome (M. Apted, 2005). Squadre di spazzini ripuliscono Roma; nel film è il segnaJe della fine della guerra civile e il ripristino della legaJità.

1 19

Fig. 84. Rome (M. Apted, 2005). All'opera anche dei pulitori di statue, sullo sfondo i festoni floreali preludo­ no all'imminente trionfo di Cesare.

Fig. 85. Spartacus (S. Kubrick, 1 960). Una panoramica delle miniere romane in Libia (secondo il romanzo) con decine di schiavi a lavoro. Questa sequenza iniziale del film (oltre a quella delia scuola gladiatoria di Capua) è stata girata dal regista A. Mann prima di essere sostituito dal giovane Kubrick.

1 20

Fig. 86. Spartacus (S. Kub rick, 1960). Uno schiavo addetto alla pulizia della villa di Crasso (L. Olivier) spazza

il portico. Non si tratta di una ricostruzione scenografica, bensì della vera residenza in marmo bianco del

magnate William Randolph Hearst, il "Crasso americano" già protagonista, celato nei panni di Charles Foster Kane, del film di O. Welles Citizen Kane ( 1 94 1) .

Fig. 87. Pompei (Giulio Base, 2007). Una fontana-lavatoio e u n gruppo d i lavandaie in una sequenza di vira quotidiana a Pompei.

1 21

Fig. 88. l, Claudius (H. Wise, 1 976). Un gruppo di architetti e ingegneri (architecti, ma­ chinatores) illustra a Claudio, in piedi e in mezzo ai due personaggi curvi sul disegno, il progetto per il pono di Ostia ipotizzato da Cesare, in seguito ristrutturato da Traiano.

Fig. 89 Cleopatra (C.B. DeMille, 1 934) Cesare esamina un'improbabile modellino in scala di macchina da guerra (una specie di registratore di cassa con lance retrattili) presentato dai suoi ingegneri militari. Sullo sfondo i legionari indossano l'elmo col classico "scopettone" rovesciato caratteristico del primo periodo hollywoodiano. .

1 22

Fig. 90. Messalina (C. Gallone, 1 95 1). Un ingegnere propone a Claudio (fuori campo) i moddlini di nuove catapulte.

Fig. 9 1 . Masada (Boris Sagal, 1981). Il generale Silva (P. O'Toole) valuta la fattibilità di una macchi­ na da assedio da usare durante la bartaglia finale contro gli zeloti arroccati a Masada, in Giudea.

1 23

Fig. 92. Nerone (P. Marcus, 2004). Nerone (H. Matheson) illustra, attraverso un plastico in legno, il progetto della Domus Aurea ai senatori perplessi per i costi. Alla fine di questa sequenza, la sceneggiatura fa decidere al giovane imperatore di addossare la colpa dell'incendio ai cristiani. La scena si chiude con un primo piano (PP) di Nerone; segue un taglio di montaggio con il piano americano (PA) di Paolo (P. Yaneck) che spezza il pane celebrando la messa.

Fig. 93. Rome (M. Apted, 2005). Un addetto modifica giornalmente lo scorrere del tempo in un grande calendario pubblico nel Foro. Nel grande tabellone in pietra, si notano dodici colonne verticali (i mesi), cia­ scuna suddivisa in quattro settimane da altrettanti "triangoli". In fondo, ogni colonna mostra un bassorilievo evocativo di ciascun mese dell'anno.

1 24

Fig. 94. Rome (M. Apted, 2005). Un araldo (praeco) su un piedistallo comunica alla città, giorno per giorno, le notizie di interesse pubblico.

Fig. 95. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). La scrivania di un intellettuale di rango: Petronio, lo scrittore autore del Satyricon.

1 25

Fig. 96. Rome (M. Apted, 2005). Un maestro (ludi magister) passa per una via periferica della città seguito da un gruppo di allievi.

Fig. 97. /, Claudius (H. Wise, 1 976). Una bottega di copisti con gli scribi (librarii) a lavoro.

1 26

Fig. 98. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). Il praefectus urbi Pedanlo Secondo (seduto) con alle spalle l'archivio dei documenti conservati in contenitori cilindrici di cuoio. In primo piano lo scriba riceve la dettatura di un testo.

