Il popolo perduto. Per una critica della sinistra 8865946431, 9788865946435

Mario Tronfi, filosofo e politico, tra i più illustri teorici dell'operaismo, padre dell'autonomia del politic

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Il popolo perduto. Per una critica della sinistra
 8865946431, 9788865946435

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Igloo

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Mario Tronti con Andrea Bianchi

Il popolo perduto Per una critica della sinistra

� Nutrimenti

©

201 9 Nutrimenti srl

Prima edizione febbraio 2019 www.nutrimenti.net via Marco Aurel io, 44 - 00184 Roma In copertina: Franco Angel i,

Corteo,

1 968

I SBN 978-88-6594-643-5 I SBN 978-88-6594-666-4 (ePub) I SBN 978-88-6594-667-1 (MobiPocket)

Indice

Che pensare? La 'forma-mondo' L'idea Europa L'anoma lia Italia Popolo Che fa re ? Indice dei nom i

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Un discepolo chie se al maestro: "Come deve essere una predica per avere efficacia sui fedeli?". Rispose il mae stro: "Deve avere un avvio coinvolgente e un finale un po' travolgente". Ma la regola principale è questa: tra l 'avvio e il finale dev'esserci il più breve tempo possibile. Detti dei Padri del deserto

Che pensare?

Nell'organizzare questo discorso orientato a capire quali sono le cause che hanno portato la sinistra in tutte le sue articola­ zioni partitiche, da quelle cosiddette moderate a quelle cosid­ dette rad ical i , al suo attuale pu nto di crisi , fino a perdere il suo popolo e qu indi a perdere ident ità , riconoscibi lità e forza , abbiamo scelto un model lo che affonda le rad ici in una lontana stagione della pol itica italiana. C 'era una volta il segretario di sezione del Pci, che faceva la relazione all'assemblea dell'Attivo. Che cos'era l'Attivo? Erano gli iscritti al partito della zona, i mil itanti che, dopo dibattito e conclusioni, portavano orientamenti e direttive al popolo del territorio o del luogo di lavoro. La relazione aveva uno schema unico, il medesimo del segretario nazionale al Comitato centrale e via via in tutte le altre ista nze di partito. Si cominciava dalla si­ tuazione internazionale, si passava alla cond izione dell' Italia, si approdava ai problemi locali, da ultimo lo stato presente del par­ tito, i compiti dell'organizzazione delle lotte e gl i obiettivi con­ creti da persegu ire, in tutto intero questo contesto determinato. Segu iremo questo percorso, sperando che il lettore abbia fin d'ora colto il distacco ironico, benevolo e un po' malizioso di questo incipit.

Già oggi le espressioni sono diverse e diversi i passaggi dall 'uno all'a ltro a rgomento. Quasi più non si usa 'situazio­ ne i nternazionale'. Nel l'età del la globali zzazione è la parola 'mondo' che per lo più dice il problema. Noi useremo 'forma­ mondo': un po' troppo intellettual mente ra ffinata per il segno che vogl iamo dare a questa chiacch ierata, ma si spera ci verrà perdonata . Poi , adesso, per saltare dal globale al locale - re­ spi ngendo lontano da noi la terribile espressione postmoderna di 'gIocale' - inciampiamo inevitabi l mente in quel lo scogl io tra il mondo e l'Ita l ia , che si ch iama Europa . I l caso ital iano ritor­ na oggi all'attenzione dei com mentatori esteri presenta ndo una nuova forma dell'a nomalia Italia: in questo senso affronteremo il problema . Una riflessione su quello che qui intend iamo per concetto pol itico di popolo si impone con caratteristiche di ne­ cessità e urgenza . Infine, su quel che resta del la parola 'partito' e sul quel che riesce ancora a dire la parol a 'pol itica' andremo all'attacco, perché il tempo del la diplomatica attesa è finito, posizionarsi su u na del le postazioni esi stenti non è più suffi­ ciente , è urgente aprire un varco di fuoriuscita da questo stal lo subalterno. Cosa che si può fare e va fatta prima di tutto con un rovesciamento di culture dentro una rinnovata battagl ia del le idee , con il dichiarato obiett ivo di dare forma a u n nuovo spi rito egemonico di pa rte, rid isegnando un ità e differenze del pensare e dell'agi re , rispetto al passato e contro il presente. Questo uso del l 'espressione 'forma', di cui abbiamo già abusato, sarà ricorrente. Per un motivo preciso, perché u no dei compiti del la politica è quello di mettere in forma i pro­ cessi. Le leggi di movimento di questo assetto soci ale per sua definizione ideologica dicono che bisogna al lentare le briglie al cava llo pazzo dell'econom ia e di sua sorella la finanza, tut­ tora i nsieme e d'accordo in un fronte unico, dominus del la situazione. 'D icono', perché poi, quando ne hanno bisogno,

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Che pensare?1

chiedono alla pol itica e allo Stato di ti rare quelle brigl ie. Qui e ora comunque quei processi sono spontanei , spesso i mprevisti , a volte i mprevedibi l i . Questa è una società che ha in corpo per natura storica il segno dei più vari comportamenti anarchici : è la reale forza vitale che muove il suo sviluppo, ed è la possibile malattia mortale che provoca le sue crisi . Se non dai forma a questi processi non solo non riesci a control larli ma nem meno a conoscerl i . E se non li conosci ne rimani subalterno. La for­ ma è il pensiero che conosce la realtà del le cose, è la teoria che fa anal isi determi nata di una situazione determinata . C 'è un altro motivo, diverso, per privi legiare l 'espressione di cui sti amo parla ndo: il rispetto del le forme, la cura del con­ fronto nel la dispon ibil ità dell'ascolto, la scelta dello scontro mai gridato, sempre ragionato, lo consideriamo un obbl igo del discorso, un'obbligazione etica che si accompagna alla scelta di un agire conforme, una decisione pratica civile. Chiameremo qu i , d'ora in poi, forze di trasformazione quelle che si oppon­ gono agl i attuali dominanti mod i di vita . Di contro a esse , ci sono forze di totale conservazione e forze di sempl ice innova­ zione che, in particol are negli ultimi tempi , si sono fuse insie­ me in una l inea di attacco forse proprio per questo vincente. E questa è una del le condizioni di fondo che non si è capita.

È ora di comi nciare infatti a capire i l blocco storico che si è saldato, dagl i anni Ottanta del l'altro secolo, tra conservazione e InnovazIone. .

.

Ultima considerazione prel i minare: quelle forze di trasfor­ mazione più delle altre ha nno il dovere di cura del le forme isti­ tuzionali, di rispetto delle comuni regole d i condotta pubbl ica, che vuoI dire quotidiana coltivazione di quella civiltà del dia­ logo tra opposti punti di vista. Civiltà, appunto, del confronto che è poi il terreno più adatto allo svolgi mento del buon con­ fl itto. Lo stato presente , su questo terreno, è in pieno degrado.

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Non ved iamo in altri paesi quello che accade qui da noi , ovve­ ro il paesaggio devastato che offre l'attuale panorama pol iti­ co. L'ultima anomalia del caso ital iano ci ha regalato L'Uom o

Qualunque al governo. Lo definiamo cosÌ come si presentò al­ lora, nell'im med iato dopoguerra , con il simbolo che gl i anziani ricordano, quello del cittad ino sch iacciato sotto un torch io. Il qualunqu ismo è una vecchia tara plebea, non del popolo ma della popolazione italiana. Al lora i grandi partiti popolari, che sapevano di pol itica , liquidarono il fenomeno nel giro di una breve stagione. Oggi i piccoli partiti , movi menti, partiti per­ sonali, è poco dire che lo subiscono, perché in realtà lo inter­ pretano e cosÌ lo riproducono, senza capire che l'onda finirà per travolgere loro stessi , perché è un'onda selvaggia, informe e senza regole. Tutto intero l'agi re pol itico e il dibattito politico appa re senza forma. Basta mettersi davanti a un qua lsiasi tal k show telev isivo per aver ne l a prova. L a chiacch iera dei com­ mentatori fa da eco al brusio di fondo, a l meno più si mpatico, che sentite sali re dal ba r sotto casa .

È un quadro troppo cupo? Se è cosÌ, sarà corretto nel corso della conversazione, ma questo è l'approccio necessario. L'ot­ tim ismo è consolatorio, il pessi mismo è provocatorio. La pro­ vocazione intel lettuale è più produttiva per la conoscenza e più sferza nte per l'azione. La politica probabi lmente ha proprio bisogno di qua lche fr ustata su l groppone. Apriamo al meno ai nostri figl i e nipoti la strada, cred ibile e possibile, di un dopo­ guerra di ricostruzione sopra le macer ie che siamo stati capaci di accumulare.

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La 'forma-mondo'

Preliminarmente, parlando di quella che lei, profe ssore, chia­ ma 'forma-mondo', occorre disegnare una cornice, un 'fra­ me', seguendo la fortunata definizione di Ge orge Lakoff, il linguista che con il suo Non pensa re all'elefante scosse oltre dieci anni fa i dem ocratici americani incapaci di reagire alla propaganda della dottrina Bu sh. Ieri Bu sh, oggi Trump . . . Di male in peggio, n on trova? La cornice che tiene al suo i nterno il tutto è la politica. A l ­ tri potrà scegl iere un'altra cornice. Dal lato del la politica - il lato da cui scelgo consapevolmente di parlare - è la condizione del mondo quella che più ci i nterroga . Le vicende i nterne ai si ngol i paesi , a parte forse i gra ndi Stati-conti nente , sono di una tale miseria , con le loro l iti da cortile, da allontanare ogni curiosità. Se nella legislatura degli anni Novanta ero in Senato agl i A ffari Costituzionali, nella scorsa legislatu ra scelsi infatti senza esitazioni di andare nel la Commissione Esteri per que­ sta ragione. È il mondo 'grande e terribile' che soprattutto ci chiama a ri flettere. Lì accadono delle cose inedite: c'è guerra di movimento. Qui tutto si ripete: solo ba ruffe di posizione. Questo macro-spostamento dell'asse globale dall'Atla ntico al

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Paci fico è una novità ? Lo è se guardiamo alla sola storia mo­ derna . Se assu miamo la 'lunga durata' è un ritorno. Civiltà che ci ha nno preceduto ci stanno sorpassando. Riappa rirà spesso questo criterio del lo sguardo nel nostro dia logo: sono proprio conv into di questa regolarità di movi mento del la storia umana tra il nuovo che sicura mente ava nza nel presente e le stesse cose che ritornano, in altra forma, dal lontano passato. Cogl iere , se vogliamo chiamarla cosÌ , tale dialettica storica è compito del la politica. Compito attual mente inevaso, perché tutti gl i attori politici - dico tutti - ci tengono a fa rsi percepire come assolu­ ta mente moderni , mentre in verità , a nche solo per capire, non si può essere moderni che relativamente. Per questo motivo, dal pu nto di vista del metodo di inda­ gine, è inevitabile oggi armarsi d i geopolitica. Si tratta di una materia ostica : una discipl ina ermeneutica che è nata reazio­ naria, per i bisogni di sparti zione degli spazi tra le potenze na­ zionali e imperiali europee. Si è poi macchiata del la terribile ideologia detta di sangue e suolo. Depurata da queste scorie, va real isticamente usata . Lo spazio è una categoria del pol itico. Oggi più di ieri: se è vero che lo Stato-nazione si va riprodu­ cendo in modo alla rgato come Stato-conti nente , in Asia, nel le A meriche e c'è da sperare - presto per favore perché si sta fa­ cendo tardi - in Europa . Nel contesto spazi aIe e nell'arco temporale che attual mente ci riguarda, la poca luce che vediamo davanti a noi è data dagl i ultimi bagliori del tra monto dell'Occidente. Una lunga , straor­ dinaria, entusiasmante , contrastata vicenda umana, questa del­ la modernità occidentale. Lo è stata per tutta la sua storia. Lo è stata anche, agl i stessi alti livel li, nel l'i nterminabile sua fine che ha tragica mente attraversato tutto il Novecento. Ora, ma è un adesso che vuoI dire gli ultimi decenni con cui si è scaval­ cato i l secolo, la vicenda non muore, ma deperisce, degrada, si

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La 'forma-mondo'l

consuma giorno dopo giorno, senza far intravedere nessun'altra 'epoca' all'orizzonte, tra nne forse l 'artificiale tempo distopico di macch ine intell igenti che comandera nno uomini stupidi.

Sta dicendo, profe ssore, che con la chiu sura di un'ep oca quella che schematicamente si nomina con il secolo che ne ha fatto per gran parte da contenitore, il Novecento - n on si scorge, nemmeno ali 'orizzonte, nient 'altro? Viviamo in un tempo senza epoca . C 'è il nostro tempo, manca però l'epoca : quel la conti ngenza capace di sol levarsi e rimane­ re per il fut uro, fare fut uro. Al meno qui da noi, voglio dire in Europa, la storia è diventata piccola, prevale la cronaca, il quo­ tidiano, il ch iacch iericcio, il la mento, la bana l ità . Il progressi­ smo è oggi la cosa più lontana da me . Respi ngo con fermezza l'idea che qua nto avviene di nuovo è sempre megl io e più avan­ zato di quel che c'era pri ma . È uscito nel la traduzione italiana, non molto tempo fa , un piccolo volume di Robert Musi l , in­ titol ato L'uom o tedesco come sintom o (Edi zioni Pend ragon, 20 14) , che raccoglie una serie di appunti contemporanei alla stesura dell'Uom o senza qualità. Una di queste riflessioni par­ la del progresso come qualcosa di molto si mile a un sogno. Tu sogni d i essere su un cavallo, i l caval lo ca mmina, trotta , galop­ pa, corre. A un certo punto corre cosÌ forte che tu non sai più come scendere , perché la bestia non si ferma mai. E al lora il so­ gno si trasforma in un incubo. Il progresso ha senso solo se ha una fi ne. Se non ha una fi ne e, aggiungo, se non gli dai un fine, diventa privo di senso. Per andare dove e per fare che cosa ? La vecchia domanda vuole una nuova risposta. Per questo sto cercando nuove armi per la vecch ia guerra . Armi intellett ual i, s'intende: per quella guerra civile, nel senso di civilizzata, che fu di classe. Il cultural mente corretto e il suo cugino stretto, il

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pol iticamente corretto, hanno insieme realizzato un d isa rmo unilatera le delle idee antagoniste, che ha messo al sicu ro quel­ lo che si ch iamava , con buone ragion i e non a caso, l'ordine costitu ito, cioè il normale stato del le cose present i.

Per utilizzare la metafora di Mu sil, oggi n on sappiamo verso dove galoppiamo e forse neppure perché galoppiamo? La profezia spengleriana è stata trattenuta dalla grande storia novecentesca. Fin ita quel la, si è aperta una voragine verso il nu lla. L'avvio d i un esito finale per il tramonto dell'Occidente non ha visto una causa storico-pol itica , ma una ragione econo­ m ico-fi nanziaria. È probabile che una globa l izzazione con que­ sto segno fosse inevitabile nel la logica del l'u ltimo capital ismo. Ma al lora bisognerebbe considera re inevitabile anche la fine del primato occidentale nel mondo. E di conseguenza provve­ dersi di occhiali nuovi per leggere il futu ro del la storia-mondo. In questo adesso, sulla global izzazione economico-finanzia­ ria si gioca i l destino politico degl i Stati-nazione. O essi com in­ ci ano al meno ad accennare a un supera mento di sé stessi , in delega a un'autorità politica superiore, o rimarranno comitati d'affari del le leggi di movimento mercatiste, esse sole sovra ne nel la gestione di uomini, di prodotti , di nlonete . Da leggere il testo di R ita di Leo, L'età della m oneta (il Mu lino, 2018), con la descri zione del castel lo-nlondo preso in possesso, appunto, dagl i uom ini della moneta che hanno prevalso su quel l i della spada, quelli del lavoro, quel l i dei l ibri . Per questa via, "gl i uo­ mini del la politica sono stati dismessi dalle proprie fu nzion i , non sono p i ù rich iesti n é dall'alto n é d a l basso". Oggi tornano qua e là a fa r capol ino, tra gl i i lluminati, ideologie cosmopol i­ te . L'a ffascinante utopia del governo mond iale non è praticabi­ le, come tutte le utopie. Ma come tutte le utopie serve a porre

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il problema di una progettazione dell'avven ire. In questo senso Kant intendeva l'idea di una storia un iversa le dal punto di vi­ sta cosmopol itico. L'Europa - come esempio - potrebbe tro­ vare qui la sua missione, non di rinascita ma di vera e propria nascita . Ne parleremo più avanti. Insom ma, o si dà una forma politica al mondo o ci terremo questo mondo senza forma. Per­ ché una cosa deve essere chiara : l'econom i a , ta nto più un'eco­ nom ia fi nanziari zzata magari a colpi di algoritm i , è qualcosa di informale. La natu ra i m ita l'arte , ha detto qualcuno. Forse sarebbe più vero dire che la storia i m ita l'arte . Butto lì un'idea folle: a guardia della globa lizza zione econom ica ci vorrebbe una globalizzazione pol itica . Non c'è rim asta che la follia per contestare la cattiva ragione che ci opprime. La rottu ra di tutte le forme, in tutte le arti e in tutte le scienze, con cui il Nove­ cento fi n dalla sua infanzia, nei suoi pri m i dieci anni, ha i m­ posto una cultura del la cri si alla coscienza borghese ottocen­ tesca , proprio quel la rottura ha anticipato la caduta di tutte le altre forme, a com inciare da quel le poli tiche tradi zionali. Ma perché aveva raggiunto l 'anima del le persone. Raccoma ndo a tutti, specialmente ai giovani, di leggere e rileggere quel genia­ le intenso testo del giova ne Lu kacs, L'anima e le forme. Sarà Husserl poi a sistemare la crisi del le scienze eu ropee. Tutto si tiene. È compito del pensiero ricollega re i fra m menti sparsi di rea ltà . E qu ando questa realtà è la stori a, il compito spetta a l pensiero pol itico.

Ma la globalizzazione solo econ omica n on è stata in qualche modo 'adottata ' anche dalle classi dirigenti progressiste delle dem ocrazie mature? La globalizzazione cosÌ com'è piace molto, e serve molto, al­ le él ite cosmopol ite dell 'impresa , del com mercio, del sapere. È

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la loro vera forma-mondo. Lì operano e lì vivono. Viaggiano con i loro corpi e le loro merci e parlano i n quel latino catto­ lico, nel senso di universale, che è diventata la lingua inglese . Ma come recita la canzone d i Battiato: nel giorno del giud izio non ti sa lverà l'inglese . E qu i guardiamo il fenomeno storico dall'altra parte : il 99 per cento, rispetto all'l per cento. Era bel­ lo questo slogan , si mbol ico non certo statistico, dei movi menti che fu rono. Le popolazioni nazional i questa globa l izzazione la subiscono. Infatti la vivono pagandola nel le loro condizioni di vita quotid iana. È vero: la globalizzazione è stata motore di sviluppo in paesi una volta sottosvi luppati, trascinando fuori dalla povertà mil ioni di persone. Ma solo là dove ha trovato classi dirigenti e istitu zion i fu nzionanti che ne hanno permesso un buon uso pol itico: in grandi paesi dell'Asia , in alcuni dell'A­ merica lati na. È restato fuori, non a caso, gra n parte dell'i m­ menso con tinente africano.

Sostiene che la globalizzazione ha funzionato in quelli che og­ gi son o a pien o titolo i pae si dello svilupp o, mentre si registra una totale mancanza di m ovimento di quello che, per com o­ dità, p otremm o definire il 'nostro Occidente? Eppure siamo di fronte a una inedita questione sociale, rallargamento delle fa sce di povertà nei paesi ricchi. Cos' è questa nuova povertà, com ' è fatta, come va sconfitta? Perché nel mondo 'ricco' la globalizzazione ha esclu so e n on inclu so? Perché ha generato insicurezza sociale diffu sa? Cercare queste risposte può aiuta­ re a comprendere la natura di tanti spostamenti di opinione e di comportamenti di massa. Lo d ico in sintesi , poi cercherò di spiegare. Una forma-mondo senza politica - e io i ntendo: senza direzione pol itica - ha pro­ dotto e riprodotto una pulsione antipol itica globale.

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Mentre Obama era figlio del le magn i fiche sorti e progres­ sive del la global i zzazione, Trump è figlio del passaggio di cri­ si generale di quel l'evento. La fine del capitalismo a centralità dell 'industria è stata presentata ed è stata interpretata come l'avvento di un mondo nuovo, ca rico di i nedite opportunità per tutti, tecnologica mente affascinante, social mente liberato­ rio, politica mente finalmente liberato dalla sua contraddizione fonda menta le, quella tra operai e capitale. Dal 2007-2008, l'ir­ ruzione del la crisi ha fa lsi ficato questa fake news. Non perché non fosse vero il dato strutturale intervenuto, ma perché era fa lso il racconto ideologico che lo mascherava . Avremo modo di approfondi re come progressisti eu ropei e democratici a me­ rican i si siano bevuti con al legria questo allettante frizzantino fino a rimanerne un po' sbronzi . Le sol ite repl iche del la sto­ ria ci hanno detto che il capital ismo, a central ità del la finan­ za globali zzata e rivestito di panni più eleganti, era un mostro non meno violento, forse ancor più predatore, del suo rozzo predecessore sporco di carbone e di ferro. L'esempio è l ì : non sono diminu ite le diseguagl ia nze, le disegu agl ia nze sono solo cambiate . Al posto delle vecchie, le nuove . La nuova questione sociale sta qu i . Questa sorta di proletarizzazione del ceto me­ dio non si era mai vi sta . Il capitalismo industriale, soprattutto nella fase ford ista-taylorista-keynesiana, aveva trattenuto que­ sta profezia marxiana che adesso è dilagata . L'impatto sul sen­ tire comu ne, popolare, è stato pesantissi mo. La conseguenza più immed iata è stata una sorta di plebeizzazione del l'opin ione pubblica che espri meva una rad ical izzazione del disagio socia­ le, trasformato in sofferenza umana negli strati bassi e med io­ bassi del la popolazione. L'i rru zione a gamba tesa di Trump a sconvolgere il radioso ca mmino progressi sta dal presidente nero al presidente donna, viene da lì. Quanto oggi è definito come popu lisnlo, di destra , è un prodotto nato qui da noi, nel le

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pieghe , cioè in alcuni paesi , di questa incerta Europa . Trump lo ha riprodotto in ma niera allargata. E ha molto appesa ntito il problema. Perché ha mostrato che la pu lsione antipol itica non è solo propria di paesi a rretrat i, ma può ripresentarsi dentro le arretratezze dei paesi più avanzati . Come è noto, le pertur­ bazioni atl antiche finiscono per arrivare qui da noi , magari un po' attenu ate. Poi accade , come di norma, che i paesi più fragili che hanno meno d i fese natu ral i finiscono per essere le prime vitti me. Il caso ita liano di nuovo docet, questa volta in negativo. Insomma, per prov visoriamente tirare le fila, la spi nta og­ gettiva e pur positiva della globali zzaz ione si è a un certo pu nto incontrata, e si è scontrata , con quel la insorgenza imprev ista, e però col senno di poi preved ibile, della lunga , lenta e profonda crisi , fi nanziaria prima, econom ica poi . La di mensione mon­ diale è quel la natu rale del capitale come ci insegnò una volta a nche qui un certo Ma rx. È accaduto però che la globa l izza­ zione dello svi luppo è diventata la globalizzazione della crisi, pa rtita in questo caso dai favolosi Stati Uniti e arrivata nel le nostre modeste case. Tutto questo, nel mezzo di un processo di riconversione capitalistica di portata , essa sÌ , vera mente epo­ cale. lo penso che il fenomeno di questa postmoderna dei ndu­ strializzazione sia la causa pri ma e il motore mobile di tutto quanto è avvenuto dopo. È da l ì che andava recitata la litania spesa per ta nte altre futili occasion i : nulla sarà come prima . La fine del mondo industriale ha av uto la stessa sconvolgen­ te e di rompente potenza della fine del mondo contad ino. Non perché scompaiano d'un tratto i protagonisti di quel le epoche, che residuano a lu ngo e rima ngono, di menticati e sol i . Negli immensi paesi a nuova forte industrializzazione, ved iamo il fenomeno ined ito degli opera i che au mentano senza che na­ sca una classe opera ia. Il fatto è che la perdita di centralità di

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quelle presenze, con i loro modi del confl itto, con le loro forme di vita, con la loro storia inca rnata nel lavoro, con le loro tradi­ zioni collettive di sol idarietà , non permette più di fare società . Ma senza di loro si può fare ancora società ? Ch ied ia mocelo al meno. Possiamo nomi nare come forme socia l i quelle in cui spendiamo, qu i , ora, le nostre vite di individui , comprese le nostre vite di lavoro?

Oggi abbiam o ovunque ma sse, infinite distese di individui n on collegati tra di loro. Un intellettuale m olto legato a lei, Alberto Asor Rosa, ripubblicando a mezzo secolo di distanza (1965 -2015) uno dei suoi scritti più celebri, Scrittori e popolo, ha sentito il bisogn o di affiancare a quel testo un nuovo saggio intitolato Scrittori e massa dove, analizzando la realtà cultu ­ rale italiana, evidenzia la 'solitudine' dell'individu o-scrittore (monadi che n on interagiscon o perché manca il collante so­ ciale). Come dunque distinguere tra popolo e ma ssa? Molto opportuno questo richiamo dello sl ittamento da popolo a massa che fa Asor Rosa. Quel mondo di ieri, città e ca mpa­ gna, come si diceva , mondo ru rale e mondo industriale, con­ si steva di figu re umane che si relazionava no tra loro. Non era una connessione senti mentale, come si usa dire oggi , era una connessione sociale che nasceva dal riconosci mento di una for­ ma di vita comu ne, cementata da un proprio pu nto di vista di parte, a sua volta apmentato dalla collettiva orga ni zzazione delle lotte contro i rispettivi pad ron i. Quella era società non solo per loro ma anche per gli altri , cioè per tutti. Era la lotta di classe che teneva insieme 'l'insocievole socievolezza', per dirla con Kant, del mondo borghese. Non è la fine certa , accertata, oggettivamente inevitabile, di quel la cond izione umana che ha messo in crisi le ragioni di tutto quanto oggi si chiama Sin istra .

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No. Piuttosto è non essere ripartiti da l ì per progettare e co­ minciare a praticare una cond izione umana collettiva successi­ va . Il che non poteva avveni re che nella forma di un esercito d i nuovo model lo del lavoro capace d i occupare soggettiva mente la transizione dall'industria alla post-industria, organi zza ndo le figure nuove di lavoratori che quella fase produceva . Il pre­ supposto indispensabile, colpevol mente ma ncato, era una diri­ genza pol itica che assu messe su d i sé l 'eredità storica del movi­ mento operaio e popolare. Sono arrivato a pensare dopo lu nga riflessione che questa omissione di intervento sia die Schuld - termi ne usato recentemente per indica re insieme la colpa e il debito - del ceto politico post-comu nista . M i prendo la mia piccola parte di responsabil ità , per poter dire questo: non di nuovo inizio si doveva parlare né di rifon­ da zione del già visto, ma piuttosto di un 'cercare ancora' stru­ menti inediti e motivazion i diverse sul l 'antico camm ino, lu ngo di secol i , dove era depositato il patrimonio di tutte le aspirazio­ ni, le speranze, le passion i , le rivolte del le classi subalterne . C 'e­ ra da buttar via certo la scorza morta dei fa l l i menti, ma per far risaltare al meglio il nocciolo vivo dei tentativ i . Era forse - e d ico forse, perché nessuno di noi può starsene tranqui l lo nel la sua propria verità - l'unico modo per trattenere dalla propria parte insieme la professione politica e la voca zione popolare. Senza la somma di queste due cose, il risultato è zero.

Cioè, la sinistra non ha messo al sicuro la memoria o, ancor più precisamente, la 'propria ' memoria? Ho pensato , riflettuto e scr itto molto negli ultim i anni su que­ sto tema del la memoria. È un argomento che sento i ntensa men­ te m io. Non ho d i fficoltà a riconoscerlo come naturale conse­ guenza di u na stagione della vita, per dirla con parole bibl iche,

La 'forma-mondo'l

'sazia di giorni'. In tarda età è vero che si vive di ricord i : a volte in man iera curiosamente ossessiva . Sento di continuo parlar male, in particolare nel discorso pol itico, degl i atteggia menti nostalgici . Bisogna disti nguere. Non tutto del passato è da ri­ fiutare o da di menticare. Il nostro passato prossimo è il Nove­ cento. Vedo i ntorno a me molto diffusa la voglia di mandarlo tutto intero al rogo, come qualcuno faceva un tempo di tutti i libri scomodi. E il Novecento è il l ibro di un secolo scomodo. Grandi tragedie storiche ma anche gra nd i imprese umane, col­ lettivamente u mane, di cui si è persa oggi la capacità . E gra nde pensiero di cui si è persa oggi perfi no la possibi lità. Disti nguere dunque sempre del passato ciò che va conservato e ripensato e ciò che va ri fiutato ma non di menticato. Nell'uno e nel l 'altro caso la memoria è indispensabile. Non ne ho parlato, e non ne parlo, solo in questo modo. Converto in politica, o se si vuole uti lizzo in politica, la risorsa del la memori a. In politica la me­ moria è un'arma. Mi riferisco alla mia parte che è quella degl i oppressi e sfruttati, degli umiliati e offesi, come si espresse un grandissi mo infel ice scrittore . M i è capitato di dire che oggi , per questa pa rte , il ricordo del passato è più rivoluzionario di qualunque attual mente possibile progetto per il futuro. Perché il futuro è tutto nelle mani di chi oggi comanda e du nque ci è pratica mente sottratto. Mentre il passato, la memoria del le lotte, delle organizzazion i , dei tentativi, anche falliti, delle spe­ ranze, anche deluse, gli assalti al cielo respinti all'inferno, tut­ to questo nessuno ce lo può togl iere. Devo molto, per questo, al pensiero sovversivo di Benjamin. Ho uti lizzato, per questo, il lavoro intellettuale di un intelligente grande borghese come Warburg. Sono convintissimo di una cosa; e che nessuno la condivida alzo le spalle e mi dico: pazienza. Nella temperie della battagl ia delle idee dovremmo oggi con gesto forte alzare la band iera di

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u na rivend icazione orgogl iosa della nostra storia. Quale sto­ ri a? La storia - io la dico sempre cosÌ - del movimento operaio. Abbiamo com messo l'errore di lasci are che si chiudesse questa storia dentro ristretti ori zzonti: un pezzo di Novecento, quei setta nta anni che hanno gi rato i ntorno al tentativo di costru­ zione comunista del socialismo. Per cui, crol lato quel progetto, si è archiv iata t utta intera quel la vicenda. Ma si tratta di una storia lunga , di lunga durata , perché si misura nei secol i . Pa r­ te da fine Settecento , pri ma rivoluzione industriale, marca la sua presenza nel l 'i ntero Ottocento, con esperienze di lotta e di orga ni zzazione tutte da rivisita re, a rriva al Novecento attra­ versa ndo il secolo da protagonista , detta ndo l'ordine del gior­ no della pol itica e, attraverso questa , facendo storia . Poteva fa rlo perché ven iva da lonta no e si poneva il fi ne di andare molto lonta no. Il movi mento opera io na sce con l'industria, con il capitalismo industriale. LÌ dentro si rea lizza il passaggio da proletariato a classe opera ia, da cla sse in sé a classe per sé , da classe a coscienza di classe per mezzo dell'organ izzazione. Il capitalismo i ndustriale per superare questa sua i nterna con­ tradd i zione ha dovuto supera re sé stesso: anda ndo i ncontro al­ le sue nuove contradd izioni che oggi lo affliggono. È su queste ultime che oggi andrebbe centrato il conflitto. Ma potrebbe fa rlo solo chi si facesse consapevole erede di quel la stori a : for­ me di lotta , esperienze col lettive, solidarity for ever, tutto il potere ai soviet, e prima mutuali smo, associ azionismo, coope­ razione, e poi sindacato e poi pa rtito fi no al tentativo di fa rsi Stato. E patri monio ideale, sistema di pensieri , rigorosa teori a, concezione del mondo e della vita, il tutto scoperto, praticato, ela borato con passione e rea lismo, due di mensioni da riacco­ stare dentro ognuno di noi . Un camm ino luminoso che tutte le ombre in seguito accumulatesi non riescono a oscurare. lo non capisco, vera mente non riesco a capire e mi tormento per

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questo , perché - se non nel momento drammatico del crol lo, al meno nei lunghi anni a seguire - non l'abbiamo messa su questo piano.

