Opere e lettere
 9788858768143

Table of contents :
Copertina
......Page 1
Collana
......Page 2
Frontespizio
......Page 4
Copyright
......Page 5
SOMMARIO......Page 6
Dedica
......Page 7
ELENA AGAZZI - La breve stagione della Frühromantik......Page 8
Premessa......Page 9
Gli studi filologici di Wackenroder......Page 12
Il concetto-chiave di “autoriflessione” nella Frühromantik......Page 18
Genio artistico ed entusiasmo......Page 29
WILHELM HEINRICH WACKENRODER......Page 38
OPERE......Page 40
LIRICHE - Introduzione, traduzione e note
di FEDERICA LA MANNA......Page 41
LIRICHE......Page 48
La primavera......Page 50
Disperazione......Page 52
Il tempo......Page 54
Il Mare......Page 60
Dove siete voi, ideali belli......Page 64
NOTE ALLE LIRICHE......Page 65
EFFUSIONI DI CUORE DI UN MONACO AMANTE DELL’ARTE......Page 68
ELENA AGAZZI - Le Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte e il sogno rinascimentale......Page 69
EFFUSIONI DI CUORE DI UN MONACO AMANTE DELL’ARTE......Page 96
Al lettore di queste pagine......Page 98
La visione di Raffaello......Page 102
Nostalgia dell’Italia......Page 110
La singolare morte del vecchio pittore Francesco Francia, che godette ai suoi tempi di vasta fama e che fu il primo della scuola lombarda......Page 114
L’allievo e Raffaello......Page 124
Una lettera del giovane pittore fiorentino Antonio al suo amico Jacopo a Roma......Page 132
Il modello di un pittore geniale, e allo stesso tempo profondamente erudito, presentato nella vita di Leonardo da Vinci, celebre iniziatore della scuola fiorentina......Page 138
Descrizione di due dipinti......Page 156
Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte......Page 164
Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer da parte di un monaco amante dell’arte......Page 172
Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa......Page 186
Delle stravaganze del vecchio pittore Piero di Cosimo, artista della scuola fiorentina......Page 194
Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima......Page 204
La grandezza di Michelangelo Buonarroti......Page 210
Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga......Page 218
I ritratti dei pittori......Page 228
La cronaca dei pittori......Page 234
La straordinaria vita del musicista Joseph Berglinger......Page 252
NOTE ALLE EFFUSIONI DI CUORE......Page 283
FANTASIE SULL’ARTE PER AMICI DELL’ARTE......Page 324
FEDERICA LA MANNA - Il tormento dell’artista Berglinger e gli scritti sulla musica......Page 325
FANTASIE SULL’ARTE PER AMICI DELL’ARTE......Page 352
Prima sezione......Page 356
I - Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi: come esempi siano portati Albrecht Dürer e il padre Albrecht Dürer il Vecchio......Page 358
II - Un racconto tradotto da un libro italiano......Page 374
III - L’immagine di Raffaello......Page 390
IV - Il Giudizio Universale di Michelangelo......Page 398
V - La Chiesa di San Pietro......Page 406
VI - I dipinti di Watteau......Page 414
VII - A proposito delle figure infantili nei quadri di Raffaello......Page 418
VIII Un paio di parole sulla giustizia,sulla misura e sulla tolleranza......Page 422
IX - I colori......Page 430
X - L’eternità dell’arte......Page 438
Seconda sezione......Page 444
Avvertenza......Page 446
I - Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo......Page 448
II - I miracoli della musica......Page 456
III - Dei diversi generi nelle arti e in particolare dei diversi tipi di musica sacra......Page 464
IV - Frammento da una lettera di Joseph Berglinger......Page 474
V - La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale......Page 478
VI - Una lettera di Joseph Berglinger......Page 494
VII - Tolleranza non musicale......Page 502
VIII - I suoni......Page 512
IX - Sinfonie......Page 526
Il Sogno - Un’allegoria......Page 540
NOTE ALLE FANTASIE SULL’ARTE......Page 551
IL CARTEGGIO TRA WACKENRODER E TIECK......Page 572
ELENA AGAZZI - Il carteggio Wackenroder-Tieck......Page 573
IL CARTEGGIO......Page 590
1. A Tieck: Berlino, [1 maggio] 1792......Page 592
2. Tieck a Wackenroder: Bülzig [presso Wittenberg], 1 maggio 1792......Page 594
3. Tieck a Wackenroder: Lipsia, 10 maggio 1792......Page 602
4. A Tieck: [Berlino], dal 5 al 12 maggio [1792]......Page 610
5. Tieck a Wackenroder: Halle, 29 maggio 1792......Page 628
6. A Tieck: [Berlino], 4 giugno [1792]......Page 644
7. Tieck a Wackenroder: Halle, 12 giugno 1792......Page 648
8. A Tieck: [Berlino], 15 [e 16] giugno [1792]......Page 672
9. A Tieck: Berlino, 18 [e 19] giugno [1792]......Page 680
10. Tieck a Wackenroder: [Walbeck presso Hettstedt], [nella nottedal 24 al 25 giugno e [Halle], 19 giugno 1792......Page 688
11. A Tieck: [Berlino], 20 luglio [1792]......Page 692
12. A Tieck: [Berlino, 6 agosto 1792]......Page 702
13. A Tieck: Dresda, [20 agosto 1792]......Page 708
14. A Tieck: [Berlino], 1 settembre [1792]......Page 710
15. Tieck a Wackenroder: Gottinga, 6 novembre 1792......Page 712
15 a. Tieck a Wackenroder: [Gottinga, 6 novembre 1792] Aggiunta o allegato della lettera precedente......Page 716
16. A Tieck: [Berlino, 17 novembre 1792]......Page 718
17. Tieck a Wackenroder: Gottinga, 30 novembre 1792......Page 724
18. A Tieck: Berlino, 27 novembre [fino al 1 dicembre 1792]......Page 728
19. A Tieck: [Berlino: 11 dicembre 1792]......Page 746
20. Tieck a Wackenroder: Gottinga [tra il 20] dicembre 1792 [e il 7gennaio 1793]......Page 758
21. A Tieck: Berlino [tra l’11 e il 14] gennaio 1793......Page 786
22. A Tieck: Berlino [circa il 25] gennaio 1793......Page 804
23. A Tieck: Berlino, [metà febbraio e 23] febbraio 1793......Page 814
24. Tieck a Wackenroder: [Gottinga, circa il 1 marzo 1793]......Page 818
25. A Tieck: [Berlino], 2 marzo 1793......Page 820
26. A Tieck: [Berlino], 5 marzo 1793......Page 822
27. A Tieck: Bamberga, [14 luglio 1793]......Page 828
29. A Sophie Tieck: Gottinga, 23 gennaio 1794......Page 830
30. A Sophie Tieck: Gottinga, 13 febbraio 1794......Page 832
31. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 16 febbraio 1794......Page 834
32. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 20 febbraio 1794......Page 844
33. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 13 marzo 1794. Aggiunta alla lettera smarrita indirizzata a Koch il 12 marzo 1794......Page 854
35. A Sophie Tieck: Gottinga, 24 agosto 1794......Page 860
36. A Tieck: Stettino, 26 luglio 1795......Page 862
NOTE AL CARTEGGIO......Page 863
RESOCONTI DI VIAGGIO DI WACKENRODER E DI TIECK......Page 890
FEDERICA LA MANNA - I resoconti di viaggio di Wackenroder e di Tieck......Page 891
Cronologia dei viaggi......Page 910
RESOCONTI DI VIAGGIO......Page 912
Resoconti di viaggio di Wackenroder......Page 914
1. 2-3 giugno 1793. Viaggio del 17-28 maggio 1793 nella Svizzera Francone, nella Foresta francone e nelle montagne del Fichtelgebirge......Page 916
2. 22-25 giugno 1793. Viaggio del 22-24 giugno 1793 a Norimberga......Page 962
4. 23 luglio 1793. Viaggio del 12-17/18 luglio 1793 a Bamberga......Page 992
5. 24 agosto 1793. Viaggi del 12-13 agosto 1793 a Norimberga e Fürth e del14-21 agosto 1793 nella Svizzera Francone e a Bamberga.......Page 1044
6. 4 ottobre 1793. Viaggio del 25-27 settembre 1793 ad Anspach passando per Norimberga.......Page 1062
7. [In parte redatto dopo l’ottobre 1793]. Viaggio del 14-21 agosto 1793 nella Svizzera Francone e a Bamberga.......Page 1076
Resoconti di Tieck sui viaggi compiuti assieme......Page 1094
1. 2 maggio 1793. Viaggio dal 3 aprile a fine aprile 1793 da Berlino a Erlangen. Lettera a Sophie Tieck......Page 1096
2. [Fine luglio/inizio agosto 1793]. Viaggio del 17-28 maggio 1793. Letteraad August Ferdinand Bernhardi e Sophie Tieck.......Page 1112
NOTE AI RESOCONTI 1......Page 1173
NOTE AI RESOCONTI 2......Page 1203
BIBLIOGRAFIA E INDICI......Page 1212
BIBLIOGRAFIA......Page 1213
INDICE DEI NOMI......Page 1248
INDICE GENERALE......Page 1260

Citation preview

WILHELM HEINRICH

WACKENRODER OPERE E LETTERE SCRITTI DI ARTE, ESTETICA E MORALE IN COLLABORAZIONE CON LUDWIG TIECK A cura di Elena Agazzi

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Testo tedesco a fronte

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE Direttore

GIOVANNI REALE

La traduzione di quest’opera è stata realizzata con un f inanziamento del Goethe-Institut, che è sovvenzionato dal Ministero degli Esteri tedesco

WILHELM HEINRICH WACKENRODER OPERE E LETTERE

SCRITTI DI ARTE, ESTETICA E MORALE IN COLLABORAZIONE CON LUDWIG TIECK

Testo tedesco a fronte

A cura di Elena Agazzi Traduzioni, apparati critici e note di Elena Agazzi, Federica La Manna e Andrea Benedetti

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio

Per la realizzazione della presente edizione italiana si è fatto riferimento all’impianto e all’apparato f ilologico della seguente opera: Wilhelm Heinrich Wackenroder, Sämtliche Werke und Briefe. Historischkritische Ausgabe, 2 voll., a cura di Silvio Vietta (I) e di Richard Littlejohns (II), Heidelberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1991 ISBN 978-88-58-76814-3 © 2014 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero Prima edizione digitale 2014 da I edizione Il Pensiero Occidentale settembre 2014

SOMMARIO Elena Agazzi, La breve stagione della Frühromantik

7

Wilhelm Heinrich Wackenroder. Cenni biografici

39

Liriche

43

Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte

71

Fantasie sull’arte per amici dell’arte

329

Il carteggio tra Wackenroder e Tieck

579

Resoconti di viaggio di Wackenroder e di Tieck

899

Bibliografia e indici

1223

Questo volume è dedicato a Giorgio Cusatelli

ELENA AGAZZI

La breve stagione della Frühromantik

Premessa La Frühromantik si caratterizza come un movimento artistico-letterario ed estetico-filosofico che si sviluppa in Germania nell’ultimo decennio del Settecento. Assorbe le ripercussioni socio-politiche e culturali della Rivoluzione francese e lascia percepire tanto gli echi di un classicismo in esaurimento1 – come insieme di principi che regolano l’estetica della “nobile semplicità” e della “quieta grandezza” introdotti nel dibattito europeo dagli studi antiquari di Johann Joachim Winckelmann – quanto l’ideologia sviluppatasi nell’alveo di un tardo Illuminismo proteso a scoprire nella bellezza il senso della libertà.2 La sua evidenza come corrente, peraltro estranea alle categorie delle discipline storiche, non è stata data per scontata, soprattutto se abbinata alla definizione di Empfindsamkeit (sensibilità), come dimostra un acceso dibattito sviluppatosi nel corso di alcuni decenni tra germanisti decisamente contrari e altri favorevoli a sussumere, fino a disperderne le tracce, questa cultura che difende le ragioni del cuo1 Pur senza dimenticare che a Weimar J.W. Goethe, J.H. Meyer e F.A. Wolf, riunitisi nella cerchia dei “Weimarische Kunstfreunde” (amici weimariani dell’arte) difendono a spada tratta il classicismo winckelmanniano, non lesinando all’inizio del XIX secolo attacchi agli sviluppi, a loro parere “degenerativi”, del culto di Raffaello nell’area dei pittori nazareni che sono attivi a Roma. Per una ricostruzione di questo percorso cfr. Klassik und Klassizismus, hrsg. von H. Pfotenhauer und P. Sprengel unter Mitarbeit von S. Schneider und H. Tausch, Frankfurt am Main, DKV, 1995. Cfr. tra l’altro A. Meier, Klassik – Romantik, unter Mitarbeit von S. Düsterhöft, Stuttgart, Reclam, 2008 e M. Cometa, L’età di Goethe, Roma, Carocci, 2006. 2 Ernst Behler, autore di un fondamentale studio sulla prima fase del Romanticismo, invita coloro i quali intendano dedicarsi agli studi della poetica di questo periodo a non attribuire ai protagonisti di quel tempo la consapevolezza del loro ruolo di “classici” o “romantici”: «Volendo guardare al rapporto tra “classici e romantici” dalla loro prospettiva, occorre tener presente il fatto che i primi romantici non si definivano affatto con il nome di “romantici” ma, nel migliore dei casi, si consideravano rappresentanti di una “nuova scuola”. Allo stesso modo non si reputavano “classici” Goethe e Schiller, e svilupparono un concetto dinamico di Classicismo che finì per dissolverlo e includerlo in un movimento di infinita perfettibilità». E. Behler, Romanticismo. A.W. e F. Schlegel, Novalis, Wackenroder, Tieck, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1997, p. 36 (ed. ted., Id., Frühromantik, Berlin-New York, De Gruyter 1992, pp. 45-46).

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ELENA AGAZZI

re nel più ampio alveo della Spätaufklärung (tardo Illuminismo).3 In generale, si predilige oggi presentare la modernità classico-romantica come un’unità in cui si incontrano, fino a intrecciarsi, le differenze stilistiche delle sue due anime. Anche la troppo frettolosa definizione della Frühromantik (in particolare quella di Wackenroder e di Tieck, piuttosto che quella di Friedrich Schlegel) come bacino di sviluppo di un pensiero “cattolicheggiante”, è stata rivista alla luce di un’attenta ricostruzione del milieu protestante nel quale si sono formati gli autori in oggetto e della prospettiva liberale in cui si sono consolidate le loro idee post-rivoluzionarie, fatti salvi gli sviluppi cattolico-conservatori che superano la soglia di fine Settecento.4 L’opera di Wilhelm Heinrich Wackenroder, qui presentata, esprime appieno il clima culturale e gli obbiettivi di una Frühromantik che non cerca di obliterare le conquiste della ragione a favore della cultura della sensibilità, ma che proprio nell’ambito di un Protestantesimo tardo illuminista cerca di ritrovare la via di una conciliazione tra sapere, religione e arte. Come è stato ampiamente dimostrato all’interno di un’innovativa ricerca sulle contrapposizioni sorte tra i teologi legati alla cultura della Rivelazione biblica e i Neologi impegnati a riformare la liturgia seguendo le vie della religione naturale proveniente dal Deismo inglese, Wackenroder ha espresso un’opera che cerca di conciliare l’importanza dell’ingegno umano, risalendo al Rinascimento, con la sfera numinosa del divino, che a suo avviso non può e non deve essere interpretata con i soli strumenti della ragione.5 3

Cfr. il dibattito tra Lothar Pikulik e Gerhard Sauder in “Tendenzen der Forschung aus der Perspektive eines Betroffenen” in Aufklärung. Interdisziplinäres Jahrbuch zur Erforschung des 18. Jahrhunderts und seiner Wirkungsgeschichte, hrsg. von G. Birtsch, K. Eibl und N. Hinske, Bd. 13, 2001, pp. 307-338 e l’articolo che lo precede: L. Pikulik, “Die Mündigkeit des Herzens. Über die Empfindsamkeit als Emanzipations- und Autonomiebewegung ”, ibid., pp. 9-32. 4 Si veda ad esempio il saggio di Manfred Frank, “Wie reaktionär war eigentlich die Frühromantik? (Elemente zur Aufstörung der Meinungsbildung)”, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, VII, 1997, pp. 141-166. Per i menzionati sviluppi ideologici si pensi in particolare a Friedrich Schlegel, che da fautore del Giacobinismo si volge alla religione cattolica, convertendosi nel 1808 con la moglie. 5 «Mentre Wackenroder si impegna a superare i limitati confini di un mondo che si ritiene essere descrivibile secondo un principio immanente di tipo razionale e una lingua delle parole (Sprache der Worte), servendosi di una lingua ricca di immagini, di natura poetica, si fa largo, a partire dall’ancoramento conservatore alla dottrina dell’ispirazione al Verbo, la critica ortodossa nei confronti di tutte le trasformazioni della lingua delle immagini riferita alla Bibbia»; D. Kemper, Sprache der Dichtung. Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung, Stuttgart, Metzler, 1993, pp. 72-150, cit., p. 83.

LA BREVE STAGIONE DELLA FRÜHROMANTIK

11

L’opera di Wackenroder non ci sarebbe pervenuta nella sua forma attuale, per quanto contenuta ne sia l’estensione, se l’amico e collaboratore Ludwig Tieck non avesse provveduto a integrarla con alcuni interventi testuali concepiti in sintonia, anche se non senza alcuni evidenti scarti ideologici, con gli ideali estetico-culturali dell’amico. Si possono seguire varie strade nel tentativo di introdurre a questo periodo, cellula del tardo Illuminismo, che raccoglie gli indirizzi di un progetto europeo in cui la fase antica e moderna della cultura occidentale vengono finalmente lette in modo sequenziale e non oppositivo grazie all’approccio storico-filosofico introdotto da Johann Gottfried Herder con i suoi scritti Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit (Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità, 1774) e Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (Idee per una filosofia della storia dell’umanità, 17841789). Questa nuova prospettiva giova anche a un’emancipazione della letteratura tedesca moderna, suggerendo agli Schlegel e a Novalis di intraprendere la ricerca di una “poesia universale progressiva” in cui si esplicitino nuovi generi di scrittura come il frammento.6 La strada tradizionale è stata percorsa per necessità dai curatori dell’edizione storico-critica delle opere di Wackenroder, Silvio Vietta e Richard Littlejohns che, vincolati a un approccio interpretativo dei testi di tipo eminentemente filologico, ne hanno ricostruito lo sviluppo progettuale e le sorti editoriali, lasciando però un po’ in ombra, nelle sezioni critiche, la personalità di Ludwig Tieck e affidando a un sintetico commento la presentazione delle liriche, del carteggio e dei resoconti di viaggio.7 Questa stringatezza è tuttavia compensata da ampie note esplicative, che rappresentano una solida traccia informativa e un fondamentale viatico per la critica successiva. Una strada alternativa è quella storico-culturale, che ricostruisce il contesto dei rapporti di Wackenroder con la famiglia e con gli amici e che delinea il clima politico-religioso in cui l’autore mosse i primi passi sulla scena della letteratura tedesca. Questa soluzione è stata scelta da Dirk Kemper nell’ampia monografia Sprache der Dichtung. 6 Cfr. C. Becker “Zwischen Anerkennung und Aneignung. Der frühromantische Blick auf Europa”, in Das Europa-Projekt der Romantik und die Moderne. Ansätze zu einer deutsch-italienischen Mentalitätsgeschichte, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 2005, pp. 73-87. 7 W.H. Wackenroder, Sämtliche Werke und Briefe. Historisch-kritische Ausgabe, hrsg. von S. Vietta und R. Littlejohns, Heidelberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1991: Bd. 1, Werke, hrsg. von S. Vietta; Bd. 2, Briefwechsel, Reiseberichte, Philologische Arbeiten, Das Kloster Netley, Lebenszeugnisse, hrsg. von R. Littlejohns. Cit. da adesso in poi come HKA, con riferimento ai singoli volumi.

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ELENA AGAZZI

Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung (Il linguaggio poetico. Wilhelm Heinrich Wackenroder nel contesto del tardo Illuminismo, 1993). È possibile, poi, spostare l’asse del discorso su alcuni aspetti specifici dell’opera di Wackenroder e insistere ora sulla prospettiva artistica (soprattutto pittorica e/o musicale), ora su quella poetica oppure su quella spirituale o anche evidenziare il debito dell’autore nei confronti dei presupposti estetici di alcuni predecessori, pensando in particolare a Winckelmann, Herder o Moritz, mentre si può aprire un fronte del dibattito estetico in direzione di Schiller o di Friedrich Schlegel. Proprio a partire dalle riflessioni di quest’ultimo e del fratello August Wilhelm, si ricostruisce il nesso tra l’eredità lasciata dal prematuramente scomparso Wackenroder, morto nel febbraio del 1798, e alcune riflessioni estetico-religiose che emergono in particolar modo nel saggio di August Wilhelm Schlegel Die Gemälde. Ein Dialog (I dipinti, un dialogo) presente nel III fascicolo del marzo del 1799 nella rivista di sperimentazione romantica «Athenaeum» degli Schlegel. Al corpus dell’opera, consistente in cinque testi lirici, nelle Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte, nelle Fantasie sull’arte per gli amici dell’arte, nel carteggio tra Wackenroder e Tieck e in due Resoconti di viaggio, redatti rispettivamente dal primo e dal secondo nel corso di un viaggio in Franconia compiuto nel 1793, vengono qui espunti rispetto all’edizione storico-critica di Vietta e Littlejohns del 1991 gli scritti di filologia germanica e il testo della traduzione in tedesco di un romanzo di gusto gotico, Netley Abbey, di cui non avrebbe avuto senso restituire un’edizione in lingua italiana. Quest’ultima rinuncia non pesa, dunque, sull’economia generale del presente lavoro, mentre vale la pena di sostare sul ruolo che Wackenroder ha svolto come filologo, nella sua pur breve vita, e che un profondo conoscitore del suo lavoro di letterato e di studioso, Dirk Kemper, si è impegnato, tra l’altro, a evidenziare. Gli studi filologici di Wackenroder Già nel lontano 1938 furono pubblicate le tre lettere che Wackenroder spedì da Gottinga a Erduin Julius Koch (1764-1834), datate 16 e 20 febbraio e 13 marzo 1794,8 in cui emerge a tutto tondo la personalità di uno spirito versato allo studio della filologia germanica e della 8

459.

Cfr. W. H. Wackenroder, Werke und Briefe, Berlin, Schneider, 1938, pp. 441-

LA BREVE STAGIONE DELLA FRÜHROMANTIK

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storia della letteratura tedesca. Si deve dunque ad Alfred Anger,9 sulla scorta della pubblicazione di due lettere inedite di Wackenroder, la felice idea di sottoporre con rinnovato vigore all’attenzione della critica il contributo di questo scrittore – prematuramente scomparso e soprattutto oggetto di interesse in relazione alle sue Effusioni di un monaco amante dell’arte e per le Fantasie sull’arte – nel campo degli studi relativi ai secoli che vanno dal XIII al XVI. Tra i pochi profili disponibili dell’erudito Koch, Anger segnala quello fornito da Hoffmann von Fallersleben dal titolo Erduin Julius Koch. Ein Beitrag zur Geschichte der deutschen Philologie im 18. Jahrhundert (Erduin Julius Koch. Un contributo alla storia della filologia germanica nel XVIII secolo, 1854).10 Oltre ad Anger, si dedica a rivalutare il Wackenroder filologo Dirk Kemper, tramite un saggio intitolato Poeta philologus. Philologie und Dichtung bei Wackenroder (Poeta filologo. Filologia e poesia nell’opera di Wackenroder, 1994)11 e, in relazione agli abbozzi degli studi compiuti da Wackenroder nelle biblioteche di Kassel e Gottinga, il curatore del secondo volume dell’edizione storico-critica, Richard Littlejohns, che commenta i lavori su Hans Sachs e il testo a firma di Wilhelm von Brabant che Wackenroder trascrive ed esamina per conto di Koch sulla base di un’indicazione del Consigliere Casparson. Costui aveva scoperto nella biblioteca di Kassel un manoscritto di Wolfram “Willehalm” e l’aveva pubblicato in due parti tra il 1781 e il 1784.12 Da tutta questa costellazione di informazioni ricaviamo l’impressione che Wackenroder avrebbe lasciato in termini qualitativi un’eredità ben più ricca di opere di carattere critico-letterario e linguistico – dall’approfondimento dello studio della poesia e della drammaturgia di Hans Sachs a quello più generale della tradizione dei Minnesänger e dei Meistersänger, oppure da un’indagine dell’evoluzione dei generi poetici germanici dal XIII al XVI secolo a specifiche analisi degli idiotismi della lingua antico tedesca, di cui già la lettera del 16 febbraio 9 A. Anger, “Zwei ungedruckte Briefe von Wilhelm Heinrich Wackenroder”, in Jahrbuch des freien deutschen Hochstifts, 1972, pp. 108-136. 10 H. von Fallersleben, “Erduin Julius Koch. Ein Beitrag zur Geschichte der deutschen Philologie im 18. Jahrhundert”, in Weimarisches Jahrbuch für deutsche Sprache, Literatur und Kunst, hg. vom ders. und Oskar Schade, Bd. I, Hannover, 1854, pp. 58-72. 11 D. Kemper, “Poeta philologus. Philologie und Dichtung bei Wackenroder”, in Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturgeschichte und Geistesgeschichte, 68, 1994, pp. 99-133. 12 Per i lavori filologici di Wackenroder cfr. HKA II, pp. 285-300, per il commento di Littlejohns cfr. HKA II, pp. 622-634.

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ELENA AGAZZI

1794 spedita a Koch da Gottinga fornisce un importante campione – se la malattia non lo avesse stroncato prematuramente. Il ritratto dello storico della letteratura e del filologo germanico sarebbe stato probabilmente dominante, nel caso di Wackenroder, su quello del propugnatore della Kunstästhetik (estetica dell’arte) e della Kunstreligion (religione artistica) romantica così come noi lo recepiamo oggi e come un filone di interpreti che perorano un approccio ai testi di natura ermeneutico-simbolica inclinano a mettere in luce.13 Al di là dell’importanza, come scrive Koch nel suo discorso Ueber deutsche Sprache und Literatur. Ein Aufruf an sein Vaterland (Discorso sulla lingua e sulla letteratura tedesca. Un appello alla patria), «di strappare la propria lingua e la propria letteratura dal loro ingrato nascondiglio», si nota che il contributo che Wackenroder avrebbe voluto fornire grazie allo studio della poesia e della drammaturgia di Hans Sachs, ad esempio, non si sarebbe limitato all’analisi filologico-linguistica dei testi, ma avrebbe cercato di fornire un affresco del contesto storico-sociale ed etico-morale della Norimberga del XVI secolo. La Schilderung der dramatischen Arbeiten des Meistersängers Hans Sachs (Descrizione delle opere drammaturgiche del maestro cantore Hans Sachs), un frammento di poche pagine dedicato alle principali attività poetiche del noto autore di Fastnachtspiele (farse) e di Spruchgedichte (poesie gnomiche), mostra come Wackenroder fosse attento alla dimensione della “formazione borghese” della protestante Norimberga, nutrita di senso religioso, di interessi artistici, ma anche di un’operosità tipica delle città dedite all’artigianato e al commercio. Conseguentemente, da un humus così eticamente ricco, non poteva che sorgere uno spirito attento a trasmettere insegnamenti utili per la gente, che nel caso di Sachs prevalgono in forma di opere dotate di funzione didascalicosatirica. Wackenroder sottolinea nei suoi scritti come Sachs fosse un uomo del popolo – di mestiere un ciabattino – animato dal desiderio di creare un ponte tra la cultura della borghesia agiata e il mondo degli uomini senza istruzione, ma soprattutto tra la sfera sacra, spesso 13 Cfr. ad esempio W. Braungart, “‘Alle Kunst ist symbolisch’ – Und die Religion auch. Kunstreligiöse Anmerkungen mit Blick auf Kafka und Wackenroder” in Sprache und Literatur, 103, XL, 2009, pp. 13-45 e l’annessa bibliografia, ma anche l’importante monografia di Bernd Auerochs, Die Entstehung der Kunstreligion, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 20092; a Wackenroder è dedicato il terzo paragrafo del cap. D, intitolato “Die Hermeneutik der Kunstreligion: Wilhelm Heinrich Wackenroder”, pp. 482-502. Cfr. peraltro il volume Kunstreligion. Ein ästhetisches Konzept der Moderne in seiner historischen Entfaltung, hrsg. von A. Meier, A. Costazza und G. Laudin, unter Mitwirkung von S. Düsterhöft und M. Schwalm, Berlin-New York, De Gruyter, 2011.

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inaccessibile ai semplici, e quella profana, bisognosa di uscire da uno stato di minorità culturale. Da una riforma linguistica attuata grazie alla rivisitazione di antichi generi o alla sperimentazione di nuovi generi poetici (ad esempio la poesia gnomica, condita di ironia), Sachs si aspettava una graduale riforma della lingua, anche se nella vecchiaia non riuscì a conservare la freschezza dell’ispirazione giovanile e si dedicò soprattutto a opere teatrali complesse e di scarsa efficacia. Un passo di Wackenroder enuncia quanto segue: Là dove l’insegnamento, l’insegnamento morale è lo scopo principale dell’arte poetica, non si può dire che risieda il suo vero genio. Così è stato per noi, in generale, il caso nel Medioevo. A ciò si aggiungeva il fatto che la lingua tedesca era ancora troppo poco sviluppata nel XVI secolo perché da essa si potesse evidenziare un linguaggio poetico; il che poteva darsi ancor meno per il fatto che il genere particolare della poesia, di cui si parla in questo caso, era relegata alla classe inferiore dei lavoratori manuali, i quali non riuscivano a superare, esprimendosi, l’ambito del comune linguaggio popolare e non riuscivano a pervenire alla pura bellezza artistica.14

Dopo l’inquadramento dedicato a Sachs nell’ambiente della Norimberga del XVI secolo, Wackenroder si volge completamente all’analisi della drammaturgia del poeta. Da questo suo excursus emerge un dato molto interessante: il fattore “tempo” risulta non essere controllato secondo la regia richiesta dall’azione drammaturgica, ma come se Sachs portasse contemporaneamente in scena tutte le azioni parallele o correlate al nucleo del racconto, non essendo in grado di concepire l’idea di una azione principale su cui concentrare il focus dello sviluppo. Allo stesso modo, i suoi drammi non prevedono un vero e proprio epilogo, perché è assente una peripezia che favorisca l’accelerazione verso la conclusione. Solo nel caso di storie ricavate da un breve racconto, Sachs è in grado di controllare l’azione, mentre quando deriva la propria trama dalla Bibbia o da ampie opere in prosa, sulla scena si affollano in modo convulso persone e situazioni. Questo è il bilancio che Wackenroder trae dalla sua ricognizione: Hans Sachs riesce a comprimere l’intero arco di una vita in un dramma molto breve; ma non si limita a far trascorre anni interi tra un atto e l’altro, bensì fa in modo che durante l’azione 14

HKA II, p. 286 (il corsivo è di Wackenroder).

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trascorrano giorni e giorni, persino anni e non ci si capacita di come ciò possa succedere, e tra due entrate in scena che si succedono l’un l’altra bisogna introdurre spesso, nei pensieri, molto tempo e molta azione.15

Ciò detto, considerando con attenzione la sua sensibilità per il rapporto tra tempo e azione, risulta più comprensibile come Wackenroder abbia imparato a tradurre in vivide cronache biografiche le Vite degli artisti del Vasari, che vengono interpolate in modo puntuale nelle sue Effusioni, restituendo un’atmosfera del Rinascimento italiano e tedesco che nessuno è stato in grado di eguagliare per forza emotiva. Il tempo della storia e il tempo del racconto vengono infatti giocati tra la posizione del narratore, ovvero il monaco immerso nel clima medievaleggiante di un convento in cui le riflessioni si sviluppano tra presente e passato in un tempo senza tempo, il contesto storico-culturale degli artisti del Rinascimento e il presente storico del mondo moderno dei “razionalisti sistematici”, soggetto a un processo di continua erosione. Nell’ottica di Wackenroder, essi non sanno storicizzare gli eventi dei tempi più antichi e si limitano a sezionare i fatti secondo aridi principi organizzativi della realtà. Tali individui sono in realtà gli illuministi del XVIII secolo, contemporanei sia del monaco, sia del tormentato musicista Berglinger, dove si tratta alla fine delle Effusioni e nella seconda metà delle Fantasie, in cui viene dato ampio spazio a quelli che vengono indicati come saggi sulla musica di suo pugno. Ritornando alla questione della rievocazione del passato storicoartistico e poetico, si pensa che Wackenroder conoscesse, fin dal 1790, la prima edizione del Compendium der Deutschen Literatur-Geschichte di Koch pubblicata in quell’anno. Possiamo perciò supporre senz’altro che l’idea di indirizzare la propria attenzione su alcune opere medievali e rinascimentali, nonché sulla dimensione della cronaca storica degli artisti, gli doveva essere stata suggerita al più tardi da tale lettura, mentre Kemper anticipa già al tempo degli studi di Wackenroder presso il Friedrichwerdersches Gymnasium di Berlino un’originale frequentazione della storia della letteratura tedesca grazie alle lezioni tenute da Friedrich Gedike (1754-1803). Costui diffondeva didatticamente l’idea, interessante per la nostra considerazione sui tempi della storia in relazione al tempo del racconto, che la storia letteraria potesse essere concepita come una serie di pièces teatrali in cui gli “autori” potevano essere ritenuti come “attori sulla scena”.16 15

Ibid., p. 289. D. Kemper, “Poeta philologus”, cit., pp.101-102. Gedike aveva attirato l’attenzione di Wackenroder su Hans Sachs, autore cui il professore aveva dedicato 16

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In merito a Koch, Paul Raabe sintetizza così il portato culturale del Compendium, giudicandolo un lavoro pionieristico nel campo della storia della letteratura e soprattutto dei generi letterari: Koch riuscì a comprimere il sapere del suo tempo in questo manuale, che non aveva la funzione di descrivere le cose, ma di affrontarle da un punto di vista bio-bibliografico. Grazie alle sue prodigiose conoscenze e all’aiuto di amici, collezionisti e bibliotecari, egli elencò gli autori e le opere della letteratura tedesca, corredò molte informazioni di appunti veloci, dotati però di appeal particolare e vi aggiunse un apparato di letteratura critica ancora molto ridotto. Nella sua struttura, il compendio rappresenta un documento della poetica illuministica: l’autore ordina le opere degli scrittori in base al genere e ai tipi poetici.17

La descrizione della “breve gita” compiuta da Wackenroder a Norimberga nel 1793 è un utile pendant per comprendere le modalità dell’esperienza dell’approccio di Wackenroder con la patria di Albrecht Dürer, esponente di una cultura artistica rinascimentale tedesca del tutto degna, ai suoi occhi, di essere valorizzata accanto a quella italiana del grande Raffaello. L’emozione, poi, che Wackenroder esprime quando racconta di essere stato introdotto alle biblioteche private degli eruditi incontrati durante i suoi spostamenti e l’orgoglio che mostra nel fungere da intermediario negli scambi di informazioni bibliografiche tra Koch e altri studiosi segnalando materiali rari depositati in polverosi scaffali, ce lo mostrano come un soggetto incline a concepire lo studio filologico e la bibliofilia come due irrinunciabili ingredienti di maturazione intellettuale e personale. Se Koch avesse potuto perseguire il proprio progetto di ampliamento della biblioteca della Gesellschaft Deutscher Sprach- und Litteraturforscher zu Berlin (Società berlinese degli studiosi tedeschi di lingua e di letteratura) attestatasi nel 1793 a 4000 volumi prima del suo tracollo fisico e morale a causa dell’alcolismo, e se avesse potuto curare periodicamente il bollettino18 che auspicava al servizio di un costante aggiornamento degli ampi passi del suo Ueber das Studium der Litterarhistorie, nebst einem Beitrag zu dem Kapitel von gelehrten Schustern, in: Id., Vermischte Schriften, Berlin, Unger, 1801, pp. 274-294, particolarmente p. 285 e segg. 17 P. Raabe, “Pläne zur Erforschung der deutschen Sprache und Literatur. Ein Hinweis auf die Frühgeschichte der Germanistik”, in Studien zur deutschen Literatur: Festschrift für Adolf Beck zum 70. Geburtstag, hrsg. von U. Fülleborn und J. Krogoll, Heidelberg, Winter, 1979, pp. 142-157, cit., p. 144. 18 Cfr. D. Kemper, “Poeta philologus”, cit., p. 108 e segg.

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studiosi dediti a questa materia, avremmo oggi uno degli esempi più moderni di divulgazione scientifica strutturata come una piattaforma di contatti in continua espansione. Il concetto-chiave di “autoriflessione” nella Frühromantik Oltre che risalire alla fonte del primo interesse che Wackenroder sviluppò in relazione al Rinascimento tedesco e italiano, è necessario vedere come si sia prodotto il rapporto tra filosofia ed arte nella Frühromantik e come l’esito delle alleanze dei saperi abbia fatto pendere la bilancia a favore di una più stretta connessione, se non addirittura di una complicità, tra arte e religione. Per far questo, è necessario rivolgersi alla metà del Settecento e ricostruire in sintesi alcune tappe significative del pensiero estetico della seconda metà del secolo. Il 1755 è stato sicuramente un anno fatale per la cultura occidentale, perché mentre si scatenava in Europa, con epicentro a Lisbona, uno dei più furiosi terremoti che abbiano mai investito il globo, entrava in crisi il concetto di teodicea,19 scardinando sia i fondamenti delle certezze filosofiche che Cartesio aveva cercato di divulgare con le proprie teorie, sia l’ottimistica visione del mondo di Leibniz. Contemporaneamente vedeva la luce la centrale opera di Rousseau, il Discorso sull’origine e sui fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, in cui si evidenziava il conflitto tra un “originario stato di natura” e una “riflessività” che metteva in crisi il principio di purezza di spirito e di costumi, consegnandolo alla causa della civilizzazione umana.20 Senza 19

Cfr. tra l’altro G. Lauer und T. Unger (Hrsg.), Das Erdbeben von Lissabon und der Katastrophendiskurs im 18. Jahrhundert, Göttingen, Wallstein, 2008 e Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe. L’illuminismo e la filosofia del disastro. Introd. e cura di A. Tagliapietra, trad. di S. Manzoni e E. Tetamo, con un saggio di P. Giacomoni, Milano, Bruno Mondadori, 2004. 20 Georg Bollenbeck spiega così il fondamentale contributo fornito da Rousseau alla crisi del razionalismo illuminista: «Rousseau non è un apostolo di un Vangelo dei sentimenti, ma è un propagandista dell’’immediatezza esistenziale’. Egli rivaluta il sentimento, la passione e lo spirito polemico. Il suo messaggio suona: “Prestate attenzione alla vostra natura genuina, esaminate le vostre inclinazioni naturali”. A causa di questo appello fu visto come l’antesignano di una ribellione contro l’Illuminismo, come il precursore intellettuale dell’irrazionalismo e come propagandista di un concetto di natura di tipo mistico. La rivalutazione del sentimento non significa nel suo caso una svalutazione della ragione […] La polemica di Rousseau contro la supremazia dell’intelletto non si dirige tanto contro l’Illuminismo e il suo concetto di ragione, ma è piuttosto espressione di una filosofia dei sentimenti, che grazie al farsi indipendente dall’intelletto

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dubbio, in quello stesso anno, la volontà espressa da Winckelmann nei suoi Pensieri sull’imitazione di dotare di solide radici concettuali l’imitazione artistica dei moderni nei confronti delle opere d’arte degli antichi partendo da una ricerca del buon gusto, si costituiva a premessa di un tentativo di superare la natura come imitandum per puntare al concetto di sublime in arte. Questo processo cominciava per Winckelmann già nel passato, per poi favorire il successo degli artisti moderni dotati di entusiasmo e di una visione interiore “intinta” nell’intelletto, perché si trasformasse in creazione pittorica. Il passo dei Pensieri qui citato ha rappresentato per Wackenroder uno degli stimoli principali per le sue considerazioni sull’arte rinascimentale italiana e sulla figura di Raffaello: Queste frequenti occasioni di osservare la natura spinsero gli artisti greci ad andare ancora oltre: essi cominciarono a formarsi certi concetti generali delle bellezze, sia nelle singole parti che in tutte le proporzioni dei corpi, che s’innalzavano addirittura al di sopra della natura; il loro modello era una natura spirituale concepita nel solo intelletto. Così Raffaello creò la sua Galatea. Si veda la sua lettera al conte Baldassarre Castiglione: «Giacché le bellezze tra le donne sono così rare, io mi servo di una certa idea di mia immaginazione».21

Sulla bellezza come manifestazione più compiuta della razionalità dell’“analogon rationis” – ovvero della «struttura delle nostre modalità di percezione» e «forma di connessione delle verità che è immanente alla sensibilità»22 – aveva insistito Baumgarten dischiude alcune possibilità per un “buon” uso della ragione»; G. Bollenbeck, Eine Geschichte der Kulturkritik. Von Rousseau bis Günther Anders, München, C.H. Beck, 2007, p. 35. 21 J.J. Winckelmann, Pensieri sull’imitazione, a cura di M. Cometa, Palermo, Aesthetica, 20012, p. 31 (ed. ted., J.J. Winckelmann, Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst in Kleine Schriften und Briefe, hrsg. von W. Senff, Weimar, Hermann Böhlaus Nachfolger, 1960, p. 35). 22 A.G. Baumgarten, L’Estetica, a cura di S. Tedesco, trad. di F. Caparotta, A. Li Vigni, S. Tedesco, cons. sc. e revisione di E. Romano, Palermo, Aesthetica Edizioni, 2000, pp. 11-12 dell’introduzione (ed. ted.: A.G. Baumgarten, Ästhetik, übersetzt, mit einer Einführung, Anmerkungen und Registern hrsg. von D. Mirbach, Lateinisch-Deutsch, Hamburg, Meiner, 2 Bde, 2007. Sulla bellezza come analogon rationis si veda § 1: «AESTHETICA (theoria liberalium artium, gnoseologia inferior, ars pulchre cogitandi, ars analogi rationis) est scientia cognitionis sensitivae» (ed. ted., vol. I, p. 11); «L’ESTETICA (la teoria delle arti liberali, la

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nella sua Aesthetica (Estetica, 1750 e – secondo volume – 1758). Egli rilevava come fosse insufficiente la teoresi filosofica a rappresentare in modo vivido la bellezza della creazione e si appellava alla necessità di superarne l’asciuttezza tramite una chiarezza di carattere estensivo, che l’arte avrebbe potuto garantire a differenza della retorica e delle qualità pratico-teologiche e omiletiche della filosofia. Al paragrafo 618 della seconda parte dell’Aesthetica Baumgarten scrive: «Dunque, ogni luce estetica che tu ti proponga di conseguire direttamente nelle cose, sarà la perspicuità sensibile delle cose. C’è quella assoluta, in quanto estensione della chiarezza per mezzo di una molteplicità di note caratteristiche […]; e c’è quella relativa, in quanto splendido nitore dei pensieri vividi e della materia».23 L’unico modo per restituire visibilità al pensiero filosofico, per Baumgarten, è porre al fianco della filosofia l’arte e la poesia. Kant si ripropone questo problema in uno scritto dal titolo Untersuchung über die Deutlichkeit der Grundsätze der natürlichen Moral (Ricerca sulla chiarezza dei fondamenti della morale naturale, 1763) volto a rispondere a un quesito bandito dalla Akademie der Wissenschaften di Berlino così formulato: «La metafisica è in grado di esprimere la stessa chiarezza dei concetti come le altre scienze?» Da questo studio emerge la necessità che, riflettendo sugli oggetti, si cerchi di proiettare idealmente davanti a sé i contenuti della realtà, cercando di cogliere la totalità dell’insieme in forma astratta. Ma è con la successiva Kritik der Urteilskraft (Critica del giudizio, 1790) che Kant cerca la quadratura del cerchio tra mondo fenomenico deterministico e libertà morale, attingendo al sentimento della bellezza e della finalità. Ai giudizi sintetici a priori della ragion pura e della ragion pratica Kant contrappone qui il “giudizio riflettente”, il quale nasce appunto per riflesso da oggetti della natura fenomenica già determinati dalle categorie intellettuali. Riesce così ad argomentare a favore della dimensione disinteressata del giudizio estetico, giacché la bellezza scaturisce, a suo avviso, dall’armonia tra oggetto contemplato e libera interiorità.

nostra teoria cognitiva, l’arte del bel pensiero, l’arte dell’analogon rationis) è la scienza della conoscenza sensibile». 23 Ibid., p. 212 (ed. orig., op. cit., vol. II, p. 606): «Omnis itaque lux aesthetica, quam in rebus intendas directo, perspicuitas rerum erit sensitiua, claritatis per multitudinem notarum extensio, [...] etiam absoluta, comparativa vero viuidarum cogitationum et materiae nitor ac splendor».

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A questo punto, se si vuole tentare di giustificare una compresenza produttiva tra spirito del tardo Illuminismo e Frühromantik non si può che prendere atto del fatto, come suggeriscono alcuni studi sul rapporto tra filosofia, letteratura e arti intorno al 1800,24 che la struttura autoriflessiva assume una funzione centrale e pone l’atto del narrare e l’oggetto della narrazione sullo stesso piano, mentre il rapporto mimetico tra opera letteraria e uno sguardo complessivo sul mondo integra questo processo, incoronando il romanzo come il genere per eccellenza della Frühromantik. Con la crisi della metafisica, peraltro, assume un ruolo fondamentale il commercium mentis et corporis in cui l’antropologia si manifesta, nel concepire ora l’uomo nella sua interezza (der ganze Mensch), come una disciplina unitaria accanto all’estetica e alla pedagogia. A supportare il discorso sulla Kunstreligion di Wackenroder e sulla sua critica alla fede nel “sistema” di un razionalismo che non ha alcuna percezione del genio artistico, si ergono a baluardo contro la lungamente indiscussa sovranità della lingua filosofica tanto Schleiermacher – di cui si tratterà più avanti nell’introduzione alle Effusioni – con il suo duro attacco a quella che definisce la “rabbia della comprensione” (Wut des Verstehens) annessa alla filosofia e alla scienza, e Schiller, che in Über die ästhetische Erziehung des Menschen (L’educazione estetica dell’uomo) scritto nel 1793 e pubblicato nel 1795 sulla propria rivista, Die Horen, attiva un campo metaforico da cui Wackenroder attingerà abbondantemente. Nella VI lettera di Schiller è già contenuto tutto il senso della poetica dell’autore che nelle Fantasie, presentando il Wunderbares morgenländisches Mährchen von einem nackten Heiligen (La meravigliosa fiaba orientale di un santo nudo), condensa nell’immagine della “ruota del tempo” e della “lettera morta” la vanità di una vita moderna, priva di una visione d’insieme della realtà, in cui l’individuo è vincolato da se stesso a un ritmo che sembra negargli ogni forma di progettualità e di libertà:25

24 Cfr. tra gli altri, il lavoro di Lars-Thade Ulrichs, Die andere Vernunft. Philosophie und Literatur zwischen Aufklärung und Romantik, Berlin, Akademie Verlag, 2011. 25 Luciano Zagari spiega dal canto suo così il nucleo della fiaba del santo nudo di Wackenroder: «Quello che appare comunque e fin d’ora certo è la risoluzione dello scrittore romantico di rappresentare non una vittima passiva ma piuttosto un martire che sceglie consapevolmente il suo destino. L’eroismo e insieme la sconfitta del santo sono nella sua risolutezza nel trattare la ruota del tempo come se fosse simbolo dell’eternità, pur vivendo momento per momento l’atroce differenza fra i due livelli. Che ci sia poi un altro (semplicissimo)

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Quella natura di polipo degli stati greci, in cui ogni individuo godeva di una vita autonoma e, ove fosse necessario, poteva diventare un tutto, fece posto ad un artificioso meccanismo in cui muovendo dalla giustapposizione di parti infinitamente numerose, ma prive di vita, si forma nel tutto una vita meccanica […] Perennemente legato soltanto a un piccolo, singolo frammento del tutto, l’uomo medesimo si forma unicamente quale frammento e, avendo nell’orecchio continuamente il rumore monotono della ruota che gira, non sviluppa mai l’armonia del suo essere: diventa solo una copia della sua occupazione, della sua scienza, anziché esprimere, nella sua natura, l’umanità […]. La lettera morta sostituisce il vivo intelletto e una memoria ben esercitata guida con maggior sicurezza di quanto potrebbero genio e sensazione.26

Schiller declina il contenuto di questa lettera insistendo sulla perdita da parte del mondo moderno del riferimento al modello greco, che mostrava come fosse possibile, in modo naturale, coniugare fantasia e ragione e mantenere in equilibrio l’intelletto intuitivo e quello speculativo. Questa perdita di riferimento risulta a suo avviso ben visibile nel poeta sentimentale, che non può prescindere dal contaminare con cavilli concettuali la libera espressione che sgorga dall’intimo. Tuttavia, il punto che sta a cuore a Schiller non è tanto un ritorno a un primigenio stato di natura – operazione che si rivelerebbe un artificio, nel presente storico –, quanto conseguire appunto una conciliazione tra l’uomo sensibile e quello razionale. Rispetto alla posizione espressa da Kant nella Critica del Giudizio, se Schiller spezza decisamente un lancia per l’autonomia dell’arte, costruisce la propria teoria estetica in modo eteronomo, riflettendo contemporaneamente sulle possibilità offerte dall’arte e passaggio dalla beatitudine all’eternità, è possibilità radicalmente estranea alle coordinate mentali di tutti gli uomini legati alle loro meschine occupazioni e anche del santo: e infatti costui salirà a quella dimensione grazie a un miracolo che sopravviene dal di fuori e che modificherà radicalmente la sua natura di folle ma cosciente martire»; L. Zagari, “Il santo nudo e la ruota del tempo. L’impasse dell’intellettuale nella fiaba di Wackenroder” in Id., Mitologia del segno vivente. Una lettura del romanticismo tedesco, Bologna, il Mulino, 1985, pp. 79-126, qui p. 101. 26 J.C.F. Schiller, Sull’educazione estetica dell’uomo. Una serie di lettere, intr., trad., note e apparati di G. Boffi, Milano, Bompiani 2007, p. 67 (ed. ted., F. Schiller, Sämtliche Werke, Bd.V – Erzählungen-Theoretische Schriften, hrsg. von W. Riedel, München, DTV, 2004, p. 584)

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su quelle offerte dal processo di civilizzazione. L’uso che Schiller fa del concetto di “cultura” esprime la discrepanza tra l’ideale a cui essa deve tendere e la realtà dei fatti; tale concetto viene addirittura declinato in relazione a tre diversi significati: nel senso di “civilizzazione”, di “educazione individuale” e parlando dei “mezzi necessari a conseguire l’educazione”.27 È evidente l’orizzonte socio-politico del discorso di Schiller, che certo abdicherebbe all’idea di una funzione propulsiva dell’arte, se la filosofia gli si offrisse come unico supporto della difesa della bellezza. Schiller non esplicita, dunque, solo un progetto di costruzione estetica rivalutando le potenzialità del “cuore” di fronte all’aridità della “ragione”, ma anche una forma di resistenza, un’azione di tipo oppositivo contro l’influenza di «una barbara costituzione politica» suggerendo strumenti di emancipazione, come l’applicazione all’arte bella, che non siano controllati dallo Stato.28 Proprio di recente si è puntato il riflettore sulla IX lettera come quella che in modo più diretto include l’espressione di un’autodifesa dall’ingerenza degli apparati istituzionali, in quanto vi sarebbe contenuto un intimo appello all’azione condotta dai giacobini in quegli anni e in particolare un dialogo sotterraneo con il radicaldemocratico Johann Benjamin Erhard, corrispondente di Schiller e autore, tra l’altro, di un saggio dal titolo Über das Recht des Volkes zu einer Revolution (Sul diritto del popolo a una rivoluzione): Come si diceva, la nona lettera è particolarmente significativa. In larga parte si distacca infatti dal tono saggistico come dall’esplicazione teorico-filosofica, conclude la diagnosi critica della condizione dell’uomo moderno e anticipa la tesi fondamentale dello scritto, poi ampiamente sviluppata e articolata nelle due seguenti sezioni […]. Affermando l’autonomia estetica, Schiller non ha in mente una compensazione evasiva raggiunta attraverso l’arte rispetto alle emergenze e agli ideali della politica, ma punta a uno spostamento strategico degli ambiti su cui esercitare la pressione per trasformare l’ordine sociale. La ricezione del bello offre all’individuo la possibilità di fare esperienza della libertà e ciò gli apre nuove prospettive sulle opzioni del 27

G. Bollenbeck, Eine Geschichte der Kulturkritik, cit., pp. 84-85. Nella lettera X Schiller sottolinea che le arti sono fiorite in concomitanza con la decadenza dei costumi politici e civili delle nazioni, mentre ai tempi di Atene e di Sparta l’arte era, a suo parere, ancora «nella sua infanzia» e il «gusto ancora immaturo»; cfr. J.C.F. Schiller, L’educazione estetica dell’uomo, cit., pp. 99101 (ed. ted., cit., 598-600) 28

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proprio agire. Il trattato – è vero – ragiona sul bello, senza entrare nel merito delle prestazioni specifiche dei singoli generi artistici.29

Ciò che vien qui detto è illuminante per comprendere alcune implicazioni nascoste del pensiero politico schilleriano. Si noti tuttavia che mentre nella lettera XXII Schiller fa un discorso in cui le arti implicano tutte, indistintamente, una fecondità nell’esprimere e nel fruire dell’umanità universale che le rende sorelle e sostiene al contempo che tale fecondità non è altrettanto presente nella moralità (vedi ragion pratica) e nella conoscenza (vedi ragion pura), le distingue per l’effetto che esse producono sul fruitore e infine delinea l’obiettivo comune, di gusto nettamente classicista, che esse possono e devono raggiungere: La musica nel suo più alto perfezionamento deve diventare forma e agire su di noi con la calma potenza dell’arte antica; l’arte plastica nella sua più alta perfezione deve diventare musica e commuoverci con l’immediatezza della presenza sensibile; la poesia nel suo più perfetto sviluppo deve afferrarci potentemente come la musica, ma al tempo stesso, come la plastica, circondarci di una tranquilla chiarezza. Lo stile perfetto in ogni arte si rivela appunto nel saperne allontanare i limiti specifici senza tuttavia annullarne gli specifici pregi, e nel conferirle un carattere più universale mediante un sapiente uso delle sue particolarità.30

Volendo trovare un climax nel discorso di Schiller, questo sembra raggiunto nella lettera XXV con l’indicazione di un ingrediente irrinunciabile perché l’uomo possa pervenire allo scopo estetico auspicato. Questo ingrediente è la “riflessione”, che gli consente «il primo rapporto liberale con il mondo circostante».31 La via è stata tracciata in una missiva a Schiller dall’amico Erhard, il quale, alla fine del cammino verso l’emancipazione dalle logiche di sistema e quindi verso il successo giacobino, vedeva la trasformazione di un’individualità in un’umanità universale. Schiller inizia la lettera XXV in questo modo: 29 M.C. Foi, La giurisdizione delle scene. I drammi politici di Schiller, Macerata, Quodlibet Studio, 2013, pp. 61-62 e 63-64. 30 J.C.F. Schiller, L’educazione estetica dell’uomo, cit., pp. 185-187 (ed. ted., p. 639). 31 Ibid., cit., p. 213 (ed. ted., p. 651).

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Fin quando l’uomo, nel suo primo stato fisico, accoglie in sé il mondo sensibile in modo puramente passivo, cioè solo sentendolo, è ancora tutt’uno con esso e, appunto essendo egli stesso nient’altro che mondo, per lui non vi è ancora un mondo. Unicamente allorché egli nel suo stato estetico pone o considera il mondo fuori di sé, la sua personalità si separa da esso, e gli appare un mondo perché ha cessato di essere tutt’uno con esso.32

Tre anni prima della pubblicazione delle Lettere di Schiller, durante il periodo in cui Wackenroder e Tieck si erano dovuti separare e l’uno era rimasto a Berlino mentre l’altro si accingeva a studiare all’università di Halle, il primo aveva cercato di spiegare all’amico il diverso tipo di diletto che gli veniva dall’ascolto della musica: questo variava sensibilmente a seconda che l’anima fosse completamente dedita all’ascolto, e dunque preda di una partecipazione supina a lungo andare logorante, o che invece lo spirito restasse in attività, permettendogli di «pensare alla musica anche sotto un punto di vista estetico» e di separare “le idee generali” dalle “emozioni”. Pare che questa distinzione possa essere il preludio al particolare ruolo che Wackenroder ascrive alla musica nei testi dedicati a Berglinger nelle Effusioni e poi nelle Fantasie. Il testo dedicato al musicista Berglinger, che conclude le Effusioni e che si divide in due parti, è l’unico dei diciassette dell’opera che riguardi il presente in cui vive il monaco, il quale fin da principio delinea la cornice in cui sono inseriti i racconti delle vite degli artisti e altri brani in forma di saggio o di lettera, di cui in parte è autore Tieck. Berglinger è più personaggio che persona, il che significa che rappresenta il modello – che non esiterà ad affermarsi nella letteratura tedesca dell’Ottocento e del Novecento – dell’artista romanticamente lacerato tra aspirazione artistica e scollamento dal tessuto sociale. Nella passione per l’arte musicale, maturata con la fruizione delle note di cui in un primo momento non riesce a decifrare la connessione, Berglinger si allinea, da un punto di vista emozionale e psicologico, a quegli allievi e apprendisti dell’arte che nelle cronache e nelle lettere dedicate alla pittura tendono verso il sublime senza riuscire mai a raggiungerlo. Costoro, già cimentatisi in un primo esercizio pratico, ma consci dei loro limiti, chiedono lumi per diventare grandi come Raffaello o Dürer. Da parte sua Berglinger, dopo aver scelto di diventare artista, constata che la musica, tutt’altro che svincolabile da leggi, richiede disciplina e un esercizio 32

Ibid.

