Principi etruschi tra Mediterraneo ed Europa 8831776037, 9788831776035

ologna, Museo Civico Archeologico, 1 ottobre 2000 - 1 aprile 2001. Testi di Gilda Bartoloni, Giovanni Colonna, Filippo

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Italian Pages 446 Year 2000

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Principi etruschi tra Mediterraneo ed Europa
 8831776037,  9788831776035

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COMUNE DI BOLOGNA MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO

Principi etruschi tra Mediterraneo ed Europa

Marsilio

SOTTO L'ALTO PATRONATO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

COMITATO PER BOLOGNA 2000

CONSIGLIERI

Umberto Eco

PRINCIPI ETRUSCHI

Giorgio Guazzaloca

tra Mediterraneo ed Europa 1 ottobre 1000 - 1 aprile 1001 Bologna, Museo Civico Archeologico via dell'Archiginnasio, 1

Responsabile del Progetto Comunicazione

Sindaco di Bologna, Presidente EnzoBiagi Marina Deserti

Consigliere per i rapporti con i media

Assessore alla Cultura del Comune di Bologna

Luca Cordero di Montezemolo

Consigliere per i rapporti con le imprese Dante D'Alessio

in rappresentanza del Ministro per i Beni e le Attività Culturali Giovanna Melandri

STAFF

Vasco Errani

Direttore Generale

Fulvio Alberto Medini

Presidente della Regione Emilia-Romagna Enrico Biscaglia Vittorio Prodi

Segretario Generale

Prendente della Provincia di Bologna MarcoZanzi

Magnifico Rettore dell'Università degli Studi

Coordinamento generale Direttore Divisione marketing e comunicazione

Giancarlo Sangalli

Ivana Calvi

Presidente della Camera di Commercio Industria e Artigianato

Tesoriera

Fabio Alberto Roversi Monaco

Giordano Gasparini

Direttore Divisione programmazione culturale COMITATO ISTRUTTORE

Paolo Trevisani Marina Deserti

Assessore alla Cultura del Comune di Bologna Vera Negri Zamagni

Assessore alla Cultura della Regione Emilia-Romagna Marco Macciantelli

Assessore alla Cultura della Provincia di Bologna Loretta Ghelfi, Roberto Calari

Delegati CCLAA Alessandro Chili

Delegato della Regione Emilia-Romagna Giuseppe Maria Mioni

Delegato del Consiglio Comunale

Direttore Divisione promozione turistica

La mostra è promossa dal

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA

COMITATO PER BOLOGNA 2000

Elda Antinori Federica Guidi

e organizzata dal

con la collaboraz.ione di

MUSEO CIVJCO ARCHEOLOGICO DI BOLOGNA

Massimo Lanzarini Sonia Sorbi RESTAURI E MANUTENZIONE

Cristiana Morigi Govi

Laboratorio di restauro del Museo Civico Archeologico di Bologna: Bruno Benati, Angelo Febbraro, Rocco Ciardo Lucia Miazzo, Milano Giovanni Morigi e f. s.n.c., Bologna

COMITATO SCIENTIFICO

UFFICIO STAMPA

Angelo Maria Ardovino Gilda Bartoloni Anna Maria Bietti Sestieri Angelo Bottini Francesco Buranelli Stefano De Caro Filippo Delpino Raffaele Carlo De Marinis Maria Antonietta Fugazzola Delpino Luigi Malnati Mirella Marini Calvani Giuliano de Marinis Giulia Molli Boffa Cristiana Morigi Govi Anna Maria Reggiani Giuseppe Sassatelli Anna Sommella Mura Anna Maria Sgubini Moretti Giuliana Tocco

Studio ESSECI, Padova

DIRETTORE DELLA MOSTRA

e

.BORGHI INTERNATIONAL SPA

ASSICURAZIONI

IDEAZIONE E CURA GENERALE DELLA MOSTRA

Gilda Bartoloni Filippo Delpino Cristiana Morigi Govi Giuseppe Sassatelli

TRASPORTI, SERVJZI DOGANALI

PROMOZIONE

Cesare Bemardi SERVJZI

Organiuaz.ione Carla Gallina Nadia Matteuzzi Obiettori di coscienza in servizio presso il Museo Civico Archeologico di Bologna: Pietro Callivà, Matteo Frassinetti, Alessio Guizzardi, Cristian Parisi, Gianstefano Pollini PROGETTO DELL'ALLESTIMENTO

Stefano Piazzi con Silvia Morselli e Luigi Tundo e con la collaboraz.ione di Michele De Beni

SEGRETERIA SCIENTIFICA

REALIZZAZIONE DELL'ALLESTIMENTO

AnnaDore Marinella Marchesi Laura Minarini

Pentagono, Bologna RICOSTRUZIONE DEI MONUMENTI

Alberto Bellei Lorenzo Morigi ILLUMINAZIONE

Marco Cadetti, Bologna PANNELLI ILLUSTRATM

testi AnnaDore Elisabetta Govi Marinella Marchesi Laura Minarini

studio grafico Patrizia Bicchierini

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con la collaboraz.ione di

illN 1Res1o c1e1 o.tino

PERCORSO DIDATTICO

MUSEI ED ENTI PRESTATORI

Vita da principe. Nella reggia di un principe etrusco

Ancona, Museo Archeologico Nazionale delle Marche Ancona, Soprintendenza Archeologica per le Marche Animino, Museo Archeologico Atene, Museo Archeologico Nazionale Berlino, Staatliche Museen, Antikensarnrnlung Berlino, Staatliche Museen, Vorderasiatisches Museum Bologna, Museo Civico Archeologico Bologna, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna Cerveteri, Museo Nazionale Cerite Chatillon-sur-Seine, Musée du Chatillonnais Chianciano Terme, Museo Civico Archeologico Chieti, Museo Archeologico Nazionale Chieti, Soprintendenza Archeologica dell'Abruzzo Chiusi, Museo Archeologico Nazionale Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco Civita Castellana, Museo Archeologico dell'Agro Falisco Civitavecchia, Museo Nazionale Archeologico Colmar, Musée d'Unterlinden Como, Civico Museo Archeologico "Paolo Giovio" Copenaghen, National Museum ofDenmark Eberdingen-Hochdorf, Keltenmuseum Este, Museo Nazionale Atestino Firenze, Museo Archeologico Nazionale Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana Forll, Museo Archeologico "Antonio Santarelli" Grosseto, Museo Archeologico e d'Arte della Maremma Grottaferrata, Museo Nazionale dell'Abbazia di S. Nilo Herakleion, Museo Archeologico Karlsruhe, Badisches Landesmuseum Lamaca, District Museum Limassol, District Museum Londra, British Museum Londra, Victoria and Albert Museum Mainz, Romisch-Germanisches Zentralmuseum Marzabotto, Museo Nazionale Etrusco "Pompeo Aria"

In occasione della mostra è stata allestita, nella sala del Risorgimento del Museo Civico Archeologico, la sezione didattica «Vita da principe. Nella reggia di un principe etrusco», rivolta agli alunni delle scuole elementari e medie

Idea1.ione Cristiana Morigi Govi Laura Bentini Caterina Taglioni

Progetto dell'allestimento Stefano Piazzi, Silvia Morselli, Michele De Beni

Reali1.1.01.ione del'allestimento Pentagono, Bologna

Scene figurate Anna Maria Monaco

Riprodu1.ioni Evoluzione Creativa, Bologna: Raziel Lauviah e Tiziana D'Alessio (manichini); Maria Gobbi e Nadia Melloni (tappezzerie); Marco Casagrande (gioielli etruschi); Marino Artigianato, Roma (vasellame etrusco) Laboratorio di restauro del Museo Civico Archeologico di Bologna: Bruno Benati (oggetti etruschi in bronzo e legno)

Seroi1.io alle scuole Carla Arbizzani, Laura Bentini, Anna Carroli, Roberto Franchi, Federica Guidi, Patrizia Nardin, Caterina Taglioni QUADERNO DIDATTICO

In visita a... Vita da principe. Nella reggia di un principe etrusco Testi di Laura Bentini Maria Giovanna Bertani Laura Dall'Olio Tullia Moretto Caterina Taglioni

Illustra1.ioni di Angelo Filippini

Milano, Soprintendenza Archeologica della Lombardia Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate Nicosia, Cyprus Museum Oxford, Ashmolean Museum of Art and Archaeology Padova, Soprintendenza Archeologica per il Veneto Parigi, Musée du Louvre Parma, Museo Archeologico Nazionale Pontecagnano, Museo Nazionale dell'Agro Picentino Reggio Emilia, Musei Civici Roma, Musei Capitolini Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Roma, Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico "Luigi Pigorini" Roma, Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale Roma, Soprintendenza Archeologica per il Lazio Sarno, Museo Archeologico Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, Ufficio Archeologico di Ischia Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento Stoccarda, Wiirttembergisches Landesmuseum Tarquinia, Museo Nazionale Archeologico Torino, Museo di Antichità Torino, Soprintendenza Archeologica del Piemonte Verucchio, Museo Civico Archeologico Vetulonia, Museo Civico Archeologico "Isidoro Falchi" Vienna, Naturhistorisches Museum Viterbo, Museo Archeologico Nazionale Volterra, Museo Etrusco Guamacci Vulci, Museo Archeologico Wiesbaden, Museum Wiesbaden

SI RINGRAZIANO

CATALOGO

Myma Kleopas

Direzione scientifica

Ambasciatore della Repubblica di Cipro in Italia

Gilda Bartoloni Filippo Delpino Cristiana Morigi Govi Giuseppe Sassatelli

Alexandros Sandis

Ambasciatore della Grecia in Italia

Mario Serio

Direttore Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Cura e coordinamento redazionale

in copertina:

Testi di

Direttore della National Gallery di Londra

Gilda Bartoloni, Giovanni Colonna, Filippo Delpino, Pavlos Flourentzos, Michael Gras, Friederich-Wilhelm von Hase, Vassos Karageorghis, Mario Liverani, Marinella Marchesi, Cristiana Morigi Govi, Giuseppe Sassatelli, Mario Torelli

Professore del Dipartimento di Archeologia e Filologia Classiche, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Genova José Enrique Ortiz

Studio Cheste

AnnaDore Marinella Marchesi Laura Minarini

Neil MacGregor Franco Montanari

Redazione Rosanna Alberti Paola Gaudioso

Impaginazione

Francesco Bascone

Ambasciatore italiano nella Repubblica di Cipro

Coordinamento redazionale Giovanni Keller

PER U PREZIOSA COLUBORAZIONE:

particolare della fibula ad arco configurato a sfinge dalla tomba del Littore di Vetulonia, 630-620 a.C. Firenze, Museo Archeologico Nazionale (per gentile concessione del Centro iconografico De Agostim)

Instituto Nacional de Antropologia y Historia, Città del Messico

Si ringraziano i direttori, i funzionari, i restauratori e il personale tecnico dei musei e degli enti prestatori che con la loro collaborazione hanno reso possibile la realizzazione di questa mostra

Schede di

© 2000 by Marsilio Editori®s.p.a.

Patrizia Aureli, Laura Bentini, Irene Berlingò, Christof Bems, Maria Chiara Bettini, Francesca Boitani, Stefano Bruni, Bodil Bundgaard Rasmussen, Francesco Buranelli, Donatella Caporosso, Ida Caruso, Giuseppina Carlotta Cianferoni, Cristof Clausing,Jean-Louis Coudrot, Maria Anna De Lucia Brolli, Filippo Delpino, Anna Dore, Patrizia von Eles, Anna Maria Esposito, Pavlos Flourentzos, Filippo Maria Gambari, Françoise Gaultier, Giuseppina Ghini, Costanza Gialanella, Silvia Goggioli, Elisabetta Govi, Mario lozzo, Ursula Kastner, Anton Kem, Maurizio Landolfi, Enzo Lippolis, Roberto Macellari, Antonella Magagnini, Adriano Maggiani, Stella Mandalaki, Elisabetta Mangani, Marinella Marchesi, Dirce Marzoli, Laura Minarini, Anna Maria Moretti Sgubini, Cristiana Morigi Govi, Francesco Nicosia, Lucia Pagnini, Giulio Paolucci, Bemhard Pinsker, Suzanne Plouin, Rosa Proskynitopoulou, Anna Rastrelli, Laura Ricciardi, Miria Roghi, Angela Ruta Serafini, Ferdinando Sciacca, Judith Swaddling, Caterina Taglioni, Maria Viglaki, Ralf-B. Wartke, Irma Wehgartner, Paola Zamarchi Grassi

in Venezia ISBN 88-317-7603-7

Traduzioni di Anna Dore, Maria Pia Falcone, Aurora von Hase, Marinella Marchesi Laura Minarini

www.marsilioeditori.it

Avvicinarsi a questa grande Mostra sui Principi etruschi e sulla loro straordinaria civiltà significa non solo scoprire un evento culturale di rilievo, ma anche comprendere l'importanza che il nostro passato storico riveste: intendo dire la capacità di capire e giudicare la realtà del nostro tempo, sia essa culturale, umana o politica. È con una certa emozione, dunque, che ci avviciniamo a questa grande Mostra: perché in essa possiamo rivivere ritualità, consuetudini, ma anche speranze e ambizioni che nel tempo, nella storia, hanno mutato /orma, giungendo tuttavia fino a noi nell'identica sostanza umana che le motiva. Bologna vanta una grande tradizione di studi sulla storia e sulla cultura etrusca. Mi piace pensare che questo non sia per caso. Credo in/atti che l'appartenenza ad una terra non ci conceda solo il diritto alla scoperta o l'obbligo all'approfondimento; ma susciti anche l'amore e la curiosità che si nutrono per le proprie origini, e l'idea che abbiamo sulla nostra più remota e più attuale identità. GIORGIO GUAZZALOCA

Presidente del Comitato per Bologna 2000

Alla memoria di Massimo Pallottino, con affetto e animo grato

PREMESSA

Nel Duemila Bologna è «Città Europea della Cultura» e con una serie di ini­ ziative ad ampio spettro, come Mostre, Convegni e Spettacoli, oltre che con alcune significative opere di carattere durevole, la città ha inteso e intende onorare questa sua designazione e questo suo ruolo. Con la scelta di una Mostra archeologica dedicata ai «Principi etruschi tra Mediterraneo ed Europa» si è voluto affrontare un tema relativo alla storia più antica della città, quando essa era una grande metropoli etrusca e, come tale, tra VI I ! c VII secolo a.C. esercitò un ruolo decisivo nella dinamica dei rapporti culturali tra il Mediterraneo da un lato e l'Europa dall'altro. Per celebrare degnamente il suo essere «Città Europea della Cultura» con questa Mostra, Bologna intende quindi prendere in esame un momento molto importante della sua storia, durante il quale la città, in quanto città etrusca, ebbe un peso determinante proprio nei riguardi dell'Europa - che allora era l'Europa dei Celti- delle sue trasformazioni culturali e più in ge­ nerale della sua storia. La scelta di questo tema per una Mostra archeologica dipende quindi in primo luogo dal desiderio di avere un nesso coerente ed organico tra l'iniziativa in sé e la cornice generale in cui essa è inserita. Bolo­ gna deve questo suo importante ruolo nei riguardi della storia e della cultu­ ra europea al fatto di essere stata una grande città etrusca, sul cui nome, Fel­ sina, possediamo una solida e coerente tradizione storica assai bene confer­ mata da una straordinaria documentazione archeologica. Infatti Plinio il Vecchio, oltre ad informarci dell'esistenza di una confederazione di dodici città etrusche nella pianura padana, ci dice anche che all'interno di tale con­ federazione a Bologna era riconosciuto un indiscutibile primato: «Bononia, Felsina vocitata tum eum princeps Etruriae esse!» (PLINIO, Storia Naturale III, 15, 115). Secondo una recente interpretazione di Giovanni Colonna, in questa testimonianza di Plinio, il termine princeps avrebbe un significato più crono­ logico che politico-istituzionale e sarebbe quindi usato come sinonimo di metropolis o di princeps gentis, per indicare che la città ebbe un ruolo nella genesi e nella formazione dello stesso ethnos etrusco, analogamente a Corto­ na (nella tradizione dei Pelasgi) e a Pyrgi (nella tradizione dei Lidi). Se a Bo­ logna viene attribuito questo primato, addirittura in rapporto all'intero eth­ nos etrusco, è evidente che ciò deriva da un riconoscimento delle sue funzio­ ni di controllo e di accentuato risalto, anche e soprattutto nei confronti del vasto territorio padano saldamente controllato dagli Etruschi, che la confi­ gurano di fatto come sua «capitale», facendo per di più risalire ad una età assai remota e quasi mitica la presenza etrusca nella Valle del Po, in sincro­ nia con la prima frequentazione dell'area tirrenica da parte degli stessi Etru­ schi (Tarconte sarebbe stato oltre che fondatore ed eponimo di Tarquinia anche il fondatore delle città etrusche della confederazione padana). Ed è proprio in virtù di questo suo primato etrusco che Bologna vanta lega­ mi molto stretti con il Mediterraneo e con l'Oriente: non è un caso che per alcune manifestazioni, come la grande scultura in pietra del VII secolo a.C., la lezione orientale sembra essere giunta a Bologna direttamente attraverso la migrazione di artisti. E grazie alla sua posizione geograficamente favore­ vole al ruolo di intermediario tra nord e sud, tra Mediterraneo e continente europeo, la città può farsi promotrice di relazioni altrettanto strette con l'Europa dei principi celti. Tutto questo rende assai coerente l'iniziativa del-

Oceano Atlantico

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la Mostra con l'occasione generale in cui essa si trova inserita, dato che il suo filo conduttore è quello di illustrare come merci, materiali e persone, ma an­ che idee, tecnologie, modelli culturali e «stili di vita», maturati nei più evo­ luti centri dell'Oriente mediterraneo, approdino felicemente tra gli Etru­ schi, sia di area tirrenica che di area padana, i quali a loro volta si fanno pro­ motori di una loro ulteriore diffusione verso l'Europa dei Celti. Non è un caso che il periodo cui la Mostra si riferisce venga indicato come «fase orientalizzante» e come «fase aristocratica o dei principi» per quanto riguarda rispettivamente lo sviluppo della civiltà e l'evoluzione della struttu­ ra sociale delle comunità etrusche. Con il termine «Orientalizzante» si allu­ de agli influssi orientali che permeano le principali manifestazioni artistiche e culturali degli Etruschi tra la fine dell'vm e gli inizi del VI secolo a.C., al punto tale che alcuni studiosi del secolo scorso pensarono di avere trovato in questo una prova «archeologica» della presunta origine orientale degli Etruschi stessi, adombrata dalle fonti e in particolare da Erodoto. Con «fase aristocratica o dei principi» si allude al fatto che proprio gli aristoi o i princi­ pi delle singole comunità etrusche sono i responsabili di questa adesione co­ sì marcata alle ideologie dei regni del Vicino Oriente, dai quali si importano materiali e manufatti, modelli architettonici, insegne e strutture del potere, cerimonialità funerarie e simposiache, esibizioni del rango. E questo rinno­ vato interesse per i «principi etruschi» si è reso concreto proprio di recente in due importanti Mostre come quella di Viterbo nel 1998 (Carri da guerra e principi etruschi) e quella di Cecina del 1999 (/principi guerrieri. La necropoli etrusca di Casale Marittimo). Il tema dell'Orientalizzante nel suo duplice aspetto di manifestazione cultu­ rale e artistica da un lato, di assetti sociali e di strutture ideologiche dall'al­ tro, è per di più un delicato problema scientifico che prima d'ora non è mai stato affrontato in modo organico e completo, né con Convegni né con Mo­ stre. Anche se esso costituisce sicuramente un tema centrale negli studi di Etruscologia e di Archeologia italica, manca però ancora una trattazione si­ stematica che ne consideri unitariamente il punto di partenza e quello di ar­ rivo attraverso tutte le tappe intermedie, sia cronologiche che geografiche. Non spetta certo a noi dire se la Mostra che qui si presenta raggiunga o me­ no questo difficile obiettivo. Possiamo sicuramente dire che un'altra delle motivazioni che ci hanno indotto a questa scelta è stata anche l'opportunità di carattere scientifico di affrontare il problema dell'Orientalizzante in ter­ mini complessivi, superando alcune partizioni disciplinari troppo rigide e mettendo insieme competenze diverse. Massimo Pallottino, nell'ormai lon­ tano 1963, redigendo la voce «Orientalizzante» dell'Enciclopedia Universale dell'Arte, di straordinaria lungimiranza per i tempi in cui fu scritta, sottoli­ neava la natura «eminentemente commerciale ... e in un certo senso esteriore della voga orientalizzante». Da allora è stata fatta molta strada sul piano del­ la ricerca. Nuove scoperte archeologiche, in particolare quelle delle residen­ ze e dei palazzi, che hanno messo in luce momenti e aspetti della vita dei «principi etruschi» molto coerenti, oltre che diretti e privi di quel diafram­ ma costituito dall'ideologia funeraria che incombe su tutta la documentazio­ ne sepolcrale; ma soprattutto nuovi metodi di indagine hanno consentito di delineare ed acquisire schemi interpretativi più raffinati e attendibili, alla lu-

ce dei quali la «fase orientalizzante o dei principi)) ci appare oggi come un fenomeno assai ricco e più complesso di una semplice importazione di og­ getti orientali. Non solo gli oggetti infatti vengono importati, ma anche le idee e le strutture mentali; del resto gli assetti sociali e culturali che vengono a contatto, pur così lontani nello spazio, sono molto simili e parlano sostan­ zialmente lo stesso linguaggio, sia per quanto riguarda gli aspetti generica­ mente culturali, sia per quanto riguarda l'esercizio del potere e l'esibizione del rango. Ma la fase orientalizzante della quale si intende ricostruire ed illustrare in Mostra i caratteri essenziali presenta anche altri aspetti di notevole impor­ tanza nelle aree di origine e nei punti di arrivo, in particolare in Etruria. Di grande rilievo risulta in primo luogo la sequenza delle vicende storiche, ma anche la ricostruzione del quadro politico e istituzionale dell'Oriente, dove la dinamica tra i grandi regni o imperi da un lato e la pluralità degli staterelli della fascia levantiva dall'altro, hanno forti ripercussioni sulla origine e sulla formazione deii'«Orientalizzante)) e sulla sua diffusione verso ovest. Ad in­ teressare e ad attirare i principi etruschi fu soprattutto il regime monarchico degli stati levantini, caratterizzato da palazzi relativamente piccoli ma in po­ sizione eminente, da un'economia fortemente accentrata, ma con una spic­ cata attitudine al commercio, da una esibizione del rango e delle attività no­ bili ed eroiche del re (caccia e guerra), da una precisa strutturazione della cerimonialità regale, con particolare riguardo al banchetto in tutte le sue fa­ si e in tutti i suoi valori «simbolici)). Da questo ambito orientale furono im­ portati per le corti occidentali oggetti di lusso, in oro, argento, bronzo, ma anche avorio, vetro e pietre preziose, insieme a nuove soluzioni architettoni­ che e a simboli del rango principesco. Una volta individuata e presa in esame l'area di origine del fenomeno «Oriemalizzante)), di grande importanza risulta anche la definizione delle caratteristiche e delle dinamiche dello scambio, in una fase in cui il commer­ cio non è ancora in mano a «specialisti)) e gli oggetti viaggiano carichi di un significato simbolico che va bene al di là del loro valore intrinseco, per quanto prezioso. E sotto questo aspetto ci sono di grande aiuto i poemi omerici che, affidati alla memoria degli aedi, venivano trascritti per la prima volta proprio alla fine dell'viii secolo a.C., perché ci consentono di com­ prendere sia l'aspetto pratico che il significato simbolico e il funzionamento ideologico degli oggetti di pregio. Se i calderoni bronzei richiamano la bolli· tura delle carni e gli spiedi alludono alla sua arrostitura, le coppe in oro e ar­ gento, spesso decorate con scene di caccia e di guerra, si riferiscono invece al consumo del vino, con una significativa insistenza sul tema del banchetto e del simposio che, ancora una volta, si riallaccia all'Oriente e, soprattutto per quanto riguarda il consumo del vino, evoca e sottolinea l'appartenenza ad una medesima consorteria aristocratica di coloro che vi partecipano. Tali oggetti circolavano tra i «principi)) con modalità che rivelano una coesisten­ za, sia pure parziale da un punto di vista cronologico, della pratica del dono e delle attività mercantili, indizio di profonde trasformazioni interne ai sin­ goli gruppi, oltre che di una evoluzione dei loro rapporti commerciali. Nel suo viaggio verso ovest, questo «vento orientale)) deve misurarsi con la Grecia e con l'Egeo, che hanno un ruolo determinante e decisivo sulle sue

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manifestazioni più occidentali, ponendosi come tappa intermedia tra Orien­ te e Occidente, non indenne da rielaborazioni oltre che da nuove sollecita­ zioni. È ben noto che nella prima metà dell'viii secolo a.C. l'Eubea - dove probabilmente sono anche stati trascritti i poemi omerici -luogo centrale anche per la più antica fase formativa dell'Orientalizzante, consolida la pro­ pria presenza sia in Oriente, con la fondazione dell'emporio di Al-Mina alle foci dell'Oronte nella Siria settentrionale, sia in Occidente, con lo stanzia­ mento di Pitecusa nell'isola di Ischia. Se a questo si aggiunge che anche il mondo fenicio rafforza il suo interesse e la sua presenza verso ovest, se ne ri­ cava un quadro estremamente dinamico della circolazione e degli scambi tra Oriente ed Occidente. In Grecia, area assai più progredita sul piano sociale e istituzionale, i raffinati e preziosi prodotti della metallurgia orientale sono riservati ai santuari, e non alle sepolture dei principi come in Etruria; d'altra parte la Grecia interviene in modo molto marcato per ricondurre ad una propria cifra stilistica gli apporti orientali, ancora una volta in modo diverso dall'Etruria, dove pur non mancando interpretazioni locali, resta prevalente il carattere esotico dei prototipi. Ma anche per quanto riguarda l'«Orienta­ lizzante» in Etruria si tende oggi sempre di più a sottolineare peso ed evi­ denza della componente greca: nell'acquisizione della scrittura, fenomeno così profondamente radicato nella struttura e nella ideologia delle aristocra­ zie principesche; in episodi come l'arrivo a Tarquinia del corinzio Demarato o in manifestazioni artigianali come la ceramica etrusco-corinzia. Si può quindi legittimamente affermare che gli apporti vicino-orientali non sosti­ tuiscono, ma si affiancano a quelli provenienti dal mondo greco e che en­ trambi si devono poi misurare con una forte presenza di tradizioni locali. Due ulteriori considerazioni si possono fare infine sull'Orientalizzante in Etruria. Un fenomeno di così vasta portata non può essere ricondotto, come spesso si è fatto fino ad anni recenti, esclusivamente alla preziosità e alla ra­ rità dei manufatti importati e dei beni suntuari, generalmente non di grandi dimensioni. Al contrario esso si caratterizza anche e soprattutto per una spiccata tendenza al monumentale, al grandioso e al durevole, particolar­ mente evidente nei tumuli ceretani e nelle loro cornici, oltre che nelle mani­ festazioni assai precoci della scultura in pietra; gli uni e le altre sono infatti forse giunti in Etruria direttamente dall'Oriente, attraverso la migrazione di artisti e quindi senza alcuna intermediazione greca, ed entrambi sono forte­ mente congeniali all'ideologia aristocratica. I tumuli sono infatti monumen­ ti funerari dove le grandi famiglie aristocratiche possono seppellire per più generazioni i loro morti esibendo così la propria discendenza; mentre le più antiche sculture in pietra recuperano solenni iconografie orientali per cele­ brare ancora una volta gli avi del defunto e della moglie. Attraverso la rico­ struzione a grandezza naturale di vari monumenti o di parte di essi (tumulo di Cortona, tomba degli Scudi e delle Sedie, tomba delle Cinque Sedie, pa­ lazzo di Murlo) la Mostra intende sottolineare proprio questo aspetto, trop­ po spesso trascurato, dell'Orientalizzante in Etruria, che, come si è dimo­ strato, si presenta sempre di più come un periodo fortemente interessato al­ la monumentalizzazione in materiale durevole (pietra e terracotta) e in di­ mensioni notevoli sia di tombe che di residenze. L'altra considerazione di rilievo riguarda il significato storico complessivo

XVIII

della fase orientalizzante in Etruria, che non è così nettamente distinguibile dalla precedente fase villanoviana. Del resto solo i grandi agglomerati pro­ tourbani di questa fase, con le loro straordinarie potenzialità economiche, la grande disponibilità di risorse e la impressionante consistenza demografica potevano esercitare la necessaria attrazione per merci e mercanti del lontano Mediterraneo orientale. E proprio in virtù di questi suoi legami molto stret­ ti con l'età precedente, la fase orientalizzante si caratterizza sempre di più come un tipico momento di transizione «dalla protostoria alla storia, dall'oralità alla scrittura, dalla protocittà alla città arcaica» (CoLONNA), im­ primendo una decisiva accelerazione a fatti storici di grande rilievo. E i pro­ tagonisti di questa importante svolta storica sono proprio gli aristoz; i «prin­ cipi» cui è dedicata la mostra che si snoda e si articola in una serie di temi per così dire emblematici: il palazzo, la tomba, il banchetto, lo stile di vita e le manifestazioni del potere, la donna, la pratica della scrittura. A questo fenomeno partecipa, sia pure con alcune marcate diversità rispetto all'area tirrenica, anche l'Etruria padana, dove i centri di Bologna e di Ve­ rucchio diffondono verso l'area transalpina materiali, ideologie e momenti cerimoniali che caratterizzano la vita e la cultura delle corti principesche dell'Etruria. I principi celti subiscono il fascino di questa nuova cultura: le loro tombe e le loro residenze, sono indubbiamente ispirate, sia pure in sen­ so lato, a modelli di provenienza meridionale. Nel 1912 Albert Grenier, nella introduzione della sua Bologne villanovienne et étrusque, scriveva «L'età del ferro [che per lui significa essenzialmente VIII, VII e VI secolo a.C.] manifesta con sufficiente chiarezza una progressione continua dalla civiltà [civilisation] da sud verso nord. Le terre dell'Europa hanno fornito i popoli, ma le onde del Mediterraneo hanno apportato le ar­ ti». E a quelle onde intende fare esplicito riferimento l'immagine della nave con cui si apre la Mostra e che si pone all'inizio di un lungo itinerario che parte dal lontano Oriente e al termine del quale si trovano la monumentale statua di Hirschlanden e la kline di Hochdorf, due monumenti fortemente imbevuti di sollecitazioni etrusche e di influssi mediterranei.

Gilda Bartoloni Filippo De/pino Cristiana Morigi Gavi Giuseppe Sassatelli

Con affetto e rimpianto desideriamo ricordare Si/vana Tovo/i, collega e amica da sempre, che partecipò all'avvio del nostro lungo lavoro.

INDICE

XIII

3

Premessa

I63

LA TOMBA

Gilda Bartoloni, Filippo Delpino, Cristiana Morigi Gavi, Giuseppe Sassatelli

I72

schede I24-I88

Potere e regalità nei regni del vicino Oriente

I9I

IL PRINCIPE E LA CERIMONIA

Mario Liverani 15

Il Mediterraneo in età Orientalizzante: merci, approdi, circolazione Michel Gras

27

37

n mondo omerico e la cultura Orientalizzante mediterranea

67

I96

schede I89-252

22I

IL PRINCIPE: STILE DI VITA E MANIFESTAZIONI DEL POTERE

Filippo De/pino, Gilda Bartoloni 230

schede 253-343

Cipro «omerica»

27I

LA DONNA DEL PRINCIPE

278

Gilda Bartoloni schede 344-434

) La cultura Orientalizzante in Grecia e nell'Egeo Bruno d'Agostino

55

DEL BANCHETTO

Filippo De/pino

Carmine Ampolo

Vassos Karagegrghis 43

Gilda Bartoloni

La cultura Orientalizzante in Etruria Giovanni Colonna Le regiae etrusche e laziali tra Orientalizzante e Arcaismo

307 IL PRINCIPE E LA PRATICA DELLA SCRITTURA

Giuseppe Sassatelli 3I8

327 I PRINCIPI PADANI: L'ORIENTALIZZANTE SETTENTRIONALE

Cristiana Morigi Gavi, Marinella Marchesi

Mario Torelli 79

Culture mediterranee e mondo celtico tra VII e VI secolo a.C. Friedrich-Wilhelm von Hase

schede 425-442

338

schede 443-578

377 I PRINCIPI CELTI Raffaele C. De Marinis 390

schede 579-594

403

Nota sull'allestimento

407

Bibliografia

Filippo Delpino, Pavlos Flourentzos

427

Indice topografico degli oggetti in catalogo

102

schede I-I09

435

Referenze fotografiche

143

IL PALAZZO

CATALOGO 9I

TRA ORIENTE ED ETRURIA: I MODELLI E LA FORMAZIONE DELLA CULTURA ORIENTALIZZANTE

Giuseppe Sassatelli 154

schede IIO-I23

PRINCIPI ETRUSCHI tra Mediterraneo ed Europa

POTERE E REGALITÀ NEI REGNI DEL VICINO ORIENTE Mario Liverani

ORIENTE E OCCIDENTE

La contrapposizione tra Oriente e Occidente, concetto profondamente radicato nella nostra ricostruzione sto­ rica del Mediterraneo orientale nell'antichità, ha in realtà una sua genesi e una sua datazione piuttosto pre­ cisa. La contrapposizione non è applicabile al periodo dal Ix al VII secolo a.C. (il periodo della Grecia «ameri­ ca» e «orientalizzante»), ma sorge alla fine del VI secolo con la rivolta ionica e con le guerre persiane. Lo scontro tra le città-stato greche e l'impero persiano venne vissu­ to (basta leggere Erodoto) come uno scontro di civiltà e di ideologie opposte: da un lato la libertà, la democrazia rappresentativa, la giustizia, il valore personale, la vita sobria, l'iniziativa imprenditoriale; dall'altro la servitù generalizzata, il dispotismo, l'arbitrio, la coercizione, il lusso, l'economia redistributiva e di tesaurizzazione. E nella storiografia moderna, una simile contrapposizione risale al tempo della guerra d'indipendenza greca con­ tro l'impero ottomano, vissuta dagli intellettuali europei (che vi presero parte attiva) sulla falsariga delle guerre persiane di oltre due millenni prima: ancora una volta scontro tra libertà e dispotismo - anche se la Grecia di allora era un paese piuttosto levantino che non europeo, e anche se l'indipendenza si concretizzò nell'insedia­ mento di un re tedesco. In età orientalizzante, le popolazioni dell'Europa medi­ terranea erano in rapporto non tanto con gli imperi orientali (Egitto, Assiria, Babilonia, Elarn) ma piuttosto col mondo «levantino» della Palestina e della Siria, di Cipro, dell'Anatolia, un mondo socialmente e politica­ mente organizzato in maniera non troppo dissimile dal loro. Da questo mondo levantino partivano le correnti di gusto decorativo, gli oggetti di pregio, i modelli di comportamento cerimoniale e aristocratico che si diffondevano in Grecia e poi in Etruria e in altre zone del Mediterraneo centrale e occidentale (fino alla Spa­ gna), in parte tramite il vettore pre-coloniale e poi colo­ niale di Fenici e Greci, e in parte tramite contatti incro­ ciati e assunzione di modelli prestigiosi. Del resto, parallelamente al fenomeno che chiamiamo «Orientalizzante» si sviluppò nel Vicino Oriente anche un fenomeno che dovremmo per analogia chiamare «Occidentalizzante»: gli stessi prodotti di lusso (avori intagliati, vasellame metallico, stoffe ricamate) che i centri levantini esportavano verso il Mediterraneo, li esportavano anche verso l'Assiria, anche se in forme che le fonti ci fanno apparire più diverse di quanto forse

realmente fossero (insistendo i testi assiri sull'aspetto «tributario» di questi apporti, aspetto che , ha però spes­ so un'evidente coloritura ideologica). E dunque utile per la nostra analisi distinguere nel Vicino Oriente due mondi diversi tra loro: quello che abbiamo chiamato «Levante» (grosso modo la fascia siro-palestinese e ana­ tolica a ridosso del Mediterraneo) e il vero e proprio «Oriente» (ad est dell'Eufrate) sede residuale degli im­ peri «dispotici». Per comprendere l'origine di questa bipartizione (che mi pare utile ed evidente, anche se i due termini di Levante e Oriente hanno identico valore etimologico) occorre fare un passo indietro nel tempo. Nel Tardo Bronzo (secoli XV-XIII a.C.) il Vicino Oriente è organizzato in una serie di regni di ampiezza regionale: il regno hittita in Anatolia e in Siria settentrionale, quello Egiziano nella valle del Nilo (fino in Nubia) e in Palestina, quello di Mitanni e poi di Assiria in alta Mesopotamia, quello della Babilonia cassi­ ta in bassa Mesopotamia, quello dell'Elam in Iran sud­ occidentale. Il mondo miceneo è come un'appendice di questo sistema regionale, appendice piuttosto periferica ma dotata di straordinaria vitalità e forse (se si accetta il quadro omerico) non privo di una qualche forma di coordinamento politico. Ma nei secoli XII-XI a.C. lo sce­ nario venne sconvolto prima da fenomeni migratori (i «Popoli del Mare» sulla costa siro-palestinese e a Cipro; i Frigi in Anatolia) e poi dalle infiltrazioni di tribù semi­ nomadi (Aramei in Siria e alta Mesopotamia, lsraeliti e Moabiti ed Edomiti in Palestina interna), che determina­ rono sia il recedere degli stati regionali (i futuri «imperi») a est dell'Eufrate, sia il crollo nella fascia levantina del si­ stema politico accentrato sul palazzo reale e l'emergere di rapporti socio-politici derivanti o dall'organizzazione tri­ bale Oo stato come una «tribù allargata», basato su affi­ nità genealogica) o dalle comunità locali («giudici» e «an­ ziani»). Pian piano però la fascia levantina, finalmente autonoma dagli imperi orientali, venne ricostituendo il suo tessuto di palazzi reali e diede vita a una fiorente pro­ duzione artigianale di lusso che si diffuse dai pochi centri residui (città fenicie, stati neo-hittiti) verso le nuove for­ mazioni di origine migratoria o nomadica. IL LEVANTE: CITTÀ-STATO E REGNI

Tutta la fascia levantina è suddivisa in una pluralità di staterelli di dimensione che possiamo definire «canto­ nale»: una città capitale (col palazzo reale), qualche al­ tra cittadina fortificata, e qualche centinaio di villaggi

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La genesi del mondo levantino alla fine del secondo millennio a.C.

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Area interessata dalle migrazioni del XII secolo a.C. Freccia tratteggiata

Migrazioni di origine balcanica (Frigi, Popoli del mare) Freccia punteggiata

Migrazioni dalle steppe interne (Libici, Armeni)

dediti alla produzione agro-pastorale. Il sistema è in so­ stanziale equilibrio, pur non mancando lotte tra confi­ nanti (ad esempio tra Tiro e Sidone, tra Israele e Giuda, tra Damasco e Hama). Gli stati della costa siro-palesti­ nese sono vere e proprie città-stato (fenicie al centro­ nord, filistee al sud) di un'estensione di circa 2.ooo km' in media, mentre i regni di origine tribale della Siria in­ terna e gli stati neo-hittiti in Anatolia sud-orientale han­ no un'estensione maggiore (sui 7.000 km1 e anche più). Ma il dato della semplice estensione può ingannare: in realtà le piccole città-stato occupano zone a popolamen­ to intensivo, mentre gli stati della steppa semi-arida nell'interno e quelli montani hanno un territorio in par­ te inospitale, o a occupazione stagionale. Nella steppa transgiordanica e siro-mesopotamica si pratica la tran­ sumanza «orizzontale» (pascoli estivi nelle vallate irri­ gue e pascoli invernali nella steppa); nelle zone montane si pratica la transumanza «verticale» (pascoli invernali a fondo valle, pascoli estivi in altura). In entrambi i casi si ha una struttura cosiddetta «dimorfica»: morfologia in­ sediamentale concentrata in una stagione, morfologia dispersa nell'altra, con evidente bisogno di più vaste zo­ ne disponibili per la fase di dispersione. Più rilevante è la distinzione tra città-stato e stati «etni­ ci», che traspare già dal nome stesso dello stato: nel pri­ mo caso coincidente col nome della capitale (Tiro, Sido­ ne, Gaza, Ascalona ecc.), nel secondo caso derivato dal nome della casata regnante (Bit Gushi, Bit Adini, Bit Bahyani, Bit Zamani ecc., dove il termine bit vale in ara­ maico e nelle altre lingue semitiche «casa(ta)» ed è se­ guito dal nome dell'eponimo fondatore), oppure del popolo (soprattutto per i Frigi e gli altri popoli anatoli­ ci). Mentre le città-stato non sono che le eredi dirette dei piccoli regni già presenti nella stessa zona nell'età del Bronzo, invece gli stati etnici sono una novità dell'età del Ferro (connessi dunque agli sconvolgimenti del XII-XI secolo a.C.). Si tratta evidentemente di un ap­ porto dei gruppi migratori di nuovo insediamento. Questo vale per i gruppi pastorali della steppa siriana, fortemente basati su una struttura gentilizia che imma­ gina lo stato territoriale come una sorta di «albero ge­ nealogico» allargato, e che simula i rapporti con le tribù vicine mediante racconti leggendari su matrimoni, lotte familiari, spartizioni ereditarie, patti giurati. E vale an­ che per i nuovi immigrati dall'area balcanica, che man­ tengono anche nelle nuove sedi anatoliche la loro iden­ tità di popolo. Eccezione sono le città-stato dei Filistei, che pur essendo nuovi immigrati adottano la struttura

locale per città-stato (la «pentapoli» filistea), certamen­ te a motivo del loro esiguo numero (gruppi giunti per via marittima) e della conseguente rapida assimilazione alle genti locali. Negli stati «etnici» i membri della co­ munità politica si considerano tra loro imparentati, membri dello stesso popolo o della stessa tribù, discen­ denti da un unico antenato (mitico), parlanti la stessa lingua, devoti allo stesso dio nazionale. Invece negli sta­ ti «territoriali» (la norma per l'età del Bronzo) i membri della comunità politica erano tutti coloro che ne abita­ vano il territorio e che erano sudditi del re insediato nel­ la capitale. Per contrasto, rispetto a tutte le forme statali finora de­ scritte, occorre ricordare che i grandi stati regionali (e potenziali «imperi») mantengono un territorio ben più vasto (sui 250.000 km1), frutto dell'espansione dal nu­ cleo territoriale originario, per via di conquista. Hanno numerose città che fungono da capoluoghi provinciali nell'ambito di uno stato amministrativamente unitario ma troppo vasto per poter essere gestito direttamente dalla capitale. Includono popolazioni di diversa lingua e cultura e religione, unificate appunto dalla conquista. IL POTERE POLITICO

In tutti i casi noti, gli stati levantini hanno regime mo­ narchico e presentano un forte accentramento (ammini­ strativo, economico, e persino urbanistico) sul palazzo reale. I palazzi sono relativamente piccoli rispetto a quelli degli stati imperiali, ma collocati in posizione emi­ nente, sull'acropoli o cittadella centrale, difesi da una cinta muraria interna che li separa dalla città (difesa a sua volta da una cinta muraria esterna). Peraltro, mentre i palazzi mesopotamici sono strutturalmente «chiusi», con ingressi angusti e tortuosi che sembrano piuttosto voler controllare - se non impedire - il passaggio che non facilitarlo, invece il palazzo levantino del IX-VII seco­ lo a.C., il cosiddetto bit hilani (letteralmente «casa a fi­ nestre»), si caratterizza per un ingresso a portico (tripar­ tito da due colonne) di aspetto «aperto», accogliente. Il fatto è che la regalità levantina, come si venne ricosti­ tuendo dopo la crisi del XII-XI secolo a.C., deriva senza dubbio molti suoi aspetti da quella del Tardo Bronzo, ma tiene anche nel debito conto i nuovi apporti delle genti tribali e il nuovo clima politico che si è venuto for­ mando. n re-modello dell'epoca si caratterizza per «giu­ stizia e rettitudine», «sapienza», «bontà d'animo» (così in iscrizioni del X-VIII secolo a.C. da Biblo, da Zincirli,

da Karatepe, e in vari passi dell'Antico Testamento). Questo atteggiamento «paternalistico» fa netto contra­ sto con la pratica della regalità siriana del Tardo Bronzo, quando il re governava di concerto con la casta militare dei carristi (maryannu) e senza alcuna concessione alle esigenze delle ciassi meno abbienti, economicamente sofferenti e destinate all'asservimento per debiti o alla fuga in ambienti marginali, mal controllabili dal potere regio (il fenomeno delle fughe assume una dimensione di massa, coi cosiddetti habiru). L'ideologia connessa ai termini «giustizia e rettitudine» è particolarmente indicativa in questo senso. Durante il Medio Bronzo (prima metà del II millennio a.C.) era usuale per i re siro-mesopotamici emettere periodica­ mente degli editti di annullamento dei debiti e di conse­ guente liberazione dei debitori asserviti; e questi editti erano appunto definiti atti di «rettitudine». Ma attorno alla metà del II millennio questi editti vennero a cessare, essendo invalsa l'inclusione, nei contratti di prestito, di clausole vanificanti, del tipo «anche in caso di editto li­ beratorio, (il debitore) non sarà liberato)). Durante tutto il Tardo Bronzo l'atteggiamento del re, membro e com­ partecipe della classe dei creditori, è assai duro: la po­ polazione viene progressivamente asservita, si moltipli­ cano le fughe, per contrastarle si moltiplicano i trattati di reciproca estradizione tra re confinanti. I gruppi rifu­ giatisi nelle steppe o nelle montagne si assimilano alle tribù pastorali; per farsi poi, dopo la crisi del XII-XI seco­ lo a.C., portatori di un ritorno alle vecchie procedure di periodico annullamento dei debiti (il «giubileo)) ebrai­ co) e di un atteggiamento regio più simpatetico agli in­ teressi e ai problemi dei suoi sudditi. Il re del resto governava sì da solo, assistito da gruppi di funzionari e cortigiani, ma non mancavano organismi collegiali che più direttamente esprimevano gli interessi della popolazione, e che di norma si occupavano di giu­ stizia e di amministrazione locale, ma in caso di vacanza regia assumevano il potere anche politico (sia pur in at­ tesa di un ritorno alla normalità). Gli organismi colle­ giali erano due: una «assemblea)) generale (detta sem­ plicemente «la città)), owero «il popolo))), e un gruppo ristretto di «anziani)) o «giudici)). Tutto sommato, non siamo troppo lontani da quella che poteva essere una «democrazia)) greca prima delle più drastiche e consa­ pevoli riforme di Clistene. Il caso dei «Giudici)) (noti sia dalle fonti bibliche sia dal­ le iscrizioni fenicie e puniche) è particolarmente interes­ sante. Si sa (da Giuseppe Flavio) che Tiro venne goverStatua di figura regale, da Nimrud (Iraq), tempio di Ishtar 5harrat­ niphz; 8Jy-86o a.C. circa. Londra, British Museum.

nata da giudici in una fase (verso la metà del VI secolo a.C.) di vacanza regia; e allo stesso periodo deve con tut­ ta probabilità assegnarsi un governo dei «Giudici» nell'Israele post-monarchico. La tradizione biblica poi proietterà indietro nel tempo i Giudici in una leggenda­ ria età pre-monarchica, quando in assenza di re «ognu­ no faceva quel che gli pareva», per usare l'espressione del redattore di evidente tendenza filo-monarchica. Ma la stessa Bibbia riporta (riferendoli all'epoca di Samuele e Saul, fine XI secolo a.C.) i termini della disputa tra van­ taggi e svantaggi della monarchia. Da una parte Samuele mette in guardia contro una regalità rapace e arbitraria: «Ecco il comportamento del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli e li assegnerà ai suoi carri e ai suoi cavalli, e dovranno correre davanti al suo carro; li userà come capi di mille e come ca­ pi di cinquanta; farà arare loro i suoi campi, mietere la sua messe, fabbricare le sue armi e i finimenti dei suoi carri. Prenderà le vo­ stre figlie come profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà i miglio­ ri dei vostri campi, delle vostre vigne, dei vostri uliveti, per darli ai suoi ufficiali. Sui vostri campi e sulle vostre vigne preleverà la decima e la darà ai suoi eunuchi e ai suoi ufficiali. Prenderà i mi­ gliori dei vostri servi, dei vostri buoi, dei vostri asini per farli lavo­ rare per sé. Preleverà la decima sulle vostre greggi, e voi stessi di­ venterete suoi servi.»

ma dall'altra la maggioranza del popolo esprime il desi­ derio di avere un re «come tutte le altre nazioni: un re che ci giudichi e che esca alla nostra testa per combatte­ re le nostre battaglie», dunque un re secondo il nuovo modello temperato dal senso di auto-identificazione na­ zionale e dal bisogno di giustizia. SIMBOLI DEL POTERE E DEL LUSSO

L'economia dei regni levantini era fortemente accentra­ ta sui palazzi reali: il re e la corte regia (scribi, funziona­ ri amministrativi, guardie del corpo, sacerdoti) erano i maggiori committenti, almeno per le produzioni artigia­ nali di lusso e per le realizzazioni edilizie pubbliche, an­ che se lo status degli artigiani non era necessariamente quello di dipendenti del Palazzo (come era abituale nell'età del Bronzo). Attorno al palazzo reale peraltro fioriva una classe abbiente, dedita alle attività di trasfor­ mazione e scambio, che contribuiva a rendere più com­ plessa la struttura economica locale, e che allargava l'utenza dei prodotti di lusso per ovvio effetto di imita­ zione rispetto al modello regale e di corte.

Questa classe (in qualche modo «imprenditoriale») affonda le sue radici nel Tardo Bronzo, ed è significativa la diversa sorte delle due principali categorie di alto ran­ go socio-economico: i carristi (maryannu) investirono in proprietà terriere e ottennero esenzioni dal servizio, co­ sicché furono spazzati via (in quanto oramai inutili, pa­ rassitari rispetto al Palazzo) dalla crisi del XII secolo a.C., mentre i mercanti (tamkaru, mkr in ugaritico) affiancaro­ no all'attività per conto del Palazzo (procacciamento di materie prime non disponibili in loco) delle attività in proprio di natura commerciale e finanziaria, e sopravvis­ sero alla crisi del XII secolo potendo far benissimo a me­ no del supporto palatino. n racconto di Wenamun (XI se­ colo a.C.) mostra l'inviato faraonico sulla costa fenicia inserito in un contesto di «ditte» commerciali private (hubur) con le loro flottiglie e i loro lucrosi traffici. Altrettanto significativa è la storia dei due termini con­ trapposti di mahsor e motar. Nel Tardo Bronzo, nel con­ testo di un'economia redistributiva, gestita dal Palazzo, significano «ammanco» ed «eccedenza», nel «conto bi­ lanciato» annuo (hesbon) tra il valore della dotazione fornita dal Palazzo e il valore delle merci riportate dal mercante. Nell'età del Ferro i due termini vengono in­ vece a significare «perdita» e «profitto», nel contesto di un'economia imprenditoriale privata. L'attività commerciale più famosa è senza dubbio quella marittima dei Fenici, nel Mediterraneo fino al lontano paese di Tarshish (la Tartesso dei Greci) nella Spagna meridionale, alla ricerca di argento e stagno; per altro affiancata da quella nel Mar Rosso fino all'altrettanto re­ moto paese di Ofir, donde venivano l'oro e le spezie. Ma a leggere il quadro del commercio di Tiro descritto nel cap. 27 del libro di Ezechiele (fine VII secolo a.C.) si con­ stata che altrettanto rilievo aveva il commercio terrestre, mediante vie carovaniere che giungevano in Anatolia centrale, in Media, nello Yemen. Il passo di Ezechiele è anche abbastanza chiaro nel descrivere le importazioni come soprattutto costituite da materie prime, e il ricavo finanziario come destinato a finanziare la produzione (e riesportazione) di prodotti lavorati. Ma il commercio non era il solo vettore per la diffusione dei prodotti artigianali levantini: oggetti di particolare pregio venivano anche scambiati (come doni reciproci) tra i re e tra le élites dei vari paesi, o erano offerti in do­ no votivo ai più celebri santuari (specie quelli ove si svolgeva attività oracolare), o magari messi in palio (a leggere Omero) negli agoni cerimoniali. Del resto, gli oggetti esportati non erano che una parte di quanto era

CaldProne e tripode urartei di bronzo, forse dall'Urartu (Turchia), \'Ili secolo a.C. Karlsruhe, Badisches Landesmuseum (ca/. 4).

prodotto: la parte presumibilmente maggiore era desti­ nata a uso locale, da parte dei re per sfoggio simbolico o tesaurizzazione, e da parte delle élites per imitazione (ri­ spetto all'ostentazione regia) e per competizione reci­ proca. La concentrazione di ricchezza tesaurizzata nei tumuli funerari regi di Gordion o di Salamina è impres­ sionante, e la funzione «ostentatoria» (Torsten Veblen l'avrebbe definita «conspicuous consumption») di tale te­ saurizzazione è tanto più enfatizzata dal fatto stesso di esser sottratta alla vista umana, sepolta per sempre as­ sieme all'augusto proprietario per fargli godere nell'al­ dilà lo stesso prestigio di cui aveva goduto in terra. Agli occhi dei Greci questo eccesso di lusso e di tesaurizza­ zione infruttifera era ammirato ma al tempo stesso cen­ surato: i casi proverbiali del lidio re Creso, ricchissimo ma perciò stesso sventurato, e del frigio re Mida «dal tocco d'oro>> e perciò stesso destinato a morir di fame propongono la tesaurizzazione come un ami-modello rispetto ai valori fondamentali della vita. Né il prestigio del modello orientale si limitava ai beni materiali. Da un lato la «sapienza orientale» cui attin­ sero Talete e Pitagora rinviava a «tesori» di erudizione e a norme di comportamento etico ormai (VI secolo a.C.) affidati all'Egitto saitico o alla Babilonia caldea, ma aveva avuto i suoi campioni anche in area levantina: basti pensare a Salomone, modello non solo di giustizia ma anche di sapienza «cumulativa» (conosceva i nomi di tutte le piante, dal maestoso cedro che si erge sul Li­ bano all'umile issopo che si arrampica sui muri). D'al­ tro lato, gli stessi oggetti di lusso alludevano ad atti di convivialità, a mode di abbigliamento, a stili decorati­ vi, a comportamenti eroici (in guerra o a caccia), a rac­ conti mitologici e fiabeschi, insomma a uno stile di vi­ ta. Gli oggetti che percorrevano i circuiti «orientaliz­ zanti» possono ridursi a poche categorie: stoffe purpu­ ree o ricamate, vasellame e armature in bronzo, avori intagliati, vetri e paste vitree colorate. Per gran parte essi alludevano - o per la loro funzione, o per le scene raffigurate - a occasioni socialmente significative e prestigiose. Si consideri il caso dei grandi calderoni di bronzo (del peso di svariate decine di chilogrammi) e dei tripodi che li sorreggevano: utilizzati per bollire le carni, essi allude­ vano al loro contenuto e all'occasione del grande ban­ chetto ospitale. In un certo senso all'ospite di riguardo si donava (banalizzando potremmo dire: in ricordo dell'evento) il recipiente in cui era stato cotto il pasto comune. Negli annali di Assurnasirpal II (verso la metà

del Ix secolo a.C.) solo i centri palatini, provvisti di ma­ gazzini centrali, pagano tributo in lingotti di bronzo (e di altri metalli), ma i calderoni di bronzo sono forniti da tutti i tributari, anche dalle tribù montane e pastorali a regime non monarchico: segno del valore cerimoniale dei calderoni (che in un certo senso conferivano al tri­ buto un aspetto più dignitoso), e prova della loro diffu­ sione in tutto il Vicino Oriente. Dai maggiori e più anti­ chi centri di produzione in Siria settentrionale, i calde­ roni si diffusero a est verso l'Assiria, a nord verso Frigia e Urartu, a ovest per via marittima in tutto il Mediterra­ neo. Analoga simbologia funzionale dovevano avere le coppe e patere d'oro, d'argento, di bronzo; con l'ag­ giunta dei significati delle scene incise: simboli di rega­ lità, scene di caccia, allusioni mitologiche, esseri compo­ siti e mostri contro cui combatte l'eroe. Gli avori intagliati decoravano troni, letti e altra mobilia !ignea, scrigni, carri e bardature equestri (oltre ai più quotidiani pettini e contenitori di cosmetici) e per essi vale lo stesso duplice valore di allusione all'occasione d'uso e di supporto per decorazioni significative. L'oc­ correnza di «alberi della vita)), sfingi, cherubini, che og­ gi sembra solo un fatto di gusto decorativo, aveva tutto un retroterra nell'ideologia religiosa e regale. Ad esem­ pio i cherubini sostenevano lateralmente il trono regale, e certi passi biblici (del tipo «giustizia e giudizio sono il sostegno del trono))) suggeriscono che essi, al di là del loro ovvio carattere apotropaico, impersonassero anche le qualità caratterizzanti dell'ideologia regia. Le stoffe sono purtroppo archeologicamente irrecupe­ rabili (salvo qualche frustulo): ma è ben nota la connes­ sione tra la colorazione purpurea (tipica lavorazione fe­ nicia) e la regalità, e la ricorrenza degli stessi motivi de­ corativi (quali risultano da certe raffigurazioni di stoffe ricamate sui rilievi neo-assiri) che abbiamo già visto per le patere e gli avori. Senza dubbio, ogni forma di contatto inter-culturale comporta fraintendimenti, riletture nuove e arbitrarie, banalizzazioni e meccanicismi. Così i motivi dell'imagé­ rie orientalizzante che nel Levante avevano pregnanti si­ gnificati nella sfera religiosa e regale, vennero spesso equivocati o riletti in ottica diversa. E lo stesso contesto socio-culturale, che nel Levante era notevolmente (an­ che se- come già visto- non totalmente) accentrato sul palazzo reale, nel Mediterraneo era piuttosto dominato da gruppi aristocratici, nei quali peraltro i residui (più o meno cerimoniali) dell'istituzione monarchica conser­ vavano un certo peso.

Coppa d'argento e oro con faraone che abbatte il nemico e scene di caccia, da Idalion (Creta, Grecia), VII secolo a.C. Parzgr� Musée du Louvre.

L'AVANZATA DEGLI IMPERI ORIENTALI

Placca di auorio con !concna che attacca Wl africano, da Nimrud (Iraq), JX-\'/11 Jeco!o a. C Londra, BritiJh MuJcum. Placca di auorio con J/inge gradiente, da Nimrud (/raq), IX-\'/11 secolo a.C. Londra, British MuJeum.

Questo mondo levantino, così vivace nelle sue forme politiche e decisionali e nelle sue realizzazioni culturali e commerciali, venne progressivamente eroso dall'avan­ zata degli imperi orientali: dapprima l'impero neo-assi­ ro, dalla metà dell'viii alla fine del \'II secolo a.C.; poi quello neo-babilonese (o caldeo, perché la dinastia re­ gnante era di origine caldea) e parallelamente da quello dei Medi, nella prima metà del \'l secolo a.C.; infine da quello persiano (o achemenide, dal nome del capostipi­ te dinastico). L'Assiria, che era rimasta entro i suoi confini storici (verso ovest coincidenti con l'Eufrate) fino alla metà del IX secolo a.C., aveva poi iniziato la sua avanzata verso la costa del Mediterraneo con Salmanassar III (858-824 a.C.) e con Adad-nirari lll (81o-783 a.C.), ma i regni loca­ li vinti (come nella celebre battaglia di Qarqar che vide Salmanassar sbaragliare una coalizione capeggiata da Damasco e Samaria) erano assoggettati a tributo ma mantenevano la loro autonomia politica. I rapporti tra Assiria e regni locali erano regolati da trattati scritti, dei quali ci resta quello tra l'assiro Assur-nirari \' e il re di Arpad Oa zona di Aleppo) Matti-El (750 a.C. circa). I palazzi siriani potevano così mantenere la loro funzione di centri propulsivi dell'artigianato di lusso e dell'elabo­ razione culturale. La svolta si ebbe alla metà dell'vm secolo, con l'ascesa al trono assiro di Tiglat-pileser III (744-727 a.C.), il quale ebbe ragione nella battaglia di Kishtan di una formida­ bile coalizione includente i regni nord-aramaici e neo­ hittiti sostenuti dal potente regno di Urartu. La vittoria di Kishtan permise a Tiglat-pileser di dilagare in ogni di­ rezione, e di annettere successivamente i piccoli regni locali trasformandoli in province dell'impero, rette da governatori assiri anziché dai dinasti locali. Arpad, do­ po tre anni di assedio fu annessa nel 740 a.C.; Patina (bassa valle dell'Oronte con sbocco al mare) nel 738 a.C.; la costa fenicia settentrionale (Sumura) fu annessa nel 734 a.C.; Damasco, anche in questo caso dopo lungo assedio, venne annessa nel 732 a.C.; gran parte del regno d'Israele (salvo la capitale Samaria) fu annessa nel 734 a.C. dando origine alle province di Galaad, Megiddo, Dar. Il successore Salmanassar \' nel suo brevissimo re­ gno completò l'annessione di Israele con la presa di Sa­ maria (722 a.C.). Poi il grande Sargon Il (721-705 a.C.) ri­ dusse a provincia Hama sul medio Oronte (7I9 a.C.) e la Filistea settentrionale (Ashdod, 7II a.C.), ma si rivolse

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Assyrian expansion Babylonian and Median expansion

Persian expansion

Unconquered area

soprattutto contro gli stati neo-hittiti, annettendo Sam'al e Gurgum (fra Amano e Tauro), Kummuh e Ma­ latia (sull'alto Eufrate) , Que e Khilakku (in Cilicia) , Ta­ bal (in Cappadocia) , e soprattutto Karkemish (717 a.C.) che era il centro maggiore per potenza e ricchezza, oltre che per antica tradizione. L' avanzata verso occidente conobbe una pausa sotto Sennacherib ( 704-681 a . C . ) , che invano assediò Gerusalemme (701 a.C. ) ; ma riprese con Esarhaddon (68o-669 a.C.) che ridusse a provincia la Fenicia centrale (Sidone, 677 a . C . ) e meridionale (Ushu sulla costa di fronte a Tiro, 673 a.C.). Al culmime dell'impero assiro, alla metà del VII secolo, nella zona le­ vantina restavano indipendenti solo i minuscoli regni di Tiro, Arwad (entrambe protette dalla posizione insula­ re) e Biblo in Fenicia, Gerusalemme (Giuda) e Gaza nel sud palestinese, e in Anatolia il regno di Frigia (mai con­ quistato) e quelli di Tabal e Malatia che avevano recupe­ rato la loro indipendenza perduta al tempo di Sargon 11. I trattati tra Esarhaddon e Tiro e tra Esarhaddon e le tribù della Media mostrano che anche i regni rimasti au­ tonomi dovevano però sottostare a un certo condiziona­ mento politico ed economico. Questa impressionante avanzata fu segnata da distru­ zioni sistematiche di città e villaggi, da devastazioni dei raccolti e delle colture arboree, da feroci stragi dei «ri­ belli», da deportazioni delle popolazioni civili e soprat­ tutto delle classi dirigenti e degli artigiani specializzati. Sul piano demografico vi fu un crollo verticale della po­ polazione superstite, e sul piano culturale vi fu una per­ dita di identità tra gli abitanti residui, privati del loro punto di riferimento politico e culturale che era sempre stato il palazzo reale; vi fu anche un effetto di smarri­ mento (o di «estraniamento») tra i deportati spediti in terre lontane o da esse provenienti; e anche difficoltà di rapporti tra popolazione indigena, deportati in arrivo, dirigenti assiri. Ai palazzi locali, che erano stati quei vi­ vaci centri di produzione artigianale e di elaborazione culturale di cui si è già detto, subentrarono dei palazzi provinciali assiri (con governatori assiri, scribi e funzio­ nari assiri, guarnigioni assire), semplici «terminali» per la raccolta e l'inoltro verso l'Assiria delle residue risorse economiche. n fenomeno di impoverimento e di decul­ turazione seguito alla conquista assira diede inizio al de­ clino del fenomeno «orientalizzante», o almeno al suo dislocamento dai centri della Siria e dell'Anatolia sud­ orientale verso i centri superstiti di Tiro e dei regni ana­ tolici di Frigia (e poi Lidia) e di Urartu. L'impero assiro entrò in crisi dopo Assurbanipal, e poi

crollò abbastanza repentinamente ( 6 14-610 a.C.) sotto l'attacco congiunto di Medi e Caldei. Ma l'avanzata im­ periale riprese con rinnovato vigore, dopo gli effimeri tentativi di Tiro e Gerusalemme di occupare gli spazi ( commerciali nel primo caso, territoriali nel secondo) lasciati liberi dal declino assiro, e dopo l'altrettanto effi­ mero tentativo egiziano di penetrare nella fascia siro-pa­ lestinese. Il re babilonese Nabucodonosor II ( 604- 562 a.C. ) restò famoso per i due lunghi e penosissimi assedi che completarono l'asservimento della fascia levantina: Gerusalemme capitolò nel 586 a.C. , Tiro nel 573 a.C. L'assedio di Gerusalemme e le deportazioni che ne se­ guirono sono diventate famose per il racconto biblico e per le denunce dei profeti Geremia ed Ezechiele, che vedevano in Nabucodonosor l'agente della punizione divina contro i peccati e le infedeltà del popolo di Giu­ da. Ma val la pena di riportare un passo di Ernest Renan sull'eroica resistenza opposta da Tiro, prefigurazione di quella che qualche decennio più tardi le città greche op­ porranno all'avanzata persiana: ((Tiro fu la prima città che difese la sua autonomia contro quelle temibili monarchie che, dalle rive del Tigri e dell'Eufrate, minac· ciavano di estinguere la vita nel Mediterraneo. Quando tutta la Fenicia aveva ormai ceduto, questa roccia tenne da sola in scacco l'enorme macchina assira, sopportò per anni fame e sete, fino a veder sloggiare dalla pianura vicina Salmanassar e Nabucodono­ sor. Non si può attraversare senza emozione questo stretto diven· tato un istmo, che a suo tempo fu il viale della libertà. Cento e duecento anni prima delle vittorie della Grecia, è lì che si com­ batterono delle guerre persiane quasi altrettanto gloriose di quel­ le del quinto secolo, e delle quali Tiro sostenne l'intero sforzo.» (E. RENAN,

Mission de Phénicie, Paris

1864·74, p. 574, traduzione

dell'Autore del saggio)

Parallelamente all'occupazione babilonese del Levante, la Media inglobava Urartu e Frigia (già colpita dalle in­ vasioni di Cimmeri e Sciti), per arrestarsi di fronte alla Lidia con una pace datata dall'eclissi del 585 a.C. Il con­ trollo dei Medi sui popoli sottomessi fu certamente assai più tenue di quello babilonese: un vero e proprio impe­ ro dei Medi non è mai esistito (se non nelle artificiose si­ stemazioni della «successione degli imperi» che dal li­ bro di Daniele arriva sino alla storiografia ottocentesca). L'attività politica dei Medi era fatta di guerre e di cacce, di banchetti e matrimoni, di scambi di doni, di ideali di ardimento e generosità, senza quell'apparato fiscale e militare e quelle deportazioni deculturanti che avevano

reso così pesante l'intervento assiro prima e babilonese poi. Ma alla vigilia della costituzione dell'impero persia­ no a opera del grande Ciro, erano rimaste solo la Lidia e le città-stato cipriote a fungere da autonomi centri di cultura artigianale e di lusso «orientalizzante». Ciro ( 559-530 a.C.) unificò i territori che erano già stati dei Medi e dei Babilonesi e dei Lidi, dando vita a un im­ pero di dimensioni senza precedenti, cui Cambise ag­ giunse l'Egitto ( 52 5 a.C.). L'impero concesse alle autono­ mie locali qualcosa di più rispetto agli Assiri e ai Babilo­ nesi: re locali furono lasciati (o reintrodotti) in Cilicia e nelle città fenicie, a Gerusalemme sorse una città-tempio e gruppi di esuli rientrarono nelle terre d 'origine. Ma l'avanzata verso ovest riprese con Dario e con Serse: la rivolta ionica fu domata, ma le successive guerre persia­ ne segnarono la fine della spinta propulsiva dell'impero «universale» contro una periferia sorprendentemente agguerrita; e segnarono soprattutto l ' inizio di quella contrapposizione tra Oriente e Occidente, tra città libe­ re e dispotismo oppressivo, da cui siamo partiti. La contrapposizione si deve proprio alla scomparsa di quella fascia intermedia che abbiamo chiamato «Levan­ te)), tra Mediterraneo ed Eufrate, che tanti elementi in comune aveva col mondo g reco e med iterraneo. La Grecia evitò la sorte già toccata in precedenza a Fenici e Filistei, Aramei e Neo-Hittiti, Frigi e Urartei e Lidi: si salvò per la maggior distanza dal centro dell'impero, per l'interposizione del mare, per la più efficiente tecnica di combattimento, forse per un maggior vigore etico e civi­ le. La storia non si fa coi «Se)) , ma appare evidente che le vittorie di Salamina e di Platea evitarono alla Grecia di far la fine dei popoli «levantini)) , e di essere schiacciata dalla macchina imperiale. Ma è giusto rilevare viceversa che se i popoli levantini avessero avuto la forza di resi­ stere ad Assiri e Babilonesi, anche in questo caso la sto­ ria avrebbe avuto un altro corso, e la contrapposizione tra Oriente e Occidente avrebbe - quanto meno - tar­ dato e faticato assai di più prima di imporsi.

