Risurrezione. La testimonianza dei Vangeli e delle lettere paoline 8810410394, 9788810410394

Una delle domande fondamentali che sí pone da sempre l'umanità è cosa ci sia al di là della vita presente, al di là

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Risurrezione. La testimonianza dei Vangeli e delle lettere paoline
 8810410394,  9788810410394

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Vna delle domande fondamentali che si pQne da sempre l'umanità è cosa ci sia al di là della vita pre­ sente, al di là della morte, l'enigma più insondabile dell'esistenza umana. Varie sono state le risposte nel mondo antico e altrettante, diversificate e contrastan­ ti, quelle di oggi. Questo libro affronta il tema seguendo i racconti e­ vangelici '- sorprendentemente paradossali per la loro ingenuità e trasparenza - e le lettere di Paolo, prima riflessione teologica sulle implicazioni e la por­ tata della risurrezione. Ripercorrere l'insegnamento degli evangelisti e dell'apostolo delle genti può fare luce sull'attendibilità e sulle implicazioni esistenzia­ li della fede nel Risorto. La riflessione si articola in quattro parti: la prima è dedicata alle questioni legate alla storicità, alla cri­ stologia neotestamentaria e ai richiami al mistero della risurrezione nei racconti evangelici prepasqua­ li; la seconda ai racconti pasquali; la terza a uno sguardo panoramico sull'uso del motivo della risur­ rezione nelle lettere paoline; la quarta all'esegesi di 1Cor 15. GIACOMO LoRusso insegna Esegesi biblica all'Istituto Teo­ logico Pugl�se (Facoltà Teologica Pugliese). Presbitero del­ la diocesi d1 Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, per EDB ha pubblicato La Seconda Lettera ai Corinzi (2007), Chiesa, ministero e ministeri nell'esperienza di Paolo (2015) e Introduzione a Paolo. Profilo biografico e teologico (2018).

ISBN 978-88-10-41039-4

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Collana Studi biblici

M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù G. Cirignano - F. Montuschi, Marco. U.n Vangelo di paura e di gioia P. Grelot, Il mistero del Cristo nei Salmi G. Ibba, La teologia di Qumran B. Costacurta, Il laccio spezzato A. Wénin, Entrare nei Salmi B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda X. Léon-Dufour, Agire secondo il Vangelo M. Remaud, Vangelo e tradizione rabbinica X. Léon-Dufour, Il Pane della vita A. Wénin, Il Sabato nella Bibbia B. Costacurta, Lo scettro e la spada L. Mazzinghi, Storia d'Israele dalle origini al periodo romano A. Pitta, Paolo, la Scrittura e la Legge M. Grilli, L'impotenza che salva L. Schiavo, Il Vangelo perduto e ritrovato S. Paganirù, Qumran le rovine della luna P. Lombardini, Cuore di Dio, cuore dell'uomo M.L. Rigato, Discepole di Gesù V. Polidori, La Bibbia dei Testimoni di Geova M.L. Rigato, I genitori di Gesù A. Spreafico, La voce di Dio. Nuova edizione P. Lombardini, I profeti G. Benzi, La profezia dell'Emmanuele B. Standaert, Il Vangelo secondo Marco W. Egger - P. Wick, Metodologia del Nuovo Testamento J. Dupont, Teologia della Chiesa negli Atti degli apostoli G. Lorusso, Chiesa, ministero e ministeri nell'esperienza di Paolo L. Gasparro, La parola, il gesto e il segno G. Pagano, I profeti tra storia e teologia S. Rotasperti, «Sorgente di vita è la bocca del giusto» L Rojas Galvez, I simboli dell'Apocalisse P. Lombardini, Osea A. de Palmaert - J. Chabert, Cento personaggi per comprendere la Bibbia S. Vidal, La risurrezione dei morti G. Pagano, La Sapienza che viene dall'alto Ricerca storica su Gesù, a cura di N. Ciola - A. Pitta - G. Pulcinelli J.L. Sicre, Satana contro gli evangelisti A. Wénin, Salmi censurati G. Lorusso, Introduzione a Paolo S. Pinto, Il corpo in preghiera nei Salmi F. Piazzolla, Il Cristo di Giovanni L. Castangia, Timore e tremore G. Lorusso, Risurrezione

GIACOMO LORUSSO

RISURREZIONE La testimonianza dei Vangeli e delle lettere paoline

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze

Per i testi dei documenti pontifici: 0

Libreria Editrice Vaticana

Per i testi biblici: e 2008 Fondazione

0

2018

di Religione Santi Francesco d'Assisi e Caterina da Siena

Centro editoriale dehoniano via Scipione Dal Ferro, 4- 40138 Bologna www.dehoniane.it EDB®

ISBN

978-88-10-41039-4

Stampa:

Graphicolor, Città di Castello (PG)

2018

INTRODUZIONE

Una delle domande fondamentali che si pone da sempre l'uma­ nità è cosa ci sia al di là della vita presente, al di là della morte, l'enigma più insondabile dell'esistenza umana. Varie sono state le risposte nel mondo antico e altrettante diversificate e contrastanti quelle di oggi. L'unica risposta valida è tuttavia quella offerta da colui che ha attraversato la porta della morte ed è apparso ai suoi come il vivente, facendoli suoi testimoni da Gerusalemme fino agli estremi della terra: il Cristo Gesù. Da questa vittoria pasquale, testimoniata nella sacra Scrittura e trasmessa fedelmente dalla tradizione viva della comunità ecclesiale, custodita e proclamata in modo autentico dal magistero della Chiesa, scaturisce il gioioso annuncio del vangelo per l'intera umanità. Il rischio più grande infatti è quello di sminuire il senso e il valore della verità sulla ri­ surrezione non dando la dovuta importanza alla Parola trasmessa dalla prima comunità cristiana. Lo sforzo che ci proponiamo in questo lavoro è di offrire una lettura rispettosa dei racconti evangelici e dell'annuncio paolino per cogliere la ragionevolezza interna della vittoria di Cristo sul­ la morte. Infatti se i racconti pasquali sono sorprendentemente paradossali per la loro ingenuità e trasparenza, e tuttavia capaci di autotestimonianza veritativa, le argomentazioni delle lettere di Paolo si configurano come la prima riflessione teologica sulle implicazioni e la portata della risurrezione. Ripercorrere l'inse­ gnamento degli evangelisti e dell'apostolo delle genti può gettare luce sempre nuova sull'attendibilità e sulle implicazioni esistenziali della fede nel Risorto. Per tale ragione si è pensato di articolare il libro in quattro capitoli: il primo dedicato alle questioni legate alla storicità, alla cristologia neotestamentaria e ai richiami al mistero della risurrezione nei racconti evangelici pre-pasquali; il secondo ai racconti pasquali; il terzo a uno sguardo panoramico sull'uso del 5

motivo della risurrezione nelle lettere paoline; e infine il quarto all'esegesi di 1Cor 15. Anche se l'analisi dell'argomentazione teolo­ gica dell'apostolo delle genti potrebbe risultare arida, tuttavia essa consente di cogliere meglio la ricchezza insondabile della novità escatologica inauguratasi con la vittoria sulla morte del Crocifisso­ Risorto. Precisiamo inoltre che, a motivo della prospettiva esege­ tica dell'indagine, non si è operata una lettura sistematica dei dati emersi, ma sono offerti brevi spunti di riflessione in merito ai con­ cetti di risurrezione, di corporeità e di partecipazione dell'umanità alla risurrezione di Cristo al termine dell'esegesi di 1Cor 15.

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Capitolo I LA RISURREZIONE NEI VANGELI

I testi evangelici, nella loro grande semplicità, lasciano intra­ vedere la bellezza dell'annuncio sulla risurrezione. Si presentano compatti dal punto di vista narrativo e slegati dal resto degli episodi che li precedono. La cristologia consegnataci non è spiegabile a partire da influssi filosofici o religiosi, ma solo a partire dal «fatto» della risurrezione e delle conseguenze ed effetti che ne sono deri­ vati per la vitalità delle prime comunità. In questa prima parte, dopo una panoramica sul problema della storicità dei vangeli a confronto con le caratteristiche delle narrazioni storiche contemporanee e sull'originalità della «persona di Cristo)) rispetto al pensiero giudaico-anticotestamentario, sarà messo a fuoco il motivo della risurrezione nei racconti pasquali. l. Il NT e la storicità

Tanzella-Nitti,1 parlando del rapporto tra esegesi e teologia fondamentale, descrive bene il ruolo del redattore e della natu­ ra di testimonianza della tradizione viva della Chiesa dei testi neotestamentari: Il redattore non è mai un semplice autore letterario, ma un testimone, e [ . . . ] gli scritti pervenuti non sono mai semplici reperti di letteratura antica, ma testimonianze che la comunità credente ha voluto fissare e cu­ stodire[ . . . ]. [Le Scritture testimoniano] il ruolo della primitiva comunità

1 Cf. G. TANZELLA-NllTI,

simo, Roma 2015.

Teologia della credibilità. La credibilità del cristiane­

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cristiana come soggetto di una tradizione viva - una comunità che forse poteva umanamente sbagliarsi, ma non intendeva certo ingannare.2

Allo scopo di illustrare la dimensione «Storica» dei testi bibli­ ci, è opportuno tener presenti le diverse accezioni dell'aggettivo «Storico>>:3 - storico come evento, anche se non si può dimostrare che sia realmente accaduto; - storico come evento che ha prodotto conseguenze rilevanti; - storico come evento dimostrabile, analogamente alle scienze esatte, come la matematica; - storico nel senso che se ne può scrivere e tramandare anche oralmente; - storico come combinazione del secondo e terzo significato: qualifica la prospettiva degli storici «moderni» che nel perio­ do post-illuminista hanno pensato che ci sia analogia e corre­ lazione tra la storia e le scienze esatte.4 Si possono stabilire diversi livelli di storicità: un fatto accaduto ma non registrato (non compreso come «storico» perché non en­ tra nelle relazioni umane); un fatto reale e storico (percepito da qualcuno); un fatto reale, colto nelle sue conseguenze (compreso all'interno delle relazioni umane); un fatto reale, registrato da testimoni diretti o indiretti. L'indagine storica procede per gradi di probabilità, dalla minore possibilità alla maggiore evidenza o certezza, analizzando le testimonianze scritte, visive e orali. 5 Con gradi di credibilità a partire dalla credibilità dei testimoni o delle fonti scritte. L'indagine storica può chiarire un evento a seconda del grado di probabilità raggiunto, ma non può cogliere tutti gli aspetti, motivi ed effetti. l. l.

La comprensione neotestamentaria di Gesù tra storia e fede

Tanzella-Nitti, circa l'accessibilità alla storia e agli insegnamen­ ti di Gesù attraverso i suoi testimoni, confuta l'opinione di alcuni, come H.K. McArthur,6 secondo cui le narrazioni sulla vita di Gesù sarebbero frutto di tradizioni popolari relativamente incontrolla-

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lvi, 314.

Cf. N.T. WRIGHT, Risurrezione, Torino 2006, 30-31. Cf. ivi, 31. 5 Cf. E. CASTELLUCCI, Davvero il Signore è Risorto, Assisi 2006, 215. 6 H.K. McARTHUR, In Search of the Historical Jesu, SPCK, London 1970.

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te, da cui si dovrebbe risalire all'indietro al materiale sempre più fondativo e originante. E questo sarebbe avvenuto a motivo dei seguenti processi: - tendenza a modificare il luogo, il tempo e l'ordine degli avvenimenti; - cambiamento dell'inizio e della fine del racconto; - relativa maggiore stabilità dei detti rispetto ai racconti; - tendenza ad aggiungere nomi propri; - eliminazione dei riferimenti aramaici. Lo stesso Tanzella-Nitti, citando la risposta di G. Gerhardsson e Riesenfeld, fa rilevare come, alla luce dei canoni della trasmis­ sione orale nell'ambiente ebraico, ovvero i criteri di conformità e di fedeltà elaborati dalle tradizioni rabbiniche, sia ragionevole ritenere che gli stessi criteri siano stati impiegati nelle comunità cristiane. Inoltre R. Latourelle ha segnalato l'ampia presenza del vocabolario del «testimone>> in tutte le pericopi principali del NT, dove si parla di trasmissione di tradizioni kerygmatiche: - «testimone»; - «testimonianza»; - «servizio alla parola». F. Lambiasi aggiunge che i redattori dei vangeli, o più in gene­ rale i soggetti che ne trasmisero il materiale costitutivo, erano con­ temporaneamente discepoli, apostoli e testimoni/martiri. J. Duno e R. Bauckham sottolineano che le prime generazioni di cristiani non erano una massa sociologica amorfa, esposta alla creazione e alla diffusione di racconti popolari, ma comunità organizzate che raf­ forzavano la propria identità credente con il ricordare la memoria viva di Gesù, non di rado attraverso testimoni diretti, raccontando ciò che avevano visto e vissuto, e celebrandolo. Ad esempio, Luca presenta i membri delle prime comunità cristiane «perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione» (At 2,42); Paolo si preoccupa di confrontare il suo vangelo con i Dodici (cf. Gal 1 ,18; 2,1 2) perché gli diano «la destra» come segno di comu­ nione (cf. Gal 2,9). I vangeli riportano nomi propri personali (36 di uomini e 12 di donne nei vangeli canonici), facilmente individuabili nella comunità cristiana prima dell'anno 70, al tempo in cui si erano già sedimentate le tradizioni orali o scritte confluite nei vangelU Inoltre le tradizioni della prima patristica testimoniano la continua fedeltà all'insegnamento dei testimoni della risurrezione: -

7 Cf. TANZELLA-NITTI,

Teologia della credibilità, 152-153.

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- Papia di Gerapoli parla delle origini apostoliche dei vangeli canonici; - Eusebio di Cesarea riporta i frammenti di Papia a proposito degli autori dei vangeli e nella sua Historia ecclesiastica pro­ pone delle pagine che si armonizzano con l'ipotesi di un Gesù testimoniato. Si possono consultare le notizie circa un'Apolo­ gia di Quadrato, nella quale l'autore assicurava all'imperatore Adriano di aver appreso notizie su Gesù di Nazaret da coloro che ne fecero esperienza diretta; - Ireneo ricorda le occasioni in cui Policarpo parlava della presenza dell'apostolo Giovanni alle riunioni dei cristiani di Smime e di Efeso: Io sono in grado di dire anche i luoghi ove il beato Policarpo si sedeva a discutere e il suo modo di iniziare e terminare un argomento, il tipo di vita che conduceva, il suo aspetto fisico, le discussioni che teneva alla fol­ la, come raccontava i suoi rapporti con Giovanni e con gli altri che aveva­ no visto il Signore, come ricordava le loro parole e quali erano le cose che aveva udito da loro sul Signore, sui suoi miracoli e sul suo insegnamento e come Policarpo, dopo aver appreso tutto questo dai testimoni oculari della vita del Logos, riferisse ogni cosa conformemente alle Scritture.8

I metodi storico-critici non sono senza pregiudizi e presuppon­ gono la soggettività e la visione moderna del mondo. Interpretano tutto a partire dalla legge di analogia, convinti di poter individuare correlazioni tra tutti gli eventi, a prescindere dalla loro natura. Ba­ sta considerare le proposte ermeneutiche formulate in merito alla dimensione escatologica del messaggio di Gesù e all'evento della risurrezione. Lo storico antico scriveva per raccontare gli eventi, ma anche per sostenere un punto di vista, di qui la selezione dei dati raccolti e interpretati. Obiettivo della storiografìa antica greco­ romana, come anche di quella giudaica, non era la neutralità. Il rac­ conto storico per il mondo antico implicava il concetto di attualiz­ zazione del messaggio per suscitare un determinato atteggiamento di vita. E a questo scopo si ricorreva sia a storie reali che fittizie. Il concetto di storia implicava sempre una trasmissione attualizzante, per suscitare una visione etica e religiosa della realtà.9 Ne è prova

8 Ireneo di Lione a Fiorino, riportata in EusEBIO DI CESAREA, Historia ecclesias­ tica V,20,5-7, citazione in TANZELLA-Nirn, Teologia della credibilità, 152. 9 Cf. M. GRONCHI, Trattato su Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, Brescia 2012, 33. Nella nota 57 rimanda a K. STIERLE, «L'histoire cornrne exemple, l'exemple com-

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l'opera dello storico romano Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), che de­ scrive i caratteri dei protagonisti aggettivandoli fin dall'inizio, con tratti fissi e invariabili:10 idealizzazione degli eroi; attribuzioni di azioni malvagie ai vigliacchi. Non ci si preoccupa se i fatti racconta­ ti siano «storicamente veri» o «fittizi��. Ciò che conta è proporre ai lettori principi elevati a cui mirava l'educazione letteraria dell'epo­ ca. Gli evangelisti riflettono nei loro racconti la stessa impostazione delle biografie antiche (bìoi greci, vitae latine ).U In merito alla prospettiva post-pasquale dei vangeli, occorre precisare che non sono né racconti neutrali né documenti di prima mano e non hanno neppure la pretesa di esattezza che si richiederebbe da uno storico moderno. Infatti, chi legge il Nuovo Testamento non può ignorare la sua prospettiva postpasquale, poiché narra la storia di Gesù a partire dall'esperienza delle comunità di coloro che credono in lui come il Cristo risorto. Perciò, si può dire che chi in esso cerca il Gesù storico, in effetti, incontra il Gesù che è stato riconosciuto come Cristo e Figlio di Dio. Ora, ciò non significa affermare che il Nuovo Testamento non si fondi sulla storia; la consapevolezza del carattere par­ ticolare di questi testi richiede un metodo appropriato, per una migliore intelligenza di essi.12

Va evitata quindi una lettura anacronistica e psicologica dei dati, ogni forma di storicismo. Come pure va evitata sia una lettura fondamentalista che una lettura razionalista. Il rischio è quello di rifiutare l'evento narrato per reinventarne di sana pianta un altro in linea con i nostri criteri e pregiudizi.13 Come dichiara Calcedonia parlando delle due nature: «distinguere senza separare», occorre

me histoire>>, in Poétique 10(1972), 176-198; A. MosELEY, , in New Testament Studies 12(1965-1966), 10-26. 1° Cf. J.D.G. Dunn, citato in GRONCHI, Trattato su Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, 54, nota 58: > (Le 20,33) Gesù risponde che non ci sarà matrimonio nella risurrezione, poiché i morti diventano simili agli angeli che stanno in cielo e non ci sa­ rà più bisogno di procreazione. Gesù non parla della «residenza celeste>> ma di due condizioni: «l figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio>> (Le 20,35-36). La risposta di Gesù sottintende l'idea che il matrimonio sia stato istituito per dare continuità alle generazioni e che gli an­ geli non muoiano. La legge del !evirato teneva conto del bisogno di soddisfare il comando divino di Gen 1,28 di generare e superare così la morte. Gesù non soltanto afferma che la legge del !evirato sarà dichiarata non valida, ma che anche il matrimonio non avrà alcuna importanza, dato che non ci sarà più bisogno di generare figli. Se i sadducei chiedevano come sarebbe stato possibile tenere in piedi il matrimonio tra un solo uomo e una sola donna, Gesù sposta l'attenzione sul fatto che non ci sarà bisogno di generare, perché si diventerà come gli angeli isangeloi, ovvero «immortali», «poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio» (v. 36). In Matteo e in Marco abbiamo l'espressione «come angeli» (Mt 22,30; Mc 12,25). Dato che si sarà «figli della risurrezione» e «figli di Dio» e non ci sarà più la morte e quindi non ci sarà neppure bisogno di procreare.62 «Gesù ha preso in considerazione i presupposti della domanda, annullando prima di tutto la necessità di forrnularla».63 L'idea di risurrezione secondo i farisei e i rabbini sottintendeva sempre due fasi: la condizione intermedia, in cui i morti continua­ vano a essere in vita, e la condizione finale della risurrezione con un nuovo corpo. Poiché i sadducei parlavano semplicemente della

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ib. ivi, 492. lvi, 493-494. Cf. Cf.

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cessazione dell'esistenza del corpo dopo la morte, era chiaro che parlando di risurrezione intendevano qualcosa riguardante il futu­ ro e perciò non ancora avvenuto. I farisei vedevano il fondamento della speranza nella risurrezione, come si desume dal Talmud ba­ bilonese, in Nm 18,28 («Così anche voi preleverete un'offerta per il Signore da tutte le decime che riceverete dagli israeliti e darete al sacerdote Aronne l 'offerta che avrete prelevato per il Signore»), perché qui si racconta come dopo la morte di Aronne gli israeliti gli pagavano le decime. Di qui la deduzione che Aronne fosse an­ cora in vita e che sarebbe risuscitato in futuro. Nel Talmud non è tuttavia esplicitata questa conclusione. La frase di Gesù: «Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di !sacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui"» (Le 20,37-38) riprende il testo dell'Esodo dove Dio si presenta a Mosè come «il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe)) (Es 3,6). Gesù a partire da questa affermazione di Mosè può di­ mostrare esegeticamente che i patriarchi erano ancora in vita, dal momento che Dio non è un Dio dei morti ma dei viventi. La verità sottintesa, omessa da Gesù, è che se sono in vita, continuano a vive­ re in un modo incorporeo e che saranno risuscitati in futuro. Luca aggiunge rispetto agli altri sinottici la frase «perché per lui tutti vivono)), cioè per il Dio d'Israele. Questa frase nel giudaismo del I secolo è interpretata come annuncio di un'esistenza disincarnata sulla base di 2Mac 7,9 («dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna))), e quindi fondamento della speranza della condizione intermedia, come si legge in 4Mac 16,25: «Essi che muoiono per Dio, vivono per Dio, come Abramo, !sacco e Giacobbe e tutti i patriarchi». Rm 6,10-11 legge la frase «vivere per Dio)) in due modi: per la vita di Gesù risorto e per la vita nuova del cristiano: «Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù)). Luca intende, quindi, «viventi per Dio)) in riferimento alla condizione temporanea disincarnata in attesa della risurrezione,64 una condizione di vita non più suscettibile di cambiamento. Di qui la non necessità del matrimonio e, in risposta all'interrogativo dei sadducei, la non necessità di porsi la questione «chi sposerà chi)>.65

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Cf. Cf.

ivi, 495-497. ivi, 499-500.

3.1.6. La fonte Q nel materiale di Matteo/Luca Il motivo della risurrezione nella fonte Q all'interno del mate­ riale dei vangeli di Matteo e Luca, senza dimenticare che «"Q" è semplicemente un'ipotesi e che appena ammettiamo che un evan­ gelista l'abbia modificato o abbia preferito il proprio materiale, apriamo una porta larghissima a ogni specie di altre possibilità)),66 compare nei seguenti brani: - il brano della fede del centurione (cf. Mt 8; Le 13); - la nuova creazione e il Figlio dell'uomo (cf. Mt 19,28; Le 22,29s); - a proposito di quelli che uccidono il corpo ma non possono fare altro (cf. Mt 10,28-31; Le 12,4-7); - la risposta al Battista circa la venuta del Messia (cf. M t 11,5; Le 7,22); - il segno di Giona (cf. Mt 12,39-42; Le 11,29-32). Propri di Matteo sono: - l'incarico di risuscitare i morti in Mt 10,8; - il logion nella parabola della zizzania - «Allora i giusti rispenderanno come il sole nel Regno del Padre loro)) (Mt 13,43) - che rilegge Dn 12,3, in cui si parla di stelle e non di sole. In Luca il linguaggio metaforico della risurrezione è adoperato: - nelle parole di Simeone circa lo svelamento dei cuori (cf. Le 2,34-35); - nella risurrezione del figlio della vedova di Nain («Ragazzo, dico a te, àlzatilegertheti!») [Le 7,14]; «Un grande profeta è sortolegerthe tra noi)) [Le 7,16]); - nella parabola del figliol prodigo: «mortolnekros e tornato in vita!anezesen-ezesem) (Le 15,24.32) come un «rivivere dai morti)) basato su Ez 37 di cui la parabola è immagine (ritorno ' del popolo dall'esilio); - la parabola del ricco epulone e Lazzaro: «Se non ascoltano [ . . . ] neppure se uno dai morti risuscita/ek nekron anastet (Le 16,31), anticipazione della risposta alla sua risurrezione e al fatto che il senso della sua risurrezione si trova nella Scrittura (cf. Le 24,25-27.44-47). Si sostiene che la fonte Q non parlasse né di passione né di risurrezione e che riportasse semplicemente il parallelo tra Gesù e Giona. Questo dato spiegherebbe la risurrezione di Gesù dalla 66

lvi, 505, nota 104.

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tomba come «invenzione» costruita dagli evangelisti sulla base della «leggenda» della risurrezione di Giona dal ventre del mostro marino.

3.1.7. Conclusioni sui riferimenti alla risurrezione nei racconti sinottici pre-pasquali La risurrezione nella tradizione sinottica è adoperata per il ri­ sorgere corporeo sia di Gesù che dei suoi discepoli. In alcuni brani la prospettiva è differente da quella del giudaismo farisaico, perché si intravvede la suddivisione in due eventi della risurrezione: quella di Gesù e quella dei discepoli. Il linguaggio della risurrezione è usato poi metaforicamente nel ministero di Gesù, in particolare in riferimento ai peccatori. Inoltre viene ripreso l'uso metaforico del motivo della risurrezione adoperato nell'AT per la «restaurazione d'Israele».67 La scarsità di riferimenti alla risurrezione nei racconti pre-pasquali contrasta con l'enfasi contraria nei racconti pasquali e nella Chiesa delle origini, tanto più che non compaiono sulle labbra di Gesù considerazioni proprie della riflessione credente dell'epoca della redazione dei vangeli. La verità della risurrezione è espressa secondo la linea dei farisei, con piccoli aggiustamenti sulla base dell'insegnamento di Gesù e degli eventi che lo avrebbero visto protagonista dopo la sua morte.68 3.2. La risurrezione in Giovanni

La luce della risurrezione traspare già nel racconto del mini­ stero di Gesù, come avviene in Luca. Lo si nota nella scansione settimanale che struttura la sezione dei «segni)). Il primo segno, la trasformazione dell'acqua in vino, avviene «il terzo giorno)), men­ tre la comparsa di fronte a Pilato, «Ecco l'uomo!)) (19,5), avviene il sesto giorno (il venerdì), quando conclude l'opera affidatagli dal Padre (cf. 17,4; 19,30: tetelestai) e quindi la prima settimana della creazione. Anche perché tetelestai richiama Gen 2,1-2 dove per due volte compare synteleo. La risurrezione avviene il «il primo giorno della settimana)) (20,1), inizio della nuova creazione.69

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Cf. ivi, 51 1-512. Cf. ivi, 512. Cf. ivi, 513, nota 120.

Nell'episodio della cacciata dei venditori dal tempio abbiamo la predizione della sua distruzione e ricostruzione: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere/egero auton » (2,1 9), precisata dai versetti: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Gv 2,21-22). Questo confuta la tesi secondo cui nel quarto Vangelo non ci sarebbero riferimenti ai racconti pasquali dal momento che l'ascensione o esaltazione sarebbe avvenuta sulla croce, e che di conseguenza non si parlerebbe di risurrezione corporea dai morti.70 Per Giovanni, come anche per Paolo, la risur­ rezione è presente e futura; e la «Vita eterna» è già presente, non è solo futura71 (cf. Gv 6,39-40.44.54). In Gv 5,24-29 Gesù afferma: «In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e [ . . . ] l'ora viene, anzi è già venuta, che i morti udranno [ . . . ] viene l'ora in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio». Non si può ridurre l'accenno alla risurrezione a una semplice metafora.72

3.2.1. La risurrezione di Lazzaro in Gv 11 Lazzaro è definito da Gesù «addormentato», per cui dice di voler andare a «svegliarlo». I discepoli prendono alla lettera la me­ tafora del «sonno». Questo dimostra, come nel caso della figlia di Giairo in Marco, che «sonno» non era una metafora tanto abituale per indicare la morte da non richiedere una precisazione.73 Il co­ mando di Gesù di sciogliere le bende di Lazzaro prepara il liberarsi autonomo del corpo di Gesù dal sudario. Un segnale quindi per il lettore dell'evento della risurrezione.74 Il dialogo tra Gesù e Marta in Gv 11,21-27 pone a tema il rapporto tra la risurrezione di Gesù e quella dei credenti in lui, che già ora possiedono la vita eterna. Perché, come affermato in Gv 5, la risurrezione futura si sta già realizzando nel cuore dei fedeli.75

70 Cf. ivi, nota 122. 71 Cf. ivi, 514. 72 Cf. ivi, 515-516. 73 Cf. ivi, 516. " Cf. ivi, 516-517. 75 Cf. ivi, 517.

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Nell'episodio della risposta alla richiesta dei greci di «vede­ re» Gesù, le parole: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 1,23-24) richiamano il motivo dell'ora e sono un'intro­ duzione agli eventi della morte e risurrezione di Gesù. Preparano inoltre l'invito rivolto a Pietro, dopo la sua risurrezione, a seguirlo, anche a rischio della propria morte. La risurrezione è presentata come trasformazione, passaggio dal seme alla pianta. Un passaggio che significherà anche un «portare molto frutto)), un chiaro annun­ cio dell'avvicinarsi dell'ora della sua morte e risurrezione e dei frutti salvifici per l'umanità.76 3.2.2. Discorsi d'addio dei capitoli 13-17 C.F. Evans77 ha sostenuto che le espressioni di Gesù nei cc. 13-17 relative al suo «passare)) da questo mondo per «andare dal Padre)) siano semplicemente indicazioni del processo del suo «sa­ lire al cielo)) e che pertanto la corporeità della risurrezione non sia al centro dell'interesse giovanneo né tanto meno necessaria.78 Il rischio è che così facendo si trascuri che in Gv 20 abbiamo la distinzione tra la vita risorta di Gesù e il «salire al Padre)) (20,17). Due estremi cronologici in mezzo ai quali viene annunciato il dono e l'azione dello Spirito in termini di guida e di insegnamento.79 Il passo sulle «dimore)) preparate per i discepoli (Gv 14,2-3) nella «casa del Padre mio)) si può leggere adeguatamente se si tiene presente l'esistenza nel complesso del tempio di «camere/ dimore)). Gesù utilizza l'immagine di queste «camere/dimore)) per parlare delle «dimore)) nel mondo celeste. «Dimore/monai)) è il plurale di mone usato in 1Mac 7,38. Qui la versione CEI 2008 traduce: «Non !asciarli sopravvivere)), ma alla lettera abbiamo: «Non dare loro dimora!monem).80 Il termine ha la stessa radice del verbo meno/«rimanere-dimorare-abitare)) usato per lo stabilirsi del credente in o con Gesù (cf. Gv 1,38s; 4,40; 6,56; 8,3 1.35; 14,10; 15,4-10).81 In greco mone sta per un luogo temporaneo di riposo

76 Cf. ivi, 518. 77 Resurrection and the New Testament, Londra 1970. 78 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 518. 79 Cf. ivi, 518-519. 80 Cf. ivi, 519. 81 Cf . ivi, nota 135.

