Per chi vale il discorso della montagna? Contributi per un’etica cristiana 883992003X, 9788839920034

Il libro intende aiutare a vivere il discorso della montagna nella forma della sequela e senza concedere possibili scont

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Per chi vale il discorso della montagna? Contributi per un’etica cristiana
 883992003X, 9788839920034

Table of contents :
Indice......Page 230
Frontespizio......Page 2
Premessa all'edizione italiana......Page 7
Prefazione......Page 9
1. Posizione del problema......Page 13
2. La cornice del discorso della montagna......Page 17
3. Storia della composizione le tteraria della cornice......Page 22
4. La presenza di Israele......Page 24
5. Il perimetro del paese......Page 26
6. La priorità della salvezza......Page 28
8. Discorso della montagna e vita del discepolo......Page 31
9. La richiesta escatologica rivolta ad Israele......Page 33
10. Conseguenze......Page 35
1. L 'esperienza di Solzenicyn......Page 39
2. Tentativi cristiani di adattamento......Page 41
3 . Il testo decisivo di Matteo 5 ,39-42......Page 42
4. La non violenza degli apostoli di Gesù......Page 46
5. I destinatari delle parole di Gesù......Page 48
6. Israele come segno di salvezza......Page 50
7. La nuova famiglia......Page 52
8. Il popolo di Dio come società alternativa......Page 54
9. I cristiani e lo stato......Page 57
10. La non violenza in una società pluralistica......Page 58
1. Radicalità, un concetto non chiarito......Page 63
2. L'uso del termine in Rudolf Bultmann......Page 66
3. Radicale ossia indiviso......Page 68
4. Ciò che rende possibile la sequela radicale......Page 75
5. Radicalità e discorso della montagna......Page 78
6. La dimensione sociale del discorso della montagna......Page 85
7. Radicalità e storia......Page 86
8. Radicalità e compromesso......Page 91
9. Radicalità e misericordia......Page 95
10. Tesi riassuntive......Page 97
1. Aporie nel'interpretazione del discorso della montagna......Page 99
2. La società alternativa nella lingua dei primi cristiani......Page 105
3. Il popolo di Dio come destinatario del discorso della montagna......Page 108
4. Il popolo di Dio del discorso della montagna come società......Page 109
5. Il discorso della montagna e la legge del Sinai......Page 111
6. Richietse alternative e discorso della montagna......Page 119
7. L'immagine alternativa di Dio nel discorso della montagna......Page 130
8. Sale della terra......Page 136
9. La città sul monte......Page 140
10. Equivoci sulla società alternativa......Page 144
1- La visione della pace tra i popoli in Is 2, 1-5......Page 159
2. I presupposti della pace tra i popoli secondo Is 2, 1-5......Page 162
3 . L 'interpretazione di Is 2, 1 -5 prima della svolta costantiniana......Page 167
4. L'interpretazione di Is 2, 1-5 in Eusebio......Page 174
5. L'interpretazione di Is 2, 1-5 in Cirillo......Page 179
6. La diversa posizione di Agostino......Page 181
7. Sguardo retrospettivo al discorso della montagna......Page 184
8. I risultati......Page 187
9. Una domanda ermeneutica di controllo......Page 188
10. Il realismo soteriologico dell'Antico Testamento e del giudaismo......Page 189
1. Una fondamentale regola metodologica......Page 193
2. La forma corretta di realizzazione del popolo di Dio......Page 194
3. Il presupposto del matrimonio indissolubile......Page 196
Una controversia con Klaus-Stefan Krieger......Page 199
Bibliografia......Page 209
Indice delle citazioni bibliche......Page 223

Citation preview

Gerhard Lohfink

PER CHI VALE IL DISCORSO DELLA MONTAGNA? Contributi per un'etica cristiana

Editrice Queriniana

Titolo originale

Wem gilt die Bergpredigt? Beitriige zu einer christ/ichen Ethik

© ©

1 988 by Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 1990 by Editrice Queriniana, Brescia Via Piamarta, 6 - 25187 Brescia

ISBN 88-399-2003-X Traduzione dal tedesco di GILBERTO e MARIATERESA GILLINI Stampato dalla Novastampa di Verona

Premessa ali' edizione italiana

Il mio libro precedente, Gesù come voleva la sua comunità? , è stato accolto molto favorevolmente in Italia e sono perciò lieto che quanto là ero venuto dicendo sia ora precisato ed approfondito attraverso questo nuovo libro sul discorso della montagna. Il lettore potrà facilmente con­ statare che ciò di cui tratta è quanto di più importante possa esservi : il rinnovamento della chiesa a partire dal Vangelo. Sento il dovere di esprimere un cordiale ringraziamento a Mariateresa e Gilberto Gillini che hanno tradotto il libro in italiano. Non solo hanno usato molto del loro tempo e tutta la loro sensibilità linguistica, ma la loro traduzione è divenuta per me segno della nostra profonda comunio­ ne nella chiesa. Gerhard Lohfink

Monaco, luglio '89

PREFAZIONE

Negli ultimi anni il discorso della montagna ha suscitato l'attenzione pubblica ed il motivo è chiaro: da quando l'umanità ha in mano la possibilità di autoannientarsi vengono poste domande molto più critiche di prima al modo con cui nel mondo si fa politica. Continuando nella solita politica che poggia sempre più sulla diffidenza e sulla minaccia di violenza, si può ancora arrestare la catastrofe totale? Ecco allora il di­ scorso della montagna con il suo programma alternativo: rinuncia ali 'uso della forza e non ritorsione, amore verso i nemici e non odio, sincerità e non menzogna, serenità e non ansia. C'è solo un problema : con un programma di questo genere si può fare politica? O, detto in maniera ancor più radicale, con principi di questo genere si può costruire la realtà sociale? Nonostante un vasto dibattito, oggi come sempre su questa domanda si fronteggiano inconciliabili due posizioni. La prima posizione incita a prendere sul serio il discorso della monta­ gna in ogni sfera vitale, e non solo nel privato, perché finisca una buona volta ogni separazione tra politica e religione. Richiede perciò una radica­ le conversione dell'intera società e una politica improntata allo spirito del discorso della montagna. In una forma quasi pura questa posizione è stata ultimamente portata avanti da Franz Alt nel suo libro Frieden ist moglich. Die Politik der Bergpredigt [La pace è possibile. La politica del discorso della montagna ] . La seconda posizione ha trovato una formulazione classica nello scrit­ to di Max Weber, Politik als Beruf [La politica come professione ] . Secondo lui, con il discorso della montagna non è possibile far politica e men che meno costruire una società. Poiché l'azione politica è propria­ mente un agire responsabile per gli altri , tale ethos della responsabilità non va d'accordo con la rinuncia all'uso della forza proposto dal discor­ so della montagna. Al massimo può permettersi di rinunciare ali 'uso della forza un individuo isolato, che vive secondo le sue convinzioni,

IO

Prefazione

lontano da ogni responsabilità pubblica. In questo modo al discorso della montagna non resta che la sfera del privato. Questa posizione di Max Weber che, esattamente come quella di Franz Alt, ha una lunga storia di precedenti , pur con d iverse variazioni sul tema, si è conservata in modo straordinario. Non potendo rinunciare semplicemente alla responsabilità del cristiano nel mondo, i teologi sostengono per lo più che il discorso della montagna comincia ad avanzare le sue richieste ai singoli e che poi, naturalmente, i singoli devono agire nella società a cominciare dal loro posto . Contro il fatto che si debba agire nella società non c'è niente da dire; il problema è solo quello di vedere se qui il singolo non sia sottopo­ sto ad una richiesta eccessiva e disperata, per cui la società continua ad andare avanti con le proprie leggi e alla fine non resti, tutto sommato, che il riferimento ad un nebuloso 'spirito del discorso della montagna' . Sono convinto che entrambe le posizioni, e la relativa serie di compro­ messi teologici , sono sbagliate e che non riescono ad eliminare la nostra difficoltà . Entrambe hanno la Bibbia contro . La Bibbia, e con essa una significativa tradizione cristiana, procede fin dall'inizio per un'altra stra­ da, che si chiama 'Popolo di Dio'. È questa una strada che prende sul serio la dimensione sociale della volontà divina di salvezza e deli' annun­ cio di Gesù, evitando così l'illusione che si possa obbligare al discorso della montagna l 'intera società. Scopo di questo libro è appunto quello di ridare consapevolezza alla posizione della Bibbia come strada autono­ ma di soluzione, come terza possibilità, per così dire, tra la posizione politica e quella privatistica. , Purtroppo si deve rimproverare ali attuale discussione sulla possibilità di tradurre in pratica il discorso della montagna di essersi troppo rara­ mente chiesta per chi valesse, a chi si rivolgesse effettivamente nelle intenzioni di Matteo . Il primo scopo parziale del libro è quindi quello di , rispondere a questa domanda dal punto di vista dell esegesi e nel modo più oggettivo possibile (Parte 1) . Per quanto riguarda i destinatari del discorso della montagna, in questa parte si è fatta tuttavia chiarezza solo sulla posizione di Matteo . Altrettanto importante è la questione dei desti­ natari del discorso del Gesù storico. Questa domanda di controllo sullo stesso Gesù deve essere condotta in base al tema concreto della nonvio­ lenza, data la crescente importanza esistenziale di questo tema per l'uma­ nità (Parte n). La Parte 111 ritorna a Matteo e vorrebbe mostrare che cosa si intenda con radicalità del discorso della montagna, di cui tanto si parla e non di rado con leggerezza. Questa Parte 111 mostrerà che il discorso della montagna può essere vissuto solo nella forma della sequela unitaria e senza possibili sconti. Una Parte IV riflette sulle conseguenze

l'relazione

li

che si traggono dalle prime tre parti del libro: la chiesa, che fin dalle sue origini è stata una società alternativa, è l'unico luogo dove il discorso della montagna di Gesù possa esser vissuto unitariamente, il che significa tra l'altro anche socialmente. Una Parte v si aggiunge coerentemente alle altre mostrando, sulla base del tema della 'pace escatologica' , che la chiesa antica ha inteso la rete delle sue comunità come il luogo in cui fin da 'ora' si compivano le promesse messianiche di una società nuova . Infine un'ultima (la VI) parte ripensa ancora una volta il tutto portando come esempio un altro testo del discorso della montagna, precisamente sulla base del divieto di divorzio da parte di Gesù . Anche qui diventa chiaro che il discorso della montagna richiede, perché possa compiersi, un concreto luogo sociale: comunità fondate sul Nuovo Testamento . Per aver potuto intendere la forma sociale del popolo di Dio come 'terza via' risolutiva nell 'interpretazione del discorso della montagna , ringrazio mio fratello Norbert . Entrambi ringraziamo la lntegrierte Ge­ meinde che, con la sua esistenza, mostra che il discorso della montagna non è un'utopia, e che cioè non è senza luogo proprio , ma ha il suo luogo in mezzo alla chiesa. Per l'aiuto ricevuto nello scrivere questo libro , ringrazio i miei collabo­ ratori e assistenti di Tubinga: Dr. Marius Reiser , Dr. Linda Maloney, Barbara Greger, Irene Kosel, Hans-Josef Miller e Agata Strobele. Gerhard Lohfink

Parte prima*

PER CHI VALE IL DISCORSO DELLA MONTAGNA?

l. POSIZIONE DEL PROBLEMA Attualmente non c'è nessun testo del Nuovo Testamento su cui tanto si discuta come sul discorso della montagna 1 • Le difficoltà non si colloca­ no, a dire il vero, nell'immediata considerazione del senso del testo che, in linea generale, è inequivocabile. Ciò che suscita difficoltà è invece la questione della possibilità, per un testo di così evidente rilievo, di essere messo in pratica e cioè la questione che da lungo tempo va sotto il nome di attuabilità del discorso della montagna . Nel corso della storia della chiesa e della teologia sono state date a questo proposito le risposte più disparate. Si è affermato che l'etica radicale del discorso della montagna può essere vissuta solo da una élite di cristiani e che proprio ad una tale élite esso è stato intenzionalmente rivolto2• Oppure si è affermato che può essere vissuto solo in un periodo di intensa attesa, quello che caratterizza l 'approssimarsi degli ultimi tem­ pi e che è stato formulato proprio per tali tempi relativamente brevi, cioè per i tempi prima della fine 3• Oppure, ancora, che il discorso della • Questa parte fu pubblicata con il titolo Wem gilt die Bergpredigt? Eine redaktionskritische Untersuchung von Mt 4,23-5,2 e 7 28s. in ThQ 163 ( 1 983) 264-284. Il saggio, che è stato leggermente rielaborato per questo libro, rimanda ad una relazione tenuta il 22/0 3/ 1 983 a Lucerna in occasione del Tagung der deutschsprachigen katholischen Neutestamentler . ,

,

• Ancora nel 1 9 80 G. Barth poteva scrivere, in un istruttivo articolo sul discorso della montagna (TRE 5, 603-61 8), che stranamente «tra le vivaci dispute sociali ed etiche della cristianità negli anni precedenti non c'era quasi stata una discussione diretta sul discorso della montagna» (6 1 5 ). Ma già nel 1 98 1 la situazione, sotto l'influsso del Friedensbewegung, era di colpo cambiata. 2 Ad esempio, K. BORNHAUSER, Bergpredigt, 4-21. 3 Ad esempio, A. SCHWEITZER, Messianitiits- und Leidensgeheimnis, 1 8s.; Io, Geschichte. 594597.640 [trad.it . , Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, Brescia].

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Per chi vale il discorso della montagna?

montagna è stato interpretato a partire da Rom 3 .20 come legge non attuabile , il cui senso è quello di spezzare e di demolire, portando così allo scoperto la vera condizione dell'uomo, precisamente la sua radicale dipendenza dalla grazia di Dio4• Nella situazione odierna si moltiplicano, a dire il vero, le voci che insistono sull' attuabilità del discorso della montagna e che al tempo stesso pretendono che si realizzi finalmente ora, soprattutto nelle sue affermazioni di pace e di rifiuto della violenza. All'interno di questa posizione il discorso appare non di rado come la magna charta di quel processo di rivoluzione etica che deve coinvolgere tutto il mondo e che è l'unico che ancora possa evitare l'autoannienta­ mento dell' umanitàs . Questo sguardo d'insieme6 , schematico e necessariamente incompleto, mostra già da solo che il problema d eli' attuabilità del discorso della montagna è strettamente connesso con la questione dei suoi destinatari . La redazione matteana del discorso della montagna si rivolge immediata­ mente a tutti i popoli e a tutti gli uomini'? Oppure si rivolge in primo luogo solo alla chiesas? Oppure si rivolge solo ad una certa élite ali 'inter­ no della chiesa e precisamente a coloro che hanno ricevuto la vocazione all 'imitazione di Gesù9? Oppure non si rivolge affatto ad un gruppo, ma solamente ai singoli che devono, ciascuno per proprio conto, attuare l'etica radicale del discorso della montagna 10? Tutte queste possibilità sono state sostenute con forza. È ovvio che l 'incertezza nella questione dei destinatari è strettamente connessa alla radicalità delle istanze morali avanzate dal discorso della montagna. Matteo, trattando la questione dei destinatari , ci dà tuttavia informazioni molto chiare e ponderate. Egli infatti ha inserito il discorso della monta­ gna, come del resto gli altri quattro grandi discorsi del suo Vangelo 1 1 , in una cornice composta con cura; sorprende quanta poca importanza ab4 Ad esempio, G. KITTEL, Bergpredigt, 590. s Ad esempio, G. BoRNt:, Bergpredigt und Frieden. ' Ad esempio, G. BoRNÉ, Bergpredigt und Frieden. 6 La bibliografia sulla storia delle interpretazioni e la fortuna del discorso della montagna è raccolta in G. BARTH, Bergpredigt, 6 1 8 . 7 Così, a d esempio, F.W. KATZENBACH, Bergpredigt, 11. 1 Così, ad esempio, M . DIBELIUS, Bergpredigt, 93; E. FucHs, Selbstzeugnis, 107 ;W. KNORZER, Bergpredigt, 25 . 96; 0. HANSSEN, Verstiindnis, 98; M . HENGEL, Stadt, 19. 2 1 . 9 Cf sopra, nota 2. 1° Così , ad esempio,A. ScHWEITZER, Geschichte, 596. 640; J. ScHMID, Matthiius, 1 58-160 [trad.it., L 'Evangelo secondo S. Matteo, Morcelliana, Brescia] . 11 Le grandi composizioni , sotto forma di discorso, del Vangelo matteano: 5,3- 7,27; 1 0,5-42; 1 3 ,3-52; 18 ,3-35; 23,2-25 ,46.

�r chi vale il discorso della montagna?

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bia avuto finora questa cornice matteana nel movimentato dibattito sul­ l'obbligatorietà e sull'attuabilità del discorso della montagna. È noto da sempre che in questa cornice del discorso della montagna sono nominati tanto le folle quanto i discepoli; ma precisamente che cosa intende indicare Matteo con il termine 'folla' e con il termine 'discepoli'? Le folle rappresentano i potenziali uditori del Vangelo, provenienti da tutte le parti del mondo? O rappresentano invece il popolo di Dio? E nel caso in cui non indichino tutti gli uomini, ma solo il popolo di Dio, ci si dovrebbe ulteriormente chiedere: rappresentano come popolo di Dio l'Israele contemporaneo o già quel popolo di Dio che Matteo, al momen­ to della redazione del suo Vangelo, vede come l' unico vero popolo di Dio, e cioè la chiesa 1 2? E ammesso che le folle del discorso della monta­ gna costituiscano un abbozzo preliminare della chiesa matteana, che cosa costituirebbero i discepoli? Un gruppo speciale all'interno della chiesa? Ma non può darsi, invece, che proprio i discepoli rappresentino la chiesa e che le folle presenti nel testo abbiano un'altra funzione? Questa serie di domande mostra che si deve indagare, con tutta la precisione di cui si può disporre, sulla funzione della cornice matteana e sulle ' figure' che in essa compaiono. Si richiede qui di distinguere con rigore tra i destinatari del Vangelo di Matteo in generale, che ovviamente sono in ultima analisi anche i destinatari del discorso della montagna, e quei particolari destinatari del discorso della montagna, all'interno del discorso 'narrante' (berichtende Rede ) del Vangelo di Matteo . È que­ st'ultimo aspetto che innanzi e sopra tutto ci deve interessare1 3 • 12 Secondo Matteo la chiesa è diventata i l vero popolo di Dio. C/ in merito il fondamentale lavoro di W. TRILLING, Das wahre lsrael. u Anche se la chiesa è il destinatario del Vangelo di Matteo, a questa chiesa, nel Vangelo, possono venir narrati racconti riferiti al passato, nei quali all' interno del 'discorso narrante' (reporting speech, berichtende Rede ), e cioè all'interno della narrazione affiorano destinatari di volta in volta diversi di 'discorsi narrati' (reported speech, berichtete Rede ) relativi al materiale tradizionale. Questa ovvietà viene poi complicata dal fatto che i destinatari dei 'discorsi narrati' possono essere visti in modo puramente 'storico' (restando così figure singolari di un passato irripetibile), ma possono anche essere 'delineati nella loro trasparenza' per il presente ecclesiale di Matteo. Nell'inter­ pretazione del Vangelo di Matteo l'esegesi oscilla tra le due possibilità fin dal momento in cui è stata introdotta la critica redazionale. Il dibattito è condotto all'insegna della domanda: storiciuazione o trasparenza? Rappresentante della tesi della storicizzazione è soprattutto G. STRECKER, Der Weg der Gerechtigkeit; rappresentante della tesi della trasparenza è soprattutto H. FRANKEMOLLE, Jahwe­ bund und Kirche Christi. Ma nel caso del Vangelo di Matteo le due possibilità non costituiscono un'alternativa vera e propria. Matteo rende costantemente trasparenti al proprio presente ecclesiale i discorsi, gli avvenimenti e le forme del suo Vangelo, ma egli vuole nello stesso tempo raccontare l'arché irripetibile della chiesa. La storia passata lo spinge alla trasparenza, ma la trasparenza richiede una storia unica, che sia veramente accaduta. Cf l'illuminante saggio di U. Luz, Die Junger im Matthiiusevangelium.

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Per chi vale il discorso della montagna?

In nessun caso dobbiamo oggi accontentarci delle informazioni indif­ ferenziate di Martin Dibelius che, in un importante saggio del 1 953 sul discorso della montagna, scriveva 14: «La situazione di cui Matteo traccia il quadro contiene due consta­ tazioni sugli ascoltatori del discorso della montagna. Dapprima viene descritto come Gesù guardi la moltitudine tut t 'intorno a lui e salga sulla cima di un 'altura, chiaramente non per evitare la moltitudine, ma per avere una visione d'insieme migliore. Ma poi, dopo che si è seduto, sono i suoi discepoli che vengono da lui e che egli ammaestra. Siamo completamente liberi di immaginarci o la moltitudine ai suoi piedi o i discepoli tutt 'intorno a lui. La moltitudine o i discepoli o entrambi sono gli ascoltatori del discorso. L 'incertezza dell'esegesi su questo punto non è affatto sorprendente; dobbiamo solo tener presente che Matteo non intende raccontarci un avvenimento storico, ma dare, sotto forma di discorso, un comandamento nuovo. In effetti la comunità cristiana è quel gruppo di uomini disseminati per tutto il mondo a cui viene rivolta la Parola; per il racconto matteano è quindi del tutto indifferente se gli uditori di quel discorso siano i discepoli oppure una moltitudine di Galilei radunati assieme» . Questa opinione rispecchia una fase della ricerca esegetica in cui i vangeli non venivano ancora indagati con coerenza a partire dalla loro forma redazionale e dal loro messaggio teologico. Ma anche rispetto a questa fase sorpassata della ricerca, Martin Dibelius legge il testo in modo sorprendentemente impreciso. Le folle infatti che si raccolgono attorno al predicatore, nel discorso della montagna, non sono semplice­ mente una 'moltitudine di Galilei ' : Matteo descrive con precisione da dove vengono. Perché mai avrebbe preparato con tanta cura e distinto con tanta esattezza l'ambiente delle folle dal gruppo dei discepoli se, per lui, in fondo fosse stato irrilevante sapere chi erano le persone a cui la parola veniva rivolta? Noi dovremo perciò chiederci con più precisione di Dibelius come Matteo abbia inquadrato il discorso della montagna, che cosa ci voleva dire con questa sua cornice e come, partendo proprio dali 'intenzionalità della cornice, si possa rispondere alla questione del carattere vincolante del discorso della montagna. 14

M. DIBELIUS, Bergpredigt, 9ls.

P�r chi vale il discorso della montagna?

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2. LA CORNICE DEL DISCORSO DELLA MONTA GNA Chiediamoci innanzi tutto quale sia, per il discorso della montagna, l'estensione della sua cornice. Per la parte terminale della cornice la questione è presto risolta; sta scritto :

E avvenne che quando Gesù ebbe terminato queste parole, le folle fossero sbigottite per il suo insegnamento. Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi (7,28s.) . A questa parte finale della cornice corrisponde l'introduzione al di­ scorso: Vedendo le folle, egli salì sulla montagna. Dopo che si fu seduto, gli si accostarono i suoi discepoli. Prendendo allora laparola li ammae­ strava dicendo così (5, l s.). C'è tuttavia da chiedersi se questa introduzione dei vv. 5,ls. rappresen­ ti tutta la parte iniziale della cornice, dato che la composizione delle folle, di cui si parla al 5, l , è accuratamente definita dal periodo immediata­ mente precedente, cioè dal v. 4,25. Proprio quest'ultimo periodo, inoltre, appare parte integrante del testo costituito da 4,23-25, il quale a sua volta è chiaramente delimitato, a monte, dalla chiamata dei primi discepoli (4, 18-22) e, a valle, giunge fino al v. 4,25 compreso, per cui esso sembra formare con l'introduzione al discorso un'unità appositamente costruita. Se siamo nel giusto, allora la parte iniziale della cornice comprende di certo l'intero testo 4,23-5,2, che recita così : 4,23 Egli percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattia e di sofferenza nel popolo. 4,24 La sua fama si sparse (persino) per tutta la Siria. Condussero a lui tutti coloro che stavano male,· che avevano varie malattie ed infermità: 1 indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. 4,25 E grandi folle lo seguivano dalla Galilea dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e dalla Perea.

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Per chi vale il discorso della montagna?

Vedendo le folle, egli salì sulla montagna. Dopo che si fu seduto, gli si accostarono i suoi discepoli. 5,2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo così.

5� l

È di considerevole importanza per l 'interpretazione del discorso della montagna stabilire se l'intero testo appena citato lo preceda facendo parte o meno della sua cornice 1 s. Finora abbiamo unicamente indicato argomenti per il riferimento del 5, l al precedente 4,25 , ma, a dire il vero, questi argomenti non possono bastare. Perché i vv . 4,23-25 possano essere accettati nella loro funzione di cornice al discorso della montagna devono poter essere rilevabili ulteriori indicazioni testuali . E questo è chiaramente il nostro caso; facciamo perciò attenzione a due serie di rimandi strutturali, particolarmente notevoli per la composizione del Vangelo di Matteo . l. È stato spesso mostrato come Matteo, ali 'interno della composizio­ ne del suo Vangelo, inserisca cinque grandi discorsi di Gesù, che conclude tutti con la stessa formula : «E avvenne che quando Gesù ebbe termina­ to ». La seguente tabella indica luogo e lunghezza, in numero di parole, di questi discorsi di Gesù 16: . ..

Discorso Discorso Discorso Discorso v Discorso I II III IV

della montagna missionario in parabole comunitario sul giudizio finale

5,3 10,5 13,3 1 8 ,3 23,2

-

7 ,27 42 52 35 25,46

1937 640 929 639 222 1

Si vede subito che i cinque discorsi sono uniformemente distribuiti per l'intero Vangelo e che il primo e l' ultimo hanno un 'estensione di gran 1� Per quel c lfe ne so, la questione non è mai stata discussa a fondo. Per una risposta affermativa si trovano asserzioni in: J. ScHMID, Matthiius, 12; W. GRUNDMANN, Matthiius, Il l («Un sommario costituisce il punto di passaggio al discorso della montagna ed è così strettamente legato all'introdu­ zione del discorso che finisce con appartenere ad essa))); P. BoNNARD, Matthieu, S l. Per una risposta negativa: H.- W. BARTSCH, Feldrede, 6s. 16 Il conto delle parole risulta da NESTLE-ALAND, Novum Testamentum graece...• Stuttgart 1 97926, non prendendo in considerazione le varianti.- Il concetto di 'discorso comunitario' per i vv. 1 8,3-35 è infelice, ma ormai è divenuto di uso comune. - Il discorso contro gli scribi ed i farisei (23,2-39) e il discorso escatologico (24,4-2S,46) appartengono allo stesso complesso. Cf H. FRANKEMOLLE, Jahwebund, 210.335. Da qui il concetto più generico di 'discorso sul giudizio finale'.

P.r chi vale il discorso della montagna?

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lunga maggiore . L e parti terminali delle rispettive cornici sono, con un'u­ nica eccezione, brevi e si differenziano distintamente dal contesto . Si confronti per il 1: 7,28s . , per il I I : 1 1 , 1 , per il III: 1 3 ,53, per il IV: 1 9 ,ls. fa eccezione, il V: 26, 1-5, per il quale dalla parte terminale della cornice si passa, quasi senza interruzione, al racconto della passione. Per noi però è ben più importante l'interrogativo: come configura Matteo le parti iniziali delle cinque cornici? Il discorso missionario ( 1 0,5b-42) è stato fatto precedere dal conferi­ mento di poteri e dal mandato missionario ai dodici discepoli, lO, l-5a, con cui si prepara l'immediato avvio al discorso (l0,5a) attraverso l' elen­ cazione degli apostoli ( 1 0,2-4) . Il v. 10,5a sta, dal punto di vista del suo referente, al 10,2-4 esattamente come il v. 5 , l a sta al v. 4,25 : se là viene definita la composizione delle folle, qui si definisce la composizione della cerchia dei discepoli in vista del successivo discorso . La cornice del di­ scorso missionario si estende però a monte ancor oltre il lO, l : i vv. 9, 36-38 che contengono il logion degli operai e della messe è ordinato come parte dell'effettiva cornice dei vv . 10, 5b-42. Nel discorso in parabole ( 1 3 , 3-52) la parte iniziale della cornice è sensibilmente più breve: comprende solo i vv. 1 3 , 1 -3 . È però importante considerare come i destinatari siano determinati, non n eli 'immediato avviarsi del discorso in 1 3 ,3a, ma già prima, in 1 3 ,2. Il discorso comunitario ( 1 8,3-35) viene sviluppato da Matteo a partire dal 1 8 , l . Alla domanda circa il «più grande nel regno dei cieli» Gesù risponde chiamando un bambino, ponendolo in mezzo ai discepoli e cominciando poi il suo discorso. Anche qui , determinazione dei destina­ tari ( 1 8 , 1 ) e immediato avvio al discorso ( 1 8,3a) sono separati. Il discorso sul giudizio finale (23 ,2-25 ,46) è diviso in due parti . Mentre il discorso contro gli scribi e i farisei (23 ,2-39) ha un 'introduzione oltre­ modo concisa (solo il v. 23 , 1 ), il discorso escatologico (24,4b-25,46) si svolge da una domanda dei discepoli (24,3), che, a sua volta, è preparata ed introdotta dalla scena di Gesù che esce dal tempio (24, l s.); la parte iniziale della cornice comprende così i vv. 24, l-4a. Restano pertanto dimostrate le seguenti affermazioni . Nella composi­ zione dei grandi discorsi matteani la parte iniziale della cornice, con l'eccezione di 23 , l, ha uno sviluppo più robusto rispetto alla parte termi­ nale, sempre molto concisa. La parte iniziale può consistere in una do­ manda rivolta a Gesù ( 1 8 , l; 24,3), può contenere la descrizione di una situazione ( 1 3 , 1-2) e può persino includere un piccolo pezzo narrativo (9,36-38 ;24, l s.). Si fissano sempre con precisione i destinatari del discor­ so; unicamente in 23 ,l si trova una più precisa determinazione dei desti-

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natari nell'immediato avvio al discorso; in tutti gli altri casi Matteo dispone i dettagli in maniera più differenziata. Abbiamo così ricavato un ulteriore argomento per affermare che anche per il primo grande discorso di Matteo la parte iniziale della cornice si spinge a monte oltre i vv. 5 , ls. 2. Contrariamente al discorso lucano della pianura (Le 6, 1 7-49) il discorso matteano della montagna si trova quasi ali 'inizio deli' attività pubblica di Gesù. Matteo presenta questa sequenza: battesimo di Gesù (3 , 1 3 - 1 7); tentazione di Gesù (4, 1 - 1 1 ) ; primo sommario sul ministero di Gesù i n Galilea (4, 1 2- 1 7) ; chiamata dei primi discepoli (4, 1 8-22) . Il secondo sommario sul ministero di Gesù in Galilea segue immediata­ mente ed è poi quel testo della cui funzione stiamo trattando , costituito cioè dai vv. 4,23-25 . Matteo inserisce così tra il racconto della tentazione e il suo primo grande discorso un unico racconto: la chiamata dei disce­ poli . Tale racconto occorreva necessariamente, altrimenti non ci sarebbe­ ro stati a disposizione discepoli come ascoltatori del discorso della mon­ tagna. Se si legge però il testo con pignoleria, nonostante i vv. 4, 1 8-22, appena quattro discepoli stanno davanti a Gesù durante il discorso della montagna 1 7, e nient'affatto quei dodici la cui esistenza è presupposta solo più tardi, al v. 1 0, 1 . Matteo tiene tuttavia conto di questa divergenza e precisamente nel mo­ mento in cui sposta intenzionalmente il grande discorso programmatico quanto più possibile all 'inizio dell 'attività pubblica di Gesù 18• Al discorso della montagna fa seguito in 8, 1 -9,34, un'ulteriore tipica composizione matteana: la narrazione di dieci miracoli . Gli esegeti hanno visto da tempo che l'evangelista ha voluto in tal modo, con una intenzio­ nale sistematicità, caratterizzare, fin dall'inizio del suo ministero, Gesù sia come 'Messia della parola' sia come 'Messia delle opere'l9. Del­ la coerenza con cui Matteo procede ci dà prova una ripetizione di eccezio­ nale importanza; egli riprende quasi alla lettera l'inizio del som­ mario , cioè i vv. 4,23 s . , alla fine della grande sezione dei miracoli, cioè al v. 9 ,35 : Giusta osservazione di D. DoRMEYER, Bergpredigt, IOs. Nello stesso tempo per Matteo si tratta di rielaborare il nesso chiamata/istruzione per i discepo­ li. Cf I parte, 8s. 19 Per primo J. ScHNIEWIND, Malthiius , 36s . , 106. 17 11

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E Gesù percorreva tutte le città e i villaggi insegnando nelle loro sinagoghe annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattia e di sofferenza. L e affermazioni 4,23 e i n 9,35 hanno così una funzione inequivocabil­ mente inclusiva : incastonano una presentazione tanto delle parole quan­ to delle opere di Gesù , composta ad arte, finemente ponderata e sistema­ tica, che è di importanza basilare per il Vangelo20 • Con ciò è definitiva­ mente assodato che l 'intera sezione 4,23-25 costituisce introduzione al discorso della montagna. Essa prepara sia la successiva sezione dei mira­ coli in 8 , 1 -9,34 - dal momento che quest'ultima forma un tutto unitario con il discorso della montagna - sia, e soprattutto, la sezione 5 , 3-7,27. Abbiamo di conseguenza buoni motivi per prendere in seguito le mosse dal fatto che la cornice del discorso della montagna comprende, nella sua parte iniziale, effettivamente i vv. 4,23-5,2. Matteo ha infatti inquadrato con particolare accuratezza e· con precisione di dettagli il primo discorso programmatico del suo vangelo . La parte iniziale di questa cornice deve essere allora precisata nella sua struttura meglio di quanto abbiamo fatto finora. In 4,23-24a viene presentato un semplice sommario che intende dare una visione d' insieme delle opere di Gesù in Galilea (perché proprio in Galilea è indicato in 4, 1 2- 1 7). Tale compendio si articola, nel testo, attraverso i tre verbi disposti allo stesso livello: insegnando- annuncian­ do -guarendo; costituisce una visione d 'insieme che verrà ripetuta, come abbiamo detto, quasi alla lettera in 9,35; infine si allarga alla notizia che la fama di Gesù si spargeva per tutta la Siria. Con ciò il sommario è per il momento concluso . La descrizione immediatamente successiva delle opere di guarigione, precisamente in 4,24b-e, non prosegue meramente il compendio e non vuole assolutamente affermare che gli ammalati di cui subito dopo si parla siano venuti dalla Siria, ma, riprendendo ancora una volta il 'gua­ rendo' di 4,23 , dà una dimensione concreta alle guarigioni che si realizza­ no 'nel popolo' (di Israele). Ma più che da questa ripresa di 4,23 si è ora colpiti dal fatto che al successivo versetto 25 ricompaiono di nuovo determinazioni geografiche, benché già al 23 si parlasse di Galilea. L'e­ stensione oltre i confini della Galilea, affermata dal v. 4,25 , rivela pale20

C/ H. FRANKEMòLLE, Jahwebund, 342s.; R. A. GuELJCH, Sermon , 42.

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semente l'intenzione di preparare S , l s . I vv. 24b-25 hanno infatti eviden­ temente la funzione di stabilire un raccordo tra il sommario di 4,23-24b e lo scenario realistico di 5 , l s. Da una parte questi versetti di passaggio mostrano ancora i caratteri del sommario, dall 'altra cominciano già a montare lo sfondo per il discorso della montagna: attorno a Gesù si raccolgono persone da tutto Israele, dietro di loro stanno i molti che egli ha guarito. La narrazione vera e propria, chiaramente scandita dai dè e palesemen­ te collegata a quanto precede, inizia 5, l ; il v. 5 ,2 è l'immediato avvio del discorso. Da un punto di vista strettamente sintattico non si può decidere se il 'li' (aytùs) si riferisca solamente ai 'discepoli' oppure anche alle ' folle' . Solo 7,28 infatti garantisce che le folle, né più né meno che i discepoli, fossero gli uditori del discorso della montagna . Di conseguenza l 'introduzione del discorso della montagna è articolato così: a) semplice sommario: 4,23-24a; b) raccordo e nuovo approccio alla narrazione: 4,24b-25; c) mera narrazione ed avvio al discorso: 5, l s. Matteo è riuscito in effetti , nel volger di un brevissimo intervallo, a passare dal sommario in 4,23-24a, indispensabile per l'ordine interno del suo vangelo, alla concreta narrazione in 5 , l s. La sua tecnica è ancor più degna di ammirazione se si tiene conto che egli non formula liberamente la sua composizione, ma usa. un mosaico di testi precedenti. Ma di ciò si tratterà al punto successivo.

3. S TORIA DELLA COMPOSIZIONE LE TTERA RIA

DELLA CORNICE Matteo , come indica il confronto sinottico , ha posto un 'intera serie di testi marciani alla base della sua introduzione al discorso della monta­ gna2 1 . Al v. 23 egli segue sostanzialmente Mc l ,39; contemporaneamente dipende anche da Mc 6,6b, da Mc l , 1 4 e da Mc l ,32. Il v. 24a rimanda 21 Può qui restare aperta la questione se già la fonte dei /6gia introduca, con alcune 'notazioni sceniche', il primo discorso programmatico di Gesù (così afferma, ad esempio, B. H. ScHùRMANN, Lukasevangelium l, 318s. 323 [trad.it., Il Vangelo di Luca. Parte prima, Paideia, Brescia].

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Mc l ,28. Per il v. 24b-c Matteo si ricollega, sia pure con qualche variante redazionale, a Mc l ,32-34. Per il v. 25 risale a Mc 3, 7s . , di nuovo con varianti caratteristiche. In 5, l s. Matteo, elaborando Mc 3, 1 3 , formu­ la più liberamente il suo testo; è altresì possibile che egli risalga ad una introduzione al primo discorso programmatico della fonte dei 16gia. La parte conclusiva della cornice ci interessa meno, si basa comunque su Mc 1 ,22. Anche se non si è certo disposti ad immaginarsi un Matteo al lavoro con 'colla e forbici' , si deve tuttavia ammettere che egli , per un testo relativamente breve, abbia preso in considerazione un numero straordi­ nariamente elevato di passaggi , disseminati lungo il Vangelo di Marco. Questa modalità di lavoro mostra lo stile compositivo dell'evangelista; e mostra, a dire il vero, anche il suo speciale interesse per l'introduzione al discorso della montagna. La sua tecnica compilatoria ci mette in grado di verificare in modo relativamente facile i passi in cui egli apporta modifiche o nuove accentuazioni nel significato. Quelle che, ai nostri scopi , sono le modifiche più importanti si possono elencare in questo modo: l) L'espressione «il Vangelo di Dio» (Mc l, 1 4) è modificata in «il Vange­ lo del Regno» (MI 4,23); 2) rispetto a Marco risulta nuova l'aggiunta «ogni sorta di malattia e di sofferenza nel popolo» (MI 4,23); 3) l'espressione «(la sua fama si diffuse) dovunque nei dintorni della Galilea» (Mc l ,28) è modificata in «per tutta la Siria» (MI 4,24); 4) rispetto a Mc l ,32-34 risultano nuove le aggiunte «che avevano (a che fare con) infermità)) (bastinois synechoménus) e «epilettici e paralitici» (seleniazoménus kài paralylikùs) (MI 4,24) ; 5) dagli elenchi delle indicazioni geografiche di Mc 3 , 7s. vengono espunti : «dall' Idumea» e «dalle parti di Tiro e Sidone>> (MI 4,25); 6) viene invece aggiunto all' elenco di Mc 3 , 7s. «dalla Decapoli » (MI �,25); 7) in parte liberamente configurati sono lo scenario e l 'introduzione immediatamente precedenti il discorso della montagna in MI 5, l s . S e si scorre questa lista, s i nota che gli interessi predominanti i n Matteo seguono due direzioni: a) egli ha proprio in questo luogo particolarmente sottolineato le opere di guarigione di Gesù ; b) ha apportato variazioni, per lui chiaramente importanti, agli elenchi delle indicazioni geografiche di Mc 3, 7s. Noi prenderemo le mosse soprattutto da queste due osserva­ zioni per la fase successiva del nostro lavoro teologico. a

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4. LA PRESENZA DI ISRA ELE L 'introduzione al discorso della montagna delinea innanzitutto le ope­ re di Gesù in Galilea (4,23). Gesù si era infatti ritirato in Galilea per l'arresto di Giovanni il Battista e là - secondo una profezia di Isaia nella «Galilea dei pagani» cominciò la sua attività pubblica (4, 1 3- 1 7) . Se Matteo riprende da fs 8,23-9, l l'espressione «Galilea dei pagani» non intende però in nessun modo alludere alla futura missione tra i pagani22; piuttosto vuoi dire - e del resto esattamente nel senso del passo di lsaia23 - che la svolta escatologica per lsraele24 ebbe inizio proprio in quella parte di Israele che era maggiormente mescolata con popolazioni pagane. Proprio in questa Galilea sottoposta all 'influenza straniera dei pagani rifulse al popolo d'Israele la grande luce di Dio (4, 16). È partendo da questo presupposto, chiaramente formulato in 4, 1 2- 1 7 , che si deve inter­ pretare l'introduzione al discorso della montagna. Combinando Mc l ,39 con Mc 6,6b , Matteo in 4,23 può dire: Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando, annunciando e guarendo. In questo versetto e nel successivo l'evangelista usa due volte h6/os e tre volte pds: un chiaro segno che egli intende riferirsi all'attività complessi­ va di Gesù, tanto complessivamente impressionante che se ne sparge la fama persino «in tutta la Siria» (4,24) . Naturalmente Matteo non intende alludere con questa frase, per molti versi enigmatica, ad attività di Gesù nel Nord non israelitico della Palesti­ na. Un tale interpretazione è assolutamente esclusa da Mt 1 0, 5 e Mt 1 5 ,24. Sarebbe pura teoria supporre che la frase faccia riferimento alla futura missione tra i pagani25 ; dobbiamo invece interpretare coerente­ mente Mt 4,24a a partire dalla sua funzione alla finè del sommario. Matteo ha letto la frase di Marco l ,28 : «E la sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea». Egli ha interpretato «i dintorni della Galilea» come Siria e ha collocato la frase alla fine del sommario perché tale frase era in grado di mettere in piena luce la forza delle opere di Gesù in Galilea : tutta la Galilea era talmente ricolma delle opere di 22

Così, ad esempio, F. HAHN, Verstiindnis , 109; H. FRANKEMOLLE, Jahwebund , 1 1 0. Cf H. WILDBERGER, Jesaja l, 371-374. 24 Felicemente afferma R. WALKER, Heilsgeschichte , 76: «L'Israele perduto, a cui appartiene anche la Galilea dei pagani, esperimenta la salvezza del suo Messia. Di conseguenza anche il v. 4, l S fa rigorosamente parte della rappresentazione che l'evangelista dà di Israele». Cf anche J . ScHREI­ BER, Theologie. 214s. 25 Così H. FRANKEMOLLE, Jahwebund, 1 10; R. H. GUNDRY, Matthew, 64. 23

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Gesù , che la fama di tali opere si allargava a tutta la Siria . Perciò è chiaro che con il termine Siria non può intendersi, come in Le 2 ,2 , la provincia romana26, ma quei territori , oltre i confini settentrionali della Galilea, che agli occhi di Israele e dal punto di vista della sua ubicazione geografica venivano genericamente indicati come Siria27• Proprio per il fatto che Matteo nel sommario in 4,23-24a limita con tanta coerenza l'opera di Gesù alla Galilea, sorprende poi molto che egli, già in 4,25 , allarghi l'efficacia dell'operare di Gesù: E grandi folle lo seguivano dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e dalla Perea. Certo, tutto ciò è formulato in modo tale che l'ubicazione e il campo d'azione 'Galilea ' non siano in nessun modo abbandonati da Gesù. Tut­ tavia sorge spontanea la domanda se l'efficacia dell' operare di Gesù sia stata aperta anche ai non israeliti , e non solo indirettamente, attraverso l'indicazione del luogo d'origine delle folle . In effetti tutta una serie di esegeti di fronte alla voce 'Decapoli' ricomincia a pensare ad un distretto pagano e alla futura missione tra i pagani28• In realtà Matteo , nel suo Vangelo, all'interno del discorso narrante, non ha affatto in mente la missione tra i pagani , anzi è oltremodo attento ad escludere assolutamente dal v. 4,25 qualsiasi cenno ad opere nei con­ fronti di pagani29. 26 Così sostengono con ragione M J LAGRANG E Matthieu , 72; E. KLOSTERMANN, Matthiiusevan­ gelium, 32; J. ScHMID, Matthiius, 73; P. BONNARD, Matthieu , 52; G. MAIER, Matthiiusevangelium l, 96. Pensano invece alla provincia romana della Siria H. J. HOL TZ MAN N Synoptiker, 78; J. WE 10, Schrif­ ten l, 256; E. LOHMEYER, Matthiius, 72; W. TRILUNG, /srael, 135; W. GRUNDMANN, Matthiius, 113. 27 Cf per questa prospettiva giudaica ad esempio: GIUSEPPE F LA VI O , Bellum , II I , 3,1 (§ 35); VII, 3,3 (§ 43), oppure Aboda Sora, l, 8 («Nel paese di Israele non si devono affittare case ai non giudei. .. In Siria è permesso affittare loro case, ma non campi))). 28 Così, ad esempio, H. FRANKEMOLLE, Jahwebund IlO; R. H. GUNDRY, Matthew , 65. 29 Contro è H. FRANKEMOLLE, che, nella legittima intenzione di mettere in luce la trasparenza del primo vangelo per il presente ecclesiale di Matteo, ne svaluta l'esposizione altamente differenziata dal punto di vista storico, e si ribella persino ad una comprensione linear-temporale del primo vangelo (Jah webund, 350). H. Frankemolle trascura il fatto che nel vangelo di Matteo (a prescindere da Mt 1-2) il tema della missione fra i pagani non si incontra mai nel 'discorso narrante', ma sempre solo nel 'discorso narrato' (praticamente in parole di Gesù, dette al futuro) e precisamente in 8,11; 10,18; 12,18.21; 21,41.43; 24,14; 26,13 (c/28,19s.). In tal modo Mattco riesce a separare chiaramen­ te il fatto che Gesù si concentri nel presente solo su Israele ( 1 5,24-26) dalle future azioni dei discepoli tra tutte le -genti . Per cui H. Frankemolle è esegeticamente inattendibile quando pretende che Mt 4,23-25 sia un miracolo per i pagani (IIOs.) o che Mt 15,29-3 1 esemplifichi, come afferma J. Jeremias «un 'attività in grande stile tra i pagani)) (117). Cf W. T R ILLI N G lsrae/, 135. 133s. Mt l-2 non deve essere incluso in queste considerazion i, poiché è proprio dell'antefatto e del prologo riassumere proletticamente sviluppi storici. .-

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Da dove vengono, secondo Matteo, le folle che in quel momento sono alla sequela di Gesù e che stanno per raccogliersi attorno a lui come ascoltatori del discorso della montagna? Esse non vengono dall'Idumea, da Tiro e Sidone, come aveva scritto Marco (3 ,8). Matteo infatti espun­ ge queste tre indicazioni, palesemente perché egli le associa a distretti pagani. Almeno per Tiro e Sidone ciò è evidente, basta confrontare Mt 1 5 ,2128. Per l'eliminazione dell' Idumea (da : Edom) potrebbe aver giocato un ruolo decisivo Js 34 poiché lì il territorio di Edom viene maledetto per sempre (34, 1 7) e dichiarato luogo di demonP0 • Nella discussione rabbini­ ca un ruolo ancor più significativo teneva però Dt 2,5, sulla cui base si formò la linea interpretativa tradizionale, che stabiliva che il territorio di Edom non apparteneva al paese di Israele3 t . I distretti che Matteo conserva dalla enumerazione di Mc 3 , 7-8 sono: Galilea, Gerusalemme, Giudea e Perea . Egli in tal modo accoglie esatta­ mente quei tre territori che i rabbini elencano quando vogliono definire l'intero Israele attraverso l'enumerazione dei suoi distretti . Poiché all 'in­ terno di Israele vi erano differenze di prassi giuridica era necessario distinguere tra Giudea, Perea e Galilea, ma Israele risultava dai tre di­ stretti assieme32. ·

5. IL PERIMETR O DEL PA ESE Se si osserva la precisione con cui Matteo assume dalla lista di Mc 3 , 7-8 i territori di Israele, espungendo quelli che non sono di Israele, non si può non presumere che per lui la nuova aggiunta della Decapoli sia coerente con la linea che ha fin qui seguito. Ma come è possibile che Matteo riesca a mettere insieme le dieci città ellenistiche con il suo programma stretta­ mente limitato ad Israele? lO Non si deve escludere completamente la possibilità che Matteo abbia eliminato l'ldumea calco­ landola semplicemente nella Giudea. Giuseppe Flavio in Bellum III , 3,5 (§ SS) conta l'ldumea nelle circoscrizioni amministrative (toparchie) della Giudea. Lo spostamento storico della regione edomi­ tica da Est ad Ovest è irrilevante per la formulazione della nostra questione. 3 1 Ciò tuttavia solo fino ai tempi del Messia! l testi rabbinici che si riferiscono ed Edom sono raccolti da Billerbeck I l , 724; IV, 88 1 . 899s. l2 Cf, per esempio, Ketubot XIII, IO: «Rispetto al diritto matrimoniale si distinguono tre provin­ cie: Giudea, Transgiordania e Galilea», oppure Shebiit IX, 2: «Ci sono regioni di tre tipi: Giudea, · Transgiordania e Galilea».