Fig. 99. Quo Vadis? (F. Rossi, l 985). ln una domus privata alcuni copisti trascrivono i rac­ conti, sino a quel momento orali, suUa vicenda di Gesù e i suoi detti da cui saranno poi selezionati, fra i tanti, i materiali per i quattro vangeli alla base deUa religione cristiana. 1 27

Fig. 1 00. I, Claudius (H. Wise, 1 976) . ll medico, dopo la visita, scrive su tavolette di cera la ricetta per Claudio (in piedi a destra) con problemi di colite e dice: "Tu lavori troppo !". ...

Fig. l O l . julius Caesar (V. Edel, 2002). Un medico militare, durante la campagna contro i Galli, interviene su un legionario per estrarre la pw1ta di una freccia conficcata nella coscia.

1 28

Fig. 1 02. Rome (M. Apted, 2005). Un medico effettua una trapanazione del cranio di Pullo per ridurre un ematoma. Chiuderà il foro con una placca d'argento. La sequenza si basa, su presumibile suggerimento del consulente storico, sia sul ritrovamento di Pontecagnano (Sa): nella tomba 990 della necropoll (IV secolo a.C.) sono stati ritrovati i resti di un probabile legionario che aveva subito un intervento chirurgico di tra­ panazione (e che guarì perfettamente e soprawisse a lungo), sia sulla scopena della tomba del cosiddetto "Chirurgo di Bingen" (Il secolo d.C.), un medico militare in accampamento presso il Reno, che tra gli oggetti del defunto ha restituito un "trapano ippocratico", cioè a corona dentata, munito di arresto e corredato da archetto pieghevole (come si vede nella foto).

Fig. l 03. Quo Vadis? (F. Rossi, 1985). Due medici visitano la figlia di Nerone; quel­ lo a destra assaggia il sudore della piccola per valutarne lo stato di salute secondo le teorie dell'epoca.

1 29

Fig. l 04. Agostino d1ppona (R. Rossellini, 1 973). Agostino (a sinistra) ascolta il verdetto di un magistrato che deve decidere in un conflitto tra competenze religiose e civili, a quel tempo molto frequenti per l'ascesa del potere clericale.

Fig. 105. Demetrius and the Gladiators (D. Daves, 1 954). Demetrio (V. Mature) in giudizio a Roma davanti al magistrato.

1 30

Fig. 1 06. Rome (M. Apted, 2005). Lo schiavo di Azia, in cerca di un avvocato per Pullo (accusato di omici­ dio), attraversa un portico presso U Foro dove i professionisti della legge offrivano i loro servigi, ciascuno con U suo banchetto.

Fig. 1 07. Augusto (R. Young, 2003). Una prostituta (meretrix) alletta con le sue proposte il giovane Ottaviano (a destra), ubriaco in giro di notte con un amico, dall'ingresso di un lupanare in una strada di Roma.

131

Fig. 1 08. Rome (M. Apted, 2005). Pullo (di spalle), in veste di educatore del piccolo Ottaviano (appena visi­ bile in basso a destra), lo conduce su ordine della madre Azia in un bordello di rango per la sua "prima volta". La tenutaria (lena) mostra la "merce"; alle sue spalle si notano anche due giovanetti.

Fig. 1 09. Spartacus (S. Kubrick, 1960). IJ lanista (P. Ustinov) assegna le schiave-prostitute ai gladiatori della scuola di Capua. Spartaco incontrerà così Varinia Q. Simmons), poi moglie e madre del figlio che vedrà solo nella sequenza finale, dalla croce.

1 32

Fig. 1 1 O. ]ulius Caesar (S. Burge, 1 970). Un indovino legge le viscere di un pollo e mette in guardia Cesare dalle idi di marzo, così come vuole il testo di Shakespeare alla base del film. Indovino o aru­ spice deriva dall'etrusco haruspex: haru (probabilmente "viscere, interno") e -spex (ispezionare).

Fig. 1 1 1 . Messalina (C. Gallone, 1 9 5 1 ) . Claudio (M. Benassi) avvinghiato al modellino della sua tomba, interroga un astrologo visibilmente proveniente dall'Oriente. La sequenza tradisce il segno della tradizione evangeUca dei re magi, piuttosto che la conoscenza della storia delle religioni.

1 33

Fig. 1 12. Caius ]ulius Caesar (E. Guazzoni, 1 9 1 4). Un sacerdote celebra le nozze di Cesare. In primo piano un pavone da un tocco esotico di tradizione "pagana'' influenzato dalla pitrura neopompeiana (v. supra Parte 2).

