Paradosso e controparadosso 8870788121, 9788870788129

Scritto nel 1975 da un'équipe di psichiatri e psicoanalisti in rotta con l'ortodossia psicoanalitica "Par

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Paradosso e controparadosso
 8870788121, 9788870788129

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M. Selvini Palazzoli L. Boscolo G. Cecchin G. Prata

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Paradosso e controparadosso

I] Rq/faello Cmtina Ediwre

Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo Gianfranco Cecchin, Giuliana Prata

PARADOSSO E CONTROPARADOSSO

~

Raffaello Cortina Editore

INDICE

"Paradosso e controparadosso" oggi: il senso di una riedizione

VII

(P Barbetta)

Prefazione alla prima edizione

XIII

Parte prima Capitolo I Introduzione

3

Capitolo II Modalità di lavoro dell' équipe

9

Parte seconda Capitolo III La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica

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Capitolo IV Il paziente designato

31

Parte terza Cupitolo V

(; li interventi terapeutici come apprendimento per tentativo ed errore

43

Cnpitolo VI

Lu tirunniu del condizionamento linguistico V

47

l11dkr

Capitolo VII La connotazione positiva

51

Capitolo VIII La prescrizione in prima seduta

63

Capitolo IX I rituali familiari

77

Capitolo X Dalla rivalità col fratello al sacrificio per aiutarlo

91

Capitolo XI I terapeuti prendono su di sé il dilemma del rapporto fra genitori e figlio

97

Capitolo XII I terapeuti accettano senza obiezioni il miglioramento sospetto

103

Capitolo XIII Come ricuperare gli assenti

107

Capitolo XIV Come aggirare la disconferma

113

Capitolo XV Il problema delle coalizioni negate

123

Capitolo XVI I terapeuti dichiarano la propria impotenza senza biasimare alcuno

133

Bibliografi.a

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VI

"PARADOSSO E CONTROPARADOSSO" OGGI: IL SENSO DI UNA RIEDIZIONE Pietro Barbetta

È esagerato paragonare Paradosso e controparadosso all'Interpretazione dei sogni? Si è detto di quest'opera di Freud che la sua distanza dagli scritti immediatamente antecedenti costituisce il crinale tra la preistoria e la storia della psicoanalisi. Paradosso e controparadosso ha il diritto di essere considerato l'inizio della storia della terapia familiare sistemica. Credo che un tale giudizio possa essere condiviso da molti. Valga per tutte la testimonianza di Lynn Hoffman, che - con Peggy Papp e Olga Silverstein - introdusse, all'Ackerman Institute di New York, il modello del gruppo di Milano: "Quando lessi per la prima volta Paradosso e controparadosso ne fui ispirata. Finalmente una teoria della terapia costruita sulla visione sistemica che Bateson aveva tentato di descrivere". Come avvenne che le teorie antropologiche di Bateson si trasformarono in pratiche terapeutiche? Il passaggio storico e concettuale si sviluppa in tre momenti: -1' antipsichiatria aveva contestato i fondamenti scientifici delle teorie della malattia mentale, anche a seguito dell'influenza della grande opera di Foucault su "follia e sragione"; - Gregory Bateson aveva formulato la prima ipotesi sulla schizofrenia basata sulla comunicazione interpersonale; - Paradosso e controparadosso apriva la via alla terapia con le famiglie "a transazione schizofrenica". Erano gli anni - la prima edizione italiana è del 1975, quelle inglese e francese del 1978, la spagnola del 1982 - in cui nei paesi a democrazia occidentale venivano smantellate le istituzioni totali e venivano formulate nuove leggi per la diagnosi e la cura del mental disorder. In

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quel periodo un gruppo 1lt1, ,0/ t,,1,lln 11/ t(ltrl/i,:lri p,r 11/111,,r/11

Ci occorse tempo pe1· cnpirc che le retroazioni di queste famiglie sono cosl negative in qtrnnto questo tipo di intervento assesta un colpo potente allo statu quo. Questo è installato sulla credenza, ufficialmente dichiarata, che nella famiglia composta di membri sani vi sia, inspiegabilmente, un membro ammalato. Ma sotto sta pure la credenza, ufficialmente non dichiarata, che il paziente designato, almeno in parte, sia tale, perché invidioso e rivale del fratello (o dei fratelli) sani. Credenza ~ commista a un segreto sentimento di colpa, nel senso che il paziente non avrebbe tutti i torti, giacché forse vi sono, o vi sono state, nei rapporti, certe differenze che tuttavia è vietato ammettere. In queste famiglie, infatti, la coperta simmetria fra i genitori si ramifica, altrettanto copertamente, nella generazione successiva. Ne risulta, per effetto del gioco, che vi sia inevitabilmente chi si è sentito stimato e chi si è sentito meno stimato, chi si è sentito amato e chi si è sentito escluso. In tal modo la nascosta battaglia tra pseudoprivilegiati e pseudotrascurati garantisce la perpetuazione del gioco. Da parte degli pseudoprivilegiati allo scopo di mantenere il presunto privilegio, da parte degli pseudotrascurati allo scopo di ottenere la presunta rivalsa. Il tutto celato in un intrico di coalizioni nascoste e negate che non è facile dipanare. Ad esempio, nel caso di una famiglia presentante un'adolescente psicotica, con due sorelle parecchio maggiori, ci vollero diverse sedute per riuscire a capire come la paziente designata fosse segretamente coalizzata col padre e con la sorella secondogenita allo scopo di punire la madre per l'amore privilegiante che aveva sempre mostrato alla · primogenita, Bianca. Mediante comportamenti psicotici clamorosi, la paziente designata era persino riuscita a costringere Bianca a lasciare la casa. Riuscimmo a capovolgere l'epistemologia familiare designando come "malata" la sorella maggiore, Bianca (che in effetti, depressa e inattiva, abitava da mesi in campagna, nella casa di due vecchissimi zii, col solo conforto delle quotidiane telefonate materne) nel mentre ammiravamo la sensibilità e il sacrificio della paziente designata che col suo comportamento tentava, se pure per il momento con scarso successo, di sospingere Bianca, ormai ventottenne, a realizzarsi al di fuori della famiglia. Ma, nelle sedute successive, arrivammo a dimostrare che neppure Bianca era "malata". Era soltanto una ragazza sensibile e generosa che aveva preso troppo sul drammatico certi sfoghi a cui mamma si lasciava talvolta andare a proposito di papà. Così si era messa in mente che