A che serve, politicamente, riesumare quella storia in un tem ­ po che neppure la riconosce? Serve inta nto - lo abbiamo detto - per imparare come si lotta . Non solo. Il passato è più forte del futuro per combattere il presente. Il passato c'è stato, sta lì, è qua lcosa di reale. Il futu­ ro è u na fiction che si può raccontare come si vuole. Ho citato Benjamin. Dice tutto la VI del le sue tesi su lla storia : "Il dono di riattizzare nel passato la sci nti lla del la speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall 'idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico che vi nce. E questo ne­ mico non ha smesso di vi ncere". Ecco la colpa nostra di questi anni e di questi decenn i: non abbiamo messo al sicuro il nostro passato. E allora qui c'è il pri ncipio di metodo su cui lavorare : oggi , sta nte l'attuale rapporto di forze, la memoria ha una ca ri­ ca antagon ista , una potenza di rompente, maggiore di qualsiasi utopia . Non a caso dicevo: non solo Novecento. Ma qui si pone un tema forte teorico-politico: il rapporto tra movi mento operaio e modern ità. Movi mento opera io e Moderno, ambedue con la maiuscola perché di pari dign ità . L'irruzione di quel soggetto storico ha cambiato il destino dell'età moderna, le ha dato un altro senso, u n'a ltra forma, un'altra di rezione, un'altra dign ità. Ha raccolto dalla polvere la bandiera del la l iberazione u mana che il Moderno aveva splendida mente progettato al suo in izio e che la selvaggi a accumulazione origi naria di capitale, che an­ cora oggi grida vendetta , non solo ha lasci ato cadere ma ha ca lpestato da allora fino a noi . L'età moderna negli ulti mi due

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secoli, quelli della sua matu rità , è stata i l gra nde campo di bat­ tagl ia dello scontro tra capita l ismo e movi mento operaio con l'indicazione di due destini alternativi per il futu ro dell'essere umano, almeno in Occidente . E il fatto che di questi due desti­ ni alternativi uno abbia vi nto e l'altro abbia perso, l'uno ancora presente e dominante , l'altro scompa rso e dimenticato, questo - non l'abbiamo ancora detto ma lo dobbiamo dire - è stata una tragedia per l'uma nità tutta . Il solo fatto del la lotta tra questi due campi dava un senso alla storia che nel dopo sembra averne perso ogni a ltro. È i n questo contesto d i storia medio­ lu nga che va messo l'esito finale del la vicenda. Dell'89-91 si capisce poco o niente se quel passaggio, quella data d'epoca , non viene col locato qui dentro. Fuori di qui non si vede - e infatti non si è vi sto - dietro l'evento di liberazione anche i l pu nto di catastrofe lì accaduto. L a storia l a scrivono i vincitori solo quando i vi nti rinunci ano a scrivere la propria stori a . Nel 2004, arrivato alla presidenza del Centro per la R i forma del lo Stato (Crs) , ho proposto di ca mbiare i l logo e ho scelto il fa mo­ so quad ro di El Lissitzky, Il cuneo rosso che colpisce i bianchi. Beh, noi oggi sappiamo che il cu neo rosso si è infranto su quel cerchio bi anco. Non solo va saputo ma va elaborato quel lutto, a ltri menti ce lo portiamo nel l'i nconscio e condiziona - eccome se ha condizionato! - tutto il pensa re e l'agi re di questi an ni. Un passaggio anche tragico, ecco che cosa è stato 1'89 e anco­ ra di più il ' 9 1 . Vedo pau rosa mente assente nel la sensibil ità di giudizio del la sinistra di oggi questa di mensione tragica della stori a umana. Si è teori zzata la leggerezza proprio mentre il corso storico girava pesantemente su sé stesso nell 'intento di stabilizzare cosÌ il vecchio ordine, introducendo, bisogna dire proprio per questa via, le necessarie novità, ma solo per sé, per le sue esigenze di nuovo ordine. Il di sorientamento politico di massa , visibile nei flussi selvaggi del consenso, che colpisce

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oggi insieme classi d irigenti e masse di popolo, ha lì le sue ori­ gin i profonde. Avremo certa mente modo di tornare più avanti su questi ar­ gomenti. Adesso, qui , voglio farmi forza per indicare un m io proprio stato d'animo, che sta dietro e i n fondo a tutto i ntero questo discorso. Anche il pensiero, quando è pensiero pratico, ha i suoi stati d'animo. A llora è bene esplicitarlo fin da queste battute iniziali. Dicevo di aver lavorato molto negli ultimi anni sul tema della memoria . Ne ho scritto e ne ho parlato. Non a caso ho citato Wa rburg. Mi sono i nvaghito del suo proget­ to rea lizzato di un Atlante della memoria sui tem i e le for­ me della tradizione classica . E ho immaginato di realizzare un

Atlante della memoria operaia sui tem i e le forme di questa trad izione moderna, u na Mnemosyne per immagini commen­ tate della vita e del le lotte delle classi oppresse a l ivel lo mondo, al meno dalla prima rivoluzione industriale in poi. Nel la soli­ tudine politica i n cui m i trovo a pensare queste cose non ho né le risorse né le forze anche solo per impostare il lavoro. E d ico questo perché mi pare di aver ind ividu ato il peccato origi nale della crisi di questa cosa vaga , incolore e insapore che si chia­ ma oggi Sinistra . Uso questi term ini, perché mi viene in mente un'espressione caustica di quella bella testa che era Lucio Col­ letti fi nché è stato marxista . Una volta gli chiesero un giudizio su Ralf Dahrendorf e la risposta fu : lo trovo insipido, come la minestri na delle suore. Ecco, siamo lì. Andiamo a cercare la causa prima del la loro attuale irriconoscibilità per ex so­ cialdemocratici, che non hanno nulla a che fare con la grande socialdemocrazia classica, ed ex comun isti italiani, cosÌ solerti nel proporsi di cancellare ogni traccia di sé stessi che di loro al momento è rimasto un bel niente . A m io personale parere , la ragione originaria è di aver rotto con la propria storia che era una sola, comune, gloriosa e tragica , come è sempre anche

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tragica ogn i gloria umana, la storia lu nga del movi mento ope­ raio. Una forza popol are di alternativa, una forza politica di trasformazione che non ha, o add irittura rifiuta, nel la propria immagine il patri mon io av uto in ered ità da quella storia - non per riprodu rlo ma per 'superarlo' davvero, con tutto il profon­ do sign i ficato che ha fi losoficamente il concetto hegel iano di 'superamento' -, è u na forza che non poteva risultare cred ibile e apprezzabile per quel la pa rte di società che doveva rappre­ sentare e mobi l ita re. E infatti non lo è stata e non lo è. Compito di quell i che erano stati i protagonisti novecenteschi della po­ litica ispirata al mov imento operaio era quello di trasmettere alle nuove generazioni quel la memoria. Av rebbero prodotto classi di rigenti nuove fuori da quel la storia, coltivate non nel mito dell'inarrestabile progresso, pronte a insegu ire il nuovo che ava nzava, ma nella passione delle antiche lotte in cond izio­ ni pu r ta nto diverse .

Nel dibattito a sinistra queste sue riflessioni, professore, mi sembrano non solo molto isolate, ma esplicitamente contrastate . . . Non si preoccupi: lo vedo con chiarezza. Non mi scoraggio per cosÌ poco. E poi ci sono abituato. Oggi nel parlare di politica conta più l'indice di ascolto che il va lore del le idee . Ma cosÌ fin isci per dire solo quello che si vuole ascoltare. Questo dise­ gna la figu ra o del pragmatico o del demagogo, non del politi­ co. Quello che conta per me è come fai pol itica, cioè come fa i opposizione, come fa i governo, come fa i organi zzazione del la tua pa rte. E pri ma ancora di tutto questo, più essenziale direi di tutto questo, conta come tu vivi, dove vivi, in mezzo a chi, come stai in questo mondo, come ti proponi, come vieni per­ cepito, in modo che quelli che tu difendi e per i qua l i combatti

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ti riconoscano come u no di loro. Tutto dipende se pensi e agi­ sci con quell'animo o con un animo estraneo, o add irittura con nessun animo. Spesso il poeta dice megl io del pensatore la motivazione interiore . El iot, nell'ultimo dei Quattro quar­

tetti, Little Gidding: "Noi abbiamo preso dai vi nti / Quel lo che aveva no da lasciarci, un simbolo". Né pragmatica mente né demagogica mente ma è si mbol ica mente che il politico del la trasformazione deve essere presente presso il suo popolo. Benjamin , a ncora lui, ha lasciato scritto e io ho letto, e cre­ do di aver letto con profitto, che la vera risorsa rivoluzionaria sta di più negli 'antenati asserviti' che nei 'd iscendenti l iberati'. Vedo intorno a me tanti di questi di scendenti liberati, politici e intel lettuali, e li trovo perduti . Non c'è più dentro di loro il ' fuoco nel la mente', come recitava il titolo di u n bel libro che dipi ngeva una gal leria di civil i e umani, molto umani, sovversi­ vi . Nei momenti di sconforto mi capita di vedere in im magine, come in u n film - il cinema ha docu mentato tanto di questo -, quelle figure di di rigenti e di mil itanti , persone di vero popolo, che non rassegnate allo sfrutta mento e all'oppressione lottava­ no non per sé, ma per gl i altri , per i propri e per tutti , pagando di persona . E allora, quando non mi vede nessuno confesso di lasciare li bere le lacri me d i scorrere dagli occh i . Non è melan­ conia di sin istra , è fu rore d'uomo per la rabbi a che si sia pro­ dotto questo vuoto assassino di passione . E batto i pugni sulle ginocchia, per non poter fare altro . . .

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A ogni tornata elettorale, si addensano nuvoloni sempre più plumbei nel cielo stellato d 'Europa. Lei, professore, si colloca dalla parte europeista della barricata . Non a caso, la maggior parte dei suoi interventi in Senato nella legislatura appena trascorsa sono stati dedicati al tema dell 'Europa e, in partico­ lare, a un processo di riforme non più rinviabili. Ne ricordo uno in cui parlò di 'malessere europeo'. Sì, ripresi quell'espressione, 'malessere europeo', da u n articolo sul Corriere della Sera di Claudio Magris, prestigioso testi mo­ ne della civiltà letteraria m itteleuropea. Il presidente del Consi­ glio Paolo Gentiloni aveva parlato in quel la seduta di 'momento di transizione' e di 'fase contraddittoria' dell' Unione Europea . Dissi che occorreva aggiungere al d isagio sociale anche una sorta di disagio esistenziale, che era intervenuto nel l'apparte­ nenza europea a l ivello consistente d i massa . La situazione che ne è segu ita ha accentuato questo aspetto. Siamo d i fronte a un momento d i crisi del progetto di costruzione dell'Europa , certificato da tanto senti mento popolare. Le elezioni per i l Parla mento europeo del la pri mavera del 201 9 vanno affron­ tate come un passaggio strategico decisivo. Bisogna d isporsi a

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combattere quel la battagl ia con forte determ inazione e con lu­ cida intel l igenza. I l pericolo sovra nista antieuropeo incombe. Va approntata una decisa risposta mobil itante.

Non è forse troppo tardi per restituire ai cittadini fiducia e speranza nell 'Unione? M i permetta di fare un passo di storia all'indietro, con un richiamo che sembra stravaga nte ma che invece ci fa entrare nell'intimo del problema . " La Germania non è più uno Sta­ to": cosÌ recitava l'incipit di quel testo pol itico che Hegel scrisse tra il 1799 e il 1 802 , che non concluse e non pubbl icò perché gli avveni menti che segu irono, nel passaggio dalla rivoluzione fra ncese all'età napoleonica, non rendevano proprio im med ia­ tamente rea lizzabile quel progetto - in parte simile a quello del

Principe di Machiavelli, espl icita mente citato - di un primato della pol itica per l'uni ficazione del paese. Capita spesso al filo­ sofo di vedere smentite nel l'immed iato le sue analisi pratiche, per vederle poi recuperate in un tempo successivo non si sa mai quanto lu ngo. Ch issà , m io gentile interlocutore , se non sia que­ sto il desti no che attende anche questo nostro libello. Consigl ierei agl i europeisti convinti, tra i quali senz'altro m i colloco, u n'opera zione intel lettuale: leggere questo testo e sostituire alla pa rola Germa nia la parola Europa . Non tutto, special mente nelle singole proposte, coinciderebbe ma su punti signi ficativi di ind irizzo genera le la corrispondenza risulta ad­ di rittura eloquente. Com incio io, per vedere se fu nziona . Uso il testo che si trova in Scritti politici di Hegel , a cura di Claudio Cesa (Einaud i, 1 974) . Inta nto, un appu nto di metodo. Il fi ne e l'obiettivo, in questo caso, è 'comprendere ciò che è'. Avverte il fi losofo: "È d i fficile per gl i uom ini elevarsi all'abitudine di cer­ care di conoscere la necessità , e di pensa rla: tra gli accad imenti

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L'idea Europal

e la libera interpreta zione di essi, i più interpongono infatti tut­ ta una quantità di concetti e di fini, e pretendono che ciò che accade debba essere con forme a questi ". Avverten za importan­ te . Vedo in giro un europeismo che è o retorico o pragmatico, l'uno e l'altro entrati in confl itto con la percezione che il citta­ dino comune ha dell' Un ione Europea cosÌ com'è oggi, vista e subÌta come l'arcigno guardiano dei conti , anche in tasca lo­ ro. Un'im magine che, invece di creare comune appa rtenenza , produce piuttosto reazioni diverse, di indifferenza , di ffiden za, scetticismo, ostilità. Prima di conti nuare, faccio una dichiarazione di principio che vale anche per il resto del nostro discorso e che poi avremo modo di articolare megl io. È una postazione inattuale, che mi crea molte incomprension i . Ma è la mia, e non da oggi. Hegel , in questo caso, è mio maestro di pol itica più che di filosofia. D ice cosÌ e io lo seguo: " Data l'estensione degl i Stati odiern i è del tutto irrealizzabile l'ideale per il quale ogni uomo li bero debba aver pa rte alle del iberazioni e alle decisioni sulle que­ stion i politiche genera li. Il potere statale deve concentrarsi in un punto, sia per l'esecuzione, che spetta al governo, sia per la decisione rel ativa". Se c'è un criterio in base al quale schierar­ mi a favore o contro una data forma zione pol itica è se essa ha un'idea e una pratica della democrazia rappresentativa , o il suo contrario. Oggi quel contrario va sotto il nome i mproprio di democrazia diretta , ma è democrazia immedi ata , cioè puro e sempl ice rifiuto della medi azione, che è niente altro che ri fiuto della pol itica nel la sua accezione moderna. È quindi una po­ sizione non nobil mente conservatrice, ma biecamente reazio­ naria. Come tale va trattata , tenendo ferma la fonda mentale distinzione tra conservazione e reazione. Ma, riprendendo il fi lo, perché Hegel dice: "la Germania non è più u no Stato", se non lo era mai stata? E si potrebbe

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d i re: "l'Europa non è più uno Stato", se non lo è mai stat a ? Penso c h e t r a i l non p i ù e i l n o n ancora ci sia, e debba esserci, un rapporto dialettico che il pensiero deve coltivare. CosÌ il discorso sul passato può accennare alla prospettiva futura . S i sta d icendo che 'deve'. Non so se i padri fondatori dell'idea di Europa, politici d i l ivello, a conclusione delle guerre civili eu­ ropee, abbiano inteso di mettere fine cosÌ alla vicenda moder­ na dello Stato-nazione. Mi piace crederlo. Era un'idea da alta politica. Forse è ma ncato un Hegel che la pensasse . Sta d i fatto che quell 'idea ha avuto una rea li zzazione da bassa pol itica. S i è partiti d a l mettere insieme le materie prime p e r arrivare a mettere insieme i sold i . Si credeva che creata questa struttura sarebbe spuntata, d i conseguenza, la sovrastruttura politica. Un'idea da cattivo materialismo storico. Tutto quello che è a r­ rivato, cil iegina sulla torta, è un Parlamento europeo zoppo, con ogni nazione che elegge i suoi rappresentanti in Europa, non i rappresentanti dell 'Europa.

Va detto che il mondo era spaccato a metà come una mela e che tEuropa occidentale risentiva, e molto, deltingerenza americana . . . Certo, c'era d i mezzo la guerra fredda e c'era l'occupazione americana, prima m ilitare, poi econom ica, poi culturale, che non gradiva troppa autonom ia del politico del la 'vecchia' Eu­ ropa . Ci soccorre d i nuovo il testo di Hegel : "A nche se tutte le parti guadagnerebbero dal fatto che la Germania (tEuro­ pa ) d iventasse uno Stato, resta vero che un sim ile evento non è mai stato frutto della convinzione, ma della forza". E, dopo uno straord inario elogio, appunto, del nostro Machiavell i, evoca seguendolo la figura di un Teseo, d i cui già Plutarco aveva scritto che "d i un popolo fi nora disu n ito [ . . . ] fece u na

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sola città": "Ai potenti promise un governo repubbl icano e de­ mocratico, in c u i egli sarebbe figurato solo come comandante supremo dell'esercito, e custode del le leggi , mentre per il resto tutti avrebbero goduto di uguali d iritti ". È evidente, com menta Hegel, che ai nostri tempi e in grandi Stati, in una costituzione democratica "la partecipazione sarebbe una organizzazione". Come si vede, commento io, il fi losofo prussia no aveva le idee più chi are dei nostri contemporanei democratici . La partecipa­ zione, senza organizzazione, "a i nostri tempi e in gra ndi Sta­ ti", è i mpossibile, e posso aggiungere, lezione d i oggi, anche alquanto pericolosa. Ho abusato d i citazioni hegeliane, ma non posso esimermi da quest'ultima, che parla d i noi, se sostituiamo la figu ra per­ sonale di Teseo con quella di una classe dirigente, al comando politico dei processi: "[ . . . ] dovrebbe avere tanto ca rattere da accettare volonta ria mente l'odio che attirarono su di sé R i ­ chelieu e altri grandi uomini, quel l i che spezzarono i pa rtico­ larismi e le singola rità degli uomini". E adesso mi rimane da scusarmi per questo excursus classico. L'ho presa da lontano. Troppo. Ma, a pa rte che so fare solo questo, c'è anche un altro motivo: nuotare nella storia è i l modo, forse l'unico, per non annegare nella cronaca .

Veniamo, allora , all'Europa di oggi , a quella che è, a come è percepita dalle opinioni pubbliche continentali, e a quella che si dovrebbe, da sinistra , ricostruire politicamente e cultural­ mente. Perché, a suo parere, le forze che più convintamente oggi si occupano di Europa sono quelle, detto in modo gros­ solano, di destra? Non le sembra un paradosso che chi vuole demolire l'Europa sia quotidianamente all'opera, mentre chi ne immagina un'altra o annaspa o troppo spesso cade nella vuota retorica?

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Fa bene a richiam armi al qui e ora . Lo faccia spesso, m i racco­ ma ndo, perché tendo, come vede, a troppo al lontanarm i . Av­ vici niamoci al lora al tema. In fondo, i conti li dobbiamo fare con il presente che ci tocca vivere. Siamo nel la cond izione in cui tra l'idea Europa e la realtà Europa si è creato un fossato che non sepa ra solta nto, add irittura oppone. Questa Europa non si è fatta amare dai suoi cittad ini e molti di questi ormai la trad iscono. Altri a mori : liaisons dangereuses con forze e figure decisa mente poco raccomanda bili ma le uniche che pa rlano e agiscono contro. È nuova destra ma non quel la minorita ria di qua lche decen nio fa , nosta lgica del passato. È destra dura e pura, a vocazione maggioritaria, con pretese di futu ro. E un'a l­ tra novità è la sua sponda atlantica, quel la del resto che amava pratica re la vecchia sinistra, a cui è stata sottratta . È dall'Ame­

rica first che viene il 'pri ma gli ital ian i'. Dal muro ai con fini del Messico viene la chiusura dei port i . Dall'outsider Trump, la ricerca di un governa nte che non abbia mai fatto pol itica . L'elezione di Trump è stata un passaggio trau matico per la ra­ gione del mondo che viene dal l'Occidente. E determina nte per le nostre sorti, nazionali e conti nentali, su cui si è speso ben poco pensiero e quasi nessun tipo di azione. Pa rentesi . Faccio qui una mia osservazione, di quelle che pe­ stano i piedi ai democratici progressisti. Se il sa nto Obama, dopo due mandati presidenziali, consegna gl i Stati Un iti nelle mani del demon io Trump, qua lcosa deve non aver fu nzionato nella sua missione salvi fica. O no? CosÌ, se anni d i governo a guida centrosi nistra provocano una reazione di massa tutta e solo contro, e proprio per questo motivo mala mente ind irizza­ ta, non è il caso di sedersi un momento per porsi l'opportuna domandina: dove abbiamo sbagl iato ? Ch iusa parentes i. Si profila una destra-mondo con caratteristiche assa i si­ m i l i . I n comune qualcosa che sono indeciso se definire un

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L'idea Eu ropal

contradd ittorio inconscio collettivo o un appa rato ideologico consapevole: con questo dire di essere loro oggi il cambiamen­ to, facendo impressiona nti non ritorni ma add irittura salti all'indietro. Parole nuove per cose che più vecch ie di cosÌ non potrebbero essere . Sovra nismo è termine pul ito per fa re , ri fare, quel la cosa un po' sporca che è stato il naziona lismo. Il ri fiuto del migrante nasconde quella cosa ancora più sporca che è i l razzismo. L a guerra dei dazi d a un lato, 1 'anti-moneta comune dall'altro, segnano un ritorno al protezionismo e qu ind i a ll'iso­ lazionismo. E tutti in coro non predicano un'altra politica ma l'antipol itica . La verità è che l'idea Europa , dopo i visionari padri fonda­ tori , non l'ha coltivata più nessuno. E sapete al fondo perché ? Esprimo anche qui un'opi nione personale, che so cond ivisa da nessu no. Perché gl i america ni non grad ivano. L'atteggia mento che verso l'Europa esprime ora Trump con hard power, gli al­ tri presidenti, repubblica ni o democratici, lo espri meva no con

50ft po wer. Poi, a pa rte , ma anche con nesse a questa cond i­ zione, ci sono le colpe del le classi d irigenti naziona l i eu ropee. A lle quali questa Europa rea ltà - l'Europa com'è oggi - basta e avanza, per tenere al meno al sicuro (visto che non sono nem­ meno capaci di sviluppare) produ zioni, consu m i , traffici e, so­ prattutto ormai, giochi finanziari. Si potrebbe usare la formu­ la: "l'Europa non è più uno Stato", per dire che questa Europa rea l izzata non è più Europa , come il socia l ismo che quando si trovò rea li zzato non era più social ismo. C'è un bel lissi mo testo di Romano Guardi ni ( 1 962) , Europa ,

realtà e compito. Qu i , il compito è 'destino', questo pregna nte, profondo concetto come lo ha declinato il pensiero moderno: non il fato degl i antichi ma una missione da compiere che sta, però, i nca rnata nel le fibre del soggetto chia mato a compier­ la. Compito tragico, perché trova dinanzi a sé, contro di sé,

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potenze del la storia, che lo ostacola no, lo impediscono. L' Eu­ ropa pol itica , una sovranazionalità statuale, natura lmente fe­ derale, è tuttora l'isola che non c'è. Fuori discussione che l'idea si sia presentata come utopia. Basta ricordare la mal gestita v icenda della mancata Costituzione europea. R icordo, tra l'a l­ tro, il superficiale d ibattito se andavano richia mate nella Carta le radici cristiane dell' Europa. Ma il problema non era quel­ lo di una certificazione scritta . Il problema era riconoscere da pa rte di tutti, intimamente, che il sentire comune del cristiane­ simo, cattol ico, protestante, ortodosso che fosse, era un lega­ me spi rituale che un iva , non divideva . Forse l'unico che univa e non divideva . Lo aveva capito ed espresso tragicamente papa Ratzinger. Non è con la secolarizzazione che si dà spirito a un'azione. C 'è anche una sacra l ità nell'idea Europa. Nova l is:

Christenheit oder Europa , Cristianità ovvero Europa . Ma che cosa bisognava fare perché Europa diventasse "u n'utopia con­ creta", per usare la formula di Ernst Bloch, cioè un progetto visiona rio realizzabi le ? Forse prendendola da lonta no, con pic­ col i passi graduali, però dichiarati per quello che erano, cioè un ca mmino politico verso un fi ne pol itico. Che non neces­ saria mente avrebbe dovuto essere alternativo a quello che si è segu ito, una preordinazione del la base econom ica e monetaria; poteva benissi mo accompagnarlo. Adesso ved iamo che non è ba stato un Pa rla mento eu ropeo diviso per gruppi di eletti che si iscrivono a partiti europei che non esi stono a l ivello nazio­ nale. Quale elettore del le elezion i europee sa che sta votando per il pa rtito popolare o per il pa rtito dei socialisti e dei de­ mocratici 'europei ' ? Vota alle elezioni europee come vota alle elezioni nazionali. Quelle europee sono pratica mente elezioni a medio termine all'interno delle nazioni. Bisognava m i rare a una Comm issione politica acca nto alla Commissione econo­ mica , al posto d i un Consiglio europeo qual è oggi , reiterante

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L'idea Europal

inutili riunioni consultive dei va ri capi di governo. Un governo politico del l'Europa , non dico che non si è rea lizzato, non è stato nemmeno prefigurato. Un embrione d i potere esecutivo non è stato neppu re adombrato. Come si può parlare d i un co­ mune destino europeo senza assu mere in proprio quel princi ­ pio bismarckiano che detta i l primato della politica estera ? Può esistere un'Unione Europea senza un unico apparato d i difesa , senza un esercito comune? Un'Europa che si sente sicura sotto l'ombrello della Nato, pagandolo con l'ormai inveterata abitu­ d ine delle basi america ne sul suo territorio, già solo per questo si condanna a essere una provincia del l'i mpero. Come volete che un'Europa cosÌ scaldi i cuori dei suoi cittad i n i ?

Se n01J ho capito male lei, professore, sta disegnando un inter­ nazionalismo europeo da contrapporre agli egoismi sovranisti nazionali. È così? Nella mia tradizione d i pensiero, che è quella del movimento opera io, la categoria di i nternaziona lismo ha un posto centra­ le. Conosco il grande tema teorico della 'sovra nità politica', che i sovranisti d i oggi non sanno nemmeno che cosa sia. Quel compito/destino di cui parlavamo dovrebbe consistere in un trasferi mento di sovranità pol itica da un popo]o nazionale a un popolo europeo, da un popolo-nazione a un popolo- Euro­ pa. Processo che può essere gestito solo come una transizione, progettata attraverso passaggi gradu a l i ma consapevolmente finalizzata, portata ava nti con cautela, ma con la forza della convinzione. Perché convincere all'Europa pol itica può fa rlo solo una credibile forza sovra naziona le, prefigu rata da classi d irigenti che pensano e sentono e operano già a quell'altezza : classi dirigenti nazional i con una mentalità politica mente e cultura lmente europea.

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È qui però il problema dei problem i . Il progetto di una sta­ tualità europea era u n'idea-forza di tale poten za che avrebbe av uto bisogno di una soggettiv ità politica , armata di pensiero e dotata di u na superlativa capacità di azione. Esattamente quel­ lo che è mancato. Si può riprendere, nel le attuali cond izion i, quel ca mmino e quel fine politico? lo dico: al meno prova rci.

È necessario però non difendere l'Europa cosÌ com'è contro gli ant ieu ropei. Ma com inciare a parlare del l'altra Europa . A i sovranismi nazionali antieu ropei contrapporre un sovran ismo eu ropeo. È a ncora una lu nga marcia quella che può portare non solo a una Konstitution , una Carta, ma a una Verfassung, come Grund, fonda mento di un sent ire comune e di un vivere solidale di un popolo eu ropeo. Un'Anima per u no Stato so­ vranazionale. La precond izione è fi n da subito pensare e prati­ care 'u n'autonom ia del la politica' del conti nente Eu ropa nella condizione del la presente forma-mondo. I processi non vanno forzati, va nno gest iti . E gestiti con accortezza . Se si è a rrivati a questi ritorni identitari nazional isti e add irittura a queste ri­ vend icazioni sepa ratiste all'interno del le nazioni, forse qua lche cattiva gestione del processo di u n ità europea c'è stata. Si è sottova lutato, ad esempio, il peso storico della trad izione che portava con sé la rea ltà dello Stato-na zione, ma neggiando e d i ffondendo una retorica europeista, contrasta nte, dicevamo, con u na percezione diffusa , che dall'ind ifferenza andava verso l 'ostilità. Il limite degl i innovatori, un l i m ite di concezione del­ la pol itica, è sempre quello di non fare i conti con il peso del la tradizione. Attenti , perché questa poi si vend ica e travolge il nuovo che avanza. O almeno lo ricaccia ind ietro. Non è quello a cui stiamo assistendo? Questa superba costru zione, tra l'altro solo europea, che ha visto dal Cinquecento in poi l'i ncontro tra lo Stato e la Nazione, si è radicata profonda mente nel vissuto quotidiano, non solo dei popol i ma dei cittadini. Cerco di non

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L'idea Europal

usare il termine 'patria', rivestitosi di ambigue accentuazioni e applicatosi a pericolose realizzazioni. Ma c'è nel l'uomo comu­ ne, nel cittadino normale, questo sentimento di appa rtenenza a una terra , a una li ngua, a una storia . Si è parl ato del la so­ l itudine dell'individuo globale. Tra la persona sola e il mon­ do grande e terribile ci deve essere qualcosa di concreta mente vicino a cui aggrapparsi quotidiana mente. La globalizzazione dei processi accentua questo bisogno di prossi m ità. È un'osser­ vazione banale ma fa capi re di più forse di una di mostrazione scienti fica . Assistian10 tutti ai Campionati del mondo di calcio o ai G iochi ol i mpici . Osservate quegli spalti grem iti di tifosi, venuti da lonta no, acca lorati e colorati, avvolti ognuno nella propria ba ndiera , maga ri con la mano sul cuore al momento dell'inno nazionale. Mi è capitato di espri mere anche un'emo­ zione nel vedere le piazze del popolo cata lano, tra l'entusiasmo e le lacrime, per una rivend icazione di qualcosa che si sentiva come propria e che si vedeva espropriata. Non si può nega re un senti mento di questo tipo senza offrirne un altro. È solo futuribile un senti mento europeo di questa i ntensità, o lo si può trasformare in u n progetto razionale a cui lavora re, per cui lottare? La vicenda del lo Stato-nazione, l'Europa degli Stati-nazio­ ne , ha portato guerre ma ha portato anche civi l izzazione. Ha fatto storia e storia lu nga . Non si supera con u n Trattato di M aastricht, con una Banca centrale di Francoforte, con una Commi ssione economica di Bruxelles e nem meno con un Par­ la mento di Strasbu rgo. È, ripeto, una lunga , lenta, progettua­ le predisposizione di un popolo europeo. Parleremo poi più avanti di popolo. M a quel la 'costruzione' di popolo, di cui ci ha parlato Laclau, può essere i l grande pari, la grande scom­ messa, da tentare a l ivel lo sovra nazionale e sovrastatuale, non come cancel lazione del negativo ma come supera mento

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positivo di Nazione e di Stato? Lo pongo in qua nto problema. E so bene quanto la soluzione si presenti complessa da fare e di fficile perfino da d ire, al momento i mpraticabi le, irta di con­ trasti tra necessaria forzatu ra dall'alto e altretta nto necessaria lessinghiana educazione del l'umanità nel basso di un sociale, ta nto più oggi e forse doma ni, renitente e confuso. Se c'era una forza politica, forse la sola i n grado di caricarsi sulle spal le questa m issione , era quella sinistra europea che abbiamo detto ma ncata erede del la storia del movi mento operaio, che aveva dietro di sé, appunto, quel la straordi naria tradizione di inter­ nazional ismo proleta rio. Quel grido originario, produttore di tante eroiche lotte: proletari di tutti i paesi , unitevi , poteva tradursi nel progetto: popol i del le nazion i europee, uni fica­ tevi? Va bene. Derubrich ia mo questo nel libro dei sogni. Ma ricordiamoci che 'il sogno d i una cosa', portato nel cuore di masse pol iticizzate , è stato a nche capace nel passato di smuo­ vere montagne. Al lora , ri mettendo i piedi per terra , cominciamo però ad al­ zare lo sguardo.

Ma come pu ò la sinistra europea concretamente trasferire appartenenza, identità, partecipazione dagli Stati-nazione a quello Stato-continente che l'Europa potrebbe essere e oggi non è? Charles Ma ier, in Leviatano 2 .0. La costruzione dello Stato

moderno (Einaudi, 201 8 ) , ci ricorda che sono ben 193 gli Stati che fa nno oggi pa rte dell 'Onu. E fissa due gra ndi cicli di Sta­

te building: 1750-1850 e 1850-1 980. Dopodiché - di nuovo gli anni Otta nta del Novecento come punto d i svolta - un terzo ciclo comincia a vedere "un governo senza un'essenza statale", quella che ora si chiama governance, con "un senso fluido del

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L'idea Europal

territorio" e in una prospettiva , però, appena accennata e an­ cora incerta verso la formazione di u na "comun ità tra nsnazio­ na Ie". Quindi, c'è un processo oggettivo di supera mento della tradizionale struttura storica naziona lstata le. Quando un pro­ getto soggettivo può iscriversi su una tendenza oggettivamente in atto, la sua rea lizzazione pratica conquista u na possibilità concreta. R ipeto i l m io refrain: indispensabile è leggere il tutto con occhi politici. Dopo lo Stato-nazione, non solo si i ntrave­ dono ma entra no decisa mente in campo geopolitico tra Ame­ rica e Asia Stati-continente. Può l'Europa permettersi d i non sa l i re a questa altezza di presenza del mondo? Può continuare a mandare i n giro per il pianeta la ridicola fotogra fia d i ven­ totto, oggi ventisette, i mpettiti capi di Stato, tra l'altro riuniti per decidere n iente?