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Sarebbe davvero troppo poco richiamare l'attenzione sulle forti mino­ ranze giudaiche nella Decapoli33; tali minoranze esistevano anche a Tiro e a Sidone34• Chiaramente per Matteo non si tratta tanto della distribu­ zione contemporanea della popolazione quanto dell'Israele dei padri 35• Nel momento del grande discorso programmatico di Gesù l'intero Israele dei padri deve essere presente, o meglio, rappresentato. Il territorio della Decapoli faceva parte una volta del grande regno di Davide; e anche gli Asmonei si erano battuti per le città della Decapoli non solo per sete di potere, per motivi politici , ma anche perché erano mossi dall' antica e ortodossa speranza di salvezza, di istituire cioè l'Israele escatologico36. In ogni caso per l'interpretazione di Mc 4,25 si dovrebbe una buona volta fare attenzione al fatto che nell'Antico Testamento, specialmente nell'o­ pera storica del deuteronomista, vi sono teorie assodate sul vero perime­ tro del paese; in esse la realtà politica introdotta dalla divisione del regno � di gran lunga superata37• Dalla caduta del regno davidico in Israele si riproponeva sempre di nuovo la questione: fin dove si estende il paese, dove sono i suoi confini? La questione era importante perché si trattava in ultima analisi di un'eredità donata da JHWH. La questione dei confini del paese era altresì importante per la sua intima connessione con la valiqità dei comandamenti: i comandamenti sono dati infatti per la vita nella terra promessa. Questa connessione, formulata chiaramente soprat­ tutto nel Deuteronomio3s, rimane continuamente presente anche nel giu­ daismo successivo. Non è quindi un caso che Matteo, ai vv. 4, 1 5 .23 .25 cioè immediatamente prima della solenne proclamazione della ' Tora' messianica - offra un'accurata definizione geografica di Israele e, a maggior ragione, non è un caso che Matteo sia l 'unico evangelista che con tanto rilievo nomini il «paese di Israele» in 2,20s . Con il termine ' Israele' egli intende tutt 'altro che la ricostituzione del popolo secondo il modello delle guerre dei Maccabei e degli Asmonei; per lui si tratta invece proprio di quell' intero Israele che il Messia pascerà (2,6) dopo aver liberato il popolo dai suoi peccati (l ,2 1 ) . ll

C/GJUSEPPE FLAVIO, Bellum Il, 1 8 , 3-5 (§§ 466-480); 20,2 (§§ 556-561). C/ il materiale riportato in J. JUSTER, Juifs l, 197. Js Cf W. TRILLING, Evangelium nach Mallhiius l, 86s. 36 Cf K. FISCHER, Herrschaft , 46s. 50. 37 C/ soprattutto P. DIEPOLD, Land, 30 s. 36 . 39. 60-62. 178s. Per la storia deuteronomista i territori ad est del Giordano sono, con alcune differenziazioni, parte integrante della terra promessa, la cui frontiera meridionale è l'Arnon . La zona d'insediamento degli Edomiti (Dt 2,5), che sono considerati un popolo fratello, è espressamente esclusa (DIEPOLD, 62). Jl Cf P. DIEPOLD, Land, 90-96. l4

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Possiamo così affermare che, con le determinazioni geografiche del v. 4,25 , l'evangelista intende descrivere l'intero popolo d' Israele: a Nord­ Ovest la Galilea, a Nord-Est la Decapoli , a Sud-Ovest Gerusalemme e la Giudea, e a Sud-Est la Perea . Matteo ha già raggiunto in tal modo uno degli scopi più importanti che si era prefisso per l'introduzione al discor­ so della montagna: ha mostrato che il luogo del grande discorso pro­ grammatico di Gesù è la Galilea e non la capitale, Gerusalemme . Per il discorso della montagna tuttavia sono riunite attorno a Gesù grandi folle (dchloi pol/òi) provenienti da tutte le parti del paese: rappresentano l'intero Israele che Gesù deve radunare39•

6. LA 'PRIORITÀ , DELLA SAL VEZZA Avevamo già visto che Matteo , nell'introduzione al discorso della montagna, concede alle guarigioni di Gesù uno spazio privilegiato. Non si accontenta infatti del «guarendo ogni sorta di malattia e di sofferenza nel popolo» inserito nel sommario (vv . 23-24a), ma nel successivo 24b e rende concrete le opere di guarigione di Gesù . Quali obiettivi si pone? Chiaramente molti ! In primo luogo il sommario dei vv . 23-24a ha la funzione di introdurre non solo il discorso della montagna, ma anche la sezione dei miracoli : Mt 8 , 1 -9,34. L"insegnando' prepara il discorso della montagna, il 'guaren­ do' la sezione dei miracoli . Ancor più importante di questo aspetto della composizione letteraria è però la funzione teologica del preciso riferimento alle guarigioni di Gesù . Il discorso della montagna contiene una moltitudine di richieste morali estremamente radicali e dure; Gesù pretende non solo che si ascolti la sua parola, ma anche che la si metta in pratica (7 ,21 -27) . Le sue parole costituiscono l 'interpretazione definitiva, escatologica della Torà (5, 17-20)40 e richiedono perciò una obbedienza indefettibile così come un' indefettibile obbedienza alla Torà era stata richiesta da Israele. Ma � Così anche W. TRJLLING, lsrael , 136s.; R. WALKER, Heilsgeschichte , 98 e G. SCHNEIDER, Bot­ schaft , 22. 25 . 1 1 1 . .w Così pensa giustamente la maggior parte degli interpreti; cf ad esempio H. FRANKEMOLLE, Jah webund , 304; G . BARTH , Bergpredigt , 608. - Non è appropriato designare il discorso della montagna matteano come 'nuova Torà ' .

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ancor prima che una tale obbedienza alla Torà fosse richiesta ad Israele, l >io aveva tratto in salvo e condotto alla libertà il suo popolo . L'opera l i berante di JHWH aveva preceduto l'operare del popolo. Analogamente ora le opere messianiche di Gesù precedono le richieste del discorso della montagna. In verità queste opere sono raccontate nei particolari solo alla conclusione del discorso della montagna, nella sezione dei miracoli (8 , 1 9,34); solo lì viene veramente rivelato quanto d i nuovo e di inaudito ci sia nelle guarigioni miracolose di Gesù: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele» (9,33). Ciò nonostante queste opere messianiche di Gesù han­ no, già prima del discorso della montagna, nella forma del sommario il loro necessario ed irrinunciabile posto, poiché così Matteo può far notare che, ancor prima della richiesta di una radicale obbedienza davanti ali 'in­ segnamento di Gesù, la salvezza era già stata donata. Prima che fosse richiesta una giustizia più grande (5,20), in Israele erano da tempo acca­ duti nuovi miracoli che superavano quanto era avvenuto in precedenza. La chiara luce del Vangelo (4, 1 5 - 1 7 ; c/ 4,23) e il miracolo della vita nuo­ va (4,23s.) avevano preceduto la didaché del discorso della monta­ gna4I . La forte accentuazione postà sulle guarigioni miracolose di Gesù nel­ l'introduzione al discorso della montagna ha anche una terza funzione. In Mt 4,23-25 la riflessione sul popolo di Dio è sostenuta non solo dalle indicazioni geografiche, ma anche da una rielaborazione dell'attività salvifica e liberante di Gesù, dal momento che Matteo aggiunge rispetto ai dati corrispondenti di Marco, «ogni sorta di malattia e di sofferenza». Senza dubbio un'allusione, questa, a Dt 7, 1 5 : «Il Signore allontanerà da te ogni infermità e non manderà su di te alcuna di quelle funeste malattie d'Egitto». In Dt 7 , 1 5 la parola viene rivolta al popolo di Dio tutt 'intero e proprio di questo popolo di Dio nel suo complesso si tratta nelle guarigioni dell'introduzione al discorso della montagna; perché anche ciò risulti con piena evidenza, Matteo aggiunge ancora appositamente: «Ge­ sù guarisce ogni sorta di malattia e di sofferenza nelpopolo (laos )». Gesù quindi opera guarigioni non solo per pietà verso i singoli ammalati, ma soprattutto per aprire ad Israele la strada del tempo messianico della salvezza. Il popolo di Dio nel suo complesso deve essere liberato dalle sue malattie e dalle sue stringenti necessità. Gesù si mostra anche qui come il pastore del popolo d'Israele (2,6); come luce che rischiara il popolo che 4 1 Se questa interpretazione delle guarigioni di Gesù è giusta, sono superflue le complicate disser­ tazioni sull' uso deWindicativo e dell'imperativo in Mattco condotte da G. STRECKER», Weg , 1 74s. c da U. Luz, Jiinger , 164s.

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giace nelle tenebre, nella regione e nell'ombra della morte (4, 1 6); come l'Atteso da tanto tempo, che libera Israele dalle sue sofferenze e si addos­ sa le sue malattie (8 , 1 7}; come il figlio di Davide, che deve spezzare il pane della salvezza solo tra i figli della casa di Israele ( 1 5 ,21 -28); come colui i cui miracoli invitano il popolo a glorificare «il Dio di Israele» ( 1 5 ,29-3 1 ) . Dopo tutto ciò siamo ora i n condizione di determinare con maggior precisione il ruolo delle folle nell' introduzione al discorso della monta­ gna. Esse rappresentano non solo l'Israele che deve essere raccolto in unità da Gesù, ma, oltre a ciò rappresentano un Israele a cui la liberazio­ ne è già stata donata, a cui il Vangelo è stato offerto e per il quale i tempi messianici della salvezza già sono compiuti.

7. IL SIGNIFICA TO DELLA MONTA GNA La cornice del discorso della montagna ci si è presentata finora come composizione teologica ideata in modo altamente coerente. Restano an­ cora da mettere in chiaro la funzione della montagna (5, l ), il ruolo dei discepoli (5 , l ) e la reazione del popolo al discorso (7 ,28s. ) Se l' intervento delle folle è stato rielaborato coscientemente da Matteo come presenza simbolica dell'intero Israele, nell'immagine della monta­ gna può essere di certo presente solo una tipologia sinaitica42. Quanto accade qui , su questa montagna, rimanda alla rivelazione sul monte Sinai e al tempo stesso ne è un rilancio, che avviene precisamente perché ora la Torà del Sinai trova la sua definitiva, escatologica interpretazione, cioè viene svelato il suo senso più autentico. La formula: «Agli antichi fu detto . . . . ma io vi dico» (Mt 5,2 1 . 23) stabilisce tra la Torà del Sinai e la didaché di Gesù una relazione antitetica tanto marcata che la locuzione «Egli salì sulla montagna» (5, l) deve essere in modo altrettanto antiteti­ co, o meglio contrapposto, riferita al Sinai ; e a maggior ragione, se si considera che in Es 1 9 , 3 ; 24, 1 5 . 1 8;34,4 (LXX), per la salita di Mosè al monte della rivelazione, sono usate proprio le medesime formule.

42 Così pensano giustamente H. J. HoLTZMANN, Synoptiker, 99; J. WEIB, Schriften I, 257s.; E. KLOSTERMANN, Matthiiusevangelium , 3 3 ; J . JEREMIAS, Moysls, 8 7 5 ; G. BoRNKAMM, Bergpredigt, 1049; G. SCHNEIDER, Botschaft , 2 1 ; H. FRANKEMOLLE, Jah webund , 97; G. BARTH , Bergpredigt , 608; M. HENGEL, Stadt , 1 9; D. DoRMEYER, Bergpredigt , IO.

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chi vale il discorso della montagna?

Fuorviante è la traduzione, spesso proposta, del termine 6ros i n Mt 5 , 1 con 'zona montagnosa' (Bergland)43 , perché poi anche l'apparizione del Risorto (Mt 28, 16-20) avrebbe dovuto aver luogo non 'sul monte' , ma · nella zona montagnosa' della Galilea. Matteo non è, né qui né là, inte­ ressato a tali dettagli realistici. 'Montagna' o 'monte' ha nel suo testo un significato eminentemente teologico Leggendo il termine montagna in contrapposizione al monte Sinai , allora le folle, che rappresentano tutto Israele e che , secondo la rappresentazione matteana, non salgono di persona sulla montagna (solo Gesù e i discepoli vi salgono) si dispongono ad un ruolo importante. Esse infatti corrispondono al popolo di Israele che era accampato sotto il monte della rivelazione44• .

8. DISCORSO DELLA MONTA GNA

E V/TA DEL DISCEPOLO Non il popolo, ma solamente i discepoli salgono con Gesù sulla mon­ tagna4s . I discepoli possono così 'accostarsi' a Gesù; il verbo prosérche­ sthai è ricorrente nel Vangelo di Matteo ed è usato con particolare fre­ quenza per indicare il farsi innanzi dei discepoli verso Gesù . Si trova anche usato con un certo rilievo nelle cornici del discorso comunitario ( 1 8 , 1 ) e del discorso escatologico (24, 1), che hanno entrambi solo i disce­ poli come destinatari . All' interno del discorso in parabole il verbo pro­ sérchesthai apre e connota ciascuna delle due parti del discorso, che si rivolgono solamente ai discepoli e non al popolo (cf 1 3, l 0-23 e 1 3 ,36-52). Non si deve da ciò trarre la facile conclusione che in 5, l l'accostarsi dei discepoli a Gesù sia un modo per informare il lettore che solamente i discepoli sono stati gli uditori del discorso della montagna . Una tale supposizione sarebbe evidentemente confutata dai vv. 7 ,28s . Ciò nono­ stante ha il suo peso ed il suo significato il fatto che solamente i discepoli siano vicini a Gesù sulla montagna e che essi gli si 'accostino' . Matteo vuole mettere in chiaro attraverso tutto ciò che i discepoli sono uditori del Soprattutto sostenuta a panire da G. H. DALMAN, Orte. 1 66s. 44 l discepoli corrispondono agli anziani d•Jsraele. a cu i è concesso di salire al monte della •1

rivelazione (Es 24, 1 .9)? •s R. H. GUNDRY, Matthew, 66, afferma: «Matteo usa i termini 'le folle' e 'i suoi discepoli' indifferentemente. Noi non pensiamo che i discepoli di Gesù provenissero dalle folle. Essi erano le folle». Ciò capovolge i fatti.

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Per chi vale il discorso della montagna?

discorso della montagna in un senso altamente qualificato. A loro soprat­ tutto il discorso si rivolge. Tra la dottrina che Gesù presenta qui e il discepolo esiste una profonda corrispondenza: il discorso della montagna è la didaché per la formazione del discepolo . Questa speciale corrispondenza tra la didaché di Gesù e la vita del discepolo è chiarita ancora una volta al termine del Vangelo di Matteo . Secondo le parole dell'Innalzato in 28, 1 8-20 - e cioè le parole dell'invio missionario, che sono così importanti per la teologia del primo Vangelo - alle future comunità di discepoli tra le nazioni deve essere insegnata l'osservanza di tutto quello che Gesù una volta aveva affidato ai suoi discepoli nei cinque grandi discorsi : didàskontes autùs tlrein pànta hosa eneteildmln hymin (28,20) . Tra entéllomai e diddsko non c'è, in questo caso, nessuna reale di fferenza: i discepoli devono trasmettere come dot­ trina ciò che essi , prima, come dottrina hanno ricevuto. Trasmettendo la dottrina di Gesù formano loro stessi nuove comunità di discepoli . Qui l 'intimo rapporto tra la didaché di Gesù e il costituirsi del discepolat o è chiaro come la luce del sole. Tuttavia le comunità di discepoli non si costituiscono tra le nazioni solamente con la trasmissione della didaché di Gesù, altrettanto essenzia­ le è il battesimo, che per Matteo racchiude in sé fede e conversione. Pertanto in Mt 28, 1 9s. il battesimo è disposto allo stesso livello della trasmissione della dottrina: rendete discepole tutte le nazioni battezzandole . . . insegnando loro . . . Se si osserva con precisione, questa correlazione strutturale tra il rice­ vere la fede e il ricevere la dottrina sta già alla base di Mt 4-7 . I discepoli ricevono la fede con la loro chiamata-vocazione e con la loro immediata sequela (4, 1 8-22), mentre ricevono la dottrina con il discorso della mon­ tagna. Questo è anche il motivo più profondo per cui Matteo lascia che il racconto della chiamata dei discepoli, ed esso solo , preceda il discorso della montagna (C/ sopra, 2,2s . ) . Questo è pure il vero motivo per cui i discepoli, durante il discorso della montagna, si trovano nell'immediata vicinanza di Gesù; in qualità di chiamati che hanno già compiuto una radicale conversione, ricevono dalla bocca di Gesù la didaché per la loro esistenza di discepoli . In tal modo la comunità dei discepoli si costituisce tramite la chiamata alla sequela (4, 1 8-22) e tramite il discorso della mon­ tagna (5 ,3-7 ,27).

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vale il discorso della montagna?

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9. LA RICHIESTA ESCA TOLOGICA

RI VOL TA AD ISRAELE

La precisa definizione del ruolo dei discepoli nell'introduzione al di­ scorso della montagna ci permette ora di precisare ulteriormente il ruolo del popolo. Finora infatti il rapporto popolo-discepoli è rimasto in sospe­ so. A questo proposito serve non perdere d 'occhio Mt 28, 1 9s . , dove il Risort_o ingiunge di andare ad ammaestrare tutte le genti . Con ciò s'inten­ de: le comunità di discepoli che seguono Gesù e che mettono in pratica il discorso della montagna devono diventare sempre più numerose, fino a raggiungere tutte le nazioni della terra46• Compito questo che viene assegnato solo dopo che Israele vi si è sottratto. Ma anche per il periodo precedente, in cui si trattava ancora di raduna­ re Israele, vale un riferimento analC?go . Così come le genti devono venir ammaestrate, il popolo di Israele, nel tempo in cui non aveva ancora rifiutato conversione e sequela, doveva essere trasformato in comunità di discepoli . Per questo il discorso della montagna viene presentato in una forma solenne ai rappresentanti dell'intero Israele. La reazione delle folle è molto aperta: sono sbigottite (exepléssonto ) per l'insegnamento di Gesù (7 ,28). Questo sgomento deriva dall'aver capito che Gesù insegna come uno che ha autorità (7 ,29). Tale è onstata­ zione potrebbe essere il primo passo che conduce alla sequela. Quando Gesù è sceso dalla montagna, infatti , grandi folle lo seguono; Matteo usa lo stesso giro di parole per dire ciò anche in tutta una serie di altri passaggi ( 1 2, 1 5 ; 1 4, 1 3 ; 19,2; 20,29; 2 1 ,9) mostrando, inoltre, che il popo­ lo è stupito per le opere di Gesù (8,27; 9,33 ; 1 5 , 3 1 ) , che loda Dio (9,8) e che ritiene Gesù uno dei profeti (2 1 , 1 1 .46) . Ma proprio una tale valuta­ zione di Gesù mostra che il popolo non ha ancora fatto il salto alla vera comprensione, che ha udito ma non ha capito, che ha guardato ma non ha visto ( 1 3 , 14): il suo cuore era indurito ( 1 3 , 1 5). Le città di Israele, nonostante i molti miracoli compiuti in mezzo ad esse, non si sono convertite ( I l ,20) . Il popolo, nell'ora della chiamata, non ha portato frutto (2 1 ,41 .43), Israele non si è lasciato radunare (23 ,37). Naturalmente con queste ultime constatazioni siamo andati ben oltre la cornice del discorso della montagna. In Mt 7 ,28s. gli sviluppi sono «� C/ G. LoHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt?, 1 5 4- 1 60 (trad. it . , Gesù come voleva la sua comunità? , Paoline, Cinisello B.].

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Per chi vale il discorso della montagna?

ancora completamente aperti : lo sgomento del popolo è ancora ambiva­ lente, potrebbe tramutarsi in conversione, in effettiva sequela, persino in discepolato47• E comunque il popolo è chiamato al discepolato, così come in futuro lo saranno le genti . Dovrebbe essere chiaro con tutto ciò che le folle, nell'introduzione al discorso della montagna, sono più che un imponente elemento scenogra­ fico che incornicia il discorso programmatico di Gesù; rappresentano l 'intero Israele che, come popolo di Dio , è chiamato al discepolato e che ora deve decidere se accogliere o no la definitiva interpretazione della Torà del Sinai e diventare il vero popolo di Dio. Dovrebbe essere anche ormai chiaro che il discorso della montagna non presenta mere istruzioni per i discepoli, come spesso è stato sostenu­ to48. Per quanto questa tesi possa a prima vista sembrare corretta e per quanto possa pure cogliere alcuni elementi giusti, essa trascura che la cerchia dei discepoli è, a questo punto, in linea di principio aperta ali 'in­ tero Israele. Il gruppo dei discepoli , nell'introduzione al discorso della montagna, è precisamente quel/ ' Israele che già crede e che ha già com­ piuto la conversione, ma nello stesso tempo tale gruppo è aperto e total­ mente rivolto a quell'altro Israele, che ancora deve diventare vero popolo di Dio49• È ben fondato quindi l'atteggiamento di Matteo che rivolge il discorso della montagna non solo ai discepoli, ma oltre: alle folle che provengono da tutto Israele. I due gruppi non sono intercambiabili , nessuno dei due potrebbe mancare. Siamo quindi in condizione di precisare per la terza volta il ruolo delle folle nell'introduzione del discorso della montagna: l ) queste folle rap­ presentano l 'intero Israele che deve essere radunato da Gesù; 2) rappre­ sentano inoltre un Israele a cui è già stata donata la liberazione, a cui il messaggio evangelico è già stato offerto e per il quale il tempo della salvezza messianica è già compiuto; 3) rappresentano però anche un Israele che è interpellato dalla interpretazione escatologica della Torà, data da Gesù; che viene messo davanti alla didaché , volta a trasformare "1 Il punto di vista dapprima positivo sul popolo in Matteo è sottolineato soprattutto da G. STRECKER, Weg , 106s. 230; G. EICHOLZ, Auslegung , 22-24; H.FRANKEMOLLE, Handlungsanweisun­ gen. 1 58s. · 48 Ad esempio, presenta mere istruzioni per i discepoli secondo H. W. 8ARTSCH , Feldrede , 1s. 49 La tesi è formulata egregiamente da H. GotLWITZER, Bergpredigt , 97: «Così come il richiamo alla conversione da parte dei profeti si rivolge sempre a tutto il popolo e nello stesso tempo al singolo individuo, il quale viene investito della responsabilità per tutto il popolo e deve iniziare da solo, con la propria conversione individuale, ciò che tutto il popolo deve fare, così Gesù considera la comunità dei discepoli e ogni singolo discepolo come pars pro loto per l'intero Israele».

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Israele in comunità di discepoli ; un Israele, infine, che adesso deve deci­ dere definitivamente se approfittare o no della chiamata ad essere il vero lsraele50 •

IO. CONSEG UENZE Prima di interrogarci sulle conseguenze che risultano dalla cornice al discorso della montagna, dobbiamo innanzi tutto accennare ad un punto della teologia matteana che compare solo nella seconda parte del Vangelo . Secondo la descrizione di Matteo , che in questo punto si avvicina molto a quella di Luca5 1 , la maggior parte di Israele ha rifiutato l'annun­ cio di Gesù 52• Tale rifiuto viene ratificato nel momento in cui il popolo, davanti al tribunale di Pilato, richiede la morte di Gesù e grida : «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli ! » (27 ,25). Matteo a questo punto non fa agire solo una massa di persone, ma l'intero popolo (pds ho laos ). La comunità dei discepoli che si è raccolta attorno a Gesù, invece, realizza la chiamata di Israele e la vive da vero Israele, aperto alle genti. Poiché Matteo non ha aggiunto al suo Vangelo un secondo libro , egli non può presentare, come ha fatto Luca, lo svilupparsi della comunità dei discepoli in chiesa ed ancor meno il suo svilupparsi in una chiesa aperta ai pagani . Egli lascia però intendere tali sviluppi all'interno del discorso narrato (berichtete Rede ), servendosi di parecchie parole di Gesù riferite al futuro. Notiamo soprattutto il v. 2 1 ,43 («Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare») e il v. 1 6, 1 8 (« . . . su questa pietra edificherò la mia chiesa»). Nello sviluppo del Vangelo di Matteo si mostra quindi che dalla comu­ nità dei discepoli, costituitasi attraverso la chiamata e la trasmissione della didaché di Gesù, nascerà la chiesa. Il destinatario del Vangelo in quanto tale è naturalmente questa chiesa, che, ai tempi di Matteo, era divenuta già da lungo tempo popolo di Dio formato da ebrei e da pagani .

50 È perciò inattendibile la tesi di R. A. GuELICH , Sermon , 59: «Per Matteo le folle sono un coro neutrale con un significato teologico scarso o addirittura nullo)). , 51 Su Luca cf G. LOHFINK, Die Sammlung Jsraels [trad . it., La raccolta d lsraele , Marietti, Genova] . 52 Cf per i particolari W. TRILLING, lsrael SS-96; J. GNILKA, Verstockung , 89- l l S ; R. HuMMEL, A useinandersetzung , 144- 1 5 3 ; G. STRECKER, Weg , 99- 1 1 8 ; R. WALKER, Heilsgeschichte , 1 1 -74; H. FRANKEMÒLLE, Jahwebund , 204-2 1 1 .

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È perciò del tutto giusto e assolutamente secondo le intenzioni di Matteo quanto viene asserito dalla maggior parte degli esegeti : il discorso della montagna è indirizzato alla chiesa o, con più prudenza: nei discepo­ li, che sono raccolti attorno a Gesù in occasione del discorso della mon­ tagna , si prefigura la chiesa futura . Queste affermazioni, . però, nono­ stante la loro esattezza, corrono il rischio di semplificare la rappresenta­ zione matteana, mentre Matteo , proprio perché pensa all'interno della storia della salvezza, pensa in modo storicamente raffinato e preciso53• Per lui il discorso della montagna non è indirizzato solo all'ambiente dei discepoli, ma anche all'Israele che deve essere raccolto e che, al momen­ to, deve ancora decidere se sarà all'altezza della sua chiamata a popolo di Dio. Matteo attribuisce molta importanza al fatto che si tratti del popolo di Dio, dell'intero Israele (e potrebbe in ciò aver colto esattamen­ te le intenzioni del Gesù storico) . Chi si mette qui a parlare troppo presto e troppo astrattamente di chiesa, trascura per lo più il fatto che nella tradizione biblica le riflessioni sul popolo di Dio sono collegate a conte­ nuti molto concreti. Diamo un esempio . Il popolo di Dio sottostà non solo alla chiamata e alla elezione, ma anche al giudizio di Dio. Esso può giocarsi la sua chiamata e, secondo Matteo, è quanto ha fatto la maggior parte di Israele . Per Matteo la crisi di Israele è completamente trasparente per la chiesa. Anche questa è al bivio, come una volta Israele durante la procla­ mazione del discorso della montagna. Percorrerà la strada della sequela e del discepolato oppure, stupita davanti al discorso della montagna, riterrà Gesù un profeta degno di nota e gli si rifiuterà nell'ora della verità? Solo se si lascia sussistere la tensione, consapevolmente creata da Matteo nella cornice al discorso della montagna, tra l'ancora indeciso popolo di Dio e i discepoli che già seguono Gesù, si capisce la terribile trasparenza del discorso della montagna per la chiesa postpasquale. Il tema del popolo di Dio affronta comunque anche altro. Israele, ad esempio, al Sinai viene reso soggetto di obblighi attraverso tangibili ordinamenti sociali e pubblici : la Torà non è infatti nient'altro che que­ sto. Se è vero che il Gesù matteano non abroga affatto la Torà, ma ne svela il vero significato e vincola l 'intero Israele a questa sua interpreta­ zione .escatologica della Torà sinaitica, allora già a partire da questo è n La dimensione 'storicistica' del Vangelo di Matteo non deve essere avventatamente trala­ sciata a favore della 'trasparenza' come fa H. FRANKEMOLLE (cf sopra, note 1 3 e 29), perché altrimenti c'è il pericolo che la trasparenza del passato, a cui Matteo tende, risulti sfuocata e senza contorni .

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assolutamente falso, dal punto di vista esegetico affermare che il discorso della montagna non ha in linea di principio a che vedere con il tema dei 'rapporti sociali' o con il tema della 'società'S4• Non ha a che vedere con questo tema solo in quanto il discorso della montagna non si occupa della società pagana e dei suoi rapporti . Eppure esso tratta della grandezza sociale 'popolo di Dio ' . Il popolo di Dio, chiamato e raccolto negli ultimi tempi da Gesù e formato dalla sua didaché , deve divenire una comunità di discepoli nella quale si vive una giustizia più piena così che abbia origine una 'società' che sia «città sul monte» e «luce del mondo» (5 , 1 4). È certamente giusto dire che con il discorso della montagna i conflitti sociali non sono risolti né da una casistica né da una normativa; ciò non sarebbe stato nemmeno sensato. La didaché del discorso della montagna dà in una forma profetico-provocatoria ed al tempo stesso sapienziale direttive che si fanno aiuto e criterio mediante i quali gli ordinamenti sociali e pubblici del Sinai devono sempre e di nuovo venir interpretati dalla comunità dei discepoli ripiene di Spirito. Ne scaturiscono norme che hanno la loro validità ed il loro senso all'interno delle comunità. In parte per le comunità cristiane tali norme sono ·già penetrate nel discorso della montagna, come nel caso della clausola per il concubinato in 5 ,32. L'affermazione, dunque, secondo cui il discorso della montagna si rivolge alla chiesa è almeno ambigua, perché nel moderno concetto di chiesa la dimensione sociale del pensiero biblico sul popolo di Dio è pesantemente sottovalutata. Ma tutto diventa assolutamente falso se la questione sui destinatari e sulla obbligatorietà sociale del discorso della montagna si risolvesse nella formula ermeneutica : Gesù si rivolge in primo luogo al singolo, naturalmente il singolo deve poi svolgere la sua azione nella societàss. È una formulazione questa che si sente molto spesso, paradossalmente anche dagli esegeti che pure, in altri passi , sanno bene che il destinatario del discorso della montagna è la chiesa, o meglio, i discepoli . Proprio questa non chiarezza, che genera confusione, mostra che l ' affermazione 'destinatario del discorso della montagna è la chiesa ' non dice tutto. Destinatario del discorso della montagna deve essere considerato il popolo di Dio, che deve venir plasmato in comunità di

,. In J. ScHMID, Matthiius , che una volta aveva scritto uno dei più influenti commenti al Vangelo di Matteo, si può leggere che il discorso della montagna è meramente religioso ed etico, cioè individualistico e non socialmente motivato, che si indirizza perciò solo agli individui e non al bene comune e che, meno che meno, contiene programmi sociopolitici (1 58- 160). 55 Così, ad esempio, R. ScHNACKENBURG, Bergpredigt (1982), 57.

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discepoli attraverso la interpretazione escatologica della Torà da parte di Gesù . Matteo ci ha messo chiaramente ciò davanti agli occhi con la sua cornice estremamente ponderata ed accuratamente composta. Il discorso della montagna non si indirizza pertanto ai singoli individui isolati e neppure si indirizza ad una élite ali 'interno della chiesa e, meno che mai, si indirizza simpliciter a tutto il mondo. È piuttosto un orienta­ mento direttivo per la chiesa che deve diventare, in quanto vero Israele, sale della terra e luce del mondo. In questo senso il discorso della monta­ gna è allora anche universale e si riferisce a tutti gli uomini ; ma solo attraverso la chiesa che deve trasformare tutte le nazioni in comunità di discepolis6. Solo ali 'interno di queste coordinate può venir affermata la attuabilità del discorso della montagna . Per gli individui isolati il discorso della montagna è, in ultima analisi, inattuabile. Lo stesso dicasi per l'umanità nel suo complesso, fintanto che essa si pone davanti all'annuncio di Gesù in modo neutrale o con un atteggiamento di rifiuto o vedendo al massimo in Gesù un profeta per alcuni aspetti affascinante. Attuabile il discorso della montagna lo è in una chiesa che si mette sulla via della sequela come popolo di Dio, in cui sono già accaduti e in cui continuano ad accadere (cf Mt 1 0,8) miracoli che superano ogni aspettativa.

S6 Per una presentazione più ampia di questo punto cf. G. LOHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewol/t?. 46-50, 78-86 [trad. it. , Gesù come voleva la sua comunità? , Paoline, Cinisello 8.].

Parte seconda •

CHI PUÒ VIVERE LA NON VIOLENZA?

l. L 'ESPERIENZA DI SOLZENICYN A lexander Solzenicyn nel suo A rcipelago Gulag ha cercato di descrive­ re per primo la storia dei lager speciali sovietici durante lo stalinismo1 • Nella quinta parte di questa voluminosa opera egli racconta la rivolta dei lager a partire dal 1 949; rivolta che consisteva soprattutto nel fatto che, da questo periodo in poi , un numero sempre maggiore di delatori fu ucciso dai propri compagni di prigionia. La cosa più opprimente nei lager staliniani era infatti il sistema dei delatori, previsto e programmato fin dagli inizi , che soffocava gli ultimi resti di libertà. Nei lager speciali sovietici le cose andarono in maniera più umana solo dal momento in cui i prigionieri cominciarono a pugnalare di notte i delatori che venivano dalle loro stesse file, con coltelli che loro stessi si erano fatti . Solzenicyn descrive con precisione di dettagli2 questo regolamento, come si diceva, e afferma che solo da allora in poi ci fu di nuovo nei lager una (relativa) libertà di movimento e di parola. Il sistema di potere del comando nel lager era stato minato in un punto decisivo; e precisamente con la violenza . Proprio in rapporto a ciò, Solzenicyn, che dovette pas­ sare ben otto anni da prigioniero nei lager speciali sovietici, scrive quanto segue3 : • Questa parte è già stata pubblicata con il titolo Der ekklesiale Sitz im Leben der A ufforderung Jesus zum Gewaltvenicht (Mt 5,39b-42/Lc 6,29s.) , in ThQ 1 62 ( 1 982) 236-25 3 . Il saggio, che non è stato rielaborato per questo libro, riproduce con variazioni insignificanti una relazione che l'autore ha tenuto nel semestre invernale 1 98 1 /'82 nel quadro di una serie di lezioni alla facoltà di teologia cattolica dell 'Università di Tubinga . Il tema per l'intera serie era: 'Politica di pace - difesa - disarmo' . 1

2

3

A . SoLZENICYN, Arcipelago Gulag 3 , Mondadori, Milano 1 978. Ibidem , parte V, cap X: Quando il terreno della zona comincia a scottare, 267-290. Ibidem , 274-275 .

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«Piantate il coltello nel petto ai delatori! Fabbrichiamo dei coltelli, , sgozziamo i delatori, eccolo / anello! Oggi, mentre sto scrivendo questo capito/d, intere file di libri umanitari occhieggiano dai loro ripiani e i loro dorsi usati, dai bagliori smorti, mi sovrastano con il loro scintillio di biasimo, come tante stelle tra le nuvole: in questo mondo non si può ottenere niente con la violenza! Prendendo in mano la spada, il coltello, il fucile ben presto ci riduciamo al livello dei nostri boia e violentatori. E non finirà mai. . . non finirà mai. . . Qui, seduto al mio tavolo, al calduccio e al pulito, sono pienamente d'accordo. Ma bisogna aver perso venticinque anni senza averne colpa, essersi portati addosso quattro numeri, aver tenuto le mani sempre dietro la schiena, aver passato la perquisizione mattina e sera, essersi logorati su/ lavoro, essere trascinato alla BUR4 in segui­ to ad una delazione, essere infine gettato a terra e calpestato, perché da laggiù, dal fondo di quella fossa, tutti i discorsi dei grandi uma­ nitari vi facciano l'effetto di un chiacchiericcio di borghesi ben nutriti. Non finirà mai . . . ma chissà se ci sarà un inizio? Ci sarà una schiarita nella nostra esistenza oppure no? Il popolo oppresso ha concluso: la malvagità non si può sopraffare con la bontà ». Solzenicyn allude nel testo citato a Mt 26,52, là dove si dice: «Tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada»; egli non nomi­ na il discorso della montagna con la sua richiesta di assoluta rinuncia all'uso della forza. Ma esso si ritrova, per così dire, nel retroterra di qualsiasi russo colto, grazie alla mediazione di Tolstoi . Contro la richiesta di Gesù a rinunciare all'uso della forza non sembra­ no esserci argomenti più forti della descrizione di Solzenicyn : quando gli uomini si lasciavano sottomettere nei /ager e si arrendevano alla loro sorte, il terrore staliniano si scatenava quanto più poteva . Ma appena organizzarono la resistenza e risposero alla violenza con la violenza, cominciarono a respirare, si accese in loro la speranza e si sentirono per la prima volta ancora uomini . Con ciò la richiesta di Gesù non è forse liquidata? Nei rapporti regolari_ e normali , dice Solzenicyn, io dò ragione a simili richieste di non violenza, ma nei campi di concentramento di questo mondo esse si rivelano illusioni , anzi ciance. E Solzenicyn , affermando ciò, si trova in buona compagnia. Martin

" BUR: baracca a regime rinforzato.

Citi può

vivere la non violenza?

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Huber s i riconosceva, come molti suoi compagni d i fede, nella vecchia rnassima talmudica: «Se uno si prepara ad ammazzarti, precedilo»5•

2. TENTA T/VI CRISTIANI DI ADA TTAMENTO

Nella tradizione delle interpretazioni protestanti del discorso della rnontagna, una posizione, tra le molte altre afferma: la richiesta della non violenza non va praticata . Con questa richiesta Gesù non voleva nient'altro che smascherare l'incapacità di fatto da parte del mondo, di raggiungere il puro bene. L'uomo deve perciò sempre e di nuovo sentirsi impotente di fronte al discorso della montagna e proprio così riconoscere il suo essere perduto ed il suo essere smisuratamente coinvolto nella colpa. Per quanto poco questa tradizione interpretati va colga l 'insegnamento di Gesù, si tratta tuttavia di una posizione che ha un suo retroterra biblico6 e che è teologicamente stimolante. È invece banale quanto si legge in un cate�hismo cattolico apparso nel 1 97 5 in Svizzera con l' impri­ matur ecclesiastico ed elogio del Vaticano . In questo catechismo, nel contesto della questione della non violenza, si dichiara categoricamente7 : «Le direttive del discorso della montagna non si devono prendere alla lettera, perché ciò condurrebbe a situazioni insostenibili tanto nella vita privata che in quella pubblica» . Dunque, prendere seriamente alla lettera il discorso della montagna come ha fatto Francesco d 'Assisi porta a situazioni insostenibili . . . Non possiamo credere ai nostri occhi ! Tuttavia non dobbiamo nemmeno indi­ gnarci eccessivamente, perché il testo citato non fa altro che esprimere con notevole sincerità ciò che molti pensano e ciò che noi tutti ratifichia­ mo costantemente con la nostra prassi : rispondiamo alla violenza con la violenza, non ci lasciamo metter sotto, non porgiamo l'altra guancia .

' Cf ScHALOM BEN-CHORIN, Grenzen , 323. Nel retroterra stanno Rom 3,20 e 7, 7-25 . 7 A. SCHRANER, Katechismus , 224s.

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Per chi vale il discorso della montagna?

Solzenicyn non è da solo nella sua protesta, ma si inserisce in una lunga tradizione. Ha dalla sua parte molti cristiani e soprattutto molti teologi . La richiesta di Gesù di rinunciare ali 'uso della forza viene costantemente resa innocua, minimizzata, adattata, relativizzata, fissata alle coordinate ben ponderate dei sistemi teologici . Tale richiesta viene ridotta, e cioè addomesticata, sotto forma di comandamento ideale (Zielgebot), di va­ lore orientativo (Orientierungswert ), di impulso all'azione (Handlung­ simpuls ) , di ethos interinale (lnterimsethos ) , di ethos elevato (Ho­ chethos ), di etica dei sentimenti (Gesinnungsethos) o di richieste solo per il singolo . Fortunatamente, però, questa riduzione non ha buon esito. La richie­ sta di Gesù di rinunciare all'uso della forza risulta, nonostante tutte le teorie che la rifiutano o la limitano, un 'pericoloso ricordo' , una carica altamente esplosiva all' interno della tradizione ecclesiastica che fino ad oggi non si è riusciti a disinnescare. Nella chiesa sorgono sempre di nuovo uomini, e sempre di nuovo si formano gruppi che prendono alla lettera la richiesta di Gesù di rinunciare all'uso della forza. La discussione teologica su violenza e rinuncia all'uso della forza si è anzi da qualche tempo acuita in misura straordinaria . Il motivo è eviden­ te: ogni giorno di più notiamo che su questo problema si gioca la soprav­ vivenza stessa dell 'uomo sulla terra . Inoltre, il problema della rinuncia ali ' uso della forza, e cioè il problema della validità del discorso della montagna, ha fatto negli ultimi anni da catalizzatore perché si ponesse nuovamente in questione la giusta forma della comunità ecclesiale. Tale rilevanza ecclesiologica del problema della non violenza sarà prQpria­ mente l' obiettivo delle riflessioni che seguono . Ci domanderemo a chi Gesù richiede precisamente di rinunciare ali 'uso della forza: ali 'intera umanità? ad un determinato gruppo all'interno di essa? ad ogni singola persona?

3. IL

TESTO DECISIVO DI MA TTEO 5 39-42 ,

Prima di trattare il problema, è tuttavia necessario, sia pur brevemen­ te, dire qualcosa sul testo di cui già da tempo stiamo parlando : su quel testo cioè che formula nella maniera più chiara la richiesta di Gesù di rinunciare all' uso della forza. Si trova in Mt 5 ,39b-42 e nel testo parallelo di Le 6,29s; manca invece in Marco. È evidente perciò che questo testo

( 'hi può vivere la non violenza?

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risale alla fonte dei /ogia . Nel nostro caso, chiaramente, Matteo ha conservato meglio di Luca il tenore originario della fonte Q. Sulla base di un confronto sinottico , il brano sulla rinuncia all'uso della forza nella fonte dei /ogia può essere così ricostruito8:

«[lo vi dico:] A chi ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra. E a chi ti vuoi condurre in giudizio per toglierti la tunica, tu /asciagli anche il mantello. (E con chi ti vuoi costringere a fare un miglio, tu fanne due). A chi ti chiede dà e non respingere chi vuoi chiederti un prestito» . All'incirca così è verosimile pensare si sia presentato il testo nella fonte dei logia , anche se probabilmente con questa ricostruzione non abbiamo ancora colto il tenore delle parole di Gesù stesso, la sua ipsissima vox . Abbiamo qui una composizione di /ligia perfettamente calibrata in quat­ tro parti che sono ordinate in un calando, e cioè, il male a cui l' uomo non deve opporre resistenza diventa dalla fine all 'inizio del testo sempre peggiore . La scansione va dallo spudorato domandare , alla costrizione , alla minaccia di processo e finisce con la violenza pura e semplice . Anche altri indizi mostrano che si tratta di una composizione redazionale di singoli /ogia accuratamente disposti . Non occorre che ci interessiamo qui della storia letteraria o della storia della tradizione deli 'intera composizione. Decisivo è che questa composizione di logia in quattro parti rispecchi in ciascun membro il dire provocatorio e l'ethos radicale di Gesù nel campo della rinuncia all' uso della forza. C'è un ampio consenso tra gli esegeti 8 Ricostruzione secondo S. ScHULZ, Spruchquelle , 1 20- 1 27; H. MERKLEIN, Gottesherrschaft, 269275; A. PoLAG, Fragmento , 34. Quanto è stato posto tra parentesi non è ricostruibile per Q con la stessa sicurezza dell'altra parte del testo .

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Per chi vale il discorso della montagna ?

del Nuovo Testamento nell'asserire che qui ci troviamo di fronte a Gesù stesso; Mt 5, 39-42 documenta quanto meno la sua ipsissima intentio9• Ma esaminiamo ora più in particolare i quattro logia della rinuncia all'uso della forza: a conclusione del calando si parla di un prestito, probabilmente si tratta di denaro. Uno viene e vuoi chiedere un prestito; in sé ciò non è male, ma è sgradevole e può anche diventare una bella pretesa; allora infatti non era lecito ad un credente timorato richiedere interessi . Dal contesto si può anche presupporre che da parte di colui che vuole il prestito venga esercitata una certa pressione. Eppure Gesù dice: «Non respingere chi vuole chiederti un prestito» . Immediatamente dopo si parla di una richiesta. La situazione non è ulteriormente specificata. Forse si pensa ad un mendicante e, se teniamo presente quanto in Oriente il mendicare sia diffuso ed insistente, possia­ mo farci un'idea di che cosa venga qui richiesto da Gesù. Di nuovo il contesto ci chiede di presupporre una certa pressione da parte del richie­ dente che diventa molesto, che si fa avanti con fare spudorato. Eppure Gesù dice: «Quando uno ti chiede, dà». Ancora un passo nella serie decrescente e comincia la costrizione. A ngaréuein (cioé costringere) è termine tecnico per indicare l'estorsione di servizi e la corvè da parte di una forza occupante. Tutto concorda n eli ' affermare che il testo ci mette davanti agli occhi la situazione di una Palestina dominata dai Romani . Le coorti romane si arrogavano il diritto di costringere un giudeo ad accompagnarle facendo da guida o da gratui­ to portatore di carichi. Gesù dice: se uno in questo modo ti costringe per un miglio , tu allora fanne il doppio: vai con lui per due miglia. Il caso successivo è più pesante. A qualcuno deve venir tolta l'unica veste che possiede. La costrizione si spinge fino alla minaccia di ricorso al giudice. Forse si tratta della riscossione di un pegno, forse di un risarcimento danni : la concretezza della situazione resta indeterminata. In ogni caso si tratta di un povero che possiede un 'unica veste ed un unico mantello; che il mantello non potesse venir tolto era già stabilito per legge in Es 22,25s . , poiché i poveri si dovevano pur riparare col loro mantello dal freddo della notte. Non avevano nient'altro. Gesù dice: Non andare fino in tribunale per la tua veste; !asciatela prendere, anzi, dà in più anche il tuo mantello. 9 Su questa nuova interpretazione cf soprattutto S. ScHutz, Spruchquelle , 1 20- 1 27; D. LOHR­ MANN, L iebet eure Feinde ; L. ScHOTTROFF, Gewaltverzicht ; H. MERKLEIN, Gottesherrschaft , 269275; G. THEISSEN, Gewaltverzicht und Feindesliebe ; H. BOCHELE, Bergpredigt und Gewaltfreiheit ; W. LIENEMANN, Gewalt und Gewaltverzicht (con ampia bibliografia).

Chi può

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vivere la non violenza?

Al vertice della sequenza sta il caso peggiore. Se finora si è tratta�o di un crescendo nel grado di costrizione e magari di una violenza velata, ma scherata, qui si presenta ora una violenza aperta e brutale che ha, in più, un pesante significato offensivo, poiché viene detto espressamente che il primo schiaffo è dato sulla guancia destra e non sulla sinistra, cioè non si viene colpiti col palmo della mano, ma col dorso; e un manrove­ scio in Oriente costituisce un'offesa straordinariamente grave . Gesù dice di lasciarsi offendere anche brutalmente e di porgere all'avversario anche l'altra guancia . L'intenzione dei -quattro 16gia è univoca. All'ascoltatore viene ingiun­ to: rinuncia ad ogni sanzione giuridica! rinuncia a rendere occhio per occhio! non rispondere alla violenza con altra violenza ! Ma non persiste­ re in nessun modo, se torto ti viene fatto, in una inerte passività. Va incontro al tuo avversario . Rispondi alla sua costrizione o alla sua bru­ talità con sovrabbondante bontà. In questo modo forse lo puoi conqui­ stare10. Le richieste di Mt 5 ,39b-42 ricevono una loro speciale pregnanza dal fatto che non descrivono casi straordinari o relativamente rari, ma sono prese dalla realtà quotidiana degli ascoltatori di Gesù e presuppongono l 'intera scala delle possibili violenze velate o manifeste, dalla molestia all'atto violento. Già quest'ultima osservazione parla molto chiaramente contro le inter­ pretazioni che vorrebbero intendere il nostro testo in modo puramente metaforico. È ovvio che Gesù non fornisca alcuna casistica. Naturalmen­ te il testo contiene anche elementi metaforici che diventano soprattutto chiari in ogni apodosi: fare persino due miglia assieme, dare in più anche il mantello, porgere anche l'altra guancia. Con tutto ciò il subire ingiusti­ zia si trasforma da un atteggiamento passivo in uno altamente attivo, si cambia in un andare incontro ali' avversario e addirittura in un preoccu­ parsi per lui, in un 'volerlo rendere fratello' . Viene qui usato un linguag­ gio metaforico nel senso che, come in molti altri passi , Gesù parla con durezza, in modo profetico e provocatorio . Ma ciò non toglie nulla al fatto che egli intenda comportamenti reali, da praticare in quanto tali, e che nel contempo illuminano, quali modelli , casi analoghi . Gesù vieta di 10 In questa recente interpretazione viene giustamente posto in rilievo che nella primitiva tradizio­ ne sui logia che inducono a rinunciare all' uso della forza non si richiede minimamente una passività inattiva . Cf specialmente L. ScHOTTROFF, Gewa/tverzicht ; inoltre H . BùCHEL E Bergpredigt, 632s. e W. LIENEMANN, Gewalt , 54, 62. Insoluto è il rapporto tra i quattro logia e ciò che oggi si chiama 'resistenza non violenta'; non se ne deve trascurare la diversità Mt 5,39. ,

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fatto l'uso della violenza ed è convinto che chiunque accoglie l a sua parola può vivere senza rispondere con la violenza alla violenza , senza rendere occhio per occhio .

4. LA NON VIOLENZA DEGLI APOSTOLI DI GESÙ Le cosiddette istruzioni per il viaggio missionario mostrano quanto ci si debba guardare dal vanificare in senso metaforico la richiesta di Gesù di rinunciare all'uso della forza o di renderla innocua con l'arte della interpretazione. Esse si trovano all'interno del 'discorso missionario' in Le 10,2- 1 6 e parallelamente in Mt 10,5-42 (Cf Mc 6,7-1 1 e parallelamente Le 9,2-5). In questo caso non occorre affatto che ci interessiamo della possibilità di ricondurre al Gesù storico queste istruzioni su quanto uno debba portare con sé. È già sufficiente che esse risalgano alle primissim e comunità della Palestina. I n queste istruzioni è decisivo che s i vieti detta­ gliatamente ai discepoli, o meglio ai missionari di Cristo che percorrono la Palestina per annunciare il Regno di Dio, di portare con sé denaro , bisaccia, tunica di ricambio, sandali e bastone. Così suona il divieto in Luca: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno>> (Le 9,3; cf Mt 10, 10). Naturalmente si possono interpretare in senso metaforico anche queste istruzioni per il viaggio missionario e taluni esegeti hanno espressamente dato un'interpretazione di questo tipo . Si può certo parlare, per gli inviati missionari , di interiore mancanza di pretese o usare espressioni simili . M a con ciò non s i coglie i l significato reale del testo. Innanzitutto siamo qui di fronte al genere letterario dell 'istruzione , che dà direttive molto con­ crete e assolutamente obbligatorie. In secondo luogo sappiamo appunto dagli antichi e dal primo giudaismo che l'equipaggiamento di filosofi e di predicatori itineranti o membri di determinati gruppi religiosi era spesso scelto con cura e non di rado persino fisso. Ricordiamo Pitagora, i filosofi cinici , gli esseni, Giovanni Battista. L'abbigliamento, o meglio l'equipaggiamento in generale, aveva in tali casi un significato simbolico: doveva indicare emblematicamente chi era l'uomo od il gruppo in questione1 1 • Pertanto le istruzioni per il viaggio 11

Sul simbolismo del modo di presentarsi del messaggero, e/ P. HOFFMANN, Studien , 3 1 2-33 1 ; l.

DosoLo, Pazifismus .

( 'hi

può

vivere la non violenza?

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missionario nella loro primitiva forma sono straordinariamente rigoro­ se, ma non sono d'altra parte pensabili se non si dà per scontata la cordiale ospitalità con cui i missionari venivano sempre accolti quando alla sera sostavano in una casa. Nel nostro contesto è tuttavia molto più importante l'assoluta impossi­ bilità di difendersi che si esprime att raverso l'equipaggiamento , o meglio attraverso la mancanza di equipaggiamento. Il bastone, infatti, in Pale­ stina non serviva solo da sostegno per il viandante, ma era anche nel contempo l'arma del povero contro briganti e bestie selvatiche; inoltre, senza scarpe una fuga rapida era impossibile. La rinuncia al bastone ed ai sandali conduceva così all'impossibilità di difendersi e costringeva alla non violenza; per cui tale rinuncia diventava l'emblema di un'assoluta intenzione di pace . Per questo, anche nel contesto, si dice: «Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi» (Mt 10, 1 6, par. Le 10,3). Sarebbe un grave fraintendimento esegetico non interpretare alla lette­ ra, nella loro concretezza, le istruzioni per il viaggio missionario , proprio perché esse ci danno un 'importante indicazione metodologica di come si debba interpretare Mt 5,39b-42, indipendentemente dal fatto che queste istruzioni derivino da Gesù stesso o da apostoli intineranti della cristiani­ tà primitiva che hanno capito con precisione il messaggio di Gesù. Naturalmente tali istruzioni si possono interpretare letteralmente solo quando si conosca e si prenda sul serio il contesto sociale e pubblico del discorso missionario: un Israele da radunare, l'ospitalità e la solidarietà delle prime comunità cristiane. In tale contesto è sorto il discorso missio­ nario e in tale contesto è stato in primo luogo trasmesso . Probabilmente non riusciamo a prendere sul serio la richiesta di Gesù di rinunciare all'uso della forza solo perché anche qui ci è sfuggito di mano il contesto sociale, e cioè per quale specie di comunità ecclesiale questa richiesta era stata una volta pensata. E con ciò siamo arrivati precisamente al nostro tema: qual è il Sitz im Leben della richiesta di Gesù di rinunciare all 'uso della forza. Qual è il contesto sociale di questa richiesta? Per chi vale? Si rivolge all'intera umanità, si rivolge ad un determinato gruppo , si rivolge ad ogni singola persona 1 2? È veramente una grave mancanza nella discussione finora condotta su Mt 5,39b-42 il fatto che non si sia posto con sufficiente coerenza il

•2 Per una più completa fondazione dei par. S-8, cf G. LOHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt? (trad. it., Gesù come voleva la sua comunità? , Paoline, Cinisello 8 . ] .