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mamma fosse tanto infelice, e avesse un bisogno vitale e.li sentirsi sempre vicina la sua figlia maggiore. Ma un tale bisogno a noi terapeuti non risultava affatto, per lo meno al momento attuale. Mamma non poteva che volere con tutto il cuore che Bianca si staccasse da lei, si realizzasse ... (Parole ovviamente accolte dalla madre con grida di conferma.) La tattica terapeutica descritta nel presente capitolo ci appare tra le più efficaci a produrre cambiamenti costruttivi, purché si resista alle immediate retroazioni negative più sopra enumerate. Le figure dei genitori vengono provvisoriamente arretrate nello sfondo, mentre i terapeuti sospingono allo scoperto il gioco dell'ultima generazione. Di tale gioco i terapeuti iniziano col capovolgere tatticamente la punteggiatura. Lo pseudoprivilegiato diventa lo svantaggiato, in quanto, essendosi accaparrato uno dei genitori, si blocca nella propria evoluzione. Tale capovolgimento è operato dai terapeuti non sulla base di opinioni o ipotesi più o meno gratuite, ma sulla base dei dati concreti portati dalla famiglia e osservati in seduta. Quando la famiglia, dopo qualche tempo, si mostra disposta ad accogliere tale inversione di punteggiatura (la cui "realtà" è altrettanto indecidibile quanto la precedente) ecco i terapeuti cambiare di nuovo e rimettere sul proscenio i genitori. Si dirà allora che neppure il figlio che voleva accaparrarsi la mamma lo faceva per se stesso, ma per la mamma. Ciò in base all'equivoco, all'errata convinzione che la mamma ne avesse bis_ogno. Ma ai terapeuti non risulta a/fatto che la mamma ne abbia bisogno ... (La madre, a questo punto, non può che confermare a gran voce quanto dicono i terapeuti.) Abbiamo più sopra parlato di tale tattica come di una importante manovra intermedia per minare copertamente lo statu quo del sistema. Infatti, visto che la disfunzione di questo si perpetua sulla falsa credenza che c'è una famiglia "sana" la quale, inspiegabilmente, ha un figlio "matto", il dichiarare che il "matto" non è quello, ma un altro, o altri, fratelli o sorelle che siano, equivale ad avviare un dilemma tra due alternative: o sono "matti" tutti o di "matti" non c'è nessuno. Il dilemma, se si procede correttamente, si risolve da sé nella seconda. Di "matti" non c'è nessuno. C'era soltanto un gioco mnt-

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to 1 intorno 11 cui ~rnvltnvu Il totnle interesse della famiglia. Di sedu111 in seduta il gioco si smonta e si dissolve, senza che i terapeuti lo uhbiano mai nominato come tale. E con esso scompaiono anche quelle peculiari modalità di comunicazione che ne avevano costituito la premessa e garantito la perpetuazione.

1. A proposito di giochi matti, ricordiamo il caso limite di una famiglia di cinque membri, la cui paziente designata, Mimma, era una ragazzina decenne, anoressica psicotica. Avendo Mimma dichiarato, tra cento altre bizzarrie, che la sua difficoltà a mangiare derivava dal terrore della contaminazione dei cibi, la famiglia aveva provveduto a trasformare la cucina in una sorta di camera operatoria, dove tutto veniva bollito, mentre i commensali (" ... purché Mimma mangiasse, Dio mio ... ") si sedevano a tavola in camice bianco, con guanti sterilizzati e regolare berrettino. L'imbarazzo della sc~lta era in tal caso patente. Eppure anche quella famiglia, quando entrò in terapia, non aveva dubbi: la "matta" era una sola, Mimma, ovviamente.

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Xl I TERAPEUTI PRENDONO SU DI SÉ IL DILEMMA DEL RAPPORTO FRA GENITORI E FIGLIO

Abbiamo già fatto cenno nel precedente capitolo alle difficoltà peculiari in cui ci trovammo per molto tempo coinvolti con le famiglie in cui il paziente designato era figlio unico. E questo per la difficoltà di evitare le critiche ai genitori, così abilmente stimolate dal :figlio stesso, sia di evitare di essere coinvolti nella coperta simmetria della coppia, a sua volta così abile a scindere i terapeuti per trascinarli in coalizioni e in lotte di fazioni puntualmente ripetitive del gioco in atto. Dopo una serie di errori, riuscimmo :finalmente a trovare una soluzione. Questa consiste nel riferire esclusivamente a noi stessi, al momento opportuno, i problemi del rapporto intergenerazionale, in maniera assai simile all'interpretazione di transfert operata nel trattamento psicoanalitico. Ma con la fondamentale differenza che ciò vien fatto in presenza dei genitori, che, benché messi esplicitamente fuori del gioco, afferrano l'allusione implicita ai problemi intrafamiliari. Tale esclusione dei genitori ci risulta tatticamente vantaggiosissima, in quanto gli esclusi si trovano nella totale impossibilità di negare o di squalificare. Chi mai sta parlando di loro? Per spiegarci, esporremo la settima seduta di una famiglia venuta in terapia a causa di una crisi psicotica del figlio decenne, Ernesto. Di tale · famiglia, chiamata Lauro, abbiamo già dato le notizie essenziali al capitolo 8 a cui, per non ripeterci, rimandiamo il lettore. Già dopo la prima seduta, che aveva avuto luogo nell'imminenza ~elle vacanze natalizie, Ernesto, in seguito all'intervento terapeutico, aveva abbandonato il florido comportamento psicotico e aveva ripreso la scuola con ottimi risultati. Persistevano tuttavia in lui alcuni comportamenti che molto ango-

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sciavano i suoi genitori. Primo fra tutti l 1osti1111ta riluttanza di Emesto a frequentare i compagni fuori della scuola, a fare amicizie, a recarsi sui campi di gioco. Per le prime cinque sedute (a ritmo mensile) il ragazzo aveva partecipato vivacemente al lavoro terapeutico, mostrando un'acuta intelligenza. Ma alla sesta seduta Ernesto si era presentato di cattivo umore, e per nulla collaborante. Cambiando il suo posto usuale frammezzo ai genitori, si era sistemato un po' in disparte da loro. Nel corso della seduta aveva parlato pochissimo, dicendo cose banali o sciocche, da finto tonto, con atteggiamento annoiato nei riguardi di tutti, terapeuti compresi. Ai genitori, che esprimevano le loro ansie per la sua pigrizia fisica, per la sua estrema riluttanza a uscire di casa, ad aderire agli inviti dei coetanei, si era limitato a rispondere con sbuffi d'impazienza. Al termine di seduta, in discussione d' équipe, si fece ogni sforzo per cercare di inquadrare il fenomeno più saliente: il mutato comportamento di Ernesto. Non si approdò che a delle ipotesi insoddisfacenti. Si decise allora di concludere la seduta con una prescrizione lapidaria: doveva essere immediatamente e definitivamente sospesa la somministrazione di medicinali, prescritti a suo tempo dal neurologo inviante. Nutrivamo la certezza che tale prescrizione, data senza spiegazione alcuna, avrebbe provocato nel gruppo retroazioni illuminanti. Alla settima seduta (si era a fine giugno) Ernesto si ripresentò più che mai disimpegnato e stolido. Anche questa volta si sedette un po' in disparte dai genitori, i quali aprirono subito il discorso con amare lamentele sul suo contegno. Quanto ai risultati scolastici non avevano nulla da ridire: la promozione era stata brillante. Ma il contegno di Ernesto in casa li aveva preoccupati e li preoccupava fino all'angoscia! Innanzitutto, poco dopo la precedente seduta, Ernesto aveva ricominciato a stringere i pugni, come faceva nel pieno delle crisi, e a piangere senza motivo. Spaventati, i genitori avevano subito ripreso a somministrargli le medicine, pur sentendosi molto in colpa per non avercelo richiesto. Ma lo avevano ritenuto indispensabile, almeno per terminare l'anno scolastico. Ernesto aveva tuttavia continuato a comportarsi disastrosamente in casa. Conclusa la scuola, pretendeva di non lavarsi e non vestirsi affatto. Voleva passare tutta la giornata in pigiama, sdraiato sul suo letto o in poltrona, a leggere "fumetti". Quando non leggeva, lo trovavano seduto nella sua stanza con la testa fra le mani. Alla madre, che ansiosamente lo interrogava, rispondeva "che stava pensando". Erano lotte per costringerlo a vestirsi, a uscire, a recarsi in un vicino campo sportivo. Erano riusciti a mandarcelo una volta sola!