BIBLIOGRAFIA Per un inquaJramcnto storico generale cfr. M. LI\TRA;-.;1. Antico Oriente. Strmà. wcietà, ecwlollllà, Roma-Bari 1988'. pp. 619-660. 693Sull'artigianato artistico Jel Levante cfr. Ja ultimo P. MAni IL-lE, Storia dell'arte del Vicino Oriente. l primi impai t' i princi­ pati del Ferro. Milano 1997, pp. 17)-2!), 327-427. Per gli aspeui politici Jebbo rinviare aJ alcuni miei articoli: M. LII'LR.·\"1. Srdvk c Mimr, in Studi in onore di E. \'o/terra. 6, Milano 1971, pp. ss-74: /iJUI, Tht· Tra­ dt' Nt'fu·ort� o/ Trre According /o E::ck. 27. in StudiCJ Prnentcd lo H. Tadmor, Scrlliero.r .lJ, 1991, pp. 6s-79: IDLII, .'\t'Ile pù'ghe del dnpoti­ J/110. Organiimi rappreJentallà nell'antico Orimte. in Studi Storici J4. 7so. 847-879.

pp. 7-.lJ; lm:.\1, Stati l'Inici e città-Jtato: una tipologlà J!oriCtl per la prima l'là del Ferro, in The Origini o/ Civi/izationJ in Mt'diterraneau Europc (Atti Jcl convegno, Palermo 1994), in stampa.

1993,

IL MEDITERRANEO IN ETÀ ORIENTALIZZANTE. MERCI, APPRODI, CIRCOLAZIONE Miche! Gras Le nostre discipline accademiche hanno la forza perni­ ciosa di spaccare il sapere in compartimenti spesso non comunicanti gli uni con gli altri, così gli studiosi delle antichità classiche conoscono la colonizzazione greca, mentre gli orientalisti e gli etruscologi riflettono sul con­ cetto di «Orientalizzante». Tali separazioni impedisco­ no di comprendere in tutta la loro ricchezza le dinami­ che culturali e sociali che animano e ritmano la storia del Mediterraneo durante il VII secolo a . C . , il secolo «orientalizzante». Come lo spazio mediterraneo lega l'Oriente alla Grecia e all'Italia, così dobbiamo operare una lettura trasversale attraverso temi troppo spesso so­ lo giustapposti. FRA MARE E TERRA

Il «commercio» può rappresentare la corrente che per­ mette questa lettura trasversale, purché non lo si tratti secondo una visuale «modernista», facendone una cate­ goria a se stante. A questo proposito non va dimenticato il messaggio di Polanyi e dell'antropologia economica, secondo cui l'economia è in primo luogo una questione di relazioni fra gli uomini, fra le società. Ci si può quindi servire di un approccio detto convenzionalmente «com­ merciale», per cercare di percepire l'evoluzione delle società mediterranee dell'alto arcaismo in rapporto al fenomeno detto «dei principi». Non sembrerà strano prendere avvio da una riflessione generale sul rapporto tra la terra e il mare, vale a dire fra società radicate e per così dire inglobate in un territorio determinato e uomini che si spostano per periodi di qualche settiman a o qualche mese su battelli ancora molto rudimentali e poco confortevoli. Gli spostamenti via mare- di cui Esiodo, che viveva in quei tempi, sotto­ lineava i rischi - hanno per definizione un aspetto di provvisorietà: una volta che si è partiti, l'obbiettivo è la tappa successiva, ossia lo scalo successivo, quel riposo sulla spiaggia che, nell'Odissea, l'eroe Ulisse ricerca per sfuggire ai tormenti del mare. Ma il viaggio per mare, che tanto per l'emigrante quanto per il mercante è un mezzo e non un fine in sé, si declina in due categorie: chi emigra fa il percorso una sola volta e non spera nel ritorno; il mercante, al contrario, inseri­ sce il suo percorso provvisorio in una continuità rappre­ sentata da un' attività (prexis ) , da un lavoro ( ergon ) . Comprendiamo dunque che queste forme della mobi­ lità attraverso il Mediterraneo sono espressioni di situa­ zioni sociali diverse, ed è evidente che lo sguardo che

questi marinai di diverso genere posano sulla terra fer­ ma non è il medesimo. IL FATTORE TEMPO

Apprestandosi a un'analisi di questo genere, è bene im­ mergersi in un tempo e in uno spazio concreti, cosa che ci aiuta a meglio comprendere il fenomeno degli «in­ contri» (nel senso forte del termine) che si determinano e la cui moltiplicazione e ripetizione mettono in eviden­ za, al di là dei singoli casi, un modello storico per il pe­ riodo orientalizzante (VII secolo a.C . ) . N o i abbiamo la tendenza a «schiacciare» i l tempo di questi secoli lont�ni, e quindi a distruggere il suo reale spessore storico. E bene ricondurre il tutto all'unità che ha subito meno variazioni nei secoli, vale a dire il riferi­ Ipento al tempo biologico, alla durata della vita umana. E attraverso il concetto di generazione - che gli antichi utilizzavano ben più di noi - che possiamo ritrovare questo spessore. In rapporto al tema dei principi, il fattore del tempo e delle generazioni è fondamentale. Prima di tutto perché l ' aristocrazia non si costruisce se non in rapporto al tempo; è dalla durata che essa ricava la sua legittimazio­ ne rispetto a se stessa e agli altri. L'emergere delle grandi famiglie aristocratiche in Italia centrale, ma anche in Oriente e in Grecia, non è sfuggito alla regola. I principi orientalizzanti hanno in primo luogo un passato che condiziona il loro presente. Si inseriscono in una tradi­ zione e in una durata. Questa prima dimensione presenta conseguenze dirette per l'archeologo. Numerosi dibattiti su questioni crono­ logiche potrebbero talvolta essere evitati, se non si di­ menticasse che il sontuoso corredo di una tomba aristo­ cratica non è una semplice raccolta di oggetti in apparen­ za eterogenei, ma una costruzione simbolica raffinata che unisce oggetti portatori di differenti messaggi specifici e complementari. Fra questi messaggi vi sono il tempo e la memoria, v�e a dire l'affermazione dell'appartenenza a una stirpe. E ciò che noi chiamiamo comunemente il rife­ rimento gentilizio (ossia alla stirpe, genos, gens). Tutto ciò è talvolta grossolanamente riassunto, in presenza di og­ getti più antichi rispetto al resto del corredo, in espressio­ ni quali «falsi contesti» o , secondo la definizione di Margherita Guarducci ormai forse superata; la questione non è più neppure sa­ pere in quale preciso ambito sia avvenuto il passaggio dall'alfabeto fenicio all'alfabeto greco (Al Mina? Cre­ ta? ) . Si tratta piuttosto di capire come si sia articolata l'evoluzione interna della scrittura con la sua larga diffu­ sione a scala mediterranea. Il processo è stato rapido: si sa adesso che alcune lettere greche, forse significanti «colei che fila bene», sono in­ scritte su un vaso indigeno della necropoli di Osteria dell'Osa (Gabii, Lazio ) databile attorno al 770 a . C . (tomba 482 della fase ub), ossia prima ancora della più antica attestazione in terra greca (anfora del Dipylon,

verso i1740 a.C.). Certo, tutte queste attestazioni sono il risultato della casualità delle scoperte, ma esse testimo­ niano a favore di una diffusione molto rapida, o più esattamente di una «esplosione» della scrittura in tutto il Mediterraneo. Si ritorna, attraverso questa prospettiva, alla famosa questione dell'origine commerciale della scrittura. Ben­ ché non appaia ragionevole credere che la scrittura sia stata inventata per il commercio, è tuttavia possibile o probabile che le transazioni commerciali rendano evi­ dente la s ua presenza un po' dovunque al medesimo momento , a partire dall'vm secolo a.C. l PRINCIPI DI TERRA E IL MEDITERRANEO

La storia del Mediterraneo orientalizzante si inserisce fra due avventure singolari, la prima rivelata dall'ar­ cheologia, la seconda conosciuta attraverso le fonti. Il principe di Lefkandi, nell'isola di Eubea, visse attorno all'anno 1000 prima della nostra era. Gli archeologi lo hanno spesso chiamato «eroe» o «hasileus» (re), in riferi­ mento ai testi omerici, ma egli era «di carne ed ossa». Si trattava di un capo locale, che risiedeva in un «palazzo» composto di un'entrata, di una grande stanza (megaron ) e di una stanza absidata che evoca il thalamos (stanza do­ ve si conservano i beni) america. Visse nel momento in cui l'Eubea conosceva i suoi primi contatti con il Vicino Oriente e con Cipro. Fu forse, prima di essere seppellito nella sua dimo ra trasformata in una tomba grandiosa, uno dei primi intermediari delle correnti culturali orien­ talizzanti. Fu incinerato secondo la tradizione america, e le sue ceneri furono deposte in un tessuto all'interno di un'anfora di bronzo fabbricata a Cipro: si trattava di un vaso antico di un secolo, ed ecco un indizio per pensare che il nostro principe si inserisse già in una stirpe che aveva una storia. Portava con sé insegne di potere (la spada in bronzo ), ma anche un rasoio di bronzo, oggetto divenuto per noi assai banale, ma che allora era un og­ getto-simbolo indicante uno status sociale. Attorno a lui i suoi quattro cavalli, inumati senza morsi. Al suo fianco riposava una donna, inumata assieme ai propri gioielli. La presenza di un coltello di ferro deposto presso la testa della defunta fa pensare a un suicidio o al sacrificio della compagna del principe, nel quadro di un rituale funera­ rio che, ancora una volta, evoca i racconti omerici. Al termine del nostro periodo, in contrappunto al prin­ cipe euboico di Lefkandi, appare il profilo di un princi­ pe andaluso del regno di Tartesso, descritto da Erodoto

Aryballos corinzio, dal re/ilio dell'lmla del Giglio (Grosseto), 6oo a.C. circa. Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana. Materiali dal re/il/o dell'Isola del Giglio (Grosseto), 6oo a.C. circa. Firenze, Soprintl'lldenza Archeologica per la Toscana.

DiJl•gno delle decorazioni dell'aryballos corinzio riprodolto a fianco in alto.

(Storie I, 163 e 165). Egli è «baxileus» ( re) e porta un no­ me il cui significato non è irrilevante: Arganthonios, che si dovrebbe poter tradurre «colui che fa crescere l'ar­ gento», in riferimento alla ricchezza delle miniere d'ar­ gento della regione. Il suo grande prestigio è aumentato dalla veneranda età: visse, secondo Erodoto, centoven­ ticinque anni, di cui ottanta passati al potere. Ha dun­ que dominato la «durata»: la s ua vita corrisponde al passaggio di quattro generazioni. Egli è di per se stesso una stirpe aristocratica e fa parte di quegli abitanti delle terre di confine che vivono fino ad età avanzatissima, come gli Etiopi ( ERODOTO, Storie III, 1 7 e 97) . Stabilisce con i primi navigatori focei rapporti di amicizia (philia); si c o m po rta così da p r i n c i p e che conosce gli us i dell'ospitalità. Invita i naviga tori a stanziarsi nel suo re­ gno , è pronto a donare loro la terra necessaria. Ma i mercanti focei non vogliono fermarsi (oikesai): rifiutano l'apoikia (fondazione coloniale) poiché praticano l em­ porie, e i mercanti sono solo di passaggio. Si coglie, die­ tro questo rifiuto- che sembra aneddotico - delle pro­ poste di Arganthonios, la scissione fra chi naviga e chi diventa sedentario. Gli emporoi focei non sono, come Demarato, degli esiliati, e non possono dunque stabilir­ si in Andalusia. Più tardi, alla metà del \'I secolo a.C., i Focei , esiliati dopo la presa della propria città, avrebbe­ ro accettato le proposte di Arganthonios, ma questi era già morto - precisa Erodoto - ed essi si diressero allora in Corsica. Erodoto conclude il suo ritratto del principe tartessico. Arganthon ios dona chremata ( ricchezze) per costruire le mura (teichos) di Focea. Facendo questo, pratica il «do­ no», fedele al suo profilo di principe aristocratico. I Fo­ cei non possono fondare un teichos a Tartesso, la rispo­ sta di Arganthonios è di offrire loro un teichos che non possono rifiutare. Ma si aggiunge a questo gesto una dimensione geografi­ ca: le risorse dell'estremo Occidente giungono fino alle porte dell'Oriente attraverso il Mediterraneo: il gesto di Arganthonios, «fra Occidente e Oriente», si inscrive in una ritrovata unità culturale del Mediterraneo. Il Medi­ terraneo dei principi porta la firma di Arganthonios. '

l PRINCIPI DEL MARE: RELITTI E CARICHI

Elmo di hron;:o, dal rclillo dcll'l.wla del Ci!!,lio (Groneto), 6oo a. C circa.

Una delle più grandi lacune nelle nostre attuali cono­ scenze è dovuta alla grande scarsità della documenta­ zione sottomarina: non possediamo nessun relitto di epoca orientalizzante, se si eccettua quello di Mazarron

sulle coste spagnole vicino a Valencia, attualmente in corso di scavo. Una tale lacuna ci impedisce di conoscere, al di là dei modelli storici del commercio arcaico, la composizione dei carichi. In particolare la circolazione delle anfore commerciali - attestata a partire dall'viii secolo a.C. nel contesto del commercio fenicio, e che si protrae poi con il trasporto delle anfore dall'Eubea e soprattutto da Co­ rinto Oe famose «corinzie A») - obbedisce a regole diver­ se rispetto alla circolazione dei keimelia. Si tratta in que­ sto caso di un trasporto di contenitori di olio e di vino, per il quale il dato quantitativo diviene determinante. La sola documentazione utilizzabile si situa ai limiti cro­ nologici del nostro periodo. Il relitto del Giglio è datato proprio all'inizio del VI secolo a .C. M. Cristofani vi ha riconosciuto l'attività di un naukleros (proprietario e co­ mandante della nave) della Grecia dell'Est (CrusTOFANI 1995b). È tuttavia utile sottolineare che si tratta di un contesto ricco di dati istruttivi, che riflette probabil­ mente il passaggio da un commercio-prexis a un com­ mercio di tipo emporico arcaico. Così, a fianco di un ba­ nale carico emporico, con le sue anfore e la sua ceramica fine, numerosi elementi attestano il profilo aristocratico del naukleros: una kline Oetto da banchetto), una tavo­ letta scrittoria, strumenti musicali e persino un elmo in bronzo di tipo corinzio. Altri dati, provenienti da relitti ancora più recenti (sulla costa sud della Sicilia) , mostrano che il riferimento ari­ stocratico non è scomparso completamente con il pas­ saggio all' emporie. I pochi elementi che sono sopravvis­ suti hanno però forse progressivamente perso una parte del loro significato. Al contrario, nel caso del Giglio, i riferimenti aristocratici sembrano avere ancora tutta la loro forza. È evidente che sarebbero necessari molti altri esempi per seguire puntualmente le evoluzioni culturali, a par­ tire dai dati offerti dalla documentazione dei carichi delle navi. Abbiamo oggi la sensazione di non essere che all'inizio di un processo di ricerca, con interpretazioni che probabilmente appariranno grossolane nel giro di pochi anni, se le nuove scoperte potranno essere accom­ pagnate da uno scavo vero, e dunque da uno studio pre­ ciso dei contesti sottomarini, come non è avvenuto per la nave naufragata vicino all'Isola del Giglio. Per il momento, le anfore arcaiche conosciute proven­ gono da contesti funerari (soprattutto quelli di Pitecusa, Pontecagnano e Cerveteri) , che nulla ci dicono sul mo­ do in cui questi contenitori sono giunti alle coste italia-

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Tavole/la scrittoria di legno dal re/ilio dell'lsola del Giglio (Grosseto), 6oo a.C. circa. Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana.

ne. In futuro sarà importante avere una documentazio­ ne archeologica sull'evoluzione delle strutture dei cari­ chi, para�lelam �nte alle trasformazioni strutturali del commerciO arcaico. È questa una sfida per la ricerca futura. BIBLIOGRAFIA C. AMPOLO, Su alcuni mutamenti sociali nel Lazio Ira l'l'III e il l' secolo, in DArch 4-5, I970-I97I, pp. 37-68 e dibattito pp. 69-99; IDEM, Demara­ to. Osseroazioni sulla mobilità sociale arcaica, in DArch 9-Io, I976I977. pp. 333-345; Aspetti delle aristocrazie /ra l'III e l'li secolo a.C. (Atti della tavola rotonda, a cura di C. AMPOLo-G. BARTOLONI -A . RATHJE, Roma 1984), Opus 3, 2, I984; G. BAGNASCO GIANNI, Oggetti iscritti di epoca orientaliuante in Etruria, Firenze I996; EADEM, L 'acquisizione

delLl scrittura in Etruria: materiali a confronto per la ricostruzione del quadro storico e culturale, in Atti Milano I999, pp. 85-I06; EADEM, L'harpax come corona di luce, in M. CASTOLDI (a cura di), Koina. Mi­ scellanea di studi archeologici in onore P. OrLlndini, Milano I999, pp. I23-I42; G. BARTOLONI, La cultura vilLlnoviana. All'inizio del!d storia etrusca, Roma I989; M. BIETTI SESTIERI, ltaly in Europe in the Early lron Age, in ProcPrehistSoc 63, I997, pp. }7I-402; A. BLAKEWAY, Dema­ ratus. A study in some aspects o/ the earliest hellenisation o/Latium and Etruria, in JRS 25, I935. pp. I 29-I49;}. BoARDMAN, I Greci sui mari. Traffici e colonie, Firenze I986; G. BuCI INER-D. RIDGWAY, Pithekous­ sai, r. La necropoli. Tombe 1-723 scavate dal 1952 al 1961 (MonAnt, se­ rie monografica 4), Roma I993; G. CoLONNA, La ceramica etrusco-co­ rinzia e Ll problematico storica dell'Orientaliuante Recente in Etruria, in A rchCl I 3 , I 9 6 I , p p . 9 - 2 5 ; G . CoLONNA, Etruschi a Pitecusa nell'Orientaliuante antico, in L'incidenza dell'antico. Studi in memo­ ria di E. Lepore, I (Atti del convegno internazionale, Anacapri I99I), Napoli I995, pp. 325-342; M. CRISTOfANI, Prexis aristocratica e com­ mercio organizzato in Occidente, in Viaggi e commerci nell'antichità (Atti della VII giornata archeologica, a cura di B .M . GIANNATTASIO, Genova I994l, Genova I995, pp. 27-38; B. n'AGOSTINO, Tombe princi­ pesche dell'Orientalizzante antico da Pontecagnano, in MonAnt 49, I977, pp. I-74; B. n AGOSTINO, Considerazioni sugli inizi del processo di formazione della città in Etruria, in L'incidenza dell'antico. Studi in memoria di E. Lepore, I (Atti del convegno internazionale, Anacapri '

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a.C. - che l'Occidente si aprì all'incontro - e allo scontro - con l'Oriente in una misura e con un'ampiezza fino allora inusitate. Mate· rie prime, prodotti alimentari, vasi, tessuti, preziosi, oggetti d'uso e beni di consumo ali­ mentarono traffici anche sulle lunghe di­ stanze. Un ruolo particolarmente attivo eb· bero in essi i naviganti micenei lungo rotte che dall'Egeo e dalle coste microasiatiche giungevano a Cipro, ai litorali siro-palestine· si e all'Egitto, spingendosi fin nel Mediterra­ neo centro-occidentale; in non poche delle località toccate da queste rotte si ha testimo­ nianza di presenze stanziali di Micenei. Nei palazzi minoici e poi in quelli micenei si svi­ luppò e crebbe allora quella propensione al possesso e alla esibizione di beni di lusso che è archeologicamente documentata da pro· duzioni di oggetti preziosi rivelanti forti in­ flussi orientali - oreficerie e soprattutto avo· ri (PoURSAT 1977) - e che ha riflesso nelle de­ scrizioni omeriche delle regge degli eroi achei (Hooo 1995). Le navigazioni micenee nei mari d'Occiden­ te - dall'Adriatico, allo Ionio, al Tirreno­ furono presumibilmente veicolo di diffusio­ ne di una qualche conoscenza dell'Oriente fra le popolazioni dell'Italia antica. Tale co­ noscenza è forse adombrata nelle tradizioni e nei miti - confluiti neU'epos omerico e poi ampiamente ripresi neUe fonti letterarie gre­ che e romane di età arcaica e classica - intor­ no alle gesta in Italia di antichi eroi di stirpe regale; tra questi vanno ricordati in partico­ lare il troiano - e quindi «asiatico>> - Enea, progenitore dei Latini, e, tra gli altri, il capo­ stipite stesso della dinastia dei re di Troia, Dardano, che Virgilio e Servio collegano con l'etrusca Cortona (BRIQUEL 1984, p. 1 6 1 sgg.). La documentazione archeologica del resto attesta, specie nella tarda età del B ronzo (Xlii-X secolo circa a.C. ) , una pluralità di contatti anche non occasionali tra il Levan­ te, l'Egeo e l'Italia peninsulare e insulare; neU'ambito di essi queUi con Cipro - avam­ posto mediterraneo e porta dell'Oriente sembrano aver avuto un particolare rilievo in rapporto anche alla diffusione in Italia di progredite tecnologie metallurgiche ( L o SunAvo-MACNAMARA-VAGNETTI 1985). Proseguiti anche dopo i l collasso dei regni micenei e perdurati in una certa misura nei secoli a cavallo fra secondo e primo millen­ nio a.C. - periodi variamente contrassegna­ ti, nel Vicino Oriente come nell'Egeo e in

Italia, da una diffusa instabilità - questi re­ moti contatti costituiscono l'antefatto e per così dire lo sfondo su cui inquadrare, in uno scenario mediterraneo radicalmente rinno­ vato, la trasmissione in Etruria - tra l'avan­ zato VIli e la fine del vn - inizi del VI secolo a.C. - non solo e non tanto di materie e pro­ dotti di varia origine orientale, ma anche e soprattutto di atteggiamenti ideologici, di mode e di costumi derivati dall'Oriente, re· cepiti dalle aristocrazie tirreniche in quanto funzionali all'affermazione ed esaltazione del proprio rango gentilizio. Al di là delle zone di provenienza o di mani· fattura delle merci apprezzate e ricercate dai principi etruschi, e indipendentemente an­ che dalla identità etnica dei vettori di esse, l'Oriente che esercita un prepotente fascino sull 'Etru ria sembra essere ora quello, i n realtà alquanto remoto, delle corti neo-assi­ re. Là è il centro di elaborazione e propaga­ zione di quei modelli di regalità che hanno splendida rappresentazione nei rilievi dei palazzi reali: le solenni scene di cortei, ban· chetti, cacce, guerre, ricevimento di tributi ecc. illustrano ed esaltano la potenza, la ma· gnanimità, il valore dei sovrani e riverberano il fasto lussuoso che li circonda. Re, regine, dignitari si adornano con preziosi gioielli e indossano vesti sontuose. Gli ambienti deUe corti hanno ricchi ed elaborati arredi: alti troni con applicazioni di avorio, letti- klinai - su cui partecipare mollemente semisdraiati ai banchetti, mense con gambe a foggia di zampe leonine. Nei banchetti, allietati da musici, inservienti si prendono cura dei so· vrani sventolando flabelli, scacciando inset­ ti, som m i nistrando cibi e bevande attinte, mediante situle conformate a protome di fe· lino, da grandi recipienti di bronzo rialzati su alti sostegni; si beve da piccole coppe d'oro o d'argento o di vetro; si utilizzano pa­ tere di metalli nobili o di bronzo, baccellate o decorate a sbalzo. Ad alimentare il lusso delle corti neo-assire è un'amplissima trama di relazioni e rapporti che fanno affluire, talora sotto forma di tri· buti, materie prime e prodotti pregiati dalle provenienze più varie. Lungo itinerari caro· vanieri che muovono dalle remote regioni prospicienti il Mar Rosso e dall'Arabia giun­ gono ad esempio spezie, aromi, essenze odo­ rose, uova di struzzo, conchiglie, una parte del ricercatissimo avorio. I n funzione di quel lusso sorgono e si sviluppano centri specializzati nella lavorazione dei metalli, dell'avorio, delle pietre dure, nella produ-

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)

Palazzo di Khorsabad (Iraq): il sovrano, dignitari, inservienti che recano a"edi, età di Sargon Il (721-705 a.C.). Rilievo di E. Flandin (totale e particolare). Palazzo Nord di Kuyungik (Ninive, Iraq): caccia reale ai leom; età di Assurbanipal (668-629 a.C.). Rilievo di C. Hodder.

zione di gioielli, tessuti, mobilia ecc . ; tra questi centri particolarmente attivi sono quelli deii'Urartu, della Siria settentrionale soprattutto e della Fenicia. L'affluire nelle corti di prodotti di varia pro­ venienza favorisce il diffondersi di tecniche e stili, di elementi ornamentali e figurativi, di soggetti mitologici di origine differente e il conseguente formarsi di un linguaggio composito e marcatamente eclettico - - in cui motivi di derivazione egizia s'intrecciano e si fondono con quelli di ascendenza anatolica, mcsopotamica c si­ ro-fenicia. Direttamente partecipi dci modelli di rega­ lità delle corti neo-assire e attivi produttori e consumatori di beni di lusso furono i più piccoli regni e potentati dell'Asia Minore, dell'arca siro-fcnicio-palcstinesc, di Cipro. È da queste regioni del Levante mediterraneo che vennero variamente diffusi nell'Europa meridionale - dalla Grecia, all'Italia, alla pe­ nisola Iberica - un'ampia serie di prcgiati prodotti orientali. Molteplici fattori concorsero a determinare e a favorire questa diffusione. Da una parte la pressoché ininterrotta pressione esercitata dall'impero neo-assiro verso l'area mediter­ ranea, con il conseguente confluire in di­ stretti marginali - a Cipro in primo luogo di uomini e beni; dall'altra l'espansione gre­ ca sulle isole e sulle coste dell'Asia Minore e quella fenicia a Cipro. Le navigazioni greche e fenicie nei mari d'Occidente, con la fondazione in Italia di empori e di colonie da parte di Greci e di Fenici, furono occasione e mezzo della dif­ fusione in Italia di prodotti orientali e, con essi, di quella propensione per il lusso e il fa . sto che è strettamente connessa - come si è detto - con la concezione orientale del pote­ re e della regalità. Ulteriore veicolo di diffusione di quei con­ cetti fu la straordinaria fortuna che l'epos omerico ebbe in Italia - e specificamente in Etruria - col suo proiettare su un passato , un modello va­ riamente diffuso - anche in redazioni diffe­ renti - in Occidente. Caratteristicamente orientale è anche il motivo - raffigurato su una placchetta che forse rivestiva un cofa­ netto o un mobile di legno - della donna se­ duta in trono con i piedi poggiati su di un basso sgabello e una mensa innanzi a sé con

Sviluppo del /regio a rilievo di una pisside di avorio, dal palav.o Sud-Est di Nimrud (Iraq), IX-Vlll seco/Q a.C. Londra, British Museum.

cibi e bevande (cat. 1); tale motivo è presen­ te in fregi e rilievi con intenti narrativi o ce­ lebrativi. ricorre su gioielli e su oggetti d'avorio. Documentati in Assiria e a Cipro (cat. 15), troni e loro riproduzioni sono ben noti in Etruria (cfr. cat. 153, 514) ove costi­ tuiscono uno fra i più appariscenti elementi di affermazione ed esibizione di orgoglio gentilizio; come in Oriente il loro uso è este­ so anche alle donne di alto rango, tratto que­ sto che può forse essere derivato anche dalla suggestione esercitata dai poemi omerici: Penelope aveva un seggio prezioso, opera di lcmalio, intarsiato d'avorio e d 'argento e fornito di uno sgabello per i piedi ( Odinea XIX, 55-58), La tavoletta scrittoria (cat. 3) ri­ chiama il noto esemplare con alfabetario in­ ciso su un margine rinvenuto in Etruria nella ricca tomba del «Circolo degli Avori>> di Marsiliana d'Albegna (cfr. cat. 415 )_ Se in Oriente la scrittura è posta al servizio delle corti per le necessità amministrative, politi­ co-diplomatiche e celebrative, in Etruria es­ sa è inizialmente appannaggio dei soli ceti aristocratici costituendo (CRISTOL\NI 1969a, p. 113)_ Nei secoli iniziali del primo millennio a.C. importanti centri di produzione metallurgi­ ca fiorirono nell'Anatolia orientale - l'antico regno di Urartu - e nell'area nord-siriana. distretti ricchi di giacimenti metalliferi. Tra i più caratteristici prodotti di queste regioni si annoverano grandi calderoni provvisti di ap ­ pliqul'S bronzee con (uccelli con te­ sta antropomorfa) o protomi taurine kat. 4· 71- L 'amplissima area di rinvenimento di questi e consimili oggetti - dal l ' Urart u , ali' Assiria, all'Asia Minore, alla G recia e all'Italia- mostra chiaramente che si tratta di materiali molto pregiati, prodotti proba­ bilmente in centri differenti come attesta l'esistenza di sensibili variazioni stilistiche. L'argomento è stato ed è tuttora molto di­ battuto fra gli specialisti, approdati a con­ clusioni contrastanti anche a causa dell'in­ certa o controversa provenienza di parecchi esemplari. Valide ragioni orientano ad asse­ gnare un ruolo preminente nella produzione di questi oggetti a botteghe nord-siriane, mentre molti dei calderoni con appliqueJ rinvenuti in G recia vengono considerati opera di botteghe locali nelle quali potreb­ bero essere stati attivi - ma a questo propo­ sito vi sono opinioni discordi - metallurghi orientali (WINTER 1988; MuscARELLA 1991)_ Quanto ai motivi del particolare apprezza-

mento per i calderoni con appliques e della loro estesa diffusione, è stato notato che si tratta di oggetti d'uso cerimoniale e che i da­ ti di rinvenimento - quando conosciuti - ne mostrano la stretta connessione con la rega­ lità e con il culto; tali aspetti sembrano sug­ gerire che la diffusione di questi arredi pre­ giati - quando non dovuta a eventi bellici sia da mettere in rapporto con le sfere del , del > assisi in trono deUa reggia di Murlo (cfr. cat. 113). A richiamare infine la componente eUe­ nica, che tanta importanza ha avuto a Cipro fin dall'età micenea, è un cratere greco me· dio-geometrico kat. 44). Un esemplare iden­ tico faceva parte del corredo più antico deUa tomba n. 1 deUa necropoli di Salamina, perti­ nente a una deposizione femminile deUa metà circa dell'VIli secolo a.C. Il corpo deUa donna, recato al sepolcro con un carro trainato da una coppia di cavalli immolati sul posto, ven­ ne bruciato su una pira innalzata nel dromos deUa tomba; i resti ossei, avvolti in un panno, furono quindi coUocati in un lebete bronzeo - insieme a una collana con grani d'oro e di cristallo (cat. 35) e a sottili laminette auree­ sepolto in una fossa scavata nel pavimento della camera funeraria; il ricco corredo com­ prendeva fra l'altro un numero notevole di ceramiche geometriche di tipo greco. I mate­ riali e ancor più gli aspetti rituali riecheggiano costumi funebri «omerici>> : «la cremazione del morto, la raccolta delle ossa avvolte in panni e poste in un calderone, le grandi anfo­ re ritrovate nel dromos, che avevano proba­ bilmente contenuto olio di oliva o miele, e in­ fine il sacrificio dei cavalli in onore del morto, tutto ciò ricorda la famosa descrizione del fu­ nerale di Patroclo neU'IIiade (XXIII, 243 sgg.l>> (KARAGEOKGHIS 1974, p. 26). GRECIA, ISOLE DELL'EGEO, CRETA

L'espansione greca nell'Egeo orientale e sul­ le coste microasiatiche, quella fenicio-levan­ tina a Cipro, a Rodi, a Creta, l'inserimento di mercanti euboici nei porti del Levante Al Mina, Ras el Bassit, Teli Sukas - determi­ narono una feconda ripresa dei contatti fra I'EIIade e l'Oriente tra la metà circa dell'xl e l'\'111 secolo a.C. Oltre a materie prime e a prodotti pregiati - in particolare oreficerie, avori, suppellettili di bronzo- la Grecia ri­ cevette dali 'Oriente anche e soprattutto tec­ nologie - specie nel campo della lavorazione dei metalli - verosimilmente introdotte da artigiani immigrati. Suggestiva testimonian­ za di questa mobilità sociale legata al posses­ so di determinate capacità è nell' Odisseo (XVII, 381-387), laddove tra gli stranieri la cui opera è particolarmente apprezzata, tanto da indurre a ricercarli personalmente in luo­ ghi differenti, sono specificamente indicati gli artigiani (demioergoì): insieme a indovini, medici, falegnami e cantori essi sono infatti «le persone richieste suUa terra infinita>>.

Statue/la d'a!Jorio, da Atene (Grecia), tomba IJ della necropoli delDipylon, Bo o a.C. circa. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Paraocchi di bronzo, da Eretrra (Grecia), santuario di Apollo, fine del/'1'/11-prima metà dell'// secolo a.C. Atene, Mu.reo Nazionale. DiJegno di vaso a testa di leone, da Gordion (Turchia), \'111 secolo a.C. Ankara, Museo delle Civiltà Anatoliche.

Agli oggetti importati- quali aJ esempio una coppa di bronzo con iscrizione fenicia Ja Cnosso (car. 55) o una coppa bronzea con Jecorazione figurata a sbalzo da Olimpia (cat. 54)- si affiancano così materiali Ji più o meno probabile prouuzione locale. ma co­ munque riconuucibili a tipologie e icono­ grafie orientali, come alcune statuette ebur­ nee Jalla tomba 13 Jella necropoli ateniese Jel Dipylon, Jatata al terzo quarto Jell'\'111 secolo a.C., che riproducono il tipico model­ lo orientale della «dea nuua>>. Più che nei correui funerari, ove pure sono presenti, questi oggetti di lusso - siano essi importati o prouotti localmente - sono stati rinvenuti soprattutto nei santuari. La tcn­ Jenza all'isonomia infatti, che fin dall'epoca delle nascenti polei.1· ha caratterizzato la so­ cietà greca, fece sì che le competizioni socia­ li fra aristocratici trovassero nelle offerte ai santuari ambito privilegiato di manifestazio­ ne e ostentazione ( CRISTOF.-1:\1-M.-IRTHLI 1994, p. li 52). La fama Jei più celebri santua­ ri fu tale Jel resto Ja attirare ricchi doni an­ che da parte di sovrani stranieri. Si è già ac­ cennato in proposito alla notizia erouotea circa il trono che il re Mida di Frigia (?38696/5 a.C.?) avrebbe offerto all'oracolo di Delfi. Alla stessa epoca potrebbe risalire l'offerta di prodotti orientali di grande pre­ gio quali alcuni elementi in bronzo decorati a sbalzo, pertinenti a ricche bardature equi­ ne, rinvenuti nel santuario Ji Apollo a Ere­ tria - due paraocchi - e nello Heraion a Sa­ mo - tre paraocchi e un frontale (cat. 52-531. Almeno due di questi splendidi oggetti di prouuzione siriana - uno dei paraocchi da Eretria e il frontale Ja Samo - sono certa­ mente coevi e forse appartenevano a un'uni­ ca bardatura: su entrambi è presente infani un 'iscrizione in aramaico col nome del re Haza'el, sovrano di Damasco della fine del IX secolo a.C. (KYRIELEis-RùLUt; 1988; Gt·z­ zo AMADASI t996 ). Mentre sono oggetto di discussione cronologia e circostanze dell'ar­ rivo in Grecia di questi elementi preziosi c a opera Ji chi essi vennero Jonati ai santuari in cui sono stati rinvenuti, è certo che alme­ no uno dei paraocchi da Eretria venne offer­ to prima Jel 700 circa a.C . , essendo stato rinvenuto nel livello Ji Jistruzione del san­ tuario di età geometrica incendiato alla fine Jell'vm secolo a.C. (Ci IARBot-�:-.:ET 1986; Mt­ SCARELLI 1991, p. 44, nota 107; STRO�I 1992. p. 48; Ri!LLIG 1992, p. 97). Le modalità della diffusione e redistribu­ zione di q uesti e altri pregiati p rouotti

orientali sono controverse e variamente di­ battuta è l'identità dei vettori di essi; un ruolo importante ebbero presumibilmente gli scambi reciproci di doni che tanto rilie­ ro hanno nella società descritta da Omero. È indubbio comunque che la diffusione in Grecia di oggetti orientali e la stessa pre­ senza di mercanti e artigiani provenienti dal Le,·ante veicolarono in Occidente tipo­ logie, motivi iconografici, temi mitologici ecc. di estrazione orientale. Tra il reperto­ rio figurativo allora acquisito un notevole favore ebbe ad esempio il motivo del grifo­ ne come attestano le numerose appliques di calderone kat. 57-58), in larga parte di pro­ duzione locale, e le imitazioni in argilla di questi recipienti (cat. 59). ITALIA MERIDIONALE E CENTRALE

Protesa al centro del Mediterraneo, l'Italia costituì quasi un riferimento obbligato per le navigazioni greche e fenicie verso Occi­ dente, volte al reperimento di materie pri­ me, risorse alimentari, mano d'opera servile e, successivamente, all'impianto di colonie e alla creazione di mercati. L'insediamento di G reci p rove n i e n t i dall'Eubea neU'isola d'Ischia - Pitecusa - nel corso della prima metà dell'vili secolo a.C. segnò una svolta d'importanza capitale per le intraprese greche in Occidente fornendo ad esse una stabile base che ne favorì l'ulteriore estensione. Pel tramite dei Greci di Pitecusa, e di quei «Levantini>> che pure risiedevano nell ' isola fra m m isti a l l ' e l e m e n to greco IRnx;wAY 19843, pp. 124-134), le popolazioni dell'Italia antica entrarono in rapporto non occasionate con le più evolute culture del Mediterraneo orientale, ne conobbero e ap­ prezzarono i prodotti, mutuarono da esse elementi ideologici e culturali. Una specifica menzione va fatta alla diffusione deUa cono­ scenza in Italia della poesia epica greca - ben nota ai Greci di Pitecusa come attestano do­ cumenti epigrafici e iconografici ( RtDG\X' A Y t984J1, pp. 71-74, 102-104) - che concorse a of­ frire alle aristocrazie etrusco-italiche modelli di stile di vita. La commistione di persone differenti per origini e cultura a Pitecusa è posta in evidenza dai materiali esposti: cera­ miche di tipo greco (cat. 63-67) o fenicio-le­ vantino (cat. 60-62), scarabei e scaraboidi lcar. 68-72), oggetti questi che il commercio fenicio diffuse ampiamente nel Mediterra­ neo (BoARDMAN-BUct iNER 1966; HuBER t998). Gli altri oggetti presentati in questa sezione

esemplificano sia la recezione nell'Italia centro-meridionale e particolarmente in Etruria di prodotti orientali o orientalizzan­ ti di varia provenienza, sia l'acquisizione da parte degli artigiani locali di tecniche di la­ vorazione, forme, temi iconografici, reper­ tori decorativi ecc . , derivati dall'Oriente. Tra questi materiali, riferibili tutti a produ­ zioni suntuarie. non è sempre agevole di­ stinguere quelli i mportati dall'Oriente o dalla Grecia da quelli eseguiti in Italia da artefici immigrati o da maestranze locali; nel loro insieme essi documentano comun­ que la spiccata propensione delle aristocra­ zie etrusche e i tali che ad accogliere prodotti esotici di lusso e a manifestare il proprio rango e orgoglio gentilizio mediante l'accu­ mulo e l'ostentazione di beni pregiati. Fra gli oggetti di probabile o certa importa­ zione dall'Oriente, oltre a un recipiente bronzeo frammentario con un'iscrizione di possesso in caratteri cuneiformi (cat. 8 3 ) , spiccano i n particolare u n calderone con ap­ p/iques a protomi di toro, forse da Cuma ( cat. 7J), e un vaso conformato a protome leonina da Veio (cat. 78): arredi cerimoniali di altissimo pregio, trovano entrambi con­ fronto nel ricchissimo corredo di una tomba regale a Gordion in Frigia. Di produzione orientale, probabilmente da un centro siria­ co aperto a influssi greci (o'A c; osn No 1977b, p. 31 sgg.), è anche una pane del vasellame argenteo rinvenuto in una tomba principe­ sca di Pontecagnano presso Salerno (cat. 74· 76). Prodotti greco-orientali sono invece le splendide teste di grifo che ornavano l'orlo di grandi calderoni di bronzo ( cat. 79-80), elementi frequentemente imitati in materiali >, dall'estensione della deco­ razione all'intera superficie del vaso (horror

t'acui).

Nel caso della produzione ceramica, tutta1-ia, non tutti gli influssi esterni sono da ri­ condurre a modelli orientali. Influenze pro­ ,·enienti dall'Egeo e dallo Ionio vengono raccolte dagli artigiani ciprioti che imitano forme e stili di quelle zone. Un'altra produzione artistica cipriota che in questo periodo conosce un momento di fio­ ritura è la produzione di figurine di terracot­ ta. In relazione a ciò in quest'epoca si può osservare l'aumento numerico di santuari rurali, dove i devoti, oltre a compiere i nor­ mali sacrifici, dimostravano alle divinità la propria devozione e raccomandavano loro le proprie preghiere attraverso la dedica di statuette d'argilla. Le dimensioni della sta­ tuetta variano a seconda delle possibilità del dedicante così come molteplici sono i s og­ geni raffigurati: soldati, musicisti, carri da guerra, divinità ecc. È probabile che molti importanti santuari avessero una propria bonega artigianale per la produzione degli ex·voto. Gli artisti ciprioti furono costretti a

sviluppare in questo periodo una tecnologia molto avanzata per la produzione di statuet­ te in argilla, in ragione della carenza sull'iso­ la dei materiali, quali marmo e arenaria di buona qualità, m aggiormente utilizzati nell'antichità per la produzione di statue e statuette. Le figurine in argilla sono realizza­ te con differenti tecniche, ma i colori e lo sti­ le decorativo sono gli stessi della contempo­ ranea pittura vascolare. I pezzi più piccoli possono essere modellati a mano, con la co­ siddetta tecnica a «pupazzo di neve>>, o ave­ re un corpo a forma di tromba, fatti a mano o al tornio. Altri pezzi sono eseguiti contem­ poraneamente a mano, al tornio e a matrice. Quest'ultima tecnica, proveniente dal Vici­ no Oriente, viene introdotta a Cipro per la produzione su grande scala di figure di ter­ racotta a partire dall'viii secolo a.C., e l'isola potrebbe essere stata responsabile della sua diffusione nel mondo greco subito dopo il 700 a.C. Le più antiche placchette e figurine a stam­ po rappresentano solamente divinità femmi­ nili, sacerdotesse e musicisti. I primi esem­ plari sono di dimensioni abbastanza ridotte e la matrice viene usata solo per il capo. La produzione si sviluppa poi gradualmente, e arriva talora alla realizzazione di statue più grandi del vero, composte da pezzi separati. Quanto agli aspetti stilistici e iconografici, l'influenza dominante è quella orientale, se­ condo l'indirizzo generale dell'epoca, lo stile orientalizzante. È necessario tuttavia sottoli­ neare come la coroplastica cipriota non se­ gua pedissequamente i modelli orientali. Il prodotto finale risulta un sincretismo di ele­ menti orientali e locali, in virtù del quale le statuette di argilla mostrano caratteri pecu­ liari dell'arte cipriota. Un forte influsso delle iconografie e dei mo­ delli orientali è invece evidente sui bronzi. I pettorali, le decorazioni laterali e i paraocchi da cavallo e altri importanti elementi orna­ mentali del carro e del cavallo rinvenuti nel­ le tombe regali di Salamina sono decorati con motivi di origine orientale. Tra gli og­ getti provenienti dai corredi di Salamina va segnalato un grande calderone di bronzo or­ nato sull'orlo da protomi di grifone e da fi­ gure umane bifronti, i cui modelli, secondo alcuni studiosi, rimandano alla famosa pro­ duzione bronzea urartea. In generale durante il periodo Cipro-Arcai­ co 1 (750-6oo a.C.) si nota un'influenza reci­ proca tra la bronzistica e la produzione cera­ mica. Tale fenomeno trova chiari esempi

nelle brocche di bronzo conformate a imita­ zione delle brocche fenicie a vernice rossa («red slip>>) nonché nelle coppe di bronzo si­ mili ad analoghi prodotti realizzati nella tec­ nica «grey polished ware>>. Ovviamente que­ sto vasellame in metallo era esportato come bene di prestigio verso il Mediterraneo occi­ dentale. Tra i beni di lusso prodotti e diffu­ samente commerciati dai Ciprioti nelle aree orientale e occidentale del bacino del Medi­ terraneo vi sono inoltre le coppe in bronzo e argento con decorazione sbalzata o incisa. Oggetto bronzeo di evidenti origini orientali è anche il torciere composto da un elemento di sostegno sormontato da una decorazione floreale, che sembra aver avuto una buona diffusione nel Mediterraneo occidentale (Etruria, Sardegna e Cartagine) . È invece legato alle tecniche militari vicino­ orientali, che in quest'epoca raggiungono anche Cipro, un importante elmo di tipo orientale t rovato in una tomba a Palae­ paphos, databile alla seconda metà dell'viii secolo a.C. e presumibilmente importato dall'Urartu. Per quanto concerne i gioielli del periodo Cipro-arcaico 1, essi generalmente riprendo­ no i tipi del precedente periodo geometrico, ma con tecniche di migliore qualità arricchi­ te da un sapiente uso della granulazione. La collana da Arsos (distretto di Lamaca), uno degli oggetti di maggior interesse del Cyprus Museum di Larnaca, è un ottimo esempio di questa tecnica, risalente al VII secolo a.C. È costituita da perle decorate a granulazione di forma lenticolare e presenta un pendaglio montato in oro sormontato da un ape d'oro affiancata da due corone egiziane. Collane pressoché identiche si trovano raffigurate su statue provenienti dali ' area meridionale dell'isola e risalenti al periodo Cipro-arcaico l.

Nell'ambito della scansione cronologica dell'archeologia cipriota, il periodo Cipro­ arcaico 1 termina approssimativamente in concomitanza con la disgregazione dell'im­ pero assiro e con la caduta di Niniveh nelle mani dei Medi e dei Babilonesi nel 6tz a.C. Da questo momento in poi fu l'Egitto a do­ minare il bacino orientale del Mediterraneo e a occupare Cipro nel 569 a.C.

Pavlos Flourentzos

I.

Manico diflabello Nimrud (Iraq), Palazzo bruciato Avorio H. 13.4 cm, la. max. 4,9 cm N. inv. WA n81o2 Londra, British Museum Si tratta di uno degli esemplari meglio con­ servati di un consistente gruppo di manici composti da due o più figure femminili sor­ montate da un capitello a foglie di palma, tutti rinvenuti all'interno del medesimo pa­ lazzo. Doveva probabilmente costituire il manico di un flabello di piume, del tutto si­ mile a quelli frequentemente raffigurati sui rilievi assiri. Caratteri non assiri ma piutto­ sto levantini presenta invece il caratteristico copricapo, detto a polos, indossato dalle fi­ gure, che trova confronti in rappresentazio­ ni di divinità femminili e di regine note a Megiddo e a Cipro. L'accentuata sensualità che caratterizza i corpi nudi delle donne ha fatto ipotizzare un qualche loro legame con la sfera di Ishtar, dea dell'amore e della pro­ creazione. Tali manici sono generalmente attribuiti a fabbriche siriane e si datano all'viii secolo a.C. Bibliografia: BARNETI 1975, p. 207, S 2 10, tav. LXXIV; New York 1995, p. 187, n. 184.

Marinella Marchesi

:z.. Pannello di rivestimento di trono Nimrud (Iraq), Fort Shalmaneser, stanza SW7 Avorio H. 24,1 cm, la. 14 cm Nn. inv. WA 132259, 132237 Londra, British Museum Rinvenuto contestualmente ad altri quattro pannelli, tutti recanti il medesimo motivo della donna in trono che tende la mano ver­ so del cibo imbandito su un tavolino, appar­ tiene alla cosiddetta «Scuola Classica di SW7», la quale prende il nome proprio dalla stanza in cui furono trovati numerosi pan­ nelli, contraddistinti da una forte unità stili­ stica, utilizzati come elementi di decorazio­ ne per spalliere di troni. Discussa è l'interpretazione della scena, che

trova stretti confronti nelle rappresentazioni scolpite su una lastra ortostatica e su una stele da Sam'al (Zincirli), entrambe attribui­ te a contesti funerari. Al regno di Sam'al, nella Siria nord-occiden­ tale, sono riconducibili anche le officine re­ sponsabili della produzione di questo com­ plesso di avori, cronologicamente collocabili nella seconda metà dell'viii secolo a.C. Bibliografia: MALLOWAN 1966, p. 5 0 2 , fig. 405; MALLOWAN-HERRMANN 1974, p. 91, n. 49, tav. LVIII; BARNETI 1975, p. 232, suppJ. 14, tav. CXLV.

Marinella Marchesi 3·

Tavoletta scrittoria

Nimrud (Iraq), Palazzo nord-ovest, pozzo nella stanza AB Avorio H. 33.5 cm, la. 15 cm, spess. 1,3 cm N. inv. WA 131954 Londra, British Museum Insieme ad altre quindici tavolette assoluta­ mente identiche per forma e dimensioni, componeva una sorta di «polittico» conte­ nente il testo dell'«Enuma Anu Enlil>>, una raccolta di auspici tratti dall'osservazione dei corpi celesti, così intitolata dalle tre pa­ role iniziali. Le tavolette, originariamente unite l'una all'altra forse mediante legacci di pelle, erano state spalmate con uno strato di cera d'api mescolata a solfuro di arseni­ co, usato per rendere la cera più plastica, sul quale era stato inciso il testo in caratteri cuneiformi. Le solcature a fitta scacchiera che coprono la superficie scrittoria serviva­ no proprio a far aderire meglio la cera, mentre i listelli perimetrali, leggermente rialzati, impedivano che la scritta si rovinas­ se per abrasione quando le tavolette erano impilate. L'iscrizione incisa al di sotto del titolo sul retro della prima tavoletta indica come il te­ sto fosse stato copiato appositamente per il palazzo reale di Sargon 11 a Khorsabad, con­ sentendo una datazione dell'oggetto al 707705 a.C. circa. Bibliografia: HoWARD 1955, pp. 14-20; W ISE­ MAN 1955, pp. 3 - 1 3 ; MALLOWAN 1966, p. l p sgg.; BARNETI 1975, p. 183, E7, fig. 78.

Marinella Marchesi

4· Calderone con attacchi a protome /aurina su tripode Provenienza sconosciuta. Dal mercato antiquario Bronzo fuso e laminato H. totale 94 cm, h. del calderone 48 cm, h. del tripode 50 cm, diam. max. 6o cm N. inv. 8o/8 Karlsruhe, Badisches Landesmuseum Il tripode è composto da un ampio anello di sostegno e da tre gambe rettilinee, unite tra loro da verghe di raccordo e con p iedi conformati a zoccoli di toro. Il calderone, di forma pressoché emisferica, ha protomi tau­ rine fissate su placchette raffiguranti ali e co­ da di uccello. Le teste hanno rigidità geome­ trica, con i dettagli del muso, delle narici e degli occhi a rilievo molto marcato. Scarso valore decorativo hanno i riccioli sulla fron­ te e le penne d'uccello rese ad incisione. La cultura del regno urarteo, che fiori a par­ tire dal IX fino al pieno VII secolo a.C. nella zona orientale dell'Anatolia, in Armenia e nell' I ran nord-occidentale, si caratterizza per la particolare qualità e quantità di ogget­ ti in bronzo simili a questo. I ritrovamenti effettuati in queste regioni rappresentano solo una piccola parte dei prodotti che si do­ vettero diffondere in molte altre zone del Vicino Oriente e del bacino del Mediterra­ neo, molti dei quali sono tuttavia andati per­ duti. La popolarità di questi lussuosi conte­ nitori, utilizzati come arredi nei banchetti principeschi, ma anche deposti nelle tombe come elementi di corredo o dedicati nei san­ tuari come oggetti votivi, è dimostrata dai numerosi rinvenimenti effettuati in Grecia e in Italia. Metà dell'vili secolo a.C. Bibliografia: REIIM 1997. n. u43·

Michael Maafi 5·

Attacco di calderone a pro/ome /aurina Toprak Kale (Turchia) Bronzo fuso H. 21 cm, la. 15 cm, lu. 13 cm N. inv. 91242 Londra, British Museum Appartiene al gruppo degli attacchi di cal-

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derone a protome taurina alata di produzio­ ne urartea, gruppo caratterizzato non solo da una forte unità geografica (tutti gli esem­ plari che ne fanno parte sono stati infarti rin­ venuti esclusivamente in territorio urarteo, nelle alte regioni armene) ma anche da una evidente coerenza stilistica, che si esprime nella resa del ciuffo frontale a file di riccioli paralleli e nelle incisioni orizzontali che di­ stinguono il m uso dell'animale. L ' a l tro gruppo produttivo, cronologicamente coevo a quello urarteo, è genericamente definito vicino-orientale e ha una maggiore diffusio­ ne spaziale, dall'Anatolia alla Siria setten­ trionale fino alla Grecia, cui corrisponde una maggiore varietà formale, correlata a una molteplicità di luoghi produttivi. Seconda metà dell'VIII secolo a.C. Bibliografia: BARNETI 1950, p. 19, tav. XVI , n. 2; AKURGAL 1968, p. 37, tav. xxxvrb .

Marinella Marchesi

6. Attacco di calderone a sirena Provenienza incerta, forse Nimrud (Iraq) Bronzo fuso H. 19 cm, la. 22 cm, lu. 11,5 cm N. inv. 2 2494 Londra, British Museum Questo esemplare di attacco a sirena è per il momento l'unico della serie per il quale sia stata riconosciuta una manifattura assira. I trani stilistici che suffragano questa attribu­ zione sono la forma del volto, rotondo e paf­ futo, con occhi dalle grosse palpebre rilevate e, soprattutto, il trattamento della capiglia­ tura, aderente sul cranio, a lasciare scoperte le orecchie, e ricadente sulle spalle con una massa compatta di riccioli in fùe parallele a profilo rettilineo, tutti caratteri che si ritro­ vano pressoché identici nelle raffigurazioni dei cosiddetti «eunuchi» attendenti del so­ vrano sui rilievi parietali del palazzo di As­ surbanipal a Ninive. Prima metà del VII secolo a.C. Bibliografia: HERMANN 1966, p. 56, n. t, tav. 22; MuscARELLA 1992, p. 24, con riferimenti bibliografici precedenti.

Marinella Marchesi

7· Attacco di calderone a sirena Provenienza sconosciuta. Acquistato sul mercato antiquario Bronzo fuso H. 20,3 cm, la. 34 cm N. inv. VA 2988 Berlino, Staatliche Museen, Vorderasiatisches Museum n luogo di rinvenimento di questo elemento

configurato di calderone, con passante po­ steriore per l'inserimento di una grande ansa ad anello, è sconosciuto. L'originaria ipotesi della s u a p rovenienza da Toprak K a l e , nell'Anatolia orientale, e di conseguenza della sua presunta origine urartea, deve esse­ re accantonata. Morfologicamente appartie­ ne al tipo degli attacchi configurati a sirena, con corpo di uccello ad ali spiegate e proto­ me umana; le penne sul corpo sono accura­ tamente realizzate a cesello. Dal punto di vi­ sta stilistico e iconografico l 'attacco occupa una posizione particolare. La mescolanza di influssi stilistici nord-siriani e assiri induce a datare l 'oggetto alla seconda metà dell'vm secolo a.C. Bibliografia: LEHMANN-HAUPT 1907, p. 86 sgg. , figg. 57-58; HERMANN 1966, p. 57 , n. 5 , tav. 26; WARTKE 1985, p. 87 sgg.

&lf-B. Wartke 8.

Coppa Sam'al (Zincirli, Turchia) Bronzo martellato e cesellato H. 3,3 cm, diam. 15,8 cm N. inv. S 3814 Berlino, Staatliche Museen, Vorderasiatisches Museum Questa coppa bronzea, proveniente da un contesto non precisato di Zincirli, può esse­ re datata, sulla base di confronti con altri esemplari analoghi, al periodo compreso tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII secolo a.C. n t i p o c u i a p p a rt i e n e è n o t o i n A s s i r i a , nell'Iran occidentale e i n Palestina. Gli ele­ menti che lo caratterizzano sono il fondo ar­ rotondato e l'orlo assottigliato, obliquo ver­ so l'esterno. n fondo interno è decorato con una rosetta racchiusa entro cerchi concen­ trici. Anche la superficie esterna presenta

una ricca ornamentazione cesellata; l'intero fondo è coperto da cerchi concentrici alter­ nati a strette fasce campite da un disegno a squame. Bibliografia: VON LUSCHAN-ANDRAE 1943, pp. 117 sg., 171, tav. s6d; MEYER 1965, pp. 22, 39. fig. 9 2 ; HoWES SMirn 1986, p. 49 (tipo 2H).

&lf-B. Wartke 9-J:Z.. LA tomba 79 della necropoli reale di Sa­

lamina di Cipro Rinvenuta nella necropoli «reale» di Sala· mina, situata a nord dell'attuale villaggio di Enkomi e caratterizzata da una particolare concentrazione di tombe a tumulo monu­ mentali, databili tra l'VIII e il VII secolo a.C., la tomba 79 rappresenta una delle deposi­ zioni più sfarzose finora scoperte a Cipro. Anch'essa coperta da un tumulo, presenta­ va la consueta struttura a camera preceduta da un amplissimo dromos, all'interno del quale fu trovato l'intero complesso dei doni funebri. La camera funeraria, costruita con due enormi blocchi di pietra e coperta da un tetto a due falde su timpano, era già stata saccheggiata i n antico e recava evidenti tracce di un riutilizzo risalente all'epoca ro· mana. La stratigrafia del terreno di riempi· mento del dromos rivelò che la tomba era stata aperta due volte, in occasione di due deposizioni, l'una di poco successiva all 'a]. tra, entrambe risalenti alla fine dell'vm se­ colo. Al primo seppellimento apparteneva· no un carro da guerra, tirato da quattro ca· valli, e un carro funebre (cat. 12), con tiro a due, collocati nella zona meridionale del dromos, accanto ai resti dei cavalli, i cui ric· chi finimenti in bronzo (cat. 9-11) erano stati ammassati in un angolo della facciata della camera. Durante la seconda deposizione erano stati alloggiati nella tomba altri due veicoli, analoghi per funzione ai precedenti, anch'essi accompagnati dai corpi degli ani· mali da tiro, recanti ancora in situ le rispet · tive bardature. Accatastati lungo la parete settenrrionale del­ la camera funeraria giacevano, insieme ai fini. menti equini, due calderoni di bronzo, uno dei quali, di straordinarie dimensioni e orna­ to con teste di grifi e sirene (cat. 19), contene­ va più di sessanta brocche di terracotta rive· stite di stagno; ad essi si affiancavano un paio

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di alari e un fascio di dodici spiedi di ferro, tutti oggetti pertinenti alla prima sepoltura. A questa, senz' altro la più sontuosa, è stata attri­ buita anche la grande quantità di pannelli di rivestimento e di altri elementi decorativi di mobili in avorio, relativi a tre troni, uno dei quali ulteriormente impreziosito da lamine d'argento (cat. 15), a un leno e ad almeno un tavolo. Completavano il corredo numerosi vasi accessori, bicchieri e piatti in ceramica ti· po «Bianco Dipinto>> o «Bicromo>>, talora contenenti i resti del cibo offerto ai defunti (ossa di pollo, lische di pesce, gusci d'uova), nonché grandi anfore, dentro a una delle qua­ li furono individuate le ossa di un inumato, evidentemente il primo defunto (cat. 21-25). La ricchezza e la varietà dei doni funebri trovati in questa tomba e le analogie riscon­ trabili con i riti propri dei funerali di tradizione omerica hanno indotto a ipo­ tizzare che gli occupanti di questo monu­ mento funebre fossero membri della fami­ glia reale di Salamina.

Marinella Marchesi

Composto da due placche unite mediante una cerniera orizzontale. Sulla sommità della placca superiore era fissata una cre­ sta. Entrambe le placche sono decorate ad altorilievo da figure umane e animali se­ condo il seguente schema: la placca inferio­ re presenta due file sovrapposte di tre figu­ re umane ciascuna; le figure sono rese in stile egiziano e sono sormontate da un di­ sco solare alato, forse originariamente in­ crostato di pasta vitrea, ora perduta. La placca termina con una palmetta a volute lavorata a sbalzo. La lamina superiore è de­ corata da tre leoni accovacciati, disposti in fila e rivolti verso il basso, con le code av­ volte a spirale. Di fronte ad essi si trova un fregio di quattro urei. 750-6oo a.C. (periodo Cipro-Arcaico I ) . Bibliografia: KARAGEORG I IIS 1969a, tavv. 13, 14; KARAGEORGI IIS 1973, p. 23.

Pavlos Flourentzos II.

Ornamento laterale da cavallo 9·

Bronzo H. 58 cm N. inv. T. 79II55+162 Nicosia, Cyprus Museum

Paraocchi da cavallo Bronzo Lu. 22 cm N. inv. T. 79II83 Nicosia, Cyprus Museum La decorazione, realizzata a sbalzo, raffigura un leone ali'assalto di un toro. Il leone è rap­ presentato nell'atto di balzare verso sinistra, con le zampe anteriori già appoggiate sul collo del toro e con le fauci aperte. Il toro, in posizio­ ne stante e rivolto verso destra, piega la zampa anteriore destra sotto l'impeto dell'attacco. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico I ) . Bibliografia: KARAGEORG I I I S 1969a, fig. 25; KARAGEORGI IIS 1973, p. 24.

Pavlos Flourentzos IO.

Frontale da cavallo Bronzo Lu. 50 cm N. inv. T. 79II65 Nicosia, Cyprus Museum

Composto da tre elementi uniti mediante cerniere orizzontali. L'elemento inferiore è un sottile disco di lamina incernierato a una fascetta rettangolare, a sua volta sormontata da un terzo elemento di dimensioni inferio­ ri. Il disco, decorato a sbalzo, presenta al centro una figura femminile nuda e alata, raffigurata di prospetto e con le braccia sol­ levate, che stringe in ciascuna mano la zam­ pa posteriore di un leone, assalito da un grifo. Al di sopra della figura si trova una te­ sta hatorica con ali spiegate, analoghe a quelle che affiancano normalmente il disco solare. La fascetta rettangolare è ornata da quadrupedi. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico I ) . Bibliografia: KARAGEORG I I I S 1969a, tav. 49; KARAGEORGHIS 1973, pp. 21·22.

Pavlos Flourentzos

I::Z..

Testa di leone Bronzo H. 1o cm N. inv. T. 79lz2 21J Nicosia, Cyprus Museum Muso a tutto tondo con fauci aperte e lingua pendente all'esterno. La parte posteriore della testa forma un incavo rettangolare, nel quale erano inseriti tre paletti di legno, uno verticale, gli altri due orizzontali, congiun­ gentisi agli angoli di destra. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico I ) . Bibliografia: KARAGEORGHIS 1973, p. J 2.

Pavlos Flourentzos 13 ·

Punta di lancia ornamentale o rituale Bronzo Lu. 49 cm N. inv. T. 791I3o Nicosia, Cyprus Museum Grande lama fogliata, quattro scanalature lungo il margine, immanicatura rastremata verso la lama, con costolature orizzontali al­ le estremità inferiore e superiore. Intorno al bordo dell'immanicatura vi sono sei rivetti discoidali per il fissaggio ali' asta di legno. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico I). Bibliografia: KARAGEORGI IIS 1973, pp. 19-20.

Pavlos Flourentzor 14·

Coltello Ferro e avorio Lu. 37 cm N. inv. T. 791I49 Nicosia, Cyprus Museum Lama appuntita a taglio singolo, dorso leg­ germente incurvato. L'attacco della lama al manico è assicurato da tre rivetti d'avorio; la parte finale del manico d'avorio è conforma­ ta a zampa di felino. 750-600 a.C. ( periodo Cipro-Arcaico I ) . Bibliografia: KARAGEORG I I I S 1969a, tav. 4i: KARAGEORl;I ns 1973. p. 32-

Pavlos Flourentzor

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1 5-16. Trono A con suppedaneo Legno e argento Trono: h. 102 crn, lu. 41) cm, la. 60,45 cm; suppedaneo: h. 24,5 crn , lu. 27,3 crn , la. 29,5 an Nn. inv. T. 791I21-124, 15III, 14, 1521i-2, 161, 201 Nicosia, Cyprus Museum Ricostruzione in legno del trono basata sul rivestimento in argento che copriva l'erigi· naie struttura !ignea, oggi scomparsa. La fronte dello schienale è decorata da due file orizzontali di rivetti; file di simili rivetti or­ nano anche il margine anteriore del sedile e l'estremità inferiore del trono, presso i piedi. I rivetti sono d'argento, con la capocchia do· rata. Il poggia piedi ha sezione rettangolare e quattro piedi incurvati ed estroflessi. 750-6oo a.C. (periodo Cipro-Arcaico 1 ) . Bibliografia: K,\lw:EORGI IIS 1973. p. 90.

Pavlos Flourentzos 17.

Gamba di tavolo o di sgabello Avorio H. 37,5 cm N. inv. T. 79h49 Nicosia, Cyprus Museum Gamba di forma sinuosa, con incavo rettan· gelare sulla parte superiore e terminazione a zampa di leone. La zona frontale della gam· ba opposta all'incavo era decorata da una sfinge con l'ala sollevata, realizzata a cloi· sonnée. La zampa di leone poggia su una ba· se semicilind rica inferiormente cava, per l'inserimento su un. altro supporto. All'estre· mità opposta della gamba è fissato un picco­ lo attacco rettangolare con tre fori passanti, a sua volta originariamente inchiodato alla parte piana del mobile. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico 1). Bibliografia: KARAGEORGI IIS 1969a, fig. 44; KARAt:U>RGI IIS 1973. p. 36.

Pavlos Flourentzo.1

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Porzione di /arciere

:z.o. Attacco di ansa di calderone (copia)

:Z.}o Brocca in ceramica Il'

Avorio H. 11,5 cm N. inv. T. 79ll17 Nicosia, Cyprus Museum

Bronzo H. 31 cm, la. 17 cm N. inv. T. 79/203 Nicosia, Cyprus Museum

Argilla H. 19 Cm N. inv. T. 79ll03 Nicosia, Cyprus Museum

Intagliato da un unico pezzo d'avorio, si ar­ ticola in due registri di sei petali pendenti di­ sposti intorno a uno stelo verticale. Sul pia· no superiore del disco sommitale sono rica­ vati tre piccoli incavi rettangolari. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico t ) . Bibliografia: KARAGEORGHtS 1973. p. 19.

Si tratta di una delle due anse ad anello oriz­ zontale impostate sull'orlo del vaso; i termi­ nali a uncino dell'ansa passano attraverso gli occhielli di un attacco decorato da tre proto­ mi bovine. La placca è fissata al calderone mediante rivetti di bronzo. Sotto l'ansa è raf­ figurata una testa hatorica, affiancata da due alberi di palma stilizzati e da un disco solare alato, lavorati a sbalzo. Ancora sotto si trova un fregio orizzontale a guilloche. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico t ) . Bibliografia: KARAGEORGt iiS 1973, p. 112, fig. 28; MArrnAus 1985, p. 212, n. 501, taw. 58-6o.

Corpo globulare, collo troncoconico, bocca trilobata, ansa a doppio bastoncello, impo­ stata dall'orlo alla spalla, base distinta. 750-600 a.C. ( periodo Cipro-Arcaico t ) . Bibliografia: KARAGEORGt iiS 1973. p. 18.

18.

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Calderone con protomi di grifo su tripode (copia) Bronzo e ferro H. 136,5 cm, diam. 86,5 cm N. inv. 41483 Mainz, Romisch·Germanisches Zentralmuseum (l'originale è conservato presso il Cyprus Museum di Nicosia) Sebbene appartenga alla diffusissima classe dei calderoni bronzei decorati sull'orlo da protomi variamente configurate, il conteni· tore cipriota è un esemplare di singolare ec­ cezionalità in virtù delle applicazioni plasti· che che lo ornano, del tutto particolari sia sul piano tecnico che su quello iconografi· co. Gli attacchi a sirena hanno infatti il cor­ po in lamina di bronzo sbalzata, e non, co­ me di consueto, a fusione; sul capo presen· tano due volti, che guardano rispettivamen­ te all'interno e all'esterno del vaso e dalle loro ali sorgono teste di grifo. Proprio l'uni­ cità di questi elementi non può che suffra­ gare l'ipotesi che si tratti di un oggetto di manifattura locale, con forti influssi vicino· orientali, in particolare urartei e siro-setten· trionali. \'Il t secolo a.C. Bibliografia: KARAC;EORGt iiS 1973; LEHCX:ZKY 1977, pp. 128-143, taw. 20-33; MAITt tAUs 1985, pp. 216-218, n. 507, tav. 62; Ec;G-PARE 1995, p. 136, n. 218, tav. 44·

Cristo/ Clausing

Pavlos Flourentzos 21.