Fig. 1 1 3. Rome (M. Apted, 2005). Due addetti al volo degli uccelli dietro il tempio di Giove pronti per un lancio a comando. La sequenza vorrebbe mettere in evidenza come il giudizio dei sacerdoti (augures), che dall'interno osservavano il volo delle colombe quale eventuale buon auspicio, fosse frutto di un "semplice inganno".

1 34

Fig. 1 14. Orazi e Curiazi (T. Young, 1 96 1 ) . Nello scontro tra Roma e Albalonga è il sacerdote a garantire il combattimento finale. D avanti a lui i due monarchi accettano la soluzione del duello alla spada tra i fratelli delle due celebri famiglie.

Fig. 1 1 5. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 98 5). Poppea (con le spalle scoperte) insieme ad alcune imprecisate sacerdo­ tesse esegue un rito religioso per salvare la vita alla piccola Claudia avuta con Nerone, il quale in seguito la divi nizze rà. Nella fiction la bambina (sul letto in secondo piano) ha sei o sette anni e non pochi mesi come nella realtà storica.

135

Fig. 1 1 6. julius Caesar (U. Edel, 2002). Pompeo (di spalle) in palestra dopo un allenamento, in primo piano uno schiavo con l'acqua, sullo sfondo un piccolo punto di ristoro con frutta e bevande.

Fig. 1 1 7. Messalina (C. Gallone, 1 95 1 ). In una piazza affollata in basso a destra si nota uno dei tanti venditori ambulanti (lixae) col banchetto per la porchetta, effettivamente conosciuta da circa 3000 anni nel Lazio.

1 36

Fig. 1 1 8. The Last Days of Pompeii (E.B. Schoedsack, 1935). Una taberna o popina con l'oste impegnato a riempire i piatti di una zuppa calda. Il "fast food" era effettivamente una consuetudine nelle città romane, nelle tabernae e nelle popinae i passanti compravano o consumavano bevande &esche o vino caldo, mangiavano &a l'altro pesci in salamoia, bocconcini di carne arrosto, uccelli allo spiedo, polpi in umido, fichi freschi e secchi, dolci al miele e formaggi. Molti erano anche i banchetti di focacce fritte e salcicce (v. fig. 1 1 9).

Fig. 1 1 9.]ulius Caesar O. Mankiewicz, 1 953). Bruto O . Mason) e Cassio O. Gielgud) sulla scalinata del Campidoglio; in alto a destra si intravede una friggitoria ambulante che offre focacce calde.

1 37

Fig. 1 20. Gladiator (R. Scott, 2000). Interno di una taberna al centro di Roma, in primo piano il cuoco ai fornelli, sullo sfondo i tavoli con gli avventori.

Fig. 1 2 1 . Gladiator (R. Scott, 2000). Un punto di ristoro, come fredde sotto i fornici del Colosseo.

1 38

un

piccolo "bar", propone bevande calde e

Fig. 1 22. l, Claudius (H. Wise, 1 976). Un gruppo di acrobati lfunambu/i) allieta il pasto all'annoiata corte ddl'imperatore.

Fig. 123. 1he Fa/l ofthe Roman Empire (A. Mann, 1 964). Tra la folla, in festa per l'imperatore Commodo, spiccano due attori (histriones) con mascheroni su alti trampoli probabilmente ispirati dai coturni, i calzari alti degli attori di tragedie di argomento greco lfabu/ae cothurnatae).

1 39

Fig. 1 24. Spartacus (S. Kubrick, 1 960). Crasso (L. Olivier) e Cesare Q. Gavin) alle terme discutono su come sedare la rivolta servile; sullo sfondo tre musici suonano strumenti d'epoca per rendere più rilassanti i bagni; si intravedono un suonatore di cetra (jìdicen) e un flautista (tibicen).

Fig. 1 25 . Gli ultimi giorni di Pompei (M. Bonnard e S. Leone, 1 9 59). Mangiatori di fuoco neri e una dan­ zatrice (saltatrix) con pitone al ritmo di musica afro. Presenti quasi in ogni film peplum del periodo d'oro italiano, i giocolieri più diversi costituiscono, con le ballerine (generalmente orientali che danzano su musiche improbabili, in cosmmi altrettanto inverosimili), la professione di sfondo più efficace per esemplificare la quotidianità gaudente (e decadente) dell'aristocrazia romana. I protagonisti di queste pellicole erano spesso reclutati dagli organizzatori di produzione nei night club della dolce vita, nei circhi di periferia o tra i giro­ vaghi ambulanti di Roma e dintorni, ispiratori del felliniano Zarnpanò di La strada ( 1 954), interpretato da A. Quinn.