È stato u n errore l'allargamento dell'Un ione. Non ha raffor­ zato l'idea Europa, l'ha i ndebol ita. Ha i ntrodotto altre piccole patrie in un progetto di supera mento delle grandi patrie, altre identità nazionali di contrasto a una forma d i potere sovrana­ zionale. E si vedono le conseguenze. Oggi è diventato ancora più difficile decidere sul destino di Europa . Nel l'allarga mento non c'è stato nessun pensiero strategico, solo la bassa po] itica di favorire e rinsaldare u na corona di Stati-cuscinetto a ege­ monia euro-americana sui con fini europei della Russia. Non a caso, l'hanno voluto in primis G ran Bretagna e Usa . E ora abbiamo il Muro di Visegrad a l posto del Muro d i Berl ino. Contro quale pericolo non si riesce a capire. I l vero pericolo ce lo siamo preso noi, ritrova ndoci con legittimati paesi anti-eu­ ropei nel quotidiano del le politiche europee . Eppure si dovreb­ be aver capito che nelle cond izioni od ierne le piccole nazioni sono più pericolose del le grandi nazioni, perché in casi sempre più frequenti, per sentirsi e per sembrare alla pari, adotta no cattive copie di politica di potenza e, di conseguenza , come

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ba mbini si mettono a giocare con le armi degl i adulti. Ma direi che il pericolo maggiore oggi viene da quel la forma di nazio­ ne, non nuova del resto, che si identi fica con una etnia, a sua volta riconosciuta in una rel igione. È u na forma degenerata del lo Stato-nazione che sempre presupponeva un popolo non una razza, o una setta. L' Europa ha ben conosciuto le guerre di rel igione e per fino questa Europa di oggi ha saputo da tempo e sa come difendersi . L' Eu ropa reale è tuttora un modello di civile convivenza fra Stati, Nazion i, culture , fed i . Voglio dirlo, prima di affrontare di peso la mia idea di Europa . Nella criti­ ca, non voglio confonderm i con nessuno dei preoccupa nti cre­ scenti sentiment i d i ostil ità , scetticismo, indifferenza . Megl io questa Europa che nessu na Europa . Non si pa rte da zero. Direi che siamo a metà strad a. Sta a noi ind icare alle nuove genera­ zioni, per usare la formula di una gra nde mente europea , Carl Gustav Jung, "la via d i quel che ha da ven ire". Qui ci vuole una vasta, ragionata , appassionata operazio­ ne di educazione pol itica all 'idea di Europa, sim ile a quel la che avven ne su ll 'idea di Nazione che non trovò certo minori resi sten ze. E ripartire dalle nuove generazioni, che sono già, direi per istinto, generazioni globa l izzate . Ci sono i giova ni che circolano per l'Europa via Erasmus, e ci sono i giovani, tanto più numerosi , che lavora no nei paesi del cont inente , con ma nsioni spesso u m i l i e con att ività a volte molto qualificate e presenze add irittura di eccel len za . Ma, attenzione, le giovan i genera zioni non va nno retorica mente evocate come una risor­ sa già pronta per superare le resistenze del le generazion i più vecchie. I giova ni stessi va nno prepa rati, guidati, orientati su questa nuova di mensione materiale e ideale, nella scuola, nel le un iversità , su l lavoro, nel quotid iano del la società civile, nel la pa lestra del la lotta politica.

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L'idea Eu ropal

Però non ha ancora chiarito qual è la sua idea di Europa . . . Come si può salvare l'Europa da quello che è stato definito ' il tramonto dell 'Occidente'? "Il m io tempo . . . mentre lo espri mevo, io ero per lo più av­ verso". Non so quante volte ho citato questa frase di Thomas Mann, pronunci ata in un discorso a l l ' Un iversità di Chicago, nel 1 950. Forse per questo motivo: che dice fin troppo bene sul mio umore i ntellettuale, più o meno da sempre. Ma perché mi torna in mente qui adesso su questo argomento? Perché sto per parlare del la 'mia Europa'. CosÌ com'è oggi non mi piace. E si è capito da quanto detto sopra . Eppure, in modo assoluto, non vorrei essere nato in un altrove da questo caro Vecchio Con­ tinente, o Vecch io Mondo, se il Nuovo Mondo è quel l 'a ltro, quel lo da cui Dvofcik inviava "agl i amici di Boemia" la lettera del la sua sinfonia n. 9. L'Europa terra di mezzo, tra Ovest ed Est, Occidente e Oriente, civiltà occidenta le e civi ltà orienta le; tra Nord e Sud , sviluppo e sottosvi luppo, città e campagna , civi ltà u rbana e civiltà contad ina. In mezzo a tutto. Con dentro qu asi tutta intera la storia umana. Dall'A ntico al Moderno, at­ traversando mille anni di Evo Med io che - solo una volta usciti dalla scuola e l iberati dai Lu mi - abbiamo potuto apprezzare nel la sua essenziale grandezza . Si pensi a quei popol i d i m idia­ ti che hanno nella cassetta degl i attrezzi di comprensione del mondo e del la vita il solo Moderno. Ed è ov vio a ch i mi riferi­ sco. Quelli che hanno, come propria trad izione, una storia solo moderna . Capisco che rimanga loro solo la possibil ità di inven­ tarsi il postmoderno. Per quel la via che cosa possono arrivare a sapere del mi stero eterno del l 'essere umano ? E poi , dalla Grecia alla Germa nia passando per Roma: questa è Europa . Ed è an­ che l'itinerarium mentis, non posso dire in Deum, ma certo ad

Hominem , che non mi pento di aver intel lettual mente segu ito.

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La mia Heimat culturale è l ì , nel la Mitteleuropa . Se fu Parigi la capita le del dicia nnovesi mo secolo, Vienna lo è stata per gli ini­ zi folgoranti del ventesi mo. Ci sono due libri a me molto cari d i Massimo Cacciari , Geofilosofia dell'Europa (Adelphi , 1 994) e L'Arcipelago (Adelphi , 1 997) , splendidi nel trattare dei tempi in cui di Europa si poteva ancora parlare come di un principio­ speranza. Ma non è di questo che voglio parlare e di cui m i piacerebbe ta nto parlare. Stiamo di scorrendo di politica attiva . L' Europa politica 'che ha da veni re' la vedo cosÌ : come sta scritta in una normale ca rta geogra fica . Se a ovest c'è un con­ fine di mare, a est non c'è un con fine di terra. E a sud , il nostro Mediterra neo è, più che un mare, un grande lago. Questo per dire che Europa non è vero che è stata formata dal mare, come sento ripetere . C 'è un continuum che la lega a un a ltro con­ ti nente. Il che ha fatto dire a Paul Va léry che l 'Europa è "un piccolo promontorio del l 'Asia". Può da rsi che chi d isse "dall'A­ tla ntico agl i Urali" volesse con questo a l meno ritardare l 'unica Europa possibile in tempo di guerra fredda . Oggi , fuori tempo, si pratica con ridicole sanzioni econom iche la continuazione d i quel la guerra con altri mezzi . Adesso sono l 'economia e l a fi ­ nanza la continuazione della guerra . S u l breve periodo sembra che in tal modo si producano meno danni all'umanità. Ma, a conti fatti , sul periodo lungo si risch iano danni non minori. M i è capitato di dire: l'Europa volga lo sgua rdo a Oriente . Pensavo perfino alla Cina. Sarebbe una svolta sa lutare rigeneratrice. lo la penso cosÌ e dico quello che penso: l'Europa sen za la Russia è un nonsense. Mi conforta il pa rere di un attento osservatore di cose internazionali, qui da noi, qual è Sergio Romano. E un maestro d i geopolitica come Henry Kissinger ha ragionato su questo. È necessario salvare l 'Europa dal tra monto dell'Oc­ cidente: questa è la profonda verità . E non può esserci l ibero spirito europeo senza l 'intenso sentire dell'anima russa .

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L'idea Europa'

Avverto. Sto facendo adesso un discorso fuori della contin­ genza e mirato a un lonta no futuro possibile. Qui e ora , su questi temi, la confusione è a l massi mo livel lo, e i l pensiero al livello min imo. Siamo lì, a quel lancinante razzo di Kierke­ gaa rd che vedo qua e là citato senza trarne le conseguenze: " La nave è in mano al cuoco d i bordo. E ciò che trasmette il mega­ fono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani". Tut to è giocato sul brevissimo periodo, in funzione di convenienze, nemmeno pol itiche general i ma elettoral i par­ ticolari. Le destre antieuropee simpatizza no con Usa e Russia che hanno su l momento interesse a disgregare l'Europa . Ma gli Stati Uniti d'A merica non si possono ridurre a Trump come la Russia non si può ridurre a Putin. E non ne sto parlando in questo modo. Li vedo come mondi di civi ltà d i fferenti e poten­ zialmente in storico antagonismo, per natura geopol itica che li inchioda alla competizione, per vicende trascorse che hanno lasciato il segno, per un iversi di cu ltura che ciascuno di noi ha sensibil mente introiettato. Tutte cose che ci fa nno pendere a stare dal l'una o da ll'a ltra parte. E io so dove stare. Non ne faccio una guerra di civiltà. Ma sento intuitivamente un rich ia­ mo di appartenenza . Il fatto che la Russia sia stata , per alcu­ ni decenni nel mio Novecento, l 'un ica alternativa al modo di vita a mericano non è accaduto per una casual ità del la storia . M i spingo a dire che nem meno l'evento del ' 17 spiega tutto. I l tutto veniva da rad ici più profonde. Ho detto: l 'anima russa . Non mi viene da dire: l 'anima a mericana. Perché quel mondo mi suggerisce solo la presenza di un corpo. E magari un corpo senz'anima. E quanto di questa è circolata nelle sue vene, ve­ n iva regolarmente dalla Kultur europea , come è accaduto in gra nde nell'emigrazione d i intellettual ità europea in fuga e in riparo dal nazismo e dal fascismo. Lo so, sono sensazioni, che possono essere facilmente contraddette su base documentaria.

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Ma non sto facendo qu i la conta di meriti e demeriti. Sarà un li mite, un difetto, ma è che ho, registro, sento, in interiore ho­

mine, più misticismo russo che pragmatismo americano. Forse anche perché so che con la brace del primo si è accesa la fiam­ ma di una frattura d i mond i e con l a cenere del secondo si sono spente tutte le possibi l i fiaccole. Ma vedo che di nuovo mi sono spi nto troppo in là. Mi cor­ reggo, non tornando ind ietro ma precisando. I lettori intelli­ genti lo avranno già capito. Forse però è il caso di parlare chia­ ro , a scanso di equ ivoci. Anche qu i , non vogl io confondermi con la paccottigl ia di pseudo teorie che girano per il pia neta - l 'approssi mativa fantasiosa Quarta Teoria Politica ne è tra l'altro un inqu ietante esempio -, soprattutto non vogl io avere a che fare con gl i stravaganti personaggi che le rappresentano e che approdano purtroppo anche qui da noi : quel li che vengono dall'America profonda o dalla santa Russia, i Bannon, i Dugin. Teste confuse per progetti confusionari. Faccio critica del la de­ mocrazia l ibera le nel le sue rea lizzazioni, non nei suoi principi. Nel lo stesso tempo faccio assoluta opposizione a ogn i forma di democrazia ill ibera le. I n questo senso, m i tengo ben dentro i percorsi, i con fini, i l i nguaggi del pensiero pol itico moderno. E dentro le istituzioni che esso ha magistral mente generato. Pos­ so anche di rmi un trad izional ista, ma nel solco del le frontiere del Moderno più ava nzato. La mia è una ben precisa trad izione novecentesca , tutta pol itica: partiti e Stato, Stato e partiti a l centro, p o i intorno può esserci quant 'altro. Torniamo però ai discorsi che più ci interessano e che inte­ ressano. Uso spesso le risol utive categorie sch m ittiane di terra e mare. L'Eurasia è terra. È antico origi nario mondo contadino che si è evol uto e sviluppato a grande città, a civiltà urbana. Un lungo camm ino che ha depositato storia . I l mondo anglosas­ sone è mare . È commercio, traffici, navi, più che produzione

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L'idea

Eu ropal

di beni, scambio di merci, è denaro. È vero, la rivoluzione in­ dustria le è nata i n Inghilterra , ma si è subito trasferita nel con ­ ti nente. E non a caso, l a classe opera ia inglese e quella ame­ ricana non sono mai entrate a far pa rte del gra nde esercito organizzato del movimento opera io europeo. Cosa che seppe magistral mente fare il proleta riato russo. Sono insegna menti da non di menticare. Nel la sfrenata i m magina zione teorica , priva però di fa ntasie, che non riesco proprio a contenere, ho anche detto che il lavoro è terra e il capitale è mare. Dietro e prima dell'operaio c'è il contad ino, dietro e pri ma del capita­ l ista c'è il merca nte. I l mercato anticipa l 'industria, come la guerra dei contadini anticipa la lotta di classe. Oggi , se la pol itica si decidesse a servi rsi anche, dico anche, del le risorse offerte dal pensiero si mbol ico, potrebbe leggere la Brexit come un kairòs, l 'occasione interven uta per un cam­ bia mento di concezione strategica nel la costruzione europea, l 'ind icazione di un percorso da segu ire, altro da quello segu ito fi n qui. E la stessa i rruzione a ga mba tesa di un Trump dal l 'A­ merica nel mondo andrebbe interpretata per quel lo che forse è: la fine dell'illusione di una Progressive Age ritorn a n te che la cometa obamiana aveva annunciato ai democratici europei già cosÌ ben d isposti a segui rla con le innovative sorti, in rea ltà de­ vastanti (ci rifletteremo più avanti), del le loro Terze Vie. Non c'è spera nza di Europa pol itica , se non si comincia a concepire più largo l 'Atlantico, se la Kultur europea non si ema ncipa dal­ la Zivilisation america n a . È un punto centrale. Per non passare la mano di governo a falsi sovranisti e cosiddetti popu l isti, cioè al le nuove destre di oggi , c 'è una sol a via, peraltro obbliga­ ta : far emergere classi di rigenti naziona li con una mentalità autonoma mente europea, armate di u na pol itica rea listica al servizio di una guerra d'indipendenza, o se volete , una lotta di l iberazione dall'atlantismo.

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È l'Europa o l'isola di utopia? Lo so. Stiamo accennando a qualcosa d i sostanzialmente im­ possibi le, tante sono le controindicazioni che conosco come potenti. L'Europa è legata con catene di ferro, produttivo­ economico-finanziarie, con gli Usa . E c'è un sentire comune, una lunga consuetudine ideologica tra le classi dirigenti del­ le due sponde dell'Oceano, le catene dorate della democrazia rea lizzata . Ma per riaccennare al discorso di cui sopra, non se ne può più d i questi balletti chiacchierati dell a quotidianità politica , al l'i nsegna di una babelica confusione delle l ingue: le destre sono filorusse, le sinistre sono fi loamericane, Tru mp si fa dare una mano da Putin , Putin dà una mano ai nazional isti antieuropei. Non sto dettando un 'che fare'. Sto d icendo un 'che pensa re': perché, come diceva mo in apertura , ci vuole una rivoluzione di cultura politica , una stagione di pensiero politi­ co costituente , che ri metta le cose storicamente in ordine, con i con fl itti giusti tra antagonismi veri, con élite cred ibili per po­ poli consapevol i . Qua ndo c'è il blocco dei fatti , non c'è che da ripa rtire dalle idee. E proprio le idee più folli a volte producono una pratica saggezza . La Rochefoucauld: "Chi v ive senza follia non è cosÌ saggio come crede".

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L'anoma lia Ital ia

È importante definire la cornice nella quale muoversi e al cui interno disporre le tessere del mosaico. Altrimenti si rischia di perdere il disegno d'insieme e il punto di vista. È partito da lontano, professore, da quella che un tempo si definiva 'situa­ zione internazionale' e che lei preferisce oggi chiamare ' for­ ma-mondo'; successivamente ha incardinato ' l' idea Europa', quel nostro spazio vitale che rischia l' implosione se non sarà ripensata dalle fondamenta . . . Siamo ora al cuore della nostra conversazione, il nostro paese e l'agire in esso delle forze poli­ tiche, prime tra tutte quelle di sinistra, per contrastare antipo­ litica e sovranismi. Partiamo da una definizione sintetica per mettere a fuoco il campo di analisi: c'è una anomalia-Italia? È stato già detto, ricordo un ed itoria le di Galli della Loggi a che si espri meva cosÌ, ma è opportu no ripeterlo: l ' Italia di oggi ap­ pare come il Bel Paese diventato politicamente brutto. A l meno cosÌ i mmagino debba apparire all'Europa e al mondo. Il Bel Paese, non solo per virtù paesaggi stiche e ricchezze artistiche, ma a nche per qua lità e intensità della vita politica. Col nostro Machiavell i abbiamo dato l'avvio alla grande avventura del la politica moderna. E dopo controversi secoli di guerre e di paci,

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e di regim i , aveva mo ritrovato con l' Italia repubbl icana quella trad izione il lustre: erava mo il paese della pol itica. Abbattuto fascismo e mona rch ia con una lotta di l ibera zione, aveva mo classi di rigenti autorevoli in grado di scrivere una Costituzione storica e classi popolari orga nizzate in partiti che la leggeva no come scritta da loro: per me è stato questo il vero miracolo ita l iano. La demonizzazione della cosiddetta Prima Repubbl i­ ca, demonizzazione lasci ata passa re senza combatterla anzi pa rtecipando tutti al rito sata nico, è stato il peccato origina le da cui tutto il resto del degrado è consegu ito. C 'è questa fable

convenue dell'instabil ità politica di al lora . O non si sa di cosa si parla o, più probabi lmente, si dice consapevolmente il fa lso. Per qua rant'anni c'è stato un solo part ito a l governo e un solo pa rtito all'opposizione: più stabil ità di cosÌ . . . La successione del le compagi ni governat ive era prodotta dalla dia lettica inter­ na di un pa rtito di correnti, la Dc, che appl icava cosÌ quel crite­ rio della circolazione delle él ite, scoperto da Michels. Mi nistri e sottosegretari si altern ava no nel le fu nzioni di governo e di pa rtito, assicurando in tal modo la continuità di un ceto pol i­ tico professiona le. L'instabi lità è venuta dopo, qua ndo hanno com inci ato a succedersi vorticosa mente partiti inventati , coa l i­ zioni i mprovvisate, leggi elettorali approssi mative, in una fa lsa a lterna nza che invece di fa r circolare le él ite distruggeva quella precedente per sostitu irla con un'a ltra, nuova , più improbabi­ le della precedente . E la professional ità pol itica cosÌ si perde­ va , e si perdeva con essa la severa serietà del la pol itica fino al rid icolo esito od ierno, cui abbiamo già accennato, dell'Uomo Qua lunque a capo del governo, vittoria postu ma del fu Gu­ glielmo Giannini. Ci sono molti ri mproveri da fare a quella cla sse di rigente, soprattutto nella deriva degli anni Ottanta, ma per favore si paragonino i pol itici di ieri a quelli di oggi e si facciano due conti.

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L'a nomalia Ital ial

Un piano inclinato che dalla Prima Repubblica ha spinto verso il basso politica e classi dirigenti politiche. Un periodo ampio, un arco temporale che copre qualche decennio. Qua­ li sono stati i momenti cruciali, le tappe, che hanno segnato questa discesa? Non sono uno storico. Non sono quindi in grado di ricostruire minutamente i passaggi attraverso le successive fantomatiche repubbliche. C 'è u na pubblicistica, a diversi livel li più o meno credibi le, facile da consu ltare. lo mi muovo per impressioni di pensiero. È la defini zione giusta : la mpi a illumi nare il lato oscuro, e oscu rato, del reale, per cercare di capire senza la pre­ occupazione assi llante di voler fa r capi re . Thomas Mann, a proposito delle sue sca ndalose Co nsiderazio ni di un impoliti­

co , un libro per me di formazione, parlava di "una sensi bil ità niente a ffatto sovversiva , ma soltanto sismogra fica e indicatri­ ce, che mi si a ffacciava come un'altra form a, più tranqu illa e i ndiretta , di sapienza pol itica". Ecco, una cosa del genere. D i diverso q u i c'è un pu nto di vista consapevolmente di pa rte che non pretende, non dico di trovare, ma nem meno di cercare una verità per tutti, perché ho i mparato per esperi mento ed errore che in una società divisa una verità per tutti è una menzogna, cioè è il contrario del la verità. Esempio. Mi sento di poter sostenere questa tesi : oggi non c'è solo una crisi di ceto pol itico, c'è anche u na crisi di senti­ mento popol are. Ed è la prima che ha provocato la seconda . D iciamo comunque che c'è un doppio livel lo d i quella che si d ice 'crisi del la politica'. Facile i ndividuare il primo livel lo, la delegittimazione di fatto del ceto pol itico in generale e tutto i ntero in qua nto tale. Faci le, visto lo sport di massa sim ile al bowl ing che si gioca da anni e anni nel la società civi le, anzi che si è fatto giocare ai cittadini del la società civile. Il gioco premi a

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chi, con un solo lancio, butta giù più birilli politici. Non riesco a ripetermi . R i nvio al d iscorso che ho fatto non so qua nte volte in questi anni, in Pa rlamento e fuori , sul virus dell'antipolitica i niettato ad arte , dall'a lto, giorno dopo giorno nelle vene dove scorre il basso del sociale. Fino a fa rne un'epidemia resistente oggi a ogni vaccino. Difficile al lora cogliere la conseguenza , voluta , d i questa operazione: un d isorientamento pol itico di popolo che non si era mai visto di queste dimensioni in età repubbl icana. Questa non è una supposizione, è un dato di realtà , di cui quelle che si chiama no indegnamente 'forze poli ­ tiche', i partiti di oggi , devono prendere atto per approntare i rimedi a una cond izione, a nche solo democraticamente, i ntol­ lerabile. E qu i c'è da costata re che chi fa più fatica ad assume­ re questa presa d 'atto sono le forze che si chiamano progres­ siste che si schiera no più decisa mente a sinistra : guardatele, siccome si reputa no la naturale rappresenta nza delle istanze popolari , quando i l popolo volta loro le spal le rimangono co­ me i ncredule , non capiscono, non si capacitano e fa rfugliano le loro giustificazioni: non ci si amo fatti comprendere, abbia­ mo comunicato male, non siamo stati sul territor io, e cosÌ via, consolandosi . . . Senza mai ferma rsi a riflettere per mettere i n ca mpo le ra­ gioni vere di una confusione da loro provocata nel loro popolo: una mancata offerta politica riconoscibil mente popolare, una mancanza bene espressa dalla propria irriconoscibile identità, l'approssimativa genericità dello stesso nominarsi davanti al popolo, le gi ravolte orga nizzative incomprensibili a i comuni mortali con titoli e simboli fatti e disfatti e l'im mancabile quo­ tidiano devastante spettacolo delle l iti i nterne nemmeno sul che fare cammi na ndo, ma alla fi ne sul come stare seduti . La parabola del Pd : da una vocazione maggioritaria tutta e so­ la governativa a una insign i fica nza mi norita ria disabituata a

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L'a nomalia Italia

essere opposizione. I democratici, dai d irigenti central i a quel l i i ntermed i a quel li peri ferici : tutti , uom ini e donne , d i gestione, nessuno più organizzatore delle lotte. E il popolo se n'è andato.

Eppure è a lungo esistito � il caso italiano'. Professore, ha detto di non essere uno storico, ma per ripartire, chiedo di nuovo , occorrerebbe riflettere sulla datazione di questa crisi: un pe­ riodo, una stagione, un fatto . Dove ha inizio la fine? L'a nomalia ital iana è passata dal segno più al segno meno. Il 'caso ita lia no' fino a tutti gli anni Settanta lo a ffrontava no le migliori i ntelligenze europee e occidenta li. Un vero e proprio 'caso d i studio'. L' Italia era il luogo d i speri mentazione della pol itica al comando. Un forte partito di governo, un forte par­ tito di opposi zione, bipartitismo imperfetto ma bipartitismo vero. Le conquiste che hanno realizzato i lavoratori italiani con il loro partito all'opposizione non le hanno più viste (nemmeno da lonta no) con il non più loro partito al governo. Quando è com inciata la grande mutazione, non genetica, politica ? La mutazione genetica è venuta dopo, lenta mente ma profonda­ mente, penetrando gocci a a goccia nelle v iscere del sociale. I l guasto dall'a lto si è propagato nel basso. E questo percorso, questo smotta mento del terreno politico complessivo, non è stato visto. I l non vedere i n politica è a volte più grave del non fare . Perché non si vedono gli ostacoli, si va a sbattere e ci si fa male. Il punto di svolta degli anni Otta nta è stato ben individuato da ta nte ricerche sul campo. Il sistema di potere democristiano comincia a cedere incal zato da un sistema di potere socia lista . Due sistemi di potere non si sopportano, a nche se si alleano. In realtà nell'orbita dell 'assetto ita liano è entrato il pia neta del sistema vero, quello capital istico a l ivel lo mondo. L'ord i ne era

già stato ristabilito dopo lo stato d'eccezione dei 'trent'anni gloriosi '. Il capitali smo, con la sua demoniaca i ntel ligenza, su­ perava sé stesso quando, ridi mensiona ndo la centra lità del l'in­ dustria , diceva addio al proletariato sal ito a classe operaia. E si osservi bene: dopo quel nemico storico non ha av uto più nemici. Andrebbe letta così - e sarebbe un'operazione di gra n­ de intel ligenza alternativa - la morte del l'Unione Sovietica, i l fal l imento del la costruzione del socialismo, l a scomparsa dei partiti comu nisti , la stessa fine del la guerra fredda. Il piccolo 'caso italiano' viene travolto da eventi tanto più grandi di es­ so. Poi , certo, c'è la declinazione provinciale degl i avveni men­ ti . Ma si scende di molti gradini. L'Italia dei pol itici , già così precocemente antipol itica , dei pri mi anni Nova nta sarebbe da di menticare per i danni che ha provocato a questo suo povero al lora ancora incolpevole popolo. Gli scriteriati referendu m sulle leggi elettoral i hanno dato un colpo morta le al l'i ntero si stema politico sen za riuscire a far nem meno intravedere un'altra cred ibi le forma di ordina mento. Un'operazione pura mente e sola mente distruttiva : come quel la si m i le e, se possibi le ancora più pesante, conosciuta con il no­ bile nome di 'mani pul ite'. Uno spara re nel mucchio a colpire indiscri m i natamente colpevol i e non colpevoli con l 'unica m i ra su l pol itico di professione. Per sostitu i rlo con che cosa, poi ? Con i l niente di oggi. Si vuole ri flettere su questo ?

Lei sostiene che dalla fine degli anni Ottanta e, ancor più con­ sistentemente negli anni successivi, nel pensiero e nell'azione della sinistra politica si siano inariditi i campi dove cresceva­ no le piante delle garanzie sociali e individuali, si siano co ­ minciati a coltivare orticelli di diritti civili, senza accorgersi che la gramigna giustizialista invadeva e infestava le terre. È stata questa scorciatoia, quella che qualcuno con triste ironia

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ha definito 'via giudiziaria al socialismo ', che ha portato la sinistra fuori strada? A questo proposito vorrei dire una cosa , anche qui fuori dal coro. È stato un errore leggere tutto come 'questione morale'. Pronuncio a fatica queste parole dato l 'enornle bene che, insie­ me a tanta parte del mio popolo, ho nutrito per la persona. Ma qualche parte di colpa spetta perfi no a En rico Berl inguer. Sì, la conti ngenza spi ngeva a questo e ci fu rono pure notevoli risulta­ ti d i consenso. Ma la storia umana è qualcosa di enornlemente complesso e contradd ittorio, un seguito a volte ina fferrabile di i nstabilità e di ripetizione. Ogn i volta devi cogl iere qual è lo specifico del momento. In pol itica, che è la storia in atto, a vol­ te dal bene può scaturire anche del nlale. Abbiamo celebrato da poco i cinquant'anni dal '6 8. Fu al momento un'i nsorgenza sicu ramente e gra ndemente positiva , eppu re se si osserva bene, sul periodo med io-lu ngo abbiamo dovuto veri ficare esiti più che negativi .

E quali sarebbero, a suo parere, gli esiti 'più che negativi ' del '68? In questo anniversa rio appen a trascorso sono stato sol lecitato, come molti altri , a un ritorno di ri flessione su l l 'evento. R igua r­ darlo a ta nta distanza cambia il quadro. Oggi lo vedo come un sa lto in quel processo di modern izzazione che dai primi anni Sessanta si era imposto nel mondo. Una pri ma forma di glo­ balizzazione che in particolare i nvestiva questioni di costu me. Nasce negl i Usa, esplode in Franci a , arriva in Italia con tratti, anche qui, anoma l i . Da noi aveva concrete cause struttu rali. Tra fine anni Cinquanta e inizio Sessa nta , arriva il m i racolo economico, i rrompe il neocapital ismo, l 'Italia diventa un paese

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compiutamente moderno, l'industrial izzazione fordista si pre­ senta come un'assoluta novità , le lotte operaie dal '62 in poi rimettono il confl itto al primo posto. Elemento determinante poi è il baby boom. Premono e contano le nuove generazioni, perché i giova n i sono tanti . Oggi i giovan i premono e contano poco perché sono pochi . Stesso discorso per gli operai : allo­ ra erano centrali perché tanti e concentrati in punti strategici , ora sono marginali perché ra ri e dispersi . Questa è u na forma sociale - un capita lismo rivoluzionato e sopravvissuto - i n cui quel lo che conta, in ulti ma istanza , è sempre la quantità : im­ prenditorial mente qua nte azioni hai, economicamente quanti soldi hai, pol iticamente qua nti voti hai, comunicativamente quanti followers ha i ? La doma nda d i a l lora era : accelera re l 'avvento salvifico del nuovo. La passione per 'il nuovo che ava nza' nasce allo­ ra. E avrà lunga vita . C i sarà come conseguenza un ricambio di classi d irigenti e i sessantotti ni che i nvadera nno scuola e u niversità, pubbl ica amministrazione, giornalismo, media e ri levanti posti di potere si porteran no dietro questa nuova fe­ de, con tratti fortemente dogmatici. Il '68 fu sicuramente un moto positivo d i liberazione. Il limite fu la sua declinazione liberta ria. Fu lasciato il movimento alla sua sponta neità , for­ temente anarchicheggiante . Basti pensare che non si d istinse tra potere e autorità. Bene la contestazione del potere, a nche invocando l'immaginazione, male la d istruzione dell'autorità , senza la quale - direzione riconosciuta e apprezzata dal basso - nessuna convivenza sociale, a nche conflittuale, è pensabile e praticabile. Le forze politiche, in quel momento a ncora robuste in qua nto gra ndi componenti popolari, non trova rono la ca­ pacità d i mettersi alla testa d i quella insorgenza per guidarla e orientarla. È precisamente da lì che è cominciato il lungo lento loro declino. Moro, con la sua acuta sensibil ità ragionante, fu

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forse l'unico a capire quando d isse: il destino non sta più solo nelle nostre mani. Le conseguenze sono state fatali. Il movi­ mento - dopo la salutare spa l lata dell'autunno '69 e le storiche conqu iste civili dei primi anni Settanta, l'ultimo segno positivo dell'a noma lia italiana - presto degenerò. E non ci fu nessuno in grado di i mpedire la feroce risposta di sistema che con la strategia del la tensione, tipica organizzazione della violenza dall'a lto, inaugu rò la terribile stagione del terrorismo, violenza organizzata dal basso. I l bipartitismo i mperfetto, nel decennio che seguì i l '68 , con i due vi ncitori del ' 76 sembrò raggiungere il m assimo del consenso. Un'illusione occasionaI mente reale. Cominciò i n rea ltà lì la discesa che non si è più fermata fi no alla caduta. Veramente i l cadavere di Moro, simbolicamente nel lo spazio delle due u ltime vere Case del popolo, è stato lo spartiacque d'epoca. A conclusione direi questo: dalla discesa e caduta dei partiti politici , e dunque conseguentemente della politica, chi ne h a pagato il prezzo di gran lu nga maggiore, oggi lo possiamo vedere a occhio nudo, è stato alla fi ne l'i ntero schieramento della sinistra .

Tornerei al tema della 'questione morale ' e alla declinazione quotidiana di quelle due parole fatta a sinistra dalle classi di­ rigenti post-berlingueriane . . . L'evocazione del la questione mora le h a trasmesso a l ceto diri­ gente post-berlingueriano una riduzione a rivendicazione eti­ ca del pensare e dell'agire politico che ha fatto perdere, anche per questa via, u na presa diretta su lla realtà vera. E qua ndo il moralismo è diventato, inevitabilmente, giustizial ismo, i danni politici sono stati più che rilevanti . Già c'era la presenza di que­ sta egemonia azionista su l la cultura politica comu nista. E cer­ cherò di parlarne più avanti perché è un punto che considero

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importa nte. Posso natural mente sbagl iare ma, per qua nto m i riesce d i sapere , i l l ivel lo di corruzione del ceto pol itico ita­ l i ano non è maggiore di quello di altri gra nd i paesi di Europa e di Occidente. M a quei paesi , con una forma di Stato forte , tengono a bada le incursioni che uno dei poteri può tenta re su un altro potere. Qui si è lasciato libero campo a una desta­ bilizza nte supplenza pol itica della magistratura . E questo ha contribu ito non poco a creare l'attuale cond izione di delegitti­ mazione popolare degl i istituti rappresentativi ed esecutiv i e di popolare repulsa di ogni agire pubbl ico. Le conseguenze sono davanti ai nostri occh i. Non c'è cred ibil ità di governo, non c'è autorevolezza di Parla mento, c'è una privatizzazione selvaggia del la vita quotid iana. E più in generale lasciatem i fare una considera zione ama­ ra che traggo dal m io repertorio di rad icale pessi mismo sul la pianta uomo. Un ceto pol itico è difficile che viva cinquant 'anni di pace senza corrompersi. Perché questo non accada ci vor­ rebbe una superlativa resistenza, questa sÌ etica nel senso di mora lità sociale, da pa rte di soggetti capaci di trascendere sé stessi . Ma le lu nghe sta nche fasi di pace non producono questo materiale uma no. È doloroso dirlo ma ta nto non è che se non lo dici il problema non esiste. Il problema esiste. E il pol itico che pensa è bene che ne prenda tragica mente atto.

