La Fenicia in età persiana. Un ponte tra il mondo iranico e il Mediterraneo 9788862275590, 9788862275606

I due ampi saggi di Tatiana Pedrazzi e Ida Oggiano che compongono il presente volume affrontano il tema delle relazioni

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La Fenicia in età persiana. Un ponte tra il mondo iranico e il Mediterraneo
 9788862275590, 9788862275606

Table of contents :
SOMMARIO
Sandro Filippo Bondì, Prefazione
Ida Oggiano, Tatiana Pedrazzi, Nota introduttiva
Parte prima - La fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide di Tatiana Pedrazzi
Parte seconda - La fenicia in età persiana e il mondo “coloniale” di Ida Oggiano
Abbreviazioni bibliografiche
Elenco delle figure
Indice dei nomi di luoghi e popoli
Indice dei nomi dei personaggi storici, eroici e divini

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LA FENICIA IN ETà PERSIANA

issn 0390-3877 is bn 9 7 8 - 8 8 - 6 227 - 559 - 0 e- is bn 9 7 8 - 8 8 - 6 227 - 56 0 - 6

LA F E N I C I A I N E T à PE R SI A N A Un ponte tra il mondo iranico e il Mediterraneo IDA OGGIANO · TATIANA PEDRAZZI

co n s i g l i o n a zi on a l e d e l l e r i ce r ch e is titu t o d i s t ud i s ul me d i t e r r a n e o a n t i co

supplemento alla « r i v i s t a di s t u di fe n i c i » x x x i x (2 0 1 1 )

PISA · ROMA fabrizio serra editore MMxI I I

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE ISTITUTO DI STUDI SUL MEDITERRANEO ANTICO

SU P P L E M E N T O A L L A «RI V I ST A D I S T U D I F E N I CI » XXX I X ( 2 0 1 1 )

LA FENICIA I N E T à pe r siana Un ponte tra il mondo iranico e il Mediterraneo IDA OGGIANO · TATIANA PEDRAZZI

PISA · ROMA fa b rizio serra editore MMxI I I

Direttore responsabile (Editor-in-Chief) Sergio Ribichini * Comitato di consulenza (Advisory Board) Ana Margarida Arruda, Massimo Botto, Carlos Gomez Bellard, Eric Gubel, Jens Kamlah, Lorenza-Ilia Manfredi, Federico Mazza, Ida Oggiano, Paola Santoro, Peter van Dommelen, Paolo Xella * Redazione scientifica (Editorial Board) Giuseppina Capriotti Vittozzi, Andrea Ercolani, Giuseppe Garbati, Tatiana Pedrazzi, Alessandra Piergrossi ; Assistente per la grafica (Graphics Assistant) : Laura Attisani Segretaria di Redazione (Editorial Assistant) : Giorgia Rubera  





* Sede della Redazione (Editorial Office) Corrispondenza (Letters) : Redazione Rivista di Studi Fenici, Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico, CNR, Area della Ricerca di Roma 1 – Via Salaria km 29,300. Casella postale 10 - I-00015 Monterotondo Stazione (Roma) [email protected] · http ://rstfen.isma.cnr.it  



* Amministrazione Fabrizio Serra editore Casella postale n. 1, succursale n. 8 · I 56123 Pisa Tel. +39 050 542332 · Fax +39 050 574888 * Uffici di Pisa : I 56127 Pisa · Via Santa Bibbiana 28 Tel. +39 050 542332 · Fax +39 050 574888 [email protected] Uffici di Roma : I 00185 Roma · Via Carlo Emanuele I 48 Tel. +39 06 70493456 · Fax + 39 06 70476605 [email protected]



www.libraweb.net * Autorizzazioni del Tribunale di Roma n. 218/2005 in data 31 maggio 2005 e n. 14468 in data 23 marzo 1972 * issn 0390-3877 isbn 978-88-6227-559-0 e-isbn 978-88-6227-560-6 * Proprietà riservata © Copyright 2013 by Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma, and Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali.

a fabio che ha sognato la madr epatr ia

Sommario 11 13

Sandro Filippo Bondì, Prefazione Ida Oggiano, Tatiana Pedrazzi, Nota introduttiva parte prima la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide di Tatiana Pedrazzi L’Occidente visto da Oriente : uno sguardo dal centro verso la “periferia”

16

La politica provinciale achemenide : la gestione delle regioni occidentali dell ’impero Aspetti politico-ideologici Aspetti economici del controllo imperiale sulle regioni sottomesse La proprietà terriera e l’organizzazione della produzione : il ruolo dei paradisi Meccanismi di tassazione La mobilità e la circolazione di merci, persone, informazioni Risvolti economici delle attività militari

17 17 22 23 24 25 28

La politica culturale e religiosa L’ideologia religiosa achemenide e i culti locali Multilinguismo e politica culturale

29 29 37







Spazio urbano, modelli architettonici e artistici : interazioni fra la Persia e il Levante Sviluppo di modelli architettonico-artistici imperiali : la tradizione iranica e gli apporti occidentali Pasargadae e i modelli occidentali all’epoca di Ciro II Gli sviluppi nell’età di Dario : Persepoli e Susa La rappresentazione dei popoli nell’arte imperiale

37 38 39 41 47

La Fenicia e il Levante dal punto di vista persiano

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parte seconda la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale” di Ida Oggiano La Fenicia di età persiana : caratteri generali ed elementi peculiari L’organizzazione politica, militare, economica Lo spazio urbano Spazio urbano e territorio : il caso di Sidone Gli dèi, i luoghi e le immagini Le necropoli

55 56 60 60 63 68

Cipro I “mondi coloniali fenici” tra V e IV sec. Le aree “coloniali” L’Occidente e la Persia Cartagine e l’impero persiano Elementi di confronto e rimandi all’area fenicia La città : spazio urbano e territorio Dèi e culti tra Oriente e Occidente Le pratiche funerarie Le produzioni artigianali e i protagonisti delle relazioni

69 71 71 72 72 75 75 75 82 83







10

sommario

Oriente e Occidente : comunicazione e contatto tra mondi diversi

84

Abbreviazioni bibliografiche Elenco delle figure Indice dei nomi di luoghi e popoli Indice dei nomi dei personaggi storici, eroici e divini

87 97 99 103



PR EFA ZIONE

I

due ampi saggi, rispettivamente di Tatiana Pedrazzi e Ida Oggiano, che compongono il presente volume affrontano il tema delle relazioni tra impero persiano e mondo fenicio in un’ottica originale, che permette di superare la diffusa antinomia Oriente-Occidente per proporre una visione al tempo stessa simmetrica e complementare di tali relazioni. Superando l’abituale schema secondo cui la Fenicia sarebbe la preziosa “facciata” mediterranea della compagine achemenide, con i susseguenti benefici di tipo economico e amministrativo, i due contributi pongono il mondo delle città fenicie d’Oriente al centro di una rete assai più ampia di rapporti politici, religiosi e culturali, nei quali esse (come si dimostra in specie nel contributo di Tatiana Pedrazzi) si ritrovano oggetto di un modo di “gestione” dei territori non dissimile a quello applicato in altre aree dell’impero. Gli stessi vincoli che legano i sovrani persiani, i governatori da essi designati e le dinastie locali riprendono uno schema ben consolidato e documentato in varie regioni. L’interesse persiano per la produzione agricola rappresenta un ulteriore tassello di un quadro che questo volume definisce con grande evidenza e precisione. Un tema che lega saldamente le due parti dell’opera è quello della vita religiosa, in cui da un lato si mette in luce l’ampio spazio concesso ai culti locali nelle zone dell’impero e dall’altro si individua proprio nei santuari fenici dedicati alle divinità gua-

ritrici un luogo privilegiato di incontro tra esperienze e tradizioni appartenenti a culture differenti. L’allargamento della prospettiva al mondo mediterraneo, nel lavoro di Ida Oggiano, fornisce un costante riferimento sia alla situazione complessiva dell’impero achemenide, sia a quella delle città fenicie in esso inserite, con riferimenti all’attività economica, all’organizzazione urbanistica e di nuovo alla vita religiosa. Con lodevole prudenza si tratta poi il tema, ancora controverso, dei rapporti tra Cartagine e l’impero persiano, sia sul piano dell’eventuale dipendenza da questo della città punica, sia su quello dell’organizzazione territoriale. Si sono qui evidenziati alcuni tra i molti spunti che, grazie a una serie di approcci diversificati e grazie alla padronanza dei temi trattati, le due autrici propongono al mondo degli studi. Il richiamo, nel titolo del volume, alla funzione di “ponte” tra la Persia e il Mediterraneo centro-occidentale svolta dalla Fenicia trova nelle pagine che seguono una chiara legittimazione. Evitando di ricomporre un’artificiosa unità tra le tre entità a confronto, ma dando rilievo ai molti “fili rossi” che le uniscono, Ida Oggiano e Tatiana Pedrazzi raggiungono l’obiettivo di delineare (e di rendere perspicuo) un quadro prezioso per la conoscenza delle vicende storiche e culturali dell’area mediterranea tra il vi e il iv secolo a.C. Sandro Filippo Bondì

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Nota introduttiva

L

’idea di partenza, che ha dato avvio alla stesura del presente volume, è stata quella di prendere in esame i rapporti che legarono, tra il VI e la prima metà del V sec. a.C., l’area iranica e l’Occidente “coloniale” fenicio, con l’intento di elaborare uno studio unitario di sintesi che consentisse di mettere in luce i fenomeni di interazione culturale, di scambio, di trasmissione multi-direzionale di conoscenze, competenze, stili, tecniche, iconografie, culti, credenze, riti e norme, insieme a tutti gli altri aspetti che compongono un complesso e variegato “panorama culturale”. La prima parte del volume è stata pertanto dedicata all’analisi dei rapporti di interazione e percezione reciproca fra l’impero iranico e l’area levantina, tentando di utilizzare una prospettiva persiana, facendo uso, fino a dove possibile, delle fonti documentarie “interne” all’impero achemenide e mantenendo, dunque, un punto di vista orientale (la Fenicia e il Levante visti “da Oriente”). Ovviamente, nella ricostruzione di quello che dovette essere lo specifico “sguardo” achemenide verso le regioni costiere mediterranee, si è rivelato necessario attingere a un ricco e vario tessuto di informazioni, non soltanto “di prima mano”, ma anche mediate dagli “altri” (in primis i Greci). Per completare il quadro, si è anche prestata attenzione alla questione della “costruzione dell’identità” dei popoli sottomessi alla Persia, specie attraverso la loro rappresentazione da parte dei Persiani. Nella seconda parte ci si è concentrati sul ruolo che l’area fenicia, con i suoi confini allargati da Nord a Sud, tra Siria e Palestina, venne a rivestire quale cuore pulsante di una regione che, costituendo il punto di arrivo e di partenza di popoli, prodotti e idee, divenne il centro di elaborazione e rielaborazione di diversi spunti culturali, provenienti da quelle aree che la Fenicia stessa contribuiva a mettere in contatto (tra queste soprattutto la Grecia e l’Egitto). Tra i differenti ruoli svolti dalla costa levantina in questo periodo storico vi fu certo quello di favorire la connessione e il contatto fra il nucleo dell’impero achemenide, da un lato, e le aree “coloniali” fenicie d’Occidente, dall’altro, grazie soprattutto all’instaurarsi di un clima di intensi scambi tra la Fenicia, Cipro e l’Egitto, in seguito alla ripresa della circolazione di uomini, di merci e di idee. Avere preso in considerazione mondi così lontani tra loro, geograficamente e culturalmente, riunendoli in un lavoro unitario, ha consentito di ottenere una visione della realtà storica di questi secoli non parziale o condizionata dall’esame analitico della

documentazione di una specifica area. Le singole regioni, dall’esame delle quali si è inizialmente partiti, utilizzando sempre una prospettiva locale per guardare al rapporto con “l’altro”, sono state studiate all’interno di una visione di sintesi, che ha tentato di dare respiro agli importanti studi oggi esistenti sulla storia della Persia, della Fenicia e del mondo coloniale durante queste fasi cronologiche. Si è così perseguito l’obiettivo di ricostruire almeno un tassello della complessa e ricca storia dei rapporti tra Oriente e Occidente. Le autrici ringraziano Sandro Filippo Bondì, per aver letto pazientemente queste pagine e per avere fornito preziosi spunti di riflessione, e Sergio Ribichini, per avere accolto con entusiasmo il volume fra i Supplementi della Rivista di Studi Fenici da lui diretta. Il libro è dedicato alla memoria di Fabio Dessena, giovane studioso di particolare valore e di spiccata e brillante intelligenza, collega e amico, che, curioso come era della vita, aveva espresso il desiderio di leggere queste pagine che parlavano anche dei legami tra la sua isola e un Oriente che aveva tanto sognato di vedere. Ida Oggiano · Tatiana Pedrazzi * Le abbreviazioni usate nel testo si devono sciogliere come segue :  

Aesch.= Aeschylus Pers.= Persae Arist. = Aristoteles Arr.= Arrianus Clem. Al.= Clemens Alexandrinus Protr.= Protrepticus Strom.= Stromata Curt.= Curtius Rufus Diod.= Diodorus Siculus Hdt.= Herodotus Iust.= Iustinus Paus. = Pausanias Plb.= Polybius Plin. = Plinio Nat. Hist. = Naturalis Historia Plu.= Plutarchus Art. = Artaxerxes Sil. = Silius Italicus Sol. = Solinus Xen.= Xenophon An.= Anabasis Cyr.= Cyropaedia Oec.= Oeconomicus

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nota introduttiva

2 Cr = 2 Cronache Esd = Esdra Est = Ester Ne = Neemia 1 Re = 1 Libro dei Re 2 Sam = 2 Samuele CIS = Corpus Inscriptionum Semiticarum ab Academia Inscriptionum et Litterarum Humaniorum conditum atque Digestum, Paris 1881-1962.

CT 55 = Cuneiform Texts from Babylonian Tablets in the British Museum (Pinches 1982). FGrHist = F. Jacoby Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin 1923-1930, Leiden 1940 e seguenti. ICO = Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Occidente (Amadasi Guzzo 1967). KAI = Kanaanäische und aramäische Inschriften (Donner – Röllig 1962-1965). PF = Persepolis Fortification Tablets (Hallock 1969). PT = Persepolis Treasury Tablets (Cameron 1948). TAD = Textbook of Aramaic Documents (Porten – Yardeni 1986-1999).

Parte pr ima la Fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide Tatiana Pedr azzi

L

’impero persiano, costituitosi a partire dalla seconda metà del VI sec. a.C., si estende a ovest dalle coste occidentali dell’Anatolia fino all’Egitto, mentre a est raggiunge l’Asia centrale e la regione indiana, unificando un’area di notevole ampiezza, con al centro – geograficamente e politicamente – l’altopiano iranico. La centralità della regione persiana (il Fars), innegabile a livello amministrativo e sul piano ideologico-istituzionale, è assai meno evidente in altri ambiti, come quello economico. La Persia, anzi, sembra restare per molti versi un’area “periferica” – per usare una definizione comunque metodologicamente discutibile – poiché collocata sullo sfondo di un mondo caratterizzato da un elevato grado di dinamismo. Dal punto di vista economico, infatti, la Persia achemenide 1 è caratterizzata da quella che è stata definita una huge royal household 2 e pertanto non è in grado di influenzare in modo diretto gli sviluppi di regioni in cui gli scambi commerciali hanno ormai acquisito una connotazione di tipo imprenditoriale. Tuttavia, l’apertura delle frontiere, l’incremento della circolazione di informazioni, oggetti (attraverso soprattutto il sistema di tassazione) e persone, insieme a una gestione amministrativa centralizzata e al contempo flessibile delle differenti aree dell’impero, portano di fatto la Persia a proiettarsi in area mediterranea, con esiti per certi versi sorprendenti. Ereditando e assumendo il portato culturale e ideologico dei grandi imperi mesopotamici precedenti, la Persia si trova così a incarnare agli occhi dei Greci “l’Oriente” per eccellenza. L’incontro/scontro con il mondo greco è ineludibile e foriero di conseguenze storiche e culturali di lunga durata, 3 tuttavia occorre domandarsi come sia percepita dal punto di vista persiano tale dinamica di confronto Oriente/Occidente. Al di là dei proclami ideologici, ben presenti nella letteratura storica di matrice ellenica, volti a sottolineare la contrapposizione sostanziale fra

mondo persiano e mondo greco, vi è una realtà di acquisizioni reciproche in campo culturale (dall’arte all’architettura, dalle pratiche mediche alle conoscenze “scientifiche”). Se è già difficile enucleare i contenuti specifici di questi scambi, muovendo alla ricerca degli apporti greci in Persia e di quelli persiani in Grecia, 4 ancor più sfuggente è il ruolo svolto dall’area levantina – e in particolare dalle città fenicie – in tali processi di interazione. L’area del Levante 5 aveva svolto già da tempo un ruolo di cerniera e di interfaccia fra Oriente e Occidente. In età achemenide tale ruolo si consolida, anche se è arduo comprendere appieno quale rilevanza avesse la costa mediterranea agli occhi dei Persiani – in un’ottica, dunque, prettamente interna al “centro del potere” – a livello ideologico e culturale, oltre che economico e politico. Pur nell’impossibilità di rispondere compiutamente a tali quesiti, si può cercare di mettere in luce i processi di interazione fra Persia e area levantina, con particolare riguardo – quando possibile – a quella fenicia, facendo ricorso soprattutto a fonti documentarie “interne” all’impero persiano e restando fedeli, dunque, a un’ottica “orientale”, non certo nell’intento di offrire delle conclusioni, quanto piuttosto allo scopo di definire lo status quaestionis. Va premesso che le iscrizioni reali achemenidi non menzionano mai la “Fenicia” : non è dunque possibile definire con precisione quale fosse la nozione di Fenicia nelle fonti persiane. Del resto il problema dell’identità fenicia e della percezione della Fenicia come un’entità territoriale o politicoculturale a sé è ampio e complesso. È interessante analizzare a questo proposito il particolare punto di vista erodoteo nei riguardi dei popoli dell’Oriente. Come è stato notato, nella maggior parte dei circa ottanta passi in cui lo storico greco menziona i Fenici, il contesto è quello del rapporto fra questi ultimi e i Persiani ; 6 da tale dato possiamo dedurre

1  A partire da Dario I, a fine VI sec., i sovrani persiani si autodefiniscono Achemenidi, con riferimento a un presunto antenato comune, Achemene, capostipite di una dinastia che rimane al potere dal VI al IV sec. a.C. 2  Dandamayev 1999, p. 270. 3  Per un’analisi approfondita del confronto/scontro fra Grecia e area iranica, cfr. Panaino 2001.

4  In questo senso si muove lo studio di Boardman 2000. 5  Si intende qui per Levante l’area che si estende dalla Siria alla Palestina, comprendendo la Fenicia. 6  Bondì 1990.

















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tatiana pedrazzi

che nel V secolo a.C. la “specificità” fenicia non era percepita e intesa dai Greci come tale, ma era piuttosto sentita come un’identità emergente dal rapporto con il mondo achemenide. Era quest’ultimo, infatti, a rappresentare il principale antagonista della grecità, ossia il polo “altro”, in termini culturali e politici, rispetto alla “nazione” ellenica e più in generale al mondo occidentale. Le città-stato fenicie erano state inglobate nell’Assiria e Babilonia e più tardi nella sola Transeufratene. 7 In generale, le fonti riferibili al Levante sono scarse e pertanto tutte le ipotesi e i tentativi di ricostruzione di quella che doveva essere la particolare ottica achemenide nei confronti della costa mediterranea devono basarsi su un complesso intreccio di informazioni, spesso indirette o mediate da interlocutori terzi, come i Greci. 8 Allo stato attuale, uno strumento di estrema utilità, per addentrarsi nella documentazione testuale achemenide, è rappresentato dalla raccolta e selezione di documenti e fonti, sia “interne” sia esterne all’impero, realizzata in anni recenti da Amélie Kuhrt, 9 il cui lavoro costituisce un punto di partenza imprescindibile per ogni ricerca sul “punto di vista” persiano. Affrontando il tema del rapporto fra la Persia e il Levante secondo una visione “da Oriente”, occorre dunque sottoporre al vaglio analitico alcuni aspetti della concezione dell’Occidente nell’ideologia politica e culturale persiana, insieme alle reciproche e complesse influenze (o meglio “interferenze” 10) fra la Persia e il mondo levantino (il quale, ovviamente, è “occidentale” dal punto di vista persiano). È utile domandarsi, a margine, in quale proporzione e secondo quali modalità il Levante in generale, e la Fenicia in particolare, abbiano potuto svolgere un ruolo di mediazione fra la Grecia e la Persia, in campo artistico e artigianale, ma anche culturale in senso lato, e quali aspetti siano invece da attribuire al contatto diretto fra Persiani e Greci orientali. Basti pensare, a questo proposito, al confronto fra la Lidia e la Persia intorno alla metà del VI sec. a.C.,

quando il confine ereditato dal regno dei Medi si colloca lungo l’Halys, mentre a ovest di questo fiume si estendono i territori che, secondo Erodoto, sono ancora controllati da Creso, re di Lidia. Nel VI sec. a.C., infatti, la Lidia sembra rivestire, secondo l’opinione di alcuni studiosi, un ruolo centrale nella rielaborazione di modelli architettonici e tecniche di lavorazione del materiale, di cui si possono rinvenire tracce in area orientale. 11 Gli elementi in gioco sono molto complessi e di ardua lettura, a causa della frammentarietà della documentazione che potremmo ritenere “primaria”. Pertanto, si procederà su più piani : da un lato, si cercherà di osservare in prospettiva persiana l’Occidente dell’impero, evidenziando i caratteri e le modalità del dominio achemenide sul Levante, possibilmente sulla base delle fonti interne persiane ; si presterà attenzione al problema della “costruzione” delle identità dei popoli soggetti nell’impero achemenide e della loro rappresentazione ; 12 dall’altro lato, si procederà ad analizzare alcune possibili acquisizioni culturali di origine occidentale in Persia, testimoniate soprattutto dalla cultura materiale, tentando di indicarne l’origine specifica e le modalità di trasmissione.

7  Con questa denominazione, come si vedrà poco più avanti, viene indicata la provincia “al di là dell’Eufrate”, la Siria-Palestina. 8  La nostra prospettiva è del resto influenzata dall’ottica greca e dai tentativi di costruzione – sempre da parte greca – dell’identità collettiva degli “altri” : Jigoulov 2010, p. 9 parla di una vera e propria “strategia” attuata più o meno consapevolmente in molti testi greci : una « xenophobic strategy of collectivized identity construction for ‘others’ of classical text ». 9  Kuhrt 2007. Laddove non diversamente indicato, i brani qui riportati dai testi selezionati e raccolti da A. Kuhrt (sia testi di autori classici sia documenti in elamita e aramaico o iscrizioni persiane) sono resi in italiano a partire dalla traduzione inglese pubblicata dall’autrice. Per le citazioni bibliche, invece, è adottato il testo italiano della versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

10  Il problema delle “interferenze culturali”, nell’ambito del Mediterraneo antico, è stato oggetto di un convegno recente : Giammellaro 2009. 11  Per esempio la tecnica di taglio dei blocchi squadrati in pietra con margini lavorati in modo regolare e parte centrale sporgente, o l’uso di particolari grappe per congiungere i diversi blocchi : Boardman 2000, pp. 19-43. 12  Il problema specifico della rappresentazione dei Fenici nell’arte e nei testi achemenidi è menzionato nella recente monografia di Jigoulov come una questione aperta, piuttosto complessa da affrontare, ma di notevole interesse e suscettibile di approfondimenti futuri : Jigoulov 2010, p. 22, cfr. anche p. 205, nota 38. 13  Sul rapporto fra Mesopotamia e Iran in età achemenide, cfr. Curtis 1997.



























L’Occidente visto da Oriente: uno sguardo dal centro verso la “periferia” Intorno alla metà del I millennio a.C., come si è accennato, l’altopiano iranico acquisisce una centralità politica nuova. La Persia eredita il ruolo di centro del potere che in precedenza – fin dal III e II millennio a.C. – era stato proprio della Mesopotamia. 13 Con l’ascesa dei Persiani, il focus politico-amministrativo – con tutto il conseguente apparato celebrativo – si sposta a Oriente, anche se al contempo un diverso tipo di “centralità” diventa propria delle regioni costiere mediterranee. Il rapporto fra le regioni mediterranee del Levante e l’area iranica sembra attuarsi senza ricorrere alla mediazione dell’area mesopotamica ; infatti, benché la Transeu 









parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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fratene sia entrata a far parte dell’impero persiano attraverso la conquista di Babilonia, divenendo così parte, in un primo momento, della provincia assirobabilonese, la documentazione testuale suggerisce tuttavia l’idea che in età persiana la Mesopotamia – e in particolare la regione babilonese – abbia perso una vera e propria relazione diretta con l’area siropalestinese. I testi provenienti dalla Mesopotamia, infatti, restituiscono numerosi riferimenti alla costa mediterranea soprattutto per il periodo precedente, l’età neobabilonese, quando il Libano è considerato fornitore di legname da costruzione, mentre la Cilicia, la Ionia, Simyra (insieme allo stesso Libano), forniscono il ferro e i mercanti babilonesi diretti verso Occidente vanno alla ricerca di vino, miele, bronzo, lana colorata di porpora. Nel periodo achemenide, invece, si osserva in Mesopotamia una riduzione delle menzioni dei luoghi occidentali. 14 Questo fenomeno è in apparente contrasto con il rafforzamento dei rapporti est-ovest in atto durante il dominio persiano, un rafforzamento che implica l’intensificarsi degli scambi, dei viaggi, delle relazioni economiche e diplomatiche all’interno dell’impero. Nella cultura babilonese, l’ovest è rappresentato comunque in modo stereotipato ; le denominazioni delle regioni a occidente della Mesopotamia corrispondono a termini coniati nei periodi precedenti e dunque “poco aggiornati” dal punto di vista storico-politico : gli Aramei sono a volte chiamati Sutei – nome generico per le tribù nomadi – mentre all’occidente genericamente inteso sono spesso attribuiti i nomi di Amurru o Hanû, impiegando termini ereditati dalle vicende storicopolitiche del III e II millennio La designazione geografica Eber-na¯ri (in accadico, “al di là del fiume”, cioè la “Transeufratene”), 15 comparsa alla fine del II millennio, viene ripresa sia nelle iscrizioni neobabilonesi di Nabucodonosor II, sia nelle iscrizioni achemenidi, indicando inizialmente la parte occidentale del vecchio impero neobabilonese e divenendo successivamente il nome di una satrapia. Erodoto considera il Levante come una satrapia autonoma già ai tempi di Dario, qualificandolo come la regione “al di là del fiume”, dunque ad esclusione della Babilonia. Secondo alcuni studiosi, è realmente Dario a separare la Transeufratene dalla Babilonia. 16 Secondo altre ricostruzioni, invece, parrebbe

L’ideologia imperiale persiana in rapporto ai territori sottomessi si modifica nel corso del tempo, soprattutto tra il regno di Ciro e quello di Dario I. Fra le tappe storiche principali della fase formativa dell’impero si annoverano la conquista di Ecbatana (550 a.C. ca.), la presa di Sardi in Lidia (546 a.C.) e l’ingresso di Ciro a Babilonia nel 539 a.C., un atto che fa di questo sovrano l’erede de facto dell’impero neobabilonese. Ciro presenta se stesso come discendente di Teispe, re di Anshan, “di una famiglia che sempre ebbe il potere regale”, come afferma nel noto cilindro redatto poco dopo la presa di Babilonia. 18 La genealogia di Ciro affonda le radici in una regione 19 che prende poi il nome di Persia – Pa¯rsa, in antico persiano, oggi Fars – e con questo nome viene menzionata nelle iscrizioni successive. Dario I, salito al trono nel 522 a.C., si autodefinisce discendente di Hakhaimaniš (Achemene). L’ideologia sottesa alla celebrazione della genealogia, da parte di Ciro e di Dario, contribuisce a chiarire alcuni importanti aspetti della concezione del potere persiano nel VI sec. a.C. 20 È la famosa iscrizione ru-

14  Alcuni studiosi ritengono che questo fenomeno possa essere, almeno in parte, una conseguenza del calo documentario riscontrabile in alcuni fra i più importanti santuari mesopotamici (come Uruk e Sippar) : Joannes 1997, pp. 146-147. 15  Eber-na¯ri in accadico, Tyaiy-Drayahya in persiano, Abar-Nahara in aramaico. 16  Stern 2001 ; Jigoulov 2010, p. 24. 17  Kuhrt 2007, p. 675. 18  Il cosiddetto “cilindro di Ciro”, conservato al British Museum, è un cilindro in argilla che reca un testo in accadico. È

stato rinvenuto a Babilonia, nell’area del santuario di Marduk ; si tratta di un’iscrizione di fondazione, finalizzata alla celebrazione dei lavori nel tempio babilonese, eseguiti dopo la vittoria di Ciro su Nabonedo : Kuhrt 2007, pp. 70-72. 19  Un paese la cui capitale è da identificarsi con il sito di Tall-i Malyan, circa 50 km a nord-ovest di Persepoli. 20  Ciro fa riferimento ad Anshan e dunque all’ambito culturale elamita, mentre Dario sottolinea la connessione con l’ambiente iranico : Waters 2004, p. 98. Achemene, del resto, non è mai menzionato prima dell’epoca di Dario. Teispe e Ciro sono



che la Babilonia e il Levante abbiano fatto parte di una medesima satrapia fino alla fine del regno di Dario e che siano state poi separate durante il regno di Serse. 17 In ogni caso, con Ciro (e durante almeno una buona parte del regno di Dario) la regione “al di là del fiume” rientra certamente nella vasta provincia di Babilonia e di Assiria (Athura) : ciò rende ancor più significativa la diminuzione, in questo periodo, delle menzioni dell’Occidente nelle fonti babilonesi. Se dunque l’ottica mesopotamica è quella di una visione dell’occidente generica e ancorata a stereotipi arcaici, in area iranica emerge invece, nel corso dell’età persiana, una sempre più marcata attenzione per la varietà e la specificità delle singole componenti dell’ecumene governata dai Persiani, un’attenzione che però non sembra tanto rivolgersi al fronte mediterraneo dell’impero, quanto piuttosto estendersi a tutte le regioni “periferiche”.  



La politica provinciale achemenide: la gestione delle regioni occidentali dell ’ impero Aspetti politico-ideologici

























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pestre di Behistun (Bisutun), vicino alla moderna Kermanshah, nell’Iran occidentale, risalente agli anni 520-519 a.C., a chiarire alcuni aspetti dell’ascesa al trono di Dario, rappresentato con l’usurpatore Gaumata (Bardiya) prostrato ai suoi piedi e nove re ribelli con la corda al collo. Il rivale di Dario è chiamato Gaumata o Bardiya da Dario e corrisponde allo Smerdis di Erodoto. 21 Dario, appartenente a un ramo cadetto della famiglia regnante, cerca di ricostruire a tavolino una propria legittimità, procedendo a ritroso partendo dal nome dei propri congiunti (“Achemenidi”), 22 un nome che pare indicare in un primo momento proprio il ramo cadetto di Dario. 23 Nella sua iscrizione, Dario presenta Teispe come “figlio di Achemene”, creando così una diretta continuità con la discendenza di Ciro e “inventando” un passato persiano-achemenide unitario. L’intento di Dario è di contribuire alla definizione dell’identità persiana, attraverso la costruzione di un passato comune, unificante e legittimante, ma anche di introdurre una nuova concezione, specificamente achemenide, della patria, della regalità e della religione. Il diverso approccio di Dario rispetto a Ciro implica anche una differente valutazione del ruolo che, all’interno della politica e dell’ideologia persiana imperiale, è attribuito ai paesi sottomessi, fra la metà del VI e gli inizi del V sec. a.C. In effetti, il sistema ideologico-politico adottato da Ciro – una piena disponibilità a delegare il potere, lasciando gran parte dell’autorità militare e amministrativa nelle mani degli esperti locali delle zone conquistate – è in definitiva poco adatto alla gestione di un impero così vasto. Dario cerca piuttosto di coniugare l’affermazione di un’identità “centrale” forte – la sovranità achemenide, appunto – con il rispetto e la valorizzazione delle differenze e delle specificità delle varie regioni. L’intento accentratore è evidente nei proclami del re : le tavolette d’oro e d’argento deposte all’atto

di fondazione dell’apadana di Persepoli – il monumentale edificio delle udienze – riportano i termini in cui Dario celebra l’estensione del proprio dominio, dai territori dei Saka, oltre la Sogdiana, fino alla “terra di Kush” (Nubia), dall’India a Sardi ; il re sposta il suo sguardo dal centro in direzione della periferia, abbracciando tutto l’impero. L’iscrizione sulla tomba di Dario a Naqsh-i Rustam, non distante da Persepoli, 24 completa il portato ideologico delle immagini a rilievo : le figure poste a sorreggere il trono regale mostrano visivamente che « la lancia del guerriero persiano ha viaggiato lontano », come recitano i testi delle iscrizioni. È dunque con Dario che si affermano gli elementi-chiave dell’ideologia imperiale, nella quale trovano posto da un lato l’accentuazione ideologica della “centralità” del potere e dall’altro lato l’effettiva autonomia concessa alle singole regioni, specie quelle importanti economicamente e strategicamente, come certamente dovettero essere l’area costiera siro-palestinese e soprattutto la Fenicia. 25 L’autonomia e il rispetto delle differenze trovano un’eco significativa nei documenti ufficiali e nei monumenti celebrativi della regalità. L’impero universale che si afferma sotto l’egida achemenide è caratterizzato da una varietà di apparati istituzionali e socio-economici, in accordo con l’estrema diversità culturale, sociale, politica ed economica dei territori sottomessi. 26 Tale ideologia politica si riflette sull’organizzazione politicoamministrativa e sulla vita culturale delle aree mediterranee incluse nell’impero. Quali sono però le modalità di percezione reciproca fra il re achemenide – il centro del sistema – e il mondo esterno governato dalla Persia (ovvero le molte “periferie”) ? In quale prospettiva il mondo persiano guarda agli altri popoli ? Una presunta visione etnocentrica persiana sembra emergere dal fatto che nelle iscrizioni achemenidi la Persia è menzionata sempre in una posizione di primo piano e non

nomi privi di un’etimologia persiana (Stronach 1997, p. 38) ; la radice è infatti elamita (Kuraš), anche se si coglie una progressiva persianizzazione nel passaggio dalla forma Kuraš alla forma nominativa antico-persiana Kuruš (Zadok 1991, p. 237 ; Stronach 1997, p. 38).

gnazione di “Achemenidi” che Dario intendeva in qualche modo “universalizzare” (Waters 2004, pp. 95-96). 24  A Naqsh-i Rustam, come altrove in ambito persiano, il proclama imperiale è assai strettamente legato al monumento che lo ospita. Nel mondo achemenide è particolarmente sentita la necessità di una lettura integrata di testi e immagini, poiché – come è stato ben messo in luce – « it is particularly important to realise that many, indeed a majority, of the verbal imperial statements are embedded in royal monuments and sculptures » : Kuhrt 2007, p. 469. 25  L’autonomia sostanziale concessa alla Fenicia è stata efficacemente descritta come una “managed autonomy”, con una gestione improntata al modello del “laissez-faire” ; in definitiva, « there was no pressing need for the empire to control Phoenicia intensely » : Jigoulov 2010, pp. 170-171. 26  Dandamayev 1999, p. 270. Cfr. anche le considerazioni di Dusinberre 2003, p. 205.













21  Briant 2005, p. 13 ; Kuhrt 2007, pp. 141-151. L’iscrizione circola ampiamente in tutto l’impero su supporti come il papiro e la pergamena (se ne trova, ad esempio, una copia in aramaico su papiro in Egitto, a Elefantina, cfr. Aspesi 2004, pp. 155-170 ; Contini 2009, p. 171). 22  « Per questa ragione ci chiamiamo Achemenidi » (iscrizione rupestre trilingue di Behistun, col. I, par. 3 : Kuhrt 2007, p. 141). 23  Stronach 1997, p. 39 ; Waters 2004, p. 91. Erodoto (Hdt. III, 88) suggerisce anche la possibilità che Dario abbia sposato due delle figlie superstiti di Ciro. La testimonianza erodotea (Hdt. I, 125) riporta inoltre, quasi paradossalmente, una lettura in termini di “clan” (frhvtrh), sia pure in senso lato, della desi 











































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è annoverata fra i paesi tributari, pur essendo invece probabilmente soggetta a un certo tipo di tassazione ; al re è riferito l’attributo, etnicamente connotante, di “persiano”. Tuttavia sono esclusivamente le fonti greche (Hdt. I 134, 2) a sostenere esplicitamente che i Persiani giudicano se stessi il popolo “migliore” e valutano gli altri popoli accordando la propria stima in proporzione decrescente rispetto alla distanza che li separa da loro. 27 Si può nutrire il legittimo sospetto che tale quadro costituisca il frutto della proiezione delle concezioni etnocentriche greche, piuttosto che il riflesso della realtà. Numerosi studi, negli ultimi decenni, hanno affrontato la questione del rapporto centro-periferia nel mondo achemenide, indirizzando la ricerca verso le strategie di controllo imperiale sulle regioni soggette e la delineazione delle relazioni (politiche, economiche, culturali) intercorse fra la Persia, in quanto centro del potere, e un’area come quella mediterranea, la quale, come si è detto, assume in età achemenide una propria “centralità”, sia pure di segno differente. Ci si è anche domandati se la peculiare strutturazione statale e le modalità di gestione delle periferie da parte della Persia possano o meno essere state utilizzate come modello – eventualmente per il tramite dei Fenici – anche nelle regioni occidentali del Mediterraneo, dato che Cartagine, nel medesimo periodo, inizia a esercitare un controllo di tipo “imperiale” su una vasta area. 28 La Persia stessa deve fare riferimento a modelli precedenti di gestione imperiale, soprattutto quello assiro e quello babilonese, trovandosi in breve tempo a governare su un’ottantina di differenti gruppi etnici senza poter disporre di una solida tradizione politico-amministrativa. Tale carenza rappresenta probabilmente una delle cause, durante la prima fase del dominio persiano, della

scelta di rispettare sul piano certamente formale ma anche sostanziale le tradizioni politico-sociali delle regioni annesse. 29 Non bisogna tuttavia sopravvalutare la mancanza di tradizioni statali ; l’impero achemenide, infatti, non emerge da un vero vacuum culturale, come si tendeva a credere in passato ; 30 ma può attingere a una radicata tradizione iranica locale, resa nota dalle scoperte dei siti della prima età del Ferro nell’Iran occidentale, in Azerbaigian (Hasanlu), Kurdistan (Ziwiye, Zendan-i Suleiman), Khorasan e Luristan (le cittadelle fortificate e i siti-fortezza di Tepe Nush-i Jan, Baba Jan, Godin Tepe). 31 Vi è anche un uso consapevole dei modelli da parte della classe dirigente persiana, attraverso l’affermazione di parallelismi e analogie con precedenti sovrani mesopotamici. Per esempio, nell’editto di Ciro, emanato dopo l’ingresso a Babilonia, si fa riferimento ad Assurbanipal come predecessore del re persiano, il quale si accinge a restaurare il tempio cittadino. 32 Con la riforma del 519 a.C., Dario riorganizza le venti satrapie – che esistevano già, in forma diversa, con Ciro e Cambise – conferendo il potere amministrativo e giudiziario ai satrapi, responsabili in ambito sia civile sia militare, ma lasciando in carica molte dinastie regnanti, per esempio in Cilicia, in Fenicia o nelle città ioniche, dove i tiranni, sostenuti dalla Persia, sono in genere invisi alla popolazione. 33 La descrizione di Erodoto della riforma di Dario e il resoconto circa la strutturazione della Quinta Satrapia, con i suoi confini 34 sono influenzati dalla specifica visione erodotea del Levante, articolato in Siria, Fenicia, e Palestina che è considerata parte della Siria a sud della Fenicia. 35 La Quinta Satrapia – chiamata in aramaico, lingua dell’amministrazione e della burocrazia, Abar-Nahara – è suddivisa fra le città-stato fenicie, 36 i territori della Siria settentrionale

27  Kuhrt 2007, p. 470. Analizzando il complesso problema della dialettica centro-periferia, che in area vicino-orientale si carica di specifiche valenze “etiche” (cfr. Liverani 1976), va considerata – come elemento strutturale delle civiltà vicino-orientali – la visione concentrica dello spazio, « secondo cui la (propria) terra è pensata come un nucleo altamente civilizzato, circondato da periferie più o meno in contrasto con essa » (Xella 2000, pp. 21-22). Anche in ottica persiana, pertanto, « la centralità significava positività, bene, ordine, stabilità », tuttavia si ha l’impressione che questi valori venissero proiettati dagli Achemenidi anche sul resto dell’impero, togliendo così – almeno in parte – alla periferia quelle valenze negative che avrebbero dovuto per principio caratterizzarla (nell’ottica della “periferia” come « sinonimo di negatività, disordine, improduttività e minaccia » : Xella 2000, pp. 21-22). Ringrazio P. Xella per le preziose indicazioni e gli spunti di riflessione offerti. 28  Si veda in proposito il contributo di Ida Oggiano nella seconda parte di questo volume. 29  Ciro e Cambise conservano infatti le istituzioni locali nelle regioni della Media, della Babilonia e nelle altre aree sottomesse (Dandamayev 1999, pp. 270-271). Per quanto riguarda i

confini delle province, si mantengono i vecchi modelli imperiali, che per l’area levantina erano stati stabiliti dagli Assiri e conservati dai Babilonesi. Di opinione contraria è Betlyon 2005, p. 9, che sostiene l’idea di un « more fluid, flexible approach to ‘boundaries’ ». 30  Per es. Richter 1946, pp. 15. 31  Levine 1987, pp. 234-235. 32  Cool Root 1979, p. 38. Nel richiamo al re assiro si coglie la volontà di sottolineare il parallelismo ideologico con un sovrano che si è comportato alla stessa maniera nel conquistare la città, compiendo poi in essa opere di restauro. 33  Ovviamente anche a Cipro, benché l’effettivo status politico-amministrativo dell’isola sia di più difficile interpretazione. 34  Hdt. II 91. 35  Il disallineamento fra il resoconto erodoteo (Hdt. III 90-94) e le fonti persiane deve essere contestualizzato : secondo alcuni studiosi, bisogna tenere nella giusta considerazione il fatto che nelle iscrizioni imperiali persiane il messaggio veicolato è fortemente ideologizzato (Jigoulov 2010, p. 23). 36  I confini della “Fenicia” sono fluidi : sono “fenicie” stricto sensu le città costiere da Arwad alla piana di Acco ; ma vengono



















































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e la regione palestinese ; meno chiara è invece la posizione di Cipro, dal punto di vista politico-amministrativo. Erodoto, infatti, include Cipro nella Quinta Satrapia, che si estende, secondo l’autore greco, da Posideion (sul confine fra Siria e Cilicia) fino ai confini dell’Egitto. 37 La testimonianza di Erodoto, però, non basta, secondo alcuni studiosi, a provare l’esistenza di strette connessioni politico-amministrative – determinate a livello imperiale centrale – fra la Fenicia e Cipro. 38 Cipro, del resto, non sembra mai accostata alle menzioni del Levante nei documenti ufficiali persiani o nelle immagini imperiali. 39 È interessante notare come in ottica persiana le città-stato fenicie non siano citate di per sé, ma ricadano all’interno della menzione collettiva dei territori di Assiria e Babilonia o della Transeufratene. 40 La carica di satrapo (acc. ahšadrapanu) – i cui compiti ci sono illustrati con chiarezza dalle fonti greche, che ricordano come il satrapo abbia la massima autorità sia nel settore civile sia in quello militare 41 – spetta ai membri delle principali famiglie persiane, mentre si fa affidamento sui notabili locali non solo per il mantenimento della funzione regnante tradizionale, ma anche per l’espletamento dei principali incarichi amministrativi (scribi, intendenti). Tuttavia, alcune fonti informano della presenza nelle città stato costiere di governatori inviati dal potere centrale e scelti fra i rappresentanti dell’aristocrazia di altre regioni dell’impero, come la Babilonia. Nella città fenicia di Biblo, per esempio, al tempo di Dario I, è attestata la presenza di un governatore proveniente da Sippar, di nome Rikis-kalâmu-Bel, probabilmente detentore di interessi economici nella città di origine, dove – secondo quanto risulta dalla documentazione testuale – offre al tempio argento, lana tinta di porpora, due vasi vinari e legno di cedro, 42 tutti prodotti che, ad esclusione dell’ar-

gento, sono tipici della costa fenicia. 43 Almeno una parte del potere esercitato nelle città fenicie pare dunque essere nelle mani di governatori esterni, inviati direttamente dal re di Persia e aventi i propri principali interessi economici privati al di fuori della Fenicia. Il governatore di Biblo inviato dal re achemenide è stato evidentemente scelto fra i membri dell’aristocrazia terriera della regione di Babilonia. Tuttavia non è necessario ipotizzare che un governatore inviato dall’autorità imperiale sia strettamente coinvolto nell’amministrazione ordinaria della città di Biblo, dal momento che quest’ultima sembra saldamente in mano alla dinastia regnante fenicia e all’élite locale. 44 A livello culturale, fra i Persiani o gli stranieri (come il governatore di Biblo) inviati dal potere centrale, da un lato, e le aristocrazie locali delle città fenicie, dall’altro, si attua probabilmente una parziale e progressiva identificazione reciproca, attraverso l’adozione di usi locali da parte degli stranieri e la contemporanea acquisizione di atteggiamenti e usi “persiani” da parte delle élites fenicie, come del resto è noto, dal punto di vista iconografico, dalla stele del re Yehawmilk di Biblo (KAI 10), nella quale il sovrano fenicio appare abbigliato alla persiana. Il legame fra il re, da un lato, e i satrapi, i governatori, i dinasti locali, dall’altro lato, è mantenuto saldo anche attraverso il sistema di elargizione di doni, definito in greco polydoria e consistente in una sorta di ostentazione della generosità regale, indirizzata verso i meritevoli (sudditi e collaboratori fedeli) e destinata a mantenerne intatta la fedeltà. Fra i regalia si trovano gioielli, vesti, armi, rhytà, ma anche terreni e titolature. Lo scopo di questi doni, analogamente a quanto avverrà in età sasanide, è quello di divulgare l’ideologia imperiale. 45 Uno studio recente sui rhytà zoomorfi 46 ha

spesso inglobate in un’area latamente “fenicia” anche le città costiere più settentrionali, fino al confine con la Cilicia, e quelle a sud del Carmelo, fra cui Dor e Jaffa.