Bacile in ceramica «Bianca Semplice»

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Argilla H. 11,5 cm, diam. 34 cm N. inv. T. 79h33 Nicosia, Cyprus Museum

Pavlos Flourentzos 24·

Brocca in ceramica Il' Argilla H. I9 Cm N. inv. T. 79l91 Nicosia, Cyprus Museum Corpo ovoide, collo troncoconico a profilo convesso, bocca trilobata, ansa verticale im­ postata dall'orlo alla spalla, base distinta. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico t). Bibliografia: KARAGEORGt iiS 1973, p. 18.

Pavlos Flourentzos

Vasca a pareti rettilinee con ampie solcature orizzontali, spesso orlo triangolare, fondo piatto. 750-6oo a.C. ( periodo Cipro-Arcaico 1 ) . Bibliografia: KARAGEORGHtS 1973, p. 35·

Pavlos Flourentzos

:z.:z.. Brocca in ceramica > Amathus (Cipro) Argilla H. 25 cm N. inv. T. 302l5z Nicosia, Cyprus Museum

po indicano le ali. La decorazione dipinta è costituita da triangoli campiti a scacchiera, losanghe e linee parallele. 950-850 a.C. ( periodo Cipro-Geometrico n). Bibliografia: PIERIDOU 1970, fig. xv; KARA· GEORGH!S 1976, pp. 26·35·

Pavlos Flourentzos

Corpo ovoide, collo troncoconico superior· mente rastremato, bocca trilobata, ansa venica· le impostata dall'orlo alla spalla, fondo piatto. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico r). Bibliografia: Amsterdam 1989, pp. 162·163.

Pavlos Flourentzos

48. Brocca in ceramica «Bicroma Rossa>> I(\'), con testa femminile alla sommità Yerasa (Cipro, distretto di LimassoD Argilla H. lO Cm N. inv. LM. 57+'6z Nicosia, Cyprus Museum Lungo beccuccio cilindrico, impostato sul· la spalla, ansa verticale, seni femminili a ri· lievo al di sopra del beccuccio. I tratti fisio· nomi ci della testa sono resi a rilievo e sotto· lineari a pittura. La decorazione dipinta è composta da una fascia di cerchi concentri· ci sulla spalla e da altri simili cerchi sul col­ lo. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico r). Bibliografia: KARAGEORGHIS 1976, pp. 26-35; PoPovrc el a/ii 1987, p. 33·

Pavlos Flourentzos

49· Ask6s configurato a uccello in ceramica «Bianca Dipinta>> II Tamassos (Cipro) Argilla Lu. 24 cm N. inv. B. 1196 Nicosia, Cyprus Museum Beccuccio cilindrico a profilo convesso, an· sa ad anello impostata sulla sommità del cor· po. Piccole protuberanze ai due lati del cor·

so. Vaso a /orma difigura femminile inginocchiata

Bibliografia:

KARAGEORGHIS 1978, p. 181, tav. LVl!; fLOURENTZOS 1998, p. 113.

Pavlos Flourentzos

52· Frontale da cavallo Samo (Grecia), Heraion Bronzo laminato H. 23,7 cm, la. max. 17,5 cm, la. min. 4,9 cm N. inv. B 2579 Samo, Museo Archeologico

Kition (Cipro)

Faiimce

H. 7 cm, la. 2,6 cm, spess. 7,04 cm N. inv. Kit. Ar. 1747 Lamaca, District Museum La donna indossa un alto copricapo (ka· !athos) e un ricco vestito; sulla schiena porta un bambino, posto all'interno di una sorta di sacco, mentre sulle ginocchia tiene un ca· pretto. È poggiata su un plinto rettangolare, sul cui lato anteriore si trova una testa di leo· ne. n liquido veniva versato attraverso forel­ lini aperti alla sommità del kalathos e attra· verso la bocca del leone. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico r).

Bibliografia: CLERC·KARAG EORGi l!S· LAGAR· CE·LECLANT 1976, p. 185, n. 1.14, tav. xx; TAT · TON BROWN el a/ii 1979, n. 263. Pavlos Flourentzos

51 · Frammento di busto di grande statua Kazaphani (Cipro, distretto di Kyrenia) Argilla H. 12 cm, lu. 21 cm N. inv. Kaz/ni 207 Nicosia, Cyprus Museum Decorato a stampo da cinque pannelli di­ sposti su file orizzontali, solo in parte con· servati. I pannelli della fila superiore sono tra loro identici, e mostrano u n a figura umana barbata volta verso destra in com· battimento con un leone ritto sulle zampe posteriori. Nel pannello all'estrema sini· stra della seconda fila s'intravede un «al­ bero sacro» stilizzato affiancato forse da grifi. 750-600 a.C. (periodo Cipro-Arcaico I )

Il motivo figurato centrale rappresenta quat· tro divinità femminili nude, una delle quali sorregge con le braccia alzate due teste di leone, mentre le altre si coprono il petto con le mani; sopra di esse campeggia un disco solare alato. Il bordo della lamina è delimita· to da un fregio animalistico continuo, con tori e leoni che si fronteggiano. La lamina, perfettamente conservata, è di alta qualità stilistica; particolarmente accurata è la resa dei volti, delle capigliature e delle collane delle dee. L'iscrizione aramaica ricorda che il frontale è un dono al governatore siriano Azael. Di produzione siriana, databile al rx secolo a.C., il frontale è un dono votivo alla grande dea Hera di Samo, nel cui santuario arriva· vano offene da ogni parte del mondo cono· sciuto dell'epoca. Bibliografia: KYRIELEIS·RùLLIG 1988.

Maria Viglaki

53· Frontale da cavallo Samo (Grecia), Heraion Bronzo laminato H. 28 cm, la. max. 20 cm, la. min. 5 cm N. inv. B 1123 Samo, Museo Archeologico La placca è decorata da figure femminili nu· de, una nell'atto di sorreggere due teste di leone, le altre con le mani sul seno; all'estre· mità superiore sono raffigurati due vitelli ac· cucciati. I caratteri dell'omamentazione mo· strano influssi post·ittiti; immagini di di\'i· nità maschili e femminili stanti su tori, cen·i o leoni sono infatti frequenti sulle lastre or· tostatiche neo-ittite, ma trovano altri con·

I li

fronti anche in altri manufatti metallici di piccole dimensioni. Anche questo frontale, come il precedente (cat. 52), fu dedicato nel santuario «interna· zionale>> di Hera a Samo; di probabile fab­ bricazione nord-siriana, come altri d u e esemplari analoghi d a Mileto, è databile al IX-\'III secolo a.C. Bibliografia: ] ANrt.EN 1972, p. 59 sgg., tav. 52; DoNDER 1980, p. 84, n. 201, tav. 20.

Maria Viglaki

54· Coppa Olimpia (Grecia) Bronzo H. 10,1 cm, diam. 27,2 cm N. inv. G 401 Oxford, Ashmolean Museum of Art and Archaeology Le coppe metalliche decorate a repoussé, cioè con un uso combinato delle tecniche dello sbalzo e della cesellatura, rappresenta­ no una raffinata produzione fenicia che eb­ be una vasta diffusione sia spaziale che tem· porale. Esemplari in bronzo, argento, argen­ to dorato e oro, cronologicamente attribui· bili al lungo arco di tempo che va dal 900 a.C. fino al VI secolo, sono stati infatti rinve­ nuti in Assiria, a Cipro, in Grecia e in Italia. Sebbene accomunate da alcuni elementi de­ corativi, tali coppe mostrano tuttavia carat· teri stilistici differenti, che hanno indotto a ipotizzare una molteplicità di officine pro­ duttive localizzabili in vari centri levantini. La coppa di Oxford, se davvero rinvenuta a Olimpia, apparterrebbe al gruppo delle coppe di provenienza greca, scoperte per lo più in corredi tombali o nei grandi santuari e in gran parte di origine siro-fenicia. Il moti· vo iconografico della sfinge aggiogata al car­ ro da caccia, che domina il fregio decorati­ vo, è molto raro e potrebbe essere una sem­ plificazione del più consueto schema della caccia al leone su carro, di origine assira, do­ ve il veicolo tirato da cavalli è preceduto da una s fi n g e , s im bolo del t r i o n fo regale nell'attività venatoria. Stilisticamente la cop­ pa presenta numerose affinità con alcuni esemplari analoghi rinvenuti a Nimrud, e potrebbe provenire dalla medesima officina che ha eseguito le coppe assire. Seconda metà dell'viii secolo a.C.

Brbliogra/ia: PoUL'iEN 1912, p. 23, n. 11, figg. 12-13;

MARKoE 1985, p. 207, G7, figg. alle pp. 326-327.

Marinella Marchesi

55 · Coppa Cnosso (Creta, Grecia), necropoli settentrionale, tomba J Bronzo H. 6,7 cm, diam. bocca 15 cm N. inv. X 4346 Herakleion, Museo Archeologico Profonda vasca emisferica con pareti di gros­ so spessore e ampio orlo estroflesso. Imme­ diatamente al di sotto dell'orlo si trova una stretta fascia delimitata da due coppie di file parallele di trattini e decorata da un motivo a cordicella. All'interno di questa fascia è inci­ sa un'iscrizione fenicia di dodici lettere. Lo spessore consistente delle pareti dimo­ stra come la coppa sia stata realizzata me­ diante fusione. Si tratta verosimilmente di un oggetto di importazione orientale, a giu­ dicare dall'iscrizione fenicia, che costituisce la più antica testimonianza di una scritta al­ fabetica s i n i s t rorsa n e l l 'Egeo. Sebbene l'iscrizione ci restituisca nome e patronimico di un proprietario di sesso maschile, la cop· pa faceva parte del corredo di due sepolture femminili, a ulteriore dimostrazione della sua provenienza orientale e del suo riutilizzo a Creta. Altre coppe della tarda età del Bronzo, analoghe a questa, con epigrafi in scrittura cipro-minoica sono state rinvenute sull'isola di Cipro. È databile alla fine della fase protogeometrica sulla base della presenza nella medesima tom­ ba di ceramica attica protogeometrica. XI secolo a.C. Bibliografia: C ATL I NG 1976-77, p. 12, figg. 2728; SGNYCER 1979, pp. 89-93; CoLDSTREAM­ CATLING 1996, I, p. 30, n. 1; II, pp. 563-564, fig. 157; STAMPOLIDIS-KARETSOU- KANTA 1998, pp. 84, 238, n. 286.

Stella Mandalaki

56. Attacco di calderone a sirena Olimpia (Grecia), Bouleuterion Bronzo fuso

H. 13,9 cm, la. 15,6 cm N. inv. X 6123 Atene, Museo Archeologico Nazionale La figura femminile, che raffigura un esse· re fantastico ( sirena) a corpo di uccello, con ali spiegate e coda a ventaglio, appar· tiene, insieme a un altro attacco identico rinvenuto a Olimpia, a un grande caldero­ ne, cui era applicato mediante due rivetti infilati nelle ali. L'anello sulla parte poste­ riore serviva per il fissaggio di un'ansa mo· bile di forma circolare. La figura è un'imi­ tazione greca di modelli orientali, in parti· colare di un tipo di attacco sviluppatosi in Assiria, e appartiene alla cerchia della co­ siddetta arte di area nord-si­ riana. Oltre che a Olimpia, attacchi simili sono stati trovati anche in altri santuari, ad esempio sull'Acropoli di Atene e a Delfi, dove i calderoni erano stati offerti come doni votivi. Ultimo quarto dell'VIII secolo a.C. Bibliografia: fURTWANGLER 1890, p. 116, tav. 44, nn. 784-784a; HERMANN 1966, p. 91 sgg., tav. 29; WEBER 1974, pp. 39, 41; CoLDSTREAM 1977, p. 365, figg. 1 1 5 c-d; RICIIARDSON 1983, p. 43, nota 13; p. 66, nota 22; p. 97, nota 11.

Rosa Proskynitopoulou

57· Attacco di calderone a protome di grifo Olimpia (Grecia), Pelopion Bronzo fuso H. 13,2 cm, la. 13.5 cm N. inv. X 6147 Atene, Museo Archeologico Nazionale L'attacco raffigura la protome di un grifo, essere fantastico alato proprio della mitolo­ gia orientale. Apparteneva a un grande con· tenitore, forse un calderone, cui era fissato mediante quattro chiodi, due dei quali con· servati. L'anello posto sulla parte posteriore della testa dell'animale serviva per l'applica· zione di un'ansa mobile, presente anche in corrispondenza dell'altra testa di grifo collo­ c a t a i n p o s i z i o n e s i m m e t rica a questa sull'orlo del vaso. I dettagli della testa, del collo e del corpo sono resi a incisione. Il grifo appartiene al gruppo delle figure tipiche dei calderoni assiri. Attac­ chi dello stesso tipo hanno a Olimpia alme· no altre due attestazioni.

Fine dell'viii secolo a.C.

Bibliografia:

FuRT\X'AN precedono, nel terzo quarto dell'vili secolo a.C., quelli del tipo KW, la cui d i ffusione è dovuta, secondo Cold­ stream, alle capacità commerciali dei Fenici di lalysos, nell'isola di Rodi. Tra i primi set­ tecento corredi editi dalla necropoli di Pite­ cusa, solo quattro, nel terzo quarto dell'vm secolo a.C., contengono aryballoi >, e non di un oggetto di uso comune. Secondo quarto del \'Il secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1 9 2 1 , pp. 1 2 2 - 1 2 J , 2 262 28, fig. IJ, tav. X\'11; BENZI 1966, pp. 263-265; Hamburg 1987, p. 155, n. 206 (M. MIU IELUC­ u ) ; San Paolo 1998, p. 58, n. 48.

Giuseppina Carlo/la Cian/eroni

[88]

90. Pettine Castelnuovo Berardenga (Siena), necropoli del Poggione, tomba A Avorio H. 7 cm, la. 7,4 cm N. inv. 1o88o5 Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana

[91]

Il pettine, decorato a bassorilievo con leoni alati retrospicienti affrontati, probabilmente accompagnati da sfingi, si inserisce agevol· mente nelle produzioni dell'ambito etrusco· settentrionale. Per confronti iconografici si veda in questa stessa sede la placca da San Casciano, tomba di Calzaiolo {cat. 338). Il pettine reca sul margine superiore fori per l'inserimento di una decorazione plastica, che doveva renderlo simile al meglio conser· vato esemplare da Marsiliana (ca t. 89). n prezioso oggetto fa pane del ricco corredo di una tomba di guerriero, la più evidente di un gruppo di sepolture che attesta l'esistenza di un potentato locale basato sul controllo di un'imponante via di comunicazione fra I'Etru· ria costiera e l'Etruria settentrionale interna (MANGANI 1985, p. 159). La produzione di og· getti in avorio, che vanno ad arricchire gli arre­ di delle tombe e delle dimore principesche, è forse l'aspetto più caratteristico deii'Orienta­ lizzante dell'Etruria settentrionale interna. Fine del VII secolo a.C. Bibliografia: Siena 1 9 8 5 , p . 1 6 2 , n . 46 (E. MANGANI); Saarbriicken 1986, p. 253) n. z, fig. a p. 109 (E. MANGANI).

Anna Dore

9•· Collana con amuleti Dal mercato antiquario

Fai'ence H. della figura maggiore 5,5 cm, h. delle figure minori 1,7 cm N. inv. 706oo Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Composta da un pendente centrale, di mag­ giori dimensioni, raffigurante il dio Nefenum nella classica iconografia egiziana, e da altri 38 vaghi con la forma del dio Ptah-pateco, questa collana è uno dei migliori esempi di quella se-

rie di piccoli oggetti egizi o egittizzanti, quali amuleti o scarabei, che sembrano testimoniare una direua frequentazione levantina delle co­ ste tirreniche già a partire da età molto antica, dal momento che i primissimi esemplari sono stati rinvenuti in contesti ancora databili tra la lìne del 1x e l'inizio dell'vm secolo a.C., per poi aumentare numericamente nel corso dell'vili secolo a.C. ( MARTELLI 1991). Nonostante la de­ rivazione dal mercato antiquario, è stata ipotiz­ zata per questo monile una provenienza vul­ cente: quanto al luogo di produzione, la forte stilizzazione delle figure divine ne indichereb­ be una fabbricazione fenicia. l'Il secolo a.C. Bibliografia: Roma 1975, p. 1 9 6 , n. 29 ( A . RHI IIE); HC>LBL 1979, pp. 66-67, nn. 289-327, tav. 53: PROIEITI 1980, p. 161, nn. 198-199.

Marinella Marchesi

9 2· Scarabeo 1\larsiliana d' Albegna (Grosseto) , necropoli di Banditella, tomba I I Steatite smaltata, oro laminato. Decorazione incisa Lu. 1,4 cm, la. 1,1 cm, spess. 0,7 cm N. inv. 11148 Firenze, Museo Archeologico Nazionale L'esemplare, che reca sulla base uno > con un ureo e il segno «nb IJWi>> sormontato dal disco solare con l'ureo, era originaria­ mente imperniato in un anello girevole ellit­ tico fornito di appiccagnolo a tubetto tra­ SI'ersale per la sospensione. Rientra in una serie di pendenti porta-sigillo di origine egi­ ziana, caratteristici dell'area siro-fenicia, pervenuti in gran numero in Etruria nei de­ cenni a cavallo fra l'VIII e il VII secolo a.C. Primo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921, pp. 36, 248, fig. 21f; \"ON BISSING 1 9 3 3 , p. 376, n. 1 6 , tav. X X I I I ; Hamburg 1987, p. 100, n. 8 (G.C. CIANI·"ERO­ :\IL

Giuseppina Carlotta Cian/eroni

93-95· Tre scarabei Marsiliana d' Albegna (Grosseto) , necropoli di Banditella, tomba xxm

Steatite smaltata, argento laminato. Decorazione incisa Lu. 1,3 cm, la. 1 cm, spess. o,6 cm; lu. 1,1 cm, la. o,8 cm, spess. 0,5 cm; lu. 1,2 cm, la. o,8 cm, spess. o,6 cm Nn. inv. 11351, 11350, 11352 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Sulla base: segno «unire>> tra due occhi. Sulla base: disco solare tra due urei sormon­ tato da due piume. Sulla base: segni illeggibili. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: M INTO 1921, p. 248, fig. 21c, e; \'ON BISSING 1933, pp. 376-77, nn. 17-19, tav. X."'\111.

98 .

Scarabeo Marsiliana d'Albegna (Grosseto) , necropoli di Banditella, tomba Ll"l Steatite smaltata, argento laminato. Decorazione incisa Lu. 1 ,6 cm, la. 1,1 cm, spess. 0,5 cm N. inv. 20992 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Sulla base: rappresentazione del dio Bes. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921, p. 148, fig. 21b: \'UN BISSIN(; 1933, p. 379, n. 13, liaV. XXIII.

Giuseppina Carlotta Cianferoni

Giuseppina Carlotta Cianferoni 9 6.

99·

Scarabeo

Scarabeo

Marsiliana d' Albegna (Grosseto) , necropoli di Banditella, tomba XXXII Steatite smaltata, argento laminato. Decorazione incisa Lu. 1,8 cm, la. 1,3 cm, spess. o,6 cm N. inv. 11430 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Marsiliana d'Aibegna (Grosseto), necropoli di Banditella, tomba LX Steatite smaltata, oro laminato. Decorazione incisa Lu. 1,5 cm, la. 1,1 cm, spess. o,8 cm N. inv. 20993 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Sulla base: sfinge solare con piuma. Primo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921, p. 248, fig. 21a; \'ON BISSING 1933, p. 377, n. 20, tav. XXIII.

Sulla base: avvoltoio con il disco solare sul capo e anello-sigillo in una zampa: tra le ali spiegate dell'awoltoio il segno «vita>> e, sot­ to l'ureo, un cobra. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: M INTO 1921, p. 248, fig. 21d; VON BISSING 1933, p. 378, n. 2 2 , tav. XXIII.

Giuseppina Carlotta Cianferoni

Giuseppina Carlotta Cianferoni

97·

Scarabeo Marsiliana d'Albegna (Grosseto) , necropoli di Banditella, tomba XL\'IIl Steatite smaltata, argento laminato. Decorazione incisa Lu. 1,5 cm, la. 1 cm, spess. o,8 cm N. inv. 20989 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Sulla base: segni illeggibili. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921, p. 248, fig. 21f; VON BISSING 1933, p. 377, n. 21, tav. XXIII.

Giuseppina Carlotta Cianferoni

100-101.

Tre scarabei Vetulonia (Grosseto) , attribuiti al Circolo del Monile d'Argento (scavi 1905) Steatite bianca con tracce di smalto Lu. 1,8; 1,5: 1 ,5 cm: la. 1,1; 1,2; 1 cm Nn. inv. 240613-240615 Firenze. Museo Archeologico Nazionale Dorso abbastanza alto, con zampine più o meno accennate; segni incisi sulla parte pia· na. 1: sfinge alata senza barba con coda alzata e incurvata; tre piante di papiro sulla testa; so­ pra e sotto la coda, iscrizione, che indica la

sfinge stessa, riconosciuta come la sfinge ala­ ta rappresentata durante il Nuovo Regno. Viene datato intorno al 1ooo a.C. 2: un cavallo con alti papiri dietro e un fusto di loto Nymphea davanti. Fine del N uovo Regno fino all'epoca etiopica. 3: simbolo della vita sopra il segno «neb», fiancheggiato da due piume striate. Non è chiara la lettura crittografica. I tre scarabei sembrano di fabbricazione egi­ zia, forse prodotti per l'esportazione. Corredo associato: prima metà del VII secolo a.C. Bibliografia: \'ON BISSING 1933, pp. 374-375, nn. 11, ua-b, 13, tav. XXII, ua-c, ua-b, 13a-b; CAMPOREALE 1969, p. 100, tav. XXXIV, 7; Ht)L­ IlL 1974, pp. 333- 334, nn. 338-340.

Lucia Pagnini 103-105-

Lu. 1,6 cm, la. 1,25 cm N. inv. 94230 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Sul sigillo è rappresentato un falcone sotto il disco solare alato. L'oggetto rappresenta u n a c l a s s e di m a t e r i a l i ( >) diffusa dalla seconda metà dell'viii secolo a.C. nel Vicino Oriente, a Cipro, in Grecia, a Rodi, poi a Ischia (cat. 68-69) e in Etruria; il gruppo è documentato a Vetulo· nia anche con un altro esemplare. Sembra che la produzione sia da localizzare nella Si· ria settentrionale, area di commercio corren· te con il Mediterraneo. Il corredo associato si data tra la fine del \'II e l'inizio del VI secolo a.C. Bibliografia: BoARDMAN -BUCI INER 1966, p . 2 6 , n. 4 3 bis; CAMPOREALE 1966, p. 41, n . 166, fig. 30c; CAMPOREALE 1969, p. 100, tav. XXXI\', 18; HùLBL 1974, p. 337, n. 349·

Tre scarabei

Lucia Pagnini

Vetulonia (Grosseto), Poggio alla Guardia, Circolo dei Monili (scavi 1889) Fai"ence. Steatite. Steatite bianca, con tracce di smalto Lu. 1; 1,2; 1,3 cm; la. 0,7; o,8; o,8 cm Nn. inv. 7825, 7826, 7827 Firenze, Museo Archeologico Nazionale 7825: dorso bombato, con zampe ben indica­ te; sulla parte piana, due geroglifici fra linee a zig-zag; 7826: geroglifici; 7827: sulla parte piana, una figura sul segno «neh» con disco solare sulla testa e acconciatura reale ( ureo, scialle, barba) e, sulle ginocchia, il vaso «hsj». Il significato dei segni è incerto; non trova confronti nella fabbrica di Naucrati. Oggetti, forse, di fabbrica egiziana prodotti per l'esportazione. Corredo associato: fine dell'viii-inizi del VII secolo a.C. Bibliografia: FALC HI 1891, pp. 9 6 - 1 0 2 ; VON BISSING 1933, pp. 373-374, nn. 8-10; CAMPO­ REALE 1969, p. 100, tav. XXXIV, 5-6; HòLBL 1974, pp. 331-333, nn. 335-337·

107·

Scarabeo Verucchio (Rimini), necropoli Le Pegge, tomba 4 Steatite Lu. 1,3 cm, la. 0.9 cm N. inv. 9932 Bologna, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna Lo scarabeo, di provenienza egiziana, reca iscritta una massima religiosa, frequente in iscrizioni databili all'epoca dei Ramessidi (XIX· xx dinastia). Testimonia l'inserimento di Ve­ rucchio nei circuiti di circolazione di beni di lusso di provenienza orientale e nordafricana. L'iscrizione assegna al pezzo una datazione al XIII-XI secolo a.C.; il corredo di cui fa par· te può essere datato al VII secolo a.C. Bibliografia: Bologna 1987, p. 223, fig. 152, 4 (G. V. GENTILI ).

Patrizia von E/ex

Lucia Pagnini 106.

108.

Scaraboide

Scarabeo

Vetulonia (Grosseto), Fossa di Castelvecchio Serpentino rosso

Verucchio (Rimini), necropoli Lippi, tomba 36 Steatite Lu. 1,3 cm, la. 1 cm

1 39

[!02]

[Io!]

[ I Oo]

N. inv. 115I8 Bologna, Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna Lo scarabeo, di provenienza egiziana, reca iscritta una massima religiosa analoga ad altra rinvenuta a Ischia nella necropoli di Pitecusa. Testimonia l'inserimento di Verucchio nei circuiti di circolazione di beni di lusso di pro­ venienza orientale e nordafricana. L'iscrizione assegna al pezzo una datazione all'xl secolo a.C.; il corredo di cui fa parte può essere datato alla fine dell'vili - inizi del \'Il secolo a.C. Bibliografia: Bologna I987, p. 2 3 2 , fig. I56 (G.V. GENTI L I ) .

Patrizia von E/es 109.

Il tumulo 11 de/Sodo di Cortona (Arezzo) Riproduzione al vero della «terrazza-altare>> addossata al tamburo del tumulo e plastico ricostruttivo del tumulo

[106]

(IO?)

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Come è noto alla letteratura, le fasi di vita rela­ tive all'età tardo orientalizzante e arcaica, du­ rante la quale Cortona doveva avere ancora ca­ ratteristiche preurbane, sono testimoniate da grandiose tombe a tumulo, che confermano l'esistenza di gruppi gentilizi, i quali affermaro­ no il loro prestigio mostrando enormi ricchez­ ze come segno tangibile del loro potere e di cui le grandi tombe erano da considerarsi il bene più evidente. Tre monumentali tombe, local­ mente denominate «Meloni>>, sono conosciute nell'agro cortonese: il tumulo di Camucia o François, che ospita due tombe a camera, del Sodo l, con una tomba, e del Sodo 11 con due tombe (Cortona I992, pp. 121-I67, con confron­ ti e bibliografia; Ù\lARCI II G RASSI 1996, pp. 95112; MARZI I998; BRUSCI IE'm-ZAMARCI II 1999i. In particolare il tumulo n del Sodo, oggetto negli ultimi anni di straordinarie scoperte, si eleva colossale, come le altre due tombe nella piana cortonese al di sono dell'abitato di Cor­ tona, ed è situato a soli 300 metri dal i Melone del Sodo, sulla sponda destra del rio di Lore­ to, in posizione eminente, presso un passaggio obbligato della viabilità antica verso Chiusi, Perugia, Orvieto e Roma (via Cassia), ricalcata in maniera abbastanza puntuale in questo trat­ to dalle strade moderne che ivi si incrociano. Le indagini eseguite da Minto nei i928-I929 portarono alla scoperta di una tomba a carne-

ra con pianta di tipo orientalizzante evoluto (M INTt l 1919, pp. I58-167l. Nei i990 sono state scoperti una seconda tomba a camera, più modesta della precedente e più recente di cir­ ca 100 anni (dal 480-460 a.C.), un tamburo monumentale. cui si affianca una costruzione deputata alle celebrazioni, verosimilmente un altare che al momento del rinvenimento era in stato di crollo e che attualmente è in fase m·an· zata di ricostruzione. L'altare, individuato sul lato orientale. sul ver· sante opposto alle tombe, si presenta come un avancorpo monumentale a «terrazza>> di for­ ma reuangolare ( 5 x 9 m) ed è stato interpreta­ to come un «podio-altare» destinato al culto funerario. Il coronamento è costituito da ele­ menti che mostrano sulla faccia superiore una triplice scanalatura, tra i quali si alternano e si innestano tre monumentali anthl'IIIÙJ a pal­ meua ( I x I,zo m), scolpiti a tutto tondo, di cui i due anteriori obliqui fungono da elemento Ji congiunzione c raccordo fra il parapetto Jel monumento e la balaustra della scalinata Il «podio-altare», che insieme al tamburo, cui è strettamente connesso, fornisce una signifi­ cativa testimonianza di un progetto architetto· nico unitario e di notevole complessità, si con­ cludeva frontalmente con una scalinata, com­ posta originariamente di sette gradini. Ji cui solo sei sono conservati, costituiti da piccoli blocchi parallelepipedi con i margini lavorati a nastrino posti a combaciare e a formare una sorta di motivo decorativo. Gli scarsi segni d'uso e la pedata molto corta della scalinata sembrano confermare l'ipotesi che la costru· zione non fosse stata destinata primariamente all 'accesso alla parte superiore del tumulo. ma avesse soprattutto funzione cultuale. Alla base della gradinata sono realizzate Jue ante ornate da gruppi scultorei antitetici. sor· montati da blocchi di forma triangolare Jesi· nenti anteriormente in una girale, che rappre· sentano una scena di lotta fra un guerriero e delle fiere, forse leoni, di cui quella di Jestra ostenta prerogative femminili costituite Ja una serie di mammelle. Posti in posizione spe· culare, l'uno rivolto verso la belva. l'altro Ji spalle rispetto ad essa, tentano di difenJersi colpendo con dei pugnali le fiere che li stanno stritolando. Le sculture trovano rari e piuttosto lontani confronti, riconducibili per lo più a contesti orientali. quali il rilievo, di una tomba licia Jd \ I l secolo a.C. e un piccolo gruppo ornamen­ tale in avorio da Sparta, forse di tradizione m­ dia (Cortona 1992, p. 127, note I9 e zii; il pard­ gonc più stringente tunavia è quello con una '

scultura del museo del Louvre, proveniente da una delle necropoli di Susa, che raffigura un leone in procinto di inghiottire un uomo (PINELLI 1966, p. 568, fig. 679). Leoni compaio­ no anche alla base di una singolare costruzio­ ne in forma di torre a Pozo Moro Albacete in Spagna (Archeo, Maggio 1996, p. 50). Il tema iconografico ha un significato simboli­ co palese, che allude a una situazione liminale di contrapposizione e passaggio fra la morte e la vita. L'uomo rappresenta il guerriero eroiz­ zato che con la sua aretè tenta di contrapporsi e di riportare la vittoria sulla fiera, tradizionale simbolo funerario regale. Gli elementi scultorei rivelano alcune affinità tipologiche e stilistiche con frammenti monu­ mentali dell'Etruria interna, rinvenuti soprat­ tutto a Chiusi e ormai situati al di fuori del contesto originario, che fanno presumere la presenza di altre strutture monumentali perti­ nenti a grandi tombe, forse asportate, riutiliz­ zate e andate disperse. A questo monumento possono essere avvici­ nati altri altari etruschi, connessi al culto fune­ rario, come quello con annessa platea a gradi­ nate in prossimità del grande tumulo di Grot­ ta Porcina, o l'altare di Castro con imponenti sculture zoomorfe, i cosiddetti ponti dei tu­ muli ceretani la monumentale scala del tumu­ lo di Tarquinia in località Infemaccio. Tali strutture, a volte completati da decorazio­ ni scultoree evocano per ricchezza e imponen­ za il favoloso mausoleo di Porsenna a Chiusi, più volte ipoteticamente identificato con il tu­ mulo di Poggio Gaiella di Chiusi, arricchito da un monumento semicircolare decorato a bassorilievo (RAsTRELLI 1ooob, p. 57 sgg.). Spunti di confronto più vicini per il nostro al­ tare si possono poi trovare con le terrazze-alta­ re, meno imponenti, ma altrettanto significati­ ve dal punto di vista ClÙtuale dell'agro fioren­ tino, quali il tumulo di Monterfortini a Co­ meana e il tumulo C di Artimino Prato Rosello ( NICOSIA 1966, p. 1I5 sgg.; NICOSIA I997, p. 56 sgg.). Il confronto più stringente con la nostra strut­ tura è tuttavia quello con alcuni apprestamen­ ti monumentali e in particolare con l'altare de­ dicato a Poseidone di Capo Monodendri presso Mileto !BERVE-GRUBER I96I, p. 133 sgg.; CoLoNNA I993b) che constava di una piat­ taforma, cui si accedeva mediante una rampa conclusa da una scalinata, decorata, come nel nostro caso, da acroteri monumentali a forma di palmetta, al cui centro era collocato l'altare vero e proprio. Il monumento, che rappresen­ tava tradizionalmente un fondamentale punto

di incontro religioso, costituisce un confronto particolarmente importante, oltre che dal punto di vista morfologico e stilistico, anche da quello del significato intrinseco della co­ struzione per quanto attiene agli aspetti storici e sociali, in quanto ribadisce i contatti dei committenti col mondo greco, mediati attra­ verso Vulci e Chiusi e in primis con quell'Asia Minore, che entra in tutte le leggende di fon­ dazione della città di Conona (Conona 1992, p. IJI, nota 39). Dopo la completa messa in luce di questo alta­ re è stata indagata l'area circostante ove sono state identificate numerose sepolture, per lo più a inumazione e in qualche caso a incinera­ zione, riferibili a due fasi di deposizione, l'una più antica precedente al crollo dell'altare, l'al­ tra ascrivibile a un periodo fra la tarda epoca repubblicana e il primo secolo d.C. L'esame degli elementi fittili di rivestimento peninenti a quest'ultima sepoltura ha ponato infatti all'individuazione di parte di un ele­ mento acroteriale del tipo cosiddetto a trafo­ ro, in forma di pelta con margini rilevati e gira­ li laterali presumibilmente desinenti in volute, tra le quali, sopra un'apertura curvilinea, si sviluppa una palmetta fogliata. L'acroterio di Cortona trova confronti negli esemplari di Poggio Civitate ( RYSTEDT 1983, PC42, p. 44, fig. 23; PC56, p. 47. fig. 25 e pp. 107-163) e di Acquarossa, in particolare quello proveniente dalla zona B, A R 7 ( AR 111) ( RYSTEDT 1983, p. 2J, fig. 6; DANNEK 1993, p. 95, tav. 4; RYSTEDT 1994, p. 77 sgg.), datato intorno al 6oo a.C. Ri­ spetto a quest'ultimo il nostro sembra rappre­ sentare una versione più evoluta e pertanto ascrivibile a un periodo leggermente posterio­ re, presumibilmente al secondo o forse terzo quarto del secolo. Altri frammenti fittili, pertinenti alla decora­ zione di un tetto, che erano stati ritrovati nell'ambito della superficie del tumulo sem­ pre in seconda giacitura, sono stati quindi ri­ presi in esame, si tratta di: due antefisse de­ corate con Potnia theron, un frammento di lastra di rivestimento con scena di proces­ sione di cavalieri (per confronto vedasi: PEL­ LEGRINI 1999, p. 88, fig. 64; CnaELMAN 2ooo, p. So, figg. 58-59), una porzione di cornice di sima con decorazione dipinta a strigilature e parte di una tegola di gronda decorata con palmette e fiori di loto dipinti (ZAMARC I I I GIV\SSI 1998, p p . 2 1 e 2 2 ) . Questo rinvenimento fornisce u n contributo al problema relativo alla presenza di heroa, edicole in onore degli antenati o sacelli dedi­ cati alle divinità ctonie, ipotizzare solo in base

al ritrovamento delle decorazioni fittili in aree sepolcrali, e suppona la tesi di coloro che ri· tengono probabile l'esistenza di edifici sacri collocati sopra le tombe ( DAMc;MRD ANDER· SEN 1993a, pp. 81-82, si veda però in proposito anche ToREI.LI 1992, p. 272). Il problema dell'esatta localizzazione di que­ sto naiskos appare assai complesso, a causa del numero esiguo dei frammenti, rinvenuti in giacitura secondaria in aree diverse e tra esse distanti del tumulo. Si può ipotizzare, tuttavia che la costruzione si trovasse sulla zona sommitale, al centro del tu· mulo, ove è stato rinvenuto uno dei frammen· ti di sima. In alcune indagini stratigrafiche condotte nel· la primavera zooo, nella zona retrostante l'al­ tare, si sono rinvenute lastre di pietra, c.lisposte in rozzi gradoni di sottofondazione, le quali potrebbero lasciar supporre che la piattafor· ma-altare si prolungasse verso la sommità del tumulo sviluppando una successiva rampa; la presenza di due fosse di spoliazione farebbe ipotizzare inoltre la continuazione dei para­ menti laterali del poc.lio. L' ec.licola, insieme all'altare, forse connessa aJ. la prothesis del defunto, il cui luogo di svol�i· mento è discusso (CoLONNA-DI PAoLO 1997, p. 1 3 1 sgg. ) doveva comunque essere legata alle celebrazioni funebri, appannaggio esclusivo di un ceto aristocratico, e assolvere alla funzio· ne di culto privato riferito al defunto e alla sua gens ed eventualmente di culto pubblico lega· to al ruolo eminente che egli cenamente rive· stiva all'interno della propria comunità. In un frammento Ji rilievo da Chiusi (jANNOT 1984, p. 413) compare una scena di prothesis con una k/ine e come astanti un personaggio barbuto e un auleta, partecipi delle onoranze e delle cerimonie funebri. Lo sfondo architet· tonico è in questo caso rappresentato da una colonna con un capitello a doppio echino, sor· montata da un elemento triangolare desinente in una girale del tutto simile a quelle cortonesi (ZAMARCHI GRASSI 1998). Il complesso costituito dall'insieme dell'edico· la e del grandioso poc.lio cononesi, il quale, CO· me sembrerebbero suggerire le più recenti in· dagini, potrebbe svilupparsi in un ulteriore tratto Ji rampa, configurandosi così, oltre che come altare anche come monumentale ingres· so al sacello, rappresenta l'unico esempio con· servato, noto finora in tutta l'Etruria, di tali apprestamenti funebri monumentali, almeno in forma così fastosa.

Paola Zamarchi Grassi

II . IL PALAZZO

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Ricostruzione del te/lo del palazzo arcaico di Poggio Civitate Murlo (Siena), terzo quarto del secolo VI a.C. Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate. -

Alcune straordinarie scoperte archeologiche awenute negli anni settanta di questo seco­ lo. come quelle dell'Istituto Svedese di Studi Classici ad Acquarossa ( Viterbo) o quelle Jel Bryn Mawr College dell'Università di Pennsylvania a Poggio Civitate - M urlo ! Siena ). hanno notevolmente modificato il quaJro delle nostre conoscenze sulle aristo­ crazie etrusche di età orientalizzante. Prima Ji tali scoperte le nostre deduzioni di carat­ tere storico e sociale si basavano quasi esclu­ si,·amente sulla documentazione funeraria la quale, come è ben noto, lascia aperta la pos­ sibilità che alcune scelte relative al rito di se­ poltura, con particolare riguardo alla com­ posizione dei corredi, siano dovute a pre­ scrizioni di carattere ideologico e religioso più che a oggettive situazioni sociali ed eco­ nomiche. Oggi invece disponiamo di alcuni eccezionali testimonianze archeologiche re­ lati\·e a residenze o palazzi le cui planimetrie e i cui arredi, compresa la decorazione ar­ chitettonica e i suoi complessi apparati figu­ rativi. costituiscono una nuova e importante testimonianza dello stile di vita, della strut­ tura e della ideologia dei principi etruschi tra \'ti e \'t secolo a.C. La novità più impor­ tante riguarda le terrecotte architettoniche, che ora non devono più essere riferite solo a templi o a edifici di culto, come si credeva fi­ no a poco tempo fa, operando tra l'altro al­ cune pericolose forzature sulla esegesi e sul­ la interpretazione degli apparati figurativi, che invece, una volta esclusa la destinazione necessariamente templare delle terrecotte di rivestimento, trovano adesso una lettura e una collocazione storica più agevole e ap­ propriata. l «palazzi>> di Acquarossa e di Poggio Civi­ tate, illustrati in questa sezione della mostra JeJicata alle residenze principesche, costi­ tuiscono il punto di arrivo di alcune grandi innovazioni sul piano delle tecniche costrut­ tive e di alcuni radicali mutamenti sul piano Jelle planimetrie, della disposizione e della organizzazione degli spazi nelle abitazioni, i cui esordi vanno collocati quanto meno nel­ la prima metà del VII secolo. Dopo la prima grande evoluzione che dalla capanna, fatta di materiali vegetali e con tet­ to leggero ricoperto di strame, portò alla ca­ sa con muri di argilla e tetto di tegole e cop­ pi, si assiste in Etruria a una articolazione sempre più complessa dell'abitazione ormai rigorosamente rettangolare. In primo luogo la predisposizione di una banchina in ciotto­ li fluviali bordata da lastre di pietra disposte

di taglio e sviluppata a «U», per accogliere i letti dei commensali (casa di San Giovenale) (CoLONNA 1986, p. 396), palesa l'esigenza di realizzare una stanza per il banchetto, fin dall'inizio momento centrale della cerimo­ nialità aristocratica. Il secondo passo di rilie­ vo è costituito dal superamento di tipologie abitative con facciata sul lato corto del ret­ tangolo, eredità della capann a , e dal suo spostamento sul lato lungo dove trova posto l'ingresso principale, favorendo così la !ri­ partizione dello spazio interno con un vano centrale in funzione di vestibolo, più grande e più importante dei due vani laterali, in un assetto che si ispira a modelli orientali (si ve­ da in proposito il saggio di M. ToRELLI i n questo catalogo). M a ancora più importante, una volta operata questa prima trasforma­ zione, risulta l'aggiunta sulla fronte della ca­ sa di un vano trasversale di raccordo e di di­ simpegno per i tre vani retrostanti che pos­ sono quindi non comunicare tra di loro (Co­ LONNA 1986, pp. 424-425). L'aggiunta di que­ sto vestibolo esterno a corridoio costituisce una importante novità, forse ispirata alla ca­ sa g reca «a pastàs>>, anch'essa non estranea alle tipologie orientali e ben documentata fin dal tardo VIli secolo a.C. sia in Attica che a Corinto, oltre che in Sicilia soprattutto nel corso del VII secolo (CoLONNA 1986, p. 425). La casa «a pastàs», il cui elemento distintivo è proprio questo spazio trasversale di rac­ cordo tra i vani retrostanti, è tuttavia la casa del ceto medio e della piccola proprietà con­ tadina (e proprio per questo è molto diffusa in ambito coloniale greco dove sono scarse le presenze aristocratiche) per cui si è ipotiz­ zato che essa risponda essenzialmente a esi­ genze di carattere pratico, legate in partico­ lare alle attività agricole (FUSARO 1982, pp. 10-13). La sua assunzione in Etruria sembra invece rispondere a istanze molto precise sul piano della rappresentanza, della cerimonia­ lità e dell'esercizio del potere. Sul significato e sulla funzione di questo vestibolo trasver­ sale e sul suo rapporto con i vani retrostanti siamo molto bene informati da alcune tom­ be a camera, come ad esempio la tomba de­ gli Scudi e delle Sedie, che costituiscono una perfetta imitazione di questo tipo di dimora: in un vano tutto proiettato verso l'esterno e comunque ben distinto dai due o tre vani più interni della casa, con funzione di «pe­ netrali domestici>>, trovano posto, ai lati del­ la porta centrale, due troni a schienale ricur­ vo, con relativi sgabelli poggiapiedi, sui qua­ li si immaginano solennemente seduti il pa-

ter e la mater familias, cioè il principe e la moglie nell'atto di esibire il proprio rango e di esercitare il proprio potere verso i sudditi ovviamente radunati all'esterno della casa o forse accolti all'interno dell'atrio-vestibolo. Gli scudi appesi alle pareti costituiscono un ulteriore segno del ruolo e delle funzioni esercitate dal principe verso la comunità dei sudditi. Sia la soluzione tripartita, più semplice, ma comunque ispirata a modelli orientali, sia la soluzione più complessa con atrio-vestibolo trasversale, rispondono alle crescenti esigen­ ze ideologiche, sociali ed economiche di una aristocrazia che ormai si è largamente affer­ mata in Etruria e che ha trovato nell'Oriente e nell'Asia Minore i modelli architettonici più direttamente funzionali alla sua ideolo­ gia e al suo stile di vita. Si afferma quindi una precisa esigenza della società aristocrati­ ca che deve trovare all'interno della casa e della sua articolazione planimetrica spazi ce­ rimoniali adatti all'esercizio del potere, oltre che all'esibizione del rango e del fasto. Tutto questo lo si ritrova anche in edifici molto complessi, come i palazzi di Murlo e di Ac­ quarossa, per i quali si adottano soluzioni solo apparentemente diverse, ma in realtà molto vicine ai modelli abitativi cui si è fatto cenno, oltre che animate dalle stesse esigen­ ze ideologiche e sociali, essendo l'aggiunta dei portici sulla fronte di strutture !ripartite niente altro che la monumentalizzazione di un edificio nel quale alle originarie funzioni di residenza si sommano e si sovrappongono funzioni di rappresentanza di ambito spicca­ tamente pubblico. Ma vediamo ora più nel dettaglio aspetti e caratteristiche dei due palazzi di Murlo e di Acquarossa, paradigmaticamente scelti in mostra per offrire al visitatore uno spaccato delle residenze principesche anche attraver­ so una efficace ricostruzione al vero, sia pu­ re soltanto di un piccolo settore, della regia di Murlo (cat. I IJ-118). Di grande interesse in primo luogo la posi­ zione geografica del sito di Poggio Civitate Murlo (Siena 1985, pp. 64-156, con bibliogra­ fia e PI IILLIPS 1996, pp. 392-394), la cui collo­ cazione isolata e solitaria nell'alta valle deii'Ombrone, in un territorio scarsamente abitato, non ha mancato di attirare l'atten­ zione degli studiosi (CoLONNA 1973c, pp. 69yo). La sua equidistanza da Volterra, Arez­ zo, Chiusi, Roselle e Vetulonia e il suo tro­ varsi al centro di un vasto territorio attorno al quale si dispongono quasi a cerchio com-

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pleto queste cinque grandi metropoli tirre­ niche ha consentito di ipotizzare che Murlo fosse la sede di una vera e propria lega, sia pure minore e a carattere regionale, distinta dalla lega dei «duodecim populi>>, una sorta di pentapoli settentrionale cui sembra allu­ dere Dionisio di Alicarnasso (m, 51) quando racconta che i Latini, alla fine del V II secolo, minacciati da T arquinio, chiesero aiuto ai Sabini e agli Etruschi tra i quali solo cinque «populi>> del gruppo settentrionale (Chiusi, Arezzo, Volterra, Roselle e Vetulon i a ) avrebbero raccolto questo appello, distin­ guendosi dall'intero comparto meridionale, di fatto solidale con il primo dei Tarquini che di lì era venuto. Tale ipotesi, che rappre­ senta comunque un tentativo di spiegare in modo plausibile la complessità delle struttu­ re architettoniche e la ricchezza degli appa­ rati figurativi, non ha avuto però molta for­ tuna. Oggi si preferisce infatti pensare che Poggio Civitate fosse al centro di una entità l(eografica molto meno ampia, delimitata dai fiumi Merse, Ombrone e Arbia, all'interno della quale sono presenti diversi centri «mi­ nori>>, coevi e ben collegati al sito di Murlo che rispetto ad essi, con esclusione delle grandi metropoli cui si è fatto cenno, poteva effettivamente svolgere la funzione di punto di riferimento e di luogo di riunione, con spiccate mansioni di coordinamento e forse anche di reale dirigenza politica trattandosi di un'area con una modesta presenza urbana IM. NIELSEN - K . M . PHILLIPS in Siena 1985, pp. 64-65). Si spiegherebbero così l'ampiez­ za, l'articolazione e la complessità della struttura palaziale, senza dover arrivare all'ipotesi estrema della sede di una lega di città, ipotesi rispetto alla quale finirebbe tra l'altro col prevalere l'aspetto santuariale o comunque sacro rispetto a quello di una re­ sidenza principesca, il cui isolamento e la cui sontuosità palesano un dominio incontrasta­ to su di un territorio relativamente vasto, privo non solo di evidenze urbane, ma anche di abitati di un certo rilievo e di una certa importanza. Chiare e molto ben individuate sul piano cronologico le diverse fasi del palazzo di Murlo (PHILLIPS 1980, pp. 202-206). Il primo edificio, sulla cui planimetria restano molte incertezze, fu costruito e decorato con terre­ cotte architettoniche attorno al 650 a.C. Po­ co prima del 6oo a.C. esso fu distrutto da un incendio, ma fu subito sostituito da un se­ condo edificio con una pianta a corte chiusa e una complessa decorazione architettonica

la cui realizzazione viene oggi collocata tra il 6oo e il 590 a.C. Questo secondo edificio fu poi deliberatamente demolito in una sorta di distruzione «rituale>> tra il 550 e il 530 a.C. Come già si è accennato, ben poco sappiamo della planimetria dell'edificio orientalizzan­ te, le cui tracce si trovano esattamente al di sotto dei piani pavimentali dell'edificio ar­ caico. Secondo alcuni esso era costituito da due corpi di fabbrica, uno dei quali sicura­ mente bordato sul davanti da un portico co­ lonnato, che si univano ad angolo retto deli­ mitando, sia pure parzialmente, un grande spazio aperto, usato come cortile, che venne poi inglobato completamente nell'edificio arcaico. Secondo altri invece la planimetria del palazzo più antico non si diversificava molto da quella del palazzo più recente e si presentava già in forma di corte chiusa (CRI­ STOfANI 1975a, p. 9; STACCIOLI 1976, p. 965). La presenza di materiali di grande pregio ri­ feribili a servizi potori o da mensa (skyphoi corinzi, coppe ioniche, coppe laconiche, ca­ lice chiot a ) , a contenitori per i p rofumi (/ekythoi samie, balsamari rodi, alabastro di alabastro), ma anche ad anfore da trasporto per l'olio (corinzie e samie), stanno a indica­ re, già per il primo edificio, un afflusso di prodotti di altissimo livello che provenivano da Rodi, Samo, Corinto, Sparta (CRISTOFANI 1975a, p. n e Siena 1985, pp. 74-98). Se a que­ sti materiali sicuramente importati dall'area dell'Egeo si aggiungono le numerose cera­ miche etrusco-corinzie, i buccheri, le grandi fibbie intarsiate in ferro, i bronzi, gli avori, le oreficerie, se ne deduce uno standard cultu­ rale di grande rilevanza, garantito da almeno due grandi flussi commerciali: il primo pro­ veniente dal mare e dalle città della costa, gravitanti nell'ambito del Lacus Prilius, le quali esercitarono sicuramente il ruolo di centri redistributori sia dei prodotti greci, che delle merci etrusco-meridionali lungo la valle dell'Ombrone; il secondo più legato in­ vece ali 'Etruria interna e gravitante sui corsi dell'Arno e del Chiana. Il secondo edificio, costruito agli inizi del VI secolo, ha invece u n a planimetria molto chiara: quattro bracci, suddivisi in vani di diversa lunghezza e sicuramente anche di di­ versa destinazione, racchiudono una vasta corte centrale di circa 40 metri di lato (il pa­ lazzo misura all'esterno circa 6o x 6o metri). Si è supposto che i quattro vani angolari fos­ sero delle torri con un maggiore sviluppo in altezza. La corte centrale, cui si accede da due ingressi molto stretti, in posizione esat-

Veduta della casa con banchina di ciottoli su cui si disponevano i letti

dei commensali all'interno del vano principale destinato al banchetto, San Giovenale (Viterbo).

Veduta delle fondazioni dell'edificio palaziale, Poggio Civitate-Murlo (Siena).

tamente simmetrica sui lati sud-est e nord­ ovest, è bordata su tre lati da un colonnato la cui disposizione conferisce centralità e im­ portanza al braccio di nord-ovest, dove tro­ viamo una struttura tripartita il cui vano centrale è addirittura aperto verso la corte, quasi a voler accentuare le sue funzioni di vestibolo o comunque di vano cerimoniale proiettato verso l'esterno. E proprio di fron­ te ad esso è posto un piccolo oikos rettango­ lare (di 8 x 6 m), unica costruzione all'inter­ no della corte chiusa, per il quale è lecito ipotizzare funzioni del tutto speciali, sottoli­ neate da una copertura forse ancora strami­ nea (COLONNA 1986, p. 434), stando all'esilità delle fondazioni, volutamente ancorata a tradizioni architettoniche e costruttive più antiche, probabilmente per sottolineare i le­ gami con il passato. La minore articolazione interna degli altri tre bracci (uno dei quali è più largo e probabilmente era anche più al­ to), forse pensati per esigenze di raccolta e di deposito sia di persone che di materiali, ci conferma che l'ala nord-ovest era la più im­ portante dell'intero complesso e come tale destinata alle attività e alla vita del «princi­ pe>> e della sua famiglia. In virtù della sua anomalia planimetrica (oltre che per la pre­ senza di terrecotte architettoniche che pri­ ma di questa scoperta venivano considerate esclusivamente templari) l'edificio fu inizial­ m e n t e i n terpretato come un s a n t u a r i o (PHILLIPS 1974; Siena 1985, pp. 64-69). A que­ sta prima interpretazione se ne contrappose immediatamente un'altra sostenuta, con sfu­ mature diverse, da molti studiosi italiani (CRISTOFANI 1975a; CoLONNA 1974c, pp. 8991; ToRELLI 1983) che riconobbero invece nella costruzione prestigiosa di Murlo (e poi anche in quella di Acquarossa) le caratteri­ stiche di una residenza principesca, all'inter­ no della quale poteva anche esserci una «funzione>> di tipo sacrale e cultuale (forse localizzabile nell'oikos isolato sul lato nord­ ovest della corte), intimamente connessa però con la vita aristocratica del dinasta, da lui garantita e controllata nell'ambito delle sue prerogative di signore quasi assoluto della comunità. Ci troviamo tra l'altro in una fase cronologica e in una situazione sociale in cui non è facile distinguere il privato dal pubblico e separare nettamente la funzione «civile>> del complesso dalle sue possibili va­ lenze religiose. Anche per il secondo «palaz­ ZO>> di Murlo non sono mancate proposte di riconoscerne ancora una volta i modelli ispi­ ratori in Oriente (si veda in proposito il sag-

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gio di M. ToRELLI in questo catalogo). Al di là di alcune analogie forse troppo puntuali e circostanziate con l 'ambiente persiano e l'area siriaca, sono soprattutto i palazzi di Vouni a Cipro e quello di Larissa nell'Eolide asiatica ad avere molti elementi in comune con Murlo. La loro corte porticata, pressoché al centro della costruzione palatina, è perfettamente funzionale alla vita aristocratica del dinasta in tutte le sue manifestazioni, anche se tali edifici sono più complessi e articolati. E non è un caso che ancora una volta questo rap­ porto, non certo genetico, ma di semplice analogia funzionale, vada cercato nelle aree periferiche del mondo greco, come la grecità orientale e l'isola di Cipro, dove da un lato è più viva la componente orientale e dall'altro permangono più a lungo che nella Grecia propria strutture sociali di tipo aristocratico. Alla complessità planimetrica del palazzo di Murlo faceva da penda n/ una straordinaria decorazione architettonica costituita da sta­ tue acroteriali, antefisse, sime e soprattutto lastre a rilievo con temi figurati di grande impegno, dai quali risulta ancora più chiara­ mente lo spaccato di vita aristocratica che si svolgeva all'interno del palazzo e i presup­ posti ideologici che le erano sottesi. Già si è accennato alla straordinaria innovazione tecnologica delle terrecotte architettoniche, la cui introduzione in Italia sarebbe awenu­ ta a opera di Demarato di Corinto e della sua équipe, costituita da Eucheir, il «buon plasmatore», Eugrammos, il «buon decora­ tore», e Diopos, il «buon collocatore in ope­ ra>>, nomi parlanti che alludono alle diverse fasi di costruzione di un tetto, dalla plasma­ tura delle argille per ricavarne tegole e cop­ pi, ma anche acroteri a tutto tondo e lastre a rilievo; alla decorazione mediante pittura sia delle terrecotte di rivestimento che delle pa­ reti; alla messa in opera di tutti questi ele­ m e n t i con un « t r a g u a rdo a d u e fo ri>> (diopos). Si tratta di una équipe che opera in modo integrato e a ciclo completo occupan­ dosi evidentemente di tutte le fasi della co­ struzione, dalla progettazione, alla confezio­ ne dei materiali necessari e alla loro messa in opera finale. E sicuramente anche a Murlo operò un'équipe di questo genere, alla quale fu affidata la progettazione e la realizzazione architettonica del palazzo. Presso il margine meridionale della piana in cui esso si trova sono stati individuati infatti i resti di una grande tettoia di 48 x 6 m (NIELSEN 1996, pp. 394-395), interamente aperta e sostenuta da

colonne, in parte sicuramente adibita alla necessaria essicazione delle terrecotte prima della loro cottura (come dimostrano i nume­ rosi coppi, non ancora cotti e disposti ordi­ natamente in fila ad asciugare, trovati al suo interno), ma anche alla confezione di terre­ cotte architettoniche indiziata dalla presen­ za di una matrice per la realizzazione di an­ tefisse a testa umana. Anche se non sono an­ cora state trovate le fornaci, è evidente che ci troviamo di fronte a una importante strut­ tura produttiva all'interno della quale forse erano presenti anche altre attività artigianali (come la lavorazione dell'osso e dei metalli) e che era tra l'altro ricoperta da un tetto con antefisse e gocciolatoi a testa di leone, come se gli artigiani che vi lavoravano avessero vo­ luto decorarla analogamente al palazzo del «principe>> e non certo per una banale riven­ dicazione di tipo sociale, quanto piuttosto per una legittima esibizione delle proprie ca­ pacità artigianali in un momento in cui équi­ pes di questo genere, in grado di soddisfare pienamente le esigenze della committenza principesca, cominciano a trovare un loro ruolo molto preciso e autonomo, rispetto al­ la complessità delle diverse fasi costruttive, e forse anche propositivo. Tornando al palaz­ zo, è l'insieme della decorazione architetto­ nica del secondo edificio a offrirei un qua­ dro molto complesso dei temi strettamente collegati alla vita e alla ideologia aristocrati­ ca. Oltre alle tegole piane (tegulae), ai coppi semicilindrici (imbrices) e ai grandi coppi di colmo (kalyptéres), agli acroteri a ritaglio di cui si dirà a proposito di Acquarossa, alle si­ me ( parapetti) rampanti e laterali, con relati­ vi gocciolatoi, alle antefisse di varia misura e tipologia, sono soprattutto le grandi statue acroteriali disposte sul colmo del tetto e le lastre decorate a bassorilievo a costituire la parte più impegnativa della decorazione ar­ chitettonica (Siena 1985, pp. 69-74 e 98-127). Sulle lastre, che ricoprivano interamente i travi orizzontali in legno della corte interna, sono rappresentate quattro diverse scene fi­ gurate, presumibilmente una per ciascuno dei quattro lati del portico: banchetto, corsa dei cavalli, corteo e assemblea di personaggi (cat. 1 1 5 - 1 1 8 ) . Escludendo il banchetto e la corsa dei cavalli, del tutto chiari nel loro si­ gnificato, sulla lettura e sulla interpretazione degli altri due fregi ha influito il dilemma iniziale tra santuario e palazzo: assemblea divina, addirittura con l'individuazione di due triadi, una «capitolina>> e una «aventi­ na>>, e processione per chi pensa a un san-

tuario; rappresentazione del signore e della sua famiglia (moglie e figli ) con corteo che prelude e precede questa esibizione (la cop­ pia sul carro sarebbe la stessa dell'assem­ blea) per chi pensa al palazzo ( discussione del problema in CRJSTOFANI 1975a e ToRELU 1983) . Ci sarebbe quindi un richiamo esplici­ to e diretto, quasi narrativo, al mondo ari­ stocratico delle epulae, dei ludi e delle pom­ pae. Anche qui la contrapposizione netta di queste due interpretazioni non solo ci allon­ tana da una lettura filologicamente corretta, ma ci fa perdere tutte le complesse media­ zioni ideologiche tra il mondo del principe e quello della divinità, ancora molto forti e ra­ dicare nella vita e nella ideologia di questa straordinaria corte aristocratica. Tenendo conto di questo e ricollegando i cicli figura­ tivi di Murlo con quelli di altre residenze ari­ stocratiche sia del mondo latino ( lastre di Velletri, di Roma-S. Omobono, di Cisterna, di Palestrina) che del mondo etrusco (owia­ mente Acquarossa, ma anche Tuscania, Veio e Cerveteri) , possiamo disporre oggi, grazie a M. Torelli, di una lettura complessi­ va molto coerente e organica che ci consente di interpretare in modo assai più corretto anche le lastre di Murlo (ToRELLI 1997al. Il banchetto (cat. 115) è sontuoso, con diversi inservienti e musici, una grande ricchezza di arredi e utensili, e con due coppie di ban­ chettanti semidistesi sulle klinai per ogni la­ stra, una delle quali con presenza femminile (RATilJE 1989, pp. 78-79), per cui si trattereb­ be della più antica rappresentazione di ban­ chetto misto, sia pure con l'alternanza di una coppia maschile e di una coppia mista. Anche se non è possibile ricostruire la posi­ zione esatta dei fregi rispetto alle diverse parti dell'edificio, dato che le terrecotte, già in antico, furono smontate e ammassate in scarichi comuni, è tuttavia probabile che il fregio con il banchetto decorasse l'ala nord­ occidentale, dove la particolare planimetria dei vani consente di localizzare la sala del banchetto. La corsa dei cavalli (cat. 116), for­ se con una connotazione funeraria, si svolge attorno a una meta costituita da una colonna che sorregge un grosso calderone che è an­ che il premio della gara. Più complessa l'as­ semblea dei personaggi (cat. 118) nella quale va riconosciuta ormai con una certa sicurez­ za una theòn agorà: Zeus seduto su un diph­ ros, con lituo nella destra, ha alle spalle un inserviente con spada e lancia; dietro di lui. Hera, seduta su un trono a spalliera circola­ re sembra sollevare il velo col gesto tipico

della sposa (anakalypsis) e ha alle spalle una inserviente con ventaglio e cista; nelle tre fi­ gure finali, anch'esse sedute su sgabelli pie­ ghevoli, si sono riconosciuti Kore con un fiore, Hades con la bipenne, Demetra con un fiore e un frutto di melograno; chiude la raffigurazione un inserviente. Alla massima coppia divina e celeste contraddistinta da gesti e da attributi che ne sottolineano la re­ galità, si accompagna un gruppo di divinità infere, anch'esse con attributi speciali tra i quali spicca la bipenne regale di Hades. Il corteo (cat. 117), sia per analogia con cortei simili (in particolare quelli delle lastre di Velletri) dove la connotazione in senso ma­ trimoniale è inequivocabile, sia per la pre­ senza del carro a due ruote (k/inis) e dello scranno che trasporta (nymphiké kathedra), oltre che delle inservienti con ventaglio, ce­ sto o cofanetto e situla (kalathos), identifica­ te come le ancelle con il corredo della sposa, è stato interpretato come una processione matrimoniale, con il trasporto di una o due donne Oa figura che tiene il parasole potreb­ be anche essere un inserviente maschile, ma il significato della scena non cambierebbe) (TORELLI 1997a, pp. 93-94) . In ogni caso va escluso che tale corteo anticipi gli avveni­ menti raffigurati nel fregio, e in particolare l'assemblea dei personaggi, e sia una generi­ ca esibizione di status o una banale ostenta­ zione di fasto e di ricchezza. Oltre alle raffi­ gurazioni delle lastre, scandite in quattro te­ mi, presumibilmente uno per ogni lato della corte porticata, la decorazione del palazzo in perfetta coerenza sul piano del significato e della funzione con i temi delle lastre stesse era completata da una serie straordinaria di statue acroteriali. Si tratta di oltre venti figu­ re umane assise, in parte maschili e in parte femminili, probabilmente disposte a due a due sul colmo del tetto a formare delle cop­ pie maritali, rivolte presumibilmente verso la corte interna e i suoi frequentatori. Le sta­ tue maschili indossano un cappello a punta e a larga falda (sicuramente un attributo di­ stintivo del re-principe, forse inteso come re-pastore e forse non senza legami con il co­ pricapo a punta dei sacerdoti-aruspici) (Co­ LONNA 1984, p. 271), hanno una lunga barba squadrata e tengono le braccia in avanti, ap­ poggiate alle ginocchia, con le mani strette a pugno attorno a un attributo il quale, pur es­ sendo perduto, va probabilmente identifica­ to con simboli del potere regale come litui, bipenni, lance o altro ancora; le statue fem­ minili, più piccole, si caratterizzano per una

veste lunga fino ai piedi ed elegantemente decorata al bordo (Siena 1985, pp. 102-IIO). Esse erano alternate ad animali reali e fanta­ stici (in particolare sfingi, ma anche grifi e gorgoni ) che contribuivano a proiettarle in un'aura divina. Completavano la decorazio­ ne numerose altre sculture, sia a figura uma­ na (statue con berretti o elmi), più piccole delle altre, sia a figura animale (leoni o pan­ tere, centauri, cavalli, tori o vacche, cinghia­ le e ariete) sulla cui esatta collocazione sul tetto restano ancora incertezze. Secondo la maggior parte degli studiosi le grandi statue, forse disposte in coppia, un uomo e una donna, evocavano le immagini degli antena­ ti, esibite in una lunga e solenne genealogia come accade in ambito funerario sia con la tomba delle Statue di Ceri che con la tomba delle Cinque Sedie di Cerveteri kat. 1 241 2 5 ) . I l contorno di animali fantastici e so­ prattutto i rimandi alla suprema coppia divi­ na oltre che alla theòn agorà raffigurata sulle lastre del fregio ne fanno delle immagini se­ midivine cui è demandato sia il compito di esaltare la stirpe del principe, sia quello di proteggere il palazzo e i suoi abitanti con una oscillazione tra umano e divino, che ci illumina sulla consapevolezza da parte dei principi di Murlo di esercitare un potere fa­ migliare e dinastico assoluto non solo sugli uomini, ma anche sugli dei, inferi e celesti. E al culto degli antenati era probabilmente ri­ servato il piccolo sacello posto al centro del cortile, esattamente di fronte al vano aperto del braccio nord-occidentale, punto focale dell'intero complesso palatino all'interno del quale la cerimonialità del simposio - an­ ch'esso di lontana origine orientale - quella della corsa coi cavalli - forse una allusione ai giochi equestri eseguiti da giovinetti per mo­ strare il loro valore e la loro attitudine alla guerra ( MASSA PAIRAULT 1990) una sorta di rito di passaggio dalla condizione di efebi e quella delle nozze - anch'esse un cambia­ mento di status oltre che momento essenzia­ le dei rapporti sociali e dello scambio - si unisce alla presenza e alla epifania dei maio­ res e delle loro controfigure divine, in una mescolanza di piani, dalla quale traspare la grande forza e la straordinaria autoconsape­ volezza del gruppo che qui abita e qui si fa celebrare, nella convinzione che sacro e pro­ fano siano intrinsecamente compenetrati ol­ tre che legati a un ambito esclusivamente domestico e per così dire totalizzante. Pur nella sostanziale coerenza interna della de­ corazione figurata è stato giustamente nota-

