Religione e religioni in Siria-Palestina. Dall'antico bronzo all'epoca romana [I rist. ed.] 9788843042999

L'area siro-palestinese, intesa qui in senso lato (con inclusione di Libano, Giordania e altre zone limitrofe), è u

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Religione e religioni in Siria-Palestina. Dall'antico bronzo all'epoca romana [I rist. ed.]
 9788843042999

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L'area siro-palestinese, intesa qui in senso lato (con inclusione di Libano, Giordania e altre zone limitrofe), è un'area culturale di straordinaria importanza non solo per la storia delle religioni, ma anche per quella delle civiltà umane. Oltre alla nascita dei primi sistemi alfabetici, alla formazione delle prime religioni politeistiche, alla continua dialettica tra sedentari e nomadi, ciascuno con le proprie tradizioni, in quest'area vanno ricercati gli antecedenti diretti e i presupposti che portarono alla formazione delle tre grandi religioni monoteistiche attuali. Influssi multidirezionali, fasi e fenomeni di continuità e innovazione, oltre alla straordinaria varietà e complessità delle tradizioni mitologiche e rituali, rendono il complesso di società qui esaminate uno dei più affascinanti laboratori di ricerca sulla storia culturale del genere umano. Paolo Xella è direttore di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche, professore straordinario di Orientalistica antica all'Università di Tubinga e docente di Storia delle religioni all'Università di Pisa. Attualmente dirige l'Istituto di studi sulle civiltà italiche e del Mediterraneo antico del

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ISBN 978-88-430-4299-9

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Paolo Xella

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA-PALESTINA Dall'Antico Bronzo all'epoca romana

Carocci editore

t• ristampa, siusno 2019 t• edizione, settembre 2007 (t) copyright 2007 by Carocci editore S.p.A.. Roma

ISBN 978·88·430·4299·9

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941,

n.

633)

Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Avvertenza

I.

2.

9

Introduzione

II

Le età più antiche

I7

Ehla

I9

Mari

24

li Tardo Bronzo

30

Alalakh Ugarit

30 3I

I Fenici e i Cartaginesi

50

I Fenici in Oriente Cartagine e il mondo mediterraneo

50 62

n mondo aramaico

69

L'età antica: i regni aramaici

69 75 87

Emar





34

Palmira e Dura Europos Altri culti siriani in epoca romana

7



Gli stati transgiordanici Gli Ammoniti

91

I Moabiti

95 IOJ

Gli Edomiti

106

6.

I Filistei

112



I Nabatei

122

Bibliografia

133

Indice dei nomi

139

Awertenza

Nel corso della trattazione si sono adottate alcune convenzioni grafi­ che miranti a semplifìcare la trascrizione di termini appanenenti a lin­ gue vicino-orientali antiche e moderne. In panicolare, si noti:

d è reso con dh b è reso con h k è reso con kh � è reso con s f è reso con sh ! è reso con t 1 è reso con th ; t

è reso con z non viene reso non viene reso.

Molti nomi, comuni e propri, di persona, di luogo, di divinità o di personaggi mitici sono soggetti a semplificazioni grafiche convenzio­ nali, che in genere permettono di riconoscere facilmente la forma ori­ ginaria. Esempi in questo senso sono, tra gli altri, i nomi divini El e Baal, usati in una forma non scientifica, ma abbastanza tradizionale, e non solo a livello divulgativo. Per quanto riguarda i nomi greci degli dèi e degli eroi, ho ritenu­ to di citarli in semplice traslitterazione, anziché nelle consuete forme italianizzate. Se ne troveranno le ragioni in Gli eroi greci (Roma 1958), pp. x-XI, di Angelo Brelich, al quale non posso esimermi dal rivolgere un pensiero affettuoso e una dedica ideale.

9

Introduzione

Alla trattazione che segue deve essere premessa una triplice precisa­ zione, che concerne l'area geografica designata con il termine " Siria­ Palestina", il particolare taglio dato allo studio e la portata che si in­ tende qui attribuire a " religione", chiave concettuale adottata per un approccio ad una molteplicità di culture. Negli studi sul Vicino Oriente antico, " Siria" designa tradizional­ mente la vasta area situata tra il Mediterraneo e l'Eufrate, la pianura di Gaziantep, le pendici meridionali del Tauro e una linea immagina­ ria che, correndo dal sud di Tiro, quasi coincide con l'attuale confine tra Libano e Siria. Dal punto di vista storico-culturale, tuttavia, anche l'attuale Libano deve essere incluso, così come, seguendo le tracce delle genti parlanti lingue semitiche occidentali in un discorso storico coerente, si è costretti ad abbracciare anche l'area qui definita con il nome antico di "Palestina", che include naturalmente l'antico Israele, la regione filistea e, inoltre, la Giordania e la regione transgiordanica. In più, talune altre regioni, obiettivamente eccentriche rispetto all'a­ rea qui indicata, devono venire incluse sempre per ragioni storico-cul­ turali, come è il caso ad esempio di Cartagine e delle colonie fenicie d'Occidente. Questa è più o meno l'area geografica in cui s'inquadra la pre­ sente trattazione, per la quale la denominazione "Siria-Palestina" non è quindi del tutto adeguata e non trova precise corrispondenze nelle realtà politico-geografiche attuali. Tale delimitazione possiede tuttavia una sua certa coerenza storica, pur riferendosi a un territorio caratte­ rizzato da una varietà di lingue e culture, aperto e soggetto a influssi disparati (Mesopotamia, Anatolia, Egitto, penisola arabica, mondo egeo). Nonostante la varietà morfologica, la frammentazione politica, la complessità etnica e socio-economica, la continua interazione tra po­ polazioni delle aree urbane e coltivate da una parte, genti seminoma­ di delle regioni desertico-steppose dall'altra, storici e archeologi riten-

II

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIR!A·I'ALEST!NA

gono fondati i presupposti per una trattazione unitaria di tale area, pur con eventuali allargamenti o restrizioni. Tali presupposti sono ugualmente validi per lo studio delle manifestazioni religiose. In queste pagine non si prendono in considerazione le fonti stori· che documentate solo da quegli aspetti della cultura materiale che, più o meno a ragione, si suole ricondurre ad una sfera "religiosa". Senza voler sottovalutare l'imprescindibile contributo offerto dall'in· dagine archeologica, per lo storico delle rdigioni è solo con la di­ sponibilità di testi scritti che risulta possibile oltrepassare il livello delle identificazioni di spazi sacri, della ricostruzione dei costumi fu. nerari, dell'interpretazione dei simbolismi spesso assai criptici desu­ mibili dalle testimonianze figurate (statuaria, glittica ecc.). In più, l'apparire di documentazione testuale coincide con l'affermarsi di un politeismo maturo, legato alla civiltà urbana e al conseguente artico­ larsi delle società in classi e mestieri, alcuni dei quali non direttamen­ te produttivi (proprio come scribi e addetti al culto), mantenuti dalle eccedenze alimentari che cerealicoltura ed organizzazione urbana consentono di accumulare. Una situazione di studio privilegiata, per lo storico delle religioni, rispetto a quella offerta da società pre· o prato-storiche, sulle quali è bene che le indagini siano condotte pri­ mariamente dagli archeologi e dagli specialisti di tali fasi. Per tali ragioni, l'arco cronologico in cui qui ci si muove è com­ preso tra le prime manifestazioni letterarie e l'epoca ellenistico-roma­ na. La possibilità di elaborare analisi storico-religiose di un certo re­ spiro è tuttavia totalmente vincolata allo stato della documentazione: e le nostre attuali conoscenze sono frammentarie, perché limitate ad alcune formulazioni locali spazialmente e cronologicamente assai di­ scontinue. La natura degli archivi, la tipologia dei documenti, le diffi. coltà linguistiche che spesso ostacolano una piena comprensione dei testi rendono impraticabili sintesi che aspirino alla sistematicità. L'u­ nica via percorribile resta dunque quella di parziali esposizioni e mes­ se a punto, soffermandosi dove e nella misura in cui le fonti lo con­ sentono, individuando aspetti caratterizzanti, evidenziando temi e problemi specifici. Rinunciando a priori all'esaustività, si mira dunque a mettere a fuoco alcune fasi, aspetti e tendenze delle manifestazioni religiose riscontrabili in quest'area, in epoche privilegiate dalla pre­ senza di documentazione scritta e impiegando, beninteso, ogni altro tipo di fonte utile in prospettiva storico-rdigiosa. Pur con tali enormi limiti, siamo in grado di poter cogliere un insieme di fenomeni di straordinaria importanza culturale, sia in sé, sia perché qui sono da ricercare gli antecedenti e i presupposti delle tradizioni successive, monoteismi inclusi. 12

IN TRODUZIONE

Quest'ultima allusione implica una doverosa spiegazione in merito all'assenza dell'antico Israele dalla presente trattazione. Essa non si motiva con alcuna ragione scientifica. I regni di Israele e Giuda do­ vrebbero essere trattati, a pieno titolo, nel novero delle civiltà del I millennio che si muovono tra i due modelli tendenziali dello stato na­ zionale e dello stato etnico, come Fenici, Filistei, Ammoniti, Edomiti e Moabiti. La religione ebraica antica non si dovette discostare molto, strutturalmente, da quella dei vicini e coevi popoli della regione. Una sua trattazione separata, oltre che a specifiche strategie editoriali lega­ te a tematiche e dimensioni dei libri, risponde anche alla infondata consuetudine che tende a presentare Israele come centro ed eccezio­ ne di un universo culturale in cui, invece, esso fu pienamente inte­ grato almeno fino all'epoca post-esilica. Veniamo infine al termine "religione". La religione, quale di solito la intendiamo, è erroneamente considerata una dimensione antologi­ ca, a-storica e a sé stante, e non già una chiave per leggere le varie culture, come invece avviene per economia, arte, diritto o politica. La "religione" sembra essere onnipresente nella storia, nelle forme più varie, perché l'uomo ha da sempre dovuto confrontarsi col problema di interpretare il proprio contesto ambientale, di fronteggiare le crisi esistenziali, di rendere "culturale" il "naturale" , cioè l'incontrollabile e l'imprevedibile, mirando ad adeguarvisi con uno strumentario ideo­ logico e pratico straordinariamente vario. Sin dalla più remota prei­ storia, i dati della cultura materiale sembrano testimoniare comporta­ menti (ad es. nelle pratiche funerarie) fondati su ideologie di tipo "religioso", che implicano la credenza in poteri forti di origine extra­ o sovrumana. Per tali ragioni, una certa corrente di studi si riconosce nell a teoria dell'homo natura/iter religiosus, cioè, di un essere che sembrerebbe avere in sé innato l'istinto di ricercare Dio e di concet­ tualizzarlo nelle forme più diverse. Questa stessa impostazione pre­ suppone una sorta di "itinerario", che avrebbe progressivamente con­ dotto l'umanità verso le forme ritenute più "pure" del culto, cioè il monoteismo, che al giorno d'oggi è il tipo di religione più diffuso sulla terra. Tale impostazione, che trova la sua naturale sede in ambito teolo­ gico, non può essere invece accettata dallo storico delle religioni, sia che egli si occupi del mondo antico, moderno o etnologico. Si deve essere consapevoli che " religione" è una categoria concet­ tuale occidentale, che è sorta perché risponde a precisi interessi della nostra cultura. L'esigenza di definire la religione, di individuare una sua (inesistente) essenza e una gamma di caratteristiche, aspetti e ma­ nifestazioni che la contrassegnino, distinguendola (o talvolta, addirit-

13

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA·PALESTINA

tura estrapolandola) dal resto dell'esperienza umana, è tipica della nostra cultura occidentale. Tale esigenza si pone come conseguenza di una precisa tradizione storica, che presuppone l'esperienza giudai­ co-cristiana e produce, a livello più o meno cosciente, un'impostazio­ ne di pensiero fondata su dicotomie, delle quali Dio/uomo e sacro/ profano sono le più tipiche. Di qui scaturisce quindi l'idea che esista una sfera - concettuale e pratica - separabile dal resto della cultura, definita come dimensione laica o profana; tale sfera "religiosa" avreb­ be per alcuni strutture ideologiche rette da leggi proprie. Ora, è suffi­ ciente accostarsi a qualunque altra società non occidentale, antica o moderna, per verificare la parziale o totale inapplicabilità di tale im­ postazione. Si tratta di società presso le quali gli stessi concetti/termi­ ni di religione, dio, culto, sacro/profano ecc. non corrispondono ai nostri o sono inesistenti. È evidente, allora, che invece di ricercare la religione ed estrapolarla, come se fosse celata, più o meno visibilmen­ te, nelle varie culture storiche, dobbiamo adottare un'ottica che, rico­ nosciutala come aspetto culturale al pari di altri, la usi come catego­ ria concettuale a fini euristici: ne individui, cioè, la funzione storica e studi le varie società da questa prospettiva specifica. In altri termini, mirando a limitare il nostro etnocentrismo, è necessario "ricostruire" di volta in volta dall'interno il sistema di valori e la terminologia rela­ tiva elaborati da ciascuna di esse. li Vicino Oriente antico, e l'area "siro-palestinese" in particolare, sono un eccellente laboratorio di sperimentazione in questo senso. Qui, ad esempio, né "religione", né "culto", né "sacerdozio" trovano paralleli adeguati ai nostri termini e concetti. In ambito ebraico, ad esempio, si cercherebbe vanamente, nell'Antico Testamento, qualche termine corrispondente a "religione": 'abodih, per esempio, denota il culto del Tabernacolo ma non è mai usato per designare culti stranie­ ri; toràh esprime la nozione di "legge", "insegnamento"; derek è piut­ tosto la "via" da seguire; jare' significa "rispettare", "temere", e via dicendo. Altrimenti, il termine che - anche in ebraico moderno - de­ signa la "religione" è dit, che nelle non numerose occorrenze vetere­ testamentarie significa però "legge", "ordine", "costume"; in più, si tratta di un imprestito dal medio persiano, quindi non è un termine ebraico. Tutto ciò non significa naturalmente che la cultura ebraica antica (come le altre del Vicino Oriente) non abbia elaborato un pro­ prio sistema di valori e relativa terminologia, solo che questo sistema va ricostruito dall'interno, senza pretendere di sovrapporgli le nostre categorie concettuali, a partire appunto da "religione". Analogo è il discorso per altri ambiti culturali. La vastissima lette­ ratura accadica (sumerica, assiro-babilonese) non fa che confermare

INTRODUZIONE

l'assenza di un concetto di " religione" di tipo occidentale. Non che faccia difetto, anche qui, un ricco vocabolario cultuale e rituale, con­ trassegnato da concetti (sostantivi e aggettivi) che apparentemente rientrano senza troppe difficoltà nella sfera del "religioso", ma ciò che emerge è una visione peculiare, anzi, più visioni che si interseca­ no e si sovrappongono non solo a seconda delle epoche e dei livelli della nostra documentazione, ma anche in virtù di prospettive diverse che convivono e si integrano anche sincronicamente. La cultura egiziana è considerata notoriamente come una delle più "religiose", se non addirittura la più "religiosa" di tutte quelle del mondo antico, come notava già Erodoto ai suoi tempi (n 37). A tutti è noto come l'ideologia egiziana, incentrata sul ruolo del faraone e potentemente rivolta ad addomesticare l'ineluttabilità della morte, si presenti come un formidabile sistema di pensiero e di comportamen­ to del tutto accostabile ai nostri concetti di " religione" e di " teocra­ zia". Eppure, nonostante questo, invano si cercherà nella lingua egi­ ziana un termine sia pur vagamente traducibile con " religione". Si tenga conto che possediamo un ricchissimo vocabolario di carattere rituale e sacrificale, caratterizzato da sfumature e sottigliezze spesso intraducibili: i significati di " santificare", "consacrare", "purificare " , di "ordine cultuale", di " azione sacra" e di " sacro" (gsr), di " festa" (�b), di " divinità" e " divino" (nJr), per non citarne che alcuni, vengo­ no da noi adottati del tutto approssimativamente. Essi fanno parte di uno specifico sistema elaborato da una cultura che non ha sentito il bisogno di concettualizzare " religione", come invece è accaduto a noi. A conclusione di queste riflessioni, si chiarirà allora anche il per­ ché del titolo: " religione e religioni" . "Religione" è la chiave di acces­ so usata per introdursi, in punta di piedi, in universi culturali altri dal nostro, per i quali, se proprio dobbiamo servirei del termine in oggetto, lo manterremo rigorosamente al plurale per testimoniare ap­ punto, già sul piano formale, questa irriducibile diversità. Le considerazioni fin qui svolte non devono tuttavia indurre al ni­ chilismo o alla paralisi. I nostri concetti si possono e si devono usare, avendo però sempre a mente il loro carattere strumentale e non onta­ logico. Sarà ancora più produttivo, comunque, individuare alcuni t'n­ dicatori della sfera che definiamo "religiosa", meno impegnativi e più agili: credenza (non dogmatica) in un universo composto da esseri extra- o sovrumani, personalizzati e più o meno organizzati ( " dèi", "pantheon") ; insiemi di azioni e comportamenti che mirano a instau­ rare e mantenere i rapporti con tali esseri ( " culto", "riti " ); ideologie

15

RELIGIONE E RELIGIONI I N S IRTA-PALF.STINA

soggiacenti veicolate in forma orale (''miti", "mitologia") o scritta (te­ sti/libri, più o meno sacri) ecc. Tutto ciò, occorre non dimenticarlo, risponde alla funzione di conferire senso culturale a quelle realtà e a quei fenomeni awertiti dall'uomo come non dominabili, di ordinare ciò che appare caotico, di tentare di gestire le crisi che minacciano la società e il singolo indi­ viduo. Se si intende convenzionalmente "religione" in questo senso, allora dawero l'uomo è sempre stato "religioso".

I6

I

Le età più antiche

Durante l'Antico Bronzo, epoca che vede compiersi lo straordinario salto che porta le comunità umane alla vita urbana nel senso moder­ no e più completo del termine, fa la sua comparsa la scrittura, che viene a integrare in modo decisivo la documentazione disponibile an­ che per una ricerca sulle ideologie e su quei comportamenti usual­ mente definiti come "religiosi". L'area siriana partecipa pienamente a questa fase storica e, anzi, la documentazione da essa derivante con­ tribuisce a modificare un quadro interpretativo nel quale la Mesopo­ tamia era tradizionalmente considerata la culla e la sede irradiativa quasi esclusiva di tradizioni, conquiste, idee. Intorno alla metà del m millennio Ebla e il suo regno mostrano pienamente realizzato quel complesso modello di vita cittadina integrata che è poi il presupposto per il formarsi di una religione politeistica matura. La formula locale, che verrà sostanzialmente seguita dalle esperienze semitiche posterio­ ri, mostra, rispetto all'arcaica tradizione sumerica, un diverso configu­ rarsi, in maggiore autonomia, del "politico" rispetto al "religioso"; un ruolo del re definibile in termini di maggiore "laicità", quale deposi­ tario di un potere non più prevalentemente teocratico; una- struttura sodo-politica originale con proprie tradizioni e istituzioni, con cui in­ teragisce e si integra sempre più la componente pastorale e semino­ madica. Le nostre conoscenze delle culture dell'area siriana hanno com­ piuto, negli ultimi decenni, dei progressi davvero enormi, anche se nel quadro d'insieme continuano a prevalere le zone d'ombra rispetto alle conquiste acquisite. Dopo la scoperta di Ras Shamra/Ugarit, alla quale vanno aggiunte quelle di Mari (Tell Hariri), Ebla (Tell Mar­ dikh), Emar (Meskené), Qatna (Mishrife), Terqa (Tell Ashara), Ala­ lakh (Tell Atchana) e altri siti ancora, tutti con propri archivi più o meno ricchi e importanti, la Siria dell'età del Bronzo è emersa da un oblio quasi totale e ci ha rivelato, anche se in modo ancora incom-

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I. LE ETÀ PIÙ ANTICHE

pleto, la ricchezza e l'originalità della propria cultura, delle proprie tradizioni mitologiche e rituali.

Ebla Fondata agli inizi del III millennio, Ebla (Tell Mardikh, a 55 km a sud-ovest di Aleppo) rappresenta la più antica cultura urbana che scrive nella storia della Siria. In realtà le prime tavolette siriane, scrit­ te con ideogrammi e dipendenti dalla tradizione mesopotamica (Uruk) , risalgono al 3200-3ooo e provengono dalla parte nord-orien­ tale della regione, ma esse non sono che rudimentali registrazioni a fini di computo. È solo nell'Antico Bronzo III-IV che gli archivi di Ebla proiettano pienamente nella storia la cultura siriana e, affiancan­ dosi ai dati archeologici, forniscono uno spaccato eccezionale dell'i­ deologia religiosa e del culto in quest'area. Si tratta del primo grande esempio di un sistema politeistico urbano della Siria del Bronzo, che rivela una tradizione sostanzialmente locale, anche se in parte influen­ zata dalla Mesopotamia. A Mari, infatti, la documentazione coeva anteriore al re Sargon di Akkad - è dawero esigua e per di più il grande regno sull'Eufrate gravitava allora maggiormente verso il mon­ do mesopotamico coevo. Gli archivi reali di Ebla, databili intorno al 2400 a.C., coprono un periodo di circa tre generazioni e costituiscono una fonte primaria di informazioni per la vita politica, sociale e culturale di quest'epoca. Ebla era un regno potente ed esteso, la cui civiltà rappresenta per molti versi un antecedente di quelle semitiche posteriori di Siria-Pale­ stina. Distrutta una prima volta forse da Sargon intorno al 2300 a.C., Ebla conobbe una ripresa fiorente verso il 1900, ma fu definitivamen­ te cancellata dagli Ittici intorno al r6oo a.C. Per questa fase storica non disponiamo di archivi, ma la topografia urbana e la dislocazione di vari edifici cultuali sono state discretamente studiate. Per l'età più antica non sono noti archeologicamente edifici sacri, anche se in tempi recenti si pensa di interpretare in questo senso una grande costruzione in mattoni crudi, con vestibolo e cella, situata nel­ la città bassa e posta parzialmente sotto una struttura templare del Medio Bronzo. Non vi sono indizi circa il titolare di questo probabile santuario, dislocato lontano dall'acropoli e dal palazzo reale. La maggior parte dei testi rinvenuti negli archivi reali, scritti in sumerico ma per lo più redatti nell'arcaica lingua semitica locale, è di carattere amministrativo, ma non mancano documenti e informazioni che concernono la vita religiosa, come liste divine, vari rituali e incan-

RELIGIONE E RELIGION I JN SJR!A•PALESTINA

tesimi e anche qualche oscuro testo mitologico. Gli stessi testi econo­ mici contengono frequenti allusioni al culto e alle divinità. Manca tut­ tavia un organico insieme di miti che costituirebbe la base ideale per conoscere nei dettagli le concezioni cosmogoniche e antropogoniche, le personalità e le funzioni delle divinità, l'ideologia soggiacente al si­ stema rituale e sacrificale. In tale situazione documentaria, rango e attribuzioni degli dèi devono essere dedotti da dati insufficienti quali le offerte che ricevono, le etimologie dei nomi, gli epiteti e i teofori attestati dall'antroponimia e dalla toponimia. La religione eblaita era un articolato sistema politeistico con un notevole numero di divinità, anche se in vari casi doveva trattarsi di manifestazioni locali o funzionali di una stessa figura. n pantheon do­ cumentato dai testi concerne infatti una regione più ampia della Ebla urbana, nelle cui tradizioni esisteva certamente un nucleo più ristretto di dèi al centro del culto tradizionale. L'influsso sumerico è presente, ma non certo predominante: la redazione in sumerico di un testo o la grafia sumerica di un nome divino sono spesso un rivestimento for­ male che copre personaggi e tradizioni locali. A capo del pantheon eblaita era Kura, dio dinastico e poliade di oscure origini ed etimologia, presente ai massimi livelli in tutte le ma­ nifestazioni più importanti della vita religiosa. Era il titolare del tem­ pio cittadino più importante, dove avevano luogo le più significative cerimonie e atti cultuali, che vedevano la partecipazione del re, della regina e dei più alti dignitari di corte. Situato sull'acropoli, nel gran­ de quartiere amministrativo-residenziale dove si trovavano anche il palazzo reale e altri edifici sacri, come il "tempio degli dèi (di Ebla)", il tempio di Kura era la sede principale di svolgimento del grande rituale concernente le nozze del re (en) e l'integrazione della nuova regina (maliktum) nella realtà culturale e religiosa che comportava l'acquisizione del rango reale. Era una cerimonia complessa, che si celebrava in più giorni, in varie fasi e in vari luoghi, entro e fuori Ebla, secondo un programma che alcuni testi dettagliano minuziosa­ mente. Vi si fissano meticolosamente le azioni e gli spostamenti che il corteo reale doveva compiere, di giorno e talora anche di notte. Uno dei momenti chiave era costituito dal pellegrinaggio al mausoleo dove erano sepolti i re precedenti e, quindi, dai riti compiuti nel tempio di Kura. I sovrani rendevano omaggio agli antenati divinizzati e alle di­ vinità dinastiche, quindi aweniva la consacrazione della regina, equi­ parata alla dea Barama, la "Variegata", consorte di Kura: gli stessi sovrani si identificavano con la coppia divina, di cui erano la proie­ zione terrena. Nel tempio di Kura si effettuavano altresì preghiere e riti di ringraziamento agli dèi per la nascita dell'erede al trono ed 20

I. LE ETA PIÙ ANTICHE

esso era altresì la sede di solenni giuramenti prestati dal re e da per­ sonaggi autorevoli, eblaiti e stranieri. li giuramento veniva pronuncia­ to invocando una triade composta dallo stesso Kura, da Utu (cioè il dio solare Shamash, che aveva la funzione di vigilare sull'osservanza dell'impegno) e da Ada, il "dio della tempesta" eblaita. Con quest'ultimo, abbiamo a che fare con uno degli dèi più im­ portanti e popolari del pantheon, titolare di un luogo di culto nel quartiere amministrativo assai prestigioso, a giudicare dalle offerte ri­ cevute e per il fatto che anche lì si potevano svolgere solenni cerimo­ nie di giuramento. Fra le offerte fatte ad Ada, di cui sono note varie epiclesi locali (la più importante era l'Ada di Khalab, cioè Aleppo), ve ne sono alcune molto significative (armi di vario tipo, corna bovi­ ne e monili a forma di rapace) che, insieme alla menziòne di un suo carro, lo inquadrano assai bene nella tipologia della divinità atmosfe­ rica potente e bellicosa, di cui sono documentati i combattimenti contro esponenti del mondo caotico (in particolare, una sorta di dra­ gone dalle sette teste). Per quanto manchino dati certi, si può ipo­ tizzare che Kura e Ada fossero i detentori dei massimi poteri, diversi­ ficandosi forse- come avverrà con El e Baal a Ugarit circa un millen­ nio dopo - per carisma e autorevolezza (Kura ed El, da un lato) e vigore e combattività (Ada e Baal, dall'altro). Un altro dio di primo piano (forse si tratta addirittura di una par­ ticolare manifestazione di Ada) era Adabal, cui i testi attribuiscono come consorte una dea qualificata solo come sua "signora". Destina­ tario di offerte di tutti i tipi, godeva di enorme popolarità (come di­ mostrano le sue numerose manifestazioni locali) e prestigio: era coin­ volto in tutta una serie di riti tra cui una festa delle primizie, cerimo­ nie di purifìcazione, rituali detti di "apertura della porta" e forse riti di lamentazione. Caratterizzato nella tradizione semitica posteriore come dio arciere, ctonio e signore delle epidemie, Rasap era particolarmente venerato a Ebla, un cui quartiere ('' porta") era a lui intitolato. Aveva come sua consorte Adamma e si manifestava in varie epiclesi locali. Anche qui si può cogliere una connotazione infera nella sua personalità, poiché era posto in connessione con un luogo di natura forse cimiteriale. Devono poi ricordarsi due dee molto popolari, Ishkhara e Ashtar (forma eblaita di Inanna!Ishtar). Ishkhara riveste un ruolo centrale nelle cerimonie nuziali dei sovrani, ricevendo ripetutamente e in vari luoghi le offerte della regina e del re. La particolare devozione dei dinasti nei suoi confronti è espressa dal suo epiteto di "amata del re" e sono chiare le sue funzioni di dea dell'amore, preposta alle unioni nuziali e alla maternità. Attiva anche negli esorcismi e nelle pratiche

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RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA-PALESTINA

divinatorie, Ishkhara mostra per certi aspetti una notevole convergen­ za eli funzioni con Ashtar, che rivestiva un ruolo minore ma era co­ munque titolare di templi, destinataria eli offerte e dotata eli un pro­ prio servizio cultuale. Molte altre figure popolavano il ricco pantheon eblaita. Oltre a numerosi e (per noi) anonimi " signori" e "signore" eli varie località, va menzionata la coppia Agu e Guladu, legata alla regalità (forse em­ blemi divinizzati dd sovrano); Ashtabil (anch'esso molto venerato dalla famiglia reale); Dagan, popolarissimo, chiamato con l'epiteto eli "signore eli Tuttul"; Enki, attestato non solo nei testi eli tradizione sumerica e negli scongiuri, che doveva essere un clio locale, forse dai tratti ctonii, molto venerato in feste e sacrifici; il clio lunare Enzu; Gamish, antecedente dd moabita Kamosh, popolare e attestato a vari livdli (calendario, culto, antroponimia); Khabadu (la hurrita Khebat); Kashalu (Kothar a Ugarit); Tu ( = Nintu), preposta alle nozze, ai par­ ti e alla sfera femminile in generale; la divinità solare Utu, attiva negli scongiuri e vigilante sui giuramenti. TI repertorio eli nomi divini contenuti nei nomi eli persona confer­ ma in parte questo quadro, ma con variazioni e scarti dovuti al tipo particolare eli devozione che era alla base della scdta e dd conferi­ mento dd nome. Di derivazione sumerica sono alcuni testi eli scongiuro, talvolta re­ datti in lingua eblaita, miti e inni che menzionano varie divinità. Sono documentati scongiuri volti a neutralizzare il vdeno dei serpenti e il "malocchio", o miranti ad assicurarsi il favore degli dementi atmo­ sferici grazie alla intercessione divina. Gli dèi attivi in tali testi, oltre a Ningirim, dea specializzata in queste azioni, sono Timmutu ( = Tia­ mat), Enki, Ada, Amarig, Adarwan, Balikh. Nei testi in sumerico figu­ rano ancora Ninki, Gudanum, Enlil, Utu e Nisaba. Per quanto riguar­ da i testi mitologici, eli difficile comprensione, ,vi agiscono Utu, Enlil, Timmutu ed Enki, il che sembra confermare la prevalente matrice su­ merica eli questa tradizione. C'è ancora da ricordare che alcuni testi lessicali sumerico-eblaiti citano una serie eli divinità sumeriche per cui si fornisce spesso il corrispondente eblaita: fonte preziosa per tentare eli comprendere i processi eli identificazione tra dèi ritenuti simili a livello funzionale, operazione awenuta certo in ambiente sacerdotale. Su vari aspetti dd culto ci ragguagliano anche i testi amministrati­ vi, che registrano offerte agli dèi (consistenti in capi di bestiame, lana, tessili eli vario tipo, metalli ecc.) e alludono a cerimonie, templi e personale addetto al culto. Conosciamo i nomi eli molte cerimonie e anche il sistema calendariale, ma per lo più è impossibile cogliere in dettaglio struttura e ideologia dei riti. 22

I. LE ET A PIÙ ANTICHE

Per quanto riguarda gli operatori cultuali, si deve innanzittuto se­ gnalare che questa è una funzione rivestita spesso dal re e dalla regina, entrambi con un ruolo cospicuo nella sfera politica, economica e reli­ giosa. Essi, come pure la madre del sovrano, i figli e gli altri membri della famiglia reale, presenziavano a molti riti dentro e fuori dei templi. Per il personale direttamente addetto al culto, forse dipendente dai templi, ci sono noti degli "addetti ai templi divini" , dei " sacerdoti purificatori", degli addetti anche alle unzioni rituali (uomini e donne) e delle sacerdotesse chiamate "spose" della divinità. Una categoria speciale è quella degli Shesh-n-ib (termine intraducibile). Non è detto che fossero solo addetti al culto, ma in ogni caso essi non prestavano servizio permanente (solo da 2/3 a w anni) , ma erano coinvolti, in coppia, in azioni rituali per il palazzo reale che consistevano in pro­ cessioni, specifici atti di culto e anche riti funebri. Lo stesso re era incluso in questo gruppo, una sorta di confraternita maschile di cui facevano parte solo persone di rango altissimo. È stato ipotizzato ra­ gionevolmente che potrebbe trattarsi di un periodo di servizio rituale da intendersi come rito di passaggio, cui dovevano sottoporsi, ad una certa età, i figli delle famiglie più importanti. Esistevano degli esorcisti e degli indovini, che sembrano agire in­ dipendentemente dalle strutture templari, insieme a danzatori e can­ tori di ambo i sessi, suonatori di vari strumenti e giocolieri, chiamati in causa in varie occasioni festive, che completano il quadro di un sistema cultuale complesso e articolato. Per l'epoca paleosiriana posteriore (ca. 2ooo-I61o a.C.) l'indagine archeologica ha individuato una serie di edifici a funzione cultuale, va­ riamente dislocati nel tessuto urbano, il cui carattere è dimostrato dai ricorrenti aspetti tipologici e planimetrici e dalla presenza di arredi cul­ tuali come bacini cerimoniali, con scene rituali e di carattere mitologico. A quest'epoca, un imponente complesso monumentale (il tempio D), posto sul lato sud-ovest dell'acropoli, dominava la città, che an­ noverava altri templi e installazioni sacre rilevanti. Titolare di questo tempio, il maggiore della Ebla paleosiriana, era forse Ishtar, come in­ dica l'iscrizione apposta dal re lbbit-Lirn sulla statua della dea, che aveva tratti celesti, era patrona della fecondità e della fertilità e parti­ colarmente legata alla regalità. Al culto di lshtar era altresì collegata un'ampia terrazza, che si è ipotizzato potesse ospitare giardini, piante e animali sacri alla dea. Un altro santuario della città bassa era il tem­ pio N, dedicato forse a Shamash, come suggerisce l'ingresso a oriente e le decorazioni del bacino ivi rinvenuto, che presenta iconografie ri­ conducibili ai simbolismi solari.

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REL IG IONE E REL I G I ON I IN S I R I A - PALEST I N A

Nella parte bassa della città, a sud-ovest, si trovava un imponente complesso architettonico che testimonia il culto prestato ai sovrani defunti. Esso còmprendeva il palazzo Q e due templi, denominati BI e B2, strettamente collegati a un'area cimiteriale sottostante attraverso ingressi ad ipogei che contenevano splendide tombe principesche, la tomba cosiddetta del "Signore dei capridi" e la "Tomba della Princi­ pessa". Tutta una serie di indizi, tra cui resti di offerte sacrificali e specifiche iconografie, mostrano che qui si tributava un culto speciale ai defunti di rango reale, che venivano probabilmente divinizzati se­ condo una tradizione siriana confermata dalla documentazione ante­ riore e posteriore. È probabile che, come a Ugarit, anche qui il figlio e la figlia del re defunto svolgessero un ruolo chiave nelle cerimonie funerarie, anche se i dettagli dell'ideologia soggiacente ci sfuggono.

Mari li Medio Bronzo (ca. 2ooo-16oo a.C.) è l'epoca delle dinastie amor­ ree, che guidano i centri più importanti ed interagiscono in modo più o meno pacifico, attraverso alleanze, guerre, conquiste e distruzioni, con il pieno emergere di una identità culturale e sociale che non è più tributaria dei grandi modelli mesopotamici del passato. L'altro grande centro siriano, coevo e posteriore a Ebla, che ha prodotto un'eccezionale documentazione scritta, è la città di Mari (Tell Hariri) sull'Eufrate. Esistente già dall'inizio del m millennio, Mari fu distrutta da Sargon di Akkad, ma conobbe una rinascita al­ l'epoca della III dinastia di Ur. Nel XVIII secolo fu capitale di un vasto regno governato da dinastie amorree, raggiungendo in quest'epoca l'apogeo del suo splendore. Cadde definitivamente sotto i colpi di Hammurabi di Babilonia, che nel 17.59 la saccheggiò e la distrusse. Mari e la sua cultura sono generalmente considerate come una sor­ ta di modello intermedio tra la tradizione mesopotamica e quella semi­ tica occidentale. Se ciò è vero in parte, occorre però non dimenticare che la documentazione mariota segnala una propria cospicua originali­ tà. Esistono poi, a livello storico-religioso, aspetti specifici coerenti con un tipo di tradizione che definiremmo "occidentale", quali ad esempio il prevalere del culto per la figura del "dio della tempesta", la caratteri­ stica devozione per i "betili" e l'uso cultuale delle pietre e anche, in certa misura, il fenomeno del cosiddetto "profetismo". Un dato che deve essere tenuto presente è che i testi di Mari ci ragguagliano non solo sulla città, ma anche su molti centri della regio­ ne, sicché occorre essere cauti nelle sintesi unificanti. Tale documenta-

I. LE ETA PIÙ ANTICHE

zione, poi, è bipartita in modo assai diseguale per cronologia e quanti­ tà: i testi possono suddividersi in due blocchi, di cui il più antico e assai più limitato numericamente risale alla fine del m millennio, men­ tre il secondo, abbondantissimo, ritrovato negli archivi palatini, docu­ menta l'ultima fase del regno (fine del XIX-metà del XVII secolo). Per la fase più antica, le notizie sono molto scarse: sappiamo che era in uso un calendario uguale a quello di Ebla, ma per il resto gli unici dati concernenti la religione si limitano alle fonti archeologiche, con la fortunata eccezione di un testo straordinario, giuntoci in due redazioni d'epoca differente, che riflette in buona misura il pantheon di Mari in età arcaica. Si tratta di un coerente memorandum cultuale riferito a vari dèi, articolato in sezioni, che non è in realtà un vero pantheon, ma elenca un gruppo di divinità di varie località che doveva costituire il nucleo essenziale (con qualche eccezione) dei personaggi più popolari e ve­ nerati nell'intera regione. La lista è capeggiata da Ishtar (Eshtar a Mari) in varie manifestazioni e da Dagan; quindi seguono gli dèi di Terqa, antica e prestigiosa metropoli religiosa, capeggiati da un " Si­ gnore del paese" in cui è forse da riconoscere l'Addu di Khalab (Aleppo) , quindi altre figure più o meno note; successivamente si enumerano gli dèi di Suprum, antica capitale del regno, con al primo posto Aya, identificato con il mesopotamico Enki/Ea ma, in realtà, complessa figura di origine siriana legata al mondo della magia, che ritroveremo a Ugarit nel personaggio del dio artigiano e mago Ko­ thar; segue Amum, un dio ctonio equiparato a Nergal, dio poliade di Suprwn ma popolarissimo anche a Mari, e ancora altri dèi tra cui Shamash e un'ulteriore manifestazione di Ishtar. L'ultima sezione enumera dèi di varia origine e spesso enigmatici, tra cui però si indi­ viduano "Giustizia" (lshar) e "Rettitudine" (Mishar), personifìcazioni delle virtù-cardine del sovrano ideale, oltre a Itur-Mer, dio poliade di Mari, la sua paredra (consorte), e anche un Dumuzi, nome che certo nasconde un dio siriano dalla personalità a noi oscura. Per l'epoca più recente, durante il regno di Zimri-Lim (J782-175 9) , un testo analogo al precedente elenca varie divinità di spicco, con riferimento però all'attività cultuale che si svolgeva nel palazzo, riflettendo quindi la devozione dinastica. Dopo i nomi degli dèi più intimamente legati alla residenza reale (la "Signora del pa­ lazzo" , Shamash "celeste" e la Ishtar del palazzo), ecco Dagan e la sua consorte Shala, il dio solare e quello lunare (Sin), il dio mariota Itur-Mer, la dea Deritum ("Quella di Der") patrona della dinastia, e via via altre figure, tra cui Addu, gli dèi di Suprum, alcune divinità di origine mesopotamica e infine Ishkhara (qui forse una forma di Ish-

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA-PALESTINA

tar) e la "Signora dei cortili", sconosciuta divinità del mondo pastora­ le che chiude l'enumerazione. Oltre al pantheon cittadino, dunque, ne esistevano di locali, di cui abbiamo notizie dai testi, sia della zona propriamente di Mari, sia di altre regioni, i cui componenti non sempre godevano di una venera­ zione diffusa; abbiamo anche tracce di una devozione "beduina", propria cioè di quell'elemento seminomadico così presente, a vari li­ velli, nella società e nella cultura dell'epoca. Un altro testo menziona la "totalità dei templi" marioti, ma la lista non deve essere esaustiva, poiché mancano santuari di dèi importanti come Itur-Mer, e queste informazioni devono naturalmente essere usate unitamente ai dati archeologici. Sappiamo comunque che i tem­ pli cittadini erano numerosi, dedicati a importanti divinità quali Da­ gan, Ninkhursag, Shamash (con iscrizione dedicatoria ritrovata), Nin­ ni-zaza, Ishtarat, Ishtar in forma virile; il cosiddetto "Tempio dei leo­ ni" era dedicato ad un dio definito "Signore del paese": forse qui non si tratta di Dagan, che viene già menzionato con il suo nome. A Mari i templi, talvolta provvisti di un suggestivo nome proprio, non erano organismi indipendenti dall'organizzazione civica, ma facevano parte dell'amministrazione generale. Oltre ai grandi santuari, luoghi di culto più ridotti erano le cappelle palatine; nel palazzo o nelle sue vicinanze doveva trovarsi il "giardino" reale, che ospitava animali e piante e ave­ va forse anche funzione ctonia; esistevano poi aree destinate a speciali riti, come quella che ospitava i betili ed era sacra a Dagan. In ogni caso, la struttura del pantheon mariota si può delineare con una certa chiarezza. Ai suoi vertici si trovavano indiscutibilmente Dagan e Ishtar (in molteplici manifestazioni), che nei testi più tardi di Ugarit viene ancora ricordata come grande dea di Mari: la dea era anche al centro di un grande rituale festivo, forse legato al ciclo del kispum (cfr. in/ra). Dagan, per parte sua, era l'incontrastato "re" e il suo culto era diffuso in un'area assai vasta (tutta la valle del medio Eufrate, a Terqa, Tuttul, Saggaratum ecc.). Nella realtà civica di Mari si guardava però, come signore locale, piuttosto a Itur-Mer, anche se Dagan era in un certo senso considerato un sovrano universale. n dio era identificato con il mesopotamico Enlil certo per le comuni funzio­ ni regali e vi sono validi indizi per pensare che, in analogia con il ruolo di El a Ugarit, egli rivestisse anche sul medio Eufrate la funzio­ ne di creatore e progenitore divino. L'etimologia del suo nome non è sicura, ma è probabile la sua connessione con il grano, elemento-base della cultura urbana, dalle molteplici e importanti simbologie. n culto di Dagan, caratterizzato anche da aspetti ctonii rilevanti (come il sa­ crificio detto pagraum, cioè "cadavere"), non era limitato all'ambito

I. LE ETA PIÙ ANTICHE

reale, ma era vivo anche a livello privato, a dimostrazione dell'estre­ ma popolarità e importanza di questo dio. ltur-Mer era il dio della città (è definito "re di Mari" e "grande dio") e si caratterizza in particolare per la sua funzione di presiedere ai giuramenti più solenni, pronunciati anche dal re di Mari; la stia personalità contemplava aspetti di protettore e guaritore (a seguito di responsi ottenuti dopo incubazione) e si conosce un rito specifico a lui legato di carattere espiatorio. Nell'universo divino mariota un ruolo di primo piano era rivestito anche dal "dio della tempesta", in molti casi identificabile con Addu, che aveva a Khalab il suo più celebre santuario (nel suo tempio vige­ va il diritto di asilo per chi vi si rifugiava), ma vedeva il suo culto diffuso anche fuori Yamkhad, fino all'estremo occidente. Altre divinità importanti in un'ottica geograficamente più ampia sono Amum/Nergal di Suprum, la "Signora di Nagar" (altra epiclesi di Ishtar) e il dio lunare Sin, tradizionalmente legato a Kharran, il cui celebre santuario era già all'epoca al centro di una devozione trans­ regionale. Come in molte religioni politeistiche, anche il pantheon di Mari costituiva una griglia pluridi.mensionale a vari livelli, che permetteva di fissare di volta in volta il rango di un dio e i suoi rapporti con gli altri dèi: da un lato, vigeva una sorta di gerarchia astratta, dall'altro, esistevano specifici ambiti o funzioni, determinati anche dagli epiteti, che potevano moltiplicare aspetti di una figura che a noi appare erro­ neamente unitaria per via di un nome che si ripete. Esempi adducibi­ li sono l'ambito palatino, quello domestico, la ristretta realtà dell'ha­ rem, la funzione tecnica di vigilare sul rispetto dei trattati (campo elettivo di Shamash e Addu) e dei giuramenti, e altri ancora. Un utile complemento alla conoscenza dell'universo divino lo for­ niscono, anche a Mari, i dati deducibili dall'onomastica personale, la quale, pur se in un'ottica che riflette piuttosto le tradiziorù familiari, conferma questa struttura, attestando con maggiore frequenza i nomi di Dagan e di Ishtar. Gli archivi cittadini della fase finale di Mari documentano l'emergere di nuove divinità legate all'elemento amor­ reo, attestate soprattutto dal vasto repertorio di antroponimi. Gli Amorrei erano popolazioni nomadi a economia pastorale e struttura sociale di tipo tribale, parlanti una lingua semitica occidentale, che occupavano le regioni non urbanizzate dell'area mesopotamica e siria­ na. Queste genti, definite martu nelle fonti accadiche, finirono per imporsi in Siria dopo la distruzione di Ebla, mentre in Mesopotamia instaurarono la loro egemonia dopo il crollo dell'impero neo-sumeri­ co della m dinastia di Ur, che contribuirono essi stessi a causare. Con