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che non può prescindere da una «vincolante legge matematica» e da «una fatica meccanica».33 Berglinger scopre l’esistenza di un mondo fuori da sé nel momento in cui cessa di essere passivo nei confronti dell’arte, ma proprio perché da fruitore diventa artifex musicale, percepisce in modo doloroso la scissione tra sé e il mondo e non la accetta. La separatezza che si ingenera tra vita artistica e vita quotidiana, salutare e dannosa a un tempo, è il tributo che l’auto-riflessione paga quando il soggetto non si rassegna a essere limitato nella propria azione trasformatrice della realtà. Solo l’ascolto e l’esecuzione degli oratori, unitamente alla composizione di una Passione per la Pasqua, distoglie Berglinger dalla meditazione sulla propria misera vita, rivela il genio che è nascosto in lui, ma lo consegna al contempo al gorgo di un’inevitabile fine. Si badi bene: così come il godimento della pittura e della musica religiosa non sono ancora sufficienti a definire l’ideale sposalizio con la Kunstreligion, che è “religione dell’arte” e dunque vera e propria forma di “fede”, così la “dedizione” di Berglinger nei confronti dell’arte non riesce a eguagliare la “devozione” di cui il saggio programmatico di Wackenroder contenuto nelle Effusioni e intitolato Einige Worte über Allgemeinheit, Toleranz und Menschenliebe in der Kunst (Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte) spiega la natura e l’effetto: Ogni essere tende verso la bellezza assoluta: ma nessuno riesce a uscire da se stesso e ognuno vede tale bellezza solo in sé. Così come ad ogni occhio mortale giunge un’immagine diversa dell’arcobaleno, allo stesso modo si riverbera su di ognuno, dal mondo circostante, un’immagine differente della bellezza. Nonostante ciò, la bellezza universale ed originaria, che solo in alcuni momenti di contemplazione rapita riusciamo a nominare, ma non a ridurre in parole, si manifesta a Colui il quale ha creato l’arcobaleno e l’occhio che l’osserva. Sono partito da Lui per il mio discorso e a Lui faccio nuovamente ritorno, perché lo spirito dell’arte, come ogni spirito che da Lui procede, attraverso l’atmosfera terrestre si fa nuovamente incontro a Lui come offerta.34

Questo saggio precede di poco, nell’indice delle Effusioni, un altro testo programmatico di Wackenroder, intitolato Von zwey wunderba-

33 34

Cfr. Effusioni, pp. 275 e 277. Cfr. Effusioni, p. 175. Il corsivo è nostro.

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ren Sprachen, und deren geheimnißvoller Kraft (Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa) in cui si trovano echi delle riflessioni sul rapporto uomo – natura – Dio di Georg Hamann (1730-1788), detto il “mago del Nord”. Costui, particolarmente nelle Sokratische Denkwürdigkeiten (I memorabili di Socrate, 1759) e nella Aesthetica in nuce (1762) insiste sulla perfetta compenetrazione tra uomo e Dio, che produce una “rinascita” dell’anima e che purifica i cuori smarriti o gravati da dogmi e pregiudizi. Solo sforzandosi di conoscere se stesso e con ciò di sentire la presenza di Dio nel proprio intimo, l’uomo può giungere a comprendere l’essenza della natura nella sua totalità. Hamann risolve a priori nella sua concezione del creato ogni forma di antitesi tra attività contemplativa e attiva, essendo ancora, per Lutero, «ogni attività esteriore […] giustificata in quanto […] vivificata dalla fede».35 I suoi testi, che hanno un carattere spesso oracolare e oscuro, toccano più volte la questione della lingua, anche per contestare ai filosofi l’uso di forme comunicative astratte, che non sono perciò filtrate dai sensi e dalle passioni. Hamann imputa persino ai fautori del metodo razionalistico-matematico di aver «ucciso la natura».36 Un altro aspetto di rilievo per la costruzione della poetica della Frühromantik di Wackenroder, benché nell’Aesthetica in nuce Hamann ascriva alla poesia e non alla pittura o alla musica il ruolo di «lingua madre del genere umano», è l’idea di “genio” che, riferita al daimon socratico, secolarizza l’ispirazione divina nella dimensione antropologica e viene collegata al principio del «disordine organizzato» che Hamann dice di veder rappresentato nella Bibbia quale autentica espressione della natura. Ancora una volta, l’obiettivo è la critica a un pensiero sistematico normalizzante, operata con una battaglia che contrappone la dimensione escatologica dell’essere umano al pensiero filosofico, negativamente connotato, in quanto volto principalmente al perfezionamento e al progresso dell’uomo: [Per Hamann] la personalità è il risultato radicalmente rivoluzionario dell’autoconoscenza, nella quale, come più volte si è 35 S. Lupi, Introduzione a J.G. Hamann, Scritti e frammenti di estetica. Introduzione versione e note di S. Lupi, Roma, Istituto Italiano di Studi Germanici, 1938, p. LXXVI. 36 J. G. Hamann, Aesthetica in nuce, ibid., pp. 121-154, qui p. 138 (ed. ted. J.G. Hamann, Sokratische Denkwürdigkeiten. Aesthetica in nuce, mit einem Kommentar herausgegeben von Sven-Aage Jørgensen, Stuttgart, Reclam, 1968, p. 113; «La vostra filosofia criminalmente menzognera ha fatto piazza pulita della natura e perché pretendete che noi ci comportiamo allo stesso modo? Per poter rinnovare il piacere di diventare assassini rivalendovi sugli adepti della natura?».

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visto, consiste l’intero concetto dell’essere. Non quindi in essa l’idea del progresso, dell’evoluzione, come avrebbe detto anche Herder, ma il taglio netto della nascita dell’uomo nuovo, del genio, che, rinnovando i valori più antichi, più originari, più totalitari, ma anche più dimenticati e sconosciuti, riacquista la vera conoscenza dell’arte e, con essa, la sua essenziale creatività […] Se per il razionalismo la personalità del poeta non doveva avere nell’opera d’arte alcun particolare spicco o risalto, la sua azione limitandosi alla sfera oggettiva dell’imitare, per Hamann è invece solo questa personalità, la quale crea unicamente dal profondo del suo spirito, che originalmente, cioè con la cosciente manifestazione di tutte le rinnovate forze fisiche e spirituali, deve trasformarsi e dominare la sua creazione. Il concetto di bello infatti […] nasce e si identifica con il concetto di personalità.37

Quando Wackenroder attribuisce a Dio la lingua della natura e all’uomo di genio quella dell’arte, si sofferma solo per un momento sulla funzione educativa della Bibbia, intesa come propedeutica alla conoscenza della natura, mentre riconosce a quest’ultima una funzione sostitutiva del divino libro costruito sulle parole, perché permette un contatto della coscienza sensoriale con il creato, purificando l’anima. L’arte, come viene precisato, è una lingua parlata solo da «pochi privilegiati» ed è tuttavia il mezzo più adatto a fondere «ciò che è spirituale e sovrasensibile in forme visibili»,38 facilitando l’affezione anche nei confronti di quegli indistinti o oscuri sentimenti che si legano ai «misteri del cielo». Gli «oscuri sentimenti» sono retaggio di una sfera in cui l’uomo vocato all’arte accetta di immergersi a prezzo di una perdita del proprio equilibrio e del legame con la comunità dei suoi simili. Questi oscuri sentimenti si proiettano nella «fantasia sempre effervescente»39 del pittore Pietro di Cosimo, afflitto da una melanconia che la gente normale giudica pazzia oppure nella rivelazione delle qualità quasi soprannaturali di Raffaello, contro cui si infrange il fiero talento di Francesco Francia, che muore di dolore per aver troppo a lungo coltivato la bella illusione di poter competere con il maestro urbinate. Hamann trattò il tema dell’oscurità cui si lega il temperamento geniale considerando la melanconia come una caratteristica propria dell’artista dotato di capacità superiori.40 37

S. Lupi, Introduzione a J.G. Hamann, Scritti e frammenti di estetica, cit., p.

CXC. 38

Cfr. Effusioni, pp. 191 e 193. Cfr. Effusioni, p. 199. 40 Cfr. il paragrafo “Die Dunkelheit des genialen Temperaments: Aktualisie39

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Genio artistico ed entusiasmo Dunque l’occasione privilegiata che Dio ha concesso ad alcuni uomini, rendendoli degni di riflettere nelle loro opere artistiche l’infinita varietà di espressioni della sua presenza nella natura, è una sorta di stigma; dipende solo dall’uomo vincere il falso entusiasmo, che si può anche definire come un edonistico narcisismo dell’artista, per tramutare questa particolare espressione di fanatismo (non diversa da quella di un troppo acceso fervore cattolico) in “umiltà” e “devozione”. E tuttavia, come si è detto, c’è qualcosa, agli occhi del monaco wackenroderiano, che è peggio della superbia: la fede nel sistema, che affida totalmente alla funzione razionalizzante la pianificazione e il discernimento dei comportamenti umani e il loro adattamento alle esigenze del progresso scientifico. Superare l’egoismo di chi vede rispecchiato solo il sé nel proprio prodotto è possibile esclusivamente in una creazione disinteressata che si risolva nel “bello” senza il condizionamento a priori dell’“utile”. Ma il concetto di creazione disinteressata fa parte anche dell’importante costellazione teorica legata al rapporto tra religione naturale e religione rivelata che infiamma il tardo Illuminismo berlinese, in particolare dopo la pubblicazione dell’opera di Johann Joachim Spalding, Die Bestimmung des Menschen (La destinazione dell’uomo),41 concepito come un monologo interiore in cui è assente qualsiasi riferimento all’autorità dogmatica. Di quest’opera furono pubblicate ben tredici edizioni tra il 1748 e il 1794. Il consigliere concistoriale Spalding, teologo protestante e amico della famiglia Wackenroder, fu un deciso fautore dell’idea che la sterile inclinazione al diletto, in cui l’uomo può facilmente scivolare allontanandosi così anche da Dio, poteva essere mutata nell’imitazione della perfezione della natura tramite l’opera d’arte, in cui era possibile far vedere i segni del genio divino. Così Spalding descrive questo processo: L’arte, che certamente non può aggiungere niente alle eccellenze della natura, dal momento che imita solo parte del bello rung der traditionellen Verbindung von Genie und Melancholie” in J. Schmidt, Die Geschichte des Genie-Gedankens in der deutschen Literatur. Philosophie und Politik 1750-1945, 2 Bde, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1985, Band I, pp. 105-110, incluso nel capitolo “Hamann: Das irrationale Genie und seine religiöse Rechtfertigung”, pp. 96-119; cfr. anche H.-J. Schings, Melancholie und Aufklärung, Stuttgart, Metzler, 1977, pp. 278-292. 41 Si veda su questo tema l’ampia e documentata monografia di Laura Anna Macor, Die Bestimmung des Menschen (1748-1800). Eine Begriffsgeschichte, Stuttgart, frommann-holzboog, 2013.

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che è in essa inesauribile, aggiunge qualcosa alle mie delizie per il fatto che mi dà la possibilità di ammirare la perizia della mano o la forza dello spirito (Witz) che fanno anche dell’uomo, nella misura in cui ciò è consentito, un creatore.42

Spalding dovette trovare dopo il 1749, alla vigilia della pubblicazione della terza edizione dell’opera, un compromesso con i suoi detrattori, che consideravano la sua analisi ancora troppo dipendente dal principio di riflessione razionale. Anche se per la propria professione teologica Spalding si teneva saldamente ancorato a una visione religioso-morale della determinazione dell’uomo e quindi l’arte costituiva solo un mezzo per ascendere alla bellezza originaria della divina creazione, il Cristianesimo che risultava dalla sua visione religiosa si riduceva ad un aiuto pedagogico per pervenire alla religione naturale. Wackenroder reinterpreta questa prospettiva delegando il monaco a farsi garante del preambulum fidei del Cristianesimo, e affrontando su un piano distinto l’esperienza artistica come luogo di incontro, ma anche di tensione conflittuale, tra devozione e conoscenza. Vero è, dunque, da un lato, il fatto che la Kunstreligion è «figlia della critica alla religione», intendendo questa in senso dogmatico, dall’altro che l’uomo può essere tentato di coltivare una forma di «ateismo artistico».43 Il monaco assume perciò, nel suo doppio ruolo di autore fittizio e di narratore, una funzione regolativa del discorso sull’arte: come individuo che in passato ha coltivato il sogno di diventare artista, ma ha per tempo riconosciuto i propri limiti, grazie all’assorta ammirazione della grandezza dei pittori del Rinascimento e alla registrazione della triste parabola dell’artista Berglinger fornisce opportuni strumenti riflessivi per valutare i rischi di chi intraprende un cammino che può facilmente trasformarsi in una “via crucis”, ovvero in un preludio alla “Passio Christi” in cui si può vedere il riflesso della tragedia del musicista.44 Non è qui il luogo per esaminare nel dettaglio le implicazioni storico-culturali ed estetiche dei singoli testi contenuti nelle Effusioni e nelle Fantasie, perché di esse si dà conto, di seguito, nelle introduzioni 42 J.J. Spalding, Betrachtung über die Bestimmung des Menschen. Von neuem verbesserte und vermehrte Auflage mit einigen Zugaben, Leipzig, Weidmann & Reich, 177411, p. 17; questa edizione è quella a cui si riferisce Kemper nel suo commento su Spalding alla p. 10 e segg. di Sprache der Dichtung. 43 M. Rispoli, “Kunstreligion und künstlerischer Atheismus. Zum Zusammenhang von Glaube und Skepsis am Beispiel Wilhelm Heinrich Wackenroders” in Kunstreligion. Ein ästhetisches Konzept der Moderne in seiner historischen Entfaltung, cit., pp. 115-133. 44 B. Auerochs, Die Entstehung der Kunstreligion, cit., p. 498.

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alle due opere, mentre vale la pena di sostare sull’influenza esercitata dalla frequentazione di Karl Philipp Moritz da parte di Wackenroder e Tieck al tempo in cui costui tenne presso la Königliche Akademie der Künste und mechanischen Wissenschaften, in particolare nel 1789 – anche se la sua docenza si protrasse al 1793 – le sue lezioni sulla teoria delle belle arti, sulla mitologia e le antichità classiche, sulle opere pittoriche raccolte nella pinacoteca reale e sui fondamenti del gusto.45 Per il primo tema, Moritz poteva contare sulla compiuta redazione di una serie di saggi estetici, tra cui spicca per importanza Ueber die bildende Nachahmung des Schönen (Sull’imitazione formatrice del bello), redatto durante il suo soggiorno romano nel 1788 e pubblicato in quello stesso anno a Braunschweig. I capisaldi di questo saggio consistono nella sostituzione della lingua della ragione (Vernunft) con quella della esperienza sensibile (Empfindung), la focalizzazione dell’interesse sull’artista piuttosto che sulla sua opera e l’imitazione dell’attività creatrice della natura grazie all’arte. Il processo dell’imitazione naturale di ciò che è “eternamente bello” si fonda su una forza creatrice, che è propria solo del genio, capace di abbracciare in un solo momento, con un “oscuro presentimento”, come si è detto, tutte le forze e le leggi della natura: La scelta di Moritz dell’aggettivo “bildend” come attributo di “imitazione” è dunque importante per varie ragioni e contiene già in sé la diversa interpretazione del principio estetico. Infatti, da una parte l’aggettivo si riferisce ad un altro tipo di imitazione, che non è solo un copiare di tipo meccanico, ma piuttosto un tendere verso un modello e implica dunque in ultima istanza una imitatio dei; dall’altra parte, si riferisce allo sviluppo naturale e biologico, che da parte sua può essere inteso nel contesto generale di una comprensione del mondo di tipo emanazionistico-neoplatonico come un ritorno al punto di origine e quindi anche come un’“imitazione” dello stesso […] Così come lo sviluppo naturale ambisce all’“eternamente bello” solo passando attraverso un processo ininterrotto di distruzione e formazione, così anche l’artista può pervenire al suo scopo ultimo, che consiste nella “bellezza individuale” dell’arte come “imitazione del bello supremo” solo per mezzo di una distruzione o dissoluzione della realtà…46 45 Kemper dedica un lungo paragrafo a Karl Philipp Moritz nella sua monografia Sprache der Dichtung e qui indica anche le date specifiche in cui si tennero gli incontri all’Accademia; cfr. pp. 51-63. 46 Cfr. A. Costazza, Genie und tragische Kunst. Karl Philipp Moritz und die Ästhetik des 18. Jahrhunderts, Bern [et al.], Peter Lang, 1999, pp. 381-382.

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Moritz formula nel proprio saggio una prima importante tesi, distinguendo la «vera imitazione del bello» dall’«imitazione morale del buono e del nobile» in base al fatto che essa forma da «sé verso l’esterno» e non viceversa;47 mostra successivamente le connessioni tra bello e utile, nobile e bello. Proiettando questo discorso teorico nel contesto delle Effusioni, si vede che il buono, l’utile e il bello sono qualità di cui possono dotarsi gli uomini di talento, mentre il nobile riferito al bello, che non necessariamente contempla un principio di utilità, è caratteristico degli spiriti superiori. Tale nobiltà è anche propria dello stoicismo di un Muzio Scevola, un esempio citato da Moritz, che per essersi ingannato pugnalando non Porsenna, re etrusco, ma un altro individuo al suo posto, volle pagare il fio della propria azione stendendo la mano destra su un braciere pieno di carboni ardenti. Secondo la tradizione, il suo gesto simbolico motivò comunque una schiera di Romani a cimentarsi nell’impresa in cui Scevola aveva fallito. Fu così che Porsenna si decise a stipulare un armistizio con i nemici e a sciogliere l’assedio dell’Urbe. A questo proposito, si può confrontare il contenuto della lettera del 29 maggio 1792, spedita all’indirizzo di Wackenroder da Tieck, mentre costui si trova a Halle, che concerne i temi del sentimento, del sentimentalismo, del sublime e delle antiche tradizioni: Che la nostra epoca possa gloriarsi meno delle altre di una mentalità sublime appare evidente dalla maggior parte dei libri più recenti, in cui è proprio del costume criticare in modo meschino le grandi e nobili virtù della pregevole antichità e farle discendere da un gretto egoismo, come se per questo egoismo non fosse necessario non averne affatto per essere un Codro o un Muzio Scevola. Mi infurio ogni volta, quando penso che uomini che non hanno la minima percezione di cose di tal fatta, vogliono derubare al grande mondo antico la fama (l’unica ricompensa cui il vero merito e la vera grandezza possano aspirare), semplicemente perché non sentono nulla nel loro cuore di questo fuoco etereo.48

Moritz insiste sul fatto che il concetto di bello è un “intero” sussistente per sé e che l’artista figurativo è in grado di produrre questo 47 K.P. Moritz, Sull’imitazione formatrice del bello in Id., Scritti di estetica, a cura di P. D’Angelo, Palermo, Aesthetica, 1990, p. 68 (ed. ted., K.P. Moritz, Über die bildende Nachahmung des Schönen in Id., Werke, hrsg. von H. Günther, Bd. 2 – Reisen, Schriften zur Kunst und Mythologie, Frankfurt am Main, Insel, 1981, p. 554). 48 Cfr. Carteggio, p. 651.

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“bello intero” che è in piccolo un’impronta del “bello supremo” espresso dalla natura creata da Dio.49 Infatti, solo la Thatkraft (forza attiva) può rendere operativa «la sensibilità per il bello supremo nell’armonica struttura dell’intero»,50 mentre la Denkkraft (pensiero) non riesce a subordinare gli uni accanto agli altri i concetti, così come l’immaginazione (Einbildungskraft) a porli gli uni accanto agli altri, perdendo così il senso dell’insieme.51 Per Moritz è prioritario che la Bildungskraft (forza formativa) e la Empfindungskraft (forza sensitiva) collaborino, perché la forza creatrice genuina possa esprimersi senza egoismi, spingendo verso il bello il genio, impegnato in un’inesausta attività. La conclusione della complessa riflessione teorico-estetica, che si basa però su uno schema molto solido, è che l’unico sommo godimento del bello è destinato al genio che lo produce, mentre chi non è destinato a raggiungere tali vertici può tuttavia coltivare il gusto (Geschmack) o la capacità di sentire il bello (Empfindungsfähigkeit für das Schöne): Poiché il bello, in mancanza assoluta di un termine di paragone, non è un oggetto del nostro pensiero, noi dovremmo rinunziare anche totalmente al suo godimento se non siamo in grado noi stessi di produrlo (infatti non potremmo mai attenerci a qualcosa, alla quale ciò che è più bello si avvicini di più di quel che è meno bello), se qualcosa non prendesse in noi il posto della forza produttrice, qualcosa che le si avvicini quanto possibile, pur senza essere lei: ma questo è appunto ciò che noi chiamiamo gusto o capacità di sentire il bello, qualcosa che, se rimane nei suoi confini, può rimpiazzare la mancanza del superiore godimento della produzione del bello con la calma tranquillità della quieta contemplazione.52

Nell’opera di Wackenroder si leggono in filigrana vari spunti della riflessione di Moritz, allorché depreca la scarsa competenza dei suoi contemporanei nei confronti delle qualità dei grandi maestri e considerando che molti dovrebbero educare il gusto estetico, ricorda nel saggio delle Effusioni, Wie und auf welche Weise man die Werke der großen Künstler der Erde eigentlich betrachten, und zum Wohl seiner Seele gebrauchen müsse (Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima) che 49

K.P. Moritz, Sull’imitazione formatrice del bello, cit., p. 74 (ed. ted., p. 560). Ibid., p. 75 (ed. ted., p. 561) 51 Ibid. 52 Ibid., p. 78 (ed. ted., pp. 564-565). 50

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[le opere dei grandi artisti] non stanno lì, perché l’occhio le veda, bensì affinché ci si addentri in esse con un cuore ben disposto e si viva e si respiri in esse. Un quadro magnifico non è un paragrafo di un manuale scolastico, che io lasci da parte come una buccia inutile una volta che vi abbia desunto con poco sforzo il senso delle parole; al contrario, nelle grandi opere d’arte il godimento dura ininterrottamente, senza mai esaurirsi […] La cosa fondamentale è non osare spingersi, con animo presuntuoso, al di sopra dello spirito dei sublimi artisti e, guardandoli dall’alto in basso, pretendere di giudicarli.53

L’indirizzo metafisico della riflessione di Wackenroder in cui viene cercato il legame ideale tra cosmo ed esperienza artistica rappresenta una costruzione di tipo neoplatonico in cui l’estetica delle Effusioni si propone come sorgente figurale supportata da nessi analogici: in essa la contemplazione diventa un’attività di tipo ermeneutico, come dimostra del resto il contributo fornito dal monaco, artista mancato, ma critico attento della formazione del gusto, cioè all’educazione estetica dei suoi contemporanei. Se la “lingua delle parole” è stata comunemente rifiutata come incompatibile con la sfera sensibile del cuore, non resta che constatare che, a differenza di Moritz, il quale nel 1788-89 pubblica sulla Monatschrift dell’Accademia di Berlino un saggio dal titolo Die Signatur des Schönen (La segnatura del bello) in cui sostiene che «le autentiche opere poetiche sono […] anche le uniche vere descrizioni verbali del bello nelle opere dell’arte figurativa»,54 Wackenroder “sembra” trascurare nei suoi testi la poesia a tutto vantaggio della pittura e della musica. Come si può constatare dal carteggio, le prove liriche del giovane berlinese non furono veramente apprezzate da Tieck, forse perché veramente acerbe nella struttura come nel contenuto. Anche la sua esperienza musicale rimase ferma a un primo livello di competenza. Si vede, dunque, come dalla meditazione di Wackenroder su quanto Moritz scrive nella Segnatura del bello sorge probabilmente un esperimento poetico come le Zwey Gemähldeschilderungen (Descrizione di due dipinti) presentate nelle Effusioni, in cui i soggetti delle rappresentazioni sacre (Madonna, Gesù Bambino e San Giovannino per il primo quadro, i tre Saggi d’Oriente e Gesù Bambino per il se53

Cfr. Effusioni, pp. 211 e 213. K.P. Moritz, “La segnatura del bello. In che misura si possono descrivere le opere d’arte?”, in Id., Scritti di estetica, cit., pp. 95-104, cit. del passo, p. 100 (ed. ted., K.P. Moritz, “Die Signatur des Schönen. Inwiefern Kunstwerke beschrieben werden können?”, in Id., Werke, Bd. 2, cit., pp. 579-588; cit., p. 585. 54

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condo) acquistano vita grazie al fatto che la loro presenza sulla tela viene interpretata con un’enfasi lirica rivolta alle espressioni del volto, della gestualità e delle emozioni. Non a caso il monaco introduce alle descrizioni con queste parole: Una bella immagine o un bel dipinto, a mio avviso, in realtà non possono essere descritti, perché nell’attimo in cui pronuncia anche una sola parola in più su di essi, l’immaginazione se ne vola via dalla tela e, tutta sola in aria, inizia a volteggiare magica e giocosa.55

Il modello delle “descrizioni di quadri” redatte in forma poetica lascia una traccia incontrovertibile nei sonetti religiosi di August Wilhelm Schlegel posti in appendice al saggio intitolato I Dipinti nel terzo fascicolo della rivista «Athenaeum» (marzo 1799). Questo testo, redatto nella forma di un dialogo tra tre personaggi, Louise, Waller e Reinhold, i quali difendono diverse prospettive estetiche, riprende molti temi trattati da Wackenroder e da Tieck nelle Effusioni e nelle Fantasie. La prima ragione storica di questo rapporto a distanza con i due autori dipende dall’intenso interesse di August Wilhelm Schlegel per le lezioni di storia dell’arte impartitegli da Johann Dominicus Fiorillo, che anche Wackenroder e Tieck ascoltarono durante il loro soggiorno di studio a Gottinga. Nel 1797, anno in cui i due amici berlinesi lavoravano alla redazione delle Fantasie, August Wilhelm Schlegel interveniva sulla redazione delle parti dedicate da Fiorillo a Leonardo da Vinci e a Michelangelo nella Geschichte der zeichnenden Künste von ihrer Wiederauflebung bis auf die neuesten Zeiten (Storia delle arti del disegno dalla loro rinascita fino ai tempi più recenti). Louise, che evidentemente si discosta dalla predilezione di Waller per la statuaria antica e per il modello di perfezione greco che sono tipici punti di riferimento del classicismo winckelmanniano, guida la discussione e la indirizza verso una riflessione sui soggetti religiosi della pittura raffaellesca, tra cui domina la Madonna con il Bambino e i Santi della tela detta della «Madonna Sistina»: un gioiello del Rinascimento italiano che fu la meta principale, come è noto, del pellegrinaggio di molti intellettuali romantici e vero e proprio oggetto di devozione non solo religiosa, ma anche estetica. A Reinhold spetta invece sia il ruolo di portavoce delle critiche, già di Wackenroder, nei confronti di quanti, arroganti e incompetenti, osano esprimere giudizi fretto55

Cfr. Effusioni, p. 161.

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losi sulla qualità artistica di alcune opere pittoriche di cui non sono in grado di discernere l’intrinseca qualità, sia la valorizzazione della pittura di paesaggio come arte che «insegna a guardare»,56 perché «è l’arte dell’apparenza, come la scultura, l’arte della modellazione».57 Reinhold ha il compito di traghettare la discussione sul primato delle arti verso il punto in cui diventa evidente che la scultura rimane sganciata dal fecondo rapporto che si può instaurare tra pittura, poesia e musica. Nel momento in cui, giudicata la lingua come insufficiente a esprimere l’ineffabile grandiosità dei soggetti religiosi di Raffaello e in particolare della Madonna Sistina e del suo figlio celeste, vien fatto da Waller un preciso riferimento alla poesia come mezzo privilegiato per elevarsi a una dimensione ultraterrena,58 egli ha già espresso in precedenza fiducia nella potenzialità di emancipazione della pittura e della musica: «la disposizione alla pittura e alla musica si afferma […] non nell’addomesticare e addestrare [i] sensi sin dalla gioventù come animali domestici, bensì nell’incoraggiarli ad affermare, accanto all’uso utilitario, la loro libera attività e la gioia che vi si prova».59 I riferimenti puntuali a specifici passi delle Effusioni e delle Fantasie, come quello che si trova all’interno di una più ampia descrizione fatta da Louise della tela detta della Madonna del borgomastro Meyer – allora ritenuta un originale di Hans Holbein il Giovane – in cui dice di Maria che non è probabilmente «un ritratto, quanto la raffigurazione di un’idea» o quello in cui, parlando della Madonna Sistina, indica la «maturità sovrumana» di Gesù Bambino che non lascia ancora trasparire «l’uomo che verrà», non distraggono dal carattere innovativo di questo dialogo. Esso è condotto lontano dal luogo in cui i quadri sono mostrati al pubblico, anche se nello stesso contesto temporale; essi sono rievocati per mezzo delle impressioni che si sono sedimentate 56 «Athenaeum» [1798-1800]. Tutti i fascicoli della rivista di August Wilhelm Schlegel e Friedrich Schlegel, a cura di G. Cusatelli, E. Agazzi e D. Mazza, postfazione di E. Lio, Milano, Bompiani, 20092 (I ed. 2000), p. 334 (ed. ted., Athenaeum. Eine Zeitschrift von August Wilhelm Schlegel und Friedrich Schlegel, Zweyten Bandes. Erstes Stück, Heinrich Fröhlich, Berlin 1799, p. 62). 57 Ibid., p. 335 (ed. ted., p. 64). Cfr. l’intensa analisi di Lothar Müller nella postfazione a A.W. Schlegel, Die Gemählde. Ein Gespräch, Amsterdam – Dresden, Verlag der Kunst, 1996, pp. 165-196 e il puntuale commento al testo, con relative note, di Donatella Mazza nell’edizione italiana di Athenaeum, cit., pp. 385-396, nonché l’ampia parte dedicata al testo di August Wilhelm Schlegel nella Storia e cronistoria del fascicolo 3: “Ma come tradurre in parole la più sublime delle espressioni?”, in «Athenaeum» [1798-1800], cit., pp. 426-438. 58 Ibid., p. 375 (ed. ted., p. 134). 59 Ibid., p. 335 (ed. ted., p. 63).

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nella coscienza dei personaggi dopo la visita della galleria. L’attenzione è poi rivolta tutta al genere in cui si inscrivono le opere pittoriche, alla loro esecuzione nelle linee e nei colori, al punto di vista prospettico e specialmente ai loro soggetti; con ciò si è ben lungi dal mettere in primo piano l’artista e la sua personalità. Ma l’azione più radicale del discorso dei Dipinti si gioca in relazione al rapporto tra mondo cattolico e protestante, che di fronte all’ineffabile grandezza dell’arte non hanno diritto di prelazione sulle opere. Lo svincolamento della produzione artistica da una committenza che si leghi all’imprimatur di una specifica fede religiosa è il primo importante passo fatto verso la sua autonomia e verso la ricerca di nuovi soggetti e nuove soluzioni formali. Di questo argomento si alimentano i ragionamenti conclusivi di Waller e di Reinhold, i quali, confrontandosi sui potenziali della “pittura storica” in relazione a quella “mitologica” o a quella “religiosa”, non fanno che confermare che solo attraverso la collaborazione tra le arti sorelle – nello specifico caso della poesia con la pittura – si potrà sperare nella durata illimitata, eterna, della forza espressiva di un’opera d’arte e del suo valore.

Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare Guglielmo Gabbiadini per la preziosa collaborazione durante il lavoro di revisione del testo. Ad Alessandra Matti e a Enzo Cicero la mia riconoscenza per il cordiale e produttivo scambio di idee in sede redazionale, e soprattutto al Professor Giovanni Reale per aver accolto nella sua prestigiosa collana la presente opera. Anche al Goethe-Internationes un grazie per aver fornito il proprio supporto con un contributo economico.

WILHELM HEINRICH WACKENRODER CENNI BIOGRAFICI

1773

Il 13 luglio nasce a Berlino Wilhelm Heinrich Wackenroder, figlio di un consigliere segreto di guerra e borgomastro di giustizia.

1786-1792

Wackenroder frequenta il ginnasio Friedrich Werder di Berlino dove stringe amicizia con Ludwig Tieck. Segue le lezioni di musica di Karl Friedrich Fasch, direttore dell’Accademia di canto di Berlino. Stringe rapporti con la famiglia di Johann Friedrich Reichardt tramite il figliastro, G.W. Heusler, suo compagno di scuola.

1789

Segue le lezioni di Karl Philipp Moritz sulla storia dell’arte e sulla storia dell’antichità.

1792-1793

In primavera si diploma. Dopo la partenza di Tieck verso Gottinga, inizia un fitto carteggio fra i due amici. Per volere del padre trascorre un anno intero nella loro casa di Berlino per prepararsi agli studi universitari.

1793

In primavera Wackenroder e Tieck viaggiano verso Erlangen passando da Lipsia, Naumburg, Jena, Weimar, Erfurt, Gotha e Coburgo. Durante i viaggi compiuti verso Bamberga e Norimberga si interessano anche di architettura. Nel corso del semestre si recano nel Fichtelgebirge, poi nuovamente verso Norimberga, Altdorf, Bamberga e Fürth. I loro viaggi diventeranno il modello per il viaggio artistico romantico successivo. Wackenroder si immatricola il 2 maggio all’università di Erlangen per studiare giurisprudenza. Allo studio del diritto affianca l’interesse per la letteratura tedesca antica. Nelle biblioteche di Kassel e di Gottinga Wackenroder e Tieck lavorano per il “Compendio di storia letteraria tedesca” di Erduin Julius Koch. Il Rinascimento

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CENNI BIOGRAFICI SU WACKENRODER

ispira Wackenroder: scrive i due saggi “Descrizione dei lavori drammatici del maestro cantore Hans Sachs” e “Sui cantori”. 1794

Segue per due semestri i corsi a Gottinga per poi tornare insieme a Tieck a Berlino. Durante il viaggio di ritorno passano per Braunschweig e per Amburgo dove fanno visita a Klopstock. A Berlino Wackenroder inizia l’attività giuridica presso gli uffici statali prussiani prima e in seguito presso il tribunale cittadino. Insieme a Karl Friedrich Zelter intraprende un viaggio verso Rügen, Greifswald, Stralsund e Rostock.

1796

Wackenroder fa parte del circolo romantico che si riunisce intorno a Tieck e alla sorella Sophie nel loro appartamento berlinese. Nascono le “Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte” che verranno pubblicate da Tieck. L’opera diventa il primo manifesto della religione dell’arte romantica.

1797

Wilhelm Heinrich Wackenroder diventa referendario (praticante) alla Corte d’appello. Insieme a Tieck lavora all’opera “Fantasie sull’arte per amici dell’arte” che verrà pubblicata nel 1799. Nell’autunno conosce Friedrich Schlegel. A dicembre si ammala, ma si ristabilisce poco dopo.

1798

Il 13 febbraio Wilhelm Heinrich Wackenroder, neppure venticinquenne, muore a Berlino di febbre tifoide.

WILHELM HEINRICH WACKENRODER

OPERE

LIRICHE

Introduzione, traduzione e note di FEDERICA LA MANNA

« Io ho già letto più di una volta le tue care poesie; mandamene ancor di più quando hai tempo»1 scrive Ludwig Tieck da Halle all’amico nel maggio del 1792. Le poche liriche di Wackenroder che ci sono pervenute, non inserite all’interno dei testi delle Effusioni e delle Fantasie, sono cinque, con complesse vicende di attribuzione e molto differenti tra loro nei temi e nei toni. Il biografo di Tieck, Rudolph Köpke, ne parla come di prove giovanili nelle quali difficilmente si può riconoscere la genialità delle opere posteriori,2 ma esse, in realtà, rappresentano il primo afflato poetico del giovane studente di Berlino ed evidenziano anche suggestioni che troveranno originalità di espressione all’interno delle due opere maggiori. In base alle esigue fonti esistenti, costituite essenzialmente dall’opera di Köpke, dal carteggio con Tieck fra il 1792 e il 1793 e, in modo più indiretto, dalla biografia del padre scritta da Klein,3 il periodo di scrittura di questi testi è stato individuato negli anni scolastici e in quelli universitari fino al 1793 circa. Decisivo, nei primi anni giovanili, fu l’influsso della poesia anacreontica, grazie al classicista e amico di famiglia Karl Wilhelm Ramler.4 Traduttore di Orazio, di Catullo e 1

Cfr. Carteggio, p. 641. Cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, 2 Theile, Leipzig, F.A. Brockhaus, 1855; cit., zweiter Theil, p. 274. 3 Cfr. J. Gottlieb Klein, Erinnerungen an Christoph Benj. Wackenroder, Königl. Preuß. Geh. Krieges-Rath und erstem Justiz-Bürgermeister zu Berlin, Berlin, Dieterich, 1809. 4 Karl Wilhelm Ramler (1725-1798) fu poeta, traduttore e critico, esponente dell’Illuminismo berlinese, studiò teologia a Halle e medicina a Berlino, ma cominciò molto presto a dedicarsi completamente alla letteratura. L’incontro a Berlino con Wilhelm Ludwig Gleim lo incoraggiò a dedicarsi alla poesia, affiancando l’occupazione di precettore privato. Dal 1748 fino al 1790 fu insegnante di filosofia alla Scuola dei Cadetti (Accademia militare). Amico di Moses Mendelssohn e di Friedrich Nicolai, nel 1750 curò insieme a Johann Georg Sulzer le Critische Nachrichten aus dem Reiche der Gelehrsamkeit (Notizie critiche dal regno dell’erudizione). Fu legato a Gotthold Ephraim Lessing da solida amicizia. Dal 1786 fu membro dell’Accademia prussiana delle scienze e dell’Accademia delle arti. Fu autore di liriche e soprattutto di odi, molte delle quali furono musicate da Georg Philipp Telemann, Joachim Quantz e Carl Heinrich Graun. Fu inoltre un famoso traduttore di Orazio, Catullo e Marziale; ciò gli valse fra i contemporanei anche l’appellativo di “Orazio prussiano”, mentre già la generazione successiva lo chiamava “poetischer Exerziermeister” (maestro dell’esercitazione poetica). 2

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di Marziale, Ramler era anch’egli poeta e per lui Wackenroder nutrì inizialmente grande ammirazione. Fra i modelli cui Wackenroder sembra ispirarsi nel corso dei primi anni della sua produzione artistica compaiono anche i nomi di due insegnanti del liceo frequentato, il ginnasio Friedrich Werder, che influenzarono tanto Wackenroder quanto Tieck: Friedrich Eberhard Rambach5 e August Ferdinand Bernhardi,6 poco più grandi di loro, responsabili di un insegnamento più aperto alle nuove sollecitazioni letterarie che fiorivano nella seconda metà del Settecento e si coagulavano intorno al movimento sturmeriano. Il modello poetico iniziale, formatosi sul gusto illuminista della casa paterna e sulla lezione anacreontica delle odi di Ramler, è testimoniato dalla lirica Der Frühling (Primavera), unico esempio rimasto; infatti, gli altri componimenti citati da Tieck nella lettera del 29 maggio sono purtroppo andati perduti. La lezione di Ramler, improntata al gusto lieve della buona società illuministica, all’idillio grazioso e al componimento pastorale, spesso inteso in chiave patriottica, si rivela per il giovanissimo Wackenroder troppo angusta e incapace di dare voce a un’autentica “passione”, che sia in grado di riflettere un mutato atteggiamento artistico rivolto ai nuovi modelli rappresentati dalle liriche di Stolberg e dalle odi schilleriane. Una vera dichiarazione poetica è espressa già nella lettera a Tieck datata 11 dicembre 1792. Nella preziosissima epistola Wackenroder, dopo aver parlato con enfasi di un nuovo approfondimento letterario reso possibile dalla lettura della storia letteraria di Erduin Julius Koch,7 comunica all’amico una nuova prospettiva poetica, che non nasce più dall’imitazione e dall’osservazione del bello «che nobilita il 5 Friedrich Eberhard Rambach (1767-1826), dopo aver studiato prima teologia e poi filologia, era diventato insegnante al liceo Werder dal 1791. Negli stessi anni aveva anche iniziato l’attività di scrittore e aveva pubblicato parecchi racconti, romanzi e drammi in parte con lo pseudonimo di Ottokar Sturm. Nella raccolta Thaten und Feinheiten renommirter Kraft- und Kniffgenies (Gesta e finezze d’illustri genii della forza e dell’astuzia, Berlin, Himburg, 1790-1791, 2 Bde) si era fatto aiutare anche dal suo allievo Tieck per la composizione del racconto sulla figura del brigante Klostermayr. Insieme a Johann Theophyl Heidemann fu editore del Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmacks (Archivio berlinese del tempo e del suo gusto), una delle riviste più interessanti per il panorama berlinese e romantico, pubblicata dal 1795 al 1800. 6 Anche August Ferdinand Bernhardi (1769-1820) fu insegnante al Friedrich Werder di Berlino dal 1791, dopo gli studi filologici a Halle. Dal 1799 divenne cognato di Tieck, avendo sposato la sorella Sophie, e dal 1808 direttore del liceo Werder. Autore di numerosi racconti e di poesia, fra le sue opere è da citare la raccolta Bambocciaden (Bambocciate), Berlin, Maurer, 1797-1800, feroce satira dell’ambiente culturale berlinese. 7 Il predicatore Erduin Julius Koch (1764-1834) fu anch’egli insegnante di Wackenroder. Il suo Compendium der Deutschen Literatur-Geschichte von den

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cuore»,8 ma che vuole affidarsi all’interiorità e, attraverso lo sguardo spietato nel proprio cuore, scoprire anche le disarmonie e le stonature della propria anima. Occasione è data dalla constatazione della propria “irritabilità”. Durante una cena Wackenroder sente raccontare la vicenda del comandante della famosa nave inglese Bounty, il capitano Bligh, protagonista di un ammutinamento leggendario. Bligh dovette tornare in patria, dopo essere stato abbandonato su una scialuppa in mezzo al Pacifico, in situazioni estremamente pericolose e disumane. La vicenda del capitano, rapportata all’agio e alle comodità di cui stava godendo Wackenroder, gli provocò «una sensazione come di disgusto» verso se stesso. È proprio in questo momento che nasce in lui l’idea di dare sfogo e voce a queste emozioni violente e di poterle tradurre in versi, l’esigenza, cioè, di poter indagare, con gli strumenti della poesia lirica e dell’ode, l’essere umano e il suo cuore; dimostrare quale sia e quale possa essere la natura dell’essere umano e l’incontrollabile flusso delle sue passioni. I poeti della generazione precedente, come l’illustre esempio di Ramler, creavano liriche perfette, ma dallo schema fondamentalmente artificioso, perché si mantenevano esterni alla materia trattata e creavano così un’architettura concettuale, ma priva del sentimento. La nuova poesia è, invece, quella per cui il poeta diventa tutt’uno con il sentimento e la passione che vuole comunicare, sia essa di gioia o di dolore, e lo sforzo è tutto volto a lasciare che l’emozione abbia il sopravvento e fluisca dalla propria voce, impetuosa e inarrestabile come «la lava dall’Etna». Questo mutato atteggiamento poetico, che costituisce l’ossatura non soltanto delle liriche wackenrodiane, ma che è l’essenza stessa della natura artistica dell’autore, trova nel genere dell’ode, nuova per il pubblico tedesco, un punto di partenza. Wackenroder si riferisce a questo punto all’ode Verzweiflung (Disperazione), spedita a Tieck nella lettera precedente, del 27 novembre.9 Egli specifica come questa lirica, che si rifà con tutta evidenza al genere poetico denso di pathos delle odi schilleriane, intenda essere un primo tentativo nell’ambito di questa nuova forma e che questa possa rappresentare un primo abbozzo di una poetica più personale e autonoma; costituirebbe un ältesten Zeiten bis auf das Jahr 1781 (Compendio della storia letteraria tedesca dai tempi più antichi fino all’anno 1781), Berlin, Buchhandlung der königlichen Realschule, 1790, ripubblicato poi negli anni seguenti e ogni volta ampliato, rappresenta il primo tentativo di una storia letteraria completa, esaustiva e cronologicamente ordinata. L’opera viene citata da Wackenroder in riferimento alla poesia medievale. Cfr. supra, pp. 12-18 dell’Introduzione. 8 Cfr. Carteggio, p. 761. 9 Cfr. Carteggio, pp. 753-755.

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tentativo di dare vita a «quadri fedeli del sentimento e della passione», cercando di descrivere l’insoddisfazione e la disperazione di un soggetto lirico sprofondato negli abissi dell’infelicità, in uno stato dell’anima molto contiguo a quello della pazzia. La lettera di risposta di Tieck,10 pur riconoscendo l’efficacia e la modernità della nuova ipotesi poetica di Wackenroder, ne evidenzia però limiti e astrazioni. Il tentativo di esprimere l’emozione e la passione in un’ode, si scontrano per Tieck con l’errore, comune a molti, di pensare il sentimento e non di provarlo. Il risultato è, quindi, una «struttura poetica ben organizzata» che può soltanto rallegrare gli eruditi senza però lasciare alcuna traccia. Mentre l’obiezione di Tieck coglie pienamente l’espressività acerba delle liriche di Wackenroder, è però interessante osservare lo svilupparsi progressivo di una nuova sensibilità che, allontanandosi dai modelli di riferimento culturali assorbiti nel corso della formazione, identifica di volta in volta mezzi espressivi più adeguati. La lettera citata rappresenta forse uno dei momenti più importanti nell’individuazione, da parte dell’autore, di un percorso lirico proprio e nella presa di coscienza di un modus poetandi che troverà pieno dispiegamento nella forma letteraria narrativa delle Effusioni e delle Fantasie. Non a caso, infatti, è già presente qui il nucleo delle opere successive. Wackenroder, nell’illustrare all’amico la tensione della passione e il labile confine fra disperazione e follia, cita gli eremiti del Medioevo, «esaltati», pronti a mortificare il proprio corpo per espiare le colpe del mondo. Proprio queste singolari figure sarebbero alla base dell’ideazione di uno dei racconti più enigmatici e affascinanti non solo della Frühromantik, ma di tutto il panorama letterario tedesco, Ein wunderbares morgenländisches Mährchen von einem nackten Heiligen (Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo),11 un capolavoro che ancora oggi è oggetto di studi e interpretazioni e continua a sottrarsi a un’univoca chiave di lettura. La lirica, che coniuga e intesse indissolubilmente musica e parola, rappresenta per Wackenroder il tentativo più conosciuto di dare voce a due ambiti centrali nel suo percorso letterario. La fondamentale intuizione di Herder, e prima di lui anche di Rousseau, di abbandonare per sempre un’odiosa gerarchia fra le arti e di considerare musica e poesia sullo stesso livello, poiché entrambe danno voce alla passione e al sentimento dell’essere umano solo con modalità differenti, diviene il cardine del pensiero di Wackenroder che lo condurrà alle efficacissi10 11

Cfr. Carteggio, pp. 767-795. Cfr. Fantasie, p. 455 e segg.

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me prove contenute all’interno delle Fantasie. Se la lirica rappresenta la perduta unità di musica e parola, come sostiene Herder nel suo saggio sull’origine della lingua,12 Wackenroder sarà in grado di spingersi ancora più avanti, individuando un percorso che, passando attraverso l’esperienza lirica, giungerà a una “Musikalisierung” della lingua, a cui tendono del resto tutti gli scrittori della Frühromantik. Questa messa in musica utilizzerà sì la parola considerata come «strumento troppo terreno e grossolano» per esprimere tanto la realtà quanto ciò che vi sta al di là,13 ma sarà in grado alla fine di creare una vera e propria ecfrasi musicale. E questa è la caratteristica principale dei testi sulla musica delle Fantasie sull’arte.

12 J.G. Herder, Saggio sull’origine del linguaggio, a cura di A.P. Amicone, Parma, Pratiche Editrice, 1995 (ed. ted., J.G. Herder, Abhandlung über den Ursprung der Sprache, Berlin, Chr. Fr. Voß (1772)). 13 Cfr. Effusioni, p. 193.

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Oh! Già ritorna Zefiro, figlio di Eolo e Aurora; destata si è Flora; fiori sbocciano intorno; l’inverno fugge verso il polo glaciale; la natura ha vinto sulle tenebre. Al centro delle sfere si adorna di raggi di nuovo la regina delle sfere, simile ai santi, verso il nostro mondo li dirige, donandole un volto giovanile, di fresco verde la riveste. Ella frange la corazza di ghiaccio, che prima resisteva al nord, con i suoi dardi d’oro colpisce il tuo petto scoperto, Natura, e tu ridi e ringrazi e offri magnificenza e profumi di fiori. Ora, a voi alberi, incorona di nuovo i capi! Incoronatevi! Adornate il trono della regina dei fiori, o fiori, variopinti e belli, come l’arco colorato di Iris sotto il quale abita la pace! Olmo, abbraccia ora la vite! Fonte, dolce e argentea, irrorala! Voi arbusti, incurvatevi in archi, (dolce ombra, rinfrescali!) Curvatevi a volta come tempio d’amore, che protegga Amore di Albano

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Orsù, bacia e svolazza giocolando D’ogni intorno, amica farfalla! Cara colomba, cerca lo sposo! La natura ti insegna amore! O natura, e tu, Rosaura, la più bella figlia della natura!

Disperazione 1792

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1 Chi condivide con me le indomabili sofferenze che in me fanno ribollire il mio sangue infuocato? Ah! Ora potrei abbracciare i miei nemici, con febbre incurabile potrei scherzare ridendo; fin giù all’inferno mi getterebbe la rabbia.

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2 Venite voi tutti, spiriti malvagi di Satana, E guardate con piacere queste spoglie: è la mia donna! Con forti grida di giubilo risuoni da voi a me un canto trionfale e riecheggi il conforto nell’animo mio profondamente sconvolto.

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3 Ah no! Voi stessi, voi avreste compassione, sarei troppo miserabile anche per il vostro divertimento! Tormentate più volentieri coloro che sono felici, – evitatemi, meschini! Chi accoglierò ora a braccia aperte? Chi stringerò al mio petto tormentato?

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4 Sì, delle pietre vorrei premere sul petto: Trionfo! Ora conosco la vera beatitudine! Via di qua, voi cuori umani! Il vostro saluto lascia un vuoto desolato – voi ponti marcescenti del fiume scuro del nostro tempo di affanni!

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5 Il variopinto marmo sia il mio svago Il fuoco adamantino sia il mio Dio! Bruci eternamente! Pula son tutti i doni di cui godono le anime belle glorificate! Via di qua, voi cuori umani! A voi il mio scherno!

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Sibila la falce; nel braccio impietoso precipita Crono il forte il più giovane dei figli; e le nuvole sfuggono al colpo roboante delle ali delle aquile. Dove? Dove? Verso profondità e voragini, dove sopra ossa e macerie muscose regna l’oblio; dove flebile dall’oscurità la fioca fiammella della memoria s’apre un varco. È senza fine la desolata voragine? Solo cadaveri colmano l’ampia fossa? Precipitate massi, precipiti la terra, cadano soli e stelle, così che il deserto si colmi! Risparmiate i momenti? Presto o tardi un giorno tutti minaccia

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una caduta ancora più dolorosa lunga e lenta.

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Ciò che nel grembo del tempo conquistò luce e vita, respira nel grembo materno, affannosamente, per l’ultima volta. Al passo pesante sprofondano i mondi, all’impeto d’ala indietreggiano i soli; i mortali stupiscono, e insieme sprofondano, scompaiono e non lasciano traccia nella caduta del mondo. Appena si è chiuso con suono cupo e squassante il portone di bronzo del terribile palazzo, che già stridono aperti di nuovo i cardini. Per il figlio portatore di morte la notte rapisce, avvolta nel velo, la nascita del giorno. Dio dalle mille forme! Vecchio e florido adirato e consolante distruttore e costruttore riconoscente e vendicativo infallibile e ingannevole onnipotente e debole, te ne vai solo, così, per mondi docili coi finimenti di sole; la fiammeggiante aurora boreale è il rossore delle tue guance.

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Stupiscono gli uomini all’invisibile; odono il passo del dio vagante simile alle tempeste sibilanti, e tremanti lo venerano. Impossibile distrarlo, con sacrifici fumanti, con labbra supplicanti, dal corso del destino. Tuttavia, mentre risparmiandoli, la briglia di ferro non preme fino a farli sanguinare, vanno superbi e liberi e immaginano di tenere la briglia eterna con le proprie mani di dirigere l’auriga, lui, incurante di loro, in grembo alle nubi riceve dal destino il verdetto di morte per soli e mondi. Mentre questi ancora esultano, li cingono le spire della catena senza fine del destino di ferro tutti, vacillanti, e li scagliano incatenati in voragini e profondità. Ubbidite all’auriga e dedicategli voti e pie preghiere, che si mostri benevolo, con fiori e spighe, con alloro e palme cingete le tempie di ghirlande.

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Perché quando vi saluta con sorriso amichevole germogliano le sementi, sui campi di battaglia, matura l’uva su monti tonanti, canti e danze riempiono le città e i campi e i boschi. Perché pace e concordia affratellano i popoli, e Nemesi discende in abiti chiari dal cielo e guida e ammonisce la schiera errante.

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1 Sull’alta cresta delle rocce messaggeri dell’umanità stiamo e offriamo un canto a Dio. Per lui echeggiano canti di giubilo in nome dei nostri fratelli come ringraziamento per la magnificenza della terra. 2 Sul piatto della bilancia onnipotente consegnati al sacro destino spumeggia sotto di noi l’ampio mare. Nella calma quieta e sorridente nel fragore tempestoso e selvaggio è sempre sacro, grande e sublime. 3 E, immagine di Dio, il cielo, guarda il turbinio dei flutti

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con occhio immoto: si china benigno, col piumaggio blu splendente cinge i flutti in un abbraccio. 4 Come queste onde vivaci sospinte, montano gonfiandosi, così fluttua il grande mare degli uomini: di vittorie, nella grande virtù, di guerre, nel cupo vizio, ma sempre grande e meraviglioso e sublime. 5 Per questo motivo lascia che noi, come il cielo nel brulichio selvaggio del mondo guardiamo con occhi rischiarati dal sole; e che, legati saldamente all’umanità, abbracciamo il mondo con amore e amando, amorevolmente sprofondiamo. 6 Lasciaci sostare qui più a lungo fissando il mare e il cielo fino a quando in ogni fibra si amplifichi il sentire: e benedici la delizia che dai nostri sguardi ebbri santificata da te, Natura, sgorga.

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Dove siete voi, ideali belli Dove siete voi, ideali belli, voi giochi dorati della mia brama giovanile? È svuotato, il dolce vaso di nettare della fantasia! E freddo è il mio petto! 5

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Brancolo qua e là e non riesco a ottenere, ciò che possedevo – fluttua davanti a me come in sogno: – io vago, confuso – circondato dalla notte desolata – e i miei amici a malapena mi riconoscono. – Chi ero un tempo? Chi sono ora? O infamia! Ero io quello che riconobbe il mio sentimento nel poeta? Mi parla ora da un paese sconosciuto: – Misero me, ché dimenticai di essere un uomo! – Ah! Conducimi alla tua fonte celeste, tu, un tempo mia dea, Fantasia, a quella dimora lieta e bella che mi concesse la mia gioventù beata. E con forza pizzico le mute corde che un tempo Natura tese nel mio petto, – e dischiudo il mio cuore ancora una volta alle divinità per le quali mi ingannai. – Invano! Ella non ascolta il misero che una sola volta abbandonò il suo regno di fate; al suo sole mai più si riscalderà chi da lei si esiliò nella fredda notte. –

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Tutto è perduto! – Dunque, cielo, accumula dolore e tristezza su di me, ridesta i cuori, e cacciami attraverso la tempesta, così che il mio animo torni a sussultare come l’impeto dell’onda!