1 40

Fig. 126. Nerone (P. Marcus, 2004). n giovane Nerone suona la cetra con il suo maestro greco; unajam session per il pubblico di schiavi della fanoria presso cui è cresciuto.

Fig. 1 27. Quo Vadis? (F. Rossi, 1 985). Uno spettacolo di giocoleria al centro di Roma. Gli scenografì, in accordo col regista, hanno allestito un fondale che sembra richiamarsi al fantascientifico Metropolis ( 1 927) di Fritz Lang.

141

Fig. I 28.ju/ius Caesar (U. Edel, 2002). Attori all'azione in una rappresentazione che ha come oggetto di satira la relazione tra Cesare e Cleopatra.

Fig. 1 29. Rome (M. Apted, 2005). Lo spettacolo proposto dagli attori rievoca in tempo reale le gesta di Pullo e Voreno, i protagonisti della serie.

1 42

Fig. 130. Nerone (P. Marcus, 2004). Uno spettacolo con

un

attore d'eccezione: Nerone.

Fig. 1 3 1 . Gli ultimi giorni di Pompei (M. Bonnard e S. Leone, 1 959). Attori mascherati sfilano nelle vie di Pompei durante una festa cittadina, gli attori con i capoccioni di Topolino e Minni che sfilano a Disneyland non sono un mvenz10ne amencana. ,�

.

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NOTE

1 Nel 1 996 il regista tedesco Wim Wenders ha de­ dicato agli inventori il documentario Die Gebrii.der Skladanowsky. 2 Su questo: M. Milner, Lafantasmagorie. Essai sur l'optiquefontastique, Paris, PUF, 1 982. 3 In realtà non vi fu lavoro sulla pellicola, ma si ri­ corse ad un trucco teatrale e a un taglio di montag­ gio. Tuttavia è forse questo taglio a rivelare sin dal 1 895 che il cinema dovrà essere definito proprio da questa necessità linguistica di sintesi. 4 Si tratta dei film: Mary of Scotland Oohn Ford, 1 936); Das Herz der Konigin (Cari Froelich, 1 940). 5 La Dietrich (Berlino, 1 90 l ), scomparsa nel 1 992, è sepolta a Berlino e la sua tomba ancora oggi subisce attacchi di nostalgici profanatori. 6 G. Sadoul, SUJria generale del cinema, vol. l , Le ori­ gini e i pionieri (1832-1909), Torino 1 965, p. 1 9 1 . 7 Nel 1 889 sulle soglie del cinema, seguendo il filone della leggenda nera, i fratelli Barnum ave­ vano allestito uno spettacolo dedicato a Nerone. Nella brochure si legge: "A Titanic, Imperia!, Historical Spectacle of Colossal Dramatic Realism Gladiatoria! Combats and Olympian Displays. Indisputably, Immeasurably, Over-whelmingly the Most Majestic, Entrancing, and Surpassingly Splendid and Realistic Spectacle of Any Age." Nel 1 890, a fine stagione, il tour ha incassato 1 .255.000 di dollari. 8 La serie attraverserà il secolo con innumerevoli versioni, fino al XXI con The Passion of the Christ (M. Gibson, 2004), un curioso incontro tra l'agio­ grafia pseudostorica del sottoprodotto viscontiano Franco Zeffirelli (Gesù di Nazarteh, 1 977) e il ci­ nema horror del primo Peter Jackson (Bad taste, 1 987; Braindead, 1 992). 9 Cfr. M. Cardillo, Tra le quinte del cinematografo: cinema, cultura e società in Italia. 1900-1937, Bari 1 987, p. 39. 10 Al secolo Giselda Lombardi ( 1 892- 1 957), già amante di Trilussa e poi moglie del produttore

