"Bandiera rossa" nella Resistenza romana

Bandiera rossa nella resistenza romana Corvisieri, Silverio

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"Bandiera rossa" nella Resistenza romana

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SAGGISTICA 9

Copyright - Edizioni Samonà e Savelli Via Chinotto 1 - Roma Aprile 1968

Silverio Corvisieri

’’BANDIERA ROSSA,, NELLA RESISTENZA ROMANA

SAMONÀ E SAVELLI

INTRODUZIONE « Non si può fare la storia della Resistenza romana senza esamina­ re obiettivamente l’attività svolta dal movimento “ Bandiera Rossa ” che, dopo la liberazione confluì, nella sua maggioranza, nel PCI ». (G. Amendola)

La Resistenza romana nonostante alcune recenti ini­ ziative storiografiche 1 continua a restare avvolta in una nebbia che nasconde parte notevole delle sue caratteri­ stiche classiste, riducendo il volume delle azioni di guer­ riglia, così come la complessa articolazione dei gruppi politici, alle vicende delLattentato di via Rasella e della crisi del CLN. La stessa nebbia cela, inoltre, aspetti fon­ damentali della travagliata rinascita del movimento ope­ raio romano e della sua faticosa ristrutturazione. Nuove indagini hanno già consentito « scavi » di ri­ lievo. Sono stati riportati alla luce uomini, fatti e situa­ zioni sui quali era caduto l'oblio o che non erano mai stati conosciuti. Si è lasciato così intravedere una dimen­ sione diversa e più veritiera della Resistenza a Roma e una cura più attenta si è cominciato a porre alla rico­ struzione dei processi molecolari attraverso i quali sono

1 Tra i lavori più recenti vanno segnalati: Lorenzo D'Agostini e Roberto Forti « Il sole è sorto a Roma », patrocinato dall’ANPI, Roma 1965; Le storie della Resistenza romana di Piscitelli, Perrone-Capano; i fascicoli speciali di Capitolium (anno XXXIX, n. 6; giugno 1964) e di Rassegna del Lazio (anno XII, numero speciale, 1964, contenente gli atti del convegno svoltosi a cura della Provincia di Roma).

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risorti i partiti. Ma grande è ancora il lavoro che resta da fare. Una prima clamorosa sorpresa per le generazioni che non vissero quegli anni tragici ed esaltanti, e forse anche per le generazioni che li vissero, viene dall'esame di alcuni freddi ma eloquenti dati statistici: quelli riguardanti i morti, i feriti, i combattenti e i patrioti della Resistenza romana secondo la classificazione ufficiale fatta nel 1945 dalla commissione laziale del ministero dell'interno2. La sorpresa sta nel fatto che una formazione politi­ ca di cui si è sempre parlato poco e malvolentieri, ai più sconosciuta — il Movimento Comunista d'Italia o movi­ mento di Bandiera Rossa3 — ha avuto, durante i nove mesi dell'occupazione nazista, 186 caduti (tre volte quelli subiti dal PCI, cinque volte quelli del partito d'Azione); 137 arrestati e deportati; i combattenti « riconosciuti » del movimento furono 1.183, cinque in più di quelli del PCI e 481 più del partito socialista. Il contributo di san­ gue dato dai gruppi di « Bandiera Rossa » è pari al 34 per cento del totale per quanto riguarda i morti; ammonta a poco meno di un quarto per i feriti. Questi ultimi dati, a differenza di quelli concernenti il numero dei combat­ tenti e dei patrioti (molti dei quali non ebbero tempo o voglia di sbrigare le pratiche per il riconoscimento pub­ blico) sono fuori di ogni discussione. Il sangue dei martiri di Bandiera Rossa ha irro­ rato il campo di battaglia di Porta S. Paolo durante la difesa di Roma (8-10 settembre) e della periferia della città nel giorno della liberazione (4 giugno '44). Alle Fosse Ardeatine su 335 massacrati almeno 52 appartenevano a quella formazione politica. Nomi di militanti del M.C.d'1.4

2 I dati ufficiali sono stati riprodotti in appendice a « Il sole è sorto a Roma » op. cit. 3 Durante la Resistenza Bandiera Rossa fu la testata di di­ versi giornali clandestini. Oltre allargano del Movimento Co­ munista d’Italia, esistevano Bandiera Rossa, organo del Fronte Proletario Rivoluzionario; Bandiera Rossa, organo dei comuni­ sti partigiani (PCI); B.R. organo delle Formazioni in difesa del popolo. Un Bandiera Rossa fu fondato da Basso a Milano. At­ tualmente Bandiera Rossa è l’organo della sezione italiana della IV Internazionale. 4 Nella trattazione chiameremo la stessa formazione politica Bandiera Rossa, Movimento Comunista d’Italia e M.C.d’I.

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figurano su tutte le lapidi poste nelle strade, nei forti Bravetta e Boccea dove venivano eseguite le fucilazioni, nei lugubri edifici in cui le SS e la peggiore feccia del fa­ scismo torturavano i partigiani. Caduti e sopravvissuti fu­ rono protagonisti di azioni militari efficaci, di un sabo­ taggio capillare e infaticabile, di una vasta campagna di propaganda ispirata agli ideali del socialismo, di un atti­ vità organizzativa e di proselitismo di tutto riguardo. Il primo grande processo contro la Resistenza romana fu celebrato dal Comando tedesco contro un gruppo di diri­ genti di Bandiera Rossa. Nel primo eccidio compiuto a Roma dai nazisti, quello della Fossa di Pietralata, 9 ca­ duti su 11 appartenevano al M.C.d’I. Eppure di essi poco o nulla conoscono gli stessi par­ tigiani, assolutamente nulla le nuove generazioni. Gli uo­ mini di Bandiera Rossa oggi non esistono più come forza politica autonoma; nessuno di essi è diventato mi­ nistro o parlamentare o ricopre importanti incarichi pub­ blici (con l’eccezione di Matteo Matteotti il quale, però, abbandonò il movimento nel febbraio 1944 per aderire, in­ sieme al fratello e su pressante richiesta di Nenni, al par­ tito socialista). Qualche accenno alla loro attività comin­ cia ad apparire nei più recenti lavori storiografici sulla Resistenza: l’interesse non è ancora adeguato ma, in­ tanto, segna una fase nuova dopo quella del primo dopo­ guerra o « fase della calunnia » e quella degli anni ’50 o « fase del silenzio ». Di recente, oltre al riconoscimento di Amendola, che vale a rettificare il giudizio dato nel 1954 5, un altro uomo politico e protagonista della Resistenza romana, il socialista Giuliano Vassalli, ha scritto che il movimento Bandiera Rossa fornì alla lotta contro il nazismo « le sue forze migliori e un grande numero di eroici caduti, fra i quali non può non ricordarsi senza commozione il gruppo degli eroici giovani fucilati al Forte Bravetta la mattina del 2 febbraio 1944 ». Bandiera Rossa era un’organizzazione di comuni­ sti dissidenti, i quali non accettavano del PCI né la poli­ tica di unità nazionale né il monolitismo nei rapporti in­ terni. Il disaccordo fondamentale riguardava la imposta5 Cfr. « Le condizioni della Resistenza romana » di Giorgio Amendola, da Rinascita, anno XI, n. 3, marzo 1954, in Rassegna del Lazio, cit.

zione della lotta antifascista che il PCI era venuto elabo­ rando sulla scorta delle indicazioni del VII Congresso dell’Internazionale e sulle esperienze del Fronte popolare in Francia. Il monolitismo e il burocratismo erano criticati so­ pra lotto come strumenti usati per fare accettare alla base classista del PCI una politica che non sarebbe stata con­ divisa se diverso fosse stato il regime interno del partito. La Resistenza, da Bandiera Rossa, era concepita come il prologo della rivoluzione socialista: ne conseguiva che il proletariato avrebbe dovuto parteciparvi in maniera autonoma, senza mai celare — come aveva insegnato Marx — i suoi reali intendimenti e agitando le più radicali parole d’ordine democratiche (come, ad esempio, quella della pregiudiziale repubblicana) con il chiaro intento di cristallizzare attorno a sé tutti i possibili alleati. Posizioni analoghe, come vedremo, furono sostenute anche da altre organizzazioni di comunisti dissidenti a Torino, Milano, Napoli e un po’ dappertutto. Quando non nascevano frazioni o veri e propri movimenti, si poteva sempre registrare nella base del PCI la presenza di fer­ menti critici « di sinistra ». A Roma il fenomeno fu più macroscopico sia perché spezzava in due tronconi la for­ za comunista e sia perché si svolgeva parallelamente alla frattura profonda del partito socialista (nel PSIUP, come si chiamava allora, esisteva un’ala sinistra guidata dal vicesegretario del partito, Carlo Andreoni6, e dai giovani seguaci di Basso). Prima di affrontare direttamente la storia di Ban­ diera Rossa non si può quindi fare a meno di tentare

6 Carlo Andreoni, fu prima anarchico e poi fece parte del PCI. Ne venne espulso per aver compiuto un attentato terro­ ristico violando la disciplina del partito. Uscito dal carcere, mi­ litò nel partito socialista durante la Resistenza e diresse una organizzazione partigiana con metodi assolutamente personali. Curò anche il giornale clandestino II Partigiano con la collaborazione di Leonida Rèpaci. Allontanato anche dal partito socia­ lista, fondò l'Unione Spartaca e, dopo la liberazione si avventurò in tentativi di creare focolai di guerriglia. Personaggio complesso, sostanzialmente un anarchico, divenne sempre più violentemente anticomunista e finì con l'aderire al partito di Saragat. La mat­ tina del 14 luglio 1948, giorno dell'attentato a Togliatti, scrisse un articolo in cui si affermava che i comunisti dovevano essere I ncilatì.

una sintesi sommaria delle fasi alterne attraverso le quali passò il PCI negli anni attorno allo scoppio della secon­ da guerra mondiale e, anche, dell'articolazione ricca e complessa del movimento operaio e socialista romano prima del 25 luglio 1943. Che cosa era il PCI allo scoppio della guerra che avrebbe segnato la fine del fascismo? Chi, dove e quanti erano i comunisti italiani? Nessuno ha tentato di dare una risposta esauriente a questi interrogativi anche se qualche sforzo è stato compiuto per rendere il quadro meno nebuloso7. Se dal punto di vista quantitativo siamo costretti a navigare nel buio; è invece legittima una suddivisione dei comunisti in diverse categorie o aggruppamenti: in un primo gruppo vanno messi quelli che si trovavano al con­ fino o in carcere (si tratta di almeno un migliaio di qua­ dri preparati e sperimentati); poi devono essere conside­ rati i comunisti all'estero (in URSS, in Francia, negli Stati Uniti e nel nord-Africa) tra i quali erano Togliatti e gli altri principali dirigenti; esistevano infine piccole orga­ nizzazioni sparse per l'Italia che mantenevano saltuari contatti con il centro-esterno 8; vivacchiavano altri grup­ pi, formatisi attorno a vecchi compagni che il partito aveva « sganciato » perché troppo sorvegliati dalla polizia o perché orientati in modo non conforme alla linea della direzione; sorgevano inoltre nuclei di giovani che da un generico antifascismo si spostavano gradualmente sul ter­ reno delle forze marxiste e cercavano l'incontro con il PCI; c erano infine operai, contadini, intellettuali che — nono­ stante i venti anni di dittatura fascista — avevano con­

Di fondamentale importanza in materia è la relazione della Direzione del PCI « Il comuniSmo italiano nella seconda guerra mondiale », pubblicata dagli Editori Riuniti nel 1963, con una prefazione di G. Amendola e corredata di importanti documenti. Cfr. anche di Roberto Gabriele « Partiti e movimenti antifascisti alla vigilia del 25 luglio » e « I partiti e le masse popolari del 25 luglio» in appendice al libro di R. Zangrandi (1943: 25 luglio8 settembre), ed. Feltrinelli. » Lo stesso gruppo romano a partire dal ’39 fu costretto a diradare molto i suoi contatti con il centro-esterno. Dopo l'arrivo di Mas sola in Italia, ad esempio, il primo incontro avrebbe do­ vuto aver luogo nel dicembre del 1942 a Milano ma non potè avvenire perché, nel frattempo, Alicata, che era stato incaricato della missione, era stato arrestato.

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servato un legame ideale con la tradizione socialista delle loro famiglie o delle zone in cui vivevano. La gran massa dei comunisti era dunque quella disor­ ganizzata o comunque non collegata in alcun modo con il centro-esterno. Tra i vecchi compagni era ancora viva l’influenza bordighista oppure quella che prevalse nellTnlernazionale durante il « terzo periodo » o periodo del « socialfascismo », oppure il più genuino leninismo non deformato dalla degenerazione staliniana. In questi strati di comunisti convinti o di semplici simpatizzanti Finfor­ inazione sulle vicende dell’Internazionale e del PCI era pressoché nulla; l’esperienza di lotta era, nel migliore dei casi, un lontano ricordo. Tutti però guardavano all’URSS come al paese dei Soviet, al paese della prima rivoluzione vittoriosa, a un faro e a una speranza per i lavoratori di tutto il mondo. La svolta dei fronti popolari rappresentò qualche co­ sa di completamente nuovo nella storia del movimento comunista. Il criterio fondamentale di valutazione delle forze politiche divenne allora non più la collocazione nel­ la lotta di classe ma la posizione nei confronti dei regimi fascisti. Il cambiamento era tanto più brusco in quanto veniva dopo la teorizzazione staliniana del socialfascismo che aveva costituito un irrigidimento settario e aberrante rispetto alla politica leninista. Tra i comunisti italiani, il « terzo periodo » si era in­ nestato sull’antica matrice bordighista e aveva perciò tro­ vato un terreno fertile tanto che lo stesso Gramsci, in car­ cere, venne a trovarsi in un doloroso isolamento. Ora si passava all’estremo opposto. Questa svolta, come tutte le altre che l’avevano pre­ ceduta e che avevano caratterizzato la direzione stali­ niana deU’Internazionale, avvenne per impulso dall’alto c non potè quindi non suscitare, in alcuni strati di mili1anti, perplessità e anche ostilità. Le critiche, indubbia­ mente, erano critiche « da sinistra », tendenti cioè a de­ nunciare gli aspetti interclassisti dei fronti popolari. E poiché la critica più coerente e conseguente al VII Con­ gresso deU’Internazionale veniva da Trotskij, si fece pre­ sto ad indicare come trotskisti tutti gli elementi critici. E poiché, a partire dal ’36, erano cominciati i famosi processi moscoviti in cui il trotskismo veniva denunciato come un movimento che aveva speso « più di trenta anni della sua esistenza a prepararsi per la sua finale trasfor­ — 12 —

mazione in una sezione d'assalto del fascismo, in una delle sezioni della polizia fascista »9, fu considerato normale accusare o sospettare tutti gli elementi critici di essere agenti fascisti o, comunque, del nemico di classe. Giuseppe Berti che per un certo periodo 10*fu in pra­ tica il segretario del PCI, in una testimonianza11 sulla vita del partito negli anni immediatamente precedenti la guerra, ha scritto che « il tentativo di trasposizione di questa politica (quella del VII Congresso nda) era stato troppo meccanico, non troppo felice » e che « i filoni or­ ganizzativi sulla base dei quali venne ripreso il lavoro (cospirativo in Italia nda) risultarono, in una considere­ vole parte minati dal lavoro di penetrazione poliziesca... Si cominciò, quindi, a capire che sulla vecchia rete orga­ nizzativa non era più prudente lavorare anche se essa era in una certa parte sana. Si cominciò a capire che bisognava porsi il compito di lavorare in una maniera nuova, individuando i nuovi quadri antifascisti che la situazione italiana generava e dando a loro più autono­ mia di lavoro ». E' vero che il fascismo, attraverso gli agenti della sua polizia speciale, FOVRA, era riuscito a penetrare in molte organizzazioni antifasciste, comprese quelle comuniste. Ma la scelta di abbandonare la « vecchia rete organizzati­ va » non fu dovuta soltanto e neanche principalmente a questo fatto: furono piuttosto i risultati non felici della « trasposizione meccanica » della nuova linea politica a far guardare con interesse « i nuovi quadri antifascisti » e, in particolare, quei giovani che — come accadde a Ro­ ma — arrivarono al comuniSmo attraverso il fascismo di sinistra e il crocianesimo. Una conferma di questa ipo­ tesi è stata fornita da Amendola12: «Si inizia così nel 1937 un periodo assai confuso. Alle polemiche si aggiun­ 9 Dalla requisitoria al processo contro Radek, Pyatakov etc. Cfr. « Il processo antitrotskista del 1937 », ed Capriotti, Roma 1946. io Berti sostituì Grieco il quale era stato criticato per alcune sue formulazioni come, ad esempio, per l’appello « ai fratelli in camicia nera». Togliatti, come è noto, si trovava a Mosca nell’esecutivo dell’LC. n Cfr. il fascicolo 19 delle dispense « I comunisti nella storia d’Italia », ed. del Calendario del Popolo. 12 Cfr. la prefazione a « li comuniSmo nella seconda guerra mondiale » op. cit.

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gono le conseguenze di una serie di cadute che riducono di molto l'estensione della rete interna dei collegamenti... Si debbono considerare anche le inevitabili conseguenze nella vita del Partito comunista italiano delle vicende del movimento comunista internazionale, soprattutto dopo lo invito alla vigilanza rivoluzionaria e alla lotta contro le provocazioni trotskiste e le penetrazioni del nemico nelle file del partito e del movimento operaio, lanciato da Sta­ lin con il rapporto al CC del PCUS La conquista del bol­ scevismo e, soprattutto, con i « grandi processi » del '37 che portarono alla eliminazione dei vecchi quadri delle varie opposizioni. Nel partito italiano ... fu alimentato un certo clima di sospetto e di diffidenza... ». In realtà nel '37 il Presidium dellT.C. aveva severa­ mente criticato Ruggero Grieco, allora segretario del par­ tito ; poco dopo il comitato centrale del PCI, in un do­ cumento del '38, affermò: « I bordighisti-trotskisti deb­ bono essere allontanati spietatamente e senza ritardo e denunciati pubblicamente come agenti del nemico in mo­ do che le masse li respingano come la peste. Gli elementi conciliatori verso i bordighisti-trotskisti, che esitano a rompere i rapporti con questi nemici, debbono essere espulsi dal partito ». Non ci vuol molto a comprendere che cosa potesse si­ gnificare una direttiva del genere per la fragile rete clan­ destina del PCI. E' anche evidente che i cosiddetti « bor­ dighisti-trotskisti » e i « conciliatori » si trovassero in gran numero soprattutto tra i vecchi compagni. Non si può infine non osservare che anche dal punto di vista della sicurezza cospirativa questa posizione doveva dare risultati disastrosi: è infatti lapalissiano che le spie del1'0VRA, una volta riuscite a penetrare nel PCI come in qualsiasi altra formazione politica, si dimostrassero tra i più zelanti sostenitori della direzione del partito in modo da allontanare ogni possibile sospetto. Soltanto dopo la Liberazione e l'apertura degli schedari della polizia spe­ ciale si faranno certe amare scoperte... A scombussolare ulteriormente la situazione del PCI, e, in generale, dei comunisti italiani, venne lo scoppio della guerra, dopo la firma del patto tedesco-sovietico (altro motivo di gravi dissensi interni che portarono an­ che a espulsioni clamorose come quelle di Umberto Ter­ racini e di Camilla Ravera dal collettivo dei comunisti coni inali).

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Il governo francese di Deladier promosse una vio­ lenta repressione delle forze comuniste, immigrati italiani compresi. Furono così arrestati Togliatti, Longo, Montagnana, Platone, Giuliano Pajetta e altri dirigenti. Segui­ rono « mesi di gravissime difficoltà, forse i più duri della travagliata storia del PCI »13. Biuseppe Berti « in base ad erronee valutazioni » 14 portò la sede della rivista Stato Operaio e la cassa del partito negli Stati Uniti mentre la direttiva era quello del ritorno clandestino in Italia. In quel periodo l'organizzazione del PCI era polverizzata « in numerosi piccolissimi gruppi, inattivi, non collegati tra loro né col centro del partito ». Una ripresa dell'attività organizzata si potè avere sol­ tanto nel 1941 quando Umberto Massola, membro della nuova Direzione, riuscì a entrare in Italia e a riallacciare i contatti con i comunisti di Milano e di Torino. Ma proprio a partire dall'estate del 1941, mano a mano che la guerra rivela agli italiani che cosa è il fa­ scismo e a quali disastri può portare, sorgono un po' ovunque gruppo di operai o di intellettuali animati da ideali socialisti. I « vecchi compagni » comunisti o so­ cialisti fungono da catalizzatori, i gruppetti « misti » e non collegati con i partiti tradizionali cominciano ad al­ largare la loro cerchia di contatti; nuovi orientamenti si affermano tra i giovani. Roma in questo senso è un caso tipico. Nella capitale ritroviamo un campionario completo di tutte le tendenze politiche esistenti nel paese e le ritroviamo con le loro caratteristiche più peculiari. Nel 1941 a Roma esistevano almeno cinque gruppi che si richiamavano al comuniSmo e che si disputavano l’adesione di poche migliaia di ope­ rai, intellettuali, studenti; artigiani e impiegati: 1) il nu­ cleo comunista ufficialmente riconosciuto dal PCI (quello degli studenti universitari cui, via via, avevano dato vita Natoli, Pietro Amendola, Ingrao, Alicata, Bufalini, L. Lom­ bardo-Radice, Sanguineti etc.; 2) gruppi di operai larga­ mente influenzati da Cerilo Spinelli, conosciuto con lo pseudonimo dì Tommaso e considerato trotskista sia per il suo orientamento politico e sia perché fratello di Ve-*1 13 Cfr. La prefazione a « Il comuniSmo nella seconda guerra mondiale ». 14 Ibidem.

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niero Spinelli il quale, dopo aver militato nel PCI, appena uscito dalle carceri fasciste, aveva raggiunto Parigi e aderito per qualche tempo alla opposizione trotskista italiana guidata da Leonetti, Tresso e Ravazzoli; 3) i gio­ vani socialisti legati o a Carlo Andreoni o a Lelio Basso, permeati da spirito libertario-luxemburghiano; 4) i Co­ munisti Cattolici (Franco e Marisa Rodano, Barca etc.); 5) l'organizzazione Scintilla formata soprattutto da « vec­ chi compagni » comunisti e socialisti. Esistevano poi altri gruppi minori e più genericamente antifascisti. E' proprio Scintilla che, ai fini della storia di Bandiera Rossa, più ci interessa dal momento che costituì il nucleo originario del M.C.d'I. e, in un certo senso, anche la par­ te di dirigente. Dal ’35 al '41 gli uomini che poi avrebbero dato vita a Scintilla non svolsero altra attività politica che non fos­ se quella di incontrarsi, in dieci-dodici al massimo, nelle salette di alcuni caffè oppure nelle loro abitazioni, per scambiarsi libri (molto richiesti erano II tallone di -ferro di J. London; il Manifesto dei Comunisti; La madre di M. Gorki). La lettura di qualche copia, vecchia di anni, dell’unità delVOrdine Nuovo o dell'Avanti! e l'informazio­ ne sulle vicende politiche di cui la stampa fascista non parlava, servivano ad alimentare una tenue fiammella di speranza. Si ascoltavano le radio straniere, si leggeva l’osservatore Romano e si discuteva. Nulla di più. Di questo gruppetto faceva parte l'avv. Raffaele De Luca, calabrese, che in gioventù a Napoli, era stato anar­ chico e che, successivamente, aveva aderito al PSI diven­ tando sindaco nella natia Paola; Volpini, un toscano, che aveva militato nella gioventù socialista e poi partecipato nel 1921 alla fondazione del PCI come delegato di Gros­ seto; Francesco Cretara, autodidatta e artista proveniente dai gruppi dei Cristiano-Sociali, e che concluderà la sua evoluzione politica aderendo dopo il '50 alla IV Interna­ zionale; Orfeo Mucci, figlio di un anarchico del popolare quartiere di S. Lorenzo, organizzatore per qualche tempo di un piccolo gruppo di operai. Altri elementi di rilievo erano Pietro Bàttara (attualmente membro del CC del PSU); Ezio Villani; Libero Vallieri; il fioraio Augusto Ra­ poni (che durante la Resistenza — passato al PCI — diri­ gerà una delle « zone » della città); Aladino Govoni, figlio del poeta e più tardi massacrato dai nazisti.

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Quando i contatti di questo gruppo cominciarono a diventare sempre più frequenti ed estesi fino al punto di portare alla costituzione di vere e proprie cellule nella fabbrica Breda, nel Poligrafico di Stato, tra i lavoratori dell'azienda comunale di trasporto e in alcune borgate, si decise di promuovere una vera e propria organizzazio­ ne. Fu scelto il nome di Scintilla (l'organo di stampa — un foglio faticosamente preparato con il tirabozze — ebbe questa testata) con chiaro riferimento all’Iskra di Lenin e con la convinzione di costituire l'embrione del nuovo partito comunista a Roma. Gli uomini di Scintilla in. fatti, benché non avessero contatti con il Centro del PCI, erano certi di essere loro a rappresentare la continuità del partito. Conoscevano e avevano rapporti con i gio­ vani universitari comunisti ma non sapevano che questi, attraverso gli incontri di Pietro e di Antonio Amendola con il fratello Giorgio confinato a Ponza, o attraverso i viaggi di L. Lombardo-Radice e di Aldo Natoli a Parigi, avevano ottenuto il riconoscimento ufficiale dal centro­ esterno del partito. L'attività di Scintilla, tutta tesa ad allargare al mas­ simo la sfera della propria influenza e a prepararsi alle ore difficili che si avvicinavano, consisteva in riunioni settimanali del gruppo dirigente nella casa di Cretara; nella diffusione del giornaletto tirato in un centinaio di copie e passato di mano in mano; nella stesura e di­ scussione di documenti politici elaborati individualmen­ te o da una parte di compagni. Gli aderenti erano re­ golarmente tesserati, cosa che dimostrava una scarsa conoscenza delle regole cospirative: sulla tessera cam­ peggiava un Marx barbuto e severo. Non è facile tracciare uno schema degli orientamenti di Scintilla perché mancano verbali delle riunioni e non esistono più copie del giornaletto. Oltre alle figure di alcuni protagonisti e ai successivi sviluppi della loro azione politica, una idea della tematica elaborata da quella organizzazione può essere tratta da un opuscolo « Il comuniSmo in stato d'accusa ovvero i pretesi pro­ positi machiavellici dei comunisti », Ed. « Scintilla », au­ tore Sator (uno pseudonimo dietro il quale si celava, quasi certamente, Pietro Bàttara). L'opuscolo vuole essere una difesa dei comunisti dal­ l'accusa che veniva loro mossa in ambienti liberali o so­ cialdemocratici, di volere la libertà al solo scopo di con-

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quistare il potere e di essere sostanzialmente liberticidi. Potrà apparire strano se si pensa che nel '43 gli uomini di Scintilla diventeranno l’anima di un movimento co­ munista di sinistra, ma la sostanza delle posizioni di Sator assomigliano assai più ad alcune fondamentali con­ cezioni odierne del PCI che a una critica di stampo bor­ dighista o trotskista. Sorgono perciò notevoli perplessità nel considerare le posizioni di Sator come comuni a tut­ ta l’organizzazione. Sulla questione della dittatura di classe, ad esempio, se da un lato si giustifica l’uso della violenza da parte dei bolscevichi come l'unica risposta possibile alla vio­ lenza usata dal governo di Kerenski contro di essi, si afferma: « In ogni modo pensare oggi alla possibilità di una dittatura, sia essa proletaria o no, dimostrerebbe soltanto mancanza di sensibilità politica e non conoscen­ za di quelli che sono i desideri del proletariato stesso. Le masse lavoratrici nella loro totalità o per lo meno nel­ la loro parte cosciente, sono contrarie a qualunque for­ ma di dittatura e ciò per naturale stanchezza di sistemi dei quali la parte contraria ha troppo abusato. La parola stessa « dittatura » è oggi talmente invisa fra la classe lavoratrice che il solo parlarne non fa che creare delle posizioni di diffidenza ». Manca in Sator, come è evi­ dente dal passo citato, la cognizione leninista della dit­ tatura proletaria che, essendo dittatura della larga mag­ gioranza sulla minoranza degli ex-sfruttatori, è il punto più alto della democrazia. Il trattatello proseguiva rivendicando la validità pie­ na del Manifesto di Marx e criticando severamente il vecchio PSI. Anche nei confronti del PCI si prendevano le distanze esprimendo riserve poco chiare: « ci dichia­ riamo comunisti —concludeva, tuttavia — perché il no­ stro programma resta fissato nei dieci punti contenuti alla fine della seconda parte del Manifesto ». Di notevole interesse, se si tiene conto dell’epoca e delle condizioni in cui venne elaborata, è la parte ri­ guardante l’atteggiamento verso l’URSS: « Ben lontani dallo sconfessare l’operato dei comunisti russi, che han­ no agito come le circostanze hanno imposto, teniamo a chiarire però che il legame fra il comuniSmo russo ed il nostro comuniSmo deve essere inteso non come un rap­ porto di subordinazione ma semplicemente come una < ollahorazionc sul piano internazionale dei movimenti

proletari. Anche se qualche comunista ha mostrato una assoluta incomprensione di fronte ad un fatto casuale, come il patto russo-tedesco dell'agosto 1940, credendo suo obbligo inchinarsi alla croce uncinata15 perché in quel momento la Russia, ed intendiamoci bene, non il partito comunista (sovietico nda), veniva a patti con i reazionari e i militaristi prussiani, non pertanto si deve credere che il comuniSmo italiano si sia genuflesso in quella occasione al fascismo. Il frequente brancolare nel buio del comuniSmo internazionale deve essere attribui­ ta al fatto che la centrale comunista aveva la sua sede a Mosca e che la Russia, come l'unico paese comunista, aveva per forza dovuto adottare l’esperimento del " co­ muniSmo in un paese solo ". Tutte le volte che la poli­ tica internazionale aveva sospinto l’URSS verso una de­ terminata soluzione, contraria ai principi del comuni­ Smo, si determinava come contraccolpo uno sbandamen­ to dei comunisti degli altri paesi, che perdevano la bus­ sola non riuscendo a distinguere dove cominciava Tinteresse dell'URSS come stato nella comunità degli stati e dove cominciavano gli interessi dell’internazionale comu­ nista ». Dopo l’intuizione di questi nodi della crisi dell’inter­ nazionalismo, Sator concludeva con una affermazione che non poteva non allarmare gli intellettuali — come Alicata e Cesarini-Sforza — che tenevano rapporti con Scintilla per conto del PCI: « Questo stato di fatto dovuto principalmente alla difesa della rivoluzione co­ munista iniziatasi in Russia con l'instaurazione del co­ muniSmo in un paese solo, istaurazione avente uno sco­ po puramente strategico-rivoluzionario, cesserà il giorno in cui la rivoluzione comunista entrerà nella sua ultima fase con la sommersione degli stati nazionali e con la realizzazione dell’unione di tutti i popoli ». L’accusa di trotskismo non tardò ad essere mossa contro posizioni che, oggi, potrebbero semmai essere definite « giustificazioniste » dei guasti portati dagli orientamenti stali­ niani nella III Internazionale. L’incontro tra il gruppo degli universitari comunisti e Scintilla fu molto difficile e non portò alla unifica­ 15 Si allude, forse, all’atteggiamento imbarazzato di alcuni comunisti francesi.

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zione. L'operazione che, sia pure faticosamente, era riu­ scita nei confronti di alcuni gruppi operai sottratti alla influenza di Cerilo Spinelli16 e di altri già vicini ai socia­ listi di sinistra17, non ebbe risultato positivo con l’organizzazione dissidente più forte. Troppi erano i motivi di divisione: oltre alla linea dei fronti popolari non com­ presa o chiaramente avversata, oltre a una diversa con­ cezione dei rapporti con l’URSS e dell’internazionalismo proletario, va considerata la diversa estrazione sociale (gli uomini di Scintilla erano quasi tutti artigiani, ope­ rai, bottegai, autodidatti mentre gli altri venivano in ge­ nere da famiglie borghesi benestanti e avevano potuto ac­ cedere ai gradi più alti dell’istruzione scolastica). E an­ cora: militanti come De Luca o Volpini, che avevano com­ piuto una esperienza politica nell’Italia prefascista ed erano stati perseguitati dagli squadristi, non potevano non guardare con istintivo sospetto a quei giovani che indossavano la camicia nera e che svolgevano tanta parte della loro battaglia all’interno delle organizzazioni fa­ sciste. Alicata, Ingrao etc., dal canto loro, non potevano fare a meno di ricordare le direttive avute dal centro­ esterno, attraverso una complicata trafila, affinché dif­ fidassero dei « vecchi compagni » e in modo particolare di quelli che svolgevano critiche trotskisteggianti: a Ro­ ma avevano avuto anche bordine di evitare i contatti con gli operai comunisti perché si sospettava l’infiltrazione poliziesca. Alcuni di essi, come Natoli, che era stato a Parigi con una borsa di studio, avevano forse letto in Stato Operaio del 1937 un articolo di Giuseppe Berti in cui si affermava: « Certo i trotskisti-bordighisti, cacciati dalle nostre file, compiono un’opera deleteria ai margini della classe operaia. Essi si presentano ancora agli ope­ rai come comunisti, anzi come comunisti « puri »! Ciò facilita il loro compito di portatori di parole d’ordine del fascismo tra gli operai. Sono questi messeri che di­ 16 Anche Cerilo Spinelli per qualche tempo aveva fatto parte del PCI finendo con tesserne espulso per motivi analoghi a quelli che costarono l’allontanamento a Carlo Andreoni. Durante la Resistenza militò nel partito socialista coprendo cariche di ri­ lievo. •7 Cfr. l’articolo di Antonello Trombadori « Tre storie di Ro­ ma clandestina», pubblicato dalTlùzzYà il 20 gennaio 1957.

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volgano la parola d'ordine dei poliziotti che oggi, in Italia, non ce nulla da fare... I loro capi hanno capito­ lato di fronte al fascismo, con Amadeo Bordiga alla te­ sta, figura vergognosa, ributtante, di rinnegato »; oppure, sempre su Stato Operaio, avevano letto la dichiarazione di Ercoli (Togliatti): « La lotta contro il trotskismo è il dovere di ogni lavoratore onesto. Bisogna liberare de­ finitivamente il movimento operaio internazionale dal fango trotskista. Bisogna finirla con la tendenza a con­ siderare la setta controrivoluzionaria trotskista e i suoi aderenti come una frazione del movimento operaio. Bi­ sogna mettere fine alla tolleranza verso questi ignobili agenti del nemico... ». L'ultimo punto fondamentale di dissenso tra i due gruppi concerneva il funzionamento interno del partito: Scintilla rifletteva un miscuglio di posizioni oscillan­ te tra il vero centralismo democratico — quale nel PCI era stato applicato da Gramsci — e orientamenti anarchicheggianti. I giovani comunisti dell'università, inve­ ce, non avendo conosciuto quelle esperienze ed essendo passati attraverso l'esperienza fascista, trovavano più sopportabile la « bolscevizzazione » del partito come l'in­ tendeva Stalin. Non c'è quindi da meravigliarsi se, dopo i primi con­ tatti, Cretara espresse a Raponi18 il dubbio che gli altri fossero « comunisti del questore » e che sospetti analoghi fossero, invece, nutriti dagli altri verso Scintilla. A fu­ gare questa atmosfera venne l'ondata di arresti del di­ cembre del 1942: alla fine di quell'anno si ritrovarono in carcere, insieme, Alicata con molti comunisti e quasi tut­ to il gruppo dirigente di Scintilla: i rapporti politici rimasero tesi e anzi inaspriti dalle discussioni avvenute in carcere, ma quelli personali risultarono decisamente migliorati. Una conferma dello sviluppo che Scintilla aveva avuto nel 1942 è data dal riconoscimento fatto dal PCI pochi anni dopo 19 quando, ricostruendo la situazione dei comunisti romani, affermerà: « Caratteristico era il caso di Roma, dove accanto a gruppi di operai che avevano

18 Testimonianza di Raponi. 19 Cfr. « Il comuniSmo italiano... » op. cit.

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mantenuto assai debolmente la continuità organizzativa della federazione romana, la rappresentanza del partito era stata assunta dall’organizzazione diretta dai giovani intellettuali del gruppo di Alicata, Lombardo-Radice, Onofri etc. mentre un’altra organizzazione, orientata in modo settario, raccoglieva molti elementi e manteneva anche contatti con altri gruppi politici ». La storia dei « giovani comunisti » romani20 è an­ cora tutta da scrivere. Dalle notizie sparse, ricavabili da articoli di riviste o da testimonianze, è possibile tuttavia comprendere come se c’era un gruppo al quale la linea del VII Congresso dell’Internazionale, e quindi la poli­ tica di unità nazionale antifascista, dovesse apparire con­ geniale, questo era il gruppo degli universitari. Essi si erano costituiti come gruppo nel 1937 dopo aver fre­ quentato le case di illustri intellettuali come Giuseppe Lombardo-Radice, i fratelli Amendola (Giorgio, comuni­ sta già da anni, si era avvicinato al PCI dopo essere ri­ masto deluso dalla passività dei liberali che aveva cono­ sciuto nel salotto napoletano di Croce), Guido De Rug­ giero, Fortunato Pintor. Il gruppo che poi divenne co­ munista e che inizialmente comprendeva Aldo Natoli, L. Lombardo-Radice, Pietro e Antonio Amendola, Paolo Bufalini, Gastone Manacorda, Massimo Aloisi, Aldo San­ na, Sergio Fenoaltea, Leone Cattaui, Paolo Alatri, Paolo Solari, Marcello Conversi, Paolo Buffa, Eolo Scrocco e che si giovava della guida dei più anziani Manlio Rossi Doria e di Bruno Sanguineti (proveniente da Parigi e già da tempo comunista), si muoveva nell’ambito di una larga concentrazione di studenti antifascisti ma di diver­ se tendenze ideologiche. L’antifascismo militante, e cioè la volontà di lottare per la restaurazione delle libertà democratiche, era for­ temente sentita da tutti i numerosi nuclei giovanili che si erano andati costituendo a Roma nell’università. Que­ sto cemento comune faceva in modo che i confini dei vari gruppi non fossero severamente delimitati e che, spesso, avvenisse un interscambio tra un gruppo e l’altro (Fenoaltea e Cattaui, ad esempio, passeranno al Movi­ mento liberalsocialista e poi al partito d’Azione). 20 Una cronistoria è stata fatta da R. Zangrandi in appendice al suo « Lungo viaggio attraverso il fascismo », ed Feltrinelli.

Tutti questi giovani, compresi i comunisti, conobbe­ ro Marx attraverso Croce. Del resto non era neanche fa­ cile procurarsi opere di Marx. E’ legittimo dubitare che essi avessero una diretta conoscenza di Lenin: Paolo Bufalini, ad esempio, commemorando Mario Alicata, ha ci­ tato 21 alcuni autori come fondamentali nella formazio­ ne sua e dei suoi compagni: non vi figura Lenin. Ancora • . . • *• • - . «V nel 1938, a conclusione di un convegno, il gruppo decise che una delegazione recasse a Croce un messaggio-ap­ pello: la risposta del filosofo — un invito a « studiare » — fu tanto più deludente per quei giovani quanto più essi continuavano a nutrire illusioni sull'uomo che personi­ ficava la « religione della libertà ». Tardivo fu anche, per forza di cose, il contatto con la classe operaia. I primi collegamenti con gli operai romani comunisti o simpa­ tizzanti avvennne nel 1941: ma anche allora si potè par­ lare di contatto con la classe operaia fino ad un certo punto. Roma, del resto, non era la città più indicata per simili esperienze. Da quanto abbiamo detto si intuisce come l'aper­ tura verso gli elementi democratico-borghesi fosse più agevole a questi giovani intellettuali che non ai militanti di vecchia data, consapevoli che lo sfruttamento capi­ talista permane anche in regime parlamentare e repub­ blicano. La distinzione tra democrazia borghese e demo­ crazia socialista, pur non essendo ignorata sul piano teo­ rico, perdeva quella rigidità che invece ha nel pensiero di Marx e di Lenin. I giovani arrivarono alla decisione di aderire al partito comunista partendo dall'ossensazio­ ne di « una contraddizione tra la " religione della liber­ tà " e la realtà di una tradizione liberal-democratica che non aveva saputo impedire la vittoria del fascismo e non sapeva indicare le vie per abbatterlo »22. Anche indicazioni, che venivano dal centro-esterno, come quella di operare all'interno delle organizzazioni fasciste, risultavano del tutto congeniali a studenti che quel lavoro spontaneamente avevano cominciato a fare. Le regole della clandestinità, l'ignoranza del centralismo democratico e persino quella sorta di misticismo che 2i Cfr. l’articolo « Un dirigente del partito nuovo » di Paolo Bufalini, in Rinascita del 10 dicembre 1966. 22 Ibidem.

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molti intellettuali nutrirono per Stalin, contribuirono a fare dei « giovani comunisti » dei quadri più facilmente inseribili nell'organizzazione a carattere monolitico del partito. Non tutti gli studenti che nell'università di Roma si erano orientati verso il marxismo, entrarono nel grup­ po comunista. Bufalini ricorderà « alcuni antifascisti che erano allora con noi, i quali si dichiaravano comunisti trotskisti, poi preduti alla nostra lotta » e dirà che ave­ vano idee « schematiche e aride ». C era poi il gruppo di Unione Proletaria, sorto verso il 1939, il cui nucleo originario era formato da Mario Zagari, Aldo Valcarenghi, Giovanni Barbero e altri; a questi si unirono poi Giuliano Vassalli, Vezio Crisafulli, Edoardo Perna, Tullio Vecchietti, Achille Corona e, dopo il 25 luglio ,anche Eugenio Colorni. Questi giovani, che si collegheranno in modo assai stretto a socialisti più anziani o ad ex-comu­ nisti come Lelio Basso, Lucio Luzzatto, Carlo Andreoni, nella loro maggioranza, durante la Resistenza, avranno posizioni vicine a quelle di Bandiera Rossa. L'altro gruppo significativo che operava a Roma tra i giovani era quello dei Comunisti Cattolici che nel '40-'41 ebbe contatti con nuclei di operai. Erano molto vicini al PCI tanto che nel 1942 si andò a un passo dal­ l'unificazione organica dei due movimenti: il tentativo naufragò sulla questione religiosa. Ma, nonostante ciò, i rapporti si mantennero cordialissimi e l'unità d’azione andò perfezionandosi23. Per rendersi conto della portata che ebbe il risveglio dei giovani, e in modo così accentuato a Roma, è bene ricordare che dal gennaio 1939 al luglio 1943 il Tribunale Speciale processò 1.590 antifascisti, di cui 752 avevano meno di 30 anni e 328 meno di 25. Dopo l'ondata di arresti del dicembre 1942 che tolse dalla circolazione i due terzi del gruppo dirigente di Scintilla, si ebbe una momentanea eclisse di questa organizzazione (anche se il giornale riapparve un paio di volte). L'attività divenne più cauta e fu indirizzata verso una paziente opera di penetrazione nelle borgate 23 Per maggiori conoscenze sui Comunisti Cattolici cfr. « La Sinistra cattolica e la Resistenza » di Mario Cocchi, ed. CEI, Roma 1966.

che si stavano trasformando in vere e proprie polveriere umane. Questa impostazione non dette risultati imme­ diati ma segnò la premessa per la conquista dell’egemonia in certe zone della città. L’avvicinarsi della tempesta, preannunciato dai gran­ diosi scioperi nelle fabbriche del Nord (marzo ’43), ebbe chiari sintomi anche a Roma dove i giovani comunisti e antifascisti moltiplicarono i gesti di protesta. Il 21 aprile, ad esempio, quando il partito fascista volle celebrare il Natale di Roma mobilitando le masse studentesche in grandi adunate e con la partecipazione obbligatoria de­ gli studenti in camicia nera o in divisa militare, accadde che soltanto alcune centinaia di giovani risposero all’ap­ pello ma, tra questi i gerarchi imbestialiti notarono la presenza di un gruppo compatto che ostentava gli abiti borghesi. Scoppiarono tafferugli e la polizia intervenne arrestando qualche antifascista. Nella mattina di Pasqua circa 400 giovani tra appartenenti al PCI e ai Comunisti Cattolici si recarono in piazza S. Pietro per manifestare a favore della pace e contro il fascismo: la dimostrazio­ ne poi non ebbe la conclusione prevista perché Pio XII, evidentemente avvertito, non si affacciò al balcone per impartire la benedizione (caso senza precedenti che te­ stimoniò l’imbarazzo del regime e di quel discusso papa). Ancora: il Primo Maggio gruppi di studenti distribuiro­ no volantini davanti a tutti gli ingressi della Città Uni­ versitaria; sui foglietti soltanto tre frasi: « via il fasci­ smo »; « viva gli operai del Nord »; e « abbasso la guer­ ra ». L’Università fu chiusa per dieci giorni. Nella prima metà del 1943, mentre il PCI andava riassestando la sua organizzazione, altri processi politici dimostrarono quanto la situazione si andasse radicalizzando. Il 10 gennaio, a Milano, ebbe luogo il convegno costitutivo del MUP (movimento di unità proletaria) che assorbì i giovani romani di Unione Proletaria e il Partito Socialista Rivoluzionario che pure operava a Roma. Nel­ la capitale si era anche autonominata una direzione del PSI (Lizzadri, Vernocchi, Romita e Carnevari). Si rico­ stituì il Partito Repubblicano che nel Lazio conservava le tradizionali zone d’influenza. Confluirono infine, nel Partito d’Azione i due tronconi di Giustizia e Libertà e del movimento liberalsocialista. Nello stesso periodo un avvenimento sensazionale — l’autoscioglimento della III Internazionale — acce­ — 25 —

se appassionate discussioni in tutti i gruppi del movi­ mento operaio e segnò, così come era accaduto per il patto russo-tedesco, un nuovo motivo di contrasti. I punti di vista erano talmente diversi che i comunisti rinchiusi nel carcere di Regina Coeli, discussero per tre intere settimane, nelle ore del passeggio, prima di ap­ provare un documento; al dibattito parteciparono anche gli uomini del gruppo Scintilla’, fu proprio in quel periodo che Augusto Raponi si staccò dall'organizzazio­ ne e confluì nel PCI. La decisione, in realtà, si prestava a molteplici in­ terpretazioni. Stando alla lettera del documento 24 — che tuttavia era largamente sconosciuto — il passo era stato deciso per consentire ai diversi partiti comunisti di sce­ gliersi più autonomamente la propria strada dal momen­ to che l'Internazionale non era riuscita a tener conto della « profonda differenza delle vie di sviluppo storico di ogni paese ». Ma, obiettavano alcuni, questa grave de­ cisione — presa tra l'altro non da un congresso ma dai membri del Presidium del comitato esecutivo dell’I.C. e appoggiata dai rappresentanti di soli cinque partiti co­ munisti — non andava forse nella direzione opposta? Non poteva, insomma, essere considerata come la defi­ nitiva utilizzazione dell'Internazionale ai fini della ragion di stato dell'URSS? Infatti lo scioglimento dell’Interna­ zionale poteva essere valutato come una garanzia data dall'Unione Sovietica ai suoi alleati nella guerra antihi­ tleriana, di non voler stimolare né aiutare, nella crisi postbellica, il maturare di una nuova ondata rivoluzio­ naria. E' da sottolineare che il documento di dissoluzione dell'I.C., subito dopo aver affermato che ogni partito deve elaborare autonomamente la sua linea politica, si affretta a precisare quali in realtà dovevano essere i compiti dei partiti comunisti: « La guerra mondiale sca­ tenata dagli hitleriani ha acutizzato ulteriormente an­ cora le differenze nelle condizioni dei vari paesi, segnan­ do una profonda linea di demarcazione fra i paesi che subiscono la tirannia hitleriana e i popoli amanti della libertà uniti nella potente coalizione antihitleriana ». 21 II documento è stato pubblicato in appendice a « Il co­ muniSmo italiano... » op. cit.

« Mentre nei paesi del blocco hitleriano il compito fondamentale degli operai, dei lavoratori e di tutta la gente onesta è di contribuire in tutte le maniere possi­ bili alla disfatta di questo blocco minando la macchina da guerra hitleriana dal di dentro, e lavorando per ro­ vesciare i governi responsabili della guerra, invece nei paesi della coalizione antihitleriana, il sacro dovere delle larghe masse del popolo, e prima di tutto e soprattutto degli operai progressivi, è di appoggiare in ogni modo lo sforzo di guerra dei governi di questi paesi allo scopo di ottenere la più rapida distruzione del blocco hitleria­ no e di realizzare la collaborazione amichevole fra le na­ zioni sulla base dei loro uguali diritti ». Nel documento non si fa alcun accenno alla lotta di classe e tantomeno si pone come attuale la rivoluzione socialista in qualsiasi tipo di paese: né per quelli domi­ nati da Hitler né per quelli a democrazia borghese e neanche per quelli soggetti allo sfruttamento coloniale. I due poli in contrasto sono fascismo e antifascismo, non più proletariato e borghesia, socialismo e capitali­ smo. Non è senza significato che cinesi e jugoslavi fece­ ro le loro rivoluzioni nonostante queste direttive stali­ niane per trovarsi poi, in diversi momenti, in contrasto con il gruppo dirigente del PCUS e la maggioranza dei partiti comunisti. Non si trattava d'una novità ma soltanto dello svi­ luppo conseguente del VII Congresso delFI.C. nel qua­ dro della terribile guerra mondiale. Il punto di arrivo di questo processo può essere spiegato soltanto come una esasperazione del cosiddetto « sostituzionismo », e cioè del fenomeno sviluppatosi nell'unione Sovietica dopo il trionfo della rivoluzione d'Ottobre: il partito che si so­ stituisce alla classe, la burocrazia dirigente al partito, il capo alla burocrazia. Ora è lo stato sovietico che, se­ condo Stalin, rappresenta la causa della rivoluzione so­ cialista. Il suo esercito, la sua forza politica e militare, sostituiscono le avanguardie rivoluzionarie del proleta­ riato dei diversi paesi. La rivoluzione avrà luogo là do­ ve l'Esercito Rosso sconfiggerà il nemico (paesi dell'Est europeo) e, più esattamente, nella zona d'influenza con­ cordata con gli alleati anglo-americani. I partiti comu­ nisti devono soltanto occuparsi di mobilitare « tutta la gente onesta » nella lotta antihitleriana. Lo scioglimento della III Internazionale suscitò a

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Roma tre tipi di reazione: quella dei comunisti « uffi­ ciali » che fu di comprensione dell’operazione effettuata a Mosca; quella di Scintilla che consistette nel con­ siderare lo scioglimento come una semplice mossa di­ plomatica dell’URSS per consentire al proletariato dei paesi capitalistici di fare la loro rivoluzione senza do­ verne pagare un prezzo sul terreno dell’alleanza militare antihitleriana; quella dei socialisti di sinistra che, non rimpiangendo una Internazionale largamente burocratiz­ zata e ridotta al rango di una sezione del ministero degli Esteri sovietico, spingeva verso la fondazione di una nuo­ va internazionale. Nella discussione, comunque, vennero al pettine tut­ ti i nodi delle diverse impostazioni ideologiche e politi­ che. Quale era il carattere della guerra in corso? Non era più necessaria l’Internazionale? Come doveva essere condotta in Italia la lotta al fascismo e, in generale, quale doveva essere il rapporto tra lotta per obiettivi de­ mocratici e lotta per il socialismo? Tutti questi problemi, sul tappeto da tempo, furono riproposti con drammaticità. Il PCI riteneva che l’ag­ gressione all’Unione Sovietica aveva mutato qualitativa­ mente il carattere della guerra e che quindi non si po­ teva in alcun modo parlare di conflitto interimperiali­ stico; altri, pur considerando la variante costituita dalla presenza nella guerra dello stato sovietico, sottolinea­ vano che l’urto tra USA-Gran Bretagna e Francia da una parte e Germania-Italia-Giappone dall’altra, doveva es­ sere considerato essenzialmente come la guerra tra bri­ ganti che difendevano il loro bottino e briganti che se ne volevano impossessare. Di conseguenza e nei paesi dominati da Hitler e negli altri, il proletariato avrebbe dovuto perseguire autonomamente i suoi fini rivoluzio­ nari sia pure adeguandosi alle condizioni esistenti in cia­ scun paese. In ogni caso la lotta per la caduta del fasci­ smo in Italia non poteva essere disgiunta da una lotta a più largo respiro contro la classe che si era servita dei fascisti per conservare il suo potere di sfruttamento e che era responsabile, ora, del disastro. Questo atteggiamento critico verso la posizione della direzione del PCI era largamente condivisa dai « vecchi compagni ». Lo si potè costatare soprattutto nella secon­ da metà del ’43, durante i mesi febbrili della riorganiz­ zazione dei partiti operai.