NOTE ALLE LIRICHE La primavera Questa lirica venne pubblicata per la prima volta nel volume Frühlings-Almanach curato da F(riedrich) H(einrich) Bothe, a Berlino nel 1804, pp. 1-3 a firma di Wilh. Heinr. Wackenroder, autore delle Effusioni di un monaco amante dell’arte. Il biografo di Tieck, Köpke, conferma che la lirica appare nel lascito di Wackenroder (cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters, cit., zweiter Theil, p. 274). v. 1, Zefiro: vento dolce e leggero primaverile che spira da occidente. Nella mitologia greca, dio del vento dell’ovest, apportatore di pioggia, figlio di Eos e di Astreo. Orazio, che Wackenroder ben conosceva, utilizza più volte il motivo di Zefiro che spira: carm. 4.7.9 («Frigora mitescunt Zephyris»), carm. 1.4.1 («Solvitur acris hiems grata vice veris et Favoni»). v. 3, Flora: Dea della primavera. Nella mitologia greca è presente soltanto nei Fasti di Ovidio. Zefiro si innamorò della ninfa Cloride e la corteggiò finché non riuscì a prenderla in moglie. Cloride si trasformò allora nella dea Flora. La figura di Flora, marginale in letteratura, assume un ruolo più evidente in musica fra XVI e XVII secolo (L. Leoni, 1591, M. da Gagliano, 1628) e nella cantata da camera (A. Scarlatti, 1706, J. C. Pepusch, 1710, B. Galuppi, 1769). v. 8, Regina delle sfere: Si fa qui riferimento probabilmente alla figura mitologica di Era, che veniva spesso raffigurata nei cieli insieme agli dei. v. 23, Iris: dea della mitologia greca, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dei. v. 30, Amore di Albano: si fa qui riferimento probabilmente al pittore Francesco Albani (1578-1660) e si potrebbe alludere al ciclo di Venere “Amore disarmato da Diana e le ninfe” (1617 ca.) che mostra alcuni particolari presenti nella lirica di Wackenroder; la lirica potrebbe quindi essere una sorta di ecfrasi (Hera su un trono di nuvole, primavera, colombe ecc.). v. 35, Rosaura: il nome deriva dal latino ‘aura’ inteso come brezza e vento leggero, ma anche come particolare illuminazione. L’accostamento con ‘rosa’ può richiamare l’epiteto omerico dell’aurora detta “dalle dita di rosa”, presente in più punti nell’Iliade e nell’Odissea. Disperazione La lirica si trova sull’ultimo foglio al termine della lettera a Tieck del 27 novembre 1792 e viene inserita con titolo e data. La poesia viene così annunciata all’amico: «Segue una piccola prova poetica composta da rime disperate, che forse possono essere talvolta soggette al dubbio se si deb-

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ba metterle in rima oppure no, ma che, proprio perché sono state scritte in un’atmosfera di disperazione, non dovrebbero disperarsi per il fatto di essere commiserate da te e di essere giudicate in modo indulgente come povere rime compassionevoli che si disperano e sono piene di disperazione» (cfr. Carteggio, p. 743). La lirica si inserisce nel nuovo programma poetico descritto ampiamente nella successiva lettera dell’11 dicembre. Tieck dà un proprio giudizio molto critico sulla lirica nella successiva lettera datata fra il 20 dicembre 1792 e il 7 gennaio 1793, sottolineando l’eccesso di individualismo e la mancanza di idealismo, gli rimprovera inoltre che il tema della disperazione non sia affatto nuovo e che la lirica riecheggi il Fiesko di Schiller e l’ode Die Freundschaft. Il tempo Prima pubblicazione in Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmacks, 2. Jg. 1796, Bd. I, pp. 7-10. Nella lettera di Wackenroder a Tieck datata 25 gennaio del 1793, Wackenroder comunica all’amico la vicenda relativa all’ode Al tempo. L’ode era in corso di pubblicazione nella nuova rivista edita da Bernhardi, Rambach e Heidemann, il Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmacks, ma, su richiesta dell’autore, senza che comparisse il suo nome (cfr. Carteggio, p. 819). Il sottotitolo “ditirambo” proviene probabilmente dagli editori. La data di composizione potrebbe quindi essere il 1792. Ditirambo: il ditirambo è una forma di poesia greca di ispirazione religiosa, generalmente cantata da un solista e dal coro in onore di Dioniso e accompagnata da danze. Il genere ditirambico fu riscoperto durante il XVI secolo per diventare essenzialmente forma monologica. In Germania fu ripreso inizialmente da Johann Gottlieb Willamov (1736-1777) con la raccolta Dithyramben (Berlin 1763), e fu anche al centro dei numerosi interventi di Herder sulla poesia. Herder, in particolare nel testo Pindar und der Dithyrambensänger (Pindaro e il cantore di ditirambi, in Fragmente über die neuere deutsche Literatur, Berlin 1767), da un lato esalta la rivalutazione della forma poetica, ma dall’altro critica le imitazioni a lui coeve. Il suo è il primo contributo teorico alla rinascita di questo genere poetico. La più grande ripresa nel periodo è quella realizzata da Goethe, mosso anche dagli scritti di Herder, con il Wandrers Sturmlied (Canto del viandante nella tempesta, 1774) e Harzreise im Winter (Viaggio invernale nello Harz, 1777), seguita da quella di Wackenroder (Il tempo) e di Tieck. Cfr. B. Zimmermann, Dithyrambos. Geschichte einer Gattung, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1992; F. Fantoni, Deutsche Dithyramben. Geschichte einer Gattung im 18. und 19. Jahrhundert, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2009. v. 3, Crono: Nella mitologia greca, il minore dei Titani, figlio di Urano e Gea e fratello e sposo di Rea. Esiodo (Theogonia 168-182) informa che Crono, dopo essere stato imprigionato dal padre nelle viscere della terra, riuscì a liberarsi grazie alla madre e a ribellarsi contro il padre. Con una falce castrò Urano e ne gettò il membro in mare. In seguito, venuto a sapere da Urano

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e Gea che uno dei suoi figli gli avrebbe sottratto il potere, Crono li divorò subito dopo la nascita. Solo Zeus si salvò da questo destino. Il Mare La lirica, mai pubblicata prima, è stata inserita all’interno della novella satirica di Tieck Die gelehrte Gesellschaft (La dotta società), cfr. Fr. Nicolai, Straußfedern. Eine Sammlung kleiner Romane und Erzählungen, Stettin, 1796, Bd. 6, p. 120 e segg. Köpke attribuisce il testo a Wackenroder e lo fa risalire al periodo del viaggio ad Arcona del 1795. Se fosse quindi di Wackenroder, risalirebbe all’agosto del 1795, perché in quella data fece un viaggio di cinque settimane attraverso la Pomerania e fino all’isola di Rügen insieme all’amico del padre consigliere concistoriale a Berlino Johann Friedrich Zöllner (1753-1804). Le informazioni su questo viaggio sono contenute nell’opera di Zöllner Reise durch Pommern nach der Insel Rügen und einem Theile des Herzogthums Mecklemburg im Jahre 1795. In Briefen, Berlin, Maurer, 1797 (cfr. pp. 71, 76, 276, 291). Dove siete voi, ideali belli Prima edizione nell’opera di L. Tieck, Peter Lebrecht. Eine Geschichte ohne Abentheuerlichkeiten. Zweyter Theil. Berlin und Leipzig, bey Carl August Nicolai, 1796, pp. 100-102. Anche in questo caso la lirica è inserita all’interno di un’opera di Tieck e viene attribuita allo stesso autore della lirica Il mare. Secondo Vietta e Littlejohns l’attribuzione è però incerta. Se fosse di Wackenroder, la lirica dovrebbe risalire al ritorno a Gottinga nell’autunno del 1794 o all’anno 1795, in concomitanza con l’inizio degli studi di giurisprudenza. I curatori sottolineano però il fatto che la divinizzazione della fantasia, presente nel testo, non rappresentava per Wackenroder un ideale, ma piuttosto un pericolo, come testimoniato nella lettera del 12 maggio 1792: «Devo pensare che il tuo ardore debba essersi travasato, a seguito di una lunga frequentazione, nel suo sangue [di Schmohl, N.d.C.] di gran lunga più freddo, così da sottrarlo all’ambito dell’arida osservazione e da farlo diventare un adepto della tua dea, ovvero della fantasia» (cfr. Carteggio, p. 625). Cfr. S. Vietta, Der Phantasiebegriff der Frühromantik und seine Voraussetzungen in der Aufklärung, in Die literarische Frühromantik, hrsg. von S. Vietta, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1983, p. 211 e segg.

EFFUSIONI DI CUORE DI UN MONACO AMANTE DELL’ARTE

Introduzione di ELENA AGAZZI Traduzione e note al testo di ANDREA BENEDETTI e FEDERICA LA MANNA

ELENA AGAZZI

Le Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte e il sogno rinascimentale

Italia e Germania Le recensioni che comparvero all’uscita della pubblicazione anonima delle Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte a cura dell’editore Unger, nel 1797 – dopo che alcune poesie di Wackenroder e l’“omaggio a Dürer” erano stati pubblicati per riviste l’anno prima – mostrano che prima di tutto, a colpire il lettore, è la dimensione sognante e idealizzata, una Schwärmerei, cioè, che inscrive i temi artistici in un entusiasmo proiettato verso la dimensione trascendente e divina.1 La dedizione personale verso le arti, tra le quali assumono un ruolo centrale la pittura del Rinascimento italiano e tedesco e il contesto conventuale da cui si irradia l’entusiasmo, la Begeisterung del monaco, che vive il disagio del declino estetico-culturale del proprio tempo e si rivolge al passato per rievocarne le espressioni di eccellenza artistica, producono una strana alchimia, se mescolate con le suggestioni pietistiche che traspaiono dal concetto delle “effusioni di cuore”. Se il germanista Gerhard Sauder ha rinviato questo sfogo dell’animo alle metafore acquatiche che svolgono un’importante funzione per la mistica e per la cultura della sensibilità del ‘700,2 Dirk Kemper è più incline a riconoscerne la coincidenza con la “cordis effusio” del mondo barocco3. Non poca attenzione, a una prima apertura del testo, di cui all’epoca della pubblicazione non era ancora noto l’autore, doveva aver suscitato peraltro il ritratto di Raffaello sul frontespizio, riprodotto tramite un’incisione a forma di medaglione accompagnata dalla scritta “Der Göttliche Raphael” (il divino Raffaello). Già Lavater aveva dedicato un ventennio prima particolare riguardo al volto del maestro urbinate nei suoi Physiognomische Fragmente (Frammenti di fisiognomica, 1774-1778), definendo questo pittore «un uomo apostolico» e sottolineandone il carattere sublime, già deducibile dalla dolcezza del viso.4 1 Cfr. l’apparato di recensioni pubblicate nella HKA I, pp. 418-437, con particolare riferimento alle Effusioni alle pp. 418-429. 2 G. Sauder, “Empfindsamkeit und Frühromantik”, in Die literarische Frühromantik, hrsg. von S. Vietta, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1983, p. 96. 3 D. Kemper, Sprache der Dichtung, cit., p. 154 e segg. 4 J.C. Lavater, Physiognomische Fragmente, zur Beförderung der Menschenkenntniß und Menschenliebe. Dritter Versuch. Mit vielen Kupfern, Leipzig und Winterthur, Weidmanns Erben und Reich, und Heinrich Steiner und Compagnie 1777, Bd. III, p. 58.

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Secondo Lavater, l’armonia dei suoi tratti non poteva che trovare corrispondenza «nella proporzione, nella forma principale, nelle superfici e noi contorni» delle sue figure, aggiungendo un quid di eccellenza al concetto winckelmanniano di nobile semplicità e quieta grandezza delle opere d’arte greche: l’elemento “umano” e “intimo”.5 Anche Wackenroder, mentore il Vasari con le sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, di cui trascrive sapientemente alcuni brani utilizzando l’edizione del 1759 e poi li interpola nelle Effusioni, coglie finemente le peculiarità caratteriali degli artisti e in virtù di queste motiva le loro scelte di soggetto, di atmosfera e di tecnica, vivacizzando anche, grazie al cospicuo intervento nel testo da parte dell’amico Tieck, il viaggio attraverso le cronache del tempo passato per mezzo dell’inserimento di lettere scambiate tra gli apprendisti pittori e i loro maestri, così come di carteggi intrattenuti dai primi fra loro. Il fatto che l’opera si concluda con un testo di Wackenroder dedicato a un passato più recente di cui è protagonista un tormentato musicista di nome Joseph Berglinger, ha indotto alcuni, fin dall’epoca della prima pubblicazione, a scorporare questo racconto dalla struttura complessiva dell’opera, complice il fatto che essa non presenta agganci con figure ed eventi specificamente documentati sul piano storico. Esiste dunque un’ampia ricezione del tema musicale nelle Effusioni, giacché, come riconosce anche Enrico Fubini nella sua Estetica musicale dal Settecento a oggi, a quest’arte Wackenroder riconosce il ruolo di “linguaggio privilegiato”: «Ciò che non si può esprimere attraverso il linguaggio comune, trova espressione diretta nel linguaggio dei suoni, linguaggio quindi assolutamente concettuale, e in ciò sta il suo privilegio. Esso è del tutto libero da qualsiasi contatto con la materia. La tecnica vi ha un ruolo solo secondario, materiale, ciò che più conta è il contenuto ineffabile, l’anima, il sentimento […] La musica è il sentimento stesso […] il linguaggio ci può enumerare tutti i mutamenti di un fiume che scorre; la musica ci dà il fiume stesso; il fiume può evidentemente simboleggiare l’animo umano».6 Con ciò siamo ritornati alla metafora acquatica o fluida, di cui si parlava precedentemente. Oltre a numerosi fattori di novità che si riscontrano in questo testo, riconosciuto come il primo manifesto della Frühromantik, assume un particolare rilievo la perorazione del monaco a favore dell’antica 5

Ibid. E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, Torino, Einaudi, 20014, p. 118. 6

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arte pittorica tedesca del XV-XVI secolo, fiorita a Norimberga, che non avrebbe avuto a suo parere nulla da invidiare a quella rinascimentale italiana, pur essendo sorta da presupposti completamente diversi e per questo, appunto, mostrandosi “originale”. Se il nome di Raffaello compare in undici sezioni dell’opera, la posizione centrale dell’Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer occupata nel testo è la prova che l’onore che gli viene tributato non è inferiore a quello riservato a Raffaello. Come Raffaello, anche Dürer conduce una vita semplice e devota, anche se i soggetti preferiti dal primo riflettono in maniera inequivocabile la sua vicinanza alla religione, mentre Dürer inclina a mostrare personaggi scelti dalla vita di tutti giorni in quanto umili rappresentanti del popolo. Prendendo spunto dalle riflessioni sul ruolo dell’artista moderno nelle Effusioni, il parametro secondo il quale il monaco stila una propria graduatoria di preferenze nel mondo dell’arte rinascimentale ha poco a che vedere con lo studio della forma e delle proporzioni, con la scelta coloristica o di tratto, così come con la definizione prospettica dettata dalle convenzioni del Rinascimento, ma piuttosto con l’ideale che egli coltiva di un’unione perfetta tra creatività artistica e pietà cristiana, sostenuta da un’ispirazione divina.7 Winckelmann aveva recepito da parte sua l’equazione “AntichiRaffaello”, suggerita in particolare dal Dubos nello studio Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture (Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, 1719), in cui il francese aveva dedicato una sezione al maestro urbinate dandole il titolo eloquente di En quel sens on peut dire que la nature se soit enrichie depuis Raphäel (In quale senso si può dire che la natura si sia arricchita a partire da Raffaello). Nella Geschichte der Kunst des Alterthums (Storia dell’arte nell’antichità), Winckelmann compie ancora una distinzione fra la grandezza degli artisti italiani che, grazie alla loro presenza su un territorio che è stato culla della maestria greco-romana, avevano potuto conseguire un ingegno figurativo impensabile per altri Paesi europei, e la maestria di un Holbein e di un Dürer. Gli Inglesi e i Francesi vengono invece menzionati qui come popoli privi di esempi tanto nobili da poter essere citati in una storia dell’arte del mondo antico.8 7 Cfr. J. Ellis, Joseph Berglinger in Perspective. A Contribution to the Understanding of the Problematic Modern Artist in Wackenroder/Tieck’s “Herzensergiessungen eines kunstliebenden Klosterbruders”, Bern [et al.], Peter Lang, 1985. 8 J.J. Winckelmann, Geschichte der Kunst des Alterthums, Erster Theil (Untersuchung der Kunst nach dem Wesen derselben), Erstes Capitel: Von dem Ursprunge der Kunst, und den Ursachen ihrer Verschiedenheit unter vielen Völkern (Origine dell’arte e cause della sua diversità presso i vari popoli), in der Waltherischen

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L’operazione culturale di Winckelmann è palesemente antitetica a quella italocentrica di Vasari e si limita ad aprire la strada a un encomio dell’arte rinascimentale tedesca, senza riconoscerle vera autonomia. Wackenroder e Tieck fanno un passo ulteriore in direzione di una restituzione del rango dovuto all’arte del proprio Paese. Su questo punto li ha sensibilizzati Dominicus Fiorillo, professore di storia dell’arte attivo a Gottinga e mentore dei due scrittori durante il loro soggiorno nella città all’epoca degli studi universitari. Nel secondo volume della Geschichte der zeichnenden Künste in Deutschland und den vereinigten Niederlanden (Storia delle arti del disegno in Germania e nei Paesi Bassi), pubblicato nel 1817, Fiorillo dedica un interessante medaglione biografico al maestro di Norimberga, lodandolo per l’«universalità del suo spirito» e mostrando come non solo l’arte pittorica tedesca abbia trovato in quella italiana un modello di riferimento, ma come molti pittori italiani abbiano appreso da Dürer l’arte del panneggio, a partire da Andrea del Sarto.9 L’orgoglio per la scuola rinascimentale tedesca, in cui fiorirono geni come Dürer per le arti figurative e Hans Sachs per la poesia, spazza via ogni forma di invidia o di rimpianto per il fatto di non essere figli del suolo esperio: «Vi stupite ancora e mi guardate, voi uomini di poco cuore e di poca fede? Oh, certo che li conosco, i boschi di mirto dell’Italia, eccome se conosco l’ardore celeste che divampa nell’animo entusiasta degli uomini del felice Sud; perché dunque mi richiamate là, dove sempre dimorano i pensieri dell’anima mia, ove si trova la Patria delle ore più belle della mia vita? Voi, che vedete ovunque confini, anche là dove non ve ne sono? Non stanno Roma e la Germania sulla stessa terra? […] E sono le Alpi insormontabili? – Ebbene, deve dunque poter vivere anche più di un amore nel petto dell’uomo».10 È a partire da questo auspicio, così profondamente coltivato nell’intimo, che il monaco racconta di aver sempre manifestato, fin dalla giovinezza, la propria inclinazione nei confronti di Dürer, prendendo su di sé il biasimo di chi va Hof-Buchhandlung, Dresden, 1764, p. 29 (trad. it., Storia dell’arte nell’antichità, a cura di M.L. Pampaloni, con uno scritto di E. Pontiggia, Milano, SE, 1990, p. 44). 9 D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste in Deutschland und den vereinigten Niederlanden, Bd. II. Nachdr. der Ausgabe Hannover, Olms, Hildesheim, 1997 (ed. or. 1817), pp. 339-363, cit., p. 339 (trad. it., S.A. Meyer, La Storia delle Arti nel Disegno (1798-1820) di Johann Dominicus Fiorillo, con un’antologia di scritti. Presentazione di O. Rossi Pinelli, Sez. III: Biografie di pittori del Rinascimento – Albrecht Dürer, San Giorgio di Piano (BO), Minerva Edizioni, 2001, pp. 220-236., cit., p. 220). 10 Cfr. Effusioni, p. 177.

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contro la corrente dell’opinione generale. Uno dei momenti più intensi dei ricordi del monaco si lega, appunto, al sogno che lo occupa una notte, quando gli sembra di percorrere una galleria di quadri e al pallido chiarore della fiaccola di vedere Raffaello e Dürer tenersi per mano, mentre commentano, come buoni amici, il risultato delle loro fatiche. Le voci dei contemporanei di Wackenroder e Tieck. Con un excursus sul romanzo Franz Sternbalds Wanderungen Come si è accennato all’inizio, le reazioni alla pubblicazione delle Effusioni sono accumunate da una forte percezione, che talora rasenta l’irritazione, dell’atteggiamento estatico e devozionale al cospetto all’arte dei grandi maestri e dagli interrogativi generati dalla scelta dell’autore di affidare alla figura di un monaco la funzione di mediare tra passato e presente. Solo pochi recensori, meno attenti al dettaglio e più consci del ruolo epocale che quest’opera poteva svolgere come testimone di un tempo in cui la passione per l’arte si mescola allo scetticismo che ne accompagna le trasformazioni, vi hanno colto la modernità del discorso estetico. In questo è auspicato il connubio tra il portato spirituale dell’arte e quello di una religione che deve riformulare la propria dottrina nella cornice del tardo-illuminismo. August Wilhelm Schlegel pubblica, ad esempio, il proprio commento sull’opera sul n. 46 della Allgemeine Literatur-Zeitung del 10 febbraio del 1797, evidenziando quanto segue: «Per quanto i liberi giochi della fantasia in cui consiste il godimento dell’arte sembrano essenzialmente diversi da quella devozione (Andacht), che pretende una contrita abnegazione e contemporaneamente un istantaneo superamento della dimensione terrena, è innegabile, d’altra parte, che l’arte moderna nel suo rinascere e nella sua fase più alta fosse strettamente unita alla religione. È come se un impulso religioso dovesse continuamente stimolare e definire l’aspirazione dell’artista a interpretare le idee di nature superiori in forme umane […]. Se noi, seguendo la sollecitazione a che l’osservatore si cali nel mondo del poeta e dell’artista, concediamo pure ai sogni mitologici dell’antichità la loro essenza eterea, perché non dovremmo partecipare ai racconti e agli usi cristiani che ci sono altrimenti quanto mai ignoti?».11 11

A.W. Schlegel, Recensione a Herzensergießungen eines kunstliebenden Klosterbruders, in Allgemeine Literatur-Zeitung, n. 46, 1797 (10 febbraio), pp. 361365; cfr. HKA, I, pp. 418-423, cit., p. 419.

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Senz’altro miope si dimostra invece il recensore anonimo della Neue nürnbergische gelehrte Zeitung del 7 febbraio 1797, che non lesina rettifiche a quanto viene asserito sulla vita di Dürer, tra cui il fatto che costui non avrebbe mai incontrato personalmente Michelangelo o Raffaello, giacché nel 1500 si trovava a Venezia e non proseguì oltre Bologna.12 Per quanto riguarda il temuto parere di Goethe a proposito dell’opera, egli fu uno dei primi a esserne creduto l’autore, fin quando Tieck non esplicitò nel 1798 la duplice paternità del testo. Kemper ha ricostruito secondo tre tappe lo sviluppo del rapporto di Goethe con le Effusioni e con i suoi autori, sottolineando che – diversamente da quanto hanno fatto alcuni germanisti come Richard Benz e Martin Bollacher – non si può parlare di “avversione” del genio weimariano per gli assunti teorici di Wackenroder, ma di una maggiore diffidenza, piuttosto, verso Tieck e in generale verso il Romanticismo quale minaccia per il programma filo-classicista esplicitato dai Weimarische Kunstfreunde (Goethe, Meyer e Wolf).13 Basti pensare al fatto che Tieck è l’autore di quel Brief eines jungen deutschen Mahlers in Rom an seinen Freund in Nürnberg (Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga) che esplicita la conversione alla religione cattolica di un allievo di Dürer, il quale una volta giunto a Roma, in occasione di una messa organizzata al Pantheon, si sente chiamato ad abbracciare la «nuova dottrina», confortato dall’amore di una credente italiana di nome Maria e dal suono dolcissimo della musica sacra. Goethe ritenne Tieck responsabile di aver diffuso un nuovo credo servendosi dell’insidioso mezzo della Kunstreligion che Wackenroder gli aveva suggerito, e di aver fatto proseliti persino tra i suoi amici; infatti, nel 1804, i fratelli Riepenhausen si convertirono a Santa Romana Chiesa,14 seguiti da uno stuolo di altri illustri personaggi, tra cui spicca Friedrich Schlegel. Certo, Tieck mostrò alcuni anni dopo di aver preso distanza dalla Lettera in questione, facendo credere nell’edizione del 1814 delle Fantasie sull’arte che fosse opera dell’amico scomparso e con ciò addossandogli anche il peso di tutte le polemiche che questa pia rappresentazione di fervore religioso aveva suscitato. Nel frat12 Anonimo, Recensione a Herzensergießungen, in Neue nürnbergische gelehrte Zeitung, 11 Stück, 1797 (7 febbraio), pp. 81-87; cfr. HKA, I, pp. 413417. 13 D. Kemper, “Goethe, Wackenroder und das ‘Klosterbrudrisirende, Sternbaldisirende’ Unwesen”, in Jahrbuch des freien deutschen Hochstifts, 1993, pp. 148-168, cit., p. 158. 14 Ibid.

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tempo si è inclini a ritenere che Wackenroder, battezzato con il rito evangelico, dato il contesto famigliare liberale e le sue frequentazioni di Reichardt fosse in realtà «un protestante illuminato o addirittura un deista».15 Per quanto riguarda Friedrich Schlegel, insieme con il fratello August Wilhelm colse l’occasione a più riprese per dialogare più o meno esplicitamente con i fondatori del nuovo pensiero sull’arte nella rivista Athenaeum, che uscì in sei fascicoli tra il 1798 e il 1800. Un primo cenno di questo riferimento è presente nel frammento 178 della raccolta di frammenti pubblicata nel secondo fascicolo, nel mese di luglio 1798, la cui paternità è di August Wilhelm: «Se qualcosa della pittura tedesca possa mai arrivare ad essere esposto nel vestibolo del tempio di Raffaello, Albrecht Dürer e Holbein hanno sicuramente più diritto di accostarsi al santuario che non l’erudito Mengs».16 Con questa considerazione, August Wilhelm voleva ribadire il fatto che la tradizione del canone rinascimentale tedesco doveva potersi evolvere in epoca moderna secondo principi alternativi a quelli dell’imitazione del modello raffaellesco (di cui Mengs era emulo) e contemplare la concorrenza di stilemi formali che, nell’epoca in cui Raffaello era attivo, si erano mostrati in altre parti dell’Europa. In un frammento successivo, il 418, Friedrich Schlegel coglie invece l’occasione per criticare le debolezze del William Lovell di Tieck da un punto di vista strutturale, mentre loda il tono e la maniera delle Franz Sternbalds Wanderungen (I pellegrinaggi di Franz Sternbald), plasmate secondo gli ideali romantici di Wackenroder. Lo Sternbald, scrive Friedrich Schlegel, «unisce la serietà e lo slancio del Lovell alla religiosità artistica del Klosterbruder».17 In effetti, è difficile pensare alle Effusioni di cuore senza creare un collegamento con il romanzo di Tieck, I pellegrinaggi di Franz Sternbald, che fu pubblicato nel 1798, dunque a breve distanza dalla morte di Wackenroder, e che calamitò l’attenzione della critica per il suo carattere disorganico, ma soprattutto per l’atmosfera rarefatta che regna nelle sue pagine. Questo romanzo rappresenta sia per le 15 R. Littlejohns, “Humanistische Ästhetik? Kultureller Relativismus in Wackenroders Herzensergießungen”, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, 6, 1996, pp. 109-124, cit., p. 112. 16 Athenaeum. Eine Zeitschrift von August Wilhelm Schlegel und Friedrich Schlegel. Ersten Bandes Zweytes Stück, Friedrich Vieweg dem älteren, Berlin, 1798, p. 222 (trad. it., «Athenaeum» [1798-1800]. Tutti i fascicoli della rivista di August Wilhelm Schlegel e Friedrich Schlegel, a cura di G. Cusatelli, E. Agazzi e D. Mazza, postfazione di E. Lio, Milano, Bompiani, 20092, p. 176). 17 Ibid., pp. 304-305 (trad. it., p. 217).

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scelte tematiche, sia per l’ambientazione rinascimentale (l’anno di riferimento è il 1521), un pendant alle Effusioni e non è perciò casuale che il protagonista sia un giovane pittore in cerca di fortuna, pronto a lasciare la sua Norimberga per dirigersi alla volta di Roma, passando per l’Olanda a visitare Lucas van Leyden e transitando da Anversa. La Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga di Tieck, pubblicata nelle Effusioni, ne costituisce il nucleo fondante. Il commento allo Sternbald di Alfred Anger, che risale al 1966, ma che resta il punto di partenza per affrontare questo testo complesso, non fa mistero delle perplessità e dell’irritazione che l’opera produsse nei lettori contemporanei e che continuò a riverberare nella successiva ricezione.18 Goethe la ricusò completamente, sebbene non si possa negare che egli avesse contribuito non poco, con il suo Meister, a consolidare il genere del romanzo di formazione con il supporto di un ductus narrativo a tratti impervio e di una trama complessa.19 Un’altra opera che quasi certamente influenzò l’immaginario di Tieck per l’ambientazione rinascimentale italiana fu il romanzo di Wilhelm Heinse, Ardinghello und die glückseeligen Inseln. Eine Italiänische Geschichte aus dem sechzehnten Jahrhundert (Ardinghello o le isole Felici. Una storia italiana del Cinquecento, 1787).20 Resta fermo, per Anger, il fatto che si tratta di un romanzo “provocante” nello stile e nel contenuto e che lo spirito inquieto che lo domina è da attribuirsi al «rapporto distorto con la realtà»21 che connota gli anni giovanili di Tieck. Si trova a più tratti, e soprattutto nell’incipit dell’opera, laddove si parla dell’amicizia fra Franz e Sebastian, la riproduzione delle dinamiche affettive instauratesi al tempo della loro separazione nel periodo degli studi universitari tra lo scrittore, allora venticinquenne, 18 L. Tieck, Franz Sternbalds Wanderungen. Studienausgabe, hrsg. von Alfred Anger, Stuttgart, Reclam, 20073, pp. 545-549 della postfazione. 19 Manfred Engel disconosce allo Sternbald lo statuto di Bildungsroman, argomentando che questo, come altri dell’epoca, sarebbero disinteressati allo sviluppo psicologico dell’individuo, mentre si concentrerebbero piuttosto sull’«immagine simbolica di una prospettiva del mondo, in cui è superato il disincanto della realtà di stampo illuminista e in cui io e mondo sono riconciliati tra loro»; in alternativa, Engel propone per lo Sternbald la definizione di Transzendentalroman. M. Engel, “Frühe Romane: ‘William Lovell und Franz Sternbald Wanderungen’”, in Ludwig Tieck. Leben-Werk-Wirkung, hrsg. von C. Stockinger und S. Scherer, BerlinBoston, De Gruyter, 2011, pp. 515-532, cit., p. 529. 20 W. Heinse, Ardinghello und die glückseeligen Inseln. Eine Italiänische Geschichte aus dem sechszehnten Jahrhundert, Lemgo, Meyer, 1787; (trad.it., Ardinghello o le isole Felici. Una storia italiana del Cinquecento, a cura di L. Gabetti, Bari, De Donato, 1969). 21 Postfazione di Anger alle Franz Sternbalds Wanderungen, cit., p. 550.

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e l’amico Wackenroder. Evidente è poi l’inclinazione del giovane a scegliere ambientazioni storiche di costume, tra cui solitamente quelle predilette nella prima fase della sua carriera sono soprattutto di carattere medievale e orientaleggiante. Il Rinascimento è caro a Tieck in ogni sua forma, non da ultimo per i suoi intensi studi della drammaturgia shakespeariana e di quella che precede l’opera del grande maestro inglese, come è possibile constatare sulla base del carteggio22 e delle numerose traduzioni dall’inglese che egli intraprese nel corso degli anni. Per quanto lo Sternbald si dimostri ricco di spunti di riflessione etico-morali, mutuati da pensieri già esplicitati nel wackenroderiano Einige Worte über Allgemeinheit, Toleranz und Menschenliebe in der Kunst (Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte), fino a tempi più recenti non è stato colto fino in fondo quanto esso rifletta la coscienza storica del proprio tempo in relazione all’imminente svolta tra XVIII e XIX secolo, gravida di incognite. Uno dei temi ricorrenti dell’opera consiste nel rapporto tra il mondo dei padri e quello dei figli, che porta il segno dei mutamenti delle relazioni sociali in uno scorcio di fine secolo ricco di trasformazioni e che è intrecciato, in questo romanzo rimasto privo di una effettiva conclusione, con la ricerca del vero padre da parte del protagonista.23 In questa dinamica ha un suo peso la circostanza che il maestro del giovane artista sia un Dürer cinquantenne, dai modi decisamente rassicuranti e prodigo di saggezza, e che in vari punti del romanzo anziani e bambini costituiscano la cornice delle esperienze di Sternbald. La scelta di ambientare le esperienze dell’artista nell’anno successivo alla morte di Raffaello può essere spiegata, invece, da un lato come lo sforzo di far pesare il piatto della bilancia, tra Italia e Germania, dalla parte dell’arte nazionale tedesca, considerando invece la presenza del maestro urbinate come una sorta di faro invisibile all’orizzonte del soggiorno italiano di Franz,24 dall’altro come un omaggio a Wackenroder, 22

Cfr. Carteggio, p. 733. K. Feilchenfeldt, “‘Franz Sternbalds Wanderungen’ als Roman der Jahrhundertwende 1800”, in “lasst uns, da es uns vergönnt ist, vernünftig seyn! –” Ludwig Tieck (1773-1853), hrsg. vom Institut für deutsche Literatur der Humboldt-Universität zu Berlin, unter Mitarbeit von Heidrun Markert, Bern [et al.], Peter Lang, 2004, pp. 163-177, cit., p. 167 e segg. 24 In una tela di Gianfrancesco Penni del 1524 si può ammirare un san Luca, protettore degli artisti, mentre è intento a dipingere l’immagine di una Madonna in presenza di Raffaello, che appare sullo sfondo in penombra; sulla tradizione pittorica, che da questo dipinto conduce al ruolo svolto da Raffaello per la Kunstreligion cfr. I. Egger, “Konkurrenz der Bilder. Hagiographischer Diskurs, neuplatonische Idee, romantische Kunstreligion, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, 20, 2010, pp. 43-64. 23

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che da poco aveva preso commiato dal mondo, così come Raffaello, negli anni migliori. Se il romanzo è prodigo di registrazioni dell’avvicendarsi ciclico dei momenti del giorno e delle stagioni, al quale si intreccia strettamente l’umore del protagonista, e se nella ricapitolazione favorita dal carteggio tra Franz e Sebastian si configura il meccanismo della ripetizione degli eventi vissuti dal giovane pittore, non sfugge a lettori severi come Goethe il carattere rigido del tessuto narrativo e l’eccesso di retorica che si accompagna alle esperienze positive e negative. Caroline Schlegel – riportando le impressioni di Goethe a Friedrich Schlegel – definisce il ductus dell’opera come «un meticoloso alternarsi di umori e di sensazioni, presentato in modo pedante».25 Rudolf Köpke è stato il primo biografo a fornire un documentato profilo della vita di Ludwig Tieck e nel suo lavoro dal titolo Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen (Ludwig Tieck. Ricordi relativi alla vita dello scrittore raccolti sulla base delle sue relazioni orali e scritte, 1855) riporta alcune riflessioni che, con beneficio di inventario, Tieck doveva avergli comunicato in relazione al periodo immediatamente successivo alla pubblicazione dello Sternbald: «Non si può immaginare come mi sia trovato isolato con i pensieri e con i sentimenti che ho espresso nello Sternbald, e non solo al cospetto degli illuministi berlinesi, ma anche di alcuni miei amici; ad esempio, gli Schlegel non erano affatto d’accordo con la mia posizione. Anche costoro erano completamente occupati dal cosmopolitismo che regnava a quel tempo. Non sono mai riuscito a convincermi della giustezza di questa prospettiva; per me la patria veniva prima di tutto ed era il massimo punto di riferimento. Volevo restituire il dovuto onore alla sua vita e alla sua arte, al suo modo antico, semplice e sincero, di cui ci si prendeva gioco, e rappresentare tutto questo nello Sternbald. Mi sono sempre rammaricato del fatto di non aver proseguito la stesura dello Sternbald; nella seconda parte avrebbe dovuto svilupparsi in maniera ancor più significativa l’intima essenza della vita tedesca».26 Tieck raccontò in un primo momento che lo Sternbald non era stato semplicemente concepito durante i lunghi colloqui con Wackenroder come una sorta di “derivato” delle Effusioni e di suo prodotto narrativo, ma che Wackenroder era intento a rivedere e a modificare 25 Caroline Schlegel an Friedrich Schlegel, am 14. und 15. Oktober 1798 (Dokumente und zeitgenössische Urteile), in L. Tieck, Franz Sternbalds Wanderungen, pp. 506-507, cit., p. 507. 26 R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, 2 Theile, Leipzig, Brockhaus, 1855, zweiter Theil, p. 171 e segg.

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alcuni capitoli, quando la morte lo sopraffece improvvisamente. Questo è d’altronde quello che si evince dal Poscritto di Tieck indirizzato ai lettori in chiusa alla prima parte del romanzo.27 Molti anni dopo, nel Poscritto all’edizione del 1843, Tieck cambiò questa versione esplicitando quanto segue: «Dalla breve postfazione che misi in chiusura della prima parte del libro durante i miei anni giovanili, molti lettori hanno supposto che il mio amico Wackenroder avesse effettivamente partecipato in parte alla stesura. Non è così. Così come si presenta, è tutto frutto del mio lavoro, nonostante qua e là echeggi la voce del monaco. Nel periodo in cui vi stavo lavorando, il mio amico era già mortalmente malato».28 Forse dobbiamo dar ragione a chi ha osservato che l’opera di Tieck, pregna di un ottimismo che caratterizza anche il tratto sperimentale del movimento della Frühromantik, non fu mai ultimata perché troppo breve fu la stagione di questo movimento letterario.29 La “Kunstreligion” La codificazione del concetto di Kunstreligion viene generalmente ricondotta al terzo discorso dedicato alla religione del teologo protestante Friedrich Schleiermacher, amico degli Schlegel e figura di spicco nel panorama della Frühromantik.30 Per quanto la prima stesura 27

L. Tieck, Franz Sternbalds Wanderungen, cit., pp. 191-192. Ibid., p. 501 (dalla postfazione all’edizione dello Sternbald del 1843, contenuta nelle Schriften, vol. XVI, p. 415 e segg.). 29 M. Engel, “Frühe Romane”, cit., p. 531. 30 Cfr. 200 Jahre “Reden über die Religion”. Akten des 1. Internationalen Kongresses der Schleiermacher-Gesellschaft (Halle, 14-17 März 1999), hrsg. von U. Barth und C.-D. Ostenhövener, Berlin, De Gruyter, 2000. Cfr. sullo specifico tema della Kunstreligion in relazione a Schleiermacher, H. Detering, “Was ist Kunstreligion? Systematische und historische Bemerkungen”, in Kunstreligion. Ein ästhetisches Konzept der Moderne in seiner historischen Entfaltung, Bd. 1. Der Ursprung des Konzepts um 1800, hrsg. von A. Meier, A. Costazza und G. Laudin, Berlin-New York, De Gruyter, 2011, pp. 11-27 e, nello stesso volume, la convincente analisi di Marco Rispoli sul rapporto diretto tra Kunstreligion e Religionskritik nell’opera di Wackenroder, con particolare riferimento alla passione musicale di Berglinger: M. Rispoli, “Kunstreligion und künstlerischer Atheismus. Zum Zusammenhang von Glaube und Skepsis am Beispiel Wilhelm Heinrich Wackenroders”, in Kunstreligion. Ein ästhetisches Konzept der Moderne, cit., pp. 115-133. Imprescindibile è l’ampio e dettagliato studio di B. Auerochs, Die Entstehung der Kunstreligion, Göttingen,Vandenhoeck und Ruprecht, 20092, e in particolare, per il presente lavoro, la sezione D, Messias im pluralis. Kunstreligion um 1800, pp. 362-512. 28

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delle Reden risalga al 1799, pubblicata in forma anonima (le successive sono del 1806 e del 1821), si attribuisce a questo riformatore dell’esegesi tradizionale dei testi sacri il merito di aver contemplato nuove forme di accesso alla dimensione divina rispetto a quello convenzionale della fede,31 in tempi in cui la crisi vocazionale si è manifestata, nella seconda metà del XVIII secolo, come l’espressione più tangibile del diffondersi del razionalismo illuminista. Tra esse assume un posto di rilievo una forma di sensibilità per la vita dell’universo che transita attraverso l’amore per le arti e per la poesia. Proprio nella terza Rede, che ha come tema l’educazione alla religione, Schleiermacher sostiene che in tempi passati la religione è scaturita perlopiù da una visione del mondo riferita al sistema celeste o alle manifestazioni della natura, ma che nondimeno l’arte ha contribuito a rendere più bella e spirituale ogni forma di pensiero divino.32 Pur ammettendo di non conoscere una “religione dell’arte” che abbia dominato le epoche trascorse, Schleiermacher constata che al momento presente «religione e arte stanno l’una accanto all’altra come due anime amiche, la cui intima parentela, per quanto da esse intuita, risulta loro ancora estranea».33 Poco dopo, il teologo si sofferma sullo stato di smarrimento in cui versano queste espressioni dell’anima, che pur appellandosi a parole amichevoli e a “effusioni del cuore” (Ergießungen des Herzens),34 non trovano sfogo ai loro afflati, così simili l’uno all’altro. Il suggerimento avanzato da Schleiermacher è di conciliare le tensioni positive che entrambe manifestano. La chiusa della sua Rede, in questo senso, è inequivocabile: «Intendete l’artista come colui che è dotato di forza e di spirito, spiegate a partire dalle opere più antiche quelle più recenti, e queste a partire da quelle. Facciamo in modo che il passato, il presente e il futuro siano collegati fra loro e che una galleria infinita delle più sublimi opere d’arte si rifletta per mezzo di migliaia di specchi lucenti».35 Schleiermacher va ben oltre il riconoscimento del fatto che l’arte possa essere un affidabile strumento posto al servizio della religione 31 Sul filo-spinozismo di Schleiermacher e sulla sua posizione anti-teistica nell’approccio con il divino cfr. J. Rohls, “Philosophie und Religion in Schleiermachers Entwicklung”, in Einheit der Romantik? Zur Transformation frühromantischer Konzepte im 19. Jahrhundert, Paderborn, Schöningh, 2009, pp. 189-215. 32 F. Schleiermacher, “Dritte Rede. Über die Bildung zur Religion”, in Id., Über die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Verächtern 1799/1806/1821, hrsg. von N. Peter, F. Bestebreurtje und A. Büsching, Zürich, Theologischer Verlag, 2012, pp. 128-151, cit., p. 148. 33 Ibid., p. 149. 34 Ibid. 35 Ibid., p. 151.

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per avvicinare l’uomo a Dio; egli vuole soprattutto ricondurre l’arte nell’alveo della Chiesa e aprire la Chiesa all’arte in quanto forma autonoma di esperienza. Il campo metaforico in cui muove i primi passi in questa direzione nell’incipit, è costituito da suggestioni musicali e pittoriche, mentre dice di aver accordato «la musica della sua religione» partendo dai toni più sommessi per raggiungere l’apice della sua ispirazione con un’armonia perfetta di suoni, pur senza raggiungere il cuore degli astanti,36 e ricordando che «le opere d’arte della religione sono esposte sempre e in ogni luogo».37 L’approccio teorico di Schleiermacher alla Kunstreligion è stato inteso dalla critica come un’ulteriore prova del fatto che uno dei nuclei fondativi della Frühromantik non avrebbe affatto il carattere filocattolico e conservatore che gli è stato attribuito nel corso del tempo; infatti esso si collega a una cultura protestante – di cui la stessa Norimberga era culla38 – rivolta al un concetto di universo cristiano scevro da dogmi e aperta all’idea che anche grazie all’arte si possa evocare l’ineffabile presenza del divino. La differenza fra la tradizionale devozione, che permette di incontrare Dio attraverso la preghiera, e quella determinata ad accedere al mistero del creato tramite l’arte, consiste nel fatto che quest’ultima cerca di cogliere il numinoso nell’arte dei grandi maestri come Raffaello e Dürer. Essi non sono solo il sublime attestato di capacità creative che consentono all’uomo di ascendere alle massime vette della spiritualità, ma anche un modello di probità da cui è necessario partire per aspirare ad un’elevazione. Non tanto l’artista e il suo talento sono, nella concezione di fondo della Effusioni e come ben dimostra in essa Der Schüler und Raphael (L’allievo e Raffaello), ciò che gli allievi che si avvicinano all’arte devono imitare, ma l’amore che promana dal genio artistico per aver raggiunto il perfetto connubio tra arte e religione. 36

Ibid., p. 128. Ibid., p. 132. 38 A questo proposito scrive il filosofo Manfred Frank: «Spesso si dimentica che le Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte (del 1797) non magnificano tanto la cattolica Franconia, quanto la Norimberga protestante e che contengono tra l’altro nell’VIII capitolo della prima sezione “Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte”, che sono assolutamente incompatibili con un fondamentalismo religioso, così come con il papismo». In questo saggio, Frank adduce molte prove circa il fatto che Wackenroder e Tieck non sarebbero stati orientati al cattolicesimo come Meyer, Goethe e altri avrebbero voluto far credere, citando ad esempio il testo satirico di Tieck, Der Autor (L’autore), in cui egli avrebbe fatto una parodia di Clemens Brentano e del suo fanatismo religioso; M. Frank, “Wie reaktionär war eigentlich die Frühromantik? (Elemente zur Aufstörung der Meinungsbildung)”, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, 7, 1997, pp. 141-166; per la cit. p. 153. 37

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Se dunque la Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga va ridimensionata nel suo assunto religioso, giacché la conversione nell’urbe eterna del giovane pittore di Norimberga è sostanzialmente volta a raggiungere una nuova comprensione dell’arte e avviene nel clima solenne di una funzione religiosa accompagnata da una «musica onnipotente»,39 certamente più pregnante per il significato della vera Kunstreligion è la condizione della devozione artistica indicata da Jacopo in Ein Brief des jungen Florentinischen Mahlers Antonio an seinen Freund Jacobo in Rom (Una lettera del giovane pittore fiorentino Antonio al suo amico Jacopo a Roma), che ormai possiamo reputare scritta da Tieck per le Effusioni e che costituisce il quinto testo dell’opera. Egli critica infatti il punto di vista di Antonio, che crede di aver raggiunto grazie alla felice esperienza dell’amore per una donna, le vette più alte della sua ispirazione artistica. Nella sua risposta indica chiaramente i vari stadi secondo i quali dovrebbe, invece, esplicitarsi la presenza dell’universale divino nel particolare delle opere artistiche e così dichiara: «L’artista deve rinvenire già in sé l’origine di qualsiasi bella opera d’arte, ma non deve ricercare faticosamente se stesso in quella; l’arte deve essere la sua amante soprannaturale, perché essa ha un’origine divina. Deve averla cara subito dopo la religione; deve diventare un amore religioso, o una religione amata, se così posso esprimermi: – ad essa deve poi certamente far seguito l’amore terreno».40 La frase qui evidenziata è quella intorno a cui ruota tutta la concezione spirituale della Kunstreligion. Prima di compiere una panoramica sugli altri testi che costituiscono il corpus delle Effusioni, è necessario sostare su quello di apertura, intitolato Raphaels Erscheinung (La visione di Raffaello) e scritto da Wackenroder. Wackenroder introduce questo testo includendovi un documento storico di grande rilievo per la storia dell’arte. Si tratta di una lettera spedita da Raffaello al Conte di Castiglione per raccontargli come si fosse manifestata in lui, interiormente, la presenza evocativa di un’idea che, in assenza di altri modelli terreni di “belle donne”, gli avrebbe consentito di completare un’immagine divina. L’episodio narrato si accompagna a una nota di rammarico del monaco, che lamenta il fatto che la maggior parte degli uomini non comprenda cosa sia e come sgorghi nella mente dell’artista l’ispirazione artistica. Lo scetticismo che deriva da questa incomprensione sarebbe frutto, specialmente, dell’inadeguatezza della lingua umana a esprimere l’ineffabile 39 40

Cfr. Effusioni, p. 227. Cfr. Effusioni, p. 141 (corsivi nostri).

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in quanto sublime manifestazione della suprema illuminazione. In questo modo, Wackenroder evidenzia la contraddizione tra la pretesa degli «scrittori saccenti» e dei cosiddetti «teorici e sistematici»41 di indottrinare i discenti sul modo di conseguire un obiettivo così alto, e l’oggettiva impraticabilità di questa via, tracciata per mezzo di strumenti umani inadeguati allo scopo. È a questo punto che il monaco legittima il proprio ruolo di mediatore tra passato e presente e tra mondo celeste e terreno, dichiarando quanto segue: «Mi ritengo fortunato per esser stato prescelto dal cielo a diffondere la sua gloria mediante una prova evidente dei suoi miracoli misconosciuti. Mi è così riuscito di innalzare un nuovo altare in onore di Dio».42 Con una significativa variazione rispetto al testo tramandato da Bellori che recitava «Mà essendo carestia e de i buoni giudicii, e di belle donne, io mi servo di certa idea, che mi viene alla mente», Wackenroder spiritualizza l’espressione “belle donne” con weibliche Bildungen (soggetti femminili di bell’aspetto), oblitera il riferimento alla “carestia di buoni giudici”, ma soprattutto sostituisce il termine “idea” con Bild im Geiste (immagine della mente) e quello di “mente” con Seele (anima). È stato giustamente notato che «Bild significa “forma” e, pertanto, contiene in sé l’idea del formare [bilden], del processo nella sua concretezza, ma anche “immagine” […]. Nel caso della visione di Raffaello, proprio perché di visione si tratta, il fattore “processo” perde importanza; la creatività paralizzata dell’artista viene soccorsa da un intervento divino che lascia a Raffaello solo la possibilità di riprodurre, quasi in trance, non un archetipo, che esigerebbe ancora una “traduzione” in una figura determinata e, dunque, finita, ma un’immagine che è nel contempo figura visibile e realtà spirituale (e perciò incorporea)».43 Come è noto, è stato un germanista italiano, Ladislao Mittner, a distogliere l’attenzione della critica dal riferimento alla Madonna come soggetto del dipinto in esecuzione, e a indirizzarla correttamente sulla pagana Galatea, soggetto del Trionfo dipinto da Raffaello nel 1511 per il Palazzo di Agostino Chigi. Questo sarebbe stato a sua detta il «primo e più rivoluzionario passo verso l’attuazione di una nuova estetica ed anche di una nuova mitologia cristiana opposte a quelle pagane o paganeggianti del classicismo settecentesco»,44 che ha indotto peraltro 41

Cfr. Effusioni, p. 107. Cfr. Effusioni, p. 109. 43 R. Bussa, Wackenroder: l’autore, l’opera, l’estetica, Torino, Trauben, 2009, pp. 68-69. 44 Cfr. L. Mittner, Wackenroder e Tieck: la formazione della sensibilità romantica, Venezia, Montuoro, 1944, p. 59 e L. Mittner, “Trionfi rinascimentali e misteri 42

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i successivi interpreti della letteratura della Frühromantik a modificare la prospettiva tradizionale posta alla base della ricezione del primo testo delle Effusioni.45 Nell’arte e nella natura deve dunque essere colta la traccia del divino, mentre la parola risulta svantaggiata nel compito di «attirar[e] giù verso il nostro animo»46 l’invisibile. A maggior ragione essa viene definita, nelle Effusioni e nelle Fantasie, o “morta lettera” o “geroglifico”, cui Wackenroder aggiunge l’aggettivo di “mostruoso” quando si tratta di comparare quest’ultimo con la celestiale lingua della musica. La «lingua delle parole» ci è stata data tuttavia da Dio per poter definire tutto ciò che ci circonda nel Creato ed ivi rinvenirvi la presenza dell’Altissimo. Con una semplice equazione, giacché il monaco onora in Dio il merito di aver donato all’uomo la natura che ci circonda, dichiara in Von zwey wunderbaren Sprachen, und deren geheimnißvoller Kraft (Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa) che se la lingua del cielo è solo di Dio, quella della natura – che è di per se stessa religione in quanto espressione della potenza celeste – e quella dell’arte, sono a disposizione dell’uomo, perché se ne serva per favorire una “meravigliosa simpatia” tra le cose del Creato. Notiamo però all’improvviso, leggendo questo saggio wackenroderiano, che il termine “geroglifico” riferito alla scrittura assume un’accezione positiva. Ciò accade in quanto nel geroglifico si annulla la differenza mediale tra scrittura e immagine e crea un corto circuito produttivo nella gerarchia dei valori che interessa queste due forme di espressione, in quanto si tratta di una «struttura segnica di carattere duale»,47 di cui anche Friedrich Schlegel sottolinea l’importanza per la fondazione di una nuova mitologia romantica.48 Il monaco avversa in generale la Buchstabensprache, perché in essa si attua una separazione dell’esperienza linguistica da quella corporea e romantici. Come Galatea fu trasformata in Madonna”, in Id., Ambivalenze romantiche. Studi sul Romanticismo tedesco, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, 1954, pp. 123-133. 45 Bernd Auerochs si dice insoddisfatto di questa inversione di rotta, nell’ottica di rimanere fedeli all’obbiettivo prioritario di Wackenroder di concentrarsi sull’approccio devozionale cristiano dell’artista, e non solo sul completamento di un’opera che guarda a miti del passato. Cfr. Bernd Auerochs, Die Entstehung der Kunstreligion, cit., p. 491, nota 505. 46 Cfr. Effusioni, p. 191. 47 W. Voßkamp, “‘Alles Sichtbare haftet am Unsichtbaren’. Bilder und Hieroglyphenschrift bei Wilhelm Heinrich Wackenroder, Ludwig Tieck und Friedrich von Hardenberg (Novalis)”, in Sichtbares und Sagbares. Text-Bild Verhältnisse, hrsg. von W. Voßkamp und B. Weingart, Köln, Dumont, 2005, pp. 25-45, cit., p. 26. 48 Ibid., p. 27.

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spirituale, giacché la prima è stata messa sotto la tutela della grammatica e ha perso il proprio carattere universale. Di questa lingua, peraltro, si servono i dotti e i critici per obliterare ogni elemento “emozionale” che entri a far parte del mondo umano, mentre per mezzo del loro idioma, che si accompagna sempre a una unilaterale visione del mondo, sono intenti a imporre al prossimo una loro visione delle cose. Il rimedio a questo malanno è stato suggerito in precedenza in Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte. Qui si teorizza, appunto, la necessità di riscoprire l’imparziale azione armonizzante di un’arte che, grazie al proprio carattere universale, supera le barriere linguistiche e geografiche e risolve le conflittualità di un mondo babilonicamente diviso, stemperandole in amore per la bellezza. Tacitamente, anche se in modo inequivocabile, il monaco si rivolge, per delegittimarla, all’idea winckelmanniana di “bello” che è stata fondata in tempi recenti su basi sistematiche ed è stata associata a un parametro morale che scaturisce per riflesso da condizioni socio-politiche e geografiche riferite a un momento di massima grandezza della civiltà greca.49 Segue una delle frasi cardinali delle Effusioni: «Chi crede a un sistema ha scacciato l’amore universale dal proprio cuore! È più sopportabile l’intolleranza del sentimento che quella dell’intelletto; la superstizione è meglio che la fede in un sistema».50 Il significato del termine Aberglaube ci costringe quasi univocamente a optare per la traduzione “superstizione”, anche se sarebbe meglio affidarsi, per maggiore fedeltà nei confronti dell’intenzione dell’autore, al concetto di “irrazionalità” nel senso di un dubbio che coinvolge la sfera spirituale dell’individuo. In questo compito dirimente per la comprensione di uno dei paradigmi della concezione 49 «Bellezza: una parola strana e meravigliosa! […] Ma da questa parola, “bellezza”, voi deducete, tramite gli artifici dell’intelletto, l’esistenza di un rigoroso sistema d’idee, e volete costringere tutti gli esseri umani a “sentire” secondo le vostre disposizioni e le vostre norme – ma voi stessi non siete capaci di “sentire” nulla!»; cfr., Effusioni, p. 173. Contemporaneamente, come ricorda Kemper, viene anche superata nelle Effusioni la diatriba ingaggiata da Lessing intorno al Laocoonte circa il primato delle arti (in quanto egli era sostenitore della forza espressiva della poesia contro la posizione di Winckelmann, che favoriva la scultura) giacché nella Cronaca dei pittori di Wackenroder sono evidentemente l’arte del disegno e quella pittorica ad aver la meglio sull’eloquenza della parola, se si pensa all’episodio che riguarda i due fratelli Carracci, Agostino e Annibale; cfr. Effusioni, pp. 245 e 247. 50 Cfr. Effusioni, p. 175. Sull’influenza del pensiero antirazionalista di Johann Georg Hamann, mediato dal maestro di cappella Reichardt presso Wackenroder e Tieck, cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung, cit., p. 45 e segg.

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frühromantisch wackenroderiana, ci giunge in aiuto Tieck, con il già menzionato L’immagine di Raffaello, il terzo testo delle Fantasie sull’arte. L’incipit recita: «Già più volte ho espresso, nei pensieri e ad alta voce, a te, caro volto, tutte le mie preoccupazioni, ti ho confidato la mia pena in ore molto dubbiose (abergläubische Stunden), e tu allora mi hai guardato come se mi conoscessi, come se tu mi capissi meglio degli amici che mi circondano».51 Il timore che un uso pavido, nonché strumentale, del conforto del soprannaturale possa offendere la sacralità di un rapporto con Dio, al quale possono aspirare in primis le anime celesti, è subito fugato dalla percezione della purezza con la quale il devoto cultore dell’arte traduce l’amore dell’Altissimo in un’«immagine interiore dell’anima» che ha un volto e un nome: quelli di Raffaello.52 Kemper ha dato un ulteriore impulso alla comprensione del succitato passo cardinale – «la superstizione è meglio che la fede in un sistema» – inglobandolo nella critica che Wackenroder muove all’inclinazione dell’Illuminismo razionalista ad applicare il sistema dei dogmi di fede nel contesto della filosofia contemporanea; spiega dunque che Wackenroder aveva invertito i termini di un pensiero di Pierre Bayle tratto dai Pensées diverses sur la Comète (Pensieri diversi sulla cometa, 1680) che recitava «L’ateismo, vale a dire, l’agnosticismo è meglio della superstizione», intendendo costui che ogni forma di cieca fede non poteva avere influenza sulla costituzione etica dello Stato e sulla interazione sociale dei cittadini. Con ciò Wackenroder trasformava la valenza del termine “superstizione” in una forma di libera spiritualità soggettiva che doveva prevalere sia contro le aggressioni del nichilismo ateista, sia contro il tentativo di classificare ogni forma di esperienza individuale secondo criteri di sistema.53 All’estrinsecazione del nocciolo costitutivo del concetto di creazione artistica, si aggiunge la particolare necessità di distinguere tra 51

Cfr. Fantasie, p. 397. «Questa è già in senso pieno una forma di secolarizzazione: l’inclinazione così come l’acquietamento nella fede sono svincolati dalla sfera teologico-religiosa e collocati diversamente nella sfera profana dell’estetico, dove non vengono più intesi, appunto, in senso teologico-religioso, ma con il loro portato originario di natura altamente semantica, devono semplicemente confermare e rendere più pregnante la dimensione estetica. Soltanto qui, con Tieck, si può parlare di Kunstreligion in senso stretto; in Wackenroder non avviene il superamento di questo confine; D. Kemper, “Wilhelm Heinrich Wackenroder”, in Romantik. Epoche – Autoren – Werke, hrsg. von W. Bunzel, Darmstadt, WBG, 2010, pp. 107-122, cit., p. 121. 53 D. Kemper, Sprache der Dichtung, cit., pp. 142-143. 52

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le diverse forme di Begeisterung – un termine che oscilla tra l’idea della superiore ispirazione e dell’entusiasmo – di cui danno conto le cronache delle vite degli altri artisti che si affacciano nelle Effusioni. Essendosi esaurita, nella sua funzione dirimente, la legge del “bello” classicista, il racconto che concerne le esperienze di Francesco Francia, Leonardo da Vinci, Piero di Cosimo e Michelangelo devono essere pensate dal punto di vista della Charakteristik, come stretto intreccio di vita e opera. Friedrich Schlegel sperimenta questo nuovo tipo di biografia dell’artista, dedicando in particolare un profilo al Meister di Goethe,54 oltre che a Forster e a Lessing. La Charakteristik si può dunque definire come insieme di biografia artistica, interpretazione dell’opera e schizzo del profilo psicologico, in cui viene affrontato anche il problema dell’influenza dell’autore sulla propria epoca, in modo che il portato del discorso si estenda dal momento contingente a quello immanente. Nella Charakteristik si coglie a tutto tondo l’umanità di un artista, il cui spessore etico-morale è nel frattempo scomparso dietro l’evidenza del manufatto artistico e obliato nello scorrere dei secoli. «Le anime degli uomini sono così infinitamente varie…». Francesco Francia, Leonardo da Vinci, Piero di Cosimo e Michelangelo Da quanto detto finora, potrebbe sorgere l’impressione che la grandezza artistica, per Wackenroder, possa accontentarsi della rappresentanza di pochi eletti come Raffaello o Dürer o che quasi esclusivamente i soggetti sacri prescelti dall’artista possano determinare una produttiva alchimia tra artefice ed opera, atta a raggiungere le massime vette dell’esperienza creatrice. In realtà, nelle Effusioni questa prospettiva unilaterale viene mitigata con decisione grazie al coinvolgimento, nella rievocazione del passato splendore pittorico, di altre quattro grandi personalità dell’arte rinascimentale italiana. Nel caso dell’episodio dedicato a Francesco Francia nel terzo testo delle Effusioni non viene sostanzialmente eluso lo schema maestrodiscente che già si conosce in riferimento a Raffaello e a Dürer e agli aspiranti artisti che li circondano. Tuttavia, la differenza è che in questo caso il rapporto a distanza tra il maestro bolognese, che è fra l’altro ricordato per aver dipinto il Matrimonio di S. Cecilia e la Sepoltura di S. Cecilia (1504-1506), e il divino Raffaello, è di natura antagonisti54 Cfr. Fr. Schlegel, “Über Goethes Meister”, in Athenaeum. Eine Zeitschrift, cit., Ersten Bandes Zweytes Stück, pp. 147-178 (trad. it, «Athenaeum» [17981800], cit., pp. 247-265).