Gustavo Lombardo, fondatore della Titanus, tra le più importanti "major" italiane. Guidata poi dal figlio Goffredo, la 1ìtanus crollerà nella metà degli anni '60 schiacciata dal disastro di Sodoma e Go­ morra (R. Aldrich, 1 962) e dagli esorbitanti costi del Gattopardo (Visconti, 1 963). 1 1 Cit. da A. Bernardini, Cinema muto italiano. Ambiente, spettacoli e spettatori 1896-1904, Bari 1 980, pp. 27-28. 12 Nel 1 942, in tutt'altro contesto storico, sarà prodotto il primo film autocelebrativo di un papa; con Eugenio Pacelli nel ruolo di Pio XII, Romolo Marcellini gira Pastor Angelicus, sceneggiata da En­ nio Flaiano e Diego Fabbri. Il pontefice, in ritardo notevole, decide così di opporsi con gli stessi mezzi alla propaganda dei due protagonisti della scena cinematografica del tempo, Hitler e Mussolini. All'UFA e all'Istituto Luce si contrappone l'esordio produttivo del Centro Cattolico Cinematografico voluto dal predecessore nel 1 935. La questione del cinema fu infatti affrontata direttamente da Pio XI nelle encicliche Divini illius magistri ( 1 929) e più decisamente, dopo l'affermarsi del sonoro, nella Vigilanti cura ( 1 936). 1 3 A questo aspetto tecnico si deve aggiungere in seguito quello strategico commerciale attuato dal­ le produzioni indipendenti che negli Usa si op­ ponevano al Motion Pictures Patents Company, il cartello, detto anche Edison trust, nato nel di­ cembre 1 908 con l'intenzione di limitare lo sfrut­ tamento dei brevetti ai soli aderenti (il trust era composto da sette società americane, due francesi e un distributore). Gli indipendenti, per nulla in­ timoriti, organizzarono la loro controffensiva con ogni mezzo, fra le tattiche di risposta vi fu anche il progressivo allungamento della durata dei fil m. Cfr. E. Bowser, The Transformation of Cinema 1907-1915, New York 1 990, pp. 27-36, 79-85, 22 1 . 1 4 La società fondata da Charles Pathé fu la prima manifattura cinematografica a noleggiare e non

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vendere le proprie pellicole, avviando la prassi che caratterizza il sistema ancora oggi. Nel 1 905 Pathé controllava il 50% del mercato mondiale. Ceduta dal consiglio d'amministrazione originario defini­ tivamente a terzi nel 1 929, l'azienda fu in seguito coinvolta in un fallimento che ne decretò il col­ lasso. Arrualmenre il marchio, rilanciaro alla fine degli anni '90, produce e distribuisce film, offre un catalogo di oltre 500 titoli e gestisce cinema multisala. Il maggiore rivale fu Léon Gaumont con l'omonima società fondata nel 1 895. 1 5 Sadoul, op. cit., p. 43 1 . 1 6 Questo film si pone all'alba del genere detto "exploitation". Un film di questo tipo è caratte­ rizzato non già dal richiamo estetico dell'opera, quanto piuttosto dall'enfasi posta dalla pubblicità di lancio sulle immagini "sensazionali" proposte, generalmente in forma pseudo-documentaria. La critica per questo genere ha parlato di paracinema. Cfr. E. Schaefer, Bo/d! Daring! Shocking! True!: A History of Exploitation Films, 1 9 1 9- 1 959, Dur­ ham, N.C., Duke University Press, 1 999; E. Karz,

The Film Enryclopedia 6e: The Most Comprehensive Enryclopedia of World Cinema in a Single Volume, New York, McFarland & Company, 2008. 1 7 Il primo nickelodeon nacque nel giugno del 1 905 a Pittsburgh in Pennsylvania. li nome deri­ vava dal prezzo del biglietto che si aggirava intorno ai 5 cents ovvero l nickel. In genere le sale erano dotate di un organetto o di un pianoforte. 1 8 Nel 1 906 la Alberini & Santoni diventa CI­ NES con l'ingresso di Adolfo Pouchain. L'azienda presto si confermerà come la più importante nel panorama dell'industria cinematografica italiana fino alla direzione di Stefano Pittaluga ( 1 929) che introduce il sonoro in Italia. Nel 1 935, sulle ceneri degli studi CINES di via Veio distrutti da un in­ cendio, sorgerà Cinecittà. 1 9 Cfr. S. Totferri (a cura di), Da >, n. l 00- 1 O l , dicembre 1 968-gennaio 1 969, p. 67; ora in F. Faldini e G. Fofi (a cura di), L'avventurosa storia del cinema italiano (19601969), Milano 1 979, p. 358. 1 14 Cfr. A. Baldi, Schermi proibiti, Venezia 2002, p. 59. 1 1 5 CCC, Segna/azioni cinematografiche, vol. XL­ Vll/ 14, Roma 1 960, p. 72. 1 1 6 Intervista citata in G. Rondolino, Vittorio Cot­ tafavi. Cinema e televisione, Bologna 1 980, p. 60.