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Abbiamo già visto come a Roma queste resistenze fossero diffuse. Ma esse erano fortissime anche tra gli operai del Nord e i contadini del Sud. Lo stesso Amen­ dola riconoscerà25 che « mentre la direzione svolgeva la sua azione politica sulla linea sopra indicata di unità na­ zionale, quasi tutti i gruppi con cui essa prendeva contatto erano orientati in modo molto settario, e per questo erano portati a non comprendere e a non approvare le iniziative politiche prese dal centro ». I « vecchi compagni » veni­ vano accutasi di settarismo perché ancorati alle loro espe­ rienze; i compagni nuovi subivano la stessa accusa: il loro settarismo era dovuto all'inesperienza... Velio Spano, che insieme a Eugenio Reale, ebbe per qualche tempo la direzione del PCI nel Sud, scriverà a sua volta 26: « Nel Mezzogiorno, in generale, vecchi compa­ gni che erano stati nell'ombra per molti anni e che, tornati dalle carceri o dalle isole di confino, avevano ripreso qualche attività politica ricostituendo nella semiclandesti­ nità dei gruppi di partito... Tutte queste organizzazioni... avevano un orientamento corrispondente alle esperienze dei loro quadri, e quindi un orientamento settario ». Esa­ minando poi gli sviluppi del partito nella seconda metà del 1943, Spano confesserà27 che «quando nel mese di novembre giunse in Sicilia, nelle Calabrie e nelle Puglie l’opuscolo del compagno Spano « I comunisti e l’unità nazionale contro l’invasore », opuscolo nel quale era più particolareggiatamente tracciata la linea del nostro par­ tito, esso fu accolto da alcuni con scetticismo, da altri addirittura con indignazione. Molti dei vecchi compagnigiudicavano essere questa linea un vero e proprio tradi­ mento del comuniSmo ». La federazione napoletana co­ nobbe alla fine del '43 una grave scissione, detta di Monte Santo: « un gruppo di vecchi compagni e di elementi po­ liticamente indefiniti diedero l’assalto alla sede della fe­ derazione tentando d’impadronirsene; il tentativo fallì ma nel corso di qualche settimana si costituì a Napoli una seconda federazione « comunista » la quale, prendendo il nome dalla sua nuova sede, si chiamò di Monte Santo ». Nel Nord, oltre all’esistenza a Milano e altrove dei 25 « Il comuniSmo italiano... » op. cit. 26 Ibidem. 27 Ibidem.

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bassiani e dei bordighisti i quali — seppure da angola­ zioni diverse — esprimevano critiche da sinistra al PCI, il fenomeno di maggiore rilievo è forse il malessere della base operaia torinese che si esprimerà con critiche molto vivaci, come vedremo, alla politica seguita dal Comitato Antifascista durante i « 45 giorni » di Badoglio. Il ma­ lessere nel 1944 sfocerà in una scissione del PCI: i dissi­ denti, circa 2.000 (mentre il PCI contava su 5.000 elementi), tutti operai della FIAT o di altre fabbriche, fonderanno il movimento di Stella Rossa. Questa dissidenza merita un cenno particolare perché presenta notevoli analogie con quella romana di Bandie­ ra Rossa. Racconta Luraghi28 che le lontane origini di tale gruppo vanno ricercate nell’autunno del 1943 e risal­ gono « a un diffuso malcontento prodottosi in alcuni gruppi di operai a causa di determinati atteggiamenti politici e di determinati metodi usati dal Partito comuni­ sta» . Il caos seguito all’8 settembre convinse definitiva­ mente questi gruppi che la politica di unità nazionale, così deludente, doveva essere abbandonata per una linea strettamente classista; inoltre aveva suscitato risentimen­ to una decisione come quella deH'allontanamento dalla Camera del Lavoro di Torino di Giorgio Carretto, un ope­ raio divenuto popolarissimo. Verso la fine del dicembre 1943 uscì il giornale clandestino Stella Rossa con la sottotestata « organo del Partito comunista », ma la scis­ sione avvenne soltanto a maggio 1944. Il movimento era guidato da operai comunisti, in genere anziani, tra i quali spiccava la figura di Pasquale Rainone, che aveva par­ tecipato alla fondazione del PCI e che successivamente era stato perseguitato e incarcerato dai fascisti. Altri di­ rigenti erano l’operaio chimico Carlo Bacciarini, il tipo­ grafo Pavanetto, l’operaia tessile Anna Fattori, il metal­ lurgico Giuseppe Ravina, che lavorava alla FIAT-Mirafiori e che aveva giocato un ruolo di grande rilievo negli scioperi del marzo 1943, il ragioniere Mario Micheletti e l’operaio della Mirafiori, Vincenzo Stisi. La posizione di Stella Rossa può essere desunta da un articolo pubblicato dal giornale e di cui riportiamo alcuni passi: « Lotta ad oltranza contro i nazifascisti con Raimondo Luraghi « Il movimento operaio torinese du­ rante la Resistenza», ed. Einaudi.

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tutti i mezzi possibili: a questo scopo e solo a questo scopo unità di intenti e di azione, senza distinzione di partiti e di colori politici; d’accordo. Sarebbe però imper­ donabile se, nel frattempo, venissero trascurate le mano­ vre più o meno sotterranee del capitalismo che mira a piazzarsi nelle migliori posizioni per impedire, dopo la sconfitta tedesca, ogni movimento risolutivo del prole­ tariato... I capitalisti, oggi, sono diventati degli antifascisti ad oltranza, e sperano in questo diversivo non solo al fine di deviare la loro responsabilità, ma contano che nella foga antifascista il popolo esaurisca il suo impeto... Poi, i signori capitalisti parleranno di ricostruzione, di amore di patria, della necessità di solidarietà e di con­ cordia. Tutti a posto, tranquilli e mansueti, affinché il ruolo degli sfruttati e degli sfruttatori riprenda come pri­ ma e meglio di prima... Noi gridiamo forte ai lavoratori di aver fede e di credere nella rivoluzione proletaria come nell’unica soluzione possibile. Se il partito ufficiale sarà fedele ai suoi postulati, le nostre aspirazioni saranno real­ tà e noi stessi marceremo tra i primi ». La posizione verso i dirigenti del PCI era delineata in un altro articolo (« Perché siamo comunisti e non cen­ tristi ») in cui si afferma che il proletariato italiano « non può limitarsi a voler istaurare un regime di democrazia « il più popolare possibile » — come sostiene il Centro (e cioè la direzione del PCI nda); per far ciò non è ne­ cessario appellarsi ai comunisti: lo si può fare avendo un’insegna democratico-radicale, socialista, popolare ecc., assai più rispondenti al metodo e alla mentalità centriste... Il problema nazista è un problema gravissimo, ma contingente. In un prossimo domani l’Italia sarà di fronte ad immensi problemi da risolvere, ed alla loro soluzione non si opporrà più l’odiato nazista, bensì l’imperialismo democratico dei francesi, inglesi ecc... ». E ancora: « Terminata la guerra... s’inizierà... la lotta tra il vero movimento comunista, rappresentante degli in­ teressi del popolo, ed i vari partiti rappresentanti gli in­ teressi del capitalismo liberal-democratico e della pluto­ crazia anglosassone... I dirigenti centristi asseriscono che svigorizzando il PC, si possa galvanizzare la borghesia nella lotta antitedesca, renderla estremista... Certo, dal punto di vista del « cadreghinismo » politico personale, la via scelta dal centrismo è forse la più comoda per assicu­ rarsi anticipatamente alcuni seggi nel Parlamento liberal-

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democratico; dagli uffici ai sindacati e nelle amministra­ zioni elettive ecc... Riepilogando: la « tattica » dei capi centristi indebolisce e prostituisce il movimento comu­ nista, e facilita la reazione borghese, ottenendo precisamente il contrario de!F« astuto » scopo prefisso ». Bandiera Rossa e altri movimenti analoghi che si svilupperanno nel Sud furono considerati, anche da uno storico come Roberto Battaglia, nulla di più della rozza espressione prepolitica del sottoproletariato. Ma che cosa dire quando posizioni identiche venivano sostenute da una avanguardia operaia come quella torinese di Stella Ros­ sa? Pietro Secchia, preoccupato dell’eco che la linea degli scissionisti poteva suscitare nella base comunista rimasta nel PCI e nelle formazioni partigiane, interven­ ne brutalmente29 accusando gli operai di Stella Rossa di celare « sotto la maschera del sinistrismo, il bieco, sanguinario volto del nazifascismo » e di essere sulla « via della Gestapo ». L’accusa appare tanto più priva di fon­ damento quando si pensa che gli uomini di Stella Ros­ sa nello stesso 1944 rientrarono tutti a militare nel PCI rinunciando a sostenere in modo organizzato le loro po­ sizioni. Accuse di settarismo, e anche peggiori, venivano di­ stribuite con molta facilità. Ancora di recente Giorgio Amendola30 affermava che, recatosi nel ’44 in Emilia, vi trovò una Resistenza « rossa », « chiusa », « diciannovista »; e Rinascita31 ha parlato di « presenza in seno al movimento partigiano del Nord... di linee di tendenza che, fin da allora, potevano essere definite estremiste se non avventuristiche ». Una conferma della enorme pressione che la base co­ munista esercitava sui suoi dirigenti, lo si ricava anche da alcuni irrigidimenti tattici che si ebbero un po’ ovun­ que nel PCI durante la Resistenza. Nel Sud, ad esempio, Spano e Reale 32 — vista l’accoglienza fatta alla politica 29 Cfr. l’articolo di P. Secchia « Il sinistrismo: maschera della Gestapo » da La nostra lotta, dicembre 1943, n. 6, ripubblicato nella raccolta di scritti di P.S. « I comunisti e l’insurrezione », ed. di Cultura Sociale. Cfr. Rinascita del 6 agosto 1966. :|’ Ibidem.

'■ Velio Spano nel suo articolo «La classe operaia alla testa d. Il.i n.i/io ne », pubblicato dal fascicolo di Rinascita (1951) « Tren-

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di unità nazionale dai compagni — si guardarono bene dall'accettare la proposta di Badoglio di entrare a far parte del governo: ci vorrà l’autorità di Togliatti per effettuare questo sviluppo della strategia accettata anche da Spano e Reale. A Roma, dopo 1’8 settembre, ci furono irrigidimenti tattici analoghi nei confronti della monar­ chia e di Badoglio. Al Nord, dove il rapporto di forze era più favorevole al proletariato, nel 1944, Gian Carlo Pajetta ebbe una animata discussione con Amendola33: il primo sosteneva che il carattere interpartitico del CLN doveva essere superato dallo sviluppo del movimento di base del CLN stesso, mentre Amendola era del parere che il carattere interpatitico — specie dopo la svolta di Sa­ lerno — andava rafforzato. La posizione di Pajetta si avvicinava molto a quella dei comunisti jugoslavi che allora criticavano i compagni italiani perché non aveva­ no costituito un « fronte nazionale, un fronte di orga­ nizzazioni di massa attorno al partito ». Gli stessi quadri tornati in libertà nell’agosto del 1943 fino a qual punto condividevano senza riserve la linea del partito? Qualche dubbio è legittimo se si pensa alle discussioni accanite che a varie riprese si erano ac­ cese nei luoghi di confino e nelle carceri e che, in taluni casi, si erano concluse con espulsioni. Del resto ricaviamo ancora da fonte insospettabile — da Luigi Longo — che esisteva il timore di non trovare in tutti pronta adesione: « si poteva dire che pur essendo comunisti seguissero in tutto le direttive del partito? Questo è discutibile»34. Ma allora, se esistevano opposizioni così diffuse alla politica di unità nazionale o ad alcune sue implicazioni, come mai accadde che, alla fine, i dirigenti del PCI riu­ scirono a venire a capo di tutte le scissioni, a imporre la loro linea? Innanzitutto bisogna precisare che non si può fare di ogni erba un fascio. Non si può cioè mettere

t’anni di vita e di lotte del PCI », scrisse che nel Mezzogiorno « costretti a tener conto della mentalità massimalista molto dif­ fusa nei quadri e nella massa del partito, e forse anche da essa in qualche modo influenzati, i dirigenti comunisti non seppero né poterono sviluppare in modo conseguente la loro politica di unità nazionale. Essi non avevano la statura politica sufficiente a realizzare la linea che nell'aprile 1944 seppe imporre Togliatti ». 3* 3 Cfr. Rinascita del 17 luglio 1965. 34 Cfr. Rinascita del 3 luglio 1965.

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sullo stesso piano quelle che erano opposizioni nette, mo­ tivate e organizzate, insieme a quelli che erano stati d'a­ nimo di disagio, fermenti critici, dubbi. Gli elementi che a Napoli, Roma, Milano, Torino da­ vano vita alle varie discussioni, avevano in comune, oltre a determinati punti di linea politica, anche il superamento di una concezione sacrale del partito, delTorganizzazione storicamente data. Il crisma del riconoscimento come partito rivoluzionario doveva venire, a loro avviso, dalla avanguardia proletaria e non dai capi tradizionali. Questo modo di ragionare era assolutamente inac­ cettabile, invece, per i tanti comunisti che erano passati attraverso mille peripezie, che più volte avevano visto i dirigenti massimi dell'Internazionale e del partito com­ piere brusche svolte politiche, che — nell'esilio o nel car­ cere — avevano imparato a considerare il legame con il partito come Tunica forma di autodifesa e Punico modo di rendere in qualche modo produttivi i propri sacrifici. Dovranno trascorrere ancora molti anni prima che rivo­ luzionari prestigiosi come Fidel Castro o come Mao Tse Tung dissacrino apertamente il mito del partito riportan­ dolo al ruolo di strumento della rivoluzione; così come molto tempo dovrà passare prima che a rivendicare la qualifica di comunisti siano non piccoli gruppi ma interi partiti con posizioni molto diverse e in appassionata po­ lemica tra di essi. Nel '43-'44 esistevano nei giovani sentimenti confusi: si pagava lo scotto delTinesperienza di lotta dovuta alla dominazione fascista. In molti operai e contadini l'istin­ to a considerare gli avvenimenti secondo un « ristretto punto di vista classista » — come, secondo Togliatti35, non avrebbero dovuto fare — era fortissimo. Ma forte era anche il condizionamento che veniva dalla ignoranza po­ litica. D'altra parte l'accusa di opportunismo che ì « sini­ stri » lanciavano contro la linea del PCI, non si conciliava, agli occhi di quei giovani, né con il passato di abnega­ zione alla causa dei dirigenti, né con l’incessante appello a prendere le armi e a dare il meglio di se stessi nella lotta antinazista. Si faceva insomma confusione tra il metodo 35 Questa espressione fu usata, in modo critico, da Togliatti nella conferenza-stampa tenuta a Napoli nel marzo 1944 subito dopo il suo ritorno in Italia.

di lotta (il ricorso alle armi) con le finalità (la cacciata dei nazifascisti e non la rivoluzione socialista). Tanti altri militanti, infine, i dubbi e le perplessità non osavano confessarli neanche a se stessi, parendo loro ogni tentennamento, ogni accenno critico come un segno di debolezza, di incapacità a diventare « bolscevichi ». Il tutto era poi cementato dall’attaccamento all'URSS. Un ragionamento consegueriziale sulle origini della po­ litica della direzione del PCI avrebbe dovuto condurre a ricercarne le origini in quello che era accaduto nelFUnione Sovietica. Avrebbe portato, inevitabilmente, a considerare che cosa era accaduto in quel paese, in quel partito comu­ nista a partire da un certo periodo, diciamo, tanto per periodicizzare, dalla morte di Lenin. Gli uomini di Ban­ diera Rossa rifiuteranno, è vero, di effettuare questo viaggio storico-ideologico e distingueranno capziosamente — un po’ come fanno oggi i cinesi — tra uno Stalin rivo­ luzionario e un Togliatti opportunista: questo equivoco, se per qualche tempo fu la loro forza rispetto ad altri movimenti scissionistici, a lungo andare ne divenne un elemento dissolvente perché assolutamente infondato. L’URSS rappresentava una grande speranza di eman­ cipazione per tutti i popoli. Non si accettavano critiche di alcun genere verso quel paese né si capiva, ad esempio, un atteggiamento di stampo trotskista che distinguesse tra strutture collettivistiche da conservare e superstrutture politiche da rivoluzionare in senso democratico­ proletario, tra Stato sovietico da difendere e burocrazia dirigente da attaccare. L’esempio trotskiano di Clemen­ ceau che durante la prima guerra mondiale criticava il suo governo proprio perché voleva che l’imperialismo francese trionfasse, non veniva compreso. Molti finirono con lo scegliere la via di minor resi­ stenza psicologica: accettarono cioè la linea di unità nazionale e le affermazioni di voler mantenere la lotta nell’ambito della democrazia sia pure progressiva, come una semplice tattica. Una volta cacciati fascisti e tedeschi, una volta rabboniti i partiti borghesi e gli angloameri­ cani, si sarebbe visto... Questo atteggiamento che To­ gliatti nel 1954 bollerà come « doppiezza » fu largamente presente nella base comunista. Esso fu lasciato sedimen­ tare a lungo; non venne combattuto per anni e anni per­

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ché, altrimenti, ben più ardua si sarebbe rivelata la rico­ struzione del partito su quella determinata linea. Ma la­ sciamo la parola a Togliatti 36: « Anche quando sembrava ed era effettivamente unito, vi erano dei dubbi, delle oscillazioni, delle riserve. All'inizio, quando noi parla­ vamo di democrazia progressiva, quando ponevamo degli obiettivi di conquiste democratiche e in pari tempo po< nevamo l'obiettivo di difendere gli interessi della nazione italiana, io credo che molti compagni, e in certe or­ ganizzazioni persino la maggioranza, non credevano che questi fossero effettivamente gli obiettivi concreti che stavano davanti a noi, pensavano che si trattasse di una furberia, di un'astuzia.. Molti comunisti si trovavano nello stato d'animo di quelli che si strizzano l'occhio fra di loro per far intendere che quello che dicono non è quello che pensano. Questo orientamento è durato a lungo nel partito, in molte organizzazioni e in una parte molto importante dei nostri iscritti e anche dei nostri quadri ». E due anni dopo, parlando alI'VIII Congresso del PCI, Togliatti tornerà sulla questione: « ...Quando abbia­ mo parlato di una certa doppiezza nella condotta com­ plessiva del nostro partito siamo partiti dalla considera­ zione di queste resistenze e di questi limiti e degli er­ rori che ne sono derivati. L'espressione, forse, non fu felice, perché sembra contenga una critica di ordine mo­ rale. E' però certo che determinati errori, costantemente ripetuti negli stessi campi di lavoro, non potevano non dare l’impressione di una divergenza non manifestata ma esistente circa gli orientamenti del partito ». Gli uomini di Bandiera Rossa resistettero alla ten­ tazione della « doppiezza » fino a quando il PCI continuò a far parte di coalizioni governative con partiti borghesi ma quando, nel '47, il PCI passò all'opposizione, le ultime titubanze vennero meno. E' stato osservato che nessuno dei movimenti co­ munisti italiani dissidenti di quegli anni seppe espri­ mere grosse personalità, capaci di dare una sistemazione teorica alle diverse esigenze. Ma è da respingere la spie­ gazione che nulla del genere poteva accadere perché i 36 Cfr. il discorso alla Conferenza di organizzazione del PCI, svoltasi a Roma nel 1954.

movimenti comunisti dissidenti erano portatori di istan­ ze primitive, infantili. Infatti, se durante la Resistenza, la dissidenza comunista di sinistra aveva costituito una base, piuttosto larga rispetto a quella degli altri par­ titi, ma carente di dirigenti qualificati, è vero però che dal 1930 al 1938, a Parigi, si era verificato il fenomeno opposto: quello di un gruppo dirigente di notevoli ca­ pacità teoriche e politiche ma privo di una base. Leonetti, Tresso, Ravazzoli e gli altri dirigenti espulsi nel 1930 dal PCI e confluiti nell'opposizione internazionale trotskista, elaborarono nel loro Bollettino37 e nei giornali trotskisti francesi (La Vérité, La tutte des classes') tutti i temi che poi sarebbero stati al centro delle polemiche interne al movimento operaio negli anni della Resistenza. Dettero molte risposte che poi la base giovane e inesperta del '43 non avrebbe saputo dare, ai problemi della rivo­ luzione italiana in quella determinata fase storica. Non trovarono una loro base perché erano completamente isolati e privi di mezzi materiali, schiacciati tra il fa­ scismo e lo stalinismo, considerati da entrambi come nemici da annientare. Ma era stato proprio Trotskij a presentire, in una lettera a Tresso 38, quello che sarebbe accaduto in Italia: « I ragazzi che avevano 10-12 anni nel 1920-22, e che hanno visto in questi anni che cosa è il fascismo, costituiranno la nuova generazione operaia e contadina che lotterà eroicamente contro il fascismo ma che però mancherà d'esperienza politica ».

37 II « Bollettino dell’opposizione comunista » è stato pub­ blicato nel 1966 nei Reprint Feltrinelli. 38 La lettera di Trotskij, scritta nel maggio 1930 è stata ri­ pubblicata nell’archivio-Tasca, Annali-Feltrinelli 1966.

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CAPITOLO I « Compagni, pensiamo alla radice del male... Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà ». (B. Brecht) « Noi non possiamo ispirarci oggi a un sedicente ristretto interesse di classe ». (P. Togliatti)

Il primo colpo di moschetto contro i tedeschi fu sparato verso la mezzanotte dell’8 settembre a Roma, nella zona dell’EUR. Fatto annunciare l’armistizio, il re, Badoglio e lo stato maggiore avevano preparato i bagagli e aspettavano l’alba per fuggire. La difesa della capitale e la Resistenza armata cominciavano per iniziativa di un gruppo di giovani ufficiali, tra i quali brillava per ardi­ mento il capitano Aladino Covoni, uno degli esponenti del gruppo Scintilla e, quindi, dei fondatori del Movi­ mento Comunista d’Italia. Quando i tedeschi attaccarono, il Comando operativo dello stato maggiore era irreperibile. I granatieri sosten­ nero da soli il primo terribile urto dei paracadutisti della Herman Goering, dotati di un armamento più moderno ed efficiente. Ma di lì a poche ore, ai soldati che resi­ stevano con tenacia, si affiancarono i primi gruppi di operai, popolani, intellettuali. Nella zona compresa tra la stazione ferroviaria della Magliana e la Cecchignola, a cavallo della via Ostiense, la battaglia infuriò fino a mezzogiorno del 10 settembre. Scontri avvennero poi nel centro della città o alla periferia meridionale. E’ noto che gran parte dei civili che accorsero a Porta S. Paolo erano militanti del PCI e anche del Par-

tito d’Azione: avevano ricevuto le armi dalle mani stesse di Luigi Longo che, in precedenza, si era accordato con il generale Carboni. Meno noto è che alcune altre cen­ tinaia di comunisti, quelli dei gruppi di Bandiera Rossa parteciparono agli scontri versando il loro primo con­ tributo di sangue. Accanto ad Aladino Covoni, un ra­ gazzo di sedici anni, fuggito di casa per battersi, aveva indossato la divisa dei Granatieri: Antonio Galvani, che da pochi giorni aveva aderito al M. C. di., cadde, stron­ cato da una raffica di mitra. Uomini di Bandiera Rossa, insieme ad altri anti­ fascisti, contrastarono il passo ai tedeschi anche alla stazione Termini, al Colosseo, sulla via Tuscolana e in altri quattro-cinque punti della città. La banda Quadraro dopo aver bloccato all'altezza di Cecafumo una colonna di auto tedesche, tagliò tutte le comunicazioni telefo­ niche che collegavano con Roma il Comando germanico istallato a Frascati. Per dodici ore gli uomini della banda Pepe — tra i quali militava un splendida figura di operaio, Tigrino Sabatini, fucilato il 7 marzo 1944 a Forte Bravetta — riuscirono a impegnare e bloccare nuclei di paracadutisti. I militanti di Bandiera Rossa, dunque, furono i pri­ mi a scattare insieme a quelli del PCI e a pochi altri. Questa loro prontezza è stata infine riconosciuta ma per molti anni, dopo la liberazione, ebbero libero corso ver­ gognose falsità. Una attenuante, ma non una giustifi­ cazione, di tanta ignoranza potrebbe essere costituita dal fatto che, essendo il M.C.d’I. fuori del CLN e soggetto alle regole della clandestinità, non era possibile sapere se quei giovani, quegli operai che si battevano nelle strade di Roma appartenessero o no a una organizza­ zione politica e a quale. Il M.C.d'L non fu colto di sorpresa dalla fuga di Badoglio e del re. E non soltanto perché possedeva una vasta rete di informatori nella polizia, nei ministeri e nel servizio informazioni dell'esercito. Aveva previsto la fuga del re e dei suoi generali sulla base di una analisi politica in cui l’apparente settarismo si sarebbe rivelato buon senso. Nessuna illusione, infatti, era stata coltivata nei con­ fronti del governo Badoglio. Nessun tentennamento nella volontà di affrettarsi a organizzare tutte le forze con le

quali era possibile trovare una intesa politica. Nessun dubbio che la lotta armata si sarebbe presto rivelata inevitabile. La stessa cosa non può certamente essere detta per il Comitato delle opposizioni antifasciste (comprendente i partiti che poi avrebbero dato vita al CLN): il 26 lu­ glio, ad esempio, questo comitato — dietro pressioni della destra liberale — decise di concedere a Badoglio una « tregua politica ». Successivamente, sotto la spinta delle masse operaie del Nord, della base antifascista e dello stesso comitato milanese che aveva posizioni più radicali, questo atteggiamento fu modificato ma mai fino al punto di trasformarlo in opposizione netta. Vi furono continue oscillazioni, risultato dell’abilità e dei ricatti di Badoglio e del ruolo che le forze moderate gio­ cavano nel Comitato. La preoccupazione della borghesia italiana e della monarchia dopo aver buttato a mare Mussolini e il fa­ scismo per prevenire una insurrezione popolare, era quel­ la di arrivare senza grandi scosse a una trasformazione del regime politico, a una restaurazione del Parlamento e degli altri istituti di democrazia borghese che il fa­ scismo aveva soppresso e che ora si rivelavano di nuovo utili per mantenere la dittatura di classe sul proletario. Questa operazione però, nelle intenzioni delle forze più lungimiranti della borghesia, doveva avvenire con gradualità e tutto doveva essere sempre sotto controllo. La palla sarebbe passata dal re a Badoglio, dal mare­ sciallo a un governo misto militari-partiti, dal governo misto a una governo che fosse espressione del CLN, e, infine, da un governo del CLN a un governo che esclu­ desse dal suo seno i partiti operai. La preoccupazione del dopo fu presente in tutte le scelte delle forze che rap­ presentavano la borghesia. La politica svolta da Badoglio durante i « 45 giorni », così come quella dei suoi partners liberali e democri­ stiani in seno al Comitato delle opposizioni, deve essere considerata alla luce di questo principio. E non si può negare al maresciallo di essersi saputo destreggiare con abilitàx. i Una esauriente documentazione sui « 45 giorni » è fornita da Ruggero Zangrandi in « 1943: 25 luglio-25 settembre », op. cit.

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La paura che le masse, dopo la caduta di Mussolini, riuscissero a creare un movimento capace di travolgere anche la monarchia e, quindi, ad aprire una crisi prerivo­ luzionaria, fu quella dominante. Alle autorità militari furono date disposizioni severissime per reprimere le manifestazioni popolari che esprimevano giubilo per la fine del fascismo ma rivendicavano la pace e la libera­ zione immediata dei prigionieri politici. Una circolare, at­ tribuita a Roatta, ma disposta certamente da Badoglio *2, affermava, tra l'altro, che « poco sangue versato inizial­ mente risparmia fiumi di sangue in seguito. Perciò ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in ori­ gine », che dovevano essere « assolutamente abbandonati i sistemi antidiluviani quali i cordoni, gli squilli, le inti­ midazioni e la persuasione e non sia tollerato che i ci­ vili sostino presso le truppe o intorno alle armi in posta­ zione ». La circolare inoltre precisava: « Movendo contro gruppi di individui che turbino l’ordine pubblico o non si attengano alle prescrizioni dell’autorità militare, si proceda in formazione di combattimento e si apra il fuo­ co a distanza, anche con mortai e artiglierie, senza preav­ visi di sorta, come se si procedesse contro truppe ne­ miche. Medesimo procedimento venga usato da reparti in posizione contro gruppi di individui avanzanti. Non è ammesso il tiro in aria. Si tiri sempre a colpire, come in combattimento ». E la circolare non restò soltanto un pezzo di carta. Nei giorni del 26 e 27 luglio la truppa intervenne e sparò contro operai e manifestanti antifascisti a Milano, Firenze, Torino, Reggio Emilia (qui gli operai delle Offi­ cine Reggiane che uscirono in corteo dalla fabbrica gri­ dando « viva la pace » furono mitragliati: 9 morti e 42 feriti), La Spezia, Sesto Fiorentino, Bari (un corteo di giovani che attraversava la città per recarsi al carcere ad accogliere i detenuti politici, fu assalito: 23 morti e oltre 60 feriti). Queste citate sono soltanto le località in cui avvennero gli episodi più gravi e più noti. E’ stato inoltre calcolato che dal 26 luglio ai primi di settembre furono condannati dai Tribunali militari

Zangrandi attribuisce alla debolezza organizzativa dei partiti an­ tifascisti gli errori compiuti verso Badoglio. 2 Ibidem.

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delle venti maggiori città italiane almeno 3.500 cittadini a pene detentive varianti dai sei mesi ai 18 anni. Le per­ sone fermate o arrestate ma poi prosciolte in istruttoria furono circa 35.000 La classe operaia, a Torino e a Milano soprattutto, reagì con il solito fiuto istintivo alla manovra della bor­ ghesia e intervenne con forti scioperi per spazzare via anche la monarchia, per ottenere la pace immediata e miglioramenti economici. Quando gli scioperi presero una piega estremamente preoccupante (per la borghe­ sia), Badoglio inviò Piccardi, Buozzi e Roveda a Torino per placare gli animi. Il 20 agosto, mentre era in corso un nuovo sciopero generale, i tre ascoltarono le aspre critiche che la delegazione operaia aveva da fare al go­ verno e all'atteggiamento tenuto dal Comitato delle op­ posizioni nei confronti di Badoglio. Nel comunicato fir­ mato al termine della trattativa 3 non si fece alcun ac­ cenno al problema della pace perché Piccardi aveva la­ sciato intendere che si stava trattando l’armistizio e che occorreva discrezione. Gli operai presentarono però cin­ que richieste: immediata liberazione di tutti i detenuti politici; scarcerazione di tutti gli operai arrestati per i recenti avvenimenti; allontanamento delle truppe dalle fabbriche; allontanamento dalle fabbriche degli espo­ nenti fascisti che ancora vi permanevano; adozione im­ mediata di misure per la costituzione delle commissioni interne. L’agitazione quindi rientrò e non raggiunse quello sbocco — la rottura degli antifascisti, o almeno dei partiti operai, con Badoglio — che era nella logica di classe. A Torino, dove già erano attivi gli operai che avreb­ bero dato vita a Stella Rossa, circolò, nelle fabbriche, un volantino in cui si affermava: « Lavoratori, prima di quanto si possa pensare sarà necessario abbandonare il lavoro e scendere nelle vie e nelle piazze per conseguire la pace che ci viene rifiutata e la libertà che ci è con­ cessa soltanto a parole. Lavoratori, bisogna prepararsi! Qualunque possa essere il carattere della lotta, nessuno 3 Cfr. l’appendice di R. Gabriele al libro di Zangrandi. Sullo stesso argomento cfr. anche R. Luraghi « Il movimento operaio torinese... » op. cit.

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deve disertare! Il nostro avvenire e quello dei nostri figli sarà, in quel giorno, nelle nostre mani: se noi saremo decisi, forti e uniti, sarà un avvenire di libertà e di giu­ stizia per tutti i lavoratori italiani; altrimenti, sarà la schiavitù fascista, anche sotto l'etichetta della odiosa monarchia! ». A Roma il principale motivo di scontro con Badoglio, oltre a quello sulla pace immediata, riguardò la sorte dei detenuti politici. Regina Coeli ne era piena. Mani­ festazioni popolari per ottenere la scarcerazione avven­ nero a più riprese a partire dal 26 luglio. Badoglio trac­ cheggiava proprio perché voleva mantenere sempre il coltello dalla parte del manico: considerava i detenuti politici quali ostaggi nelle sue mani, con i quali ricattare i partiti antifascisti: la liberazione sarebbe avvenuta sol­ tanto a certe, precise condizioni... Ricorda uno dei detenuti come a Regina Coeli ap­ prese della caduta del fascismo 4: « ... si cominciò a sen­ tire dal lato del Tevere un confuso vociare, indistinto eppure nutrito, come un lontano brusìo corale di infi­ nite voci. Sembrava che da ogni strada, da ogni casa di Roma la gente si effondesse in esclamazioni ed invoca­ zioni di sollievo e insieme di furore da lungo tempo represso, e finalmente libero di esplodere. Balzai dalla branda; dalle celle cominciarono ad incrociarsi gli in­ terrogativi e i commenti. Le voci, di fuori, si approssi­ mavano, si facevano più alte e articolate, ma era impos­ sibile distinguerle da quelle, impazienti e agitate, dei detenuti di tutti i bracci ». « Sembrava ora che gruppi di gente venissero verso le carceri, gridando. Si avvicinavano davvero e presto si capì quello che gridavano: per meglio distinguere, si era stabilito nelle celle un relativo silenzio. “ Viva Bado­ glio " gridavano alcuni; 11 Viva la libertà ", e soprattutto “'abbasso il fascismo, morte a Mussolini ". Ogni tanto, ma isolato, si udiva anche qualche grido di “ Viva il re ». « A questa netta percezione — la quale significava almeno che era scoppiata una sommossa antifascista così forte e diffusa da potersi permettere dimostrazioni per le strade senza provocare reazioni immediate — seguì li

4 Cfr. « Il prezzo della libertà » a cura dell'ANPPIA.

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un attimo di sospeso silenzio. Poi, dalle celle dei poli­ tici si levò un urlo: “E’ finita! », che si diffuse, divenne di più in più intenso e violento. “ Compagni, viva la li­ bertà Un coro unanime, ripetuto, frenetico, col quale si confusero subito, dai bracci dei “ comuni " colpi vio­ lenti contro le porte delle celle: l'inizio del tentativo di evasione in massa che il giorno dopo doveva parzial­ mente riuscire ». Tanto entusiasmo doveva però presto trasformarsi in ira. La libertà, che il 26 luglio si credeva immediata, tardò molto a venire. Ci furono altre manifestazioni popolari e ci furono anche discussioni tra i detenuti politici perché alcuni, stanchi di attendere, volevano ten­ tare di uscire con la forza. Anche nelle scarcerazioni Ba­ doglio seguì un criterio politico: tra i primi uscirono al­ cuni detenuti membri o dirigenti di gruppi politici bor­ ghesi; poi toccò a poche personalità comuniste e socia­ liste; per ultimi toccò alla massa dei comunisti e, tra questi, anche agli uomini di Scintilla (Cretara, Battara, Raponi, etc.). La scarcerazione, invece, non avvenne mai per gli appartenenti alla minoranza slava della Venezia Giulia: costoro, dopo 1'8 settembre, cadranno nelle mani dei nazisti. In questo clima gli attriti che già esistevano tra i diversi gruppi di comunisti romani, così come tra i socialisti, non potevano non aggravarsi. Forti erano le pressioni affinché venisse adottata una linea più ri­ soluta. La posizione nei confronti di Badoglio era una car­ tina di tornasole: essa appariva accettabile, anche se non esente da difetti, se si partiva dalla strategia ben nota di unire tutte le forze che in un modo o nell'altro erano da considerarsi antifasciste, accantonando le istanze clas­ siste; era, invece, del tutto sbagliata se si pensava che anche nelle condizioni eccezionali della guerra, il movi­ mento operaio avrebbe dovuto agire in modo da non compromettere il dopo. Non si può del resto non osser­ vare che nell'estate del '43, da un punto di vista mili­ tare, esistevano condizioni migliori di quelle che si veri­ ficheranno in autunno, per affrontare la lotta antitedesca. Così come non si può osservare — alla luce dello stato d'animo che l'esercito italiano rivelò clamorosamente — 44 —

dopo l'armistizio quando soldati e ufficiali si sbandarono gettando armi e divise — che Badoglio non avrebbe po­ tuto spingere la repressione antipopolare oltre certi li­ miti (e del resto il maresciallo ne era ben consapevole se a Torino, il 20 agosto, mandò Piccardi, Buozzi e Roveda invece dei generali). A differenza di quanto accadde tra i socialisti con la fusione tra PSI e MUP, tra i comunisti romani la separazione si accentuò. La ragione di questi sbocchi diversi di un contrasto che nasceva sullo stesso terreno, deve essere rintracciata nella possibilità — sancita da un preciso accordo — dei socialisti di sinistra di difen­ dere autonomamente le loro posizioni nel nuovo partito, il PSIUP. Questa possibilità, invece, non fu concessa ai comunisti che avrebbero dato vita al M.C.d’L a causa del carattere monolitico che aveva allora il PCI. Ma non si deve dimenticare che, come lo stesso Basso più volte riconoscerà, una volta fatto il PSIUP, le istanze del MUP restarono sempre minoritarie e finirono con l'essere accantonate dall'ala tradizionale del partito so­ cialista. Le forze che si raccolsero attorno al partito socialista non potevano non essere più moderate di quelle del PCI e, di conseguenza, meno disposte ad acco­ gliere tesi che criticavano da sinistra il partito comu­ nista. Sempre in questo quadro di forti tensioni va visto un episodio, rimasto a lungo misterioso, che alla fine di agosto inasprì ulteriormente i rapporti tra dirigenti del M.C.d’I. e del PCI. Nella seconda metà del mese, in­ fatti, il movimento Cola di Rienzo — che in realtà fu una strana ed effimera concentrazione romana di ele­ menti di opposizione radicale al fascismo e alla mo­ narchia ma esclusi dal Comitato delle opposizioni (ac­ canto a comunisti e socialisti di sinistra, erano i repub­ blicani, i Cristiani Sociali e altri) — avendo saputo che il governo italiano stava trattando l'armistizio e che il primo settembre Pio XII avrebbe diffuso per radio un messaggio di pace, fece stampare e affiggere sui muri di Roma e di altre città un manifesto nel quale si invi­ tava la cittadinanza a manifestare il primo settembre alle ore dieci e per un quarto d’ora, la sua volontà di pace sospendendo ogni attività o riunendosi nelle chiese. Badoglio si preoccupò molto della cosa e per qual­

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che giorno sospettò che nell'iniziativa ci fosse lo zam­ pino del PCI. La situazione in tutto il paese, anche dopo la sospensione dei grandi scioperi, era esplosiva: una ini­ ziativa di massa per la pace a Roma avrebbe potuto ori­ ginare una nuova ondata di lotte, questa volta più am­ pia e generalizzata, non più controllabile come la prece­ dente. Il 31 agosto, pertanto, il governo Badoglio dira­ mava un comunicato dal titolo: « Guardarsi dai sobilla­ tori »: « Sono stati distribuiti largamente in questi gior­ ni — diceva il comunicato — in varie città italiane, non esclusa Roma, manifesti ed appelli alla popolazione per invitarla a pubbliche manifestazioni in ore e giorni pre­ stabiliti. Tali manifestazioni e appelli provengono da ele­ menti male intenzionati che mirano a fare opera di so­ billazione e ad accrescere le difficoltà della Nazione e del Governo, nell'ora grave che richiede invece più che mai la calma e la concordia degli spiriti nell'interesse della Patria. Si invitano pertanto i cittadini a diffidare di tali inviti e a denunciare alle Autorità gli agenti sobilla­ tori. Si ricorda che permane lo stato d'assedio e che è fatto divieto di riunioni sia in pubblico, sia in locali chiusi. Contro i trasgressori sarà proceduto in modo rigoroso, occorrendo anche con le armi ». Il giorno dopo, primo settembre, Badoglio rese pub­ blica la sconfessione del manifesto Cola di Rienzo sottoscritta dal PCI, partito d'Azione, Democrazia Cri­ stiana, partito della Democrazia del Lavoro, Gruppi di Ricostruzione Liberale, Partito Socialista per l'unifica­ zione proletaria: « E’ stato diffuso un manifesto a fir­ ma “ Cola di Rienzo " col quale si invita la cittadinanza romana ad incrociare le braccia per un quarto d'ora, dalle 10 del primo settembre. I gruppi antifascisti di­ chiarano di non avere avuto alcuna parte in questa ini­ ziativa, che denunciano come irresponsabile e provoca­ toria. Quando l'appello per un'azione energica e deci­ siva dovesse essere rivolto al popolo, i partiti ne assu­ merebbero tutta la responsabilità nella forma più chiara ». In precedenza c'era stato un curioso balletto tra Badoglio che accusava i tedeschi di aver ispirato il ma­ nifesto per avere un pretesto d’intervento e i tedeschi che incolpavano Badoglio di volersi creare, attraverso un movimento pacifista guidato, un alibi per sganciarsi dalla guerra. Lo sciopero generale poi non ebbe luogo

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— anche se si ebbero alcune fermate — ma l’episodio contribuì a scavare un fossato tra i partiti che facevano parte del Comitato delle opposizioni e gli altri gruppi di sinistra. E’ proprio nella seconda metà di agosto che viene fondato il M.C.d’I. Attorno al nucleo di Scintilla, a partire dalla fine di luglio, si erano accostati tutta una serie di gruppi for­ matisi accanto a minuscole cellule di socialisti e co­ munisti preesistenti alla caduta del fascismo e comple­ tamente isolate. Questo processo molecolare di aggrega­ zione che, alla fine dell'anno porterà il M.C.d'I. ad avere una forza di certo non inferiore a quella del PCI e nettamente superiore a quella di qualsiasi altra forma­ zione politica romana, proseguirà anche dopo 1'8 set­ tembre e culminerà verso la fine di ottobre. Così confluì nel M.C.d’I., ad esempio, il gruppo di comunisti organizzato, nel popolarissimo e centrale rio­ ne di Ponte, da Antonino Poce. Questi era un vecchio militante comunista: entrato nel PCI nell’anno della fondazione, nel 1922 era stato comandante di squadre comuniste di autodifesa dai fascisti e membro del co­ mitato direttivo della Camera del Lavoro di Roma non­ ché segretario nazionale del sindacato operai dell’in­ dustria cinematografia; nel 1923 — divenuto membro dell’esecutivo federale romano del PCI e segretario na­ zionale del sindacato elettricisti — subì la persecuzione fascista (nel corso dell’anno fu arrestato e rilasciato una quarantina di volte) e organizzò, clandestinamente, lo sciopero e una imponente manifestazione di edili; nel 1924 divenne segretario della Camera del Lavoro di Ro­ ma; nel 1926, dopo le leggi speciali, fu arrestato e con­ finato. Nel 1928, mentre si trovava a Ponza, fu espulso dal PCI insieme a Bordiga e ad altri compagni5 perché

s Giuseppe Berti nelle note all'Archivio Tasca, « Annali Fel­ trinelli 1966 », ha scritto che fu lui stesso a presentare una mo­ zione di condanna contro Trotskij. In quel momento tra i co­ munisti aveva suscitato una pessima impressione il fatto che Trotskij avesse scritto una serie di articoli per il Corriere, della Sera. Bordiga, Poce e gli altri oppositori si rifiutarono di con­ dannare il rivoluzionario russo e furono perciò espulsi dal col­ lettivo dei confinati. Va tuttavia tenuto conto del fatto che la direzione del PCI attenderà fino al 1930 prima di espellere Bor-

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non condivideva il giudizio del partito sul dissidio Trotskij-Stalin. Liberato nel 1932 6 tentò di rientrare nel PCI ma fu respinto con la motivazione che era troppo noto alla polizia e quindi non utilizzabile nella clande­ stinità. L ultima persecuzione la subì nel gennaio 1943 con il licenziamento dalla Cartiera Burgo perché rite­ nuto sovversivo. Dopo la caduta del fascismo Poce tirò le file del gruppo di lavoratori comunisteggianti da lui influenzati nel rione dove abitava e dei vecchi compagni con i quali aveva mantenuto i collegamenti; cercò di entrare nel PCI ma la sua richiesta venne respinta. Aderì allora al costituendo M.C.d'L che, del resto, aveva una linea poli­ tica più vicina alla sua. Un altro gruppo di notevole rilievo per la sua con­ sistenza numerica fu quello che faceva capo a Salvatore Riso. Questi aderirà al M.C.d’L soltanto dopo 1’8 settem­ bre ma aveva accettato uno stretto collegamento già du­ rante i « 45 giorni ». Le formazioni armate organizzate da Riso operarono principalmente nella parte meridionale e orientale della città. Anche Ezio Lombardi, che nel 1930 era stato uno dei principali organizzatori del PCI a Roma e che era stato « sganciato » dal partito per mo­ tivi di sicurezza (era stato in carcere per un breve pe­ riodo), aderì a Bandiera Rossa insieme ai gruppi che aveva organizzato. Forti cellule tra i postelegrafonici, i dipendenti del­ l’azienda telefonica, dell’istituto centrale di statistica, tra i vigili del fuoco, i dipendenti della radio, dell’Anagrafe furono rapidamente costituite attorno a persona­ lità o a piccolissimi gruppi che già durante il fascismo si erano fatti conoscere per il loro orientamento socia­ lista. I contatti avvenivano al livello di un esponente per ogni gruppo. Ma a dare un carattere ancora più robusto (ma an­ che più eterogeneo) al M.C.d’L venne l’unificazione con diga e lo fece soltanto dopo aver tentato un « recupero » ritenuto possibile dopo la svolta del « socialfascismo ». In proposito Amen­ dola ha fornito una probante testimonianza nel suo saggio « Ri­ leggendo Gramsci », pubblicato dal Quaderno di Critica Marxista, 1967. 6 Nel 1932, decimo anniversario della « Marcia su Roma », Mussolini concesse l’amnistia a qualche migliaio di detenuti.

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l'organizzazione allestita dal giornalista Ezio Malatesta. Questi aveva cominciato fin dal 1942 a tentare di orga­ nizzare bande partigiane nella provincia di Roma7; la sua casa di piazza Cairoli era aperta a tutti gli antifascisti e, in modo particolare, era frequentata da Carlo Andreoni e dai socialisti di sinistra. Durante i « 45 giorni » e poi anche dopo 1'8 settembre i contatti furono rapidamente allargati fino a coinvolgere anche ufficiali dell'esercito ri­ masti sbandati e desiderosi di battersi. I gruppi collegati da Malatesta agivano nella zona settentrionale della città e nel Lazio. Essi, inoltre, costituivano un anello impor­ tante della catena tra il M.C.d’L e i partiti operai del CLN: Leonida Repaci8 ha raccontato 9 che, dopo essere tornato a Roma ed aver abitato in casa di Flora Volpini insieme a Piovene e allo scultore Bernini, si collegò con Carlo Andreoni e, successivamente, fece parte del « mo­ vimento delle bande partigiane » il cui comando era co­ stituito da Carlo e Giacomo Andreoni, Leonida Repaci, Alberto Vecchietti, Ezio Malatesta e Aladino Govoni. Ora, questo, più che un comando vero e proprio di movimento, dovette essere un organismo di collegamento tra due diverse organizzazioni. L'esattezza di questa ipotesi è comprovata dal co­ lonnello Ezio De Michelis 10 il quale parlerà di contatti avuti, a nome del Comando Militare Clandestino, da una parte con Malatesta e dall'altra con l’esecutivo del PRI e con elementi del gruppo Andreoni. L’agganciamento dell’organizzazione Malatesta al M.C.d’I. fu opera principalmente di Filberto Sbardella, un giovane che aveva frequentato lungamente, a Roma e a Milano, i socialisti diretti da Basso.

7 Molti gruppi di antifascisti, e in primo luogo il PCI, erano suggestionati dalFesempio jugoslavo. a Lo scrittore Leonida Repaci militò in gioventù nel PCI e lavorò alFOrdine Nuovo accanto a Gramsci, Leonetti, etc. In­ carcerato dai fascisti, e poi liberato fu espulso dal partito per « indegnità »; durante la Resistenza romana ebbe una parte at­ tiva nelle file del partito socialista. Ha fondato il « Premio Via­ reggio » che nel 1947 fece assegnare alle « Lettere dal carcere » di Gramsci. Cfr. Il Tempo del 12 giugno 1944. i° Cfr. « Comando raggruppamento bande partigiane dell’Ita­ lia centrale », Roma, Istituto Poligrafico dello Stato.

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Ma al di là dei contatti e delle adesioni con i gruppi piccoli e grandi già esistenti o sorti durante i « 45 gior­ ni », il M.C.d'L sfondò nelle borgate raccogliendo con­ sensi molto larghi: in alcune borgate fu la sola forma­ zione politica operante, in tutte fu quella che aveva mag­ giore influenza. Qui è doveroso aprire una parentesi per illustrare che cosa erano queste borgate romane dove la Resistenza assunse caratteristiche del tutto particolari, di massa e non di avanguardia come nel resto della città. Le borgate (una parte delle quali sopravvive ancora oggi) erano dei veri e propri ghetti in cui il fascismo aveva relegato, in condizioni assolutamente incivili, la polàzione fatta sgomberare dal centro cittadino in occa­ sione degli « sventramenti »11 e quella di recente urba­ nizzazione, proveniente dalle povere campagne del La­ zio o del Meridione. Le borgate, allora, erano nettamente separate dalla città da alcuni chilometri di campagna abbandonata. Le peggiori erano le cosiddette « borgate rapidissi­ me » di Tiburtino IH, Pietralata, Tormarancio, etc. che il fascismo aveva fatto costruire in fretta e furia per scaraventarvi dentro la « plebe ». Mancavano l'acqua, i servizi igienici (c’era un gabinetto pubblico per ogni grup­ po di famiglie); tutti i servizi sociali erano estremamente precari: di domenica veniva interrotto persino il tra­ sporto pubblico per evitare che i borgatari si riversas­ sero nella « capitale dell’impero ». La propaganda fascista cercò sempre di accreditare la tesi secondo cui nelle borgate era stata trasportata (me­ glio sarebbe dire deportata) tutta gente indegna di abi­ tare nella grande Roma, tutti ladri e prostitute insomma. In una relazione dell’ufficio Assistenza del Governato­ rato di Roma si legge: « nonostante la costruzione di quelle casette rapidissime e i rimpatri (era in vigore la legge fascista che rendeva pressoché impossibile agli im­ migrati di iscriversi all’Anagrafe e di liberarsi dal ricatto del “ foglio di via ” nda), rimarranno sempre da siste­ mare non poche famiglie, fra le quali le riottose, le ille-ii ii Larga parte del centro, nella zona dei Fori, fu demolita. Uno scempio urbanistico dettato da megalomania e odio anti­ popolare.