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Per chi vale il discorso della montagna ?

problema dei destinatari 1 3 , mentre tutto dipende da questo interrogativo . La richiesta della rinuncia all'uso della forza deve perciò essere integrata nella ricerca tematica fondamentale: «Per chi valgono in sostanza il discorso della montagna e l'opera di Gesù?».

5.

I DESTINA TARI DELLE PAROLE DI GESÙ

Su questa domanda più generale comincia oggi a delinearsi un consen­ so: ben a ragione un numero sempre maggiore di studiosi sottolinea che il destinatario del discorso di Gesù era Israele . Ciò che stava a cuore a Gesù, infatti, era la sorte del popolo di Dio ed egli voleva, nell'imminen­ za del Regno di Dio, raccogliere e preparare Israele. Questa intenzione fondamentale di Gesù si rivela con tutta chiarezza nella scelta e nella missione dei dodici apostoli ; è infatti un'azione chiaramente simbolica da parte di Gesù l'inviare proprio dodici apostoli, affinché portino la sua richiesta all 'intero Israele, in quanto popolo delle dodici tribù. Ma non basta: con il suo annuncio Gesù si rivolge non solo in modo inequivocabile ad Israele, ma esclusivamente ad Israele e non prende in nessuna considerazione una missione tra i pagani . A quanto ci dice il Vangelo di Matteo , egli ordina a coloro che invia: «Andate solo dalle persone perdute della casa di Israele (Mt 1 0,6; cf 1 5 ,24). Gesù non si preoccupa della salvezza dei pagani : «Ora vi dico che molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente e si siederanno a mensa con Abra­ mo, !sacco e Giacobbe nel Regno dei cieli» (Mt 8, I l par Le 1 3 ,28s . ) . Gesù con queste parole riprende immagini profetiche che prospettavano un 'pellegrinaggio di popoli' a Gerusalemme, appena Israele fosse dive­ nuto il vero popolo di Dio . L'immagine profetica del pellegrinaggio non va interpretata come una preoccupazione missionaria: i pagani, affasci­ nati dalla salvezza che si rende visibile in Israele, vengono attratti al popolo di Dio in maniera del tutto autonoma. Così , proprio l 'immagine del pellegrinaggio dei popoli mostra come Gesù ritenga ovvio concentrar­ si sul raduno di Israele: Dio farà il resto. Gesù è totalmente centrato su Israele. Ci si imbatte continuamente nella sua volontà di radunare Israele; citiamo a questo proposito almeno un testo importante: il Padre nostro. u Caratteristico al riguardo è i l testo di I. BROER, Pliidierte Jesus fiir Gewaltlosigkeit? I . B roer, come molti prima di lui, conosce solo l 'alternativa: campo privato/ campo pubblico (cioè dello stato) .

( 'h i può vivere la non violenza?

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Qui noi preghiamo: «Sia santificato il tuo Nome» (Mt 6,9). Molti cristia­ ni intendono l'espressione nel senso che essi - gli oranti - devono santi­ ficare il Nome di Dio. In realtà qui il soggetto logico non è affatto l ' uomo, ma Dio : Dio stesso deve santificare il suo Nome. Ma che signi­ fica ciò? Il capitolo 36 di Ezechiele ce ne dà la risposta: vi si dice che attraverso la dispersione di Israele tra i pagani il Nome di Dio è stato disonorato, poiché i pagani vanno ora dicendo: «Ah così, questo è il popolo di JHWH ! Questo Dio deve essere un Dio di nessun conto , se non ha potuto preservare il proprio popolo dalla perdita della sua terra h> (cf E: 36,20) . Considerando questa situazione, Dio si esprime così: «lo agisco non per riguardo a voi, gente di Israele, ma per amore del mio Nome santo che voi avete disonorato tra le genti presso le quali siete andati. Io santificherò il mio Nome grande, disonorato tra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. A llora le genti sapranno che io sono il Signore - parola del Signore Dio - quando mostrerò la mia santità di voi davanti ai loro occhi. lo vi prendo dalle genti, vi raduno da ogni terra e vi conduco sul vostro suolo» (Ez 36,22-24; cf 20,41 -44) . Testo e contesto mostrano chiaramente che Dio stesso santi fica il suo Nome; precisamente egli santi fica il suo Nome radunando negli ultimi tempi Israele da ogni luogo, rinnovandolo e ricostituendolo come un popolo santo . «Sia santificato il tuo Nome» non significa quindi nient'al­ tro che: « Raduna e rinnova il tuo popolo ! Fallo diventare di nuovo vero popolo di Dio ! » . Gesù è veramente convinto che il raduno escatologico del popolo da parte di Dio ha inizio già adesso , proprio come l'avvento del Regno accade già adesso . Gesù sa con certezza che il raduno del popolo e la venuta del Regno si realizzano per mezzo di lui , poiché dove egli agisce, là agisce Dio . Proprio questo è il segreto di Gesù. Le nostre ultime riflessioni ci hanno così mostrato che a Gesù sta a cuore il raduno definitivo e la preparazione escatologica del popolo di Dio. Solo così si può veramente comprendere ed inquadrare tutta la sua prassi e la sua parola. Se le parole di Gesù, che ci sono state trasmesse, non tematizzano il raduno di Israele in maniera esplicita (e/tuttavia Mt 23,37, par Le 1 3 ,34; · Mt 1 2 , 30, par Le 1 1 ,23), ciò è spiegabile unicamente con il fatto che per Gesù l'idea del Regno di Dio implica come ovvio _il raduno del popolo.

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Per chi vale il discorso della montagna ?

6. ISRAELE COME SEGNO DI SAL VEZZA Nelle discussioni esegetiche si sottolinea continuamente che Gesù ha colto il Regno di Dio con un accento assolutamente universale , purifican­ dolo così dai contenuti nazionalistici e giudaici . In linea di principio ciò è corretto; in Gesù non ci sono affatto tratti di restaurazione nazionalisti­ ca. Nel 'Padre nostro' , ad esempio, non fa pregare per la liberazione del paese . Nel concetto di Regno di Dio sono poste implicitamente le basi di un'autentica universalità ; solo così diventa successivamente possibile la prassi della 'missione tra i pagani' . Ciò nonostante, non si deve trascura­ re il fatto che in Gesù l'idea di Regno di Dio ha il suo Sitz im Leben proprio nella dedizione di Gesù per Israele . Qui è in gioco il farsi presente della signoria di Dio, il suo manifestarsi visibile . E dov'è possibile che la signoria di Dio si renda più visibile e più percettibile se non nel popolo di Dio? Nell'opera salvifica di Gesù verso Israele, nel suo cacciare i demoni, nel suo guarire i malati, nel suo accogliere i peccatori riluce già ora la signoria di Dio. La naturalezza con la quale Matteo, più tardi , pu ò dirci che il Regno di Dio viene tolto ad Israele e dato ad un altro popolo (Mt 21 ,43 ; cf 8, 1 2) deve farci riflettere. Ciò che colpisce in questa sua formulazione è il legame univoco della signoria di Dio dapprima con Israele e più tardi con un altro popolo (al singolare !). La signoria di Dio, quindi, presuppone sempre chiaramente un popolo di Dio in cui rendersi presente e risplende­ re. Non si deve infatti leggere il testo neotestamentario con gli occhiali di quell'individualismo teologico che riesce a pensare il Regno di Dio dotato di universale ed intima efficacia solo nelle anime dei fedeli, che in quanto singoli sono disseminati per il mondo. Per i testi centrali della teologia veterotestamentaria resta basilare il fatto che Dio, tra tutti i popoli che ci sono nel mondo, ne sceglie uno e questo solo costituisce segno di salvezza . Con questo non si esclude l' attenzione agli altri popoli; gli altri popoli, infatti, impareranno dal popolo di Dio, quando esso risplenderà come segno tra le genti (cf so­ prattutto fs 2, 1 -3), anzi confluiranno in Israele per avere parte, in Israele e attraverso Israele, alla gloria di Dio. Ma tutto ciò può accadere solo se Israele diventa riconoscibile veramente come segno di salvezza , se la salvezza di Dio ha cambiato il popolo in modo sensibile, tangibile e visibile. Allora, secondo la teologia biblica, Dio fa valere la sua signoria che abbraccia tutto il mondo cominciando proprio dal minimo: da una fami-

Chi può vivere la non violenza?

SI

glia (parlando biblicamente, d a Abramo), d a u n clan, da u n gruppo, da

un piccolo popolo . E solo grazie a questa pedagogia divina la signoria di Dio non costituisce una violenza fatta al mondo, ma una chiamata nella libertà, una chiamata che esercita una grande attrazione sugli altri popoli e li invita a seguire l'esempio di coloro che per primi sono stati chiamati . Gesù si è appunto appropriato con la massima profondità di questa interpretazione profetica della storia di Dio con il mondo , di questa comprensione della storia della elezione di Israele, poichè egli è sempre convinto che la signoria di Dio deve avere un popolo ; e anche quando, successivamente, Israele come popolo rifiuta la chiamata, egli si concen­ tra sulla sua cerchia di discepoli . Non perdendo di vista l'intero Israele, egli viene ora collegando il Regno di Dio con la sua comunità di discepoli : «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il suo Regno» (Le 12,32; cf 22,29) . Questa affermazione va intesa come rivolta alla cerchia dei discepoli . Solo così si comprende quale sia l'auten­ tico luogo privilegiato in cui Gesù chiede di rinunciare all 'uso della forza. Un'importante funzione della cerchia dei discepoli è già stata discussa: i discepoli - soprattutto i dodici - sono in primo luogo lo strumento per radunare Israele; ma poiché Israele come popolo non accoglie il messag­ gio di Gesù, la cerchia dei discepoli si apre ad un' ulteriore funzione: riceve ora, infatti, il compito di realizzare ciò che l'intero Israele avrebbe dovuto compiere: accogliere il Vangelo del Regno, convertirsi, raccogliersi in una comunione di fratelli e sorelle. Evidentemente l 'intenzione di Gesù non è che la cerchia dei discepoli si chiuda in sé e tanto meno che faccia fronte comune contro Israele, ma che tale cerchia tenga aperta la porta ad Israele, o meglio rimanga costantemente rivolta all'intero Israele. Stante questa correlazione decisiva e basilare tra la cerchia dei discepoli ed Israele, è ozioso chiedersi se le direttive etiche di Gesù siano pensate solo per la cerchia dei discepoli o per l 'intero Israele. L'ethos del discorso della montagna deve essere vissuto nella cerchia dei discepoli, ma nel contempo è ethos per il popolo tutto . La tensione tra questi due poli deriva dal fatto che la cerchia dei discepoli è aperta verso Israele, raffigu­ ra Israele, rappresenta emblematicamente l'intero Israele. In ogni caso, il discorso della montagna non è rivolto alle singole persone o, ciò che sarebbe lo stesso, all'umanità nel suo complesso; e questa affermazione vale per l'intero insegnamento etico di Gesù. Il destinatario del discorso della montagna è Israele, o meglio quell 'Israele che la cerchia dei discepoli vuole rappresentare e raffigurare. Del resto, nelle descrizioni di cornice al discorso della montagna sia Matteo (cf Mt 5 , 1 s . ; 7 ,28s .) che Luca (c/ Le 6, 1 7-20; 7 , 1 ) tengono espressamente

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Per chi vale il discorso della montagna?

fermo questo punto che è implicito nella materia stessa dell'evento: Gesù non parla ad uditori casuali , ma annuncia ed insegna in Israele . Naturalmente sullo sfondo di questo esclusivo concentrarsi su Israele sta la fiducia che molto presto tutti i popoli impareranno dal popolo di Dio e vivranno insieme ad Israele i nuovi ordinamenti sociali di Dio (si confronti il motivo del pellegrinaggio dei popoli !), ma questo scopo è raggiungibile solo attraverso la conversione del popolo di Dio. Così, in queste direttive pratiche di Gesù emerge un ethos che è pensato proprio per un determinato 'gruppo ' , precisamente per il 'gruppo' che Gesù vuole raccogliere e preparare per il Regno, alla luce dell'annuncio liberatori o e salvi fico dell'imminente basi/èia . Il discorso della montagna dà le direttive etiche per quel popolo di Dio che si lascia riunire dalla Parola del Regno. Concetti moderni come 'comandamento ideale' (Zie/gebot) ed 'etica dei sentimenti' (Gesinnungsethik ) non sono in nessun modo adeguati ad esprimere questa nuova etica, perché a Gesù sta a cuore una prassi concreta che è convinto possa effettivamente essere vissuta, anche se soltanto là dove un intero gruppo , o meglio un intero popolo, crede al Regno di Dio e si sottomette liberamente alle sue richieste. Dove ciò accade, i discepoli ed Israele divengono 'sale della terra' , 'luce del mon­ do' e 'città sul monte' (MI 5 , 1 3- 1 6).

7. LA NUO VA FAMIGLIA Là dove si crede al miracolo del Regno di Dio nel senso di Gesù e lo si accoglie come dono immeritato, non sorge solo una nuova etica, sorge pure una nuova forma di comunità. I vecchi legami verso la famiglia, verso il clan e verso la nazione passano in second'ordine, diventano insignificanti o quanto meno si ridimensionano . Al loro posto prende piede la nuova famiglia dei fratelli e delle sorelle di Gesù. Dal punto di vista esegetico, sembra poco probabile che questa fami­ glia sia composta solo da coloro che vivono letteralmente la sequela di Gesù, seguendolo mentre cammina per le strade della Palestina. La nuo­ va famiglia è formata, in senso molto più vasto , da coloro che sono pronti ora, in quest'ora, ad accogliere il Regno di Dio e a fare la sua volontà. I l senso programmato di questa nuova famiglia si mostra in tutta la sua

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vivere la non violent.Q?

c hiarezza in Mc 3 , 3 1 -3 5 : Gesù si trova in una casa ed è attorniato da molte persone e non solo dai suoi discepoli (cf Mc 3,20) . A chi gli dice : «Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori e ti cercano», Gesù risponde: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» e, volgendo lo sguardo su quelli che gli siedono tutt'attorno, dice: «Ecco mia madre, ecco i miei fratelli . Chi compie la volontà di Dio è mio fratello, mia sorella, mia madre» . Compiere l a volontà d i Dio 1 4 significa senza dubbio i n questo contesto accogliere il Regno di Dio che Gesù annuncia e ciò con totale apertura e con una disponibilità assoluta a cambiare la propria vita. Ma se ciò accade veramente, allora sorge necessariamente una nuova comunità di fratelli e sorelle. In altra occasione Gesù può infatti affermare: «Chi a causa mia abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi riceverà cento volte tanto e già nel presente case, fratelli, sorelle, madri, figli e campi . » (Mc 10,29s.). . .

Dobbiamo avvertire quanto è inaudito questo discorso di Gesù . Dietro ai padri e alle madri sta il secolare e venerando ordine della famiglia

patriarcale, già confermato nel decalogo . Dietro ai fratelli e alle sorelle stanno i legami del sangue, cioè il clan a cui l'orientale appartiene, a cui deve rendere conto, ma che pure lo protegge. Dietro ai figli, la più grande gioia dell 'uomo orientale, sta il suo orgoglio, ma anche la sua sicurezza sociale, in certo qual modo la sua assicurazione per la vecchiaia. E dietro ai campi, che sono una parte del Paese, sta la partecipazione dell'israelita all'eredità santa promessa da Dio. Tutto ciò viene ora relativizzato da Gesù : i genitori , il clan, la sicurezza sociale , il paese . È possibile, in certe circostanze persino necessario, lasciare tutto e non per puro amore di lasciare, non perché il lasciare in sé sia già qualcosa di positivo , ma piuttosto perché ora nasce il nuovo : coloro che ascoltano Gesù e il suo annuncio, coloro che per amore del Regno lasciano dietro di sé il vecchio, divengono una nuova famiglia . Una famiglia in cui paradossalmente ci sono di nuovo fratelli , sorelle, madri , figli e campi, ma non più padri . I padri nella seconda parte del 16gion non vengono di proposito più nominati, perché sono il simbolo della potestà patriarcale. Si dirà più tardi in Matteo: «Non chiamate nessuno 'padre' sulla terra perché uno .

.

14 Sul concetto, cosi poco studiato, di 'volontà di Dio', cf N. LoHFINK, Kirchentriiume , 26-63 [trad. it ., Sogni della Chiesa , Paoline, Cinisello 8.].

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Per chi vale il discorso della montagna?

solo è il padre vostro, quello del cielo» (Mt 23 ,9). Nella nuova famiglia dei fratelli e delle sorelle di Gesù non deve dunque più esserci il 'potere' dell'uomo sull'uomo, ma solo fraternità e maternità. La pericope di Mc 10,35-45 , in cui si racconta della richiesta dei figli di Zebedeo, mostra quanto Gesù abbia preso sul serio proprio questo punto. Tale pericope si chiude con un piccolo discorso che ha carattere programmatico: « Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le domi­ nano ed i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non sia così,· ma chi vuoi essere grande tra di voi si farà vostro servitore e chi vuoi essere il primo tra voi, sarà il servo di tutti. Il figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,41 �45). Il testo considera proprio quelle che oggi vengono denominate struttu­ re di potere e che sono quanto di più comune ci sia nella società di questo mondo. Nella comunità dei discepoli, invece, non ci devono più essere rapporti di potere: in essa chi vuoi essere il primo deve essere il servo di tutti. Gesù pretende dai suoi discepoli proprio un modello di comporta­ mento reciproco completamente diverso da quello che è normale nella società. Ciò significa che egli richiede una contro-società o, forse meglio, una società alternativa .

8. IL POPOLO DI DIO

COME SOCIETÀ AL TERNA TIVA Gesù comprende il popolo che deve raccogliere, che più tardi diventerà la chiesa, come una vera società alternativa, ma ciò non significa affatto che lo intenda come stato o come nazione. Egli la intende invece come una comunità che si forma un proprio spazio vitale, come comunità nella quale si vive e si interagisce con gli altri in modo diverso da quanto normalmente si faccia nel mondo. Si può insomma designare il popolo di Dio che Gesù vuoi raccogliere come una società veramente alternativa. In essa non devono imperare le strutture violente delle potenze di questo mondo, ma la riconciliazione e la fratel­ lanza. L 'ethos radicale del discorso della montagna non è infatti indiriz-

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Lato n� ai singoli, né a tutto il mondo, ma precisamente a questo popolo di Dio, radicato nel lieto annuncio. Proprio nel contesto sociale del popolo di Dio riunito da Gesù si deve ora inquadrare anche quella rinuncia ali ' uso della forza che Gesù esige di fronte alla signoria di Dio15• Essa non è richiesta solo al singolo che non abbia responsabilità per gli altri, come viene continuamente asserito. Anni fa c'è stata in Germania una discussione abbastanza accanita sul valore che il discorso della montagna poteva avere per la politica e si continuava a sostenere che la rinuncia all'uso della forza potrebbe essere praticata solo dalle persone singole che non abbiano alcuna responsabili­ tà nel confronto di altri. Ma tale tesi è falsa e non corrisponde al Vangelo, alla volontà di Gesù, il cui pensiero è in maniera eminente rivolto al sociale : il suo sguardo cade su Israele o meglio sulla comunità dei disce­ poli che è la prefigurazione di quell' Israele in cui risplenderà la signoria di Dio . Quindi la richiesta da parte di Gesù di un'assoluta non violenza ha un chiaro riferimento sociale, ha un carattere pubblico . Tuttavia essa non si dirige ai popoli, agli stati , alla società in generale. Di tali destinatari Gesù non si è mai curato e a loro non si è mai rivolto. Non ha mai cercato di stabilire contatti con Erode Antipa, né con Ponzio Pilato per dire loro come dovessero governare . A gente di tal fatta avreb­ be al massimo detto ciò che, con una frase che è all'altezza della situazio­ ne, l'autore del Vangelo di Giovanni esprime in questi termini : «Il mio Regno non è di questo mondo. Se il mio Regno fosse di questo mondo , i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei» (Gv 1 8 . 36) . Facciamo ben attenzione a questa frase in cui non si parla di cielo: il Regno di Gesù è infatti in questo mondo, ma non è di questo mondo, il che significa che non aderisce alle strutture di questo mondo. Se si conformasse alle strutture di questo mondo, allora anche in questo Regno si dovrebbe combattere per i propri diritti e, se necessario, con la forza. Ma là dove irrompe il Regno di Dio, là dove esso già risplende, valgono altre leggi, secondo Gesù . Il vero popolo di Dio, la vera famiglia di Gesù non deve farsi strada con la forza né verso l 'inter­ no, né verso l'esterno. Nel popolo di Dio non si deve più lottare per i propri diritti con l'uso della violenza , la quale invece è così normale nella società e spesso anche lecita. In esso si deve preferire di patire un'ingiu1' Il nesso 'rinuncia all'uso della forza' /'popolo di Dio' è sottolineato da L. ScHoTTROFF, Chwal­ tverzicht ., 213; A. STROBEL, Macht , 98; W. LIENEMANN, Gewa/t, 63 . 7 1 .

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stizia piuttosto che rispondere alla violenza con altra violenza , si deve dare a chi chiede, ci si deve lasciar costringere con mansuetudine, si deve dar via non solo l'unica veste, ma anche l'unico mantello, si deve prefe­ rire di essere schiaffeggiati piuttosto che ricambiare lo schiaffo. Ripetiamolo ancora una volta: con tutto ciò Gesù non voleva esprime­ re una convinzione solo spirituale, ma aveva di mira una prassi concreta all'interno di nuovi ordinamenti sociali; era convinto che si potesse vivere in questo modo solo in una comunità di fratelli e sorelle che si trovano insieme in libertà, che credono nel Regno di Dio, che costituiscono il luogo vitale della fede comune, che si rinfrancano vicendevolmente e tra i quali la forza del Regno di Dio è già all'opera. Se io vivo in questa comunità di fratelli e sorelle posso lasciarmi schiaf­ feggiare perché anche così non perdo certo il mio onore . Se io vivo in questa nuova famiglia posso dar via il mio mantello, poiché qui uno che ne abbia due, mi darà il mantello che ha in più . Se io vivo in questo popolo di Dio non è più necessario che sia continuamente preoccupato per i miei diritti e per i riconoscimenti che mi spettano, perché il mio status sociale non è più determinato dal campo di forze rivali, normale nella società del mondo. Con tutto ciò non si deve peraltro affermare che in tale comunità non ci siano conflitti , sofferenze, difetti e colpe. Al contrario ! Per quello che abbiamo sentito, Gesù prevede proprio fin dall'inizio dei conflitti. Per lui è però decisivo il fatto che questi conflitti vengano gestiti diversamente che nel resto della società: non imponendosi, non lottando per i propri diritti, ma proprio rinunciando al diritto, anche giusto, e ad ogni violenza. Ali 'inizio di questa seconda parte abbiamo sottolineato che non si può comprendere la richiesta di Gesù di rinunciare ali 'uso della forza se non si pone la massima attenzione ai destinatari a cui questa richiesta viene rivolta. Abbiamo visto che il destinatario è Israele, è il popolo di Dio che deve essere radunato, è la nuova famiglia di Gesù, insomma è ciò che oggi dovrebbe essere la Chiesa. La Chiesa e le nostre comunità ecclesiali vengono così poste di fronte ad un'enorme pretesa . Mentiremmo sfacciatamente se sostenessimo che oggi le nostre comunità sono un luogo vitale della fede, in cui ci si tratta in maniera fraterna, in cui non si impongono i propri diritti, in cui non ci sono né strutture autoritarie, né violenza. Ma la rilevanza ecclesiologi­ ca della richiesta da parte di Gesù di rinunciare all'uso della forza dovreb­ be essere ormai chiara: questa richiesta ci costringe sempre a rimettere in discussione l'immagine concreta della Chiesa, o meglio la forma concreta con cui si esprimono le nostre comunità.

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Se noi prendessimo sul serio ciò che Gesù ha detto sulla non violenza che ha confermato attraverso la sua vita e attraverso il non opporre resistenza alla sua morte, la chiesa dovrebbe cambiare, le nostre comuni­ l à dovrebbero cambiare, noi stessi dovremmo cambiare. Pertanto il pas­ so di Mt 5 ,39b-42 costituisce un ricordo pericoloso, una carica altamente esplosiva nel bel mezzo della tradizione ecclesiastica, una richiesta che ci >. s Ibidem , 338. 9 Ibidem , 337s. 10 Ibidem , 32 l s . 1 1 Ibidem , 322. 12 Ibidem , 338.

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Con il suo saggio B. Schiiller non ha posto solo agli studiosi del Nuovo Testamento, ma soprattutto al Nuovo Testamento stesso un problema di vasta portata, per non dire decisivo. Il suo problema merita una discus­ sione approfondita, poiché da esso dipendono molte altre cose. La di­ scussione che segue parte dall'ipotesi che nei vangeli ci sia effettivamente qualcosa che giustifica, se non addirittura rende necessario, il parlare di richiesta radicale di Gesù.

2. L ,USO DEL TERMINE IN R UDOLF BUL TMANN

Torniamo ancora una volta alla lingua degli esegeti ! Per quanto essi adoperino, nella maggior parte dei casi, in maniera spontanea ed irrifles­ sa il termine 'radicale' , ad un esame più attento si può tuttavia scorgere nel suo uso linguistico un contesto materiale molto preciso e persino costante. Questo appare evidentissimo in Rudolf Bultmann e precisa­ mente nel suo libro su Gesù . R. Bultmann afferma che in Gesù l'idea deli' obbedienza di fronte a Dio è pensata in maniera radicale, al contra­ rio di quanto avviene per ogni legalità puramente formale13: ,

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«L obbedienza radicale si trova soltanto là dove / uomo da se stesso risponde di sì a ciò che gli viene richiesto, là dove ciò che gli è , comandato è intelligibile come esigenza di Dio, là dove / uomo è , interamente volto a ciò che fa, o meglio: là dove / uomo è tutto in ciò che fa, cioè dove egli non fa qualcosa in obbedienza, bensì è obbediente nel suo essere. Si deve però aggiungere ancora una cosa. , All interno di quella concezione secondo cui l'obbedienza è sotto­ , missione ad una formale autorità, a cui / lo può decidersi senza , essere obbediente nel suo essere, si può dare per / lo quasi una posizione neutrale. Solo per caso, in maniera occasiona/e, per così dire, ciò sarebbe richiesto da Dio e ci sarebbe la possibilità di pensa­ re che potrebbe essere diversamente, che questa esigenza potrebbe forse un giorno essere soppressa da Dio, perché essa non caratterizza l'essere dell'lo davanti a Dio. E ciò avviene d'altra parte, di fatto anche, tutte le volte in cui l'Io si trova in una situazione per la quale 1 3 R. BuL TMANN, Jesus , 68s. (trad. it., Gesù. Queriniana, Brescia, 65).

In che cosa consiste la radicalità del discorso della montagna?

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non è notificato nessun comandamento nelrautorità formale, cioè

nella Scrittura. Perciò l'uomo, secondo l'idea rabbinica, è nella felice condizione di fare di più di quanto è esigilo, cioè di fare opere super-erogatorie, qualcosa che piaccia a Dio, là dove nulla di parti­ colare è comandato da Dio. Ma in questo modo si danno anche situazioni in cui è possibile all'uomo di non fare nulla, situazioni neutre. Ed è appunto questo che è espressamente respinto da Gesù in un detto polemico; di fronte al rimprovero che egli rompe il sabato per aiutare una persona, risponde: �Èpermesso di sabato fare del bene invece che del male? Salvare una vita invece che perder/a?' Il presupposto è che non esiste una terza possibilità tra fare il bene e fare il male; fare niente sarebbe in questo caso come fare il male. Dunque non c'è alcuna possibilità di neutralità, l 'obbedienza è pen­ sata in maniera radicale e avvolge l'uomo nel suo essere». Abbiamo citato per esteso Bultmann perché in nessun'altra parte della letteratura esegetica viene determinata in maniera così univoca la radica­ lità di ciò che concerne l'etica di Gesù . Secondo il parere di Bultmann, quindi , la richiesta di Gesù è radicale in quanto richiede obbedienza . Ma una radicale obbedienza è un'obbedienza che, al contrario di un'obbe­ dienza meramente parziale o legalistica , reclama l'uomo intero con tutte le dimensioni della sua vita 1 4• Proprio questo è il significato che vien� dato appunto alla parola 'radicale' in senso etico da parte degli studiosi del Nuovo Testamento, quando la usano in un contesto non equivoco15• Probabilmente anche quegli esegeti che usano la parola in maniera completamente spontanea intendono dare ad essa il significato di richiesta completa ed unitaria rivolta da Gesù all'uomo. 14 Se R. Bultmann nel testo citato descrive adeguatamente o meno la posizione rabbinica, è questione che può restare in sospeso; in ogni caso non può essergli rimproverato nessun tipo di individualismo. In un altro luogo del suo libro su Gesù scrive: «Non il singolo, ma la comunità è chiamata; la promessa vale per lei. Non è il singolo che giunge nel Regno di Dio alla realizzazione del destino in lui posto, alla formazione della sua personalità e alla felicità. H fatto che Dio faccia apparire il suo Regno, che la sua volontà si faccia, che la promessa si compia a favore della comunità, significa la realizzazione del Regno di Dio. In tal modo, anche il singolo giunge certamente alla salvezza, ma come uno che è chiamato a far parte della comunità del tempo finale, e non come •individualità' (p. 43), [trad. it . , p. 40] . u Cf ad esempio G. BoRNKAMM, Enderwartung, 22; R. SCHNACKENBURG, Botschaft , 53-SS [trad . it. , // messaggio morale del Nuovo Testamento, Paoline, Roma] ; lo, Existenz I , 149; G. JEREMIAS, Lehrer, 3 3 1 ; G. STRECKER, Weg , 1 4 1 ; H . D. WENDLAND, Ethik , 7 [trad. it . ; L 'etica del Nuovo Testa­ mento, Paideia, Brescia); P. HoFFMAN-V. Em, Jesus , 86s. ; W. ScHRAGE, Ethik , 48 . .

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3.

RADICALE OSSIA INDIVISO

Se cerchiamo nel Vangelo un equivalente linguistico immediato per il termine radicale, nel senso che abbiamo appena detto, con tutta evidenza in Mt 5 ,48 ci troviamo davanti alla parola téleios (perfetto)16: «Siate dunque perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli». ll logion di Mt 5,48 è basilare in una discussione etica. Si trova infatti nel discorso della montagna e per di più in una posizione di spicco , perché chiude non solo la sesta antitesi, e cioè il comando di amare i propri nemici (5 ,43-47), ma contemporaneamente l'intera serie di anti � esi dei vv. 5 , 2 1 47 17. Il v. 5 ,20 (la frase sulla 'miglior giustizia') e i l v. 5,48 costituiscono un'inclusione delle sei antitesi. Matteo chiama 'perfezione' in 5,48 la ' miglior giustizia' di 5 ,20 18 . A prima vista l'affermazione di una equivalenza tra le espressioni 'radicale' e 'perfetto' potrebbe sorprendere. Si deve tuttavia tener presen­ te che dietro al termine téleios di Mt 5 ,48 non sta l'ideale di perfezione dell'uomo greco; Matteo non si riferisce cioè alla personalità autosuffi­ ciente arrivata al culmine della propria vita e le cui virtù (aretài) sono giunte ad una tale pienezza di maturità che non sono più possibili ulteriori passi avanti 1 9• Dietro il téleios matteano sta sicuramente l'aggettivo ebrai­ co tamim 20 che significa 'intero', 'indiviso', 'completo' , 'intatto' , 'inte­ gro ' . Quando in Mt 5 ,48 si dice ai discepoli ed ai seguaci di Gesù che 1 6 S u quanto segue cf soprattutto R. PESCH, Seid vollkommen . 17 Cf W. TRILLING, /srael, 1 95; W. GRUNDMANN, Matthiius , 1 80; H. FRANKEMOLLE, Jahwebund, 291 ; C H . DIETZFELBINGER, Antithesen . 1 3 ; B.. PRZYBYLSKI, Righteousness , 85; H. GtESEN, Handeln. 1 23s., 1 36- 1 40; U. Luz, Matthiius (commento ai vv. indicati), diversamente: G. DELLING, Téleios. 15, ·

nota 3 5 . 1 8 CfU. Luz, Erfiillung , 423 : «La giustizia richiesta ai discepoli è identica alla 'perfezione' (S.48) descritta contenutisticamente dal comandamento dell'amore». 1 9 Per la mentalità greca sono specialmente istruttivi: FILONE DI ALESSANDRIA, De A brahamo. § 34 (Cohn): «Ma dice (Mosè) anche che egli (Noè) era 'perfetto', esprimendo così che Noè possedeva non una vi rtù ma tutte le virtù e che conformemente al proprio dovere ha esercitato ciascuna costantemente» . STOBEO I l , 7, I l : «(Gli stoici) dicono che un uomo ·probo sia perfetto in tutto se non gli manca nessuna virtù>> . Cf anche Stoicorum Veterum Fragmento III, 299. 20 P er la discussione del termine ebraico equivalente e/ E. YARNOLD, Téleios , 269s. e W. DELUNG , Téleios , 72-74 ed inoltre: R. SCHNACKENBURG, Existenz. l, 1 32s. ; H. GIESEN, Hande/n , 1 34; U. Luz, Matthiius (commento ai vv. indicati). ,

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essi dovrebbero essere téleioi non si dice loro, perciò, nient 'altro se non t:he essi devono dedicarsi in maniera esclusiva ed indivisa a Dio21 • Uno dei più importanti punti di riferimento veterotestamentari per Mt 5 ,48 è Dt 1 8 , 1 3 : «Tu sarai irreprensibile (tamim ) verso il Signore tuo Dio)). Il discorso è quindi rivolto ad Israele che deve servire indiviso il suo Dio e non deve lasciarsi attrarre dalla magia e dali 'idolatria dei pagani. Si potrebbe quindi tradurre con la Bibbia interconfessionale: «Tu resterai con tutto te stesso presso il Signore tuo Dio)) . Non si deve trascurare inoltre l'intimo collegamento con il primo dei comandamenti (Dt 6,5), il quale afferma che Israele deve «amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze)). La stessa cosa è così espressa in Gios 24, 14: « Temete dunque il Signore e servite/o con integrità (tamim) efedeltà; eliminate gli dèi che i vostri padri servirono oltre ilfiume ed in Egitto, e servite il Signore». In tali testi veterotestamentari ha la sua radice il termine matteano téleios 22• Naturalmente il Sitz im Leben che il termine ha in Matteo è ancora da determinare. Diventa infatti chiaro solo se si considera che il termine tamim, negli strati più tardi dell 'Antico Testamento e nel primo giudaismo entra in sempre più stretta connessione con il tema del 'compimento' della legge. 2 1 Così osserva anche H. BRAUN, Radikalismus II, 43 , nota l ; G. BARTH, Gesetzesverstiindnis , 9S ; G. BoRNKAMM, Jesus, 99 [trad . it . , Gesù di Nazareth, Claudiana, Torino] ; R. BuLTMANN, Jesus, 102s. [trad. it . , Gesù, Queriniana, Brescia); G. KRETSCHMAR, Beitrag , 5 3 ; J. BUNZLER, Vol/kom­ menheit, 863; R. SCHNACKENBU RG, Existenz l, 1 40; E. SCH WEIZER, Matthiius , 83; H. fRANKEMOLLE, Jah webund, 29 1 ; B. PRZYBYLSKI, Righteousness, 86s . ; M. HENGEL , Ende , 687; H . GIESEN, Hande/n , 1 34s . ; W. ScHRAGE, Ethik, 1 42 - B. PRZYBYLSKI (Righteousness , 86s.) e U. Luz (Matthiius , ai vv. indicati) intendono annotare, accanto al momento soggettivo (dell'interezza unitaria) del concetto matteano di perfezione, anche un momento oggettivo (del compimento di tutte le richieste della legge). La formulazione estrema di questa interpretazione si trova in G. STRECKER, Weg, 1 4 l s . : «Per una radicalizzazione delle richieste etiche si richiede che la legge venga adempiuta nella sua totalità quantitativa . . . La perfezione richiesta è così sostanzialmente determinata da un incremento quanti­ tativo. Contro interpretazioni di tal tipo si esprimeva già G. KRETSCH MAR, Beitrag , 57: «Perfezione non è un completamento quantitativo della legge, ma una sua nuova coniazione qualitativa)). Analogamente si esprime H . FRANKEMOLLE, Jahwebund , 286. - Di fatto il momento quantitativo in Matteo non dovrebbe essere trascurato; si tratta infatti del compimento di tutta la legge, a cui niente deve essere tolto. D'altra parte questa dimensione quantitativa è in tutta la sua estensione ridetermi­ nata qualitativamente. Cf a questo riguardo la trattazione che segue. 22 Sulla teologia dell'Alleanza, come sfondo per la lettura del Deuteronomio, ha richiamato l'attenzione soprattutto H. FRANKEMOLLE, Jahwebund, 288-290.

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La via perfetta (o meglio 'il camminare perfettamente davanti a Dio') significa osservanza completa ed irreprensibile della Torà23 . A Qumran la 'via perfetta' diventa il concetto chiave persino per la comprensione che la comunità ha di se stessa24. I suoi membri si autodefiniscono «uomini di perfetta santità» (l QS 8,20). Essi devono infatti «essere perfetti in tutto ciò che è rivelato dall'intera legge» (/ QS 8 , 1 ) . Anche in Matteo il termine téleios appartiene chiaramente all'ambito del linguaggio giuridico e preci­ samente si riferisce al giusto compimento della Torà. Tuttavia per Matteo non si tratta, in questo caso, di adempiere i comandamenti con acuito rigore, come a Qumran, ma si tratta di un compimento della Torà indi­ viso , unitario , totale e, diciamolo pure con buona pace, radicale25• Ma come si può, secondo Matteo, compiere perfettamente la Torà nel senso di un compimento totale, indiviso e radicale? Innanzitutto vivendo secondo le indicazioni delle sei antitesi (5 ,21 -47) e in generale del discorso della montagna. E poiché il v. 5,20 e il v . 5 ,48 fanno da cornice alla serie delle antitesi , nell'intenzione di Matteo ciò significa: la pratica della legge che viene insegnata dagli scribi e dai farisei non è un reale compimento della legge (e cioè nei termini di Matteo, una vera giustizia26), anzi impe­ disce di entrare nel Regno di Dio. Si vive la 'miglior giustizia' richiesta da Gesù solo se si compie in maniera indivisa e unitaria la legge del Sinai , secondo il modello delle antitesi presentate dal discorso della montagna. La più importante delle sei antitesi è, nel nostro senso, l'ultima che contiene la richiesta di amare i nemici : essa in Matteo non è «una richie­ sta tra le altre, ma il centro e il culmine di tutti i comandamenti» che conducono alla perfezione27• 23 Cf 2 SDm 22,23 ; Sa/ 1 5,2; 1 8,33; 101 ,2.6; 1 1 9, 1 . 24

Cf J . DuPONT, Soyez parfaits, 1 52; G. BARTH � Gesetzesverstiindnis, 9 1 s . ; J. GNILKA, Kirche , 59,

R. ScHNACKENBURG, Existenz l , 1 36; G. DELLING, Téleios , 73s. zs

La differenza tra il concetto di perfezione in Qumran e nei vangeli è descritta da H . BRAUN, Radikalismus I I , 43 , nota l . 26 'Giustizia' è uno dei termini teologici più importanti del Vangelo di Matteo. C/ 3 1 5 ; 5 ,6. 10.20; 6 1 . 3 3 ; 21 3 2 Nell'esegesi neotestamentaria si dibatte da tempo sul significato da dare alla parola: dono di salvezza oppure richiesta di un comportamento retto da parte dell'uomo, oppure entrambi? La maggior parte degli esegeti difende il doppio significato, sostenendo che Matteo intende 'giusti­ zia' sia in senso teologico sia in senso etico. Così ha ultimamente sostenuto H. GIESEN, Handeln . Ciò costituisce però un uso pregiudizievole ed improprio della teologia paolina. Con il termine 'giustizia' Matteo intende il vero e perfetto compimento della legge. Cf soprattutto B. PRZYBYLSK I , Righteou­ sness . 27 U. Luz, Matthiius (commento ai vv. indicati); lo, Erfullung , 423 ; «Il comandamento dell'amo­ re nell 'interpretazione di Gesù , in quanto centro e norma critica della volontà di Dio così come si esprime nell'Antico Testamento (7, 12; 22,34ss.), non provoca semplicemente un aumento quantita­ tivo, ma un cambiamento qualitativo deHa giustizia dei discepoli nei confronti dei farisei». ,

,

,

.

In che cosa consisle la radicalilà del discorso della monlagna?

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Tuttavia nel discorso della montagna un aspetto decisivo del perfetto compi mento della Torà non è ancora sufficientemente chiaro, e cioè quello della sequela2s. Solo in un passo successivo Matteo riflette per esteso, su questo aspetto, e precisamente nella storia del giovane ricco ( 1 9 , 1 6-30). Il racconto comincia con la domanda: «Che cosa devo fare di bene per ottenere la vita eterna?» ( 1 9, 1 6). La domanda corrisponde con la massima precisione all'argomento del v. 5 ,20. L'espressione «entrare nel Regno dei cieli» è ora trasformata in «ottenere la vita eterna». Anche il seguito della storia mostra senz'altro che si tratta del proble­ ma del giusto compimento della Torà29. Il giovane, e ciò viene detto a chiare lettere ali 'inizio, segue già completamente la Torà nel senso del normale adempimento dei comandamenti . Anzi , oltre all'elenco dei co­ mandamenti di Mc 1 0, 1 9, Matteo introduce nel testo il v. 19, 1 8 del Levitico, e cioè il giovane adempie perfino il comando «Ama il prossimo tuo come te stesso», tuttavia non compie la Torà come Gesù richiede. Egli non vive quella 'miglior giustizia' che sola permette l'entrata nel Regno di Dio come mostra la seconda parte del racconto. Qui (e solo qui nel vangelo di Matteo) affiora ancora una volta la parola téleios Jo. Il giovane ricco non è ancora téleios nei confronti della legge, cioè egli non vive ancora la Torà, la volontà santa di Dio , in modo unitario e indiviso. Egli vive piuttosto diviso, poiché tiene lontano il suo patrimonio dal fare la volontà di Dio. Potrebbe infatti vivere la Torà in modo indiviso e fino alla radice della sua vita solo se vendesse tutto, se desse il ricavato ai poveri e seguisse Gesù. Tutto il racconto porta a questo: in esso Matteo mette in chiaro che quanto Dio voleva attraverso la Torà del Sinai può venir vissuto totalmente e veramente solo se si segue Gesù3 t , e ciò non è possibile senza un esodo dalla vita fino ad allora condotta e senza una radicale condivisione con i poveri del popolo di Dio. Solo quando il discepolo di Gesù fa tutto ciò, compie perfettamente la Torà, e solo allora adempie la legge in modo radicale. Dobbiamo perciò dire che la richiesta al giovane ricco di vendere tutto non è un andare al di là o un offrire di più di quanto richieda la legge, espressa in 1 8 , 1 9s . , ma soltanto Il tema della sequela è già dato implicitamente in Mt 5 , 1 7. C/ nel seguito, parte III, S,S. Quanto stia a cuore a Matteo il problema del compimento della legge, ce lo mostra tra l'altro il cambiamento nella formulazione del passo corrispondente di Mc lO, 19 che in Mt 19, 1 7 suona: «Osserva i comandamenti ! >> . 30 Negli altri vangeli l a parola manca totalmente; s i tratta dunque di un interesse specifico di Matteo. Nel Nuovo Testamento sono da confrontare con Mt 5 ,48 e 19,2 1 : Ef 4, 1 3 ; Co/ l ,28 e 4, 12; Gc 1 ,4 e 3 ,2. 31 Cf R. ScHNACKENBURG, Existenz l , 1 47- 1 53 . 21 29

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l 'interpretazione autentica della stessa32. Dall 'inizio alla fine della storia del giovane ricco si tratta infatti del giusto �dempimento della Legge. Questo peculiare ·collegamento degli argomenti nel testo emerge ancor più chiaramente se si considera33 che sullo sfondo del racconto sta l'abbi­ namento del primo dei comandamenti (Dt 6,4s.) con il comandamento dell'amore per il prossimo (Lev 19, 1 8)34. In Mc 1 0, 1 8, ma anche in Mt 1 9, 1 7, si allude chiaramente a Dt 6,4 (l"uno solo') e abbiamo già visto che Matteo introduce per di più nel suo testo il riferimento a Lev 19, 1 8 . Il suddetto sfondo gioca dunque nella pericope del giovane ricco u n ruolo decisivo. Ora in Dt 6,5 si dice che Israele deve amare Dio «con tutte le , forze». Il termine ' forza' (me od) in Dt 6,5 viene però inteso dal giuda­ ismo dei tempi di Gesù come 'patrimonio' , 'capitale' , 'soldi'3S. Questa i nterpretazione dei contemporanei deve essere stata corrente anche per i narratori protocristiani della pericope (e probabilmente ancora per lo stesso Matteo36). Per loro era chiaro: se il giovane ricco avesse adempiuto i comandamenti , ma senza mettere in gioco il suo patrimoni o, non avreb­ be amato Dio con tutte le sue forze, cioè 'con tutto il suo capitale' . L'indicazione di Gesù di vendere i suoi beni e di seguirlo doveva perciò apparire plausibile ed autentica, proprio alla luce del primo dei comanda­ menti . Nel quadro di tutta la composizione del Vangelo di Matteo il testo di Mt 19, 1 6-30 rende così definitivamente chiaro che il radicale adempimen­ , to della legge avviene mediante la sequela di Gesù e nient altro 37• «Seque­ la e radicale adempimento della legge sono la stessa ed identica cosa»38. E con ciò diventa anche chiaro che secondo Matteo questo radicale adempimento della legge mediante la sequela è per principio ri3 2 Così afferma G. STRECKER, Weg , 25 ls. H Su quanto segue ha richiamato la mia attenzione R. Pesch. Cf anche R. P ESC H , Markuse­ vangelium I I , 1 38s. 240 [trad. it . , // Vangelo di Marco I I , Paideia, Brescia]; lo, Seid vollkom­ men , 66. l4 Tale collegamento era già stato asserito da Matteo nella pericope Mt 22, 37-40 (par . Mc 1 2, 20-3 1 ) . 1� C/ G. DAUTZENBERG, Leben , 1 1 � 1 19. È decisivo che s i incontri già i n Qumran, anzi persino in Sir 7,30. 36 Per Matteo tale sfondo interpretativo del termine me -od non è cosi sicuro come per Marco, in quanto Matteo, a differenza di Mc 12,30 taglia in 22,37 ischjs . 17 Ciò è già stato sottolineato da G. BoRNKAMM , Enderwartung, 26: «Nella sequela di Gesù si compie così la perfezione richiesta dalla legge)) . La relazione matteana 'Compimento della legge' l 'sequela' è stata poi approfondita da un lavoro di G. BA RTH Dos Gesetzesverstiindnis des Evange­ listen Matthiius , 95 (soprattutto). Cf anche G. STRECKER , Weg , 23 1 : «Il concetto matteano di sequela . . . si riferisce alla realizzazione pratica della richiesta di dikaiosjnl» . 18 G. BARTH , Gesetzesverstiindnis, 96. ,

In c·he cosa consiste la radicalità del discorso della montagna?

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(hiesto a tutti i cristianP9• Non ci si deve lasciar confondere dall'appa­ rente concessione «se vuoi essere perfetto . . . ». La perfezione in Mat­ t eo - contrariamente ad una lunga storia di interpretazioni40 - non è un consiglio , ma una necessità per tutti coloro che vogliono far parte del Regno . Questo è indicato anzitutto dalla domanda del v . 20: «Che mi manca ancora? » s' intende : «Che mi manca ancora per ottenere la vita eterna? ». Si tratta quindi di ciò che è necessario per la salvezza di ciascuno41 • E ancora ciò è mostrato dal parallelismo così ben orchestrato, tra i versetti 17 e 21 : Se tu vuoi entrare nella vita. . . (19, 1 7) Se tu vuoi essere perfetto . . . (19,21) Il parallelismo della formula indica che «la volontà di perfezione è tanto poco ad libitum quanto la volontà di entrare nella vita eterna»42• Si tratta piuttosto di una stretta necessità che riguarda chiunque abbia udito la voce di Gesù , quindi , per principio, ciascun discepolo. E che infine la perfezione non costituisca in Matteo un semplice consiglio ce lo mostra anche il versetto 5 ,48 , il testo da cui siamo partiti43; lì infatti si dice ai discepoli - nei quali secondo Matteo si prefigura la chiesa ventura44 - e ali 'intero popolo di Israele: 39 C/ W. ScHRAGE, Ethik , 1 37: «Essere cristiani sianifica essere discepoli. Segno distintivo di questo discepolato per eccellenza è la sequela di Gesù , di fare la volontà di Dio e l' inclusione nella missione di Gesù . . . Non a caso il discorso della montaana si colloca all'inizio dei cinque grandi discorsi»; G. BARTH, Gesetzesverstandnis , 90: «Da nessuna parte in Matteo si richiede la sequela solo per una parte della comunità>>; «La sequela vale per tutta la comunità» (93); «La perfezione è il contrassegno decisivo della comunità» (93). 40 Una rozza etica di due stati si trova già nel Liber graduum . Cf G. KRETSCHMAR, Beitrag , 40: «Ne) Liber graduum, che può risalire alJa seconda metà del IV sec . , e per i1 quale ancora si discute per una più precisa collocazione, esistono gli uni a fianco degli altri due tipi di cristiani, a mala pena con qualche riferimento reciproco: gli asceti, che si autodesignano come 'perfetti' ed i semplici membri della comunità (cristiana), che dai primi sono detti i 'giusti ' . Per questi giusti valgono il doppio comandamento deU'amore formulato da Gesù (7,2), il decalogo (7, l s . ) e per i giorni feriali le disposizioni della Didaché di pregare tre volte a) giorno e di digiunare due volte alla settimana (7, 1 0); per contro i1 discorso della montagna (2,2s.; 14, 1 s . ; 19,1s.) vale per gli asceti che pregano e digiunano continuamente». • 1 Cf G. BARTH, Gesetzesverstiindnis , 89s. 42 W. TRILLING, Jsrael , 1 92 - C/ B. ScHi.JLLER, Gesetz , 7 1 s . ; R. ScHNACKENBURG, Existenz l, I SO; H. GIESEN, Handeln, 141 . - Diversamente H. BRAUN, Radikalismus II 54. 56. 43 Cf R. SCHNACKENBURG, Existenz l, 1 50. 1 52; U. Luz, Matthaus z. St. 44 Cf la prima parte di questo libro per una descrizione dettagliata di questa prefigurazione della chiesa nel Vangelo di Matteo.