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o una locanda per riposarsi durante un viaggio. Non può essere interpretato nell'accezione di un «avanzare nella vita a venire)), anche perché negli scritti apocalittici si parla di «camere)) dove le anime sono custodite in attesa della futura risurrezione: «>. Questo è il nucleo storico della fede pasquale.46

A questo si può facilmente obiettare che i vangeli canonici raccontano la risurrezione come «databile>»: «Se Gesù era morto il pomeriggio del venerdì santo ed era vivo in un tempo successi­ vo, ci deve essere stato un momento in cui questo passaggio poté verificarsi»».47 Inoltre le testimonianze dei primi cristiani sulla risur­ rezione di Gesù parlano di un evento-atto che «ha avuto luogo e che al tempo stesso è un atto escatologicm».48 Kessler, tuttavia, è costretto a riconoscere che «senza il riconoscimento di un Dio, il quale può più di quel che c'è "dentro" il mondo naturale (al suo "morire e divenire"), essa diventa ipso facto assurda»».49 Interessan­ te è la riflessione di G. O'Collins Se la tomba non fosse stata trovata vuota, i primi cristiani avrebbero per­ severato nell'affermare che le apparizioni pasquali rivelavano la conti­ nuità (trasformata) della stessa persona che era stata crocifissa e deposta nella tomba? Se, dopo le apparizioni, avessero scoperto il cadavere de­ composto di Gesù, sarebbero rimasti convinti che lo avevano veramente incontrato in quanto risorto dai morti?50

Aggiunge ancora che

45 KESSLER, La risurrezione di Gesù Cristo, 125-126. % MARANGI, La risurrezione di Gesù, 45. 47 lvi, nota 59. 48 lvi, nota 58. 49 KESSLER, La risurrezione di Gesù Cristo, 394, nota 27. 50 G. O'COLLINS, Gesù risorto, Brescia 22000, 204, nota l .

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per i testimoni originari del Cristo le apparizioni forniscono il segno prima­ rio di continuità fra la sua esistenza terrena e quella risorta. Per essi la sco­ perta del sepolcro aperto e vuoto offrì un segno secondario, in negativo, di tale continuità. Se dopo le apparizioni avessero trovato il cadavere di Gesù in decomposizione, certamente avrebbero messo in questione la continuità già accettata fra il Gesù terreno e il Cristo risorto. Chi accetta la risurrezione di Gesù perché crede ai testimoni originali, non dispone, per definizione, del segno delle apparizioni. Ma dispone del sepolcro vuoto di Gerusalemme come segno di continuità fra il Gesù terreno e il Cristo risorto. 51

E. Castellucci parla di una sorta di mappa della progressiva «ritirata» da parte dell'apologetica da un secolo a questa parte: di fronte ai primi risultati del metodo storico-critico gli apologeti difendevano in blocco la storicità dei vangeli; poi si sono concentrati sui miracoli, il concepimento verginale e la risurrezione con le due «prove>> del sepolcro vuoto e delle apparizioni; poi sulla sola risurre­ zione con le due ; infine solamente sulle apparizioni. Si potrebbe dire che negli ultimi anni è di fatto attorno alle apparizioni che si decide l'interpretazione della fede pasquale.52

1.1.5. Il Vangelo di Pietro A conferma del carattere redazionale dei vangeli pasquali viene invocato il Vangelo apocrifo di Pietro.53 Il principale sostenitore di questa tesi è J.D. Crossan che in una sua monografia ritiene di essere riuscito a identificare nel suddetto vangelo sezioni più anti­ che che attesterebbero un carattere indipendente rispetto al resto ripreso chiaramente dai vangeli canonici. Tali parti risalirebbero a un testo originario perduto (da lui chiamato The Cross Gospel) da­ tabile tra gli anni 40-100 d.C., che sarebbe la fonte dei racconti della passione e della risurrezione dei quattro vangeli.54 Una tesi simile, con una sottolineatura di una maggiore dipendenza del testo del vangelo apocrifo dai vangeli canonici, fermo restando il carattere

51 lvi, 208, nota 3. 52 E. CASTELLUCCI,

Davvero il Signore è Risorto, Assisi 2006, 340. L'ermeneu­ tica teologica, alla luce dei risultati dell'ermeneutica filosofica e della filosofia della scienza, è consapevole del carattere inevitabile ma anche dell'utilità delle precom· prensioni nella lettura e riflessione sui testi rivelati. Anche la discussione sulla rive­ lazione risente delle precomprensioni a volte inconsapevoli che hanno effetti sulla sua interpretazione (cf. ivi, 203). 5J Cf. WRIGHT, Risurrezione, 681-682. 54 Cf. ivi, 686.

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indipendente e meno elaborato della sua forma originaria, è soste­ nuta da H. Koester.55 Bauckham ha sostenuto la tesi che il Vangelo di Pietro attinga in particolare a Marco e al materiale che aveva a disposizione di Matteo, attraverso una «tradizione orale indipen­ dente dell'uso (diverso) che Matteo fa dello stesso materiale».56 Una tale varietà di opinioni dimostra la difficoltà di stabilire con­ clusioni oggettive sulla dipendenza o meno dal materiale sinottico. I frammenti del cosiddetto Vangelo di Pietro sono stati scoperti in una tomba monastica ad Akhmim nell'Alto Egitto nel 1886, in­ sieme a frammenti del Libro di Enoc in greco e di un'Apocalisse. Altri due frammenti provengono dai papiri di Ossirinco, scoperti nel 1972. Il libro, citato da Origene, Eusebio e Teodoreto, è datato alla fine del II sec., a motivo di una menzione di Serapione in Euse­ bio quando questi parla del Vangelo di Pietro. È conosciuto già da Giustino Martire e da Melitone di Sardi, elemento che suggerisce una datazione non più tarda della metà del II sec. La maggior parte degli studiosi (tra cui Zahn e Swete) ritiene che sia una rielabora­ zione posteriore dei vangeli canonici.57 Lo si può evincere da un semplice confronto con il testo della «croce parlante>>: Di buon mattino, quando il sabato cominciava ad albeggiare, una folla da Gerusalemme e dintorni andò a vedere il sepolcro sigillato. Ma nella notte in cui cominciava a illuminarsi il giorno del Signore, mentre i soldati facevano la guardia a due a due, risuonò nel cielo un forte grido. Quelli videro i cieli aperti e due uomini scendere di là con grande splendore e ac­ costarsi al sepolcro. La pietra, che era stata gettata all'ingresso, si rotolò da sola e si mise da parte. Il sepolcro così si aprì e i due giovani entrarono. A tal vista i soldati svegliarono il centurione e gli anziani. Anche questi erano là per la custodia. Mentre spiegavano ciò che avevano visto, ecco che vedono nuovamente uscire dalla tomba tre uomini: due sorreggevano il terzo, mentre una croce li seguiva. La testa dei primi due raggiungeva il cielo, mentre quella di colui che era condotto per mano da loro superava i cieli. Quindi udirono una voce dall'alto che diceva: . Poi si sentiva la risposta proveniente dalla croce: . 58

Il carattere secondario rispetto ai vangeli è provato in primo luogo dal fatto che nei vangeli non ci sia nulla di simile ai due enor­ mi angeli che escono dalla tomba sostenendo un Gesù ancora più 55 56

51 58

50

Cf. ib. lvi, nota 1 1 . Per u n approfondimento cf. ivi, 687, nota lvi, 687.

13.

grande, con al seguito una croce parlante. Risulta assai fantasiosa l'ipotesi di una esclusione dai vangeli canonici della folla di soldati e capi ebraici che sarebbero stati testimoni della risurrezione e che invece troviamo teatralrnente indicati nel Vangelo di Pietro. C'è anche un errore storico: si indica Erode e non Pilato (che viene discolpato) come l'autore della condanna a morte di Gesù. Inoltre troviamo l'espressione «nel giorno del Signore» che è usata nel NT solo in Ap 1,10.59 Prive di paralleli nei vangeli sono la menzione di tre uomini che escono dalla tomba, di cui due scesi dal cielo che portano un terzo, a modo di rianirnazione o salvezza di un quasi morto, come pure la croce parlante che secondo Crossan sarebbe una lettura teologica dell'annuncio portato da Gesù «a coloro che dormono» di lPt 3,19 in una processione cruciforme, motivo del tutto assente nell'iconografia successiva della risurrezione.60 Nel Vangelo di Pietro, quando si racconta di Maria Maddalena e delle sue arniche che si recano alla tomba per piangere e portare gli aromi, le donne ascoltano dal giovane «seduto in mezzo alla tomba, bello e coperto di veste splendidissirna» le parole: «Perché siete venute? Chi cercate? Forse, quegli che è stato crocifisso? È risorto e se ne è andato. Se non siete convinte, curvatevi e osservate il posto dove giaceva. Non c'è più. È risorto ed è andato là, donde era stato inviato»,61 indicanti un Gesù non solo risorto, ma anche asceso. Altra differenza rispetto ai vangeli canonici è il fatto che il racconto dell'incontro con l'angelo sia preceduto da una messa in guardia contro gli ebrei, di cui si dice che siano adirati.62 Anche questa posizione chiaramente antigiudaica del Vangelo di Pietro si giustifica meglio con una datazione più tardiva dei vangeli.63 59

Cf. ivi, 688. Cf. ivi, 687-688. 61 lvi, 689. 62 Cf. ib. 63 Anche i miti della morte e della rinascita di varie divinità: Adone, Attis, Iside, Osiride, Dioniso, Demetra e Persefone, ecc. sono tutti da collocare cronologi­ camente a partire non prima della metà del II secolo d.C. > (cf. Mt 9,25; 21,46). «Il gesto delle donne sembra corri­ spondere ad un abbraccio intenso dopo una separazione dolorosa e sofferta. Hanno cercato Gesù crocifisso (28,5), sono venute alla sua tomba per essergli vicino. Adesso hanno trovato Gesù vivo. In maniera umile e reverenziale, stringendo i suoi piedi, manifestano la loro gioia di riaverlo e la loro speranza di non perderlo più>>.93 In Luca Gesù mangia del pesce arrostito e invita i suoi a toccarlo per constatare la sua reale presenza, ma si aggiunge che compariva a suo piacimento, non venne riconosciuto e alla fine ascese al cielo. Anche Giovanni presenta Gesù che invita Tommaso a toccarlo, che entra due volte a porte chiuse, che parla del suo «salire al Pa­ dre», che viene riconosciuto, pur tra incertezze, nell'atto di servire il cibo. Incontra i suoi sulla montagna e affida loro la missione di evangelizzare, anche se «alcuni dubitavano».94 È da escludere l'ipotesi che i vangeli siano stati scritti per contrastare il docetismo e che i Vangeli di Luca e Giovanni abbiano come oggetto la di­ mostrazione della corporeità del Risorto. Secondo alcuni la prima comunità cristiana sarebbe passata da una fase ellenistica (con discredito dell'esistenza «corporea» dopo la morte a favore di una «non corporea») a una prospettiva più ebraica e quindi alla con­ cezione della risurrezione «più corporea». Ma Flavio Giuseppe ha una concezione «più spiritualizzata» del corpo tipica dell'ellenismo

93 P.K. STOCK, I racconti pasquali dei vangeli sinottici, Roma 1998, 53. Cf. WRIGHT, Risurrezione, 699-700.

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e non dell'ebraismo.95 È pertanto più facile che questo processo di «spiritualizzazione» sia avvenuto anche nel cristianesimo delle origini, ma non il contrario. È inimmaginabile che Luca abbia composto dei racconti antidoceti, con un Risorto più «corporeo» per poi passare a un Gesù che compare e scompare, viene e non viene riconosciuto, e che alla fine ascende al cielo. Lo stesso vale anche per Giovanni. In Paolo, anche se - come nei vangeli - ab­ biamo un'immagine di un Risorto «corporeo)) e nello stesso tempo diverso, il concetto di trasformazione sottolinea l'incorruttibilità del corpo del Risorto, motivo assente nei vangeli. Questo dimostra che Paolo si pone in una fase successiva teologicamente rispetto al materiale dei racconti pasquali, anche se questi ultimi dal punto di vista redazionale sono di fatto cronologicamente successivi.

c) La presenza delle donne Una delle differenze principali tra i vangeli e la testimonianza di Paolo in 1Cor 15,3-8 rispetto a quanto viene detto nel Vangelo di Pietro (unica somiglianza tra la Prima lettera ai Corinzi e l'apo­ crifo) è che iniziano con il racconto delle donne. È inimmaginabile che siano state inserite successivamente nella tradizione cristiana dopo Paolo, dal momento che non avrebbero potuto avere un gran­ de valore apologetico, tenendo presente quanto affermato dalle testimonianze rabbiniche di mSheb. 4,1; mRosh haSh. 1 ,8; bBab. Kam. 88a. Flavio Giuseppe sulla base di Dt 19,15 afferma: «Non si

95 R. Fabris fa notare come per parlare dell'essere umano nell'AT, come avvie­ ne nella letteratura del Vicino Oriente Antico, si adoperano termini ed espressioni che ineriscono a parti del corpo come testa, capigliatura, cranio, volto, petto, seno, ventre, ossa, sangue e per esprimere stati d'animo, reazioni e relazioni si ricorre alle membra e organi della comunicazione, quali mani, piedi, bocca, lingua, naso, occhi, orecchie. Quanto nel mondo greco è messo in rapporto con l'anima e le facoltà psi­ chiche (sentimenti, emozioni) nella sacra Scrittura è messo in rapporto con gli organi interni della persona: cuore, fegato, reni, viscere, lombi, ecc. (R. FABRIS, Corpo, anima e spirito nella Bibbia. Dalla creazione alla risurrezione, Assisi 2014, 9-10). In ebraico manca un corrispondente vocabolo del greco soma, che in greco era adoperato anche per «schiavo, prigioniero, bambini (al plurale), cadavere, [ . . . ] prova giudiziaria, [ . . .] esercito, coro, comunità cittadina, insieme cosmico>> (R. PENNA, Parola fede e vita. Stimoli dal Nuovo Testamento, Ro­ ma 2013, 18, nota 1). La LXX impiega soma per rendere 13 termini ebraici tra cui il più simile è basar, «carne>> (non in senso fisiologico o alimentare). Per il «corpo>> nel senso di «cadavere» si usa g'wiyyah, guflgufah, n•belah, peger (cf. ivi, 18). Possiede invece 5 termini per dire «anima», tra cui nefesh, che in quanto «Vita» si contrappone alla «morte», e ruah, che si contrappone alla «carne».

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accetti nessuna testimonianza dalle donne a causa della leggerezza e della temerità del loro sesso» (Ant. 4,219).96 A riprova si possono citare le battute beffarde di Celso nel suo dibattito con Origene. Questo sarebbe stato evitato se avessero inserito uomini affidabili come primi testimoni come Giuseppe d'Arimatea, «membro auto­ revole del Sinedrio>> (Mc 15,43; cf. Le 23,50: «membro del Sinedrio, buono e giusto»).97 «E molto, ma molto più facile presupporre che le donne ci fossero fin dal principio, così come, tre giorni prima, c'erano state alla fine».98

1.2. La testimonianza della risurrezione nel Vangelo di Marco In genere gli studiosi collocano i racconti della risurrezione in un ordine cronologico: prima Marco, breve e senza apparizioni del Ri­ sorto; poi Matteo, con alcune apparizioni; poi Luca/Atti degli apo­ stoli e Giovanni, più prolissi, con più particolari sul Gesù risorto.99 1.2.1. La conclusione breve e la conclusione lunga di Marco I testimoni del testo divergono sulla conclusione del Vangelo di Marco. I codici del IV secolo, il Sinaitico e il Vaticano, quattro manoscritti del VII, VIII e IX secolo e altri più tardivi terminano con 16,8, allo stesso modo fanno parecchi manoscritti più recenti e alcuni dei padri della Chiesa. I manoscritti del V secolo, come il co­ dice Alessandrino e altri, riportano invece la «conclusione lunga» (i vv. 9-20), insieme alla maggior parte dei manoscritti successivi. 100 Molti manoscritti che contengono la «conclusione lunga» pongono inoltre nel margine asterischi od obeli per indicare che lo consi­ derano di dubbia autenticità. Se il contenuto dei vv. 9-20 riflette alcuni aspetti marciani (come la mancanza di fede dei discepoli in 16,11.13.14 e i termini hamartan6, apologe6, alethinos, hypostreph6

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WRIGHT, Risurrezione, 703, nota 55. 97 Cf. ib. , nota 56. 98 lvi, 702-704. 99 Cf. ivi, 714. 100 Sono rispettivamente: A (V sec.), C (V sec.), D (V sec.), W (V sec.), 0112 (VI-VII sec.), 099 (VIII sec.), 044 (VIII-IX sec.), 037 (IX sec.), 038 (IX sec.), 041 (IX sec.), K (IX sec.), X (X sec.). Hanno la conclusione lunga anche Ireneo (130-202) e il Diatessaron (172). Giustino (100-162) nella sua Apologia menziona cinque parole che ricorrono in 16,20.

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e l'espressione ho aion houtos),101 per altri sembra dipendere dalle narrazioni di risurrezione degli altri vangeli. È il caso di 16,12-13, che ha il carattere di un riassunto dell'episodio della via di Emmaus (cf. 24,13-35). L'apparizione ai discepoli mentre stavano mangian­ do (cf. v. 14) sembra parallela a Le 24,36-43; l'invio in missione del v. 15 richiama Mt 28,18-20; il v. 19 sull'ascensione richiama Le 24,50 e At 1,9-11. La necessità del battesimo in vista della salvezza (cf. v. 16) e la lista dei segni compiuti dagli apostoli (cf. vv. 17-18) si possono definire una sintesi delle caratteristiche della vita comuni­ taria successiva. Di qui la tesi della maggioranza dei commentatori dell'esistenza di due conclusioni, la lunga e la corta. La conclusione lunga, che comincia dal v. 9, viene ritenuta un racconto indipen­ dente, poiché ha un inizio simile a quelli di Mc 16,1-2; Mt 28,1; Le. 24,1; Gv 20,1, e non una continuazione di Mc 16,1-8. Ci sono inoltre termini che compaiono una sola volta nel NT: deinos, horos, prosleg6.102 Molti esegeti ritengono perciò che Marco non abbia scritto i vv. 9-20, e che quindi 16,8 sia la vera conclusione.103 Tutta­ via l'assenza della conclusione lunga nei codici Sinaitico e Vaticano si potrebbe spiegare tecnicamente con il fatto che l'inizio e la fine di un rotolo sono sempre vulnerabili, come si evince dai rotoli del Mar Morto, spesso danneggiati ai due estremi. 104 Un criterio per scegliere tra la conclusione breve e quella lunga sono la promessa di Gesù in 14,28 e l'annuncio dell'angelo in 16,7, che dal punto di vista narrativo attendono il loro compimento, e so­ prattutto il contenuto delle predizioni di Gesù durante il suo viag­ gio verso Gerusalemme: «Il Figlio dell'Uomo dovrà soffrire molte cose, essere respinto e ucciso, e risorgere dopo tre giorni» (8,31; 9,31; 10,33-34). Tutte e tre gli annunci, infatti, terminano con «E dopo tre giorni risusciterà» e si collegano strettamente all'annun­ cio di Marco secondo cui Gesù è effettivamente il Messia d'Israele (cf. 8,29; 14,61-62). Il Vangelo è strutturato in cc. 1-8, che ruotano attorno al tema del riconoscimento della messianicità di Gesù, e cc. 9-15, che guardano alla pasqua di morte e risurrezione. Ciò dice che se anche la conclusione fosse in 16,8, non si può affermare che Marco non credesse nella risurrezione di Gesù dai morti.

101 Cf. B.M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, Stuttgart 1975, 124. 1 02 Cf. ivi, 125. 103 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 716. 1 04 Cf. ivi, 715-717.

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Marco, nel raccontare il momento culminante del cammino ter­ reno di Gesù, insiste sul fatto che le parole di Gesù circa il tempio e il tradimento di Pietro, poiché parole del profeta di Dio, si sono adempiute (cf. Mc 13,2 con 14,58s; 14,30 con 14,66-72, soprattut­ to con 14,65, dove le guardie «Si fanno beffe di Gesù come falso profeta, incapace di dire chi lo schiaffeggia, mentre all'esterno, nel cortile, si verifica la precedente profezia di Gesù su Pietro» ) .105 Le tre predizioni creano nel lettore l'attesa anche dell'adempi­ mento della sua risurrezione. Infatti alla prima parte del Vangelo che ha il suo culmine nella confessione di Pietro di 8,29, segue l'annuncio di Gesù delle sofferenze, della morte e della risurrezione (cf. 8,31-9,1) e subito dopo l'episodio della trasfigurazione con la voce dal cielo che dichiara di riflesso vera la confessione di Pietro (cf. 9,2-8). Il comando di Gesù che nulla dovrà essere raccontato finché il Figlio dell'uomo non fosse stato risuscitato dai morti (cf. 9,9) orienta il lettore non solo verso la scoperta della tomba vuota e la testimonianza di alcune donne spaventate, ma anche verso un evento che faccia seguito alla manifestazione di Gesù quale Messia sofferente e crocifisso, nella linea delle dichiarazioni di Caifa in 14,61 e del centurione in 15,39. Ora non è ammissibile che Marco, dopo aver insistito nel raccontare che Gesù avesse profetizzato la propria morte e le circostanze che l'accompagnavano, si fermi prima di raccontare il compimento dell'annuncio della sua risurrezione. La verifica di tale deduzione è nello sviluppo della trama narrativa successiva al rimprovero rivolto a Pietro in 8,33: l'invito a seguire Gesù e a confessarlo coraggiosamente di fronte al mondo, senza vergognarsene (cf. 8,34-38) lasciano prefigurare gli eventi della sua 12 assione (cf. 14,66-72), quando Pietro farà esattamente il contrario. E improbabile che il Vangelo termini con la fuga delle donne dal sepolcro senza raccontare nulla a nessuno «perché avevano paura». In Marco più volte ricorre il motivo del timore dei discepoli: dopo la tempesta (cf. 4,41); dopo la guarigione dell'indemoniato (cf. 5,15); spaventati all'idea di parlare con Gesù a proposito della sua predi­ zione di prossime sofferenze (cf. 9,32); turbati all'idea di andare con lui (cf. 10,32)_lll6 Il timore deve essere vinto dalla fede: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?>> (4,40); «Coraggio, sono io;

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lvi, 718, nota 16. Marco è l'evangelista che presenta il vocabolario più ricco di tutti gli altri a riguardo del sentimento di paura. Cf. B. STANDAERT, Marco. Vangelo di una notte e vangelo per la vita, Bologna 2012, 875. 106

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non abbiate paura!» (6,50). In Mc 4,40 il timore nasce dal riconosci­ mento del potere di Gesù sul mare, che preannuncia il c. 16.107 Que­ sto motivo del timore crea il contesto per lo spavento delle donne a causa dell'evento straordinario della tomba vuota. L'episodio più vicino a quello del fuggire terrorizzate dalla tomba si trova in 5,33, dove si racconta di una donna che, guarita dopo aver toccato Gesù in mezzo alla folla, cade ai piedi di lui «paurosa e tremante)>, e a cui Gesù dichiara: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male>) (5,34). L'episodio è collocato all'interno della vicenda della figlia di Giairo che, morta al momento del dialogo tra Gesù e la donna, viene richiamata in vita. Sia per la durata della ma­ lattia della donna che per l'età della bambina è utilizzato il numero 12. Al padre della fanciulla che è morta Gesù dice: «Non temere, soltanto continua ad aver fede!» (5,36). Marco, come racconta che Gesù non lascia la donna e Giairo nella paura, così è improbabile che faccia terminare il Vangelo con 16,8. I preannunci a partire dal c. 5 inducono a ritenere che Marco non volesse lasciare nel c. 16 le donne nella condizione di paura. È vero che Gesù comanda a Giairo di non divulgare il prodigio (cf. 5,43) ma ai discepoli, dopo la trasfigurazione, dice che l'impegno al silenzio sarebbe terminato dopo la sua risurrezione (cf. 9,9). Nella triplice predizione non si an­ nuncia che un altro risusciterà dai morti, ma che è egli stesso che sarà risuscitato (cf. 8,31; 9,9). La successione degli episodi dal c. 11 al c. 14 tende alla risurrezione. Lo dimostra l'azione di Gesù nel tempio e gli annunci circa la distruzione e la ricostruzione del tempio da interpretare come atti profetici a motivo dei loro effetti. Nella serie di dispute con gli avversari la domanda dei sadducei (cf. 12,18-27) svela, anticipando, il momento del riscatto di Gesù. Mentre si dirige verso il Getsemani Gesù annuncia ai suoi la loro dispersione dopo che, come il pastore di Zaccaria, egli stesso sarebbe stato percosso. E aggiunge: «Dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea» (14,28). Questa promessa è riproposta dall'angelo in 16,7 e implica l'idea di un incontro reale che avviene dopo 16,8, quando comanda di raccontare ciò che avevano visto nella trasfigurazione (cf. 9,9) e di evangelizzare tutti i popoli come già annunciato in 13,10; 14,9.108 C'è da dire che anche accettando la tesi della conclusione al v. 8, e quindi di «un racconto incompleto dell'esperienza pasquale delle donne»,

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tM

Cf. WRIGHT, Risurrezione, 719. Cf. ivi, 717-721.