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RELIGIONE E RELI G IONI IN SIRIA-PALESTINA

la cultura amorrea appaiono a Mari divinità che saranno in seguito popolarissime in tutta l'area siro-palestinese: Ilu/El, Anat, il "dio del­ le tempesta" siriano Addu/Baal, il già noto Dagan, Rashap, Yarikhu, Horon, Malik, Sakon, Shalim, il dio solare, Athtar, Itur-Mer, Sadiq. Tratto tipico della religiosità amorrea, anche a Mari, è il carattere di­ vino attribuito a termini di parentela come Ammu, ovvero l'attribu­ zione agli dèi di epiteti come padre, zio, fratello, circostanza che ri­ flette un'ideologia fondata sui vincoli di parentela e di clan. D'altra parte, la cultura amorrea è aperta a recepire elementi e ideologia dei sedentari in un'osmosi a doppio senso. La vita cultuale mariota era caratterizzata da un ricco calendario di feste e sacrifici, in cui erano coinvolte le varie divinità attraverso le loro statue e i loro emblemi sacri. Aspetti più tipicamenti locali sono testimoniati dai calendari festivi, nei quali ricordiamo i riti in onore di Ishtar e la festa per il carro del dio ctonio Nergal. Spicca in questo contesto il grande rito del kispum, termine che si riferisce al concetto di "spezzare" o "dividere" (il pane, il cibo), che era sostanzialmente un'offerta alimentare periodica effettuata in onore dei re defunti, sia storici che leggendari, che intervenivano a banchet­ ti comunitari suggestivi e miranti a rinsaldare, attraverso l'evocazione e il ricordo della struttura dinastica, la solidarietà sociale e personale. Celebrato in varie sedi, incluso il palazzo reale, il kispum poteva svol­ gersi per vari giorni e contemplava anche altre cerimonie e riti, inclu­ si sacrifici di animali, ed è probabile che uno spazio fosse dedicato alla recitazione rituale di episodi mitici, tra cui forse la celebre vi­ cenda della vittoriosa lotta del dio della tempesta, Addu, contro la personificazione delle acque caotiche. Ci è parzialmente nota la terminologia sacrificale mariota, scandita dal parsum, la regola rituale che presiedeva ad ogni attività di questo tipo, che prevedeva offerte cruente e incruente, tra cui il caratteristico rito del "versare" il sangue della vittima aspergendone le pietre sacre. I testi di Mari di quest'epoca contengono, tra l'altro, vari riferi­ menti a fenomeni cosiddetti di profetismo: persone ispirate sognava­ no rivelazioni divine o ricevevano messaggi soprannaturali, di solito destinati a essere riferiti al re. I caratteri di rivelazione estatica di tali fenomeni hanno indotto a istituire paralleli con il profetismo ebraico attestato nella Bibbia e, anche se le analogie non sono totali, essi si inquadrano in una tradizione comune, documentata tra l'altro alla corte del re di Biblo, nell'xr secolo a.C., dal.racconto di viaggio del­ l'egiziano Wen-Amun. A Mari esistevano dunque persone capaci di mettersi in comunicazione con la dimensione extra-umana e ricevere messaggi dagli dèi, da comunicare direttamente al re. Due erano le 28

I . LE ETA PI Ù ANTICHE

categorie di tali "profeti" , sia uomini che donne: da un lato l'apilum, sorta di " portavoce" incaricato di riferire la volontà divina che passi­ vamente recepiva; dall'altro c'era la figura del mukhkhum, termine che richiama l'idea di "follia", che poteva provocarsi l'ispirazione at· traverso l'ingestione di bevande inebrianti che gli inducevano eccita· zione ed estasi. Era un personaggio strano e marginale, dall'aspetto selvaggio e dai comportamenti liminali, che veniva colto improvvisa­ mente dall'ispirazione e forniva "profezie" molto articolate, da riferire a corte. In questi personaggi, che tendevano a vivere in piccoli grup­ pi, ritroviamo l'arcaico costume di attribuire una speciale sacralità agli stati psichici anormali e anomali, che venivano visti come dono privilegiato per chi ne era depositario anche in forma permanente. Gli dèi potevano manifestare i loro intenti e desideri anche attra­ verso i sogni e, d'altro canto, non era rara la consuetudine di indi­ rizzare loro lettere private, nell'ambito di un rapporto individuale di grande interesse. Accanto a operatori cultuali ragguagliabili a sacerdoti e sacerdo­ tesse (queste ultime operanti anche in forme di clausura come "spose" o " sorelle" del dio), esistevano poi altre figure caratteristiche come ad esempio l'assinnum, omosessuale sacro ma insieme anche frenetico pro­ tagonista di pantomime buffonesche, danze e canti. In generale, le per­ sone addette al culto non afferivano ad un ambito "sacrale" distinto da quello profano, bensì rientravano nel novero del personale alle dipen­ denze del re. Non esiste quindi a Mari, come in tutto il Vicino Oriente antico, una figura di sacerdote equiparabile a quelle che operano nelle religioni monoteistiche, dove la separazione tra il religioso e il civico, entrambi istituzionalizzati, è un fatto consolidato. Nella cultura di Mari un ruolo importantissimo avevano le prati­ che divinatorie, scaturite dal bisogno di fronteggiare, prevenire o ri­ solvere le numerose crisi, sociali e individuali, che si profilavano di continuo. Lo scrupoloso e "scientifico" esame delle viscere animali poteva consentire di individuare le cause di una malattia (quasi sem­ pre considerata una punizione divina), di smascherare un colpevole (ma per questo lo strumento specifico era l'ordalia nel fiume), l'esito di una battaglia o le strategie militari in genere, (s)consigliate dagli specialisti che sempre seguivano le truppe in movimento. La ricca documentazione di Mari consente una suggestiva, anche se parziale, ricostruzione di aspetti della vita quotidiana che ci disegnano un dettagliato quadro senza confronti della religiosità di un centro si­ riano in quest'epoca. Emerge, tra l'altro, come uno fra gli aspetti più salienti, la permanente ansietà e lo stato di insicurezza che generavano la necessità di una continua interazione con il piano meta-umano.

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Il Tardo Bronzo

Alalakh Dopo Ebla e la sua epoca, sia pure vari secoli più tardi, diversi siti della Siria hanno fornito documentazioni scritte che consentono di ot­ tenere informazioni sull'ideologia e sul culto che non siano limitate solo ai dati archeologici. Possediamo comunque informazioni a "mac­ chia di leopardo" ed una sintesi organica è al di fuori delle attuali possibilità. Non potendo qui dare conto sistematicamente di ogni sin­ golo centro, lasceremo da parte casi pure interessanti (come per esem­ pio Qatna/Mishrife o Terqa/Tell Ashara), e ci soffermeremo sui tre centri forse più rilevanti ai nostri fini, cioè Alalakh, Emar e Ugarit. Alalakh (Tell Atchana), un sito importante nella valle dell'Amuq (Turchia), fu fondata intorno al 2ooo e fece parte del regno di Yam­ khad (Aleppo) , tranne un breve intervallo sotto il dominio di Mari. La città fu distrutta dal re ittita Khattushili I, ma circa un secolo dopo fu ricostruita, divenendo il centro più importante di uno stato vassallo del regno khurrita di Mittani, governato da una propria dina­ stia fondata forse da Idrimi, un re che ha lasciato una lunga iscrizio­ ne dai toni romanzeschi. Verso la metà del XIV secolo gli Ittiti rias­ sunsero il controllo della Siria settentrionale inglobando Alalakh nel loro impero, ma questa scompare definitivamente verso il 1 2oo, tra­ volta dai rivolgimenti connessi al passaggio dei Popoli del Mare. Gli scavi condotti ad Alalakh hanno rivelato ben diciassette livelli di occupazione, in due dei quali (il VII del Medio Bronzo e il rv del Tardo Bronzo) sono state rinvenute varie centinaia di tavolette cunei­ formi. Si tratta, oltre a liste lessicali, scongiuri e omina, soprattutto di testi a carattere giuridico e amministrativo, che concernono il con­ trollo del territorio da parte del re e il flusso di beni che entravano e uscivano dal palazzo reale. Un grande tempio cittadino, costruito sopra un tempio precedente, era dedicato alla dea Ishtar (nome che probabilmente cela Shawushka),

2 . IL TARDO BRONZO

come sappiamo dall'iscrizione di Idrimi, il documento più importante giunto fino a noi. In questa lunga iscrizione autobiografica, datata ver­ so il I 5 oo-148o a.C., il re, figlio più giovane della casa dinastica di Aleppo, ricorda la sua avventurosa ascesa al trono favorita dalla prote­ zione divina. Vi si menzionano varie divinità, cioè Teshub (detto " si­ gnore del ciclo e della terra e dei grandi dei"), Khepat e, appunto, Shawushka, che egli chiama " sua signora" e di cui si dichiara fedde servitore. I testi menzionano ancora templi dedicati al " dio della tem­ pesta" e a un altro dio non specificato, mentre l'onomastica personale registra, tra i teofori più frequenti, Addu, probabilmente da individuar­ si anche dietro l'ideogramma IM, poi Ishtar e Kushak. I testi più recenti (.xv-xrv secolo) documentano un'epoca in cui è forte, a tutti i livelli, l'influenza dei Khurriti. Questi ultimi erano un popolo forse di provenienza caucasica, stanziato nell'area nord-meso­ potamica e siriana già intorno alla metà del m millennio, parlante una lingua né semitica né indoeuropea e con una propria cultura, che permea trasversalmente varie civiltà vicino-orientali antiche. Politica­ mente, lo stato khurrita più potente fu il già citato regno di Mittani. Da questa documentazione si possono ricavare indicazioni sulla struttura sociale e, nella nostra ottica, particolarmente importanti sono le notizie sugli operatori cultuali attivi ad Alalakh. Sono attestati "sacerdoti" (shangu), "indovini" (baru), altri addetti (ushandu) incari­ cati di procurare gli uccelli per gli omina e ancora i "cantori" (naru). È interessante notare che tutto questo personale era alle dirette di­ pendenze dd re, anzi era inserito nd sistema paramilitare controllato dal palazzo reale. Questo tipo di organizzazione ci mostra di nuovo quanto sia a volte difficilmente applicabile la nostra concettualizzazio­ ne di "sacerdote " come persona a vari livelli sacra e a tempo pieno, e di "culto" come sfera distinta dalle altre attività da noi inserite nel­ l'ambito del "profano".

Emar Con Emar (Meskené), siamo trasportati in quel contesto siriano dd medio Eufrate cui appartenne anche Mari e che sviluppò una cultura originale, contrassegnata dall'interazione profonda e costante tra se­ dentari e seminomadi. Posta sulla riva destra dell'Eufrate, Emar fu un sito importante per la sua posizione sulle vie commerciali siro-mesopotamiche. Esso è stato parzialmente scavato (essenzialmente la città del Tardo Bronzo)

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RELIGIONE E RELIGIONI IN S I R IA · PALF.STINA

prima che le acque del fiume lo sommergessero definitivamente a se­ guito della costruzione della diga di Tabqa. Gli scavi hanno rivelato l'esistenza di quattro templi, tutti del ca­ ratteristico tipo a vano allungato che funziona da spazio sacro, con tavola di offerte e podio ma, stando ai testi, Emar ne doveva posse­ dere almeno sedici. n complesso templare principale, situato nella parte più elevata del sito, era formato da due templi dedicati a Baal e ad Astarte. Un altro tempio, dedicato a t\.ltti gli dèi e gestito da un celebre sacerdote, conteneva gli archivi delle tavolette; di un quarto tempio ci è scono­ sciuto il titolare. Durante il Medio Bronzo, Emar gravitò nella sfera d'influenza del regno aleppino di Yamk.had, mentre in seguito, durante il Tardo Bronzo, fu parte del territorio di Karkemish. Vi sono stati scoperti importanti lotti di tavolette cuneiformi in quattro lingue: sumerico, accadico, khurrita e ittita, comprese tra la fine del XIV e l'inizio del XII secolo a.C. , un'epoca che coincide anche con la massima fioritura della civiltà ugaritica e dei suoi archivi pubblici e privati. A giudicare dai nomi propri documentati nei testi, la maggior parte della popolazione emariota era di origine semitica. I documenti rinvenuti (qualcuno anche fuori da Emar) sono ped.a massima parte di carattere economico-amministrativo e giuridico, ma si contano an­ che lettere e alcuni interessanti documenti concernenti la sfera cultua­ le. A parte alcuni testi di derivazione mesopotamica, l'attenzione è soprattutto attirata da quelli che riflettono le tradizioni religiose loca­ li: essi attestano la celebrazione di cerimonie, feste e riti vari, menzio­ nando altresì molte divinità che trovano riscontri nel mondo siro-pa­ lestinese coevo e posteriore. Come anticipato, i testi più interessanti documentano la celebra­ zione di feste in onore di vari dèi e articolati riti di consacrazione di personale addetto al culto. La tradizione rituale di Emar, pur segnata da evidenti influssi khurriti e, in misura minore, mesopotamici, pre­ senta però un carattere chiaramente semitico occidentale con proprie peculiarità: paralleli interessanti sono istituibili in particolare con il sistema cultuale di Ugarit. Le celebrazioni religiose descritte sono molteplici e, tra queste, spic­ cano le feste denominate z.ukru ( "commemorazione" ) e kissu (forse "tro­ no"), nonché la celebrazione per la consacrazione e l'installazione di sacerdotesse di altissimo rango. I testi documentano anche cicli di offerte sacrificati in onore di vari dèi, tra i quali un rituale per "l'apertura delle porte", liste di sacrifici, un rituale in onore degli dèi di Khatti e un altro in onore di una speciale manifestazione della dea Astarte.

2 . IL TARDO BRONZO

La festa z.ukru era una celebrazione unica e speciale dai caratteri­ stici tratti di rinnovamento, legata forse a un ciclo settennale, e si svol­ geva fuori città. Sembra che lo scopo fosse quello di commemorare e rafforzare il legame speciale tra la popolazione nel suo insieme e i pro­ pri dèi tutelari. il rito centrale era costituito dalla celebrazione di un banchetto comunitario, che comprendeva la venerazione delle pietre sacre o betili (aspersi con grasso e olio), ritenuti variamente sedi e/o manifestazioni delle divinità (in questo caso NIN.URTA e Khebat). Si tratta di un'usanza attestata già a Mari e poi nel mondo fenicio-punico, ebraico e sud-arabico, che evidenzia i rapporti storici della cultura emariota con le tradizioni più tipiche della regione siro-palestinese an­ che durante l'età del Ferro. La festa si concludeva con un solenne sa­ crificio animale alle divinità, capeggiate da Dagan sul suo carro. La festa kissu era celebrata in onore di una serie di divinità (Da­ gan, Ereshkigal, Ea, Ishkhara, Athtar, Ninkur), ciascuna con una pro­ pria liturgia, ma i testi non permettono di comprendere né la scelta dei destinatari né gli scopi specifici di tali cerimonie. La festa celebrata in occasione dell'installazione della NIN.DINGm (lett. "Signora divina") veniva effettuata quando era scelta e solenne­ mente proclamata la nuova sacerdotessa del "dio della tempesta", cioè il locale Baal, il che avveniva subito dopo la morte di quella pre­ cedentemente in carica. Articolata in nove giorni, la festa comprende­ va varie fasi, tra le quali particolarmente solenni erano l'elezione e la consacrazione (attraverso l'unzione con olio) della prescelta. Questa era sottoposta a un taglio di capelli rituale, si effettuavano varie pro­ cessioni di andata e ritorno tra il tempio del dio e la casa paterna della nuova sacerdotessa, quindi avveniva la sua installazione definiti­ va nel tempio, celebrata sotto forma di nozze solenni con la divinità (pur se mancano indizi chiari di una vera e propria hierogamia, cioè "nozze sacre"). Si trattava di una grande festa religiosa e popolare, con protagonisti principali gli anziani e gli abitanti in genere, in cui erano implicate anche altre divinità (tra cui NIN.KIR, dea legata alle lamentazioni funebri) e i loro luoghi sacri, mentre piuttosto in secon­ do piano sembrava restare il re. Un'altra grande festa era celebrata in occasione dell'installazione della mashartu, sacerdotessa il cui nome allude alla sua capigliatura, forse in carica annualmente. Cerimonia molto antica, si svolgeva in contesto urbano, era segnata da vari riti implicanti sacrifici e offerte ed aveva un nesso speciale con i soldati e con la dea Astarte, qui sentita nei suoi aspetti guerrieri e bellicosi, tratti che non sono diffici­ li da rintracciare nella storia del suo culto in area siro-palestinese. I testi menzionano personale cultuale caratterizzato da varie man-

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sioni, tra cui spiccano gli addetti alla divinazione, tanto famosi da es­ sere chiamati alla corte ittita, e l'operatore incaricato dei sacrifici, chiamato "Signore. della casa". In questo caso, come in altri docu­ menti di carattere religioso, la consorte di Baal è la dea khurrita Khe­ pat, mentre i due templi gemelli di tipo "siriano" edificati sull'acro­ poli cittadina erano dedicati, come detto, allo stesso Baal e ad Astar­ te. È legittimo pensare ad un'identificazione di quest'ultima con Khe­ pat, ovvero a un processo che vede (in specifiche occasioni?) la dea semitica alternarsi con quella khurrita. Un importante ciclo di cerimonie in onore dei morti era celebrato nd mese di Abu presso vari templi e luoghi sacri, a conferma dell'im­ portanza dd culto dei defunti nelle tradizioni dell'area, in cui erano implicati Astarte e NIN. URTA. Venendo infine alla composizione del pantheon di Emar, pur nell'i­ gnoranza quasi totale delle tradizioni mitologiche locali che dovevano sicuramente esistere, qualche indicazione si può trarre dall'insieme del­ la restante documentazione. Si conferma il ruolo centrale rivestito dal dio Dagan, la divinità più popolare nella regione dd Medio Eufrate (da Terqa a Tuttul, da Ebla a Mari e alla stessa Emar). Ai vertici della venerazione degli emarioti vi erano comunque Baal e Astarte, la quale si segnala particolarmente per una notevole serie di specifiche manife­ stazioni ( "Astarte che schiaccia", "Astarte del ritorno", "Astarte della battaglia", "Astarte del mare" , "Astarte dei fulmini", "Astarte delle fonti", "Astarte dd crocevia", "Astarte della riva" ecc.), che ne illu­ strano la complessa personalità e ci inducono a riflettere sulla nostra (arbitraria) tendenza a unificare - sulla flebile scorta di un nome condi­ viso - diverse manifestazioni divine in un'unica personalità. Tra gli dèi più diffusi ricordiamo ancora Rashap (molto popolare nell'antroponi­ mia), Gad (la "Fortuna" del mondo semitico posteriore), i già menzio­ nati NIN.KUR e NIN.URTA (le esatte grafie ci sono ignote; il secondo teo­ nimo è circondato da grande venerazione, ma è difficile persino stabili­ re se si tratti di un dio o di una dea). Accanto ad altre divinità di origine anatolica e mesopotamica, da ricordare ancora Shaggar, dio lu­ nare, Adamatera, Shakhru (lo Shahar di Ugarit), Ishkhara e altri teoni­ mi menzionati più raramente o attestati solo nell'onomastica.

Ugarit li sito di Ugarit (oggi Ras Shamra), sulla costa siriana prospiciente l'isola di Cipro, fu la capitale di un regno particolarmente fiorente nei secoli xv-xiii , un periodo storico documentato anche dai testi rinve-

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nuti negli archivi cittadini. La città era posta ai limiti di una pianura bene irrigata e bagnata da piogge frequenti nella stagione fredda, de­ limitata verso l'interno da una catena montuosa un tempo ricca di boschi, tra cui spicca il Sapanu (Gebel Aqra), il famoso Kasios o Ca­ sius dei testi classici (noto nell'Antico Testamento come Safon e nei testi ittiti come Khazi). Oltre alla felice localizzazione, la fortuna del sito, abitato sin dal Neolitico, fu dovuta anche al fatto di costituire il naturale sbocco delle vie carovaniere, punto d'imbarco e di approdo per i commerci mediterranei. Gli scavi hanno consentito di individuare cinque livelli suddivisi in varie fasi, dalle prime tracce umane fino alla distruzione della città. Già verso il 2400 il nucleo urbano ha il nome di ugar, " campo" , te­ stimoniato da fonti cuneiformi siro-mesopotarniche. Con il n e il r li­ vello si entra pienamente nell'epoca storica, per la quale cioè abbia­ mo anche fonti scritte. Nel corso del Medio Bronzo (2 I oo- 1 65o) si registra un massiccio incremento nella produzione bronzistica, da at­ tribuirsi ad una comunità di genti che sono state definite dall'archeo­ logo di Ugarit C. F. A. Schaeffer "portatori di collari metallici": abili metallurgi, essi apportarono innovazioni tecniche e introdussero nuo­ ve armi e oggetti ornamentali. Ad essi si deve tra l'altro la necropoli che occupa un'ampia zona dell'acropoli di Ras Shamra, con tre livelli di sepolture e ricchi corredi funerari. I nuovi arrivati si amalgamaro­ no in fretta con i precedenti abitanti, dando così il via ad un insedia­ mento urbario in piena regola. L'area abitata fu cinta da una linea di fortificazioni e da un fossato, le case si infittirono progressivamente fino a formare dei veri quartieri residenziali, ciascuna disponendo di un cortile provvisto di pozzo, di un piano superiore e, sotto il pavi­ mento, di una tomba di famiglia. Forse in questo periodo si erigono, sul punto più alto del sito, i templi dedicati agli dèi Baal e Dagan, con una serie di edifici annessi. Al Medio Bronzo appartengono an­ che numerosissimi reperti di vario tipo: stele votive, statuette in ar­ gento, monumenti e oggetti di provenienza egiziana, che testimoniano degli intensi rapporti di Ugarit col paese del Nilo. Per l'epoca che va dal 1850 al 1 750 sono i testi accadici di Mari che attestano floridi scambi commerciali in cui Ugarit rappresentava il naturale sbocco sul Mediterraneo delle varie correnti di traffico. È soprattutto a partire dal xv secolo che si possono meglio segui­ re le vicende politiche in cui si trova coinvolto il piccolo regno siria­ no, costretto a barcamenarsi tra le grandi potenze dell'epoca: l'Egitto da una parte, l'impero khurrita di Mittani dall'altra. Tra il 1400 e il 1 350 Ugarit si viene a trovare nella sfera d'influenza dei faraoni egi­ ziani di cui diviene fedele alleato, resistendo alla pressione crescente

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degli Ittici. Proprio al 1 3 70 si datano le prime informazioni desumibi­ li dagli archivi cittadini, relative al re Niqmaddu II, figlio di Ammish­ tamru I. n regno di Niqmaddu II è senz'altro il più significativo dal punto di vista culturale, caratterizzato come è da un'intensa attività edilizia e letteraria. Sotto questo sovrano si riedi.fìca il palazzo reale, distrutto da un sisma e da un incendio, e si effettua lo sforzo di redi­ gere per iscritto i grandi testi mitologici in cui si trovano raccolte le più antiche tradizioni religiose dell'area. Dal punto di vista politico, l'affievolirsi dell'influenza egiziana co­ stringe lo stato ugaritico, debole militarmente, ad accettare una sorta di protettorato da parte del vicino e rivale regno di Amurru. In seguito alla vittoriosa campagna militare del re ittita Shuppiluliuma, anche Ugarit deve accettare di diventarne vassallo. L'adesione al sistema politico ittita consente però al re ugaritico Niqmaddu di mantenere il proprio trono e una relativa autonomia, oltre a qualche ampliamento territoriale. Alla morte del re ittita si verifica un vasto moto di rivolta verso i dominatori anatolici che coinvolge tutti i suoi vassalli e alleati: tra que­ sti, il successore di Niqmaddu, Ar-Khalba, che si riavvicina all'Egitto. n riallineamento di Ugarit su posizioni filo-ittite viene però presto ripri­ stinato da un nuovo trattato imposto a Niqmepa, successore di Ar­ Khalba, in cui si prevede un più stretto controllo e l'invio di un go­ vernatore ittita. Del periodo di pace seguito allo scontro tra Egiziani e Ittiti a Qadesh ( ! 286) Ugarit approfitta per potenziare ulteriormente il proprio ruolo commerciale, confermandosi stato ricco e florido, molto più votato alla competizione dei traffici che all'attività bellica. Gli ultimi anni del XIII secolo vedono il regno di Karkemish divenire il controllore dei piccoli stati siriani e mediatore tra questi e il potente impero ittita. Ultimo re di Ugarit fu Ammurapi e durante il suo regno si verifi­ cò l'invasione delle genti chiamate "Popoli del Mare". Esse travolsero gli stati anatolici e siriani trovando resistenza solo alle frontiere egi­ ziane difese dal faraone Ramesse m (ca. r rn). Ugarit fu rasa al suolo intorno al n85 a.C., ma il suo crollo si dovette anche alla crisi di tutto un sistema socio-economico e politico minato da tensioni e con­ traddizioni interne, incapace di rinnovarsi. Per quanto riguarda l'architettura religiosa di Ugarit, sono innan­ zitutto da menzionare i due templi cittadini dedicati rispettivamente agli dèi Dagan e Baal, che sorgevano sull'acropoli. Edificati già all'ini­ zio del II millennio e rimasti in uso sino alla distruzione finale, i due complessi sacri presentano una struttura analoga per pianta, dimen­ sioni, orientazione (nord-sud) e altri dettagli: spesse mura, una sala quadrata preceduta da un cortile lastricato con un altare posto da­ vanti al sancta sanctorum, una scalinata che conduceva alla terrazza.

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Sul versante orientale dell'acropoli si ergeva il tempio di Dagan, a questi attribuito in base a due stele con iscrizioni votive in ugaritico dedicate al dio e rinvenute nei pressi. Qui sono state scoperte una quindicina di vasche in pietra poste in fila, probabilmente destinate ad abluzioni rituali. Ad ovest sorgeva il tempio di Baal, dio protettore di Ugarit, come indicano alcune stele nell'area sacra che raffigurano il dio. n santuario è menzionato nei testi rituali ugaritici e talvolta è possibile individuarne parti in cui si svolgevano determinate cerimo­ nie. Era il più ampio dei due edifici sacri e constava di una cella ret­ tangolare posta su un podio, preceduta da un vestibolo cui si accede­ va per una scalinata. Nella cella si trovava l'altare a pianta quadrata destinato ai sacrifici di animali, fatti passare da un apposito ingresso. n re e gli altri officianti entravano da un altro ingresso che immetteva in tre ambienti dalla funzione di "sagrestie". Nella cella restano trac­ ce di un'imponente gradinata che portava alla terrazza, su cui si sali­ va per recitare preghiere e celebrare riti particolari, uno dei quali vie­ ne descritto in dettaglio nel mito del re Kirta. L'area templare ha restituito reperti straordinari, fra i quali stele, amuleti, gioielli, anche di provenienza egiziana; degne di menzione sono varie pesanti ancore di pietra, alcune incorporate nelle pareti templari, risalenti al Medio Bronzo: si tratta di ex-voto offerti da na­ viganti sfuggiti alle insidie dei flutti o richiedenti protezione. Risalta da ciò il carattere anche marino del dio Baal, che proteggeva tra l'al­ tro le genti di mare in quanto signore delle tempeste e vincitore, in un celebre mito, di Yam, signore delle acque marine e fluviali. Oltre ai due templi maggiori, esistevano a Ugarit molti altri luoghi sacri, santuari grandi e piccoli, cappelle private e altari. Va ricordato, in particolare, l'edificio noto come "Santuario delle divinità khurrite" , situato a nord del Palazzo Reale. Era un edificio a probabile funzione religiosa con due vani comunicanti, in cui sono state rinvenute nume­ rose lucerne in terracotta, giare votive, coppelle, brocche e scarabei, nonché due statuette in rame raffiguranti un dio e una dea. Nella zona meridionale del sito si ergeva un altro piccolo edificio sacro de­ nominato " Santuario dei rhyta", integrato in un isolato urbano, il cui accesso si apriva direttamente sulla strada, con un vestibolo che con­ duceva alla sala principale. La cosiddetta "Casa del Gran Sacerdote", articolata in una serie di vani intorno ad una corte interna, non era un tempio, bensì la di­ mora di un alto personaggio forse addetto al culto. Vi si sono rinve­ nute, tra l'altro, tavolette con poemi mitologici e un deposito votivo effettuato da una corporazione di fonditori di metalli.

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Ugarit deve la sua celebrità soprattutto alla ricchissima documen­ tazione testuale ritrovata negli archivi cittadini e in quelli del vicino ( , km a sud-ovest) centro di Ras Ibn Hani, altra residenza reale (esti­ va, o forse riservata alla regina). I testi ritrovati sono redatti in una varietà di lingue e di sistemi grafici, ma la vera novità è rappresentata dai documenti in lingua locale, un idioma senùtico-occidentale reso attraverso un alfabeto, il più antico attestato storicamente, le cui let­ tere sono però scritte con segni cuneiformi appositamente inventati e diversi dal cuneiforme mesopotanùco. Oltre ai documenti econonùco-amministrativi ed epistolari, gli ar­ chivi ugaritici (palatini, templari e anche privati) hanno restituito una nutrita serie di testi di tipo religioso: nùti, riti, incantesinù, preghiere, inni, dediche e documenti oracolari. Tale letteratura testimonia una ric­ ca tradizione religiosa di enorme importanza e costituisce un patrimo­ nio culturale che doveva - pur attraverso varianti locali - essere so­ stanzialmente diffuso in tutta l'area siro-palestinese. Personaggi e vi­ cende narrate dai nùti ugaritici - l'unica mitologia senùtica occidentale giuntaci direttamente - rappresentano un punto di riferimento impre­ scindibile sia per lo studio degli antecedenti più antichi, sia per gli sviluppi delle tradizioni religiose in epoche successive. I testi ugaritici forniscono inoltre un termine di confronto essenziale per lo studio del­ la religione ebraica e dell'Antico Testamento, poiché riflettono in buo­ na nùsura il patrimonio di quelle genti "cananee" con cui si incontrò e si scontrò, nutrendosene abbondantemente, la civiltà ebraica. TI pantheon di Ugarit è bene individuabile, oltre che in base ai nùti, anche grazie ai testi rituali, nei quali sono annotati e a volte de­ scritti i sacrifici e le cerimonie eseguite in onore dei vari dèi, nel qua­ dro di un complesso calendario liturgico (su base lunare) che preve­ deva l'attiva presenza del re. Analogamente a quanto testimoniato per altre religioni dell'antico Oriente, anche a Ugarit uno dei doveri primari dell'uomo era quello di sostentare gli dèi, offrendo loro periodicamente vittime animali e altri cibi (cereali, frutta, ortaggi, miele, focacce, olio e vino, impiegato di frequente in libagioni) . Varie erano le tipologie dei sacrifici (consu­ mati per lo più anche dagli offerenti) , cosi come articolata era la tipo­ logia delle vittime: bovini, ovini, asini, uccelli, pesci. A volte veniva offerta solo una parte specifica, come il fegato, il polmone o le vi­ scere. Altra materia sacrificale era costituita da metalli anche preziosi, tessuti (anche per l'addobbo delle statue divine) e altri oggetti orna­ mentali (recipienti, utensili, statuette, metalli ecc. ). I sacrifici eràno variamente denominati: sacrifici di comunione, olocausti, pasti sacrificali, consacrazioni, liturgie varie e processioni di

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statue di divinità e di antenati. I riti avevano luogo in ambienti speci­ fici (templi, santuari, cappelle) e in luoghi particolari ("braciere" , "al­ tare" , " fossa sacrifìcale", "tetto" , "terrazza" , "giardino", cioè forse ci­ mitero). Non sempre si tratta di riti cruenti e comunque non sono mai attestati sacrifici umani. Momenti di particolare solennità e importanza, nell'ambito di fe­ ste e cerimonie, erano l'alba e il tramonto, quest'ultimo distinto in una fase di declino del sole e in un'altra di completa scomparsa della luce. li re, protagonista quasi onnipresente delle cerimonie, assecon­ dato da ministri del culto variamente definiti (sacerdoti, consacrati, cantori ecc.), diveniva persona sacra e inviolabile fino a quando uno speciale rito "desacralizzante" non eliminava i tabu connessi con la sua condizione di affidante e di mediatore tra uomini e dèi. Fra i vari riti descritti si segnala un'articolata cerimonia di caratte­ re espiatorio, che vede la gente di Ugarit schierata in due parti a se­ conda dei sessi, con alla testa rispettivamente il re per gli uomini e la regina per le donne. Si tratta di una sorta di confessione pubblica dei peccati, in cui si prescrive di tenere un comportamento etico-religioso conforme ai costumi tradizionali, che vengono contrapposti a quelli delle genti straniere. Un'importante categoria di riti era rappresentata da operazioni di tipo divinatorio e oracolare, eseguite mediante l'osservazione minuziosa del fegato e delle viscere animali. Un genere divinatorio importato dal­ la Mesopotamia sono i presagi desunti dall'osservazione delle nascite, umane e animali. A seconda di come avveniva il parto, delle caratteri­ stiche del neonato, delle eventuali anomalie o malformazioni del feto (teratologia) , si redigeva un'articolata casistica di presagi che riguarda­ vano essenzialmente situazioni e problemi di interesse pubblico. Molto spesso le invocazioni e le preghiere rivolte agli dèi consi­ stevano in richieste di guarigione dalle malattie o di linimento dei do­ lori. Un testo, in particolare, descrive l'intervento di un antenato mi­ tico divinizzato, Didltanu, remoto fondatore della dinastia regnante, il quale fornisce ad un padre angosciato per la sorte del proprio figlio un rimedio specifico e salutare. Anche l'avvelenamento dovuto al morso dei serpenti costituiva motivo per chiedere l'aiuto divino: in questo campo, lo specialista sommo era il dio ctonio (e forse concepito anche come serpentifor­ me) Horon, protagonista di incantesimi e azioni di sapore magico che fornivano all'operatore umano il modello, pratico e recitativo, per compiere analoghe ed efficaci per/ormances nella vita di tutti i giorni. L'atteggiamento religioso degli abitanti di Ugarit si esprimeva dunque in forme varie e articolate, in cui largo spazio avevano le pre-

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ghiere e altre espressioni della pietà individuale. Di questa dimensio· ne privata testimonia soprattutto il culto degli antenati, i Rapiuma, che riflette lo stretto legame esistente tra i vivi e i loro morti. Posti forse sotto la protezione di Baal, che una volta nel mito aveva affron­ tato Mot (la morte) , gli antenati avevano nell'aldilà una sorte non troppo penosa e potevano aiutare gli uomini assicurando loro la fe­ condità e la fertilità, proteggendoli e guarendoli dalle malattie (Rapiu­ ma significa appunto "guaritori/salvatori" ) e fornendo responsi craco­ lari. Uno degli aspetti più salienti della religione ugaritica era infatti la venerazione per i re defunti, che subivano dopo il trapasso un pro­ cesso di divinizzazione. I loro nomi si trovano scritti con il determi· nativo divino in una lista e tutta una serie di indizi, più o meno espli­ citi, conferma l'importanza di questa dimensione cultuale. Il più chia­ ro è costituito da una tavoletta che contiene il "libretto" del rito da eseguire in occasione della morte di un re, Niqmaddu III. Alla ceri­ monia partecipano il suo successore Ammurapi e la regina madre e in essa i Rapiuma invitano il trono reale a scendere nell'aldilà ed esso, con tutto il suo apparato, è compianto ritualmente. Gli antenati ven­ gono menzionati per nome e tra essi figura Didltanu, il mitico capo­ stipite. Nel rito è coinvolta la dea solare Shapash e un'offerta di uc­ celli è ripetuta sette volte, il tutto concludendosi con una richiesta di salute e protezione per il nuovo sovrano e per la città. L'architettura funeraria apporta una chiara conferma dell'impor­ tanza del culto dei morti nella società ugaritica. A differenza dei più poveri, deposti in necropoli extra-urbane, le persone più abbienti ve­ nivano usualmente seppellite sotto le proprie abitazioni, continuando così a vivere nella loro famiglia e rendèndo più facile il culto funera· rio, che doveva consistere soprattutto in libagioni. La tomba era in genere una camera sotterranea cui si accedeva attraverso un corridoio e qualche gradino; all'interno vi erano nicchie alle pareti destinate alle lampade a olio. I corpi avvolti in lino erano deposti direttamente sul suolo (rari i sarcofagi in pietra, forse quelli in legno sono scom­ parsi). I morti reali erano sepolti nell'area del palazzo reale, in parti· colari locali identificati dagli archeologi, come il famoso ambiente 2 8 (situato a nord del cortile n), provvisto di u n sistema di buchi e con­ duzioni per libagioni. Come ogni sistema politeistico, anche quello ugaritico era una re­ ligione di vita, ancorata ad un sistema di valori incentrati sull 'uomo e sull'esistenza terrena, considerata il massimo di tutti i beni. Se il culto degli antenati era uno straordinario meccanismo culturale per cemen­ tare le due dimensioni, la solidarietà tra vivi e morti e le memorie familiari e storiche, ogni speranza e attesa era però riposta in valori

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terreni quali la salute, una lunga vita, una numerosa discendenza. Pur senza ignorare i problemi e le angosce di un eventuale destino ultra­ terreno (ma a questo riguardo non possiamo che fare congetture) , il fedele chiedeva agli dèi non già una salvezza dal male, bensì protezio­ ne dai mali; non, come avverrà in seguito nei culti di mistero, la sal­ vezza dal vivere sulla terra, ma la possibilità di viverci nella pienezza dei suoi valori e delle sue gioie. Un ruolo speciale avevano a Ugarit delle associazioni a carattere (anche) religioso, che avevano per patrone particolari divinità. Erano denominate marzihu (termine già attestato a Ebla, Emar e, nel mondo fenicio, ebraico ed aramaico posteriore). Di esse, da ritenere una spe­ cie di tiasi in un certo senso privati, facevano parte, in una sorta di patto di fratellanza, solo uomini, forse appartenenti agli strati più ele­ vati della società, che si riunivano a vari fini per celebrazioni consi­ stenti soprattutto in pasti comunitari, caratterizzati da un consumo (talvolta ritualizzato) di vino e conseguenti stati di ubriachezza. Que­ ste associazioni avevano un proprio statuto, che prevedeva dei re­ sponsabili anche amministrativi, il possesso di appositi locali e terre­ ni, un "capitale" da amministrare, tasse di iscrizione e quote periodi­ che da versare. Molto interessante è la circostanza che un testo miti­ co-rituale ci descrive un mart.ihu divino celebrato nella residenza del dio El, cui prendono parte alcune tra le principali divinità del pan­ theon. n padre degli dèi cade ubriaco, ha visioni allucinanti di ca­ rattere ctonio e il testo si chiude con una " ricetta" per alleviare le conseguenze degli eccessi di vino. Tale documento, ritrovato signifi­ cativamente nella dimora di un famoso operatore cultuale, ha soprat­ tutto funzioni mediche e terapeutiche, ma il "modello" mitico che fonda l'efficacia della ricetta apre uno squarcio straordinario su quelle che, almeno in parte, dovevano essere le concezioni e le pratiche che caratterizzavano tali associazioni. I testi mitologici che parlano dei Rapiuma forniscono elementi per dedurre che, nell'orizzonte delle pratiche del marzihu, un ruolo di spicco potevano anche avere gli an­ tenati, partecipanti ai banchetti e alle bevute forse attraverso i loro simulacri. Senza voler affermare che questa fosse l'esclusiva funzione dell'istituzione, è chiaro che l'ideologia soggiacente lascia largo spazio per includervi anche varie manifestazioni relative al culto dei morti. I documenti mitologici, redatti in una lingua aulica e arcaizzante, appaiono cronologicamente anteriori ai testi cultuali. Fu messa per iscritto solo una parte minima del patrimonio narrativo che doveva circolare oralmente già in età assai antiche; il fatto che tali racconti venissero copiati accuratamente testimonia che il complesso di cre­ denze in essi contenuto conservava la propria attualità, anzi, che alcu-

RllLIGIONil E RllLI G I O N I IN S!RlA·PAL!lSTINA

ni testi dovevano essere recitati in speciali occasioni cerimoniali. Non va dimenticata, in seno alla religione ugaritica, la presenza di una for­ te componente khurrita, testimoniata sia da documenti in questa lin­ gua o bilingui khurro-ugaritici, sia dalla menzione di divinità apparte­ nenti a quella tradizione. Qualche lista divina ci propone la sequenza degli dèi in un ordine che sembra riflettere un criterio gerarchico, sempre però a livello di culto reale e in proiezione sacri.ficale. Della sfera religiosa privata non sappiamo molto ed è come al solito l'onomastica personale, ricca di teonimi incorporati nei nomi di persona, a riflettere aspetti della de­ vozione popolare, spesso fedele a entità sovrumane molto arcaiche. Le divinità venerate a Ugarit sono un gruppo numeroso e ben strutturato in un pantheon, costruito in base a una fitta rete di rela­ zioni che investono il piano genealogico-familiare, gerarchico, funzio­ nale, associativo o antagonistico: in tal modo ciascun dio, caratterizza­ to da nome ed epiteti funzionali-descrittivi, da una determinata (ma non rigida) sfera d'azione e spesso da un luogo di residenza, occupa un ruolo ben preciso in una costellazione organica e in un universo simbolico che è quanto di più simile conosciamo al pantheon del mondo greco classico. Per quanto molti dèi abbiano epiteti che li connettono ad animali (e spesso le due sfere non sembrano nettamente distinte: un mito parla dell'accoppiamento di Baal con una giovenca), ed essi, a livello iconografico, siano spesso caratterizzati da tratti animali simbolizzanti varie forze e poteri, la mitologia ugaritica li descrive in termini so­ stanzialmente antropomorfi. Per quanto riguarda la suddivisione dei poteri, un indizio potreb­ be essere costituito dalle già menzionate liste di divinità che ricevono vari sacrifici. Esse però furono redatte a scopi pratici e - pur costi­ tuendo un indizio importante in senso gerarchico - non possono es­ sere considerate tout court come un canone fisso e valido per tutti. Le liste, inoltre, riflettono gli aspetti e le manifestazioni ufficiali, pubbli­ che e/o dinastiche della devozione, mentre molte altre divinità, poco o per nulla menzionate, dovevano ricevere un culto al di fuori di que­ ste cerchie, come dimostrano ad esempio i nomi divini contenuti nell'antroponimia. La caratteristica più notevole del pantheon di Ugarit è costituita dall'assenza di una divinità che domini inequivocabilmente su tutte le altre. Al vertice della gerarchia si trovano indubbiamente due dèi, l'anziano dio creatore El e il giovane e potente Baal. TI ruolo di lea­ der del primo è sottolineato dal primo posto occupato nelle liste divi­ ne e dai suoi epiteti, quali "Re", "Santo", "Creatore del creato" , "Pa-