ni. Ringrazio Andrea Ercolani per i suggerimenti e le indicazioni circa l’uso delle fonti greche. 42  È proprio la natura di questi prodotti a far ragionevolmente supporre che la Biblo (gub-ba-alki) cui il testo fa riferimento sia la Biblo mediterranea e non la città omonima situata nella regione di Sippar : Fried 2005. 43  CT 55, n. 435 : cfr. Dandamayev 1995, pp. 29-31 ; Fried 2005. Probabilmente, più che in virtù della sua devozione al dio solare Shamash, Rikis-kalâmu-Bel dovette recare tali beni al tempio come pagamento di una prebenda o per la locazione delle terre di proprietà templare. 44  Jigoulov 2010, p. 49, sottolinea che « having a provincial governor closely controlling the state affairs would be an anomaly that would suggest that Phoenician city-states, and Byblos in particular, were so volatile that they had to be governed through an outsider, namely a Babylonian ». Ovviamente, la presenza di un governatore di origine babilonese, inviato dai Persiani, non implica necessariamente un impegno di costui nel « close controlling the state affairs ». 45  Manassero 2008, pp. 80-81. 46  Manassero 2008 ha mostrato come in età achemenide gli animali riprodotti nei rhytà siano cavalli e tori ; i cavalli erano po-















37  Hdt. III 91. Babilonia e Assiria, sempre secondo Erodoto (Hdt. III 92), rientrano invece nella Nona Satrapia. 38  « Persian imperial connections between the two are unclear and based on associations that are more historically cultural in nature than political and administrative » : Jigoulov 2010, p. 27. 39  Sulle interazioni culturali a Cipro in età persiana, cfr. la sintesi recente di Oggiano 2009, pp. 75-79. 40  Nell’iscrizione di Dario a Behistun l’elenco dei paesi sottomessi include infatti la Babilonia, l’Assiria e menziona separatamente l’Arabia e l’Egitto, aggiungendo inoltre un riferimento ad un non meglio specificato “paese del mare” : cfr. Briant 2002, p. 173 ; Kuhrt 2007, p. 141 ; si veda anche la discussione in Jigoulov 2010, pp. 22-23. 41  Xen. Oec. IV 10-11. Tuttavia non è molto chiaro il rapporto intercorrente fra il satrapo e i comandanti delle guarnigioni militari (Briant 2002, pp. 341-342). Il grado soddisfacente di affidabilità di Senofonte, come fonte informata e degna di credito, è proporzionale alla sua frequentazione diretta di ambienti persia 



































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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sottolineato come l’assenza di raffigurazioni di tali recipienti da libagione nei rilievi scultorei dell’apadana di Persepoli, dove sono rappresentati i beni portati in dono dai sudditi al sovrano, valga come conferma del fatto che questi peculiari vasi sono impiegati proprio in direzione contraria rispetto al percorso centripeto dei beni raccolti a Persepoli : la distribuzione dei rhytà zoomorfi è centrifuga, poiché tali vasi sono offerti dal sovrano ai satrapi o ai rappresentanti dei popoli con cui il re intende mantenere buone relazioni diplomatiche. In area occidentale, tali vasi si trovano a Cipro (Salamina e Ayia Irini) 47 e in Palestina (Tell el-Hesi e Tell Mevorach) 48. La totale assenza di rappresentazione di questi recipienti da libagione nei rilievi persepolitani, 49 e più in generale nell’arte di corte achemenide, assume un risalto ulteriore se paragonata alla presenza di tali oggetti in alcune raffigurazioni di ambito occidentale : in Licia, ad esempio, i rilievi funerari mostrano alcuni rhytà tenuti in mano dal defunto nel contesto del banchetto su kline 50. Un rhyton è attestato sui rilievi del “sarcofago del satrapo” di Sidone, in uno dei lati brevi ; nel sarcofago è dunque raffigurato un elemento iconografico di ascendenza persiana, che ha una valenza ideologico-politica, nella sua natura di dono proveniente dalla corte achemenide. 51 Questi doni sono dunque finalizzati a rafforzare i legami di fedeltà, ma anche a divulgare l’ideologia imperiale, dal centro verso la periferia. Al di là del sistema dei doni, dei premi e degli incentivi, per rafforzare la fedeltà dei responsabili delle aree periferiche, il re esercita un controllo sull’operato dei satrapi attraverso l’invio di ispettori. Su questo punto, però, le fonti di cui disponiamo sono esclusivamente occidentali. È infatti Senofonte, nella Cyropaedia, a menzionare l’esistenza di ispettori reali, ovvero ufficiali deputati al ruolo di “spia” : nel testo greco si fa riferimento a un ufficiale denominato “Occhio del re” e anche a un “Orec-

chio del re”. Di queste cariche non sembra esistere alcuna testimonianza nella documentazione interna all’impero persiano. 52 I rapporti fra i satrapi, inviati dall’autorità centrale, e le comunità locali non sono facilmente discernibili sulla base delle fonti dirette interne all’impero. Le fonti disponibili, infatti, sono molto discusse dal punto di vista dell’interpretazione. In generale, alcuni studiosi hanno rilevato come il satrapo si ponga come garante delle decisioni prese dalle autorità locali e come arbitro delle eventuali controverse insorte. Sembra questo il caso testimoniato, ad esempio, sul versante anatolico, dalla nota iscrizione trilingue di Xanthos, una stele in calcare, databile alla fase finale dell’impero achemenide, alla vigilia della conquista macedone ; 53 si è supposto che il satrapo menzionato nell’iscrizione abbia dato direttamente l’impulso all’istituzione di un nuovo culto per motivi politici, anche se pare assai più plausibile che il satrapo sia stato coinvolto dalle comunità locali come semplice garante. 54 L’esercizio del potere imperiale e l’autorità esercitata dal satrapo sono dunque rivolti al mantenimento della pace e della concordia nelle regioni soggette, « en reconnaissant coutumes, langues et institutions des communautés locales dont ils favorisent le maintien et le fonctionnement ». 55 L’autonomia sostanziale di cui godono le comunità locali – soprattutto le città dell’Asia Minore, la Fenicia e la Palestina, con la possibile inclusione di Cipro – si evince con chiarezza dal diritto di battere moneta, 56 concesso dal re achemenide ai dinasti e alle autorità locali. In Fenicia, si effettuano emissioni monetali autonome, con propri tipi iconografici, nelle città di Biblo, Tiro, Sidone, Arwad. 57 Attraverso la monetazione, si ribadisce la sovranità politica delle comunità locali soggette al re persiano. Fra le ipotesi avanzate circa le motivazioni dell’introduzione della monetazione in Fenicia, sicuramente da scartare è l’idea che la moneta coniata

co usati in precedenza in questo tipo di vasi zoomorfi e anche per i tori si assiste a un incremento delle raffigurazioni rispetto al passato. Il trattamento delle criniere è analogo a quello visibile nei cavalli dei rilievi dell’apadana.

52  Briant 2002, pp. 343-344 ; Xen. Cyr. VIII 6, 16. 53  La stele – di cui si parlerà anche in seguito, in riferimento alla politica religiosa – reca su tre facce altrettanti testi, rispettivamente in greco, in licio e in aramaico. Sulla versione aramaica si vedano Garbini 1977, pp. 269-272 ; Dupont-Sommer 1974, pp. 132-149. 54  È stato infatti notato come « nulle parte l’on ne voit une autorité impériale, quelle qu’elle soit, intervenir à proprement parler dans une affaire cultuelle d’une communauté locale » : Briant 1998a, p. 318. 55  Briant 1998a, p. 336. 56  Durante il regno di Dario viene adottato il conio ufficiale regale, il darico d’oro, cui si affianca lo shekel d’argento ; il rapporto fra darico e shekel è di 1 :20. 57  La prima città fenicia a battere moneta è Biblo, probabilmente intorno al 460 a.C., seguita poi da Tiro (ca. 450 a.C.), Sidone (440 a.C.), Arwad (430 a.C.). A Cipro, invece, la moneta coniata è introdotta a partire già dalla fine del VI sec. a.C.









































47  Manassero 2008, n. 62, p. 59 (da Salamina) e n. 98, p. 62 (da Ayia Irini). 48  Manassero 2008, n. 80, p. 61 (da Tell el-Hesi) e n. 82, p. 61 (da Tell Mevorach). 49  In particolare nei rilievi dell’apadana di Persepoli sono raffigurati, fra i beni tipici delle varie regioni dell’impero, alcuni vasi recati in dono dai sudditi ; notevole è dunque l’assenza, fra questi, di rhytà a terminazione zoomorfa : Manassero 2008, p. 81. 50  Infatti, il rhyton a protome animale, oltre ad essere un tipico dono di prestigio, è anche un vaso provvisto di valenza rituale : Ebbinghaus 2005, p. 24. 51  Manassero 2008, p. 79. Il rhyton è tenuto in mano dal personaggio raffigurato a banchetto su kline, raffigurato su uno dei lati brevi del sarcofago.  















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possa servire al pagamento dei tributi o al rimborso dei mercenari ; 58 alcuni studiosi, invece, ipotizzano che il passaggio dall’uso pre-monetale dei pesi iscritti al conio delle monete locali sia determinato, verso la metà del V sec., dall’incontro con l’economia monetaria greca e dunque non venga imposto dall’autorità imperiale, ma costituisca un elemento di sviluppo interno della società fenicia. La monetazione autonoma sembra rispondere a esigenze economiche interne alle singole regioni dell’impero ; del resto, non è attestata l’esistenza di un sistema monetario unico per tutto il territorio imperiale. 59 Pertanto, se da un lato sono evidenti sia l’intento accentratore che sta alla base dell’introduzione della moneta nell’impero achemenide sia l’ideologia di celebrazione del sovrano veicolata dalle iconografie imperiali, d’altro lato la concessione del diritto di battere moneta autonomamente, per le città stato fenicie, può essere letta come segno del riconoscimento del ruolo di primo piano rivestito dalla Fenicia negli scambi e, più in generale, come testimonianza del rapporto fiduciario fra il re persiano e le dinastie locali. 60 In ogni caso, ai dinasti locali sono concessi diritti, privilegi e autonomia entro i limiti imposti dal re persiano ; in particolare, le aristocrazie non devono godere di ampio potere politico, al di fuori degli stretti limiti delle decisioni attinenti la comunità su cui governano. I satrapi, infatti, così come gran parte dei capi militari, sono di origine persiana. 61 Il governo centrale richiede, in caso di necessità, un servizio militare ai sudditi delle varie parti dell’impero. Le città fenicie provvedono all’allestimento della flotta reale, che agli inizi del V sec. è una delle più potenti del Mediterraneo. La costa fenicia resta sempre fra le aree più importanti – insieme a Cipro e alla Cilicia – per il reclutamento navale da parte persiana. 62 Il ruolo svolto in questo senso dalle città fenicie non è però ricordato da fonti dirette achemenidi ; sono piuttosto le fonti iconografiche fenicie o quelle letterarie greche a mettere in luce i compiti della Fenicia e in partico 







lare l’importanza della città di Sidone. Infatti, sul recto delle monete sidonie, è rappresentata – più frequentemente di ogni altra immagine – una nave da guerra analoga a quella raffigurata su un tipo di impressione di sigillo dalle tavolette del Tesoro di Persepoli. 63 Da parte greca, alcune considerazioni erodotee sono utili alla comprensione del ruolo attribuito a Sidone dal momento dell’inclusione della Fenicia nella satrapia “al di là dell’Eufrate” ; il re sidonio è deputato a guidare la flotta di Serse (Hdt. VII 98 ; VIII 67), 64 tuttavia la sua posizione e il suo grado non sono comparabili con il livello degli ufficiali persiani (Hdt. VII 96). Anche Diodoro Siculo ricorda il contributo fenicio all’allestimento della flotta persiana, precisando come Artabazo e Megabizo, inviati dalla Persia per portare la guerra in Egitto, « arrivati in Cilicia e Fenicia fecero riposare le loro truppe dalla fatica del cammino. Richiesero delle navi ai Ciprioti, ai Fenici e agli abitanti della Cilicia » (Diod. XI 75). 65  













Aspetti economici del controllo imperiale sulle regioni sottomesse











58  Per la discussione di queste ipotesi, cfr. ora Jigoulov 2010, pp. 105-106. 59  L’autonomia nel battere moneta è concessa « for the support of local trade first and foremost » : Jigoulov 2010, p. 107. È stata anche avanzata l’ipotesi che la necessità di ricostruire la flotta dopo la sconfitta di Salamina (480 a.C.) abbia dato impulso all’economia fenicia e agli scambi locali, inducendo così all’introduzione della monetazione : Jigoulov 2010, p. 108. 60  Su questi aspetti, si veda anche la seconda parte di questo volume, a cura di I. Oggiano. Una prospettiva su cui si potrebbe inoltre riflettere è quella del confronto con quanto accade in Sicilia, dove la monetazione nelle città fenicie, autorizzata da parte cartaginese, precede quella della stessa Cartagine ; per questo interessante spunto di riflessione ringrazio Sandro Filippo Bondì.  









Come si è accennato nell’introduzione, sul piano delle attività produttive e di scambio l’area iranica rimane sostanzialmente periferica, con un’economia domestica tradizionale basata sulla produzione agricola, anche se di dimensioni assai ampie. Al contrario, le attività economiche nelle aree mediterranee prendono nuovo slancio, grazie ad alcuni fattori in parte ascrivibili al dominio persiano. La Persia favorisce un’agricoltura di tipo intensivo, in aree fertili, dove vengono create ampie tenute definite paradisi, mentre le altre aree, aride o semi-aride, sono riservate alla pastorizia : si determinano così, all’interno delle varie regioni, una specializzazione e una differenziazione marcata. Le risorse della dinastia regnante derivano essenzialmente dalla terra, pertanto fra i compiti principali dei satrapi vi è il mantenimento della produttività dei terreni, tramite la cura dell’irrigazione e il mantenimento di un’adeguata forza-lavoro. Le fonti classiche, infatti,  

61  Briant 2002, p. 350. 62  Ciò sembra rimanere valido anche nei momenti di maggiore crisi delle relazioni fra Persia e Fenicia, per esempio in seguito alla rivolta di Sidone e alla riconquista da parte di Artaserse III. Benché non si conosca per via diretta lo status imposto a Sidone in seguito alla riconquista, è tuttavia evidente che la città mantiene il compito di fornire navi per la flotta persiana : Briant 2002, p. 713. 63  Briant 1995, p. 74. Le raffigurazioni della galera sulle monete sidonie, fra il 450 e il 330 a.C., sono almeno di quattro tipi : con vela ammainata, con vela semi-ammainata, posta di fronte alle fortificazioni, da sola : Elayi – Elayi 2004a. 64  Bondì 1990, p. 260. 65  Briant 1986a, p. 34.  





parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide informano circa l’attuazione di una vera e propria “politica dell’acqua”, attraverso la costruzione di canali (qanat) in area iranica, 66 insieme al perseguimento di una politica in favore della natalità, per incrementare le risorse umane spendibili come forza-lavoro. 67 La documentazione persiana si basa in buona parte sugli archivi di Persepoli, che hanno restituito numerose tavolette in elamita, 68 con la registrazione di questioni relative all’amministrazione, alla demografia, alla produzione. Questi documenti, tuttavia, hanno il limite principale, per noi, di fare riferimento in massima parte al Fars ; 69 inoltre hanno una distribuzione cronologica limitata, giacché i testi del Tesoro si riferiscono al periodo 492-458 a.C., mentre quelli dell’ampio archivio delle Fortificazioni al 509-494 a.C. 70 Qualche informazione aggiuntiva, per la vita economica delle altre regioni dell’impero, si può ottenere da tavolette babilonesi, da testi ufficiali in aramaico provenienti dall’Egitto, oltre che, ovviamente, da fonti del tutto esterne all’amministrazione persiana, come gli autori greci e l’Antico Testamento.  











La proprietà terriera e l’organizzazione della produzione : il ruolo dei paradisi  

Per la Persia, conosciamo dagli archivi vari dettagli circa le diverse tipologie di proprietà terriere, descritte con tre termini elamiti : partetash, l’equivalente del termine greco paradeisoi, i “paradisi” persiani ; 71 irmatam, possedimenti vicini ai villaggi,  





66  In generale sui canali in epoca achemenide, cfr. Cruz-Uribe 2003b. 67  Briant 1980, pp. 24-25. Secondo Erodoto (Hdt. I 36), i Persiani ritengono un grande merito l’avere molti figli ; Polibio (Plb. X 28, 3) invece ricorda l’impegno achemenide nella “politica dell’acqua”. 68  I testi in elamita sono sopravvissuti perché redatti su tavolette d’argilla, ma occorre ricordare che a livello centrale erano usate anche altre lingue : l’aramaico, l’accadico, probabilmente anche il greco ; inoltre le iscrizioni reali, di tipo celebrativo, erano in genere redatte in antico persiano : Kuhrt 2007, pp. 764-765. 69  La possibilità di estendere ad altre aree dell’impero i dati che si conoscono attraverso gli archivi di Persepoli rimane discussa e rappresenta uno dei problemi metodologici più significativi all’interno degli studi sulla civiltà achemenide : Lewis 1990, pp. 2-6. 70  Le tavolette delle Fortificazioni di Persepoli sono registrati con la sigla PF, mentre quelli del Tesoro con la sigla PT (Briant 2002, p. 422). Per una sintesi sui testi delle Fortificazioni, cfr. Lewis 1990, pp. 2-6 ; Kuhrt 2007, p. 763. Per il pluralismo culturale che emerge dai testi PF, si veda anche Cool Root 1997. La prima pubblicazione dei testi del Tesoro (PT) risale alla fine degli anni ’40 del secolo scorso : cfr. Cameron 1948. 71  I paradisi nel Fars sono documentati a Persepoli e nelle vicinanze della capitale : paradiso di Parsarash (tavoletta elamita PF 1815, anno 499 a.C.), paradiso di Barasba (PF 145), paradiso di Mishdukka (PF 158) : in queste tenute lavorano operai, stipendiati attraverso razioni alimentari, che sono addetti, per esempio, anche alla lavorazione del legno ; inoltre, si accumulano riserve  



















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i cui proprietari sono membri dell’amministrazione ; 72 ulhi, possedimenti appartenenti all’élite dominante, dotati di notevoli risorse. 73 Non è facile definire lo specifico status di questi diversi tipi di “tenute”, tuttavia può essere significativo il fatto che i membri della famiglia reale non ricevono mai un irmatam, ma sempre un uhli. Possediamo inoltre informazioni circa le procedure di conservazione dei prodotti agricoli nei magazzini regionali, ciascuno destinato ad un tipo specifico di prodotto (vino, birra, cereali, olio, etc.) e circa l’impiego di personale all’interno di queste varie tenute agricole, personale stipendiato con razioni alimentari o, al caso, pagamenti in argento. 74 Il quadro che emerge dagli archivi centrali persiani non è applicabile automaticamente al resto dell’impero, anche se il rinvenimento di archivi periferici, con documenti in elamita anche al di fuori del Fars (per es. a Susa e in Afghanistan), ha portato a supporre che almeno in alcune regioni vi fosse un’amministrazione ricalcata su quella centrale. 75 Vi sono indicazioni circa l’esistenza di paradisi anche nella Transeufratene, così come in altre regioni. 76 La strutturazione dei paradisi, cui si attribuisce valenza ideologica oltre che economica, rispetta l’esigenza di cura intensiva di alcuni segmenti di territorio a elevato potenziale produttivo. 77 I paradisi sono territori delimitati, di pertinenza regia, all’interno dei quali si pratica anche la caccia agli animali selvaggi ; in essi sono presenti coltivazioni specializzate. Nei paradisi persiani si concentrano  















di datteri e di altri prodotti per la redistribuzione : Kuhrt 2007, p. 806. 72  Briant 2002, pp. 444-445 : « the irmatam are included within the general administration, just like the partetas. Both served as collection, storage, and distribution centers for local produce ». 73  Kuhrt 2007, p. 767 ; Briant 2002, pp. 445-446 : il termine ulhi corrisponde all’acc. bitu, con significato di “casa”, non tanto a indicare un edificio, quanto piuttosto una comunità di persone che vivono e lavorano in una “tenuta” che comprende terre a varia destinazione agricola. Il termine compare nell’iscrizione di Behistun, oltre che nelle tavolette di Persepoli. « Physically, the agricultural estates connected to an ulhi cannot have been different from an irmatam or a paradise » (Briant 2002, p. 446). 74  Il pagamento in argento a vari gruppi di operai e lavoratori sembra introdotto solo dopo il 492 a.C., su autorizzazione del tesoriere di Persepoli o del re stesso : Kuhrt 2007, p. 765. 75  Kuhrt 2007, p. 815. Del resto, sulla base delle fonti classiche (Hdt. III 128 ; Xen. An. I 2, 20), « it cannot be denied that there were archival deposits in every satrapal territory » (Briant 2002, p. 447), pur in mancanza del ritrovamento di un archivio completo, probabilmente a causa della deperibilità dei supporti (papiro, cuoio, tavolette lignee rivestite di cera). Un caso interessante è costituito dal rinvenimento delle bullae di Daskylium, in Frigia Ellespontina : le bullae recano iscrizioni in cuneiforme e in aramaico. 76  A Sidone doveva essere localizzato uno dei paradisi presenti in area levantina : cfr. la seconda parte di questo volume. 77  Rossi 2006, p. 568.  



























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specie animali e vegetali varie ed esotiche, quasi a sottolineare l’ideologia imperiale dell’unità nella varietà. La triplice funzione del paradiso persiano, come tenuta agricola con coltivazioni specializzate, come giardino esotico, come riserva di caccia per il re e l’élite, è ricordata anche dalle fonti greche. I paradisi, in concreto, includono una residenza per il satrapo con una vasta tenuta ; villaggi connessi a terre dedicate allo sfruttamento agricolo intensivo, con manodopera dipendente ; un’ampia riserva di caccia, a volte protetta da mura di cinta ; giardini e orti, in cui attuare una specifica selezione delle specie coltivate ; infine, un’ampia riserva boschiva, per disporre di legname da costruzione. 78 Dai documenti persiani sappiamo che nei paradisi lavorano dipendenti specializzati in varie mansioni, fra cui anche i lavoratori del legno, proprio perché le tenute hanno anche la funzione di riserve di legname. È comunque difficile desumere dai testi informazioni precise sulla relazione intercorrente fra la gestione dei singoli paradisi – aventi in genere un proprietario, che in certi casi può essere il re stesso – e l’amministrazione imperiale : tale problema, a maggior ragione, sussiste per le aree periferiche dell’impero. In area occidentale, le fonti, in gran parte classiche, ricordano l’esistenza di paradisi in Siria, Fenicia, Palestina, 79 oltre che in Asia Minore (Lidia, Frigia, Ponto). 80 Alcune evidenze relative all’organizzazione della proprietà terriera provengono anche da documenti rinvenuti in Egitto e in Babilonia : l’esistenza di tenute imperiali, di proprietà di membri della famiglia reale, in varie regioni dell’impero, è attestata ad esempio da una tavoletta babilonese rinvenuta presso Nippur (periodo di Dario II), 81 mentre per l’area del Levante non si hanno documenti diretti e occorre fare riferimento ancora una volta agli storici greci : Senofonte (Xen. An. I 4, 9) menziona villaggi appartenenti a Parysatis nell’area della Siria settentrionale, documentando, anche in altri passaggi, la presenza di tenute agricole in varie aree dell’ecumene persiana. Tali proprietà terriere, spesso controllate da guarnigioni militari, hanno anche lo scopo di “occupare” fisicamente e “visibilmente” i territori sottomessi. Il ruolo ideologico dei paradisi è importante almeno quanto quello economico. Specie se dislocati al di fuori della Persia, i paradisi diventano una sor 









ta di “vetrina” ideologica 82 inglobata fisicamente nella realtà territoriale locale. Attraverso la trasformazione del paesaggio, il paradiso esprime alcuni dei concetti-chiave dell’ideologia imperiale persiana : il dominio del re sulla natura (anche attraverso le battute di caccia che si svolgono all’interno della tenuta) ; la funzione del re di garante della fertilità ; il concetto di differenziazione e al contempo unità dell’impero, attraverso la varietà e concentrazione in un solo luogo di innumerevoli specie vegetali diverse, anche di provenienza esotica. Spesso il paradiso, con la sua ricchezza e lo sfruttamento intensivo delle risorse, è in marcato contrasto con la realtà territoriale locale, specie in zone semi-aride e non adeguatamente sfruttate a livello agricolo, come alcune aree del Levante ; tale contrasto fa sì che il paradiso sia presentato anche come “modello ideale” e come concreta manifestazione della capacità di intervento del re sulla natura, sul territorio, sulle risorse.  









Meccanismi di tassazione













78  Briant 1980, pp. 34-35. 79  In Fenicia, il paradiso ricordato dalle fonti è quello di Sidone, mentre in area palestinese quello di Gerico : cfr. Rossi 2001, p. 337. 80  Rispettivamente : Xen. An. I 4, 10 ; Diod. XVI 41, 5 ; Ne 2, 8 ; e ancora Senofonte, Diodoro, Strabone per l’Asia Minore : cfr. Briant 1980, p. 59, nota 109. 81  Kuhrt 2007, p. 820, documento 16, n. 66, ii.  











Per quanto riguarda l’esazione di beni, 83 le fonti greche sottolineano come l’organizzazione del sistema tributario venga perfezionata con Dario I. Secondo Erodoto (Hdt. III 97), la Persia è la sola regione esclusa dalla tassazione, anche se questa notizia deve forse essere interpretata nel senso di una differente modalità di contributo della Persia, più che di una esclusione tout court dal sistema tributario. 84 La riforma di Dario del 519 a.C., sempre secondo la testimonianza erodotea, introduce la tassazione in argento per le satrapie, sulla base del computo delle terre coltivate ; in totale, sono raccolte dalle satrapie soggette a tributo fisso circa 250 tonnellate annue di argento. Alcune regioni contribuiscono con beni speciali, come i cavalli per quanto riguarda la Cilicia, utili al mantenimento della locale guardia a cavallo, o, per quanto riguarda l’Egitto, il grano, necessario anche per il sostentamento del personale amministrativo persiano a Menfi. Le tavolette delle Fortificazioni di Persepoli illustrano il rigoroso controllo delle transazioni che si svolgono all’interno dell’impero. Oltre ai tributi in argento, è ben documentato anche il sistema di pagamento in “razioni alimentari” prefissate, dal momento che a Persepoli ritornano le “ricevute” delle  





82  Briant 1980, p. 36. 83  Le varie forme di tassazione, i tributi, i doni, le obbligazioni sotto forma di servizi prestati in campo civile (mantenimento delle strade e dei canali, operazioni di trasporto) o in campo militare sono ora elencati e discussi attraverso le fonti (che in buona parte sono greche), nel recente studio di Kuhrt 2007, pp. 669729. 84  Kuhrt 2007, p. 670.

parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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in arrivo e in partenza dai porti egiziani, a beneficio dell’autorità persiana imperiale posta a controllo della regione. La documentazione è carente sul versante levantino e non si hanno informazioni su eventuali corrispettivi dazi da pagare nei porti della Fenicia, tuttavia il dato è indicativo del tipo di controllo regio esercitato sulle attività commerciali. Infine, altre fonti interne all’impero illustrano le modalità di raccolta e di trasferimento delle tasse verso Persepoli : un testo in elamita dell’epoca di Dario I, su una tavoletta rinvenuta presso le Fortificazioni (PF 1342, del 500 a.C.) illustra il trasporto dell’argento nella tratta finale del percorso verso l’Iran, da Susa alle vicinanze di Persepoli, mentre un’altra tavoletta della medesima epoca (PF 1357) menziona il trasporto del tesoro da Babilonia a Persepoli. 91 Un ultimo aspetto va preso in considerazione : l’esazione di tributi acquista, dal punto di vista persiano, una forte valenza ideologica. Nella dialettica centro-periferia veicolata dalla propaganda del re si possono individuare e distinguere due immagini speculari : da un lato, l’immagine del sovrano che attraversa le regioni dell’impero per imporre l’ordine e dall’altro l’immagine del re che raccoglie e riunisce all’interno dei centri imperiali tutta la varietà e complessità dei caratteri peculiari dei singoli paesi (un’immagine che, come si è detto, viene supportata anche dalla strutturazione del paradiso persiano, come variegato microcosmo, specchio della complessità e della ricchezza dell’impero). Negli autori classici, inoltre, è presente il motivo della tavola regale che riceve tutti i prodotti dell’impero, anche in questo caso con un evidente riferimento al ruolo del re quale collettore dei beni di tutte le regioni. In questo senso, è evidente che oltre ai tributi in argento, ha una larga eco nella propaganda imperiale l’acquisizione di prodotti e beni provenienti da ogni parte dell’impero, come del resto è mostrato dalla decorazione della scalinata monumentale dell’apadana, con le delegazioni dei paesi che recano tributi e offerte al re persiano.

transazioni. 85 La tassazione composita, comprendente diversi tipi di beni, è attestata in alcuni documenti, fra cui un testo babilonese (da Nippur) che illustra la tassa pagata da un militare : birra, pecore, farina, grano, argento. 86 Per quanto riguarda le scarse informazioni direttamente riguardanti la pressione fiscale sull’area siro-palestinese, si hanno notizie relative a un eccesso di richiesta, da parte dell’amministrazione centrale, solo a partire dal IV sec. a.C., come testimoniato da alcuni passi veterotestamentari 87. Come si è visto, è Erodoto (Hdt. III 89-97) a riportare il computo della tassazione in argento, calcolata in talenti, per i vari distretti imperiali ; la Fenicia ricade nel quinto distretto, che si estende dalla costa siriana (al confine con la Cilicia) fino all’Egitto, comprendendo Cipro. 88 Il testo erodoteo pare costituire la versione ellenizzata di un documento ufficiale achemenide, del quale non è giunta copia ; tuttavia, si colgono le discrepanze con altri documenti achemenidi di cui disponiamo, come le iscrizioni in antico persiano che riportano le liste dei paesi e dei popoli sottomessi ; il testo erodoteo non trova corrispondenza nemmeno nella resa figurativa dei portatori di doni delle sculture persepolitane. Le divergenze vengono giustificate, da alcuni, tenendo nella debita considerazione la portata ideologica dei documenti achemenidi in antico persiano, tutti di natura celebrativa, recanti dunque un’immagine idealizzata, anziché realistica, dell’impero e del suo funzionamento. 89 Un altro aspetto notevole, che riguarda anche il Levante, è rappresentato dalla tassazione achemenide del commercio marittimo e costiero. Su questo punto la discussione è ampia. Poiché è noto che la politica persiana abbia incentivato, sostenuto e forse protetto l’attività commerciale fenicia, l’esistenza di tasse sul commercio via mare potrebbe sorprendere. Un documento diretto e indubitabile sulla tassazione del commercio via nave è un lungo resoconto proveniente dall’Egitto (Elefantina). Si tratta di un palinsesto su papiro, in cui sono ricordati l’arrivo e la partenza dall’Egitto di navi provenienti dal Levante e dall’area anatolica sud-occidentale ; viene descritto il carico ed è registrata l’entità delle tasse pagate in entrata e in uscita, destinate “alla casa del re”, dunque all’amministrazione imperiale persiana. 90 Pertanto, è lecito pensare che le navi, forse anche fenicie, dirette dalla costa siro-palestinese all’Egitto fossero sottoposte a tassazione

Un impulso alle attività economiche, e in particolare agli scambi, proviene dall’incremento della mobilità all’interno della vasta ecumene imperiale. Mi-

85  Lewis 1990, pp. 2-6. 86  Kuhrt 2007, p. 680, testo 14, n. 9. 87  Dandamayev 1999, p. 276. Neemia, come alleato fedele del re Artaserse, è incaricato di riorganizzare la provincia di Giuda ; in questo periodo le tasse persiane sono sentite come un pesante fardello (cfr. Fensham 1982, p. 16). 88  Che Cipro sia effettivamente inclusa in questo quinto di-

stretto, insieme alla Fenicia e al resto della costa levantina, è però oggetto di discussione, come si è accennato anche più sopra. 89  Kuhrt 2007, p. 675. 90  TAD III, C3,7 (TAD = Porten – Yardeni 1986-1999) ; Kuhrt 2007, testo 14, n. 10, pp. 681-703 ; cfr. anche la discussione in Briant – Descat 1996, pp. 59-104. 91  Kuhrt 2007, p. 719.

































La mobilità e la circolazione di merci, persone, informazioni





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litari, artigiani e artisti (spesso fatti spostare dalla Fenicia o dalle città greche verso il cuore dell’impero), 92 ufficiali, burocrati, mercanti, ma anche uomini di cultura e studiosi, come lo stesso Erodoto, hanno occasione di muoversi fra il mondo mediterraneo e l’area mesopotamica ed iranica. Inoltre, nuclei di persiani si insediano per motivi diversi (amministrazione, colonie militari e/o rurali, famiglie beneficiarie di donazioni di terre da parte del re) 93 in tutte le aree dell’impero, portando con sé i propri culti 94 e i propri costumi. In seguito all’incremento della mobilità generale e dunque delle occasioni e opportunità di scambio, si crea una certa competizione fra gli agenti commerciali : i mercanti fenici e quelli ionici, ad esempio, entrano in concorrenza per il controllo della rete commerciale delle sponde orientali del Mediterraneo. La conquista dell’Egitto, alla fine del VI sec. a.C., 95 consente di allargare l’orizzonte economico e commerciale in direzione di una terra assai ricca di risorse, dove è attestata, proprio per l’età achemenide, la presenza di residenti originari della Fenicia, probabilmente coinvolti in attività di tipo mercantile. La partecipazione alla conquista dell’Egitto con Cambise può avere arrecato alle città fenicie alcuni vantaggi, sotto forma di ricompense da parte del potere centrale e forse di un trattamento di favore rivolto alle case regnanti. La frequentazione dei porti egiziani da parte di navi mercantili provenienti anche dalla costa del Levante, come si è visto poco sopra, consente all’amministrazione achemenide di accumulare introiti derivanti dalla tassazione del transito in entrata e uscita delle navi. 96 Le transazioni commerciali sono favorite dall’introduzione della moneta coniata, la cui adozione in ambito achemenide centrale si deve all’iniziativa di Dario I. 97 La mobilità sulla terraferma è favorita dalla cura della rete viaria, 98 percorsa continuamente dai corrieri del re persiano e – come confermato con notevole suggestione emotiva dal coro d’apertura dei Persiani di Eschilo – fornita di stazioni di posta (in greco stathmoi, posti a circa una giornata di cammino uno dall’altro) e di un servizio di

staffetta per la rapida trasmissione dei messaggi, 99 affidati talvolta anche a un sistema di trasmissione attraverso segnali inviati da torce, una sorta di “telegrafo senza fili ante litteram”. 100 Le fonti persiane – e in particolare i testi dell’archivio delle Fortificazioni di Persepoli – ci restituiscono il punto di vista interno all’impero circa l’organizzazione, la strutturazione e la manutenzione del sistema viario e circa le modalità di spostamento. Tutto l’impero è collegato da strade sorvegliate da “controllori” che garantiscono la sicurezza per conto del re e ricevono razioni alimentari (per es. quantitativi di farina) per lo svolgimento di compiti di sorveglianza lungo le principali vie di transito. 101 Le ricerche archeologiche hanno portato alla scoperta di stazioni di posta, come quella sulla via che collega la Media alla Mesopotamia, fra Ecbatana e Behistun, dove, nel sito di Deh Bozan, è stata rinvenuta una struttura con colonne e tetto ligneo. 102 Uno degli aspetti più interessanti, circa le modalità di spostamento, riguarda la concessione di “passaporti” o “lasciapassare” da parte delle autorità persiane, per far sì che propri attendenti o uomini di fiducia possano percorrere lunghi tragitti, avendo il permesso di fermarsi nelle stazioni di posta e di usufruire dei rifornimenti : le razioni alimentari per uomini e cavalli sono addebitate sui possedimenti di chi autorizza il viaggio e concede il lasciapassare. Questo aspetto è documentato da un testo aramaico su cuoio, datato al tardo V sec., proveniente dall’Egitto : si tratta di una lettera ufficiale valida come “lasciapassare” per un attendente di Arsame ; la richiesta di rifornimenti, da parte di Arsame per il suo attendente, è rivolta a vari ufficiali probabilmente preposti alle stazioni di sosta ; per il rifornimento dell’attendente, in viaggio verso l’Egitto, si chiede di attingere ai beni provenienti dai possedimenti di Arsame stesso, dislocati nelle varie province toccate dal viaggio. 103 Arsame, satrapo d’Egitto, evidentemente possiede terre in Siria e Libano, cioè al di fuori della satrapia su cui governa. 104 Le lettere ufficiali valide come “passaporto” sono inviate ai governatori della Transeufratene, 105 per

92  Come attestato nei testi dell’archivio del Tesoro di Persepoli, gli artigiani specializzati provenienti da molti paesi, fra cui la Siria, la Ionia, l’Egitto, erano reclutati per partecipare a lavori di costruzione e abbellimento delle città di Persia : Briant 1992 ; Dandamayev 1999, p. 276. 93  Per questa vera e propria “diaspora” persiana, documentata soprattutto in Asia Minore, cfr. Briant 1980, p. 38. 94  Si veda, più oltre, il paragrafo relativo alla discussione della regolamentazione dei culti persiani al di fuori della Persia. 95  Cruz-Uribe 2003a. 96  Kuhrt 2007, p. 670. 97  La decisione di introdurre « an Achaemenid royal currency » è presa da Dario a Sardi, di ritorno dalla campagna europea, che si era svolta lungo la costa occidentale del Mar Nero, portando i Persiani persino a oltrepassare il Danubio : Briant 2005, p. 13.