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ciò «non esclude ma quasi presuppone che esse siano andate dai discepoli e che questi ultimi abbiano incontrato Gesù in Galilea)).109 1.2.2. Il giorno di Pasqua dal punto di vista di Marco Circa il modo in cui Marco racconta il primo giorno di Pasqua si possono fare alcune considerazioni. l) In primo luogo sulla prospettiva del racconto di Marco 16 che è quella della donne, come negli altri sinottici: è possibile pen­ sare che un redattore abbia potuto elaborare un racconto immagi­ nando dettagli sulla visita delle due o tre donne per ungere il corpo, come le preoccupazioni circa lo spostamento della pietra (secondo Mc 15,46 Giuseppe di Arimatea sembra l'abbia fatto da solo), lo spavento nel vedere il giovane nella tomba, la fuga silenziosa. 110 2) Si aggiunge il carattere inaspettato dell'evento. Sia le donne che gli apostoli si mostrano impreparati di fronte all'evento della risurrezione, dato comprensibile se si tiene conto che secondo la speranza ebraica la risurrezione doveva riguardare tutti i giusti allo stesso tempo. Questo «non concorda con l'idea di una storia narra­ ta come accurata spiegazione di una credenza che aveva comincia­ to a essere adottata in alcuni ambienti della chiesa)).111 3) La scoperta della tomba è presentata come enigma da risol­ vere. La prospettiva non è di chi a partire dalla fede nella risurre­ zione rilegge gli eventi pasquali. Le donne appaiono sorprese nel constatare la tomba vuota e ancor di più nell'ascoltare la spiega­ zione del giovane circa l'assenza del corpo con la risurrezione. È l'annuncio del giovane che spiega la tomba vuota e non il contrario. La credibilità sarebbe stata di maggior spessore con la menzione di uomini notabili rispetto alla debole testimonianza di donne in preda alla paura e, secondo il giudizio di Celso, > sia uscito dalla visione per presentarsi nella realtà della tomba. Sorprende anche la mancata attribuzione a Gesù di titoli come «Figlio di Dio» e «Messia» che aveva ricevuto al battesimo, a Cesarea di Filippo, alla trasfigurazione, nel processo e sulla croce. Le parole del gio­ vane si collegano a questi fatti precedenti, dimostrandole vere.113 5) Il racconto di Marco implica che i discepoli saranno riabilitati (cf. 16,7). La menzione particolare di Pietro richiama l'episodio del rinnegamento di 14,66-72, e non ha la funzione di indicare la sua preminenza rispetto agli altri apostoli. Si collega specificatamente all'annuncio del rinnegamento di 14,26-31 . Sia nell'annuncio del rinnegamento che nell'annuncio del giovane si dice che Gesù li avrebbe preceduti in Galilea. In 16,7 l'angelo aggiunge che «là lo vedrete», ma in nessuna predizione di Marco si accenna al «veder­ lo». Si deve pensare che sia implicito in 14,28 e negli altri brani. Anche dando per scontata la conclusione breve di 16,8, e che quin­ di Marco non racconti che i discepoli vedano Gesù, abbiamo ugual­ mente la promessa che questo avverrà. Nella conclusione breve compaiono i motivi della tomba vuota e del vedere Gesù che sono alla base della testimonianza cristiana sulla risurrezione di Gesù.114 6) La grammatica narrativa di 16,1-8 dice che non si tratta di un brano indipendente della tradizione. Apparentemente sembra indipendente perché i nomi delle donne di 15,47 sono ripetuti in 16,1, eccetto il fatto che Maria Maddalena è accompagnata da una Maria, il venerdì sera, e da un'altra Maria e Salame, la domenica mattina. La presenza delle donne come soggetti principali non è un motivo usuale nelle narrazioni. Esse vanno al sepolcro per «ungere il corpo», poi si rendono conto del problema di far ro­ tolare la pietra (I' «antagonista» nel linguaggio narrativo), ma se ne presenta un altro: il corpo non c'è più. L'intenzione originaria («ungere il corpo») diviene un «problema», un «antagonista» nella narrazione implicita più ampia. Infatti il corpo di Gesù era stato ll3

Cf. ivi, 727-728. u• Cf. ivi, 728.

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già unto per la sepoltura (cf. 14,8) e non c'era bisogno di ripetere l'unzione. In Mc 16,1-8 le donne sono «aiutanti» in una storia più vasta di cui soggetto, a un certo livello, è il Dio d'Israele e, a un altro, è Gesù. Le donne sono implicitamente ritenute presenti nel racconto come «aiutanti» dei discepoli nella scoperta della risur­ rezione di Gesù e nel porgere l'annuncio del vederlo in Galilea. È sottinteso quindi che le donne debbano riferire il messaggio pasquale ai discepoli.115 2. D Vangelo di Matteo

La testimonianza matteana sulla risurrezione (cf. c. 28) si articola in tre momenti principali: - il racconto della risurrezione di Gesù (cf. vv. 1-10); - il rapporto delle guardie (cf. vv. 1 1-15); - il grande mandato (cf. vv . 16-20).

2.1. Gli eventi escatologici al momento della morte di Gesù: la terra si spacca e dei corpi dei morti risorgono Matteo racconta due storie che gli sono proprie: i terremoti al momento della morte e al momento della visita delle donne al sepolcro: 51Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, 5l:i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti [lett.: che dormivano], risuscitarono. 53Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti (Mt 27,51-53). 1Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 311 suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve (Mt 28,2-3).

In 28,4 inserisce l'affermazione-testimonianza che le guardie, poste davanti alla tomba (cf. Mt 27 ,66), al momento del terremoto e del rotolare della pietra furono «sismisizzate»: m

72

Cf. ivi, 728-729.

62Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i Farisei, 63dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore, mentre era vivo, disse: "Dopo tre giorni risorgerò". 640rdina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, Io rubino e poi dicano al popolo: "È risorto dai morti". Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!>>. 65J>ilato disse loro: . 66Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie {Mt 27,62-66). 4Per Io spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte (Mt 28,4).

Il racconto della scoperta della tomba vuota è molto simile a quello di Marco, anche se con alcune differenze significative. La sua narrazione si conclude con l'invio in missione su una montagna in Galilea. La menzione dell'uscita di molti corpi di santi dal sepolcro al momento della morte di Gesù, con l'aggiunta: «E, usciti dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, entrarono nella città santa e apparvero a molti», richiama la promessa di YHWH in esilio di Ez 37,12-13: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d'Israele», una formula­ zione che nella UCX:116 è simile a quella di Mt 27,52-53, eccetto il motivo del ritorno dall'esilio. Questo significa che il brano di Eze­ chiele è compreso da Matteo e dalla prima comunità cristiana come predizione di ciò che in Ezechiele era considerato come metafora. Altri testi richiamati in Mt 27,52-53 sono: ls 26,19, sempre nella versione dei LXX, che predice che i morti risorgeranno, «l miei ca­ daveri risorgeranno!»; e Dn 12,2 dove si legge: «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno». «Sebbene Matteo usi per "dormire" dei termini diversi da quelli della LXX o di Teodozione, la sua descrizione di "molti corpi di santi che dor­ mivano" è probabilmente un'allusione deliberata a quel passo che, dopo tutto, egli potrebbe aver meglio conosciuto in ebraico>>.117 116 Per l'uso del motivo della risurrezione nel testo ebraico masoretico e nella versione greca dei LXX cf. H. C.C. CAVALLIN, Life After Death. Paul's Argument for the Resurrection of the Dead in l Co r. 15, l: An Enquiry into the Jewish Backround, Lund 1974. 1 17 WRIGHT, Risurrezione, 732-733.

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Ci si chiede perché mai Matteo abbia inserito il dato del ter­ remoto e del «risveglio» dei dormienti al momento della morte di Gesù. Matteo, infatti, è l'unico a collegare questi testi dell'AT con la morte di Gesù. Paolo (cf. 1Cor 15,23) parla solo della risurrezio­ ne di «quelli che sono di Cristo» alla parousia.118 Matteo non Io ha fatto certo per far passare in secondo piano la risurrezione di Gesù, anche perché il c. 28 presenta caratteristiche che distinguono il Gesù risorto dai dormienti risvegliati del c. 27. I «risvegli» di Gesù e di «quelli che dormivano» hanno in comune il dato dell'apertura di una tomba, con la differenza che l'arrivo dell'angelo e lo spo­ stamento della pietra sembrano la causa del secondo terremoto anziché, come in 27,51-52, la sua conseguenza. Qualche esegeta interpreta i due terremoti come un unico terremoto, che Matteo racconta come episodi distinti. Si potrebbe pensare che in Mt 27 si tratti di una lettura ermeneutica alla luce delle predizioni antico­ testamentarie già viste, che mettono in relazione la morte di Gesù con le attese apocalittiche e indirettamente con la sua risurrezione. «Gli eventi descritti da Matteo in 27,51-53 non soltanto non hanno paralleli in altre fonti dei primi cristiani, ma sono pure senza pre­ cedenti nelle attese del Secondo Tempio».119 2.2. l sacerdoti, le guardie e la corruzione

Il motivo delle guardie è significativo per la qualità della testi­ monianza che si tramandava nella Chiesa delle origini e le caratte­ ristiche del racconto.U0 Risulta strano il fatto che ci sia collabora­ zione tra i farisei e i capi dei sacerdoti, e che questa avvenga di sa-; bato. La riunione nel giorno sacro del riposo si spiega per motivi di «emergenza».121 Aspetto notevole è anche la qualifica data a Gesù in 27,63 di «quel seduttore» (ekeinos ho planos) , espressione che si 118

Cf. ivi, 735.

11 9 lvi, 735-736. 120 Cf. ivi, 736. 121 « l sommi sacerdoti

convocano immediatamente una riunione con gli an­ ziani. La formulazione ricorda 26,3.57, solo che qui anziché i farisei (27,62) sono presenti gli anziani. Adesso essi sanno che la tomba è vuota e non sembrano nep· pure dubitare che ciò che le guardie hanno riportato corrisponda ai fatti [ .. . ]. I capi giudei non si dimostrano avari nel corrompere i soldati. La loro strategia malvagia si è sempre servita dello strumento del denaro: i lettori lo sanno bene dalla storia di Giuda (26,15). Ma ciò che i capi giudei pretendono dalle guardie per il loro denaro significa un dietrofront addirittura disperato: i soldati devono ora comunicare come fatto realmente accaduto quello che i capi giudei avevano detto di temere essi stessi (27,64) e avevano cercato di evitare con l'ausilio di un corpo di guardia [. . .] testi-

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allinea con l'accusa degli ebrei contro Gesù e che riprende le messe in guardia bibliche contro falsi profeti e maestri che ingannano il popolo. Si potrebbe leggere come espressione di un'imputazione «costruita» dalla prima comunità cristiana messa sulla bocca dei capi ebraici, ma questo è poco probabile se la si legge all'interno dello sviluppo narrativo dei cc. 27-28.122 Il racconto relativo alle guardie compare al termine del c. 27 e all'inizio del c. 28, con l'epilogo tra l'apparizione di Gesù alle donne a Gerusalemme e quella agli «Undici» in Galilea in Mt 28,11-15. Se si mettono assieme il motivo del posizionamento a guardia nell'eventualità che i discepoli volessero rubare il corpo e quello dell'apertura della tomba, nonostante la guardia dei soldati, risulta «molto improbabile che questo racconto sia stato inventato dal nulla nell'ambito della comunità cristiana».123 È scontato che se nessuno avesse avanzato l'ipotesi del trafugamento del corpo da parte dei discepoli, difficilmente i cristiani si sarebbero inventati il motivo delle guardie rischiando di screditare il proprio messaggio presso la gente con l'invenzione di racconti dove si tirava in ballo l'idea che l'avessero fatto. Solo se fosse stata già nota un'accusa del genere o che qualcuno l'avesse già pensata, si comprende la necessità di una spiegazione. Se il racconto della tomba vuota fosse una leggenda tardiva «è improbabile che la gente avrebbe diffuso delle storie sul furto di un cadavere e che i cristiani avreb­ bero fatto uso della tattica pericolosa di raccontare tali dicerie per poi confutarle».124 Inoltre il racconto presuppone che per i capi, i farisei, ecc., la predizione della sua risurrezione «dopo tre giorni» riguardasse qualcosa che sarebbe successo al suo corpo. Se vi fos­ se stata semplicemente l'idea di una risurrezione come semplice ascesa dell'anima in cielo, mentre il corpo sarebbe rimasto nella tomba, non ci sarebbe stato bisogno di guardie, pietre e invenzioni di controstorie e cose simili. Il racconto dei fatti da parte dei primi cristiani lascia intendere che questi erano a conoscenza dell'accusa del furto del corpo e che erano costretti a raccontare la genesi dei fatti, a prezzo del rischio di sollevare nell'opinione comune il dub­ bio del furto del cadavere.

moni che dormono non possono essere molto attendibili>> (U. Luz, Matteo, Brescia 2014, IV, 480-481). 122 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 737. 123 Ib. 124 lvi, 738.

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Giustino Martire (Dial. 108) racconta che quella storia era ancora ripetu­ ta da apologisti ebraici anticristiani alla metà del II secolo.125 Se ci fossero state delle correnti cristiane che non ne sapevano nulla - in altre parole, se Bultmann avesse avuto ragione nel dire che la stessa tom­ ba vuota è una tardiva invenzione apologetica -, sarebbe semplicemente incredibile che potesse sorgere la storia sul furto del corpo e la controsto­ ria destinata a spiegare perché quelle accuse erano false [ . . . ]. Tutto ciò dovrebbe essere accaduto al massimo nello spazio di sessant'anni, se si fissa la data di Matteo intorno al 90, che è la più tardiva possibile secondo la maggior parte degli studiosi; ancora meno, se la datazione è anteriore, come appunto potrebbe essere.126

Ci sono due elementi ancora da considerare circa l'episodio delle guardie. In primo luogo il fatto che in Matteo i sacerdoti siano in qualche modo venuti a conoscenza delle predizioni della risurrezione di Gesù dopo tre giorni. E questo lo si può dedurre o per la predizione fatta ai discepoli (cf. 16,21; 17,23; 20,19) e svelata da Giuda ai sacerdoti, oppure, meglio, dalle parole di Gesù a com­ mento della meraviglia dei discepoli per la bellezza del tempio, parole fraintese e lette in relazione con la distruzione del tempio e la sua ricostruzione in tre giorni (cf. 26,61). Le parole dei sacerdoti circa i motivi della sorveglianza della tomba e quelle insinuate ai soldati sono contraddittorie e nello stesso tempo ripetizioni: mepote elthontes hoi mathetai autou klepsosin auton (27,64); hoti hoi mathetai autou nyktos elthontes eklepsan auton (28,13).1 27

In secondo luogo «non esiste alcuna particolare necessità di un racconto apologetico tardivo per attribuire quell'informazione ai sacerdoti; tutte le parti interessate avrebbero presupposto che co­ munque, dopo quel periodo di tempo, il corpo avrebbe cominciato a putrefarsi)).128 Come pure non vi è necessità dell'invenzione delle conseguenze per le guardie in caso di mancata osservanza delle consegne ricevute.129 La menzione della pietra e dei sigilli da parte 1 25

lvi, nota 19. lvi, 739. 1 27 Cf. STOCK, I racconti pasquali dei vangeli sinottici, 60. 128 WRIGHT, Risurrezione, 740; cf. Gv 11,39 e mYeb. 16,3; Semahot 8,1. 129 «lf the disciples did not protect Jesus while he was alive, surely they would not have risked their lives to rob bis tomb after his death (grave robbing was not only impous - e.g. Plut. Mor. 173B - but a capitai offense [. . . ]); nor could they have 1 26

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di Matteo ricorda Dn 6,17 (LXX 6,18), dove si legge del re Dario che fa mettere una pietra sull'apertura della fossa dei leoni, in cui era stato gettato Daniele, sigillata con il proprio sigillo e quello dei suoi cortigiani. Come il re Dario al mattino, recatosi alla tomba, nota che Daniele era sano e salvo, così viene detto di Gesù posto nella tomba e salvato da Dio.130

2.3. Tomba, angeli, prima apparizione (cf 28,1-10) Il racconto della prima Pasqua, come ci viene proposto da Mat­ teo, porta i segni dell'originalità. La particella idou («ecco»), che rende il senso della presenza effettiva e dell'evento della risurrezione e delle apparizioni del Risorto, compare nella narrazione non meno di sei volte, quattro delle quali si trovano in questa prima sezione (vv. 2, 7 [2 volte] e 9; le due rimanenti ai vv. 11 e 20). «In Matteo idou compare 62 volte, contro 8 in Marco. In Luca, che è un po' più lungo di Matteo, ma ugualmente affezionato al linguaggio biblico, compare 56 volte, nessuna delle quali corrisponde a quelle di Matteo 28».131 Il racconto si apre con un'indicazione temporale più ampia rispetto agli altri sinottici. Viene detto che le donne vanno, non per portare degli aromi, ma semplicemente «a vedere il sepolcro» (28,1). Un gesto che corrisponde a quanto raccomandato per es. da Semahot 8,1, ossia andare a ispezionare la tomba dopo tre giorni per vedere se il corpo è davvero morto.132 Le donne non entrano nel sepolcro, come in Marco; forse a motivo delle norme di purità secondo le quali entrare in un sepol­ cro in cui si trovava un cadavere le avrebbe rese impure. Nm 19,14 dichiara che una persona o un utensile può contrarre un'impurità di sette giorni per il fatto di trovarsi sotto lo stesso tetto (o «tenda}}; ohaloth significa infatti «tende}}) con un cadavere.133 Sorprende che

rolled away the massive stone without waking the guards. Penalties for falling asleep on guard duty could be severe, and guard who claimed to have slept through the stealing of the body, yet suffered no harm, would sound very suspicious. (Thus, for example, a soldier assigned to guard corpses hanging on crosses to prevent burial found the body stolen, and preferred suicide to court martial and execution - Petron. Sat. 112). Under norma! circumstances, people might suppose that they and those who failed to punish them had collaborated in the disappearance of the body, but in this situation those who failed to punish them had too much to lose for anyone tu suppose that>> (KEENER, A Commentary on the Gospel of Matthew, 713-714). 130 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 740. 131 lvi, nota 25. 132 Cf. ivi, 741. 133 Cf. ivi, nota 27, che rimanda al trattato della Mishnah Oholot.

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le donne ricevano per «due volte l'incarico di annunciare ai disce­ poli la loro esperienza pasquale»:134 in 28,7, da parte dell'angelo, e in 28,10, da parte di Gesù. Matteo racconta che le donne non vedono semplicemente «Un giovane)), come in Marco, né «due uomini in vesti risplendenth), come in Luca, ma un vero e proprio angelo, con aspetto simile alla folgore e la veste bianca come la neve. Il discorso angelico è paral­ lelo a quelli di Marco e di Luca, ma più ampio. Matteo racconta che le donne vanno a riferire ai discepoli, omettendo la notizia di Marco del loro tacere il fatto della risurrezione e quella di Luca delle parole delle donne che sembrarono agli apostoli un vaneggia­ re. Matteo omette anche di dire che esse realmente eseguirono il compito ricevuto. Particolari riferiti invece unicamente da Matteo sono che, incontrando Gesù, le donne lo adorarono (cf. v. 9, un altro termine proprio di Matteo )135 e che, malgrado sia l'angelo a incaricare le donne di dire ai discepoli che essi avrebbero visto Gesù in Galilea, subito dopo, Maria Maddalena e l'altra Maria, incontrando personalmente Gesù, lo adorarono e Gesù confermò loro il mandato di avvisare i discepoli che era risorto e che li prece­ deva in Galilea dove lo avrebbero visto. Anche Giovanni scrive che Maria Maddalena lo vide e poi lo riconobbe, là, subito, sul posto, a Gerusalemme. Sebbene conciso, il racconto di Matteo rimane in quasi tutti i particolari indipendente. Risulta interessante anche il fatto che in Matteo 28 «nell'apparizione dell'angelo predominino spavento e paura: la terra trema, le guardie, anche (due volte lo stesso termine greco, seisthenai) esse, cadono tramortite e alle don­ ne l'angelo deve dire con fare tranquillizzante: "Non abbiate paura, voi!". Eppure, nel v. 8, si continua a parlare del timore delle donne, e proprio al primo posto)).l36 Per quanto riguarda le allusioni all'AT sono presenti fino al c. 27. Nel c. 28 se ne potrebbero scorgere due nella descrizione dell'angelo: Dn 7,9, il vegliardo con vesti bianche come la neve, e Dn 10,6, l'angelo con la faccia splendente come la folgore.137

134 K. BERGER, Gesù, Brescia 22007, 618. 1 35 Il verbo riferito a Gesù in Matteo compare in 2,2.8.11; 8,2; 9,18; 14,33; 15,25; 20,20; 28,17. In Marco, lo troviamo due volte (5,6 e 15,19 usato per il farsi beffe dei soldati), mentre in Luca una volta sola (24,52). Cf. WRIGHT, Risurre­ zione, 741, nota 29. 136 BERGER, Gesù, 624. 137 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 741, nota 30.

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Ci si può chiedere: perché parla come Marco di due Marie al sepolcro e di un messaggero celeste che spiega il motivo della tom­ ba vuota e dà istruzioni alle donne, dopo di che esse se ne vanno in fretta, spaventate, anziché menzionare un testimone maschio come ad esempio avviene in Luca? In Mt 28,1-10 abbiamo una storia coerente con lo stile di Matteo. Una storia tanto inverosimile e improbabile che suscita stupore per il suo essere raccontata come antica e climax del Vangelo. È evidente che a differenza del resto del Vangelo non si è sentito libero di inserire propri interventi re­ dazionali, perché era la storia che tutti conoscevano e non avrebbe potuto inventarne una nuova.138

2. 4. Sul monte in Galilea (cf 28,16-20) Nel racconto della risurrezione troviamo i temi tipici di Matteo: il discepolato, la rivelazione in Galilea, la montagna, l'adorazione, l'insegnamento, la «fine dell'età presente» e la promessa «sarò con voi» da collegare con l'identità di Gesù come Emanuele (cf. 1 ,23). È stato proposto di leggervi il momento dell'apparizione ai «cinquecento in una volta» di 1Cor 15,6, ma in 28,16 si parla solo de «gli Undici». Il focus è sulla rivelazione di Gesù di se stesso come colui al quale è stato dato «ogni potere in cielo e in terra», corri­ spondente alla seconda petizione del Padre nostro nella versione di Matteo. Gesù è delineato come il Messia descritto nei salmi 2; 72; 89; e Daniele 7, che parla del «Figlio dell'uomo}}. Non la si può interpretare come una scena di «innalzamento» trasformata poi in scena di «risurrezione». L'invio in missione dei discepoli è l'effetto del suo possedere ogni potere in cielo e in terra, come inaugura­ zione del regno di Dio. Autorità messianica e inaugurazione del Regno si spiegano solo per il suo essere stato risuscitato dai morti. Alla risurrezione è legata la «natura illimitata e universale» del potere di Cristo e della missione affidata ai discepoli: pasa panta panta pasas

exousia ta ethne hosa eneteilamen hymin tas hemeras

ogni potere tutti i popoli ogni istruzione tutti i giomi139

1311

Cf. ivi, 740-742. Cf. STOCK, I racconti pasquali dei vangeli sinottici, 115. Alle quattro espressioni si legano i verbi con i tempi al passato, al presente e al futuro: edothe, matheteusate, eneteilamen, eimi. > (ivi, 88). 142 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 750-751. 143 Cf. ivi, 751-752.

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3.2. Il parallelismo tra Le 1-2 e Le 24

e la corporeità del Risorto in Luca Il carattere strutturato del c. 24 è proprio anche di tutto il Vangelo di Luca. Il racconto della risurrezione riprende i motivi del resto del Vangelo, particolarmente dei cc. l e 2, motivi che si illuminano a vicenda se messi in sinossi.144 Luca insiste in modo particolare sulla corporeità di Gesù risor­ to e la descrive in modo così dettagliato, che alcuni hanno creduto di poter mettere in contrapposizione Luca con Paolo: la tomba vuota (cf. vv. 1-8); i panni funebri (cf. v. 12); lo scomparire dello straniero lasciando sulla tavola il pane spezzato (cf. vv. 30-31.35); il presentarsi vivo «con molte prove» (cf. At 1,3), l'apparizione nel cenacolo con il rimprovero per i dubbi che si trattasse di un fantasma o un'allucinazione (cf. 24,37-39), tutte idee del mondo culturale ebraico.145 Lo stesso vale per l'affermazione della delusio­ ne delle speranze ebraiche suscitate in loro dalla persona di Gesù: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Le 24,21), con il sostantivo lytron nel senso di «mezzo di libera­ zione, prezzo del riscatto» in senso politico.146 Degne di nota sono l'espressione eiserchesthai eis ten doxan, «entrare nella gloria», che compare solo qui,147 come pure la confessione degli altri discepoli che dicevano ophthe Simoni, «è apparso a Simone>>, che ricorda ophthe kepha di lCor 15,5.148 In Le 24,36-43 tutto il racconto è l'evi­ denza della corporeità del Risorto che può essere toccato e mangia con gli Undici. Mostra le mani e i piedi, senza fare riferimento alle ferite di cui parla Gv 20,20.25.27, che sono le stesse mani e i piedi del Gesù pre-pasquale, a dimostrazione del fatto che non si tratta di un pneuma, di uno «spirito>> o di un «fantasma>>. L'espressione «carne e ossa>> non si può mettere in contrasto con «carne e san­ gue» di lCor 15,50. «Carne» non sta per il concetto paolina di sarx, ovvero ciò che è debole, ma per il concetto di corporeità fisica, co­ me è inteso da Tertulliano e altri. 1 49 Di nessuno dopo l'ascensione (cf. At l) si dice che abbia avuto esperienze simili a quella degli Undici nei «quaranta giorni» dopo la Pasqua.

144

1 45 146 147 148 149

82

Cf. ivi, 752-754. Cf. ivi, 759-762. Cf. STOCK, I racconti pasquali dei Cf. ivi, 125. Cf. ivi, 130. Cf. WRtGHT, Risurrezione, 761.

vangeli sinottici, 123.

4. D Vangelo di Giovanni

In Giovanni il primo episodio, quello del ritrovamento della tomba vuota (cf. 20,1-18), riprende il racconto dei sinottici, con la differenza che Maria Maddalena è la sola donna a essere menzio­ nata e a incontrare Gesù. Come in Le 24,12, Pietro corre al sepol­ cro all'udire la notizia, accompagnato dal discepolo prediletto; ma è il discepolo prediletto che giunge per primo al sepolcro. In Gv abbiamo molti più particolari dei sinottici. Per esempio, la descri­ zione dei panni funebri e il colloquio tra Gesù e Maria. 4.1. Particolarità

Caratteristica propria di Giovanni sono, come nel resto del Vangelo, i lunghi dialoghi e le descrizioni dettagliate. Siamo in­ formati più che nei sinottici su Maria Maddalena, su Tommaso o sul discepolo prediletto, soprattutto su Pietro. Alcuni vi vedono la prova dell'autentica conoscenza storica; altri il segno di un'a­ bile finzione romanzesca; altri un tentativo politico di favorire la posizione di guida di uno degli apostoli. È chiaro che Giovanni, basandosi su testimonianze oculari, cerca di presentare un ritratto coerente e credibile delle persone menzionate. Non abbiamo per­ sonaggi stereotipati che fanno domande e danno risposte scontate. Siamo in presenza di una storia che riflette un contesto culturale e religioso particolare e non «Un'allegoria di esperienze ecclesia­ stiche successive».150 Ad esempio in Gv 20,8 il discepolo che Gesù amava entra nella tomba vuota, vede ciò che Pietro aveva visto un momento prima (le fasce per terra, separate dal sudario) e crede. Il discepolo amato giunge a questa fede non soltanto sulla base del vuoto della tomba (che era stato spiegato da Maria al v. 2 come lo spostamento del corpo in un luogo sconosciuto), ma anche sulla ba­ se del fatto che fasce e sudario erano stati abbandonati, e soprattut­ to dalla posizione in cui si trovavano. La constatazione che le fasce fossero state abbandonate dimostrava che il corpo non poteva esse­ re stato asportato né da nemici, né da amici e nemmeno dal «giar­ diniere» (v. 15). Il modo in cui erano state lasciate, accuratamente descritto al v. 7, lascia intendere che esse non fossero state sciolte, «ma che il corpo fosse in qualche modo passato attraverso di esse, similmente a quanto avrebbe fatto più tardi comparendo e scampaISO

/vi, 768.

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rendo attraverso porte chiuse (v. 19)».151 Nell'episodio di Tommaso è in gioco il concetto di testimonianza dei discepoli, come del resto in tutto il quarto Vangelo. «Nell'apparizione a Tommaso il Signore non legittima se stesso, bensì convalida la testimonianza dei disce­ poli sulla loro esperienza pasquale secondo Gv 20,19-23. La sintesi dell'incontro con Tommaso è pertanto: si può davvero credere in base alla testimonianza dei testimoni oculari».152 Giovanni è consapevole della differenza tra risurrezione e ascensione. In Gv 20,17 alla Maddalena il Risorto dice: «Non trattenermi», nel senso che, sebbene afferrabile, Maria doveva piuttosto adempiere la sua missione. Non si tratta di un racconto finalizzato a suffragare che la sua morte era una vittoria e che egli era ormai in cielo e che i suoi seguaci facevano l'esperienza di una vita nuova. Il c. 20 non è un'aggiunta che minaccia di scompaginare la teologia degli al­ tri capitoli del Vangelo, bensì è il vero completamento della storia che Giovanni ha raccontato sin dal principio, la storia che è giunta al suo punto culminante nella crocifissione. Lo si può vedere esponendo i modi in cui il capitolo 20 costituisce una «struttura>> al termine del Vangelo, che corrisponde in parecchi modi al prologo (1,1-18) con cui inizia; lo si vede pure rintracciando i vari temi che, già importanti nel corpo del Vangelo, trovano il loro scopo conclusivo in questo capitolo. 153

4.2. Giovanni 20: nel contesto dell'intero Vangelo

In Gv 1,1 si parla della nuova creazione in Gesù. Al c. 20 si ri­ badisce lo stesso concetto affermando che la Pasqua era «il primo giorno della settimana» (20,1.19). Questo parallelismo attraversa l'intero Vangelo. Il sesto giorno, in Genesi l , è quello della creazio­ ne dell'umanità a immagine di Dio e il sesto giorno dell'ultima set­ timana della vita di Gesù Pilato dichiara: «Ecco l'uomo!» (Gv 19,5); il settimo giorno in Genesi 2 è il giorno del riposo del Creatore e in Giovanni è il giorno del riposare di Gesù nella tomba. La Pasqua è indicata come l'inizio della nuova creazione anche per la ripresa del motivo del Verbo come «la vita, e la vita era la luce degli uomini», splendente inestinguibile nelle loro tenebre (cf. 1,4-5), che trova il suo parallelo nel racconto di Maria che arriva al sepolcro quando è m lvi, 796. 152 BERGER, Gesù, 621. 153 WRIGHT, Risurrezione, 769.