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ca e non emulatrice, almeno nella prima parte della parabola che lo concerne. Il monaco presenta il Francia come un artista conscio delle proprie capacità e indirizzato a migliorarsi continuamente, soprattutto allo scopo di prendere commiato dall’iniziale mestiere di orafo, per diventare pittore. Il talento di cui è dotato, e l’“operosità infaticabile” che lo distingue, si traducono in un’insana forma di hybris quando la sorte vuole che egli possa intervenire, su precisa richiesta di Raffaello, a “correggere” eventuali errori o sviste rilevate nella sua tela Estasi di S. Cecilia, che il papato ha disposto che sia inviata a Bologna. L’umiltà con cui Raffaello si dispone nei confronti del collega riempie d’un cieco orgoglio il Francia, ne esaspera lo slancio titanico e lo condanna, infine, a precipitare dalle vette della fragile struttura psicologica su cui si basava il suo terribile spirito di competizione. Il momento della rivelazione del carattere assolutamente impari del confronto, di cui il monaco dà conto, è come una folgorazione sulla via di Damasco: «Ma come potrei descrivere alla gente di oggi le sensazioni che indussero quell’uomo straordinario, alla vista di quel dipinto, a sentirsi strappare l’anima? Si sentiva come chi volesse abbracciare, pieno di entusiasmo, un fratello lontano e non più visto dall’infanzia e, al suo posto, vedesse improvvisamente comparire davanti ai propri occhi l’angelo della luce».55 Il titolo della cronaca dedicata al Francia, che mette in primo piano la sua “singolare morte”, punta da un lato a evidenziare il carattere insolito della fine dell’artista, il quale, nella versione di Wackenroder, non muore per veleno come vorrebbe il Malvasia,56 bensì di crepacuore, in modo che gli sia concessa perlomeno una pietosa riabilitazione morale; dall’altro lato, programmaticamente, consente di spezzare una lancia contro quegli spiriti increduli («posterità degenerata» è l’espressione che viene usata nel testo) che non ammettono altre forme di illuminazione che non siano quelle dettate dalla 55 Cfr. Effusioni, p. 125. Rifacendoci al saggio di Irmgard Egger, “Konkurrenz der Bilder”, apprendiamo che il motivo di un san Luca ispirato, che realizza un dipinto con soggetto mariano, subisce una sostituzione della figura ispiratrice sullo sfondo, che nella tela di Penni del 1524 era ancora Raffaello, nel quadro di Guercino, San Luca ritrae la Vergine (1652/53), giacché al posto dell’artista troviamo la figura di un angelo; I. Egger, “Konkurrenz der Bilder”, cit., p. 49 e segg. e app. delle immagini, p. 63. 56 Il Vasari espone principalmente l’ipotesi di una morte per dolore e malinconia (Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, scritte da Giorgio Vasari, pittore e architetto aretino, corrette da molti errori e illustrate con note, Tomo primo, Roma, Pagliarini, 17592, p. 486) e riferisce che altri ritengono che il Francia sia stato avvelenato. Il Malvasia fu uno tra quelli che optarono per questa seconda ipotesi; C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, 2 Tomi, Bologna, erede Domenico Barbieri – Giovanni Francesco Davico, 1678.

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ragione e che dunque rifiutano l’idea che di arte si possa morire in un atto di estremo sacrificio.57 Una vita altrettanto dedicata all’arte, ma anche ad altre forme di esperienza creatrice, è invece quella di Leonardo da Vinci, che sembra contrapposta – come il giorno alla notte – a quella del Francia. Vediamo qui all’opera il talento polivalente di un uomo che, dichiarato come iniziatore della scuola fiorentina, ha la fortuna di attingere alle nozioni della sacra triade delle arti figurative (pittura, scultura e architettura) grazie all’insegnamento del versatile Andrea Verrocchio, che egli ben presto supera in capacità, affiancando al piacere del godimento artistico (anche la musica ne è parte) l’ingegno dello scienziato. L’approccio di Leonardo alla natura si sviluppa nel segno dell’invenzione e della sperimentazione e la sua inesausta curiosità viene ripagata, permettendogli di imparare a costruire macchinari e marchingegni che potenziano le fino ad allora limitate capacità umane in ambito tecnico-ingegneristico: «Lo spirito indagatore delle scienze esatte appare così diverso dallo spirito plastico dell’arte che, a un primo sguardo, si potrebbe quasi ritenerli due generi distinti nella loro essenza. E, in effetti, solo pochi mortali sono costituiti in maniera tale da potersi ingraziare questo genio bifronte».58 Wackenroder scioglie dunque in questo modo l’ambiguità che potrebbe insorgere a partire dalla sua iniziale condanna dei “teorici” e dei “sistematici”, dichiarandosi per nulla avversario della teoria e della pratica scientifiche, ma piuttosto di un pensiero che nega la fantasia e l’aspirazione a superare i limiti di ciò che non può essere organizzato secondo categorie controllate da un intelletto analitico.59 Con ciò, l’(lluminismo kantiano non viene rifiutato in toto, soprattutto considerando che nella sua fase pre-critica, con il suo scritto Der einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseyns Gottes (L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, 1763) Kant ritiene ancora che l’esistenza di Dio sia dimostrabile, giacché, se la si ritiene possibile, essa deve anche supporre un essere esistente. Ma il punctum dolens, 57

Cfr. Effusioni, p. 119. Cfr. Effusioni, p. 153. 59 Si veda uno dei frammenti di Friedrich Schlegel, presente nella raccolta intitolata “Ideen” nell’Athenaeum, che corrisponde a questo assunto e che si richiama alle Reden über die Religion di Schleiermacher: «L’intelletto, dice l’autore delle Reden über die Religion, è al corrente solo dell’universo; nel caso che domini la fantasia, avrete un Dio. Giustissimo, la fantasia è l’organo dell’uomo per la divinità»; cfr. Athenaeum. Eine Zeitschrift von August Wilhelm Schlegel und Friedrich Schlegel. Dritten Bandes. Erstes Stück, Berlin, Frölich, 1800, p. 5, n. 8 (trad.it., «Athenaeum» [1798-1800], cit., p. 610. 58

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per Wackenroder, è la condanna delle aspirazioni umane alle costruzioni metafisiche che Kant esplicita nella Dialettica trascendentale all’interno della Critica della ragion pura, quando il filosofo chiama in causa la ragione in relazione all’elaborazione di idee trascendenti e relega l’aspirazione umana alla dimensione metafisica al ruolo di una “funzione regolativa della ragione”. Un fattore di novità, nello scritto su Leonardo, è l’idea che il “caos” e il “brutto” siano considerati fattori di stimolo all’invenzione.60 Il primo concetto si riferisce all’importanza data alla mescolanza di avvenimenti o di elementi che, combinati, restituiscono un risultato originale, bizzarro forse, ma completamente inedito e foriero di nuove possibilità applicative. Questo concetto è basilare per il progetto della poesia universale progressiva di Friedrich e Wilhelm Schlegel, che tra le principali “tendenze” dell’epoca considerano centrale la Rivoluzione francese non solo per ragioni politiche e sociali, ma anche per il potenziale “sovversivo” e “innovativo” che essa rappresenta. Il “brutto”, invece, già suggerito come elemento dirimente delle posizioni di Winckelmann e Lessing a proposito del Laocoonte,61 è legato alla passione di Leonardo per gli studi di fisiognomica e per la sua tendenza a schizzare volti dai lineamenti bizzarri e grotteschi. Quando Wackenroder passa ad occuparsi di Piero di Cosimo in quello che costituisce l’undicesimo pezzo delle Effusioni, pensa a questa figura di artista tormentato dalle proprie ossessioni e incline a perseguire il mostruoso nell’arte come a un individuo che similmente al musicista Berglinger vive la propria dimensione creativa in modo patologico. La sua “natura eccessiva” gli è fatale, perché l’anima non può disporsi in maniera ricettiva di fronte alle bellezze del creato. Così dobbiamo intendere la frase del monaco «sia come sia, io non riesco comunque a credere che questo Piero di Cosimo fosse uno spirito d’artista veramente puro».62 Silvio Vietta ha opportunamente sottolineato che l’attenzione prestata da Wackenroder alle personalità melanconiche nelle cronache 60 «Gli venivano allora in mente, durante l’ininterrotta osservazione, molte belle idee di paesaggi o di tumulti di battaglia, oppure di insolite posizioni del corpo o strani visi. Per questa ragione Leonardo impartisce come regola nel suo stesso libro anche quella di osservare tali cose assiduamente e per il proprio diletto, perché lo spirito è spronato all’invenzione anche grazie a simili aspetti caotici»; cfr. Effusioni, pp. 149 e 151. 61 Mi permetto di rinviare per questo argomento al par. III del cap. 2 del mio studio. Il corpo conteso. Rito e gestualità nella Germania del Settecento, Milano, Jaca Book, 2000, intitolato “Il corpo conteso. Il dibattito intorno al Laocoonte nel passaggio dal Classicismo al Romanticismo”, pp. 54-72. 62 Cfr. Effusioni, p. 207.

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rinascimentali è stata con ogni probabilità suggerita, tra l’altro, dalle lezioni di estetica che Karl Philipp Moritz gli impartì a Berlino. Moritz, probabilmente, esplicitò in queste occasioni anche la prospettiva teorica sottesa alla sua opera narrativa, in cui ha un peso rilevante il fattore dell’autoanalisi psicologica nella fase produttiva della creazione artistica.63 Moritz, autore del romanzo psicologico Anton Reiser (1785-1790), tematizza nella propria opera il disagio del soggetto con talento, ma dotato di scarse opportunità e compensa la propria frustrazione andando a cercare nella poesia «il meraviglioso, il lontano, lo spaventoso e lo sconosciuto, poiché si illude di trovare la poesia già negli oggetti stessi», mentre, come si è notato, «è invece compito del vero artista rendere poetico ogni oggetto che si impossessa della sua fantasia».64 La presenza di un’istanza giudicante all’interno della narrazione rappresenta una forma di polarizzazione rispetto all’azione di Reiser, il quale viene biasimato per i suoi eccessi di fantasia, almeno nella lettura che ne dà Vietta fin dal suo studio Literarische Phantasie. Theorie und Geschichte. Barock und Aufklärung (Fantasia letteraria. Teoria e storia. Barocco e Illuminismo, 1986). Egli entra, dunque, come il Francia o Berglinger, a far parte della categoria di “martir[i] dell’entusiasmo artistico”.65 La figura di Michelangelo completa la galleria dei pittori, e in questo caso, sebbene Wackenroder dichiari apertamente in L’immagine di Raffaello nelle Fantasie che non è possibile porre al fianco del maestro urbinate un pittore che possa eguagliarlo,66 lo spazio che gli viene dedicato sia nelle Effusioni, sia nelle Fantasie, è rilevante. Wackenroder 63 S. Vietta, “Wackenroder und Moritz”, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, 6, 1996, pp. 91-107. 64 A. Costazza, “Il dilettante inesistente. Anton Reiser tra psicologia ed estetica”, in Cultura tedesca, 19 (“Il romanzo”), giugno 2002, pp. 67-84, cit., p. 73. Costazza rileva l’importanza del fatto che nella quarta parte dell’opera, pubblicata più tardi delle prime tre, il “narratore psicologo” che segue lo sviluppo delle esperienze del protagonista venga sostituito dal “teorico dell’arte”; ibid., p. 70. La sua tesi è che Reiser mostri nei confronti della propria attività poetica un comportamento che non può essere definito da “dilettante”, perché si limita a rispondere ai dettami tradizionali dell’attività artistica tipici dell’epoca in cui vive; Reiser non conosce, dunque, il significato di “autonomia dell’arte”, che prende forma successivamente, nella fase classicista. Di questa concezione di autonomia dà conto l’opera di Moritz, Über die bildende Nachahmung des Schönen. Reiser fallisce, peraltro, nelle sue imprese, non perché sia privo di talento, ma perché, da un lato, proviene da una condizione sociale svantaggiata, dall’altro è vittima della propria ipersensibilità. 65 Cfr. Effusioni, p. 127. 66 Cfr. Fantasie, p. 403.

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cita in Die Größe des Michel’Angelo Buonarotti (sic!) (La grandezza di Michelangelo Buonarroti) direttamente dalle Vite il passo del Vasari che apre il profilo a lui dedicato, e ne evidenzia, in particolare, le doti eccezionali nel disegno, nei contorni, nelle luci e nelle ombre, nonché la «vera saggezza morale».67 Seguendo la tradizione che lo descrive come uomo capace di un’eruttiva potenza creatrice, avvezzo a comporre affreschi monumentali popolati da figure di straordinaria possenza, come ad esempio il Giudizio Universale che sarà oggetto di un particolare capitolo delle Fantasie, Wackenroder individua il punto di contatto tra pittura e poesia nel loro essere entrambe l’espressione più pura delle emozioni umane, spinta a un livello sublime. Certamente, a ispirare questo accostamento dettato da sincera stima, concorre anche il fatto che Michelangelo fu autore di Rime universalmente apprezzate. Anche Michelangelo dialoga con Dio, ma la sua arte non è consolatoria, bensì terribile, manifestando in modo palese lo spirito lacerato del pittore. Nel linguaggio di Baumgarten, l’entusiasmo estetico portato all’eccesso è il furor, che va ben oltre «la disposizione naturale della mente e del cuore».68 La rivoluzione che Baumgarten attua nel contesto dello studio sulla conoscenza umana passa per sensazioni interiori che sottraggono questa al tribunale della ragione; l’entusiasmo estetico che si esplicita nelle cognitiones sensitivae deve fare tuttavia i conti con fattori di controllo che siano in grado di incanalarne il multiforme potenziale. Uno di questi è la “bella erudizione”. Wackenroder individua più oltre, nel saggio sul Giudizio Universale, il mezzo con il quale il Buonarroti esplicita questa “bella erudizione”: si tratta dell’allegoria, che conferisce grazia e dignità all’opera artistica, facendo persino dimenticare lo stridente contrasto tra i corpi nudi che animano la volta della Cappella Sistina e il luogo solenne cui è stata destinata l’impresa dell’artista. La differenza tra entusiasmo estetico e concetto di “genio”, propugnata dagli interpreti dello Sturm und Drang, consiste nella concezione di Wackenroder nel fatto che l’artista non è autorizzato a tentare di eguagliare Dio, ma deve riconoscersi invece come strumento e mezzo della rivelazione divina. In questo senso, la presa d’atto di Berglinger di non poter essere di alcuna utilità al mondo costituisce una fatale pa67

Cfr. Effusioni, p. 217. A.G. Baumgarten, “Kollegium über die Ästhetik”, in Bernhard Poppe, Alexander Gottlieb Baumgarten. Seine Bedeutung und Stellung in der Leibniz-Wolffischen Philosophie und seine Beziehungen zu Kant. Nebst Veröffentlichung einer bisher unbekannten Handschrift der Ästhetik Baumgartens, Borna-Leipzig, Noske, 1907 (trad. it. Lezioni di Estetica, a cura di S. Tedesco, present. di L. Amoroso, Palermo, Aesthetica, 1998, V, § 78, p. 61). 68

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ralisi psicologica e creativa che si pone ad ostacolo nell’espletamento della sua missione artistica. Non spiritualmente pronto a divenire un asceta come il monaco e già troppo intimamente isolato dal mondo esterno, dopo aver subito cocenti delusioni come musicista, sia lui che Reiser sono «artisti, che rimangono bloccati a metà strada […], si danneggiano nel confronto con la realtà, che estaticamente rifiutano, così come nel confronto con l’arte, di cui non realizzano il principio ideale».69

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S. Vietta, “Wackenroder und Moritz”, cit., p. 105.

Herzensergiessungen eines kunstliebenden Klosterbruders

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Al lettore di queste pagine Questi testi hanno preso forma un poco alla volta nella solitudine di una vita monastica, nel corso della quale solo talvolta ripenso vagamente al mondo ormai distante. Durante la gioventù amavo incredibilmente l’arte e questo amore mi ha accompagnato, come un fedele amico, fino alla mia età attuale. Come sospinto da un impulso interiore redigevo, senza rendermene conto, quelle mie memorie che occorre che tu, mio amato lettore, consideri con occhio clemente. Non sono composte secondo il registro del mondo odierno, perché questo registro non è in mio dominio e perché, se mi è permesso dirlo in maniera schietta, non riesco neppure ad amarlo. Nei miei anni giovanili ero impegnato in varie attività mondane. Il mio slancio più energico era rivolto all’arte e mi auguravo di poterle dedicare la mia vita e i pochi talenti di cui dispongo. A giudizio di alcuni amici non ero maldestro nel disegnare e non dispiacevano del tutto tanto le imitazioni, quanto le mie stesse creazioni. Pensavo sempre con un segreto e sacro fremito ai grandi, benedetti e santi artisti. Mi appariva strano, anzi quasi assurdo, poter guidare con la mia mano il carboncino da disegno o il pennello quando mi ricordavo del nome di Raffaello o di Michelangelo. Posso ammettere senza remore che talvolta, colto da un indescrivibile e mesto fervore, venivo colto da pianto se cercavo di immaginarmi in maniera nitida le loro opere e la loro vita. Non riuscivo mai, anzi un pensiero simile mi sarebbe apparso empio, a separare nei miei beniamini prediletti ciò che era buono da ciò che era, in un certo senso, cattivo e metterli alla fine tutti in fila, per poterli osservare con uno sguardo freddo e critico, così come sono invece soliti fare oggi giovani artisti e cosiddetti amanti dell’arte. Allo stesso modo, lo voglio ammettere apertamente, ho letto con piacere solo poche pagine degli scritti del signor von Ramdohr.1 E chi li ama, farebbe meglio a mettere subito da parte ciò che ho scritto, dato che non gli piacerà. In special modo dedico in generale queste pagine, che inizialmente non avevo affatto destinato alla stampa, ai giovani artisti agli esordi, o ai giovani che intendono dedicarsi all’arte e che serbano ancora in un cuore quieto e umile il sacro timore dei tempi passati. Grazie alle mie parole, altrimenti senza importanza, proveranno forse un’ancora maggiore commozione e verranno mossi

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a un rispetto ancor più profondo, perché leggeranno con lo stesso amore con il quale io ho scritto. Il Cielo ha voluto che io concludessi la mia esistenza in un convento. Questi saggi rappresentano dunque l’unica cosa che sia ora in grado di fare per l’arte. Se non risulteranno del tutto sgraditi, forse vi farà seguito una seconda parte, nella quale desidero confutare i giudizi dati su alcune singole opere d’arte, sempre che il Cielo mi conceda salute e tranquillità per fare ordine in mezzo a questi miei pensieri messi per iscritto e per organizzarli in un’esposizione chiara.

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La visione di Raffaello Da sempre l’ispirazione dei poeti e degli artisti ha costituito per il mondo motivo e oggetto di contesa. Le persone comuni non riescono a comprendere come stiano le cose a questo proposito e si fanno in merito idee del tutto false e contorte. Per questa ragione, sulle rivelazioni interiori del genio artistico, sono state scritte e dette, dentro e fuori da ogni sistema, in maniera metodica e priva di metodo, tante insensatezze quante sono quelle relative ai misteri della nostra santa religione. I cosiddetti teorici e sistematici ci descrivono l’ispirazione dell’artista per sentito dire e sono del tutto soddisfatti di sé quando siano riusciti a mettere insieme delle parole approssimative ricorrendo ai loro filosofemi supponenti e profani per indicare qualcosa, di cui non conoscono lo spirito, che non si lascia cogliere con parole, e il cui significato essi non conoscono. Parlano dell’ispirazione artistica come di una cosa che hanno davanti agli occhi; la spiegano e intessono al proposito tanti discorsi; se fossero ragionevoli, dovrebbero invece arrossire ogni qual volta pronunciano la sacra parola, perché non hanno idea di ciò che con essa esprimono. Di quante parole infinitamente vane si sono resi colpevoli gli scrittori saccenti dei tempi più recenti, disquisendo sugli ideali delle arti figurative! Ammettono il fatto che il pittore e lo scultore debbano giungere ai loro ideali procedendo per vie più straordinarie rispetto a quelle della comune natura ed esperienza; riconoscono che ciò si verifica in maniera misteriosa e tuttavia si mettono in testa e fanno credere ai propri allievi di essere a conoscenza di come ciò avvenga. Infatti sembra quasi che si vergognino dell’eventualità che nell’anima umana possa restare celato e segreto qualcosa, su cui essi non siano in grado di fornire ragguagli a giovani desiderosi di sapere. Ve ne sono poi altri che, beffeggiatori increduli e ottenebrati, con risate di scherno negano del tutto la componente divina nell’entusiasmo artistico2 e non intendono assolutamente ammettere la presenza di segni di distinzione o benedizione divina in taluni spiriti nobili ed eccezionali, sentendosene troppo distanti. Queste persone si muovono tuttavia su percorsi così diversi dal mio che non intendo dialogare con loro.

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Ma i sapientoni, a cui facevo riferimento in precedenza, sono quelli cui intendo dare una lezione. Rovinano il giovane animo dei propri discepoli impartendo loro idee tanto audacemente e superficialmente unanimi sulle cose divine, come se queste fossero umane; con ciò inculcano nelle loro menti la tracotante illusione che sia in loro potere impadronirsi di ciò che i maggiori maestri dell’arte – posso dirlo in tutta libertà – hanno raggiunto solo per mezzo dell’ispirazione divina. Si sono sempre annotati e raccontati tanti aneddoti; si sono ricordate e ripetute alcune rilevanti massime artistiche. Come è stato dunque possibile che si sia ascoltato tutto questo con tanta superficiale ammirazione, che nessuno sia giunto al punto di presagire, in questi chiari segni, la presenza del divino cui essi accennavano? E come è possibile che anche qui, come nel resto della natura, non si sia riconosciuta la traccia della mano divina? Per quanto mi riguarda, ho custodito in me questa fede da sempre, anche se essa, che prima era oscura, è ora stata illuminata fino a raggiungere una più chiara convinzione. Mi ritengo fortunato per esser stato prescelto dal Cielo a diffondere la sua gloria mediante una prova evidente dei suoi miracoli misconosciuti. Mi è così riuscito di innalzare un nuovo altare in onore di Dio. Raffaello, che è come il sole lucente tra tutti i pittori, in una sua lettera al conte di Castiglione3 ci ha lasciato le seguenti parole, che sono più preziose dell’oro e che non sono mai riuscito a leggere senza provare un segreto e oscuro moto di riverenza e adorazione: «Dal momento che si vedono così pochi soggetti femminili di bell’aspetto, mi attengo a una particolare immagine della mente che raggiunge la mia anima».*4 Su queste parole cariche di significato è scesa di recente, in maniera del tutto inaspettata e con mia profonda gioia, una vivida luce. Stavo compiendo delle ricerche tra preziosi e antichissimi manoscritti del nostro convento, quando mi capitarono tra le mani, in mezzo a inutili pergamene ricoperte di polvere, alcuni fogli scritti di proprio pugno da Bramante,5 che non si comprende come siano potuti giungere in questo luogo. Su uno di questi fogli c’era scritto quanto ora, evitando i preamboli, voglio trascrivere qui in lingua tedesca: «Voglio qui annotare, per piacere personale e per conservarne con precisione il ricordo, un episodio straordinario che il mio stimato e * «Essendo carestia di belle donne, io mi servo di certa idea che me viene al mente».

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caro amico Raffaello mi ha confidato sotto il sigillo della segretezza. Quando, tempo addietro, gli manifestai dal profondo del cuore tutta la mia ammirazione per i suoi quadri, belli oltre ogni dire, raffiguranti la Madonna e la Sacra Famiglia e con ripetute preghiere lo esortai a rivelarmi da dove mai, nel mondo, egli traesse spunto per l’incomparabile bellezza, i commoventi tratti del volto e l’insuperabile espressione della santa Vergine, egli, dopo essersi schermito per un attimo con la giovanile timidezza e riservatezza che gli è propria, si commosse infine a tal punto da gettarmisi al collo con gli occhi pieni di lacrime, svelandomi il suo segreto. Mi raccontò come, sin dalla sua prima infanzia, egli avesse sempre serbato in sé uno speciale, sacro attaccamento verso la madre di Dio, così che talvolta, solo sentendone pronunciare ad alta voce il nome, veniva colto da una profonda malinconia. In seguito, dal momento che la sua sensibilità si era rivolta verso la pittura, il suo più grande desiderio era stato quello di ritrarre la Vergine Maria nella sua autentica perfezione celeste, per quanto egli continuasse a non fidarsi ancora delle proprie capacità. Il suo animo era sì costantemente occupato, giorno e notte, dal pensiero rivolto a quell’immagine, ma non gli riusciva mai di completarla in maniera soddisfacente; aveva sempre l’impressione che la sua fantasia operasse nelle tenebre. Eppure, di tanto in tanto, un raggio di luce divina penetrava nella sua anima, in modo tale che egli riusciva a scorgerne i chiari lineamenti davanti a sé, così come avrebbe voluto raffigurarla; ma si trattava solo di un attimo, trascorso il quale egli non era più in grado di trattenere quell’immagine nel proprio animo. Perciò la sua anima era stata sospinta qua e là da un’inquietudine incessante; era riuscito a scorgere i tratti della rappresentazione sempre e solo in modo vago, ma la sua oscura intuizione non si era mai risolta in una chiara immagine. Alla fine, non riuscendo più a trattenersi, aveva iniziato con mano tremante un dipinto della Sacra Vergine e in corso d’opera il suo animo era stato colto da un sempre crescente fervore.6 Una volta, di notte, dopo che, come già spesso gli era accaduto, aveva pregato in sogno la Vergine, si svegliò di soprassalto in preda a un impeto veemente. Nell’oscurità della notte il suo sguardo fu attirato da un bagliore alla parete di fronte al letto, e, dopo aver guardato con maggiore attenzione, si accorse che il suo quadro della Madonna, appeso alla parete e non ancora ultimato, si era trasformato, illuminato da un dolcissimo raggio di sole, in un dipinto del tutto compiuto che pareva proprio vivo. Il senso della divinità che prorompeva dalla tela lo sopraffece al punto che egli scoppiò in lacrime. L’immagine lo fissava con un’espressione indicibilmente commovente; pareva che da un momento all’altro essa dovesse muoversi. Egli aveva anzi l’impressione che si muovesse per

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davvero. Gli sembrava che gli fosse capitata la cosa più meravigliosa che si potesse verificare, come se quell’immagine fosse esattamente ciò che egli aveva sempre cercato, per quanto ne avesse avuto solo un’idea oscura e confusa. Come si fosse riaddormentato, questo non riusciva assolutamente a ricordarselo. L’indomani si svegliò come un uomo rinato; l’apparizione gli si era impressa per sempre nello spirito e nei sensi e da quel momento in poi gli riuscì sempre di ritrarre la Madre di Dio, così come questa era apparsa alla sua anima. Fu lui stesso che, per primo, serbò in seguito una certa rispettosa venerazione davanti ai propri quadri. – Questo è quanto mi narrò il mio stimato e caro amico Raffaello, e tale prodigio mi è parso talmente rilevante e singolare da indurmi, per mio diletto, a metterlo per iscritto». Tale è il contenuto del foglio dall’inestimabile valore che mi cadde tra le mani. Ora ci si potrà fare una vivida idea di ciò che il divino Raffaello intende esprimere con le sue singolari parole, quando dice: «Mi attengo a una particolare immagine della mente che raggiunge la mia anima». Riusciremo dunque a capire, per mezzo di questo evidente prodigio dell’onnipotenza celeste, che l’innocente anima di Raffaello espresse con queste semplici parole un pensiero profondissimo e di immensa portata? Riusciremo finalmente a comprendere che tutte le chiacchiere incompetenti sull’ispirazione dell’artista non sono nient’altro che una vera e propria profanazione e a renderci conto che ciò di cui qui stiamo parlando è in realtà il diretto aiuto divino? Non aggiungo tuttavia altro a questo argomento degno della più seria considerazione, per poter lasciare spazio alle riflessioni di ciascuno.

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Nostalgia dell’Italia Per uno strano caso della sorte è rimasto finora in mio possesso il seguente foglietto, già messo per iscritto durante la mia prima gioventù, quando non potevo darmi pace, desiderando di veder finalmente, almeno una volta, l’Italia, la terra promessa dell’arte. Giorno e notte la mia anima pensa unicamente agli incantevoli e luminosi luoghi che mi appaiono in sogno, richiamandomi a loro. Saranno sempre vani il mio desiderio e la mia nostalgia? Alcuni vi compiono viaggi ma, dopo esserne ritornati, non sanno né dove sono stati, né cosa hanno visto, perché nessuno ama così intensamente come me quel Paese assieme alla sua arte natia. Perché è così distante da me, che non mi è possibile raggiungerlo a piedi in alcuni giorni di viaggio? Che io possa inginocchiarmi dinnanzi alle opere immortali dei grandi artisti e confessare loro tutta la mia ammirazione e il mio amore? E in modo che i loro spiriti, ascoltandomi, mi possano dare il benvenuto come il loro più fedele discepolo? Se capita che casualmente i miei amici spieghino sul tavolo la carta geografica, mi ritrovo sempre a osservarla con commozione; la mia mente attraversa allora città, borghi e villaggi. E avverto – ahimè! – fin troppo presto, che tutto è solamente frutto della mia immaginazione. Per quanto mi riguarda non desidero alcuna luccicante gioia materiale di questa terra; ma non mi sarà concesso neppure una volta di poterti, oh santa arte, vivere pienamente? Dovrò languire e consumarmi completamente nell’amore? Non si curerà di me il destino, guardando a questi miei sforzi e pensieri sempre con sfavore? Sono dunque del tutto perduto e destinato alla schiera dei ripudiati? Oh, felice quel prescelto che, nato solo per le arti, consacra loro cuore e vita! Ancor lontana è ahimè la mia felicità, ben lungi dall’accostarsi a me!

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A dubitarne ero incline, eppure spesso muta il corso degli astri, e finalmente, finalmente è qua! Allora, senza indugi, dopo tanto sognare e dopo assoluto riposo, [mi reco] attraversando prati, foreste e campi in fiore verso la patria! Mi volano allora incontro, benedicenti, i Geni [dell’arte] inghirlandati di raggi splendenti! Mi conducono, stanco, alla dolce pace, alle gioie, alla quiete, verso la patria dell’arte!7

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La singolare morte del vecchio pittore Francesco Francia, che godette ai suoi tempi di vasta fama e che fu il primo della scuola lombarda Così come l’epoca della rinascita delle scienze e del sapere8 produsse gli eruditi più versatili e dotati della più straordinaria forza di spirito, che certamente si distinguevano per eccezionalità tra gli altri uomini, allo stesso modo il periodo nel quale la pittura risorse, come una nuova Fenice, dalle proprie ceneri per lungo tempo spente, fu caratterizzato dalla presenza dei più nobili e sublimi artisti. Esso va considerato come l’autentica epoca eroica dell’arte e si potrebbe lamentare il fatto, come fa Ossian,9 che la forza e la grandezza di quell’età eroica si siano adesso dileguate dalla terra. Molti di questi artisti nacquero in luoghi diversi e si misero in luce solo grazie alle proprie forze: la loro vita e la loro opera ebbero tale importanza e dignità da essere trasmesse alla posterità nella forma di cronache dettagliate, giunte a noi dalle mani degli estimatori dell’arte di quel periodo. Il loro spirito fu così degno di rispetto quanto lo è ancora il loro capo irsuto, che noi oggi osserviamo con profonda riverenza nelle preziose raccolte dei loro ritratti. Tra di loro si verificarono avvenimenti inusuali, oggi incredibili agli occhi di molti, perché l’entusiasmo per l’arte, che in questi giorni brilla come un debole lumicino nei cuori di pochi, singoli individui, infiammava in quell’età d’oro tutto il mondo. La posterità degenerata mette invece in dubbio o deride l’attendibilità di alcune storie di quell’epoca, riguardo alle quali si hanno dei riscontri, etichettandole come “favole”, in quanto la scintilla divina è svanita del tutto dai loro cuori.10 Una delle storie più singolari di questo tipo, che non sono mai riuscito a leggere senza provare stupore, ma sulla cui veridicità il mio cuore non è mai stato tentato di dubitare, è quella della morte del vecchissimo pittore Francesco Francia,11 capostipite e iniziatore della scuola, che poi si formò a Bologna e in Lombardia.12 Questo Francesco era nato da una modesta famiglia di artigiani, ma si era spinto su fino alle vette supreme della gloria grazie alla sua operosità infaticabile e al suo spirito perennemente teso verso più elevate mete. Negli anni della gioventù fu dapprima alle dipendenze di

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un orafo, dimostrando una maestria così spiccata nel realizzare oggetti in oro e argento da riempire di meraviglia chiunque li osservasse. Per lungo tempo incise, poi, emblemi su medaglie commemorative e ogni principe e conte lombardo considerava un onore far riprodurre dal suo bulino la propria effigie su moneta. Quella era infatti ancora l’epoca, nella quale tutte le personalità di alto rango del Paese e i concittadini cercavano di rendere fiero l’artista loro conterraneo con un plauso continuo e fragoroso. Un numero infinito di famiglie principesche passarono per Bologna e non mancarono di farsi prima disegnare il proprio ritratto e di farlo poi incidere su metallo. Ma lo spirito di Francesco, perennemente vivace e appassionato, aspirava a un nuovo campo di attività, e quanto più la sua brama di onori era saziata, tanto più egli era impaziente di aprirsi strade, nuove e inesplorate, verso la gloria. Giunto già ai quarant’anni, varcò i confini di una nuova arte. Si esercitò con pazienza insuperabile nel mestiere del pennello, volgendo tutti i propri pensieri allo studio della composizione in grande e agli effetti del colore. E fu straordinario notare con quale rapidità gli riuscì di creare delle opere che destarono la meraviglia di tutta Bologna. Diventò, difatti, un pittore eccelso, perché, per quanto avesse parecchi compagni d’arte (anche il divino Raffaello operava in quel periodo a Roma), anche le sue opere potevano sempre essere annoverate a ragione tra le più raffinate del tempo. La bellezza in arte non è, infatti, comunque mai così povera e misera da poter esser esaurita dalla vita di un sol uomo e l’onore del suo conseguimento non è una fortuna che spetti solamente a un eletto; la sua luce si frange semmai in mille raggi, il cui splendore viene riflesso in svariati modi nei nostri occhi incantati per mano dei grandi artisti, che il Cielo ha donato alla terra. Francesco fece parte proprio della prima generazione di quei nobili artisti italiani che godettero di una considerazione tanto più grande e generale, in quanto diedero vita a un regno del tutto nuovo e splendente che si ergeva sulle rovine della barbarie; e in Lombardia fu esattamente lui il fondatore e, per così dire, il primo principe di questo nuovo regno. La sua abile mano portò a compimento una quantità incalcolabile di splendidi dipinti, i quali si diffusero non solo in tutta la Lombardia (nella quale nessuna città voleva farsi rimproverare di non possedere almeno un esemplare delle sue opere), bensì anche in altre regioni italiane; e tutti gli occhi, che ebbero la fortuna di poterli contemplare, proclamarono ad alta voce la sua fama. I principi e i duchi italiani si contendevano il possesso dei suoi quadri e da tutte le parti si riversavano su di lui fiumi di lodi. I viaggiatori trapiantarono il suo nome in tutti i luoghi in cui si recavano e l’eco lusinghiera dei loro

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discorsi ritornava al suo orecchio. Alcuni bolognesi, che si erano recati in visita a Roma, elogiarono il loro concittadino artista a Raffaello e questi, che aveva già osservato e ammirato diverse opere del pennello del Francia, gli testimoniò la propria stima e simpatia in alcune lettere, con la dolce affabilità che gli era propria. Allo stesso modo, gli scrittori di quel tempo non poterono trattenersi dall’intessere il suo elogio in tutte le loro opere. Indirizzarono così gli sguardi dei posteri verso di lui e, dandosi arie d’importanza, raccontarono che egli era venerato come un Dio. Uno di loro*13 è audace a tal punto da scrivere che Raffaello, alla vista delle Madonne del Francia, avrebbe abbandonato l’asciuttezza, retaggio della scuola del Perugino, per acquisire in seguito uno stile più elevato. Che altro effetto potevano avere sull’animo del nostro Francesco queste ripetute lodi, se non quello di innalzare il suo spirito vivace alla più nobile fierezza d’artista, così che egli iniziò a credere, nel proprio intimo, di essere un genio divino? Dove si troverebbe, oggi, questa sublime fierezza? Inutilmente la si cercherebbe tra gli artisti del nostro tempo, i quali certo si vantano di sé, ma non sono orgogliosi della loro arte. Raffaello era, tra tutti i pittori a lui contemporanei, l’unico che, tutt’al più, considerasse come un rivale. Francesco non aveva però mai avuto la fortuna di vedere un dipinto compiuto dalla mano dell’artista, perché in vita sua non si era mai allontanato molto da Bologna. Sulla base di molteplici descrizioni, si era comunque fatto un’idea precisa della maniera di Raffaello e si era convinto fermamente, anche grazie al tono umile e alquanto accondiscendente delle lettere di Raffaello nei suoi confronti, di essere pari a lui nella maggior parte delle opere, e, per taluni aspetti, di aver persino compiuto ulteriori passi in avanti rispetto a lui. In età già avanzata gli fu riservata la sorpresa di osservare con i propri occhi un quadro di Raffaello. Del tutto inaspettatamente, ricevette una lettera di Raffaello in cui questi gli dava notizia di aver appena completato una pala d’altare di Santa Cecilia, destinata alla chiesa di San Giovanni a Bologna;14 oltre a ciò, scriveva che gli avrebbe inviato l’opera, come a un amico, chiedendogli il favore, in sua vece, di occuparsene e di metterla a posto in modo consono. Lo pregava inoltre, nel caso in cui essa si fosse danneggiata in qualche punto durante il viaggio o se si fosse accorto di qualche svista o errore, di correggerli e aiutarlo come amico. Questa lettera, nella quale un umile Raffaello gli consegnava, per così dire, il pennello in mano, lo pose in uno stato di profonda eccitazione, tanto che non vedeva l’ora che il quadro arrivasse. Non sapeva ciò che lo attendeva! * Cavazzoni.

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Un giorno, di ritorno a casa da una passeggiata, gli corsero incontro i suoi allievi, raccontandogli con grande gioia che il dipinto di Raffaello era nel frattempo arrivato e che lo avevano già sistemato nella sua stanza da lavoro, nel punto di luce migliore. Francesco vi si precipitò fuori di sé. Ma come potrei descrivere alla gente di oggi le sensazioni che indussero quell’uomo straordinario, alla vista di quel dipinto, a sentirsi strappare l’anima? Si sentiva come chi volesse abbracciare, pieno di entusiasmo, un fratello lontano e non più visto dall’infanzia e, al suo posto, vedesse improvvisamente comparire davanti ai propri occhi l’angelo della luce. Si sentì trafiggere l’anima da parte a parte ed ebbe l’impressione di cadere in ginocchio, in uno stato di totale contrizione del cuore, di fronte a un essere superiore. Rimase lì come colpito da un fulmine, mentre gli scolari si accalcavano attorno al vecchio maestro, sostenendolo, domandandogli cosa gli fosse successo e senza sapere cosa pensare dell’accaduto. Nel frattempo si rianimò un poco, ma continuò imperterrito a fissare il quadro, divino oltre ogni cosa. Com’era repentinamente precipitato dalle sue vette! Con quanta pena doveva scontare il peccato di essersi spinto con troppa presunzione su fin quasi alle stelle e di aver posto superbamente se stesso al di sopra di Lui, l’inimitabile Raffaello! Si percosse il capo ingrigito e pianse amare e dolenti lacrime per aver trascorso la vita in un vano e ambizioso sforzo, diventando per di più sempre più folle, e ora, infine, appressandosi alla morte, avvertiva di dover riconsiderare a occhi aperti la sua intera esistenza come la misera e incompleta opera di un incapace. Come il volto di Santa Cecilia, sollevò anch’egli il proprio sguardo verso l’alto; mostrò al Cielo il suo cuore lacerato e contrito e si mise a pregare, invocando umilmente perdono. Si sentiva talmente debole che i suoi discepoli dovettero metterlo a letto. Uscendo dalla sua stanza di lavoro gli caddero sotto gli occhi alcuni suoi dipinti, in particolare quello raffigurante Santa Cecilia morente, il quale stava ancora appeso in camera, e si sentì quasi venir meno dal dolore. A partire da quel momento il suo animo si trovò in un costante stato di smarrimento e quasi sempre si notava in lui una certa confusione mentale. A scuotere fin dalle fondamenta il complesso della sua anima si aggiunsero poi la debilitazione legata alla vecchiaia e la spossatezza della mente, la quale era stata sottoposta così a lungo a sollecitazioni sempre più gravose nella creazione di migliaia di figurazioni. Tutte le infinite e varie figure, che si erano messe in moto da tempo immemore nella sfera della sua sensibilità artistica e che si erano trasformate in realtà per mezzo di colori e linee presenti sulle tele, attraversavano

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ora, con tratti deformati, la sua anima, dando origine ai tormenti che lo atterrivano durante gli assalti della febbre. Prima di quanto i suoi allievi potessero aspettarsi, lo trovarono morto sul letto. Questo uomo divenne quindi veramente grande anzitutto perché si sentì infinitamente piccolo rispetto al divino Raffaello. Il genio dell’arte ha poi fatto di lui un santo agli occhi degli iniziati e ha cinto il suo capo con quell’aureola che gli spetta quale autentico martire dell’entusiasmo artistico. Il racconto della morte di Francesco Francia qui esposto ci viene tramandato dal vecchio Vasari,15 nel quale ancora viveva lo spirito dei primi padri dell’arte. Ma quei critici che non vogliono, né possono credere all’esistenza di questi spiriti fuori del comune come a miracoli sovrannaturali, e che volentieri vorrebbero invece risolvere il mondo in una piatta prosa, fanno dell’ironia sulle “favole” del vecchio e venerando cronista dell’arte, raccontando con impudenza che Francesco Francia morì per avvelenamento.16

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L’allievo e Raffaello In quei tempi, in cui il mondo guardava con venerazione vivere ancora tra gli uomini Raffaello – il cui nome non esce lieve dalle mie labbra senza che involontariamente io lo chiami “il divino” – in quei tempi, dicevo – oh, quanto felicemente sacrificherei tutta l’intelligenza e sapienza dei secoli successivi, pur d’aver vissuto allora! – viveva in una piccola cittadina dello stato fiorentino un giovane uomo, che chiameremo Antonio, il quale si esercitava nell’arte pittorica. Sin da bambino aveva una passione davvero tenace per la pittura e già da ragazzo riproduceva minuziosamente tutte le immagini di santi che gli capitavano tra le mani. Nonostante tutta la costanza del suo zelo e il desiderio veramente ferreo di creare qualcosa di eccellente, presentava tuttavia allo stesso tempo una certa carenza e limitatezza di spirito, in presenza della quale la pianta dell’arte cresce sempre in maniera un po’ stenta e fragile, non riuscendo mai a proiettarsi libera e sana verso il cielo: un’infelice combinazione delle forze dell’animo che ha già dato al mondo svariati mezzi artisti. Antonio si era già esercitato seguendo il modello di numerosi maestri del suo tempo; ciò gli era riuscito a tal punto che la somiglianza delle sue imitazioni gli procurava uno straordinario piacere e che teneva conto molto accuratamente dei suoi graduali progressi. Infine ebbe modo di osservare alcuni disegni e dipinti di Raffaello. Aveva già sentito spesso pronunciare il suo nome accompagnato da grandissime lodi e da quel momento si mise a lavorare rifacendosi alle opere di quell’artista così straordinariamente elogiato. Dopo essersi reso conto di non riuscire a realizzare niente di buono con le sue copie e non sapendo da che cosa ciò dipendesse, posò spazientito il pennello, meditò su quello che intendeva fare e scrisse infine la seguente lettera: «All’eccellentissimo pittore, Raffaello da Urbino. Perdonatemi se non so come rivolgermi a voi, poiché siete un uomo enigmatico e straordinario; per giunta non sono affatto abituato a tener la penna in mano. Ho altresì riflettuto a lungo se fosse opportuno scrivervi, senza avervi mai visto di persona. Ma, dal momento che si

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sente parlare ovunque del vostro carattere affabile e gentile, ho avuto infine l’ardire di farlo. Non voglio però sottrarre troppa parte del vostro tempo prezioso con tante parole, perché mi posso ben immaginare quanto siate occupato; voglio invece solo aprirvi senza indugio il mio cuore ed esporvi la mia supplica con adeguata fermezza. Sono un giovane principiante nell’arte sublime della pittura, che amo oltre ogni altra cosa e che mi riempie il cuore di gioia, tanto da non riuscire quasi a credere che, eccezion fatta (come è naturale) per voi e per altri celebri maestri di quest’epoca, qualcun altro possa avere come me un amore così profondo e una passione così sconfinata per l’arte. Mi sforzo al meglio delle mie capacità di avvicinarmi sempre un po’ di più alla meta, che scorgo in lontananza davanti a me; non vi è giorno – anzi, potrei quasi dire ora – in cui stia a oziare e mi accorgo di fare progressi ogni giorno, per quanto minimi essi possano essere. Mi sono già esercitato rifacendomi a parecchi artisti illustri dei nostri giorni, ma, da quando ho iniziato a imitare le vostre opere, è stato come se non sapessi assolutamente fare più nulla e dovessi ricominciare di nuovo tutto da capo. Eppure sono già riuscito a riprodurre su tela qualche testa, nella quale, né per quanto riguarda i contorni, né rispetto alle luci e alle ombre, si potrebbe agevolmente ravvisare qualche errore o inesattezza. Ma se traspongo su tela, anche tratto per tratto e con una precisione da rovinarmi gli occhi, le teste dei vostri apostoli e dei discepoli di Cristo, così come le Madonne e Gesù Bambino, dando poi uno sguardo generale all’insieme e confrontandolo con l’originale, allora mi accorgo spaventato di essere distante in maniera abissale da esso e che il viso da me dipinto è del tutto diverso. Malgrado ciò, le vostre teste, se le si osserva per la prima volta, sembrano quasi più semplici da riprodurre rispetto a quelle degli altri, perché hanno un aspetto in tutto e per tutto naturale ed è come se vi si riconoscessero immediatamente i personaggi che s’intendeva raffigurare, anzi come se li si fosse già visti vivi. Non trovo neppure presenti nelle vostre figure quelle ardue e sorprendenti contrazioni delle membra,17 con le quali altri maestri del nostro tempo sono invece indubbiamente soliti mostrare la perfezione della loro arte, tormentando noi poveri allievi. Per questo motivo, per quanto vi abbia meditato instancabilmente, non so proprio spiegarmi cosa abbiano di speciale i vostri quadri, né riesco assolutamente a comprendere la ragione per la quale non si riesce a imitarvi in maniera adeguata, né in alcun modo a raggiungervi. Oh, soccorretemi in questa circostanza; ve lo chiedo con viva supplica. Ditemi, (perché certamente lo sapete benissimo) cosa devo fare per diventare, anche solo in una certa misura, simile a voi. Oh, quanto pro-

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fondamente voglio fissarmi nella mente il vostro consiglio! Con quanto zelo voglio poi attenermi a esso! A volte – perdonatemi – ho persino avuto il sospetto che voi doveste serbare un qualche segreto nel vostro lavoro; segreto del quale nessun altro uomo potesse farsi un’idea. Quanto sarei felice se potessi stare a guardarvi, anche solo mezza giornata, mentre lavorate; ma forse voi non fate entrare proprio nessuno nel vostro studio. Oppure, se fossi un gran signore, quanto volentieri vorrei offrirvi migliaia e migliaia di monete d’oro per il vostro segreto. Ah! Siate indulgente con me per l’impertinenza che, con tutte queste chiacchiere inutili, dimostro nei vostri confronti. Voi siete un uomo straordinario, che deve ben guardare dall’alto con disprezzo ogni altro essere umano. Lavorate certamente giorno e notte, per arrivare a realizzare opere così magnifiche; nella vostra gioventù di sicuro progrediste tanto in un sol giorno, quanto non mi è riuscito di fare neppure in un anno. Nonostante ciò, anche per il futuro voglio impiegare le mie forze al massimo delle mie capacità. Altri, che sanno vedere più chiaramente di me, lodano prima di ogni altra cosa l’espressione interiore presente nei vostri dipinti, sostenendo che nessuno sappia rappresentare così bene come voi, in certo qual modo, le qualità dell’animo delle persone, cosicché dai loro visi e gesti si possono, per così dire, indovinare i loro pensieri.18 Di questi aspetti, tuttavia, mi intendo ben poco. Ma voglio infine smettere di importunarvi. Oh, che confortante sollievo sarebbe per me se voi poteste concedere, anche solo con poche parole, il vostro consiglio, al vostro, che sopra ogni cosa vi venera, Antonio». Così recitava la missiva inviata da Antonio a Raffaello; e questi gli scrisse amabilmente la seguente riposta: «Mio buon Antonio, è bello che tu serbi un così grande amore per l’arte e che ti eserciti con tanta solerzia; con ciò mi hai procurato una grande gioia. Ma quel che ti aspetti di sapere da me, non sono purtroppo in grado di dirtelo; non perché si tratti di un segreto che non voglio svelare – infatti, con piacere e dal profondo del mio cuore, vorrei poterlo confidare a te e a ogni altro – bensì perché è sconosciuto anche a me stesso. Mi rendo conto che tu non vorrai credermi, eppure è così. Così come è impossibile spiegare, perché uno abbia una voce roca o amabile, allo stesso modo non sono in grado di dirti perché le figure, sotto le mie mani, acquisiscano una tale forma e non un’altra. Il mondo cerca molte peculiarità straordinarie nei miei quadri; e se si richiama la mia attenzione su questo o quel pregio, io stesso devo

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a volte guardare alla mia opera con un sorriso, compiacendomi del suo buon esito. Ma essa si è venuta compiendo come in un piacevole sogno, e durante il lavoro ho sempre più pensato al soggetto che al modo in cui desideravo rappresentarlo. Se non riesci a comprendere e imitare bene ciò che di caratteristico trovi nelle mie opere, ti consiglio, caro Antonio, di sceglierti l’uno o l’altro dei maestri giustamente celebri dei nostri tempi, perché ognuno di loro presenta qualità degne di essere imitate; io stesso mi sono formato con profitto seguendo il loro modello e nutro tutt’ora il mio occhio con la loro molteplice maestria. Il fatto che io ora abbia proprio questa maniera di dipingere, e non un’altra, così come ogni artista suole averne una propria, mi sembra radicato sin da sempre nella mia natura; non l’ho raggiunta con il sudore della fronte, né si tratta di qualcosa che si possa intenzionalmente apprendere con lo studio. Nel frattempo continua perciò a perfezionarti con amore nel campo dell’arte e vivi felice».

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Una lettera del giovane pittore fiorentino Antonio al suo amico Jacopo a Roma Amato fratello, non ti stupire se è da tanto che non ti scrivo, dato che parecchie occupazioni hanno incredibilmente ridotto il tempo a mia disposizione. A partire da questo momento voglio tuttavia scriverti più spesso, perché desidero confidare a te, come mio migliore amico, i miei pensieri e le mie sensazioni.19 Conosci la mia insoddisfazione per il fatto che in genere mi sono sempre sentito come un discepolo del tutto indegno e smarrito della nobile arte pittorica; adesso però la mia anima ha acquisito uno slancio prodigioso, a me stesso incomprensibile, così che prendo fiato con maggiore libertà e disinvoltura davanti ai quadri dei grandi maestri, senza più restarvi dinnanzi arrossendo colmo di venerazione. Ma come potrei ora descriverti in che modo e con quali strumenti ciò sia avvenuto? L’essere umano è ben misero, caro Jacopo, perché, se anche reca in petto un tesoro davvero prezioso, non può fare a meno di metterlo sotto chiave come un avaro e non riesce a raccontare o mostrare nulla di esso ai suoi amici. Lacrime, sospiri, una stretta di mano rappresentano in tal caso tutta la forza espressiva di cui siamo capaci. La stessa cosa mi capita adesso, e per questo motivo vorrei averti ora di fronte a me, per prendere la tua adorata mano e posarla sul mio cuore palpitante. – Non so se altri uomini abbiano già provato le mie stesse sensazioni – o se già ad altri fu concesso, grazie all’amore, di trovare un mezzo così splendido per l’adorazione dell’arte. Poiché, se vi è una parola che potrebbe esprimere i miei sentimenti, allora quella deve essere “amore”; quell’amore che ora regge il mio cuore e il mio spirito. Mi sento come se fosse stato tirato via un velo dalla mia vita e solo adesso riuscissi a vedere quello che gli uomini, da sempre, chiamano la natura e la bellezza del mondo. Tutte le cime e nubi, il cielo e il suo rosso serotino hanno ora assunto un aspetto diverso e sono come scesi verso il basso, a me più vicini; con amore e ineffabile nostalgia vorrei in questo momento abbracciare Raffaello, il quale dimora adesso

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tra gli angeli, perché era troppo benevolo e sublime per noi e questa terra: calde lacrime cariche d’entusiasmo e della più pura venerazione cadono dai miei occhi terreni e rendono il mio spirito ebbro di una gioia celestiale, se mi trovo, ora, davanti alle sue opere e me le fisso profondamente nella mente e nel cuore. Posso allora ben dire che solo a partire da questo istante avverto intimamente ciò che distingue l’arte da tutte le altre occupazioni dei mortali; sono diventato più puro e santo e per questo sono stato ammesso solo ora ai sacri altari dell’arte. Con quanta commozione venero adesso la Madre di Dio e i sublimi apostoli in quei quadri colmi di entusiasmo che di solito volevo imitare soltanto tratto per tratto con uno sguardo distaccato e una mano semiesperta nel mestiere del pennello: – ora ho le lacrime agli occhi, la mano mi trema e sono commosso nel profondo del mio cuore, così che, vorrei dire, riporto quasi inconsapevolmente i colori sulla tela; eppure ciò mi riesce così bene da esserne poi soddisfatto. Oh, quanto sarebbe bello se Raffaello fosse ancora vivo, in modo che io potessi vederlo, parlargli, manifestargli le mie emozioni! Lui deve aver imparato a conoscerle, perché le ritrovo nelle sue opere, rivedendovi tutta la mia passione: tutte le sue Madonne hanno difatti un aspetto simile alla mia diletta Amalia. Inoltre prendono adesso corpo in me intuizioni rilevanti e davvero ardite: mi succede di aver già cominciato un’opera, quando, in alcuni momenti, come ad esempio alzandomi in piedi dopo un pasto o dopo aver appena avuto una conversazione di nessuna importanza, mi stupisco io stesso dell’impresa audace fin lì compiuta. In tal caso il mio genio continua comunque a incitarmi nell’intimo, così che in corso d’opera non perdo coraggio. Come diverso è il bocciolo chiuso in confronto al giglio superbo, che, come una grande stella argentea sul suo gambo scuro, rivolge lo sguardo verso il sole, allo stesso modo mi sento, rispetto alla mia condizione passata, differente da me stesso. Voglio dedicarmi al mio mestiere ancora tanto e con forze inesauste. Quando dormo, il nome di Amalia è steso sopra di me come un dorato velo protettivo. Spesso mi sveglio, perché sento pronunciare questo nome con un dolce timbro della voce, come se mi chiamasse a sé, mentre mi stuzzica e coccola, uno degli angioletti di Raffaello. Suoni che scendono lentamente dall’alto riempiono poi poco alla volta l’intervallo tra veglia e sonno e sogni leggiadri si posano nuovamente sui miei occhi con le loro tenui ali. Oh, Jacopo, credimi, solo adesso sono diventato davvero tuo amico, ma non deridere il tuo felice Antonio.

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La risposta di Jacopo. La tua cara lettera, mio stimatissimo Antonio, mi ha procurato lieta commozione. Non ho bisogno di augurarti buona fortuna, perché ora sei davvero felice e sia ben lungi da me l’idea di potermi burlare di te, dato che in tal caso non mi meriterei la grazia del Cielo, il quale, come artista, mi ha eletto a strumento della sua gloria. Comprendo molto bene l’impeto con cui ti dedichi al tuo mestiere e il tuo vivace spirito intuitivo. Ti lodo, anzi ti invidio. Ma non ne avere a male se, oltre a ciò, aggiungo qui alcune parole, perché, avendo io alcuni anni in più e maggiore esperienza rispetto a te, potrei forse, proprio per questo, avere voce in capitolo. Ciò che tu scrivi a proposito dell’arte non mi sembra del tutto soddisfacente. Già altri uomini hanno percorso la tua strada, ma non credo che il grande artista debba fermarsi sulle posizioni sulle quali tu ti trovi. Certamente l’amore ci apre gli occhi su noi stessi e sul mondo; l’anima si fa più quieta e devota e da tutti i recessi del cuore affiorano, come fiamme lucenti, migliaia di sensazioni serbate nel profondo: s’impara allora a comprendere pienamente la religione e i prodigi del Cielo, lo spirito si fa più umile e fiero e l’arte si rivolge in maniera particolare a noi, parlandoci fino al più profondo dell’animo con tutti i suoi toni. Ma se in tale situazione l’artista si esponesse anche minimamente al pericolo di cercare se stesso in ogni opera d’arte, allora le sue sensazioni vagherebbero in una direzione, portandolo quindi a sacrificare il suo multiforme talento a un unico sentimento. Guardatene bene, caro Antonio, poiché altrimenti potresti esser spinto ad adottare la “maniera” più limitata e, alla fine, più insignificante. L’artista deve rinvenire già in sé l’origine di qualsiasi bella opera d’arte, ma non deve ricercare faticosamente se stesso in quella; l’arte deve essere la sua amante soprannaturale, perché essa ha un’origine divina. Deve averla cara subito dopo la religione; deve diventare un amore religioso, o una religione amata, se così posso esprimermi: – ad essa deve poi certamente far seguito l’amore terreno. Allora una brezza splendida e ristoratrice porterà, simili a fiori incantevoli, ogni genere di sensazioni in questa terra conquistata, pervasa dall’aurora e da una sacra gioia. Ma non me ne avere a male per queste parole, mio immensamente amato Antonio: la mia venerazione per l’arte si esprime così in me e, allo stesso modo, intenderai dunque tutto nella maniera migliore. – Stai bene.