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1 1 7 Il film di Francisci è il primo titolo italiano e r assoluto nella classi fica della stagione 57-58, dove ai primi tre posti figu ra no: I dieci comandamenti

(Ceci! B. De Mille, 1 956) 2,5 miliardi di lire (circa 32 milioni di euro); l peccatori di Peyton (Mark Robson, 1 957); Il ponte sul fiume Kwai (David Lean, 1 957). Il secondo titolo italiano Belle ma povere (D. Risi, 1 957) sequel di Poveri ma belli ( 1 956) è all'ottavo posto dietro Ercole. Al 27° fi­ gura il premio Oscar Le notti di Cabiria di Fellini, al 44o Un re a New York di Charles Chaplin, al 78° La parola ai giurati di Sidney Lumet e al 97o Sorrisi di una notte d'estate di lngmar Bergman. 1 1 8 AA. W. , La città del cinema. Produzione e lavoro nel cinema italiano 1930\1970, Roma 1 979, p. 84. 1 1 9 A. Bazin, Hitchcock contre Hitchcock, «Cahiers du cinéma>>, 39, octobre 1 954; F. Trutfaut, C. Chabrol, Entretien avec Alfred Hitchcock, «Cahiers du cinéma», 44, février 1 955; P. Demonsablon,

Lexique mytologique pour /(ruvre de Hitchcock, «Cahiers du cinéma», 62, aout-septembre 1 956. 120 M. Mourlet, Prélude à Cottafavi, «Cahiers du cinéma», n. 99, settembre 1 959. 121 J. Siclier, L'age du péplum, «Cahiers du ciné­ ma», n. 1 3 1 , mai 1 962. Aggiornamenti a fenome­ no esaurito si trovano in: J. Zimmer, Les peplums, >, 1 8 marzo 2006 1 70 Per un'analisi del film, con diversi contribu­ ti che ampliano il discorso sul genere e il rap­ porto con la storia, si veda: Martin M . Winkler, Gladiator: film and history, Malden, Blackwell Publishing, 2004. 1 7 1 Sul tema dell'immaginario iconografico: G. Didi-Huberman, L'image survivante. Histoire

de l'art et temps des fonromes selon Aby Warburg, Paris, Éditions de Minuit, 2002; E. Franzini,

Fenomenologia dell'invisibile. Al di là dell'imma­ gine, Milano, 200 1 ; M.A. Holly, K. Moxey, N . Bryson ( a cura di), Visual Culture. Images and lnterpretations, Hannover, Wesleyan UP, 1 994; WJ.T. Mitchell, Iconology. lmage, Text, Ideology, Chicago and London, The University of Chicago Press, 1 986; J . -J. Wunenburger, Philosophie des ima­ ges, Paris, Presses Universitaires de France, 1 997 {trad. it. Filosofia delle immagini, Torino, 1 999); L. Quaresima, L. Vichi (a cura di), La decima musa: il cinema e le altre arti, Udine 200 1 . 1 72 Nel corso del XIX secolo suddiviso al suo in­ terno in scuole e correnti che scandiscono il rapido mutamento delle arti figurative (investite fra l'altro dali' avvento della fotografia) . 1 73 Cfr. L. M. Lecharny, L'art pompier, Paris 1 998. 1 74 Per una ricognizione sul genere si può con­ sultare: E. Querci, S. De Caro (a cura di), Alma

Tadema e la nostalgia dell'antico. Catalogo della mostra (Napoli, 19 ottobre 2007-31 marzo 2008), Milano 2007 1 75 Nasce 1'8 gennaio 1 836, nel villaggio di Dronrijp in Olanda. Dopo gli studi all'Accademia

di Belle Arti di Anversa, in Belgio, si orienta verso la pittura romantica che guarda alla storia, pas­ sando dall'interesse per i Merovingi a quello per l'antico Egitto. Con il matrimonio e il viaggio di nozze in Italia ( 1 863) la sua carriera è a una svolta: inizia a produrre opere ispirate al mondo romano e alle ville pompeiane. Raggiunge il successo e la fama, che conserverà fino agli anni '90 quando co­ mincia un progressivo calo produttivo. La morte lo coglie a Wiesbaden nel 1 9 1 2. 1 76 In part. la cd. «sala Maccari>>, realizzata dall'omonimo autore Cesare Maccari nel 1 888, ove è rappresentata attraverso episodi emblematici la storia del Senato romano. 1 77 Per questo si possono vedere: A. Costa, I le­