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ancora buio e scopre la luce e la vita del Risorto che ha sconfitto le tenebre. Mentre al c. l si dice che la Parola «è venuta in casa sua, e i suoi non l'hanno ricevuta» ma a coloro che l'anno ricevuta è stato dato il diritto di diventare figli del Dio creatore, al c. 20 viene dichiarato al piccolo gruppo di coloro che «l'hanno ricevuto>> che il Dio creatore è il loro Padre e il loro Dio (cf. 20,17; prima Gesù aveva parlato «del Padre» o del «Padre mio»). Il c. 20 sulla base del prologo dice che la morte e la risurrezione di Gesù hanno prodotto la nuova nascita, accennata in 1,13 e in 2,1-13, che il Risorto realizza con il suo «alitare» il proprio Spirito in loro, come YHWH il suo ruah nelle narici di Adamo in Gen 2,7. Gesù è la Parola fatta carne (cf. 1,14), la Parola che era ed è con Dio e che in Gesù è per sempre carne, non carne trasformata in Parola e Spirito. Per cui in Giovanni il Gesù risorto, il Creatore e la nuova creazione si incontrano. L'affermazione di Tommaso «Mio Signore e mio Dio» richiama 1 ,18: nessuno ha mai visto l'unico vero Dio, ma «l'unigenito Dio» ha svelato e fatto conoscere quel Dio, mostrando al mondo chi egli è. Infatti gli angeli alle due estremità della pietra sepolcrale richia­ mano i cherubini alle due estremità del trono dell'arca: Dio si trova in mezzo ai due angeli. Il «dubbio di Tommaso» e l'affermazione «Mio Signore e mio Dio» (20,28) portano a credere che la «carne>> conosciuta dall'apostolo precedentemente, ora è conosciuta in mo­ do diverso. Essa è la «Parola» che era una cosa sola con il Padre. Per Giovanni assume un valore decisivo il racconto di Tommaso che contempla il Dio vivente in forma umana non soltanto con l'oc­ chio della fede ma anche con la normale vista umana e il normale atto umano del toccare. Questo confuta la tesi secondo cui i rac­ conti abbiano avuto origine o siano stati compresi come allegorie o metafore di esperienze spirituali. Nel Vangelo di Giovanni sono sette i «motivi» che collegano i racconti della risurrezione con i primi 19 capitoli.l54 Il primo è la serie di «segni» di cui Giovanni si serve per portare i suoi lettori alla fede in Gesù Messia, anche se in Gv 20,30 parla di «molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro» e che si sa­ rebbero potuti elencare. La risurrezione è uno dei «segni» di tali fatti: l) l'acqua in vino (cf. 2,1-11); 2) il figlio dell'ufficiale (cf. 4,46-54); 3) il paralitico di Betzatà (cf. 5 ,2-9); 4) la moltiplicazione dei pani (cf. 6,1-14); 154 Cf. ivi,

770-779.

85

5) l'uomo cieco dalla nascita (cf. 9,1-7); 6) la risurrezione di Lazzaro (cf. 1 1,1-44); 7) la crocifissione (cf. 19,1-37); 8) la risurrezione (cf. 20,1-29). La crocifissione è il momento culminante dei «segni>> che il Ge­ sù terreno ha donato agli uomini. E crocifissione e risurrezione so­ no le verità verso cui tendono tutti gli altri segni, anche se essi stessi funzionano come segni rivolti al mondo della vita e dell'amore di Dio incarnati in Gesù. Nell'ottavo giorno abbiamo l'ottavo segno della nuova creazione in mezzo alla vecchia. Se i «segni» durante il ministero terreno conducono i discepoli fino agli inizi della fede (cf. 2,11), ma non fanno grande impressione sulla folla (cf. 12,37), la risurrezione come «segno» supremo spiega ciò che Gesù ha vo­ luto comunicare prima della Pasqua (cf. 2,18-22) e chiama alla fede tutta l'umanità (cf. 20,30-31). Altro motivo che collega il c. 20 al resto del Vangelo è quello della «fede». Sebbene in Giovanni non compaia il termine «fede» (pistis), il verbo «credere» (pisteuein) compare più frequentemente che in Matteo, Marco e Luca messi assieme, e più spesso che in tutta la somma delle ricorrenze nelle epistole paoline: 99 volte in tutti i capitoli del Vangelo, eccetto il 15, il 18 e il 21. Il tema raggiunge il suo compimento non nel c. 19 con la crocifissione, ma nel c. 20: il di­ scepolo prediletto entra nel sepolcro, vede e crede (cf. v. 8); Tomma­ so dichiara che se non vede e non tocca, non crederà (cf. v. 25); Gesù lo sfida a «non essere incredulo, ma credente» (v. 27); e a Tommaso che afferma che egli è il suo Signore e il suo Dio, Gesù risponde: «Perché mi hai visto, tu hai creduto, beati quelli che non hanno vi­ sto e hanno creduto!» (v. 29). Poi alla conclusione del c. 20: «Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (v. 31). Altro motivo che attraversa il Vangelo per arrivare alla sua mas­ sima manifestazione nel c. 20 è quello dello Spirito. Giovanni Bat­ tista aveva visto lo Spirito scendere come una colomba e rimanere su Gesù, segno che Gesù era colui che avrebbe battezzato con lo Spirito Santo e che egli era il vero Figlio del vero Dio (cf. 1,32-34). Grazie allo Spirito viene promesso il realizzarsi della nuova nascita (cf. 1,13; 3,5-8) e Gesù dice le parole che il Padre gli aveva affidato (cf. 3,34). Le sue parole sono quelle con le quali nell'ultimo grande giorno della Festa dei tabernacoli invita tutti coloro che hanno sete a venire a lui e a bere e ad avere dei «fiumi d'acqua viva» che, sgor­ ganti dal proprio cuore (cf. 7,37-38), preparano il dono della sera di 86

Pasqua (cf. 20,21-23). La sera della Pasqua Gesù promette di inviare lo Spirito sui suoi seguaci, per metterli in grado di rendergli testimo­ nianza e portare al mondo la guarigione e il giudizio al mondo. Le parole di Gesù nel cenacolo, «Pace a voi», dicono il compimento di quanto aveva loro annunciato prima della sua morte. Altro motivo è quello del tempio ricostruito. Nella sezione dei cc. 2-12, Gesù si reca più volte a Gerusalemme e al tempio in oc­ casione di varie feste, visite incorniciate dalla prima e dall'ultima Pasqua. Nella prima festa Giovanni colloca la reazione di Gesù alla profanazione del tempio, che gli altri vangeli collocano pochi giorni prima dell'arresto di Gesù. Il fatto che le parole: «Distrug­ gete [ . . ]>> siano poste nella prima salita a Gerusalemme dice che Giovanni vuole indicare che le rimanenti scene delle altre visite devono essere interpretate alla luce della prima visita e dell'evento della risurrezione, che realizza le sue parole come segno definitivo. Se si elimina il c. 20, avvenimento e spiegazione perdono la loro ragion d'essere. La redazione giovannea degli eventi è finalizzata a dimostrare che con la risurrezione di Gesù è stato pronunciato il giudizio sul tempio e che Gesù stesso è ora il luogo e lo strumento grazie al quale si può giungere a conoscere la presenza e l'amore misericordioso del Padre, in linea con le parole che Gesù rivolge alla donna samaritana: «Viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (4,23). Si aggiunge il modo in cui Giovanni comprende e annuncia Ge­ sù come il Messia atteso, tema che percorre tutto il Vangelo, fino al momento culminante del c. 20. Già nel c. 4: «> (20,28). La formula dichiara Gesù come «Messia, Figlio di Dio», «vero re d'Israele» e «Parola incar­ nata», Kyrios, a cui compete il titolo di Theos, Dio. Il sesto motivo è quello che collega i cc. 1-19 al c. 20: Gesù «glo­ rificato» e/o «innalzato», evento mediante il quale egli «ritornerà al Padre». I due termini si illuminano reciprocamente in diversi passi, soprattutto nei discorsi di addio (collocati nel contesto della cele­ brazione pasquale nel cenacolo, che comincia con le parole: «Gesù, sapendo che era venuta») e nella preghiera al termine dei discorsi di addio («Padre, è venuta l'ora»). Se la «glorificazione» avviene quando Gesù è «innalzato», il riferimento sembra alla croce. Ma dal momento che il racconto della risurrezione ritorna sul tema dell'andare al Padre (cf. 20,17), solo nella luce di Pasqua emerge il significato complessivo. Come Gesù aveva dichiarato a Marta che se avesse creduto avrebbe visto «la gloria di Dio» (11,40), così nella risurrezione colui che crede, come il discepolo prediletto in 20,8 e Tommaso in 20,28, vedrà «la gloria di Dio», non solo fissando la croce, ma contemplando la risurrezione del crocifisso. Pasqua è il punto in cui il tema della «gloria» trova la sua corretta lettura. L'ultimo motivo è l'agape, l'amore: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (3,16). Agape non dice l'amo­ re di Dio generico per il mondo, ma piuttosto l'amore di Gesù per i suoi seguaci e l'amore del Padre per il Figlio, amore che sostiene il Figlio nella sua opera di salvezza. Nel corso del vangelo Gesù mo­ stra questo amore nei suoi dialoghi con i diversi personaggi, nella lavanda dei piedi e sulla croce. Nel discorso del «buon pastore» nel c. 10 troviamo il verbo agapai5 soltanto una volta («Per questo il Padre mi ama» [10,17]), ma tutto il discorso è incentrato sull'agape del pastore che dà la sua vita per le pecore. Se è vero che l'amore trova la sua completa espressione nella crocifissione, simboleggiata in anticipo dalla scena della lavanda dei piedi (cf. 13,1-20), esso perviene alla sua espressione finale nel riconoscimento di Tomma88

so del gesto salvifico del Crocifisso-Risorto e nel dialogo tra Gesù risorto e Pietro (cf. 21,15-22). Da questa presentazione dei temi che preparano nei cc. 1-19 il c. 20 si ricava come sia indiscutibile che i racconti della risur­ rezione nel Vangelo di Giovanni facciano parte della struttura argomentativa dell'intero Vangelo e come parecchi temi si possano comprendere soltanto quando siano considerati nella prospettiva della crocifissione e della risurrezione. Giovanni aveva in mente la risurrezione fin dal principio e il racconto degli eventi pasquali, indicato dall'evangelista come frutto di una testimonianza diretta, non può essere stato aggiunto per ragioni di conformità alla tra­ dizione o come una riflessione a posteriori, né può essere ritenuto teologicamente ingiustificato. La teologia della nuova creazione, che soggiace all'intero libro e a quei vari temi che lo compongono, sottintende che Giovanni considerava i racconti della risurrezio­ ne autentici. Ciò non significa che possiamo pronunciarci sulla verosimiglianza o meno di quegli eventi. Significa semplicemente dire che, proprio in quanto storici e lettori di testi antichi, siamo obbligati a concludere che tale è il modo in cui Giovanni vuole che li comprendiamo. Giovanni ce li presenta non come allegorie dell'esperienza cristiana, lette poi erroneamente dalle generazioni successive quali descrizioni letterali di eventi concreti, ma come fatti realmente avvenuti. 5. Conclusioni sull'analisi dei racconti pasquali dei vangeli

Al termine della presentazione delle caratteristiche e delle ar­ gomentazioni dei racconti della risurrezione dei vangeli risultano evidenti i seguenti motivi di credibilità: - la presenza di Maria di Magdala appartiene alla tradizione unanime ed è di sicura antichità storica. Il fatto che si dica che da lei insieme ad altre donne fu recato l'annuncio del se­ polcro vuoto ai discepoli indirettamente mostra l'attendibilità dell'insolito e importante ruolo affidato a delle donne, soprat­ tutto se messo a confronto con Flavio Giuseppe, Antichità IV,219: «Non si accetti nessuna testimonianza dalle donne a causa della leggerezza e della temerità del loro sesso»;155

155 Citazione in TANZELLA-Nim, Teologia della credibilità, 357.

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- l'annuncio del sepolcro vuoto accolto con incredulità e un certo timore; - in tutte le narrazioni le apparizioni hanno un carattere inaspettato; - in tutte le narrazioni evangeliche Pietro è citato come testimo­ ne: implicitamente in Matteo e Marco esplicitamente in Luca e Giovanni e nella Prima lettera ai Corinzi, soggetto protago­ nista nella seconda conclusione di Giovanni; - in tutte le narrazioni la diffusione della notizia della risurrezione trova notevole resistenza; - il Risorto si offre come oggetto di esperienza sensibile; - l'insistenza nelle narrazioni sulla «Corporeità» del Risorto; - il compimento delle Scritture fatto notare dal Risorto; - il carattere di destinatari privilegiati dei Dodici; - l'idea di una frequentazione del Risorto da parte dei discepoli che spiega gli insegnamenti e le istruzioni affidate e testimo­ niate nella loro missione; - il fatto che il risuscitamento del corpo - a differenza dei più noti schemi di esaltazione/assunzione - non corrispondeva alla mentalità degli ebrei che professavano la risurrezione dei corpi «nell'ultimo giorno» ( Gv 1 1 ,24); - l'attuarsi di una messianicità di tipo spirituale e universale che si era portati invece a leggere in prospettiva politica e nazionalista. Ogni evangelista ha raccontato la storia a modo suo. Anche dove tutto lascia supporre che uno di loro abbia usato un altro come fonte, come è il caso di Luca nei riguardi di Marco, mentre l'uso di Marco da parte di Matteo rimane probabile e l'uso di Matteo da parte di Marco è invece praticamente da escludere, ci sono poche coincidenze di vocabolario. In ogni racconto non troviamo i segni di uno sviluppo da una tradizione antica a una forma evoluta, ma un ri-raccontare storie originarie da parte dell'evangelista. Gli evangelisti, sentendosi liberi nel ripetere e riorganizzare i racconti, hanno conservato lo schema fondamen­ tale e privo di sviluppi. In particolare, sebbene ciascun evangelista abbia raccontato la storia per offrire una particolare compren­ sione della vita cristiana e specialmente della missione cristiana nel mondo, le narrazioni stesse, quelle sulla tomba vuota e sulle apparizioni di Gesù, non mostrano alcun segno di essere frutto di uno stadio successivo. Se a metà del I secolo qualcuno avesse de­ siderato spiegare perché Gesù era stato risuscitato dai morti, non 90

avrebbe certamente raccontato quel genere di storie. Ne avrebbe inventate di migliori.156 Gli evangelisti, servendosi di fonti orali o scritte adattate ai loro scopi, senza distruggerne il contenuto essenziale, hanno voluto te­ stimoniare gli eventi reali che avevano avuto luogo il terzo giorno dopo l'esecuzione di Gesù. Le storie che raccontano e la maniera in cui le elaborano (ciascuno in modo diverso, ma tutte uguali sotto questo aspetto) indicano che, per motivi di grammatica narrativa, come pure di teologia, essi devono aver avuto l'intenzione di tra­ smettere ai loro lettori l'idea che gli eventi di Pasqua fossero reali, non fantastici. Fondanti per l'esistenza stessa della Chiesa, all'in­ terno della visione del mondo che tutti condividevano, in quanto ebrei, in merito alla credenza nella risurrezione. Tutto il corpus degli scritti dei primi due secoli che si occupano di Gesù e della sua risurrezione testimonia la straordinaria varietà di scritti cristiani, da Paolo a Tertulliano e Origene, che trattano della risurrezione di Gesù e di quella dei suoi seguaci (e, in qualche caso, di tutta l'umanità). In questa letteratura l'originaria credenza cristiana nella risurrezione ha una grande coerenza, nonostante la varietà delle sue espressioni. Si nota la coerenza della collocazione del cristianesimo all'interno delle credenze ebraiche (risurrezione corporea), con quattro modifiche all'interno di quel tema: l ) la risurrezione è passata dalla periferia al centro della fede; 2) la risurrezione non è più un evento unico, ma è suddivisa cronolo­ gicamente in due, di cui la prima parte è già avvenuta; 3) la risur­ rezione comporta una trasformazione e non un semplice richiamo alla vita; 4) quando la terminologia della risurrezione viene usata metaforicamente, non si riferisce più alla restaurazione nazionale d'Israele, bensì al battesimo e alla santità. Quanto alle tesi come quella della risurrezione già avvenuta attribuita a Imeneo e Filèto in 2Tm 2,17-18 («La parola di costoro infatti si propagherà come una cancrena. Fra questi vi sono Imeneo e Filèto, i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la risurrezione è già avvenuta e così sconvolgono la fede di alcuni»), la Lettera a Regino e testi analoghi, possiamo affermare che si tratta di semplici innovazioni, non una crescita né uno sviluppo naturale. Essi usavano il voca­ bolario della risurrezione per indicare cose a cui quel gruppo di parole non si era mai riferito prima. Essi tentavano di servirsi del linguaggio cristiano corrente per descrivere, e forse per legitti1 56 Cf.

WRIGHT, Risurrezione, 784-785.

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mare, certe teologie e visioni alternative del mondo. In tal modo mettevano paradossalmente in luce la forza della posizione da cui dissentivano, di cui però si sentivano obbligati a adottare il linguag­ gio. «l racconti centrali, per quanto abilmente strutturati e redatti dai quattro Evangelisti, conservano dei caratteri semplici e antichi, che resistono all'idea che siano stati creati vari decenni più tardi, ma che servono perfettamente a spiegare gli sviluppi da Paolo in avanti».157 La funzione della tomba vuota è quella di mostrare l'essere in vita di Gesù; mentre lo scopo dei racconti delle apparizioni è quello di provare la continuità fisica del Gesù il quale appariva con il cor­ po che aveva occupato la tomba.158 Il racconto della tomba vuota e delle apparizioni sono al servizio della scoperta della fede nella risurrezione in una comunità sorta a partire dall'annuncio dei primi seguaci di Gesù.159 «Risurrezione» sia nel mondo ebraico sia in quello non ebraico della tarda antichità non riguardava semplicemente una persona «andata in cielo» senza implicare la sua corporeità. Si pensava all'esistenza di entità disincarnate dopo la morte, ma questo non era mai inteso come «risurrezione». Questa implicava sempre in­ carnazione sia per i pagani che per gli ebrei.160 La tomba vuota era una delle condizioni per pensare la «risurrezione». 161 Senza la tom­ ba vuota non sarebbe sorta la fede cristiana come la conosciamo. Sebbene fossero morti grandi eroi, pretendenti messia, per nessuno di loro venne mai avanzata l'idea della risurrezione.162 La lettera­ tura antica del I sec. conosce «sogni>> di persone decedute, ma mai in conseguenza dei «sogni>> si sostiene il loro essere «Viventi» post mortem e si adopera la terminologia della «risurrezione».163

157 WRIGHT, Risu"ezione, 787; cf. ivi, 784-787. 158 Cf. ivi, 799. 159 Cf. ivi, 801. 160 F. MANNS (, in C. DoToLo - G. GioRGIO [a cura di], Credo la Risurrezione della carne la vita eterna, Bologna 2013, 89-109), riportando i testi più significativi della tradizione giudaica sul tema dell'escatologia, nota che (ivi, 89). 1 61 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 802. 162 Cf. ivi, 801-802. 163 Cf. ivi, 803.

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Capitolo III LA TESTIMONIANZA DI PAOLO

In questa terza parte ci proponiamo di esaminare l'annuncio della risurrezione nell'epistolario paolino. l. D motivo della risurrezione nelle lettere paoline

Ci chiediamo dove si collochi la credenza paolina circa la ri­ surrezione nel ventaglio di possibilità presenti nel mondo antico.1 - Ammesso che egli parlasse spesso di tale speranza in termini di risurrezione, che cosa intendeva dire con ciò? - Sviluppò anch'egli, come molti pensatori ebraici, un modo di parlare di uno stadio intermedio tra la morte e l'attesa risurrezione? - Come trattò la questione della continuità e discontinuità tra la vita attuale e la futura vita definitiva? - Qual è la funzione della risurrezione nel più ampio panorama dell'avvenire promesso dal vero Dio? - In quale modo Paolo si serviva del termine «risurrezione» e di altri simili, in senso metaforico? - Che cosa dice Paolo a proposito della risurrezione di Gesù e che cosa intende esattamente con quel termine? Spesso si afferma, o semplicemente si suppone, che Paolo ab­ bia sostenuto quella che in termini moderni si chiamerebbe una visione «spirituale» della risurrezione, nella quale cioè un corpo e una tomba non avrebbero alcuna importanza. Il tema attra­ versa tutte le lettere paoline ed è essenziale nell'argomentazione dell'apostolo. 1 Cf.

N.T. WRIGHT, Risurrezione, Torino 2006, 407-418.

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1.1. l e 2 Tessalonicesi

La Prima lettera ai Tessalonicesi è datata al 49 o al 50 d.C., dopo la breve visita di Paolo a Tessalonica, nel primo viaggio in Grecia (cf. At 17,1-8) . La lettera ha un carattere più pastorale che polemico. Già nelle frasi iniziali, che riassumono la fede originaria dei tessalonicesi come giunti alla fede in contrasto con gli idoli del paganesirno (cf. 1,9 ) , abbiamo il tema che annuncia la conclusione della lettera: Per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha risuscitato dai morti; cioè Gesù, che ci libera dall'ira imminente.

Qui abbiamo la sintesi dei terni paolini principali che sono: risurrezione di Gesù; sua attuale sede in cielo; suo futuro ritorno; liberazione dall'ira futura. Nel c. 2 definisce la futura speranza cristiana come nella Lettera ai Galati: un camminare in modo degno del Dio «che vi chiama al suo regno e alla sua gloria» (2,12 ) , dove «regno», come in Gal 5,21, sta per la condizione futura. Come si realizzerà quel futuro trova risposta in lTs 4,13-5,11. In questa unità si pone la domanda su che cosa accadrà a coloro che saranno morti prima del ritorno del Signore e sono riportate le principali convinzioni di Paolo in merito alla risurrezione. I già deceduti risorgeranno «allo stesso modo» (houtos, 4,14) di Ge­ sù e possederanno la «salvezza» anziché l'«ira» (cf. 5,9 ) . Parole, carattere dell'argomentazione e sviluppo storico dimostrano la condivisione delle idee ebraiche dei farisei. Risurrezione ha a che fare con il corpo per terminologia (non ci sono prove che la radice di anastasis significhi altro da risurrezione del corpo fisico sia nel paganesimo che nel giudaismo ) e per logica narrativa. È qualcosa di cui i morti non godono attualmente, ma che sarà vita dopo «la vita dopo la morte». Il «venire rapiti sulle nuvole a incontrare il Signore nell'aria» di lTs 4,16-17 ha uno stretto parallelismo con l'essere «trasformati» con un corpo simile a quello del Signore risorto di lCor 15,51-52. La metafora del salire tra le nubi rimanda a Dn 7,13 che la usa per il riscatto del popolo di Dio dopo le sue sofferenze, ed è un altro modo per dire il contenuto di Gal 5,5. In lTs 4,16ss, parlando della risurrezione dei già morti e della trasfor­ mazione di quelli ancora in vita, viene annunciato che il loro corpo non sarà più quello corruttibile, come effetto della «salvezza» (contrapposta all' «ira» di lTs 5,9) e della liberazione dalla morte stessa. L'apostolo offre una descrizione della condizione interrne94

dia attraverso l'immagine dell'addormentarsi nella morte sulla base di Dn 12,2 (cf. anche Gv 1 1 ,1 1-13 e At 7,60).2 L'immagine del «sonno della morte)) in lTs compare tre volte: 4,13.14.15 (in senso diverso anche in 5,6-10) e da alcuni è interpretata come «sonno delle anime)), tempo di esistenza incosciente prima del risveglio nella risurrezione. Ma Wright fa rilevare come «addormentati>) stia per «Un periodo di temporanea inattività, ma non necessariamente di incoscienza)) contrapposto «ad un periodo successivo di attività rinnovata)).3 Quando parla di «morth) ne parla: - come «morti in Cristo)) (4,16); - come di persone che, essendosi addormentate, continuano (e continueranno) a: • «vivere insieme con luh) (5,10); • essere «con Gesù)) (4,14); • o «con il Signore)) (4,17); - appartengono al Messia risorto e sono fisicamente morti e non ancora risuscitati. Quali sono i segni che indicano la continuità e la discontinuità tra la vita attuale e lo stadio della risurrezione definitiva? In l Ts 5,4-8 afferma che i cristiani sono già ora «figli di luce, figli del gior­ no)). Ispirandosi alla Genesi adopera le immagini della notte e del giorno per dire che sono già «un popolo della risurrezione)); i loro corpi hanno bisogno di essere trasformati, ma sono già «svegli)) e devono comportarsi di conseguenza. Qual è la funzione della risurrezione nel quadro della più ampia visione di Paolo? La tristezza (cf. 4,13) è un fenomeno cristiano che non ha bisogno di giustificazioni. È la tristezza che nasce dal bisogno di una riunione con i cristiani già deceduti. La logica del brano indica che una possibile riunione è ciò che il Creatore de­ sidera e si compirà alla parusia. La parusia come «incontro con il Signore)) sottintende l'immagine di un incontro all'esterno di una città, dopo il quale le autorità cittadine scortano i dignitari in visita all'interno della città. Il motivo è affine a 3,13 e a Fil 3,20-21, come pure a lCor 15,20-28 e Rm 8,12-30: «I credenti non saranno portati via abbandonando questa terra al suo destino, ma anzi [ . . ] "incontreranno" il Signore che viene dal cielo (1,10) e lo circonde­ ranno nel suo incedere per inaugurare il Regno definitivo di Dio in .

2 Cf. ivi, 261. 3 !b.

95

cielo e in terra, un Regno che trasformerà ogni cosa, un Regno di giudizio-e-salvezza>>.4 L'uso metaforico di «risurrezione» è sostituito da una struttura metaforica equivalente: Il

linguaggio relativo alla risurrezione (addormentarsi e svegliarsi, come in Dan 12,2) è riutilizzato per dire la trasformazione della vita che nasce dalla predicazione del Vangelo, della «parola», che ha compiuto la sua opera nella comunità (2,13) e deve portarla a compimento producendo delle esistenze sante e generose.5

La risurrezione di Gesù è il presupposto di tutta l'argomen­ tazione come si deduce dalla formula di 4,14 (sommario di l Corinzi 15), dal momento che la risurrezione dei cristiani morti è configurata sulla risurrezione di Gesù («pure» [4,14]). La risurre­ zione di Gesù non si è verificata immediatamente dopo la morte. Il «risuscitò» (aneste) di 4,14 dice che l'apostolo non intendeva il verbo diversamente da ciò che significava per un pagano o per un lettore della LXX: nuova vita successiva a un periodo di vita dopo la morte. Non si vuole dire che Gesù abbia >.8 In 2,6-11 non parla direttamente della morte e risurrezione, ma della morte e innalzamento di Gesù. A differenza di Giovanni che identifica risurrezione e ascensione, qui Paolo pone i due eventi in sequenza. Per comprendere 3,20-21 occorre tener presente la logica della cittadinanza in una colonia romana: non erano tenuti i cittadini ad andare a Roma, ma l'imperatore ad andare nella colonia. In questi versetti si parla degli effetti della risurrezione sulla persona del cre­ dente: il corpo non sarà abbandonato, ma trasformato. Data la con­ tinuità tra il mondo attuale e quello futuro, la risurrezione futura dei credenti è da inquadrare nella prospettiva del potere di Dio creatore che trasformerà il mondo mediante la signoria del Figlio. Possiamo parlare di risposta all'enigma dell'innalzamento e della risurrezione di 2,6-11: Come ha fatto Paolo ad arrivare a credere nella trasformazione futura dei credenti dall'umiliazione alla gloria, se non a partire da ciò che egli cre­ deva a proposito di Gesù stesso? Ma ciò non implica forse la convinzione che anche il corpo di Gesù fosse stato trasformato e non abbandonato?9 La storia dell'umiliazione e innalzamento del Messia in 2,6-11 si esprime adesso nell'esistenza di coloro che sono in «Un lui>> (vv. 7-14).10

8 9

lvi, 274. lvi, 280-281. 10 lvi, 281.