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Per chi vale il discorso della montagna?

«Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» . Per quanto sconcertante possa essere questa universalizzazione mat­ teana della sequela , estesa alla chiesa intera, il parallelismo interno di Mt 5 ,48 rende nel contempo chiaro quale sia il fondamento che rende possi­ bile la richiesta di tale radicalità: la perfezione che viene richiesta da Gesù alla comunità dei discepoli è resa possibile nella perfezione di Dio . E con ciò si è definitivamente dimostrato che il termine téleios non deve essere interpretato nel senso della filosofia greca, perché dover tendere alla perjectio absoluta dell'essere divino non può certo esser fonte di una possibile giustizia , bensì di perplessità o di dubbio. Matteo intende infatti altro: il discepolo può consegnarsi intero ed indiviso alla volontà di Dio , poiché già prima Dio, intero e indiviso e senza fare differenze, si è rivolto agli uomini . «Dio fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni» significa nel contesto immediato «regala la pioggia ai giusti e agli ingiu­ sti» (5 ,45) . Ci si deve naturalmente guardare dall 'intendere queste frasi come raffiguranti un Dio che regala senza condizioni e senza motivo, per sua propria essenza divina: Matteo non parla del Dio dei filosofi, ma del Padre che è nei cieli (5 ,44-48) che si è rivolto definitivamente al suo popolo - e mediante esso al mondo - in Gesù45 • Questa struttura fonda­ mentale della storia della salvezza non può non essere presa in considera­ zione per Mt 5 ,48, poiché chiaramente sul suo sfondo c'è Lev 1 9,2: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti e ordina loro: siate santi46 poichè Io, JHWH, Dio vostro, sono santo». Con santità di JHWH non si intende qui certamente una qualità eterna di Dio, ma il suo 'essere altro' , che si è mostrato quando egli è diventato Dio di Israele, quando lo ha separato da tutti gli altri popoli (Lev 20,26) e lo ha liberato dalla terra d'Egitto (Lev 19,36) . Questo 'essere altro' di 4' Cf E. ScHWEIZER, Matthaus , 83 : «Se Gesù richiama l'attenzione . . . sulla perfezione di Dio, allora intende richiamare . . . l'orientamento indiviso e unitario di Dio verso l'uomo, la fedeltà alla Alleanza, la sua piena dedizione a coloro che egli ama». C/ anche R. BULTMANN, Jesus , 103 [trad. it., Gesù , Queriniana, Brescia]; H. BRAUN, Radikalismus Il, 43 . 46 Le espressioni sintagmatiche di Qumran «uomini di perfetta santità» (JQS 8 ,20; CD20,2.5. 7) e «santa perfezione» (CD 7 ,5) ci mostrano chiaramente come sia facile passare dal termine 'santo' a quello di 'perfetto'.

In

che cosa consiste la radicalilà del discorso della montagna?

7S

JHWH che ha costituito Israele come suo popolo, deve corrispondere ali ' 'essere altro' del popolo47 • Israele rispetto a tutti gli altri popoli deve vivere in contrasto. Proprio questo si intende con 'santo'48• Nel suo agire esso deve rispecchiare l'agire di Dio che fonda la sua esistenza. Proprio questa struttura di fondo della storia della salvezza si cela in Mt 5 ,48 : Dio si è rivolto al suo popolo con Gesù in modo totale, incondizionato e indiviso, e richiede perciò dal suo popolo una sequela totale, incondizio­ nata e indivisa; solo in tale sequela la Torà raggiunge il suo vero compi­ mento. In sintesi, radicalità in Mt 5 ,48 e 19,21 significa adempimento unitario della legge in forma di sequela. Sequela che è richiesta a tutto il popolo ed è possibile solo in quanto Dio per primo ha agito verso il suo popolo con piena fiducia.

4. CIÒ CHE RENDE POSSIBILE

LA SEQUELA RADICALE Con la parola té/eios Matteo dunque non ha preso in considerazione l'ideale greco di perfezione, ma la richiesta, fondata nella tradizione veterotestamentaria, della piena dedizione di Israele a Dio . Ciò nono­ stante, ci si deve chiedere anche in questa circostanza: è possibile all 'uo­ mo un agire unitario così radicale? Non è questo il caso per eccellenza di una pretesa irrealizzabile? Anche questo problema viene trattato da Mat­ teo ai vv. 19, 1 6-30 in relazione alla figura del giovane ricco. Egli è il tipico esempio dell'uomo che segue tutti i comandamenti della Torà, in un certo senso anche il comandamento dell'amore, ma che non è in condizione di seguire Gesù e di aderire così alla Torà. Egli tornerà triste alle sue ricchez­ ze ( 1 9,22); secondo Matteo proprio questa è la vera situazione dell'uomo. La reazione di sconcerto dei discepoli al verso 25 : «Chi si potrà dunque salvare? » mostra che qui non si sta solo considerando, come sembrava a prima vista, un problema di classe e specificamente dei ricchi49• Gesù '*7

Cf K. ELLJGER, Leviticus , 255 . C/ G . LOHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt ? , 142- 1 44 [trad. it., Gesù come voleva la sua comunità , Paoline, Cinisello 8.). 49 Anche R . ScHNACKENBURG, Evangelium nach Markus Il, 96 (trad. it. , Vangelo secondo Marco Il, Città Nuova, Roma) , sottolinea che qui (nel discorso della montagna) «si tratta delle radicali richieste etiche di Gesù)). .u�

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infatti, pur partendo dai ricchi , estende il problema in linea di principio a tutti gli uomini , rispondendo: «Questo è impossibile agli uomini , ma a Dio tutto è possibile» ( 1 9,26). In tale contesto ciò significa che una sequela tanto radicale da condurre al Regno di Dio è impossibile di fatto ali' uomo. Da sé egli non è assolutamente in grado di dedicarsi totalmente alla causa di Dio e allora là dove c'è una sequela totale e veramente indivisa è avvenuto un miracolo che solo Dio ha reso possibile. E con ciò resta esclusa ogni auto-realizzazione di radicalità etica. Le condizioni che rendono possibile una sequela unitaria vengono fatte oggetto di riflessione anche in un altro passo del Vangelo di Matteo da cui emerge che, secondo lui , la radicalità non ha niente a che fare con l'effi cienza e il moralismo 50, ma nemmeno con l'eroismo. Il motivo del 'vende­ re tutto' nella storia del giovane ricco era già stato toccato dalla doppia parabola del tesoro nel campo e della perla preziosa ( 1 3 ,44-46)5 1 • La prima parabola racconta di un povero bracciante che, probabilmente arando, scopre un tesoro nascosto , di inestimabile valore. Egli sa che può assicu­ rarsene giuridicamente il possesso solo acquistando l'intero campo. Così va, realizza in contanti tutto ciò che possiede e compra il campo. Questo suo 'vendere tutto' è certamente un atto radicale, ma non è, in qualunque modo lo si configuri , eroico. Si tratta di un favoloso affare, proprio come nella parabola della perla preziosa, che si racconta immediatamente dopo ( 1 3 ,45s .). L'uomo non ha bisogno di pensarci su, non agisce eroicamente, ma è affascinato dalla scoperta. Joachim Jeremias ha perfettamente ra­ giones2 quando scrive che chi nelle due parabole vede in primo luogo un richiamo ad azioni eroiche non ha capito ancora niente e che le parole decisive sono piuttosto il «pieno di gioia» del v. 1 3 ,44; afferma infatti: ­

« Tale grande e smisurata gioia, quando coglie l'uomo, lo trasporta, pervade il suo intimo, sconvolge i suoi sensi. Tutto sbiadisce davanti allo splendore di ciò che ha trovato. Nessun prezzo sembra troppo alto. Perdere la testa per ciò che non potrebbe essere più straordina­ rio diventa semplicemente ovvio. Decisivo qui non è la passione dei due uomini della parabola di possedere la cosa, ma il motivo della �

C/ N. LOHFINK, Alternative ,49-1 1 . Per l a seguente interpretazione della parabola del tesoro nel campo cf soprattutto J . JEREMIAS, Gleichnisse , 1 97-200 [trad. it . , Le parabole di Gesù, Paideia, Brescia) e G. LoHFINK, Unbedingtheit, 94-97 . �2 J . JEREMIAS, Gleichnisse, 1 99 . - Tuttavia J . Jeremias rileva come sia unilaterale parlare di 'essere strappato via, perdere la testa' poiché in entrambi i casi si tratta di un 'calcolo affaristico' . Affari e fascino non si escludono assolutamente, e tanto meno in Oriente! SI

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loro decisione e cioè lo sconvolgimento per la ricchezza della loro scoperta. Lo stesso è per il Regno di Dio. l/ lieto annuncio scon volge al suo apparire, è fonte di grande gioia, indirizza tutta la vita verso la perfezione della comunione instaurata da Dio, opera la più appas­ sionata delle dedizioni». Nelle intenzioni di Matteo la doppia parabola dei vv. 1 3 ,44-46 tratta sia del Regno di Dio, sia della sequela. Osservando il rapporto che esiste tra Mt 1 3 ,44-46 e 19, 1 6-30 si può dire che la sequela radicale sia in se stessa impossibile all'uomo. Se però egli resta affascinato dal Regno di Dio, la sequela non solo diventa per lui possibile, ma persino facile . In questo modo Matteo stesso pone un correttivo determinante allo scopo di salvaguardare da qualsiasi fraintendimento moralistico le richieste radicali presenti nel discorso della montagna . In questo contesto si deve anche far riferimento alla prosecuzione, tipica di Matteo, del rendimento di grazie di Gesù al Padre ( 1 1 ,25-27) col seguente testo ( 1 1 ,28-30): « Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e da me imparate, che53 sono mite ed umile davanti a DioJ4, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Di nuovo si tratta del problema del giusto adempimento della Legge, poiché le frasi di questo cosiddetto 'invito del Salvatore' rievocano Sir 53 La traduzione dominante rende in questo passo hdti con un 'che' causale, mentre hdti dopo manthdnD può solo introdurre una frase ogettiva . Cf At 23,21; Barnaba 9,7.8: Epitteto I, 2,2; 4, 1 (!). 19.27; 9,4; Il, 14, 1 1 ; SENOFONTE E FESIO, Eph�siaca , V 1 , 1 2. Traduce correttamente in tedesco TH. ZAHN, Matthiius 442, nota 5 3 . s4 Alla lettera: «nel cuore>> . L'aggiunta esprime però, esattamente come per l a prima e l a sesta beatitudine (Mt 5 t 3 .8), il rapporto del povero, o meglio dell'umile davanti a Dio. Con riferimento a Mt 5 , 3 così dice a ragione TH. ZAHN , Matthiius , 183: «Anche l'aggiunta però è importante perché svia espressamente l'immagine della situazione economico-sociale e, riportandol" alla vita interiore, salvaguarda il significato etico, e allo stesso tempo religioso, del concetto. Questo infatti non designa una condizione in cui l'uomo si trova per scelta o suo malgrado e nemmeno una condizione dell'anima, ma un comportamento. Ma di nuovo non un comportamento verso altri uomini, con i quali uno sia in relazione come carne, nella carne o secondo la carne, ma verso Dio con il quale l' uomo ha rapporti, sta in relazione come spirito ed in ispirito». Cf anche E. KLOSTERMANN, Mat­ thiiusevangelium , 34 in appoggio a quanto afferma Th. Zahn: «Coloro il cui spirito è povero, che in considerazione della loro vita interiore stanno davanti a Dio 'come mendicanti e cioè con la sensazione della propria incapacità ad aiutare se stessi' » . t

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5 1 ,23-27 e fanno propria l'espressione ebraica di «giogo dei comanda­ menti» e di «giogo della Torà»55 • Ciò che viene detto qui con «oppressi (da pesanti fardelli)» viene espressamente detto in Mt 23,4: scribi e farisei «legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente» . L ' invito del Salvatore deve essere capito collocandolo i n questo sfondo giuridico56• Se si prende su di sé il giogo di Gesù, cioè le sue direttive così come sono compendiate nel discorso della montagna, non occorre più piegarsi sotto il peso di una pratica moralistica e legalistica della Legge. Ciò naturalmente riesce solo se si va a scuola da Gesù, «andando da lui» e «imparando da lui» . Entrambe le espressioni descrivono esattamente la sequela e il discepolato57• La legge trova il suo compimento solo nella sequela di Gesù che diviene dolce e conduce al 'ristoro' del Regno di Dio . Quando si dice che Gesù è «mite ed umile davanti a Dio» si allude alla terza e alla prima beatitudine58, che sono usate solo in funzione cristolo­ gica: Gesù è infatti colui che è radicalmente povero davanti a Dio, cioè che non vuoi niente per sé, ma attende tutto da Dios9. Chi seguendo Gesù con tale disposizione abbraccia totalmente la volontà di Dio , può adem­ piere la Torà, anzi essa diviene per lui un carico dolce e soave. Pertanto, anche nell "invito del Salvatore' ( I l ,28-30) che, a fianco dei vv . 1 3 ,44-46 e 1 9 , 1 6-30, è una delle più importanti chiavi ermeneutiche per il discorso della montagna, viene respinta ogni presa di posizione eroica o moralisti­ ca di fronte alla Legge. La radicalità del compimento cristiano dei co­ mandamenti è ancorata60 in Cristo e perciò è al di là di ogni moralismo.

5.

RADICALITÀ E DISCORSO DELLA MONTA GNA

Finora il punto di partenza delle nostre riflessioni è stato Mt 5 ,48, ad integrazione del quale sono stati poi presi in considerazione i testi 1 1 ,2830; 1 3 ,44-46 e 1 9, 1 6-30. Tale corpo di testi è tuttavia scarno per sostenere " Cf BILLERBECK, Kommentar zum N. T. l, 608s. C/ G. BARTH, Gesetzesverstiindnis , 1 39 e G. STRECKER, Weg , 1 73. �7 Cf G. BARTH , Gesetzesverstiindnis, 96, nota l . 58 «La povertà in ispirito - della prima beatitudine - è identica a quello spirito di umiltà che non si aspetta niente dalla forza umana, ma si aspetta tutto dall 'aiuto divinm>, in J. GNILKA, Kirche , 59. 59 Sul motivo della umiltà di Gesù, che gioca un ruolo importante nel Vangelo di Matteo, cf soprattutto G. BARTH, Gesetzesverstiindnis , 1 1 7- 1 28 . 1 39. 60 Nel saggio di E. FucHS, Jesus Selbstzeugnis nach Matthiius 5, l'autore cerca di enucleare questo ancoramento cristologico (christologische Verankerung ). S6

In che cosa consiste la radica/ità del discorso della montagna?

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un fondato giudizio sulla radicalità dell'etica nel Vangelo di Matteo . D'altra parte è qui naturalmente impossibile cercare il tema della 'radica­ lità' in tutto il primo Vangelo . Imbocchiamo perciò una via di mezzo e qui di seguito rivolgiamo ancora lo sguardo al discorso della montagna di Matteo in modo globa/e61 , cioè nel più ampio contesto di Mt 5 ,48. Ciò risponde allo scopo, poiché in questo modo si può esaminare innanzi tutto se il risultato che è stato ottenuto sulla scorta del v. 5 ,48 poggi su una più vasta base di passi matteani . D'altra parte con il discorso della montagna entra in gioco quel complesso di testi interpretando i quali si parla spessissimo di 'richiesta radicale di Gesù ' . , Premettiamo subito la seguente tesi: anche per / intera composizione del discorso della montagna, che include necessariamente la cornice, il principale interesse di Matteo è la Torà ed il suo compimento. Questo è quanto dobbiamo ora dimostrare nei particolari . Fino a qual punto il discorso della montagna si rapporta alla Torà del Sinai?

l . Come la Torà di Israele è stata proclamata dal Sinai , così il discorso

di Mt 5-1 viene proclamato dalla montagna e come Mosè in Es 24 salì62 con gli anziani del popolo sul Sinai , così Gesù sale con gli apostoli sulla montagna della Galilea . Ciò ilon significa necessariamente che Matteo veda Gesù come secondo Mosè63 , significa in prima istanza soltanto che il discorso della montagna è in relazione significativa con la Torà sinaitica. 2. Parte integrante della legislazione del Sinai è il popolo che si racco­ glie ai piedi del monte64• Senza questo popolo la proclamazione della Torà non sarebbe pensabile, perché una legge deve appunto venir 'pro­ mulgata' . Secondo l'Antico Testamento il popolo in mezzo al quale la Torà viene promulgata è Israele. La Torà costituisce gli ordinamen ti sociali di Israele che deve distinguersi da tutti gli altri popoli mediante la Legge e la prassi che ne consegue e diventare così la società alternativa voluta da Dio nel mondo6s . Parallelamente anche il discorso della montagna nel Vangelo di Matteo ha il suo popolo. Come abbiamo appena visto, con una cornice accurata61 Per una fondazione più approfondita di questo paragrafo. cf la parte I di questo libro.

62 Cf Es 24, 1 .9 (la salita con gli anziani) . «Egli salì sulla montagna» di Mt S , l ha la sua prefigurazione in Es 19,3; 24, 1 5 . 1 8 ; 34,4 (Lxx) . 63 Così afferma W. GRUNDMANN, Evangelium , 1 1 7. 64 Cf Es 19,9. 1 1 . 1 7; Dt 5 , S . 6s A questo riguardo sono impananti i seguenti testi: Es 19,3-6; Dt 4,S-8; Js 2, 1 -S . C/G. LOHFINK. Wie hat Jesus Gemeinde gewollt? 78-86. 1 42- 1 54 [trad . it . , Gesù come voleva la sua comunità? Paoline, Cinisello B.]; N. LOHFINK , Alternative , 1 2-26.

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mente composta Matteo fa rilevare che il destinatario del discorso della montagna è l'intero Israele e fa ciò in modo molto concreto, raccogliendo attorno alla montagna persone da tutto Israele, che rappresentano tutte le regioni dell'Israele dei padri : per il Nord-Ovest c'è la Galilea, per il Nord-Est il territorio della Decapoli, per il Sud-Est la Perea e per il Sud-Ovest la Giudea con Gerusalemmme (Mt 4,23-25). Gli uditori pagani vengono esclusi di proposito da Matteo : è quanto indica l'eliminazione di Tiro, di Sidone e dell'Idumea dall'originale di Marco. 3. Importantissima è la questione se il discorso della montagna sia una ' nuova Torà'66 o una 'nuova interpretazi o ne della Torà sinaitica'67 • Con­ tro la possibilità che sia una 'nuova Torà' depone già il fatto che il Messia, secondo la concezione giudaica, non porta una nuova Torà; è invece essenziale che nei tempi messianici si abbia una piena e definitiva comprensione della Torà del Sinai68 • Così dice un midrash nel targum del Cantico dei cantici 8, }69: «In quel tempo [si intende l,éschaton] il re Messia si renderà mani­ , festo al/ assemblea di Israele e i figli di Israele gli diranno: 'Vieni, sii per noi un fratello, vogliamo salire a Gerusalemme e succhiare con te i principi della Torà così come il lattante succhia dal seno di sua , madre ». Contro la possibilità di una 'nuova Torà' depongono inoltre ancor più chiaramente le antitesi del discorso della montagna, in cui non viene presentata una 'nuova Torà', anzi è l'antica Torà sinaitica ad essere nuovamente interpretata70 con autorità e consequenzialmente commenta­ ta a partire dal comandamento dell'amore7 1 • In queste antitesi la radica­ l �zzazione della Torà - spesso infelicemente chiamata inasprimento della 66 Così , ad esempio, sostengono: J. ScHMID, Matthiius , ISS; M. J. FIEDLER, Begriff, 123; E. ScHWEIZER, Anmerkungen , 167. 67 Così , ad esempio, sostengono: G. BORNKAMM, Enderwartung , 33, nota 3 («Si noterà come nel Vangelo di Matteo il concetto di nova /ex . . . non ci sia né ci possa essere»); G. BARTH, Gesetzesver­ stiindnis , 143- 149; G. EICHOLZ, Aus/egung , 66; H. FRANKEMOLlE, Jah webund , 304; 8. PRZYBYLSKI, Righteousness , 80-83; W. ScHRAGE, Ethik , 143s. 68 Cf P . ScHAFER , Torah, 34. 42. 69 Riportato da P. ScHA FER, Torah , 34. 70 H. GOLLWITZER, Bergpredigt , 97 coglie nel segno dicendo: «Matteo concepisce il discorso della

montagna come scoperta del vero e fondamentale significato della Torà (Mt 5, 1 7-20). Gesù , come del resto i profeti, vuole preparare Israele in vista dell 'imminenza del Regno di Dio ad essere un popolo che vive nella vera obbedienza alla Torà)). 71 C/ W. TRllLING, Jsrael , 1 86.

In che cosa consiste la radicalità del discorso della montagna?

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Torà72 - consiste proprio nel fatto che ogni interpretazione legalistica della Torà salta e l' uomo viene interpellato nella sua interezza. Questo totale coinvolgimento ha il suo culmine nel comandamento deli' amore (5,43-41) che richiede appunto un amore totale, senza limiti e che, alla fine della serie delle antitesi, viene tematizzato ancora una volta nel /ogion 5 ,48 di cui abbiamo ampiamente parlato. Ma il discorso della montagna contiene ancora altri logia che richiedono, in tanti modi diver­ si, una totale dedizione da parte di lsraele73 . Nella maniera più chiara lo mostra il /ogion : «Nessuno può servire due padroni» (6,24) . Al discepolo non si chiede che di servire in maniera indivisa Dio e la sua causa. Se egli serve nello stesso tempo Dio e i suoi averi o non si adopera con il suo patrimonio per la causa di Dio, egli vive scisso, spezzato in due. E ancora: vive diviso se suddivide il suo prossimo in uomini che deve amare e uomini che può odiare (5 ,43-47) . Vive diviso, se giudica con due pesi e due misure, se vede cioè la pagliuzza nell'occhio del vicino e non nota la trave nel suo (7 ,3-5) . Vive diviso, se si rivolge in preghiera a Dio come padre e nello stesso tempo si preoccupa per il cibo e per il vestito (6,25-34) . Vive diviso se nella sua vita le sue parole e le sue azioni, ciò in cui crede e la sua condotta, non vanno d'accordo (7 ,2 1 -23). Vive diviso, se mette in mostra le sue opere buone (6,2-4), le sue preghiere (6,5s.) e i suoi digiuni (6, 1 6- 1 8), perché con ciò egli non vorrebbe essere apprezzato soltanto da Dio, ma anche dagli uomini : egli vorrebbe una doppia ricompensa: da Dio e dagli uomini, e anche ciò renderebbe il suo agire spaccato in due. Scisso e diviso sarebbe ancora il discepolo che non volesse uccidere il fratello, ma fosse tuttavia in collera con lui (5 ,21s.), oppure se egli di fatto schivasse un adulterio, ma poi lo commettesse con i suoi occhi o nella sua fantasia (5 ,27s.). La terribile parola che lo sguardo cupido sulla donna altrui sia già adulterio - cioè un delitto degno di morte (Dt 22,22) è contro un amore che sia spaccato e diviso. Il discepolo può solo amare in modo indiviso, proprio perché la sua esisten­ za deve essere indivisa e unitaria. Una tale unità è veramente sostenibile solo se tutto ruota intorno ad un centro interiore e, per il discorso della montagna, il cuore dell'uomo è il centro di ogni unità. «Beati i puri di cuore» (5 ,8) non è perciò nient'altro che la richiesta di un'unità radica-

n Il fenomeno dell'«inasprimento della Torà» è stato ricavato sulla base dei testi di Qumran soprattutto da H. BRAUN, Radikalismus l. Per una critica a tale concetto nel momento in cui viene applicato a Gesù, cf H. MERKLEIN, Botschaft , lOOs. 73 P er quanto segue confronta R. PEScH, Seid vollkommen, 65s.

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Per chi vale il discorso della montagna ?

le74. Per questo centro unitario, che solo rende possibile una vita indivisa, il discorso della montagna offre altre due immagini : l'occhio chiaro e puro (6,22) e la luce che è in lui (6,23). Se il cuore del discepolo è indiviso , e cioè il suo occhio è puro e la luce risplende dentro di lui , egli non può fare che il bene, per cui si dice: «Un albero buono non può produrre frutti cattivi» (7, 1 8). Per il discepolo è necessario quindi un centro a partire dal quale egli possa vivere in maniera unitaria. Ma l'unità richiede anche uno scopo a cui il discepolo possa integralmente e totalmente dedicarsi, altrimenti il suo cuore rimane vuoto e si perde presto in nuove divisioni . Il Regno di Dio deve essere il 'tesoro' del discepolo, cui egli possa dedicarsi con tutto il suo cuore e tutta la sua forza e perciò appunto si dice: «Dove è il tuo tesoro là è anche il tuo cuore» (6,2 1 ) . Chi non ha ancora trovato l'affa­ scinante tesoro del Regno di Dio non riesce ad attaccare il suo cuore esclusivamente ad una sola cosa. Ritorniamo ora al nostro punto di partenza. Si dovrebbe qui dimostra­ re che il discorso della montagna, attraversato da quella serie di logia che, in ultima analisi, hanno per tema l 'unità del discepolo e nello stesso tempo l'unità di Israele75, li riconduce all'ampio tema dell' 'adempimento della legge' . Non si tratta infatti qui di servirsene per una generica antro­ pologia, anche se a partire dai logia citati si potrebbe dir molto su un'autentica antropologia, ma si tratta della questione di come si debba adempiere la Torà sinaitica n eli' Israele degli ultimi tempi. 4. Nell'Antico Testamento la proclamazione delle potenti azioni di Dio che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù dell'Egitto (Es 20,2) procede la proclamazione della Torà e cioè, per così dire, prima dell'imperativo c'è l'indicativo; allo stesso modo procede ora Matteo. Nella composizio­ ne molto ben ideata e accuratamente strutturata dei capitoli dal 5 al 9, egli descrive Gesù non solo come il 'Messia della parola' , ma anche come il 'Messia delle opere'76• Le opere del Messia che risana il popolo di Dio dalle sue malattie (8, 1 5s . ; 9,33) vengono raccontate nei particolari solo dopo il discorso della montagna, ma sono anticipate neli 'introduzione al discorso della montagna grazie ad un sommario accuratamente pondera74 C/ P. HoFFMANN, Aus/egung, 1 20; W. ScHRAGE, Ethik , 46 scrive ancora: «La purezza di cuore è l'inverso . . . di quella pietà parziale, fatta di riserve e di cautele)). 75 L'opposto della perfezione o meglio dell'adempimento unitario della Legge è per Matteo il comportamento degli 'ipocriti'. Anche questo tema ha un ruolo importante nel discorso della montagna: 6,2. 5 . 16; 7,5. C/ inoltre: 1 5 ,7; 22, 18; 23, 1 3 . 1 5 .23.25.27.29; 24,5 1 . 76 Cf J . ScHNIEWIND, Evangelium. 36s. e 106.

In che cosa consiste la radicalitò del discorso della montagna?

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to (4,23-25). L'interpretazione definitiva della Torà del Sinai viene così indirizzata ad un Israele in cui Dio attraverso il suo Messia ha già operato cose nuove e meravigliose77• 5 . Matteo ha disposto il materiale del racconto che gli veniva da Marco in modo che tra il ministero pubblico di Gesù (v. 4, 1 2) e la proclamazione del discorso della montagna vi è un unico racconto, quello della chiamata dei discepoli alla sequela (4, 1 8-22). Questi discepoli formano poi durante il discorso della montagna la cerchia più ristretta degli uditori di Gesù. Essi costituiscono così quella parte di Israele che già si è messa alla sequela. Il resto del popolo è chiamato a percorrere la stessa via della sequela per divenire, infine, vero Israele. In effetti, quando Gesù scende dalla m ontagna grandi folle lo seguono (8, 1 ) . Se ciò costituisca sequela in senso vero e proprio si vedrà, ma in ogni caso tutto il discorso della montagna è incorniciato dal tema della sequela78• Implicitamente il tema è sotteso anche nel v. 5, 17, poiché li viene detto che Gesù ha compiuto la Legge ed i Profeti (cf 3, 1 5) e perciò tutta la giustizia richiesta dalla Legge79• E con ciò viene anche affermato che da allora in avanti ogni compimento della Legge dipende dall'unione con Gesù , perché non si può realizzare se non nella sequelaBo. Abbiamo visto che il legame tra pieno compimento della Legge e sequela viene ripreso ed esplicitato nella pericope del giovane ricco ( 1 9, 1 6-30) , ma è anche presen­ te nello stesso discorso della montagna. È di estrema importanza che Matteo colleghi fin dall'inizio e con tale coerenza il tema del perfetto adempimento della Legge al tema della sequela. Viene così allo scoperto la dimensione storica del perfetto adem­ pimento della Torà. L'obbedienza radicale riceve in Matteo una colloca­ zione evidente: è indissolubilmente legata alla sequela di Gesù di Naza­ reth. Dio si è rivolto definitivamente al suo popolo in Gesù per liberarlo dai suoi peccati (l ,2 1 ) e perciò solo nella sequela di Gesù è possibile un n Una trattazione più estesa si trova nella parte I di questo libro. Cf anche U. Luz, Erfullung, 433: «La proclamazione dell'aspetto imperativo della volontà di Dio è collocata da Matteo nel racconto dell'invio, delle opere, dell'obbedienza, delle azioni potenti e della vittoria del Figlio di Dio . Questo collocare la proclamazione della volontà di Dio nella struttura narrativa di fondo di tutta l'opera di Matteo sostituisce a suo modo la distinzione concettuale di Paolo tra legge e grazia». 78 Non si possono qui prendere in esame gli ulteriori testi matteani sulla sequela che ruotano attorno al discorso della montagna. Importante è soprattutto Mt 8 , 1 8-22 con prosecuzione in 8,23-27 . Cf su questo punto G. BORNKAMM, Sturmstillung, 50s. 79 Cf U. Luz, Erfiil/ung, 4 1 5-4 1 7 e 426. 80 Cf G. KRETSCHMAR, Beitrag, S9.

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perfetto rivolgersi di Israele a Dio, cioè un radicale adempimento della Torà. 6. Dopo quanto abbiamo detto è tuttavia chiaro che la perfetta dedi­ zione a Dio non può assolutamente essere descritta in modo esauriente come 'totale adempimento della Torà' . Infatti il definitivo rivolgersi di Dio al suo popolo, che avviene con Gesù, è più di una pura reinterpreta­ zione escatologica della Torà sinaitica. Pertanto la risposta di Israele a questo radicale volgersi di Dio, non può per conseguenza essere soltanto il radicale adempimento della Legge. Matteo lo sapeva bene e proprio per questo riferisce ogni compimento della Legge al concetto di sequela . E ancora di più: egli non usa solo il concetto di 'giustizia' , che per lui è completamente inserito nel campo delle coordinate 'Legge' e 'adempi­ mento della Legge' , ma fa della 'volontà del Padre' un particolare tema del suo Vangelo81 • Si confrontino i seguenti versetti : 6, 10; 7,2 1 ; 12,50; 1 8, 14; 21 ,28-32; 26,39-42. Il tema dell'adempimento della Legge è dun­ que non solo colto nel suo rapporto con il tema del fare la volontà di Dio (cf anzitutto 7,2 1 , par Le 6,46), ma ne è anche superato in maniera decisivas2. La volontà di Dio infatti è, in ultima analisi, la volontà di salvezza , il piano di salvezza di Dio in cui Israele si deve collocare. Esser discepolo è per Matteo identico a «fare la volontà del Padre» ed è quanto mostra la pericope sui veri parenti di Gesù ( 1 2,46-50), nella sua formula­ zione matteana83 • Il discepolo deve orientarsi verso la volontà di Dio perché questa possa farsi strada, esattamente come Gesù nel Getsemani si è abbandonato alla volontà di Dio (26,39-42) . A tal fine si prega nel Padre nostro (6, 10)84 e il Padre nostro non sta solo nel mezzo del discorso della montagna, ma ne è esattamente il centro .

81 A proposito del tema 'volontà di Dio' nel Vangelo di Matteo: G. B ARTH, Gesetzesverstiindnis, 54-58; W. TRILLING, lsrael, 1 87-2 1 1 ; H . FRANKEMOLLE, Jahwebund, 275-307; U. LUZ, Erfiillung, 434; B. PRZYBYLSKI, Righteousness, 1 1 2- 1 1 5 ; H. GIESEN, 1 97-235. C/ anche Der Wille Gottes, in N. LOHFINK, Kirchentriiume, 26-63 [trad. it. , Sogni sulla Chiesa, Paoline, Cinisello B . ] . 82 C i ò è stato colto molto bene d a W. TRILLING, Jsrae/, 1 9 1 : « I l 'fare l a volontà d i Dio' non deve essere limitato all'imperativo etico: abbraccia infatti allo stesso modo l'attuazione della volontà di salvezza (di Dio))). C/ anche B. PRZYBYLSKI, Righteousness , 1 1 5: «L'espressione 'la volontà di Dio' è usata d'altra parte in riferimento non solo alla richiesta di Dio sull'uomo, ma anche al dono di Dio per Puomo»; inoltre, cf H. FRANKEMOLLE, Jahwebund, 277s. 83 C/ B. PRZYBYLSKI, Righteousness, l 12. 14 C/ N. LOHFINK, Kirchentriiume, 44s.

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6. LA DIMENSIONE SOCIALE DEL DISCORSO DELLA MONTA GNA Il precedente paragrafo si è alquanto addentrato nel complesso del discorso della montagna, non solo per confermare in tal modo l'esegesi proposta su Mt 5 ,48, collocandola su una base più ampia, ma soprattutto perché l'attuale discussione sul discorso della montagna che, dal sorgere dei movimenti per la pace, ci tiene col fiato sospeso trascura aspetti importanti e non eliminabili di Mt 5-1. Ci riferiamo a quanto segue: il discorso della montagna non yale per Pindividuo isolato, non si rivolge nemmeno in primo luogo all 'umanità in generale. Non è una 'richiesta usuale e mondana'. Il suo destinatario univoco è il popolo di Dio che, nella sua interezza, è chiamato da Gesù alla sequela; è quindi chiaro che il discorso della montagna non può essere imposto dall'alto come legge alla nostra società pluralistica : la sequela non si può prescrivere85 . Matteo mostra che la sequela a cui il popolo di Dio è chiamato consiste nel vivere la Torà del Sinai nella nuova interpretazione di Gesù. Per una corretta comprensione del discorso della montagna è importantissima la relazione tra Mt 5-1 e la Torà sinaitica così chiaramente enucleata dall'e­ vangelista. È infatti gravido di conseguenze il fatto che il discorso della montagna non sia una nuova Torà, ma una definitiva interpretazione dell 'antica . Innanzitutto le parole provocatorie di Gesù nel discorso della monta­ gna non sono, ad esempio, norme (anche parecchi altri punti la confer­ mano), ma criteri ed orientamenti per un'autentica interpretazione ed attualizzazione della Torà sinaitica, la quale deve continuamente rinno­ varsi nella chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo. E ancora: se il discorso della montagna è l'interpretazione della Torà sinaitica, sarebbe un tragico equivoco disconoscerle una rilevanza sociale e pubblica. Il discorso della montagna ha infatti rilevanza sociale; Gesù non vuole abolire la Torà, gli ordinamenti sociali di Israele, ma compier­ la (5 , 1 7) . Compierli significa, nel contesto di Mt 5 , 1 7-20 e nello sfondo complessivo della teologia matteana, dar loro 'pienezza', ' portar li a con­ clusione' , 'portarli a definitiva attuazione' , 'realizzarli nella loro inten­ zione più essenziale'86• È dunque veramente corretto affermare che Mat8!1 16

Cf a questo riguardo la più estesa trattazione della parte Il di questo libro. C/ W. TRILLINO, lsrae/, 1 79.

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teo mette in luce la vera intenzione della Torà, la riassume nel comanda­ mento dell'amore87 e determina il suo perfetto compimento a partire dal concetto di sequela . Ciò non significa che egli sopprima parte della Torà e la dichiari abrogata8s: per Matteo si tratta di tutta la Torà, di cui non si deve perdere nessun iota e nessun segno (5, 1 8). Matteo intende il logion 5 , 1 8, di cui si era fatta carico tutta una stretta tradizione giudaica, non più in maniera legalistica, ma attraverso il v. 5, 1 7 ; tuttavia il suo caparbio tener fede ali 'interezza della Torà è un chiaro segno che questa non deve essere messa in questione come ordinamento sociale . Essa deve invece essere interpretata alla luce delle indicazi oni di Gesù (soprattutto delle antitesi del discorso della montagna), ma non perde assolutamente il suo carattere sociale89. Pertanto, il discorso della montagna ha rilevanza sociale non per la società mondana, o per lo meno non in maniera immediata, ma per la chiesa che dovrebbe rendere trasparenti per il mondo gli ordinamenti sociali del discorso della montagna, in quanto essa è la società alternativa di Dio. Questo intende Matteo quando chia­ ma i discepoli sale della terra, luce del mondo e città sul monte (5 , 1 3 s.). Il discorso della montagna acquista così un significato davvero universale per tutti i popoli, ma lo media attraverso la chiesa che porta avanti emblematicamente ciò che Dio vuole per tutto il mondo .

7. RADICALITÀ E STORIA

Tanto basta sull'insieme del discorso della montagna. I risultati che abbiamo già ricavato da Mt 5,48 restano confermati. La parola 'radica­ lità', così spesso e volentieri usata dagli esegeti, ha un suo referente che di fatto gioca in Matteo un ruolo importantissimo . La richiesta etica del discorso della montagna è radicale. Radicale nel senso che, secondo la definitiva interpretazione della Torà data da Gesù, a partire dal coman­ damento dell'amore, è richiesto un indiviso ed unitario compimento della

87 C/ soprattutto G. BARTH, Gesetzesverstiindnis, 11 -80 e 97; inoltre G. BoRNKAMM, Enderwar­ 28s.; H . FRANKEMOLLE, Jahwebund, 302-304. 88 W. TRILLING, lsrael, 1 86: «La Scrittura è vista come un intero, da cui non si può trascegliere parti, ad esempio le disposizioni rituali o anche solo un aspetto particolare)). Nello stesso senso concorda U. Luz, Erfiillung , 400, 419, 425s. e 434. 19 C/ H . GOLLWITZER, Bergpredigt, 96-99. tung.

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legge sotto forma di sequela. Questa definitiva ed incondizionata dedizio­ ne dell'uomo intero a Dio è possibile, secondo Matteo, solo in un popolo di Dio che sia diventato comunità di discepoli . Il che è, d'altra parte, possibile solo perché Dio stesso prende l'iniziativa, si china senza riserve verso il suo popolo ed attira gli uomini con il fascino del Regno di Dio. Ora la domanda è: questa richiesta rivolta al popolo di Dio, di un totale compimento della Torà sotto forma di sequela, può dirsi veramen­ te una radicale richiesta etica? No, secondo B. Schiiller, e perciò dobbia­ mo di nuovo tornare al suo articolo, così importante e stimolante. Ricor­ diamo che B . Schiiller sottolinea con forza che il concetto di richiesta radicale non può essere inteso come richiesta categorica, poiché ciò sa­ rebbe un dire lapalissiano: ogni richiesta etica è per sua natura categori­ ca, poiché proprietà della richiesta etica è di valere incondizionatamente e assolutamente. Trattando del discorso della montagna, B. Schiiller scrive90: «Con ogni probabilità lo scopo delle prime due antitesi è di farci riflettere sul vero senso della richiesta etica, sulla sua fondamentale diversità rispetto alla richiesta meramente giuridica. Si può chiama­ re ciò �radicalizzare ' la richiesta etica? Assolutamente no. Certa­ mente la richiesta del diritto positivo chiama in causa solo l'azione, mentre la richiesta etica chiama in causa l 'intenzione e l'azione, cioè tutto l 'essere dell 'uomo. Ma dire ciò significa solo portare in luce la radica/ità propria della richiesta morale in quanto tale». Se B . Schiiller in questa sua riflessione ha ragione, allora in futuro va evitato ogni discorso sulla radicalizzazione dell'etica da parte di Gesù, perché abbiamo visto che Matteo per radicalità intende proprio ciò che qui Schiiller definisce «chiamare in causa tutto l'essere dell 'uomo». B. Schiiller ha dunque ragione? Su un piano sì, su un altro no . Ha ragione sul piano astratto dell' analisi del concetto di eticità, piano che, nel corso della sua analisi, presuppone le esperienze cristiane, ma di c�i in questo caso non è sempre e necessariamente consapevole. Per noi oggi fa parte dell'essenza della richiesta etica che essa chiami in causa tutto l'uomo fin nel profondo della sua esistenza. Nella misura in cui ogni richiesta etica è se veramente etica - anche radicale, in tale misura non si può dare nel discorso della montagna nessuna radicalizza-

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B. ScHOLLER, Rede, 324.

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zione dell 'ethos, sempre parlando su un piano astratto ed atemporale . Ma se si argomenta solo su questo piano astratto ed atemporale, si tiene presente tutta la realtà dell'uomo? È già sorprendente che in tali asserzioni astratte della teologia morale si parli comunemente di singolo uomo o di uomo tout court. Ma si dovrebbe pur considerare anche in questo campo che ogni singolo è intrecciato e coinvolto in una data società e che questa società è inserita in una data storia di salvezza o di miseria. Ma l'astrazione va spesso ancora più in là. Un'etica troppo astratta corre il rischio non solo di isolare il singolo dalla società che lo circonda, che gli permette o gli impedisce la libertà, ma anche di frammentarlo in una serie di atti morali che poi vengono considerati ciascuno per conto proprio nella loro qualità etica. Questa frammentazione e parcellizzazio­ ne del soggetto etico da parte di un certo modo di vedere teologico, viene encomiabilmente stigmatizzata, ma non superata. Per non venire frainteso, sottolineo che la necessità di una simile astrazione non è contestabile. Anche la Bibbia può compiere in questo modo astrazioni, ma - proprio nella sua più sottile casistica legale che mostra un alto grado di astrazione - non perde mai di vista la dimensione sociale e storica dell' uomo. Essa è consapevole dell'esistenza di una storia del mondo e dei popoli non ancora salvata; sa che la società umana è malata e corrotta. Essa sostiene che Dio ha fatto sempre nuovi tentativi di crearsi, da tutte le genti, un popolo che divenisse società secondo il suo progetto, fino a quando questo miracolo gli è riuscito in Gesù. Sa che l'uomo, da quando questo miracolo è avvenuto nel mondo , può trascura­ re il suo proprio interesse per la causa di Dio ogni volta che si mette a seguire Gesù nella comunità del popolo di Dio. Essa afferma in maniera davvero strabiliante che chi crede nel miracolo avvenuto in Gesù e lo segue, perdendo la propria vita, la guadagna già in questo mondot cioè egli raggiunge una nuova unità di vita nella quale è finalmente possibile la libertà e nella quale poi è possibile anche ciò che l'etica ha in seguito chiamato il vero atto etico9 I . La Bibbia è profondamente convinta che l'uomo può trovare questa vera libertà, nella quale solamente trova se stesso , solo là dove egli abbia potuto prima dimenticare se stesso, e ciò perché egli si è lasciato total­ mente affascinare dal Regno di Dio. La Bibbia è d'altra parte anche 91 C/ H. WINDISCH, Handeln. 1 0, che parla della ((liberazione da ciò che impedisce un comporta· mento etico)).

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convinta che il Regno di Dio non accade in un vuoto sociale e meno che mai esclusivamente nell'intimità del singolo . Il fascino del Regno di Dio e lo sbocciare della vera libertà possono verificarsi solo là dove gli uomini vivono in unanimità, come popolo di Dio, questa nuova società che Dio vuole. Solo allora ciascun individuo può pensare mettendosi nei panni dell'altro, perché tutti traggono i loro pensieri dalla causa di Dio . Solo allora si compie ciò che la Torà ha sempre voluto. Ciò che B. Schiiller dice sull'atto morale è quindi, dal punto di vista biblico , assolutamente corretto. Dove c'è eticità in senso vero è sempre in causa tutto l'uomo con la sua intenzione e la sua azione, fino al massimo della sua profondità. Pertanto, ogni vera azione morale è radi­ cale e di conseguenza anche ogni vera richiesta morale. Ma ciò che nel tentativo di Schiiller di analizzare la radicalità delle richieste di Gesù riesce decisamente troppo carente è la collocazione di queste richieste in un ben preciso luogo della storia umana della salvezza, o meglio della non-salvezza. Gesù è profondamente convinto - per m o tivi di spazio tralasciamo qui la distinzione, in sé necessaria, tra il Gesù storico ed il Gesù dei vangeli - che adesso nell'ora del suo ministero Dio stesso si rivolge agli uomini in un ultimo e radicale atto d'amore; quindi per Gesù solo adesso è possibile una risposta completamente indivisa dell'uomo a Dio e con una radicalità che è sostenuta dal fascino del Regno, che è finalmente libertà piena e che ha nel popolo di Dio il suo luogo perma­ nente92 . Davanti a Gesù fuggono i demoni della schiavitù e devono fug­ gire anche dovunque si creda in lui . Il concetto di radicalità ha, da questo momento in poi , una nuova profondità. Si può dire perfino che riceva solo ora il suo vero significato ; si potrebbe anche dire che esso abbia trovato il suo luogo escatologico e che solo in Gesù si è svelato ciò che doveva essere, da sempre, un atto et ico radicale. Queste coordinate della storia della salvezza, o meglio dell'escatologia, non sono prese sufficien­ temente sul serio dal contributo di B. Schiiller del 197 1 , con inevitabili conseguenze aporetiche. Solo in successive pubblicazioni B. Schiiller usa due concetti che gli offrono per lo meno la possibilità di introdurre nella sua analisi una dimensione storica. Egli distingue infatti accuratamente tra genesi e va/o-

92 A questo punto dovrebbe venir spiegato il concetto paolino di libertà dalla Legge e dalla soggezione al peccato (Rom 6,22; 7,6; 8,2; Gal 5 , 1 . 1 3s.), che approfondisce teoria e pratica del messaggio di Gesù. In senso paolino è decisivo che il 'luogo' della libertà sia univocamente escato· logico (c'è solo dalla morte di Gesù) e contemporaneamente ecclesiologico (c'è solo nella chiesa).

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re di verità (o meglio validità) di un criterio etico93 • Questa distinzione serve a garantire «che la richiesta morale vissuta e interpretata da Gesù non deve in nessun modo oltrepassare il campo di una possibile cono­ scenza razionale»94• B. Schiiller fa dipendere quindi la genesi dei criteri eticamente significativi dalle loro condizioni storiche, come dire dalla cecità ai valori o dalla apertura esistenziale di un uomo, dalla intensità della sua conversione, dalla sua intera situazione morale95 ; e si potrebbe ancora aggiungere che sono rilevanti, per la genesi di questi criteri mora­ li, anche la cecità o l'apertura di intere epoche, la disponibilità alla conversione di interi popoli, i costumi morali di una data società nel suo complesso. Se, secondo B. Schiiller, si raggiunge però il criterio giusto , e in questo caso «difficilmente l'importanza della rivelazione giudaico -cristiana può venire sopravvalutata»96, questo criterio morale si apre allora per princi­ pio alla ragione naturale, anzi, dal punto di vista gnoseologico, è sempre un criterio della ragione naturale . Dobbiamo ora solo applicare questa distinzione tra genesi e validità di un criterio morale al problema della radicalità perché le aporie così acutamente poste da B. Schtiller si risolva­ no. Il criterio che l' uomo è chiamato in maniera totale ed indivisa in ogni azione morale avrebbe allora avuto la sua storia e la sua genesi . Il punto culminante di questa storia è stata l'unità senza riserve con cui Gesù ha vissuto la sua dedizione alla volontà del Padre. Solo a partire da Gesù, pertanto , l'atto morale ha potuto essere pensato in un ultimo e profondo significato, cioè come atto incondizionato (ossia radicale) e pertanto si può parlare di radicalizzazione della richiesta morale tramite Gesù . Gesù ha così definitivamente scoperto che cosa è veramente l 'uomo e la sua moralità. Egli ha elevato a criterio ciò che l' uomo già da sempre era o meglio doveva essere. E si può ben dire con tranquillità che queste strut­ ture della moralità definitivamente scoperte possono venir conosciute anche naturalmente dalla filosofia; appartengono infatti a quella vera essenza d eli 'uomo che ora finalmente ci si rivela . Dobbiamo solo aggiungere subito che la vera essenza o la vera natura t) C/ soprattutto B. ScHOLLER, Proprium, 19-27 (trad . it . , in L 'uomo veramente uomo, Ed. Oftes, Palermo] , ma anche lo, Bedeutung . 276: «Ora il pericolo sembra consistere nel fatto che si frainten­ da l' intelligenza atemporale di una verità nel senso di renderla un criterio geneticamente possibile per un tempo qualsiasi». 94 B. ScHOLLER, Proprium . 23. 9� B. ScHOLLER, Proprium , 24s. 96 B. ScHOLLER, Proprium . 27.

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dell'uomo che Gesù c i h a dischiuso può venir di nuovo subito rinchiusa ed offuscata dai peccati, da una insufficiente conversione, dalla separa­ zione dalla chiesa che , a partire da Gesù, è il luogo permanente della scoperta della vera possibilità dell'uomo . Ciò che Schiiller chiama la genesi di un criterio morale non è un fenomeno dalla durata limitata, che si è concluso prima o poi , ed il cui risultato da allora in poi è a disposi­ zione come un ritrovato della tecnica, ma è un processo permanente il cui risultato deve venir sempre riguadagnato. Spesso la 'naturale' compren­ sibilità della conoscenza etica corre gravi pericoli . Essa ha bisogno di un 'luogo' dove ogni storia che abbia guidato alla scoperta di un criterio definitivo sia sempre custodita; in concreto, di un luogo dove la parola di Gesù sia costantemente ricordata e le sue opere vengano tramandate incessantemente, dove la sua dedizione alla volontà del Padre sia presente come memoriale e dove la sua sequela sia vissuta. Tale 'luogo' può essere soltanto la chiesa; essa è il solo luogo storico in cui diviene possibile che la natura dell'uomo, la vera sostanza della sua moralità, rimanga 'natu­ ralmente' intelligibile. Perciò tutti i criteri dell'etica cristiana, sia che possano solo sembrare intelligibili naturalmente o che lo siano veramen­ te, vivono in ultima analisi delle esperienze di sequela delle comunità cristiane.