98  Graf 1994, pp. 167-189. 99  « Né messaggero né cavaliere giunge ancora alla città dei Persiani » (Aesch. Pers. 14-15, traduzione autore). 100  Panaino 2001, p. 98. 101  Kuhrt 2007, testo 15, n. 12, i-ii. 102  Kuhrt 2007, fig. 15.2. 103  Kuhrt 2007, testo 15, n. 4, pp. 739-741. Il documento è conservato alla Bodleian Library di Oxford. 104  Si veda un’analoga situazione per il già menzionato governatore di Biblo, Rikis-kalamu-Bel, proprietario di terre nella regione di Sippar : Fried 2005 ; Dandamayev 1995. Si veda anche Stolper 1985, pp. 52-69. 105  Per il sistema viario in area siro-palestinese : Graf 1993.



























































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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garantire il viaggio di chi attraversa il loro territorio, come è documentato da alcuni passaggi del libro di Neemia, coppiere – ossia alto funzionario – alla corte di Artaserse I : Neemia richiede un lasciapassare, sotto forma di missive inviate ai governatori della provincia di Transeufratene, per potersi recare a Gerusalemme, attraversando i territori “dell’Oltrefiume” ; domanda inoltre che con un’altra lettera gli si consenta di ottenere da un funzionario di nome « Asaf, guardiano del parco del re » (Ne 2, 8, forse un paradiso sito in area levantina), « il legname per le porte della cittadella presso il tempio », per le mura della città, oltre che per la sua stessa casa a Gerusalemme. 106 Quanto ai diritti di pedaggio, secondo la narrazione del libro di Esdra, un decreto del re Artaserse I 107 parrebbe richiedere « a tutti i tesorieri dell’Oltrefiume » di applicare un’esenzione completa dai tributi e dai diritti di pedaggio per i sacerdoti, cantori ed altri dipendenti del tempio di Gerusalemme (Esd 7, 21). 108 Attraverso il filtro degli autori biblici, abbiamo dunque un’eco della necessità di viaggiare provvisti di lettere ufficiali regie, o di lettere di satrapi, per attraversare senza difficoltà i territori della Transeufratene ed eventualmente essere esentati dal pagamento di pedaggi. Alcune tavolette degli archivi di Persepoli, in elamita, attestano il pagamento di razioni a viaggiatori che si recano dal centro verso la periferia o viceversa, portando dispacci e documenti sigillati per conto del re : per esempio, in relazione ai viaggi fra la corte centrale e le regioni occidentali dell’impero, è di particolare interesse la tavoletta PF 1544, dell’inverno 499/498 a.C., in cui si ricordano le razioni di birra per un viaggio diretto in Egitto, oppure la tavoletta PF 1477, dell’autunno del 500 a.C., in cui sono menzionate le quantità di farina fornite al portatore di un documento sigillato e agli uomini che viaggiano con lui, indicati come “Arabi”. 109 Il servizio “espresso” e le veloci staffette che raggiungono il far west, ricordati in termini poeticamente efficaci da Eschilo, 110 sono anche citati nei documenti d’archivio del cuore dell’impero, come nel caso della

tavoletta PF 1315, dell’epoca di Dario I, in cui si menziona l’arrivo presso il re di un documento sigillato portato tramite “servizio espresso” (pirradazzish, in elamita). 111 Per quanto riguarda le strade che attraversano la regione siro-palestinese, il percorso principale proveniente dalla Mesopotamia, in età achemenide, conduce dall’Eufrate ad Aleppo e da qui verso sud, in direzione di Homs e poi attraverso la Beqaa direttamente fino a Tiro, oppure da Homs verso Damasco, da dove è possibile raggiungere la Galilea, per dirigersi verso Tiro, da un lato, o verso Samaria, dall’altro, fino a ricongiungersi comunque alla costa (da Acco ad Ashdod e Gaza). La direttrice nord-sud costiera, altrettanto importante, permette di recarsi dai porti della Siria settentrionale – dove alcune fonti ricordano l’arrivo e la partenza di navi da e per l’Occidente, anche facenti tappa in Cilicia 112 – fino alle città della Fenicia, per poi, all’altezza di Tiro, ricollegarsi alla strada verso la Galilea. Il ruolo di tramite, anche diplomatico, nei viaggi da Occidente a Oriente e viceversa, svolto dalle città fenicie, è ricordato solo dalle fonti greche, probabilmente perché dal punto di vista persiano tali notizie non devono avere alcuna rilevanza. In particolare, una stele marmorea della prima metà del IV sec. a.C., conservata all’Ashmolean Museum di Oxford, ricorda il ruolo del re di Sidone nel favorire il passaggio di un’ambasceria ateniese diretta in Persia. L’esito positivo dell’ambasceria mostra i buoni rapporti fra Atene, Sidone e il re di Persia all’epoca cui si riferisce il documento ; inoltre, da questo testo si desume anche l’esistenza di strette relazioni commerciali fra Atene e Sidone. Gli Ateniesi giungono evidentemente a Sidone via mare e da qui proseguono via terra attraverso la Mesopotamia, oppure in barca, lungo l’Eufrate. 113 Le città portuali della Fenicia, e soprattutto Sidone, sembrano svolgere pertanto un ruolo di primo piano nei collegamenti fra l’area mediterranea e l’entroterra dell’impero. Infine, la mobilità degli artigiani è documentata anche dagli archivi centrali della Persia. I cosiddetti

106  Ne 2, 7-9, cfr. Kuhrt 2007, p. 753 (testo 15, n. 19). 107  Il testo biblico sostiene di riportare direttamente una « copia del documento » : cfr. Esd 7, 11. Secondo alcuni studiosi, questo sovrano sarebbe da identificare invece con Artaserse II, ma la cronologia non sembra supportare una tale ipotesi. Il dibattito circa l’autenticità di questi decreti è molto ampio, ma per alcune illuminanti e condivisibili considerazioni recenti si veda Contini 2009, pp. 194-195. 108  Il re persiano, oltre a consentire il viaggio verso Gerusalemme di Esdra e di « chiunque degli appartenenti al popolo d’Israele » voglia andare con lui, provvede a inviare offerte volontarie « per devozione al dio d’Israele », in oro e argento (Esd 7, 1216) ; inoltre, quanto occorre per il tempio deve essere procurato da Esdra stesso « a spese del tesoro reale » (Esd 7, 20). 109  Kuhrt 2007, pp. 733-735. Gli Arabi, ufficialmente inseriti all’interno della satrapia di Transeufratene, erano secondo

Erodoto esonerati dal pagamento di tributi : Briant 2002, p. 716. 110  Oltre al già citato passo dei Persiani di Eschilo, il sistema postale persiano è ricordato nelle fonti greche anche da Erodoto e Senofonte : Hdt. VIII 98 ; Xen. Cyr. VIII 6, 17-18. 111  Kuhrt 2007, testo 15, n. 22, p. 754. 112  Diod. XIV 81, 4 : una volta raggiunta la Siria via nave, poi il viaggio procede via terra e in seguito di nuovo in barca lungo l’Eufrate. 113  Il documento è un decreto onorifico ; in esso si dichiara che gli ambasciatori inviati presso il re persiano, con la mediazione diplomatica del re sidonio, sono stati trattati con ogni riguardo ; per questo servizio svolto dal re di Sidone, gli Ateniesi si dicono pronti a ricompensarlo con l’ottenimento di tutto ciò che desidera da Atene : Kuhrt 2007, pp. 751-752, testo 15, n. 17.







































































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“tesori” – in primis il Tesoro di Persepoli, 114 ma anche i “tesori” di altri centri del Fars – sono per certi aspetti da considerare dei veri e propri “laboratori artigianali” (luoghi di produzione della ceramica fine da mensa, centri di lavorazione del cuoio, etc.), in cui sono impiegati, così come altrove, dipendenti provenienti da varie parti dell’impero ; 115 si tratta, in alcuni casi, probabilmente di prigionieri di guerra, ma in altri casi, con buona probabilità, di veri e propri artigiani specializzati che si trasferiscono nel cuore dell’impero attratti dalle molte opportunità lavorative. 116 In particolare, in una tavoletta dal Tesoro di Persepoli (PT 15), del 483/482 a.C., menziona pagamenti in argento « per operai delle terre dei Siriani, degli Egiziani, degli Ionici », che sono « operai nel palazzo ». È difficile determinare l’esatta provenienza del gruppo dei “Siriani”, anche per la difficoltà nella resa del termine elamita qui usato, 117 ma è interessante vedere come questo gruppo misto di operai di provenienze varie riunisca sudditi delle regioni “occidentali” dell’impero. Nella tavoletta PF 1799 del 498 a.C. è menzionato un nome proprio semitico-occidentale (Addarnurish), che può essere relativo a un assiro o un siriano, addetto alla lavorazione del legno di cedro. 118 La presenza diretta di operai provenienti dalla Transeufratene nel cuore dell’impero e dunque la notevole mobilità delle persone, oltre che degli oggetti e delle informazioni, fa sì che la percezione dell’occidente, in Persia, non sia vaga e indeterminata, bensì composita, sfaccettata e arricchita dalla conoscenza diretta di personale specializzato addetto a varie mansioni. 119  





















Risvolti economici delle attività militari Da un punto di vista economico, anche la guerra costituisce una forma di esazione di risorse dai ter114  Schmidt 1939 ; Schmidt 1957. 115  In alcune tavolette in elamita dalle Fortificazioni di Persepoli sono menzionati ad esempio operai egiziani che ricevono razioni di vino (PF 1557, del 501/500 a.C.), operai di Cappadocia che ricevono datteri (PF 1577), oppure operai di Cappadocia e di Licia che ricevono vino (PF a30) : Kuhrt 2007, pp. 797-798. Inoltre, in un’altra tavoletta sono menzionati « operai Lici, artigiani » che ricevono grano (PF 1049, del 499 a.C.), con l’uso elamita dell’etnico turmulap per Lici, mentre nella tavoletta PF 873 del 499 a.C. (Kuhrt 2007, p. 795) sono menzionati uomini di Sardi (Lidia) che svolgono la mansione di “fabbri”. 116  Kuhrt 2007, pp. 765-766. 117  Il termine elamita KUR attip può essere reso anche con “Hattici” : Kuhrt 2007, p. 801. 118  Questo operaio riceve razioni di farina per 5 mesi : Kuhrt 2007, p. 794. 119  La “risposta” da parte dell’amministrazione a questa ricchezza e varietà di apporti umani si coglie anche nella presenza di glosse in aramaico su tavolette in elamita : per esempio, nel caso della tavoletta PF 1587, dell’epoca di Dario I, l’annotazione in aramaico consente di capire che i lavoratori della pietra menzionati nel testo in elamita e destinatari di razioni di grano sono “scavatori” piuttosto che “scultori” : Kuhrt 2007, p. 795.  















ritori sottoposti. 120 Al di là del sistema delle colonie militari – noto soprattutto in area babilonese – in cui vi è un rapporto stretto fra concessione di terre e servizio militare, esiste il problema del sostentamento delle guarnigioni, che devono essere finanziate economicamente dai paesi che esse controllano. 121 Tuttavia, i militari stessi pagano tributi all’amministrazione centrale : un documento aramaico proveniente dall’Egitto, infatti, ricorda che i soldati di una guarnigione di stanza presso Menfi devono pagare le tasse. 122 Riguardo alla mobilitazione di forze e risorse in caso di guerra, le fonti di cui disponiamo sono in buona parte esterne al mondo achemenide, dal momento che le notizie più dettagliate, specie in riferimento al versante “occidentale” dell’impero, sono fornite dagli autori greci. 123 Le fonti greche ci informano che in caso di mobilitazione dell’armata persiana, tutte le botteghe degli artigiani specializzati nella produzione delle armi e degli equipaggiamenti da guerra vengono attivate ; è richiesto un incremento della produzione, che sicuramente riguarda anche i noti bronzisti fenici. 124 La partecipazione diretta alle imprese belliche porta anche a ricompense per i popoli soggetti : è il caso probabilmente attestato per la Fenicia dai noti passi dell’iscrizione sul sarcofago del re Eshmunazor II di Sidone (KAI 14) 125, in cui il re sidonio dichiara che il “re dei re” gli ha concesso o “donato” Dor e Jaffa, le terre ricche di grano nella piana di Sharon, “come ricompensa” delle azioni compiute ; la tentazione di alcuni studiosi è quella di ricollegare questo dato alla partecipazione fenicia alla campagna di Serse del 480 a.C., in considerazione di una delle datazioni proposte per il regno di Eshmunazor II (490-475 a.C., cui si affianca una datazione ancor più bassa, 470-455 a.C.), 126 anche se le occasioni in cui il  





















120  In particolare, per usare le parole di Briant 1986a, p. 41, « il existe un lien direct entre la levée du tribut et la guerre ». 121  Briant 1986a, p. 36. 122  Kuhrt 2007, testo 14, n. 30. 123  Sul versante mesopotamico siamo abbastanza informati. Le fonti rivelano ad esempio che le botteghe dell’Eanna di Uruk producono armi ed equipaggiamento per gli arcieri : Briant 1986a, p. 42. Da Erodoto (Hdt. I 192) sappiamo inoltre che, oltre a finanziare e sostenere le guarnigioni e provvedere a rifornire l’esercito persiano in marcia attraverso i territori dell’impero, le comunità locali, sotto il controllo dei satrapi, devono anche fornire cavalli (la Babilonia e la Media, per esempio) e cani da guerra (alcuni villaggi della Babilonia). 124  « Lorsque l’armée royale est convoquée, c’est tout l’empire qui devient un immense atelier de guerre » : Briant 1986a, p. 39. 125  KAI = Donner – Röllig 1962-1965. Kuhrt 2007, p. 663665, fig. 13.6. 126  Una datazione a fine VI sec. per l’iscrizione di Eshmunazor è stata proposta in alternativa a una nella prima metà del V sec. Si veda, per es., Elayi 2004. Sulla cronologia di Eshmunazor : Kuhrt 2007, p. 664, nota 1 ; Jigoulov 2010, pp. 50-55.  















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re sidonio può avere prestato la propria disponibilità devono essere state molteplici. Oltre alla questione delle ricompense per la partecipazione ad attività militari, vi è l’esigenza di creare centri di immagazzinamento dei beni a scopo di rifornimento delle truppe, sia di quelle stanziali sia per ovviare a eventuali situazioni di emergenza. Un ostracon aramaico attesta, ad esempio, per il IV sec. a.C. l’esistenza di rifornimenti per soldati nella regione del Negev. 127 Proprio questa zona diventa un’importante regione di confine dell’impero persiano nel IV secolo, dopo la perdita dell’Egitto ; questa particolare situazione storica giustifica il sorgere di insediamenti, posti a un intervallo di circa 10-15 km l’uno dall’altro, lungo la medesima latitudine, all’incirca una decina di km a sud di Gaza (Tell Jemmeh, Tell Haror, Tell Sera’, Tell Halif ) : si tratta di presumibili fortezze controllate dal governo persiano e destinate al controllo del confine meridionale. A Lachish, nel medesimo periodo, intorno al 400 a.C., si costruisce un edificio definito “residenza” (Lachish, livello IB) : Lachish diventa sede di ufficiali persiani di stanza nella Palestina meridionale, con una guarnigione fissa, a controllo di un confine particolarmente fragile. 128 La politica militare achemenide nei confronti della Transeufratene e in particolare della regione costiera siro-palestinese, pertanto, si trasforma in seguito al mutare della situazione geo-politica ; dopo la perdita del controllo sull’Egitto, la Palestina meridionale diventa un confine particolarmente delicato, da difendere attraverso una presenza militare capillare e attraverso la creazione di siti fortificati che costituiscono anche punti di immagazzinamento di rifornimenti. Se da un lato, dunque – e non a torto – si sono spesso celebrati, secondo uno stereotipo piuttosto diffuso, gli effetti positivi della “pace persiana” (che è tale soprattutto nelle intenzioni e negli accenti della propaganda) sull’economia dell’impero e segnatamente della regione mediterranea, 129 d’altra parte anche la guerra va considerata come uno dei fattori che in età achemenide contribuiscono a muovere l’economia della costa del Levante e in particolare della Fenicia, sede di botteghe di artigiani specializzati e di carpentieri navali. Gli effetti che il frequente attivarsi dell’immensa macchina da guerra imperiale viene ad avere sull’economia delle

regioni sottomesse alla Persia sono dunque di diversa natura : da un lato, in negativo, un’ulteriore pressione – rispetto alla tassazione “ordinaria” – dovuta alla necessità di convogliare beni e risorse verso l’esercito, d’altro lato, in positivo, un assai probabile incentivo all’incremento della produzione di alcuni tipi di beni.

127  Kuhrt 2007, p. 748. 128  Fantalkin – Tal 2006, pp. 167-181. La fragilità dell’area palestinese meridionale è dovuta anche alla presenza di numerosi Edomiti e Arabi, almeno dalla metà del IV sec. a.C., insieme ai Giudei ; gli ostraca in aramaico da Arad attestano, attraverso l’onomastica, la presenza di una componente etnica edomita e una araba, insieme a quella giudaica : Lemaire 1997, p. 177. Il governo achemenide intende, attraverso un controllo più capillare e diretto, evitare le dispute territoriali fra gruppi diversi.

129  La pacificazione, pur forzata, dei territori, porta senza dubbio a un miglioramento complessivo dell’economia : Rossi 2006, p. 566. 130  Secondo Haerinck 1997, p. 27, « there is no argument that Cyrus restored the old religious customs, returned the stautes of the gods to their proper places ». L’intento propagandistico a volte poteva andare oltre le effettive realizzazioni. 131  Una “entità divina” – ahura – definita dalla qualifica di “saggia”.



La politica culturale e religiosa











Volendo analizzare il quadro che emerge dai documenti emanati dall’autorità persiana in riferimento a decisioni di politica culturale e religiosa nella parte occidentale dell’impero, la Fenicia resta ai margini della trattazione, per scarsità di fonti dirette, anche se qualche conclusione si potrà eventualmente trarre – con le dovute cautele – ex silentio. È possibile, invece, prendere in esame alcuni casi di studio relativi ad altre aree dell’occidente imperiale, come la Palestina meridionale, l’Egitto e l’Asia Minore. La documentazione inerente alle decisioni imperiali in queste regioni può servire come utile indicatore per evidenziare l’atteggiamento persiano nei confronti della vita culturale e religiosa nelle regioni mediterranee dell’impero, tenendo però presente che le decisioni imperiali nell’ambito della politica religiosa sono prese ad hoc, a seconda del contesto specifico.









L’ideologia religiosa achemenide e i culti locali All’inizio della dominazione achemenide, con Ciro, la politica religiosa è improntata alla tolleranza e al rispetto dei culti e degli dèi locali delle varie regioni conquistate : tale approccio, da parte di Ciro, è ravvisabile, infatti, anche nelle modalità della sua presa di potere a Babilonia, dove il culto del dio Marduk è pienamente rispettato e ripreso dai nuovi dominatori. 130 Con Dario si assiste all’affermazione del dio Ahura-Mazda, 131 strettamente connesso alla regalità e garante dell’equità e della nobiltà del sovrano. Dietro alle vicende relative all’ascesa al trono di Dario, narrate nell’iscrizione di Behistun, si celano informazioni relative alla nuova politica religiosa ; Dario sconfigge infatti Gaumata, il “mago”, che aveva distrutto i sacelli poi ricostruiti da Dario. I magi – di cui si discute la vicinanza o meno allo zo 













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roastrianesimo 132 – detengono una sorta di monopolio sui riti e sui culti. Erodoto (Hdt. I 101) chiarisce che i magi sono una tribù dei Medi, con speciali costumi rituali e funerari, come l’esposizione dei cadaveri, l’interpretazione dei sogni e la pratica di azioni sacrificali. Secondo alcuni, è ipotizzabile che Gaumata, in quanto mago, 133 avesse praticato una forma di zoroastrianesimo 134 fondato sul sostegno popolare. Dario deve mediare fra queste posizioni popolari, da un lato, e le posizioni della nobiltà, dall’altro ; cerca pertanto la pacificazione, attraverso l’insistenza sulla centralità della figura divina di Ahura-Mazda : 135 è proprio questa divinità a divenire garante dell’obbedienza dei popoli sottomessi al re. 136 L’idea della lotta eterna fra bene e male trova un parallelo diretto nella tipica concezione achemenide del trionfo del re e della dinastia. 137 Il dio, rappresentato seguendo l’iconografia mesopotamica della divinità solare maschile Shamash, assicura il suo sostegno al re persiano e ne legittima la pretesa di dominio su tutta l’ecumene imperiale, come custode della pace e dell’armonia fra i popoli. Una potente rappresentazione visiva di questa ideologia politico-religiosa si ha nei rilievi persepolitani che probabilmente rappresentano le processioni in occasione della principale festività achemenide, il Nawruz, o festa del Nuovo Anno ; il re compie riti che garantiscono la fertilità ; la festa esalta la potenza dominatrice del sovrano e si configura quasi come “investitura” annuale del re da parte di Ahura-Mazda. 138 Nell’iscrizione posta sulla tomba di Dario a Naqsh-i Rustam, presso Persepoli, 139 ol-

tre all’elenco dei popoli sottomessi al di fuori della Persia, il sovrano afferma di essere stato fatto re da Ahura-Mazda « quando ha visto questo mondo nel caos ». Dunque, ideologicamente, il re garantisce l’ordine, mentre i nemici dell’armonia divina (che è incarnata ed espressa dall’impero persiano) sono causa del caos e del turbamento dell’ordine. 140 È in tali termini e con tale veste ideologica che il sovrano persiano si propone ai sudditi occidentali, dalla Mesopotamia alla Transeufratene, che continuano a venerare il proprio pantheon e a costruire i propri santuari. Il “re dei re”, pertanto, con il suo dio Ahura-Mazda, si pone in una posizione di superiorità rispetto alle altre divinità e agli altri culti, anche se questa superiorità è presentata non come ingerenza, bensì come garanzia della pacifica convivenza e coesistenza di tutti gli dèi e di tutti i culti. Lo status ecumenico e l’universalità di Ahura-Mazda ne fanno il dio supremo, almeno in ottica persiana, tanto che alcuni studiosi sono stati indotti a postulare un sentimento di superiorità culturale – in termini di superiorità religiosa – da parte dei Persiani rispetto agli occidentali. 141 Un altro problema è quello del potere divino del re persiano : il re, secondo alcuni studi, è venerato post mortem e destinatario di sacrifici in area iranica, 142 ma non sembra destinatario di culti nelle regioni sottomesse all’impero ; del resto, la questione stessa della divinizzazione del sovrano achemenide è discussa, giacché i riferimenti alla natura divina del re achemenide si trovano soprattutto nelle fonti classiche : 143 si tratta probabilmente di fraintendi-

132  Non compare però il termine magu nelle gatha (canti, o capitoli, che compongono la sezione più antica dell’Avesta, attribuiti a Zarathustra stesso, chiamato Zoroastro nelle fonti greche : per il nome, Vasunia 2007, pp. 20-21). 133  Sia Erodoto (Hdt. III 73) sia Dario a Behistun definiscono Gaumata un “mago” dei Medi, probabilmente nel senso originario del termine, indicato altrove sempre da Erodoto (Hdt. I 101) : Briant 2002, p. 96. 134  La figura di Zoroastro, pur sfuggente dal punto di vista storico, sembra da collocare cronologicamente nel VI sec. a.C. Per la cronologia : Panaino 2001, pp. 101-102. Con Zoroastro inizia la diffusione di una religione etica, basata sull’opposizione fra giusto e ingiusto, vero e falso : il dualismo di Zoroastro è menzionato anche da Aristotele (per Zoroastro nelle fonti greche e latine : Vasunia 2007). 135  Dario nella trilingue di Behistun chiarisce : « grazie al favore di Ahura-Mazda io sono re » (da Kuhrt 2007, p. 141). 136  « Queste sono le nazioni che mi obbediscono, grazie ad Ahura-Mazda io sono il loro re » : con queste parole, Dario, nell’iscrizione di Behistun, presenta la lista delle nazioni sottoposte alla sua autorità, fra cui figurano la Persia stessa e, di seguito, Elam, Babilonia, Assiria, Arabia, Egitto, « quelli del mare », Lidia, Ionia, Media, Armenia, Cappadocia, Partia, etc., « in tutto 23 regioni/popoli » (Kuhrt 2007, p. 141). 137  « Achaemenid political and religious conception of the victory of the dynasty, eternal and everlasting on earth » : Eddy 1961, p. 42. 138  Briant 1980, pp. 28-29. La festa persepolitana del Nuovo

Anno mostra elementi di continuità rispetto alla cerimonia babilonese dell’akitu, sulla quale siamo informati da alcuni testi (il più completo di epoca seleucide, III sec. a.C.) : Biga – Capomacchia 2008, p. 60 e p. 450. 139  Per il sito di Naqsh-i Rustam : Schmidt 1970. 140  In questo, il re persiano potenzia un’ideologia già mesopotamica, facendo corrispondere ai due termini antitetici ordine/ caos la parallela antitesi vero/falso, poiché alla base dell’azione del re vi è la correttezza, la qualità intrinseca di re giusto. « Io sono fatto in modo tale da essere amico di ciò che è giusto, io non sono amico di ciò che è sbagliato » : così recitano due iscrizioni identiche – ad eccezione del nome del sovrano – la trilingue sulla tomba di Dario I e un’iscrizione di Serse di cui resta solo la versione in antico persiano : Kuhrt 2007, p. 503, n. 17. 141  Eddy 1961, p. 59. Tale sentimento di superiorità rispetto agli europei porterebbe anche all’attuarsi di fenomeni di resistenza in seguito alla conquista macedone, poiché il re può essere solo iranico e scelto da Ahura-Mazda : Eddy 1961, p. 42. 142  Per esempio, presso la tomba di Ciro a Pasargadae, si compie il sacrificio di un cavallo una volta al mese : Eddy 1961, p. 4647. 143  Erodoto, sottolinea l’aspetto divino del re persiano, riferendo a Dario aggettivi quali “pari agli dèi” (isotheos), “divino” (theion), “dio per i Persiani” (theos Persais) e “senza difetto” (akakos) : solo quest’ultimo termine trova un’eco nel testo di Behistun : Eddy 1961, p. 43. Anche nei Persiani di Eschilo (Aesch. Pers., 635-680) Dario è presentato con termini analoghi.



































































































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menti, più o meno consapevoli, da parte degli autori greci, intenti a rappresentare il sovrano orientale come dispotico e dunque addirittura pari agli dèi ; il re persiano, invece, ritiene se stesso un esecutore della volontà di Ahura-Mazda e rimane sostanzialmente estraneo a processi di divinizzazione. Con i successori di Dario, l’ideologia e la politica religiosa si sviluppano ulteriormente ; Serse – stando a quanto è dato desumere dalle sue iscrizioni – parrebbe seguire un’ancora più stretta osservanza mazdeista, contrastando il culto dei daivas, ossia di tutti gli altri “demoni” che in precedenza ancora affiancavano Ahura-Mazda. Nell’iscrizione cosiddetta “dei daivas”, riprodotta in diverse lingue e diversi luoghi dell’impero, Serse afferma di avere distrutto il/i santuario/i dei demoni (daivas), con il sostegno di Ahura-Mazda. La condanna dei “falsi dèi” da parte di Serse non sembra correlabile a un evento particolare o a un luogo specifico, 144 bensì pare configurarsi come un proclama ideologico e politico-religioso di carattere atemporale e astorico. 145 Benché il noto testo di Serse sui daivas sia stato da alcuni ritenuto in contrasto con la precedente politica achemenide di tolleranza religiosa, in realtà Serse pare regolamentare l’empietà domestica, all’interno della Persia : con il termine daivas, insomma, non si fa riferimento alle divinità dei popoli sottomessi. 146 Con Artaserse II (inizi del IV sec.), sono ufficialmente reintrodotti i culti di Mithra e Anahita (divinità, quest’ultima, connessa alle acque, ma anche all’investitura regale) ; 147 di Anahita vengono anche realizzate statue in stile greco. Secondo la testimonianza di Berosso, 148 Artaserse 149 avrebbe introdot-

to statue della dea a Babilonia, Susa, Ecbatana, oltre che in Battriana e anche in occidente, a Sardi e a Damasco : si tratta assai probabilmente di una misura di rafforzamento del culto di Anahita presso le comunità persiane residenti al di fuori della Persia. 150 Nonostante le apparenti affinità e suggestioni, non è ipotizzabile una diretta connessione fra il recupero, in ambito achemenide imperiale, di tale divinità iranica e la diffusione – comunque cronologicamente precedente al revival del culto di Anahita voluto da Artaserse II – di rituali connessi alla presenza di sorgenti o corsi d’acqua in ambito fenicio di età persiana. 151 Certamente in area iranica le comunità rurali che si impiantano nei pressi dei nuovi canali d’acqua (qanat), voluti dall’autorità imperiale, dedicano un culto ad Anahita : si tratta in genere di santuari molto semplici. 152 Nel caso in questione, il culto ha valenza fertilistica. Del resto, per quanto riguarda l’ambito anatolico, va considerato che il successo di Anahita è forse dovuto in parte alla generale “assimilabilità” di questa dea (che è anche dea guerriera) a un’antica divinità locale agraria della fertilità e delle acque. Bisogna prestare attenzione però al fatto che una generale “assimilabilità” con le divinità locali non costituisce un elemento di per sé sufficiente a motivare la diffusione di una certa figura divina allogena. 153 In Fenicia, in ogni caso, i culti connessi alle acque sembrano avere valenza soprattutto salvifica. È possibile, però, chiedersi almeno se gli esponenti dell’amministrazione achemenide presenti in loco in area fenicia e levantina potessero eventualmente percepire come “familiari”, per così dire, i luoghi di culto locali connessi con le fonti, le sorgenti e i corsi d’acqua. 154

144  Briant 1986b, p. 428. 145  All’interno della dibattuta questione del rapporto fra Achemenidi e zoroastrianesimo, si colloca anche una possibile lettura di questo intervento di Serse contro i daivas in parallelo con la proibizione del culto dei demoni nella religione di Zoroastro : l’opposizione tra ahura e daiva (o daeva) prima di Zoroastro implicava la necessità di onorare anche i demoni, per placarli, mentre con la riforma zoroastriana i demoni non devono divenire oggetto di culto per non essere rafforzati. Per le implicazioni della riforma di Zoroastro in direzione monoteistica e la conseguente interpretazione dei daivas/daevas come le antiche divinità iraniche soppiantate dal solo Ahura-Mazda, si veda la discussione presentata in Cantera Glera 2003, pp. 108-110 e ss. 146  Briant 1986b, p. 427. 147  Nelle iscrizioni reali di Artaserse, infatti, al posto di una generica menzione degli “altri dèi”, dopo Ahura-Mazda sono esplicitamente nominati “Anahita e Mithra” (Briant 1980, p. 26 ; Briant 1986b, p. 430 ; Cantera Glera 2003, p. 102). Anahita è definita “dispensatrice dell’investitura regale” (Plu. Art. 3 ; Briant 1980, p. 39) e ha tre nomi, “immacolata” (anahita), “forte” (sura) e “umida” (aredvi). 148  Il passo (FGrHist, 680 F 11) è riportato da Clem. Al. Protr. V 65, 3. 149  Il re persiano in questione potrebbe essere identificato anche con Artaserse I : Panaino 2001, p. 107.

150  Le testimonianze relative a culti e santuari di Anahita (rimasti in funzione fino ad epoca romana) sono numerose soprattutto in area anatolica : in primis in Lidia, ma anche in Cappadocia, Armenia, Ponto : si tratta soprattutto di iscrizioni, di monete e di menzioni da parte di autori greci : Briant 1980, p. 40. 151  Per la fioritura di santuari di età achemenide in Fenicia connessi alla salvaguardia della salute, si veda Oggiano 2006. Forme devozionali orientate verso culti di tipo terapeutico e fertilistico si diffondono dal IV sec. a.C. anche nel Mediterraneo occidentale, in particolare in Sardegna (Garbati – Peri c.s.). 152  Briant 1980, p. 43. 153  Occorre, infatti, evitare di « confondere la sovrapponibilità di figure divine di popolazioni diverse con la volontà di assimilazione di civiltà che elaborano propri meccanismi di integrazione culturale in conseguenza di eventi storici » (Biga – Capomacchia 2008, p. 36). La riflessione sui dati di età achemenide fa propendere per l’idea che non fosse attuata da parte persiana una politica culturale e religiosa di tipo “colonialista”, se si considera che un approccio “colonialista” dovrebbe essere « caractérisé par la volonté de conquérir les civilisations soumises à travers un processus systématique d’appropriation culturelle, sous couvert de ‘traduction’ » : Xella 2009, p. 141. 154  Per il culto delle acque anche in ambito mediterraneo occidentale, si veda la seconda parte di questo volume.





























































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In ogni caso, l’ideologia religiosa persiana – fondata su una devozione, di stampo “etico”, verso una divinità suprema garante della rettitudine e dell’armonia, in rapporto diretto con il sovrano, e verso divinità attive nella protezione del “bene” – può avere influito, almeno indirettamente, sulla diffusione in area levantina di culti di carattere personale e “privato”. 155 Pur in assenza di indizi relativi all’eventuale affermazione di una religiosità di impronta “etica”, va tuttavia notato che la diffusione in Fenicia – e poi nell’Occidente coloniale – dei culti di divinità dal carattere salvifico, soprattutto in età persiana, non costituisce un fenomeno che emerge in alternativa o in contrapposizione all’ideologia politico-religiosa ufficiale, ma anzi si inserisce pienamente nella politica religiosa dei re locali (come Eshmunazor a Sidone), in evidente sintonia con le disposizioni – o con gli input ideologici – del potere centrale achemenide. 156 Quanto alla possibilità che Persiani residenti in area fenicia frequentassero i santuari locali, va considerata anche la disponibilità persiana a riconoscere come degni di culto gli dèi “altrui”, senza per questo sminuire gli dèi persiani, ma adottando anzi un approccio tendenzialmente “sincretistico”, 157 tenendo conto che, per usare le parole di P. Xella, « ce qu’on désigne par le terme de ‘synchrétisme’ n’est pas un cocktail plus ou moins indiscriminé d’éléments, mais tout simplement le caractère “poly-interpretable” d’une culture ». 158 Con Artaserse II si riafferma anche il culto di Mithra, un dio connesso con la protezione dei contadini e dei raccolti, ma anche con la guerra e la lotta per la difesa dell’ordine : la specificità di questo dio risiede nel fatto che spesso i suoi culti si situano in luoghi “in alto”, sulla sommità delle montagne o delle alture. Alcuni autori classici riferiscono, più

in generale, che i Persiani sacrificano alle divinità sulla cima delle montagne (cfr. Hdt. I 31). Non si può però dimenticare che la collocazione del centro del culto in corrispondenza con luoghi “speciali” come le montagne è un fenomeno ampio, generale e tendenzialmente universale, che dunque non è sufficiente a suggerire conclusioni circa presunte analogie fra esperienze probabilmente di natura diversa. 159 In ogni caso, anche nell’area occidentale dell’impero, in particolare in Asia Minore, si hanno notizie, nelle fonti classiche, circa santuari montani dedicati a Mithra, rimasti in uso fino a età romana. 160 Alcuni studiosi hanno proposto di collegare i luoghi di culto destinati a Mithra in Asia Minore in epoca achemenide con la dislocazione delle guarnigioni persiane in quest’area occidentale dell’impero, anche in virtù dell’aspetto “militare” e guerresco del dio in questione. 161 Si può pertanto ritenere che l’autorità achemenide, imperiale o satrapale, non intervenisse direttamente per imporre il culto di divinità iraniche presso i popoli sottomessi, né per suggerire disposizioni di culto presso popoli diversi da quello persiano. I decreti che sembrano finalizzati a imporre culti o riti persiani in luoghi “altri” rispetto alla Persia devono probabilmente essere interpretati invece come indirizzati alla comunità persiana residente in tali luoghi periferici, come si è visto in relazione ai culti di Anahita diffusi nei vari centri dell’impero. Ci si può chiedere se lettura dei dati possa o meno trovare applicazione anche nel caso del noto “intervento” di Dario a Cartagine, riferito da Giustino, che riprende la notizia da Pompeo Trogo. 162 Dario, attraverso un editto reso noto a Cartagine attraverso ambasciatori, 163 proibisce di sacrificare esseri umani e di mangiare i cani, aggiungendo l’ordine – o al contrario, secondo altri, il divieto 164 – di pra-

155  Sarà poi in età ellenistica che « la rencontre profonde et articulée entre la tradition religieuse grecque et les différentes traditions orientales finit par produire une culture d’une complexité extraordinaire, dont les caractéristiques saillantes sont sans aucun doute l’ouverture cosmopolite et l’affirmation de la primauté de l’individu sur l’état (…) et sur la societé dans son ensemble » : Xella 1999, p. 136. 156  Cfr. anche la seconda parte di questo volume. 157  Secondo Xella 1999, p. 134, una « idea latente di sincretismo » si riscontra in tutte le tendenze a combinare divinità diverse, ma solo dal III sec. a.C. si afferma la vera e propria “epoca sincretistica”, che viene « préparée par l’attitude intelligente et tolérante des Achéménides » : Xella 1999, p. 136. Come sottolineava Briant già vari decenni fa, « il est de même fréquent que des Perses, en mission ou en résidence chez des nations soumises, adoptent les dieux locaux, sans pour autant renoncer aux dieux perses » (Briant 1980, p. 47). Dei fenomeni, anche complessi, di adozione e rielaborazione di credenze e tradizioni rituali da una cultura all’altra sono del resto ben noti nel Vicino Oriente anche prima dell’età “sincretistica” (Xella 1999, p. 137) 158  Xella 2009, p. 139. 159  Come nota Xella 2000, p. 16 : « stabilito il carattere specia-

le di determinati luoghi (ad es. la montagna) scelti di preferenza dall’uomo a veicolare determinati valori e sistemi simbolici, non siamo che all’inizio dell’indagine ». 160  Briant 1980, pp. 40-41. L’origine dei culti mitriaci era collocata, secondo la tradizione, in Asia Minore. Del resto i culti sulle sommità dei monti erano già tipici dell’Anatolia antica, anche prima dell’avvento del culto persiano di Mithra. 161  Briant 1980, pp. 41-42. 162  A sua volta Pompeo Trogo potrebbe avere attinto da Timeo di Tauromenio (IV-III sec. a.C.) : Ferjaoui 1992, p. 59 ; cfr. anche Ribichini 1998, p. 656. 163  Gli ambasciatori che trasmettono questo editto di Dario giungono a Cartagine anche (o soprattutto) con lo scopo di chiedere aiuto militare contro i Greci (petentes simul auxilia adversus Graeciam, cui inlaturus bellum Darius erat : Iust. XIX 1, 12). 164  Il problema è stato discusso per es. da Gsell 1920, IV, p. 444, il cui passo è citato da Ribichini 1998, p. 658, nota 13 : dal momento che sembra difficile che i Persiani abbiano potuto imporre di cremare i cadaveri, essendo ciò contrario alle loro pratiche, si è invece proposto che il passaggio di Giustino sia da correggere, leggendolo invece come un invito a mortuorum corpora terra potius obruere, quam cremare : anche questo invito, tuttavia, sarebbe































































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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ticare l’incinerazione. 165 I contenuti del testo fanno riferimento dunque a questioni di natura religiosa e rituale che trovano una parziale rispondenza in ambito achemenide. Infatti, l’avversione per i sacrifici umani e il rispetto per i cani sono comprensibili nell’ottica religiosa persiana, mentre un eventuale invito a praticare la cremazione parrebbe invece poco spiegabile, da parte achemenide. Destinatari di tali ingiunzioni e proibizioni, secondo il testo, sarebbero proprio i Cartaginesi. 166 Ci si è domandati da più parti come sia possibile che il re persiano invii ordini agli abitanti di Cartagine. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che, benché Cartagine non fosse sottomessa all’impero persiano, tuttavia le ingiunzioni achemenidi potessero giungere nella città africana attraverso la mediazione della madrepatria Tiro, di cui Cartagine forse ancora in quest’epoca poteva sentirsi almeno nominalmente una “colonia”. 167 Altri invece hanno preferito pensare, con una certa ragionevolezza, che il passo di Giustino sia apocrifo. 168 Tuttavia, il problema si deve probabilmente affrontare in modo differente. Indipendentemente dalla questione della plausibilità o meno di un intervento persiano a Cartagine, attraverso un editto direttamente rivolto ai Cartaginesi o piuttosto mediato dalla madrepatria Tiro, 169 quel che importa sottolineare è che il re persiano difficilmente sembra interessato a imporre norme religiose di osservanza mazdeista ai popoli sottomessi ; pertanto, a maggior ragione questo disinteresse deve valere per i popoli esterni all’impero. 170 Piuttosto, un simile “decreto” potrebbe trovare una ragione d’essere, se fosse pensato, ancora una volta, come rivolto a nuclei di Persiani residenti al di fuori della Persia. Si potrebbe pertanto approfondire ulterior-

mente la questione, indagando la possibilità che la tradizione riporti come decreto imposto ai Cartaginesi un ordine invece impartito a eventuali gruppi di Persiani residenti a Cartagine, anche se, sulla base della documentazione attuale, la presenza di elementi iranici in ambito nord-africano non pare asseribile. 171 In ogni caso, per quanto inattendibile nella formulazione a noi giunta, la testimonianza di Giustino, tuttavia, « ne pouvait être conçue qu’à partir de quelques éléments réels, notamment la possibilité de contact entre l’Orient et l’Occident phénicien ». 172 Come vedremo a breve, all’interno dei confini dell’impero queste dinamiche appaiono più chiare ; i limiti e il contesto degli interventi regolamentatori persiani in ambito religioso stanno emergendo sempre più, negli studi recenti, attraverso il riesame della documentazione già nota e grazie alle nuove scoperte. Lo studio di un famoso documento in greco da Sardi, giunto attraverso una copia di età romana, ha sollevato il problema della difficoltà dell’individuazione di possibili culti iranici nelle province, accanto ai culti locali. In questo testo, il governatore di Lidia, Draoferne, ricorda la consacrazione di una statua a Zeus e impone al personale del culto di non prendere parte a riti misterici ; la divinità qui menzionata come Zeus era ritenuta dagli studiosi coincidente con Ahura-Mazda ; pertanto, la richiesta sembrava rivolta piuttosto ai Persiani residenti in loco, anziché alla comunità indigena lidia ; 173 tuttavia tale identificazione con Ahura-Mazda è oggi messa in discussione. 174 Secondo P. Briant, del resto, solo la prima parte del documento, relativa alla dedica della statua, va ricondotta all’età achemenide, mostrando così, assai significativamente, la possibilità

inutile all’epoca cui si riferisce il presunto decreto di Dario, visto che a Cartagine non si praticava più, a quell’epoca, l’incinerazione. Cfr. anche Braccesi 1998.

170  Anche Ferjaoui 1992, p. 59, sottolinea come la testimonianza di Giustino appaia tanto meno credibile, quanto più si pensi che Dario non aveva imposto i principi della propria religione nemmeno all’interno delle province dell’impero. 171  Un personaggio maschile raffigurato su di una stele di Cartagine indossa un copricapo cilindrico piuttosto basso, di origine persiana, tuttavia il medesimo copricapo è diffuso dal V sec. anche in Fenicia (Ferjaoui 1992, p. 105 e fig. LI,1). A Cartagine, vi sono testimonianze dirette della presenza di famiglie tirie, di un nucleo familiare sidonio, di una famiglia arwadita, di un cipriota (Ferjaoui 1992, pp. 175-178), ma non di persiani. Il testo di Giustino è molto chiaro nel menzionare i Poeni come destinatari dell’ingiunzione, ma d’altra parte nella tradizione potrebbe essere sorta una certa confusione. Alcuni (cfr. l’opinione di Dunbabin, riportata da Ferjaoui 1992, p. 59) hanno ipotizzato che il sacrificio umano fosse stato vietato a Cartagine per volere di Gelone di Siracusa, dopo la battaglia di Imera, e che la tradizione avesse poi confuso questo episodio con quello dell’ambasciata di Serse a Cartagine ; Dario, secondo questa ipotesi, non avrebbe nulla a che fare con questo “decreto”. 172  Ferjaoui 1992, p. 59. 173  Briant 1986b, pp. 429-430. 174  Frei 1996, pp. 90-96.















165  Iust. XIX 1, 10-11 : legati a Dario, Persarum rege, Carthaginem venerunt adferentes edictum, quo Poeni humanas hostias immolare et canina vesci prohibebantur ; mortuorum quoque corpora cremare potius quam terra obruere a rege iubebantur. 166  Poeni (…) prohibebantur ; (…) iubebantur ; in seguito, Giustino (Iust. XIX 1, 13) nota che i Cartaginesi, rifiutando di prestare aiuto militare ai Persiani contro i Greci, ubbidiscono invece alle altre ingiunzioni per non apparire troppo ostili al re persiano. 167  Un’idea simile è sostenuta da P. Mosca (citato da Ribichini 1998, p. 657), sulla base anche della testimonianza di Diodoro (Diod. XX 14, 2) circa una eventuale “decima” pagata dai Cartaginesi a Tiro. 168  Ribichini 1998, p. 658. 169  Il problema della relazione fra Cartagine e l’Oriente fenicio è ampio e complesso (cfr. la seconda parte di questo volume) ; per i dati in proposito, cfr. Ferjaoui 1992, p. 58 : sulla base del progetto di Cambise, « il nous semble que, d’une part, Carthage était déja indépendante de Tyr, avant la fin du VIème siècle av. J.C. (…). D’autre part, que Carthage était connue à cette époque en Orient, du moins par les autorités perses. » Sull’argomento, cfr. anche Bondì 1996.  





































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per un persiano di dedicare una statua a Zeus. 175 Comunque, come sembrerebbe emergere dallo studio di altri casi più certi, eventuali decreti o regolamenti concernenti il comportamento cultuale dovrebbero essere rivolti esclusivamente a Persiani, con lo scopo di mantenere stretti legami con i Persiani dislocati in varie parti dell’impero, attraverso la difesa dei riti e dell’osservanza mazdeista. 176 Venendo più nel dettaglio a definire la questione della natura e dei limiti dell’interazione fra il governo centrale achemenide e le istituzioni locali in merito alla gestione dei culti – una questione che ha portato a dibattere l’accettabilità o meno della tesi della Reichsautorisation, una presunta nozione giuridica achemenide, secondo la quale le norme elaborate in base ad una istanza locale assumono validità per tutto l’impero una volta accettate e ratificate dal potere centrale 177 – si possono qui brevemente prendere in esame tre casi di studio relativi all’area occidentale dell’impero. 178 Il caso più noto riguarda ruolo persiano nella ricostruzione del tempio di Gerusalemme ; 179 la storia della comunità giudaica in questo periodo è stata anche interpretata in termini di processi di acculturazione. 180 La provincia di Giuda (Yehud) si trova, in età persiana, in una situazione assai particolare, 181 poiché, a seguito delle deportazioni dell’epoca neobabilonese, la componente giudaica della popolazione è drasticamente diminuita, a vantaggio di una componente edomita e araba. I conflitti fra “indigeni” (probabilmente una popola-

zione etnicamente composita) ed esuli rientrati in Giudea, sono riecheggiati dal testo biblico in alcuni passi, in cui la popolazione indigena ostacola la ricostruzione del tempio, nel periodo fra Ciro e Dario (Esd 4, 4-5) ; durante il regno di Serse, si ha anche una denuncia contro i Giudei (Esd 4, 6) ; mentre, ai tempi di Artaserse I, viene inviata una lettera ufficiale in aramaico al re, da parte degli « uomini della regione d’Oltrefiume », preoccupati che la ricostruzione delle mura di Gerusalemme leda i diritti del re persiano, poiché « tributi, imposte e diritti di passaggio non saranno più pagati » (Esd 4, 11-16). 182 Fin dall’età di Ciro, tuttavia, il governo centrale achemenide consente ai Giudei esuli di rientrare in patria per ricostruire il tempio e le mura di Gerusalemme. 183 Quali sono però le modalità e le ragioni dell’intervento regio ? I documenti ufficiali di cui disponiamo non sono conservati in forma diretta : la loro esistenza è tramandata attraverso la narrazione biblica, con evidenti problemi di affidabilità della testimonianza. In particolare, è discussa l’autenticità dei decreti dei sovrani persiani, riportati nel libro di Esdra : 184 il decreto di Ciro, in cui si invitano i Giudei a rientrare in patria e a ricostruire il tempio di Gerusalemme, 185 e quello di Artaserse I emanato in proposito al ristabilimento o rafforzamento del culto e alla concessione di un supporto economico, sia sotto forma di donazione regale sia sotto forma di acquisizione di beni dal tesoro regio. 186 Nel libro di Esdra sono anche menzionate alcune lettere ufficiali inviate al re persiano o ricevute in risposta, fra cui

175  Briant 1998b, pp. 205-226. 176  Infatti, secondo Briant 1986b, p. 438, « liberté de culte reconnue aux peuples soumis et maintien des traditions perses vont de pair » e, in sostanza, sono due elementi-cardine di una medesima politica religiosa. 177  Il concetto di Reichsautorisation è stato elaborato da Peter Frei (cfr. ad es. Frei 2001). Per una recente sintesi dell’ampio dibattito nato dalla formulazione della teoria della Reichsautorisation cfr. Contini 2009, p. 184, nota 88, dove lo studioso conviene che « la tesi di una ratifica imperiale di norme locali delle popolazioni soggette ha una certa verosimiglianza storica ». 178  Oltre ai casi che si prendono qui in esame, va ricordata anche la notissima lettera di Dario a Gadata, in merito all’illiceità dei tributi imposti alle terre consacrate ad Apollo (Magnesia) : il testo è stato da più parti letto come segno della tolleranza religiosa e del rispetto del re persiano verso le divinità dei popoli sottomessi. 179  Cfr. Liverani 2004, pp. 364-368. 180  Weinberg 1997, pp. 91-105. 181  Su Giuda in età achemenide, si vedano ora i numerosi e aggiornati contributi editi in Lipschitz – Knoppers – Oeming 2011, che affrontano questioni quali l’identità giudaica nel contesto della politica ecumenica persiana, il ruolo svolto da “ambasciatori” quali Esdra e Neemia nell’elaborazione identitaria di Giuda o i fenomeni di “resistenza” identitaria in un contesto imperiale. 182  I problemi di convivenza diventano cruciali soprattutto a partire da quando – come si è visto più sopra – la regione assume il ruolo di confine sud-occidentale dell’impero, in seguito alla perdita dell’Egitto agli inizi del IV sec. a.C. (cfr. Fantalkin – Tal 2006).