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dre (del genere umano) " , "Padre degli anni" ( = signore del tempo) , "Toro" ecc. Baal, divinità poliade e protettore della regalità, è invece garante dell'ordine cosmico che El ha instaurato: nessuno dei due dèi sembra tuttavia in grado, da solo, di alterare un equilibrio che si reg­ ge sulla distribuzione organica delle varie funz:ioni. Si tratta di una vera diarchia di poteri complementari poiché El, che incarna il potere carismatico e possiede la suprema saggezza e l'autorità (è rappresen­ tato come un anziano monarca in trono che porta la corona egiziana ate/) , non potrebbe da solo governare il cosmo senza la forza e l'in­ traprendenza di Baal, cui il dio più anziano affiderà la regalità sulla terra dopo una serie di vittoriose lotte combattute da quest'ultimo. n dio Baal, protagonista - tra l'altro - di una vicenda di scomparsa­ morte e ritorno alla vita, acquisirà così una familiarità con la dimen­ sione ctonia e con gli antenati, i Rapiuma, ai quali sembra in qualche modo legato. Quanto a El, oltre all'opera cosmogonica, esercita una autorità super partes proprio in quanto progenitore di tutto il creato, compresi i suoi aspetti ed esponenti più inquietanti. Pur propendendo per Baal, infatti, egli si manterrà formalmente neutrale nei drammatici duelli sostenuti da Baal contro avversari ter­ ribili e caotici. El non può intromettersi attivamente in quanto accade dopo la creazione del cosmo, che egli continua a tutelare solo confe­ rendo un riconoscimento formale a ruoli e funzioni che si assestano dopo le battaglie divine. Padre buono e misericordioso, autorevole ma non autoritario, El è, al pari di Baal, molto vicino al cuore degli uomini, come mostra il suo ruolo positivo e soccorrevole nei miti di .Kirta e di Aqhat, che ne sottolineano il ruolo di tutore dell'ordine etico e sociale. Tutt'altro che ozioso o in declino, El occupa un ruolo centrale nel sistema religioso di Ugarit, segnalandosi come una delle divinità più onorate dai fedeli nel culto. Per quanto riguarda ancora Baal, di cui si riparlerà per i miti che lo vedono protagonista, egli è il tipico " dio della tempesta" , signore dei fenomeni atmosferici, padrone di fulmini e tuoni, dispensatore di pioggia, protettore dell'uomo dalla furia di elementi scatenati quali il mare, bellicoso e pronto alla lotta, come sottolinea l'iconografia da guerriero che lo caratterizza in vari documenti. Una sua epiclesi è "Baal del (monte) Sapanu" , la divina montagna su cui risiede. Baal rivestiva un ruolo primario nelll'arnbito del pantheon di Uga­ rit, in qualità di divinità poliade e di detentore di una regalità piena ed esecutiva. I miti che sono giunti fino a noi narrano per lo più il trava­ gliato affermarsi della sua sovranità, dell'instaurarsi del suo ordine nei ritmi della vita (cosmica, naturale e sociale) e nei rapporti tra sfera divina e sfera umana. Egli sembra l'unico dio a non essere figlio di El

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RELIGIONE E RELIGIONI IN S I RIA·PALESTINA

(suo padre è Dagan, circostanza che testimonia complesse stratificazio­ ni storico-culturali) e il suo "vero" nome è Haddu, Baal di Ugarit, teonimo da collegare all'eblaita Ada, al mariota Addu e all 'aramaico Hadad, tutte manifestazioni di quello che si suole definire "dio della tempesta" , figura di dio supremo collegata ai fenomeni atmosferici più grandiosi come pioggia, fulmine e tuono, dalla personalità assai com­ plessa e articolata. Sotto questo aspetto, Baal - identificato con Ku­ marbi - è affine a divinità come il mesopotamico Enlil, il khurrita Tes­ hub, ma anche Zeus e Juppiter. Baal si presenta come una sorta di regolatore del ciclo naturale, della fertilità e della fecondità, quindi come responsabile dei giusti equilibri tra la vita e la morte. Sua mitica dimora è il monte Sapanu, visibile da Ras Shamra con la sua cima circondata di nuvole. Per comprendere meglio la sua personalità, aiuta un'analisi rapida degli epiteti di cui è gratificato. Una prima serie di epiteti evidenzia i suoi legami con i fenomeni atmosferici, mentre un'al­ tra serie ne mette in evidenza il carattere ctonio e ne lascia intravedere i rapporti con l'aldilà e i suoi abitanti, specie gli antenati ricordati dai miti e venerati nel culto pubblico e privato. Abbiamo a che fare con due aspetti di un'unica, sfaccettata ma organica personalità, che eserci­ tò una profonda influenza sulle antiche tradizioni ebraiche relative a Yahweh, il quale assorbi in parte vari aspetti della morfologia di Baal. Parlando di divinità supreme, non si può non ricordare la posizio­ ne singolare di Dagan, un dio attestato già a Ebla e poi molto popo­ lare a Mari, che a Vgarit figura subito dopo El nelle liste divine e nei miti è menzionato esclusivamente come padre di Baal. Altrimenti, egli non riveste alcun ruolo a livello mitologico e c'è chi ha pensato che vi sia stata in qualche modo una fusione tra Dagan e El. In questo senso parlerebbe anche il fatto che vi è un tempio a lui attribuito, mentre El sembra non possederne. A livello di culto, Dagan a Ugarit, come avviene anche a Mari, è chiaramente caratterizzato anche come divinità legata all'aldilà, poiché gli si offre un sacrificio-pagraum lega­ to alla sfera ctonia e ai morti. Sposa di El è la dea Athirat, denominata "regina" e "progenitrice degli dèi" per il suo ruolo nell'opera della creazione, e tutti i membri del pantheon, ad eccezione di Baal, sono infatti detti "figli di Athi­ rat". li suo carisma è dimostrato dalla necessità che l'investitura di colui che deve regnare sugli dèi venga effettuata insieme dal suo spo­ so e da lei stessa. Denominata anche "Athirat del mare", il suo rap­ porto con l'elemento acquatico è mostrato anche dall'epiteto del suo servitore Qadshu-wa-Amruru, "pescatore di Athirat" . La dea è rap­ presentata con un turbante o una corona a corna e con indosso un ampio mantello avvolgente, mentre tiene nella mano sinistra uno scet-

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tro. Anche Athirat ha lasciato tracce chiare nella tradizione biblica, dove il suo nome designa, oltre che la divinità, anche una sorta di palo o albero sacro connesso con il suo culto. Documenti extra-bi­ blici (le iscrizioni ebraiche e fenicie scoperte a Kuntillet Ajrud, nella penisola del Sinai) , indicano che al dio d'Israele era associata, almeno in certe epoche ed ambienti, come consorte, l'antica dea ugaritica. Oltre alle divinità sin qui menzionate, i miti di Ugarit ci mostrano in azione altri personaggi, tra cui sono da indicare innanzitutto i due nemici mortali di Baal: Yam, il "Mare", pretendente (infine sconfitto) alla regalità, un'entità caotica che Baal " addomesticherà", e Mot, per­ sonificazione della "Morte". Quest'ultimo, che non sembra godere di un vero e proprio culto, si rivelerà avversario ineliminabile, anche se Baal riuscirà almeno a ridimensionarlo al termine di un drammatico scontro dalle fasi alterne. Mot dimora in un aldilà concepito e pre­ sentato come l'interno polveroso e sinistro di una tomba, descritto in termini molto realistici: costretto da fame e sete a cercare di continuo prede da divorare, appare mosso da una forza a lui superiore. Sia Mot che Yam possedevano degli accoliti, personaggi minori e spesso inquietanti cui si fa talora accenno nei testi. Per contro, un ruolo di primo piano rivestono, nel mito come nel culto, quelle divinità che si schierano a fianco di Baal nelle sue batta­ glie e gli forniscono aiuti spesso decisivi. In primo luogo è da ricor­ dare la "Vergine Anat", sorella e amante di Baal, accanto a lui in tut­ te le imprese più rischiose; in particolare, sarà proprio lei ad eseguire una sorta di distruzione simbolica di Mot, i cui poteri - rappresentati dai suoi resti dilaniati e straziati dalla dea - si frammenteranno, dif­ fondendosi per ogni dove sulla terra e nel mare. Personaggio bellico­ so, violento e insieme tenero, non casualmente connessa - come la mesopotamica Inannallshtar - all'amore e alla guerra da una lunga tradizione, Anat è senza dubbio la dea più importante del pantheon e sarà lei che, insieme alla dea solare Shapash, ritroverà nell'aldilà il corpo di Baal, lo porterà sulla cima del suo monte, lo seppellirà ri­ tualmente e porrà in tal modo i presupposti per il vittorioso ritorno del dio redivivo sulla terra. Essa era forse rappresentata munita di ali e non è escluso che fosse associata al mondo animale, in qualità di "Signora degli animali" (aspetti che trovano conferma nei miti). I te­ sti di Ugarit menzionano talvolta Anat in connessione con Ashtart (Astarte), la cui figura e personalità - in questa cultura - non appare scindibile da quella della sorella di Baal. Associata spesso nelle pratiche cultuali al dio lunare Yarikh (spo­ so di Nikkal, anch'essa legata all'astro notturno) e ad altre divinità astrali, Shapash è la dea solare, schierata nei miti dalla parte di Baal;

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tra le sue prerogative è quella di essere saggia e onniveggente, in virtù del suo ciclico muoversi tra i confini del giorno e della notte, tra mondo terreno e mondo infero. Tra le divinità in secondo piano nei miti va segnalato Athtar, dio dai tratti uranici e guerrieri, originario del mondo sudarabico, che tenta invano di prendere il posto di Baal durante la sua latitanza, ri­ sultando però troppo piccolo per un trono immenso adatto solo al dio momentaneamente scomparso. Vi è poi il dio Kothar-wa-Khasis ( " abile-e-ingegnoso" ) , dio artigiano e architetto che costruisce lo splendido palazzo di Baal e, agendo da vero e proprio mago, fornisce al dio le due mazze animate che gli consentiranno di abbattere Yam in un drammatico duello. Kothar è anche il costruttore dello splendi­ do arco che provocherà indirettamente la fine tragica del giovane Aq­ hat nel mito che ne . narra le vicende. Dee minori sono le pronube Katharat, una collettività che presiede ai matrimoni e ai parti; ma vanno ricordati ancora dèi come Rashap, signore delle pestilenze e della guerra, dai tratti ctonii, o come Horon, signore dei rettili di cui neutralizza il veleno, entrambi con una dimensione cultuale cui non rende giustizia il loro ruolo minore a livello mitologico. Sullo sfondo dei comprimari figurano ancora le figlie di Baal, vari messaggeri e val­ letti divini, e ancora le divinità attestate come semplici teonimi nell'o· nomastica personale o menzionate nelle liste divine, altre figure più o meno oscure che popolavano l'universo mitologico e cultuale di Uga­ rit. Da ultimo, va fatta menzione di una figura inattiva nei miti ma eccezionalmente presente nel culto: Ilib, che significa letteralmente "il dio del padre". Si tratta di una figura ancestrale di divinità dinastica che protegge il re e la sua famiglia, ma a uguale titolo sembra pre­ sente in tutti i nuclei familiari, essendovi molto onorato e venerato; basti pensare che compare al primo posto nelle liste divine. Le narrazioni mitologiche pervenuteci hanno per lo più a tema le vicende degli dèi, ma due testi (Kirta e Aqhat) concernono invece le storie di due re leggendari, condividendo comunque con gli altri do­ cumenti l'ambientazione pienamente mitica. I miti degli dèi hanno come personaggio principale Baal, protagonista di lotte titaniche per l'ordinamento del cosmo e la sovranità universale. Dopo che El, padre delle stirpi divine, ha creato e sistemato in una prima fase l'universo, si pone il problema del perfezionamento della sua opera, della sua difesa contro le varie forze caotiche in ag­ guato, della divisione dei poteri tra le varie divinità. Le forze del caos devono essere eliminate o domate. Uno degli esponenti di queste in­ quietanti schiere è il "Principe Yam" (legato alle acque primordiali), che aspira al ruolo di re di tutti gli dèi. Tale pericoloso pretendente

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dai poteri straripanti minaccia di sovrastare ogni altra forza cosmica. n mito relativo racconta la lotta tra Baal e Yam e il ridimensiona­ mento di quest'ultimo, uscito sconfitto, che risulterà inserito nell'as­ setto cosmico come elemento temibile ma non indomabile, comunque indispensabile alla vita di tutti gli esseri. Dopo la vittoria su Yam, Baal è proclamato re su tutti gli dèi e il dio Kothar costruisce per lui, finora senza adeguata dimora, un ma­ gnifico palazzo, proiezione celeste del tempio, sua casa terrena. Baal acconsente a che venga praticata nella reggia un'apertura che comuni­ ca con l'esterno, indispensabile per far sì che agli esseri umani giun­ gano i suoi benèfìci doni, primo fra tutti la pioggia generatrice di vita. In tal modo, però, la via è aperta a Mot, suo nemico indomabile, per insinuarsi nel palazzo e !andargli una sfida diretta per la sovrani­ tà universale. Tutti gli altri dèi sono paralizzati dal terrore e incapaci di reagire. Allora Baal e Mot si affrontano, ma anche il campione de­ gli dèi deve arrendersi ai poteri devastanti della morte: egli è inghiot­ tito nel suo ventre insaziabile, simbolo dell'aldilà, dove scompare. Gli dèi sono sconvolti, temono per le loro stesse vite e per le sorti dell'universo: effetto della scomparsa di Baal è infatti lo sconvolgi­ mento dei ritmi della natura, con l'arresto della pioggia, la sospensio­ ne di ogni processo che implichi fertilità e fecondità. n trionfo di Mot significa che la morte potrà operare senza limiti tra gli esseri umani e anche tra gli dèi, destinati dunque anch'essi alla stessa sorte dei loro adoratori. Ma la dea Anat non si rassegna alla scomparsa del fratello e si mette alla sua ricerca. Arriva fino negli inferi e laggiù affronta Mot a viso aperto: ne segue un drammatico scontro in cui la dea lo annichilisce. Mot ne esce non solo sconfitto, ma smembrato in mille parti, che vengono disperse in cielo, terra e mare. Nonostante alcune lacune testuali, dai documenti è chiaro che Anat ritrova il cor­ po di Baal e, insieme a Shapash, lo trasporta sulle cime del monte Sapanu e gli dà solenne sepoltura, con una cerimonia che implica il sacrificio di una vera ecatombe di animali. I riti funerari effettuati hanno però un sorprendente risultato: de­ bitamente seppellito e onorato, Baal ricompare redivivo, torna lette­ ralmente alla vita e, al contempo, la natura risorge insieme a lui. A questo punto Baal può affrontare nuovamente Mot, redivivo dopo la terribile distruzione inflittagli da Anat. È uno scontro che si risolve senza vincitori né vinti, con un riconoscimento implicito dei rispettivi limiti e poteri. D'ora in poi l'esistenza degli dèi non sarà più messa in pericolo da Mot, i cui poteri saranno ridimensionati anche se non an­ nullati, data l'insopprirnibilità della morte nel contesto universale. Sono probabilmente queste le concezioni che fanno da sfondo a quel

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particolare aspetto della cultura ugaritica che è il culto degli antenati, specie quelli reali, denominati Rapiuma, cui sembra particolarmente legato il dio Baal. Ad essi si attribuivano speciali poteri benefici, di protezione e guarigione, capacità profetiche e oracolari, nonché la fa­ coltà di donare fecondità e fertilità. n mito della lotta tra Baal e Mot si serve indubbiamente di un codice che in gran parte attinge ai dati naturali e in questa · chiave esclu­ siva è stato ed è tuttora interpretato da molti: Baal rappresenterebbe la pioggia che non cade più nella stagione estiva, quando la natura è mo­ rente e sembra sul punto di estinguersi nelle sue fanne vitali; Mot sa­ rebbe appunto l'aridità che la minaccia; Baal redivivo sarebbe di nuovo la pioggia che si condensa in nuvole sui monti per ricadere benefica sulla terra in autunno, vivificandola e riattivandone i processi vitali. Ora, tale interpretazione è riduttiva, poiché non dà conto né della variegata personalità dei protagonisti (Baal è tutt'altro che banalmen­ te riducibile alla pioggia, la dea solare Shapash è ben più di un astro, un personaggio come Mot non ricopre che in minima parte il ruolo di un datore di morte... ) , né della complessità e profondità dei valori sottesi alla vicenda mitica, dove si usa un codice innegabilmente lega­ to alla natura per esprimere però una realtà che trascende largamente il ciclo stagionale e i concetti di fertilità e fecondità. Le vicende nar­ rate si interpretano al meglio come mito dei giusti rapporti alla base della dialettica morte/vita, ma investono la struttura stessa dell'ordine universale (divino/umano) , implicano concezioni escatologiche che ri­ guardano il destino post mortem degli uomini. Qui si privilegiano na­ turalmente gli uomini potenti in terra, come i sovrani e i principi, che venivano divinizzati dopo il decesso e ricevevano un culto non meno importante e solenne di quello rivolto agli dèi. n tema della regalità e l'assoluta importanza sociale di avere una discendenza che perpetui il ricordo di chi muore sono al centro degli altri due testi mitologici che hanno protagonisti umani, quello di Kir­ ta e quello di Aqhat. Kirta è un mitico re il quale, dopo l'estinzione (per varie cause: malattia, guerra, accidenti) della propria famiglia, viene aiutato da El e Baal a trovare un'altra moglie e assicurarsi una discendenza. Otte­ nuta la sposa desiderata a seguito di un'awenturosa e vittoriosa spe­ dizione militare, Kirta festeggia i suoi successi e si gode i figli. Ma un voto promesso e non mantenuto alla dea Athirat gli attira l'ira divina e un micidiale morbo lo coglie, portandolo in punto di morte. Anche questa volta gli dèi si attivano per salvarlo, inviando un'entità capace di guarirlo attraverso un potente esorcismo che neutralizza la malat­ tia. n mito veicola importanti valori etico-sociali, quali il tema dell'e-

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quità morale e del retto comportamento religioso cui è tenuto un so­ vrano, che deve essere impeccabile proprio per il suo ruolo di media­ tore tra divinità ed esseri umani. Si evidenzia, ancora, l'importante funzione dei figli del re - e in particolare della figlia - nelle cerimonie funebri in onore dei sovrani che decedevano. Allusioni e descrizioni di riti nel mito trovano talvolta un preciso riscontro nella documenta­ zione rituale e nella realtà archeologica di Ugarit (elementi che con­ fermano l'attualità del testo nella dimensione cultuale ugaritica). TI mito di Aqhat racconta anch'esso la storia di un re privo di di­ scendenza, di nome Danil, che gli dèi aiutano a generare un figlio ma­ schio che possa succedergli. Questo erede, Aqhat, è un giovane dotato di ogni virtù, che cresce e diviene un cacciatore eccezionale anche grazie ad un arco speciale, fabbricato e donatogli dal dio Kothar in contrac­ cambio dell'ospitalità ricevuta. Le sue qualità e la splendida arma che egli possiede suscitano però l'invidia della dea Anat, che cerca di otte­ nere l'arco lusingando il giovane e arrivando addirittura a promettergli una vita eterna come e insieme agli dèi. Aqhat tuttavia è ben conscio dell'ineluttabilità della morte e rifiuta realisticamente le profferte della dea. Allora Anat decide di vendicarsi e fa uccidere Aqhat da un suo sicario nel corso di una battuta di caccia. Dietro la redazione di questo testo è certo da vedere un antico tema mitico, che vedeva un'arcaica figura di "Signora degli animali" vendicarsi di un cacciatore reo di avere abbattuto selvaggina in quantità smisurata o di non avere osservato de­ terminate prescrizioni, offendendo chi presiedeva al mondo animale. Si tratta di un motivo mitico molto arcaico, attestato in numerosissime mitologie antiche e moderne, che la cultura ugaritica dovette recepire e rielaborare in funzione della tematica vita/morte e dell'ideologia reale. L'antica trasgressione del cacciatore diviene nel testo una sorta di pec­ cato d'orgoglio e un rifiuto della dea. In parziale analogia, non casuale, con il mito di Baal, anche la morte di Aqhat provoca l'arresto del corso naturale, il blocco di ogni forma di vita, e suo padre Danil cercherà i suoi resti, li seppellirà ed eseguirà i necessari riti funebri per ristabilire l'ordine naturale. Una volta compiuti tali riti, Aqhat verrà accolto nella schiera degli antenati benefici, nel cui ambito opererà in favore dei vivi elargendo fecondità e protezione. Anche qui è da riconoscere il tema del re/figlio del re che muore, ma può ritualmente diventare da morto comune antenato e godere di un culto da parte dei viventi.

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I Fenici e i Cartaginesi

I Fenici in Oriente Le genti fenicie stanziate sulla fascia costiera del Mediterraneo orien­ tale in una pluralità di insediamenti cittadini a carattere portuale, provvisti di un retroterra pianeggiante di limitata estensione, rappre­ sentano forse l'elemento di maggiore continuità culturale nella storia dell'area siro-palestinese. Le città fenicie, a cominciare da Biblo - tradizionalmente legata all'Egitto in virtù di un rapporto privilegiato - sono attestate fin dal­ l'età del Bronzo, ma è soprattutto nell'ultima parte di questo periodo e poi nel corso dell'età del Ferro che i Fenici appaiono in più nitida luce, grazie anche a fonti epigrafiche dirette redatte appunto nell'alfa­ beto e nella lingua fenicia. L'Antico Testamento e molti autori greci e latini concorrono poi, per le epoche più recenti, a fornire informazio­ ni di vario tipo, sparse e disorganiche, ma preziose, per la ricostruzio­ ne storica di questa civiltà, che dalla costa levantina si diffuse pro­ gressivamente nel Mediterraneo, toccandone tutte le rive e fondando­ vi una pluralità di centri di cui il più famoso fu Cartagine, colonia di Tiro. Dal punto di vista storico-politico, la regione costiera siro-libano­ palestinese conobbe nel I millennio a.C. alterne vicende che videro un succedersi di brevi fasi di autonomia e più lunghi periodi di sog­ gezione ai potenti di turno (Assiri, Babilonesi, Persiani) , fino alla con­ quista da parte di Alessandro Magno avvenuta nel 3 3 3h a.C. La frammentazione dell'impero seguita alla sua morte vide la Fenicia soggetta dapprima ai Lagidi, quindi ai Seleucidi, registrando alla fine la sua incorporazione, nel 64 a.C. , nella provincia romana di Syria. La religione dei Fenici d'Oriente, così come quella di Cartagine e delle altre colonie occidentali, si manifesta in un sistema politeistico, diverso per ciascuna città, ma dalla struttura tendenzialmente simile. 50

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRI A-PALEST INA

Nella diaspora mediterranea, iniziatasi a partire dal rx-vm sec. a.C., si registrarono, accanto ad aspetti di conservazione, anche fenomeni in­ novativi sensibili che portarono a caratterizzare in notevole autono­ mia i Fenici d'Occidente rispetto a quelli orientali. I Fenici sono individuabili come popolo non già in base ad un nome che li designa globalmente (i termini "fenicio" e "punico" co­ stituiscono denominazioni esterne, coniate rispettivamente da Greci e Romani), ma per una lingua sostanzialmente comune (pur con varian­ ti dialettali) e un'area geografica di riferimento, da individuare nella costa siro-libano-palestinese a partire più o meno da Tell Suqas (anti­ ca Shukshu) a nord fino ad Acco a sud, con irradiazioni temporanee nelle zone limitrofe. Dal punto di vista politico, tra i Fenici d'Oriente ha generalmente latitato una coscienza unitaria, prevalendo invece largamente un forte particolarismo cittadino segnato da strategie poli­ tiche non coordinate e da contrasti più o meno aperti. I Fenici si caratterizzarono pertanto in base ai loro centri di appartenenza, de­ nominandosi variamente come Tirii, Sidonii, Gubliti, Arwaditi ecc. Nel panorama storico che si viene configurando tra la fine dell'età del Bronzo e l'età del Ferro, esaminato sotto i vari aspetti (storico­ politico, linguistico, socio-economico, storico-religioso), la cultura fe­ nicia si segnala per notevoli elementi di continuità, laddove è piutto­ sto il contesto circostante a subire delle trasformazioni. Mentre que­ st'area appare nel complesso preservata dall'altrove rovinoso passag­ gio dei "Popoli del mare " , vi si registra, in concomitanza con il venir meno delle tradizionali potenze egemoniche (Egiziani, Ittici), il parzia­ le tramonto di un modello politico, quello della città-stato su base territoriale, che viene affiancato e/o sostituito da un modello diverso, quello dello stato nazionale, che proietta alla ribalta gli stati aramaici e neo-ittiti, quelli dell'area palestinese (Israele e Giuda) e della Tran­ sgiordania (Ammon, Moab, Edom). Fanno compagnia ai Fenici, inve­ ce, come rappresentanti del "vecchio" modello, i Filistei, pur di re­ cente insediamento, e non a caso in competizione con i "nuovi" stati palestinesi. È opportuno ricordare qui brevemente le fondamentali differenze ideologiche alla base dei due "modelli" di stato, al fine di fornire di adeguato contesto storico la disamina storico-religiosa che segue. Gli stati territoriali (quali sono le città fenicie) ci appaiono ten­ denzialmente stretti intorno ad una (o più: coppia di) divinità poliade considerata "proprietaria" del territorio, governati da un sovrano che ne è il braccio terreno, attorniato da una corte, da un organo consi­ liare e da un apparato burocratico più o meno complesso. In tali stati predomina una città-capitale, con un palazzo reale (sede amministra-

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3 · I FEN ICI E I CARTAGINESI

tiva e decisionale), che emerge su un contesto di piccoli o piccolissi­ mi insediamenti. La società, tendenzialmente gerarchizzata, è in gene­ re divisa tra dipendenti del re e "liberi " , di fatto contadini soggetti al pagamento di tasse all'autorità centrale e all'effettuazione di corvées lavorative, ma è importante segnalare anche la presenza di una classe mercantile dinamica e parzialmente autonoma. Tutti sono "sudditi" del re, con uno iato netto rispetto al suo carisma e alla sua autorità di stampo quasi divino. Gli stati etnici, quelli cioè a configurazione na­ zionale, possiedono invece una struttura sociale che si modella ideal­ mente su quella della tribù, cioè tendenzialmente ugualitaria anziché gerarchica, così come i nuclei abitativi si propongono come sorta di clan o sottogruppi della tribù stessa. Rispetto agli stati territoriali, emergono nuovi valori: preminente è l'identità nazionale, fondata sul­ la convinzione di una comune discendenza da un antenato eponimo, più o meno mitico, e il culto comune per un'arcaica figura di dio clanico/tribale, che è il dio nazionale. Mentre il re dello stato territo­ riale è, come accennato, quasi un dio in terra, vicario del "Baal" del paese, il re dello stato nazionale è piuttosto una sorta di antico capo tribale, dall'autorità più carismatica che teocratica. I Fenici d'Oriente e le loro città-stato sono dunque eredi dei re­ gni siro-palestinesi del Tardo Bronzo, di cui conservano in parte di­ mensioni, assetto, istituzioni, organizzazione religiosa e struttura di pantheon. Si tratta, comunque, di due modelli storici, quindi tenden­ ziali perché dinamici. La struttura degli stati etnici tende infatti, con il tempo, a convergere verso quella degli stati territoriali, ma il dio nazionale dei primi mantiene un rapporto privilegiato con i suoi "fi­ gli", laddove il dio poliade dello stato territoriale è di fatto il pro­ prietario del territorio, i cui abitanti sono suoi sudditi. Ogni centro fenicio di qualche spessore possedeva dunque speci­ fiche divinità tutelari e un proprio pantheon, pur nell' ambito di una tradizione mitico-rituale largamente condivisa, che ci autorizza dun­ que a parlare di una cultura religiosa fenicia. La relativa diversifica­ zione locale degli dèi e dei relativi culti costituiva del resto un effica­ ce mezzo attraverso cui ogni città affermava la propria specifica iden­ tità. Qualche rapida considerazione sulla figura del re in ambito feni­ cio rappresenta un'ottima chiave di lettura per comprendere impor­ tanti aspetti dell'ideologia religiosa e del culto. I re fenici - che portavano il titolo di mlk, "milk" accedevano al trono in via ereditaria, ma non di rado accadeva che usurpatori prendessero il potere, tentando di giustificare l'ascesa irregolare con una scelta o un particolare favore divino e mascherando le proprie sospette genealogie. La regalità aveva i suoi emblemi sacri, in partico-

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lare il trono e lo scettro, come indicano, oltre le iscrizioni, anche il repertorio glittico, che ci fornisce qualche dato sull'iconografia dei re fenici in un periodo compreso tra l'VIII e il VII secolo a.C. Esisteva un fortissimo e speciale legame tra il sovrano e gli dèi, ai quali egli chie­ deva un regno lungo e prospero, di "prolungare i suoi giorni e i suoi anni (di vita) " , come affermano ad esempio vari re di Biblo (Yehi­ milk, Abibaal, Elibaal, Shipitbaal e Yehawmilk). Si registra, in que­ st'ultimo aspetto, una notevole consonanza con l'ideale biblico di una lunga esistenza, in questo caso con benefici effetti anche per i sudditi. n re doveva segnalarsi per l'esercizio della "giustizia" e della "rettitu­ dine", due virtù fondamentali - provviste anche di personificazioni divine - richieste al sovrano ideale nell'esercizio delle sue funzioni e nella conduzione della sua intera esistenza. Ai propri dèi il re rimane fedele servendoli non di rado in qualità di sommo sacerdote (fenome­ no ben attestato particolarmente a Sidone), preoccupandosi di co­ struire per loro dimore adeguate, ampliando o rinnovando i loro san­ tuari. n re si faceva garante di un delicato equilibrio tra gli dèi e il suo popolo: mediava tra le due sfere, assicurandone la continua e corretta comunicazione, rivolgendosi ai suoi divini interlocutori come primo tra i fedeli, mentre verso i suoi sudditi assumeva l'atteggiamen­ to protettivo di chi - depositario di un potere appena inferiore a quello divino - difende le deboli creature che in lui confidano. Per il mondo fenicio d'Oriente, gli interlocutori privilegiati del re coincido­ no in generale con gli dèi poliadi (anche se talvolta in epiclesi dinasti­ che specifiche) , e cioè il "signore" (Baal) o la "signora" (Baalat) della città: si tratta generalmente di una coppia divina, in cui l'elemento femminile (di solito la dea Astarte in varie manifestazioni) , si segnala spesso per uno stretto rapporto con il sovrano. Se in vita il re fenicio era destinato a primeggiare fra gli uomini, dopo la morte conservava certamente dei privilegi, anche se l'ideolo­ gia funeraria dominante nel r millennio ci è poco nota. Conosciamo invece piuttosto bene le tradizioni immediatamente anteriori, quelle dell'età del Tardo Bronzo, grazie soprattutto ai testi di Ugarit, che probabilmente continuarono senza grandi fratture. n re subiva dopo la morte una sorta di divinizzazione, era ritualmente installato nell'al­ dilà, il suo nome veniva trascritto con il determinativo divino ed en­ trava così a far parte di una categoria sovrumana comprendente de­ funti sovrani, principi e guerrieri, tutte figure che, con il nome di Ra­ piuma ("guaritori" o "salvatori" ) , aiutavano e proteggevano i viventi che li onoravano nelle memorie e nel culto. È indubbio tuttavia che, con il trapasso dall'età del Bronzo a quella del Ferro, qualcosa mutasse nell'ideologia funeraria, e il termi.54



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ne Rapiuma, attestato anche in fenicio e in ebraico (re/aim), sembra ora designare fondamentalmente tutti i defunti. Appare tuttavia pro­ babile che almeno una certa continuità si mantenesse in questo tipo di concezioni, e che anche i re fenici subissero un processo che, se non proprio di divinizzazione, era comunque vicino a una sorta di apoteosi. Un'idea del destino ultraterreno di un re morto ce la forniscono il testo dell'iscrizione e le raffigurazioni che adornano il sarcofago del re Ahirom di Biblo (XI-x secolo a.C.). n re defunto appare seduto su un trono fiancheggiato da sfingi alate e posto di fronte ad una tavola di offerte imbandita; nella mano sinistra tiene un fiore di loto appas­ sito, rivolto verso il basso, mentre con la mano destra fa un gesto di benedizione rivolto verso un corteo che procede verso di lui. Apre la fila degli offerenti un personaggio maschile, verosimilmente il figlio del re (autore dell'iscrizione), che tiene nella mano un fiore di loto ancora fresco ed è seguito da altri offerenti e oranti. Su ciascuno dei lati corti del sarcofago compaiono lamentatrici che si strappano i ca­ pelli e si battono il petto in segno di cordoglio. Sono abbastanza evi­ denti i rapporti della scena con la tradizione ideologica (e iconografi­ ca) siro-palestinese più antica, specie sul terreno delle concezioni con­ cernenti i Rapiuma ugaritici. n re defunto si trova ora nell'aldilà e si evidenzia il mantenimento del suo ruolo, nonché il ruolo del figlio­ erede, incaricato di assicurarne il culto. Viene immediato il parallelo con i doveri del figlio quali ci sono noti dai testi ugaritici (cfr. i miti di Aqhat e Kirta), in specie il compito di preservare il nome del pa­ dre, curarne il monumento funerario, fargli avere offerte di cibo e bevande. Sempre a Ugarit sono bene attestati il ruolo delle prefiche, il banchetto funerario e i riti di cordoglio. Naturalmente il defunto doveva riposare in pace, al sicuro da ladri e violatori di tombe, come è testimoniato dalle varie maledizioni contenute nelle iscrizioni reali fenicie. Quanto ai costumi funerari, sappiamo che in taluni casi si praticava l'imbalsamazione e i corpi erano trattati con aromi vari (mirra, bdellio) e rivestiti di tessuti preziosi. Come accennato, fonti dirette di conoscenza per la religione feni­ cia sono le iscrizioni locali (anche se laconiche e ripetitive), importan­ ti anche per gli elementi teofori presenti nell'antroponimia. Gli autori classici forniscono spesso equiparazioni o interpretazioni di dèi fenici in relazione a divinità greche e romane, mentre l'Antico Testamento, documenti egiziani e mesopotamici, ma soprattutto i testi di Ugarit offrono dati (anche indiretti) di primaria importanza per la più antica storia delle varie divinità e i vari aspetti del culto. In particolare, le notizie e le polemiche bibliche intorno agli dèi e alle tradizioni reli-

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giose dei "Cananei" sono da ritenersi pertinenti alla cultura fenicia, sia pure attraverso una certa schematizzazione che, tuttavia, lascia tra­ sparire una realtà cultuale abbastanza nitida e coerente. Nel mondo fenicio dovevano circolare articolate tradizioni mitolo­ giche che ci sono per la maggior parte ignote, ma di cui conosciamo alcuni temi, episodi frammentari o brevi notizie sparse in fonti greche e latine. Rilevante eccezione è il complesso materiale tramandato da Filone di Biblo, che scrisse in greco nel II secolo d.C. ed i cui fram­ menti della "Storia fenicia" - che pretende di raccogliere tradizioni risalenti all'età del Bronzo - sono stati conservati dal vescovo cristia­ no Eusebio di Cesarea (IV secolo d.C.), che li cita polemicamente per combatterne i contenuti "pagani " . Filone afferma di avere raccolto l'eredità di un leggendario sacerdote fenicio, Sanchuniaton, attivo al­ l'epoca della guerra di Troia. Nei suoi materiali, in cui sono esposte le credenze intorno alla cosmogonia, alle origini della cultura ed alla teogonia, si può forse cogliere un nucleo genuino di mitologia fenicia, anche se molto rielaborato dalla tradizione e in parte plasmato da mode culturali come l'Evemerismo, che interpretava le divinità come antichi re divinizzati a seguito della fama conseguita attraverso le loro imprese. S'è già notato come nei pantheon delle città fenicie si individuino alcuni elementi strutturali comuni e caratteristici. Al vertice si trova una coppia costituita da un dio (detto baal o adon, "signore"), la cui precisa identità varia da città a città, e da una dea (chiamata per lo più baalat, "signora"), in cui si devono per lo più riconoscere manife­ stazioni locali di Astarte, complessa figura dalle funzioni assai varie: detentrice della regalità e perciò protettrice del re, garante della ferti­ lità e della fecondità, protettrice dei marinai e delle imprese militari. Inoltre, si evidenzia in più casi l'esistenza di una vicenda mitologica dai tratti simili, anche se con varianti locali, di cui si parlerà più avanti. Presentiamo qui una breve panoramica dei pantheon delle principali città autonome, seguendo tendenzialmente un criterio geo­ grafico da nord a sud. Nei pressi di Tartous (antica Antarados), in territorio siriano, si trovava, ad Amrit!Marathos, un importante santuario, costituito da un tempio situato al centro di un bacino d'acqua artificiale, circonda­ to da un'area a portici. li complesso sacro era sede di culti di tipo terapeutico che implicavano la venerazione per divinità dalle attitudi­ ni guaritrici come Eshmun, Melqart e forse Shadrafa. Di fronte a Tartous, l'isola di Arwad (Arados) era sede di vari culti di divinità greche sotto i cui nomi sono da individuare dèi fenici come Melqart, Eshmun, Astarte e forse Baal Hammon, mentre la documentazione

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numismatica attesta l'esistenza di una divinità marina d'incerta iden­ tificazione. La città tradizionalmente più antica della Fenicia (anche storica­ mente di fondazione molto arcaica) era Biblo, un centro caratterizza­ to da un forte e tradizionale legame politico-culturale con l'Egitto. Un'area sacra di vaste dimensioni, con al centro un pozzo, ha conser­ vato i resti di vari templi dell'età dell'Antico Bronzo n: il tempio del­ la dea cittadina, quello (forse) del suo paredro (il "Tempio a L"), nonché un altro tempio posteriore, risalente al Medio Bronzo, carat­ terizzato dalla presenza di numerosi obelischi, dall'incerto titolare di­ vino. Nel pantheon gublita predomina la figura di Astarte (detta "Si­ gnora di Biblo"), indiscussa dea poliade, che tende ad assorbire e conciliare le personalità delle dee egiziane Hathor e (più tardi) Isis. L'elemento maschile della coppia poliade locale viene chiamato Ado­ nis nelle fonti classiche, dal fenicio adon, denominazione che copre però una tipica figura di Baal locale, attestato dalle iscrizioni appunto come "Signore di Biblo" . Nelle tradizioni greche e latine - che ce lo presentano come "modello" ideale di dio cittadino fenicio - questo personaggio diventa protagonista di una vicenda tragica di morte, va­ riamente condivisa nell'area fenicia, con un epilogo che, se da un lato lo relega nell'aldilà, dall'altro gli consente nondimeno un parziale ri­ torno alla vita. In suo onore si svolgevano delle cerimonie dette "Adonie", di cui Luciano di Samosata ci ha lasciato una descrizione vivida e dettagliata. Nel pantheon di Biblo figuravano inoltre Baal Shamem (un dio dai caratteri uranici) ed una divinità infera denominata Baal Addir (" Signore potente"). Nella città di Beirut, in cui recenti indagini archeologiche hanno svelato parti fortificate risalenti all'età del Bronzo, si venerava un Baal poliade dagli aspetti marini, identificato con Poseidon, le cui tracce si seguono grazie alla monetazione d'epoca ellenistica e alle congrega­ zioni di Fenici che lo avevano eletto come loro patrono ("Poseidonia­ sti"). Un'altra figura legata al mare, di cui ignoriamo l'identità fenicia, è chiamata Pontos nelle fonti classiche. Sempre nell'area di Beirut, nel retroterra montano, era vivo il culto per un dio detto Baal Mar­ qod (" Signore della danza"), venerato accanto ad una dea dai conno­ tati non chiari. A pochi chilometri dalla città si estendeva, nel sito di Khaldé, una vasta necropoli a incinerazione e inumazione. Per Sarepta (oggi Sarafand), la scarsa documentazione epigrafica non consente di avere una chiara idea del pantheon cittadino. Vista la vicinanza con Sidone e con Tiro, è comunque probabile che Sarep-

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ta ne condividesse almeno in buona parte le tradizioni cultuali. Per quanto riguarda le divinità direttamente attestate nell'epigrafia fenicia, i dati essenziali includono, in primo luogo, una placchetta d'avorio con menzione di Tinnit-Astarte, databile agli inizi del VI secolo a.C., che doveva essere apposta su una statua dedicata a tale/i divinità nel relativo santuario, che risulta di modeste dimensioni. n dio guaritore Shadrafa è attestato poi su una dedica mutila incisa su un frammento ceramico del v secolo a.C. A questi dati deve ancora essere aggiunta una testimonianza "esterna", cioè una dedica locale ad Asklepios in greco sillabico e alfabetico, che ha fatto supporre che Eshmun identificato sistematicamente con il dio guaritore greco - fosse vene­ rato a Sarepta nel IV secolo, probabilmente in un apposito santuario. Ad ampliare queste limitate informazioni intervengono alcune iscri­ zioni greche, che si riferiscono a un personaggio divino denominato "dio santo di Sarepta" : questi doveva essere al centro della venerazio­ ne locale (e non solo), in un culto che era certo contrassegnato da aspetti terapeutici e che continua in epoca romana, attestato da docu­ menti epigrafici greco-latini dalla Fenicia e anche da Pozzuoli. In tempi recentissimi, il dossier concernente il dio in questione si è ar­ ricchito di un nuovo importante documento, una statua in calcare iscritta in fenicio, raffigurante un offerente, che menziona appunto per la prima volta il dio, la cui identità precisa non è nota, ma che potrebbe essere lo stesso Eshmun venerato nell'area sidonia (senza poter escludere del tutto Melqart). A Sidone, stando alle fonti cuneiformi del Tardo Bronzo, si vene­ rava in tale epoca una figura di " dio della tempesta" con accanto, forse, Astarte. Per le fasi cronologiche successive, le iscrizioni locali di età persiana ci mostrano un pantheon con al vertice una coppia di divinità composta da un "Baal di Sidone" e dalla stessa Astarte (men­ zionata anche nell'Antico Testamento: r Re r r ,5.33; 2 Re 23,r3). Nel culto sidonio emerge però la grande popolarità di Eshmun, definito come "Principe santo", un dio dagli accentuati tratti di guaritore. È possibile che fosse lui il Baal poliade paredro di Astarte, anche se le fonti disponibili non forniscono prove decisive in questo senso. Esh­ mun era particolarmente venerato, insieme ad Astarte, in un santua­ rio extra-urbano, sede di riti terapeutici, situato a Bostan esh-Sheikh, accanto alla foce del fiume Awali (l'antico Asklepios) , le cui acque erano portate nell'area templare, sorto in origine presso una fonte e un bosco. Tale complesso architettonico, caratterizzato da un podio monumentale addossato alla collina e da varie altre installazioni tra cui una "piscina" dedicata ad Astarte, fu nel corso del tempo amplia­ to e abbellito dai re sidonii, che nutrivano per Eshmun e per Astarte

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una speciale devozione. I documenti epigrafici lasciano intravedere, in epoca persiana, una suddivisione di Sidone in vari distretti: l'area ur­ bana sembra articolata in quartieri (o templi) che portano denomina­ zioni politico-religiose ( "Cieli eccelsi" , "Terra dei Reshef" , "Sidone domina" ) che certo si riferiscono a tradizioni purtroppo ignote. Per quanto riguarda le tradizioni mitologiche, sappiamo da fonti tarde che il dio Eshmun era protagonista di una drammatica vicenda simile a quella di Adonis e in parte analoga alle tradizioni sul frigio Attis, giacché egli, giovane misogino, si evirava per sfuggire l'amore di Astarte; quest'ultima, tuttavia, riusciva a salvarlo all'ultimo momen­ to e forse questo episodio era alla base delle straordinarie attitudini salvifiche del dio sidonio. Alcuni re di Sidone si dichiaravano, a que­ st'epoca (metà del r millennio a.C.), sacerdoti di Astarte e la circo­ stanza che tale titolo sia talvolta menzionato nelle iscrizioni prima di quello regio ha fatto supporre che qui la carica religiosa fosse priori­ taria rispetto a quella politica, un'interpretazione che tuttavia è diffi­ cile dimostrare. E comunque chiaro che la funzione sacerdotale - le­ gata forse a particolari tradizioni di questa dinastia - si legava stretta­ mente a quella monarchica, istituzione che contemplava il sovrano come primo emblematico operatore cultuale esplicitamente ricono­ sciuto. L'area sidonia - l'esplorazione archeologica nella zona urbana è limitata ed appena agli inizi - è importante anche per varie necro­ poli reali in uso in età persiana, oltre che per altre due molto più vaste d'epoca anteriore. Venendo a Tiro, anche qui la documentazione cuneiforme segnala nel Tardo Bronzo il culto per una divinità poliade del tipo "dio della tempesta", affine al Baal di Ugarit, venerato insieme a una dea sul tipo di Astarte. Nell'età del Ferro, tuttavia, emerge come figura prin­ cipale Melqart, cioè appunto " re della città ", di cui era il simbolo stesso, nonché il protettore di ogni sua attività, ivi compresa l'espan­ sione coloniale nel Mediterraneo. Proprio per questo Melqart fu identificato con Herakles, l'eroe greco fondatore di colonie, ma alla base di tale accostamento doveva esserci anche la circostanza che il dio fenicio era l'erede più diretto dell'antica tradizione siriana dei re morti e divinizzati, dunque una figura che agli occhi dei Greci dove­ va apparire ambigua e non facilmente classificabile tra le divinità im­ mortali (come nel caso di Eshmun, accostato ad Asklepios, anch'esso un mortale in seguito divinizzato). ll santuario di Melqart a Tiro, che ospitava anche Astarte, si deve trovare sotto la città moderna e ci è sconosciuto. Esso ci viene descritto da Erodoto (rr 44 ) come traboc­ cante di offerte preziose e di tesori, caratterizzato in modo particolare da due colonne sacre o betili, l'una d'oro e l'altra di smeraldo. Cono-