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Prèoccupath111hnl per tutto qud "pensare" di Ernesto, i genitori si unrsl il cttmbio onde fargli compagnia, distrarlo. (Juando mamma, sfinita, andava a fare il pisolino, toccava a papà lasciare la vicina azienda per costringere Ernesto a giocare con lui a scacchi o a carte, in attesa del risveglio di mamma, che riprendesse il turno di guardia. Dopo tale sfogo a due voci all'indirizzo dei terapeuti, la madre si rivolge angosciosamente a Ernesto: "Alla mamma devi dire la verità, Ernesto! Fai questo solo per spirito di contraddizione o per qualche altro motivo?". Ernesto, che si è fin lì limitato a lasciar parlare i genitori, le risponde che non è colpa sua se non riesce a uscire di casa. Il tono, tuttavia, con cui si esprime, nonè vivace, ma infantilmente querulo, melenso. La sequenza viene chiusa dal padre che interpella direttamente i terapeuti: "Ciò che oggi vogliamo sapere da voi è se facciamo bene a comportarci come èi comportiamo col bambino, o se sbagliamo tutto, se dobbiamo fare diversamente". crnno accordati di

In discussione di seduta l'équipe è unanimemente d'accordo di evitare il tranello teso dal gruppo, e soprattutto dalla richiesta del padre. Ovviamente è impossibile evadere tale richiesta, bisogna rispondervi. Ma è altrettanto imperativo non entrare nei contenuti, onde evitare squalifiche più che prevedibili. Calcolando che si lavora con la famiglia già da sette mesi, sembra giunto il momento opportuno per lavorare sul rapporto di Ernesto coi terapeuti. 1 L' équipe prepara minuziosamente la modalità dell'intervento, e cerca di fare previsioni sulle possibili retroazioni immediate, allo scopo di non cadere in tranelli inattesi. Sospettiamo che Ernesto farà il possibile per indurre i terapeuti a criticare i genitori. Probabilmente è arrabbiato con loro proprio perché non lo fanno. Trascriviamo dal registrato il finale della seduta. Poco fa, signor Lauro, lei ci ha fatto una domanda importante: se fanno bene o male a comportarsi come si comportano con Ernesto. La nostra risposta è che è del tutto indifferente ... PADRE (interrompendo): Allora vuol dire che io sbaglio? :rER. UOMO: No, affatto. Voglio dire che non ha alcuna importanza che TER. UOMO:

l. A diffct·cnzn di nitri interventi descritti, questo, evidentemente, ha un certo "tirning". Non pucì eHHCl'C CHCl{lliln I l'OJlJm prcrnccmcntc, e soprattutto non prima di aver constatato i se1-111I di un l'tlpportn M1tf'fidc111rmr.n1c lntcnHo,

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facciano in un modo piuttosto che in un ultrn. Perché Ernesto il problema ce l'ha con noi, con noi ternpcuti, 11011 con loro. (Pausa) E perché? Perché Ernesto non ha capito bene cosa noi terapeuti ci aspettiamo da lui, o meglio, Ernesto ha capito che, a causa del nostro ruolo di terapeuti, anche se non lo diciamo, sotto sotto non possiamo che aspettarci che lui cresca, che diventi uomo. Ma qui sta il problema con noi. Se lui cresce come noi ci aspettiamo in realtà non cresce, perché ci ubbidisce come un bambino. Per noi è questo il problema a cui Ernesto pensa continuamente standosene tutto il giorno in casa: al problema che ha con noi. E in effetti ha ragione. Noi siamo prigionieri del nostro ruolo di terapeuti, e quindi non possiamo non desiderare che Ernesto cresca. È un problema effettivo che ci mette in stallo. Avevamo visto che Ernesto, allo scopo di diventare uomo, si era scelto un modello tutto suo particolare: il nonno. Forse ora, per crescere, dovrà pensare a dei modi suoi propri ...

(interrompendo, e mutandosi di botto in un ragazzino intelligentissimo e partecipe): Voi state dicendo che se cresco come si aspettano gli altri in effetti non cresco, perché non faccio (gridando) la mia dichiarazione di indipendenza!!

ERNESTO

TER. UOMO: Esatto. ERNESTO: Ma allora

questo riguarda anche loro! (accenna col pollice ai genitori) c'entrano anche loro nella faccenda ... questi signorini! ... TER. UOMO (stornando il pericolo di scivolare sulle critiche ai genitori): La cosa è complessa, Ernesto. Rivediamo insieme la faccenda della ripresa dei medicinali. La scorsa seduta noi abbiamo ordinato la sospensione delle medicine. Non è così? Era un messaggio implicito che noi ti consideravamo pronto a crescere, in fondo era quasi un ordine ... e tu ti sei messo a piangere, a star male, e i tuoi genitori te. li hanno ridati. Questo dimostra che il tuo problema era ed è con noi. Facendoti ridare i medicinali ci hai comunicato che vuoi decidere tu quando crescere e come crescere. Non direi che è spirito di contraddizione ... piuttosto, come dici tu, è una dichiarazione di indipendenza nei nostri riguardi. ERNESTO (aggressivo): Ma allora che debbo fare coi medicinali? TER. DONNA: Decidere tu se prenderli o no. ERNESTO (petulante): E allora decido subito che non li prendo più! TER. UOMO (alzandosi per il congedo): La prossima seduta sarà dopo le vacanze, il 3 settembre. Ernesto avrà tempo per pensare al suo problema con noi ... (La madre non ha più aperto bocca, ma dall'espressione tesa del suo viso sembra molto colpita. Ernesto, ritornato vivace e simpatico, stringe cordialmente la mano ai terapeuti. Il padre, che ha invece un'espressione smarrita, si attarda nella stanza per bisbigliare: "Ma allora ... ? mi danno buone speranze?", al che il terapeuta risponde soltanto con un cenno in direzione di Ernesto, che è già balzato nel corridoio dietro alla madre.)