183  In particolare sulla politica persiana e la ricostruzione di Gerusalemme : Edelman 2005. I resti di un tratto di muratura antica, forse ascrivibile al periodo persiano, farebbero pensare a una fortificazione di età achemenide a Gerusalemme o all’esistenza qui di uno dei “podi di magnificenza” di età persiana su cui sorgevano i santuari : cfr. Oggiano 2009, p. 49. 184  Non è questa la sede opportuna per addentrarsi nel dibattito circa l’autenticità dei decreti riportati nei libri di Esdra e Neemia, tuttavia si possono condividere le recenti osservazioni di Contini 2009, p. 195, che ritiene che « in ultima analisi la questione dell’autenticità o meno di questi scritti possa essere determinata soltanto dalla discussione della plausibilità storica del loro contenuto in rapporto alle nostre sempre più estese conoscenze sulla Palestina achemenide e sull’amministrazione generale dell’impero ». Lo studioso conclude così : « su questo piano la posizione che li rende fittizi, pur ancora minoritaria, mi sembra guadagnare sempre più credito ». 185  L’editto di Ciro (fra gli altri, cfr. Betlyon 2005, p. 6, in cui si ricordano le diverse versioni dell’editto, in ebraico e in aramaico ; Kuhrt 2007, p. 84), in cui il sovrano persiano sostiene di essere stato incaricato dal “dio del cielo” di restaurare il suo tempio a Gerusalemme, è riportato in Esd 1, 2-4. Il medesimo editto è citato in altri due passi biblici, 2 Cr 36, 22-23 e Esd 6, 3-5 (in quest’ultimo passo, si menziona un rotolo, rinvenuto in seguito a ricerche d’archivio a Babilonia, con un “promemoria” che riporta la decisione di Ciro riguardo al tempio di Gerusalemme). 186  Esd 7, 11-26. Cfr. Liverani 2004, p. 365 : « Il racconto fornito dal libro di Esdra è confuso, la sequenza degli eventi non corrispondendo a quella dei re persiani citati (e usati per datare) ».













































































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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la lettera del satrapo di Transeufratene, Tattenai, 187 indirizzata al re Dario, per comunicare quanto riferito dai Giudei che stanno ricostruendo il tempio e domandare lumi circa la veridicità dell’esistenza di un decreto di Ciro a riguardo. Dopo avere controllato negli archivi, Dario consente che il restauro del tempio sia completato (Esd 6, 8-15). 188 La mediazione del testo biblico, che tende a sottolineare la politica religiosa ispirata alla tolleranza, specie da parte di Ciro, impedisce di valutare appieno la reale portata dell’intervento achemenide. 189 Si nota, però, che in assenza di un codice normativo valido per tutto l’impero, le decisioni circa i culti erano prese ad hoc, caso per caso, in seguito alla valutazione, da parte persiana, di ogni singola situazione locale. 190 Per venire a un altro caso di studio relativo agli interventi persiani nelle questioni di culto locale, si può prendere in considerazione una serie di noti documenti rinvenuti in Egitto, a Elefantina, 191 dove era praticato il culto del dio Khnum. Tre papiri demotici di Elefantina, databili all’epoca di Dario I, mostrano come i sacerdoti di Khnum debbano informare il satrapo dell’avvenuta attribuzione di un’importante carica di funzionario responsabile dell’amministrazione nel tempio ; il satrapo provvede a inviare la propria risposta in merito, facendosi garante del fatto che venga rispettata la volontà del “faraone” Dario. 192 Altri documenti assai interessanti, sempre da Elefantina, ma cronologicamente successivi (410-407 a.C.), 193 si riferiscono a una controversia sorta fra la comunità giudaica insediata a Elefantina 194 e gli Egiziani seguaci del dio Khnum. I Giudei sostengono che il loro tempio, dedicato a Yahweh, 195 sia stato distrutto dai seguaci del dio Khnum ; per denunciare questo misfatto, scrivono un resoconto al governatore e ai sacerdoti a Gerusalemme e informano dei fatti il satrapo persiano in Egitto. Le ricerche archeologiche hanno mostrato che il tempio di Yahweh non fu realmente distrutto, ma che alcuni lavori di ampliamento del vicino

santuario di Khnum, intorno al 410 a.C., portarono probabilmente a una profanazione o a un danneggiamento delle strutture sacre destinate al culto giudaico. Secondo i fedeli di Khnum, del resto, il tempio di Yahweh occupava abusivamente uno spazio originariamente destinato al culto del dio egiziano. Dopo essersi rivolti al satrapo, i Giudei ottengono solo nel 407 a.C. il permesso di ricostruire il loro santuario, dovendo però pagare una compensazione al tesoro del satrapo e non ricevendo più l’autorizzazione a praticare gli olocausti. Tale divieto, relativo agli olocausti, come sottolinea R. Contini, non deve però essere ricollegato alla « avversione zoroastriana alla contaminazione del fuoco con vittime animali (che non sembra aver influito troppo sulla politica religiosa degli achemenidi verso i popoli soggetti) ». 196 In effetti, nella religione di Zoroastro (di cui per altro, come si è già ricordato, sono discussi i rapporti con la religione achemenide), non sono previsti sacrifici animali ; il fuoco è un elemento purificatore, ma la purificazione non deve avvenire attraverso il sacrificio di esseri viventi. Tuttavia, pur volendo ammettere la possibile vicinanza degli Achemenidi all’osservanza zoroastriana, si deve ancora una volta sottolineare come la politica religiosa achemenide non preveda l’imposizione di norme persiane agli altri popoli. In ogni caso, dalla gestione della controversia fra Giudei ed Egiziani seguaci del dio Khnum, si deduce che il satrapo, privo di qualunque interesse specifico per la difesa dell’uno o dell’altro dei culti antagonisti, sembra piuttosto interessato al mantenimento dei buoni rapporti e alla difesa di una convivenza il più possibile pacifica fra comunità diverse. 197 Per quanto riguarda la fase finale dell’impero achemenide, un interessante caso – cui si è fatto cenno anche più sopra, in merito al ruolo svolto dai satrapi – è rappresentato dall’istituzione di un nuovo culto a Xanthos, in Licia, come attestato dalla nota iscrizione trilingue 198 (in greco, licio e ara-

187  « Tattenai, governatore della provincia d’Oltrefiume » (Esd 5, 3). 188  La ricostruzione del tempio viene datata preferibilmente all’età di Artaserse I (metà V sec.), secondo Edelman 2005. Cfr. anche Oggiano 2008a, pp. 48-49. 189  Sui restauri templari di età achemenide in Giudea e sulla politica achemenide circa la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, si vedano anche Bedford 2001 ; Trotter 2001, pp. 276294 ; Edelman 2005 ; Oggiano 2005, pp. 183-190. 190  Kuhrt 2007, p. 828. 191  Circa la specificità di Elefantina, capitale di un distretto dell’Egitto, si vedano le considerazioni di Briant 2002, p. 472 : a Elefantina sono assai frequentemente attestati gli interventi dell’autorità achemenide in controversie di natura civile o privata. I documenti aramaici provenienti dall’Egitto sono pubblicati in Grelot 1972 ; Porten – Yardeni 1999 ; cfr. ora Contini 2009, pp. 169-195. 192  PBerlin 13539, PBerlin 13540, PBerlin 13572 (cfr. Kuhrt 2007, pp. 852-854) ; per quanto riguarda la risposta del satrapo d’Egit-

to, si hanno indicazioni del fatto che il testo sia stato tradotto dall’aramaico al demotico. 193  Kuhrt 2007, pp. 829-830 ; cfr. Contini 2009, p. 181 ; Briant 1996, pp. 115-135. 194  Sull’identità giudaica a Elefantina, in particolare attraverso lo studio degli ostraca, il lavoro più recente è quello di Lemaire 2011 ; più in generale, su tutta la documentazione aramaica a Elefantina, cfr. Contini 2009 con tutti i relativi riferimenti ai lavori anteriori. 195  La cui pronuncia corretta deve essere Yahô, in base alla duplice grafia attestata nei papiri e negli ostraca : Contini 2009, p. 176. 196  Contini 2009, p. 182. 197  Sui rapporti fra comunità giudaica e sacerdoti di Khnum a Elefantina, Briant (1986b, p. 434) chiarisce bene che « à Eléphantine – placée devant un conflict entre deux communautés sujettes – l’administration ne choisit pas entre Yahweh et Chnoum : elle prend des mesures de compromis » e in sostanza protegge entrambi i culti, garantendo la tranquillità generale. 198  Metzger et al. 1979. Più di recente cfr. Briant 2002, p. 708, fig. 58 ; Kuhrt 2007, testo 17, n. 33.





































































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maico) 199 su stele in calcare. Secondo P. Briant, 200 è difficile ipotizzare che il satrapo di Licia, Pixodaros, sia entrato direttamente e di propria volontà nelle questioni di culto locale di una comunità ; egli deve avere invece svolto il ruolo di garante, cui la comunità stessa – e in particolare le autorità locali – ha probabilmente fatto appello nel momento in cui è stato introdotto il nuovo culto. 201 Da queste testimonianze, possiamo desumere che il potere persiano nelle province affacciate verso il Mediterraneo, un potere gestito attraverso l’azione dei satrapi, non fosse interessato direttamente al mantenimento o alla difesa dei singoli culti locali, ma piuttosto intervenisse su richiesta delle varie comunità, solo in caso di necessità di avallo di decisioni già prese o in caso di controversia fra gruppi etnici differenti, costretti ad una convivenza ravvicinata. Quest’ultimo, in sostanza, è anche il caso testimoniato dai “decreti” regi in merito ai restauri del tempio di Gerusalemme, fortemente voluti dai Giudei rientrati dall’esilio, ma ostacolati dalle comunità miste residenti nell’area. Una simile politica religiosa deve essere stata adottata anche nei confronti delle città della Fenicia, dove, in età persiana, si costruiscono, ingrandiscono e restaurano templi cittadini e santuari extra-urbani (a Sidone, Amrit, etc.). A questo proposito, è tuttavia degna di nota la mancata attestazione di governatori o ufficiali persiani nelle fonti epigrafiche fenicie, anche nel caso in cui i testi riportino un dettagliato resoconto di cambiamenti introdotti in edifici di culto, come ad esempio nel caso della stele di Yehawmilk da Biblo (KAI 10). 202 Tale “specificità” della Fenicia, rispetto a quanto visto invece per l’Egitto, per la Giudea e per l’Asia Minore, è interpretata da alcuni come il segno di una maggiore autonomia rispetto ad altre regioni, in merito agli interventi achemenidi nella gestione dei culti locali. 203 In questo contesto, come si debbono interpretare dati in apparenza “anomali”, quali ad esempio l’atteggiamento di Cambise in Egitto, non conforme all’idea achemenide di tolleranza e rispetto per

i culti ? Cambise, nella spedizione in Egitto, si macchia in più occasioni di empietà verso gli dèi egiziani, compiendo sacrilegio sul cadavere di Amasi, violando e deridendo luoghi e immagini sacre, ferendo il bue Api, fino a morire lui stesso in seguito a una ferita. 204 La fama di empietà di Cambise viene ripresa in primis da Erodoto, 205 ma anche alcuni dagli storiografi più tardi (fra cui Plutarco e Polieno), anche se oggi è messa in discussione. 206 Sembra più rispondente alla realtà storica un’immagine di Cambise rispettoso dei templi e degli dèi locali. 207 Riflettendo sull’origine della tradizione erodotea circa la presunta empietà di Cambise, occorre dare il giusto peso non soltanto a fonti erodotee in Egitto contrarie a Cambise, ma anche alla propaganda persiana volta a legittimare Dario. 208 L’apparente anomalia è pertanto motivata da ragioni squisitamente politiche. Un altro dato a prima vista “anomalo” è costituito dalla presenza di sepolture di cani in area fenicia e palestinese in età persiana. In mancanza di possibili connessioni con aspetti del culto locale, si è pensato di connettere il rispetto attribuito a questi animali – inumati in veri e propri “cimiteri di cani”, ad esempio a Beirut o ad Ashkelon, dove centinaia di cani sono seppelliti intorno al V sec. in un’area situata non lontano dal mare 209 – al ruolo che al cane è conferito dalla religione persiana. Sepolture singole o multiple di cani sono state rinvenute anche a Dor e Ashdod, anche se il cimitero dei cani di Ashkelon, con le sue varie centinaia di deposizioni, è sicuramente il più vasto fino ad oggi noto. Quanto alle interpretazioni, vi è chi attribuisce la presenza delle sepolture di cani a un possibile coinvolgimento di questi animali in culti, ricollegabili a quanto documentato a Kition (culti salvifici cui sono connessi cani sacri) oppure da connettere con la dea mesopotamica della salute, Gula, il cui animale-simbolo è proprio il cane. 210 In particolare, sono i testi zoroastriani a fornire interessanti suggestioni circa l’importanza del rispetto per questi animali. 211 In un brano conservato in una raccolta zoroa-

199  Per il testo in aramaico, cfr. Garbini 1977, pp. 269-272 ; Dupont-Sommer 1974, pp. 129-178. Cfr. Kuhrt 2007, pp. 859-861 (testo licio), p. 861 (testo greco) e pp. 861-862 (testo aramaico). 200  Briant 1998, p. 318. 201  Le autorità di Xanthos non si accontentano di fare appello alla punizione divina per chi si opporrà al regolamento (anche economico e finanziario), ma ricorrono anche a brandire « la ménace de l’intervention du satrape qui, en l’occurrence, joue le rôle de “bras séculier” » : Briant 1986b, p. 436. 202  KAI = Donner, Röllig 1962-1965 ; cfr. Jigoulov 2010, pp. 44-45. 203  Jigoulov 2010, p. 170 204  Minunno 2008, p. 131. 205  È del resto comprensibile che agli occhi di Erodoto e dei Greci in generale Cambise, in quanto persiano, sia ritenuto empio e tracotante ; tale preconcetto anti-persiano, che risparmia in genere Dario, può avere agito a livello inconscio su Erodoto.

206  Minunno 2008, p. 133 ; Cruz-Uribe 2003, pp. 9-60. 207  Problematica è anche la tradizione relativa alla morte del sovrano persiano, una morte che nella versione erodotea risulta una conseguenza di una ferita accidentale, mentre in altre fonti sembra dovuta a suicidio. L’iscrizione di Dario a Behistun non scioglie il dubbio, poiché il testo è interpretato dai diversi studiosi sia come “morte accidentale” sia come “suicidio” : cfr. Minun208  Minunno 2008, pp. 137-138. no 2008, p. 133. 209  I cani, fra i quali vi è un’alta percentuale di cuccioli, sembrano morti per cause naturali e deposti con particolare cura. Cfr. Wapnish – Hesse 1993 ; Meir 2008, pp. 267-282. 210  Betlyon 2005, p. 14. Per un efficace quadro sintetico, cfr. Oggiano 2005, pp. 201-203. 211  Di conseguenza, ci si trova di fronte alla questione già citata del problematico rapporto fra religione ufficiale achemenide ed eventuale acquisizione dei precetti di Zoroastro : occorrerebbe poter valutare con maggiore precisione in quali termini e in



















































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide striana interpretabile come una sorta di manuale di comportamento del fedele, sono elencati i peccati che rendono l’uomo un criminale : fra questi, oltre al primo grave peccato, quello di insegnare a un fedele un’altra fede, figura la circostanza in cui « un uomo dà un osso troppo duro o del cibo bollente a un cane pastore o a un cane da guardia » portandolo a soffrire o ad ammalarsi : l’uomo che agisce così è un “criminale” o “assassino”. Il peccato seguente riguarda l’uccidere o il tormentare con urla e inseguimenti una cagna che abbia dei cuccioli : anche in questo caso, se la cagna riporta danni, l’uomo è un peccatore e criminale. 212 Tali prescrizioni eticocomportamentali mostrano che il cane è evidentemente tenuto in grande considerazione in ambito persiano. Tuttavia, in mancanza di altri documenti specifici, è difficile poter interpretare le sepolture di cani in area levantina come indotte da vere e proprie imposizioni normative achemenidi ; si potrebbe postulare invece una più generica influenza esercitata dall’ideologia religiosa achemenide, nell’ambito di quella permeabilità culturale che caratterizza l’area levantina – e in particolare fenicia – in quest’epoca.  













Multilinguismo e politica culturale Le scelte linguistiche sono indicative di alcuni aspetti della politica culturale achemenide e della considerazione in cui sono tenute le comunità locali. È significativo l’utilizzo di più lingue per l’amministrazione imperiale. Passando in rassegna alcuni dei testi di Persepoli, abbiamo già avuto modo di sottolineare come molte tavolette d’archivio siano redatte in elamita ; le direttive del governo sono espresse anche in accadico, in antico persiano (usato in particolare per le iscrizioni celebrative) e soprattutto in aramaico, lingua franca della burocrazia ; sono inoltre usati il greco e l’egiziano. Alcuni documenti persepolitani in elamita sono provvisti di glosse in aramaico che forniscono dettagli aggiuntivi ; l’aramaico è del resto la lingua più utilizzata e conosciuta in tutto l’impero, dall’Egitto all’Asia Minore, includendo l’area siro-palestinese. I dominatori persiani non impongono la propria lingua al resto dell’impero, ma – al contrario – lasciano che nei vari paesi siano impiegate le lingue locali dalle aristocrazie del luogo. Anche la questione dei limiti dell’uso dell’aramaico come lingua della burocrazia è piuttosto dibattuta ; 213 alcuni so 









che misura la predicazione di Zoroastro permeasse il mazdeismo achemenide.

stengono che in Asia Minore i decreti e i documenti ufficiali – come la lettera di Dario a Gadata o il decreto di Draoferne a Sardi – debbano necessariamente avere avuto una versione anche in aramaico, in analogia con quanto attestato dalla trilingue di Xanthos ; altri ritengono al contrario che la versione in greco o in lingua locale (ad esempio in lidio) fosse sufficiente. È anche il caso ben noto delle iscrizioni fenicie di età persiana, che celebrano i sovrani di Biblo o di Sidone. Inoltre, secondo quanto riportato dalla Bibbia, le comunicazioni inviate dall’autorità centrale ai vari paesi e ai vari popoli sono redatte utilizzando la lingua che è propria di ciascuno di essi. 214 Poiché anche le lingue meno diffuse restano in uso all’interno delle singole comunità locali, i satrapi, i governatori e tutti i responsabili dell’amministrazione persiana nelle satrapie devono essere messi nelle condizioni di poter comunicare con i responsabili delle comunità locali ; è attestata, infatti, la presenza di interpreti che svolgono il proprio servizio presso i governatori provinciali e presso i capi militari di stanza nelle varie satrapie. Anche in quest’ambito, è evidenziabile una certa “specificità” della Fenicia, dal momento che nella regione, anche a causa dei limiti della documentazione, non sembra attestata una grande varietà linguistica : le iscrizioni rimaste sono quasi esclusivamente in lingua locale, 215 laddove in molte regioni dell’impero è attestato più ampiamente l’aramaico accanto alle lingue del luogo : le iscrizioni in altre lingue in Fenicia sono poco numerose e fra queste è attestato l’uso del greco. 216  













Spazio urbano, modelli architettonici e artistici: interazioni fra la Persia e il Levante In questa sezione, la discussione si articolerà intorno a due differenti questioni : da un lato, ci si chiederà come i Persiani riescano a esprimere e divulgare – attraverso le forme dell’architettura e dell’arte – i valori dell’ideologia imperiale (il dominio “universale” sugli altri popoli e il rispetto delle differenze), oltre che a elaborare una propria “rappresentazione mentale” dei popoli sottomessi ; dall’altro lato, ci si interrogherà in merito ai contenuti e alle modalità della trasmissione di tradizioni e modelli architettonici e artistici fra la Persia e l’area levantina e viceversa.  



certa monotonia linguistica, oltre che tematica, mentre altrove, nell’impero, vi è una spiccata varietà linguistica (cfr. Jigoulov 2010, p. 40) ; questa impressione è in buona parte dovuta alla tipologia e ai limiti della documentazione di cui disponiamo, per la Fenicia, dal momento che di certo anche qui era diffuso l’aramaico, probabilmente su materiali deperibili (cuoio, papiro, etc.). 216  Jigoulov 2010, p. 60.  

212  Cfr. Avesta, Torino 2004, pp. 526-527. 213  In merito si vedano le considerazioni avanzate da P. Briant in Bulletin Historique Achémenide I, par. 6.2 (Langues et communications), pp. 93-94. 214  Est 3, 12 ; Kuhrt 2007, p. 827. 215  Le fonti interne fenicie sembrano caratterizzate da una  

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Riguardo al primo di questi aspetti, si può partire dal presupposto che l’espressione tangibile del potere imperiale si realizza soprattutto nell’elaborazione dei centri urbani destinati a svolgere la funzione di capitale, di residenza della corte o, nelle regioni periferiche, di sede del satrapo. Riguardo invece al secondo aspetto, il punto di partenza è rappresentato dal problema assai dibattuto della possibile acquisizione di moduli iranici in area levantina : in quale misura e a che scopo il fenomeno potrebbe avere avuto luogo ? Secondo alcuni studiosi, il potere centrale potrebbe avere influenzato le scelte urbanistiche del Levante e della Fenicia di età persiana o determinato direttamente l’adozione di modelli artistico-architettonici provenienti dall’area iranica, anche per esigenze di rappresentanza ufficiale, soprattutto nei principali centri cittadini, come Sidone, possibile sede satrapale. 217 Secondo un’altra interpretazione, l’adozione di modelli persiani in area levantina – e soprattutto nelle città fenicie – dovrebbe essere considerata una scelta deliberata da parte delle élites locali e non certo imposta dall’autorità imperiale : un’opzione, in definitiva, finalizzata all’auto-legittimazione e motivata da una volontà di espressione del cosmopolitismo che permea la società. 218 Per altro verso, la Fenicia può aver svolto il ruolo di tramite nel processo di trasmissione in area iranica di modelli di provenienza egiziana o greca. Dal momento che in questa sede si intende mettere in luce il punto di vista persiano sulla Fenicia e sull’occidente dell’impero, facendo riferimento principalmente a fonti documentarie achemenidi, occorre rivolgere una particolare attenzione a quest’ultimo aspetto ; la documentazione disponibile in proposito è ampia ma di ardua interpretazione. Gli apporti greci ed egiziani, che in area iranica vengono a fondersi con le tradizioni locali o con i modelli mesopotamici, possono in parte essere frutto di acquisizioni dirette, anche grazie allo spostamento degli artigiani, di cui si è parlato in precedenza, e in parte possono derivare da rielaborazioni fenicie. L’acquisizione di elementi della  











217  È Diodoro (Diod. XVI 41, 2) a riferire che Sidone è capitale della satrapia, ma non tutti gli studiosi ritengono affidabile questa informazione, dal momento che anche Damasco potrebbe costituire una sede adeguata (Briant 2002, p. 1004 ; Betlyon 2005, p. 11). Va ricordato che le fonti persiane non menzionano Sidone come sede del satrapo forse anche per ragioni cronologiche, dal momento che tale ruolo potrebbe essere assunto dalla città fenicia dalla metà del V sec., ovvero dopo la redazione di buona parte delle fonti interne all’impero : Jigoulov 2010, p. 38. 218  Jigoulov 2010, p. 131, parla di « self-ascribed high status » da parte delle élites locali fenicie, attraverso l’uso di elementi persiani achemenidi negli edifici templari e palatini. 219  Gli aspetti riguardanti direttamente la documentazione della Fenicia achemenide sono approfonditi nel contributo di Oggiano in questo volume.  







tradizione artistico-architettonica egiziana in Fenicia è un fenomeno di tale portata e di tale antichità da dover essere necessariamente lasciato ai margini della trattazione in questa sede ; d’altra parte merita di essere ricordato e sottolineato il fenomeno di precoce ellenizzazione della Fenicia, anche per il tramite cipriota, già con alcuni apporti databili al VI sec. a.C. La Fenicia si trova dunque, nel periodo immediatamente precedente e in quello contemporaneo all’affermazione del potere persiano, a rielaborare e fondere modelli sia di ascendenza egiziana, da tempo penetrati nella linguaggio architettonico e artistico locale, sia di ascendenza greca. Pertanto, attraverso una rapida disamina dei principali siti achemenidi, si procederà nella trattazione seguente a enucleare e illustrare in estrema sintesi i caratteri salienti dell’arte imperiale e le modalità attraverso le quali è veicolata l’ideologia del controllo sui paesi sottomessi ; i principali apporti “da occidente” (dalla Grecia, dall’area siro-palestinese e dall’Egitto) all’architettura e all’arte persiana ; infine, se possibile, l’eventuale ruolo svolto dai Fenici nel veicolare tecniche costruttive e decorative, iconografie, stili, evidenziando al contempo la possibile ascendenza achemenide di alcuni elementi artistico-architettonici presenti in ambito fenicio. 219  







Sviluppo di modelli architettonico-artistici imperiali : la tradizione iranica e gli apporti occidentali  

Nella tradizione artistico-architettonica achemenide, a partire dalla sua fase formativa, 220 sono evidenti le profonde interazioni fra tradizioni diverse (assira, babilonese, siriana, elamita, iranica, per citare alcune fra le più importanti). 221 Il comporsi di molteplici influenze diventa un elemento caratterizzante già dell’arte achemenide antica (550-522 a.C. circa), sia nel campo dei manufatti artistici sia in quello dell’architettura. Soprattutto sorprende, nella nascente architettura persiana, il ricorso a un uso cospicuo della pietra squadrata al posto del più comune mattone, diffuso in tutta la regione estesa dalla Siria interna fino all’area indiana. La tecnica  



220  Nella fase formativa dell’arte persiana, fra il 675 e il 550 circa (“arte proto-achemenide”), si nota la vicinanza ai modelli contemporanei neo-elamiti, pur nel contesto di una maggiore ariosità della composizione, elementi poi tipici per esempio della glittica persiana, come mostra, ad esempio, la raffigurazione apposta su di un sigillo cilindrico della metà del VII secolo, di cui restano le impronte sulle tavolette delle fortificazioni di Persepoli (Hallock 1969, PF 93 ; Stronach 1997, fig. 15). 221  Come è mostrato ad esempio dagli oggetti rinvenuti in una tomba dell’inizio del VI sec. ad Arjan, presso l’attuale Behbehan. Gli oggetti scoperti nella tomba di Arjan rivelano influenze elamite, ma anche assire, nell’elaborazione di un’arte a carattere ibrido come quella achemenide della fase formativa : Stronach 2005, pp. 179-196.  



parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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si ispirino alle soluzioni adottate nel Levante e a Cipro, o eventualmente in area greco-ionica, e quanto invece, nell’uso della pietra, siano debitori della tradizione urartea, a loro certamente più vicina.

costruttiva a blocchi litici squadrati, eventualmente decorati, era impiegata in Egitto e in Grecia, ma assai meno in area orientale, con l’eccezione di Cipro, dell’Anatolia e del Levante nell’età del Bronzo. 222 In Persia non esisteva una vera e propria tradizione locale, ma l’uso della pietra nell’architettura era attestato in area urartea. 223 È discusso il ruolo dei Fenici nella diffusione di tecniche di lavorazione della pietra che avevano avuto significativo sviluppo alla fine dell’età del Bronzo a Cipro (in particolare Kition) e a Ugarit : secondo le fonti bibliche, artigiani fenici “costruttori di muri” sono inviati da Tiro a Samaria per edificare la residenza del re di Israele (2 Sam 5, 11). Nel IX sec., a Samaria, è attestato l’uso di blocchi squadrati regolari. Tuttavia, in area levantina le murature sono spesso realizzate alternando l’uso della pietra a quello del legname, come del resto è chiarito da un altro passo dell’Antico Testamento (1 Re 6, 36), pertanto i Fenici sono ricordati soprattutto per la loro competenza nella lavorazione delle parti lignee dei corpi murari. Nel VII sec., a Salamina di Cipro, i blocchi sbozzati in modo irregolare della Tomba Reale 3 sembrano un’imitazione di quelli – al tempo ancora visibili – delle fasi precedenti di Kition. 224 È poi forse su influsso persiano che l’architettura in pietra si afferma anche in zone, quali la Siria interna, in cui in precedenza era scarsamente documentata : benché i dati provenienti dall’area siriana interna, per questa fase cronologica, siano poco numerosi, è tuttavia interessante notare ad esempio come il “palazzetto” persiano di Mardikh – la cui pianta è stata confrontata con le coeve fortezze palestinesi – sia costruito in pietra, senza una parte superiore in mattoni ; 225 tali edifici a corte centrale, che hanno scopo amministrativo in zone rurali, sembrano richiamarsi anche a modelli assiri. 226 È in generale assai complesso definire quanto i Persiani

Uno dei primi esempi di edilizia con blocchi di pietra squadrata è la tomba di Ciro a Pasargadae (Fig. 1). 227 Identificato quasi certamente con la tomba di Ciro il Grande, morto nel 530 a.C., il monumento fu visitato da Alessandro Magno e descritto da Strabone e Arriano. 228 Questo monumento, con la sua alta base a gradoni, ha suggerito – per l’idea generale della struttura, ma non per la tecnica costruttiva o il materiale impiegato – paralleli mesopotamici, con un generico riferimento addirittura al modello della ziggurat ; un richiamo possibile, per restare in ambito funerario, sarebbe quello alla ziggurat elamita, che, secondo alcuni studi, parrebbe avere una connessione con la sfera della morte ; alla ziggurat elamita è stato riconosciuto un carattere funerario sulla base di testi che designano il grande dio di Susa, Inshushinak, nella sua qualità di “signore della morte nel kukunnum”, cioè nel tempio alto della ziggurat. 229 È tuttavia poco condivisibile, in generale, il riferimento alla ziggurat, poiché quest’ultima appartiene evidentemente a una tradizione architettonica in cui è essenziale l’uso del mattone. 230 Per la copertura della tomba di Ciro, consistente in un tetto a doppio spiovente, è stata invece evidenziata dagli studiosi una connessione con l’area urartea. 231 Vari elementi greco-ionici, in questo monumento, si fondono ad apporti egiziani, dando vita a forme “egiziane ellenizzate” : vi è infatti un trattamento tipicamente greco dei gradoni (krepís

222  Boardman 2000, p. 20. In Mesopotamia predomina l’uso del mattone, ma in area assira si trovano alcuni significativi esempi di edilizia in pietra, come il bastione del Forte Salmanassar, il canale idrico di Sennacherib a Jerwan e soprattutto le mura urbiche di Ninive. In passato alcuni studiosi, come M. Mallowan, erano giunti a postulare che l’introduzione dell’uso dei blocchi squadrati in Assiria fosse da ascrivere all’apporto fenicio. 223  In area iranica, modelli per le decorazioni su pietra erano anche i rilievi rupestri elamiti, mentre ovviamente l’esempio assiro fu assai importante per quanto riguarda la disposizione di immagini a rilievo all’interno dei palazzi e sulle porte. 224  Boardman 2000, p. 26. 225  Mazzoni 1990 ; Akkermans – Schwartz 2003, p. 391 : « Apart from its plan, the building is noteworthy for its stone architecture, employed without a mudbrick superstructure, and for the use of stone architraves instead of wood beams ». 226  Mazzoni 2001, pp. 323-324 : « ascendenze assire e locali insieme ». 227  Costruita ex novo al tempo di Ciro il Grande sul luogo della sconfitta delle truppe di Astiage, Pasargadae è al centro di un ricco programma di costruzione e decorazione di edifici rappresentativi, dei quali restano oggi solamente sparse tracce. Il fatto

che Ciro venga sepolto all’interno della città che egli stesso aveva fatto edificare è un segno della volontà di attuazione di una politica dinastica (Briant 2002, p. 96). 228  Alcune recenti discussioni del problema del passaggio dal modello della tomba di Ciro al modello a camera rupestre di Dario e dei successori abbiano messo in luce che in tale trasformazione del sepolcro reale non sia da vedersi un significativo cambiamento culturale o religioso. Cfr. Bruno Jacobs, in The World of Achaemenid Persia. Conference, 29 september - 1 october 2005, British Museum, London, pp. 30-31 (abstracts). 229  Le porte e il boschetto sacro che circonda la ziggurat costituirebbero elementi a carattere funerario : Vallat 1997. 230  Secondo Boardman 2000, p. 53, infatti, la tomba di Ciro non ha nulla a che vedere con la ziggurat, ma trova dei precedenti nelle tombe a camera su alta base di area anatolica. 231  Il prototipo urarteo è documentato nella rappresentazione neo-assira della cittadella di Musasir ; il modello doveva probabilmente essere stato trasmesso ai Persiani con il tramite dei Medi, poiché il tetto con lastre disposte a doppio spiovente è attestato in alcune tombe di Tepe Siyalk (fase V). Per l’origine urartea del tetto a doppio spiovente, cfr. Ghirshman 1982 (ed. or. 1964, prima ed. ital. 1964), p. 10.



Pasargadae e i modelli occidentali all’epoca di Ciro II

















































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Fig. 1. Tomba di Ciro a Pasargadae.

dei templi greci) e la presenza di una cyma reversa a coronamento delle pareti della camera funeraria, a completamento, però, di un primo coronamento a gola egizia. Tali caratteri ibridi scompaiono poi a Persepoli, per lasciare posto a un pieno stile egiziano per le decorazioni delle porte e delle finestre degli edifici palatini. 232 Venendo invece alla scultura e ai rilievi, 233 le decorazioni dei palazzi di Pasargadae mostrano evi-

denti riferimenti all’arte assira, sempre attraverso la rielaborazione locale iranica, ma anche con apporti forse levantini e con tratti di ascendenza greco-ionica. 234 La coppia uomo-pesce e uomo-toro della porta sud-orientale del Palazzo S, ad esempio, è una composizione sintatticamente inedita nei palazzi assiri, dove simili figure apotropaiche sono rappresentate da sole o abbinate ad altri esseri sovrannaturali. 235 Alcuni studiosi rilevano su base stilistica una

232  Boardman 2000, pp. 57-59. 233  Sulla scultura achemenide resta un punto di riferimento il volume di Farkas 1974. 234  Il punto di partenza degli studi sugli influssi stilistici greci nell’arte di Pasargade è lo studio di Nylander 1970.

235  L’accostamento di un dio combattente a un demone leonino, nella porta nord-ovest, è invece canonico nell’arte neo-assira, come si può osservare nel palazzo di Sennacherib a Ninive. Tuttavia, a livello stilistico si nota una caratterizzazione della muscolatura più attenuata, nelle realizzazioni di Pasargadae, così come









parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide mano greca nella fattura di certi particolari, come i piedi umani. 236 Il genio a quattro ali del Portale R (Fig. 2), pur mostrando una generale ispirazione assira, specie nelle ali, è provvisto di una corona egiziana e di una veste che da alcuni è ritenuta elamita (non più in uso nell’età di Ciro, ma confrontabile con quella del re Teumann nel rilievo assiro della battaglia dell’Ulai) e da altri invece levantina, tanto da far pensare a un ruolo fenicio nell’elaborazione di questa immagine ibrida. Le rosette sul bordo della veste sembrano di ascendenza greca. 237 Nel Palazzo P, i rilievi sugli stipiti delle porte raffigurano il re seguito da un attendente : qui lo stile del panneggio sembra di origine greco-ionica, anche se la realizzazione finale mostra un’accentuata staticità, che si può considerare tipicamente persiana. 238 I dati evidenziano pertanto a Pasargada un uso di modelli assiri – evidentemente nell’intento di attingere a modelli artistici “imperiali” – cui si aggiunge l’apporto di elementi egiziani 239 e greci, oltre a un’attenzione per la tradizione elamita e iranica, quest’ultima evidente nell’adozione del modulo a sala centrale colonnata con funzione di nucleo centrale degli edifici. 240 Tale quadro trova conferma in ciò che dell’ideologia di Ciro si conosce attraverso i testi : questo sovrano, come si è visto, celebra nelle iscrizioni la propria discendenza dai sovrani elamiti di Anshan e al contempo, rimanendo ancorato a un’ottica locale, rinuncia a elaborare una vera e propria ideologia accentratrice, il che si traduce a livello politico con il delegare alle élites locali dei paesi sottomessi l’esercizio dell’autorità. In campo artistico, nel periodo di Ciro in Iran non si attuano ancora esperimenti di elaborazione di un’arte davvero autonoma, che sia concepita come l’espressione visiva della “unità nella varietà” dell’impero, cosa che avverrà invece in seguito. Ciò non impedisce però di riscontrare segni d’ispirazione a un repertorio di immagini forse rielaborate in area fenicia, per giustificare l’arrivo delle quali non si può escludere la presenza, già in questa fase, di artigiani provenienti dalla costa mediterranea.

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Gli sviluppi nell’età di Dario : Persepoli e Susa  

sarà in seguito in tutta l’arte achemenide successiva : Stronach 1997, p. 44.  

236  Boardman 2000, p. 104. 237  « I suspect that it was inspired by egyptianizing figures of the Levant coast, probably Phoenicia » : Boardman 2000, p. 102. 238  Le forme fluide della scultura ionica della metà del VI sec., secondo M. Cool Root, furono deliberatamente trasformate « into the frozen and permanent forms of canonical Achaemenid drapery » allo scopo di trasmettere un senso di immobilità senza  







nella direzione di una maggiore organicità e di una più stretta corrispondenza delle realizzazioni architettonico-figurative al messaggio ideologico-politico. Si è visto, del resto, come con l’avvento di Dario mutino alcuni aspetti fondamentali dell’ideologia del potere in rapporto ai paesi sottomessi. Con Dario, l’arte e l’architettura contribuiscono all’espressione dell’ideologia politica del re : la propaganda insiste soprattutto sullo specifico status regale del sovrano, dovuto al diretto appoggio del dio Ahura-Mazda, e sulla sua identità specificamente achemenide. 241 Nel rilievo di Behistun, Ahura-Mazda è rappresentato per la prima volta ; Dario sceglie di riprendere l’iconografia assira di Shamash, divinità  



Rispetto al programma artistico-architettonico di Ciro, la progettazione artistica di Dario si muove



Fig. 2. Genio alato del portale R di Pasargadae.



tempo e immutabile autorità, evidente in quasi tutti i rilievi achemenidi : Cool Root 1979, p. 57. 239  Per l’epoca di Ciro, si può pensare alla eventuale presenza di artigiani egiziani a Pasargadae, piuttosto che a una conoscenza diretta dei modelli egiziani : cfr. Matthiae 1997, p. 222. 240  Cfr. le cittadelle iraniche dell’età del Ferro (Hasanlu, Tepe Nush-i Jan, Godin Tepe) : cfr. Matthiae 1997, p. 221. Su Hasanlu, cfr. recentemente Magee 2008. 241  Stronach 1997, p. 46.  





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solare garante della giustizia, e pone il dio al di sopra del sovrano, nel disco solare. Alcuni particolari – come l’elemento circolare sopra alla testa del dio – sono però probabilmente ispirati al preesistente rilievo rupestre elamita di Sar-i Pul, dove nel disco è inscritta una stella. Dario si appropria dunque del passato iranico così come di quello mesopotamico, facendoli confluire in un’identità comune achemenide. 242 L’ideologia imperiale si esprime principalmente nell’edificazione della nuova capitale cerimoniale e amministrativa, Persepoli ; 243 la città è presentata dalle iscrizioni come fondata ex novo, anche se sulla terrazza che domina la piana di Marv-i Dasht vi sono segni di attività edilizia risalenti all’età di Ciro o di Cambise. 244 Nella fase edilizia più antica (circa 515-490 a.C.), viene edificato un primo settore del complesso del Tesoro e si inizia la costruzione della grande sala colonnata cerimoniale, l’apadana ; in una seconda fase edilizia, fra la fine del regno di Dario e gli inizi di quello di Serse, si aggiunge il palazzo di Dario (tachara), a sud dell’apadana (Fig. 3a). Con Serse, si costruisce la grande porta monumentale, detta “porta di tutti i paesi”, e l’Edificio Centrale (Tripylon), collocato fra l’apadana e il Tesoro (Fig. 3b). L’apadana, su un podio di 2,60 m di altezza, era accessibile tramite scalinate monumentali decorate da rilievi ; in questo edificio si amplifica l’uso della soluzione architettonica della sala centrale colonnata, 245 desunta probabilmente dalla tradizione locale iranica, 246 ma non priva di probabili suggestioni egiziane. La tradizione iranica prevedeva case con sala centrale di altezza pari all’altezza complessiva dell’edificio e sale laterali invece a due piani. Secondo alcuni autori, vari elementi che si ritrovano nell’apadana sono presenti nell’architettura della

Media : le torri angolari, i vani stretti e lunghi come sostruzioni, le sale ipostile (Godin Tepe, Tepe Nush-i Jan). 247 I canoni spaziali adottati (le colonne slanciate in altezza anche grazie al moltiplicarsi degli elementi costitutivi dei capitelli ; gli intercolumni adeguatamente dilatati) garantivano l’armonia dell’edificio, riconducendo quel tanto di “eccessivo” a una regola di ordine e proporzione. 248 Anche la decorazione scultorea dell’apadana (cui si farà riferimento più dettagliatamente poco oltre) rispondeva agli stessi criteri di magniloquenza coniugata a un estremo ordine sintattico : le scalinate monumentali, sui lati nord ed est, a doppia rampa, erano decorate da bassorilievi ordinati in registri e suddivisi in segmenti si identica misura, ripetuti costantemente. Sulle due scalinate si ripetevano le medesime raffigurazioni, disposte in modo quasi esattamente speculare, e caratterizzate in entrambi i casi da una marcata direzionalità verso il centro. I rilievi erano disposti sia sull’avancorpo delle scalinate sia direttamente sul basamento dell’edificio colonnato ; nella scalinata est, la rampa meridionale ospitava la decorazione delle delegazioni dei paesi soggetti all’impero, nell’atto di portare doni e tributi, mentre la rampa settentrionale era decorata da teorie di guardie susiane e di dignitari medi e persiani ; la medesima rappresentazione, disposta specularmente, si trovava in corrispondenza della scalinata nord. I richiami all’arte imperiale assira sono innegabili, soprattutto pensando ai rilievi di Sargon a Khorsabad con le processioni di dignitari e di delegati che recano doni ; tuttavia il grande affresco dell’apadana è una creazione specificamente achemenide, che ci consente – come si vedrà poco oltre – di disporre di un quadro suggestivo del punto di vista imperiale sui popoli sottomessi.

242  La volontà unificante, di creazione un’identità culturale comune, si realizza anche attraverso il completamento, a Pasargadae, del programma decorativo di Ciro, con l’aggiunta dei rilievi raffiguranti Ciro stesso e un attendente, disposti a fiancheggiare in modo speculare un portale del palazzo P. 243  Il sito di Persepoli, o Takht-i Jamshid, fu scavato sistematicamente sotto la direzione di E. Herzfeld e in seguito di E.F. Schmidt (cfr. Schmidt 1939 ; 1953 ; 1957 ; 1970), negli anni fra il 1931 e il 1939. Gli scavi continuarono negli anni ’40 grazie all’attività dell’Iranian Archaeological Service, mentre importanti restauri sono stati condotti in anni più recenti dall’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) sotto la direzione di G. Tilia e A. Britt Tilia (cfr. Britt Tilia 1972). 244  Kuhrt 2007, pp. 470-471. Un’iscrizione elamita sul muro sud della terrazza di Persepoli riporta al par. 2 : « su questa piattaforma dove è stata costruita la fortezza in precedenza non era stata costruita alcuna fortezza » : è dunque vero che Dario inizia ex novo la costruzione della terrazza monumentale, ma doveva in precedenza esistere almeno una città poi inglobata nello spazio urbano persepolitano, la città elamita di Matezzish, babilonese HUM-badeshu (Kuhrt 2007, pp. 488-489). 245  Nell’apadana vi sono 36 colonne, che facevano raggiunge-

re all’edificio nel suo complesso la notevole altezza di 20 m ca. 246  Edifici colonnati si ritrovano nell’età del Ferro in area iranica a Hasanlu, Tepe Nush-i Jan e Godin Tepe, ma la derivazione del modello della sala colonnata dalla tradizione iranica non è da considerarsi unilineare. Secondo Boardman 2000, p. 61, le sale ipostile discendono dalla tradizione dei Medi e hanno affinità con l’idea della tenda, che copre ampie superfici senza pareti intermedie. Alcuni studiosi hanno recentemente tentato di analizzare la peculiare funzione e la percezione dello spazio implicita nell’architettura delle sale colonnate achemenidi rispetto a quelle di epoca anteriore (si veda l’abstract di una conferenza tenuta al British Museum nel 2005 : A. Kuhrt, Why Columned Halls ? in The World of Achaemenid Persia, Conference, 29th september-1 october 2005, British Museum, London, abstracts, p. 28). 247  Huff 2005, pp. 371-395. 248  Va notato a margine che alcuni autori hanno riconosciuto nella descrizione biblica del palazzo salomonico (1Re 7, 1-8) un’ispirazione alla planimetria dell’apadana achemenide, riconducendo pertanto il palazzo ivi descritto – con la sua ampia sala colonnata, detta “foresta del Libano” – più all’età persiana che all’età del Ferro : Liverani 2004, pp. 362-363, fig. 57.





















































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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Fig. 3a. Pianta di Persepoli, inizio V sec. a.C.

Alcuni elementi di ascendenza egiziana a Persepoli 249 sono riconoscibili negli inquadramenti a cornici multiple 250 e nel coronamento a gola egizia dei portali e delle finestre dei palazzi, dove la gola

egizia è arricchita da elementi decorativi a tre registri (Fig. 4). 251 Lo schema dei portali è simile a quello che compare in Fenicia nei naoi egittizzanti, diffusi proprio in età persiana in ambito santuaria-

249  Per il periodo di Dario, in seguito alla conquista dell’Egitto, si può ipotizzare una messa a frutto della conoscenza diretta delle planimetrie e dell’architettura dei palazzi egiziani, sulla base anche di una probabile conservatività dei palazzi del Delta allora visibili (Tanis, Sais), rispetto a quelli più antichi menfiti o tebani a noi noti : Matthiae 1997, p. 222.

250  Cfr. lo studio di Bondì 1978, che evidenzia i legami di questo tipo di inquadramento architettonico con Cipro. 251  A Persepoli è adottata « enthusiastically » una « full Egyptian form, for windows and doors » : Boardman 2000, p. 59.



