98

In 3,8-11 si comprende come «per Paolo la risurrezione è es­ senzialmente un evento futuro, che corrisponde alla risurrezione di Gesù stesso, ma il cui potere si manifesta già nella vita presente, persino nella sofferenza e nella morte».U Il piccolo chiasmo dei vv. 10-11 (risurrezione-sofferenza; morte-risurrezione) collega i ver­ setti a 3,19-21 : il Messia ha preso la morphe doulou (cf. 2,7), perciò Paolo sarà reso conforme alla risurrezione del Messia. Quando ritornerà il corpo della presente umiliazione sarà reso «conforme» (summorphon) al suo corpo glorioso. L'idea di fondo è che l'esca­ tologia è stata inaugurata ma non portata a termine (cf. 3,12-14). «La continuità tra l'attuale vita cristiana (vissuta nella "potenza della risurrezione") e la risurrezione futura stessa mostra come per Paolo ci fosse in pari tempo continuità e discontinuità tra il Gesù morto e il Gesù risorto, e che tale continuità non era questione di anima o di spirito, bensì del corpo». 12 1.4. Efesini

La risurrezione è vista come realtà già presente: «Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù» (Col 3,1), ma ci sono chiari segni della dimensione futura della risurrezione. Se in Ef 1 ,14 lo Spirito è detto «pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione)), in termini di possesso e di responsabilità, in Ef 1,15-23 si dice che la Chiesa attende la pienezza della sua eredità, dal momento che la Chiesa vive nell'intervallo tra la risur­ rezione del Messia e la propria definitiva vita nuova (cf. Ef 2,10), e la risurrezione è considerata come il fondamento implicito dell'uni­ ficazione di tutta l'umanità nel Messia. In Ef 5,14 Paolo cita un antico canto o poema: «Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti e Cristo ti inonderà di luce)). La ri­ surrezione finale rimane nel futuro, ma il cristiano deve brillare già nel presente. La conseguenza è che i cristiani devono combattere una battaglia, poiché i nemici non sono stati ancora definitivamente sconfitti (cf. Ef 6,10-20). Ora se l'escatologia è stata inaugurata con la risurrezione di Gesù, l'apostolo indirettamente dichiara che la vittoria è già assicurata.

11 12

lvi, 282. lvi, 283.

99

1.5. Colossesi

La Lettera ai Colossesi presenta la risurrezione come speranza futura che si deve ancora realizzare. In Col 1,5 Paolo parla di una speranza riservata nei cieli, per questo in Col 3,1-4 invita i cristiani ad abbandonare la «terra» e a mettersi alla ricerca del «cielo» per possedere tale speranza. Il motivo della «manifestazione» di Cristo e dei cristiani è un modo nuovo per riferirsi allo stesso evento di Fil 3,20-21. Se la condizione attuale dei cristiani per il battesimo è quella di essere già morti con Cristo e risorti con lui (cf. Col 2,12), la loro condizione è già di risorti con Cristo, dal momento che i loro pec­ cati sono stati perdonati (Col 2,13 parla). La ragione di questa speranza è il fatto che Cristo in quanto «immagine di Dio creatore» è il «primogenito» tanto della creazio­ ne quanto della nuova creazione (cf. Col 1,15-20). In Col 3,5-11 contrappone la vecchia alla nuova umanità: «Vi siete rivestiti del nuovo>>. «Nel pensiero di Paolo, il senso della risurrezione, consiste nel riaffermare e non nel rinnegare la crea­ zione. Fin d'ora, e ancor prima della manifestazione finale in cui il popolo di Cristo "sarà manifestato con lui in gloria" (3,4), questa nuova creazione, questi esseri umani rimodellati a immagine di Dio dovranno essere visibili nella vita comune della Chiesa».13 1.6. Filemone

La risurrezione è il motivo teologico perché «Onesimo non dovrà più essere uno schiavo, bensì un fratello di Filemone», dato che «tutti e due sono dei figli redenti dello stesso unico e vero Dio».14 1. 7. Romani

Nei cc. 1-4, in 1 ,3-5 Gesù, il Messia, è presentato come il Risor­ to, Signore del mondo: «Né la vita, le azioni e gli insegnamenti di Gesù, da un lato, né la sua risurrezione, dall'altro potrebbero aver avuto di per sé l'effetto di far subito dire alla gente: "Egli è ed era

13 14

100

lvi, 288. lvi, 289.

realmente il Messia"»,15 ma messi insieme questi dati sarebbe stato possibile. La risurrezione è effetto dell'opera dello Spirito Santo. In 1,18-3,20 si parla della rivelazione della giustizia di Dio, mentre in 2,6-11 abbiamo la descrizione finale di coloro che saran­ no salvati, come pure di coloro che non lo saranno. La morte e la risurrezione di Gesù sono il modo in cui la «giu­ stizia di Dio» è stata svelata (cf. 3,21-4,25). In Romani 4 abbiamo la ripresa di Gen 15: la fede «Si manifesta nel fatto che Abramo cre­ deva nel potere divino di dargli un figlio, quando egli stesso e sua moglie Sara erano "come morti" perché avevano passato da tempo l'età della fertilità».16 Paolo stabilisce un parallelismo tra la vicenda di Abramo e Sara e la risurrezione fisica di Gesù, giacchè «Abramo credette nel Dio che dà la vita lì dove non c'era che morte»:17 «Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio cor­ po - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara» (Rm 4,19) Ne cc. 5-8 morte e risurrezione di Gesù hanno un ruolo argo­ mentativo fondamentale. Mentre in 5,1-2 dichiara che la risurre­ zione («mediante la sua vita» [5,10]) è la sfera di vita in cui vivono adesso i cristiani e attendono il riscatto finale, in 5,12-21 «"la giu­ stificazione che dà la vita" si riferisce alla risurrezione»,1 8 dato che «mediante !'"obbedienza di uno solo" (considerando qui la morte e la risurrezione di Gesù come un solo atto) i molti "saranno costi­ tuiti giusti" (v. 19)».19 Dello status di battezzati e della risurrezione si parla nel c. 6. L'apostolo in 6,5.8 dichiara che esiste una risurrezione futura che deve ancora avvenire: «Saremo anche in una risurrezione simile alla sua [ . . . ] vivremo con lui».20 Dopo il c. 7, in 8,1 dichiara che «non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù)) e in 8,9-11 che il corpo attuale, il corpo che morirà per la sua mortalità e corruttibilità innate, è il corpo che sarà risuscitato. Ciò costituisce l'esatto parallelo di ciò che è accaduto a Gesù stesso. Esiste un nesso causale tra le due cose e chi porta a compimento tutto questo è lo Spirito. .

15 16 17

18 19

20

lvi, 293. lvi, 295. lvi, 296-297. lvi, 299. lvi, 300. lvi, 301.

101

Per quanto riguarda 8,10-1 1 e la successiva unità 8,12-20, Wright afferma che «Vi è un massiccio "non ancora"»,21 da cui si de­ duce che nel battesimo il cristiano si trova in uno stato intermedio. Usa «Una frase di cui certi Ebrei che credevano nella risurrezione del corpo si servivano precisamente per indicare lo stato interme­ dio: coloro che sono morti adesso sono "viventi a Dio'\>.22 Se in 8,18-24 l'apostolo afferma che «il cosmo sarà rinnovato appunto dall'opera di coloro che saranno allora risuscitati dai morti per condividere la "gloria", ossia la sovranità regale, del Messia»,23 in 8,28-30 parlando della predestinazione alla salvezza ripropone con sei parole ciò che aveva detto in 5,1-2 con trentotto: hous de edikaio­ sen toutous kai edoxasen!«quelli che ha giustificati li ha pure glorifi­ cati» (Rm 8,30). La giustificazione frutto della morte e risurrezione di Gesù, che rende partecipi sin d'ora della gloria, come dichiarato in Efesini, sarà completa quando i corpi dei credenti saranno trasforma­ ti (cf. Fil 3,20-21) per diventare partecipi della gloria di Gesù stesso.24 Anche nell'unità Rm 9-11, la risurrezione di Gesù è il motivo su cui si fonda l'argomentazione: «Cristo è il termine della Legge» (cf. 10,4). In 1 1,15 l'espressione «[ . . . ] se non una risurrezione dai morti?» (Rm 1 1 ,15) è una metafora che illustra la certezza dell'apo­ stolo dell'accoglienza da parte del popolo ebraico di Cristo. Nella sezione dei cc. 12-16, riveste un ruolo fondamentale 12,1-2, che è un invito a vivere conformemente alla vita futura, già cominciata. Qui la «carne>> si riferisce all'intero essere umano visto come realtà corrutti­ bile destinata alla morte, con la frequente qualifica di o ; il invece si riferisce all'essere umano nella sua totalità, più o meno come il nostro termine moderno di , vista come un essere presente nel mondo buono della creazione, nello spazio e nel tem­ po, e chiamato a vivervi in una gioiosa obbedienza.25

1.8. 1-2 Timoteo e Tito

Se nella Prima lettera a Timoteo abbiamo un semplice cenno indiretto alla risurrezione in 3,16, nella presentazione della storia 21 lvi, 302. '/2 /b. 23 lvi, 308. 24 Cf. ivi, 309. 25 lvi, 315.

102

di Gesù con il verbo «è stato giustificato» (edikaiothe),26 nella Se­ conda lettera a Timoteo il motivo vi compare in modo più esplicito. Paolo dichiara che Gesù «ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l'immortalità mediante il Vangelo» (1,10); invita a ricordarsi di «Gesù Cristo, risorto dai morti» (2,8-9); in 2,16-19 sottolinea la speranza della futura risurrezione contro la tesi di Imeneo e Fileto: «Uomini che hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurre­ zione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni». A questi si aggiunge il passo di 6,15-16 dove Gesù è presentato come «l'unico sovrano [ . . . ] il solo che possiede l'immortalità e che abita [ . . . ]>>.

1.9. Prima lettera ai Corinzi e confronto con Seconda lettera ai Corinzi La Prima lettera ai Corinzi si apre con la presa d'atto della nuo­ va condizione in cui si trovano i credenti: tra il già e il non ancora (cf. 1 ,4-9), a cui si aggiunge la menzione dell'idea ebraica delle due età in 2,6-8 e dello Spirito che rivela i segreti del futuro (cf. 2,9-13). Segreti compresi dagli uomini pneumatikoi e non da quelli psychikoi, animati e soggiogati allo spirito del mondo. L'immagine dell'incendio delle parti di un edificio di cui alcune resistono e altre sono consumate dal fuoco in 3,10-15 è adoperata per dire l'importanza del costruire esistenze/«case» in modo ade­ guato e non apparente, ovvero che durino nella prospettiva della continuità e della discontinuità tra il tempo presente e quello futu­ ro. In 3,16-17 dichiara indirettamente che l'edificio rimarrà perché «voi siete il tempio del vero Dio e il suo Spirito abita in voi, come la shekinah nel tempio di Gerusalemme».27 Sul tema ritorna al c. 1 5 quando invita i corinzi a continuare con il loro lavoro nel presente (cf. 15,58). I cristiani infatti appartenendo a Cristo attualmente so­ no chiamati a vivere la contrapposizione alla sapienza del mondo presente avendo scelto la gloria del mondo che viene (cf. 3,18-23). Con il c. 4 dalla metafora della «casa» si passa a quella del giu­ dizio. L'apostolo dichiara che l'unico giudizio che conta è quello escatologico (cf. 4,1-5; cc. 5-6), perché saranno i santi che giudi­ cheranno il mondo e gli angeli come dichiara Dn 7,2. Tale giudizio, anticipato dal giudizio apostolico di Paolo (4,14-20), deve essere introdotto nel presente del popolo di Dio. «Potenza» in 4,20 sot26 27

ivi, 322. lvi, 340.

Cf.

103

tintende la potenza della risurrezione, anche se nel c. l parla della dynamis della croce. In 6,9-20 afferma che «i corpi che si decompongono [non] possono ereditare l'incorruttibilità [ . . . ] ciò che si fa con il corpo attuale ha rilevanza appunto perché dovrà risuscitare».28 Questo perché «il rapporto sessuale con la prostituta risulta nel diventare "un solo corpo" con lei, sulla base di un testo della Scrittura che parla del diventare "una sola carne"»29 e «il corpo è il tempio dello Spirito Santo; voi siete stati comprati a un determinato prezzo per glorificare Dio nel vostro corpo».30 In l Corinzi 7 parlando del matrimonio dichiara che «il mondo attuale, con tutta la sua vita naturale (compresi matrimonio e ripro­ duzione), è destinato a essere sostituito dal mondo nuovo che ha già avuto inizio con Gesù e la sua risurrezione».31 In 9,24-27 adopera la metafora dell'atleta e del premio: la coro­ na incorruttibile. Il corpo va controllato (cf. 6,12-20) in vista della risurrezione. In lCor 1 1-14 indica l'eucaristia come ponte tra passato, pre­ sente e futuro: L'azione centrale del pasto si riferisce al passato della crocifissione e al futuro del ritorno di Gesù, come in 15,23-24.32 L'unità attuale della chiesa è importante non da ultimo perché in tal modo anticipa l'armonia perfetta del mondo della risurrezione, quando i membri del soma Chrisrou, corpo del Messia, avendo ciascuno esercitato i propri penumatika, i doni spirituali, saranno finalmente risuscitati alla vita per ricevere il soma pneumatikon (15,44-46), l'intero corpo vivificato e animato dallo Spirito divino.33 Qui sta l'ironia della I Corinzi: nel fatto che la chiesa aveva tutte le «cose spirituali>> che chiunque potesse desiderare, ma al tempo stesso i suoi membri correvano il rischio di non riuscire a essere autenticamente pneu­ matikoi, secondo gli ammonimenti dei capitoli 2 e 3. Però quei non erano dello stesso ordine delle qualità e delle caratteristiche che egli raccomandava in quei capitoli; glossolalia, profezia e altre cose

u

lvi, 343-344. lvi, 344. 30 lvi, 346. 31 lvi, 347. 32 lvi, 351. 33 /b.

29

104

simili non saranno necessarie nell'età a venire (13,8-10), per quanto esse nel tempo presente possano servire come messaggeri provenienti da quel mondo futuro che il creatore ha in mente. Nondimeno, la base dell'unità della chiesa, il fatto cioè che lo stesso Spirito, lo stesso Signore, lo stesso Dio «opera tutte le cose in tutti>> (12,6), anticipa ancora una volta il capi­ tolo 15, in cui la fine di tutta la storia è che Dio, il creatore e Signore della storia e del mondo, sarà a suo tempo «tutto in tutti>> (15,28).34

In 13,8-13 tratta del mondo nuovo che Dio vuole fare, e della continuità tra la vita risuscitata e la vita qui e ora. Lo scopo di 13,8-13 è che la chiesa deve lavorare nel presente sulle cose che dureranno nel futuro di Dio. La fede, la speranza e l'amore lo faranno; non così la profezia, le lingue e la co­ noscenza, tanto apprezzate dai Corinzi. [ . . . ] l'amore[ . . . ) è l'anticipazione della realtà ultima. L'amore non è soltanto il dovere cristiano: è il de­ stino dei Cristiani. Per tenere assieme la chiesa, Paolo deve insegnare ai corinzi l'amore, ma per insegnare loro l'amore deve insegnare loro l'escatologia.35

Ma è soprattutto il c. 15 che delinea il pensiero teologico pao­ lina sulla risurrezione. Per questa ragione dedicheremo a questo capitolo un'analisi più approndita per una comprensione più ar­ gomentata dei risvolti cristologici e antropogici del suo contenuto. La conclusione del c. 16 è intrisa di escatologia: dalla colletta da fare nel giorno del Signore all'invocazione «Marana tha! >>: «la risurrezione del Messia Gesù e la conseguente risurrezione di tutto il suo popolo nel giorno della sua venuta (15,23) sono i terni che danno significato a tutte le altre cose che Paolo ha detto».36 La Seconda lettera ai Corinzi ha come oggetto la missione dell'apostolo che è un partecipare all'opera di Cristo, rendendo presente l'evento pasquale con la sua efficacia di vita (cf. 4,10-12) e riconciliazione (cf. 5,18). Il potere del Risorto si manifesta nella debolezza dell'apostolo (cf. 12,9-10), un potere eterno che rivelerà e giudicherà le azioni umane nella parusia (cf. 5,10). In 4,7 si fa riferimento alla «straordinaria potenza, propria di Dio», quale «tesoro» posto in «vasi di creta», che introduce il cata­ logo delle peristaseis.

34 35 36

/b. lvi 352 lvi: 353:

105

Nel catalogo delle peristaseis di 6,7-10, in cui Paolo parla delle virtù che caratterizzano il suo stile di vita e delle prove che l'ac­ compagnano, è significativo che il vocabolario dell'abbondanza sia riferito alla capacità del ministero elargitagli da Dio e alla totalità della ricchezza posseduta e donata a molti, destinatari universali del ministero sull'esempio di Cristo. Infatti la potenza è di Dio (cf. 4,7) e l'apostolo parla da parte di Dio e in presenza di Dio (cf. 2,17), il qua­ le rivolge la sua chiamata attraverso l'apostolo (cf. 5,6; 6,16-17). La nekrosis del Cristo che opera nelle vicissitudini apostoliche è anche la gloria del Cristo immagine di Dio che illumina le tenebre (cf. 3,4). E questa potenza di Dio è lo Spirito che opera nel Cristo (cf. 3,17-18). Non è infatti l'ostentazione del potere esteriore ciò che testimo­ nia Gesù il Signore, ma al contrario la nullità dell'apostolo che fa trasparire l'onnipotenza di Dio nel vangelo di Cristo. La vita di Paolo invece è vissuta nell'assoluta debolezza: retori­ ca, economica, fisica, morale, spirituale. Per questa ragione diventa epifania della dynamis che ha operato in Cristo risorto, potere che ha ricevuto per edificare, non per distruggere. Si può notare come il vocabolario della sua debolezza si esaurisca proprio quando c'è l'affermazione: «Ti basta la mia grazia, la mia potenza giunge alla sua pienezza nella debolezza. Molto più volentieri mi vanterò nelle mie debolezze perchè dimori in me la potenza di Cristo» (12,9), riepilo­ gata in 12,10 con cinque termini: astheneia, hybris, ananke, diogmos, stenochoria. Come Dio si è rivelato in Cristo, così anche nell'espe­ rienza dell'apostolo si dispiega la potenza rivelatrice del Padre. L'a­ postolo è eloquente dell'eloquenza della croce, forte del paradosso pasquale: per questo può a ragione «vantarsi» dei suoi limiti, a con­ fronto della vanagloria e superbia dei super-apostoli. Potremmo dire che la debolezza diventa la condizione dell'apostolato di Paolo, della propria diaconia del vangelo verso la comunità di Corinto. Nelle sofferenze è attualizzata la morte della morte, come nella croce, e attraverso il superamento delle sofferenze, la vita vincitrice di Gesù, come nella risurrezione. Il potere di Dio si rivela tra e per mezzo della debolezza coinvolta nel morire con il Crocifisso. È un potere che trasforma e assimila il credente al suo Signore, in quan­ to potere escatologico di Cristo.

1.10. Conclusioni Paolo non dà una viSlone completa della risurrezione. Tre tuttavia sono gli eventi che restano fondamentali in tutti gli scritti paolini: 106

l) la risurrezione fisica di Gesù Cristo stesso come svelamento del potere del Dio creatore; 2) la futura risurrezione fisica di tutti coloro che credono in Cristo (compresa la trasformazione di quanti saranno ancora in vita alla parusia); 3) l'applicazione alla vita cristiana della futura risurrezione co­ me metafora della vita nuova accolta con la fede e il battesimo, pa­ rallela all'uso metaforico della risurrezione per il riscatto d'Israele nei profeti anticotestamentariY L'idea della risurrezione è saldamente radicata nel giudaismo, ma in modo nuovo: - convinzione che l'escatologia sia stata già inaugurata, a differenza dei vari gruppi ebraici, a iniziare dagli esseni di Qumran; - il significato della «risurrezione» per Gesù e di quella per i credenti al presente e alla parusia, non come semplice ritorno alla vita precedente come nelle risurrezioni di Elia o Eliseo oppure come si intravede in 2 Maccabei; - l'abbandono della terminologia e delle immagini dell' AT, come il risplendere come stelle dei risuscitati in Dn 12,2-3, anche se quest'ultima immagine è adoperata da Paolo per la novità della testimonianza cristiana nel mondo oppure per la novità del perdono da parte di Dio del peccatore; - Paolo, oltre a fondare la risurrezione come gli altri ebrei sul potere di Dio creatore, fonda la risurrezione futura e attuale sul potere di Gesù risorto. Come già Ezechiele, considera lo > (ivi, 308). 17

=

116

sempre con la morte di Gesù in croce, non con la sua risurrezione».19 Ci si può chiedere se si tratti di citazione o allusione o non ci sia alcun riferimento biblico. È possibile cogliere un'allusione al testo di Is 53 per l'interpretazione soteriologica della morte di Cristo: - ls 53,6: «il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti»; - Is 53,12: «Egli portava i peccati di molti e per i peccati di molti fu consegnato». Per quanto riguarda l'espressione «secondo le Scritture», essa risulta alquanto generica e non sembra riferirsi a un libro in parti­ colare. Dice la collocazione della morte di Cristo nel disegno di Dio e la sua volontà di perdonare i peccati dell'umanità, come rivelato nelle Scritture. Al v. 4a «e fu sepolto» da Conzelmann è visto riferito a ciò che precede, ovvero l'avvenuto decesso, mentre da R.J. Sider a ciò che segue, come allusione alla tomba lasciata vuota dal Risorto. Discutibile appare la motivazione della scelta della prima proposta da parte di B arbaglio «perché la struttura del brano, segnata dal parallelismo delle proposizioni legate a due a due (morte e risurre­ zione l risurrezione e apparizione), spinge nel senso indicato».20 Ma questa tesi si presta a critiche dal momento che sono tre gli eventi indicati e quello della sepoltura fa da collegamento tra la morte e la risurrezione. Come pure discutibile è la sua interpretazione al v. 4b («E che è stato risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture») del perfetto passivo egegertai non come intransitivo ma come passivo, con complemento d'agente Dio, sulla base del v. 15: «Dio egeiren ton Christon!ha risuscitato Cristo)). 2.3.1. «> che era controcorrente e richiedeva un fondamento più che semplicemente convenzionale. B. de Margerie e F. Khanis fanno rilevare come l'uso per il lin­ guaggio religioso ebraico nell'AT (per dire che un evento è opera di Dio, come in Os 6,2) non escluda il riferimento al realismo della scansione temporale: «La domenica è un terzo giorno che compie e illumina tutti gli altri terzi giorni».24 Tanzella-Nitti fa notare che se ci sono incertezze sul giorno in cui Gesù «mangiò la pasqua», c'è unanimità sulla morte nel giorno di venerdì, o parasceve, il giorno di preparazione e purificazione di un giorno solenne (cf. Mc 15,42; Le 23,54; Gv 19,31 e 19,42; cf. anche Mt 27,62-64). La tradizione cristiana ha letto in modo letterale il dato del «primo giorno della settimana» (Mt 28,1 ; Le 24,1; Gv 20,1), «il primo giorno dopo il sabato» (Mc 16,9).25 L'espressione «il terzo giorno» compare infatti in tutti i simboli della fede dai primitivi simboli battesimali fino alle professioni di fede dei grandi concili antichi: già nella Traditio apostolica di Ippolito Romano del III sec., poi nelle confessioni di Nicea e Costantinopoli.26 In concl.usione Paolo con te.l hemeral te.l trite.l richiama sia il dato tradizionale della risurrezione avvenuta nel .30 Lo stesso verbo ophthe nel NT è adope­ rato per Mosè ed Elia che apparvero sul Tabor ai discepoli (cf. Mc 9,4 e par.); per l'angelo del Signore che apparve a Zaccaria (cf. Le 1 , 11); per l'angelo del Signore che apparve a Gesù (cf. Le 22,43); infine per il Risorto che apparve a Simone (cf. Le 24,34), a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea (cf. At 13,31) e a Paolo (cf. At 9,17; 26,16). In 1 Cor 15 come in Le 24,34 dopo l'apparizione non segue un discorso rivelativo.31 Occorre tener presente anche che il verbo ophthe nella LXX compare 85 volte, di cui 46 con soggetto YHWH o la sua gloria, o un angelo di YHWH che si rivela a qual­ cuno, e 39 con soggetto singole persone che si presentano davanti a YHWH nel tempio o sono visti («compaiono») da altri in senso normale e quotidiano. Inoltre che l'uso del verbo al passivo nel gre­ co classico riflette quello della LXX. Quest'ultimo dato suggerisce l'impossibilità di concludere che si tratti di rivelazione soggettiva e non oggettiva. «Il significato di quella parola nel contesto di cui

29

lvi, 376. GLNT, VIII, 935-936, citato in BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 811. 31 Cf. ib.

30

120

parliamo - cioè il significato che aveva per Paolo e quello che aveva nella tradizione da lui citata - dev'essere valutato in base a criteri più ampi che quelli del solo uso linguistico».32 I vv. 6-8 si distaccano dai precedenti per l'assenza di kai hoti («e che»), sostituito da epeita («in seguito))), termine che, ripetuto al v. 7, si connette strettamente con la formula avverbiale del v. 8 («per ultimo poi di tutti/eschaton de pantom) ). Si ripete ophthe, con un'espansione del numero delle apparizioni e dei loro beneficiari, molto probabilmente «fatta da Paolo attingendo dalla tradizione protocristiana)).33 Nel v. 6 è menzionata un'apparizione collettiva a 500 fratelli che non è attestata altrove nel NT. È stata fatta l'ipotesi che sia un doppione di At 2,1-4,34 ma non ci sono dati per dimostrarla.35 È più probabile che l'apparizione ai 500 sia un evento simile a quello di Mt 28,16-20, anche se vi sono menzionati solo gli «Undici». La ragione del racconto dell'apparizione è indicata alla fine del v. 6, dove si dice, parafrasando, che «sebbene alcuni siano già morti, la maggior parte è ancora in vita e (implicita forte sottolineatura) potrebbero essere in­ terrogati per sentire la loro versione di ciò che hanno visto e saputo)).36 Nel v. 7 la frase «poi apparve (ophthe) a Giacomo e quindi (eita) agli apostoli tutti)) ripete la formula del v. 5. L'apparizione a Giacomo non è testimoniata altrove nel NT. Solo nell'apocrifo Vangelo degli ebrei, citato da Girolamo nel De viris illustribus (PL 23,641B-643a), leggiamo: «Il Signore, dopo aver consegnato la sin­ done al servo del sacerdote, si recò da Giacomo e gli apparve)).37 Giacomo in Gal 1 ,19; 2,9.12 (cf. anche 1Cor 9,5) è presentato come una grande autorità nella prima comunità insieme a Cefa e Giovan­ ni, anch'essi «ritenuti le colonne)) (Gal 2,9). Nell'espressione «agli apostoli tutti)) (tois apostolois pasin) l'ag­ gettivo pasin è posticipato rispetto ad apostolois. Di sicuro si tratta di un gruppo diverso dai Dodici, perché in caso contrario avremmo una ripetizione di quanto affermato nel v. 5b: «Apparve a Cefa poi

32 WRIGHT, Risurrezione, 382. Nella nota 33 per la questione del Gesù risorto, rimanda al saggio di Davis del 1997. 33 BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 812. 34 Cf. E. voN DoBSCHUTZ, Ostern und Pfingsten: eine Studie zu l. Korinther 15, Leipzig 1903, 33-43. La tesi è considerata «possibile>> da C.K. BARREIT, La Prima Lettera ai Corinti, Bologna 1979, 418-419. 35 Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 813. 36 WRIGHT Risurrezione, 383. 37 Citazione in BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 813-814. ,

121

ai Dodici».38 Lo si potrebbe interpretare come un gruppo geroso­ lomitano sulla base di Gal 1,17.19, dove menziona gli «apostoli che erano prima di me>> e specifica di non aver visto «alcun altro degli apostoli>> (heteron ton apostolon). Ma è una lettura insostenibile tenuto presente che in 1Cor 9,5 Paolo chiama se stesso e Barnaba «apostoli»; in Rm 16,7 Andronico e Giunia sono definiti «insigni tra gli apostoli»; in 1Cor 12,28-30 al primo posto dell'elenco pone gli «apostoli». Barbaglio pensa a un «gruppo più numeroso dei Dodici, delimitato, per un verso, dalla loro attività missionaria (cf. 1Cor 9,5) e, dall'altro, dall'essere beneficiari dell'apparizione del Risorto».39 Nel v. 8 la notizia «e per ultimo di tutti (eschaton panton), come a un feto abortito, apparve (ophthe) anche a me» ha valore crono­ logico a motivo dei due epeita precedenti. Secondo Murphy O'Con­ nor «tutti» si riferirebbe a «quindi agli apostoli tutti», ma è meglio intenderlo come riferimento «a tutti coloro a cui Cristo apparve».40 Di certo si tratta di un'allusione all'esperienza di Damasco (Jesoun ton kyrion hemon heoraka [1Cor 9,1]), letta come «apocalisse» in Gal 1 ,16 (apokalypsai). La nota «Ultimo di tutti» dice una serie di persone che è giunta a conclusione. Sono i testimoni che hanno visto qualche cosa e possono essere interrogati. «Come a un feto abortito (hosperei to; ektromati)» «indica un feto nato prima del tempo, vivo o morto, [ . . . ] cioè riferimento a una nascita anticipata, dunque normale».41 Ektromal«feto nato prima del tempo» in Nm 12,12, come anche Gb 3,16 e Qo 6,3, sta per un bambino privo di vita sin dal seno materno e nato morto (cf. GLNT, III, 369). La difficoltà deriva dal fatto che l'immagine dice un qualcosa che è avvenuto «prima» e non «dopo», come lascia in­ tendere «ultimo poi di tutti». L'espressione certamente qualifica il soggetto beneficiario dell'apparizione pasquale. Si pone la doman­ da: aborto per la condotta di prima o per la nascita cristiana e apo­ stolica? È da preferire per condotta di persecutore a motivo del v. 9, che richiama l'attività di persecuzione. Nessun merito, quindi, ma demerito: «Era un uomo mal riuscito, un feto abortito, con proba­ bilità privo di vita, che Cristo ha beneficiato di una sua apparizione, come Cefa, i Dodici e tutti gli altri».42 Paolo «è un prodigio vivente di grazia, cui deve quello che al presente è, come chiarisce ancor 38

39 40 41 42

122

Cf. ivi, 814. !b. !b. !b. lvi, 815.

più nel v. 10».43 Harnack e altri (cf. J. ScHNEIDER, in GLNT, III, 371ss) interpretano «aborto» come epiteto spregiativo dato a Paolo dagli avversari, ripreso dall'apostolo per dire l'efficacia della charis. Se Paolo avesse pensato a una forma differente di «apparizio­ ne» rispetto a quella dei Dodici, «il discorso delle "visioni" sarebbe irrilevante; l'idea che esse si producessero per un tempo e poi non più sarebbe stata incomprensibile; e l'idea che con quell'evento la nuova era aveva fatto irruzione nel secolo presente sarebbe stata inimmaginabile».44 2.5. I vv. 9-11

I vv. 9-10 hanno per oggetto la sua identità di beneficiario dell'apparizione del Risorto. In continuità con l'immagine del feto abortito del v. 18 abbiamo l'espressione «l'infimo (ho e/achi­ stos) degli apostoli)) che ha un parallelo in Ef 3,8: «a me infimo (elachistotero) di tutti i santi)). Le proposizioni relativa e causale dicono il suo occupare «l'ultimo posto nell'elenco degli Apostoli per la sua insufficienza (ouk. . . hikanos) di ex persecutore della chiesa di Dio)).45 Nel v. H l'espressione «dunque sia io sia loro, così annunciamo e così avete creduto)) attesta che il suo vangelo è fondato sulla pa­ rola dei testimoni della risurrezione ed è per questo sufficiente per «affrontare la "refutatio" della tesi di alcuni (v. 12) e la "probatio" della sua tesi (di'anthropou anastasis nekronlmediante un uomo la risurrezione dei morti))).46 3.