8. RADICALITÀ E COMPROMESSO Solo dopo tutte queste riflessioni possiamo osare di confrontare il concetto di compromesso97, fortemente discusso dalle recenti etiche teo­ logiche, con il concetto di radicalità ricavato dal Vangelo di Matteo . Una cosa va detta fin da principio: se la radicale richiesta di Gesù è rivolta alla totalità dei discepoli che sono alla sua sequela, non ci può essere assolu­ tamente nessun compromesso. Una dedizione totale non deve mai diven­ tare una dedizione parziale . Pertanto si è autorizzati, anzi costretti, a parlare di una sequela senza compromessi. Perciò davanti al concetto di 'compron:tesso' si devono avanzare sempre riserve, soprattutto se usato in maniera indifferenziata in un contesto linguistico che si riferisca alla 97 C/ H. THIELICKE, Ethik I I , l , n° 147-687; H. STEU BING, Kompromiss ; D. WA LT H E R , Behan­ dlung ; W. TRILLHAAS, Problem ; K. DEMMER , Entscheidung ; H.-J. WI LTING, Kompromiss ; J . WJEBE­ RING, Kompromiss ; H. W JND ISCH Handeln ; H. RINGEUNG, Notwendigkeit. ,

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Bibbia. Infatti , il parlare di compromesso può facilmente venir frainteso nel senso di una risposta solo parziale dell'uomo alla chiamata di Dio . · Naturalmente con ciò non è ancora detto tutto , poiché il concetto di 'compromesso' si può usare anche in una maniera più articolata. Per un uso preciso si dovrebbero fin da principio distinguere nel modo più rigoroso due ambiti : da una parte quello della elaborazione della decisio­ ne e dell'altra quello della prassi, mediante la quale viene attuata la decisione formulata. All'interno del primo campo si richiede un'ulteriore distinzione; infatti si può trattare di una formulazione intrapersonale di una decisione e di un giudizio, cioè dentro un singolo soggetto, ma può anche trattarsi di una formulazione interpersonale, di una decisione al­ l'interno di una struttura sociale98• In quest'ultimo caso dobbiamo anco­ ra operare delle distinzioni . Dobbiamo infatti considerare la grande di­ versità di formazioni sociali: da una parte le società pluralistiche, come le società moderne, dall'altra le forme come la chiesa secondo la conce­ zione neotestamentaria. In quest'ultimo caso ci viene presentata una forma di socializzazione attraverso la fede e la sequela, in cui la mediazio­ ne degli interessi di ciascuno, come necessariamente accade nelle società complesse, non ha nessun ruolo o (detto con maggior prudenza) non dovrebbe avere nessun ruolo99• Le distinzioni sopraenumerate conduco­ no allo schema seguente: A. Elaborazione della decisione l . intrapersonale, cioè in un singolo individuo; 2. interpersonale, cioè in una struttura sociale, a) in una struttura sociale pluralistica b) nella chiesa B. Attuazione della decisione o prassi . In base a questo schema, alla questione di quanto sensatamente il concetto di compromesso possa essere esteso, si può rispondere in manie­ ra più articolata. Per il campo della attuazione (B) della decisione già presa dal punto di vista etico , i compromessi non sono in questione, 98 Si segue qui la terminologia di N. MONZEL, Kompromiss . 1 203. che distingue tra compromesso in tra ed inter personale. Il compromesso intrapersonale viene chiamato da alcuni autori . etico ed il compromesso interpersonale sociale. 99 Nella misura in cui la chiesa ricade nelle strutture della società pagana attraverso il peccato e una mancanza di conversione. naturalmente finisce con l'aver bisogno di tutti quegli strumenti che in tale società proteggono dal peggio: ad esempio l' uso giuridicamente legittimato della forza oppure del compromesso sociale sul modello del do ut des.

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poiché qui significherebbero scarso entusiasmo, mancanza di impegno, incoerenza, violazione dell 'accordo, in breve ciò che noi abbiamo prece­ dentemente chiamato carenza, mancanza di unità. Detto in positivo: se una decisione è stata giustamente presa e formulata secondo le regole, deve anche essere messa in pratica totalmente (cioè radicalmente), pre­ messo naturalmente che non sorga nessuna nuova circostanza che metta in questione la giustezza della decisione presa; in tal caso, la decisione stessa dovrebbe essere annullata o almeno modificata. Altrimenti l'esecu­ zione conseguente alla decisione deve essere sempre radicale: qui non ci possono essere assolutamente compromessi . In tutt'altro modo stanno le cose nel campo della elaborazione della decisione (A): qui i compromessi sono possibili , almeno in linea di princi­ pio, poiché non escludono assolutamente le successive radicalità nel cam­ po dell' esecuzione della decisione, di cui si è appenà detto. Naturalmente la radicalità deve avere un suo posto anche sul piano della formulazione della decisione, non però in modo che escluda la scelta del meglio, ma in modo che allarghi radicalmente l' orizzonte delle scelte possibili , nel senso che le nuove possibilità che sorgono dalla sequela di Gesù per il singolo o per la comunità dovrebbero presentarsi in maniera evidente come possi­ bilità reali e promettenti ed essere considerate in tutte le scelte da prender­ si . Una tale ponderazione e scelta del meglio potrebbe, secondo le circo­ stanze, finire pure in un compromesso; ma poi, se questa è una decisione adeguata, moralmente responsabile, essa può e deve venire in seguito sperimentata in maniera radicale. Di conseguenza si viene ad affermare che radicalità e compromesso potrebbero, in realtà andare insieme•oo. Naturalmente è tutt'altro problema chiedersi se sia bene e consigliabile parlare di compromesso, pur limitando il discorso - come succede qui rigorosamente al campo della elaborazione della decisione (A). Per quanto attiene alla elaborazione di decisioni e di giudizi intraperso­ nali (A l), nella tradizionale teologia morale cattolica questa problemati­ ca viene discussa con altri termini1 0 1 , per esempio nella teoria del male minore (minus malum ) o nella teoria delle azioni a doppio effetto (actus duplicis effectus ), ma anche in tutto ciò che viene trattato sotto l' espres­ sione ' probabilismo morale' ; è chiaro che si potrebbe ricondurre l'intera discussione anche sotto il titolo di 'dottrina del compromesso etico' . Si vede però che il concetto di compromesso intrapersonale reca in partico100

Cf H . WEBER, Kompromiss, l l S; ma specialmente H . WINDISCH, Handeln, 97 e 104. 10 1 Su ciò ha richiamato l'attenzione soprattutto H. WEBER, Kompromiss, 105- 109.

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lare l'impronta massiccia degli assiomi della dogmatica protestante di Helmut Thielicke. Secondo Thielicke, infatti, l'uomo non può compiere nessuna delle assolute ed incondizionate richieste da parte di Dio, procla­ mate nel discorso della montagna. La realtà peccaminosa del mondo lo costringe per principio a venire brutalmente a compromesso con tutto ciò che fa. L'uomo è costantemente ed ovunque peccatore1 02• Ma tale modo di intendere il discorso della montagna è insostenibile a partire dalla Bibbia; in particolare la posizione di Thielicke generalizza e capovolge anche il concetto di compromesso103 • È però proprio attraverso H . Thie­ licke che questo concetto si è imposto neli' etica teologica 104, al punto che ci si può chiedere se il discorso sul compromesso , almeno nel campo intrapersonale, possa mai liberarsi dalla impronta che ha ricevuto. Non si potrebbe perciò continuare a parlare, come si è sempre fatto in questo campo, semplicemente ed in maniera teologicamente non equivoca di valutazione dei beni? Ben diverso è il caso della elaborazione della decisione nelle società pluralistiche (A2a) . Qui il concetto è usato da lungo tempo, ha un suo senso e a partire da questo campo è stato anche recepito dali ' etica teolo­ gica 105 • I l suo specifico Sitz im Leben è infatti la discussione legislativa e costituzionale, come pure la composizione di interessi all' interno degli stati costituzionali contemporanei . Dietro a ciò si pone il seguente model­ lo: la complessa società moderna implica il fatto che i gruppi ed i valori più eterogenei coesistano fianco a fianco . Da tale vicinanza può derivare una società efficiente, solo se ciascun gruppo rinuncia ad una parte del proprio interesse, pur restando confermato in via di principio il diritto ai propri interessi. Agli interessi si rinuncia semplicemente in maniera par­ ziale, affinché sia possibile realizzare una qualche forma di società. Una tale rinuncia avviene appunto nel compromesso . Tale, però, non è l 'idea biblica di società. La società alternativa voluta da Dio di cui hanno parlato i profeti dell'Antico Testamento e di cui parlano Gesù e gli apostoli, è possibile solo quando tutti pensano a partire dagli interessi di Dio, dimenticando i propri . In altri termini quando tutti fanno degli interessi degli altri i loro propri interessi, fon102

C/ H . THIELICKE, Ethik Il, l , n° 1 7 l s . 1 76 e 237s. Per una critica a questa posizione si veda W. TRILLHAAS, Problem, 357-360; H.-J. WILTING, Kompromiss ; W. KoRFF, Kernenergie, 92-94. 104 Per quanto si riferisce al ruolo della problematica sul compromesso nell'etica evangelico-Iute­ rana prima di H. Thielicke, cf D. WALTHER, Behandlung , 75-100. 1� C/ H . WEBER , Kompromiss , 1 02s. 103

In che cosa consiste la radicalità del discorso della montagna?

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dando tutti concordemente i loro pensieri su Dio o meglio sul Regno di Dio. Non c'è allora luogo a procedere per composizione di interessi diversi 106, ma c'è un pensare che parte da Dio e dall'altro uomo e che poi finisce anche, di fatto, con l' essere il meglio per i propri interessi . Si deve pertanto presupporre che pur sotto forme diverse le cose almeno in parte -procedano già in modo analogo per quelle forme sociali che relativamente funzionano, altrimenti si frantumerebbero molto rapi­ damente. Probabilmente un comportamento sociale sul modello del do ut des è fatale per la durata di una società. Ogni società viene pur sempre portata avanti da coloro che si interessano in modo solidale degli altri . Ciononostante nella complessa società moderna hanno un ruolo straordi­ nario i compromessi in cui si realizzano appunto composizioni di diversi interessi . È in ogni caso qui che la parola 'compromesso' ha il suo Sitz im Leben ed è da qui che riceve la sua impronta. Pertanto ci si deve chiedere se sia anche una parola valida per l'etica cristiana. Può senz'altro essere valida ed ineliminabile per un'etica sociale orientata nel senso del diritto natura­ le, ma è anche valida per un'etica cristiana ? Questa dovrebbe occuparsi . in primo luogo dell'ethos specifico del popolo di Dio che, in quanto ethos della fede, presuppone la nuova esperienza delle comunità cristiane.

9. RADICALITÀ E MISERICORDIA

Ci eravamo chiesti il possibile significato del termine 'radicalità' nel Vangelo e punto di partenza di tutte le nostre riflessioni è stato Mt 5,48 . A partire da questo testo si è potuta definire la radicalità in Matteo come adempimento unitario ed indiviso della legge sotto forma di sequela . Dalla nostra trattazione è risultato che la radicalità non deve confondersi con l'eroismo, con il moralismo e, per ciò che riguarda l'attuazione della decisione, neppure col compromesso. 1 06 C iò è stato visto chiaramente da D. MIETH. Oberzeugung, il quale distingue tra compromesso

negli affari pubblici e compromesso in un rapporto personale e afferma che si tratta di due diversi modelli di 'compromesso• : «Nel rapporto personale tra le persone il compromesso non è una composizione di interessi legata alla rinuncia e alla parziale realizzazione. ma l'integrazione delle stimolazioni e dell'aiuto reciproco» (p. 1 1 6) . Per cui conclude che si può parlare di compromesso solo con significato analogo.

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Per chi vale il discorso della montagna?

Ci rimane infine il compito di delimitare la radicalità dal �rigorismo '. Di per sé ne avevamo già fatto cenno; ci siamo già imbattuti nel testo di

Mt 1 1 ,28-30 e nella sua versione cristologica della prima e della terza beatitudine. Mt 1 1 ,28-30 dice infatti che la Legge è un carico leggero, se nella sequela di Gesù Puomo diventa umile e piccolo davanti a Dio, cioè se l'uomo non si aspetta nulla da se stesso e per se stesso, ma vive interamente per Dio e spera tutto da lui . E con ciò ogni rigorismo etico è già eliminato alla radice . In questo contesto deve ancora venir sottolineato il ruolo che ha nel Vangelo di Matteo il tema della misericordia . La quinta beatitudine è formulata così da Matteo: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (5, 7). Solo Matteo racconta la parabola del servitore spietato che trova nel suo padrone la più grande misericordia e subito dopo è brutalmente spietato di fronte al suo simile ( 1 8 ,23-25). Si confrontino inoltre i seguen­ ti testi : 6, 14s; 9, 1 3 ; 1 2,7; l 8, 2 1 s ; 23 ,23 e 25 ,3 1 -46107• In 23 ,23 , e cioè in un contesto in cui espressamente si tratta del giusto adempimento della Torà, si dicews: «Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti, , che pagate la decima della menta, dell aneto e del cumino e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà». Infine uno sguardo ai sinottici mostra che il /ogion di Mt 5 ,48, così decisivo per noi, in Luca si trova nella seguente forma: w. Altrimenti l 'affermazione alternativa di una realtà non si man­ tiene.

9 Qui va a finire, ad esempio, la tesi di M. HATTICH, Weltfrieden, 1 9: «Le promesse di grazia del discorso della montagna non si riferiscono comunque a questo nostro mondo che è soprattutto connotato dal fatto che deve essere formato dagli uomini stessi sotto la loro responsabilità)). M . Hattich scambia, in questa frase, il concetto di 'grazia' con quello di 'ricompensa' ; grazia e forma del mondo non si escludono reciprocamente. Del resto qui il cristianesimo viene considerato chiara­ mente come una pura religione dell'Aldilà. 9bi5 Abbiamo scelto di mantenere il termine 'universo simbolico' come traduzione di Sinnwelt per uniformità; l'autore usa infatti il termine nella prospettiva sociologica datagli da Berger e Luchmann (testo citato sotto) e tale traduzione usa appunto l'edizione italiana: P. L. BERGER - TH. LUCKMANN, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1 969 (N.d.T.). 1 0 P. L. BERGER TH. LUCKMANN, Konstruktion , 1 36 (trad. it., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna] . -

Perché il discorso della montagna richiede una società alternativa?

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2. LA SOCIETÀ AL TERNA TIVA

NELLA LING UA DEI PRIMI CRISTIANI

Il risultato finora ottenuto e ricavato non direttamente dal testo, ma dalle aporie derivanti dalle interpretazioni del discorso della montagna, può essere verificato esegeticamente? Lo stesso testo matteano esige una società alternativa? Prima di dedicarci a questa questione sottolineiamo ancora una volta che non abbiamo nessun fondato motivo di aspettarci di trovare già nel Nuovo Testamento l' espressione 'società alternativa', usata solo nel ventesimo secolo . Il fenomeno 'società' era già ai tempi del Nuovo Testamento da lungo al centro dell'attenzione. Aristotele chiama la società sviluppata presso i greci con il nome di polis , una politiké koinOnia 1 1 , da cui deriva - detto per inciso - il moderno concetto di 'società civile' che Cicerone traduce infatti con societas civilis o commu­ nitas civilis . Il concetto di società era da lungo presente come concetto filosofico ai tempi del Nuovo Testamento. Ma dal momento terminale delle Scrit­ ture dovevano passare ancora più di cento anni perché i teologi cristia­ ni cominciassero a formulare con una terminologia filosofica la loro comprensione della chiesa. lppolito di Roma fu il primo a tentarlo, definendo verso il 204 la chiesa nel suo Commentario al libro di Danie­ le come sjstlma hdgion en a/etheidi politeuomenon (In Dan l, 1 8 ,7) 1 2• Non è un caso che in questa definizione col verbo po/itéuein (cioè essere cittadino, membro di una cittadinanza) ricompaia esattamente quel termine chiave da cui provengono tutte le definizioni greche di società: la po/is. Ma ancora più istruttivo è il primo termine della definizione sjstema. Sjstema indica in greco lo stato, in senso lato la società o l' unione sociale, quella associazione o consorzio a cui , in un senso ancora più lato, è ordinata ogni totalità attraverso una costitu­ zione o un'altra struttura chiaramente riconoscibile 1 3. lppolito eviden­ temente vuoi dire: la chiesa è 'un' unione sociale di santi che vivono la loro cittadinanza nella verità' o in breve: la chiesa è una 'società santa' 11

ARISTOTELE, Etica nicomachea VIII, I l , 1 160a. 1 2 Per il testo greco cf M. RtCHARD, Nouvelle édition , 73. I l Anche Origene usa il te r m ine sjst�ma per descrivere la chiesa . C/ORIGENE, Contra C�lsum 1 1 1 . 1 8 : ((Sjstlma Christian iin » , che M. 8oRRET ( Se 1 36,47) traduce: >. sa

J. MOLTMANN, /eh g/aube. 4 1 3 .

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Per chi vale il discorso dello montaRnu ?

Ma la stessa Bibbia non favorisce la tesi che la chiesa sia tutto e solo società? Non parla essa di lievito che fa lievitare tutta la pasta? Il discorso della montagna non designa i discepoli come sale della terra? Del lievit o e del sale - è stato detto all'infinito - non rimane più niente quando i l pane è lievitato ed i l cibo è salato. In realtà la Bibbia non tira affatto queste conseguenze. Da nessuna parte, ma proprio da nessuna parte, sta scritto che il popolo di Dio, o meglio la chiesa, debba dissolversi nel mondo, anzi si afferma il contrario: . Che qui si tratti della comunità dei discepoli, o meglio della chiesa, è chiaro fin dali 'inizio. Immediatamente sopra Matteo ha già parlato dei discepoli perseguitati a causa di Gesù (Mt 5 , 1 0- 1 2). Almeno questo testo non attesta l'idea secondo cui la chiesa dovrebbe immergersi profonda­ mente nella società, tanto che come chiesa sia quasi irriconoscibile? Il sale non si lega completamente con il cibo? Ma ciò significa di nuovo perder di vista completamente il fine del testo. Matteo non vuoi dire: «Voi siete il sale della terra e perciò lasciatevi spargere per il mondo» . Il centro significativo dell'immagine sta piutto­ sto nell'avvertimento che la comunità dei discepoli non tradisca la sua chiamata e perciò non si meriti il giudizio di Dio, che qui del resto il mondo stesso compie. Se la chiesa infatti non è ciò che deve essere per il mondo secondo il piano di Dio, diventa superflua ed è consegnata al giudizio di Dio . Matteo dunque non vuoi dire : « Voi siete il sale della terra. Lasciatevi perciò spargere nel mondo!>>. Ma: « Voi siete il sale della terra. Non perdete la vostra capacità di salare!» . Si suppone qui una gestione della casa in cui è a disposizione una provvista di sale buono e puro. Sempre di gestione della casa si parla immediatamente dopo nella figura della lampada sul moggio (Mt 5, 1 5). Inoltre, se il sale dovesse andare a male, viene gettato 'fuori' , cioè fuori dalla casa, sulla strada, e là calpestato dagli uomini . Si tratta dunque di una casa nella cui dispensa c'è del buon sale ch e non va a male, come invece poteva allora facilmente capitare con il sale impuro ricavato dal Mar Morto. La chiesa, così si deve intendere l'immagine, deve essere pronta in ogni tempo a salare tutti i cibi nella gran casa del mondo , cioè a renderli dapprima gustosi e poi a conservarli . Il centro significativo non è quindi, nemmeno qui, il dissolversi della chiesa nella società, ma la funzione

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alternativa della chiesa per il mondo. Essa deve aver la forza di salare il mondo, altrimenti perde il suo scopo e viene consegnata al giudizio di Dio . Del resto la parola matteana sul sale viene interpretata naturalmente anche attraverso i versetti seguenti , da 1 4 a 16, che costituiscono con il v . 13 una composizione unitaria. E proprio in questi versi ricorre la tipica immagine matteana della chiesa come società alternativa: l'immagine della città sul monte.

9. LA CITTÀ S UL MONTE Prima di dedicarci a Mt 5, 14- 1 6 è consigliabile dare un' occhiata a ciò che precede. Questa quarta parte del nostro libro deve chiarire che il l' discorso della montagna richiede una società alternativa; innanzitutto perché se non si introduce questo concetto non si può spiegare adeguatamente il discorso . Usando l' indicatore 'legge' si è potuto mostrare che il discorso della montagna richiede una società. Usando le sue richieste e le sue im­ magini alternative di Dio, si è potuto mostrare che esso richiede una società alternativa: e tutte queste sono implicazioni inerenti al testo stesso. Ma il discorso della montagna parla anche esplicitamente di società alternati­ va, sia pure in un linguaggio specificamente biblico. La figura più impor­ tante a questo riguardo è quella di 'città sul monte' a cui ora prestiamo la nostra attenzione60. Matteo continua in questo modo il detto sul sale: « Voi siete la luce del mondo,; Non può restare nascosta una città collocata sopra il monte, né si accende una lucerna per metter/a sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che

sono

nella casa.

Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5 , 1 4- 1 6). 60

C/ su quanto segue G . LoHFINK, Wie hai Jesus Gemeinde gewo/11? , 78-86 [trad. it., cii. ] .

Percht il discorso della montagna richiede una società alternativa?

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Che il passo 5 , 1 3- 1 6 sia una composizione unitaria è mostrato dal parallelismo: «Voi siete il sale della terra . . . voi siete la luce del mon­ do . . . ». I due membri del parallelismo hanno nel v. 16 («Così risplenda la vostra luce») una conclusione comune in cui si indica lo scopo per cui la chiesa e siste: affinché tutti gli uomini rendano gloria a Dio Padre. La seconda parte della composizione è qualificata dalle immagini della luce e della città . Qui comunque la «città sul monte» non è qualcosa di nuovo rispetto alla «luce del mondo»; si tratta piuttosto di una figura unitaria: la luce del mondo non è nient'altro che la città illuminata sul monte. Questa unità di luce e città è infatti comprensibile solo se si prende sul serio quanto già Gerhard von Rad aveva segnalato61 : qui non si parla tanto di una città qualsiasi quanto della città santa, della Gerusa­ lemme escatologica, della quale i profeti dicono che essa si innalzerà su tutti i monti e che la sua luce attirerà tutti i popoli della terra (cf fs 2, 1 -5 , par . Mi 4 , 1 -5). S i è obiettato che contro questa interpretazione parli esplicitamente la mancanza deli' articolo davanti al termine polis e che non si parli perciò della, ma di una città posta in alto62 . Questa obiezione naufraga su due osservazioni :

l . L 'assenza dell'articolo non costituisce problema se già con l'espres­ sione «luce del mondo» si allude alla Gerusalemme degli ultimi tempi . Come mostrano fs 60, 1 -3 ed altri testi63 , la metafora della luce può essere in strettissima connessione con l 'immagine della Gerusalemme degli ulti­ mi tempi : «A lzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signo­ re brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (fs 60, 1 -3). In questo testo dapprima la luce di JHWH che illumina Gerusalemme (v. l s.), ma attraverso di lui la città stessa diventa luce (v. 3). In un midrash giudaico (Genesis Rabba ) si dice proprio così: «Gerusalemme è la luce del mondo»64. Proprio in questo senso la comunità dei discepoli, 61 G. VON RAD, Stadi, 439-447 . Il C/ ad esempio U . Luz, Evangelium nach Motthiius , 223 . ° C/ BILLERBECK, Kommentar zum NT I, 237 . 64 Gen. R. S9, in BILLERBECK, Kommentar zum NT I, 237.

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secondo Matteo, è luce del mondo come la città di Dio degli ultimi tempi . Il dato di esperienza di ordine generale presente in Mt 5 , 1 4b trae la conseguenza dall'affermazione precisa di 5 , 14a. Si potrebbe parafrasare così : voi siete la città di Gerusalemme posta in alto, la luce del mondo . E una città che sta su un monte non può e non deve restare nascosta. 2. In Mt 5, 1 4- 1 6 non si incontrano solo le figure luce e città , c'è piuttosto un intero complesso di figure e precisamente: luce - mondo città - monte. Questo complesso di figure si trova anche in fs 2, 1 -5 : negli ultimi tempi il monte della casa del Signore sarà più alto degli altri colli (fs 2,2). Allora affluiranno ad esso le genti da tutto il mondo (ls 2,3) per conoscere la volontà di JHWH sul monte Sion, o meglio in Gerusalemme (fs 2,3). Perché Sion diventi luogo della vera e definitiva conoscenza del Signore, Israele deve già da adesso camminare nella luce del Signore (fs 2,5). Questo cammino nella luce del Signore trova una precisa corrispon­ denza nell'espressione di Mt 5, 16: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini , perché vedano le vostre opere e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Naturalmente tali corrispondenze non sono casuali . Dietro a Mt 5 , 141 6 sta il complesso delle figure del pellegrinaggio dei popoli che viene ripreso poi in Mt 8, 1 1 s. Nemmeno è casuale che Matteo collochi la sua trasposizione di fs 2, 1 -5 esattamente prima delle antitesi del discorso della montagna. L'interpretazione escatologica e messianica della Torà, che Gesù proclama sulla montagna, corrisponde secondo Matteo alla Torà che, secondo fs 2,3s . , procede dal monte di Sion e convince tutti i popoli, perché è vissuta veramente dall 'Israele escatologico. Anch'essa sarà convincente per i popoli, ma solo se la chiesa vi terrà fede. Perciò, immediatamente prima delle antitesi vien collocata la stringente sollecita­ zione alla chiesa perché faccia sì che il suo sale non diventi insipido e che la sua luce risplenda . Di fronte al complesso di figure del pellegrinaggio veterotestamentario dei popoli una cosa è tuttavia cambiata: ora, secondo Mt 28, 1 9s . , i popoli non vanno più verso Sion per lasciarsi istruire, ma i discepoli vanno verso i popoli per insegnare loro l'interpretazione messianica della Torà da parte di Gesù. La direzione esterna del movimento si è così invertita. Nonostante ciò, con questo cambiamento di direzione non viene elimina­ to il modello interpretativo del pellegrinaggio dei popoli . Infatti i di­ scepoli inviati in tutto il mondo dal Risorto devono rendere i po­ poli comunità di discepoli e queste comunità sono, secondo la concezione del Nuovo Testamento, l'edificio escatologico di Dio fatto di pietre vi-

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ve65 • La città sul monte viene dunque edificata ovunque nel mondo si formino comunità nel nome di Gesù. Poiché tali comunità devono affa­ scinare ed attrarre la società pagana tutt'intorno, si realizzerà di nuovo la direzione centripeta del pellegrinaggio dei popoli . Proprio in questo senso i padri della chiesa hanno interpretato fs 2, 1 -566• Dovrebbe essere allora chiaro che la chiesa descritta in Mt 5, 1 3 - 1 6 è tutt'altro che un gruppo élitario centrato su se stesso: è il sale della terra, la luce del mondo, la città che risplende fin da lontano. È chiaro per il mondo, non nel senso che si immerge nel mondo , ma che dà rilievo ai propri contorni. Non solo la figura della città splendente, ma anche tutto il contesto di Mt 5 , 1 3- 1 6 lo mostra: immediatamente prima ci sono le beatitudini che non costituiscono, a dire il vero, la descrizione di una chiesa che è tutta e solo per la società, e immediatamente dopo seguono le regole ermeneutiche per quella radicale nuova interpretazione della Torà che ha inizio con Gesù . Se si legge Mt 5 , 1 4 nel suo contesto ed alla luce del suo retroterra veterotestamentario, è certo che la città che risplende sul monte è la cifra della chiesa nella sua qualità di società alternativa e proprio in forza di ciò essa cambia il mondo . Se essa perde il suo carattere alternativo, se il suo sale diventa insipido e la sua luce si spegne, ha perso il suo significa­ to; essa viene allora disprezzata dagli uomini e la società non è poi più in grado di riconoscere Dio (nel testo, di rendergli gloria come Padre cele­ ste). Matteo del resto, con questo finale della composizione 5 , 1 3 - 1 6 , mostra d'essere perfettamente consapevole del rapporto tra società e immagine di Dio, di cui abbiamo parlato sopra al cap . 7 della Parte IV; solo se la chiesa risplende davanti agli uomini come società giusta, essi sono in grado di riconoscere il vero Dio e dargli gloria . Forse non è superfluo sottolineare ancora una volta che in Mt 5 , 1 4 la chiesa sarebbe presentata come società alternativa anche se non ci fosse sullo sfondo il pellegrinaggio dei popoli . Infatti, nell'antichità la città sta al posto di ciò che noi oggi chiamiamo 'società '67 • Se si prende sul serio il fatto che in Mt 5 , 1 4 la società dei popoli è posta di fronte alla città splendente sul monte, la quale, proprio in quanto città, ha una sua dimensione sociale, non si capisce più come Heinz Schii r ­ mann, in una relazione programmatica davanti alla Commissione inter­ nazionale dei teologi, abbia potuto dire che il Nuovo Testamento, a

6' C/ ad esempio l Cor 3,9; � 2,2 1 ; l Tim 3 , l S . 66 C/ l a parte v d i questo libro. 67 Cf N. LOHFINK, Das Jiidische, 30-47.

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dispetto delle chiare parole dell'Antico Testamento sul problema «del­ l'impegno nel mondo» , ci meraviglia con il suo «totale mutismo))68 , Schiirmann diagnostica così una «discontinuità nella continuità della storia della salvezza))69, ed un progresso da una «visione intramondana>> ad una «visione escatologica))70• Espressamente egli ne deduce che: «Noi come cristiani dobbiamo ascoltare gli scritti veterotestamentari sul problema dell 'impegno nel mondo solo a partire dalla profondità di questo silenzio. Sarebbe in ogni caso fondamentalmente errato sovrapporre la forte eloquenza� a questo riguardo, degli scritti vete­ rotestamentari al silenzio del Nuovo Testamento» 7 1 • L'errore basilare delle affermazioni citate consiste nel fatto che il concetto di impegno nel mondo viene usato dall'autore in modo del tutto unilaterale. È evidente che H . Schiirmann concepisce l'impegno verso il mondo solo come singole azioni concrete e influenze mirate. Ma n ori è, invece, una chiesa che viva come chiesa, secondo il discorso della monta­ gna, a costituire l 'influenza più provocatoria sul mondo, lo scandalo politico più grande che si possa pensare? E ancora di più : la forza di cambiare veramente il mondo, introducendo sempre di più gli uomini nella nuova realtà della salvezza donata da Dio non la possiede forse solo una tale chiesa? Comunque è proprio così che la chiesa primitiva ha inteso il suo rapporto con la società e così essa è stata intesa dall'esterno. Plinio scrive a Traiano che la superstizione cristiana si diffonde per contagio, come una epidemia72.

10. EQUIVOCI S ULLA SOCIETÀ AL TERNA TIVA

Nei precedenti nove paragrafi abbiamo cercato di sviluppare il concet­ to di società alternativa solo sulla base del discorso della montagna di Matteo. Tratteremo adesso alcuni tipici equivoci ed obiezioni contro 18

H. ScHORMANN, Heil Gottes, SO. H. ScHORMANN, Heil Gottes, S l ; cf 63. 70 H. ScHORMANN, Heil Gottes, 48. 7 1 H. ScHORMANN, Heil Gottes, SO. 72 PLINIO, Ep. x , 96,9: «Non solo nelle città, ma anche per paesi e contrade si � diffusa l'epidemia di questa superstizione». 69

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questa concezione; e facendo ciò non potremo evitare di trattare argo­ mentazioni di principio, andando così al di là dei testi matteani.

l. Il concetto di società alternativa delimita la chiesa dal resto della società definendola 'contro-società' . Ma si può definire la chiesa addirit­ tura attraverso una critica negativa73? Così afferma una prima obiezione contro il concetto di società alternativa74• Questa obiezione ignora tuttavia che già il concetto di popolo di Dio implica c ò ntrasto : il popolo di Dio costituisce la proprietà santa di JHWH (Es 1 9,5s.), che si differenzia sin da principio dagli altri popoli della terra . Questo suo aspetto di contestazione non costituisce natural­ mente l'intima essenza della chiesa. Essa non deve mai cercare 'il rifiuto per il rifiuto' , che è quanto David Seeber attribuisce alla società alterna­ tiva75 • La chiesa vive del suo 'sì' alla volontà di Dio, ma questo 'sì' è contemporaneamente un 'no' al mondo che si oppone a Dio76, e così la negazione è propriamente preceduta da una affermazione77 • Ma questa affermazione della causa di Dio non è possibile senza un esodo dalla vecchia società: Dio non ha cercato di cambiare la società egiziana, ma ha condotto Israele fuori dall'Egitto . Solo così poteva nascere un popolo di Dio e solo così si rendeva sicuro che tutti i popoli della terra sarebbero stati a loro volta cambiati attraverso quest'unico popolo. Hans Joachim Hohn dice a ragione's: «Le visioni di giustizia, di pace e di Regno di Dio che si trovano nell 'A ntico e nel Nuovo Testamento sono [. . .} le più importanti �lenti di ingrandimento ' per riconoscere come le strutture portanti della realtà sociale contemporanea siano costruite su basi sbagliate e per por mano a costruire sopra l 'intelaiatura sociale un solido contro-disegno». 71

Trattazione più ampia della questione in H. BOcHELE, Christlicher Glaube. 74-78. Per sfuggire a tale obiezione in W. HALLER, Krise , 4 1 , l'autore evita i concetti di 'società alternativa' e di 'contro-società' e parla invece di 'società pionieristica' . In H J. HòHN, Religion. 67, l'autore vuole una chiesa che sia «battistrada dello sviluppo sociale» . 7� D. SEEBER, Kontrastgese/lschaft. 5 1 . 76 Giustamente scrive J . R . STOTI, Reich Gottes , 23s.: «La società di Gesù deve essere caratteriz­ Lata da amore, gioia, pace, giustizia e libertà, poiché questi sono i segni della signoria di Dio. Solo in questo caso la società del Regno verrà vista come cultura alternativa, cristiana e rivoluzionaria, la quale secondo la volontà di Dio deve essere un'attraente ed auspicabile alternativa al modo di vivere del mondo». 7 7 C/ G. LOHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt? , 1 69 [trad. it . , cit. ]; H. BùcHELE, Christlicher Glaube , 16. 78 H.-J. HùHN, Religion. 68. 7�

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Chi ritiene superfluo che la chiesa sia una nuova società, poiché è sufficiente vivere in mezzo alla vecchia società e cambiarla piano piano attraverso la fede individuale, disconosce il potere di questa vecchia società. Chiunque viva in essa ha interiorizzato profondamente, più di quanto ne sia consapevole, i suoi quadri di riferimento. Per il singolo è. impossibile sfuggire a questi quadri di riferimento, anzi persino coglierli come tali , fino a quando non sia inserito sul terreno della nuova società, cioè sul terreno del popolo di Dio . Questo è poi quanto vogliono fonda­ mentalmente esprimere i concetti classici di 'peccato originale' e di 'gra­ zia santificante' . Purtroppo essi sono stati interpretati nell'età moderna troppo individualisticamente e troppo poco in chiave sociale. Naturalmente il concetto di società alternativa non dice ancora tutto ciò che c'è da dire sulla chiesa, ma rifiutare un tale concetto significhereb­ be tuttavia mettere in forse l'essenzialità dell'esodo per la chiesa. Tutti coloro, quindi, che prendono partito contro il concetto di società alterna­ tiva, dovrebbero coerentemente anche smettere di parlare di esodo, che pure è un concetto così di moda.

2. Il no radicale alla società che si oppone a Dio è del resto profonda­ mente biblico. Ma siccome la Bibbia è sconosciuta a molti teologi , un tale 'no' crea confusione e suscita un secondo equivoco: se si pensa alla chiesa come a società alternativa, allora si dichiara inevitabilmente cattivo il resto della società; da una parte si avrebbe così una società alternativa, dall'altra un mondo cattivo ! E con ciò si sarebbero arrogantemente vol­ tate le spalle al mondo, rifiutandone la comunicazione e segregandosi nella propria nicchia. In questo contesto affiora regolarmente l �accusa di auto-ghettizzarsF9• Il concetto di società alternativa consiglierebbe così il ripiegamento della chiesa in quel ghetto religioso che il concilio Vaticano II ha appena superato e la riproporrebbe di nuovo come 'mondo a parte' e 'società chiusa'. Curiosamente questa critica trascura del tutto la radice del concetto di 'società alternativa' . Si è ricorso a tale concetto per mostrare che la chiesa non deve decadere a sistema che copre una fetta dell'intera società e che, se la chiesa fosse una tale fetta, sarebbe allora un 'ghetto'80• Infatti la tendenza, estremamente pericolosa per la chiesa, a degenerare sempre di " Cf ad esempio D. SEEBER, Kontrastgesellschaft oder Volkskirche, 206. 110 Il concetto di ghetto viene qui di seguito inteso secondo l'uso odierno, che non coglie certamente la realtà storica del ghetto ebraico.

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più trasformandosi in unità settoriale dell'intera società, significa ormai che essa è competente solo per quanto riguarda la religione e la trascen­ denzas 1 . La scienza, l'arte, l'educazione, l'economia, il tempo libero, cioè tutti i campi della cultura e della civiltà materiale sono stati sottratti alla chiesa con lo sviluppo della nostra moderna società a scompartimen­ ti, o la chiesa vi ha spontaneamente rinunciato. Da allora tali campi vengono 'presi in cura' dalla chiesa solo dall'esterno, ma essi non sono · più vivi al suo interno e proprio perciò la chiesa non è stata mai come oggi così priva di cultura. Rinunciando ad essere essa stessa società, essa ha perduto la sua sapienza e la sua bellezza, la sua filosofia e la sua cultura, ed è diventata, in maniera spaventosa, banale ed inessenziale. Scioglien­ dosi nel corpo sociale, non prende parte viva in nessun modo alla cultura della società e, come si è visto da tempo, di questa non le rimane che il pattume. Allora la chiesa come società alternativa significa che non deve limitar­ si al campo della religiosità e della trascendenza. Essa stessa deve essere società', deve essere un contro-mondo , deve essere un luogo di politica, deve avere una cultura, deve trarre dalla propria fede nuove unità di misura per le realizzazioni sociali ed estetiche nel mondo . E ciò sarebbe naturalmente escluso in una esistenza da 'ghetto' . Cultu­ ra significa una progressiva fusione con l'estraneo, un continuo scambio con il totalmente altro, un'attenta apertura al mondo esterno. Chiesa come società alternativa non significa che essa si dissolve nel mondo, ma che essa stessa è mondo e perciò è in grado di raccogliere continuamente in sé il mondo. La chiesa come società alternativa contiene in senso eminente il mondo ed è impastata della composita materia della società mondana. Questo del resto pensa anche la Bibbia a proposito del popolo escato­ logico di Dio. Della nuova Gerusalemme, che è immagine del popolo di Dio degli ultimi tempi , si dice infatti che è diventata società universale e nello stesso tempo immagine alternativa di Babilonia e Roma82 : le sue porte non vengono chiuse durante il giorno ed in essa non ci sarà più notte. La gloria e l'onore delle nazioni saranno portate nella città (Ap 21 ,25s .). Questa è un'immagine esattamente antitetica a quella del ghet­ to. La Bibbia è ben lontana dal presentare la società alternativa di Dio 11 � quanto viene esposto molto bene in H. BOCHELE, Christlicher Glaube, 6 1 . Cf anche E.-W. BKKENFORDE, Staat , 58-60. sz C/ C. DEUTSCH, Transformation, 122- 124.

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Per chi vale il discorso della montagna.'

come mondo a parte e società chiusa . Nella figura del pellegrinaggio dei popoli viene mostrata programmaticamente l'apertura del popolo di Dio per tutto ciò che di buono e prezioso c'è nel mondo83.· Proprio in quanto la chiesa non si disperde nel resto della società, ma acquista la propria identità, essa si colloca in una osmosi vivente con la ragione e la cultura del mondo, fonde in sé la sapienza che le viene dall'esterno , il sentire profano, la nuova arte, la filosofia atea, la scienza moderna, la teoria sociale marxista, ma non in un sincretismo che livella ogni di fferenza, bensì in una cultura che si forma alla fede e che raccoglie in sé tutti i tesori dei popoli , aprendosi alla forza del discernimento biblico espresso dai principi della prima lettera ai Tessalonicesi (5 , 1 6-22) . 3 . Dopo quanto è stato detto, il successivo equivoco è già nell'aria, e cioè : la chiesa, che in questo senso vuoi essere tutto , si arroga un compito che semplicemente non le compete. Essa ha giocato anche troppo a lungo questo ruolo e finalmente, più per forza che per amore , se ne è separata tra grandi dolori . Noi non vogliamo più una chiesa che cerchi di risuc­ chiare in sé il resto della società, noi non vogliamo che la chiesa sia una forma di stato, noi non la vogliamo soprattutto come stato della peggior sorta, e cioè come teocrazia . Di ayatollah ne abbiamo abbastanza! Chi porta tali possibili argomenti contro la società alternativa, non ha preso atto di due cose: in primo luogo, già nell'Antico Testamento lo stato come forma possibile del popolo di Dio viene rifiutato. Con una storia dolorosa Israele ha vissuto fino in fondo il problema se il popolo di Dio possa avere o no la forma di stato, con risultati inequivocabilmen­ te negativi . Il fatto che la chiesa medievale abbia ulteriormente sperimen­ tato proprio la stessa situazione ed abbia di nuovo giocato con il potere fu , dal punto di vista del Nuovo Testamento, una colpa e, nel medesimo tempo, un profondo fraintendimento dell' Antico Testamento. Quindi per noi l'esperimento è chiuso. La chiesa non è uno stato e non deve tornare ad esserlo; e dove ancor oggi vi sia una chiesa di stato o uno stato della chiesa, la situazione è anacronistica. In secondo luogo, chi di fronte al concetto di società alternativa pensa per forza ad uno stato non ha preso atto che la filosofia o meglio la sociologia dalla fine del Settecento ha messo a fuoco la separazione tra stato (civitas, res pubblica ) e società (societas, societas civilis, populus )84, ��� Per la rappresentazione biblica del pellegrinaggio dei popoli cf G . LoH FINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt? , 28-3 1 trad . it . , cit. ] ; lo, Jesus , 8 1 s . 11 "' Cf M. RIEDEL, Gesellschaft, 121; E . .W . BùcKENFùRDE, Staat , 30.

J>erch� il discorso della montagna richiede una società alternativa?

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per cui intendere la chiesa come società alternativa non significa fare di essa uno stato e men che meno significa rifiutare lo stato o demonizzarlo. Fintanto che la nuova società di Dio non ha cambiato il mondo - si potrebbe anche dire: fintanto che c'è un mondo non salvato - deve anche esserci uno stato che, con le sue modalità, provvede al diritto, alla pace e alla libertà. 'Con le sue modalità' significa con la minaccia o con la coercizione . In tal modo lo stato assicura alla società un relativo ordine ed una relativa libertà. Con la protezione dello stato all 'interno dell'intera società, ma distin­ guendosi chiaramente da essa, vive la chiesa come società sui generis. Naturalmente essa non deve fare a priori tutto ciò che lo stato, o meglio l'intera società, fa; ad esempio nel nostro paese non deve procurarsi un proprio sistema di trasporti e di comunicazioni . Può d'altra parte verifi­ carsi che essa possa risolvere in maniera molto più facile, più umana e più economica, mediante l'unione delle sue comunità, problemi che oggi lo stato - a cui la società intera richiede sempre più di intervenire - cerca di risolvere con una burocrazia incontenibile ed un esercito di specialisti . La chiesa, come trama di comunità solidali che si estendono sul mondo intero , si deve designare dal punto di vista sociologico come società, sebbene partecipi alle varie istituzioni del resto della società85 • Deve per­ sino , come dice Karl Rahner, «essere una grandezza a costituzione socia­ le, se deve essere la presenza permanente nella storia della promessa escatologica fatta da Dio al mondo in Gesù»86• Designarla come società non sarebbe invece possibile, se con David Seeber si considera 'società' come il non plus ultra di tutte le possibili incarnazioni del sociale; natu­ ralmente una tale formulazione esclusiva del concetto di società non lascierebbe più spazio ad alcuna società alternativa, ma la sociologia descrittiva non parla del sociale in questo senso esclusivo . Del resto oggi le nazioni ed i popoli vivono in un intreccio reciproco tale che, da tempo, non sono più autarchici in tutto, ma usano istituzioni e beni comuni, senza che a nessuno venga in mente di disconoscere loro per questo un'esistenza sociale. Chi perciò afferma che, designare la chiesa come società alternativa significherebbe richiederle, a livello di funzione e di istituzione, tutto ciò che l'intera società fornisce, onde non farne una sottocultura insignificante, non ha mai preso in considerazione seriamente la forma degli odierni fenomeni sociali e soprattutto la loro dimensione sovranazionale. 85 Cf E.-W. BùcKENFùRDE , Staat , 34. K. RAHNER, Autoritiit , 27.

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4. La chiesa come società alternativa non deve quindi essere in tutto e per tutto una società autarchica . Il suo esser società ha la massima esten­ sione solo in quanto nessun campo essenziale della vita deve venire esclu­ so dalla salvezza donata in Cristo . L'assioma cristologico : quod non assumptum non sanatum (ciò che non è stato assunto non è redento) vale anche qui . Se Cristo ha veramente redento il mondo, ha per principio redento anche la politica, il governo , il diritto , l'economia, la scienza, l'arte, l'educazione, il tempo libero . Se la redenzione fosse limitata all ' in­ teriorità dell' uomo non si potrebbe parlare, ad onore del vero, di reden­ zione del mondo. La chiesa non deve perciò predicare alla società solo valori , non deve pensare che tutto sarebbe fatto quando avesse conquistato ovunque il diritto di esser consultata e non deve 'dar testimonianza' della sua fede solo attraverso il cosiddetto apostolato dei laici in singoli settori della società, ma deve far rivivere in se stessa tutti i settori della società in una forma nuova e redenta . Essa non è solamente una comunità di culto, ma una comunità di vita87 • Nelle comunità cristiane l'intera vita dei cristiani deve sia avere uno spessore sociale, sia essere 'salvata '88; anche questo intende il termine di società alternativa . Naturalmente non si dice che i cristiani non debbano lavorare all'esterno delle loro comunità, ma che persino il loro lavoro 'all'esterno' deve essere sostenuto dall'approvazio­ ne, dal consiglio e dall'aiuto delle comunità. Altrimenti il cristiano viene abbandonato e consegnato di volta in volta ad una parte del sistema sociale che ha la sua logica strettamente settoriale ed il suo peculiare orizzonte di valori . Proprio qui sorge un'ulteriore obiezione: Paul M . Zulehner l'ha for­ mulata nel modo seguente89 : per l'uomo comune «forse non è augurabile [ . . ] che la sua vita sia immersa così totalmente in una comunità» . A d una tale asserzione si può rispondere solo con una controdomanda: non deve essere augurabile che i battezzati mettano la loro vita intera a disposizione della causa di Dio? Devono essi dire, come spesso si sente: « Prima viene la mia famiglia, poi la mia professione e, se ho ancora tempo, la parrocchia»? Si noti bene che questa gradazione è del tutto corretta in una chiesa che si immerge completamente in una società .

Il' Cf L. WEJMER, Die Lust an Gott und seiner Sache, 489-49 1 . Questo libro ha importanza fondamentale per la visione d'insieme della chiesa. che qui viene presentata. lltt In quale misura ciò fosse il caso della chiesa antica ci viene ora mostrato da uno studio tanto vasto quanto fondamentale di E. HERMANN, Ecclesia in Re Publica . �t� P. M . ZuLEHNER, Denn du kommst , 1 2 1 .

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settoriale e settorializzante; come si potrebbe in tal caso fare diversamen­ te? Ma il male è appunto che i cristiani debbano essere inseriti in una tale società. La chiesa come società alternativa significa però anche che i battezzati non subiscano più costrizioni a vivere in modo settoriale e non debbano più dare peso ai modelli suddetti . Ovviamente ciascun cristiano ha la propria chiamata, i propri limiti e le proprie possibilità. Mettere a disposizione completamente la propria vita significa pertanto metterla a disposizione secondo la misura della propria chiamata ma, ali 'interno di questa misura, in maniera totale. Solo comunità costituite sulla base del Nuovo Testamento offrono la possibilità che il singolo possa riconoscere la sua chiamata nel senso suddetto e possa viverla in modo unitario. Solo in comunità sul Nuovo Testamento è possibile in maniera responsabile cercare prima il Regno di Dio e lasciarsi dare il resto in sovrappiù (MI 6,33). Abbiamo visto con quale forza Matteo chieda a tutti i battezzati la sequela di Gesù e se P .M. Zulehner non ritiene augurabile un'integrazione dell 'intera vita nella comunità, si pone di fatto contro la sequela. La sequela, nel senso del Nuovo Testamento, non è infatti un avvenimento individualistico, alieno da ciò che è comunitario , a cui ciascuno possa dar forma a piacere, ma è un dedicare la vita intera alla causa di Gesù , la quale può venir capita e fatta propria solo nella chiesa e lì di nuovo solo in una comunità concreta90• S . Il fatto che la causa di Gesù sia compresa e fatta propria solo nella chiesa significa naturalmente che lì essa già precede il singolo. Questo precedere vale anche per la chiesa considerata come società alternativa. È perciò un equivoco fondamentale non solo per il concetto di società alternativa, ma innanzitutto per il concetto di chiesa, pensare, come fa Davi d Seeber, che la chiesa, in quanto società alternativa, sia una «rac­ colta di persone che hanno le stesse idee»9 1 . In un altro passo egli descrive il concetto di società alternativa, che gli è profondamente antipatico, come «associazione dei cristiani che si reputano [ . . . ] eletti»92. Qualcosa di 90 Il motivo di guardarsi da un «biblicismo gesuanico)) - P. M. ZULEHNER, Denn du kommst, 1 22 - è in questo caso fuori luogo; dal Nuovo Testamento si evincono chiaramente le linee di fondo che deve concretamente assumere la comunità cristiana, e che non possono venir accantonate come semplicemente legate al proprio tempo. 91 D. SEEBER, Kontrastgesellscha/t. 50; in maniera unilaterale ed analoga si esprime K. LEHMANN, Gemeinde. 42. 92 D. SEEBER, Kontrastgesellschaft oder Volkskirche, 202.

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simile si sente quando viene affermato che una società alternativa non significa altro che frequentare persone che hanno le stesse idee e ritirarsi con loro in un regno di felicità autopianificata. In tali o simili formulazioni si presuppone, sulla base di un incallito individualismo , che molti singoli , indipendentemente l'uno dall'altro, possano arrivare alla stessa opinione e per giunta raccogliersi in una società alternativa per una maggior efficienza . La realtà è ben altra; 'per natura' non ci sono nel mondo persone che abbiano le stesse idee, ma solamente rivalità ed eterni dissensi . Che tra i cristiani si arrivi ad uno stesso sentire, cioè ad una unanimità cristiana, è un miracolo che Dio solo può fare. L'unanimità è sempre il frutto di una avvenuta conversione al Regno di Dio e non può essere ottenuta senza una sequela comune ; essa viene raggiunta solo se l' intera comunità si pone davanti a Dio con la sua storia completa e si lascia continuamente richiamare dal Vangelo alla sequela. Del resto la chiesa, e perciò anche la chiesa come società alternativa, non è mai un"associazione' , come dice Friedrich Schleiermacher nel suo libro Der christliche Glaube. Nach den Grundsiitzen der evangelischen Kirche im Zusammenhang dargestellt {La fede cristiana, presentata in connessione con i principi della chiesa evangelica} ; al par. 1 1 5 egli formu­ la questa tesi9J: «La chiesa cristiana si forma quando singoli uomini rinnovati si ritrovano in un 'azione ordinata gli uni per gli altri e gli uni con gli altri». Questa tesi di Schleiermacher è formulata in maniera per lo meno equivoca . La chiesa è già data al singolo come luogo di salvezza, non sono gli uomini rinnovati che si associano per formare la chiesa, ma è accoglien­ do la chiesa che si nasce all 'uomo nuovo, alla nuova società di Dio . Analqgamente vale il fatto che non sono coloro che in piena coscienza possono dire di essere cristiani che si associano per costituire94 una socie­ tà alternativa, ma la società alternativa di Dio li precede già da lungo nella chiesa. 6. Siamo così giunti ad un ulteriore equivoco sulla società alternativa, strettamente connesso.con il precedente. In non pochi autori si ha l'im-

9� M . REDEKER, G/aube Il, 2 1 S . 9"' Così si esprime D . SEEBER, Kontrastgesellschaft oder Volkskirche, 201 .

l't!rché il discorso della montagna richiede una società alternativa?