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gali, le indisciplinate, le temibili sotto ogni rapporto (sot­ tolineatura nostra nda) ». La relazione così prosegue: « gli operai agricoli, i generici e i disoccupati da una parte, le famiglie d'irregolare composizione e di prece­ denti morali non buoni dall'altra, potrebbero essere tra­ sferiti su terreni di proprietà del Governatorato, siti in aperta campagna, e non visibili dalle grandi arterie stra­ dali, ove sarebbe loro concesso di costruire le abitazioni con i materiali dei manufatti abbattuti ». Da simili ope­ razioni, tipo apartheid, tiravano gran vantaggio, natural­ mente, gli speculatori sulle aree che vedevano, da un giorno all altro e per decreto governativo, una zona di campagna trasformarsi in area edificabile e, contempo­ raneamente, costituirsi serbatoi di manodopera a basso prezzo. Gli abitanti delle popolose borgate, ai quali — du­ rante i primi anni della guerra — si uniranno, in un sovraffollamento disumano, anche i sinistrati delle re­ gioni meridionali, non erano certamente esempi di virtù civica. Ladri e prostitute non potevano mancare in am­ bienti in cui l’estrema povertà e l’assenza delle più ele­ mentari strutture civili, determinava anche un’infezione morale. Ma non bisogna però credere alle menzogne del­ la propaganda fascista (che, dopo la guerra, sarebbero state riprese dalla stampa benpensante per gettare di­ scredito sulle zone più « rosse » della capitale). Del resto una indagine condotta nel 1928 dal Governatorato di Roma « per stabilire se i baraccati rappresentino in tutto o in parte i bassifondi sociali, pericolosi e difficilmente redimibili », stabilì che, sulla base dell’occupazione del capofamiglia, gli abitanti delle baracche dovevano così classificarsi: «operai generici: 32,10 %; operai specializ­ zati: 15,40 %; operai d’arte muraria: 11,65 %; dipen­ denti di enti pubblici: 8,98 %; conducenti: 7 %; donne di casa: 6,53 %; disoccupati: 5,24 %; gente di fatica: 3,70 %; esercenti: 3,03 %; agricoltori: 2,09 %; dipen­ denti privati: 2,04 %; addetti alla vigilanza: 0,79 %; ven­ ditori: 0,68 %; artigiani: 0,66 % ». L’alta percentuale di operai (quasi il 60 %), l’am­ biente del tutto particolare e « chiuso », spiegano perché le borgate romane siano state definite12 « i quartieri ope­ 12 Berlinguer-Della Seta « Le borgate romane », Editori Riu­

niti.

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rai di una città non operaia ». II M.C.d’L si fece cono­ scere rapidamente in quelle zone e ottenne largo seguito. Il programma rivoluzionario, la bandiera rossa che in­ nalzava contro ogni deteriore tatticismo e ogni compro­ messo con Badoglio e i partiti della borghesia, galvaniz­ zarono proletari e sottoproletari nei quali il furibondo odio per il fascismo era un concentrato del più vasto e istintivo odio verso la borghesia, i suoi re, i suoi gene­ rali e i suoi fantocci politici. Nelle borgate romane il fascismo rappresentò sem­ pre il nemico di classe: Tedile veniva sfruttato dal co­ struttore che immancabilmente era fascista; sua moglie per pochi soldi faceva la serva alle signore dei quartieribene che idolatravano il « duce ». Gli operai che lavora­ vano nelle fabbrichette della Tiburtina come la Fioren­ tini, la Stacchini, nelle fornaci (la Valle dell’inferno, ad esempio, era interamente abitata da fornaciai), nelle cave, portavano nelle borgate il lume di una coscienza di classe più matura. D’altra parte lo stesso sottopro­ letariato non era più lo stesso dei tempi di Marx: l’esi­ stenza e il prestigio dell’URSS, ad esempio, modificavano il quadro obiettivo permettendo agli stessi sottoproletari di legarsi al movimento operaio. Mano a mano che giungevano nuovi consensi e, quasi spontaneamente, si formavano le « bande » che prende­ vano il nome dalla località in cui sorgevano o dell’uomo che le dirigeva, il gruppo dirigente del M.C.d’I. mostrava meno fretta di entrare nel PCI. Non venivano respinti, e talvolta anzi erano sollecitati, i contatti e le riunioni, ma cominciava a prevalere un diverso orientamento: quello di attendere la fine del periodo clandestino per­ ché si pensava che soltanto in un clima democratico fosse possibile chiarire gli equivoci, se di equivoci si trattava, oppure confrontare i rispettivi programmi con lo svolgimento dei fatti e lasciar giudicare la classe operaia. E’ ricordando quegli incontri, quelle defatiganti discussioni nel caldo soffocante dell’agosto ’43 che Amen­ dola 13 dirà: « Apparve allora quanto fosse difficile con­ quistare rapidamente tutto il partito, dalla base ancora 13 Cfr. la prefazione di Amendola all’edizione del 1966 della relazione della direzione del PCI « Il comuniSmo italiano... », op. cit.

presa da una visione primitiva e messianica della ve­ nuta del socialismo, e molti quadri periferici e centrali perplessi e incapaci di fronte ai compiti nuovi fissati al­ l'azione del partito e delle masse ». Sul fine immediato della lotta armata al nazifa­ scismo non c'era alcun dissenso ma ciò non appariva sufficiente per una unificazione che non concedesse alla minoranza di sinistra di sostenere le proprie posizioni. Il dissenso, in definitiva, verteva sull'attualità o meno della rivoluzione socialista. Il discorso che veniva dal PCI e secondo il quale era inutile stare a pensare a quello che si sarebbe dovuto fare domani, a guerra finita, per­ ché anche questo domani dipendeva dallo slancio e dalla partecipazione delle masse popolari alla Resistenza anti­ fascista, non sembrava convincente a chi obiettava che, se è vero che il domani si prepara con le scelte e le azioni dell'oggi, allora la politica di unità nazionale del PCI non avrebbe potuto dare, dopo la Liberazione, nulla di più di un governo di coalizione con i partiti della borghesia, vale a dire nulla di più di uno strumento che sarebbe servito alle classi dominanti per superare i mo­ menti difficili, prendere respiro e procedere poi alla re­ staurazione capitalistica. Le posizioni che avevano corso nella estrema sini­ stra del movimento operaio e che, in definitiva, erano condivise dal M.C.d'L furono spiegate da Lelio Basso in un editoriale delVAvanti! (il giornale era riapparso a Mi­ lano il 1° agosto come organo del MUP). Il discorso svolto da Basso in quella occasione non rappresentava una novità. Esso era il tessuto politico sul quale era sorto il MUP e che aveva portato a differenzia­ zioni anche tra i comunisti (la tematica bassiana non fu introdotta nel M.C.d'I. dal solo Filiberto Sbardella, an­ che se costui era quello che la conosceva meglio, ma an­ che attraverso i contatti diretti che esponenti socialisti ebbero con il vecchio gruppo Scintilla). Che cosa diceva l'articolo del primo agosto? In so­ stanza Basso presentava il MUP non come un nuovo partito ma come un movimento che propugnava l'unifica­ zione, e quindi il superamento, dei vecchi partiti ope­ rai. Il nuovo strumento della classe operaia doveva ri­ spondere a sei esigenze: 1) pur rivendicando tutto quello che di buono vi era nella tradizione socialista e comu­

nista italiana, il partito unificato doveva sentirsi libero dal peso e dalle costrizioni che queste tradizioni avreb­ bero potuto rappresentare; 2) doveva essere costruito democraticamente, dal basso verso l'alto, vero partito delle masse, e al tempo stesso scuola di autonomia, di autogoverno, di autodisciplina per i lavoratori che at­ traverso di esso si preparano a diventare classe politica dominante; 3) interpretando la situazione politica eu­ ropea conseguente alla guerra come una situazione di squilibrio rivoluzionario, il nuovo partito avrebbe do­ vuto lottare con tutte le sue forze per dare a questa si­ tuazione la sola possibile soluzione, cioè la soluzione so­ cialista che sola poteva assicurare la pace, la libertà e la prosperità dell’Europa martoriata da due guerre e dal fascismo, impedendo con tutti i mezzi un ritorno ad un periodo di equilibrio borghese: 4) a tal fine, il partito avrebbe dovuto prepararsi alla conquista integrale del potere politico, solo mezzo per spezzare definitivamente l'apparato dello stato borghese ed assicurare il trionfo del socialismo; 5) il partito doveva considerarsi fin dal suo nascere come un membro della nuova libera Inter­ nazionale, che sarebbe sorta dalle rovine della Seconda e della Terza, come Internazionale unica dei movimenti proletari rivoluzionari; 6) superando l’angusta limitazione del movimento socialista come espressione del proleta­ riato industriale, il nuovo partito avrebbe dovuto saper inquadrare tutte le forze del lavoro (operai e contadini, tecnici e impiegati, professionisti e intellettuali) che « so­ no sfruttati dal capitalismo e non sfruttano il lavoro altrui ». Alla domanda « ma insomma siete socialisti o co­ munisti? », Basso rispondeva: « se essere socialisti si­ gnifica non soltanto credere nel socialismo, ma volerlo effettivamente realizzare e non fra un secolo ma qui ed ora, noi siamo socialisti. Ma se essere socialisti significa riallacciarsi alla prassi riformista della Seconda Inter­ nazionale, noi non siamo socialisti. Se essere comunisti significa accettare il metodo rivoluzionario come il più efficace per la realizzazione della nostra volontà socialista ed il più adatto alla situazione presente, noi siamo co­ munisti. Ma se essere comunisti significa riallacciarsi alla tradizione autoritaria e centralistica e rigidamente schematica della Terza Intemazionale, rivendicarne an-

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che gli errori e le deficienze, noi non siamo comunisti. Il che non c’impedisce, fino a che il nostro scopo di un unico partito non sarà conseguito, di collaborare strettamente e fraternamente anche con i vecchi partiti, sul ter­ reno di lotta rivoluzionaria per il trionfo della repub­ blica socialista ». Questa posizione — che Togliatti14 attaccherà espli­ citamente come « sedicente estremista, in realtà infan­ tile » propria di « coloro secondo i quali il compito at­ tuale si ridurrebbe alla formula o il socialismo o nien­ te » — trovava consenzienti gli organismi dirigenti del M.C.d’I. Ma quello che invece non convinse fu l'adesione di Basso all’unificazione tra MUP e PSI, avvenuta pochi giorni dopo la riapparizione dell9Avanti!. I fatti, cioè, non sembrarono coerenti con le parole. Tra i comunisti di Bandiera Rossa oltre alla ostilità per la vecchia tra­ dizione socialista e per i riformisti che si erano rifatti vivi nel PSI, la partecipazione al Comitato delle oppo­ sizioni prima e al CLN poi, suscitava avversione e appa­ riva inconciliabile con il disegno politico di creare un nuovo partito rivoluzionario che ponesse come attuale la lotta per il socialismo e che avesse nel suo programma di impedire « con tutti i mezzi un ritorno a un periodo di equilibrio borghese » e di conquistare il potere politico « solo mezzo per spezzare definitivamente l’apparato dello stato borghese ». Molti anni dopo Basso ricorderà che la scelta fatta in quei giorni non fu una scelta a cuor leggero e che a determinarla fu, essenzialmente, il pericolo di essere iso­ lato e di non poter intervenire nella situazione per mo­ dificarla. In realtà l’ingresso nel partito socialista non gli evitò l'isolamento e non gli permise di raccogliere quelle forze che pure aderivano al suo discorso. Venti anni dopo, del resto, si vedrà costretto ad abbandonare quel partito che diventava un fattore fondamentale di un nuovo « periodo di equilibrio » del sistema capita­ listico. Gli esponenti del M.C.d’I. decisero allora di fare da soli. La riunione di fondazione fu tenuta nella seconda metà di agosto, dopo la formazione del PSIUP. Il M.C.d’L 14 Cfr. Il discorso tenuto da Togliatti nel novembre 1943 a Mosca.

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risultò dalla fusione di numerosi nuclei, piuttosto com­ positi sotto il profilo ideologico (non mancava un gruppo dichiaratamente anarchico, e diretto da Pappalardo e Chiocchini) ma assai uniti nella volontà di lotta rivo­ luzionaria. Le strutture del movimento si andarono precisando un poco alla volta sulla base dell'esperienza dei suoi mi­ litanti e, anche, delle nuove adesioni. Ai primi di otto­ bre, quando l'assestamento potè dirsi completato attra­ verso la unificazione con il gruppo Malatesta, al vertice di Bandiera Rossa, fu posto un Comitato Esecutivo com­ posto da Aladino Covoni, Matteo Matteotti, Giuseppe Palmidoro, Raffaele De Luca, Salvatore Riso, Filiberto Sbardella, Franco Bucciano, Ezio Lombardi, Francesco Cretara, Gabriele Pappalardo, Franco Bicktler, Roberto Guzzo, Ezio Malatesta, Carlo Merli, Rolando Paolorossi e Gino Rossi (Bixio). Di questi 16 uomini ben 7 saranno fucilati dai tedeschi; uno (De Luca) sarà condannato a morte e sfuggirà all'esecuzione soltanto perché malato e intrasportabile; Paolorossi sarà condannato a 15 anni e deportato in Germania. Nei mesi successivi all'otto­ bre '43 i vuoti lasciati nell'Esecutivo dai dirigenti arre­ stati o caduti furono in parte riempiti da Antonio Poce, Pietro Battara, Riccardo Cecchelin, Orfeo Mucci, Gino Paris. Alle dipendenze dell'Esecutivo erano due comandi militari: quello delle « bande esterne » (e cioè dei nuclei di comunisti e di soldati sbandati raccoltisi in varie lo­ calità del Lazio, dell'Umbria e della Toscana meridionale) e quello delle « bande interne » e cioè romane. Il primo fu diretto da Ezio Malatesta e Filiberto Sbardella, il se­ condo da Aladino Govoni e Antonio Poce. La città fu divisa in sei zone e ciascuna di esse aveva un suo co­ mando che controllava e dirigeva un numero più o meno grande di « bande »; queste erano formate a volte da dieci-quindici persone e a volte, invece, superavano il centinaio di unità. I comandanti di zona erano riuniti in un comitato cittadino. Esistevano inoltre: un comitato per la stampa e pro­ paganda i cui membri più attivi — quelli che cioè re­ dassero Bandiera Rossa in condizioni difficilissime — erano Francesco Cretara e Felice Chilanti. Un comitato « assistenza e finanziamento » diretto da Gabriele Pap­

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palardo; un comitato « servizi tecnici » che renderà ser­ vigi enormi alle forze clandestine, e non soltanto a quelle del M.C.d'L, fornendo documenti falsi di ogni tipo. Una cinquantina di militanti, particolarmente quali­ ficati e coraggiosi, funzionavano come agenti di collega­ mento tra il centro e le bande. I capizona furono: per la la zona: Nicola Stame (fu­ cilato) e successivamente sostituito da Arduino Locatelli (deportato) e da Attilio Belli; per la 2a zona: Tigrino Sabatini (fucilato), Serafino Duca (arrestato) e Quirino Torricelli; per la 3a zona: Orfeo Mucci fino alla coopta­ zione nelTEsecutivo, Eusebio Troiani (fucilato) e Paolo Adesso; per la 4a zona: Giulio Betti (arrestato), e Giovan­ ni Glorioso; per la 5a zona: Amerigo Onofri (deportato), Giulio Roncacci (fucilato), Romolo Jacopini (fucilato), Augusto Latini (fucilato) e Giovanni Cecchini; per la 6a zona: Armando Ottaviani (fucilato) e i fratelli Giulio e Mario Mencacci. A latere, dell’organizzazione militare e direttamente dipendenti dall’esecutivo erano le « bande speciali » dei ferrovieri, postelegrafonici, vigili del fuoco, telefonici, dipendenti dell’Anagrafe, dell’istituto centrale di statisti­ ca, del ministero dell’aeronautica, della pubblica sicu­ rezza e altre. Va infine segnalato che altre formazioni, dette « bande autonome », agivano in collegamento orga­ nizzativo con « Bandiera Rossa » ma con una larga auto­ nomia politica. Una funzione di particolare rilievo, ai fini della partecipazione di Bandiera Rossa alla battaglia di Porta S. Paolo, fu svolta dalTufficiale Roberto Guzzo del Servizio Informazioni Militari (lo stesso che era diretto dal generale Carboni): Guzzo, infatti, diresse i suoi com­ pagni nella sottrazione di un forte quantitativo di armi da alcune caserme. A conclusione di questi cenni sulla costituzione del M.C.d’I. non si potrà fare a meno di notare che non si andò tanto per il sottile nell’accettare le adesioni. Pote­ rono così infiltrarsi nel movimento — come del resto in tutti gli altri partiti — vere e proprie spie fasciste, alcuni avventurieri ed anche elementi equivoci. Si trattò eviden­ temente di una infima minoranza che però potè fare molti danni al M.C.d’I. sia attraverso le delazioni ai nazisti e sia con azioni che furono utilizzate dagli avversari del movimento per screditarlo.

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Bandiera Rossa nacque, insomma, in una ondata di generosa e spontanea protesta popolare, in un risveglio rivoluzionario che seppe riunire nella stessa organiz­ zazione, sia pure per un tempo assai breve, un intellet­ tuale raffinato come Guido Piovene e un giovane traviato come Giuseppe Albani, detto il gobbo del Quarticciolo che nel dopoguerra diventerà un bandito sanguinario, ma che durante l'occupazione era stato audace ed efficace nella lotta antifascista. Il grosso, tuttavia, lo ripetiamo, era costituito da autentici comunisti, da operai, artigia­ ni, popolani, ardenti e disposti a qualsiasi sacrificio. Non è per un caso che nelle borgate e nei quartieri dove Ban­ diera Rossa ebbe il più largo seguito, ancora oggi il corpo elettorale è « rosso ».

CAPITOLO II « Un movimento comunista estre­ mamente pericoloso ». (Dalla sentenza di condanna a morte di 11 partigiani di Bandiera Rossa emessa dal Tribunale di guerra tedesco).

Il tradimento del re e di Badoglio colse di sorpresa i partiti del Comitato delle opposizioni antifasciste. Bonomi, su incarico del Comitato, si recò al Viminale per parlare con il maresciallo la mattina del 9 settembre ma se ne dovette tornare con la sola notizia che Badoglio era scappato. La città cadde rapidamente in mano ai tedeschi. E' stato ampiamente dimostrato 1 che le forze italiane esi­ stenti allora a Roma e nel Lazio, benché equipaggiate meno bene di quelle tedesche, avevano una tale supe­ riorità numerica da consentire una difesa strenua e, for­ se anche vittoriosa, della capitale. Ma gli alti generali rivelarono, in quel momento, fino a qual punto era giun­ ta la putrefazione dell’apparato statale; essi, infatti, or­ dinarono al grosso delle truppe di portarsi sulla via Tiburtina, dalla parte opposta a quella da cui veniva l’at­ tacco della Herman Goering, al solo scopo di coprire la tragicomica fuga di Vittorio Emanuele III. Il contraccolpo nel Comitato delle opposizioni an­ tifasciste fu assai brusco. Dalla « tregua politica » alla collaborazione critica, durante i « 45 giorni » era prevalsoi i Sulla difesa di Roma (o mancata difesa) cfr. in « Rassegna del Lazio » op. cit. la bibliografia indicata dal prof. Piero Pieri nella sua relazione « La storiografia italiana relativa al 25 luglio ed all’8 settembre ».

un atteggiamento incerto e, comunque, basato sull’ipotesi che Badoglio, una volta firmato l’armistizio, avrebbe di­ sposto tutto quanto era necessario per passare alla lotta antitedesca in caso di attacco. Soprattutto alla base dei partiti di sinistra (comunista, socialista e d’Azione) la rabbia per il tradimento si tradusse in una forte pressio­ ne politica in favore della rottura di ogni rapporto tra l’antifascismo militante e la monarchia. Leone Cattaui2 ha ricordato in un convegno sulla Resistenza3 che su­ bito dopo 1’8 settembre ebbe luogo una riunione « non formale né plenaria » e con la partecipazione anche del gen. Carboni e di alcuni ministri di Badoglio, in cui fu deciso che il Comitato delle opposizioni antifasciste si trasformasse in Comitato di Liberazione Nazionale. Fu anche deciso all’unanimità che il CLN avrebbe dichia­ rato, con un suo ordine del giorno, decaduta la monar­ chia assumendo i pieni poteri. Contemporaneamente si stabilì di redigere un manifesto da lanciare al popolo italiano per chiamarlo alle armi. In una successiva riu­ nione, avvenuta in casa di Carlo Antoni, fu data lettura da parte di Bonomi della dichiarazione di decadenza della monarchia e del successivo messaggio al popolo italiano. A questa lettura fece seguito la dichiarazione che il Comitato sarebbe stato riconvocato dopo qualche setti­ mana, cioè appena avvenuta la liberazione di Roma. L’as­ surdo contrasto tra la proclamazione della decadenza della monarchia e... l’aggiornamento del CLN all’arrivo degli Alleati è solo in parte giustificabile con la convin­ zione, allora unanime, che gli Alleati avrebbero occupato Roma nel giro di una decina di giorni. L’assurdità comunque restava. In una successiva riu­ nione, al termine di una tempestosa discussione, il CLN modificò la sua posizione votando un odg. che rinviava la soluzione del problema istituzionale alla fine del con­ 2 Cfr. l'intervento di L. Cattanì nel convegno sulla Resistenza i cui atti sono stati pubblicati da « Rassegna del Lazio », op. cit. Leone Cattani prima della guerra aveva fatto parte, per qual­ che tempo, del gruppo degli studenti universitari comunisti; passò poi ai « liberalsocialisti » e, infine, insieme ai suoi compagni, al Partito d'Azione. Fece parte del CLN centrale. 3 Si tratta del convegno i cui atti sono stati pubblicati da « Rassegna del Lazio », op. cit. •»

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flitto bellico e che, nel contempo, deplorava l'assenza di ogni autorità. La posizione più radicale, in seno al CLN, era soste­ nuta dalla sinistra del partito socialista, quella stessa che manteneva contatti con il M.C.d’L Ai primi di otto­ bre la corrente diretta a Roma dal vicesegretario del partito, Carlo Andreoni, votò una risoluzione4 che pro­ poneva l'abbandono del CLN da parte dei partiti di si­ nistra e la loro organizzazione in un blocco autonomo. Il documento socialista, che non risulta né ufficial­ mente adottato dalla direzione del partito né sconfessato, fu diffuso in tutta Italia ed anche negli ambienti del­ l'emigrazione politica in Svizzera. Esso inizia con una severa requisitoria contro il CLN accusato di non essere idoneo a dimostrare « la propria volontà e capacità di funzionare come pregoverno provvisorio »; la colpa di tutto questo andava ricercata nei partiti di destra i quali stavano riuscendo magnificamente nel loro scopo « di paralizzare o quantomeno imbrigliare le sinistre in una sterile collaborazione politica ». Il documento passando in rassegna i partiti del CLN definiva Ricostruzione Li­ berale come una forza trascurabile e che « in un even­ tuale futuro parlamento... avrà tutt'al più una o due de­ cine di seggi »; la Democrazia del Lavoro come « la finzione di partito messa in essere per giustificare l'ap­ partenenza di S.E. il Collare dell'Annunziata Bonomi al CLN del quale egli ha assunto la presidenza »; la Demo­ crazia Cristiana come la « reincarnazione del vecchio partito popolare » dal quale era rimasta fuori la sinistra cattolica; i « tre partiti di sinistra rappresentati nel Co­ mitato: partito di Azione, partito socialista, partito co­ munista, espressione di interessi borghesi il primo, di interessi proletari gli ultimi due ». La sinistra socialista affermava quindi che « in seno al Comitato vi è un'assoluta sproporzione di forze, po­ sizioni e possibilità tra la destra e la sinistra. Mentre infatti se si pensano il P.d'A., il partito socialista e il partito comunista integrati dai tre partiti e movimenti non rappresentati nel Comitato e cioè Partito repubbli­

4 II documento è stato pubblicato da « Critica Marxista », anno 3, n. 2, marzo-aprile 1965, pag. 93 e seg.

cano italiano, Movimento Cristiani Sociali e Movimento comunista italiano (da parte dei quali ultimi non è nem­ meno pensabile lontanamente una defezione in senso collaborazionista e comunque un ripiegamento su po­ sizioni meno intransigenti di quelle assunte dai tre par­ titi di sinistra presenti nel Comitato) emerge chiaramen­ te il fatto che nei sei raggruppamenti politici a pregiu­ diziale repubblicana si esauriscono praticamente tutte le forze politiche di sinistra esistenti in Italia ». Si poneva quindi l'esigenza di formare un saldo bloc­ co comprendente i tre partiti di sinistra esistenti nel CLN e i tre che ne erano esclusi. Questo blocco avrebbe dovuto avere unità di direzione e di servizi (stampa e propaganda, servizio informazioni, organizzazione mili­ tare, ecc.); uno dei primi atti di tale raggruppamento sa­ rebbe stato una dichiarazione in cui veniva ribadito il pieno impegno nella guerra di liberazione dal nazifa­ scismo. Il documento concludeva in chiave polemica: « Di questa politica il partito socialista deve farsi immediata­ mente iniziatore. Di fronte ai compromessi collaborazionistici e patriottardi nei quali sembra specializzarsi il partito comunista, il partito socialista ha in questa po­ litica di intransigenza morale e rivoluzionaria la via maestra per la propria affermazione — forse anche la condizione stessa per la propria sopravvivenza ». Va sottolineato a proposito di questa posizione che l'accusa di « attesismo mascherato da una fraseologia di sinistra » che veniva mossa dai dirigenti del PCI, non appare fondata: infatti a Roma, ma non a Roma sol­ tanto, i sei partiti o movimenti che avrebbero dovuto raccogliersi in blocco davano alla lotta armata contro tedeschi e fascisti un buon ottanta per cento delle forze in campo. Ma c’è di più: organizzate con un unico co­ mando e servizi in comune, questo stesso ottanta per cento avrebbe potuto fornire frutti più rilevanti. I dirigenti del PCI, che seguivano una strategia ba­ sata sull'alleanza di tutte le forze nazionali non fa­ sciste e che erano alle prese con varie scissioni e con una forte pressione della base, intervennero immedia­ tamente inviando un documento5 a tutte le organizza­ s Pubblicato nel fascicolo cit. di Critica Marxista.

zioni provinciali e a tutti i militanti per dire che « è errore di infantile estremismo e segno di immaturità e incom­ prensione politica auspicare e volere oggi la scissione del Comitato di Liberazione Nazionale, riducendolo ai soli partiti di sinistra ». Nel documento c’è poi una di­ stinzione — assai curiosa da un punto di vista marxi­ sta — delle forze politiche in gioco. Si affermava in­ fatti che sul fronte della lotta per la liberazione nazio­ nale esisteva un « duplice schieramento: da una parte la coalizione di tutte le forze tradizionalmente antifa­ sciste aventi per base le grandi masse popolari; dall al­ tra i gruppi dell'alta borghesia, del capitale finanziario dei ceti reazionari. I primi sono rappresentati dal Co­ mitato di Liberazione nazionale; i secondi dal connubio reazionario Badoglio-Monarchia ». Ora, a parte il fatto che Bonomi e Ricostruzione Li­ berale non avevano « per base grandi masse popolari », la distinzione operata dai redattori del documento non ha alcun valore scientifico, non serve cioè a chiarire la collocazione di classe delle varie forze politiche. Da un punto di vista marxista un partito può benissimo avere una ideologia antifascista e una base popolare ed essere un ottimo servitore degli interessi « dell'alta borghesia, del capitale finanziario ». Marxismo a parte, tutta l'espe­ rienza precedente al '43 e quella che ha fatto seguito, di­ mostrano questa verità: la DC, ad esempio, pur avendo sempre condannato il fascismo e pur essendo un partito basato su larghe masse popolari, dalla Liberazione in poi è stato il partito che meglio di qualsiasi altro ha rap­ presentato gli interessi generali della borghesia italiana. Il documento si presta però a un'altra osservazione: bollando il « connubio reazionario Badoglio-Monarchia » come un nemico mortale presente nella lotta per la li­ berazione nazionale, i dirigenti del PCI dimostrano quan­ to fossero lontani dal concepire l'operazione che To­ gliatti avrebbe compiuto ritornando da Mosca in Italia, accettando di far parte del governo Badoglio. In propo­ sito il documento precisava: « Non rifiutiamo il concorso nella lotta di forze ad esso (al CLN nda) estranee, siano pure di Badoglio e del re, ma nell'interesse nazionale e nell'interesse stesso della lotta, rivendichiamo per il Comitato la funzione dirigente contro la direzione mo­ narchico-conservatrice di Badoglio e del re ».

E’ vero tuttavia che i dirigenti del PCI dovevano questo loro irrigidimento tattico alla forte pressione della base che era rimasta costernata dai risultati di­ sastrosi della collaborazione con Badoglio durante i « 45 giorni ». A dare mordente alle posizioni del M.C.d’L e della sinistra socialista, oltre allo sdegno per il tradimento del re, stava anche Patteggiamento attesista di Bonomi e, in generale, della componente borghese del CLN. Que­ sta non voleva far nulla per organizzare in modo serio la lotta contro gli occupanti nazifascisti e, in effetti, sa­ ranno i partiti di sinistra a promuovere, l’uno separato dall’altro, le azioni di sabotaggio e di guerriglia. Abbiamo già visto come è proprio dopo 1’8 settembre che Bandiera Rossa moltiplica la sua forza assorbendo i gruppi di Riso e quelli di Malatesta e accrescendo la sua influenza nelle borgte. A questo punto, mentre la base stessa che il PCI aveva organizzato a Roma durante i « 45 giorni » mostra­ va di subire l'attrazione del M.C.d’I., l’unificazione diven­ tava più difficile. Gli ultimi tentativi ebbero luogo il 13 e il 20 ottobre. Il primo è stato ricordato in modo al­ quanto pittoresco da Antonello Trombadori6 che in quel­ la circostanza rappresentava il PCI. Trombadori ricorda che la discussione ben presto divenne scontro e che per poco non si passò alle vie di fatto. « L'attacco contro il nostro partito — ha scritto Trombadori — si concentrò tutto sulla figura di Giorgio Amendola qualificato come opportunista e traditore della classe operaia, perché propugnatore duna assurda unità antifascista fatta di borghesi e di proletari... ». A con­ ferma della vitalità che aveva allora il M.C.d’I. viene il commento di Trombadori: « Era la vecchia opposizione trotskisteggiante e bordighiana che rimetteva fuori le corna: e non si può dire che non trovasse adesioni poiché è sempre molto comodo seguire chi ti promette obiettivi rivoluzionari più dirompenti senza chiederti d’impegnarti subito in una lotta logorante e difficile. Il partito si co­ struiva allora anche sanando continuamente le falle che

6 Cfr. l’articolo di Antonello Trombadori « Tre storie di Ro­ ma clandestina », apparso Sull’Unità del 20 gennaio 1957.

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il settarismo parolaio e la provocazione aprivano ai suoi fianchi ». Non è facile comprendere perché Trombadori a 15 anni da quegli avvenimenti abbia sentito il bisogno di servirsi di una accusa completamente falsa come quella contenuta nell’articolo citato. Quando avvenne l'animata discussione in un caffè nei pressi di piazza Tuscolo, il M.C.d'L aveva già partecipato compatto alla difesa di Roma subendo le prime perdite e aveva effettuato le prime azioni di sabotaggio 7. La seconda riunione ebbe luogo nel pomeriggio del 20 ottobre in uno scantinato della via Appia. Massini e Grifone per il PCI, Govoni, Pappalardo, Cecchelin e Guzzo per il M.C.d’I. effettuarono l’estremo tentativo per giungere all’unificazione ma l'accordo si rivelò impossi­ bile. I rappresentanti del partito comunista spiegarono che avrebbero potuto prendere in considerazione soltan­ to adesioni individuali al partito e che l'unica concessio­ ne possibile era quella di una cooptazione negli organi­ smi dirigenti, cittadini e nazionale del PCI, di alcuni espo­ nenti di Bandiera Rossa. Il colloquio era iniziato come il classico dialogo tra sordi: la delegazione del M.C.d’I., dopo aver espresso ri­ spetto e sentimenti fraterni per i dirigenti del PCI che tornavano dal confino o dall'esilio, disse che — proprio per la prolungata assenza dal paese — i quadri del PCI non conoscevano le aspirazioni dei nuovi comunisti e sottovalutavano le possibilità rivoluzionarie offerte dalla situazione. Non dissero, ma lo lasciarono intendere, che i dirigenti del PCI erano tali perché autonominatisi o nominati dall'Internazionale, ma che fino a quando non si fosse svolto un regolare congresso, qualsiasi incarico non poteva essere considerato ufficiale. Massini replicò seccamente affermando che i diri­ genti del suo partito avevano ricevuto l'approvazione di Stalin e che in tempi di clandestinità questo doveva bastare. Aggiunse che, a parte questa considerazione, i quadri del PCI erano i più idonei per cultura ed espe­ rienza politica a guidare le lotte del proletariato italiano:

7 Questo riconoscimento è fatto e documentato anche nel­ l'opera di D'Agostini-Forti: « Il sole è sorto a Roma ».

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quella in corso non doveva quindi essere considerata una trattativa per la fusione tra due partiti ma soltanto una procedura di reclutamento del tutto eccezionale, moti­ vata dalla consistenza organizzativa del M.C.d’I. Si arrivò rapidamente ai ferri corti. La discussione sulla democrazia di partito fu abbandonata per uno scon­ tro violento sul carattere che avrebbe dovuto avere la partecipazione comunista alla lotta antifascista: batta­ glia nazionale per la liberazione e per la istaurazione di uno stato democratico-borghese oppure lotta di classe con conseguente allargamento degli obiettivi e restrin­ gimento delle alleanze? Le due delegazioni si lasciarono in completo disaccordo e con gravi sospetti l'una sul­ l’altra: quella di Bandiera Rossa in sostanza pensava che il PCI conduceva una politica rovinosa, di rinuncia pregiudiziale a cogliere nella grave crisi dell’apparato statale italiano e dell'economia l’occasione rivoluziona­ ria; la delegazione del PCI, invece, se ne andò via con­ vinta che posizioni come quelle del M.C.d’I. erano avven­ turistiche se non peggio; tutto quell’insistere sulla de­ mocrazia interna di partito appariva particolarmente so­ spetto: la stessa richiesta, ad esempio, era venuta dagli scissionisti napoletani e YUnità dell’edizione meridio­ nale aveva bollato le richieste di « democrazia interna » come trotskiste e come « un pretesto per lottare contro il partito ». Naufragati tutti i tentativi di arrivare ad una fu­ sione, il M.C.d’I. si impegnò totalmente nella lotta anti­ fascista e nel reclutamento di tutti coloro che dimostra­ vano la volontà di battersi. Non si andò quindi tanto per il sottile e non si riuscì a impedire l’infiltrazione di elementi equivoci; del resto non erano molti quelli che erano decisi a fare qualcosa di più di una resistenza pas­ siva, e cioè a rischiare la propria pelle. Può risultare utile un confronto tra la forza orga­ nizzativa del PCI romano e del M.C.d’I. durante il pe­ riodo dell’occupazione. Da una relazione al Comitato Federale8 del novembre 1943 risulta che a Roma il PCI 8 Questo documento si trova nell'archivio del PCI. La cifra di 1.800 iscritti è fornita anche da Celso Ghini nell’articolo « L’or­ ganizzazione del partito », apparsa nel fascicolo di Rinascita « Trenta anni di vita e di lotte del PCI ».

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contava su 1.700-1.800 iscritti, di cui 1'85 per cento aveva aderito al partito dopo il 25 luglio. Soltanto il 12 per cento era costituito da « vecchi compagni ». Circa 1'80 per cento degli organizzati era inquadrato militarmente e 135 attivisti tenevano in piedi l'organizzazione. I 4 GAP avevano una organizzazione autonoma. Nella « Lettera al Nord »9 inviata dalla Direzione romana del partito a quella dell'Alta Italia, in data 2 marzo 1944, si dice che in città il PCI aveva 3.000 iscritti e la sua organiz­ zazione militare, costituita in parte da iscritti e in parte da simpatizzanti contava su un egual numero di persone (ma soltanto 2.000 erano armati). Dopo la liberazione il PCI vderà riconosciuti tra partigiani e patrioti 2.336 uomini. I conti nel complesso tornano (non tutti fecero le pratiche per ottenere il riconoscimento ufficiale). Bandiera Rossa ebbe 2.098 « riconoscimenti » (an­ che in questo caso si deve considerare che un buon nu­ mero di suoi militanti del periodo clandestino o ave­ vano fatto le valige per tornare nel Meridione da dove erano stati spostati dalla guerra oppure erano passati al PCI). Ai 2098 si devono aggiungere i 450 riconoscimenti avuti da Armata Rossa, una formazione costituita a lar­ ghissima maggioranza da uomini del M.C.d'I. Alla fine del 1943, quando il partito comunista aveva 1.700-1.800 iscritti, il M.C.d'I. ne aveva con tutta proba­ bilità una cifra leggermente superiore: questo lo si può desumere non soltanto dal dato discutibile della tiratura di Bandiera Rossa superiore a quella dell'UnzYà, ma an­ che dal fatto che in una vasta operazione di propaganda, che più avanti ricordaremo, furono utilizzati i 1.200 uomini più coraggiosi e capaci: una élite di queste di­ mensioni fa pensare a una consistenza organizzativa su­ periore ai 2.000 iscritti. D’altra parte, benché il M.C.d'I. distribuisse regolari tessere agli iscritti, bisogna tener conto che nelle borgate si ebbero frequenti casi di adesioni « saltuarie », vale a dire di militanti attivi per un certo periodo e poi scom­ parsi dalla circolazione, così come va anche detto che una parte delle « bande » armate godeva di larga au­ tonomia.

9 II documento è stato pubblicato da Critica Marxista già cit.

In definitiva si può ben dire che la forza comunista romana, durante l'occupazione si venne a trovare divisa in due tronconi pressoché equivalenti dal punto di vista numerico. Sommate, le due organizzazioni comuniste han­ no dato la maggioranza assoluta di tutte le forze impe­ gnate nella Resistenza romana. Va infine osservato che le bande organizzate da Carlo Andreoni, quelle del PRI e i gruppi dei Comunisti Cat­ tolici e dei Cristiano Sociali, insieme agli uomini del Par­ tito d'Azione, esaurivano praticamente l’avanguardia at­ tiva della Resistenza romana. Per comprendere il valore e i limiti delle forze orga­ nizzate dai partiti operai e, in generale dei partiti anti­ fascisti, a Roma10, non si può fare a meno di fare un cen­ no alle condizioni obiettive in cui la lotta si svolse. Dopo 1’8 settembre Roma presentava un volto di miseria e di squallore come forse mai era accaduto nel suo passato di città capitale. I cantieri edili erano chiusi e così anche le poche fabbriche della periferia. Le case sventrate dai bombardamenti e le strade distrutte non venivano riparate o ricostruite. I quartieri di ceto medio andavano spopolandosi perché moltissimi impiegati o avevano seguito al Nord il governo fascista istallato da Hitler oppure avevano raggiunto qualche località di cam­ pagna dove si sperava di trovare più facilmente il cibo e, al tempo stesso, di sfuggire ai bombardamenti. Nelle strade le auto che non fossero dei tedeschi o dei fascisti si contavano sulle dita di una mano; i camions erano stati quasi tutti requisiti; uomini e donne dai volti scar­ ni, con abiti logori — ricavati magari da qualche di­ visa abbandonata — facevano largo uso delle biciclette anche perché i trasporti pubblici erano stati ridotti a pochissime linee a causa dei danni al materiale rotabile e della mancanza di energia elettrica. Il gas veniva ero­ gato con il contagocce; il carbone messo in vendita spesso era bagnato. Il Comando tedesco aveva avvertito che i telefoni e la corrispondenza privata erano sotto con­ trollo. I viveri scarseggiavano; la carne, il latte, le uova venivano distribuiti soltanto in giorni determinati e in quantità limitatissime. io Cfr. Giorgio Amendola « Le condizioni della Resistenza ro­ mana » in Rinascita, marzo 1954.

A tutto questo e alle gravi preoccupazioni che uomi­ ni e donne avevano per evitare l’arruolamento nell'eser­ cito repubblichino o nell’organizzazione tedesca di lavoro TODT, bisogna aggiungere altri fattori che ostacolavano nelle masse più larghe il passaggio da un atteggiamento di sorda ma passiva ostilità al fascismo all'iniziativa e alla cospirazione: fatta eccezione per le borgate dove c'era una situazione particolare, nel resto della città la màncanza di un proletariato industriale numeroso e con­ centrato, come invece c'era a Milano e a Torino, ridu­ ceva i margini di reclutamento e quell’ambiente solidale che è indispensabile per i rivoluzionari. Risultavano quindi accresciuti i rischi della « guerriglia cittadina » che sono sempre enormi. Vivere e lottare in monta­ gna, inquadrato in una formazione partigiana in cui è possibile un vicendevole controllo e in cui la uni­ formità di esistenza crea un clima di fraternità, è cosa molto diversa dallo stare in città dove anche una riu­ nione in una abitazione può attirare l'attenzione delle spie e degli informatori che possono essere dappertut­ to ma che non sono in alcun modo riconoscibili. Mancava inoltre un retroterra popolato: tra i GAP e i dirigenti politici che operavano a Roma e i gruppi di partigiani dei Castelli Romani, della Sabina, dell'Abbruzzo, della bassa Umbria e della Toscana meridionale c'era­ no molte decine di chilometri di campagna pressoché disabitata, priva di vegetazione, non interrotta da alture. I contatti erano perciò difficilissimi; così anche la ri­ cerca di rifugi o di cibo. La situazione era però qualitativamente diversa, ve­ ramente esplosiva nelle borgate dove erano concentrati antifascismo e miseria. La fame di viveri e di armi fu la prima spinta a una iniziativa largamente spontanea degli uomini raccoltisi attorno al M.C.d'I. verso l'assalto ai forti militari semiabbandonati dai soldati italiani e non ancora posti sotto controllo da quelli tedeschi. Nella prima settimana dopo 1'8 settembre i fortini furono lette­ ralmente invasi, di giorno e di notte, da uomini che tra­ scinavano via fucili, mitragliatrici, munizioni, bombe a mano, dinamite per costituire nelle grotte o negli scan­ tinati i primi depositi di armi (molte armi furono anche raccolte nelle strade dove le avevano gettate i soldati

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sbandati) e da donne che erano pronte a tutto pur di trovare cibo per i loro piccoli, medicinali, stoffe e tutto quanto occorreva alla vita. In alcuni casi i pochi soldati rimasti nei forti collaboravano con la popolazione chiedendo in cambio, ma­ gari, un abito civile con il quale potersi allontanare; in altri casi ci fu qualche resistenza debole e subito sopraf­ fatta dalle maniere decise con le quali si presentavano operai e popolani. I tedeschi erano troppo occupati in quei giorni a rafforzare il loro controllo sulla città vera e propria e a rimettere in piedi un apparato amministra­ tivo e poliziesco da affidare ai servi fascisti, per poter intervenire direttamente; d’altra parte non si erano an­ cora resi conto che dai fortini non venivano sottratti solo viveri ma anche armi e che a farlo erano gli uomini del PCI e del M.C.d’I. Ad ogni buon conto il 12 settembre Kesselring, comandante in capo tedesco del Sud, emet­ teva una severa ordinanza: sono proibiti gli scioperi; gli organizzatori di scioperi, i sabotatori e i franchi tira­ tori (così dai nazisti venivano chiamati i partigiani pri­ ma che venisse coniato l'epiteto di « banditi » nda) sa­ ranno sottoposti a giudizio sommario e fucilati; gli ope­ rai sono invitati a prestare lavoro per i tedeschi; la cor­ rispondenza privata è proibita fino a nuovo ordine; le telefonate saranno « strettamente sorvegliate ». Ma proprio mentre venivano incollati sui muri del­ la città i manifesti con l’ordinanza di Kesselring, gli uomini di Bandiera Rossa stavano eseguendo due colpi audaci, uno alla « Caserma Mussolini » e l’altro alla sta­ zione ferroviaria di Settebagni. Nel piccolo scalo un treno carico di viveri fu assalito da un gruppo di armati e completamente svaligiato; l’impresa fu effettuata così rapidamente che si potè evitare lo scontro (le sentinelle, ad ogni buon conto, erano state immobilizzate). I viveri furono poi distribuiti alla popolazione. Quello contro la caserma della milizia fascista fu un colpo più grosso: un operaio di 21 anni, Ettore Arena, che alcuni mesi dopo sarà fucilato a Forte Bravetta, travestito da milite e in possesso di falsi documenti, entrò nella caserma e riuscì a farsi consegnare un ca­ mion carico di armi e di divise; sulla strada lo attende­ va, con le armi nascoste sotto gli abiti, un piccolo grup­

po di compagni. Tutto filò liscio. I fascisti furono beffati e non fu necessario sparare neanche un colpo n. Negli stessi giorni il rastrellamento di armi portò a risultati di grande rilievo. Si arrivò fino al punto di impadronirsi di una batteria antiaerea dopo averla smon­ tata pezzo su pezzo e occultata in una caverna di Castel Giubileo: a compiere questa impresa fu il maggiore del­ l'esercito Ricciotti De Lellis, lo stesso che era in con­ tatto in quel periodo con il colonnello Gino Rossi (Bixio). Di questo colonnello, che sarà fucilato dai nazisti, ba­ sterà per ora dire che, pur non essendo comunista, volle unirsi al M.C.d'L insieme ai soldati che aveva trattenuti dallo sbandamento e organizzati sul Monte Circeo. Per tutta la seconda metà di settembre e fino alla metà di dicembre Bandiera Rossa sviluppò una inces­ sante attività di sabotaggio e una vasta azione politica tendente ad allargare le fila dei partecipanti alla lotta per la cacciata dei fascisti e per il socialismo. Negli aeroporti di Ciampino e di Centocelle gruppi di sabota­ tori penetrarono a più riprese distruggendo aerei e in­ cendiando carburante; un paio di volte la fuga non fu abbastanza tempestiva e si dovette accettare il combat­ timento lasciando un morto sul campo e trascinando via qualche ferito. Con particolare accanimento furono presi di mira i convogli e i binari delle ferrovie. Dopo l'assalto al tre­ no di Settebagni, sempre nel mese di settembre, il gior­ no 16 fu fatto saltare un convoglio carico di munizioni nella stazione Ostiense, il 23 fu gravemente danneggiato un treno-merci nella stazione Tuscolana. Il 20 ottobre, la banda Montagnola sabotò un treno merci carico di ma­ teriale bellico nel Parco-Prenestino; nella notte due va­ goni furono « alleggeriti » di coperte da campo, barelle porta-feriti, filo di ferro spinato etc.; nello stesso mese furono effettuate altre due azioni di sabotaggio. Nel 11 Questa impresa, come tutte le altre azioni che ricordere­ mo, risultano dalla documentazione allegata alle pratiche per il riconoscimento della qualifica di partigiano e accolta dal mini­ stero dell’interno dopo un serio controllo. Eventuali esagerazioni od errori sono da addebitarsi a detta documentazione; essi, comunque, non saranno mai tali da compensare l’oblio delle gesta di cui nulla si è mai saputo perché nessuno ha potuto o voluto farle conoscere.

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mese di novembre ancora la banda Montagnola, dopo aver fatto il bis dell'impresa di ottobre, cercò di far deragliare a Portonaccio un treno che trasportava truppe tedesche al fronte meridionale: il colpo riuscì in parte perché soltanto due spezzoni di esplosivo scoppiarono mentre gli altri fecero cilecca: un tratto di binario e un vagone rimasero danneggiati. Un altro gruppo, quello dei ferrovieri del M.C.d’L, il 6 novembre sabotò alcune locomotive del Deposito di S. Lorenzo; nello stesso mese altre quattro azioni di sabotaggio contro i convogli fu­ rono compiuti nelle stazioni Tuscolana, Prenestina e Casilina. A dicembre, tre giorni prima di Natale, fu fatto saltare lungo la Roma-Napoli, nei pressi di Velletri, un treno che trasportava soldati tedeschi provocando un numero notevole, anche se imprecisato, di morti e di feriti. L’impresa fu ripetuta il 29 dicembre facendo de­ ragliare il treno della Roma-Velletri. Bombe a mano furono lanciate nella stazione Ostiense e altri atti di sabotaggio minori non dettero tregua ai nazisti. Oltre al lavoro di « normale amministrazione, costi­ tuito da assalti contro camion e auto tedesche, scara­ mucce contro pattuglie notturne, lancio quotidiano di chiodi a quattro punte sulle grandi vie di comunica­ zione per intralciare il trasporto di armi e di truppe, ta­ glio dei cavi telefonici, vanno segnalati il danneggia­ mento di quaranta carri armati allo scalo ferroviario di Tor Sapienza (furono asportati alcuni pezzi occorrenti alla marcia) e l’abilità con la quale s’impedì ai tedeschi di trasportare in Germania i macchinari della ditta In­ nocenti: i macchinari erano stati già smontati e chiusi nei vagoni di un treno, quando la banda Tor Sapienza, di notte e con l’aiuto di molti operai, recuperò tutto il materiale per poi nasconderlo. Una giornata di grande tensione fu quella del 7 no­ vembre, anniversario della rivoluzione sovietica che i comunisti del PCI e del M.C.d’L vollero celebrare degna­ mente con la lotta e con la propaganda. All'alba del 7 novembre Lillo Pullara, « coperto » da una squadra ar­ mata, si arrampicò sull'unica e grande pianta che dà il nome a piazza dell’Alberone e vi legò una fiammante bandiera rossa. Il giornale del M.C.d’L, Bandiera Rossa nel numero 6, datato 14 novembre, racconterà con bre­ vi e commosse parole quella celebrazione: « La ban— 72 —

diera rossa con la falce e il martello il 7 novembre ha sventolato su Roma. L’alba della gloriosa giornata della rivoluzione russa ha veduto l’amato vessillo in molti punti di Roma, e gli operai con giubilo, frementi, hanno salutato il lieto avvenimento... Anche i nostri compagni hanno celebrato la festa del 7 novembre, auspicio di lotte future. Si sono riuniti nei loro gruppi e i dirigenti han­ no portato la loro parola di fede. La rievocazione storica fatta nelle cantine e nei prati ha entusiasmato... ». Lillo Pullara pagherà caro il suo bel gesto. Arrestato il 19 dicembre in seguito a delazione, sarà torturato una prima volta dagli aguzzini di via Tasso che gli strappe­ ranno le unghie fino a renderlo una larva di uomo ma senza riuscire però a fargli confessare alcunché; dopo una permanenza nell’infermeria del carcere di Regina Coeli, Lillo Pullara subirà il 17 gennaio torture ancora più atroci: almeno un’ora di colpi, inferti con un nerbo di bue, sotto la pianta dei piedi e un centinaio su tutto il corpo; ne uscirà con tre costole fratturate, due ernie, la rottura della base nasale. Lillo Pullara, che potrà al­ zarsi dal letto soltanto alla fine del maggio ’44, non acquisterà mai più tutte le sue facoltà ma resterà sem­ pre, una volta passato nelle file del PCI, un militante comunista generoso e disinteressato. Intanto il 23 ottobre la belva nazista aveva com­ piuto il primo eccidio massacrando undici partigiani, nove dei quali appartenenti a Bandiera Rossa. Verso la metà del mese, quando l’occupazione nazista si era ormai consolidata, il Comando tedesco cominciò a dare segni di crescente preoccupazione per i gruppi armati operanti alla periferia della città e, soprattutto, nelle borgate di Valmelaina, San Basilio, Pietralata e Tiburtino III, cioè in tutta la zona Nord-Est, e lungo le vie Salaria, Nomentana e Tiburtina. Gli atti di sabotaggio e gli attacchi contro pattuglie tedesche erano assai frequenti e di notte era pericolosis­ simo per i nazifascisti aggirarsi da quelle parti. Kessel­ ring decise di dare una « lezione » a quei « miserabili » che osavano alzare la testa contro il soldato tedesco. L’occasione venne il 22 ottobre quando alcune decine di partigiani, tutti abitanti a Pietralata e a San Basilio, e nella stragrande maggioranza organizzati da Bandie­

ra Rossa, assaltarono per l’ennesima volta il Forte Tiburtino per prendere armi, viveri e medicinali. Questa volta le cose non filarono lisce come nelle precedenti: reparti delle SS, avvertiti immediatamente, dalle sentinelle tedesche, si precipitarono con forze pre­ ponderanti. I partigiani cercarono di sganciarsi combat­ tendo ma ben 22 di essi rimasero nelle mani delle SS. Il numero dei prigionieri scese a 19 durante il trasporto dal luogo dello scontro alla prigione di Casal dé Pazzi perché tre furono pronti a saltare dal camion e a fug­ gire nei campi. Gli altri 19 furono sommariamente pro­ cessati: undici condannati a morte e otto alla deporta­ zione in Germania. L’eccidio avvenne la mattina del 23 ottobre, in campagna, nei pressi della borgata di Pietra­ lata. Orlando Accomasso, di 30 anni; Lorenzo Ciocci, di 19; Mario De Marchis, di 22; Giuseppe Liberati, di 20; Angelo Salsa, di 18; Marco Santini, di 39; Mario Splen­ dori, di 38; Vittorio Zini, di 36 anni (tutti questi nove erano membri della banda Pietralata del M.C.d’I.); An­ drea Chialastri, di 36 anni, del gruppo Comunisti Cat­ tolici; Fausto lannotti, il quale — a quanto pare — fu arrestato e ucciso soltanto perché si trovava a transitare sulla via Tiburtina in bicicletta al momento dello scontro. I cadaveri furono gettati in una fossa e soltanto do­ po la liberazione, in seguito a fortuite circostanze12, fu­ rono scoperti e onorati. Il Comando germanico, alcuni giorni dopo la strage, fece affiggere un manifesto bilin­ gue: « Il 22 ottobre 1943 civili italiani che facevano parte di una banda di comunisti, hanno sparato contro truppe germaniche. Essi venivano fatti prigionieri dopo rapida scaramuccia. Il Tribunale Militare ha condanna­ to a morte 10 membri (ma nella fossa furono trovati 11 cadaveri nda) di questa banda per avere attaccato a mano armata appartenenti alle forze armate germani­ che. La condanna è stata eseguita ». La prima grave rappresaglia nazista, che colpì una « banda di comunisti », non intimidì affatto la popolazio­ ne delle borgate e tantomeno i gruppi armati del PCI, M.C.d’I. PSIUP e Pd’A. Gli atti di sabotaggio e i colpi di mano ripresero immediatamente, tanto è vero che

12 Cfr. « Il sole è sorto a Roma », op. cit.

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il 27 ottobre una compagnia di SS e un battaglione di militi fascisti effettuarono il primo rastrellamento a Ro­ ma arrestando circa 2.000 persone a Monte Sacro. Uo­ mini, donne e vecchi furono costretti a camminare in­ colonnati per sei chilometri lungo la via Nomentana: dopo alcune ore tremende di attesa in uno spiazzo de­ limitato dal fil di ferro, i 2.000 romani furono ammoniti a non danneggiare in alcun modo l'esercito tedesco e a segnalare, anzi, la presenza dei partigiani e dei prigio­ nieri di guerra fuggiti dai campi di concentramento. Alla fine 200 giovani furono isolati dalla massa e av­ viati al lavoro forzato. Ma il M.C.d'I. non si limitava all'azione armata an­ che se questa finiva con l'assorbire la quasi totalità dei suoi uomini. La strutturazione organizzativa di tipo mi­ litare era accompagnata, controllata e diretta da quella più specificatamente politica di tipo partitico. Commis­ sari politici, chiamati ispettori, tenevano i collegamenti tra organismi dirigenti centrali e i capi delle « zone » e delle bande; vedremo in seguito come si svilupperanno — in piena occupazione nazista — iniziative di rilievo come quella per la costituzione di un « centro di cul­ tura marxista » e quella del Soccorso Rosso per aiutare innanzitutto i familiari degli arrestati e dei caduti. Il lavoro di orientamento politico più importante era però svolto attraverso il giornale. Bandiera Rossa, re­ datto principalmente da Cretara e da Chilanti, uscì per la prima volta il 5 ottobre 1943: il giornale ebbe una tale popolarità fra tutti i partecipanti alla Resistenza romana che, in breve tempo, il M.C.d'I. divenne noto come il movimento di Bandiera Rossa. Non si hanno documenti che testimoniano la reale tiratura del gior­ nale ma Chilanti ricorda che di un numero si arrivò a stampare fino a 12.000 copie; in una relazione dello stes­ so Chilanti si parla di trattative con un tipografo che si sarebbe impegnato a tirare 5.000 copie di Bandiera Rossa. Si tratta di tirature considerevoli se si tiene con­ to che soltanto {’Unità (edizione romana) veniva stam­ pata in 8.000 esemplari mentre la maggior parte dei fo­ gli clandestini aveva una tiratura che andava dalle 1000 alle 2000 copie 13. 13 Cfr. « Il sole è sorto a Roma » op. cit.