Insomma, giustizialismo e antipolitica sono due facce della stessa medaglia? L'a ntipolitica è un virus che si diffonde nel l'aria inqui nata di questo nostro quotidi ano vivere pubbl ico. Un umor nero dif­ fuso nel basso del sociale, come la peste nera di a ntica me­ moria che faceva crepare solo i poveri crist i . Ne è affetta la maggioranza assoluta della popolazione, popolazione da non

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confondere mai con il popolo. Il terreno di incubazione è un'o­ pinione pubblica non per colpa propria d isorientata , un sentire d i massa frastornato e manovrato da poteri extrapol itici che però fa nno sapientemente pol itica . C 'è una condi zione specifi­ ca che è propria di tutte le attu ali democrazie contemporanee ed è un tratto disti ntivo rispetto al passato. Assistia mo, i mpo­ tenti, alla personalizzazione del potere politico e a l la contem­ poranea spersona l izzazione del potere econom ico. Il pri mo, il potere politico, si vede e viene fatto vedere . Il secondo, quello economico, non si vede e vive nascosto. Tutta l'attenzione è scaricata su l primo, cosÌ il secondo può muoversi libero a pro­ prio piaci mento.

È una fotografia nitida dell 'Italia di questi anni . . . C 'è una cond iz ione speci fica della nostra democrazia, forse un residuo del l'anomalia ital iana o di quel 'caso italiano' di cui abbiamo parl ato poc'anzi . Qui da noi la divisione dei poteri contempla qu attro protagon isti . Per non nomi nare il qu into che ha d imensione globale e, per questo, sovrasta tutti gli altri : il Leviatano assoluto e incontrol lato del la Tecnica. Ma nel cor­ ti le di casa ved iamo potere legislati vo e potere esecutivo da una parte, potere giud izia rio e potere med iatico dall'altra . L'allean­ za oggettiva di questi due ulti m i soggetti contro i pri mi è di­ ventata i l pali nsesto quotid iano del la na rra zione pubbl ica. Su un terreno cosÌ del icato si deve agire con pruden za, con abil ità , con destrezza. Ma con idee ch iarissime e molta determinazio­ ne sapendo di cosa si tratta e qual è la posta i n gioco. Il veleno dell'antipolitica - abbiamo detto

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è stato in iettato a lu ngo,

goccia dopo goccia, nel le vene del paese . E con fi ni ben preci­ si. Il problema di quel che resta della pol itica è di individu are la cura della ma lattia e, possibil mente, i l più efficace vaccino

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possibile per prevenirla . Si tratta di una vera e propria emer­ genza antropologica ma purtroppo non sento, neppure adesso, campanel l i d'alla rme. La sinistra non ha messo a fuoco i l pe­ ricolo. Non ha colto, e quindi non ha contrastato, l'obiettivo preciso che si era messo in campo: deviare lo scontento popo­ lare su una base che per i l potere è sicura , perché non m inaccia davvero i fondamental i delle d iseguagl ia nze e cioè gli spazi , le ragioni , i soggetti su cui e contro cu i organizza re conflitti e poi ancora conflitti . Se non trovi lavoro è perché i pa rla menta­ ri prendono i v italizi? Due editorialisti del Corriere della Sera scrivono un l ibro, La casta, e comi ncia una narrazione che, come una volta i roma nzi di appendice a puntate sui giornali, a rriva con quotid iana comun icazione ad appassiona re la cosid­ detta gente che ha preso il posto del popolo.

C 'è da decifrare, e non è impresa facile, le nuove forme del conflitto sociale in assenza di riferimenti, anche ideologici, alle grandi classi. Ma non è questo il compito di un soggetto politico capace di riorientare quello che lei, professore, chia­ ma popolo? Come si capisce da tutti questi d iscorsi, io tendo a dare mol­ ta i mporta nza alla funzione del soggetto in pol itica . Funzio­ ne che può essere positiva ma anche negativa : può accelerare i processi come può ritardarli, può apri re delle fa si come può ch iuderle, può fare epoca , ra ramente, come può fare, più co­ munemente, ord i na ria amministrazione delle cose. Nella tra­ d izione marxista c'è fin troppo materialismo, e oggettivismo, e determini smo. Per l iberarsene c'è voluto per me un lungo e aspro percorso i ntellettuale che è andato a sperimentare al­ tri approcci , a ltri metodi, altri orizzonti . Certo che ci sono le leggi d i movimento dell'econom ia, della società , dell'umanità .

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Ma quello è il dato d i realtà di cui devi prendere atto, cono­ scendolo bene, non però per assu merlo ma per contrastarlo. Per chi vuole cambiare quello che una volta si diceva l'ordine costitu ito, la pol itica è l'a rtiglio sulla sto ria, la presa dell'uc­ cello rapace sulla preda che devi saper usa re con intell igenza , nei modi adatti al momento opportuno. Qua nto c 'è di questo, qua nto è rimasto di questo che pure c'è stato, nel la cultura e nell'a zione di quella che oggi si chiama sinistra ? Quasi più nul­ la. Credo che esattamente in ciò stia la ragione fondamentale della sconfitta . L'a nomalia Ital ia è un caso di scuola per ragionare su questo tema. Quando se ne parla tutti partono dal fatto: qu i c'è stato il più forte partito comun ista del l'Occidente. Partito nazionale popolare, di opposizione governante , mi pare questa la defini­ zione giusta, non solo perché amministrava parti ri levanti del paese soprattutto nel l'Ital ia centrale ma perché in Parla mento di fatto governava dall'opposizione. Cultura gramsciana, poli­ tica togliattiana : i comunisti italiani erano uno specifico, ben determinato, del movi mento comunista internaziona le. Anche qu i la mi nuta cronaca storica del dopo non so fa rla . Anche qu i ricca pubblicistica . Consigl io una si ntesi garbata e i ron ica, ma veritiera, in un acuto l ibretto di Francesco Cundar i , Déjà vu

(il Saggiatore, 2018). Ma vengo al tema. Per il delitto di

aver ridotto la sini stra italiana nell 'angolino in cui ora si trova ci deve pur essere un colpevole, oltre il destino cinico e baro. Credo di averlo trovato. Come al solito ci saranno stati altri fiancheggiatori e collaboratori , ma i l principale imputato da mettere sul banco degli accusati è uno solo: proprio il ceto po­ litico post-comunista . Lo posso dire perché la vicenda non l'ho conosciuta , non l'ho studiata, l'ho vissuta : per appartenenza, per convinzione, per passione. Quind i questa è anche un'auto­ accusa. Mi metto anch'io sul banco di quegli i mputati e da lì

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rispondo alle obiezioni di quel severo pubbl ico ministero che è il popolo post-comu nista .

La nave della sinistra ha perduto albero e vele - " . . . senza noc­ chiere in gran tempesta " - ed è andata alla deriva fino al ri­ schio di oggi: l 'inabissamento . . . Ho un'i ncertezza sulla data d'i nizio della deriva. Man mano che ci penso tendo a retrodatarla . Sicura mente un pu nto di pas­ saggio cruciale è stata la morte tragica mente i mprovvisa di En­ rico Berl inguer. R icordi. Ero al lora nel Com itato centrale del Pci chia matovi dallo stesso Berl inguer quando, abba ndonato il conlpronlesso storico, passò alla cosi ddetta politica di alterna­ tiva . Allora c'era una procedura, molto saggia e razionale, per la scelta del nuovo segretario. Davanti a una piccola commis­ sione ven ivano convocati, uno a uno, i membri del Comitato centrale perché indicassero una loro preferenza . Feci anch'io il nome di Alessandro Natta che assicu rava una continu ità con la stagione berl ingueriana. In ca mpo c'era l 'opzione per una per­ sonal ità di appartenenza all'ala migl iorista. Il problema che in quel momento divideva i l partito era i l tipo d i rapporto da te­ nere con i social isti di Craxi. A questo proposito devo dire una cosa. Se nel Pci si poteva parlare, non so quanto propria mente, di una sinistra e di una destra come d ialettica non correntizia, 'di sensibil ità' come si usava dire, la mia postazione era quel­ la di sin istra . Il segretario, compreso Berl inguer, era di norma espressione di una postazione di centro. Ma la cosa che vogl io dire, e con fessare, è questa. Sen za un banale senno del poi , ma viste le repl iche del la storia seguente, non so se la scelta di Nat­ ta sia stata quella giusta. Non per la qualità, il valore e anche la cultura del la persona , doti ind iscutibili. Ma forse perché, già da allora , metà dei decisivi e rampanti Ottanta , proprio

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la scelta centrista non era più adeguata . Bisognava decidere per l 'una o l 'altra del le opzioni alternative. E devo, per onestà pol itico-i ntellettuale, registra re un dato di fatto che mi sem­ bra del tutto ev idente . Dalle macerie, nem meno dalle rovine, che sono una cosa più seria, del terremoto storico dell'89-91 con tutte le conseguenze che ne abbiamo patito, chi ne è uscito megl io, conserva ndo fino a oggi una lucid ità almeno di lettura degl i avveni menti, sono stati proprio gli esponenti di quel l 'ala m igl iorista , o riform ista come è più opportuno chia marla. Mi sono ch iesto perché. Forse per una maggiore coltivazione di cultura politica, soprattutto però per una idea della pol itica prat ica , più rea listica, meno ideologica . E la ragione di fondo la metterei cosÌ : nel dopo Pci, una dec isa identità socia ldemo­ cratica, model lo 5pd su cui sono note tutte le mie riserve e lon­ tananze, avrebbe avuto almeno il merito di una compren sibile chiarezza . Le forme prevalse, tutte di nuovo centriste, Pds , Ds, non diciamo Pd , non si è mai capito che razza di animale pol i­ tico volessero mettere in campo e offri re poi agl i occhi di quel mondo di popolo che avevano la pretesa di rappresentare. Che poi quel la scelta socia ldemocratica sia ancora oggi quel la va li­ da, in un contesto sociale e pol itico tota lmente trasformato, ho i m iei più profond i dubbi . Eppure un tarlo di pensiero mi dice che forse un lento in izio di deriva va fatto risalire addi rittura al dopo Togl iatti. C 'era un gruppo dirigente di scuola togl iattiana di notevole spesso­ re pol itico. Il carisma di un leader si misura anche da questo: se forma intorno a sé , e deposita per il dopo di sé, una clas­ se dirigente di l ivello. E questo c'è stato. Basterebbe l 'elenco dei nom i . Anche da Togl iatti si dipa rtiva no due possibi l i li­ nee di condotta alternative che però lui aveva insegn ato a te­ nere opportunamente insieme nello stesso pa rtito. So di dire adesso una cosa scandalosa . Non la dice nessuno perché non

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si può dire. La dico io che non ho bisogno di ottenere consen­ so. Quello che tutte e due le ali, in forme diverse , non hanno nel lungo tempo successivo conservato è stato proprio il cuore del la lezione pol itica togl iattiana: la doppiezza . Diciamolo con chiarezza : la doppiezza non è altro che una categoria del po­ l itico. Non la puoi scarta re mora l mente . Perché cosÌ rinunci all'autonomia del pol itico. E va i i ncontro a seri infortuni. Per­ ché fuoriesci dal dettato della pol itica moderna che, tra tan­ te altre cose, ha sempre anche contemplato la 'dissimulazione onesta'. La pol itica deve ancorarsi a valori, megl io a princìpi, e deve agire per interessi, megl io per bisogni. Sono cos t retto a ripetere quanto detto più volte: la pol itica cammina su due ga mbe, il confl itto e la mediazione che non sono alternative ma complementari. Se usi una sola del le due gambe o zoppichi o cad i . Il lungo ca mmino che vuole arriva re a una meta pretende il doppio passo. Il togliattiano " veniamo da lontano e andia­ mo molto lontano" voleva dire questo. I l movimento operaio storico portava i n corpo le due anime, quel la rivoluzionaria e quella riformista . Come Goethe: "Zwei Seelen wohnen, ach!

in meiner Brust": due an ime abitano nel m io petto. La pol itica è sia Faust che Mefi stofele. Musil d iceva , per fratello e sorel­ la, Ul rich e Agathe, "non d ivisi, non uniti". So anche questo: oltre che indicibile, è anche tremendamente compl icato. Ma, appu nto, il Beruf, professione-vocazione per la politica, non è un di ritto di natura innato, è una conqu ista personale dove "la maturità è tutto". Nel suo complesso, il ceto pol itico comu nista è arrivato i m­ preparato, cultura l mente impreparato, a l lo Zusammenbruch, al crollo di tutto intero il proprio mondo. Non si è mostra­ to all'altezza della sfida storica che lo investiva . Questo mi fa ripensare ai l i m iti del la cu ltura politica propria dei comuni­ sti ita l iani, quel l'apparato, pur di alto l ivel lo, che possiamo

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defi nire gramsciano-togliattiano. Dico ripensare perché sono per me pensieri gi à fatti e detti che mi hanno portato da tempo a cercare altrove risorse, soprattutto teoriche, nella grande cul­ tura, novecentesca e non solo, eu ropea e soprattutto mitteleu­ ropea. Devo dire però di nuovo per onestà intellettuale - è una qualità questa a cui tengo molto - che il d ramma fu da tutti vissuto umana mente con grande dignità e vera sofferen za nei due congressi di sciogli mento del Pci . E io l'ho vissuto i nsieme a loro. Mah . . . Mi accorgo che sto pontificando fi n troppo. È facile giudicare oggi dalla quiete di uno studio ta nto qua nto era dif­ ficile muoversi al lora nel la tempesta degl i eventi . Non voglio dare l'idea dell'i ntellettuale saputello che, a di fferenza di tanti, aveva capito già tutto da allora . No, non avevo capito tutto da allora , l'ho capito, o credo di averlo capito, tempo dopo. Ma dopo l'ho pensato. E pri ma, i n un li bretto intitolato Il tempo

della politica (Editori R iuniti , 1 980) , c'era già la critica a prassi e cultura dei comu nisti italiani. Mentre nel decen nio Otta nta i saggi per la rivista Bailamme, raccolti poi in Con le spalle al futuro ( Editori R iuniti, 1 992) , docu mentano un travaglio in­ tel lettuale che in qua lche modo presagiva i l terremoto pol itico. Se si scorrono saggi, l ibri, i nterventi , discorsi di questi decen ni, mi pare di non aver pensato ad a ltro che a questo. Quindi non solo ne posso parlare, come ne ho parlato fi n qu i con una con­ sapevole hegel iana 'coscienza infel ice', ma scelgo di parlarne qu i in modo aspro, netto e schietto, a volte perfino sgradevole per chi legge , con l'i ntento di rompere quello che in un bel libro fu chiamato 'il si lenzio dei comu nisti', che conteneva, tra gl i altri , un serio contributo di Alfredo Reichlin. Questo è i l mo­ mento per la profonda riflessione. In genere bi sogna toccare il fondo per darsi la spi nta a risalire. E il fondo è stato toccato. Ed è possibi le, necessario e urgente com inciare a risa l i re.

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Sicuramente il biennio '89-91 del secolo scorso fu intenso e terribile. Ma vide partecipazione di popolo e discussioni po­ litiche appassionate sulla proposta di �nuovo inizio ' avanza ­ ta dali 'ultimo segretario del Pci Achille Occhetto. Dopo quel biennio cala il sipario sul �caso italiano'? Non so se fu l 'ultimo atto. Senza dubbio lì non solo fin isce qua l­ cosa ma qua lcosa com incia. E di quel 'nuovo in izio' adesso è il momento d i ripa rl are. Soprattutto le soluzioni organizzative praticate per il dopo Pci si sono rivelate improv visate e quindi insufficienti e du nque non in grado di assicurare, la dico cosÌ , una 'tra nsizione dentro una tradizione'. Da leggere bene questa formula: che non è, non vuole essere, la ripetizione del la for­ mula di rito: ri nnova mento nella continuità del l'indi mentica­ bile 1 956. La tra nsi zione di fuoriuscita dal Pci - anche nome e si mbolo - era da fa re . Ma bi sognava metterl a, appu nto, in una tradi zione, quel la della storia di lu nga durata del movi mento operaio e da quel la non fuoriusci re, come in realtà si è fatto. Anzi bisogn ava assumere il grande tema del l 'ered ità di cui una forza pol itica con finalità storiche non può mai e non deve mai privarsi . Perché qui sta l'identità, cioè la riconoscibil ità, e dun­ que il richiamo all'appartenenza. Mi ha colpito una cosa che disse una volta Ratzinger della sua Chiesa : che non doveva agire per prosel itismo ma per attrazione. Ecco, quel lo che ef­ fettivamente è venuto a mancare nel dopo Pci è la capacità di attrazione: perché non si è più capito chi era quello che parlava . Ho detto del pri mato che assegno in politica alla fu nzio­ ne del soggetto. È i l tema del pa rtito: come moderno Princi­ pe, secondo il gen iale pensiero di Gramsci, come soggettività collettiva , secondo la pratica del movi mento opera io. È qui il grande vuoto del dopo Pci . Non si è sostitu ita la vecchia gi­ ra ffa togl i attiana con qualcosa di si mile. lo sono sempre l ì ,

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con Mach iavelli, a raccomandare una forma di ani male po­ litico umano che sia nello stesso tempo 'golpe e lione'. Non si è sottovalutato il tema , lo si è ignorato. Si è segu ita l'approssi­ mazione politica di un Gorbaciov che, per riformare il soci a­ lismo, aveva comi nciato con l'abbattere il partito. Ma quello costituiva le fondamenta del sistema. Incri nate quelle, l'edifi­ cio è crollato. Bisognava riparti re dalla riforma del soggetto. Qua lcosa di analogo qu i da noi . A un certo punto si è deciso che per puntare al governo del paese bisognasse abba ndonare l'interesse di partito. Anzi, peggio, che il soggetto politico vero fosse ormai il governo al posto del pa rtito. Vorrei capi re se ci si è accorti, viste le repl iche della storia, che questo schema non ha funzionato. Qui sta la causa fonda mentale che ha prodotto l'attuale dram matico di stacco, e add irittu ra contrasto, tra po­ polo e pol itica . Il governo ti costri nge giusta mente a un agire dall'alto del politico. Se non hai lo stru mento del partito che ti assicura una verifica conti nua, quotidiana, di consenso dal basso del sociale, sbagl i anche azione di governo. E fi nisci per essere visto come un corpo separato, chiuso, sordo, estraneo all'i nteresse non del tuo partito ma del la tua pa rte. Chiedo: non è accaduto esatta mente questo ? L'alternativa , non prati­ cata, era anche qui quella di un doppio movi mento, un'altra forma di doppiezza pol itica , manovrare le due leve contempo­ raneamente: i l governo su l terreno istituzionale, il partito nel campo del sociale.

Lei sostiene che il guasto viene da lontano. Ma oggi, dopo il voto politico del 4 marzo, siamo al punto più basso raggiunto dalla sinistra nella storia dell 'Italia repubblicana . . . A meno che a qualcuno oggi, parafrasando Gian Carlo Pajetta, non venga in mente di sostenere (o di twittare). "Noi abbiamo ra­ gione è la situazione che ha torto . . . . "

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Sì, il guasto viene da lontano. Non è solo questione di recenti segreterie del Pd, di ultime coa lizion i di governo. Quando è com inciato negli anni Novanta, con un segu ito nei Duem ila, i l girotondo di nom i e simboli, l ì si è creato il primo accumulo di quel disorientamento pol itico di popolo che oggi è esploso. Già Pa rtito democratico di sinistra non era una gra n trovata . Poi è sparita la p di partito e sono rimasti i Democratici di sinistra . Poi, è ricomparsa la parola partito e però è scompa rsa la parola sin istra . Segu iva no improbabi l i simbol i : la Quercia, con ai suoi pied i la ba ndiera del Pci presto rapita , e l ' Ul ivo e l' Un ione e forse me ne sfugge qualcuno. Racconto brevemente di me. Ho segu ito discipl inata mente il percorso fino a una sogl ia che m i è sem brata inva l icabile. Ho abba ndonato quando è caduta la pa­ rola partito. Non potevo accettare. Non solo si segu iva , ma si alimentava la brutta storia del la pulsione antipol itica , proprio nel la forma più violenta , quel la dell 'antipartito di principio. Qua ndo quel la parola si è recuperata nel la forma del Pa rtito democratico era perché la più che chiara ispi razione di model­ lo americano la neutra lizzava del tutto. Come organizzazio­ ne di partito, quel l 'esperienza lì, non a caso, non è mai nata . Da al lora non ho più avuto tessere di pa rtito, che conservavo gelosamente dal 1 951 . Con dolore - c'è anche, per chi non lo sappia, un dolore pol it ico - mi trovo nel la condizione di un intel lettuale di pa rte sen za partito. Ricordo e m i ripeto spesso una frase che disse Laura Lombardo R ad ice, mogl ie di Pietro I ngrao, ormai anziana come il suo compagno: "Dovevamo di­ ventare vecchi per ritrovarci a essere dei senza partito". Nel la fuoriuscita dal Pci si doveva evitare prima di tutto e a ogn i costo la scissione. Non si è diviso un partito, si è diviso un popolo. Ed era questo il vero tesoro del partito: il popolo co­ munista . Non si doveva dilapidare quel l 'eredità. È com inciata l ì la vicenda devasta nte del le due sin istre, l 'una contro l'altra

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armate sempre, perfino qu ando col laborava no. Una forza di sinistra non può deroga re alla legge ferrea che d ice: nessun nem ico a sinistra . Se lo fa , inevitabil mente scivola i n una per­ dita di identità perché consegna l'idea di sinistra ad altri con l'aggrava nte , nella quasi total ità dei casi, di affidarla a forma­ zioni minorita rie. Il peggior a ffronto che si può fare all 'idea di sinistra è ridu rla a minoranza: che vuoI dire condannarla a essere perdente. L'il lusione che ha occupato la mente del la gra n parte dei post-comu nisti che avevano a ncora con sé la gra n parte del popolo comun ista è che, marca ndo la dista nza da quel la minora nza pol itica , avrebbero potuto conqu istare la maggioranza con un altro elettorato, generico, aprendosi la strada al governo. Adesso possi amo vederlo: è stato un guaio che questa i l lusione abbia avuto in qualche momento qua lche effetto di realtà con le vittorie elettora l i del centro-sinistra . Non ci si è accorti che si trattava di cond izioni del tutto occa­ siona l i : la lunga, deviante e stanca nte stagione berluscon iana che non lasci ava spazio a ch iedere più sinistra , tutti occupati come si era a reclamare una union sacrée contro i l corr uttore delle genti . O ancora , l 'emergenza del la crisi economica, dal 2008 in poi , che imponeva governi di responsa bi l ità naziona­ le, formu la che ha segnato sempre un rich iamo del la foresta per i comun isti italiani. È vero: quel l'indubbia esperienza di buon governo ha anche ottenuto risultati e poi ha fatto uscire il paese dalla crisi , ma come risolviamo il problema che cosÌ , anche cosÌ, si è consegnato lo stesso paese in mani che peggiori di queste è difficile im magi nare? Grad irei u na riflessione an­ che su questo tema.

Mi soccorre in questa circostanza un autore a me molto ca­ ro: Giorgio Gaber nel suo straordinario monologo intitolato Qualcuno era comun ista dice a un certo punto: "Qualcuno

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era comunista perché chi era contro era comunista ". Non cre­ de che, in questi uLtimi decenni, iL gruppo dirigente dei partiti della sinistra, in particoLare quello post-comunista, abbia cer­ cato un po' troppo La Legittimazione da parte di (presunte) éLi­ te. Con due evidenti paradossi. Il primo: quello stesso gruppo dirigente è stato percepito come éLite dall 'opinione pubbLica senza reaLmente esserLo: non sarà un caso se, cambiato vento, i cosiddetti 'poteri forti ' hanno Lasciato in mezzo a una strada quegLi stessi interLocutori in cerca di Legittimazione . . . Il se­ condo: miLioni di persone hanno abbandonato iL campo della sinistra priviLegiando movimenti che fondano iL consenso su piattaforme web private e su sLogan truffaLdini come quello che dice 'uno vaLe uno'. . . I l dramma almeno per me pol iticamente insopportabile è una sinistra d i benestanti e una destra d i nullatenenti. Tornerò su questo perché l'autoreferenzial ità del ceto pol itico, d i governo e di ammin istrazione v iene percepita attraverso questa imma­ gine. La rad ice del l'antipol itica di massa sta qu i . E si espr ime in questi due modi contrasta nti e insieme complementari : l'asten­ sion ismo elettorale e la mobi litazione di piazza , reale o virtuale che sia. Ambedue forme di passività politica, fenomeno di pas­ sivizzazione popolare, perché protesta solo ind ividuale che non fa presenza collettiva , non fa né società né comunità.

È l'altra faccia del verbo l iberista : ce la devi fare da solo, con le tue capacità e i tuoi meriti, e se non ce la fa i, come i più non ce la fanno, devi rivend icare da solo, devi protestare da solo, da solo esprimere tutta la tua rabbia. L'uno vale uno grill ino dice la stessa cosa : stai solo, nel tuo web, fuori, contro tutti. Occorre smaschera re questo i nga nno. Come ? R iprendendosi l'i n iziativa , organizzando una gra nde ca mpagna di ri-orienta­ mento pol itico.

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La riforma più necessaria e più urgente , che non vedo però all'ordine del giorno, è la riforma dei soggetti col lettivi, di lot­ ta e di consenso, di rappresentazione e di azione, si ndacati e partiti, con intorno nuove forme sol idaristiche d i movi mento e d i coopera zione, d i mutuo soccorso sociale e di pratiche pol iti­ che d i base. La rilegittimazione del la politica passa attraverso la restaurazione di un rapporto di fiducia tra il basso e l'alto, tra popolo ed él ite . Un'i mpresa ardua al lo stato delle cose, ma l'unica forse in grado d i riapri re un processo rigenerativo, direi redentivo, dello spirito pubblico ora in agonia. Perché abbia successo non c'è che riposizionare le due ga m­ be, del confl itto e del la media zione. È un'operazione che non può che partire dall'alto. La mia idea è che i l basso del sociale e del politico, cioè i lavoratori e i cittadini, devono essere il punto di ri feri mento, non possono essere il pu nto dell'i n i zia­ tiva . L'antipolitica non si combatte con la democrazia i m me­ diata, perché oggi la democra zia immed iata è diventata un'e­ spressione dell'antipol itica . L'antipolitica si batte rifondando, in istituti nuovi, la democrazia organizzata . E se per le isti­ tuzioni sono necessa rie le riforme, è una rivoluzione quel la necessaria per i soggetti sociali e pol itici . Ma sen za un rivolgi ­ mento nel la cultura politica del l 'attuale si nistra , tutta intera , nulla av verrà .

Di conseguenza, un partito strutturato di sinistra per ridare rappresentanza a pezzi di società deve rovesciare il rapporto tra interesse generale e interesse di parte? Aggiungo che mi sembra un' impresa difficile, molto difficile, per classi diri­ genti che si sono immolate sull 'altare del (presunto?) interesse generale. Ultimi esempi in ordine cronologico: l 'appoggio al governo Monti (2011), l 'opposizione al governo giallo-verde­ nero (2018) dove la sinistra viene purtroppo percepita, anche

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se così non è, come la quinta colonna di una qualche Spectre europea . . . Sì , è venuto i l momento di ri mettere final mente in discussio­ ne i l pur d i fficile rapporto tra i nteresse di pa rte e i nteresse generale. Gramsci pronu nci ava la bellissi ma preveggente fra se: " Voi porterete i l paese alla rovina e al lora toccherà a noi comunisti di salvare il nostro paese". Ma la pronuncia­ va davanti al Tribuna le speciale del fascismo. Non la si può ripetere con un tweet dava nti a l rid icolo contratto di gover­ no 5 Stel le-Lega . Ai m i l ioni di persone sofferenti, disagiate , abbandonate e gi usta mente arrabbiate che hanno voltato le spa l le alla sin istra, non puoi a ndare a ripetere , come ho sen­ tito ripetere , la massi ma aurea: pri ma il paese poi il pa rtito. Quelle persone hanno bisogno, ripeto, hanno bisogno, d i un partito che si faccia ca rico di quel la loro quotid iana cond i ­ zione, per cambiarla dalle fonda menta e lo chiedono muti e sol i, disperat i e incattiv iti. Si veda a riprova l 'ultimo i mpres­ sionante Rapporto Censis. Per saper ascoltare quel le voci ci v uole una coscienza che vi corri sponda dal di dentro di sé. lo avevo i mparato fin da ragazzo, proprio alla scuol a comun i ­ sta , c h e solo facendo l'i nteresse di quel part ito s i faceva l'in­ teresse genera le, in qua nto interesse popola re, del la grande maggioranza del la popolazione. Lo so, viv ia mo tutti in un mondo altro da quel lo. Ma d i un 'che fa re ? ' c'è sempre d i nuo­ vo la necessità . Oggi bisognerebbe riscriverlo collegial mente. Non basta un congresso d i pa rtito. Ta nto meno basta il rito l a ico del le pri marie. Ci vorrebbe una vasta consulta zione di popolo: per capire bene che cosa è successo dentro quel mon­ do, dove è successo qualcosa che non abbiamo capito. E poi, insieme, essenzi ale, su quel la base u n rovesciamento d i men­ talità politica del l 'attuale sin istra .

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Sono questi i due tem i che adesso dobbiamo affrontare. So­ no molto legati fra loro. La mentalità culturale democratico­ progressi sta non ha più capito il popolo. E il ceto politico i mbe­ vuto di quel la cultura non è più venuto da lì e non è più andato lì. Perché quel la cultura non è di popolo, è di él ite. E le due sinistre, quel la cosiddetta moderata e quella cosiddetta radica­ le, che si differenziano magari sul terreno sociale o su l terreno istituzionale come è violentenlente e inutil mente accaduto di recente , sono invece accomunate dalla stessa cu ltu ra che poi è appu nto una stessa mentalità. E questo è il mot ivo per cui la politica e l'orga nizzazione del la sinistra-sinistra non riescono a recupera re il consenso che perdono le politiche di centro­ si nistra . Né l'una né l'altra vengono riconosciute come partiti di popolo. A ogni elezione , di qualunque tipo esse siano, le due posizioni va nno pu ntu al mente incontro allo stesso dest i­ no. Ormai da anni. Ogn i volta si regi stra , si costata, si ripete che il centro città vota a sinistra , le periferie votano a destra . E se ne parla, sÌ , ma quasi fosse un problema come un altro. E invece è i l problema dei problem i. È il pu nto di catastrofe di un i ntero agi re politico. Se è cosÌ , e ormai normal mente è cosÌ , non si è sbagl iato qualcosa, si è sbagl iato quasi tutto. Non voglio metterl a sul senti mentale: tutto i] discorso fatto fi n qui non va certo in questa direzione. Ma devo confessa re un disa­ gio che sa di quella cosa compl icata che è la propria esistenza nel mondo, in questo tipo di mondo. Non m i va di trova rmi dalla stessa parte dei benesta nti , mentre i null atenenti stanno dal l'altra pa rte. Non me la sento di stare con quel l i che alle nove di sera entrano all'Aud itoriu m contro quelli che al le sei di mattina escono di casa . È esattamente questo che, per ripren­ dere un'espressione a me molto cara, 'non si può accetta re', non oltre, non più a lu ngo di così .