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sciamo anche due tarde versioni del mito di fondazione della città, dovute rispettivamente a Filone di Biblo e a Nonno di Panopoli, che fondano anche la dualità, insware e continentale, dell'antico insedia­ mento. Anche Melqart era protagonista di una vicenda mitico-rituale di morte e ritorno alla vita (in cui un ruolo cospicuo svolgeva la dea Astarte) che era al centro di un'importante festa annuale in onore del dio, che le fonti greche chiamano egersis, cioè "risveglio" o "resurre­ zione" . Si trattava di una cerimonia pubblica solenne, celebrata dal re in persona, in cui si commemorava probabilmente l'esperienza mitica di morte o scomparsa del dio, seguita, come momento saliente, da una sorta di "ritorno " del protagonista. Un personaggio detto mt'qim elt'm, carica prestigiosa nel mondo fenicio-punico, aveva un ruolo centrale nella festa: il titolo significa "resuscitatore della divinità" e corrisponde al greco egerseites, una carica in rapporto con il cwto di Herakles. I legami con il ciclo mitico-rituale dell'eroe-dio greco sono avvalorati dalla tradizione secondo la quale Herakles si sarebbe im­ molato volontariamente s\.Ù rogo, ottenendo in seguito uno status di­ vino. Da questi cenni si comprende bene quanto siano fondamentali, per comprendere l'ideologia fenicia intorno alla regalità, la figura e le vicende del dio Melqart. Abbiamo a che fare con l'ipostatizzazione mitico-rituale della figura del sovrano, proiettato nella sfera delle divi­ nità; o, se si vuole, rovesciando completamente l'ottica, del coinvolgi­ mento del Baal cittadino nel novero dei dinasti, con il dio considera­ to appunto come il primo re, il capostipite, l'esemplare sovrano. Non può, del resto, essere casuale il ruolo centrale che lo stesso Melqart ha rivestito nel corso della diaspora e della colonizzazione fenicia nel Mediterraneo: egli rappresentava sempre e ovunque il vessillo nazio­ nale e il punto di riferimento religioso, e più generalmente c\.Ùturale, che forniva identità a chi perdeva o allentava i contatti diretti con l'antica madrepatria. Oltre a Melqart e ad Astarte, è documentata a Tiro anche la ve­ nerazione per Baal Shamem, Baal Safon (protettore dei marinai), Baal Malage (anch'esso forse legato alla sfera marina) e Baal Hammon, che ritroveremo poi a Cartagine. Un testo di sapore magico invoca infine il dio sidonio Eshmun. Anche per Tiro, città da sempre legata a Sidone nelle vicende sto­ rico-politiche dell'area, esiste qualche indizio in favore di una funzio­ ne sacerdotale del re. Una fonte classica parla ad esempio del re Itto­ baal come "sacerdote di Astarte", mentre secondo un'altra tradizione il celebre re Hiram I, oltre che fondatore del tempio tirio di Melqart,

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sarebbe stato stato anche il primo a celebrare la cerimonia dell' egersis del dio, il che ne indica il notevole rango cultuale. Per quanto Tiro resti ancora pressoché sconosciuta dal punto di vista archeologico, si è potuta scavare in misura notevole la necropoli a incinerazione di al-Bass, che ha restituito numerose stele anche ar­ caiche talvolta iscritte, le quali contribuiscono ad arricchire il reperto­ rio onomastico conosciuto, incrementato da numerose impronte anfo­ riche recentemente pubblicate. A Umm el-Amed, a poca distanza da Tiro, vi era nel m secolo a.C. un tempio dedicato al dio Milkashtart, venerato insieme ad Astarte, la cui personalità sembra molto simile, se non proprio coinci­ dente, con quella di Melqart. Da segnalare la presenza nel culto loca­ le di una figura chiamata Malak-Milkashtart, cioè "angelo/messaggero di Milkashtart", che sembra anticipare sviluppi teologici posteriori, cospicui soprattutto a Palmira. Attestati sono anche Baalshamem e l'egiziano Osiris. Per quanto riguarda l'area più meridionale, si riscontra una evi­ dente continuità con la cultura fenicia, sicché stabilire confini o bar­ riere risulta convenzionale, se non arbitrario. Dal punto di vista stori­ co-religioso, ad esempio, le notizie che abbiamo sui culti di Acco e della zona del Carmelo si inseriscono pienamente in quella tradizione: vi era tra l'altro venerata la dea Astarte insieme ad un Baal locale (rispettivamente Aphrodite e Belos nella documentazione numismati­ ca e letteraria), quest'ultimo adorato forse nella tipica forma dell'anti­ co "dio della tempesta" nella zona montuosa del Carmelo. Un aspetto peculiare della religione fenicia e punica è rappresen­ tato da vari casi di culto prestato a divinità caratterizzate da un dop­ pio nome. Oltre alla già menzionata Tinnit-Astarte di Sarepta, cono­ sciamo anche altre associazioni divine, come ad esempio Eshmun­ Melqart a Cipro e a Ibiza, Eshmun-Astarte, Sid-Tanit, Sid-Melqart a Cartagine e in altri centri mediterranei. li fenomeno di queste "divini­ tà doppie" si può spiegare con un legame assai stretto, istituito a li­ vello mitologico e cultuale, tra due figure divine sentite teologicamen­ te come molto vicine per attribuzioni, che finivano per essere venera­ te in santuari comuni. In Anatolia, dove la presenza dei Fenici a livello commerciale contribui a conferire grande prestigio alla cultura e alla lingua fenicia, spesso usata dai re luvii nelle loro iscrizioni, vi sono tracce di culto prestato a varie divinità maschili, senza però che queste tradizioni re­ ligiose penetrassero in profondità. Nei centri mediterranei si colgono, nei pantheon punici, alcune caratteristiche locali dovute sia alla particolare devozione dei fondato-

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ri fenici, sia al contatto con tradizioni indigene, sia infine a sviluppi autonomi. A Cipro, ad esempio, dove il regno di Kition (Lamaka) può considerarsi uno stato fenicio legato alla madrepatria, Astarte da un lato, Reshef (l'antico Rasap, dio arciere, guardiano degli inferi e signore delle epidemie) dall'altro, hanno un rilievo particolare, anche in seguito ai sincretismi verifìcatisi rispettivamente con le figure di Aphrodite (specie nei santuari di Pafo e di Amatunte) e di Apollon i quali, a loro volta, nascondono antiche divinità indigene tipiche di quest'isola. Anche il culto di Melqart, che pure qui si fonde con He­ rakles e che a Kition (Lamaka) riveste il ruolo di Baal della città, ave­ va una grande importanza. Diversa è la situazione nell'area egea, dove i Fenici si insediano costituendo soprattutto comunità di commercianti. Qui si hanno chiare tracce della loro devozione per le divinità delle città di origine, con tendenza a privilegiare dèi dalle spiccate attribuzioni marine: il Baal di Berito ( = Poseidon) , Astarte ( = Aphrodite Euploia), il Baal di Tiro, Melqart ( = Herakles) , e altri Baal (di solito resi con Zeus) ecc. L'Egitto, oltre all'influenza esercitata sulla cultura fenicia e punica nel campo della tradizione magica, vide fiorire già in epoca assai anti­ ca (Tardo Bronzo) il culto di alcune divinità fenicie, adottate anche alla corte faraonica. Ciò si dovette sia alle campagne militari in Asia, sia alla penetrazione in Egitto di popolazioni semitiche provenienti dall'area siro-palestinese. Fu cosi ad esempio che Anat, l'antica dea ugaritica, Reshef, Astarte, Horon, Baal Safon e vari altri dèi trovaro­ no accoglienza nella terra del Nilo, dove principale centro dei culti fenici era la città portuale di Menfi, in cui esisteva un intero quartiere di Tirii con le loro tradizioni religiose.

Cartagine e il mondo mediterraneo Lo sviluppo più noto e rappresentativo per la religione punica è co­ stituito dal pantheon di Cartagine, fondazione tiria nel IX secolo a.C., che mostra, rispetto alla Fenicia, accanto a chiari elementi di conti­ nuità, anche fenomeni innovativi di notevole portata. La metropoli punica funzionò a sua volta da centro irradiatore da molteplici punti di vista, sicché per varie aree del Mediterraneo (come per esempio le isole italiane o la penisola iberica) non è quasi mai agevole, a livello di usanze e credenze religiose, distinguere tra tradizioni orientali e tradizioni fenicie d'Occidente ( = puniche).

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Le origini della " città nuova" fondata in Mrica sono al centro di un ben noto ciclo di tradizioni orientato dalla visione classica, non solo in merito ai racconti di fondazione, ma anche in rapporto alla valutazione di Fenici e Cartaginesi come genti barbare, straniere, dif­ formi in usi e costumi rispetto alla cultura greca e latina. Le diverse versioni della vicenda forniteci dagli autori classici formano un corpus narrativo di sapore sicuramente mitico, ma - per il complesso rap­ porto che lega dimensione mitica e realtà storica - non del tutto pri­ vo di uno sfondo storico specie per l'ideologia soggiacente. Secondo le tradizioni antiche, Elissa!Didone era figlia di Belos e sorella del re di Tiro, Pygmalion, un personaggio che Giuseppe Fla­ vio colloca nel IX secolo a.C. Andata sposa a Sicheo, suo zio e ric­ chissimo sacerdote del dio poliade Melqart, la donna si ritrova vedo­ va perché Sicheo viene assassinato, vittima di una congiura ordita da Pygmalion. n seguito è assai noto: Elissa fugge a precipizio salvando le ricchezze del marito, dopo una breve sosta a Cipro punta verso l'Mrica e qui, attraverso vari eventi, fonda Cartagine, la nuova Tiro. Per sfuggire alle nozze con il principe locale Iarbas e scongiurare così l'ipotesi dell'esogamia, si immola sul rogo e, secondo alcune fonti, viene onorata come dea dai suoi sudditi. Già da questi cenni emerge un retroterra storico in parte plausibile, dalla datazione degli eventi ai nomi dei personaggi (tutti certamente semitici, tranne Didone), al­ l'ambiente palatino sede di tensioni tra potere politico e potere reli­ gioso, teatro di congiure e lotte, dinastiche e non, per il controllo dello stato. Viste dall'interno, in prospettiva punica, le vicende dell'infelice regina potrebbero essere interpretate come riferimento ad un'epoca arcaica in cui esisteva la monarchia. n suicidio rituale di Elissa se­ condo alcuni evocherebbe, almeno sul piano formale, i riti del to/et, un tipo di autoimmolazione nel fuoco attestata per altri personaggi della storia punica, come il generale Amilcare durante le campagne di Sicilia, o la moglie di Asdrubale davanti al conquistatore romano Sci­ piane. Quest'ultima morte, in particolare, potrebbe essere posta in parallelo con quella di Elissa, in modo che due suicidi femminili con­ trassegnerebbero l'inizio e la fine della storia di Cartagine, entrambi nel fuoco. Le tradizioni vicino-orientali nella storia di Didone sono esplicite, dalle vicende di Tiro alla connessione con la prostituzione sacra, evocata dall'episodio delle ragazze imbarcate a Cipro dai fug­ giaschi sulla rotta per l'Mrica. Si tratta, comunque, di motivi e allu­ sioni generici, rinvii ad aspetti di un 'ideologia, non già argomenti su­ scettibili di fornire un fondamento storiografico all 'esistenza della re­ galità in Occidente. Elissa/Didone è e resta una figura mitica, che

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non ha riscontri storici né come personaggio, né come funzione po­ litica. Per quanto riguarda il pantheon di Cartagine, divinità di grande spicco sono Tinnit e Baal Hammon, per quanto le fonti epigrafiche concentrino la loro presenza soprattutto nel tipico santuario a incine­ razione chiamato usualmente to/et (cfr. infra). Entrambe queste divi­ nità hanno radici in Oriente, ma è soprattutto nell'Occidente medi­ terraneo che esse conoscono un enorme aumento di prestigio e di po­ polarità. Tale coppia divina simbolizza le figure dei progenitori ance­ strali a cui il fedele si rivolge nei momenti più importanti e critici dell'esistenza. In migliaia di dediche del to/et essi sono invocati per lo più insieme e, particolarità esclusiva di Cartagine, con la dea Tinnit al primo posto a partire dal v secolo, sia in quanto specifica dea tutelare della città, sia in quanto mediatrice tra l'umanità ed il suo autorevole partner divino. Quanto a Baal Hammon (lett. "Signore della cappella [domestica] "), la sua personalità abbraccia un'ampia gamma di prero­ gative, che lo configurano sia come padre, sia come una sorta di si­ gnore universale dai poteri enormi e dalle vaste attribuzioni. Tinnit viene identificata con luna (Caelestis o Regina) dagli autori classici, che rendono invece Baal Hammon con Kronos o Saturno. Quest'ulti­ ma divinità si affiancherà e sovrapporrà a Baal Hammon in epoca più tarda, divenendone il continuatore ed assurgendo al ruolo di dio più popolare dell'Mrica punica romahizzata. Analogo fenomeno contras­ segna il culto di Tinnit, che continua idealmente in quello di Caele­ stis (Africana). Come accennato, la coppia Baal Hammon-Tinnit era al centro dei culti che si svolgevano nel to/et, imperniati sui problemi legati alla discendenza e comportanti una serie di riti, tra cui sacrifici cruenti, umani e di animali. Molte altre figure divine erano venerate a Cartagine, a livelli e in strati diversi della popolazione. Le iscrizioni attestano l'esistenza di molti templi con i loro sacerdoti, e tra gli dèi più popolari vi sono Astarte, Melqart e Eshmun, spesso presenti nei nomi teofori. Tra gli altri dèi di maggior spicca figurano ancora Baal Shamem, Sid, Mil­ kashtart, il dio-stele Sakon. Una sorta di versione ufficiale del pantheon cartaginese viene tra­ mandata da Polibio (vn 9, 2-3 ) , che cita gli dèi punici (con un corri­ spondente nome greco) invocati come testimoni in un testo contenen­ te il trattato di alleanza proposto da Annibale al re Filippo v di Ma­ cedonia nel 2 r 5 a. C. Nel resto dell'Mrica si conferma la supremazia della coppia Baal Hammon-Tinnit e le altre divinità menzionate nelle iscrizioni ricalca­ no per lo più quelle cartaginesi, talora con varianti locali, come è ad



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esempio il caso dell'enigmatico dio di Maktar, chiamato Hoter Mi­ skar ("Scettro di Miskar"), o di El-qone-eres ( ''Dio/El creatore della terra") a Leptis Magna, dove alla testa del pantheon sono Milkashtart (interpretato come Hercules) e Shadrafa (Liber Pater). Tracce di culti fenici si ritrovano in tutto il Nordafrica, percepibili in un sostrato di culti indigeni dall'oscura personalità. Oltre all'elemento libico, c'è da tenere conto della forte impronta culturale impressa successivamente da Roma, che si sovrappone decisamente tanto all'elemento locale che a quello punico. Ne risulta, per le epoche più tarde, un pantheon fortemente sincretistico, nel cui ambito Saturno (Baal Hammon), · Caelestis (Tinnit-Astarte), Hercules (Melqart), Esculapio (Eshmun) e altre figure divine sono certo in larga misura i continuatori di figure divine in origine puniche. Per quanto ci si occupi qui di manifestazioni religiose nell'area siro-palestinese, oltre che a Cartagine un cenno almeno deve essere fatto al culto e all'ideologia religiosa dei Fenici d'Occidente in parti del Mediterraneo come Malta, le isole italiane e la penisola iberica, dove l'impronta fenicio-punica è ben percepibile e talora, come in Sardegna, davvero fortissima in tutte le sue varie manifestazioni cul­ turali. A Malta, nel sito di Tas Silg, il culto di Astarte (a cui era forse associato Melqart) si innesta su quello di una dea preistorica, nell'am­ bito di un santuario rupestre che registra un'eccezionale continuità funzionale. Per quanto riguarda la Sicilia, la presenza fenicia si segnala nella parte occidentale dell'isola e, in particolare, nell'isoletta di Mozia. Qui Baal Hammon era al centro della venerazione nel locale to/et, mentre Astarte e forse anche Melqart vi godevano ugualmente di un notevole culto. A Erice il culto di Astarte, che comportava tra l'altro la prostituzione sacra, si innestò su un locale culto elimo e fu più tardi recepito dai Greci e dai Romani nella figura di AphroditeNene­ re Ericina. Presso Palermo esisteva un santuario posto in una grotta (Grotta Regina) , meta della speciale venerazione delle genti di mare, che lasciarono sulle pareti dei graffiti con dediche a Shadrafa e forse a Isis. In Sardegna, oltre a Baal Hammon, Tinnit, Melqart, Astarte e Baal Shamem, è attestato il culto del dio Sid nel santuario di Antas, dove esso era identificato con Sardus Pater (antichissima figura loca­ le); nello stesso luogo erano anche venerate altre famose divinità gua­ ritrici come Shadrafa e Horon, dio dal probabile aspetto serpentifor­ me, signore degli incantesimi e protettore nel caso di morsi di rettili. Un ruolo importante doveva essere svolto da Eshmun, venerato in di-

RELIGIONE E RELI G IO N I IN SIRIA-PALESTINA

versi luoghi sacri dell'isola, spesso collegato a fonti e terme, e identifi­ cato anche qui con i guaritori classici Asklepios ed Esculapio. Nell'Italia continentale, a Pyrgi (Santa Severa, sulla costa laziale), in territorio etrusco, esisteva un santuario dedicato alla dea etrusca Uni identificata con Astarte, venerata in associazione con un Baal fe­ nicio, forse Melqart. Qui sono venute alla luce delle laminette d'oro con iscrizioni fenicie ed etrusche, in cui si ricorda la consacrazione del santuario da parte delle autorità locali intorno al .5 00 a.C., forse in occasione di una importante festa legata al culto di Melqart. Nella penisola iberica il culto di Tinnit e di Astarte sembra assu­ mere un particolare rilievo. Accanto a loro sono però presenti ancora Baal Hammon e soprattutto Melqart. Un caso speciale è costituito dal santuario dedicato a quest'ultimo dio a Gades (Cadice), ricco e di grandissima fama, con annesso un oracolo che fu consultato da per­ sonaggi storici famosi. Una Astarte marina e oracolare era venerata nei pressi di Cadice in una grotta. Nell'isola di Ibiza esisteva poi un santuario nella grotta di Es Cuyram, in cui centinaia di statuette in terracotta raffigurano una dea identificata come Tinnit. Ciò che si chiede ad un dio non è sempre lo stesso a livello di devo­ zione personale e familiare, o a livello di culto collettivo e pubblico. Nel secondo caso, la richiesta è quella di proteggere il re, la dinastia e la comunità nel suo complesso, nonché di assicurare pace e pro­ sperità, difesa dai nemici esterni, tutela dalle calamità naturali. Al fine di ottenere tutto ciò, si tributa alla divinità un culto specifico, ammi­ nistrato da sacerdoti e celebrato in contesti solenni come i templi ur­ bani o altri santuari pubblici. In questo quadro, le esigenze dell'indi­ viduo sono secondarie rispetto alle necessità comunitarie. Appare quindi naturale che il singolo finisse per scegliere particolari vie di devozione personale per essere esaudito. Nel culto privato, meno so­ lenne, gli dèi erano sentiti come più vicini e disponibili ad accogliere richieste che concernevano la salute dei singoli, la prole, il benessere materiale, le disawenture quotidiane. Tale devozione popolare si esplicava soprattutto in contesti semplici, come i piccoli santuari ru­ rali o le umili cappelle domestiche. La religione fenicio-punica fu anche aperta a culti stranieri, che vi si integrarono senza troppe difficoltà. Spiccano le divinità egiziane, specie quelle messe in relazione con la sfera magica, come Bes, Ho­ rus, Isis, Osiris, specie a Biblo, ma anche altrove nel mondo punico. Anche alcune divinità greche entrarono ufficialmente nell'ambito del­ la religione punica con l'introduzione a Cartagine (396 a.C.) del culto di Demeter e Kore: un fenomeno che, come quello della diffusione 66

3 · l FENICI E l CARTAGINESI

dei culti terapeutici, risponde a bisogni nuovi dei fedeli, che la cre­ denza nelle divinità tradizionali non riesce più a soddisfare completa­ mente. Del resto, le stesse divinità fenicio-puniche furono talvolta re­ cepite da civiltà contigue, come in Anatolia e in Egitto. Un caso a parte è poi rappresentato da Israele, che accolse largamente i culti di Baal, di Astarte e di Asherah (antica dea-madre già attestata a Ugarit) nella religiosità domestica, mentre li respinse a livello ufficiale, testi­ moniato dalla Bibbia, in concomitanza con l'affermarsi della venera­ zione esclusiva per Y ahweh. Il culto fenicio-punico includeva atti quali la preghiera, la divina­ zione e le pratiche magiche, le offerte sacrificali incruente (alimenti, oggetti, bevande ecc.) e i sacrifici di animali (per lo più ovini, piccoli animali ed uccelli). Ci è nota una terminologia sacrificale specifica at­ traverso documenti amministrativi che chiamiamo "tariffe sacrificali" (apposte all'ingresso dei templi), così come l'esistenza di associazioni a sfondo cultuale e religioso. Un discorso a parte merita un caratteristico aspetto della religione fenicio-punica, attestato però solo in contesto occidentale (Cartagine e colonie) . Si tratta di un rito che implicava la consacrazione e l'offer­ ta di bambini, per lo più neonati o in tenera età, agli dèi Tinnit e Baal Hammon, che avveniva in un santuario a cielo aperto con un sacello, stele ed urne funerarie, usualmente definito to/et in base ad alct,Jni passi biblici (2 Re 2 3 , r o; Ger. 7 , 3 1 -32; r 9,6- r4). Tali to/et, caratterizzati da un comune orientamento e localizzazione ai margini dei centri abitati, sono stati identificati nel Nordafrica (Cartagine, El­ Hofra/Constantine, Sousse, Althiburos, Maktar, Mididi, Teboursouk, Guelma, Sabratha) in Sicilia (Mozia), in Sardegna (Tharros, Sulcis, Monte Sirai, Nora, Bitia, Cagliari) e forse a Cipro, ma non (ancora?) in Fenicia. Notevole è la circostanza che la presenza di tali santuari, la cui fondazione è spesso molto arcaica, si riscontri solo presso quei centri che mostrano dimensioni urbane di una certa consistenza. Nel­ l'area dei vari santuari sono state rinvenute urne contenenti, in misu­ ra e percentuali diverse da sito a sito, ceneri combuste di bambini, frammiste o meno a quelle di animali, il che indica che i corpi erano cremati ritualmente. Le dediche iscritte sulle migliaia di stele sono di carattere votivo e da esse emerge chiaramente che si trattava di voti o ex-voti effettuati in ringraziamento per favori ottenuti o per richie­ derne di futuri. È tuttora in atto un acceso dibattito mirante a stabilire se i corpi­ cini cremati appartenessero a esseri umani messi a morte ritualmente ovvero a esseri deceduti naturalmente per varie cause. Nell'analisi di questo problema, si ha la fortuna di disporre di tre blocchi docu-

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA -PALESTINA

mentari, costituiti dai dati archeologici, da quelli epigrafici e dalle no­ tizie di autori greci e latini; questi ultimi, sia pure in forme varie, at­ testano l'esistenza del rito sacrifìcale cruento facendone un tratto tipi7 co della religiosità fenicio-punica e confermando che il destinatario era il dio Baal Hammon (identificato sempre con Kronos/Saturno) . Alla luce di una valutazione complessiva delle fonti, l'ipotesi che il to/et fosse solo una necropoli infantile riservata ai morti prematuri o per cause naturali deve essere decisamente esclusa, per varie ragio­ ni. Fra queste, ad esempio, il fatto che non serve indicare l'alto tasso di mortalità infantile dell'epoca, giacché la cadenza cronologica dei sacrifici (a Mozia, ad esempio, un paio all ' anno; a Cartagine, due-tre a settimana ma in contesto urbano e sub-urbano molto vasto) relati­ vamente bassa non corrisponde al numero molto più ampio dei morti in età perinatale. Questi ultimi, poi, in nessuna società conosciuta sono al centro di riti speciali, tanto meno cosi costosi ed elaborati come quelli del to/et. Ancora, andrebbe spiegato il carattere votivo, e non funerario, delle dediche, e il fatto che solo nei centri maggiori troviamo tali santuari, laddove, se si trattasse di un'ideologia mirante a inviare in una sorta di "limbo" i piccoli defunti, ci si aspetterebbe una capillare diffusione di tali luoghi sacri. In realtà, il sacrificio di bambini fu un fenomeno realmente praticato, ma limitato nel numero e dal valore altamente simbolico, cui si ricorreva in casi di grande emergenza a livello di vita familiare e sociale, senza escludere che in qualche raro caso anche bambini malformati o nati morti potessero essere inclusi nel novero delle offerte.

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Il mondo aramaico

L'età antica: i regni aramaici Nel quadro delle trasformazioni che si verificano nell'area siro-pale­ stinese in concomitanza con il passaggio dall'età del Bronzo all'età del Ferro, un'attenzione particolare merita il fenomeno della sedenta­ rizzazione progressiva di genti seminomadi, il cui habitat è general­ mente rappresentato dal deserto siriano, l'Eufrate e la sua valle fino ai suoi limiti occidentali. Uno degli esiti di tale processo è la compar­ sa di stati a configurazione nazionale che, a differenza degli antichi stati territoriali, possiedono una struttura sociale modellata su quella della tribù e del clan. A valori dominanti assurgono ora la parentela e le ascendenze genealogiche. Secondo tale modello, in primo piano si pone l'identità etnica, fondata sul convincimento della comune di­ scendenza da un (mitico) antenato eponimo; sul culto comune per un antico dio tribale, che diviene il dio nazionale e di cui gli uomini si sentono e si definiscono come suoi figli; sulla comunanza di lingua, usi e costumi. li re di questi stati nazionali (denominati "casa di") è un antico capo tribale, che si pone verso i propri sudditi con un at­ teggiamento paternalistico, rivendicando le virtù tipiche di chi guida una comunità cianica di membri tutti apparentati tra loro. Fra i maggiori protagonisti di questi rivolgimenti storico-sociali sono da annoverarsi le genti aramaiche, coagulatesi progressivamente in entità politiche del nuovo tipo appena descritto, incentrate sull'eti­ ca tribale. Gli Aramei emergono storicamente in piena luce dopo la crisi che chiude l'età del Bronzo, caduto l'impero ittita e affievolitasi tempora­ neamente la potenza assira; ma già da vari secoli nuclei di pastori se­ minomadi (Martu) erano presenti in Anatolia meridionale, in alta Me­ sopotarnia e nell'area siro-palestinese, a contatto con le genti sedenta­ rizzate di queste regioni. Già da molto tempo, dunque, si era avviato

RELIGIONE E RELIGIONI IN S I R l A · PALESTJN A

quel processo di progressiva infiltrazione urbana e sedentarizzazione che giunse ad esiti clamorosi a partire dall 'XI secolo a.C., quando tro­ viamo genti aramaiche ormai già stanziate in regni autonomi in un'a· rea che va dai monti del Tauro alla valle dell'Eufrate, dalla Siria set· tentrionale e centrale all'alto corso del Giordano. È una questione delicata se ed eventualmente in che misura si possa parlare di cultura, e quindi di religione, aramaica in generale. n territorio da prendere in considerazione è molto vasto, coincidendo con l'attuale Siria esclusa la fascia costiera, fino ai limiti dell'alta Me­ sopotamia a nord, Hama, la Beqa, la catena montuosa dell'Antiliba­ no, Damasco, fino a Palmira, senza contare le aree aramaiche del me­ dio Eufrate, in Palestina e a Elefantina, in Egitto. Questa estensione implica di fatto un'articolazione ampia di manifestazioni culturali e religiose locali, con varietà e direzione di influssi, come è il caso ad esempio dell'area siriana settentrionale, esposta a contatti con la cul­ tura tardo-ittita riflessi nelle iscrizioni di Samal, Neirab e Tell Halaf. Fonti dirette sulla cultura aramaica più antica, oltre ai dati ar­ cheologici, sono un certo numero di iscrizioni lasciate dai re locali, mentre le fonti esterne sono costituite dai testi assiri, dalle notizie de­ sumibili dall'Antico Testamento e, per le epoche più tarde, dagli au­ tori classici. Le fonti epigrafiche dirette forniscono informazioni frammentarie su alcuni pantheon locali e, per di più, trattandosi di iscrizioni reali, ci pongono di fronte a culti di carattere dinastico, che forse non do­ vevano essere del tutto rappresentativi della religiosità privata e po­ polare. Inoltre, data la situazione storico-culturale delle aree in que­ stione, è abbastanza arbitrario parlare di una "religione aramaica" sia in sé, sia in base a criteri linguistici. Per forza di cose occorre dunque sempre presupporre un più variegato orizzonte storico-religioso e ogni discorso generalizzante deve essere improntato alla massima cau­ tela. In tali condizioni, la trattazione delle tradizioni religiose aramai­ che, sia a livello di culto che, ancor più, a livello di ideologia, deve porsi dei limiti ben precisi. Per quanto riguarda gli elementi che paiono comuni e più caratte· rizzanti, individuabili nelle tradizioni pan-aramaiche, va segnalato il prevalere quasi ovunque del culto per il dio Hadad, certo affine mor­ fologicamente (oltre che per il nome) al Baal di Ugarit (Haddu) e alle figure mesopotamiche e siro-anatoliche anteriori di "dèi della tempe­ sta". Si tratta di un dio - più tardi identificato con Zeus e Juppiter ­ dalle caratteristiche uraniche, signore dell'atmosfera, datore di fertilità e fecondità, che accentra progressivamente funzioni e prerogative fino a sfiorare l'onnipotenza. L'iscrizione bilingue assiro-aramaica rinvenu-

4· IL MONDO ARAMAICO

ta a Tell Fekherije (nord-est della Siria, vicino al confine con la Tur­ chia), incisa sulla statua raffigurante il dinasta locale, databile al IX secolo a.C. e dedicata da questi nel tempio del suo dio, definito "si­ gnore" del dedicante e denominato "Hadad di Sikan" e "Signore del fiume Khabur" , ci dà un'efficace caratterizzazione di questo Hadad: signore delle acque celesti, superficiali e sotterranee, garante della fer­ tilità (pascoli e irrigazione), egli tutela la vita di tutti gli altri dèi con­ figurandosi chiaramente come capo del pantheon locale. Un ruolo centrale rivestono, nelle tradizioni aramaiche, le divinità dinastiche collegate ai culti ancestrali delle varie casate regnanti e dei loro singoli esponenti. In generale, tuttavia, non sono moltissimi i nomi divini documentati dalle fonti, mentre la documentazione di­ sponibile non fornisce dati sulla mitologia, permettendo invece di co­ gliere alcuni aspetti della prassi cultuale e delle concezioni soggia­ centi. Premesso dunque che il dio Hadad - che già durante l'età del Bronzo aveva un celeberrimo centro di culto ad Aleppo - appare quasi ovunque al vertice dei pantheon aramaici del primi secoli del I millennio a.C., volgiamoci a delineare in sintesi qualche situazione particolare. L'antico regno di Yaudi (Samal, oggi Zincirli) può costituire un eccellente campione con cui tentare di disegnare brevemente il qua­ dro delle manifestazioni religiose di un antico stato aramaico. Da qui provengono una quindicina di documenti recanti iscrizioni nel dia­ letto locale, in aramaico standard e anche in fenicio, comprese tra il IX e il vn secolo a.C. Si tratta di epigrafi redatte dai re locali, a volte recanti decorazioni iconografiche, che forniscono in modo indiretto notizie sulle divinità e sul culto. Vediamo di analizzarle per desumer­ ne dati concernenti la sfera religiosa, da integrare proficuamente con gli elementi desumibili dai dati iconografici. li pantheon yaudico è definito variamente con espressioni come " dèi", oppure " (tutti) gli dèi di Yaudi" o anche " dèi di questa città" e in esso, oltre alle grandi divinità pan-aramaiche, un ruolo importan­ tissimo rivestono anche gli dèi tutelari della dinastia, chiamati colletti­ vamente " dèi della casa di mio padre". Le iscrizioni documentano varie dinastie, ciascuna delle quali ma­ nifesta una propria preferenza devozionale: la dinastia di Gabbar, il fondatore, con dio dinastico Baal-Semed ( "Signore del giogo" o " Si­ gnore della doppia ascia/mazza"), Bm/nh (grafia e pronuncia incerte) , con dio Baal Hammon (dio legato alla cappella domestica, che ritro­ viamo nel mondo fenicio-punico) e Hayya (fino al regno di Barrakib) , con Rakib-El ( ''Auriga d i El"), dio anche della casata del r e Kilamu7I

REL IG IONE E RELIGIONI IN S!RIA•PALESTINA

wa. La personalità di questi dèi dinastici è oscura, anche se gli epiteti ci indirizzano generalmente verso manifestazioni specifiche del "dio della tempesta", cioè Hadad. Assai popolare e venerato è anche il dio El, inteso da taluni come epiteto di Hadad, ma forse divinità omonima e analoga all'El di Uga­ rit, figura di antico creatore che tende a restare inattivo su tale piano per non modificare il suo operato. Un altro dio del pantheon yaudico è Rashap, detto anche Arqu-Rashap, menzionato nell'iscrizione del re Panamuwa, che appare qui come una divinità disponibile all'aiuto, un ruolo dunque positivo, di contro a una certa tradizione che lo vede soprattutto come entità terribile e nociva. Arqu è la trascrizione loca­ le del dio Ruda, attestato più tardi a Palmira come divinità astrale e dai tratti guerrieri. L'ordine di menzione delle divinità in alcune iscrizioni potrebbe indicare una loro gerarchia. In particolare, abbiamo sempre Hadad al primo posto seguito da El, al terzo posto compare per lo più Rakib­ El seguito dal dio solare Shamash, mentre varia la posizione di Ra­ shap/Arqu-Rashap. Non esistono dubbi sul ruolo primario e incon­ trastato di Hadad. ll re Panamuwa r gli dedica una statua monumen­ tale; colui che sale al trono è tenuto ad eseguire vari riti davanti al simulacro del dio, il quale è il garante del benessere ultraterreno del re stesso, che, a sua volta, ha l'onore estremo di essere commensale, da morto, alla sua tavola. Questo passo dell'iscrizione dimostra l'esi­ stenza di un'ideologia concernente il destino ultraterreno dei defunti, in particolare dei re, attesi da una sorte di condivisione e di vicinanza con il mondo divino. Queste conclusioni sono confermate pienamente dai dati desumi­ bili dall'antroponimia, in cui il dio più attestato è Hadad, quindi Ra­ kib-El, Shamash, El, Rashap e Arqu-Rashap. A Samal sono attestati anche culti astrali, solari e lunari, dalle connotazioni cosmiche: il dio connesso all 'astro notturno è detto an­ che "Signore di Harran", sede di un celebre culto lunare e, per quan­ to attestato una sola volta nell'iscrizione del re Barrakib, deve trattar­ si di una figura arcaica e popolare (analoga al Sin mesopotamico), come dimostra la diffusione del suo simbolismo. A Crdek Burnu (Karkemish) è menzionata anche l'anatolica Kubaba, dea forse scom­ parsa con il progressivo processo di aramaizzazione dello stato yau­ dico. Un prezioso contributo alla conoscenza del mondo divino yaudico ce lo forniscono i dati iconografici, cioè alcuni "simboli" apposti sui monumenti. I documenti rinvenuti nell'area dell'antica Samal presen­ tano infatti in vari casi delle iconografie, più o meno trasparenti, po72

4· IL MONDO ARAMAICO

ste sopra il testo scritto ed in indubbia (anche se non chiara) relazio­ ne con esso: corona con corna, giogo, sole, luna, una figura tipo "Giano bifronte " che guarda in due direzioni opposte. Si tratta certo di segni di un codice figurativo che ci sfugge, ed è possibile che vi fosse una corrispondenza tra simboli e divinità menzionate nel testo sottostante. Si può ad esempio pensare alle seguenti relazioni: giogo = Baal Semed; disco solare alato = Shamash; falce lunare = dio di Harran; figura-Giano = El (onniscienza); corona = simbolo del po­ tere supremo, quindi Hadad, ma, a parte l'ipoteticità di queste pro­ poste, non si può escludere che i simboli (in numero minore degli dèi) avessero anche un meta-significato polifunzionale, parzialmente slegato dal riferimento al personaggio specifico. Yaudi è un caso abbastanza privilegiato dal punto di vista docu­ mentario. Per quanto riguarda gli altri stati aramaici, possediamo dati molto più scarsi e isolati. Su qualche divinità venerata a Hama ci rag­ guaglia la stele iscritta (intorno all'8oo a.C.) del re locale Zakkur, re di Hama e di Luash, dedicata a lluwer, un'altra manifestazione del "dio della tempesta" (analogo ad Hadad). Qui però il sovrano mani­ festa una devozione speciale nei confronti di Baalshamin, che lo ha protetto e che si rivela quindi figura strettamente legata all'istituto re­ gale. È interessante rilevare che il dio ha aiutato il suo protetto anche avvalendosi di veggenti e predizioni, che gli hanno consentito di pre­ valere su una forte coalizione di re nemici. Del resto Baalshamin è una figura il cui culto è attestato, per così dire, in forma transregiona­ le in tutto il mondo aramaico attraverso una documentazione relativa­ mente abbondante. Alla fine del testo viene invocata una serie di dèi frammentaria, che doveva riflettere più o meno il "pantheon" ufficia­ le, di cui fanno parte nell'ordine Baalshamin, lluwer, Shamash, Sha­ har e gli " dèi della terra e del cielo" . D a Neirab, presso Aleppo, provengono due iscrizioni funerarie (redatte da sacerdoti che portano nomi accadici) del vn-vr secolo a.C., servi del dio lunare Shahar e con la menzione di altre divinità astrali dell'area mesopotamica, indizio della diffusione verso occiden­ te del culto del dio lunare di Harran, che abbiamo già incontrato a Samal. Anche nel regno di Damasco (Aram) troviamo Hadad ai vertici del pantheon, insieme ad una dea più tardi nota come Atargatis. Qui Hadad aveva un tempio menzionato anche nell'Antico Testamento (2 Re 5 , 1 8) e che doveva forse trovarsi sotto l'attuale moschea degli Omayyadi. Egli aveva l'epiteto di Ramman, "il tuonante" , costellan­ dosi come una figura che trova una chiara continuità storica nel po­ steriore Juppiter Damascenus delle fonti classiche. li nome dinastico

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RELIGIONE E RELIG IONI IN SIRIA- PALESTINA

dei sovrani di Damasco è, del resto, Bar-Hadad (''figlio di Hadad") e il dio doveva avere una consorte identificata posteriormente con Atargatis. La morfologia dell'Hadad damasceno aveva forse tratti in comune con quella del Baal di Ugarit e delle divinità poliadi maschili delle città fenicie più importanti (Baal-Adonis, Eshmun e Melqart), configurandosi come un dio che "moriva e resuscitava": parla in que­ sto senso un passo biblico (Zacc. u , I I ) , che allude a manifestazioni di lutto eseguite nella valle di Megiddo in onore di Hadad-Rimmon. La dimensione ctonia è del resto ben presente per vari dèi della tra­ dizione siriana. L'Antico Testamento ci fornisce altre notizie sulle genti aramaiche e la loro religione, a partire dalla coscienza di antichi contatti tra le etnie, testimoniati a livello tradizionale (non storiografico) nella Ge­ nesi dai rapporti di parentela di Giacobbe con suo :ilio Labano, l'ara­ meo, nonché dalle origini della sua stessa madre Rebecca, provenien­ te dalla regione di Harran. In particolare, Giacobbe e Labano giura­ no in nome del dio dei loro padri, un aspetto del culto che è tipico delle tradizioni nomadiche. Per epoche successive, in � Re , , r 8 si fa allusione a pratiche cul­ tuali nei templi, mentre informazioni indirette sulle cerimonie sono riportate in � Re r6,zo-z , (cfr. 2 Cron �8,23), dove è questione delle pratiche introdotte a Gerusalemme da Achaz su influsso degli Aramei di Damasco. Cosl il sacrificio del figlio del re di Giuda (2 Re 16,3: «fece perfino passare per il fuoco suo figlio .. . ») potrebbe ricondursi ad una pratica in uso presso le genti aramaiche di Sefarvaim, esiliati da Samaria. Nel culto tributato ad Adrammelek (� Re 1 7 ,3�) è da vedere certo una venerazione per il più popolare dio aramaico nella sua esplicita manifestazione regale. L'istituzione del marzeah, il banchetto rituale organizzato da asso­ ciazioni religiose in forma di tiaso, i cui membri, uniti dalla venerazio­ ne per una o più divinità, si riunivano per banchettare e per bere in cerimonie anche di carattere funerario, è testimoniata da Amos 6,4-7 e Ger. r6,,. Nelle fonti aramaiche, esso è attestato nella colonia giudai­ ca di Elefantina (Siene, in Egitto) e a Palmira, ma non si hanno motivi per dubitare che tale istituzione dalla storia millenaria (il termine, lo ricordiamo, è menzionato a Ebla, Emar, Ugarit, nel mondo fenicio­ punico, a Palmira e in contesto nabateo) non fosse diffusa anche in ambito culturale aramaico. Per quanto riguarda altri aspetti del culto e del comportamento religioso, va ricordato che la pratica della profezia e l'esistenza di profeti o veggenti è testimoniata nel mondo aramaico nella già men74

4· IL MONDO A RA M A ICO

zionata iscrizione di Zakkur (trovata a Tell-Afìs) , in riferimento a Baalshamin. Altri racconti biblici imperniati sulla figura di Eliseo testimoniano indirettamente la fede nella profezia da parte dei re di Aram, orien­ tando però la narrazione in base ai propri presupposti teologici. Per esempio secondo 2 Re 5 Naaman, stimato capo dell'esercito aramai­ co, era affetto da lebbra. Bande aramee rapiscono da Israele una ra­ gazza che finisce al servizio della moglie di Naaman. La giovane indi­ ca alla padrona che in Samaria c'è un profeta che può guarirlo, cioè Eliseo. n re di Aram manda allora una lettera al re d'Israele, insieme al suo ministro. Dapprima il re israelita pensa che sia un pretesto, poi il malato viene inviato da Eliseo. Quest'ultimo dice a Naaman che dovrà bagnarsi sette volte nel Giordano per ottenere la guarigione; Naaman dapprima si rifiuta, poi segue il consiglio ed è effettivamente guarito. Allora l'arameo comprende che Yahweh è il solo dio e offre dei doni a Eliseo, che non li accetta. Chiede allora ad Eliseo in anti­ cipo perdono per quando sarà costretto ad accompagnare il re di Aram nel tempio di Rammon e si prosternerà davanti a quello che ormai considera un falso dio, ottenendo dal sant'uomo un'assoluzione preventiva.