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pressione che essi , sotto il concetto di società alternativa, intendano una specifica associazione di cristiani all' interno della chiesa. Herwig Biichele nel suo libro estremamente stimolante, Christlicher Glaube und politi­ sche Vernunft [Fede cristiana e ragione politica] , che difende una nuova concezione della dottrina sociale cattolica, parla più volte di una 'società alternativa', pensando chiaramente a qualcosa come comunità di base95 • David Seeber mette consapevolmente in risalto l'opposizione tra chiesa popolare e chiesa come società alternativa per poter riportare all'idea degli ordini religiosi i cristiani che vivono l'alternativa%. Ma proprio ciò non è compreso nel concetto di società alternativa. Un discorso su di essa non può significare che la chiesa si apre ancora una volta ad una nuova realizzazione speciale che si aggiunge agli ordini religiosi, alle congregazioni, agli istituti secolari , alle associazioni e ai circoli e che ora si chiamerebbe società alternativa. // concetto di società alternativa si riferisce alla chiesa nel suo insieme e vuole aiutare la chiesa a riconoscere la sua originaria forma costitutiva, che le è stata data dalla Bibbia. Infatti la forma propria della chiesa non è quella di «una associazione, di un circolo di amici, ma quella di 'popolo di Dio' come popolo che sta di fronte agli altri popoli della terra)), come dice J oseph Ratzinger97 • E la chiesa non è l'organizzazione suprema o di cornice per tutte le altre forme organizzative che in essa si trovano, ma quell ' unico popolo di Dio che diventa concreto nelle sue chiese locali . Il fatto che nella chiesa, da un determinato periodo in avanti , siano sorti ordini religiosi e forme speciali di vita, è stato solo indice di un disagio profondo: le comunità non erano più basate su rapporti personali e non vivevano più la radicalità delle origini e cioè quell 'originale sequela richiesta a tutti i battezzati . A fronte di tutto ciò , il concetto di società alternativa vuole richiamare alla vocazione e alla basilare forma aposto­ lica dell 'intera chiesa e ridur lo ad indicare raggruppamenti speciali che lo avvicinano a quello degli ordini religiosi significa pervertirlo. 7. Un' ulteriore obiezione, continuamente ripetuta, sostiene che una

chiesa vivente che sia una società alternativa non è più missionaria, ma � Cf H. BùCHELE, Christ/icher G/aube, 68; Buchele espone il suo concetto di società alternativa alle pp. 69·84. 96 D. S EE BE R , Kontrastgesellschaft, SO; lo, Kontrastgesellschaft oder Volkskirche, 206. Contro l'opinione di Seeber cf la presa di posizione di G. LOHFINK - N. LOHFINK, Kontrastgesel/schaft. 97 J . RATZINGER, Prinzipienlehre, 266 [trad . it., Elementi di teologia fondamentale , Morcelliana, Brescia).

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si occupa in maniera insana solo di se stessa. La chiesa consisterebbe di una molteplicità slegata di cellule simile a ordini religiosi che avrebbero voltato le spalle al mondo per non occuparsi di esso che marginalmente. Tali formulazioni nascono da pregiudizi, sono pensate a tavolino e non hanno niente a che vedere con esperienze reali. Là dove la chiesa in senso biblico è popolo di Dio, le comunità non vivono in maniera slegata le une accanto alle altre, ma costituiscono una trama saldamente annodata. Là dove la chiesa è società alternativa, essa è anche missionaria98; là essa fa esperienza che i campi biondeggiano per il raccolto, che non ha operai a sufficienza perché il raccolto è sovrabbondante, che costantemente, al di là di tutte le barriere, si allacciano nuovi rapporti, che atei ed agnostici vengono a lei perché questa nuova società li affascina. Ma le suddette obiezioni si possono anche ritorcere: proprio là dove la chiesa è stata degradata alla pura gestione del religioso perde il con­ tatto con il mondo e diventa incapace di comunicazione; là dove si è data il compito di essere un settore deli 'intera società le sue comunità vivono le une accanto alle altre così slegate ed anonime quanto il resto della società che vive accanto a lei . I cristiani della stessa parrocchia non si conoscono personalmente e tanto meno le parrocchie confinanti si sento­ no parte di un'unità e si aiutano reciprocamente, ed esempio con cristiani che cambiano volontariamente abitazione per andare a sostenere un'al­ tra parrocchia che si trovi, dal punto di vista della fede, in uno stato di bisogno. E dove sarebbero missionarie la nostre parrocchie europee? Dove sa­ rebbero le conversioni di atei, agnostici e nuovi pagani? Dove sarebbe la società curiosa di conoscere il convivere dei cristiani? Quando mai questa società sarebbe affascinata dallo stile di vita cristiano? Da noi tutto questo non c'è praticamente più. Tutto ciò sarebbe possibile solo quando la_.ehiesa, attuando il discorso della montagna, recuperasse il suo fascino di città splendente, di luogo in cui diviene visibile la società redenta. Questo è ciò che significa esattamente il concetto di società alternativa. 8. Come ulteriore critica si trova spesso l'affermazione che il concetto di società alternativa abbia di mira una 'pura e perfetta comunità' e che ciò sia contro il concetto biblico di chiesa. Infatti, secondo la parabola della zizzania (Mt 1 3 ,36.-43) la chiesa, proprio come il mondo , sarebbe un campo in cui grano e zizzania crescono inseparabilmente mischiati fino fM

Sulla necessaria dialettica tra particolare ed universale cf G. LOHFINK, Korrelation.

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alla fine del mondo . A partire da ciò sarebbe dunque insostenibile il concetto di società alternativa. Di fronte a questa obiezione si deve sottolineare che con società alter­ nativa non si intende una chiesa in cui non ci sono più colpe, ma in cui costantemente, dalla remissione della colpa, nasce la conversione; non si intende nemmeno una chiesa in cui non ci sono più conflitti, ma una chiesa in cui i conflitti si dirimono diversamente che nel resto della società; non si intende infine una chiesa in cui non ci sono più né croci né storie dolorose, ma una chiesa che può festeggiare sempre di nuovo la Pasqua perché essa, morendo con Cristo , con lui pure risorge. La chiesa come società alternativa non è così un 'mondo illeso'99 e non può nemmeno esserlo, perché essa è missionaria. Costantemente il mon­ do non salvato affluisce in essa ed essa costantemente mette in crisi ciò che in esso vi è di non redento. Non solo ! Essa deve anche costantemente lasciar sanare i propri fallimenti e le proprie mancanze di fede. Solo se la chiesa vive veramente come popolo di Dio, le vengono aperti gli occhi sulla sua vera miseria. Non ci sono più facciate da salvare, né maschere da portare. La chiesa come società alternativa non significa perciò che ci sono meno colpe da riconoscere e da perdonare, anzi di più ! Tuttavia, proprio sulla base di un perdono ed una riconciliazione continui fiorisce la vera chiesa. Dice infatti Agostino : «Dove c'è il perdono dei peccati , lì c'è la chiesa» 100• È proprio grazie a questo illimitato perdono che la chiesa diventa società alternativa poiché il mondo non vuoi riconoscere i propri peccati né vuole il perdono. Non costituisce dunque un ostacolo prendere sul serio la parabola della zizzania, ma bisogna legger la correttamente. Matteo parla esplicitamente solo del mondo , non della chiesa (Cf v. 3 8 ! ) , ma supponiamo pure che il campo stia anche per la chiesa (a favore di ciò è il v. 41 ) Allora, Matteo in 1 3 , 36-43 non vuole certamente stabilire come legge metafisica che nel mondo e nella chiesa si dia sempre per forza il male, ma vuole richiamare la chiesa a superare il male che è in mezzo a lei attraverso il perdono e la riconciliazione. Quando tale riconciliazione tuttavia non è possibile perché il cristiano in questione non ammette di essere rimproverato da un confratello e nemmeno dall'intera comunità, deve essere considerato dalla chiesa mat.

99

100

Cf R. PESCH, Karfreitag, 13s. AGOSTINO, Tract. in Ep. Johannis 1 , 10, 1 0.

I S6

Per chi vale il discorso della montagna?

teana come «pagano e pubblicano» (Mt 1 8 , 1 7). Sarebbe una ben misera ermeneutica quella che per il nostro problema scegliesse dal Vangelo di Matteo soltanto i vv . 1 3 ,36-43 , lasciando invece da parte l'altrettanto importante passo dei vv. 1 8 , 1 5 - 1 8 . 9 . L 'ultimo e peggiore equivoco sul concetto d i società alterna ­ tiva è moralistico . Si trova ad esempio in Davi d Seeber , quando scrive•o• : «Una com unita di con vinti e decisi è anche il concetto di chiesa di coloro che propagandano la società alternativa come l 'unico possibi­ le modello di chiesa nella situazione odierna, nonché addirittura come l 'unico possibile». Questa decisione più convinta coglie tanto poco ciò che si intende per società alternativa quanto il concetto talvolta di recente usato di 'comu­ nità impegnata' (lntensivgemeinde ). Quanto più un cristiano vive la se­ quela, tanto più conosce come egli sia in verità non deciso e non conver­ tito. La chiesa come società alternativa non è in grado di far sì che i cristiani vivano in maniera ancora più decisa, ancor più morale degli altri . Una tale chiesa non può nemmeno venir costruita attraverso 'misu­ re burocratico-amministrative' o attraverso una miglior ideazione della pastorale. Questi sono equivoci moralistici sulla chiesa e naturalmente sulla chiesa anche in quanto società alternativa. La chiesa si edifica come società alternativa se gli uomini si lasciano sequestrare da Dio totalmente, debolezze e colpe incluse 1 02. Solo attra­ verso simili uomini Dio stesso può agire nel mondo e solo così la gloria di Dio può risplendere nei vasi di coccio della debolezza umana. Ciò che rende quindi la chiesa una società alternativa divina non è una santità che si sia autoacquisita, non sono spasmodici sforzi e prestazioni morali , ma l' opera salvifica di Dio che rende giusti gli empi , che si prende a cuore i falliti e che si riconcilia con coloro che si sono resi colpevoli . Solo in questo dono di riconciliazione e nel miracolo della vita rinnovata contro ogni aspettativa sboccia ciò che qui viene designato come società alternativa.

•o• D. SEEBER, Kontrastgesellschaft oder Volkskirche, 20 1 .

È tutt 'altro che un caso che proprio il primo evangelista, che mette così pesantemente i n primo piano l'opera della legge, metta contemporaneamente in chiaro al v. 19,21 che la legge può venir veramente adempiuta solo nella sequela di Gesù. La sequela di Gesù e l'opera della volontà di Dio sono più di quanto ogni ethos possa mai richiedere. 10:!

Perchi il discorso della montagna richiede una società alternativa?

I S7

I O . Alla fine resta la domanda: vale la pena di continuare ad usare una parola che provoca tanti equivoci? Sull' espressione 'società alternativa' si può essere di opinioni diverse; forse un giorno si troveranno termini migliori per indicare ciò che essa intende. Ma ciò che essa intende è in ogni caso irrinunciabile, poiché ci viene dalla Bibbia e non dipende asso­ lutamente .da noi . Infattil03:

«Secondo la Bibbia la fede stessa è istitutiva della società; essa è già originariamente spinta a dare forma alla materia e a cambiare il mondo. Essa non richiede ciò in via secondaria come obbligo neces­ sario che viene dall 'esterno. Dove essa è vivente deve, proprio per essere tale, far nascere un mondo nuovo. Quando nasce veramente dalla fede, la chiesa ha proprio la forma del mondo: non serve ad un popolo, è un popolo. Non richiede la giustizia, ma vive la giustizia. Non lotta per la libertà, è luogo di libertà. Il volgersi ad un mondo già esistente, e non ad un mondo cresciuto dalla fede, non è il riferimento al mondo proprio della fede, ma soltanto un riferimento secondario - pe� quanto necessario ed inevitabile» (Norbert Loh­ fink).

JOJ N. LoHFINK, Das Jiidische, 1 2 .

Parte quinta *

DOVE SI TRASFORMANO ?

l . LA VISIONE DELLA PA CE TRA I POPOLI IN Is

2, 1-5

La trasformazione delle «spade in vomeri» è, com'è noto, un fram­ mento di una parola profetica veterotestamentaria che ci è stata traman­ data sia in fs 2 , 1 -5 sia in Mi 4, 1 -5 . Dalla nascita del recente movimento pacifista, il 'trasformiamo le spade in vomeri ' è diventato quasi uno slogan, e non solo nei gruppi ecclesiali , ma ben oltre il campo della chiesa. Molti cristiani e non cristiani vedono in questo motto una diretti­ va per l'azione politica concreta. Era da molto che un'espressione tratta dalla Bibbia non diventava parola chiave per un movimento di portata mondiale. E allora è davvero stupefacente il fatto che fino ad ora non sia mai stata esaurientemente studiata l'accoglienza che il testo di fs 2 , 1 -5, par . Mi 4, 1 -5 (in seguito contrassegneremo questi testi con /M) hanno avuto nella chiesa antica e nel Nuovo Testamentol . Un tale studio del resto si impone, poiché la chiesa antica ha prestato una straordinaria attenzione alla visione di pace di /M . Nei primi secoli entrambi i testi vengono sempre citati ed interpretati; si potrebbe dire, senza esagerare, • Questa parte è stata pubblicata con il titolo Schwerter zu Pflugscharen. Die Rezeption von Jes 2, 1 -5 par. Mi 4, /-5 in der Alten Kirche und im Neuen Testament, in ThQ 166 ( 1 986), 1 84-209. Il

saggio è stato lievemente rielaborato per questo libro; risale ad una conferenza tenuta in occasione del 'Wissenschaftlichen Symposion der lntegrierten Gemeinde' , che ha avuto luogo il 1 6-3- 1 986 a Colle Romito vicino a Roma. Ringrazio il Prof. dr. H . Frede e R. Schlossnikel del Vetus-Latina-In­ stitut di Beuron per la lista complessiva delle citazioni di /M nei Padri della chiesa latina: si tratta di 368 testimonianze. 1 C/ i risultati di H. J. SIEBEN, Exegesis , 43 - Indicazioni si trovano in C . J. C ..\DOUX, A ttitude, 60-64; lo, Church, 269. 273 . 402. 423 . 564; J.-M. HORNUS, Entscheidung , 85-90; G. LOHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt ? , 1 96-203 [trad . it . , Gesù come voleva la sua comunità? , Paoline,

Cinisello 8.].

1 60

Per chi vale il discorso della monta� no ?

che /M ha avuto un ruolo importante nella teologia e nell'autocompren­ sione della chiesa antica. Non si può qui di seguito certamente esporre per esteso l'intera raccol­ ta del materiale, ma si coglieranno soltanto le linee portanti e decisive: della interpretazione di /M nella chiesa antica; è utile partire dai test i procedendo in questo modo : dapprima si presenterà /M e la sua teologia , poi si descriverà l'interpretazione anteriore alla svolta costantiniana, quella della chiesa primitiva: quindi quella posteriore alla svolta costan­ tiniana e precisamente con Eusebio, con Cirillo di Alessandria e con Agostino; solo dopo aver fatto questo, getteremo uno sguardo indietro al Nuovo Testamento e precisamente al discorso della montagna; infine si formulerà il risultato conclusivo, su cui si rifletterà ancora. Diamo dapprima la traduzione di fs 2 , 1 -52: «Ciò che Isaia, figlio di Amos vide riguardo a Giuda e Gerusalemme: Nei giorni a venire accadrà che il monte del tempio di JHWH sarà eretto sulla cima dei monti e s 'innalzerà sui colli. A d esso affluiranno tutte le genti, verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte di JHWH al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri. Poiché da Sion saranno proclamati gli ordinamenti sociafiJ e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice tra le genti e sarà arbitro tra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro /ance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell 'arte della guerra. Casa di Giacobbe vieni, camminiamo nella luce di JHWH».

� �

La traduzione tedesca è quella di N. LOHFINK, A lternative, 12s. Per la fondazione di questa traduzione cf N. LOHFINK, Alternative. 23.

/Jove si trasformano «Le spade in vomerù' ?

161

Mi 4, 1 -5 è fondamentalmente identico a ls 2, 1 -5 . Ci sono varianti secondarie4, che per il nostro tema sono insignificanti. Significativo è solo il fatto che Mi 4,3s. descrive la pace più dettagliatamente che fs 2,4 e che l'invito a Israele, che chiude entrambe le visioni , è in ciascuna formulato diversamente: «Nei giorni a venire accadrà che il monte del tempio di JH WH resterà saldo sulla cima dei monti e s'innalzerà sopra i colli. E affluiranno ad esso le genti, verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo al monte di JHWH e al tempio del Dio di Giacobbe perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri. Poiché da Sion saranno proclamati gli ordinament� sociali e da Gerusalemme la parola di JHWH. Egli sarà giudice tra le nazioni e sarà arbitro fra numerosi popoli anche lontano; dalle loro spade forgeranno vomeri dalle loro /ance, falci. Nessuna nazione alza più infatti la spada contro un 'altra nazione e non si esercita più nell 'arte della guerra. Ognuno siederà tranquillo sotto la sua vite e sotto il suo fico e più nessuno (lo) spaventerà, poiché la bocca di JHWH degli eserciti ha parlato. Tutti gli altri5 popoli camminino pure ciascuno nel nome del suo dio, noi cammineremo nel nome di JHWH nostro Dio in eterno, sempre». La grande concordanza tra i due testi mostra che si tratta della mede­ sima tradizione profetica che era già trasmessa con varianti o che è stata in seguito trattata in modo diverso. Molto probabilmente la tradizione è �

Per la cui spiegazione cf H. W. WOLFF, Sch werter , 287 . Per la traduzione tedesca di Mi 4,5 cf H. W. WoLFF, Schwerter, 288s . Il Ki non è il qui causale, ma concessivo. �

1 62

Per chi vale il discorso della 1nontagna .'

antecedente sia ad Isaia che a Michea e deve essere stata formulata solo nel periodo postesilico6; ma in ultima analisi tutte le questioni storiche sulla tradizione e sulla redazione del testo possono restare per noi apert e . Infatti l'unica cosa importante è che la tradizione che sta dietro ad /M abbia trovato posto nel libro di Isaia e nei dodici libri dei profeti e faccia così parte del canone veterotestamentario . Tra i testi che nell'Antico Testamento danno forma alla speranza di Israele, /M è uno dei più importanti e commoventi'. Ciò è mostrato soprattutto dalla storia di come esso è stato accolto; ma prima di dedicarci alla storia di come è stato accolto è necessario fare alcune osservazioni sul suo contenuto. Se si volesse dare un titolo ad /M, il migliore sarebbe: visione della pace definitiva ed universale tra i popoli. Ci sono state spesso tali visioni di pace indefettibile nella storia dell' umanità: nel marxismo, in Kant8, in Virgilio9, nell'antico Oriente 1 0• Qual è l'aspetto particolare della visione di /M? Si può descriverlo nei cinque punti 1 1 che seguono.

2. I PRESUPPOSTI DELLA PA CE TRA I POPOLI SECONDO Is 2, 1-5 a) La pace universale deriva solo dall 'iniziativa di Dio

Tutto il testo non parla che dell 'iniziativa di Dio; è Dio che innalza il monte del tempio di Gerusalemme su tutti gli altri monti del mondo; è Dio che indica la via ai popoli e alla cui luce anche Israele si mette in cammino . Con il termine 'cammino ' o meglio 'camminiamo' si intende in questo contesto, come spesso nella Bibbia, il modo di vivere o ancor meglio l'organizzazione in senso lato della vita di un popolo •2. La conclu6

Cf H. W. WOLFF, Dodekapropheton , 88s. 7 L 'istanza di Gioe 4, 10: «(Ma) con le vostre zappe (vomeri) fatevi spade! )) non è in opposizione

a /M, ma uno scherno rivolto «alle potenze di questo mondo che con il loro armamento completo si credono superiori al popolo di Dio . . ». Anche Gioe 4, 9-1 2 annuncia quindi «la fine delle guerre tra i popoli)) (H. W. WoLFF, Schwerter, 280s.). Il Cf lo scritto di KANT sulla Pace perpetua. � Cf VIRGILIO, Bue. IV (spec. 1 1 - 1 7). 111 Cf H . GROSS, Idee, 1-41 . 1 1 Su quanto segue cf N. LOHFINK, A lternative , 1 1 -26. 1 � C/ ad esempio Dt 1 1 ,28; 3 1 ,29 (su questo punto: G. BRAULIK, Ausdrucke, 48-5 1 ); fs 48 , 1 7s . ; .

30,9- 1 1 ; Ger S ,4s . ; 6, 16-19; Sa/ 1 ,2.6.

Do ve si trasjor1nano «Le spade in vomeri»?

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sione del testo di Michea mostra d'altronde molto bene che il termine 'cammino' ha qui effettivamente questo significato: «Tutti gli altri popo· li camminino pure ciascuno in nome del loro dio, noi cammineremo nel nome di JHWH, nostro Dio». Del resto il cammino che le genti si lascieranno indicare verso Sion è identico alla Torà che procede da Sion. La Torà, dal punto di vista del suo significato storico, potrebbe essere originariamente la sentenza con· creta per un caso singolo ; per questioni particolarmente difficili, infatti, ci si rivolgeva ad un tempio famoso e là si prendevano direttive o ci si faceva dare una sentenza 13• Questo più antico significato di Torà, cioè di direttiva dei sacerdoti per il caso singolo traspare ancora probabilmente nel nostro testo. Dio attraverso una Torà che egli pronuncia in Sion compone le liti particolari dei popoli. Nonostante ciò, però, il termine Torà in /M significa chiaramente più della singola direttiva, o, meglio, della singola decisione arbitrale•4• Infatti la Torà che nei giorni a venire procede da Sion, produce una pace definitiva in tutto il mondo . Non si tratta perciò solo di una sentenza isolata, ma di un complessivo ordina­ mento sociale che cambia la vita sociale delle genti. Per questo la tradu­ zione dei Settanta rende nel nostro passo il termine Torà del tutto a ragione con il termine nomos (cioè legge) e i padri della chiesa, senza eccezioni , interpretano questo nomos che procede da Sion come la nova /ex Chrisll' 1 5 • Possiamo così affermare che, secondo /M, la pace universa­ le dipende da un ordinamento sociale alternativo. Le genti però non possono darsi da sole questo ordinamento sociale alternativo . Esso non è fattibile, ma può essere solamente donato ai popoli come parola di JHWH, nasce solo dali 'iniziativa di Dio . b) La pace universale ha un unico luogo di origine dichiarabile e delimitabile: Sion, o meglio Israele

Nella esegesi veterotestamentaria è stato in vario modo affermato che Israele non ha in origine nessun ruolo particolare che stia dietro ad /M, trattandosi solo di JHWH e delle genti 16. Un tal modo di vedere le cose D Cf ad esempio la richiesta di una Torà dei sacerdoti in Agg 2, 1 1 - 1 3 o la procedura legale sacerdotale in Dt 17,8- 1 3 . Per p�ticolari : E. J E N N I - C. WESTER�IANN, Handworterbuch, vol . 2, 1035- 1 038 (4a). 1 -' Così sostiene anche H . GESE, Theologie, 74s. 1� Vedi sotto nota 44. 1 6 C/ ad esempio H. W. WoLFF, Dodekapropheton , 89.

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Per chi vale il discorso della montaR no ?

non è però per niente adeguato alla tradizione elaborata da /M. In­ fatti la Torà di JHWH procede da Sion o meglio da Gerusalemme c Sion nell'Antico Testamento non è un luogo qualunque, ma il luogo scelto dall'eternità per l'azione di Dio, che è inscindibilmente legata al popolo di Dio . Questo significa che gli ordinamenti sociali che portano la pace al mondo non hanno solo in Sion la loro origine, ma vengono vissuti su questo modello anche dal popolo di Dio che vive attorno a Sion. Come avveniva nella più antica tradizione che sta dietro ad /M, nella attuale e per noi unica redazione determinante, viene proposta tramite la sollecitazione finale una chiara relazione tra la Torà ed il popolo di Dio, Israele. Si dice infatti in Isaia alla fine della visione: «Casa di Giacobbe vieni, camminiamo nella luce del Signore». Questo invito presuppone che la pace tra le genti non sorga contemporaneamente ed in diversi luoghi del mondo indipendenti gli uni dagli altri , ma abbia un luogo d'origine esattamente dichiara bile e precisamente identificabile. La pace universale dipende dalla esistenza di un popolo che comincia a vivere secondo il modello di pace concesso da JHWH contrariamente agli altri popoli, che si combattono tra loro. E tale popolo è «la casa di Giacobbe», dunque Israele.

c) La pace universale non si estende attraverso la forza della guerra e nemmeno attraverso u n 'opera missionaria, ma solo attraverso la forza del suo fascino

Appena attraverso Israele comincia a risplendere questo modello di pace nella sua reale esistenza, le genti si muovono verso Gerusalemme. Il testo lavora attorno al complesso di immagini che è il 'pellegrinaggio dei popoli ' che si incontra anche altrove n eli' Antico Testamento 1 7 • Ma nel caso di /M non viene tuttavia detto, come altre volte, che i popoli vanno a Gerusalemme per deporre nel tempio le loro offerte votive18 o per prender parte alle preghiere e ai sacrifici 1 9• Essi vengono piuttosto per imparare quegli ordinamenti sociali che affascinano perché essi soli 1 7 Per la presentazione del 'pellegrinaggio dei popoli' si veda: JEREMIAS, Verheissung, 48-53; D. BoscH, Heidenmission, 23-27 . •8 Cf ad esempio fs 60; Agg 2, 7-9. 19 Cf fs 56,6-8; Zac 14, 1 6.

G. v.

RAD, Stadt, 439-447; J.

l )o ve si trasformano «Le spade in vomeri>) ?

1 65

rendono possibile la pace . Consideriamone l'importanza: la pace univer­ sale non deriva da una guerra con cui Israele costringa alla pace tutti gli altri popoli2o, cioè non secondo il modello della pax Romana21 che Virgi­ lio più tardi definirà con il verso22: «parcere subiectis et debellare superbos» cioè: «risparmiare i sottomessi ed eliminare i superbi». La convinzione che si possa produrre la pace tra i popoli per mezzo della violenza percorre l'intera storia del mondo. /M non è incorso in questo errore . La pace universale, secondo /M, non sorge nemmeno da maestri, inviati o missionari che propagandano idee e strategie per la pace, ma deriva solo dal fascino che proviene da un popolo che vive già nella pace di JHWH . Solo grazie ad una alternativa vissuta, realmente esistente a livello sociale, gli uomini delle altre società riconoscono che il proprio modo di costruirsi la vita è falso. Allora essi non rimuovono tale nuova prospettiva, non si mettono sulle difensive, ma in un atteggia­ mento di apprendimento23: «Venite, saliamo al monte di JHWH » .

d ) La pace universale non è trascendente e nemmeno puramente interiore, ma terrena e sociale

Per la coerenza del nostro discorso è ora di grande importanza che la pace universale delle genti in /M non sia una pace celeste, ma una pace sulla terra e nemmeno una concordia del cuore tra discordie esterne, ma una pace che cambia la società. Entrambi i testi sono su questo punto estremamente realistici ; dicono : non ci saranno più né armamenti né una preparazione militare. Anche la trasformazione delle spade in vomeri non è metaforica, ma intesa del tutto realisticamente. Gli aratri in Israele erano allora di legno e solo il vomere del semplicissimo aratro a chiodo era eventualmente fissato alla parte anteriore dell'aratro con una forte barra di ferro; ma il ferro era raro e caro. La trasformazione di spade in 20 La terribile parola pacare (ridurre alla pace con la forza delle armi) è un'invenzione romana, ma la cosa in sé era ben nota anche ad Israele. 21 Sulle premesse violente della pax Romano cf H. FucHs, A ugustin, 193-205 . 22 VIRGILIO, Aen. VI, 853.

23 N. LOHFINK, A lternative , 2 1 .

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Per chi vale il discorso dello montagna?

vomeri era così, da un punto di vista economico estremamente sensata. Anche la bella espressione dello stare seduti sotto il fico in Mi 4,4 è da intendersi alla lettera. La pace si realizza « fin dentro il quotidiano del contadino israelita, il cui cuore desidera ardentemente di potersi riposare alla sera senza ansia né paura» sotto il proprio fico24•

e) La pace nella sua forma universale verrà solo in futuro , ma deve iniziare già adesso in Israele

Ma quando comincia questa pace universale? /M dice: IJe �al},arit hajja­ mim, «nel tempo seguente», «nei giorni a venire»25 (la traduzione dei Settanta rende «negli ultimi giorni») . Sarebbe equivocare completamente il testo se lo si interpretasse in maniera apocalittica come fine di un vecchio eone ed inizio di un nuovo . Certamente si tratta di una svolta storica; la novità donata da Dio accade però in questa storia terrena26• Ma c'è di più. La pace universale dei popoli secondo /M è nel futuro, solo che questo futuro si annuncia già nel presente. Futuro è il fatto che tutte le genti assumano gli ordinamenti sociali di Israele e, non essendo ciò ancora accaduto, il testo parla di un futuro ancora non compiuto. D'al­ tra parte, però , per Israele il futuro preannunciato comincia già da ora e Isaia chiude il nostro testo dicendo : «Casa di Giacobbe vieni , cammi­ niamo alla luce del Signore» . Ancor più chiara è la chiusa di Michea: «Tutti gli altri popoli camminino pure ciascuno nel nome del loro dio cioè secondo falsi ordinamenti sociali che riposano sulla violenza - noi però camminiamo nel nome di JHWH nostro Dio». Si dice qui chiara­ mente che ciò che non è ancora iniziato nelle genti deve avere già il suo inizio in lsraele27 • La comunità di JHWH comincia fin da adesso il cammino che è promesso a tutti in futuro; quindi già adesso essa fonde le sue spade e già adesso non prepara nessuno alla guerra. Avendo evidenziato, con quanto abbiamo esposto, le più importanti linee di /M, possiamo ora dedicarci alla storia di come entrambi i testi sono stati recepiti .

�" H. WILDBERGER, Jesajo 90. Per la traduzione tedesca in kiinftigen Tagen si veda: E. JENNI - C. WESTERMANN, Handworter­ buch , vol. l , 1 1 6s. =tt Cf H. W I L DBERGER, Jesojo , 82. � 7 Questo significato attuale della promessa escatologica per Israele è enucleato in maniera convin­ cente specialmente da H. W. WoLFF, Sch werter, 288-290. ,

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Dove si trasformano ((Le spade in vomeri>> ?

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3. L ,INTERPRETA ZIONE DI Is 2, 1-5 PRIMA DELLA S VOL TA COSTANTINIANA

Sono particolarmente importanti per il periodo che precede Costantino i seguenti testi28: GIUSTINO, Apologia, 39; Dialogus, 1 1 0; IRENEO, Adver­ sus haereses, IV, 34,4; TERTULLIANO, Adversus Marcionem, I I I , 2 1 , 3-4 e Adversus Judaeos I I I , 9- 1 0 e ORIGENE, Contra Celsum, V, 3 3 . Da aggiungere è ancora ATANASIO, De incarnatione Verbi, 5s. Questo testo sarebbe successivo, ma per quanto concerne la sua posizione teologica, appartiene ancora chiaramente a quel gruppo di testi che dobbiamo qui trattare. A rappresentare l'intero gruppo diamo per esteso l'interpreta­ zione di GIUSTINO, Apoi. , 39: «Quando lo Spirito pro/etico preannuncio il futuro si esprime così: �va Sion uscirà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme. Egli giudicherà in mezzo alle nazioni e sarà arbitro tra molti popoli. Essi forgeranno le loro spade in vomeri e le loro /ance in falci. Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e nessuno si eserciterà più nell 'arte della guerra '. E che ciò sia accaduto potete convincervene per il fatto che �da Gerusalemme ' partirono per il mondo uomini, dodici di numero, senza cultura e senza eloquenza. Ma grazie alla forza di Dio essi hanno mostrato a tutta l'umanità di essere stati inviati dal Messia per insegnare a tutti la 'Parola ' di Dio. E noi che una volta ci uccidevamo a vicenda, non solo ci asteniamo da ogni inimicizia contro i nostri avversari, ma pur di non mentire e di non ingannare i giudici istruttori, andiamo lietamente a morte a causa della nostra confessione del Messia». Al testo di Giustino e agli altri testi summenzionati applicheremo qui di seguito la griglia dei cinque punti che abbiamo ottenuto da /M. La domanda è se, nella loro interpretazione di /M, teologi così importanti della chiesa antica come Giustino, Ireneo , Tertulliano, Origene e Atana:!N CIPRIANO, De hab. virg. , I l (jerrum esse ad culturam terrae Deus voluit, nec homicidia sunt idcirco faciendo ) è forse una riminiscenza di /M. Nonostante sia uno scri t t o più tardo, appartiene materialmente a questi testi anche CROMAZIO 01 AQU ilEIA, Troct. XLI in Motth. (CChr. SL 9A, 398) (in quo [cioè in ls 2,4] ostensum est quia, confroctis malitiae et iniquitotis nostrae ormis, in fide evangelica et pace ecclesiae viveremus ) .

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Per chi vale il discorso della montagna?

sio abbiano intesa e fatta propria la cifra decisiva della universale pace dei popoli . a) Viene messa in risalto chiaramente nei testi richiamati l' iniziativa di Dio o presupposta come ovvia. Come naturalmente ci si aspetta, essa viene formulata in modo cristologico: Dio ha preso l'iniziativa attraverso Gesù Cristo, suo Figlio, operando in maniera definitiva nel mondo . Atanasio dice ciò in maniera chiarissima: « Chi ne è stato capace? Chi ha unito nella pace coloro che prima si odiavano se non il Figlio diletto del Padre, il Salvatore universale, Gesù Cristo che nel suo amore ha sopportato tutto per la nostra salvezza?» (De incarn. 52). b) La pace donata per iniziativa di Dio ha, nei testi citati, un luogo dichiarabile e delimitabile: il popolo di Dio neotestamentario. Da Orige­ ne in poi i Padri della chiesa indicano con la massima naturalezza nella chiesa il tempio di Dio che si eleva in Sio n, sopra tutti gli altri monti29 • Così seri ve OrigeneJo: « �Negli ultimi giorni' dopo che il nostro Signore Gesù Cristo è apparso visibilmente tra noi, arriviamo fa/ luminoso monte del Si­ gnore ' alla parola ' che è stata innalzata sopra ogni altra parola, al �tempio del Signore ' che è la comunità del Dio vivente, la colonna ed il fondamento della verità!» (C. Ce/s. V, 33). Nella Chiesa, cioè nel popolo neotestamentario di Dio , si realizza dunque la teologia di /M riguardo a Sion3 1 • I teologi della chiesa antica non hanno però identificato la chiesa neotestamentaria solo con il tempio di JHWH in Sion; hanno anche esattamente compreso che in /M il popolo di Dio è visto nella sua dimensione sociale ed esattamente come società alternativa nei riguardi degli altri popoli . È per questo che essi, nei loro commentari ad fs 2,4 ed a Mi 4,3 , descrivono volentieri la chiesa in contrapposizione alla società pagana. La funzione alternativa della chie­ sa viene spesso formulata con l'aiuto di uno schema omiletico protocri­ stiano che proviene dall' esortazione battesimale: lo schema 'una volta�Y Vedi sotto alla nota 42. � La traduzione italiana segue quella tedesca di P. Kotschau. J l Eb 12 ,22 «Voi vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste» ha avuto nei Padri un ruolo importante perché si indicasse nella chiesa la città di Sion.

Dove

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si trasformano «Le spade in vomeri»?

adesso ' . Si potrebbe parafrasare questo schema, che già frequentemente si riscontra nel Nuovo Testamento32, in questo modo: una volta, quando non eravate ancora battezzati, vivevate come i pagani; adesso invece, che siete divenuti membri della chiesa, la vostra vita è cambiata dalle fonda­ menta. Questo schema contrastivo viene usato da Giustino, Origene ed Atanasio; è particolarmente evidente in Giustino: «E noi che una volta ci uccidevamo a vicenda, non solo ci asteniamo ora da ogni inimicizia contro i nostri avversari, ma per non mentire e non ingannare i giudici istruttori, andiamo lietamente a morte a causa della nostra confessione del Messia» (Apol. 39). Anche solo sulla base di questo schema contrastivo, è chiaro che la pace escatologica donata da Dio in Cristo, ha inequivocabilmente un luogo sociale che è la chiesa. c) È evidente che la pace, secondo i nostri testi, non si estende nel mondo attraverso la guerra e la violenza . Basti, al posto di più ampie documentazioni, una frase di Atanasio: «Ancora oggi i barbari di rozzi costumi si scagliano gli uni contro gli altri, fintanto che si attengono ai loro sacrifici idolatrici e non pos­ sono stare neanche un momento senza la spada. Appena però ascol­ tano la dottrina di Cristo, passano immediatamente dalla guerra all 'agricoltura ed alzano le loro mani in preghiera, invece di armarle con le spade» (De incarn . 52). Il tema della non violenza in /M è perciò completamente assodato. È più difficile affermare lo stesso della tematica missionaria. Il tema del­ l'invio missionario degli apostoli tra le genti è una componente fissa della interpretazione di /M di parte della chiesa antica, motivata dal fatto che in fs 2,3 e par. Mi 4,2 i Padri leggevano: «Da Sion verrà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme». Ed essi interpretavano questa frase sulla base della presentazione lucana deli 'invio missionario degli apostoli da parte del Risorto, così come viene esposta in Le 24 e in A t } 33. In tal modo l' idea missionaria entrò quasi di forza nella storia della interpreta­ zione cristiana di /M . n

Cf Rom 5,8- l l ; 6, 1 5-23; 1 1 , 30-32; l Cor 6,9- 1 l ; Ga/ 1 , 1 3- 1 7 .23; 4,3-7 .8-10; E/ 2, 1 -22; 5,8; Col

l , 2 l s . ; 2 , 1 3 ; 3,7-1 1 ; l Tim 1 , 1 3 ; Tit 3 , 3-7; Filem l i ; l Pt 2, 10; 2 2 5 . P. TACHAU, 'Einst ' . 33 Cf soprattutto L e 24,47 e A t l ,8. ,

-

Per i risultati neotestamentari:

1 70

Per chi vale il discorso della montagna?

C'è quindi una prima contrapposizione tra la chiesa antica ed /M? Chiaramente no. La chiesa antica non aveva infatti la nostra idea moder­ na di missione. Non aveva l'idea di un lavoro missionario sistematico che propaganda il Vangelo a tappeto ed in continuazione. La sua teoria missionaria era molto più semplice e potrebbe essere formulata in questi termini34: i dodici apostoli sono stati inviati da Cristo risorto, hanno proclamato da allora in poi il Vangelo in tutto il mondo e fondato un discreto numero di chiese locali . La missione vera e propria era con ciò conclusa . Le chiese locali fondate dagli apostoli esistono e sono da allora in poi centri di sicura trasmissione della tradizione e luoghi dove viene vissuta la prassi di Gesù. Da tale prassi vissuta nelle chiese locali emana una tale attrazione che i pagani affluiscono spontaneamente alla chiesa . La chiesa viene vista pertanto sulla scorta di Mt 5 , 1 4 come 'città sul monte' che splende da lontano e verso la quale i pagani si incamminano . Origene mostra come possa facilmente venir formulata, attraverso l'idea veterotestamentaria del pellegrinaggio dei popoli , l'esperienza sconvol­ gente del fatto che i pagani improvvisamente si affrettino alla chiesa. Egli parafrasa /M dal punto di vista dei pagani convertiti con grande maestria stilistica : «Noi che siamo le 'genti' veniamo ad esso [cioè, al tempio del Signo­ re] e noi che siamo molte e diverse ci mettiamo in cammino verso esso esortandoci vicendevolmente ad accogliere 'negli ultimi giorni' attraverso Gesù Cristo il nuovo culto luminoso di Dio e ci gridiamo l'un l'altro: ' Venite, saliamo al monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe. Egli ci indica il suo cammino, affinché in esso cammi­ niamo '» (C. Ce/s. V, 33)3S . Così in fs 2,3 e par. Mi 4,2, nella comprensione dei Padri , c'era · necessariamente il motivo della missione ; il motivo di quel fascino che veniva da Sion e che costituiva la vera ragione per cui i pagani affluivano alla chiesa, non veniva affatto messo da parte. d) Nell'Antico Testamento non si sarebbe potuto parlare di pace in cielo come scopo ultimo dell'uomo; ma nei tempi della chiesa antica sì . Anche l 'idea di una pace interiore d eli' anima, nonostante le discordie esterne, era presente ai Padri come proveniente dalla filosofia antica. È ·'"

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Su quanto segue cf N. BROX, Mission, 192-2 1 5 . L a traduzione italiana segue quella tedesca d i P. Kotschau.

Dove si trasformano «Le spade in vomerh> ?

171

quindi tanto più degno di nota il fatto che gli interpreti di /M nella chiesa antica leggano la pace di cui nel testo si tratta in un primo tempo in maniera coerente come terrena e sociale. Ma in effetti «forgiare vomeri con le spade» potè ben presto venir interpretato anche come cambiamen­ to del modo di pensare. E così lo interpreta Tertulliano:

«l popoli cambieranno i loro cattivi pensieri, le loro parole aggressi­ ve e le loro forze, che portano a lacerare e a distruggere, in pensieri di clemenza e di pace» (A dv. Mare. I I I , 2 1 ,3). Ciononostante, rimane per molti secoli prevalente l'interpretazione sociale di /M. Quando i primi Padri - accogliendo ls 2,4 e par . Mi 4,3 - dicono: «Noi capiamo di non dover più combattere»36 non Io intendo­ no in maniera metaforica. Sullo sfondo c'è piuttosto una prassi ecclesiale che si è mantenuta fino a Costantino e che vietava ai credenti di fare il soldato37 . E se uno, che era già soldato , chiedeva di essere battezzato, gli veniva concesso solo se egli si impegnava espressamente a non uccidere e a non prendere parte a nessuna azione militare. Il canone 16 della Traditio apostolica, una delle più influenti raccolte giuridiche della chiesa antica, riporta queste affermazionP8:

« Un soldato che ne abbia il potere non deve uccidere nessuno; se ne riceve l'ordine non deve né obbedire e nemmeno prestare giuramen­ to. Se non accetta non lo si ammetta [come candidato al battesimo]. Se uno ha un posto cui compete il diritto di vita o di morte [. . . ] deve dimettersi dal suo ufficio. In caso contrario non lo si ammetta [come candidato al battesimo}. Se un candidato al battesimo o un credente vuole diventare soldato, non lo si ammetta più perché disonora Dio». La teologia pacifista della chiesa antica costituisce così tutt 'altro che un ' utopia, è molto concreta e con la sua prassi di non violenza del popolo di Dio trapassa sul piano della politica . Con quanta sobrietà e realismo i teologi di allora parlino della non violenza dei cristiani è indicato dal

�6 Così afferma IRENEO, Adv. haer. IV, 34.4. Sul tema chiesa antica e servizio militare si rimanda soprattutto al documentatissimo lavoro di C. J. CADOUX E J.-M. HORNUS. 38 B. BOTTE, Tradition , 36: Mi/es qui est in potestate non occidet hominem. Si iubetur. non 37

exequetur rem, neque faciet iuramentum. Si autem non vult, reiciatur. Qui habet potestatem gladii f- _ .} ve/ cesset ve/ reiciatur. Catechumenus ve/fidelis qui volunt fieri milites reiciantur, quia contemp­ serunt Deum.

1 72

Per chi vale il discorso della montagna?

fatto che essi , nel respiro di una stessa frase, parlano di martirio. Atana­ sio nella sua interpretazione di /M dice: «l discepoli di Cristo non combattono runo contro l'altro; ma scen­ dono in campo con i loro modi di vita e la loro prassi etica contro i demoni, li cacciano e vincono persino il loro caporione che è il diavolo. Già dalla loro giovinezza, infatti, sono padroni di sé, resi­ stono fermi nella tentazione, perseverano nelle fatiche, rimangono pazienti quando vengono scherniti, si lasciano derubare e - questo è il più grande miracolo - disprezzano la morte e diventano martiri» (De incarn. , 52). e) Quando arriverà, secondo l'opinione dei Padri, la pace tra i popoli promessa dai due testi profetici? Questa è la domanda decisiva della nostra ricerca sulla storia delle interpretazioni di /M. Fino ad Agostino tutta la chiesa antica dà a questa domanda una risposta unanime affer­ mando: ciò che è stato profetizzato in /M si è compiuto ora, nei nostri giorni ; e questa risposta è veramente mozzafiato. La chiesa del xx secolo non saprebbe nemmeno lontanamente esprimersi così. La chiesa antica , invece, aveva ancora il coraggio di dire che tutto ciò che stava scritto in /M si era già compiuto nel popolo di Dio neotestamentario. Nei partico­ lari , la sua interpretazione del testo su questo punto è la seguente: « l giorni a venire» e precisamente «gli ultimi giorni» non si riferiscono ad un lontano futuro, ma al presente o meglio si riferiscono al tempo in cui Gesù ha vissuto ed in cui ora vive la chiesa39• «Negli ultimi giorni andiamo - dice Origene - al luminoso monte del Signore, dopo che il nostro Signore Gesù Cristo è apparso tra noi»40• 'Il monte che sovrasta gli altri monti ' è Cristo nella interpretazione quasi unanime dei Padri4 1 , mentre 'iF tempio del Signore costruito su questo monte' è , secondo l'interpretazione quasi unanime dei Padri , la chiesa42• L'affluire dei po-

39 TERTULLIANO, A dv. Mare. I I I , 2 1 , 2s .4; V, 4,2 (CChr. SL l, 537s. 672); ADAMANZIO, Dio/. I , I O (GCS 4 , 24); GEROLAMO, Ep. , 106, 1 (CSEL 55, 247s.); TEODORO D I MOPSUESTIA, Comm. in Mich. IV (PG 66, 364s.); CIRILLO DI ALESSANDRIA, Ep. posch. 8 (PG 77, 565); lo, Comm. in /s. l, 2 (PG 70,69); ISIDORO, De fide cath. Il , 69s. (PL 83,502) e altrove di frequente. -'0 0RIGENE, C. Ce/s. V, 33. "'1 TERTULUANO, Adv. /ud. 3, 8 (CChr. SL 2,1 346); 0RI GEN E , C. Ce/s. V , 33; AMBROGIO, Exp. in Luc. V I I , 99 (CChr. SL 14, 248); AGOSTINO, De civ. XVI I I , 30; lo, Sermo 338, l (PL 3 8 , 1 478); lo, Adv. lud. 7s. (PL 42, 57-59); BEDA, De temy/o I (CChr. SL 1 1 9A, 1 58); AMBROGIO AUTPERTO, Expl. in Apoc. V I I , 1 6,20 (CChr. CM 27A, 63 1 ) e altrove di frequente. -'2 Syr. Did. , 23 (ACHELIS - FLEMMING, 1 1 9) = Did. VI , 5,5s. (Funk , 3 1 0-3 1 3); T E R TU LL I A NO , De animo , 50,4; 0RIGENE, C. Ce/s. V , 33; CIPRIANO, Ep., 7 5 , 1 (CSEL 111, 2,810); AGOSTINO, Sermo 338 , l (PL 3 8 , 1 478); ISIOORO, De fide coth. I l , 69s. (PL 83 ,5 02) e altrove di frequente.

Dove si trasformano «Le spade in vomeri>> ?

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poli è la diffusione sorprendentemente veloce della chiesa tra i pagani43 . La Torà che proviene da Sion è la nuova legge di Cristo contenuta nel discorso della montagna44• La «parola del Signore» che procede da Geru­ salemme è il Vangelo45 . Che il Signore sia giudice tra le nazioni significa che egli ora, nella storia, separa le genti che accolgono il Vangelo da quelle che non lo accolgono46• La fusione degli strumenti bellici, infine, viene interpretata come l 'assoluta non violenza che si vive nella chiesa . Quindi , poiché la chiesa è un popolo formato da vari popoli ed i popoli pagani sono già affluiti in essa , la promessa profetica di una pace univer­ sale tra i popoli si è già compiuta , secondo l'opinione della chiesa antica , proprio in quel popolo internazionale di Dio che è la chiesa . «Già da lungo era stata profetizzata la pace che doveva sbocciare con Cristo» scrive Atanasio47 . «Che tutto ciò sia accaduto potete convincervene», scrive Giustino48 . «A chi si riferiscono queste parole se non a noi che, istruiti dalla nuova legge, osserviamo tutte queste cose? », scrive Tertul­ liano49. Quale sicurezza e consapevolezza ! I teologi della chiesa antica non avrebbero fatto meglio a formulare ciò in maniera più umile? Forse sì . Ma che cosa è meglio? Non essere umili ed aver capito che Gesù non può essere stato il Messia, se la pace messianica non è iniziata con lui nel mondo o essere umili come noi oggi che abbiamo da tempo perduto la .speranza che la pace messianica possa cominciare già in questo mondo e che perciò la releghiamo nella trascendenza celeste, sconfessando così Gesù come Messia? Comunque sia, i teologi della chiesa antica hanno ben capito che la questione del compimento o meno di /M tratta in ultima analisi della

"'� GIUSTINO, Dia/. , 109; 0RIGENE, Comm . in Matth. , 16,3 (GCS 40,470s.); CIPRIANO, A d Quiri­ num Il, 1 8 (CChr. SL 3,54); BASILIO, Comm. in fs. I l , 67 (PG 30,236); GIOVANNI CRISOSTOMO, In /s. Il (PG 56, 30); AGOSTINO, Adv. lud. , 7s. (PL 42,57-.59); CIRILLO DI ALESSANDRIA, Comm. in /s. 1,2 (PG 70,69) e altrove di frequente. -"' GIUSTINO, Dia/. , 24, 1 ; I RENEO, Adv. haer. IV, 34,4; TERTULLIANO, Adv. Mare. /Il , 2 1 ,3 ; IV, 1 ,4 (CChr. SL 1 ,537.545); lo, A dv. /ud. , 3 , 8 - 1 0 (CChr. SL 2 , 1 346); ORIGENE, C. Ce/s. V, 33; FIRMICO MATERNO, Consu/t. Il , 7 (Fior. Patr. 39,6 1); AGOSTINO, A dv. lud. 7 (PL 42,57s.) e altrove

di frequente. "� GIUSTINO, Apo/. , 39; IRENEO, Dem. , 86; TERTULLIANO, Adv. Mare. Il/, 2 1 ,3 (CChr. SL , 1 ,537); TEOFILATTO, Exp. in Mieh. IV (PG 1 26, 1 1 10) e altrove di frequente . .a6 IRENEO, A dv . haer. IV, 34, 4; TERTULL IANO, A dv. /ud. , 3,9 (CChr. SL 2, 1 346); 0RIGENE, C. Ce/s. V, 33; TEOFILATTO, Exp. in Mieh . IV (PG 1 26, 1 1 1 1 ) e spesso altrove . •&7 ATANASIO, De inearn . , 52 . .aa GIUSTINO, Apo/. , 39 . .a9 TERTU LLIA N O, Adv. lud. , 3 , 1 0 (CChr. SL 2, 1 346).