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A questo punto, immuginiamo il lettore chiedersi il perché di un coHÌ formo proposito di non entrare a discutere direttamente del rappor10 fra i genitori e il ragazzo. Una ragione fondamentale è stata già data nel capitolo 7, concernente la connotazione positiva. Rispondere alla richiesta del padre entrando nei contenuti non poIl'va avere che due alternative: aj' o punteggiare arbitrariamente il comportamento dei genitori come causa del comportamento del figlio, e quindi criticarli; b) o punteggiare arbitrariamente il comportamento del figlio come volutamente provocatorio, connotando così il figlio in modo negativo. In entrambi i casi saremmo stati squalificati e ridotti all'impotenza, vuoi immediatamente, vuoi nella successiva seduta. Dal figlio, in quanto gli sarebbe stato facile squalificare l'illusione di alternative, dichiarando (come già aveva fatto con la madre) che non era colpa sua se si comportava a quel modo, che non poteva farci nulla. Dai genitori, i quali sarebbero ritornati (irritati o depressi) alla successiva seduta per comunicarci la totale inefficienza dei tentativi fatti per comportarsi diversamente. Tuttavia questa ragione, per quanto fondamentale, non è la sola. Nei primi anni della nostra ricerca abbiamo commesso l'errore (purtroppo ostinato) di credere che un adolescente non poteva "guarire" se noi non riuscivamo a cambiare i rapporti intrafamiliari, e soprattutto il rapporto fra i genitori. Ma per far questo entravamo nel problema in maniera diretta, verbale, mostrando tutto quanto accadeva in seduta, sia nel rapporto triadico che in quello della coppia, allo scopo di cambiare quanto c'era di "sbagliato". A parte che così facendo non raccoglievamo che troncamenti, squalifiche, o nei casi favorevoli qualche "dressage" superficiale, l'errore più grave consisteva nel messaggio implicito che in tal modo davamo all'adolescente: precisamente che la "conditio sine qua non" per una sua costruttiva evoluzione era che i genitori cambiassero. Non avevamo ancora capito che la pretesa simmetrica di "riformare" i genitori costituisce il nucleo, forse il più importante, dei disturbi adolescenziali, ivi compresi quelli psicotici. Infatti non c'è adolescente disturbato che non sia intimamente convinto che lui non va bene perché non vanno bene i suoi genitori (e viceversa, giacché pure i genitori lo pensano, ma con la variante che ciascuno dei due è adamantinamente convinto che la responsabilità è del coniuge). Si aggiunga che in sistemi rigidamente disfunzionanti, come quelli a

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transazione psicotica, i figli (e non solo il paziente designato) volonterosamente si assumono il ruolo di "riformatori", vuoi con la pretesa di vicariare un coniuge insoddisfacente, o di vendicare un coniuge oppresso, o di inchiodare alla famiglia un coniuge instabile, o addirittura, come constatammo in una adolescente psicotica, di sostituire un padre ritenuto debole e inetto con un comportamento da "padre di tipo ancestrale", violento, volgare e bestemmiatore. Un ruolo così volonterosamente assunto è ovviamente anche dato dai genitori, ma sempre in maniera coperta, e attraverso coalizioni segrete le quali vengono immediatamente negate alla più piccola minaccia di venire scoperte. Il compito dei terapeuti è invece quello di comportarsi in modo da distruggere la falsa credenza, da capovolgere l'errata epistemologia familiare mediante un messaggio inverso. E quale? Che non è affatto compito dei figli migliorare il rapporto dei genitori, o vicariarli nelle loro funzioni. Che un adolescente può evolvere egregiamente, comunque sia il rapporto fra i suoi genitori. L'essenziale è che si convinca che la faccenda non lo riguarda affatto. , Ma una convinzione così sana non poteva certamente sbocciare in un adolescente che assisteva in seduta alle nostre diatribe impotenti coi suoi genitori, identiche a quelle cui lui stesso, da tempo, si applicava. Né può fare alcuna meraviglia che qualche paziente designato, dopo un certo tempo, disertasse le sedute. Che diamine, poteva ben prendersi qualche ora di vacanza visto che aveva dei sostituti. così. pronti a raccogliere il suo mandato! Il colmo dell'insipienza, a quel tempo, era la nostra convinzione che, così facendo, oltre a scaricare l'adolescente dal suo ruolo ingrato, offrivamo a tutti quanti l'esempio di genitori "migliori". E non eravamo invece che degli adolescenti disturbati, premurosi di distribuire ai genitori pagelline con zero in condotta.2

2. Della validità del "nuovo corso" abbiamo avuto riprove concrete. Tre famiglie, con le quali non avevamo ottenuto risultati soddisfacenti, hanno avuto la bontà di ripresentarsi spontaneamente. Una di queste (con paziente psicotica) lo fece dopo tre anni dalla prima terapia con lo scopo, nemmeno tanto coperto, di rifarci toccare con mano la nostra impotenzu, Poche sedute furono sufficienti a cambiare il gioco awiando una trasformuzione costruttivn.

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XII I TERAPEUTI ACCETTANO SENZA OBIEZIONI IL MIGLIORAMENTO SOSPETTO "

Le modalità di tale tipo di manovra sono state già esemplificate nel rnpitolq I ritualifamiliari. Tale manovra terapeutica consiste nell'accogliere senza obiezioni 1111 miglioramento o una scomparsa del sintomo che non appaiono affatto giustificati da un corrispondente cambiamento del sistema di I ransazione familiare. Nasce il sospetto di trovarsi di fronte a una mossa di cui sono complici tutti quanti i membri del gruppo naturale, anche se è uno solo a farsene il portavoce. Lo scopo comune è quello di sottrarre ai terapeuti qualche territorio di indagine sentito come pericoloso allo statu quo. La caratteristica di tale miglioramento è quella di essere improvviso e inspiegabile, accompagnato non di rado da un atteggiamento di disimpegno o di ottimismo del tipo "tout va très bien, madame la marquise" per nulla suffragato da dati persuasivi. Con questo la famiglia fa intendere ai terapeuti (senza dirlo) l'intenzione collettiva di balzare sulla piattaforma del primo treno in transito. Anche in tal caso l'esperienza ci ha insegnato che i terapeuti non. 1 possono perdere l'iniziativa. Una possibilità sarebbe quella di rilevare il significato e lo scopò di tale comportamento familiare interpretandolo come "fuga nella guarigione". Per nostra esperienza ciò è un errore in quanto comporta un atteggiamento critico del tutto in contrasto con l'aureo principio della connotazione positiva, e quindi provocatore di negazioni e squalifiche, o, peggio, di un braccio di ferro. Non di rado poi, come si è visto nel caso della famiglia Casanti, il moto di fuga consegue a qualche errore dei terapeuti, o a un intervento in sé corretto ma intollerabile per il gruppo. La linea da noi seguita consiste nell'accettare tale miglioramento senza obiezioni, prendendo noi stessi l'iniziativa di chiudere la terapia.