Palmira

e

Dura Europos

Scendendo nel tempo, uno straordinario spaccato della vita religiosa in un centro aramaico di età ellenistico-romana (la cui fondazione è attribuita dalla Bibbia addirittura al re Salomone, 2 Cron. 8, 1-6) è fornito da Palmira (Tadmor), a metà strada tra Homs e il fiume Eu­ frate, e dalla sua documentazione. L'insediamento nell'oasi, incentrato intorno all a fonte Efqa, è atte­ stato già nel xrx secolo a.C. da fonti cuneiformi e ha dunque una lunga storia, di cui solo una piccola fase, corrispondente ai secoli 1 a.C.-m d.C., è documentata da circa 3 .ooo testi epigrafici redatti so­ prattutto in un dialetto aramaico e in greco. In tale periodo l'insedia­ mento risulta popolato da genti etnicamente eterogenee, di origine prevalentemente aramaica ma con una forte componente definita come " araba" (il termine va preso però in senso culturale e non etni­ co), mentre è anche percepibile - almeno a livello di tradizioni cultu­ rali - un sostrato semitico-occidentale. n popolamento dell'oasi non awenne però semplicemente attraverso la sedentarizzazione di tribù nomadi. I nuclei di tipo tribale e le ideologie correlate non sono esclusive dei nomadi, ma permangono in genti già da tempo sedenta75

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA-PALESTINA

rizzate, di varia discendenza, che continuano ad avere coscienza di un comune antenato mitico e affermano la propria identità attraverso una comunanza di culti. Grazie alla sua posizione geografica, punto d'incontro tra est e ovest, sulla via più breve tra l'Eufrate e la costa siriana, Palmira fu la più importante città carovaniera dell'intera area, esercitando il con­ trollo del commercio tra il Mediterraneo e l'India, raggiungendo l'a­ pice della prosperità a partire dall'epoca della presenza romana (64 a.C.) . Tali circostanze fecero sì che la cultura e le manifestazioni reli­ giose di Palmira fossero permeabili e aperte a una quantità notevole di influssi e registrassero vari sincretismi che ne tradiscono le com­ plesse stratifìcazioni storiche, cui si aggiunse l'influenza delle correnti religiose d'età ellenistica e romana. Uno degli aspetti più interessanti e caratteristici della vita religiosa di Palmira è, in particolare, la persistenza di antichi pantheon di ori­ gine tribale, "riorganizzati" e rifunzionalizzati in un pantheon cittadi­ no articolato e formalmente unitario. Verso la seconda metà del II secolo d.C. la città venne divisa in quattro quartieri, ciascuno chiamato secondo una tribù e dotato di un santuario. Fu istituito un consiglio cittadino formato dai rappre­ sentanti delle quattro tribù e la coscienza di una comune identità ci­ vica finì per prevalere sulla nozione di clan. Si trattò tuttavia di un'ar­ ticolazione artificiale rispondente a un preciso modello socio-politico, poiché nella realtà le tribù erano quattordici e mantenevano ciascuna i propri culti tradizionali. È. consuetudine dunque leggere la vita religiosa di Palmira a due livelli , distinguendovi un livello civico comune e un livello tradiziona­ le legato alle tribù. L'interpretazione è corretta, ma rischia di essere troppo schematica e non deve far dimenticare che a Palmira conflui­ rono tradizioni diverse, non sempre e non tutte legate alle tradizioni cianiche. Le varie tribù confluite col tempo nell'oasi, ciascuna con proprie tradizioni e culti, mostrano a loro volta di avere subito in misura va­ ria gli influssi delle culture con cui erano venute a contatto, testimo­ niati ad esempio dalla presenza di divinità di origine mesopotamica, fenicia o araba. La varietà etnica all'interno della popolazione di Pal­ mira costituisce un aspetto fondamentale da tenere in conto per una valutazione della religione o delle religioni locali, in cui coesistono di­ vinità dalle attribuzioni apparentemente simili. Un caso emblematico in questo senso è rappresentato da dèi dalle connotazioni solari come Yarhibol, Malakbel e Shamash. Mentre quest'ultimo era di certo in origine un dio spiccatamente solare (come dimostra il suo stesso

4· lL MONDO ARAMAICO

nome, "sole"), gli altri due assunsero solo in un secondo tempo tali connotati, forse e in parte a seguito di processi di spectÙazione teolo­ gica locale, sui quali si innestò anche la tendenza astralizzante che ca­ ratterizza a quest'epoca le religioni del Vicino Oriente antico. I testi epigrafici locali non sono troppo prodighi di informazioni sulla vita religiosa, ma forniscono dati su nomi ed epiteti divini, oltre che sparse allusioni al ctÙto. Non trascurabile è l'apporto fornito dal­ l'onomastica personale, sia per gli indizi offerti dai nomi teofori (che contengono, cioè, nomi di divinità), sia per i dati sulle origini etniche e ctÙturali dei portatori. Molte informazioni sono infine desumibili dai monumenti figurati e dalle "tessere" , specie di gettoni o "bigliet­ ti" di ingresso per i banchetti, di carattere sacro e non, organizzati nei templi a cura dei sacerdoti o di privati, riuniti in associazioni stÙ tipo di tiasi. Per quanto numerosi e dettagliati, i simboli e le icono­ grafie di carattere divino non sono sempre di facile interpretazione. Molti dèi di Palmira hanno la caratteristica di essere abbigliati alla militare, tendenza che compare all'inizio dell'era cristiana. Le singole divinità sono comunque caratterizzate in forme abbastanza peculiari, che aiutano ad individuame in linea generale la personalità e le attri­ buzioni più tipiche. Tutte queste fonti devono poi essere integrate dai ritrovamenti archeologici, poiché è per lo più ad edifici di carattere sacro che esse erano funzionalmente destinate e/o connesse. Come si vede, l'intera documentazione disponibile non lascia de­ durre quasi nessun indizio su eventuali tradizioni mitologiche, certo in parte fissate per iscritto ad opera del personale dei templi, ed è anche piuttosto laconica sulle pratiche cultuali: sembra comunque intuibile un carattere prevalentemente ritualistico almeno della religione ufficia­ le, avviata forse a spectÙare su tradizioni sempre più cristallizzate. Come si è detto, nella religione palmirena non si può solo indivi­ duare un pantheon unico e unitario, bensì serie giustapposte e inter­ secantesi di sistemi ctÙtuali che si tentò di armonizzare a diversi livelli in un pantheon civico. Nell'oasi sono attestati infatti ctÙti di divinità note altrove nel mondo semitico occidentale e orientale, di cui si ignora però il processo e l'epoca di acquisizione, che coesistono fian­ co a fianco con altre figure che spesso hanno funzioni analoghe. In questa articolata temperie religiosa, divinità babilonesi sono venerate accanto ad altre di origine araba (documentate soprattutto nella peri­ feria) , la cui importanza e diffusione testimoniano il ruolo storico-po­ litico e sociale della corrispondente componente etnica che tributava loro un ctÙto. Massima divinità di Palmira all'epoca riflessa dalle fonti epigrafi­ che era Bel, un dio venerato dalla tribù dei Bene-Kohennabu, che 77

RELIGIONE E RELIG I O N I IN S I R I A - PALESTINA

sembra raggiungere la massima importanza nel I secolo a.C. forse an­ che grazie all'opera dei suoi sacerdoti, che riuscirono ad imporlo come dio nazionale. n teonimo Bel significa semplicemente "signore", in una forma che testimonia però l'influsso del dio babilonese Bel­ Marduk. È probabile tuttavia che non si tratti di una semplice "im­ portazione" dalla tarda tradizione mesopotamica, bensì dello sviluppo storico locale di un'antica divinità indigena di nome Bol, a sua volta riconducibile ai Baal cittadini del mondo semitico occidentale. Di Bol esistono infatti chiare tracce nei nomi teofori, almeno per una certa epoca, fino a che l'antroponimia non registra il mutamento del nome Bol in Bel. Identificato coerentemente con Zeus, Bel è una figura re­ gale e celeste, creatrice e sovrana del cosmo, attorniata da divinità dai tratti prevalentemente astrali che costituiscono il suo seguito. Qui è forse da vedere il paziente lavorio teologico di un clero che aveva recepito la grande tradizione babilonese e non era certo immune da­ gli influssi ellenistici. Come in Mesopotamia, l'astralizzazione rappre­ sentò a Palmira un mezzo e un codice assai efficaci per dare coerenza e organicità a un pantheon da sistematizzare per amalgamarvi le dif­ ferenti tradizioni. Quando nel 32 a.C. fu eretto il tempio consacrato a Bel (insieme a Yarhibol e Aglibol) sui resti di un precedente edificio sacro (dedi­ cato all'indigeno Bol? ) , il giorno della dedica fu, significativamente, il sesto del mese di Nisan (aprile) , lo stesso in cui si celebrava l'Akitu, la festa di "capodanno" babilonese. n tempio di Bel, massimo monu­ mento religioso di Palmira, era a tutti gli effetti un santuario inter­ tribale (è definito " casa degli dèi dei Palmireni"), costituiva il vero cuore della vita religiosa della città e, al di là dei vari particolarismi devozionali, vi si veneravano, accanto al titolare, varie altre divinità (tra cui Yarhibol, Herta, Nanaia, Reshef, Athtar, Bolastar, Belham­ mon ecc. ), godendo dei finanziamenti dei vari benefattori locali. Come accennato, Bel/Bol sono riconducibili - sul piano etimolo­ gico come su quello morfologico - a Baal, l'antico "dio della tempe­ sta" della tradizione siriana, che instaura l'ordine cosmico sconfiggen­ do le forze del caos, e in questo senso sembrano parlare anche i rilie­ vi che decorano il tempio di Bel a Palmira. n dio è in lotta contro un mostro in parte serpentiforme e il parallelo più stringente è con le tradizioni mesopotamica e siro-palestinese del combattimento del dio campione del cosmo contro entità caotiche (Ada/Addu contro il dra­ go a sette teste, Marduk contro Tiamat, Baal contro Yam e Mot, Yahweh contro i vari mostri marini) . È probabile che a Palmira, che adottava il calendario mesopotamico, si celebrasse l'Akitu, magari in forme locali.

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Bel era alla testa di una triade divina composta anche da Yarhibol e Aglibol, entrambi teonimi che contengono il nome del dio supremo e possono considerarsi in qualche modo sue manifestazioni. Bel è raf­ figurato come un giovane imberbe, con un copricapo e in abiti milita· ri; figura in mezzo agli altri due dèi, connessi rispettivamente alla luna e al sole, e certo questa associazione doveva sottolineare i suoi poteri sul cosmo. n culto di Bel e della sua triade era però anche il culto degli dèi ancestrali (o ritenuti tali), assunti a simbolizzare l'ere­ dità comune a tutte le tribù dell'oasi. Più che il risultato della specu­ lazione teologica, il culto della triade di Bel sembra connettersi stret­ tamente con l'organizzazione socio-politica di Palmira, poiché gli dèi associati a Bel sono quelli tutelari delle quattro tribù e quartieri citta­ dini, rappresentati intorno alla cella del dio supremo. Accanto a Bel era venerata anche una sua paredra, identificabile come una tarda figura di Ishtar/Astarte. Che i due membri della cop­ pia formassero un binomio consolidato è dimostrato dall'esistenza di un culto prestato a un'entità divina dal nome doppio, Bolastar, for­ mato appunto dai due teonimi costituenti la coppia, forse scaturita dalla speculazione teologica. n dio Yarhibol era legato alla fonte Efqa e il suo nome può essere in effetti spiegato etimologicamente in riferimento al termine "fonte/ sorgente/pozza d'acqua" (dall'ace. yarkhu), anche se altre interpreta· zioni (come ad esempio "luna di Bol") non possono essere escluse. Yarhibol era un antico e prestigioso dio locale, che aveva un suo tempio (non ritrovato) nei pressi della fonte che dà vita all'oasi pal­ mirena, di cui era il tradizionale patrono. Come tale, non era legato a nessuna tribù in particolare e godeva di una venerazione generale. La sua personalità dovette subire profonde trasformazioni, giacché da originario dio lunare dalle probabili funzioni · oracolari divenne una divinità solare, assurgendo al secondo posto nel pantheon civico pal­ mireno. Spesso raffigurato in abbigliamento militare, munito di lancia e spada, la testa radiata, Yarhibol fu dio preminente anche tra i pal­ mireni della colonia di Dura Europos. A lui viene anche ascritto il ruolo di giudice divino, che amministra la giustizia e distribuisce la terra agli abitanti: una funzione coerente con la sua caratterizzazione solare, ma che doveva probabilmente preesistere alla sua astralizzazio­ ne, sia in quanto divinità connessa alla fonte dispensatrice di vita, sia soprattutto perché non legato (come ad esempio Shamsh o Malakbel) a specifici gruppi etnici, e dunque molto più adatto a questo ruolo­ chiave nell'ambito di un pantheon cittadino intertribale. TI terzo componente della triade di Bel, Aglibol, è invece un dio tribale dai caratteri lunari, che aveva un proprio tempio denominato

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"giardino sacro " attestato solo epigraficamente, uno dei quattro san­ tuari "ufficiali", curato dai Bene-Komare, dove era venerato insieme a Malakbel. C'è da tener presente che i culti lunari ebbero grande dif­ fusione e popolarità nella Siria settentrionale, come a Emesa (Homs) e Hatra, quest'ultima città del dio Shamsh, a Edessa (con Azizos e Monimos), certo a causa anche di influssi provenienti dal nord meso­ potamico (Harran) . li nome Aglibol significa probabilmente "Torello di Bol" (altri lo interpretano come "Carro di Bol"). La presenza eventuale del termine "torello" o "vitello " nel teonimo alluderebbe ad una funzione di dio legato ai fenomeni atmosferici, con implica­ zioni per la fertilità e la fecondità, che potrebbero aver favorito la successiva caratterizzazione lunare. Oltre a far parte della triade del dio supremo, Aglibol è spesso rappresentato insieme a Malakbel, con cui forma una coppia di fra­ telli divini: un legame cultuale (e forse anche mitico) diverso e stori­ camente anteriore rispetto al suo ruolo nell'entourage di Bel. Come detto, Aglibol e Malakbel erano venerati congiuntamente in un tem­ pio dal nome significativo di "Giardino santo " , circostanza che sem­ bra connetterli al ciclo vegetale e configurarli come specifici protetto­ ri della vita sedentarizzata fondata sulla coltivazione. Malakbel ( "Messaggero/Angelo di Bel"), teonimo che richiama il fenicio Malak-Milkashtart di Umm el-Amed (presso Tiro), è un dio forse indigeno - identificato con Hermes - giovane, dai caratteri sola­ ri e dagli attributi che ne sottolineano anche i legami con la vegeta· zione e il bestiame. Un altare palmireno di Roma del m sec. d.C. ce lo mostra in diverse sequenze cronologiche, che sembrano alludere all'itinerario giornaliero del sole, dall' alba al tramonto. Malakbel è at­ testato da solo e in varie combinazioni divine, ogni volta con specifi­ che iconografie. Innanzitutto, egli fa parte della "triade" di Baalsha­ min insieme ad Aglibol e, in questo caso, ha abito militare e connota­ ti solari; la sue raffigurazioni nel tempio di Baalshamin lo ritraggono su un carro tirato da grifoni, forse nel ruolo di messaggero del dio. Insieme ad Aglibol, egli figura anche nella "triade" del cosiddetto " dio anonimo" , sempre con tratti solari. Ancora, è associato su alcu­ ne tessere con Gad Taimi (la "Fortuna" ) , divinità tutelare del clan dei Bene-Benna, e qui il dio indossa un costume partico, ha un cre­ scente solare, a volte un falcetto. In conclusione, si può pensare ad un originario culto connesso alla vegetazione, su cui si sovrappongo­ no in seguito tratti solari. Per quanto non sembra che avesse un tem· pio proprio, la venerazione per lui era profonda e trasversale, pur se è attestata una devozione speciale nei suoi confronti da parte di alcu­ ne famiglie.

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4· IL MONDO ARAMAICO

Baalshamin era un dio mc;>lto popolare nel Vicino Oriente semiti­ co, di origine fenicia ma diffuso anche in area aramaica, che aveva a Palmira un tempio e godeva di grande venerazione. In origine figura spiccatamente celeste ( "Signore del cielo " ) , dio cosmico, dominatore del fulmine e del tuono, fu identificato significativamente con Zeus mégistos kerdunios e, a Palmira, non è facilmente diversificabile da Bel (ad esempio a livello iconografico ha la barba, che manca a Bel), ma non sembra in contrasto con il grande dio palmireno, risultando separate le sfere di influenza e i rispettivi culti. Nelle sue prerogative, secondo la formulazione palmirena, finisce per rientrare anche quella di datore della fertilità. In effetti, le rappresentazioni figurate tendono a combinare tratti uranici con simboli che alludono a questa seconda funzione: il dio ha come attributi le spighe, il fascio di fulmini e il toro, suo uccello sacro è l'aquila. Baalshamin riceve poi epiteti che lo designano come dio grande, misericordioso e soccorrevole (hypsistos, epékoos) e che forse lo indicano come più presente del grande Bel nella devozione popolare. n suo tempio, localizzato nella parte setten­ trionale di Palmira, era un santuario tribale gestito dai Bene-Maazin e vi si prestava culto anche ad altre divinità (Duanat, Shadrafa ecc.). Nel composito pantheon palmireno figura anche Belhammon, un dio certo analogo al Baal Hammon della tradizione fenicio-punica, il cui culto fu forse introdotto nell'oasi da gruppi tribali originari del­ l'Antilibano o della regione del Hauran. n dio possedeva un santua­ rio extra-urbano montano sulla sommità del Gebel Muntar (a sud­ ovest di Palmira), dove era venerato accanto alla dea di origine araba Manawat. La speciale devozione nei suoi confronti contrassegnava la tribù dei Bene-Agrud che, appunto, gli costruì questo santuario. Ri­ producendo parzialmente i tratti del suo omologo · fenicio-punico, Belhammon era a Palmira una manifestazione minore di Bel, cioè un dio ancestrale, protettore di una piccola comunità ben precisa, di cui si teneva a perpetuare il culto e a distinguerlo - spazialmente e forse anche nelle forme - da quelli degli altri dèi palmireni. Una divinità di particolare interesse nel pantheon di Palmira (ma molto diffusa anche nel mondo arabo pre-islamico) è il cosiddetto "Dio Anonimo", venerato in varie centinaia di altari rinvenuti per lo più nei pressi della fonte Efqa. n dio compare poco dopo il I secolo d.C. ed è definito come "Colui il cui nome è benedetto per l'eterni­ tà" . Nel diffondersi del suo culto si è voluto vedere una tendenza proto-monoteistica, ma si tratta di una figura che trova il suo ruolo nella devozione personale e privata. Le rappresentazioni figurate lo mostrano provvisto di fulmine e talora barbato, tratti che lo avvicina­ no a Baalshamin, di cui potrebbe costituire una manifestazione in 81

RELIGIONE E RELIG I O N I IN S l R I A · PALESTl N A

senso più "mistico" e spiritualizzato. Anche gli epiteti di cui questo dio è gratificato lo avvicinano a Baalshamin ( ''Signore dell'eternità" , " Buono" , "Misericordioso"), ma c'è chi h a proposto di riconoscervi Yarhibol, appunto antica figura connessa alla fonte dell'oasi. La vera identità del "Dio Anonimo" resta una questione aperta, senza poter escludere che sia un falso problema: potrebbe trattarsi di una specifi­ ca figura, diversa da tutte le altre, sorta dall'esigenza dei fedeli di di­ sporre di un interlocutore divino intimo e più attento alle necessità dei singoli, rispetto alle grandi divinità civiche o venerate nell'ambito delle tradizioni dei vari gruppi tribali. n fenomeno è comunque in­ quadrabile storicamente sullo sfondo di una religiosità popolare che tende a distinguersi dal culto pubblico. Si noti anche che il "Dio Anonimo" è un dio sùnnaos, cioè sprovvisto di un proprio santuario, ma che viene accolto senza problemi nei templi di altre divinità. A lui, infatti, e a lui solo, si rivolgono i fedeli (specie donne) per chie­ dere speciale aiuto e protezione nella sfera dei problemi individuali dell'esistenza. Spesso associato a Bel è Arsu, il cui tempio, a sud-ovest dell'ago­ rà, era uno dei santuari delle quattro tribù, amministrato dai Bene­ Mattabol. n dio è raffigurato in abbigliamento militare, con corazza, scudo e lancia e talora un elmo; sulle tessere è connesso al cammello. n suo nome è la forma aramaizzata di Ruda, "n favorevole", molto popolare nelle iscrizioni safaitiche e tamudee. Identificato con Ares nelle iscrizioni greche, era anche accostato a Hermes/Mercurio. Nel caso di Ares, oltre che sull'omofonia, l'identificazione si fondava sul carattere guerriero delle due divinità; l'accostamento con Hennes ne sottolinea la funzione di scorta e di guida · delle carovane, funzione condivisa con il dio Azizu (connesso al cavallo) accanto al quale è spesso venerato. Nell'ambito della religiosità popolare rientrano i Ginnaye (plurale di finn), spiriti tutelari o genti raffigurati in forma umana, spesso ar­ mati e a cavallo, che proteggevano gli uomini nelle varie fasi dell'esi­ stenza e nelle loro attività (specie quelle tipiche del mondo beduino: carovane, allevamento). Altri dèi minori di origine araba, assimilabili agli anonimi genii, però personalizzati, sono Abgal, Maan, Ashar, tutti dalle funzioni eminentemente apotropaiche. Un cenno speciale merita Gad, la tyche, fortuna o genio di un individuo, di un clan, di una città o anche di luoghi sacri come una fonte o un giardino. Nei nomi propri Gad si accompagna ad altri teonimi, ad indicare che il tale dio è la "fortuna" , il genio tutelare di chi ne porta il nome. Può essere maschile o femminile ed è talora v

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4· IL MONDO ARAMAICO

raffigurata come Atargatis, in trono su leoni, nella funzione di Gad­ Tadmor, cioè "Fortuna/Genio di Palmira" . A differenza di quanto avviene nel mondo greco, le tychai siriane erano manifestazioni speci­ fiche di divinità venerate localmente. Nel caso di Palmira, un'identifi­ cazione puntuale con Atargatis o con Astarte non è sicura né priva di problemi. Fra le divinità di origine semitica occidentale, al centro di culti secondari, sono da ricordare ancora Elqonera e Shadrafa. Il primo teonimo, menzionato in un'iscrizione e sulle tessere, significa "Il crea­ tore della terra" e viene identificato con Poseidon. Shadrafa è il ben noto dio guaritore che domina su scorpioni e serpenti (come Horon) ed è menzionato insieme a Duanat ( " Quello di Anat " ) , in cui si è proposto di riconoscere il dio mesopotamico Aplad della città di Anat sull'Eufrate. Dalla tradizione babilonese derivano Nebo (Nabu) e Nergal, che a Palmira potrebbe corrispondere a Rashap, ma anche a Melqart/He­ rakles. Quanto a Nebo, identificato con Apollon, possedeva un tem­ pio vicino a quello di Bel, cui era associato in talune occasioni e per certi aspetti. Popolare dio della scrittura e della sapienza, era visto come colui che legittima il potere e chi lo detiene. La sua iconografia, in cui spicca la raffigurazione apollinea con la lira, segue moduli greci ed il dio fu associato con la dea Nanaia, a sua volta identificata con Artemis. L'importanza del culto di Nebo, oltre che dall'associazione del dio con Bel, potrebbe essere confermata dal ruolo che egli riveste nella festa dell'Akitu, se è corretta l'interpretazione di un rilievo del tempio di Bel, che doveva comunque essere celebrata a Palmira con adattamenti che coinvolgevano altre divinità locali. Nell'universo divino di Palmira trovano spazio anche numerose fi­ gure femminili, che appaiono in generale in posizioni meno rilevanti rispetto a quelle maschili. Di un culto notevole doveva comunque go­ dere la dea di origine araba Allat (nome che significa semplicemente " dea"), dai caratteri guerrieri e raffigurata come Athena, con elmo, scudo e lancia, che appare spesso accanto a Baalshamin. Allat posse­ deva un santuario importante in prossimità del tempio di quest'ultimo dio, che doveva costituire un punto di riferimento religioso per i nu­ clei di origine araba. Sappiamo che nel tempio di Allat era proibito effettuare sacrifici di sangue. TI suo culto era particolarmente praticato dalle tribù dei Bene-Maazin e dei Bene-Nurbel e alla dea erano asso­ ciati Rahim (il "Compassionevole" : una sua manifestazione? Epiteto non infrequente per altre divinità palmirene e poi specifico di Allah nel Corano) e Shamsh. La dea era raffigurata seduta tra leoni, tratto desunto probabilmente da Atargatis, con cui tende ad assimilarsi, ma

RELIGIONE E RELIGIONI IN S IR! A· PALESTJNA

è anche documentata una sua identificazione con Artemis. Sempre nell'ambito di questi fenomeni, sussistono anche indizi di un processo di assimilazione di Allat ad Astarte, una divinità che, analogamente alla prima, vide il suo nome passare a designare la "dea" per eccellen­ za ed i cui tratti, in epoca tarda, ci sono noti dalle fonti classiche. Atargatis, la celebre dea di Hierapolis, possedeva un tempio a Palmira attestato solo epigraficamente, che era uno dei quattro grandi santuari tribali della città. La dea ha un nome doppio, risultante dalla fusione di Astarte (nella forma astar-) e Anat (nella forma atteh) e deve essere messa in rapporto con Astarte e Anat a Ugarit e con Astarte e Tinnit nel mondo fenicio-punico. Sui rapporti tra Atargatis e Astarte a Palmira esistono opinioni diverse: c'è chi pensa che si tratti della stessa divinità, ma le iscrizioni le distinguono chiaramente e fanno di Astarte la compagna di Bel, dato confermato anche dalle sculture. Atargatis figura, sotto forma abbreviata, anche nei nomi di persona. Del set di credenze e di pratiche cultuali di Palmira, di cui te­ stimoniano numerosi documenti, scritti e non, si conoscono pochi dettagli. In linea generale, non è possibile individuare un nucleo di tradizioni più arcaiche, perché la cultura locale emerge in autonomia già agli albori della documentazione e resta originale fino alla metà del m secolo d.C. Comunque, sul piano del culto, non si colgono dif­ ferenze che testimonino contrasti tra i vari gruppi, che quindi non dovevano servirsi dell'ambito rituale come espressione di identità. Si ha l'impressione di un ritmo organico della vita religiosa, dove si inte­ gravano bene le varie componenti, pure divise tra devozione comuni­ taria e specifiche tradizioni tribali. I sacerdoti sono riconoscibili iconograficamente per il loro carat­ teristico copricapo e l'abbigliamento, senza però che sia possibile de­ durne ulteriori elementi di rilevanza cultuale. Conosciamo almeno in parte la terminologia specifica, che allude a varie classi e livelli, cosl come sappiamo pure che i sacerdozi di maggior prestigio erano gestiti dai cittadini più autorevoli, ma sempre secondo moduli originali non influenzati dal sistema romano. Esisteva dunque una specifica e omo­ genea identità palmirena, riflesso di una società bene integrata, anche se articolata in una forma complessa. Circa le pratiche cultuali, esistono vari documenti interpretati come "leggi sacre", ma che in realtà sono testi eterogenei contenenti diverse prescrizioni che non rispondono a una codificazione generale (si riferiscono in particolare a sacerdoti di Baalshamin e Belastor) . Spicca (anche a causa di ciò che è giunto fino a noi) il ruolo delle associazioni religiose o tiasi, continuatrici dell'antica tradizione semiti-

4· IL MONDO ARA M AICO

ca del marzihulmarzeah. Si organizzavano cerimonie, processioni, ma soprattutto riunioni e banchetti comunitari di carattere più o meno sacrale, per diverse occasioni di cui restano a testimonianza le già cita­ te tessere di ammissione. Sembra assente a Palmira l'aspetto funerario di tali tiasi. La più importante associazione era quella dei sacerdoti di Bel, ma anche altri culti contemplavano tale istituzione (Baalshamin, Durahlun, Baaltak, Taima e forse Nebo). Lo scopo doveva essere, tra l'altro, quello di rinforzare la solidarietà tra i membri, che costituivano una sorta di microcosmi omogenei all'interno della vita cittadina. Informazioni sparse testimoniano dell'importanza del vino nel cul­ to e soprattutto della venerazione per i morti, in onore dei quali si costruivano edifici funerari in forma di case, templi o alte torri, come anche sepolcri sotterranei, e per i quali si celebravano pasti sacri e si offrivano libagioni. n bruciare incenso era un atto cerimoniale impor­ tante in varie occasioni. n sacrificio doveva includere offerte cruente e non, come testimoniano anche le scene cultuali sui sarcqfagi. Ci è in parte noto il vocabolario sacrificale, con ad esempio i termini per " offerta bruciata", "braciere" o " altare (a incenso)", "imposta/dovere (di carattere religioso) " , "sala da banchetto" (con un termine deri­ vante dal greco o forse addirittura dal sumerico). Doveva anche esse­ re praticata la divinazione, anche se in forme che ci sono ignote. Nei pressi del villaggio moderno di es-Salihiyeh, a 92 km a sud-est di Deir ez-Zor, su un promontorio lungo la sponda meridionale dell'Eu­ frate, si trovava Dura Europos, in origine postazione militare (Dura = " fortezza"). Fondata dai Seleucidi intorno al 300 a.C., fu quindi soggetta ai Parti tra il 128 e il I I 3 a.C. e fu infine presa dai Romani nel 1 64/!65 d.C. fino alla sua distruzione definitiva da parte dei Sas­ sanidi nel 256/7. Dura Europos, chiamata la Pompei dell'Eufrate soprattutto per lo splendore dei suoi affreschi di varie epoche, profittò della sua posi­ zione sulle rotte di Damasco e di Emesa verso Palmira e fu un centro culturale assai variegato, punto di incontro e di convivenza di genti e culti di varia origine (greci, aramaici, partici e babilonesi, ma la città ospitò anche un mitreo e una sinagoga), producendo una cultura ori­ ginale caratterizzata da varie interazioni. La documentazione locale il­ lumina in certi dettagli la vita sociale e religiosa di questo centro, che si può in parte ricostruire seguendo le tradizioni e le preferenze de­ vozionali dei vari gruppi. Da un lato vi erano militari e veterani macedoni che formavano gli strati superiori della società, il commercio era invece gestito da genti aramaiche per lo più originarie di Palmira. È interessante notare

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA -PALESTINA

come queste ultime non riproducessero a Dura semplicemente la reli­ gione della madrepatria; il numero di divinità al centro della loro de­ vozione appare più ridotto e le preferenze dei mercanti andavano a Bel, laddove i militari palmireni al servizio di Roma propendevano per Yarhibol e Malakbel. In quanto fondazione seleucide, Dura non poteva non ospitare i culti tradizionali della dinastia, cioè Zeus, Apollon e Artemis, Hera­ kles e lo stesso Seleuco Nikator divinizzato. Zeus, in particolare, pro­ tettore personale di Seleuco I, era venerato come mégistos e possede­ va un grande tempio sull'acropoli dove si tributava pure un culto a Baalshamin, venerato come Zeus Kyrios, rappresentato con aspetti che sottolineavano la sua disponibilità ad essere datore della fertilità e fecondità vegetale ed animale. È notevole che fosse proprio Baalsha­ min, che non aveva una dimensione ufficiale a Palmira, ad avere inve­ ce un santuario a Dura e ad essere qui l'unico dio a cui tutti indi­ stintamente tributavano un culto. La religione partica è testimoniata dai templi per la dea Azzanath­ kona/Artemis e il .dio Aplad. li culto della prima, il cui nome sigriliì­ ca "Forza di Anat la genitrice", fu introdotto da mercanti dalla città di Anat che le costruirono un santuario nella parte settentrionale di Dura. Le sue rappresentazioni (è raffigurata in trono fiancheggiato da leoni, con la colomba sul tipo della signora delle fiere) mostrano una tendenza ad assimilarsi ad Atargatis. La stessa Atargatis possedeva un tempio in cui era venerata con il suo consorte classico, Hadad, rappresentato vicino alla dea, fiancheg­ giato da due tori e con il Semeion; qui si tributava anche un culto ad Adonis, venerato nell'ambito dei riti che gli erano caratteristici. S'è detto come Dura fosse sede di una prospera comunità di Pal­ mireni. Nel 3 3 d.C. essi fondano un tempio fuori le mura e un punto di incontro comunitario esclusivo. Sotto i Parti, centri di culto per gli dèi palmireni sono il tempio di Bel, nella necropoli, e il tempio co­ siddetto dei Gadde, così chiamato per le divinità raffigurate nei rilievi del naos, ma di incerta titolarità (Malakbel?). Si tratta di luoghi di culto fondati da loro e con sacerdozio e fedeli palmireni (come indi­ cano anche le dediche prevalentemente in aramaico). La comunità palmirena cresce numericamente durante l'occupazione romana e nel 167/8 gli arcieri palmireni fondano un mitreo. Anche in epoca roma­ na i templi di Bel e dei Gadde conservarono il loro carattere palmire­ no, guadagnandosi fedeli tra i militari dell'esercito romano apparte­ nenti alla Cohors xx Palmyrenorum, che li venerarono come divinità tute!ari. 86

4· IL MONDO A R A M AICO

La devozione dei Palmireni di Dura rivela dunque aspetti origina­ li, soprattutto nella venerazione privilegiata accordata a Bel e a Gad­ Tadmor, scelte che indicano la ricerca di un'identità "nazionale" ca­ pace di oltrepassare le tradizioni religiose tribali, cianiche e familiari, che perdono d'importanza. A parte la Fortuna di Dura, coerentemen­ te, tutte le divinità venerate in questi templi appartenevano a quello che si può definire il " culto municipale" di Palmira. I militari di ori­ gine palmirena invece si discostarono dalle scelte religiose della classe mercantile, aderendo, oltre ai culti degli dèi romani, di Mitra e di Juppiter Dolichenus, a quelli di dèi palmireni come Yarhibol e Ma­ lakbel, meno connotati in senso " civico" .

Altri culti siriani in epoca romana Solo un breve cenno è possibile qui fare ai vari altri centri siriani e ai loro culti a ridosso dell'era cristiana e successivamente alla conquista romana. L'attenzione sarà concentrata soprattutto su quelli che mo­ strano una certa continuità fra le tradizioni locali e le trasformazioni posteriori. Non va dimenticato che i culti siriani rivestirono un ruolo impor­ tante, pur se non maggioritario, nella costellazione di offerte religiose che caratterizzò l'impero romano, affiancandosi, compenetrando e/o sostituendo le tradizioni anteriori. È ormai dimostrata l'inadeguatezza del termine " culti orientali" per definire un panorama religioso tut­ t'altro che omogeneo e per nulla unicamente indirizzato in senso so­ teriologico. Non va sottovalutata la complessità di un processo di se­ dimentazione, segnato da fasi ellenizzanti ma anche da influssi pluri­ direzionali, che fa da presupposto al cosmopolitismo religioso che ca­ ratterizza questo periodo, per il quale la stessa definizione di " sin­ eretismo" deve essere soggetta ad un uso più meditato. È dunque più corretto parlare, anche a proposito delle manifestazioni religiose della Siria tarda, eventualmente di culti di origine orientale, che niente au­ torizza a riunire artificialmente sotto un'etichetta fuorviante. HATRA

Situata in una zona originariamente assira, Hatra fu soggetta a influssi aramaici, con un'eredità culturale complessa che include appunto ele­ menti assiri, achemenidi e seleucidi, parti e romani. Le sue origini sono oscure, ma da ricercare probabilmente in un centro carovaniero

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRI A-PALESTINA

più antico (anteriore al r secolo a.C.) con una popolazione a forte componente beduina. Dal materiale epigrafico in lingua locale emerge che la città era governata da persone che portavano il titolo di "mio signore", di cui è possibile ricostruire in parte la datazione e la sequenza genealogica. Altri titoli attestati indicano forse la funzione di "luogotenente" (ov­ vero si riferisce all'erede al trono), quella di "maggiordomo" o co- munque sovrintendente alla sfera economico-amministrativa Oett. si tratta di un "capo della casa"), senza escludere eventuali connessioni con l'ambito cultuale. Gli dèi principali di Hatra sono chiaramente riuniti in una triade composta da Maran (''Nostro Signore"), Martan (''Nostra Signora") e Barmaren ( ''Figlio del Nostro Signore"). Questo piccolo gruppo fami­ liare, i cui componenti ricevono l'epiteto di "grandi dèi", precede nelle menzioni e nelle invocazioni ogni altra divinità. La dea che ne fa parte è raffigurata con attributi lunari, porta una corona turrita e appare più raramente nelle iscrizioni. n vero signore di Hatra è il suo consorte Maran, in origine dio dal carattere solare, come indica an­ che il fatto che in due casi Barmaren è detto "figlio di Shamash" , circostanza ulteriormente confermata dalle iconografie monetali. Bar­ maren è rappresentato anch'esso con tratti astrali (in particolare luna­ ri: corna, falce e corona radiata), le interpretazioni classiche lo equi­ parano a Dionysos e Apollon e tuttavia, quando è rappresentato da solo, appare come creatore del cosmo caratterizzato dai tratti solari. Nel pantheon di Hatra riveste un ruolo di spicco anche Shamash, titolare di un tempio famoso. Nella teologia locale il dio solare è di­ stinto da Maran e dalla sua triade, anche se è considerato padre di Barmaren e costituisce il teonimo più frequentemente attestato nel­ l'antroponimia. Molti altri dèi erano venerati in ambito cittadino, tra questi Allat, Atargatis, Assurbel, Herakles-Nergal (protettore della città e titolare di un luogo di culto) e anche l'uranico Baalshamin, anch'esso titolare di un santuario. EDESSA

n ben irrigato sito di Edessa (oggi Urfa, nella Turchia sud-orientale) dovette essere sin da tempi remoti un importante luogo di transito e di sosta per i viaggiatori che attraversavano la steppa centro-mesopo­ tarnica, ma le prime testimonianze scritte sul suo conto cominciano solo in epoca ellenistica (a meno che anteriormente non fosse men­ zionata con altro nome). Posta al crocevia tra la celebre "via della

4· IL MONDO ARAMAICO

seta" e gli itinerari che univano l'Armenia alla Mesopotamia meridio­ nale, Edessa rivestiva un'intrinseca importanza strategica ed era per di più al centro di una zona cerealicola. Nel 303/302 a.C., su un sito precedente, Seleuco I fonda quello che può essere ritenuto un nuovo insediamento. Sotto i Seleucidi, e in particolare sotto Antioco IV Epifane ( I 75- I 64), Edessa conosce uno sviluppo e un abbellimento urbano senza precedenti. Alla caduta della dinastia seleucide, Edessa entra sotto il controllo dei Parti (Ar­ sacidi), ma è governata (già verso il 135 a.C.) per un paio di secoli da una dinastia locale, gli "Abgaridi" (dal nome di molti sovrani) , che portano un nome semitico e si destreggiano per conservare una certa autonomia. In seguito al contatto con Roma, Edessa diviene nel 2 1 2/3, sotto Caracalla, la Colonia Antoniniana Edessa, assurgendo poi a metropoli della provincia Osrohene sotto Diocleziano. Centro cul­ turale e sede rinomata di studi filosofici e teologici, diede tra l'altro i natali a Bardesane, mantenendo a lungo un grande prestigio nell'area nord-siriana. Dal punto di vista culturale, Edessa si segnala per un'identità mi­ sta, prodotto di componenti diverse (araba, aramaica, nabatea, persia­ na e greca) che si sviluppano però in manifestazioni locali originali. Si mantiene come lingua l'aramaico a scapito del greco e nel pantheon cittadino un ruolo molto modesto sembrano rivestire fenomeni di in­ terpretatio tra divinità locali ed eventuali corrispondenti greci e/o ro­ mani. Sulla religione di Edessa, in mancanza quasi totale di fonti epi­ grafiche locali, ci forniscono indicazioni soprattutto testi siriaci abba­ stanza tardi, tra i quali il " Libro delle leggi dei paesi", emanato dal­ l'ambiente vicino a Bardesane, l'orazione di "Melitone il filosofo", un altro testo noto come "La dottrina di Addai", !'"Omelia sulla caduta degli idoli" di Giacobbe di Serug e un'orazione dell'imperatore Giu­ liano. Ne emerge un quadro fondamentalmente coerente, che vede la supremazia, nel pantheon locale, di Bel, Nebo, Atargatis e Nerig (Nergal), attorniati dalle divinità lunari e solari, · mentre sembra im­ palpabile la presenza di Hadad (forse identificato con Bel). Baalsha­ min è attestato solo nei nomi di persona. li culto di Atargatis doveva avere ad Edessa caratteristiche non troppo dissimili da quello prati­ cato a Hierapolis, che la vedeva caratterizzata, oltre che come tyche cittadina, anche come datrice di fertilità e fecondità. Certo all 'influs­ so mesopotamico va fatta risalire la venerazione per Bel ( = Marduk) e per suo figlio Nebo ( = Nabu), dio connesso alla scrittura e dun­ que alla somma sapienza, che si esprimeva anche attraverso autorevo-

RELIGIONE E RELIG IONI IN SIRIA- PALESTINA

li oracoli. In primavera si celebrava una solenne festa di rinnovamen­ to annuale, una versione locale dell'Akitu di tradizione babilonese, caratterizzata da riti espiatori, di purificazione, da processioni volte all 'esaltazione di Bel e dalla recitazione di sacri testi tra cui il poema della creazione. La coppia divina formata da Azizos ("TI Forte" ) e Monimos ("TI Compassionevole"), raffigurati su cavallo o dromedario e identificati rispettivamente con la stella del mattino e quella della sera che ac­ compagnano la divinità solare (Nahai/Shamash) , sembrano affondare le loro radici nel sostrato arabo. Anche l'aquila, mitico uccello di Zeus, assume qui una propria autonomia divina, anche in funzione di psicopompo. Natura e poteri divini furono riconosciuti anche ai sette pianeti, soggetti a varie identificazioni tra cui quelle con Bel e Atarga­ tis. Nulla si sa invece delle tradizioni mitologiche e anche l'ideologia funeraria - risultando improbabile per quell'epoca la conoscenza e diffusione di dottrine orfìche è per noi limitata alla considerazione della tomba come "dimora d'eternità" . Edessa fu un celebre centro di cultura, illuminato soprattutto dal­ l'azione e dal pensiero di Bardesane ( 1 .54·2 22), filosofo legato all'ere­ dità classica, schierato contro l'eresia marcionita, ma sostenitore del Docetismo, che negava le sofferenze di Gesù sulla croce e la resurre­ zione del suo corpo terreno. -

ANTIOCHIA

Fondata nel 300 a.C. da Seleuco r Nikator e così chiamata in onore di suo padre Antioco, Antiochia sull'Oronte fu popolata inizialmente da militari e veterani greco-macedoni, ma in seguito anche da genti di provenienza microasiatica, ebrei e naturalmente siriani ellenizzati, di­ ventando una metropoli culturale e commerciale di prima grandezza. Nel 64 a.C. divenne autonoma e entrò a far parte della provincia di Syria. Vari terremoti, quindi la conquista e distruzione da parte del re Sassanide Chosroe 1 nel .540 d.C. portarono alla sua fine. Al vertice del suo pantheon troviamo Zeus, gratificato da epiteti che lo designano come assoluto e inarrivabile signore del tutto ma, insieme, datore di ogni bene e padre attento e soccorrevole. n dio, che godeva di grande venerazione da parte di Antioco IV Epifane, aveva come suo messagge­ ro speciale l'aquila. Tra i culti più importanti vi era anche quello per la tyche cittadina, per Apollon (ritenuto antenato e protettore della dinastia seleucide) , Artemis, Dionysos e sua madre, Semele. Qui si celebrava anche l'antica festa semitica chiamata Maiumas, che durava

4· IL MONDO ARAMAICO

vari giorni, coinvolgendo Dionysos e Aphrodite/Astarte in riti stagio­ nali volti soprattutto a potenziare la fertilità. Di notevole popolarità godeva Herakles, che venne sviluppando aspetti di salvatore del mon­ do in parte condivisi con la figura di Cristo, così come anche Isis e Adonis, con le celebrazioni a lui legate e il culto dei suoi "giardini".

APAMEA

Apamea fu fondata, sempre da Seleuco r, intorno al 3 00 a.C., a seguito della trasformazione di Pella, presidio macedone, in una città così chia­ mata in onore della sua consorte Apame. Metropoli e centro culturale famoso (vi nacquero e operarono tra gli altri Posidonio e il neo-pitago­ rico Numenio) con forse oltre I oo.ooo abitanti nel 1 secolo d.C., di­ venne capitale della Syria Secunda con la riforma di Diocleziano. n pantheon locale, che in passato doveva avere al vertice il "dio della tempesta" Hadad, è in epoca più tarda dominato da Zeus, con la tyche, Athena e Nike, ma anche Demeter e Dionysos. Col tempo è soprattutto il grande dio poliade e la Fortuna cittadina a prendere il sopravvento, eclissando quasi gli altri culti. Questi sviluppi religiosi potrebbero esse­ re stati in parte dovuti all'i.rlflusso del pensiero di Posidonio ( I J5·5 I a.C. ), per il quale " dio" era il nome di una forza vitale da cui tutto deriva e che tutto trasforma, un organismo vitale complesso e percepi­ bile solo ponendosi in empatia con esso. La divinità non è trascendente, non vive fuori dal cosmo, ma è la forza stessa che è in esso e che lo anima: Zeus (Belos) assurge così a creatore, difensore dell'umanità e salvatore universale, un ruolo di dio cosmico incondizionato e assoluto.

DAMASCO

Damasco, di cui s'è parlato per la più antica età aramaica, vide man­ tenersi in bassa epoca al vertice del suo pantheon l'antica coppia for­ mata da Hadad e la sua paredra Atargatis/Astarte, ora sotto la forma greca di Zeus Keraunios e Aphrodite Anaitis. n processo di astraliz­ zazione di divinità e culti, tipico dell'epoca ellenistico-romana, coin­ volge anche l'antico dio della tempesta, equiparato a un Zeus " sola­ re" , il che avviene anche per le rispettive proli di questi dèi supremi. Grande popolarità guadagna anche il culto di Dionysos e della tyche cittadina, mentre la città conosce una nuova fioritura in età adrianea. Allora prende impulsa e si afferma in nuova forma, come Juppiter Damascenus, l'antico Hadad, con un culto largamente transregionale e nuovi santuari, in cui anche Venere (Atargatis) e forse Dionysos ri-

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA -PALESTINA

cevevano onori e devozioni. Diffusi erano anche la venerazione per Adonis e i riti del suo ciclo cultuale. EMESA

Emesa (Homs), nella Siria centrale, situata in una posizione privilegiata nella valle dell'Oronte, fu centro culturale ed etnico molto variegato, con un pantheon formato da divinità siriane, mesopotamiche, arabe e più tardi greche e romane. Celebre era soprattutto il culto di una divi­ nità locale, più tardi solarizzata, e molto popolari erano i divini fratelli Azizos e Monimos, protettori delle carovane e dei commercianti. n dio solare di Emesa conobbe enorme popolarità come El-Gebal, (il "dio della montagna"), il cui culto, legato ad un sacro meteorite, ebbe come sommo sacerdote l'imperatore Marco Aurelio Antonino (2 18-222), che ne assunse anche il nome. Successivamente, nel 274, Aureliano tentò di imporre tra i culti romani di stato anche quello del dio di Emesa, dive­ nuto Deus Sol Invictus, proclamando il 2.5 dicembre giorno di festa per la nuova divinità (dies natalis solis invicti). HELIOPOLIS/BAALBEK

Nella Beqa (antica Coelesyria), a 8.5 km da Beirut, si trovava Heliopo­ lis, il cui nome semitico, Baalbek, significa "Baal!Signore delle lacri­ me" . Resti di un insediamento dell'età del Bronzo sono stati identifi­ cati sotto il tempio romano dedicato all'antico Hadad locale, ribattez­ zato Juppiter Heliopolitanus. Nel m secolo a.C., quando la Siria di­ ventò possedimento dei Lagidi, la città fu chiamata Heliopolis ( "città del sole") e il Baal locale, identificato con Re e Apollon, subì così un processo di solarizzazione. Nel n secolo i Seleucidi scalzarono i Lagi­ di e li respinsero in Egitto, quindi, tra il 100 e il 75, la città fu go­ vernata da una dinastia araba ellenizzata fino alla conquista romana nel 63 a.C. Tutti i templi di Heliopolis, dedicati a Juppiter Heliopoli­ tanus, Bacco e Venere, con un orientamento est-ovest, sono di co­ struzione romana, ma mostrano chiare influenze orientali. n signore di Baalbek, Juppiter Heliopolitanus (Optimus, Maximus, Capitolinus), titolare di un tempio celeberrimo, godeva di un culto che valicava largamente i confini della Siria, venendo praticato in varie zone dell'impero e coinvolgendo gli stessi imperatori romani. n dio era raffigurato con una sorta di corazza, ma al contempo chiaramente ca­ ratterizzato in senso astrale e cosmico. I suoi attributi variano, ma la frusta che tiene nella destra e le spighe nella sinistra lo fanno ricono-

4· IL MONDO ARAMAICO

scere come signore del fulmine ed elargitore di fertilità e fecondità. I simboli planetari ne sottolineano la sovranità e l'onnipotenza cosmica. Accanto a lui era venerata una consorte, identificata con Venere (di certo una Atargatis locale), raffigurata velata in un trono fiancheg­ giato da sfingi. n terzo elemento di quella che si può considerare una triade (a tendenziale somiglianza con la triade capitolina) era un dio locale, identificato con Bacco ma anche con Mercurio, rappresentato anch'esso con simboli siderali e militari, insieme a grifoni che ne ac­ centuavano gli aspetti solari.