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Il modello di un pittore geniale, e allo stesso tempo profondamente erudito, presentato nella vita di Leonardo da Vinci, celebre iniziatore della scuola fiorentina

L’epoca della rinascita della pittura in Italia ha fatto emergere degli uomini verso i quali il mondo di oggi dovrebbe giustamente innalzare lo sguardo, così come si fa con i santi in gloria. Si potrebbe affermare che, per primi, essi hanno soggiogato e, per così dire, esorcizzato la selvaggia natura grazie alla magia della loro arte, o anche che essi sono stati i primi a estrarre dal caos informe della creazione la scintilla dell’arte. Ognuno di loro si mise in luce grazie a raffinatezze caratteristiche e rilevanti e a molti di essi furono eretti altari nei templi dell’arte. Per il momento scelgo tra di loro il celebre iniziatore della scuola fiorentina,20 il mai abbastanza lodato Leonardo da Vinci,21 allo scopo di mostrare in lui, per coloro i quali s’interessano di queste cose, il modello di uno studio dell’arte veramente dotto e accurato e l’icona di un’operosità infaticabile e al contempo geniale. Da lui i discepoli dell’arte, desiderosi di apprendere da essa, potrebbero desumere che non è sufficiente giurare fedeltà a una bandiera, esercitare la propria mano solo nell’agile conduzione del pennello e, armati di una parvenza d’entusiasmo facile e passeggero, scendere in campo contro uno studio dell’arte profondo e fondato su solide basi. Un tale esempio insegnerà loro che il genio dell’arte si allea di buon grado alla severa Minerva; e che in un’anima grande e sincera, benché rivolta verso uno scopo prioritario, l’intero, composito quadro del sapere umano si riflette in una splendida e compiuta armonia. L’uomo di cui parliamo vide la luce del mondo nel borgo di Vinci, situato nella valle dell’Arno, poco distante dalla splendida città di Firenze. La bravura e l’estro avuti in eredità dalla natura si manifesta-

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rono, come è solito accadere a simili spiriti eletti, sin dalla sua più tenera gioventù ed emersero attraverso le figure variopinte che uscivano quasi per gioco dalla sua mano di bambino. Queste doti sono come il primo zampillo di una piccola sorgente che scorre allegra, la quale si trasforma in seguito in un fiume possente e meraviglioso. Chi conosce la natura dell’acqua, non ne trattiene il corso, perché sa che questa altrimenti sfonderebbe bastioni e argini, bensì la lascia fluire secondo la sua libera volontà. Così agì il padre di Leonardo, lasciando il fanciullo alle sue spontanee inclinazioni e affidandolo, a Firenze, agli insegnamenti del famosissimo e insigne Andrea Verrocchio.22 Ma, ahimè, chi, tra di noi, conosce e menziona ancora questi nomi, che brillavano a quei tempi come stelle sfavillanti in cielo? Sono scomparsi e non si sente più dire nulla di loro, come se non fossero mai esistiti. E questo Andrea Verrocchio non era da annoverare tra i soliti artisti. Si era dedicato con devozione alla sacra triade delle arti figurative – alla pittura, alla scultura e all’architettura – poiché a quei tempi non vi era nulla di straordinario nel fatto che l’ingegno di un uomo fosse così vasto da accogliere un tale triplice amore e talento. Oltre a ciò, era versato nella matematica ed era anche un fervido amante della musica. È sicuramente possibile che il suo esempio, lasciando ben presto un segno nell’anima morbida del giovane Leonardo, abbia influito notevolmente su questo; tuttavia i germogli della predisposizione di Leonardo dovevano comunque già trovarsi al fondo della sua anima. Ma chi potrebbe mai comunque rinvenire, nella storia della formazione di uno spirito diverso dal proprio, tutti i sottili fili che dividono le cause dagli effetti, dal momento che l’anima stessa, colta durante i suoi impulsi, non è neppure sempre consapevole di queste relazioni? Fa parte dell’apprendimento di una qualsiasi arte figurativa, anche quando essa debba rappresentare cose serie o tristi, l’essere dotati di un animo vivace e vigile; infatti, tramite un lavoro lento e faticoso, si dovrà pur realizzare alla fine un’opera d’arte perfetta, volta al piacere di tutti i sensi. Gli animi tristi e introversi non hanno invece alcuna inclinazione, voglia, coraggio e costanza tesi a creare. Ora, il giovinetto Leonardo da Vinci era dotato di un siffatto animo vivace; egli si esercitava con zelo non solo nel disegnare e nell’impostare e applicare il colore, bensì anche nella scultura, suonando il violino per diletto e cantando graziose canzoni. Quindi, ovunque si volgesse, il suo spirito poliedrico era sempre sorretto, quasi sospeso nell’etere, dalle muse e dalle grazie, essendo il loro favorito, e sembrava, per così dire, non toccare mai, neppure nei momenti di ozio, il terreno della comune vita quotidiana. Di tutte le occupazioni quella che comunque più gli stava a cuore era la pittura e,

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provocando il risentimento del suo maestro, egli fece in poco tempo tali progressi in questo campo da superarlo. Una dimostrazione, questa, del fatto che l’arte, in realtà, non si apprende e non può essere insegnata, e che, al contrario, il suo flusso, se è guidato e indirizzato anche solo per un breve tratto, sgorga incontrollato dall’anima dell’artista. Dal momento che l’immaginazione di Leonardo era così feconda e ricca di ogni sorta di immagini pregevoli ed eloquenti, nel corso della sua animata gioventù, allorché tutte le forze dello spirito si fecero largo furiosamente in lui, il suo ingegno non si manifestò in consuete imitazioni prive di gusto, ma in rappresentazioni straordinariamente ricche, anzi quasi eccessivamente bizzarre. Così, dipingendo in un’occasione i nostri primi progenitori nel Paradiso Terrestre,23 egli arricchì la sua opera e la adornò a tal punto di tutte le specie possibili di animali meravigliosi e dalle strane forme e di una varietà infinita e rara di piante e fiori, che chi li vide si dovette stupire della loro natura multiforme, non riuscendo a staccare gli occhi dal quadro. Ancora più stupefacente era la testa di Medusa che egli un giorno raffigurò per un contadino su di uno scudo di legno: la compose rappresentando le membra dei rettili più mostruosi e degli animali più orribili che si possano concepire, in modo che non sarebbe stato possibile vedere niente di più terrificante. L’esperienza data dagli anni mise ordine più tardi, entro il suo spirito, a questa selvaggia ed esuberante ricchezza dell’immaginazione. Ma voglio giungere in fretta al punto centrale del mio racconto, tentando di descrivere l’operosità multiforme di questo uomo. Nella pittura Leonardo aspirava, con una brama instancabile, a gradi di perfezione sempre più elevati, e non in uno, ma in tutti i generi; e allo studio dei segreti del pennello accoppiò l’osservazione più scrupolosa, la quale lo guidò, come fosse il suo genio, attraverso le circostanze della vita comune, e gli fece cogliere, su tutte le strade della sua esistenza, dove altri non ne intuivano la presenza, i frutti più belli per la sua disciplina preferita. Egli stesso costituì, dunque, l’esempio più grandioso di quegli insegnamenti da lui dettati nella sua eccellente opera sulla pittura:24 vale a dire che un pittore deve avere una conoscenza generale di tutto, in maniera da non dover dipingere una qualsiasi cosa secondo un unico tratto di pennello a lui abituale, ma in base alle sue peculiari qualità; e che perciò non si deve restare legati al modello di un unico maestro, ma che, autonomamente in se stessi, si deve studiare la natura in tutta la sua essenza, meritandosi altrimenti di essere considerato un nipote e non un figlio della natura. Proprio da questo scritto, l’unico dei suoi lavori eruditi che sia giunto alla vista del mondo e che potremmo legittimamente definire “il libro d’oro” di Leonardo, risulta evidente con quanta scrupolosità

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egli collegasse sempre gli insegnamenti e le regole dell’arte con la pratica della stessa. Aveva a tal punto fatto propria la struttura del corpo umano, fin nei suoi minimi movimenti e posizioni, da dare l’impressione di averlo creato lui stesso; e puntava sempre a cogliere direttamente il senso specifico e il significato, sia fisico che spirituale, che deve esser riposto in ogni figura. Perché ogni opera d’arte, come lui stesso dà a intendere nel suo libro, deve giustamente parlare un doppio linguaggio, uno del corpo e uno dell’anima. In alcuni passi del suo testo fornisce degli insegnamenti su come dipingere una battaglia, una tempesta in mare, una grande assemblea; e lì la sua immaginazione è così attiva ed efficace, da condensare immediatamente in parole gli aspetti più evidenti ed espressivi di un insieme straordinario. Leonardo sapeva che lo spirito dell’arte figurativa è una fiamma, la cui natura è del tutto diversa dall’entusiasmo dei poeti. Esso non mira a creare muovendo del tutto dal proprio animo. Il genio artistico deve, semmai, vagare infaticabilmente al di fuori di sé, accostandosi con agile destrezza a tutte le figure della creazione, conservandone forme e impronte nello scrigno dello spirito; in maniera tale che, quando l’artista metta mano al proprio lavoro, trovi già in sé un universo di cose. Leonardo non si spostava mai senza portar con sé le proprie tavolette da disegno e il suo occhio curioso non mancava di trovare dovunque una preda per la sua musa. Si può affermare che un artista è totalmente infervorato e pervaso dal genio artistico solo quando sa sottomettere alla propria inclinazione dominante tutto ciò che gli sta attorno. Ogni minima parte del corpo umano che lo attraesse in un passante qualsiasi, ogni suo fugace atteggiamento e movimento che stimolasse l’immaginazione, Leonardo lo coglieva e lo custodiva nello scrigno del suo spirito. Gli piacevano particolarmente i volti insoliti, con capigliature e barbe bizzarre; ragion per cui spesso seguiva per lungo tempo persone del genere, in maniera da fissarsele nella mente; dopo di che, una volta rientrato a casa, le dipingeva di getto con una tale naturalezza, come se gli stessero sedute davanti in quel momento. Allo stesso modo, quando due persone, senza sospettare di essere osservate, parlavano tra loro del tutto spontaneamente e liberamente, o quando scoppiava un litigio violento o comunque s’imbattesse in scene di slanci umani ed emozioni in tutta la loro vitalità e forza, non mancava mai di annotarsi fedelmente i contorni della situazione e la loro correlazione con l’insieme. Oltre a ciò, osservava spesso – cosa che a qualcuno sembrerà ridicola – a lungo e completamente assorto in sé dei resti di antiche mura, sui quali il tempo si era divertito a lasciare ogni genere di figure e colori meravigliosi, o delle pietre variopinte, con la superficie ricoperta di strani disegni. Gli venivano allora in men-

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te, durante l’ininterrotta osservazione, molte belle idee di paesaggi o di tumulti di battaglia, oppure di insolite posizioni del corpo o strani visi. Per questa ragione Leonardo impartisce come regola nel suo stesso libro anche quella di osservare tali cose assiduamente e per il proprio diletto, perché lo spirito è spronato all’invenzione anche grazie a simili aspetti caotici. – Si nota bene da tutto ciò come l’eccezionale spirito di Leonardo, dopo di lui mai più eguagliato, sapesse ricavare oro da tutte le cose, anche da quelle meno considerate e dalle più piccole. Nella teoria della sua arte non vi fu forse mai alcun pittore più esperto e dotto di lui. La conoscenza delle parti interne del corpo umano e dell’intero sistema di ruote e leve di questa macchina, la conoscenza della luce e dei colori e del modo in cui entrambi interagiscono a vicenda e si sposano con l’altro, i precetti della prospettiva, in base ai quali gli oggetti in lontananza appaiono più piccoli e indistinti. Tutte queste nozioni, che appartengono di fatto ai fondamenti veri ed originari dell’arte, Leonardo le aveva analizzate fin nelle loro più recondite profondità. Ma come già si è accennato, egli fu non solo un grande pittore, bensì anche un buon scultore e uno stimato architetto. Era esperto in tutte le branche delle scienze matematiche; era un profondo intenditore di musica, un delizioso cantante e suonatore di violino e un ingegnoso poeta. Per dirla in breve, se fosse vissuto nei tempi favolosi dell’umanità, sarebbe stato senz’altro considerato come un figlio di Apollo. E sì, traeva davvero piacere nel distinguersi in ogni genere di attività, anche se questa si trovava del tutto al di fuori del suo ambito. Era dunque tanto abile nel cavalcare e guidare i cavalli, quanto nel maneggiare la spada, che un inesperto in materia avrebbe potuto credere che Leonardo per tutta la vita si fosse dedicato solo a questi esercizi. Aveva inoltre una tale dimestichezza con gli straordinari congegni meccanici e con le segrete forze dei corpi naturali che una volta, in occasione di un festeggiamento, realizzò la figura di un leone in legno che si muoveva da solo e un’altra volta ricavò, da certi sottili materiali, degli uccellini che volavano liberamente in aria da sé. Il suo spirito mostrava quindi uno stimolo innato, volto a inventare sempre qualcosa di nuovo, che lo teneva in un permanente stato di operosità e tensione. Ma tutti i suoi talenti vennero esaltati, perché erano accompagnati da modi nobili e seducenti, così come avviene alle pietre preziose grazie a una montatura dorata. E affinché quest’uomo straordinario potesse apparire distinto ed eccelso anche agli occhi delle persone più comuni e dalla mente ottusa, la natura generosa lo dotò appositamente di una prodigiosa forza fisica, a cui si aggiungeva, infine, una figura di tutto rispetto e un volto che non si poteva fare a meno di amare e ammirare.

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Lo spirito indagatore delle scienze esatte appare così diverso dallo spirito plastico dell’arte che, a un primo sguardo, si potrebbe quasi ritenerli due generi distinti nella loro essenza. E, in effetti, solo pochi mortali sono costituiti in maniera tale da potersi ingraziare questo genio bifronte. L’essere umano che trova invece nella propria anima, là dove molti solitamente si differenziano, la patria di ogni genere di conoscenza e forza, la cui mente, con pari ardore e felicità, sa giungere alle verità della vita mediante le deduzioni della ragione, e che, con l’opera faticosa della mano, sa convertire in rappresentazioni concrete le immagini della sua fantasia – un uomo di siffatta natura deve strappare al mondo intero stupore e ammirazione. E se, oltre a ciò, egli non si vota solamente a un’unica arte, ma ne riunisce in sé parecchie, avvertendone la segreta affinità e sentendo nel proprio intimo la fiamma divina che, simile al vento, spira in ognuna di esse, allora quest’uomo sarà certamente messo straordinariamente in risalto dalla mano creatrice di Dio rispetto agli altri uomini, e molti non riuscirebbero, neppure con i loro pensieri, a giungere sino a lui. La corte del duca di Milano, Ludovico Sforza,25 fu lo scenario principale in cui Leonardo da Vinci, come direttore dell’Accademia, diede prova delle sue molteplici capacità. Qui mise in mostra le sue abilità in splendidi dipinti e opere scultoree, da qui fece conoscere il suo buon gusto come costruttore di edifici. Fu ufficialmente incluso nel novero dei musicisti come suonatore di violino; diresse con profonda avvedutezza la complessa costruzione di un canale d’acqua attraverso monti e valli26 – e dunque, nella sua sola persona, riuniva quasi un’intera accademia di tutte le conoscenze e abilità umane. Prima d’iniziare la costruzione del canale si recò a Valverola, la villa di campagna di uno dei suoi più stimati amici,27 applicandosi lì, con grande impegno e con il favore della musa agreste, allo studio delle componenti matematiche in architettura. In questa tranquilla dimora di campagna trascorse poi alcuni anni, si dedicò con spirito filosofico a studi matematici e a tutti quelli riguardanti, in qualche maniera, una teoria fondamentale delle arti figurative e s’immerse completamente in profonde speculazioni. L’impronta di una saggezza tutta assorta in pensieri si manifestò anche nel suo aspetto esteriore, dal momento che si era fatto crescere capelli e barba talmente lunghi da sembrare un eremita; così come, d’altronde, altri intendono individuare nella sua operosità instancabile il motivo per il quale restò celibe per tutta la vita. Inoltre, durante il soggiorno nella solitudine agreste, Leonardo riunì i risultati delle sue ricerche, vagliati e depurati dalla sua mente, e li traspose, combinati ad acutissimi pensieri e osservazioni, in opere dettagliate che, scritte dalla sua

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stessa diletta mano, si trovano ancora oggi nella grande e preziosa Biblioteca Ambrosiana di Milano.28 Ma, ahimè, anche questo codice, così come parecchi altri, antichissimi e ricoperti di venerabile polvere, presenti nelle splendide biblioteche dei gran signori, resta una reliquia intatta, dinnanzi alla quale passano gli stolti figli della nostra epoca, tributandole tutt’al più un vuoto cenno di rispetto. Il manoscritto attende ancora colui il quale risveglierà lo spirito del vecchio pittore, che lì dentro riposa come per incanto, sciogliendolo dai lacci che lo hanno stretto finora. La mia penna non è in grado di spiegare tutta la bellezza e la perfezione dei molti dipinti del nostro Leonardo. Il suo quadro più famoso è certamente la rappresentazione dell’Ultima Cena nel refettorio dei Frati Domenicani a Milano. In esso si ammira l’espressione piena di fervore interiore nei visi dei discepoli di Cristo e come ognuno pare chiedere a Lui: “Signore, sono io?”. I vecchi compilatori di aneddoti nel campo dell’arte raccontano come Leonardo, dopo aver completato le altre figure, indugiasse per un certo tempo, sempre meditando e ponderando tra sé e sé o (per esprimersi forse in maniera più consona) attendendo una felice ispirazione sul modo davvero perfetto di rappresentare il viso traditore di Giuda e il volto sublime di Gesù; e come il priore del convento, in tale situazione, fornisse un’evidente dimostrazione della propria insensatezza, chiedendo spiegazione a Leonardo, come si farebbe con un lavoratore a giornata, sulle ragioni della sua esitazione.29 In considerazione di una circostanza rilevante, devo far menzione di un altro dipinto di Leonardo. Intendo riferirmi al ritratto di Lisa del Giocondo (la moglie di Francesco),30 al quale si dedicò quattro anni, senza che l’accuratissimo e raffinatissimo lavoro di perfezionamento di ogni minimo dettaglio soffocasse lo spirito e la forza vitale dell’insieme di quell’opera. Ebbene, ogni qual volta la nobildonna sedeva in posa davanti a lui, Leonardo chiamava a sé alcune persone che dovevano allietarne lo spirito con musica piacevole e gioiosa, accompagnata da canti. Un’idea molto ingegnosa, per la quale ho sempre ammirato Leonardo. Egli sapeva fin troppo bene che, sul volto delle persone sedute in posa, suole comparire un’aria di serietà arida e vuota e che una tale espressione, se fissata sul quadro in tratti permanenti, conferisce a questo un aspetto spiacevole o persino tetro. Di contro, conosceva l’effetto di una musica allegra, come essa si riflette sull’espressione del volto e rilassa i lineamenti, quasi mettendo in moto un gioco pantomimico piacevole e vivace. In questo modo traspose con vivacità sulla tela il fascino espressivo di quel viso e, praticando un’arte, seppe servirsi così op-

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portunamente del sostegno dell’altra, che quella gettò il suo riflesso su questa. Ci si può ben immaginare quanti abili pittori siano usciti dalla scuola di Leonardo, e quanto, durante la sua vita, egli fosse apprezzato e da tutti adorato. Allorché una volta, in un convento vicino a Firenze, aveva completato il solo abbozzo per una grande pala d’altare, la risonanza suscitata dalla notizia fu così ampia che per due giorni una grande folla vi si recò in pellegrinaggio dalla città, tanto che pareva vi fosse quasi una festa o una processione.31 Leonardo si era ristabilito a Firenze dopo che, negli anni di guerra in Italia, il duca di Milano, Ludovico Sforza, aveva subito una disfatta schiacciante e l’Accademia di Milano era stata completamente dispersa. Era già in età avanzata, quando fu chiamato a corte in Francia dal re Francesco I. Il monarca lo stimava moltissimo e accolse dunque il vecchio artista settantacinquenne con particolare gentilezza e riguardo. Tuttavia non gli fu dato in sorte di protrarre ancora a lungo la sua vita in quel Paese straniero. Le fatiche del viaggio e la differenza dei costumi dovevano aver causato la malattia che lo colse non molto tempo dopo il suo arrivo. Durante l’infermità il re gli fece visita con assiduità e si mostrò molto preoccupato nei suoi confronti. Un giorno il re si recò da lui e si avvicinò al suo letto. Mentre l’anziano pittore stava rizzandosi sul letto, per ringraziare il re della sua benevolenza, fu colto, senza accorgersene, da un malore; il re lo sorresse tra le sue braccia, ma a Leonardo mancò il respiro, e quello spirito che aveva realizzato opere tanto numerose e straordinarie, ancora oggi esistenti nella loro perfezione, fu portato via da un sol soffio, come una foglia dalla terra. Se lo splendore della corona regale è la luce che favorisce particolarmente il prosperare delle arti, allora si potrebbe considerare, per così dire, la scena posta al termine della vita di Leonardo come un’apoteosi dell’artista;32 e, per lo meno agli occhi del mondo, dovette apparire una degna ricompensa per tutte le gesta di quell’uomo eccezionale lo spirare tra le braccia di un re. A questo punto mi si chiederà, forse, se io ora voglia dunque presentare Leonardo, qui già tanto celebrato, come il più eccellente e sommo di tutti i pittori; e se intenda esortare tutti gli allievi ad impegnarsi per diventare proprio come lui. Invece di rispondere, chiedo piuttosto nuovamente se non sia dunque concesso, una volta tanto, di limitare intenzionalmente la propria visuale sul grande e mirabile spirito di un unico uomo, per

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gettare uno sguardo d’insieme sulle sue qualità peculiari, considerate per una volta proprio in se stesse e nel rapporto tra loro; e se, con tanta disinvoltura e con l’arrogante severità di un ufficio giudiziario, sia lecito davvero mettere in fila gli artisti secondo la misura e il peso dei loro meriti, così come si permettono di fare i maestri della morale, suddividendo gli uomini in virtuosi e disonesti, superiori e inferiori, secondo accurati principi di classificazione. Intendo dire che si potrebbero certo ammirare due spiriti dalla natura molto diversa, entrambi dotati di grandi qualità. Le anime degli uomini sono così infinitamente varie, quanto lo sono le fattezze dei loro visi. E non definiamo forse il volto venerando, pieno di rughe e saggezza del vegliardo altrettanto bello quanto il viso incantevole, sincero e tutto sentimento33 della Vergine? Di fronte a questo ragionamento, che procede per immagini, qualcuno potrebbe però obiettare: «Ma quando risuona la parola determinante “bellezza”, non si fa involontariamente largo, dal profondo dell’anima su verso il tuo cuore, l’immagine ultima, quella di Venere Celeste?».34 E, su questo punto, non so davvero cosa rispondere. Colui che, riguardo alla duplice immagine da me presentata, quella del vegliardo35 e della Vergine, ha pensato come me allo spirito dell’uomo, poco sopra descritto, e allo spirito di quello che sono solito chiamare “il divino”, troverà forse materia di riflessione in questi discorsi allegorici. Simili fantasie, che a volte salgono alla nostra mente, diffondono spesso magnificamente, su di un certo argomento, una luce più chiara dei sillogismi della ragione; e accanto alle cosiddette forze cognitive superiori, si trova, nella nostra anima, uno specchio incantato che ci rivela, a volte in maniera forse più evidente, la rappresentazione delle cose.

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Descrizione di due dipinti Una bella immagine o un bel dipinto, a mio avviso, in realtà non possono essere descritti, perché nell’attimo in cui si pronuncia anche una sola parola in più su di essi, l’immaginazione se ne vola via dalla tela e, tutta sola in aria, inizia a volteggiare magica e giocosa. Mi sembrano perciò molto saggi i vecchi cronisti dell’arte quando definiscono un dipinto semplicemente eccellente, incomparabile e magnifico oltre ogni dire, visto che mi parrebbe impossibile dire qualcosa in più in merito. Nonostante ciò, mi sono ricordato nel frattempo di aver una volta descritto, nella maniera che qui di seguito esporrò, un paio di quadri; voglio sottoporre all’attenzione di tutti i due corrispondenti modelli che mi sono venuti in mente inconsapevolmente, per la loro stessa tipologia e senza che consideri questa come qualcosa di assolutamente impareggiabile.

Primo quadro36 La Santa Vergine con Gesù Bambino e San Giovannino. Maria Per qual ragione sono dunque così beata e predestinata alla più alta felicità che la terra possa mai sostenere? Sgomenta alla vista di quest’enorme fortuna, non so dir “grazie” per essa né con lacrime, né con gioia festante. Solo con sorrisi e profondo affanno riesco a posar i miei occhi sul divino Bimbo, né il mio sguardo sa levarsi verso il Cielo e verso il Padre benigno. Mai si stancano i miei occhi di contemplare, con profonda gioia, questo Bimbo che mi gioca in grembo. Oh! Quali cose ignote e straordinarie, non intuite dal Bimbo Innocente,

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risplendono dai suoi acuti occhi blu e s’irradiano da tutto il suo giocherellare! Ah! Non so proprio cosa dire! Quasi mi sembra di non essere più su questa terra, se, nel mio intimo, penso con ferma intensità che Io, io son la Madre di questo Bimbo. Gesù Bambino Grazioso e variopinto è il mondo attorno a me! Eppur non sento come gli altri bambini, non so giocar come si deve, né afferrar saldo alcunché con le mani, né rallegrarmi, levando grida di gioia. Quel che, vivace, si agita e si muove davanti ai miei occhi, mi pare come ombra che passi accanto e come graziosa parvenza. Ma dentro di me son felice e immagino, lì, cose più belle di quelle che riesco a dire. San Giovannino Ah! Come l’adoro, il piccolo Gesù Bambino! Oh, con che amorevole e compiuta innocenza si diverte sulle ginocchia della Madre! – Caro Dio in cielo, segretamente ti prego con ardore, e Ti ringrazio, e Ti lodo per la grandezza della Tua misericordia, e imploro la Tua benedizione anche su di me!

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Secondo quadro37 L’adorazione dei Tre Saggi d’Oriente I Tre Saggi Ecco! Dal lontano Oriente giungiamo, guidati dalla bella stella, noi, tre Saggi da una Terra lontana, in cui il sole sorge nel suo splendore. Per lunghi anni, affannati ci siamo a raggiungere la conoscenza, la fonte prima della sapienza, molto abbiamo riflettuto nella nostra mente; il Signore del Creato ci ha inoltre concesso, nella Sua misericordia, corona e scettro e, per il nostro lungo meditare e immaginare, ci ha dato in dono teste canute. Ora però veniamo in corteo, dalla terra in cui sorge il sole, per deporre in questo luogo, pieni d’umiltà, tutta la sapienza dei nostri anni, l’intero nostro sapere e conoscenza attratti da Te, oh, Magnifico Bambino, nei nostri dorati manti regali e con il capo incanutito e per prostrarci qui, devoti, dinnanzi a Te, e per rendere omaggio e adorare Te. Come segno della nostra profonda venerazione, portiamo a Te oro, incenso e mirra, quale degna offerta, per quanto è in nostro potere, della nostra devozione. Maria Oh! Anima mia, magnifica il Signore! che mi ha glorificato e innalzato sopra tutte le genti! Perché io ho partorito il Bimbo che gioca sul mio grembo e

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che i Saggi son venuti dal lontano Oriente, in corteo a venerare! Oh, i miei occhi non reggono a tal vista, e il cuore mi si spezza! L’intera, profonda sapienza dei loro anni umilmente depongono dinnanzi al Bambino: le ginocchia piegate, il capo chino, le vesti regali e dorate son posate a terra. Oro, incenso e mirra recano come offerta al Bimbo; ah, son doni veramente straordinari e preziosi! – Oh, quant’è beata nell’intimo la Madre che è in me! Ma non riesco a ringraziar i Saggi per la loro grande benevolenza, né a levar lo sguardo al Cielo. Eppure, cose grandi e straordinarie si agitano nell’animo mio. Gesù Bambino Deve essere certo bella la Terra lontana, in cui si leva il sole luminoso; infatti, quanta dignità promana da questi uomini! Ma come mai sono tanto vecchi e vestiti con sfarzo? Ah! È per la loro profonda sapienza, che indossano regali vesti dorate e hanno teste canute. Mi hanno anche portato doni davvero meravigliosi! E tuttavia s’inginocchiano davanti a me, – bizzarri mi appaiono gli uomini, e non so proprio dirmi che nome potrei dar loro.

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Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte

Il Signore, creatore della nostra terra e di tutto ciò che su di essa si trova, ha abbracciato con il Suo sguardo il globo intero e ha effuso ovunque il flusso divino della Sua benedizione. Ma dalla sua misteriosa officina ha sparso sulla sfera terrestre semi del creato infinitamente vari, i quali a loro volta portano frutti infinitamente vari, germogliando impetuosi, per la Sua gloria, nel più vasto e variopinto dei giardini. Egli guida meravigliosamente il sole attorno al globo terrestre in cerchi uniformi, in maniera tale che i suoi raggi giungano fino alla terra da mille direzioni e, sotto ogni regione del cielo, ne riscaldino a tal punto il midollo da farla sbocciare in molteplici creazioni.38 Con uno stesso sguardo, il Suo occhio si posa, in un unico grande istante, sull’opera delle Sue mani e accoglie con compiacimento l’offerta della natura intera, animata e inanimata. Gli è gradito tanto il ruggito del leone, quanto il bramito della renna, e l’aloe ha per lui un profumo ugualmente gradevole quanto quello della rosa e del giacinto. Anche l’uomo è scaturito in mille forme diverse dalla Sua mano creatrice: i fratelli di una stessa famiglia non si conoscono e non si comprendono; parlano lingue differenti e si meravigliano l’uno dell’altro, ma Egli le conosce tutte e si compiace di tutte; con uno stesso occhio posa lo sguardo alle opere della Sua mano e riceve l’offerta di tutta la natura. Sente le voci degli uomini parlare in vari modi e tutte insieme delle cose divine e sa che tutti – fosse anche a loro insaputa e contro la loro volontà – tutti intendono parlare di Lui, l’Ineffabile. Allo stesso modo, Egli ascolta anche come l’intima sensibilità degli esseri umani parli linguaggi diversi in zone differenti della terra e in epoche diverse, e ode come essi si scontrino tra di loro senza compren-

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dersi, ma agli occhi dell’eterno Spirito tutto si riduce ad armonia; sa che ogni uomo parla la lingua di cui Lui lo ha fornito,39 così che ognuno esprime ciò che ha nell’animo nella maniera in cui può e deve. E se, nella loro cecità, gli esseri umani lottano gli uni con gli altri, Egli sa e riconosce che ognuno di loro, di per sé, ha ragione; veglia con benevolenza su ciascuno e su tutti e gioisce della loro variegata mescolanza. Si può considerare l’arte come il fiore della sensibilità umana. In forme eternamente mutevoli essa s’innalza al cielo, come un fiore che sboccia, da luoghi diversi della terra volgendosi a Dio – Padre universale che regge nella propria mano il globo terrestre con tutto ciò che su di esso si trova – degli svariati semi della sua fioritura giunge solo un unico profumo uniforme. Egli scorge in ogni opera d’arte, da qualsiasi punto della terra scaturisca, la traccia della scintilla divina che, originatasi da Lui, attraverso il petto dell’uomo trapassò nelle piccole creazioni di quest’ultimo; creazioni, dalle quali la scintilla rimanda poi il proprio bagliore al grande Creatore. Gli è gradito il tempio gotico così come quello greco,40 e alle Sue orecchie il suono dei rudi canti di guerra dei selvaggi è gradito quanto quello, ricercato, dei cori e dei canti sacri. E se ora io mi allontano da Lui, l’Infinito, e, attraverso gli incommensurabili spazi del cielo, giungo di nuovo sulla terra e mi guardo attorno osservando i miei confratelli – allora, ahimè, devo levare alti lamenti, in quanto essi si sforzano ben poco di divenire simili al loro eterno e grande modello nei Cieli. Litigano fra di loro senza capirsi e non si rendono conto di affrettarsi tutti verso la stessa meta, perché ciascuno di loro resta fisso con piede saldo al proprio posto e i suoi occhi non sanno innalzarsi al di sopra del tutto. Gli stolti non riescono a comprendere che sulla nostra sfera terrestre vi siano persone agli antipodi e che loro stessi siano degli antipodi rispetto ad altri.41 Giudicano sempre il punto in cui si trova il loro piede come il centro di gravità del mondo, e al loro spirito mancano le ali per volare intorno al globo intero e abbracciare giocosi, con un solo sguardo, l’universo, il quale non ha altro fondamento al di fuori di se stesso. Allo stesso modo, considerano il loro sentimento come il centro di tutto ciò che è bello in arte, e, come se sedessero sullo scranno del giudice, pronunciano su ogni questione il loro giudizio finale, senza pensare che nessuno li ha scelti come giudici, e che coloro i quali sono da loro condannati a loro volta potrebbero benissimo ergersi a giudici. Perché non condannate l’indiano, per il fatto che è indiano e non parla la nostra lingua?42 E, non di meno, volete condannare il Medioevo, per non aver costruito templi uguali a quelli della Grecia?

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Oh, cercate dunque di intuire le anime diverse da voi, identificandovi in esse, e notate che, al pari dei fratelli da voi rinnegati, avete ricevuto i doni dello spirito da una stessa mano! Sforzatevi di considerare che ogni essere, solo partendo dalle forze ricevute dal Cielo, può trarre fuori dalla propria interiorità forme plastiche, e che le creazioni debbono essere adeguate alla natura di ogni artista. E se non siete in grado di immedesimarvi in tutte le creature differenti da voi e non riuscite a sentire le loro opere attraverso il loro animo, tentate almeno indirettamente, tramite i sillogismi dell’intelletto, di giungere a questa convinzione. Se la celeste mano seminatrice avesse fatto cadere il germoglio della tua anima sui deserti sabbiosi dell’Africa, avresti lodato di fronte al mondo intero lo splendore della pelle nera, il viso massiccio e camuso e i capelli corti e crespi come elementi essenziali della suprema bellezza, e avresti deriso o odiato il primo uomo bianco in cui ti fossi imbattuto. Se la tua anima fosse spuntata come un fiore alcune centinaia di miglia più in là, verso est, sul suolo dell’India, avresti sentito nei piccoli idoli dalle strane forme e dalle molte braccia quel segreto spirito che, celato ai nostri sensi, vi alita dentro; e, se avessi osservato la statua della Venere Medicea, non avresti saputo cosa pensarne. E se fosse piaciuto, a Colui nel cui potere tu eri e sei, di gettarti tra le schiere di selvaggi che popolano le isole del sud, avresti rivenuto nei furiosi suoni di tamburo e nei rudi ed assordanti colpi di quella melodia primitiva un senso profondo, di cui tu ora non capisci una sillaba. Ma in uno qualsiasi di questi casi avresti ricevuto il dono della creazione o quello del godimento dell’arte da una fonte diversa da quella, eterna e universale, alla quale anche adesso devi tutte le tue fortune? I fondamenti della ragione seguono in tutte le nazioni della terra le stesse leggi,43 solo con la differenza che qui vengono applicati a un ambito di argomenti infinitamente più ampio, là a uno molto più limitato. In maniera simile, il senso dell’arte è sempre il medesimo raggio di luce divina,44 il quale però, attraverso il vetro variamente molato dei sensi e in luoghi differenti della terra, si frange in mille colori diversi. Bellezza: una parola strana e meravigliosa! E provate pure a escogitare parole nuove per ogni singolo sentimento d’arte, per ogni singola opera d’arte! In ognuna di queste brilla un colore diverso, e per ognuna sono state create sensibilità nervose differenti nell’organismo umano. Ma da questa parola, “bellezza”, voi deducete, tramite gli artifici dell’intelletto, l’esistenza di un rigoroso sistema d’idee, e volete costringere tutti gli esseri umani a “sentire” secondo le vostre disposizioni e le vostre norme – ma voi stessi non siete capaci di “sentire” nulla!

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Chi crede a un sistema ha scacciato l’amore universale dal proprio cuore!45 È più sopportabile l’intolleranza del sentimento che quella dell’intelletto; la superstizione è meglio che la fede in un sistema. Potreste voi costringere chi è malinconico a considerare piacevoli dei canti scherzosi e dei balli allegri? O indurre chi abbia un temperamento sanguigno a esporre con letizia il suo cuore a dei tragici orrori? Oh, lasciate piuttosto che ogni creatura mortale e ogni popolo che vive sotto il sole conservi la sua fede e la sua più piena felicità! E rallegratevi se gli altri gioiscono … anche se non riuscite a compiacervi con loro per ciò che essi hanno di più caro e prezioso al mondo. Noi, figli di questo secolo, abbiamo avuto in sorte il privilegio di stare sulla vetta di un alto monte, dal quale vediamo distintamente, attorno a noi e distesi ai nostri piedi, tanti Paesi e molti periodi storici. Lasciateci, dunque, approfittare di questa fortuna, facendo sì che possiamo spaziare con sguardo sereno su ogni epoca e popolo e sforzarci di cogliere sempre, in tutte le loro molteplici sensazioni e nelle opere della sensibilità, il fattore umano. Ogni essere tende verso la bellezza assoluta: ma nessuno riesce a uscire da se stesso e ognuno vede tale bellezza solo in sé. Così come a ogni occhio mortale giunge un’immagine diversa dell’arcobaleno, allo stesso modo si riverbera su di ognuno, dal mondo circostante, un’immagine differente della bellezza. Nonostante ciò, la bellezza universale e originaria, che solo in alcuni momenti di contemplazione rapita riusciamo a nominare, ma non a ridurre in parole, si manifesta a Colui il quale ha creato l’arcobaleno e l’occhio che l’osserva. Sono partito da Lui per il mio discorso e a Lui faccio nuovamente ritorno, poiché lo spirito dell’arte, come ogni spirito che da Lui procede, attraverso l’atmosfera terrestre si fa nuovamente incontro a Lui come offerta.

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Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer da parte di un monaco amante dell’arte

O Norimberga! Tu, città un tempo famosa in tutto il mondo!46 Con che gioia vagavo per le tue viuzze tortuose; con quale fanciullesco amore osservavo le tue vecchie case e le chiese, sulle quali è impressa l’impronta duratura della nostra antica arte patria! Con quanto fervore amo le creazioni di quell’epoca, che parlano un linguaggio così scarno, vigoroso e autentico! Con quanta intensità mi riconducono a quel secolo remoto, in cui tu, Norimberga, eri la scuola viva e brulicante dell’arte tedesca, e uno spirito artistico davvero fecondo ed esuberante viveva ed operava entro le tue mura: quando ancora vivevano il Maestro Hans Sachs,47 Adam Kraft,48 lo scultore, e, prima di tutti gli altri, Albrecht Dürer,49 con il suo amico Willibald Pirkheimer,50 e tanti altri uomini degni delle più alte lodi! Quanto spesso ho desiderato tornare a quei tempi! Quanto spesso essi sono ricomparsi nei miei pensieri, allorquando sedevo nelle tue venerabili biblioteche,51 Norimberga, in un angolo angusto, alla penombra di piccole finestre dai vetri tondi e meditavo mestamente sugli in folio dell’onesto Hans Sachs, o su altre carte vecchie, ingiallite e tarlate; oppure allorquando vagavo sotto le ardite volte delle tue chiese buie,52 in cui la luce del giorno, filtrando attraverso finestre variopinte, illuminava magnificamente tutte le statue e le pitture dei tempi passati! Vi stupite ancora e mi guardate, voi uomini di poco cuore e di poca fede? Oh, certo che li conosco, i boschi di mirto dell’Italia, eccome se conosco l’ardore celeste che divampa nell’animo entusiasta degli uomini del felice sud; perché dunque mi richiamate là, dove sempre dimorano i pensieri dell’anima mia, ove si trova la patria delle ore più belle della mia vita? Voi, che vedete ovunque confini, anche là dove non ve ne sono? Non stanno Roma e la Germania sulla stessa terra? E il Padre celeste non ha forse tracciato vie da nord a sud, come da ovest a est, sull’intero globo terrestre? O magari la vita di un uomo è troppo breve? E sono le Alpi insormontabili? – Ebbene, deve dunque poter vivere anche più di un amore nel petto dell’uomo.

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Ma in questo momento il mio spirito afflitto va al luogo consacrato che sta davanti alle tue mura, o Norimberga; al cimitero, in cui riposano le spoglie mortali di Albrecht Dürer, che un tempo fu il vanto della Germania, anzi dell’Europa. Esse giacciono là, onorate dalla presenza di pochi visitatori, tra innumerevoli pietre tombali, ognuna delle quali è contrassegnata da un’effigie in ferro, segno dell’arte antica, e in mezzo alle quali si ergono copiosi degli alti girasoli, i quali trasformano il camposanto in un delizioso giardino. Così riposano le ossa dimenticate del nostro vecchio Albrecht Dürer, per amore del quale mi è grato essere tedesco. Penso che a pochi sia dato di comprendere intimamente l’anima che si manifesta nei tuoi quadri, e di godere con tanta intensità di ciò che di proprio e peculiare vi è in essi, come il Cielo, rispetto a tanti altri, sembra avermi concesso; infatti, guardandomi intorno, noto che sono pochi quelli che sostano davanti a te con tanto sincero amore e con una venerazione simile alla mia. E non sembrano le figure, in questi tuoi quadri, degli esseri umani reali intenti nella conversazione? Ognuno di loro è ritratto in maniera così distinta e particolare, che lo si riconoscerebbe tra una moltitudine di persone; ciascuno è prelevato così bene dal cuore della natura da adempiere in tutto e per tutto al suo scopo. Nessuno sta lì, per così dire, con l’anima a metà, come spesso si potrebbe affermare dei raffinatissimi, affettati quadri dei nuovi maestri; ciascuno di loro è colto nel pieno della sua vita e posto allo stesso modo sulla tela. Chi deve lamentarsi, si lamenta; chi deve adirarsi, si adira; e chi deve pregare, prega. Tutte le figure parlano, e parlano a voce alta e percepibile. Non vi sono braccia che si muovano inutilmente, o solo per lo svago dell’occhio o per colmare degli spazi; tutte le membra, ogni cosa, in certo modo, si rivolge a noi con forza, così che cogliamo nel nostro intimo con assoluta fermezza il senso e l’anima dell’insieme. Crediamo a tutto ciò che il geniale artista ci rappresenta e ciò non si cancella mai dalla nostra memoria. Come è possibile che gli odierni artisti della nostra patria mi appaiano del tutto diversi da quegli uomini degni di lode del passato, e in special modo da te, mio adorato Dürer? Come mai ho l’impressione che voi, artisti del passato, vi siate avvalsi dell’arte pittorica in modo molto più serio, autorevole e degno di tutti questi artisti affettati dei nostri giorni? Mi sembra di vedervi mentre state assorti davanti a un quadro che avete iniziato; come l’immagine, che volete render manifesta, fluttui vivacissima di fronte alla vostra anima; come riflettete pensosi su quali espressioni del volto e posizioni del corpo possano, con tutta probabilità, colpire lo spettatore nella maniera più forte e certa e commuovere più intensamente la sua anima alla vista dell’opera. E come, poi, con intima partecipazione e con amorevole serietà, riportate fedelmente e pazientemente sulla tela le creazioni divenute familiari alla vostra viva immaginazione. – Ma i moderni paiono non voler af-

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fatto che si prenda parte seriamente a quanto viene rappresentato su tela; lavorano per dei nobili che non vogliono esser né commossi, né nobilitati spiritualmente dall’arte, bensì tutt’al più superficialmente incantati e solleticati da essa. Questi moderni maestri si sforzano di fare dei loro dipinti un modello esemplare dai numerosissimi colori gradevoli e ingannevoli; mettono alla prova il loro ingegno nella distribuzione di luci ed ombre, ma le figure umane sembrano il più delle volte stare nei loro quadri soltanto in virtù dei colori e della luce e, in verità, direi quasi come un male necessario. Guai alla nostra epoca, devo esclamare, che esercita l’arte solo come un frivolo svago dei sensi, mentre essa è in verità qualche cosa di molto serio e sublime.53 Non si tiene davvero più in alcun conto l’essere umano, al punto che lo si trascura nel campo dell’arte e si ritengono più degni di considerazione i colori graziosi e ogni sorta di artificio nell’impiego della luce? Negli scritti di Martin Lutero, stimatissimo e difeso dal nostro Albrecht Dürer, dei quali, come confesso con piacere, ho letto alcuni passi, spinto dal desiderio di conoscenza, e nei quali possono essere nascoste molte cose buone, ho trovato un passaggio rilevante sull’importanza dell’arte, che ora mi torna ben vivo alla memoria. A un certo punto Lutero sostiene infatti, in modo perentorio ed esplicito, che accanto alla teologia, tra tutte le scienze e le arti dello spirito umano, la musica occupa il primo posto.54 E io devo riconoscere francamente che quest’ardita osservazione ha molto contribuito a far volgere il mio sguardo verso questo uomo illustre. Poiché l’anima, dalla quale poté scaturire una tale considerazione, dovette sentire proprio quella profonda venerazione per l’arte che, non so per quale ragione, alberga nell’animo di pochissimi esseri umani e che invece, a mio parere, è molto importante e naturalissima. Ora, se l’arte (voglio dire, la sua parte principale ed essenziale) ha veramente una simile importanza, allora è molto indegno e avventato allontanarsi dalle figure umane espressive ed edificanti del nostro vecchio Albrecht Dürer, in quanto non dotate di quella sfavillante bellezza esteriore che il mondo d’oggi considera il solo e supremo criterio dell’arte. Certamente tradisce la presenza di un animo non del tutto sano e puro colui che, di fronte a una considerazione d’ordine spirituale, la quale è in sé valida ed efficace, si turi le orecchie solo perché chi la esprime non dispone le sue parole in un ordine elegante o perché ha una cattiva pronuncia straniera o gesticola malamente con le mani. Ma m’impediscono forse simili osservazioni di apprezzare e ammirare, secondo il merito, questa bellezza esteriore e, per così dire, solo corporea dell’arte, dovunque io la trovi?

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E anche questo, o mio caro Albrecht Dürer, ti viene imputato come una grave violazione dei nuovi canoni artistici: che tu abbia collocato comodamente, l’una accanto all’altra, così da formare un gruppo ordinato, le tue figure umane, senza intrecciarle tra loro in maniera artificiosa. Io invece ti adoro proprio per questa tua disinvolta semplicità e fisso spontaneamente i miei occhi prima di tutto sull’anima e sul significato profondo delle tue figure, senza che un simile biasimo si affacci neppure alla mia mente. Molte persone sembrano però oppresse a tal punto da questa mania di criticare, come da uno spirito maligno e tormentoso, da venir spinte da essa a disprezzare e deridere, prima ancora di riuscire a osservare con tranquillità; e tanto meno sono poi in grado di varcare le barriere del presente, spingendosi verso il passato. Di buon grado voglio concedere a voi, o zelanti novizi, che un giovane pittore possa oggi parlare in modo più sagace e più dotto di colori, luci e combinazione delle figure, di quel che sapesse fare il vecchio Dürer; ma in questo giovane parla proprio il suo spirito, o non piuttosto la sapienza artistica e l’esperienza dei tempi passati? L’autentica e intima anima dell’arte può essere colta solo d’un tratto da pochi spiriti eletti, per quanto il pennello possa esser usato in maniera ancora maldestra; tutto ciò che fa parte, per cosi dire, dei baluardi esterni nelle opere d’arte viene invece man mano perfezionato mediante capacità inventiva, pratica e riflessione. Al contrario, è una ignobile e deplorevole vanità quella di cingere il proprio debole capo con una corona, composta dai meriti dei tempi trascorsi, e di voler nascondere la propria nullità sotto uno splendore preso in prestito. Via dunque – o voi giovani saputi – dal vecchio pittore di Norimberga! E che nessuno osi riferirsi a lui con tono di scherno, benché qualcuno potrebbe arricciare ancora puerilmente il naso per il fatto che non ebbe come maestro un Tiziano55 o un Correggio,56 o perché ai suoi tempi si indossavano abiti tanto strani e di antico gusto francone-tedesco. Difatti, per la stessa ragione i maestri d’oggi non vogliono considerare bella e nobile l’arte di Dürer, così come quella di diversi altri valenti pittori del suo secolo, perché vestono la storia di tutti i popoli, e certo anche le stesse vicende spirituali della nostra religione, con i costumi dei loro tempi. Su questo aspetto penso semplicemente che ogni artista, il quale fa passare le creazioni dei secoli passati attraverso il suo animo, debba vivificarle secondo lo spirito e il respiro della sua epoca; e che sia giusto e naturale che la forza creatrice dell’uomo si accosti benevolmente a tutto ciò che le è estraneo e distante, e dunque anche alle stesse creature celesti, e le rivesta nelle forme familiari e amate del suo mondo e del suo orizzonte di conoscenze. Al tempo in cui Albrecht Dürer teneva in mano il pennello, il Tedesco possedeva ancora caratteristiche specifiche e nette di solida stabilità sulla scena dei popoli della nostra parte del mondo; e nei suoi quadri,

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non solo nelle fattezze dei visi e in tutto ciò che appare esteriormente, bensì anche nell’intima spiritualità, questa natura seria, leale e forte del carattere tedesco è impressa fedelmente e chiaramente. Ai nostri giorni questo carattere tedesco solidamente determinato è andato perduto, così come la nostra arte. Il giovane tedesco apprende oggi le lingue di tutti i popoli d’Europa e, analizzando e giudicando, deve trarre nutrimento dallo spirito di tutte le nazioni. Il discepolo dell’arte viene istruito su come debba imitare, a un tempo, l’espressione di Raffaello, i colori della scuola veneziana, la verità dei pittori fiamminghi, la magica luce del Correggio, e come, lungo questa strada, debba giungere a una perfezione che tutto superi.57 – Oh triste saccenteria! Oh, cieca fede del nostro tempo, che presume di poter combinare assieme ogni genere di bellezza e perfezione, traendole da tutti i grandi artisti della terra, e che crede, dopo averli attentamente osservati tutti e aver mendicato un po’ dalle molteplici e grandi doti di ognuno, di poter riunire in sé lo spirito di tutti e di poterli tutti superare! – La verità è invece che il periodo della forza genuina è passato e che, tramite meschine imitazioni e saccenti combinazioni di virtù altrui, si vuole conseguire con la forza quel talento che manca; opere fredde, leziose e prive di carattere ne sono quindi il frutto. – L’arte tedesca si formò in passato come un giovane devoto, cresciuto in una dimensione domestica, tra consanguinei, ed entro il cerchio delle mura di una piccola città; ora che si è fatta adulta, essa è diventata come un comune uomo di mondo che, assieme ai modi provinciali, abbia nello stesso tempo cancellato dalla propria anima il proprio sentimento e la propria impronta distintiva. Per nessuna ragione al mondo vorrei che il magico Correggio o il magnifico Paolo Veronese58 o il potente Buonarroti avessero dipinto alla stessa maniera di Raffaello. E così pure non sono affatto d’accordo con le frasi rituali di quelli che affermano: «Se solamente Albrecht Dürer avesse abitato per un po’ di tempo a Roma e avesse imparato da Raffaello la pura bellezza idealizzata, sarebbe diventato un grande pittore; lo si deve compiangere e meravigliarsi solo per tutto quello che egli, pur nella sua condizione, è riuscito a fare».59 Ritengo che in tutto ciò non ci sia invece nulla di cui rammaricarsi; anzi, sono lieto che il destino abbia concesso alla terra tedesca il privilegio di trovare in quest’uomo un autentico pittore nazionale. In caso contrario, egli non sarebbe rimasto lo stesso, dato che il suo sangue non era italiano. Non era nato per l’ideale bellezza e la sublime nobiltà di un Raffaello; traeva da ciò la sua gioia: dal mostrarci gli esseri umani, così come essi realmente erano attorno a lui, e ciò gli è riuscito in maniera veramente eccellente. Eppure mi sovviene il meraviglioso ricordo del giorno in cui, negli anni della mia giovinezza, vidi in una magnifica galleria sia i primi dipinti di Raffaello, sia i tuoi, o mio diletto Dürer.60 Ripenso a come, tra tutti i vari pittori che conoscevo, questi due avessero un’affinità parti-

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colarmente stretta con il mio cuore. Di entrambi mi piacque moltissimo il modo semplice e diretto, privo dei ricercati preziosismi di altri pittori, di porre in maniera assolutamente chiara ed evidente davanti ai nostri occhi l’umanità colta nella sua pienezza. Solo che allora non ebbi il coraggio di manifestare apertamente ad altri la mia opinione, perché credevo che tutti mi avrebbero deriso e sapevo bene che i più non riconoscevano nell’arte del vecchio pittore tedesco altro che molta rigidità ed eccessiva essenzialità. Nonostante questo, il giorno in cui visitai quella galleria di quadri, ero così pervaso da questo nuovo complesso di considerazioni che mi addormentai pensandoci e durante la notte mi apparve in sogno una visione incantevole, la quale mi rafforzò ancor più saldamente nella mia convinzione. Sognai che, dopo mezzanotte, dalla stanza del castello in cui dormivo, attraverso le sale buie del palazzo, me ne andavo tutto solo e con una torcia in mano verso la galleria dei quadri. Quando giunsi davanti alla porta, udii un lieve mormorio proveniente dall’interno … aprii … e subito balzai indietro intimorito, poiché tutta la grande sala era illuminata da una strana luce e di fronte a parecchi dipinti stavano lì, in persona, i loro venerabili autori, vestiti nei loro vecchi costumi, come li avevo visti nei ritratti. Uno di loro, che non conoscevo, mi disse che certe notti i pittori scendevano dal cielo e che, nella quiete notturna, si aggiravano qua e là sulla terra per gallerie e ammiravano le opere, da essi pur sempre amate, di loro mano. Riconobbi molti pittori italiani; al contrario, pochi fiamminghi. Pieno di umile rispetto passai tra di loro; ed ecco che là, appartati da tutti gli altri, si trovavano davanti ai miei occhi, in carne ed ossa, Raffaello e Albrecht Dürer, tenendosi per mano mentre osservavano silenziosi, in serena tranquillità, i loro quadri, appesi gli uni accanto agli altri. Di rivolgere la parola al divino Raffaello, non ebbi il coraggio; un segreto timore reverenziale mi serrava le labbra. Volevo invece subito salutare il mio Dürer e dare libero sfogo a tutto il mio affetto dinnanzi a lui … in quello stesso istante però, a causa di un gran frastuono, tutto si fece confuso davanti ai miei occhi e mi risvegliai con un brusco movimento. Questa visione avuta in sogno suscitò una profonda gioia nel mio animo ed essa fu resa ancora più completa quando, poco tempo dopo, lessi nel vecchio Vasari61 in che maniera quei due straordinari artisti fossero stati amici per davvero anche all’epoca in cui erano in vita, pur senza essersi conosciuti direttamente e solo grazie alle loro opere, e come i lavori, schietti e fedeli al vero, del vecchio pittore tedesco, fossero considerati con approvazione da Raffaello, il quale non li considerava indegni del suo amore. Certo non posso tuttavia tacere che in seguito, osservando le opere dei due pittori, rivivevo la stessa sensazione di quel sogno: vale a dire che dei lavori di Albrecht Dürer, a volte, mi arrischiavo di spiegare ad

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altri l’autentico valore estetico, osando profondermi in parole sui loro pregi. Per quanto riguarda le opere di Raffaello, invece, ero sempre pervaso e, in certo modo, reso inquieto a tal punto dalla loro divina bellezza da non riuscire proprio a parlarne, né a spiegare chiaramente a nessuno da dove, a mio avviso, scaturisse quella luce divina che risplende per ogni dove. Ma adesso non voglio distogliere il mio sguardo da te, o mio Dürer! Il paragone è un pericoloso nemico del godimento artistico; anche la più sublime bellezza dell’arte esercita su di noi, come essa deve, il suo pieno effetto solo se il nostro occhio non si posa contemporaneamente di fianco su un’altra bellezza. Il Cielo ha distribuito i suoi talenti tra i grandi artisti della terra in maniera tale, che noi siamo proprio costretti a restare in silenzio davanti a ognuno di essi e a offrire a ciascuno la parte della nostra ammirazione che gli spetta. Non solo, dunque, sotto cielo italiano, sotto cupole maestose e colonne corinzie, ma anche sotto volte a sesto acuto, edifici ornati di volute e torri gotiche, cresce la vera arte. Pace alle tue spoglie, o mio Albrecht Dürer! E possa tu sapere, quanto mi sei caro e come, nel mondo d’oggi a te estraneo, io sono l’araldo del tuo nome. – E benedetta sia la tua epoca d’oro, o Norimberga! L’unica, in cui la Germania poté gloriarsi di avere una propria arte nazionale. – Ma i bei tempi passano sopra la terra e si dileguano, come nuvole splendenti che transitano sotto la volta celeste. Ecco, son già passati, e non se ne serba più memoria; solo pochi son quelli che, per profondo amore, li rievocano, richiamandoli alla memoria dai polverosi libri e dalle immortali opere dell’arte.