oni di Schneider: percorsi intertestuali nel cinema ritrovato, Roma 2002; A. Marlow-Mann, Gli ul­ timi giorni di Pompei, or the evolution ofthe italian historical epic (1908-1926), «La valle dell'Eden. Quadrimestrale di cinema e audiovisivi>>, v. Il, n. 6, Milano 2000. A. Bernardini, V. Martinelli, M. Tortora, Enrico Guazzoni: regista pittore, Doria di Cassano Jonio (Cs) 2005. 1 78 Sull'argomento, con ampi riferimenti alla let­ teratura da cui proviene il concetto di intertestua­ lirà, si può consultare il recente: G. Guagnelini, V. Re, Visioni di altre visioni: intertestualità e cinema, Bologna 2007. 1 79 M. Gromo, ((La Stampa>>, 28 ottobre 1 937. 1 8° Berta HeleneAmalie "Leni" Riefenstahl ( 1 9022003). Ballerina, poi a seguito di un infortunio at­ trice con spiccata vocazione per i film di ambien­ tazione alpina; passata alla regia diventa l'autrice di fiducia di Hitler, suscitando invidie e pettegolezzi. Oltre alla celebrazione del convegno di Norimber­ ga, gira nel 1 936 con un dispiegamento di mezzi mai visto il documentario dei Giochi Olimpici di Berlino 0/ympia ( 1 938). Processata nel dopoguer­ ra, mai del rutto "pentita", attraverserà il secolo come fotografa etnografica e subacquea. 1 8 1 Leopoldo Fregali ( 1 867- 1 936). Attore di va­ rietà noto per la sua abilità nel cambiarsi d'abito e trucco ad una velocità sorprendente. Il suo nome diviene presto sinonimo di trasformismo anche al di là della scena teatrale. 182 Il 9 maggio dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini tiene il discorso di proclamazione dell'Impero. Dice tra l'altro: "Questo è nella tra­ dizione di Roma, che, dopo aver vinto, associa­ va i popoli al suo destino"; e chiarisce: "In questa

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certezza suprema, levate in alto, o legionari, le in­ segne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell'impero sui colli fatali di Roma". 183 Discorso del 24 ottobre 1 936 a Piazza Mag­ giore, Bologna. 1 84 M. Gromo, «La Stampa», 28 ottobre 1 937. 1 85 F. Sacchi, «Ii Corriere della Sera», 27 ottobre 1 937. 1 86 Scipione Mricano è anche il nome di un incro­ ciatore leggero. La costruzione della nave, insieme alle gemelle Attilio Regolo e Pompeo Magno, co­ mincia nel 1 939 e termina nel 1 943 quando nel marzo entra in servizio (unico dei tre incrociatori a essere dotato di radar) . Riclassificato nel dopo­ guerra cacciatorpediniere, è posto in disarmo nel 1 96 1 . 1 87 Su questo si può vedere: M. Winkler, The roman salute: cinema, history, ideology, The Ohio State University 2009, in part. pp. 94- 1 50. 1 88 Mussolini volle personalmente seguire, a suo modo, come "supervisore" l'impianto e la realizza­ zione della sceneggiatura. 1 89 «Il Legionario>>, 2 agosto 1 938, cit. in: P. Corti e A Pizarroso Quintèro, Giornali contro: "Il Legio­

nario" e "Il Garibaldino':· propaganda degli italiani nella gue"a di Spagna, Alessandria 1 993. 1 90 J.F. Coverdale, l fascisti italiani alla gue"a di Spagna, Bari 1 977, p. 253. 1 9 1 Per un'analisi sull'uso politico di Roma al cine­ ma si vedano: M. Wyke, Projecting the past: ancient Rome, cinema, and history, New York, London 1 997; S.R. Joshel, M. Malamud, D.T. McGuire jr, Imperia/ projections: ancient Rome in modern po­ pular culture, Baltimore, London, John Hopkins university press 200 1 ; C. Martindale and R. F. Thomas, Classics and the Uses ofReception, Oxford 2006. 1 9 2 G.C. Castello, Quo Vadis?, «Cinema: quindici­ nale di divulgazione cinematografica», vol. VI, n. l 05, 1 953, pp. 1 50- 1 5 1 . 1 93 Su questo si veda: T. Shaw, Martyrs, Miracles

and Martians: Religion and Cold war Cinematic Propaganda in the 1950s, Journal of Cold War Studies, V. 4, N. 2, Massachusetts lnstitute of Technology 2002, pp. 3-22. 1 94 Il termine errato usato già nel romanzo è di derivazione evangelica, nella realtà storica si tratta del prefetto Valeria Grato ( 1 5-26 d.C.).