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Bandiera Rossa uscì regolarmente nei primi tre me­ si di vita (sette numeri, l’ultimo dei quali reca la data del 27 dicembre) ma poi, scoperta la tipografia e interve­ nute gravi difficoltà finanziarie, riapparirà soltanto al­ tre quattro volte prima della liberazione. In questo lun­ go e difficile periodo il giornale sarà parzialmente surro­ gato da un bollettino di formato ridottissimo e intito­ lato « DR » (direttive rivoluzionarie). L’analisi di alcuni articoli di Bandiera Rossa e dei comunicati che il M.C.d’I. vi pubblicava, rappresentano a tutt'oggi il maggior contributo alla comprensione del­ la natura e degli indirizzi politici del movimento anche se nella lettura occorre tener conto che del giornale si occupavano in modo continuo e prevalente elementi pro­ venienti dal gruppo Scintilla. In particolare Cretara, per alcuni mesi, fece quasi tutto da solo istallando la « redazione » in una grotta naturale al Quadraro. I con­ tenuti del giornale, data anche l’eterogeneità delle ten­ denze ideologiche dei gruppi confluiti nel M.C.d’I. e la scarsa preparazione politica della base, non soddisface­ vano tutti; le critiche erano frequenti anche se tra di esse discordanti. Sono stati rintracciati verbali di riu­ nioni dell’Esecutivo in cui le discussioni sul giornale erano tempestose. Bandiera Rossa soprattutto nei primi numeri si sfor­ zò di chiarire i motivi di fondo dell’esistenza del M.C.d’I. caratterizzandosi essenzialmente con un discorso sui prin­ cipi che devono essere alla base del partito rivoluzio­ nario e che, applicati alla situazione di allora, portavano a respingere l’accantonamento dei motivi classisti per una più salda alleanza con i partiti della borghesia. L’al­ tro punto sul quale il giornale tornò più volte, ma sem­ pre con sfumature diverse che rivelano incertezza di giu­ dizio, è quello del rapporto con l’URSS, il giudizio da dare — non sulla Rivoluzione d’Ottobre la cui necessità e grandiosità erano per tutti motivo di orgoglio e di fede — ma sulle successive esperienze di quel paese e di quel partito comunista. Gli editoriali dei primi due numeri14 si presentano come il « manifesto » del M.C.d'I. e riflettono in modo 14 Alcune copie di Bandiera Rossa sono rintracciabili nel Mu­ seo di via Tasso, altre nell'archivio personale della ved. Cretara.

singolare la parte sostanziale delle posizioni politiche sostenute da Basso neWAvanti! del primo agosto ’43 pur non rivelando quel retroterra culturale e quella sot­ tigliezza diplomatica che consentivano al dirigente del MUP di non precludersi una collaborazione, sia pure difficile, con il PCI. Una minore lucidità e un lessico più ingenuo non impediscono tuttavia una larga conformità di scelte po­ litiche. Per convincersene basta leggere l'editoriale « In linea » di Bandiera Rossa tenendo presenti i sei punti che Basso aveva fissato sull'Awmrt/ L'organo del M.C.d’I. dopo aver proclamato che il comuniSmo « è e deve essere la teoria esposta da Marx e da Engels, realizzata da Le­ nin e da Stalin », precisa che il movimento: « 1) svolge attività propagandistica e organizzativa sulle seguenti basi programmatiche: socialismo marxista (integrale); tattica intransigente e conquista rivoluzionaria del po­ tere; costituzione sovietica dei lavoratori del braccio e della mente di tutte le categorie; 2) cura attivamente il collegamento tra comunisti di tutte le regioni per rag­ giungere, su base marxista, l'unificazione delle forze pro­ letarie, e la costituzione di un unico grande partito di democrazia operaia; 3) provvede alla pubblicazione del giornale Bandiera Rossa, organo di propaganda, di orga­ nizzazione e di lotta rivoluzionaria; 4) si dichiara orga­ nizzato e disciplinato al servizio del proletariato, e ade­ rente al programma direttivo della costituenda Interna­ zionale ». Nel secondo numero del giornale, con l'arti­ colo « Moniti », Bandiera Rossa avverte l'esigenza di tor­ nare sulla questione per una ulteriore precisazione e, ef­ fettivamente, enuncia punti programmatici più elabora­ ti: « Il partito comunista — si afferma tra l'altro — deve essere organizzato secondo i principi della democra­ zia operaia, unica garante della rispondenza delle diret­ tive del partito alle esigenze delle masse; 2) in un par­ tito comunista non organizzato democraticamente, la vo­ lontà del proletariato non può che rimanere soffocata dal burocratismo di partito 15, con la conseguenza di un com­ pleto svuotamento di contenuti del partito stesso; 3) soltanto se oggi il partito comunista saprà organizzare is E* questo uno dei pochissimi espliciti riferimenti ai pericoli della burocrazia e cioè a uno dei caposaldi della critica trotskista.

le sue forze sul piano della democrazia operaia, esso po­ trà assorbire in sè tutte le forze vive del proletariato, con la fusione di tutti i partiti marxisti, e dar vita a quell'unico movimento proletario che è oggi l'aspirazio­ ne e il desiderio massimo di tutti i lavoratori; 4) l’orga­ nizzazione democratica del partito comunista è l'unica garante che, dopo la istaurazione della società socialista, il proletario sarà il vero detentore del potere, e non una minoranza che ne eserciti la dittatura a nome di esso; 5) il movimento comunista d'Italia, convinto di unifor­ marsi alla condotta del proletariato mondiale tutto, è deciso a non deflettere in nessun modo dai caposaldi sopra enunciati, considerando ogni deviazione da tali principi come un tradimento verso la classe lavoratrice ». « Compagni, per la sicurezza delle rivendicazioni del­ la classe lavoratrice è necessario che tutte le forze sia­ no dirette al raggiungimento di questi principi: a) tutta l'organizzazione del P.C. sia emanazione della volontà del proletariato; b) la direzione del P.C., designata dal proletariato, possa essere chiamata in qualsiasi momento a rispondere della sua condotta; c) il collaborazionismo del P.C. non arrivi al transazionismo opportunistico, che noi abbiamo sempre rimproverato alla socialdemocrazia; d) la lotta di classe non sia rimandata al futuro con l'unico risultato di narcotizzare le masse con parvenze di libertà; e) la socializzazione non sia la « canzone del­ l'avvenire » ma programma concreto di realizzazioni im­ mediate». Il discorso appare chiaramente rivolto non soltanto alle basi del movimento e del PCI, ma proprio ai diri­ genti del PCI. Proprio in quei giorni infatti era in corso il tentativo di unificazione. Il M.C.d'I. poneva come pre­ giudiziali due principi: il corretto funzionamento del centralismo democratico (così come aveva funzionato al tempo di Lenin) all'interno del partito e una partecipa­ zione alla lotta antifascista improntata agli interessi di classe. L'accordo, come abbiamo ricordato, non venne. Ban­ diera Rossa pubblicò ancora un articolo sulla necessità di costituire il partito unico della classe operaia (ecco ritornare un altro motivo bassiano) ma poi spostò il baricentro della sua propaganda sui temi delle alleanze e sul programma rivoluzionario. Fin dal primo numero — 78 —

aveva chiesto: « Perché collaborare con un governo a capo del quale sarà Tuomo che diresse le operazioni mi­ litari della prima campagna imperialista del regime fa­ scista in Abissinia, e che rimase per un certo tempo capo di stato maggiore nella guerra che il fascismo ha sca­ tenato tra anni fa? ». E proclamava: « Nessuna comu­ nità d'azione, nessuna affinità ideologica esiste tra le classi dirigenti italiane e la classe lavoratrice. Nessuna comunità deve esistere tra i rappresentanti delle masse proletarie e i sostenitori delle classi privilegiate ». A questo punto Bandiera Rossa fa una considerazione che rivela superficialità ed eccessivo ottimismo: « La storia c'insegna che i partiti proletari collaborano con un go­ verno borghese solo quando questo governo, con la sua politica economica e sociale, apporta un progressivo au­ mento di benessere alle masse lavoratrici; solo quando porta un beneficio al proletariato. Questo oggi non è; una situazione simile si è verificata alcuni decenni fa, quando il regime capitalistico era ancora nel suo pe­ riodo ascendente: nel periodo riformistico dei Turati, dei Trampolini e dei Bissolati ». Anche se il fine del redattore di questa nota era quello di negare la possibilità, nel presente, di qualsiasi collaborazione con un governo borghese, egli mostra una carente comprensione delle caratteristiche della socialdemocrazia e non la identifica perciò dietro la maschera con la quale essa pudicamente si celava nel 1943-44. Nei numeri tre e quattro, usciti in data 22 e 29 ot­ tobre, il discorso programmatico sull'attualità della ri­ voluzione socialista e sui suoi obiettivi torna con forza. A chi afferma che « oggi non esiste una situazione rivo­ luzionaria », il giornale risponde: « 1) con questa guerra il regime capitalistico ha mostrato con impressionante chiarezza la sua incapacità di assicurare alla società mo­ derna la pace e il benessere... Si è visto definitivamente che la guerra è una cronica necessità del profitto pri­ vato ,il quale non può fare a meno di distruggere, ad un certo punto, quello che ha creato e prodotto, per mantenere la classe borghese attaccata alla sua posizio­ ne privilegiata; 2) i lavoratori hanno imparato che solo dall'unità granitica della loro classe possono nascere le sicure premesse per la propria emancipazione ». Nel settimo numero appare su Bandiera Rossa una — 79 —

risoluzione nella quale l'Esecutivo del M.C.d'L ribadisce la necessità e attualità della rivoluzione socialista per­ ché « l'economia nazionale dei diversi paesi, alla fine dell'attuale conflitto, sarà in condizioni tali da rendere impossibile, da parte della borghesia ogni tentativo di ricostruzione sui basi nazionali ». Questa ultima specifi­ cazione (« su basi nazionali ») lascia comprendere che neanche il M.C.d'L, in definitiva, fosse poi così sicuro dell'impossibilità di una restaurazione capitalistica. A coloro i quali affermavano che occuparsi del domani impediva il massimo sviluppo della lotta oggi contro i nazisti, Bandiera Rossa replicava citando Marx: « L'arma della critica non può, è vero, sostituire la critica delle armi. La forza materiale deve essere rovesciata dalla forza materiale. Ma la teoria diventa pure una forza ma­ teriale quando essa s’impadronisce delle masse ». In « Dal capitalismo al socialismo », il giornale af­ ferma che « i comunisti si propongono di realizzare imme­ diatamente, come conseguenza delle particolari condizio­ ni nelle quali verrà a trovarsi il nostro paese dopo la guerra, la socializzazione dei grandi stabilimenti indu­ striali, del latifondo, delle banche e degli istituti di assi­ curazione. E precisamente: le fabbriche saranno nazio­ nalizzate e la gestione ne sarà affidata agli operai, che nomineranno democraticamente i propri dirigenti; il la­ tifondo sarà organizzato in collettività agrarie; le ban­ che e gli istituti assicurativi passeranno dalla gestione privata a quella statale... Il piccolo commercio e la pic­ cola proprietà agricola un poco alla volta dovrebbero essere organizzati in forme associative... il commercio estero riservato allo Stato ». Come si è già visto dalla considerazione fatta nel secondo numero sulla democraticità interna del partito come condizione perché il proletariato, una volta con­ quistato il potere, lo detenga direttamente e non lo de­ leghi a « una minoranza che eserciti la dittatura » a suo nome, anche nella prefigurazione sommaria della socie­ tà futura si dà largo spazio al tema della socializzazione e della gestione operaia. Si può cogliere in questi passi una critica implicita al modello di socialismo realizzato nell'URSS; la cautela con cui tale critica viene svolta è dovuta oltre che alla preoccupazione di non essere né apparire come agitatori antisovietici, proprio quando l'URSS era invasa dai nazisti, anche da problemi di unii

tà all'interno del movimento dove si trovavano fianco a fianco elementi stalinisti, bordighisti, trotskisti e anarchicheggianti. Negli articoli direttamente dedicati all'URSS si co­ glie un'altalena di posizioni, un'oscillazione continua dal­ le posizioni dei filostalinisti a quelle dei filotrotskisti passando per la teoria « giustificazionista » che cercava di salvare capre e cavoli spiegando come il modello rea­ lizzato dell'URSS fosse stato un portato della necessità storica ma anche una esperienza particolare e non tale da costituire, perciò, un modello da imitare in tutti gli altri paesi. Ampia trattazione del problema si trova nel quinto numero di Bandiera Rossa, uscito proprio il giorno del­ l’anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, in un arti­ colo intitolato « l'URSS e le realizzazioni comuniste ». In esso la teoria staliniana del socialismo in un paese solo viene difesa a spada tratta: « Non c’era da scegliere e quindi o abbandonarsi alla problematica fiducia nelle capacità rivoluzionarie del proletariato di tutto il mondo o costruire subito quella fortezza d’acciaio entro la quale l’avvenire del proletariato di tutto il mondo doveva es­ sere difeso ». Si critica perciò coloro i quali « pretendo­ no dall'URSS il patrocinio delle intemperanze rivoluzio­ narie e di tutte le impazienze personali senza capire che l’URSS deve difendere contro tutto il mondo... duecento milioni di esseri umani ». Si giustifica quindi la « poli­ tica necessariamente elastica e conciliativa dell’URSS con la situazione internazionale e con il fatto che « Lenin e Stalin avevano nelle mani, non chiacchiere, ma materia, ambiente e condizioni date. Un mondo composto da 21.267.714 chilometri quadrati, circondato di frontiere per una lunghezza di 65.000 chilometri toccanti 12 stati e bagnato da 12 mari, un mondo in continuo aumento di popolazione per cui oggi dai 125 milioni iniziali si è arrivati ai 200 milioni di abitanti con un numero im­ pressionante di lingue di razze ». Il 26 dicembre nel già citato comunicato dell'Esecutivo si mette l’accento su come deve essere intesa la accettazione dell’esperienza sovietica: « L'URSS rappre­ senta per il Movimento la prima realizzazione pratica della dottrina comunista, e le sue esperienze, adattate alle particolari condizioni del nostro Paese sono il punto di partenza fondamentale » per la realizzazione del co-

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munismo in Italia. Nello stesso numero di Bandiera Rossa si dà il benvenuto a Vyscinski, arrivato pochi giorni prima a Napoli, riproducendo, sotto il titolo « Co­ muniSmo: vita agiata e felice », un passo della requisito­ ria pronunciata da quello che veniva presentato come il « procuratore generale dell'URSS al processo del cen­ tro terrorista trotskista-zinovievista svoltosi davanti al Collegio Militare della Corte Suprema dell'URSS dal 19 al 24 agosto 1936 ». Basterebbe questo a dimostrare quan­ to fossero sommarie le accuse di trotskismo che il PCI rivolgeva al M.C.d'I. La verità è che nel movimento con­ fluivano diversi giudizi sull’URSS e che tale convivenza era resa possibile dalla convinzione unanime che, per fare la rivoluzione in Italia, la solidarietà con il paese dei Sovieti doveva essere accompagnata da una piena autonomia. Il rigore ideologico, l'abbiamo detto, non era il pun­ to di forza del movimento; e questo appare in modo particolarmente chiaro nell'atteggiamento verso l’Unione Sovietica. Accade così che in Bandiera Rossa di al­ cuni mesi dopo, nel numero dell'll maggio, l'articolo « Dittatura proletaria o tecnocrazia », pur senza fare di­ retto riferimento all'URSS e con intenti chiaramente polemici con il PCI, svolge una tematica che assomiglia, sotto certi aspetti, a quella trotskista. Nell’articolo si dà per scontato che, al termine della guerra, la situazio­ ne sarà talmente favorevole alla rivoluzione che il pro­ blema vero non sarà tanto quello di conquistare il potere quanto quello d'impedire una gestione burocratica o tec­ nocratica della futura società. Si afferma che « se noi non possedessimo in tutte le sue precise forme la co­ stanza, lo spirito di sacrificio, l'onestà, l’ardimento, la coscienza, la capacità politica » potrebbe avere luogo una rivoluzione « della quale potrebbero profittare solo i tecnici e i politici borghesi che, cacciati dalla porta de­ gli interessi capitalistici, rientrerebbero dalla finestra dei privilegi di categoria, che a lungo andare diverrebbero privilegi di classe. Cosicché la rivoluzione senza rivolu­ zionari potrebbe dar luogo solo alla tecnocrazia, non al comuniSmo ». « Un proletario incapace di comprendere — prose­ gue l’articolo — i punti essenziali della sua ragione di essere, un proletariato che non è capace di distinguere i propri diritti e i propri doveri, che non sa scegliere, — 82 —

secondo i suoi interessi, i suoi rapresentanti, un prole­ tariato che non sa agire, va diretto, spinto, imbeccato, sollecitato, punito, curato come un armento di animali, e i suoi pastori saranno necessariamente i politici, i bio­ logi, gli ingegneri, i poliziotti, i tecnici insomma, i quali si sentiranno in diritto di essere ciecamente obbediti e rispettati, di essere insomma i nuovi padroni del mon­ do ». « Ora, noi perché combattiamo? Perché sia abolito il capitalismo, cioè meglio, l'iniziativa dello sfruttamen­ to privato? Nemmeno per sogno, perché non è necessa­ rio, perché questo avvenga, che noi ci sforziamo fino a sacrificare le nostre vite. Noi ci battiamo perché venga il comuniSmo, non certo come quello cinese degli antichi tempi col suo figlio del cielo e con i suoi funzionari man­ darini, né come quello degli antichi Atzechi con il suo gran capo, e con i suoi sacerdoti. Noi vogliamo un co­ muniSmo che metta in comune la responsabilità e i frutti della vita e del lavoro umano, un comuniSmo che elevi la personalità umana di tutti gli uomini, da stru­ mento passivo dello sfruttamento altrui a essere evolu­ tivo e cosciente che sa di agire per il proprio e l'altrui profitto e che con la sua cosciente capacità sa impedire la formazione di nuove caste e di nuovi privilegi ». Non ce dubbio che in questo discorso, a parte le il­ lusioni sulla facilità della conquista del potere, si tocca­ no problemi oggi più che mai attuali e scottanti per le forze rivoluzionarie e, in qualche modo, si rieccheggia la nota accusa di Trotskij a Stalin di essere lo « sfrut­ tatore dell'arretratezza del popolo russo ». D'altra parte Bandiera Rossa al pericolo della tecnocrazia e della for­ mazione di « nuove caste e di nuovi privilegi » non sa opporre altro che una esortazione moralistica al proleta­ riato perché innalzi il suo livello di coscienza. Il discorso sul ruolo di stimolante antiburocratico del partito non viene individuato; la istituzione di organismi di demo­ crazia diretta non è presa in considerazione. In ogni caso il proclamarsi comunisti dissidenti, il rivendicare più democrazia di partito, l’opporsi alla po­ litica di unità nazionale e l'assumere un atteggiamento improntato a problematicità nei confronti dell'URSS, non potevano non suscitare la netta opposizione del PCI. E la polemica pubblica non tarderà ad esplodere anche se, inizialmente, essa manterrà un tono dignitoso.

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Era stato stampato da soli cinque giorni il primo numero di Bandiera Rossa che YUnità si affrettava a pubblicare un corsivo polemico: « Equivoco da chiari­ re: è apparso, in questi giorni, il giornale Bandiera Ros­ sa organo del movimento comunista italiano. Al fine di evitare equivoci teniamo a chiarire che tanto il giornale suddetto, quanto il « movimento comunista » di cui il giornale si dichiara organo, non hanno nulla in comune con il nostro Partito. Riteniamo indispensabile questa pubblica dichiarazione affinché si sappia che il partito comunista italiano separa qualsiasi responsabilità da certi gruppetti politici che si fregiano dell’etichetta co­ munista per utilizzare un prestigio che solo il nostro par­ tito può rivendicare e per creare della confusione pro­ prio in un momento in cui tanto è necessaria la chiarez­ za ». L'accenno alla limitatezza dell’organizzazione di Bandiera Rossa, evidentemente, è valida soltanto se si vedono le cose sul piano nazionale (dove però i « grup­ petti » erano assai numerosi e spesso, in relazione ai tempi, di notevoli dimensioni). Bandiera Rossa non replicherà immediatamente, e cioè nel suo secondo numero che reca la data del 15 ot­ tobre, ma in quello successivo del 22 ottobre. E si capi­ sce perché: doveva ancora aver luogo l’ultimo incon­ tro tra le due delegazioni per tentare l’unificazione. Fal­ lita la trattativa il giornale risponde all’t/mtó: « Nessun equivoco: non vi può essere equivoco: Bandiera Rossa è organo del Movimento Comunista d'Italia mentre l’Unità è organo del PCI. Sono esponenti di due organizza­ zioni distinte ma non diverse, perché unica è la causa, unico è il fine. Se è sincera la fede da una parte e dall'al­ tra, ci s’incontrerà prossimamente sulla via maestra: la Rivoluzione. Ci si permetta però di dubitare dell’ufficialità d'un partito in cui non si può esercitare il con­ trollo, e che non ha avuto investitura di funzione e di po­ teri né dal basso né dell’alto ». Viene quindi ripetuta la grave accusa di mancanza di democrazia interna al PCI e si insinua che, forse, i dirigenti del partito non gode­ vano neanche dell’appoggio dall’alto, e cioè né della di­ sciolta Internazionale né di Stalin. Il PCI veniva consi­ derato alla stregua di uno dei tanti partiti o movimenti di comunisti formatisi dopo il 25 luglio 1943. Si spiega perciò come l’Unità del 26 ottobre pubbli-

casse un corsivo più polemico del primo: « Punto e ba­ sta » nel quale si fanno due considerazioni: « la prima è la seguente: non bastano le affermazioni dilettante­ sche sulla fede « rivoluzionaria » per dar credito a un movimento come il loro che ha da vantare meriti piut­ tosto scarsi nella lotta contro il fascismo... In quanto alle insinuazioni di Bandiera Rossa sulla « ufficialità » del nostro partito, sulle possibilità di controllo che vi sono, sulle « investiture » dall'alto e dal basso, non ci sentiamo proprio in vena di commuoverci. Le ipocrite accuse che ci muove Bandiera Rossa riecheggiano le posizioni degli opportunisti di ogni tipo contro la disci­ plina di ferro che deve regnare nei partiti comunisti ». Il corsivo termina con una citazione di un passo di un di­ scorso di Stalin secondo cui la richiesta di democrazia nell'interno del partito è di stampo trotskista e si ripro­ pone soltanto di disgregare il partito. Se si paragona il tono deH'Umìà romana nei confronti del M.C.d'I. a quel­ lo che Secchia usava ne La nostra Lotta contro Stella Rossa si può costatare una differenza notevole: il pri­ mo è perentorio ma ancorato alle osservazioni e alle critiche dell'avversario, il secondo, invece, è mistifica­ torio e calunnioso. Questa diversità, a parte le questioni di temperamento, è probabilmente dovuta alla forza che il M.C.d'I. stava dimostrando di possedere a Roma e alla influenza che esercitava all'interno dello stesso PCI. Prove di questa influenza le ritroviamo in documenti del partito che esamineremo più avanti. « Punto e basta davvero — rispose Bandiera Rossa il 14 novembre — Basta con le polemiche inutili che ci hanno diviso, e che sono state un giorno la causa della nostra sconfitta. Se le divergenze naturali vi sono, data la momentanea oscurità, ognuno proceda sulla strada che crede migliore, per giungere al fine comune senza di­ sturbare i compagni che camminano al fianco. Se la buona fede è d'ambo le parti, presto le chiarificazioni immancabili avverranno al sole della nuova libertà, e i lavoratori ci rivedranno affratellati nella battaglia finale della loro Rivoluzione ». Dopo questo scambio di battute la polemica pub­ blica (sui giornali clandestini) avrà una pausa. Ripren­ derà nella primavera del '44 con toni più aspri e degene­ rerà, dopo la liberazione, in rissa.

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Non si deve però credere che alla base, soprattutto nel momento detrazione, i rapporti tra comunisti del PCI e comunisti del M.C.d’I. fossero di contrapposizione e di rottura. Molte imprese di sabotaggio furono com­ piute in comune e, per di più, durante i nove mesi del­ l’occupazione, accadde diverse volte che i militanti ri­ masti sbandati per la repressione nazista, passassero da una formazione all’altra. La rievocazione di alcuni episodi di collaborazione servirà a far comprendere meglio lo spirito con il quale i comunisti romani, al di là delle differenze interne, ri­ trovassero l’unità nella lotta contro fascisti e tedeschi. E’ vero che si verificò qualche doloroso incidente che potrebbe testimoniare in direzione contraria, ma furono talmente pochi da poter essere considerati come l’ecce­ zione dovuta ad elementi ultrasettari presenti sia nel M.C.d’I. che nel PCI. Una fraterna e importante collaborazione ebbe luo­ go per nascondere e aiutare 70 prigionieri russi evasi il 24 ottobre dal campo di Monterotondo grazie a una ini­ ziativa del PCI16. Da intermediario tra i due gruppi fun­ se Alessio Fleisher Nicolaevich, da tempo residente a Roma e amico di Orfeo Mucci del comando centrale di Bandiera Rossa. Il problema di trovare un rifugio e i mezzi di sostentamento per i prigionieri fu risolto in vir­ tù dell’appoggio dato — su esplicita richiesta — dal M.C.d’I. Una collaborazione organica ebbe luogo per molti mesi nella zona dei quartieri Trionfale, Monte Mario e della borgata dei fornaciai di Valle dell’inferno: qui, come risulta dalla relazione inviata dal Comando Garibaldino del IV settore della I zona al Centro Mili­ tare del PCI17, gli uomini di Bandiera Rossa operavano in seno al CLN locale: la cosa si spiega tenendo presente che di quel comitato facevano parte soltanto comunisti, M.C.d’L, socialisti, azionisti e Comunisti Cattolici. Il M.C.d’L era rappresentato da Romolo Jacopini, operaio di Cinecittà, già da alcuni anni organizzatore di un grup­ po di comunisti e di socialisti, e che — con l’esempio 16 Cfr. « Il sole è sorto a Roma », op. cit. 17 La relazione, redatta da Antonio Leoni, attualmente diri­ gente sindacale della CGIL, è stata pubblicata in appendice a «Il sole è sorto a Roma », op. cit.

del coraggio e dello spirito di sacrificio — si conquistò nella zona un grande prestigio per diventare noto come il Comandante di Trionfale: anche lui cadrà vittima del piombo nazista e resterà per sempre una delle più belle figure della Resistenza romana. Nella zona Esquilino, abbastanza centrale, mili­ tanti del M.C.d’I. aiutarono quelli del PCI a raccogliere fondi per la stampa comunista e a diffondere volantini incitanti alla lotta antifascista. In varie occasioni ai GAP del PCI furono dati, da parte del M.C.d’I., armi ed esplo­ sivi: in proposito si possono ricordare la consegna avve­ nuta in via del Vantaggio nelle mani dei gappisti Anto­ nello Trombadori e Valerio Fiorentini nonché quella effettuata da Mario Brancaleoni alla III zona del PCI (20 moschetti, 12 pistole e bombe a mano). Degne di ri­ lievo è anche la tempestività con la quale la banda Pe­ pe, — della quale faceva parte anche Ercole Favelli, attualmente funzionario della federazione romana del PCI, — sgomberò la casa di Valerio Fiorentini, su­ bito dopo l’arresto del valoroso gappista, di tutte le armi che vi si trovavano: in pieno giorno Vincenzo Pepe portò via, camuffandole come meglio poteva, tre mi­ tragliatrici, nove fucili a ripetizione, 40 moschetti, una cassa di tritolo con vari metri di miccia e altre armi e munizioni. Questo coraggioso e fulmineo intervento non sarà però sufficiente a salvare la vita di Valerio Fioren­ tini. Va infine segnalato che nei giorni della ritirata dei tedeschi da Roma i comunisti delle due formazioni fu­ rono fianco a fianco in numerosi e sanguinosi scontri. L’attività di sabotaggio e di attentati portata avanti dagli uomini di Bandiera Rossa non subisce alcun ral­ lentamento dopo le prime fucilazioni e i primi arresti; anzi è proprio in questo periodo che i nazisti cessano di farsi vedere in molte borgate e che nella piazza di Tor Pignattara il locale dirigente del M.C.d'I., Uccio Pisino, ex-ufficiale di marina destinato a morire alle Fosse Ardeatine, faceva effettuare ai suoi uomini l'adde­ stramento militare in pieno giorno. I fascisti in zone come queste dove intensissima era anche l’attività del PCI, non osavano neanche ricostituire le sezioni del PNF. Nella prima decade di dicembre i gruppi armati di Bandiera Rossa effettuarono le loro due imprese più — 87 —

sensazionali e, nello stesso tempo, subirono il primo di una lunga serie di colpi che falcidierà le fila dei mili­ tanti e dei dirigenti. Il primo dicembre un pugno di uomini, dotati di grande coraggio, di fantasia cospirativa e di molto san­ gue freddo, galvanizzarono tutta la Resistenza romana 18: Vincenzo Guarnera, un ex-maresciallo dell'aeronautica che aveva assunto il nome di battaglia di Tommaso Mo­ ro, la notte del 30 novembre passò all'attuazione del pia­ no studiato accuratamente per liberare undici suoi uo­ mini già condannati dal Tribunale di Guerra germani­ co a morire fucilati a Forte Bravetta. Il plotone di ese­ cuzione doveva essere formato da militi della PAI (i tedeschi lasciavano certe... incombenze ai lori servi fa­ scisti). I militi di quel plotone non arrivarono mai a Forte Bravetta: al loro posto giunsero, travestiti e armati da fascisti, Tommaso Moro e dieci dei suoi uomini. Nel Forte attesero che venisse l'ora dell'esecuzione. Fu una notte terribile per il freddo e per l'ansia di quel­ lo che poteva accadere. Finalmente all'alba il silenzio glaciale fu rotto dal rumore di un motore: dalla nebbia sbucò il camion, scortato da tedeschi, che trasportava i condannati. L'azione fu fulminea. Tommaso Moro e la sua squadra si avvicinarono ai tedeschi: alcune secche denotazioni; le guardie prima di rendersi conto di quello che accadeva, erano già state colpite a morte. Poi via di corsa sul camion. Per questa impresa Vincenzo Guar­ nera, alias Tommaso Moro, riceverà, la medaglia d'oro. Cinque giorni dopo, il 6 dicembre, Bandiera Rossa fece ancora parlare di sé accrescendo l’interessamen­ to del Comando tedesco per la sua fastidiosissima pre­ senza. Per accrescere la partecipazione popolare alla Resistenza e anche per saggiare le proprie capacità di mobilitarsi in un'azione su larga scala, l'Esecutivo del M.C.d’I. decise che in un dato giorno a una data ora, in tutti i 120 cinema della città, 1200 dei suoi uomini mi­ gliori lanciassero 9-10.000 volantini nei quali veniva de­ nunciato l'abisso di degradazione morale, le ruberie, i

is Questa impresa è stata ricordata nei loro libri da Piscitelli e da D’Agostini-Forti.

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sorprusi, le torture dei neodirigenti della federazione fa­ scista romana 19. La direzione della complessa operazione fu affidata a Antonio Foce. Il vecchio comunista, esperto in mani­ festazioni clandestine, divise la città in dieci zone in modo che ognuna di esse comprendesse dodici cinema. Fissato il giorno, Fora e la durata della manifestazione (6 dicembre, dalle ore 18 alle 18,15), nella casa del sarto Gabriele Pappalardo, in via Volturno, si riunirono il Co­ mitato Romano e l'Esecutivo di Bandiera Rossa: in quel­ la occasione fu redatto il testo del volantino che termina­ va invitando i romani alla lotta antifascista. Dopo fatico­ se ricerche fu trovato un tipografo disposto a stampare 9-10.000 manifestini e a consegnarli poi a Ponte Sisto a un membro del movimento. La sera del 4 dicembre in un caffè di via della Pa­ lombella due membri del Comitato Romano affidarono a Romolo Jacopini e ad Ettore Arena il compito di ri­ tirare i volantini: essi sarebbero stati scortati da due ufficiali di collegamento (Pietro Barone e Armando Ottaviani; quest'ultimo sarà poi fucilato alle Ardeatine). Il giorno 5, alle ore 20, nella centrale piazza Cavour, fu­ rono distribuiti i manifestini. Quattro squadre d'azione armate vigilavano sulla piazza, comandate da Nicola Stame, Uccio Pisino, Tigrino Sabatini (tutti destinati a cadere sotto il piombo tedesco). Giulio Roncacci e Ala­ dino Govoni (anche questi due termineranno la loro esi­ stenza alle Ardeatine) s'incaricarono di altri servizi. Ai comandi di zona fu trasmesso il seguente ordine: « Alle ore 16 del giorno 6 dicembre 1943, tutti i dieci co­ mandanti di squadre si troveranno divisi in due gruppi alla piazza... e metteranno a punto gli orologi. Ogni co­ mandante di squadra riceverà tre pacchetti contenenti 50 manifestini; costui alle ore 17,30 si porterà a non ol­ tre 50 metri dal locale dove dovrà eseguire l'operazio­ ne, accompagnato da dieci uomini. Nel locale entreranno solo tre uomini che alle 18 precise lanceranno i mani­ festini. Gli altri piantoneranno le uscite per appoggiare la ritirata dei compagni ». 19 II gruppo dirigente fascista romano divenne ben presto noto come la banda Bardi-Pollas trini; lo stesso Comando ger­ manico, preoccupato per il malcontento sollevato dai loro servi, nel dicembre del 43 li fece arrestare.

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« Ogni comandante di squadra — proseguiva la cir­ colare avrà due portaordini in bicicletta e appena avve­ nuta l'operazione si metterà in collegamento con il cen­ tro generale. Il Comando generale si troverà al caffè Grandicelli al Ponte Garibaldi fino alle ore 17. Dare assicurazione a manifestazione avvenuta di incidenti che eventualmente si presentassero ». L'ordine era firmato dal Comando Militare Unificato, cioè dall'organismo che dirigeva i gruppi armati di Bandiera Rossa. . All’ora stabilita tutti eseguirono i loro incarichi con coraggio e precisione. Nei cinema Imperiale, Bernini e Barberini — tutti centrali e di prima visione — la manifestazione riuscì ma le squadre di sostegno dovet­ tero intervenire per aiutare i compagni a fuggire. L’ope­ razione suscitò un’eco molto vasta nella città destando generale ammirazione negli ambienti antifascisti. Ma l'impresa fu pagata a caro prezzo. Nel gruppo Malatesta-Jacopini alcune spie erano riuscite a infil­ trarsi e a raggiungere anche posti direttivi. Non si può spiegare in altro modo il fatto che un'ondata di arresti si abbatté sul gruppo e risparmiò invece gli altri. Da­ vanti al cinema Principe furono arrestati Romolo Jacopini, Augusto Parodi, Ricciotti De Lellis, Amerigo Onofri. Quirino (o Guerrino) Sbardella che era riuscito a sottrarsi all'arresto scappando dal cinema, fu preso la sera stessa nella sua abitazione. Ma le spie non erano ancora paghe e fecero altri nomi. Nei giorni successivi furono arrestati nella casa di Ezio Malatesta dove sta­ vano architettando un attentato20 il giovane giornali­ sta, Carlo Merli, Ottavio Cerulli e il Colonnello Gino 20 In « Comando raggruppamento bande partigiane Italia cen­ trale: attività delle bande sett. 1943-luglio 1944 » (edito nel 1945 a cura del Poligrafico dello Stato) il colonnello Ezio De Michelis scrive: « Mentre ad una riunione in casa dello scrittore e gior­ nalista Ezio Malatesta si stava organizzando un'azione di sabo­ taggio contro automezzi tedeschi in località Capannello il poco chiaro intervento delle SS germaniche faceva sì che numerosi appartenenti alla cellula venissero arrestati e successivamente fucilati. Patrizi e altri tre si salvarono per il tempestivo avviso dato loro («casa piantonata») dalla signora Nazzarena Sbarrini, portinaia dello stabile di Malatesta (piazza Cairoli, 2) ». Patrizi era un ufficiale dell'esercito che fungeva da collegamento tra il gruppo Malatesta e l'organizzazione militare clandestina dell’Esercito.

Rossi (Bixio); arrestati furono anche Ettore Arena, Fili­ berto Zolito, Benvenuto Badiali, Herta Katerina Heberning, Branco Bitler e Italo Nepulanti. Gli unici due arrestati per quell'operazione e non facenti parte del gruppo Malatesta-Jacopini furono Raf­ faele De Luca e Augusto Latini. Il primo era largamente noto come una sorta di presidente del movimento ed inoltre, nella sua grande generosità, non badava alla stretta osservanza delle regole cospirative; il secondo era stato incaricato di mantenere i collegamenti tra Co­ mando Militare di Bandiera Rossa e il gruppo MalatestaJacopini. Non è stato mai possibile accertare quali fos­ sero le spie. Subito dopo la liberazione furono fatti i nomi delle spie Jori e Scarpato, più tardi fu anche arre­ stato con la stessa accusa21 l'avvocato Vincenzo Sofia Moretti, ma nulla di decisivo fu provato. Bandiera Rossa trovò la forza di reagire immedia­ tamente. Il 16 dicembre ebbe luogo a Monte Mario, e cioè nella zona dove aveva operato l'ormai dissestato gruppo Malatesta-Jacopini, una riunione dei comitati di zona per studiare le misure da prendere per il potenziamento delle squadre d'azione; vi parteciparono, tra gli altri, Poce e Riso. Il problema più grave era quello riguardan­ te le bande esterne e cioè i raggruppamenti di parti­ giani che si erano formati o che si stavano formando in alcune località del Lazio e delle regioni confinanti. Malatesta era uno dei massimi dirigenti di questo setto­ re; il colonnello Rossi aveva messo insieme una forza considerevole sulle pendici di Monte Circeo. Si trattava ora di ristabilire i collegamenti, lavoro che richiedeva pazienza e sprezzo del pericolo. Al tempo stesso si decise di intensificare le azioni di sabotaggio (abbiamo già ricordato i due treni fatti sal­ tare alla fine di dicembre nei pressi di Velletri) così co­ me le rappresaglie contro tedeschi e fascisti.

21 L’Unità del 31 maggio 1945 pubblicò un lungo articolo con il seguente titolo: « Come e perché è stato arrestato Vincenzo Sofia Moretti »; nel sommario si diceva che Vincenzo Sofia Mo­ retti era una « spia internazionale » e che del suo gruppo face­ vano parte « tale Rodi, il criminale Scarpato, il tenente Jori, Ci­ polla ». Al processo Moretti fu però assolto.

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CAPITOLO III « Avevo altro da fare io, al mio posto e con una responsabilità di comandante supremo di un fronte minacciato e con una città esplosiva come Roma alle spalle, che preoc­ cuparmi delle leggi ». (A. Kesselring)

Con la terribile ondata di arresti seguita alla mani­ festazione del 6 dicembre, la scoperta della tipografia e la consapevolezza che le spie erano riuscite a infiltrarsi nell'organizzazione, la lotta di Bandiera Rossa entra nel­ la fase più difficile ed eroica. Il movimento, formato nella stragrande maggioranza da giovani privi di ogni esperienza politica e non esercitati alla vita clandesti­ na, reagì magnificamente al battesimo del fuoco; e per tutta la durata dell'inverno rispose colpo su colpo alle rappresaglie e all'azione repressiva dei nazi-fascisti con­ tinuando, nel frattempo, la sua battaglia politica all'in­ terno dello schieramento resistenziale per dare una prospettiva socialista alla lotta. Arresti, torture, fucila­ zioni, fame, freddo, lontananza dai familiari, carenza di armi, medicinali, mezzi di trasporto e fondi: tutto questo provocò gravi perdite e indicibili sofferenze tra i quadri improvvisati e la base generosa, ma non bastò a far piegare la testa a quel movimento di comunisti. Quello che più addolorava erano certe calunnie lanciate di tanto in tanto da questo o quell'esponente dei par­ titi del CLN. Oltre all'assurda accusa di attesismo si insinuavano gravi i sospetti sugli uomini del M.C.d'L I tedeschi avevano intanto consolidato l’occupazio­ ne della città servendosi anche delle peggiori canaglie fasciste e del vecchio apparato amministrativo parzial­

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mente rimesso in piedi. Una cura del tutto particolare veniva ovviamente dedicata ai servizi di polizia e all'or­ ganizzazione per il rastrellamento della manodopera da utilizzare in Italia o in Germania al servizio della mac­ china bellica tedesca. In poche settimane alcuni nomi divennero tragicamente famosi: via Tasso, dove le SS si abbandonavano alle torture più sadiche contro gli an­ tifascisti che cadevano nelle loro mani; banda Koch \ la

1 Sull’apparato poliziesco operante a Roma cfr. « L'azione della polizia contro la città esplosiva » di Candiano Falaschi in Capitolium, giugno '64, anno XXXIX, n. 6. Per comprendere fino a qual punto si spingesse il sadismo della banda Koch riportiamo la rivoltante composizione di una delle impiegate del « reparto speciale », Marcella Stopponi, riportata il 24 giugno 1944 da Ita­ lia Libera: « Tutti quei che a Roma stanno / per la Patria con gran danno / a tramare contro il Duce / che il fascismo ognor conduce / han da fare con una banda / Pietro Koch la coman­ da. / Ei prepara astuto un piano / e gli dà Tela una mano. / Della cosa è interessato / pure Trinca l’avvocato. / Quando alfin lor cade in mano comunista o partigiano / mentre viene interro­ gato / l’infelice disgraziato / gli fa far la piroletta / di Cecchino la doppietta. / Contro un pugno di Masé / più rimedio alcun non v’è / Ma non scherza perbaccone / pure Giorgi il gagarone! / Mentre il prode Zaccagnini / segna sopra i quadernini / tutta quanta la benzina consumata la mattina, / e Di Franco per amore / sente struggere il suo cuore. / Dalla stanza accanto s'ode l’infelice quanto gode, / se si ostina a non parlare / ed a nulla rivelare / farà uscire fuor dai gangheri, / cosa strana / anche Zangheri. / Ma che sono questi strilli? / Qui ci sta di mezzo Brilli? / O son state le manone / che han picchiato di Pallone? / Corri, dài una mano Nucci! / Oppur penso sia Cabrucci / che abbia steso in terra uno / per secondi quaranti­ no? / Chi non sta certo a guardare / è poi Marsan, a quanto pare / pur essendo piccolino / sa tirar per benino. / Ed intanto il comunista, / mentre il viso si rattrista / ed intanto il parti­ giano / mentre mordesi la mano / dice quel che deve dire; / dovea pur così finire. / Dalia gioia il buon Santini che è il re dei ballerini / salta e grida a tutto spiano / « Ce li abbiamo in­ fine in mano! » / Mentre Martire alto e grosso / dalla gioia si fa rosso / e poi subito si mette / a contar le sigarette. / Per finire la frittata / s’ode una telefonata: / è Corrado che ha pe­ scato / un omino incriminato. / Corre allor Giorgetti in quar­ ta / pria che l’altro se ne parta. / Ma fra tanta confusione / s’ode un colpo di cannone; / è Nebbiai il provveditore / tanto caro al nostro cuore / che, credete, non è una favola / va gridando « si va a tavola », / il Ferruzzi con il cuoco / preparato hanno sul fuoco / una serie di cibarie / le più buone, le più varie. / Lascia perdere i verbali / cara Anita di quei tali; / il pio Bubi ben fe­ lice / la razione benedice. / E’ di Koch questa squadra / dove

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squadra speciale che eguagliò le SS per ferocia e che in­ flisse pesanti colpi al PCI, al M.C.d’I. e al P. d’A.; il que­ store Caruso che mise tutto il suo zelo di poliziotto fa­ scista nei rastrellamenti e nella collaborazione con Kes­ selring; TODT, l’organizzazione che a ogni costo voleva dare lavoro ai romani. I tedeschi e i loro servi da una parte; i partiti e i movimenti antifascisti che lottavano a mano armata dall’altra; in mezzo il grosso della popolazione che non si decideva alla ribellione aperta ma che, soprattutto nei quartieri popolari e nelle borgate, opponeva una sorda resistenza: i giovani non si presentavano alle chia­ mate alle armi; gli operai e i disoccupati si nascondeva­ no; le donne si ingegnavano in tutti i modi per far sal­ tare i razionamenti dei viveri arrivando anche all’assalto ai forni. Tutti speravano e credevano che la liberazione sa­ rebbe arrivata presto. L’8 settembre e l’occupazione te­ desca furono un’amarissima sorpresa per quanti avevano creduto che la Wermacht — di fronte alle difficoltà di una battaglia attorno a Roma — si sarebbe ritirata più a nord. Le speranze di un imminente arrivo degli Alleati di tanto in tanto erano alimentate da notizie che non erano del tutto prive di fondamento in quanto era vero che lo sbarco alle porte della città era oggetto di continui rinvìi. Quando, il 22 gennaio, lo sbarco ad Anzio ebbe luogo ci fu un’ondata di entusiasmo: si pensò che la liberazione fosse ormai questione di giorni. I GAP e tutti i partigiani intensificarono la loro azione. L’Unità era già stata stampata in edizione straordinaria con l’appello all’insurrezione quando, sconvolgente e tragica, arrivò la notizia che i tedeschi erano riusciti a ripren­ dersi e a inchiodare gli Alleati sul litorale. L’occupazione durerà ancora e conoscerà anzi i suoi mesi più duri. Le condizioni di vita a Roma, nel frattempo, si era­ no fatte intollerabili. I bombardamenti su questa cosid­ detta « città aperta » crearono un generale clima di insi­ curezza e uccisero almeno 5.300 persone. Il coprifuoco era in vigore dalle 18 alle 7 (per qualche tempo addirit­ tura dalle 17). Non era consigliabile girare per la città e, tutti han la testa quadra / che lavora per la gloria / dell’Italia e la vittoria / ed io capito tra voi / grido forte « Duce a noi!!! ».