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Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa 62

La lingua delle parole è un grande dono del Cielo, e fu un beneficio eterno concesso dal Creatore quello di sciogliere il nodo della lingua al primo uomo, affinché questo potesse dare un nome a tutte le cose che l’Altissimo gli aveva posto intorno nel mondo e a tutte le immagini spirituali da Lui collocate nella sua anima, e potesse contemporaneamente esercitare la propria mente nei più vari giochi con questa grande ricchezza di nomi. Grazie alle parole dominiamo il mondo intero; per mezzo di esse otteniamo, con modesta fatica, tutti i tesori della terra. Solo l’Invisibile, che aleggia al di sopra di noi, le parole non riescono ad attirarlo giù verso il nostro animo. Le cose terrene le abbiamo in pugno se ne pronunciamo il nome; ma quando sentiamo nominare la bontà infinita di Dio o la virtù dei santi, le quali pure sono argomenti che dovrebbero commuovere tutto il nostro essere, ecco allora che il nostro orecchio si colma di una vuota eco e che il nostro spirito non viene nobilitato come dovrebbe. Ma io conosco due lingue meravigliose, per mezzo delle quali il Creatore ha concesso all’uomo di cogliere e di comprendere in tutta la loro potenza le cose celesti, almeno (per non esprimersi in maniera presuntuosa) nei limiti di ciò che è consentito a delle creature mortali. Queste due lingue giungono alla nostra anima per vie del tutto diverse da quelle rappresentate dall’ausilio delle parole; esse mettono in moto, d’un tratto e in modo straordinario, tutto il nostro essere, penetrando così in ogni nervo e in ogni goccia di sangue che ci appartiene. Una di queste lingue miracolose la parla solo Dio; l’altra la parlano soltanto pochi privilegiati tra gli esseri umani, che Lui ha consacrato come suoi prediletti. Intendo dire: la natura e l’arte. Sin dalla mia prima gioventù, allorché imparai a conoscere il Dio degli uomini sugli antichissimi libri sacri della nostra religione, la natura fu per me sempre il libro più profondo e chiaro per comprendere l’essenza di Dio e i suoi attributi.63 Il sibilo del vento tra le cime degli alberi della foresta e il rimbombo del tuono mi hanno raccontato misteriosi segreti su di Lui, che non riesco a formulare in parole. Una

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bella vallata, circondata da bizzarre forme rocciose, o un fiume placido, sul quale si riflettono alberi ricurvi, oppure un allegro prato verde illuminato dal cielo azzurro – oh, queste cose hanno suscitato nell’intimità del mio animo emozioni più meravigliose, hanno colmato più profondamente il mio spirito dell’infinita onnipotenza e bontà divina, e hanno purificato e innalzato l’anima mia tutta assai più di quanto non riuscì mai a fare il linguaggio delle parole. Questo è, così almeno mi pare, uno strumento troppo terreno e grossolano, di cui servirsi per esaminare tanto l’incorporeo quanto ciò che è corporeo. Io trovo qui un motivo importante per lodare la potenza e la bontà del Creatore. Egli ha disposto attorno a noi esseri umani un’infinità di cose, ognuna delle quali ha un’essenza diversa e di cui non comprendiamo e afferriamo nulla completamente. Non sappiamo cosa siano, nella loro essenza, un albero, un prato o una roccia. Non siamo capaci di parlare con loro nella nostra lingua: noi ci comprendiamo solo tra di noi. Nonostante questo, Iddio Creatore ha posto nel cuore dell’uomo una tale meravigliosa simpatia per queste cose, che esse suscitano in quel cuore, per vie sconosciute, sensazioni o sentimenti, o come li si voglia chiamare, che noi mai riusciamo a cogliere, neppure con le parole più ricercate. I filosofi, sospinti da una fervida ricerca, in sé encomiabile, della verità, hanno smarrito la retta via; hanno voluto scoprire i segreti del Cielo, collocandoli tra le cose mondane e sotto una luce terrena, e, con un’audace difesa delle loro ragioni, hanno scacciato dal proprio petto gli oscuri sentimenti di quegli stessi segreti celesti. – Ma è in grado il fragile uomo di chiarire i misteri del Cielo? È così ardito da credere di poter portare alla luce ciò che Dio, con la sua mano, cela? Gli è forse permesso di scacciare via da sé con superbia gli oscuri sentimenti che, come angeli avvolti da veli, discendono su di noi? – Io, per quanto mi riguarda, li venero con profonda umiltà, perché è un’immensa grazia concessa da Dio mandare a noi qui, dall’alto dei cieli, questi puri testimoni della verità.64 Congiungo dunque le mani e mi pongo in adorazione. L’arte è una lingua di tutt’altra specie della natura, ma anch’essa ha la caratteristica di esercitare, per vie analogamente oscure e misteriose, una straordinaria forza sul cuore dell’uomo. L’arte parla per mezzo di immagini umane e si serve di una scrittura geroglifica, i cui segni noi conosciamo e comprendiamo secondo l’apparenza esteriore. Ma essa fonde ciò che è spirituale e sovrasensibile in forme visibili e in maniera tanto commovente e mirabile che, a sua volta, il nostro essere e tutto ciò che è in noi è mosso da emozioni e scosso sin dalle fondamenta. Alcuni dipinti raffiguranti soggetti inerenti la storia della passione di Cristo, o la vita della nostra santa Vergine, o quella dei santi hanno, posso ben dirlo, reso il mio spirito più puro e ispirato sentimenti più

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virtuosi alla mia anima, di quanto non riescano a fare i sistemi della morale e le meditazioni spirituali. Tra l’altro, ripenso ancora intensamente a un quadro, dipinto in maniera veramente straordinaria, raffigurante San Sebastiano: egli sta, nudo, legato a un albero, mentre un angelo gli estrae dal petto le frecce e un altro dal Cielo gli porta una corona di fiori destinata al suo capo. A questo dipinto io sono debitore di sentimenti cristiani molto incisivi e coinvolgenti e, ora, non riesco a immaginarmelo vividamente di fronte a me senza che mi salgano le lacrime agli occhi. Le teorie dei sapienti mettono in movimento e coinvolgono emotivamente solo una delle due parti del nostro essere, il nostro cervello; le due meravigliose lingue, della cui forza io qui parlavo, commuovono invece tanto i nostri sensi quanto la nostra mente. O, piuttosto, sembrano fondere assieme – poiché non riesco a esprimermi in altra maniera – tutte le parti del nostro essere (per noi incomprensibile) in un unico organo nuovo, il quale coglie e comprende, attraverso queste due differenti vie, i prodigi celesti. Una delle due lingue, che l’Altissimo stesso parla da sempre e per sempre, ossia la natura eternamente viva e infinita, ci trascina per i vasti spazi dell’etere su fino alla divinità. Invece l’arte, la quale, per mezzo di ingegnose combinazioni di terra colorata e di qualcosa di umido, riproduce la figura umana in uno spazio stretto e limitato, tendendo alla perfezione interna (una sorta di creazione, ma nei limiti di quello che a esseri mortali fu concesso produrre), l’arte, dicevo, dischiude i tesori nascosti nel petto dell’uomo, indirizza il nostro sguardo verso il nostro intimo e ci rivela l’invisibile (intendo dire, tutto ciò che è nobile, grande e divino) celato sotto la figura umana. Se, dalla chiesa del nostro convento e dopo la contemplazione di Cristo in croce, esco all’aperto e la luce del sole mi abbraccia dal cielo azzurro con i suoi raggi caldi e vivificanti e il bel paesaggio con monti, corsi d’acqua e alberi commuove il mio occhio, allora io vedo dispiegarsi di fronte a me un mondo che è sì di Dio, ma che ha anche un carattere particolare e sento in modo ben preciso e altrimenti peculiare sorgere grandi cose nel mio intimo. Se, poi, dall’aria aperta rientro nuovamente nella chiesa e fisso con espressione grave e fervida il dipinto di Cristo in croce, ecco che, di nuovo, si manifesta davanti a me un mondo del tutto diverso, eppure anch’esso caratteristico di Dio, e avverto, anche ora in modo diverso e particolare, che grandi cose si levano dall’intimo del mio animo.

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L’arte rappresenta per noi la suprema perfezione umana. La natura, o meglio quanto di essa vede un occhio mortale, assomiglia a frammentari responsi di oracoli usciti dalla bocca di Dio.65 Ora, se fosse permesso parlare di simili cose, si potrebbe forse anche aggiungere che Dio certo guarda alla natura o al mondo intero in maniera simile a quella con cui noi guardiamo un’opera d’arte.

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Delle stravaganze del vecchio pittore Piero di Cosimo, artista della scuola fiorentina

La natura, lavoratrice eternamente laboriosa, plasma, con mani sempre affaccendate, milioni di esseri di ogni genere e li getta nella vita terrena. Scherzando spensieratamente e lietamente essa mescola assieme gli elementi, in svariate maniere e senza considerare se la loro combinazione sarà adeguata o meno, e affida ogni singolo essere scaturito dalla sua mano alle proprie gioie e ai propri dolori. E così come la natura a volte, nel regno delle creature inanimate, scaglia con sfrontatezza tra la moltitudine figure bizzarre e mostruose, alla stessa maniera essa fa nascere anche tra gli esseri umani in tutti i secoli alcune figure stravaganti, che poi nasconde tra migliaia di natura comune. Ma questi spiriti singolari vivono e scompaiono così come quelli più ordinari: i posteri, curiosi di conoscerli, mettono insieme dagli scritti rimasti i singoli incerti balbettii che dovrebbero descriverceli. Solo che noi non conseguiamo una loro immagine comprensibile e non impariamo mai a comprenderli del tutto. Neppure quelli che li videro con i propri occhi furono capaci di capirli pienamente; anzi, forse per loro stessi risultò difficile comprendersi. Noi riusciamo a guardarli, come del resto succede per ogni cosa in questo mondo, solo con vuoto stupore. Questi pensieri si sono destati in me, allorché, leggendo le storie degli antichi pittori, incappai nell’originale figura di Piero di Cosimo.66 La natura aveva colmato la sua anima di una fantasia sempre effervescente e avvolto il suo spirito con tempestose nuvole, grevi e scure, tanto che il suo animo era sempre all’opera inquieto ed errava tra immagini stravaganti, senza rispecchiarsi mai in una bellezza semplice e serena. Tutto in lui era fuori dal comune e insolito; gli antichi scrittori non sanno mettere insieme parole abbastanza efficaci da poterci dare un’idea della natura eccessiva ed eccezionalmente insolita di tutto il suo essere. Nei loro scritti troviamo solamente pochi tratti isolati – in parte apparentemente irrilevanti – i quali certo non ci fanno in alcun modo imparare a conoscere l’abisso della sua anima, né concorrono a formare un’immagine di essa completa e armoniosa, ma dai quali

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possiamo comunque intuire a grandi linee ciò che giaceva al fondo di essa. Piero di Cosimo mostrava già in gioventù uno spirito vivace, sempre versatile, e una forza immaginativa esuberante, per mezzo dei quali ben presto si distinse dai suoi compagni di scuola. La sua anima non si compiaceva mai di abbandonarsi quieta a un pensiero o a una sola immagine; un nugolo di idee strane e bizzarre gli passavano di continuo nel cervello, allontanandolo dalla realtà del presente. A volte, mentre sedeva al lavoro e contemporaneamente raccontava o spiegava qualcosa, la sua fantasia, sempre intenta a vagare per conto proprio qua e là, lo trascinava, senza che lui se ne rendesse conto, verso altezze così remote, che egli, improvvisamente, ammutoliva, il nesso delle cose presenti gli si confondeva davanti agli occhi ed era costretto a ricominciare da capo il suo discorso. La compagnia di altre persone lo ripugnava; la cosa che più di ogni altra gli piaceva era la cupa solitudine, nella quale egli, completamente assorto in sé, inseguiva le sue stravaganti fantasie, dovunque esse lo conducessero. Se ne stava sempre solo, rinchiuso in una camera, e conduceva una vita molto particolare. Si cibava sempre degli stessi, identici alimenti, che lui stesso preparava in ogni momento della giornata, quando ne aveva voglia. Non tollerava che si spazzasse la sua stanza; si opponeva persino alla potatura degli alberi da frutta e delle viti presenti nel suo orto, perché voleva vedere dappertutto la natura selvaggia, comune e incolta, e traeva piacere da ciò che risulta sgradito al gusto altrui. Per questa ragione nutriva anche una segreta attrazione per tutti gli obbrobri della natura, per tutti gli animali e le piante mostruose, che si fermava lungo tempo a contemplare. Li osservava con attenzione impassibile, per godere appieno del loro orribile aspetto; dopo di che riconsiderava continuamente le loro immagini nel suo pensiero, senza riuscire più a levarsele dalla testa, per quanto esse gli fossero alla fine diventate disgustose. Dei disegni di tali mostruosità aveva poco a poco, con lo zelo più energico, riempito un intero libro. Inoltre, spesso teneva fissi gli occhi su vecchie mura, imbrattate e variopinte dal tempo, o sulle nuvole in cielo, e da tutti questi scherzi della natura la sua immaginazione deduceva varie idee stravaganti per dipingere violente battaglie con cavalli o vasti paesaggi montani con insolite città. Provava una grande gioia davanti allo spettacolo di un acquazzone violentissimo, quando l’acqua cadeva giù dai tetti scrosciando sul selciato; al contrario, aveva paura come un bimbo dei tuoni e, se il cielo minacciava un temporale, si avvolgeva stretto nel suo mantello, chiudeva le finestre e si trascinava in un angolo della casa, fino a che non fosse tutto passato. Mezzo matto lo rendevano il grido dei bambini piccoli, il suono delle

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campane ed il canto dei frati. Il suo modo di parlare era colorito e insolito; anzi di più, a volte diceva cose così straordinariamente comiche, che quelli che lo ascoltavano non riuscivano a trattenersi dal ridere. Insomma, era fatto in modo tale che la gente del suo tempo lo considerava un soggetto afflitto da gravi turbe, per non dire quasi un pazzo. Il suo spirito che, come acqua bollente in una pentola, si agitava ininterrottamente, sollevando schiuma e bolle, trovò un’eccellente occasione per mettersi in mostra in ogni genere di nuove e strane trovate durante le mascherate e gli smodati cortei che si tenevano al tempo del carnevale a Firenze, di modo che, solo grazie a lui, questa festa effettivamente divenne ciò che prima non era mai stata. Ma tra tutti gli straordinari e ammiratissimi cortei in maschera da lui diretti, uno si distinse in una maniera tanto particolare e caratteristica, che noi vogliamo proporne qui una breve descrizione. I preparativi erano stati fatti in segreto e tutta Firenze ne fu dunque estremamente sorpresa e scossa. Difatti, nella notte stabilita, mentre la popolazione, abbandonatasi alla gioia più sfrenata, si sparpagliava festosa per le strade della città, la folla fu improvvisamente colta dal terrore e si guardò attorno turbata e stupita. Nella fievole luce del crepuscolo si avvicinava, nero e lento, un enorme carro nero trainato da quattro bufali neri, con ossa di morti e croci bianche dipinte tutt’intorno; sul carro si levava maestosa una possente e grande figura della morte trionfante, armata della terribile falce, ai cui piedi stavano, sempre sul carro, niente altro che bare. Ma il corteo dal passo lento si fermò e – al sordo rimbombo di strani corni, il cui suono angoscioso e orrido faceva tremare fin nel midollo delle ossa, e al misterioso bagliore di torce lontane, mentre tutta la popolazione era colta da un silenzioso orrore – ecco che dalle bare che si aprivano da sé uscirono fuori, lentamente, scheletri bianchi a mezzo busto, si misero a sedere sulle bare e riempirono l’aria di un canto tetro e cupo, il quale, abbinato al suono dei corni, faceva gelare il sangue nelle vene. Cantavano le atrocità della morte e dicevano che tutti quelli che adesso, da vivi, li guardavano, presto sarebbero diventati scheletri come loro. Attorno al carro e dietro di esso stava assiepato un grande e disordinato stuolo di morti, con il capo coperto da maschere simili a teschi, addobbati di vesti nere sulle quali erano segnate ossa bianche e bianche croci, e seduti su cavalli scarni; ognuno aveva un seguito di altri quattro cavalieri vestiti di nero con fiaccole, e un’enorme bandiera nera con teschi, ossa e croci bianche; anche dal carro pendevano e si trascinavano dieci grandi bandiere nere; e mentre il corteo procede-

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va lentamente in avanti, l’intera schiera dei morti cantava, con voce cupa e tremante, un salmo di David. È curioso osservare che questo inatteso corteo di morti, per quanto terrore esso inizialmente diffondesse, finì invece per essere accolto da tutta Firenze con la più grande benevolenza. Sensazioni dolorose e ripugnanti afferrano potenti l’anima, la tengono ferma e la costringono, in certo qual modo, a essere partecipe e a compiacersi; e se, oltre a ciò, esse colpiscono e stimolano la fantasia con un certo slancio poetico, allora per loro è possibile mantenere l’animo in uno stato di elevata ed entusiastica tensione. Oltre a ciò, vorrei dire che in spiriti illustri, com’era quello di Piero di Cosimo, sembra essere innato, come un dono ricevuto dal Cielo, un meraviglioso e segreto potere di conquistare, per mezzo delle cose strane e straordinarie che essi fanno, anche i più stravaganti capricci della folla più comune. Benché Piero di Cosimo fosse incessantemente sollecitato, inseguito qua e là e assillato dalla sua fantasia inquieta e tenebrosa, il Cielo gli aveva non di meno concesso di raggiungere un’età avanzata; di conseguenza, avvicinandosi all’ottantesimo anno di età, il suo spirito fu inseguito da fantasticherie sempre più sfrenate. Si affliggeva per la grande debolezza fisica ed i crucci della vecchiaia e tuttavia, sempre ripiegato su se stesso, rifiutava con veemenza ogni compagnia e ogni pietoso aiuto. Voleva ancora lavorare, ma non vi riusciva, perché le mani gli si erano paralizzate e gli tremavano continuamente; allora s’incolleriva all’estremo e voleva costringere con la forza le proprie mani a restare ferme; ma mentre, così adirato, borbottava tra sé, gli cadeva di nuovo a terra la bacchetta o persino il pennello, così che era veramente un dispiacere vederlo in quello stato. Riusciva perfino a litigare con le ombre e andare in collera per la presenza di una mosca. Non voleva ancora credere che la morte fosse vicina. Parlava moltissimo di questo argomento, raccontando che pena fosse veder logorare, a poco a poco, il corpo con mille tormenti da una lenta malattia che consuma il sangue goccia a goccia. Malediceva i medici, i farmacisti e gli infermieri, e descriveva quanto fosse terribile per un ammalato non riuscire più né a mangiare, né a dormire, il dover fare testamento e il veder piangere i parenti intorno al letto. Al contrario, considerava fortunati quelli che sul patibolo, con un sol colpo, se ne andavano all’altro mondo e osservava come dovesse essere bello, davanti a tanta gente e tra il conforto e le preghiere del prete e le intercessioni di migliaia di persone, ascendere tra gli angeli al Paradiso. Perso in tali pensieri, continuava a farneticare senza sosta … sino a che, infine, una mattina, del tutto inaspettatamente, fu trovato morto ai piedi delle scale di casa sua.

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Queste sono le stranezze dello spirito di questo pittore, che io ho descritto fedelmente sulla scorta di Giorgio Vasari. Per ciò che riguarda Piero di Cosimo in quanto artista, lo stesso autore ci riferisce che egli amava più di tutto dipingere sfrenate scene di baccanali e orge, mostri terribili o altre spaventose rappresentazioni di questo genere; ciononostante, lo loda per l’operosità estremamente tormentata e ostinata dei suoi quadri. E lo stesso Vasari, nella vita di un altro pittore ugualmente malinconico,*67 osserva poi che simili spiriti profondi e malinconici sono soliti distinguersi per una particolare e ferrea pazienza e tenacia nel lavoro. Sia come sia, io non riesco comunque a credere che questo Piero di Cosimo fosse uno spirito d’artista veramente puro. Certo, trovo qualche affinità tra lui e il grande Leonardo da Vinci (che Piero prese a modello in pittura), poiché entrambi furono spinti a operare da uno spirito sempre vivace e poliedrico; Piero, però, lo fu tra le oscure regioni del cielo solcate da nuvole, Leonardo, invece, in mezzo alla vera natura nella sua totalità e al vasto brulichio della vita sulla terra. Lo spirito dell’artista deve, a mio avviso, essere solo un utile strumento capace di accogliere in sé l’intera natura e, animandola dello spirito umano, di riprodurla in una bellezza trasfigurata. Ma se questo spirito dell’artista, per istinto interiore o per eccessiva, selvaggia ed esuberante forza, si trova eternamente in uno stato di inquieta operosità, allora non si rivela più un mezzo adatto; al contrario, lo si potrebbe definire piuttosto una sorta di opera d’arte della creazione. Nel mare tempestoso e spumeggiante non si specchia il cielo,68 nella chiara corrente del fiume si rimirano compiaciuti gli alberi, le rocce, le nuvole che solcano il cielo e tutte le stelle del firmamento.

* Cioè il fiorentino Giovanni Antonio Sogliani.

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Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima

Sento continuamente persone puerili e superficiali lamentarsi del fatto che Dio abbia mandato sulla terra così pochi artisti veramente grandi; impaziente, l’uomo dallo spirito comune tiene lo sguardo fisso sul futuro, chiedendosi se mai il Padre degli uomini farà presto sorgere una nuova, splendente generazione di maestri. Ma io vi dico che la terra non ha generato troppo pochi eccellenti maestri, in quanto, anzi, alcuni di questi hanno qualità così notevoli che la vita intera di un essere mortale non sarebbe sufficiente per indagare e comprendere l’operato anche di uno solo fra essi; ma in verità troppo, troppo pochi sono quelli capaci di capire fino in fondo o (quel che è lo stesso) di adorare nel profondo le opere di questi esseri prediletti, composti di una creta più nobile di quella comune. Le gallerie d’arte sono oggi considerate come fiere, nelle quali, attraversandole, si giudicano, si lodano e si criticano le nuove merci; dovrebbero invece essere come dei templi, in cui, con quieta e muta umiltà e in una solitudine capace di nobilitare il cuore, si possano ammirare i grandi artisti come le creature più eccezionali tra i mortali e in una lunga, assidua osservazione delle loro opere, si possa infervorare il nostro animo allo splendore dei pensieri e delle sensazioni più estasianti. Paragono il piacere suscitato dal godimento delle nobili opere d’arte alla preghiera. Non è gradito a Dio colui che Gli parla supplice solo per potersi affrancare da un dovere quotidiano, che elenca parole senza pensiero e che, con ostentazione, misura la devozione secondo i grani del suo rosario.69 È invece un prediletto del Cielo, colui il quale, con umile anelito, attende le ore privilegiate in cui il mite raggio divino scende spontaneamente su di lui, infrange la scorza della piccolezza umana, del quale è di solito rivestito lo spirito mortale, e slega e separa la sua nobile anima; egli allora si inginocchia e, in silenziosa estasi, rivolge con sincerità assoluta il suo cuore verso lo splendore celeste, saziandolo di luce eterea; si rialza poi, insieme più lieto e mesto,

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con cuore più pieno e più leggero, e mette mano a un’opera grande e buona. Questa è l’idea autentica che ho della preghiera. Allo stesso modo, ritengo, bisognerebbe dunque comportarsi con i capolavori dell’arte, per potersene avvalere degnamente per la salvezza della propria anima. Ci pare cosa empia se qualcuno, in un’ora di profani piaceri e solo per adempiere a una consuetudine, si allontana barcollando dalle sonore risate dei suoi amici per entrare in una chiesa lì vicino a parlare alcuni minuti con Dio. Ma è ugualmente sacrilego, in un’ora simile, varcare la soglia di casa, in cui si conservano per l’eternità le creazioni più meravigliose che poterono uscire da mani umane. Una silenziosa manifestazione, questa, della dignità del genere umano. Ponetevi in attesa, come nella preghiera, delle ore benedette, quando la grazia del Cielo illumina il vostro animo con la luce della sua più alta rivelazione; soltanto allora la vostra anima si unirà in un insieme coeso con le opere degli artisti. Le incantevoli forme di queste opere restano mute e inaccessibili, se voi le osservate con freddezza; il vostro cuore deve prima interrogarle vigorosamente, se volete che esse vi parlino e che possano dare prova di tutto il loro potente influsso su di voi. Le opere d’arte sono, per loro natura, avulse dal consueto scorrere della vita, quanto lo è il pensare a Dio; esse travalicano ciò che è ordinario e abituale e noi dobbiamo innalzarci con tutto il cuore verso di loro, affinché esse si manifestino ai nostri occhi, troppo spesso offuscati dalle nebbie dell’atmosfera terrestre, così come effettivamente sono, nella loro essenza più profonda. Imparare a leggere le lettere dell’alfabeto è qualcosa che chiunque può fare; da cronache erudite, ognuno può farsi narrare le storie dei tempi passati e di nuovo raccontarle ad altri. Anche i fondamenti di una scienza possono essere studiati da chiunque, apprendendone i principi e le verità, poiché le lettere dell’alfabeto sono appunto lì affinché l’occhio riconosca la loro forma. Dottrine e accadimenti sono oggetto della nostra occupazione solo fin tanto che l’occhio dello spirito è impegnato a coglierli e a riconoscerli; non appena essi sono diventati parte di noi, l’attività del nostro spirito si conclude e, successivamente, ci accontentiamo soddisfatti, ogni volta che ci fa piacere, solo di un’occhiata pigra e infruttuosa rivolta ai tesori da noi accumulati. Non succede invece la stessa cosa con le opere dei grandi artisti. Esse non stanno lì, perché l’occhio le veda, bensì affinché ci si addentri in esse con un cuore ben disposto e si viva e si respiri in esse. Un quadro magnifico non è un paragrafo di un manuale scolastico, che io lasci da parte come una buccia inutile una volta che vi abbia desunto con poco sforzo il senso delle parole; al contrario, nelle grandi opere d’arte, il godimento dura ininterrottamente, senza mai esaurirsi. Noi

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crediamo di penetrare sempre più profondamente in esse, eppure esse stesse stimolano in misura sempre maggiore i nostri sensi, così che alla fine non scorgiamo alcun limite al godimento della nostra anima. Brucia in loro la vampa di un olio di vita che arde in eterno e che mai si estingue alla nostra vista. Con atteggiamento impaziente vado al di là della prima impressione, poiché la sorpresa alla vista del nuovo, che alcuni spiriti, al frenetico inseguimento di piaceri sempre differenti, vogliono eleggere a principale criterio di merito dell’arte, mi è parsa da sempre come un male necessario del primo, fugace sguardo. L’autentico godimento richiede una disposizione d’animo quieta e serena, ed esso non si manifesta con esclamazioni e applausi, ma solo per mezzo dei moti dell’animo. È per me un giorno sacro e di festa quello in cui, con atteggiamento serio e animo propenso, mi accingo ad osservare delle nobili opere d’arte; faccio spesso ritorno verso di loro e le riguardo senza posa; così, esse restano impresse profondamente nel mio animo e rimarranno integre nella mia immaginazione fino a quando vagherò su questa terra, a conforto e stimolo dell’anima mia e, come fossero degli amuleti spirituali, le porterò con me nella tomba. Chi ha già una volta mostrato di avere nervi sensibili al segreto fascino che sta nascosto nell’arte, manifesterà spesso una profonda commozione dell’anima verso opere, davanti alle quali altri passano invece indifferenti; egli ha la fortuna di trovare nella vita più frequenti occasioni volte a suscitare benefici impulsi e sproni per il suo animo. Spesso ho avuto l’impressione che, occupato da altri pensieri, mentre passeggiavo sotto un porticato grande e bello, le colonne possenti e maestose, con il loro aspetto sublime e armonioso, richiamassero inconsapevolmente il mio sguardo su di loro e colmassero il mio animo di una sensazione particolare, così che io mi sono inchinato nel mio intimo dinnanzi a esse, e ho proseguito lungo la mia strada più rincuorato e con l’anima arricchita dall’accaduto. La cosa fondamentale è non osare spingersi, con animo presuntuoso, al di sopra dello spirito dei sublimi artisti e, guardandoli dall’alto in basso, pretendere di giudicarli. Questo sarebbe un folle gesto, frutto del superbo orgoglio umano. L’arte è al di sopra dell’uomo: noi possiamo solamente ammirare e venerare le magnifiche opere dei suoi eletti e, per la liberazione e purificazione di tutti i nostri sentimenti, spalancare a esse tutto il nostro animo.

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Ogni essere umano, che abbia in petto un cuore capace di sentire e amare, ha di certo una qualche particolare predilezione nel regno dell’arte; e così anch’io ho la mia e a essa il mio spirito si volge spesso inavvertitamente, come il girasole fa verso il sole. Infatti spesso, quando siedo tutto solo e meditabondo, ho quasi l’impressione che si trovi dietro di me un buon angelo, il quale improvvisamente fa sorgere davanti ai miei occhi i secoli degli antichi pittori d’Italia come un grande e proficuo poema epico, ravvivato da un’incalzante moltitudine di vivaci figure. Ogni volta questa magnifica visione mi appare dinnanzi e sempre da capo il mio sangue s’infervora grazie ad essa nel profondo. È difatti un dono prezioso quello che il Cielo ci ha concesso, di amare e di venerare; questo sentimento rifonde e sconvolge tutto il nostro essere e ne porta alla luce l’oro vero. Il mio sguardo cade questa volta sul grande Michelangelo Buonarroti,70 un uomo sul quale già più d’uno ha espresso goffa ammirazione o impertinente scherno e biasimo. Ma io non posso cominciare a parlare di lui con una commozione d’animo più profonda di quella mostrata dal suo amico e conterraneo Giorgio Vasari, nell’introduzione alla vita di Michelangelo, la quale parola per parola suona così: «Mentre così numerosi spiriti ingegnosi ed eccellenti, seguendo le indicazioni di Giotto e dei suoi seguaci, cercavano di fornire al mondo prove tangibili di quel talento che si era sviluppato nella loro sfera interiore grazie all’influenza benefica delle stelle e alla felice complessione delle loro energie intellettuali, e mentre tutti si adoperavano nell’imitare la grandiosità della natura grazie all’eccellenza dell’arte, allo scopo di raggiungere per quanto possibile il punto sommo del sapere, che ci si limita solitamente a chiamare “conoscenza”, tuttavia affaticandosi questi invano, accadde che il benigno Rettore di tutte le cose volse con clemenza i suoi occhi verso la terra e rendendosi conto della vana fatica di così numerosi tentativi, dell’incessante ardore con cui essi volevano imparare senza ottenere

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il benché minimo frutto e del fatto che gli uomini avevano maturato delle convinzioni che erano tanto lontane dalla verità quanto le tenebre dalla luce, si decise, per strapparci da tali errori, a spedire uno spirito sulla terra che fosse in grado di diventare maestro in ogni forma d’arte grazie al solo proprio merito. Egli doveva fornire al mondo un esempio di cosa fosse la perfezione nell’arte del disegno, dei contorni e delle luci e delle ombre (i quali forniscono la giusta proporzione alle opere pittoriche). Doveva indicare con quale criterio si dovesse operare come scultore e come si dovessero conferire solidità, comodità, belle proporzioni, piacevolezza e ricchezza in ogni forma di ornamento architettonico. Oltre a ciò, però, il Cielo volle fornirgli come viatico una vera saggezza morale, che si accompagnasse all’ornamento della dolce arte delle muse, in modo che il mondo lo ammirasse e lo eleggesse come specchio e modello nella vita, nelle opere, nella santità dei costumi, in generale in tutte le azioni umane e che potesse essere ammirato piuttosto come una creatura del cielo che della terra. E dal momento che Dio vide che da sempre gli uomini nati in terra di Toscana si erano eccellentemente distinti rispetto agli altri ed erano diventati veri maestri in quelle arti particolari, vale a dire nella pittura, nella scultura e nell’architettura, piuttosto che in cose molto meno rilevanti e bisognose di maggiore esercizio (infatti sono maggiormente votati rispetto ad altre genti italiche a un forte impegno e a un’incessante operosità nelle attività intellettuali di ogni tipo), volle eleggere Firenze quale città più degna delle altre a sua patria, in modo che la corona meritata di tutte le virtù potesse essergli messa sul capo da uno dei suoi concittadini».71 Con una tale stima il vecchio Vasari parla del grande Michelangelo e, alla fine del suo scritto,72 in maniera bella ed umana, concentra tutta la sua ammirazione in un sincero sentimento patriottico, rallegrandosi dal profondo dell’animo che quest’uomo, da lui venerato come un Ercole tra gli eroi dell’arte, abbia avuto in comune con lui per patria il medesimo piccolo spazio di terra. Egli descrive molto approfonditamente la vita di Buonarroti e spesso si mostra giustamente fiero e compiaciuto di aver goduto della sua più intima amicizia. Ma noi non vogliamo accontentarci solo di guardare con ammirazione a questo grande uomo, ma intendiamo semmai penetrare nella parte più intima del suo spirito e aderire al carattere specifico della sua opera. Non è sufficiente lodare un’opera d’arte, dicendo «è bella ed eccezionale», perché questi modi di dire comuni valgono anche per le opere più disparate; dobbiamo saperci abbandonare totalmente a ogni grande artista, contemplare e afferrare con i suoi stessi organi le

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cose della natura e affermare, come se fossimo nella sua anima: «L’opera è, per sua stessa natura, giusta e vera». La pittura è una poesia formata da figure umane. Ebbene, come i poeti animano i loro soggetti con le più diverse sensazioni, a seconda del diverso spirito che è stato loro ispirato dal Creatore, così avviene anche in pittura. Alcuni poeti ravvivano la loro intera opera muovendo dall’interiorità, con l’aiuto di una silenziosa e segreta anima poetica; in altri, invece, la forza poetica erompe, esuberante e rigogliosa, in ogni momento della rappresentazione. Questa differenza è la stessa che scorgo tra il divino Raffaello e il grande Buonarroti; chiamerei quello il pittore del Nuovo Testamento, questo dell’Antico, in quanto sul primo – oso esprimere quest’ardita considerazione – riposa il quieto, divino spirito di Cristo; sul secondo, lo spirito dei profeti ispirati, di Mosè e dei poeti dell’Oriente. Qui non è vi nulla da lodare, né da biasimare; al contrario, ognuno è ciò che è.73 Come gli ispirati poeti orientali furono spinti, dall’intima forza divina che con grande violenza si agitava in loro, a fantasie fuori del comune e, mossi da impeto interiore, indussero, per così dire, le parole e le espressioni del linguaggio terreno a spingersi verso altezze celesti solo grazie ad ardenti immagini; allo stesso modo anche l’anima di Michelangelo carpì sempre con vigore lo straordinario e l’immenso, ed espresse nelle sue figure una forza tesa allo spasimo, sovrumana. Egli dava volentieri prova della sua abilità applicandosi su soggetti sublimi e terribilmente complessi; nei suoi quadri aveva l’ardire di rappresentare le più audaci posizioni del corpo ed i gesti più impetuosi; ammassava muscoli su muscoli e voleva imprimere in ogni nervo delle sue figure la grande forza poetica di cui era pervaso. Studiava minuziosamente i meccanismi interni della macchina umana, fin nelle sue più segrete funzioni;74 cercava di scoprire gli impedimenti più severi nella meccanica del corpo umano per vincerli e per sfogare e soddisfare, anche là dove l’arte indaga le parti del corpo, la florida pienezza del suo ingegno; proprio come avviene a quei poeti, in cui arde un fuoco lirico inestinguibile, i quali non si accontentano di idee grandi ed eccezionali, ma si sforzano anche e particolarmente di esprimere la loro forza audace e selvaggia75 nei mezzi visibili e sensibili della loro arte, ossia in espressioni e in parole. L’effetto, in entrambi i casi, è grande e stupendo: lo spirito profondo dell’insieme riluce anche da ognuna delle singole parti esterne. Cosi mi appare la figura di Buonarroti, sul quale si sono espressi molti giudizi; e chi lo prenda in considerazione sotto questo aspet-

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to, ossia tra i vecchi pittori, domanderà probabilmente con stupore e meraviglia: chi, prima di lui, dipinse come lui? Da dove prese quella grandezza del tutto nuova, della quale mai alcun occhio umano era prima d’allora stato a conoscenza? E chi lo condusse su quelle strade, prima sconosciute? Non vi è nel mondo degli artisti cosa più alta e più degna di venerazione di questa: un’originalità primigenia! Lavorare con solerte operosità, con fedele imitazione, con intelligenza di giudizio critico: tutto ciò è umano; ma penetrare l’intera essenza dell’arte con un occhio del tutto nuovo, afferrarla, in certo qual modo, con un piglio completamente nuovo: questo è divino. Con tutto ciò, il destino degli artisti dotati di geniale originalità è tuttavia quello di generare una miserevole schiera di seguaci acritici, e Michelangelo predisse questo per se stesso,76 così come poi accadde. Un artista originale si spinge con un salto audace e d’un tratto sino ai confini estremi della sfera artistica, resta lì saldo e coraggioso, e mostra al mondo lo straordinario e il meraviglioso. Ma per l’ottuso spirito dell’uomo comune non c’è quasi nulla di straordinario e meraviglioso, ai cui confini non si trovino, a lui vicinissime, la stoltezza e la banalità. I miseri imitatori inoltre, ai quali manca forza propria per restare saldamente su di una posizione, vagano ciechi tutt’intorno, e ciò che essi imitano è, se anche volesse essere più di una debole ombra dell’originale, soltanto una distorta esagerazione. L’età di Michelangelo, il periodo iniziale della pittura italiana, è soprattutto l’unica, vera epoca dei pittori originali. Chi dipinse, prima di Correggio, come il Correggio? E prima di Raffaello, come Raffaello? Soltanto, è come se la troppo generosa natura di quel tempo fosse poi diventata scarsamente prodiga di geni artistici; difatti, tutti i migliori maestri successivi, sino ai tempi più recenti, non hanno quasi avuto altro scopo che imitare uno qualsiasi di quei primi, autentici e canonici artisti, o anche parecchi di essi tutti assieme, e non sono diventati grandi facilmente in altro modo, se non imitando quelli in maniera eccellente. La stessa grande e ben meritata fama, acquisita dalla scuola riformatrice dei Carracci, non si è fondata su altri meriti che su quello di aver riportato in auge l’imitazione, ormai caduta in disuso, di quei vecchi capostipiti in pittura, mediante degni esempi. Ma quegli stessi vecchi capostipiti e maestri, chi avevano imitato? Essi attinsero dalla loro interiorità tutta la nuova magnificenza della loro arte.

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Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga77

Mio caro fratello e compagno, è già parecchio tempo, lo so bene, che non ti scrivo, sebbene abbia spesso pensato a te con profondo affetto; infatti, vi sono delle ore nella vita, nelle quali tutto ciò che è esteriore mette in moto troppo lentamente i fuggitivi pensieri, là dove l’anima si affatica con delle rappresentazioni, che, proprio per questo, dal punto di vista esteriore, non accade nulla. Un periodo del genere è quello che ho vissuto ultimamente, e ora, dal momento che nel mio intimo mi sento di nuovo un po’ più tranquillo, riprendo subito in mano anche la penna, per raccontare a te, oh caro Sebastian, a te che sei il mio più stimato amico di gioventù, come sto e che cosa mi è accaduto. Devo proprio scriverti minuziosamente come è fatta l’Italia, la terra promessa dell’arte, e profondermi in espressioni di ammirazione senza nesso tra loro? Non vi sono parole che qui trovino il loro giusto posto, poiché come potrei io, che della lingua sono così inesperto, descriverti in maniera degna e vivida il cielo luminoso e i vasti panorami paradisiaci, attraverso i quali spira l’aria ristoratrice? Riesco a malapena a ritrovare, nel mestiere che mi è proprio, colori e linee appropriate per abbozzare sulla tela ciò che io, nel mio intimo, vedo e colgo. Per quanto diverso possa essere qui tutto ciò che riguarda il cielo e la terra, esso, a ogni modo, si lascia ancora piuttosto presagire e credere, rispetto a ciò che ti devo dire a proposito dell’arte. Voi, lì in Germania, potete certo dipingere assieme con molto impegno, caro Sebastian, tu e il nostro amatissimo maestro Albrecht Dürer; ma se il destino vi portasse improvvisamente qui, sareste davvero come due morti, ancora incapaci di orientarsi nelle regioni del cielo. Allora m’immagino l’ingegnoso maestro Albrecht seduto sul suo sgabello, quando, con uno zelo fanciullesco e quasi commovente, intaglia un sottile pezzo di legno, ne soppesa bene i momenti dell’ideazione e dell’esecuzione, e osserva a più riprese il pezzo di bravura appena iniziato. Vedo la sua ampia stanza di lavoro piena di tavole intarsiate e le finestre dai vetri tondi; ti osservo

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mentre, seduto dinnanzi alla copia di un’opera, lavori con impegno instancabile, e guardo i giovani allievi allontanarsi e avvicinarsi, nel momento in cui il vecchio maestro Dürer lascia cadere diverse parole sagge e divertenti. Poi vedo entrare nella stanza la nostra padrona di casa o l’eloquente Wilibald Pirkheimer, il quale osserva i dipinti e i disegni e inizia un’animata discussione con Albrecht; e se davvero cerco d’immaginarmi tutto questo nei miei pensieri, non riesco proprio bene a capire come io sia giunto sino a qui e quanto tutto qui sia diverso. Ricordi ancora il periodo in cui per prima cosa fummo messi a mestiere presso il nostro maestro e non riuscivamo assolutamente a comprendere come, dai colori che macinavamo, potessero uscir fuori un volto o un albero? Con quale stupore osservavamo poi il maestro Albrecht, che sapeva sempre impiegare così bene ogni sorta di materia e che non si trovò mai in una situazione imbarazzante correlata alla realizzazione delle sue grandi opere! Spesso mi trovavo come in un sogno, quando me ne andavo dalla stanza di lavoro del pittore, per comperargli del vino o del pane, e, in alcuni momenti, quando tutti gli altri esseri umani comuni, artigiani o contadini, mi passavano davanti, credevo persino che dovesse proprio essere un mago, così che ciò che era privo di vita di fronte al suo richiamo si disponesse in maniera tale, per così dire, da animarsi. Ma che cosa avrei detto o sentito a tutta prima, se a quel tempo si fossero posti davanti agli occhi miei infantili i visi trasfigurati dei quadri di Raffaello! Oh, caro Sebastian, se io li avessi compresi, sarei certamente caduto in ginocchio, avrei sciolto tutta l’anima mia in devozione, lacrime e adorazione. Infatti, nel nostro grande Dürer si ritrova ancora la componente mondana; si comprende certo ancora come un uomo, dotato di genio e ben esercitato nell’arte pittorica, poté immaginare questi volti e concepire tali invenzioni. Se noi, per così dire, radichiamo davvero il nostro sguardo dentro la trama del dipinto, riusciamo quasi a scacciare via nuovamente le figure colorate e scoprire al di sotto di esse la tavola, vuota e semplice. Invece, in questo maestro, in Raffaello, oh mio stimato Sebastian, ogni cosa è disposta in maniera così meravigliosa, che ti dimentichi del tutto che esistono dei colori e un’arte pittorica, e nel tuo intimo t’inchini con il più ardente amore dinnanzi alle figure celestiali, che pure sono così umanamente affettuose, e consacri loro il tuo cuore e la tua anima… Non credere che io esageri per ardore giovanile; non puoi rendertene conto e comprenderlo, se non vieni tu stesso e non vedi con i tuoi occhi. In generale, caro Sebastian, grazie all’arte questa terra è un luogo veramente magnifico e delizioso; solo ora ho avvertito pienamente come un essere invisibile alberghi nel nostro cuore, il quale è attratto in maniera onnipotente dalle grandi opere d’arte. … Se dovessi confessarti tutto,

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mio diletto amico di gioventù, (come pur devo, poiché mi ci sento spinto con forza), allora ti direi che ora amo una ragazza che riempie oltre ogni dire il mio cuore di gioia, e sono da lei riamato. Il mio animo si aggira così ebbro qua e là, circondato da un eterno fulgore primaverile e in alcuni momenti di estasi direi quasi che il mondo e il sole in cielo sembrano prendere in prestito da me il loro splendore, se non fosse troppo audace voler esprimere in questo modo la felicità dell’animo mio. Con commozione profonda ho ricercato da molto tempo i lineamenti della mia amata nei migliori dipinti e li ho ritrovati sempre nei maestri da me preferiti. Mi sono fidanzato con lei e tra pochi giorni festeggeremo il nostro matrimonio; ti rendi conto, dunque, che non ho voglia di far ritorno nella nostra Germania; spero invece di abbracciarti presto qui a Roma. Non riesco a descriverti quanto il cuore di Maria, la mia amata, fosse sempre in apprensione per il bene della mia anima, quando sentì che anche io ero devoto alla nuova dottrina. Mi pregò spesso con fervore di ritornare alla vecchia e vera fede, e i suoi affettuosi discorsi sconvolgevano di frequente la mia intera fantasia e tutto ciò che consideravo mie convinzioni. … Non dire nulla, di quello che ora ti scriverò, al nostro amatissimo maestro Dürer, perché so che ciò non farebbe che rattristare il suo cuore, e non potrebbe oltretutto giovare né a me, né a lui. Poco tempo fa mi recai alla Rotonda,78 perché c’era una grande festa e vi si sarebbe dovuta tenere un’esibizione di splendida musica latina, o meglio, a dire la verità, inizialmente solo per rivedere la mia amata tra la folla in preghiera e redimermi, ammirando la sua divina devozione. La magnifica chiesa, la folla brulicante, che pian piano si spingeva nell’edificio e si serrava sempre più stretta a me, gli splendidi preparativi: tutto questo dispose il mio animo in uno stato di straordinaria attenzione. Mi sentivo molto allegro e se anche, come suole avvenire in tali situazioni caotiche, non riuscivo a ragionare in modo lucido e chiaro, qualcosa si agitava in ogni caso nel mio intimo in maniera così singolare, come se anche dentro di me dovesse verificarsi qualcosa di inconsueto. D’un tratto tutte le persone si fecero più silenziose e sopra di noi si levò la musica onnipotente, a tratti lenti, pieni e prolungati, come se un vento invisibile soffiasse sulle nostre teste: avanzava rotolandosi su se stessa, formando onde sempre più grandi, come un mare, e i suoni facevano scivolar fuori completamente la mia anima dal corpo. Il cuore mi batteva forte e avvertivo un potente desiderio di qualcosa di grande e sublime che potessi stringere tra le mie braccia. Il canto latino, che si faceva largo in tutta la sua pienezza ora rafforzandosi, ora affievolendosi tra i toni in crescendo della musica, come una nave che veleggi sulle onde del mare, innalzava il mio animo sempre più verso l’alto. E mentre la musica in questa maniera aveva pervaso tutto il mio essere, scorrendomi

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per tutte le vene, ecco che sollevai lo sguardo, fino ad allora fisso su me stesso, e guardai attorno a me. … Tutta la chiesa si animò davanti ai miei occhi, tanto la musica mi aveva inebriato. In quel momento essa s’interruppe; un sacerdote comparve di fronte all’altare maggiore, sollevò con un gesto ispirato l’ostia al cielo e la mostrò alla folla intera … e tutta la moltitudine si mise in ginocchio, mentre delle trombe, con suoni onnipotenti che neppure io stesso saprei descrivere, diffondevano, risuonando e rimbombando, una sublime devozione per tutte le membra. Tutte le persone, strette attorno a me, s’inginocchiarono e una forza segreta e meravigliosa attirò anche me irresistibilmente a terra, tanto che nemmeno opponendo strenua resistenza mi sarei potuto mantenere in piedi. E mentre, in quell’istante, mi inginocchiai a capo chino ed il cuore mi batté veloce in petto, ecco che una forza sconosciuta mi fece nuovamente levare lo sguardo. Mi guardai intorno ed ebbi la chiarissima impressione che tutti i fedeli cattolici, uomini e donne, i quali stavano in ginocchio e tenevano lo sguardo ora concentrato su di sé, ora rivolto al cielo, si facessero il gesto della croce con fervore, si battessero il petto e muovessero le labbra in atto di invocazione, che tutti pregassero il Padre celeste per la salvezza dell’anima mia, che tutte le centinaia di credenti raccolti attorno a me rivolgessero le loro suppliche in favore di quell’unico essere umano in mezzo a loro che aveva smarrito la retta via e, nel loro quieto raccoglimento, mi traessero con forza irresistibile verso la loro fede. Guardai allora di fianco in direzione di Maria; il mio sguardo incontrò il suo e vidi una grande, santa lacrima sgorgare dal suo occhio azzurro. Non sapevo come reagire; non riuscivo a reggere il suo sguardo. Voltai la testa di fianco; il mio occhio si imbatté in un altare e un dipinto di Cristo in croce mi osservò con ineffabile malinconia … Allora le imponenti colonne della chiesa si levarono venerabili, come apostoli e santi, davanti ai miei occhi, mi guardarono dall’alto con i loro capitelli pieni di regalità e la smisurata volta a cupola si piegò sopra di me come il cielo che tutto cinge, benedicendo la mia pia decisione. Dopo la conclusione della cerimonia non fui in grado di lasciare la chiesa; mi gettai a terra in un angolo e passai poi, con cuore contrito, davanti a tutti i santi e a tutti i quadri, ed ebbi l’impressione come se solo ora mi fosse possibile osservarli e venerarli per davvero. Non riuscivo a sottrarmi a quella forza che si sprigionava in me … Adesso, caro Sebastian, mi sono convertito a quella confessione e sento che il mio cuore è felice e leggero. L’arte mi ci ha condotto in modo onnipotente e posso ben dire che ora, più che mai, comprendo in maniera veramente adeguata l’arte, cogliendone interiormente il significato. Se riesci a definire ciò che mi ha cambiato così profondamente e che, come una voce angelica, ha parlato alla mia anima, quasi

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in essa immedesimandosi, allora dagli un nome, e aprimi gli occhi su me stesso; seguo semplicemente il mio spirito interiore, il mio sangue, ogni goccia del quale mi appare adesso più pura. Ah! Non credevo forse già in passato alle storie bibliche e ai miracoli, che pur ci appaiono inconcepibili? Riesci veramente a comprendere un quadro eccelso e a osservarlo con sacra devozione senza aver fede, nello stesso istante, in ciò che esso rappresenta? E che cosa mai, quindi, fa sì che questa poesia della divina arte agisca su di me più a lungo? Il tuo cuore non si allontanerà certo dal mio; questa cosa non è possibile, Sebastian. Rivolgiamo dunque la nostra preghiera al medesimo Dio, affinché Egli d’ora in poi illumini sempre più il nostro animo e diffonda quaggiù tra noi la vera devozione religiosa; non è forse vero, oh amico della mia gioventù, che il resto non deve, né può dividerci? Stai bene e saluta con affetto il nostro maestro. Anche se tu non dovessi essere del mio stesso avviso, questa lettera ti farà certamente piacere,* poiché ora sai che sono felice.

* [Freunde (amici) invece di Freude (gioia, piacere) per un’errore nell’orig. tedesco di Tieck. (N.d.C.)]

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I ritratti dei pittori 79 La musa entra con un giovane artista nella sala dei dipinti. La musa Passeggia qui con quieta, lieta serietà, in affettuosa compagnia dei gran maestri, che di amore colmano il tuo petto: riposa qui, con lo sguardo rivolto alle loro preziose opere d’arte, in attenta contemplazione dei loro volti. Il giovane Come mi sento attratto! Come palpita il mio cuore di fronte ai vostri dolci sguardi ristoratori! Oh, quanto mi mette in soggezione che voi guardiate con aria così seria verso me, considerandomi come il punto di convergenza delle vostre attenzioni. Quanto mi sento a voi affine e, tuttavia, quanto diverso! Impavido vorrei ora afferrare il pennello, e tracciare figure grandi e maestose con mano ferma, con colori decisi: … Eppure oso a malapena guardar qui in faccia l’illustre antenato. Come in preda a una malia, resto immobile tra gli spiriti … e meravigliose luci si diffondono quaggiù da tutti i quadri posandosi sull’animo mio che, presago, è debolmente illuminato dal ricordo. Come si chiamava questo vegliardo, che, con espressione benevola, riposa pensoso nella propria grandezza? La musa Questi amati e lunghi capelli argentati, che ricadono in così bella maniera sulla barba folta,

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adornarono un tempo il viso del vecchio e saggio pittore di Toscana, il mio Leonardo, che là fondò la sua grande scuola. Il giovane Benedetta sia la mano che preserva questa nostra amata mente in uno stato di solerte attività. Eccolo! Lo vedo, mentre riflette e, benigno, contempla la vasta immensità della natura, e come, senza tregua, aspira ancora a nuove conoscenze. … Ma chi è quest’uomo, per sguardo e posa a lui pressoché simile, che appare tuttavia grave e più profondamente chiuso in se stesso? La musa È Albrecht Dürer che, consacratosi al mio servizio, si legò a me con sante preghiere, allorché nel lontano e desolato Nord nessuno badava a me e all’arte mia: devota e semplice fu la sua trasformazione, analoga a quella dei bambini. Come lui stesso appare, così sono tutti i suoi dipinti. Il giovane Sì, riconosco la silenziosa operosità, la santa umiltà del lodatissimo artista, il travaglio interiore dello spirito attivo. … Chiariscimi però l’identità di questo soggetto, dinnanzi alla cui indomita espressione io, segretamente, rabbrividisco nel mio intimo, se il mio occhio vi si imbatte! La musa Questo pittore è l’orgoglio della sua terra natia, il più bel gioiello di Toscana … meraviglia dei suoi posteri: osserva la forza del grande Michelangelo Buonarroti.

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Il giovane Ah! Il potente [Michelangelo], forte come un leone! Che, giocoso, si confrontava con soggetti sublimi e terribili. … Ma l’ardente desiderio mi spinge sempre più in là … Vago incessantemente con lo sguardo tutt’intorno e ancora non trovo ciò che cerco. Nessuna fronte mi appare nobile e davvero ispirata, nessun occhio serio e penetrante a sufficienza: … In disparte e solitario, con il viso coperto da una lunga barba e con una magnifica aureola attorno ai grigi capelli ricci, pende forse il ritratto del divino Raffaello. La musa Questo giovane qui era Raffaello. Il giovane Questo giovane? … Imperscrutabili, oh Dio, son le tue vie! Impenetrabili i profondi miracoli dell’arte! Questi occhi sereni e imperturbabili vegliarono su quadri di Cristo, di madonne, santi e apostoli, di vecchi saggi e feroci battaglie, tutti da lui creati. Ah! Questo giovane non sembra avere più anni di me. Pare meditare su passatempi allegri e di poco conto, e il meditare, a sua volta, sembra per lui un passatempo. Oh, come mi sento a lui vicino e in confidenza! Con quanta chiarezza avverto che nessun contegno severo, nessun orgoglio senile mi tratterrà, oh povero me! … quanto vorrei abbandonarmi, piangendo, sul suo petto e sciogliermi in felicità! Ah! Egli mi accoglierebbe allora volentieri tra le sue braccia, e cercherebbe di confortarmi amichevolmente per l’ammirazione che gli mostro e per la mia felicità. … No, do libero sfogo alle lacrime; … Per mezzo di te, oh Raffaello, si è rivelata agli uomini, nella sua forma più bella, la divina arte.

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La cronaca dei pittori Quando, nel corso dei miei anni giovanili, vagavo qua e là con spirito irrequieto, volgendo con ardore lo sguardo dovunque vi fosse da osservare qualcosa legato al mondo dell’arte, in un’occasione mi ritrovai pure in un castello sconosciuto appartenente a un conte, nel quale per tre giorni non mi stancai di ammirare i numerosi dipinti presenti. Volevo imparare a conoscerli tutti a memoria e nel far questo fui colto da una smania tale che le migliaia di quadri diversi mi annebbiarono completamente il cervello. Il terzo giorno giunse al castello un anziano, un frate italiano in viaggio, il cui nome non sono fino ad ora riuscito a scoprire; inoltre, da quel giorno non ho saputo più nulla di lui. Era un uomo di profonda erudizione e conosceva così tante cose che ne fui stupefatto; le sue sembianze ricordavano quelle di un filosofo del sedicesimo secolo. Per quanto fossi allora ancora molto giovane, fu comunque disponibile a conversare con me, dato che doveva aver trovato qualcosa in me che gli piaceva, e passeggiò l’intera giornata in mia compagnia per le gallerie piene di quadri. Quando si accorse del grande entusiasmo che mettevo nell’osservazione dei dipinti, mi chiese se sapessi indicare anche il nome dei maestri che avevano realizzato questa o quell’opera. Risposi che certo conoscevo i più noti. Allora mi domandò nuovamente se non sapessi dunque null’altro di loro, oltre ai nomi. Non appena notò che in realtà non ne sapevo molto di più, prese la parola e mi disse: «Fino ad ora hai osservato con ammirato stupore i bei quadri, mio caro figliolo, come se fossero opere divine cadute dal cielo sulla terra. Ma considera che tutto questo è opera della mano dell’uomo … e che parecchi artisti già alla tua età avevano realizzato opere veramente eccelse. Ora, cosa ne dici? Non avresti voglia di venir a sapere qualcosa di più sugli uomini che si distinsero nel campo della pittura? Ci vengono in mente pensieri meravigliosi, se osserviamo come le loro opere risplendono in una magnificenza eternamente uguale a se stessa; ma gli artefici di queste opere, in vita e in morte, sono stati esseri umani come noi tutti, solo che in essi, fino a che erano in vita, ardeva uno speciale fuoco celeste. Considerazioni di questo tipo ci pongono in uno stato d’animo malinconico e trasognato, nel quale ogni genere di buone idee è solito passarci continuamente davanti agli occhi».