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Fig. 3b. Pianta di Persepoli, dalla metà del V sec. a.C.

le, a Bostan esh-Sheikh, Ayn el-Hayat, e successivamente nei portali d’accesso del santuario di Umm el-Amed presso Tiro. 252 In ambito fenicio, inoltre, è ripreso un elemento decorativo del tutto tipico dell’architettura persepolitana, ovvero il coronamento superiore a merla-

ture multiple : tale merlatura a Persepoli è composta di singole unità dentellate, poste l’una accanto all’altra, ciascuna delle quali è costituita da cinque ordini di piccoli “gradini” di larghezza decrescente verso l’alto (Fig. 5) ; una simile merlatura dentellata è impiegata come coronamento delle strutture del

252  In ambito fenicio coloniale d’Occidente si diffondono dal VI sec. cippi a forma di naiskoi, ovvero di piccole edicole egiziane

coronate superiormente da urei che portano il disco solare alato (Ferjaoui 1992, p. 101).







parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

Fig. 4. Persepoli, un portale del palazzo di Dario.

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santuario fenicio di Amrit, 253 ma anche altrove in ambito levantino. 254 I tipici capitelli achemenidi, ampiamente documentati nell’architettura monumentale di Persepoli, riutilizzano modelli egiziani (nell’uso, per esempio, degli elementi a palmetta), coniugandoli però con elementi iconografici (avantreni di tori, o di leoni e grifoni) che potrebbero sembrare desunti dal patrimonio figurativo delle arti minori di ambito vicino-orientale e in particolare siro-palestinese. 255 Tracce dell’adozione di tali capitelli, riconoscibili anche per il peculiare trattamento stilistico delle protomi degli animali, si hanno in Fenicia, ad esempio a Sidone, dove del resto sono anche attestati capitelli in cui le protomi taurine sono realizzate invece in stile greco. 256 Anche la monumentalizzazione stessa della terrazza su cui sorge Persepoli è oggetto di discussione per le sue possibili connessioni con le coeve o di poco posteriori realizzazioni di terrazze e podi monumentali in Fenicia e Palestina. La terrazza è ottenuta dalla monumentalizzazione di un lato della montagna ai piedi della quale sorge Persepoli, il Kuh-i Rahmat ; il lato aperto verso la piana (Marv-i Dasht) è costituito da un imponente basamento in colossali blocchi di pietra. 257 L’accesso è reso possibile attraverso una scalinata che conduce alla “porta di tutti i paesi” edificata da Serse. Il podio monumentale, in Fenicia, è adottato con la funzione di basamento per gli edifici di culto, come nel caso del santuario di Bostan esh-Sheikh, dove del resto il podio, costruito con poderosi blocchi litici squadrati, è addossato al lato di una collina. Assai più discussa e meno documentata è l’esistenza di un podio forse simile, a sorreggere la terrazza su cui era collocato il tempio di Gerusalemme ricostruito in età persiana. 258 Anche a Biblo, del resto, il podio monumen-

tale di età achemenide ospita presumibilmente un tempio. 259 A Persepoli, l’ampia terrazza è occupata da edifici palatini e rappresentativi, ma è da tenere in considerazione la natura prettamente, o almeno prevalentemente, “cerimoniale” peculiare della nuova capitale fondata da Dario. 260 La costruzione di podi monumentali, sia pure di dimensioni meno imponenti, in area levantina, è dunque direttamente ispirata a quel modello achemenide che a Persepoli trova la propria migliore realizzazione ? In tal caso, i sovrani e le élites sacerdotali, nel commissionare la costruzione di tali strutture avrebbero compiuto una consapevole trasposizione funzionale del modello, adottandolo per la monumentalizzazione dei santuari, che certamente rivestono un ruolo politico e ideologico di primo piano, in ambito locale. Il modello dell’apadana trova qualche possibile eco provinciale, oltre che nell’ipotetica planimetria del palazzo descritto come “salomonico” nel testo biblico (1 Re 7), in realtà forse ascrivibile all’età persiana, 261 anche nelle decorazioni scultoree di residenze di notabili locali, come nel caso di Meydancikkale, in Cilicia, dove sono stati rinvenuti rilievi – purtroppo non in situ – con la raffigurazione di dignitari persiani, abbigliati e acconciati come nei rilievi di Persepoli, e di portatori di doni convergenti verso un ingresso, difeso da guardie persiane. 262 Si tratta, probabilmente, della decorazione adottata per abbellire la residenza di un notabile locale, che intendeva ispirarsi alle realizzazioni imperiali achemenidi, evidentemente note anche nelle province. Oltre alla costruzione di Persepoli, assume notevole importanza all’interno del programma di Dario anche la ristrutturazione dell’antico centro elamita di Susa, attraverso l’edificazione del palazzo reale. 263 Nella cosiddetta “carta di fondazione di Susa”, un testo trilingue in cui si trova il resoconto

253  Sempre nella zona di Amrit, questa merlatura è impiegata anche per la decorazione delle strutture funerarie (cfr. la seconda parte di questo volume). 254  Dutz – Matheson 2000, p. 47. Simili decorazioni a merlatura o dentellatura sembrano attestate anche a Petra, in Giordania, come decorazione di alcune tombe nabatee : cfr. Anderson 2002. L’autore sottolinea come questo tipo di soluzione decorativa faccia parte del programma artistico imperiale achemenide, che trova attuazione sia a Persepoli sia in ambito provinciale (cfr. anche Jigoulov 2010, p. 184). 255  Boardman 2000, p. 74. 256  Il capitello sidonio a doppio avantreno di tori, di tipo pienamente achemenide, rinvenuto in ambito urbano, ha fatto ipotizzare la presenza di un edificio ufficiale (da alcuni ritenuto addirittura un’attestazione locale dell’apadana persiana) nei pressi del castello di San Luigi ; il capitello con quattro protomi taurine in stile greco invece è stato reimpiegato nel santuario extra-urbano di Bostan esh-Sheikh (cfr. Yon 1995, p. 120). 257  Per intagliare i blocchi, il materiale litico è trattato secondo le tecniche usate dagli scultori piuttosto che dai muratori ; Boardman 2000, p. 82, trova confronti con alcune realizzazioni greche, in particolare samie.

258  Oggiano 2005, p. 190. Le tracce di una poderosa muratura ascrivibile ipoteticamente a età achemenide a Gerusalemme, sotto alla spianata delle moschee, ha fatto pensare a una fortificazione persiana o piuttosto a un “podio di magnificenza” originariamente posto a sostegno monumentale del santuario cittadino (cfr. Oggiano 2008a, p. 49). 259  Rossi 2006 ; Dunand 1969, pp. 93-99. 260  « Persepolis is the most impressive ceremonial, rather than urban, site » : Boardman 2000, p. 46. 261  Liverani 2004, pp. 362-363. 262  I personaggi raffigurati non corrispondono all’iconografia persepolitana degli abitanti della Cilicia, bensì a quella dei notabili persiani ; vi sono tuttavia alcuni elementi nell’abbigliamento (come il trattamento delle vesti fra le gambe) che sembrano ascrivibili a una mano artistica del tutto locale. La datazione proposta è fra la fine del V e il IV sec. a.C. : Davesne – Lemaire – Lozachmeur 1987, pp. 362-365. 263  Su Susa in età achemenide si veda la sintesi di Boucharlat 1997, pp. 54-67.













































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Fig. 5. Persepoli, coronamento merlato della scalinata dell’apadana.

della costruzione del palazzo di Dario, sono elencati i materiali e i popoli provenienti da ogni angolo dell’impero, coinvolti nell’opera colossale della costruzione. Dopo avere presentato se stesso (« Io [sono] Dario, il grande re, il re dei re, il re dei paesi, re su questa terra, figlio di Istaspe, l’Achemenide »), il sovrano evidenzia la provenienza esotica dei materiali da costruzione (« questo palazzo che ho costruito a Susa, i suoi materiali sono stati portati da lontano »), simbolo tangibile della vastità dell’impero : il legno di cedro viene « da una montagna chiamata Libano » ed è stato trasportato fino a Babilonia dal popolo assiro (una designazione che serve però a indicare le popolazioni “oltre il fiume”, come mostra la versione babilonese del testo), mentre i Cari e gli Ioni l’hanno portato da Babilonia fino a Susa ; l’oro viene della Lidia, l’argento e l’ebano dall’Egitto, 264 l’avorio dalla Nubia – ma è lavorato in loco – e « la decorazione con cui sono abbelliti i muri proviene dalla Ionia », mentre « gli scalpellini che lavoravano la pietra erano Ioni e (di) Sardi ». 265 Le decorazioni parietali, a Susa, sono però pre-

L’immagine dei popoli sottomessi all’impero è riprodotta su alcuni fra i più importanti monumenti celebrativi achemenidi ; in queste raffigurazioni si coglie, come elemento distintivo, un interesse specifico per la differenziazione dei popoli, sulla base dei costumi e degli oggetti. 267 L’affresco corale più impressionante – nel quale i popoli sottomessi trovano una propria precisa collocazione all’interno di un ampio quadro caratterizzato da armonia, ordine e staticità – è quello offerto dai rilievi sulle due scalinate dell’apadana di Perse-

264  Ma « l’argento, con il quale il palazzo veniva decorato, quello (veniva) dalla Ionia » : Panaino 2001, p. 99. 265  Cfr. Panaino 2001, p. 99. 266  Il testo, in definitiva, cita gli abitanti della Ionia che lavorano la pietra in riferimento alla fabbricazione di colonne e non a rilievi figurativi ; poi cita la Ionia come luogo di provenienza della

decorazione delle pareti, che appunto a Susa non è costituita da rilievi in pietra ; infine menziona, fra coloro che decorano le pareti, gli Egiziani e i Medi : cfr. anche Kent 1953, pp. 141-144. 267  Walser 1972, p. 368 : « The large number and diversity of the nations is an important principle in the idea of the Persian Empire ».











feribilmente realizzate riprendendo l’uso mesopotamico (e in particolare neobabilonese) dei mattoni smaltati, con un effetto di spiccata policromia. Dunque, l’affermazione circa il contributo offerto dai Greci della Ionia nella decorazione dei muri è da considerare con cautela, giacché il testo – di natura propagandistica – non è del tutto chiaro nel fornire indicazioni. 266  

La rappresentazione dei popoli nell’arte imperiale









































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poli. Sono qui raffigurate le delegazioni dei paesi soggetti, con i sudditi portatori di doni o tributi introdotti da dignitari imperiali, medi o persiani alternati, distinguibili dall’abbigliamento ; ciascun dignitario posto a guidare un gruppo di sudditi prende per mano il capofila della delegazione, introducendolo simbolicamente ma anche fisicamente al cospetto del re achemenide. Un’attenzione inedita e intenzionale – o per meglio dire “programmatica” – è rivolta alle varie connotazioni di vesti e mantelli, acconciature, copricapi, calzature, oltre che degli oggetti e degli animali portati in offerta. Si ottiene così un insieme variegato, simbolo della pacifica convivenza di una numerosa e variopinta compagine di popoli, che rappresentano tutta la complessità dell’impero : paesaggi, lingue, religioni, usi e costumi anche notevolmente differenti gli uni dagli altri convivono in una stabile armonia. 268 L’avancorpo centrale di ogni scalinata è occupato da un pannello a registro unico, che nella versione tuttora conservata in situ ospita l’immagine di guardie o soldati alternativamente medi e persiani in “marcia statica” verso uno spazio vuoto centrale, originalmente destinato ad alloggiare un’iscrizione. Al posto di questi pannelli centrali, il progetto originario, compiuto nel periodo fra Dario e Serse, prevedeva la collocazione di lastre che sono state poi ritrovate in una corte del Tesoro : su queste lastre compariva un scena di udienza, con il re seduto in trono, con alle sue spalle il principe ereditario, entrambi collocati su una pedana rialzata, sotto a un baldacchino. La centralità del re ben si coniugava con i restanti rilievi delle scalinate : di fronte al sovrano, infatti, un nobile abbigliato alla maniera dei Medi, 269 inchinato, introduceva – a livello logico-sintattico – e riassumeva – a livello simbolico – tutti gli “incontri” dei rappresentanti delle delegazioni con il re.

Si è ipotizzato che i rilievi dell’apadana illustrassero nello specifico la cerimonia del Nawroz, la festa del Nuovo Anno. Il carattere precipuamente concettuale, piuttosto che descrittivo o narrativo, dei rilievi persepolitani rende comunque poco utile domandarsi se la raffigurazione intendesse riportare un evento singolo o piuttosto una serie di eventi, dal momento che in definitiva si vuole trasmettere – anche attraverso eventuali allusioni a cerimonie e momenti specifici della vita imperiale – l’idea stessa della potenza regale. 270 Non vi è dunque “realismo”, nel senso proprio del termine, nella resa dei popoli soggetti e della loro relazione con il centro del potere ; piuttosto le raffigurazioni restituiscono un’immagine ideologica cristallizzata. 271 Rispetto dunque ai possibili precedenti, si nota che nelle raffigurazioni di dignitari e sudditi nei rilievi assiri di Khorsabad molti elementi rendono la rappresentazione assai più realistica di quella persiana, soprattutto nella resa dei gesti propri del protocollo di corte. 272 Un altro possibile precedente è il noto rilievo di Kurangun, nel Fars, la parte centrale del quale reca una divinità assisa (ed è databile alla metà del II millennio), mentre la scena laterale, aggiunta in età neo-elamita, mostra figure disposte in registri, senza la peculiare struttura paratattica che si riscontra a Persepoli. In definitiva, al di là dei debiti con la tradizione precedente, si coglie una spiccata autonomia achemenide nel concepire e realizzare i rilievi raffiguranti le processioni di sudditi e di dignitari, che compongono vasti affreschi caratterizzati da un estremo ordine compositivo, dall’insistenza sulla paratassi, dalle ripetizioni e da una notevole staticità delle figure, insieme però alla volontà di distinguere, connotare, articolare la massa di sudditi provenienti dai vari angoli dell’ecumene persiana.

268  Tale attenzione per i costumi differenti e i particolari “etnicamente connotanti” è stata considerata da alcuni studiosi come segno di una spiccata curiosità etnografica persiana, che sarebbe poi stata trasmessa anche ai Greci. Così, la curiosità etnografica di Erodoto per la varietà dei costumi e dei popoli sarebbe un’eredità dell’antica etnografia persiana ; non essendo possibile dimostrare una dipendenza di Erodoto da eventuali fonti antiche persiane, tuttavia si può ragionare sulla natura dell’approccio etnografico persiano così come rivelato proprio dai rilievi persepolitani, con il loro singolare entusiasmo per la varietà multiforme del mondo conosciuto : Walser 1972, pp. 368-369. 269  Il personaggio di fronte al re, raffigurato nell’atto di proskynesis, è stato variamente interpretato come un dignitario, il capo della guardia speciale del sovrano, il capo della tesoreria imperiale, il capo del cerimoniale di corte con funzioni di ambasciatore : Cool Root 1979, p. 238. 270  Benché le immagini dell’apadana siano strettamente legate al momento storico in cui sono state realizzate, esse sono divenute fonte di ispirazione per i sovrani sasanidi, impegnati a loro volta, molti secoli dopo, a esprimere visivamente un’ideologia di auto-legittimazione e glorificazione del potere in ambito iranico. In effetti, le rovine di Persepoli erano ancora visibili, come è

dimostrato dalla presenza di graffiti sasanidi sugli stipiti. Alcuni richiami alle decorazioni delle scalinate dell’apadana sono stati riconosciuti nei rilievi rupestri sasanidi ai piedi della montagna presso Bishapur : Hermann 1998, p. 42. Persepoli dovette costituire una fonte di ispirazione per i sovrani sasanidi anche dal punto di vista delle soluzioni architettoniche : Roaf 1998. 271  Cfr. Cool Root 1979, p. 249 ; Briant 1996, p. 196 : « Il paraît donc clair que ni les listes de pays ni les répresentations de peuples ne veulent donner une imago réaliste de l’administration ou de la géographie de l’Empire : c’est bien plutôt l’idée même de puissance royale et impériale dont elles sont prioritairement les véhicules ». 272  Nonostante il protocollo di corte mesopotamico fosse stato assai probabilmente introdotto anche alla corte achemenide (Cool Root 1979, p. 264), tutta la complessa gestualità connessa a questo protocollo era stata comunque esclusa dalle raffigurazioni dell’apadana, proprio perché non interessava tanto riprodurre scene realistiche, quanto piuttosto selezionare i dettagli e i gesti provvisti di valenza ideologica pregnante (e dunque valevoli come enunciati significativi sul piano della propaganda e della trasmissione dei valori imperiali).









































parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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Fig. 6. Persepoli, scalinata est dell’apadana, le delegazioni babilonese e “siriana”.

Attraverso la raffigurazione dei popoli sottomessi, si procede a “costruire” la loro identità, così come è percepita in ottica persiana. Alcuni popoli, come i Giudei o come i Fenici, non sembrano “identificati” dai Persiani come gruppi specifici, cui dedicare particolare attenzione. Fra le delegazioni raffigurate nell’apadana, vi sono alcuni sudditi, come gli Arabi (con un dromedario al seguito), o i Babilonesi (con un bue gibbuto e delle stoffe, cfr. Fig. 6), che sembrano ben riconoscibili ; 273 al contrario, molte incertezze e divergenze interpretative sono sorte a proposito della sesta delegazione, collocata spazialmente al di sotto di quella dei Babilonesi. Originariamente interpretati come “Siriani” (Fig. 7), i sudditi della sesta delegazione sono stati

poi ritenuti “Lidi” (e da alcuni, Assiri e Fenici). 274 Tuttavia, se si interpretano come Lidi i membri della delegazione VI, si devono di conseguenza interpretare come provenienti dalla Ionia, anziché dalla Lidia, i sudditi della delegazione XII (Fig. 8), cosa che ad alcuni studiosi sembra in contrasto con la situazione storica al momento della realizzazione di questi rilievi. 275 La dialettica fra centro e periferia – espressa dal punto di vista achemenide nell’idea dello sguardo “unificante” del re che abbraccia tutto l’impero e ne sorveglia la complessità variopinta – è resa visivamente attraverso la raffigurazione dei popoli – abbigliati in modo differente l’uno dall’altro – che reggono la figura del re.

273  Anche la delegazione egiziana, nonostante lo stato di conservazione dei rilievi, è riconoscibile dalle tipiche vesti. 274  Cfr. Schmidt 1953 ; Barnett 1957 ; Roaf 1983. I Lidi tuttavia sono rappresentati a Naqsh-i Rustam vestiti di una tunica corta. 275  Ipotizzando che i rilievi dell’apadana, come sembra pro-

babile, siano stati terminati all’epoca di Serse, negli anni intorno al 480 a.C., va notato infatti che « at this time the Ionian coastal towns no longer belonged to the Persian empire » (Walser 1972, p. 370). È però evidente che il periodo di ideazione dei rilievi deve essere stato anteriore e non è detto che le raffigurazioni potessero essere modificate in corso d’opera.

















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Fig. 7. Persepoli, scalinata est dell’apadana, ricostruzione grafica della VI delegazione.

Fig. 8. Persepoli, scalinata est dell’apadana, ricostruzione grafica della XII delegazione.

Questo tema iconografico è presente sul basamento della statua di Dario da Susa, dove i popoli, cui corrispondono cartigli che ne riportano i nomi, reggono simbolicamente l’immagine del re, stando inginocchiati, con le mani rivolte verso l’alto ; la statua è corredata di un’iscrizione trilingue e una geroglifica. In quest’opera si riprendono modelli figurativi egiziani, giacché la figura di orante inginocchiato deriva dal determinativo geroglifico che vale per “straniero” (e raffigura evidentemente il nemico vinto) ; tuttavia il modello originario è qui modificato, per veicolare un messaggio più strettamente consono all’ideologia imperiale achemenide : infatti, rispetto ad altre realizzazioni di questo soggetto – come nella Stele del Canale, anch’essa provvista di oranti inginocchiati con le mani levate – nel caso delle figurine alla base della statua di  





276  L’accento sembra dunque spostarsi da un concetto di venerazione del sovrano, pari agli dèi, concetto più adatto all’ideologia egiziana, a un’idea invece di sostegno da parte di tutti i popoli dell’impero alla regalità achemenide.

Dario le mani non sembrano sollevate in un gesto di preghiera, bensì nella postura tipica del supporto o della presentazione di qualcosa. 276 Un’analoga raffigurazione compare sulla facciata della tomba di Dario a Naqsh-i Rustam : il re, in piedi con l’arco, sotto alla figura di Ahura-Mazda nel sole alato, sta di fronte a un altare e poggia i piedi su un basamento retto ancora una volta dai sudditi. 277 Il sovrano, nell’iscrizione, afferma che AhuraMazda lo ha fatto re quando ha visto il mondo nel caos ; vi è dunque qui l’affermazione ideologica della contrapposizione tra verità e ordine da un lato, falsità e caos dall’altro. Tale schema corrisponde anche all’usuale contrapposizione fra centro e periferia, che si afferma ampiamente in area vicinoorientale, 278 ma nel caso dell’ideologia persiana l’accento non batte tanto sulla contrapposizione fra  









277  Kuhrt 2007, p. 500.

278  Xella 2000, pp. 21-22.

parte prima. la fenicia e il mondo levantino in ottica achemenide

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La rassegna qui presentata – che non intende essere esaustiva – di testi, documenti e dati desunti dalla produzione artistico-architettonica persiana ha lo scopo di mettere in luce alcuni aspetti della concezione dell’area mediterranea dell’impero in ottica achemenide. Lo sguardo dal centro verso la periferia occidentale dell’ecumene persiana è fortemente condizionato dall’ideologia politico-religiosa achemenide. La “centralità” della Persia si manifesta a diversi livelli : da un lato, come si è visto, si tratta di una centralità “inclusiva”, poiché non è previsto che i popoli sottomessi siano sentiti come “altri”

nel senso deteriore del termine ; l’alterità è considerata – programmaticamente – come un fattore arricchente, almeno fino a quando i popoli e i paesi soggetti al potere imperiale continuano a occupare ordinatamente il posto a loro assegnato, contribuendo così a sostenere l’impero e il re persiano, come del resto è proclamato anche visivamente attraverso le raffigurazioni dei popoli che sostengono il re. La centralità della Persia equivale in definitiva alla centralità del re persiano (e dunque del dio Ahura-Mazda) : tale concetto doveva essere ben chiaro a quanti (compresi i delegati dei vari paesi che giungevano nella capitale achemenide) osservavano i rilievi delle scalinate dell’apadana di Persepoli, il cui punto focale, originariamente, era occupato dall’immagine del re intronizzato. A un secondo livello, la “centralità” persiana, con il suo significato specifico di spazio strutturato ordinatamente e armonicamente (l’ordine versus il caos), si pone come modello da esportare in tutto l’impero, come si è visto approfondendo la questione della creazione di paradisi persiani anche in area occidentale. Infine, a un ulteriore livello, la centralità della Persia sembra anche, per certi versi, conquistata a fatica – e dunque difesa attraverso un apparato celebrativo ben articolato, in parte nuovo, in parte ereditato dagli imperi mesopotamici precedenti – poiché il mondo iranico si pone inevitabilmente sullo sfondo, spazialmente assai lontano, di una vivace fioritura economica e culturale indubbiamente “mediterraneocentrica” : scambi, relazioni, contatti avvengono in quest’epoca soprattutto fra le coste mediterranee ; la Persia si inserisce abilmente in queste dinamiche, pur riuscendo a difendere la propria specifica identità iranica. Tolleranza religiosa, organizzazione statale, tutela e cura delle vie di transito a lunga percorrenza, gestione illuminata e sapiente delle controversie fra gruppi etnici differenti, capacità di dosare gli interventi ad hoc nelle questioni politiche e culturali locali, non seguendo norme prestabilite ma adattandosi alle diverse situazioni regionali : tutti questi aspetti – pur importanti – non sono comunque sufficienti a comporre il ricco quadro della relazione fra la Persia e l’area occidentale dell’impero. Ci si è domandati, all’inizio di questo lavoro, quale rilevanza avesse agli occhi dei Persiani la costa mediterranea e quale immagine della Fenicia – e del resto della Transeufratene – emergesse dalle fonti interne achemenidi. Anche se non è possibile rispondere compiutamente a questi interrogativi, si deve però evidenziare come nella “costruzione” 280 dell’iden-

279  Panaino 2001, p. 85. 280  Si usa qui volutamente questo termine, al posto di “percezione”, per evidenziare come l’identità non sia qualcosa di intrinseco, ma piuttosto di “costruito”, o dall’interno o dall’ester-

no. Anche i processi di costruzione dell’identità altrui, infatti, assumono a volte una portata storica significativa, tanto quanto i (forse meglio indagati) meccanismi di auto-costruzione identitaria.

un “dentro” e un “fuori” rispetto alla Persia, quanto piuttosto su un dentro/fuori rispetto all’impero governato dal sovrano achemenide, estendendo così a tutta l’ecumene imperiale i benefici derivati dalla protezione di Ahura-Mazda : l’armonia divina è incarnata dall’impero persiano ; lo sguardo del re abbraccia la diversità dei paesi annessi, senza pretendere di uniformarne e calpestarne le specifiche identità. A Persepoli, il re intronizzato è retto da figure di portatori, che rappresentano ancora una volta i popoli sottomessi, nella Sala delle Cento Colonne, sullo stipite di uno dei portali. Le raffigurazioni dei popoli a Persepoli, a Susa, a Naqsh-i Rustam rispondono dunque a una precisa ideologia di dominio “illuminato” : di tale atteggiamento è stato messo in luce, da alcuni studiosi, il lato programmatico – un vero e proprio “piano politico” – improntato a una sorta di realismo, più che a una generica “tolleranza” ispirata a principi etici di rispetto e benevolenza. 279 Tuttavia, al di là dell’intento politico-ideologico, vi è anche da parte achemenide un’evidente tendenza a concepire il rapporto centro/periferia – traducibile come rapporto ordine/caos – come applicabile non tanto al dualismo fra la Persia e gli “altri”, quanto piuttosto alla contrapposizione fra l’intera ecumene imperiale – posta tutta sotto la protezione di Ahura-Mazda – e il mondo esterno. L’esigenza di sottolineare l’armonica coesistenza delle differenze e specificità dei vari paesi non sembra dunque solo “strategica”, ma anche in qualche modo “sostanziale”, ossia inscindibilmente connessa alla particolare interpretazione persiana del concetto di dominio universale affermatosi nelle epoche precedenti in area vicinoorientale.  







La Fenicia e il Levante dal punto di vista persiano















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tità propria e altrui (quella dei popoli sottomessi) la Persia seguisse percorsi diversi da quelli su cui si muovevano invece – e si sarebbero poi mossi anche in seguito – gli storici greci o gli autori veterotestamentari. In ottica persiana, per esempio, non vi è traccia di una particolare attenzione rivolta all’identità fenicia, o a quella giudaica, due casi-simbolo per il peso storico che poi avranno a diverso titolo. Non è dunque motivata, dal punto di vista persiano, l’enfasi che dagli studiosi è spesso posta sul presunto trattamento di favore rivolto dagli Achemenidi alla Fenicia, per quanto riguarda i commerci, o alla Giudea, per quanto riguarda il culto. Entrambi i casi devono essere riportati all’interno di un contesto più ampio. Le navi fenicie, del resto, dovevano presumibilmente pagare tasse di import/export nei porti egiziani, come sembra attestare la documentazione proveniente dal porto fluviale di Elefantina ; il tempio di Gerusalemme poté essere ricostruito, esattamente come altri santuari locali di varie regioni dell’impero, nella vita dei quali l’amministrazione achemenide entrava solo se necessario o se esplicitamente richiesto. Non sembra attuarsi una politica di particolare “protezione” verso questi popoli rispetto ad altri. Un’analisi condotta “dal punto di vista persiano” sembra dunque condurre a un ridimensionamento della presunta specificità di alcuni popoli o paesi. Tuttavia, abbiamo messo in luce come lo sguardo  

dal centro verso le molte “periferie” non sia affatto uno sguardo che appiattisce e uniforma, ma piuttosto uno sguardo che tende a evidenziare le differenze, le peculiarità, la varietà. Anche le interazioni e le acquisizioni reciproche, in campo culturale o più specificamente artisticoarchitettonico, dimostrano che la dialettica di interscambio è complessa e non univoca : nel cuore dell’impero vengono adottati modelli iranici, mesopotamici, greci, egiziani, forse in alcuni casi mediati dalle rielaborazioni fenicie e cipriote, e tali modelli si compongono non casualmente ma programmaticamente, dando luogo a un nuovo linguaggio unitario e coerente, capace di veicolare appieno l’ideologia achemenide. D’altra parte, in area occidentale si acquisiscono alcuni elementi di ascendenza persiana, in parte a causa della diretta presenza di Persiani in loco, in parte – eventualmente – per volere delle autorità achemenidi, in parte come espressione della volontà delle élites locali di legittimare se stesse e di autopromuoversi esibendo affinità con il linguaggio usato dal potere centrale. Al di là, dunque, delle semplificazioni della storiografia greca – in primis il concetto già erodoteo della profonda alterità fra mondo occidentale e mondo orientale – un’analisi interna al multiforme “Oriente” mostra come le interazioni culturali sfuggano sempre a gabbie interpretative troppo rigide e siano invece caratterizzate da un’evidente poli-direzionalità e complessità.  

Parte seconda LA FENICIA IN ETÀ PER SIA NA E IL MONDO “COLONIALE” Ida Oggiano

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ol termine “Fenicia” si indica il nucleo principale di quella che fu la terra dei Phoinikes, i Levantini di cui parlano le antiche fonti greche. La terra abitata dai Phoinikes aveva confini incerti e sfumati e solo l’esistenza di limiti territoriali stabiliti con la forza delle armi consentiva di definire l’appartenenza di certe aree geografiche a una compagine politica piuttosto che ad un’altra. Ne consegue che i limiti geografici, politici e culturali di terre come la Fenicia, la Siria e la Palestina (comprendente l’area filistea, i regni di Israele, Giuda e la Transgiordania) variarono a seconda del periodo considerato e del “tipo di confine” (geografico, politico o più in generale “culturale”) preso come riferimento (Fig. 9). La non coincidenza dei confini politici con quelli geografici e culturali rende d’altra parte ancor più complesso individuare elementi connotanti in modo univoco singole aree confinanti e culturalmente affini. Si rende così indispensabile esaminare le testimonianze culturali della Fenicia e dei suoi abitanti all’interno del più ampio panorama levantino, valorizzando gli aspetti dell’interazione tra quei popoli (Fenici, Aramei, Israeliti, Giudei, Filistei, Ciprioti) che, abitando a poche decine di chilometri di distanza l’uno dall’altro, non potevano che vivere di contatti, scambi e interazioni. Gli esiti di queste interazioni rendono sovente complessa la definizione stessa delle caratteristiche connotanti la cultura dei popoli di queste aree ed è pertanto solo studiando il fenomeno (l’interazione appunto) piuttosto che il suo solo esito (i caratteri culturali ritenuti specifici) che si riesce a comprende appieno la storia antica (ma anche quella moderna) di queste terre. 1 Queste considerazioni costituiscono una necessaria premessa per affrontare le vicende di un’età, quella persiana, che vide riuniti politicamente i territori della Fenicia, della Filistea, d’Israele e di Giuda, allorché queste regioni vennero inserite nella satrapia chiamata nei testi persiani Athura (Assiria) e in aramaico Abar-Nahara, cioé “oltre il fiume”. 2

In queste fasi si assiste all’affermazione di due tendenze sulle quali si intende soffermarsi : da un lato la “fenicizzazione” delle regioni costiere, sia siriana che palestinese, attraverso lo spostamento di nuclei di genti verso alcune aree (in particolare nella costa palestinese nei centri di Dor e Jaffa e a nord a Tell Suqas, rifondata nel secondo quarto del IV sec. a.C. da gente arwadita ; 3 dall’altro il sempre più marcato connotarsi in senso cosmopolita dei centri costieri, dove, al di là delle direttive politiche e dell’orientamento culturale delle classi dirigenti, risiedevano Fenici, Aramei, Filistei (ad esempio Ashkelon, città filistea appartenente a Tiro), Ebrei ma anche Greci, Egiziani e, in misura assai minore, Persiani. Questo carattere delle città contribuì a far sì che la costa, luogo di transito, di stanziamento e, quindi, di incontro di genti diverse, costituisse un terreno privilegiato per l’elaborazione di quella koinè culturale che possiamo chiamare “persiana” che si estese ben oltre l’area levantina. Le regioni interne del Levante rimasero ai margini di questo fenomeno tutto costiero : la Siria e la Transgiordania, pur mantenendo un livello di ricchezza ben testimoniato archeologicamente dai resti delle aree urbane e delle necropoli, furono ridotte a terre di transito, mentre la Giudea, uscita schiacciata dal confronto con la potenza mesopotamica che ne aveva devastato il territorio, già cronicamente povero di risorse, doveva fare i conti con la difficile situazione creatasi all’interno della sua compagine etnica e sociale in seguito al ritorno degli esuli da Babilonia. La Fenicia fu quindi di nuovo punto di arrivo e partenza di uomini, prodotti, idee, impulsi e sollecitazioni, confine orientale di un Mediterraneo che fu al contempo spazio fisico, fatto di acqua e delimitato da sponde di terre molto distanti tra loro (dalla costa dell’area siro-palestinese a quelle delle Penisola Iberica), e mondo condiviso, all’interno del quale i Phoinikes ripresero quella funzione di vero e pro-

1  All’interno dell’ampia lettura relativa al concetto di confine e frontiera fisica e culturale si veda, in rapporto a questo periodo e alla regione levantina Elayi − Sapin 2009. Sul concetto nel Levante meridionale Finkelstein − Silberman 2001 ; Oggiano 2005b. Per il mondo punico vedi Bondì 2008. 2  Sintesi storiche ed archeologiche sull’area palestinese in

queste fasi in Stern 2001, Liverani 2003 ; Oggiano 2005b ; Lipschits − Oeming 2006. Per l’area siriana Rossi 2006. 3  Stern 1982. Cfr. anche Nunn 2000, che pone il confine tra regioni culturali diverse, quella siriana e quella fenicia, tra Lattakia e il corridoio di Homs, tra Tell Suqas e Arwad.



















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Fig. 9. Carta della Fenicia.

parte seconda. la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale”

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prio collante che aveva caratterizzato il loro primo muoversi da Oriente a Occidente. Le molte terre che nell’Occidente furono protagoniste di questa storia di rinnovata condivisione mediterranea sono state qui accorpate nella definizione di “mondo coloniale fenicio” che, scelta quasi per necessità, risulta certo insufficiente e, in certi casi, inadatta a descrivere un insieme di realtà assai diverse, riunite dal minimo comune denominatore dell’essere nate come esito del moto coloniale fenicio (già esso stesso caratterizzato da diverse fasi e, quindi, diverse cronologie e modalità). 4 L’aver virgolettato la parola “coloniale” ha lo scopo di sottolineare l’ambiguità del suo uso nel descrivere, con un termine coniato in epoca moderna, il fenomeno del primo stanziamento “lontano da casa” di Greci e Fenici ; 5 l’aver virgolettato il termine “fenicio” indica, invece, il carattere convenzionale di un raggruppamento che vede riunite sotto un’unica etichetta culturale realtà geografiche, politiche e culturali che, a questi livelli cronologici, avevano costruito un proprio percorso storico, sovente svincolato da quello della lontana “madrepatria” e segnato dai fenomeni di interazione e fusione con le realtà regionali locali occidentali. 6 Vincoli di carattere culturale (lingua e religione prima di tutto) indubbiamente vi furono, ma purtroppo la documentazione di cui si dispone non consente di comprendere appieno il modo in cui i discendenti delle famiglie che avevano vissuto nelle colonie per diverse generazioni vedessero tra fine VI e V sec. a.C. una “madrepatria” fenicia lontana fisicamente e con la quale i rapporti erano stati interrotti tra seconda metà VII e VI secolo. 7 Da questo punto di vista è interessante esaminare il fenomeno della ripresa delle relazioni tra Oriente e Occidente, la sua intensità e il riflesso che ebbe sui diversi livelli della scala sociale delle comunità coinvolte, inserendolo all’interno del più ampio panorama della cosiddetta età assiale che vide in diverse aree, anche molto lontane, fenomeni di riscrittura dei rapporti sociali, di passaggio a nuove concezioni religiose e culturali. 8 La comprensione della storia mediterranea non può prescindere quindi dalla conoscenza di un Oriente che, come entità geopolitica e culturale,

non era più formato soltanto dagli stati affacciati sul Mediterraneo o indirettamente a contatto con esso (come i grandi imperi mesopotamici), ma ormai si estendeva a comprendere regioni ancor più lontane come quelle iraniche. La Persia, infatti, giunse quasi imprevedibilmente a rivestire un ruolo cruciale nella storia dei popoli mediterranei, in particolare per il confronto con un mondo egeo che in questo periodo « acquista una propria centralità che viene a contrapporsi e a scontrarsi con l’immagine e la centralità dell’Oriente ». 9 Furono mondi apparentemente molto distanti, ma da lungo tempo interconnessi, quelli che entrarono in contatto in età persiana. Come in un caleidoscopio, le figure degli Orienti (dal Levante costiero, all’Assiria, alla Mesopotamia, alla Persia, comprendendo i molti altri orizzonti regionali interni a queste macroregioni) e degli Occidenti appaiono diverse a seconda del modo in cui l’osservatore ruota la lente attraverso la quale guarda ad esse. Si cercherà quindi di esaminare alcuni dei tanti aspetti che segnarono il contatto tra questi mondi, orientando di volta in volta la lente prima sulla Fenicia e poi sul mondo coloniale d’Occidente e utilizzando i segni che gli abitanti di questi luoghi lasciarono per rappresentare se stessi : scritti e manufatti. 10

4  Sulle fondazioni si veda il recente lavoro di Bondì 2009. 5  Tra gli altri Van Dommelen 2002, p. 121 : « colonialism in (early) modern times is commonly associated with violence, political domination and economic exploitation of indigenous peoples, but the ancient terms primarly referred to absence from home and being in a foreign country ». Sull’archeologia del colonialismo Lyons − Papadopoulos 2002. 6  Asheri 1983, pp. 485-522. 7  Su questi fenomeni vedi le interessanti osservazioni in Van Dommelen 2002, p. 124.

  8  Sull’età assiale cfr. da ultimo Arnason – Eisenstadt − 9  Liverani 1991, p. 937. Wittrock 2005. 10  Sulla Persia si veda la prima parte di questo volume. Relativamente ai rapporti Oriente e Occidente si deve far riferimento ad una bibliografia amplissime che non è possibile citare in questa sede, mentre sulla necessità di esaminare l’oriente in una prospettiva multifocale, ancora basilari sono le considerazioni in Said 1978. 11  Per una recente sintesi sulla Fenicia achemenide Jigoulov 2010.





























La Fenicia di età persiana: caratteri generali ed elementi peculiari La Fenicia fu in età persiana il cuore pulsante della facciata mediterranea dell’Oriente. Il contatto con il Mediterraneo, reso sempre più stretto dalla politica persiana, faceva dei domini costieri il luogo di incontro di due circuiti culturali, quello mediterraneo occidentale e quello mesopotamico. 11 La politica dell’impero assiro aveva già assegnato all’area fenicia il ruolo di redistributore dei beni provenienti dal Mediterraneo occidentale, dove erano sorte a partire dall’VIII sec. le colonie fenicie, lasciando alle città quell’autonomia necessaria alla libera gestione di complesse imprese commerciali in uno spazio marittimo che fu sempre percepito dagli Assiri come qualcosa di lontano e indefinito. Solo con il re assiro Asarhaddon (681-669 a.C.) e poi con Assurbanipal (669-627 a.C.) fu portata avanti una politica di annessione territoriale della Fenicia  

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che avrà, tra le conseguenze, l’interruzione dei rapporti tra la madrepatria e mondo coloniale. 12 Con la caduta dell’impero babilonese per mano di Ciro il Grande, l’egemonia persiana si estese anche sulle città della Fenicia, che dovettero accogliere con favore il cambiamento di “padrone”, soprattutto perché la regione arrivò ad assumere il ruolo di “fronte occidentale” 13 del territorio imperiale persiano, sempre più rivolto ad espandersi verso l’Egitto e l’area egea. Come già avevano fatto gli Assiri, ma con rinnovato spirito e diverse modalità, i Persiani favorirono le attività commerciali delle città fenicie, le quali, rese prospere dalla riapertura delle relazioni con l’intero Mediterraneo, divennero ben presto la base militare navale delle imprese persiane contro i Greci. Le città fenicie ebbero tuttavia un ruolo diverso all’interno della provincia della Transeufratene a seconda del rapporto che intrattennero con l’autorità persiana nelle diverse fasi cronologiche. Se Sidone 14 fu verosimilmente la capitale della V satrapia, Tiro e Arwad (che in queste fasi dovette estendere il proprio dominio fino a Tell Suqas) ebbero un ruolo da protagoniste. Arwad fu più orientata, per la sua posizione geografica e affinità culturali e relazioni commerciali, verso l’area siriana, mentre Tiro ebbe un ruolo secondario fino alla seconda metà del IV sec. a.C., quando, dopo la rivolta del re Tenne, Artaserse mise a ferro e fuoco la città di Sidone. Ci furono città che ricoprirono costantemente un ruolo secondario ad esempio Biblo (che non ebbe relazioni privilegiate con i sovrani persiani, non partecipò alla battaglia di Salamina nel 480 a.C., né ad alcuna spedizione al servizio della Persia, non si ribellò mai contro la Persia), ed altre che dovettero vivere uno status del tutto particolare come Tripoli, “rifondata” in età persiana dalla collaborazione fra tre città (da cui il nome “Tri-polis”), Arwad, Sidone e Tiro, ognuna con un quartiere proprio (Diod. XVI 41). La città di Beirut, pur non ricordata dagli storici del periodo persiano, forse perché aveva un nome diverso, ha restituito testimonianze archeologiche di un centro ricco e fiorente. Le città più note dell’area palestinese furono Dor e Jaffa, definite da alcuni studiosi colonie dell’impero persiano. 15 Altri insediamenti costieri vissero un momento di grande fioritura, ad esempio Acco che

fu un centro amministrativo e portuale usato dagli Achemenidi al momento delle spedizioni contro l’Egitto (V e IV sec. a.C.). 16 Una situazione del tutto particolare è poi quella di Cipro che, divenuta baluardo antigreco per i Persiani, fu legata all’impero per il tramite dei centri costieri fenici come già era accaduto ai tempi della dominazione assira. 17 D’altra parte la Fenicia rivestì sempre un ruolo centrale per le comunicazioni tra le grandi potenze mesopotamiche e l’area mediterranea, in particolare l’Egitto. In questa fase di riapertura dei contatti, la presenza di nuclei di Fenici in Egitto è attestata dalle fonti letterarie, dalle iscrizioni e dai dati di cultura materiale. 18 Erodoto (Hdt. II 112) ricorda l’esistenza del campo tirio a Menfi, dove vivevano i Fenici di Tiro mentre diversi graffiti nei templi egiziani ci forniscono un interessante panorama della variegata popolazione fenicia che circolava allora nella terra del Nilo : “cittadini” residenti da tempo nel paese, persone in transito per viaggi, spesso di carattere commerciale, devoti che si recavano nei templi dedicati alle divinità egiziane (le “firme” fenicie dell’Osireion di Abido) ad altri che onoravano in Egitto le divinità fenicie (in primis Astarte ma anche Bethel e Melkat-Shemir in un tempio al confine tra Egitto e Nubia).

12  Botto 1990 ; Bondì 2009a. 13  Bondì 2009a, p. 9. 14  Per Sidone : Elayi 1989 ; Jidejian 1995 ; Sader 2000 ; Doumet-Serhal 2004 ; su Arwad : Yon − Caubet 1993 ; Caubet – Fontan − Gubel 2002 ; su Biblo cfr. da ultimo Elayi 2008b ; Elayi 2009 ; su Beirut : Sader 2009. 15  Su una possibile “colonizzazione interna” persiana con colonie formate da sudditi fedeli all’impero, come dovevano essere Fenici e Giudei (che infatti sarebbero stati mandati a fondare Elefantina, in Egitto) cfr. Peri 2003 ; Garbini 2005.