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1 95 Sulla questione delle possibilità di una carriera civile dei militari si rimanda a C. Ricci, Soldati, veterani e vita cittadina nell1talia imperiale, Qua­ sar, Roma c.s. 1 96 Stagione l , episodio 1 2. 1 97 In argomento si può consultare il vol. 3 di questa stessa collana: E. D. Augenti, Il lavoro schia­ vi/e a Roma, Roma 2008. 1 98 Ecco un celebre passo di Paolo: "Voi schiavi, ubbidite in tutto ai vostri padroni di questo mon­ do: comportatevi con sincerità e agite per amore del Signore. Non siate servizievoli solo per farvi vedere e per compiacerli. Quel che fate, qualunque cosa sia, fatelo volentieri, come per il Signore, e non per gli uomini. Voi sapete che la vostra ricom­ pensa è l'eredità che riceverete dal Signore. Perciò è Cristo che dovete servire." (Col 3, 22-25); si ve­ dano anche: Ef 6, 5-9; Tit 2, 9- 10; l P. 2, 1 8-20; nei Vangeli si leggano: Le 1 7, 7- 1 0; Mt 1 0, 24-25; 1 3, 27-28; 1 8, 25. Sulla schiavitù ammessa teo­ logicamente ancora nel 1 866 da Pio IX si veda: ].F. Maxwell, The Development ofCatholic Domine concerning Slavery, World Justice 1 1 ( 1 969-70), pp. 1 47- 1 92 e 29 1 -324. l99 Su questo si possono vedere: M. Dogliani (a cura di), Spartaco: la ribellione degli schiavi, Milano 1 997; N. Zemon Davis, La storia al cinema: la

schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg, Roma 2007; Martin M. Winkler, Spartacus: Film and History, Malden, Oxford, Victoria: Blackwell Publishing 2007.

200 Nella sequenza dell'investimento Marcus ac­ corre tra la folla e grida "presto chiamate un me­ dico!" esattamente come nel 1 935 si chiamava un'ambulanza. 201 Del periodo successivo al crollo di Wall Street è una celebre dichiarazione sul cinema del presidente Franklin Roosevelt: "During the Depression, when the spirit of the people is lower than at any other rime, it is a splendid thing that for just 1 5 cents an American can go to a movie and look at the smiling face of a baby and forget his troubles." 202 Cit. in G. Rondolino, Rossellini, UTET, Tori­ no 1 989, p. 3 1 4. 203 Lettera a Rossellini del 2 1 ottobre 1 972; cit. in Rondolino, op.cit. , p. 3 1 3. 204 Sul film Romolo e Remo si veda: S. Corbucci, Cose di questo mondo. Paralleli storici, in «Cinema 60: mensile di cultura cinematografica», a. 1 96 1 , v. II, n . 1 5- 1 8 (set.-dic. 1 96 1 ) , p . 1 44.

INDICE

PARTE l - IL CINEMA, LA STORIA E IL GENERE "ROMANO" . . . . . . .

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La storia in un minuto. Alla ricerca dell'equilibrio. Dalprimato alla crisi: una storia italiana. Da Hollywood al Tevere. I romani in technicolor, trafede e storia. Lo sviluppo delfilm storico­ romano e la nascita della tv. Apoteosi e disastri. Sandaloni per tutti: il peplum all'italiana. I romani nel salotto di casa. L'impero colpisce ancora. PARTE 2 LA RAPPRESENTAZIONE DEL LAVORO E DEI MESTIERI NEL CINEMA STORICO - ROMANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . -

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La pittura alla base del cinema: un panorama iconografico. Il lavoro e i mestieri: una perlustrazione PARTE 3 - LE IMMAGINI DEL LAVORO NEL CINEMA DI GENERE STORICO-ROMANO: UN PERCORSO FOTOG RAFICO . . . . . . . . . . . . .

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NOTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Finito di stampare nel mese di luglio presso la tipolirografia La Moderna

2009

di Roma