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Ricordo ancora molto distintamente e con il più intimo piacere le parole di quel vecchio gentile e loquace; per questo voglio cercare di metter per iscritto ancora più dettagli in merito. Come vide che lo stavo ascoltando in silenzio e curioso di sapere, continuò a parlare più o meno così: «Ho notato con gioia, figlio mio, che il tuo animo è molto legato al sublime Raffaello. Quando ti trovi adesso di fronte a uno dei quadri davvero splendidi dipinti dalla sua mano, con venerazione osservi ognuna delle sue pennellate e pensi: “Se avessi conosciuto in vita quel sant’uomo! Quanto lo avrei adorato!”. E se ora tu avessi ascoltato i vecchi biografi dei pittori80 raccontare su di lui all’incirca quanto segue: “Raffaello Sanzio era figlio unico; il padre lo amava con tutto il cuore e volle espressamente che la madre lo allattasse con il proprio latte, affinché egli non venisse in contatto con il volgo; crescendo, aiutava il padre nel lavoro come un mite apprendista e il padre era felice nel vedere che faceva così bene le sue cose; ma per dargli modo di apprendere un mestiere nella maniera dovuta, si mise d’accordo con il maestro Pietro Perugino81 che lo prendesse a mestiere nella sua bottega, e lo condusse lui stesso con gran gioia a Perugia, dove Pietro accolse il ragazzo molto benevolmente; la madre però, al momento di salutarlo, aveva versato molte lacrime ed era riuscita a stento a separarsi dal bambino, poiché anche lei lo amava dal profondo del cuore”. Dimmi, come ti senti ascoltando queste cose? Non ti senti piacevolmente confortato nell’apprenderle? E pensa che questo fu proprio lo stesso uomo che, dopo appena trentasette anni di vita, compianto da tutto il mondo, giacque freddo e pallido nella bara. “La salma si trovava nella stanza di lavoro e, come un magnifico componimento funebre, il divino dipinto della ‘Trasfigurazione’82 stava sul cavalletto accanto alla bara. Da una parte quel quadro, in cui ancora oggi noi vediamo rappresentati in un’unione così incantevole le miserie della terra, il conforto di anime nobili e la gloria del regno dei cieli … e dall’altra il maestro, che lo aveva concepito e realizzato, il quale giaceva invece freddo e cereo lì vicino”». Queste storie mi affascinavano straordinariamente e chiesi al forestiero di raccontarmi ancora altre cose di Raffaello. «La cosa più bella che possa raccontarti di lui» – rispose – «è che egli, come essere umano, era nobile e gentile quanto lo era come artista. Non aveva nulla della natura cupa e superba degli altri artisti, i quali a volte si adattano ad assumere con studiata attenzione ogni sorta di stravaganze; ogni sua azione in terra era semplice, mite e serena, come il fluire di un ruscello. La sua compiacenza giungeva a tal punto che, se dei pittori stranieri e a lui persino sconosciuti lo pregavano di fare per loro un disegno di sua mano, sospendeva il suo lavoro e si curava anzitutto di accontentarli. Prestò dunque aiuto a moltissimi artisti, impartendo

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loro insegnamenti come farebbe un padre, con straordinario affetto. Le sue sublimi doti artistiche raccolsero attorno a lui un gran numero di pittori che ardevano dal desiderio di essere suoi allievi, sebbene una parte di loro avesse già superato gli anni previsti per l’apprendistato. Lo accompagnavano sin da casa sua, se andava a corte, formando così un ampio seguito. Ma così tanti pittori dalle diverse sensibilità non avrebbero certamente potuto convivere senza dissapori e rotture, se lo spirito del loro grande maestro non li avesse magicamente illuminati come un sole pacificante e non avesse eliminato ogni macchia dalle loro anime. Così essi furono soggiogati dal suo spirito, così come dal suo pennello. … Ma nella vita di Raffaello si trova ancora un’altra storia, bella e miracolosa,83 ed è questa. Egli aveva dipinto un meraviglioso Cristo che porta la croce, attorniato da molte figure, destinato a un monastero a Palermo. Ma la nave, sulla quale l’immagine avrebbe dovuto essere trasportata, patì una violenta tempesta e naufragò; uomini e merci andarono a fondo … eccetto quel dipinto. Frutto, questo, di uno speciale volere della provvidenza. Quel quadro, dicevo, fu portato da onde amiche fino al porto di Genova, dove lo si tirò fuori, completamente intatto, da una cassa che lo conteneva. In questo modo gli stessi furiosi elementi della natura mostrarono il loro profondo rispetto verso quel sant’uomo. Il dipinto fu poi portato a Palermo e là, come si esprime il vecchio Vasari, è considerato come una meraviglia della Sicilia, come un grande gioiello di quell’isola, almeno quanto il monte Etna». Provai sempre più gioia nell’ascoltare queste magnifiche storie e, stringendo la mano al frate, gli chiesi con grande curiosità: «Ma da dove siete venuto a sapere tutte queste cose?». «Sappi, figlio mio» – rispose – «che parecchi uomini degni di alta considerazione hanno composto cronache di storia dell’arte e descritto in maniera particolareggiata le vite dei pittori e che tra essi il più antico e nel contempo certo il più importante si chiama Giorgio Vasari. Pochi leggono questi libri ai giorni d’oggi, sebbene in essi si nascondano molto spirito e umana saggezza. Pensa per un attimo a quanto deve essere bello imparare adesso a conoscere quegli uomini, che tu lodi per il loro diverso modo di usare il pennello, anche in base ai loro differenti caratteri e costumi. Entrambi gli aspetti confluiscono poi in te in un’unica immagine; e se tu coglierai, con sentimento profondo e giusto, quanto viene narrato solo per mezzo di aride parole, si leverà dinanzi a te una maestosa visione, cioè il carattere dell’artista, il quale, così come variamente si manifesta nei singoli esseri umani infinitamente diversi, allo stesso modo potrà offrirti uno spettacolo del tutto nuovo e piacevole. Ogni carattere sarà per te un quadro originale e tu avrai raccolto tutt’intorno a te una splendida galleria di quadri, nei quali il tuo spirito potrà riflettersi».

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Tutto questo non lo comprendevo allora ancora bene, sebbene, dopo aver letto i libri prima ricordati, ciò divenisse in seguito pienamente il mio punto di vista in merito. Nel frattempo chiesi molto insistentemente al buon vecchio frate di continuare a raccontarmi altre belle vicende contenute nella cronaca dei pittori. «Voglio pensarci un poco» – disse sorridendo – «parlo infatti con piacere di vecchie storie dei pittori». E in quel momento iniziò a narrarmi davvero una gran quantità di episodi molto avvincenti, poiché aveva ripetutamente letto tutti i libri scritti sull’arte e ne serbava il meglio nella memoria. I suoi racconti mi appassionavano così profondamente, che me li ricordo ancora oggi quasi con le sue stesse parole e per il mio piacere voglio raccontarne una parte. Allorché, nella sala dei quadri in cui ci trovavamo, capitammo davanti a un dipinto dell’eccellente Domenichino,84 egli mi disse che questo pittore aveva fornito un considerevole esempio di fervido zelo per l’arte e, per dimostrare quest’affermazione, continuò come segue: «Prima di iniziare un dipinto, questo maestro vi rifletteva a lungo e a volte rimaneva giorni interi da solo nella sua stanza, fino a che l’immagine non si mostrava, completa sin nei minimi dettagli, alla sua mente. Solo allora era soddisfatto e diceva: “adesso metà del lavoro è fatta”. E una volta afferrato il pennello, rimaneva nuovamente l’intero giorno inchiodato al cavalletto e riusciva a malapena a interrompere il lavoro un paio di minuti per mangiare. Dipingeva con la massima cura e precisione, infondendo a tutte le sue opere una profonda espressività. Quando, in un’occasione, una persona volle persuaderlo a non tormentarsi in quel modo e di prendersela invece più alla leggera, alla maniera degli altri pittori, rispose molto seccamente: “Io lavoro solo per me e per la perfezione dell’arte”. Non riusciva a capire come altri pittori potessero lavorare ai soggetti più grandi ed importanti con una così scarsa partecipazione interiore, mentre dipingevano, da continuare a chiacchierare con i loro conoscenti. Perciò li considerava come semplici mestieranti che non conoscono il santuario spirituale dell’arte. Egli stesso, quando dipingeva, penetrava sempre con animo vivissimo dentro il soggetto della sua opera, al punto da avvertire in se stesso le sensazioni e le emozioni che voleva rappresentare e, senza rendersene conto, compiva dei gesti a quelli adeguati. A volte, se aveva in mente una figura afflitta, lo si udiva lamentarsi nella sua stanza di lavoro con una voce oppressa e rotta dai lamenti; oppure, se se si trattava di rappresentare un volto lieto, anch’egli era allegro e parlava animatamente da solo. Per questa ragione dipingeva in una camera appartata e non lasciava entrare nessuno, neppure i suoi allievi, in modo da non venir disturbato in quei momenti di rapita estasi e da non esser deriso come un matto. Una volta, durante gli anni della sua giovinezza, si trovava in un simile momento di estasi, quando si verificò una scena davvero commovente. Il sublime Annibale Carracci85 era appena giunto a fargli visita ma, non appena

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ebbe aperto la porta, lo vide che stava tutto furioso di fronte al cavalletto, pieno di collera e sdegno, gesticolando minaccioso. Carracci rimase in silenzio sulla porta e si accorse che il suo amico era intento a lavorare al quadro del martirio di Sant’Andrea e che proprio in quel momento stava dipingendo un soldato che, con tracotanza, minacciava l’apostolo. Con profonda gioia e ammirazione Carracci rimase a guardarlo per un bel pezzo, senza muoversi; ma alla fine, non potendo più trattenersi, esclamò a gran voce: “Ti ringrazio!”, si precipitò verso di lui e gli si gettò al collo, con cuore palpitante». «Questo Annibale Carracci era a sua volta un uomo davvero splendido e vigoroso, il quale sentiva veramente nel profondo dell’animo la muta grandezza dell’arte e preferiva creare lui stesso grandi opere, piuttosto che trastullarsi con parole eleganti e leggiadre intorno ai grandi capolavori. Suo fratello Agostino,86 al contrario, era, oltreché artista, un fine uomo di mondo, un letterato e un poeta che componeva sonetti, il quale di buon grado si profondeva in molte parole sulle cose d’arte. Allorché entrambi, ritornati da Roma, si ritrovarono di nuovo nella loro Accademia a Bologna e lì ripresero a lavorare, Agostino iniziò un giorno a descrivere con gran dovizia di particolari il famoso gruppo antico del Laocoonte e a esaltarne tutte le particolari bellezze con bei discorsi forbiti. Ma dato che suo fratello Annibale se ne stava lì accanto del tutto incurante e trasognato, come se non capisse il senso delle sue parole, Agostino si adirò e gli chiese sdegnato se non provasse alcun rispetto a ciò che gli stava esponendo. Questa domanda irritò profondamente Annibale; senza dire una parola prese un carboncino da disegno, si avvicinò al muro e disegnò svelto e a memoria il gruppo del Laocoonte tutt’intero, imitando le sue linee in maniera così fedele e giusta che pareva quasi di vederlo davanti agli occhi. Poi si allontanò dalla parete sorridendo, ma tutti i presenti restarono sbalorditi e Agostino si diede per sconfitto e riconobbe il fratello come vincitore della gara». Quando lo straniero ebbe finito di raccontare queste storie, passammo a parlare di altre cose e fra l’altro gli chiesi se non fosse a conoscenza anche di storie di ragazzi che, sin dalla loro prima giovinezza, avessero avuto una particolare inclinazione per la pittura. «Oh, sì» – disse sorridendo il forestiero – «le cronache ci informano di parecchi fanciulli che, nati e cresciuti nelle più misere condizioni, a dispetto di esse, per così dire, vennero chiamati dal Cielo alla pittura. In proposito mi vengono in mente diversi esempi. Proprio uno dei più antichi pittori italiani, Giotto,87 in gioventù non era altro che un pastorello, che badava alle pecore. Si dilettava nel disegnare le sue pecorelle sulle pietre o sulla sabbia; un giorno Cimabue,88 il patriarca di tutti i pittori, lo sorprese mentre era intento in quell’attività, lo prese con sé ed ecco

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che il fanciullo presto superò il suo maestro. Se non erro, ci vengono raccontate storie del tutto analoghe di Domenico Beccafumi89 e anche dell’ingegnoso scultore Contucci,90 il quale da ragazzo ritraeva nell’argilla il bestiame che portava a pascolare. E così anche il noto Polidoro da Caravaggio91 da principio non era altro che un garzone, il quale portava la calce ai muratori in Vaticano; svolgendo tale lavoro, osservava però con attenzione gli allievi di Raffaello, che lavoravano ugualmente lì, e fu colto da un così irresistibile desiderio di dipingere, da imparare in maniera rapidissima e appassionata. … Eh sì, mi viene in mente ancora un esempio molto garbato, quello del vecchio pittore francese Jacques Callot.92 Questi, da fanciullo, aveva molto sentito parlare delle magnifiche opere d’arte presenti in Italia e, poiché amava il disegno più di ogni altra cosa, fu preso da un violento desiderio di vedere il bel Paese. Da ragazzo, all’età di undici anni, scappò in segreto dalla casa del padre, senza un quattrino in tasca, e volle andare dritto verso Roma. Ma presto dovette mettersi a chiedere la carità e, avendo incrociato sulla sua strada una compagnia di zingari, si unì ad essi e girovagò insieme a loro sino a Firenze, dove finì per fare da apprendista presso un pittore. Poi se ne andò a Roma; ma qui lo videro dei mercanti francesi della sua città natale, i quali erano a conoscenza della pena e dell’angoscia dei genitori nei suoi confronti, e lo ricondussero a casa con la forza. Quando il padre lo ebbe di nuovo con sé, tentò di obbligarlo ad applicarsi ai suoi studi con impegno; ma era tutta fatica sprecata. All’età di quattordici anni fuggì per la seconda volta in Italia; ma la sua cattiva stella volle che a Torino, per strada, egli incontrasse suo fratello maggiore, il quale lo trascinò nuovamente dal padre. Questi, alla fine, si rese conto che non c’era nulla da fare e gli diede allora di sua spontanea volontà il permesso di recarsi per la terza volta in Italia, dove il ragazzo divenne un bravo artista. In tutto il suo vagabondare giovanile egli era comunque sempre stato preservato da ogni pericolo e aveva mantenuto intatta tutta la purezza della sua anima, poiché doveva certo essere sotto una particolare protezione del Cielo. Un altro singolare aspetto che lo riguardava era il fatto che, da ragazzo, rivolgeva sempre nelle sue preghiere a Dio due suppliche, e cioè che, qualsiasi cosa ne fosse stata di lui, potesse distinguersi con la sua opera rispetto a tutti gli altri, e poi che potesse vivere non più di quarantatre anni. E la cosa prodigiosa è che egli, in effetti, morì proprio all’età di quarantatré anni». Il vecchio frate aveva narrato queste storie con molta partecipazione. Poi iniziò a camminare pensoso su e giù, e osservandolo attentamente mi sembrava che vagasse piacevolmente trasognato tra la moltitudine degli antichi pittori. Lo lasciai volentieri alle sue meditazioni e aspettavo con gioia che egli si rammentasse di molte altre cose, poiché i ricordi sembravano farsi in lui sempre più vivi. E difatti, dopo poco tempo, egli ricominciò così:

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«Ecco, mi vengono ora in mente ancora un paio di begli aneddoti che, in due diverse maniere, dimostrano quale potente divinità sia l’arte per l’artista e con quale forza essa lo domini... Viveva un tempo un vecchio pittore fiorentino, di nome Mariotto Albertinelli,93 artista appassionato ma uomo molto inquieto e sensuale. Egli si sentì infine davvero irritato dall’incerto e faticoso studio delle nozioni tecniche dell’arte e dalle ripugnanti ostilità e angherie dei colleghi pittori e, poiché gli piaceva il buon vivere, decise di dedicarsi a un’occupazione più divertente, aprendo un’osteria. Era profondamente soddisfatto di come andavano le cose e spesso diceva ai suoi amici: “Vedete, questo sì che è un mestiere migliore! Adesso non mi tormento più nello studiare i muscoli degli uomini dipinti, ma nutro e do forza ai vivi e, quel che è meglio, sono al sicuro da detestabili rancori e calunnie, almeno fino a quando avrò del buon vino nella botte.” … Ma cosa accadde? Dopo aver fatto quella vita per un po’ di tempo, la divina superiorità dell’arte gli riapparve d’un tratto e vivissima davanti agli occhi, così che subito chiuse l’osteria e, con l’ardore di un convertito, si gettò di nuove tra le braccia dell’arte». «L’altra storia è questa. Il ben noto, anzi celebre, Parmigianino94 dipinse da giovane a Roma impareggiabili quadri per il Papa, e cioè proprio al tempo in cui l’imperatore tedesco Carlo V cingeva d’assedio la città. Le sue truppe abbatterono dunque le porte e saccheggiarono tutte le case; quelle dei gran signori, come quelle degli umili. Ma il Parmigianino a tutto fece attenzione meno che al rumore della guerra e al tumulto, e rimase tranquillo, intento al suo lavoro. D’un tratto alcuni soldati irruppero nella sua stanza ed … ecco, cosa incredibile! … egli restò ancora fermo e operoso davanti al suo cavalletto. Allora quei selvaggi, che non avevano risparmiato neppure templi ed altari, si stupirono a tal punto della grandezza di spirito di quell’uomo che, come fosse un santo, non osarono toccarlo, e anzi addirittura lo protessero dalla furia degli altri soldati». «Com’è meraviglioso tutto questo!» – esclamai – «ma adesso vi prego di dirmi ancora una sola cosa» – continuai, rivolto a quel caro forestiero – «ditemi se è vero ciò che una volta ho sentito raccontare, ossia che i più antichi pittori italiani furono uomini molto devoti e che dipinsero le storie sacre sempre mossi da un autentico timore di Dio? Parecchie persone, alle quali ho rivolto questa domanda, mi hanno deriso, dicendo che tutto questo altro non è che una vana fantasia e una favola amabilmente inventata». «No, figlio mio» – rispose quel caro uomo consolandomi – «non si tratta di un’invenzione poetica, bensì, come ti posso provare facendo

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ricorso agli antichi libri, della pura e schietta verità. Questi uomini venerabili, parecchi dei quali erano proprio ecclesiastici e monaci, non di rado destinarono, limitatamente alla stesura di storie divine e sacre, l’abilità delle loro mani, così come l’avevano ricevuta in dono da Dio, e in questo modo infusero uno spirito serio e santo ed un’umile semplicità alle loro opere, come si conviene a soggetti sacri. Essi fecero della pittura una fedele ancella della religione e nulla seppero dello sfoggio di colori dei pittori odierni: i loro quadri, nelle cappelle e sugli altari, ispiravano, a chi vi s’inginocchiava davanti e pregava, i più santi sentimenti. Uno di quegli antichi uomini, Lippo Dalmasio,95 era rinomato per le sue splendide Madonne, delle quali Papa Gregorio XIII aveva un pregevole esemplare in camera sua, per la sua personale devozione. Un altro, Fra Giovanni Angelico da Fiesole,96 pittore e frate domenicano a Firenze, era particolarmente noto per la sua vita severa e devota. Non si curava affatto delle cose del mondo, anzi rifiutò persino il titolo di arcivescovo che il Papa gli aveva offerto, e visse sempre in silenzio, quieto, modesto e ritirato dal mondo. Ogni volta, prima d’iniziare a dipingere, era solito pregare; poi si metteva a lavorare alla sua opera e la realizzava come il Cielo gliela ispirava, senza stare troppo a sottilizzare in merito e a criticare. Dipingere era per lui un sacro atto di penitenza; e a volte, ritraendo la passione di Cristo in croce, si vedevano grosse lacrime solcargli il viso... Tutto ciò non è una bella favola, ma è la pura verità». Il frate concluse il suo racconto con una storia davvero singolare, facente parte anch’essa di quell’antico periodo della pittura religiosa. «Uno dei primi pittori» – disse egli – «che ci viene menzionato con il nome di Spinello,97 dipinse da vecchio una grandissima tavola da altare per la chiesa di Sant’Agnolo ad Arezzo, sulla quale aveva rappresentato Lucifero e la caduta degli spiriti maligni; in alto, in aria, stava l’Angelo Michele, mentre combatte con il drago dalle sette teste, e in basso Lucifero, sotto le sembianze del più orribile dei mostri. Ora, la mente del pittore era rimasta talmente invasata da quella terribile figura demoniaca che, come si narra, lo spirito maligno gli apparve in sogno proprio sotto quella forma, e, con un tono spaventoso, gli domandò perché lo avesse rappresentato con quelle fattezze così ignominiose e bestiali e dove mai gli fosse apparso in quella veste così mostruosa. Il pittore si svegliò dal sogno, tremando per tutto il corpo; voleva chiedere aiuto, ma per la paura non riuscì ad articolare alcun suono. Da quel momento apparve sempre mezzo strambo e tenne lo sguardo immobile; infine, morì non molto tempo dopo. Il meraviglioso dipinto si può comunque vedere ancora oggi al suo vecchio posto».

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Il frate straniero partì poco tempo dopo e continuò il suo viaggio, senza che io potessi neppure prender congedo da lui. Mi sembrò di sognare, quando ebbi finito di ascoltare tutte quelle belle storie: ero stato introdotto in un mondo completamente nuovo e meraviglioso. Fervidamente curioso di sapere, cercai ovunque di procurarmi tutti i libri sulle vite dei pittori, e in particolare l’opera di Giorgio Vasari; li lessi con amore e ardore e … guardate un po’ qua! … in essi trovai descritte tutte le storie che il frate forestiero mi aveva narrato. È stato quest’uomo, per me indimenticabile, ad avermi indirizzato verso lo studio della storia dell’arte, che dà alla ragione, al cuore e alla fantasia grandissimo nutrimento, e io gli sono perciò debitore di tante ore felici.

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In due capitoli Primo capitolo A più riprese ho rivolto il mio sguardo all’indietro e raccolto, per il mio piacere, i tesori della storia dell’arte dei secoli passati; ma ora il mio animo mi spinge a soffermarmi, almeno per una volta, sul presente e a tentare di esporre la storia di un artista che conoscevo sin dalla sua prima giovinezza e che era il mio più intimo amico.98 Ahimè, purtroppo te ne sei andato presto da questa terra, oh mio caro Joseph! E non troverò così facilmente un altro come te. Ma voglio rincuorarmi ricostruendo la storia del tuo spirito, e questo sin dal principio, così come tu di frequente, durante ore piacevoli e sin nei minimi dettagli, me l’hai raccontata; e voglio altresì ricercare tra i miei ricordi come io stesso, nel mio intimo, ti ho conosciuto; e a quelli che in ciò troveranno motivo di piacere, voglio raccontare la tua storia. Joseph Berglinger nacque in una piccola cittadina nel sud della Germania. Sua madre dovette lasciare il mondo, proprio mentre lui veniva alla luce; suo padre, uomo già di una certa età, era dottore in medicina e si trovava in ristrettezze economiche. La fortuna gli aveva voltato le spalle e gli costava amaro sudore far campare lui e i suoi sei figli (infatti Joseph aveva cinque sorelle), tanto più da quando gli era venuta a mancare una giudiziosa massaia. Il padre era in principio un uomo dal cuore tenero e generoso, che nulla faceva più volentieri se non aiutare, fornire consigli e fare elemosine, per quello che i suoi pochi mezzi gli consentivano; un uomo che dopo una buona azione dormiva meglio del solito; uno che, con sincero coinvolgimento e riconoscenza verso Dio, sapeva giovarsi dei buoni frutti del suo cuore e che, più di ogni altra cosa, amava nutrire il proprio spirito di sensazioni commoventi. Bisogna infatti esser colti da profonda nostalgia e intimo amore ogni volta che si osservi l’invidiabile semplicità di anime siffatte, che nelle abituali manifestazioni della bon-

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tà di cuore trovano un così inesauribile fondo di grandezza interiore da far di questo compiutamente il loro paradiso in terra, mediante il quale riconciliarsi con il mondo intero e mantenersi sempre in una condizione di soddisfatto appagamento. Joseph aveva proprio questa sensazione quando osservava il padre; ma il Cielo aveva fatto lui in una maniera tale, che egli ambiva in continuazione a qualcosa di ancor più elevato. Non si accontentava neppure della semplice salute dell’anima e che essa soddisfacesse i suoi compiti abituali sulla terra, come lavorare e fare del bene; egli voleva che la sua anima si lanciasse altresì in una danza incessante, gioiosamente esuberante ed ardita, per poter così ascendere tra grida di giubilo al Cielo, come alla sua autentica origine.99 Ma l’animo di suo padre era anche occupato da altre cose. Era un medico laborioso e coscienzioso, che nel corso della sua vita aveva trovato la sua fonte di piacere esclusivamente nello studio degli strani sintomi che si celano nel corpo umano e nella vasta conoscenza di tutte le miserevoli infermità e malattie che lo colpiscono. Questo studio appassionato si era però trasformato in lui, come spesso suole accadere, in un veleno segreto che gli stordì i nervi, gli percorse tutte le vene e logorò molte delle corde armoniose che si trovano nel petto dell’uomo. A ciò si aggiunse il malcontento per la miserabile situazione economica in cui versava, e infine la vecchiaia. Tutto questo consumò e distrusse l’iniziale bontà del suo animo, perché in anime non forti abbastanza ogni cosa che, provenendo per così dire dall’esterno, impegna l’uomo, passa poi nel sangue e muta la sua interiorità, senza che egli stesso se ne accorga. I figli del vecchio medico crebbero di fianco a lui come erbacce in un giardino inselvatichito. Le sorelle di Joseph erano in parte malaticce, in parte ritardate, e conducevano una vita miseramente solitaria nella loro stanzetta scarsamente illuminata. Nessuno più di Joseph sembrava inadatto a una famiglia come questa, dal momento che egli viveva in un mondo fatto sempre di belle fantasie e di sogni celestiali. La sua anima assomigliava a un alberello delicato, il cui seme fosse stato fatto cadere da un uccello tra brulle mura e rovine, in mezzo alle quali esso fosse poi spuntato integro, facendosi largo tra duri sassi. Stava sempre da solo e in silenzio e si dilettava soltanto delle sue fantasticherie interiori;100 per questa ragione il padre riteneva che anche lui fosse un po’ stravagante e tardo di mente. Amava sinceramente suo padre e le sue sorelle, ma l’animo suo era ciò che egli considerava più di qualsiasi altra cosa, e lo teneva segreto e celato agli altri. Alla stessa maniera si tiene nascosta la cassettina di un tesoro, di cui non si dà la chiave in mano a nessuno. La sua gioia più grande, fin dai primi anni di vita, era stata la musica. Di tanto in tanto ascoltava altri suonare il piano, e lui stesso suo-

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nava un po’. Poco a poco egli si venne formando, attraverso il piacere più volte ripetuto dell’ascolto della musica, in una maniera talmente caratteristica, che la sua interiorità si trasformò in tutto e per tutto in musica e il suo animo, attratto da quest’arte, vagava di continuo tra gli oscuri labirinti di sensazioni poetiche. Un avvenimento che fece epoca nella sua vita fu il viaggio alla residenza vescovile, dove un suo facoltoso parente, che abitava lì e che aveva preso a ben volere il fanciullo, lo portò con sé per alcune settimane. Là egli visse davvero come in Paradiso: il suo spirito fu dilettato da una musica talmente bella e multiforme che sembrava simile a una farfalla che svolazzi qua e là tra tiepide brezze. In particolar modo frequentava le chiese e ascoltava gli oratori sacri, le cantilene101 e i cori riecheggiare con profondi suoni di tromba e trombone sotto le alte volte, dove spesso, in atteggiamento di raccolta adorazione, stava umilmente in ginocchio. Prima che la musica cominciasse, quando si ritrovava in tale disposizione d’animo tra il brulicare della folla che spingeva e che mormorava a bassa voce, si sentiva come se, trovandosi in mezzo a un grande mercato, sentisse ronzare attorno a sé in maniera confusa e disarmonica la vita comune e abituale della gente; la sua testa veniva allora stordita dalle vuote piccolezze terrene. Con impazienza attendeva il primo suono degli strumenti … e non appena esso irrompeva dal cupo silenzio, potente e lungo, simile al soffio di un vento celeste, e tutta la potenza dei suoni passava imperiosa sopra la sua testa, allora gli sembrava come se all’improvviso la sua anima spiegasse delle grandi ali, come se egli si sollevasse sopra una landa inaridita e, sparita la fosca cortina di nubi posta davanti ai suoi occhi mortali, s’innalzasse verso il cielo luminoso. In quelle occasioni rimaneva in silenzio e con il corpo immobile, tenendo gli occhi fissi per terra. Il presente sprofondava dinnanzi a lui; la sua interiorità si purificava di tutte le meschinità mondane che sono come vera polvere sullo splendore dell’anima. La musica gli penetrava i nervi con lievi brividi e, così come essa cambiava, allo stesso modo faceva sorgere davanti al suo sguardo molteplici immagini. Così, in occasione di alcuni canti gioiosi in lode di Dio, gli sembrò proprio di veder chiaramente il Re David, vestito di un lungo mantello regale e la corona sul capo, mentre danzava davanti all’Arca santa, cantando lodi al Signore;102 vedeva tutta la sua estasi e tutti i suoi movimenti, e il cuore gli balzava in petto. Migliaia di sensazioni, che riposavano dimenticate nel suo petto, si risvegliavano e s’intrecciavano meravigliosamente l’una all’altra. Sì, in alcuni passaggi musicali gli sembrava che uno speciale raggio di luce cadesse infine sulla sua anima;103 era come se, grazie a ciò, egli fosse diventato d’un tratto molto più saggio e, con occhi più chiari

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e una certa sublime e composta malinconia, guardasse dall’alto tutto quel mondo che si agitava.104 È certo che quando la musica era terminata ed egli usciva dalla chiesa, si sentiva più puro e più nobile. Tutto il suo essere ardeva ancora del vino spirituale che lo aveva inebriato ed egli osservava i passanti con occhi diversi. Se vedeva allora alcune persone passeggiare, restare in compagnia o ridere, o raccontarsi delle novità, ciò provocava in lui una stranissima impressione di disgusto. Pensava: “Tu devi, per tutta la tua vita, senza interruzione, restare in questa bella ebbrezza poetica, e la tua intera vita deve essere una musica”. Ma quando egli si recava a pranzo dal suo parente, mangiando con appetito e compiacendosi dell’abituale compagnia divertente e scherzosa, ecco che allora si sentiva insoddisfatto per esser ricaduto nuovamente nella vita prosaica e perché la sua ebbrezza si era dileguata come una nuvola splendente. Quest’amaro dissidio tra il suo innato entusiasmo etereo e la partecipazione alla vita terrena di ogni essere umano, che ogni giorno ci strappa con forza dalle nostre fantasticherie, lo tormentò per tutta la vita. Quando Joseph assisteva a un concerto, si sedeva in un angolo, senza volgere lo sguardo verso la splendida folla di spettatori, e si metteva ad ascoltare con la stessa devozione, come se fosse in chiesa, silenzioso e immobile allo stesso modo, e con gli occhi che guardavano a terra. Non gli sfuggiva neppure la minima nota, e, per la prolungata attenzione, si sentiva alla fine indebolito e spossato. La sua anima eternamente in movimento era tutta un gioco di suoni; era come se fosse staccata dal corpo e vibrasse libera tutt’intorno, o perfino come se il suo corpo fosse diventato tutt’uno con l’anima, tanto libero e leggero tutto il suo essere era avvolto dalle belle armonie e tanto facilmente le minime sfumature e l’andirivieni delle note105 s’imprimevano nella sua tenera anima. … Nelle sinfonie allegre,106 estasianti e a piena orchestra,107 che amava in particolar modo, aveva spesso l’impressione che un coro vivace di ragazzi e ragazze danzassero su un prato radioso; immaginava come essi saltassero avanti e indietro e come le singole coppie parlassero talvolta l’una con l’altra in pantomima,108 per poi rimescolarsi di nuovo nell’allegra schiera. Alcuni punti della musica erano per lui talmente chiari ed incisivi, che le note gli parevano parole. In altre occasioni le note producevano nel suo cuore l’effetto di una meravigliosa combinazione di gioia e tristezza, così che il riso e il pianto erano per lui allo stesso modo vicini; sensazione, questa, che proviamo molto spesso lungo il cammino della nostra vita e che nessun’arte è in grado di esprimere

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meglio della musica. E con quale trasporto e meraviglia ascoltava una certa composizione musicale che incomincia con una melodia allegra e serena, come un ruscello, ma che poi, poco a poco, impercettibilmente e meravigliosamente si trascina in avanti in tortuosità sempre più oscure e, infine, erompe in singhiozzi violenti e sonori, o scroscia come su scogli selvaggi con pauroso fragore! …109 Tutte queste molteplici sensazioni suscitavano in continuazione nella sua anima corrispondenti immagini indotte dai sensi e nuovi pensieri; un meraviglioso dono della musica. Un’arte, questa, la quale probabilmente agisce tanto più efficacemente su di noi e sconvolge tanto più profondamente tutte le forze del nostro essere, quanto più oscuro e misterioso è il suo linguaggio. I bei giorni che Joseph aveva trascorso nella residenza vescovile alla fine passarono ed egli dovette di nuovo far ritorno nella sua città natale, a casa di suo padre. Come fu triste il ritorno! Come si sentì nuovamente misero e abbattuto in una famiglia in cui ogni pensiero e ogni attività ruotava soltanto attorno al meschino soddisfacimento delle più elementari necessità fisiche, e accanto a un padre che così poco era in sintonia con le sue inclinazioni! Questi disprezzava e aborriva tutte le arti come serve di sfrenati appetiti e passioni e come adulatrici della gran società. Sin dal principio aveva visto con malcontento che il suo Joseph si appassionasse così tanto alla musica; e ora, poiché questo amore cresceva sempre più nel ragazzo, fece un tentativo fermo e serio di distoglierlo da quella perniciosa propensione verso un’arte, la cui pratica non era a suo avviso molto meglio dell’ozio e che soddisfaceva solamente la bramosia dei sensi, per convertirlo allo studio della medicina come la scienza più benefica e più universalmente utile al genere umano. Si diede molto da fare per impartigli lui stesso i rudimenti della materia, dandogli in mano diversi manuali. Questa era una situazione veramente tormentosa e penosa per il povero Joseph. Represse in segreto il suo entusiasmo per non affliggere suo padre, e si sforzò in tutti i modi di vedere se, accanto alla musica, non gli riuscisse di apprendere una scienza utile. Ma nella sua anima c’era un’eterna lotta. Leggeva dieci volte la stessa pagina nei suoi compendi, senza capire ciò che leggeva … mentre la sua anima cantava ininterrotta nell’intimo le sue fantasie melodiche. Il padre era molto preoccupato per lui. Il suo fervente amore per la musica prendeva intanto, nel silenzio, sempre più il sopravvento. Se per qualche settimana nessuna nota era giunta al suo orecchio, si sentiva davvero turbato nell’animo; notava che la sua sensibilità s’inaridiva, sorgeva nel suo intimo un vuoto e

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veniva colto da un ardente desiderio di lasciarsi nuovamente incantare dalle note. Allora, persino dei comuni musicanti di festività solenni e popolari riuscivano, con i loro strumenti a fiato, a suscitare in lui dei sentimenti, che non avrebbero mai sospettato di poter destare. E ogni volta che nelle cittadine vicine si poteva ascoltare musica bella e pregevole, egli vi si precipitava in mezzo alla tormenta di neve più violenta, al temporale e alla pioggia. Quasi ogni giorno richiamava nei suoi pensieri con malinconia il magnifico periodo trascorso nella residenza vescovile, e si rappresentava nuovamente nell’anima le musiche meravigliose che lì aveva ascoltato. Spesso recitava tra sé e sé le amabili e commoventi parole, imparate a memoria, di quell’oratorio sacro,110 il primo che egli avesse udito, che lo aveva così profondamente impressionato: Stabat Mater dolorosa111 Juxta crucem lacrymosa, Dum pendebat filius: Cujus animam gementem, Contristatam et dolentem Pertransivit gladius. O quam tristis et afflicta Fuit illa benedicta Mater Unigeniti: Quae moerebat et dolebat, Et tremebat, cum videbat Nati poenas incliti. E come poi continua. Ma ahimè! Se un’ora di estasi di questo tipo, durante la quale Joseph viveva in mezzo a sogni eterei, oppure quando tornava tutto inebriato dal godimento di una magnifica musica, se una tale ora veniva interrotta per i più vari motivi – le sorelle litigavano per un nuovo vestito, il padre non aveva potuto dare alla sorella maggiore denaro a sufficienza per le spese domestiche, il padre raccontava di un povero malato in uno stato veramente miserabile, una vecchia mendicante, tutta storta e curva, si presentava alla porta avvolta in stracci che non riuscivano a ripararla dal gelo dell’inverno … Oh! Non c’è al mondo sensazione più terribilmente amara, più straziante, di quella da cui si sentiva allora lacerato – allora pensava: “Buon Dio! È dunque questo il mondo nella sua vera essenza? Ed è dunque davvero la Tua volontà, che io debba mescolarmi tra la calca della folla e prender parte alla misera condizione comune? Eppu-

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re sembra proprio così, e mio padre predica sempre che dovere e destino dell’essere umano è vivere in mezzo agli altri, dare consigli ed elemosine, fasciar ferite ripugnanti e curare brutte malattie! Ma, nonostante tutto questo, una voce nel profondo mi chiama ancora a gran forza: ‘No! No! Tu sei nato per un fine più alto e più nobile!’” … Con tali pensieri si torturava spesso a lungo, senza riuscire a trovare una via d’uscita; ma, prima ancora di esser indotto in errore, ecco che le disgustose immagini, che con violenza sembravano tirarlo giù nel fango di questa terra, erano sparite dalla sua anima e il suo spirito vagava di nuovo indisturbato nell’aria. Pian piano si persuase totalmente che fosse stato messo al mondo da Dio per diventare un artista davvero eccelso nel campo della musica; e alle volte pensava certo anche che il Cielo lo avrebbe tirato fuori dalla sua cupa condizione di ristrettezza economica, in cui era costretto a trascorrere la sua gioventù, per sollevarlo a uno splendore più elevato. Molti la considereranno un’invenzione romanzesca e artificiosa, ma si tratta soltanto della pura verità se racconto che spesso, trovandosi da solo, per un fervido moto del cuore, egli cadeva in ginocchio e pregava Dio che lo guidasse in maniera tale che un giorno, dinanzi al cielo e alla terra, potesse diventare un artista davvero magnifico. In questo periodo, in cui il sangue spesso gli ribolliva violentemente, oppresso dalle immagini legate a una vita trascorsa sempre nello stesso posto, egli scrisse diverse piccole poesie, che descrivevano la sua condizione o lodavano l’arte dei suoni; poesie che egli, con grande gioia, metteva in musica alla sua maniera, puerile e piena di sentimento, senza conoscerne le regole. Un esempio di questi canti (Lieder)112 è la seguente preghiera, che Joseph rivolse a colei che, tra i santi, viene venerata come protettrice della musica.113 Guarda come piango sconsolato solo nella mia stanzetta, oh Santa Cecilia! Guarda come fuggo il mondo intero, e in silenzio dinanzi a te mi inginocchio: oh, t’imploro, restami vicina! I tuoi suoni meravigliosi, a cui, stregato, mi abbandono, l’animo mio hanno reso folle. Sciogli allora dei sensi l’affanno e fa’ ch’io mi dissolva in un canto che rapisce così tanto il mio cuore.

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Se tu potessi su corde d’arpa guidare le mie inesperte dita, così che possano sgorgare sentimenti. Fa’ che il suonar mio, in mille cuori, susciti incanti sonori e dolci pene, sì che entrambi prima elevi e poi acquieti. Potessi un giorno, con suoni potenti, consacrare a Te e a tutti i santi un sublime Gloria, e nella sala del tempio affollato a migliaia di cristiani rendermi grato, oh Santa Cecilia! Apri a me degli uomini lo spirito, con la potenza dei suoni, delle anime loro esser signore; che il mio spirito per il mondo possa risuonare, sì che di simpatia114 lo sappia colmare, e di fantasia lo riesca a inebriare!115 Per oltre un anno il povero Joseph si tormentò e meditò in solitudine su di un passo che voleva fare. Una forza irresistibile spingeva il suo spirito a far ritorno nella magnifica città, che considerava come il suo Paradiso, poiché bruciava dal desiderio di studiare a fondo e apprendere la sua arte, la musica. Ma il rapporto nei confronti del padre gli opprimeva il cuore. Questi aveva ben notato che Joseph non voleva affatto più applicarsi con serietà e impegno allo studio della medicina, lo aveva anzi già quasi abbandonato e si era isolato nel suo malumore, che con l’avanzare dell’età diventava sempre più intenso. Si occupava ormai poco del ragazzo. Ciononostante, Joseph non perdeva la sua infantile sensibilità; combatteva incessantemente la sua inclinazione e ancora non riusciva a farsi coraggio per far uscire dalle labbra, alla presenza del padre, una parola su ciò che doveva rivelargli. Per giorni interi si tormentò nel soppesare ogni elemento l’uno con l’altro, ma non riusciva a venir fuori da quel tremendo abisso di dubbi, e neppure le più fervide preghiere parevano sortire effetto: poco mancò che il cuore gli si spezzasse dal dolore. Di quello stato d’animo, più di ogni altro desolante e penoso, nel quale si trovava in quel periodo, danno testimonianza anche i seguenti versi, che ho trovato tra le sue carte:

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Cos’è che mi opprime e in un fervido abbraccio mi stringe così che con lui debba andare lontano e dalla casa del padre fuggire? Ahimè, che tentazione e tormento dovrò, senza mia colpa, patire? Figlio di Dio, con le tue piaghe non puoi calmare l’angoscia del mio cuore? Non puoi concedermi illuminazione per trovare giusto consiglio interiore? Non puoi mostrarmi la retta via e orientare il mio cuore sulla giusta strada? Se non mi trai presto a te e mi salvi, o nel grembo della terra non mi accogli, a quell’estranea forza mi dovrò arrendere, dovrò, atterrito, alla volontà cedere, diventare preda di forze oscure che dal fianco di mio padre mi vogliono strappare!116 La sua angoscia diventò sempre più grande, la tentazione di fuggire verso la splendida città, sempre più forte. “Ma il Cielo” – pensava – “non ti verrà dunque mai in aiuto?”. “Non ti darà alcun segno?”. La sua inquietudine raggiunse infine l’apice quando suo padre, in occasione di un contrasto domestico, lo rimproverò in maniera molto diversa dal solito, e da allora lo trattò sempre con ostilità. Dunque, la cosa era ormai decisa; da quel momento mise alla porta ogni dubbio ed esitazione; non volle assolutamente più ripensarci. La Pasqua era vicina; voleva festeggiarla ancora in casa assieme ai suoi, ma non appena fosse passata … via, via in qualche lontana parte del mondo. La Pasqua era passata. Attese il primo bel mattino, quando i chiari raggi del sole sembravano attrarlo, incantevoli; allora se ne partì di buon ora da casa, come ci si era abituati a vederlo … ma questa volta non fece ritorno. Pieno di entusiasmo e con il cuore che gli batteva forte, si affrettò tra le anguste viuzze della cittadina; si sentiva come se volesse compiere un balzo al di sopra di tutto quel che vedeva intorno, per poter così salire su in alto, fin quasi nel cielo aperto. Una vecchia parente lo incontrò a un angolo della strada. “Così di fretta, cugino?” – gli domandò – “vuoi comprare ancora verdura al mercato per casa?” – “Sì, sì!” – rispose Joseph immerso nei suoi pensieri e, fremendo di gioia, uscì di corsa dalla porta della cittadina.

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Ma non appena ebbe percorso un piccolo tratto di strada per i campi e si guardò attorno, gli sorgarono dagli occhi calde lacrime. “Devo far marcia indietro?”, pensò. Ma corse ancora avanti, come se gli bruciassero i talloni, seguitò a piangere senza sosta e sembrava quasi che volesse sfuggire alle sue stesse lacrime. Passò così davanti a diversi paesini a lui ignoti e a molti volti sconosciuti … La vista di un mondo per lui nuovo gli diede nuovamente coraggio; si sentiva libero e forte; si avvicinava sempre più … e finalmente – oh, buon Cielo! che meraviglia – finalmente vide stagliarsi davanti a sé le torri della magnifica città. ———— Secondo capitolo Ritorno al mio Joseph, quando, parecchi anni dopo che lo abbiamo lasciato, era diventato direttore d’orchestra nella residenza vescovile e viveva in grande splendore. Il suo parente, che lo aveva accolto con grande affabilità, era diventato il fautore della sua fortuna, gli aveva fatto impartire i principi fondamentali dell’arte musicale e, poco a poco, aveva perfino tranquillizzato un po’ il padre sul passo compiuto da Joseph. Questi si era perfezionato impegnandosi fermamente ed era infine giunto al più alto grado di felicità che avesse mai potuto desiderare. Ma le cose del mondo si trasformano davanti ai nostri occhi. Un giorno, dopo che da un paio di anni era diventato direttore d’orchestra, egli mi scrisse la seguente lettera: «Caro Padre, è una misera vita quella che conduco; e più voi volete consolarmi, più lo avverto con amarezza. Se ripenso ai sogni della mia gioventù … com’ero felice in quei sogni! Pensavo di poter ininterrottamente continuare a fantasticare e dar libero sfogo a tutto il mio cuore nell’arte; ma quanto estranei e duri mi si presentarono subito i primi anni di studio. Che delusione provai quando il sipario delle apparenze si alzò davanti a me e mi resi conto che tutte le melodie, per quanto avessero destato in me le più eterogenee e spesso le più meravigliose sensazioni, tutte si fondavano su un’unica, vincolante legge matematica!117 E che io, invece di poter volare libero, dovevo prima imparare ad arrampicarmi su per la goffa impalcatura, per la gabbia della grammatica artistica!118 Come dovetti

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tormentarmi per riuscire a elaborare, mediante i comuni procedimenti conoscitivi dell’intelletto, un dispositivo uniforme e ben regolato, prima che potessi pensare a esprimere con le note i miei sentimenti! Fu una penosa fatica meccanica. E comunque: avevo ancora un’elasticità mentale e uno speranzoso vigore tipicamente giovanili, e seguitavo a sperare nel magnifico avvenire! E adesso? Quello splendido avvenire futuro è diventato un miserabile presente. Che ore felici vissi da ragazzo nella grande sala dei concerti! Quando sedevo silenzioso e inosservato in un angolo, e tutto il fasto e lo splendore attorno m’incantavano, e desideravo così ardentemente che un giorno tutti quegli ascoltatori si riunissero per ascoltare le mie opere, e che abbandonassero a me i loro sentimenti! Ora, invece, mi ritrovo molto spesso proprio in questa sala e dirigo anche opere mie; mi sembra, però, che sia tutto davvero molto diverso! Come potei illudermi che questo pubblico di ascoltatori, tutti impettiti nei loro abiti di seta e ricoperti di monili d’oro, si riunissero in quella sala per godere davvero di un’opera d’arte, per infiammare il loro cuore, per offrire la loro sensibilità all’artista? Ma se tutte queste anime non riescono a emozionarsi neppure nel maestoso duomo, nei più sacri giorni di festa, mentre tutto ciò che vi è di più grande e bello nell’arte e nella religione cerca di penetrare con violenza in loro,119 come potrebbero poi emozionarsi in una sala da concerti? La sensibilità e il gusto per l’arte sono fuori moda e sono diventati sconvenienti; provare delle sensazioni di fronte a un’opera d’arte sarebbe tanto strano e ridicolo quanto, in una compagnia di persone, iniziare improvvisamente a parlare in versi e rime, quando ci si avvale per tutta la vita di una prosa ragionata e comunemente comprensibile. E per simili anime affatico così tanto il mio spirito? Per queste mi infervoro, agendo in modo tale che anche gli altri debbano poter provare delle sensazioni? Questo è l’alto destino per il quale credevo di esser nato! E se a volte qualcuno, che ha una specie di mezza sensibilità, vuole lodarmi, esaltarmi con spirito critico e mi propone delle questioni complesse … oh, allora vorrei una volta per tutte pregarlo che non si desse così tanto da fare ad apprendere la sensibilità artistica dai libri. Il Cielo sa che cosa essa è …; e quando ho appena goduto di un pezzo musicale, o di una qualsiasi altra opera d’arte che mi manda in estasi, e tutto il mio essere ne è pervaso, allora con quale piacere vorrei dipingere di getto sulla tela, con un’unica pennellata, il mio sentimento, se un solo colore bastasse a esprimerlo. Ma non mi è possibile esaltare i pregi dell’arte con parole affettate; non riesco a tirarne fuori niente d’intelligente. Certamente mi consola un poco il pensiero che, forse, in un qualche piccolo angolo della Germania, in cui un giorno finirà per arrivare questo o quel lavoro creato dalle mie mani, sia pure molto tempo dopo la mia morte, si troverà un essere umano, cui il Cielo avrà conferito

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una tale affinità con la mia anima, che dall’ascolto delle mie melodie egli riesca a sentire proprio ciò che io provai nel comporle, e che con tanto piacere volli metterci dentro. Una bella idea, con la quale per un certo periodo ci si può forse piacevolmente illudere! Ma la cosa più detestabile sono, oltre a ciò, tutte le altre circostanze e relazioni, in cui l’artista si trova impigliato. Fra tutte, la nauseante invidia e la malignità, i costumi e gli incontri disgustosi e meschini, la subordinazione dell’arte alla volontà della corte (mi ripugna dire una sola parola su questo aspetto); è tutto così indegno e abietto per l’anima umana, che non posso pronunciare una sola sillaba in proposito. È un’enorme sfortuna per la musica che proprio in quest’arte sia necessario un gran numero di mani, in grado di dare il loro aiuto, solo affinché l’opera possa esistere! Io chiamo a raccoglimento ed elevo l’anima mia tutta, per riuscire a creare una grande opera … e cento teste vuote e prive di sensibilità vi mettono bocca, avanzando questa o quella pretesa. Durante la mia gioventù pensavo di sfuggire alle meschinità terrene, e ora mi ci sono proprio impantanato! Purtroppo è cosa ben certa che, pur con tutti gli sforzi delle nostre ali spirituali, non si può sfuggire alla terra; essa ci attira di nuovo a sé con violenza, e ricadiamo giù tra la moltitudine della gente più comune. Sono artisti degni di commiserazione quelli che vedo intorno a me. Infatti, anche i più nobili sono così gretti, da non sapersi esimere dall’esser presuntuosi se solo una loro opera un giorno diventa uno dei pezzi di musica generalmente preferiti. Santo cielo! Non siamo noi debitori per metà del nostro merito alla divinità dell’arte, all’eterna armonia della natura, e per l’altra metà al benigno Creatore, che ci diede la capacità di impiegare quei tesori? Le mille diverse e dolci melodie, che generano in noi le più svariate emozioni, non si sono forse originate dall’unico, meraviglioso triplice accordo, che la natura ha creato fin dall’eternità?120 Le sensazioni piene di malinconia, per metà dolci e per metà dolorose, che la musica infonde in noi, senza che noi sappiamo come, che cos’altro sono se non il misterioso effetto dell’alternanza tra modo maggiore e modo minore? E non dobbiamo forse essere grati al Creatore, se Egli ha dato proprio a noi l’abilità di combinare insieme questi suoni, ai quali sin dall’inizio fu infusa una peculiare simpatia per l’anima umana, in maniera da commuovere il cuore? In verità, è l’arte che si deve venerare, non l’artista; questi non è altro che un debole strumento. Vedete dunque che il mio ardore e il mio amore per la musica non si sono indeboliti rispetto al passato. Ma proprio per questo sono tan-

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to infelice … ma voglio lasciar stare e non annoiarvi con la descrizione di tutte le disgustose vicende che accadono attorno a me. Per farla breve: vivo in un ambiente molto guasto. Vivevo molto più idealmente un tempo, quando, nell’ingenua giovinezza e in quieta solitudine, godevo solo dell’arte; senz’altro più di adesso, che la pratico nel più abbagliante splendore del mondo e attorniato unicamente da abiti di seta, stelle e croci, gente colta e di buon gusto! … Cosa vorrei? Vorrei piantare in asso tutta questa raffinata civiltà e rifugiarmi presso il semplice pastore svizzero, sulle montagne, e con lui suonare le sue canzoni alpine, che ovunque lo colmano di profonda nostalgia …». Da questa lettera, scritta in maniera frammentaria, si può in parte desumere lo stato d’animo in cui si trovava Joseph. Si sentiva abbandonato e solo in mezzo al ronzio di così tante anime, che non si accordavano armonicamente con la sua; la sua arte ne uscì profondamente mortificata, perché su nessuno, per quanto sapesse, riusciva a fare un’impressione profonda, mentre a lui sembrava che essa fosse proprio fatta per commuovere il cuore dell’uomo. In certe ore tristi si disperava completamente, e pensava: “Quanto è strana e curiosa l’arte! Ha dunque per me solo una forza tanto misteriosa, ed è per tutti gli altri esseri umani solamente un divertimento dei sensi e un gradevole passatempo? Che cos’è allora l’arte, veramente ed effettivamente, se per tutti gli altri è nulla, e solo per me è qualcosa che conta? Non è forse l’idea più infelice possibile, quella di fare di quest’arte lo scopo assoluto e l’attività principale della vita, e immaginarsi mille belle cose circa i suoi grandi effetti sull’animo degli esseri umani? Di quest’arte che, nella vita reale, terrena, non ha un’importanza diversa da quella del gioco delle carte o di qualsiasi altro passatempo?”. Quando gli si affacciavano alla mente tali pensieri, gli pareva di essere stato un ingenuo sognatore, tutto affannato a diventare un artista che esercita la sua arte per il mondo. Concepì così l’idea che un artista deve essere tale per sé solo, per l’elevazione del proprio cuore, per una o tutt’al più per un paio di persone che lo comprendano. E non posso considerare quest’idea del tutto inopportuna. Ma voglio riassumere brevemente la parte restante della vita del mio Joseph, poiché i ricordi di essa diventano per me molto tristi. Parecchi anni ancora egli visse come direttore d’orchestra, e il suo cattivo umore andò crescendo sempre più, assieme alla sgradevole consapevolezza che, nonostante tutto il suo profondo sentimento e il suo intimo senso artistico, egli non era di alcuna utilità al mondo, ed era a questo molto meno utile di un qualunque artigiano. Spesso ripensava con nostalgia al puro, ideale entusiasmo di quando era ragazzo, oltre che a suo padre, a quanti sforzi avesse compiuto per fare

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di lui un medico, così da alleviare le miserie degli esseri umani, guarire gli infelici e, in questo modo, essere utile al mondo. “Forse sarebbe stato meglio!”, pensava in alcuni momenti. Suo padre frattanto, con l’avanzare dell’età, era diventato molto debole. Joseph scriveva sempre alla maggiore delle sorelle e le inviava mezzi per il sostentamento del padre. Andare lui stesso a fargli visita, di questo non aveva il coraggio; sentiva che gli era impossibile. Il suo animo s’incupì ancor di più; la sua vita volgeva verso il declino. Un giorno aveva diretto nella sala da concerto un componimento musicale nuovo e ben riuscito, e per la prima volta ebbe l’impressione di aver fatto presa sul cuore degli ascoltatori. Un generale senso di sorpresa e un misurato applauso, molto più bello di uno sonoro, lo rallegrarono, alimentando in lui l’idea che forse, questa volta, avesse degnamente esercitato la sua arte; riprese dunque nuovamente coraggio per dedicarsi a un nuovo lavoro. Quando uscì per strada, gli si avvicinò di nascosto, confusa tra la folla, una ragazza vestita molto miseramente, che voleva parlargli. Non sapeva che dirle; la guardò in viso e – “oh, Dio!” – esclamò: era la sorella più giovane, in abiti miserrimi. Era corsa a piedi da casa per portagli la notizia che suo padre era in punto di morte e che, prima della sua fine, desiderava ardentemente parlargli ancora una volta. Di nuovo, ogni forma di musica e di canto che si agitavano nel suo petto andarono in pezzi; in uno stato di cupo stordimento si preparò per il viaggio e in fretta partì per la città natale. Non voglio descrivere le scene che si verificarono al capezzale del padre morente. Non si creda che ci fossero ampi e malinconici chiarimenti reciproci; si compresero molto profondamente, senza bisogno di tante parole … perché la natura sembra davvero prendersi gioco di noi, permettendo agli esseri umani di capirsi bene solamente in simili ultimi momenti decisivi. Joseph si sentiva però straziato fin nelle fibre più profonde del suo essere. Le sue sorelle erano in condizioni davvero desolanti: due di loro avevano vissuto in maniera sconsiderata ed erano scappate di casa; la maggiore, a cui lui mandava sempre il denaro, ne aveva sperperato la maggior parte e aveva fatto vivere di stenti il padre; questo, Joseph se lo vedeva alla fine morire miseramente davanti agli occhi. Ah! Era spaventoso osservare come il suo povero cuore fosse stato ferito e trafitto fino in fondo. Provvide alle sorelle meglio che poteva e fece ritorno in città, perché delle faccende lo richiamavano là. Per l’imminente festa della Pasqua doveva comporre una nuova musica sulla Passione,121 che i suoi invidiosi rivali attendevano con grande curiosità. Ma limpidi torrenti di lacrime gli sgorgavano dagli occhi ogniqualvolta si metteva al lavoro; non riusciva a salvarsi dal suo cuore straziato. Era profondamente abbattuto e, per così dire, sepolto

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in mezzo alle scorie di questa terra. Alla fine si risollevò con forza e, con il più fervido desiderio, stese le braccia verso il cielo; colmò il suo spirito della più alta poesia, di un potente canto di giubilo, e compose, in uno stato di estasi meravigliosa, ma sempre sotto l’influsso di impetuose emozioni, una musica della Passione di Cristo che, con le sue melodie penetranti, in cui erano racchiusi tutti i tormenti della sofferenza umana, rimarrà in eterno un capolavoro. La sua anima era simile a un malato che, in un miracoloso parossismo, mostri maggiore forza di un uomo sano. Ma dopo che ebbe diretto, con la più fervida tensione d’animo, quell’oratorio in Duomo, nel giorno di Pasqua, si sentì completamente esausto e prostrato. Una fragilità di nervi si posò, come una perfida rugiada, su tutte le sue fibre; tirò avanti, malaticcio, per un po’ e morì non molto tempo dopo, nel fiore degli anni. Ho versato per lui parecchie lacrime e provo una strana impressione se riconsidero la sua esistenza nell’insieme. Perché il Cielo volle che la lotta tra il suo entusiasmo etereo e le miserie meschine di questa terra lo rendessero tanto infelice per tutta la vita, e che alla fine la sua doppia natura di spirito e corpo dovesse restare così profondamente scissa? Noi non comprendiamo le vie del cielo. Ma lasciateci ancora una volta ammirare la varietà dei sublimi spiriti, che il cielo ha posto sulla terra al servizio dell’arte. Raffaello realizzò in tutta innocenza e spontaneità le opere più geniali, nelle quali vediamo rispecchiarsi il cielo intero; Guido Reni,122 che condusse una vita da sfrenato giocatore, creò i quadri più dolci e più santi; Albrecht Dürer, un semplice cittadino di Norimberga, proprio nella stanzetta, in cui la sua bizzosa moglie litigava con lui ogni giorno,123 portò a termine, con solerte e meccanica operosità, opere d’arte piene di sentimento; Joseph, invece, nelle cui armoniose opere si ritrova tanta misteriosa bellezza, era diverso da tutti questi! Ah! È possibile che fosse proprio la sua elevata fantasia a logorarlo? O devo dire che egli era fatto più per godere l’arte che per esercitarla? Sono forse creati in maniera più propizia quegli artisti, nei quali l’arte opera quieta e segreta come un genio nascosto e non li disturba nel loro agire terreno? E deve forse chi sia guidato dall’entusiasmo, con audacia e forza, come mediante l’inserzione di una compatta trama tra i fili dell’ordito, intrecciare le sue elevate fantasie a questa vita terrena, se vuol essere un autentico artista? E ancora, forse che questa inconcepibile forza creativa non è una cosa del tutto diversa e, come a me ora sembra, qualcosa di più meraviglioso ancora e di più divino della forza stessa della fantasia?