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Ci compattiamo tuttavia in maniera criptica, e in certo modo allusiva. Giacché la famiglia, in tali casi, non è ancora arrivata a chiederci "expressis verbis" il termine del trattamento, ma è soltanto impegnata nelle mosse preliminari per giungervi, noi la preveniamo decidendo noi stessi, di autorità, la sospensione della terapia. Il primo scopo è quello primario di avere sempre in mano l'iniziativa e il controllo della situazione, prevenendo e annullando le mosse del partner avversario. Il secondo è direttamente collegato alla nostra modalità di contratto con la famiglia: l'aver pattuito un numero preciso di sedute. Di fronte a una scomparsa inspiegabile del sintoma nel paziente designato, accompagnato dai comportamenti di resistenza collettiva sopra descritti, noi preferiamo chiudere subito la terapia onde mettere alla prova l'autenticità della "guarigione", avendo tuttavia ancora "in cassa" un certo numero di sedute qualora la "guarigione" non regga al cimento dei tempi lunghi. Ritorniamo al nostro comportamento che abbiamo definito criptico e allusivo. Esso è tale in quanto noi abbiamo cura di non esprimere affatto la nostra opinione sul presunto miglioramento, né tanto meno di confermarlo. Rientrati in seduta, ci limitiamo a un semplice commento in cui dichiariamo di prendere atto della soddisfazione espressaci dalla famiglia per i risultati ottenuti. Di conseguenza comunichiamo di aver deciso che la terapia ha termine con la seduta in corso. Ribadiamo tuttavia l'obbligo da noi contratto di concedere alla famiglia le sedute non ancora utilizzate in caso di successiva richiesta. A tale intervento terapeutico corrispondono nella famiglia alcune retroazioni tipiche, variabili nell'intensità, ma comunque rivelatrici della mossa in atto. Una di queste è la seguente: "Ma voi che cosa ne pensate?". Domanda che mira evidentemente a sedurci nel tranello di aprire una discussione su nostri dubbi o obiezioni che verrebbero tosto squalificati. Ma i terapeuti cripticamente ribadiscono di basare la loro decisione semplicemente sulla soddisfazione espressa dalla famiglia. In tal modo la famiglia si trova presa nella trappola paradossale di essere nominata iniziatrice di una decisione che in realtà è presa dai terapeuti. In altri casi piomba invece sul gruppo un silenzio sepolcrale, seguito poco dopo da proteste, espressioni di dubbio, di incertezza, di pessimismo, insistenze per fissare immediatamente un appuntamento successivo od ottenere dai terapeuti la promessa solenne che una futura richiesta di ripresa non debba comportare un'attesa prntratta.

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XIII COME RICUPERARE GLI ASSENTP

Nel ricco armamentario delle manovre familiari intese alla tutela dello statu quo, la manovra del membro assente è forse la più nota, e già ampiamente descritta da vari ricercatori. Sonne, Speck e Jungreis, che per primi vi dedicarono uno studio particolare, conclusero come tale manovra, anche se agita da un solo membro della famiglia, e apertamente di sua iniziativa, "è in realtà una manovra familiare totale a cui collabora, più o meno, il resto della famiglia". Tuttavia, quanto al modo di prevenire tale manovra, o di sventarla allorché si verifica, gli autori non si pronunciano. È necessario, affermano, un ulteriore lavoro di ricerca. La nostra opinione personale, derivata dall'esperienza diretta, collima con la conclusione di detti autori: precisamente che si tratta di una resistenza condivisa dall'intera famiglia. Con la variante, tuttavia, di includere nell'analisi dinamica del suo verificarsi anche i comportamenti dei terapeuti, e soprattutto i loro errori. Tali, nel nostro caso, i rilievi critici all'indirizzo dei genitori, nonché lo scoperto schierarci dalla parte del cambiamento. Nei primi anni del nostro lavoro la frequenza di tali errori ci fruttò con altrettanta frequenza il verificarsi di tale retroazione che ci gettava nel più grande imbarazzo. Come fare per ricuperare gli assenti? Per riportarli in seduta? Naturalmente, inconsapevoli come eravamo degli errori che stavano alla base della retroazione, non potevamo che accumularne degli al1. Tale tattica si riferisce alle assenze che si verificano nel corso della terapia, non alla seduta iniziale, la quale non viene concessa se tutti i membri non sono presenti. A questo proposito rilì 11ti11mo sistematicamente il tentativo dei genitori di ottenere un colloquio preliminare con noi. Dopo la compilazione della scheda telefonica, il primo colloquio è sempre plenario.

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tri. Cosl, volta a volttt, miserumcnte wntnmmo di riacchiappa1·e il controllo della situazione con atteggiamenti autoritari. "Il nostro paziente è la famiglia. Non vi accettiamo in seduta se non al completo." 2 O assumendo un falso atteggiamento di "nonchalance" o, più frequentemente, accanendoci nell'analisi minuziosa del significato e dei motivi dell'assenteismo, senza, naturalmente, approdare ad alcun risultato. L'assente rimaneva assente, o si ripresentava ogni tanto a suo capriccio, ospite atteso e tosto bombardato dalle nostre richieste e interpretazioni sui motivi e sui significati del suo ritorno, interpretazioni che gli era facilissimo squalificare. Riusciti finalmente a individuare e a eliminare dal nostro lavoro gli errori più banali, il fenomeno dell'assentarsi di qualche membro è divenÙto rarissimo. Tuttavia, esso si verifica ancora qualche volta, sia in seguito a un nostro errore, che immediatamente cerchiamo di individuare in discussione di équipe, sia in seguito a qualche intervento terapeutico azzeccato ma mal sopportato perché prematuro, tale da provocare questo tipo di retroazione. Come abbiamo già detto nel capitolo apposito, la ricerca sulla famiglia, e in particolare sulla famiglia a transazione schizofrenica, non può che procedere per tentativo ed errore. Ciò che importa è far tesoro di ogni retroazione in quanto out-put del nostro comportamento e quindi guida al comportamento successivo. Riguardo al nostro comportamento in seduta, abbiamo abbandonato ogni atteggiamento autoritario e ogni tentativo di indagine analitica. Quando un membro si assenta, accettiamo ugualmente la famiglia in seduta e mostriamo di prendere per buoni i motivi, solitamente assurdi, banali o generici, addotti dalla famiglia per giustificarne l'assenza. "Non può chiedere permessi al suo capoufficio, è in rapporti difficili con lui." "Non vuole perdere la scuola, questo della seduta è proprio il giorno del compito in classe." "Non vuole più venire, dice che è sfiduciato, non vede risultati ... " ecc. Nonostante l'accettazione apparente, siamo attentissimi a quanto avviene in seduta, mantenendo al centro del nostro interesse il fenomeno dell'assenza e collegandolo direttamente, dentro di noi, al materiale della seduta o delle sedute precedenti. Il problema dell'assenza diviene per noi il problema centrale di quella seduta. Veniamo ora alla tattica da noi escogitata per ricuperare alla terapia il membro assente. Precisiamo che tale tattica è intimamente collegata 2. Un atteggiamento del genere ricorda un poco le prediche di certi vecchi parroci di campagna che tuonano sui fedeli presenti i loro anatemi per la scarsa affluenza in chiesa. Fortunatamente i fedeli non osano interloquire "badi, Reverendo, che noi siamo qui".