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soprattutto sui mezzi pubblici: al rifiuto di presentarsi volontariamente alla TODT, i poliziotti di Caruso e i na­ zisti replicavano con rastrellamenti sempre più fre­ quenti. La tecnica era sempre la stessa: una zona veniva chiusa da reparti armati fino ai denti, subito dopo si ordinava l'alt a tram e autobus e si ammassavano i pas­ santi; tutti gli uomini validi, trovati privi di qualche documento che giustificasse la loro assenza dai lavori forzati e dall’esercito repubblichino, erano arrestati e deportati. Tra ebrei e antifascisti furono 3.000 i romani a perdere la vita nella deportazione; altri tornarono irri­ mediabilmente mutilati. E' in questa Roma fosca e tragica ma illuminata dal­ l’eroismo delle sue avanguardie e rigenerata dall'ostilità di massa al nazismo e alla guerra, che fu celebrato il processo-Malatesta il primo processo contro la Resi­ stenza romana. Ebbe luogo nell’albergo Flora, in via Veneto, da­ vanti al Tribunale di guerra germanico e si concluse con una severa sentenza: undici condanne a morte e cin­ que alla reclusione, nei campi tedeschi, per periodi va­ rianti dai cinque ai quindici anni. I condannati a morte furono: Ezio Malatesta, gior­ nalista, 24 anni, celibe; Romolo Jacopini, operaio, 45 an­ ni, celibe; Filiberto Zolito, calzolaio, 49 anni, sposato; Branco Bitler, impresario teatrale di nazionalità jugosla­ va, 38 anni, sposato; Gino Rossi (Bixio), architetto e colonnello dell'esercito, 50 anni, sposato; Ettore Arena, operaio, 21 anni, celibe; Benvenuto Badiali, commercian­ te, 31 anni, celibe; Quirino Sbardella, operaio, 28 anni, sposato; Augusto Parodi, operaio, 30 anni, celibe, Carlo Merli, giornalista, 31 anni, sposato; Ottavio Cerulli, cal­ zolaio, 37 anni, sposato. Gli altri imputati furono Pic­ ciotti De Lellis, muratore, 45 anni, sposato; Rolando Paolorossi, ingegnere, 32 anni, sposato; Italo Nebulanti, impiegato, 45 anni, sposato; Amerigo Onofri, militare, 35 anni, sposato; Herta Haberning, ballerina di naziona­ lità tedesca, 30 anni, nubile. Negli stessi giorni fu anche processato e condannato a morte Raffaele De Luca ma la condanna non potè essere eseguita perché l’anziano avvocato riuscì a dimostrare di essere intrasportabile al luogo dell'esecuzione2. 2 In « Umanità ed eroismo nella vita segreta di Regina Coe-

I .’istruttoria, sommaria non cominciò subito. Il gruppo mostrava una grande serenità, in alcuni casi ad­ dirittura spensieratezza. «I primi giorni nel carcere di Regina Coeli li sentivamo chiamarsi dalle celle, scher­ zare tra di loro — racconterà Augusto Raponi3 — Ma poi cominciarono gli interrogatori e tutto cambiò. Non piti grida scherzose, non più scoppi di riso. Un silenzio cupo che ci opprimeva tutti ». Gli interrogatori furono latti in via Tasso e, naturalmente, furono accompagnati da torture bestiali. Quasi tutti dimostrarono un corag­ gio eccezionale e sopportarono sofferenze oltre il nor­ male limite umano. Le SS erano furibonde: sapevano, perché glielo avevano detto le loro spie, di aver messo le mani su un gruppo di dirigenti, ognuno dei quali co­ nosceva molti nomi di comunisti di Bandiera Rossa, ma non riuscivano a cavare un ragno dal buco. Giorno dopo giorno, mano a mano che tutte le atrocità degli specia­ listi di via Tasso dilaniavano le carni di Malatesta e dei suoi compagni senza alcun risultato, i nazisti videro sfumare la speranza di sgominare tutto il movimento. Nella loro rete, dopo De Luca, non cadde più nessuno: la catena della clandestinità si era rinchiusa.

li », edito a Roma nel 1945, Amedeo Strazzera Perniciani rac­ conta: « ... è l’avv. Raffaele De Luca, vecchia figura e forte tem­ pra calabrese. Capo del Movimento Comunista di Roma e diret­ tore di Bandiera Rossa. Arrestato dal comando tedesco per stam­ pa clandestina e organizzazione di bande armate, diede esempio di fierezza e di fede, venerata dall'ambiente politico di Regina Coeli ed ammirata dagli stessi nemici. Dopo parecchi e dibat­ tuti interrogatori, avendo accettato senza esitazioni la respon­ sabilità di tutta la sua attività politica, è stato dal tribunale su­ premo tedesco comandato alla pena capitale. Incitato dagli stes­ si nemici a presentare domanda di grazia, con assicurazione di favorevole accoglimento, ha opposto lo sdegno dei forti. Per quattro mesi la Commissione Visitatrice ed io lottiamo abilmen­ te, cercando espedienti per temporeggiare, fino a farlo dichia­ rare, per le sue condizioni di età e di salute, intrasportabile dalla infermeria del carcere al luogo dell'esecuzione. Tutti i mez­ zi sono stati usati per salvare quest'Uomo dalla morte: si è riu­ sciti, attraverso manovre sanitarie, di far sospendere e pro­ crastinare la fucilazione, fino al giorno della liberazione di Ro­ ma ». Nel libro è anche pubblicato il testamento spirituale re­ datto da De Luca nella notte che credeva fosse la vigilia della sua fucilazione. 3 Testimonianza.

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Il passaggio da uno stato d'animo fiducioso all'an­ goscia di non poter resistere alle torture e, infine, alla calma desolata di fronte alla morte, è ben riflettuto dalle lettere che scrissero dal carcere ai loro familiari Quirino Sbardella e Romolo Jacopini4* . Quest'ultimo fu interrogato 24 volte e torturato 18. Se non avesse resi­ stito le conseguenze sarebbero state estremamente gra­ vi e non soltanto per Bandiera Rossa perché Jacopini era in contatto con PCI, PSIUP e P.d'A. Quale fosse il trattamento che gli riservavano le SS lo si comprende da una lettera scritta alla madre: « ...Ho bisogno di una giacca e di un paio di calzoni al più presto possibile, che mi si sono rotti. Qui si consumano molto i nostri abi­ ti... ». Sua madre ritirò da Regina Coeli la biancheria personale: un pacco di indumenti insanguinati e ridotti a brandelli! Ma la forza d'animo che aveva sorretto Jacopini ne­ li oscuri anni del fascismo e nei mesi esaltanti della lotta, non lo abbandonava neanche ora; nella stessa lette­ ra alla madre, scrive: « Mandami un po' di pane se ti è possibile. Voglio dividerlo con quei nostri compagni che soffrono le mie stesse pene, aggravate dalla mancanza di qualsiasi affetto, mentre io ho te in una veglia continua. Sai quanto ho amato i compagni. Quelli pronti con me, ogni momento alla difesa di altri sventurati, tutti sogna­ vamo di stare sullo stesso piano senza che l'uno sorpas­ sasse l'altro. Una società così sarebbe stata bella, mam­ ma! ». Restò fino all'ultimo il Comandante del Trion­ fale; tornando dalle torture incoraggiava i compagni: « Siate sempre forti. Non accusate nessuno. Caso mai dovreste accusare qualcuno, accusate me perché io sono il vostro Comandante ». Di lui, dopo la liberazione, scri­ verà Leonida Repaci6: « Era un uomo semplice, scarsa­ mente colto, austero, laconico; la sua volontà non aveva palesi origini ideologiche. Fu infaticabile. Era un uomo modesto ma aveva una forza d’irradiazione mirabile

4 Cfr. « Lettere di condannati a morte della Resistenza » ed. Einaudi. 6 Cfr. « Romolo Jacopini, il comandante del Trionfale », 1945, ed. « Il giornale d'Italia »: oltre al breve saggio di Repaci, l’ope­ retta contiene testimonianze dell’aw. Grisolia e di altri esponenti socialisti.

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nella coscienza: se fosse stato uomo di studi avrebbe forse assolto per altre vie la sua missione; così come la personalità si era venuta formando, non poteva imporsi che con la virtù dell'esempio... Era un suscitatore di ener­ gie; la sua convinzione sulla identità ideale tra la lotta per la liberazione e le rivendicazioni sociali, non era il frutto di sottili analisi intellettuali ma impulso del san­ gue, necessità vitale ». Il processo iniziò il 28 gennaio. La sentenza fu emes­ sa il 30 ed eseguita il 2 febbraio. Gli imputati furono trasportati il 28 gennaio al Flora in taxi, quando era ancora notte. Dì fronte agli altezzosi ufficiali nazisti si stagliò in tutta la sua grandezza Ezio Malatesta. Il gio­ vane giornalista rivendicò a suo merito tutto quello che aveva fatto, dichiarò di essere fiero di lottare per il co­ muniSmo e, provocato dal pubblico accusatore, gli spu­ tò sul viso per dimostrargli il suo disprezzo. L'accusa più grave che pendeva sul loro capo era quella della detenzione di armi. Per questo reato la leg­ ge marziale prevedeva la pena di morte. Ma, evidente­ mente, i tedeschi emisero la dura sentenza per un cal­ colo politico: vollero dare una « lezione » alla Resistenza romana che proprio nel mese di gennaio, in concomi­ tanza con lo sbarco alleato ad Anzio, aveva dimostrato il massimo della sua vitalità. Oltre all'azione instanca­ bile degli uomini di Bandiera Rossa, dalla fine di dicem­ bre s'erano scatenati nel centro stesso della città i quat­ tro GAP del PCI. Tutta una serie di imprese audaci che facevano correre un brivido di terrore nei nazifascisti, furono compiute a tambur battente, nel giro di poche settimane. I nazisti il 30 gennaio fecero fucilare per rappresaglia dieci partigiani, rappresentanti un po' tut­ te le formazioni che operavano in Roma (per il M.C.d'L fu ucciso Augusto Latini, anche lui arrestato dopo l'operazione-volantini nel cinema). Ma con il processo-Malatesta si volle dare una mag­ giore solennità all'azione di rappresaglia anche perché si pensava di aver decapitato il movimento o quasi. Era intenzione dei tedeschi di ribadire che i padroni, a Ro­ ma, erano ancora loro. La sentenza7, redatta in stile bu-

? La sentenza fu consegnata in copia ai condannati alla de-

rocratico-militaresco, rappresenta un documento prezio­ so per comprendere il clima di quei giorni, la passione ideale e lo spirito di sacrificio che animava il M.C.d’I., le preoccupazioni che il Comando germanico nutriva per fattività incessante dei partigiani romani e, in partico­ lare, l’odio dei nazisti per il comuniSmo. I condannati a morte trascorsero gli ultimi giorni tutti chiusi insieme in una unica cella. Jacopini riuscì a scrivere ancora un biglietto alla madre: « Cara adorata madre, non avrei mai creduto di darti tanto dolore, ma il destino ha voluto così; quindi ti chiedo perdono, a te come pure ai miei cari fratelli, sorelle ed amici ». All’al­ ba del 2 febbraio gli undici martiri furono condotti a Forte Bravetta davanti al plotone di esecuzione forma­ to da militi della PAI. Il col. Rossi guardò i boia con di­ sprezzo e disse loro: « Mi addolora solo che siate voi italiani e non i tedeschi a fucilarmi. Dio vi perdoni ». Et­ tore Arena si fece strappare la benda dagli occhi e gridà: « Voglio vedere quelli che mi uccidono! Fucilatemi al petto, non alle spalle; non sono un traditore ». Altri urlarono: « Viva il comuniSmo ». Tanta forza d’animo impressionò anche il plotone di esecuzione: molti colpi furono sparati a terra o alle gambe: dovette intervenire l’ufficiale-medico tedesco per finire a pistolettate quelli che erano stati soltanto feriti. Tra dicembre e gennaio intanto i rapporti tra PCI e partito socialista, e i rapporti interni ai due partiti, andavano rivelando profondi contrasti e, al tempo stes­ so, confermavano che le posizioni politiche di Bandiera Rossa erano tutt’altro che isolate. Si è già detto dell’urto che avvenne tra PCI e PSIUP nell’ottobre 1943. Nella « Lettera al Nord » 8 del 20 gen­ naio 1944 la direzione romana del partito comunista informa quella dell’Alta Italia delle difficoltà politiche in seno al CLN non soltanto per l’attesismo della destra ma anche per alcune posizioni dei socialisti e, in parti­ colare, della loro ala sinistra. Carlo Andreoni era arri­ vato ai ferri corti con la direzione nenniana ed era sta­ to rimosso dall’incarico di dirigente dell’organizzazione portazione in Germania ed è stata pubblicata in appendice in « Il sole è sorto a Roma » op. cit. s Cfr. « Critica Marxista », anno 3, n. 2, marzo-aprile 1965.

militare socialista; aveva però mantenuto separato da quello del partito e collegato a Bandiera Rossa, un grup­ po di partigiani alle sue esclusive dipendenze. Ma è nel seno stesso del PCI che le posizioni del M.C.d’I. fanno breccia. Il 12 dicembre 1943 tre comuni­ sti di cui sono noti soltanto i nomi di battaglia (Carla, Nistro e Leone) scrissero una lettera al gruppo dirigente con la quale contestavano di fatto la linea generale del partito. Dopo aver premesso che le loro critiche prove­ nivano, oltre che da essi, anche « da molti compagni di base e da proletari che ancora non hanno ufficialmente aderito al movimento, adducendo a motivo le critiche stesse », i tre accusavano di « doppiezza » i dirigenti del partito: « Per vero, quest’opera propagandistica (di chia­ rificazione classista nda) viene svolta oralmente dai qua­ dri del partito. Ma ciò non è sufficiente. Il confronto, in­ fatti, tra le parole del propangadista e l’organo ufficiale di stampa del partito, fa spesso pensare alle masse che il propagandista singolo esponga in realtà le sue proprie idee, in contrasto alle direttive generali quali risultano da l’« Unità ». Passando alle esemplificazioni i tre scrivevano: « Quando il propagandista, commentando il Manifesto di Marx ed Engels del 1848, rileva che gli operai non hanno patria; non si può toglier loro ciò che non han­ no, come può l’operaio conciliare ciò con V Unità, che lo incita a « moltiplicare i colpi spietati contro i traditori della Patria »? (testata del n. 26). Perché così spesso si confondono gli interessi della classe operaia con quelli degli italiani? Perché così spesso si parla di tedeschi e non di borghesia tedesca? Italiani, significa, in realtà, borghesia e proletariato italiano; tedeschi significa bor­ ghesia e proletariato tedesco: i veri nemici, in ogni caso, sono borghesia e proletariato... Che oggi sia necessario combattere contro i traditori della Patria, noi non met­ tiamo in dubbio; ma bisogna dire chiaramente che noi li combattiamo, non perché sono traditori della patria, ma perché la loro azione è contraria agli interessi del proletariato ». Concludendo i tre scrivevano: « Il proletariato, am­ maestrato dai fatti del ’21, teme un nuovo tradimento. Diamogli la certezza che questo tradimento non gli verrà mai da parte del Partito Comunista. Riassumendo si ren­

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de necessario: 1) che la propaganda del partito tenda al­ la creazione di una coscienza di classe; 2) che la politica del nostro partito venga costantemente giustificata alla luce degli interessi esclusivi della classe operaia ». La risposta, redatta dalla commissione centrale di agitazione e propaganda del PCI, fu molto severa e nulla concesse a Carla, Nistro e Leone. Costoro furono ammo­ niti a non « sciacquarsi tanto la bocca col marxismo ed il materialismo storico se non volevano cadere in quel verbalismo parolaio tanto caro all’infantilismo di sinistra ». Dopo aver riaffermato la linea del partito, la commissione concludeva: « I compagni C., N. e L, do­ vrebbero riflettere con un maggior senso di responsa­ bilità intorno alla politica del nostro partito, cercando di penetrarne lo spirito, anziché assumere degli atteggia­ menti infantilistici che si avvicinano troppo alle posi­ zioni politicamente strampalate e praticamente attesiste dei gruppi di Bandiera Rossa. Manca in queti compa­ gni, oltre a tutto il resto, anche quel più elementare spirito di partito che dovrebbe loro impedire di assume­ re atteggiamenti da fiancheggiatori e da correttori della politica di un partito di cui essi sono membri ». L episodio non fu isolato altrimenti non si spieghe­ rebbe l’intervento della commissione centrale di agita­ zione e propaganda. D'altra parte nell'archivio del PCI9 sono rintracciabili relazioni al comitato federale roma­ no e altri documenti in cui i quadri sono chiamati alla vigilanza contro l’influenza di Bandiera Rossa. Lo slancio e lo spontaneismo dei militanti delle bor­ gate, la larga influenza esercitata sulla parte più combat­ tiva delle forze antifasciste romane annullarono gli effetti del terrorismo nazista e l'uccisione dei dieci dirigenti. Il 3 febbraio, ventiquattr'ore dopo l'esecuzione di Malatesta e dei suoi compagni, il Comando germanico tappezzò la città di manifesti con i quali informava som­ mariamente i romani dell’accaduto e li ammoniva a ri­ 9 Nell’archivio del PCI custodito all’istituto Gramsci è re­ peribile una circolare del marzo ’44 diretta agli attivisti e in cui si chiede di « controllare l’orientamento politico dei comitati di zona e di settore... vedere se vi sono residui dell'influenza del gruppo di Bandiera Rossa ». Le stesse preoccupazioni sono pre­ senti nel rapporto di Giulio al comitato federale dei primi mesi del '44.

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nunciare ad ogni forma di resistenza e a trasformarsi anzi in delatori. Il calcolo si rivelò sbagliato. Per quanto riguarda Fattività di sabotaggio di Bandiera Rossa un confronto tra la quantità e il valore delle azioni effettuate a gen­ naio e quelle di febbraio non presenta alcuno squilibrio. Il teatro delle operazioni, come al solito, fu la peri­ feria estrema, lungo le vie d'accesso alla capitale tanto importanti per le comunicazioni tra il Comando germa­ nico e il fronte. Gli attentati alla dinamite, i lanci di bom­ be a mano, l'assalto all'arma bianca contro pattuglie fa­ sciste o tedesche, il sabotaggio tenace alle ferrovie, alle linee telefoniche, alle strade, la conquista delle armi e dei viveri a spese del nemico, gli scontri che talvolta seguivano all'azione di propaganda (scritte murali, di­ stribuzioni di volantini etc.), tentativi — qualche volta coronati da successo — di liberare i rastrellati, l'auto difesa dei militanti ricercati: non passò praticamente giorno senza che i nazifascisti non subissero almeno un colpo, piccolo o grande che fosse, da parte del M.C.d'I. In gennaio le imprese di maggiore rilievo furono l'attacco ad un'autocolonna tedesca sulla via Casilina (l'operazione impegnò numerosi gruppi e fu diretta da Aladino Govoni, del Comando Centrale); il lancio di una bomba nella caserma Bianchi; lancio di bombe a mano contro una pattuglia tedesca che perlustrava la linea ferroviaria delle parti del Quadrare, proprio mentre alcuni artificieri di Bandiera Rossa stavano minando un cavalcavia (l'esplosione non avvenne per difetto dei de­ tonatori); severa lezione (due feriti) a un gruppo di re­ pubblichini che ogni sera disturbava Pietralata con sfac­ ciate provocazioni anticomuniste; sabotaggio d’un tratto di ferrovia della Roma-Velletri, nei pressi di Ciampino; ostruzione in piena notte della Tuscolana all'altezza del bivio tra Cinecittà e Osteria del Curato con grossi mas­ si: il camion di testa di un’autocolonna tedesca si ro­ vesciò provocando il ferimento di tre soldati e paraliz­ zando il traffico per cinque ore; sottrazione di armi, fu­ cili e bombe a mano dal Forte Prenestino, dall’aeroporto di Centocelle, dalla caserma Bianchi e rischioso traspor­ to di queste armi alle bande che più ne avevano bisogno; scontro vittorioso all'arma bianca contro una pattuglia repubblichina in piazza Lodi (feriti da tutte e due le par-

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ti; fascisti disarmati); incendio di un'autocisterna piena di benzina nell’aeroporto di Ciampino; incendio di un’au­ to tedesca al Colosseo; scontro a Tor Argentina contro un gruppo di repubblichini; intervento armato contro militi della PAI che volevano effettuare un rastrella­ mento a Cavalleggeri; esplosione di una cabina telefoni­ ca stradale e di due automezzi tedeschi; deragliamento di locomotive nella stazione Tuscolana per impedire il passaggio d un treno carico di soldati tedeschi; raffiche di mitra sulla via Cassia, al bivio della Cecchignola, con­ tro camion tedeschi che trasportavano cittadini rastrel­ lati; liberazione dal campo di Cecchina di 46 condannati alla deportazione in Germania; sparatoria contro tede­ schi e repubblichini nei pressi di via S. Costanza in seguito a un tentativo di rastrellamento (i fascisti in quella occasione, dopo essere stati disarmati, furono malmenati da una piccola folla di passanti). L’elenco potrebbe continuare ed essere anche più circostanziato sulla base della documentazione raccolta da Bandiera Rossa e controllata dalla commissione del ministero dellTnterno per i riconoscimenti ufficiali. Ma quello che conta è comprendere il tipo e il ritmo della resistenza opposta dal M.C.d’I. agli occupanti. Nel mese di febbraio l’attività proseguì con tenacia: lancio di bombe a mano contro tre auto tedesche in via Nomentana (due feriti e conseguente scaramuccia); nei dintorni del sanatorio Ramazzini fu circondata e disar­ mata una pattuglia della PAI; scontro con i tedeschi do­ po il taglio dei fili telefonici sulla Casilina; ostruzione con grossi macigni e alberi della strada nei pressi di Squarciarelli, al bivio di Grottaferrata ,dove transitavano le truppe dirette al fronte di Anzio: un’autocolonna te­ desca che procedeva di notte e a fari spenti fu scom­ paginata perché tre camion si rovesciarono e, nella gran­ de confusione, intervennero aerei alleati a mitragliare; trafugamento di armi e di viveri dal Forte Prenestino, dalla caserma dei finanzieri e dalla stazione Casilina; nuove azioni di sabotaggio contro gli aeroporti di Ciam­ pino e Centocelle (il 19 febbraio, durante una di queste operazioni, furono arrestati Otello Valesani e Ilario Canucci i quali, saranno massacrati alle Fosse Ardeatine); scontro con una pattuglia tedesca in località Montagnola e con una fascista in piazza Navona; a Casalbertone as­ 103

salto con bombe a mano contro un'autocisterna tede­ sca; un treno carico di munizioni venne fatto saltare nel­ la stazione Ostiense con un pacco di tritolo fornito dal frate don Valentino del convento « Don Bosco »; lancio di bombe a mano contro vagoni carichi di munizioni nella stazione Prenestina; lancio a via Tasso di una bom­ ba — rimasta però inesplosa — contro il conducente di un cellulare che trasportava partigiani arrestati; lancio di bombe contro un camion della TODT sulla via Cassia; attacco d'una autocolonna tedesca che transitava sotto il cavalcavia della Magliana: tre camion danneggiati e diversi soldati feriti; lancio d una bomba contro il posto di guardia tedesco a Regina Coeli; tentativo di minare l'albergo Excelsior dove erano alloggiati molti alti uffi­ ciali nazisti: nella fallita impresa fu arrestato Giovanni Angelucci più tardi massacrato alle Fosse Ardeatine. Il prezzo di tanta coraggiosa attività nei mesi di gennaio e di febbraio fu pagato con nuove ondate di ar­ resti che non risparmiarono, ancora una volta, i quadri dirigenti del movimento. La perdita più grave fu quella di Aladino Govoni, e cioè del giovane che aveva dimo­ strato, oltre alle doti politiche, anche una notevole ca­ pacità di direzione e di organizzazione nel campo mili­ tare. Govoni fu arrestato insieme a Uccio Pisino, Ezio Lombardi, Nicola Stame, Unico Guidoni e ad altri quadri intermedi in una latteria chiusa di via S. Andrea delle Fratte, scelta per le riunioni. Evidentemente ci fu una delazione ma questa dovette essere casuale: nella latte­ ria, contrariamente alle severe regole della clandestinità, Govoni e gli altri si erano riuniti più volte attirando, pro­ babilmente, la curiosità di qualche fascista. Al momento dell'arresto il figlio del poeta stava progettando l'accom­ pagnamento nel Sud di un gruppo di ex prigionieri allea­ ti attraverso il fronte. In seguito ad altre delazioni fu­ rono arrestati in febbraio Marco Moscato, Pietro Fer­ rari, Antonio Spunticchia, Aldo Bansi, Pietro Primavera, Ornello Leonardi (destinati tutti a morire alle Fosse Ar­ deatine), Giuseppe Pilli, Giuseppe Vice; ai primi di marzo caddero nelle mani dei nazisti Nino Benati, Romolo Pierleone ed Enrico Grieco (presi al Colosseo mentre tenta­ vano di sottrarre un camion tedesco carico di medicina­ li); Marchesi, Morgan, Giorgini, Feliciolli, Cinelli, Fabrini e Tito Bernardini presi mentre erano riuniti nel depo­

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sito darmi di via del Vantaggio; Ernesto Micheli, An­ tonio Margioni, Pasquale Giuliani, Enrico De Dominicis e altri caduti nella rete dei frequenti rastrellamenti a Pietralata e alla borgata Gordiani. E' questo soltanto un elenco parziale; gli arresti furono più numerosi e co­ minciarono a creare seri problemi al movimento. Il primo quello dell'aiuto alle famiglie degli arre­ stati e dei caduti, fu assolto con una brillante e popo­ lare iniziativa: l'organizzazione del Soccorso Rosso. Fu costituito un comitato clandestino per l'assistenza che, oltre alle normali vie di intervento, si rivolse direttamente alla popolazione di alcune borgate con larghe sottoscrizioni. L’attività del Soccorso Rosso è una chia­ ra testimonianza della popolarità che il M.C. d'I. godeva nelle borgate. Furono raccolti, oltre al poco denaro, vi­ veri, abiti e ogni cosa che potesse tornare utile alla vita delle famiglie precipitate nella miseria più nera. Chi dava qualche cosa riceveva in cambio una tesserina del Soccorso Rosso del M.C.d’I. Le difficoltà maggiori per Bandiera Rossa, sotto il profilo politico, vennero in questo periodo dalla pratica impossibilità di stampare il giornale. La scoperta della tipografia e la scarsezza dei fondi costituirono gravis­ simi ostacoli: il giornale che nei tre ultimi mesi del '43 era apparso sette volte, nei restanti cinque mesi del­ l'occupazione nazista vedrà la luce soltanto altre quat­ tro volte. L'odissea attraversata per poter far uscire questo foglio clandestino è sintetizzata in una relazione di Fe­ lice Chilanti10, dotata 12 aprile 1944, e rivolta all'Esecutivo a nome del comitato stampa e propaganda. Chi­ lanti spiega che dopo la scoperta della tipografia avvenu­ ta tra la fine di dicembre e i primi di gennaio, egli prese accordi con un mediatore per far stampare 5.000 copie del giornale al prezzo di 6.000 lire a numero. Uscirono così, sia pure con notevole irregolarità in quanto a tem­ pi, due numeri di Bandiera Rossa. Il tipografo però si ri­ velò poco corretto innanzitutto consegnando alcune cen­ tinaia di copie in meno di quelle pattuite e poi preten­ dendo un prezzo largamente superiore: 9.500 lire a nu­ io La relazione fa parte dell’archivio privato di Filiberto Sbardella; una copia è in nostro possesso.

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mero. Si trattava d una richiesta ricattatoria e troppo pesante per le finanze del M.C.d’I. Chilanti, allora pensò ad altra soluzione pregando tutti i compagni del movi­ mento di interessarsi alla questione. Aladino Covoni prima del suo arresto indirizzò il giornalista al tipografo Mentucci, in via Catullo 23; questi si impegnò dapprima a stampare il giornale per 7.000 lire a numero e quattro volte al mese: ma anche questo tentativo non fu coronato da successo a causa, come dice Chilanti nella sua rela­ zione, di un « noto incidente ». « Successivamente — scrisse Chilanti — ho tenta­ to inutilmente molte altre soluzioni, senza arrivare a concludere, soprattutto perché, presso quasi tutte le ti­ pografie di Roma si trovano elementi aderenti al C.L.N. e molti comunisti del partito centrale (PCI nda) che osta­ colano il nostro lavoro. L’ultimo tentativo è ancora in corso. Tramite il tipografo Fausto Guercini, del Messaggero, iscritto al partito centrale. In un primo tempo mi aveva dato assicurazione di stampare il gior­ nale ma poi mi ha comunicato che il suo capo-settore gli ha proibito di occuparsi della cosa. Malgrado ciò ed a sua insaputa, a mezzo di un compagno del Guercini, che si presenta con il nome di Carlo, e del quale non ho ottenuto l’indirizzo, ho ottenuto la composizione del piombo e l’assicurazione di stampare il giornale in una tipografia che non conosco. Ho versato per la composi­ zione lire 2.000. Fino ad oggi la stampa non è avvenuta con vari pretesti, probabilmente causati dal sabotaggio del partito centrale. Ora manca l’energia elettrica; per conto mio ho cercato una soluzione di ripiego con una tipografia di via del Giglio d’Oro (presso via dell’Orso) anch’egli delYUnità ma disposto a lavorare per noi. Que­ sti ha una macchina a pedale ed ha già provveduto a far rifare la composizione (del piombo nda) con la giustezza utile presso la tipografia del Popolo di Roma utilizzando la cellula da me costituita presso suddetto quotidiano. La composizione avviene fuori orario e di nascosto per­ ché il lavoro è lungo e pericoloso... ». Chilanti, dopo aver aggiunto che il giornale uscirà in formato ridotto e di essere in grado di far stampare volantini e opuscoli, affronta, nella seconda parte della relazione, i problemi connessi ai contenuti del giornale. Su Bandiera Rossa i giudizi in seno al movimento erano

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stati fino ad allora contrastanti; polemiche che traeva­ no origine dai contrasti ideologici e anche politici inevi­ tabili in un raggruppamento piuttosto eterogeneo di co­ munisti, si erano sviluppate a più riprese nelle riunioni degli organismi dirigenti e avevano un riflesso anche in certe oscillazioni del giornale. La stessa relazione di Chilanti, nella parte dedicata alla situazione internazionale, lo dimostra. Il redattorecapo di Bandiera Rossa osserva che « il giornale fino ad oggi non ha assunto... il carattere politico rivoluzio­ nario, necessario al compito di strumento del Movimento comunista d'Italia. La stessa limitazione del sommario ad argomenti spesso occasionali ed arbitrari, non ha sod­ disfatto il fine di propaganda che al giornale è affidato ». Ma poi i rilievi critici di Chilanti assumono un carattere più politico: « Non si può fare un giornale vivo estra­ niandoci dalla condizione politica del paese. In questo senso è necessario distinguere bene la redazione in due distinti settori d’attività: l’uno spiccatamente dottrina­ rio, l’altro più propriamente politico. Mentre al primo settore saranno riservati i compiti della divulgazione della nostra dottrina e della elaborazione dei suoi svi­ luppi, il secondo dovrà seguire attentamente la condizio­ ne politica e militare italiana e mondiale, al fine di in­ formare e di spiegare ai compagni il significato degli avvenimenti dal nostro punto di vista. La propaganda che si serve dei fatti che accadono tutti i giorni nella vita vera dei lavoratori o sull’orizzonte politico della loro giornata, è la più efficace. La divulgazione della dottrina o la sua elaborazione non è certamente la pro­ paganda migliore. Il suo valore infatti trascende il com­ pito vero e proprio della propaganda ». Non si tratta, come si vede, di semplici osservazio­ ni tipiche di ogni buon giornalista preoccupato innan­ zitutto di informare. Nella critica di Chilanti affiora il timore che Bandiera Rossa cada nell’astrattezza dottri­ naria che era stata e rimaneva la caratteristica più dele­ teria del bordighismo. All’estremo opposto dell’astratto dottrinarismo stava la tendenza all’attivismo dei quadri più impegnati nel­ l’azione militare. Questo conflitto trovò espressione in un contrasto pressoché permanente tra il Comitato Ese­ cutivo del M.C.d’I. e della sua segreteria (Govoni, Sbar-

della, Cretara e Poce dopo l’esecuzione di Malatesta) e il Comitato Romano formato dai sei capizona e dal se­ gretario Mucci. In questo secondo organismo gli umori dei partigiani, e cioè dei più inclini a mettere l'azione armata al di sopra di ogni altra cosa, si riflettevano con immediatezza. Il conflitto arrivò al punto che il 13 feb­ braio, Mucci fu costretto a difendere uno ad uno i quat­ tro membri massimi dirigenti del movimento ricordando i loro meriti nella fondazione di Bandiera Rossa e aggiun­ gendo che per il momento non era possibile procedere ad una elezione di questo supremo organismo. Mucci dovette inoltre fornire una dettagliata informazione sul­ l'attività dei quattro. Sbalorditivo è quanto dice Mucci di un membro della segreteria: il tale « qualche volta si assenta eccessivamente dalla base del movimento ed è un po’ pauroso; anche questa è una delle ragioni che forse lo tiene lontano dalla massa ». La gravissima accusa indubbiamente risente del cli­ ma determinato dalla pressione degli uomini che vede­ vano nel potenziamento della lotta armata l'unica strada per giungere alla rivoluzione. In proposito merita di es­ sere ricordato che un conflitto del genere fu presente in tutte le forze impegnate nella Resistenza. Nell’ala si­ nistra del partito socialista, ad esempio, le posizioni di coloro i quali — come Carlo Andreoni — puntavano tut­ te le carte della rivoluzione sull’accrescimento delle ban­ de armate, non erano condivise da chi — come Basso — sosteneva che il fattore decisivo sarebbe venuto dalla elaborazione nel fuoco della lotta antifascista del pro­ gramma rivoluzionario e della formazione di nuovi qua­ dri. Accadeva perciò che mentre l’Esecutivo del M.C.d'I., anche in virtù dei suoi compiti istituzionali si occupasse quasi esclusivamente della elaborazione ideologica (con contrasti vivaci come, ad esempio, quello su Stalin) e della strategia politica, il Comitato Romano fosse tutto preso dalle necessità immediate della lotta e dell'orga­ nizzazione politica. Il fatto che il M.C.d'I. avesse la sua base di massa a Roma finiva con l'aumentare enorme­ mente l’importanza del Comitato Romano. Questo orga­ nismo, inoltre, si era fatto paladino delle istanze più avanzate di democrazia interna promuovendo l'elezione dal basso dei dirigenti di zona. — 108 —

Dai verbali di alcune riunioni del C.R. tenute nel mese di febbraio si trae la convinzione che il movimento da una parte continuasse a svilupparsi (si parla, ad esem­ pio, della distribuzione di 4.000 tessere, della adesione di un gruppo di 150 uomini al Tuscolano e di un altro gruppo a Testaccio); di stretti contatti con uomini del « partito centrale » influenzati da Bandiera Rossa) e dal­ l’altra cercasse di mettere ordine nelle sue file (non pochi gruppi erano rimasti sbandati dopo i primi arre­ sti, altri si trovarono sganciati perché non ritenuti com­ pletamente sicuri; esisteva infine il problema dell’epu­ razione di tutti gli elementi moralmente equivoci e di coloro i quali avevano ricoperto qualche carica pubblica durante il fascismo). Nello stesso mese fu fondato il Centro di Studi mar­ xisti: la iniziativa si rivelò subito difficile sia perché c'era penuria di elementi colti, capaci di insegnare, sia per il livello estremamente basso di istruzione della mag­ gior parte dei militanti. Si decise perciò di organizzare due corsi: uno « superiore », riservato al gruppetto dei più preparati e concepito in modo che tutti fossero mae­ stri e allievi al tempo stesso; l’altro, invece, aveva il fine di fornire ai quadri intermedi i primi rudimenti del mar­ xismo-leninismo e della storia del movimento operaio. Intanto, malgrado la delusione seguita allo sbarco alleato di Anzio, a Roma era molto diffusa la psicosi di una immediata liberazione. La stessa illusione era colti­ vata anche dai dirigenti del M.C.d’L; si spiega cosi la cura posta fin da febbraio nel prepararsi all’insurrezione e nel tentativo di organizzarsi su scala nazionale al­ lacciando contatti con altri gruppi politici. Poce, che dopo l'arresto di Govoni, era diventato il responsabile militare, nella riunione del 6 febbraio, pur non entrando nei dettagli disse che nei giorni decisivi dell’insurrezione sarebbero stati necessari almeno 2-3.000 uomini divisi in 30 concentramenti a ciascuno dei quali sarebbero stati posti cinque obiettivi da conquistare. « Nella scelta dei compagni — affermò Poce — bisogna tener presente che noi saremo assolutamente all’avan­ guardia. La prima azione, quella simbolica, si svolgerà issando bandiere rosse sui punti prestabiliti perché sotto il segno del nostro ideale noi raggiungeremo tutti gli obiettivi... Insisto sulla necessità di essere realistici e

sinceri nel fornire i dati perché solo così si potrà prov­ vedere in tempo a quello che manca... L'azione sarà svol­ ta da noi e da noi soltanto. Tutte le forze estranee e simpatizzanti che intendono lavorare per noi saranno uti­ lizzate ma non fuse e confuse con noi. L'azione che ci interessa sarà svolta esclusivamente da uomini nostri. Io sono in quotidiano contatto con gruppi del partito centrale che intendono unirsi a noi e le trattative si svolgono in base al principio sopra espresso ». Gli obiet­ tivi ai quali si fa riferimento erano edifici pubblici da occupare. Si avverte nelle parole di Poce, oltre a un'eco della rigidità bordighista, la preoccupazione di assicura­ re nel delicato momento del trapasso tra l'occupazione tedesca e l'arrivo degli Alleati, uno spazio fisico e poli­ tico al M.C.d.I. Lo stesso Poce e altri rappresentanti di Bandiera Rossa, tra i quali la moglie di Chilanti, si recarono al­ meno due volte a Milano, dove ebbero incontri con il bordighista Damen che dirigeva il Prometeo, con il grup­ po di Banfi, e probabilmente con esponenti della sinistra socialista. Nessuna intesa fu possibile raggiungere con Damen: questi, che era contrario alla partecipazione alla lotta antinazista considerata come un conflitto intercapitalistico, quando seppe che Bandiera Rossa era invece impegnata così a fondo nella Resistenza, disse: « Ma voi non avete nulla in comune con noi; il vostro posto è nel PCI ». Nessun dialogo fu quindi possibile. Migliori, sembra, furono i rapporti con Banfi, ma anche in questo caso non si arrivò a risultati concreti. Non ci sono né documenti né testimonianze che possano dimostrare la esistenza o meno di contatti del M.C.d'I. con Stélla Ros­ sa o con i comunisti napoletani che avevano dato vita alla scissione di Monte Santo. Si trattava, per quanto ri­ guarda Stella Rossa, del nucleo di comunisti dissidenti più vicino alle posizioni di Bandiera Rossa. Si deve per­ ciò presumere che contatti non ce ne furono e che i due gruppi non sapevano nulla l'uno dell'altro. E' in questo intreccio di grandi ma nebulose spe­ ranze, di reclutamenti e di perdite, di colpi inferri e subiti, d'intensa attività armata e di polemica politica, che comincia il mese di marzo '44 così terribile per Ban­ diera Rossa come per tutta la Resistenza romana. Alla fine di febbraio, dopo l'ultima ondata di arre­

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sti e la condanna di Govoni ai lavori forzati (la depor­ tazione era attesa di giorno in giorno), i superstiti diri­ genti del M.C.d'I. decisero di giocare grosso: organiz­ zarono un colpo in grande stile per liberare dal carcere di Regina Coeli Aladino Govoni e quanti più uomini fosse stato possibile. Franco Bucciano, un ex-ufficiale dell'esercito fu incaricato di progettare e dirigere l’im­ presa; egli studiò accuratamente la situazione e preparò un piano che, nonostante la sua incredibile audacia, ave­ va possibilità di riuscita: partigiani travestiti da tedeschi, tra cui alcuni comunisti austriaci che avevano disertato dalla Wermacht, sarebbero entrati a Regina Coeli per farsi consegnare le chiavi di alcune celle da agenti carcerari con i quali erano già stati presi precisi accordi; fuori del portone sarebbero stati ad attendere, pronti a scap­ pare con i detenuti ed azionando le sirene, due automezzi dei vigili del fuoco guidati da elementi della cellula di Bandiera Rossa. Durante tutto il tempo necessario al­ l’operazione i compagni della TETI avrebbero provve­ duto a interrompere le comunicazioni telefoniche tra Regina Coeli e l’esterno. Squadre armate sarebbero ri­ maste nascoste nelle vicinanze del carcere, pronte ad intervenire in caso di necessità per impegnare in scontri a fuoco tedeschi o fascisti consentendo agli altri di fug­ gire. Un piano n, come si vede, degno dì tutto rispetto. La data fu fissata per il 18 marzo ma poi si stabilì un rinvio di alcuni giorni perché non tutto era stato ancora messo a punto.

Il ritardo fu fatale: il 21 marzo, in una nuova e disastrosa ondata di arresti, cadde anche Franco Buc­ ciano, l'unico che per il momento potesse dirigere l’o­ perazione. Tre giorni dopo, il 24 marzo, il gioco non valeva più la candela: alle Fosse Ardeatine, tra i 335 martiri trucidati dai nazisti, si trovarono anche i diri­ genti che Bandiera Rossa voleva liberare. Insieme a Bucciano furono presi anche Eusebio Troiani, Costantino Imperiali, Piero Viotti, Fausto Ascenzione, Otello di Diego, Carlo Foschi, Armando Ottaviano. Riso e Mucci riuscirono a fuggire di casa proprio mentre ii Una conferma della preparazione di tale impresa si trova in « Comando Raggruppamento Bande Partigiane dell’Italia Cen­ trale », Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1945.

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la banda Koch bussava per trarli in arresto (Mucci saltò dalla finestra semisvestito e vagò nel freddo notturno fino a trovare un riparo). Il gravissimo colpo fu la conseguenza del tentativo di far saltare, in collaborazione con il Partito d'Azione, gli impianti telefonici situati in via Carlo Alberto, sotto la chiesa del Russicum. Il P. d'A. avrebbe fornito la bomba ad orologeria. Ma il 21 marzo la spia Priori che era stato capace di salire in alto nelle gerarchie del Par­ tito d'Azione e che, al tempo stesso, aveva mantenuto collegamenti con uomini di Bandiera Rossa, guidò la banda Koch all'arresto dei quadri del M.C. d'L e dei dirigenti azionisti Pilo Albertelli e prof. Bussi. I nazisti e i loro scherani si stavano ancora compia­ cendo della retata quando esplose la dinamite in via Rasella. Nello scompiglio che seguì l'attentato (i tede­ schi cominciarono a sparare all'impazzata contro fine­ stre e passanti) si trovarono coinvolti alcuni elementi della banda Teti di Bandiera Rossa: trovandosi nei dintorni di via Rasella vedendo i tedeschi mettere al muro tutti i passanti, essi tirarono fuori le pistole per difendersi ma subito Antonio Chiaretti cadde stroncato da una raffica di mitra mentre Enrico Pascucci fu ar­ restato (e poi massacrato); gli altri però riuscirono a fuggire. L'attentato dei GAP rappresentò il momento più alto dell'audacia e della combattività dei partigiani romani e non per caso coincise con un periodo in cui le carceri di Regina Coeli, via Tasso e della pensione Jaccarino rigurgitavano di uomini valorosi. La rappresa­ glia tedesca alle Fosse Ardeatine segnò a sua volta una storica testimonianza della ferocia nazista e la prova migliore che la Wermacht e i fascisti, completamente isolati dalla popolazione, non trovarono altra via per tam­ ponare la situazione, che abbandonarsi al massacro. Tru­ cidarono 335 martiri senza più ricorrere, come avevano fatto fino ad allora, alla finzione giuridica dei processi davanti al Tribunale di guerra, ma non ebbero, tuttavia, il coraggio di assumersi la responsabilità pubblica delle loro azioni giacché tentarono di far credere: 1) che gli ostaggi erano stati fucilati per la mancata presentazione dei responsabili dell’attentato (in realtà nessun appello del genere fu mai diffuso); 2) che i 335 martiri erano stati tutti condannati a morte nei giorni precedenti (il che è completamente falso: Govoni, ad esempio, proprio — 112 —

qualche settimana prima era stato condannato ai lavori forzati). Bandiera Rossa che il 7 marzo aveva avuto fucilati a Forte Bravetta altri tre suoi militanti, pagò anche in que­ sta occasione un pesante tributo: alle Fosse Ardeatine i martiri del M.C. d'I. furono 52 12 di cui due erano mem­ bri dell’Esercito (Bucciano e Govoni), quattro respon­ sabili di zona (Ezio Lombardi, Eusebio Troiani, Antonio Spunticchia, Giulio Roncacci) e altri quattro erano uffi­ ciali di collegamento tra il Comando centrale e le bande (Armando Ottaviani, Nicola Stame, Unico Guidoni e Uc­ cio Pisino), altri dieci avevano incarichi dirigenti anche se di minore rilievo. A Roma tutti gli anni l'eccidio delle Fosse Ardeatine viene commemorato con solenni cerimonie alle quali par­ tecipano, oltre ai rappresentanti dei partiti, anche au­ torità comunali e statali. In quelle cerimonie, mano a mano che ci si allontana nel tempo, si odono discorsi sempre più appesantiti dalla retorica ed a opera di que­ gli esponenti politici che durante l'occupazione nazista se ne stavano rintanati in qualche comodo rifugio op­ pure predicavano l'attesismo traendo, magari, proprio dall'attentato di via Rasella il pretesto per criticare i partiti di sinistra e quello comunista in particolare. Que­ sti paludati personaggi che non badano a sacrifici quando si tratta di fare discorsi, non hanno mai speso una parola per ricordare i 52 martiri di Bandiera Rossa. Il nome di questa formazione non è mai menzionato nei discorsi celebrativi. E un motivo c'è: non si potrebbe ricordare il sacrificio degli uomini del M.C. d’I. senza dire che co­ munisti come Aladino Govoni e come i suoi compagni non rischiarono e persero la vita soltanto in nome di un generico antifascismo. Essi combatterono e morirono per un mondo nuovo, per una società senza sfruttati e senza sfruttatori, senza capitalisti né piccoli né grandi, combat­ terono e morirono per il socialismo. Il contraccolpo della strage e delle retate che l'ave­ vano preceduta fu assai duro per Bandiera Rossa. Esso

12 Questa cifra non è però fuori discussione. Secondo alcuni ex-dirigenti del M.C.d’I. essa è errata per difetto; tuttavia risulta esatta al confronto con gli elenchi dei riconoscimenti ufficiali del ministero dell'interno.

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tuttavia non incise immediatamente sul ritmo dell'azione di sabotaggio, o almeno non fu questo l'aspetto più grave della perdita di tanti quadri e di importanti collegamenti: il prezzo dell'eccidio sarebbe stato pagato quasi tutto do­ po la liberazione quando al M.C. d'I. si posero problemi meno eroici di quelli affrontati nella lotta armata ma forse più complessi come, ad esempio, il tentativo di svi­ luppare su scala nazionale il movimento. Nel mese di marzo, anche dopo la strage, l'attività di Bandiera Rossa fu molto intensa: i gruppi direttamen­ te colpiti dagli arresti ebbero qualche sbandamento ma gli altri non risentirono della nuova situazione anche perché fin dall’ottobre le iniziative di sabotaggio e di guerriglia, salvo poche eccezioni, erano affidate alla spon­ taneità delle bande; queste, come abbiamo già osservato, erano diverse per numero di uomini e per armamento, per condizioni nelle quali si trovavano ad operare e per­ fino, talvolta, per linea politica e per tipo di legami con gli altri partiti antifascisti. Si comprende perciò come lo stillicidio delle azioni rivolte a far vivere in continuo al­ larme i nazifascisti e a procurar loro il massimo danno possibile, proseguì senza soluzione di continuità. Riteniamo utile richiamare alcune delle principali azioni di Bandiera Rossa nel mese di marzo a conforto di quanto abbiamo detto: lancio duna bomba a mano dal cavalcavia Latino contro un treno: danni e convoglio bloccato per sei ore; sottrazione di medicinali da un de­ posito custodito da tedeschi; taglio di fili telefonici sulla via Cassia e conseguente sparatoria contro una pattuglia tedesca; numerose aggressioni notturne contro militi del­ la PAI; incendio di alcuni camion della Wermacht sulla Flaminia; sulla stessa arteria uccisione di due soldati tedeschi che avevano ordinato a un partigiano di colmare le buche aperte nell'asfalto dai bombardamenti; sottra­ zione di due casse di bombe a mano e di altre armi dalla caserma della Cecchignola; salvataggio dalla caserma 81° Fanteria di quattro compagni caduti in un rastrel­ lamento; sparatoria nelle vicinanze di via Nicotera per impegnare i tedeschi che si aggiravano attorno alla casa del compagno Rossetti nella quale si trovava gran quan­ tità di materiale-stampa; attacco contro un autocarro te­ desco sulla via Tiburtina, al bivio per Guidonia; in con­ trada Cavallaro, sempre sulla Tiburtina, distruzione di un aereo tedesco momentaneamente abbandonato dai

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piloti dopo un atterraggio di fortuna; taglio del cavo te­ lefonico sull'Appia: il Comando tedesco mise una taglia sugli autori; attacco a un camion della TODT carico di viveri; gli operai della impresa « Cidonio », alcuni dei quali erano iscritti al M.C. di., sabotarono i lavori di riparazione dei binari ferroviari ritardando la partenza dei treni che dovevano trasportare armi e soldati al fronte; uccisione a raffiche di mitra di due tedeschi che stavano riparando una moto nei pressi di La Storta; at­ tentato dinamitardo ben riuscito contro un aereo nell’ae­ roporto Littorio; scontro nei pressi del Ponte del Pigneto, con soldati tedeschi che avevano iniziato un rastrella­ mento: un soldato restò ferito e 12 cittadini fermati riu­ scirono a scappare; organizzazione di una fuga da parte di un gruppo di militanti rastrellati; lancio del giornale Bandiera Rossa nella caserma Bianchi} lancio di bombe a mano contro la caserma delle SS a Casal dé Pazzi e successivo scontro a fuoco; tentativo fallito di assaltare la pensione Jaccarino dove erano stati rinchiusi molti militanti presi a Pietralata durante un rastrellamento; disarmo di una pattuglia repubblichina sulla via Appia: uno dei fascisti tentò di resistere e si buscò una pugna­ lata all'inguine; al Parco Prenestino un gruppo di sabota­ tori rese inservibili sette cannoni semoventi, due carri armati e portò via 28 gomme e 600 paia di scarpe; disar­ mo di due ufficiali tedeschi a Castel S. Angelo; distru­ zione di 700 metri di fili dell'elettricità; sottrazione da camion tedeschi di 4 casse di dinamite; danneggiamento, nel tratto tra Cisterna e Campo Leone, di otto cisterne di nafta che, incendiandosi, provocarono la semidistru­ zione di quattro vagoni di un treno militare; deraglia­ mento di un treno che trasportava tedeschi nei pressi della stazione Tuscolana. L'azione spontanea e minuta di sabotaggio tuttavia non apparve sufficiente ai superstiti dirigenti del M.C.d'L perché si avvicinava il giorno della ritirata tedesca e si rendeva più che mai necessario la preparazione del moto insurrezionale. Per questo motivo l'indomani dell'eccidio delle Ardeatine, il segretario del Comitato Romano, Orfeo Mucci, e il nuovo responsabile militare, Antonino Poce, entrambi datisi alla macchia e attivamente ricercati, s'incontrarono in una strada della città per procedere alla riorganizzazione militare di Bandiera Rossa abban­ donando la divisione della città in sei zone e inqua­ 115 —

drando tutti gli uomini in 34 concentramenti territoriali: questo riassetto presentava il vantaggio di favorire la clandestinità attraverso lo spezzettamento delle forma­ zioni e, al tempo stesso, delineava quel tipo di ristruttu­ razione che, secondo il piano insurrezionale elaborato da Poce da più d un mese, sarebbe stato necessario allor­ quando tutti i militanti si sarebbero dovuti muovere non più per iniziativa spontanea e a gruppi isolati ma orga­ nicamente e con obiettivi ben definiti. NelFincontro fu affacciata anche l'esigenza di poten­ ziare un nuovo corpo di combattenti, l’Armata Rossa, che era venuto sorgendo spontaneamente dalla collabora­ zione tra elementi di Bandiera Rossa e comunisti del PCI che avevano perduto i contatti con il partito o che ave­ vano preferito avvicinarsi al M.C.d'I. per arrivare ad un partito unificato e con diversa linea politica. L'Armata Rossa, che nella sua breve vita darà 15 morti alla Resi­ stenza romana, fu diretta da due elementi del PCI (Celestino Avico, e Amidani), da due del M.C.d’L (Poce e Sbardella) e dal vecchio socialista Otello Terzani: i primi due si occupavano dell'organizzazione; Poce e Sbardella della stampa e propaganda con la collabora­ zione di Terzani. L’incontro tra Mucci e Poce fu di qualche utilità ma non risultò sufficiente a ricreare i legami organici tra gruppi dirigenti e bande quali erano stati all'inizio della lotta clandestina. Un poco alla volta, anzi, si creò una specie di frattura tra il gruppo Sbardella-Poce più impe­ gnato nell'organizzazione di Armata Rossa e il gruppo Mucci-Cretara; questa frattura che per il momento na­ sceva da uno stato di necessità, dopo la liberazione, assumerà un carattere più propriamente politico e co­ stituirà uno degli elementi della crisi di Bandiera Rossa. L'emorragia paurosa subita dal movimento da di­ cembre a marzo rischiava intanto di stroncare il M.C.d'I. prima della liberazione. Molti arresti erano stati facilitati dall'inesperienza dei militanti in materia di attività clan­ destina; altri a scarsa vigilanza verso l’infiltrazione delle spie. Il problema di una più accorta amministrazione delle proprie forze divenne quindi urgente. E’ per questo motivo che sul numero uno del bollettino DR, datato 29-3-'44, si invitano i compagni a rispettare la direttiva, già stabilita da qualche tempo, di limitarsi alle azioni difensive e si commentava: « Malgrado questa direttiva

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che pretende dai nostri compagni non la fuga e la pas­ sività, ma la difesa attiva contro Fazione di repressione del nostro movimento, noi dobbiamo lamentare vittime che, con una più accurata vigilanza, si sarebbero rispar­ miate. L'azione di informazione, e sorveglianza, segna­ lazione e punizione dei sospetti e delle spie, va intensi­ ficata ». Appelli del genere dovranno essere ancora ripetuti perché la combattività e la fede dei militanti operai e delle borgate era irrefrenabile. Ma questi richiami non devono essere intesi come un allineamento a posizioni estranee al M.C.d'I., a quelle — tanto per intenderci — che aveva il gruppo bordighista del Prometeo. I diri­ genti di Bandiera Rossa erano assillati dal timore che Finterà loro organizzazione venisse scompaginata proprio alla vigilia della liberazione cittadina che, secondo essi, doveva avvenire per volontà popolare attraverso l'insur­ rezione. Alla durezza dei colpi del nemico si univa in quel periodo un aggravamento dei rapporti con il PCI. Gli attacchi, più pesanti dei primi, provocarono profonde amarezze e il crollo dell’illusione di trovare, a liberazione avvenuta, un rapido accordo. Id Unità del 15 marzo aveva attaccato violentemente il M.C.d’I. pubblicando un cor­ sivo nel quale si condannava Fattività di « sparuti grup­ petti così detti di “ sinistra ” la cui irresponsabilità po­ litica che si sfoga nell’assumere gli atteggiamenti estre­ mistici più astratti e inconcludenti » andava incontro « alla propaganda hitleriana » finendo « con l’assumere una funzione obiettivamente provocatrice ». Il corsivo fu letto dagli uomini di Bandiera Rossa proprio nei gior­ ni più tragici del movimento; quelli della terribile on­ data di arresti e dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Rispo­ sero tradendo uno stato d’animo esacerbato: nel primo numero del bollettino DR, a proposito dell’attentato di via Rasella, si faceva una assurda distinzione tra atti terroristici (si alludeva a quelli dei GAP) e attentati com­ piuti in zone in cui la popolazione era tutta schierata con i partigiani; si finiva implicitamente con il condan­ nare l’eroica impresa di via Rasella proprio nel momento in cui essa più doveva essere difesa. Nell’invito ai mili­ tanti a limitarsi all’azione difensiva si diceva tra l’altro: « Noi non possiamo sapere che cosa fanno i comunisti del PCI pur di farsi citare da radio-Londra ».