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( BI,\NCIH BANDINELLI 1 9 7 2 ; CRISTOFANI 1981a, pp. 190-192) un divario qualitativo tra le lastre realizzate a stampo, utilizzando pro­ babilmente matrici importate o comunque create in ambiti più colti e meno periferici da maestranze qualificate, e le statue acrote­ riali eseguite localmente e senza l'ausilio di modelli di riferimento da plasmatori abituati a lavorare nelle botteghe dei vasai (tra l'altro la stessa argilla rossa e ricca di inclusi viene usata sia per le statue e le terrecotte architet­ toniche che per il vasellame domestico) e co­ me tali non indenni da cadute sul piano for­ male che però si traducono paradossalmente in una straordinaria efficacia sul piano della ieraticità e dell'imponenza, come mostrano i volti rotondi e quasi inerti, gli occhi globosi, le bocche tumide dai tratti quasi negroidi e le lunghe barbe innaturalmente squadrate. Tra il 550 e il 530 il palazzo di Murlo viene smantellato «ritualmente»: gli edifici vengo­ no demoliti e le loro terrecotte vengono smontate e ammucchiate in alcune fosse di scarico; gli oggetti pregiati e i metalli vengo­ no recuperati e portati via (e questo spiega probabilmente la relativa scarsità dei mate­ riali rinvenuti) e l'area viene probabilmente cosparsa di sale. Ciò accade in una fase in cui i centri vicini accentuano e portano a compimento il loro sviluppo in senso urba­ no, esercitando una forte capacità di attra­ zione nei confronti dei potentati rurali che negli ultimi decenn i del VI secolo esaurisco­ no così il loro ruolo politico ed economico. Il demos ormai padrone assoluto delle co­ munità pienamente urbanizzate (e in questo caso si pensa soprattutto a Chiusi) non pote­ va consentire la sopravvivenza nella campa­ gna di questi antichi centri di potere aristo­ cratici, per cui ne decretò la distruzione o lo smantellamento, i mponendo contestual­ mente il trasferimento in città della gens che tanto a lungo vi aveva abitato controllando il territorio circostante. L'altra residenza principesca illustrata in Mostra è il palazzo di Acquarossa (Viterbo) (Siena 1985, pp. 64-68; Viterbo 1986, pp. 4072; WIKANDER 1994, pp. 25-27, tutti con bi­ bliografia) che ha con Poggio Civitate molti punti in comune, ma anche molte diversità. Il sito di Acquarossa occupa un ampio pia­ noro tufaceo di circa trenta ettari sul quale sono state messe in luce una quarantina di abitazioni (ma sono state individuate le trac­ ce di almeno altrettante) distribuite in oltre sedici settori per cui si ha l'impressione che fosse utilizzato l ' intero pianoro, anche se

Veduta di un settore dell'area urbana di Acquarossa (Viterbo), con diverse case raggruppate attorno a un cortile.

con molte aree libere, inframezzate alle abi­ tazioni e in parte forse utilizzate per l'agri­ coltura e per il pascolo. La vita del sito si svolge in un arco di tempo che va dalla fine del \'Il ( anche se l'inizio dell'insediamento con una frequentazione molto modesta, va collocato alla fine dell'vm secolo) agli ultimi decenni del VI secolo a.C. Oltre a fornire da­ ti molto interessanti sulle prime esperienze di architettura domestica in Etruria, le abita­ zioni di Acquarossa mostrano qualche em­ brionale tentativo di pianificazione urbana, se non altro nella disposizione di diverse unità abitative raggruppate attorno a un cor­ tile comune, talora m unito di pozzo, oltre che nella realizzazione di infrastrutture co· mc strade e opere di terrazzamento o di dife· sa (Viterbo 1986, pp. 40-45) . Le case sono del tipo a oikos, cioè a grande vano rettangolare allungato, oppure del tipo a tre vani affian­ cati paratatticamente, con il vano mediano che funge da vestibolo per gli altri due. An­ che qui ad Acquarossa il superamento di questo tipo di planimetria e il suo arricchi­ mento in senso aristocratico avviene con l'aggiunta di un vano trasversale di raccordo per i tre vani retrostanti, che possono quindi non comunicare tra loro, vano che di fatto è proiettato verso l'esterno e che è funzionale a quelle stesse esigenze di cerimonialità ari­ stocratica cui si è fatto cenno. All' interno dell'area urbana così strutturata spicca il complesso monumentale della cosiddetta zona F, nel quale si riconosce una residenza aristocratica avvicinabile per certi aspetti della sua planimetria e della sua decorazione architettonica a quella di Murlo. Diversa­ mente da quest'ultima però che spicca per il suo isolamento in un territorio di fatto privo sia di città che di abitati minori (almeno nel­ le immediate vicinanze), il palazzo di Acqua· rossa è pienamente inserito in una struttura di tipo urbano, con case di un certo pregio, sia per quanto riguarda la planimetria che per quanto riguarda la decorazione architet­ tonica, situazione questa che potrebbe avere avuto un peso anche nella diversa planime· tria del palazzo, determinando un rapporto diverso, comunque più ravvicinato e meno totalizzante, tra il principe e la comunità. Come per quello di Murlo, anche per il pa­ lazzo di Acquarossa sono documentate due fasi di vita: l'edificio più antico, datato alla fine del VII secolo, è stato però completa­ mente distrutto dall'ultima costruzione, da­ tabile al secondo quarto del VI secolo. Que­ st'ultima è costituita da due corpi di fabbri-

ca disposti a «L», e uniti quasi ad angolo ret­ to, interamente bordati verso l'interno da un porticato. L'edificio orientale (edificio C), il meglio conservato e il più chiaro nella sua planimetria, è costituito da un corpo centra­ le ancora una volta suddiviso in tre vani, di cui quello mediano, molto ampio e munito di una larga apertura verso la corte interna, con una colonna al centro, comunicava con gli altri due, uno dei quali presenta blocchi di tufo disposti parallelamente ai muri a for­ mare una banchina a «U» analoga a quella di San Giovenale e tipica di una sala da ban­ chetto. Meno chiara per la cattiva conserva· zione delle strutture risulta la pianta del braccio settentrionale che tuttavia poteva anche essere una reduplicazione del primo ed essere quindi ugualmente !ripartito e sempre con portico antistante. Altri vani mi­ nori di incerta configurazione, oltre che de­ s t i n a z i o n e , com pletavano l ' ed ificio s i a nell'angolo d i raccordo tra i due corpi che al bordo meridionale dell'area porticata. Al di là comunque delle partizioni interne dei due bracci e del loro sistema di raccordo, quello che dava unità alla costruzione era il portico disposto a «L» quasi a racchiudere, sia pure solo parzialmente, una corte interna, porti­ cara e monumentalizzata. E sempre diversa­ mente da M urlo, a s u d corre una strada ghiaiata che separa il palazzo da un piccolo tempio con pronao, distinto e al di fuori del palazzo anche se molto vicino ad esso. È evi­ dente che la coerenza architettonica di Mur­ lo si è infranta, oltre che per la perdita della strutturazione quadrata e chiusa del com­ plesso, anche per il distacco e l'allontana­ mento del centro sacrale dall'edificio palati­ no. Con una soluzione che ancora una volta rimanda a modelli orientali e in particolare al palazzo di Larissa in Eolia, dove il tem­ pietto è sistemato in modo che il pronao è esattamente di fronte al portico palatino, dove si immaginava che apparisse il dinasta non più detentore del potere religoso, ma comunque ancora vigile custode delle sue manifestazioni ormai delegate ad altri. Que­ sta perdita di prerogative da parte del prin­ cipe di Acquarossa trova conferma nei fregi della decorazione architettonica, per certi dettagli tipologicamente più ricca, oltre che più antica, di quella di Poggio Civitate, co­ me dimostrano i coppi con testa di grifo e le tegole iposcopiche, forse usate come lacuna­ ri e decorate con cavalli, serpenti e aironi di­ pinti in bianco su fondo rosso, una tecnica largamente utilizzata nella ceramica, in par-

ticolare a Cerveteri dove la tradizione pitto· rica «bianco su rosso>> ha avuto origine e lar­ ga fortuna, un'altra importante conferma del fatto che la fabbricazione delle terrecot­ te architettoniche fosse affidata, almeno in questa fase iniziale, agli stessi vasai che oltre a questa particolare tecnica decorativa, tipi­ ca della produzione vascolare, ne assumono anche i motivi, sia fitomorfi che animalistici, non senza cimentarsi tuttavia anche in temi figurati più complessi e impegnativi, come dimostra un frammento di tegola con figura umana seduta su trono. Anche ad Acquarossa, come a Murlo, sono documentati diversi tipi di acroteri a ritaglio che si rifanno alla tradizione delle sopra­ strutture !ignee delle capanne con le !ermi­ nazioni a ocherelle o a grandi falcature for­ mate dai travi che dall'esterno compattava­ no lo strame dei tetti e si incrociavano sul colmo, come si vede chiaramente dall'urna a forma d i casa da Cerveteri ( cat. m ) . Gli acroteri a ritaglio ci offrono tra l'altro alcune preziose indicazioni sulla inventio della scul· tura di terracotta, adombrata da alcune pre· ziose testimonianze di Plinio (Storia Natura­ le xxxv, 151-152) e di Atenagora (Supplica per i Cristiani 17) su cui ha portato l'attenzione M. Torelli (TORELLI 1983, pp. 472-474). Pri­ ma di approdare alla scultura monumentale e a t ut to tondo, i n legno, i n m armo e i n bronzo, inventata d a Dedalo, c i sarebbe sta­ ta una lunga fase, per così dire preparatoria, c a ratterizzata dal ricorso costante alla silhouette, sia per quanto riguarda la pittura (skiagraphìa e graphikè) sia per quanto ri­ guarda la coroplastica (koroplastikè) la quale nasce quando un ceramista ritaglia nell'ar­ gilla il contorno desunto dall'ombra della fi­ gura che vuole realizzare, così come fa il me­ tallurgo i mpegnato nell'esecuzione di lami­ ne bronzee a intaglio. L'espediente dell'om­ bra (skìa) e della silhouette sta alla base quindi non solo delle attività grafiche e pit­ toriche, come era logico attendersi, ma an· che delle prime attività plastiche, perché è da esse che prende le mosse il ceramista quando comincia a realizzare figure ritaglia­ te nell'argilla proprio come a Poggio Civita­ te (e anche ad Acquarossa), dove ai numero· si acroteri a semplice ritaglio, sicuramente pertinenti al primo palazzo (metà del vn se­ colo) costituiti da elementi animalistici e fi­ tomorfi (anche se non mancano raffigura­ zioni più complesse come un cavallo con ca­ valiere), si accompagnano diversi acroteri sempre traforati, ma già parzialmente mo-

della ti a rilievo, una sorta di evoluzione loca· le del tipo a ritaglio che costituisce un decisi· vo passo in avanti verso la tridimensionalità della scultura vera e propria, esattamente come si legge in Plinio e in Atenagora. Uno di questi acroteri, esposto in Mostra l cat. ! 1 9 ) raffigura due quadrupedi contrapposti di dorso che si mangiano la coda e appanie· ne alla tipologia degli acroteri parzialmente modellati a rilievo e che già preludono alle statue a tutto tondo. Ma è soprattutto dai fregi figurati delle lastre di rivestimento ila c u i e s a t t a c o l l o c a z i o n e s u i d u e bra cci dell'edificio resta ancora incerta) che ci ven· gono le i ndicazioni p i ù i m portanti sulla struttura e sulla ideologia aristocratica del palazzo. Anche ad Acquarossa sono quattro i temi presenti. con alcune sostanziali nm· irà rispetto a Murlo: da un lato il banchetto. qui però rigorosamente maschile e «alla greca>>. e la danza orgiasrica, comunque collegata al banchetto; dall'altro Eracle e il leone di Ne· mea ed Eracle e il toro di Creta, in entrambi i casi accompagnato da opliti e personaggi su carro. Nella scena del toro di Creta lcar. 1 2 3 ) la biga trainata da cavalli alati precede Eracle e reca. oltre all'auriga, un personag· gio che viene accolto con gesto di saluto da un attendente. forse identificabile con Her· mes stando al bastone biforcuto che tiene in mano; mentre nell'episodio con il leone di Nemea l cat. 1 2 2 ) la biga trainata da cavalli normali, segue Eracle ed è guidata da un au · riga con un guerriero colto nell'atto di salire su di essa. Nel primo caso si tratta di un arri· vo trionfale, quasi in una dimensione ultra· terrena, come indica la natura divina del traino animale; nel secondo caso si tratta di una partenza, come indica chiaramente l'ai· to di salire sul carro e la natura terrena del traino animale, oltre alla posizione della biga in coda al corteo. In entrambi i casi tuttavia per celebrare l'impresa eroica che poi darà immortalità, impresa che nel caso della pro· /ectio deve ancora essere compiuta e nel caso dell adventus è già stata portata a termine. il principe di Acquarossa deve ricorrere al mi· to identificandosi con Eracle, un eroe molto caro ai tiranni, ed evocarne le gesta beneme· rite e civilizzatrici che richiedono forza e co· raggio. A conferma di quanto era stato pos· sibile dedurre dalla semplice planimetria dell 'edificio «il carisma della genealogia e della forza derivante dai maiores saldamente insediato nel palazzo di Murlo, è ormai in· franto: la legittimazione del potere è ora ri· cercata al di fuori del palazzo, nel tempio e '

Ricostruzione del colonnato del palauo di Acquarossa (Viterbo). Viterbo, Museo Archeologico Nazionale.

Acroteno a ritaglio con figura di cavaliere, dal palauo di Poggio Civitate-Murlo (Siena), fine del VII secolo a.C. Murlo, Antiquarium di Poggio Civita/e.

nel mito, referente religioso diverso e oppo­ sto al rito» (ToRELLI 1983, p. 489). «Il domi­ nio e l'apoteosi dei re di Murlo si fondano su di un diritto divino, garantito già dalla sola lunga genealogia dei re troneggianti sul tetto [ . ] mentre il dominio dei re e dei principi di Acquarossa si poggia sulla virtù e sulle imprese, incarnate dalla potenza guerriera o dalle gesta eroiche degne di Eracle [ . . . ] per cui i re di Murlo conquistano il cielo fin dal­ la nascita, laddove quelli di Acquarossa, nel periodo dell'intensa mobilità sociale servia­ na, possono aspirarvi solo mostrando di me­ ritarlo come Eracle» (TORELLI 1997a, p. 97). È molto probabile che questo scarto ideolo­ gico tra Murlo e Acquarossa più che a una recenziorità cronologica sia dovuto a una si­ tuazione sociale ed economica, in realtà più o meno coeva, ma più evoluta sul piano isti­ tuzionale, trovandosi Acquarossa, situata tra Cerveteri, Tarquinia e Volsinii, in un com­ parto meridionale che prima di altri vide una trasformazione in senso «democratico» delle sue comunità. Questa particolare si­ tuazione topografica in un punto di incontro delle vie tarquiniese, ceretano-veiente e fali­ sca verso i l nord fanno di Acquarossa un centro culturalmente misto e comunque molto aggiornato (CoLONNA 1973c, pp. 4648) come del resto si evince dalla straordina­ ria qualità delle sue lastre architettoniche, il cui repertorio figurato si ritrova identico e realizzato con le medesime matrici a Cerve­ teri, Tuscania e Castel d'Asso (oltre che a Tarquinia in una serie con imprese di Era­ cle, stilisticamente molto vicina a quelle di Acquarossa). È evidente che ci troviamo di fronte a una forte mobilità degli artigiani, i quali potevano girare con le loro matrici e mettersi al servizio di una committenza ab­ bastanza ampia e generalizzata che si impa­ dronisce di figure dell' epos e del mito con un processo di identificazione dal quale traspa­ re tutta la crisi del vecchio modello aristo­ cratico. Proprio l'ampia diffusione di questo tipo di lastre, ma anche la presenza di strut­ ture in qualche modo avvicinabili a quelle di Murlo e Acquarossa, inducono a riflettere sulla presenza, molto probabile, in Etruria (e forse anche nel vicino mondo italico) di altri palazzi analoghi a questi, testimonianza di un modello palatino e di una ideologia aristocratica assai più diffusa di quanto non siamo indotti a pensare, sopravvalutando e isolando in un certo senso i casi di Murlo e Acquarossa, come si è fatto in questi ultimi anni. Si tratta di un modello talmente radi. .

cato nella aristocrazia etrusca da trovare sontuose imitazioni anche in ambito funera­ rio, come mostrano le tombe di Tuscania con vano tombale !ripartito, portico anti­ stante e sculture acroteriali in pietra dispo­ ste sul colmo del tetto a due spioventi (SGu­ BINI MORETII 1989). Anche ad Acquarossa come a Poggio Civita­ te verso la fine del VI secolo si registra una fi­ ne rapida e traumatica sia del palazzo che della città, ancora una volta a opera del de­ mos, probabilmente di Orvieto più che di Tarquinia (CoLONNA 1973c, pp. 50- 5 1 ) , fer­ mamente determinato nell'imporre il n uovo assetto sociale e la nuova ideologia timocra­ tica che non poteva consentire la permanen­ za n e l l e campagne d e i vecchi potentati dell'aristocrazia principesca.

Giuseppe Sassatelli

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110. Urna a capanna Provenienza sconosciuta Impasto nero-bruno, superficie bruna con tracce di lucidatura H. 26,8 cm, diam. base 18,6 cm N. inv. 105755 Roma, Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico «Luigi Pigorini>> L'urna fu presentata all'Ufficio Esportazio­ ne nel 1934, insieme a un ask6s su quattro pe­ ducci e a un vasetto doppio con presa verti­ cale, che probabilmente facevano parte del­ lo stesso corredo. L'esemplare è riferibile al­ la prima /acies villanoviana di Bisenzio. La figurina a tutto tondo seduta sul timpano dell'urna, di chiaro significato simbolico-ri­ tuale, richiama le statuette fittili della cultu­ ra laziale, deposte nelle urne a capanna della tomba di San Lorenzo Vecchio e della tom­ ba 8 di Villa Cavalletti conservate al Museo Pigorini, delle sepolture 1 2 6 e 142 di Osteria dell'Osa al Museo Nazionale Romano, e tre esemplari sporadici da Castel Gandolfo al Museo Gregoriano. L'ask6s che accompagna l ' u rna, decorato sull'ansa con protomi zoomorfe e con i pe­ ducci orientati a coppie in direzioni contrap­ poste, trova altri confronti a Bisenzio, dove anse con protomi figurate sono frequenti an­ che nella fase avanzata del Villanoviano. IX secolo a.C. Bibliografia: PUGLISI 1953, pp. 32-36; DELPINO 1977, p. 17 sg., nota 31; Roma 1981, pp. 29-30, n. 2, con riferimenti bibliografici ( G . M . BULGARELLI); BARTOLONI 1987, p . 1 1 2 , n . 182, fig. 87, tav. LI c-d.

Elisabetta Mangani III.

Urna a /orma di casa Cerveteri (Roma), necropoli della Buffolareccia, tomba 86 Impasto H. max. 39,5 cm, lu. max. 44,5 cm, la. max. 28,5 cm N. inv. 66768 Cerveteri, Museo Nazionale Cerite Umetta d'impasto con decorazione suddi­ pinta in bianco (ceramica orientalizzante «white-on-red>>l. Il coperchio a doppio spio-

vente è reso con una decorazione plastica di tipo architettonico con tre listelli rilevati, desinenti sulla sommità in un motivo a pal­ metta tra volute, in posizione verticale. Que­ sti si trovano rispettivamente alle estremità e al centro del coperchio. Lo schema dell'abi­ tazione «rettangolare>> è attestato oltre che in altri esempi a Cerveteri, anche nell'agro falisco, in un'urna in lamina bronzea. Seconda metà del VII secolo a.C. Bibliografia: CoEN 1991, p. 8, tav. 1; MICOZZI 1994, p. 243, n. 1, tav. la, con ampia bibliogra­ fia.

Patrizia Aure/i

111. Urna «Calabresi>> Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia (scavi 1869) Impasto rosso con decorazione sovraddipinta H. 39,5 cm, lu. 54 cm, la. 29 cm Nn. inv. 20825 (cassa) , 20826 (coperchio) Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco L'urna «Calabresi>> rientra in una tipica pro­ duzione ceretana di ossuari a cassetta con coperchio a doppio spiovente che, negli esemplari più evoluti, si arricchisce di ele­ menti plastici caratteristici di un tetto di edi­ ficio tanto da diventare elemento predomi­ nante del cinerario, che viene così comune­ mente denominato «a forma di casa». L'urna «Calabresi>> è riccamente decorata con un esuberante repertorio sovradipinto di p a l m e t t e , a i ro n i e m e a n d r i , t i p i co dell'Orientalizzante ceretano. Alcuni ele­ menti caratteristici hanno permesso di attri­ buire l'esecuzione a un pittore convenzio­ nalmente denominato «dell'urna Calabre­ si>>. Si tratta, forse, del rappresentante più qualificato dell'omonima «Officina dell'ur­ na Calabresi» alla quale sono stati attribuiti numerosi grandi vasi per contenere derrate alimentari (anfore, pithot) e di uso funerario (urnette). Terzo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: BuRANELLI 1985; Firenze 1985, p. 1 5 6 , n. 6 . 2 7 ( F. BURANELLI ) ; CAMPOREALE 1986, pp. 241-308, fig. 161; Memphis 1992, p. 47, n. 14.

Francesco Buranelli

113-118. Murlo (Siena), Poggio Civitate, palazzo arcaico, decorazioni architettoniche del tetto Murlo, Antiquarium di Poggio Civitate Il pianoro di Poggio Civitate ha restituito una delle più ricche e complesse realtà ar­ cheologiche di tutta l'Etruria settentrionale interna: i resti di una residenza signorile etrusca, un grande palazzo di cui si sono po­ tute riconoscere due fasi costruttive, com­ prese tra il VII e il VI secolo a.C. Le decora­ zioni architettoniche che presentiamo in questa sede appartenevano cronologica· mente all'edificio del periodo arcaico. In questa fase il palazzo aveva una forma qua· drangolare, con i lati di circa 6o metri di lun­ ghezza, ampi porticati coperti volti verso il grande cortile interno, e, agli angoli, quattro stanze quadrangolari, probabili torri di avvi· stamento. Le statue acroteriali che decoravano il colu· men si dividono stilisticamente tra quelle a figura umana e quelle a figura animale. L'interpretazione della figura maschile con l'alto cappello a larga tesa e le mani chiuse a pugno per reggere un oggetto tubolare. at· tributo del comando, è quella che lo imme­ desima con una figura di tipo divino: ante· nato del clan familiare che dominava a Pog­ gio Civitate con la doppia funzione, celebra· tiva da un lato e apotropaica dall'altro: divi­ nità protettiva nei confronti dell'edificio e di chi l'abitava. Tra le figure animali che si alternavano a quelle degli antenati spicca la grande sfinge alata maschile, eretta sulle gambe. Essa, co­ me gli altri mostri fantastici, che compaiono nell'ambito decorativo del palazzo, !estimo· nia come la cultura religiosa arcaica sia an· cora profondamente radicata nella coscien· za collettiva di questi centri etruschi interni, in confronto ai più evoluti e «internazionali» centri costieri. Alcune figure di dimensioni inferiori alle precedenti (probabilmente col­ locate sul colmo del tetto dei porticati inter· ni, più bassi rispetto a quelli dell'edificio principale) sono rappresentate in movimen· to: tra queste una figura maschile, che indos­ sa una breve veste liscia, raffigurata nella ti· piea posa inginocchiata della corsa arcaica. Riconosciuta comunemente come una Gor· gone, ricorda piuttosto un arciere in atto di lanciare. Tra i frammenti architettonici provenienti

da Poggio Civitate sono presenti anche 1 z 6 antefisse a testa d i Gorgone, che decoravano i coppi term i n a l i del l a t o nord esterno dell'edificio e che rivestivano, all'interno del complesso edilizio, una importante funzione �potropaica. E il tono celebrativo che invece sembra pre­ valere su tutta la decorazione dei fregi fittili che abbellivano la corte interna della resi­ denza. Le lastre, con le loro teorie narrative, facil m en t e ricon o s c i b i l i dal p ub b l i co dell'epoca, come lo furono più tardi i grandi cicli chiesastici medievali, precisano i princi­ pali momenti cerimoniali del palazzo: il ban­ chetto, il matrimonio, i giochi (corsa di ca­ l'alli e cavalieri), e la cosiddetta «assemblea degli dei», con la sua più forte e significativa chiave religiosa. Tutte le terrecotte architettoniche sono state fabbricate con la stessa argilla locale da arti­ giani che vivevano sul posto e lavoravano per i signori del palazzo e per le loro creazio­ ni utilizzavano, rivisitandoli, modelli di tipo meridionale, come quelli di Poggio Buco e Acquarossa, ma anche settentrionali (i con­ fronti più pertinenti vengono da Chiusi). Il sito fu abbandonato intorno al szs a.C. Gli abitanti di Poggio Civitate si trasferirono, con ogni probabilità in un nuovo centro !Chiusi ? ) , dopo aver smontato sistematica­ mente l'edificio e averlo sigillato entro un contrafforte di pietra e terra, così da rendere tut la l'area inviolabile per sempre. Bibliografia: Siena 1985, pp. 64-154; BRUNI et a/ii 1988; PI IILI.IPS 1993.

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113.

La ricostruzione del tetto dell'edificio com­ prende due acroteri, l'uno a figura maschile barbata seduta, l'altro conformato a sfinge alata maschile eretta sulle zampe (entrambi copie degli originali) e cinque antefisse a gurgoneion con relativo coppo.

114· Frgura maschile in corsa Argilla. Se ne conserva la parte inferiore del corpo H. z s 8 cm, lu. 56 cm N. inv. 1 11687 ,

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n s-n8. LaJ/re del /regio archilellonico

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Latra CO l i hanchcllo t\ rgill� l l . 24.5 cm, lu. 15 cm N. im·. uo962

n6.

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Laiira CO l i cor.l"a di cavalli Argilla l l . 24,6 cm, lu. 51 ..l cm N. inv. u 2626

I I 7• Laiira co11 processione Argilla. In due !rammenti non contigui l I. 10 c 14 cm. lu. 1 6 c 2 6 cm N n . im·. I I 2604. 1 1 2598

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[ I IJe]

Laiira co11 assemblea t\ rgilla l l . 24.5 cm, lu. 15 cm N. inv. I I 2 7.l O Silt·ù1

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II9. !lcrotcrio a ritt�glio

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quadrupedi

t\cquarossa ( \'itcrb o ) . zon� B. tetto t Terr�cotta. Tecnic� a tra toro H. max. q.5 cm, la. max. 59.1 cm. lu. rorak 97 cm, diam. coppo lJ cm N. inv. r\ R 6/AR I l Viterbo. �lusco Archeologico Nazion.tlc La cl�ssc d i acroteri qui rappresentata ,Lt questo esemplare, con due quad rupedi con· trapposti resi in maniera stilizzata, corrente· m e n t e i d e n t ificati come !el i n i ne!Lnro d i mordersi la cod;t. i: caratterizzata dalla scelt;l dei soggetti tratta dal repertorio animalistiw fantastico p nl\'eniente dali "Oriente. Questo t i p o . d i ffu s o s o p ra t t u t t o a A c q u a rossa e Poggio Ci\·itate tra il 6 2 1 e il 571 a.C. seppu· re in questo ultimo sito con sensibili di\Tf· sità. most ra nella sua evoluzione stretti leca· . mi con l ' a rea fa l isca. dove sono treque n t i motivi a t raforo sull'orlo d i grandi coppe. e con 1� zona costiera, con �ttestazioni sia nel·

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la pittura parietale tarquiniese che nella pit­ tura vascolare ceretana. Terzo quarto del VI secolo a.C. Bibliografia: RYSTEDT 1983, p. 22, fig. 5, con bibliografia precedente; Viterbo 1986, p. 65 sgg., fig. 65; WIKANDER 1993, p. 67 sgg.

/rene Berlingò

110. Lastra di rivestimento con simposio Acquarossa (Viterbo) , zona F, attribuita all'edificio A Terracotta a matrice, con tracce di colorazione in rosso H. 21,5 cm, lu. 6o cm, spess. 2,5 cm N. inv. CI Viterbo, Museo Archeologico Nazionale Questo tipo di lastra rivestiva presumibil­ mente i porticati interni del lato orizzontale della regia di Acquarossa, con sala tripartita per banchetti. Come sulle lastre quasi coeve del cosiddetto tempio di Santa Maria della Neve di Velletri, viene qui riproposto il te­ ma del simposio, a mezzo secolo di distanza da Murlo, dove è abbinato ai simboli del po­ tere gentilizio, ludi di cavalieri, nuptiae, ac­ canto al concilium deorum. Di questo pro­ gramma decorativo il momento simposiaco rimane l'unica attestazione. Ma il mutamen­ to politico e culturale, attestato anche dalla differenza strutturale dei due edifici, è per­ cepibile non solo attraverso l'introduzione ad Acquarossa delle tematiche mitologiche, ma anche attraverso l'impoverimento delle forme cerimoniali della vita aristocratica, di cui resta solo il momento simposiaco. Terzo venticinquennio del VI secolo a.C. Bibliografia: OsTENBERG 1972, p. 98 sgg., tav. XXXI, fig. 5; Viterbo 1986, p. 90, fig. 87 (M. STRANDBERG 0LOFSSON); TORELLI 1992, pp. 249-274, fig. 19; MENICHETTI 1994, p. 93 sgg., fig. 51.

/rene Berlingò

111. Lastra di rivestimento con scena di danza Acquarossa (Viterbo), zona F, attribuita all'edificio A Terracotta a matrice, con tracce

di colorazione in rosso H. 21,5 cm, lu. 6o cm, spess. 2,7 cm N . inv. DI Viterbo, Museo Archeologico Nazionale Il tema del komos, con la raffigurazione di fi­ gure danzanti al suono del doppio flauto, del como e della lira, insieme con il banchet­ to-simposio, sostituisce nelle lastre di rive­ stimento presenti ad Acquarossa ludi e nup­ tiae facenti parte del sistema decorativo di Murlo, più antico. Il mutamento politico e culturale, attestato anche dalla differenza strutturale dei due edifici, è percepibile non solo attraverso l'introduzione ad Acquaros­ sa delle tematiche mitologiche, ma anche at­ traverso l'impoverimento delle forme ceri­ moniali della vita aristocratica. Terzo venticinquennio del VI secolo a.C. Bibliografia: OsTENBERG 1972, p. 98 sgg., tav. XXXI, fig. 6; Viterbo 1986, p. 90, fig. 88 (M. STRANDBERG 0LorssoN ); ToRELL I 1992, pp. 249-274, fig. 20; MENICHETTI 1994, p. 93 sgg., fig. 52.

/rene Berlingò

111. Lastra con Eracle e leone Acquarossa, zona F, attribuita all'edificio A Terracotta a matrice, con tracce di decorazione lineare in rosso H. 21,2 cm, lu. 51,5 cm, spess. zlz,5 cm N . inv. BI Viterbo, Museo Archeologico Nazionale Proveniente anch'essa dalla regia di Acqua­ rossa, questo tipo di lastra raffigura la pro­ /ectio del princeps, rappresentato armato nell'atto di salire sulla biga, trainata da ca­ valli non alati, condotta da auriga, in parten­ za per l'impresa eroica. La figura di Eracle con il leone nemeo in questo caso precede la biga con parabates, separandola dalla teoria di armati, poiché l'impresa deve essere an­ cora affrontata. L'inserzione delle fatiche di Eracle nell'iconografia della processione con carro, presente sulla maggior parte dei fregi di cosiddetta I fase, da Veio a Tuscania a Cisterna-Palestrina, rispecchiando l'ideo­ logia aristocratica dominante fondata sulla virtù guerriera, rappresenta un'innovazione nei programmi decorativi che adornavano le regiae etrusche e latine arcaiche, affiancando imprese eroiche a gesta militari.

Terzo ventici!')quennio del VI secolo a.C.

Bibliografia: OsTENBERG 1972, p. 98 sgg., tav.

XXXI, fig. 4; Viterbo 1986, p. 90, fig. 84 (M. STRANDBERG OwrssoN); ToRELLI 1992, pp. 249-274, fig. 21; MENICHETTI 1994, p. 93 sgg., fig. 54·

lrene Berlingò

11}. Lastra con Eracle e toro Acquarossa (Viterbo), zona F, attribuita all'edificio A Terracotta a matrice, con tracce di decorazione lineare in rosso sul listello H. 21,5 cm, lu. 59,5 cm, spess. 2,1/z,8 cm N. inv. AI Viterbo, Museo Archeologico Nazionale Questo tipo di lastra di rivestimento, raffi­ gurante il triumphus in una dimensione divi­ na, come dimostrano i cavalli alati e il trion­ fatore non armato, accolto dall'araldo con bastone biforcuto, omologo ali'Hermes del­ la serie Roma-Veio-Velletri, proviene, come le precedenti, dal complesso monumentale di Acquarossa, regia della Ferentium arcai­ ca, conquistata e distrutta da Tarquinia o da Orvieto alla fine del VI secolo a.C. La figura di Eracle con il toro cretese, referente sim­ bolico mitico, segue il carro, inserito a sepa· rare la biga dalla teoria di armati, a dimo· strare che l'impresa eroica è già compiuta e si celebra il triumphus. Terzo ventici!')quennio del VI secolo a.C. Bibliografia: OsTENBERG 1972, p. 98 sgg., tav. XXXI, fig. 3; Viterbo 1986, p. 89, fig. 83 (M. STRANDBERG OLorssoN); ToRELLI 1992, pp. 249-274, fig. 22; MENICHETTI 1994, p. 93 sgg., fig. 53·

/rene Berlingò

III. LA TOMBA

Interno della tomba dgli Scudi e delle Sedie. necropoli di'Ila Banditaccia, Cerveteri (Roma), inizi del n iccolo a.C.

IL CORREDO

La caraneristica più evidente nelle sepolture amibuibili alle persone emergenti delle sin­ �ole comunità è il ricchissimo corredo fune­ rario che accompagna le diverse deposizio­ ni. spesso un vero tesoro. Alcuni di questi o��eni erano stati utilizzati nella cerimonia funebre, gli altri dovevano indicare il presti­ Ilio e il ruolo del defunto. Può essere utile per illustrare come poteva­ no essere accumulati questi beni nella tom­ ba il racconto, anche se riferito almeno al millennio precedente. della sepoltura di Gil­ !!amesh re di Uruk, «il re senza pari, colui che non ebbe uguali tra gli uomini": «Per Gil�amesh, figlio di Ninsun, essi pesarono le loro offerte: la sua cara moglie, suo figlio, la sua concubina. i suoi musicisti, il suo giulla­ re e tuna la gente della sua casa: i suoi servi, i suoi attendenti, tutti quelli che vivevano nel palazzo pesarono le loro offerte . . . >> ( Gilga­ mnh \'I l , traduzione di N.K. SANDAKS). Nell'Italia del \'Il secolo a.C. assistiamo a una omologazione dei contesti funerari riferibili a uomini eminenti nelle singole comunità, su­ perando ogni differenza etnica: oggetti iden­ tici si trovano in tombe di Fabriano e in quel­ le di Pontecagnano o Palestrina e Vetulonia. Il m odello di riferimento appare quello dell'eroe guerriero diffuso dall'epopea omeri­ ca. in cui «'l'eroe' ha il carattere del progeni­ tore mitico>> (n'A(;osnNo t996, p. 454). Come nell'Iliade e nell'Odisseo il rito preva­ lente in queste sepolture è quello dell'inci­ nerazione, rituale che garantisce la perma­ nenza nel l ' a l d i l à : « n o n p i ù a l t ra v o l t a dall'Ade ritornerò, poi che imposto sul rogo m'avrete>> (Iliade XXIII, 75-76: traduzione di M . G IMIMAKCO) . I resti delle ossa bruciate sul rogo. analogamente a quanto viene riferi­ to da Omero per quelle di Patroclo (/liade XXIII) e di Ettore (1/iade XXIV. 776-804) ven­ !!Ono avvolte in stoffe purpuree o in coperte di lino e raccolte in urne di metallo prezioso, dopo che il rogo doveva essere stato spento con «scintillante vino>> (Iliade XXI\', 791, tra­ duzione di M. GtAM�IAKcn) . Un panno di li­ no eccezionalmente conservato raccoglieva ad esempio le ossa combuste del capostipite del gruppo principesco di Casal Marittimo alla fine dell'VIl i secolo a.C. (Cecina 1999, p. 4t) e resti di lino sono stati riconosciuti già da Falchi nell'urna della tomba del Duce di Vetulonia posteriore di almeno tre genera­ zioni (CA�!POREALE 1967a, p. 141). Se il rituale nel suo complesso e negli aspetti

ideologici è indubbiamente riferibile all'in­ flusso greco, elemento tradizionale è costi­ tuito dalla tipologia dell'urna impreziosita dal tipo di materiale: vasi biconici e modelli­ ni di capanna bronzei di tradizione villano­ viana sono prevalentemente usati come os­ suari. Particolarmente prestigiosa l'urna di bronzo a forma di capanna rivestita di una lamina d'argento decorata a sbalzo con mo­ tivi tipicamente orientalizzanti della tomba del Duce di Vetulonia. All'interno dell'urna o del ricettacolo (dolio o fossa ) , che la conteneva, erano deposti i beni personali del defunto. Affibbiagli a pettine e a sbarre per lo più argentei, fibule a drago d'oro e d'argento, armille di bron­ zo, collane con vaghi d'avorio configurati permettono di immaginarne il tipo di abbi­ gliamento. Altri oggetti simbolici, quali litui d'avorio ( tomba A di Casal Marittimo) o scettri ( tomba 5 di Veio, Monte Michele: BoiTANI 1 9 8 5 ) indicano il ruolo regale del defunto. Il rinvenimento della barchetta nuragica (cat. 141) nel quinto gruppo della tomba del Duce nei pressi dell'urna a ca­ panna d'argento ne avvalora il significato di eccezionale dono di prestigio, il cui signifi­ cato primario è stato recentemente omolo­ gato a quello di uno scettro. Non tutte le ar­ mi appaiono sistemate tra i beni strettamen­ te personali (keimelia), spesso solo la spada con ricco fodero (Casal Marittimo, tomba A: Cecina 1 9 9 9 ) , cioè l'arma indossata co­ munemente. Le altre armi da offesa (asce, !ance e coltelli) e da difesa (elmi e scudi) sono depositate in mezzo al resto del corredo, generalmente con il carro (o più raramente due carri). Ma lo sfarzo più evidente si evidenzia nei set per banchetto: l'Iliade termina con la men­ zione del banchetto solenne in onore di Et­ tore. Sono attestati serie di !ebeti, tripodi, brocche e phialai in bronzo e argento di pro­ duzione sia orientale che di imitazione loca­ le: tali servizi composti in Occidente rifletto­ no «Un accumulo di beni di lusso di prove­ nienze diverse>> ( MARTELLI 1991 , p. 1060). Nel recente scavo della citata tomba A di Casa Nocera a Casal Marittimo sono stati re­ cuperati resti del pasto rituale: mele, uve, nocciole e vino resinato, rinvenuto in una fiasca di bronzo. A un vino si ri­ feriscono anche le numerose grattugie di bronzo, trovate in contesti di sepolture di guerrieri del l ' I talia centrale ( CKISTOrAN I 1 9 8 0 ) , recentemente attribuite a moda eu­ boica (RJDGWAY 1997).

lA CERIMONIA FUNEBRE

La deposizione del corredo doveva essere l'ul­ timo atto di una complessa cerimonia fune­ bre, articolata in tre momenti principali: l'esi­ bizione del corpo, l'accompagnamento fune­ bre e la sepoltura (o'At:osnNo 1996, p. 441 ) . Tacito racconta che a Roma il funerale di un personaggio illustre era celebrato con un fa­ sto straordinario, non dissimile da quello destinato a un generale vittorioso nel giorno del suo trionfo. Il mesto corteo era aperto da strumentisti (per lo più suonatori di flauto) e da cantanti ( prefiche prezzolate con le chio­ me scomposte). Nel Foro si teneva un'ora­ zione funebre e infine ci si dirigeva verso il luogo di sepoltura, all'esterno della città, do­ ve il cadavere veniva cremato. Talvolta veni­ vano organizzati dei giuochi. Non molto dissimile sembra il funerale trac­ ciato nelle schematiche scene di ekphorà (tra­ sporto funebre) e prothesis (esposizione della salma), con raffigurazioni di gruppi di pian­ genti e suona tori, carri da trasporto e letti fu­ nebri, dipinte nelle grandi anfore geometri­ che del Ceramico di Atene (AI ILIIEK(; 1971 ) . Indubbiamente a Roma le usanze funebri ar­ caiche mantennero a lungo valenza e signifi­ cato presso le famiglie patrizie. Nelle tombe etrusche noi possiamo cogliere solo la parte conclusiva di queste cerimonie. Alcuni altari-terrazza rinvenuti nell'Etruria settentrionale (Comeana, tumulo di Mon­ tefortini: N ICOSIA 1997, pp. 56-65: Prato Ro­ sello, tumuli A e B: P(x;G ES I 1999, pp. 19-28 e quello più tardo di Cortona. tumulo 11 del Sodo, con splendida decorazione scultorea riferibile già a modelli ionici: cat. 109, che sembra trovare precedenti nell'area chiusina a Poggio Gaiella e Bagnolo: PAOLUCCI woo) sono stati interpretati come il luogo destina­ to all'esposizione del defunto (prothesis) e del corredo funebre, durante i giorni neces­ sari alle cerimonie funebri ( N ICOSIA 1997. p. 6o). Indubbio appare il collegamento con il rituale funerario connesso all'esposizione del defunto (STEINGRAilEK 1997, pp. 98-99). A questi vanno accostati le dei tu­ muli ceretani, costituiti da una rampa a gra­ dini e da un ripiano, dal quale si doveva acce­ dere alla sommità, per compiere probabili at­ ti di culto (PRA YON 1975a, p. 81 sgg. l. A Creta le tombe a tumulo più o meno coeve ( ad esempio la tomba Rho) presentano un lastri­ cato soprastante il culmine della tomba, in­ terpretato come area destinata al culto fune­ rario (LEVI 19l7-l9, pp. 389 sgg.).

166

Tumulo II della necropoli della Banditaccia, con podio per accedere alla sommità, Cerveteri (Roma), \'Il sec. a.C.

Le scalinate, attestate anche in posizioni diver­ se, come ad esempio negli ampi dromoi delle tombe tarquiniesi (NAso 1998, fig. 17), sono state interpretate come una specie di tribuna per assistere ai giuochi che accompagnavano la cerimonia funebre (CoLONNA 1993a). Esisteva quindi presso le tombe, anche isola­ te nel territorio e lontane dalle necropoli, tutto un apparato destinato al culto funera­ rio di cui noi scorgiamo solo scarse tracce. Ad esempio a Cortona, nel tumulo 11 del So­ do, sono stati trovati vari frustuli di una ric­ ca decorazione architettonica: acroterio a volute, frammenti di lastre di rivestimento con teoria di cavalieri, antefisse a testa fem­ minile pertinenti a un tetto della prima metà del VI secolo a.C. (ZAMARCI II GRASSI 1998). Il luogo di rinvenimento dei vari frammenti fa ipotizzare che sulla sommità del tumulo fos­ se stato edificato un sacello, forse analogo a quello che Leonardo immaginò per il tumu­ lo di Castellina in Chianti (MARITLLI 1977al. Sicuramente cappelle di diverso tipo adibite al culto dove\•ano corredare le grandi tombe di famiglia. Esemplificativi appaiono i re­ centi scavi di Vulci presso la Cuccumella e la Cuccumelletta con diversi apprestamenti cultuali: sacelli, altari, are ecc. (SGUBINI Mu­ RETTI 1994). L e v a r i e fasi d e l l a c e r i m o n i a funebre (ekphorà, prothesis, lamentazioni, banchetto funebre) si possono ricostruire anche attra­ verso la suppellettile rinvenuta nelle tombe e soprattutto attraverso la posizione, all'in­ terno del sepolcro. dei vari elementi costi­ tuenti il corredo. Esemplificativa è stata considerata la tomba Regolini-Galassi di Cerveteri ( CoLONNA-DI PAOLO 1997): nel lungo dromos, davanti alla porta che immet­ teva nella camera dove era deposta la ricca principessa sono stati rinvenuti un carro, un letto funebre, un carrello incensiere, nume­ rosissimi spiedi e alari metallici, i sostegni bronzei con i calderoni, vari scudi appoggia­ ti alle pareti, un'anfora attica, probabilmen­ te vinaria ecc. Il carro a quattro ruote, trainato da muli o addirittura a mano, dovrebbe essere stato utilizzato per il trasporto funebre dalla casa alla tomba della salma, che poi è stata trasla­ ta per la deposizione finale nella cella. Il letto vuoto semicircondato da una qua· rantina di statuette di bucchero, raffiguranti piangenti, dovrebbe richiamare alla mente la prothesis, compiutasi nell'atrio della casa. Gli scudi che decorano le pareti del corri­ doio-vestibolo, così come scolpiti o dipinti

in altri vestiboli di complessi tombali cereta­ n i ( N A so 1996, PP- 405-41 2 ) , dovrebbero evocare gli atri delle ricche case orientaliz­ zanti, come ad esempio quella in Attica di Alceo (fr_ 54). A l banchetto funebre sembrano alludere l'anfora con liquido importato, i diversi so­ stegni bronzei con i relativi calderoni, gli alari e gli spiedi (PARETI 1947). IL CULTO DEGLI ANTENATI

Come si è accennato a Roma le usanze fune­ bri arcaiche conservarono a lungo valenza e significato presso le famiglie patrizie; s i mantenne ad esempio l a devozione verso gli antenati con l'uso della sfilata delle loro ma­ schere mortuarie. Sempre Tacito nel racconto del funerale di Druso (Annali 1, 4, 9) riferisce: «Ii funerale ebbe una straordinaria solennità per il cor­ teo delle immagini: si vedevano infatti quella di Enea, progenitore della gente Giulia, quelle di tutti i re Albani, quella di Romolo, il fondatore di Roma, e poi quelle dei nobili Sabini e di Atto Clauso e i volti degli altri Claudi, in lunga processione>>. Già Polibio (6, 53) aveva descritto l'uso delle sfilate nei cortei funebri delle immagini degli antenati. Queste immagini (assimilabili ai busti di cera dipinti nelle case pompeiane) venivano poste in un sacello di legno dopo che erano state espletate le onoranze funebri. Nell'atrio delle case romane arcaiche del re­ sto dovevano trovare posto, come protettori della casa e a sostegno del prestigio della fa­ miglia, le imagines maiorum; Virgilio (Enezde VII, 187-191) rappresenta il re Latino seduto nell'atrio della sua reggia, tra le effigi degli an­ tenati seduti (Pico) o stanti (ltalo, Sabino, Sa­ turno e Giano) (cfr. CARANDINI 1997, p. zzo). In Etruria statue rinvenute nei dromoi e nei vestiboli di tombe possono essere interpre­ tate con le figure di antenati dei diversi clan gentilizi, analogamente alla figura seduta sull'urna a capanna, forse da Bisenzio, in­ quadrabile ancora nell'VIII secolo a.C. (cat. uo) o agli acroteri del secondo palazzo di Murlo (cat. 113), che sostituiscono ideologi­ camente le antefisse a maschera umana del primo palazzo, poste a protezione del tetto della casa (CoLONNA 1986, p. 424). Statue sedute sono attestate in territorio ce­ retano: a Ceri nella tomba delle Statue, dei decenni centrali del VII secolo a.C., nel vano d'ingresso sulle pareti laterali sono scolpite ad altorilievo due figure maschili sedute in

Pianta e prospetto ottocenteschi della tomba Regolini-Galassi, Cerveteri (Roma), metà del vu secolo a.C.

168

trono (CoLONNA-VON HASE 1986), probabili

patres dei due defunti (moglie e marito) de­

posti neUa ceUa di fondo, «presenti in imma­ gine nella tomba comune ai loro figli, come lo erano certamente nella casa terrena da essi abitata» (CoLONNA in CoLONNA-VON HASE 1986, p. 41); a Cerveteri nella tomba delle Cinque Sedie, del 630 a.C. circa, cinque sta­ tuine di terracotta (tre uomini e due donne, cat. 1 24-125), identificate con le coppie dei genitori dei due defunti e con il nonno del si­ gnore ( CoLON N A in CoLO N N A -VON HAsE 1986, p. 40) dovevano trovare posto su altret­ tanti sedili, serviti da due piccole mensae, in un piccolo vano a fianco del vestibolo, attrez­ zato anche da un altarino a cuppeUe per liba­ . gioni, due troni vuoti (per i defunti) e un ce­ sto cilindrico, che lo hanno fatto identificare in un sacello domestico ( PRAYON 1974). Nell'Etruria settentrionale statue riprodu­ centi verosimilmente maiores sono invece ri­ prodotte in piedi, probabilmente schierate nel dromos, in atto di compianto, come le ot­ to figure della Pietrera (cat. 128), in cui sono state riconosciute quattro coppie di avi; frammenti di statue stanti, con probabile si­ gnificato analogo, sono attestate nel tumulo di Asciano, trovate nei pressi dell'ingresso delle tombe A e B ( MANGANI 1993, p. 423 sgg . ) , e dal dromos di quello di Camucia (Bocci PACINI 1998, p. 65 sgg., fig. 24). In at­ teggiamento di cordoglio, con le braccia di­ sposte simmetricamente sul torso l'una, e con le mani al collo l'altra, sono anche due statue recentemente recuperate a Casal Ma­ rittimo e attribuite alla tomba a camera C di Casa Nocera riferibile alla metà del VII seco­ lo a . C . , collocate presumibilmente sulla sommità del tumulo a guisa di segnacolo kat. 126-127).

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INCINERAZIONE E INUMAZIONE

Il rito dell'incinerazione, peculiare come si è visto deUe tombe dei guerrieri e strettamen­ te connesso all'ideologia eroica, non appare il rituale funerario esclusivo deUe aristocra­ zie tirreniche. Gli usi funerari presentano, come del resto è stato notato anche da lan Morris per l'ambiente greco (MoRRJs 1987, p. 195), forme diverse a seconda dei luoghi: se ad Atene prevale il rito dell'inumazione a partire dalla seconda metà dell'viii secolo a.C. e il rito dell'incinerazione è riservato a pochi individui, a Eretria e nelle colonie eu­ boiche del golfo di Napoli tutti gli adulti, uomini e donne, vengono incinerati e solo

Sezione longitudinale della tomba delle Statue e prospetto integrato delle duefigure scolpite nella roccia, Ceri (Roma), 690-670 a.C.

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adolescenti e bambini vengono inumati. In Etruria il rituale dell'inumazione, ampia­ mente prevalente, appare attestato anche per personaggi maschili di livello eminente ad esempio a Marsiliana d'Aibegna (Circolo della Fibula, Circolo di Perrazzeta, Circolo degli Avori) o a Populonia (tomba dei Fla­ belli) , dove peraltro il rituale dell'inumazio­ ne appare decisamente più precoce che al­ trove ( BARTOLONI c.s. b). A Veio e a Vetulo­ nia invece per capi-guerrieri sono attestati ambedue i riti: nel primo centro quando nel­ la necropoli di Quattro Fontanili si preferi­ sce l'incinerazione (tomba Z 15 A: CWALLOT· TI BATCI IARO\'A 1965, pp. 171-182 ) nel sepol­ creto di Casal del Fosso l'inumazione (tomba 871); nel secondo il defunto (o i defunti) della tomba del Duce risulta incinerato, mentre quello della tomba del Littore inumato. A Chiusi ossuari antropomorfi (i cosiddetti ca­ nopi) sono stati indicati come distintivi del ceto emergente ( RASTRELLI zoooa, p. 6 6 ) : spesso sono disposti s u u n trono e a ulteriore testimonianza della loro autorità sono corre­ dati di armi e insegne del potere. Anche nell'lliade il rituale dell'incinerazione, pur se prevalente, non è esclusivo, come mo­ stra la probabile inumazione di Sarpedonte (Sn tNAPP GouRBELUoN 1982, p. 79l. È stato del resto messo in evidenza (Au ot :-� 1960) come non sia mai attestata storicamen­ te una opposizione sistematica tra i due riti. Certo è però che i due riti mostrano ciascu­ no una precisa fisionomia e altrettanto pre­ cise valenze, certo ideologiche non meno che «materiali>>. MORTE PEREGRINA E CENOTAFI

Alcuni dei guerrieri potevano ovviamente morire lontano dalla propria terra, spesso nei campi di battaglia: la morte «bellica e pe­ regrina>> ricordata da Cicerone (FRA r\ctos t 1984. pp. 58· 59) Nell'Antico Testamento (Genesi 50) è narra­ ta con molta dovizia di particolari la cerimo­ nia della sepoltura di Giacobbe nella terra di Canaan, nella tomba familiare di Marpela: con Giuseppe e i suoi si mossero dall'Egitto i ministri del Faraone, gli anziani della sua casa, con carri da guerra e con la cavalleria, «così da formare un corteggio assai impo­ nente>> ( Genesi 50, 9). In Omero (Iliade XVI, 458) Sarpedonte, figlio di Zeus, dopo esser stato ucciso da Patroclo, viene ricondotto da Apollo nel suo regno. la Licia e qui seppellito, con tumulo e stele, .

\'eduta della parete di fondo della camera di sinil"lra della tomba delle Cinque Sedie, necropoli della Banditaccia, Cerveteri (Roma), decenni centrali del \'Il secolo a.C.

«ché questo è l'onore dei morti» (traduzione di M. GIAMMARCO). È stato proposto di riconoscere nei guerrieri incinerati i morti lontano dalla patria (cfr. BARTOLONI 1984). In Israele, dove non si usa­ va cremare i defunti, perché considerato un atto contrario alla pietà dei defunti (Amos z, I) Saul e i suoi tre figli, sconfitti e uccisi, ven­ gono riportati in patria e ivi incinerati. «Poi, prese le loro ossa, le seppellirono sotto il ta­ marisco a labes e fecero digiuno per sette giorni» (Samuele 1 31, 16). Un suggestivo riscontro etnografico si trova nella Historia genera! de las cosas de Nueva Espaiia ( 1529-1590: ed. D. JouDARNET-R. SI­ MEON, Paris 188o) di fra' Bernardino De Sahagun, dove è ricordato il diritto degli ari­ stocratici di essere sepolti incinerati in patria se morti in guerra, mentre gli altri guerrieri venivano inumati nel campo di battaglia. Spesso il cadavere poteva rimanere lontano da casa e veniva costruito lo stesso un mo­ numento sepolcrale, ma privo dei resti mor­ tali, un cenotafio. In ambito greco esempli­ ficazioni dello scorcio del VII secolo a.C. li troviamo ad esempio nella lonia a Belevi, non lontano da Efeso, in un tumulo di 65 metri di diametro con crepidine in opera quadrata e camera centrale raggiungibile mediante lungo dromos ( KASPER 1976-77) o a Corfù nel monumento funebre di Menekra­ tes, assimilato anche per le piccole dimen­ sioni a tumuli populoniesi (NAso 1998, p. 129 sgg. ). Tra le testimonianze funerarie dell'Italia tir­ renica è stato riconosciuto come cenotafio un tumulo recentemente scoperto a Pisa (BRUNI 1998b, pp. 106-113): una grande fossa quadrangolare, inserita in un tumulo di 30 metri di diametro, delimitato da una crepi­ dine di lastre di pietra, conteneva una cassa di legno praticamente vuota; nel riempi­ mento della fossa erano resti di vasi d'impa­ sto e un tridente in ferro con l'asta ritual­ mente spezzata; al di sopra un altare in pie­ tra con resti dell'apparato sacrificale (col­ tello e quattro spied i ) , distrutto nella co­ struzione del tumulo, e un dolio contenente gran quantità di cenere con numerosi resi­ dui di bronzo. In questi resti è stata ricono­ sciuta una sorta di immagine del defunto, sostitutiva del cadavere, avvicinabile tipolo­ gicamente alla testa-busto di Marsiliana d'AJbegna (CRJSTOFANI 1985, fig. 109). Analogo significato si deve attribuire a un altro tumulo scavato nei pressi di Roma a Castel di Decima, identificato da Rodolfo

Lanciani (LANCIANI 1903, col. 154) con il mo­ numento funebre di Dercennio (Eneide Xl, 8so: «Ai piedi di un alto monte v'era su un terrapieno il grande sepolcro del re Dercen­ no, antico laurente, protetto da un ombroso salce>>, traduzione di L. CANALI): una colli­ netta artificiale di sabbia (JZ metri di diame­ tro ) , contenuta da una massicciata di tufi, copriva un'ampia fossa rettangolare pavi­ mentata con scaglie di tufo irregolari (BEDI­ NI-CORDANO 1977, pp. 290-296). La mancan­ za, sul fondo della fossa, dei resti ossei del defunto e degli oggetti d i abbigliamento personale come in tutte le altre deposizioni della necropoli ha fatto considerare questa sepoltura come un cenotafio ( BARTOLONI 1984, p. 1 6 ) . Tra i tufi di riempimento e in­ torno ai bordi della fossa minuti frammenti di vasellame di bronzo e di impasto, di scu­ di circolari di lamina di bronzo e di morsi da cavallo e cerchioni di carro in ferro pos­ sono indurre a ipotizzare un rituale sostitu­ tivo di una reale cerimonia funebre con il rogo di tutti i beni del «principe>> comme­ morato. I L TUMULO

Alcune tombe a fossa prima e a camera do­ po erano coperte da un monticello di terra o sabbia. Il tumulo nasce come «rincalzo esterno di terra, necessario per proteggere e consolidare la parte costruita della tomba, con la funzione di sema o monumentum. La conformazione dell'accumulo è sempre a calotta emisferica, con o senza un cordone di muratura alla base>> (CoLONNA 1986, pp. 395-396) . Nella descrizione omerica dei fu­ nerali di Patroclo ed Ettore viene ricordato il tumulo che doveva coprire la fossa, rico­ perta «con grandi lastre di pietra accostate tra loro>> ( Iliade X X I V , 79 8 ) ; quello che avrebbe dovuto coprire i resti di Patroclo e Achille, sulla riva del mare, doveva essere «ampio ed alto>> (Iliade XXIII, 247). Nel \'Il secolo a.C. questi monumenti sem­ brano raggiungere la loro massima espres­ sione con diametri dai 30-40 metri dei tu­ muli «urbani>> di Cerveteri, fino ai 65 metri di quelli sparsi nel territorio, come il tumu­ lo di Montecalvario a Castellina in Chianti o il 1 1 Melone del Sodo (Corton a ) , il cui im­ pianto è inquadrabile nel primo quarto del VI secolo a.C. (cat. 109) o quello più antico di Montetosto sull'antica via Cerveteri-Pyr­ gi, per cui è stato calcolato un diametro in­ torno ai 67 metri. I principi-guerrieri inten-

dono in tal modo sottolineare il prestigio proprio e dei discendenti, che continuava­ no a usare lo stesso tumulo per diverse ge­ nerazioni (CoLONNA 1986, p. 398; NAso 1998, p. u 8 ) . Il tumulo rappresenta il segno più evidente del possesso della terra in cui si trova e costituisce quindi la manifestazione più concreta del potere dell'aristocrazia (ZIHERERO 199 1 ) : a Cortona i due tumuli («Meloni>> ) del Sodo, divisi da un corso d'acqua, sembrano segnalare il limite tra due proprietà fondiarie (Cortona 1992, p. 1 2 1 ) . I tumuli cortonesi (Sodo e Camucia), allineati lungo un percorso pedemontano allo sbocco degli accessi verso la valle tibe­ rina, mostrano non solo il potere di queste famiglie principesche ma anche lo sfrutta· mento terriero della valle e il ruolo nel con­ trollo dei traffici di queste valli (Cortona 1992, passim). La monumentalità dei tumuli viene consi· derata non «un'invenzione indipendente etrusca, ma ispirata a conoscenze orientali, a n c o r a d i ffi c i l m e n t e da p recisare» (PRAYON 1989, p. 443 ): a Gordion, capitale del regno di Frigia, un colossale tumulo ( zso m di diametro, 50 m di altezza), inclu­ dente un unico vano senza ingresso, attri· buito verosimilmente alla deposizione del mitico re Mida, domina l'intero altopiano (YoUNG 1981 ) . «Quando l a fiamma d i Efesto t i sfece, rac­ cogliemmo, o Achille, le candide ossa, al mattino, in vino purissimo e unguento. Tua madre diede un'anfora d'oro: dono di Dio· niso diceva che fosse, un'opera del famosis· simo Efesto. Giacciono in essa le tue candi­ de ossa, o illustre Achille [. . . ] Poi elevam­ mo un grande e nobile tumulo sopra di esse. noi forte schiera di Achei armati di lancia. su un promontorio sporgente, sull'ampio Ellesponto, perché da lontano fosse visibile agli uomini in mare, a quanti vivono ora e a quanti vivranno in futuro>> ( Odisst•a XXI\', 71-84, traduzione di G.A. PruviTERA) . Anche per la tipologia dei tamburi, sormon· tati da cornice più o meno elaborata, che doveva sostenere la calotta di terra, è stala postulata un'ispirazione orientale; per i mo· numenti ceretani si è pensato da un archi· tetto di origini orientali (Siria del nord), at· tivo a Cerveteri all'inizio del VII secolo a.C.. che potrebbe aver dato avvio alla decora­ zione architettonica lapidea in Etruria (NA· so 1998 ) . In questo stesso centro etrusco. del resto, sono stati da tempo individuati artigiani orientali (orafi, toreuti e scultori) e

greci (ceramisti) che debbono aver accele­ rato la diffusione tra gli aristocratici etru­ schi di mode e costumi delle corti del Medi­ terraneo orientale ( CRISTOFANI-MARTELLI 1994; PRA YON 1995 . p. 519). Sui tamburi lisci o sagomati si aprivano gli ingressi (dromoi) a scivolo o a scalini di una o più tombe a camera, fino a sette nel tumu­ lo Cima. LE TOMBE A CAMERA

Con l'affermarsi del ceto aristocratico si diffondono in Etruria le tombe famigliari a camera, per lo più interamente scavate nel tufo nella zona meridionale e più frequente­ mente costruite nell'ambito settentrionale. Cerveteri appare luogo ideale per seguire le linee di uno sviluppo ricco e articolato degli ipogei scavati (PRAYON 1975a): dalla tomba a sviluppo longitudinale con due ambienti se­ parati da una porta arcuata e preceduti da un lungo corridoio d'ingresso (dromos) con due nicchie laterali, tipo esemplificato dalla tomba della Capanna nel tumulo 11 della Banditaccia del 700 a.C. circa, a quelle più complesse con grande sala principale sulla cui parete di fondo con porte e finestre si aprono tre vani con le banchine funebri, di cui abbiamo una splendida testimonianza per lo scorcio del \'Il secolo a.C. nella tomba degli Scudi e delle Sedie, ricca di elementi di decorazione e di arredo della casa del morto scolpiti nel tufo. Nell'Etruria settentrionale, dove la tomba a camera ha un precedente isolato nelle picco­ le tombe a camera coperte a falsa volta di Po­ pulonia della fine del IX secolo a.C. (BARTO­ LONI c.s. b), si sviluppa per lo più il tipo a ca­ mera unica a pianta circolare, pseudocupola sorretta per lo più da pilastro e breve dromos, che trova nell'agro fiorentino la più grandio­ sa dimostrazione con le tholoi di Monteforti­ ni, della Montagnola e della Mula, che recen­ ti interventi di pulitura e restauro, con il rin­ venimento di frammenti del corredo della tomba (placchette d'avorio decorate a rilievo e a incisione, figurine sempre d'avorio uma­ ne e animali ecc.) , hanno potuto collocare negli anni centrali della seconda metà del VII secolo a.C. (CJANFERONI I999). Nell'area più interna della Toscana (Chiusi, Castelnuovo Berardenga, Comeana, Animi­ no) sembra svilupparsi un tipo con camera rettangolare costruita da lastroni con coper­ tura a doppio spiovente sorretta da tramezzi lirici: a questo tipo va riferita anche la tomba

C di Casa Nocera a Casal Marittimo (cat. 126-127), che ne attesta l'uso anche nelle zo­ ne costiere (Cecina 1999). A tipologie dell'Etruria meridionale, soprat­ tutto vulcenti, rimandano le tombe a dispo­ sizione cruciforme di Castellina in Chianti o dei Meloni di Cortona e Camucia, caratte­ rizzate anche da pregevoli decorazioni scul­ toree, come la testa leonina in pietra serena inserita nello stipite sinistro dell'ingresso della tomba sud di Castellina e il letto con piangenti di Camucia.

Gilda Bartoloni

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Tomba degli Scudi e delle Sedie Cerveteri (Roma), necropoli della Bandi taccia, tumulo degli Scudi e delle Sedie Ricostruzione al vero della parete di fondo del vestibolo, con due troni e relativi suppe­ danei scolpiti nella roccia, destinati ad acco­ gliere idealmente il princeps e la moglie, im­ pegnati in azioni ricollegabili alla cerimonia­ lità aristocratica che si svolgevano nel palaz­ zo e che venivano evocati anche nella tomba. La planimetria del vestibolo e delle tre carne· re retrostanti, gli scudi e gli stessi troni imita· no elementi reali della casa aristocratica. Inizi del VI secolo a.C.

STOFANI-MARTELLI 1983, pp. 138, 280, n. 97). Le statuette furono trovate incomplete e frammentarie e oggi ne rimangono soltanto t re, di cui due conservate al British M u ­ seum, la terza a i Musei Capitolini; l'esem­ plare in questione presenta una testa femmi­ nile, erroneamente posta su un corpo proba­ bilmente maschile. Per tutte si possono ravvisare prototipi nord­ siriani o genericamente vicino-orientali. 640 a.C. Bibliografia: GtGLIOLI 1952-53, pp. 319-328; STR,1M 1971, p. 100, n. ws; BoNFANTE 197s. figg. 14-ts; PRAYoN 197sb; B oNFANTE 1981, p. 34, n . 8 e p. 39, n. so; CoLONNA-\'ON HASE 1986, pp. I}·S9·

fudith Swaddling

Tomba delle Cinque Sedie Cerveteri (Roma), necropoli della Bandi taccia Ricostruzione al vero della parete di fondo della stanza laterale sinistra. Accanto ai tro­ ni, sui quali erano originariamente sedute, furono rinvenute cinque statuette fittili, raf­ figuranti gli antenati della coppia sepolta nella tomba (cfr. cat. t24-l2S). Metà del VII secolo a.C.

1:14.

Figura femminile seduta Cerveteri (Roma), tomba delle Cinque Sedie. Acquistata nel 1873 dal Sig. Alessandro Castellani Argilla H. 54.s cm N. inv. GR 1873 8-20.637 Londra, British Museum Si tratta di una delle cinque figure rinvenute nel t86s in una delle camere laterali della tomba delle Cinque Sedie. Le statuette era· no originariamente sedute su scranni scolpi· ti nella roccia, e forse rappresentavano gli antenati evocati nelle cerimonie rituali. Ne sarebbero testimonianza l'altare collocato nella stessa stanza e la gestualità delle figure, le quali hanno una mano protesa in avanti e aperta, come a porgere o a ricevere un'offer­ ta. La statuetta conservata a Londra indossa una tunica con disegno a scacchi e un man­ tello, chiuso sulla spalla mediante un tipo di affibbiaglio noto da diversi esemplari (CRI·

1:15.

Figura maschile seduta Cerveteri ( Roma), tomba delle Cinque Sedie Argilla H. 48 cm N. inv. Ca 62 Roma, Musei Capitolini Rinvenuta insieme alla precedente (cat. 124) nella stanza laterale sinistra della tomba, la statua conservata a Roma costituisce l'unico esemplare della serie correttamente rico­ struito, presentando testa e corpo riferibili a un personaggio di sesso maschile. La gestua­ lità tipica dell'offerente che caratterizza la fi­ gura, insieme alla sua collocazione originaria su uno dei cinque troni, posti accanto agli scranni vuoti, idealmente riservati ai defunti titolari della sepoltura, identificano il perso­ naggio seduto in uno degli antenati della coppia dei defunti e ne fanno una delle più incisive immagini di pater/amilias, incarna· zione dell'ideologia gentilizia, fondata sulla continuità della stirpe. Metà del VII secolo a.C. Bibliografia: GtGLIOI.I 19S2-5}, pp. 319-328; PRAYON 1 974, fig . 2, tav. 7, n . 3 ; PRAYON 197sb. pp. t6s-179, tavv. 41-43; CoLONNA-\'ON HASE 1986, pp. 37. 40, so, tav. xva; Paris 1992, p. 129, n. 103.

Laura Minarini

1:16-117 .

Coppia di statue Casale Marittimo (Pisa), necropoli di Casa Nocera Pietra calcarea H. max. conservata 8s e 74.s cm Nn. inv. 177643, 177642 Firenze. Soprintendenza Archeologica per la Toscana Le circostanze del rinvenimento non sono note nel dettaglio. Le statue sarebbero state rinvenute da privati nell'area della necropoli di Casa Nocera; in particolare, i frammenti sarebbero stati raccolti nel riempimento (nella parte superiore?) della tomba a carne· ra C. Le due campagne di scavo effettuate dalla Soprintendenza Archeologica per la Toscana nel t987-1988 non hanno però por· tato al rinvenimento di nessun altro fram· mento riferibile alle sculture. Si lamenta in particolare la mancanza dei piedi delle figu· re, che dovevano essere muniti, al pari delle statue dalla Pietrera di Vetulonia (cat. u8), di grandi tenoni verticali che ne assicurava· no l'impostazione sul terreno. Malgrado il risultato negativo dell'indagine sul terreno, la pertinenza delle statue al complesso cimiteriale scavato appare assai probabile. Le statue sono realizzate in un calcare giallo­ gnolo, molto fine, proveniente da cave !oca· li. Le superfici delle parti nude sono accura· tamente lisciate; gli elementi dell'abbiglia· mento e dell'acconciatura intagliati e incisi. Su vesti e cinture si conservano abbondanti tracce di colore rosso. Identiche negli elementi dell'abbigliamento (un corto perizoma, recante un'accurata de· corazione geometrica incisa lungo l'orlo e una larga cintura fastosamente intagliatal. le statue risultano fortemente diversificate nel tipo dell'acconciatura e nell'atteggiamento delle braccia. Mentre infatti nella statua A. acefala, i capelli sono raccolti in una lunga treccia che scende fino alla cintura, nell'altra sono assai più corti e disposti secondo uno schema triangolare, animato da semplici sol­ ca tu re rettilinee. Nella prima (Al inoltre. le braccia sono strette al busto e le mani porta· te dietro alla nuca, in quello che sembra un gesto di cordoglio; nella seconda ( 8 ) dispo· ste sul petto in un gesto impiegato in figure femminili come atteggiamento del pudore e in figure maschili per evidenziarne la parti· colare dignitas.