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È immaginabile una 'rivoluzione di cultura politica ' che sman­ telli, se ho ben compreso, il pensiero democratico-progressista che da oltre un quarto di secolo sembra la sola bussola delle classi dirigenti della sinistra politica? Non è la prima volta che dico queste cose . Le ripeto da anni. E le hanno dette ta nte altre anal isi e ri flessioni più docu men­ tate del le mie. Ma al lo stato, al lo stesso tempo selvaggio e monopol istico della comu ni cazione qual è oggi , è come se nessuno le avesse mai dette, ta nto per nu lla se ne tiene conto. Sul banco degl i accusati va messa questa si nistra dei diritti o, megl io, dei sol i diritti. Perché i d i ritti del le persone , i dirit­ ti civ i l i , sono una cosa ser ia e gu ai se una si nistra moderna non se ne facesse carico. Si è pa rl ato ta nto del la differe nza tra le cose che si fa nno e la percezione che se ne ha a l ivel lo di massa . Ebbene , a l ivel lo di popolo s i è percepito che quella fosse l 'u n ica identità di quel le si nistre . Ma gari non era così , ma perché si è capito così ? Questa è la doma nda che non ci si è posta . lo credo che una risposta possa essere questa : si è data l'idea, come partiti e come governo, di non aver colto il tremendo impatto sociale del la crisi economica. La 'gra n­ de paura' finanziaria ha prodotto rece ssione economica, si è partiti dagli Usa e si è arrivat i i n Europa, se ne è usciti negli Usa molto pri ma che in Europa . È stata comu nque una crisi lu nga , lenta , profonda , che ha scavato solchi di d i fferenze e di squ i l ibri, tra quello che rim aneva delle vecch ie classi soci a­ li anch'esse ormai disarticolate, disi ntegrate in modo tale da non essere p iù come era no prima. E quindi non più rappresen­ tate dalle forze politiche di pri m a . La nuova questione soci ale produceva u n muta mento d i popolo e imponeva u n ricam­ bio di él ite. E questo a livel lo mondo perché la crisi era nor­ mal mente mondiale. Le sinistre conti nuavano a presentare a l

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popolo i l palinsesto, progra mm atico e progettuale, di prima della crisi , qua ndo con la Terza Via si pensava di governare lo sviluppo. Ha nno most rato di non avere più nem meno la sensibil ità politica di occupa rsi del le ta nte , ta ntissime, vitti­ me del la crisi . Non ha nno saputo cambi arsi . E l 'istanza del ca mbia mento è passata in altre mani, poco raccoma ndabi l i ma a loro modo conv incent i. La crisi capital istica aveva abbattuto l'ideologia democra­ tico-progressista e i democratici progressisti non se ne erano accorti . Questo è il pu nto centrale. Se non si pa rte da qui non si ritorna a cammi nare. Una cu ltu ra pol itica dei bisogni sociali deve accompagnare, non sostitu ire, una cu ltura dei di ritti ci­ vili. Di più. Su questo pu nto va fatto percepire un rad ica le mu­ tamento di linea : un ribalta mento di gera rchia tra il civile e il sociale. Non basta un ram mendo, va rifatto un abito. Ci vuole una sterzata : chiara , visibile, comprensibi le. Lo dico nel mio li nguaggio: una decisione da pensiero forte. La scelta democra­ tico-progressista ha subìto l 'egemonia del pensiero debole. Le ideologie del la fine delle narrazioni ideologiche, per parafrasa­ re quella bella frase, hanno fatto i l deserto e l'hanno chiamato pace sociale. Non si sono più riconosciuti i conflitti veri dove poter spendere pol itica vera . Ne è venuta fuori una melassa di buoni senti menti che girava no a vuoto e non acchiappavano niente del la nuova dura realtà che picchiava su lle cond izion i di vita del le persone. Contate qua nte volte si nomina la parola cittad ini e qua nte la parola lavoratori . In questa sproporzione c'è una di storsione della realtà del le cose . L'esistenza quotidia­ na per la stragrande maggioranza del le persone è segnata dal lavoro o, peggio, dall 'avere un lavoro preca rio o dal non avere lavoro o, ancora , dal perdere il lavoro: e le diverse generazioni sono situate su questa scala. La pa rtecipa zione ai desti ni del la

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polis viene dopo ed è per intero segnata dalla cond izione sul luogo di lavoro o, ripeto, dalla manca nza di un luogo di lavoro. Qui un po' di material ismo ci sta rebbe bene . E ci starebbero bene un po' più di diritti sociali: Costituzione repubbl icana

docet. Contate quante mobi litazioni di piazza si sono fatte su rivendicazioni umanitarie e qua nte sul flagello del le morti sul lavoro. I democratici hanno dato l'idea e il popolo lo ha sga­

mato, come d icono a Roma, di credere vera la falsa notizia che non c'è più lo sfruttamento del lavoro. Benjamin accusava la socialdemocrazia classica di aver inde­ bolito, se non addirittura annientato, la forza del proletariato, sottraendogli quella forma di risorsa messianica che era l'odio di classe. Un linguaggio oggi non ripropon ibile. Ma si può dire con le parole attual mente d isponibili che qualcosa di si mile è di nuovo successo. Lo sl ittamento liberaldemocratico d i quel che resta del socialismo od ierno ha lettera lmente abbattuto la volontà di lotta contro i nemici veri delle classi subalterne, la potenza d i fuoco degli interessi econom ico-finanziari, tra l'al­ tro responsabili della crisi che le aveva colpite. I n presenza di questo vuoto è stato facile, con una operazione programmata dall'a lto, orientare la spinta di contestazione popola re che c'è sempre e comunque in questa società divisa, contro i nem ici fa lsi : il ceto politico, le istituzioni rappresentat ive, l'imm igra­ zione, l'Europa e qua nt'altro. Si è trovato nell'a ntipolitica il laccio che legava insieme il fascio di queste pu lsioni e si è nom i­ nato tutto questo, impropria mente , popul ismo. Possiamo dire che l'i ntero schieramento di sin istra sia stato pratica mente a guardare mentre questo processo si svolgeva , occupato com'e­ ra in altre faccende di governo o, peggio, di pa rtito? Possiamo dire che non si è colta l'astuzia della ragione che questa volta remava contro? Possiamo ben dirlo. E io lo dico qui con tutta la consapevolezza d i poter sbagliare e m i decido a dirlo, e cerco

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di dirlo non con ma lcelata soddisfazione, piuttosto con tanta desolata preoccupazione.

Quello che sta delineando è il tentativo di ribaltamento di una longeva - e perdente - linea politica. Ma ne possono esse­ re capaci gli attuali gruppi dirigenti della sinistra? Vediamo. Precisiamo. Che vuoI dire 'rivoluzione di cultura pol itica' ? Niente a che vedere con 'rivoluzione cu lturale', ri­ cordo di una pessima esperienza . Non si tratta di spa rare sul quartier generale. Si è sparato sin troppo i n questa direzione.

Cultura politica non è la stessa cosa che pensiero politico. È disposizione mentale diffusa a orientare in un certo modo il comportamento pratico: sul la base, certo, di riferi menti teorici comu ni, ma più vaghi di quelli che può assicura re una elabora­ zione di pensiero. A questo proposito più sopra abbiamo usato la parola 'menta l ità'. Nel la cu ltura pol itica del l'attuale sinistra non c'è quasi più traccia del la trad izione marx ista e dove ce n'è traccia, in zone minoritarie, è nient'altro che ortodossia otto ­ centesca. Direi che si tratta , complessiva mente, di una sinistra senza Novecento. Torno su questo tema, riconosco, come fosse per me un'ossessione. Ma è un pu nto strategico di pensiero. Smettiamola d i usare questa formula del 'secolo breve', diven­ tata di uso banal mente giornalistico non certo per colpa del suo più che serio inventore , Hobsbawm . È in realtà uno dei secol i più longevi per l'intensità delle vicende storiche accadute che ha lasciato in eredità a i tempi a veni re. L'attuale sinistra non ha speso un gra mmo di pensiero sul percorso tragico d i storia che stava i m med iata mente dietro l e sue spalle. E cosÌ non ha più saputo da dove vera mente veniva . Per essa l' Illumi­ n ismo sta ancora l ì sano e vegeto senza che la defi n itiva critica francofortese e il fa llimento della ragione borghese , decretato

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proprio dal secolo trascorso, l 'abbiano per nulla intaccato. I sacri princìpi della rivoluzione fra ncese liberté, égalité, fra­ ternité sono tuttora il progra mma massimo. I democratici, -

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a forza d i correre dietro il progresso per spingerlo in avanti, sono tornati ind ietro, alla Lega dei giusti che Marx con un balzo aveva superato con la Lega dei comunisti . La più ardi­ ta posizione rad icale nel l 'orizzonte l ibera ldemocratico è una generica rivend ica zione liberal social ista . E Giustizia e l ibertà, ora rinnovata in Libertà e giustizia, è infatti la parola d'ord ine che più è capace di sca ldare il cuore d i quella minoranza i llu­ mi nata che si chiama ceto med io ri flessivo. È una costatazione, non è un'accusa : morto il Pci è ri nato il Pa rtito d'azione, que­ sta volta final mente, e ora relativamente , 'd i massa'. La cultura azioni sta è pratica mente, attu al mente, la cultura pol itica del la sinistra italiana. Combattere le pratiche popul iste con queste idee è come andare alla guerra disarmati . Togl iatti a un cer­ to pu nto tol se la fiducia al governo Pa rri per dare la fiducia a un governo De Gasperi . Tra una li mpida él ite intel lettuale e un'a mbigua forza popol are per il totus politicus la scelta non era eccezionale, era normale. Chi non comprende questi pas­ sa ggi e li vede sempre come trad imenti del la propria pu rezza morale, per favore, non si impicci di pol itica . Non è per lui, né per lei . Ci sono tante altre nobi li occupazioni . . .

What is left?, nel doppio senso che acqu istò la domanda, molti anni fa , nell'i nglese di Steven Lu kes: che cos'è la si nistra e cosa ne è rimasto. M i è ricapitato in mano un l ibretto Don­ zel l i , con interventi su questo tema di personal ità tipo Bobbio e Dahrendorf, G orz e Rorty, Glotz e Wa l zer, Sa rtori e Veca. Sapete con che titolo? Sinistra punto zero, anno 1 993 , appena dopo 'i nuovi inizi' dell'89. C'onferma del fatto che il proble­ ma non è nato il 4 ma rzo 201 8 . Scriveva Gianca rlo Bosetti, cu ratore di quel la discussione: "Mentre le sorti della sinistra

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politica i n Eu ropa continuano ad appa rire traballanti o cupe, viene da ch iedersi : è finita l'apnea d i quanti hanno continu ato e continuano a considerarsi 'di sinistra', pur senza sapere con la sicurezza di una volta che cosa questo voglia dire? Abbiamo toccato il fondo dove posare il piede, da cui darsi una spi nta e iniziare la risal ita ? O il fondo è ancora più giù negl i abis­ si ?". Forse i l fondo dell'abisso è arrivato adesso. Ma la caduta è com inciata allora , pri m i anni Novanta , qua ndo dopo quel la età di Restaurazione che sono stati gl i anni Ottanta e i l conse­ guente pu nto di catastrofe, total mente inconlpreso, dell' 89-9 1 , s i è compiuta quel la che abbiamo ch iamato, riprendendo un'e­ spressione nota , la mutazione genetica del ceto pol itico della si­ n istra . Lì non si è chiusa una via, si sono chiuse ambedue le vie che il movimento opera io aveva intravisto e i ntrapreso, quella classica della socialdemocrazia e quel la storica del movi mento comunista . La formazione economico-sociale che aveva pro­ dotto e l'una e l'altra, il capital ismo del l'industria e del proleta­ riato, tramontava . Ma 'il nuovo che avanzava', un capitalismo ordol i berale finanziario e predatorio, non era l iberatorio, era, se possibile, ancor più oppressivo. Faceva un passo avanti la civilizzazione e due passi indietro la civiltà. Ma quel ceto pol i­ tico non aveva il minimo sentore del la d i fferenza/opposizione tra Zivilisation e Kultur. Erano categorie el aborate dal pensie­ ro forte conservatore che i l pensiero debole progressista non conosceva e non capiva . Non bisognava d isarmare, come si è fatto, l'esercito che aveva combattuto la lotta di classe, ma for­ nirlo di nuove armi per lotte a nche molto diverse da quella. Ma lotte, confl itti, per nuovi soggetti alternativi contro un nemico anch'esso di tipo nuovo: fondare un altro popolo per la stessa causa , eterna, di riscatto di tutti quel l i che stanno in basso, che stanno sotto e che per non stare più lì hanno bisogno di una forza, una forza e ancora una forza, non di una chiacchiera ,

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una ch iacch iera e ancora una ch iacchiera. Vogl iono a ffidarsi a una potenza pol itica organ izzata che prima di tutto li difenda perché sono i deboli e hanno a che fare con i potenti. E vo­ gl iono far parte di un soggetto pol itico che mostri di essere in grado di rappresentarl i , di orga n izzarl i , d i promuoverl i , di emanciparl i e infine di l iberarl i . Quando pronu ncio la parola forza sono più che abituato a notare il senso scandalizzato d i repu lsa da parte degli espo­ nenti e delle esponenti del la si nistra dei buoni senti menti. Oggi poi quando abbiamo dava nti rozzi personaggi di questa nuova destra-mondo che quotid ianamente mostra i muscol i negl i atti e nelle parole, alza i ton i , grida e provoca , sembra sconsiderato segu irla su questo terreno. Ma forza non è questa roba qu i . Questa è un altro modo d i esercitare violenza. E la violenza s i combatte proprio con la forza . Un partito politico mostra l a sua forza quando s a organizzare la protesta , s a mobi litare le masse, sa rendere cred ibile la proposta , sa ottenere successi , sa strappare risultati, cioè sa sconfiggere sul campo l'avversario. L'im magi ne si mbol ica del la forza io la vedo in una foto che tengo nel mio studio e a cui sempre mi ispiro: una fila di opera i in tuta con le braccia incroci ate, nel segno di un ri fiuto del la­ voro finché il padrone non avrà ceduto alle loro rivend icazioni. Torniamo sempre l ì , torno sempre l ì : alla lectio magistralis che ci è venuta dall'alto della cattedra del le lotte operaie. Chi non ha appreso quella lezione manca pol itica mente di qu alcosa di essenziale. Siamo tutti colpevoli per non aver trovato e praticato la via che andasse oltre la grande storia del movi mento opera­ io, senza ripeterla e sen za ca ncellarla: assu mendone l'ered ità per investirla in una nuova impresa, sempre alternativa. Della Terza Via non era sbagliato il segno, era sbagliato il signi fica­ to . Era legittimo pensa re a una provv isoria via di mezzo tra

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capital ismo e social ismo ma non solo per gestirlo, questo capi­ talismo, piuttosto, governando, per uti lizzarlo ad a ltri fini che gradual mente lo superassero. E questo, tra politica e organiz­ zazione , farlo capire alle masse qua ndo ancora esisteva no con una loro dispon ibilità . Grida vendetta la perdita di quell'occa­ sione con le sinistre al governo in quasi tutta intera l'Europa prima che il secolo morisse e per non farlo morire cosÌ . R isulta­ to: il nulla d i fatto di una zampata che avrebbe messo il destino storico del continente in altre mani. R ipeto: nessuno è senza colpa e ciascuno dovrebbe riflettere sulla propri a . lo la mia la conosco. Se si riprendono le molte mie cose scritte e dette negli anni Otta nta e Novanta - lo ricordavo sopra - si ritrovano tutti questi tem i e problemi . Non c'era la scoperta , c'era però almeno la ricerca. Mi pare di aver colto lì il senso tragico del passaggio storico, proprio quello che mancava , e manca , alla com med iante mental ità progressista insensata mente antinove­ centesca. Il Novecento è stato il secolo degli inizi e della fine: l ì tutto è cominciato e tutto è fin ito. Con la fine del Novecento finiva un mondo e se ne a ffacciava un a ltro, d iverso ma non certo m igliore: tanto più sicuro, aperto e promettente per le classi dominanti, quanto più incerto, chiuso e disperante per le classi suba lterne. Queste nel passaggio perdeva no la prospet­ tiva di rovesciamento della loro cond izione e quindi la volontà di lotta per ottenerla . Non era poco, era quasi tutto. Non si spezzavano le loro catene, le si prepa rava no e offriva no non più di ferro ma di un più soffice materiale tecnologica mente ancor più resistente del ferro, tale da non accorgersi nemmeno di portarle. Dove ho sbagliato io insieme agli altri e a differenza di a ltri ? Quella ricerca era tutta a l ivello di pensiero. Mi sono ded ica­ to a un 'che pensare?' invece che applicarmi a un 'che fare?'. Un errore intel lettualistico. Per un intellettuale totus politicus,

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quale io credo di essere, un errore i mperdonabile. Dovevo fa re più pol itica e meno cultura politica ma lgrado la enorme im­ portanza che do, e ho sempre dato, a quest'ultima. Al lora era il momento. Oggi forse è tard i . Ho toccato con mano questo ritardo nel la mia ultima esperienza in Senato. Mi trovavo a fa­ re pol itica in un contesto nazionale e, pa radossal mente , anche parla mentare or mai dom inato in un modo o nel l 'altro dall'an­ tipol itica . Vero è che la forma di pensiero da me coltivato non aveva spazio pol itico tra quelli cui era di retto. Avrei dovuto fare u na cosa : non metterlo da parte quel pensiero. Ma metter­ lo tra pa rentesi . Adattare quel pensiero, maschera rlo, onesta­ mente di ssi mularlo.

È la seco nda volta che cita To rquato Accetto e la sua solida ricerca su ipocrisia e conformismo nella società italiana del Seicento . . . I l pri mato del la politica non si può teorizza re senza praticare. Chi pensa la politica deve anche fa rla . E, viceversa, ch i fa pol i­ tica deve anche pensarla. Altri menti abbia mo, come oggi, pen­ satori pol itici, pol itica mente del tutto inutili e politici pratici i ntellettual mente del tutto incredibili. La politica è un compo­ sto chi mico di due i nseparabi li elementi , pensiero e azione. Si possono dislocare diversamente nel tempo, ora l'eremo ora la città per dirla i n modo figurato ma, spero, comprensibile. Cosa che ho fatto. Ho sempre molto a mato, per naturale propensio­ ne forse, la massi ma bene vixit qui bene latuit. Ma cosÌ non si pratica certo politica attiva. D'altra pa rte, vivere nascosto è un'obbligazione che è diventata essa sÌ etica nel l 'era tota litaria del la comunicazione. E poi gl i attori politici veri non amano i ri flettori . Sono di stu rbati dalla luce che li acceca. Hanno biso­ gno dell'ombra per parlare al cuore e alla mente del le persone .

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L'anoma l i a Italial

Discorso tutto intero, questo, nel complesso compl icato per dire una cosa sempl ice : nel passaggio d'epoca del l 'inlmediato dopo '89-9 1 , bisognava spendersi total mente nella pratica. La­ sciare i libri e buttarsi nella mischia, nel gorgo come si espresse Ingrao. Lo dico a futura memoria a qualche ragazzo o ragazza che in questi tempi tristi abbia ancora vogl ia di decidersi per la nobi le a rte del la pol itica: ricordati , non conta la tua verità seppur conquistata con sforzo di pensiero, conta quel la verità , anche se non tua, anche se di altri , che serve a ottenere risul­ tati dalla parte per la quale combatti . Non sarai capito. Ma l'i mportante non è essere capito. I mportante è capi re. E agi re di conseguenza. Molti secoli fa , negli anni Sessanta del Nove­ cento, mi ven ne di scrivere una frase, che al lora pi acque tanto. Oggi , credo, altretta nto poco: " Senza lacri me per le rose . . . . "

Ma adesso dobbiamo affrontare un argomento di sconcerta nte attual ità . Lo faccio, anche qu i , a modo mio. Non voglio parla­ re d i popu lismo. Voglio parlare di popolo.

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Popolo

Professore, dice di aver voglia di parlare di popolo. In pro­ posito le cito uno stralcio di un' intervista da lei rilasciata a Repubblica nei primi mesi del 2016 e firmata da Concetto Vecchio: "Ogni mattina da molti anni prendo un autobus che passa sotto gli otto ponti del quartiere romano di Laurentino 38. Il mio mezzo di trasporto per andare in Senato è il 776, poi la Metro B e al Colosseo un altro autobus. Il 776 è un auto­ bus dove si conoscono più o meno tutti e dove prevale il ma­ lumore di un'umanità disperata. Questo popolo di periferia l 'abbiamo perso. E non da oggi: dieci anni fa votavano Alle­ anza nazionale, oggi votano Movimento 5 Stelle. È da queste persone che la sinistra deve ripartire se vuole avere ancora un futuro ". Manca soltanto l 'exploit della Lega anche nella estre­ ma periferia romana dove lei abita e ci sarebbe tutto ciò che qualche dirigente politico della sinistra ha scoperto una volta ultimato lo scrutinio del voto politico del 4 marzo? Esatto. Manca l'exploit della Lega : in fondo, il fatto più i mpre­ visto del le ultime elezioni pol itiche e soprattutto del dopo. Lei ricorderà che un tempo si pa rlava a sinistra di 'connessione sen­ t imentale' dei gruppi dirigenti di partito con le persone del loro

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popolo. Riguardo a questi nuov i movimenti , m i pare d i vedere all'opera una sorta di 'connessione pulsiona le'. Essi fotogra­ fa no e regi stra no un malu more che si è aggregato nel basso e anche i n un certo strato intermed io del sociale. Una pulsione non si interpreta , si espri me. La espri mono immed iata mente a livello di movimento, di pa rtito, e ora purtroppo di governo, e cosÌ la ri prod ucono. Un fenomeno non del tutto ined ito stori­ ca mente e non sol o nostra no. Un modo di fare pol itica tipico di una destra trad izionale, non certo di quel la l ibera le che oggi non esi ste più, ma del la nuova vecchia destra di oggi , quella di Trump, del la Le Pen , di Orba n, di Salvini e, a modo suo, della ditta Grillo- Casa leggio. Chi , dalle nostre parti, non vede nei 5 Stel le la stessa posizione organicistica mente di destra, è cieco proprio del l'occhio destro. Oggi l'antipol itica è la destra e la destra è l 'antipol itica . Ma prend iamo il tema dalla testa e non dalla coda. Abbia­ mo parlato, più sopra , del duplice senso che la crisi del la politi­ ca assume nell'anomalia italiana: crisi di ceto pol itico e anche crisi di senti mento popolare. La seconda indotta dalla pri ma. Sta di fatto che ci troviamo di fronte - al meno io la vedo co­ sÌ - a una certa indecifrabil ità dei comportamenti di massa .

È un tema da assumere . E non ce la si può cavare dicendo, come si è costretti a dire in tv: gl i elettori hanno sempre ragio­ ne. Bisogna capire, leggere, analizzare, appu nto decifrare che cosa quei comporta menti ci vogl iono dire. E mettere in conto che si può dare il caso che da esigenze giuste si traggano scelte sbagl iate . In tempi, poi , di dittatu ra della comun icazione, si dà l 'altro caso che chi dice megl io bugie prevalga su chi dice male la verità . I nsom ma, che chi vende i l lusion i vinca su chi espri me ragion i . Gli orienta menti col lettivi non sono di per sé vi rtuosi. E nem meno di per sé i ntell igenti . Se cosÌ fossero, sarebbe facil issimo esercitare quel l 'a rte , i nvece d i fficilissima,

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Popolai

del governare. Diceva Schumpeter, in Capitalismo, socialismo

e democrazia: "La massa non svi luppa mai di sua iniziativa opin ion i defi nite. Meno che mai è in grado di articol arle, di tradu rle in atteggia menti e azioni coerenti. Tutto quel che può fare è di segu i re, o rifiuta rsi di segu ire, la direzione di gruppo che offre i suoi servigi". Per questo, proprio quando si viene a parlare di popolo, al lora torna in primo piano la cura di quella del icati ssi ma questione che è la formazione e la selezione dei reggitori del la cosa pubblica. Più di ogni altra cosa oggi è deva­ sta nte questa contrapposizione di popolo ed él ite. Da qui nulla di buono può venire per tutti. Non c'è vero popolo senza cl assi dirigenti e non ci sono vere classi dirigenti senza popolo. Si guardi bene : attu al mente non è possibile né costru ire coesione sociale né organizzare confl itto soci ale. Viviamo in una terra di nessuno. Un mondo sen za cuore e senza cervello. Con poch i eroici individui e gruppi di resistenti che, nel le pieghe del socia­ le, fanno preziosa azione di solidarietà e mutualità nella cin ica indi fferenza del la massa , nel la sorda incuria del Palazzo. Ma per "dominare con l'i ntel l igenza gli avveniment i" - accogl ien­ do quell'ulti mo messaggio che ci ha lasciato A ldo Moro - ci vuole la pol itica , ragionata e orga n izzata, cioè non quel la che registra ma quella che orienta. E anche qui decisivo è sapere da dove si viene. Se vieni da una lu nga storia di rivolte popolari o da qua lche altra parte , non precisata e non compresa . Ab­ biamo detto: la sinistra a un certo pu nto ha mostrato d i non sapere più da dove veniva . Il mio sospetto, e il problema cosÌ si aggrava , è che non abbia più voluto dire che veniva da lì. Poi, quando mostri di non sapere da dove vien i, mostri a nche di non sapere dove va i . E produci una letterale perdita di orienta­ mento: che si trasmette dall'alto in basso. L'alto può orientare il basso come può disorienta rlo.

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Oggi molti attori politici invocano un popolo di cui si ergono a paladini, che dicono di rappresentare o di voler rappresen­ tare. È un terreno fertile da arare nella comunicazione sempli­ ficata e superficiale? Poniamo al lora il problema cosÌ , per approfondire i l tema : che cos'è oggi popolo ? Mi è capitato altre volte di citare questo episodio di storia. Su iniziativa di Federico II di Prussia , la Reale Accademia di Scienze e Lettere d i Berlino nel 1778 ch ia­ mò le migliori personal ità i ntel lettuali europee a misurarsi sul seguente quesito, suggerito da d 'Alembert: "È utile al popolo essere inga nnato, sia per ven ir indotto in nuovi errori , sia per ven ir confermato in quelli in cui si trova ? ". Il matematico e filosofo Frédéric de Castillon, uno dei due vi ncitori del concor­ so, favorevole a l l 'uti l ità dell'inganno, cosÌ si espri meva : " Una qua ntità di parole che usiamo di continuo, e credi amo pe�ciò d i comprendere i n tutto il loro sign ificato, sono in realtà chia­ re fino in fondo solta nto per pochi privilegiati. CosÌ le parole 'cerchio' o 'quadrato', di cui tutti si servono mentre solta nto i matematici hanno un'idea chiara e precisa del loro significato; cosÌ pure la parola 'popolo', che molte labbra pronunciano, senza che la mente ne afferri i l senso autentico". Mi pare di capire che oggi, sia quelli che si definiscono popu l isti sia quelli che cosÌ li de finiscono, dall 'una e dall'altra parte non afferri­ no il senso autentico del la parola 'popolo'. Lasciamo stare il bibl ico popolo di Dio, di Mosè o di Paolo, lasciamo stare la mitica agorà dei greci. Stiamo a noi , noi modern i , non ancora postmoderni . Il de Castillon, per parte sua, dava questa defi­ ni zione: " S ' intende di sol ito per 'popolo' la maggioranza del la popolazione, quasi incessantemente dedita a occupazioni mec­ caniche, grossolane e faticose, ed esclusa dal governo e dalle ca riche pubbliche". In una esau riente voce 'Popolo', a cura di

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Popo]ol

Francesco Mercadante , nel volume XXXIV del l' Enciclopedia del diritto, subito in i ncipit si può trovare una defini zione ana­ loga, anticipata nel tempo e, uti l mente per noi , pol itici zzata : " Negl i atti degl i Stati genera l i , convocati nel 1614, figura già espressamente formulato l'appello 'pol itico' del Terzo alla fra­ ternità dei tre Ordini. La ri sposta della nobiltà giu nge i m me­ diata e decisa: 'nessuna fraternità tra noi e il Terzo'. Non tol­ leriamo che figl i di cal zolai e di ciabattini ci chiamino fratel l i , né che la differenza tra noi e i l Terzo s i a diversa da quel la che divide signori e servi". Ci nquant'anni prima M ichele Soriano, ambasciatore di Venezia presso la corte d i Francesco II, defi­ niva i nobili "coloro che sono l iberi". Pensiero diffuso e domi­ nante per secoli moderni che permetterà a Lamennais, autore di De l 'esclavage moderne ( 1839) , di com mentare: "Se dunque il carattere proprio e distintivo del signore è l'essere libero, il ca rattere proprio e disti ntivo del popolo è di non esserlo". E non si creda che tutto cambierà con Illumi nismo, Rivoluzio­ ne francese e segu ito di Costituzioni l iberali. Charles Péguy, intenso pensatore e poeta, di ispirazione cristiano-soci al ista , morto combattendo nel la Grande Guerra , scriverà in De l 'a­

narchisme politique ( 1 904) : " Sarebbe interessante comporre e affiggere u na Dichiarazione dei diritti del l 'uomo e del cit­ tadino, nel la quale si mettesse in tondo tutto ciò che isola gli individui e i n corsivo tutto ciò che l i un isce: tipogra ficamente si sarebbe sorpresi di come le due metà di questa Dichiarazio­ ne procedono l'una contro l 'altra . L'uomo è libero, ma non è libero; l'uomo è uguale, ma vi sono delle distinzioni; gli uom i­ ni sono fratelli, ma si combattono e cosÌ di segu ito". Kings or

people, i l poderoso affresco di Rei nhard Bendix, ci racconta il passaggio dalla medioevale autorità dei re al moderno man­ dato del popol o. The mandate to rule: qua nte volte il mo­ derno del capitalismo ha promesso e non mantenuto questa

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promessa che è servita sempre e solo ai suoi fi n i , di svi luppo, di cambiamento e, attraverso guerre e crisi, di proprio consoli­ damento! La storia del Novecento, nei suoi ritornanti passaggi dai liberalismi ai totalitarismi alle democrazie, se ce ne fosse stato bisogno, ha confermato tutto. Ma tra i tanti contributi disponibi li per chi voglia saperne di più consiglio quei volu mi del l 'editore Viel la, Il governo del popolo, una ricca raccolta di saggi , dall'ancien régime a oggi , a cura dei coraggiosi Giova n­ ni Ruocco e Luca Scuccimarra . Negli ultimi nostri secol i , popolo si è reali zzato in due gra n­ di forme di espressione: come popolo-nazione, nella figu ra del lo Stato pol itico, come popolo-società , nel la prat ica del la lotta di classe. Popolo, prima che un'idea , è una realtà , sta nella storia in quanto soggettività vivente, il politico da una pa rte , i l sociale dal l'altra . Degradare il popolo a opin ione pub­ blica, nel la forma del la 'gente', elettoral mente cattu rata con la pulsione antipolitica , è un'operazione neo-reazionaria. Si badi che il vero soggetto di detta operazione non sono questi stravecchi demagogh i , portatori di un cambia mento all 'ind ie­ tro e che non meritano di essere chiamati popu l isti : questa è l'i ntendenza che ha seguito. Il motore mobile di tutta intera questa fase , quella del la 'fine della storia', è stato l'ultimo capi­ ta l ismo che ha sol levato a potenza ordi natrice - con l'ordolibe­ ra l ismo - la reazione antinovecentesca. Vengono da qui tutti i guasti che oggi l'i ntero mondo sopporta . È in questo quadro globa le che va assu nto da parte del le forze d i trasformazione il problema di un av venuto muta mento genetico di popolo, ri­ spetto a quel concetto socio-politico, che il Moderno ci aveva consegnato.

È anche questa una eredità di quello che lei non vuol chiamare 'secolo breve '?

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Popo]ol

Immed iatamente dietro di noi , una fase lunga , più che trenten­ naIe di sconvolgi ment i nel le forme di vita . E dietro di questo un doppio processo struttu rale: di innovazione sul piano econo­ mico, fi nanziario, tecnologico, comun icativo; di restau razione sul piano soci ale, pol itico, ideologico, antropologico. Da tene­ re sempre presente questo dupl ice, n iente affatto contradd itto­ rio, dato materiale, fortemente condizionante: da non subi re, da contrastare, possedendolo intel lettual mente , contesta ndolo politicamente . Ogni giorno, ogn i ora , ascoltiamo il ritornel lo di una stessa canzone: tutto è cambiato, nulla è come prima e giù l 'elenco delle novitates interven ute. Tutto vero, niente da nega re , discorso legitti mo e necessario. A una cond izione: che si riconosca questo come la metà del discorso. L'altra metà , che nessuno dice, è che tutto è di fatto rimasto come pri ma. È cam­ biata total mente la forma del capitalismo, è ri masta la sostanza storica del capita l ismo: rapporto di società , rapporto di potere . Se non si aggiu nge questo, 's'inganna il popolo' e si diventa suba lterni a ciò che è, anzi a ciò che diviene. Perché se si d ice soltanto che tutto è cambiato, se ne ricava la conseguenza che dobbia mo cambiare del tutto anche noi . E invece no. Si tratta di cambiare le forme del l'organizzazione, della pol itica, del la cultura, del la comun icazione, conservando la sostanza, la cri­ tica tradizionale di tutto ciò che è, anzi ripeto, di tutto ciò che oggi diviene . Di più. Non basta dire che la sostanza del vecchio mondo è rimasta . Bisogna dire che la formula 'tutto è cam­ biato' è servita ideologica mente a mantenere i vecchi rapporti reali. È servita a stabi li zzare, a ordi nare - a ordina mentare, per fare una piccola concessione al lessico foucaultiano - tutto ciò che era e che diven iva . Il nuovo è stato util izzato in fu nzione del vecchio. Da aggiungere qua nto qui soprattutto ci interessa di­ re: quella che sopra chiamava mo e che più sotto continueremo per convenzione a chiamare sin istra ha dato una buona mano.

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Alla fine, però, quella sinistra politica che ' ha dato una buona mano ' è stata travolta e si trova in uno dei momenti più diffi­ cili della propria storia. Il prezzo che ha pagato è sotto gli occhi di tutti. Ma che prezzo ha pagato il suo popolo, questo è da capire. Non è un tema accadem ico, non da ricerca sociologica, non da riflessione pol itologica. Facciano altri questo utile lavoro. Per me è una spi na nel la carne. E così, in questo modo, il problema non lo tratto, lo sento. Il popolo ha subìto un arretramento a l ivel lo di cosci enza pol itica . È stato ricacciato ind ietro dalle terre che aveva occupato, dopo che ]e aveva sgomberate dalle idee domi­ nanti che sono ancora e sempre le idee delle classi dom inanti. Le fa mose casematte conqu istate , si guard i come sono state abba ndonate l'una dopo l 'altra. Non è che era no scompa rse le ragi oni del le lotte. È che quelle ragioni non aveva no più trovato le forze per fa rle valere: soggettività , organ izzazione, direzio­ ne, volontà. Questo è stato il dato drammatico, l'actus tragicus che ha accompagnato il nostro tempo. La gra ndezza del Nove­ cento, che esattamente così ha fatto epoca, è che quelle ragion i aveva no trovato soggetto, pensiero, potenza . E tra lotte e orga­ nizzazione si era no imposte . La pol it ica aveva prodotto storia. C 'è da capire questo e so qua nto sia ormai di fficile se non add irittura i mpossibile farlo capire nel campo in cui mi trovo a parlare, domi nato da questo totalizza nte progressismo de­ mocratico. Non c'è un popolo-tutto, c'è un popolo-pa rte. È i l pu nto di v ista di pa rte che fa del popolo un soggetto pol itico. Senza pu nto di vista di pa rte, non c'è pol itica mente popolo. C 'è sociologica mente , nel la democrazia che pu re si d ice poli­ tica. C 'è naziona listica mente, in una inconsapevole parod ia del l'un ità-tota l ità di popolo nei tota l itarism i. Due forme di neutra l izzazione e di spoliticizzaz ione del concetto di popolo.