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Sul numero 9 di Bandiera Rossa tuttavia, la pole­ mica veniva abbandonata e l’eccidio delle Fosse Ardea­ tine veniva ricordato con parole commosse; « Il 24 marzo la tigre nazista ha dilaniato, fra le molte centinaia di cittadini romani, molti compagni del M.C.d’I. Le parole non bastano per esprimere i sentimenti di un uomo civile di fronte a tanta atrocità. Solo intensamente ricor­ dando il sacrificio di questi martiri e riferendo ad essi ogni nostra azione, potremo rendere fecondo quel san­ gue. I compagni del M.C.d’I., lavoratori, proletari, che fra lo sterminio di vite che da trenta anni insanguina l’Europa, non hanno dimenticato il valore della vita umana, giurano sul sangue di questi martiri di combat­ tere fino alla totale distruzione di ogni vestigia del nazi­ fascismo e del capitalismo, che lo ha generato, respon­ sabili ed esecutori di tutti i delitti commessi sotto il loro impero ». Nel frattempo (6 aprile) VUnità aveva rivolto un nuovo pesante attacco al M.C.d’I. scrivendo: « ... ep­ pure c’è ancora qualche sciocco che si presta a questo gioco infame se, come pare, un cosiddetto Comando Militare Unificato dei Comunisti (questa era la esatta denominazione dell’organismo diretto da Poce nda), pro­ lifico autore di manifestini in una lingua che sembra presa a prestito dal dr. Goebbels, non è costituito da agenti al servizio dei prussiani, ma da un gruppo di irre­ sponsabili che, abusando del simbolo della bandiera rossa, persistono con ostinazione nel gioco che ogni giorno di più si svela come una vera e propria manovra provocatoria ai danni della classe operaia e del comuni­ Smo ». L’inasprimento dei rapporti tra PCI e Bandiera Rossa raggiunse la punta massima nel mese di aprile, quando Togliatti, sbarcato alla fine di marzo nell’Italia liberata, impresse la famosa svolta alla linea del partito accettando di far parte del governo Badoglio. A distanza di tanti anni non è facile rendersi conto dello choc che le tesi di aprile di Togliatti provocarono nei comunisti delle città e nelle formazioni partigiane sulle monta­ gne. Sappiamo quale resistenza incontrasse, dalla Sici­ lia fino a Torino, la politica di unità nazionale antifasci­ sta che i dirigenti del PCI sostenevano concordemente ma con diverse sfumature tattiche. Gruppi dirigenti e base, tuttavia, fino ad allora erano stati unanimi nel — 118 —

respingere le proposte di collaborazione governativa fatte da Badoglio. Il 20 gennaio Spano e Reale avevano rotto le trattative con il vecchio maresciallo quando ave­ vano vista non accettata la loro richiesta pregiudiziale dell'abdicazione del re. Abbiamo già osservato, del resto, che la fuga dell'8 settembre aveva suscitato forti irrigi­ dimenti tattici nel PCI e aveva rafforzato le istanze repubblicane del Partito d'Azione e del partito socia­ lista. La situazione nel PCI era rimasta piuttosto fluida. I dirigenti tornati ' dalTestero o dal carcere avevano rac­ colto attorno a loro migliaia di militanti più facendo leva sulla fede comunista che su una ragionata adesione alla linea politica. Non erano pochi coloro i quali vede­ vano una analogia tra le posizioni assunte dal PCI dopo il 25 luglio e quelle prese dai dirigenti bolscevichi dopo la rivoluzione di febbraio e prima dell'arrivo di Lenin. Anche allora era sorta una divergenza profonda tra chi sosteneva l'attualità della rivoluzione socialista e chi invece si pronunciava per una lotta decisa ma limitata, per tutto un periodo, al completamento della rivoluzione democratico-borghese. Lenin, quando finalmente potè tornare in patria, criticò questa ultima posizione che in sua assenza aveva finito con il prevalere; esponendo quelle che sarebbero passate alla storia come le tesi di aprile egli affermò che era all'ordine del giorno, no­ nostante l'arretratezza russa e l’influenza minoritaria del partito bolscevico in seno alla classe operaia e tra i contadini, la conquista del potere. E fu proprio nel­ l'intervallo tra il febbraio e l'ottobre che Lenin scrìsse « Stato e rivoluzione » bollando come socialtraditore chiunque proponesse di utilizzare la macchina statale borghese e gli istituti della democrazia borghese per la conquista del potere da parte del proletariato. Le masse di militanti che nulla13 sapevano degli 13 L’Unità (edizione meridionale del 3 dicembre 1943 parlan­ do dell’inesperienza dei nuovi e dei vecchi compagni scriveva: « E’ incontestabile che il nostro partito ha acquistato su scala internazionale in questi ultimi vent’anni un ricchissimo patrimo­ nio ideologico originato da un’esperienza coerente, che va dalla collettivizzazione al patto germano-sovietico, dalla fucilazione dei trotskisti russi alla battaglia di Stalingrado, dalla politica del

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indirizzi politici impressi da Stalin alla III Internazio­ nale e alle sue sezioni fin dal 1935, e i nuclei di vecchi compagni accusati di settarismo per l'accanimento con il quale difendevano i principi che li avevano portati ad aderire al comuniSmo e a mantenervisi fedeli negli anni della tormenta reazionaria, erano accomunati dalla spe­ ranza che Togliatti, arrivando in Italia, sciogliesse le incertezze dei suoi collaboratori e rivendicasse l'attua­ lità della rivoluzione socialista. Da fonte comunista* 14 è confermato che allora « tutti aspettavano di vedere quel che avrebbe fatto il capo del partito comunista e molti segretamente desideravano che Yuomo venuto dalla Russia assumesse una posizione insurrezionista o facesse delle sparate estremiste. Con molta calma, il compagno Togliatti si mise a studiare la situazione sul posto e attese alla preparazione del Consiglio nazionale ». Togliatti invece sorprese tutti dando l'assoluta prio­ rità alTimpegno italiano nella guerra antinazista, dichia­ randosi favorevole alla collaborazione governativa con Badoglio, all'accantonamento del problema istituzionale e rinviando sine die gli obiettivi più strettamente classisti. In realtà la cosa non avrebbe dovuto sorprendere nessuno perché già con il discorso pronunciato a Mosca nel novembre 1943 15 Togliatti aveva espresso con chia­ rezza il suo orientamento auspicando la formazione di un governo che comprendesse tutte le forze politiche e riservando accenti generici ai mutamenti sociali. « Sa­ rebbe assurdo — disse Togliatti in quella occasione — pensare al governo di un solo partito o al dominio di una sola classe. L'unità e la stretta collaborazione di tutte le forze democratiche e popolari dovranno es­ sere l'asse della politica italiana; la base su cui verrà costruito un vero regime democratico, che distrugga le radici del fascismo e dia alla nazione delle garanzie serie contro ogni possibile ripetizione della tragica av­ ventura eh'è costata all'Italia, il suo benessere, la sua in Jugoslavia, in Italia... Ma ci sono vecchi compagni che non hanno vissuto questa esperienza e quindi questo patrimonio ». 14 Cfr. « Il comuniSmo italiano nella seconda guerra mon­ diale », pag. 59, Editori Riuniti, Roma 1963. u « L’Italia in guerra contro la Germania hitleriana », di­ scorso pronunciato a Mosca da Paimiro Tigliatti il 26 novembre 1943 e ripubblicato da Rinascita il 23 aprile 1966.

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libertà, la sua indipendenza e il suo onore. Ma questo non vuol dire che nella vita del paese non debbano es­ sere operate profonde riforme ... la nuova democrazia italiana ... con un ragionevole intervento dello Stato dovrà impedire che dei gruppi di plutocrati avidi ed egoisti sfruttino il monopolio delle risorse del paese per asservire il popolo intiero e gettare il paese nell’a­ bisso di criminali avventure di guerra ». La sorpresa, che tuttavia ci fu, non aveva quindi molto fondamento e può essere spiegata soltanto alla luce della povertà di informazioni allora generale. E, analogamente, appare poco comprensibile 1 affermazione secondo la quale Togliatti decise la collaborazione go­ vernativa con Badoglio dopo essersi messo a « studiare la situazione sul posto e con molta calma ». II leader comunista, circondato da un'aureola di prestigio che gli veniva dall’essere stato il compagno di Gramsci all’Ordine Nuovo, uno dei massimi dirigenti del Comintern, reso inattaccabile dal fatto di essere pienamente d'accor­ do con Stalin, dotato di una cultura non comune tra i politici di quel tempo e di una eccezionale capacità dialettica, riuscì a convincere Spano e Reale ad abban­ donare il loro irrigidimento tattico. La svolta avvenne così, dall'alto al basso del partito, incontrando non poche resistenze che però quasi mai reggevano all'appello fidei­ stico o alla minaccia di scomunica dal movimento operaio. D’altra parte la mossa politica di Togliatti, proprio per il suo aspetto di audace novità, poteva indurre a pensare che nascondesse chissà quale machiavello e rinsaldò in molti militanti la doppiezza tra la linea dichiarata e quella realmente accettata. A Roma dove già fuori del CLN operavano i comu­ nisti di Bandiera Rossa, i Cristiano Sociali e i repubbli­ cani, dove una parte notevole del partito socialista con­ tinuava a restare sulle posizioni del MUP e dove il P.d'A. non intendeva rinunciare alla pregiudiziale repubblicana, la svolta provocò un forte scombussolamento. Essa, per giunta, veniva dopo che i passi falsi compiuti quando si prevedeva imminente l'arrivo degli Alleati e la feroce rappresaglia nazista culminata alle Ardeatine, avevano falcidiato i ranghi dei combattenti e creato serie diffi­ coltà di ogni genere. In quei giorni il CLN era in piena crisi. Bonomi aveva preso come pretesto l'attentato di via Rasella per — 121 —

dimettersi; un atteggiamento di rottura, ma in direzione opposta, aveva assunto anche il partito socialista, provo­ cando una decisa reazione del PCI. La crisi del CLN aveva preso le mosse dall'ordine del giorno approvato il 9 febbraio dalla direzione so­ cialista e con il quale si ribadivano le posizioni già prese nell'ottobre '43 per la rottura del CLN e la costituzione di un blocco delle sinistre che comprendesse anche Ban­ diera Rossa. I dirigenti del PCI nella riunione del comi­ tato permanente istituito al momento del rinnovo del patto di unità d’azione con i socialisti, espressero severe critiche alla politica del PSIUP accusando sia la sua ala riformista che esplicava la sua influenza soprattutto nel campo sindacale e sia l'ala « massimalista, con carat­ tere settario, ed anch’essa anticomunista »16. Passando all’analisi dell'ordine del giorno socialista i rappresen­ tanti del PCI mossero cinque obiezioni: « 1) il PSI non può prendere iniziative politiche che coinvolgono anche la nostra azione politica senza alcun preventivo accordo con noi, altrimenti è impossibile fare funzionare il patto di unità d'azione; 2) non ci si presenta al CLN con at­ teggiamenti che hanno carattere di ultimatum, a meno che non si sia decisi a rompere con gli altri partiti; 3) è giusto reagire alle manovre delle destre, ma è sbagliato il modo, la forma e il momento; 4) i nostri obiettivi immediati non sono la repubblica e il socialismo, ma l’indipendenza e la democrazia. L'impostazione politica di quest'ordine del giorno è sbagliata, e comunque non è la nostra politica, ma quella degli estremisti che con­ ducono la lotta contro il CLN; 5) non si può mettere sullo stesso piano, oggi, il fascismo repubblicano e la monar­ chia ». I delegati del partito socialista, che erano Nenni e Saragat, s'impegnarono allora a ritirare l'ordine del giorno approvato dalla direzione del loro partito ma non dissero che ne avevano già consegnato una copia a Bonomi. A marzo vivi erano ancora i fermenti in seno allo

16 Cfr. l’intervento di Filippo Frassati al convegno nazionale sulla Resistenza promosso dalla provincia di Roma nei giorni 23-24 ottobre 1964. Gli atti sono stati pubblicati da « Rassegna del Lazio » anno dodicesimo, numero speciale.

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stesso PCI romano tanto è vero che la risposta alla let­ tera dei critici Carla, Nistro e Leone17 era stata data dalla Commissione centrale di agitazione e di propagan­ da proprio in quel mese. La svolta, dunque, se servì in parte a ristabilire i legami del PCI con Bonomi18 e con la destra del CLN, aggravò la frattura con la sinistra socialista e con Ban­ diera Rossa, aumentò il disagio di strati della base del partito e creò malintesi con le altre forze che ponevano la pregiudiziale repubblicana. L'organo del M.C.d’I. 1’11 maggio commentò la for­ mazione del nuovo governo esprimendo il proprio disap­ punto e ribadendo che « la politica di guerra dei lavora­ tori deve essere: trasformare la guerra contro il nazi­ smo in guerra contro tutto il capitalismo. La parola d’ordine è: fino a che vi sarà nel mondo anche un solo paese borghese, non vi sarà né pane sufficiente né pace duratura, né libertà per nessuno ». La formula togliattiana della democrazia progressiva fu sottoposta a cri­ tiche acerbe e chi la sosteneva fu tacciato di opportu­ nismo. Gli ultimi due mesi dell’occupazione nazista, aprile e maggio, furono i più duri per tutte le forze antifasciste e per Bandiera Rossa in misura particolare. Il movi­ mento attraversò una fase di immense difficoltà politi­ che e organizzative: il gruppo dirigente falcidiato dalle rappresagie tedesche; i fondi in via di esaurimento; la prospettiva di una rapida unificazione con il PCI e della formazione di un partito unico della classe operaia che faceva naufragio. La svolta e gli attacchi deWUnità (non a caso quelli di aprile furono i più pesanti) scavarono un baratro tra i due gruppi. Questa situazione è espressa con franchezza nel numero 5 (30-4-’44) del bollettino DR: « Con le fucilazioni, gli arresti e le deportazioni, le file dei nostri compagni migliori si sono assottigliate; il timore e lo sconforto si insinuano fra le nostre file. Ag­ giungetevi la mancanza del giornale, unico sostegno dei deboli, e potrete misurare quanto sia necessario 17 Cfr. « Critica Marxista », anno 3, n. 2. la Ai primi di maggio Bonomi in pratica ritirò le sue dimis­ sioni.

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piuttosto approfittare di ogni occasione per consolidare la fede, ammonire e indirizzare gli sperduti sulla giusta via. I comunisti di oggi o hanno rinnegato il passato per abbandonarsi alla comoda democrazia progressiva o non lo conoscono e non lo apprezzano tanto da sentirne la potenza energetica ». L'azione armata, tuttavia, prosegue con il massimo impegno travalicando anche le direttive prudenziali dei capi. La prima celebrazione delle Fosse Ardeatine19, cosa che pochissimi sanno, ebbe luogo il 2 aprile per iniziativa di Bandiera Rossa. Nove uomini e due donne (Luigi Riso, Costantino Rossi, Gabriele Pappalardo, Roc­ co Beicaro, Michele Del Mastro, Ettore De Butis, Franco Cervoni, Enrico Fiorini, sua sorella e Maria Chicca), ar­ mati di tutto punto, si avvicinarono alle Fosse Ardeatine per deporre fiori rossi e un cartello commemorativo sul luogo dell'eccidio. La zona era vigilata dai tedeschi e fu quindi necessario attendere la notte per portare a termine la rischiosa azione. Il gesto fu ripetuto il Primo Maggio ad opera di un gruppo guidato da Orfeo Mucci. Al terzo tentativo, compiuto il 5 maggio da uomini dalla banda Pepe (Riccardo Lorito, Michele La Vista, Raf­ faele Argentini, Rocco del Zotti, Gaetano Feva, Modestino Marinelli), i soldati tedeschi reagirono a colpi di moschetto: ne nacque un breve ma violento scontro a fuoco. Ma a parte i gesti dimostrativi, che pure servivano a rincuorare i militanti e a rafforzare la coesione del movimento, anche in aprile l'attività fondamentale fu quella del sabotaggio. Ecco una rapida rassegna delle azioni effettuate in aprile: assalto in forze della banda S. Lorenzo alla caserma Bianchi con sottrazione di un camion carico di viveri; disarmo, dopo uno scontro, di una pattuglia della PAI sulla via Tiburtina; lancio d'una bomba a mano contro un'auto tedesca nei pressi della caserma germanica di Casal dé Pazzi; sottrazione u Quella celebrata dagli studenti del CLN nella basilica di S. Maria Maggiore e ricordata da Maurizio Ferrara sull'Unità del 24 marzo 1964, fu certamente la più audace e la più importante ma non fu la prima. Il 16 aprile, al termine della messa, sul sagrato della chiesa ebbe luogo un breve e drammatico comi­ zio: intervenne un brigatista nero che fu però immediatamente giustiziato.

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di armi dalla caserma dei finanzieri e dagli impianti della TODT all'E-42 (attuale EUR); sottrazione da un camion tedesco fermo nella borgata Prenestina di 30 chili di dinamite; lancio di bombe a mano contro senti­ nelle tedesche di guardia all'aeroporto di Centocelle mentre altri elementi della banda Rossi si imposses­ savano di ingenti quantità di viveri; sottrazione di armi e di materiale bellico ai tedeschi nella Direzione di Arti­ glieria e da un convoglio fermo nella stazione Prene­ stina; taglio di fili telefonici al Ponte Casilino; uomini della banda Quarticciolo-Giordani, dopo aver corrotto un maresciallo repubblichino, entrarono nella caserma Romagnoli riuscendo a danneggiare tre automezzi tede­ schi e ad appiccare il fuoco a un magazzino pieno di materiale bellico; incendio di un'autocisterna nell’aero­ porto di Ciampino, seguita da una sparatoria; affissione notturna di manifestini incitanti alla rivolta contro te­ deschi e fascisti (alcuni furono incollati sui muri della caserma della PAI e in via Tasso); taglio di fili telefo­ nici sulla Salaria; sulla stessa via fu fatto saltare un camion tedesco lasciato incustodito durante un bombar­ damento aereo; lancio notturno di bombe a mano con­ tro un’autocolonna tedesca lungo la via Appia; scontro armato tra dieci uomini della banda Moritesi e una pat­ tuglia tedesca in piazza S. Cosimato dove un tedesco cadde ferito; nella notte dell'll aprile, avendo saputo che la tipografia dove si stampava Bandiera Rossa e altro materiale del movimento era stata scoperta, la banda Ponte riuscì a far scomparire ogni cosa in modo che la mattina dopo i fascisti nella loro perquisizione non trovarono nulla; taglio di fili telefonici della linea per Frascati; attacco contro convogli nazisti nei pressi della Pineta Sacchetti e a Monte Mario; scontro not­ turno con una pattuglia tedesca in via Boccea; lancio di chiodi tricuspidi sulla via Aurelia poco prima che vi transitasse un’autocolonna tedesca; scontro con tedeschi di scorta ad una autocolonna della TODT in contrada Focaccia: un tedesco ferito e un camion danneggiato; lancio di bombe a mano contro un’autocolonna tedesca a Pantano Borghese; scontro con una pattuglia tedesca nella zona dell’E-42 da parte di militanti che tornavano da un convegno di settore svoltosi nella borgata Torma­ rancio; attacco a raffiche di mitra contro un’autocolonna tedesca diretta a S. Cesareo (ne seguì un rastrellamento

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di rappresaglia con l'arresto di alcuni militanti di Ban­ diera Rossa che però, più tardi, furono fatti fuggire dal carcere di Frascati con un azione improvvisa); a Ponte Mammolo ebbe luogo il 26 aprile un violento scontro tra una pattuglia tedesca e un gruppo che tornava da un convegno svoltosi a Tiburtino III: un partigiano e tre tedeschi restarono feriti; ripetute sottrazioni di viveri alla TODT; lancio notturno di bombe a mano contro una colonna motorizzata tedesca che era diretta al fronte di Cassino: il traffico restò interrotto per tre ore; ana­ logo assalto sulla via Tiburtina contro un'autocolonna diretta a Carsoli: i tedeschi, che ebbero un ferito, furono costretti a fermarsi per oltre due ore; fallito tentativo di minare un treno alla stazione Tiburtina; assalto a un camion carico di viveri all'altezza della Bufalotta. L'ultima azione di aprile fu anche la più sanguinosa. Alcuni coraggiosi tentarono l'assalto contro la stazione radio dei tedeschi a Tor Sapienzci ma rimpianto era fortemente sorvegliato: nacque uno scontro a fuoco nel quale persero la vita i fratelli Michele e Antonio Addario. Sembra clie anche in questo caso una spia avesse informato i tedeschi dell'imminente attacco. Una ennesima e dura perdita fu subita da Bandiera Rossa il 16 aprile quando Tigrino Sabatini, comandante della II zona, quadro operaio di notevoli capacità politiche e di esemplare ardimento, fu arrestato. Tigrino Sabatini, che aveva lavorato per alcuni anni alla Snia Viscosa di Rieti e che negli ultimi tempi si era fatto as­ sumere — insieme ad altri compagni — dall'impresa Cidonio per sabotare i lavori di riparazione dei binari ferroviari, fu fucilato a Forte Brevetta il 4 maggio. Il mese di aprile fu anche quello del più spietato rastrellamento effettuato dai nazisti a Roma. Il Coman­ do tedesco era furibondo perché neanche la strage delle Ardeatine aveva indotto i partigiani romani a deporre le armi e gli altri cittadini ad avere un atteggiamento meno ostile verso gli occupanti e gli appelli a presentarsi alle armi o al lavoro nella TODT. Tutta la propaganda fatta con giornali e con manifesti rivolgendo appelli alle donne e ai bambini perché convincessero mariti e padri a fare il loro « dovere », a lavorare per guadagnarsi da vivere e impedire che si soffrisse la fame, non sortiva alcun risultato. E neanche fruttavano molto i piccoli rastrella­ menti quasi quotidiani organizzati dai fascisti (il que-

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store Caruso aveva promesso ai tedeschi .50 uomini al giorno). Fu perciò deciso di dare un più pesante colpo alla Resistenza romana e non a caso fu scelta, come zona di operazioni, il Quadrare, la popolosa borgata dove — co­ me riconoscerà più tardi il consigliere d'ambasciata na­ zista, Mollhausen — venivano « inghiottiti » tutti coloro i quali volevano sfuggire ai nazisti senza ricorrere al Vaticano. In quella parte della città, che poi era un insieme di borgate distante una decina di chilometri dal centro cittadino, i rapporti di forza erano sfavore­ voli ai nazifascisti. Il 31 marzo, appena una settimana dopo l'eccidio delle Ardeatine, il Comando germanico aveva emanato un provvedimento particolare contro i cittadini delle borgate Quadrare, Torpignattara, Centocelle e Quarticciolo anticipando l’ora del coprifuoco alle 16 e spiegando che questa misura veniva presa in se­ guito ai ripetuti attacchi compiuti contro le forze tede­ sche e fasciste. Proprio in quella zona il commissario di P.S. Stampacchia, per non aver voluto prestare at­ tenzione alla grande scritta murale che lo ammoniva a non collaborare con i nazisti, era stato giustiziato un bel mattino sulla soglia della sua abitazione. Ed a Centocelle i comunisti erano riusciti ad organizzare, nella piazza principale, un comizio; la stessa cosa avevano fatto a Triburtino III; sulla piazza di Tor Pignattara, come abbiamo già ricordato, Uccio Pisino aveva adde­ strato alle armi, in pieno giorno, gli uomini di Bandiera Rossa, Gestapo, SS, banda Koch e questore Caruso con­ cordarono il piano d'azione per far cadere nella rete il maggior numero di uomini validi. Il 17 aprile, all'alba, duemila armati tra tedeschi e repubblichini bloccarono tutte le vie d'accesso al Quadraro e setacciarono la bor­ gata casa per casa. L'operazione fu condotta con estre­ ma brutalità: gli uomini furono colpiti ancora mezzo addormentati e semisvestiti con il calcio dei moschetti e ammassati sui camion; soltanto pochi riuscirono a trovare in tempo un nascondiglio. Nel rastrellamento, che coinvolse 740 romani, caddero molti militanti di Bandiera Rossa, del PCI e di altre formazioni politiche. Il giorno successivo il Giornale d'Italia pubblicò la velina del Comando germanico: « I tedeschi lamentavano 127 —

che dopo i fatti di via Rasella nel lunedì di Pasqua, parecchi soldati germanici sono caduti alla periferia di Roma, vittime di assassini politici. Gli attentatori riusci­ vano a rifugiarsi senza essere riconosciuti, nei loro na­ scondigli di un certo quartiere di Roma dove essi trova­ rono protezione presso i loro compagni comunisti. Il Comando Supremo Germanico è stato costretto perciò ad arrestare oggi, nel detto quartiere, tutti i comunisti e quegli uomini validi e abili al lavoro che collaborarono con i comunisti e li appoggiarono. Gli arrestati verranno assegnati ad una occupazione produttiva nel quadro del­ lo sforzo bellico germanico diretto contro il bolscevi­ smo ». La « occupazione produttiva » ovviamente era costituita dal lavoro forzato in Germania. Ma neanche in questo modo i nazifascisti ottennero quello che volevano tanto è vero che una settimana dopo, il 24 aprile, il Comando germanico non sapendo più che cosa escogitare, proibì gli assembramenti di più di tre persone e il 30 la Questura fece sapere che i portinai dovevano ritenersi responsabili delle iscrizioni murali a carattere antinazionale e che dovevano segnalare alla polizia qualsiasi fatto che avvenisse all'esterno o all'in­ terno degli stabili la cui custodia era ad essi affidata: « in caso di inadempienza — ammoniva la grida questurina — sarà proceduto al fermo dei portieri manche­ voli ». I giornali legali di quelle settimane sono pieni di avvertimenti, di moniti che testimoniano quanto fosse intenso il danno recato dalla Resistenza romana agli occupanti: ancora nel mese di aprile la federazione dei Fasci Repubblicani di Roma fu costretta a rendere noto che negli ultimi tempi era diventata intensa l'attività di « individui indossanti la camicia nera o comunque qualifi­ catisi per fascisti »; la questura, inoltre, ricordava a più riprese che tutti gli automobilisti « debbono fermarsi all'alt delle pattuglie poiché è stato notato che alcune auto non si fermano aH’intimazione dell’alt ». Il clima di ostilità popolare verso i nazisti restava dunque assai diffuso e, anzi, con il passare del tempo, si dilatava. Eppure, a conferma dei limiti e delle con­ traddizioni della Resistenza romana, il 3 maggio lo scio­ pero generale non ebbe successo. Nei giorni che avevano preceduto il grande appuntamento migliaia e migliaia di volantini erano stati lanciati nelle strade dei quartieri popolari e delle borgate o erano stati messi nelle cassette

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della posta con la compiacenza dei portieri che rifiuta­ vano di trasformarsi in spie. Anche gli uomini di Ban­ diera Rossa, benché fino all'ultimo tenuti all'oscuro del­ l'iniziativa, si adoperarono nell'azione di propaganda. Cionostante non si ebbe l'attesa prova di forza, la prova generale delTinsurrezione. Si ebbero alcune fermate ma la città non fu paralizzata. In una relazione ufficiale del PCI20 le cause del parziale insuccesso sono indicate: a") nel debole legame tra partito e grandi masse; nella mancata esecuzione del sabotaggio teso a togliere l’alta tensione e impedire la circolazione dei filobus; nella ca­ renza di agitazione orale e scritta; nel rinvio dello scio­ pero imposto dalla resistenza della destra socialista; nella debolezza organizzativa degli altri partiti antifa­ scisti. Va inoltre ricordato che poliziotti e tedeschi nella notte tra il 2 e il 3 maggio occuparono con carri armati e mitragliatrici i depositi dei tram e dei filobus tratte­ nendo i tranvieri che finivano il loro turno obbligandoli con la forza a ripartire al mattino. Resta infine da con­ siderare che in una città come Roma dove mancavano grandi concentrazioni operaie, l'arma dello sciopero era intrinsecamente meno efficace che a Torino o a Milano. Alla paura dei nazisti per una popolazione infida e alla loro consapevolezza di doversi ritirare da un mo­ mento all'altro facevano riscontro il logorio delle avan­ guardie antifasciste, le difficoltà che s’incontravano nell’attivizzare larghe masse e, infine, le divisioni politiche interne al CLN e tra il CLN e altre forze. Bandiera Rossa proseguì sul suo binario anche nel mese di maggio accompagnando l’azione di sabotaggio alla riorganizzazione politica. Nel bilancio di attività troviamo un incendio di due automezzi tedeschi alla Camilluccia; un fallito attacco alla stazione-radio tede­ sca di Tor di Mezzo; nei pressi della basilica di S. Paolo lancio notturno di bombe a mano contro automezzi te­ deschi (due camion incendiati e un soldato gravemente ferito); arresto e deportazione di Mario Orsini, disegna­ tore meccanico della più grande fabbrica romana, la FATME, perché non aveva aderito al trasferimento dei macchinari in Germania; attacco a un autocarro tedesco nei pressi di Centocelle; il 2 maggio la banda Tor Sa­ io Archivio PCI.

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pienza, avvertita da alcuni agenti di polizia che doveva aver luogo un rastrellamento nella zona dell'Alberone, verso le 9 del mattino inviò un gruppo di uomini armati su un trenino della Stefer per bloccare il traffico tran­ viario in un punto nodale e far scappare i cittadini: un milite della PAI che aveva cercato di opporsi fu imme­ diatamente disarmato e, successivamente, furono fermati e avvertiti tutti i tram che provenivano dalle opposte direzioni di Albano e del Quadrare; sottrazione di armi e di viveri alla caserma Bianchi', scontro con una pat­ tuglia tedesca motorizzata allo Statuario, sull'Appia Nuova da parte di alcuni elementi della banda Marapodi; sot­ trazione di armi da un convoglio fermo nella stazione Prenestina; a mezzanotte del 3 maggio gli uomini della Ponte Milvio bloccarono la via Cassia con tronchi di alberi impedendo per tre ore ad un’autocolonna tedesca di avanzare: i partigiani, nascosti ai lati della strada in diversi punti, spararono colpi isolati per disturbare Pepe­ rà di sgombro; sottrazione di materiale sanitario dal deposito tedesco di Monte Sacro; scontro nei pressi di S. Agnese (via Nomentana) con una pattuglia tedesca che, di notte, aveva intimato l'alt ad alcuni componenti della Aibuie: questi risposero aprendo il fuoco e poi fug­ girono nella vicina campagna; lancio di bombe a mano contro un camion della TODT nei pressi di Ponte Mam­ molo (via Triburtina); alcuni uomini della Monte Sacro riuscirono a liberarsi dopo essere stati rastrellati dalla PAI chiedendo aiuto ai passanti e incitandoli a inter­ venire; distruzione di un camion e di una moto tedeschi a Torre Gaia; scontro a fuoco con una pattuglia tedesca nei pressi delle Frattocchie; lancio di bombe a mano con­ tro un'autocolonna tedesca sulla via Flaminia; sulla stes­ sa strada gli stessi uomini della Americola pochi giorni dopo uccisero gli uomini di una pattuglia tedesca che vo­ leva trascinarli al Comando; sottrazione di armi dall'auto­ parco tedesco al Circo Massimo; distruzione di tutte le ta­ belle stradali lungo le vie Ardeatina, Ostiense, del Mare (dove ebbe luogo un breve scontro a fuoco con due motociclisti tedeschi); distruzione di quattro camion tedeschi all'E-42; agguato sulla via Ostiense a un gruppo di soldati tedeschi che ebbero due feriti e una moto distrutta; azioni di disturbo sulla via Aurelia ai tedeschi e ai repubblichini che si ritiravano verso il Nord; lancio di una bomba a ma­ no nei pressi di Forte Boccea contro due tedeschi che pre­

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cedentemente avevano infastidito la popolazione del rio­ ne; aspro scontro con un'autocolonna tedesca nei pressi di Tiburtino III: due ufficiali nazisti furono catturati e tenuti come ostaggi; squadre di diverse bande il 2 maggio, durante il discorso tenuto da Pio XII sulla pace, getta­ rono volantini tra la folla e poi bombe ai repubblichini che facevano propaganda per la guerra ad oltranza; lan­ cio di bombe a mano contro soldati tedeschi di scorta ad un'autocolonna ferma al chilometro 20 della via Ca­ silina; taglio di fili telefonici sulla stessa strada; sottra­ zione di un grosso quantitativo di viveri nel deposito dell'aeroporto di Ciampino e successivamente distribu­ zione alle famiglie dei prigionieri politici e dei bisognosi del Quadravo; alla fine del mese su tutte le strade con­ solari furono intensificati gli atti di sabotaggio (lancio di chiodi, ostruzione mediante alberi o macigni, attacco con bombe a mano o raffiche di mitra) contro le auto­ colonne tedesche in ritirata. Il 5 maggio durante il sabotaggio delle linee tele­ foniche nei pressi di Terranova, uomini della Quarticciolo-Gordiani furono costretti a impegnare un combat­ timento contro soverchianti forze tedesche: nello scontro fu ucciso Rodolfo Cantarucci. La stessa banda ebbe altri due morti il 17 maggio quando Paolo Rugliani e Aldo Romeo, presi dai tedeschi nel corso d'un rastrellamento, furono trascinati ad Ardea e fucilati; altri partigiani caduti nello stesso rastrellamento riuscirono invece a fuggire.

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CAPITOLO IV « Il dovere di un rivoluzionario è fare la rivoluzione ». (Fidel Castro)

La dimensione dell’importanza che Bandiera Rossa ebbe nella Resistenza romana, oltreché dal numero dei suoi caduti e dal bilancio della sua attività nella peri­ feria della città, balza con evidenza dalla presenza delle sue bande speciali. Si tratta di cellule politiche e di or­ ganizzazioni di armati che operavano nei principali set­ tori della vita amministrativa di Roma e di alcuni deci­ sivi servizi pubblici. Alcuni nuclei, come quello costituito tra i postelegrafonici da Giuseppe Palmidoro e da ele­ menti del PCI, esistevano fin dal 1930; altri erano sorti nei primi anni di guerra vivendo una stentata vita auto­ noma o collegandosi a Scintilla. Al momento della fon­ dazione del M.C.d’I. i dirigenti decisero di riservare alle bande speciali una larga autonomia organizzativa per consentire loro di esercitare la più efficace azione di sa­ botaggio proprio nelle aziende pubbliche in cui lavora­ vano. Fu così che vennero costituite le seguenti bande: Postelegrafonici con a capo un vecchio comunista, Belardino Nuccetelli, già arrestato prima della guerra per la sua attività cospirativa; Teti (telefoni) con a capo Dome­ nico Martorano; Statistica con a capo Guelfo Mannucci; Informazioni con a capo il capitano Gialma Previtera e il maggiore della guardia di Finanza, Giacomo Tranfo; S.P.S. (servizio pubblica sicurezza) con a capo il commis­ sario di P.S. Enrico Gatti; Anagrafe con a capo Aurelio Ambrosini; Servizio tecnico con a capo Rodolfo Salvagni; EIAR (la RAI di allora) con a capo Egle Fiore; Servizio

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sanitario con a capo Pierluigi Cichetti; Vigili del fuoco con a capo Renato Di Gioia. Due cellule furono inoltre organizzate tra i ferrovieri. L'opera delle bande speciali, che fu anche rischiosa (cinque morti e vari altri arrestati e torturati), si rivelò decisiva per la tempestiva partecipazione degli uomini di Bandiera Rossa ai combattimenti dell'8 settembre, per la salvezza — mediante una vigile « censura » negli uf­ fici postali delle lettere inviate dalle spie ai nazisti — di centinaia di antifascisti, per il caos apportato alle comu­ nicazioni telefoniche, per la liberazione di alcuni mili­ tanti e per 1 organizzazione del sabotaggio alle leve mili­ tari e del lavoro. Chi avesse giudicato gli abitanti di Roma nel periodo dell'occupazione basandosi sulle statistiche fornite dall'ISTAT, le uniche ufficiali, si sarebbe fatto una idea completamente sbagliata della situazione: basterà dire che, secondo il censimento impostato dai nazisti per met­ tere le mani sugli uomini validi, la popolazione risultava composta per il 90 per cento da donne; il restante dieci per cento era formato — secondo l'ISTAT — da undi­ cenni e da ottuagenari. Questi dati costituiscono la prova migliore dell'abi­ lità del lavoro svolto dalla banda Statistica ad integra­ zione dei mille e mille sotterfugi che l’immaginazione popolare aveva saputo escogitare per imbrogliare le carte. All'ISTAT il gruppo fu organizzato nella prima quin­ dicina del settembre '43 per iniziativa di Guelfo Mannucci, il quale, pur essendo stato licenziato per discriminazione politica, aveva sempre mantenuto contatti con gli ele­ menti antifascisti dell'istituto. La cellula non superò le 25 unità ma, egualmente, svolse un lavoro di tutto rilievo facendo sparire prospetti relativi alle indagini interes­ santi l'esercito, nascondendo materiale di studio, istru­ zioni di lavoro, grafici, prospetti inerenti ai censimenti delle varie attività economiche; furono anche sabotate macchine calcolatrici. Questa attività impegnò il gruppo dall'ottobre del '43 fino al gennaio del '44. Alla fine di questo periodo Mannucci, in vista del censimento che doveva essere completato nel mese di febbraio, concordò con Orfeo Mucci il piano d'azione per impedire che gli occupanti potessero conoscere la reale consistenza e stratificazione della cittadinanza. Gli uomini della Statistica innanzi­

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tutto fecero sapere ai cittadini da essi interrogati quali « errori » avrebbero dovuto commettere nel dare le ri­ sposte; poi provvidero essi stessi a trascrivere nomi, date e indirizzi in modo errato. In alcuni casi arrivarono a gettare alle fiamme interi pacchi di schede compilate con sincerità; infine distribuirono migliaia di false rice­ vute del censimento. Nel timore che nonostante tutto il risultato dell'indagine potesse avere ancora qualche uti­ lità per i nazisti, Mannucci e Mucci decisero di far esplo­ dere con la dinamite l'intero materiale raccolto. Ma que­ sta estrema azione non fu necessaria perché i tedeschi si accorsero ben presto di non poter utilizzare in alcun modo i dati di quel censimento. Il servizio obbligatorio del lavoro fallì e gli occupanti dovettero continuare a procedere alla cieca con i rastrellamenti. Il gruppo provvide inoltre a una intensa propaganda antifascista tra i compagni di lavoro (soltanto il 20 per cento del personale accettò di trasferirsi negli uffici istal­ lati in Lombardia dalla RSI) e, con l'apporto fondamen­ tale della banda Anagrafe fabbricò e distribuì a ebrei e a perseguitati politici una gran quantità di carte d'iden­ tità false (anche altri partiti svolgevano attività del ge­ nere: si calcola che in quel periodo a Roma 50.000 per­ sone circolassero con un documento falso). La banda Teti formata da un’ottantina di dipen­ denti dell'azienda telefonica operò su due fronti: la lotta armata e il sabotaggio delle comunicazioni. Anche tra i dipendenti della Teti l’ingegner Giuseppe Palmidoro, a partire dal 1942, era riuscito ad organiz­ zare un nucleo di militanti orientati verso il comuniSmo. Il gruppo poi aderì compatto al M.C.d'I. reclutando, dopo il 25 luglio, altri elementi. Prima di riferire sulla vasta mole di danni apportati alle comunicazioni telefoniche, appare opportuno ricordare che un uomo della banda Teti, Giovanni Lombardi, fu ucciso dai soldati tede­ schi il 9 settembre mentre combatteva nelle strade di San Saba, vicino Porta S. Paolo, nella disperata difesa di Roma, e che il capo di una delle squadre in cui era stata divisa la banda, Aldo Guadagni, il 15 ottobre fu arrestato e torturato selvaggiamente in via Tasso: dopo due giorni di sevizie, Aldo Guadagni morì tra atroci sof­ ferenze. Abbiamo già detto infine degli elementi della Teti che si trovarono coinvolti nello scompiglio seguito all’attentato di via Rasella.

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L'attività di sabotaggio delle comunicazioni telefo­ niche fu veramente impressionante e merita di essere ricordata in dettaglio, mese per mese: settembre '43 (taglio del cavo di collegamento con l'ambasciata tede­ sca: un complesso di 30 linee; taglio di 7 linee del Co­ mando tedesco istallato nell'albergo Città; interruzione in 7 punti diversi della linea dell'aeroporto di Ciampino; interruzione di 6 linee di Settebagni; taglio di 11 linee sulla via Tiburtina; taglio di 3 linee alle Capannelle; distruzione di un palo telefonico fissato con base a ce­ mento sull'Appia Antica con conseguente rottura di fili; interruzione delle linee sulla Salaria con Monterotondo; interruzione di 8 linee sulla Tuscolana). Ottobre: interru­ zione di 2 linee dell'albergo Excelsior dove erano istal­ lati alti ufficiali nazisti; distruzione di 4 linee a Cinecittà; interruzione di linee a Villa Corubba e asportazione di armi dal Comando di Guido de Baldo Dal Monte; inter­ ruzione di 2 linee al Forte di Pietralata; interruzione di 8 linee del Comando PAI; interruzione di 2 linee alla Magliana. Novembre: fatte fondere alcune valvole termiche al distributore delle Tre Fontane; interrotte 2 linee al ponte Salario; a Villa Torlonia reso inservibile un cavo telefo­ nico; interruzione di una linea presso Casal de' Pazzi dove si trovava una caserma tedesca. Dicembre: tenta­ tivo — fallito per il pronto intervento dei tedeschi — di tagliare le linee del Comando istallato in Corso d’Italia; interruzione di 7 linee, durante un allarme aereo, colle­ gate con il Comando dei paracadutisti tedeschi a Cine­ città; danneggiamento delle comunicazioni con la caser­ ma del Genio in via Nomentana. Gennaio: interruzione di 2 linee all'Acqua Santa; totale interruzione, dopo aver tagliato un cavo, delle linee Roma-Settebagni; interru­ zione di linee sulla via Appia; isolamento telefonico del Forte Prenestino. Febbraio: interruzioni di linee per Colleferro, Ciampino, Quarto Miglio, Villa Farinacci, Torre Spaccata, Reparto Maier, località Cervellotta, Villa Bel­ vedere, Villa Caraceni, La Storta, via Cassia. Marzo: in­ terruzioni delle linee dell'ambasciata cecoslovacca; in lo­ calità Tomba di Nerone; via Aurelia al km 7; via Casa­ letto; piazza S. Silvestro; Villa Caraceni; Forte Prene­ stino; fabbrica di cannoni in località Tre Teste; Comando paracadutisti di Cinecittà; tagliato un cavo interurbano sulla via Cassia. Aprile e maggio: sabotaggi sulla via Pre-

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nestina; a Centocelle; Villa Brandi; Quarto Miglio; tenuta Roma Vecchia; via Appia Nuova; Villa Bonelli; Grotta Rossa; Fiano Romano; Marcigliana; via Aurelia; Villa Bel­ vedere; Monte Soratte dove era istallato il maresciallo Kesselring; via S. Vitale; Colleferro; tenuta Torlonia; via Tuscolana; Villa Biondi etc. Nella centrale del Viminale furono eseguiti 74 atti di sabotaggio alle linee telefoniche tedesche; con identica frequenza furono colpite tutte le altre principali centrali telefoniche. I nazisti ovviamente finirono con il comprendere che il caos dei telefoni non era dovuto soltanto ai bom­ bardamenti o ai sabotaggi accidentali. Appuntarono i loro sospetti sui dipendenti della Teti e arrivarono ad arrestare Domenico Martorano, capo della banda. L'in­ tervento di alcuni alti funzionari dell'azienda telefonica valse tuttavia a far rilasciare l'uomo di Bandiera Rossa. Più drammatica fu la sorte del vice-capo banda, Remo Eugeni, il quale fu arrestato, torturato in via Tasso e processato il 13 dicembre '43 all'albergo Flora. La pub­ blica accusa chiese la condanna a morte ma il tribunale infine emise sentenza di assoluzione per insufficienza di prove: tale insolita clemenza fu dovuta, secondo alcune testimonianze, a un intervento personale di Pio XII sol­ lecitato da alcuni dirigenti della Teti. La banda EIAR, che fornì preziose informazioni po­ litiche, operò in stretto contatto con i compagni della Teti. La banda Postelegrafonici durante l'occupazione ri­ sultò composta da 77 elementi quasi tutti del reparto recapito e posta pneumatica. L'attività principale di sa­ botaggio fu quella — rischiosissima perché svolta sotto gli occhi della milizia fascista — di sottrarre la corri­ spondenza diretta ai comandi germanici, alla Questura e alle S.S.. Furono così distrutte circa un migliaio di delazioni concernenti personalità o gruppi di antifascisti o di ebrei. Almeno trecento persone, oggetto di denunce epistolari, furono avvertite personalmente e messe in condizioni di salvarsi. Furono inoltre fatte sparire alcune lettere che avrebbero consentito ai tedeschi di mettere le mani sui macchinari industriali nascosti dai proprie­ tari con la collaborazione degli operai per evitare la requisizione. Lo spoglio della preziosa corrispondenza si svolse con la supervisione di Franco Bucciano prima e poi dell'ex-maggiore dell'esercito Ceccarini.

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La cellula dei vigili del fuoco, che operò con una larga unità d azione con i compagni di lavoro aderenti al PCI e al P.d’A., potè contare su una settantina di elementi. La sua attività fu di vario genere ma sempre tesa a non far funzionare il servizio; una volta, ad esem­ pio, per « salvare » dalle fiamme un treno che traspor­ tava benzina si adoperò acqua anziché schiuma. In gene­ rale non si iniziava Toper a di spegnimento prima che non fosse troppo tardi per coronarla con successo: così ac­ cadde nell’incendio di un garage in via Margutta dove le auto, tutte militari, furono lasciate ardere; così al­ l’aeroporto del Littorio dopo un bombardamento; e così ancora nell’officina meccanica di precisione della Dire­ zione di Artiglieria dove tutto ciò che non era stato rovinato dall'incendio, fu distrutto dall’acqua dei vigili. Quando i tedeschi pretendevano l’intervento dei pompieri per liberare le strade dagli automezzi in panne, i vigili mettevano fuori uso l'auto-gru. Abbiamo fatto soltanto qualche esempio. Per com­ pletare il quadro va detto che gli automezzi dei vigili del fuoco furono varie volte utilizzati per il trasporto di armi ai depositi del M.C.d’I. e che tessere false dei pompieri furono distribuite a molti giovani per salvarli dai rastrellamenti. Il gruppo dei vigili di Bandiera Rossa, infine, fu il primo a fotografare le Fosse Ardeatine in piena occupazione nazista. Poco o nulla si conosce dell’attività delle altre bande speciali perché sono andate perdute le relazioni redatte l’indomani della liberazione. E’ stata peraltro rintrac­ ciata la prima parte del rapporto1 inoltrato il 4 aprile 1944 dalla cellula informazioni al comitato Esecutivo del M.C.d'I. In esso si fa riferimento a infiltrazioni di elementi del movimento « presso i badogliani, tramite il col. De Santis; presso il Vaticano — aggiungeva il re­ latore — si sta lavorando per far introdurre un nostro elemento che dovrebbe mettersi in contatto con i vari emissari inglesi, badogliani ecc. colà nascosti; presso qualche elemento di secondaria importanza della orga­ nizzazione militare del CLN; presso le ambasciate di Sviz­ zera e di Argentina; in quasi tutti i più importanti al­ berghi della città tramite la vecchia organizzazione deli i Archivio Sbardella.

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S.I.M.2 ». Il rapporto affermava che era possibile « avere qualche informazione diretta da qualche comando tede­ sco » e che in quel settore si stavano cercando « altri ele­ menti dato che l'infiltrazione » era stata fino ad allora limitata a « una spia tedesca che cerca di fare il doppio gioco ». L'attività di controspionaggio di questa banda era di grande utilità per una organizzazione come Ban­ diera Rossa che operava fuori del CLN e dei suoi colle­ gamenti nazionali e internazionali. Il M.C.d’I. dispose inoltre di una piccola cellula in seno alla Pubblica Sicurezza e di alcuni elementi fatti infiltrare nel partito fascista (e alla fine scoperti e co­ stretti a darsi alla macchia). Particolarmente attivo fu Bartolomeo Del Vecchio il quale, dopo aver partecipato ai combattimenti della difesa di Roma e pur continuando a prendere parte a diverse azioni armate, era riuscito ad entrare a Palazzo Braschi, sede della federazione fa­ scista, e a ottenere dai tedeschi una tessera di libera circolazione e un porto d'armi. Fu grazie al Del Vecchio che Bandiera Rossa il 15 dicembre potè avvertire i frati di un convento di Monterotondo che i fascisti stavano progettando una ispezione per arrestare i ricoverati po­ litici. Del Vecchio in qualche occasione fu in grado di avvertire il comando del M.C.d’I. del luogo e dell’ora prescelti per i rastrellamenti e di fornire elenchi di anti­ fascisti ricercati. Accanto alle bande speciali cui abbiamo fatto cenno e che erano strettamente organizzate dal M.C.d’L, esiste­ vano altri numerosi gruppi impegnati nell’attività di as­ sistenza ai prigionieri evasi, ai renitenti alla leva, ai ri­ cercati dalle SS: oltre alle 50.000 carte d’identità false, esistevano a Roma almeno 23.000 falsi fogli di avvenuta presentazione ai distretti militari; 3.000 tessere false del­ la TODT; 15.000 permessi di soggiorno; 33.000 licenze di convalescenza. Non pochi di questi gruppi « specializza­ ti » in attività del genere aveva contatti e legami varia­ mente vincolanti con il M.C.d'L

2 II tenente Roberto Guzzo, che entrò a far parte del M.C.d’L, aveva lavorato per qualche tempo nel SIM (servizio militare in­ formazioni). Va ricordato che il generale Carboni, lo stesso che consegnò le armi a Luigi Longo alla vigilia dell’8 settembre, era stato dirigente del SIM.