HIERAPOLIS

La città di Hierapolis ( '' città sacra" , Bambyke/Membidj) era un cen­ tro della Siria settentrionale, a 20 km dalle sponde dell'Eufrate, situa­ to in una fertile vallata, che esisteva già all'inizio del 1 millennio a.C., ma che ricevette un impulso decisivo da Seleuco I, cui deve il suo nome di "città santa". Centro commerciale e sede di un prestigioso santuario, aveva come divinità poliade una dea, Atargatis, identificata con Hera, il cui nome è composto da quelli di Astarte e di Anat e che era venerata insieme a Hadad, identificato con Zeus. Tra di loro c'era il Semeion (più tardi personalizzato in Simia, figlia di Hadad) , una sorta di pre­ zioso stendardo divinizzato dai complessi simbolismi, con una colom­ ba d'oro posta alla sua sommità, che era portato in processioni so­ lenni due volte all'anno. L'Atargatis di Hierapolis era nota come la "dea siriana" (dea sy­ ria) per eccellenza, godendo di venerazione profonda e transregionale a partire dal IV secolo a.C. Le maggiori informazioni sul suo culto ci vengono da un testo tardo (n secolo d.C.), il De Syria dea, di incerto autore, attribuito ipoteticamente a Luciano di Samosata. n suo san­ tuario, sede di culti anche per altre dee, era celeberrimo per le ric­ chezze e lo sfarzo e sarebbe risalito addirittura a Deukalion scampato al diluvio, evento visto alla base del dominio che la dea esercitava sull'umidità in quanto principio vitale assoluto. L'acqua rivestiva in­ fatti un ruolo centrale nei riti, organizzati in un vero e proprio ordo assai rigoroso che implicava ad esempio il divieto assoluto di uccidere esseri viventi. Due volte all'anno si effettuava un'idroforia (trasporto d'acqua) dal mare, mentre uno stagno sacro ospitava dei pesci sacri alla dea (carpe) in ricordo di un mito di fondazione caratteristico: la dea avrebbe corso il rischio di annegare, ma sarebbe stata salvata proprio dai quei pesci di cui in seguito fu vietato nutrirsi. Una tradi93

RELIGIONE E RELIGIONI IN S ! R ! A · PALESTJNA

zione localizzata nella città di Ascalona identificava la dea siriana con una donna-pesce di nome Derketo, madre di Semiramis. Ad Atargatis erano altresì sacre le colombe, poiché secondo una tradizione mitica la dea sarebbe nata da un uovo di pesce deposto sulle rive dell'Eu­ frate e covato da tali uccelli. La dea siriana aveva una sua caratteristica iconografia: connessa con un leone, con in testa la corona turrita, in trono fiancheggiato da sfingi, in mano una coppa o un ramoscello, tratti che la indicavano come si­ gnora degli animali di cui vari esemplari circolavano liberamente nell'a­ rea del santuario. Essa si presentava però anche come figura materna e protettiva, preservatrice della vita nei suoi aspetti fondamentali (una personalità in parte condivisa con la Magna Mater frighi, Cybele) . n personale addetto al suo culto era numeroso e vario, composto da uomini e donne, con alla testa un sommo sacerdote in veste pur­ purea e con la tiara d'oro. Gli accoliti potevano dar luogo anche ad eccessi quali ferite, scorrimento di sangue e persino l'autoevirazione, nell'ambito di fenomeni collettivi di esaltazione mistica. I sacrifici av­ venivano quotidianamente due volte, con modalità differenti per la dea (accompagnati da musica e canti) e per Hadad (nel silenzio) . n culto della dea siriana conobbe una notevole diffusione tanto in Asia Minore e nel mondo egeo e greco, quanto in Occidente, come a Roma e in Sicilia, trovando spesso fortuna tra emarginati "orientali" e schiavi, sempre comunque interagendo o (più spesso) vivendo all 'om­ bra del culto metroaco prevalente.

DOLICHE

Una straordinaria figura di antico dio della tempesta khurrita (il Te­ shub passato nel pantheon ittita) è alle radici del dio di Doliche in Commagene (Diiliik, in Turchia), noto con il nome di Juppiter Doli­ chenus, sul quale le notizie dettagliate non cominciano che dal II secolo d.C. Abbigliato alla militare, con il berretto frigio, questo dio, speciale protettore dei soldati ma anche signore assoluto del tempo, era signifi­ cativamente raffigurato in piedi su un toro, secondo le tradizioni anato­ liche più antiche. n suo culto, condiviso con una Juno Dolichena in cui è facile ravvisare l'arcaica dea Khebat, era caratterizzato dall'uso di ti­ pici triangoli di bronzo dalle funzioni e dai simbolismi ancora non del tutto chiariti. Juppiter Dolichenus conobbe una certa popolarità anche al di fuori dei confini regionali, culminata, all'inizio del m secolo, in epoca severiana (con un santuario sull'Aventino) , ma non poté riva­ leggiare con quello di Mitra né per durata né per diffusione.

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Gli stati transgiordanici

La regione situata al di là del fiume Giordano fu abitata prevalente­ mente da genti seminomadi ad economia agro-pastorale. In tale area, almeno a partire dal IX secolo a.C., si manifestano processi di pro­ gressiva riunificazione territoriale con il sorgere di stati nazionali, a forte identità etnica, governati da un sovrano, che mostrano un sem­ pre maggiore livello di urbanizzazione. Caratteristica di tali formazio­ ni statali fu, come s'è detto altrove, il permanere di un assetto ten­ denzialmente tribale, fondato sui valori del clan e della famiglia, con un'ideologia e una struttura religiosa tipiche di questa tipologia socio­ economica. Quanto alle vicende storiche, vista la sostanziale inattendibilità storiografica dei dati vetere-testamentari al riguardo, le nostre fonti pur limitate ci consentono di ritenere che i regni transgiordanici con­ servassero la loro indipendenza fino a quando furono costretti a pa­ gare il tributo al re assiro Tiglat-Pileser 11, a seguito delle sue campa­ gne militari del 734-732 contro Damasco e Israele, divenendo da quel momento in poi e per un lungo periodo vassalli dell'Assiria. Tale condizione li preservò comunque da una sorte peggiote e assicurò loro una relativa prosperità, grazie soprattutto ai commerci consentiti dalla posizione geografica sulle vie carovaniere tra la Siria meridionale e la penisola arabica.

Gli Ammoniti Gli Ammoniti - il cui nome è connesso dall'Antico Testamento con un antenato mitico eponimo - erano una popolazione seminomade degli altipiani transgiordanici settentrionali che si stanziò progressiva­ mente, tra la fine dell'età del Bronzo e gli inizi del Ferro, a est del medio corso del Giordano, con un confine meridionale da porsi al­ l' altezza di Heshbon, ai limiti settentrionali del Mar Morto. La loro

REL I G I O N E E REL I G I O N I IN S I R I A · PALP.STINA

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RELIGIONE E REL I G IONI IN SIRIA-PALESTINA

sedentarizzazione si inquadra in quell'ampio processo storico sopra menzionato che vide formarsi nuovi stati a base nazionale, che vide anche lo stanziamento dei Moabiti ad est del Mar Morto (in un terri­ torio difficile da delimitare con precisione) e, più a sud, degli Edomi­ ti, e che dovette svolgersi parallelamente, anche se in forme diverse, al processo di individuazione e consolidamento di Israele. Capitale del regno ammonita fu Rabbat Amman (oggi Amman in Giordania), divenuta poi Filadelfia all'epoca del re Tolomeo n Fila­ delfo (281-246): un importante centro di traffici carovanieri posto al crocevia degli itinerari commerciali della regione. Conquistata dai Ro­ mani nel 63 a.C., Filadelfia-Amman entrò a far parte della Decapoli e, sotto l'imperatore Traiano, fu integrata nella provincia romana d'Arabia. Già nel Medio Bronzo n sono attestate tombe nella regione am­ monita e si è individuato un tempio datato al xv secolo. Preliminar­ mente alla trattazione degli Ammoniti come unità politica consolida­ ta, va fatta menzione però di un ritrovamento archeologico dell'età del Bronzo dalle importanti implicazioni storico-religiose, anche se un suo eventuale nesso con gli Ammoniti d'epoca storica resta natural­ mente tutto da precisare. Un edificio sacro, in uso già nel corso del XIII secolo a.C, è venu­ to alla luce a circa 3 km a nord-est di Amman. Si tratta di una picco­ la costruzione quadrata, probabilmente a cielo aperto, consistente in sette ambienti, uno dei quali è una cella contenente un altare. All'e­ sterno si trovava un inceneritore in pietra con vari resti di combu­ stione sparsi anche dentro la costruzione e in particolare all'interno della cella. Accanto a ceramica, gioielli e altri oggetti, sono stati rin­ venuti migliaia di frammenti ossei appartenenti per oltre il 90% a. es­ seri umani. Non è stato possibile accertare con sicurezza né l'età né il sesso degli individui cremati, ma sembra probabile che i resti ossei siano appartenuti almeno a una decina di persone, delle quali alcune molto giovani, mentre in altri due casi sembra trattarsi di un ragazzo e di una donna sulla quarantina. Va ancora segnalata la notevole quantità di armi trovate nell'edificio, tra cui molte punte di freccia proprio nella cella. n materiale ceramico e glittico qui rinvenuto te­ stimonia una forte internazionalità di influssi, anche se non si hanno motivi per dubitare che si trattasse di un'installazione locale poiché, come accennato, il centro più vicino era la stessa Amman. L'interpretazione puntuale del complesso non è agevole e sono sta­ te proposte due possibili letture alternative: si tratterebbe di un edifi­ cio a funzione funeraria, owero di un tempio che avrebbe ospitato anche uccisioni umane. Questa seconda ipotesi non appare inverosimi-

5 , GLI STATI TRANSG!O RDA N !C I

le, visto il numero limitato di corpi rinvenuti nell'arco di tempo della probabile attività del complesso e in virtù del fatto che i frammenti ossei sembrano indicare che i cremati erano appena morti e non ave­ vano perso molto sangue. Le armi rinvenute, in particolare, suggeri­ scono un carattere violento delle morti avvenute, forse nell'ambito di cerimonie che hanno indotto addirittura a pensare alla messa a morte dei figli di Saul ad opera dei Gibeoniti (2 Sam. 2 1 , 1 -1 4 ). In ogni caso le tradizioni di sacrifici umani che circolavano proprio nell'area in questione, oltre alle evidenze archeologiche, rendono possibile che il complesso fosse destinato all'uccisione rituale di esseri umani, anche se in contesti e per eventuali destinatari non individuabili. Scendendo nel tempo, nella fase iniziale dell'età del Ferro l'area rivela solo la presenza di villaggi dalle ridotte dimensioni, con preva­ lenza dunque di popolazione nomade nel territorio. Un edificio a funzione religiosa (un tempio a corte aperta) è stato individuato, du­ rante il Ferro I, nel sito di Tell el-Mazar, nella valle del Giordano, a sud di Tell es-Saidieyh. La storia degli Ammoniti si intreccia con quella del popolo ebrai­ co, come testimonia a suo modo l'Antico Testamento, con posta in gioco la difesa e/o l'ampliamento dei rispettivi territori, ma le loro relazioni conobbero certo anche fasi di pace. Anche se le notizie bi­ bliche non sono storiograficamente affidabili, permane il loro grande interesse per la visione storico-culturale "esterna" degli Ammoniti che esse presentano, che resta l'unica testimonianza di questo tipo a no­ stra disposizione. Collegati dunque alla famiglia di Abramo (Gen. 19,30 ss. ) , gli Ammoniti sono comunque tra i popoli vicini messi al bando dagli Israeliti (Deut. 2 3 , 3 ; Nehem. 1 3 , 1 .3 .8). Se si guarda ai dati della cultura materiale, non sono molti gli ele­ menti che differenziano ai nostri occhi gli Ammoniti dagli Ebrei di Samaria o di Gerusalemme, dai Moabiti e dagli Edomiti. Gli aspetti distintivi, che di certo esistevano, vanno indicati soprattutto nella lin­ gua (tutti idiomi semitico-occidentali autonomi, anche se vicini all'e­ braico e al fenicio), probabilmente nelle tradizioni mitologiche (di cui però nulla sappiamo) , nel pantheon e nelle forme del culto, che do­ vette possedere proprie peculiarità. Anche in questo caso, però, pur presupponendo formulazioni specifiche, nell'area transgiordanica ci si trova di fronte a universi divini e usanze cultuali che mostrano strut­ ture tendenzialmente analoghe. Si tratta, cioè, di pantheon composti da un numero ristretto di figure (almeno in base alle nostre fonti), con la caratteristica comune di essere incentrati sul culto preponde­ rante di un dio nazionale (probabilmente creatore) dai caratteri ura­ nici, guerrieri, protettivi in specie nei confronti della regalità, una sor99

RELIGIONE E RELIGIONI IN S I R! A·PALF.ST!NA

ta di erede del "dio della tempesta" delle epoche anteriori. Tale figu­ ra dagli aspetti polifunzionali ha accanto a sé una dea, sua sposa, e alcune (non numerose) divinità di rango inferiore, le quali, poco atte­ state a livello ufficiale, dovevano godere di una diffusa venerazione nell'ambito della devozione personale e familiare. Per questa struttura dell'universo divino c'è chi ha parlato di "politeismo limitato" , men­ tre altri hanno addirittura messo in dubbio di avere a che fare con un politeismo. Al di là del problema definitorio, occorre prendere atto che questa è la "forma" religiosa caratteristica di tali nuclei socio-po­ litici, per i quali era centrale l'esigenza di una comune venerazione, quasi una monolatria, nei confronti del dio nazionale, che conferiva identità e unità nel presente come nel passato leggendario. Le nostre scarse fonti dirette sugli Ammoniti e sulla loro cultura, oltre a quelle archeologiche, sono di natura epigrafica, mentre altre informazioni indirette si ricavano dai testi biblici. I documenti epigrafici si riducono a poche iscrizioni, alcuni ostra­ ca e un centinaio di sigilli, compresi in un periodo che va dal rx al v secolo a.C. La documentazione proviene soprattutto da Amman, Heshbon e Tell el-Mazar; abbiamo poi alcune iscrizioni greche di epoca ellenistica, mentre ulteriori elementi di conoscenza sono offerti dalla numismatica. Altre informazioni sono fornite dall'insieme degli antroponimi che, come di consueto, costituiscono un repertorio inte­ ressante per gli squarci che aprono sulle tradizioni familiari e la devo­ zione che ispirava il conferimento del nome. Un elenco delle divinità attestate nell'onomastica personale include, oltre al dio nazionale Mil­ kom, una lunga serie di divinità o epiteti divini tra _cui un Baal (che potrebbe essere una designazione di Milkom) e altri ancora (secondo una lista redatta recentemente avremmo: Aden, Addin, Ali, Anat, Ashima, Astarte, Baal, Bes, Dagon, Gad, Hadad, Inurta/Ninurta, n, Milkom, Mot, Nanaia, Ner, Qos, Rimmon, Shamash, Sid, Yahweh, Yam, Yerah). Per quanto qualcuno abbia rilevato la scarsa presenza di Milkom, pensando piuttosto a El come dio principale ammonita, l'insieme della docum�ntazione (Milkom è attestato anche diretta­ mente sui sigilli ) non consente di dubitare del ruolo primario di que­ st'ultimo nell'ambito del' pantheon nazionale. Milkom, dio poliade di Amman, protettore del re, era dunque il dio nazionale degli Ammoniti: una divinità che porta già in sé etimo­ logicamente l'idea di regnare o governare. n dio è menzionato nell'i­ scrizione della cittadella di Amman (IX-VIII secolo), che sembra cele­ brare la costruzione di un tempio (o delle mura cittadine) per suo ordine (ma non è sicuro; vi è un'espressione che potrebbe anche in­ dicate un"'assemblea divina"). n suo culto doveva godere di larga IOO

, . GLI STATI TRANSGJORDANICI

popolarità e diffusione addirittura in Israele se Salomone, che ebbe mogli ammonite (come Naama, madre di Roboamo) , gli costruì una cappella (I Re 1 1 ,5 ) sul Monte degli Ulivi (Targum a 2 Re 2 3 , 1 3 ), successivamente distrutta a seguito della " riforma" religiosa di Giosia (2 Re 2 3 , 1 3 ) . Per quanto riguarda la personalità di Milkom, elementi etimologi­ ci e comparativi inducono a vedere in lui una figura bellicosa e con­ nessa strettamente alla regalità, formatasi e modellatasi probabilmente nell'ambito della tradizione degli antenati reali divinizzati tipica del­ l'area siro-palestinese. In particolare, esistono non pochi indizi che ne fanno presupporre un'affinità con il fenicio Melqart, anch'egli "re" della città (di Tiro), assimilato con Herak.les/Hercules. A tale propo­ sito, è da menzionare un'iscrizione greca di Amman dedicata ad un personaggio di alto rango, "ginnasiarca per due giorni" , il quale porta tra l'altro il titolo di "resuscitatore (egerseites) di Herakles" , quest'ul­ timo documentato anche sulle monete locali. Tale epiteto richiama il titolo cultuale fenicio-punico di miqim elim, cioè "resuscitatore della divinità" , che abbiamo visto rivestire un ruolo cospicuo nella festa ti­ da in onore di Melqart, il cui momento centrale era la celebrazione del suo " risveglio" annuale. Ad Amman tale celebrazione comportava forse una processione del carro sacro a Herakles, raffigurato sulle monete. L'insieme di tali elementi lascia dunque supporre che fra Milkom e Melqart!Herakles esistessero forti affinità sul piano della personalità, del culto e forse del background mitologico (Sof. 1 ,4 ss. sembra addirittura confonderli) , autorizzando pertanto a ritenere che entrambe queste divinità "nazionali" affondassero le loro radici in una tradizione comune e condivisa. Accanto a Milkom era probabilmente venerata una figura femmi­ nile, sua paredra, identificabile forse in una versione ammonita di Astarte, altro elemento che rafforza il parallelo con Melqart e confer­ ma l'analogia tra l'universo divino ammonita e i pantheon delle varie città fenicie. Un sigillo iscritto testimonia infatti la devozione di un ammonita di passaggio a Sidone per la dea locale Astarte, menzionata in forma abbreviata. Che si tratti di una devozione con radici nella stessa religione ammonita lo conferma un passo di Stefano di Bisan­ zio (Ethnikà, s.v. Philadelpheia), mentre la stessa Astarte, definita come Asteria, si ritrova effigiata su monete di Amman. Un altro si­ gillo appartiene a un personaggio che si autodefinisce "servo di Baal " , titolo che deve alludere a una funzione cultuale precisa: sull'i­ dentità di questo Baal non si possiedono notizie, ma è possibile che si tratti di un epiteto riferito al dio nazionale Milkom. 101

RF.LIG!ONE E RELIGIONI IN S I R I A -PALESTINA

Tra il VII e il VI secolo, un periodo che dovette essere stato di grande prosperità per gli Ammoniti, la maggior parte dei ritrovamenti viene dall ' area di Amman, specie una produzione scultorea straordi­ naria e senza paragoni rinvenuta soprattutto ai piedi della cittadella. Si tratta di statue che rappresentano prevalentemente personaggi ma­ schili (alcuni femminili), una produzione stilisticamente differenziata, databile tra il x e il VI secolo. I personaggi maschili, che portano un copricapo a fasce orizzontali, sono certamente sovrani o alti funziona­ ri di corte; altri personaggi sono caratterizzati dalla tiara egiziana ate/ che potrebbe essere un segno della loro avvenuta equiparazione agli dèi. Un problema particolare è posto dalla statua del re Yerahazar, che non porta il copricapo egiziano e per questa ragione si è ipotizza­ to che la statua fosse stata eretta quando egli era ancora vivo e non ancora divinizzato. In altri siti dell'area (la stessa Amman, Tell Umay­ ri e Tell Jawa) sono state ritrovate figurine di argilla con caratteristi­ che simili a quelle delle statue, specie la forma del copricapo: questo rende fondata l'interpretazione in chiave divina del tipo iconografico (il dio Milkom?), dato che non appare plausibile l'ipotesi di un re raffigurato in forma di figurina, ma potrebbe anche trattarsi di ante­ nati, alla stregua degli idoli domestici denominati terafim nella Bibbia ebraica. La natura divina è molto probabile anche per le figure fem­ minili, che presentano una varietà di atteggiamenti (alcune hanno le mani ai seni, altre hanno il fiore di loto, tutte hanno l'acconciatura egiziana), senza escludere che in qualche caso possa trattarsi di regi­ ne. Doveva comunque esistere un repertorio iconografico abbastanza polivalente e diffuso trasversalmente nella regione, con identificazioni locali diverse. Scendendo nel tempo, all 'epoca romana risale un tempio dedicato a Zeus Amman, ormai non più direttamente connesso con le tradizio­ ni locali. Se, come appare probabile, il veggente Baalam menzionato nell'Antico Testamento come arameo (Num. 22-24) e nella celebre iscrizione su intonaco rinvenuta a Deir-Alla, era di origine ammonita, anche il dio El li menzionato potrebbe rientrare in questo pantheon, ma l'intero contesto divinatorio e oracolare presupposto dal perso­ naggio costituisce comunque un prezioso esempio delle credenze e pratiche del milieu culturale cui appartennero anche gli Ammoniti. Un'ultima notazione concerne i costumi sepolcrali e le concezioni escatologiche degli Ammoniti: vari indizi lasciano pensare ad una dif­ fusa venerazione per i defunti e a una fede nella sopravvivenza nel­ l'aldilà, probabilmente in forme larvate e ridotte, come è nelle tradi­ zioni generali dell'area. I02

:S · G L I STATI TRANSGJORDANICI

I Moahiti Coinvolti nello stesso lento processo di sedentarizzazione di genti se­ minomadi a economia prevalentemente pastorale sono i Moabiti, il cui nome si ricollega all'altopiano transgiordanico del Kerak, delimi­ tato ad ovest dal Mar Morto e ad est dalla valle superiore dell'Amon e dal deserto arabico. Questa regione fu abitata già a partire dal XIII secolo a.C. da specifiche genti semitiche che praticavano l'allevamen­ to e l'agricoltura. A dispetto dell'attestazione del nome Moab in un testo egiziano dell'epoca del faraone Ramesse II nella prima metà del xm secolo a.C. , un regno moabita vero e proprio non dovette co­ stituirsi prima del 900 a.C., forse proprio con quel Kamoshyat, padre del celebre Mesha autore dell'iscrizione risalente al IX secolo a.C. , con capitale Qir-Moab (oggi el-Kerak). La storia dei Moabiti li vede coinvolti in lotte regionali per la so­ pravvivenza e per l'estensione del territorio, dapprima contro genti locali, quindi contro gli lsraeliti. Vinti da David, dopo lo scisma tra Israele e Giuda i Moabiti rientrano nell'orbita di influenza del regno settentrionale. li re Omri (885 -874) e suo figlio Achab (874-85 3 ) im­ pongono loro un tributo periodico. Alla morte di Achab il re Mesha si ribella alla soggezione: gli eventi in questione ci sono parzialmente noti sia attraverso la redazione biblica (2 Re 3 ,4-27) , sia attraverso la stessa iscrizione del re moabita. Secondo quanto narra la stele di Mesha, il re moabita si ribellò vittoriosamente al giogo di Israele e, in seguito a tale successo, stabili la propria capitale a Dhibon e fu pro­ motore di un'intensa attività edilizia nelle città del suo regno. I suoi successori sembra abbiano contribuito ad ampliare ulteriormente il territorio del regno e a garantirne la prosperità. Divenuti in seguito vassalli e tributari dell'Assiria, i Moabiti entrarono poi a far parte del­ l'impero neo-babilonese e quindi di quello persiano. Per quanto riguarda la guerra israelitico-moabita, i due testi, l'i­ scrizione di Mesha e il racconto biblico, divergono nell'interpretazio­ ne e nell'attribuzione del successo, ma mostrano identici presupposti ideologici sul piano della "teologia della storia" , giacché nella guerra appaiono coinvolte le due divinità nazionali (Yahweh e Kamosh) di cui si magnifica la potenza, a capo dei rispettivi popoli. In ogni caso, anche secondo la narrazione biblica (2 Re 3 ,4-27) l'esito del conflitto non sembra essere stato del tutto favorevole agli lsraeliti, se il sacrifi­ cio del figlio del re moabita, gettato dalle mura della città assediata, riesce a mettere in fuga gli assedianti: si tratta di un episodio che me­ rita un'analisi più dettagliata. 1 03

RELIG IONE E REL I G I O N I IN S I R I A · PALESTI N A

La vicenda è nota. I due re, Jehoram d'Israele e Jehoshafat di Giuda, muovono guerra a Mesha, re di Moab, che si è ribellato con­ tro il re d'Israele dopo la morte di Ahab. Durante la marcia nel de­ serto di Edom i due alleati consultano il profeta Eliseo sugli esiti del conflitto: Eliseo vaticina la disfatta dei Moabiti e la distruzione delle loro città e campagne, il che puntualmente awiene. Stretto nell'asse­ dio della propria capitale, Kir-haraset, Mesha come extrema ratio de­ cide di sacrificare il proprio figlio e successore in olocausto sulle mura: allora una grande ira si scatena contro gli Israeliti, che desi­ stono dall'assedio e ritornano in patria. Si tratta di un testo di ardua interpretazione, che presenta diffi. coltà di diversa natura. Qui ci interessano soprattutto le implicazioni storico-religiose, tanto a livello ideologico che rituale, che da esso si possono desumere. Chi è, innanzitutto, il destinatario del sacrificio (propriamente "olocausto" ) compiuto da Mesha? Chi è che scatena l'ira contro gli Israeliti, e perché? Per la prima domanda, i commenta· tori antichi pensavano allo stesso dio d'Israele, laddove in tempi più recenti si propende per il dio moabita Kamosh, ma il testo biblico è muto in proposito né fornisce chiarimenti sul perché del colpo di sce­ na. In ogni caso, nell'Antico Testamento solo Yahweh è passibile di originare un'ira di carattere soprannaturale, anche se molto di rado si parla di un'ira rivolta contro gli stessi suoi fedeli. Una possibile solu­ zione sarebbe pensare che il gesto estremo compiuto da Mesha, l'olo­ causto del figlio, abbia scatenato una forza impersonale e incontrolla­ bile, che ha agito in favore degli assediati, un potere più forte anche di Yahweh, che rappresenta in un certo senso un limite ai suoi stessi poteri. n sacrificio del figlio (primogenito ! ) di un re è ben noto nelle tradizioni dell'area, in situazioni di grave crisi o pericolo, come dimo­ stra ad esempio il racconto di fondazione della pratica istituita dal dio El (Kronos) nei tempi del mito (in Filone di Biblo). L'attribuzione ai Moabiti del rito, che non trova adeguata spiegazione teologica all 'in­ terno del testo biblico, deve comunque considerarsi una testimonianza della conoscenza della pratica nelle tradizioni dell'area, anche se essa dovette probabilmente venire superata nella realtà storica. n documento diretto di gran lunga più importante sui Moabiti è, come accennato, proprio la stele del re Mesha, un'iscrizione votiva o celebrativa forse connessa con il luogo sacro che essa menziona (l. 3 ) , costruito in rendimento di grazie per un'azione salvifica compiuta dal dio Kamosh. n re vi parla in prima persona e si riferisce esplicita· mente al pericolo militare scongiurato con l'eliminazione definitiva della minaccia israelita. Omri e suo figlio avevano oppresso Moab, circostanza spiegata con la collera di Kamosh verso il suo paese. n

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GLI STATI TRANSGIORDANICI

testo sembra alludere non già all'episodio dello scontro con la coali­ zione, ma piuttosto alla conquista di una serie di territori israeliti po­ sti nell'area a nord dell'Arnon (tribù di Gad). L'atteggiamento della divinità tuttavia muta, consente a Mesha di riguadagnare le posizioni perdute e, in particolare, di conquistare la città di Atarot, possesso di Gad, uccidendone gli abitanti. Di lì il re moabita riporta come trofeo di guerra un altare o un simbolo religioso ebraico (la figura leonina di David?), presentandola al proprio dio. Questi riparla al suo fedele invitandolo a prendere Nebo, in possesso di Israele. Mesha riesce nel­ l'impresa compiendo una vera strage, con l'uccisione di 7 .ooo perso­ ne di ambo i sessi e di tutte le età e dedicando le vittime e il trionfo a Kamosh, qui chiamato Athtar-Kamosh, a cui consacra anche le sup­ pellettili di Yahweh (qui si ha la prima menzione extra-biblica diretta del teonimo). L'iscrizione menziona poi altri scontri vittoriosi contro gli lsraeliti, soffermandosi quindi a ricordare l'attività edilizia del so­ vrano. li testo, frammentario nella parte finale, si chiude con la com­ memorazione di altre imprese, compiute sempre su volontà del dio nazionale. Altri documenti diretti di origine moabita sono scarni e frammen­ tari e poco o nulla ci dicono sulle credenze, sul culto e in particolare su Kamosh, un teonimo attestato già a Ebla e a Ugarit. Del dio si ha forse una rappresentazione su una stele anepigrafa di Shihan (Rujm el-Abd), del IX-VIII secolo a.C. , dove è raffigurato come dio guerriero munito di elmo e lancia (in seguito sarà significativamente assimilato ad Ares). Per quanto riguarda l'Antico Testamento, da esso apprendiamo che Salomone, oltre che per Milkom e Astarte, avrebbe costruito an­ che per il dio Kamosh un luogo sacro presso Gerusalemme ( r Re u ,7 ; 2 Re 2 3 , 1 3 ; cfr. altre notizie nell'oracolo contro Moab in Ger. 4 8 , 1 ss.). L'episodio delle uccisioni di massa compiute da Mesha nel corso della sua guerra, con le vittime consacrate a Kamosh, è del tut­ to analogo al herem ebraico. li sacrificio del figlio del re sulle mura, compiuto per sconvolgere gli assedianti e farli desistere dal combatti­ mento, viene a torto assimilato ai regolari sacrifici di bambini fenicio­ punici: si tratta di un'uccisione rituale eccezionale, volta a risolvere una situazione di crisi e riguadagnarsi la protezione di Kamosh. Evidenti sono le analogie, di natura teologica e cultuale, tra Moa­ biti e Israeliti, entrambi compatti in un culto monolatrico del dio na­ zionale, entrambi possessori di un'istituzione che prevede il voto tota­ le di uomini e beni alla divinità che li guida in guerra e ne ha a cura le sorti. Ciascun dio intrattiene un dialogo diretto ed efficace con i ·

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RELIGIONE E RELIGIONI IN S J R I A · PALESTINA

rispettivi sovrani, suoi fedeli esecutori terreni, che solo seguendone le direttive riescono a condurre a buon fine le loro imprese.

Gli Edomiti Anche nella regione posta a sud dell'attuale Giordania, sull'altopiano del Seir, ad est del Wadi el-Araba, varie tribù di pastori nomadi si sedentarizzarono progressivamente tra la fine dell'età del Bronzo e l'i­ nizio del Ferro, costituendo il popolo degli Edomiti (Edom = " [ter­ ra] rossa"), chiamati dagli Israeliti "Figli di Esaù". Nelle lettere di El-Amarna (288,26: lettera di Abdu-kheba di Ge­ rusalemme al Faraone) troviamo l'espressione "terre di Sheru", che indica forse una suddivisione interna di un territorio che includeva anche miniere di rame. Nei testi egiziani il nome Edom appare in un papiro (Pap. Anastasi VI .5 1 -6 1 ) del 1 2 1 6 a.C. (ottavo anno del farao­ ne Merneptah) collegato ai beduini Shasu, il che conferma che la po­ polazione di quest'area doveva essere prevalentemente seminomade e ad economia agro-pastorale. È soltanto a partire dal x secolo che le genti edomite si stabilizzano in un regno centralizzato con capitale Bosra e mantengono la propria indipendenza fino all'epoca del regno di David; inglobate successivamente nel territorio israelitico, si rendo­ no nuovamente indipendenti sotto Joram (ca. 848-841 a.C.) dandosi un re (l Re 22,4 8 ) . Segue l'assoggettamento da parte dagli Assiri, con pagamento del tributo intorno alla fine del rx o inizio dell'VIII secolo. fl Vll secolo rappresenta un'epoca di relativa prosperità, quindi SO· pravviene il dominio babilonese e infine quello persiano. Gli Edomiti perseguirono in genere una politica pacifica e pro­ sperarono grazie al controllo delle vie commerciali che passavano tra Arabia e Siria, fondandosi quindi sull'agricoltura e sul commercio. Usualmente si dà il nome di Idumea al territorio e di Idumei ai suoi abitanti nelle epoche posteriori allo stato edomita (il distretto di Idu­ mea come unità amministrativa distinta inizia dal IV secolo a.C.) . Anche nel caso degli Edomiti, l'Antico Testamento è fonte di in­ formazioni di vario tipo, interessanti ma sempre da acquisire con me­ todo critico. In Gen 3 6,3 1-39 si ha una lista "edomitica" (cfr. I Cr r ,43-.5 r a) che elenca una sequenza di otto re, nessuno dei quali è, sorprendentemente, figlio del precedente (ma forse la lista non è si­ stematica). Un altro dato biblico rilevante è costituito dalla distinzio­ ne operata tra "Figli di Esaù" e "Figli di Seir" , il che sembrerebbe riflettere una dualità di clan di epoca arcaica (Gen 36,ro-3o.4o-43i r Cr 1 ,J.5 ·42 . .5 1b-.54). In Gen J6,ro·I4 l'autore biblico identifica Esaù 106

, . GLI STATI TRANSGJORDANICI

con Edom, quindi la genealogia dei "Figli di Esaù" descriverebbe la divisione genealogica della popolazione sedentaria sui monti ad est del Wadi el-Araba, mentre i "Figli di Seir" sembrano invece i nomadi situati su entrambi i lati del Wadi che sono m rapporto con lo stato di Edom. Sulle credenze e i culti degli Edomiti non abbiamo che una scar­ sissima documentazione scritta, epigrafica e letteraria, quest'ultima rappresentata dall'Antico Testamento: sono celebri, in particolare, le tradizioni bibliche sulla "fratellanza" con gli Edomiti contenute nel " ciclo" di Giacobbe-Esaù (Gen 2 .5 , 19-28.29-34; 27,1-45; 3 2 ,4-2 1 ; 3 3 , 1 - r6), in cui s i riflette l a coscienza di un'origine condivisa, s e non proprio comune: memoria che si mantenne viva anche se di fatto non impedì inimicizia e ostilità. L'archeologia, d'altro canto, ci fornisce preziose informazioni integrative su installazioni sacre, figurine e og­ getti usati in ambito templare. Mentre vi sono siti paleolitici, neolitici, calcolitici e del Bronzo Antico, è attestato un gap nel Medio e Tardo Bronzo, seguito da una forte esplosione nell'età del Ferro, soprattutto nel Ferro n. In particolare, abbastanza coerentemente con i dati te­ stuali, l'archeologia testimonia, specie nel nord del territorio, delle in­ stallazioni durante il Ferro r nella zona a sud del Wadi el-Hasa, che costitul il territorio degli Edomiti. È possibile che sia esistito un dio Edom eponimo degli Edomiti, eventualmente connesso con il territorio anche attraverso il colore del suolo ( '' rosso"), ma tale divinità non ha lasciato tracce concrete di culto. Invece le poche testimonianze epigrafiche in nostro possesso ri­ velano che il principale dio degli Edomiti era Qòs (*Qaus), attestato direttamente intorno al 6oo a.C. in una formula di benedizione ("ti benedico [nel nome] di Qòs" ) nell'esordio della lettera edomita di H01vat Uza (Khirbet Ghazza), oltre che in qualche altro documento epigrafico (due iscrizioni da Horvat Qitmit e un'altra da Bosra/Busei­ rah). Per quanto riguarda le sue origini più remote, si hanno indizi di Qòs addirittura nel XIII secolo, come elemento teoforico in nomi di beduini Shasu dell'area giordana attestati nei documenti egiziani. È dunque verosimile che il dio assurgesse progressivamente al ruolo di patrono di un gruppo che, sedentarizzandosi, lo fece diventare vera e propria divinità nazionale di un regno. La preminenza quasi assoluta di Qòs è confermata dai dati dell'o­ nomastica edomita, che mostrano, tra l'altro, come due dei tre re a noi noti portassero un nome teoforo con Qòs (Qòsmalak, contempo­ raneo dell'assiro Tiglath-Pileser III, e Qòsgabar, il cui regno è poste­ riore a quelli di Esarhaddon e Ashurbanipal in Assiria; il terzo re si chiama Ajaram), senza contare altri nomi propri in cui il dio compare

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RELIGIONE E RF.LIGJONJ IN SJRIA· PALESTINA

e la frequenza e permanenza del teoni.mo nell'antroponimia regionale anche in tempi posteriori come l'età achemenide, in una varietà di documentazioni, lingue e supporti (persiana, aramaica, greca, iscrizio­ ni e papiri, in aree che includono l'Egitto e l'Arabia del nord [De­ clan] ) . Egli riceve epiteti come " re" e "forte"; a lui, che parla/affer­ ma, conosce, fa ed è luce per gli uomini, sono ascritte anche tipiche azioni di guerra come l'assalire o il respingere gli attacchi, interpreta· bili anche come interventi protettivi a livello personale. Dopo il collasso dello stato edomita, il dio Qos potrebbe essere stato coinvolto in un processo di identificazione con il dio nazionale nabateo Dushara (cfr. in/ra) , poiché la parte meridionale del territo­ rio edomita passò a far parte del territorio nabateo, ma vi sono anche indizi di un suo accostamento ad Apollon. Un'iscrizione di Bosra del n-m secolo d.C. in nabateo e in greco, apposta su un'aquila in ba­ salto, attesta che si tratta di un'offerta per l'antico dio edomita; un'al­ tra iscrizione su stele da Tannur è ugualmente dedicata a Qos. Men­ zioni in iscrizioni cuneiformi achemenidi, lihyanitiche, thamudee e sa­ faitiche, greche (teoni.mo e nomi di persona) costituiscono le più tar­ de attestazioni di questa divinità. Legato dunque in origine a gruppi tribali dalla struttura cianica, Qos divenne una figura complessa di divinità nazionale alla stregua di Milkom e di Kamosh e cioè, da un lato, patrono del re e dell'istituto monarchico, dall'altro dio guerriero come gli "dei della tempesta" della tradizione siriana più antica. n suo nome significa "arco" (eti­ mologia araba), il che, oltre a collegarlo alla sfera bellica, potrebbe al contempo rivelame i tratti di un'arcaica figura legata alla caccia, ben accordandosi con le tradizioni bibliche sul cacciatore Esaù. In questo senso sembrano parlare anche i ritrovamenti nel complesso sacro di Horvat Qitmit (cfr. in/ra), che lasciano pensare anche a un aspetto della personalità di Qos come "Signore degli animali" in un contesto di natura stepposo-desertica. Per quanto riguarda altre eventuali figure divine venerate dagli Edomiti, alcuni antroponimi contengono con certezza almeno due teoni.mi: in primo luogo El e poi, molto meno frequentemente, Baal! Hadad. Resta una questione aperta se si tratti di epiteti o di veri e propri nomi divini, ma la scarsità documentaria non consente con­ clusioni definitive di nessun tipo, salvo la conferma di Qos come dio nazionale. Venendo ai dati biblici concernenti gli Edomiti (circoncisi come Israeliti, Egiziani, Ammoniti e Moabiti, cfr. Ger 9,25 ss.) , si ritiene che la loro religione fosse affine a quella praticata in Israele e Giuda, ivi compreso il culto di Yahweh, spesso connesso con toponimi edo108

:; , GLI STATI TRANSGJORDANICI

miti. L'Antico Testamento usa promiscuamente Seir e Edom e questa volta non menziona mai esplicitamente il dio degli Edomiti, di cui l'unica traccia è costituita dall'antroponimo teoforo Barqos (Esd 2 ,5 3 = Nehem. 7 ,55 ) . Ciò che colpisce particolarmente l a nostra attenzio­ ne è il fatto che il testo biblico, a differenza di quanto avviene per gli Ammoniti e i Moabiti, non emette giudizi drastici di condanna sui costumi religiosi degli Edomiti, i cui dèi sono menzionati una volta, genericamente, in 2 Cr 25,I4 ss. Qui Amazyahu, re di Giuda - che è presentato come sovrano rispettoso della volontà divina - ritornato vittorioso dalla spedizione contro gli Edomiti, "si fece portare le divi­ nità dei figli di Seir e le costituì suoi dèi e si prostrò davanti a loro e offrì loro incenso" . In tal modo egli suscitò l'ira di Yahweh e un pro­ feta, da questi inviato, lo ammonì a non venerare dèi incapaci di sal­ vare il proprio popolo dalla sconfitta. Anche se questa tradizione, opera del Cronista in un'epoca (Iv secolo a.C. ) relativamente tarda rispetto a tali eventi, sembra di scarso valore storiografìco, resta l'in­ dicazione di una pluralità di dèi, costituenti un pantheon non troppo articolato, ma comunque non ristretto al solo dio nazionale. Indissolubilmente legata a Edom e agli Edomiti è la figura di Esaù, gemello di Giacobbe, ma contraddistinto significativamente da difformità fisica rispetto al futuro Israele. La tradizione biblica, da un lato, ci propone un vero e proprio mito di fondazione della rivalità tra Israeliti e Edomiti e della superiorità dei primi sui secondi, fa­ cendola risalire addirittura al conflitto che, fin dal ventre materno, oppone Esaù a Giacobbe (Gen 25 , 1 9 ss. ). Yahweh stabilisce sin da quel momento che Israele sarà più forte e dominerà, mentre l'altra nazione, più debole, sarà costretta all'obbedienza (Gen 2 5 , I 9 ss. , in particolare 25,2 3 ) . La medesima tradizione, tuttavia, ne fa allo stesso tempo due popoli fratelli, poiché appunto gli Edomiti discendono da Esaù (Gen 36,Io- I 4,20-28) e sono un ramo collaterale degli lsraeliti da rispettare esplicitamente. Un edomita di nome Doeg è del resto menzionato tra i più autorevoli ministri di Saul e riveste un ruolo di rilievo nell'episodio del massacro dei sacerdoti di Nob ( I Sam 2 I ,8, 2 2 ,9 ss.), praticando quel santuario e venerando Yahweh. I dati sul culto desumibili dalla ricerca archeologica costituiscono un'importante integrazione delle nostre limitate conoscenze. Esistono varie ipotesi sulla presenza di installazioni cultuali rapportabili agli Edomiti, ma solo il già menzionato sito di Horvat Qitmit (nel Negev orientale, a circa 25 km ad est di Beersheva e a I O km a sud di Arad) fu certamente sede di un luogo di culto fisso, punto di riferi­ mento per l'intera regione (intorno alla prima metà del VI secolo a.C .). Questo complesso santuariale, isolato sul territorio e senza I09

RELIGIONE E RELIGIONI IN S I R I A - PALESTI N A

connessioni con specifici nuclei abitativi, per alcuni qualificabile più come " alto luogo" che come tempio vero e proprio, ha avuto un'uni­ ca fase di occupazione (di cui si identificano due sottofasi) e vi sono stati portati alla luce due complessi di edifici con diverse funzioni cultuali. Un edificio A, quadrangolare, costituito da tre ambienti pa­ ralleli posti uno di seguito all'altro, aprentisi su una corte meridiona­ le scoperta, con tracce di attività rituale e sacrificale; un edificio qua­ drato B, a forma di torre, contenente banchette e podii. Nel cortile anteriore è stata ritrovata una piattaforma a probabile funzione di altare, un bacino e una pietra per cui è stata ipotizzata una funzione sacrificale. Qui è stato scoperto un frammento di vaso con iscrizione che sembrerebbe contenere il nome del dio Qos in un contesto frammentario. In tutta l'area sono state rinvenute ceneri e ossa di animali (indizi chiari di un'intensa attività sacrifìcale), oltre ad una grande quantità di frammenti di oggetti vari e, in particolare, di figurine antropomor­ fe e teoriomorfe e di statuette più grandi. Molti reperti rilevanti ven­ gono dal cortile dell'edificio A: tra questi una mano che tiene un col­ tello e altri resti di armi da taglio, che potrebbero essere parti della statua di una divinità guerriera. Una testa, apparentemente femminile (alla luce dell'acconciatura e del colore rosso del viso), provvista di corona a tre corna, potrebbe raffigurare una dea paredra del dio ve­ nerato nel santuario, che però non si può identificare con precisione. Dato che un'altra terracotta raffigura un albero stilizzato, si potrebbe pensare con cautela a una variante edomita di Ashera. Un'altra figuri­ na femminile nuda, ma senza emblemi divini, che si stringe/offre i seni, non sembra interpretabile come una dea, così come altri fram­ menti di statuette sembrano riferibili ad offerenti umani. Molto inte­ ressanti sono anche i resti di figurine non antropomorfe (funzione cultuale?): oltre ad una sfinge, che rinvia alla produzione fenicia, si sono trovati vari animali come bovidi e ovini, leoni, cavalli ma anche numerosi struzzi e perfino un maiale. Questo materiale di natura eclettica potrebbe indicare la presenza nel culto di un dio legato al­ l'ambiente animale, e alla steppa in particolare; l'iconografia del "Si­ gnore degli struzzi", durante il Ferro n-m è tutt'altro che sconosciuta nelle tradizioni dell'area, al punto che ci si è chiesti se questo perso­ naggio, il "Yahweh di Teiman" e Qos non siano varianti di una stessa figura divina. Vn cenno deve essere fatto ancora a En Hazeva, a sud del Mar Morto. Qui, a partire dal x-rx secolo, fu costruita una fortezza, forse sotto l'egida degli Assiri, sede probabilmente di truppe giudaiche (al­ l'epoca di Manasse) e edomite. Ospitava una popolazione molto ete·

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5 . G L I STATI TRANSG!ORDAN!C!

rogenea, testimoniata dalle varietà ceramiche (edomita, giudea, midia­ nita, del Negev e cipro-fenicia). Fuori delle mura è stato identificato un piccolo edificio di forma allungata, a funzione cultuale, con a po­ chi metri una favissa (fossa di deposito votivo) che conteneva oggetti interi in origine e successivamente frantumati (altari di pietra, sup­ porti cilindrici, tra cui caratteristici quelli antropomorfi, incensieri, pendenti a melagrane ecc.). La ceramica del sito è quella caratteristica di altri siti giudaici, mentre manca la cosiddetta ceramica edomita, che è attestata invece all'interno della fortezza. Gli specialisti concordano sul carattere edo­ mita dell'insieme, indirizzati a questo soprattutto dalle iscrizioni che nominano il dio Qos. In realtà, si deve piuttosto pensare ad una fre­ quentazione mista del piccolo santuario, da parte di genti del Negev e di altre ancora. Circa il destinatario/titolare del luogo di culto, l'e­ same delle iconografie indirizza verso una figura rappresentata preva­ lentemente sotto forma di toro, che potrebbe ricondurre a una divini­ tà lunare o anche riproporre la candidatura del dio Qos. In definitiva la religione edomita, pur con i moltissimi punti oscu­ ri che presenta la documentazione, costituisce un capitolo di estremo interesse nella storia culturale dell'area palestinese-giordana. Essa va studiata in analogia con quelle delle altre popolazioni della regione, incluso Israele, cui la accomunano due tratti fondamentali che po­ trebbero così delinearsi:

a) culto di una divinità nazionale (Qos) in forma non esclusiva, ma enoteistico-monolatrica; b) assenza di un vero e proprio pantheon articolato, ma presenza di altre divinità come una paredra del dio principale e forse un dio più " anziano" (El: antico creatore?), senza escludere devozioni personali e popolari che non hanno lasciato tracce nella documentazione, sia come manifestazioni specifiche di Qos, sia come figure diverse, in parte condivise con le altre culture dell'area.