16  Stern 2001, pp. 382-383. 17  Cannavò 2007. 18  Bresciani 1987. Su tali temi cfr. anche Bondì 1985, Pernigotti 1988. Per la presenza di materiale fenicio in Egitto si veda Padrò − Ramon 2004. 19  Per l’amministrazione persiana delle province si veda la prima parte di questo volume. 20  Per una cronologia dei regni fenici durante l’Età persiana Elayi 2006 ed Elayi 2008a.











































L’organizzazione politica, militare, economica La novità rappresentata dalla amministrazione persiana nella regione costiera ha evidenti ripercussioni nell’organizzazione territoriale e cittadina. 19 Vengono costruite e/o ricostruite città (con nuova pianificazione degli spazi urbani e le prime installazioni portuali artificiali del Levante) Il governo delle città era affidato a sovrani che, pur con le limitazioni imposte dall’essere al servizio di un grande impero, ebbero un ruolo importante come mostrano i dati epigrafici e archeologici che li riguardano. Sidone offre una documentazione davvero eccezionale al riguardo, con le due genealogie di Eshmunazor (Eshmunazor I, Tabnit I, Eshmunazor II, Bodashtart, Yatonmilk) e Baalshillem (Baalshillem, Abdamon, Baana, Baalshillem II, Abdashtart I – il greco Stratone Filelleno – e T‘– il greco Tenne) 20 (Fig. 10). Anche per Cipro si è informati, grazie a diversi autori classici che parlano  



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delle dinastie cipriote nel periodo compreso tra V e IV secolo. Il re aveva funzione di capo militare, religioso (con compito di edificare o riedificare i templi) e di responsabile dell’attività diplomatica. 21 A fianco del sovrano vi erano importanti organismi rappresentativi e una classe di cittadini abbienti la cui esistenza è testimoniata dalle ricche sepolture della necropoli reale di Sidone e da una produzione glittica, costituita praticamente solo da scarabei e scaraboidi, che

rispecchia l’ampio quadro delle relazioni culturali intessute in queste fasi. Riflesso della forte interculturalità del periodo è la selezione di iconografie e stili che si possono definire ora fenici, ora genericamente levantini, ora egittizzanti, achemenidi, greci e greco-persiani. 22 La funzione militare ricoperta del re doveva svolgersi all’interno di centri urbani ristrutturati e fortificati. La temperie politica di quegli anni, lo scontro con il mondo greco, la funzione svolta dai centri costieri di facciata commerciale e militare dell’impero persiano resero necessario lo sviluppo sia di un sistema fortificato nei centri urbani, che di una importante industria cantieristica che si dedicò alla costruzione di potenti flotte. 23 Resti di fortificazioni sono stati identificati a Biblo (dove un apparato di strutture murarie e torri si trova nel settore est, in corrispondenza di un podio su cui doveva sorgere un tempio) (Fig. 11) 24 e a Beirut (dove furono restaurate gli impianti già esistenti consolidandoli con muri di sostegno e dotandoli di un’opera a casematte a più piani presso l’antica porta sud-ovest). Per la città di Sidone è invece la monetazione cittadina a indicarci l’esistenza di mura urbane che furono scelte come simbolo “civico” a rappresentazione della città (Fig. 12). 25 Il rafforzamento dei sistemi fortificati urbani è peraltro attestato in area palestinese, sia nella costa che nella regione interna : Acco aveva un circuito murario che fu distrutto nel 312, in occasione della presa della città da parte di Tolomeo I e Gerusalemme, intorno al V sec. a.C., fu ricostruita come cittadella fortificata e con una struttura templare su podio che richiama quella della coeva documentazione giblita. 26 Il benessere dei centri costieri di questo periodo non dovette certo essere unicamente legato alla funzione militare che essi svolsero nell’ambito del confronto tra la Persia e la Grecia. Sviluppo demografico e crescita economica andarono di pari passo ed ebbero come esito lo spostamento di vari strati della popolazione all’interno del territorio. Furono i centri costieri a diventare dei veri e propri poli di attrazione, dopo che le aree interne siro-palestinesi si contrassero per effetto di una politica persiana che tendeva a promuovere l’agricoltura intensiva nelle aree irrigue, riducendo ad esclusive aree di pascolo le steppe, come quelle siriane. 27 Pur nella diversificazione delle attività economi-

21  Sul ruolo del sovrano fenicio in età persiana Elayi 1986 ed Elayi 2005. 22  Nunn 2002 ricorda che il cinque per cento dei sigilli sono importati dalla Grecia. 23  Le flotte più potenti erano quelle di Sidone e Tiro. Biblo si dotò di una flotta solo in una fase avanzata del periodo persiano (Elayi 2009).

24  Marco Rossi interpreta la struttura come parte del tempio eretto su podio : Rossi 2007, pp. 29-32. 25  Elayi 1986a ; cfr. anche Betlyon 1982, pp. 3-4, note 8-14 ; da 26  Edelman 2005. ultimo Oggiano 2008a. 27  Per la Fenicia Elayi 1990 ; Bondì 1996, p. 75 ; Mazzoni 2001, p. 323 ; per l’area siriana e palestinese in generale Mazzoni 19911992 ; Rossi 2001 ; Rossi 2006.













Fig. 10. Il sarcofago di Eshmunazor.





















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Fig. 11. Edificio di culto sulla piattaforma orientale e fortificazione.

Fig. 12. Sidone. Moneta d’argento della Zecca di Sidone.

Fig. 13. Sidone. Moneta d’argento della Zecca di Sidone.

che svolte nei singoli centri, si possono identificare alcuni aspetti comuni e che avranno una certa rilevanza nella trattazione dei rapporti con l’Occidente. I centri costieri, in specie Sidone, probabile sede del satrapo e quindi dotata di un particolare status, furono molto prosperi nonostante le continue e onerose richieste di tributi. Si sviluppò un tipo di economia i cui benefici paiono riflettersi sulla mag-

gior parte della popolazione tanto che si è parlato, per Tiro e Sidone, di una « economia di tipo civico ». 28 Il benessere si legò allo sviluppo territoriale di alcuni centri, ad esempio Sidone (su cui si tornerà), 29 alla nuova capacità d’intervento sui mercati e sulle rotte mediterranee, più specificamente, alla ripresa di sistematici rapporti con Cipro e l’Egitto. In funzione del rinnovamento delle importanti attività mercantili furono incrementati i lavori dei can-

28  Elayi 1990, p. 6.









29  Elayi 1989, pp. 81-107.

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tieri navali, già molto attivi nella costruzione delle navi da guerra. Ripresero in ambito urbano le attività artigianali tradizionali dell’area che ricevettero proprio dalla riapertura delle vie commerciali, nuovo impulso : dalla lavorazione e commercializzazione della porpora, alla pesca, alla lavorazione dell’osso e dell’avorio, a quella del vetro. I resti archeologici dei centri costieri, da Sidone a Beirut, parlano di città protagoniste di commerci a breve e lungo raggio, con Cipro e con l’Egeo e con i siti costieri e interni della costa siro-palestinese. 30 La presenza di mercanti fenici in diverse aree della Satrapia è ben testimoniata dalle fonti letterarie. Nell’Antico Testamento (Ne 13, 16), 31 ad esempio, si parla dei mercanti che risiedevano a Gerusalemme, a testimoniare del ruolo che le città costiere ebbero nel commercio con le aree della Cisgiordania. Di agenti commerciali fenici stanziati in Egitto è invece testimonianza indiretta la presenza nella cittàmercato di Siene, nella regione di confine tra Egitto e Nubia, dei templi dedicati alle divinità fenicie Betel e Melkat-Shemir, la “Regina del Cielo”. Il commercio del vino, ben descritto dal famoso passo di Erodoto (Hdt. III 6) dove si parla di anfore arrivate dalla Grecia e dalla Fenicia, è noto anche grazie alle iscrizioni su anfore commerciali provenienti dalla colonia giudea di Elefantina. Su una sessantina di recipienti sono infatti riportati nomi egiziani, forse i destinatari del contenuto dell’anfora oppure, nomi fenici, forse il commerciante e/o distributore in Egitto o colui presso il quale il “vino di Sidone” era immagazzinato per essere poi distribuito alla clientela. 32 In relazione all’aumento della popolazione si manifestò la necessità di sfruttare al meglio le risorse agricole del territorio. La sussistenza dei popolosi insediamenti costieri era garantita dallo sviluppo degli antichi centri agricoli : dall’area litoranea siriana, descritta nelle fonti classiche come disseminata di vigneti e campi coltivati dalla costa alla montagna 33 (con Tell Kazel, sulla riva destra del Nahr el-Abrash), a quella meridionale palestinese, a ridosso del Monte Carmelo, che costituì per la regione tiria un punto cruciale, quale accesso alla piana di Esdraeolon da cui provenivano i prodotti alimentari per il consumo interno e per l’esportazione. In funzione della produzione e dello scambio dei prodotti di quest’area nacque una serie di

insediamenti, organizzati in un vero e proprio sistema territoriale. 34 Fenomeno del tutto singolare e tipico del periodo fu poi la nascita delle grandi tenute fondiarie delle famiglie di governanti, i cosiddetti “paradisi” persiani. 35 Si trattava di tenute all’interno delle quali si trovavano edifici di una certa importanza, legate ad organismi preposti alla gestione e al controllo della produzione agricola. 36 La vera grande innovazione nell’economia della regione fu tuttavia l’introduzione del sistema monetale. 37 Fu soprattutto il rapporto col mondo greco che stimolò l’adozione e caratterizzò l’impiego della moneta. Infatti si può dire che l’uso della moneta come sistema di scambio rimase sostanzialmente estraneo alla mentalità economica dell’impero achemenide e in generale del Vicino Oriente. Le monete furono impiegate nel commercio col mondo greco e per il pagamento delle truppe greche arruolate nell’esercito persiano. La concessione di battere monete in argento era riservata ai dinasti tributari (le città della Fenicia) o ai satrapi in occasione di eventi straordinari, quali le operazioni militari. La prima città a battere moneta fu Biblo, altre sedi di zecche furono Arwad, Tiro e Sidone. 38 Ciascuna città sviluppò una propria iconografia, spesso con allusione alla tradizione storica, alla potenza politica e alla specializzazione economica dei singoli centri : a Biblo era egittizzante e locale, ad Arwad era prevalentemente greca, a Tiro si trovano elementi di derivazione achemenide (l’uomo con l’arco), greca (l’ippocampo e il delfino), egiziana (l’hibou) e locale (la nave), a Sidone prevalse un mélange fenicio-achemenide. 39 La monetazione di Sidone riveste un particolare interesse in relazione alla tematica qui trattata per la presenza di un motivo iconografico che, tipico di queste fasi cronologiche, è stato al centro di numerosi studi (Fig. 13). Si tratta di un conio, datato verso la fine del V fino al 333 a.C., 40 su cui è presente un gruppo iconografico costituito da un carro su cui si trovano il conducente e una figura con veste elamita-persiana e un copricapo dalle diverse fogge (ora dentellato, ora un alto polos, ora uno basso e cilindrico). Il carro era seguito da un personaggio a piedi che indossa talora un copricapo che si ispira alla corona egiziana oppure uno piatto e tiene sempre un vaso (una situla, una brocca o un alabastron) nella mano sinistra e solleva uno scettro che

30  Sader 1998 ; Doumet Serhal 2004, pp. 102-123. 31  Edelman 2006. 32  Porten − Yardeni 1999 (= TAD D 11.1-26 Jar inscriptions). Si veda anche Bresciani 1987, p. 70. 33  Rossi 2001, p. 335. 34  Lehmann 2001. 35  Il nome sembra derivare da un’originaria radice persiana che in elamita diviene partetash, in greco paravdeiso~ (Rossi 2006,

pp. 570-571 dove si ricorda l’esistenza di un paradeisos anche a Gerico e nella Siria interna). 36  Si veda la prima parte di questo volume. 37  Elayi 1992 ; Jigoulov 2010, pp. 71-112. 38  Per Biblo : Elayi 2009 ; per Tiro : Elayi − Elayi 2009 ; per 39  Nunn 2002, p. 19. Sidone : Elayi − Elayi 2004a. 40  Elayi − Elayi 2004b, p. 89.











































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termina con una testa di animale (ram-headed staff), solitamente con la mano destra. 41 Le due figure sono state diversamente interpretate. Secondo alcuni l’immagine del personaggio sul carro sarebbe quella del re di Sidone, secondo altri quella del sovrano persiano, seguita a piedi dal dinasta locale fedele/sottomesso al Gran Re, altri infine pensano che la scena rappresenti una processione cultuale con sul carro una divinità, un Baal della città forse, seguito da un suo servitore/sacerdote, probabilmente il re di Sidone. 42 La figura del personaggio che segue il carro, denominata “suivant du char royal”, compare in molte occasioni tra le iconografie fenicie : dagli avori (dove la figura si colloca in una sfera sovraumana), alle stele funerarie di Sidone, al rilievo di Wadi Ashur, a sud di Tiro, alla glittica. 43 Essa è spesso duplicata ai lati di una figura seduta in trono, è stata interpretata come la raffigurazione, in età persiana, degli antenati reali deificati, protettori del re e della dinastia regnante. 44  









Lo spazio urbano L’organizzazione dello spazio urbano in età persiana dovette riassumere in sé elementi di derivazione locale e rinnovati spunti elaborativi dovuti alla necessità di ripensare i centri urbani in base alle nuove esigenze del panorama politico ed economico dell’impero achemenide. Due sono gli elementi connotanti di questa riorganizzazione : la costruzione di impianti urbani regolari all’interno dei quali lo spazio cittadino era suddiviso in senso funzionale (con zone agricoli e quartieri artigianali e portuali) con una evidente regolarità nella disposizione degli isolati abitativi e il nuovo rapporto tra città e territorio. La riorganizzazione degli spazi urbani secondo un schema concettuale ben definito è riflesso della necessità e volontà di far fronte alle esigenze di una popolazione demograficamente cresciuta e di un nuovo assetto politico e sociale in cui le ricadute del benessere economico dovevano coinvolgere, come  

41  Il motivo è attestato per la prima volta nel Levante nella stele di Ugarit cosiddetta “dell’omaggio al dio El”. Lo scettro ram-headed diventa più elaborato nel corso dei secoli (ad esempio ha una corona di Isis/Hathor negli avori egiziani degli inizi del I millennio) tanto che nei monumenti di età persiana si riduce a una sorta di appendice. 42  Per la presentazione delle varie ipotesi si veda Elayi 2004b, che ritiene la più probabile quella che si tratti della processione religiosa di una divinità locale con la partecipazione del re di Sidone. 43  Cecchini 2005, che data le stele alla fine del dominio babilonese nella regione, intorno alla metà del VI sec. a.C., quando vi fu un revival degli influssi egiziani ; E. Gubel (Gubel 2002, pp. 82-83) invece le data tra il IX e il VII secolo.  

si è detto, buona parte della popolazione urbana. Gli spazi urbani ed extraurbani sono ora occupati in modo non casuale ma, verosimilmente, secondo precise normative. Al contempo si osserva che l’organizzazione dei centri cittadini (riscontrabile a Tell Suqas, Al Mina, Biblo, Beirut, Sidone e, nell’area costiera palestinese, Abu Hawam, Acco, Dor e Shiqmona, seppure con evidenze documentarie di diversa entità e tipologia) inserisce l’area costiera levantina in una tendenza riscontrabile in diversi contesti urbani di area mediterranea (Fig. 14). 45 Si può anzi osservare che una prima forma di regolarizzazione degli impianti urbani secondo schemi di ortogonalità nella disposizione degli spazi abitativi pare esistere in area levantina già prima della sua diffusione in ambito greco 46 e della sua “canonizzazione” ad opera di Ippodamo di Mileto. 47 Il rapporto con la Persia è in qualche modo indiretto. La politica achemenide, cioè, favorirà lo sviluppo delle innovazioni (tra l’altro il potenziamento dei porti) ma l’influsso a livello architettonico sarà marginale e direttamente visibile solo per l’adozione di alcuni elementi di corollario come, ad esempio, le decorazioni di palazzi e templi con capitelli a protomi taurine.  





Spazio urbano e territorio : il caso di Sidone  

Sidone rappresenta un caso di studio fondamentale per la conoscenza delle modalità di organizzazione territoriale di un centro fenicio di età persiana. Carattere precipuo è la continuità esistente tra le diverse zone urbane e le aree agricole dell’entroterra, talvolta costituite da dépendences. 48 Le fonti assire e le epigrafi regali sidonie indicano l’esistenza di un assetto topografico dell’insediamento e del suo comprensorio territoriale tra VII e V secolo così organizzato : un’area propriamente urbana, corrispondente all’attuale città vecchia, chiamata “Piccola Sidone” o “Sidone del Mare” e un’area periurbana ed extraurbana, chiamata “Grande Sidone” o “Sidone della piana”, con villag 



44  Cecchini 2005. 45  Rossi 2001, pp. 339-400 ; Rossi 2007, pp. 571-572 ; per Beirut cfr. Sader 2009. 46  Stern 2001, p. 395, osserva che a Dor l’organizzazione regolare dell’abitato, databile alla fine del VI sec. a.C., è molto simile a quella del centro di Olinto in Macedonia, che però si data al IV sec. a.C. Herzog 2009, p. 42, sostiene che « Phoenicians developed the “Hippodamian” grid-system ». 47  Greco 2001. Ippodamo, peraltro, più che inventore di uno schema urbano a griglia regolare sembra il teorizzatore di una pianificazione urbana che tenesse conto non solo di indicazioni di ordine topografico, ma anche di tipo politico, sociale ed economico. 48  Elayi 1987, pp. 12, 18-21 ; Elayi 1997 ; Bondì 2004a.  











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Fig. 14. Beirut. Quartiere di abitazione di età persiana.

gi, insediamenti agricoli, infrastrutture, necropoli e santuari (Fig. 15). 49 La Sidone del mare era raccolta intorno a due porti, costituiti da un bacino interno separato dal mare da una striscia di terra e un porto esterno, forse l’ancoraggio protetto dall’isola Zire. Il tell antico, corrispondente forse all’acropoli cittadina, si trova nell’area del Kalaat el-Mezze o Castello di San Luigi, dove si sono concentrati gli interventi archeologici più recenti (Saint Louis Castle site, Sandikli site, College site). 50 Nell’area del porto doveva trovarsi la residenza dei re di Sidone, forse in parte ispirata agli edifici palatini iranici con sale ipostile. 51 Da questa zona provengono, infatti, alcuni frammenti architettonici pertinenti ad una base di colonna di tipo assiro, a fusti di colonne scanalate e un capitello con pro 





49  Elayi 1989 ; Doumet-Sehral 1999. 50  Doumet-Serhal 2004.

tomi taurine, 52 affine ai capitelli persiani che ornavano il “Tripylon” o la “Sala delle cento colonne” sulla terrazza di Persepoli, databili quindi al V sec. a.C. (Fig. 16). A partire dal VI sec. a.C., sotto la dinastia sidonia fedele al re di Persia, la “Sidone della piana”, da sempre utilizzata come hinterland agricolo e area sepolcrale (funzione che mantenne con la realizzazione di necropoli dall’evidente impegno edilizio nelle aree a sud-est della Piccola Sidone), assunse un ruolo centrale nell’articolazione del sistema urbanistico, divenendo elemento cardine nella vita pubblica della città. Fattore determinante per lo sviluppo della zona fu la presenza del fiume Awali (antico Bostrenus o Asklepios). Le sue acque ebbero la funzione di rifornire, attraverso la costruzione di un acquedotto e di un articolato sistema di canali  







51  Doumet-Serhal 1999, pp. 33-35. 52  Stucky 2005.

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Fig. 15. Sidone. La regione e la sua necropoli.

(attività celebrate dal re Bodashtart intorno al 520 a.C con una lunga iscrizione rupestre), 53 sia le te-

nute agricole (tra le quali il paradeisos di cui riferisce Diodoro Siculo) 54 sia il centro urbano, dove erano

53  Per l’acquedotto : Doumet-Serhal 1999, p. 5, con riferimento a un ipotesi di M. Dubertret ; Xella et al. 2005. Per l’iscrizione di Bodashtart : Xella − Zamora 2005a ; Xella − Zamora 2005b ; Oggiano − Xella 2009, con bibliografia.

54  Non a caso, entrambi furono oggetto di depredazione al momento della rivolta di Tenne, come testimoniano sia il passo di Diodoro Siculo (Diod. XVI 41-45) sia gli scavi condotti nel santuario.















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dei molti casi di attività di edilizia religiosa messi in atto nell’area levantina sotto la dominazione persiana. 57 L’area fenicia 58 rappresenta un osservatorio privilegiato per esaminare nel dettaglio gli effetti di quanto sopra esposto in considerazione dei molti luoghi di culto urbani ed extraurbani databili al periodo in esame. Nella tradizione della funzione di re costruttore/i, si colloca l’edificazione o ricostruzione di templi ed edifici di culto celebrata in iscrizioni sia commemorative che funerarie. Si è già ricordata la commemorazione da parte di Eshmunazor ii della costruzione dei templi ad Astarte e al Baal a Sidone. A Biblo è il re Yehawmilk (450 a.C. circa) a celebrare in una famosa stele 59 il restauro del tempio della Baalat con la realizzazione di un portico, mentre alla fine del VI sec. a.C. si data la costruzione nella città di un tempio su alto podio che, per tipologia e tecnica, ricorda quelli di Eshmun a Sidone e di Yahweh a Gerusalemme. La continuità d’uso del famoso tempio di Melqart a Tiro è peraltro ricordata nel noto passo di Erodoto (Hdt. II 44) dove lo storico greco ricorda di averlo visitato e ne fornisce una viva descrizione. Si è già accennato al fatto che in questo periodo si afferma il culto di divinità sempre più responsabili del benessere personale di un individuo, spesso dai caratteri preminentemente salvifici 60 o di divinità che videro espandere il loro ruolo di guaritori come numerosi Baal e lo stesso Melqart. 61 Di Eshmun, dio dinastico di Sidone, furono potenziate, a partire dall’inizio del V sec. a.C., le qualità di dio guaritore che erano peraltro già espresse nell’etimologia del teonimo, connesso con la radice semitica *šmn che indica grassezza, pinguitudine e buona salute e da cui deriva il termine “olio”. 62 In virtù di tali aspetti gli fu dedicato tempio « alla fonte Ydll alla/nella montagna », come è dichiarato dal re Eshmunazor II nell’iscrizione incisa sul suo sarcofago (CIS I, 3), da identificarsi con il santuario di Bostan esh-Sheikh, sulla sponda meridionale del Nahr el-Awali. A Bostan esh-Sheikh il culto di Eshmun fu identificato con quello di Asclepio. In realtà le due divinità non sono identiche nella morfologia divina e nel culto ma si mostrano piuttosto affini nel loro ca 





Fig. 16. Capitello con protomi taurine dal College Site di Sidone.

concentrate intorno al porto le attività artigianali e commerciali, e al contempo di alimentare le installazioni cultuali del più importante luogo di culto della città, il santuario dedicato al dio Eshmun, costruito sul lato sinistro del fiume. Nell’area extraurbana furono quindi spostate anche alcune delle più importanti attività religiose, come quelle legate proprio al culto del dio dinastico Eshmun, a indicare come si fosse attenuato legame tra la “città”, intesa anche come sede del potere politico, e la/le divinità poliade/i. 55  

Gli dèi, i luoghi e le immagini È noto che i sovrani persiani attuarono una politica di ricostruzione delle strutture religiose in tutte le terre poste sotto la loro giurisdizione, dalla Fenicia alla Palestina all’Egitto ; tutte le Satrapie ebbero edifici di culto nuovi o semplicemente ricostruiti e restaurati. L’esempio più famoso di tale politica è certamente la riedificazione del tempio di Gerusalemme, 56 che, presentato nel testo biblico come evento unico, dovette costituire solo uno  



55  Oggiano − Xella 2009. Eshmunazor costrui nella “Sidone del mare” due templi, ma erano per gli “dèi dei Sidonii” e non per il dio dinastico. 56  Per una sintesi sulla questione Oggiano 2005b. 57  Tra gli altri templi dell’area area palestinese, si ricordano i lavori effettuati nel tempio di Tell Dan e la costruzione del cosiddetto Solar Shrine a Lachish, e, probabilmente, già del tempio sul Monte Gerizim, nonché la ristrutturazione dell’area sacra di Tell Dan. Sulla religione della Giudea di età persiana si vedano le considerazioni in Stern 2006. Sui templi si veda Oggiano 2008a. 58  Per una panoramica delle testimonianze di culto fenicie in età persiana cfr. Lipin´ski 2003.











59  Dunand 1941, pp. 58-59 ; sulla stele e il tempio : Rossi 2007, pp. 26-29. 60  Xella 1993. 61  Sul rapporto Eshmun-Melqart come divinità dalle qualità terapeutiche cfr. Bonnet 1988, pp. 117-119. 62  Si tratterebbe di una evoluzione politeistica che muove dalla deificazione dell’elemento vegetale al dio che ne personalizza i poteri iatrici. Così Xella 2001 ; Ribichini 2010. I testi di Ebla, in Siria, alla fine del III millennio, poi quelli di Ugarit nel II, conoscono in effetti una divinità che deve il suo nome, e verosimilmente il proprio ruolo, all’olio vegetale (Xella 2001).  





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ida oggiano rattere salutifero e nella originaria natura mortale. Strabone ricorda l’esistenza a nord di Sidone di un boschetto intitolato ad Asclepio e successivamente vari Itineraria collocano qui un santuario del dio e un corso d’acqua omonimo. A Bostan esh-Sheikh il culto di Asclepio assorbì quello precedente di Eshmun, mantenendo tuttavia in epoca ellenistica le peculiarità del legame cultuale con Astarte e di luogo di pratiche salutari, connesse allo sfruttamento delle acque del fiume. Oltre ad Eshmun, dio salvifico per eccellenza, la guarigione dalle malattie fu competenza di diverse divinità. Ad Amrit, ad esempio, fu venerato anche Melqart 63 insieme, forse, ad altri dèi, e nello stesso Bostan esh-Sheikh ci si rivolgeva anche alla dea Astarte. Può essere indizio di una certa pluralità di culti, rispetto ad analoghe finalità religiose (con più divinità interessate a un’identica sfera d’azione) ma anche, e più semplicemente, il riflesso d’istanze personali dei singoli frequentatori del luogo sacro. D’altro canto, connessioni con l’acqua sorgiva, forse con l’idroterapia e talora certamente con l’idromanzia, compaiono anche nei luoghi consacrati ad altre divinità fenicie, ad esempio sul Monte Libano, presso la grotta di Afqa e nelle sorgenti del fiume Adonis, oppure a Cipro, nei templi di Kathari e Bamboula. Tra le divinità guaritrici si ricorda anche Shadrafa. L’origine e l’etimologia del nome sono discusse : šdrp’, šd, “Guaritore” in fenicio, in greco Satravph~ e Sadravph~, ma anche hštrpty nella trilingue di Xanthos, grafia aramaica di un nome persiano (« Signore del potere » ?) 64. Una possibile immagine del dio si trova sulla stele proveniente dal Nahr el-Abrash, nell’area di Amrit dove il dio, vestito all’egiziana, è rappresentato mentre, brandendo una mazza e afferrando un leoncino, incede su un leone sopra le montagne. La stele doveva essere originariamente collocata in un santuario montano, che in età romana era dedicato a Zeus, ma che l’etimo locale, Baitokikai (luogo del ricino), collega alla funzione di dio guaritore dell’originario titolare del culto (Fig. 17). 65 I luoghi di culto associati alle divinità guaritrici mostrano caratteri costanti, sia pure in forme non codificate. I culti venivano infatti praticati in luoghi dalle precise caratteristiche topografiche (spesso appartati, in aree extraurbane o presso la città ma in contesti isolati e ricchi d’acque) e all’interno  













63  Sul rapporto Eshmun/Melqart, in quanto dèi dalle qualità terapeutiche, cfr. Bonnet 1988, pp. 117-119 ; Bonnet − JourdainAnnequin 2001. Contra Nitschke 2007, pp. 56-62. 64  Dati e bibliografia in Lipin´ski 1995, pp. 407-408. 65  Cecchini 1997. La studiosa osserva che l’etimologia del toponimo bet kiki o keika significa “luogo del ricino”.  

Fig. 17. Amrit (Tell Kazel ?). Stele del dio Šdrp∆.  

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di strutture architettoniche dove lo spazio dedicato al culto era più aperto, articolato, “permeabile”, adatto alla partecipazione diretta dell’individuo alle attività rituali. L’abbattimento delle “barriere architettoniche” che impedivano ai devoti di accedere direttamente al tempio e ad alcune parti di esso è indicativa quindi del mutato rapporto tra divinità e fedele e della pari dignità che gli individui hanno davanti alla divinità. Queste caratteristiche si ritrovano in alcuni dei templi fenici più noti : Bostan esh-Sheikh a Sidone e Ayn el-Hayat e Amrit, nel territorio di Arwad. 66 Il tempio di Eshmun ha una storia lunga e articolata. 67 Fondato, come si è detto da Eshmunazor II, con rifacimenti ad opera di Bodashtart da datare tra l’ultimo quarto del VI – inizi V e la metà del IV secolo, il complesso si articolava intorno ad un imponente podio, appoggiato alla collina, che sosteneva diverse fabbriche templari costruite in momenti diversi (Fig. 18). Le fasi edilizie del santuario, di difficile ricostruzione, 68 mostrano che l’area intorno al podio monumentale fu progressivamente occupata da strutture edilizie secondarie ed accessorie, destinate ai fedeli che si recavano al santuario per bere o bagnarsi con l’acqua benedetta. Nella progettazione e nella morfologia del santuario è riflessa la doppia sfera di azione del dio Eshmun. La sfera pubblica, come divinità dinastica, era espressa dal grande podio e dalle strutture templari collocate al di sopra, secondo uno schema che si ritrova nei coevi esempi di Biblo e Gerusalemme, che per la sua posizione eminente e per il carattere dei suoi edifici doveva essere accessibile solo alle autorità religiose (ivi compresi i sovrani di Sidone) e agli addetti al culto. La sfera d’azione individuale quale divinità dai caratteri terapeutici era invece architettonicamente richiamata dalla presenza, almeno nella fase ellenistica, di piscine e bacini lustrali destinati probabilmente all’idroterapia e talora all’idromanzia. Lo spazio non è più chiuso e segreto ma aperto, attraversabile e percorribile da coloro che si recava a portare i doni e/o a chiedere una grazia al dio. Il fedele vi si poteva “immergere” fisicamente, forse seguendo anche un particolare percorso rituale. Collegata a rituali specificamente dedicati all’infanzia, è la presenza a Bostan esh-Sheikh di circa 100 statuette di un tipo noto come temple-boy (Fig. 19). Esse raffigurano bambini di uno/due anni, nu-

di, accovacciati e intenti ad attività giocose e che sovente stringono tra le mani animali, fiori, frutta, giocattoli. Alcune di queste statuette presentano iscrizioni votive con dedica al dio Eshmun per invocarne la protezione, anche per il loro contesto di ritrovamento (una favissa), sembrano costituire degli ex voto di prestigio. Famosa la statua del principe Baalshillem, figlio del re Baana, che offre la statua « al suo dio Eshmun nella sorgente Ydll » (430 a.C. circa). La peculiarità dell’iconografia doveva consentire una sua immediata associazione con un mito o un rituale da essa evocato. Le ipotesi relativamente al suo significato sono diverse : 69 dai rituali che riguardavano la prostituzione sacra, a quelli di ringraziamento per la nascita di un figlio, a quelli connessi alla circoncisione, a quelli d’invocazione per la fertilità o contro le malattie sessuali, a quelli di passaggio nella vita dei piccoli. Le innovazioni dell’architettura religiosa di questo periodo sono ancor meglio documentate nell’area arwadita. Ancora una volta una sorgente alle cui acque erano attribuite funzioni curative fu all’origine della costruzione, nel VI sec. a.C., ad Amrit di un edificio di culto, dedicato a Eracle/Melqart, rappresentato in diverse statue di culto, e ad Eshmun e Shadrafa, dèi dai forti caratteri salvifici di cui restano le dediche in fenicio. 70 Tra il V e la metà del IV secolo il luogo di culto fu riedificato in forme nuove sulla base di un progetto che è tra i più originali ad oggi noti nell’area levantina del I millennio : un’edicola a forma di naos egittizzante fu posta in posizione centrale e rialzata al centro di un grande bacino scavato nella roccia e riempito dell’acqua proveniente dalla antica sorgente sacra e circondato su tre lati da un portico con pilastri a sezione quadrangolare. L’“architetto” di Amrit accostò in modo del tutto singolare e innovativo elementi di varia origine e destinazione : il naos d’ispirazione egiziana, la piscina sacra e il portico a “U” (Fig. 20). Quest’ultimo, destinato ad accogliere i fedeli che da tutta la Fenicia si recavano al santuario per invocare la guarigione anche attraverso la pratica di riti incubatori, è attestato nella forma Π anche nel santuario di Artemide a Brauron. 71 La contemporaneità di attestazione di questa forma architettonica sia in Grecia che in Fenicia testimonia la stretta interazione culturale tra ambito greco e ambito fenicio nella condivisone di pensieri religiosi, filosofici e politici che portò alla

66  Mazzoni 2001. 67  Stucky − Mathys 2000 ; Stucky 2002 ; Xella − Zamora 2005a ; Xella − Zamora 2005b. 68  Stucky 2005 ; Stucky et al. 2005. 69  Sui temple-boys : Beer 1992 e 1994. Inoltre si veda da ultimo Baurain 2008, con bibliografia. 70  Dunand − Saliby 1985.

71  In Grecia il portico venne impiegato tanto nell’architettura civile che in quella religiosa, ma è attestato in epoca antecedente al V sec. a.C. solo nella sua forma rettilinea (si ricorda ad esempio la stoà del tempio di Hera a Samo di VII sec. a.C.). Per un inquadramento generale del portico in ambito greco cfr. Coulton 1976 ; Coulton 1997.





































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Fig. 18. Sidone, Bostan esh-Sheikh, Santuario di Eshmun. Ipotesi ricostruttiva della sezione del secondo podio col tempio antico e il tempio classico (IV sec. a.C.).

Per quanto concerne in particolare la diffusione del culto di divinità come Eshmun e Asclepio, i santuari dedicati a queste divinità furono probabilmente luoghi di condivisione non solo di pratiche religiose ma anche di informazioni relative alle pratiche mediche. Infatti in essi dovevano esser formato del personale che praticava una “medicina religiosa” che si affermò in modo prepotente proprio in questo periodo, perfino nella Grecia dove era diffusa la medicina razionale ippocratica (si pensi all’esplosione del culto e dei santuari di Asclepio). 73 La diffusione delle pratiche mediche fece inoltre del Levante il luogo in cui si incontrarono i mondi greco, grazie all’identificazione di Eshmun con Asclepio, 74 egiziano e persiano. 75 La frequentazione internazionale dei grandi santuari 76 e lo sviluppo di pratiche cultuali che vedevano l’individuo partecipare in prima persona alle attività rituali, condizionò forme ed immagini degli oggetti utilizzati nel rituale. La coroplastica, ad esempio, si diffonde come genere artigianale perché nei culti delle divinità salvifiche era usuale offrire agli dèi statuette come ex voto. 77 La proliferazione dei depositi votivi contenenti centinaia di statuette indica che al rituale erano ammesse le più diverse componenti della scala sociale, visto che il tipo di oggetto offerto come vo 







Fig. 19. Sidone, Bostan esh-Sheikh, Santuario di Eshmun. Statua di Baalshillem.

formazione di una prima koinè culturale che coinvolgerà in età achemenide il solo mondo levantino e si estenderà in età ellenistica a comprendere l’intero bacino del Mediterraneo. 72  

72  Mazzoni 2001, p. 320 ; Oggiano 2006, pp. 152-153. 73  Jouanna 1997, pp. 796-797 ; Edelstein − Edelstein 1998, p. 75. 74  Xella 1999, p. 147. 75  Avalos 1995 ; Arata 2006.  







76  Sul ruolo dei santuari come poli di richiamo culturale e artistico oltre che religioso Mazzoni 2001, p. 320. 77  Oggiano 2005b, pp. 203-209.

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Fig. 20. Amrit. Ipotesi ricostruttiva della seconda fase del tempio.

to era economicamente accessibile anche alle persone più povere. È in questo clima di apertura sia verticale (sociale) che orizzontale (scambi internazionali) che matura il fenomeno della formazione di un repertorio iconografico locale che attingeva all’ampio mondo di immagini delle religioni greca, cipriota e egiziana. La forte apertura dell’area costiera fenicia verso il mondo mediterraneo (contrariamente all’area siriana che si apre solo moderatamente agli influssi esterni) portò alla diffusione di tipi iconografici e di moduli stilistici che inglobano elementi locali, egiziani e greci. 78 Gli effetti dei fenomeni di assimilazione e di sincretismo, particolarmente evidenti nel periodo achemenide, rendono talora impossibile stabilire un rapporto diretto tra tipo di attributo originario della divinità e sua rielaborazione o reinterpretazione locale. 79 Al di là quindi dell’attribuzione delle immagini a precise figure divine, da quelle femminili in forma antropomorfa (la figura con le braccia aperte e distese 80 e quella col disco al petto) 81 a quella di simbolo (il cosiddetto segno di Tanit) e a quelle maschili (personaggio maschile assiso, avvolto in un mantello e con barba e grandi baffi, rappresentato nell’atto di toccarsi la barba ; il cosiddetto cavaliere persiano), 82 si possono riconoscere delle tendenze generali tipiche di queste fasi cronologiche. Gli aspetti che maggiormente vengono rappresentati sono quelli della maternità e dell’infanzia, sia che si ispirasse alla tradizione locale (la figura femminile con le mani ai seni il cui

gesto va probabilmente letto in queste fasi come offerta di nutrimento piuttosto che sessuale) che a quella fenicia (la cosiddetta pregnant woman o che allatta un bambino), o ancora a quella egiziana (la cosiddetta Isis lactans e Horo-Arpocrate) o, infine, a quella cipriota (il tipo del temple boy). 83 Motivo di riflessione ulteriore è quello del significato da attribuire alle raffigurazioni di divinità egiziane e alle loro iconografie che, note nel mondo levantino da secoli, ricomparvero in molti oggetti importati (e in alcuni casi imitati in loco) in seguito alla riapertura dei rapporti con l’area nilotica. Tra gli oggetti, quasi tutti afferenti alla sfera cultuale si ricordano una serie di bronzetti figurati, in particolare quelli provenienti dall’area palestinese (la favissa di Ashkelon) in cui è raffigurato Horo Arpocrate, Osiris, il toro Apis, Isis che nutre Horo, Anubis, Bastet, Ra e Ibis. Il tempio di Mizpe Yammim rappresenta un interessante osservatorio al riguardo. Nel tempio è stato trovato un gruppo scultoreo con la raffigurazione della triade egiziana Osiris, Isis e Hathor, insieme a un toro Apis e ad alcune situlae di produzione egiziana con dedica alla dea Astarte da parte di un fenicio di Sidone. Oggetti rituali egiziani (le situlae e le tavole offertorie) e immagini della piccola bronzistica figurata e della piccola statuaria in pietra vennero acquisiti all’interno del contesto locale che li assimilò, li rilesse e li risemantizzò grazie anche alla lunga consuetudine che il mondo levantino ebbe col mondo degli dèi e delle immagini egiziane.

78  Sulla coroplastica di età persiana in Fenicia : Nunn 2002. La studiosa individua due frontiere distinte a livello di produzione della coroplastica : una passa per Tell Suqas e Amrit. 79  Sull’uso dei termini assimilazione e sincretismo si veda Xella 1999. Nunn 2002, p. 22, sostiene che, nel Tardo Bronzo, le divinità, pure difficili da identificare, erano più riconoscibili per i loro attributi tipici (il dio giovane è lo smiting god, il dio anziano è seduto, il dio barbuto o la dea seduta o armata). Con la fine

dell’VIII sec. a.C. questi tipi iconografici perdono la loro peculiarità, ad esempio scompaiono lo smiting god, i combattimenti tra divinità, o il combattimento tra il faraone e il nemico vinto. 80  Elayi − Sayegh 1998, pp. 198-199, figg. 48-49 e pp. 216-217 ; 81  Sugimoto 2008. Nunn 2000. 82  Stern 2001, pp. 490-505 ; Oggiano 2005b, pp. 203-206. 83  Keel − Uehlinger 1998, p. 378.























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Non solo il mondo egiziano ma anche quello egeo e cipriota rappresentarono la principale fonte d’ispirazione per gli artigiani fenici impegnati nella realizzazione degli oggetti usati nel culto, in particolar modo nei pochi esempi di statuaria in pietra. La costa levantina e la parte fenicia di Cipro facevano parte di uno stesso milieu culturale che condivideva credenze religiose e forme di rituale. Traccia evidente di questa condivisione è il ritrovamento in area fenicia di tipi iconografici nati in area cipriota ed esportati, sovente sotto forma di prodotti artigianali finiti, da Cipro alla Fenicia. Un tipo iconografico ben testimoniato nella statuaria di questo periodo è quello del personaggio maschile definito “egittizzante” per l’atteggiamento dell’incedere, il tipo di vestiario (indossa un corto gonnellino shendit) e per la presenza del cosiddetto rotolo (Fig. 21). 84 Questo tipo iconografico venne utilizzato su diversi tipi di supporto e con diverse varianti, a partire dall’VIII sec. fino ad età ellenistica. In Fenicia esistevano due produzioni : una più antica, locale, nata intorno all’VIII secolo per imitazione della statuaria in pietra egiziana (ne sono esempi il torso di Tiro di fine VIII-VII sec. a.C. e quello di Sarepta del VII-VI sec. a.C.) ; 85 una seconda, risalente all’età persiana, fu fortemente ispirata alla tradizione della scultura votiva cipriota tanto da far pensare, in più di un caso, all’importazione da Cipro delle stesse statue ritrovate in Fenicia o forse all’arrivo di artigiani ciprioti che le produssero in loco (esemplari di Amrit e Sidone, dalla prima fase del tempio databile al terzo quarto del VI sec. a.C.). Un altro tipo iconografico che fu creato a Cipro e si diffuse nel corso del V sec. a.C. fu quello del cosiddetto Eracle/Melqart (Fig. 22). L’eroe-dio vi era rappresentato incedente con piede sinistro in avanti, con indosso una corta tunica che ricorda la shendit egiziano e una leonté che copre la testa e si allaccia sul petto ; il braccio destro è sollevato a brandire una mazza, mentre la mano sinistra tiene per le zampe posteriori un piccolo leone. Quest’immagine del dio-eroe, elaborata in ambito cipriota per l’incontro dei mondi greco e levantino, mostra uno stile chiaramente greco, soprattutto nella grande statuaria in pietra, attestata oltre che in diversi siti di Cipro ad Amrit, Tell Jemmeh, Tell es-Safiyé, Tell Sheikh Yusuf (ma assomma ancora una serie di elementi di origine orientale che si possono far risalire al II millennio, dall’atteggiamento del dio combattente, il cosiddetto smiting god, al tema della vittoria del dio, eroe, sovrano contro il leone). 86

Due regioni hanno offerto testimonianze particolarmente ricche dei costumi funerari del periodo : Sidone e il territorio dell’odierna Tartus (dal greco ∆Antavrado~, latino Antaradus) che fu area sepolcrale della città di Arwad tra la fine del VI e il IV sec. a.C. A Sidone le necropoli si trovavano ai piedi delle colline immediatamente al di fuori del centro urbano (in località Ayaa, Magharat Tabloun, Ayn el-Helwé), e vi furono sepolti tanto i comuni cittadini, i ricchi come i poveri, quanto i dinasti locali. L’aspetto più caratteristico delle sepolture dei ricchi sidoni per questo periodo è l’uso di diversi tipi di sarcofagi, da quelli antropoidi a quelli a teca e architettonici, 87 tutti di produzione locale anche se ispirati a tradizioni artistiche differenti, da quella egiziana a quella greca. 88 La tipologia certo più originale fu quella dei sarcofagi antropoidi, i cui centri di produzione principali sono stati individuati a Sidone (dove, tra l’altro, operarono artigiani greci provenienti dall’isola di Paro) da cui giungevano forse nella città fenicia per

84  Faegersten 2003, con catalogo e bibliografia. 85  Falsone 1989 ; Faegersten 2003, p. 225 ss. ; Sarepta : Markoe 1990, pp. 117-118, 120 ; Gubel 2002, p. 114.

86  Bonnet − Jourdain Annequin 2001. 87  Ferron 1992-1993 ; Ferron 1996. 88  Elayi 1988.





















Fig. 21. Sidone, Bostan esh-Sheikh. Santuario di Eshmun. Statua di tipo egittizzante.

Le necropoli  







parte seconda. la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale” essere lavorate e rifinite in loco, e poi Arwad, dove è attestata la più modesta produzione in terracotta destinata a una clientela meno agiata (Fig. 23). 89 I sarcofagi antropoidi in pietra, ispirati ad originali egiziani, furono utilizzati dai ricchi abitanti di Tartus, Amrit, Biblo, Beirut e Sidone e da quei Fenici che, abitando in zone limitrofe per diverse ragioni, ad esempio politiche o commerciali, si fecero seppellire secondo la pratica delle città costiere, importando (a Gaza e in Egitto) o facendo imitare localmente (Shavei Zion, Cipro) le coeve produzioni di area sidonia. Tra i molti sarcofagi ritrovati merita di essere ricordato, per l’eccellente qualità artistica, il sarcofago architettonico noto come sarcofago del Satrapo, databile al pieno V sec. a.C., dove sono rappresentate alcune scene della vita di un personaggio illustre, forse il re di Sidone, interpretate da alcuni come rappresentazione con significato funerario. 90 Si tratta di uno tra i primi esempi di come fosse ormai penetrata nella mentalità e, soprattutto nel gusto, l’abitudine a ispirarsi a modelli greci che portò artisti locali a rappresentare il proprio mondo (da quello reale a quello mitico) utilizzando tecniche e stile di chiara derivazione greca. 91 I sarcofagi, pure raffinati e preziosi venivano chiusi nelle sepolture. Ad Amrit, a testimonianza del rango sociale del personaggio sepolto nella tomba, furono posti dei monumenti funerari noti come meghazil (fusi), formati da un basamento (in un caso cubico e nell’altro cilindrico) uno dei quali decorato da protomi di leoni. I meghazil erano decorati con merlature tipiche dell’arte achemenide che, presenti anche nel maabed, consentono di porre le tombe in relazione cronologica con la seconda fase del tempio (V-IV sec. a.C.). A Sidone le tombe potevano essere erano segnalate da piccoli naoi in pietra, usanza che sembra risalire proprio a questo periodo. I naoi erano costituiti da un’edicola su alta base e con coronamento di urei, all’interno della quale si trovava una immagine (una figura in trono, due sfingi affiancate in posizione frontale, parti laterali di un trono). 92 Sui lati si trovano raffigurati i due portatori di ram headed staff e brocca, interpretabili, pur senza supporto dei testi, come antenati reali che accompagnavano il sovrano nell’aldilà (Fig. 24). La figura degli antenati divini deificati, patroni del re e della dinastia regnante, erano stati quindi ereditati e mantenu-

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89  Elayi − Haykal 1996, pp. 87-117. 90  Kleeman 1958 ; Elayi 1988, pp. 302-303. 91  Elayi 1988. Sulla questione dell’“ellenizzazione” della Fenicia si veda Nitschke 2011. 92  Bisi 1971 ; Wagner 1980, cat. 51-53, pp. 53-54. La datazione delle stele è incerta. Secondo E. Gubel si devono datare all’VIII secolo mentre la maggior parte degli studiosi la colloca ancora in età persiana (Gubel 2002, pp. 82-83).  