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Per chi

vale il discorso della montagna?

messianicità di Gesù. Sia in Giustino, sia in Ireneo ed in Atanasio, l'inter­ pretazione di /M serve chiaramente alla demonstratio christo/ogica . l primi Padri erano convinti che se la promessa di /M, che era notoriamen­ te interpretata dai Giudei in maniera messianica50 , non si fosse compiuta già nel presente, Gesù non sarebbe stato il Messia. D'altra parte: , «Ma se la 'legge ' della libertà, cioè la �arola di Dio, è stata annun­ ciata su tutta la terra dagli apostoli che 'venivano da Gerusalemme ' e se ha operato un cambiamento così grande che essi hanno tramutato le spade e le /ance della guerra in vomeri e falci [. . .] cioè in strumenti di pace e se non intendono più combattere 'ma porgere, quando sono percossi, anche l'altra guancia', allora i profeti hanno riferito questo testo a nessun altro se non a colui che ha operato tutte queste cose. Ma questi è il nostro Signore!» (IRENEO, Adv. haer. IV, 34,4).

4. L ,INTERPRETA ZIONE DI Is 2, 1-5 IN EUSEBIO Con il passaggio dalla chiesa delle comunità alla chiesa imperiale nel IV secolo, si cambia in maniera repentina l'interpretazione di /M. Respon­ sabile di tale svolta nella storia della interpretazione è Eusebio, vescovo di Cesarea5 1 • Egli, fortemente influenzato da Costantino di cui è contem­ poraneo e che conosce personalmente, formula una teologia politica all'interno della quale IM ha un ruolo decisivo; si pensi che Is 2,4, par. Mi 4 , 3 , è citato nei suoi scritti ben 17 volte52• Nella teologia politica di Eusebio vengono poste in stretta correlazione tre dimensioni : a) il mono­ teismo rivelato da Cristo53, b) l 'imperium romanum fondato da Augusto ed ora guidato da Costantino, c) la pace universale tra i popoli . In particolare Erik Peterson, nel suo brillante studio: Der Monothei­ smus a/s politisches Problem [trad . it . , // monoteismo come problema !IO

C/ G. LOHFINK, Wie hat Jesus Gemeinde gewollt?, 201 -203 [trad. it. cit. ) Melitone di Sardi ed Origene fornirono i primi elementi per la nuova interpretazione di Eusebio. Vedi sotto nota, SS e J.-M. HoRNUS, Entscheidung, 43s. ; A. GRILLMEIER, Jesus , 388-390 [trad. it., Gesù il Cristo nella fede della chiesa , vol. 1 / 1 , Paideia, Brescia] . 52 E con la massima frequenza nella Dimostrazione evangelica, di cui cfll, 3 , 1 3; VI. 1 3 , 19; 1 8,50; VI I I , 3,2 S ; 3 , 1 4; IX, 1 3 , 1 5 ; 1 7 , 1 7 (GCS 23,63 .26S .283. 392. 393s.434.442). 53 Su quest'ottica di Eusebio vedi sotto, nota 64. .

SI

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politico, Queriniana, Brescia] ha mostrato la correlazione di queste tre dimensioni nella teologia di Eusebio54• Tratteggiamo brevemente ora questa correlazione perché altrimenti non è comprensibile il testo decisivo di Eusebio . Nei tempi passati, secondo Eusebio, alla plurisignoria dei diversi dèi , alla loro po/yarchìa corrispondeva una molteplicità di prìnci­ pi terreni . Alla suddivisione della signoria divina corrispondeva una sud­ divisione nella signoria politica terrena. Ma ancora: a questa polisignoria celeste e terrestre corrispondevano interminabili rivalità tra i popoli, che conducevano a continue guerre. A fronte di tale situazione ci fu la svolta di Cristo. Egli rivelò alle genti l'uno ed unico Dio e privò di potere gli antichi dèi , facendone dei demoni impotenti . Proprio nello stesso tempo, e parallelamente55 , l'imperatore romano Augusto eliminò le infinite ripartizioni del potere politico e mise al loro posto un unico potere, l' imperium romanum. La monarchia di Dio, rivelata da Cristo, e la splendida monarchia del potere statale sotto Augusto quindi si corrispondevano. Questa corrispondenza, tuttavia, iniziò solo virtualmente sotto Augu­ sto, realmente riuscì ad imporsi solo sotto l'imperatore Costantino . Solo sotto di lui l'unica signoria di Dio, che Cristo aveva rivelato, poté agire anche nel politico, poiché Costantino - contrariamente ad Augusto serviva l'unico vero Dio. Pertanto con Costantino iniziò in maniera definitiva quel tempo messianico della salvezza che Cristo aveva portato. Così come un tempo la polisignoria degli dèi e la polisignoria degli stati avevano causato rivalità tra i popoli , così ora la rivelazione dell' unica signoria di Dio e la costruzione deli 'unica signoria politica portano la concordia tra i popoli . L 'impero messianico della pace si impone così completamente da Co­ stantino in poi e la svolta della storia si fa manifesta. Ora si adempiono tutte le promesse veterotestamentarie56. Ora lo Spirito di Dio cala sulle �-� E. PETERSON, Monotheismus , 71 -82 [trad. it . , Il monoteismo come problema politico, Queri­ niana , Brescia] . C/ anche H. BERKHOF, Theologie , 46s . , 50, 53-59; A. GRILLMEIER, Jesus , 388-390 [trad . it. cit. ] . � s Già Melitone di Sardi nella sua Apologia aveva sottolineato (e/EusEBIO, Hist. ecci. I V, 26,7s.) il parallelismo, vale a dire l 'intima connessione, tra il fiorire della dottrina cristiana e il consolidarsi dell imperium romanum con Augusto. Successivamente Origene aveva riflettuto in maniera ancor più forte su questo parallelismo presentando l' idea di pace e il pensiero dell'imperium unificato (C. Ce/s. Il, 30). Tuttavia, e costituisce un punto decisivo, né Melitone (nei fragmenti che di lui ci tramanda Eusebio) né Origene si richiamano ad /M per l'aspetto che qui trattiamo. L' idea di 0RIGENE, C. Ce/s. I l , 30 è stata ulteriormente sviluppata da A M B ROG IO , Exp/. ps. XLV, 10 (CSEL 64 , 3 43s . ) �6 l seguenti e molti altri passi della Scrittura sono citati da EusEBIO, Hist. ecci. X, l , 1 -4,33. Per quanto concerne la teologia ad essi sottostante cf H. BERKH OF , Theologie , SSs.; lo, Kirche , 101 . '

.

·

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Per chi vale il discorso della montagna?

ossa aride dei morti (Ez 37, 1 - 14). Ora fiorisce il deserto (fs 3 5 , 1 1), ora Dio rivela la sua salvezza davanti agli occhi delle genti (Sa/ 98, l s.). Ora si vede ciò che molti giusti e profeti desiderarono vedere e non fu loro concesso (Mt 1 3 , 1 7) . Ora Dio ha posto termine alle guerre fino ai confini della terra (Sal 46, 1 0) e ora, soprattutto, si forgiano con le spade i vomeri . Questa trasformazione del mondo nell'unità dell'imperium romanum e la pax romana ad esso connessa sono per Eusebio le prove decisive per la divinità di Cristo e la verità del cristianesimo . Due motivi dovettero allora rendere questa teologia altamente attraente e plausibile :

l . Dietro di essa stava la lunga tradizione filosofica del monarchiane­ simo metafisica che si rivolgeva, a seguito di Aristotele (Metafisica XII), contro ogni forma di dualismo meta fisico o meglio di pluralismo e che si era subito sviluppata in senso politico-sociale57 • Già Aristotele si richia­ ma nella sua Metafisica al monarchianismo del verso di Omero molte volte citato nell'antichità ss : «Il governo di molti non è buono; uno solo sia il comandante». 2. La teologia politica di Eusebio divenne però anche attraente e plau­ sibile grazie alla grandissima esperienza di liberazione che l'editto di tolleranzà di Milano diede alla chiesa, solo poco tempo prima così dura­ mente perseguitata . Comunque la sua teologia ha svolto un ruolo straordinario: Eusebio continua ad essere citato , i suoi pensieri vengono sempre ripresi, la sua interpretazione di /M viene continuamente ripetuta. A tutta prima gli strumenti di tale fortuna sono i grandi commentari ad Isaia dell'epoca successiva, ad esempio quelli di Giovanni Crisostomo, Cirillo di Alessan­ dria, di Teodoreto di Ciro e di Gerolamo ; i quali nelle loro interpretazioni di Is 2, 1 -5 dipendono quasi sempre da Eusebio59• Ma sono spesso anche �7

C/ E. PETERSON, Monotheismus , 1 3,71 (trad. it. cit). OMERO, //. Il, 204. !IOJ Cf inoltre GIOVANNI CRISOSTOMO, Contra /ud. (PG 48,82 l s.); GEROLAMO, Comm. in Mich. l (CChr. SL 76,466 -470); TEODORETO DI CIPRO, Expl. in Mich. (PG 8 1 , 1 760s .); PROCOPIO, Comm. in fs. (PG 87/2, 1 868- 1 878); TEOFILATTO, Expl. in Mich. (PG 1 26, 1 1 08- 1 1 13). I l Commento ad Isaia "1

che va comunemente sotto il nome di Basilio non appartiene alla serie precedente; l'autore intende la pace come fine delle controversie filosofiche tra i pagani e resta scettico di fronte ai continui litigi tra i cristiani. Cf PG 30,24SA.

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le omelie sui racconti lucani del Natale che accolgono e trasmettono l'interpretazione di Eusebio . Il nome di Augusto ed il censimento sotto Quirino offrivano l'occasione di accennare o di far riferimento all' ideo­ logia politica della pace propria di Eusebio60• Infine, un ruolo importan­ tissimo nella trasmissione deli 'interpretazione di Eusebio ha avuto il Salmo 46(45):

«Farà cessare le guerre fino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le /ance, brucerà con il fuoco gli scudi» (v. 10). E infatti anche a questo testo veterotestamentario fu in seguito sempre connessa la teologia della storia di Eusebio61 • Non vale qui la pena di aggiungere gli altri testi che si riferiscono alla nostra sezione, poiché tutti presentano solo varianti dello stesso pensiero . Basta presentare il testo in cui Eusebio spiega con ampiezza la sua conce­ zione e cioè la Praeparatio evangelica 1 ,4, 2-5 :

«Ciò che si manifestò nel nostro Salvatore per il bene di tutti gli uomini, non solo nei suoi discorsi espliciti, ma anche in quanto restava celato nelle sue opere, non è forse stato una prova della sua forza divina? Rimandava infatti ad una forza divina e misteriosa il fatto che proprio nel medesimo tempo in cui egli manifestava con la sua parola e con i suoi insegnamenti la signoria (monarchia) dell 'u­ nico Dio dell 'universo, anche la razza umana era liberata tanto dall'azione ingannevole e molteplice dei demoni quanto dalla molte­ plicità dei governi (polyarchia) delle nazioni. Nel passato, infatti, in ogni nazione su città e territori governava­ no innumerevoli re e capi locali; alcuni erano governati democratica­ mente, altri da tiranni e in altri ancora il potere era diviso tra molti; come è naturale da questa situazione derivava ogni sorta di guerre. 'Popoli si sollevavano contro altri popoli', continuamente attac­ cavano i popoli confinanti, saccheggiavano e venivano saccheggiati, scendevano in campo gli uni contro gli altri assediando le città. A 6° Cf ad esempio BEDA, Horn. 6: In Nativ. Dom. (CChr. SL 122,37s.), in cui il senso di Le 2 , 1 -3 viene alterato: in Luca infatti il censimento non è affatto un segno della vera pace e sia la Signoria del Messia ( l , 32s.) sia la pace che gli angeli annunciano (2, 14) sono in contrasto con la signoria dell'imperatore e con la pax Romana. 6 1 È urgente la necessità di una ricerca sulla storia della ricezione del Salmo 46 nella chiesa antica; essa potrebbe completare le osservazioni presentate qui sulla storia della ricezione di /M e fondare su una base più ampia la teologia della pace nella chiesa antica.

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Per chi vale il discorso della montagna?

causa di ciò naturalmente tutti, in città o in campagna, erano co­ stretti fin da piccoli ad imparare il mestiere della guerra e non circo­ lavano che in armi per strade maestre, nei paesi e nelle campagne. Ma, quando apparve il Messia del Signore, di cui i profeti avevano già da lungo annunciato 'nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbon­ , derà la pace (Sal 72, 7) e 'forgeranno le loro spade in vomeri e le loro /ance in falci,· un popolo non alzerà più la spada contro l'altro popolo e non si eserciteranno più nell 'arte della guerra ', conforme­ mente alle profezie seguirono le realizzazioni. Per esempio la molte­ plicità dei governi presso i romani sparì per il fatto che A ugusto aveva stabilito un 'unica signoria, e proprio nel momento in cui comparve il nostro Salvatore. Da allora fino ai giorni nostri non dobbiamo più vedere come prima che una città faccia guerra all 'al­ tra, che un popolo combatta contro un altro e che la vita degli uomini si esaurisca nelle contese di sempre. E come non si potrebbe considerare ciò un miracolo? Una volta, quando i demoni tiranneggiavano tutte le nazioni, e tuttavia erano tenuti in grande onore e culto dagli uomini, questi ultimi si scatena­ vano, sotto il pungolo degli stessi dèi, in paurose guerre gli uni contro gli altri, al punto che greci combattevano contro greci, egizia­ ni contro egiziani, siri contro siri e romani contro romani, si assog­ gettavano reciprocamente e si logoravano in assedi, così come ci testimoniano le storie degli antichi su questi popoli. Ma con gli insegnamenti del nostro Salvatore che piacquero a Dio e che erano incomparabilmente pacifici si raggiunse la purificazione dall 'errore politeista; con l 'eliminazione del politeismo vennero me­ no i dissensi tra i popoli, rimuovendo con ciò i vecchi mali. E io credo di trovare in ciò una prova fondamentale della potenza divina e misteriosa del nostro Salvatore». Dobbiamo anzitutto prendere atto di tutto ciò che viene qui mantenuto della precedente tradizione interpretativa cristiana di /M (cf la griglia dei cinque punti, al cap . 3) e precisamente: a) la pace universale tra i popoli sorge unicamente per iniziativa di Dio, che opera definitivamente in Gesù Cristo; d) la pace universale tra i popoli promessa da /M non è da interpretarsi in modo trascendente e neppure interiore, ma sul terreno sociale; e) la pace universale tra i popoli inizia ora . In questa interpretazione di /M da parte di Eusebio è invece nuovo: luogo della pace universale non è più il popolo di Dio neotestamentario,

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ma l'impero romano (contro b); dipende strettamente dal punto prece­ dente la considerazione che la pace universale si estende ora non più solo con la non violenza, ma anche con la violenza. Si potrebbe persino dire che questa pace viene fondamentalmente assicurata attraverso il po­ tere (contro c) . È tutt' altro un puro caso che Eusebio ed i suoi succes­ sori, interpretando /M, facciano ora cadere spesso il discorso sulle armi romane .

5. L ,INTERPRETA ZIONE DI Is 2, 1-5 IN CIRILLO

In tale contesto, ad esempio, Cirillo di Alessandria parla delle armi romane nel suo Commentario ad Isaia62: « Ci fu un tèmpo in cui la terra non era ancora sotto un unico giogo. I popoli erano suddivisi in territori ed in città, ciascuno dei quali aveva il proprio sovrano, ragion per cui dominavano discordie, liti e guerre; ovunque gli abitanti della terra si scatenavano gli uni con­ tro gli altri e continuamente si depredavano vicendevolmente. Non perdevano occasione di mostrarsi avidi e brutali e si ritenevano persino onorati da un tale comportamento. Non avevano nemmeno luoghi sicuri in cui dimorare e costantemente dovevano cercarsi nuovi luoghi dai quali venivano a loro volta presto cacciati da popo­ lazioni più forti. Solo quando il Signore che tutto domina sottomise allo scettro romano tutto ciò che stava sotto il cielo, stabilendo un 'unica signo­ ria su tutti i popoli, cessarono le guerre, tacquero le contese e le battaglie, si imposero la sicurezza del diritto e la giustizia. Da allora nessuno è più soggetto a saccheggi per strada e nessuno opera più distruzioni. Se qualcuno, nonostante ciò, percorresse città e territori per farne bottino, non si allontanerebbe più impunito. Ma di più! L 'uso della forza delle armi è ora esclusivamente nelle mani dell'e­ sercito e di coloro che hanno un grado militare, e costoro del resto sono sottoposti all'imperatore. Viene 'convinta ' della propria debo­ lezza la maggior parte di quei popoli che intendono scuotersi di

6� CIRILLO DI ALESSANDRIA,

Comm. in /s. Il, 4 (PG 70, 7 1 -73).

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Per chi vale il discorso della montogna?

dosso il giogo della signoria romana e cercano di invadere città e territori per devastarli. Ora non possono certamente più fare razzie a piacimento, poiché gli si piazzano davanti le armi romane, li co­ stringono a fermarsi, li atterriscono come fossero bestie selvatiche e , li �convincono ampiamente della loro impotenza. Il tempo della chiamata e della conversione dei popoli è stato, come abbiamo detto, indicato dal santo profeta. Quando è venuto , questo tempo ? Quando, ci risponde, Dio Signore e Re dell universo , �giudica in mezzo alle genti , cioè quando la giustizia ed il diritto si instaurano tra le genti, tra cui, come abbiamo appena descritto, , dominava l ingiustizia: i popoli si depredavano vicendevolmente e si scagliavano con brutalità ed avidità gli uni contro gli altri. Quando , questo tempo finì, Dio stabilì la giustizia ed il diritto e �molte genti , , come abbiamo detto, vennero sconfitte e �giudicate dalle armi ro­ mane. Ragion per cui coloro che oggi stanno sotto il potere dell'im­ peratore non devono più temere invasioni nemiche. Pace e benessere sono già presso di loro in maniera tale �che essi non hanno più , , bisogno del/ arte della guerra , ma si dedicano volentieri e con gioia , alle opere della pace, praticano / agricoltura e si occupano della coltivazione dei campi. A tale scopo essi trasformano i loro strumen­ ti di guerra, per poter usare 'la spada come vomere e la lancia come , , falce . 'Essi disimparano a combattere e disprezzano la guerra. , Quando Cristo, che �è la nostra pace (Ef 2, 14), divenne Re di tutte le genti, l'epoca delle rivalità, delle lotte e delle battaglie e di ogni sorta di avidità; i danni della guerra e tutti i suoi orrori sono ora cancellati. Domina la volontà di colui che dice: �v; lascio la pace, vi , dò la mia pace ». (Gv 14,27). L ' interpretazione del compito arbitrale divino di fs 2,4 mostra quanto questa teologia si adatti bene alla ideologia statalistica ro­ mana . La traduzione dei Settanta traduce il wehokia/J, del testo ebraico con elégxei (egli giudicherà, proverà la colpevolezza), ma questo giudizio di Dio si trasforma ora in Cirillo nel monopolio della violenza delle legioni romane che «convincono della loro impotenza» questi barbari rivoltosi . Ma riportiamoci ancora una volta ad Eusebio. Egli aveva ripreso a ragione dalla tradizione interpretativa della chiesa primitiva che la pace tra i popoli è intesa in /M socialmente e che questa pace, se Gesù era veramente il Messia, deve ora diventare �ealtà nel mondo . Egli riprende

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persino, come molti dei suoi successori, lo schema 'una volta/adesso'63. Eusebio rimane in tal modo fedele in una intera serie di punti ali 'inter­ pretazione pervenuta fino a lui; in ampie parti del suo commentario è un 'conservatore' . Ciò che egli invece non ha più mantenuto con chiarezza, è che solo il popolo di Dio possa essere nel mondo il luogo dove la pace messianica viene vissuta, poiché questa pace presuppone sia che si accolga il discorso della montagna sia che si segua Gesù, il che è possibile solo nella chiesa. Assegnando allo stato ciò che solo la chiesa, al suo interno, può realizza­ re, Eusebio ha chiesto troppo allo stato e corrotto l' ecclesiologia64• A ben vedere, le cose sono ancor più complicate. Eusebio ha invero mantenuto fermo che la chiesa sia il luogo della pace messianica, ma il suo errore consiste proprio nell'aver spinto la chiesa troppo vicino all'im­ pero romano o meglio nell'aver fatto convergere queste due grandezze in un unico sistema, in cui esse sono in parte identiche ed in parte comple­ mentari. Solo il mantenere con caparbietà la primitiva intuizione ecclesia­ le di una chiesa che debba essere società alternativa per tutti i popoli del mondo, avrebbe potuto salvare Eusebio dal compiere una violazione di frontiera così nefasta dal punto di vista ecclesiologico.

6. LA DIVERSA POSIZIONE DI A GOSTINO Naturalmente ora ci attira la questione di come la storia dell'interpre­ tazione di /M sia proceduta. Come abbiamo già detto, la teologia di Euse b io ha avuto un influsso straordinario, almeno per il punto di cui qui trattiamo . Nella chiesa orientale il suo influsso si è mantenuto fino ad oggi; infatti il rapporto tra chiesa e statp si è sviluppato là in una forma permanente di chiesa di stato, di cui è in ultima analisi responsabile la teologia politica di Eusebio6s . 63 Lo schema 'una volta/adesso' è indotto in Eusebio tuttavia anche da espressioni tipiche degli antichi encomi a Roma e all 'imperatore. C/ E. PETERSON, Monotheismus , 30s., 79s. , 1 1 3 [trad. it. cit. ). � Le carenze della ecclesiologia di Eusebio erano condizionate, come mostra PETERSON, op. cit., 93- 100, dalle carenze della sua teologia trinitaria . Il suo errore era già infatti nel ricondurre l'annun­ cio di Gesù su Dio alla formula del monoteismo. 65 Cf H. BERKHOF, Kirche , 1 9 1 -2 1 8 . Berkhof parla tuttavia spesso di 'bizantinismo'.

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Per chi vale il discorso della montagna?

In Occidente l 'interpretazione si è sviluppata per molti aspetti in modo diverso. Qui Agostino ha fondamentalmente messo in questione l' inge­ nuità politica con la quale Eusebio considerava lo stato romano66• Egli non ha più potuto riprendere l'equivalenza caratteristica di Eusebio tra la pace promessa n eli' Antico Testamento e la pax imperii romani. Se Eusebio aveva euforicamente affermato che il v. 1 0 del Salmo 46 si era compiuto67, Agostino sullo stesso versetto scrive68: «Questo non è ancora stato realizzato: ci sono ancora guerre tra i popoli per il potere; tra le sette, tra i giudei, tra i pagani, i cristiani, gli eretici vi sono guerre e le guerre si fanno sempre più frequenti; alcuni combattono per la verità, altri per l'errore. Non si sono dun­ que realizzate ancora le parole: 'Togliendo via le guerre fino ai confini della terra '. Ma forse si realizzeranno. Oppure si sono già compiute anche ora? In parte si sono compiute, nel grano sì, nella zizzan ia no» (Enarr. in ps. 45 , 10: trad . it . della Nuova Biblioteca Agostiniana, Città Nuova, Roma 1 967) . Questa obiettività di Agostino ha un'azione liberatoria e benefica dopo l'ideologia imperiale di Eusebio e dei suoi successori . Ma l'esigenza avan­ zata dei testi biblici ha proprio la sua risposta nella indicazione della parabola della zizzania e del grano (MI 1 3 ,24-30)? Agostino non corre il pericolo di trasferire completamente nell'aldilà la pace messi ani ca? Tuttavia, proprio qui è difficile dare un giudizio univoco. Infatti, da una parte Agostino conosce ovviamente molto bene quella pace eucaristi­ ca che collega tutte le comunità cattoliche nell'unità ecclesiale69. Il con­ cetto di pax ecclesiastica ai suoi tempi era già diventato da molto una nozione giuridica determinata7o. D' altra parte nel grandioso Libro XIX della Città di Dio, che è totalmente dedicato al tema della pace, egli tace su quella pace escatologica che la chiesa dovrebbe già ora realizzare. Nel sistema delle possibili modalità di pace, all'inizio del Libro XIX del De civitate Dei, al par. 1 3 , egli conosce solo tre modalità di pace sociale71 : 66 Basta leggere nel De civ. III, 30: «Nam et ipse Augustus cum multis gessit bella civilia et in eis etiam multi clarissimi viri perierunt. inter quos et Cicero )) 67 EUSEBIO, Hist ecc/. X, l ,6. 68 CChr. SL 38, 527. 69 Cf H. FucHS, A ugustin. 220-223. 70 C/ ad esempio TERTULLIANO, De pud. IS (CSEL 20,250); CIPRIANO, De ecci. un. , 22 (CSEL 3/ 1 , 230). 7 1 Sulla classificazione delle possibili modalità di pace in De civ. XIX, 1 3 si confronti H. FuCHS, Augustin. 36-39, 148-151. .

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l) la pace nella famiglia (pax domus ordinata imperandi atque oboedien­ di concordia cohabitantium ) ; 2) la pace nello stato (pax civitatis ordinata imperandi atque oboediendi concordia civium ) e 3) la pace celeste (pax caelestis civitatis oridinatissima et concordissima societas fruendi Deo et invicem in Deo ) . Per quale motivo Agostino parla solo della civitas Dei celeste che gode di Dio in una perfetta concordia e non anche di una civitas Dei pellegrina che per grazia di Dio può realizzare sempre di nuovo in anticipo la pace celeste nell'unanimità delle sue comunità? Colpisce inoltre che Agostino non citi nemmeno una volta fs 2,4 ed il passo parallelo di Michea. Questo silenzio può essere a ragione spiegato solo dal fatto che l'intero testo /M è per Agostino noto e importante, tanto che egli ne cita gli altri versetti ben 43 volte ! È puro caso? Oppure Agostino, che doveva portare il peso delle liti e della discordia per lo scisma del donatismo, non riuscì semplicemente più a descrivere la chiesa pellegrina come luogo sociale della pace messianica? In questa direzione comunque ci guidano queste espressioni rassegnate72: « Colui che risorse promise i beni futuri, non promise la pace in questa terra e la tranquillità in questa vita. Ogni uomo cerca la pace; cerca una buona cosa, ma non la cerca nel posto dove è (in regione , sua). Non c è pace in questa vita; nel cielo ci è promesso ciò che cerchiamo in terra» (Enarr. in ps. 48, 1 7) . Se s i riflette che Agostino allude qui a Gv 20, 1 9 e che lì l'augurio di pace del Risorto assegna chiaramente (e non solo promette) la pace alla chiesa terrena, diventa chiaro in che misura questo grande padre della chiesa, con il suo modo di intendere la pace, abbia almeno favorito le successive riduzioni della pace messianica ad una pace puramente tra­ scendente e celeste73• È cosa buona che la chiesa nella preghiera per la 72 CCh r. SL 38,S70 [trad. i t . , in Nuova Biblioteca Agostiniana , Città Nuova, Roma 1967] . In modo ancor più netto giudica H. FucHs, A ugustin , 48: Agostino «non trovava la realizzazio­

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ne della pace in nessun luogo: non nell'uomo, non tra gli uomini, non in se stesso e nemmeno negli altri . Ma proprio così si giustifica che a lui la promessa di pace del Cristo importasse più che a nessun altro e che egli considerasse propriamente tale promessa come il massimo ed il definitivo. Con eselusività senza riserve egli intendeva la pace come uno stato da cui egli credeva caratterizzata la vita futura e come uno stato che gli doveva portare sia un'inviolabile pacificazione di tutti i desideri, sia la vigoria del proprio essere incontrastata e libera da ogni turbamento». Sul concetto di pace in Agostino, cf anche V. STEGEMANN , Gottesstaat, 38: «l presupposti della pax romana - il parcere subjectis et debellare superbos - erano certamente fuori questione per qualificare lo stato di pace del Regno di Dio. Il concetto di pace, come quello di giustizia, ricevette una decisiva connotazione dalle lettere paoline passando da un momento in cui la qualificazione immanentistico-mondana era superata ad un momento in cui questa non era più raggiungibile».

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Per chi vale il discorso della montagna?

pace della celebrazione eucaristica abbia sempre interpretato l'augurio di pace di Cristo al presente. Se avesse seguito le suddette parole di Agosti­ no, l'augurio di pace del prete avrebbe potuto solo suonare: «La pace del Signore sia presto con voi ! » . A questo punto dobbiamo interrompere i l cammino attraverso la teo­ logia di pace della chiesa primitiva e rivolgere ancora uno sguardo al Nuovo Testamento. Da quale parte sta il Nuovo Testamento, quando si tratta d eli 'interpretazione di IM: dalla parte di Giustino, dalla parte di Eusebio o dalla parte di Agostino?

7. SG UARDO RETROSPETTIVO AL DISCORSO DELLA MONTA GNA

In questo veloce sguardo retrospettivo al Nuovo Testamento - e non potrebbe essere più lungo - ci lasciamo guidare dall'opinione dei Padri secondò cui con la Torà che procede da Sion si intende la nuova legge di Cristo, cioè concretamente, il discorso della montagna. Se si segue l'indi­ cazione di questa esegesi dei Padri , è consigliabile cercare all'interno del Nuovo Testamento, e soprattutto nel discorso della montagna di Matteo, come sono stati recepiti i due testi profetici . Si viene così effettivamente a scoprire che in Mt 5-1 è fatta propria, sotto molti aspetti, la teologia di /M: l . Abbiamo visto che. in /M si parla di un ordinamento sociale alterna­

tivo che porta nel mondo la pace universale. Ma anche il discorso della montagna si apre ad una Torà, cioè ad un ordinamento sociale. Natural­ mente bisogna determinare con molta cura questo riferimento alla To­ rà74, in quanto il discorso non è la Torà del Sinai e nemmeno è una nuova Torà. Infatti sta scritto che nemmeno uno iota o un segno viene cancel­ lato dalla legge (cf Mt 5, 1 8). Il discorso della montagna è piuttosto la chiave ermeneutica con cui , da Cristo in poi, deve essere letta e vissuta la Torà sinaitica. Sulla scorta del discorso della montagna la Torà sinaitica viene interpretata in maniera escatologico-messianica. Pertanto il discor7• Cf Parte IV, cap. S di questo libro.

Dove si trasformano «Le spade in vomerb' ?

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so della montagna non offre in se stesso un ordinamento sociale, piutto­ sto propone quei principi interpretati vi in nome dei quali gli ordinamenti sociali di Israele devono ricevere forma da parte della chiesa. 2. Abbiamo visto che la Torà che procede da Sion fa finire la violenza nel mondo, il quale giunge in questo modo finalmente alla pace. Anche nel discorso della montagna, infatti , in uno dei suoi testi centrali, si tratta di superamento della violenza. Nel discorso della montagna c'è la convin­ zione che la violenza non viene eliminata con altra violenza, ma solo sopportando la violenza o cercando di guadagnarsi l'avversario con la non violenza (cf Mt 5 , 38-42). 3 . Abbiamo visto che secondo !M la pace universale tra i popoli ha un luogo originario che è possibile indicare e identificare con precisione, cioè Israele o casa di Giacobbe . Ad esso corrisponde il fatto che il destinatario del discorso della montagna sia il popolo di Dio e non i pagani . E proprio a questo Matteo dà la massima importanza nella cornice del discorso della montagna75 • Per mezzo di questa cornice il discorso della montagna invita al discepolato l'intero Israele: il Nord­ Ovest (la Galilea), il Sud-Ovest (la Giudea) , il Nord-Est (la Decapoli), il Sud-Est (la Perea) . Il popolo di Dio chiamato e raccolto da Gesù è quindi il luogo dove vengono vissuti gli ordinamenti sociali dischiusi dal discor­ so della montagna. 4. Abbiamo visto che gli ordinamenti sociali alternativi divini secondo /M si fanno valere nel mondo non con la costrizione, ma solo attraverso il fascino che deriva dalla prassi vissuta del popolo di Dio . Proprio questa idea gioca un ruolo decisivo anche nel discorso della montagna; non si dice forse 1 , dopo le beatitudini : «Voi siete la luce del mondo2» (Mt 5 , 1 4a)? Si intende naturalmente il popolo di Dio che osserva al Torà, interpretata escatologicamente dal Messia. Se il popolo di Dio vive questa Torà radicalmente ed interamente, allora diventa luce del mondo intero; con la metafora della luce si chiama chiaramente in causa il complesso di immagini del pellegrinaggio dei popoli76. Si ricordi la teologia di Sio n in fs 60, 1 -3 : 7'

C/ l a Parte I e l'appendice di questo libro. C/S. AALEN, Begriffe , 86-95, 204-2 1 1 , 228, 299-306. Tuttavia la ricerca di Aalen soffre del fatto che egli ascrive alla teologia del Deutero Isaia l'intenzione missionaria. 76

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Per chi vale il discorso della montagna?

«Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere». Con la metafora della luce di Mt 5, 1 4a siamo molto vicini a /s 2, 1-5, dove si incontra appunto il motivo della luce (C/ Is 2,5). Ma in Mt 5 , 1 4b potrebbe essere presente un riferimento diretto a ls 2,2. Là si dice : «Una città che è posta sopra un monte non può rimanere nascosta» . Come ha giustamente proposto Gerhard von Rad77, non si parla qui semplicemente di qualcosa che proviene dall'esperienza quotidiana. È molto più proba­ bile che Mt 5 , 1 4b presupponga la seguente connessione di argomenti : il regno di Dio viene adesso; la nuova città di Dio, cioè il vero Israele, viene innalzata già adesso sopra tutti gli altri monti come è promesso in Is 2,2; si può star sicuri che questa nuova città non resterà nascosta; non deve nemmeno esserlo , altrimenti mancherebbe al suo scopo di attrarre con il suo fascino i popoli. S . Abbiamo visto che /M presuppone un 'già' e un ' non-ancora' . I

popoli del mondo non vivono ancora nella pace degli ordinamenti sociali di Dio, mentre Israele deve già vivere questa esistenza alternativa: «Casa di Giacobbe vieni; camminiamo nella luce di JHWH)). Questo 'già ora' corrisponde nel più preciso dei modi alla struttura parenetica del discorso della montagna. La luce del Signore rifulge già su Israele ed ora Israele, diventato luce, deve illuminare tutti i popoli : «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli>> (Mt 5 , 1 6). È quindi chiaro che /M non è stato citato in Mt 5-1 esplicitamente, ma che la realtà di questo testo è presente interamente e senza che nel discor­ so matteano gli venga tolto niente, così che si realizza qui una profondis­ sima continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento . In un punto solo c'è una differenza: se Israele secondo Is 2,5 vive i suoi ordinamenti sociali alla luce di JHWH, il popolo di Dio neotestamentario vive gli stessi ordinamenti sociali alla luce di Gesù , di cui la lettera agli Efesini dice: 77 G. V. RAD, Stadi , 447. Cf anche J. JEREMIAS, Verheissu ng , S1; G. LOHFINK, Wie hai Jesus Gemeinde gewo/11?, 83s. [trad. it. cit. ) . Il legame tra MI S , l 4 ed Js 2,2 viene già colto da AMBROGIO, Exp. in Luc. vu, 99 (CChr. SL 14,248) e da molti altri Padri.

Dove si trasformano «Le spade in vomeri» ?

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«Egli è la nostra pace» (2, 14). La Torà che, secondo Is 2 , 3 , JHWH fa procedere da Si o n è arrivata in carne ed ossa nel mondo con Gesù 78. Infatti , secondo la teologia neotestamentaria, Gesù stesso si è fatto inter­ pretazione escatologica della Torà e proprio quel Gesù crocifisso in Sion . Proprio questa corporeità della Torà che ora procede realmente da Sion rende possibile alla chiesa vivere in questo mondo la pace di Dio, inaugu­ ratasi escatologicamente in Gesù, in maniera corporea, unitaria e sociale, e cioè nell'organismo sociale del corpo di Cristo.

8. I RISUL TA TI Siamo partiti da Is 2 , 1 -5 , par. Mi 4, 1 -S . Le affermazioni decisive di /M che abbiamo ricavato sono: Dio vuole donare al mondo la pace universale attraverso un ordinamento sociale alternativo che poggia sulla non violenza. Questo ordinamento sociale alternativo viene assunto dalla società mondana nel momento in cui essa lo vede vissuto in maniera plausibile nel popolo di Dio, Israele. /M esprime questa plausibilità in un grandioso quadro: il monte di Sion sarà più alto di tutti gli altri monti. Al di là di questa immagine si deve dire: la pace universale tra i popoli diviene possibile solo per il fatto che Dio erige in mezzo ai sistemi del mondo , che si basano sulla violenza, un contro-sistema che si fonda sulla non-violenza79. È così chiaro che in /M si tratta della costruzione sociale di una realtà terrena. La straordinaria promessa che è donata in entrambi i testi profe­ tici non può venir mitigata in nessun modo dicendo che n eli' Antico Testamento non c'era ancora nessuna differenza tra l'aldiqua e l'aldilà . L 'intera speranza di Israele riposava su questa terra e su questa storia, per cui naturalmente anche la promessa di una pace universale veniva espressa nella categoria di una pace terrena nell'aldiqua. Ma da quando la tradizione giudeo-cristiana è in condizione di distinguere tra aldiqua e aldilà, tra questo eone ed il prossimo eone, l'affermazione di pace di /M viene naturalmente assegnata al prossimo eone.

78 C/ H. GESE, Theologie , 8 1 , in una interpretazione di Mc 9,2-8 sta scritto: «Gesù è la stessa Torà>). 79 La questione di come oggi il cristianesimo possa vivere come cittadino maturo e responsabile la richiesta biblica della non violenza non deve essere discussa qui . Vedi inoltre la parte 1 1 , cap. IO di questo libro.

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Per chi vale il discorso della montagna?

Una tale canalizzazione della promessa veterotestamentaria è, come � stato detto, da escludere, non foss'altro per il fatto che /M tratta esplici­ tamente della trasformazione che Dio opera nel mondo in maniera socia­ le, fino a portarlo alla pace. È da escludere altresì perché in Gesù non si può assolutamente osservare una tale netta separazione tra aldiqua ed aldilà; Gesù parla senza ulteriore differenziazione semplicemente di Re­ gno di Dio che arriva ora. Nell'annuncio apostolico - si veda Paolo - la frattura apocalittica tra il vecchio ed il nuovo eone è superata, in quanto i credenti vivono già il nuovo eone 'dentro l'antico'. Essi sono già nuova creazione (cf 2 Cor 5 , 1 7). Una canalizzazione della promessa di pace di /M solo verso l'aldilà si esclude, infine, anche perché i Padri fino ad Agostino interpretano la pace universale dei due testi profetici in maniera terrena e sociale. Ciò accade tanto per quei Padri che mettono in contrasto la chiesa con lo stato, come pure per quelli che collocano chiesa e stato in una impropo­ nibile vicinanza. In ambo i casi si dice: la pace tra i popoli promessa da /M è divenuta proprio ora, nella chiesa, una realtà sociale.

9. UNA DOMANDA ERMENEUTICA DI CONTROLLO

Naturalmente una ermeneutica che annette un valore cosi grande alla storia delle interpretazioni ha i suoi problemi. Infatti la storia delle inter­ pretazioni e degli effetti di /M è già andata avanti. Già Agostino aveva avuto appunto, come abbiamo visto, grandi difficoltà a formulare la pace della civitas Dei anche in termini terreni e sociali. Dopo di lui, la promessa di pace veterotestamentaria è stata spinta sempre più verso l'aldilà e verso l'interiorità. Si potrebbe formulare la problematica di cui qui si tratta anche in altro modo. Chiaramente solo la deludente esperienza di una storia durata secoli poteva essere in grado di insegnare alla chiesa che la pace promessa da /M nell' aldiqua non è ancora realizzabile, o solo su un puro piano simbolico, che il compimento della promessa profetica può solo esserci nell 'aldilà di ogni storia, cioè dopo la risurrezione dei morti . Non di rado si è argomentato in questo modo ed ancor più spesso ragionamenti di questo tipo restano, non esplicitati, sullo sfondo dei dibattiti teologici. La questione è se così si renda giustizia o no alla storia della recezione di /M. Infatti in questa storia non ci sono solo da anno-

Dov� si trasformano «Le spade in vomeri)) ?

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verare tutte le tendenze alla trascendenza e all'interiorità che ci sono state sulla scorta di Agostino; se solo si tenesse conto nell'ermeneutica dell'in­ tera storia, andrebbero citati almeno i tentativi della chiesa medioevale di imporre in Europa la 'pace di Dio' e la tregua Dei. Infine in una com­ prensione più ampia di questa storia, ci sarebbe sicuramente da prendere in considerazione il tentativo mondiale del marxismo, condotto con im­ menso dispendio di energie e di spaventosi sacrifici , per procurare una pace mondiale. È oggi chiaro che il tentativo marxista ha secolarizzato le tradizioni giudeo-cristiane. La chiesa si dovrebbe infine chiedere se il violento sforzo del marxismo di condurre ad una pace sociale tra i popoli non sia l' ultima disperata conseguenza del fatto che la chiesa stessa abbia sublimato in una pura dimensione ultramondana quella pace che essa, come popolo messianico, avrebbe dovuto vivere nella storia.

10. IL REALISMO SO TERIOL OGICO •

DELL ,ANTICO TES TAMENTO E DEL GIUDAISMO

A chi volesse neutralizzare la teologia della pace dei primi Padri con il richiamo alle successive esperienze della chiesa (spaventosamente realisti­ che ! ) si porrebbe davanti un altro problema . Ci si deve infatti chiedere se questi primi Padri, grazie alla loro maggior vicinanza ali' Antico Testa­ mento ed al giudaismo, non abbiamo capito qualcosa che per noi è da lungo tempo andato perduto e cioè che al Messia appartiene in modo inequivocabile il cambiamento sociale di quel mondo che ha il suo luogo nel popolo del Messia. Al Messia appartiene irrinunciabilmente la pace che egli porta. Se questa pace non viene - e in modo socialmente tangibile - allora non è venuto neanche il Messia. È evidente che i primi Padri possedevano ancora tale consapevolezza so. A noi è sfuggita poiché la cristologia si è ormai da tempo sottratta al confronto con l' ebraismos• . Con questo distacco dal realismo ebraico-messianico, la chiesa ha ri10 In modo particolarmente chiaro tale convinzione è presente ancora in GIUSTINO, Dia/. l i O ed in IRENEO, A dv. haer. IV, 34,4. 8 1 C/, ad esempio, le ironiche osservazioni di SALOMON LUDWIG STEINHEIM ( 1 789- 1 866) nel suo Glaubens/ehre der Synagoge als exakte Wissenschaft , vol . IV (citato in H. SCHMID, A useinanderset­ zung , 38) a proposito dei preparativi di guerra negli stati cristiani. Per l'ebreo Steinheim il Messia non è ancora venuto perché ls 2,4 non si è ancora compiuto.

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Per chi vale il discorso d�/la montagna?

nunciato a molto di più che al puro dialogo con l'ebraismo . Ha perso possibilità decisive di colloquio con l'uomo moderno che non può fare a meno di pensare in modo realistico e sociale. La chiesa, infatti, deve dire a costui: Cristo ha redento il mondo, ha portato la pace nel mondo, ma di questa redenzione e di questa pace tu te ne accorgerai solo nell'aldilà. Friedrich Nietzsche, con la sua grande sensibilità nello stigmatizzare quanto non andava nel cristianesimo, ha bollato la profonda discutibilità di questa risposta. Egli «insiste inesorabilmente sul fatto che la redenzio­ ne debba diventare visibile se si è veramente compiuta o si compie»82. Una redenzione invisibile sarebbe per lui un'illusione. Da ciò con coeren­ za la domandaB3: «Se Cristo avesse avuto veramente l'intenzione di liberare il mondo, perché non gli dovrebbe essere riuscito ?». La seconda metà del xx secolo ha portato ad una svolta considerevole. Alla teologia è diventato sempre più chiaro che il discorso della salvezza deve avere conseguenze terrene e sociali. Da questo modo di vedere le cose è nata la teologia della liberazione che non è stata un fenomeno passeggero: essa era appunto inevitabile e sarà capace di tenere ancora per molto la chiesa con il fiato sospeso. Ora, ogni tipo di teologia della liberazione farebbe bene a confrontarsi con il modello di liberazione sociale ed universale già presente in /M : ogni pace che sia pace per i popoli, in senso totalmente biblico, cioè salvezza, non può mai essere ottenuta con la violenza. Essa può diffondersi solo attraverso il fascino d eli' attrazione e non si può ottenere senza accogliere gli ordinamenti sociali alternativi del popolo di Dio, resi accessibili dal discorso della montagna. Ma ciò significa: ogni pace presuppone fede e sequela ed il suo luogo può essere perciò solo la chiesa84• Sarebbe quindi ancor più impor­ tante di ogni terapia sociale, con la quale i cristiani cercano di cambiare il resto della società, il fatto che le comunità cristiane si trasformassero finalmente nella società voluta da Dio. Infatti un cambiamento effettivo della società mondiale può ottenersi solo sulla base del cammino indicato da /s 2,5, da Mi 4,5 e da Mt 5 , 16: «Casa di Giacobbe vieni, camminiamo

U. WILLERS, Wie hielte, 412. Cf p. 162 e p. 4 1 3 . F . NIETZSCHE, Umano, troppo umano, vol . 2: Opinioni e sentenze diverse, n 98 (ed. Schlechta 1 ,776). 84 Ciò viene rielaborato molto bene nei testi di etica dell'americano Stanley Hauerwas, che è rimasto finora quasi sconosciuto da noi. C/ l 'ultimo S. HAUERWAS, Nations , 1 07- 1 2 1 . a Il

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Dove si trasformano ((Le spode in vomerb> ?

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alla luce di JHWH». «Tutti gli altri popoli camminino pure ciascuno nel nome del loro dio; noi cammineremo nel nome di JHWH nostro Dio in eterno e per sempre». «Così la vostra luce risplenda davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt, S, 1 6).

Parte sesta •

PER CHI VALE IL DIVIETO DI GESÙ SUL DIVORZIO?

l. UNA FONDAMENTALE REGOLA METODOLOGICA Un cardinale romano andò in visita negli USA; prima fermata, New York . Non era ancora sceso dall' aereo che un gruppo di giornalisti lo intervistò sullo scopo della sua visita. Alla fine della conversazione, un giornalista che voleva fare lo spiritoso pose ancora una domanda: «A New York visiterà anche i locali notturni?>> . Il cardinale volle conquistare l'avversario col suo buon umore e chiese di rimando con studiata ingenui­ tà: «Ma ci sono locali notturni a New York ? » . Egli conquistò sì l'avver­ sario, ma non fece bene i suoi conti : infatti poche ore più tardi un giornale scandalistico di New York portava in prima pagina: «Prima domanda del cardinale ali' aeroporto: Ci sono locali notturni a N ew York? » . Ogni parola d i questa prima pagina era esatta; proprio così aveva detto il cardinale ed era anche stata la prima domanda che aveva posto , tutta­ via l'insieme era completamente falso : era stato stralciato dal contesto in cui era stato formulato. È perfino ovvio dal punto di vista ermeneutico osservare che le frasi possono diventare false, se non sono più inserite nel loro contesto originario, nonostante vengano ripetute letteralmente; tut­ tavia questa basilare regola ermeneutica è costantemente disattesa. Chi seriamente sostiene che uno stato debba venir governato secondo i principi del discorso della montagna, stralcia il discorso della montagna dal suo contesto vitale e lo trapianta in una situazione che esso non contempla. Il destinatario del discorso della montagna è la comunità dei • Questa parte è già stata pubblicata con il titolo Jesus Verbot der Ehescheidung und seine Adressaten, in ThQ 167 (1 987) 143-146. Si trattava di una glossa all'interno di un quaderno che aveva per tema il matrimonio.

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Per chi

vale il discorso della montQgno?

discepoli, che deve diventare luce del mondo e città sul monte. Non è lo stato che deve diventare luce del mondo, ma sono quelle comunità dei discepoli che in piena libertà sono alla sequela di Gesù . Non è lo stato che deve vivere la non violenza, ma la chiesa. Si deve quindi con la massima cura interrogarsi sui destinatari degli insegnamenti biblici e sul contesto vitale per il quale queste istruzioni sono state pensate. Ciò vale anche per il divieto di Gesù nei riguardi del divorzio. Le redazioni neotestamentarie di tale divieto non vogliono costituire un'etica umana, ma il loro destinatario è chiaramente le comunità dei discepoli, o meglio la chiesa. Naturalmente sarebbe buona cosa se tutti i popoli, seguendo Mt 28 , 1 9, diventassero discepoli . In questo caso l'in­ dicazione passerebbe da ethos dei discepoli ad ethos delPumanità, ma ciò non può accadere senza una libera sequela e fino a quando solo una piccola parte dell'umanità vive la sequela, Pindicazione resta una richie­ sta rivolta ai discepoli . Il destinatario del divieto di divorzio formulato da Gesù , è quindi la comunità dei discepoli . Effettivamente a nessun cristia­ no viene oggi più in mente di pretendere dallo stato che neghi ai suoi cittadini, a causa dell'insegnamento di Gesù, la possibilità giuridica di un divorzio civile. La chiesa richiede che si mantenga il divieto di Gesù a divorziare (più precisamente, il mantenimento della odierna tra­ sformazione dello stesso nel diritto canonico) , ma solo per i propri cre­ denti. In questo modo è rispettato l'originario destinatario dell'indicazio­ ne biblica e preso sul serio il contesto vitale per cui tale indicazione era stata pensata.

2. LA FORMA CORRETTA DI REALIZZA ZIONE DEL POPOLO DI DIO

In realtà le cose sono molto più complicate. Non solo la richiesta di Gesù di rinunciare all'uso della forza, ma anche il suo divieto di divorzia­ re vengono spesso stralciati dal loro contesto vit àle. Fintanto però che si dice solo che il destinatario della richiesta di Gesù è la comunità dei discepoli, t> meglio la chiesa, tale destinatario non è stato ancora determinato a sufficienza. La richiesta radicale di Gesù presuppone una ben determinata forma di realizzazione del popolo di Dio; presuppone che Israele si differenzi nei suoi ordinamenti sociali dalle altre società del mondo precisamente per ordinamenti sociali mi-

Per chi vale il divieto di Gesù sul divorzio?

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gliori (cf Dt 4,5-8). La richiesta di Gesù presuppone inoltre lo sviluppo in Israele della struttura della sinagoga, grazie alla quale il popolo di Dio era diviso non solo in unità limitate, ma viveva anche stretti legami sociali . L'insegnamento di Gesù presuppone infine che questo Israele, così conformato in quel momento della s.ua storia, si associ ancor più strettamente in un movimento escatologico di unificazione, fino a forma­ re una nuova famiglia di fratelli e sorelle (cf Mc 3,3 1 -35; 10,29s .). A questo Israele degli ultimi tempi in cui già traspare la benedizione dei tempi messianici, va l'indicazione di Gesù che Matteo riassume nel di­ scorso della montagna. Le comunità postpasquali proseguono il movimento di unificazione di Gesù e lo estendono con l'aggregazione dei pagani: ma la forma del popolo di Dio, che Gesù ha voluto, sussiste ancora: piccole comunità di dimensioni limitate che si sentono corpo sociale, i cui membri si aiutano e si completano vicendevolmente; comunità nelle quali non ci sono più poveri, comunità in cui tutte le discordie sono continuamente superate dalla riconciliazione. La chiesa europea del secolo xx ha conservato questa forma? La risposta è difficile. La nostra chiesa è la chiesa apostolica; infatti legge la Sacra Scrittura nelle Messe, si attiene alla regu/a fidei, celebra l' eucari­ stia, impartisce l 'insegnamento degli apostoli ed ha al suo centro i succes­ sori degli apostoli; ha cioè in sé tutto. Tuttavia ha perduto quella forma che è essenziale per il popolo messia­ nico e che Israele ha trovato attraverso prove ed errori in una lunga e movimentata storia. Essa l'aveva già perduta quando con Costantino divenne chiesa di stato e l'ha persa a maggior ragione oggi. Molti non hanno ancora preso atto che da noi la chiesa è diventata un settore dell'intera società, competente solo per ciò che è religioso e trascendente. In tutti gli altri campi la società percorre strade proprie e non tollera intromissioni . Il peggio è che la chiesa è considerata non solo dai non cristiani, ma anche da molti suoi membri , il settore dell'intera società competente unicamente per la domenica, per precise e determinate solen­ nità e per le situazioni che si collocano alle frontiere della vita. Molti cristiani vogliono infatti che la chiesa sia l 'ultima significativa sovrastrut­ tura al di sopra della loro vita, ma non vogliono che sia una realtà sociale che ab bracci la loro vita intera e li collega in comunità. Proprio per questo motivo gli uomini applaudono il papa durante i suoi viaggi , ma non gli permettono di intromettersi nella loro vita matrimoniale che considerano un affare privato. Ma ciò significa che il modo di vita della società industriale contemporanea, fr�ntumato in inolti settori isolati, è

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Per chi vale il discorso della montagna ?

penetrato anche nella chiesa, è penetrato fin nella teologia che spesso persino legittima tale dato di fatto.