È solo attraverso l'analisi rigorosa della documentazione ebraica e transgiordanica che è possibile rendersi conto del processo storico che, dal culto monolatrico di dèi eponimi e a carattere nazionale, le­ gati al popolo e non al territorio, porta alla concezione di un dio cui si tributa un culto esclusivo.

III

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I Filistei

Con il nome di Filistei si designa un popolo (Peleset) che faceva par­ te di quei "Popoli del mare" di origine egeo-anatolica (Sherdana, Tje­ ker, Shekelesh, Danyan, Weshesh) i quali, nell'ambito dei movimenti registratisi nel corso del XIII-xn secolo in area est-mediterranea, si ri­ versarono sulla costa siro-palestinese giungendo fino all 'Egitto. Qui essi furono fermati dal faraone Ramesse III (ca. I 1 75 a.C.), che perse comunque il diretto controllo dell'area palestinese. I Filistei diedero il loro nome alla regione stessa la cui denominazione, dall a zona co­ stiera, fu poi estesa dai Greci all'intera Palestina. Le ricerche recenti forniscono una valutazione articolata di questo popolo e dei processi storici che lo coinvolsero: l'interpretazione tra­ dizionale di una gigantesca invasione che avrebbe radicalmente scon­ volto la /acies levantina non trova più sostenitori, anche se i dati che ci vengono dalle fonti egiziane non vanno comunque sottovalutati. La tendenza ora prevalente, pur confermando il background egeo della loro cultura, rivaluta la continuità delle genti autoctone e inquadra nel lungo periodo i Filistei anche sullo sfondo dell'emergere sociale di nuovi gruppi - probabilmente già da tempo presenti - tra cui una prospera élite mercantile, che approfitta della crisi del sistema palati­ no per dare vita a nuove forme di organizzazione politico-economica. L'archeologia testimonia fondazioni o rifondazioni, ampliamenti e ri­ strutturazioni di vari centri urbani. Di conseguenza i Filistei appaiono come i portatori di una cultura che diviene sempre più composita e cosmopolita e in cui la componente egea, pur importante, non è esclusiva, giacché tratti distintivi, altrettanto salienti di quelli etnico­ culturali, appaiono a livello sodo-economico. Resta comunque innegabile un'identità culturale e politica filistea, che anzi emerge abbastanza chiaramente dalle fonti scritte (l'epigrafia "filistea" e lingua relativa, l'Antico Testamento e i testi neo-assiri), mentre è più difficilmente percepibile a livello archeologico, giacché i Filistei sembrano assimilarsi presto e bene alla cultura materiale locale. II2

6. l FILISTEI

Dal punto di vista geografico, nuclei di Filistei sono stanziati nella zona centro-occidentale e costiera della Palestina, a partire da Gaza fino all'imboccatura del fiume Yarqon, con le pianure costiere dello Sharon e della Shefelah. In tale area gli archeologi hanno rilevato la persistenza di formule urbane di tradizione cananea, con i luoghi di culto tendenzialmente inseriti all'interno dello spazio cittadino (!adda­ ve, durante il periodo del Ferro 1, si colgono altrove importanti innova­ zioni, con comunità più sparse sul territorio e con una crescente im­ portanza del santuario extra-urbano come centro di aggregazione, cfr. i casi del Monte Ebal e del cosiddetto Bull Site). Nei centri filistei, inve­ ce, gli edifici a funzione cultuale risultano organicamente inseriti nei tessuti cittadini, fianco a fianco alle unità abitative e lavorative, il che autorizza a presupporre nuove forme di religiosità urbana. Nella regione delineata in precedenza, a partire forse già dal XII secolo a.C., prende consistenza una potenza filistea, per un certo pe­ riodo forse appoggiata (o non ostacolata) dall'Egitto. In epoche suc­ cessive, nella parte sud-occidentale dell'area, si costituisce la famosa Pentapoli filistea, composta dalle città di Gaza, Ascalona e Ashdod sulla costa, Gat e Eqron all'interno (di questi centri, per l'inizio del Ferro I, solo Ashdod e Eqron hanno restituito testimonianze archeo­ logiche relative al culto). A tali città, ricche (specie per l'industria della lavorazione del ferro) e bene organizzate, con a capo un seren (principe o re), l'Antico Testamento attribuisce volontà espansionisti­ che che avrebbero provocato le guerre combattute da Saul e David, ma le troppo ottimistiche tradizioni bibliche (su Shamgar, Sansone ecc.) sono teologicamente orientate e hanno scarsa attendibilità sto­ riografi.ca. Dopo aver in parte subito il dominio aramaico, nell'8o6 a.C. i Fi­ listei divengono tributari dell'Assiria, sotto il cui diretto dominio ca­ dono a partire dal 734, per passare poi sotto quello neo-babilonese. In epoca persiana, tra il VI e il IV secolo, la regione diventa la pro­ vincia di Ashdod e la sua storia successiva coincide con quella dell'in­ tera regione palestinese. La documentazione diretta concernente i Filistei e la loro cultura è costituita da un lato dall 'archeologia, dall'altro lato da un ridotto repertorio epigrafico. Questo include un'importante iscrizione dedica­ toria reale ed un'altra votiva da Tell Miqne-Eqron, un papiro in ara­ maico e alcune altre iscrizioni e ostraca, interessanti anche per i dati onomastici. La realtà linguistica filistea ci appare comunque semitica e anche sul piano religioso, stando almeno alle fonti disponibili, le divinità filistee sembrano assimilarsi quasi completamente a quelle lo­ cali dai nomi semitici, dietro cui eventualmente nascondono la loro

RELIG IONTl E RELIGIONI IN S I R I A - PALESTINA

identità originaria. A questa documentazione devono poi aggiungersi le informazioni vetere-testamentarie, rilevanti dal punto di vista stori­ co-religioso (dopo necessarie decodifiche), e i dati desumibili dalle fonti egiziane e assire. Il panorama che ne deriva circa il pantheon, le credenze e la sfera cultuale risulta piuttosto scarno, costituito come è da notizie sparse su divinità e luoghi di culto. Qualche dato desumi­ bile da fonti classiche tarde integra il quadro delineabile. Una sintesi storicamente equilibrata e critica delle varie informazioni consente tuttavia di farsi un'idea dei caratteri generali della religione filistea e di individuarne una certa tipologia. Anticipando i risultati di un'analisi documentaria più dettagliata, si può ipotizzare che, pur sullo sfondo di una tradizione comune, ciascun centro filisteo possedesse un proprio pantheon con a capo una specifi­ ca divinità poliade, provvista di partner femminile, probabilmente for­ mulazioni locali di figure divine "panfilistee" riconducibili all'antico "dio della tempesta" delle tradizioni siro-palestinesi più antiche. Una testimonianza interessante sull'esistenza di pantheon articolati è fornita dalle rappresentazioni assire concernenti la presa e la spolia­ zione delle città di Gaza e di Ascalona. Nel caso di Gaza, si vedono i soldati assiri trasportare quattro statue monumentali di divinità sottrat­ te ai templi locali, ben diversificate tra loro. La prima di queste, rap­ presentata di faccia, è seduta in trono, porta una corona a più coma e tiene in mano un elemento di natura vegetale; un'altra statua raffigura un personaggio anch'esso intronizzato, con una corona più semplice e un anello; una terza, di dimensioni minori, non ha copricapo ed è raf­ figurata in piedi su una specie di edicola posta sopra un trono; una quarta riproduce un tipo di Smiting God provvisto di corna, con nelle mani un'ascia e un mazzo di fulmini. Quanto alla presa di Ascalona, del bottino assiro fanno parte figurine più piccole (forse originaria­ mente in legno o in bronzo) che raffigurano divinità maschili anch'esse riconducibili al tipo Smiting God. Senza pretendere di trarre indicazio­ ni troppo puntuali da questa documentazione, è possibile comunque dedurre l'esistenza, nelle città filistee, di una pluralità di dèi dalle per­ sonalità e funzioni diverse, rappresentati antropomorficamente. Stando all'Antico Testamento, i Filistei possiedono una precisa identità: sono stranieri, allofoni e hanno proprie peculiarità culturali, politiche e religiose, su cui si tornerà anche più avanti trattando dei singoli centri. Il dio "nazionale" dei Filistei è chiamato con il nome semitico di Dagon, la cui diffusa venerazione è testimoniata in parti­ colare a Gaza (Gdt I6,23) e ad Ashdod ( I Sam .5 , I ss. ; Is 46, u [Lxx] ; I C r Io, Io; I Macc Io,84). Ma anche in Israele tale dio dove­ va ricevere un culto, giacché un toponimo Beth-Dagon, certo connes-

6. l FILISTEI

so con un tempio, è attestato in Giuda (Gs 1 5 ,4 1 ) mentre un secon­ do si trovava a nord, nel territorio di Asher (Gs 1 9,27) e un terzo nei pressi di Giaffa (annali di Sennacherib) . Manifestamente appa­ rentato con l'antico dio siriano Dagan (il nome è identico, tranne per la vocalizzazione del semitico-occidentale del I millennio) , il dio fili­ steo è una divinità etimologicamente forse connessa con i cereali e la fenilità, anche se dobbiamo presupporre al tempo stesso un'antica personalità di "dio della tempesta" che tende ad accentrare in sé le più importanti prerogative e funzioni dominando sul pantheon nel suo insieme. Non è impossibile che a lui fosse votata o intitolata la piana di Sharon, che l'iscrizione fenicia del re Eshmunazor II di Si­ dane definisce "terra di Dagon" (interpretazione alternativa: " di gra­ no " ) . Per quanto riguarda la cultura filistea, dalla Bibbia si evince l 'as­ senza della pratica della circoncisione (Gdt 14,3; 1 5 , 1 8; 1 Sam 1 7,26; 1 8 ,25 ) , dato che non sembra contraddetto da una notizia di Erodoto (n 1 04), il quale sostiene solo che dopo l'insediamento in Palestina i «Fenici e Sirii di Palestina» la praticarono (qui è piuttosto da vedere una conferma della tendenza assimilatrice alla cultura cananea di so­ strato). Mentre è dubbio che in ambito filisteo fosse praticata la pro­ stituzione sacra (il passo di Michea I ,8- I 6 è troppo corrotto per trar­ ne deduzioni fondate) , è certo invece che esistevano pratiche manti­ che, specie nel culto del Baal di Eqron. Secondo il racconto di 1 Sam 6 , 1 ss. , i Filistei convocano sacerdoti e indovini per sapere che fare dell'Arca dell'alleanza di cui si erano impossessati, attenendone un responso dettagliato. I materiali epigrafici riconducibili alla cultura filistea forniscono un apporto limitato, ma non disprezzabile, alle nostre conoscenze in fatto di religione. n piccolo repertorio di antroponimi desumibile dal­ le iscrizioni, che contiene pochi teonimi (tra cui Dagon, Anat, ltum paredra di Rashap e lla/ib) , testimonia il rapido processo di accultu­ razione subito dai Filistei, anche se con aspetti conservativi. Molto importante è un'iscrizione reale rinvenuta a Tell Miqne-Eq­ ron incisa su un blocco di calcare che commemora la costruzione e la dedica di un tempio a una dea di nome Ptgyh (la vocalizzazione è ignota) da parte di un sovrano di Eqron di nome Ikausu, che la chia­ ma " sua signora" e a cui chiede lunghezza di vita e benedizioni per se stesso e il suo paese. n dedicante elenca la propria genealogia risa­ lendo a quattro generazioni indietro. Tanto lui che suo padre sono noti anche dalle fonti assire: Ikausu, in particolare, è menzionato tra i re dei centri costieri che apportarono a Ninive materiali da costruzio­ ne per il palazzo di Esarhaddon (68o-669) e che parteciparono alla 1 15

RELI G IONE E RELIG IONI I N S I R I A · PALESTINA

prima spedizione egiziana di Ashurbanipal (667). Tanto il nome Ikau­ su che quello della dea Ptgyh non sono semitici. Il sovrano in que­ stione, di cui esiste un omonimo re di Gat ai tempi di David e Salo­ mone ( r Sam 2 r , u - r 6; 27-29; r Re 2 ,3 9·40) , ha un nome che signifi­ ca verosimilmente !"'Acheo" (piuttosto che "Anchise" , come qualcu­ no ha sostenuto). È interessante, inoltre, che l'iscrizione - che mostra un formulario simile a quello delle più antiche iscrizioni reali di Biblo - lo qualifichi come "principe" (far) e non come "re" (mlk), circo­ stanza che potrebbe essere la spia di uno specifico uso linguistico fili­ steo-cananeo (cfr. Gdt 9,22 in contrapposizione a Gdt 9,6), oppure testimonierebbe la rinuncia a usare il titolo di re, dato che il sovrano di Eqron era all'epoca vassallo del re d'Assiria. Per il nome della dea titolare del santuario, Ptgyh, sono state ipo­ tizzate varie spiegazioni, tra le quali la proposta di vedervi una epi­ clesi della dea Gaia venerata a Delfi (Pytho); meno plausibile l'ipotesi di leggere il teonimo Ptnyh e interpretarlo come equivalente di Pot­ nia, "Signora" , o quella di vedervi l'epiteto greco "Pelagia" , tipico della dea Aphrodite (con lo scambio consonantico attestato in Anato­ lia delle dentali t/d con 1). In ogni caso, pare certo che ci si debba indirizzare verso un sostrato culturale egeo, anche se localmente que­ sta figura divina potrebbe aver dato luogo a un sincretismo con Ashe­ rah o Astarte. Sempre da Eqron provengono altre brevi iscrizioni del VII secolo che menzionano un luogo sacro di cui potrebbe essere stata titolare la dea Asherah (identificata con Ptgyh?), se cosi si deve interpretare il termine asherah che potrebbe tuttavia significare esso stesso "santua­ rio" . Menzione deve essere fatta anche di una dedica - incisa su un recipiente prima della cottura - indirizzata "A Baal e a Padi" , in cui vengono accomunati il dio (certo il Baal di Eqron) e il re Padi, padre dell'Ikausu di cui si è parlato sopra, in questo caso forse divinizzato e destinatario di un culto. Un papiro trovato a Saqqara contiene una lettera redatta in ara­ maico, inviata da Aden re di Eqron al Faraone Necho II (659-594), di cui il primo si dichiara servo e a cui augura lunga vita. Il mittente invoca gli dèi del cielo e della terra e Baalshamin, cui era certo tribu­ tato un culto, ma che è attestato in quest'unico caso in ambito fili­ steo: la sua presenza, forse dovuta a influsso fenicio, si spiega con il ruolo di garante della regalità che caratterizza costantemente questo dio nel mondo semitico occidentale. La grave carenza di fonti scritte può venire parzialmente integrata con i risultati dei ritrovamenti archeologici concernenti la sfera cul­ tuale, che mostrano per vari utensili e oggetti filistei significativi paII6

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l FILISTEI

ralleli con Cipro e l'area egea in generale. È questo il caso dei kernoi usati per le libagioni con forme tipiche e decorazioni animali e vege­ tali, dei rhyta a testa di leone e delle numerose e varie figurine che potrebbero rappresentare delle divinità. I Filistei avevano inoltre pro­ prie tradizioni funerarie, caratterizzate anche dall'uso - mutuato negli strati sociali più elevati dalla terra del Nilo - dei tipici sarcofagi an­ tropoidl di origine egiziana trovati sul posto. Quanto al trattamento dei morti, a partire dall'XI secolo inumazione e incinerazione sono ugualmente attestate. Procedendo a un breve riepilogo delle conoscenze per singoli centri, cominciamo da Eqron, una delle città della Pentapoli su cui si hanno maggiori informazioni. Qui il passaggio tra l'età dd Bronzo e il Ferro I si caratterizza attraverso un chiaro cambiamento a livello della ceramica. Con lo strato VII cessano le importazioni di ceramica micenea e cipriota e si trova invece al loro posto in abbondanza la ceramica micenea mC: 1b, non più di importazione, ma di produzione locale da parte di nuovi insediati: questa circostanza è ritenuta dagli archeologi un criterio decisivo per marcare la fine dell'insediamento cananeo. Gli scavi hanno documentato, per l'età del Ferro, l'esistenza successiva di tre città. La prima, corrispondente agli strati VII·V (seco­ li xrr-xr/x), appare come il maggiore centro filisteo con cultura e aspetti egei nelle prime fasi, quindi con tracce progressive di assimila­ zione al contesto; distrutta questa prima città, ve n'è una seconda, di minori dimensioni, corrispondente agli strati III·II (inizio x-vii secolo), con una cultura che combina tradizioni locali con influssi giudaici e fenici; una terza città, corrispondente agli strati IC·IB (vu secolo), or­ mai sotto il pieno impatto assiro, si rivela come il centro di produzio­ ne d'olio più ampio sinora scoperto nel mondo antico. É stata in quest'ultima città, nei resti del complesso templare 650 (nella cella del santuario, ma forse in origine nella parte interna del muro occi­ dentale), che è stata trovata l'iscrizione del re Ikausu. Si tratta di un complesso monumentale che gravita su un'ampia corte, con una sala di rappresentanza che dava accesso a un'area cultuale; al centro del­ l'area di culto c'era un'aula rettangolare con due file di quattro co­ lonne; all'interno della sala, sono state rinvenute due larghe vasche di pietra, forse destinate ad abluzioni rituali; sul fondo della stanza do­ veva aprirsi una cella. A sud c'era un ambiente destinato ad attività produttive connesse con iÌ culto, come indicano i numerosi ritrova­ menti effettuati sia in questo complesso che nell'area delle fortifica­ zioni cittadine; tra questi sono da menzionare figurine umane e ani­ mali, un vaso a testa di leone e una scapola di bovide con incisioni sul margine superiore, di probabile uso cultuale e/o oracolare. Tra le I I7

RELIGIONE E RELIGIONI IN S I R!A· PALESTJNA

caratteristiche concernenti il culto va ancora segnalata la grande dif­ fusione dell'altare cosiddetto a corna, estraneo alla tradizione filistea, ma diffuso in area israelitica. L'Antico Testamento attesta che a Eqron si venerava un Baal lo­ cale chiamato Baal Zebul, cui era tributato un culto a carattere oraco­ lare e forse anche terapeutico. n teonimo è stato interpretato come "Baal degli inferi" , ma significa più plausibilmente "Baal Principe" (z.bl è un epiteto di Baal a Ugarit) , che i redattori biblici deformano volontariamente in Baalzebub, cioè "Signore della mosca", dando vita a una tradizione giunta fino a noi che lo identifica come l'arcidemo­ nio per eccellenza (cfr. nel Nuovo Testamento Mt 1 2 ,24, Mc 3 ,22; cfr. Le u , I , · I 9). Nel II 'libro dei Re (2 Re I ,2 · I 6) si narra l'episodio di Acazia re di Samaria il quale, feritosi a seguito di una caduta dalla finestra, invia dei messi a consultare Baal Zebul/b, dio di Eqron, per sapere se potrà guarire. A questo punto un inviato di Yahweh dice a Elia di andare incontro ai messaggeri del re di Samaria per rimprove­ rarli di voler consultare un dio straniero, quando c'è Yahweh in Israele; e proprio un oracolo divino afferma che il re non scenderà dal suo letto perché morirà. I messi tornano dal re e riferiscono l'ac­ caduto; questi allora cerca di convocare Elia presso di sé. Alla fine Elia accetta di andare dal re e gli ripete la profezia divina, che si av­ vera puntualmente. Passando ad Ashdod, sappiamo che dopo una distruzione, avvenu­ ta nel XII secolo a.C. , la città venne ricostruita, in continuità con la tradizione cananea. Vi è stata rinvenuta una struttura a funzione cul­ tuale defmita convenzionalmente "alto luogo" . Tra i numerosi ritrova­ menti vanno qui menzionati i kernoi a testa di animale, i rhyta e so­ prattutto, caratteristiche del sito, le tipiche figurine fittili dette "Ashdo­ da", di produzione locale ma originarie di Cipro e dell'area egea. Sono rappresentazioni di un personaggio femminile seduto in trono, decora­ to in rosso e nero: il corpo è fuso all'altezza del busto con il trono stesso, la testa ricorda quella di un uccello, i seni, con un pendente dipinto in mezzo, sono realizzati con pasticche di argilla. L'interpreta­ zione come dea in trono, simboleggiante insieme la funzione materna e il potere regale, è plausibile al di là di puntuali identificazioni. Ricordiamo che i dati biblici testimoniano l'esistenza ad Ashdod di un tempio dedicato a Dagon, che venne incendiato in età macca­ baica ( I Mac I0,83; u , I4). Secondo il suggestivo racconto di I Sam ,,2-7, i Filistei vi portano l'Arca introducendola all'interno, ma il giorno dopo trovano (l'effigie del dio) Dagon che giace faccia a terra davanti ad essa; lo stesso accade il giorno seguente, ma questa volta la testa e le palme delle mani sono staccate e poste sulla soglia, men-

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6. I F I LISTEI

tre rimane solo il tronco: a ricordo di ciò sarebbe stato istituito il divieto di calpestare la soglia. n racconto biblico mira all 'edificazione e vuole dimostrare che i Filistei e il loro stesso dio ebbero a subire una dura punizione per la sottrazione dell'Arca, che fu quindi portata a Gat, poi a Eqron, e alla fine restituita per far cessare gli effetti disa­ strosi della collera di Yahweh. Per quanto riguarda Gaza, tradizioni tarde ne ricordano significa­ tivamente l'antica denominazione di "Minoa" (Stefano di Bisanzio, Ethnikà, s.v. Gaza) e la fondazione mitica da parte di Zeus (ibid.; Eu­ stazio a Dionys. Per. 5 ,9 1 0: il dio vi avrebbe lasciato i suoi tesori, fà�a in greco). Anche qui vi era un tempio di Dagon e la scena fina­ le della vicenda di Sansone (Gdt z6, 2 1 - 3 o) si svolge proprio al suo interno, dove i Filistei, tanto i capi quanto il popolo, rendono grazie al loro dio con sacrifici perché ha messo nelle loro mani il nemico. Oltre alla venerazione per Amun e a tracce di un culto prestato a Herakles/Melqart e Apollon/Rashap, fonti greche ci informano che in epoche molto più tarde a Gaza si venerava un dio chiamato Marnas, termine aramaico che significa genericamente "nostro signore", i cui rapporti con Dagon non sono chiari, ma di cui è plausibilmente l'ere­ de. Dal diacono Marco, autore di una vita del vescovo di Gaza rite­ nuta storiograficamente attendibile, apprendiamo molti particolari sulla situazione religiosa a Gaza nel v secolo d.C., che dobbiamo con­ siderare come sostanzialmente fondati. A quell'epoca nella città, oltre alla venerazione di tipo domestico, vi erano ben otto templi, di cui il principale - il Marneion dedicato appunto a questo "signore" ritenu­ to uno Zeus di origine cretese - era considerato il più illustre di tutti quelli esistenti sulla terra. Gli altri erano dedicati rispettivamente a Helios, Aphrodite, Apollon, Kore, Hekate, alla Fortuna della città (Tychaeon) e un altro era un Heroeion (in rapporto con Herakles?). Marnas, definito esplicitamente signore della pioggia e datore di ora­ coli, nasconde una personalità molto complessa, indicata anche dal fatto che, nel I secolo a.C., il titolare del tempio di Gaza era identifi­ cato con Apollon (Gius. Flavio, Ant. XIII 364). L'etimologia che so­ stiene l'origine cretese del teonimo (avrebbe significato "fanciulla" , parthenos) conferma la stratificazione della sua figura; secondo un'al­ tra tradizione (Epif. , Ancor. 109 c), sarebbe stato venerato come servi­ tore del cretese Asterios, un dato di difficile interpretazione ma che ne conferma la connessione egea. n signore di Gaza, menzionato e raffigurato su una moneta cittadina dell 'epoca adrianea (si vede il Marneion e il dio, in figura giovanile, apollinea, accompagnato da Ar­ temis armata di arco), conobbe nel mondo antico vasta popolarità. Definito kyrios in un'iscrizione greca del Hauran, aveva forse un temI I9

RELI G IO N E F. REL I G I O N I IN S I R I A - PALE S T I N A

pio a Ostia e contro il suo culto ebbero a lottare duramente le autori­ tà cristiane (ma la tradizione sull'uso di celebrare sacrifici umani nel suo tempio è certo un'invenzione cristiana: M. Diac., Vit. Porph. 66). In definitiva, le tradizioni mitologiche concernenti il dio cretese, in­ cluse le connotazioni misteriche e funerarie del suo culto, anche se non possono trasferirsi automaticamente al "Signore" di Gaza, costi­ tuiscono elementi di una tradizione che conferma l'antichità e la com­ plessità di questa figura. Altre notizie tarde sui culti di Gaza concer­ nono, da un lato, la presenza di una statua di Aphrodite nuda, posta a un incrocio, che forniva oracoli attraverso sogni alle donne deside­ rose di sposarsi (M. Diac., ibid .5 9) e, dall'altro, un culto tributato a un personaggio chiamato Aldemios o Aldos, posto in connessione con la fertilità. Di entrambe è impossibile precisare l'eventuale con­ nessione con le remote tradizioni filistee. Ascalona documenta una facies religiosa di impronta fenicia (an­ cora in epoca romana le monete portano la leggenda Phanébalos, epi­ teto di Tinnit a Cartagine) , che dovette però registrare anche sincreti­ smi con la cultura filistea, senza che sia possibile definirne con preci­ sione modi e tempi. Secondo Erodoto (I ro,5 ) , qui sorgeva il più anti­ co santuario di "Aphrodite Celeste" (Ourania), certo una manifesta­ zione di Astarte nota più tardi come Atargatis (con luogo di culto anche a Beth-Shean), che godeva di venerazione anche in ambito fili­ steo e di cui vi sono forse tracce a livello di antroponimi, portati da ascaloniti residenti in Grecia (nomi con Astarte, ma anche con Miqim e Eleb = lla/ib). In particolare a Delo, nel 1 secolo a.C. , è attestata epigraficamente la venerazione speciale per una "Astarte Filistea Ou­ rania Aphrodite" nell'ambito di culti dedicati a divinità vicino-orien­ tali. Numerose fonti classiche (Diod. Sic. n 4,2 ss. ; cfr. Luciano, Dea Syria r4; Ovidio, Met. rv 44 ss. ecc.) ambientano ad Ascalona il mito di Derketo e Semiramis, diffuso in tutta la Siria-Palestina ellenistico­ romana, ma i cui nessi con la religione filistea appaiono assai dubbi e comunque imprecisabili. Dalla città di Gat il racconto biblico fa provenire il gigante incir­ conciso Golia (r Sam 17,36), Qui si hanno probabilmente tracce di un culto tributato a una dea di carattere guerriero detta "la guari­ trice" in 2 Sam 2 I , r ,5 -22, da identificarsi forse con Anat (Gdt .5 ,6). Oltre alle città della Pentapoli, altri centri dell'area filistea hanno restituito documentazione attinente al culto. È il caso di Tell Qasile, sulle rive dello Yarqon, a 2 km dalla costa mediterranea, rifondata ex novo nell'XI secolo a.C. Si tratta dell'unico sito che ha restituito, at­ traverso la scoperta di alcuni edifici sacri, una planimetria templare caratteristica di questa cultura, oltre a un cosiddetto alto luogo. Sulla .

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6. I FILISTEI

sommità del tell furono costruiti, rimodellati, distrutti e ancora rico­ struiti una serie di templi, in un'epoca compresa tra il XII e l'vm se­ colo. Vari ritrovamenti riconducono alla sfera del culto, nell'ambito del quale aveva forse un ruolo cospicuo il dio Horon, un cui tempio sembra attestato epigraficamente. Altre installazioni cultuali sono venute alla luce ad Akko e a Tell Qiri, mentre su Beth-Shean richiama l'attenzione in particolare l'Anti­ co Testamento, che vi localizza un tempio di Astarte dai tratti guer­ rieri ( I Sam. J I ,IO). Dopo la vittoriosa battaglia del monte Gelboe e la morte di Saul i Filistei, tagliata la testa del re nemico, inviano il capo mozzato e la sua armatura al tempio di Astarte, appendendone le armi nel tempio stesso e il corpo sulle mura della città. Nello stes­ so episodio narrato in r Cr w,ro si afferma che le armi sono deposte "nel tempio deVi loro dio/dèi" , mentre la testa viene inchiodata nel tempio di Dagon. In epoca romana, iscrizioni greche parlano di un tempio di Zeus Akraios, "Zeus delle alture" , dalle personalità e origi­ ni non meglio definibili. Nonostante l'eterogeneità, scarsità e frammentazione dei docu­ menti, si comprende che la religione dei Filistei era strutturata in for­ me analoghe a quelle delle città fenicie, cui la loro cultura tendeva ad assimilarsi. A differenza dei regni transgiordanici, anche in ambito fi­ listeo sembra prevalere il modello del pantheon poliade, piuttosto che nazionale, con preminenza di un dio cittadino ("Dagon") e una pare­ dra (una figura che sembra modularsi assommando i tratti delle tre antiche dee siro-palestinesi Astarte, Asherah e Anat). Cogliamo for­ mulazioni locali, variazioni di un modello tradizionale che doveva es­ sere largamente condiviso, anche se ogni centro esprimeva una pro­ pria individualità modulando la morfologia delle divinità e, forse, at­ traverso specifiche forme di culto. Si tratta comunque di pantheon politeistici non ridottissimi, con la presenza di figure "minori" che dovevano essere ben presenti nella devozione individuale e domesti­ ca. TI retroterra egeo si manifesta comunque nel persistere di tradizio­ ni mitologiche riportate da fonti tarde e, soprattutto, nelle figure del­ la dea Ptgyh e di Marnas, in cui è da riconoscere una variazione del Dagon pan-filisteo. Emergono come peculiari gli aspetti oracolari di certi culti, nonché un singolo ma significativo indizio del culto nei confronti di un re, che ben si accorda con le tradizioni precedenti dell'area siro-palestinese sulla venerazione degli antenati reali, confer­ mate successivamente in ambito transgiordanico dalla statuaria am­ monita.

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I Nabatei

Tra la fine del rv e l'inizio del m secolo a.C. l'area transgiordanica registra ulteriori unificazioni e sedentarizzazioni di tribù nomadi, in un processo che conduce alla nascita di quello che fino al x o6 d.C. fu lo stato nabateo. Le origini di tali genti - chiamate nelle iscrizioni con il termine nabatu (un eponimo, impiegato come antroponimo a Petra) sono abbastanza oscure: iscrizioni nabatee e greche associano i Nabatei con la tribù dei sha/amu, ma esistono buone ragioni per an­ dare oltre la Giordania meridionale e la Palestina e guardare ad aree periferiche dell'odierna Arabia Saudita. In ogni caso, i Nabatei sono i continuatori ideali degli Edomiti, oltre che per il territorio comune, per la parziale conservazione del culto del dio Qos e per la preserva­ zione di tratti linguistici riconducibili all'arabo. Il nabateo è un tipo dialettale di aramaico più conservatore del giudeo-aramaico e del pal­ mireno, con un'onomastica arabizzante, il che induce a supporre che i Nabatei, quando si sedentarizzarono, abbandonarono la loro lingua originaria adottando l'aramaico. All'epoca della sua massima estensione, il regno nabateo arrivava a ovest sino al delta del Nilo includendo la penisola del Sinai, il Ne­ gev e l'area transgiordanica; da nord a sud, andava dalla regione siria­ na del Hauran fino al golfo di Aqaba, raggiungendo anche Hegra (nell'odierna Arabia Saudita, oggi Madain Salih) , mentre ad est si estendeva il deserto. L'area in questione era attraversata dal commercio carovaniero che, fin da epoche remote (m millennio a.C.) , seguiva le rotte che andavano dall'Oceano Indiano e dal Mar Rosso fino al Mediterraneo, e per lungo tempo i Nabatei controllarono il traffico indo-arabico di spezie e aromi. Quelli che in origine erano piccoli attendamenti com­ merciali, divennero insediamenti permanenti e, a partire dall'epoca romana, centri abitativi in piena regola. Più che un regno vero e proprio, lo stato nabateo era una sorta di signoria intertribale retta da un'autorità centrale, che esercitava un 122

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l NABATEI

controllo sul territorio particolarmente attento alle vie commerciali e ai punti d'acqua. Aspetti di società nomadica e di struttura cianica sono chiaramente deducibili anche da testimonianze classiche: ad esempio Strabone racconta che il re, descritto come democratico, sce­ glieva tra i suoi pari un ministro che prendeva il titolo di "fratello (del re) " ; la carica di stratega sarebbe stata ereditaria; le leggi esiste­ vano ed erano osservate, ma vigeva anche il diritto consuetudinario, con frequente ricorso all'arbitraggio; il guadagno e le ricchezze erano tenuti in gran conto, ma c'era l'uso di regalarsi coppe d'oro nel qua­ dro di uno scambio di doni regolamentato, mirante più al prestigio che all'interesse immediato. Dall'inizio del I secolo a.C. le iscrizioni nabatee consentono di ricostruire parzialmente la sequenza dei vari re fino all'ultimo, Rabbel n, e varie vicende implicanti alterni rapporti con stati e popoli confinanti. Le fonti classiche definiscono " arabi" i Nabatei e li presentano in genere come nomadi carovanieri, pastori, all'occorrenza predoni. Le prime notizie storiche risalgono ai contatti con Antigono Monoftalmo ( 3 I I a.C.), erede di una vasta porzione dell'impero di Alessandro Magno, che tentò vanamente di sottometterli. L'inclusione della Siria meridionale e della Palestina nel regno seleucide non ebbe grandi ri­ percussioni per i Nabatei. Verso la metà del n secolo a.C. essi intera­ girano variamente con i Maccabei, mentre al I secolo si datano i pri­ mi contatti con Roma, che videro i Nabatei dapprima interlocutori, poi clienti e infine sottomessi all'impero. Dopo la conquista romana di Traiano ( xo6 d.C.) il regno nabateo è annesso all'impero ed entra nella provincia d'Arabia con capitale Bosra (al posto di Petra), man­ tenendo la sua floridezza fino alle invasioni sassanidi. La perdita dell'autonomia politica non significò la fine della cultu­ ra nabatea e anche dal punto di vista religioso continuarono le anti­ che tradizioni nazionali. Le divinità nabatee ebbero un culto anche dopo l'avvento del cristianesimo e fino al sorgere dell'Islam (il Cora­ no registra l'associazione ad Allah delle tre dee Allat, Manatu e al­ Uzza, figlie del dio Hubal). La scomparsa del re, che aveva un ruolo importante nella vita religiosa, rappresentò però un cambiamento de­ cisivo almeno per quanto riguarda il culto di Dushara, la cui persona­ lità si modificò da dio dinastico a divinità locale, in un processo se­ gnato da vari sincretismi e identificazioni (Dionysos, Zeus e anche Helios). Dopo l'annessione romana, il termine "nabateo" non indica più un'entità politica precisa, ma designa una cultura meno circoscritta localmente e dai caratteri abbastanza compositi, le cui tracce si se­ guono essenzialmente in base alla ceramica (in produzione fino al III

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RELIGIONE E REL I G I O N I IN SIRI A·PALESTINA

secolo) e alla scrittura. A questo riguardo, documenti in nabateo sono disseminati in un'area molto vasta, al di fuori della Giordania, che include l'Arabia settentrionale, la Siria del nord e l'Egitto. Già tale diffusione rende illusorio trovare un"'autenticità" e un'omogeneità in campo religioso. È intuibile come l'area dell'antico regno, prima e dopo la perdita dell'indipendenza, resti comunque la regione di riferi­ mento in cui è più probabile individuare caratteristiche specifiche in campo devozionale e cultuale e una maggiore uniformità e coerenza d'insieme. Le fonti epigrafiche sono costituite dalle iscrizioni nabatee, prove­ nienti tanto dal territorio propriamente nabateo che da aree esterne come la penisola sinaitica. Ad esse si devono aggiungere alcune iscri­ zioni aramaiche e greche disseminate in Egitto, nel territorio siro-pa­ lestinese, giordano e arabo. Questi testi, in prevalenza di carattere de­ dicatorio e funerario, rappresentano un corpus limitato dal punto di vista tipologico, che non consente un'adeguata ricostruzione storica della religione nabatea. Dalle iscrizioni si evince un repertorio ono­ mastico rilevante, che fornisce dati non sempre coincidenti con quelli dei testi (si vedano ad esempio le rare attestazioni di un dio altri­ menti importante come Dushara) . Per quanto riguarda le fonti letterarie, vari autori greci e latini (Diane Cassio, Diodoro Siculo, Erodoto, Giuseppe Flavio, Plinio, Plutarco, Strabone ecc.), nonché scrittori siriaci e arabi forniscono preziose informazioni di varia natura sui Nabatei e la loro cultura. Le testimonianze archeologiche - concernenti essenzialmente luo­ ghi di culto e costruzioni funerarie - provengono dai principali siti, innanzitutto in Giordania (Petra soprattutto, ma anche lram/Wadi Ramm e Khirbet et-Tannur), in Israele (Negev) , in territorio arabo (Madain Salih) e nel delta egiziano (Khirbet edh-Dharih). La ricostruzione dell'ideologia religiosa e del culto è disagevole, soprattutto a causa della tipologia delle nostre fonti. Conosciamo i nomi delle divinità ma, in assenza di una mitologia e di informazioni esplicite sul sistema rituale, personalità e funzioni divine devono esse­ re ipotizzate sulla base di pochi elementi indiretti. Importanti a que­ sto riguardo sono i nomi e gli epiteti divini, che possono variare lo­ calmente, mentre è stata notata una tendenza alla riduzione numerica del mondo divino attraverso l'assorbimento delle entità locali da par­ te di poche divinità maggiori. n pantheon nabateo è comunque limi­ tato nel numero dei suoi membri: Erodoto attribuisce loro addirittura il solo culto di Dionysos (Orotal) e Aphrodite "Urania" (Alilat), men­ tre Strabone quello di Zeus e Dionysos. A parte alcuni casi di asso­ ciazioni divine consolidate e ricorrenti (cfr. ad esempio il caso di

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l NABATEI

Dushara, Manatu e Qaysha a Hegra), è difficile cogliere rapporti di parentela tra i membri di un pantheon, per il quale si è parlato di associazionismo, piuttosto che di politeismo vero e proprio. Sembra emergere comunque un modello di coppia divina di rango superiore, cui tutti gli altri dèi sono sottoposti. Si ritiene che una sorta di " ri­ forma" del pantheon, in senso tradizionalistico ma anche con acco­ glimento di dèi "stranieri" , sia stata realizzata dal re Rabbel n. TI dio principale dei Nabatei era senza dubbio Dushara (Dusares in greco), definito " signore del tempio", " dio del nostro signore", " dio di Gaia" (Wadi Musa). È l'unico ad essere attestato epigrafica­ mente in tutto il territorio nabateo ed è ritenuto dalla tradizione il dio "arabo" per eccellenza, con un culto attestato anche altrove nel Mediterraneo (Mileto, Delo, Pozzuoli). Dushara era forse in origine una figura locale, come dimostra il suo nome, che significa "Quello dello (catena montuosa) Sharat" , una regione montagnosa della Gior­ dania meridionale più o meno corrispondente all'antico Edom (un'al­ tra ipotesi lo collega alla vegetazione e alle aree boscose in generale). Dushara assurse al ruolo di dio dinastico della famiglia reale nabatea e di patrono dello stato. È stato supposto che dietro la figura di Dushara sia talvolta da riconoscere l'antico dio edomita Qòs, ma si tratta di un'ipotesi non dimostrabile, tanto più che quest'ultimo è attestato autonomamente (a Tannur e a Bosra, in una famosa bilingue iscritta su un'aquila in basalto). Sulla personalità di Dushara danno indizi soprattutto gli accosta­ menti e le identificazioni con altri dèi, nonché gli epiteti, che indica­ no una divinità uranica: è invocato nel nord in parallelo a Baalshamin e, soprattutto, è identificato (anche iconograficamente) con Zeus (a Qasr el-Bint), mentre iscrizioni bilingui lo identificano in particolare come Zeus Dusares Soter. Dushara estendeva i propri poteri all'ambi­ to della fertilità-fecondità, come indica la sua identificazione con Dio­ nysos, testimoniata da vari autori classici e anche dai dati iconografici di Tannur e dalle tradizioni di Suweidah/Dionysias, area di produzio­ ne vinicola. Questa identificazione non ha sicuri precedenti e potreb­ be essere limitata all'epoca tarda. Vi è stato anche chi ha ipotizzato che i motivi dell'assimilazione di Dushara a Dionysos non fossero le­ gati al vino e alla vegetazione, ma ai tratti ctonii che caratterizzereb­ bero il dio nabateo protettore delle tombe, ornate con grappoli, viti e motivi floreali. In Dushara si sono voluti individuare anche aspetti lu­ nari e solari, in virtù della sua associazione con Helios (nella zona di Suweidah), che sembrano comunque un fenomeno secondario. Forse alla "riforma" del re Rabbel n si dovette il processo che vide Dushara

RELIGIONE E RELIGIONI IN S I RI A - PALESTINA

prendere l'epiteto di Dushara-Aara, quest'ultimo un dio-betilo vene­ rato in un tempio di Bosra e detto "colui che è in Bosra", epiclesi documentata da iscrizioni, monete e iconografia. Quanto alla divina compagna di Dushara, almeno per Petra sembra le dea al-Uzza, men­ tre nelle iscrizioni safaitiche (Harra) egli è associato all'altra grande dea Allat. Secondo Erodoto, Allat, l'Aphrodite Celeste, era l'unica dea degli Arabi. Popolare in una zona ampia dell'Arabia settentrionale e della Siria, Allat ha certamente un posto di primo piano nel pantheon na­ bateo, anche a fianco di Dushara (come coniuge, talora come ma­ dre? ). Era venerata anch'essa sotto forma di betilo (con viso stilizzato e occhi quadrati a forma di stella) e aveva un carattere polivalente (amore, guerra, fertilità-fecondità, tratti materni e persino tratti astra­ li), come indicano le varie identificazioni. Essa non è attestata a Fe­ tra, ma potrebbe essere la titolare del tempio cosiddetto dei leoni ala­ ti e potrebbe essere altresì rappresentata come Athena in una figura dal temenos di Qasr el-Bint. Aveva altresì la funzione di tyche (sulle monete). Centri di culto di Allat si trovano nel Hauran (anche qui è identificata con Athena), a Iram/Wadi Ramm, a Salkhad (un'iscrizio­ ne menziona forse "Allat e il suo betilo" ) e a Hegra, mentre nella dea di Seeia/Sli deve forse vedersi una forma di Allat-Atargatis. ll re Rab­ bel II potenziò forse anche il suo culto a Bosra, giacché la dea è defi­ nita "madre degli dèi del nostro signore Rabbel" . Un'altra grande dea nabatea era al-Uzza che, accanto ai tipici ca­ ratteri di dea della fertilità e dell'amore, univa aspetti bellicosi ( "la potentissima" ) e forse astrali. A Petra essa è raffigurata nel tempio dei leoni come un betilo dagli occhi tondeggianti; è possibile che fos­ se in origine un titolo di Allat, poiché non le troviamo mai menziona­ te insieme, sicché esse potrebbero essersi diversificate col tempo da un'originaria figura unitaria. Al-Uzza avrebbe preso le caratteristiche di Aphrodite (cui è identificata in una bilingue greco-nabatea di Cos) come dea astrale legata al pianeta Venere, mentre Allat tende a dive­ nire Athena con aspetto militare, assorbendo iconograficamente alcu­ ni aspetti di Atargatis (la cui presenza nel mondo nabateo, in connes­ sione essenzialmente con Allat e al-Uzza, è flebile, percepibile soprat­ tutto in alcune iconografie). In ogni caso, al-Uzza e Allat - entrambe figlie di Allah nel Cora­ no - sembrano giocare ruoli in parte analoghi, anche nei rapporti con Dushara. A Petra, al-Uzza rivestiva forse il ruolo di consorte del dio, mentre altrove questo sembra piuttosto il ruolo di Allat. Oltre che a Petra, testimonianze del suo culto si trovano anche a Bosra, Iram!Wadi Ramm e nel Sin ai.