Conseguenze della negazione della risurrezione (d. 15,12-19)

L'unità dei vv. 12-19 si apre nel v. 12a con una transizione che riprende la conclusione del v. 1 1 «così annunciamolkeryssomem). La refutatio è finalizzata a «dimostrare la falsità della posizione avversa)),47 mediante diversi periodi ipotetici, introdotti dalla con­ dizionale ei/«se)) ripetuta ai vv. 12.13.14.16.17.19. 43 lb.

"' WRIGHT, Risurrezione, 388. 45 BARBAGLIO, La prima lettera

ai Corinzi, 815.

"' lvi, 817. 47 lvi, 786.

123

3. 1. Il v. 12 Il primo periodo ipotetico è sotto forma di domanda retorica e dichiara l'impossibilità (pos) della negazione della risurrezione dei morti, tenuto presente l'annuncio evangelico della risurrezione di Cristo (v. 12): «L'affermazione cristologica (keryssein/annunciare) è incompossibile con la negazione (legeinldire) soteriologica));48 giacché «la risurrezione di Gesù sta e cade con l' anastasis nekron, con la risurrezione dei morti in genere)).49 Dopo aver messo a fuoco il punto di partenza che è l'annuncio dell'evento della risurrezione: «Ora se si annuncia [ . . . ])), chiama gli interlocutori a confrontarsi con il kerygma esposto mediante una domanda retorica allo scopo di far riconoscere che è impossibile quanto «affermano alcuni tra voi>) (en hymin tines legousin). Non si tratta di «alcuni» nel senso di pochi, ma «personaggi molto vaghi, non ben conosciuti [ . . . ] rumors)>.50 Paolo non dice che se uno è risorto, non è vero che non ci sarà nessuna risurrezione, ma che se «uno è risorto, dunque non è vero che non si darà risurrezione di molti altrù>Y Abbiamo lo stesso kerygma di Rm 1 ,3b-4: «Nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santifica­ zione ex anastaseos nekron, Gesù Cristo, nostro Signore». Occorre precisare che in questo passo di Rrn l il genitivo nekron nell'espres­ sione ex anastaseos nekron può essere tradotto in due modi diversi: - «dalla risurrezione dei morti»: per grammatica e Vulgata (ex resurrectione mortuorum); - «dalla risurrezione dai morti»: per supposizione di un ek sot­ tinteso: ex anastaseos ek nekron. Nitrola ritiene che in lCor 15,12 il genitivo nekron nell'e­ spressione anastasis nekron non sia lo stesso che il genitivo latino (mortuorum), ma avrebbe il valore di moto da luogo, come in Rm 1,3b-4 dove il genitivo ex anastaseos nekron si trova in parallelismo con ek spermatos Dauid, con la risurrezione intesa come un'esalta­ zione, un essere strappato dallo sheol, ovvero dal regno dei morti, e quindi dai morti sulla base dell'AT. Tale sottolineatura dice che agli inizi si era più interessati alla risurrezione dai morti piuttosto che alla risurrezione dei morti, anche se ciò non significa che i cri48

lvi, 783. Barth, citato in BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 784. so A. NITROLA, Trattato di escatologia, 2: Pensare la venuta del Signore, Cinisello Balsamo (MI) 2010, 211. 51 BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 819. 49

124

stiani non la credessero. In merito all'espressione «dal regno dei morti>>, Hoffmann ha dimostrato che la formula ek nekron in Paolo presuppone la concezione dello sheol, quale regno dei morti.52 La conclusione di Paolo: l'affermazione Christos egegertai ek nekron «è incompatibile con anastasis nekron ouk estin» e la risurrezione di Cristo non costituisce un'eccezione, ma un prototipo e una pro­ messa per i credenti, come si precisa al v. 23.

3.2. I vv. 13-19 Seguono due microunità: vv. 13-15 e vv. 16-18, con «due periodi ipotetici, di cui il secondo assume, in forma di protasi, l'apodosi del primo»:53 - se si nega x, si nega anche y (cf. vv. 13 e 16); - ma se si nega y, ecco le conseguenze (cf. vv. 14-15.17-18): «X e y sono così interrelati che la negazione dell'uno implica la negazione dell'altro».54 Lo schema della prima microunità (vv. 13-15) è il seguente: - protasi 1 : Se non vi è risurrezione dei morti; - apodosi 1: neanche Cristo è risorto! - protasi 2: Ma se Cristo non è risorto, - apodosi 2: • inefficace allora (è) la nostra predicazione; • inefficace anche la vostra fede; • e noi siamo trovati falsi testimoni di Dio. Lo schema della seconda microunità (vv. 16-18), parallela alla prima con «Una variazione solo materiale delle implicazioni della tesi avversa»:55 - protasi 1 : se infatti i morti non risorgono; - apodosi 1 : neanche Cristo è risorto; - protasi 2: ma se Cristo non è risorto; - apodosi 2: • folle (è) la vostra fede (voi); • siete ancora nei vostri peccati (voi); • inoltre quelli che si sono addormentati in Cristo sono perduti (essi).

52 Cf. ivi, 818,

53

nota 121.

lvi, 784.

54 /b. 55 lvi,

785.

125

3.2.1. I vv. 13-15 Nel v. 13 «neppure/oude» non si riferisce direttamente a Chris­ tos, ma stabilisce un confronto tra due eventi, cristologico e sote­ riologico, in cui l'esclusione di questo implica l'esclusione di quello. Il no alla risurrezione dei morti equivale a negare la risurrezione di Cristo. L'apostolo al v. 14 passa alle conseguenze indirette di tipo spiri­ tuale a livello di annuncio e di efficacia salvifica dai peccati: «Ma se Cristo non è risorto, allora inefficace (kenon) è il nostro annuncio, inefficace (kene) anche la vostra fede>>. Nell'epistolario parla del rischio di rendere inefficace la fede (cf. Rm 4,14), la croce (cf. 1Cor 1 ,17), la grazia di Dio (cf. 1Cor 15,10) e del «correre invano>> (Fil 2,16). La terza conseguenza (v. 15) è che Paolo risulterebbe squali­ ficato come annunciatore della risurrezione, ridotto a testimone della falsità del mondo (pseudomartyres tou Theou: genitivo og­ gettivo), con uno stravolgimento sia del suo ruolo che di quello degli altri testimoni della risurrezione (cf. vv. 5-7). Le conseguenze toccherebbero anche i corinzi perché hanno prestato fede alla sua testimonianza (vv. 1-3a.ll). Wright coglie nel v. 15 «l'indicazione di quale sia il vero substrato dell'argomentazione: la dottrina paolina di Dio, ossia la credenza ebraica, e più specificatamente farisea, secondo cui il Creatore è colui che risuscita i morth>.56 3.2.2. I

vv.

16-19

Nei vv. 16-17, dopo la concatenazione dei vv. 14a-15, si riprende la concatenazione dei vv. 13-14a, con una variazione: egeirontai al posto di anasatasis, un presente con valore di futuro (come affer­ mazione di principio). Due conseguenze sono messe in rilievo: l'inutilità della fede e la permanenza nei peccati. L'espressione «folle (mataia) (è) la vostra fede>> ripete il contenuto del v. 14, con mataia al posto di kene. O. Bauernfeind formula la distinzione tra i due aggettivi in questi termini: «kenos senza valore perché privo di contenuto; mataios = senza valore perché illusorio o vano».57 La conseguenza del rifiuto della verità della risurrezione dei morti sarebbe la loro permanenza nei peccati («Siete ancora nei vostri =

5� 57

126

WRIGHT, Risurrezione, 390. GLNT, VI, 1406, citato in BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 820.

peccati»), ovvero il non cambiamento della situazione del pecca­ tore. L'«essere ancora nei peccati» si pone in antitesi con il v. 3b: «Cristo è morto per i nostri peccati>>. Negare la risurrezione di Cristo-primizia (cf. v. 20) equivale a negare la sua morte-per-noi. Con il v. 18 si allarga il quadro degli interessati alle conseguen­ ze del rifiuto della risurrezione di Cristo: dal «noi» al «VOi» a «essi», ovvero i credenti defunti che hanno aderito a Cristo e sono vissuti in comunione con lui. Hoi koimethentes en Christoi, parallelo a hoi tou Christou del v. 23, sono i credenti destinati a essere risuscitati nella parusia. I credenti già deceduti (aoristo apolonto) hanno un destino comune: se Cristo non è risorto la perdizione diventerà la sorte di tutti i cristiani.58 Apollymi è usato più volte in Paolo in sen­ so escatologico, in modo antitetico a sozo!soteria. L'antitesi «perdi­ zionelapollymi-salvezza!sozo» compare infatti in 1Cor 1 ,18 e 2Cor 2,15 (en) tois apollymenois!tois sozomenois; in Fil 1,28, apoleias/ soterias. In Fil 3,19 apoleia è il telos di chi si comporta da nemico della croce di Cristo, mentre in Rm 2,2 apollysthai è il destino di quanti peccano e si trova in parallelo con il giudizio di condanna (krinomai). L'apostolo non colloca l'ipotesi di una futura beatitudine disincarnata a nessun livel­ lo nella graduatoria delle mete degne di essere perseguite; egli non consi­ dererebbe affatto una sopravvivenza non fisica alla morte come , presumibilmente finché ciò volesse significare che la persona non è stata riscattata, «salvata>>, dalla morte, ossia dall'irreversibile corruzione e distruzione del corpo umano, buono e dato da Dio. Rimanere morto, sia pure «addormentato nel Signore>>, senza la prospettiva della risurrezione, significherebbe che la fede e la vita cristiana, comprese le sofferenze, sa­ rebbero «per questa vita soltanto>>.59

L'argomentazione continua nel v. 1 9 con una variazione: - protasi: se in questa vita siamo speranti solo in Cristo; - apodosi: siamo quelli da commiserare di più fra tutti gli uomini (noi generale). Negare la risurrezione dei morti equivale a restringere la spe­ ranza all'esistenza terrena: «Se in questa vita soltanto (monon) abbiamo sperato in Cristo, siamo quelli da commiserare di più fra

58 59

ivi, 821, nota 127. WRIGHT, Risurrezione, 391-392. Cf.

127

tutti gli uomini». La protasi equivale a quella dei vv. 13a e 16a. « Zi5e aute è antitetica a zi5é ekeiné del mondo della risurrezione».60 4. Risurrezione di Cristo e risurrezione dei morti (cf. 15,20-28)

Orizzonte interpretativo dell'unità sono le storie della crea­ zione e della caduta di Gen 1,26-28 e 3,17-19,61 come avviene per l'unità successiva i cui contenuti ricordano Gen 1-2.62 La struttura argomentativa dei vv. 20-28 è la seguente: - A propositio: Cristo risorto primizia tra quelli che si sono addormentati (cf. v. 20); - B probatio: come un uomo/Adamo mediatore di morte, così un Uomo/Cristo mediatore di risurrezione/vita dei morti (cf. vv. 21-22); - A1 propositio: ognuno però nel proprio turno/posizione: Cri­ sto, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo (cf. vv. 23-24); - B1 probatiolgar: l'instaurazione del regno di Cristo su tutti i nemici e infine sulla morte (cf. vv. 25-27a); la sottomissione di tutto e di Cristo a Dio perché sia «tutto in tutti» (cf. vv. 27b-28). Assistiamo a una svolta nell'argomentazione (come in Rm 3,21): alla negazione cristologica è contrapposta la certezza del da­ to evangelico: «Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti)). I periodi ipotetici sono sostituiti da affermazioni cristologiche e soteriologiche e l'argomentazione tende a dimostra­ re non le conseguenze deleterie, ma che la risurrezione dei morti è fondata nella risurrezione di Cristo. Al duplice «DO» precedente segue «il duplice sì»: Cristo è morto, i morti risorgeranno.

4.1. Il v. 20 La primapropositio, nel v. 20, enfatizza il credo proclamato nel­ la prima pericope al v. 4: «Cristo [ . . . ] è risorto)). Non si tratta sem­ plicemente di una ripresa dell'articolo della fede, perché interpreta precisando: «Cristo è risorto dai morti, "primizia tra quelli che si

60 61 62

128

BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 821, nota 129. Cf. WRIGHT, Risurrezione, 393. Cf. ivi, 400.

sono addormentati", cioè il primo a cui terranno dietro senz'altro altri».63 A oude Christos egegertai di 15,13 contrappone (de avver­ sativo) Christos egegertai ek nekron e precisa: «(come) primizia (aparche) di quelli che si sono addormentati nella morte>>: «Cristo è risuscitato non come il solo, bensì come il primo di una serie di morti che risusciteranno. L'interpretazione teologica del Credo pri­ mitivo è fatta chiarendo l'identità del risuscitato e approfondendo la valenza dell'evento».64 Con «primizia degli addormentati nella morte (ton kekoimemenon )» invece che dei risorti, si sottolinea il punto di partenza che è l'abitazione nel regno dei morti (cf. Cristo è risorto «dai morti»lek nekron). 4.2. I vv. 21-22

La probatio dei vv. 21-22 è introdotta da due gar: è mediante Cristo risuscitato che si avrà la risurrezione dei morti. Il nesso causale di aparche è illustrato attraverso il parallelismo antitetico Adamo-Cristo: - A perché, per mezzo di un uomo (di'anthropou) morte; - B per mezzo di un uomo (di'anthropou) anche risurrezione dei morti; - A1 come infatti in Adamo (en to;Adam) tutti muoiono; - B1 così in Cristo (en to; Christo) tutti saranno fatti rivivere. Sono due versetti paralleli, in cui il secondo riprende il primo chiarendo. Per motivare l'applicazione dell'immagine dell'aparche a Cristo risorto e per renderla plausibile, ricorre al parallelismo tra Adamo e Cristo, in modo simile a quello di Rrn 5,12-21. Adamo e Cristo sono capostipiti su piani diversi: Adamo sul piano della «fattualità», perché ogni uomo nasce «dopo», nel segno di Adamo, determinato da lui; Cristo sul piano dell'opportunità della fede: ogni uomo, per la fede, può riconoscere in Cristo il suo capo e la­ sciarsi determinare da lui. L'influsso di Adamo sulla sua discenden­ za è descritto nella letteratura giudaica: Sir 25,24, «Da una donna (viene) l'inizio del peccato (arche hamartias), e per mezzo di lei tutti moriamo (di'auten apothneskomen pantes)» (cf. 4Esdra 3,7; 7,48). Eloquenti sono i testi di 2Baruc 17,2-3: «Giacché che è valso a Adamo esser vissuto novecentotrenta anni se ha trasgredito ciò che gli era stato comandato? Non gli è dunque valso a niente vivere

63 BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 786. 64 lvi, 822.

129

sì a lungo, ma egli ha portato la morte e ha dimezzato gli anni di coloro che erano nati da lui»; e di 2Baruc 23,4: «Giacché quando Adamo peccò e fu decretata la morte per tutti i nascituri, allora fu contata la moltitudine di quelli che sarebbero nati e per quel nu­ mero fu preparato un luogo dove avrebbero abitato i viventi e dove sarebbero stati conservati coloro che muoiono>>. Il v. 22 contiene una specificazione in senso universalistico, poiché il parallelismo Adamo-Cristo ha alla base lo schema uno-tutti (cf. Rm 5,12ss ). Dalla lettura dei vv. 21s sembra che la risurrezione abbia un'e­ stensione vasta quanto la morte: se tutti muoiono, tutti risorgeranno, credenti e non, dal momento che nel v. 26 si dice che la morte sarà annientata. Tuttavia si tratta di una lettura errata perché pantes non è l'elemento centrale, centro è la contrapposizione Adamo-Cristo: «Come in Adamo, cioè quelli che sono in Adamo, legati ad Adamo, ossia gli uomini in quanto tali, tutti (nessuno escluso: è il fatto! ) muo­ iono, così anche - c'è un kai che le varie traduzioni tralasciano - con Cristo avviene la stessa cosa: quelli che sono in Cristo, legati a Cristo, i Cristiani, tutti (nessuno escluso: è la speranza! ) risorgeranno».65

4.3. I vv. 23-24 I vv. 23-28 riprendono e sviluppano il nesso causale-salvifico tra Cristo e i cristiani. I vv. 23-24 sono una propositio complementare alla precedente con un'affermazione di principio: - v. 23: • A) primizia (aparche) --+ Cristo (v. 23a); • B) poi (epeita) --+ quelli di Cristo --+ alla sua parusia (v. 23b); - v. 24: • C) quindi (eita) --+ la fine (to telos) (v. 24a); • B) sconfitta di ogni Principato e Potenza e Forza (v. 24c); • A) consegna del Regno a Dio (v. 24b). Il v. 24 - «quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla (katargese) ogni Principato e ogni Potenza e Forza» - specifica il v. 23. Il compimento finale consiste nella deattivazione delle potenze nemiche e nella consegna del Regno a Dio. I due con­ giuntivi del v. 24: paradidoi (al presente) e katargei (all'aoristo) dicono che l'evento indicato dal secondo verbo è precedente al primo.66 Ab65 NITROLA, Trattato di escatologia, II, 214. 66 Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 787, nota 50.

130

biamo un'altra propositio subordinata a quella del v. 20, che precisa l'ordine di successione degli eventi escatologici. Non solo chiarimento ma anche espansione del v. 20, perché aggiunge il motivo del compi­ mento finale: «quindi (eita) la fine (to telos)». Hoi tou Christou si rife­ risce a «tuttilpantes» del v. 22 «in senso relativo: si tratta della totalità dei credenti che attraverso fede e battesimo diventano "di Cristo'\>.67

4.4. I vv. 25-27a I vv. 25-28: formalmente sono una probatio del contenuto del telos, cioè della signoria di Cristo che sfocia in quella definitiva di Dio. «Pas/tutto» nei vv. 24-28 compare almeno 10 volte e la formu­ la conclusiva è «Dio tutto in tutti»: - vv. 25-27a: tutti i nemici devono essere vinti da Cristo, anche la morte: fondamento nella Scrittura (cf. Sal 1 10 e 8); - vv. 27b-28: ripresa del tema del passaggio dal regno di Cristo a quello di Dio di v. 24b. Nel v. 25 abbiamo l'espressione: «È necessario (dei) infatti che egli regni (basileuein) finchè non abbia posto (the) tutti i nemici (pantas tous echthrous) sotto i suoi piedi». Paolo dimostra con la Scrittura la prospettiva del regno di Cristo. Cita con libertà il Sal 1 10 (109 LXX),1: «Oracolo del Signore al mio signore: "Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi"». Infatti al posto dell'imperativo divino rivolto al re d'Israele: «Siedi alla mia destra», abbiamo l'affermazione della necessità «che egli regni», con soggetto sottinteso Cristo. La scelta di basileuein, al posto di «siedi alla mia destra», deriva dalla menzione del regno (basi/eia) di Cristo del v. 24. Poi passa a descrivere l'azione di as­ soggettamento di «tutti i nemici» a Cristo. Rispetto al testo del Sal 1 10 a «nemici» viene aggiunto «tutti», che accentua l'idea di totalità e universalità della sovranità di Cristo in quanto risorto, qualificato precedentemente come «aparche/primizia».68 Si legge «tra le righe del testo paolino che la signoria vittoriosa di Cristo sui nemici è co­ minciata con la sua risurrezione e raggiungerà l'apice quando tutti saranno assoggettati o vinti».69 Il motivo della signoria con sotto­ missione delle potenze contrarie richiama Do 7,13-14: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno

67 lvi, 825. 68 Cf. ivi, 828. 69 /b.

131

simile a un figlio d'uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. 14Gii furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto»; e Dn 7,27: «Allora il re­ gno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saran­ no dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi Io serviranno e gli obbediranno>>. Nei vv. 26-27, nella frase: «Ultimo nemico viene annientata (ka­ targeitai) la morte. Tutto infatti sottopose (hypetaxen) sotto i suoi piedi», Paolo applica la citazione della sottomissione dei «nemici» a una nuova realtà avversaria di Cristo: la morte.70 La signoria di Cri­ sto viene fondata biblicamente sul Sal 8,7 LXX con adattamenti: - Sal 8,7: panta hypetaxas hupokato ton podon autou; - 1Cor 15,27a: panta (gar) hypetaxen hypo tous podas autou. Se nel Sal 8,7 è Dio creatore che ha sottomesso tutto all'uo­ mo, in 1Cor 15,27 è Cristo che sottomette a sé ogni cosa.71 Il verbo «assoggettò»!hypetaxen riprende katargeitail«è annientata/ sarà annientata» del v. 26 e katargese,f«essere annientato» del v. 24, che hanno per soggetto Cristo, come paradido/2 A pantas tous echthrous del salmo 110 viene sostituito il pronome plurale neutro panta, che sta per l'intero creato. Il salmo 8 è citato altrove nel NT per dire la sovranità cosmica di Cristo: - Fil 3,20-21: hypotaxai auto; ta panta: soggetto attivo è Cristo; - Ef 1 ,22: per l'intronizzazione di Cristo al di sopra delle potenze; - Eb 2,6-8: ta panta hypotetagmena: è Dio che assoggetta a Cristo tutto; - 1Pt 3,22: hypotagenton auto; «angeli, principati e potenze». Altre due differenze sono da sottolineare nella citazione del salmo 110 e del salmo 8: citando il salmo 110 l'assoggettamento è visto come «un processo» sino alla definitiva vittoria («finché non abbia posto»); citando il salmo 8, con l'aoristo hypetaxen si intro­ duce l'idea di un fatto compiuto della sottomissione di «tutto» a Cristo e a Dio.

7° 71

72

132

Cf. Cf. Cf.

ivi, 829. ivi, nota 155. ivi, nota 156.

4.5. I vv. 27b-28

I vv. 27b-28 parlano del passaggio dal regno di Cristo a quello di Dio, che comprende l'assoggettamento di Cristo a Dio, che sarà «tutto in tutta la realtà (panta en pasin)». Il v. 27b precisa che la signoria universale di Cristo non significa che Dio sia compreso tra le realtà sottomesse. Il v. 28 afferma il contrario. «Il fatto che Cristo si sottometterà a Dio dice che esiste un unico principio teologico di sovranità e che la signoria cristologica è subordinata alla signoria di Dio».73 Nei vv. 27-28 abbiamo la frequente ripetizione della radice tagma («ordine di battaglia») per sottolineare che Cristo governa il mondo in obbedienza a Dio. È la ripresa del Sal 8,7 per dichia­ rare la vittoria militare metaforica del Messia su tutti i nemici del Creatore che minacciano la creazione buona. Questa prospettiva è anche quella del salmo 110 e di Daniele 7: Al di sotto del Creatore, al di sopra del mondo, riflettendo l'immagine divina nel mondo nel senso di portare l'ordine vittorioso, saggio e salvi­ fico del Creatore in un mondo che altrimenti sarebbe soggetto al regno distruttivo della morte e di tutte le potenze che vi conducono. Questo Dio sarà visto come il Sommo Dio, che alla fine sarà [ . . . ] sarà l'adempimento finale dell', che è stata inaugurata in mezzo al dalla morte e risurrezione di Cristo. Si tratta del momento in cui gli eventi di cui si parla nei vv. 3-4 avranno il loro effetto.74

5. Altre conseguenze della negazione della risurrezione (d. 15,29-32)

L'unità dei vv. 29-32 riprende il procedimento della refutatio ribaltando quanto ha dimostrato nella pericope dei vv. 20-28. Si torna all'argomentazione dei vv. 12-19, ovvero alla refutatio della tesi dei tines, per precisare ulteriormente le conseguenze della ne­ gazione della risurrezione dei morti. Lo schema dei vv. 12-32: A refutatio (vv. 12-19); - B probatio (vv. 20-28); - N refutatio (vv. 29-32). -

73 lvi, 831. 74 WRIGHT, Risurrezione, 385-396.

133

La struttura è ancora quella dei periodi ipotetici; l'apodosi pri­ ma compare come domanda retorica con implicita risposta negati­ va e poi come coortativo positivo.75 La protasi, invece, ripetuta nei vv. 29 e 32, contiene la tesi dei tines: «Se i morti non risorgono>>. La struttura argomentativa è la seguente: - A se i morti non risorgono (v. 29); -

B:

a) perché (pronome interrogativo ti) anche si fanno bat­ tezzare per i morti? (essi) (v. 29); • b) perché (pronome interrogativo ti) ci esponiamo a pe­ ricoli ad ogni istante? (noi/io) (v. 30); • c) Se per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che (pronome interrogativo ti) mi gio­ verebbe? (io) (v. 32); N se i morti non risorgono (v. 32); • d) allora mangiamo e beviamo, perché domani moriremo (noi generale) (v. 32). Gli interrogativi retorici dicono l'esclusione di qualsiasi ragione: non c'è motivo per fare questo. Al v. 29 abbiamo una struttura chiastica: - A altrimenti, che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti? - B se davvero i morti non risorgono, - N perché si fanno battezzare per loro? Abbiamo la prima conseguenza. La protasi richiama il v. 16 («Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto»), con­ nesso a sua volta con l'analogia del v. 15. Particolare è l'aggiunta dell'avverbio holos («in definitiva/davvero») che occupa una posi­ zione mediana e regge sia la proposizione precedente che quella successiva. L'accusa è che ricevere il battesimo a favore dei morti, nell'ipotesi che non ci sia risurrezione, sarebbe privo di senso dato che i morti sono perduti, perché non in grado di riceverne i benefici.76 Questa prassi battesimale, sconosciuta nel resto del NT, è menzionata da Tertulliano con l'espressione vicarium baptisma (De resurrectione carnis 48,11), da Epifanio, che l'attribuisce a un'eresia di matrice cerintiana (Panarion 1,2, haeresis XXVIII,6,4: PG 41,383), da Giovanni Crisostomo, quando parla dei marcioniti, e dal concilio Cartaginense III del 397, che lo proibisce (cf. c. 26).77 •

-

75 Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 788. 76 Cf. ivi, 832. 77 Cf. ivi, 833.