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Autonoma ma collegata con Bandiera Rossa era la organizzazione-Rossi3. Essa aveva il suo centro nel sa­ natorio Ramazzini ed era diretta da Costantino Rossi. Accanto alle squadre dei sabotatori armati che parteci­ parono con gli uomini del M.C.d'I. a numerose azio­ ni, Forganizzazione-Rossi fece ricoverare nell'ospedale centinaia di prigionieri evasi e di giovani renitenti alla leva (questi erano suscettibili di essere passati per le armi in caso di cattura dopo il 9 marzo 1944). Nel Ramazzini si trovava anche la cassa del Soccorso Rosso, documenti dell'organizzazione, elenchi di compagni; lo stesso Cretara, per qualche tempo, trovò nel sanato­ rio un rifugio più comodo, anche se meno sicuro, della grotta sotterranea del Quadrare dove redigeva Bandiera Rossa. Il Ramazzini era stato trasformato per giunta in una specie di fabbrica di documenti falsi (particolar­ mente utili le tessere fatte in collaborazione con il com­ mendatore Zonghi Lotti, Cameriere d’Onore di Sua San­ tità, che trasformarono quasi tutti i dirigenti del M.C.d'I., in camerieri d'Onore di Pio XII: fu mostrando il pre­ zioso documento che Orfeo Mucci, fermato nel corso d'un rastrellamento, riuscì a farsi rilasciare). Gran copia di certificati medici attestanti la tubercolosi e altre gravi malattie furono forniti a chiunque fosse ostile al fasci­ smo o comunque non volesse collaborare con gli occu­ panti. Per provvedere al mantenimento dei malati del Ra­ mazzini Forganizzazione-Rossi effettuò requisizioni di be­ stiame che, altrimenti, sarebbe finito nelle mani dei tedeschi. La più complessa fu quella compiuta nella vac­ cheria di proprietà Remidi dove 18 uomini circondarono il grande caseggiato, all'Acqua Santa, e — eludendo la sorveglianza di circa 40 guardiani armati — trasporta­ rono un gran numero di vacche per una decina di chilo­ metri. Una squadra di Rossi si specializzò nella sottrazione di viveri e di generi di abbigliamento, di benzina e di munizioni a danno dei tedeschi e dei fascisti: essa, di solito, costringeva i camion a rallentare ostruendo la 3 Dopo la liberazione sorgerà un profondo dissidio tra il M.C.d’I. e Costantino Rossi; ad un certo punto sul giornale ap­ parve un comunicato ufficiale per avvertire che Costantino Rossi « non aveva mai fatto parte del movimento ».

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Strada con grossi massi; un paio di uomini salivano poi sull'ultimo camion della colonna e lanciavano ai loro compagni tutto quello che riuscivano ad afferrare. Molti ex-prigionieri alleati furono aiutati a passare il fronte e alcuni disertori della Wermacht, in genere au­ striaci, furono protetti e riforniti di quanto era loro ne­ cessario. Tre di essi, Erber Salamni, Hans Bracher e Stefan Fitcher, animati da ideali socialisti, vollero mi­ litare nelle file di Bandiera Rossa e furono tra i migliori combattenti contro il nazismo. Erbert Salamni in un in­ cidente morì e fu sepolto al Verano con un nome falso. Collegate alla organizzazione-Rossi ma senza vincoli diretti con il M.C.d'I., erano le sedicenti Squadre Sani­ tarie Volontarie. Ufficialmente le S.S.V. erano un settore della Croce Rossa: sulla porta della sede, nella scuola Luigi Michelazzi, era stata posta una targa con l'effige della lupa e la scritta SPOR per dare l'impressione di una dipendenza dal Governatorato di Roma. In realtà si trattava di una delle tante trovate tendenti a impedire che i nazisti reclutassero soldati e manodopera. Le S.S.V. ebbero ad un certo punto 2.000 iscritti, quasi tutti con­ dannabili alla pena di morte in caso di cattura. In alcuni casi le S.S.V., che erano dirette dallo studente universi­ tario Cataldo Gallo, salvarono anche cittadini che erano stati rastrellati facendo loro pervenire, attraverso i pa­ renti, un tesserino che testimoniava la loro appartenenza alla Croce Rossa. Gli iscritti alle S.S.V. potevano indos­ sare la divisa grigio-verde e mettere il bracciale interna­ zionale della Croce Rossa. La cosa funzionò con relativa tranquillità per qualche tempo ma poi la polizia comin­ ciò a notare, forse anche in seguito a delazioni, che gli uomini delle S.S.V. erano un po' troppo numerosi e, sia pure con qualche cautela iniziò le indagini. Il 24 maggio del 1944 la Croce Rossa Italiana denunciò le S.S.V. fa­ cendo pubblicare una diffida dai giornali di Roma. Catal­ do Gallo allora mutò il nome dell'associazione in « Batta­ glioni Sanitari di Pubblica Assistenza — Stella d'Italia ». Nei sotterranei della scuola che fungeva da sede fu­ rono fatte nascondere le armi del 15° concentramento di Bandiera Rossa. Lo stesso Cataldo Gallo, che infine aderì al M.C.d'I., concesse al Comitato Romano del movi­ mento l'ultimo piano della scuola per lo svolgimento delle sue riunioni.

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CAPITOLO V « La democrazia è il fucile sulle spalle degli operai ». (Lenin)

E' noto che nel Lazio non si sviluppò una guerriglia di dimensioni paragonabili a quella condotta dai parti­ giani del Nord. Tuttavia troppo spesso ci si è accontentati di giudizi sommari e non si è compiuto uno sforzo ade­ guato di ricerca sulla lotta che in certe zone e in deter­ minati periodi, anche nel Lazio, dette ai nazisti seri grat­ tacapi, conobbe pagine drammatiche, eccidi, atti di eroi­ smo individuale e collettivo, fraternità popolare e in­ ternazionalista. E" sotto questa luce che va esaminata fattività delle bande esterne del M.C.d’L operanti so­ prattutto in Sabina, nella fascia costiera compresa tra Civitavecchia e Orbetello, in alcune località dei Castelli Romani, in Ciociaria, nella provincia di Latina, ed anche in alcune zone dell’Umbria, jAbbruzzi, Toscana meri­ dionale. Nella casa di Ezio Malatesta, secondo alcune testimo­ nianze, fin dal 1942 si era cominciato a lavorare per or­ ganizzare formazioni partigiane sulle alture della regione. Ci si muoveva probabilmente sulla scia delle notizie che venivano dalla Jugoslavia e da altri paesi europei dove la Resistenza ai nazisti si era già andata sviluppando nella sua forma più classica. Le conversazioni e gli incontri che si svolsero nella casa del giornalista se non appro­ darono a risultati concreti prima dell'8 settembre, crea­ rono le premesse perché — quando il problema venne a maturazione, e cioè dopo l’armistizio, — la localizza­ zione e l’equipaggiamento delle prime bande avvenis­ sero con rapidità. Casa Malatesta, in piazza Cairoli, di­

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venne un centro della vita cospirativa romana fino al­ l'arresto del giornalista; in essa passarono rappresentanti di tutte le forze antifasciste dagli esponenti del Centro Militare Clandestino ai comunisti. E' pressoché impossibile farsi un'idea precisa delle forze che Bandiera Rossa riuscì a convogliare nella guer­ riglia fuori Roma. Una relazione1 del Comando Bande Esterne (Ezio Malatesta e Filiberto Sbardella), non da­ tata ma redatta quasi certamente ai primi del dicembre '43, fornisce un quadro estremamente ottimistico della situazione. Dal monte Amiata alla Ciociaria, dall’Umbria fino al Circeo, stando alla relazione, era tutto un pul­ lulare di uomini in armi, già impegnati contro i nazisti o prossimi ad entrare in azione. Se si confronta questa relazione generale a quelle particolari, redatte dai capi­ banda dopo la liberazione, si costata con facilità che le cifre vanno ridimensionate e che i combattenti, in questa parte d'Italia, si devono contare a poche migliaia e non a decine di migliaia. Ma una spiegazione di tanto ottimismo c'é. Nelle cifre date dalla relazione del Comando Bande Esterne si fa riferimento praticamente a tutti i militari sbandati dopo 1’8 settembre e anche ai prigionieri alleati evasi dai campi: tutti venivano ritenuti guerriglieri soltanto perché erano ammassati a gruppi in questa o quella località di montagna. La realtà, invece, era più complessa. Molti soldati, innanzitutto, non pensavano ad altro che a tor­ narsene a casa o, quanto meno, speravano di poter ar­ rivare alla fine della guerra senza dover nuovamente combattere: in essi l’orientamento antifascista era assai generico e prevaleva un senso di cocente delusione verso tutto e tutti, la sensazione di essersi fatti ingannare in nome di alti ideali patriottici. La maggior parte dei prigio­ nieri anglo-americani evasi, del resto, si poneva come principale obiettivo quello di passare le linee del fronte e raggiungere i propri reparti. Tutto questo però non è sufficiente a spiegare i li­ miti che ebbe la guerriglia nel Lazio. Soldati sbandati ed ex-prigionieri in realtà avrebbero anche potuto tra­ sformarsi in partigiani in misura maggiore di quanto ac­ cadde, se si fossero trovati in un determinato ambiente i Archivio Sbardella.

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e in certe condizioni obiettive. Non si può comprendere perciò la situazione senza fare riferimento alla realtà geografica, economica e demografica del Lazio in quel periodo. Allora certe caratteristiche, presenti anche oggi, come lo spopolamento della regione rispetto a Roma, la povertà di quasi tutte le campagne, la desolazione dei preappennini dove poche decine di migliaia di persone vivevano arroccate in villaggi sperduti, la difficoltà dei trasporti e delle comunicazioni, pesarono in modo deci­ sivo. Se la Resistenza più efficace fu sviluppata nei Ca­ stelli Romani bisogna ringraziare — oltre alla tradizione risorgimentale garibaldina e mazziniana, rinverdita dalle prime battaglie per il socialismo e dall'opposizione al fa­ scismo nei primi anni venti — anche il relativo adden­ samento della popolazione e un'agricoltura meno povera. Un'ultima considerazione: anche per quanto riguarda la guerriglia partigiana pesò fortemente l'illusione che nell'Italia centrale, a differenza di quanto accadrà nel Nord, vasti strati della popolazione pensarono di poter evitare una scelta radicale come quella che altrove sarà imposta dal prolungarsi dell'occupazione nazista e dalla persecuzione contro chi non collaborava. Le bande esterne di Bandiera Rossa, inoltre subirono una vera e propria decapitazione con l'arresto di Ezio Malatesta, del col. Gino Rossi e di altri dirigenti o uffi­ ciali di collegamento. La retata nazista, come sappiamo, avvenne in dicembre e cioè proprio quando era giunto il momento di compiere il salto dalla fase di organiz­ zazione e coordinamento delle bande all'intervento ar­ mato più efficace. Dopo tutti quegli arresti si accentuò, anziché ridursi, la caratteristica di autonomia militare e politica di numerose formazioni che poco sapevano le une delle altre e che mantenevano saltuari contatti con il centro romano. Una generica adesione alla linea del movimento era assicurata dalla presenza di un commis­ sario politico e dipendeva, in gran parte, dalle capacità di quest'uomo-chiave; d'altra parte la complessità della posizione del M.C.d'I. non sempre consentiva una chiara comprensione a contadini rimasti per tanti anni, o da sempre, estranei a qualsiasi dialettica politica. I contadini e i soldati sbandati più animosi imbracciavano le armi pensando che, una volta liquidati i nazifascisti, tutti in­ sieme avrebbero proseguito la lotta per farla finita con — 143 —

la miseria, l'emigrazione, e per conquistare la terra, il so­ cialismo. In alcuni casi i collegamenti venivano sollecitati dal­ le bande bisognose di armi o di esplosivi; in altri era il centro romano a chiedere alle formazioni partigiane in­ dicazioni sulla situazione militare esistente nelle loro zone per poi comunicarle agli Alleati attraverso radio­ trasmittenti o per il tramite di padre Borgia, un prete istallato in Vaticano e che espletava una precisa funzione di collaborazione con gli anglo-americani. Oltre alle bande esterne vere e proprie sono da pren­ dere in considerazione le scorribande effettuate dalle bande interne, cioè romane, che per vari motivi (di sicu­ rezza o per evitare rappresaglie sulla cittadinanza) ope­ rarono a molti chilometri dalla città e talora raggiun­ gendo addirittura i compagni istallati sulle montagne ab­ ruzzesi. Il « quartier generale » delle bande esterne di Ban­ diera Rossa fu istallato in un enorme scantinato, detto Grotta Rossa, in via Carlo Alberto, in una zona cen­ trale di Roma. Sopra c’era l'officina di un fabbro, Di Diego, piena di ferri vecchi, di ruote d'auto da riparare, di rot­ tami; per una scaletta ben celata si scendeva nel sotto­ suolo che si spalancava in una serie di grotte naturali di varia grandezza e intercomunicanti, prive di finestre e molto umide. Si trattava d un luogo, non soltanto utile, ma tale da esercitare, con la sua aria di mistero e per la somiglianza con le catacombe, una suggestione senza pari, una sensazione di completa solidarietà tra i mili­ tanti. Là sotto si poteva parlare e discutere ad alta voce anche se, per prudenza, quando si svolgevano le riunioni, qualcuno provvedeva a battere una mazza sull'incudine per coprire ogni altro rumore. A Grotta Rossa arrivavano le staffette e gli emis­ sari dalla provincia e dalle altre bande esterne; si ascol­ tavano le trasmissioni in lingua italiana di radio Mosca e di radio Londra. E fu a Grotta Rossa che molto spesso si tenevano i corsi di preparazione ideologica e politica, appassionati dibattiti che si prolungavano fino alle ore piccole quando ci si adattava a riposare distesi sulla terra dura e umida. Ecco come rievoca quell'atmosfera un testimone2: «Ma ognuno, quando usciva da Grotta 2 Cfr. « I nostri martiri », Ed. del M.C.d’I., Roma 1945; si

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Rossa, aveva un compito specifico, una missione par­ ticolare, un indirizzo certo; si passava dalla teoria della rivoluzione alla pratica; c’era un transito preciso dal libro, che era stato letto sotto il lume di una lampadina tascabile, alla strada; dalla riga stampata alla bomba; dal cervello alla mano e al fodero celato della rivoltella. Fu così che Grotta Rossa divenne di volta in volta scuola, casa, rifugio, posto di blocco, comando di tappa, posto di ristoro, fortezza e trincea nello stesso tempo. Palestra e campo d’azione. Arengo sepolto dal marciapiede e desco familiare, dove si inghiotte una minestra e dove si stam­ pano manifestini di propoganda da distribuire nelle cas­ sette delle lettere, negli androni dei casamenti, da far recapitare ai partigiani, da lasciar cadere al momento opportuno nei cinematografi ». Il fatto che ancora per vari mesi dopo l’arresto di Malatesta e dei suoi compagni Grotta Rossa continuò a funzionare, costituisce la riprova dell’eroica capacità di resistere alle torture di quel nucleo di martiri. Il « quar­ tier generale » però fu praticamente smobilitato nella se­ conda metà di marzo in seguito all'arresto di Troiani, Di Diego e degli altri caduti per la delazione di Priori mentre organizzavano l’attentato al cavo telefonico istallato sotto la chiesa del Russicum. Va infine ricordato che il Comando Bande Esterne di Bandiera Rossa e molte delle sue formazioni avevano stretti rapporti di collaborazione con l'organizzazione partigiana diretta dal vicesegretario del partito socialista, Carlo Andreoni; con i Cristiano Sociali; i repubblicani che nel Lazio avevano, in molte località, una larga base po­ polare. In certi posti le bande raggruppavano militanti del M.C.d'I., socialisti, cristiani-sociali e repubblicani. Prima di ricordare qualche tratto dell'azione mili­ tare svolta dalle bande esterne, é da sottolineare i legami che Bandiera Rossa aveva stabilito — al fine di dare la sua maggiore efficacia possibile alla lotta antifascista — con il Centro Militare Clandestino 3 e con gli Alleati. Oltre all’assistenza dei prigionieri evasi dopo 1’8 settembre (al­ cuni dei quali furono anche accompagnati oltre il fronte), tratta probabilmente di un lavoro collettivo ma redatto princi­ palmente da Francesco Cretara. 3 Cfr. quanto scrive il col. De Michelis in « Comando Rag­ gruppamento Bande Partigiane nell'Italia centrale », op. cit.

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Bandiera Rossa fornì agli angloamericani dettagliate in­ formazioni sulle forze e sulla dislocazione dei nazisti. Furono trasmesse per radio o consegnate a padre Borgia, 32 relazioni militari particolareggiate e, perfino, il ci­ frario segreto della marina subacquea tedesca. Ma il documento di maggior valore fu il piano di sbarco per le truppe alleate proposto dal col. Gino Rossi4. Esso era basato sulla perfetta conoscenza delle possibilità di resistenza dei tedeschi, del territorio da liberare e delle possibilità d'intervento dei partigiani. Considerando come andarono le cose ad Anzio dove, in luogo dell’avanzata fulminea verso Roma, si ebbero quattro mesi e mezzo di accanita battaglia, il piano stu­ diato dal col. Rossi appare ben impiantato. Il colonnello consigliava agli angloamericani innanzitutto di non sbar­ care ad Anzio perché i tedeschi avevano concentrato molte forze ai Castelli che dominano quel tratto del litorale; inoltre chiedeva che, nei giorni immediatamente prece­ denti l’operazione, venissero effettuate manovre diversive lungo le coste a nord di Roma per confondere le acque facendo credere a uno sbarco nei pressi di Civitavecchia o a un duplice sbarco. Un contingente di almeno quattro divisioni corazzate e di due divisioni motorizzate celeri sarebbe dovuto sbarcare sulla costa compresa tra Foce Sisto e Torre Astura; contemporaneamente, tutte le for­ mazioni partigiane, fino ad allora poco attive ma assai numerose nell'Agro Pontino, sarebbero intervenute di­ sturbando le retrovie tedesche e creando scompiglio nella preparazione della difesa. I partigiani, si precisava, avevano necessità di un robusto lancio di armi e del preavviso dello sbarco. Un intenso bombardamento degli obiettivi militari, che Rossi indicava con meticolosità agli Alleati, avrebbe dovuto completare la forza d'urto da scatenare immediatamente. Il piano delineava poi le direzioni e i tempi di una rapida avanzata verso Roma. Gli Alleati ricevettero questo piano ai primi di di­ cembre ma, pur traendone utilità per la messe di infor­ mazioni che conteneva, preferirono seguire in gennaio un’altra via, convinti che lo sbarco consigliato dal col. Rossi avrebbe fatto perdere tempo prezioso. In realtà la scelta di Anzio si dimostrò non felice. La sfasatura tra 4 Copia del piano del col. Rossi è conservato nell’archivio Sbardella. •

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lo sbarco e la liberazione della capitale costò ai romani gravissimi lutti e immensi sacrifici di ogni genere. Dopo Varreste del col. Rossi, le masse di soldati rac­ coltisi sul monte Circeo e in altre zone dell’Agro Pontino si dispersero; soltanto pochi elementi si unirono agli uomini che a Latina (allora Littoria) avevano aderito a Bandiera Rossa. Anche in quella provincia furono effet­ tuate azioni di sabotaggio ma esse non ebbero la conti­ nuità e il rilievo della guerriglia condotta in altre loca­ lità del Lazio, e delle zone limitrofe dell’Abbruzzo, del­ l'Umbria e della Toscana. Una delle prime bande esterne fu quella organizzata sul monte Boragine, in provincia di Rieti, per iniziativa del Comando Bande Esterne dopo che dal vicino campo di prigionia erano evasi migliaia di soldati alleati. L'in­ carico organizzativo fu affidato a Giovanni Mariani il quale dette una struttura più solida a quella collabora­ zione sorta spontaneamente tra i contadini che avevano assistito i soldati alleati perché animati da sentimenti antifascisti; inizialmente la banda risultò formata da 15 partigiani e da 30 patrioti con un armamento consistente in 12 moschetti, bombe a mano fabbricate dai partigiani, due mitragliatrici e 15 pistole automatiche. Gli Alleati promisero un lancio di armi che però non fu mai effet­ tuato. La prima azione di un certo rilievo avvenne il 26 set­ tembre 1943 sulla via Salaria, tra Bacugno e S. Croce, dove un’autocolonna tedesca, attaccata a raffiche di mitra, subì gravi perdite. Nelle settimane successive i tedeschi cominciarono a sorvegliare la zona e nella notte tra il 10 e 1'11 dicembre riuscirono a entrare in contatto con alcuni nuclei della banda: nelle scaramucce gli uomini della Wermacht ebbero qualche ferito ma, intanto, la si­ tuazione, si era fatta più pericolosa per i guerriglieri che dovettero trasferire il campo delle loro operazioni più a nord. Nella notte tra il 28 e il 29 la « Boragine » assalì un’altra autocolonna infliggendo al nemico tre morti e alcune decine di feriti: i tedeschi, il giorno dopo, ra­ strellarono la zona per rappresaglia. In uno scontro svol­ tosi il 22 gennaio rimase ferito il partigiano austriaco Filippo Graz che aveva abbandonato la Wermacht per lottare contro i nazisti. La banda di monte Boragine intensificò ulteriormente la sua azione di sabotaggio tanto che i tedeschi nel tratto

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compreso tra Atrodoco, Città Reale e Leonessa piazza­ rono enormi cartelli per avvertire le autocolonne; « At­ tenzione! Zona battuta dai ribelli! » Nel mese di marzo l’operazione di maggior rilievo fu il minamento del ponte di Posta Leonessa: in seguito al crollo il traffico delle autocolonne fu interrotto. In aprile si ebbero ripetuti scontri a fuoco. Durante la ritirata dei tedeschi, nel periodo 25 maggio-10 giugno, le truppe che transitavano sulla Salaria furono più volte attaccate dalle alture con raffiche di mitra e lancio di bombe a mano. Più a sud operò la banda Gallese il cui commissario politico fu Marcello Poce, il figlio di Antonio. Anche que­ sta formazione si sviluppò quasi spontaneamente dopo 1’8 settembre con la raccolta di armi e saltuari scontri con i tedeschi sostenuti, soprattutto, da soldati sbandati (lo stesso Marcello Poce fu sorpreso dall’8 settembre mentre era sotto le armi). La banda inizialmente non superò le 15 unità, era dotata di una mitragliatrice, otto fucili mitragliatori, 50 bombe a mano, 12 moschetti e pistole automatiche. Le azioni di sabotaggio furono in­ dirizzate soprattutto contro le linee telefoniche, i binari ferroviari, i fili dell’elettricità. I primi contatti con Ban­ diera Rossa li ebbe attraverso Marcello Poce soltanto nel gennaio 1944. I principali scontri armati avvennero dal 4 al 7 giugno quando la banda costrinse a fuggire da Gallese soldati tedeschi che volevano procedere a un ra­ strellamento, attaccò successivamente un gruppo di gua­ statori della Wermacht che cercavano di occupare il pae­ se per devastarlo. Il 6 giugno la banda occupò militar­ mente Gallese e distribuì alla popolazione alcuni quanti­ tativi di viveri sottratti il giorno prima a una chiatta tedesca sul Tevere. Nei due giorni successivi i partigiani furono ancora impegnati nel fiancheggiamento delle trup­ pe alleate che avanzavano con estrema prudenza. Più robusta fu la banda Poggio Mirteto dei Gruppi Mazziniani d’Azione e anch’essa affiliata a Bandiera Rossa. Risultò composta fin dall’inizio da un centinaio di uomini divisi in cinque squadre; ebbe sei caduti, quattro dei quali in combattimento e due alle Fosse Ardeatine; operò nel cuore della Sabina, nella zona compresa tra la via Salaria e Rieti. La Poggio Mirteto il 3 ottobre assalì un’autocolonna della TODT che transitava sulla Salaria; tre giorni do­ po un sottufficiale della Wermacht fu ucciso. I tede­

schi reagirono incendiando il villaggio Monte del Gallo e massacrando dieci donne. A metà ottobre la banda, accresciuta di numero, per sfuggire ai rastrellamenti, ri­ parò verso le alture boscose dei Monti Maialini. Dopo alcuni colpi di mano di normale amministrazione, la Poggio Mirteto il dieci novembre aggredì a Salisano i tedeschi che stavano trascinando i cittadini rastrellati poche ore prima: durante il combattimento molti rastrel­ lati fuggirono ed alcuni si aggregarono alla banda. In dicembre si ebbero contatti con la brigata garibaldina operante sul monte Tancia e fu risposto generosamente alla richiesta di aiuto in armi. Il 20 gennaio la banda perse due uomini, Eugenio Eusebi e Giuseppe De Vito (quest’ultimo era stato podestà fascista di Poggio Mir­ teto ma poi si era unito alla organizzazione clandestina) che si erano recati a Montenero per un convegno con il commissario politico Giuseppe Palmidoro. Durante l’inverno molte azioni furono dirette a sottrarre viveri ai tedeschi e ad intralciare i trasporti del nemico. Il 6 marzo i fascisti presero prigionieri due partigiani mentre trasportavano viveri alla banda ma il giorno seguente, mentre i repubblichini accompagnavano i due e il loro carico a Rieti, la Poggio Mirteto intervenne in forze uccidendo un fascista, ferendone due e catturandone tre. Pochi giorni dopo altro scontro a fuoco contro tede­ schi che stavano rastrellando la zona. Nuovi combatti­ menti il 24 e il 30 marzo, il 10 e il 18 aprile. Di tanto in tanto la banda si spostava da un monte all’altro per evitare che le popolazioni subissero rappre­ saglie. Dopo un assalto a maggio contro un’autocolonna tedesca, si arrivò alle infuocate giornate dei primi di giugno. La banda si spostò nei dintorni di Poggio Mirteto per difenderla dai guastatori della Wermacht: il 5 giugno due squadre attaccarono un reparto di guastatori che cercava di far saltare il ponte di Salisano uccidendo sette nemici e ferendone molti altri. Il giorno dopo, reagendo a violenze ed angherie dei germanici contro la popola­ zione inerme, sulla strada di Castel S. Pietro fu fatta saltare una camionetta tedesca provocando la morte dei cinque soldati che vi si trovavano sopra. Nei giorni 7 e 8 giugno si decise di non effettuare l’insurrezione perché tutto il paese era stato minato dai nazisti. Ma due giorni dopo gli occupanti vollero vendicarsi sulla popolazione per il suo atteggiamento ostile: spalancarono alla gente

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affamata un magazzino colmo di viveri; quando la folla si ammassò per prendere qualche cosa, spararono sul mucchio uccidendo 30 persone e ferendone molte altre. I partigiani intervennero per soccorrere i feriti abbando­ nati sulla strada ed ebbero due morti. Il 13 giugno la Poggio Mirteto decise una controrappresaglia: il pon­ te di Salisano fu fatto saltare con mine proprio mentre vi transitava un'autocolonna tedesca. Se la via Salaria fu assai inospitale per i nazisti, la Aurelia non fu da meno. Lungo questa arteria, o meglio nel suo retroterra, operarono con continuità e coraggio numerose bande di Bandiera Rossa. Nella zona compre­ sa tra Tuscania, Tarquinia, Arlena e Montefiascone agì la Giacomo Matteotti composta inizialmente da 50 uomini e, verso la fine, da 150, dotata di due mitragliatrici Breda, 95 mitra, 92 moschetti, 36 fucili tedeschi, 15 pistole e 450 bombe a mano. Questa formazione inflisse ai nazisti 25 morti subendone soltanto tre. Tra 1'8 e il 9 giugno '44 liberò Tuscania arrestando 37 soldati della Wermacht e numerosi collaborazionisti. Oltre alle 19 azioni di sabo­ taggio, la Giacomo Matteotti sostenne, a partire dal primo ottobre, undici scontri a fuoco con i nazisti (tali com­ battimenti ebbero luogo a Tarquinia, nei pressi della Tenuta Carcarella, ad Arlena, lungo la spiaggia di Montalto-Tarquinia). Poco distante e con risultati egualmente rilevanti operò la banda Tarquinia che praticamente raccolse tutti gli antifascisti della cittadina di vaga ispirazione comunista, aderenti al M.C.d'L più per una necessità or­ ganizzativa che per consapevolezza politica. Questo grup­ po iniziò la lotta armata il 13 settembre recuperando le armi abbandonate e uccidendo due tedeschi nei dintorni del ponte ferroviario sul fiume Marta. Il 12 ottobre attac­ cò il campo d'aviazione tedesco a Carcarella facendo esplodere un cannone della difesa antiaerea e asportando armi (in questa azione subì un morto); due giorni dopo, m seguito alla delazione d'un fascista, due battaglioni tedeschi accerchiarono la zona in cui si era rifugiata la banda: il combattimento durò dall'alba fino al tramonto perché sembrava preclusa qualsiasi via di scampo. Nella notte però i partigiani poterono ritirarsi alla spicciolata per poi riorganizzarsi in località Ancorano. Il duro scon­ tro costò la vita a quattro partigiani (Michele e Bernar­ — 150 —

dino Correnti, Manfredo Mariani e Romeo Centini) e l’arresto di altri sette. Nei mesi di novembre e di dicembre, oltre al sabo­ taggio contro le ferrovie e le comunicazioni telefoniche, la Tarquinia eliminò un repubblichino e due tedeschi; successivamente l’azione fu limitata al sabotaggio per­ ché tutte le famiglie dei partigiani erano state minacciate di essere passate per le armi. Più a est, e cioè ancora in Sabina, si incontra la banda di Poggio Moiano forte di 44 combattenti e 13 collaboratori. Questo gruppo che il 9 giugno ebbe quattro morti (Settimio Aloisi, Carlo Angeloni, Aurelio Mancia e Oreste Agamennone) combattendo contro i tedeschi che volevano far saltare il tronco stradale Orvino-Poggio Moiano, fu formato il 10 settembre per iniziativa di Ubaldo Palmidoro, fratello di Giuseppe, ritornato dal fronte russo dove aveva fatto un’esperienza sconvolgente. La banda, che si chiamò Faito era formata in parte da soldati sbandati della divisione Piave e in parte da gente del luogo; la sua prima attività fu quella di assi­ stere i prigionieri alleati evasi ma successivamente passò ad un intenso sabotaggio e raggiunse il momento più alto nei combattimenti del 9 giugno. Nei dintorni di Viterbo si formò un concentramento di Partigiani denominato CAFAT, alle dipendenze di Ban­ diera Rossa e comandato da Attilio Vagnoni. All’inizio fu svolta, in collaborazione con il PCI, una intensa pro­ paganda antifascista, e il soccorso a circa 800 tra militari sbandati ed ex-prigionieri. Oltre al sabotaggio, il gruppo curò la pubblicazione, in accordo con don Alceste Grandori, di un giornale, il Corriere viterbese, e rifornì di armi la banda Buratti, Il 9 giugno i partigiani del CAFAT e del CLN combatterono insieme contro i nazisti e libe­ rarono Vitor chiane. A sud di Roma, nella zona compresa tra Aprilia, Pomezia e Campo di Marte, per alcuni mesi fu molto attiva la banda Castel Giubileo, una delle prime ad essere organizzata per iniziativa del maggiore Ricciotti De Lellis. Dopo l’arresto e la fucilazione del maggiore, il gruppo rallentò il ritmo degli attacchi contro fascisti e tedeschi e dei sabotaggi. Tuttavia va rilevato che si trovò sempre ad agire in una situazione infuocata, nelle immediate retrovie del fronte di Anzio. Un poco più all'interno, nella zona dei Castelli Ro-

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mani, operarono tre o quattro gruppi di Bandiera Rossa: la Zagarolo fu protagonista di imprese audacissime come la liberazione dal carcere di Albano del suo comandante Ricciardetto De Simone e di un altro partigiano, arre­ stati il 10 dicembre; in febbraio assalì e uccise quattro tedeschi; nello stesso mese alcuni partigiani caddero in un rastrellamento nazista; in marzo fu danneggiato il ponte Colonna sulla via Casilina (l’esplosivo si rivelò insufficiente per distruggerlo completamente). Un altro gruppo molto attivo fu quello di Frascati che, dopo lo sbarco di Anzio, intensificò il suo impegno disturbando in tutti i modi possibili il movimento delle autocolonne che andavano o tornavano dal fronte e aiutando ex-pri­ gionieri russi. Nel mese di maggio, durante uno dei consueti attacchi contro un’autocolonna, numerosi par­ tigiani restarono feriti. Il 4 giugno furono fatti prigio­ nieri sette soldati tedeschi. La banda Frascati funse anche da tramite tra il generale Bencivegna, esponente del Comando Militare Clandestino, e Antonio Poce. A Palestrina, paese natale dei fratelli Sbardella, ope­ rò la banda Carchitti che uccise sei tedeschi e ne ferì altri. A Vignanello una banda di circa trenta uomini ebbe sette morti: uno su quattro! Questo gruppo il 26 novem­ bre uccise due tedeschi, il 10 gennaio altri tre, il 20 dello stesso mese eliminò quattro soldati di scorta a un camion che trasportava prigionieri americani. Il 28 maggio or­ ganizzò a Vignanello una sommossa popolare contro i repubblichini accusandoli di attirare con la loro presen­ za i bombardamenti sul paese: l’indomani il reparto si trasferì a Vallerano ma anche là fu organizzata una pro­ testa di massa. Il 5 giugno la Vignanello liberò 200 prigionieri alleati; il giorno dopo occupò la caserma dei carabinieri e la locale sede fascista. I tedeschi per rappre­ saglia uccisero numerosi partigiani, tra i quali ,tre di Bandiera Rossa; nella stessa giornata Filippo Pochetti fu impiccato dai tedeschi perché trovato in possesso d una tessera del M.C.d’I. Sfortunato in misura eccezionale fu un piccolo grup­ po, quello organizzato da Pietro Bartolomeo presso la sua azienda agricola di Isola Farnese. Dopo aver combat­ tuto alla Cecchignola e all’Aventino nella difesa di Roma e dopo aver compiuto varie azioni di sabotaggio nelle zone attraversate dalla via Cassia, la banda fu scompa-

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ginata dalle SS in seguito a una delazione: su 25 elementi quttro furono fucilati (i fratelli Alfredo e Mario Capecci, Concetto Fioravanti e Mario Mechelli), il capobanda cad­ de combattendo, altri 12 furono deportati in Germania. Abbiamo già fatto cenno alle bande pendolari, vale a dire alle squadre armate che, inserite nell'organizza­ zione romana, di tanto in tanto si spostavano nella provincia e ancora più lontano scegliendosi liberamente il teatro delle operazioni. Il gruppo di sabotatori raccoltisi attorno a Tom­ maso Moro, alias maresciallo Guarnera, il 4 ottobre si trovava a Latina dove fece deragliare un treno; subito dopo si trasferì a nord di Roma, ma raggiunto Orbetello, cominciò a ridiscendere verso la capitale effettuando in continuazione atti di sabotaggio e interrompendo, tra l'altro, il cavo telegrafico di Grosseto. Gli uomini di Guarnera che si portavano addosso tre mitragliatrici, arrivarono a Roma dove, come sappiamo, il primo dicem­ bre liberarono a Forte Bravetta undici condannati a morte. Più tardi ripresero le scorribande e il 14 aprile sull'Appia Antica attaccarono e distrussero sei camion carichi di materiale esplosivo. Tra le altre pendolari va annoverata la banda Cesetti che usufruiva di una larga autonomia anche se era inquadrata nella « zona » comandata da Eusebio Troiani. Attivissima fin dai giorni della difesa di Roma la Cesetti, dopo aver effettuato una raccolta di fondi e una distribuzione di volantini per conto del PCI, si spostò a Palestrina dove attaccò un autocarro tedesco ed eliminò due spie. Sempre in ottobre, eliminati due soldati tedeschi in una aggressione notturna, il gruppo giunse alla stazione di Latina dove distrusse un treno; tornò per qualche tempo a Roma cercando di far saltare il cavalcavia di Prima Porta ma senza riuscirci a causa dell’intervento tedesco e ripartì quindi per la zona di Palestrina dove effettuò numerose azioni di sabotaggio e sostenne varie scaramucce contro i nazisti. Nel mese di dicembre fece brillare alcune mine sulla linea ferro­ viaria Roma-Napoli, all’altezza del ponte di Cisterna, poi provocò un incendio nell’aeroporto di Ciampino e la stessa impresa ripetè in una officina tedesca di Castel Giubileo. In gennaio la spola si fece ancora più frequente e i colpi di mano nella zona compresa tra la periferia — 153 —

di Roma e i Castelli furono alternati a quelli effettuati in pieno centro come quando in via dei Fori Imperiali e al Colosseo furono gettati i chiodi a tre punte. La Cesetti ai primi di febbraio operò al Quarticciolo dove asportò armi da un deposito fascista e, su­ bito dopo, uccise tre tedeschi nei dintorni di Zagarolo durante un violento scontro armato. Riuscì a far nascon­ dere dal pastore Felice Valente sette prigionieri ameri­ cani evasi e tornò quindi nella periferia romana dove disarmò un sottufficiale tedesco in un'osteria di Tor Pignattara, tagliò fili telefonici sulla via Laurentina, as­ salì a bombe a mano tre camion della Wermacht (nel combattimento due partigiani rimasero feriti). Il 20 feb­ braio una piccola beffa: Elio Paccara e un suo compa­ gno, vestiti da fascisti e trovato un camion tedesco fer­ mo in piazza Crati, pensarono d'impossessarsene ma poiché non riuscivano a metterlo in moto, ordinarono a una pattuglia di fascisti veri che passava da quelle parti di aiutarli a spingere: i repubblichini ubbidirono volenterosi e per un bel po’ dettero fondo a tutte le loro energie per aiutare gli uomini di Bandiera Rossa. In marzo la Cesetti tentò di far saltare il ponte di Colonna, sulla Casilina, e attaccò il campo di muni­ zioni Biber sulla strada che va dalla Madonna della Scoperta (in provincia di Terni) a Poggio di Otricoli. Tornò precipitosamente a Roma per uccidere una SS in via delle Sette Chiese e per ripartire subito dopo: a Terricola tagliò tre fili telefonici, a Tuscania appiccò il fuoco a un carro armato e aiutò cinque disertori austria­ ci rifornendoli di armi e di viveri. Le prime azioni in aprile furono compiute nella periferia di Roma sulla via Appia, alTAcqua Santa, assalendo tre automezzi tedeschi costretti a fermarsi dai chiodi a tre punte (il combatti­ mento si concluse con la distruzione dei camion, la morte di un soldato e la fuga degli altri); sulla stessa strada la Cesetti effettuò un attentato alla dinamite contro sei autocarri. Scottando di nuovo la terra sotto i piedi, il gruppo nel mese di maggio operò in provincia. Il 5 giu­ gno, però, si trovò a Roma per prendere parte agli scon­ tri finali e seguitò a battersi nei giorni seguenti contro i tedeschi in Sabina. Analoghe avventure visse il gruppo comandato da Agostino Pelliccioni che fu attivo a Roma, Palestrina,

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Zagarolo e a Cave. Qualche puntata fuori città fu com­ piuta anche dalla banda Albule che spingendosi lun­ go la via Tiburtina, raggiunse l'Abruzzo (ad esempio il 22 aprile a Carsoli bloccò in un lungo combattimento un'autocolonna tedesca). Antonio Americola fu istituzionalizzato come pen­ dolare dalla nomina a ispettore interprovinciale: il suo gruppo, che fu tra i primi a intervenire nella difesa di Roma, e che da Bandiera Rossa venne inquadrato nella II zona, organizzò bande armate a Tuscania, Tarquinia, Valmontone, Carpineto Romano, Vignanello, Acuto e in varie altre località del Lazio. Per tutto il periodo dell’oc­ cupazione, Americola e i suoi uomini, oltre a dare un attivo contributo all'azione di sabotaggio, si sforzarono di tenere collegate le bande da essi organizzate e di rifornirle di armi e di viveri nei limiti del possibile. Della Americola faceva parte anche Costantino Impeperiali, fucilato alle Ardeatine. In una delle sue scorri­ bande il gruppo scoprì e segnalò al Comando di Ban­ diera Rossa l'esistenza di un aeroporto tedesco, con 250 aerei, nei pressi di Viterbo: la notizia fu trasmessa con tutti i particolari agli Alleati che provvidero, il giorno dopo (17-5-44) a bombardare pesantemente il campo. Anche questa banda fu particolarmente attiva nei giorni della liberazione. A volte, in seguito alla cattura di questo o quelTelemento, gli uomini di un raggruppamento preferivano trasferirsi in massa in montagna per evitare l'arresto o la troppo difficile clandestinità cittadina. Fu così che la banda Montesi, dopo la scoperta di una spia, partì quasi tutta verso l’Abbruzzo e accompagnò due ex-prigionieri americani oltre il fronte. Francesco Ciaravella volle poi ritornare nella zona occupata ma fu arrestato dai te­ deschi e fucilato alle Ardeatine. Uno dei due gruppi nei quali si era diviso la banda per meglio oltrepassare il fronte, fallì l’impresa perché intercettato dai tedeschi ma riuscì a sottrarsi alla cattura e continuò a battersi nel Lazio e nell’Abbruzzo : soltanto Giulio De Giuli che aveva preferito tornare a Roma, fu arrestato e deportato a Mathausen. In pratica quasi tutte le bande effettuarono una o più imprese che in base a una logica astratta cadevano sotto la giurisdizione del Comando Bande Esterne. Ad — 155 —

esempio anche la Pepe e altri gruppi compirono nu­ merosi attentati a treni che transitavano lungo la RomaVelletri. Uomini dell’organizzazione diretta da Costantino Ros­ si si spostarono talvolta in provincia per raccogliere armi e viveri. In uno di questi viaggi, elementi della Rossi, in collegamento con un gruppo di partigiani di Mazzano Romano, effettuarono azioni di sabotaggio lungo la via Cassia e la Flaminia: i tedeschi un brutto giorno piombarono sul paesino e costrinsero tutti gli abitanti a radunarsi sulla piazza principale. Le due compagnie di SS puntarono le mitragliatrici sulla folla e poi chiesero con tono ultimativo dove si trovassero nascosti i partigiani. Il comportamento di quella povera gente fu esemplare: risposero ai nazisti che non esiste­ vano partigiani veri e propri e che tutti loro avevano compiuto una o più azioni di sabotaggio. Una simile prova di fierezza mandò in bestia i tedeschi: chiamarono il parroco e gli dissero di svolgere in fretta gli uffici religiosi collettivi perché di lì a poco avrebbero mitra­ gliato la popolazione. A questo punto tre giovani decisero freddamente di sacrificarsi per salvare tutti gli altri: uscirono dalla folla e dissero ai tedeschi che li avreb­ bero condotti nel nascondiglio dei partigiani. Le SS ri­ partirono trascinandosi via i tre giovani che, natural­ mente, non tornarono mai più a Mazzano. Uno dei tre martiri era figlio di Pietro Pancrazi di Bandiera Rossa. In tutto il Lazio dunque, nella generale ostilità delle popolazioni al nazifascismo e nell’altrettanto generale aspirazione a una nuova società, libera dallo sfrutta­ mento e dalla miseria, il M.C.d’I. seppe inserirsi, accanto al PCI e alle altre forze politiche di sinistra, con inizia­ tive e organizzazioni capaci di dare filo da torcere a tedeschi e repubblichini nonostante le enormi difficoltà obiettive. I comuni « rossi » dei Castelli Romani e delle altre zone del Lazio fecero una scelta storica proprio in quei duri mesi dell’occupazione nazista. Da allora molte cose sono cambiate, ma il loro colore politico è rimasto immutato.

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CAPITOLO VI « Io non sono comunista e mi sa­ rei -fatto impiccare da voi piuttosto che fare la rivoluzione comunista ».

(Ferruccio Parri)

Roma è Punica grande città italiana, da Napoli in sù, in cui la liberazione non ebbe luogo attraverso una sollevazione popolare. Questo fatto rappresentò un suc­ cesso delle forze politiche che paventavano arditi sviluppi della Resistenza in direzione rivoluzionaria. L’insurrezione nella capitale avrebbe indubbiamente avuto effetti psico­ logici di tutto rilievo e non solo in Italia; avrebbe inol­ tre rappresentato una svolta nella storia di questa città papalina prima e burocratico-fascista poi. Quelle masse popolari che venivano tenute nei ghetti, ben lontani dalla « caput mundi » della retorica cattolica e patriottarda, avrebbero dunque fatto irruzione, armi alla mano, nel centro della città impossessandosene e, magari, portando davanti a tribunali del popolo gli alti papaveri della buro­ crazia, dell'esercito, i finanzieri e gli altri esponenti del­ l’apparato statale ed economico che per venti anni ave­ vano appoggiato il fascismo e che ora speravano in un comodo trapasso da un regime borghese fascista a un regime borghese democratico? Contro questa prospettiva si batterono a fondo il Vaticano e il governo inglese. Ed ebbero partita vinta. Non si possono tuttavia tacere i tempi e i motivi che indussero i partiti operai, compreso il M.C.d’L a ri­ nunciare all'insurrezione.

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Roberto Battaglia 1 afferma che « la mancata insur­ rezione di Roma è il capolavoro della politica vaticana ». Questo giudizio rischia di diventare troppo unilaterale se non è accompagnato da una ricerca sulle condizioni oggettive e sulle responsabilità soggettive che consenti­ rono al Vaticano di realizzare il suo disegno attraverso una intesa con il Comando germanico. Il CLN a Roma, anche dopo la costituzione del go­ verno Badoglio-partiti e il riavvicinamento di Bonomi, non superò le sue divisioni interne e non divenne mai un effettivo centro di direzione e organizzazione della lotta. Abbiamo già visto come la svolta di Salerno avesse riacutizzato il dissidio tra PCI e partito socialista e alFinterno di questi due partiti. Nel PSIUP Carlo Andreoni fu allontanato dagli incarichi dirigenti pur restando a capo di una organizzazione partigiana. Nel PCI si registrò un calo dello slancio di base: ad affermarlo non sono soltanto storici come Pisciteli!i2 ma le stesse fonti comu­ niste: in una lettera3 di un dirigente che si firma col nome di battaglia di « Giovanni » e diretta al « compa­ gno G. » nelFillustrare le difficoltà incontrate dal partito comunista a Roma verso la fine delFoccupazione nazista, si elencano cinque cause: 1) il prolungarsi delFoccupazionc oltre i limiti di tempo sperati; 2) la riorganizza­ zione della polizia; 3) lo scioglimento dei GAP (due dei quali erano stati arrestati al completo in seguito alla de­ lazione 4 di Blasi) imposto da motivi di sicurezza; 4) dalla « rapida estensione tra moltissimi compagni di base e purtroppo anche fra non pochi quadri, specie nei capisettore, di un generico e pernicioso senso di sfiducia

i R. Battaglia « Storia delle Resistenza italiana », Torino, Einaudi, 1953. 2 Cfr. l'intervento di Piscitelli al convegno sulla Resistenza i cui atti sono stati pubblicati nel numero speciale di « Rassegna del Lazio », ottobre 1964. 3 Archivio PCI. Sempre sulle difficoltà del PCI romano a partire da marzo cfr. su « Critica Marxista », anno 3, n. 2, la « Lettera al Nord » inviata dalla Direzione romana a quella Alta Italia. 4 G. Blasi per qualche tempo era stato un valoroso gappista distinguendosi in numerose azioni ma poi, arrestato dalla po­ lizia italiana nell’aprile 1944 mentre rubava, finì con il tradire i suoi compagni e mettersi al servizio della banda di Koch. Il suo tradimento portò alla decimazione dei GAP.

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verso il cosiddetto Centro »; 5) il fallimento dello scio­ pero. La lettera non spiega i motivi del diffondersi così rapido e ampio del « generico e pernicioso senso di sfidu­ cia verso il cosiddetto Centro » ma è significativo che il fenomeno si verifica nell’ultima fase dell’occupazione nazista, e cioè dopo la svolta di Salerno. Altro fatto da rilevare è la indicazione del gruppo dirigente del PCI con la parola Centro: abbiamo già visto che la stessa cosa facevano Bandiera Rossa e Stella Rossa alludendo sia alla linea del PCI considerata centrista (secondo la ter­ minologia leniniana) e sia alla tradizionale denomina­ zione organizzativa (durante gli anni della clandestinità lo stesso PCI indicava il gruppo dirigente con la parola Centro). E’ però vero che il contraccolpo politico della par­ tecipazione dei partiti antifascisti al governo di Badoglio fu soltanto uno dei motivi del calo di slancio combattivo registrato a Roma in tutte le formazioni, non escluso il PCI che pure restò sempre per il numero e lo spirito di sacrificio la parte preponderante dello schieramento antifascista. E’ stato già osservato che Roma « fu assediata non soltanto dai tedeschi e dai fascisti, ma dalla fame »5 e che fu la città in cui più a lungo si patì il digiuno. Nel mese di maggio la penuria di viveri si aggravò ulterior­ mente determinando problemi angosciosi di sussistenza. Procurare per sé e per i propri familiari quanto era in­ dispensabile per non morire, divenne un incubo per i romani, soprattutto per quelli più poveri che erano poi l’elemento predominante nei partiti operai e attorno ad essi. E’ vero che la fame spinge il lupo fuori della tana, è vero che le difficoltà alimentari costituivano un incen­ tivo alla ribellione, ma non bisogna dimenticare che esi­ ste un limite alla sopportazione umana. L’angoscia che si prova nel vedere i propri figli deperire per fame può risultare paralizzante a lungo andare; l’umiliazione di dover frugare tra i rifiuti per trovare qualche cosa da mettere sotto i denti, può avere disastrose conseguenze psicologiche. Nonostante tutte queste difficoltà oggettive, nono­ s Cfr. il cit. intervento di Pisciteli!.

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stante le crisi politiche e la migliorata organizzazione della polizia fascista, permaneva a Roma un clima preinsurrezionale6. I partiti antifascisti discussero anima­ tamente se si dovesse tentare ugualmente di trascinare la popolazione all'insurrezione iniziando combattimenti in punti diversi della città. I partiti legati al Vaticano e alla borghesia reazionaria furono naturalmente ostili a qualsiasi tentativo del genere ma PCI, partito socialista e Partito d’Azione esitarono fino all’ultimo. Essi, secondo alcuni calcoli7, non potevano contare su più di 2.500 uo­ mini forniti di armi leggere e su circa 5.000 organizzati. Ma non ignoravano certamente che un altro cospicuo contingente di partigiani, sperimentati e coraggiosi, po­ teva essere messo in campo da Bandiera Rossa e che esistevano inoltre altri gruppi, sia pure minori, legati ai Comunisti Cattolici, ai Cristiano-Sociali, ai repubblicani e alle altre forze che operavano fuori del CLN. Né trascu­ ravano il fatto che dalle borgate, rese ancora più infiam­ mabili dalla fame e dai rastrellamenti nazisti, poteva divampare una lotta di massa. E si sapeva che i tedeschi nella loro ritirata sarebbero stati costretti a transitare — come poi avvenne e non pacificamente — nelle vie che lambivano le Capannelle, Quarticciolo, Centocelle, Qua­ drare, Tor Sapienza e le altre borgate ormai famose: dovevano insomma effettuare quella delicatissima opera­ zione che è una ritirata passando su un vero e proprio terreno minato. Le opinioni furono mutevoli e contrastanti. Fino al­ l’ultimo tutto venne tenuto pronto per scattare all'even­ tuale ordine di insurrezione. I comunisti, sulle cui spalle pesavano i compiti più gravosi, chiesero consiglio a To­ gliatti. Il segretario del partito 8 fece sapere che i comu­ nisti non avrebbero in nessun caso dovuto restare isolati: avrebbero gettato tutte le loro forze nell’insurrezione soltanto se questa fosse stata approvata dalle altre for­ mazioni politiche e partigiane che operavano a Roma. Nella valutazione di Togliatti, oltre alla linea politica generale, influiva probabilmente il convincimento che in caso di insurrezione armata il Comando germanico 6 II giudizio è di R. Battaglia e non è stato mai da nessuno messo in discussione. 7 Cfr. « Il sole è sorto a Roma », op. cit. s Ibidem.