Gli elementi del costume consentono di in­ serire i monumenti entro una fitta trama di confronti stilisticamente e cronologicamen­ te coerenti: la forma del perizoma compare identica nelle statue maschili del ciclo tardo orientalizzante della Pietrera di Vetulonia, ma anche nei terminali di carro della tomba Bern a r d i n i di P a l es t ri n a , della fi n e deii'Orientalizzante Antico e nei bronzetti votivi etrusco settentrionali della serie «Gla­ diatorentypus». Il modello, la cui origine orientale sembra accertata, è recepito in Etruria quasi certamente per tramite ciprio­ ta. Assai singolari appaiono le cinture a dop­ pia losanga che stringono alla vita le figure; apparentemente simili ai cinturoni villano­ viani, dai quali peraltro si distinguono netta­ mente per il fatto che questi ultimi presenta­ vano solo una parte ovale, che doveva essere portata sul davant i , mentre nelle statue l'ovale anteriore presenta un perfetto pC!t­ dant nella parte posteriore, essi trovano i mi­ gliori confronti in figurette maschili in bron­ zo (oltre al già citato terminale di carro dalla tomba Bernardini, cfr. le figurine che deco­ rano i lebeti di bronzo nelle tombe Barberini e Bernardini) e in avorio, queste ultime di probabile manifattura orientale (tomba Bar­ berini)_ Probabilmente dunque le immagini rappresentano personaggi maschili, a di­ spetto della tipologia (peraltro differenzia­ ta ! ) delle acconciature. Dal punto di vita stilistico, le statue si inqua­ drano molto bene in quella tendenza che nella bronzistica devozionale è stata definita da E. Richardson «Orit•ntalized Geometrie>>: un linguaggio formale che affonda le sue ra­ dici nel «gusto>> geometrico dell'età del Fer­ ro locale, ma è fortemente influenzato dalle nuove correnti stilistiche di matrice orienta­ le che dalla fine dell'\'111 secolo a.C. se!(nano fortemente le man ifestazioni figurative dell'arte etrusca. La forma del volto, con i l!randi occhi tondeg!(ianti (e realizzati in ma­ teriale diverso), la seminudità dei corpi, l'an­ damento disarticolato delle braccia (partico­ larmente evidente in A) allineano le statue alla tradizione geometrica dei decenni tra la fine dell'viii e gli inizi del \'Il secolo a.C. La più compatta e solida plastica dei corpi, l'ac­ conciatura, la cintura a «doppia placca>>, il costume rimandano alle nuove esperienze orientalizzanti. I confronti particolarmente stringenti con i bronzi decorativi delle tombe Barberini e Bernardini di Palestrina ( opere riferite a botteghe di bronzisti di Vetulonia) fanno

pensare a una cronologia da contenere nei primi decenni del VII secolo a.C. e a una lo­ calizzazione della maestranza nell'ambito della grande Vetulonia deli'Orientalizzante Antico. Si tratta dunque delle più antiche statue a tutto tondo d'Etruria, dato che esse prece­ dono certamente il ciclo delle sculture dal tumulo della Pietrera nella stessa Vetulonia, che si scaglionano tra Orientalizzante Medio e Tardo, e dato che le fi!(ure maschili sedute della tomba delle Statue di Ceri, certamente più antiche e riferibili agli inizi del secolo. non sono in realtà vere statue ma altorilievi. Non è al momento possibile stabilire con certezza la posizione originaria di questi straordinari monumenti all'interno del com­ plesso cimiteriale, dal quale apparentemente provengono, né determinarne con sicurezza la funzione. Sembra difficile pensare che es­ se costituissero dei segnacoli tombali, come potrebbe suggerire il richiamo a noti esempi della di poco più recente statuaria medioa­ driatica (con la quale peraltro non mancano evidenti punti di contatto. che si spiegano all'interno dei fenomeni di acculturazione di segno etruschizzante dell'ambiente piceno nell'età deii'Orientalizzante maturo ) , dato che in esse non possono ravvisarsi immagini dei defunti, che sarebbero state caratterizza­ te dall'esibizione dei simboli di rango e non in un atteg!(iamento che sembra senza alter­ native di dover interpretare come quello del compianto. Come detto, lo scavo della necropoli non ha fornito dati per stabilire dove esse fossero collocate. Se l'ipotesi che corredassero le più antiche tombe a cassone sembra porre note­ voli p roblemi, rimane senza alternative l'ipotesi di una loro connessione con la tom­ ba a camera C, certamente nella sua prima fase d'uso, da collocare comunque nella pri­ ma metà del secolo. Bibliografia: MAGGIANI 1999, pp. 33-39; Co­ LONNA 1999b, p. 108, figg. 80-81.

Adriano Maggiani

128. Testa e busto femminili Vetulonia (Grosseto), tumulo della Pietrera Pietra calcarea Testa: h. 27 cm; busto: h. 63 cm, la. 44 cm Nn. inv. 8514, 8553 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Queste due porzioni, probabilmente perti­ nenti a un'unica statua raftìgurante una pian­ gente, furono trovati insieme a un consistente l!ruppo di altri frammenti scultorei. relativi a ulteriori sette statue, quattro maschili e tre femminili. Secondo le ultime ipotesi, le statue erano schierate in piedi nel tratto finale del dromOJ della tomba, e rappresentavano !!li antenati dei defunti in atto di compianto, co­ me dimostra su yuesto esemplare il gesto del­ le mani incrociate sul petto. L'icono!(rafia ripete modelli orientali, già conosciuti su avori e ceramica della prima metà del \'Il secolo a.C. Terzo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: PRAYON 1977, p. 168 sgg.; Co­ LON:'\A-\'ON HAsr: 1986, pp. 40-41; Hamburg 1987, p. 214, n. 135 (M. Cn;II:LMAN ) .

Lucia Pagnini

129-18 5. Vetulonia (Grosseto), Poggio al Bello, tomba del Duce La suppellettile funebre era in una grande «buca>> irregolare, distribuita in 5 gruppi. raccolti in spazi definiti (fosse), di cui uno. il terzo, rinvenuto spoliato. Non è chiaro se si tratti di un unico complesso tombale. maga­ ri deposto in più riprese, o se pure corri­ sponda a più sepolture ( C\MI'ORI:,\LI: 1967a, pp. 15·21, 161-164). I gruppi 11 e l\' presentano una suppellettile sia fittile che metallica, con vasi pertinenti al servizio da banchetto: il 11 si compone di vasi d'impasto e di un calderone di bronzo, con­ tenente ferri, una coppa d'argento, oggetti di bronzo, e, appoggiati. l'elmo, lo scudo e una ciotola di bronzo. Nel 1\' gli oggetti era­ no raccolti in piccoli gruppi: un vaso a corpo globulare entro una situla tipo Kurd; altri vasi di bronzo impilati e fortemente com­ pressi; un calderone, protetto da una «scor­ za di sughero>>, che conteneva i restanti og­ getti del corredo coperti da un panno. Fuori dai contenitori, pugnale, coltello, scure e spiedi in ferro. Il gruppo 1 è peculiare di una precisa conno­ tazione sociale: i resti del carro e della bar­ datura eyuina pertinente a due cavalli, oltre a due spiedi. Nel \' si trovava l'umetta d'argento con le ossa di incinerato, reperti di bronzo, ferro, metallo prezioso e tre grandi dischi di terracotta.

Nell'ipotesi confermata di quattro deposi­ zion i , l'appartenenza a uno stesso circolo potrebbe indicare una tomba «gentilizia». Il valore intrinseco degli oggetti importati, la quantità e la qualità dei manufatti metallici, talora tramandati (ad es. la navicella sarda) , indicano i l prestigio e i l grado d i distinzione sociale del possessore o dei possessori della tomba. Anche il sistema funebre adottato. l'incinerazione ( \' gruppo ) , serve a distin­ guere l 'individuo: le ossa incinerate awolte in un panno di lino presuppongono un ri­ tuale di tipo eroico ( I liade X X I I I , 2 53 - 2 5 5 : XXI\', 795-796 ). Al ruolo di guerriero, ribadito dalle armi. in­ sieme al carro e ai finimenti equini, frequen­ temente associati nelle tombe \'etuloniesi di \'I l secolo a.C.. si aggiungono i simboli dd sacrificio carneo (ascia, coltelli. spiedi ). I l complesso si impone per la ricchezza. il numero e la varietà degli oggetti, che awici­ nano la sepoltura al gruppo delle cosiddette «tombe princi pesche>> dell'Orientalizzante di Cuma. Pontecagnano, Palestrina e Cerve­ teri. Sebbene i materiali deposti nel circolo riflettano l 'ostentazione suntuaria di una classe ( lHE.-\I.E 1967a, pp. 63-65, n. 30;p. 115, nn. 88, 89.

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Grande kantharos baccellato Impasto buccheroide. Decorazione incisa e impressa H. con anse 30 cm, diam. 31 cm N. inv. 7063 Firenze, Museo Archeolo�ico Nazionale La forma, di �randi e medie dimensioni, se pure con varianti nel corpo e nella tipolo�ia di anse e piede, è comune in ambito vetuloniese in contesti di età orientalizzante. poco t! iffusa fuori dal suo territorio, anche se conosciuta (a Tarquinia, Vulci, Pitigliano e Statonia). Il recipiente potrebbe aver funzionato come contenitore per liquidi da cui attingere durante le cerimonie simposiache, considerati i caraneri morfologici (dimensioni, larghezza della bocca) e l'assenza, nei corredi, di crateri o vasi similari a fronte dei numerosi vasi potori presenti, tipici del «servizio da banchettO» (C\,\II'OHEALE 1995, p. 73, nota 8). La manifanura locale del prodotto è confermata da�li elementi decorativi e dalle stampigliature sulle anse (felino), che riconducono a una bottega vetuloniese. Bibliografia: C\MI'OHL\LE 1967a, pp. 65-69, n. 31; GHEc;oHI 1991, pp. 64, 76, So.

176. 1\antharoi lmpasro buccheroide. Decorazione 1mpressa H. 16 cm, la. 18,5 cm :"i. in\". 7064 Firenze. Museo Archeologico Nazionale

Bihliogra/ia: C..I�IPOKEALE 1967a, p. 127, n. 92.

177· 1\antharoi (?) Impasto nero con superficie lucidata a stecca. Decorazione impressa e incisa H. 7 cm, la. 9 cm :"i. i n\ . 7069 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

[182]

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Bihliogra/ia: C..I�IPOKEALE 1967a, p. 71, n. 36.

178. 1\yathos Impasto nero con superficie lucidata a stecca. Decorazione impressa e incisa H. max. IO cm, la. max. 10,5 cm N. im·. 7065 Firenze. Museo Archeologico Nazionale

Bih!ùJgra/ia: C..I�IPOKEALE 1967a, p. 70, n. 34·

179· 1\yathos Impasto nero con superficie lucidata a stecca. Decorazione impressa e incisa H. conserYata 13 cm, diam. bocca 12,6 cm :\. i n\ . 93490 Firenze, Museo Archeologico Nazionale "

[!8Ib]

Bih/iogra/ia: C..l�li'OKEAI.E 1967a, p. 71, n. 35·

180. 1\yathoi Impasto buccheroide H. 9 cm, la. 9,2 cm N. in\". 7068 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Bibliografia: C..IMPOKI�II.E 1967a, p. IJI-IJ2, n. 111.

181. Piccolo calice su alto piede

186-188. Tre canopi

Impasto buccheroide H. 10,7 cm, diam. 10 cm N. inv. 7080 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Chianciano Terme ( Siena), località Tolle, tomba II6 Impasto 1: h. 61 cm, diam. 24 cm; 2: h. 56,5 cm, diam. 27 cm; 3: h. 56,5 cm, diam. 23.5 cm Senza nn. inv. Chianciano Terme, Museo Civico Archeologico

Produzione locale; la forma è comune in di­ versi centri etruschi sia in impasto che in bucchero. Bibliografia : CAMPOREALE 1967a, p. IJO, n. 109.

182-184. Tre coppe su piede Impasto buccheroide N. inv. 7067: h. 10,2 cm, diam. II cm; n. inv. 7074: h. 10,3 cm, diam. 15 cm; n. inv. 93491: h. I1,5 cm, diam. 14,5 cm Nn. inv. 7067, 7074, 93491 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Confronti puntuali a Vetulonia e nel suo ter­ ritorio. Bibliografia: CAMPOREALE 1967a, p. 128, n. 98; p. IJO, nn. 100, 102.

18 5 . Pisside con coperchio Impasto. Decorazione impressa

H. con coperchio 26,5 cm, diam. max. 24 cm N. inv. 7076 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La presenza di esemplari simili, pur con va­ rianti tipologiche della presa, a Vetulonia e nel suo territorio, unita a particolari decora­ tivi legati alla tradizione ceramica locale, quali la baccellatura, la falsa cordicella e le protomi taurine, indicano una produzione vetulon iese. Bibliografia: CAMPOREALE 1967a, pp. 71-73. n. 40. Lucra Pagnini

I tre canopi, tipici ossuari antropomorfi dell'area chiusina, provengono da una tom­ ba a tramezzo ed erano stati collocati alli­ neati lungo la parete laterale della cella di destra. Al centro, nel posto d'onore, era de­ posto un canopo maschile, associato a una fibula di ferro con arco decorato a rotelle, che doveva trattenere una stoffa con cui era awolto l'ossuario, secondo un rito funerario di natura eroica. Il corredo giaceva invece nella camera sinistra collocato presso le pa­ reti e a destra era deposto un canopo femmi­ nile, da identificare per la moglie, con le braccia incise e piegate sul petto. Il terzo ca­ nopo, maschile, evidentemente il figlio, era stato collocato vicino all'ingresso. Sulla base degli elementi di corredo la tomba rimase in uso per due generazioni, con le tre sepolture scaglionate entro l'ultimo trentennio del \'II secolo a.C.: quella del pater/amilias è databi­ le attorno al 630-620, la sepoltura femminile si colloca pochi anni più tardi, per le notevo­ li affinità stilistiche tra i due canopi che de­ notano un'origine comune da una stessa of­ ficina, in cui sono stati prodotti altri tre esemplari (GEMPELER 1974, nn. 70-72). La se­ conda deposizione maschile è databile verso il 6oo a.C., come indica una piccola fibula in bronzo ritrovata sopra il cinerario. L'ecce­ zionale presenza in un'unica tomba di tre canopi, che intendono restituire attraverso l ' antropomorfizzazione d e l!' ossuario quell'integrità fisica distrutta con il rito della cremazione, è l'indizio di un cambiamento del rituale funerario con il progressivo affer­ marsi di tombe a più deposizioni, di perso­ naggi legati da vincoli parentelari, rispetto a quello predominante delle sepolture singole all'interno di camere funerarie oppure den­ tro agli ziri. 63o-6oo a.C. circa. Bibliografia: inediti. Giulio Paolucci

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IV. IL PRINCIPE E LA CERIMONIA DEL BANCHETTO

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Alcinoo prese per mano Odisseo [ ... ] e lo fece sedere su uno splendido trono [. ..] . Un'ancella venne a versare dell'acqua da una brocca d'oro, bellissima, sopra un bacile d'argento, per la lavanda delle mani; innanzi a lui stese una mensa di legno levigato. La dispensiera portò il pane e glielo mise da­ vanti, recò ancora molte vivande [. .. ]. Ed egli beveva e mangiava [. . . ] . Alcinoo disse all'araldo: mescola il vino con acqua nel cra­ tere e distribuiscilo a tutti nella sala e libia­ ma a Zeus...» (Odisseo \'II, 167 sgg.l. Espressioni analoghe o uguali a quelle del brano riportato sono costantemente utilizza­ te nell'Odisseo nelle ricorrenti descrizioni di banchetti. La stereotipicità di questi formu­ lari descrittivi lascia intendere che i conviti si svolgessero secondo modalità alquanto uniformi, come ben si addice a cerimonie dalle forti valenze sociali - in quanto espri­ menti e fondanti l'unità deli'oikos e la coe­ sione della società aristocratica- e anche sa­ crali, per la loro attinenza alla sfera dei rap­ porti tra oikos e divinità. La società odissaica conosce vari generi di banchetti cerimoniali lcfr. OdiJsea t, 2 2 5 sg.; XXI, 41 5 ) scanditi da una regolare successione di atti: l'ingresso dei convitati in un'ampia sala, il loro pren­ dere posto su troni e seggi rivestiti di drappi o pelli e spesso fomiti di poggiapiedi, l'ablu­ zione delle mani, la collocazione di tavolini innanzi a ciascun convitato, la distribuzione di pane e di cibi e bevande, la mescita del vi­ no con l'acqua nel cratere e la sua sommini­ strazione ai convitati in coppe a due manici riservandone la prima parte alla libazione agli dei, l'offerta alle divinità di porzioni di carni arrostite, il consumo del cibo e del vi­ no spesso allietato da canti, il prolungarsi del convito fra conversari e brindisi, il con­ gedo preceduto dalla libazione finale. Analogo svolgimento, almeno nelle grandi linee, dovevano avere i banchetti degli Etru­ schi nell'vm e nel VII secolo a.C., cioè all'in­ circa nella stessa epoca di quelli descritti nell'Odisseo. Modi tipicamente ellenici di commensalità si diffusero infatti in Etruria nel corso dell'viii secolo a.C.- in piena sin­ cronia con i primi insediamenti greci in Ita­ lia- come documenta la ricorrente presenza nei corredi funerari delle nascenti aristocra­ zie etrusche di ceramiche da mensa greche o di tipo greco direttamente connesse con l'uso del vino: in primo luogo crateri e cop­ pe biansate (DELl'I NO 1997). La scena raffigurata plasticamente sulla sommità del coperchio di un vaso cinerario e di altri contenitori e 4uattro protomi di grifo di manifattura sa­ mia. li pezzo più singolare del complesso è tuttavia costituito da questo monumentale tripode, di cui si presenta qui una ricostru­ zione realizzata presso il Centro di restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana, costituito da tre grosse verghe di ferro verticali, decorate nella parte inferiore da zoccoli e nella parte superiore da teste taurine in bronzo e rinforzate da traverse che confluiscono in un nodo centrale deco­ rato da un elemento a tre teste di cervo. Pro­ babilmente a metà delle barre verticali erano inserite tre protomi di stambecco. L'inqua­ dramento iconografico e stilistico di questi bronzi ha suscitato molte discussioni. La pluralità dei modelli che stanno dietro ai sin­ goli elementi della decorazione del tripode ha fatto pensare ai luoghi di provenienza più disparati (Sardegna, Luristan, Urartu, mon­ do greco), ma il monumento è connotato da una evidente unità stilistica. Anche la tecni­ ca adottata, con tutti gli elementi decorativi in bronzo fusi direttamente sulla struttura in ferro, è ampiamente diffusa in Etruria. Da ciò acquista particolare verosimiglianza l'ipotesi di una manifattura etrusca, localiz­ zabile verosimilmente nella Vetulonia del primo arcaismo. Secondo quarto del VI secolo a.C. Bibliografia: fiORELLI 1880, pp. 3-6; MILANI 1912, l, p. 296; n, p. 24, tav. CXIX, 2; RoMUALDI 1989, pp. 62?-631; NASO 2000, P- 165Anna Maria Esposi/o

210.

Tavolino Casale Marittimo (Pisa), necropoli di Casa :-lacera, tomba A Bronzo fuso e laminato H. 33 cm, diam. piano 145 cm :-l. inv. 198624 Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana Lo sfarzoso apparato da banchetto disposto entro la tomba a incinerazione in cassa litica della necropoli orientalizzante di Casale Ma­ rittimo, nel!'antico territorio volterrano, è da considerarsi simbolo dello status beato del defunto, princeps gentis, capostipite del

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piccolo gruppo gentilizio cui l a necropoli era destinata. Il tavolo in lamina bronzea con zampe fuse, elemento centrale dell'a rredo, si collega a u n a t i pologia nota n e l l e tombe etrusche dell'età del Ferro il più delle volte con esem­ plari miniaturizzati; particolarmente signifi­ cativo a questo riguardo il cinerario di Mon­ tescudaio, la cui eccezionale decorazione plastica documenta l'abitudine di consuma­ re il pasto seduti, secondo l'uso descritto nei poemi omerici {cat. 2o6 ) . Esso trova più puntuali riscontri in esempla­ ri di dimensioni «reali>> da Verucchio, in le­ gno kat. 526-528), e da Vetulonia, in bronzo. Primo vcnticinqucnnio del \'Il secolo a.C. Bibliografia: CECINA 1999, p. 55. fig . 47-

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Anna Maria Erpo.rito

211. Tripode V cio !Rom a ) , necropoli di Casal del Fosso, tomba 871 Bronzo laminato H. 50 cm, diam. max. 36 cm N. inv. 36448 Roma. Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Parte del corredo di una ricca deposizione di guerriero !vedi oltre cat. 259, 262), il tri­ pode doveva sorreggere un vaso collegato al banchetto. Non sempre è possibile stabilire la funzione dci vasi che i tripodi erano depu­ tati a sostenere, in quanto essi potevano ri­ mandare sia al consumo del ,·ino e all'atto di mescolare la pregiata bevanda con l'acqua, sia alla bollitura delle carni l si ,-eda F. DEI.I'I­ :-.:o in questo catalogo ) . Per questa classe di materiali, abbastanza frequente nelle tombe laziali ed etrusche della fine dell'\" 1 1 1 secolo a.C., è stata suggerita una possibile. se pur lontana, derivazione dai tripodi di produzio­ ne cipriota IHENCKI:N 1971, p. wo). 730 a.C. circa. Bibliografia: HENCKEN 1971, pp. 100-104, fig. 71. f; MCt.L.EK KAKI'J: 1974. p. 95, tav. 22. n. 2. Anna Dorc

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212. A n/ora Chiusi (Siena ) Bronzo laminato H . 61,7 cm N . inv. Mise. 7031 Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung Costituita da quattro lamine di bronzo, rispet­ tivamente due per la calotta del corpo, una per il piede c una per il collo, presenta una coppia di anse 1·enicali con porzione terminale a fusio­ ne piena fissate sulla spalla e innestate in un tu­ buio di lamina bronzea connesso al corpo del vaso all'altezza della massima espansione. Un fregio decorativo a sbalzo con palmette e ar­ chetti intrecciati corre lungo il collo e il piede dell'anfora, che per tecnica costruttiva e per la caratteristica decorazione delle anse a triplice protome equina, fa pane di un ristretto gruppo di esemplari di fabbricazione chiusina recente­ mente individuato da G. Camporeale (CA�II'I >­ REALE 1994, pp. 29-37) in cui sono ravvisabili in­ tlussi stilistici provenienti dall 'ambito vetulo­ niese e etrusco-meridionale. Ultimi decenni del \'Il secolo a.C. Bihliogra/ia : Mot--: T ELILJS I895-I905, tav. 228, n . I ; HEI!.MEYER I988, p. 2oi, n . I ; STR0,\1 I988, fig. 13; C.\�IP< >REAI.E I994, tav. Il', a-d. Laura Minar/n /

21 3 · Bacile

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Già collezione Ancona. REA I .E I988, pp. J - 1 4 ·

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Filippo De/pino

114. Patera Capena (Roma), necropoli di San Martino, tomba XVI Due lamine di bronzo ribattute insieme lungo l'orlo, quella esterna decorata a sbalzo con quattro leoni rivolti a sinistra e quella interna liscia. Lacune integrate con lamine di piombo H. 9,7 cm, diam. bocca 23 cm N. inv. 74466 Roma, Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico «Luigi Pigorini>> La patera è un prodotto di importazione dal­ la Siria settentrionale, come altri contenitori a doppia parete rinvenuti a Satricum (tomba 11 a camera entro tumulo) e a Palestrina ( tom· ba Bernardini, dove erano deposti un bacile, una tazza e tre patere). La diffusione di que· sti prodotti sembra indicare le tappe di un itinerario che dalla zona costiera a sud di Ro­ ma, attraverso Satricum e Palestrina. rag­ giungeva la media valle del Tevere, costellata di centri sorti a controllo dei guadi lungo il fiume e degli itinerari diretti verso l'Etruria meridionale, la Sabina e il Piceno. La tomba X\' l della necropoli di San Martino era la più grande delle fosse e conteneva re­ sti di un carro, numerosi vasi d'impasto de­ corati a incisione, a excisione e «while-on­ red>> con motivi orientalizzanti, vasi di bron­ zo e armi di ferro che connotano il defunto come principe guerriero. Fine dell'vm secolo a.C. Bibliografia: PARIBENI 1905, p. 311, n. 14, fig. 1; PARIBENI 1906, col. 19, n. 17; col. 417 sg., tav. l ; HER.\tANN 1966, p. 66, nota 69; p. 179, nota 9; p. !80. E/isabella Mangani

115· Coppa a doppia parete Rocca di Papa (Roma), località Vivaro Bronzo fuso. Figure lavorate a sbalzo con uso del cesello e del bulino; fra le due pareti è colato un liquido bituminoso Catino interno: diam. 19,6ht,8 cm, prof. 8,s/9,1 cm; parete esterna: diam. 20,5/22,2 cm N. inv. 84182 Grottaferrata, Museo Nazionale dell'Abbazia di San Nilo

Coppa a doppia parete, esternamente deco­ rata a sbalzo con cinque protomi umane al­ ternate ad altrettante teste di toro rovescia· te, impostate su costolature che si uniscono verso il fondo. I volti femminili (forse di sfing i ) hanno c a ratteristiche somatiche orientali, con occhi a mandorla e capigliatu­ ra a kla/1 . Le protomi taurine mostrano un muso arrotondato, gli occhi sporgenti, coma schematiche. Esemplari molto simili provengono dalla tomba Bernardini di Palestrina, da due se· polture del Ceramico ad Atene e da Olim­ pia; mentre un'analoga coppa a doppia pa­ rete con protomi a sbalzo è conservata al Museo dell'Università di Filadelfia. Gli stringenti confronti tra l'esemplare di Rocca di Papa e quello di Palestrina lasce­ rebbero ipotizzare la fabbricazione nella stessa officina. In questi esemplari alle pro· tomi umane sono sostituite sfingi e sirene. Il luogo di produzione di queste coppe è sta­ to individuato nella Siria settentrionale. ver· so la fine dell'vili secolo a.C. Bibliografia: C\NUANI -\'ON HASE 1979. p. 6 sgg., n. 51; A R I ET T I -GI I I N I - M ,\ RT E I.I.OTT.\ 1987, pp. 208-217, fig. 12; ARI ETTI- M.\KTLL· LOTTA 1998, pp. 75-78, taw. X\'111-XXII. Giu.reppina G'hini

116. Oinochoe Rocca di Papa (Roma), località Vivaro Bronzo fuso H. 22,5 cm, diam. max. 13.5 cm N. inv. 84183 Grottaferrata, Museo Nazionale dell'Abbazia di San Nilo L'oinochoe rientra in una tipologia piuttosto diffusa in Etruria, Lazio, Campania. peniso· la iberica, Cipro tra la fine dell'v111 e gli inizi del v 11 secolo a. C., con esemplari in ar!(ento. bronzo, bucchero e impasto. Altri esemp lari bronzei finora noti provengono dalla tomba del Tripode a Cerveteri, da Coca, Carmona. Torres Vedra in Spagna, Tamassos a Cipro. mentre esemplari in argento si sono rinvenu· ti a Vetulonia, Cerveteri, Palestrina. Cuma. Pontecagnano. Ciò che distingue le oino· choai bronzee da quelle in argento è la tecni· ca di lavorazione: infatti, mentre le pri me so· no fuse insieme, quelle in argento hanno le singole parti lavorate separatamente e sue·

cessivamente assemblate. L'oggetto, di fabbricazione cipriota, è data­ bile nell'ultimo ventennio dell'vm secolo a.C. Bibliografia: o'Ac;osTINO 1977b, p. 37 sgg.; ARIETTI - G I IINI-MARTELLOTTA 1987, pp. 208217, fig. I I ; ARIETTI-MARTELLOTTA 1998, pp. 70-75, fig. 16, tavv. XII-XIII. Giuseppina Chini

217. Phiale baccellata Casale Marittimo (Pisa), necropoli di Casa Nocera, tomba A Bronzo H. o,6 cm, diam. 20 cm N. inv. 198620 Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana

[2!6]

[217]

[218]

Del servizio per bere e mangiare deposto nella tomba fanno parte un'imponente fia­ sca bivalve ornata da pendagli a lira, che conteneva vino resinato e numerose phialai, di produzione sia etrusca che orientale, alcu­ ne delle quali conservavano al loro interno resti degli alimenti destinati al pasto rituale del defunto: mele, uva, nocciole e. con parti­ colare significato simbolico, una melagrana, tipico frutto dei morti e al tempo stesso sim­ bolo di fertilità. Primo venticinquennio del vn secolo a.C. Bibliografia: Cecina 1999. p. 56, figg. 48-49 Anna Maria Esposi/o

218. Incensiere Populonia (Livorno), tomba dei Flabelli Corpo e coperchio in bronzo laminaro: ansa in bronzo fuso. All'interno furono rinvenuti frammenti di legno di faggio H . lo cm N. inv. 89320 Firenze, Museo Archeologico Nazionale .

Questo oggetto appartiene alla tipologia dell'«incensiere>> vetuloniese, prodotto in questa città e diffuso anche a Chiusi. Rosei­ le, Marsiliana, Cerveteri, Palestrina ( C\,\IPO­ REALE 1967a, p. 88 sgg., con bibliografia). La funzione generalmente riconosciuta è quella di contenitori di sostanze che profumavano [no]

zo6

l'aria per combusione o esalazione. Tuttavia i confronti formali con le due pissidi in bronzo delle tombe H 1 e H 2 di Casale Ma· rittimo (Cecina 1999, p. 83, fig. 84), la pisside di avorio dalla tomba degli Avori di Marsi· liana e la pisside di Appenwihr kat. 418, 583) consiglia di interpretare (senza argomenti definitivi) gli , tumulo 1, tomba 2 Bucchero H. 2 2 ,5 cm N. inv. 22245 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Questa oinochoe di bucchero sottile graffito è uno degli esemplari più antichi in Etruria sia per la decorazione, derivata da temi figu­ rativi qui giunti attraverso monumenti im­ portati dall'area siro-fenicia, sia per la sua provenienza dalle botteghe artigianali di Cerveteri, le prime a produrre bucchero sot­ tile. Tanto la forma, di probabile origine ci­ priota, quanto l'iconografia del fregio, con cavallo alato e cervo, sono diffuse principal­ mente in ambiente orientale. Prima m età del VII secolo a.C. Bibliografia: BoNAMICI 1974, p. 15 e pp. 87-91, n. 1, fig. 1, tav. 1 a-b.

Patrizia Aure/i 11J.

Kyathos Cerveteri (Roma), tumulo di Montetosto, camera 11 Bucchero. Decorazione excisa all'esterno e a rilievo all'interno Diam. 15 cm N. inv. 105050 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Il kyathos appaniene a una classe compren­ dente altri 8 esemplari: dalla tomba Calabre­ si ( almeno quattro) e dalla tomba 1 di S. Pao­ lo a Cerveteri, dalla tomba del Duce a Vetu­ lonia, da Monteriggioni e da Chiusi (CRJSTO­ FANI·BONAMICI 1972, p. 106 sgg.; BAGNASCO GIANN I 1993; CRJSTOFANI-Rizzo 1993). Si trat­ ta di una produzione ravvicinata nel tempo di vasi fortemente connessi tra loro: la com­ plessità della tecnica decorativa e delle raffi­ gurazioni e la presenza su alcuni di elaborate iscrizioni ne fanno un gruppo eccezionale nell'ambito delle più antiche produzioni in bucchero. In particolare il kyathos di Mon­ Ietosto, i due kyathoi Calabresi e quello

chiusino, con scene di cacce mitiche, sono opera di uno stesso anista che mescola moti­ vi orientali in scene di assoluta originalità. I vasi furono prodotti nella stessa bottega del­ la kotyle a rilievo dallo stesso corredo (cat. 231 ) e dei buccheri dalla tomba Calabresi. 660-650 a.C. Bibliografia: CRISTOFAN I - BONAMICI 1972, p. 107, n. 12, tav. XIXd-e; RAsMUSSEN 1979, p. 114, n. 1, figg. 197, 418, 422 sgg. ; Rizzo 1 989b, p. 159; BAGNASCO GIANNI 1996, p. 248, nota 7·

Ferdinando Sciacca

224· Kantharos Etruria meridionale. Acquisito nel 1892 dalla collezione Ancona, Milano Bucchero graffito H. con anse 21,3 cm, h. senza anse 13,4 cm, la. 28,7 cm, diam. 18,7 cm N. inv. V.I. 3224 Berlino, Staatliche Museen , Antikensarnnùung Il kantharos, stando al registro inventariale, avrebbe contenuto «ossa combuste>>, come indicato anche per gli altri vasi della colle­ zione Ancona. Degna di nota, nella decorazione graffita, è la rappresentazione, accanto ai grifi e alle sfingi, di uno struzzo e di un uccello appog­ giato su un fiore di loto. L'ornamentazione delle anse ( riquadri pun­ tinati campiti da motivi a rotellatura), insie­ me con alcune caratteristiche della forma (margini delle anse rilevati, carena della va­ sca a spigolo vivo e baccellata) rinviano chia­ ramente a prototipi metallici. 620 a.C. circa. Bibliografia: BONAMICI I974, pp. 43 sg., 177 sgg., n. 52, tav. 25; HEILMEYER 1988, p. 203, n. 2.

Ursula Kiistner

Questi due calici di bucchero, provenienti dal­ lo stesso corredo, sono simili neUa forma (tipo Rasmussen z), ma presentano diversa decora­ zione graffita. Trovano confronti a Cerveteri nei corredi deUa tomba deUa Cornacchiola e deUa tomba Regolini-Galassi, oltre che in alcu­ ni esemplari della collezione Castellani. Terzo quano del VII secolo a.C. Bibliografia: Rizzo 1990, p. 53, figg. 50-51 .

Patn'zia Aure/i

227. Coppia di calici su piede Veio (Roma), necropoli di Monte Michele, tomba D Bucchero H. 12,7 cm, diam. bocca 14,51i5,3 cm Nn. inv. 81513, 81517 Firenze, Museo Archeologico Nazionale I due calici, di forma simile (tipo Rasmussen za) si distinguono per la diversa decorazio­ ne: il primo esemplare presenta una consue­ ta decorazione a linee trasversali e venta­ glietti impressi, mentre il secondo offre una più ricca decorazione incisa con motivi tratti dal repertorio orientalizzante. Quest'ulti­ mo, per le caratteristiche stilistiche (campi­ tura con linee a tremolo) e iconografiche (toro a corna alzate, felino che lascia pende­ re dalle fauci una gamba umana, cervo con foglia sporgente dalla bocca) viene concor­ d e m e n t e att r i b u i t o a fabbrica v e i e n t e ; l'aspetto fenicizzante d i alcuni elementi de­ corativi, non rintracciabile nella successiva produzione, lo pone fra i più antichi esem­ plari delle officine di Veio (CRJSTOFANI 1 969, pp. 64-66; BoNAMICI 1974, pp. 139-140). 63o-6zo a.C. Bibliografia: CRJSTOFANI 1 969b, p. 32, nn. 10 e 14, tav. XIV, nn. 1-2; BONAMICI 1974, p. 25, n. 22 e pp. 139-140.

Anna Dore

225-226. Due calici

:z.:z.8. Calice a cariatidi

Cerveteri (Roma), necropoli di Monte Abatone, tomba 4 Bucchero H. 16 cm, diam. bocca 15,6 cm; h. 16,2 cm, diam. bocca 16,2 cm Nn. inv. 87948, 87950 Cerveteri, Museo Nazionale Ceri te

Collezione Pesciotti Bucchero. Decorazione a stampo e a incisione H. 21,8 cm, diam. bocca 19 cm N. inv. 74923 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

208

Derivato da più antichi esemplari greci in pietra e ceramica, questo vaso potorio è fre­ quentemente attestato in contesti funerari di personaggi di rango. Il tipo appare soprat­ tutto diffuso nei centri dell'Etruria meridio­ nale, donde viene esportato nel Lazio e in Campania. In particolare l 'es emplare in questione per la fanna della base (cupolifor­ me cava con pinnacolo modanato non colle­ gato al fondo della vasca) e la decorazione dei sostegni (donna con polos, coppia di gri­ fi gradienti) è inquadrabile in una numerosa serie di esemplari ( CAPECC I I I - G U N N ELLA 1975, p. 66 sgg., gruppo IV Dal ed è ricondu­ cibile a officina ceretana. 63o/6zo- 58o/570 a.C. Bibliografia: Roma 1 97 5 , p. 1 8 9 s g . , n. 1 8 (A.M. Sl;UBINI MoREITI ) ; PRoiETTI 1980, p . 206 sg., n. 266.

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Anna Maria Morelli 5gubini 119·

Calice a cariatidi Forse da Tarquinia (Viterbo), collezione Bruschi Bucchero H. 1 2 ,5 cm, diam. bocca 14 cm N. inv. RC 787 Tarquinia, Museo Nazionale Archeologico L'applicazione posticcia delle statuine anti­ che al calice imita la composizione dei calici a cariatidi, classe di buccheri derivata dai più antichi calici di avorio e diffusa in Etru­ ria meridionale tra 625 e 570 a.C. circa (CA­ PECCHI-GU NNELLA 1 975; SALSKV RoBERTS 1988, con bibliografia). La decorazione fan­ tasiosa e affrettata di questo vaso include un notevole bestiario di animali reali e non Oe­ pre, cavallo, pantera, leone divoratore di uo­ mini, sfinge, grifone), che sembra ispirato, oltre che ai fregi graffiti sul bucchero, alla coe,•a pittura vascolare di imitazione prato­ corinzia, probabilmente di ambito vulcente. Fine del VII-inizi del VI secolo a.C. Bibliografia: BoNAMICJ 1974, pp. 65 sg .. 188 sg.. n. 92, tav. XLVI.

Ferdinando Sciacca

[ 2 2 8]

[z nl

230. Kotyle Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia, tumulo 1 1 , camera degli Alari Bucchero H. 9,5 cm, diam. bocca 1 2 , 1 cm, diam. base 4,2 cm N . inv. zu6o Roma, Museo N azionale Etrusco di Villa Giulia La camera degli Alari ha restituito un corre­ do di oggetti d'ornamento femminili accom­ pagnati da un ricchissimo apparato di uten­ sili per il banchetto, comprendente s t r u ­ menti per l a preparazione delle carni (bacili, alari, spiedi, coltello) , e per il consumo del vino (anfore chiote e fenicie, vasellame pro­ tocorinzio, d'impasto e soprattutto di buc­ chero: Rtcc1 1955, col. 329 sgg . ; Rizzo 1990, pp. 13, 16). La kotyle protocorinzia, tradotta dalla seconda metà dell 'VIli secolo a.C. nella ceramica iralo-geomerrica, in impasto bruno e in metallo (BJETTI SESTIERI 1992b, p. 338; C.\RAFA 1995, p. 79 sg. ) , viene imitata in buc­ chero a panire dal secondo guano del vn se­ colo, dapprima in maniera fedele, poi, come in questo caso, con una forma più apena e decorazioni non pertinenti all 'originale lventaglietti, incisioni verticali ) . 640-630 a.C. Bibliografia: Rtcu 1 955, col. 341, n. 85; H1R­ SCI ILAND RAMAGE 1970, p . 23, fig. Il, 2 ; RA­ SMUSSEN 1979, p. 94·

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Ferdinando Sciacca

231. Kotyle Cerveteri (Roma), tumulo di Monterosto, camera II Bucchero. Decorazione a rilievo H. 9,7 cm N. inv. 105041 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia La kotyle è opera di un artigiano dallo stile fantasioso e affrettato, che ha decorato an­ che una pisside e una olletta dalla tomba Ca­ labresi di Cerveteri (PARETI 1947, pp. 368 sg. e 380, nn. 402 e 440, tav. LV sg.; CRISTOI'ANI­ BoNAMICI 1972, p. 102 sg., nn. 2 , w). Gli og­ getti fanno parte della produzione di una

[z}Z]

2 10

bottega ceretana operante attorno alla metà del VII secolo a.C., specializzata nella crea­ zione di buccheri a rilievo e piccola statuaria in bucchero ( t ra cui il noto ask6s-ampolla con auriga): una produzione elitaria e tecni­ camente complessa, limitata perciò a un nu­ mero ridotto di esemplari, che non perdurò alla veloce affermazione del bucchero nei gusti di un ceto sempre più ampio di com­ mittenti e alla relativa standardizzazione del­ le produzioni. 660-650 a.C. Bibliografia: CRISTOrANI-BONAMIU 197 z . p. lOZ sg., n . Il, tav. XX; RASMUSSEN 1979, p. I Z , n. z , figg. r z r e 416 s g . ; Rrzzo 1989b, p . 1 59, tav. !Vb; M ARTELLI 1995, p. 1 5 , tav. XV, I.

Ferdinando Sciacca

131·

Kyathos Cerveteri (Roma), tumulo di Montetosto, camera II Bucchero H. 1 5 Cm N. inv. 105044 Roma, M useo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

133 .

An/ora etrusco-corinzia Cerveteri (Roma), collezione Castellani Argilla H. 74 cm N. inv. 348 Roma, Musei Capitolini Prodotto della ceramografia etrusco-corin­ zia, rientra nel vasto gruppo degli Anforoni Squamati, così denominato in virtù della ca­ ratteristica decorazione graffita a squame che copre i registri non figurati. I numerosi vasi appartenenti a questo gruppo, tuili di grandi dimensioni (finora se ne conoscono poco più di 1 50 esemplari ) , furono eseguiti da un' unica bottega, localizzabile con cer­ tezza a Cerveteri e attiva tra il 630 e il 580 a.C. L'anfora in questione è ascrivibile anco­ ra alla prima fase produttiva dell'officina. caratterizzata dall'uso di fregi animalistici in stile miniaturistico, direttamente derivati dai modelli del Tardoprotocorinzio e del Corin­ zio Transizionale. 630-610 a.C. Bibliografia: MARTELLI 1987, p. 74, n. 55, fig. a p. 105; SzJLÀGYI 1992, p. 1 3 5 , n. 65, entrambi con ampia bibliografia precedente.

Marinella Marchesi Il tipo vascolare, usualmente associato a se­ polture di prestigio, è documentato in Etru­ ria e nel Lazio dagli inizi del VII secolo a.C. nelle versioni in ceramica italo-geometrica e subgeometrica ( Milano 1980, p. 8 1 , con bi­ bliografia), in impasto bruno ( B J ETII SEsTIE­ RI 1992b, p. 344. con bibliografia) e raramen­ te in bucchero (R.-\SMUSSEN 1979, p. r z z sgg.). L'esemplare di Montetosto costituisce, as­ sieme all 'elegante coppetta della tomba z del ceretano t u m ulo della N ave ( f i renze 1985, p. 93, n . 3 - 1 2 . 9 ) . l'esempio più antico nel bucchero di questa forma. La rarità del tipo rispetto al più diffuso calice sembra destina­ re la coppetta, all'interno del banchetto, al contenimento di bevande o sostanze parti­ colari. Secondo quano del vn secolo a.C. Bibliografia: Rizzo 1989b, p. 159.

Ferdinando Sciacca

134·

An/ora etrusco-corinzia Tarquinia ( Viterbo), necropoli dei Monterozzi, tomba 3034 Argilla depurata. Decorazione a incisione con suddipintura bruna H . 47,2 cm N. inv. 73800 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia L'anfora appartiene all'opera del pittore Jei Cappi, uno dei maestri del gruppo di Monte Abatone, che inaugura attorno al 630 a.C. la pittura vascolare etrusco-corinzia (SZJLtÌ> da focolare; servivano, du­ rante la cottura della carne, da sostegno per gli spiedi. Intorno alla metà del VII secolo a. C Bibliografia: FALCIII 1900, p. 480, fig. 12. Lucio Pognini

147·

Spiedi Vetulonia (Grosseto), Cerrecchio, Circolo del Tritone Bronzo fuso Lu. 75,5 e 77 cm, la. testa 1 ,5 e 2 cm Nn. inv. 6683, 6686 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Gli spiedi compaiono nei corredi etruschi a partire dalla seconda metà dell 'viii secolo a.C.; di solito lunghi un metro, in bronzo o in ferro, sono connessi alla preparazione del pasto funebre, come attrezzo per la cottura dell'animale sacrificato. Sono stati trovati in tutta l'area mediterranea, definiti obeloi o obelikoi dai Greci e verna dai Romani. Intorno alla metà del VII secolo a.C. Bibliografia: FALCHI 1900, pp. 479-480, fig. 1 2 . Lucio Pognini

[245]

248. Paletta

218

Vetulonia (Grosseto), Cerrecchio, Circolo del Tritone Bronzo fuso Lu. 6o cm N. inv. 6680 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Connessa alle funzioni sacrali del fuoco. Intorno alla metà del VII secolo a.C. Bibliografia: FALCI Il 1900, p. 480, fig. 12. Lucra Pagnini

Vetulonia (Grosseto), Cerrecchio, Circolo del Tritone Bronzo fuso Lu. 50 cm N. inv. 6679 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

[248]

Il corredo funebre da cui proviene queslo strumento da fuoco è ricco di valenze reli· giose e simboliche: oltre all'intero «servizio da focolare» (alari, spiedi, molla e palena. cat. 246·249) sembra di poter riconoscere lo strumento sacrificale nel «grosso coltellac· cio a larga e lunga lama di ferro>>; tra gli o�· getti metallici caratterizzanti il prestigio e il ruolo sociale del defunto, è ripetutamente rappresentata la figura umana stilizzata ( re�· givasi, ansa, morsi di cavallo) . Una g rossa conchiglia (tritone) era deposta dentro una ciotola di bronzo. Intorno alla metà del \'Il secolo a.C. Bibliografia: FALCI II 1900, p. 480, fig. 12. Lucia Pagnini

[249 1

:z.so.

Coppa

Palestrina (Roma) Oro H. 7.4 cm, diam. 10,8 cm N. inv. 241- 1 894 Londra, Victoria and Albert Museum Del tutto sconosciuti sono i dati riguardanti il contesto di rinvenimento, se si eccettua la

notizia dell'acquisto della coppa avvenuto a Roma nel 1894, da parte del Dr. Middleton

per conto del Victoria an d Albert Museum di Londra dalla signora P. Franchi, che atte­ stava la provenienza del prezioso vaso da una tomba a camera di Palestrina. Costituita da due lamine d'oro, una esterna decorata da 23 baccellature e da una fitta rete di motivi geo­ metrici e vegetali eseguiti a granulazione, e una interna liscia e assai più sottile, fissata suUa lamina esterna mediante una ribattitura presso l'orlo, la coppa del Museo londinese rappresenta uno dei capolavori dell'orefice­ ria etrusca. Se la forma, che non trova paral­ leli in ambito etrusco e greco, ricalca prototi­ pi orientali, noti a Nimrud o a Kourion (Ci­ pro) l \'oN HASE t974, pp. 96-97), la ricca de­ corazione a granulazione rimanda alle raffi­ nate realizzazioni rinvenute nelle tombe pri­ cipesche di Cuma (Fondo Artiaco, tomba 104l. Cerveteri (Regolini-Galassi), Palestrina I Bernardin i ) , testimoniando la produzione locale del prezioso recipiente, forse a opera di maerranze orientali stabili tesi in un centro dell'Etruria meridionale. 68o-66o a.C. Bibliografia: BECATTI 1955, p. 71, tav. 11; \'ON H.-ISE 1974. pp. 85-104; AA.VV. 1988, fig. 402. Laura Minarini 151 ·

Coppa Comeana ! Firenze) , tumulo di Monrefortini, tomba A \'erro blu. Realizzata a matrice H. 7,5 cm, diam. bocca 17 cm, diam. fondo i- 9 cm. spess. o,z/o,6 cm N. inv. 194765 Firenze. Soprintendenza Archeologica per la Toscana forma emisferica con orlo diritto ad alta fa­

scià liscia, distinta; vasca esternamente de­

corata a cosrolature rilevate, parallele, che si dipartono dal fondo, apodo, con tondo cen­ trale distinto. Questa straordinaria coppa non doveva es­ sere isolata nell'ambito del tumulo perché altri frammenti analoghi di vetro baccellato sono stati rinvenuti nella tomba a pianta ret­ tangolare.

Per la decorazione baccellata può ricordare una coppa di vetro da Gordion, probabil­ mente dell'ultimo quarto dell'VIli secolo a.C. I O PI'L' i" I I E I �I - B Rt L L - B A RM ; -v>

Cerveteri (Roma), collezione Campana Argilla H. 46 cm, diam. max. 46,5 cm N. inv. Cp H (E 635) Parigi, Musée du Louvre

[z s z]

Registro superiore, lato A: Eracle presso Eury· tios; lato B: combattimento tra opliti. Registro inferiore, lati A e B: corsa di cavalieri. Banchetto e symposium occupavano un posto di privilegio nella vita e nei costumi funerari dell'aristocrazia etrusca. È a queste cerimonie che sono soprattutto destinati i primi crateri corinzi: tali vasi, utilizzati per mescolare vino e acqua, sono stati ritrovati a Cerveteri in maggiori quantità rispetto a qualsiasi altra lo­ calità. Questo cratere si distingue dagli altri come opera d'eccezione in vinù delle dimen· sioni, delle iconografie di carattere mitologi· co e delle numerose iscrizioni che dovevano facilitare la comprensione delle immagini alla clientela occidentale. Fabbrica corinzia, Corinzio Antico, 6oo cir· ca a.C. Bibliografia: A�IYX 1988, p. 147, n. I Z , ta v. s-. t A, tB, tav. 34, 3; DE LA GENIÈRE 1988, pp. 84· s s . fig. 1 . FrançoiJe Gaufllt'T

v.

IL PRINCIPE: STILE DI VITA E MANIFESTAZIONI DEL POTERE

222

[ cat. 15il

REGALITÀ E POTERE

Nella sua Storia di Roma arcaica Dionisio di Alicarnasso riferisce che Lucio Tarqui­ nio (re di Roma fra il 616 e il 578 a.C. secon­ do la cronologia tradizionale) ricevette da­ gli Etruschi, al termine di una guerra con­ tro di essi protrattasi per ben nove anni, le insegne del potere supremo utilizzate dai loro re; aggiunge inoltre che, secondo altri, Romolo avrebbe già fatto uso di alcune di quelle insegne. Queste notizie, con alcune variazioni, sono sostanzialmente riportate anche da Strabone nella sua Geografia e da Plutarco nelle Vite parallele, là dove tratta di Romolo e di Numa Pompilio (i cui regni secondo il computo tradizionale si colloca­ no tra il 753 e il 716 e tra il 715 e i1 672 a.C. ) . Dato l'interesse d i queste notizie s i riporta­ no qui per esteso i passi ad esse relativi: «Avute queste risposte gli ambasciatori [dei Tirreni] partirono e dopo pochi giorni erano già di ritorno, recandogli non solo nude parole, ma anche le insegne della su­ premazia, con le quali essi adornano i pro­ pri re: una corona d'oro, un trono d'avo­ rio, uno scettro con alla sommità l'aquila, una tunica di porpora con fregi in oro e un mantello di porpora ricamato, proprio co­ me lo indossavano i re della Lidia e della Persia, con la differenza che questo era di forma semicircolare e non rettangolare co­ me il loro. [ ... ] Gli recarono anche, come narrano alcuni, dodici scuri, prendendone una per ogni città. Sembra infatti che fosse un'usanza dei Tirreni che il re di ogni città camminasse preceduto da un littore recan­ te un fascio di verghe e una scure. Quando poi si effettuava una spedizione comune delle dodici città, le dodici scuri venivano consegnate a colui che rivestiva in quell'oc­ casione il potere supremo. Non tutti però concordano con quanti affermano ciò, ma altri sostengono che, ancor più anticamen­ te del regno di Tarquinia, dodici scuri pre­ cedevano l'incedere dei re e Romolo avreb­ be istituzionalizzato questa usanza al mo­ mento di assumere la sovranità. Nulla però impedisce che essa fosse stata ideata dai Tirreni e che Romolo per primo l'avesse presa da loro, applicandola poi a se stesso, e che a Tarquinia fossero state recate, as­ sieme agli altri ornamenti regali, anche le dodici scuri. [ ... ] Tarquinia non si avvalse di questi onori immediatamente nel mo­ mento in cui li ricevette, come scrive la maggior parte degli storici romani, ma af-

fidò al senato e al popolo la decisione se fossero ammissibili e solo li accolse allor­ ché si espresse la volontà generale. Per tut­ to il tempo della sua esistenza portò dun­ que una corona d'oro, indossò una veste di porpora ricamata, tenne uno scett ro in avorio e dodici littori recanti le scuri con le verghe gli stavano intorno se amministrava la giustizia, e lo precedevano se cammina­ va. Dopo il regno di Tarquinio, tutto que­ sto insieme di onori fu riservato anche ai suoi successori e, dopo la cacciata dei re, ai consoli annuali, ad eccezione della corona aurea e della veste ricamata d 'oro; questi due soli onori furono poi esclusi poiché apparivano volgari e odiosi, mentre vengo­ no considerati opportuni solo quando i consoli riportano un trionfo decretato dal senato: in tal caso portano ornamenti aurei e rivestono porpore ricamate>> (DtoNtSIO DI ALICARNASSO, Storia di Roma arcaica II I , 616 2 , traduzione di F. CANTARELLI) . «Si dice che anche l e insegne dei trionfi e quelle dei consoli e in generale dei magi­ strati furono portate a Roma da Tarquinia e così pure i fasci, le asce, le trombe, e i riti sacrificali e la divinazione e tutta la musica di cui fanno uso in Roma nelle pubbliche manifestazioni>> (STRABONE, Geografia v, 2 , 2, traduzione d i A . M BtRASCIII). «Questa [contro Veio] fu l'ultima guerra combattuta da Romolo. Neppure lui riuscì ad evitare che gli accadesse ciò che accade a molti, anzi a quasi tutti coloro che grandi ed impreviste vicende elevano ad alta po­ tenza ed onori. Incoraggiato dalle sue im­ prese a concepire una più alta considera­ zione di sé, abbandonò i modi democratici e piegò verso la monarchia, rendendola odiosa fin dalla foggia del vestito che as­ sunse come uniforme, consistente in una tunica scarlatta e una toga orlata di porpo­ ra. Quando dava udienza, stava assiso su un seggio con lo schienale piegato all'in­ dietro; attorno a sé teneva sempre dei gio­ vani, chiamati Celeri per la prestezza con cui assolvevano i loro compiti, mentre altri lo p recedevan o , armati di b a s t o n i , per aprire un varco tra la folla, e con delle cor­ regge avvolte ai fianchi, per ammanettare sui due piedi chiunque, ad un suo cenno. [ ... ] Le guardie che portano i bastoni sono chiamate lictores >> (PLUTARCO, Vita di Ro­ molo XXVI, traduzione di C. CARENA ) . ...

«Numa riuscì eletto all'unanimità. Furono

portate le i n segne rega l i , ma egli volle aspettare prima di rivestirle, dicendo che bisognava che la sua nomina fosse sanzio­ nata anche da Dio; e presi con sé indovini e sacerdoti salì al Campidoglio, allora chia­ mato dai Romani Colle Tarpeo. [ ... ] Da de­ stra sbucarono e si avvicinarono degli uc­ celli propizi: Numa finalmente indossò il manto regale e scese dalla rocca verso il popolo . . . >> ( PLUTARCO, Vita di Numa VII, traduzione di C. CARENA) . Le fonti c u i attinsero g l i storici dell'età classica erano dunque concordi nell'attri­ buire un'origine etrusca ai simboli del po­ tere utilizzati dai re di Roma, in parte poi recepiti dai magistrati della repubblica (j ANNOT 1993, con riferimenti anche ad altri autori antichi e alla documentazione ico­ nografica e archeologica). Incertezze sussi­ stevano solo in relazione alla maggiore o minore antichità della introduzione a Ro­ ma di quelle insegne di regalità, con oscil­ lazioni fra l'età romulea - vale a dire la se­ conda metà dell'VIII secolo a.C. - e quella del primo Tarquinio, nei decenni a cavallo fra VII e VI secolo a.C. Interessante in particolare è l'accostamen­ to fatto da Dionisio fra il manto regale de­ gli Etruschi e quelli dei re della Lidia e del­ la Persia; esso pare infatti alludere a una consapevolezza dello storico greco - nativo di Alica rnasso in Asia Minore - circa la possibile derivazione dall'Oriente delle in­ segne etrusche della regalità, derivazione in qualche modo implicita anche nell'uso della porpora per le vesti regali e dell'avo­ rio per i troni e gli scettri. È da sottolineare inoltre l'amplificazione contenuta nel testo di Strabone rispetto a quelli di Dionisio e di Plutarco: oltre che per le insegne del po­ tere, un'origine etrusca è affermata per al­ tri aspetti ed elementi della cerimonialità pubblica, dai riti sacrificali, alla divinazio­ ne, alla musica. Alcuni degli oggetti menzionati dagli stori­ ci di età classica come attributi tipici pres­ so gli Etruschi della regalità e del potere trovano in effetti vario riscontro nella do­ cumentazione archeologica dell'Etruria e di aree etruschizzate, per lo più in corredi funerari che per la loro straordinaria ric­ chezza - cui s'accompagna talvolta la parti­ colare imponenza delle strutture architet­ toniche dei sepolcri - ben possono essere qualificati come «regali>> o «principeschi>>. Fra le numerose testimonianze esistenti al

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riguardo vengono esposti asce cerimoniali singole o riunite a formare gruppi di due o più esemplari (cat. 268-273), un fascio litto­ rio con bipenne (cat. 278), riproduzioni in bucchero di bipenne ( cat. 2 7 9 - 2 8 0 ) , una scure associata a una «tromba-lituo» e a uno scudo in un deposito votivo tarquinie­ se (cat. 274-277), materiali tutti variamente databili nell'ambito del VII secolo a.C. Più incerta è la documentazione relativa al­ le altre insegne regali menzionate da Dio­ nisio di Alicarnasso. Assimilabili a corone sono probabilmente alcune sottili lamine d'oro o d'argento a forma di losanga allun­ gata e variamente decorate: considerate or· namenti del capo - «diademi>> - sono pre­ senti in alcuni ricchi corredi femminili di età orientalizzante ed eccezionalmente - a Cuma e forse a Vetulonia - anche in corre­ di pertinenti a soggetti maschili (STR0M 1971, p. 59, S I; p. 73, S 5}). Delle «tuniche di porpora con fregi in oro>> e dei «mantelli di porpora ricamati>> non si hanno, naturalmente, dirette testimonian­ ze archeologiche. Sottili lamine auree che dovevano guarnire capi d ' abbigliamento sono tuttavia documentate - a Tarquinia, a Veio e altrove - in corredi funerari di VIII e di VII secolo a.C. pertinenti anche a indivi­ dui di sesso maschile e sempre contraddi­ stinti da elementi che ne sottolineano l'ele­ vato rango sociale (CRISTOFANI-MARTELLI 1983, p. 30 sg., 4 2 ) . Quanto ai mantelli può proporsi un riscontro con quelli - signifi­ cativamente dipinti di rosso a richiamare il colore della porpora - delle statuette di Cerveteri dalla tomba delle Cinque Sedie (cfr. cat. 1 24-1 25) e con quello - indicato in modo estremamente sommario, quasi sim· bolico - che parrebbe indossare il perso­ naggio assiso in t rono del cinerario da Montescudaio (cfr. l'introduzione alla se­ zione 4 e cat. 206). Un mantello identico a quelli delle statuette ceretane caratterizza uno dei personaggi della tomba delle Sta­ tue di Ceri, contraddistinto anche dal ven· taglio o scettro impugnato nella destra, mentre l'altro, sprovvisto di mantello, ha in mano un oggetto plausibilmente interpre­ tabile come un lituo (CoLONNA-VON HASE 1986). Il riconoscimento di scettri non è spesso agevole o incontrovertibile; come scettro è stato da taluni interpretato un oggetto del­ la romba Barberini di Palestrina - ricchissi­ mo complesso del secondo venticinquen­ nio del VII secolo a.C. - costituito da una

colonnina d'oro con sovrapposto un boc­ ciolo di fiore, innestata su un elemento tu­ bolare d'argento con fusto scanalato, ap­ piattito e rastremato nella parte inferiore, forse originariamente ricoperta da una im­ pugnatura d'avorio (CRISTOFANI-MARTELLI 1983, p. 260, n. 28, con scetticismo sulla in­ terpretazione) . Da una tomba veiente attribuibile alla stes­ sa età proviene l'unico scettro riconosciuto con sicurezza: è formato da un bastone li­ gneo, lungo circa 65 centimetri, rivestito di lamine e di chiodi d'argento cui è applicato un pomo di bronzo fuso con intarsi in ferro a palmette fenicie. Il corredo si segnala per la presenza di numerosi altri indicatori di rango sociale: dal carro a quattro ruote usato per il trasporto funebre, al comples· so degli oggetti di ornamento personale in argento e oro, alle armi, ai flabelli, agli ar­ redi da banchetto ecc., all'urna di bronzo in forma di casa con tetto a doppio spio­ vente in cui erano raccolte, avvolte in un panno, le ossa del defunto (BoiTANI 1985). Dalle insegne della regalità ricordate dagli autori classici si è passati ad accennare ad altri indicatori di prestigio e di rango pre­ senti con più o meno relativa frequenza nelle tombe delle aristocrazie etrusche: li­ tui (cat. 277), flabelli (catt. 282-284), carri da trasporto funebre. Tra gli altri oggetti che pure potrebbero essere menzionati a questo riguardo un accenno va fatto ai tri­ denti metallici, materiali che hanno estesa documentazione fra il 111 e 1 millennio a.C. in particolare nel Vicino Oriente, in con­ nessione con la sfera del sacro e del regale e con ambiti di ritualità cerimoniale (Ros­ SONI 1998). A un tridente bronzeo rinvenu­ to a Vetulonia, deposto al centro della fos· sa lungo l 'asse longitudinale di una ricca tomba dell'Orientalizzante Antico (cat. 2 8 1 ) , si è aggiunto di recente un esemplare in ferro, ritualmente spezzato, ritrovato a Pisa in un singolare monumento a tumulo, interpretato come cenotafio ( BRUNI 1998b, pp. 106-11}). Informazioni preziose sulla regalità e sullo stile di vita delle aristocrazie sono offerte da Omero, in particolare nell' Odisseo (FIN­ LEY 1 978; CARLIER 1984; CARLIER 1 9 9 6 ) ; la diffusione e l'influenza che la poesia epica greca ha avuto tra i ceti egemoni dell'Etru­ ria le rende, verosimilmente, in parte ap­ plicabili anche alla realtà della società etru­ sca dell'avanzato VIli e del VII secolo a.C. Il re - basileus - è in Omero il capo di una

Scettro (?) d'argento e d'oro e particolare dell'estremità superiore, da Palestrina (Roma), tomba Barberini, secondo quarto del VII secolo a.C. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

comunità politica, per lo più di ridotta estensione territoriale; il suo potere, spesso ereditario e simbolizzato dal possesso dello scettro, implica, oltre a quelle propriamen­ te politiche, funzioni religiose, m ilitari, giudiziarie. Al re compete decidere sulle proposte avanzate dagli anziani nelle as­ semblee, anche in disaccordo con essi e contro il parere eventualmente manifestato dal popolo; egli vigila inoltre a che si com· piano i riti prescritti in onore delle divi­ nità, conduce l'esercito in guerra, dirime le dispute. L'attività del re non è interamente assorbi· ta dalle sue funzioni pubbliche: egli infatti sovrintende - sia personalmente che me­ diante ministri, salariati e servi - al proprio oikos, vale a dire a tutto ciò che concerne la propria casa, i suoi beni, le persone che di­ morano presso di lui o sulle sue terre. Anche se il re non è necessariamente il più saggio nei giudizi, il più avveduto nei com­ portamenti, il più valoroso in guerra, la sua autorità e il suo potere si fondano comun­ que sul p restigio personale, legato in parte alle qualità individuali, in parte all 'anti­ chità e nobiltà del lignaggio, alle ricchezze, alle relazioni sociali, al favore degli dei. Di qui l'esibizione da parte del re di tutto ciò che può confermarne e rafforzarne il pre­ stigio: un'ampia e ricca dimora aperta ai conviti aristocratici, lauri banchetti con ab­ bondante consumo di cibi carnei e di vini pregiati fra musiche e canti, suppellettili e arredi sontuosi, scambi di doni preziosi ecc. Le ricchezze del re sono quindi espressio­ ne, e in una certa misura fonte, dell'auto­ rità di cui egli gode; basate essenzialmente sull'agricoltura e sull'allevamento, esse so· no strettamente legate ai possedimenti ter­ rieri - sia ereditari che connessi con la fu n· zione regale - ma sono anche considerevol· mente incrementate da prede belliche, da razzie, da tributi, da doni, da scambi (occa· sionali: le attività esplicitamente mercantili non si addicono alla nobiltà) . Il re omerico non è un monarca assoluto: i l suo regno si fonda in parte su prerogative ereditarie, in parte sul consenso dei signori dei vari oikoi, componenti di quel ceto ari­ stocratico il cui stile di vita non si differen­ zia sostanzialmente da quello del re e anzi manifesta aspetti emulativi nell'esibizione di ricchezze e nella pratica cerimoniale de­ gli scambi di doni. Quanto ci è noto delle aristocrazie etru-

sche del tardo VIII e del VII secolo a.C., so· pratt utto att raverso la rappresentazione che esse stesse hanno dato di sé negli usi e costumi funerari, restituisce l'immagine di una società il cui stile di vita trova validi termini di confronto in quella descritta da Omero: dall'esibizione di uno spiccato or­ goglio gentilizio, all'accumulo e ostenta­ zione di beni preziosi, alle pratiche cerimo­ niali del banchetto e dello scambio di doni, all'enfasi posta sulla virtù guerriera, a certi elementi dei rituali funebri ecc. I materiali esposti in questa e in altre sezioni della Mostra intendono nel loro complesso do· cumentare e illustrare questi aspetti. Filippo De/pino

LA GUERRA E LA CACCIA

A rmamento Sin dalle più antiche rappresentazione di figure umane preistoriche il capo è rappre­ sentato come guerriero. Anche nell'Antico Testamento Dio è celebrato come un po­ tente guerriero, l 'eroe in b attagli a , che sconfigge i nemici d'Israele ( Esodo 1 5 , 1-3; Salmo 24, 8). Anche tra gli Etruschi, sin dall'inizio della fase villanoviana come ci documentano i corredi funerari, appare esaltato il ruolo del guerriero. Dapprima gli elmi sono del tipo pileato, gli scudi probabilmente ovali (BARTOLONI · DE SANTIS 1 9 9 5 ) e le spade di bronzo sono prerogativa di pochi. Nella seconda metà dell'viii secolo perso­ naggi eminenti delle diverse comunità ven­ gono seppelliti con alti elmi crestati ( cat. 259), grandi scudi circolari decorati a sbal· zo (car. 2 6 2 ) , corte spade (cat. 266) e pe· santi lance con puntali di bronzo, simbo­ leggianti un tipo di combattimento corpo a corpo (cat. 264-265). Un'immagine di que­ sto a rmamento lo possiamo trovare nel poemetto L o scudo di Eracle attribuito sembra erroneamente a Esiodo e riecheg­ giante Omero: «Impugnò quindi l'asta po­ derosa che aveva la punta di fulvo bronzo. Poi si posò sulla testa un possente elmo di raro lavoro d'acciaio, bene adatto alle tem­ pie e fatto per proteggere il capo del divino Eracle. Con le mani prese alfine lo scudo smagliante che mai alcun colpo non aveva rotto né ammaccato, mirabile da vedere». (vv. 1 3 5-140, traduzione di L. MAGUGLIANI ) . U n a illustrazione di u n duello tra guerrieri

così addobbati si può riconoscere nella scena centrale della grande fibula a disco da Vulci (necropoli di Ponte Sodo) aii'An­ tiken s a m m l u ngen di Monaco dove due guerrieri elmati con spada corta e scudo si fronteggiano. Come ha sottolineato Peter Stary nella sua monumentale opera sull'armamento e sulle tecniche di combattimento in Italia centra· le (ST ARY 1981) verso la fine dell'viii secolo a.C. gli Etruschi abbandonarono le arma· ture in uso nella prima età del Ferro e so­ prattutto tra 725 e 675 subirono nelle tecni· che di combattimento una forte influenza orientale. lnnanzitutto l'uso del carro velo­ ce, veicolo preferito dai personaggi emi· nenti nelle raffigurazioni di guerra e di cac­ cia dei palazzi assiri o nei fregi del prezioso vasellame di produzione orientale (ciprio­ t a ) rinvenuto nelle tombe principesche dell'Italia centrale. È stata avanzata l'ipote­ si (STARY 1980) che inizialmente siano stati importati anche i cavalli. Stary ha considerato anche il carro ( cat. 343) legato all'armamento del ceto egemo­ ne. Solo le deposizioni appartenenti a per· sonaggi emergenti possiedono ricche pa­ noplie (probabilmente da parata) accom­ pagnate dal carro a due ruote, di norma una biga (Viterbo 1997). Queste tombe te­ stimoniano chiaramente una concezione eroica della guerra , secondo la quale il guerriero raggiunge il campo di battaglia sul suo carro, per affrontare il nemico in un duello a morte. Coldstream ha dimostrato come la rappre­ sentazione del guerriero sul carro già nella ceramica geometrica sia un esempio di ar­ caismo. Carri erano usati nella guerra in epoca micenea, ma erano già obsoleti nei combattimenti egei: nell'Iliade la funzione principale era trasportare il guerriero den· tro e fuori la lotta, ma ciascuna presenza di un carro nelle scene di battaglia in periodo geometrico deve essere ragionevolmente attribuita a influenze epiche. Dopo l'età del Bronzo la funzione del carro in guerra è alquanto ambigua: se venne mai utilizza­ to per attività belliche, queste dovettero li­ mitarsi al trasporto dei guerrieri più i m · portanti (e facoltosi). In tal modo deve essere ad esempio letta anche la scena sul lebete d'argento dorato della tomba Bernardini di Palestrina, di produzione probabilmente cipriota (CAN· CIANI-VON HASE 1979, pp. 36-37, n. 16), dove guerrieri sfilano sul carro, a cavallo e a pie-

Fzhula d'oro a disco, da Vulci (Viterbo), 6;o a.C. circa. Monaco, Antikensammlungen.