134

Nei vv. 30-32 abbiamo la seconda conseguenza: quella per l'operato di Paolo, come apostolo, di aver corso inutilmente rischi mortali per i corinzi. Di combattimento di fiere non abbiamo con­ ferme altrove, ma solo ipotesi.78 Cenni possono essere individuati in At 19,23ss, nella descrizione della rivolta degli argentieri; e in 2Cor 1 ,8, nella notizia della tribolazione capitatagli in Asia. Se nel v. 30 in dipendenza della protasi e sotto fonna interroga­ tiva troviamo sempre una domanda con risposta negativa: «e anche noi perché correre pericoli a ogni istante?», nel v. 31 si illustra il v. 30 con un'affermazione giurata: «Quotidianamente sono esposto alla morte, com'è vero, fratelli, che voi siete il motivo di vanto che io ho in Cristo Gesù Signore nostro}}. Il v. 32 è costruito come il v. 29. In primo piano non è l'affermazione iniziale ipotetica: «Se per motivi puramente umani ho combattuto contro le belve a Efeso}} ' ma è l'interrogativa: «Che mi giova?» riferita a un fatto reale con protagonista Paolo a Efeso. Parafrasando: «Che mi giova l'aver combattuto per motivi puramente umani contro le belve a Efe­ so?}}. La protasi è sempre la stessa: «Se i morti non risorgonm}, ma regge anche l'apodosi finale: «Allora mangiamo e beviamo, perché domani moriremo». Si ripete quindi lo schema del v. 29 con protasi inquadrata da due apodosi: - A Se per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? B se i morti non risorgono, - A1 allora mangiamo e beviamo. Il procedimento argomentativo è vicino al v. 19: in ambedue non si fa riferimento all'implicita negazione della risurrezione di Cristo.79 Le conseguenze però sono differenti rispetto ai vv. 1219: nei vv . 12-19 il rischio era per l'impalcatura del fatto cristiano (vangelo, fede, annunciatore, salvezza per i vivi e i defunti); qui è l'insensatezza del ricorso al battesimo per procura e della condotta apostolica dello stesso Paolo (esposto continuamente a pericoli), e in aggiunta l'assurdo riconoscimento del criterio del carpe diem. Aletti distingue tra: - conséquences de fait nei vv. 12-19; - conséquences de droit nei vv. 29-32.80 -

78 Cf. ivi, 835. 79 Cf. ivi, 790. 80 Aletti, citato in BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 790.

135

La successione delle prove apostoliche, collegando il v. 32 con il v. 31, è la seguente: - correre pericoli (kindynein); - essere esposto alla morte (apothneskein); - combattere contro le fiere (theriomachein). La conseguenza della negazione della risurrezione è in forma esortativa, con due coortativi complementari e una causale: «Allora mangiamo e beviamo, perché domani noi moriremo».81 Si cita Is 22,13, ovvero il rimprovero agli abitanti di Gerusalemme di darsi alle gozzoviglie. Paralleli li troviamo nel detto di Sardanapalo: «Mi restano i miei banchetti e le mie dissolutezze»82 e nel testo inciso sul­ la base della statua innalzatagli dopo la morte: «Mangia, bevi, amo­ reggia: le altre cose sono un nulla».83 In Sap. 2,1.6-8 sono riportate le affermazioni degli stolti: «La nostra vita è breve e triste [ . . . ] godiamo dei beni presenti [ . . ] saziamoci di vino pregiato e di profumi, non ci sfugga alcun fiore di primavera, coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano)). .

6. Transizione/esortazione parenetica (cf. 15,33-34)

Nei vv. 33-34 abbiamo le conclusioni, con carattere pareneti­ co, della prima parte del capitolo. Sono conclusioni simili a lCor 10,31-1 1,1; 11,33-34; 14,39-40 e che si legano al v. 58 che conclude la sezione. È composto da due motivate esortazioni ai destinatari di l Corinzi, le stesse dell'argomentazione precedente. La prima motivazione (cf. v. 33) ha un imperativo negativo presente che mette in guardia da cattive compagnie, ovvero dai negatori della risurrezione. La seconda motivazione (cf. v. 34) ha un nucleo diret­ to formato dai due imperativi iniziali (aoristo il primo e presente il secondo): «Tornate alla sobrietà (eknepsate) come è giusto e smet­ tete di peccare (me hamartanete)». Viene richiamata la presenza dei tines del v. 12 per screditarli: «infatti alcuni hanno l'ignoranza di Dio; ve ne parlo a vergogna)),

81

Cf. ivi, 836. 82 PLUTARCO, Maralia, 330f. 83 lvi, 336c.

136

7. D

corpo pneumatico dei risorti (cf. 15,35-49)

L'unità ricalca lo schema qal wachomer: insegnamento che cercava di confutare un'obiezione attraverso un'argomentazione di ragione sviluppata in tre tempi: - la domanda (cf. 1Cor 15,35); - il riferimento a esperienze comuni (cf. 1 Cor 15,36-41); - la conclusione che egli chiama a fortiori (cf. 1Cor 15,42-49). 7.1. La domanda (cf 1 Cor 15,35)

Il v. 35 apre la seconda parte del capitolo con lo stile della dia­ triba: si introduce un finto interlocutore che, per suscitare nuovi in­ terrogativi, viene apostrofato con durezza: «Stolto (aphron) tu che semini» (v. 36). L'avversativa alla fa da ponte con quanto precede: «risurrezione dei morti, d'accordo, ma non è tutto, resta da chiarire come e con quale corpo».84 Alla dice che non è stato detto tutto: «Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo giungono?'\>. Compare ancora tis di 1 Cor 15,12: si «inventa» queste domande per poter dare una spiegazione completa della risurrezio­ ne dei morti. Per fare questo ricorre a «un paragone di carattere creazionistico: la risurrezione dei morti è come la creazione e con­ siste in una nuova creazione»;85 a «Un argomento scritturistico» e a un allargamento della «prospettiva a tutti i credenti, morti o ancora in vita alla parusia di Cristo, essendo necessaria la loro trasforma­ zione per diventare incorruttibili».86 Le due domande sono: - «Come (pos) risuscitano i morti?»; - «Con quale corpo (poioi somati) giungono?». La domanda: «Con quale corpo» presuppone la domanda sul tipo di corporeità: - «la stessa di noi terreni oppure un'altra?»; - «e in questa seconda eventualità quale tipo di corporeità?».87 La parola greca pos sottintende non la domanda: «Come, con quale aspetto, con quale tipo di corpo risusciteranno i morti?», ma: «Per opera di chi o di quale potenza può avvenire una cosa così straordinaria?». Ciò che segue risponde sia alla domanda «per ope-

84 85 86 87

BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 838, nota 173. lvi, 838. lb. lvi, 791.

137

ra di chi?» che: «Con quale corpo?». È il Creatore che dà al seme «Un corpo» (cf. v. 38) e crea i diversi tipi di corpi nella continuità e discontinuità, e poi nei vv. 44-46 specifica l'autorità del Messia e la potenza dello Spirito nella risurrezione. Se la concezione della risurrezione di Paolo non fosse stata «fisica» non avrebbe insistito tanto sul motivo della corporeità.88 «Avendo parlato ampiamente dei "morti" (hoi nekroi) fino a questo punto del capitolo - qui passa a parlare dei "corpi" quando pensa a ciò che verrà risuscitato. "l morti", per lui, non sono semplicemente "anime"».89 La categoria antropologica «corpo» è usata già in: - 6,12-19: frequentazioni delle prostitute; - 7,34: santità della vergine. R. Penna90 suddivide i vv. 36-49 in: - argomento di ragione (1Cor 15,36-44); - argomento scritturistico (1Cor 15,45-49). L'argomento di ragione (1Cor 15,36-44) sfrutta l'analogia del seme conosciuta nel rabbinismo. Il centro dell'analogia non è tanto nella necessità della morte per la risurrezione (c'è differenza tra ean me apothane; qui e in Gv 12,24 dove Gesù vuole annunciare la sua morte e risurrezione), perché non si capirebbe in questo modo 1Cor 15,51: «Ecco io vi annuncio un mistero: non tutti, certo moriremo, ma tutti saremo trasformati». Il centro dell'analogia è nel soma e l'u­ tilità dell'immagine del seme è data dal fatto che come l'uomo «muo­ re)). C'è l'idea di continuità nella diversità della storia della pianta: - il soma che c'è prima della morte (il chicco); - il soma che c'è dopo la morte (la pianta). Per superare l'idea di univocità del soma e sottolineare la plu­ ralità si elencano diversi somata. Nitrola, citando uno studio di J. Becker (La risurrezione dei morti nel Cristianesimo primitivo) indi­ vidua un parallelismo tra questa serie di corpi e la serie delle crea­ ture di Genesi 1: semi o piante (cf. Gen 1,11-12), uomini, animali, uccelli e pesci (cf. Gen 1 ,20-28); sole, luna, stelle (cf. Gen 1 ,14-18).91 La diversità dei somata, corrispondente alla volontà creatrice di Dio, conduce ad ammettere la possibilità di un altro soma come frutto dell'opera di Dio e a partire dal v. 42 con houtos introduce la

88

Cf. WRIGHT, Risurrezione, 403. lvi, nota 96. 90 R. PENNA, , in lo. , L'apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, Cinisello Balsamo (MI} 1991, 240-268; cf. NITROLA, Trattato di escatologia, Il, 219ss 91 lvi, 218, nota 83. 8'J

.

138

conclusione della prima argomentazione, volta a indicare la qualità del corpo dei risorti.

7.2. Il riferimento a esperienze comuni (cf J Cor 15,36-4/) I vv. 36-41 sono costruiti su un triplice paragone: - vv. 36-38: seme e pianta: • radicale discontinuità tra seme e relativo corpo della pianta segnalata dalla nudità del seme (cf. v. 36); • esclusione di identità tra seme e corpo della pianta che sarà (cf. v. 37); • rapporto stabilito dal Creatore: donatore del corpo al nudo seme e del corpo di pianta a ciascun seme (cf. v. 38); - vv. 39: carne (sarx) dei viventi: • negazione dell'identità («non la stessa»: ou he aute); • affermazione dell'alterità (alle): non ogni carne (sarx) (è la) stessa carne; ma: altra (è quella) degli uomini; altra la carne (sarx) degli animali; altra ancora la carne (sarx) degli uccelli e; altra (quella) dei pesci; - vv. 40-41: corpi celesti e terrestri: • distinzione tra corpi (somata) celesti e terrestri (cf. v. 40a); • affermazione della loro alterità per splendore (cf. v. 40b); • diversità di splendore anche tra i corpi celesti o astrali; • gli aggettivi sinonimi hetera e alle ripetuti con cadenza ritmica, che enfatizzano la diversità dei corpi, ulterior­ mente sottolineata con la diversità (diapherein) tra stella e stella: A «Vi sono poi corpi (somata) celesti e»; «corpi (somata) terrestri»; B N «ma altro (hetera) è lo splendore (doxa) di quelli celesti»; «altro (alle) lo splendore (doxa) del sole e C altro (alle) lo splendore (doxa) della luna, ancora; altro (alle) lo splendore (doxa) delle stelle» . C1 «In effetti stella differisce da stella nello splendore (doxa)». •













139

Nei vv 36-37 ricorre all'esperienza dell'interlocutore: la semina. Si sottolinea non lo sviluppo dal seme alla pianticella, ma la discon­ tinuità: morte-vita (cf. Gv 12,24: «Se il chicco [ . . . ]» ). Usa zi5opoiei5, «vivificare», adoperato in senso proprio per la risurrezione ai vv 22 e 45. Nel v. 36 l'identità di base tra «seme» e «corpo» è indicata dall'identità dei soggetti dei verbi; nel v. 37 abbiamo l'alterità tra il «seme» e il «corpo>> della pianta. Nel mondo rabbinico viene usato lo stesso linguaggio in Talmud, Sanhedrin 90b: .

.

La regina Cleopatra interrogava Rabbi Meir: «>. Rispose: «Bisogna, nel caso, argomentare e partire dal chicco di grano procedendo a fortiori per concludere dal meno al più. Se il chicco di grano, che si seppelli­ sce tutto nudo, offre, una volta spuntato, un vestito tanto prosperoso, ciò non vale molto di più per i giusti, che faranno spettacolo con i loro vestiti?>>.92

In Pirke di Rabbi Eliezer 33 si legge: Nella risurrezione dei morti, questi si alzeranno tutti abbigliati dei loro vestiti. Da dove trai questa informazione? Il fenomeno della semente è induttivo a questo riguardo, si argomenta a partire dal chicco di grano procedendo a foniori per concludere dal meno al più . Se il chicco di gra­ no, che è sepolto tutto nudo, esce poi da terra con la ricca ramatura che si sa, ciò non è ancora più vero dei giusti? Interrati abbigliati di tutto punto, risusciteranno, certo, abbigliati dei loro vestiti (cit. in Morisette).93

Se nel v. 36 con il passivo zi5ppoietai («non è fatto vivere») si sottolinea l'azione divina, nel v. 38 con didi5sin («dà a lui un soma >>) si sottolinea, oltre che la continuità (il frumento che nasce dal seme), soprattutto la discontinuità: seme e pianta sono due realtà differenti. Il corpo attuale è rappresentato dal «seme nudo», non ancora «rivestito», come lo diventerà alla parusia, quando non sarà più nudo. È un dato comune a 2Cor 5,3-4, che richiama la nudità di Adamo ed Eva in Genesi 2. Se il nuovo corpo è opera di Dio e suo dono, anche la risurrezione sarà effetto della sua grazia.94 La lettura del paragone è fatta in chiave religiosa:

92 93 94

140

BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 841. /b. Cf. WRtGHT, Risurrezione, 404.

Nella semina Paolo non vede all'opera forz� naturali bensì l'azione di Dio: per lui la natura è la creazione, il mondo plasmato dalle mani del creatore. Perciò non dice che la pianta nasce dal seme, bensì che si tratta di un dono divino: la pianta è qualcosa che Dio dà (didosin) al seme, non che esso si dà. Si noti anche la precisazione «come ha voluto>>: nella semi­ na non agiscono leggi naturali immutabili, ma la libertà sovrana di Dio.95

Nei vv. 39-41 l'apostolo sottolinea che ci sono diversi tipi di fisicità, ciascuno con proprie caratteristiche. Non dichiara che chi risorgerà diventerà come oppure propriamente una stella, secon­ do Dn 12,2-3. Può darsi che egli avesse in mente Dn 12,2-3. La distinzione tra corpi e al v. 40 anticipa quella nei 47-49; è tuttavia importante notare che - mentre qui la parola usata per è epigeios, , termine che indica princi­ palmente una collocazione piuttosto che la composizione - nei vv. 47-49 la parola è choi"kos, , che segnala appunto la composizione fisica.96 vv.

Choi"kos è un vocabolo estremamente raro, la cui radice è chous, o ; Paolo aveva forse in mente Gen. 2,7, dove quello è il mate­ riale con cui Dio forma gli esseri umani.97

L'apostolo fa molta attenzione a non confondere le analogie con la realtà della risurrezione. Abbiamo solo metafore e simili­ tudini, non metonimie.98 La prima diversità nel mondo creato (cf. v. 39) è dichiarata con la negazione dell'identità (ou he aute) e con l'affermazione dell'al­ terità (alle). Se al v. 38 aveva usato soma («Corpo»), nel v. 39 ado­ pera il sinonimo sarx («carne») per significare «la figura materiale della pianta e dell'animale, uomo compreso».99 La seconda diversità (cf. vv. 40-41) è quella tra «corpi» (somata) terrestri e celesti a motivo della differenza di splendore. Tra i corpi terrestri sono compresi gli esseri viventi del v. 39 e le piante dei vv. 37-38. Somata epigeia («corpi terrestri») sta per ogni corpo terreno, differente dagli astri, chiamati luminari!phosteres (cf. Gen 1,14-19)

95

BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 842. 96 WRIGHT, Risurrezione, 405. 97 lvi, nota 102. 98 lvi, 405. 99 BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 842.

141

che presentano vari gradi di luminosità.100 Questi «luminari» non sono pensati come «entità spirituali luminose» come avviene nella cosmologia del Timeo, ma sono pensati nella prospettiva demitiz­ zata di Gen 1-2. 1 01 Paolo non suppone neppure che vi sia un' «anima>> che nella sua struttura materiale corrisponda alle stelle; se tale fosse stata la sua intenzione, egli, ai vv. 44-46, non avrebbe parlato del corpo attuale, come di un corpo «ani­ mico/naturale>>, il soma psychikon. Peraltro, il problema che egli affronta non è lo stesso di quello di cui si occupavano Platone e Cicerone nei loro discorsi sull'immortalità astrale. Essi erano ansiosi di fuggire dalla prigio­ ne del corpo; ma per Paolo il problema non è il corpo, bensì il peccato e la morte che vi hanno preso dimora e vi producono corruzione, disonore e debolezza [ . . . ]. Per lui l'anima non è affatto l'ardente sostanza immortale come per Platone, perciò egli considera che la soluzione del problema umano sta nel sostituire 1'«anima>>, in quanto principio animatore del cor­ po, con lo , o, piuttosto, con lo Spirito. 1 02

7.3. La conclusione a fortiori (cf ICor 15,42-49) Nell'espressione «così anche la risurrezione dei morti» del v. 42 l'avverbio houti5s rimanda al sottinteso «comelhi5sper>> dei vv. 3641. La comparazione si pone sulla linea della discontinuità e della diversità. 7.3.1. Confronto tra la realtà terrena e quella risorta: vv. 42-44a L'alterità, implicita al v. 42a, è specificata con quattro qualifiche antitetiche ai vv. 42b-44a: - corruttibilità!incorruttibilità: phthora/aphthasia; - disonore/onore: atimia/doxa; - debolezza/forza: astheneia/dynamis; - corpo psichico/corpo pneumatico: soma psychikonlsi5ma pneumatikon. Tipologia delle contrapposizioni: - prima: sostantivi astratti; - seconda: sostantivi astratti; - terza: sostantivi astratti; 100 101 102

142

Cf. ivi, 843. Cf. WR!GHT, Risurrezione, 406. lvi, 407.

- quarta: sostantivo concreto, corpo/soma, qualificato dagli ag­ gettivi antitetici «psichico» e «pneumatico». Sulla quarta antitesi costruisce la risposta agli interrogativi del v. 35. Passando all'analisi dei singoli versetti, il v. 42 chiarisce che i vv. 36-41 illustrano, con un paragone, la risurrezione. Nello stesso tempo risponde alla domanda come avviene la risurrezione, per opera di chi, in linea con i due interrogativi del v. 35. Nei vv. 42-44a si sottolinea come gli esseri umani alla parusia diventeranno ciò per cui sono stati creati e il fatto che la potenza del Creatore si manifesterà nei loro corpi. 1 03 Abbiamo quattro antitesi in climax: « È seminato (speiretai) nella corruzione, è risu­ scitato nell'incorruttibilità; è seminato nel disonore, è risuscitato nella gloria; è seminato nella debolezza, è risuscitato nella potenza; è seminato un soma psychikon, è risuscitato un soma pneumatikon. Se c'è ùn soma psychikon c'è anche un soma pneumatikon» (1Cor 15,42-44) . Nelle prime tre antitesi il soggetto sottinteso è soma, che diventa esplicito nella quarta. Viene stabilito un confronto tra la realtà terrena e quella risorta, con una netta antitesi, ripetuta quat­ tro volte con binomi paralleli: - corruttibilità/incorruttibilità: sostantivi astratti caratterizzanti il corpo; - disonore/onore: sostantivi astratti caratterizzanti il corpo; - debolezza/forza: sostantivi astratti caratterizzanti il corpo; - un corpo psichico/un corpo pneumatico. La prima è una contrapposizione tra una realtà destinata alla morte e quella esente da degenerazione e annientamento. È pre­ sente in Rm 8,21 per dire che il mondo creato subisce ora la schia­ vitù consistente della corruzione (douleia phthoras), ma ne sarà liberato per giungere alla libertà della gloria (eleutheria doxes) dei figli di Dio; in Rm 1,23 gli aggettivi aphthartos e phthartos qualifi­ cano Dio (cf. 1Tm 1 ,17) e l'uomo; in 1Cor 9,25 abbiamo l'antitesi tra la corona corruttibile e quella corona incorruttibile; in Gal 6,8 è adoperata per dire che chi semina nella carne, raccoglierà dalla carne phthoran e chi semina nello Spirito dallo Spirito raccoglierà la vita eterna. In riferimento alla risurrezione il motivo dell'aph­ tharsia è presente in 4Mac 9,22 che si sofferma sulla trasformazione (metaschematizomenos) del martire nell'incorruttibilità (eis aph­ tharsian) e in 4Mac 17,12 che unisce tre sostantivi presenti anche 103 Cf.

ivi, 408.

143

nel c. 15 di l Corinzi: la vittoria (to nikos: cf. vv. 54-57) del martire è l'incorruttibilità (aphtharsia) in una vita di lunga durata (en zoe poluchronio;; cf. zoopoiein). «In due passi del Salterio "corruzione" e morte/sepoltura fanno tutt'uno e l'arante si dice fiducioso che Dio lo libererà dalla diaphthora!phthora: "né lascerai che il tuo santo veda la corruzione (diaphthoran)" (Sal l5,10); "colui che ri­ scatta dalla corruzione della fossa (ex phthoras) la tua vita (ten zoen sou)" (Sal 102,4)».104 In l Corinzi 15 l'opposizione corruttibilità/ incorruttibilità ritorna nelle affermazioni del v. 50: la phthora non può ereditare l'aphtharsia; in quella del v. 52 dove si dichiara che i morti saranno risuscitati aphthartoi (cf. v. 52); nei vv. 53-54, dove abbiamo una prima antitesi to thneton/athanasian seguita da una seconda dove si afferma solennemente che la realtà corruttibile (to phtharton) indosserà l'incorruttibilità (aphtharsian). La seconda antitesi è presente anche in 2Cor 6,8 per l'esistenza apostolica ma priva di prospettiva escatologica. La troviamo in TestBen 10,8: kai hoi pantes anastosontai hoi men eis doxan, hoi de eis atimian («e tutti risorgerano gli uni per la gloria, gli altri per il disonore»). In Fil 3,21, annunciando la risurrezione secondo il modello cristologico dell'inno di Fil 2, si dichiara che quando verrà dai cieli il Signore Gesù, dunque nella parusia, «trasfigurerà (metaschematisei) il nostro misero corpo (to soma tes tapeinoseos hemon) conformandolo al suo corpo glorioso (to; somati tes doxes autou)». La terza contrapposizione astheneia!dynamis dice la parteci­ pazione personale dell'apostolo all'evento della crocifissione e risurrezione. La quarta antitesi, che compare per la prima volta in Paolo, sconosciuta a Filone e che poi ricomparirà negli gnostici, rimanda a 2,14-15, ai due tipi di uomo secondo il possesso o meno dello Spi­ rito. Il passo più vicino è Gd 1,19 che parla degli uomini psychikoi ovvero privi di spirito (pneuma me echontes). Altro passo simile è Gc 3,15. L'antitesi non è tra «corpo naturale)) e «corpo spiritua­ le)) o tra «Corpo fisico)) e «corpo spirituale)), dal momento che «i ' filosofi dell'antichità distinguevano diversi tipi di sostanze, ma non collocavano la linea divisoria nello stesso posto in cui la pone la mentalità moderna, ossia tra "fisico" e "non-fisico'\).105 Anche dopo Platone non troviamo l'idea dell'assoluta non fisicità. Infatti per gli

IO
c'è un rapporto di esem­ plarità e non di causalità efficiente. L'immagine dell'indossare un vestito (cf. Mt 11,8; Gv 19,5; Gc 2,3) è adoperata per l'«indossare la giustizia» in Gb 29,14; Sal 131,9; Sap 5,18; il «rivestirsi della sa­ pienza» in Sir 6,31; cf. JEnoch 62,15-16.121 In Gal 3,27 e in Rm 13,14 è usata l'immagine dell'«indossare Cristo»!Christon enedysasthai e «indossare il Signore Gesù»lendysasthe ton Kyrion Iesoun Christon per riferirsi ali' esperienza cristiana.122 8. La trasformazione (cf. 15,50-58)

Il contenuto di 1Cor 15,50-58 si può riassumere con il titolo: il quando della risurrezione dei corpi. Se Paolo al v. 35 si rivolge all'obiettore, ora si rivolge agli interlocutori, «fratelli». L'unità è articolata in: - A tesi: il mistero della trasformazione di «noi» mortali (cf. vv. 50-52); - B sviluppo: • trasformazione necessaria (cf. v. 53); • trasformazione che realizza la vittoria sulla morte (cf. vv. 54-55); • riflessione sull'origine della morte (cf. v. 56); • rendimento di grazie conclusivo per il dono della vittoria sulla morte (cf. v. 57).

121 122

150

Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 854. Cf. ib.

8.1. Il v. 50 Nel v. 50 riprende l'antitesi phthoralaphtharsia del v. 42 per dire che non c'è un passaggio naturale dall'una all'altra (cf. v. 50), dal momento che è frutto dell'intervento trasformante (allassesthai) di Dio, che fa sì che ciò che è mortale (thneton) possa diventare im­ mortale (cf. vv. 51-53). Abbiamo una cesura con quanto affermato precedentemente mediante la formula iniziale: «Ora questo (touto de phemi), fratelli>>. Questa introduce i vv. 50-57, ovvero la tesi programmatica del v. 50b: «La carne e il sangue non può ereditare il regno di Dio né la corruttibilità (phthora) potrà ereditare l'incor­ ruttibilità (aphtharsia)». Tale affermazione riprende nella seconda proposizione, parallela alla prima, l'antitesi del v. 42 e il motivo della discontinuità tra «carne e sangue» e regno di Dio e, paral­ lelamente, tra corruttibilità e incorruttibilità. Tra i due ambiti c'è uno iato incolmabile. Solo l'azione divina può trasformare l'essere corruttibile in essere incorruttibile. Le due proposizioni parallele contengono rispettivamente la prima una terminologia tradizio­ nale, la seconda invece contiene termini paolini e del contesto (cf. vv. 42.52.53.54) . L'espressione «carne e sangue» sta per l'uomo nella sua creaturale impotenza di fronte alla sfera soprannaturale ed è adoperata in Gal l,l6 e Mt 16,17 per l'uomo in quanto tale. «L'uomo con tutte le sue potenzialità naturali e create è inadegua­ to, o meglio, impossibilitato (ou dynatai) a partecipare alla realtà salvifica finale».123 Parlare della parusia, del Regno (basi/eia) come ciò a cui essa introduce, significa parlare dell'incorruttibilità (aph­ tharsia). Non si dice solo che i morti risorgeranno e insieme ai vivi parteciperanno alla parusia (cf. lTs) : il loro tornare a vivere. Ora è detto che la risurrezione non è un semplice tornare a vivere, ma il ricevere da Dio un soma pneumatikon, nuovo. La parusia non è il semplice tornare di Gesù, ma anche il tempo della trasformazione, del passaggio da to psychikon a to pneumatikon, dalla carne e dal sangue (sarx e haima), dalla situazione terrena, all'incorruttibilità propria della situazione celeste. Tale trasformazione significherà la risurrezione.

123

lvi, 855.

151

8.2. Il mistero:

vv.