3. IL PRESUPPOSTO DEL MA TR/MON/0 INDISSOL UBILE

Ma se è così , il divieto di divorziare è rivolto ,veramente allo stesso popolo di Dio che l 'insegnamento di Gesù e degli apostoli si trovava davanti? Il divieto di divorzio da parte di Gesù richiede una fedeltà radicale ed indefettibile al coniuge e ciò è straordinariamente difficile; a dire il vero, una tale fedeltà è impossibile all'uomo . È possibile per lui solo se egli fa una tangibile esperienza della fedeltà di Dio nella storia di comunità concrete, solo se vive in una comunità vivente che si sia costi­ tuita in modo neotestamentario, che, in quanto 'nuova' famiglia sopran­ naturale di fratelli e sorelle, protegga e risani sempre e di nuovo la sua famiglia naturale. Il divieto di divorziare sottintende una fedeltà che, in ultima analisi, è possibile all'uomo solo se egli inserisce se stesso ed il suo matrimonio nella più grande e più vasta relazione con la causa di Dio, vale a dire nella miseria e nelle fortune del popolo di Dio. Per far chiarez­ za si deve dire che tale forma del popolo di Dio non allude ad un puro riarmo morale, né a distretti ecclesiastici burocraticamente ristrutturati, ma a comunità vive che, in una storia vivente con Dio, rendono possibile la sequela. La profonda problematica della legislazione canonica in merito al divorzio consiste dunque nel fatto che, giustamente, essa si mantiene ferma agli insegnamenti di Gesù, che resta, per così dire, al testo e che non si lascia smuovere dalla radicalità di Gesù. Ma il contesto di vita in cui tale radicale richiesta viene pronunciata non è in realtà più quello del Nuovo Testamento. Non c'è più la forma del popolo di Dio, presupposto indispensabile degli insegnamenti neotestamentari, ed è proprio per que­ sto che la ripetizione d eli ' insegnamento di Gesù in bocca alla chiesa suona oggi così stonata ed inumana. Cercare di vivere, nonostante la mancanza di una base di comunità neotestamentarie, l 'insegnamento di Gesù, conduce facilmente al fallimento o ad un forzato eroismo. Natu­ ralmente ci sono e ci sono stati nel mondo matrimoni felici, in cui i coniugi si sono conservati fedeli. Ma tali matrimoni devono ciò a partico­ lari coincidenze che non sono per niente ovvie. Le richieste di Gesù,

Per chi vale il divieto di Gesù sul divorzio?

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invece, non sono legate né a coincidenze naturali particolarmente favore­ voli , né presuppongono particolari eroismi, né sono inumane. Sono «un dolce giogo» ed «un peso leggero» (Mt Il ,30), ma solo nella realtà del popolo di Dio per cui sono pensate. Che cosa dovrebbero fare il papa ed i vescovi di fronte a questa situa­ zione? Mitigare la richiesta radicale di Gesù che la fedeltà nel matrimonio non venga meno? O continuare a ribadirla anche se la sua plausibilità ci sfugge sempre di più? Secondo il Nuovo Testamento la questione è chiarissima: i pastori del popolo di Dio devono restare fedeli all'insegnamento di Gesù e presentar­ lo alla chiesa senza nessun taglio. Ma essi devono condurre il loro gregge a pascoli migliori, cioè essi devono fare quanto sta in loro affinché sia preparata per l' insegnamento di Gesù quella base che gli occorre per poter essere vissuto: la comunità nella sua giusta forma. Se invece si insiste n eli' attuale situazione di �biesa, succede per la presentazione degli insegnamenti del discorso della montagna alla comu­ nità quanto è successo per il titolo di apertura di quel giornale scandali­ stico di New York: ogni parola è esatta, ma l'insieme è completamente falso.

Appendice

IL DISCORSO DELLA MONTAGNA ED IL SUO PUBBLICO

Una controversia con Klaus-Stefan Krieger Nel 1 986 Klaus-Stefan Krieger ha pubblicato nella rivista Kairos un saggio che si occupa espressamente della stessa domanda che dà il titolo a questo libro. L'articolo si adopera dall' inizio alla fine a confutare le mie tesi sul discorso della montagna al punto che la controversia è inevi­ tabile. Il quadro in cui Krieger ha inserito le sue ricerche esegetiche (pp . 98- 1 00 e 1 1 2- 1 1 5) rende chiaro il suo punto di vista. Lo disturba l'imma­ gine di chiesa che io ho tratteggiato come conseguenza del discorso della montagna. Contro ciò niente da dire. Di fronte al discorso della monta­ gna si dividono gli spiriti e si separano le immagini di chiesa. Krieger è in disaccordo sul fatto che l 'immediato destinatario del discorso della mon­ tagna sia solo Israele o meglio la chiesa. Secondo il suo parere, il discorso matteano si rivolge immediatamente tanto ai pagani quanto ai giudei e perciò non solo la chiesa può vivere il discorso della montagna, ma ogni uomo di buona volontà (pp . 1 1 2- 1 1 5). Questo è veramente un punto sul quale val la pena di discutere, perché è decisivo per il concetto di chiesa. I nvece non vale la pena di controbattere la supposizione di Krieger, più volte ripetuta, che io avrei affermato che la comunità cristiana non deve «svolgere la propria azione nella società» (p. 99) e che i cristiani non dovrebbero «impegnarsi nei tentativi che perseguono la realizzazione di una società libera dalla violenza e dall' autoritarismo» (p . 100). È giusto proprio il contrario: io ho espressamente accentuato, in margine ad un testo del sinodo di Wiirzburg, la necessità dell'impegno cristiano nella società (cf parte n, cap. 1 0 di questo libro). Preferiamo quindi rivolgerei al testo del Nuovo Testamento da cui Klaus-Stefan Krieger desidera ricavare quanto segue : «Il discorso della

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montagna matteano non si rivolge esclusivamente e nemmeno principal­ mente ai discepoli, ai seguaci di Gesù, alle comunità cristiane, alla chie­ sa» (p. 1 1 2). «Le folle - alle quali Gesù si rivolge secondo Mt 4,25 - sono composte da giudei e da pagani. Il discorso della montagna matteano non si rivolge perciò specificatamente a Israele>> (p. 1 1 2). «Le 'folle' presenti nella cornice del discorso della montagna sono semplicemente uomini che Matteo non qualifica ulteriormente» (p. 1 1 3). Tutto questo si ricava, secondo Krieger soprattutto da quei territori che Matteo ha nominato in 4,25; con l'indicazione di Galilea, Decapoli, Giudea e territorio «al di là del Giordano» sarebbe così descritta esatta­ mente ed ampiamente «la geografia politica della Palestina». ai tempi della redazione del Vangelo di Matteo dopo l'anno 70 (p . 1 04). Per Giudea l'evangelista intenderebbe «la provincia imperiale dallo stesso nome, che sorse dopo la guerra giudaica» (p. 1 04); per territorio «al di là del Giordano» si intenderebbe il regno di Agrippa 11 (p . 1 04) e infine la Decapoli completerebbe «la descrizione della Palestina di quei tempi>> (p. l05); ad una tale definizione meramente politica della Palestina ap­ parterrebbero naturalmente i territori pagani . Di conseguenza, gli ascol­ tatori del discorso matteano della montagna non sarebbero solo giudei, ma anche pagani. Krieger rifiuta la mia posizione, che Matteo, con il v. 4,25, descriva l 'Israele dei padri: quale interesse avrebbe avuto il Vangelo di Matteo a tracciare i confini di Israele in una maniera così speculativa? «Perché avrebbe dovuto assumere una costruzione tanto lontana dalla realtà? Il Vangelo di Matteo si colloca nel tempo in cui Israele aveva già perduto la guerra giudaica ed in cui le pretese territoriali giudaiche sono prive di ogni fondamento» (p. 1 04). Tutto ciò che siamo venuti scoprendo parla contro l'ultima afferma­ zione citata. Con la perdita della guerra specialmente da parte dei perden­ ti si cerca con ostinazione di parlare dei tracciati di frontiera, ma, secondo Matteo, non si tratta di numerare le parti di Israele secondo una ' pretesa territoriale di tipo politico' ; per lui si tratta solo del fatto che Gesù raccoglie l'I sraele disperso da ogni parte nel luogo dove una volta c'era il paese dei padri. Per delimitare il perimetro di questo Israele dei padri furono offerti modelli diversi nel corso della storia della fede veterotestamentaria e giudaica. In parte essi si attenevano a concezioni ideali , in parte tenevano d'occhio la realtà di certe epoche politiche, e soprattutto naturalmente l'epoca davidica. Le designazioni territoriali di Israele proposte in epoca giudaica non nascevano in nessun modo da una nostalgia idealizzante o

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da sogni politici di grandezza, ma avevano l 'impellente necessità di stabi­ lire dove certi precetti legislativi (ad esempio il diritto territoriale) dove­ vano essere o no mantenuti. Essi definivano infatti il perimetro della Terra santa. «Solo nella Terra santa - dice Giinter Stemberger (Bedeu­ tung, 79) - si è sottoposti pienamente ai comandamenti della Torà, poiché solo in essa si può essere pienamente giudei». Di questo giusto rapporto tra paese e Torà deve tener conto Matteo in quanto intende presentare la interpretazione escatologica della Torà, cioè il discorso della montagna, in primo luogo a quell'Israele che da essa è definito. E quanto Matteo sia interessato alla dimensione del paese nella prospettiva della storia della salvezza, è mostrato dal fatto che egli nomina Giuda (2,6), Zabulon e Neftali (4, 1 3), ma soprattutto dai vv. 2,20s . , dove egli , con un linguaggio intenzionalmente veterotestamentario, parla del ritor­ no di Gesù e dei suoi genitori «nel paese di Israele» - una espressione che non si trova in nessun'altra parte del Nuovo Testamento. È quindi racco­ mandabile considerare la lista del v. 4,25 nel senso datogli da Matteo di completa descrizione della Terra santa. Matteo deve avere l'occhio su questa 'terra' perché in essa si compiono le promesse. Gesù è stato ben annunciato come il capo che pascerà le pecore senza pastore della casa di Israele (Mt 2,6-9,36). Anche se avesse ragione Klaus-Stefan Krieger con la sua tesi secondo cui i rapporti territoriali ai tempi di Matteo costituivano il presupposto del v. 4,25, non cambierebbe niente della mia affermazione che l 'introdu­ zione al discorso della montagna è orientata ad Israele. In questo caso Matteo avrebbe descritto il territorio in cui doveva venire raccolto l'inte­ ro Israele, appunto con l'aiuto della divisione territoriale a lui contempo­ ranea . La tesi di Krieger non mi sembra tuttavia in nessun modo sicura. Contro di essa parla innanzittutto la collocazione del pèran tu Iorddnu . Se Matteo avesse veramente voluto descrivere il territorio di Agrippa n , avrebbe nominato uno dietro l' altro la Galilea ed il 'territorio al di là del Giordano ' . Partendo dal presupposto di Krieger questi due grandi terri­ tori politici appaiono curiosamente divisi : infatti la provincia romana si trova indicata come Galilea e Giudea ed il regno di Agrippa II si trova indicato come Galilea e territorio al di là del Giordano e gli ultimi due territori non sono mai posti vicini. Contro la tesi di Krieger sta inoltre il fatto che alla provincia imperiale della Giudea, istituita dopo la guerra giudaica, apparteneva anche la Samaria e Matteo, in lO, 5, aveva escluso epressamente proprio la Sama­ ria dall'azione missionaria prepasquale dei discepoli e perciò anche di -

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Gesù . La Giudea non può significare quindi per Matteo la provincia imperiale. Dal v. 10,5 si può piuttosto supporre che l'evangelista abbia semplicemente posto alla base della sua enumerazione la suddivisione di Israele, usuale nel mondo giudaico dei suoi tempi, in Giudea, Transgior­ dania e Galilea, che non era legata particolarmente a nessun disegno politico . Il rimprovero di Krieger consiste nel fatto che io ho osato basarmi sulla mishna per questa tripartizione giudaica del paese, quando essa nella sua attuale forma ci proviene solo dal 220 d.C. (p. 104) . Nel caso qui trattato questa obiezione è tuttavia senza importanza, poiché già Giuseppe Flavio nel suo excursus geografico del De bello Judaico III, 3 divide l'intero paese in Galilea, Perea, Samaria e Giudea (cf anche An t. Jud. , XIII 2,3 par . 50 e Bellum n 3 , l par . 43). La divisione proposta dalla mishna era pertanto già nota ed usuale nel primo secolo . Matteo si serve di essa in accordo con Mc 3, 7s. e vi aggiunge semplicemente la Decapoli . In corrispondenza alla posizione di Krieger, se anche quel péran tu Iorddnu non dovesse significare la Perea che sta a sud di Pella, ma la Transgiordania del Nord (cosa che potrebbe anche essere plausibile e che ora viene sostenuta anche da Rainer Riesner nel suo saggio Bethany beyond the Jordan ) non cambierebbe proprio niente della mia tesi per cui Matteo ha in mente un Israele ideale con larghi confini . Sotto Davide e sotto gli Asmonei anche la Transgiordania del Nord apparteneva del tutto o in parte ad Israele ed il prospetto tannaitico dei confini della terra santa, che Samuel Klein ( Grenzverzeichnis , 240) tenta di datare ai tempi di Erode il Grande, sposta i confini di Israele ben verso Nord-Ovest fino alla Traconitide e all'Hauranitide . Naturalmente il fatto che in 4,25 sia nominata la Decapoli mi procura una certa difficoltà . Che Matteo nella sua lista «sul paese di Israele» assuma per l'odierno lettore un territorio pagano, cioè la Decapoli, è tuttavia per me più semplice da spiegare che per Krieger lo spiegare il fatto che Matteo abbia eliminato da Mc 3, 7s. proprio le città pagane di Tiro e Sidone. Infatti le dieci città della Decapoli , erano state una volta territorio giudaico, ma Tiro e Sidone mai . Come si spiega allora l'elimi­ nazione di Tiro e Sidone se il redattore del Vangelo di Matteo , secondo quanto si pretende, ci teneva così tanto ad avere anche pagani tra il pubblico del discorso della montagna? Io sostengo che Matteo, in forza del suo programma di storia della salvezza, non ha bisogno di uditori pagani come destinatari del discorso della montagna e che perciò elimina Tiro e Sidone. Klaus-Stefan Krieger deve argomentare in maniera più complicata, asserendo che Matteo ha tralasciato Tiro e Sidone poiché le

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due città sono le due punte a Sud della provincia siriaca e che la Siria è già stata nominata nel 4,24a (p . l 05). Questa argomentazione naufraga per il fatto che la Siria in 4,24a è nominata con tutt'altra funzione da quella che ha la lista delle circoscri­ zioni in 4,25 . Il v. 24a parla semplicemente della fama di Gesù che si sparge al di là di Israele per tutta la Siria. Matteo non vuoi quindi dire che i malati di 24b-c siano venuti dalla Siria. Non per niente ha già sottolineato nel v. 23 , ricollegandosi con Dt 7, 1 S, che Gesù ha guarito ogni sorta di malattie e di sofferenza nel popolo, e cioè in Israele. Poiché Krieger ha presente questa difficoltà, non gli rimane altra via di scampo che negare, in maniera molto discutibile, alla parola lads del 4,23 ogni riferimento con Israele. Laos verrebbe usato da Matteo in modo disomogeneo e precisamente: con una accentuazione positiva so­ prattutto in l ,21 e 2,6 e altrove con una accentuazione prevalentemente negativa; inoltre il vero luogo parallelo di 4,23 sarebbero i vv . 4, 1 5 s . dove il termine /ads sarebbe in relazione con la «Galilea dei pagani». Natural­ mente laos in 4, 1 5s. e 4,23 designerebbe semplicemente la popolazione galilaica in cui sarebbero, in 4, 1 5 , chiaramente inclusi i pagani (p. 1 07s.). Non si può che scuotere il capo di fronte ad un tal modo di semantiz­ zare . a) Una caratterizzazione positiva o negativa del popolo che cosa cambia, se si tratta in ogni caso dell' Israele scelto da Dio? Krieger non tiene conto che Matteo nel suo Vangelo racconta una storia che - per quanto riguarda il comportamento di Israele - diviene prevalentemente una storia di non-salvezza. b) Krieger non si cura nemmeno del fatto che in 4,23d venga chiaramente citato Dt 7, l S , un testo che punta esclusiva­ mente su Israele. c) Altrettanto poco egli si cura del fatto che Matteo, nominando le sinagoghe al v. 23 del testo, dà un chiaro segno che tutta la frase si intende riferita al popolo di Dio . d) La citazione di Isaia in Mt 4, 1 5 è quanto mai inadatta a costituire una prova che laos possa, in Matteo, includere pagani. Infatti con Is 8,23- 9, l Matteo vuole proprio fondare sulla Scrittura il fatto che Gesù abbia cominciato in Galilea e non altrove il suo annuncio messianico. Si tratta così di un chiarimento nel senso della storia della salvezza sul ministero concreto di Gesù . E poiché il ministero di Gesù poteva rivolgersi secondo il v. 1 5 ,24 solo ad Israele, il «popolo che ·giace nelle tenebre», nel senso di Matteo, non può che riferirsi alla popolazione giudaica della Galilea. E siamo così giunti a quei due testi che si oppongono alla posizione complessiva di Krieger in modo difficilmente aggirabile e che anzi la contraddicono apertamente. Gesù stesso dice, secondo Matteo , che «è stato mandato esclusivamente alle pecore perdute della casa di Israele» ·

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( 1 5 ,24) . In conseguenza di ciò viene proibito ai discepoli di annunciare il Regno di Dio ai pagani o nella Samaria; anche i discepoli possono solo rivolgersi «alle pecore perdute della casa di Israele» ( 1 0,5s.). Entrambi questi testi si trovano in Matteo in posti di rilievo e costituiscono un programma esplicito per il tempo che precede la Pasqua. Essi vengono superati solo in 28, 19, mai prima; e sono così chiari ed evidenti che tutti gli altri testi matteani devono venir spiegati alla loro luce, anche 4, 16 e 4,25 . Naturalmente Klaus-Stefan Krieger vede il problema che costitui­ scono per lui i vv . 10,5s. e il v. 1 5 ,24, per cui cerca di ridimensionare entrambi i testi, e precisamente in due modi . Da una parte argomentando che noi non avremmo, per lo meno in Mt 1 5 ,5b-6, «a che fare con la ipsissima vox di Gesù e nemmeno con la sua ipsissima intentio » e che anche l'autenticità del v. 1 5 ,24 sarebbe proble­ matica (p . 106s.). Ma Krieger non si accorge nemmeno che con tale argomentazione egli , ben lungi dall' eliminare il problema che gli pongo­ no i due testi, lo aumenta. Come potrebbero divenire irrilevanti le espres­ sioni programmatiche di Matteo nell'interpretazione del primo Vangelo, appena si nota che esse non sono di Gesù? Vale esattamente il contrario ! Infatti , proprio se le due fasi dovessero derivare dalla redazione matteana sarebbero, per il programma del Vangelo di Matteo, di importanza ancor maggiore. D'altra parte Krieger cerca di minimizzare Mt 10,5 e Mt 1 5 ,24 soste­ nendo che Matteo stesso ha già relativizzato i due testi usando espressioni universalistiche o descrivendo opere di Gesù in territori pagani . Egli porta a sostegno di ciò i seguenti riferimenti: Mt 1 , 1 -6; 2, 1 - 1 2 ; 4, 1 5 s . ; 4,24s . ; 5 , 1 3 s . ; 8,5- 1 3 ; 8,28-34; 10, 1 8; 12, 1 8-2 1 ; 1 3 ,38; 1 5 ,2 1 -28; 16, 1 3 ; 1 7 , 1 4-2 1 ; 24, 14; 25,3 1 s . ; 28, 1 6-20 (p. 1 06). Non posso indicare questa lista che come regresso metodologico, poi­ ché da lungo tempo per il nostro problema segnalato l'importanza di distinguere tra i testi che consistono in un discorso narrato (berichtete Rede) e quelli che consistono in un discorso narrante (berichtende Rede ) (cf parte I , nota 29) . Naturalmente Matteo può, anche se egli limita strettamente ad Israele l'agire del Gesù terreno, far sì che in una prospet­ tiva rivolta al futuro egli parli della futura missione tra i pagani o che a tale futura missione alluda per immagini . Anche allo stesso evangelista si possono concedere tali prospettive verso il futuro. Così , ad esempio, non si può includere nell 'intera questione Mt 1 -2 perché è proprio dell'ante­ fatto e del prologo anticipare sviluppi successivi. E con ciò dalla lista di Krieger vengono meno i testi 1 , 1 -6; 2 , 1 - 1 2; 5 , 1 3s . ; 8 , 1 1 ; 10, 1 8 ; 1 2, 1 8-2 1 ; 24, 14; 25 , 3 l s . ; 28, 16-20. Essi sono completamente irrilevanti per la que-

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stione di cui qui si tratta, se cioè, secondo il Vangelo, il Gesù terreno operi anche per i pagani . Quanto sia assurdo addurre queste citazioni nel nostro contesto, può mostrarlo un testo come Mt 10, 1 8 , cui Krieger dà molto valore poiché, trovandosi molto vicino a 10,5s . , proprio perciò lo relativizzerebbe. Gesù in 10, 1 8 profetizza ai dodici apostoli all'interno del grande discorso missionario che essi verranno condotti per causa sua davanti ai governa­ tori ed ai re «per dare testimonianza a loro ed ai pagani» . N o n solo va sottolineato il fatto che il discorso missionario, nella sezione 1 0, 1 6-42, va consapevolmente al di là dei tempi del Gesù terreno e che tiene sot t' oc­ chio già gli sviluppi postpasquali, ma l'idea di «dare testimonianza» non contiene necessariamente un'azione missionaria. In 1 0, 1 8 'testimonian­ za' non è nient'altro che la confessione di Gesù nel senso dei vv. 1 0,32s. e cioè in una situazione che non è volontariamente prodotta dai discepoli . Togliendo tutte le citazioni indiscriminatamente addotte da Krieger, rimangono solo i passi : 8 , 5- 1 3 ; 8,28-34; 1 3 ,58; 1 5 ,2 1 -28; 16, 1 3 ; 1 7 , 1 4-2 1 e 19, 1 3 - 1 5 . E da questi si possono escludere subito 8,5- 1 3 (il centurione di Cafarnao) e 1 5 ,2 1 -28 (la donna cananea) poiché essi, documentando l'operare di Gesù verso i pagani , sono anche inequivocabilmente designa­ ti come eccezioni, tanto che il programma di 1 0,5s. e 1 5 ,24 non viene da essi confutato , ma rafforzato. Non è infatti un caso che proprio nella pericope della cananea sia detto che Gesù è inviato solo ad Israele. Questa pericope non ha assolutamente il suo centro significativo, come vorrebbe Krieger, nel fatto che Gesù «è costretto dal corso degli eventi a cambiare la sua visione particolaristica» (p. 106). Proprio al contrario ! La donna cananea, in accordo con Gesù, dice: «Tu hai ragione, Signore, ma anche i cagnolini prendono le briciole che cadono dalla tavola del Signore» ( 1 5 ,27) . Il che significa: Israele per primo deve partecipare all'abbondan­ za dei tempi messianici. Questa abbondanza è però tale che essa già fin d'ora può affluire ai pagani. Io non saprei come un testo potrebbe meglio rappresentare il privilegio di Israele, a cui il Gesù matteano si attiene con meticolosa precisione: quando questo privilegio di Israele viene manife­ stamente disatteso già prima della Pasqua, e cioè in 8,5- 1 3 e 1 5 , 2 1 -28, l'eccezione viene presentata accuratamente da Matteo come eccezione e nello stesso tempo si sottolinea come resti immutata la prerogativa di Israele. I testi 8,28-34; 16, 1 3 ; 1 7 , 1 4-2 1 e 1 9, 1 3- 1 5 non sono nella stessa posizio­ ne di 8 , 1 5- 1 3 e 1 5 ,2 1 -28. Di essi Klaus-Stefan Krieger afferma che indica­ no opere di Gesù verso i pagani solo per il fatto che hanno luogo in un territorio con popolazione prevalentemente non giudaica (p. 1 05s.). Tale

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argomento è però metodologicamente inammissibile. Di fronte alle espressioni programmatiche di 10,5s. e di 1 5 ,24 nel Vangelo di Matteo si deve pensare ad una azione di Gesù verso i pagani solo se l'evangelista la segnala espressamente come in 8,5- 1 3 e 1 5 ,2 1 -28. In mancanza di un'ade­ guata segnalazione, non si deve in nessun modo leggere nel testo un'azio­ ne verso i pagani . Non è d'altronde una segnalazione di questo tipo il fatto che una pericope sia situata nel territorio della Decapoli o a Cesarea di Filippo , poiché nei distretti pagani tutt'intorno ad Israele viveva una gran quanti­ tà di giudei . Nemmeno si può intendere come segnalazione di questo tipo il fatto che i demoni in 8,29 preghino Gesù di «non tormentarli prima del tempo». Infatti qui non si intende, come afferma Krieger, che Gesù sia «arrivato prima del tempo in territorio pagano» (p. 1 05), ma che il giorno del giudizio, con i tormenti della punizione definitiva, non è ancora giunto (C/ Mt 1 3 ,30; l Cor 4,5; Ap 20, 10). Men che meno costituisce una tale segnalazione il fatto che i demoni si rivolgano a Gesù chiamandolo 'Figlio di Dio'. Secondo Krieger questo modo di rivolgersi a Gesù sareb­ be una proclamazione 'pagano-cristiana' che mostrerebbe che i due inde­ moniati sono pagani (p. 105). Ma in Matteo si incontra il titolo di 'Figlio di Dio' più volte sulla bocca di giudei ( 1 4, 1 3 ; 1 6, 1 6; 26 ,63), per cui anche questo sedicente indizio non prova niente. Dalla lunga lista proposta da Krieger rimane perciò solo l 'interpretazione della parabola della zizzania tra il grano, in cui si dice: «Colui che semina in buon seme è il Figlio dell'uomo ed il campo è il mondo» ( 1 3 ,37s.), ma anche questo testo non vuole indicare, secondo il Vangelo di Matteo, l'agire del Gesù terreno verso i pagani, perché Mt 1 3 ,37-43 tratteggia un quadro sommario che va dai tempi del Gesù terreno fino alla fine del mondo e pertanto racchiude l'agire del Figlio dell'uomo innalzato sulla croce. Il campo di semina di costui è ora veramente il mondo intero, in cui egli disperde la semente del Vangelo attraverso la parola dei suoi discepoli (cf 28, 1 9s.). A causa di questo incrociarsi prospettico del tempo pre- e postpasquale, anche il testo 1 3 ,37s. non mette assolutamente in questione il programma di 10,5s. e di 1 5,24. Non vale la pena di entrare in ulteriori dettagli . In sostanza Klaus-Ste­ fan Krieger non ha capito la struttura letteraria del Vangelo di Matteo. Matteo non ha potuto (o non ha voluto) presentare lo sviluppo della chiesa postpasquale in un secondo libro, così come ha fatto Luca. Perciò egli è stato costretto ad inserire anticipatamente nella tradizione evange­ lica a lui pervenuta sviluppi postpasquali (come ad esempio la missione tra i pagani). Queste anticipazioni egli le ha del resto connotate in modo

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chiaro dal punto di vista letterario. Inoltre, Matteo dà forma al suo Vangelo in modo da rendere in molti luoghi trasparente, per la situazione della chiesa del suo tempo, la tradizione utilizzata di parole e di opere; perciò naturalmente ci sono fin dali 'inizio del Vangelo di Matteo affer­ mazioni universalistiche (Krieger, p. 1 06) ed io non ho mai detto il con­ trario . Ma tutto ciò non cambia il fatto che Matteo racconti solo ad Israele le azioni prepasquali di Gesù collocandole contemporaneamente su un piano di configurazioni storiche successive. Proprio a questo piano appartiene l' introduzione al discorso della montagna. Ma Klaus-Stefan Krieger non ha afferrato nemmeno l'architettura teologica del Vangelo di Matteo . Solo la morte e la risurrezione di Gesù aprono in Matteo alla possibilità della missione tra i pagani. Solo quando la maggioranza del popolo di Dio aveva rifiutato Gesù e questo rifiuto era stato ratificato davanti a Pilato (27 ,20-26), si arrivò a quella situazio­ ne in cui la basi/éìa fu tolta ad Israele e data ad un altro popolo (21 ,43). Prima era teologicamente esclusa per Matteo ogni azione verso i pagani. Proprio all'interno di questo tracciato teologico, il discorso della monta­ gna mostra che Gesù si rivolge all'intero Israele. Esso interpreta la Torà del Sin ai come rivolta ali' Israele escatologico e perciò il discorso sta nello stesso inequivocabile rapporto verso l'Israele escatologico, così come la Torà sinaitica è ordinata all'Israele veterotestamentario. Là dove il di­ scorso della montagna viene ascoltato e messo in pratica sorge il vero Israele . Ovviamente il discorso della montagna viene annunciato dopo la Pa­ squa a tutti i popoli. Contrariamente a quanto sembra suggerire Krieger, io non l'ho mai contestato, ma ho detto espressamente: «In questo senso il discorso della montagna è del resto anche universale e rivolto a tutti gli uomini . Ma solo attraverso la chiesa, che deve rendere tutti i popoli comunità di discepoli» (vedi sopra, parte 1 , cap. 1 0). In Mt 28 , 1 9s. non si dice infatti : «Andate e dite a tutte le genti ciò che io vi ho insegnato», ma «Andate dunque e rendete discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ed insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato>>. Il discepolato, di cui si parla ancora una volta alla fine del Vangelo di Matteo , non contempla allora una sequela di Gesù al di fuori della chiesa, come ritiene possibile Krieger (p. 1 1 3), ma essa è indissolubilmente con­ nessa con il battesimo e con la catechesi battesimale (catecumenato). Se non si è discepoli in questo senso non ci si può mettere, secondo Matteo, sotto il giogo leggero del discorso della montagna. Se non si è discepoli in questo senso non si può neanche riferire a sé le beatitudini matteane,

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specialmente l'ottava e la nona, poiché là vengono detti beati coloro che sono calunniati e perseguitati per Gesù . Sono , ad esempio, i pagani che devono recitare il Padre nostro? Oppure, sono i pagani che devono essere la luce del mondo? In ogni caso Klaus-Stefan Krieger non sarebbe avanzato di un solo passo, se gli fosse riuscito di dimostrare che, secondo le intenzioni di Matteo, anche dei pagani avrebbero dovuto esser collocati sulla scena del discorso della montagna. Anche questi pagani avrebbero dovuto farsi battezzare, per rimanere nel quadro . Ciò significa che essi possono vivere le promesse e le direttive del discorso della montagna, se si convertono e diventano discepoli. Una sequela di Gesù al di fuori della chiesa è per Matteo impensabile. E a ragione.

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INDICE DELLE CITAZIONI BIBLICHE

ANTICO TESTAMENTO GENESI 4, 1 7 : 1 2 1 ESODO 1 9 , 3 : 30 1 9,5s: 145 20,2:82 22,25s:44 24:79 24, 1 5 . 1 8 : 30 34,4:30 DEUTERONOMIO 2 , 5 : 26 4,5-8 : 1 95 6,4s:72 6 , 5 : 69,72 7 , 1 5 : 203 18, 1 3 : 69 22,22 : 8 1

LEVITICO 1 9,2:74 1 9, 1 8:72 1 9 , 36:74 20,26: 74 , 1 1 4 SALMI 46: 1 77 46, IO: 1 76, 1 82

ISAIA 2, 1 -3 : 50

2, 1 -5 : 1 4 1 , 1 42 , 1 43 , 1 59, 1 67 ' 1 76, 1 79, 1 86, 1 87 2,2: 1 42, 1 86 2 , 3 : 1 42 , 1 69, 1 70, 1 87 2,4: 1 6 1 , 1 68 , 1 7 1 , 1 80, 1 83 2, 5 : 1 86, 1 90 5 , 1 6: 1 42 8 ,23-9, l :24 , 203 3 4 : 26 34, 1 7 : 26 35 , 1 1 : 1 76 60, 1 - 3 : 1 4 1 ' 1 85

MICHEA 4, 1 -5 : 1 4 1 , 1 87 4,2: 1 69, 1 70 4 , 3 : 1 68 , 1 7 1 , 1 74 4,3s: 1 6 1 4,4: 1 66 4, 5 : 1 90

EZECHIELE 20,4 1 -44:49 36, 1 - 1 4: 1 76 36,22-24:49 37, 1 - 1 4 : 176 GIOSIA 24, 1 4 : 1 69 CANTICO DEI CANTICI 8 , 1 : 80 SIRACIDE s l ,23 -27 :78

NUOVO TESTAMENTO MATIEO 1-2:204 1 , 1 -6:204 l ,21 :27 , 8 3 , 203 2, 1 - 1 2 : 204 2,2s : 32 2,6:27 , 29,203 2,6-9-9,36:201 2,20s :27 3 , 1 3- 1 7 : 20 3 , 1 5 : 83 4, 1 -5 : 1 59 , 1 60, 1 6 1 4, 1 - 1 1 :20 4 , 1 - 1 7 :20,2 1 ,24 4, 1 3- 1 7 : 24 4, 1 5s:203 ,204 4, 1 5 - 1 7 : 29 4, 1 5 . 23 . 25 : 27 4, 1 6: 24 ,30,204 4, 1 8-22: 1 7 ,20,32,83 4,23 : 2 1 ,23,24,29, 1 09,203 4,23s : 20,29 4,23-24a : 2 1 ,22,25 4,23-24b:22 4,23-25 : 1 7 , 1 8 ,20,2 1 ,29, 79,83 4,23-5,2: 1 7 ,2 1 , 1 08 4,23-8, l :99 4,24:23,24 4,24s:204 4,24a :24,203 4,24b-c : 2 1 4,24b-25 : 22 4,25 : 1 7 , 1 8 , 1 9 , 2 1 ,23 ,25,27' 200,20 1 ,203 , 204

224 5:51 5-7 :79,85 , 1 1 8 , 1 1 9 , 1 3 1 , 1 84, 1 86 5 ' l : 1 8,22' 30,3 1 ' 1 1 1 5 ' l s: 1 7 , 20,22,23 , 5 1 5 , 1 - 1 4b : l 42 5 , 2 : 1 8,22 5,3: 1 3 1 5 , 3-7,27 : 1 8 , 2 1 ,32

Indice delle citazioni bibliche 6,4: 1 3 1 6,5 s : 8 1 6,6. 1 1 : 1 37 6, 7 : 1 32 6, 7s: 1 32, 1 33 6,9:49, 1 3 1 6 , 1 0 : 84, 1 3 1 6, 1 2 : 1 3 1 6, 1 4s:96

9,36-38 : 1 9 1 0- 1 6,42 : 205 I O , l : 1 9, 20 1 0,2-4: 1 9 10,5 : 24,201 ,202, 204 1 0 , 5 s : 205,206 1 0 , 5-42 : 1 8 ,46 . 1 0 , 5b-42: 1 9 1 0,6:48

5 , 1 3- 1 6 : 5 2 , 1 4 1 , 1 43 5 , 1 4 : 3 7 , 1 70 5 , 1 4a : 1 8 5 , 1 86

6, 1 4 . 1 5 . 1 8 . 26.32: 1 3 1 6, 1 5 : 1 3 1 6, 1 6- 1 8 : 8 1 6 , 2 1 :82 6,22:82 6,23 : 82 6 , 24 : 8 1 , 1 3 1 , 1 36 6,25-34 : 8 1 ' 1 24, 1 26, 1 27 ' 1 29, 1 3 1

10,8:38 1 0 , 1 0:46 IO, 1 6 : 47 I O , 1 8 : 204 ,205 10,32:205 I l ,20: 3 3 1 1 ,28-30:77,78,96 I l ,30: 1 97 1 2 , 7 :96

5 , 1 4b : 1 86 5 , 1 4- 1 6: 1 40, 1 42 , 1 43 5 , 1 5 : 1 39 5 , 1 6 : 1 86 , 1 90 , 1 9 1 5 , 1 6 .45 . 48 : 1 3 1 5 , 1 7 : 8 5 , 86, 1 1 9 5 ' 1 7 ' 19: 1 1 2 5 , 1 7-20 : 2 8 , 85 , 1 1 3 5 ' 1 8 : 8 6 ' 1 84

6,26 . 30 . 33 : 1 29 6,28 : 1 26 6,30 : 1 26 6 , 32 : 1 30 6,32s: 1 26, 1 3 1 6,34: 1 03 6,36:96 7 , 3 -5 : 8J 7, 1 1 .2 1 : 1 3 1

1 2, 1 5 : 33 1 2, 1 8-2 1 : 204

5 , 20:29,68,70,7 1 , 1 1 5 , 1 1 7 , 1 30 5 ,20 .48: 1 1 8 S ,2 l s : 8 1 5 , 2 1 -47 : 68,70 5,21 .23:30 5 , 23 :22 S , 23s: 1 22, 1 23 , 1 24 5 , 24b-25 : 22

7 , 1 2 : 84 7, 1 5 : 29 7 , 1 8 : 82 7 , 2 1 :84, 1 3 1 7 ,2 1 -23 : 8 1 7 , 2 1 -27 : 28

5,4: 1 3 1 5 , 7 : 96 5,8:81 5 ' l 0- 1 2 : 1 3 1 ' 1 3 9 5,13: 138 5 , 1 3s : 86 , 204

5 , 27a : 8 1 S , 3 1 s : 1 30 5 , 32:37 5 , 33-37: 1 3 1 5 , 38-42 : 1 20, 1 2 1 , 1 84 5 , 39: 1 03 , 1 1 0 5 , 3 9-42 : 44 5 , 39b-42 :42,45 ,47 , 5 7 ' 1 20 5 ,43-47 :68,8 1 , 1 1 6, 1 2 1 5 ,44s : 1 3 1 5 ,44-48 : 74 5 ,45 : 74 5 ,48:68,69, 70, 73 ,74 , 75,78, 79,85 ,86,95,96, 1 1 6 , 1 1 7 ' 131 6 , 1 .4.6.8: 1 3 1 6,2-4 : 8 1

7,28 : 22,23 7 ,28s : 1 7 ,30,3 1 , 3 3 , 5 1 7,29 : 3 3 8 , 1 :83 8 , 1 -9,34:20 , 2 1 ,28 ,29 8 , 5 - 1 3 : 204,205 ,206 8, I l :48 ,204 8 , l l s : 1 42 8 , 1 2 :50 8 , 1 5s:82 8 , 1 5 - 1 3 : 205 8 , 1 7 : 30 8,27 : 3 3 8,28-34 :204,205 8,29:206 9,8:33 9 , 1 3 : 86 9, 1 7 : 1 27, 1 30 9 , 3 3 : 29, 3 3 , 82 9,35 :20 , 2 1

1 2 , 30:49 1 2 , 50: 84 1 3 , 1 -2 : 1 9 1 3 , 1 -3 : 1 9 1 3 ,2: 1 9 1 3 ,3-52: 1 8 , 1 9 1 3 , 1 0-23 : 3 1 1 3 , 1 4 : 1 76 1 3 , 1 5:33 1 3 , 1 7 : 1 76 . 1 3 ,24-30: 1 82 1 3 ,30:206 1 3 , 3 3 : 1 38 1 3 , 36-43 : 1 54 , 1 56 1 3 ,36-5 2:3 1 1 3 ,37s : 206 1 3 , 37-43 : 206 1 3 , 3 8 : 204 1 3 ,44 : 76 1 3 ,44-46:76,77 t 78 1 3 ,45s : 76 1 3 , 58 : 205 14, 1 3 : 3 3 , 206 1 5 , 5b-6: 204 1 5 , 19s: 1 1 4 1 5 , 2 1 -28 : 26, 30,204 ,205 , 206 1 5 ,24 : 24,48 , 204,205 ,206 1 5 ,27 : 205 1 5 ,29-3 1 : 30 15,3 1 : 33 1 6, 1 3 : 204 , 205 1 6, 1 6 : 206

225.

Indice delle citazioni bibliche 16, 1 8 : 3 5 16,25-27 : 77 1 7 ' 1 4-2 1 :204,205 18, 1 : 19,31 1 8 , 3-35 : 1 8 , 1 9 1 8 , 1 4 : 84 1 8 , 1 5- 1 8 : 1 56 1 8 , 1 7 : 1 56 1 8 , 1 9: 1 38

25,29 : 1 29 25 , 3 1 s : 204 25 , 3 1 -46 : 96 26 ,39-42 : 84 26 ,52:40 26,63 : 206 27 , 20-26: 207 27,25 : 3 5 28 , 1 6-20: 3 1 , 204

1 8 , 19s:7 1 1 8 , 2 1 s : 96 1 8 ,23-25 : 96 19,2:33 1 9 , 1 3 - 1 5 : 205 1 9 , 1 6:70 1 9 , 1 6-30:72,75 ,77,78,83 , 1 16 19,17:72

28 , 1 8-20 : 3 2 28 , 1 9 : 1 94-204 28, 1 9s : 3 3 , 1 09 , 206 ,207 28,20 : 32

19, 1 8 : 7 1 1 9 , 20 : 7 3 1 9 ,2 1 : 7 3 , 75 , 1 1 7 , 1 1 8 1 9, 22 : 7 5 1 9, 25 : 7 5 19,26:75 1 9,27 : 7 3 20,29 : 3 3 2 1 ,9:33

6,29s:42 7, 1 : 5 1 9,2- 1 5 : 46 9,23 :46 1 0 , 3 :47 1 1 , 2 3 : 49 1 2 , 1 6-2 1 : 1 26 1 2 , 22-3 1 : 1 29 12,32: 5 1

2 1 ' 1 1 .43 : 3 3 21 ' 1 1 .46: 3 3 2 1 ,28- 3 2 : 84 2 1 ,43 : 50,207 23, 1 : 1 9 23 , 2-25 ,46: 1 8 , 1 9 2 3 , 2-39: 1 9 23,4:78 23,9:54

1 3 ,28s:48 1 3 , 20s : 1 38 1 3 , 34:49 22 , 29 : 5 1 24 : 1 69

23,23 : 96 23 , 3 7 : 3 3 ,49 24, 1 : 3 1 24, 1 s : 1 9 24, 1 -4a: 1 9 24, 3 : 1 9 24,4b-25 ,46: 1 9 24 , 1 4 : 204

LUCA 2 , 2 : 25 6, 1 7-20: 5 1 6 , 1 7-49:20

MARCO 1 , 1 4 : 22,23 1 ,24a : 22 1 ,24b-c:23 1 ,25:23 l ,28:23 , 24 1 , 3 2 : 22 l , 3 2-34:23 1 , 3 9 : 22,24 3,7s:23 ,26 3 , 8 : 26

3 , 1 3 : 23 3 ,20: 5 3 3 , 3 1 -3 5 : 53 , 1 95 3 , 7s: 1 08 , 202 6,6b:22,24 6,7- 1 1 :46 1 0, 1 8 : 72 1 0, 1 9 : 7 1 1 0,29s : 5 3 , 1 95 10,4 1 -45 : 5 4

GIOVANNI 14,27 : 1 80 1 8 , 36 : 5 5

ATTI DEGLI APOSTOLI 1 : 1 69 ROMANI 3 ,20: 1 4 12,2: 1 3 8 1 2, 1 8 : 1 22 1 3 , 1 -7 : 5 8

l CORINTI 4 , 5 : 206 2 CORINTI 5 , 1 7 : 1 88

EFESINI 2, 1 4: 1 80 l TESSALONICESI 5 , 1 6-22 : 1 47

l PIETRO 2,9s : 5 8 2, 1 1 - 1 7 : 5 8 APOCALISSE 20, 1 0:206 2 1 , 1 -22, 5 : 99 21 ,25s: 1 47

INDICE GENERALE

Premessa ali' edizione italiana

7

Prefazione

9

Parte prima Per chi vale il discorso della montagna? l. Posizione del problema 2. La cornice del discorso della montagna 3 . Storia della composizione letteraria della cornice 4. La presenza d'Israele S . Il perimetro del paese 6. La 'priorità' della salvezza 7. Il significato della montagna 8. Discorso della · montagna e vita del discepolo 9. La richiesta escatologica rivolta ad Israele 10. Conseguenze

13 13 17 22 24 26 28 30 31 33 35

Parte seconda Chi può vivere la non violenza? l. L 'esperienza di Solzenicyn 2. Tentativi cristiani di adattamento 3 . Il testo decisivo di Matteo 5 , 39-42 4. La non violenza degli apostoli di Gesù S . I destinatari delle parole di Gesù 6. Israele come segno di salvezza 7. La nuova famiglia 8. Il popolo di Dio come società alternativa 9. I cristiani e lo stato l O. La non violenza in una società pluralistica

39 39 41 42 46

48 50 52 54 57 58

228

Indice generale

Parte terza In che cosa consiste la radicalità del discorso della montagna? l . Radicalità, un concetto non chiarito 2. L ' uso del termine in Rudolf Bultmann 3. Radicale ossia indiviso 4. Ciò che rende possibile la sequela radicale 5 . Radicalità e discorso della montagna 6. La dimensione sociale del discorso della montagna 7. Radicalità e storia 8. Radicalità e compromesso 9. Radicalità e misericordia 10. Tesi riassuntive r

63 63 66 68 75 78 85 86 91 95 97

Parte quarta Perché il discorso della montagna richiede necessariamente una società alternativa? 99 99 l . Aporie neli 'interpretazione del discorso della montagna 2. La società alternativa nella lingua dei primi cristiani 1 05 3 . Il popolo di Dio come destinatario del discorso della montagna 1 08 4. Il popolo di Dio del discorso della montagna come società l 09 5 . Il discorso della montagna e la legge del Sinai 111 6. Richieste alternative e discorso della montagna 1 19 7. L 'immagine alternativa di Dio nel discorso della montagna 1 30 8 . Sale della terra 1 36 9. La città sul monte 1 40 lO. Equivoci sulla società alternativa 144 Parte quinta Dove si trasformano «le spade in vomeri»? l . La visione della pace tra i popoli in fs 2, 1 -5 2. I presupposti della pace tra i popoli secondo fs 2, 1 -5 3 . L 'interpretazione di fs 2, 1 -5 prima della svolta costantiniana 4 . L 'interpretazione di fs 2, 1 -5 in Eusebio S . L ' interpretazione di fs 2, 1 -5 in Cirillo 6. La diversa posizione di Agostino 7. Sguardo retrospettivo al discorso della montagna

1 59 1 59 1 62 1 67 1 74 1 79 181 1 84

Indice generale

8. I risultati 9. Un a domanda ermeneutica di controllo IO. Il realismo soteriologico dell'Antico Testamento e del giudaismo

229

1 87 1 88 1 89

Parte sesta Per chi vale il divieto di Gesù sul divorzio? l . Una fondamentale regola metodologica 2. La forma corretta di realizzazione del popolo di Dio 3 . Il presupposto del matrimonio indissolubile

1 93 1 93 1 94 1 96

Appendice Il discorso della montagna e il suo pubblico Una controversia con Klaus-Stefan Krieger

1 99 1 99

Bibliografia

209

Indice biblico

223

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Frontespizio Premessa all'edizione italiana Prefazione Per chi vale il discorso della montagna? 1. Posizione del problema 2. La cornice del discorso della montagna 3. Storia della composizione le tteraria della cornice 4. La presenza di Israele 5. Il perimetro del paese 6. La priorità della salvezza 8. Discorso della montagna e vita del discepolo 9. La richiesta escatologica rivolta ad Israele 10. Conseguenze Chi può vivere la non violenza? 1. L 'esperienza di Solzenicyn 2. Tentativi cristiani di adattamento 3 . Il testo decisivo di Matteo 5 ,39-42 4. La non violenza degli apostoli di Gesù 5. I destinatari delle parole di Gesù 6. Israele come segno di salvezza 7. La nuova famiglia 8. Il popolo di Dio come società alternativa 9. I cristiani e lo stato 10. La non violenza in una società pluralistica In che cosa consiste la radicalità del discorso cristiano 1. Radicalità, un concetto non chiarito 2. L'uso del termine in Rudolf Bultmann 3. Radicale ossia indiviso 4. Ciò che rende possibile la sequela radicale 5. Radicalità e discorso della montagna 6. La dimensione sociale del discorso della montagna 7. Radicalità e storia 8. Radicalità e compromesso 9. Radicalità e misericordia 10. Tesi riassuntive Perché il discorso della montagna richiede necessariamente una società alternativa 1. Aporie nel'interpretazione del discorso della montagna 2. La società alternativa nella lingua dei primi cristiani 3. Il popolo di Dio come destinatario del discorso della montagna 4. Il popolo di Dio del discorso della montagna come società 5. Il discorso della montagna e la legge del Sinai 6. Richietse alternative e discorso della montagna 7. L'immagine alternativa di Dio nel discorso della montagna 8. Sale della terra 9. La città sul monte 10. Equivoci sulla società alternativa Dove si trasformano «le spade in vomeri»? 1- La visione della pace tra i popoli in Is 2, 1-5 2. I presupposti della pace tra i popoli secondo Is 2, 1-5 3 . L 'interpretazione di Is 2, 1 -5 prima della svolta costantiniana 4. L'interpretazione di Is 2, 1-5 in Eusebio 5. L'interpretazione di Is 2, 1-5 in Cirillo 6. La diversa posizione di Agostino 7. Sguardo retrospettivo al discorso della montagna 8. I risultati 9. Una domanda ermeneutica di controllo 10. Il realismo soteriologico dell'Antico Testamento e del giudaismo Per chi vale il divieto di gesù sul divorzio? 1. Una fondamentale regola metodologica 2. La forma corretta di realizzazione del popolo di Dio 3. Il presupposto del matrimonio indissolubile Appendice. il discorso della montagna ed il suo pubblico Una controversia con Klaus-Stefan Krieger Bibliografia Indice delle citazioni bibliche

2 7 9 13 13 17 22 24 26 28 31 33 35 39 39 41 42 46 48 50 52 54 57 58 63 63 66 68 75 78 85 86 91 95 97 99 99 105 108 109 111 119 130 136 140 144 159 159 162 167 174 179 181 184 187 188 189 193 193 194 196 199 199 209 223