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d i , m a combattono a piedi. In talune raffigurazioni etrusche di tardo \'Il e di fine \'l secolo a.C., come il cosiddet­ to sostegno di Murlo, accanto al carro in sosta montato dal solo auriga h a luogo il combattimento. Le fon t i iconografiche etrusche (gruppo più antico di fregi figura­ ti di Cerveteri, di Tusca n i a , di Veio, d i Poggio Buco, di Roselle e di Tarquin i a ; monumenti , quali l e uova d i st ruzzo o le piss idi e b u r n e e ) m o s t r a n o l'uso cerimoniale del carro da guerra, con il condottiero che, armato di tutto punto, sale sul carro con l'auriga oppure ne è tra­ sportato, entro un corteo di «apparitori e seguaci>> (COLONNA 1997, p. 1 7 l . Tali fregi appaiono come i testimoni attardati di que­ sto mondo aristocratico che conosce il suo apogeo nel VII secolo a.C.: dobbiamo con­ siderarle rappresentazioni che rispecchia­ no una realtà, uno stile di vita aristocratico che vediamo introdotto in ambiente tirre­ nico nel secolo precedente. Infatti queste scene devono essere inquadrate nella pro­ spettiva più ampia dell'arrivo nelle comu­ nità tirreniche di stili di vita di derivazione greca e orientale, che la documentazione archeologica ci indica come tratto distinti­ vo della classe a ristocratica. Quello che colpisce nella diffusione di questo schema decorativo è l'esaltazione del carattere mi­ litare del «signore», caratteristica che noi r i s c o n t r i a m o , c o m e si è d e t t o , a n c h e nell'analisi delle necropoli dall'inizio della fase orientalizzante. L'immaginario affidato a queste tombe mette in rilievo il rango elevato del defun­ to, la sua condizione aristocratica, e sotto­ linea soprattutto la distanza che lo separa dalla classe dei clienti o dei servi. Per quanto riguarda lo schema con carro e soldati, più studiosi hanno suggerito che queste scene possano contenere un'allusio­ ne al trionfo, una sorta di corteo vittorioso (CI IATEIGNER 1989 ). Jannot li precisa come cortei e pompae dove bisogna probabi l ­ mente riconoscere dei trionfi privati, colle­ gando queste immagini, peculiari dell'am­ biente tirrenico, a pratiche di guerra priva­ ta e di attività militare del clan gentilizio (_h:-.::-.:oT 1985 ) . Queste truppe singolari ed eterogenee sarebbero manifestamente con­ t igen ti di milizie familiari: sembrerebbe quindi che certe attività militari siano de­ volute al gruppo familiare, fuori della città. Appare in ogni modo probabile un collega­ mento delle raffigurazioni delle lastre con Lebete d'aryptlo doralo, da Pale.rlrintl (Roma), tomba Bernardim� .recondo quarto dd \'Il .reco/o a.C. Roma, Mu.reo Na:.ionall' Etrusco di Villa Giulia.

Stele funeraria di Aule Feluske, da Vetulonia (Grosseto), necropoli Bambagini, fine del l'li secolo a.C. Firenze, Museo Archeologico Nazionale.

il rituale «antichissimo, molto verosimilmente panitalico del thriumphus». Torelli (ToRELLI 1997a) ha mostrato come è probabile che in uno stesso monumento due scene simili ma contrapposte possano indicare i due momenti della celebrazione militare, la partenza e il ritorno del guerriero vincitore: esemplificative le lastre di Tuscania (SGUBINI MoRETir-RiccrARDI 1993) con l'attributo del lituo in diversa e significativa posizione_ Dalla seconda metà del VII secolo alcuni elementi dell'armatura sono ricollegabili a quelle degli opliti greci: elmi corinzi, scudi a due maniglie, schinieri, spada corta e al­ meno tre lance. Difficilmente questo tipo di armatura è però completa, ma troviamo associate armi locali e greche: esemplifica­ tiva la stele di Aule Feluske di Vetulonia ( necropoli Bambagini ) , dove il guerriero con capo coperto da elmo corinzio, i m ­ braccia u n o scudo di tipo oplitico, ma im­ p ugna una s c u re t i p icamente etrusca, e certamente non idonea nei combattimenti a schiera. Stessa associazione mista si trova nella tomba a tholos di Casaglia presso Pi­ sa: elmo etrusco, lance, corazza, schinieri e scudo di tipo greco (MINGAZZINI 1934)_ Es­ senzialmente elementi dell'armamento gre­ co oplitico troviamo invece nella ricca tom­ ba dei Flabelli di Populonia. La conoscen­ za da parte degli Etruschi del combatti­ mento a schiera di tipo oplitico, è provata del resto dalle raffigurazioni sia su vasi im­ portati, come l'olpe Chigi di Veio, che su prodotti locali, quali l' oinochoe della Tra­ gliatella o la pisside della Pania, fortemen­ te influenzati per la decorazione da model­ li greci , principalmente corinzi. Ad am­ biente corinzio sono però anche riferite scene di duello rappresentate soprattutto su vas :llame ceramico, quali ad esempio il kyath •s di bucchero dalla necropoli cereta­ na di �an Paolo, tomba 1 (CRISTOFANI-Riz­ zo I99Jl- In ogni caso né le armi rinvenute nelle tombe né l'iconografia ci dimostrano l'uso tra gli Etruschi di combattimenti in schieramenti compatti frontali (o' AG OSTI­ NO 1992b, p. 85). A d attività belliche riconducono anche i corni m usicali (caL 276) della tomba dei Carri di Populonia, probabilmente alluden­ te al ruolo del capo militare del principe ivi deposto. Secondo gli antichi ( DIODORO v, 40) l'invenzione del corno da guerra sareb­ be da attribuire agli Etruschi (tra gli ultimi A. RoMUALDI in Viterbo 1997, p. I6o)_ Kyathos di bucchero con scena di duello a rilievo, da Cerveteri (Roma), località San Paolo, tomba 1, metà del VII secolo a. C. circa. Roma, Soprintendenza A rcheologica per l'Etruria Meridionale.

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La caccia L'azione del cacciatore, sia sul carro che a piedi, non appare molto attestata, o alme­ no riconoscibile, né nei corredi funerari orientalizzanti, né nella documentazione iconografica, a differenza di quanto cono­ sciamo nel mondo orientale. Rare sono le punte d i freccia, presenti ad esempio nella tomba dei Carri di Populonia (A. Ro ML I L­ DI in Viterbo 1997, p. 1 5 9 ) , dove evidenti al· lusioni alla caccia sono riconoscibili nelle teorie di animali raffigurate sulla cassa del­ Ia biga (cat. 343 !. Testimonianza del!' attività venatoria può essere la non rara deposizione di cani nelle tombe dei padroni. Il seppellimento del ca­ ne nella tomba del Carro di Vulci (Suu Il· LONE 1967, p. 2 5 ) potrebbe testimon iare l'impiego di questo veicolo nella caccia sul carro, come nella documentazione icono­ grafica orientale. Ma sia le raffigurazioni più antiche su foderi di spada e rasoi villa­ noviani, sia quelle inquadrabili nel \'Il seco· lo a.C. prediligono scene di caccia con ar­ cieri in piedi o in ginocchio. Come ha messo in rilievo Giovannangelo Camporeale (CAMPOREALE 1984, p. 71 sgg. l la maggior parte delle scene di caccia raffi­ g u ra t e s u m a n u fa t t i e t r u s c h i di epoca orientalizzante si riallacciano a filoni ico­ nografici orientali e difficilmente possono essere riferite a costumi locali. Sono rap­ presentate ad esempio scene di caccia al leone e allo struzzo, che non sono mai vis­ suti in Etruria. Frequente, come attestano anche le analisi faunistiche negli abitati etruschi, è invece la caccia al cinghiale e al cervo (DE GRoSSI M A ZZOR i i'o: 1997!: a Mon· teriggioni-Cam passini l ' i ncidenza della caccia nell 'alimentazione, anche se non prioritaria, è palese. L ' i m portanza Jella caccia nell'area, del resto ancora piena di boschi, è testimoniata anche dalla deposi· zione di cani in ricchl: tombe a tramezzo (DE MARINIS 1977, p. 5 2 ) . Per l a caccia al cervo un 'olia J i bucchero del Louvre testimonia l'uso delle asce, accanto al più consueto arco o giavellotto, attestati nell'iconografia orientale e etrusca, come confermano ad esempio la figura del caccia­ tore della tomba degli Animali Dipinti di Cerveteri o il cervo colpito Ja otto giavellot­ ti in un'anfora veiente del pittore delle Gru (Atti Roma 1997, fig. 5 2 ) . Il tipo di ascia a lungo manico ricurvo raffigurata nell'olia trova confronti nelle panoplie di armi dei principi dell'Etruria settentrionale (cat. 269· ' .-

Olia di bucchero con raffigurazione graffita, provenienza sconoscittta, decenni centrali del \ 'Il secolo a.C. Parigi, Musù du Louvre, collezione Campana.

271) e di Verucchio, mostrando accanto al si­ gnificato di simbolo del massimo potere reli­ gioso e civile, quello di arma reale. Pur nel riferimento a prototipi orientali per lo sche­ ma della raffigurazione della caccia e per il costume del cacciatore, il soggetto di questo vaso, attribuito a produzione ceretana, se ne distacca per il tipo di arma, attestato anche in Oriente come attributo regale o divino (BONAMICI 1974, n. 75). Già nei rasoi villano­ viani l'ascia a lungo manico ricurvo è asso­ ciata alle scene di caccia al cervo (BIANCO PERONI 1979, n. 746). La maggior parte delle scene di caccia, o ri­ feribili ad essa attraverso teorie di animali, che si trovano sui manufatti del periodo orientalizzante dipendono dalla tradizione figurativa orientale prima e greca e orienta­ le poi. Mancano però le scene complesse delle cacce regali assire; nell'iconografia etrusca il cacciatore è generalmente isolato e impegnato da solo contro l'animale più o meno feroce. Si vuole celebrare il valore dell'uomo. Camporeale ha considerato del resto i riferimenti alla caccia nei diversi manufatti orientalizzanti etruschi uno dei diversi modi di autorappresentazione del signore etrusco (CAMPOREALE 1984, p. 79) . Anche per quel c h e riguarda l'ambiente greco, l'associazione in uno stesso vaso di fregi con guerrieri e carri, con quelli di leo­ ni e cani potrebbe essere spiegata con la volontà di i n d i c a r e lo s t a t u s e c c e l s o dell'uomo cacciatore (CoLDSTREAM 1995, p . 92). Del resto è stato più volte ribadito co­ me la caccia rappresenti un'attività esclusi­ va dei gruppi aristocratici ( tra gli ultimi MENICHETTI 1994, p. 33 sgg.), emblematica nella illustrazione del passaggio dei giovani signori all'età adulta, come ci indicano i fregi di Murlo (cat. u6) o le scene della si­ tula della Pania (CRISTOFANI I997). In que­ sto senso è stata interpretato da Alain Sch­ napp l'episodio di Odisseo che caccia sul Parnaso con i figli di Autolico (suo nonno) il cinghiale e ne viene ferito ( Odisseo XIX, 428-454): «nella consorteria giovanile l a caccia costituisce l'attività per eccellenza che permette al futuro re di affermarsi» (SCHNAPP 1979, p. 38). Cacce collettive dovevano essere infatti si­ curamente quelle al cinghiale, come ci in­ dicano anche gli autori antichi, da Omero a Senofonte: i fregi con cani e lepri, solo talvolta inframezzati da cacciatori armati, dipinti sulle ceramiche d 'i m portazione greca o di imitazione possono alludere agli

inseguimenti collettivi degli animali d a cacciare (SCHNAPP 1979, p. 4 1 ) Allusioni a u n a caccia p i ù complessa tro­ viamo nei complessi riquadri dipinti nell'anticamera della tomba Campana di Veio con chiari riferimenti all'attività vena­ toria dei cavalieri: il potere «regale» della gens ivi deposta è evidenziato dalla presen­ za di un portatore di bipenne e dalle teorie di scudi dipinti nella cella di fondo. Gilda Bartoloni

230

253·

Trono

Verucchio (Rimini), necropoli Lippi, tomba 89 Legno e bronzo La. schienale 79 cm N. inv. 13539 Verucchio, Museo Civico Archeologico n corredo di questa tomba, riferibile a un uo­

mo adulto, caratterizzato come guerriero con doppia panoplia, pone numerosi problemi che investono la cronologia, la ritualità, l'at­ tribuzione culturale dei singoli oggetti e della sepoltura nel suo complesso. L'insieme del corredo (armi, vasellame, ornamento perso­ nale, arredi, carri e bardature) rivela come l'ambito etrusco oltre a rappresentare il luogo di provenienza di almeno una parte dei mate­ riali, costituisca un evidente e ovvio modello di riferimento per i membri dell'élite gentili­ zia verucchiese, senza che ciò impedisca di sottolineare gli strettissimi rapporti che lega­ no questa comunità villanoviana all'ambiente adriatico piceno e in particolare a Novilara. U trono, appartenente a una ben nota tipolo­ gia, presenta una decorazione a intaglio, alme­ no in parte sottolineata originariamente dal colore: motivi geometrici sulla base e sull'esterno dello schienale, scene figurate all'interno. Nel registro inferiore cortei su car­ ri convergenti verso una platea sospesa su cui si trovano figure femminili e guerrieri; nel re­ gistro superiore animali, scene di vita davanti a delle case, donne al telaio. L'interpretazione della figurazione è discussa: attività legate al ciclo di lavorazione della lana (GENTILI), scene cerimoniali ( KossACK), scene legate all'ambito femminile e matrimoniale (ToRELLJ). Il corredo può essere datato t ra l a fine dell'vm e gli inizi del VII secolo a.C. Bibliografia: Bologna 1987, pp. 243-246, n. 93a-b, fig. 162 (G.V. GENTILI ); KossACK 1992, pp. 231-246; ToRELLI 1997b, pp. sz-58.

Patrizia von E/es 254·

Suppedaneo Verucchio (Rimini), necropoli Lippi, tomba 89 Legno. Decorazione excisa e dipinta Lu. 41,5 cm, la. 22 cm N. inv. 13534 Verucchio, Museo Civico Archeologico

Rinvenuto all'interno della cassa funeraria, come già osservato da Gentili, va considera­ to in unità funzionale con il trono trovato sopra di essa, confermandone quindi la di­ retta pertinenza al corredo della tomba. Si tratta di un tipo di origine orientale, noto in Etruria da vari esemplari in lamina bronzea e conosciuto come «tipo di Ceri>> sulla base della sua presenza ai piedi delle due statue in pietra sedute dalla tomba omonima (CoLON­ NA-VON HASE 1986). Rappresenta quindi un segnale evidente dell'adesione da parte dell'élite aristocratica di Verucchio ai mo­ delli orientalizzanti etruschi. Per le osserva­ zioni al corredo di questa tomba si veda la scheda relativa al trono kat. 253). Il corredo cui appartiene è attribuibile alla fine dell'vm-inizi del VII secolo a.C. Bibliografia: Bologna 1 987, pp. 246-247, n. 94, fig. 163, con confronti e bibliografia (G. V. GENTILI).

Patrizia von E/es 255·

Cratere di Aristonothos

Cerveteri (Roma) Argilla H. 36,3 cm, diam. bocca 33.5 cm N . inv. 172 Roma, Musei Capitolini Sulla metà superiore del corpo si svolge il re­ gistro figurato: sul lato A l'accecamento del ciclope Polifemo ad opera di Ulisse e com­ pagn i , sul lato B lo scontro tra due navi. Opera di un maestro greco forse di origine cicladica, che si firma con il nome di Aristo­ nothos, il noto cratere di Cerveteri permette di ricostruire, attraverso le affinità con le produzioni figurate della Sicilia orientale, la complessa formazione culturale del suo au­ tore, che approda in Etruria meridionale in­ tomo alla metà del VII secolo, inserendosi in un ambiente culturale già permeato da mol­ teplici sollecitazioni elleniche, protoattiche e cicladiche (ScHWEITZER 1 9 5 5 ; MARTELLI 1987). Le raffigurazioni dipinte sul cratere, pur nella loro diversità, rifacendosi l'una alla narrazione epica, l'altra a un episodio «reali­ stico» sono in qualche modo legate in un unico sistema narrativo che contrappone Greci e non Greci: Odisseo e compagni/Ci­ clope da un lato, nave greca/nave etrusca dall'altro.

Metà del VII secolo a.C.

Bibliografia: SCI I\X'EITZER 1955, p. 78 sgg.;

MINt;,\ZZINI 1976, pp. 145-148, tav. Il, fig. 3; GUARDUCU 1976, pp. 239-248, tav. I ; MAR­ TELLI 1987, pp. 263-265, n. 40.

Laura Minarini 25 6.

Situla di Plikasna

Chiusi (Siena) Argento placcato in oro. Anse non pertinenti. Iscrizione «Piikasnas» sul corpo e sul fondo del vaso H. 13,8 cm, diam. bocca 14,4 cm N. inv. 2594 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Rinvenuta nel 1700 insieme a una coppa > di Carancini) e con la gemma di calcedo­ nio kat. 341) , forse non è esente da attributi «simbolico-sacrali>> (vedi le asce da Casale Marittimo, cat. 270-271) espressione forse di un ruolo peculiare rivestito dal possessore.

Bibliografia: Bulllnst t875, p. 219 (G. BRoGI); M oNTE Li u s t895-1905, I , coli. 958-959, tav. 214, fig. 1, con bibliografia precedente; CAIV\ NU­ NI 1984, p. 186, n. 4165 e p. 182, n. 4092. Maria Chiara Bellini

Casale Marittimo (Pisa), necropoli di Casa Nocera, tomba A Bronzo fuso laminato, legno Lu. dell'ascia 18 cm N. inv. 1986 3 6 Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana Ascia in bronzo con lama ad alette e immani­ catura a cannone. La presenza di laminette bronzee e ocherelle fuse ne ha permesso la ri­ costruzione con lungo bastone ricurvo in le­ gno, come negli esemplari dalle tombe a fossa Ht e H2 della stessa necropoli (cat. 270-271). Era associata a un'altra ascia in bronzo, for­ se provvista di un normale manico !igneo, non conservato, e a una in ferro. L'associa­ zione di due o tre asce in tombe di guerrieri non è cosa rara. Se ne conoscono esempi a Bologna, nell'Etruria propria e nel Lazio. In questi casi si è supposto che alcune di esse siano riferibili all'armamento, altre abbiano invece significato simbolico e siano forse da collegare con il rito funebre. L'insieme che la tomba A propone, di due pe· santi asce di bronzo e un'ascia di ferro, sembra dimostrare che le antiche asce di bronzo, in via di superamento nell'uso pratico da parte delle più resistenti armi di ferro, vanno assumendo una sempre più spiccata funzione di rappre­ sentanza e un crescente valore simbolico. Primo venticinquennio del VII secolo a.C. Bibliografia: Cecina 1999, p. 53 sg., fig. 46. A nna Maria Esposi/o

270-271. Due fasci di asce Casale Marittimo (Pisa), necropoli di Casa Nocera, tombe Ht e H2 Bronzo fuso, lamina decorata a sbalzo e legno Lu. max. 85 cm, lu. delle asce 18 e 20 cm Nn. inv. 198591, 198606 Firenze, Soprintendenza Archeologica per la Toscana

Le tombe a fossa terragna H t e H2 ospitava· no due individui di sesso maschile, i cui cor­ pi erano adagiati su tavolati (ignei. La situa· zione stratigrafica è assai peculiare. Le due fosse sono infatti adiacenti e parallele, co· perte da un medesimo mantello di argilla biancastra, qui come altrove utilizzata per realizzare una sorta di tumuletto impermea· bile. Al di sopra era sistemato un enorme la· strane di pietra, t rovato spezzato in due frammenti. Tale sistemazione sembra pre· supporre la contemporaneità delle due de· posizioni: ne deriva la possibilità che in que· sto caso si tratti di due personaggi deceduti nello stesso momento. Tra gli oggetti di corredo, che designano i defunti come personaggi di rango sociale elevato, particolare interesse rivestono le asce, tre nella tomba Ht, due nella H2. Se non sono rari i casi di più asce deposte all'interno di un unico corredo (nella tomba a cassa A della stessa necropoli è attestato l'ac· costamento di due asce in bronzo e una in fer· ro), del tutto eccezionale appare la circostan· za che le lame siano perfettamente identiche e, a quanto risulta dali' analisi metallografica, realizzate, per ogni gruppo, in un unico ma· mento e in un solo getto di fusione. Le tre asce della tomba Ht sono accurata· mente sovrapposte: di esse solo quella cen· trale risulta fornita di un manico in legno di lunghezza adeguata (simile a quello della tomba adiacente); quelle laterali sono far· n i te di un manico di lunghezza dimezzata. I manici sono rivestiti da una lamina metalli· ca avvolta a spirale e ornati sul dorso da una serie di figurine di anatrelle in bronzo fuso. Anche le due asce della tomba H2 erano strutturate per costituire un unico insieme. La evidente afunzionalità dei «fasci>> di scuri come armi consente di ipotizzame un impie· go prevalentemente simbolico, che qualifica i portatori come titolari di un rango particolar· mente elevato nell'ambito politico-militare. La coppia di asce nella tomba H2 si inserisce entro una panoplia costituita dalla lancia e dal coltello di ferro, che designano il defun· to come guerriero. Nella tomba Ht invece le asce non si accompagnano ad altre armi, bensì a un corredo personale di manufatti in metallo prezioso che conferiscono al loro possessore una particolare dignilas. Prima metà del VII secolo a.C. Bibliografia: Cecina 1999, p. 6o sg., fig. 5 3 · A nna Maria Esposi/o

[z68]

[272-2731

171-173·

Due asce simboliche Bologna, necropoli Guglielmini e Amoaldi Bronzo laminato e fuso N. inv. 26246: lu. 24,8 cm; n. inv. 25896: lu. 28,1 cm Nn. inv. 26246, 25896 Bologna, Museo Civico Archeologico

occhio, ispirata a tipologie presenti in Italia già dal X-IX secolo a.C. e dotata di una raffina­ ta decorazione metopale di matrice villano­ viana, assume per il contesto cronologico e simbolico del deposito un'evidente valore ideologico come insegna di rango. Primo quano del vn secolo a.C. Bibliografia: Milano 1 9 86b, p . 1 4 2 , n. 199; BoNGHI ]oviNO 1987, p . 67 sg., tav. XXIII, 1 5 1 6 ; B o N G H I ]oviNO C H I A R AMONTE TRERÉ 1997, p. 172, tavv. 1 25-1 26. -

Le due asce, del tipo definito dal Carancini come «Arnoaldi» - esclusivamente bolognese -, sono caratterizzate dal minuscolo innesto ad alette e dalla grande lama di spessore lami­ nare, con largo taglio fonemente falcato, soli­ tamente decorata da motivi geometrici incisi. Queste caratteristiche tipologiche permetto· no di attribuire loro senza difficoltà una fun. zione puramente simbolica. La deposizione di asce nelle tombe è attestata a Bologna fm dalla prima metà dell'vm secolo a.C., e con­ nota solitamente tombe maschili di una cena ricchezza. Mentre inizialmente vengono de­ poste anche asce funzionali, la cui distruzione rituale fa pensare a un uso come arma, nel corso del VII secolo a.C. ricorrono esclusiva­ mente modelli per i quali è senz'altro da escludere un uso reale, e la cui funzione sim­ bolica era evidentemente legata al rango e al ruolo del defunto (CARANCINI 1984, pp. 240242; MoRIGI Gov1-Tovou 1993, pp. 36-40). Bibliografia: MoNTELIUS 1895·1905, I , tav. 82, fig. 12; CARANCINI 1984, p. 103, n . 3437 e p. 104, n. 3448.

Anna Dore 174·

Ascia Tarquinia (Viterbo), Civita, fossa votiva A Bronzo fuso Lu. 16 cm, la. 9,5 cm N. inv. C 176AI21 Tarquinia, Museo Nazionale Archeologico La scure fu deposta, insieme alla tromba-lituo kat. 275) e a uno scudo in lamina di bronzo, in una delle due fosse votive (l'altra contenen­ te materiali ceramici) collocate all'ingresso del recinto dell'area sacra della Civita di Tar· quinia, monumentalizzata tra la fine dell'viii e l'inizio del \'II secolo a.C. con l'edificazione di un edificio funzionale a un altare sacrificale, costruito con una tecnica di ma­ trice fenicia (BoN> all'al tezza Jclla nuca. Il voho è caratterizzato Jallo zigomo molto arroton · Jato, Jal grosso naso appuntito, Jai baffi c Jal mento sporgente; l'occhio è a manJorla. EviJenti le similituJini iconografiche e stili· stichc con il guerriero raffigurato sulla plac­ chctta cat. 300. 13ihliogra/ia: ineJita. Maria Chiara Ilei/nn Francc.rco .\imJtd

302.

Frammento /onc pertinente a una piJJide, con testa di guerriero Avorio I l. 2.4 cm, la. 1 , 8 cm N. inv. 1946 1 2 Testa Ji profilo a sinistra. L'elmo, con calot· t a aJ alto borJo rinforzato, è sormontato da una bassa cresta che prosegue lungo la parte posteriore cJ è trattenuto Jal sottogola pas· sante Javan t i all 'orecchio. Sul collo sono schematicamcntc inJicati i capelli. Il voho ha l ' occhio a m a n J o r l a con sopracciglio marcato c il naso con pieghe ben cviJenzia· te. Scasso orizzontale sul retro, lungo il borJo. prcsumibilmentc per l'assemblaggio con un altro elemento. EviJenti affinità con le Juc placchcttc cat . }00·}01. 13ihliogra/ia: ineJita. Maria Chiara Bcllim FranceJco Nicrma

JOJ.

Frammento di placche/la con figura maschile

305· Frammento di placche/la con figura femminile

Avorio H. 3.5 cm, la. 2 cm N. inv. 194598

Avorio H. 2 cm, la. 2 cm N. inv. 194764

Si conserva la metà sinistra di una figura, probabilmente maschile, stante, con braccio sinistro sollevato e piegato al gomito, nell'at­ to forse di trattenere o afferrare qualcosa. Indossa una tunica a maniche corte, forse con scollatura quadrata, decorata a larghi ri­ quadri incisi, vicina a fogge attestate nel co­ stume etrusco orientalizzante (BONI'ANTE 1975, p. 12 sgg., fig. 16). Alla sua destra si con­ serva l'impronta di un motivo perduto, forse un'infiorescenza. Bibliografia: inedita.

Si conserva la parte inferiore di una figura che indossa una lunga veste decorata a lo­ sanghe incise, con alta balza leggermente scampanata, posteriormente arrotolata ver­ so l'alto, che lascia scoperti i piedi, di profilo a destra, che indossano calzature con la pun­ ta leggermente rivolta verso l'alto. La figura poggia su una cornice orizzontale, aggettante e liscia, sotto la quale è ancora presente parte di un listello sottile, utilizzato per l'assemblaggio con un altro elemento. Bibliografia: inedita.

Maria Chiara Bettini Francesco Nicosia

Maria Chiara Bettini Francesco Nicosia

304.

Frammento di placche/la con testa maschile

306. Parte superiore di placche/la trapezoidale

Avorio H. J,2 cm, la. 2,2 cm N. inv. 194610

Avorio H. 2 ,3 cm, la. 2,2 cm N. inv. 194587

Volto maschile, di profilo a sinistra con il capo coperto da un largo petaso, al di sotto del qua­ le è visibile parte della capigliatura divisa in ciocche oblique. Occhio amigdaloide con ar­ cata sopracciliare rilevata; naso pronunciato; labbro superiore carnoso, mento marcato e arrotondato. La spalla destra di un abito senza maniche, bordata, indica che la nostra figura indossa una tunica quadrettata. La grossa punta di lancia a lama foliata che si para da­ vanti al volto e la presenza del petaso lo con­ notano come un personaggio di alto rango. Sul retro, liscio, «V» incisa. Sotto l'orecchio si conserva un perno d'avorio di fissaggio. Nella resa del profilo e nell'arma ha affinità con la placchetta raffigurante un guerriero (cat. 300) e troverà assonanze nei personaggi raffigurati sulle situle bronzee oltrappennini­ che (vedi per esempio i guerrieri e i dignitari con petaso nella situla della Certosa, cat. 570). Bibliografia: inedita.

Figura di quadrupede - probabilmente un cane - seduta verso destra sulle zampe po­ steriori, retrospiciente, compressa entro la cornice rilevata, liscia, che margina la plac­ chetta sui tre lati conservati. Muso allungato con la bocca serrata indicata da una lunga incisione e accenno della narice; occhio ar­ rotondato, lunghe orecchie tese. Anche se la resa potrebbe apparire piuttosto semplificata, non mancano le attenzioni alla piega della spalla alla sommità del tronco, determinata dalla torsione innaturale del col­ lo. Lo sterno è marcato da un lievissimo mo­ dellato delle costole; il volume della zampa anteriore eretta e della coda è accentuato da un abbassamento del piano lungo i margini. All'identificazione con un canide osta la stra­ na coda, grossa, corta e terminante a punta. Bibliografia: inedita.

Maria Chiara Bettini Francesco Nicosia

Maria Chiara Bettini Francesco Nicosia

[306]

Pissidi a bassorilievo:

307· Pisside Avorio H. 12,3 cm, diam. ricostruibile 10 cm, spess. medio 0,45-0,55 cm, incasso interno o,8 cm N . inv. 240157

[308]

Pisside cilindrica apparentemente ricavata per «carotaggio» da una zanna. La superficie esterna è decorata da 18 scanalature orizzon· tali, equidistanti, tra due bande lisce. L'orlo è piatto e presuppone un coperchio ad inca· stro; la base presenta un incasso perfetta· mente regolare per l'inserimento del fondo. La tipologia e l'ornato sono ricollegabili a quelli di una pisside eburnea rinvenuta neUa tomba Barberini di Palestrina, di dimensioni maggiori (DENSMORE CuRns 1925, p. 35, n. 6J, tav. 16, t); la decorazione offre ampi raffron· ti in oggetti similari almeno per forma, so· prattutto in bronzo, quali le ciste di /acies orientalizzante. Bibliografia: Firenze 1986, p. 216, n . 10 (F. NICOSIA).

Maria Chiara Bellini

308. Frammento di pisside Avorio H. 2,5 cm, la. 2,1 cm N . inv. 194584 Coppia di sfingi affrontate, di proftlo, com· presse entro un registro orizzontale. Quella di sinistra, meglio conservata, ha la fronte bassa con occhio amigdaloide obli· quo, grosso e lungo naso, mento appuntito. I capelli, suddivisi in ciocche, passano dietro l'orecchio e scendono sul collo, legati all'al. tezza della nuca. Lungo collo, busto largo. avvio dell'ala con piumaggio indicato da li· nee oblique; zampe rigide (la sinistra avan· zata). Della sfinge posta a destra si conserva· no parte del volto e del corpo. Rosetta tonda con partizioni a croce tra le due. I contorni sono rigidi, il modellato è plastico. Bibliografia: inedito.

Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia

J09 o

Frammenti di pisside Avorio

a) 4,8 x 3,7 cm; b) 3 x 1,8 cm; c) 3 N. inv. 194523

x

2,5 cm

Sono l'orlo aggettante, rettilineo, serie di am­ pie volute accoppiate e legate; nel fregio prin­ cipale, teoria di animali fantastici gradienti a sinistra, separati da rosette a quattro petali: si conservano la parte posteriore di un quadru­ pede caratterizzato da una piccola coda, un grifo alato con ala falcata dal piumaggio ben evidenziato, e il muso di un ariete; nel registro inferiore, catena di ampie palmette fenicie a quattro lunghi petali verticali, nascenti da coppie di volute allacciate, opposte, in ftle al­ ternativamente rivolte verso l'alto e verso il basso, come si discerne in un altro frammen­ to, che reca nel fregio figurato la parte inferio­ re di un felino alato e tralci vegetali. In un ter­ zo frammento, dove si ripropone inferior­ mente il fregio vegetale presente sotto l'orlo, si conservano parte di un quadrupede simile al precedente e un bocciolo tra petali. Ottima fattura, piuttosto manieristica, con grande respiro nella composizione e senza horror vacui, specie nei fregi fitomorfi. Il tipo di palrnetta fenicia, ampia, ricorda quelle pre­ senti su un calice tetrapodo di bucchero da Cerveteri (PARETI 1947, p. 423, n. 528, tav. LX1"11).

Bibliografia: inediti. Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia J IO.

Parte superiore di elemento rettangolare, forse pertinente a un pettine A1•orio H. 1,8 cm, la. 2 , 2 cm N. inv. 194586 Sotto a una cornice decorata con una treccia tra due listelli, coppia di teste di sfingi con­ trapposte e unite nella parte posteriore, di proftlo, ciascuna con le zampe anteriori pro­ tese, e capelli che scendono sulle spalle con­ cludendosi in un largo ricciolo hatorico. Cia­ scuna affronta un'altra figura, probabilmente altre sfingi. Sul bordo si avviano gli attacchi di

due zampe a tuttotondo, una delle quali pro­ babilmente felina. Il retro è lavorato a scaglie. Va tenuta presente anche la possibilità che lo schema riprodotto dalle sfingi possa riferirsi ad un gruppo con iconografia analoga a quello attestato in una coppa aurea da Ras Shamra ( MARKOE 1985, pp. 15, m ) . Le sfingi siamesi potrebbero richiamare anche un mo­ tivo attestato sulle oreficerie vetuloniesi (KA­ RO 1902, p. 127, fig. 109), anche se è diversa­ mente interpretato dal nostro artigiano. Bibliografia: inedito.

te inferiore del volto e la spalla con il braccio proteso che trattiene saldamente un grosso pesce con corpo squamato. Lo precede un quadrupede di cui si conservano il quarto posteriore destro e la coda. L'altezza dal braccio all'esergo fa supporre la pertinenza ad un corpo semisdraiato o in posizione di corsa inginocchiata. La scena figurata è compresa fra due registri ornamentali, dei quali il superiore è forse a treccia, e l'inferio­ re a girali. L'incisione è profonda. Bibliografia: inedito.

Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia

Mano Chiara Bellini Francesco Nicosza

Placche/te e pissidi incise:

}Ilo Parte inferiore di placchetta rettangolare con Echidna Avorio H. 2,4 cm, la. 3.4 cm, spess. max. 0,4 cm N. inv. 194571 Figura femminile con braccia aperte, solleva­ te verso l'alto e piegate all'altezza dei gomiti; la mano sinistra probabilmente stringeva uno dei due tralci che pendono dall'alto, ai lati della figura. Busto di prospetto, vita molto sottile sottolineata da una cintura e fianchi ar­ rotondati. Parte inferiore del corpo piscifor­ me, con larghe squame e pinne aperte, piega­ ta verso sinistra, di proftlo. Le incisioni lineari lungo i lati inferiore e si­ nistro della placchetta indicano che si tratta dell'estremità sinistra di una scena più com­ plessa, ora perduta. Perni per il fissaggio su un supporto. Linea obliqua sul retro. Il tratto è pulito, senza incertezze. Bibliografia: inedita.

Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia

3 13 . Frammento di pisside Avorio H. 3,6 cm, la. 2 ,4 cm N. inv. 194521 Figura maschile incedente verso destra, o in corsa inginocchiata. Del volto, perduto, si con­ serva forse la lunga barba appuntita. n busto ­ presumibilmente di schiena e sul quale scen­ dono i capelli spartiti in lunghe ciocche appun­ tite è fortemente proteso in avanti, con il braccio destro piegato al gomito che va a sfio­ rare la coscia sinistra, flessa con forza al ginoc­ chio; la coscia destra è tesa indietro, quasi a ter­ ra. La figura è abbigliata unicamente con una brachetta scosciata, aderente, decorata a losan­ ghe e bordata. Tra le gambe grande motivo ve­ getale; l'estremità di un girale pende dall'alto. L'incisione è profonda, con superfici un po' arrotondate. Bibliografia: inedito. -

Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia

3 1 4· Frammento di pisside con volatile

311. Frammento di pisstde con figura virile che trattiene un pesce

Avorio H. 2,2 cm, la. 1,7 cm, spess. 0,4 cm N. inv. 194664

Avorio H. 2,6 cm, la. 1,5 cm, spess. max. 0,5 cm N. inv. 194569

Volatile in posizione eretta che sembra tratte­ nere nel grosso becco adunco la parte termi­ nale di un elemento non meglio riconoscibile. Testa di proft.lo a sinistra, con grande occhio amigdaloide obliquo; corpo di prospetto, con

Figura virile, di cui si conservano solo la par-

lunghe a l i chiuse aderenti al corpo, a estre­ m ità appuntite aperte verso l 'esterno, con tralcio cordonaiO che si diparte dalla sinistra. Il piumaggio interno è indicato da tratti pa­ r a l l e l i che s i concludono s u periormente nell'attacco al petto. Larghe penne aperte a ventaglio nella parte inferiore. Dall'esergo na­ scono motivi vegetali: due palmette ai lati. Bihlio!!,ra/ia: inedito. Marù1 Chiara 13el/Ùu f'rancl'Jco Niamu

[JtO]

315. Frammento di pisside con mo.rtro angui/orme tricipite Avorio H. 1,8 cm, la. 1 cm, spess. 0.4 cm N. inv. t94514 Nel fregio figurato, parte di essere mostruo­ so di cui si conservano tre serpenti che si riu­ niscono in un unico corpo. La pelle SlJUama­ ta è indicata da un fitto motivo a reticolato: le l u n g h e teste s o n o ben c a r a t terizzate. Riempitivo a rosetta ci rcolare con numerosi petali. Nel fregio ornamentale, delimitato Ja una coppia di incisioni orizzontali, catena Ji palmette alternate a fiori di loto. Si consen·a parte del bordo piatto. La parzialità della raffigurazione non consen­ te di puntualizzare l'ermeneutica della scena: il mostro, probabilmente identificabile con l'Idra di Lerna sconfitta da Eracle, potrebbe anche rappresentare il drago della ColchiJe custode del vello d'oro, affrontato da MeJea. già documentato neii'Orientalizzante etrusco in un'anfora ceretana del pittore di Amster­ dam (660-640 a.C.: MARTELLI t987, p. 165, n. 4t, con riferimenti ) ; da escludere l'identitìca­ zione con Scilla, attestata nella prima situla della Pania (CRISTOFANI t97 t , p. 69), per la mancanza assoluta di elementi canini. Bihliogra/ia: inedito. Maria Chiara Bellmt Franuico NicoHu

316. Frammento a profilo convesso (pi.uide )) Avorio Lu. 4,3 cm, la. 3,6 cm N. inv. t94515

La superficie è suddivisa in registri sovrap­ posti , separati da due gruppi di tre linee orizzontali rawicinate. Nella fascia superio­ re fregio con catena di palmette allacciate pendule, in tercalate da gocce, rese con un'incisione molto fluida, sicura e nitida. Nel registro inferiore cerbiatto a silhouelle incedente verso destra; sopra il dorso e tra le zampe tralci vegetali. Bibliografia: inedito.

Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia Figurine a tutto tondo: J 1 7•

Parte inferiore difigura femminile, probabilmente cariatzde Avorio H. 1 ,9 cm, la. 1,6 cm N. inv. 194548 Si conserva la metà inferiore del corpo, cela­ ta da una lunga gonna stretta in vita da una cintura. Le lunghe mani aderenti ai fianchi trattengono due grandi girali dai quali nasce un bocciolo di loto, che invadono l'intera superficie dell'abito. Sul retro, piatto, è visi­ bile parte della lunga capigliatura, con trec­ cia, al di sotto della quale si liberano i lunghi capelli stilizzati. L'insieme è piuttosto rigido e la mancanza di attenzioni volumetriche è accentuata dalla sezione alquanto schiaccia­ ta della figura. La struttura è affine a quella delle cariatidi che sostengono i calici eburnei tetransati di Palestrina ( DENSMORE CuRTIS 1 9 2 5 , p. 2 7 sgg., tav. 1 2 , sia pure con resa stilistica diffe­ rente) e di quelle di bucchero dell'anticame­ ra della tomba Regol i n i - G alassi ( PARETI 1947, pp. 310-311, nn. 317-320, tav. XLI). L'at­ teggiamento, con le mani che trattengono gi­ rali, ha un raffronto puntuale in una figurina recentemente rinvenuta nella tomba della Mula, di fattura più accurata (C!ANFERONI 1999, pp. 83-84). La parte inferiore della trec­ cia sopra il grande ciuffo finale, con tratti in­ cisi, richiama da vicino quella della figurina cat. 317 e un rapporto tra i due oggetti non può essere escluso. Bibliografia: inedita.

Maria Chiara Bellini Francesco Nicosia

318. Parte .wperiore difigura femminile, probabilmente cariatide Avorio H. 3·4 cm. la. 1 cm N. im·. 194541 Elemento caratterizzante d i questa figura femminile è la capigliatura con frangia sulla fronte, due trecce ai lati del volto con riccio­ lo hatorico e una grossa e lunga treccia indi­ cata da tratti obliqui: un'acconciatura deri­ vante d a m o d e l l i o r i e n t a l i , a ffe r m a t a i n Etruria già alla metà del \'II secolo a.C. ( Bo:--; ­ L\:'\TE 1975, p. 176, figg. 62-63 ). La donna in­ dossa un chitone, con resti di elemento pen­ dente sulla spalla. forse traccia di un mantel­ lo scapolare. Retro piatto, come d i norma nelle cariatidi d i calici tetran sati, e ren d i ­ mento d e l corpo a sezione schiacciata, che caratterizza anche le esperienze orientaliz­ zanti della piccola plastica bronzea vctulo­ n iese l come le fig u r i n e di reggi vasi della romba del Duce e del Circolo delle Pellicce. con lunga treccia sul dorso: cfr. ca t. 151 ). Bibliografia: inedita. Maria Chiara Bellini, Francesco .\licosit1

319 . Statue/fa femminile Avorio I l . 2 . 2 cm. la. 1 : 5 cm N. inv. 194542 Si conserYa la metà superiore. fino alla vita. di una statuetta femminile, stante. con il volto di profilo a destra. Solco dalla sommità del cra­ nio a dietro le orecchie dal quale si dipartono. anteriormente. la frangia sulla fronte c due lunghe trecce che scendono sulle spalle c sul busto: posteriormente la chioma è divisa in due masse compatte da una scriminatura cen­ ualc. Busto frontale con braccia aderenti al corpo: il sinistro ha un'armilla all'altezza del bicipite lo orlo della manica corta? ) , mentre il destro è e. presumibilmente. dm·e,·a essere poco visibile. essendo la figura colta di tre 4ua11i. Le due lunghe trecce ritolle a cordone c desinenti a punta ricordano 4uelle di un bronzetto femminile di offerente al Mu­ seo di Firenze. di provenienza sconosciuta. ma attribuito a un > co­ ricata con bulbo rilevato, infossati; zigomi al­ ti, labbra «spremute», lungo naso appuntito: mento pronunciato e appuntito. l capelli, di­ visi sul cranio in due bande dalla scriminatu­ ra centrale. scendono in due ciocche sottili e rigide ai lati del volto davanti alle orecchie e, scomposti in larghe ciocche, si raccolgono posteriormente in una massa compaua, trat­ tenuta da una tenia all'altezza della nuca. Fa parte di u n gruppo di testine restituite dal corredo simili tra loro. ma distinte nei dettagli della capigliatura e del modellato. che può avere una resa più o meno morbi­ da. App artiene probabi l m e n te alla stess;l mano che ha realizzato la piccola sfinge cat. 328 e forse anche il busto con volto di profi­ lo cat. 3 1 5 . Bib/iogra(itl: inedita. Mari (cfr. CRJSTOFANI 1985, p. 16); i polsi sono forati per l'inserimento di perni. L'atteggiamento, il co­ stume e il gesto sono molto vicini a quelli di bronzetti di offerenti (talvolta armati) di fab­ bricazione nord-etrusca, inquadrati nell'ulti­ mo quarto del vn secolo a. C (vedi CRISTOFA­ NI 1985, p. 131, n. 15, da Montalcino; pp. 261262, n. 11, di provenienza sconosciuta l. Bibliografia: inedita.

Maria Chiara Bettinz; Francesco Nicosia

325. Guerriero con armamento oplitico Avorio H. 3,8 cm N. inv. 194530 Busto sommario; vita sottile sonolineata dal­ la cintura del perizoma liscio desinente a triangolo, con orlo a doppia balza. La roton­ dità delle masse muscolari bilancia la som­ marietà dell'esecuzione del busto e del gran­ de elmo corinzio, che dovevano essere par­ zialmente coperti dallo scudo (realizzato a pane e assemblato con un perno in un foro all'altezza della spalla) . Il guerriero è rappre­ sentato nel momento in cui raccoglieva le energie per colpire o affrontare in duello un avversario. Il braccio destro è alzato, piegato al gomito, nell'atto di reggere la lancia ebur­ nea semi appoggiata sulla spalla. L'elmo re­ ca un taglio sottile per l'incastro del cimiero che doveva essere d'avorio (come si evince dalle tracce conservate nell'esemplare cat. 3 2 7 ) ; è questo un sistema di assemblaggio che sembra richiamato un secolo più tardi in un bronzetto di guerriero in assalto da Bro­ lio, datato al 530-520 a. C (ROMlJALDI 1981, p. 1 2 , n. 19). Bibliografia: inedito.

Maria Chiara Bettini, Francesco Nicosia

326. Guerriero con armamento oplitico Avorio H. 4,3 cm, la. 1,2 cm N. inv. 194527

Simile al precedente. In questo esemplare si conserva la gamba destra tesa, mentre la si­ nistra doveva essere avanzata e flessa. Il foro passante sulla spalla conserva ancora un frammento dell'asta d'avorio. Bibliografia: inedito.

Marra Chiara Bellini, Francesco NicosiJ

327. Parte superiore di guerriero Avorio H. 2,1 cm, la. 1,3 cm N. inv. 194529 Busto simile ai precedenti. La paragnatide si­ nistra dell'elmo è stata spianata per l'assem­ blaggio dello scudo. Si conservano un fram­ mento di asta della lancia, sotto la mano de­ stra aperta, e un frammento della laminetta d'avorio che doveva costituire il cimiero. Questo esemplare, insieme ai due preceden­ ti, tutti riferibili alla stessa mano, e probabil­ mente alla figurina di offerente cat. 324, do­ veva essere collocato a coronamento di un oggetto al momento non identificabile. Bibliografia: inedita.

Maria Chrara Bettinz; Francesco Nicosrd

328. Parte anteriore di sfinge Avorio H. 2 ,4 cm, la. 1,2 cm N. inv. 194555 Volto ovale, pieno, incorniciato da una cor­ posa capigliatura distinta da un solco tra­ sversale sul cranio, probabilmente indica­ zione di una tenia, dalla quale si diparte la pesante frangia che copre la fronte. Due ric­ cioli lisci scendono sul collo, mentre il resto della capigliatura è una massa ondulata di­ stinta in ciocche verticali. L'impostazione delle ali sul dorso e delle zampe anteriori permettono di identificare questa figura con una sfinge, caratterizzata dal petto promi­ nente e arrotondato secondo la consueta iconografia di questo essere mostruoso. Bibliografia: inedita.

Maria Chiara Bettini, Francesco Nicosid

3 29·

Leone alato, Il'llli-accucciato Avorio l L 2 , ) cm, la. l cm N. ir1\'. 1946H

.\luso con fauci aperte. digrignanti. caratreriz­

zato da un forte impianto volumctrico: corpo rohus!O, con dorso molto inarcaro c lJUarto posteriore solle\·ato, forse in arto di attaccare: ali cretre, falcate. con sommiti1 tronca. Jal piu­ maggio stilizzato e con i bordi superiore cJ i n ­ terno evidenziati da co rdonatu rc . Il modellato sin uoso Jcl corpo richiama i l e o n i a t t e s t a t i d a l Protoco r i n z i o r\lcd i o . mentre l e a l i tronche sono estranee al patri­ monio figurativo occidentale. cd etrusco in p a r t i co l a r e . e ri c h i a m a n o alla mente le a l i con som m i t à a d a n d a m e n t o orizzontale ­ dctta!O per lo p iLI da esigenze cornpositi\·e ­ che si rinvengo in contesti orientali. ljtra l i per esempio, le sfingi su un dcmcn!O in osso e lJUelle su u n a pi ss id c d'avorio. con simile partizione i nterna delle penne, da Nimrud m.-\ IC \ I TT 1')7). P - 1')6. S68a. tav. X LI : P - Il)). S s o . tav. X X X I I I . a dest ra ) . La resa dd p i u ­ maggio a l l ' i nte rno dell 'ala richiama anche > (cfr. B< mEI G IGLIONI 1996, p. 742). L'importanza data in Etruria anche alla fa­ miglia della donna è indicata dalla presenza, a partire dal VII secolo a.C., del matronimico nell'onomastica (CoLONNA 1977al, caratteri­ stica che rivela come «la discendenza fem­ minile valeva ad assicurare, anche da sola la cittadinanza, o almeno, una quasi cittadi­ nanza>> (S oRDI 1981, p. 55). L'onomastica ci rivela dunque un rapporto particolare della donna etrusca con i genitori, con il marito, con i figli. Ciononostante non si può ipotiz­ zare per la società etrusca l'esistenza del ma­ triarcato, come sostenuto da Bachofen nel 1861. Dagli studi di antropologi e storici (cfr. G EoR(;oum 1990, pp. 518-534) del resto ap­ pare sempre più evidente come il matriar­ cato sia più una costruzione intellettuale che una realtà storica ( PoMEROY 1997, p. 8). Nella tradizione letteraria Greci e Romani appaiono cond a n n a re la pa rteci pazione delle donne etrusche ai banchetti, «nei quali si coricavano come loro e al loro fianco sui letti del t riclinio>> ( H EURl;ol'\ 1 963, p. 1 1 2 ) , condanna dovuta all 'indubbia visione d i ­ versa della donna nell'ambito della gestione famigliare (SoRDI 1981 ). Nelle lastre fittili che decoravano il tetto del palazzo di Murlo, raf­ figurazioni «scopertamente mirate all'esalta­ z i o n e dello s t i l e di v i t a s i g n o ri le>> ' ( n Al ;osnNo 1992a, p. 2 2 5 ) , in cui cogliamo la più antica rappresentazione di banchetto sdraiato su klinoi Oetti conviviali) in Etruria, secondo un'usanza probabilmente ripresa dalle corti del Vicino Oriente ( B ARTOLON I c.s. a), sono semidistesi affiancati uomini e donne (RATI IJE 1989, p. 7 8 ) . Questa moda sarà poi largamente attestata nelle pirrure tombali più tarde. Le deposizioni femminili più ricche, attri­ buibili verosimilmente alle donne dei prin­ cipi, mogli e figlie, mostrano uno splendore maggiore rispetto alle altre delle varie necro-

poli, soprattutto n eli' abbigliamento. La moda è la stessa, come dimostrano non solo le donne raffigurate sul tintin nabulo di Bologna, ma anche quelle sui rilievi assiri: ad esempio nel celebre rilievo del Palazzo Nord di Ninive con scena del banchetto all'aperto di Ashurbanipal con la regina (circa 645-640 a.C. ) , quest'ultima si differenzia dalle an­ celle per la ricchezza dell'acconciatura e per la preziosità del mantello. Nelle deposizioni funerarie alcune tombe femminili si diversificano dalle altre per la ricchezza delle stoffe e per la preziosità dei monili: manti rivestiti d'argento, vesti deco­ rate da ambre o /oi"ence disposte a riquadri mediante fili di bronzo. Anche la tunica della dama raffigurata in piedi mentre fila sul lato A del plurimenzionato tintinnabulo bolognese sembra abbellita da materiali ap­ plicati disposti a rettangoli. Un confronto indicativo in ambito orientale per il costume e soprattutto per il tipo di tes­ s u t o è la figura seduta su t rono ( a ban­ c h etto ? ) del pendaglio in oro da Sam'al (Zincirli). Sono attestare anche laminette auree (più ra­ ramente d'argento come nella tomba Aureli Il di Bologna, cat. 517) circolari, quadrare, rettangolari, triangolari e a meandro, per lo più decorate a sbalzo e fornite di forellini agli angoli, che dovevano impreziosire i son­ t u o s i a b i t i c e r i m o n i a l i ( C R I STO F A f\: I ­ M ARTELI.I 1983, p . 4zl. Le tuniche appaiono sorrette da fibule d'oro (cat. 386-387), d'argento o d'ambra (car. 381385, 393-401 ), che richiamano il «peplo bellis­ simo, adorno>> di «dodici spille d'oro chiuse con ganci ricurvi>>, donato da Antinoo, uno dei proci, a Penelope ( Odisseo XVI I I , 2 9 2 294). A questi abiti preziosi si devono aggiungere collane d'ambra («simile al sole>>: Odisseo XVIII, 296), bracciali e orecchini d'oro e spi­ rali per i capelli in lamina o in verga sempre d ' o r o . Le s p i r a l i , in genere rinvenute a coppie, indicano la presenza di due trecce, come testimoniano ad esempio quelle rinve­ nute ai lati del cranio nella romba princi­ pesca 101 di Castel di Decima ! B EDINI 1975, p. 253; BEDIN!- CORDAìXO 1977, fig. 14l. Stesse acconciature sono attestate nella statua fem­ minile della Pietrera (cat. 1 28) o nelle sra­ tuine di bucchero del tumulo ceretano degli Animali Dipinti (cat. 4 2 0 ) . Le spirali più grandi (oltre 3 cm) potrebbero invece indi­ care una pettinatura con i capelli raccolti in un'unica t reccia, come troviamo rappresen-

tato più comunemente nella piccola plastica coeva. Più raro in Etruria è l ' uso degli a�hi crinali, tra cui quello a capocchia sferica con decorazione a p u lviscolo della tomba Jtl Liuore J i Vetulonia (cat. 38o l . alla cu i me· Jesima bonega vanno riferi ti anche le fibule e le armille Jella stessa tomba (cat. Fn-R. J 8 1 - 3 8 7 l i C RISTOFA:" I - MARTELLI I983. p . 269 sg g . l . D e g n o J ' i n t e resse r i s u l t a q u e s r o gruppo di oreficerie fem minili, che dovera essere raccolto in un cofaneno ri,·estito Ji l a m i n a J ' o r o , Jeposto i n u n a tomba aJ unica Jeposizione maschile: già il primo eJi. tore ( f.·\ 1..\II.Kt l \ t997. p. 1 1 2 1 che queste ricche sep olt ure Ji donne fossero una manifestazione indiretl•l della ricchezza Jel marito. o Jel padre. o Jel figlio. che aveva curato la sepoltura. .

A l c u n i ogge tti part i colarmente eloqu en ti nell'esprimere i caratteri pcrspicui della re· galità come s c u d i . t ro n i . sceuri o carri si sono rinvenuti in contesti sicuramente auri-

Pc11dcllll' aureo COli pri11ojwssa ùr /m/lo

c 1/ll'IHa, da San/al (lillcirli, Turchia), 1.\ secolo a. C Bcrli11o. \'ordcrasiatischcs

Mu.H'/1111.

Lchctc COli /igura;;ionc plaJiica: in primo piallo figura femminile di piange/l/l', da Pit;j;liano (Gro.ueto), Jeamda meltÌ dd l 'li secolo a. C Firen::e, A1.usco A rcheologico Na::ùmalc.

buibili a donne: la moglie del principe sembra assumerne alcune prerogative. Indicativa soprattutto appare la presenza di scudi , come ad e s e m p i o n e l l a t o m b a Castellani d i Palestrina, dove n e sono atte­ stati almeno tre. Questi dovevano, come nelle coeve tombe maschili, essere appog­ giati alle pareti delle fosse o delle camere. L'uso di addobbare le pareti delle abitazioni aristocratiche con armi ci è descritto per la Grecia da Alceo ( fr . 5 4 ) e per Roma d a Virgilio a proposito della reggia di Pico (Eneide VII, 1 8 J - 1 8 4 ) ; in ambiente etrusco questa consuetudine è testimoniata negli atri delle ricche tombe ceretane a forma di casa. La pluralità degli esemplari contenuti in una sola tomba sembra dissolvere la connessione funzionale degli scudi con le altre armi effet­ tivamente usate in combattimento. Non si sottolinea più il valore guerriero ma i segni del rango e la continuità gentilizia: il centro d'interesse non è più l'individuo in quanto guerriero ma il gruppo gentilizio, con i suoi legami di solidarietà e di continuità che tra­ scendono il tempo ( BARTOLONI-DE SANTIS 1995. p. 279). Indubbio segno regale è il trono: il trono di Penelope è detto in avorio e argento con un vello sopra ( Odisseo XIX 56, 8). I troni raffi­ gurati sul tintinnabulo di Bologna non diffe­ riscono da quelli bronzei rinvenuti nelle tombe prin c i p e s c h e di Cerveteri o d i Palestrina, d a quelli che sostenevano i ca­ nopi chiusini o da quelli scolpiti nelle ricche tombe orientalizzanti ceretane, che, come è noto, riproducono verosimilmente ambienti delle coeve costruzioni private. Questi sedili sono a base circolare con parte inferiore e spalliera piene; al trono è in genere associato uno sgabello-poggiapiedi (CoLONNA-VON HASE 1986). Analogo appare il seggio su cui siede la dama ammantata nella lastra di Murlo con scena di assemblea (RArnJE 1989, cat. n8), ciononostante desta perplessità l'at­ tribuzione (ToRELLI 1997bl ad una donna del trono !igneo della tomba 89 della necropoli Lippi di Verucchio (cat. 253) in base all'ese­ gesi dei soggetti incisi ( casa e campi), che a mio avviso ben si adattano alla celebrazione del defunto, quale titolare della casa e delle terre. Altro elemento distintivo dei venici della ge­ rarchia sociale risulta il carro a due ruote, presente in deposizioni per lo più maschili, ma anche femminili (Viterbo 1997, pp. J l l ­ m ) , d a interpretare, siano essi bighe o ca­ lessi, come carri da parata. L'utilizzo del

carro nella vita dei principi può essere esem­ plificata nei diversi registri della coppa fe­ nicio-cipriota Cesnola 4555 (CULICAN 198 2 ) , dove sono raffigurati carri d a corsa e d a tra­ spone per gli uomini, e calessi per la regina e le sue conigiane. Giovanni Colonna ha recentemente osser­ vato come il possesso del calesse, indubbio i ndicatore di ricchezza, appaia «stretta­ mente funzionale alla mobilità del signore, alla necessità per lui in quanto proprietario di terre e armenti, di uscire dalla città e di re­ carsi nell'agro, dove risiedeva la base econo­ mica del proprio status» (CoLONNA 1997, p. 2 1 ) . Su un veicolo di questo tipo giunsero Tarquinio Prisco e la sposa Tanaquilla con il capo capena (cfr. lastre di Murlo, cat. 117) da Tarquinia a Roma, portando le loro ric­ chezze ( Livio, Storie l, 34, 8 ) . Un carretto bronzeo in miniatura su cui siedono due fi­ gure (verosimilmente un uomo e una donna) dalla necropoli vetuloniese di Poggio alla Guardia, databile al primo guano del VII se­ colo a . C . , può aiutarci a i m m ag i n a re la forma di questi calessi ( M . CYGIELMAN in Viterbo 1997, p. 65), di cui restano general­ mente solo i cerchioni delle ruote con i mozzi e i terminali dei timoni a tridente. Il carro a due ruote nelle tombe femminili è stato generalmente paragonato al carpentum romano (PAGNOTTA 1977-78) , riservato alle matrone e strettamente legato alla loro fun­ zione di madri ( o ' AGOSTINO 1 9 9 3 , p. 6 5 ) . Questo collegamento n o n contrasta con l'ipotesi di vedere in questi carri d'indubbio carattere rituale, come è evidenziato dal contesto di rinvenimento, il veicolo usato nella cerimonia nuziale (ToRELLI 1997b, p. 64 sgg . ) deposto nella t o m b a per l ' ul t i m o viaggio. Una incombenza che sembra peculiare delle donne di tutti i livelli sociali sin dai periodi più antichi è quella di pane attiva nei fune­ rali, dalla preparazione della salma alle la­ mentazioni (BRUIT-ZAIDMAN 1990, pp. 4 1 1 4 1 2 ) . A queste ultime partecipavano non solo l e d o n n e della fam i g l i a , ma a n c h e schiave e prefiche prezzolate. Omero nella descrizione del funerale di Ettore riferisce della stanchezza di E c u b a per il m olto pianto Uliade XXIV, 78ol. A un compianto fun ebre r i m a n d a n o le braccia incrociate delle statue femminili in pietra che dovevano decorare il tumulo della Pietrera (cat. 1 2 8 ) . Le vicende del monu-

mento, la cui volta risulta crollata poco dopo la costruzione, non permettono di collocarle nella originaria posizione: si è supposto fos­ sero addossate alle pareti, presso il letto fu­ nebre in una composizione analoga a quelle delle più tarde scene di compianto funebre (A. MAGGIANI in Roma 1981, p. 94), o invece collocate nel dromos come immagini degli avi, che dovevano accogliere il defunto nella tomba (COLONNA-VON HASE 1986). Attorno al letto in rete di bronzo della sepoltura principale della tomba Regolini-Galassi erano disposte trentatre statuette atteggiate in gesti rituali, che dovevano assolvere alla medesima funzione ( CoLONNA-DI PAOLO 1997, p. 16ol. Uguale significato si deve attri­ buire alle figurine in bucchero del tumulo di Poggio Gallinaro ( cat. 421-423) . Una simile scena di compianto troviamo del resto sul più tardo letto funebre di Camucia con teoria di piangenti scolpite a basso rilievo (Conona 1992, p. 49). Indubbiamente allusive alle lamentazioni fu­ nebri risultano per il gesto anche le statue che sormontano, in ambiente chiusino, al­ cuni vasi-cinerario (ad esempio l'ossuario Paolozzi, cat. 4 2 4 ) , riproducenti la figura della defunta. Le figurine femminili appli­ cate sulla spalla del vaso vanno accostate a quelle rinvenute presso i letti delle ricche tombe a inumazione precedentemente ci­ tate. Evidente appare il ruolo primario delle lamenta2ioni nelle cerimonie funebri.

Gilda Bartoloni

344· Tintinnabulo Bologna, necropoli dell'Arsenale Militare, romba 5, derra «degli Ori» Bronzo laminato e sbalzaro H. 11,5 cm, la. max. 9,2 cm N. inv. 25676 Bologna, Museo Civico Archeologico Sul pendaglio è rappresentato, a sbalzo, il ci­ do della lavorazione della lana, diviso in quar­ rro scene. Sul laro A, nel registro inferiore, due donne sedute su troni preparano le conocchie da affidare alla ftlarrice, elegantemente vestita, rappresentata nel riquadro superiore. Sul laro B, in basso, altre donne preparano il ftlaro; nel registro superiore, la tessitrice, seduta su un telaio a due piani lavora il tessuto, assistita da una servente che le porge l'appretto per tene­ re tesi i fili durante la lavorazione. Il piccolo bronzo, che rientra nella tipologia dei rintinnabuli, oggetti esclusivi della cultu­ ra orientalizzante bolognese, è eccezionale per la decorazione: la tecnica a sbalzo, lo sti­ le e il gusto della narrazione sono elementi caratteristici dell' «arte delle situle» di cui la situla della Certosa ( car. 570) costituisce l 'esito più maturo. Opera di un artigiano dell'Etruria settentrionale, attivo a Bologna. Ultimo quarto del vn secolo a. C. Bibliografia: MoRIGI Gov1 1971, pp. 2 1 2 - 235; COLONNA 1980, pp. 177-190; Roma 1981, pp. 97-99, n. 59 (C. MoRJGI Govi).

Cristiana Morigi Covi

345· Fuso Marsiliana d'Aibegna (Grosseto), necropoli di Banditella, tomba 2 Ferro, bronzo laminato, pasta vitrea marrone e gialla. Decorazione a intarsio Lu. max. 14 cm N. inv. 11138 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La funzione di questo pezzo, del tutto ecce­ zionale per forma e decorazione, tanto da non trovare riscontri puntuali nell'ambito del ma­ teriale noto, è stata a lungo discussa: esclu­ dendo più generiche destinazioni ( MINTO e BISSING), che vi riconoscevano un manico di coltello o di punteruolo, o altrimenti un'even­ tuale pertinenza a un flabello o a uno scettro

(sui quali si veda BoiTANI 1985, p. 553 sgg. ) , l'ipotesi più probabile è che s i tratti del corpo centrale di un fuso, il quale tra l'altro bene si adatta al carattere decisamente femminile del ricchissimo corredo cui appartiene. Fusi di ferro, o comunque con un'anima di ferro so­ no noti fra l'altro a Veio (BoiTANI 1985, p. 542) e in ambito laziale (SEDINI 1985, p. 48, n. 1 1 , figg. 4, 6 ) . Minori incertezze sussistono ri­ guardo all'origine del pezzo: l'uso della pasta vitrea e la tecnica decorativa dell'intarsio in­ dicano che si tratta con ogni probabilità di un prodotto di importazione orientale. Primo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921, p. 37, tav. XXI , 10; VON BISSING 1938, p. 301, n. 66, tav. LIX; Saarbriicken 1986, p. 165, n. 21 (G.C. CIANFERONI); Harnburg 1987, p. 104, n. 20 (G. C. CIANFERONI).

Giuseppina Carlotta Cianferoni

346. Fusaiola Marsiliana d'Aibegna (Grosseto), necropoli di Banditella, tomba 2 Pasta vitrea bruna. Decorazione incisa H. 2 ,1 cm, diam. max. 2 ,7 cm N. inv. 11127 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La fusaiola è fra gli oggetti che figurano più frequentemente nelle deposizioni femminili etrusche, ma non sono molti i preziosi esem­ plari in pasta vitrea avvicinabili a quello in esame; se ne conoscono dalla stessa Marsi­ liana, da Vetulonia, da Montescudaio, da Veio, da Satricum e da Bologna. Primo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921, p. 37; VON BISSING 1938, p. 301, n. 67, tav. Ltx; Saarbriicken 1986, p. 165, n. 20 (G.C. CiANrERONI); Harnburg 1987, pp. 103-104, n. 19 (G.C. CiANrERONI).

Giuseppina Carlotta Cianferoni

347·

La conocchia, in pasta vitrea azzurra, per la sua fragilità ha certamente una funzione simbolica. Essa appartiene, insieme a un al­ tro esemplare identico, ora in pessimo sta!O di conservazione, al corredo femminile, di rango aristocratico, della tomba 445 della necropoli della Banditaccia-Laghetto. Fine del VII - prima metà del VI secolo a.C. Bibliografia: MARTELLI 1994, pp. 75-93, tav. 1.