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Popolo'

La di zione d i 'popolo comunista' viene aspramente contestata dai teorici (e dai pratici) del nazional-popol are. Ma popolo co­ munista aveva un senso nel partito e per il partito che si dice­ va , e conti nuava a di rsi al meno fino a Berl inguer, partito del la classe opera ia. Questo ultimo suo dir igente fu accompagnato non a caso si mbol ica mente proprio da quel popolo in lacrime alla sua defin itiva di mora. E fu la giornata memorabile, io la sento ancora cosÌ , che prefigurava il funerale del Pci . Quan­ do quella nom i nazione è stata abba ndonata , già qua lche an no prima dello sciogl i mento del Pci , non si è esti nto solo il popolo comunista, ma il concetto-realtà pol itico di popolo. Dobbia­ mo sapere che quando diciamo oggi 'ceti popol ari' stiamo ma­ neggiando un concetto vago, generico, stiamo facendo ricerca, magari buona ricerca, ma per arrivare a descrivere una condi­ zione, una collocazione di presenza solo sociale che non a caso risulta imprendibile e irrappresentabile politica mente. Oggi ne abbiamo la prova . Quel la cond izione può essere presa e rap ­ presentata addirittura da posi zion i antipol itiche. Quello che adesso viene defin ito, e si definisce, popul ismo, sta dentro questo intreccio. Che cosa d ice il fatto che populism e narodnicestvo dicono più o meno nel lo stesso tempo - gl i u lt i m i decenni dell'Ottocento - sia pure in forme diverse più o meno la stessa cosa, che niente ha a che vedere con quanto oggi chiam iamo popul ismo? Che cosa dicono quei due nom i nelle due lingue, oltre la previsione tocquevill ia na che A merica e Russia sarebbero stati i grandi protagonisti del Novecento ? È dalla critica dei populisti americani che nasce l'età matura del­ la democrazia in A merica. E dalla critica dei popu listi russi na­ sce la teoria e la pratica del la rivoluzione in Russi a. Quest'ulti ­ ma cosa ci riguarda in modo particolare. Il giova ne Len in che, da socialdemocratico, combatte contro gl i 'am ici del popolo' si guadagna su questo campo l'analisi corretta dello sviluppo

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del capita lismo in un paese arretrato. È il metodo giusto. Il popu lismo ha sempre ind icato u n problema. Un problema rea­ le. Anche oggi da questa segnalazione, sia pure corrotta dalla m iseria del tempo e dei suoi protagonisti, occorre risal ire alla necessità di un'analisi del le cond izioni present i, econom iche e sociali, pol itiche, istituzionali e, aggiungo, psicologiche di massa e antropologiche individu a l i . Il popu l ismo è la forma, una delle forme, in cui si ripropone period icamente il problema irrisolto del la modern ità pol itica, il rapporto tra governanti e governati. La nov ità è che il fenomeno ha scavalcato la sogl ia delle società meno ava nzate , a prevalenza di economie agrarie e di masse contad ine. E ha raggiu nto, in forme i ned ite, le for­ mazioni sociali che si dicono post industriali e i sistemi polit ici che si dicono postdemocratici . Gino Germani, gra nde interprete del fenomeno, leggeva in modo perspicace il popul ismo come passaggio da trad izione a modernità, dove pezzi del l 'una e pezzi del l'altra conviveva no e si combatteva no. Guardava soprattutto a quello dell'America latina. Ma il discorso vale anche per il popu l ismo delle ori­ gi ni, russo e statunitense. Quello che oggi si dice popul ismo descrive il passaggio dalla modern ità a una cosiddetta post­ modern ità per signi ficare qua lcosa che nessuno sa bene che cosa sia : per quello che già si può intravedere postmoderno appa re come un pianeta in modo inqu ieta nte umanamente di­ sabitato, un mondo senz'anima, solo corpi , virtuali però, corpi sen za carne, appendici delle macch ine, le sole creature rimaste intel l igent i. La deriva , non ch iamiamola popul i sta per rispetto a quel le serie insorgenze del passato, ch iamiamola demagogi­ co-antipolitica, malattia della vecch iaia delle società avanzate , espri me nel suo fondo oscuro essen zialmente tutto questo. La forma politico-istituzionale - sarebbe più corretto dire, anti­ pol itico-istituzionale

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è il nuovo Leviatano del la democrazia

Popolol

immed iata, con contorno di democrazia recitativa, per dirla con la lucida formula d i Emilio Gentile. Un mostro n iente af­ fatto m ite, armato com'è d i quella violenza sotti le che è i l con­ senso plebiscitario, macroanthropos animalizzato, rivestito d i luccicanti panni pa rtecipativ i che nascondono l a nuda v ita del­ la cessione di sovra nità dalla plebe all'ultimo capo, nemmeno carismatico. I n quel lo che oggi si d ice populismo non c'è il popolo e non c'è il principe. E quello che abbiamo i mparato da ragazzi una volta per tutte, la lezione machiavel liana che "a conoscere be­ ne la natura de' popoli bisogna essere principe e a conosce­ re bene quella de' principi bisogna essere populare", - questo per essere messo di nuovo a frutto ha bisogno che riemerga no, nelle vesti nuove assu nte, i pol i veri del confl itto. Non mi pre­ occupa la democrazia illiberale. A con1battere l'autoritarismo si trovano a ncora tante persone d i buon senso. M i appare più pericolosa questa democrazia liberale totalizzante , impolitica e antipolitica che trova ta nte più persone di senso comu ne ad assumerla. Questa descrive l'apparato ideologico più adegua­ to a l nostro tempo, perché maschera e i nsieme ga rantisce i l funzionamento reale d i quel reale rapporto d i potere , d i c u i i demagogh i del cambiamento non conoscono nem meno l 'esi­ stenza . Dentro quell'appa rato c'è tutto: la dittatura della co­ municazione, la vecchia sempre nuova società del lo spettaco­ lo, la civiltà dell'intratten i mento, l'ultima retorica d i massa , la retorica della rete, l'interattività come stru mento d i subal­ ternità. Conseguen za : tutti parlano di politica senza saperne niente, non guardando dai luoghi bassi ai monti e dai luoghi alti al piano, ma girando intorno, cioè girotondando davanti al Palazzo , ch iacch ierando del più e del meno, tutti com missa­ ri tecnici della nazionale d i calcio, che solo loro sanno come si vi ncono le pa rtite.

Ho come l 'impressione che in questa parte delle sue riflessio­ ni, professore, ritorni quella critica espressa in un'altra parte della nostra conversazione sugli esiti nel medio periodo 'più che negativi ' del '68, in particolare in quella incapacità di di­ stinguere tra autorità e potere. Ma la domanda resta: si può salvare il popolo dal populismo? Ernesto Laclau , nel suo importa nte testo, On Populist Reason (2005), in ita l iano La ragione populista (2008) , insieme a Chantal Mouffe in On the Political (2005), in italiano Sul poli­ tico (2007), cosÌ come Marga ret Canova n, in Populism (1981), '-

impiantano l'anal isi corretta del popul ismo d a cui ripart ire per aggiornare e adatta re al caso italiano. È i l percorso giusto. Questo approccio conferma qua nto ci siamo detti sull'anoma­ lia ital iana, quel la di ieri e quella di oggi . Quel la di ieri vede­ va gra ndi forze politiche salda mente poggi ate su componenti popolari presenti nel la storia soci ale: il popola rismo cattolico, la trad izione social ista , la diversità comunista . Siccome c'era popolo, non c'era popu] ismo. Al contrario di oggi dove c'è po­ pulismo perché non c'è popolo. Torna al lora utile, anzi indi­ spensa bile, il concetto pol itico di popolo. D i questo si tratta . Come e qua ndo si è d issolto questo che abbi amo chia mato con­ cetto-rea ltà ? Non vale la risposta : quando quelle componenti popola ri si sono oggettiva mente dissolte nel la società . Quelle componenti non sono morte di morte naturale. Si può sceglie­ re se siano state uccise o si siano suicidate. A mio parere, per ambedue insieme queste cose : oggettiva mente uccise dal nuovo capitalismo, soggettiva mente suicidate da una sinistra progres­ si sta e da un cattolicesi mo democratico non all'a ltezza del la sfida . Cioè, per un'operazione dall'a lto, di si stema che ha cosÌ uti li zzato il cambia mento di forma del capital ismo rigua rdo al­ la sua composizione sociale e per un ced imento dall'interno di

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esse, da pa rte del le rispettive rappresenta nze pol itiche, riguar­ do al rinu nciatario disarmo dei loro gruppi di rigenti . No, quel­ la dissolu zione di popolo è avvenuta contemporanea mente e contestual mente al dissolversi del l'idea e del la pratica di classe. E non perché la condizione sociale di classe fosse scomparsa, ma perché era stato abba ndonato il riferi mento pol itico a essa . Quella condi zione sociale di classe non era scomparsa, si era profonda mente e radical mente mod ificata . Al pu nto da non essere più chiara mente visibile. E questo - il non rendere più visibi le il conflitto centrale - era stato il vero successo di quel cambia mento, add irittura rovescia mento, di egemoni a intro­ dotto dalla reazione conservatrice ai 'trent'a nni gloriosi '. Tutto era detto in quel la frase della Thatcher: non c'è società, ci sono solo individu i . E tutto era praticato nel reaga nismo economico. Il non aver colto questo passaggio come il grido di battagl ia di una nuova stagione di lotte sociali e di mobil itazione po­ polare, anzi aver addi rittura civettato con la novità di questo individualismo possessivo, il lusorio portatore di magnifiche opportunità per tutti, è stato il vero punto di chiusura per ogni possi bil ità e praticabil ità di una trasforma zione di mondi e di vite. Quando si dice forme di mondo, forme di vita, sembra che si salga nell'astratto, in rea ltà bisogna capire che, a proposito d i popolo, cosÌ si scende nel concreto. Perché lì il concreto, in

politica, è il vissuto. A cosa si riferisce, professore, con l 'espressione 'riferimento politico a una condizione sociale di classe'? Non sono mai stato un marxista ortodosso. Tanto meno m i sento di esserlo adesso. N o n solo non credo, secondo i dettam i del material ismo storico, che l'i ntera storia uma na s i a storia delle lotte di classe . Ma credo che non lo sia nem meno l'intera

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storia del la formazione econom ico-sociale capita l istica . Le c1assi, ne1 senso marxiano, e anche len i n iano, le vedo l i m itate alla fase de1 capital ismo a central ità del l a grande industria. Ci sono state le c1 assi 'qua ndo c'era la c1 asse opera ia', per citare il be1 titolo d i un libro de1 nostro indi ment icabile Aris Accorne­ ro. Ma la separazione, la di fferen za e il contrasto tra il sotto e i l sopra de1 soci ale e de1 politico, questo c'è sempre come lu nga durata, anche se va letto nelle diverse forme in cui si presenta ne1 1a conti ngen za . La condi zione sociale di c1 asse si fa politica quando assume un proprio punto di vista di parte. E allora si contrappone a un opposto pu nto di vista. E tanto più politica si fa quel la condizione qua nto è meglio praticamente organiz­ zata e teoricamente fondata. Concetto pol itico di popolo - lo ripeto - vuoI dire che i l popolo non è il tutto, ma è una pa rte. E non si contrappone al tutto, come avviene nella demagogia fa lsamente populista, ma a un'a ltra pa rte , ben storicamente determ i nata. Quando il criterio de1 pol itico non occupa, cioè non legge , non interpreta e quindi non rappresenta lo spazio e i l senso di questo confl itto si crea un vuoto. E siccome in poli ­ tica il vuoto de1 sociale non esiste, quello spazio viene riempito da soluzioni che tutte - sempre - hanno un segno restaurati­ vo. Ne1 Novecento fu rono autoritario-plebiscitarie, oggi sono democratico-plebi scitarie. In ambedue u n'u nica vocazione to­ ta litaria. Con una di fferenza, forte, da sottol ineare. L'attuale pu lsione antipolitica di massa non è dettata né indicata da un antico comunitarismo di sangue e suolo. Non lasciamoci ab­ bagl iare dal sovranismo che ha una sua ragione i n una con­ ti ngenza europea e maga ri m igratori a e magari securitaria . I l fenomeno è più di fondo, più radicato e più pericolosa mente duraturo: dettato, quasi i mposto, dall'adattamento aggressi­ vo, dal basso, alla scomposizione di ogn i legame soci ale. lo lo leggo come l 'u ltima za mpata vincente del l 'individualismo di

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massa , prodotto dal neol ibera lismo del l'ulti mo capitalismo. È dentro questo passaggio di fase totali zzante, per di più attra­ versato e frattu rato da una lunga propria crisi , che il popolo pol itico al suo i nterno inti mamente sol idale diventa scomposta folla arrabbi ata di individui sol itari.

Quindi come si contrasta - non il populismo - ma la folla, ovvero la moltitudine di individui solitari in cui prevale, co ­ me ha suggerito di recente Giuseppe De Rita, la politica del rancore? Della pulsione di ra ncore ha pa rlato, forse per primo, Aldo Bo­ nomi nelle sue ricerche su l ca mpo del nord-est, nel passaggio attraverso quello che lui ha ch ia mato capital ismo molecola re . M i conv ince sempre chi gioca ndo seria mente con le pa role i ntroduce nel discorso concetti . Chi sostiene, ad esempio, da­ vanti alla realtà di oggi : non diciamo 'popolocrazia' secondo da ulti mo il l i bro di Ilvo Diamanti e Marc Lazar, ma diciamo piuttosto 'oclocra zia', disti nguendo tra demos (popolo) e oclos (fol la) . Non è neppure un approccio intera mente nuovo. Già a fine Ottocento Gustave Le Bon scriveva Psicologia delle fol­ le (1895). E al sorgere dei tota l itarismi novecenteschi il tema divenne di drammatica attualità. Poi, i n piena trionfante de­ mocrazi a , la società di massa , soprattutto a partire dagli Stati Uniti , ispirò gli studi su lla 'fol la sol ita ria'. È questa la ca ratte­ ri stica del la fol l a : una moltitud ine di singoli che si som mano senza riconoscersi . La rete espri me questo alla perfezione. È la più cla morosa novitas del momento. Ognuno, a casa, dava n­ ti a una macchina pa rla solo con sé stesso credendo di parla­ re a tutt i . Ognuno dovunque col suo cel lulare crede di essere in contatto con tutti, mentre è solo in mezzo a tanti . Questa somma di sol itud i n i fa quel la che si chi a ma opin ione pubbl ica .

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Nell'opin ione pubblica - diceva già Hegel - è nello stesso tem­ po tutto vero e tutto fa lso. È questa l'odierna post-verità . La pol itica, attual mente ridotta a una qualsiasi intendenza, segue ed esegue. "L'opinione pubbl ica", d iceva Schmitt, "è la forma moderna dell'acclamazione". Da rileggere di questo autore, con spi rito critico accorto e lucido, i l capitolo terzo, soprat­ tutto i pa ragra fi 17-20, della sua Dottrina della costituzione. Una delle defin izioni del la democrazia è appu nto government

by public opinion. L'i nglese è d'obbligo perché ben si adatta al model lo Westminster consensus. Tra lascio a ltre sue defini­ zion i , da di menticare, che fanno scendere in campo identità e omogeneità in un concetto totalizzante di popolo, che sappia­ mo dove ha portato. Torn iamo invece a quella idea d i popo­ lo da cui siamo partiti all'i nizio di questo discorso: i l popolo come pa rte. Scrive Cari Sch mi tt: "Popolo sono - in uno specia­ le sign ificato della parola - tutti quelli che non sono eccel lenti o distinti , tutti i non privi legiati , tutti quelli che non sono posti in risa lto dalla proprietà , dalla posizione sociale o dall'educa­ zione (dice Schopen hauer: 'Chi non comprende il latino appar­ tiene al popolo') ". Le persone che fa nno popolo sono sempre queste . Ma l'unità niente affatto omogenea che le comprende cambia al cambiare del le condizioni sociali e istituzionali. Quello che ci troviamo di fronte ora è il popolo dopo la classe. C 'è stato un popolo pri ma della classe, uno in presenza della classe, ce n'è un altro dopo la classe. Noi , al meno qui in Europa che ven iamo da una certa cultura , io tra questi , abbi amo conosciuto quel popolo te­ nuto insieme da un riferimento, da un'appartenenza di classe. Era l 'Otto-Novecento della società industriale. Lì, non solo la classe, ma la lotta di classe teneva insieme il popolo. E attra­ verso questo, non contradd ittoria mente , con il conflitto creava coesione soci ale. La divisione in classi , v isibile, espl icita perché

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rappresentata sindacal mente, pol itica mente e a nche istitu zio­ nal mente, faceva società. Quando si è dissolta questa forma, questa messa in forma, stor ica del la naturale anarchia capita­ listica , abbiamo perso la bussola che ci or ientava nel tempo. Qui sta la ragione oggettiva del la crisi pol itica del la sinistra da mettere accanto a tutte le ragioni soggettive che abbiamo visto sopra . Quella dissoluzione è stata opera del nuovo capi­ talismo. Negl i anni Sessanta parlammo di neocapitalismo. Ma questo valeva solo per l ' Ital ia. Quel capita lismo, del la gra nde industria, stava diventa ndo già paleo in economie più avan­ zate. Il vero neocapitalismo è quel lo, globale, fi nanziarizzato del la posti ndustria, che arriva contempora neamente in tutti i paesi del l'Occidente e dell'Oriente . Fu una scoperta dell'ope­ raismo, al lora, il concetto di composizione di classe. A questo punto, quel lo che ci spetta di "conoscere per del iberare" - im­ pariamo anche dai grandi l i berali come Einaudi - è il nuovo concetto di composizione di popolo. Una rea ltà dispersa non più rappresa in sol ide appa rtenenze di classe, frantumata e in­ terna mente add irittu ra rissosa che in qua lche misura sembra riflettere passiva mente quel ritorno a una vocazione anarchica degl i spiriti animali del l 'ultimo capital ismo: quegl i spiriti ani­ mali che la pol itica del secondo Novecento era riuscita , in par­ te , ad addomesticare. Ma c'era voluta la lezione del l 'età del le guerre civi li eu ropee e mond iali e, lì dentro, dei total itarism i . A quell'epoca, popolo era spontaneamente un concetto pol itico, perché era u na realtà pol itica . Sindacat i , partiti, istituzioni non spendevano troppa fatica a fare il loro mestiere, a esercitare la propria funzione. Oggi non è più cosÌ. Forse add irittura è il contrario di cosÌ . Popolo si presenta come una realtà imbe­ v uta di antipol itica che trascina su questo terreno ogni sog­ gettività politica. Quello che non si vuole am mettere è che ha vinto l'anti-Novecento. 11 che v uoI dire che sotto la maschera

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del postmoderno ha vinto l 'anti-Moderno . Se non si assume e non si pratica questa premessa non si arriverà ad a lcuna sco­ perta. Va rovesciato il d iscorso dei vincenti , per far capire a i p i ù che quel lo c u i assistiamo non è un cambiamento m a una regresslone.

Per chiarezza non è il caso, anche in questa parte del suo di­ scorso, di 'aggettivare' il lemma globalizzazione: globalizza­ zione capitalistica? Corretta e opportuna osservazione. Nel discorso fin qui fatto, quel l 'aggettivazione era impl icita . In miei scritti precedent i si troverà sempre questo aggettivo. La globa lizzazione ha un se­ gno. È un processo strutturale su cui è stato impresso un mar­ ch io e a cui è stata data una direzione. Un fatto economico, di vecchia sostan za ma di nuova forma, a forte signi ficato politi­ co per nlezzo di cui il capitalismo si è assicurato una sopravvi­ ven za. Non so se ha i secoli contati , come diceva sapida mente G iorgio Ruffolo, ma certo non stiamo assistendo alla sua fine. La sua è una decadenza di civiltà, non certo di forza. Diceva mo al lora che acca nto alle gravi manchevolezze soggettive vanno cons iderate le dure cause oggettive alle origini della cond izione attuale di popolo. Si parla molto, si parla sempre , e purtroppo se ne parla soltanto, di diseguagl ianze esplose dentro l'ultima crisi ma cresciute anche pr ima. C 'è questo paradosso: le cifre ci dicono che con la globalizzazione vecchie cond izion i di pover­ tà sono state superate in paesi a econom ie arretrate. La stessa global izzazione ha però prodotto nuove condizion i di pover­ tà nei paesi a economie ava nzate . Qui i vecchi poveri sono ri­ masti e nuovi poveri si sono àggiunti. Degl i strati intermed i d i queste società a capital ismo finanziarizzato, una minima parte è riuscita a occupare l'ascensore che sa liva , la maggior

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parte è stata spinta nell'ascensore che scendeva . Abbiamo già notato come si sia veri ficata una marxiana proletarizzazione di notevoli pezzi di ceto medio. Dal punto di vista di opinio­ ne pubbl ica e di comporta mento elettorale questo fenomeno ha avuto una fondamentale i mportanza. Il cittadino di ceto medio si è visto retrocesso, non solo in merito al suo reddito ma in merito al suo status. E non ci vuole molto a sapere e a capire qua nto a quel l ivel lo conti una condizione psicologica di status. Un conto è l 'escluso abituato a essere tale. Un conto è l'incluso che si vede cacciato fuori in una emarginazione che non conosceva . La reazione di rabbia è stata quasi naturale, il montare del rancore, appunto, in seguito all'i rrompere del la paura sul proprio futuro, è dilagato fuori dei tradizional i ceti emarginati. È arrivato a colpire figu re sociali che non cono­ scevano questa condizione, il lavoratore autonomo, il piccolo i mprenditore , il commerciante, l'insegnante. A quel punto la rivolta i nd ividuale massi ficata si è fatta crescente , i nvadente , incontrol labile, quasi selvaggia. I professionisti del l'anti-casta hanno trovato soprattutto in tutto questo devastato contesto il terreno riarso perché la scintilla del l 'antipol itica incendiasse la prateria del consenso alla si n istra insediata ai livel l i alti del­ le istituzioni pol itiche, indicate come un iche responsabili del complessivo disagio sociale.

E non c'è solo questo. C 'è di più. Avevo letto tempo fa , e ac­ cu ratamente conservato, una ricerca della Fondazione Hume­

Il Sole 24 Ore, il Dossier V/2016. Il titolo: La Terza Società. Si rilevava la quota di 9 milion i di esclusi , il 30 per cento del la forza lavoro. E si avvertiva che il 45,8 per cento, col locati al Sud, esprimeva no una preferenza elettorale per il M 5S . 2016: in tempo, se non per rimediare, almeno per accorgersene . E in modo da non arrivare al risultato elettorale del 2018 come a una sorpresa . Ne aveva già pa rlato Luca Ricol fi in Le tre società

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(2007). È un tema, italiano, ricorrente. D unque, Le due società di cui parlò per pri mo A lberto Asor Rosa negli a n n i Setta nta, precisamente i n quel l'a n no di ffici le che fu il 1 977, sono diven­ tate tre. Le motivazion i e le i mpostazioni della Fondazione Hu­ me era no i n novative. Le riporto per esteso, perché di menticate . "Quando si parla del sistema soci ale e delle sue divisioni si fa per lo più riferi mento a due tipi di fratture fondamentali". La pri ma è quel la dei livelli di redd ito: si sudd ivide la popolazione in st rati , dai poveri assoluti ai super-ricch i, in mezzo la vasta area dei ceti med i . Sono in genere le i ndagin i ca mpionarie sui bila nci familiari dell'Istat e della Banca d'Ital ia. La seconda è quel la dei rapporti sociali : si suddivide la popolazione in classi socia l i . Famoso il Sylos Labi n i del Saggio sulle classi sociali. Entra mbi questi approcci mostran o oggi i loro limiti. L'approc­ cio in term i n i di livel li di reddito, in base alle cond izion i econo­ miche della fa m igl ia, va a ca ncel lare le differenze tra percettori di reddito e membri mantenuti o sussid iati. L'approccio in ter­ m i n i di classi sociali non fa i conti con il tendenziale sv uota­ mento del le classi social i del passato, operai e contad i n i . Ma la di fficoltà fondamentale di questi due approcci sta nel fatto che nel luogo centrale che genera le differenze sociali, il mercato del lavoro, opera ormai u n a m i noranza della popolazione (nel caso italiano, circa 25 milioni di persone su 60) , al cui interno i capi fa m iglia che lavorano sono ancora più esigua mi nora nza (ci rca 12 m i lioni di persone su 60) . Il dato fondamentale è che si è formato, al meno qui da noi, in questi anni e decen ni, un segmento sociale di popolazione attiva, cioè disposta a lavora­ re , che vive una cond izione di grave esclusione dal ci rcu ito del lavoro regol are. Allora , la strati ficazione sociale si presenta att ual mente in questo modo. C 'è una Pri ma società, quella dei garantiti e del posto fisso: dipendenti pubbl ici , dipendenti delle med ie e

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grand i aziende protetti da un contratto di lavoro stabi le. Una Seconda società, quel la del risch io, cioè dei lavoratori più espo­ sti a l le incertezze del mercato: operai e i mpiegati delle piccole aziende, gl i stessi proprieta ri del le piccole imprese e lavoratori autonomi privi di qualsiasi sistema di ammortizzatori social i . Qu indi una Terza società, quel la degl i esclusi , disposti a lavo­ rare ma fuori da e impossibilitati a entrare in un lavoro rego­ lare , più gl i scoraggiati che hanno perfi no smesso di cercare lavoro: disoccupati , lavoratori in nero, ta nte donne, ta ntissi mi giova ni, compresi quel li fuori dai circu iti sia di stud io che di lavoro, gl i ormai noti Neet, molti outsider soprattutto al Sud, tutti quel l i che resta no fuori dalle statistiche ufficiali. Il feno­ meno ha un'origine di medio periodo: è dalla crisi di sistema del 1 992-1994 che com incia a emergere la Terza società. Da fi ne anni Settanta e anni Ottanta era no già evidenti i processi di emargi nazione e margi nalizzazione di segmenti debol i del­ la forza-lavoro. Oggi è in questo segmento sociale che l ' Italia occupa i posti peggiori nelle classifiche internaziona li. Le date sono eloquenti : la pol itica, e più gravemente la pol itica 'pro­ gressista', non si è accorta di niente occupata com'era a i nse­ gu ire sociologicamente e a promuovere elettoral mente i mode­ rati e illum i nati ceti medi riflessivi .

Pezzi di società che da decenni, secondo la sua analisi, erano in cerca di una casa politica, di una rappresentanza. Abbiamo infine trovato �il popolo perduto '? l'anom alia ital iana colpisce anche qu i . Ma il pu nto su cui ri­ flettere è che quegl i esclusi è da tenlpo du nque che erano in cerca d i una rappresentanza pol itica , rappresentanza che non trovavano più nei partiti trad izionali e ta nto meno nel la pol i­ tica in generale. Su quei partiti e su tutta la politica si è infine

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sca ricata la rabbia ra ncorosa di questo mondo di di menticati . Ci ha pensato poi l 'altra crisi degli anni Duem ila a fare dei

forgotten un fenomeno-mondo, a partire dagl i Usa che il sa nto Obama ha consegnato trionfal mente al satana Trump. Atten­ zione: si sono sopravvalutate le opportunità che offriva il pri­ mo, si stanno sottova luta ndo i pericoli che presenta il secondo. Ma per concludere il saccheggio che ho fatto del la ricerca, che merita il grande nome di David Hume, ne riporto un'ultima intelligente osservazione: "C olpi sce un'associazione: il batte­ simo del movi mento Ci nque Stel le, ovvero il V-day del 2007

(8 settembre 2007) coi ncide quasi millimetrica mente con l 'i­ ni zio del la lu nga crisi del 2007-2014 (agosto 2007), e l 'ascesa del Movi mento avviene in perfetto paral lelo con l 'espansione del la Terza società in Ita lia". Diciamo che, se non tutto, certo una buon a pa rte sta lì. E diciamo anche che se non è quella l'u nica radice del la rabbia antipol itica , molte delle sue radici pa rtono da lì. Il messaggio che nominiamo popul ista, tanto più se urlato, ta nto più se scagl iato con la violenza al meno delle parole contro un nem ico - i partiti di ieri, l'Europa di oggi, gli immigrati di domani - è un seme gettato su un terreno ferti­ le. L'esasperazione di un brutto vivere quotid iano fatal mente si riconosce in atteggi amenti e l i nguaggi esasperati. Se poi la terra viene anna ffiata con l 'acqua di promesse demagogiche, la pia nta del consenso cresce rigogliosa . Davanti all'anomalia d i un paese , quel la diventa u n a risposta quasi normale. L a pol i­ tica deve tornare a tuffarsi in questo mare in tempesta. E per la cosiddetta sinistra questo compito diventa un'obbl igazione politica . Più o meno presto l 'offerta demagogica, per ragioni oggettive, si esau rirà, o megl io va portata a esau rirsi con un a ltrettanto forte, anche se più civile, contrasto. L'approssi ma­ tivo i mprovvisato ceto antipol itico che la cava lca fa l lirà. L'a n­ tipol itica non regge su i tempi med io-lu ngh i a meno che non

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trovi una istituziona li zzazione di democrazia tota litaria. Allo­ ra occorre che una nuova soggettività politica si faccia trova re su l posto, per evita re un vuoto che altri menti potrebbe essere riempito da offerte ancora peggiori di quelle attuali . Abbia­ mo appena accennato sopra a una verità scomoda : scomoda da dire e scomoda da fa re, special mente per le anime bel le de­ mocratico-progressiste. C 'è stato un arretra mento pol itico di popolo. Lucidamente , occorre arretra re i nsieme a esso, nel la sensibil ità ai bisogni e nel la proposta dei rimedi. Un tale che se ne intendeva raccoma ndava : un passo ind ietro, due passi avanti . Stiamo attraversando un momento, una fase, un mol­ to particolare stato d 'eccezione, in cu i bisognerebbe trova re la capacità di, contemporanea mente , sa lire con il pensiero e scendere con l 'azione. Di nuovo , un doppio movi mento. Mi soccorre una massi ma che da tempo ho adottato come linea di condotta , che conosce bene chi mi conosce: pensare estremo, agire accorto. Nello speci fico: sapere dove sta adesso popolo. E andare lì a riprenderlo da dove sta per fa rlo ava nzare. Indi­ ca ndo qual è il nem ico vero da combattere. Questa , non altro, è Pol itica. Mi gu ardo intorno e non vedo il qua rtier genera le che possa assumere su di sé tale vecchio/nuovo compito. Di­ spero. E parlo, non so bene a ch i . Non solo a chi possa fa re , ma nem meno a chi possa ascoltare. Eppure, mi pare una cosa add iritt ura di buon senso: andare , prima di tutto, a riprendersi il popolo perduto, che si è perduto. E poi tornare a camminare insieme. Vi ricordate quel quad ro di Delacroix, La libertà che

guida il popolo: una donna scarm igl iata con un drappo e uo­ m i ni e donne in rivolta che la seguono ? 0, se volete, Cha rlot che raccatta da terra un panno, lo agita e si vede ven ir dietro una massa di persone, uom ini e donne in corteo ?

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Che fare ?