51-52

Nei vv. 51-52 l'apostolo parla da profeta beneficiario di una rivelazione divina.124 Si rifà a un contesto apocalittico, non a una semplice argomentazione logica: «Ecco vi annuncio un mistero». Mysterion è ciò che è proprio della conoscenza di Dio circa la storia e che richiede la rivelazione, un'apocalisse: - Non tutti moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. - È necessario infatti che questa realtà corruttibile (to phtharton touto) si vesta di incorrut­ tibilità e questa realtà mortale (to thnéton) si vesta di immortalità (vv. 5153). o

o o

o

o

Il parallelo più stretto è con Rm 11,25, dove Paolo fa conoscere il mistero della salvezza finale d'Israele. Inoltre con l Tessalonice­ si 4,15-17 per via dei seguenti punti di contatto: l) distinzione tra defunti e quelli ancora in vita alla parusia: i primi saranno risusci­ tati (anastesontai [l Tessalonicesi] ; egerthesontai [l Corinzi]) , un quadro apocalittico inesistente altrove nelle lettere paoline; 2) ci si prende cura solo della sorte dei credenti: pantes (hemeis) (v. 51; cf. v. 23) , hai tou Christou l hoi nekroi l hemeis (v. 52 ) , hai nekroi en Christi5/ hemeis (l Tessalonicesi) ; 3 ) la prospettiva ispirata comu­ nicata agli interlocutori. Le differenze sono che in l Tessalonicesi si parla di rapimento celeste dei risorti e incontro con Cristo, con la trasformazione né negata né affermata, mentre in l Corinzi si parla di trasformazione dell'essere corruttibile in essere incorrut­ tibile. Ancora, mentre in l Tessalonicesi al centro c'è il rapimento dei credenti e la risurrezione è solo per i deceduti (cf. 4,13.18) , in l Corinzi al centro abbiamo il fatto in sé della risurrezione e del «come», e solo in chiusura dei morti e della loro modalità somatica. Il problema della morte e il suo superamento risultano centrali esclusivamente in l Corinzi. Nel v. 51b viene enunciato il cambiamento universale: pantes allagesometha. Il passivo «saremo trasformatilallagesometha » dice l'intervento di Dio e un processo 124

152

Cf.

ivi, 793, che fa riferimento a uno studio di Meklein.

immanente di evoluzione. Il concetto di trasformazione viene messo in rilevo attraverso la negazione «Non tutti moriremo». Se il concetto di alterità era presente nei vv. 36-41 ma applicato alle realtà naturali attraverso il ricorso agli aggettivi ou he aute (sarx) («non la stessa»), alle (sarx) hetera (doxa ), alle (doxa), in questo versetto con allasso il concetto di alterità è applicato al diventare «altro» dell'essere dei credenti,l25 Nel v. 52 abbiamo il motivo del suono della tromba,126 presente nell'AT in Gl 2,1 e Sof 1 ,16; nel NT in lTs 4,16; Mt 24,3 1 ; Ap 8-9. Nel giudaismo compare in 4Esdra 6,23 quando si accenna al giudizio finale, e nell'Alpha bet­ Midrash R. Aqiba, ovvero Le lettere di Rabbi Aqiba, che trattano della ricomposizione dei corpi dei morti al loro risveglio.127 Se nel v. 5 1 oggetto della trasformazione è il «noi», nel v. 52 il concetto è messo in relazione sia con «noi» che con: «I morti saranno risusci­ tati incorruttibili>>. Come beneficiari non sono indicati tutti i morti indistintamente, ma solo i credenti («noi>>). Anche per i morti c'è la trasformazione ed è la risurrezione, come attesta l'aggettivo aphthartoi che caratterizza egerthesontai. Il verbo allagesometha al v. 52 è riferito ai credenti sia morti che vivi, come al v. 5 1 . «E noi saremo trasformati>> del v. 52 ripete il messaggio di: «Tutti noi sa­ remo trasformati>> del v. 51,128 Ma il concetto di trasformazione lo si può intendere la prima volta esteso a tutti, la seconda applicato solo ai vivi a differenza dei morti. A entrambi i gruppi infatti si applica il concetto di «incorruttibilità>>laphtharsia nel v. 53. ,

8.3. La necessità del cambiamento: vv. 53-57 I vv. 53-57 sviluppano il motivo del cambiamento mostrandone la necessità (dei; v. 53), l'effetto, «cioè la vittoria sulla morte che provoca un epinicio (vv. 54-55)>>.129 Inseriscono una riflessione teologica per chiarire le cause della morte (cf. v. 56) e un ringrazia­ mento formale a Dio per il dono della vittoria (cf. v. 57). Il v. 53 of­ fre la motivazione del cambiamento: di solito dei dice che è un pro­ getto divino (Sal 1 10,25: « È necessario (dei) che egli regni>>). Qui dei si riferisce alla doppia negazione del v. 50, in particolare alla

125 126

Cf. ivi, 858-859. Cf. ivi, 859. 127 Cf. ib. Cf. https://archive.orglstream/lettersofrabbiakOOunitiala/lettersofrab­ biakOOunitiala_djvu.txt (consultato il 25/09/2017). 128 Cf. BARBAGLio, La prima lettera ai Corinzi, 860-861. 129 lvi, 793.

153

seconda. Sia nel v. 53 che nel v. 54 l'apostolo tratta dell'immortalità escatologica dei credenti (cf. v. 51), che consiste nella partecipazio­ ne di tutta la persona mortale alla gloria divina (cf. vv. 47-49).130 «Si tratta di un "mistero", di una visione del futuro escatologico di Dio, e di una percezione di che cosa il Creatore farà di un mondo in cui il suo comando si impone al punto di eliminare addirittura la morte. Sarà un immenso atto di una creazione, tanto per coloro che saranno ancora in vita, quanto per chi sarà già morto>>.131 Nei vv. 5455 è annunciata la sconfitta della morte, interpretando e fondendo Is 25,8a («Inghiottirà la morte per sempre>>) con Os 13,14b («Dov'è o morte la tua peste? Dov'è, o sheol, il tuo sterminio?))). In Osea il testo non indica un momento di salvezza, ma di condanna (cf. Os 13,12-14). La promessa della risurrezione compare «in una forma molto indiretta)), implicita nell'affermazione «intemporale della so­ vranità divina sulla morte)).132 La citazione di Is 25,8 è differente sia dal testo ebraico (Dio «inghiottirà la morte per sempre))) sia dalla versione dei LXX («La morte ha ingoiato con forza))), perché è fatta secondo la versione di Teodozione («ingoiare)) all'aoristo pas­ sivo: katepothe, con il motivo della vittoria: eis nikos ) . La vittoria sulla morte deriva dalla vivificazione dei morti e in generale dalla trasformazione dei corpi mortali.133 La citazione di Os 13,14 LXX vede l'anticipazione del pronome e del vocativo, la ripetizione del vocativo thanate al posto di hade, e la sostituzione di he dike con to nikos. Le ripetizioni dei termini con il vocativo creano un effetto retorico che enfatizza il messaggio della vittoria della vita.134 Le due domande sono di tipo retorico perché sottintendono risposte negative: la morte ha perso il suo potere e il canto della vittoria è celebrato anche dai sottomessi al suo gioco, sottratti al suo imperio dall'onnipotenza del Signore della vita.135 I vv. 56-57 chiudono il capitolo con una sorta di midrash: «Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo)). Il legame morte-peccato-Legge è fondamentale in Rm 5,12-21. Ciò con cui punge la morte è il peccato e ciò che dà forza al peccato è la Legge. La morte è entrata nel mondo con il peccato di Adamo

1 30 131 132 133 134 1 35

154

Cf. ivi, 862. WRIGHT, Risurrezione, 420. R. Morissette, citato in NrrROLA, Trattato di escatologia, II, 224, nota 96, sta. Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 863. Cf. ivi, 863-864. Cf. ivi, 864.

che ha dato la morte a tutti gli uomini. Ma la Legge di Cristo, che è l'amore, ha vinto il peccato e annienterà definitivamente alla parusia la morte. Tale vittoria è già attuale al presente, ma sarà de­ finitiva alla parusia. Alcuni hanno ipotizzato una glossa al testo pa­ olino.B6 La conclusione liturgica del v. 57, dopo l'epinicio, ricorda Rm 6,17s; 7,25. Meno prossimi sono 2Cor 2,14; 8,16 e 9,15. Degno di nota è il presente del participio «che ci dà» che rende già attuale la speranza della vittoria finale sulla morte.137 8.4. L 'esortazione finale: v. 58

Il v. 58 è un'esortazione che richiama i vv. 34-35 e funziona però come conclusione del c. 15, simile a 11,33; 14,39-40; Fil 4,12, testi introdotti dalla formula hoste adelphoi mou (agapétoi)l«pertanto, fratelli (carissimi) miei». La struttura del versetto, con l'imperativo centrale («Siate fermi, irremovibili, eccellendo»), l'assicurazione che si tratta di un impegno efficace e fruttuoso e l'espressione «fra­ telli miei cari» che enfatizza la comunione tra mittente e destinatari dei vv. 1-11, esaltano la novità del messaggio cristiano delle origini sulla risurrezione.138 9. D dibattito sull'immortalità dell'anima e la corporeità della risurrezione alla luce di l Corinzi 15

Alla luce dell'esegesi del c. 15 di l Corinzi è possibile mettere a fuoco l'attendibilità della tesi della cosiddetta «escatologia unica» contro la tradizionale distinzione di duplice fase fra la morte e la parusia, dove sopravvive un nucleo personale - l'anima - nell'atte­ sa della risurrezione della carne. La storia della critica alla dottrina dell'immortalità dell'anima vede come iniziatori i teologi prote­ stanti Cari Stange (1870-1959 ) e Adolf Schatter (1852-1938) , ai quali si aggiunse Paul Althaus, con la sua Eschatologie, pubblicata nel 1922 in prima edizione.139 Le basi teoriche di questa critica alla dottrina dell'immortalità dell'anima sono nella Bibbia e nell'inter­ pretazione di Lutero. Nella Bibbia perché 136 Cf. F.W. Horn, citato in NITROLA, Trattato di escatologia, II, 224, nota 98. 137 Cf. BARBAGLIO, La prima lettera ai Corinzi, 865. 138 Cf. WRIGHT, Risurrezione, 421. 139 Cf. J. RATZINGER-BENEDETTO XVI, Escatologia. Morte e vita eterna, Assisi 2008, 1 10.

155

si rifiutava come dualismo platonico il concetto di una separazione nella morte tra il corpo e l'anima qual è presupposta nella dottrina dell'immor­ talità dell'anima e si affermava che l'unico insegnamento biblico è quello che l'uomo perisce nella morte «con corpo e anima>> e che soltanto così si conserva il carattere di giudizio della morte, di cui la Bibbia parla con estrema chiarezza. Di conseguenza, non sarebbe cristiano parlare dell'im­ mortalità dell'anima, ma si dovrebbe parlare unicamente della risurrezio­ ne dell'uomo intero e contrapporre alla religiosità corrente del morire e alla sua escatologia del cielo l'unica prospettiva della speranza cristiana, cioè quella dell'ultimo giorno.140

Stange introdusse nella teologia protestante la teoria della mor­ te totale, tesi sostenuta da Althaus che, pur parlando della morte totale dell'uomo, dice che questi rimane presso Dio come persona, non in virtù della nostra natura, ma della libera volontà divina. C'è da dire che Althaus nel 1950 precisò che anche la Bibbia conosce lo schema «dualistico» e che anch'essa non conosce soltanto l'attesa dell'ultimo giorno, ma in qualche modo anche una «speranza indi­ viduale» in un cielo futuro, pure condivisa da Lutero.141 L'opinione della morte totale del corpo si diffuse a tal punto da entrare anche nel Missale romanun del 1970 fino alla terza edizione del 2000, te­ sti nei quali non compare più «anima>> dalla liturgia delle esequie. Ratzinger vede i motivi di tale diffusa opinione nel «fatto che la concezione definita "biblica" dell'assoluta indivisibilità dell'uomo collima con la moderna antropologia naturalistica, la quale vede l'uomo unicamente come corpo e non vuole sapere nulla di un'ani­ ma che ne possa essere separata>>.142 Ma nel NT Gesù fa propria la tesi dei farisei e ad esempio in Mt 10,28 invita i suoi a non temere «quelli che possono uccidere il corpo» e a temere piuttosto colui che può far perire «e l'anima e il corpo». L.J. Waters fa notare come in questo passo sia chiaramente espresso il concetto di uni­ tà personale di anima e corpo. Se il discepolo non deve temere di perdere il proprio corpo, questo suppone un soggetto che sia arbitro della sorte del proprio corpo, come attesta la ripetizione di kai: «e l'anima e il corpo».143 Ratzinger si chiede:

140

lvi, 111. Cf. ib. 1'2 lvi, 112. 1'3 Cf. L.J. WATER, >. «Se non ci fosse stata la risurrezione fisica, né la maledizione di Dio che determinò la morte fisica non sarebbe stata superata (lCor 15,1213; Gen 3,1-22) né la creazione sarebbe stata redenta dalla nuova risurrezione fisica di Gesù».147 Dulie ha cercato di esplicitare questo pensiero paolina in l Corinzi 15: Una vera incarnazione di Dio richiede che egli conservi la sua esistenza umana per tutta l'eternità. Lo stesso vale per gli esseri umani. Proprio dell'essere umano è possedere un corpo umano. Ritenere che quando saremo nell'eternità perderemo questo aspetto della nostra umanità si­ gnifica negare la vera essenza di ciò che significa essere un uomo. Molti non tengono presente il fatto che Paolo usa per la natura corrotta non per il corpo umano; se parla in modo negativo della carne è perché intende la natura corrotta, ma non che il corpo non sia importante.148

RATZJNGER, Escatologia, 1 12. Cf. R.A. LòPEZ, , in Bibliotheca Sacra 170(2013), 144. 146 Greek-English Lexicon of the New Testament Based on Semantic Domains, New York 1998, I, 694, sezione 79.3. 147 lvi, 145. 148 lvi, 146. 144 145

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Una lettura spirituale della risurrezione non rovescia la male­ dizione della caduta né rende capaci i cristiani di vivere una vita santa ora e di cessare di peccare (cf. l Cor 15,34). Paolo in lCor 15,35 risponde alla domanda con quale corpo risorgeranno i mor­ ti. La risposta è data con la metafora del seme e altre contrastanti analogie, mostrando così che il corpo terrestre e il corpo della risurrezione hanno continuità e discontinuità: diversi corpi, di­ versa gloria (cf. lCor 15,39-41). Questo significa che il corpo della risurrezione non sarà immateriale (opposizione «fisico»/«non fisi­ co»), giacché tutte le immagini ineriscono al fatto che non vi è lo stesso «tipo» di sostanza. Tutte le analogie sono differenti «tipi» di materia, per cui lo stesso vale per la risurrezione dei corpi: non sarà lo stesso tipo di sostanza materiale posseduto ora, ma sarà ancora qualcosa della sostanza materiale del corpo. I tre paralleli (vv. 42-43) con termini negativi indicano ugualmente modi di esi­ stenza: «corruzione>>, «disonore» e «debolezza». Nell'uso paolino gli aggettivi «naturale» (psychikos) e «spirituale» (pneumatikos) in l Corinzi, come si è visto, non si riferiscono a oggetti o persone composte di sostanza immateriale o materiale, ma sono impiegati per enfatizzare i tipi di poteri che controllano la persona, se una persona è dominata da una forza carnale o umana, o se è domina­ ta dallo Spirito Santo (cf. lCor 2,13.15; 3,1; 14,37). In lCor 15,44 parla dell'ultima vittoria sulla natura carnale (psychikos) che do­ mina i non credenti (cf. 2,14), ma che può portare anche i credenti ad agire in modi simili (cf. 3,1). Si veda la lista dei vizi di lCor 6,9-10 dei credenti che sono controllati da desideri carnali come i non credenti. Se Paolo avesse voluto dire che il corpo risorto era un'entità «immateriale-spirituale» avrebbe usato l'aggettivo pneumatinos. «Corpo naturale» si riferisce alla persona comple­ ta, composta di materia e spirito, appartenente al regno caduto adamitico sotto controllo di due poteri (la «carne» e lo «Spirito» in Gal 5-6). «Corpo spirituale» si riferisce al credente come una completa persona composta di un corpo materiale e di uno spirito rinnovato (cf. Rm 6,6) che è come quello di Cristo e appartiene al suo regno redento. Se i credenti erano in grado di esaminare Gesù con i loro cinque sensi, non vi è dubbio che il corpo del Risorto era fisico. Di qui attraverso lCor 15,1-58 si deduce che i credenti possederanno un corpo unico fisico chiamato «corpo spirituale» , perché sarà perfettamente adatto a obbedire a Dio attraverso la potenza dello Spirito. Come il corpo risorto di Gesù anche il corpo della risurrezione del credente sarà un corpo glorificato, 158

un corpo non più controllato da tutto ciò che caratterizza questo mondo decaduto. Rispetto al mondo contemporaneo greco-romano, il grande «vangelo}} del NT è la risurrezione che si incentra sulla somaticità. In Platone, in Aristotele, nella stoa e in Platino non c'era alcun dualismo.149 Gli stoici consideravano l'anima come il soffio vitale e quindi fisico (un soma).150 Partendo dalla teoria di Platone, e fatta propria anche da Cicerone, del diventare stelle, Martin fa notare che il fondamento è ovviamente il convincimento secondo cui le stelle e le anime sono fatte della medesima sostanza. Con gli anni si sono prodotti molti dibattiti filosofici su quale fosse esattamente quel materiale (quali elementi conteneva, in quale proporzione e così via), ma in nessun senso le anime e le stelle erano viste come cose del tutto diverse.151 Gli stoici consideravano l'anima come una specie di «corpo», di materia simile al fuoco, come «Si sarebbe tro­ vato bene in una stella, su una stella, o persino in quanto stella}}.152 L'idea moderna a partire da Cartesio del dualismo antologico «fi­ sico» e «spirituale» o «materiale}} e «non-materiale» non avrebbe avuto senso per gli ascoltatori di Paolo. Molti dei filosofi pagani del tempo credevano nell'esistenza delle anime, ma erano convinti che «fossero composte di materia, seppure di particelle più sottili>}.153 La nostra fede dichiara che il nostro corpo terreno (soma) nella risurrezione verrà trasfigurato in una nuova corporeità altra rispetto a quella terrena, che non significherà perdita dell'identità personale, come mostrano le apparizioni di Cristo risorto. Quali le conseguenze per il discorso antropologico? Occorre limitarsi a contemplare la promessa di Dio della risurrezione, piuttosto che cercare di rappresentarsi le proprietà del corpo risuscitato dal mo­ mento che saremo con Cristo e Cristo sarà in tutti. Conclusioni

Al termine del nostro percorso sulle testimonianze pasquali del NT possiamo affermare che l'evento della risurrezione è una veri-

149 Cf. G. REALE, Corpo, anima e salute. Il concetto di uomo da Omero a Platone, Milano 1999, 157ss. ISO Cf. WRIGHT, Risurrezione, 76, nota 109. Ili Cf. ivi, 85, nota 158. 1s2 lvi, nota 159. ISJ lvi, 372.

159

là credibile. Un annuncio riproposto dal Catechismo della Chiesa cattolica, presentato da Giovanni Paolo II come «norma sicura per l'insegnamento della fede» (Fidei depositum, c. 4: EV 13/2064), in questi termini:

Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la risurrezione di Cristo al di fuori dell'ordine fisico e non riconoscerla come un avveni­ mento storico (CCC 643). Avvenimento storico constatabile attraverso il segno del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli apostoli con Cristo risorto, la risurrezione resta non di meno, in ciò in cui trascende e supera la storia, al cuore del mistero della fede (CCC 647).

La forza della sua credibilità non proviene da un'autorità ester­ na, ma dall'interno della trama argomentativa dei testi evangelici e degli altri scritti della prima comunità cristiana. Tuttavia occorre precisare che questo può essere colto solo a condizione che le testimonianze bibliche siano analizzate senza pregiudizi e in tutta onestà, con il desiderio di farsi discepoli del loro insegnamento. La credibilità della risurrezione risalta ancora di più quando si opera un semplice confronto con la cultura pagana contemporanea e con le convinzioni di fede del giudaismo. La risurrezione è una «noti­ zia>> sconvolgente e totalmente altra rispetto a qualsiasi possibile immaginazione. Sorprende per la semplicità, l'assoluta umiltà dei testimoni, che appaiono abbagliati dal fulgore spuntato dalla tom­ ba vuota il «primo giorno della settimana». È davvero sorprenden­ te che povere donne, impaurite ma desiderose di incontrare il loro «maestro», e umili discepoli, frastornati dalle grida di crucifige del Venerdì santo, siano diventati tanto coraggiosi da diventarne mar­ tiri. Non si è trattato di «dissonanza cognitiva» né di fraudolenta invenzione: I racconti !asciatici sulla risurrezione sono qualcosa di ben diverso e più

sostanziale di semplici scene liturgiche travestite: mettono invece in risal­ to l'avvenimento base su cui poggia ogni liturgia cristiana. Essi attestano un fatto che non è sbocciato come un sogno fantastico dal cuore dei di­ scepoli ma è invece capitato loro dal di fuori, imponendosi ad essi contro i loro dubbi e infondendo loro una certezza: il Signore è veramente risorto. Colui che giaceva nella tomba, non si trova più là, ma vive nuovamente e realmente in persona. Egli poi a sua volta, che ormai si era trasferito nell'altro mondo di Dio, aveva però saputo mostrarsi potente al punto da manifestare sino alla tangibilità come fosse proprio lui stesso che ora

160

stava loro davanti, facendo vedere come in lui la potenza dell'amore si fosse palesata più forte della potenza della morte. 1 54 Lo dimostra la crescita esponenziale della forza kerygmatica del vangelo che ha appassionato l'apostolo delle genti, tanto da far­ gli attribuire «Anastasis}} come secondo nome. Dall'annuncio della risurrezione scaturisce la rivelazione piena del mistero dell'uomo, come persona nell'unità di anima corporata e corpo animato, che se per un breve tempo con la morte è destinato a causa del peccato a portare nella sua persona la frattura del peccato con la separazio­ ne dell'unità personale anima-corpo, in virtù della fede sa che non solo tale frattura si ricomporrà, ma che sarà esaltata nella risurre­ zione finale, quando il Risorto lo renderà partecipe come ha già fatto con la Vergine sua Madre, che ha assunto in cielo in anima e corpo, nella sua gloria. Questo messaggio antico e sempre nuovo ha oltrepassato i confini della Palestina di 2000 anni fa e continua an­ cora oggi a suscitare speranza a distanza di secoli, più vivo che mai, anzi più necessario e indispensabile di ieri. Il cristiano alla sua luce comprende le proprie esperienze umane nonostante il grigiore dei giorni; si appassiona alla vita nonostante i fallimenti personali e co­ munitari per gridare con la prima comunità cristiana: Marana tha, «Vieni, Signore Gesù», unico Redentore e Salvatore del mondo.

154 J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Brescia 51974, 153.

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FLAVIO

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INDICE

INTRODUZIONE

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CAPITOLO I LA RISURREZIONE NEI VANGELI . >> l. Il NT e la storicità .. . . . ......... ............. . . . . . . . . . . . ......... >> 1.1. La comprensione neotestamentaria di Gesù tra storia e fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 1.2. La risurrezione e la storia . ...... .......................... » 2. L'originalità della «persona di Cristo» rispetto al pensiero giudaico-anticotestamentario e al contesto culturale-religioso greco-romano ........... » 2. 1. La messianicità nell'ebraismo » 2.2. Gesù, il Messia, è il Signore ... . » 2.3. Gesù e il Regno ................................... » 2.4. Gesù è YHWH . » 2.5. La risurrezione rende ragione della sua divinità >> 2.6. La testimonianza di fede dei primi cristiani . . . » nella risurrezione e divinità di Cristo 3. I vangeli canonici e la risurrezione ................................ » 3.1. La risurrezione nei sinottici . . » 3.1.1. La guarigione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,21-43; Mt 9,18-26; Le 8,40-56) ...... » 3.1.2. Il motivo della sfida ........................................ » 3.1.3. La riabilitazione futura di Gesù e il detto del falso testimone durante il processo ....... » 3.1.4. Erode: i dubbi e il desiderio di vedere Gesù; la perplessità dei discepoli (cf. Mc 6,14-16; Le 9,7-9) ............................... » 3.1.5. La domanda dei sadducei .............................. » .................

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3.1.6. La fonte Q nel materiale di Matteo/Luca . 3.1.7. Conclusioni sui riferimenti alla risurrezione nei racconti sinottici pre-pasquali . . . . . . 3.2. La risurrezione in Giovanni .. . . . . . . ....... ..... 3.2.1. La risurrezione di Lazzaro in Gv 1 1 . .... . 3.2.2. Discorsi d'addio dei capitoli 13-17 . .. . 3.2.3. Il prologo e la risurrezione in Giovanni . 3.3. Atti degli apostoli . ..... ........... ....... .

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CAPITOLO II LA RISURREZIONE DI GESÙ NELLA TESTIMONIANZA DEI RACCONTI PASQUALI . . . l . La testimonianza dei racconti pasquali . 1.1. Le caratteristiche dei vangeli pasquali . . . . 1.1.1. Questioni generali nei racconti di Pasqua . . 1 .1 .2. La classificazione dei racconti pasquali proposta da Kessler . . .. . . . . .. .. . . . . . . . . .. . . . . .. .. .. .. . . . . . . 1.1.3. L'interpretazione della formula di confessione di fede di 1 Cor 15,3-4 . . 1 .1.4. La questione della tomba vuota . 1.1.5. Il Vangelo di Pietro . . . . . . . . . .. . . . .... . . . . 1.1.6. Aspetti fondamentali dei racconti sulla risurrezione nel NT . . . .. . . 1.1.7. La forma della narrazione dei racconti pasquali . . . . . . . . . . . .. . . . . . 1 .1 .8. Origine dei racconti della risurrezione 1.1.9. La sorpresa dei racconti pasquali . . ... . a) La mancanza di citazioni dell'A T b) La figura di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . c) La presenza delle donne . . 1.2. La testimonianza della risurrezione nel Vangelo di Marco 1 .2.1. La conclusione breve e la conclusione lunga di Marco . . . . . . . .. .. . . . . . . . . . . . .. .. . . .. . . .. .. . . . . . .. .. . . . . .. . . . .. . 1 .2.2. Il giorno di Pasqua dal punto di vista di Marco . .. . . ... . . ... 2. Il Vangelo di Matteo . . . . . . . . . . .. . . . . . . . .. . . . 2.1. Gli eventi escatologici al momento della morte di Gesù: la terra si spacca e dei corpi dei morti risorgono . . . . . .. .. . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2. I sacerdoti, le guardie e la corruzione . ....

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2.3. Tomba, angeli, prima apparizione (cf 28,1-10) . » 2.4. Sul monte in Galilea (cf 28,16-20) . .. . » 3. Il Vangelo di Luca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 3.1. L'apparizione a Pietro e la struttura in un solo giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3.2. Il parallelismo tra Le 1-2 e Le 24 e la corporeità del Risorto in Luca . . ........ ..... » 4. Il Vangelo di Giovanni . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 4.1. Particolarità . . . . . . . . » 4.2. Giovanni 20 nel contesto dell'intero Vangelo » 5. Conclusioni sull'analisi dei racconti pasquali dei vangeli .......................................... ............................... » ........

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CAPITOLO III LA TESTIMONIANZA DI PAOLO . ... . .. » 93 93 l. Il motivo della risurrezione nelle lettere paoline . . » 1.1. l e 2 Tessalonicesi . . . . . » 94 1.2. Galati » 96 1.3. Filippesi . . .. . .. .. . » 97 1.4. Efesini . . .. . . » 99 1.5. Colossesi . . . . . . . » 100 1.6. Filemone . ... . ... . . . . . . » 100 1.7. Romani .. . ... . . . . . . .... . . . . . . » 100 1.8. 1-2 Timoteo e Tito . . . . . .. . . » 102 1.9. Prima lettera ai Corinzi e confronto con Seconda lettera ai Corinzi ................................ » 103 1.10. Conclusioni .. . .. ... .. . . . . » 106 ..

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CAPITOLO IV ESEGESI DI l CORINZI 15 .... . . ... » 109 l. La struttura del capitolo . . . . ... . . . . .. . . » 109 2. L'annuncio della risurrezione e i testimoni (cf. 15,1-11 ) . . . . . . . . . . .. . ... .. . » 110 2. 1. La funzione dei vv. l-11 nel c. 15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1 1 1 2.2. I vv. 1-3a . . .. . . . .. ... . . . .. » 112 2.3. Il contenuto della confessione di fede dei vv. 3b-5 .. >> 113 2.3.1. «Il terzo giorno» . . . . . . . . .. . » 117 2.4. La lista dei testimoni dei vv. 5-8 . . . » 1 19 2.5. l vv. 9-11 . . . . . . . . . . . . . . . .. . . )) 123 3. Conseguenze della negazione della risurrezione (cf. 15,12-19) .. .. . . . . . » 123 .....

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3.1. Il v. 12 . . . . . » 124 3.2. I vv. 13-19 . . . . . . . . . . » 125 3.2.1. I VV. 13-15 .............................. .......................... )) 126 3.2.2. I vv. 16-19 . . . . » 126 4. Risurrezione di Cristo e risurrezione dei morti (cf. 15,20-28) . >> 128 4.1. Il v. 20 . .. .. >> 128 4.2. I vv. 21-22 . .. . . . .. >> 129 4.3. I vv. 23-24 . . . .. >> 130 4.4. I vv. 25-27a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 131 4.5. I vv. 27b-28 . . » 133 5. Altre conseguenze della negazione della risurrezione (cf. 15,29-32) . . . .. . . » 133 6. Transizione/esortazione parenetica (cf. 15,33-34) . » 136 7. Il corpo pneumatico dei risorti (cf. 15,35-49) . . » 137 7. 1. La domanda (cf J Cor 15,35) .. . . . » 137 7.2. Il riferimento a esperienze comuni (cf J Cor 15,36-41) . . » 139 7.3. La conclusione a fortiori (cf JCor 15,42-49) . » 142 7.3.1. Confronto tra la realtà terrena e quella risorta: vv. 42-44a . » 142 7.3.2. Il corpo psichico e il corpo pneumatico: vv. 44b-49 )) 145 a) I vv. 44b-47 . » 146 b) I vv. 48-49 . . .. » 148 8. La trasformazione (cf. 15,50-58) . . . . » 150 8.1. Il v. 50 . . . .. . . . . » 151 8.2. Il mistero: vv. 51-52 . » 152 8.3. La necessità del cambiamento: vv. 53-57 . . . » 153 8.4. L'esortazione finale: v. 58 . . . . . . . . . .. » 155 9. Il dibattito sull'immortalità dell'anima e la corporeità della risurrezione alla luce di l Corinzi 15 . . . . . » 155 Conclusioni » 159 .........................

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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