Patrizia Aure/i

348. Conocchia Campovalano (Teramo), tomba 119 Vetro fuso su anima di ferro Lu. 40 cm N . inv. 7535 Chieti, Museo Archeologico Nazionale La «conocchia>> fa parte del ricco corredo della tomba n. 119· della necropoli di Cam­ povalano, al quale appartengono anche altri oggetti di eccezionale pregio e raffinatezza quali i sandali con fasce di bronzo decorate a sbalzo, le placche di cinturone traforate, le placchette in osso con elementi zoomorfi, spiedi in ferro, vasellame in bronzo e servizi da mensa in ceramica. Trattasi quindi del corredo di un individuo femminile adulto dove la «conocchia>> in materiale prezioso, in associazione con due fusaiole, fa riferi­ mento all'arte della filatura, non come og­ getto di uso pratico, ma come simbolo della funzione di controllo e cura dei lavori fem­ minili spettante alla defunta in quanto ap­ partenente alla classe sociale più elevata, che tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo controllava l'economia locale con il posses­ so di armenti e la trasformazione delle ma­ terie. Bibliografia: Francoforte 1999, p. 269, n. 556, fig. 77 (R PAPI) .

Miria Roghi

Conocchia

349·

Cerveteri (Roma), necropoli Banditaccia­ Laghetto, tomba 445 Pasta vitrea Lu. 25,7 cm, la. 1,2/z,5 cm N. inv. 445IJ Cerveteri, Museo Nazionale Cerite

Bologna, necropoli De Luca, tomba 15 Bronzo e ambra Lu. conservata 17,8 cm N. inv. 2 5899 Bologna, Museo Civico Archeologico

Conocchia

Realizzata in materiale prezioso per ripro­ durre simbolicamente lo strumento utilizza­ to nella filatura della lana, la conocchia del sepolcreto De Luca costituisce un elemento emblematico del prestigio riservato alle atti­ vità proprie delle sfera femminile, testimo­ niato, tra l'altro, dall'associazione nello stes­ so corredo con una fusaiola di pasta vitrea (cat. 351 l . Il rivestimento d'ambra della co­ nocchia in esame rimanda ad analoghi, an­ che se meglio conservati, esemplari prove­ nienti dalla tomba 47 Lippi di Verucchio (Verucchio 1994, nn. 86-87). \'Il secolo a.C. Bibliografia: inedita Laura Minarim·

350.

Conocchia Bologna, necropoli Benacci, tomba 493 Bronzo laminato e fuso Lu. 20 cm N. inv. 14578 Bologna, Museo Civico Archeologico La conocchia di lamina bronzea costituisce la redazione in materiale prezioso di un ana­ logo oggetto realizzato solitamente in legno, utilizzato nella filatura. Elemento tipico del­ le tombe femminili più prestigiose fra la fine dell'Vili e la prima metà del V I I secolo a.C., appartiene ad una tipologia ampiamente at­ testata in Etruria propria (Veio, Tarquinia, Vulci, Volterra), come anche in Etruria pa­ dana, nel Piceno ( Novilara) e nel Veneto ( Este). Fine dell'vm - inizi del VII secolo a.C. Bibliografia: inedita. Anna Dore

351-355·

Cinque fusaiole

Bologna, necropoli De Luca, tombe 15, 38, 90 e necropoli dell'Arsenale Militare, scavi 1916

Vetro blu o bruno con decorazione in giallo N. inv. 25877: h. 2,6 cm, diam. 3,2 cm; n. inv. 25895: h. 3 cm, diam. 3 cm; n. inv. 25872: h. 2 cm, diam. 2,9 cm; n. inv. 25871: h. 2,1 cm, diam. 3,1 cm; n. inv. 17475: h. 2 cm, diam 2 ,7 cm

Nn. inv. 25877, 25895 . 25872, 25871, 17475 Bologna, Museo Civico Archeologico I raffinati esemplari di fusaiole in vetro, piuttosto rari, fanno generalmente parte di corredi femminili ricchi, spesso in parure con conocchie di bronzo o di bronzo e osso (cat. 350, 516)_ Per la fragilità del materiale usato, a queste fusaiole si può attribuire una funzione puramente simbolica, indizio deUa principale attività svolta dalla donna all'in­ terno della casa. Gli esemplari ricorrenti a Bologna presenta­ no una forma variabile (biconica, piriforme, troncoconica con colletto)_ Oltre a quelli già citati (cfr_ cat. 346) trovano confronti a ViUa­ nova, a Verucchio e a Este. VII secolo a. C Bibliografia: Bologna 1998, P- 43, n. 81 (A. DoRE). Anna Dore

[351- m l

356-359· Quattro fusaiole Bologna, necropoli De Luca, tombe 38, 132, 141, 152 Pietra N. inv. 25873: h. 2 cm, diam. 3 cm; n. inv. 25874: h. 2 cm, diam. 2 ,3 cm; n. inv. 25875: h. 1,9 cm, diam. 2,1 cm; n. inv. 25876: h. 1,9 cm, diam. 1 ,9 cm Nn. inv. 25873. 25874, 25875, 25876 Bologna, Museo Civico Archeologico Questi esemplari costituiscono, come i pre­ cedenti, una redazione in materiale più raffi­ nato delle comuni fusaiole in terracorta, di cui riprendono puntualmente sia la forma che la decorazione. VII secolo a. C Bibliografia: inedite. Anna Dare

360-371.

La cosiddetta : fu infatti Augusto Castellani, un famoso orafo e collezionista romano vissuto tra la se­ conda metà dell'Ottocento e il primo decen­ nio del Novecento, ad acquistarli a Palestrina per inserirli nella sua raccolta_ Le esigue informazioni sul ritrovamento ed una serie di vicissitudini che comportarono lo smembramento dell'insieme in varie isti­ tuzioni museali ( Musei Capitolini, Museo di Villa Giulia e British Museum) ha fatto sì che attorno a questo gruppo d i materiali permanesse una notevole indeterminatezza circa le modalità di ritrovamento e la com­ posizione del corredo, aspetti ambedue in­ certi fin dalle iniziali pubblicazioni di questo materiale (R Sci IONE in Annlnst 1866, p. 186 sgg. e R GARRUCCI in Archaeologia 1867, p. 103 sgg.). Nel tempo, gli studi condotti da I . Str0m (STR0M 1971), da G. Bordenache e G. Barro­ Ioni (BoRDENACI IE-BARTOLONI 1975) e da F. Canciani (F. CANCIANI in Roma 1976, pp. 218zzi) hanno apportato ragguardevoli contri­ buti, fino allo studio più recente condotto da G. Colonna ( CoLONNA 1992b), che ha trac­ ciato un quadro inedito su questo insieme di materiali avvalendosi di un documento ma­ noscritto redatto dallo stesso Castellani. In esso l'orafo narra, ad oltre venti anni di distanza dagli eventi, le circostanze relative all'acquisizione degli oggetti, frutto di uno scavo clandestino, e la vicenda giudiziaria che lo aveva visto coinvolto per incauto ac­ quisto, il tutto accompagnato da un detta­ gliato elenco dei materiali: due coppe e una cista d'argento, due fiaschette e due balsa­ mari in pasta vitrea e un vaso di bronzo che era stato costretto a depositare presso i Mu­ sei Capitolini, tre scudi e un vaso di bronzo rimasti a far parte della sua collezione (poi passati al Museo di Villa Giulia) e infine un frammento di avorio ceduto, per motivi ere­ ditari, al fratello che lo aveva, in un secondo momento, venduto al British Museum. Co­ lonna ha così ipotizzato una diversa compo­ sizione del corredo prefigurando, inoltre, che i materiali provenissero da una tomba a camera che accoglieva più seppellimenti ri­ feribili a un arco cronologico ampio che ab­ bracciava l'intero VII e i primi decenni del VI secolo a.C. Un ulteriore passo conoscitivo è possibile ef­ fettuare oggi attraverso l'esame di una consi­ derevole documentazione individuata negli archivi delle Istituzioni pontificie accompa-

gnato da una serie di verifiche sui vecchi in­ ventari conservati presso i Musei Capitolini: in questo caso le informazioni ottenute ci consentono di apportare alcune sostanziali modifiche al racconto di Castellani per poter riconsiderare, con nuovi strumenti, i mate­ riali della cosiddetta tomba Castellani. Pur rimandando ad altra sede la puntuale disamina di queste testimonianze è possibile fin d'ora formulare alcune precisazioni: lo scavo clandestino non si delineò come fatto estemporaneo, ma piuttosto come una ricer­ ca attuata in un lasso di tempo che permise di scavare in varie zone del terreno recupe­ rando un cospicuo numero di oggetti, so­ prattutto metallici e di evidente valore; la reale consistenza delle scoperte doveva esse­ re di una entità assai elevata come suggeri­ scono alcuni documenti che restituiscono veridicità alla testimonianza del Garrucci messa in dubbio in alcuni studi. La vicenda giudiziaria, che coinvolse Castel­ lani, e con essa gli eventi legati agli oggetti, ha, inoltre, connotazioni completamente di­ verse rispetto a quelle ricordate dali' orafo romano : una sentenza lo obbligava, infatti, a consegnare all'autorità pontificia tutti gli oggetti acquistati e non quelli da lui menzio­ nati. Fu l'orafo, avvalendosi di influenti ami­ cizie, a eluderla con ogni mezzo e quando, trascorsi tre anni, capì che doveva in qual­ che modo risolvere la situazione, trattenne alcuni oggetti presso di sé e propose di con­ segnare solo la cista e le due coppe d'argen­ to alle quali aggiunse, dopo molte trattative, la patera e il vaso biconico di bronzo; otten­ ne inoltre che i pezzi non fossero portati ai Musei Vaticani, come era logico, ma insistet­ te affinché venissero immessi tra gli oggetti da lui donati al Museo Capitolino del quale era, per altro, direttore; per quanto riguarda i manufatti in /ai'ence non entrarono a far parte delle collezioni capitoline insieme agli altri oggetti ma vi furono, con ogni probabi­ lità, inseriti da Castellani quando credette più opportuno. Un' ultima marginale considerazione, che però a mio avviso è chiarificatrice dell'atteg­ giamento mentale del Castellani, riguarda la cifra da lui pagata per l'acquisto degli ogget­ ti: l'orafo sborsò, nel 1861, circa venti scudi che corrispondono più o meno a seicentomi­ la lire, nel suo manoscritto ripete che li pagò cinquecento lire che valgono, facendo i do­ vuti rapporti, trenta milioni: non va dunque mai dimenticato che Castellani era, soprat­ tutto in quegli anni, un mercante di oggetti

antichi che non avrà esitato a vendere o a di­ sfarsi di parte degli oggetti p roven ienti dall'acquisto di Palestrina, trattenendo pres­ so di sé i migliori. D'altronde dalla corri­ spondenza con suo fratello Alessandro e dai suoi stessi ricordi, apprendiamo che nel 1860, e cioè appena un anno prima dei ritrovamen­ ti a Palestrina, veniva aperta a Parigi una suc­ cursale della bottega dove, e sono parole del­ lo stesso Augusto, . Anche le indicazioni «suggerite>> da Bruno (Annlnst 1866, p. 408) sulla tipologia della tomba mi sembra vadano accolte con gran­ de cautela: l'unica fonte di Castellani fu il povero contadino che aveva eseguito lo sca­ vo clandestino nel momento in cui tentava di vendere, alle migliori condizioni possibili, il suo bottino; era poi Castellani nell'ambito delle «sapienti discussioni>> che si svolgeva­ no all'Istituto di Corrispondenza Archeolo­ gica a elargire ai « m ig l i o ri archeologi dell'epoca>> le notizie più dettagliate che co­ storo si attendevano. La documentazione mi sembra debba in­ durci a una grande cautela soprattutto nei tentativi di ricostruzione della cosiddetta tomba Castellani come di un contesto unita­ rio: Castellani, d'altronde, non fa mai riferi­ mento a un corredo specifico ma al massimo afferma che alcuni manufatti «furono trovati insieme>>, manufatti per i quali non ebbe cu­ ra mai di individuare e preservare, se ancora a lui fosse stato possibile, le eventuali asso­ ciazioni, coerente con l'atteggiamento cinico che lo contraddistingueva (CoLONNA 1982, p. 36). Particolarmente indicativo in questo senso è il dato cronologico fornito dai materiali che, come è stato già rilevato (CoLONNA 1992b, p. so), copre un arco temporale piuttosto am­ pio: i bronzi, quali gli scudi, il vaso biconico, I' anfora e le parere baccellate possono collo­ carsi alla fme dd'vm secolo a.C., mentre gli argenti, il frammento di avorio e la scarsa oreficeria si datano nel secondo quarto del vn secolo a.C. con la sola eccezione della coppa con medaglione che può essere posta agli inizi dello stesso secolo. Per quanto ri­ guarda invece gli oggetti in /ai"ence, la data­ zione scende decisamente nd VI secolo a.C., nella prima metà le fiasche di Capodanno e l'aryballos a losanghe, nella seconda metà l'amuleto a foggia del dio Nefertum.

Antonella Magagnini

3 60. Cista Argento laminato, lavorato a bulino e a stampo H. 16,5 cm, diam. max. 14,2 cm N. inv. Ca.422 Roma, Musei Capitolini I frammenti d'argento che compongono la cista sono senz' altro i manufatti di maggiore interesse nell'ambito di questo gruppo di oggetti prenestini. Nella ricostruzione di Castellani, a tutti no­ ta, la cista è costituita da una parte cilindrica a fondo piano e da un coperchio di legno, di restauro moderno, sui quali sono state fatte aderire, mediante numerosissimi chiodini, le diverse porzioni in lamina d'argento sbalza­ te, ritagliate o a cesello, che costituivano la parte decorativa. La decorazione del corpo è formata da quat­ tro strisce orizzontali: l'inferiore eseguita a sbalzo e a incisione presenta due costolature sulle quali corre un fregio di palmette e fiori di loto; la striscia mediana comprende, inve­ ce, due fregi lavorati a giorno con particolari resi a bulino: in quello inferiore animali gra­ dienti o in lotta, in quello superiore creature fantastiche. La striscia superiore, decorata a bulino, presenta figure di animali e creature fantastiche tra le quali si riconoscono anche figure umane. Gli attacchi per il manico sono formati da due protomi femminili su palmetta; sotto di esse sono applicate due strisce verticali de­ corate con quattro figure femminili alate con lunga veste e una palrnetta. Il coperchio presenta al centro una stella a sei raggi attorniata da palmette fenicie con fiori di loto. La situla in argento dalla tomba Regolini­ Galassi di Cerveteri (CRJSTOFANI-MARTELLI 1983, p. 264) costituisce un confronto diretto per la cista Castellani, anche se è composta da una sola lamina sbalzata, ritagliata e in ci­ sa a bulino senza tracce di chiodi. Lo sche­ ma compositivo e lo stile è, invece, differen­ te nei due manufatti, e quello della cista Ca­ stellani è stato paragonato per la sua ricchez­ za «non esente da bizzarrie» (GRAN AYMERI­ CH 1972, p. ss) alle kotylai delle tombe Bar­ berini di Palestrina e dd Duce di Vetu.lonia (cat. 161). Sulla base di questi confronti la datazione della cista è collocabile entro la prima metà dd VII secolo a.C.

Nota tecnica del restauro eseguito in occasione

della mostra: il sistema decorativo è realizza· to mediante una serie di frammenti di lamine tecnicamente disomogenee, sbalzate, a rita· glio e incise, montate sul supporto !igneo se· condo uno schema preferenziale che favori1·a un !aro decisamente più ricco rispetto all'al . tro; le varie porzioni di lamina non mostra· no, inoltre, alcun foro predisposto in antico per il passaggio dei chiodini, che sono infani moderni; l'unico foro realizzato in antico. e ben riconoscibile, è stato da Castellani celato sotto uno dei due attacchi dell'ansa. Lo smontaggio ha mostrato che i vari fram· menti erano tenuti insieme e rinforzati da tasselli di carta sui quali le singole parti era· no incollate creando insiemi anche là dove non si verificava alcun attacco. Fermando l'attenzione, per il momento, solo sulla striscia mediana è già possibile mettere in evidenza alcune incongruenze che indu· cono ad ipotizzare forti rimaneggiamenti da parte di Castellani. La striscia mediana nel punto in cui era cela· ta dalle due fascette verticali mostra un taglio longitudinale, realizzato intenzionalmente l i bordi riavvicinati sono risultati coincidenti!. per poter essere spaziata ottenendo così una diversa campi tura degli spazi; inoltre al di sotto delle fascette verticali due figure sono piene, solamente incise, mentre sono rese a ritaglio per la metà visibile. Tali particolari uniti alla presenza di una se· rie di elementi non pertinenti, zampe, code, lingue, che non sembrano trovare motiva· zioni tecniche nella costruzione originale, portano a supporre che almeno in alcune parti la lamina fosse comunque piena e che ne sia stato appositamente ricavato il vuoto del ritaglio che non risulterebbe quindi del tutto originale Approfondendo la visione dell'oggetto per verificare le tecniche del taglio si sono infatti evidenziati i segni dell'uso della forbice neUa «costruzione>> della striscia centrale: sul bor· do orizzontale, sul taglio verticale coperto dalle fascette e soprattutto a contorno di quegli elementi «bizzarri» in più che abbia­ mo descritto. Le lamine incise erano probabilmente in con· dizioni frammentarie con fratture e conse· guenti lacune ovviamente non distribuite omogeneamente, il Castellani ha voluto così ricondurre i frammenti in condizioni migliori operando comportamenti diversi a seconda delle condizioni e dei tipi dei frammenti che aveva: qudli decorati a sbalzo li raddrizza sa· gomandoli e qudli a ritaglio, di porzioni più

ragguardevoli, ma con fastidiose lacune \'Cn­ gono ulteriormente ritagliati per rendere un effeno di maggiore apprezzamento estetico: contemporaneamente vengono regolarizzati i bordi riconducendoli a una forma lineare di striscia che ne semplificava la ricomposizione. Bihliogra{ùJ : Roma I976, p. 2 2 0 . n. I l f. C:.\:\­

!1\'>I I .

362. Fia.I'Cll di Capodanno faii·ncc l'(:rdc tendente all'azzurro l I. I I ,9 cm. diam. max. IO cm 01. im·. Ca.qs Roma. ,\! usci Capitolini Corpo kmicolare. L 'ansa consen·ata inne­

ilntrmclla ,\fagagnini

stata sulla spalla c ripiegata sul collo i: deco­ rata a losanghe con p u n t o centrale: s u l l a s p a l l a l a rgo col l a re e g i z i o con o r n a m e n t i geometrici e tloreali incisi in t r e zone. Iscri­ zioni augurali sui due lari. B ihliog ra(ia : Roma I 9 7 6 . p . 2 4 8 . n . .l I G .

361. Fiasca di Capodanno

Hc lt.BI . i .

Faii:ncc verde pallido H. 1 7 . 5 cm, diam. max. I4 cm N. inv. Ca.s44 Roma, Musei Capitolini

;lntrmclla ,\/agagnini

Corpo l e n ti cola re con un breve collo cilin­

drico che simula un fio r e d i p a p i ro : l ' ansa conservata è in forma di testa Ji capro a bar­

ba cona, ti pol ogi a presen te sol o s u esem p l a ­ ri rinvenuti nell' Italia tirenica; sulla sp alla, una serie d i fa s c e semicircolari impresse in l egge r o rilievo i m i tano u n largo collare egi­ zio con ornamenti geometrici e floreali incisi in cinque zone. I scrizioni augurali per il

nuovo anno sui Jue lari della fascia circola­ re . Le fiasche «del Nuovo Anno>>, oggeni aug u ­ rali che venivano donati in occasione d e l Ca­ podanno colmi di sostanze odorose, furono prodoni in Egino esclusivamente d ura m e la 26° Dinastia (Saitica, 633 - 5 2 5 a .C . ) e rientra­ no nel novero dei manufani di importazione orientale pervenuti in Italia. Gli esemplari ritrovati a Vulci, Cerveteri e Palestrina, sono quasi esclusivamente in fai'ence di colore verde pallido o azzurro celeste, con la zona centrale del corpo senza alcuna decorazio­ ne. n sito di fabbricazione è stato localizzato a Naucratis o a Memphis, dove le botteghe che producevano gli oggetti di fai'ence erano in mano alla popolazione egiziana e forse passarono, in un secondo tempo sotto il controllo dei coloni greci e fenici (AUBET 1980, p. 54). La datazione delle fiasche del Capodanno senza decorazione viene inqua­ drata tra gli inizi e la prima metà del VI seco­ lo a.C. (WEBB 1978, p. u6). Bibliografia: Roma 1976, p. 248, n . 2 ( G . HbLBL). ,

Antonella Magagnini

363. FiaJca di Capodanno Fail'IICc verde pa llid o H. rs cm, diam. max. 1 2 cm N. i n v . C:a.s46 Roma, Musei Ca pi to l ini Co r p o lcmicolare con collo completamente di restauro: l'ansa conservata, innestata sulla

spalla e ripiegata sul collo. è decorata a lo­ sa nghe con un p un tol ino centrale e termina

a bocciolo: sulla spalla largo collare egizio con ornamenti geometrici e floreali incisi in

quanro zone. Iscrizione augurale conservata solo su di un lato della fascia circolare. Bibliografia : Roma 1 9 7 6 , p. 2 4 8 , n. 4 I G . HC\LBL).

Antonella Magagnini

364. Aryballos globulare Faiimce azzurra sbiadita

H. 6 cm, diam. max. 5,5 cm N. inv. Ca.412 Roma, Musei Capitolini

Smahatura turchese con corpo decorato a piccole losanghe sporgenti con effetto di bu­ gnato; b reve collo su cui si innesta il labbro a collarino piatto nella parte superiore con piccolo foro al centro; larga ansa a nastro. La datazione di questa classe di oggetti viene posta nell'ambito della prima metà del VI se-

colo a.C. (WEBB 1978, p. n6) Bibliografia: HùLBL 1979, p. 132, n. 240; Co­ LONNA 1992b, p. 47 (con indicazione di un vecchio numero di inventario).

Antonella Magagnini 365. Amuleto egizio

Fai"ence verde tendente al turchese

H. 8,5 cm N. inv. Ca.541 Roma, Musei Capitolini

Amuleto a foggia di statuetta del dio Nefer· tum stante su di una piccola base; la parrucca è resa compatta sul dietro e dipinta con ver­ nice nera come la barba; sulla testa, dietro al­ la quale è posizionato il foro di sospensione, è poggiato un fiore di loto, le braccia scendo­ no ai lati del corpo mentre il piede sinistro è spostato in avanti. Così rappresentato Nefer­ tum evoca la figurazione di un Bes dal carat­ tere apotropaico e per questo motivo tale ti­ pologia prese piede in Egitto al tempo della dominazione persiana, nel terzo guano del VI secolo a.C., volendo essa esprimere la richie· sta di protezione durante le lotte contro la sa­ trapia (GYORY 1992, I, p. 234). Bibliografia: HùLBL 1979, p. 151, n. 601; Co­ LONNA 1992b, p. 47·

Antonella Magagnini 366. Vaso biconico Bronzo laminato H. 39,5 cm, diam. max. 32,5 cm N. inv. Ca.540 Roma, Musei Capitolini Corpo a calotta con spalla piatta sulla quale si innesta il collo troncoconico. Sul punto di massima espansione una fila di borchiette coniche e due anse a maniglia quadrangola· re a p p i a t t i t e alle e s t re m i t à , decorate anch'esse con borchiette coniche. Lo stesso motivo si ripete attorno al labbro, mentre una decorazione perlinata corre alla base del collo e, in corrispondenza, sulla spalla. Le due anse sono realizzate in verga a sezione quadrata leggermente depressa nella parte superiore, la verghetta è stata poi battuta fi-

no a ridurla a fascia ai lati dell'ansa e su di essa sono impostati elementi conici. Pur presentandosi fortemente manipolato dal restauro di Castellani, è possibile istituire una serie di confronti, con analoghi esempla­ ri da Tarquinia (tomba del Guerriero e tom­ ba 12 dei Monterozzi) e anche con un pezzo di provenienza sconosciuta conservato a Ber­ lino, che inducono a datare il vaso alla secon­ da metà - ultimo trentennio dell'vm secolo a.C. (TAMBURINI 1993, pp. 3-16). Bibliografia: Roma 1976, p. 2 20, n . 9 (F. CAN· CIANI).

Antonella Magagnini

Argento laminato H. 7 cm, diam. bocca 9 cm N. inv. 55084 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Probabilmente derivato da modelli protoco­ rinzi in voga dall'ultimo guano dell'VIII seco­ lo a.C., trova confronti con esemplari attestati in altri contesti principeschi rinvenuti come il nostro nel Lazio (Castel di Decima, tomba 15), o in Campania (Pontecagnano, tombe 926 e 928) o in Etruria, a Cerveteri (dalla «cella>> della tomba Regolini-Galassi e dalla collezio­ ne Campana, al Louvre), centro ove si è pro­ posto di riconoscere il luogo di produzione del tipo. Con gli altri vasi in metallo nobile ri· conosciuti peninenti al corredo, lo skyphos concorre a sottolineare il rango dell'antico proprietario del sepolcro, che appare paneci· pe degli usi e costumi in voga nell'Orientaliz­ zante Antico fra gli esponenti del ceto domi· nante nei grandi centri d'Etruria. Primo venticinquennio del VII secolo a.C. Bibliografia: Roma 1975, p. 81, n. n (G. BoR­ DENACHE-G. BARTOLONI ) ; Roma 1976, p. 219, n. 4 (F. CANCIANI); SGUBINI MORETTI 2000, p. 129 sgg., n. 81.4.

Anna Maria Moretti Sgubini 368. Coppa globulare Argento laminato H. 7,8 cm, diam. max. 10,7 cm

N. inv. Ca.484 Roma, Musei Capitolini La coppa, ottenuta tirando una sola lamina d'argento, presenta un bacino profondo con pareti leggermente convesse e fondo globu· !are; sotto l'orlo corrono quattro fùe di squa· me rese a punzone coronate da una fila di cerchietti. Un esemplare identico fa parte del corredo della tomba Bernardini che presenta anche un'iscrizione sotto l'orlo; esemplari simili pro­ vengono dalla tomba Regolini-Galassi di Cer· veteri, da Vetulonia e dal Circolo degli Avori di Marsiliana d'Albegna. Per questo tipo di oggetti è stata proposta una fabbricazione ce· retana (CRISTOFANI-MARTELLI 1983, p. 265). La datazione del pezzo può essere collocata nel secondo guano del VII secolo a.C. Bibliografia: Roma 1976, p. 219, n. 2 (F. CA:'>· CIANI).

Antonella Magagnini 369. Patera con medaglione Argento laminato, lavorato a punzone e bulino H. 3,8 cm, diam. max. 15,4 cm N . inv. Ca.485 Roma, Musei Capitolini La patera, realizzata da un'unica lamina in argento, è decorata da diciotto fùe di piccole bugne ottenute a sbalzo e punzonatura, di· sposte in cerchi concentrici intorno a un me· daglione centrale. La rappresentazione abbreviata di uno sca· rabeo con testa umana e disco solare all'in· terno del medaglione rende questo oggetto estremamente particolare (F. CANCIA:'\1 in Roma 1976, p. 2 1 9 ) , pur rientrando piena· mente in quella produzione di patere d'ar· gento, ornate a sbalzo con dettagli ritoccati a bulino, denominate fenicie o fenicio-cipria· te, giunte in ambiente tirrenico insieme agli altri oggetti di imponazione orientale, grup· po del quale le parere provenienti dai corre· di delle tombe Barberini e Bernardini di Pa· lestrina costituiscono gli esemplari più rag· guardevoli. Il centro di produzione è stato localizzato a Cipro o sulla costa siriaca; di recente per gli esemplari rinvenuti in Italia è stata ipotizzata una bottega operante in Etruria, probabilmente a Cerveteri, nei pri·

[j86 ]

288

lnl

mi decenni del VII secolo a.C. ( CRISTOFANI­ MARTELLI 1983, p. 42). Bibliografia: Roma 1976, p. 219, n. 3 (F. CAN­

CIANI).

Antonella Magagnini 370. Patera baccellata

dello scavo non consente purtroppo di attri­ buire con sicurezza lo scudo a una delle varie deposizioni presenti all'interno della tomba. Primo venticinquennio del VII secolo a.C. Bibliografia: STR0M 1971 , p. 23, n. 10; Roma 1975, p. 79, n. 1 (G. BoRDENACHE BATTAGLIA­ G. BARTOLONI); Roma 1976, p. 220 sg., n. 13 (F. CANCIANI); SGUBINI MORETTI 2000, p. 129 sgg., n. 81.4

Anna Maria Morelli Sgubini

Bronzo laminato H. 4,6 cm, diam. max. 16,6 cm N. inv. Ca.486 Roma, Musei Capitolini

La patera, ottenuta da una sola lamina proba­ bilmente di forma circolare, presenta un fon­ do piano con costolatura circolare e la parete con baccellature ricavate da una lavorazione a sbalzo; orlo svasato, sul bordo due fori pas­ santi circolari con resti dell'aggancio in ferro. L'oggeno appartiene a una classe di derivazio­ ne orientale ampiamente diffusa in ambiente etrusco-italico a partire dalla seconda metà dell'viii secolo a.C. come dimostrano gli esem­ plari provenienti dai più significativi contesti orientalizzanti quali le tombe 926 e 928 da Pontecagnano, e i corredi delle tombe Bernar­ dini e Barberini di Palestrina, della Regolini­ Galassi di Cerveteri e della tomba dd Duce a Vetulonia (cat. 163-168). Le officine sono state localizzate a Cerveteri (o'AGOSTINO 1977b, p. 27) e a Vetulonia (CAMPOREALE 1967a, p. 45). Bibliografia: Roma 1976, p. 2 2 0 , n. 10 ( F .

372· Coppia di armille Marsiliana d' Albegna (Grosseto), necropoli di Banditella, tomba 2 Oro laminato. Decorazione a filigrana Diam. 5,5 cm Nn. inv. lll5I, lll52 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Le due armille appartengono a un tipo ben noto, del quale si conoscono esemplari da Vetulonia, Populonia, Tarquinia e Cervete­ ri, la cui elaborazione è stata attribuita ad ambiente etrusco-meridionale. Prinno quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: MINTO 1921; CRISTOFANI-MAR­ TELLI 1983, p. 266, n. 47 (M. MARTELLI); Saar­ briicken 1986, p. 164, n. 16-17 (G.C. CIANFE­ RONI); Hamburg 1987, p. 98, nn. 2 - 3 (G.C.

CiANFERONI).

CA:>�CIANI).

Giuseppina Carlotta Cianferoni

Antonella Magagnini 371.

Scudo Bronzo laminato e sbalzato Diam. 62,2 cm N. inv. 51165 Roma, M useo Nazionale Etrusco di Villa Giulia Ascritto al tipo Ia di Geiger (GEIGER 1994, p. 43 sg., n. 2), lo scudo, da parata e fra i più an­ tichi della serie, concorre con gli altri mate­ riali metallici presenti nella tomba a qualifi­ care l'alto rango del defunto, certamente esponente dell'élite dominante nell'Orienta­ lizzante Antico a Palestrina. La confusione degli oggetti funebri operata al momento

373· Coppia di armille Vetulonia (Grosseto), Scala Santa Oro laminato. Decorazione a sbalzo e a filigrana Lu. 33,4 e 24,5 cm, la. max. 6,3 cm Nn. inv. 77948, 77949 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Esemplari più o meno identici provengono dalle tombe di Vetulonia, dove è riconosciuta per l'età orientalizzante una produzione locale. Prima metà del VII secolo a.C. Bibliografia: voN HAsE 1975, p. IJl, nota 158, fig. 42; Saarbriicken 1986, p. 184, nn. 3-4 (M.

CYGIELMAN). Luàa Pagnini

374· Coppia di armille Vetulonia (Grosseto), tumulo della Pietrera, IV tomba periferica Oro laminato. Decorazione a sbalzo e a filigrana Lu. 34,7 e 33.5 cm, la. max. 6,2 cm Nn. inv. 74837, 74838 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Realizzate in una bottega vetuloniese, queste armille mostrano elementi legati al reperto­ rio iconografico della facies orientalizzante antica, quali la Pothnia e il Despotes theron, le palmette fenicie, insieme ad altre raffigu­ razioni comuni sui prodotti dell'oreficeria vetuloniese (teste femminili con pettinatura hatorica). Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: FALCHI 1898, p. 147, fig. 3; KARO 1902 , pp. 106-107, figg. 63-64; STRQJM 1971, pp. 91, 94, nn. 6-7; Saarbriicken 1986, p. 184, nn. 1-2 (M. CYGIELMAN).

Lucia Pagnini

375· Coppia di armille Vetulonia (Grosseto), Circolo dei Leoncini d'Argento, m Oro laminato. Decorazione a sbalzo Lu. 16,5 cm, la. 3,8 cm Nn. inv. 926oo, 92601 Vetulonia, Museo Civico Archeologico «lsidoro Falchi>> Braccialetti simili, per forma e tecnica, sono diffusi in vari centri dell'Etruria durante I'Orientalizzante. Una ricca decorazione sbalzata copre l'intera superficie (teste fem­ minili con treccia hatorica; palmette fenicie; quadrupedi; grifo). Pur essendo in rapporto con esemplari dall'Etruria meridionale, per la struttura compositiva rientrano nella cer­ chia delle officine orafe vetuloniesi. Terzo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: TALOCCHINI 1963, pp. 67-69, fig. 1, tavv. 1 2 , 14; CRJSTOl'ANI-MARTELLI 1983, p. 280, n. 96 (M. MARTELLI); Hamburg 1987, p. 215, nn. 136-137 (M. CYGIELMAN).

Luàa Pagnini

376. Collana Vetulonia (Grosseto), Circolo dei Leoncini d'Argento, 111 Oro laminato. Decorazione a sbalzo Elemento di collana: h. 1,8 cm, la. 1,9 cm N. inv. 92602 Vetulonia, Museo Civico Archeologico «lsidoro Falchi» Altri pendenti di collana da Vetulonia pre­ sentano composizioni simili . N ei nostri esemplari ritorna il motivo della testa fem­ minile con treccia hatorica entro un motivo a volute e boccioli di loto. Terzo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: CRISTOFANI-MARTELLI 1983, p. 280; Saarbriicken 1986, p. 185, n. 8 (M. C Y · GIELMAN); Hamburg 1987, pp. 215-216, n. 138 (M. CYGIELMAN).

Lucia Pagnini

377· Coppia di armille

630·625 a.C. Bibliografia: FALCHI 1898, pp. 146, 1 5 2 , 158, fig. 18, BENEDETTI 1959, p. 248, nn. 49-50; CRI­ STOFAN I-MARTELLI 1983 , p. 270, n. 59 ( M . MARTELLI); Saarbriicken 1986, p. 186, nn. 1314 (M. CYGIELMAN). Lucia Pagnini

379· Collana Vetulonia (Grosseto), Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Oro laminato Diam. 0,7 cm N. inv. 77265 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Elementi biconici uguali, in lamina baccella­ ta, sono presenti a Vetulonia e a Marsiliana. 630-625 a.C. Bibliografia: FALCHI 1898, pp. 146, 155, fig. 25; BENEDETTI 1959, p. 248, n. 5 1 ; CRISTOFANI­ MARTELLI 1983, p. 271, n. 6o (M. MARTELLI); Saarbriicken 1986, p. 186, n. 1 5 (M. CYGIEL­

3 81. Fibula ad arco configurato Vetulonia (Grosseto), Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Arco e ago d'argento con rivestimento in lamina d'oro; staffa in lamina d'oro. Decorazione a sbalzo e a pulviscolo Lu. 8,5 cm N. inv. 77262 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Testimone della tecnica e dell'eclettismo raggiunti nei laboratori orafi vetuloniesi in età orientalizzante, inseriti in un circuito di rapporti con l'Etruria meridionale, mostra due diversi procedimenti decorativi: la sfin· ge alata con pettinatura hatorica, che fuorie· sce dall'arco è realizzata con lamine d'oro saldate insieme; i particolari, i riempitivi e la processione di animali fantastici sono a pul· viscolo. 630-625 a.C. Bibliografia: BENEDETTI 1959, p. 246, n. 45; CRISTOFANI-MARTELLI 1983, p. 272, n. 66 (M. MARTELLI); Saarbriicken 1986, p. I87·t88, n. 20 (M. C YGI ELMAN) .

MAN).

Vetulonia (Grosseto), Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Oro laminato. Decorazione a pulviscolo Diam. 6,5 cm Nn. inv. 77266, 77267 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La forma del braccialetto, costituito da anel­ li rigidi e cerniera, è isolata, ma la tecnica de­ corativa è comune a Vetulonia. 630-625 a.C. Bibliografia: KARO 1902, pp. 100-101, fig. 53; BENEDETTI 1959, p. 248, nn. 47-48; CRISTOFA­ NI-MARTELLI 1983, pp. 272- 273, n. 67 ( M . MARTELLI); Saarbriicken 1986, p . 188, nn. 2223 (M. CYGIELMAN).

Lucia Pagnini

378. Coppia di armille Vetulonia (Grosseto), Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Argento dorato Diam. 3,8 cm Nn. inv. 77268, 77269 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Lucia Pagnini

Lucia Pagnini

382. Fibula a drago

3 80. Spillone Vetulonia (Grosseto), Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Argento dorato. Decorazione a pulviscolo Lu. 20,7 cm, diam. capocchia 2,2 cm N. inv. 77260 Firenze, Museo Archeologico Nazionale L'oggetto mostra una raffmata e calligrafica decorazione a pulviscolo tipica delle orefice­ rie vetuloniesi: motivi geometrici sull'ago; tralci, animali fantastici, uccelli e motivi ve­ getali sulla testa. 630-625 a.C. Bibliografia: BENEDETTI 1959, p. 246, n. 46, fig. II; CRISTOFANI-MARTELLI 1983, p. 270, n. 58 (M. MARTELLI); Saarbriicken 1986, p. 186, n. 12 (M. CYGIELMAN).

Lucia Pagnini

Vetulonia (Grosseto), Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Argento rivestito di lamina d'oro Lu. 11,7 cm N. inv. 77263 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La fibula rappresenta un unicum per la testa di felino, che tiene nelle fauci spalancate il tubetto trasversale; per lo stile della figura, l'oggetto è attribuito a fabbrica vetuloniese. 630-625 a.C. Bibliografia: FALCHI 1898, p. 146, fig. 23; BE· NEDETTI 1959, p. 242, n. 39; CRISTOFANI · MAR· TELLI 1983, p. 271, n. 61 (M. MARTELLI); Saar· briicken 1986, p. 186, n. 16 (M. CYGIELMAN).

Lucia Pagnini

. ;SJ!

383. Fibula a sanguisuga Vetulonia !Grosseto ) , Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Arco e ago d'argento con rivestimento in lamina d'oro; staffa in lamina d'oro. Decorazione a sbalzo Lu. 20,8 cm N. inv. 77258 Firenze. Museo Archeologico Nazionale Sull'arco e sulla lunga staffa sfingi alate bar­ bute, grifi, leoni e palmette fenicie di prege­ vole fattura, tratti dal repertorio orientaliz­ zante. Si tratta di produzione locale. 630-625 a.C. Bibliografia: BE:-.:LDEHI 1959, p. 243, n. 41, fig. 8; CRISTOFA�I -M.-\RTE I.LI 1983. pp. 271-272. nn. 62-64 !M. M.·\RTEI.L I ); Saarbrucken 1986, p. 187, n. 17 (i\1. Crc;u:L.\IA:"L

Lucia Pagnini

384. Fibula a sanguisuga Vetulonia !Grosseto l. Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Arco e ago d'argento con rivestimento in lamina d'oro; staffa in lamina d'oro. Decorazione a sbalzo Lu. 21.5 cm N. in v. 77 257 Firenze. Museo Archeologico Nazionale Sull'arco e sulla lunga staffa si ripete in mo­ do identico alla precedente la ricca decora­ zione a sbalzo. Produzione locale. 630-625 a.C. Bibliografia: BE:"EDEHI 1959, p. 243, n. 40. fig. 8; C:RJSTOI ..\�1-MARTELI.I 1983, pp. 271-272, nn. 62-64 (M. MARTELLI l; Saa rbrucken 1986. p. 187. n. 17 !M. Crc:IEI..\L\�) .

Lucra Pagnini

385. Fibula a sanguisuga Vetulonia ( Grosseto ) , Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Arco e ago d'argento con rivestimento in lamina d'oro; staffa in lamina d'oro. Decorazione a sbalzo

Lu. 20,8 cm N. inv. 77259 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La tecnica, il tipo e la decorazione della fi­ bula son le stesse utilizzate per gli altri esem­ plari della tomba. I particolari sono quasi identici; condensano influenze dei modelli etrusco-meridionali con un gusto locale ispi­ rato alla scultura monumentale. 630-625 a.C. Bibliografia: BE�EDEHI 1959, pp. 243-244, n. 42; CRISTOFA:-.:1-MARTELI.I 1983. pp. 271-272, nn. 62-64 ( M. MARTEI.I.I ); Saarbrucken 1986, p. 187. n. 19 ( M . Crc:IEL\IA:-.:L

Lucia Pagnini

386. Fibula a sanguisuga Vetulonia (Grosseto ) , Circolo degli Acquastrin i, tomba del Littore Oro laminato. Decorazione a pulviscolo Lu. 15,6 cm N. in v. 77261 Firenze, Museo Archeologico Nazionale Ricca di raffigurazioni di pregevole fattura, presenta una delle più antiche rappresenta­ zioni della Chimera. oltre a quadrupedi, es­ seri fantastici con le code ricurve o con ele­ menti pendenti dalla bocca, viticci e un uc­ cellino. La tecnica a pulviscolo. diffusa a Ve­ tulonia, trova stringenti confronti locali. 630-625 a.C. Bibliografia: BFNEDETTI 1959, p. 245, n. 44; C R I STOF.-\�1-MART EI.I.I 1983, p. 272. n. 65: Saarbrucken 1986, p. 188. n. 21.

Lucia Pagnini

3 87. Fibula a sanguisuga Vetulonia ( G rosseto ) , Circolo degli Acquastrini, tomba del Littore Oro laminato Lu. 5.2 cm N. inv. 77264 Firenze, Museo Archeologico Nazionale La fibula è inornata ma appartiene alla tipo­ logia di quelle decorate provenienti dalla stessa tomba.

630-625 a. C

Bibliografia: FALCHI 1898, PP- 146, 154, fig. 24; BENEDETTI 1959, pp. 2 44- 2 4 5 , n. 43; Saar­ briicken 1986, pp. 188-189, n. 24 (M. CYGIEL­ \IANl.

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Lucia Pagnini

388. Collana Verucchio (Rimini), necropoli Moroni, tomba 23 Ambra e oro Vaghi d'ambra: lu. da 2 ,3 a 4,9 cm, la. da o,S a 1,9 cm; vaghi d'oro: lu. da 1,8 a 4 cm Nn. inv. 8515, 8508, 8511 Verucchio, Museo Civico Archeologico Il corredo di questa tomba presenta nume­ rosi elementi indicativi di rango riferibili a individui di entrambi i sessi (maschili: elmo, asce, giavellotto; femminili: perle, collana, orecchini, conocchia; il numeroso vasellame bronzeo e ceramico e gli elementi di barda­ tura non sono indicativi del genere). È ipo­ tizzabile (in attesa di conferma dall'analisi dei resti ossei) una doppia sepoltura, anche se non è possibile stabilire se si tratti di due sepolture contemporanee o di una riapertu­ ra rituale dell'unico ossuario presente. Il corredo può essere d a t a t o tra la fine dell'VIII e gli inizi del VII secolo a.C Bibliografia: GENTILI 1985, P- 74, nn. 6, 9, 1314, taw. XXXII-XXXIII; Verucchio 1994, P- 168, nn. 6os. 6o6, 6o8, figg. 90, 98, 100.

Patrizia von Eles

389. Orecchini Verucchio (Rimini), necropoli Moroni, tomba 23 Ambra e oro Diam. 5,5 e 6 cm Nn. inv. 8509-8510 Verucchio, Museo Civico Archeologico Provenienti dalla stessa tomba da cui pro­ viene la collana cat. 388, gli orecchini sono un elemento quasi costantemente presente nei corredi femminili di Verucchio, passan­ do da tipi con filo di sospensione in bronzo e perla di misura ridotta a esemplari di mag-

294

giori dimensioni e, nelle tombe più ricche, con filo in oro. I l corredo p u ò essere datato tra la fine dell'vm e gli inizi del VII secolo a.C. Bibliografia: GENTILI t985, p. 73. nn. 7-8, tal'. XXXII; Verucchio t994, p. t68, nn. 6o9-6to, figg. 34-35·

Patrizia von EleJ

390 · Collana Tarquinia (Viterbo), necropoli di Monterozzi, tomba di Bocchoris Faience. 45 pendenti con figure di Sekhmet e Nefertum H. media 3 cm N. inv. RC 2062 Tarquinia, Museo Nazionale Archeologico

[390]

La collana, composta da amuleti raffiguranti l e divinità Sekhm�t e Nefertum, è l'esempio più noto della corrente di piccoli oggetti egi· zi di ornamento personale importati in Italia dal Villanoviano Tardo aii'Orientalizzante Medio (MARlULI t99t, p. 1056 sgg.). La tipo· logia di questi pendenti, ben anestata anche a Rodi, è probabilmente da attribuire ad una manifanura fenicia con base nell'isola greca (HùLBL t979, pp. to7 sgg., t94 sgg.). La tom· ba femminile, il cui ricco corredo compren· deva la celebre si tula egizia in /aiencc con cartiglio del faraone Bocchoris (Firenze t985, p. 93 sgg., con bibliografia), costituisce una testimonianza fondamentale del nuol'o sviluppo economico e culturale delle aristo· crazie etrusche neii'Orientalizzante Antico. 700-690 a.C. Bibliografia: HENCKEN t968, pp. 366 sg 588. fig. j6te; H> di Vulci. Alcune delle figure sommitali, tra le 4uali questa, tengono tra le mani u n disco solare alato, altre un piccolo leone, cosa che fa ipotizzare che esse rappresentino divinità iemminili orientali. Tali vasetti contenevano probabilmente olii o unguenti profumati e dentro di essi venivano immersi lunghi spii­ Ioni, utilizzati per acconciare e profumare i capelli. Il rinvenimento di numerosi esem­ plari di pietra ali"interno di ricche sepolture greche, magno-greche ed etrusche databili al VII e VI secolo a.C. evidenzia l'estensione degli scambi commerciali e artistici che ca­ ratterizza questa fase. Quanto alla fabbrica di prod uzione è stato proposto di indivi­ duarne la sede a Naucrati o a Rodi, località entrambe fortemente debitrici a influssi ci­ prioti, nonché a Vulci. Versioni in terracorra di simili contenitori sono particolarmente diffusi nella Grecia orientale. Bibliografia: STROM 197I, p. 137, n. 365; HAY­ "ES I977, pp. 2I-22; MARTELl.! I977b, p. 87; pe r il tipo: Hamburg I987, pp. 227-228 ( A . RoMUALDI).

judith Swaddling

413.

Balsamario configurato Vetulonia (Grosseto), Circolo dei Leoncini d'Argento, 111 Fai"ence H. 8 cm, la. 7,2 cm N. inv. 116483

Vetulonia, Museo Civico Archeologico «Isidoro Falchi» Riconosciuto come un prodotto di importa­ zione, viene probabilmente da Rodi. Il vasetto rappresenta una figura femminile con mantel­ lo, inginocchiata, che tiene sulla schiena un bambino e tra le braccia un capretto. Terzo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: TALOCC:HINI 196 3 , pp. 71, 84, figg. 15-16; RATI I.I E 1976a, p. 96, nota 2; MAR­ TELLI 1978, p. 169, nota 57; Hamburg 1987, p. 216, n. 141 (M. CnaELMANl.

Lucia Pagnini

414· Fiasca di Capodanno Vulci (Viterbo), necropoli della Polledrara, tomba di Iside. Acquistata dal dottor Emil Bra un Faience blu-verde H. 13Cm N. inv. GR tSso 2-27.57 Londra, British Museum Al British Museum sono conservati circa sessanta oggetti acquistati come pertinenti a questa ricca sepoltura, ma sfortunatamente al momento della sua scoperta non fu redat­ to un elenco preciso dei pezzi che compone­ vano il complesso dei doni funebri. La tom­ ba, esplorata nel 1827, fu scoperta insieme a molte altre da Luciano Bonaparte, principe di Canino, al quale il possedimento di Cani­ no era stato donato dal Papa. Il vaso, con ansa configurata a testa di anti­ lope, presenta un'iscrizione in caratteri ge­ roglifici recante un augurio per il nuovo an­ no ed è uno dei cinque esemplari attribuiti al corredo della tomba di Iside. Non è insolito trovare oggetti di importazione egiziana in Etruria durante la fase cui si data la deposi­ zione, ma non è escluso che il corredo possa aver subito delle contaminazioni nel periodo in cui venne conservato nel «gabinetto egi­ ziano>> all'interno della villa del principe. Bibliografia: STRC1M 1971, PP- 136-137, t88-189, n. 361; HAYNES 1977, p. 21; HOLBL 1979, n. 269, tav. 3; per il tipo delle fiasche di Capo­ danno: DUNN FRIEDMAN 1998, pp. 228-229.

Judith Swaddling

415· Vaso decorato a rilievo con busti e teste a tutto tondo Vulci (Viterbo). Il vaso fu trovato nel 1872 all'interno di una tomba vulcente e fu comprato dal Museo di Berlino nel 1882 tramite W. Helbig Fritta blu; colore azzurro pallido, materiale poroso, superficie opaca con residui di concrezioni brunastre H. senza teste 17,5 cm, diam. del fondo 14.4 cm, diam. bocca 16,9 cm, h. dei busti 3.5 cm (toro), 4,7 cm, 4,8 cm, 5,3 cm N. inv. Mise. 7756 Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung La decorazione è costituita da figure a rilie­ vo appiattito (due coppie di donne, due tori e un alberello di palma) poggianti su una cornice di base campita da motivi a zig-zag. Attualmente questi sono solo appoggiati alla bocca del vaso, girati verso l'interno, non es­ sendo più possibile l'associazione sicura cor­ po-testa. Ad una delle figure umane appar­ tiene pure un avambraccio plastico con rela­ tiva mano, anch'esso appoggiato sull'orlo. Per le restanti figure si deve supporre del re­ sto una simile posizione, con una sola delle braccia distesa lungo il fianco. Il braccio de­ stro della donna posta alla sinistra del toro di cui si conserva la testa toccava probabilmen­ te il capo dell'animale. La presenza di un supporto interno all'imboccatura del vaso fa pensare all'originario utilizzo di un coper­ chio, di cui nulla si conserva. Fenicio (?), 8oo-6oo a.C. Bibliografia: HEILMEYER 1988, p. 2 0 5 , n. 3; KASSEL 1999, p. 359, n. 190 con ampia biblio­ grafia.

Irma Wehgartner

416. Brocchetta Vulci (Viterbo), necropoli dell'Osteria, località Cantina (scavi Bendinelli 1923) Faience; impasto nocciola invetriato di colore verde H. 9,5 cm N. inv. 62978 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

La brocchetta, a corpo baccellato e mancan­ te dell'ansa, rientra nel novero delle prime importazioni in Etruria di orienta/io p er il tramite di mercanti fenici, che peraltro era· no rinomati nell'VIII secolo a.C. per la pro· duzione di vasi in vetro. In questo periodo i Fenici avevano anche insediamenti stabili in Sardegna, da cui poteva essere facil itato l'approdo sulle coste etrusche. \'111 secolo a.C. Bibliografia: FALU>NI AMoRELLI 1983, p. 81. n. 50, figg. 27 e 29; FuGAZZOLA DELl'IN 1984. pp. 58 e 132. n. 52, con figura.

Laura Rtcciardi

4 17. Pisside Santa Marinella (Roma), necropoli delle Vignacce Vetro fuso H. 6,8 cm N. inv. 25223 Civitavecchia, Museo Nazionale Archeologico La pisside appartiene a una classe di vetri par· ticolarmente interessanti per la tecnica utilizza· ta e per la caratteristica decorazione a piccole protuberanze superficiali, che gli hanno fano attribuire l'appellativo di «irsuto>>. La tipologia, già nota in Etruria e nel Lattt/111 vetus, è rappresentata da esemplari di \'aria morfologia, che, per associazione ai materiali di corredo di appartenenza, possono defmi�J;i oggetti di «lusso>>. Con fondata certezza la pro· duzione di suddetta classe di vetri va localizza. ta a Cerveteri a partire dalla metà del \'Il secol o a.C. con diffusione sull'intero territorio etru· sco e continuità cronologica della manifanura nel corso della prima metà del VI secolo a.C. Fine del \'Il secolo a.C. Bibliografia: MARTELLI 1994, p. 76.

Ida Cari/lo

418. Pisside Marsiliana d'Aibegna (Grosseto), necropoli di Banditella, Circolo degli Avori Avorio intagliato, scolpito e inciso H. 18,2 cm, diam. to cm N. inv. 21647

Grosseto, Museo Archeologico e d'Arte Jella .\laremma Il corpo centrale, cilindrico. ricavato da un unico segmento di zanna, è decorato su due registri sonapposti con lotte fra uomini e animali e ira animali: sul coperchio. fornito Ji presa a fiore di loto, uomini in lotta con animali. La pisside è attribuibile ad ambiente \'etulo­ niese. sia per la forma generale che richiama J,, 1·icino quella degli incensieri bronzei. sia per lo stile dell'intaglio e per alcune peculia­ rità tipologiche delle figurazioni. L'eccezio­ nale libertà compositiva di queste ultime in­ duce a pensare che il pezzo sia opera di un immigrato, o quanto meno di un artista nella cui formazione siano da ravvisare forti com­ ponenti orientali: una personalità di eccel­ lente livello, con esperienza d'orafo. oltre che di intagliatore. È inoltre ipotizzabilc che le scene rappresentate sulla pisside non sia­ no Ji genere, bensì richiamino precisi cpiso· di mitologici: un riferimento agli Argonauti può essere. allo stato attuale. un'ipotesi sug­ gesti\·a (cfr. r. NICOSIA in Hamburg 1')87. p. 158 ss.l. Secondo quarto del \'Il secolo a.C. llihliogra/ia: MI:->To 1921, pp. 1lJ-Il5, 220226, fig. 14. ta1·. X\'111; BE:->ZI 1966, pp. 25_l2'.)l: Hamburg 1987, p. 158. n. 213 (M. CY­ t.ll 1.\L\:-.J); San Paolo 1998, p. 59. n. 51.

Gitncppina Carlo/la Cian/croni 4•9·

Statue/la femminile Ccrl'(:teri (Roma l, tumulo di Montetosto, camera Il A1·orio H. 9.5 cm ;\!, im·. 101106 Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia La staluetta costituisce il confronto migliore per i due calici con cariatidi c le nove sta­ tuettc d'avorio della tomba Barberini di Pre­ neste. La forma di questi calici anticipa di mezzo secolo i calici a cariatidi in bucchero IC\I'HCIII-Gt•:--::--:ELL\ 1975! e quello bronzeo Jella collezione Castellani l C:() i:->:\.·\ t'.)821. L'origine degli esemplari in a\'(lrio è incerta lr\i'BFT 1971. p. 168 sgg.; S.\1.[418a] 'Kt >l' Rt >BIXI'S 1988!: benché a p-

partengano genericamente alla produzione di isp irazion e siro-f e n i c i a , m a n c a n o i n Oriente confronti puntuali. Più suggestivo è il confronto con i perirrhanteria ( bacini l u ­ stralil greci con cariatidi, i l c u i rapporto cro­ nologico con i calici Barberini non è però Jefiniro con certezza. Una fabbricazione a opera di un artigiano greco immigrato po· trebbe essere suggerita dallo stile >, emerge nell'ambito della tradizione romana su questo specifico problema la convinzione di un influsso gre­ co m o l t o forte e relati v a m e n t e a n t ico sull'ambiente latino, oltre che di un arrivo precoce della scrittura rispetto all'Etruria, con un atteggiamento che tradisce un osse­ quio molto marcato nei confronti della ci­ viltà greca e la proposta di una sequenza cronologica per questo evento che non con­ corda con l'evidenza archeologica. Al di là di qualche nuovo documento epigrafico, an­ cora però di incerta classificazione (iscrizio­ ne dell'Osteria dell'Osa, tomba 482), risulta

infatti pienamente confermata a tutt'oggi la priorità temporale dell'Etruria, dato che le più antiche iscrizioni qui scoperte, dalle quali si ha l'impressione di un alfabeto «na­ zionale>> già chiaro e definito, si datano agli inizi del VII secolo a.C., e precedono di circa cinquant'anni l'arrivo di Demarato, forse iniziatore di una «attività letteraria>> più ma­ tura, piuttosto che portatore della scrittura in senso stretto (Co L ONN A 1976b, p. 14 ); mentre le iscrizioni latine più antiche (e tra queste sicuramente la fibula d'oro da Pale­ strina (cat. 440), un centro oggi considerato in un ceno senso bilingue e molto precoce nella pratica della scrittura forse proprio per la presenza di Etruschi) non sono più anti­ che del secondo quano del VII secolo a.C. E del resto anche sul piano fonetico è lecito ipotizzare una intermediazione etrusca per spiegare il sistema (e l'oscillazione) delle ve­ lari in latino (CRISTOFANI 1972b, pp. 476477), nonostante per altri aspetti (conoscen­ za dei valori fonetici dei grafemi che manca­ no nella serie alfabetica etrusca) sia difficile escludere un rappono diretto con l'elemen­ to greco occidentale (CRJSTOFANI 1978b, p. 15 e PROSDOCIMI 1989, pp. 1358-1366). La tradi­ zione di Demarato venuto a stabilirsi a Tar­ quinia, una volta depurata della sua impreci­ sione sul piano della cronologia assoluta, trova conferma nel fatto che spetta proprio a Tarquinia il p rimato nell'adozione della scrittura, anche se di lì a poco sarà Cerveteri ad occupare un ruolo di assoluta preminen­ za in questo ambito, come dimostra la quan­ tità e la qualità delle sue iscrizioni (quasi la metà delle iscrizioni di VII secolo a.C., e tra queste nme le più lunghe e le più complesse, provengono da Cerveteri) e come traspare chiaramente dalla notizia di Tito Livio (IX, 36, 3) secondo la quale i giovani della nobiltà romana andavano ad imparare le etruscae lit­ terae proprio a Cerveteri, la più «letteraria>> delle città d'Etruria in questa fase (CoLONNA 1970, pp. 652-653). L'iscrizione dell'anforetta di bucchero a spirali, proveniente da Cerve­ teri (cat. 435), databile al secondo quano del VII secolo a.C., è una buona testimonianza di quel lungo processo attraverso il quale l'am­ biente ceretano, dopo avere introdotto alcu­ ne significative innovazioni sul piano epigra­ fico, giunse a una solida codificazione che fu poi esponata ed insegnata anche in territori molto lontani ( Etruria settentrionale e pada­ n a ) a riprova della autorevolezza che la «scuola ceretana>> aveva acquisito in fatto di scrittura.