Fig. 22. Kition Bamboula, statua di Eracle/Melqart.

ti nell’ideologia reale fenicia 93 e, come vedremo, furono trasmessi in queste fasi nelle lontane terre dell’Occidente.  

Cipro Dopo la conquista dell’Egitto nel 525 a.C., Cipro entrò a far parte dell’impero persiano e fu annessa alla quinta Satrapia. 94 I re persiani dovettero mantenere i governi esistenti, molti dei quali guidati dai sovrani greci, che regnarono su regni prosperi e sostanzialmente autonomi tanto da poter battere moneta. La cultura materiale cipriota di queste fasi rappresenta la più vivida testimonianza della compresenza di elementi locali, fenici e greci, questi ultimi sempre più prevalenti in un’isola che fu terra d’incontro tra mondo greco e mondo orientale. I regni ciprioti crebbero sotto despoti che abitavano in lussuosi palazzi, come quelli di Vouni, Idalion, Paphos e forse Amatunte, in quella che è stata definita una sorta di “libertà sorvegliata”, 95 per la presenza occasionale di guarnigioni persiane nell’isola e per l’obbligo di pagare tributo e di inviare uomini e materiali ai Persiani. I Fenici di Cipro ebbero nei confronti dell’impero  



93  Cecchini 2005, pp. 254-255. 94  Per considerazioni di sintesi su Cipro in età persiana Baurain – Destrooper − Georgiades 1995 ; Karagheorgis 2002, pp. 195-217. 95  Baurain − Destrooper − Georgiades 1995, p. 609.  

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persiano atteggiamenti vari, ricoprendo ruoli differenti a seconda delle occasioni. Al tempo della rivolta ionica (499-494 a.C.), che vide sollevarsi Ionia e Cipro contro i Persiani, essi si ribellarono, come tutti i centri ciprioti (tranne Amatunte), tenendo così una condotta diversa da quella degli abitanti della costa fenicia al servizio della Persia. Questo episodio testimonierebbe una contrapposizione tra Fenici fedeli ai Persiani e Fenici schierati nel campo opposto e, al contempo, mostrerebbe la forte integrazione tra questi ultimi e l’ambiente greco dell’isola agli inizi del V sec. a.C. 96 La momentanea autonomia dei Fenici di Cipro dovette tuttavia durare poco se, dopo che la rivolta fu sedata, essi figurano di nuovo, con le loro flotte, a fianco dei Persiani. Il peso politico svolto da Kition e altri regni ciprioti nel confronto tra Grecia e Persiani fu certo alla base del loro particolare benessere. Per queste fasi (tra il 480 e il 312 a.C.) le iscrizioni e le monete con legenda in fenicio citano i nomi di alcuni re di Kition, verosimilmente appartenenti alla medesima dinastia (Baalmilk I, Azibaal, Baalmilk II, Milkyaton e Pumayyaton). Kition rappresentò in qualche modo lo strumento attraverso il quale i Persiani misero in atto il loro controllo sull’isola. La città, infatti, estese il suo dominio verso le aree interne, dove si trovavano i ricchi terreni agricoli e le miniere di rame del Troodos, con l’annessione, tra la metà del V e la seconda metà del IV sec. a.C. di Idalion e Tamassos, la cui prosperità in queste fasi è testimoniata dalla magnificenza delle loro tombe. 97

L’incontro tra Greci e Fenici a Cipro ebbe esiti percepibili a diversi livelli : dalla religione alle classi artigianali la commistione di elementi fenici, greci e locali appare sempre più marcata, divenendo il carattere precipuo dell’isola e con connotati sempre più evidenti nel V-IV sec. a.C. La religione costituisce campo privilegiato dell’incontro tra le diverse etnie. La frequentazione comune dei grandi santuari isolani favorì la precoce interpretatio in senso greco di una serie di figure divine o mitiche – Eshmun e Reshef come Apollo ; Astarte come Afrodite ; Pumay come Pigmalione – e all’ambientazione cipriota di alcuni miti, come la nascita di Afrodite e la vicenda di Pigmalione. Idalion ospita ora luoghi di culto dedicati ad Apollo-Reshef e ad Atena-Anat e nel santuario rurale di Apollo di Phrangissa, due iscrizioni della prima metà del IV sec. a.C., con testi fenici e ciprioti, veniva venerato un dio definito “Alasiota”, che assomma in sé i caratteri dell’Apollo greco e del Reshef fenicio. Non stupisce quindi che proprio a Cipro fosse creato un tipo iconografico che esprimeva visivamente la più nota interpretatio greca di figure divine fenicie, quelle statue di Eracle/Melqart, in cui un giovane imberbe nella posa “orientale” del dio combattente e dominatore della natura, avrà come elemento connotante una leonté eraclea che lo colloca a Cipro più che in Oriente. 98 A una originale elaborazione dei laboratori scultorei ciprioti deve essere attribuito anche il tipo iconografico del temple-boy, di cui si è già detto a proposito del santuario di Bostan esh-Sheikh. Nell’isola sono stati ritrovati circa 300 esemplari, di diversa grandezza e di varia fattura. I tipi attestati raffigurano un bambino di circa due anni e di sesso maschile, generalmente seduto con una gamba ripiegata, talvolta nudo, più spesso vestito di una corta tunica e non di rado con i genitali ben visibili. I bambini sovente portano degli orecchini, anelli e una collana di amuleti sul petto e hanno talora in mano un piccolo uccello o un frutto. 99 Si sono già esposte alcune delle teorie sul possibile significato di tale immagine. Per quanto riguarda in particolare l’ambito cipriota è opportuno ricordare la recente ipotesi che collega l’arrivo nell’isola dell’iconografia dalla Grecia in corrispondenza col ritorno di Evagora a Cipro, e spiega l’iconografia come rappresentazione di un mito nemeo di Archémoros-Opheltes, una sorta di manifestazione cipriota di un culto del “destino” di sensibilità peloponnesiaca. 100 Infine, anche Cipro partecipa poi al fenomeno della diffusione dei culti di guarigione incentrati sull’uso rituale dell’acqua. Questo pare evidente

96  La fonte è Erodoto (Hdt. V 104). Bondì 1990, pp. 262-264. 97  Stylianou 1992, pp. 399-440.

98  Bonnet − Jourdain-Annequin 2001. 99  Beer 1992 ; Beer 1994. 100  Baurain 2008.





Fig. 23. Sidone. Sarcofagi antropoidi.















parte seconda. la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale”

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Fig. 24. Sidone. Naos funerario.

nella proliferazione di installazioni destinate a tale forma di rituale nelle fasi di riorganizzazione del santuario di Bamboula a Kition infatti, tra fine del V-primo quarto del IV sec. a.C., quando l’area sembra essere stata dedicata ad Eracle/Melqart. 101  

I “mondi coloniali fenici” tra V e IV sec.

inserirono gli ambienti coloniali occidentali in una koinè culturale che sarà prima persiana e poi ellenistica. Il forte carattere interculturale di queste fasi rende spesso complessa la comprensione di molti fenomeni, come ad esempio il rapporto parallelo e contemporaneo delle due aree, l’Occidente punico e il Levante fenicio, con quel mondo greco che in questo periodo comincia a improntare di sé diversi aspetti della vita dei paesi affacciati sul Mediterraneo.

Nell’affrontare il mondo “coloniale fenicio” ci si concentrerà sull’individuazione di quegli aspetti che sono indicativi della ripresa dei rapporti tra l’area centro mediterranea e quella levantina da collocarsi alla fine del VI sec. a.C. (Fig. 25). I contatti tra le due regioni si erano interrotti verso la seconda metà del VII sec. a.C., con l’esaurirsi della spinta alla creazione di nuovi insediamenti occidentali e il conseguente arresto delle importazioni di oggetti e suggestioni orientali in aree di tradizionale interesse commerciale quali l’Etruria e l’Italia meridionale. 102 A partire dalla fine del VI sec. a.C. Sidone e l’area arwadita divennero le protagoniste della riattivazione dei contatti che, attraverso nuovi meccanismi di scambio, economico e culturale,

Quello che si definisce genericamente mondo coloniale fenicio è ormai, alla fine del VI secolo, e ancor più nel V, un insieme di regioni, culturalmente affini ma ben distinte l’una dall’altra, anche se politicamente unite dall’egemonia politica della potenza dominatrice cartaginese. Durante il V sec. a.C. Cartagine visse un momento di riorganizzazione interna con il rafforzamento su base territoriale dello stato punico : in Nord Africa sono sempre più numerose le località che, dalla

101  Caubet 1984 ; Caubet 1986.

102  Bondì 1996, p. 75.





Le aree “coloniali”



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Libia al Marocco, sono controllate dalla metropoli mentre il territorio interno più vicino alla città si mostra ampiamente interessato da strategie di controllo con la divisione dell’area in distretti, comprensivi di importanti località quali Maktar (distretto di Thusca), la Ghorfa e Zama (distretto di Gunzuzi), Dougga e Bulla Regia (distretto di Zeugi). 103 Cartagine arrivò quindi a creare uno stato che, gradualmente, comprenderà tutta la costa nordafricana, la Sardegna e la Sicilia e, in epoca più recente, le coste meridionali della Spagna, entrando di diritto nel novero delle grandi potenze mediterranee. L’età coincidente con il pieno V secolo rappresenta, d’altro lato, uno dei momenti più impegnativi per la politica della metropoli, segnata com’è da eventi che pongono la città al centro di intense relazioni, non sempre pacifiche, tra le due diverse sponde del Mediterraneo. In Sicilia, i secoli V e IV, furono quelli del confronto tra Cartagine e alcune città greche, Siracusa in particolare, per stabilire i confini delle rispettive aree di influenza. Vi furono momenti chiave del confronto, come la battaglia di Imera del 480 a.C., che vide Cartagine duramente sconfitta e costretta a ritirarsi dalla Sicilia per circa un settantennio, mentre gli anni tra il 410 e il 305 a.C. furono segnati dall’ininterrotto confronto tra la metropoli e i tiranni di Siracusa. 104 In Sardegna si consolidò l’occupazione punica delle aree interne, anche attraverso l’ingente spostamento nell’isola di comunità nordafricane, che raggiunse la sua massima estensione tra il IV e il III sec. a.C. Al contempo, si affermarono nuclei aristocratici che, fin dall’inizio della penetrazione, fanno dell’isola una delle mete essenziali del controllo politico imposto da Cartagine. 105 La Penisola Iberica, invece, più che da decisivi interventi militari è interessata dalla seconda metà del VI sec. a.C. da un progressivo cambiamento del paesaggio territoriale, con la formazione, in un breve lasso di tempo, di consistenti insediamenti che sostituiscono i numerosi e ravvicinati centri di età fenicia. Tra VI e V secolo gli insediamenti fenici assunsero struttura e dimensione di vere città tra le quali si ricordano Malaka, Gadir, Sexi, Abdera e Baria. 106  







L’Occidente e la Persia Si è detto che l’avvento della dominazione persiana consentì, tra la fine del VI e la prima metà del V 103  Manfredi 2003 ; Crouzet 2003. La divisione in distretti è in realtà riportata in fonti più tarde, ma è probabile che possa collocarsi in questo periodo. 104  Garbati 2007, pp. 255-258. 105  Bartoloni – Bondì − Moscati 1997, pp. 63-97.  

sec., la riapertura di percorsi interrotti da più di un secolo. Cartagine divenne ovviamente il centro del rinnovamento dei rapporti e la sua cultura si impregna di nuovi stimoli provenienti dall’Oriente. 107 L’individuazione degli apporti orientali non è certo agevole. Il Levante costiero fu infatti in queste fasi il luogo di incontro e di rielaborazione di apporti culturali provenienti da diverse regioni (Grecia, Egitto, Persia, che si sommano alle millenarie tradizioni locali). Pur con le difficoltà evidenti in tale premessa, ci si concentrerà nel rilevare quegli aspetti che rimandano più direttamente alla Fenicia, se non direttamente alla Persia, riferendosi agli apporti greci solo quando si individua in essi una rielaborazioni di ambito orientale e non l’apporto autonomo di ambito greco continentale o coloniale (si pensi al forte rapporto tra Cartagine e Atene ma anche al confronto in Sicilia tra colonie fenicie e città greche e quindi al precoce dialogo che si instaurò tra i due mondi e che sovente è antecedente a quello stabilito lungo le coste del Levante).  

Cartagine e l’impero persiano Si affronta in questa parte del lavoro l’assai problematica questione del rapporto tra Cartagine e l’impero persiano. Si procederà all’esame delle fonti relative alla questione (fonti epigrafiche, numismatiche e letterarie), presentando di volta in volta le diverse letture che del fenomeno sono state date da parte di quegli studiosi che sostengono un rapporto di dipendenza ideologica e politica della capitale nord-africana dall’impero persiano 108 e di quelli che hanno una posizione più prudente se non contraria. 109 Per quanto riguarda la questione del rapporto di sangue che avrebbe legato Cartagine alla madrepatria Tiro, esso è ricordato nelle diverse fonti scritte greche e latine. Testimonianza di questo rapporto “filiale” sarebbe il fatto che, fino alla conquista della metropoli tiria da parte di Alessandro, i Cartaginesi inviavano alla madrepatria offerte di parte del bottino delle guerre da loro condotte (Curt. IV 3, 22) ma, soprattutto partecipavano annualmente ai festeggiamenti in onore di Melqart (Arr. II 24, 5 ; Curt. IV 2, 10). Inoltre i Fenici definiscono i Cartaginesi “loro stessi figli” (Hdt. III 19) al momento in cui il re persiano Cambise, dopo aver conquistato l’Egitto, manifestò l’intenzione di volgere le sue armi contro la capitale nord-africana. Le testimonianze sono state interpretate in vario  





106  Botto 2009. 107  Ferjaoui 1992. 108  Acquaro 1997, pp. 16-17 ; Fariselli 1999, pp. 64-65 ; Garbini 2005, pp. 7-8 ; Manfredi 2003, pp. 367-369. 109  Bondì 2004a ; Bondì c.d.  







parte seconda. la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale”

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Fig. 25. I principali centri dell’espansione fenicia nel Mediterraneo.

modo. Alcuni ne sottolineano l’aspetto per così dire “sentimentale”, 110 mentre altri hanno espresso non pochi dubbi sull’esistenza stessa di tali rapporti, interpretando la relazione di tipo “filiale” di Cartagine con Tiro come il prodotto di una interpretazione greca. 111 Altri ancora leggono il passo erodoteo come testimonianza di un progetto espansionistico dei Persiani verso il Nord Africa, un progetto che si potrebbe far risalire proprio a questo momento, con la volontà di Cambise di attaccare Cartagine, ritenuta forse parte dell’impero in quanto colonia tiria. 112 In realtà, il passo di Erodoto potrebbe essere interpretato in senso contrario ; la richiesta potrebbe infatti rilevare come la metropoli nordafricana fosse giudicata estranea, se non ostile, ai Persiani. 113 Notizia di un rapporto diretto tra Persia e Cartagine si trova in Giustino (Iust. XIX 1, 10-13). Egli ricorda che Dario I avrebbe emesso un editto con il quale, oltre a chiedere l’aiuto per la guerra contro la Grecia, vietava alcune consuetudini cartaginesi (immolare vittime umane, nutrirsi di cani, cremare i propri defunti) che sarebbero state in contrasto con le tradizioni iraniche. 114 Anche in questo caso

le letture del passo sono state diverse. Secondo alcuni Cartagine, come colonia tiria, apparterrebbe al “blocco” persiano che si doveva opporre ai Greci 115 e le interdizioni, rivolte a costumi “africanizzati” e sentiti come lontani dalle tradizioni del Vicino Oriente, proverebbe la sovranità persiana sulla città anche per quanto riguarda le questioni religiose. Secondo altri il passo dimostrerebbe piuttosto l’indipendenza della metropoli nord-africana da Tiro, pur nel contesto di stretti rapporti tra Oriente e Occidente. 116 Sempre all’ambito della strategia militare persiana in funzione antigreca va riferita la famosa notizia riportata da Erodoto (Hdt. VII 165-166) e da Diodoro Siculo (Diod. XI 1, 4-5) secondo la quale il fallimento punico nella battaglia di Imera coinciderebbe con la disfatta persiana di Salamina del 480 a.C. 117 La sincronia tra la disfatta punica e quella persiana è stata letta in due modi : come indicazione della partecipazione attiva di Cartagine, dipendente dall’autorità achemenide, agli scontri avvenuti in Grecia 118 oppure come una trovata di propaganda politica per celebrare le vittorie greche sul mondo dei barbaroi, in una contrapposizione sui due ver-

110  Elayi 1981, pp. 15-29. 111  Günther 2000, pp. 161-165. 112  Sulla questione da ultimo Manfredi 2003, p. 367, con bibliografia. 113  Bondì 1990, pp. 285-286 114  Ritter 1978, pp. 316-317 ; Braccesi 1999, p. 62. Cfr. anche la discussione nella prima parte di questo volume. 115  Garbini 2005 osserva che « Dario manda un edictum nel quale i Cartaginesi prohibebantur e iubebantur, con ambasciatori petentes ai quali essi temevano di apparire contumaces » ; il re per-

siano parlava come sovrano di Cartagine anche se poi i suoi ordini venivano eseguiti solo in parte. Si veda Braccesi 1999, p. 62. 116  Bondì c.s. 117  L’intervento di Cartagine fece seguito all’occupazione della città di Imera, alleata dei Punici, da parte di Terone (tiranno di Agrigento). Dopo la grave sconfitta subita dall’armata punica Cartagine fu costretta ad abbandonare la Sicilia per un settantennio. 118  Gauthier 1966 ; Garbini 2005.

































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ida oggiano Una serie di possibili riferimenti alle istituzioni santi del Mediterraneo tra Greci e Orientali che ha achemenidi si ritrovano in documenti epigrafici e il sapore di una “leggenda nazionalistica”. 119 numismatici. In primo luogo l’uso della legenda šbÔl Esulando dall’esame delle fonti scritte, quali sosºysº delle monete fenicie di Panormo in Sicilia, che no gli elementi che possono parlare a favore di un collocano “i cittadini” (ottimati, signori) di sºysº a garuolo di Cartagine quale interlocutrice privilegiata ranzia delle emissioni delle città, potrebbe far rifedell’impero achemenide in Occidente ? rimento alle strutture amministrative dell’impero La situazione di Cartagine, tra la fine del VI e il persiano del V sec. a.C. Infatti il termine b‘ln “abiV sec. a.C. è quella di una potenza che, occupatasi tanti, cittadini”, a partire dal V sec. a.C. era utilizfino a quel momento dell’amministrazione urbana, zato nei testi aramaici dell’Asia minore per indicare si trovò a dover gestire territori molto estesi sia potanto i proprietari terrieri responsabili di latifondi liticamente che militarmente. La metropoli nordindipendenti dalle città, ma tributari della satrapia, africana costituiva in quel momento il più grande che i “feudi d’armi”. 124 Inoltre le denominazioni di stato che fino ad allora si fosse formato sulle rive alcune cariche puniche, soprattutto militari, in alcentro-occidentali del Mediterraneo. Esperienze di cune epigrafi neopuniche del II sec. a.C. d’ambito tipo statale non erano ancora state maturate nelle numida, sembrano indicare la loro origine nel conregioni contermini, dalla Sicilia all’Etruria, e pertesto dell’impero achemenide e la loro sopravviventanto, al momento di improntare l’organizzazione za in aree per le quali le fonti tramandano il ricordo della nuova entità statale Cartagine dovette cercare di una qualche frequenza persiana. 125 i modelli di ispirazione in quella Fenicia organizzaInfine, per quanto concerne le prime fasi della ta in queste fasi in base al sistema provinciale perpolitica monetale cartaginese, si riscontrano alcusiano delle satrapie. 120 ni fattori che richiamo le coeve modalità di utilizzo Secondo alcuni studiosi, una serie di elementi sadel sistema monetale nel Vicino Oriente. Da un larebbero indicativi in tal senso. to, la mancanza di emissioni in oro ed elettro fino A un contesto vicino orientale d’ambientazione alla metà del IV sec. a.C., che sembra richiamare la persiana riporterebbero l’organizzazione territorianorma dell’impero persiano che riservava la produle della chora cartaginese con la sua divisione per dizione in oro esclusivamente al sovrano achemenide stretti (e l’assetto sullo stesso modello delle province (Cartagine quindi, come Tiro e le altre città della siciliane, sarde e africane esterne alla chora stessa), Fenicia, non poteva coniare monete in oro) ; dall’al« l’impiego di cittadini cartaginesi con responsabilitro, la sostanziale estraneità della moneta come tà amministrativa nei centri più importanti e dei Licorrente sistema di scambio e il suo prevalente uso, bici e Libifenici in funzione coloniale e la formazionel Vicino Oriente come a Cartagine fino alla metà ne di una classe intermedia di funzionari locali ». 121 del IV sec. a.C., nel commercio col mondo greco e Qrthdšt sarebbe una sorta di capoluogo di distretto, per il pagamento delle truppe. 126 legato in qualche modo attraverso Tiro alla V SatraPosizioni contrarie o più prudenti riguardo a pia e/o capitale dei territori occidentali e, come taquesta questione sono state espresse da diversi stule, avrebbe attuato una politica “imperialistica” nei diosi. S.F. Bondì, 127 ad esempio, sostiene che l’ispiconfronti delle terre fenicie d’Occidente. 122 razione primaria del nuovo assetto amministrativo Un altro elemento sarebbe l’attuazione da parte imposto da Cartagine ai territori nord-africani dodi Cartagine di una strategia “coloniale”, attraverso po la metà del VI secolo è costituita piuttosto dal lo spostamento di diverse componenti etniche afrimodello sidonio con le sue modalità di gestione dei cane nei possedimenti d’oltremare. Questo tipo di possedimenti territoriali ben illustrate da J. Elayi. 128 politica richiamerebbe una pratica messa in atto daLo studioso ritiene inoltre poco dimostrato e digli Achemenidi che prevedeva la deduzione di colomostrabile che Cartagine potesse coscientemente nie formate da sudditi fedeli all’impero in zone da sentirsi parte del sistema politico “imperiale” vicitenere sotto controllo. 123  



























119  Bondì c.s. 120  Sulle istituzioni e la politica amministrativa di Cartagine si vedano Manfredi 2003 ; Crouzet 2003 ; Bondì c.s. 121  Manfredi 2003, p. 369 ; si veda anche Acquaro 2001, pp. 47-56 ; Peri 2003. 122  Queste osservazioni devono tener tuttavia conto del fatto che alla base dell’organizzazione statale cartaginese sta la forte compenetrazione culturale tra Fenici e Libici, derivato dal processo di “africanizzazione” che era in atto da tempo all’interno della società cartaginese, Manfredi 2003, p. 369. 123  Garbini 2005 ; Lopez Castro 1992, p. 54. Al riguardo G. Garbini ricorda che durante la dominazione persiana erano pre 









senti a Palmira coloni gubliti, forse anche cartaginesi, ancora linguisticamente riconoscibili in epoca romana. Garbini 1996, pp. 81-94. Un dato portato a sostegno del fatto che Cartagine fosse stata, almeno per un periodo della sua storia, soggetta all’autorità dell’impero, potrebbe essere l’origine aramaica del toponimo di Byrsa, in considerazione del fatto che l’aramaico fu la lingua della cancelleria imperiale (Peri 2003). 124  Manfredi 2003, p. 370. 125  Manfredi 2003, pp. 373-374. 126  Manfredi 2003, pp. 371-372, con bibliografia precedente. 127  Bondì 2004a. 128  Elayi 1987, pp. 12-21.

parte seconda. la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale” no orientale 129 e che potesse organizzare le proprie strutture di controllo dei possedimenti d’oltremare e di quelli africani esterni alla chora ispirandosi al complesso sistema amministrativo achemenide. In sostanza Cartagine avrebbe una dimensione totalmente occidentale, o se si vuole mediterranea. A livello economico e istituzionale, i parametri tipici del mondo d’Oriente dovettero costituire una fonte d’ispirazione da rielaborare in ottica autonoma sia dal punto di vista politico che ideologico. Cartagine, infatti, fu vista dal V secolo in poi come una protagonista della contesa che si svolgeva nel Mediterraneo, ma non certo come una proiezione verso Occidente dei grandi imperi del Levante.  

Elementi di confronto e rimandi all’area fenicia Una volta che si sono definiti i limiti da tener presenti nel mettere in relazione la documentazione occidentale con il lontano impero persiano, si presenta ora una serie di elementi che invece testimoniano in modo più diretto del rapporto tra una Fenicia dominata dagli Achemenidi e un Mediterraneo centrale in cui Cartagine è ormai potenza dominante. Nell’esaminarle si seguirà lo schema già adottato per l’Oriente, ponendo l’accento soprattutto sulla ricezione delle innovazioni dell’area orientale che più di altre sono prova della contiguità culturale di questi anni. La città : spazio urbano e territorio  

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comprendeva una importante categoria costituita dai proprietari terrieri. 131 Per quanto riguarda invece l’aspetto più strettamente urbano si deve constatare come in queste fasi si sviluppano forme di pianificazione urbana in cui è evidente una tendenza alla regolarità e alla organizzazione per unità funzionali degli spazi cittadini. Si tratta di uno sviluppo che, pur nel costante confronto con i coevi sviluppi urbanistici di ambito greco, mostra una propria originalità, nel richiamo a precedenti orientali che antedatano lo sviluppo degli impianti a scansione geometrica “ippodamea” del mondo greco. 132 A Cartagine, si osserva che tra la fine del VI secolo e nel corso del V, la città fu interessata da ristrutturazioni e ampliamenti, che le diedero l’aspetto di una vera e propria metropoli : la città si estese verso sud, vennero creati ricchi quartieri pubblici e privati e venne costruita una poderosa muraglia che, in prossimità della spiaggia, a nord-est rispetto al settore di Rue Ibn Chabâat, delimita un nuovo quartiere residenziale, il cosiddetto “quartiere di Magone” (Fig. 26). Quest’ultimo nella fase della sua prima pianificazione, contemporanea all’innalzamento della struttura difensiva, fu organizzato in insulae con orientamento ortogonale, con unità rettangolari che seguono il tracciato della muraglia. 133 Schemi urbani a impianto regolare, cronologicamente riferibili a queste fasi, si trovano in Nord Africa a Kerkouane (Fig. 27) e in Sardegna a Pani Loriga di Santadi e Nora. Sempre in Sardegna un impianto tendenzialmente ortogonale si può ipotizzare per Olbia, pur in presenza di una documentazione limitata. 134 Per quanto riguarda la Sicilia, rimangono ad oggi valide le osservazioni di A. Mezzolani circa l’opportunità di guardare al mondo siciliano come ad un esempio di osmosi di culture diverse, con la necessità di riassegnare al mondo punico un ruolo fondamentale nella definizione delle configurazioni urbanistiche di centri come Solunto e Palermo. 135  







Nell’organizzazione delle città occidentali e nel rapporto che esse ebbero col loro territorio, si possono individuare alcuni elementi che, pur nella varietà di soluzioni adottate nelle singole aree, fanno riferimento ai coevi sviluppi urbanistici dell’area orientale. Per quanto concerne il programma di gestione territoriale cartaginese si è già osservato che esso può essere considerato quasi un riflesso dell’organizzazione amministrativa di Sidone. 130 Questo tipo di organizzazione in distretti amministrativi (‘rst), pur di non facile definizione per i possedimenti di Cartagine fuori dal Nord-Africa, può essere ipotizzata anche per l’area sarda, siciliana e, nella Penisola Iberica, per l’area gaditana. In corrispondenza con tale tipo di organizzazione dovette trasformarsi anche la struttura sociale che, così come dovette accadere nella Fenicia di età persiana, ora

Quali sviluppi della religione occidentale possono direttamente collegarsi alla ripresa dei contatti con l’area orientale ? Si prendono le mosse dall’esame del luogo di culto ritenuto l’espressione più tipica e originale della religiosità dell’area fenicia centro-mediterranea : il tofet. 136 L’area sacra, a cielo aperto, creata dai primi

129  Bondì c.s. 130  Bondì 2004a. 131  Bondì 2004a, p. 72. 132  Mezzolani 1994. Sull’urbanistica fenicia e punica si vedano gli atti del Convegno di Roma in Helas − Marzoli 2009. 133  Rakob 1990 ; Rakob 1998. 134  Per Kerkouane : Fantar 1984-1986 ; per Pani Loriga : Bot-

to et al. 2009 ; Per Nora : Bonetto 2009, pp. 136-139 ; per Monte Sirai e Olbia : Perra 2009 e D’Oriano 2009. 135  Mezzolani 1994, p. 156. Per Palermo e Solunto si veda il recente contributo di Spatafora 2009. 136  Sul tofet di Cartagine cfr. recentemente Bénichou-Safar 2004.





Dèi e culti tra Oriente e Occidente

























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Fig. 26. Cartagine. Quartiere marittimo (proposta di ricostruzione dell’area nella fase di V-III sec. a.C.).

coloni che nell’VIII sec. a.C. si insediarono a Cartagine e in Sardegna, era destinata ad accogliere le urne cinerarie con i resti di bambini e/o di animali. Le urne erano a volte segnalate da cippi e da stele spesso recanti iscrizioni di dedica alle due divinità destinatarie del culto : Baal Hammon e Tinnit (introdotta a Cartagine alla fine del V sec. a.C.). 137 Alcuni elementi del culto praticato nel tofet rimandano all’Oriente. Il primo riguarda una delle divinità titolari, quella dea Tinnit che assunse in Occidente, in particolare a Cartagine, un ruolo e un’importanza che mai ebbe in Oriente, con uno sviluppo delle sue prerogative divine del tutto originale e autonomo. Si ritiene importante considerare che anche in Oriente le prime attestazioni di questa divinità si collocano, in base ai dati epigrafici, al VI sec. a.C. (laddove a Cartagine appare alla

fine del V-inizi IV sec. a.C.) 138 e che quindi la sua “emigrazione” verso Occidente deve essere posta nel contesto cronologico e culturale della ripresa dei rapporti tra le due sponde del Mediterraneo in età persiana. Alla fine del VI secolo si data anche l’introduzione tra le stele del tofet della tipologia dei monumenti funerari a edicola che corrisponde all’affermarsi della forma del naos tra la Fenicia e Cipro sia nelle stele funerarie che nell’architettura sacra (Amrit e Ayn el-Hayat). 139 Nel repertorio figurativo delle botteghe artigiane operanti nei centri in cui è presente il tofet entra poi a far parte a partire dal VI sec. a.C. una serie di motivi di origine orientale, spesso attestati in diverse classi artigianali (dagli avori alla coroplastica, dalla scultura alla glittica). 140 A Mozia, ad esempio, compaiono la figura femminile con

137  Su Baal Hammon, Xella 1991 ; Xella 1994 ; per Tinnit, Hvidberg-Hansen 1979 ; Lipin´s ki 1995, pp. 438-439 ; Lancellotti 2010, pp. 21-28, con bibliografia. 138  Sulle diverse attestazioni epigrafiche : Lipin´s ki 1992, pp. 438-439 ; per l’iscrizione di Sarepta, dove la dea Tinnit appare associata con Astarte, cfr. Amadasi Guzzo 1990. 139  Bisi 1971 ; Moscati 1992 ; Bondì 2004b. Sul naos e le forme

di rappresentazione dello spazio sacro nel mondo fenicio e punico cfr. Oggiano 2008. 140  Moscati 1967 ; l’ispirazione delle iconografie presenti sulle stele da altre classi dell’artigianato fenicio d’Oriente è stata riconosciuta per talune rappresentazioni moziesi cfr. MoscatiUberti 1982, pp. 50-55.





























parte seconda. la fenicia in età persiana e il mondo “coloniale”

Fig. 27. Kerkouane. Veduta aerea e pianta della città.

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mani ai seni (Fig. 28), con disco al petto e con fiore di loto tra le mani, nella rielaborazione di età achemenide, 141 il personaggio nudo con parrucca egiziana, braccio steso lungo il fianco e l’altro piegato sul petto, il personaggio maschile di profilo con alta tiara e scettro in mano e infine la divinità in trono. A Cartagine, tra le molte immagini delle stele, si ricorda almeno quella, assai nota, del personaggio maschile con bambino in braccio. Egli indossa un copricapo cilindrico, la cui forma, ben nota in area fenicia (compare nella stele di Yehawmilk di Biblo e nella monetazione di Sidone), richiama un tipo di tradizione persiana, che, usato verosimilmente dai sacerdoti, sopravvisse in ambiente sidonio e tirio fino ad età ellenistica (Figg. 29-30). 142 Nel Levante del V secolo si colloca anche la nascita del cosiddetto “segno di Tanit”, come mostrano le sue più antiche attestazioni sulle figurine del relitto di Shavei Zion (Fig. 31) e su una pastiglia di vetro di Sarepta. 143 Scindendo l’esame del motivo da quello del significato religioso del simbolo 144 e tenendo conto dei diversi esiti che esso, così come la divinità con cui esso è sovente associato, ebbero in Fenicia e nel Mediterraneo Occidentale, non si può non notare che questa iconografia fu “scoperta” e selezionata dagli artigiani cartaginesi solo nella seconda metà del V secolo (Fig. 32). Oltre alla testimonianza del tofet, ulteriori dati parlano dei culti rivolti di alcune divinità che in ambiente fenicio emergono dopo il VI sec. a.C., tra le quali Shadrafa e Sid. 145 Shadrafa, letteralmente “genio guaritore”, fu adorato in tutto il mondo punico. Titolare di un culto pubblico a Cartagine, è menzionato nelle iscrizioni di Grotta Regina in Sicilia, di Antas in Sardegna e in un’iscrizione di Leptis Magna in Africa, dove è identificato con Liber Pater, assumendo quindi il carattere di un dio poliade oltre che di sola divinità guaritrice. 146 Sid fu particolarmente venerato in Sardegna. Il culto di questa divinità acquistò una “rinnovata” o “nuova” centralità a seguito della conquista cartaginese dell’isola, con l’edificazione del tempio di Antas nel corso del V secolo. 147 Identificato con il romano Sardus Pater (il Sardo che, secondo alcuni  













141  Per la figura con fiore di loto, Scandone Matthiae 1996 ; per il tipo della donna con fiore di loto nell’impero achemenide, Bakker 2007. 142  Elayi − Elayi 2004b, pp. 94-95 ; Calmeyer 1988, pp. 37-39, fig. 9. 143  Per Shavey Zion, Linder 1973 e Prausnitz 1997 ; per Sarepta, Prithcard 1978, fig. 59,2. 144  Il punto sul nome e sul simbolo di Tanit in Moscati 1981 ; in generale sul simbolo Bertrandy 1992, con bibliografia. 145  Si vedano in merito : Ferjaoui 1992, p. 347, pp. 358-359, pp. 366-367 ; Bondì 1996, p. 82. 146  Si veda da ultimo Garbati – Peri c.s., con bibliografia. 147  Sul tempio Acquaro et al. 1969 e Bernardini et al. 1997.  











Fig. 28. Stele del tofet di Mozia con figura femminile con le mani ai seni.

brani classici, colonizza la Sardegna e ne diviene eroe eponimo), 148 Sid è una divinità dalle forti coloriture dinastiche, un “eroe divino”, 149 antenato progenitore e, in quanto tale, vincolato alla legittimazione ideologica dell’avvenuta conquista punica della Sardegna. 150 Il suo legame funzionale con il dio nazionale dei Fenici, Melqart, è documentato dall’essere associato in una nota iscrizione di Cartagine alla divinità tiria. 151 La figura del dio Sid in Sardegna si configura morfologicamente in base a due ambiti di riferimento : da un lato le tradizioni orientali incentrate sulla venerazione di personaggi storici divinizzati dopo la morte (come Eshmun, Shadrafa e Milkashtart), dall’altro gli aspetti religiosi della cultura di sostrato, incentrati sulla venerazione di figure dai tratti  









Sulla morfologia di Sid, da ultimo Bernardini 2002 ; Garbati, Peri c.s. Cfr. Grottanelli 1973 ; Garbati 1999. 148  Per esempio Paus. X, 17, 2 ; Sol. XII 355-8 ; Sil. IV 2 ; cfr. Bondì 1975 ; Grottanelli 1973. 149  Ribichini 1985, pp. 43-73. 150  Bartoloni – Bondì − Moscati 1997, pp. 63-112. Garbati 2010 dove, come spunto per ulteriori indagini, si riporta un passo di Diodoro che dice, in riferimento al dio Iolao, che « coloro che compiono sacrifici a questo dio lo chiamano Iolao padre, come fanno i Persiani con Ciro » (Diod. V 15). 151  CIS, I, 256. Su Melqart resta fondamentale Bonnet 1988. Cfr. Bonnet − Jourdain-Annequin 1992.  















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Fig. 29. Stele di Yehawmilk di Biblo.

Fig. 30. Stele del tofet di Cartagine con sacerdote che tiene in braccio un fanciullo.

dinastici (il titolo b∆by, che accompagna il nome di Sid nelle iscrizioni puniche di Antas, richiama tradizioni legate al culto degli antenati e riflesse nella figura di Sardo, noto dalle fonti letterarie come eroe eponimo di Sardegna). 152 La ricerca di elementi della tradizione levantina, in particolare nella scelta di figure divine legate al culto dei morti, originatisi dall’eroizzazione di particolari categorie di defunti, ben si colloca in questo momento di cambiamento della situazione sociale in Sardegna, connesso alla conquista punica dell’isola e alla ripresa dei contati con la Fenicia e

il mondo cipriota. Forse a questa tendenza si può collegare anche il passaggio in Occidente, noto attraverso due sigilli di Tharros 153 (Figg. 33-34), alcune bullae di Cartagine e alcuni rasoi votivi (Fig. 35), del motivo del cosiddetto “suivant du char royal” che compare in queste fasi cronologiche sui rilievi funerari e sulle monete di Sidone, e che è stato collegato alla tradizione siro-palestinese degli antenati divinizzati. 154 Va infine considerata, nell’ottica del riattivarsi dei contatti tra Oriente e Occidente, l’affermazione in area mediterranea occidentale dei culti terapeutici.

152  Garbini 1969, Garbini 1994, pp. 23-9 ; Garbati – Peri c.d. 153  Culican 1968, fig. 4, 65. E. Gubel antedata il sigillo al VIIVI sec. a.C (Gubel 1987, cat. 25, tav. VIII).

154  Cecchini 2005, pp. 254-261 ; per Cartagine : Redissi 1999, bulla n. 66.













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Fig. 31. Figurina fittile con “simbolo di Tanit” dal relitto di Shavei Zion.

Fig. 32. Stele del tofet di Nora con “simbolo di Tanit”.

Il fenomeno, che, si è visto, coinvolge anche l’area greca e italica, 155 vede in ambiente punico l’affermarsi di divinità come Eshmun. A Cartagine, come lo era a Sidone, Eshmun fu dio protettore della città e il culto, praticato nel celebre tempio che sorgeva sull’acropoli di Byrsa, dovette continuare a svolgere un ruolo civico particolare visto che in esso si riuniva di notte il senato cartaginese e che qui si rifugiarono gli ultimi difensori della città, al momento dell’assalto finale di Scipione. 156 Le qualità mediche del dio si conservarono in Sardegna fino al II sec. a.C., come testimoniato da due iscrizioni, la trilingue di San

Nicolò Gerrei la breve epigrafe su mano da Cagliari. 157 Oltre ad Eshmun sono attestate anche altre divinità che intervengono nel quadro di culti terapeutici, visto che in due iscrizioni di Antas sono citati Horon e Shadrafa. 158 All’affermarsi tra Oriente e Occidente di santuari legati alle acque e connessi alla sanatio forse va collegata la nascita in Sardegna, durante l’età punica e tardo punica di aree sacre intorno alle sorgenti (Mitza Salamu, “sorgente della salute”) e il riutilizzo di molti templi a pozzo di età nuragica. 159

155  Per l’area greca si è già riferito. Per l’area italica Comella 156  Ribichini 2010 con fonti e bibliografia. 1982-83. 157  Per S. Nicolò Gerrei (CIS 143 = ICO, Sardegna : 9, 91-93) ; per Cagliari CIS I, 141 = ICO, Sardegna 4, 129). 158  Sulle divinità mediche in Sardegna : Bernardini 2002, con bibliografia.

159  Garbati 2005, p. 146, nota 56, dove peraltro si sottolinea la necessità di collocare nel contesto isolano di età punica la ricezione di aspetti religiosi diffusi in madrepatria e di esaminarli in un contesto all’interno del quale vanno valutati anche gli importanti rapporti con l’area etrusco-laziale. Cfr. anche Garbati – Peri 2008.

















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Fig. 33. Scarabeo da Tharros.

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Fig. 34. Scarabeo da Tharros.

Un indizio della partecipazione dell’isola agli sviluppi dell’architettura cultuale che, in area orientale di età persiana, sono associati alla diffusioni dei culti salvifici, viene dal sito di Nora. 160 Dall’area del Sa Punta ’e Su Coloru infatti proviene un’edicola di tipo egittizzante (Fig. 36), nota come maabed, della quale si è conservato solo il coronamento con la fila di urei e il sole alato 161 e che può essere confrontata precisamente con i naoi orientali di Amrit (datato, nella sua fase monumentale, al V-metà IV sec. a.C.), e Ayn el-Hayat (Fig. 37). 162 La conoscenza e la ricezione degli orientamenti in ambito cultuale e degli sviluppi dell’artigianato ad essi connesso tra Cipro e la Fenicia di queste fasi è evidente anche nella presenza in ambito siciliano e maltese di due esemplari di statuaria antropomorfa del tipo della figura maschile egittizzante di cui si è già parlato per l’Oriente, uno proveniente dallo Stagnone di Marsala (Fig. 38) e l’altro da Tas Silg. 163 Infine, non secondario dovette essere il ruolo che, negli apporti provenienti dal Levante, dovette rivestire l’Egitto. Il rapporto con il mondo egiziano, da sempre parte integrante del panorama religioso fenicio, conobbe nel periodo persiano un momento di rinnovato impulso, anche per la presenza in Egitto di nuclei di Fenici che vivevano e lavoravano  







160  Oggiano 2005a. 161  Pesce 1957, pp. 86-89, fig. 63. 162  La connessione con l’area arwadita potrebbe essere confermata dalla documentazione di Mozia, se trovasse ulteriori conferme la recente ipotesi di rilettura del cothon come santuario costruito intorno ad un bacino, con preciso riferimento ad Amrit (Nigro 2009, pp. 259-265). 163  Per Tas Silg, Missione Malta 1964, pp. 76-78 ; per Marsala, Falsone 1970 e Falsone 1989.  

Fig. 35. Rasoio bronzeo da Cartagine.

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ida oggiano produzione egiziana (l’Osiris mummiforme di Punta de la Vaca, l’Osiris di Villaricos, l’Imhotep seduto di Minorca) insieme a numerosi amuleti in pasta vitrea, 166 forse sulla scia di antiche relazioni che avevano legato Egitto e la Penisola Iberica per il rifornimento e la commercializzazione del bronzo. 167  



Fig. 36. Coronamento architettonico da Nora.