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avrebbe ordinato alle sue truppe di combattere casa per casa: il ritardo nella liberazione di Roma che ciò avreb­ be prodotto, si sarebbe scaricato in un rinvio della par­ tenza di due divisioni alleate da Caserta al « secondo fronte » della Normandia (come è noto lo sbarco fu a lungo rinviato con vari pretesti ma soltanto perché Chur­ chill voleva che l’URSS si dissanguasse al massimo so­ stenendo l’urto maggiore della potenza militare nazista). Allora non si sapeva quello che più tardi avrebbe dichiarato il generale tedesco von Mackensen9: « Si ven­ ne a creare in Roma una situazione così pericolosa che le truppe germaniche non pensarono neppure un istante a trincerarsi dentro la città perché erano sicure che sarebbero state cacciate a furor di popolo ». Tutti i drammatici sviluppi della vigilia furono se­ guiti con spasmodica attenzione dai dirigenti e dai mili­ tanti di Bandiera Rossa. Essi, come sappiamo, mantene­ vano contatti con tutti i partiti antifascisti e con lo stesso Comando Clandestino Militare. Antonio Poce che, tra l’altro era legato da personali sentimenti di amicizia con il generale Bencivenga, alla fine di maggio si incon­ trò a Villa Borghese con un maggiore dell’esercito inglese inviato dal Comando alleato. L’incontro fu assai aspro: l’ufficiale britannico chiarì subito che gli Alleati non vo­ levano insurrezioni a Roma e che lo stesso Poce, a libe­ razione avvenuta, sarebbe stato ritenuto personalmente responsabile se gli uomini del M.C.d’I. avessero violato quella direttiva. Poce naturalmente contestò agli Alleati il potere di decidere la condotta del M.C.d’I. ma, dopo aver appreso che gli altri partiti operai avevano rinun­ ciato all’insurrezione, finì con Faccettare la disposizione del generale Bencivegna secondo cui la insurrezione avreb­ be dovuto aver luogo soltanto quando egli avesse dato il segnale con la parola d’ordine « Elefante ». Ma questo segnale non fu mai dato. Proprio alla vigilia della liberazione avvenne uno scambio di lettere tra Poce e Bencivenga10iiche dimostra quanto sia infondata l’accusa fatta circolare per qualche tempo 11 e secondo cui Bandiera Rossa aveva finito con 9 Ibidem. io Poce custodisce una copia della sua lettera e l’originale di quella di Bencivenga. ii Felice Platone in Rinascita, anno II, n. 9, sett. 1946, an­

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il fare il gioco dei generali monarchici. Poce, infatti, rispondendo a una lettera di Bencivegna datata 2 giu­ gno 1944, precisa con grande chiarezza che la richiesta rivoltagli dal generale di mettersi sic et simpliciter al servizio dei commissariati romani di pubblica sicurezza « non può essere assolutamente accettata da noi per ragioni ovvie che tu stesso sai. Di conseguenza noi ci presenteremo ai commissariati di P.S., oltreché per una collaborazione, anche per controllare se il commissario stesso merita di rimanere al suo posto o essere rimosso ». A questo punto Poce esprime il timore che, a causa del mancato rifornimento di armi (richiesto da oltre un me­ se), le forze del movimento non sarebbero state in grado di dare tutto il loro possibile contributo nella difesa da eventuali tedeschi in ritirata. E’ evidente che mentre il generale Bencivenga tentava di strumentalizzare Ban­ diera Rossa approfittando del suo relativo isolamento, Poce e i suoi compagni cercavano di trarre da quel col­ legamento tutti i possibili vantaggi materiali per rendere più efficace il loro intervento. Alla vigilia della fuga dei nazisti il Comando Mili­ tare Unificato — di cui facevano parte dirigenti del M.C.d’I., del partito repubblicano, dei Cristiano-Sociali e dei partigiani socialisti andreoniani — si riunì nell’isti­ tuto metereologico per coordinare l'attività dei rispettivi movimenti. Gli uomini di Bandiera Rossa avevano già ricevuto disposizioni estremamente dettagliate per: a) impedire che i tedeschi in fuga si abbandonassero a sabotaggi e vandalismi; b) impossessarsi di alcuni edifici già appar­ tenenti ai fascisti; c) svolgere una vasta azione di propa­ ganda per farsi conoscere dall’intera cittadinanza. Nella circolare consegnata da Poce ai capiconcentramento si precisava che « l’atteggiamento degli elementi del Movi­ mento deve essere tale da cercare di evitare sin dove è possibile che simili situazioni (di combattimento nda), che potrebbero mettere in serio pericolo la cittadinanza, vengono a determinarsi. Quando invece esse si siano de­ cora scriveva: « I trotskisti, invece, o hanno tentato di spezzare l’unità delle forze antifasciste (come il cosiddetto Movimento Comunista di Roma che si era fatto strumento del gen. Benci­ venga) o hanno addirittura condannato la lotta antitedesca e antifascista... ».

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terminate, intervenire con la massima decisione cercando di convogliare tutti gli elementi che sono disponibili per il combattimento, impadronendosi anche di armi ovun­ que esse si trovino». Si avvertiva inoltre che «fino a (piando durerà Fattuale stato di tensione, tutti i com­ pagni del Movimento si considereranno mobilitati. Co­ loro che non risponderanno all'appello, qualunque sia il motivo che essi possano eventualmente addurre (anche di perdite di collegamento) saranno considerati indegni di appartenere alle file comuniste e saranno giudicati da appositi consigli di disciplina ». I militanti furono selezionati. I migliori furono poi divisi in squadre eguali per numero; gli altri dovevano fungere da riserva. Di qualche interesse è la lettura delle istruzioni speciali12 perché rivela la preoccupazione di Bandiera Rossa di affermare la sua presenza e la sua legittimità nel delicato trapasso dalla clandestinità al ritorno della monarchia e di un governo che suscitava l'ostilità del M.C.d'I. « Ogni capozona — si legge — dia ordine a ogni sezione e a ogni gruppo di approntare d'iniziativa propria e con propri mezzi, anche se di for­ tuna, quanto segue: 1) drappi, stendardi e bandiere ros­ se; 2) ogni componente delle squadre e cellule del Mo­ vimento abbia un distintivo rosso all'occhiello; 3) ogni compagno del Movimento dovrà portare con sé la tesse­ ra; 4) cartelli di legno, cartone, tela ecc. con scritte ostili: alla monarchia, al re, a Badoglio, ai fascisti; inneggianti però alla Russia e a Stalin, a Lenin, a Marx e al comu­ niSmo, agli Alleati; 5) cartelli inneggianti al Movimento Comunista d’Italia ». « Ciascuna zona — spiegava ancora la circolare — disponga perché venga occupata e presidiata una sede da destinarsi al Comitato di zona, che risulti di proprietà d’un fascista. E’ fatto a tutti i compagni del Movimento assoluto divieto di compiere azioni individuali dirette a vendicare offese personali patite, da chiunque esse siano state ricevute. Si insiste in modo particolare su questo punto per chiarire in maniera netta che l'azione dei comunisti non è un’azione di sanguinari e di volgari delinquenti ma rappresenta il presidio degli interessi morali e materiali del proletariato italiano, per cui i 12 Archivio Sbardella.

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traditori, i venduti, le spie ecc. inclusi nelle liste in no­ stro possesso, non devono essere assassinati ma giusti­ ziati ed il verdetto deve essere pronunciato dal Tribu­ nale del Popolo ». Furono anche formate liste di gerarchi fascisti, spie, torturatori, uomini influenti del regime che avrebbero dovuto rispondere davanti al popolo dei loro crimini. Quei nomi però restarono sulla carta. La giustizia popo­ lare avrebbe potuto avere corso soltanto se una insurre­ zione avesse preceduto l'arrivo degli Alleati: una volta entrate in città le truppe anglo-americane, qualsiasi epu­ razione sarebbe stata rinviata alle calende greche e co­ munque attuata con criteri ridicolamente blandi. Le altre istruzioni del Comando di Bandiera Rossa concernevano i luoghi che dovevano essere occupati, gli edifici e i punti della città sui quali dovevano essere is­ sate bandiere rosse. Un paragrafo a parte era dedicato alle « modalità speciali per l’occupazione della Casa del Popolo » al fine di evitare qualsiasi frizione con gli altri partiti operai. Si precisava infatti che « per evitare even­ tuali controversie con i compagni deW Unità (e cioè PCI nda) e con i socialisti, i quali, a quanto risulta, avreb­ bero analoga intenzione, al momento opportuno le due squadre del movimento si concentreranno a piazza Vit­ torio e di lì muoveranno verso la Casa del Popolo con una grande bandiera rossa con sopra scritto M.C.d’I. ». « Giunti sul posto, i casi che potranno verificarsi sono due: 1) il palazzo è già occupato da altri compagni socialisti o dell'Umtò: il comandante della formazione in tal caso schiererà in modo disciplinato il proprio re­ parto di fronte al palazzo e salirà per prendere contatto con coloro che hanno occupato il palazzo stesso. Qua­ lora questi non intendano concedere l’accesso alle forze del Movimento, il comandante chiederà di issare la no­ stra bandiera rossa sul balcone del palazzo ,indi, salutati cordialmente i compagni trovati sul posto, ritornerà in sede con la propria formazione riferendo immediata­ mente sull'esito della missione ai rispettivi addetti mili­ tari; 2) il palazzo non è stato ancora occupato da altri: allora la formazione prende possesso (solo uno dei tre piani: l’ultimo) affiggendo un cartello con la scritta M.C. d’L Fa presidiare da apposita guardia gli altri due piani e li cosegnerà con spirito fraterno ai compagni unitari

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(cioè del PCI nda) e socialisti quando essi arrivino sul posto ». L'insurrezione dunque non ci fu. Ma questo non significa che l'ultimo giorno dell'occupazione nazista non sia stato drammatico e sanguinoso soprattutto per Ban­ diera Rossa che lasciò sulle strade di Roma 13 compagni. Focolai si accesero un po' dappertutto ma alla peri­ feria meridionale della città, divampò un vero e proprio combattimento tra forti nuclei di partigiani e i reparti di retroguardia tedeschi. Non fu possibile evitare lo scon­ tro: l'incendio si accese per autocombustione tanto era l’odio antinazista in quella parte di Roma e tanto l'ardo­ re combattivo di molti comunisti di Bandiera Rossa e del PCI. Le sventagliate di mitra che i tedeschi sparavano ritirandosi e i loro tentativi di sabotaggio provocarono l’intervento di buona parte delle bande del M.C.d'I. Sulle lapidi poste nelle vie in cui si svolsero quegli estremi combattimenti figurano i nomi di Pietro Principato, Ca­ taldo Grammatica, Francesco D'Angeli e degli altri dieci valorosi. La zona principale degli scontri fu quella dei din­ torni del velodromo Appio ma i combattimenti si irradia­ rono a macchia d’olio. In quel memorabile 5 giugno i partigiani del M.C.d'I., imbracciando le armi e innalzando rossi vessilli, appar­ vero alla luce del sole in molti punti della città. Gli uomini della banda Alfredo Paccara occuparono il mini­ stero della Marina dopo un breve combattimento in piazzale delle Belle Arti (restò ferito Elio Paccara e un marinaio siciliano). La banda Marapodi catturò 12 gua­ statori tedeschi in piazza Mazzini e altri 33 nelle borgate Magliana e Focaccia. Decine di tedeschi furono arrestati dopo brevi scontri a fuoco da altri gruppi. La banda Albule occupò la caserma Bianchi. Una assidua e ri­ schiosa azione intrapresa da tutti gli uomini del M.C.d'I. fu quella di eliminare i cecchini fascisti annidati sui tetti di alcuni edifici: fu proprio in una di queste ope­ razioni che Pietro Guerri riportò ferite mortali. Dalla battaglia di Porta S. Paolo al 5 giugno Bandiera Rossa fece dunque il suo dovere sul piano della lotta armata antifascista e antitedesca sacrificando i suoi uomini mi­ gliori e guadagnandosi per sempre un posto di assoluto rilievo nella storia della Resistenza romana.

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CAPITOLO VII « Perché vedi, Saragat, quando Millerand da socialista diventò presi­ dente della Repubblica francese ancora non c’era stato il ’14-18, la rivoluzione sovietica, il nazifasci­ smo e le bombe da 6.000 chili. Ma oggi! Via Saragat, non è più quel tempo ». (Dal Bollettino del M.C.d’I, 13-11-’44)

Giorni di euforia per Bandiera Rossa quelli che se­ guirono la liberazione di Roma. I nove terribili mesi dell’occupazione e del terrore nazifascista erano finiti. Per i militanti più vecchi come De Luca (uscito da Regina Coeli alla testa di un corteo di detenuti politici), Poce Volpini e tanti altri l’attesa era stata molto più lunga: da venti anni aspettavano quelle radiose giornate. La fame e la miseria generale, che tuttavia restavano, non frenarono le manifestazioni popolari di entusiasmo per la ritrovata libertà. La fine di un incubo. I militanti più attivi del M.C.d’I. si erano impossessati delle sedi neces­ sarie alla loro attività e s’impegnarono a fondo nel reclu­ tare giovani per VArmata Rossa. Poce, a conferma dell'au­ torità di cui godeva, fu affiancato al vice-questore. Furono giorni da vertigine per chi aveva tanto sof­ ferto e anelato alia sconfitta dal fascismo come nella ne­ cessaria premessa per la rivoluzione socialista. Il sogno di allestire un esercito popolare di liberazione, una Ar­ mata Rossa, per qualche tempo apparve di possibile rea­ lizzazione. Durante l’occupazione di Roma, Armata Rossa era stata una piccola ma agguerrita formazione che rag­ gruppava alcune centinaia di combattenti del M. C.d’I.

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e del PCI (sbandati o dissidenti dal partito) e altri ele­ menti; ora si trattava di sviluppare questo primo nucleo fino ad avere una forza armata popolare che conducesse autonomamente la guerra contro i tedeschi e i fascisti, affiancandosi agli Alleati, e stabilendo un contatto non soltanto ideale con i partigiani del nord. Dappertutto furono formati picchetti di partigiani che, nelle strade, raccoglievano le firme dei giovani pronti a combattere: la campagna ebbe un rapido e travolgente successo per­ ché in una sola settimana furono reclutati dai 40mila ai 50mila giovani. Del resto il M.C.d’I. non era il solo a pro­ muovere una iniziativa del genere. Roma in quei giorni era coperta da manifesti che invitavano i giovani ad ar­ ruolarsi, oltre che neWArmata Rossa, anche nella Mat­ teotti del partito socialista, nella Pilo Albertelli del Par­ tito d’Azione e in altre formazioni. Il PCI, pur accet­ tando le domande dei volontari, ritenne opportuno pun­ tare sulla costituzione di un esercito regolare e — secon­ do fonte comunista 1 — fu l’unico a rifiutarsi di formare brigate indipendenti. Dopo alcuni giorni gli Alleati, preoccupati dal mo­ vimento dei volontari che sarebbe stato difficile da con­ trollare, emisero un decreto che ordinava la sospensione degli arruolamenti e ogni altra iniziativa non autorizzata. Poce, avendo insistito il M.C.d'I. nella sua azione, passò da vice-questore al carcere. Tornò in quella Regina Coeli che aveva conosciuto a più riprese durante il fascismo e ci restò per un paio di mesi. L'intervento degli Alleati, tuttavia, non fu immediato. L’autorità di occupazione, infatti, si mosse soltanto do­ po aver constatato che le forze di sinistra erano divise tra di loro. All’invito che il M.C.d’L aveva rivolto al PCI e ai Comunisti Cattolici perché si unissero nell’organizzazione di Armata Rossa, il giornale dei C.C., Voce Operaia, si affrettò a rispondere con un polemico rifiuto: « E’ chia­ ro dunque che la proclamazione di « unità » proveniente da un « movimento » che si è sempre proclamato dissi­ dente è per lo meno priva di senso. Per tacere poi del poco edificante spettacolo, in così stridente contrasto i Cfr. la lettera già citata di « Giovanni a G. » custodita nell'archivio del PCI.

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coll'aspetto dei partiti aderenti al CLN, dato da quella carnevalata di bracciali rossi che per tre giorni ha in­ festato Roma diffamando la falce e il martello, e confon­ dendo le idee alla gente ». Il corsivo, che ribadisce la volontà dei Comunisti Cattolici di collaborare con i par­ titi della sinistra del CLN, rivela il risentimento che ave­ va suscitato nei giorni della liberazione l'irrompere nella città degli uomini del M.C.d'L i quali, anziché portare il bracciare tricolore come facevano tutti gli apparte­ nenti ai partiti della coalizione, ne portavano uno rosso. Era un colpo duro per Bandiera Rossa. Non pochi suoi dirigenti avevano sperato che i Comunisti Cattolici avrebbero assunto una funzione mediatrice tra movimen­ to e PCI. L’Armata Rossa costituiva una tappa decisiva sia per realizzare quel blocco dei partiti operai vagheg­ giato dal M.C.d'I. fin dalla sua fondazione e sia per as­ sicurare al movimento la presenza nell'ultima e più dura fase della lotta antifascista che, ormai, aveva il suo tea­ tro di operazioni nell'Italia centro-settentrionale dove Bandiera Rossa poteva contare soltanto su qualche pic­ colo gruppo. La battuta di arresto nell'ondata di entusiasmo po­ polare si concretizzò con una pesante sconfitta del M.C. d'L: il 4 luglio si giunse all’autoscioglimento di Armata Rossa. L’Unità diede ampio rilievo alla notizia pubbli­ cando il comunicato firmato da Celestino Avico, Giordano Amidani e Otello Terzani (ma non da Poce e Sbardella) che concludeva invitando tutti gli aderenti a « sostenere la politica del PCI ». L’organo del partito comunista com­ mentò l'autoscioglimento di Armata Rossa: « ... Il deside­ rio di unificazione delle forze proletarie antifasciste ha portato questi compagni ad un’errata collaborazione col movimento di Bandiera Rossa, il quale è notoriamente un movimento che ha non pochi elementi irresponsabili nei suoi ranghi, ha messo alla base della sua attività la denigrazione del nostro partito e del CLN nella vana speranza di riuscire a disgregare le file della classe ope­ raia e il fronte comune delle forze nazionali realizzate nei CLN. Ma quel che doveva accadere è accaduto. A con­ tatto con Bandiera Rossa, i nostri compagni si sono resi conto del carattere disgregatore di questo movimento ed hanno deciso di rompere definitivamente con esso, scio­ gliendo VArmata Rossa ». 168 —

Sull'entusiasmo dei primi giorni piombarono queste doccie fredde. Si pose immediatamente il problema di che cosa fare del movimento: trasformarlo in partito cristallizzando quella che fino ad allora era stata rite­ nuta una divisione provvisoria dal « partito ufficiale »? Aderire al PCI o al PSI? E con quali modalità, a quali condizioni? In verità il problema era stato già posto sul tappeto fin dal 7 giugno da uno dei dirigenti, Pietro Bàttara, con una lettera indirizzata all'Esecutivo nella quale si chiedeva la fusione con il partito socialista: « Secondo il mio modesto avviso — scrisse Bàttara — basato anche sulle ultime dichiarazioni fatte dall'Avan ti! nel 5-6 giugno, nell'articolo del segretario del PSIUP, l'indirizzo del par­ tito socialista è troppo simile a quello del movimento comunista d'Italia perché le due correnti restino divise. Traendo da ciò le conseguenze e tenendo presente che l'in­ gresso del M.C.d'I. nel PSIUP rafforzerebbe l'ala sinistra del partito, credo nella necessità che l’Esecutivo del mo­ vimento inizi immediatamente le conversazioni con il PSIUP per addivinire alla fusione ». La proposta di Battara fu respinta perché l'Esecu­ tivo di Bandiera Rossa nutriva una profonda diffidenza verso il partito socialista sia per il fallimento di questo partito nella crisi rivoluzionaria del primo dopoguerra e sia perché in esso continuavano a militare i riformisti dichiarati. Il fatto che nel PSIUP esistesse una robusta corrente di sinistra (alla quale si erano legati anche i fratelli Matteotti) non appariva sufficiente garanzia e non cancellava remore che erano anche di ordine psico­ logico. La linea generale del movimento era stata costan­ temente quella di arrivare a un partito unico della classe operaia ma passando attraverso l'unificazione con il PCI. Quest'ultima prospettiva però si scontrava da un lato con la decisione del PCI di accettare soltanto adesioni indi­ viduali respingendo qualsiasi tentativo di formare cor­ renti o tendenze nel partito, e, dall'altro lato, nell'osti­ lità che la collaborazione governativa del PCI aveva sol­ levato nel M.C.d'I. Iniziarono accaniti dibattiti interni, divisioni e affiorarono anche alcuni sintomi di disgrega­ zione. Ad Antonio Poce fu dato l’incarico di trattare con il PCI per l'ingresso del movimento nel partito. L'incon­ tro tra Poce da una parte e Novella dall'altro non ebbe

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risultato positivo per i motivi che sono facilmente im­ maginabili. Per giunta, accanto a Novella, stava Rivabene, un dirigente della federazione romana del PCI, il il quale apostrofò malamente Poce dicendogli che, in qualsiasi caso, per lui non c era posto nel PCI dal mo­ mento che ne era stato espulso a Ponza, al confino, per aver aderito alla frazione di Bordiga ed aver espresso sim­ patie per Trotskij. Non molto tempo dopo si scoprirà che Rivabene, ad un certo punto della sua vita, aveva capito­ lato e si era trasformato in una spia dell’OVRA tradendo molti compagni2. Come se tutto questo non bastasse, il M.C.d’L venne anche a trovarsi nella impossibilità di disporre di un suo giornale perché Bandiera Rossa fu colpito dalla censura per quasi un anno. La mancanza del giornale allentò ancora di più la coesione del movimento, rese estremamente difficile negli strati politicamente meno maturi la comprensione delle differenze tra il M.C.d’L e PCI, costi­ tuì un fattore di demoralizzazione per chi aveva sopporta­ to tanti sacrifici e rischiato la vita per far uscire Ban­ diera Rossa durante l’occupazione nazista. In quelle settimane lo stato d’animo dei militanti del M.C.d’L era assai complesso: vi confluivano lo sdegno per la politica di unità nazionale vista come un tradimento degli interessi di classe, la delusione per la mancata in­ surrezione e il fallito tentativo di costituire VArmata Ros­ sa, la volontà indomita di continuare a lottare contro il fascismo e per la rivoluzione socialista, un complesso di colpa per trovarsi esclusi dal « partito ufficiale » e quin­ di dalle simpatie di Stalin amato e venerato come il capo geniale dei comunisti di tutto il mondo. Il racconto che Felice Chilanti ha fatto 21 anni dopo, delle confuse e quasi comiche reazioni di alcuni militanti di Bandiera Rossa al primo discorso romano di Togliatti (9 luglio 1944), anche se risente della circostanza in cui

2 L'Unità pubblicò con molto risalto e con un lungo com­ mento, nell’aprile del ’45, la notizia dell’espulsione di Giulio Ri­ vabene spiegando che dopo l’arresto avvenuto nel 1937 egli ave­ va ceduto alle pressioni della polizia e si era trasformato in un confidente dell’OVRA. L’Unità precisava che questa attività era continuata e si era anzi intensificata dopo la scarcerazione avvenuta nell’aprile del 1942.

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fu scritto3, può essere considerato un incisivo ritratto dei sentimenti e dei fermenti che agitavano il M.C.d'L in quei giorni4.

3 Si tratta d’un articolo scritto per commemorare la morte di Togliatti e apparso su Rinascita, anno 22, n. 34, del 28 ago­ sto 1965. 4 L’articolo di Chilanti: « Fece applaudire i carabinieri par­ tigiani » tra l’altro racconta: « ... Andammo al Brancaccio anche noi di Bandiera Rossa... Ci accolsero abbastanza bene, i diri­ genti del PCI, anche perché già erano cominciate discussioni in vista dello scioglimento del Movimento ». « Ma l’ostacolo maggiore che quella trattativa incontrava era proprio la « svolta di Togliatti, l'accettazione dei monarchici nella Resistenza e nell’antifascismo. E così quel mattino, al Brancac­ cio, noi eravamo decisi a contrastare il discorso di Togliatti; c'erano operai di borgata e popolani dei rioni, vecchi rivoluzio­ nari appena usciti di prigione, c’era Vincenzo di Primavalle, con suo fratello Giuseppe, Gigi il Pescatore dell'Acqua Acetosa — proprio quello del famoso ristorante, che era allora una oste­ ria campagnola — c’era Antonino Poce, Cretara, lo stagnaro di via Giulia, il panettiere di Campo dei Fiori: e c’erano dieci o venti o trenta giovinetti che aspettavano il segnale ». « Ora io non ricordo il discorso di Togliatti. So soltanto che quando, alla fine, egli invitò i lavoratori, i cittadini, i co­ munisti, i socialisti, tutti i democratici a inviare un saluto, un applauso ai partigiani monarchici, agli ufficiali, ai soldati, ai carabinieri, ai marinai che combattevano nella Resistenza, tutti abbiamo applaudito. Io ero molto esposto alle emozioni e quindi quella commozione che provai allora va tenuta in conto di fatto individuale; ma gli altri no. Altri erano venuti al Brancaccio con ostilità, riserve, rancori resi più aspri dalla lotta, dai patimenti, dal sangue versato, dalie torture subite. E difatti non applaudi­ rono quando Togliatti apparve alla tribuna, non si unirono alle ovazioni per una buona metà del discorso; ricordo bene questi particolari perché li osservavo, mi regolavo osservandoli ». « E li vidi prima assentire, poi sorridere, poi vidi che gli occhi di Antonino Poce si erano arrossati; i giovani come Vin­ cenzo e Giuseppe di Torpignattara applaudirono per i primi, unendosi alla popolosa assemblea ». « E alla fine tutta Bandiera Rossa acclamava, all’impiedi, con convinzione, con la sua gloriosa anche se difettosa sponta­ neità, alla linea di Paimiro Togliatti. E vi furono gli abbracci, i canti, nell’atmosfera indimenticabile di quei giorni, di quelle ore ». « Poi, lungo la strada, abbiamo ricomposto il nostro gruppo. Alcuni di noi erano confusi, altri quasi indispettiti». « Un materassaio di San Lorenzo che chiamavamo Torino perché era torinese, con tutta una lunga storia di estremista alle spalle, prima bestemmiò, poi disse: “ Mai nella mia vita avevo applaudito i carabinieri ". Antonino Poce non nascondeva il suo

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Non fu soltanto l’abilità dialettica di Togliatti a far fallire il proposito di disturbare la manifestazione con grida ostili e fischi (alcuni elementi del M.C.d’I, anzi fu­ rono trasportati dall’entusiasmo della sala, e si unirono alle acclamazioni). La verità era che nei militanti di Ban­ diera Rossa si era insinuato il dubbio, l’incertezza sul da farsi: finché c’era da affrontare armi alla mano nazisti e fascisti, il compito, per quanto rischioso, non compor­ tava problemi politici e ideologici. Ma ora si trattava di ben altro. Durante l’occupazione i rapporti di forze tra PCI e M.C.d’L presentavano un certo equilibrio perchè i due gruppi si confrontavano soltanto sul piano cittadino (o almeno questa era la convinzione dei dirigenti di Bandiera Rossa); questa illusione di tenere testa al « par­ tito ufficiale », di poterlo cioè costringere a trattare la fusione, svanì come nebbia al sole quando apparve la forza nazionale e internazionale del partito comuni­ sta. Nella stessa Roma dove, come sappiamo, alla fine del 1943 il PCI contava 1.700-1.800 iscritti, nel. dicem­ bre ’44 aveva già tesserato 39.000 comunisti. Il M.C.d’L invece non aveva allargato di molto la sua organizza­ zione. Il movimento scarseggiava di quadri; le carenze di esperienza politica e di preparazione ideologica non potevano inoltre essere surrogate dal solo istinto di

classe. Nelle borgate, dove spesso le sezioni del PCI, del partito socialista e del M.C.d’L, si trovavano nello stesso locale o fianco a fianco, le differenziazioni po­ litiche tendevano a scomparire in una generica protesta popolare e in una comune ansia di redenzione sociale. La svolta di Salerno, pomo principale della discordia, cessava di rappresentare una discriminante quando gli edili che tornavano stanchi dal lavoro, la sera, si riuni­ vano davanti a un bicchiere di vino. Si finiva con il pen­ sare che in fondo si trattava soltanto duna tattica van­ taggiosa perchè permetteva di stare al governo e, al tem­ po stesso, non precludeva la rivoluzione. Il doppio bi­ nario, insomma. E non bisogna credere che questa in­ genua posizione fosse sostenuta soltanto dai popolari turbamento... aggiunse: "E’ riuscito a farci applaudire i cara­ binieri. Deve esserci una ragione, bisogna riflettere ” ».

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delle borgate romane... Cera inoltre come un'attesa appassionata, di quello che poteva venire da Stalin, dall'Armata Rossa (quella vera) che stava sbaragliando ì nazisti. Bisogna infine ricordare che una parte degli uo­ mini di Bandiera Rossa aveva aderito a quel movimen­ to anziché al PCI, soltanto perchè era entrato in con­ tatto con l'uno senza conoscere l'altro, non operando cioè una consapevole scelta politica. Cominciò quindi un processo molecolare di disgre­ gazione del M.C.d'I. e di passaggio delle sue forze al PCI. In una prima fase questo fatto potè non apparire molto chiaro perchè Bandiera Rossa continuava ad ave­ re a Roma una considerevole robustezza e non cessava di fare proseliti otturando le falle che si aprivano nel suo schieramento. Il fatto stesso però che non riuscisse a moltiplicare i militanti del periodo clandestino dimo­ stra la gravità della sua crisi. La crisi esplose immediatamente tra i dirigenti as­ sumendo i caratteri più virulenti. De Luca ed altri si mi­ sero in disparte; Bàttara entrò nel partito socialista5; Sbardella e Poce oscillavano tra il disegno di unificarsi con altri movimenti comunisti dissidenti di sinistra e quello di entrare nel PCI anche rinunciando alla pregiu­ diziale dell'ingresso in blocco; c'era infine un altro grup­ po (Cretara, Mucci etc., quello proveniente da Scintilla, che aveva una posizione più intransigente: o entrare nel PCI come corrente oppure restare un movimento auto­ nomo sfruttando lo spazio politico lasciato a sinistra dal PCI da quando aveva accettato di stare al governo con la monarchia e i partiti borghesi). Il tutto era com­ plicato dalle rivalità personali e dal modo disordinato col quale erano andati intrecciandosi i rapporti tra i dirigenti nell’ultimo periodo dell'occupazione nazista. In una delle prime riunioni dell’Esecutivo, dopo la libe­ razione, il gruppo Sbardella-Poce polemizzò contro quel­ lo diretto da Cretara-Mucci criticando la « cellula-stam­ pa » e affermando che nel giornale si dovevano lamen­ tare « contraddizioni, confusioni, poca accortezza tat­ tica »6. 5 Dopo Vanificazione del PSI-PSDI Battara è entrato a far parte del comitato centrale del partito socialdemocratico uni­ ficato. Relazione custodita nell'archivio-Sbardella.

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Il malessere sfociò presto in un dissidio aperto e poi anche in una momentanea scissione. Lo scontro si verificò perchè una parte del gruppo dirigente sospet­ tava l'altra di voler liquidare il movimento. Mentre era­ no in corso le trattative con il PCI, l'opposizione fece affiggere manifesti che sconfessavano l'iniziativa Sbardella-Poce. Il 12 agosto 1944, tuttavia, sul Bollettino In­ terno i firmatari del manifesto furono pesantemente at­ taccati: in un violento corsivo polemico si arrivò a scri­ vere che « a fondare il M.C.d'L tutti sono stati tranne i Palmidoro, Cretara, Riso etc. » e si precisava che « i sum­ menzionati signori » erano stati espulsi dal movimento. I metodi burocratici rimproverati al PCI, venivano tran­ quillamente applicati dagli stessi critici. Il dissidio si inasprì ulteriormente fino a che i due gruppi di dirigenti si istallarono in due sedi diverse, una in via dei Giubbonari e l'altra in via Nazionale, pretendendo entrambi di parlare a nome del M.C.d'L Si trattò però di una scissione sui generis perché in definitiva le sezioni restarono unite e gli stessi diri­ genti non ruppero mai i contatti per arrivare a una ri­ composizione del dissidio. Si spiega in tal modo come mai il movimento riuscisse egualmente a strutturarsi in sezioni e in cellule, a svolgere una intensa attività di dibattito politico e a prendere iniziative di carattere assistenziale. Sulla vita delle sezioni è possibile conosce­ re qualcosa scorrendo il notiziario pubblicato dal Bol­ lettino Interno. Il problema del trapasso dall'organizzazione di tipo cospirativo a quella che consentiva la nuova situazione fu posto con tempestività. Fin dal 6 luglio sul Bollettino apparve un breve articolo nel quale si affermava: « Or­ ganizzare le sezioni, che debbono rappresentare la no­ stra espressione più viva, non vuol dire ammucchiare centinaia e centinaia di iscritti, ma formare un nucleo di compagni che siano ben determinati nella loro fede e nella loro coscienza. La sezione deve essere per gli ade­ renti la loro seconda casa, dove debbono sentire tutto il sollievo che può provare un vero comunista, dopo una dura giornata di lavoro, di vivere un paio d’ore fra com­ pagni fedeli, discutendo i problemi del giorno, e svilup­ pando secondo i principi della libera critica il senso

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politico che distingue i comunisti veri da tutti quelli che praticano una politica pseudo marxista ». Ma nella pratica una concezione così rigorosa e au­ stera della sezione andava a farsi benedire. Non biso­ gna dimenticare che, a parte l'ignoranza politica che ca­ ratterizzava un popolo uscito da venti anni di fascismo, a Roma era da tempo in corso un processo di disgrega­ zione sociale provocato dalla miseria più allucinante. La guerra aveva trascinato nella capitale almeno 150.000 meridionali sinistrati, privi di un tetto, di lavoro e di qualsiasi risorsa. La disoccupazione dilagava. Oreste Lizzadri ricorda7 che svolgendo un rapido sondaggio subi­ to dopo la liberazione a cura della CGIL, accertò che «su 100 disoccupati 16 sono passati alla borsa nera o sono diventati trasportatori o eseguono lavori di fortu­ na... 20 vivono aggrappati ad una persona di famiglia... 10 hanno preso la via della campagna, 4 hanno trovato un protettore in un ente o in una famiglia che dà loro da mangiare, 12 hanno ammiccato l'occhio senza spiega­ re le fonti della loro esistenza (borsa nera?). II resto, maggioranza proporzionale, 30 su 100, hanno aperto le braccia... ». Non c’è da stupirsi perciò se le sezioni fossero as­ sorbite da attività di tipo assistenziale e se spesso somi­ gliassero più a osterie che ad altro come accadeva in molte sezioni di tutti i partiti in quei mesi. Il problema più urgente era quello di procurarsi il cibo: si formarono allora cooperative di consumo che consentirono di tro­ vare viveri a prezzi migliori di quelli della borsanera. Ci si preoccupò anche di vendere vino a 100 lire al litro. Fu istituito un centro sanitario per prestazioni mediche e cure ambulatoriali e un centro di cultura politica. In alcune sezioni furono aperti corsi d'istruzione elemen­ tare (le scuole non funzionavano ancora) aperte anche agli analfabeti adulti. Gli inviti all’attivismo erano fre­ quenti; in particolare si incitavano i compagni a tenere aperta la sezione per più ore al giorno, ad acquistare, leggere e discutere « almeno cinque giornali al giorno ». Di particolare interesse ci sembra l’elenco delle ope­

7 Oreste Lizzadri « Quel dannato marzo "43 », Ed. Avanti!, 1963.

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re che veniva consigliato per la costituzione di una « bibliotechina di sezione » la cui presenza, in ogni caso, era imposta statutariamente): « Il manifesto dei comunisti » di Marx e Engels; «II capitale» (volgarizzazione di De Ville e di Cafiero); altre opere di Marx e poi di Lenin: « Stato e rivoluzione »; « Estremismo malattia infantile del comuniSmo »; « Imperialismo suprema fase del ca­ pitalismo ». E ancora: « I principi del leninismo » di Stalin; la « Storia della rivoluzione russa » di Trotskij; l’« ABC del comuniSmo » di Bucharin »; la « Storia del partito socialista italiano » di Michaels; « Fra i conta­ dini » dell anarchico Malatesta; « La questione agraria » di Bordiga. Nella biblioteca di sezione, dunque, le opere di Stalin potevano figurare accanto a quelle di Trotskij, Bu­ charin e di Bordiga. La cosa non poteva non sembrare scandalosa per il PCI che aveva da anni presentato i tre come traditori e agenti del fascismo. In realtà le remore psicologiche all'accettazione di una « convivenza » del genere erano così forti nel PCI che Felice Platone, cu­ rando nel 1947, con la supervisione di Togliatti, la prima edizione delle lettere dal carcere di Gramsci censurò tutti i passi in cui il grande sardo parlava di Bordiga e di Trotskij3. Ma l'apertura ideologica non significava assimila­ zione del corretto metodo marxista e capacità di appli­ carlo alla situazione italiana. I dirigenti del M.C.d’L, in definitiva, non riuscirono mai a saldare l'azione poli­ tica di tutti i giorni alla prospettiva rivoluzionaria: da una parte stava una pratica minimalista, fatta di atti­ vità assistenziale e di rivendicazionismo spicciolo, dal­ l'altro la propaganda dei principi marxisti-leninisti e la denuncia dei cedimenti socialdemocratici. La predicazio­ ne del socialismo restava appesa in aria e non cammi­ nava sulle gambe di un preciso programma di transizio­ ne capace di trascinare le masse sul terreno della lotta per il potere.

8 Salvatore Sechi ha documentato questi tagli in un saggio apparso nel numero di gennaio ’67 dei « Quaderni piacentini » e in un articolo pubblicato dalla rivista regionale del PCI « Ri­ nascita sarda ».

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Gramsci, ad esempio, nel carcere di Turi9 quando aveva proposta la parola d'ordine della Costituente lo aveva fatto precisando che i comunisti dovevano essere all'avanguardia nel richiederla ma solo per « svalutare tutti i progetti di riforma pacifica, dimostrando alla classe lavoratrice italiana come la sola soluzione possi­ bile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria ». Lo stesso Trotskij nel 1930 spiegava ai compagni dell'oppo­ sizione trotskista italiana 10 che dopo la caduta del fasci­ smo l'Italia avrebbe attraversato un periodo di transi­ zione caratterizzato dal prevalere di forze democratico­ borghesi e socialdemocratiche e che l'unico modo per su­ perare le illusioni delle masse popolari nella socialde­ mocrazia, nell'evoluzione pacifica verso il socialismo, era quello di agitare le parole d'ordine democratiche più avanzate così come avevano fatto i bolscevichi tra il febbraio e l'ottobre del 1917. L'uso rivoluzionario delle parole d'ordine democra­ tiche non era neanche concepito dal M.C.d'I. Le sue con­ cezioni, in questa fase, erano assai simili a quelle del PCI bordighista del '21-24. Né negli articoli pubblicati dal Bollettino né in al­ cune relazioni a convegni cittadini emerge la coscienza del problema fondamentale: come portare la classe ope­ raia e i suoi alleati alla lotta per obiettivi sempre più avanzati facendo maturare dall'esperienza la convinzio­ ne di dover conquistare il potere statale? L'assenza di questa tematica può essere interpretata come la rinun­ cia a concepire una possibilità di successo della rivolu­ zione, da parte dei dirigenti del M.C.d'I., fino a quando, il PCI non avesse mutato linea politica. Al movimento — anche se nessuno lo diceva apertamente — si affida­ va un ruolo provvisorio di stimolo nei confronti degli altri partiti operai. Tale stimolo veniva esercitato soprattutto critican­ do la politica di collaborazione governativa con i par­

9 Cfr. il rapporto di Athos Lisa alla direzione del PCI pub­ blicato da Rinascita, 12 dicembre 1964. io La risposta di Trotskij alla lettera inviatagli da Tresso è stata riprodotta nel testo francese negli Annali Feltrinelli 1966, « Carteggio Tasca » e tradotta in Italiano da Bandiera Rossa (organo dei trotskisti italiani) del 15 febbraio 1967.

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titi della borghesia come un piede messo nella trappola tesa dalle forze del capitale per allontanare lo spettro della rivoluzione proletaria. Dopo la liberazione di Roma alle vecchie polemiche si aggiunse quella sulla « rico­ struzione ». Il M.C.d'I. sosteneva che un generale o un industriale vedevano la ricostruzione del paese in modo molto diverso da come la concepivano un operaio o un contadino. A Molinelli, sottosegretario comunista, si rim­ proverava, ad esempio, di aver dichiarato all’Assemblea della Confindustria che « il governo appoggerà ogni ini­ ziativa privata tendente al benessere della collettività » e di aver insistito « sulla necessità di una sempre maggiore collaborazione tra capi d’industria e operai ». Si accu­ sava il PCI di non affrettare con la sua politica, la matu­ razione del processo rivoluzionario e, anzi, di compro­ metterlo. Accettare il quadro della « democrazia progres­ siva » significava rinunciare pregiudizialmente agli obiet­ tivi della distruzione di quanto restava in piedi dell’ap­ parato statale borghese e all’istaurazione della dittatura del proletariato. Questa critica, che trovava alimento nei testi di Marx e di Lenin e nelle stesse tesi del PCI fino al 1935, veniva però condotta in modo primitivo e senza essere accompagnata da una efficace azione politica. Essa inol­ tre si arrestava ai risultati ultimi di un processo poli­ tico che aveva i suoi presupposti nelle scelte fatte dal­ l’Internazionale Comunista dopo il trionfo dello stali­ nismo nell’URSS. La maggioranza del M.C.d’I. accettava incondizionatamente l’intera esperienza sovietica come una parata di grandi vittorie del socialismo (conquista del potere; industrializzazione e collettivizzazione della terra; avanzata dell’Esercito Rosso contro la Germania) non scorgendovi alcuna contraddizione, alcun momento degenerativo. La critica alla direzione del PCI che da Stalin e dall’URSS aveva un pieno appoggio, come po­ teva essere portato con piena convinzione in nome del­ l’ortodossia... stalinista? Per uscire dall'isolamento politico i dirigenti del M.C.d’I. moltiplicarono i contatti con il partito repub­ blicano italiano, i Comunisti Libertari,! Cristiano-Sociali e, in generale, con tutte le forze che criticavano da sini­ stra il governo e l’alleanza del CLN. Fu così formato un Fronte Democratico delle Sinistre che riuscì a organiz­

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zare con un certo successo alcune manifestazioni ma non elaborò mai un programma comune e tantomeno costi­ tuì l’inizio d una concentrazione delle forze che lo com­ ponevano. Uno degli argomenti della propaganda di que­ sto Fronte consisteva nel negare al CLN la rappresentati­ vità del popolo italiano contrapponendo ai sei partiti della coalizione i 28 partiti e movimenti che ne erano esclusi. Un tentativo di collegamento con altri gruppi della dissidenza comunista e socialista fu effettuato con l’invio di una delegazione al convegno indetto dalla « Frazione di sinistra dei comunisti e socialisti italiani » di Napoli. Questo gruppo fu largamente influenzato dai bordighisti (Bordiga viveva a Napoli) ma ebbe anche altre compo­ nenti, una delle quali trotskista che trovava il suo rap­ presentante migliore in Libero Villone (attualmente di­ rettore responsabile di Bandiera Rossa, organo della se­ zione italiana della IV Internazionale). La Frazione che nella sua breve vita fece parlare molto di sé e promosse azioni politiche e sindacali di risonanza cittadina, alla fine del ’44 convocò un « convegno privato dei rappre­ sentanti i movimenti e i gruppi di comunisti e socia­ listi di sinistra » per esaminare le questioni riguardanti « la preparazione e l’organizzazione del nuovo partito di classe ». All’invito era allegato uno schema di tesi che la Frazione sottoponeva alla discussione. Il convegno ebbe luogo a Napoli nei giorni 6 e 7 gennaio 1945 con la partecipazione, tra gli altri, di Bordi­ ga e di Carlo Andreoni. Il M.C.d’L vi fu rappresentato da Filiberto Sbardella, Antonio Poce e dall’avv. De Luca. Della progettata unificazione non se ne fece nulla: un violento scontro oppose Villone, relatore a nome della Frazione, a Sbardella. Villone parlando per tutto il suo gruppo, fece un discorso improntato alle posizioni bordighiste e collegò la critica alla linea togliattiana alla critica più generale degli sviluppi dei partiti comu­ nisti e della stessa URSS a partire dalla morte di Lenin. Sbardella, invece, stabiliva l’identità Lenin-Stalin e so­ steneva che la direzione togliattiana andava combat­ tuta in quanto non rifletteva gli orientamenti del comu­ niSmo internazionale e di Stalin in particolare. Il segre­ tario del M.C.d’I. concludeva sollecitando contatti con i rappresentanti del PCUS e dimostrandosi alquanto ot179 —

timista in materia. Questa posizione, che oggi fa sorri­ dere per la sua ingenuità, allora non appariva così biz­ zarra. Non era forse vero che i comunisti jugoslavi ave­ vano criticato quelli italiani perché non seguivano il lo­ ro esempio? E non è forse vero che nel 1947, nella famo­ sa seduta del Cominform, rappresentanti jugoslavi, ru­ meni e di altri partiti (evidentemente ispirati da Stalin o quantomeno non disapprovati) attaccarono aspramen­ te e da sinistra il PCI e il PCF? La posizione di Sbardella non era pienamente con­ divisa da Poce e da De Luca. I due, anzi, simpatizzavano personalmente con il vecchio Bordiga anche se dissen­ tivano da lui su molte questioni: alla fine non osarono manifestare apertamente la loro opinione. L'unificazione quindi naufragò anche se alla fine del convegno fu no­ minata una commissione composta da quattro elementi della Frazione, quattro del M.C.d'I. e quattro del Mo­ vimento di Spartaco (fondato da Carlo Andreoni) per proseguire la discussione. Un lungo discorso andrebbe fatto per indicare i mo­ tivi per cui i vari movimenti comunisti dissidenti, alcuni dei quali con migliaia di aderenti, non furono capaci di amalgamarsi, di unirsi in partito. Sono state indicate, più volte le condizioni obiettive sfavorevoli (prestigio e aiuto materiale dell'URSS al PCI; capacità dei quadri Comunisti sperimentati in due decenni di lotta clande­ stina; atteggiamento di maggiore tolleranza degli Alleati e della monarchia per i comunisti che collaboravano nel governo etc.) ma bisogna dire che esistevano anche fat­ tori che spingevano in direzione opposta: profondo mal­ contento delle masse contadine meridionali le quali procedevano spontaneamente alle occupazioni di terra; permanere nei militanti del PCI, soprattutto in quelli im­ pegnati nella guerra partigiana, di fermenti critici11 ; sfiducia nel governo che non aveva la forza di condurre una giusta epurazione antifascista né la possibilità di migliorare la situazione economica. La presenza degli Alleati in Italia e la strategia sta­ liniana evidentemente non giocavano a favore dei gruppi* u Rilievi sul « primitivismo » o « diciannovismo » di molte formazioni partigiani si possono agevolmente rintracciare in fonti comuniste.

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comunisti dissidenti. Le difficoltà delle comunicazioni, l’inesperienza politica, la scarsezza di quadri e di fondi diventavano ostacoli pressocché insormontabili dal mo­ mento che erano accompagnati dall’accusa di essere al servizio del capitalismo se non addirittura di essere dei fascisti mascherati. Le preoccupazioni dei dirigenti dei partiti operai tuttavia restavano vive: Felice Platone in un articolo pubblicato da Rinascita12 esprimerà meravi­ glia per la mancata unificazione della dozzina di « ag­ gruppamenti trotskisti » e imputerà il fatto a « scarsa efficienza ». Uno sforzo di approfondimento ideologico, che se­ gnò anche il riavvicinamento tra i vecchi dirigenti, fu compiuto dal M.C.d’L verso la fine del 1944 con la pub­ blicazione dell’opuscolo « La via maestra »13. L’opera, di autore ignoto, ma elaborata collettivamente e scritta so­ prattutto da Cretara, si presenta come una chiave di vol­ ta per penetrare il valore, le contraddizioni e i limiti po­ litici e ideologici di Bandiera Rossa. Vi si avverte una estrema tensione ideale che illumina alcune esatte intui­ zioni politiche, un’apertura poco comune allora nei par­ titi operai. Ma si sente anche l’impaccio di carenze cul­ turali, la povertà dell’esperienza politica, una propen­ sione al dottrinarismo unilaterale di certi autodidatti. Poiché l’opuscolo è oggi pressoché introvabile rite­ niamo di fare cosa utile citandone alcuni passi. Il let­ tore potrà così confrontare il nostro giudizio con le par­ ti essenziali del testo del M.C.d’L Il capitolo dedicato all’illustrazione degli « scopi ge­ nerali e particolari del Movimento Comunista d’Italia » precisa che « questo movimento si distingue per la sua netta intransigenza, che non ammette né ritardi né com­ promessi, perché sostiene che l’ora dell’abolizione del ca­ pitalismo è suonata e che il proletariato, per impedire la minaccia di nuove oppressioni e di nuove barbarie, deve conquistare il potere, proprio in questo momento, in nome dei principi universali del comuniSmo ». Dopo aver respinto la collaborazione con i partiti borghesi ed essersi dichiarato ostile a « tutti i programmi di rico­

12 Rinascita, febbraio 1946. 13 « La via maestra », Ed. Bandiera Rossa, Roma 1944.

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struzione sociale che stabiliscano utopisticamente i piani per l'avvenire », il M.C.d'I. ribadisce di differenziarsi « da tutti i partiti e movimenti a carattere democratico » perché fa proprio il principio della dittatura del prole­ tariato. Il capitolo sulla tattica, intitolato « intransigenza e non collaborazione », partendo dal presupposto che a differenza dei « centristi » non è possibile essere né nazionali né riformisti perché « oggi non è più questio­ ne di migliorare le sorti di una classe, ma di trasformare tutta la società per mezzo dell'unica classe capace di farlo, il proletariato », si procede a un richiamo della concezione marxiana di democrazia e, in evidente pole­ mica con chi seguiva con doppiezza la linea del PCI, si cita un passo del « Manifesto »: « Mai, in nessun mo­ mento il partito comunista tralascia di svegliare negli operai la coscienza chiara e precisa dell'antagonismo do­ minante, quale vera e propria ostilità, fra borghesia e proletariato; perché gli operai sappiano subito conver­ tire in armi dirette contro la borghesia le condizioni so­ ciali e politiche messe in essere dal dominio borghese, onde, precipitate che siano le classi reazionarie, cominci senza indugio la lotta contro la borghesia. I comunisti disdegnano di celare le loro vedute e i loro reali intendi­ menti... ». Asserendo che l'esperienza di collaborazione gover­ nativa in atto stava rivelando la prevista « sterilità », si ribadisce che « l'unione del proletariato con la borghe­ sia, e cioè del carnefice con la sua vittima, dello sfrutta­ tore con lo sfruttato, va a tutto vantaggio di chi detiene il maggior numero di armi e di chi può imporre al mo­ mento opportuno la sua volontà. Collaborare con la bor­ ghesia perciò non significa soltanto mettere nelle sue mani il potere che deve schiacciare la volontà decisiva del proletariato, ma anche cancellare con una stretta di mano con i principali responsabili, le sofferenze della classe operaia, e nascondere tutta la responsabilità della borghesia che deve essere invece denunciata e colpita de­ finitivamente ». Il M.C.d'L, infatti, anche nell'opuscolo in questione, non manca di riaffermare l'esistenza di una continuità del dominio borghese prima sotto il fa­ scismo, poi con Badoglio e ora con il governo di Bonomi. Questo della tattica rimane il lato più debole della

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del M.C.d'I.: si può dire, anzi, che una vera e piopria tattica non esiste. Ci si limita a dire una serie