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nl nostro, diremo co1l, rltm1le t.l111edutn, consistente nell'uso (tuttavia 11011 rigido) di dividere lu 11c:Jutn in cinque parti: la preseduta, il colloquio con la famiglia, In discussione d'équipe, il rientro dei terapeuti per la conclusione consistente solitamente in un lapidario commento o ln una prescrizione, il verbale di seduta. Il commento o la prescrizione dl fine seduta sono normalmente immediati, cioè rivolti verbalmente al gruppo naturale al completo. ,.Consideriamo invece il caso della famiglia che, dopo un certo numero di sedute, si presenta mutilata di qualche membro. Quale significato assumerebbe terminare la seduta con un commento o con una prescrizione immediati? Sarebbe certamente un errore. Perché ciò equivarrebbe a soccombere alla manovra familiare, e quindi a perdere il contesto e il ruolo terapeutico. In effetti, non si comunica con ciò che si dice, ma con ciò che si fa. Se anche i terapeuti verbalmente dichiarassero di rifiutare il sottogruppo, di fatto, rivolgendosi al sotto- ' gruppo per il commento e la prescrizione, lo ratificherebbero. Allo scopo di sormontare tale grave ostacolo, abbiamo escogitato di aggiungere alla seduta una sesta parte: la conclusione della seduta dovrà aver luogo al domicilio della famiglia, riunita al completo. A tale scopo il commento conclusivo, discusso e concordato nella riunione d'équipe, viene steso per iscritto, firmato dall'équipe e sigillato in una busta. Rientrati nella sala i terapeuti annunciano, senz' altre spiegazioni, che la seduta avrà termine in serata, in casa loro, allorché tutta quanta la famiglia sarà riunita per la cena. Uno dei membri, oculatamente scelto a seconda dei casi, viene nominato responsabile della custodia del plico, che dovrà aprire e leggere a voce alta in presenza di tutta la famiglia. In caso di difficoltà contingenti, l'apertura del plico dovrà essere rimandata al giorno in cui l'intera famiglia potrà riunirsi. Mediante tale manovra, sventiamo senza dirlo la manovra familiare, nel mentre il membro assente viene "presentificato". È pleonastico aggiungere quanto sia difficile redigere un commento scritto, in cui ogni parola deve essere accuratamente soppesata. Tanto più che dobbiamo sforzarci di redigerlo in modo da coinvolgere l'assente al punto da costringerlo a ripresentarsi. Talvolta la cosa ci riuscì così difficile che, per non lasciare la famiglia ad aspettarci per ore, decidemmo di inviare il commento per lettera raccomandata, avvertendo la famiglia e dando istruzioni per la lettura. Una discussione troppo lunga e sfibrante è inoltre segno di confusione dell' équipe (facilmente indotta in tale stato dalla transazione schizofrenica) per cui è buona norma in tal caso, per non commettere 109

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errori it'reparabili, "scdimenturc" per c.Juukhe giorno, avanti di riunirsi a stendere il commento. La manovra qui descritta ha anche un intenso effetto di drammatizzazione. Allorché i terapeuti rientrano in seduta consegnando il plico, o preannunziandone la spedizione postale, la famiglia retroagisce con un silenzio drammatico e con espressioni mimiche e posturali che denunziano sorpresa per il fallimento di una sua manovra così abilmente congegnata. L'effetto di drammatizzazione è ulteriormente aumentato dall' attesa, nel tempo che intercorre tra il congedo e la lettura del documento. E, quando siamo stati bravi a redigerlo, trova il suo coronamento nel contenuto del documento stesso. Si veda il caso di un padre che si era assentato in quinta seduta per effetto di "un progressivo e invincibile sentimento di sfiducia nei riguardi della terapia familiare" in coincidenza col momento in cui andava profilandosi nel paziente designato un sensibile miglioramento. Si trattava di una famiglia di quattro membri, presentante, oltre al piccolo Duccio, di 6 anni, un paziente designato di 13 anni, che chiameremo Ugo. Diagnosticato all'età di 4 anni presso una Clinica Universitaria come affetto da pseudo-oligofrenia psicotica, era stato in cura da uno stuolo di neurologi, per approdare infine a un trattamento psicoterapico individuale che non sortiva alcun risultato. Fu la terapeuta stessa che, sfiduciata, consigliò la terapia familiare. Alla prima seduta, il ragazzo si presentò come un ebetoide. Corpulento, femmineo, insaccato nella poltrona, teneva la bocca aperta con espressione melensa. Alle domande non rispondeva affatto, oppure rispondeva con frasi sciocche, non pertinenti o criptiche. Nella scuola della cittadina in cui la famiglia abitava era tollerato, nonostante il rendimento nullo e certi comportamenti strani, a causa del prestigio sociale paterno nonché dei buoni uffici del medico di famiglia. Totalmente privo di amicizie e di interessi sportivi, era però campione di enigmistica. Passava i pomeriggi ciondolando per casa attorno alla madre, alla quale procurava un superlavoro anche a causa di un' encopresi frequente e abbondante con cui lordava letto e vestiario. Come segreto vergognoso l' encopresi veniva celata anche alla domestica. Alla quarta seduta si profilò in Ugo un sensibile miglioramento. Si dimostrò partecipe e vivace, dotato di acume e di senso dell'umorismo, tanto da provocare espressioni di stupore nel padre. Non fummo tuttavia informati, come venne in chiaro in seguito, che l'encopresi era cessata da varie settimane. 110

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Allù quinta seHfcrc Ji tensione estrema, e il vortice continuo, circolare, di azioni e retl'Oazioni multiple simultanee, di cui la componente non verbale (gesti, positure, tono di voce, sguardi, colorito del viso) è il più importante vettore di significati. Ancora una volta il modello lineare discorsivo ci tradisce. Bisogna rassegnarsi all'approssimazione ... Giacché è impossibile, come nota Shands, descrivere un modello circolare in atto proprio perché la natura delle operaziò:ni simboliche è diversa dalla natura delle operazioni viventi. Ingenuamente, è più facile deformare le osservazioni così da rinforzare la nozione di linearità che non far fronte all'ambiguità implicita nel moellarsi dei processi viventi [ ... ]. Descrivere processi viventi in termini neari, discorsivi, somiglia in certo modo alla quadratura del cerchio ~ el migliore dei casi, vien fuori un'approssimazione.