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M t>>. La sequenza delle sillabe. che dobbiamo pensare ripetute e recitate. la· scia intravedere da un lato il valore dell' ora· lità nell'insegnamento della scrittura e dall'altro che tale oralità non si limita ai se· gni singoli e all'accoppiamento segno-suo· no, ma supera tale isolamento puntando sul­ la giunzione delle consonanti con le vocali e avviando così concretamente la pratica della scrittura, che altro non è se non unione e combinazione di segni corrispondenti alla unione e alla combinazione d i su oni. Di grande importanza sotto questo aspetto il valore e la funzione della sillaba sulla quale si incardina l'insegnamento della scrittura. che è essenzialmente insegnamento orale. di cui forse costituisce un residuo, sul piano

epigrafico, la puntuazione sillabica presente in alcune aree dell'Etruria e di cui si ha inve­ ce la prova sicura in altri ambiti italici, come ad esempio nell'area atestina (PROSDOCIMI 1983). Anraverso l'insegnamento, fatto inizialmen­ te all'interno delle case e dei palazzi, la scrit­ tura diviene patrimonio usuale delle aristo­ crazie che la utilizzano per esibire pratiche come quella del dono o per sottolineare in­ novazioni onomastiche come quella del gen­ tilizio, strettamente legate alle prerogative e allo stile di vita degli aristoi e delle loro coni. Senza la scrittura entrambi questi aspetti sa­ rebbero stati pressoché sconosciuti o co­ munque molto difficilmente indagabili. Per quanto riguarda il sistema onomastico, è ben noto che in Etruria da una fase in cui vi­ geva all'interno delle comu n i tà un nome unico (praenomen) si passò ad una fase in cui al nome unico fu accostato il nome ag­ giunto o di famiglia (nomen o nomen gentili­ aum) , con un sistema che poi attraverso Ro­ ma è giunto fino ai nostri giorni. Molto di­ verse le valutazioni degli studiosi su questo importante aspetto della struttura sociale ed economica dell'Etruria, sia sul piano crono­ logico che su quello delle motivazioni e del significato storico. Sul piano cronologico al­ cuni ritengono che tale cambiamento ono­ mastico vada collocato nella seconda metà dell'viii secolo a.C. e sia comunque definiti­ l'O al più tardi agli inizi del VII ( COLONNA 1977al; mentre altri ritengono che tale pro­ cesso sia ancora in atto nel corso del VII seco­ lo a.C. e che solo nella seconda metà del se­ colo, per di più avanzata, il nomen sia diven­ tato di uso comune (CRISTOFANI 1981b, pp. 47-53). Sul piano sociologico alcuni ritengo­ no che sia la nascita delle compagini urbane a determinare il superamento del «nome semplice>> e la conseguente invenzione del «nome doppio», semplicemente in ragione di una maggiore complessità nel meccani­ smo di identificazione personale (CRJSTOFA­ NI 1981 b , pp. 48-49 con riferimenti) (l'au­ mento consistente della popolazione avreb­ be richiesto, in presenza del solo «nome semplice», una diffusione eccessiva e diffici­ le da gestire dei nomi personali). Altri repu­ tano invece che l'introduzione del gentilizio dipenda da t r a s fo r m a z i o n i s oc i a l i p i ù profonde, i n particolare dalla nascita delle gentes e da alcune conseguenze sul piano economico e sociale che tale fenomeno si portò dietro (CoLONNA 1977al. Il gentilizio, anche se di origine patronimica, esprime un

rappono di filiazione e di appanenenza alla

gens, cioè ad un gruppo parentelare esteso

nel tempo e nello spazio, e non più ad un in­ dividuo (paterfamilias) come invece indica­ va il patronimico. «Il passaggio dal sistema patronimico al sistema gentilizio coincide in I talia con il passaggio da una società tribale, indivisa, in cui il clan si identifica idealmente con la comunità e tutti si credono discen­ denti di un progenitore comune, ad una so­ cietà pluralistica, articolata stabilmente in classi sulla base della divisione del lavoro» (CoLONNA 1977a, p. 185). Ma il gentilizio si­ gnifica sopra ttutto possibilità di una tra­ smissione ereditaria del nome, il cui conge­ lamento all'interno di una gens equivale al congelamen to del possesso della terra e quindi alla sua ereditarietà. Il possesso indi­ viduale della terra e la nascita della pro­ prietà ereditaria sono tratti salienti della ri­ voluzione aristocratica dell'viii secolo a.C. e sono fondati sulla discendenza e sui vincoli di sangue. È evidente che questa motivazio­ ne sociologica è assai p i ù c o n v i n c e n t e dell'altra, che di fatto s i basa s u aspetti piut­ tosto banali di ordine pratico e organizzati­ va. E del resto il quadro complessivo della società etrusca nell'viii secolo a.C. pona alle medesime conclusioni se solo si pensa che l'in troduzione del gentilizio, o nome di fa­ miglia, avviene poco dopo il superamento della tomba a fossa o a pozzetto, rigorosa­ mente individuali, in favore della tomba a camera che è tomba di famiglia e come tale viene realizzata assieme ad altre all'interno di un tumulo, cos truzione funeraria che ospita i membri della stessa famiglia per più generazioni. L'elemento decisivo nella storia del nomen va riconosciuto quindi nella rivo­ luzione aristocratica dell'Italia centrale tirre­ nica che traspare dai corredi tombali, la cui forte differenziazione sociale non lascia dubbi al riguardo, oltre che dalla comparsa della tomba a camera dovuta alla nuova esi­ genza di disporre di tombe di famiglia per esibire la propria discendenza. E anche il di­ lemma cronologico cui si faceva cenno è og­ gi definitivamente risolto a favore della cro­ nologia alta (seconda metà dell'vm secolo a.C.) oltre che per i rapponi con la situazio­ ne storica dell'Etruria, per il fatto che già nel primo quarto del VII secolo a. C . (CoLONNA 1977a, pp. 178-179) fanno la loro comparsa iscrizioni con formula onomastica costituita da prenome e gentilizio. Se tutto questo ac­ cade ed è riflesso nella più antica documen­ tazione epigrafica etrusca è probabile che il

processo possa risalire anche più indietro nel tempo in una fase «prescrittoria», in per­ fetta sintonia del resto con quanto succede in questo periodo nelle comunità dell'Etru­ ria ormai definitivamente strutturate e orga­ nizzate in senso aristocratico. E dalla scrittu­ ra, che i «principi» conoscono e praticano con buona padronanza e con notevole fre­ quenza soprattutto in rappono alle altre et­ nie (per l'epoca orientalizzante conosciamo oltre 120 iscrizioni provenienti dall'Etruria e poco più di una dozzina dal resto dell'Italia centrale) , ci pervengono dati e notizie inte­ ressanti sull'uso e stÙ significato del gentili­ zio all'interno delle comunità aristocratiche, consentendoci tra l'altro di seguire vicende storiche, mobilità e relazioni parentelari di alcune delle più imponanti «famiglie» ari­ stocratiche d'Etruria. In qualche caso, come ad esempio l'iscrizione mi laucies mezenties di Cerveteri (cat. 437), dove il gentilizio me­ zentie rimanda al famoso re di Cerveteri, ne­ mico di Enea e di Ascanio, di cui ci parla Virgilio nell'Eneide, la documentazione epi­ grafica consente addirittura di ricollegare nomi e fatti della tradizione storica (o leg­ gendaria) a individui o a famiglie realmente esistiti (GAULTIER-BRIQUEL 1989, pp. 109-113). Ancora più interessanti sul piano storico le indicazioni che ci offre la pratica del dono strettamente collegata all'ideologia e allo sti­ le di vita delle aristocrazie principesche (CRJSTOFANI 1975b e CRJSTOFANI 1984). In un numero relativamente alto di iscrizioni ven­ gono utilizzati infatti i verbi turuke e mulu­ vanike, entrambi riferibili all'area semantica del donare, con un campo di applicazione che comprende sia la sfera del dono tra uo­ mini che quella del dono alle divinità, senza alcuna specializzazione in senso tecnico dei due verbi, come in un primo tempo si era in­ vece pensato ipotizzando per turuke un'of­ ferta a divinità o dedica votiva, e per mulu­ vanike un dono a esseri umani (SCIIIRMER 1993, con riferimenti). In casi come questi l'iscrizione dichiara che l'oggetto su cui è stata graffita è donato (o è stato donato) a qualcuno, menzionandolo esplicitamente. La sistemazione nelle tombe di oggetti con questo tipo di messaggio scritto significa che questi venivano compresi tra i beni persona­ li del defunto proprio perché gli erano stati donati in vi ta. Quando l'a tto del dono è esplicitato dal verbo sono diverse le situazio­ ni che si possono verificare: ci possono esse­ re testi quasi identici, ma in siti differen ti, che indicano oggetti donati dallo stesso per-

Olia con iscrizione a rilievo e può circolare come tale anche a lungo prima di essere deposto in una tomba e arri­ vare per così dire alla sua destinazione fina­ le. Ne discende che gli oggetti con questo ti­ po di iscrizione che si trovano nelle tombe possono anche non appartenere originaria­ mente al defunto (e quindi non contenere il suo nome), ma piuttosto a qualcuno della sua famiglia o del suo gruppo, per cui l'iscri­ zione altro non è che il segno di una prece­ dente proprietà dell'oggetto che viene «do­ nato» di nuovo e come tale arricchito di una sorta di valore aggiunto derivato dalla sua «storia» e dalla sua genealogia ( AMPOLO 1980, p. 144 e saggio in questo Catalogo). Questo scambio di doni investe capponi so­ ciali basati sul rango, con lo schema della reciproci tà che approda, specie in alcune fasi e in alcune aree, a vere e proprie forme di emulazione tra aristoi nell'offrire, costi­ tuendo secondo alcuni lo stimolo per una circolazione dei beni sicuramente più am­ pia di quanto il meccanismo stesso non lasci trapelare e comunque non circoscritta al so­ lo ambito dei capponi tra famiglie o gruppi aristocratici, per cui non a caso si è parlato di . Più recen temente tuttavia si ten­ de a ricondurre nell'ambito della pratica del dono anche questo tipo di iscrizione, sia per la difficoltà di pensare ad un artigia­ no dotato di gentilizio, sia per la possibilità che il verbo zinake, usato con lo stesso si­ gnificato di meneke, possa essere in teso nel senso traslato di «consacrare, dare sacral­ mente», del resto condiviso anche dal gre­ co poieo - e comunque possibile anche quando il destinatario è un defunto come in questo caso, dato che l'oggetto proviene da una tomba (COLONNA 1975a, p. 18J). Pre­ nome e gentilizio con i morfemi -si e -aie potrebbero così indicare sia il destinatario (funzione dativale) che l'autore ( funzione agentiva) di questa azione di dono (COLON­ NA 1975b), molto solenne e molto particola­ re, se non altro nella sua «sacralità». Inte­ ressanti anche le osservazioni che si posso­ no fare a proposito dell'iscrizione graffi ta sull'olia di bucchero da Chiusi (cat. 436), con un formulario di dono completo del verbo, del nome di chi ha fatto il dono (so­ lo un prenome, maschile) e di quello che lo ha ricevuto (prenome e gentilizio, femmini­ li), cioè una donna dell'aristocrazia chiusi­ n a . L ' as s e n z a del g e n t i l i z i o nel n o m e dell'autore fa pensare a un dono che s i rea­ lizza all'interno della stessa comunità fami­ gliare, così come il destinatario femminile Oe donne ricevono solo e non fanno mai doni) rende probabile l'ipotesi di un dono nuziale. L'olia di bucchero che viene dona­ ta (assieme al suo contenuto?) presenta una ricca decorazione a riquadri metopali e po­ teva essere adibita sia a contenere derrate alimentari che a mescolare il vino con l'ac­ qua durante il banchetto (i] nome thina che gli Etruschi danno a questo vaso è un adat­ tamento del greco dinos, sicuramente un vaso da vino), due mansioni evidentemente affidate alla donna nell'ambito delle attività e delle « c e r i m o nie» che si svolgevano all'interno della casa aristocratica. Ancora più ricche e più complesse le indicazioni che si possono trarre dalla fibula d'oro di Castelluccio di Pienza (cat. 439), un ogget­ to straordinario non solo per la preziosità del materiale, ma anche per il fatto che la stessa tecnica a granulazione viene utilizza­ ta sia per decorare la fibula che per redige­ re l 'iscrizione, due operazioni realizzate contemporaneamente e dallo stesso anigia-

Kantharos di bronzo con iscrizione venefica, da Scolo di Lozzo (Este, Padova), metà del 1'/ secolo a.C. Este, Museo Nazionale Atestino.

no. Diverse le interpretazioni che ne sono state date. I l suo primo editore ( H u:Rt;o\ 1971) identificava il primo nome con quello del possessore. e come tale destinatario Jel dono, e il secondo nome con quello dell'ar· t i g i a n o , a n c h e p e r c h é r i c o n o sceva nell'iscrizione un verbo (m)revenike. per la verità un apax, per il quale ipotizzava il si · gnificato di cesellare (caelavil ) . Successiva· mente, dopo che il verbo è stato letto 11111!· venikc (MAG(;IANI 197 2 ) , è stato po s sibil e ricondurre l'iscrizione ancora una volta alla p ratica del dono la cui formula però. ac· canto all'autore del dono indicato con pre· n o m e e g e n t i l i z i o ( m amurke tunikina l . s e m b re re b b e p re v e d e r e a n c h e q u ella dell'artefice della fibula, pure lui indicaiO con prenome e gentilizio (aratJ velave.mal. al genitivo, seguiti dalla parola ;:ama vi = aurum ( io [sono] l'oggetto d'oro di ara ù re· lavesna . . . ) . In realtà, se consideriamo vali· do quanto si è detto per la precedente iscri· zione a proposito della difficoltà di pensare ad un artigiano dotato di gentilizio. è leciw ident i ficare nel «possessore» di questo o�· getto non tanto chi lo ha fatto, quanto piul· tosto chi lo ha ricevuto in dono e pertanto lo possiede. In questo caso p e r di più l a pratica d e l d o n o si man ifesta con u n for· mulario molto solenne che prevede i nomi completi dei due «contraenti>>, appartenuli a due distinte famiglie dell'aristocrazia che forse suggellarono con questo prezioso ci· mel io iscritto un accordo o un legame Ji grande importanza. Non va infine dimenti· cato che il gentilizio /ursikina, prescinJen· do dalle modalità della sua formazione che presuppongono comunque una mediazio· ne italica o latina, rappresenta la più antica menzione dell'ethnos etrusco ( DE SJ.III l\E 199 3 ) . A conferma dell'i mportante ruolo che gli Etruschi ebbero nei confron ti Jei Latini per quanto riguarda l'introduzione non solo della scrittura ma anche Jei suo1 formulari e per quanto riguarda il suo uti· lizzo in rapporto alla struttura e alla iJeolo· gia di ambiti aristocratici diversi. ma con molti punti in comune, possono essere ri· chiamate le due iscrizioni latine esposte in mostra, quella della fibula prenestina lca1. 440) e quella del vaso di Duenos (cat. -Hl i. Per la prima, il più antico documento scrit· to in latino, mentre in un primo tempo si era pensato alla firma di un artigiano segui· ta dal nome del commi ttente in dativo. SI tende ora pressoché unanimemente a rico· noscervi una solenne formula di Jono. Lo

dimostrerebbero la parità sociale dei due personaggi menzionati (entrambi indicati col solo prenome in ragione del fatto che il dono avviene tra personaggi di alto livello sociale e della stessa famiglia, forse padre L'Jumasios) e figlio ( Manios) (Co LONN A 1979, pp. 163-164), il significato del verbo rhevhaked (sia che si accetti l'ipotesi di un suo uso causativo, sia che si pensi ad un ) e anche una certa negligenza del ductus rispetto alla raf­ finatezza dell'oggetto, difficilmente spiega· bile nell'ottica di un artigiano che vuole fir­ mare il suo prodotto, credibile i n vece nell'ipotesi di un oggetto «dato sacralmen­ te» e quindi di fatto «sacrificato>> come do­ no funerario. Quest'ultimo significato si può ritrovare sia nel verbo zinacelmenece dell'etrusco che nel verbo poieo- del gre­ co. E anche l'iscrizione del vaso di Duenos (cat. 441 ) , più lunga e p i ù complessa, si chiude con una formula assimilabile a quel­ la della fibula prenestina (il verbo è lo stes­ so anche se scritto in grafia meno antica) e interpretabile come formula di dono (Co­ LONNA 1979, pp. 164-165 ) , nonostante una recente diversa lettura che tende a sminuir· ne il valore da questo punto di vista (Ac;o­ STINIANI 1981). Il «duenos>> latino degli inizi del VI secolo a.C. altro non è che un mem· bro della élite aristocratica il quale si auto­ designa con il termine di «bonus>>, equiva­ lente a nobile e valente, e che dona a un al­ tro «bonus» della sua stessa cerchia il vaso del tutto speciale su cui è graffita l'iscrizio­ ne. L'omissione del nome proprio, sia del donatore che del destinatario, svincola l'oggetto da una donazione precisa e con­ tingente, e ne rende possibile una sua cir­ colazione a m p i a e a p e r t a ( q u a l s i a s i «bonus>> poteva darlo o anche riceverlo in dono) prima di essere deposto in una tom­ ba o anche in una stipe votiva, sia pure se­ condariamente, come forse è accaduto al nostro vaso. Qualcosa di molto simile, relativamente al forte influsso che gli Etruschi esercitarono sulle popolazioni vicine, si verifica in l'Ita­ lia settentrionale dove la scrittura è acquisi­ ta precocemente in a rea etrusco-padana dall'ambito tirrenico e di qui è trasmessa alle altre popolazioni dell'Italia del nord (SASSATELL! 198 5 ) , sia a quelle dell'area nord-occidentale di lingua leponzia, sia a quelle dell'area nord-orientale di lingua ve­ netica. Ne è una prova l'iscrizione vascola-

re di Castelletto Ticino (ca t. 442) costituita da un nome personale al genitivo attraverso il quale si vuole indicare il possessore del vaso (e del suo contenuto, sicuramente pre­ zioso), forse il defunto della tomba in cui esso è stato deposto ( G AMBARI-COLONNA 1988 ) , con un form ulario molto semplice che rimanda alle più antiche iscrizioni di possesso etrusche e che potrebbe anche rientrare nella pratica del dono (si vedano in proposito le precedenti osservazioni sul­ le iscrizioni di possesso). Ancora più inte­ ressante sotto il profilo degli stretti rappor· ti con l'Etruria tirrenica è la lunga iscrizio­ ne etrusca di Bologna graffita su un'anfo· retta del sepolcreto Melenzani kat. 438). Essa dimostra in primo luogo che anche in aree di colonizzazione come la pianura pa­ dana la scrittura si diffuse assai precoce­ mente dal momento che già verso la fine del VII o agli inizi del VI secolo a.C. la Bolo­ gna etrusca era in grado di produrre un te­ sto di tale lunghezza e di tale complessità, per il quale non si è esitato a parlare di un livello quasi «letterario>>. Esso va bene al di là infatti di un normale testo di dono, pur contenendo il verbo turuke la cui attesta­ zione in questa epigrafe funeraria dimostra fra l'altro che esso poteva indicare fin dalle origini (questa è una della attestazioni più antiche) anche il dono a mortali e non solo quello a d i v i n i t à , facendo ven i re meno l'ipotesi di una specializzazione tecnica dei due principali verbi etruschi di dono ( tu · ruke e muluvanike). L'iscrizione coinvolge molte persone, tutte indicate con prenome e gentilizio e come tali sicuramente appar­ tenenti alla élite aristocratica felsinea. Ven­ gono infatti indicati sia i destinatari del do­ no, cioè i possessori del vaso, un uomo e una donna, probabilmente marito e mo­ glie, sia gli autori del dono, anch'essi alme­ no due; ma vengono indicati anche i prota­ gonisti di un'azione molto importante, an­ che se non ben identificata, espressa dal verbo samake che ha la stessa radice del termine zamathi, un appellativo che si tro­ va sulla fibula d'oro di Castelluccio kat. 439) e che ha che fare proprio con l'oro. La formula conclusiva del lungo testo com­ prende la firma dell'artigiano seguito dal verbo zinake, dove il «fare>> si riferisce pro· babilmente sia al vaso, per la verità molto modesto, che all'iscrizione intesa come una sorta di raffinato e colto prodotto artigia­ nale, una vera firma di artigiano come di­ mostra la struttura onomastica del suo no-

me, bimembre, ma privo di gentilizio e co­ stituito da un nome individuale (ana) e da una sorta di cognomen o appellativo ( remi­ ru). Ne esce così enfatizzato il suo livello sociale non pieno specie in rapporto a quello dei diversi personaggi coinvolti nell'azione, tutti rigorosamente di rango elevato e tutti partecipi di una complessa operazione che riguarda il dono, ma che tocca anche altri aspetti delle relazioni e della vita sociale di membri importanti deli'aristocrazia etrusca di Felsina.

Giuseppe Sassatelli

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425·

429-4}0.

Tavoletta scrittoria

Due raschiatoi

Marsiliana d' Albegna (Grosseto) , necropoli di Banditella, Circolo degli Avori Avorio intagliato. Decorazione plastica H. 5,1 cm, la. 8,5 cm N. inv. 93480 Grosseto, Museo Archeologico e d'Arte della Maremma

Marsiliana d' Albegna, (Grosseto), necropoli di Banditella, Circolo degli Avori Avorio intagliato Lu. 9 e 8,5 cm Nn. inv. 21667, 21668 Grosseto, Museo Archeologico e d'Arte della Maremma

Tavoletta rettangolare con presa costituita da due teste di leone a tutto tondo giustap­ poste; lungo il m a rgine superiore è incisa una serie alfabetica di z6 lettere sinistrorse. L 'oggetto aveva la funzione di tavoletta da scrivere, utilizzando la cera spalmata, ed è per questo che reca incisa sul margine la se· rie alfabetica, quasi in funzione di prome­ moria per chi l'adoperava. L'alfabeto è quel­ lo greco arcaico del tipo «occidentale>> ( sul problema cfr. CHJSTOFANI 197Zb, p. 466 sgg.). E da notare inoltre che il corredo compren· de, fra l'altro, uno stilo di bronzo con mani· co d'avorio e due spatole anch 'esse d'avorio, cioè tutti gli strumenti necessari per scrivere nella tavoletta. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: M I NTO 1911, pp. 122 , 236·245, fig. 20, tav. XX; PEHUZZI 1 96 9 , p . 181 sgg.; Hamburg 1987, p. 154, n . !03 (M. MICJ IEI.UC· C J ) ; San Paolo 1998, p. 6o, n. 52.

Queste due piccole spatole a forma di coltel­ lo servivano a obliterare i segni incisi sulla cera spal mata a l l ' i n terno della tavole11a scrittoria. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: M I NTO 1 9 2 1 , pp. 127, 234, fig. 18a; PERUZZI 1969, p. 181 sgg.; Hamburg 198�. p. 155, n. !05 ( M . MICI IELUCCI ) .

GiuJeppina Carlo/la Cian/eroni 426-428.

Tre manici di stilo Marsiliana d 'Albegna ( Grosseto), necropoli di Banditella, Circolo degli Avori Avorio intagliato Lu. 6 cm N. inv. 11661 Grosseto, Museo Archeologico e d'Arte della Maremma Si conservano le sole impugnature, di forma troncoconica, cui era applicata la punta me· tallica per incidere la cera. Secondo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: M I NTO 1911, pp. 127, 234, fig. 18c; PERUZZI 1969, p. 181 sgg; Hamburg 1987, p. 154, n . 204 (M. MICJ IL:wcc:J).

GiuJeppina Carlo/la Cian/croni

Giuseppina Carlo/la Cian/crmu 431 ·

Calamaio Cerveteri ( Roma), necropoli del Sorbo ( scavi Regolini-Galassi 1836) Bucchero H. 16,5 cm N. inv. 10349 Città del Vaticano, Musei Vaticani, M useo Gregoriano Etrusco

Questo vaso, unicum nella tipologia del bue· chero, deve la sua denominazione corrente a George Dennis che nel XIX secolo lo identi· ficò come calamaio. Intorno all'anello di base è inciso un alfa beta rio, mentre sul corpo si sviluppa un sillabario, entrambi co n anda­ mento destrorso. Si tratta di un vero e pro· prio abbecedario, che nel sillabario prevede la serie delle consonanti usate nella lingua parlata etrusca combinate con le vocal i i, a.u. e; l'alfabeto riporta invece la sequenza alfabe­ tica greca completa, con l'unica dimenticanZ, tracciata su questo vaso databile alla prima metà del \'Il secolo a.C., at­ testa l'esistenza, già a questa data, di una fami­ glia con il gentilizio Mezenzio. Essa dimostre­ rebbe perciò l'origine storica di una tradizione letteraria, che riferisce delle lotte tra Enea e Mezenzio, re di Cerveteri, la quale potrebbe avere come fonte un conflitto fra un re ceri te e un qualche capo latino. La formula Laucic Mczcnlie, trascrizione etrusca di un nome lati­ no (Lucius Mezentius) o italico, testimonia la mobilità delle aristocrazie dell'Italia centrale. Prima metà del \'Il secolo a.C. Bibliografia: GAULTIER- BRI()UEL 1989, pp. 99· II5; BRI>. Il tipo di fibula, con la parte serpeggiante dell'arco separata dalla pane posteriore ar­ cuata tramite un tubetto cavo trasversale, è documentato da una quarantina di esempla­ ri rinvenuti in Etruria e nel Lazio, in bronzo e in metallo prezioso. È probabile che la fi­ bula sia stata realizzata da orafi ceretani, co­ me gli altri oggetti d'oro e d'argento che fan­ no pane dei corredi principeschi orientaliz­ zanti di Palestrina. Quanto all'iscrizione, ne è stata messa in di­ scussione l'autenticità e le ultime analisi ra­ diografiche e m icroscopiche non hanno completamente fugato il dubbio se essa sia stata incisa sulla fibula anticamente o in età =

moderna. Se autentica, potrebbe essere stata incisa a Cerveteri, in grafia etrusca, ma in lingua latina, destinata a un principe latino di Palestrina. È interessante ritrovare il cor­ rispondente di numasios in età orientaliz­ zante a Tarquinia, nel nome etrusco nume­ sie, di origine osca. Sia Manios che Numasios sono qualificati soltanto con il nome individuale, come è do­ cumentato in Etruria in età orientalizzante per personaggi di alto livello sociale, prima dell'aggiunta del gentilizio: Manios potreb­ be verosimilmente essere stato il committen­ te dell'oggetto, non l'artigiano che lo ha creato; si tratterebbe di una ulteriore docu­ mentazione di scambio di doni preziosi fra personaggi di pari rango, secondo il costu­ me diffuso in Italia dalla Grecia e documen­ tato in Eturia, nel Lazio e presso altri popoli dell'Italia antica, come i Paleoveneti. Per l'adozione di particolari caratteri e per la grafia delle lettere l'iscrizione è simile alle epigrafi arcaiche di Cerveteri del periodo 675-630 a.C. La fibula fu resa nota nel 1887 da Wolfang Helbig, che non ne precisò le circostanze di rinvenimento, limitandosi a indicarne l' ac­ quisto a Palestrina nel 1871. Nel 1889 fu do­ nata dall'antiquario Francesco Maninetti al Museo di Villa Giulia. Nel 1898 Georg Karo dichiarò che la fibula faceva patte del corre­ do della tomba Bernardini, scavata nel 1876 e depositata nel Museo Preistorico di Roma diretto da Luigi Pigorini; Karo, in una lette­ ra indirizzata al Pigorini il 21 dicembre 1900 disse anche di aver appreso da Helbig che Martinetti aveva acquistato la fibula dal ca­ porale degli scavi della tomba Bernardini, il quale l'aveva sottratta al corredo; Helbig non aveva voluto divulgare la notizia fino ad allora perché erano ancora in vita le persone implicate nella vicenda. Pigorin i quindi chiese ufficialmente alla Direzione Generale delle Antichità che la fibula fosse ricongiun­ ta al corredo della tomba Bernardini; per­ tanto nel 1901, la fibula fu trasferita da Villa Giulia al Museo Preistorico. Ma dubbi sulla pertinenza alla tomba Bernardini furono espressi da Giovanni Pinza già nel 1905 e ri­ baditi da lui stesso nel 1915, da Charles Den­ smore Cunis nel 1919, dallo stesso Karo e di nuovo dal Pinza nel 1925 dopo la mone del Pigorini, tanto che nel 196o, quando il corre­ do della tomba Bernardini fu trasferito al Museo di Villa Giulia, l'oggetto rimase al Museo Pigorini. Bibliografia: HELIIIc; 1887a, pp. 37-39; DOMM-

LER 1887, pp. 40-43; GUARDUCCI 1980, pp. 413574; Lo SCIIIAVo 1975-80, pp. 287-306; FoRMI­ GLI 1992, pp. 329-343. Per i caratteri «cereta­ ni» dell'iscrizione cfr. in particolare CRISTO­ FAN l 1969a, p. no; CoLONNA 1970, p. 666 sg.; Roma 1976, p. 372 sg., n. 126 (G. CoLONNA); Roma 1990, p. 101, n. 4·4 (olla di Tita Ven­ dia); CoLONNA 1992b, p. 43, nota 88, con bi­ bliografia precedente; DELPINO 1998, pp. 95n6.

Elisabetta Mangani

441· Vaso triplo, detto «vaso di Duenos» Roma; confluito nella collezione Dressel Bucchero H. 3.5 cm, lu. dei lati 10,31Io,4 cm N. inv. 30894, 3 Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung Vaso composito, costituito da tre pissidi glo­ bulari unite l'una all'altra mediante raccordi pieni a sezione circolare. Contenitore per unguenti o cosmetici, era forse originaria­ mente fornito di coperchi. Intorno al vaso gira un'iscrizione in latino antico, capovolta e spiraliforme:

loue?satdeiuosqoimedmitatneitedendocosmi­ suircosied Astednoisiopetoitesiaipacariuois duenosmed/ecedenmanomeinomduenoine­ medmalostatod

«Lo giura sugli dei, colui che mi regala, nel caso in cui la fanciulla non sia gentile con te, anzi non ti tenga in nessuna considerazione, la faccio riconciliare con le esalazioni ( d i profumo)». «Un bonus mi ha riempito per colui, che è lui stesso un bonus, a fin di bene, non sia un malus a rubarmi!>> (traduzione di H. Rlx). «Un bonus mi ha fatto fare a fin di bene e per un bonus. Non sia un malus a porgermi» (traduzione di G. CoLONNA). Il vaso fu inventariato insieme a tre bronzi romani (una statuetta di giovane, una sfmge e una bilancia) senza l'indicazione del luogo di rinvenimento; esso non ha una provenien­ za sicura, come i vasi della collezione Dres­ sel, già inventariati nel 1887, da una necropo­ li dell'Esquilino. Lo stesso Dressel lo mette in relazione con gli oggetti ritrovati in un de­ posito votivo all'interno della proprietà di Villa Hiiffer lungo via Nazionale, presso la

chiesa di San Vitale. L'iscrizione si annovera tra i più antichi testi latini. m - ss o a.C . Bibliografia: CoLONNA 1979, pp. 163-172; Rix 1985, pp. 193-220; HEILMEYER 1988, p. 203, n. 13; EICHNER 1992, p. 207 sgg.; R.Jx 1996 , p . 36 sgg.

Ursu!d Kiistner

441. Bicchiere globulare Castelletto Ticino (Novara), località Baraggia, via Aronco, da una tomba a pozzetto di ciottoli (tomba s ) Impasto fmito a stralucido con bande risparmiate sulla gola e iscrizione incisa a bulino dopo la cottura H. 7,6 cm, diam. max. 9,3 cm N. inv. ST 51899 Torino, Museo di Antichità Tipico di una tomba maschile non panico· larmente ricca, il bicchiere è particolannen­ te rilevante per l'iscrizione graffita letta da G. Colonna come zosioiso, genitivo posses­ sivo dell'onomastico zosios Oat. Cusius), ri­ spetto alle varianti zasioiso (DE MARI NIS ) e *ghostio-sjo (PROSDOCIMI). L'alfabeto utiliz­ zato per questa iscrizione in lingua protocel­ tica, e dunque una delle più antiche iscrizio­ ni celtiche note in Europa, è adattato da un modello etrusco meridionale/capenate. Il vasetto era collocato in un'urna cineraria fit· tile chiusa dalla scodella coperchio, al di so­ pra delle ceneri del defunto: probabilmente si caratterizzava come oggetto personale e conteneva vino o birra. Secondo quarto del VI secolo a.C. Bibliografia: GAMBARI -COLONNA 1988, pp. Il9-164; DE MARINIS 1988b, pp. 157-259; GAM· BARI 1989, pp. 2 n - 2 25; PRosDOCJMI 1991, pp. 139-177 -

Filippo Maria Gambari

VIII. I PRINCIPI PADANI: L'ORIENTALIZZANTE SETTENTRIONALE

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fcat.

444]

L'assenza delle grandi emergenze menu­ men tali e dei s o n t u o s i corredi p ro p r i dell'Etruria h a ritardato per molti decenni il riconoscimento di una fase orientalizzante in area padana; né la scultura funeraria bolo­ gnese che, come vedremo, costituisce la più compiuta testimonianza della ricezione dei nuovi impulsi culturali, ha ricevuto adegua­ ta attenzione fino agli anni '5o-'6o, periodo al quale risalgono importanti lavori (POLAC­ co 1950- 51; FERRI 1951; ZUFFA 1956; Bologna 1960; Padova 1961) che gettano le basi per lo studio di quello che per primo Mansuelli de­ finì «Orientalizzante settentrionale�� (MAN­ SUELLI 1956-57). Inizialmente nato attorno alle stele ad una produzione bolognese, parallela a quel­ la atestina, ma non dipendente da essa, co­ me mostra la sensibile diversità stilistica e di temi, almeno in questa prima fase. Nonostante i numerosi studi, !'«arte delle si­ tule>> è una materia ancora in elaborazione e fluida e necessita di un riesame complessivo, anche tenendo conto di più recenti scoperte quali per esempio l'elmo di Pitino San Seve­ rino nelle Marche (S G U B I N I MoRETII 1992 ), che reca una serie di animali sbalzati molto vicini a quelli della situla «Benvenuti>>, o la situla di Nesazio ( M I I I O V I L I C 199 2 ) , con la rappresentazione di una battaglia navale. VERUCCHIO

Verucchio si trova nella valle del Marecchia, che costituisce il naturale prolungamento verso nord e verso il mare Adriatico della valle del Tevere, una via di penetrazione fre­ quentata e controllata dagli Etruschi, la cui potenza, come afferma Livio, era molto este­ sa prima del dominio di Roma per terra e per mare e si protendeva su entrambi i mari della penisola, sul Tirreno e sull'Adriatico, che dagli Etruschi stessi avevano tratto il lo­ ro nome. «Contrariamente a quanto si verifica per Bo­ logna, dove il territorio della città si proten­ de considerevolmente verso la pianura, l'area che dipende da Verucchio risulta assai poco estesa, più che per difetto di documen­ tazione, per il fatto che il centro non sembra interessato alla organizzazione di un vasto territorio circostante a scopi eminentemente agricoli, ma è attento soltanto al controllo della via che da un lato, attraverso il valico di Viamaggio, immetteva nell'Etruria tiberina e dall'altro, lungo la valle del M a recchia,

raggiungeva il mare Adriatico assumendo in tal modo evidenti connotati di una avampo­ sto commerciale più che di un centro di po­ polamento>> (S ASSATELLI 1996)_ Conosciute fin dal secolo scorso, le necropo­ li hanno fino ad oggi restituito più di 500 tombe che coprono un periodo che va dal iX fino al V I secolo a.C. I risultati eccezionali degli scavi condotti da Gentili tra il 1969 e il 197 2 hanno riportato alla luce i sepolcreti orientalizzanti, caratterizzati da tombe prin­ cipesche che sembrano concentrarsi soprat­ tutto nelle necropoli sotto la Rocca di cui conosciamo, su più di trecento tombe, solo alcuni corredi. Mentre il piccolo sepolcreto Moroni - 40 tombe - è interamente edito (G ENTILI 1985), anche se con una documentazione non del tutto soddisfacente, sul sepolcreto Lippi so­ no state avanzate alcune ipotesi - relative al­ la «utilizzazione degli spazi>>, alle «modalità rituali nella gestione dei riti>> e alla - che, in as­ senza dell'edizione dei materiali e dell'indi­ cazione delle tombe, non possono essere uti­ lizzate ( BoiARDI-VON E LES 1997)_ L'attenzione degli studi si è concentrata sul­ le tombe 85 e 89 della necropoli Lippi (Bolo­ gna 1987), appartenenti certamente a due personaggi eminenti di Verucchio, sembra con diverse funzioni, i cui corredi documen­ tano i rapporti con le corti dell'Etruria set­ tentrionale e meridionale, ma anche con le popolazioni delle due sponde dell'Adriatico e con le regioni nord-europee da cui prove­ niva l'ambra in quantità eccezionale e lavo­ rata localmente da abilissimi artigiani. Questa fitta rete di rapporti, la contiguità con genti diverse e la caratteristica di enclave culturale qualificano Verucchio come un «centro etrusco di frontiera.>> (SASSATELLI 1996), sul quale potevano aver esercitato un controllo centri dell'Etruria propria. La tomba 85 ( cat. 524-566 ) , una sepoltura maschile della metà circa del VII secolo a.C. si contraddistingue per alcuni importanti peculiarità. L'ossuario, era avvolto da un tessuto fermato da fibule, secondo un noto modello eroico adottato anche da centri etruschi orientalizzanti , che a Verucchio sembra molto diffuso. Ma la caratteristica di maggior rilievo è la presenza dei tre tavolini, di un modello noto anche in Etruria, ma di legno e in grandezza reale, «una presenza triplice che ricorda la triplicità delle offerte della prima età del Ferro laziale e sud-etru­ sca delle tre olle a rete o di tre vasi biconici>>

33 5

(ToRELLI 1997b l . Ogni tavolino accoglieva offerte diverse all'interno di vasi specializza­ ti: carne, liquidi e frutta, tra cui nocciole e uva. Un trono di legno accompagnato da un poggiapiedi insieme ad un coltello, con pro­ babile funzione sacerdotale, e ad un elmo di vimini rivestito di grandi borchie di bronzo, la cui tipologia di matrice slovena è estranea al mondo etrusco, hanno indotto Torelli ad attribuire la deposizione ad un personaggio dotato di dignità sacerdotale di origine stra­ niera, forse illirica. Il trono e il suppedaneo della tomba Lippi 89 (cat. 253-254) appartenevano invece ad un personaggio molto eminente, ma con prero­ gative politico-militari. La presenza di una doppia panoplia, etrusca e picena (ToRELLI 1997b l o da guerra e da parata ( BERt;oNZI 199 2 ) , e della complessa decorazione incisa sullo schienale del trono, che va ricondotta all'ambito della cerimonialità aristocratica, hanno portato ad interpretazioni assai con­ troverse che solo la pubblicazione dell'inte­ ra necropoli potrà forse rendere meno alea· torie. Già da ora sappiamo infatti che esisto­ no almeno altre due tombe molto ricche con troni di legno (tomba Moroni 26 e tomba B Strada Provinciale 1 5 ) e questo fatto mette in guardia dall'identificare nel ricco defunto della tomba 89 di Verucchio (MALNATI, ToRELU ) : si tratta invece, presu­ mibilmente, di «uno>> dei principi di Veruc­ chio, appartenenti ad una famiglia aristocra­ tica che partecipava alla gestione economica e «politica>> della comunità. Anche in questo corredo troviamo confronti assai significativi con tombe etrusche orien­ talizzanti e picene, come l'elmo conico dello stesso tipo di quello indossato dal guerriero della stele di Rimini con iscrizione vicina a quelle della stele di Novilara, né etrusche, né umbre, anche se scritte in un alfabeto me­ diato da Verucchio secondo Colonna; con caratteri onomastici tipicamente italici e ri­ collegabile ad un sistema di scrittura «um­ bro>> secondo Cristofani (SASSATELLI 1999l . A i confronti già individuati vanno ora ag­ giunte le tombe dei «principi guerrieri>> di Casal Marittimo (Cecina 1999) i cui corredi trovano forti assonanze con le due tombe principesche di Verucchio: l'ossuario di bronzo rivestito di un manto di stoffa e fer­ mato da fibule; il tavolino, se pure di dimen­ sioni ridotte e di bronzo; le asce - insegne con lungo manico decorato da anatrelle, che troviamo anche nella tomba 89, anche se non connesse all'immanicatura dell'ascia; le

offerte di nocciole e di uva. Sono tratti co­ muni anche ad altre tombe orientalizzanti, ma qui sembra di ritrovare una concentra­ zione molto significativa di consonanze, per le quali si potrebbe ipotizzare un rapporto fra l'Etruria nord-occidentale e il versante adriatico. L'ipotesi sembra ulteriormente avvalorata dal confronto che si può instaura­ re tra le due sculture da Casale Marittimo (cat. 126-127) e le statue stele adriatiche che ripetono il medesimo gesto delle braccia portate l'una sul petto e l'altra sull'addome. Anche se per ora non sappiamo precisare da quali ambiti e per quali vie l'impulso verso la statuaria sia arrivata dall'Etruria alle genti adriatiche (CoLONNA 1999b), questo dato co­ stituisce una ulteriore prova della forte co­ munanza fra i «principi>> dell'Italia antica che si riconoscevano attraverso l'adozione di comuni ideologie.

Cristiana Morigi Covi

LA SCULTURA DI ETÀ ORIENTALIZZANTE IN ETRURIA PADANA

La produzione artistica bolognese che più di ogni altra dimostra l'adesione del grande centro padano alla cultura orientalizzante è senza dubbio quella delle scultura in arena­ ria, nella quale, grazie anche a ritrovamenti piuttosto recenti, si possono annoverare cir­ ca una quarantina di esemplari. La maggior parte di questi proviene dalle aree riservate alla sepoltura estese ai margini dell'abitato felsineo, soprattutto dai vasti sepolcreti oc­ cidentali, mentre i restanti monumenti sono stati sporadicamente rinvenuti nel territorio circostante, per lo più ancora entro contesti funerari, in piccoli insediamenti disposti quasi a ventaglio intorno a Bologna e da essa senz'altro dipendenti almeno sul piano cul­ turale (SASSATELLI 1988). Del tutto isolati re­ stano per ora i ritrovamenti di Rubiera (cat. 4 5 1 - 45 2 ) e di San Varano (cat. 448 ) , posti l'uno all'estremità nord-occidentale, l'altro forse oltre il presunto confine sud-orientale di quello che doveva essere il territorio con­ trollato da Bologna nel pieno VII secolo a.C. ( SASSATELLI 1990).

Comunemente note come «stele protofelsi­ nee>> nella lunga tradizione di studi ad esse dedicata, le sculture orientalizzanti di area padana formano un gruppo di monumenti molto eterogeneo, caratterizzato da notevoli

differenze formali, dimensionali e decorati· ve. Al suo interno è tuttavia individuabile una categoria di opere, sicuramente la più numerosa, che mostra una certa omogeneità nella strunura e nei motivi ornamentali. quando presenti. Si tratta delle stele dette , così chiamate in virtù dell'elemento discoidale sovrapposto ad un corpo rettan· golare, originariamente infisso nel terreno. le quali non sembrano trovare alcun con· fronto nel ricco patrimonio artistico ed ani­ gianale dell'Etruria tirrenica (cat. 446·447!. Se ormai chiara è la loro destinazione fun· zionale in qualità di segnacoli tombali, assai meno certa è l'interpretazione del significato della loro foggia, ricollegata a più riprese ta· !ora alla stilizzazione del corpo umano. talal­ tra alla simbologia solare sottesa al disco e. più di recente, ad una evocazione dello scu· do in bronzo quale princi· pesco. Va comunque sottolineato come la quantità irrisoria di questo tipo di stele ri· spetto alla vastità numerica delle tombe fi· nora scavate nelle necropoli di Bologna sia una dimostrazione del carattere di esclusi· vità che esse dovevano rivestire, destinate probabilmente solo a personaggi di alto ran· go. Basti pensare infatti che, nell'ampio arco cronologico entro cui vengono prodotte le stele «a disco>>, dal volgere dell'vttl fino ai primi decenni del VI secolo a.C., gli esempla­ ri noti sono in tutto 18 contro oltre duemila sepolture, per le quali il segnacolo più con· sueto era invece costituito da una scaglia informe di arenaria o da un ciottolo di fiu· me, se non addirinura da un elemento in materiale deperibile. A prescindere da queste stele tutte le altre sculture, tra cui si annoverano lastre paralle­ lepipede (cfr. le stele «Zannoni» e di , cat. 444-445), cippi cilindrici mo· danari (cippi di via Fondazza, catt. 449-4501 o claviformi (cippi di Rubiera, catt. 451·4521 e persino una testa a t u n o tondo (testa «Gozzadini>>, cat. 454), mostrano tali diver· sità da non poter essere classificate secondo criteri univoci, sebbene presentino almeno un carattere in comune, vale a dire la monu· mentalità delle dimensioni. Molte di esse so· no opere di grande impegno artistico, sia per l'abile trattamento della pietra, sia per la complessità dei motivi iconografici, opere molto probabilmente realizzate per una committenza di matrice aristocratica, senza dubbio piuttosto colta. Non è possibile pen· sare che, come le coeve stele «a disco», esse fungessero da semplici segnacoli di singole

sepolture; assai più credibile è che almeno alcune fossero correlate, in qualità di ele­ menti di delimitazione o di monumentaliz­ zazione, ad intere aree sepolcrali, per le qua­ li è forse verosimile una qualche relazione con famiglie o gruppi famigliari (Sassatelli I988). Particolarmente significative a questo proposito, oltre alle più famose e meglio conservate pietre e di «via Tofane>> e agli straordinari cippi di via Fondazza, tutte opere di considerevole grandezza, sono le poco conosciute sculture rinvenute durante la costruzione del Poli­ sportivo di Bologna. Si tratta di due grandi stele di IV secolo a . C . ricavate da enormi blocchi parallelepipedi di quasi due metri di lunghezza per un metro e mezzo di altezza, recanti i resti di una elaborata decorazione a bassorilievo con sfingi e teorie di animali, databile alla seconda metà del VII secolo a.C. IMOR(C;( G0\ 1 -S ASSATELLI 199J). Al di là delle caratteristiche formali, è so­ prattutto il repertorio iconografico scelto per la decorazione delle sculture bolognesi a rivestire il maggiore interesse nella com­ prensione deii'Orientalizzante felsineo. Con quelle che possono essere considerate le pri­ me grandi opere scultoree, cronologicamen­ Ie collocabili ancora entro il secondo venti­ cinquennio del VII secolo a.C., vale a dire le stele , , di «via Tofane>> e la testa «Gozzadini>> (catt. 443 ·445, 454 ) , si ha una radicale rottura ri­ spetto alla precedente tradizione vill anovia­ na ed una repentina e prepotente afferma­ zione di temi decorativi di schietta deriva­ zione genericamente vicino-orientale, quali la sfinge e ('«albero della vita>>, o più chiara­ mente neo-assira (cfr. cat. 444 ) . Tali motivi, che ricorreranno poi in tutta la seguente produzione, la quale sembra dispiegarsi sen­ za soluzione di continuità fino ai primi de­ cenni del VI secolo a.C., sono peraltro realiz­ zati sui primi monumenti secondo stilemi propri della Siria settentrionale, che paiono tradire, come postulato anni or sono, una di­ retta provenienza orientale dei loro artefici (CoLONNA-VON HAsE 1986). Le novità tecniche, iconografiche e ideologi­ che portate da questi artisti diventeranno, nel periodo immediatamente successivo a quello del loro diretto operato, e cioè a par­ tire dall' ultimo trentennio del VII secolo a.C., il punto di avvio per una nuova grande stagione della scultura bolognese, caratteriz­ zata dalla completa assimilazione degli inse­ gnamenti orientali nel panorama culturale '

locale e dalla loro rielaborazione attraverso un'ottica più genuinamente «etrusca>>, in li­ nea con ciò che accade contemporaneamen­ te nella produzione artistica tirrenica. L' ana­ lisi stilistica dei motivi decorativi che ornano i monumenti lapidei di questa fase ( M A R­ CHESI I999) rivela uno stretto rapporto con le esperienze etrusco-settentrionali, a ulteriore conferma delle strette relazioni che legano Bologna con Chiusi e il territorio compreso tra la media valle dell'Arno e l'alta valle dell'Ombrone, già rilevati per importanti prodotti della toreutica quali il tintinnabulo dell'Arsenale Militare o la si tula «della Cer­ tosa>> katt. 344, 570). L'esperienza scultorea orientalizzante si chiude definitivamente nei decenni iniziali del V I secolo a.C., ed emblematica a questo proposito appare la seconda lavorazione della stele di «via Tofane>> (cat. 445 ) , per la quale non solo si seleziona un soggetto che diventerà consueto nelle future stele di fase Certosa, ma in parte si distrugge e in parte si occulta un monumento che in precedenza doveva aver avuto grande rilevanza, deter­ minando così una decisa rottura rispetto al passato. Il fenomeno delle stele felsinee, che ha inizio a poco meno di un secolo di distan­ za dopo un periodo di apparente nella produzione scultorea, è del tutto svin­ colato dalle esperienze orientalizzanti e, pa­ rallelamente al radicale mutamento «cultu­ rale>> ben visibile nell'ambito dei corredi tombali, esso testimonia non solo l'evoluzio­ ne dei referenti commerciali e culturali della compagine urbana bolognese, ma anche il cambiamento della committenza sul piano sociale (SASSATELLI I989).

Marinella Marchesi

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443· Stele «Ma/vasia Tortorelli» Bologna, palazzo Malvasia Tortorelli, Strada Maggiore n. 17 Arenaria H. 127 cm, la. 78 cm, spess. 23 cm N. inv. 27843 Bologna, Museo Civico Archeologico Fu trovata durante lavori edili all'interno del palazzo Malvasia Tortorelli, nelle immediate adiacenze di un gruppo di otto sepolture, in parte con struttura a fossa e in parte a dolio, cronologicamente scaglionate tra la fine dell'vii! e la seconda metà del VII secolo a.C. Le eccezionali dimensioni della pietra, che doveva verosimilmente raggiungere un'al­ tezza di quasi z metri, e il tentativo non riu­ scito di farne un'opera a tutto tondo, fanno di questa stele un unicum nel panorama del­ la scultura orientalizzante bolognese. Del tutto isolato a Bologna è anche il tema ico­ nografico dei vitelli affrontati all'> La stele presenta motivi decorativi tratti dal repertorio orientalizzante: sul lato A, !'«albe­ ro della vita», sormontato da crescente luna­ re rovesciato, con due capridi rampanti ai la­ ti del tronco; sul lato B, a doppio registro, in alto I'«albero della vita>>, in basso una sfinge

gradiente con coda desinente in testa di ca­ pro. Il monumento, frutto di notevole malu· rità artigianale, è stato inserito nel gruppo delle stele protofelsinee; le diversità, tuttavia. ne hanno fatto attribuire l'esecuzione a mae­ stranze non immigrate da Felsina, ma con­ fluite in Romagna direttamente dall'Etruria tirrenica attraverso la vallata del Montone. Fine del VII - inizi del VI secolo a.C. Bibliografia: BERMND MoNTANARI 1967, pp. 655-658; B1s1 1984, pp. 77-106; CowNNA-\o\ HAsE 1986, pp. 53-54; PRATI 1989, pp. 53-56: BERMOND MoNTANARI 1996, pp. 269-272.

Luciana Prali 449·

Cippo modanato Bologna, via Fondazza nn. 29-31 Arenaria H. 190 cm, diam. 90 cm N. inv. 67301 Bologna, Museo Civico Archeologico

Rinvenuto in un'are-d frequentata a partire dal­ la seconda metà del VII secolo, caratterizzala dalla presenza di strutture a pianta curviline-J e di canalette, è stato variamente interpretato. insieme all'esemplare gemello, come altare sa­ crificale connesso a un santuario suburbano. come elemento di monumentalizzazione di un ingresso o di un'area di passaggio e, più eli re­ cente, come segnacolo limitaneo consacrato di uno spazio fondamentale per la comunità bo­ lognese. La sequenza delle modanature, che non trova precisi confronti in area italica, mo­ stra invece interessanti analogie con le basi di colonna nord-siriane scoperte a Zincirli e TeU Taynat. Quanto al motivo vegetale scolpito in sequenza continua sui fascioni, esso è in tutto identico a quello raffigurato sul corpo clelia stele di Ca' Selvatica (cat. 447). Terzo-ultimo quarto del VII secolo a.C.

Bibliografia: BERMOND MoNTANARI-0RHLLI 1987; BERMND MoNTANARI-0RTAI.LI t988: 0RTALLI 1999-

Marinella Marche1i

450. Cippo modanato Bologna, via Fondazza nn. 29-31 Arenaria

H. 190 cm, diam. 100 cm N. inv. 67301 Bologna. Museo Civico Archeologico Scoperto accanto al monumento precedente. entrambi giacevano in posizione orizzontale all'interno di due fosse apparentemente sca­ vate proprio per il loro alloggiamento, in oc­ casione dell 'abbandono repentino del sito. In origine i due monoliti dovevano avere l'in­ tera parte rozzamente sbozzata infissa verti­ calmente nel terreno ed emergere quindi so­ lo per 1 .30 metri di altezza. Nonostante l ' identità formale con l 'al tro esemplare, questo cippo presenta una diffe­ rente decorazione sulle fasce. costituita da una teoria di sfingi gradienti separate da ro­ sette. Particolare l ' iconografia di origine nord-siriana dell 'essere mostruoso. con cor­ po di profilo ma busto e volto frontali, le cui rare attestazioni in ambiente etrusco sono fornite dal disco-corazza del Circolo delle Sfingi di Vetulonia (cat. 263) e dal bacile di Castelletto Ticino (ca t. 572 ) , ambedue di probabile produzione vetuloniese. Terzo-ultimo quarto del VII secolo a.C. Bibliografia: BER,\ I(lND M(lNTANARI-0RT.·\LI.I 1987: BER�IOND MoNTAN ARI· ORTALLI 1988: 0RTALLI 1999·

Marinella Marchesi 4 51·

Cippo a colonnetta istoriato e iscritto

Rubiera (Reggio Emilia), greto del Secchia Arenaria intagliata a bassorilievo con estese dipinture H. 141 cm, diam. 36,6 cm N. inv. 67305 Reggio Emilia, Musei Civici Destinato a segnalare fuori terra un sepol­ cro, che non è stato possibile individuare, ri­ chiama le colonnette funerarie dell'Etruria settentrionale costiera, traducenti nella pie­ tra il tipo del segnacolo !igneo. Di stile feni­ cizzante i fregi, disposti su più registri, con grifoni e sfingi pascenti i germogli di un «al­ bero della vita>>. Le iscrizioni, che si distri­ buiscono su due listeUi, comprendono la di­ chiarazione di appartenenza del cippo a un defunto, designato con prenome e gentili­ zio, Avile Amthura. Il tipo di grafia denun­ cia l'adesione a norme ortografiche che irra­ diano da Cerveteri risalendo il litorale tirre-

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nico, e testimonia, al pari della cultura mate­ riale dei coevi insediamenti reggiani, di un antico interessamento delle cinà marinime dell'Etruria senentrionale verso l'entroterra padano. Ultimo venticinquennio del \'II secolo a. C Bibliografia: MALNATI-BERMOND MoNTAr-;ARI 1989, pp. 1 567-1577, tavv. 1 - 1 1 1 ; GAMBARI-Co­ LONNA 1988, pp. 145 sg. , 1 5 5 ; BoNAMICI 1990. p. 166; DE S I MONE 1992, pp. 6-10, taw. 1-11, 11": BAGNASCo GIANNI 1996, p. 294, n. 290; PA'\· D> etru­ schi del VII secolo a.C., questa pisside se ne differenzia per alcuni dettagli morfologici: una presa ad anello sostituisce la consueta catena articolata, il fiore di loto del coper­ chio presenta uno stelo modanato e non li­ scio. La differenza stilistica più importante è rappresentata dalla decorazione incisa e a sbalzo del coperchio: il fregio animalistico di fattura grossolana evoca lo stile figurativo in voga nell'Italia settentrionale, precisamente nella regione atestina, mentre la doppia fila di archetti incisi sul bordo appartiene indi­ scutibilmente al repertorio mediterraneo. Tali particolarità permettono di ipotizzare sia un'eventuale produzione dell'oggetto nello stesso territorio hallstattiano, compre­ so tra l'Italia del nord e l'Austria, sia una sua rifinitura a opera di un artigiano dell'Euro­ pa meridionale. Metà o seconda metà del V I I secolo a . C . (Hallstatt C finale). Bibliografia: }Em-BoNNET 1968; VON HA SE 1989, p. 1050, tav. 1 1 a; Paris 1992, p. 261, n . 312, con alrra bibliografia.

Suzanne Plouin

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5 84.

Coppia di piedi di tripode Asperg (Germania), Grafenbiihl, tomba centrale Fusione di bronzo. Nei piedi sono inserite cinque verghette di ferro rivestite di piombo H. max. 17 cm, h. dei piedi 13,1 e 13,6 cm, la. delle zampe 7,4 e 7 cm, peso 3080 e 2960 gr. spess. delle verghe 1,21I,7 cm N. inv. V 68,20 f Stoccarda, Wiirttembergisches Landesmuseum

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Le zampe di leone, raffigurate al vero con tratti realistici, tra cui dita marcate e grossi artigli, terminano superiormente in un'alta modanatura di forma trapezoidale, che sor· monta un tratto di gamba dall'ampia e liscia superficie anteriore leggermente convessa. All'interno della gamba sono ancora inseriti i resti di alcune verghe a sezione rotonda in ferro, fortemente corrose. Della terza zampa fu riconosciuta, durante lo scavo, solo l'im­ pronta sul pavimento della camera funera· ria. Il tripode è un prodotto greco, verosi­ milmente peloponnesiaco, della fine del VII o dell'inizio del VI secolo a.C. Nel contesto hallstattiano occidentale un esemplare simi· le è stato trovato a Saint Colombe presso Chatillon-sur-Seine kat. 581). Bibliografia: ZORN-HERRMANN 1966, pp. 892· 896, fig. 4, tav. q; ZORN 1970, p. 2 1 , fig. 9 , tavv. 10, 11, 61,2, 68, 69.

Diree Marzo/i

sBs. Sfinge Asperg (Germania), Grafenbiihl, tomba centrale Corpo di osso di cervo, viso di ambra, due chiodini di bronzo con rivestimento d'oro sulle ali H. 4,8 cm, la. bordo inferiore 5,2 cm, spess. 0,5 cm N. inv. V 68.20 l Stoccarda, Wiirttembergisches Landesmuseum La sfmge, seduta su un sottile listello, è raffi· gurata di profilo, rivolta verso sinistra, con il viso di prospetto. n contorno delle zampe po· steriori, delle ali, del piumaggio e le perle della

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collana sono realizzate mediante solcature. La capigliatura è finemente composta da riccioli a perla disposti in ciocche verticali. Il viso d'ambra è incastonato all'interno di un incavo di forma rettangolare. La superficie posteriore della sfinge è levigata. Essa era fissata median te chiodini di bronzo rivestiti d'oro a un og· getto piatto, di cui non si conosce la natura. La sfinge è un prodotto greco della fine del VII o dell'inizio del \'l secolo a.C. Nella tomba cen­ trale del Grafenbuhl si trovava un'altra sfinge in avorio della stessa grandezza. Bihliogru/ia: ZORN- HERRMANN 1966, pp. 8392, tav. 12. I; ZORN I970, p. I7, tavv. D. I; 62, ·

I; 66, l .

Dirce Man:oli 586.

Disco decorato Asperg (Germania), Grafenbuhl, tomba centrale Avorio La. 9,8 cm, h. 9,9 cm, spess. I,6 cm N. inv. V 68,20 n Stoccarda, Wurttembergisches Landesmuseum Il disco è decorato su entrambi i lati, in pane con inserti di altro materiale (si conservano dischetti d'osso e tracce di colore rosso). Le sue singolarità tecniche indicano che esso era applicato su un altro elemento. Si dovrebbe trattare di un ventaglio o di un manico d i specchio, m a sono senz'altro possibili anche altre interpretazioni. Il motivo decorativo delle volute sovrapposte è diffuso nell'arte vicino-orientale. La provenienza e la datazio­ ne degli oggetti di lusso in avorio non è per il momento determinabile con sicurezza. Que­ sto oggetto, poi, rappresenta un unicum nell'ambito della cultura hallstattiana. Bibliografia: ZOIIN-HERRMANN I966, pp. 96IOO, tav. I5; ZOKN I970, pp. I 7 sg., 30 sg., fig. 7, tavv. 5; 63, 2 ; 67; SPI NDLEII I980, pp. 239248, tav. 35; F1SC:I IEII I990, p. I2I sg.

Diree Man:oli 58 7 .

Elementi di rivestimento di una kline Asperg (Germania), G rafenbuhl, tomba centrale

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Avorio e ambra. Le analisi effettuate sull'ambra ne confermano una provenienza baltica !lppliques di diversa grandezza e forma Nn. inv. V 68.20 o-q (avorio); V 68,20 k (ambra) Stoccarda, Wiirttembergisches Landesmuseum Numerosi elementi decorativi in avorio e ambra giacevano sparsi sul pavimento della camera funeraria già depredata. G razie al confronto con un simile esemplare, databile al terzo quarto del \'l secolo a.C., rinvenuto nella tomba a pozzo 3 della necropoli atenie­ se del Ceramico, è stato possibile riconosce­ re, ricostruire e datare verso il 500 a.C. que­ sta kline greca. Al di fuori del mondo greco e di quello vicino-orientale si conoscono fi­ nora solo pochi analoghi elementi di rivesti­ mento in ambra, provenienti dalle tombe principesche hallstattiane di Hundersingen (Saulgau) e di Ri:imerhiigel (Ludwigsburg) nonché da una ricchissima sepoltura femmi­ nile di Sirolo (Ancona). Bibliografia: ZORN-H ERR,\I ANN 1966, p. 100 sg., tav. 14, 1 1 - 14; ZORN 1970, pp. 16-20, 28-30, tavv. 3, 7, 8; FISCI IER 1990, pp. 115-127; KMU!\E 1993. pp. !88-197·

Diree Marzo/i

sss. Tre gambe di tavolo Trovate nel 1851 «durante scavi nei dintorni di Saarbriicken» Bronzo con anima di ferro e terracotta H. 52,5; n: 53,3 cm N. inv. 20oo/3, 1-3 Wiesbaden, Museum Wiesbaden Queste gambe di tavolo, finora le uniche rinvenute a nord delle Alpi, trovano i mi­ gliori confronti in esemplari italiani, grazie ai quali si è tra l'altro potuta comprenderne la funzione. Gambe di pressoché identica conformazione appartengono, i n particola­ re, a uno dei tavoli di legno ritrovati nella tomba 85 di Verucchio ( cfr. cat . 5 2 6 - p 8 ) , sebbene i n esse manchino l e figure applicate sulla ripiegatura. Sulla base di tale stretta so­ miglianza, gli esemplari bronzei del Museo di Wiesbaden sono cronologicamente collo­ cabili nel V I I secolo a.C., forse ancora nella prima metà del secolo. La differenza nel tipo

di materiale utilizzato (da un lato legno, dall'altro bronzo) non ha verosimilmente al· cun significato sul piano della datazione. Casomai gli esemplari di legno sono da con­ siderare il modello di quelli in metallo. Altre similitudini si ravvisano nelle gambe dei tri· podi bronzei da Veio e da Vetulonia, pro· dotti tra la seconda metà dell'VIli e gli inizi del \'I l secolo a.C. Non è escluso, del resto, che gli esemplari in questione siano stati rea· lizzati a sud delle Alpi e che siano stati suc· cessivamente trasferiti in area transalpina come oggetto di importazione nell'ambito dei contatti politico-diplomatici con le corti principesche hallstattiane. Bibliografia: zu ERilACI I -SCI I(JNilE Rt ; 1993. pp. 41-54; ZU ERBAC I I-SCI IREISTORJCO ED ETNOGRAFICO «LUIGI PIGORINI»

Da Cerveteri (Roma), tumulo di Monte1os10, camera lii, cat. 221

Urna a capanna

Oinochoe

Provenienza sconosciuta, ca!. no

Da Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia, zona A «del Recinto», tumulo 1, tomba 2, cat. 222

Da Palestrina (Roma), ca!. 440

Kvathos Da Cerveteri (Roma), tumulo di Monte1os10, camera Il, ca!. 223

Calice a carialldi Collezione Pescioui, ca!. 228

Kotyle Da Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia, tumulo Il, camera degli Alari, ca!. 230

Kotyle Da Cerveteri (Roma), tumulo di Montetosto, camera 11, ca1. 231

Coppetta su piede Da Cerveteri (Roma), tumulo di Monte1os10, camera 11, ca!. 232

Anfora etrusco-corinzia Da Tarquinia (Viterbo), necropoli dei Monterozzi, tomba 3034, ca!. 234

0/pe etrusco-corinzia Da sequestro, ca1. 236

Oinochoe Da Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia, 1umule110 111 bis, ca1. 240

Bacino tnpode Da Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia, 1umule110 lii bis, ca!. 242

Lucerna bi/iene Da Cerveteri (Roma), necropoli della Banditaccia, 1umule110 111 bis, ca1. 243

Machaira Collezione Cima Pescioui, ca!. 244

Elmo crestato Da Veio (Roma), necropoli di Casal del Fosso, tomba 871, ca!. 259

Fibula a drago SAMO

TORINO MUSEO DI ANTICHITÀ

Bicchiere globulare Da Cas1elle110 Ticino (Novara), località Baraggia, via Arance, da una tomba a pozze110 di ciouoli (tomba 5), ca!. 442

Bacile Da Cas1elle110 Ticino (Novara), località Fontanili, da una tomba a tumulo con cassa mortuaria in ciouoli, ca!. 572

MUSEO ARCHEOLOGICO

Frontale da cavallo

VERUCCHIO

Da Samo (Grecia), Heraion, ca!. 52

MUSEO Civico ARCHEOLOGICO

Frontale da cavallo Da Samo (Grecia), Heraion, ca!. 53

STOCCARDA WùRTrEMBERGISCHES LANDESMUSEUM

Copp,a di piedi di tripode Da Asperg (Germania), Grafenbiihl, tomba centrale, ca!. 584

Sfinge Da Asperg (Germania), Grafenbiihl, mmba centrale, ca!. 585

Disco decoralo Da Asperg (Germania), Grafenbiihl, tomba centrale, ca1. 586

Elementi di rivestimento di una kline Da Asperg (Germania), Grafenbiihl, mmba centrale, ca!. 587

Trono Da Verucchio (Rimini), necropoli Lippi, tomba 89, ca!. 253

Suppedaneo Da Verucchio (Rimini), necropoli Lippi, tomba 89, cat. 254

Collana Da Verucchio (Rimini), necropoli Moroni, tomba 23, ca!. 388

Orecchini Da Verucchio (Rimini), necropoli Moroni, mmba 23, ca!. 389

Vaso situliforme Da Verucchio (Rimini), necropoli Le Pegge, tomba 21, cat. 568 VEruwNIA

Calderone con supporlo

MUSEO Civico ARCHEOLOGICO «ISIDORO FALCHI»

Da Eberdingen-Hochdorf (Germania), tomba principale, ca!. 589

Coppia di armille

Coppa Da Eberdingen-Hochdorf (Germania), tomba principale, ca!. 590

Como potorio Da Eberdingen-Hochdorf (Germania), tomba principale, ca!. 591

Lamine di rivestimento di scarpe

Da Vetulonia (Grosseto), Circolo dei Leoncini d'Argento, lii, ca!. 375

Collana Da Vetulonia (Grosseto), Circolo dei Leoncini d'Argento, 111, ca!. 376

Ba/samario configuralo Da Vetulonia (Grosseto), Circolo dei Leoncini d'Argento, 111, ca!. 413

Da Eberdingen-Hochdorf (Germania), tomba principale, ca!. 592

VIENNA

Statua di Hirschlanden (copia)

Coppa su alto piede con anse onuontali

Da Hirschlanden (Germania), ca!. 594

NATURHISTORISCHES MusEUM

Scudo

TARQUINIA

Da Halls1a11 (Austria), necropoli, tomba 682, ca!. 579

Da Veio (Roma), necropoli di Casa! del Fosso, tomba 871, ca!. 262

MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO

Sostegno

Quallro protomi di grifo

Manico di /labello con/igurato ad avambraccio

Da Tarquinia (Viterbo), ca!. 79

Da Halls1a11 (Austria), necropoli, tomba 507, ca!. 580

VITERBO MusEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

Acroterio a ritaglio con quadrupedi Da Acquarossa (Viterbo), zona B, tetto 1, cat. 119 Lastra di rivestimento con simposio Da Acquarossa (Viterbo), zona F, attribuita all'edificio A, cat. 120 Lastra di rivestimento con scena di dania Da Acquarossa (Viterbo), zona F, attribuita all'edificio A, cat. 121 Lastra con Eracle e leone Da Acquarossa, zona F, attribuita all'edificio A, cat. 122 Lastra con Eracle e toro Da Acquarossa (Viterbo), zona F, attribuita all'edificio A, cat. 123 VOLTERRA MusEO ETRUSCO GUARNACCI

Kyathos Da Monteriggioni (Siena), necropoli del Casone, tomba a camera BB6, cat. 434

Vm.a MUSEO ARCHEOLOGICO

Lebete italo-geometrico Da Vulci (Viterbo), necropoli di Cavalupo, tomba del 14"6/1963, cat. 235 WIESBADEN MUSEUM WIESBADEN

Tre gambe di tavolo Trovate nel 1851 «durante scavi nei dintorni di Saarbriicken», cat. 588

REFERENZE FOTOGRAFICHE

REFERENZE FOTOGRAFICHE DELLE OPERE IN CATALOGO Antikensammlung, Staatliche Museen zu Berlin Copyright Bildarchiv Preussischer Kuhurbesitz: cat . 81, 82 (foto J. Tietz-Glagow), 212 (foto J. Laurentius), 213 (foto J. Laurentius), 224, 41s (foto J. Laurentius), 441 (foto I. Geske) Ashmol~n Museum, Oxford: cat. 14 (counesy of the Visitors of the Asmolean Museum, University of Oxford) Badisches Landesmuseum, Karlsruhe: cat. 4 British Museum, London, Depanment of Ancient Near East - Copyright of The British Museum: cat. 1-3, s-6 British Museum, London, Depanment of Greek and Roman Antiquities • Copyright of The British Museum: cat. 58, 84-85, 124,288,412,414 Department of Antiquities, Nicosia, Cyprus: cat. 9-18, 20-32 HeUenic Republic, Ministry of Culture: ca1. 52 -53, 55-57, 59 Mainz, Rèimisch-Germanisches Zentralmuseum , Forschungsinstitut fiir Vor- und Fri.ihgeschich te: cat. 19 Musée du Louvre, Paris - Foto RMN-G. Blot / C. Jean: cat. 439; Foto RMN-Chuzeville: cat. 252, 437 Musée d'Unterlinden, Colmar - Foto O. Zimmermann: cat. 182-583 Musée du Chitillonais, Chàtillon sur Seine - Foto J . Renoux: cat. 181 Musei Civici di Forlì - Foto Liverani: cat. 448 Musei Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco, Ciuà del Vaticano - Foto Musei Vaticani : cat. 87, 112 (foto A. De Luca), 257 (foto A. Braccheui), 431 (foto P . Zigrossi) Museo Civico Archeologico di Bologna - Archivio Fotografico: cat. 272-273, 344, 349-359, 400-411 , 443-447, 449, 450, 454-521, 534-538, 540-510, 112514, 116-561, 563, 170 (foto M. Benoni, Firenze; C.N.B. & C., Bologna; A. Guerra, Bologna) Museo Etrusco Guarnacci di Volterra - Foto F. Fiaschi, Volterra: cat. 434 Museum Wiesbaden: cat. 588 National Museum of Denmark, Copenaghen, Department of Classica( and Near Eastern Anti quities: cat. 7J Naturhistorisches Museum, Wien - Foto A. Schumacher: cat. 579-580 Reggio Emilia, Musei Civici: cat. 523 Roma, Musei Capitolini: cat. 121, 233, 251, 360-366, 368-370 Roma, Museo Nazionale Preistorico Etnografico "L. Pigorini": cat. 110, 214, 440 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/r994) Soprintendenza Archeologica del Piemonte: cat. 442, 572 (foto Studio Chomon, Torino; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art . 4 DM 08/ 04 / 19fJ4) Soprintendenza Archeologica dell'Abruzzo - Archivio Fotografico: cat. 348 (su concessione del Ministero per i Beni e le A11ività Culturali , è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza Archeologica della Lombardia: cat. 174-578 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riprodu-

zione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/r994) Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta: cat. 60-72 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza Archeologica per il Lazio: cat. 215-216 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/r994) Soprintendenza Archeologica per il Veneto: cat. 569, 571 (foto Studio T uzza, Este; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza Archeologica per ('Etruria Meridionale: cat. 78-80, 91, 111, 119-123, 207-208, 211, 219-223, 225-226, 228-232, 234-237, 240-244, 259, 262, 266, 274-271, 277, 279-280, 283, 285-287, 347, 367, 371 , 390, 392-393, 416-417, 419-423, 431 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza Archeologica per la Toscana - Firenze: cat. 77, 83, 88-90, 92-95, 96-106, 109, 113118, 126-142, 143-153, 151-189, 190-206, 209-210, 217-218, 227, 238-239, 245- 249, 251, 256, 258, 260261, 263-265, 267-271, 276, 278, 281, 282, 284, 289-331, 337-341, 343, 345, 346, 372 -387, 391, 413, 418 424-430, 432 -433, 436,453 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex ari. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza Archeologica per le Marche: cat. 86 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex art. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza Archeologica per le Province di Salerno, Avellino e Benevento: cat. 74-76, 342 (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex ari. 4 DM 08/04/,994) Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna: cat. 107-108, 253-254, 388-389, 394399, 438, 411-452 , 522 , 524-s33, 539, 551 , m, 562 , 566-568, 573 (su concessione del Ministero per i Beni e le Auività Culturali, è vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo ex ari. 4 DM 08/04/r994) Victoria and Albert Museum, London - V&A Pieture Library: cat . 250 Vorderasiatisches Museum, Staatliche Museen zu Berlin - Copyright Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz: cat. 7-8 Wiirttembergisches Landesmuseum, Stuttgart - Foto Frankenstein-Zwietash: cat. 584-587, 589-594

REFERENZE FOTOGRAFICHE DELLE ILLUSTRAZIONI Antikensammlung, Staatliche Museen zu BerlinCopyright Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz: fig . a p . 332 (in basso) Archeo: figg. a pp. 144, 378 Archeologia Viva, anno VI, n. 12 : fig. a p. 24 AluAs-HIRMER 1960: fig . a p . 28 AUBERSON-ScHEFOLD 1972: fig . a p . 48

BARNETT 1975: fig. a p. 95 BARNEIT 1976: fig. a p. 94 (in basso) BÉRARD 1970: fig. a p . 49 BtEL 1985: fig. a p . 388 (in basso) BtETTI SESTIERI 1992a: fig. a p . 21 BoARDMAN 1986: fig. a p . 98 (in basso) BoNAMICI 1974: fig. a p . 228 8oNFANn-8oNFANTE 1985: fig . a p . 310 BoRELL 1978: fig. a p . 50 (in alto) BoITA 1849-50: fig. a p . 94 (in alto) 8oUND 1991: figg. a pp. 23, 25 CALLIGAS 1988: fig. a p . 45 (in alto) CAMPOREALE 1969: fig. a p. 381 CANCIANI-VON HASE 1979: fig. a p. 19 Carte F.-W. von Hase: figg. a pp. 80-81, 84 Carte M. Liverani: figg. a pp. 4, 11 Carte A.M. Monaco: figg. XIV-XV, XVIII a pp. 38,330 CATLING-LEMOS 1990: fig. a p. 45 (in basso) CHARBONNET 1986: fig . a p. 98 (in alto) CHAUME-FEUGÈRE 1990: fig . a p . 380 (n. 3) CoLDSTIIEAM 1977= fig. a p. so (in basso) COLONNA 1986: figg . a pp. 70, 73 (in alto), 75, 164, 166, 169 (in basso) COLONNA-DI PAOLO 1997: fig. a p. 167 CoLONNA-VON HASE 1986: fig. a p. 168 CRJSTOFANI 1976: fig. a p. 227 (in alto) CRJsTOFANI 1981c: fig . a p. 276 (in basso) CRJSTOFANI 1985: fig. a p. Hl CRISTOFANI-MARTELLI 1983: figg. a pp. 59, 228 CRJSTOFANt-Rlzzo 1993: fig. a p. 227 (in basso) DE CARo-GIALANELLA 1999: fig. a p. 46 (in basso) FISCHER 1979: fig. a p . 380 (n. 4) Foto B. d'Agostino: fig. a p . 46 (in alto) Foto F . Delpino: fig. a p. 97 Foto F .-W . Von Hase: figg. a pp. 85-88 Foto V. Karageorghis: figg. a pp. 39-41 Foto G . Morigi: figg. a pp. 274 (in basso), 332 Foto G . Sassatelli: figg. a pp. 146, 110, 152 FIIEY 1969: fig. a p . 380 (nn. 1-2) ICARAGEORGHIS 1974: fig. a p. 100 LUCKE-FREY 1968: fig . a p. 82 MARJNETTI 1992: fig. a p. 316 MARTELLI 1987= fig . a p . 62 (in alto) MAssA PAJRAULT 1992: fig. a p. 74 MASSA PAJRAULT 1996: figg. a pp. 60 (in basso a destra), 62 (in basso) MAITHIAE 1997: figg. a pp. 193, 194 (in basso), 276 (in alto), m (in alto) MEMPHIS 1992: fig . a p . 16 Museo Civico Archeologico di Bologna, Archivio Fotografico: figg . a p. 334 New York 1995: figg . a pp. 6, 10 Paris 1992: figg . a pp. 310-311 PERNtER-BANTI 1947: fig. a p. 273 (in alto) PRAvoN 1975b: fig . a p. 169 (in alto) RlDGWAY 19843: figg . a pp. 18 (in basso), 44 Rix 1984: fig . a p. 31 Z Roma 1996: figg . a pp. 27, 60 (in basso a sinistra) RoNCALLI 1986: fig. a p. 194 (in alto) Siena 198s: figg. a pp. 7l (al centro e in basso), 76 Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale: fig . a p . 224 Si'Rmcwl-8Alm:xJ::N 1981: fìeg. a pp. JI (in aho), 62 STEINGRAIIER 1984: figg. a pp. 60 (in alto), 64 Venezia 1988: fig . a p . 8 Venezia 1996: fig . a p . 18 (in alto)

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Fotolito Veneta San Martino Buonalbergo (Verona) Ti-effe Vigodarzere (Padova) La Grafica & Stampa editrice s.r.l. Vicenza

Finito di stampare nel mese di settembre 2000 per conto di Marsilio Edito~ in Venezia