Le pratiche funerarie

nella terra dei faraoni. In Occidente si ebbe quindi sia la percezione delle rinnovate influenze egiziane sull’area levantina (si pensi solo al motivo del naos, alla sua elaborazione in ambito fenicio e alla sua ricezione in ambito occidentale) che l’attivazione di contatti diretti tra l’area nilotica, Cartagine e probabilmente la Spagna, documentati dalla presenza di prodotti importati nelle due regioni del Mediterraneo occidentale. 164 A viaggi di singoli cittadini cartaginesi in Egitto si deve l’importazione a Cartagine di due piccoli bronzi raffiguranti Arpocrate che, in virtù proprio del prestigio che il dio ebbe nel contesto cultuale punico, dovettero essere votati all’interno di luoghi di culto cittadini. 165 In Spagna giunse una serie di bronzi di

Nelle pratiche funerarie lo sviluppo delle aree occidentali si può dire autonomo. Le uniche relazioni si stabiliscono nei livelli più elevati della scala sociale con due tipi di testimonianze. La prima è la scelta da parte della ricca aristocrazia terriera nord-africana di far riferimento all’area fenicia, in particolare quella arwadita, al momento di erigere, a partire dal IV sec. a.C., originali monumenti funerari in punti elevati a controllo di fertili valli fluviali, 168 come indicatore visivo dei confini delle grandi proprietà. 169 La seconda è la decisione di alcuni importanti cittadini, forse commercianti orientali, di far giungere dalla Fenicia, con grande dispendio economico, alcuni sarcofagi antropoidi in cui farsi seppellire. Ne sono testimonianza i sarcofagi rinvenuti a Cadice (Fig. 39). Singolare appare invece la creazione, nell’area sulcitana sarda, di un tipo di altorilievo funerario, quello che riproduce una figura maschile egittizzante, che compare in una tomba di Monte Sirai, e due di Sulky (Figg. 40-41). L’esemplare della tomba 7 di Sulky è di particolare interesse. 170 La sepoltura, databile entro la seconda metà del V sec. a.C., è costituita da un’unica grande camera con pilastro centrale sulla cui parete anteriore era scolpita una figura maschile incedente, vestita di un corto gonnellino, con il braccio sinistro piegato al petto e con legato al polso un piccolo contenitore e il braccio destro disteso lungo il fianco con la mano a pugno a stringere un rotolo. Su entrambe le braccia è dipinta in rosso una serie di tre bracciali ; la stessa pittura e del pigmento nero sono ampiamente utilizzati per sottolineare altri particolari sia anatomici sia dell’abbigliamento e degli accessori. Sul fondo della camera i resti di un feretro ligneo che, nella parte superiore, doveva essere decorata con la riproduzione di un’immagine antropomorfa, simile, verosimilmente, al personaggio scolpito sul pilastro. L’ispirazione per la sepoltura è stata ricercata nell’area egiziana, oltre che per l’iconografia dell’altorilievo, anche per l’uso del sarcofago in legno e

164  Sui rapporti Cartagine ed Egitto, da ultimo Acquaro 2006. 165  Sulla questione vedi Bondì 1985, che focalizza l’attenzione sul rapporto tra importazione dei bronzi egiziani in Occidente e l’esaurirsi della produzione (ed esportazione) fenicia e cipriota. 166  Gamert-Wallert 1978.

167  Padró 1987, p. 222, sostiene che l’espansione persiana si incaricherà di mettere un termine definitivo ai rapporti tra Spagna ed Egitto per il rifornimento del bronzo. 168  Prados Martínez 2008. 169  Si veda a questo proposito Ferichiou 1995. 170  Bernardini 2004 e Bernardini 2005.







Fig. 37. Naos di Ayn el-Hayat.







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di opere create in ambito levantino, utilizzata per esprimere nuove o rinnovate concezioni di tipo religioso legate al mondo funerario. Se infatti si interpreta, come è stato proposto, l’iconografia degli altorilievi sulcitani come l’immagine del defunto (per il richiamo, nella tomba 7 di Sulky, tra la figura che decorava il feretro ligneo e quella sul pilastro, entrambe riferibili alla stessa tipologia del personaggio egittizzante), 174 si può pensare che le sculture funerarie sulcitane possano essere espressione di una forma di venerazione dei defunti. Ciò si verificherebbe in un momento, quello delle fasi cronologiche qui prese in esame, in cui si afferma in Sardegna il culto di un dio, Sid, dalle forti coloriture dinastiche e strettamente legato alla sfera oltremondana. Le raffigurazioni degli altorilievi sulcitani sarebbero « forse il sintomo più tangibile della celebrazione “eroica” di personaggi di prestigio, non così presente, almeno a livello figurativo, nelle fasi precedenti ». 175 Pur tenendo in debito conto le mutate condizioni sociali, politiche e culturali rispetto al mondo levantino, i membri eminenti della società coloniale sarda avrebbero desunto dalle tradizioni orientali l’idea di assumere, dopo la morte, un rango speciale nell’aldilà, secondo una veste che tanto deve alle tradizioni siropalestinesi.  







Le produzioni artigianali e i protagonisti delle relazioni Fig. 38. Statua acefala egittizzante dallo Stagnone di Marsala.

cartonnage e per alcuni elementi del rituale, come la deposizione di spoglie composte di due uccelli e di alcune uova di volatile. 171 Pur essendo innegabile l’originaria ascendenza egiziana del rilievo sardo, non si può non ricordare la diffusione dell’iconografia della figura maschile egittizzante con rotolo in area fenicia e cipriota, seppure mai in ambito funerario, 172 e l’uso nelle tombe di Cipro del VI sec. a.C. del motivo a cornici multiple, che si ritrova nella porta d’ingresso alla camera funeraria sulcitana. 173 L’accoglienza dei motivi orientali non pare peraltro passiva. Il motivo della figura egittizzante ad esempio costituisce una innovativa rielaborazione  





171  Bernardini 2005, p. 79. 172  Bondì 1996, pp. 80-82. Per le figure egittizzanti Faegersten 2003. 173  Sul motivo a cornici multiple cfr. Bondì 1978. 174  In particolare l’analisi riguarda l’altorilievo della tomba 7 di Sulky studiata da Bernardini 2005, p. 76. 175  Garbati 2010, anche se non si vuole necessariamente ve-

Se si sono finora posti in luce gli aspetti delle analogie tra Oriente e Occidente, si deve tuttavia sottolineare che le relazioni sono circoscrivibili ad una serie di oggetti che possono in qualche modo riferirsi alle classi più elevate della scala sociale. I bellissimi gioielli di Tharros, ad esempio, devono essere stati prodotti da ateliers vicino-orientali e importati nel centro sardo perché ordinati dai ricchi abitanti di quella che fu una delle più prospere città puniche del Mediterraneo. Il riferimento all’Oriente non cambierebbe neppure se si ipotizzasse, come pure è stato fatto, che essi fossero stati realizzati da orafi tharrensi. Anzi, mostrerebbe ancor più come Tharros sia stata in queste fasi la protagonista, insieme a Cartagine, della ripresa di contatti con i centri artigianali dell’Oriente da cui sarebbe derivata la tecnica di lavorazione e molto del repertorio iconografico. 176 La glittica punica, che a partire dal VI sec. svi 

dere nella scultura sulcitana l’immagine di uno dei Refaim, dai tratti essenzialmente identici a quelli di ambito levantino. Bisogna infatti tener presente le semplici ma profonde differenze di contesto cronologico e storico. 176  Sui gioielli di Tharros : Pisano 1974 ; Pisano 1987, Moscati 1988.  



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ida oggiano ca tharrense offre l’occasione per una riflessione su questo punto. È noto che esisteva nella città sarda un gruppo di scarabei in diaspro verde ritenuti dei manufatti locali per l’individuazione di un giacimento di questo materiale nella regione circostante il centro urbano. Ora, nella città di Biblo sono stati individuati gruppi di scarabei in diaspro verde tanto simili ad alcuni esemplari sardi e cartaginesi da far ipotizzare a E. Gubel che potessero appartenere ad una stessa bottega 179 (Figg. 42-43). Se, come si pensa, i sigilli dell’area centro-mediterranea giunsero a Biblo al seguito di personaggi di rango, si può intravedere l’esistenza di un itinerario Occidente-Oriente in passato ritenuto spesso impensabile. La presenza di Cartaginesi di rango elevato in area fenicia in queste fasi è ben testimoniata dalle stele ritrovate nell’area di Tiro 180 (Fig. 44), mentre del ritorno di elaborazioni occidentali d’ambito religioso, ipoteticamente da far risalire a questo periodo, parla l’iscrizione su un conio di età romana di Ashkelon che cita “Fanhvbalo~”, “faccia di Baal”, epiteto della dea Tinnit sulle stele del tofet. Si ricorda infine la notizia di Arriano (Arr. II 21, 9) che, parlando della flotta di Tiro, cita le quinqueremi e le quadriremi, tipi di nave che, adottate dalle flotte di Sidone intorno al 340, sono ritenute un’invenzione cartaginese. 181 Tra i protagonisti delle relazioni, infine, non vi furono le classi sociali meno elevate. Ne è testimonianza una produzione artigianale come la coroplastica figurata. 182 Essa è fortemente connotata in senso locale e sfugge a qualsiasi influsso orientale (manca la maggior parte delle tipologie ed iconografie che sono tipiche del repertorio fenicio di queste fasi), legandosi piuttosto ai coevi sviluppi dell’artigianato greco.  



Fig. 39. Sarcofago antropoide di Cadice.

luppa una produzione autonoma rispetto a quella egiziana, pur instaurando rapporti con le coeve produzioni dell’area etrusca, riprende dall’Oriente fenicio e dall’Egitto di età persiana, spunti iconografici da adattare al contesto punico all’interno del quale venivano veicolati. Si ricordano : la divinità femminile alata che protegge la nascita di Horo su fiore di loto o che, raddoppiata, è posta simmetricamente ai lati di un albero sacro ; la divinità maschile in trono in atto di benedire ; la divinità su barca di papiro ; il falco con diversi attributi sacri egittizzanti ; Isis lactans. 177 Singolare è però la presenza tra i motivi delle bullae di Cartagine del motivo del portatore di ram headed staff a testimoniare ancora una volta il legame che, a livello ufficiale legò la città alla Fenicia di età persiana. 178 Questi soggetti, più che derivare da un antico patrimonio trasmesso in Occidente attraverso oggetti preziosi come coppe e avori, sembrano far parte di un “Orientalizzante di età persiana” che, attraverso la circolazione di cartoni e modelli, e forse di artigiani, fornì alle nuove classi sociali elevate dell’Occidente punico modelli iconografici allusivi delle proprie origini orientali. Il passaggio delle informazioni non dovette essere peraltro in una sola direzione. Il caso della glitti 

















177  Ciafaloni 1995, p. 504 ; Hölbl 2004, che parla di “Egittizzante punico”. 178  Redissi 1999, bullae 66 e 172 ; Cecchini 2005, p. 261. 179  Gubel 1994 ipotizza che i prodotti occidentali siano importati dall’Oriente.  



Oriente e Occidente: comunicazione e contatto tra mondi diversi L’esame dei rapporti che legarono l’area iranica e l’occidente “coloniale” fenicio ha consentito di porre in luce il ruolo che, in tali contatti, ebbe il Levante. L’area fenicia in particolare, con i suoi confini allargati da Nord a Sud, tra Siria e Palestina, fu al contempo duttile strumento di connessione tra il nucleo dell’impero achemenide e area “coloniale” fenicia occidentale e cuore pulsante di una regione che, costituendo il punto di arrivo e partenza di popoli, prodotti e idee, divenne il centro di elaborazione e rielaborazione di diversi spunti culturali 180  Sader 2005 : nella stele 60 si parla di una generazione di sufeti e rabs ; nella 62 è invece nominato uno scriba. 181  Plin. Nat. His. VII 207 = Arist. fr. 600 Rose ; cfr. anche Clem. Al. Strom. I 45, 10. Peri 2003, pp. 77-78. 182  Ciasca 1995, p. 446.  





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Fig. 40. Altorilievo funerario da Sulky.

Fig. 41. Altorilievo funerario da Sulky.

provenienti dalle regioni che metteva in contatto (tra queste soprattutto la Grecia e l’Egitto). Tra il VI e la prima metà del V sec. a.C. è evidente l’instaurarsi di un clima di intensi scambi tra la Fenicia, Cipro, l’Egitto e i mondi “coloniali fenici”. Questi contatti, nelle due direzioni, furono favoriti dalla rinnovata mobilità sui mari che mise in comunicazione le diverse regioni mediterranee, rendendo ricco e complesso il quadro delle relazioni. Ripresero a circolare uomini e merci, e quindi idee espresse in parole (delle quali purtroppo poco è giunto) e immagini, secondo una forma di relazione che era stata alla base della stessa formazione della cultura fenicia d’Oriente e poi delle fondazioni d’Occidente. Il coinvolgimento delle varie componenti della società fu diverso per intensità e modalità. Le sfere più alte della gerarchia sociale sembrano essere quelle maggiormente coinvolte, e questo è ben comprensibile se si pensa alla ripresa dei contatti ufficiali tra Cartagine e le città fenicie e alla scelta volontaria da parte della metropoli nordafricana di riferirsi alla madrepatria orientale al momento di connotarsi etnicamente, politicamente e culturalmente in rapporto al mondo mediterraneo con cui si andava a confrontare. L’appartenenza al rango sociale elevato è sovente espressa proprio tramite l’evocazione delle ascendenze orientali, ad esempio negli oggetti di pregio usati (dai sigilli ai gioielli) e nell’adozione di alcune usanze funerarie (i sarcofagi). Contatti tra Oriente e Occidente sono avvertibili negli aspetti ufficiali della vita coloniale, dall’organizzazione politica e amministrativa del territorio (sia che vada riferita direttamente alle normative imperiali achemenidi sia, più probabilmente, a quelle di centri provinciali fenici come Sidone) alla

progettazione degli impianti urbani, alla condivisione di aspetti della sfera religiosa (come alcune figure divine, alcuni tipi di strutture di culto, alcuni oggetti impiegati nei rituali con le immagini su essi raffigurate). Lo sviluppo dei costumi locali e della cultura materiale mostra, per contrasto, forti connotazioni locali o regionali e testimonia di una struttura etnica e sociale della popolazione delle “colonie”, in particolare le classi più umili, articolata in contesti regionali dai caratteri precipui e lontana dal mondo orientale. Gli apporti levantini (non persiani quindi) si incastonano in un Occidente che, svincolato ormai dalla madrepatria da rapporti stretti di varia natura (dapprima di sangue, poi più blandamente di memoria culturale, quindi economici e di tradizioni e per finire con un volontario richiamo ad una identità conservata e/o recuperata), è ormai un mondo distinto, autonomo, che recepisce e reinterpreta l’Oriente, più che sentirsene pienamente parte. Con la metà del V secolo la situazione cambia ulteriormente. A livello politico il legame con l’Oriente si attenua, sia per la raggiunta maturità statale di Cartagine, sia per la sempre maggiore difficoltà da parte delle città fenicie di controllare gli itinerari commerciali in seguito alla firma della pace di Callia del 448 a.C. 183 La cesura tra le due realtà politiche e istituzionali costituite dal mondo fenicio d’Oriente e da quello d’Occidente è ben percepita da Erodoto, cui tuttavia dovette sfuggire tutta quella serie di aspetti di unità culturale che legavano le due regioni mediterranee e che si erano rinforzati e rinnovati proprio durante la prima metà del V secolo. Si impone un’ultima riflessione sul rapporto

183  Bondì 1996.



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Fig. 42. Sigilli da Biblo (sin.) e da Cagliari (destra).

Fig. 43. Sigilli da Biblo e da Tharros.

Oriente e Occidente in queste fasi cronologiche. Tra le intense e diverse forme di relazione che si svilupparono nell’area mediterranea nelle fasi esaminate, un ruolo da protagonista ha rivestito il rapporto di contrapposizione tra Grecia e Persia, sul quale gli storici antichi e moderni hanno forgiato l’idea di una identità culturale ellenica (e poi europea) basata su ideali di libertà e democrazia da contrapporsi ad un mondo orientale dispotico e culturalmente inferiore. Si è invece visto che gli Orienti (dalla Persia, alla costa levantina, da Cipro all’Egitto) e gli Occidenti (dall’Egeo al Mediterraneo centrale dove già era stata sperimentata la condivisione di spazi fisici ed esperienze culturali tra Greci e Fenici) entrarono in stretto contatto non solo sui campi di battaglia ma anche, e forse soprattutto, nei porti e sulle navi, nei mercati e nelle botteghe degli artigiani, nei palazzi e nei luoghi di culto dove si svilupparono quei flussi di comunicazione che, percepibili nelle due direzioni (anche se in forme e a livelli diversi) furono favoriti oltre che dalla necessità anche dalla curiosità e dal fascino che i vari mondi esercitarono l’uno sull’altro. La diversità favorì la comunicazione piuttosto che lo scontro e portò alla nascita di una “identità” culturale mediterranea nella quale ancora oggi ci si può (o forse ci si dovrebbe) riconoscere.

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ELENCO DELLE FIGUR E Fig. 1. Tomba di Ciro a Pasargadae (foto autore). Fig. 2 = Genio alato del portale R di Pasargadae (foto autore). Fig. 3 a = Pianta di Persepoli, inizio V sec. a.C. (da Roaf 1983). Fig. 3 b = Pianta di Persepoli, dalla metà del V sec. A.C. (da Roaf 1983). Fig. 4 = Persepoli, un portale del palazzo di Dario (foto autore). Fig. 5 = Persepoli, coronamento merlato della scalinata dell’apadana (foto autore). Fig. 6 = Persepoli, scalinata est dell’apadana, le delegazioni babilonese e “siriana” (foto autore). Fig. 7 = Persepoli, scalinata est dell’apadana, ricostruzione grafica della VI delegazione (da Dutz – Matheson 2000, p. 58). Fig. 8 = Persepoli, scalinata est dell’apadana, ricostruzione grafica della XII delegazione (da Dutz – Matheson 2000, p. 55). Fig. 09 : Carta della Fenicia (I Fenici 1988 rielaborata da Laura Attisani). Fig. 10. Il sarcofago di Eshmunazor (Pedrazzi 2006, fig. 28). Fig. 11. Edificio di culto sulla piattaforma orientale e fortificazione (Rossi 2007, fig. 12). Fig. 12. Sidone. Moneta d’argento della Zecca di Sidone (Liban l’autre rive 1998, p. 121). Fig. 13. Sidone. Moneta d’argento della Zecca di Sidone (I Fenici 1988, p. 465). Fig. 14. Beirut. Quartiere di abitazione di età persiana (Liban l’autre rive 1998, p. 115). Fig. 15. Sidone. La regione e la sua necropoli (Hamdy – Reinach 1892). Fig. 16. Capitello con protomi taurine dal College Site di Sidone (Doumet-Serhal 2004, fig. 5). Fig. 17. Amrit (Tell Kazel ?). Stele del dio Shadrafa (La Méditerranée de Phéniciens 2007, p. 52, cat. 76). Fig. 18. Sidone, Bostan esh-Sheikh, Santuario di Eshmun. Ipotesi ricostruttiva della sezione del secondo podio col tempio antico e il tempio classico (IV sec. a.C.) (Stucky 2005, fig. 82). Fig. 19. Sidone, Bostan esh-Sheikh, Santuario di Eshmun. Statua di Baalshillem (Liban l’autre rive 1998, p. 136). Fig. 20. Amrit. Ipotesi ricostruttiva della seconda fase del tempio (Dunand − Saliby 1985, pl. LXIV). Fig. 21. Sidone, Bostan esh-Sheikh, Santuario di Eshmun. Statua di tipo egittizzante (foto autore). Fig. 22. Kition Bamboula, statua di Eracle/Melqart (Yon 2006, fig. 65). Fig. 23. Sidone. Sarcofagi antropoidi (I Fenici 1988, p. 293). Fig. 24. Sidone. Naos funerario (Aimé-Giron 1934, pl. II). Fig. 25. I principali centri dell’espansione fenicia nel Mediterraneo (Bondì et al., p. 95). Fig. 26. Cartagine. Quartiere marittimo (proposta di ricostruzione dell’area nella fase di V-III sec. a.C.) (Vegas 1998). Fig. 27. Kerkouane. Veduta aerea (I Fenici 1988, p. 177) e pianta della città (Fantar 1998, p. 114). Fig. 28. Stele del tofet di Mozia con figura femminile con le mani ai seni (S. Moscati, L’arte dei Fenici, Milano 1990, p. 30). Fig. 29. Stele di Yehwmilk di Biblo (Liban l’autre rive 1998, p. 111). Fig. 30. Stele del tofet di Cartagine con sacerdote che tiene in braccio un fanciullo (La Méditerranée de Phéniciens 2007, p. 246). Fig. 31. Figurina fittile con “simbolo di Tanit” dal relitto di Shavei Zion (Stern 1982, fig. 291). Fig. 32. Stele del tofet di Nora con “simbolo di Tanit” (S. Moscati, L’arte dei Fenici, Milano 1990, p. 46). Fig. 33. Scarabeo da Tharros (I Fenici 1988, p. 516). Fig. 34. Scarabeo da Tharros (Oscuri 1858, p. 143). Fig. 35. Rasoi bronzeo da Cartagine (Acquaro 1977, pl. XII, Ca 61). Fig. 36. Coronamento architettonico da Nora (I Fenici 1988, p. 275). Fig. 37. Naos di Ayn el-Hayat (Renan 1864, tav, IX). Fig. 38. Statua acefala egittizzante dallo Stagnone di Marsala (Pedrazzi 2006, p. 156, fig. 11). Fig. 39. Sarcofago antropoide di Cadice (I Fenici 1988, p. 298). Fig. 40. Altorilievo funerario da Sulky (I Fenici 1988, p. 302). Fig. 41. Altorilievo funerario da Sulky (Bernardini 2005, fig. 10). Fig. 42. Sigilli da Biblo e da Cagliari, S. Avendrace (Gubel 1994, tavv. V, 11-1). Fig. 43a. Sigillo da Biblo (Gubel 1994, tav. V, 16). Fig. 43b. Sigillo da Tharros (I Fenici 1988, p. 398). Fig. 44. Stele funeraria di Yaamas da Tiro (La Méditerranée de Phéniciens 2007, p. 240, cat. 18).  



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Indice dei nomi di luoghi e popoli Abar-Nahara, 17 (n. 14)

Abdera, 72 Abido, 56 Abu Hawam, 60 Acco, 19 (n. 36), 27, 56, 57, 60 Achemenidi, 15 (n. 1), 18, 18 (n. 22, n. 23), 19 (n. 27), 31 (n. 145), 35, 52, 56, 74, 75 Afghanistan, 23 Afqa, 64 Aleppo, 27 Al Mina, 60 Amatunte, 69, 70 Amrit, 36, 46, 46 (n. 253), 64, 65, 67, 67 (n. 78), 68, 69, 76, 81, 81 (n. 162) Amurru, 17 Anatolia, 15, 31 (n. 160), 39 Anshan, 17, 17 (n. 20), 41 Antas, 78, 79, 80 Arabi, 27, 27 (n. 109), 29 (n. 128), 49 Arabia, 30 (n. 136) Aramei, 17, 53 Arjan, 38 (n. 221) Armenia, 30 (n. 136), 31 (n. 150) Arwad, 22, 22 (n. 57), 53 (n. 3), 56, 56 (n. 14), 59, 65, 69 Ashdod, 27, 36 Ashkelon, 36, 55, 67, 84 Asia Minore, 21, 24, 24 (n. 80), 26 (n. 93), 29, 32, 32 (n. 260), 36, 37, 74 Assiri, 19 (n. 29), 49, 55, 56 Assiria, 16, 17, 20, 20 (n. 37, n. 40), 30 (n. 136), 39 (n. 222), 53, 55 Atene, 27, 27 (113) Ateniesi, 27 (n. 113) Awali, 61, 63 Ayaa, 22 (n. 47), 68 Ayia Irini, 21 Ayn el-Hayat, 44, 65, 76, 81, 82 Ayn el-Helwé, 68 Azerbaigian, 19

Baba Jan, 19

Babilonia, 16, 17, 17 (n. 18), 19, 19 (n. 29), 20, 20 (n. 31, n. 40), 24, 25, 28 (n. 123), 29, 29 (n. 136), 31, 34 (n. 185), 47, 53 Baitokikai, 64 Bamboula, 64, 69, 71 Barasba, 23 (n. 71) Baria, 72 Battriana, 31 Behistun, 18, 18 (n. 22), 20 (n. 40), 23 (n. 73), 26, 29, 30 (n. 133, n. 135, n. 136, n. 143), 36 (n. 207), 41 Beirut, 36, 56, 56 (n. 14), 57, 59, 60, 60 (n. 45), 61, 69 Beqaa, 27 Bethel, 56 Biblo, 20, 20 (n. 42), 21, 21 (n. 37), 26 (n. 104), 36, 37, 46, 56, 56 (n. 14), 57, 57 (n. 23), 59, 59 (n. 38), 60, 63, 65, 69, 78, 79, 84, 86

Byrsa, 74 (n. 123) Bostan esh-Sheikh, 44, 46, 46 (n. 236), 63, 64, 65, 66, 68, 70 Brauron, 65 Bulla Regia, 72

Cadice, 82, 84 Cagliari, 80, 80 (n. 157), 86 Cappadocia, 28 (n. 115), 31 (n. 150) Cari, 47 Carmelo, 20 (n. 36) Cartagine, 11, 19, 22 (n. 60), 32, 32 (n. 163), 33, 33 (n. 164, n. 169, n. 171), 71, 72, 73, 73 (n. 115, n. 117), 74, 74 (n. 120, n. 123), 75, 75 (n. 136), 76, 78, 79, 79 (n. 154), 80, 81, 82, 82 (n. 164), 83, 84, 85 Cartaginesi, 33, 33 (n. 166, n. 167), 72, 73 (n. 115), 84 Cilicia, 17, 19, 20, 20 (n. 36), 22, 24, 25, 27, 46, 46 (n. 262) Ciprioti, 22, 53 Cipro, 13, 19 (n. 33), 20, 20 (n. 39), 21, 21 (n. 57), 22, 25 (n. 88), 39, 43 (n. 250), 56, 58, 59, 64, 68, 69, 69 (n. 94), 70, 76, 81, 83, 85, 86 Cisgiordania, 59 Damasco, 27, 31, 38 (n. 217)

Danubio, 26 (n. 97) Deh Bozan, 26 Dor, 20 (n. 36), 28, 36, 53, 56, 60, 60 (n. 46) Dougga, 78

Eber-na¯ri, 17 (n. 14) Ebla, 63 (n. 62) Ecbatana, 17, 26, 31 Edomiti, 29 (n. 128) Egeo, 59, 86 Egitto, 13, 15, 18 (n. 21), 20, 20 (n. 40), 22, 23, 24, 25, 26, 26 (n. 92), 27, 28, 29, 30 (n. 136), 34, (n. 182), 35, 35 (n. 191, n. 192), 36, 37, 38, 39, 43 (n. 249), 47, 56, 56 (n. 15, n. 18), 58, 59, 63, 69, 72, 81, 82, 82 (n. 164, n. 167), 84, 85, 86. Egiziani, 28, 47 (n. 266), 53 Elam, 30 (n. 136) Elefantina, 18 (n. 21), 25, 35, 35 (n. 191, n. 194, n. 197) Esdraeolon, 59 Etruria, 71, 74 Eufrate, 16 (n. 7), 22, 27, 27 (n. 112) Fars, 70

Fenici, 15, 16 (n. 12), 19, 22, 38, 49, 53, 55, 56, 56 (n. 15), 69, 70, 74 (n. 122), 78, 81, 86 Fenicia, 11, 13, 15, 15 (n. 5), 16, 18, 18 (n. 25), 19, 19 (n. 36), 20, 21, 22, 22 (n. 62), 24, 24 (n. 79), 25, 25 (n. 88), 26, 27, 28, 29, 31, 31 (n. 151), 32, 33, 37, 37 (n. 215), 38, 38 (n. 219), 39, 43, 46, 51, 52, 53, 54, 55, 55 (n. 11), 56, 57 (n. 27), 59, 63, 65, 67 (n. 78), 68, 69 (n. 91), 72, 74, 75, 76, 78, 79, 81, 82, 84, 85 Filistea, 53 Filistei, 53 Frigia, 23 (n. 75), 24

100

indice dei nomi di luoghi e popoli

Gadata, 34 (n. 178), 37 Gadir, 72 Galilea, 27 Gaza, 27, 29, 69 Gerico, 24 (n. 79) Gerusalemme, 27, 27 (n. 108), 34, 34 (n. 183, n. 185), 35, 35 (n. 189), 36, 46, 46 (n. 258), 52, 57, 59, 63, 65 Ghorfa, 72 Giordania, 46 (n. 254) Giuda, 25, 25 (n. 87), 34, 34 (n. 181), 53 Giudei, 29 (n. 129), 34, 35, 36, 49, 53, 56 (n. 15) Godin Tepe, 19, 41 (n. 240), 42, 42 (n. 246) Grecia, 13, 15, 15 (n. 3), 16, 38, 39, 57, 57 (n. 22), 59, 65, 65 (n. 71), 66, 70, 72, 73, 85, 86 Greci, 13, 15, 16, 32 (n. 163), 33 (n. 166), 37 (n. 205), 47, 48 (n. 268), 53, 55, 56, 70, 73, 74, 86 Grotta Regina, 78 Gunzuzi, 72 Halys, 16

Hanû, 17 Hasanlu, 19, 41 (n. 240), 42 (n. 246) Homs, 27, 53 (n. 3)

Idalion, 69, 70

Imera, 33 (n. 171), 72, 73, 73 (n. 117) India, 18 Ionia, 17, 26 (n. 92), 30 (n. 136), 47, 47 (n. 264, n. 266), 49, 70 Ionici, 28 Israele, 27 (n. 108), 39, 53 Israeliti, 53 Italia, 71

Jaffa, 20 (n. 36), 28, 53, 56 Jerwan, 39 (n. 222)

Kathari, 64

Kerkouane, 75, 75 (n. 134), 77 Khorasan, 19 Khorsabad, 42, 48 Kition, 36, 39, 69, 70, 71 Kuh-i Rahmat, 46 Kurangun, 48 Kurdistan, 19 Kush, 18

Lachish, 29, 63 (n. 57) Lattakia, 53 (n. 3) Leptis Magna, 78 Levante, 13, 15 15 (n. 5), 16, 17, 19, 20, 24, 25, 26, 29, 38, 39, 51, 53, 53 (n. 1), 55, 56, 60 (n. 41), 66, 71, 72, 75, 78, 81, 84 Levantini, 53 Libano, 17, 26, 42 (n. 248), 47 Libia, 72 Libifenici, 74 Licia, 21, 28 (n. 115), 35, 36 Lidi, 49, 49 (n. 274) Lidia, 16, 17, 24, 28 (n. 116), 30 (n. 136), 31 (n. 150), 33, 47, 49 Luristan, 19

Macedonia, 60 (n. 46)

Magnesia, 34 (n. 178) Maktar, 72 Malaka, 72 Mardikh, 39 Mar Nero, 26 (n. 97) Marocco, 72 Marsala, 81, 81 (n. 163), 83 Marv-i Dasht, 42, 46 Matezzish, 42 (n. 244) Medi, 16, 30, 30 (n. 133), 39 (n. 231), 42 (n. 246), 47 (n. 266), 48 Media, 19 (n. 29), 26, 28 (n. 123), 30 (n. 136), 42 Mediterraneo, 11, 16 (n. 10), 19, 22, 26, 31 (n. 151), 36, 53, 55, 56, 66, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 82, 83, 86 Menfi, 24, 28, 56 Mesopotamia, 16, 16 (n. 13), 17, 26, 27, 30, 39 (n. 222), 55 Meydancikkale, 46 Minorca, 82 Mishdukka, 23 (n. 71) Mitza Salamu, 80 Mizpe Yammim, 67 Monte Carmelo, 59 Monte Gerizim, 63 (n. 57) Monte Libano, 64 Monte Sirai, 75 (n. 134), 82 Mozia, 76, 78, 81 (n. 162) Musasir, 39 (n. 231)

Nahr el-Abrash, 59, 64 Naqsh-i Rustam, 18, 18 (n. 24), 30, 30 (n. 139), 49 (n. 274), 50, 51 Negev, 29 Ninive, 39 (n. 222) Nippur, 24, 25 Nora, 75, 75 (n. 134), 80, 81, 82 Nord Africa, 71, 73, 75 Nubia, 18, 47, 56, 59 Olbia, 75, 75 (n. 134) Olinto, 60 (n. 46) Palermo, 75, 75 (n. 134) Palestina, 13, 15 (n. 5), 16 (n. 7), 19, 21, 24, 29, 34 (n. 18), 46, 53, 63, 84 Palmira, 74 (n. 123) Pani Loriga, 75, 75 (n. 134) Paphos, 69 Paro, 68 Parsarash, 23 (n. 71) Partia, 30 (n. 136) Pasargadae, 30 (n. 142), 39, 39 (n. 227), 40, 40 (n. 236), 41, 41 (n. 239), 42 (n. 242) Penisola Iberica, 53, 72, 75, 82 Persepoli, 17 (n. 19), 18, 21, 21 (n. 49), 22, 23, 23 (n. 69, n. 70, n. 71, n. 73, n. 74), 24, 25, 26, 26 (n. 92), 27, 28, 28 (n. 115), 30, 37, 38 (n. 220), 40, 41, 42, 42 (n. 243, n. 244), 43, 43 (n. 251), 44, 45, 46, 46 (n. 254, n. 260), 47, 48, 48 (n. 270), 49, 50, 51, 61 Persia, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 22 (n. 62), 23, 24, 26 (n. 92, n. 94), 27, 28, 29, 30, 30 (n. n.136), 31, 32, 33, 37, 39,

indice dei nomi di luoghi e popoli 39 (n. 228), 42 (n. 246), 51, 54, 55, 55 (n. 10), 56, 57, 60, 61, 70, 72, 73, 86 Persiani, 13, 15, 16, 17, 19, 20, 20 (n. 44), 23 (n. 67), 26, 26 (n. 97, n. 99), 27 (n. 110), 30, 30 (n. 143), 32, 32 (n. 164), 33, 33 (n. 166), 34, 37, 39, 39 (n. 231), 49, 51, 52, 53, 56, 69, 70, 73, 78 (n. 150) Petra, 46 (n. 254) Phoinikes, 53 Phrangissa, 70 Poeni, 33 (n. 171) Ponto, 24, 31 (n. 150) Posideion, 20 Punta de la Vaca, 82

Sais, 43 (n. 249) Saka, 18 Salamina, 22 (n. 59), 56, 73 Salamina (di Cipro), 21, 21 (n. 47), 39 Samaria, 27, 39 Samo, 65 (n. 71) San Nicolò Gerrei, 80, 80 (n. 157) Sardegna, 31 (n. 151), 72, 75, 76, 78, 79, 80, 80 (n. 157, n. 158), 83 Sardi, 17, 18, 26 (n. 97), 28, (n. 115), 31, 33, 37, 47 Sarepta, 68, 68 (n. 85), 76 (n. 138), 78, 78 (n. 163) Sar-i Pul, 42 Sexi, 72 Sharon, 28 Shavei Zion, 69, 78, 80 Shiqmona, 60 Sicilia, 22 (n. 60), 72, 73 (n. 117), 74, 75, 78 Sidone, 21, 21 (n. 57), 22, 22 (n. 62), 23 (n. 76), 24 (n. 79), 27, 27 (n. 113), 28, 32, 36, 37, 38, 38 (n. 217), 46, 56, 56 (n. 14), 57, 57 (n. 23), 58, 59, 59 (n. 38), 60, 60 (n. 42), 61, 62, 63, 63 (n. 55), 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 75, 78, 79, 80, 84, 85 Simyra, 17 Sippar, 17 (n. 14), 20, 20 (n. 42), 26 (n. 104) Sippar, 26 (n. 104) Siracusa, 33 (n. 171), 72 Siria, 13, 15 (n. 5), 16 (n. 7), 19, 20, 24, 26, 26 (n. 92), 27, 27 (n. 112), 38, 39, 53, 59 (n. 35), 63 (n. 62), 84 Siriani, 28, 49 Sogdiana, 18 Solunto, 75, 75 (n. 135) Spagna, 72, 82, 82 (n. 167) Sulky, 82, 83, 83 (n. 174), 85 Susa, 23, 25, 31, 39, 41, 46, 46 (n. 263), 47, 47 (n. 266), 50, 51 Sutei, 17

Takht-i Jamshid, 42 (n. 243)

101

Tamassos, 70 Tanis, 43 (n. 249) Tartus, 68, 69 Tas Silg, 81, 81 (n. 163) Tell el-Hesi, 21, 21 (n. 48) Tell es-Safiyé, 68 Tell Halif, 29 Tell Haror, 29 Tell Jemmeh, 29, 68 Tell Kazel, 59, 64 Tell Sera, 29 Tell Sheikh Yusuf, 68 Tell Suqas, 53, 53 (n. 3), 56, 60, 67 (n. 78) Tel Mevorach, 21, 21 (n. 48) Tepe Nush-i Jan, 19, 41 (n. 240), 42, 42 (n. 246) Tepe Siyalk, 39 (231) Tharros, 79, 81, 83, 83 (n. 176), 86 Thusca, 72 Tiro, 21, 21 (n. 57), 27, 33, 33 (n. 167), 39, 44, 53, 56, 57 (n. 23), 58, 59, 59 (n. 38), 60, 63, 68, 72, 73, 74, 84, 86 Transeufratene, 16, 17, 20, 23, 26, 27, 27 (n. 109), 28, 29, 30, 35, 51, 56 Transgiordania, 53 Tripoli, 56 Tyaiy-Drayahya, 17 (n. 14)

Ugarit, 39, 60 (n. 41), 63 (n. 62) Ulai, 41 Umm el-Amed, 44 Uruk, 28 (n. 123) Villaricos, 82 Vouni, 69 Wadi Ashur, 60 Xanthos, 21, 35, 36 (n. 201), 37, 64 Ydll, 63

Yehud, 34

Zama, 72 Zendan-i Suleiman, 19 Zeugi, 72 Zire, 61 Ziwiye, 19

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Indice dei nomi dei personaggi storici, EROICI e divini Abdamon, 56

Abdashtart, 56 Achemene, 15 (n. 1), 17, 17 (n. 20), 18 Adonis, 64 Afrodite, 70 Ahura-Mazda, 29, 30, 30 (n. 135, n. 136, n. 141) Alessandro, 39, 72 Amasi, 36 Anahita, 31, 31 (n. 147, n. 150), 34 Anat, 70 Anubis, 67 Apis, 67 Apollo, 34 (n. 178), 70 Archémoros-Opheltes, 70 Aristotele, 30 (n. 134) Arpocrate, 67, 82 Arriano, 39, 84 Arsame, 27 Artabazo, 22 Artaserse, 22 (n. 62), 25 (n. 87), 27, 27 (n. 107), 31, 31 (n. 147, n. 149), 32, 34, 35 (n. 188), 56 Artemide, 66 Asaf, 27 Asarhaddon, 55 Asclepio, 63, 64, 66 Assurbanipal, 19, 55 Astarte, 56, 63, 64, 67, 70, 76 (n. 138) Astiage, 39 (n. 227) Atena, 70 Azibaal, 70

Baal, 60, 63, 76, 76 (n. 137), 84

Baalat, 63 Baalmilk, 70 Baalshillem, 56, 65, 66 Baana, 56, 65 Bardiya, 18 Bastet, 67 Berosso, 31 Bodashtart, 56, 62, 62 (n. 53), 65

Callia, 85 Cambise, 19, 19 (n. 29), 26, 33 (n. 169), 36, 36 (n. 205), 42, 72, 73 Ciro, 17, 17 (n. 18, n. 20), 18, 18 (n. 23), 19, 19 (n. 29), 29, 30 (n. 142), 34 (n. 185), 35, 39, 39 (n. 227, n. 228, n. 230), 40, 41, 41 (n. 239), 42, 42 (n. 242), 56, 78 (n. 150) Creso, 16 Dario, 15 (n. 1), 17, 17 (n. 20), 18, 18 (n. 23), 19, 20, 20 (n.

40), 21 (n. 56), 24, 25, 26, 26 (n. 97), 27, 28 (n. 119), 29, 30, 30 (n. 133, n. 135, n. 136, n. 140, n. 143), 31, 32, 32 (n. 163), 33 (n. 164, n. 165, n. 170), 34 (n. 178), 35, 36, 36 (n. 205, n. 207), 37, 39 (n. 228), 41, 42, 42 (n. 244), 43 (n. 249), 45, 46, 47, 48, 50, 73, 73 (n. 115)

Diodoro, 22, 24 (n. 80), 33 (n. 167), 38 (n. 217), 62, 62 (n. 54), 73, 78 (n. 150) Draoferne, 33, 37

Eracle, 65, 68, 69, 70, 71 Erodoto, 16, 17, 18, 18 (n. 23), 19, 20, 20 (n. 37), 23 (n. 67), 24, 25, 26, 27 (n. 109, n. 110), 28 (n. 123), 30, 30 (n. 133, n. 143), 36, 36 (n. 205), 48 (n. 268), 56, 59, 63, 70 (n. 96), 73, 85 Eschilo, 26, 27, 27 (n. 110), 30 (n. 143) Esdra, 27, 27 (n. 108), 34, 34 (n. 181, n. 184, n. 186) Eshmun, 63, 63 (n. 61), 64, 64 (n. 63), 65, 66, 68, 70, 78, 80 Eshmunazor, 28, 28 (n. 126), 32, 56, 57, 63, 63 (n. 55), 65 Evagora, 70 Gaumata, 18, 29, 30, 30 (n. 133) Gelone, 133 (n. 171) Giustino, 32, 32 (n. 164), 33, 33 (n. 166, n. 170, n. 171), 73 Hakhaimaniš, 17 Hathor, 67 Hera, 65 (n. 75) Horo, 67, 84 Horon, 80

Ibis, 67

Imhotep, 82 Inshushinak, 39 Iolao, 78 (n. 150) Ippodamo, 60, 60 (n. 47) Isis, 60 (n. 41), 67, 84 Istaspe, 47

Khnum, 35, 35 (n. 197) Kurash, 18 (n. 20) Kurush, 18 (n. 20)

Liber Pater, 78 Magone, 75

Marduk, 17 (n. 18), 29 Megabizo, 22 Melkat-Shemir, 56, 59 Melqart, 63, 63 (n. 61), 64, 64 (n. 63), 68, 69, 70, 71, 72, 78, 78 (n. 151) Milkashtart, 78 Milkyaton, 70 Mithra, 31, 31 (n. 147), 32, 32 (n. 160)

Nabonedo, 17 (n. 18) Nabucodonosor, 17 Neemia, 25 (n. 87), 27, 34 (n. 181) Osiris, 67, 82 Parysatis, 24

104

indice dei nomi dei personaggi storici, eroici e divini

Pigmalione, 70 Pixodaros, 36 Plutarco, 36 Polieno, 36 Pompeo Trogo, 32, 32 (n. 162) Pumay, 70 Pumayyaton, 70

Ra, 67 Reshef, 70 Rikis-kalamu-bel, 26 (n. 104) Salmanassar, 39 (n. 222) Sardo, 78, 79 Sardus Pater, 78 Sargon, 42 Sennacherib, 40 (n. 235) Senofonte, 20 (n. 41), 21, 24, 24 (n. 80), 27 (n. 110) Serse, 17, 22, 28, 30 (n. 140), 31 (n. 145), 33 (n. 171), 34, 42, 46, 48, 49 (n. 275) Shadrafa, 64, 65, 78, 80 Shamash, 20 (n. 43), 30, 41

Scipione, 80 Sid, 78, 78 (n. 147), 79, 83 Smerdis, 18 Stratone Filelleno, 56

Tabnit, 56

Tanit (segno di), 67, 78 (n. 144) Tattenai, 35, 35 (n. 187) Teispe, 17, 17 (n. 20), 18 Tenne, 56, 62 (n. 54) Terone, 73 (n. 117) Teumann, 41 Tinnit, 76, 76 (n. 137, n. 138), 84 Tolomeo, 57

Yahweh, 35, 35 (n. 197), 63 Yatonmilk, 56 Yehawmilk, 20, 36, 63, 78, 79 Zeus, 34 Zarathustra, 30 (n. 132) Zoroastro, 30 (n. 132, n. 134), 31 (n. 145), 35, 36 (n. 211)

comp os to in car atte r e d a n t e m on ot y p e d a l l a fabr izio serr a e d i t or e , p i s a · r oma . stamp ato e r i l e g a t o n e l l a tip og rafia di ag n a n o, a g n a n o p i s a n o ( p i s a ) .

* Luglio 2013 (cz 2 · fg 3)

supplementi alla « rivista di studi f enici »  



Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » IX (1981), 1982, pp. 122, tavv. XXVI. Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » X (1982), 1983, pp. 48, tavv. XIV. Studi di numismatica punica, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XI (1983), 1984, pp. 82, tavv. XLII. Chiera G., Progetto e creazione di una banca-dati delle stele puniche di Monte Sirai, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XII (1984), 1985, pp. 276. Venti anni di ricerca di epigrafia punica, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XIV (1986), 1987, pp 92. Manfredi L.-I., Riconiazione ed errori di conio nel mondo punico, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XVIII (1990), 1991, pp. 268, tavv. IX. Taborelli L., L’area sacra di Ras Almunfakh presso Sabratha. Le stele, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XX (1992), 1993, pp. 198, tavv. L. Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XXI (1993), 1994, pp. 102, tavv. VIII. Tharros XXI–XXII, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XXIII (1995), 1996, pp. 188, tavv. XVIII. Tharros XXIII, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XXIV (1996), 1997, pp. 166, tavv. XVIII. Tharros XXIV, Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XXV (1997), 1998, pp. 124, tavv. X. Bartoloni P., Perra C., Monete puniche della collezione Pispisa. La serie II (264-241 a.C.), Supplemento della « Rivista di Studi Fenici » XXVI (1998), 1999, pp. 44, tavv. LXXIII. Balzano G., Ceramica fenicia di Monte Sirai, Supplemento alla « Rivista di Studi Fenici » XXVII (1999), 2000, pp. 158, tavv. VIII. Raccolte italiane di monete puniche, a cura di L.-I. Manfredi, Supplemento alla « Rivista di Studi Fenici » XXXIII (2005), 2007, pp. 136, con figure in bianco/nero. Garbati G., Religione votiva. Per un’interpretazione storico-religiosa delle terrecotte votive nella Sardegna punica e tardo-punica, Supplemento alla « Rivista di Studi Fenici » XXXIV (2006), 2008, pp. 128, con figure in bianco/nero. Oggiano I., Pedrazzi T., La Fenicia in età persiana. Un ponte tra il mondo iranico e il Mediterraneo, Supplemento alla « Rivista di Studi Fenici » XXXIX (2011), 2013, pp. 112, con figure in bianco/nero.