Professore, siamo arrivati alla fine. Ma prima di affrontare il tema forse più spinoso, 'quale futuro politico per la sinistra ' italiana e d europea, m i ricollego alla conclusione della sua ul­ tima risposta, dove a guidare il popolo compare una figura al femminile. Mi ha colpito che in tutta questa nostra conversa­ zione lei che si definisce un teorico della forza non abbia mai parlato del pensiero della differenza, un pensiero in sé e una pratica in sé capaci di scardinare l 'ordine costituito . . . Che il pensiero e la pratica del la d i fferenza abbiano in sé que­ sta capacità ho qualche dubbio. Ma mi fa molto piacere questa domanda perché effettivamente sarebbe i mperdonabile se la nostra conversazione non facesse i conti e non si m isurasse con questo versa nte essenziale del problema politico. Vedrà che ci verrà rimproverato anche il fatto di non averlo a ffrontato pri ma e dentro i l contesto degl i altri discorsi . Non è sempl ice parlarne perché lì è nato anche un nuovo lessico, molto origi nale e an­ che complesso, per cui se sbagli un aggettivo rischi lapidazioni verbal i . Si tratta infatti di un pensiero aggressivo nella sua ra­ dical ità , ma questo è proprio quello che più mi piace. La 'd i ffe­ renza', da quanto ne so, ebbe i l maggiore impatto nel discorso

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pubbl ico, almeno qui da noi , tra gli anni Setta nta e Otta nta , anche se la matrice, e fu u no dei la sciti più fel ici , è forse da rin­ tracciare nel '68 . lo ne subii un vero e proprio innamoramento. Ta nto da provocare le ironie dei miei più cari amici. Mi capitò di conoscere i due cenacol i più importa nti del mov imento, la Li breria del le donne di M i lano e Diot ima di Verona, di leg­ gere le loro pubblicazioni, di frequentarç la Casa del le Donne a Roma che al lora si trovava in via del Governo Vecchio. Ho impa rato molto dal l'i nterlocu zione con alcune protagoniste . Assa i mi è serv ito lo scambio intellettuale, qu i a Roma, con una del le migl iori teste pensa nti di quel l'esperienza , oltre che testa pol iticamente pensante, Ida Dominijanni. Il supera mento del parad igma emancipa zion ista , che era nel la trad izione del movi mento opera io, per assu mere e pratica re la frontiera del la 'liberazione' mi pa reva u n sa lto di gra nde signi ficato pol itico. Dalla pa rità alla differenza , l'atto era rivolu zionario. R icordo che l'onda a rrivò fin dentro il Pci, dove le resistenze si fecero sentire e bisogna dire che fu ancora una volta Berl inguer che coraggiosamente offrÌ la sua autorevole sponda. Lo sloga n 'la forza del le donne' entrò a fatica , ma entrò, nel la linea del par­ tito. Anche qu i, il dopo vide un arretra mento. Nelle iniziative femministe di oggi mi pare di scorgere più il ritorno di u n'idea di emancipazione che una spi nta dell 'idea di li bera zione . Il fem minismo della d i fferenza ha prodotto cultura e buona nuova cu ltura. Non so quanto abbia prodotto a ltretta nta pra­ tica. È un tipo di pensiero forte che non ha trovato il massimo di prat ica appl icazione forse perché si è trovato ad agire dentro una oggettiva egemonia di pensiero debole. È una postazione confl ittuale. Il due al posto del l 'uno rompe la pace del le idee . La soggettività fem minile rivend ica uno spazio di autonomia nel pensare e nel l'agire, una sua propria speci fica presenza nel­ la sfera pubblica e nel le forme di vita . Non più omologa zione,

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Che fare?

piuttosto d i fferenziazione. È Rivolta femminile, come dirà Carla Lonzi . Per me vedere tesi e a ntitesi senza sintesi , e in soffitta la d ialettica, era un piacere i ntellettuale oltre che un segno d i riconosciuto antagonismo politico. Poi avemmo an­ ' che contrastate discussion i . Non mi fu nzi onava mental mente quel lo che loro chiamava no un "nuovo modo di fare politica". Mi sembrava incoerente la loro declinazione del la politica co­ me relazione mentre tutto l'impianto teorico che sottolineava la d i fferenza portava a un'idea della politica come con flitto. La stessa mia concettualizzazione del la forza non era gradita . Ma è un errore vedere nel maschile un del i rio di onnipotenza . Nel passato , forse sÌ. Se c'è oggi una zona di fragilità, di insicu­ rezza , d i incertezza , e quindi di debolezza , maga ri mascherata da atteggiamenti machisti residuali e tradiziona l i , è proprio quel la dell'umano maschile. Mentre l'umano femmin ile va co­ raggiosa mente all'attacco e conqu ista posi zioni su posizioni . La declinazione lì avvenuta, teori zzata e praticata , del la liber­ tà fem mini le è un traguardo raggiu nto per tutti noi , uom ini e donne nella speci fica differenza . Bisogna dire per di più che 'la differenza' colse con acuta sen­ sibil ità un pu nto essenziale di teoria politica, la distinzione di potere e autorità , una disti nzione strategica che se ci si decides­ se a mettere all'ordine del giorno della riflessione, soprattutto a sin istra , apri rebbe una nuova frontiera di azione. Di conse­ guenza , ne deriva l'interessante concetto di affidamento nel la pratica del le relazioni di esistenza che può essere esteso a una più genera le pratica di rapporto pubblico. Ma vedrà che queste m ie osservazioni, già accusate di uno stru mentale uso pol itico, non verranno prese bene dalle protagoniste di quel la stagione.

E dico stagione, perché mi pare di capire - ripeto, anche se non ne sono proprio sicuro perché mi manca magari qualche cono­ scenza - che anche il femminismo della d ifferenza abbia subÌto

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l'oltraggio del tempo, di questa contingenza senza pensiero, non osti le ma, quel che è peggio, indi fferente al pensiero. Sì, questo che penosa mente viviamo è il tempo dell'indifferenza . Se pensi in modo differente non è che vieni contestato, nemmeno con­ traddetto, sempl icemente non esisti . Non lo dico con ramma­ rico. Non esistere vuoI dire non far parte del caravanserraglio del circo med iatico. È quindi una sorta di privi legio, da spi rito libero. In fondo, il femminismo della differenza - anche questo forse non piacerà

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è stato un'ulti ma fiam mata di pensiero del

grande Novecento. Sconfitto quindi anch'esso dalla vittorio­ sa reazione antinovecentesca. Se solo si pensa alla riscoperta da parte di quel pensiero della mistica femminile, soprattutto medioevale, una del le più alte espression i dell'anima europea, allora si misura ciò che si perde. Ma poi è vero che quando ir­ rompe un pensiero vero, frutto di una sensibi le vera esperienza di vita - perché questa è l'irruzione della 'differen za' - nulla mai si perde e tutto è destin ato a tornare. Sono convinto che non ci sarà spirituale libertà generalmente umana senza emancipazio­ ne del la donna oppressa e l iberazione del la don na emancipata.

Un 'ulterio re osservazione. Lei non ama i movimenti ma oggi ritengo che ci sia solo un 'a ltra questione capace di rovesciare l 'attuale globalizzazio ne capitalistica a trazione finanziaria, ed è, lo scrivo così co me mi viene, l 'umano in relazione all 'in­ tegrità del creato . . . Va aggiornata la cassetta degli attrezzi?

È d'obbligo un'avvertenza . Sarà facile notare come in questo no­ stro dialogo siano assenti alcune questioni che occupano il di­ battito pubblico, proprio quel le che presentano a volte uno sta­ to di emergenza : em igrazione , sicurezza , ambiente. Ma io non voglio parlare di tutto. Su quel le question i ascolto chi ha più competenza di me e poi parlo di ciò che più mi sta a cuore . Non

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Che fare �

stiamo stilando una piattaforma progra mmatica, elettora le, di partito. Scelgo uno sguardo di media distanza : per vedere me­ glio il tutto del quadro dentro la sua cornice. Sono fuori da un impegno pratico diretto. Ho consumato questo tipo di presenza nell'ultima legislatura in Senato su cui, se vuole, potremo accen­ nare qualcosa ma senza soffer marci troppo, poiché non credo interessi più di tanto chi ci legge. Lì ovvio che di alcuni di questi temi ho parlato. Qui è la tonalità del discorso che è diversa . Per parafrasare Pascal, uno dei miei autori di ri ferimento, l'età ana­ gra fica ha le sue ragioni che la ragione ben conosce. Premono, urgono, più che nel la testa direi nell'animo, le domande ultime che, esaurite queste confessioni pol itiche che ho sentito il dovere di lasci are a futura memoria, non vedo l'ora di affrontare. Qui stia mo ri flettendo su un solo argomento principe, le cause di una crisi : non per contemplarla ma per capire come uscirne. Ecologia e d intorn i . Potrei cavarmela con una risposta da studente: sulla materia non sono preparato. Non ho studi ato.

È chiaro che il problema esiste, è enorme, di d i mensioni de­ vasta nti, con forti tendenze ad aggrava rsi . E qui si può fare l'elenco dei responsabi l i , incrocia ndo il problema politico, gli interessi , i profitti , i l privato, l'econom ia, la fina nza . I verdi sono corretta mente una costola del la sinistra . Eppure. . . m i chiedo: come mai, quando ragiono di pol itica , il tema, come si dice, non mi viene. Concluso il ragionamento mi accorgo da solo, o mi viene fatto notare, che non ho affrontato quel tema . A llora cerchiamo di spiega re. Il mio è un modo d i pensare i n­ tuitivo. Non c'è solo mente , ragione, c'è corpo, cuore. R icordo che da giovanissimo mi fissa i nel la testa una frase che trova i in uno dei pri mi libretti i n cui mi accultu ravo, quelli della Uni­ versale econom ica ( 100 l i re!). Titolo: Il castello di Fratta, parte delle Confessio ni di un italiano, d i Ippol ito Nievo, con l'in­ d imenticabile personaggio della Pisana. Diceva la frase: "Chi

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ha cervel lo non ha cuore , chi ha cuore non ha cervel lo, chi ha cuore e cervello non ha autorità". Ci sono delle massime che mi steriosa mente ti porti dietro per la vita . lo cerco di mettere in concetto intuizion i : cosÌ conosco, e cosÌ trasmetto. Correg­ go Hegel con Goethe , e viceversa . Poi ho capito che concettua­ lizzare la di mensione del sensibile è una scelta per la ricerca teorica ed è un obbl igo per l'azione pratica . Quel l 'i ntuire con la ragione, se è, se diventa, pensiero di pa rte non può che ven ire ava nti in quel modo. Se è pensa re in con fl itto, conta chi e come colpire. A un certo pu nto, a una certa maturità di esistenza, con la coltiva zione di sé si arriva ad avere tutto dentro. Ormai ti fidi di te stesso. I l fuori lo giud ich i im med iatamente per quel­ lo che è, non per quello che ti viene presentato. Non c'è nessu­ na infa llibil ità . Anzi, il risch io di errore aumenta . Devi al lora produ rre e consumare una logica autocorrettiva di vigile atten­ zione al dato rea le, pronto a correggere il tiro. Di nuovo, come sopra , questo poco comprensibile appu nto di metodo, per dire che cosa ? Per di re : capisco intuitiva mente che si è ambientali­ sta , ta nto più rad ica lmente ambientalista, da un certo reddito in su. La persona che la vita non la vive ma la soffre , che ha i l problema non di vivere m a di sopravvivere nel la selvaggia lotta per l'esistenza che questa organizzazione di mondo le conse­ gn a , non ha il tempo, il modo, l 'agio di occuparsi delle pol­ veri sotti l i . Qui, l 'intuizione, se volete setta ria, s'i ncontra con il dato empi rico oggettivo. È cosÌ. Non lo dici, lo pensi tu, è cosÌ . L'opera io che perde i l lavoro perché la fa bbrica chiude per inquina mento del l'ambiente non può occupa rsi del l 'ecologica integrità del creato. Certo, è la pol itica che deve contempera re le due esigenze contradd ittorie. Ma, ecco come la penso, per fare questo non serve l'appel lo all'umano, ci vuole la risorsa del comando: la politica che decide guardando ai tempi lungh i , non quel la che rappresenta, inseguendo, le opinioni a breve .

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È vero. Non sono mai stato un movi mentista . Sono stato e resto un uomo di partito anche senza pa rt ito. La politica per me è soprattutto organizzazione. Lo è doppia mente la pol itica di gra nde trasformazione. La forma-pa rtito è stata una risposta di organizzazione delle classi subalterne alla forma-Stato come orga ni zzazione delle classi dom inanti . Poi attraverso le lotte, per usa re una formulazione ingraiana, le masse si sono introdotte nello Stato. Porta re lo scontro di classe dentro le istituzioni, con una propria forma di orga nizzazione pol itica, è stata la con­ qu ista del movimento opera io maturo. Il passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico, anche attraverso la sconfitta delle soluzioni tota litarie, ha avuto questo profondo significa­ to. Non ne sono state tratte tutte le con seguenze che se ne do­ vevano trarre: soprattutto per debolezze soggettive, di pensiero e di azione . La deriva delle democrazie attuali, che costringe il pensiero a una critica del la democrazia rea lizzata , sconta esat­ tamente la perdita di quel significato profondo. La democrazia poteva essere vivificata solo da quell'evento, vera nlente nuovo: che dentro le sue istituzioni si riconoscessero apertamente e si combattessero civil mente su un terreno pol itico autonomo due interessi sociali di parte, senza le mascherature ideologiche dall'uno e dall'altro versa nte di un presunto interesse genera le. La democrazia formale si faceva democrazia sostanziale. Senza di questo, non poteva che esserci, e c'è stato, è sotto i nostri occhi , uno svuota mento storico degli istituti democratici e un esauri mento pol itico del fare e del pensare pubblico.

Più volte ha parlato in questa conversazione della irriconosci­ bilità delle forze di sinistra. In una intervista di qualche anno fa ad Antonio Gnoli, mi pare nel 201 5, lei ha sostenuto che le sue riflessioni e le sue analisi "non sono quelle di un riformista democratico, ma quelle di un rivoluzionario conservatore ".

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Oggi mi sembra che lei abbia anche qualche esitazione a defi­ nirsi ' di sinistra'. È così? Tengo molto a quella autodefinizione, che ho ripetuto in altri contesti e poi soprattutto ho rea lizzato nella ricerca teorica e tentato di appl icare, con più d i fficoltà , nella pratica pol itica . Non riform ista democratico ma rivoluzionario conservatore. Forse è tutto detto l ì . A mo molto l'aforisma: io che non m i espri merei attraverso Tw itter nem meno sotto tortura. È quel la brevità concettosa che riassu me un lu ngo travagl io di pensie­ ro . A rriva alla fine e ch iude un ca m mino. Molto d i fficile da comprendere . A proposito di quella fra se ho proprio sperimen­ tato questa di fficoltà . Si ascolta, o si legge , maga ri si sorride e si pa ssa oltre, come di fronte a una battuta bri llante . Mentre bisognerebbe fermarsi a ri flettere per qua lche ora . Faccio un esempio eloquente d i un maestro del genere aforismatico, Karl Kraus, che dentro la Pri ma guerra mond iale scrive Gli ultimi

gio rni dell 'umanità. Questo: " Parl i chi non ha niente da dire. Chi ha da dire qua lcosa , si alzi in pied i e taccia". Ho esitato a lu ngo, avendo qua lcosa da dire, se passare a realizza re questa nostra conversa zione o se i nvece alza rm i in pied i e tacere. Ho deciso l 'una cosa e l'altra : dico e poi, a nche senza a lza rmi i n pied i , prometto, mi taccio.

È vero, trovo difficoltà a dirmi generica mente 'd i sinistra'. Cerco di non definirmi cosÌ , perché mi sembrerebbe banale, perché sento che la parola non dice tutto quello che attualmen­ te sono pol itica mente. Penso che sinistra sia qua lcosa di cui oggi c'è necessità forse più che in passato, per quel che ha signi­ ficato, per quel che può ancora significare. Ma io sono, come lei ha capito, un teorico della forza e non posso non vedere la debolezza della parola. Però devo aggiu ngere che, metodo­ logica mente, sono contra rio ad abbandonare una defi n izione

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Che fare?

vecch ia prima di trovarne una nuova che la sostitu isca. La ne­ cessità di rinominarci c'è. Band irei un concorso pubblico per trova re un nome, comprensibile e attrattivo, a quell i che vo­ gliono rovesciare lo stato presente del le cose con l'arma del re­ alismo politico. Un civile sovversiv ismo rea l ista . Perché questo è al fondo il progetto.

Come la mette con chi vo rrebbe mandare in soffitta tale voca­ bolo teorizzando il superamento nella società contemporanea della contrapposizione 'classica ' destra-sinistra? Non ho nulla a che fare con costoro . È il qualunquismo di oggi, più ridicolo e pu rtroppo più pericoloso di quello di ieri. Biso­ gnerebbe combatterlo con molta più decisone di quanto non si faccia. Ho argomentato qualche anno fa in u n saggio che La

sinistra è l 'oltre. Ecco, la sinistra dovrebbe coltivare qualcosa che va al di là del presente , ricostruire una narrazione, ma io preferisco dire visione, di quel che può esistere dopo la forma sociale e pol itica del mondo che abbiamo. A quel mov imento si erano dati nomi più forti , socialismo, comu nismo. Nomi più efficaci perché dicevano immed iata mente anche all 'uomo più sempl ice che si andava verso qualcosa al di là del l'orizzonte vi­ sibi le, percepibile. La parola sin istra invece è stata aggettivata tantissimo. Questo capita a l le parole debol i . La differenza tra social ismo e comunismo è che il primo a un certo punto sentì il bisogno di aggiu ngere democratico, o di aggiu ngere liberale. Il comu n ismo non lo fece mai. Non so se sia stato un bene o u n male. Sta di fatto che i l sosta ntivo, p i ù forte dell'altro, diceva ancora di più da solo. E poi indicava una prospettiva più lonta­ na. Di comunismo, a differenza di socialismo, non si è realizza­ to niente. Quind i , paradossal mente , è concetto più spendibile dell'altro. A ltrettanto paradossal mente , direi che comu nismo

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è concettual mente più vicino a l ibertà che a democrazia. Ma è un discorso difficile e complesso che m i propongo di fare altro­ ve . Sinistra non ha la stessa im med iata capacità di evocazione dei nom i sopra citati, serve magari a criticare il presente ma non contiene il futuro. È rimasta in ca mpo, ma non è riuscita a creare quel la gra nde appa rtenenza umana, a ntropologica , che le vecch ie pa role suggerivano. Forse sinistra riflette proprio questo passaggio dalla prospett iva all'autodifesa , da ll'attacco alla trincea , dalla guerra di mov imento a l l a guerra di posizio­ ne, avrebbe detto qualcuno. Non a mo parlare di me, ma nel mio caso è stato quasi un fatto natu rale, da giovanissimo, di­ ventare comu nista . Perché quel la è stata la mia parol a , subito.

E questa è la pa rola vera , concreta, inca rnata nella persona : dirsi comu nista come scelta di vita . È p i ù che professare l 'idea astratta di comu nismo. Ha contato molto l 'estrazione popolare della m ia fa m igl ia, m io padre comu nista col quadro di Stalin in casa, mia madre, devotissi ma, con sopra i l letto l 'icona del Sacro Cuore di Gesù . In fondo, due modi di credere, due tipi di fede, di cui sentono il bi sogno gli uomini e le donne sempl ici . Mi sono i mmesso in modo sponta neo e sereno in quel l'oriz­ zonte , secondo me non cosÌ contradd ittorio come si è pensato e si pensa . Ovviamente da lì è pa rtito un percorso lungo e criti­ co, un corpo a corpo con il mondo di fuori, ragione e passione insieme, percorso più che eretico, direi eterodosso.

Fino alla fine, fino al crollo. Lei ha scritto: fu uno strabismo, credevamo fosse il rosso dell 'alba, era quello del tramonto . . .

È una frase che ho utilizzato per l'esperienza operaista. Ma si può generalizzare alla storia dell'ultimo movi mento operaio, di ma­ trice comunista . Ci aspettavamo sempre il meglio. Poi arrivano le veri fiche, quelle che Bobbio chia mava le repliche della storia .

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Che fare?1

Sbattere contro i fatti senza l'airbag può far male. Ma prima del crollo avevo già declinato la weberiana categoria del disincanto. Quando sono caduti nome e forma del partito, ricordo bene che in quel travaglio mi sono affidato a una scelta : rimarrò un intel­ lettuale comunista in qualunque partito mi troverò a militare. CosÌ ho fatto. Resto in quest'area, quella della sinistra, appunto, con la mia identità, come mostra tutto questo nostro discorso. M i fermo: per dare conto del fatto che è con un amaro sor­ riso che dico queste cose in questo nlodo. Capisco bene , so­ no consapevole, di parlare una sorta di lingua morta . È come espri mersi in latino al tempo dell'inglese. Lotta di classe: che roba è? Democrazia forma le e sosta nziale: ancora ? Comu­ nismo, poi! S i è fatto in modo che venga no i brivid i al solo nomi narlo. Sto leggendo l'ultimo libro degli amici Wu Mi ng,

Proletkult (Einaudi, 20 18). Nel titolo, un nome riconoscibile solo per chi viene da una certa stori a. In copertina una fa lce e martello disegnata da eteronavi, tipo 2001 : Odissea nello spa­

zio. C 'è u na straordinaria efebica ragazza , venti anni, Denni, convinta dopo aver letto Stella rossa d i Bogdanov d i essere ap­ prodata sulla Terra da un altro pianeta , Nacun, dove è realiz­ zato un socialismo i ntegra le. È portatrice di un superamento dell'internazional ismo in un interplaneta rismo. Leggermente più avanti , d iciamo, dei nostri attuali sovra nisti. Fantapol iti­ ca : più o meno come quel la disegnata poco sopra . Per od io a questo futu ro presente non ci resta che coltivare quel futuro passato, d i cui ragionò Reinhart Koselleck .

Torniamo ai movimenti . . . Sì, dunque, le esperienze d i movi mento: le apprezzo, le guardo con simpatia, special mente qua ndo esprimono una soggetti­ vità di nuove generazioni. Ind icano sempre l'emergere di un

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problema , l'affacciarsi di un bisogno, la necessità d i un'a lter­ nativa . La pol itica organizzata deve presta re ascolto. E fa rsi ca rico di quel le domande. Il l i m ite è che quelle esperienze non ga ra ntiscono continuità , non assicurano la durata , non si radi­ cano nel la realtà di popolo. Emergono, i rrompono, fluttuano e spariscono. Non si fa cosÌ pol itica. I movimenti sono come un lavoro precario che deve essere stabilizzato. Per fare questo ci vuole la forma orga nizzata del pa rtito. Il movi mento opera­ io si è storicamente diviso tra spontaneismo e organizzazione con di scussion i ad alto tasso teorico. Se ci si pensa bene, la separazione e contrapposizione di oggi tra 'cittadini' e 'poli­ tici' nient'altro è che la misera traduzione in volga re di quel nobi le modo di pa rlare. Non bisogna dar credito alla favola convenuta che si tratti d i popolo e d i él ite. Maga ri fosse cosÌ ! Pu rtroppo non è in ca mpo n é l'uno n é l'altra . E questo è i l vero dramma. Torni amo al pu nto: la crisi attuale è dell'alto e del basso. La realtà è che, in questo presente, non ci sono classi di­ rigenti degne di questo nome e non ci sono masse politiche da i ntrodurre nel lo Stato. Il lavoro prossimo di riorgani zzazione è ricostru ire queste due poten ze, popolo ed él ite, per metterle a vero confronto e a civile confl itto. Se mi si fa la domanda 'da dove com inciare' per approntare poi un 'che fa re', la mia risposta tutta politica è: dall'alto. Bisogn a rifare Stato, biso­ gna rifa re partito. La pol itica di oggi è come il ponte Morandi squarciato della nostra Genova , i ntorno a cui si tratta ancora d i capire le cause del crollo. Una volta comprese, per riapri re la ci rcolazione di popolo fuori e dentro le istituzioni va rico­ stru ito un ponte di comando, sol id i pi lon i e opere e tecniche vecchie e nuove, cioè él ite all'altezza del compito, non potere i mposto ma autorità riconosciuta . Decisione, dunque, ma de­ cisione condivisa, veri ficata da un consenso attivo che mobi­ l ita e coinvolge movi mento sol idale dal basso. Sconfiggere la

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Che fa re ?I

sciagurata pu lsione del rapporto di retto tra massa e capo. La cosiddetta disi ntermed ia zione può non portare a fa scismo ed essere egua lmente tota litaria. Ricostru i re corpi intermedi , non a difesa di interessi corporativi , ma a promozione di soggettivi­ tà agenti . Rifare popolo si può solo da pa rte di una ricostru ita soggettività col lettiva , popolo ed él ite insieme, di governo o di opposizione, in alterna nza , che non abbia altra risorsa da spendere che la sua i nattaccabi le autorevolezza .

Di governo o di opposizione: stiamo dunque parlando di ceto politico. Lei lo ha frequentato nel partito e nelle istituzioni. Del partito abbiamo già parlato. E la sua esperienza da senatore? Va bene. Raccontiamoci , anche per al leggeri re il discorso che soprattutto nel le ultime battute si è fatto un po' pesante . Nel la seconda metà degli anni Ottanta avevo fatto una bel la espe­ rienza politica come membro del la segreteri a del la Federazione romana del Pci , d i retta allora da Goffredo Betti ni. Ero con­ temporanea mente nel Comitato centrale del partito, come ho già ricordato. Quindi molto impegnato a livello di direzione politica. Sono stato sempre del l'opi nione che chi pensa la poli­ tica deve sporcarsi le idee nel fa rla. Ho sempre quindi adotta­ to uno stop and go, un andare e venire, diciamo dallo studio alla strada e viceversa. M i proposero al Senato per il Pds in un col legio sicuro (allora!) del la Tiburtina, nelle elezioni del

'92 . E letto, devo dire che non feci un gra n lavoro. Novizio, mi programmai due anni di apprendistato per i mparare la del icata professione di parla mentare. Solo che, dopo due anni, quel­ la legislatura fu sciolta e rimasi con una missione i ncompiuta . Assistetti all'arrivo i n Parla mento dei pri m i leghisti , pittoresca­ mente vestiti e approssimativamente parlanti. Niente rispetto a qua nto ci aspettava con l'invasione degli alieni pentastel lati

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cui m i toccò di assistere nella legislatu ra del 2013. Paradosso vuole che quella del '92-94 fu , e fu definita, la legislatura degl i inquisiti. Una sett imana sÌ e una no spariva qua lche anche no­ tevole personaggio raggiunto da un avviso di garanzia. Non si faceva in tempo a votare autorizzazion i a procedere . Qua lcosa di positivo per me comunque ci fu. Feci pa rte del la Com m is­ sione bica mera le per le riforme, presieduta pri ma da De M ita poi dalla lott i , e qua lcosa impa ra i . Poi , sia nel la Bicamerale che agl i Affa ri costituziona li, stabi lii un rapporto di reciproca sensibil issima intesa con quel la persona di grande va lore che ancora ricordo con nosta lgia - esempio di quel la autorevolez­ za di cui sopra - che era M ino Martinazzol i , al lora segretario del Pa rtito popol are. In più, ricordo le lunghe chiacch ierate , ad alto l ivel lo, con due personal ità di spicco lì present i, due mond i opposti : Norberto Bobbio, in quanto sen atore a vita e Gianfranco Miglio, eletto con la Lega Nord . Due bastian con­ trari, verso tutti ma soprattutto fra di loro. E io, in mezzo, mi al len avo all'a rte della mediazione necessaria, abbiamo detto, in pol itica al meno quanto il conflitto. Mi ripresenta rono alle elezion i del '94, soldato del la gioio­ sa macch ina da guerra occhettiana, ma per beghe interne di partito in un col legio di quel li che si dicono competit ivi . . . fi­ guriamoci, Eur e dintorn i . Una campagna elettorale che ricor­ do con disagio. Non a caso porterà all'avvento di Berluscon i . Pa rl avo con persone che ponevano ta li opinioni e richieste a cui dovevo dire: senta , se lei la pensa cosÌ non m i deve votare, il suo voto non lo vogl io. C 'era già la pessima abitud ine dei manifesti elettoral i con la faccia del candidato. Mi ri fiuta i. Feci fare un manifesto con la scritta sotto il nome: il volto del can­ didato sono le sue idee. Naturalmente non venn i eletto. Prese il collegio una vecchia volpe ex democristi ana diventata ber­ luscon iana. Torna i al m io lavoro un iversitario. Sono gli anni

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Che fare?1

del la colla borazione a Bailamme, riv ista di spiritual ità e poli­ tica , con l'Associazione degli amici di don Giuseppe De Luca, dove ebbi la fortuna di conoscere e frequenta re quel pensato­ re apoca l ittico, profeta del la fine dei tempi , che è stato Sergio Qui nzio. Sono anche gli anni di pa rtecipa zione agli Incontri di monte Giove, un eremo cama ldolese sopra Fano dove si pro­ gettava e si rea li zzava un fitto dia logo, cosÌ ci si esprimeva , tra radicalità cristiana e radica lità comu nista . C 'era no, tra gli altri , Rossana Rossa nda , Adriana Zarri, Alessa ndro Ba rba n, adesso priore generale dei camaldolesi. I ndelebile mi è rimasto il commovente ricordo del le affinità elettive che si creava no, in quelle occasioni di i ncontro, tra Pietro Ingrao e padre Benedet­ to Calati, due gra ndi anziani che si riconosceva no, da sponde diverse e opposte , in unica sosta nza umana di antagonismo a come va il mondo, se possiamo dirlo cosÌ , con una espressione popolare che dice più di quello che sembra. Nel 2004 prendo la presidenza del Centro studi e i n iziati­ ve per la R i forma dello Stato, un cenacolo culturale residuato dallo sciogli mento del Pei . Dieci anni di riflessione, ela bora­ zione, ricerche, confronti a metà strada tra sinistra moderata e si nistra radicale. Ero portatore di un progetto di supera mento delle due si nistre, per una gra nde forte unitaria formazione di sin istra italiana ed eu ropea. Ne scrivevo anche su ll'Unità, ne pa rlavo in pubblici di battiti . Fu, credo, proprio in segu ito a questo i mpegno che mi si offrì l'opportunità di tornare, dopo tanto tempo e in tarda età , in Senato. C 'era al lora il Pd di Ber­ sani . E mi dissi : che sia la volta buona per la realizzazione d i quella gra nde forza ? Non fu l a volta buona . Comunque, eletto - non certo per preferenze o per col legi che non sarei mai stato i n grado di conquistare, piuttosto in un rassicurante listone -, sono tornato di nuovo a esercita re la nobi le professione di par­ lamentare. Nel gruppo Pd , non iscritto a quel pa rtito, mi sono

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ritrovato nelle vesti dell'indipendente di sinistra : u na figura che non ho mai amato quando si riferiva a un partito vero, come il Pci . Ma a quel la scuola avevo impa rato la cosa fondamenta le: il senso di autodisciplina. Si parla a va nvera di quello che fu il centralismo democratico. In realtà fu esatta mente questo: una discipl ina non imposta ma responsabi lmente accettata. Dissi in u na del le prime riu nioni del gruppo: comu nicherò qu i , a voi , quello che penso e quello che non mi convince, poi in au la o in commissione segu irò le i ndicazioni di maggioranza del par­ tito. CosÌ ho fatto. E credo che cosÌ si debba seria mente fare. L'alternativa, nel caso, non è dissentire, ma lasciare. Come la figura del l'indipendente , non mi è mai piaciuta la figura del di ssidente. Nelle istituzioni e con le istituzioni non si gioca. C 'è sempre una ragione comune superiore alla tua personale: è quella che devi valuta re. Non sto qui a raccontare, perché credo che proprio non interessi , i si ngol i prov ved i menti da me approvati , total mente o con riserva . Mi arrivavano raccoman­ 'd azion i, rimproveri e a volte insulti dalla cosiddetta rete che non prendevo in considerazione. Quel la è la post-verità . Ma c'è una pre-verità , la tua consapevole che è superiore. Ma adesso basta , torniamo a parlare del le cose che contano.

D'accordo. Allora, tra le cose che contano, c'è la domanda d 'ob­ bligo, a questo punto. Per il Pd e per la sinistra, quale futuro? Sepa riamo. Pd e si nistra non sono la stessa cosa e non so nem­ meno se hanno un destino comune. Si è già sentita questa fra­ se: il Pd , partito mai nato. Mai nato come pa rtito. Nel l 'atto di fondazione non c'era proprio questa opzione . O diciamo megl io: non c'era l'intenzione di un partito a tradizione euro­ pea. C 'era il progetto di un ca mbio di tradi zione. Non solo il nome, ma l'identità, ricalcavano il model lo americano. Partito

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Che fare?1

a vocazione maggioritaria, passaggio dal bipolarismo al bipar­ titismo, primarie. E partito-coalizione come sono i partiti ame­ ricani. E , come questi, partito elettorale. L'idea era di prendere la coalizione di centrosi nistra che aveva anche ben governato nell'a lternanza con Forza Italia e fa rne partito, superando cosÌ , o credendo di superare, le contradd izioni interne che le espe­ rienze di governo avevano messo in luce. Un'idea di tutto ri­ spetto. Aveva al meno il merito di un ragionamento strategico che tra l'altro portava a ridisegnare il quadro istituzionale del nostro sistema pol itico. È chiaro che sullo sfondo non poteva che compa rire la transi zione da una repu bbl ica parlamenta re a un repubbl ica presidenziale, o semi. C 'era solo un problema : che Repubbl ica Italiana non era Stati Uniti d'America. L'Ital ia è Eu ropa . E il caso italiano è un'anomalia sÌ , ma europea. Il lim ite dei teorici e pratici del l'innovazione, l 'ho già detto, è di non fare mai i conti con la tradizione: che, se trascurata , si ven­ dica e presenta il conto alla pri ma occasione. A un certo punto si è detto: l'amalgama non è riuscito. Ma non se ne sono tratte le conseguenze. Quando una conseguen za se ne è tratta è stata quella sbagliata : una inutile piccola scissione non spiegata, non compresa. Non voglio entrare nel racconto e nel giudizio su lle dinamiche interne al Pd: non le ho vissute e qui voglio parlare solo di ciò che ho vissuto. Dico solo brevemente questo: Renzi ha potuto facil mente impadronirsi di un partito che non c'era . Ha occupato una casa vuota . E ne ha fatto casa su a. Se c'era un pa rtito, il pri mo giorno che fu pronu nciata la parola rotta­ mazione, avrebbe invitato chi la pronu nciava, sindaco o meno di una importa nte città, ad accomodarsi all'uscita. Ma era un vecchio vizio, dall'ulti mo Pds, e poi soprattutto Ds e Pd, che il segretario di tu rno di tutto si occupasse fuorché dell'organ izza­ zione del pa rtito. Con in mente solo e sempre governo. Ma non c'è governo che duri senza un partito che fu nzioni.