Così anche noi, dopo lo sforzo di esemplificazione, ci ritroviamo sempre di fronte a qualcosa che è diventato piatto, sfuocato, tale da far pensare a noi stessi " ... ma ... era tutto qui?". Ciononostante continueremo a sforzarci di offrire approssimazioni, visto che non possiamo fa. re diversamente, con in più l'ostacolo degli imperativi di segretezza che ci costringono a omettere notizie anche importanti. Veniamo al caso che abbiamo prescelto. Si tratta di una famiglia numerosa, che chiameremo Aldrighi, inviataci a causa di una figlia, Sofia, che all'età di 19 anni ha sviluppato idee deliranti e comportamenti psicotici. \ Allorché inizia la terapia familiare Sofia ha 22 anni. Non è mai stata ricoverata. Ha subito cure farmacologiche e un trattamento psicoterapico individuale, senza risultato. La comunicazione familiare, in prima seduta, aveva mostrat.z un fe. nomeno interessante. Benché si trattasse di una famiglia di ceto medio, di ottimo livello culturale, il colloquio risultò difficile a causa di una serie di modi inusitati di esprimersi, di pronunziare certe parole, lasciando quasi sempre le frasi a metà, che metteva i terapeuti in imbarazzo, nel mentre i familiari avevan l'aria di capirsi benissimo. Senza che i terapeuti lo avessero fatto rilevare, limitandosi a chiedere ogni tanto di ripetere qualche parola o frase, la famiglia allegramente spiegò di possedere una sorta di linguaggio privato. Per l'abitudine a parlar sempre e molto, tutti quanti insieme, e specie con mamma, si era acquisito l'uso di abbreviare, di ricorrere a cenni, a slogan, allo scopo di intendersi più in fretta.

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Una seconda osservuzio11c importante riguarda la reticenza, mostrata dalla famiglia nelle prime sedute, e specie dalla madre, a parlare dei "sintomi" di Sofia. Sembra si tratti di un sacro segreto di cui è indelicato parlare, per non urtarla. Tutti quanti mostrano a Sofia una sorta di pudibondo rispetto. L'intervento dei terapeuti, che qui vogliamo riferire, ha luogo in ottava seduta, dopo una serie di altri interventi paradossali che avevano provoc.ato, nell'ultima generazione, cambiamenti importanti. Il fratello maggiore, che aveva per anni sostenuto il ruolo manifesto di "gobetween" fra i genitori, aveva recentemente lasciato la casa, sistemandosi altrove (interveniva però alla seduta). Una sorella, Lina, di cui avevamo per tempo intuito il prop9sito di assumersi volenterosamente quel ruolo rimasto vacante, vi aveva rinunziato a seguito di una nostra prescrizione paradossale. La madre, per l'innanzi vivace, verbosa, appariva depressa, patita, subitamente invecchiata (quasi che la partenza del figlio maggiore e il nuovo corso di Lina l'avessero deteriorata). Sofia, dal canto suo, aveva accentuato certi aspetti del suo comportamento psicotico. Da sempre si era presentata in seduta in abiti maschili, sciatta, pressoché rapata, con scarpe scalcagnate e calzettoni di colore diverso. In prima seduta aveva segnalato la propria assenza sprofondandosi nel sedile e sollevando il collo del maglione così da coprirsi il volto e le orecchie. In seguito, lasciato tale comportamento, s'occupava a scrivere non si sa che su di un suo quadernaccio bisunto, ~~spondend_o, se ipte~pe~ata, con enigmi da_Pizia, che invano i fam~lian (ma non 1 terapeuti) s1 affannavano a decifrare. Con la coda dell oc\ chio teneva però tutti quanti sotto controllo, specie la terapeuta donna, alla quale esibiva una sorta di ossequio sarcastico, balzando in piedi per porgerle il posacenere o per aprirle la porta, con inchino rigido e battuta di tacchi, quasi un piantone al passaggio del generale. In quell'ottava seduta, dopo i cambiamenti più sopra accennati avvenuti nella famiglia,_si presentò ancor più sciatta e viriloide del solito. Subito la famiglia dolentemente ci riferì che Sofia, come usava da qualche tempo fare in casa, anche durante il viaggio in treno aveva continuamente bestemmiato fra sé e sé, costringendo i vicini di posto a collocarsi altrove. Le bestemmie venivano messe in relazione a un prurito che da alcune settimane la tormentava alle ascelle e all'ano. Difatti in seduta Sofia si alzava ogni tanto per grattarsi, con modi da facchino, quelle parti anatomiche. Risultò pure che era diventata ancora più imprevedibile in quanto "aveva completamente perduto il senso del tempo". Non conosceva orario, se ne stava per ore fuori ca-

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sa rientrando tal'cli, sabotundo l'o1w111izz11zione dei pasti e dei servizi. Altre volte si piantava invece in casn, bestemmiando. Non c'era verso di smuoverla. (Con fatica si riusd a collegare quest'ultimo comportamento alla presenza in casa di qualche ragazzo amico delle sorelle.) A seguito di tale incomodo comportamento di Sofia, una sorella, Lina, espresse in quella seduta il desiderio di evadere per quindici giorni, ospite di un'amica con cui si preparava a certi esami. In famiglia sarebbe stata sostituita, per alcune incombenze, dal fratello che già abitava altrove. Tale progetto, aggiunse, sarebbe stato realizzato solo col permesso dei terapeuti. In discussione di seduta gli osservatori portarono una ipotesi che fu subito condivisa. Sofia stava verosimilmente mimando una sorta di padre ancestrale, I impervio, autoritario e bestemmiatore. Con questo comunicava a tutti I quanto fosse esiziale, in quel fuggi fuggi da casa, "un padre debole e # inetto" quale il civilissimo signor Aldrighi. E quanto fosse ormai impellente che qualcuno prowedesse a sostituirlo, segnatamente nel controllare "le donne". L'intervento di fine seduta, minuziosamente discusso in équipe, e affidato per l'esecuzione al terapeuta uomo, fu il seguente:

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Noi tutti dell'équipe riteniamo, con pieno accordo, che la famiglia Aldrighi, quale oggi la vediamo, non ha bisogno di avere un padre diverso da quello che ha (pausa). Ma c'è Sofia, la quale si è messa in mente che alla famiglia occorra un tutt'altro padre. Una sorta di padre antico, ancestrale, che zittisce le donne, le controlla, non si piega alle loro pretese, entra ed esce senza orario o senza preawisi. Un padre che non fa compli(menti, che non si cura di belle maniere, non lesina insulti e bestemNmie, e, se gli occorre, si gratta il didietro. Sofia, onestamente confvinta com'è che occorra questo tipo di padre, se ne è assunta il ruolo. Per questo generosamente sacrifica la propria giovinezza e anche la propria femminilità. Si preoccupa soltanto di quella delle sorelle, le controlla alla maniera dei padri antichi, perché non abbiano a sbagliare. LINA (interrompendo): Ah ah! È per questo che mi sta sempre addosso quando c'è Francesco! Ora capisco ... e guai se gli do un bacio! Mi guarda con certi occhi!. .. Mio fratello invece lo lascia ... con la sua ragazza ... TER. UOMO: Così hanno sempre fatto i padri ancestrali. Ma proseguiamo nella nostra conclusione. Come abbiamo già detto, noi teraI peuti non condividiamo la convinzione di Sofia. Ma siamo decisi a / rispettarla, perché è una convinzione onesta, pagata di persona. TER. UOMO:

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pus,. Quincll, 11 i,rn1ioHil'o di quel permesso richiestoci da Lina e Antonio, dovete rivolgervi a Sofia. Dovete da ora innanzi rivolgervi a lei per i permessi ... LINA: Ma io ... poi. .. che debbo fare? ... Ubbidire a Sofia? ... TER. UOMO: Noi, Lina, non le diamo alcun parere. Se lo facessimo ci contraddiremmo. Noi rispettiamo l'onesta convinzione che ha Sofia di dover rappresentare lei l'autorità paterna. PADRE (focosamente, rivolto a Lina): E allora tu regolati!! Come ti re.. goleresti con un padre del genere? Che faresti se io fossi così? Regolati, no? Puoi anche ribellarti! (Sofia, sul suo sedile, intenta a rodersi le unghie, non apre bocca. Non si alza per aprire la porta alla terapeuta col solito rito.)

Partita la famiglia, in sede di stesura del verbale, annotiamo l'intervento e le retroazioni, e prevediamo grandi cambiamenti nell' organizzazione del gioco. Ci sembra inevitabile che Sofia cambierà, abbandonando le sorelle al proprio destino. Annotiamo l'aspetto patito della . madre e il suo silenzio, e il focoso intervento del padre, certo incoraggiato dall'intervento del terapeuta uomo. Tutti sono sembrati molto colpiti dalla presenza passiva della terapeuta donna, che si è limitata ad ascoltare con rispetto e cenni di assenso il commento del collega. Più d'uno, in seduta, si era adoperato per attrarla nella discussione. _. Ma l' équipe, in preseduta, aveva concordato che la terapeuta donna si \ limitasse a una presenza passiva, visto che il sistema l'aveva troppo '\ spesso sedotta a un ruolo dominante. Tra l'ottava seduta e la nona dovevano trascorrere due mesi di vacanze estive. Un tempo lungo per grandi cambiamenti. Alla nona seduta la famiglia si presentò puntualmente, al completo. Il :figlio maggiore ci annunciò di essersi ammogliato, mentre Lina, diplomatasi brillantemente, aveva trascorso gran parte delle vacanze con amici. Sofia, invece, insieme ai due più piccoli, era rimasta coi genitori, in una villetta al mare. Nell'aspetto quasi stentiamo a riconoscerla. Graziosa, anche se non truccata, porta un'aureola di capelli ricciuti e un abito assai femminile, a fiori e lungo sino ai piedi calzati da sandaletti chiari assolutamente identici! La disposizione dei membri della famiglia in seduta ci offre subito un'osservazione interessante. La madre siede isolata sulla fila di poltroncine di fronte allo specchio. Quelle accanto rimangono vuote. Sul lato sinistro, rispetto allo specchio, siede Sofia che ha accanto, per la prima volta, il padre. Sul lato opposto sono raggruppati gli altri figli. 129

Dopo le brevi notizie inizii1li più sopr11 dfedte, il padre muove un'invettiva sul contegno di Sofia. "Se confronto", egli dice, "l'agosto di quest'anno con quello dello scorso anno, debbo dire che è assai peggiorata!3 Tortura mia moglie al punto che io temo per la sua salute ... se non ricovero Sofia, dovrò ricoverare mia moglie in una clinica! ... La villeggiatura è stata un inferno." La madre, che non si associa a tali parole, se non con l'espressione mesta del viso, appare :fisicamente in gran forma: grassoccia, colorita, elegantissima come non mai. Dopo la geremiade, durata dieci minuti, il padre, quasi non resistendo accanto a Sofia, si alza di scatto per intrupparsi con gli altri fi. gli nell'unico sedile rimasto libero. Nel farlo, si giustifica; si sposta per via del posacenere. Ma accanto al sedile che ha lasciato vi è un posacenere a colonna, identico. I terapeuti, al solito, non fanno alcun \ commento. Unitosi il padre al gruppo, ecco fratelli e sorelle, a turno, puntare il dito accusatore contro Sofia, aprendo con lei una violenta discussione. L'accusano di non essere pazza, in quanto i suoi comportamenti impossibili sono ormai riservati ai soli genitori, mentre fuori fa la carina, arrivano commenti lusinghieri (la cosa, taciuta dal padre, salta fuori di straforo nel calore della disputa). Le rinfacciano di non studiare, di non lavorare, di farsi mantenere ... incredibile ... proprio lei, con le sue idee trotzkiste! "Perché non te ne vai una buona volta!" le grida una sorella, "e non lasci mamma in pace! Ma toccherebbe a mamma buttarti fuori! ... altro che stare in pena, e serbarti la tena ... Visto che non sei matta, te ne devi andare ... " Su questo il padre interviene dicendo che non è vero, che Sofia è più pazza che mai. Non ne è mai stato così convinto. È totalmente incapace di provvedere a se stessa. In tutto questo battibecco mamma non interviene. Vi assiste in silenzio, fumando. Interpellata dai terapeuti che cosa pensi di Sofia, amabilmente si pronunzia con squalifiche e contraddizioni. Squalifica i :figli negando di nutrire preoccupazioni per Sofia. Squalifica il marito dicendosi convinta che Sofia saprebbe benissimo andarsene e provvedere a se stessa. Ma non tocca a lei imporglielo ... non sarebbe una decisione di Sofia. Si contraddice poi dicendo di dover continuamente pensare a Sofia a causa della sua 3. La squalifica risulterà evidente. Da notizie ricevute dal terapeuta inviante si sapeva che l'estate precedente aveva segnato la punta massima delle "bizzarrie" di Sofia, specie fuori casa. I genitori dovevano spesso recarsi a prelevarla a seguito di proteste, in luoghi pubblici o al domicilio. di amici e parenti. È un'ennesima dimostrazione di come i familiari reagiscano al miglioramento del paziente designato.

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totale imprevedibilità. Prima