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7 · l N A BATEI

Una figura dai tratti spiccatamente apotropaici è Shay-al-Qawrn, un dio di origine nordarabica che godeva di un certo culto anche in ambito nabateo. n suo nome è in realtà un epiteto e significa " colui che accompagna/aiuta la gente " , rivelando la sua probabile funzione di protettore dei carovanieri e dei soldati. n dio è particolarmente noto perché in un'iscrizione palmirena lo si definisce come "colui che non beve vino" . Si è pensato che questo aspetto della sua personalità lo ponesse in una certa opposizione a Dushara, o alla versione dioni­ siaca di quest'ultimo, analogamente a quanto awiene in Grecia nei rapporti tra Dionysos e Likourgos: quest'ultimo, attestato in iscrizioni greche del Hauran e altrove in Siria, potrebbe essere stato introdotto come interpretazione greca di Shay-al-Qawm. Al-Kutba, o Kutba, aveva forse un tempio a Gaia/Wadi Musa, ma di questa divinità è incerto persino il sesso: pare comunque una figu­ ra maschile legata alla scrittura ed è raffigurata, tra l'altro, sotto for­ ma di betilo prowisto di occhi. Baalshamin è un dio siriano molto celebre, introdotto a seguito dell'espansione nabatea nella Siria meridionale, dove era molto popo­ lare tra le genti del Hauran e aveva vari luoghi di culto (Sii, Salkhad, Simdj) . Tracce della: venerazione per lui si colgono a Bosra, a Wadi Musa/Gaia, a Petra, a Iram. Qui è stata rinvenuta una dedica rupe­ stre a Dushara e a Baalshamin, detti " dèi del nostro signore" (essi sono menzionati insieme anche a Harra, nel Hauran). L'allusione è verosimilmente al re Rabbel II, che potrebbe aver favorito l'adozione del dio a fianco di Dushara, cui l'avvicinavano forse la personalità e . le funzioni (entrambe divinità "celesti", dai caratteri dominanti). Hubal è un dio originario dell'Arabia centrale, menzionato solo una volta a Hegra (iscrizione funeraria con Dushara e Manat/Manu­ tu) e nei nomi di persona. Sulla personalità di Hubal, adorato nella Kaabah alla Mecca, ci informano fonti islamiche che lo descrivono come un grande idolo, una statua di agata rossa in forma umana e con la mano destra rotta, rifatta in oro. Era al centro di un culto oracolare (con uso di frecce divinatorie) , concernente le nascite le­ gittime, le unioni nuziali e i morti. Gli si sarebbero potuti sacrificare anche cento cammelli. n fatto che gli accenni coranici siano privi di polemica potrebbe suggerire di avere a che fare con una manifesta­ zione o antico nome di Allah. La dea Manutu è menzionata in contesti funerari solo nel nord­ Arabia nabateo, dove sembra in stretta connessione con Dushara. n suo nome si ricollega all'idea di "sorte, fato, porzione" (che spetta a ciascuno = Nemesi). Nel Corano è associata con Allat e al-Uzza e, 127

REL I G I ONE E REL I G I O N I IN S I R I A - PALESTINA

secondo la tradizione, essa fu invocata come le altre come figlia di Allah . Per il dio Qaysha è attestato un tempio a Hegra. li suo nome po­ trebbe riferirsi a "misurare, misurazione" ed essere cosi in qualche rapporto con Manatu in relazione al destino, ma la sua personalità resta enigmatica. Altre divinità minori (Gad, Ashar, Pakeidas, Saabu ecc.), spesso del tutto oscure, sono venerate in ambito nabateo, come anche dèi stranieri. Tra questi c'è Isis, il cui culto a sfondo misterico-salvifico aveva invaso il Mediterraneo in epoca ellenistica, che era venerata a Petra appunto come Soteira e godeva di un proprio sacerdozio. Un discorso a parte merita il culto degli antenati, e in particolare degli antichi re, la cui importanza è suggerita già dall 'uso di alcuni nomi di sovrani (Malichos, Rabbel), e addirittura di regine, come teo­ nimi nell'onomastica personale. Un re Obodas (r o III ) , che sembra essere stato divinizzato, aveva una tomba ad Avdat, una statua di culto iscritta e uno di quei tiasi detti marzeah a Petra. Alcune iscrizioni lo definiscono "Zeus Obodas", ed è invocato insieme ad Aphrodite (una versione siriaca di un testo di Eusebio afferma che gli Arabi adoravano Dusares e Obodos). Potrebbe trattarsi dell'antenato prototipico divi­ nizzato. Si può comunque inferire che ai re, dopo la morte, venisse conferito uno status privilegiato e riservato un trattamento speciale. È forse possibile distinguere, nel culto, un livello pubblico e uno privato, sia individuale che collettivo, in cui si esprimeva la religiosità del singolo o delle persone che formavano gruppi di devoti o associa­ zioni di vario tipo. La dimensione privata poteva anche esprimersi at­ traverso specifiche scelte devozionali, di cui la più caratteristica è for­ se la venerazione di figure divine protettive associate al singolo ( ''dio personale"), alla famiglia o al clan. I templi veri e propri vengono usualmente distinti in un tipo "arabo" (soprattutto al sud), caratterizzato da un'installazione cultua­ le centrale variamente articolata e sistemata in modo da potervi effet­ tuare intorno deambulazioni rituali (chiari antecedenti dell'uso islami­ co meccano) e uno "siriano" (al nord), generalmente caratterizzato da un pronaos e una cella. L'edificio sacro (di tipo siriano) più importante di Petra, che ne contava diversi, era certo il Qasr el-Bint Firaun, una costruzione qua­ drata articolata (pronaos, naos e adyton con due vani accessori) posto all'angolo di un temenos con accesso monumentale, di cui il titolare era forse Dushara (l'unico documento epigrafico, che menziona Zeus H}'psistos, ne conferma l'attribuzione) venerato insieme a una pare­ dra che doveva essere al-Uzza. 128

7· l NABATEI

il tempio Nord di Petra è invece di tipo arabo e qui si venerava al-Uzza. Un altro importante tempio di questo tipo si trova a !ram, a circa 40 km a est di Aqaba, centro di ctÙto di Allat (che un'iscrizione definisce come "la grande dea che è in !ram"), di cui è menzionato anche un sacerdote. Tra gli altri luoghi di ctÙto, vanno ricordati ancora quelli di Khir­ bet et-Tannur e Khirbet edh-Dharih, siti minori a nord di Petra. A Tannur si trova un grande tempio con facciata a colonne, cortile pa­ vimentato, porticato sui lati nord e sud, sede di cwti a varie divinità, non solo nabatee e non tutte facilmente identificabili: tra queste, il dio Q6s, menzionato in un'iscrizione, e forse Atargatis o una dea a lei assimilata. Le sctÙture raffigurano varie divinità, tra cui Aphrodite, al­ Uzza, Helios-Baalshamin, Hermes, Juppiter e una tyche circondata da figure zodiacali. Dharih ha un tempio · ben preservato, tripartito, con facciata decorata e ampio vestibolo che conduce a un secondo am­ biente con mura stuccate e dipinte. Alla fine dell'ambiente c'è il po­ dio dell'adyton quadrato, con tre fori forse per oggetti di ctÙto, cir­ condato da colonnate per deambwazione e cripte. Le vestigia dall'area del Hauran, definite convenzionalmente come nabatee, riflettono in realtà un composito ambiente ctÙturale e reli­ gioso siriano, mentre tracce consistenti di cultura nabatea si trovano nel Negev, in Egitto e nel Sinai (con migliaia di graffiti). Dal punto di vista archeologico, il più rilevante sito nabateo nel Negev è quello di Avdat, importante stazione commerciale nabatea, sede di un tempio del I secolo a.C., distrutto verso la metà del I secolo d.C. e ricostruito in periodo post-nabateo come tempio di Zeus Obodas. Altri centri sede di templi sono Ruwafah (a 220 km a nord-ovest di Hegra) , Bo­ sra (tempio di Dushara-Aara) e Salkhad (tempio di Allat). Un particolare tipo di luogo sacro è costituito dai santuari rupe­ stri intagliati nella roccia, caratteristici soprattutto di Petra, dove se ne contano una quarantina. Sono più antichi dei templi e, mentre questi sono gestiti da sacerdoti, essi sono curati da famiglie o clan e hanno una frequentazione molto più limitata. Le installazioni rupestri includono ancora terrazze, camere cultuali, insieme di nicchie e piat­ taforme. Le nicchie ctÙtuali sono concepite come templi in miniatura e comprendono per lo più betili (spesso rappresentanti Dushara o al­ tre divinità a lui associate; a !ram essi rappresentano al-Uzza e Kut­ ba) con altare e triclini. L'uso di betili è tipico dei Nabatei e riflette la riluttanza a rappresentare dèi in forma umana e, visto il contesto politeistico, senza intolleranza, un'usanza condivisa con la ctÙtura ara­ ba posteriore. Anche la base o trono su cui poggia la stele (motah) era oggetto di venerazione, così come gli altari, eventualmente raffigu-

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Rl'.LIG IONI'. E RI!L J G I O N I IN S I R I A · PALESTINA

ranti essi stessi la divinità, ma anche divinizzati (cfr. lo Zeus Madba­ chos di iscrizioni greche di Siria del, I e II secolo d.C., o anche la versione greca, Zeus Bomos). L'attività sacrificale includeva immolazioni di animali e offerte in­ cruente. Spesso i sacrifici comportavano tra l'altro l'aspersione del sangue delle vittime su betili e stele. Si immolavano soprattutto ovini ma, per quanto più raro, il sacrificio di cammelli è ben testimoniato: un rilievo vicino al Deir di Petra mostra due cammelli condotti verso un betilo dai fedeli, mentre a Pozzuoli dei Nabatei offrono due cam­ melli a Dushara. Nonostante la testimonianza di Porfirio (Pseudo­ Nilo) sulle genti di Dumat e le notizie sporadiche per le epoche più tarde (sacrifici di vergini ad al-Uzza), non vi sono prove di immola­ zioni umane. Altari, incensieri e bacini lustrali sono strumenti del culto. Agli dèi si offrivano vegetali, incenso, vino, olio, argento e bronzo e anche statuette votive. Le cerimonie si compivano nei vari luoghi sacri, ma anche sui tetti. Era diffusa anche la deambulazione intorno a templi e installazioni sacre. Statuette di terracotta suggeriscono l'esistenza di riti con musicanti e musica. Grande importanza era assegnata alla pa­ rola, che si manifestava attraverso la recitazione di incantesimi, invo­ cazioni, preghiere e maledizioni in forme fisse e tradizionali. È proba­ bile la pratica della circoncisione. Non sappiamo molto sui vari operatori cultuali. I santuari erano forse affidati alla custodia di particolari clan o famiglie (sadin = "cu­ stode"). Conosciamo vari tipi di sacerdoti e se ne può dedurre una gerarchia e le varie specializzazioni, come nel caso di personale ad­ detto alla mantica e alla divinazione. Nel culto privato, esistevano le associazioni religiose dette mar­ zeah, in continuità con un'antica tradizione (già incontrata fin da Ugarit), i cui membri si riunivano in appositi locali per la celebrazio­ ne di pasti comunitari e consumo di vino. A Petra alcuni testi indica­ no che tali associazioni, presiedute da un capo (rb), potevano essere composte da gruppi professionali come commercianti, soldati, scribi o lavoratori vari. Erano incentrate su un culto comune, ad esempio per Dushara, invocato come "Signore del tempio" , o per Obodas, l'antico re divinizzato prima menzionato. Per quanto riguarda il calendario festivo, il mese primaverile di Nisan doveva essere un periodo speciale caratterizzato da varie cele­ brazioni, mentre abbiamo indizi di una festa di solstizio estivo cele­ brata nelle principali città nabatee. Intensa era anche l'attività pro­ cessionale, nel cui ambito Petra e Tannur erano certo i centri più fre­ quenti di pellegrinaggi.

7 • l NABATEI

Una dimensione importante della religione nabatea era costituita dal culto funerario, documentato da resti spettacolari, come le circa seicento tombe monumentali di Petra e l'ottantina (con abbondante materiale epigrafico) di Hegra (Madain Salih), tra cui vari sepolcri reali. La forma più semplice di tomba monumentale è comunque rap­ presentata da un particolare monumento funerario, la npf,, rappre­ sentazione piramidale simbolica del defunto. Le persone meno ab­ bienti venivano sepolte nella terra, i più ricchi si costruivano sepolcri intagliati nella roccia, dalle belle facciate scolpite e a varia tipologia: gli interni delle tombe erano complessi, potevano avere molti vani, forse con pratica della doppia sepoltura. La tomba era la casa del defunto, che vi veniva deposto accurata­ mente e regolarmente onorato attraverso la celebrazione di varie ceri­ monie, tra cui pasti funerari e periodiche commemorazioni (ricordan­ done il nome) davanti agli dèi ad opera dei viventi presso il sepol­ cro. In conclusione la religione nabatea, che aveva certo un retroterra tradizionale nomadico, si espresse in forme sue proprie e originali, articolandosi tendenzialmente su due livelli: quello ufficiale, dinastico di stato, con Dushara al centro della devozione, e quello privato, con un'offerta cultuale articolata e legata a tradizioni familiari e individua­ li. Per quanto non si possa assolutamente parlare di monoteismo, è indubbia la drastica riduzione numerica degli dèi, che si inquadra in una tendenza dell'epoca e dell'area, in cui si va progressivamente af­ fermando il concetto di un dio universale e misericordioso, che man­ tiene comunque una consorte al suo fianco e non sopprime un sotto­ bosco di interlocutori apparentemente minori, ma di fatto, spesso, molto presenti nella vita quotidiana dei singoli individui. Una religio­ sità che, nonostante la penetrazione del cristianesimo dopo la fine del regno e la sua piena emersione all 'inizio del IV secolo, resisterà a lun­ go a testimonianza di profonde radici tradizionali.

131

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RELIGIONE E REL I G I O N I IN SJRIA· PALEST!NA

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Indice dei nomi * e delle cose notevoli

Abdu-kheba, 106 Abgal, 82 Abgaridi, 89 Abibaal, 54 Abramo, 99 Acazia, n 8 Acco, 5 2 , 6 1 Achab, 1 03 Achaz, 74 Ada, 2 1 -2, 44 Ada/Addu, 27, 44, 78 Adabal, 2 1 Adamatera, 3 5 Adamma, z i Adarwan, 22 Addin, Ioo Addu, 25 Addu di Khalab (Aleppo), 25 Adon (nome divino), 100 Adon (re di Eqron), I 1 6 Adonis, 5 7 , 59, 74, 86, 9 1 -z Adrammelek, 74 Mrica, 63-4 Aglibol, 78-8o Agu, 22 Ahab, Io4 Ahirom, 55 Ajaram, I07 Akkad, I9, 24 Akko, 1 2 I Alalakh (Tell Atchana), I 7 , 30-I al-Bass, 61

*

Aldemios, I 20 Aldos, I20 Aleppo, 19, z i , 2 .5 , 30- I , 71, 73 Alessandro Magno, 50, 1 2 3

Ali,

1 00

Al-Kutba/Kutba, 127, 129 Allah, 83, 123, u6-8 Allat, 83-4, 1 2 3 , 1 26-7, 1 29 Allat-Atargatis, 88 Althiburos, 67 al-Uzza, 1 23 , u6-3o Amarig, 22 Amatunte, 62 Amazyahu, 109 Amilcare, 63 Amman, 98, 100-2 Ammishtamru 1, 36 Ammon, .52 Ammoniti, 1 3 , 9.5, 98-1oo, 102 , 108-9 Ammu, 28 Ammurapi, 36, 40 Amorrei, 27 Amrit/Marathos, 56 Amum, 25 Amum!Nergal 25, 27 Amun, I I 9 Amuq, 30 Amurru, 3 6 Anat (nome divino), z 8 , 4 .5 , 4 7 , 49, 6z, 83·4, 86, 93, 1 00, I I5 , 1 20· 1 Anat (città sull'Eufrate), 83 Anatolia, r r , 6 1 , 67, 69, u6

Sono esclusi gli autori moderni menzionati nella bibliografia finale.

139

RELIGIONE E RELIGIONI IN SIRIA-PALESTINA

Anchise, n 6 Annibale, 64 Antarados, 5 6 Antas, 65 Antico Testamento, 14, 3 5 , 38, 50, 55, 58, 70, 73"4• 95, 99, 102, 104·7, 109, I I 2·4, I I 8, I 2 I Antigone Monoftalrno, 12 3 Antilibano, 70, 8 r Antiochia, 90 Antioco, 94 Antioco IV Epifane, 89 Apame, 9 1 Apamea, 9 1 Aphrodite, 1 4 , 6 r -2 , n 6 , I I9·2o, u6, !28·9 Aphrodite Anaitis, 91 Aphrodite/Astarte, 9 r Aphrodite Celeste, no, u6 Aphrodite Euploia, 62 Aphrodite "Urania" (Alilat), 124 AphroditeNenere Ericina, 65 Aplad, 83, 86 Apollon, 62, 83, 86, 88, 90, 92, ro8, II9 Apollon/Rashap, I I 9 Aqaba, 122, 129 Aqhat, 43, 46, 48-9, 55 Arabi, u6, u8 Arabia, 98, ro6, ro8, 123·4, 126 · 7 Arabia Saudita, 122 Arad, ro9 Aram, 69, 73, 75 Aramei, 69, 74 Ares, 82, 105 Ar-Khalba, 36 Armenia, 89 Arnon, 103, ro5 Arqu, 72 Arqu-Rashap, 72 Arsacidi, 89 Arsu, 82 Artemis, 83·4, 868, 90, I I9 Arwad (Arados), 56 Arwaditi, 5 2 Ascalona, 94, I I 3·4· r 2o Asdrubale, 63

Ashar, 82, u8 Ashdod, I I3 ·4, I I 8 Asher, I I5 Asherah, 67, I I06, I I6, I 2 I Ashima, roo Ashtabil, 22 Ashtar, 2 I ·2 Ashtart, 45 Ashurbanipal, ro7, u 6 Asia, 62 Asia Minore, 5 8·9, 66, 94 Assiri, 50, 106, I IO Assiria, 95, 103, 1 07, I I 3, n6 Assurbel, 88 Astarte, 32-4, 45, 54, 56· 62 , 64·7, 79 , 83·4, 9 I , IOO· I , I05, I I6, I20• I Astarte Filistea Ourania Aphrodite, !20 Asteria, r or Atargatis, 73·4, 83·4, 86, 88·9I , 93 ·4, !20, 1 29 Atarot, I05 Athena, 83 , u6 Athirat, 44·5, 48 Athtar, 28, 3 3 , 46, 78 Athtar-Kamosh, ro5 Attis, 59 Aureliano, 92 Avdat, uB-9 Aventino, 94 Awali (Asklepios), 5 8 Aya, 2 5 Azizos, Bo, 90, 92 Azizu, 82 AzzanathkonalArtemis, 86 Baal, 9, 2 I , 28, 32 · 7, 40 , 42·9, 5 3 ·4, 56• 62, 66·7, 73 "4• 78, 92 , IOO · I , ro8, I I5·6, n 8 Baal Addir, 57 Baal di Berito, 62 Baal di Sidone, .58 Baal di Tiro, 62 Baal Hammon, 56, 6o, 64·8, 7 1 , B r Baal Malage, 6o Baal Marqod, .57 Baal Safon, 63, 65

INDICE DEI NOMI

Baal Shamem, 5 7 , 6o, 64-5 Baal Zebullb, I I S Baalam, 101 Baalat, 54 Baalbek, 91 Baal-Semed, 7 1 , 73 Baalshamin, 7 3 , 7 5 , So-6, SS-9,

Cadice, 6 6 Caelestis, 64·5 Cagliari, 67

I I 6,

Chosroe

ll5, ll7, Il9

Baaltak, S5 Babilonesi, 50 Babilonia, 14 Bacco, 91-3 Balikh, u Bambyke/Membidj, 93 Barama, 10 Bardesane, S9-90 Bar-Hadad, 74 Barmaren, SS Barqos, 109 Barrakib, 7 1 -1 Beersheva, 109 Beirut, 57, 92 Bel, 77 - S7, S9 ·9o Bdastor, S4 Belhammon, 7S, S 1 Bel-Marduk, 7S Belos (divinità), 61, 9 1 Belos (re), 63 Bene-Agrud, S 1 Bene-Bonna, So Bene-Kohennabu, 7 7 Bene-Komare, So Bene-Maazin, S 1 , 83 Bene-Mattabol, 81 Bene-Nurbel, S 3 Beqa, 70, 91 Bes, 66, 100 Beth-Dagon, 1 14 Beth-Shean, uo-1 Bibbia, 1 9 , 70, 79, 1oS, u1 Biblo, 19, 50, 54·7, 6o, 66, 104, Bitia, 67 Bm/nh, 7 1 Bol, 7S-8o Bolastar, 7S·9 Bosra, 106-8, 123, 1 25 ·7 , 1 29 Bostan esh-Sheikh, 5S

Cananei, 56 Caracalla, S9 Carmelo, 6 1 Cartagine, I I , 1,

5 0 , 6o-S, u o

90

Cipro, 34, 6 1 ·3 , 67, 1 1 7 · 8 Coelesyria, 91 Commagene, 94 Corano, S3, 1 2 3 , u6-7 Cos, u6 Cristo, 91 Cybele, 94 Dagan, 11, 2 5 · 18, 3 3 ·7 , 445, I I 5 Dagon, roo, 1 1 4·5, u 8-9, u r Damasco, 70, 7 3 · 4, Sj , 9 1 , 95 Danil, 49 Danyan, I I 2 David, ro3, r o5 ·6 , 1 1 3 , I I 6 Decapoli, 98 Dedan, 1oS Deir ez-Zor, S5 Deir-Alla, ro1 Delfi, I I 6 Delo, uo, u5 Demeter, 66, 9 1 Deritum, 2 5 Der, 2 5 Derketo, 94, uo Deus Sol Invictus, 9 1 Dharih, u4

u6

Dhibon, 103 Didltanu, 39-40 Dio Anonimo, So-l Diocleziano, 89, 9 1 Diodoro Siculo, uo, u4 Diane Cassio, 1 24 Dionysos, SS, 90- 1 , u 3 · :; , Doeg, 109 Doliche, 94 Duanat, S 1 , S3

Diiliik,

94

Dumat, 1 3 0

Dumuzi, 15

1 27

RELIGIONE E RELIG IONI IN S!R! A · PALESTINA

Dura Europos, n , 79, 8.5 ·7 Durahlun, 85 Dusares, 1 2 .5 , u 8 Dushara, ro8, 1 2. 3 · 3 1 Dushara-Aara, u 6 , 12.9 Ebla (Tell Mardikh), 17, 19·: u , 23·.5, 27, 30, 34 · 4 1 , 44 · 74 · 10,5 Ebrei, 99 Edessa, 8o, 88·90 Edom, .52, 104, 106·7, 109, 1 2.5 Edomiti, I 3 , 98·9, 106·9, 1 2 2 Efqa, n . 7 9 , 8 I Egitto, n , 3.5·6, .5 0, 5 7 , 62 , 67, 70, 74, 92 , to8, I 12 · 3 , 124, 129 Egiziani, 3.5·6, .5 2 , Io8 El, 91 2 1 , 26, 4 1 ·4, 46, 48, 72, IOO, I021 104, 108, I I I El-Amama, Io6 Eleb, uo Elefantina, 70, 74 Elqonera, 83 El-Gebal, 92 El-Hofra/Constantine, 67 Elia, n 8 Ellbaal, H Eliseo, n 1 I 04 Elissa!Didone, 63 el-Kerak, I03 El-qone-eres, 6.5 Emar (Meskené) , 17, 30 ·:1. , 34, 4 I , 74 Emesa (Homs) , 8o, 85, 92 En Hazeva, I I o Enki, 22 Enki/Ea, 1.5 , 3 3 Enlil, 2 2 , 2 6 , 44 Enzu, 22 Eqron, I I 3 , I I 5 ·9 Ereshkigal, 33 Erice, 65 Erodoto, I,5, .5 9, I I,5 , 1 20, 124, 126 Es Cuyram, 66 Esarhaddon, ID7, I 1.5 Esaù, ro6-7, I09 Esculapio, 65·6 Eshmun, 56, .5 8-6o, 64 · .5 , 74 Eshmun-Astarte, ,5 6, 6r

Eshmunazor n, I I 5 Eshmun-Melqart, ,56, 6 I Eshtar, 25 es-Salihiyeh, 85 Eufrate, n , I9, :1. 4, :�. 6, 3 I , 34, 69 · 70, n -6, 83, 85, 93·4 Eusebio (di Cesarea), 56, 1 2 8 Eustazio, n 9 Fenici, I J , .50 · 3 , 57, 6 1 · 3 , 6.5, I I .5 Fenicia, 50, 5 7·8, 6:�., 67 Filadelfia, 98 Filippo v di Macedonia, 64 Filistei, I 3 , 52, n 2·5, I I7·9, 1 2 I Filone di Biblo, 5 6 , 6o, I04 Gabbar, 7 I Gad (nome divino), 3 4 , 8 2 , roo, 1 2 8 Gad (tribù), I05 Gad Taimi, So Gadde, 86 Gades, 66 Gad-Tadmor, 83, 87 Gaia/Wadi Musa, 1:1..5 , 127 Gaia (nome divino), u6 Gamish, 22 Gat, n3, u6, I I9 Gaza, n 3·4, I I9·1o Gaziantep, I I Gebel Muntar, 8 I Gelboe, 1 2 I Gerusalemme, 74, 99, Io5-6 Gesù, 90 Giacobbe, 74, I07, 109 Giacobbe di Serug, 89 Giaffa, I I .5 Giano, 73 Gibeoniti, 99 Giordania, I I, 98, 106, 1:1.2, I24·.5 Giordano, 70, 75, 9.5, 99 Giosia, IDI Giuda, I 3 , .5 :1., 74, I03 ·4· IoS - 9, I I 5 Giuliano, 89 Giuseppe Flavio, 63, u9, 124 Golia, uo Greci, .5 2 , .59, 6,5 , I I 2 Grecia, n o , 1:1. 7

INDICE DEI NOMI

Grotta Regina, Gubliti, 52 Gudanum, 22. Guelma, 67

65

Hadad, 44, 70·4, S6, S9 , 9 I ·4, 1oS Hadad di Sikan, 7 I Hadad-Rimmon, 74 Haddu, 44 Hama, 70, 73 Hammurabi, 24 Harra, u6-7 Harran, 72·4, So Hathor, 5 7 Hatra, S o , S7-8 Hauran, S1, 1 19 , 1 22, u6-7, 1 2 9 Hayya, 7 I Hegra (Madaiin Salih), I 2 2 , ll5·9· I3I

Hekate, 1 1 9 Heliopolis, 92 Helios, 1 1 9, 1 2 3 , 1 2 .5 , I l 9 Helios-Baalshamin, I 2 9 Hera, 93 Herakles, 59·6o, 62., S6, 9 1 , I o r , 1 1 9 Herakles/Hercules, I O I Herakles-Nergal, s s Hercules, 67, I o r Hermes, So, S 2 , 1 2.9 Hermes/Mercurio, S2 Herta, 78 Heshbon, 9.5, Ioo Hierapolis, S4, 89 Hiram 1, 6o Homs (Emesa), 75 Horon, z 8 , 39, 46, 62., 65 , 83, I Z I Horus, 66 Horvat Qitmit, I07·9 Horvat Uza (Khirbet Ghazza), 107 Hoter Miskar, 6; Hubal, 1 2. 3 , 12.7 Iarbas, 63 lbbit-Lim, 2.3 lbiza, 61, 66 Idrimi, 3o· I Idumea, 106

Idumei, Ikausu,

Il,

Io6 I I 5 ·7

100

Ila/ib, 46, 1 1 5 1 Ilu!El, 2. 8 Iluwer, 737

I lO

IM, 3 1

Inannallshtar, Z I , 45 India, 76 Inurta/Ninurta, Ioo Iram/Wadi Ramm, 1 2.4, u6 Ishar, 2..5 Ishkhara, : n , 2.5, 3 3 ·4 Ishtar, 2. 3 , 2.5-S, 30· 1 , 79 Ishtarat, z 6 Isis, .5 7 , 6 ; -6, 9 I , 1 2. 8 Islam, 1 2. 3 Israele, 1 1 , 1 3 , 45 , 5 2., 6 7 , 75,

95, 98,

I O I , 103 ·5 , 1 08·9, I I I , 1 1 4, I I S

Israeliti, 99, 103·6, Io8-9 lttiti, I 91 30, 3.5 -6, ) l Itum, I I .5 ltur-Mer, z ; -8 Iuno (Caelestis/Regina), 64 Jehoram, I 04 Jehoshaphat, I04 Joram, Io6 Juno Dolichena, 94 Juppiter, 44, 70, 12.9 Juppiter Damascenus, 7 3, 9I Juppiter Dolichenus, 87, 94 Juppiter Heliopolitanus, 92. Kamosh, z z , 103·5, r oS Kamoshyat, 103 Karkemish, 3 2 , 36, 72. Kashalu, 2.2 Kasios/Casius, 35 Katharat, 2 2. , 46 Kerak, 103 Khabadu, 2 2 Khabur, 7 1 Khalab (Aleppo), 2 1 , 2 5 , Khaldé, 57 Kharran, 2. 7 Khatti, 32

1 43

2.7

RELIGIONE E REL I G IONI IN S I R I A · PALF.STINA

Khattushili I, 3 o Khazi, 35 Kheb/pat, 22, 3I, 3 3 ·4, 94 Khirbet edh-Dharih, u4, u9 Khirbet et-Tannur, u4, 129 Khurriti, 3 I Kilamuwa, 7 I ·'1. Kir-haraset, I04 Kin� 37, 43, 46, 48, '' Kition (Lamaka), 62 Kore, 66, I I9 Kothar(-wa-Khasis), n Kronos, 64, I04 Kronos/Satumo, 64, 68, I04 Kubaba, 72 Kumarbi, 44 Kuntillet Ajrud, 45 Kura, :J.O·I Kushak, 3I Kutba, cfr. AI-Kutba Labano, 74 Lagidi, 50, 92 Leptis Magna, 65 Libano, I I Liber Pater, 65 Likourgos, I27 Luash, 73 Luciano di Samosata, 57, 93 , uo Maan, 82 Maccabei, u3 Macedonia, 74 Madain Salih, cfr. Hegra Magna Mater (Cybele), 94 Maktar, 65 , 67 Malakbel, 76, 79-Bo, 86·7 Malak-Milkashtan, 6 I , So Malichos, u8 Malik, 28 Malta, 65 Menasse, r Io Manat/Manutu, u3, u5, u7-8 Manawat, B I Mar Motto, 95, 98, Io3, no Mar Rosso, u2

Meran, 88 Marco, I I9 Marco Aurelio Antonino, 92 Marduk, 78, 89 Mari (Tell Hariri), I7, I9, 24 · 3 I , 33 · 5 , 44 Marnas, n9, I 2 I Marneion, I I 9 Manan, 88 Martu, 69, cfr. anche Amorrei Mecca, u7 Mediterraneo, n, 35, 50, 59·60, 62, 65, 76, u:J., u5 , u8 Megiddo, 74 Melqart, 56, 58-66, 74, 83, t o t Melqan/Herakles, 6 z , 8 3 , I O I , I I9 Menfi, 6z Mercurio, 93 Merneptah, I06 Mesha, I03·5 Mesopotamia, n , I7, 19, 27, 39, 69• 70, 78, 89 Michea, I I 5 Mididi, 67 Mileto, u5 Milkashtan, 61, 64 Milkom, I00•'1.1 I05 1 I08 Minoa, I I 9 Mishar, 25 Miskar, 65 Mitra, 87, 94 Mittani, 30· 1 , 3' Moab, , 2 , I03·' Moabiti, I 3 , 98·9, I03·,, Io8·9 Monimos, Bo, 90, 97 Monte degli Ulivi, roi Monte Ebal, n3 Monte Sirai, 67 Mot, 40, 45 , 47 · 8, 78, Ioo Mozia, 6,, 67·8 Naama, IOI Naaman, 75 Nabatei, u2·,, u9·30 Nagar, 27 Nahai/Shamash, 90

144

INDICE DEl NOMI

Nanaia, 78 , 8 3 , Ioo Nebo (località), 105 Nebo (Nabu), 83, 85 , Necho n, I I 6 Negev, I 09, I I I , I l l , Nemesi, u7 Neirab, 70, 73 Ner, Ioo Nergal, 15, 17·8, 83 Nerig (Nergal), 89 Nike, 9 I Nikkal, 45 Nilo, 3 5 , 61, I I 7, I l l NIN.KIR,

89 u4, I l9

33

NIN. URTA,

33"4

Ningirim, 1 1 Ninive, I I 5 Ninkhursag, 1 6 Ninki, 1 1 Ninkur, 3 3·4 Ninni-zaza, 16 Nintu, 12 Niqmaddu u , 36 Niqmaddu m , 40 Niqmepa, 36 Nisaba, 11 Nob, I09 Nonno ru Panopoli, 6o Nora, 67 Numenio, 9 I Nuovo Testamento, I I 8 Obodas, 1 2 8-30 Oceano Indiano, u :a Omayyadi, 73 Omri, I03·4 Ordek Burnu, 71 Oronte, 90, 91 Orotal, I 24 Osiris, 6 I , 66 Osrohene, 89 Ostia, I lo Oviruo, I lo _ Padi, Pafo,

II6 62

Pakeidas, I 28 Palermo, 65 Palestina, I I , 70,

I I 2·3, u5, I l 2 · 3

Palmira, 6 I , 70 , 72 , 74 · 9, S I , 83·7 Palmireni, 78·9, 86 Panamuwa, 71 Parti, 85-6, 89 Peleset, I I l Pella, 9 1 Pentapoli filistea, I I 3, u 7, I l o Persiani, 50 Petra, I l:a·4, u6· J I Phanébalos, uo Plinio, 1 2 4 Plutarco, ! 2 4 Polibio, 64 Pompei, 85 Pontos, 57 Popoli del Mare, 30, 36, p , I I l Porfìrio, I 30 Poseidon, 57, 62, 83 Posidonio, 9 I Potnia, u 6 Pozzuoli, 5 8 , I l 5 , I 3o Pseudo-Nilo, I 3 0 Ptgyh, I I :;-6, I l i Ptnyh, u 6 Pygmalion, 6 3 Pyrgi, 66 Pytho, u 6 Qadesh, 36 Qadshu-wa-Amruru, 44 Qaysha, ! 2 5 , u 8 Qasr el-Bint (Firaun), I l5·6, Qatna (Mishrife), 1 7 , 30 Qir-Moab, 1 03 QOs, IOO, 107·8, I I O· I , I l _5 , Qosgabar, I 07 Q&malak, I 07 Rabbat Amman, 98 Rabbel, u6 RabbeJ Il, I l 3 , I l5 ·6 Rahim, 83 Rakib-El, 7 1 ·1

145

u8

Il9

RI!LIGIONE E RELIGIONI IN SIR I A ·PALEST!NA

Ramesse n, 103 Ramesse 111, 3 6, r u Ramman, 73 Rammon, n Rapiuma (refaim) , 40· 1 , 43, 48, � 4 - � Ras Ibn Hani, 38 Ras Shamra/Ugarit, cfr. Ugarit Rasap, u , 62 Rashap, 28, 34, 46, 72, 83, I I � Re, 92 Rebecca, 74 Reshef, H· 62, 78 Rimmon, zoo Roboamo, roi Roma, 6 � , 8o, 86, 89, 94, 1 2. 3 Romani, .5 2 , 6.5, 8.5, 98 Ruda, 72, 82 Ruwafah, 1 29 Saabu, u8 Sabratha, 67 Sadiq, 38 Saggaratum, z6 Sakon, z8, 64 Salkhad, u6-7, u9 Salomone, n , IOI, IO,, n6 Samal, 70·3 Samaria, 74·.5, 99, I I 8 Sanchuniaton, .5 6 Sansone, I I], I I9 Santa Severa, 66 Sapanu (Safon, Gebel Aqra), 3 .5 , 43·4, 47 Saqqara, I I 6 Sardegna, ·6,, 67 Sardus (Pater), 6.5 Sarepta (Sarafand), � 7·8, 6r Sargon (di Akkad), 19, 3 4 Sassanidi, 8.5 Saturno, 64 Saul, 99, 109, I I], u r Scipione, 63 Sousse, 67 Seeia/Sii, 12.6 Sefarvaim, 74 Seir, zo6·7, 109

Seleucidi, .50, 8.5, 89, 92 Seleuco 1 Nikator, 86, 89·9 1 , 93 Semeion, 86, 93 Semele, 90 Semiramis, 94, uo Sennacherib, I I� Shadrafa, .56, .58, 6.5, 8 r , 83 Shaggar, 34 Shahar, 34, 73 Shakhru, 34 Shala, 2.5 Shalim, z8 Shamash, z x , 3 3, 2 � ·7, 73 -3, 76, 88, 901 IOO Shamgar, I I 3 Shamsh, 79·8o, 83 Shapash, 40, 4.5 , 47·8 Sharat, n.5 Sharon, I I] , I I .5 Shasu, xo6-7 Shawushka, 30-1 Shay-al-Qawm, Il7 Shefelah, I I3 Shekelesh, I I 2 Sherdana, I Iz Sheru, xo6 Shesh-u-ib, 23 Shihan (Rujm el-Abd), 10.5 Shipitbaal, .54 Shuppiluliuma, 3 6 Sicheo, 63 Sicilia, 63 , 6.5, 67, 94 Sid, 64·.5· IOO Sid-Melqart, 6z Sidone, .54, .57-60, xox, I I.5 Sidonii, .5 2 Sid-Tanit, 61 Siene, 74 Sii, u6 Simdj, 12.7 Simia, 93 Sin, 2.5, 27, 72 Sinai, 4.5, uz, u6, Il9 Siria, I I , 17, 19, 27, 30, 70· 1 , 8o, 87, 92 • ] 1 9.5 1 106, 123 ·4, 12.6·7 , IJO Siria-Palestina, I I , 19, uo

INDICE DEl NOMI

Sirii,

Ugarit, 1 7 , 2 1 - 2, 24-7, 30, p, 34-46,

r r .5

Sousse, 67 Stefano di Bisanzio, r o r , I I 9 Strabone, 1 23-4 Sulcis, 67 Suprum, 2.5, 27 Suweidah/Dionysias, 1 2.5 Tabqa, 32 Tadmor, 7.5

Wadi el-Araba, r o6-7 Wadi Musa (Gaia), 125 Wen-Amun, 28 Weshesh, r 1 2

r

1 .5

Tell Qiri, 1 2 1 Tell Suqas (Shukshu), .5 2 Tell Umayri, 1 02 Tell-Afis, 7.5 Terqa (Tell Ashara), 1 7 , 2.5-6, 30, 34 Teshub, 3 1 , 44, 94 Tharros, 67 Tiamat, 22, 7 8 Tiglath-Pileser 11, 9.5 Tiglat-Pileser m , 107 Timmutu, 22 Tinnit, 64-7, 84, 1 20 Tinnit-Astarte, .5 8 , 6 r , 6.5 Tirii, 52, 62 Tiro, r r, .50, .57, .59-63, So, r o r Tjeker, 1 1 2 Tolomeo n Filadelfo, 98 Traiano, 98, 12 3 Troia, 5 6 Tu, 2 2 Turchia, 3 0 , 7 1 , 88, 94 Tuttul, 22, 26, 34

I I 8 , 130

Umm d-Amed, 6r, S o Uni (Astarte), 66 Ur, 24, 27 Urfa, 8 8 Uruk, 1 9 Utu, 2 1 -2 Venere, 9 1 - 3 , 1 2 6 Vicino Oriente (antico), 14, 2 9 , 7 7 , B r

Taima, 8� Tannur, r o8 , 12.5 , 1 2 9 Tartous, .56 Tas Silg, 6.5 Tauro, u, 70 Teboursouk, 67 Tell el-Mazar, 99-100 Tell es-Saidieyh, 99 Tell Fekherije, 7 1 Tell Halaf, 70 Tell Jawa, r o2 Tell Miqne-Eqron, I I 3, Tell Qasile, 1 2 0

49· .54·5 , 59· 67, 70, 72, 74· 84, 105,

Yahweh, 44, 7 5 , 7 8 , u 8-9 Yahweh di Teiman, uo Yam, 37, 45-7, 78, r oo Yamkhad (Aleppo), 27, 30, 32 Yarhibol, 7 6, 7 8-9, 82, 86-7 Yarikh(u), 28, 45 Yarqon, r q , r 2 o Yaudi, 7 1 Yehawmilk, 5 4 Yehimilk, 5 1 Yerah, roo Yerahazar, ro2 Zakkur, 7 3, 75 Zeus, 44, 62, 70, 78, 86, 90- r , 9 3, u 9, 1 2 3 -5

Zeus Akraios, u r Zeus Ammon, ro2 Zeus Bomos, r 30 Zeus Dusares Soter, r 2 5 Zeus Hypsistos, 12 8 Zeus Kyrios, 86 Zeus Madbachos, 1 3 0 Zeus mégistos kertiunios, B r , 9 1 Zeus Obodas, u8-9 Zimri-Lim, 25 Zincirli, 7 r

1 47