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lo ho coltivato a lungo u n'idea non detta, perché non di­ cibi le. Adesso poi del tutto fuori corso. Ma m i piace parlare di che cosa si poteva fare e non si è fatto. Non è vero che è un eserci zio inuti le. Qua ndo il vecchio muore e i l nuovo tarda a na scere, come è esatta mente combinato il presente, forse è questa l'un ica cha nce per intravedere futuro. Era giusto parti ... re dalle coa lizion i governative d i centro-sinistra approdate al governo. Certo non doveva no ridu rsi ad alternativa pu ra mente anti berluscon iana, come è stato, ma contenere una progettua­ lità di più lungo periodo. Comu nque, lì si erano aggregate le due gra nd i componenti di fondo che avevano fatto separata­ mente stor ia d' Ital ia negli ulti mi decenn i , i ndipendentemente dalla ch iacch iera su Prima e Seconda Repubbl ica : tradi zione cattol ico-democratica e trad izione socia lista e comu nista, più una mi nore componente libera ldemocratica. M i sono detto: se si doveva ricava re da quelle coa lizioni una forma-partito, nOI1 si poteva no rinom i nare espl icitamente quel le trad i zioni più gra nd i per fonderle in un progetto nuovo, non i nventato, nOI1 i mportato, non un inizio daccapo ma un continuum, i n forme i ned ite, che trovasse però le sue radici nel la storia reale del paese ? Non a caso abbiamo detto che i n fondo il compro­ messo storico è stato l'ultimo gra nde disegno strategico che ha prodotto la politica nostra na. Proprio dopo e proprio perché erano scomparsi i vecchi partiti che politicamente esprimeva­ no quelle componenti popolari, si poteva al lora - forse e m il le volte forse - passare alla rea lizzazione di quel disegno. A l lora , non i l Pa rtito democratico, ma un pa rtito socia lpopolare, che facesse riusci re questa volta l'amalgama tra popolarismo e so­ cialismo. Si pensi a quanto berlusconismo, leghismo e fa lso po­ pulismo ci sa remmo rispa rmiati . . . Lo so bene , ci voleva a fine e ini zio secolo Moro da una pa rte e Togl iatti dall'altra . Nulla di meno. Al proposito voglio parlare poi di personali zzazione

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Che fare �

del la pol itica e di personal ità pol itica . Non sono la stessa cosa . Sono due cose opposte.

Devo dire che alla luce delle sue riflessioni, professore, il sot­ totitolo che abbiamo scelto 'Per una critica della sinistra' mi sembra perfino indulgente . . . Provo a spiegare . Molti dei m iei testi usano questa espressione tipica mente marxiana : Zur Kritik, Per la critica. Uno di quelli, d iciamo più scandalosi, recita : Per la critica della democrazia. Non è critica è Per la critica. Marx la appl icava all'economia politica classica . E tutto Il capitale e le varie Introduzioni por­ tavano questa di zione. Voleva dire, e lo speci fica egl i stesso, leggere un fenomeno sia storico sia culturale con occhio spas­ sionatamente oggettivo cogl iendone le contradd izioni, valutan­ done la verità , assumendone le caratteristiche anche positive . È il rea lismo del la ricerca, essen ziale per la conoscenza , indispen­ sabile per l 'azione. La parola 'sinistra', ripeto, oggi ha perso di senso. Non dice più. Non parla più. Mi vengono in mente - mi scuso per queste i ncu rsioni , ma sono proprio le mie - le parole del poeta H61derl i n : " Noi siamo un segno . . . che nulla indica". Ecco, sinistra è un po' cosÌ. I m med iatamente non si capisce più che cosa sia. E la percezione immediata a l ivello d i popolo si sa quanto profondamente conti. Sin istra è diventata una posi­ zione pratica da pensiero debole. Ed è strano perché la parola opposta, destra , signi fica ancora , non ha affatto perso di sen­ so, tanto meno di forza. Può cambi are di nome, lì, la sigla pol i­ tica d i riferi mento , però ri mane il senso del posiziona mento in termini d i va lori, di obiettivi, di soluzioni . Lo stiamo vedendo proprio oggi qu i da noi, in quest'ultima edizione del l 'anomalia Italia. Quind i , io direi : non è vero che destra e sinistra non esistono più . Esiste una visibile e comprensibile destra che dà

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nuova forma alla sua vecch ia veste , nazional ismo, integrali­ smo, ra zzismo, isola zionismo e anche popu lismo. Non esiste, cosÌ esplicito, l'ana logo di una sinistra che abbia dato nuovo segno ai suoi antich i va lori . Perché? Ma perché, invece che in­ nova rl i , adatta rl i ai tempi come è giusto sempre fa re , quegli antich i valori li ha ripud iati o accantonat i . D icia mo: rotta mat i . L a vera rotta mazione riuscita è quel1 a . Questa m i sembra sia l a situazione. E come usci rne: questo è il problema. Per capire, e per agire, è necessa rio però tornare al pu nto di origi ne: che è, a mio parere , l'ubriacatura del 'nuovo che ava nza'. Adesso vedo che è un coro ad am mettere che quel la Nuova Era, annunciata negli anni Otta nta , real izzata negli an­ n i Nova nta e pri m i Duemila, si è risolta in un fa l l i mento. Quel nuovo capitalismo, post-industriale, post-ford ista, post-welfa­ re, post-guerra fredda , post-moderno, post-tutto, che avrebbe risolto non solo le sue storiche contradd izioni interne ma anche quelle del suo altretta nto storico nem ico interno, il mondo del lavoro ormai beneficiario delle magni fiche sorti e progressive, eccolo lì, incappato in un'a ltra crisi del '29 che ha costretto tutti al risveglio dal sonno dogmatico. Ma, scusate, che ci vo ­ leva a saperlo pri ma? Ci voleva un po' d i quel la cultura, non necessariamente marxista ma sempl icemente storica , appunto non d isposta a d rogarsi di quel l'el isir di lu nga vita offerto dalla 'fine della storia'. In quegli anni, soprattutto anni Nova nta , sia il Pa rtito social ista europeo, sia il Pa rtito popolare eu ropeo e le loro rappresentanze nazional i, quelle ital iane con più fede che altre, sepa rata mente, ognu na per suo conto, hanno creduto di in novare le loro cu lture allinea ndosi alla ormai irresistibile ondata neo-l iberale, neo-l iberista , mercatista, individualista: qua nto di più lontano dalle trad izioni sociali, solidariste , asso­ ciazioniste, mutua liste, comuni sia al socia lismo democratico che al cattol icesimo democratico. Forse ha ragione chi sostiene

130

Che fa re?1

che i modi del la protesta e del la proposta da pa rte del mondo popolare del ventu nesimo secolo saranno più vicine alle espe­ rienze del l'Ottocento che a quel le del Novecento. Ta nto più u rgente diventa il riappropria rsi ognuno del la sua propria tra­ dizione, ripeto, innovando forme di organizzazione, di espres­ sione , di comunica zione, di presenza e di immagine nel sociale e nel politico. È questo il primo passo per usci re da llo stato presente e inoltrarsi nel futuro. Posso sbagliare, ma l'operazione m i sembra più fattibile qui in Italia che i m mediata mente in Europa . Proprio perché qui si parte da esperienze comuni, di govern o e anche di partito. Po­ polarismo e soci alismo, insieme, in modo espl icito e non in mo­ do appena accen n ato come nel Pd , possono cambi a re da subito l'asse progra mmatico i ndispensabile per rifare popolo, raccor­ dando e riequ il i bra ndo una cultura dei diritti con u n 'azione su i bisogni. E soprattutto recuperando quello che si è perduto: una pol itica e direi un'etica, sÌ una mora le sociale umana del lavoro e del la persona che lavora . Il lavoro non è in sé un va lore alternativo. Lo diventa qua ndo si fa consapevol mente campo di con flitto. Cioè qua ndo rivendica per sé dign ità , fierezza , de­ cen za, vita buona, autonomo e non più suba lterno ruolo so­ ciale genera le e per ottenere questo espri me capacità di lotta e forza di orga n i zzazione. Quello che più ha fatto i mpa llidire il colore politico del la sinistra è l'aver messo i n campo sÌ alcu­ ne contraddi zioni ma non quelle di sistem a , quelle piuttosto di fase: e tutte sullo stesso piano, ora l'una ora l'altra , a se­ conda del momento. E invece c'è u na contraddizione centra le, di fondo, a cui tutte le altre devono i n qua lche modo sempre riferi rsi : ed è la centra lità del confl itto di lavoro. Se popolo non si connette a lavoro non è popolo. Non è concetto-rea ltà di popolo sociale e pol itico. Proprio dalle i m mani trasformazio­ ni odierne subite dal mondo del lavoro va ricostru ito popolo.

131.1

Popolo non è soltanto i poveri , gli emarginati, gli esclusi , gli i m m igrati - questi certo, eccome! - ma poi il d isoccupato, i l precario, l'opera io stabi le ma p u r sempre sfruttato, l'insegnan­ te a stipendio fisso ma insu fficiente a vivere e a studiare, i l la­ voratore autonomo di più generazioni, i l popolo delle partite Iva . È qui la novità di oggi post-crisi: il ceto medio vecchio e nuovo impoverito e arrabbiato per la perdita di reddito e di status. C'è questa nuova esplosiva contraddizione, tutta Occi­ dente , visibile a occh io nudo dagl i Usa alla Francia , quella tra centro e periferia, real mente e simbol ica mente rappresentata nell 'architettura metropolitana del la città , ma che decl inata a l ivello nazion ale, o sovranazionale, riproduce in forme inedite la vecch ia opposizione di città e campagna. C'è di nuovo, ripe­ to in forme nuove, un castel lo del benesta re nei propri privilegi circondato da un contado dove si vive - male - perfino del pro­ prio lavoro, quando c'è. Qui si annida a sua volta una nuova

jacquerie disposta a fa rsi sentire in tanti diversi mod i. È questa la pa rte che va pri ma di tutto riconosciuta per essere poi difesa social mente e rappresentata pol itica mente. E in tale compito sta esattamente l'identità alternativa che è necessario dacca­ po ridarsi . Con questo popolo solo un'aggregazione intorno a un partito socialpopol are potrebbe legitti mamente conferirsi u na vocazione maggioritaria. E magari misurarsi alla pari, in un nuovo bipolarismo, con un'aggregazione i ntorno a un par­ tito naziona l-popul ista . Ma, a parte questi gioch i d i parole, concreta mente voglio dire e sto dicendo che l'utopico per ora nuovo amalga ma di popolarismo e social ismo potrebbe reinse­ diarsi in quello spazio che è stato fin qui nom inato dalla parola sinistra , o in quello, ancor più incolore , fin qui soprannomi na­ to di centrosinistra con o senza trattino. Anche qui è d'obbligo un'avvertenza. Quando si dice po­ polarismo e social ismo, non bisogna pensare agl i attuali

11 32

Che fare?

conten itori di queste tradi zion i : il Partito popolare europeo, i l Partito dei socialisti e democratici europei . Se pensi amo a quelli, lasciamo ogni spera nza. È necessario scomporre e ri­ comporre queste aggregazion i . È necessario soprattutto che emergano nuove energie pol itiche dalle prossime generazion i , l iberate d a l conti ngente presente di quelle esperienze e proiet­ tate - la d ico cosÌ e capisca chi vuole - in un passato futuro. Non è una prospettiva per l'oggi, è forse per il domani o per il dopodomani. Ma va pensata già qu i e ora . Va messa in cir­ colazione su bito come possibi l ità storica perché ci si com inci, in pochi e poi in tanti , a educare e educarci al progetto. Forse era indispensabile che si passasse attraverso questa insorgen­ za nazionalpopu lista che oggi cosÌ ci preoccupa e che occorre ridurre presto a parentesi, affi nché si comprendesse da pa rte delle forze popolari e soci aliste che è in sorto nuovamente e in forme nuove un problema pol itico di popolo. Saggezza vuole che le brutte esperienze vadano realisticamente utilizzate per la buona vita. Si pensi a come l 'uscita dalle dittature total ita­ rie novecentesche offrì l'opportunità di una rigenerazione dei sistemi democratici e di un ri nnovamento delle forze pol itiche. In positivo per l 'oggi è che in tutta probabil ità la storia non ci riserverà il passaggio attraverso la traged ia della guerra . Non è poco. È molto per cercare, i n alto e in basso, di far riv ivere speranze perdute e far riaccendere passioni spente .

Ma quelle due culture, quelle compo nenti popolari tradizio ­ nali, socialismo politico e cattolicesimo democratico, non so­ no ormai entità minoritarie nel paese reale, per poter assume­ re questa funzione maggioritaria?

È un'obiezione e non certo margi nale. Va assu nta prima che la facciano altri . Ma ri batto: è esattamente cosÌ ? O non è vero

1331

piuttosto che esse sono state occu ltate, si lenziate e da pa rte loro sono att ual mente sempl icemente d isorientate tanto da dare consenso a offerte , pol itiche o, peggio, ant ipolitiche, improbabili e dannose per sé e per tutti . E questo però solo per manca nza di altre offerte credibi l i , riconoscibi l i e affidabili.

E se si tentasse i nvece di farle nuova mente vedere , se ci si impegnasse di nuovo a riscoprirle nelle loro forme di esistenza senz'altro mutate ridando loro la parol a ? Se, insisto, si facesse di

quella

prospettiva

un'offerta

politica

realisticamente

possibile? La domanda di social ismo ritorna oggi perfino là dove Sombart già da] 1 906 si chiedeva in un l ibro Perché negli

Stati Uniti non c'è il socialismo? Nell'Inghi lterra della Ter­ za via bla iriana il Labou r si a ffida a un leader antagonista . In Spagna una formazione di matrice operaista come Podemos è arrivata al governo. In Portoga llo un governo di sinistra fu n­ ziona molto bene. In Ital ia, aspettando che si risvegl i magari per un bacio del principe la bella addormentata del Pd , sappia­ mo che c'è un gi ro di m i l itanza in attesa di essere richia mata in campo, vediamo che molto del tradi zionale associazionismo e volontari ato cattol ico fa nel frattempo lavoro d i supplenza so­ l idale. E da qua lche tempo l'appello al popolo scende dall'alto del sogl io di Pietro. lo mi sento teologica mente un ratzingeria­ no, ma politica mente devo riconoscere che papa Bergogl io è rimasto quasi l'unico a dire oggi cose d i sinistra. Certo poi per riconquista re egemon ia di popolo su l l 'ideologia ordoliberista bisognerà attrarre - attrazione, appu nto - le m igliori intelli­ genze, le più ferrate competenze , l'eccellenza del la ricerca, la nuova sapienza del la comu n icazione, i mpa rare qu i ndi a usare e dom inare il demone del la tecnica, cioè diventare di nuovo moderni . E occorrerà valorizzare una risorsa che si vede cre­ scere dal basso , grazie anche a un processo di acculturazione di massa e a una insopportabilità del la vita quotidiana : quel

'1 34

Che fare?1

senso civico dei problem i, quella volontà di i ntervento diretto, di dire direttamente la propria opinione attraverso un'automo­ bi litazione di base, sfruttando i n positivo tutti i nuovi stru men­ ti tecnologici di comunicazione. I cosiddetti movimenti civici vanno senz'altro ascoltati e favoriti e soprattutto salvaguardati nella loro autonomia. Ma bisogna essere consapevoli che, af­ finché essi contino davvero, affinché non si disperdano dopo la pri ma appa rizione, affinché cioè conqu istino conti nuità e durata , è assolutamente ind ispensabile una forza pol itica or­ gani zzata che agisca in consona nza e in corrispondente auto­ nom ia, sul territorio, nel le amministrazioni, nel le istituzioni. Voglio dire che a ogni insorgenza d i innovazione occorre esse­ re sempre aperti : ma con occhio critico, sapendo d isti nguere il vero necessa rio dal falso, a volte anche dannoso. E per tenere questo equilibrio c'è un solo modo: non demonizzare tutto ciò che è stato, ma a nche l ì disti nguere quanto va abba ndonato e quanto va conservato. Attenzione: dalla buona tradizione i l Moderno viene civilizzato, quando per la cattiva i n novazione imbarbarisce. Il che vuoI dire che quel la riu ma n izza quanto questa d isu man izza . Per classi dirigenti degne di questo nome è complessivamente proprio una pol itica a misura d'uomo e di donna che va riconquistata e offerta . Sono ben consapevole che la mia idea di pol itica è la cosa che fa più fatica a essere compresa e accolta nel m io campo di appartenenza a cui poi il discorso è senlpre rivolto. "Que­ sta parola è dura. Chi può ascolta rla ? ", recita il Vangelo di Giovanni. È cosÌ : un'idea aspra , secca , senza pappa del cuore , diceva Hegel , anti-ideologica, come proponeva Marx. Frut­ to di lu nghi , lenti , contrastati percorsi di sperimentazione ed elaborazione. Esperienze sul campo e ri flession i che in trenta anni di lezioni un iversitarie mi hanno portato ad attraversare l'i ntera storia del pensiero pol itico moderno. Comi nciai i corsi

1351

con Machiavelli, li conclusi con Nietzsche: due nom i che già da sol i fanno sobba lzare sulle sed ie le anime bel le. Ho scritto che a un certo punto decisi di iscrivermi alla scuola del reali­ smo pol itico. La frequentazione razionale - direi laica, se non avessi tutte le riserve che ho verso questa generica parola - del pensiero grande conservatore mi ha insegnato più cose che il biascicare la preghiera quotidiana del la rel igione progressista . Ne viene fuori un pensiero del confl itto, sempre civil izzato, u n pensiero del la forza ben disti nta d a l l a violenza, un pens iero che fa critica del l a prassi di potere in nome di un principio di autorità . Questo senza mai abbandonare, anzi coltiva ndo, ri­ pensando e approfondendo una passione che non ho alcuna remora a defi nire rivoluzionaria. I nsom ma, un pu nto di vista abbastanza compl icato che capisco non sia affatto sempl ice da comprendere e assu mere. Mi sento però di rivend icare questa solitaria e credo originale postazione di pensiero. Per mezzo di essa, mi pare di capi re tutto ciò che è, in modo da poterlo combattere megl io.

Quali scelte pratiche, dunque? Le scelte pratiche sono state tutte conseguenti a questi princì­ pio Ad esempio: l a mia appa rtenenza nel campo del la sin istra politica sempre alla forza di maggioranza. Non si troverà mai il m io nome in esperienze minorita rie, d i gruppo, tipo grup­ pi extraparlamentari o gruppo del Manifesto, oppure mi no­ rita rie di partito, tipo Psiup, Pdup, R i fond azione comun ista , Sel , da ultimo Leu e forse ne di ment ico qualcuno. Contro la malattia m inorita ria mi sono vacci nato da bambino nel pas­ saggio opera ista : cosÌ poi ho potuto resta rne im mune per la vita . Nel 1 977, in piena baga rre dei cosiddetti movimenti, a un saggio sulla prima rivoluzione inglese, quel la del 1640, posi

136

Che ta re ?

come esergo questa citazione d i Cromwel l: " Se non riusciamo a sposta re l 'esercito sulle nostre posizion i , dobbiamo spostarci noi sulle sue". Ecco, importa nte è l'esercito, la forza che puoi ma novrare nel la guerra . La politica come testimonianza nu­ trita dalla fede d i essere nel giusto bene che alla fine prevarrà su l l 'i ngiusto male, la lascio a i professionisti dei buoni propo­ siti . Più e più volte sono stato i nterpellato sui rapporti tra eti­ ca e politica. Ho sempre risposto cosÌ : la politica che, come si diceva una volta, vuole cambiare il mondo, cioè rovescia re gli attuali rapporti di privi legio e d i potere, non ha bisogno d i un'etica sepa rata . L a legge morale - avrebbe detto Kant - ce l'ha dentro di sé . I m i l itanti del movi mento operaio interna­ zionale, una del le più grand i scuole d i uma nità che la storia moderna abbia prodotto, non sentivano la necessità di decla­ mare una tavola dei valori generica mente umani. Erano mossi da una volontà di riscatto per tutti, nutrita da un civile odio d i classe contro pochi . La loro etica era i ncorporata nella politica come scelta di vita. C 'è un'eticità nel sentirsi pol iticamente parte di una collet­ tività . Supera re sé stesso, il proprio essere i ndividuo potenzi al­ mente possessivo, entro una forma economico-sociale che ten­ de , spi nge, costringe, e quindi perfi no educa, a fare ciascuno il suo proprio si ngolo egoistico interesse , ecco quell 'autosupera­ mento è il realizzarsi dell'oltre-uomo di cui parlava Nietzsche .

È i l passaggio, i l salto, da individuo a persona. In politica è essenziale. Anche se oggi si d ice e si pratica esattamente i l contrario. E d è per questo che la pol itica decade , degrada , nei princìpi e nei soggetti. Perché il mercato è entrato anche nel politico. Con parole e comportamenti si vendono merci , badando a lla concorrenza e pu nta ndo al monopol io. Non c'è la personalità prodotta dalla storia, c'è i l personaggio offerto dalla contingenza . Non c'è il filosofo che dice al principe come

1371

deve essere, al suo posto c'è il gu ru dell'informazione che con­ siglia all'attore come deve appa rire. È la società del lo spettaco­ lo e dell'i ntratten i mento che ha generato il teatri no televisivo. Uno dei più squa llidi risultati d i queste fa lse democrazie real i è l a fa lsa persona lizzazione del la pol itica. Dico fa lsa perché io non ho niente contro la figura del leader. Come è necessa ria la presenza del l'élite, è altretta nto necessa ria la funzione della personal ità . Sono questi i luoghi dove si concentra no e si evi ­ denziano l a professional ità e l a responsa bil ità del la pol itica . I n modo che s u questi i cittad ini siano chia mati a scegl iere. Ma è fa lsa la person alizzazione qua ndo diventa un evento med ia­ tico, qua ndo compa re, come oggi, il leader usa e getta , cioè quando irrompono, o magari si costru iscono, personaggi per l'uso di una platea di spettatori , in modo simile a uno show telev isivo, o add irittura per pred isporre un'opin ione pu bbl ica a certi esiti che si rivelano nel tempo disastrosi come i recenti fu nesti esiti antipol itici. Con l'audience e con i like non si fa democrazia vera , si fa cattiva pol itica o, addi rittura , nessuna politica . Un esempio negativo della fa lsa personali zzazione è stato, in molte democrazie contemporanee, l'emergere del la forma del partito personale. Si dice: nell'età del la comun ica zione, di fatto avviene questo. Va bene , ma che una cosa av venga di fat­ to non giusti fica che debba avven ire. E poi , più importa nte , la personali zzazione del pa rtito rovescia - e fin isce per nega­ re e abbattere - l'idea stessa di partito. È qua nto avvenuto in episodi recenti. Le fortune del capo, e l'inevitabile seguente sfortuna , finiscono per esa ltare sul momento e per travolgere nel tempo l'i ntero orga nismo. Il partito è per sua natu ra un'e­ sperien za collegiale. Il rapporto fonda menta le è sempre quel lo tra il gruppo di rigente , nazionale e loca le, con il corpo dei mi­ litanti. E più che con il segreta rio occasiona le, è con identità e

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Che fa re?1

progetto del collettivo che si stabi lisce la fiducia. Il weberi ano leader cari smatico è certo una risorsa in più. E beati i tempi che producono questa ra rissi ma figu ra . Però, ritorno sulla mia indigeribile filosofia del la storia, ci vogliono tempi di ferro e fuoco per produrlo. In questi tempi di mezza estate , solo un po' capricciosa, che ci è toccato di vivere, è meglio contentarsi di ciò che passa il convento con figure tradi zional i , piuttosto che darsi all'av ventura di nuovi capi-popolo che nem meno san­ no quel che fanno. Produ rre, costru i re, approntare, prepa rare classi di rigenti carismatiche: questo è il lavoro di lu nga lena a cui dedicarsi . Occorre trova re i luoghi, i mezzi , le culture, le pratiche per i mpiantare questa i mpresa . Solo dall'alto delle isti­ tuzioni , e dalle istituzioni più alte, può venire l'ini ziativa di una Fondazione di formazione per un ceto politico del l'avveni re in grado di ri fiutare cupidigia di potere e assu mere autorevolezza di comando. Facciamo tutti attenzione: oggi il personaggio de­ mocratico è portato a riprodu rre, con altri mezzi, la personali­ tà autorita ria. Se lasciato a sé stesso e al suo rapporto persona­ le con un pubbl ico non pol iticizzato può diventa re un pericolo di sistema. L'unico antidoto è mettere in campo un processo forte eguale e contrario che ri metta in pied i la politica oggi in gi nocchio. Non è i mpossi bi le. È auspicabile. Ed è tal mente un esito necessitato che magari malgrado tutto rischia di avven i re. Consigl io al lora un doppio movi mento: modera re il pessi m i ­ smo dell'i ntel ligenza, radical izzare l'ott imismo del la volontà. C'è un pri ncipio o, se volete, un va lore, da privilegiare so­ pra tutti gl i altri: al meno, per chi combatte le forme di vita del mondo di oggi. Non è la libertà di pensiero ma la l ibertà di pensare. Non sono la stessa cosa. La l ibertà di esprimere il pensiero ci è data, è data a tutti, concessa o conquistata che sia, e sta ormai per fortuna nel le nostre leggi scritte. La l i bertà di pensare, in autonomia e in contrasto, è data a poch i ed è

1391

sottratta ai molti, perché subdola mente impedita dall'opinione corrente , dominante, tota li zza nte, ora nei si stemi democratici forse ancora più che in quelli totalitari . La tentazione della ser­ vitù volontaria è più forte oggi che in passato. L'atto di eman­ cipazione dal senso comu ne, la lotta di l i berazione dalla ditta­ tura del presente, l'esercizio di spirito critico su tutto ciò che ved i intorno a te, è un privi legio, frutto di studio, osservazione , ri flessione , coltivazione d i sé. Mentre lo eserciti , ti senti in col­ pa. Perché sai che per i più è un di ritto negato. E che cos'era , se non questo, quel grido di Marx: " I l proletari ato, emancipando sé stesso, ema nciperà tutta l'umanità" ? Un grido che la storia ha oggi ridotto a un lamento. Prendere coscienza, esatta e pro­ fonda, di quanto tragico sia stato l'effetto di questa caduta è la pri ma mossa i ntel lettuale da compiere. R ipeto: non per dispe­ rare ma proprio per tornare a sperare. Solo dopo questa mossa , la politica - tutto l'agire e il pensare pol itico, non solo quello che vuole supera re ma a nche quello che vuole conservare l'at­ tuale ordine o d isord ine del mondo - potrà risa lire alle a ltezze che non certo il presente ma solo il passato ha raggiunto. La pol itica in genera le ha l'assoluto bisogno di rei mmergersi nel vissuto del le persone. Solo cosÌ può rigenerarsi . E la pol itica , in pa rticolare quella di un civile sovversivismo, ha un bisogno i n p i ù : rei ncarnarsi nel vivere quotidiano del le persone semplici , i l vero corpo per il proprio spirito. Si prenda questo discorso come si vuole. O non lo si prenda affatto. Non ha importa nza. Tempo fa mi è capitato per caso di vedere riprodotta la copertina di un l ibro con il titolo capo­ volto. Mi è sembrato di rivedere si mbolicamente il coraggio di un rovescia mento. Lo giusti ficava il senso del titolo stesso: But

What lf We're Wrong? E se, invece, non ci fossi mo sbagl iat i ?

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Indice dei nomi

Accetto, Torqu ato 84;

Calati, Benedetto 1 25;

Accornero, Aris 100;

Ca nova n, Margaret 98;

Asor Rosa , A l berto 21, 106;

Casa leggio, G i a n roberto 88;

Bannon, Steve 4 8 ;

Col letti, Lucio 27;

Barba n, Alessandro 1 25 ;

Craxi, Bettino 64;

Battiato, Franco 1 8 ;

C romwel l, O l iver 137;

Bend i x , Reinhard 9 1 ;

Cundari, Francesco 63 ;

Benedetto X V I (papa) .

D a h rendorf, Ralf 27, 80;

Vd. Ratzinger, Joseph ; Benj a m i n , Wa lter 23, 25, 29, 78 ;

D 'A lembert, Jean Baptiste Le Rond 90;

Bergogl io, Jorge Mario 1 34;

D e Gasperi, Alcide 80;

Berlinguer, Enrico 57, 64, 95 , 1 1 2;

Delacroix, Eugène 109;

Bersa ni, Pier Lu igi 125;

De Luca, don Giuseppe 125;

Betti ni, G offredo 123;

De M i t a , C i riaco 124;

Bloch, Ernst 3 8 ;

De R ita , Giuseppe 101 ;

Bobbio, Norberto 80, 120, 1 24;

D i a manti, I lvo 1 0 1 ;

Bogda nov, A leksandr

D i Leo, R ita 16;

A leksand rovic 1 2 1 ;

Dominijanni, Ida 1 1 2;

Bonom i, Aldo 101 ;

Dugi n , A leksandr Gel'evic 48 ;

Bosetti, Giancarlo 80;

D vohi k, A ntonin 45 ;

Cacc iari, Massi mo 46;

Einaud i , Lu igi 32 , 42 , 103 , 1 2 1 ;

141

E l iot, Thomas Stea rns 29;

Laclau, Ernesto 41 , 9 8 ;

Federico I I d i Prussia 90;

Lakoff, George 1 3 ;

Fra ncesco (papa) . Vd. Bergoglio, Jorge Mario; Gaber, Giorgio 71 ;

La mennais, Fél icité 9 1 ; L a Rochefoucauld , François de

50;

G a l l i della Loggia , Ernesto 5 1 ;

Lazar, Marc 101 ;

Gentile, Emi lio 97;

Le Bon, Gustave 101 ;

Gentilon i , Paolo 3 1 ;

Le Pen, Marine 8 8 ;

Germ ani, Gino 96;

Lombardo Rad ice, Laura 70 ;

Giannini, Gugl ielmo 52;

Lonzi , Carla 1 13 ;

Giovanni (evangel ista) 1 35 ;

Luk acs , Gy6rgy 17;

Glotz, Peter 8 0 ;

Lukes , Steven 80;

Gnol i , A ntonio 1 17;

Machi avel l i , Niccolò 32 , 34, 5 1 ,

G oethe, Johann Wolfgang von

66 , 1 16 ;

69, 136; Magris, Claud io 3 1 ;

G orbac iov, M icha i l 69;

Ma ier, Charles 42 ;

G orz, André 80;

Mann, Thomas 45, 53 ;

Gramsci, A ntonio 68 , 74;

Marx, Karl 20, 80, 1 29, 135, 140;

Grillo, Beppe 8 8 ;

Mercadante, Francesco 9 1 ;

Guard i n i , Rom ano 37;

Michel s , Robert 52 ;

Hegel, Georg Wilhel m Friedrich

Miglio, Gia nfra nco 1 24;

32 , 33, 34, 35, 102 , 1 16 , 135;

Monti, Ma rio 73 ;

Hobsbawm , Eric 79;

Moro, Aldo 58 , 59, 89, 1 2 8 ;

H6lderl in, Fried rich 1 29;

Mou ffe, Chantal 9 8 ;

Husserl , Ed mund 17;

Mus i l , Robert 1 5 , 1 6 , 6 6 ;

Ingrao, Pietro 70, 85, 1 25 ;

Natta, A lessa ndro 64;

lotti, Nilde 124;

Nietzsche, Friedrich 136, 1 37;

J ung, Cari Gustav 44;

Nievo, lppol ito 1 1 5;

Kant, l mma nuel 17, 21 , 137;

Nova lis 3 8 ;

Kierkegaard , Seren 47;

Oba m a , Ba rack 1 9, 3 6 , 108 ;

Kissi nger, Henry 46;

Occhetto, Ach ille 6 8 ;

K raus, Karl 1 1 8 ;

Orban, Vi ktor 8 8 ;

Indice dei nomil

Pajetta, G i a n Carlo 69;

Sa rtori , G iovanni 80;

Pa rri, Ferruccio 80;

Sch m itt, CarI 102;

Pascal , Bla ise 1 15;

Schu mpeter, Joseph 89;

Péguy, Charles 91;

Scuccimarra , Luca 92;

Plutarco 34;

Sombart, Werner 134;

Putin, Vlad i m i r 47, 50;

Soriano, M ichele 9 1 ;

Quinzio, Sergio 125;

Sylos Labi n i , Paolo 106;

Ratzi nger, Joseph 38, 68;

Thatcher, Marga ret 99;

Reich l i n , A l fredo 67;

Togl iatti, Pa l m i ro 65, 80, 1 28 ;

Renzi , Matteo 1 27;

Trump, D onald 1 3 , 1 9, 20, 36,

R icol fi, Luca 105;

3 � 4� 49, 50, 8 8 , 108 ;

Romano, Sergio 37, 46;

Va léry, Pau l 46;

Rorty, R ichard 80;

Veca, Salvatore 80;

Rossa nd a , Rossa na 125;

Vecch io, Concetto 45, 87;

Ruffolo, Giorgio 104;

Wa rburg, Aby 23, 27;

Ruocco, G iova nni 92;

Wu M ing 1 2 1 ;

Salvin i , Matteo 8 8 ;

Zarri, Adriana 1 25.

1431

Hanno contribu ito a far nascere questo libro: Mon ica De Caro (cu ra redazionale) Emma nuela Nese (impagi nazione) Ada Carpi (art direction) N UT R I M E N T I

Di rettore ed itoriale: Andrea Palombi Ufficio sta mpa: Anna Voltaggio Com merciale: Marta Vesco Di ritti esteri: Martina R inaldi Redazione: R iccardo Trani, Emmanuela Nese, Mon ica De Caro

Il ca rattere usato per il testo è il Sabon MT Pro, disegnato da Jan Tschichold . I caratteri usati per la cope rtina sono il Sabon MT Pro e il D i n Sch rift, d isegnato d alla fonderia David Stempel. La carta degli interni

è

la Selena della cartiera Bu rgo.

Stampato per conto della casa ed itrice Nutrimenti da GR AFICA VENETA S.p.A. - Trebaseleghe ( PD) nel mese di febbraio 201 9 Printed in Italy