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Lo spirito dell’arte è e resta un eterno segreto per l’essere umano, rispetto al quale egli è colto da vertigini, se intende scrutarne le profondità; ma è anche eterno oggetto della somma ammirazione, come si deve dire di tutto ciò che di grande vi è al mondo. Dopo questi ricordi, non riesco però più a scrivere nulla del mio Joseph. Chiudo il mio libro; e vorrei solo augurarmi che esso possa servire a suscitare in qualcuno dei buoni pensieri.

NOTE ALLE EFFUSIONI DI CUORE * Attribuzione dei singoli capitoli delle Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte. Tieck Al lettore di queste pagine Wackenroder La visione di Raffaello Tieck Nostalgia dell’Italia Wackenroder La singolare morte del vecchio pittore Francesco Francia, che godette ai suoi tempi di vasta fama e che fu il primo della scuola lombarda Wackenroder L’allievo e Raffaello Tieck Una lettera del giovane pittore fiorentino Antonio al suo amico Jacopo a Roma Wackenroder Il modello di un pittore geniale e allo stesso tempo profondamente erudito, presentato nella vita di Leonardo da Vinci, celebre iniziatore della scuola fiorentina Wackenroder Descrizione di due dipinti Wackenroder Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte Wackenroder Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer da parte di un monaco amante dell’arte Wackenroder Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa Wackenroder Delle stravaganze del vecchio pittore Piero di Cosimo, artista della scuola fiorentina Wackenroder Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima Wackenroder La grandezza di Michelangelo Buonarroti Attribuzione incerta: prob. Tieck Lettera di un giovane pittore tedesco a La paternità del testo è stata ascritta a Roma al suo amico a Norimberga Tieck, tra gli altri, da: Rudolf Haym, Oskar Walzel, Horst Lambrecht, Hans Heinrich Borcherdt, Bona-

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ventura Tecchi, Dorothea Hammer, Martin Bollacher e Alfred Anger. Friedrich Strack propende invece per l’attribuzione di tale scritto a Wackenroder. Attribuzione incerta: prob. Tieck I ritratti dei pittori La maggior parte della critica, tra cui Martin Bollacher, attribuisce il testo a Tieck. Oskar Walzel ipotizza invece che le parole della musa siano da ascrivere a Wackenroder, mentre quelle del giovane a Tieck. Wackenroder La cronaca dei pittori Wackenroder La straordinaria vita del musicista Joseph Berglinger. In due capitoli Al lettore di queste pagine 1

Il giurista, antichista e scrittore Friedrich Wilhelm Basilius von Ramdohr (1757-1822) è stato autore di scritti sull’arte, tra cui Ueber Mahlerei und Bildhauerarbeit in Rom für Liebhaber des Schönen in der Kunst, Drei Teile, Leipzig, Weidmann, 1787 e Charis oder Ueber das Schöne und die Schönheit in den nachbildenden Künsten, Zwei Theile, Leipzig, Dyck, 1793. Non può sfuggire il fatto che Tieck, autore della prefazione, collochi un diretto attacco alla concezione estetica teorico-normativa di Ramdohr proprio all’inizio delle Effusioni, al fine di sottolineare la propria distanza da un’idea del gusto di stampo illuministico che distingueva tra l’osservazione empirico-descrittiva dell’opera d’arte e il giudizio del soggetto recipiente sulla propria funzione di fruitore. Come scrive Dirk Kemper, «Come rappresentante della corrente contemporanea che, invece di ricondurre il bello all’oggetto, cerca di fissarlo al ruolo di colui che fruisce dell’opera artistica, Ramdohr concepisce il bello come un affetto e vuole costituire, grazie alla sua estetica, il fondamento di un sistema che riguardi la natura delle nostre pulsioni […]. In questo senso la [sua opera] Charis puntava a un’apologia del gusto vagliato empiricamente di fronte al tribunale della ragione»; D. Kemper, Sprache der Dichtung. Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung, Stuttgart-Weimar, Metzler, 1993, p. 5 e n. 9, p. 4. Wackenroder era invece interessato alla fonte del bello intesa in senso divino e alla sua traduzione nella creazione artistica. La visione di Raffaello 2

Il termine “entusiasmo” (enthousiasmós) indicava originariamente presso i Greci la condizione di chi era invaso da una forza o furore divino. Esso viene introdotto nella discussione estetica del Settecento dal Conte di Shaftesbury

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(1671-1713) (A Letter Concerning Enthusiasm, 1708), assieme alla connessa rivalutazione della fantasia e del sentimento. Rispetto a Lutero, che negli Articoli di Smalcalda (1537-1538) aveva interpretato il termine in un’accezione sostanzialmente negativa come infatuazione ed estasi religiosa (cfr. A. Beutel, In dem Anfang war das Wort, Tübingen, Mohr Siebeck, 2006, pp. 397-399), l’espressione italiana è impiegata nel corso del XVIII secolo nel senso dei due termini tedeschi di Begeisterung e Schwärmerei e risulta spesso inscindibile da quello di Freude (gioia). Nello specifico ambito della riflessione estetica va poi menzionata la distinzione tra Begeisterung des Genies (entusiasmo del genio) ed Enthusiasmus des Herzens (entusiasmo del cuore), indicata dal filosofo svizzero Johann Georg Sulzer nella sua enciclopedia estetica Allgemeine Theorie der schönen Künste (1771-1774) (cfr. la voce “Begeisterung”, in J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste in einzeln: nach alphabetischer Ordnung der Kunstwörter auf einander folgenden, Artikeln abgehandelt, Band 1, Leipzig, Weidmann, 1792, pp. 349-357 e la voce “Ispirazione”, in J.G. Sulzer, Teoria generale delle Belle arti, a cura di A. Nannini, presentazione di F. Bollino, Bologna, Clueb, 2011, pp. 131-138). Infine, notiamo come, sulla scia delle posizioni di Shaftesbury, una rivalutazione positiva del termine Enthusiasmus quale “autentica vita” dell’anima, rispetto alla Schwärmerei come “fanatismo” e “malattia dell’anima”, si osserva in particolare nello scritto Enthusiasmus und Schwärmerei (Entusiasmo ed esaltazione, 1775) di Christoph Martin Wieland, oltre che nei Philosophische Briefe (Lettere filosofiche, 1786) di Schiller. 3 Il conte Baldassarre Castiglione (1478-1529) è considerato come una delle figure più rappresentative del Rinascimento italiano, in quanto incarna il perfetto gentiluomo di corte, caratterizzato da nobiltà di natali e da una profonda conoscenza delle lettere e delle arti. La sua opera principale, Il libro del Cortegiano (1528), è strutturata in forma di un dialogo che si tiene tra le ideali figure del gentiluomo e di una dama presso la corte di Urbino, dove Castiglione operò al servizio della duchessa Elisabetta Gonzaga. In questo scritto Raffaello, assieme a Leonardo, Mantegna e Michelangelo, viene celebrato come uno dei più eccellenti pittori del suo tempo. Il rapporto di amicizia tra Castiglione e Raffaello risale almeno al luglio 1504. Nel 1515 Raffaello realizzò un celebre ritratto dell’amico, oggi conservato presso il Museo del Louvre di Parigi. Come è noto, la sua figura viene ricordata in relazione a Raffaello anche da Winckelmann nei Gedanken über die Nachahmung der Griechischen Werke in Malerey und Bildhauer-Kunst (Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, 1755, rist. 1756), fondamentale per le riflessioni sull’estetica del bello nel ‘700. 4 Wackenroder modifica qui leggermente il passo della fonte originale a cui si ispira, ossia Bellori, Gio[vanni], Pietro, Descrizzione delle imagini dipinte da Rafaelle d’Urbino nelle camere del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma, 1695, p. 100: «Mà essendo carestia e de i buoni giudicii, e di belle donne, io mi servo di certa idea, che mi viene alla mente.» Infine, Wackenroder indica il concetto nel tedesco con la frase che segue «Da man so wenig schöne weibliche Bildungen sieht, so halte ich mich an ein gewisses Bild im Geiste, welches

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in meine Seele kommt», qui tradotta nel rispetto del testo. Per una lettura ravvicinata del passo in questione cfr. L. Mittner, “Trionfi rinascimentali e misteri romantici. Come Galatea fu trasformata in Madonna”, in Id., Ambivalenze romantiche. Studi sul Romanticismo tedesco, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, 1954, pp. 123-133. 5 I fogli scritti da Bramante costituiscono un elemento fittizio del testo. Si può facilmente notare come la dedizione del monaco a ricerche sull’arte, evidentemente profane rispetto alle normali attività devozionali cui dovrebbe attendere, sottolineano già come l’arte sia innalzata ad una dimensione divina. Donato Bramante (vero nome Donato di Pascuccio d’Antonio, 1444-1514) architetto, pittore e teorico dell’architettura rinascimentale, proveniva dalla zona attorno a Urbino (Fermignano) come Raffaello, di cui fu amico. Bramante, che aveva assunto la direzione dei lavori della Basilica di San Pietro nel 1506 sotto il papato di Giulio II (1443-1513), favorì la chiamata a Roma di Raffaello nel 1508, impartendogli le regole basilari dell’architettura. Alla morte di Bramante, il successore di Giulio II, Papa Leone X (1475-1521), affidò a Raffaello la direzione dei lavori di San Pietro. 6 Wackenroder ritrovava il modello di questa serie di sintomi, legati a un’entusiastica visione della produzione artistica, anzitutto nello scritto “Versuch über das Genie” (1759-1762) di Sulzer. Si veda in merito J.G. Sulzer, “Versuch über das Genie”, in Sammlung vermischter Schriften zur Beförderung der schönen Wissenschaften und der freyen Künste, Band 2/1, Berlin, Nicolai, 1759, pp. 131-179; Band 3/1, 1760, pp. 1-69; Band 5/1, 1762, pp. 137-157. L’ultima parte, contenuta nel vol. 5/1, che indicava erroneamente come autore “Hrn. P. Sulzer” (“Il signor P. Sulzer”), recava il titolo Untersuchung des Genies (Saggio sul genio). Essa, una traduzione dal francese al tedesco dello scritto dello stesso Sulzer, risulta particolarmente interessante per le considerazioni qui espresse sul rapporto tra entusiasmo e produzione artistica: cfr. in particolare pp. 150-151. Un ulteriore stimolo in merito alla stessa tematica era poi rappresentato dallo scritto di Jean-Baptiste Dubos, Réflexions critiques sur la poesie et sur la peinture, Trois Parties, Paris, Pissot, 1755 (Ia ed. 1719); cfr. ivi, seconda parte, pp. 1-22. Sull’intero tema cfr. U. Barth, “Ästhetisierung der Religion – Sakralisierung der Kunst. Wackenroders Theorie der Kunstandacht”, in Protestantismus und deutsche Literatur, hrsg. von J. Rohls und G. Wenz, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 2004, pp. 167-195; in particolare pp. 172-174. Nostalgia dell’Italia 7 La lirica giovanile di Tieck vuole produrre un effetto musicale che induca il lettore a vagheggiare sulla natura e sui sentimenti (Stimmungslyrik). L’insistenza sulle interiezioni accompagna il suo desiderio di visitare un Paese già noto per le proprie bellezze e meta di molti viaggi, tra cui quello di Goethe del 1786-1788. In effetti, Tieck e Wackenroder avevano progettato di recarsi in Italia insieme con Burgsdorff, ma Wackenroder non potè vedere la patria

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dell’arte a causa della morte prematura. Tieck si recò successivamente con i fratelli a Roma, sostandovi tra il 1804 e il 1806 per studiare nella biblioteca vaticana. Ludwig Tieck ha inserito questa lirica, con il titolo Sehnen nach Italien (Nostalgia dell’Italia), nella raccolta delle sue liriche: cfr. L. Tieck, Gedichte, Band 3, Dresden, P. G. Hilscher, 1823, pp. 90-91. Per un’ampia trattazione della lirica di Tieck si rimanda a S. Scherer, “Lyrik”, in Ludwig Tieck. LebenWerk-Wirkung, hrsg. von C. Stockinger und S. Scherer, Berlin-Boston, De Gruyter, 2011, pp. 476-495. La singolare morte del vecchio pittore Francesco Francia, che godette ai suoi tempi di vasta fama e che fu il primo della scuola lombarda 8 Il riferimento è all’epoca del Rinascimento. Wackenroder si rifà qui con tutta probabilità all’opera di J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste von ihrer Wiederauflebung bis auf die neuesten Zeiten, Göttingen, Rosenbusch, Bd. 1, 1798 (trad. it. J. D. Fiorillo, La storia delle arti del disegno (1798-1820), a cura di O. Rossi Pinelli, trad. it. parziale di S.A. Meyer, Bologna, Minerva, 2001). Bisogna sottolineare che il primo volume del 1798 esprimeva soprattutto l’intenzione di costruire una “storia” della pittura, cominciando dalla scuola romana e da quella fiorentina; contribuì a una maggiore completezza di informazioni del Fiorillo la lettura dell’opera di Luigi Lanzi, Storia pittorica dell’Italia inferiore (Firenze, 1792), poi ampliata in due successive edizioni del 1795-96 e del 1809, aventi come titolo Storia pittorica della Italia. Dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo. 9 Si pensa che il leggendario guerriero e poeta gaelico Ossian sia vissuto nel terzo secolo d. C. I canti del cosiddetto “ciclo di Ossian” indicano le composizioni liriche di carattere epico, cantate dai bardi gaelici (Irlanda e Highland scozzesi) mentre si accompagnavano sulla loro piccola arpa. Essi risalgono in parte a un gruppo di manoscritti che vanno dal XII al XVI secolo, al cui centro stanno le vicende di cavalieri virtuosi e abili nel canto. Tali canti, fino ad allora conservatisi principalmente in forma orale, vennero per la prima volta raccolti e pubblicati, anche se con una notevole alterazione dei testi gaelici originari, dal poeta e traduttore scozzese James MacPherson (1736-1796) con il titolo di Fingal, an Ancient Epic Poem in Six Books, together with several other Poems composed by Ossian, the Son of Fingal, translated from the Gaelic Language, London, Becket and De Hondt, 1762. Il testo su Ossian, accolto con grande entusiasmo in Europa, diede adito a una vera e propria moda ed influenzò in maniera decisiva l’intera generazione dello Sturm und Drang, in primis il giovane Goethe e la sua opera I dolori del giovane Werther (1774). 10 Nella mistica si trova un complesso di immagini riconducibili al fuoco, di cui fa parte anche quella della scintilla divina, che viene mutuata dalla cultura pietistica e ricorre spesso nel carteggio tra August Hermann Francke (16631727), teologo ed educatore tedesco, divulgatore del pietismo, e Philipp Jacob Spener (1635-1705), fondatore di questa corrente protestante (cfr. August Langen, Der Wortschatz des deutschen Pietismus, Tübingen, Niemeyer, 19682, pas-

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sim). Il concetto della “scintilla divina”, in latino scintilla animae, già presente negli scritti agostiniani, si trova nella trentasettesima predica di Meister Eckhart (circa 1260-circa 1328) e sta a designare contemporaneamente sia la luce dell’intelletto, sia la luce divina: cfr. G. Pellegrino, “‘alsô ist hie sant Augustînus gelîchtet einem guldînen vazze’: Eckhart e il De Trinitate di Agostino”, in Studi sulle fonti di Meister Eckhart, a cura di L. Sturlese, vol. I, Fribourg, Academic Press Fribourg, 2008, pp. 39-70. Qui cfr. in particolare p. 42. Il göttlicher Funke ricorrre anche nel Versuch über das Genie di Sulzer. In esso si illustrano, con un atteggiamento tipicamente illuminista, la componente del “fuoco divino” (das göttliche Feuer) e l’incantevole “fiamma del genio” (Flamme des Genies) come elementi riconducibili a cause naturali (cfr. Sulzer, Versuch, cit., Band 3/1, 1760, pp. 18 e segg.). 11 Nella figura dell’artista Francesco Francia, Wackenroder concentra la parabola dell’uomo animato dalla hybris di voler eguagliare, anzi di voler superare la grandezza di Raffaello, essendo pervenuto alla pittura non per vera vocazione, ma per ingigantire maggiormente la propria fama. Wackenroder coglie qui l’occasione per smentire l’ipotesi del Malvasia che Francia fosse morto per veleno, e non per una sorta di crepacuore, constatando la propria modestia artistica una volta confrontato con la tela dell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello. Wackenroder è animato dal desiderio di sottolineare il pentimento del grande pittore bolognese. Francesco Francia (ca. 1450-1517), divenuto molto noto nell’Italia centro-settentrionale come orafo e medaglista, dal 1490 conduce una florida bottega a Bologna. Attorno al 1485-1487 decide di dedicarsi alla pittura, stimolato a questo dall’incontro con Andrea Mantegna. Dal 1506 è ingaggiato come pittore di corte a Mantova. La sua opera pittorica è influenzata dal Perugino e Raffaello. Tra i suoi dipinti si annoverano soggetti sacri (Madonna Felicini, 1494), ritratti (Federico Gonzaga, 1510), affreschi (ciclo sulla vita di S. Cecilia, dal 1506). Ai tempi di Wackenroder, Dresda ospitava un dipinto del Francia, Taufe Christi (Il battesimo di Cristo, 1509), oggi conservato presso la Gemäldegalerie Alte Meister. Circa i rapporti tra il Francia e Raffaello, oltre ad indicare, come si chiarirà in seguito, le Vite del Vasari come fonte principale, va specificato che Fiorillo, attraverso la lettura degli scritti di Malvasia, ricorda la (presunta) esistenza di una lettera di Raffaello al Francia del 5.9.1508, oltre che di un (supposto) sonetto del Francia dedicato a Raffaello. Da ciò Fiorillo deduce prima la “stretta amicizia” tra i due e poi il fatto che i due dovessero certamente essere amici: cfr. C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi […], Tomo primo, Bologna, 1678, pp. 45-46; J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Zweyter Band, 1801, pp. 454-456. 12 Il concetto di “scuola bolognese” e “scuola lombarda” in riferimento all’attività pittorica di Francesco Francia va chiarito in base alla designazione fornita da Fiorillo: cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Zweyter Band. Questi indica il Francia come capo della scuola bolognese, di cui facevano parte suo figlio Giacomo, suo cugino Giulio e suo nipote Giov. Battista, Timoteo Vite, Giovanni Maria Chiodarolo, Lorenzo Costa e Marcantonio Raimondi. Rispetto a questa definizione di “scuola bolognese” in senso

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proprio, la designazione di “scuola lombarda”, pur riferendosi nel contempo anche all’opera del Francia, abbraccia dal punto di vista regionale territori del Nord Italia oggi appartenenti all’Emilia Romagna (Bologna, Ferrara, Modena, Carpi), alla Lombardia (Milano, Pavia, Mantova) e al Veneto (Padova). 13 Francesco Cavazzoni nasce a Bologna nel 1559 e muore attorno al 1612. Prima allievo di Bartolomeo Passerotti, passa presto alla scuola dei Carracci. Dall’ottobre 1593 è aggregato alla compagnia de’ Pittori di Bologna e realizza qui vari dipinti di soggetto sacro (S. Giovanni predica alle turbe, 1580). L’osservazione critica nei confronti di una certa durezza e asciuttezza delle forme presente nella pittura del Perugino è contenuta in C.C. Malvasia, Felsina pittrice, cit., Tomo primo, p. 49 e J. D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Erster Band, Göttingen, 1798, p. 81. 14 La lettera di Raffaello al Francia, che testimonia lo spirito umile del maestro in contrasto con l’atteggiamento antagonistico del Francia, di cui fa menzione lo stesso Vasari, non si è conservata. La pala d’altare, raffigurante l’Estasi di santa Cecilia, fu commissionata a Raffaello intorno al 1513 dalla nobildonna e poi beata bolognese Elena Duglioli dall’Olio ed era destinata ad adornare la cappella di famiglia della nobildonna presso la chiesa di S. Giovanni in Monte a Bologna. Dato che la cappella fu ultimata nel 1516 e il Francia muore il 5.1.1517, una datazione della lettera attorno a questo periodo risulta plausibile. Il dipinto a olio, databile attorno al 1516 e fortemente influenzato dalla cultura neoplatonica romana, raffigura Santa Cecilia, protettrice della musica, al centro di una sacra conversazione; abbandonati gli strumenti musicali, simboli della vita mondana, essa volge uno sguardo rapito al cielo, intenta all’ascolto del coro angelico che compare al centro della rappresentazione. Attorno alla santa si dispongono, da sinistra, S. Paolo, S. Giovanni evangelista, S. Agostino e Maria Maddalena. Il dipinto si trova oggi presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. La grande fortuna figurativa del prototipo raffaellesco è confermata, tra l’altro, dalla presenza a Dresda ai tempi di Wackenroder di due ben note copie dell’Estasi di Raffaello, ossia la Santa Cecilia (circa 1598) di Denijs Calvaert (1540-1619) e Santa Cecilia suona l’organo (1671) di Carlo Dolci (1616-1686), oggi custodite presso la Gemäldegalerie di Dresda. Sulla ricezione letteraria tedesca nel periodo classicoromantico avente a oggetto S. Cecilia, cfr. M. Fancelli, “Riflessi ceciliani tra classicismo e romanticismo”, in Pensiero religioso e forme letterarie nell’età classicistico-romantica, a cura di D. Mazza, Pasian di Prato (Udine), Campanotto, 1996, pp. 135-143. 15 Il pittore, architetto e scrittore Giorgio Vasari (1511-1574), studia a Firenze con Andrea del Sarto, Baccio Bandinelli e Francesco Salviati ed è introdotto nella cerchia della corte medicea. Successivamente opera tra Arezzo e Firenze. Attorno al 1531-1532 è a Roma, dove approfondisce l’arte antica e le opere di Raffaello e Michelangelo, divenuto nel frattempo un suo stretto amico, e lavora al servizio del Papa Giulio III. Tra i suoi scritti, l’opera di maggiore rilevanza e quella che costituisce la fonte principale delle Effusioni è rappresentata dalle Vite, edite per la prima volta in due volumi con il titolo Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino

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a’ tempi nostri, Firenze, Lorenzo Torrentino, 1550. In essa, Vasari riordina tutto il materiale che aveva precedentemente iniziato a raccogliere sulla vita e le opere degli artisti. Essa rappresenta la prima opera fondamentale della storiografia artistica italiana, in cui la “rinascita” dell’arte viene presentata come frutto di un processo che conduce al distacco dalla sensibilità medievale e alla valorizzazione della lezione degli antichi entro il quadro dell’età moderna, la cui più compiuta espressione è data dalle opere di Michelangelo. La seconda edizione delle Vite, fortemente ampliata e rielaborata dal punto di vista critico, uscì in tre volumi con il titolo Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Firenze, Giunti, 1568. Ai tempi di Wackenroder, l’università di Gottinga possedeva la prima (1550) e la seconda (1568) “edizione fiorentina” delle Vite, oltre che la cosiddetta “edizione romana” in tre tomi curata da Giovanni Gaetano Bottari, dal titolo Vite de’ più eccellenti pittori[,] scultori e architetti[,] scritte da Giorgio Vasari[,] pittore e architetto aretino[,] corrette da molti errori e illustrate con note, Roma, Pagliarini, 1759-1760. Oltre a ciò, nel periodo in cui Wackenroder era attivo, non esisteva ancora un’edizione a stampa in lingua tedesca del testo di Vasari; edizione che venne realizzata più tardi con il titolo Leben der ausgezeichnetsten Maler, Bildhauer und Baumeister von Cimabue bis zum Jahre 1567. Übersetzt von Ludwig Schorn und Ernst Förster, Stuttgart und Tübingen, Cotta, 1832-1849. Le più recenti ricerche specialistiche ipotizzano con una certa verosimiglianza che non solo Wackenroder utilizzasse l’edizione italiana delle Vite curata da Bottari (1759-1760) e posseduta da Fiorillo, ma anche che Wackenroder facesse uso di traduzioni in tedesco del testo del Vasari realizzate dallo stesso Fiorillo o che questi aveva indotto a realizzare. Qui di seguito i riferimenti rimandano all’edizione del Bottari. Infine, va notato che l’ormai classico studio filologico di Koldewey sulle fonti delle Effusioni, pur riconoscendo l’influsso imprescindibile delle Vite del Vasari per quanto riguardava la ripresa del modello della presentazione degli artisti e spesso anche singoli termini o parti di testo, rimarcava la capacità di Wackenroder di rielaborare liberamente le fonti utilizzate sotto l’effetto del suo impulso artistico (cfr. P. Koldewey, Wackenroder und sein Einfluß auf Tieck, Altona, Hammerich & Lesser, 1904, pp. 6-12). 16 La fonte sulla morte del Francia è costituita dalle Vite: cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo primo, 1759, p. 486. L’allievo e Raffaello 17

Nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento si assiste a una sempre maggiore “desacralizzazione” della realtà rappresentata e alla ricerca del “realismo pittorico”, in virtù dei quali il corpo umano è anzitutto inteso come un “oggetto” tra gli altri, il quale va prima “dissezionato” e poi “ricostituito” a livello rappresentativo, per poter infine rinviare a una dimensione trascendente. L’allievo che si rivolge a Raffaello, notando l’eccezionalità della sua arte che non ricorre a stratagemmi di effetto basati su elaborate interpretazioni della postura del corpo umano, sembra non capacitarsi del perché il maestro

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urbinate mostri doti pittoriche così sublimi e, diversamente dal Francia, esprime appieno la mentalità del dilettante che vorrebbe strappare il segreto ultimo della sua grandezza artistica. Se si leggono alcuni passi dei Pensieri sulla pittura di Anton Raphael Mengs, che diresse tutta la sua arte a imitare Raffaello allo scopo di superarlo, si riscontreranno molte analogie con le riflessioni esposte qui dal giovane Antonio. A proposito della composizione, ad esempio, si legge: «Quando poi egli cominciava a pensar su le figure in particolare, non si applicava, come fanno molti altri, prima sulla bella positura […] ma rifletteva subito in quale situazione si troverebbe l’uomo se veramente fosse nel caso, e sentisse ciò ch’è rappresentato dall’istoria: indi considerava quali sentimenti l’uomo potesse avere avuto prima dell’avvenimento rappresentato; e finalmente in quale espressione dovesse figurarlo, e di quali parti e membri avrebbe bisogno per eseguire la sua idea e volontà. A questi poi dava maggior moto ed azione con lasciar in quiete tutti gli altri. Da ciò procede che in Raffaello si vedono spesso delle positure affatto semplici e diritte, le quali nondimeno appariscono tanto belle nel loro sito, quanto le più mosse […] Mostrava nelle sue storie gl’interni movimenti. In una figura parlante si vede anche al viso se parla con tranquillità, risentito, o con collera: quello che pensa, mostra quanto pensa»; A.R. Mengs, Pensieri sulla Pittura nella traduzione di José Nicolas de Azara (1780), a cura di M. Cometa, Palermo, Aesthetica, 1996, pp. 57-58. In uno studio riferito al rapporto di Mengs con l’arte di Raffaello, Steffi Röttgen rileva lo sforzo ossessivo di Mengs nell’emulare il maestro, simile a quello esposto da Antonio nella lettera delle Effusioni: S. Röttgen, “Mengs e Raffaello. Rendiconto di un rapporto programmato”, in Raffaello e l’Europa, a cura di M. Fagiolo e M.L. Madonna, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990, pp. 619-653. 18 Cfr. nota 17. Wackenroder, con tutta probabilità, come suggerisce Silvio Vietta (HKA I, pp. 296-297) nell’edizione storico-critica delle opere, riprende dalle seguenti fonti il motivo del rapporto tra rappresentazione pittorica e capacità di rendere evidenti i moti dell’animo delle figure rappresentate: W. Heinse, Ardinghello und die glückseeligen Inseln. Eine italienische Geschichte aus dem sechszehnten Jahrhundert, Zweyter Band, Lemgo, Meyer, 1787, p. 25 e p. 27, A.R. Mengs, Schreiben an Herrn Anton Pons, aus dem Italienischen übersetzt, Wien, Grässer, 1778, p. 86, J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste von ihrer Wiederauflebung bis auf die neuesten Zeiten, 4 Bände, Göttingen, 1798-1808, Erster Band, 1798, pp. 118-120. Una lettera del giovane pittore fiorentino Antonio al suo amico Jacopo a Roma 19 Questo testo, attribuito a Ludwig Tieck, mostra il tono intimo e accorato che si riscontra nel carteggio dello scrittore con l’amico Wackenroder (cfr. infra, p. 585 e segg.), anche se lo stile dell’epistola sembra seguire maggiormente il registro di Wackenroder piuttosto che di Tieck. L’appello all’amore e l’evocazione dell’immagine divina di Raffaello, puro tra i puri di cuore, sembra compensare l’atteggiamento perplesso e decisamente meno disponibile a

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riconoscere il limite delle proprie capacità di quell’Antonio che ha scritto a Raffaello per interrogarlo sul segreto della sua arte. Bisogna pertanto ritenere che questo testo cerchi uno sviluppo simmetrico alla conversione interiore del Francia, una volta che costui ha riconosciuto nell’Estasi di Santa Cecilia il genio inimitabile del suo artefice. Il modello di un pittore geniale e allo stesso tempo profondamente erudito, presentato nella vita di Leonardo da Vinci, celebre iniziatore della scuola fiorentina 20

In realtà, la definizione di “Scuola fiorentina” è posteriore al sorgere di un movimento artistico che si sviluppò nella Firenze del XIV secolo e che proseguì le proprie attività fino al XVI. Capofila di questa scuola è considerato Giotto, ma la sua evoluzione non si attua solo a Firenze, bensì in tutta Italia, accompagnandosi a quella del “volgare” nella lingua e nella letteratura. Si insiste sul riferimento a Firenze in quanto furono i Medici (da Cosimo il Vecchio a Lorenzo), con il loro mecenatismo, a incoraggiare il lavoro degli artisti e il loro spostamento anche in altre corti italiane (ad esempio Leonardo, che fu molto attivo a Milano). Wackenroder menziona Leonardo come punta di diamante di questa cultura, pensando probabilmente al periodo della Repubblica in cui Pier Soderini riuscì a convogliare a Firenze, agli inizi del Cinquecento, Leonardo, Michelangelo e Raffaello. In seguito, però, si ebbe un declino della “scuola fiorentina” e solo Michelangelo ne rappresentò l’importanza nella città toscana per il periodo successivo. 21 L’interesse di Wackenroder per Leonardo da Vinci, oltre che alla lettura delle Vite del Vasari, va ricondotto al fatto che nel Verzeichniß der Hochfürsterlich-Heßischen Gemählde-Sammlung in Cassel, pubblicato nel 1783 – di cui Fiorillo era a conoscenza – alcune tele oggi attribuite ad altri artisti, come Leda con il cigno e una Sacra Famiglia, erano state ascritte a Leonardo. L’aura divina di Raffaello viene qui controbilanciata dall’ingegno di Leonardo, artista e inventore polivalente e grande architetto della fioritura rinascimentale. Si nota, in effetti, che mentre l’excursus dedicato a Raffaello assume un tono molto più spirituale, quello che concerne Leonardo è più biografico e insiste su imprese che hanno carattere più terreno, rivolte oltretutto a far avanzare la cultura occidentale anche in senso scientifico. In questa parte delle Effusioni, dedicata a Leonardo, Wackenroder ha a cuore di mostrare la diversa natura dello spirito dell’arte figurativa dall’entusiasmo che anima i poeti. Mentre il genio poetico crea a partire dall’animo, quello artistico deve trarre sostanza dal contatto con il mondo esterno. Leonardo da Vinci (1452-1519) si stabilisce dal 1469/1470 a Firenze, dove frequenta la bottega del Verrocchio. Successivamente lavora a Milano dal 1482-1483. Qui opera come pittore (Vergine delle Rocce, 1486 circa, e Dama con l’ermellino, 14881490), scultore (progetto di monumento equestre a Francesco Sforza), scenografo, architetto e ingegnere militare, approfondendo nel contempo le sue ricerche nel campo della fisica e delle scienze naturali. In seguito all’occupazione di Milano da parte dei francesi e alla sconfitta degli Sforza, Leonardo

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abbandona nel 1499 la città lombarda, conducendo sino al 1508 un’esistenza errabonda principalmente tra Mantova, Venezia e Firenze. Qui si dedica alla pittura (progetto della Battaglia di Anghiari, 1503 circa), a opere d’idraulica civile e militare e allo studio del volo degli uccelli (Codice sul volo degli uccelli, 1505 circa). A più riprese è inoltre presente a Milano dal 1506 al 1513. Si occupa di progetti idrografici, urbanistici e studia la botanica. Dopo il ritorno degli Sforza a Milano nel dicembre 1512, Leonardo si rifugia prima a Vaprio d’Adda, presso l’allievo Francesco Melzi, e parte poi per Roma nel 1513. Qui opera sotto la protezione di Giuliano de’ Medici, approfondendo le sue nozioni di matematica e ottica. Nel maggio 1517 Leonardo passa infine al servizio del re francese Francesco I nel castello di Cloux, presso Amboise. Alla corte del colto e raffinato sovrano francese trascorre serenamente gli ultimi anni della sua esistenza, dedicandosi soprattutto a studi di anatomia. 22 Il pittore, scultore e orafo Andrea Verrocchio (vero nome Andrea di Michele di Francesco di Cione, 1435 ca.-1488) ha come suo primo maestro d’arte l’orefice fiorentino Giuliano Verrocchi, da cui Andrea prese il cognome. Dopo i primi lavori come scultore (1466) e pittore (1468), diviene il protetto della famiglia de’ Medici e una delle principali figure della vita artistica fiorentina della seconda metà del XV secolo. Presso la sua bottega, caratterizzata da una polivalenza di opere di pittura, scultura, oreficeria e decorazione, si formano allievi come Leonardo, Botticelli, Perugino, il Ghirlandaio e Lorenzo di Credi. Il Verrocchio realizza nella scultura una monumentalità nuova, imperniata sul movimento delle figure e la loro gestualità. La sua pittura, influenzata dai fiamminghi, è caratterizzata da un intenso realismo. Dal 1486 si trasferisce a Venezia, dove muore. 23 Oltre alle Vite del Vasari, la fonte principale da cui Wackenroder trae questa informazione e la maggior parte di quelle presentate in questo capitolo dedicato a Leonardo è J.G. Böhm, Des vortreflichen Florentinischen Mahlers Lionardo da Vinci höchst-nützlicher Tractat von der Mahlerey. […], Nürnberg, Weigel, 1724. Qui cfr. p. VI. Per le corrispondenze tra lo scritto di Böhm e quello di Wackenroder: cfr. HKA I, pp. 446-454. 24 Il riferimento è al Trattato della Pittura, a cui Leonardo lavorò tra l’ultimo ventennio del Quattrocento e il primo ventennio del Cinquecento (circa 1480-1516). L’edizione alla quale ci si richiama è il Traitté de la peinture de Léonard de Vinci, Paris, J. Langlois, 1651. Questo testo, nella nuova edizione del 1716 (Traité de la peinture, par Léonard de Vinci, revu et corrigé. Nouvelle édition, augmentée de la Vie de l’autheur, Paris, P.-F. Giffart, 1716), sta alla base del già menzionato libro di J.G. Böhm, Des vortreflichen, cit. 25 Ludovico Sforza, duca di Milano, detto il Moro (1452-1508), figlio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti, fu reggente dal 1480. Lo Sforza, uomo notoriamente scaltro e intrigante, sviluppò massimamente nel periodo 1480-1499 la sua attività di mecenate, incoraggiato anche dalla moglie Beatrice d’Este. La sua corte ducale, oltre a Leonardo, comprendeva anche molti altri pittori, musicisti, poeti, scultori e scienziati. A questi allude Wackenroder quando designa Leonardo come “direttore dell’Accademia” creatasi alla corte degli Sforza.

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26 Si fa qui riferimento alla costruzione del canale della Martesana, i cui lavori iniziarono nel 1457 sotto gli Sforza. Nel corso dei suoi due soggiorni milanesi presso la corte sforzesca (1482-1499 e 1506-1513), Leonardo lavorò a un progetto che avrebbe dovuto collegare il Lago di Como con Milano, passando per la Valtellina, la Valchiavenna e l’Adda. A causa delle notevoli difficoltà tecniche, il progetto non poté essere allora attuato e i lavori al canale vennero ultimati solo nel 1777. 27 Il riferimento è al già menzionato allievo e amico di Leonardo, Francesco Melzi, figlio del nobile milanese Girolamo Melzi. Leonardo soggiornò più volte presso la dimora di campagna della famiglia Melzi (oggi, “Villa Melzi”), situata nei pressi di Vaprio d’Adda (Milano). Leonardo fu ospite nel 1493 e dal dicembre 1506 al maggio 1507 di Girolamo Melzi, presso il quale conobbe appunto Francesco. Quest’ultimo divenne presto l’allievo prediletto del pittore toscano ed ereditò per testamento i manoscritti di Leonardo, parte dei quali stanno alla base del già ricordato Trattato della pittura: cfr. tra gli altri D. Merežkovskij, Leonardo da Vinci. La vita del più grande genio di tutti i tempi, Firenze-Milano, Giunti, 2005, in particolare pp. 114-115 e 358. Alcuni riferimenti al rapporto tra Leonardo e Francesco Melzi si trovano in C. Vecce, Leonardo, Roma, Salerno Editrice, 1998, passim. 28 La Biblioteca Ambrosiana di Milano venne fondata nel 1603 dal cardinale Federico Borromeo (1564-1631) ed è oggi ospitata all’interno del Palazzo dell’Ambrosiana. Tra i maggiori capolavori da essa custoditi si trova il cosiddetto Codice Atlantico, la più ampia raccolta di disegni e scritti di Leonardo da Vinci, comprendente 1119 fogli raccolti in 12 volumi. Fiorillo, nella già rammentata opera sulla pittura, dedica alla figura di Leonardo un intero capitolo (cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, Erster Band, cit., pp. 287-312), nel quale illustra con accuratezza le complesse vicende che portarono parte dei manoscritti di Leonardo presso la Biblioteca Ambrosiana (cfr. ivi, pp. 305-308). 29 L’Ultima Cena di Leonardo è un dipinto parietale a tempera grassa su intonaco, databile attorno agli anni 1494-1498, eseguito su commissione di Ludovico il Moro. Si trova nell’ex refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano. Al centro della rappresentazione leonardesca sta l’annuncio del tradimento di Giuda contenuto nel Vangelo di Giovanni 13: 21-30 e negli studi preparatori del pittore toscano particolare rilevanza acquisì lo studio dei “moti dell’animo” degli apostoli. L’aneddoto circa l’indugio da parte di Leonardo, noto per la sua proverbiale tendenza a ripensare, aggiungere e modificare i suoi dipinti, nel procedere alla rappresentazione del viso di Giuda e di Gesù è contenuto nelle tre fonti principali alle quali Wackenroder si rifà: ossia il Vasari (cfr. Vasari: Vite, cit., Tomo secondo, pp. 6-7), Böhm (cfr. J.G. Böhm: Des vortreflichen, cit., pp. VI-VIII) e Fiorillo (cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Erster Band, Göttingen 1798, pp. 288-295). Si ricorda peraltro che Tieck, nelle Sternbalds Wanderungen, deplora il miserevole stato di conservazione in cui si trova l’affresco milanese di Leonardo.

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La Gioconda di Leonardo è un dipinto a olio su tavola di pioppo databile attorno agli anni 1503-1507, conservata presso il Louvre di Parigi. Secondo la tradizionale storiografia artistica, l’opera rappresenta Lisa Gherardini (1479-1542), moglie del nobile mercante italiano Francesco del Giocondo (1465-1538), dal quale deriva la denominazione del quadro. L’opera è universalmente nota per la perfezione dell’esecuzione pittorica e l’impeccabile resa atmosferica che ne fanno uno dei capolavori assoluti della ritrattistica del Rinascimento maturo. Il motivo dell’intrattenimento musicale durante le sedute di posa è presente sia in Vasari, sia in Böhm e nel giudizio di Wackenroder è straordinario che Leonardo avesse capito che, per raggiungere l’effetto “pantomimico” voluto, si dovesse allietare l’animo del soggetto in posa. 31 Il convento al quale si allude è quello annesso alla Chiesa della Santissima Annunziata dell’ordine Servita di Firenze, fondata nel 1250 e completata nel 1857. 32 Il riferimento è all’immortalità raggiunta dall’artista solo dopo la morte, per mezzo dell’originalità della sua opera d’arte, così come illustrato nell’omonimo breve dramma goethiano dal titolo Künstlers Apotheose (L’apoteosi dell’artista, 1788). 33 «Empfindung-athmende», riferita alla Madonna Sistina di Raffaello, è un’espressione che richiama immediatamente alla mente la descrizione fattane da Winckelmann nei Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura (1755), poi ripresa da vari autori del tardo Settecento, tra cui August Wilhelm Schlegel nel dialogo pubblicato nel terzo fascicolo (1799) della rivista Athenaeum con il titolo Die Gemälde (I dipinti). Un passo dei Pensieri di Winckelmann va qui citato per il confronto: «Guardate la Madonna con il suo volto colmo di innocenza e pure di grandezza più che femminile, nella sua posizione di beata tranquillità, in quella quiete che gli antichi facevano dominare nelle figure dei loro dèi. Com’è grande e nobile tutto il suo contorno!»; cfr. J.J. Winckelmann, Gedanken über die griechischen Werke in Malerei und Bildhauerkunst, in Id., Kleine Schriften und Briefe, hrsg. von W. Senff, Weimar, Hermann Böhlaus Nachfolger, 1960, p. 48. Trad. it. J.J. Winckelmann: Pensieri sull’imitazione, a cura di M. Cometa, Palermo, Aesthetica, 20012, pp. 39-40. Nel dialogo schlegeliano tra i personaggi di Reinhold, Louise e Waller è Louise a lodare l’ineffabile bellezza della Vergine con il bambino di Raffaello e ne risulta così rapita, che Waller la mette in guardia, con una punta di ironia, dal rischio di “diventare cattolica”; cfr. A. W. Schlegel, “I dipinti. Un dialogo”, in «Athenaeum» 1798-1800, cit., pp. 321-396, qui, p. 373. 34 Nel IV secolo a. C. Platone utilizza gli epiteti “celeste” e “di tutto il popolo” per celebrare, rispettivamente, l’aspetto spirituale e quello puramente sensuale di Afrodite quale dea dell’amore. Dopo che la civiltà romana aveva accolto nel proprio pantheon attorno al terzo secolo a. C. la figura di Venere, derivata a sua volta da un’antica e oscura divinità italica, nel corso del XV secolo, sulla scorta delle dottrine neoplatoniche di Marsilio Ficino, si diffonde ben presto nelle arti figurative un’analoga differenziazione tra la “Venere celeste” e la “Venere terrena”. La prima rimanda all’immagine di una bellezza

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universale e spirituale, a un ideale di bellezza classico che simboleggia semplicità e purezza; la seconda si ricollega invece agli impulsi umani e alla forza generatrice della natura. Infine, a questa mediazione tra sensuale classicità pagana (si veda la figura di Galatea) e pura spiritualità cristiana sembra qui mirare la sintesi del romantico Wackenroder, in vista della celebrazione della sublime bellezza della Vergine all’interno di una rinnovata “mitologia” cristiana: cfr. in merito l’Introduzione e L. Mittner, ‘Galatea’. Die Romantisierung der italienischen Renaissancekunst und -dichtung in der deutschen Frühromantik”, in Deutsche Vierteljahrsschrift, 27, 1953, pp. 555-581. 35 Wackenroder mostra a più riprese, nel corso delle Effusioni, di nutrire grande rispetto per l’età avanzata, sia essa incarnata da artisti che hanno acquisito maggiore saggezza con la perizia nelle cose artistiche, sia essa sinonimo di una fragilità che esige compassione. Descrizione di due dipinti 36

I due quadri, cui si fa riferimento, non sono direttamente identificabili. In questo capitolo, l’accostamento di prosa e poesia, di descrizione e riflessione, è circonfuso di intensa spiritualità; ciò si evidenzia nel registro linguistico impiegato, nell’inesprimibilità dei sentimenti e nei giochi degli sguardi dei personaggi. Inoltre, il motivo della collocazione e raffigurazione della Madonna, con il Bambino che le gioca in grembo e il San Giovannino, è molto probabilmente frutto di reminescenze raffaellesche. Wackenroder poteva trovare il modello di tale rappresentazione in una copia della cosiddetta “Madonna Jardinière” (1507, oggi conservata presso il Louvre di Parigi) di Raffaello, allora collocata nella Galleria di Dresda; inoltre, fu certamente influenzato dall’osservazione, presso il castello Weissenstein di Pommersfelden, nelle vicinanze di Bamberga, della cosiddetta “Madonna di Pommersfelden”, in quel periodo alternativamente attribuita a Raffaello o a Leonardo, nel corso del suo viaggio nella Fränkische Schweiz (Svizzera francone) dal 14 al 21.08.1793 (cfr. Resoconti Wackenroder, pp. 1101 e 1103). Wackenroder sottolinea qui il portamento di Maria, caratterizzato dalla «più beata quiete», e pur ricollegandosi ai canoni estetici winckelmanniani circa la serena e composta bellezza di Maria, ne rimarca l’individualità espressiva e affascinante e la mite sublimità piena di beata malinconia capaci di suscitare profonda devozione nell’osservatore: cfr. tra gli altri R. Littlejohns, “Die Madonna von Pommersfelden. Geschichte einer romantischen Begeisterung”, in Aurora. Jahrbuch der Eichendorff-Gesellschaft, 45, 1985, pp. 163-188; R. Kahnt, Die unterschiedliche Bedeutung der bildenden Kunst und der Musik bei W. H. Wackenroder, Marburg, Lahn, 1968, pp. 57-58. 37 A proposito delle “poetische Bildbeschreibungen”, ovvero delle descrizioni di opere d’arte pittoriche in versi, Kemper, astenendosi dal tentativo di identificare i quadri rappresentati in questi due componimenti, in quanto riferisce che già i commentatori precedenti non sono riusciti a decidere se di

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tratti di due “tipi pittorici” oppure di “opere specifiche”, ricorda che Bernhardi aveva espresso il senso di quest’operazione in un’introduzione alle poesie romantiche di Tieck pubblicata nel 1800 nel Berlinisches Archiv: «Il cammino che si può percorrere descrivendo un’opera d’arte è doppio; il primo consiste nel presentare di nuovo liricamente l’impressione che esso esercita, in quanto prodotto lirico, sul sentimento; [il secondo] nel chiarire l’arte per mezzo dell’arte, la poesia in modo poetico, o traducendola in un’altra arte, oppure in un altro tipo dello stesso genere. Gli antichi si dedicarono spesso a questo genere; per quanto riguarda i moderni, a prescindere da quanto hanno fatto Wackenroder, Tieck e Schlegel, non mi è noto nessun esperimento»; A.F. Bernhardi, “Neueste Litteratur. Romantische Dichtungen von Ludwig Tieck”, in Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmacks, 1800, Bd. 1, pp. 457-471, qui trad. da p. 457. Cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung cit., p. 67. Kemper definisce i due componimenti Sprechergedichte, ovvero poesie oratorie (ibid., p. 251) e rileva che a Wackenroder preme soprattutto «l’idea sovraordinata a ciascuna opera artistica» (p. 252). Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte 38 L’intero capitolo si impernia sulla visione del cosmo, sull’idea del creato come riflesso della divinità, e sulla nozione di “umanità” e fratellanza degli uomini, pur nella molteplicità delle lingue e delle culture, presentate negli scritti di filosofia della storia (Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, 1784-1791) del filosofo Johann Gottfried Herder (1744-1803). All’interno di questa prospettiva va inteso il riferimento ai “cerchi uniformi” (o “cerchi perfetti”), con i quali si indica da parte della scienza contemporanea a Wackenroder il progressivo passaggio dal sistema cosmologico tolemaico a quello copernicano. Oltre a ciò, importanza centrale acquisiscono qui i riferimenti al concetto herderiano di “amore per il prossimo” (Briefe zur Beförderung der Humanität, 1793-1797) e la nozione di “tolleranza”, inaugurata dalla Lettera sulla tolleranza (1689) di John Locke e patrimonio centrale del pensiero dell’Illuminismo europeo. 39 Cfr. le Ideen nell’edizione, cui qui si farà riferimento di seguito, a cura di Martin Bollacher, Frankfurt am Main, DKV, 1989, pp. 136-142 e 345-355. Nel primo paragrafo (Ideen I 4, III), intitolato «Der Mensch ist zu feinern Sinnen, zur Kunst und zur Sprache organisieret» (L’uomo è organizzato per avvalersi di sensi più scelti, per l’arte e per il linguaggio), Herder sottolinea il fatto che Helvetius ha giustamente osservato che la mano, e dunque le attività ad essa riferite, ha favorito lo sviluppo della ragione nell’uomo, ma che d’altronde ogni strumento messo a disposizione dell’uomo per sviluppare arti e mestieri, dunque cervello, sensi e mano, sarebbero rimasti inefficaci se egli non avesse ricevuto «il dono divino della parola» (lett. discorso: Rede)» (ivi, p. 138, rif. al saggio di Helvetius De l’esprit, in: Oeuvres, 1 e 2, Paris, 1794, pp. 60-63). È immediato il rinvio al saggio di Herder Abhandlung über den

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Ursprung der Sprache (Saggio sull’origine del linguaggio, 1772) che rispondeva ad un concorso organizzato dalla Berliner Akademie der Wissenschaften nel 1769 sul quesito: «Gli uomini, lasciati alle loro facoltà naturali, sono in grado di inventare il linguaggio e se sì, con quali mezzi vi sono pervenuti?». Herder giudica consustanziale all’uomo «inventare il linguaggio», facendo così di esso non un mero strumento culturale, e indica come l’attuazione di questa invenzione si conformi alle «leggi fondamentali della natura e della specie umana». 40 Il passo rimanda alla correlazione tra la valorizzazione dell’arte greca quale ideale imperituro di bellezza, su cui s’impernia la visione neoclassicista winckelmanniana, e la rivalutazione dell’arte gotica e del Medioevo quale elemento fondante del “caratteristico” tedesco; quest’ultima fu lodata dal giovane Goethe “stürmeriano” nel saggio Von deutscher Baukunst (1772). In particolare, in questo scritto, Goethe esalta l’armonia tra le parti e il tutto del Duomo di Strasburgo come esempio di quell’architettura gotica in cui il sentimento e l’istinto geniali dell’artista, pur prendendo le mosse dall’imitazione della natura, non s’isteriliscono in una riproposizione attualizzata e razionalizzata dei principi dell’architettura classica, ma si esplicano attraverso la creazione di un’opera d’arte la cui bellezza è sentita come necessaria e formatrice; cfr. J.W. Goethe, “Dell’architettura tedesca”, in Id., Baukunst. Dal gotico al classico negli scritti sull’architettura, a cura di V. Ugo, trad. it. di R. Gambino, Palermo, Medina, 1994, pp. 20-31. 41 I primi paragrafi del libro I delle Idee sono dedicati alla terra, alla sua posizione nel cosmo e alla sua evoluzione. Nel paragrafo IV, intitolato “Unsre Erde ist eine Kugel, die sich um sich selbst; und gegen die Sonne in schiefer Richtung beweget” (La nostra terra è un globo che gira intorno a se stesso e in direzione del sole con un moto obliquo) Herder spiega come ogni punto della terra sia diverso da un altro e come gli emisferi siano, così come nord e sud ed est ed ovest, assolutamente differenti. Herder cerca così di fugare l’ingenuità di quanti immaginano in altre plaghe terrestri condizioni simili alle proprie (p. 34 e segg.). 42 Wackenroder sembra qui rifarsi all’annotazione, in verità critica, di Winckelmann contro “le lingue dei selvaggi Indiani”, prive di “concetti generali” e di proprietà simboliche: cfr. J.J. Winckelmann, Gedanken, in Id., Kleine Schriften und Briefe, cit., p. 58. Trad. it. J.J. Winckelmann, Pensieri sull’imitazione, cit., p. 46. 43 Nel paragrafo I 4, IV, intitolato «Der Mensch ist zu feinern Trieben, mithin zur Freiheit organisieret» (L’uomo è organizzato per seguire inclinazioni più scelte, tra cui quella della libertà), Herder osserva che la ragione non è altro che «qualcosa di appreso (Vernommenes), sia proporzione che indirizzo delle idee e delle energie cui l’uomo è stato educato in base ad organizzazione e stile di vita» (p. 144). Si noti come anche Wackenroder insista, attraverso i pensieri del monaco, sull’importanza del pensiero come apprendistato che non può rendersi indipendente dall’esperienza dei sensi. Anche la ragione possiede dunque una sua storia ed essa è dunque contrassegnata da un’evoluzione che dipende dai vari stadi della conquista della conoscenza.

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44 Herder, fautore di un monismo di stampo spinozistico-leibniziano, ha profonda fiducia nella bontà della creazione in tutte le sue espressioni, tra cui anche l’attitudine propria dell’uomo a sviluppare capacità artistiche. Nelle Idee, Herder non dedica molte riflessioni al problema artistico, mentre troviamo una più ampia digressione sul sublime e sull’ideale in relazione all’arte nel trattato estetico-filosofico Kalligone (1800). Nel quarto paragrafo dell’“Entwurf”, Herder ragiona su come si manifesti il sublime nelle varie arti e dichiara la musica “sorella gemella” della poesia. Per un excursus sull’estetica musicale di Herder, cfr. A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle. Beziehungen zwischen Musik und Gefühl bei Wackenroder/Tieck und die Musikästhetik der Romantik, St. Ingbert, Röhrig Universitätsverlag, 2001, pp. 82-90. 45 Questa critica contro la nozione di “sistema” filosofico risulta analoga a posizioni che si riscontrano in vari scrittori e pensatori del XVIII secolo tedesco, come Lessing, Wieland, Hamann e Herder. Questi avevano a loro volta subìto l’influsso della nota affermazione di Shaftesbury, secondo la quale «il miglior modo di diventare pazzi è adottare un sistema» («The most ingenious way of becoming foolish, is by a System»: cit. da A. C. Shaftesbury (Earl of), Soliloquy: or, Advice to an Author, London, Morphew, 1710, p. 132. Nei suoi colloqui con Köpke l’anziano Tieck ribadisce la validità di questa posizione wackenroderiana, rimarcando con scetticismo l’unilateralità di qualsiasi sistema filosofico da cui derivi la rigidità e l’ortodossia delle posizioni assunte: cfr. L. Tieck, Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen von Rudolf Köpke, zweiter Theil, Leipzig, Brockhaus, 1855, p. 250 e T. Meißner, Erinnerte Romantik. Ludwig Tiecks “Phantasus”, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2007, p. 239. Per quanto riguarda la critica di Herder al pensiero sistematico espressa nelle Idee, essa suonò nelle orecchie di Kant come una vera e propria sfida. Ad essa il filosofo di Königsberg non mancò di rispondere con una recensione molto dura, apparsa anonima il 6 gennaio 1785 nella Allgemeine Literatur-Zeitung (n. 4 e allegato al n. 4). La posizione di Herder lasciò il segno in molti pensatori romantici come Schleiermacher, Novalis, Hebel e naturalmente Wackenroder e Tieck. Cfr. A. Beutel, Reflektierte Religion. Beiträge zur Geschichte des Protestantismus, Tübingen, Mohr-Siebeck, 2007, p. 324 e segg.

Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer da parte di un monaco amante dell’arte 46

Nel corso del suo viaggio attraverso Norimberga, dal 22 al 24 giugno 1793, Wackenroder aveva sottolineato il decadimento economico e culturale della città, i cui più rilevanti tesori artistici erano stati venduti all’estero (Resoconti Wackenroder, p. 987). Tuttavia, venendo da Erlangen senza l’amico Tieck, Wackenroder aveva deciso di sostarvi più a lungo del giorno preventivato sia per incontrare un certo numero di persone, sia per godere del clima romantico che si respirava, a suo dire, nelle strade della città (cfr. Resoconti Wackenroder, p. 991).

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47 Il poeta Hans Sachs nasce a Norimberga nel 1494. Dopo aver lavorato come apprendista calzolaio, acquisisce le regole dell’arte dei maestri cantori. Viene riconosciuto Maestro a Norimberga nel 1517, dove rimane quasi ininterrottamente sino alla morte nel 1576. La sua produzione letteraria, comprendente oltre quattromila composizioni poetiche (Meisterlieder), millesettecento racconti in versi e più di duecento lavori teatrali, è caratterizzata da un linguaggio concreto e veemente, il quale riflette la solida e laboriosa mentalità borghese e la coscienziosa etica del lavoro della sua città, e da un fine generalmente pedagogico. La sua riscoperta da parte di Wieland, di Goethe e dei romantici è confermata tra l’altro dalla stesura da parte di Wackenroder dei seguenti studi a lui dedicati: Schilderung der dramatischen Arbeiten des Meistersängers Hans Sachs (Descrizione dei lavori drammatici del maestro cantore Hans Sachs), Sprachbemerkungen, Fragen usw.: Ueber die Minnesänger. Wörter u Redensarten aus Hans Sachs (Osservazioni linguistiche, domande ecc.: sui maestri cantori. Parole e modi di dire di Hans Sachs) e Beschluß der Wörter aus H. Sachs. Fragen (Conclusione delle parole di Hans Sachs. Domande) (cfr. HKA II, pp. 285-295). 48 Adam Kraft (1455/1460-1509) è stato scultore e costruttore attivo a Norimberga, ma sulla sua vita si hanno poche notizie. Il suo capolavoro è il Sakramenthäuschen nella chiesa di San Lorenzo di Norimberga, una torre ornata con varie figure scolpite che ha un’altezza di 20,11 m. Alla base di tale torre, Adam Kraft ha scolpito la propria figura inginocchiata. 49 Fino alla pubblicazione delle Effusioni non si era mai tentato di porre sullo stesso piano l’opera d’arte antico-tedesca con quella del Rinascimento italiano. Come scrive Helmut Pfotenhauer, «A Pommersfelden, secondo quanto riportato da Wackenroder, gli amici vedono altri quadri di Dürer [dopo le esperienze fatte a Norimberga nel 1793, n.d.C.], una crocefissione che oggi, anche per l’epoca, non è più documentabile, e piccole figure cui viene tuttavia attribuito un disegno duro, impreciso e poco espressivo. Qui si afferma ancora il giudizio del gusto comune. Più tardi, nelle Herzensergießungen, tale giudizio viene espressamente corretto: ciò che sembrava rigido e arido viene interpretato qui come immediatezza vicina al quotidiano e pervasa dall’amore per gli esseri umani – immediatezza che equivale alla semplicità di Raffaello». Cfr. H. Pfotenhauer, “Ludwig Tieck e l’arte figurativa”, in Pinacoteche di parole. Letteratura e arti figurative da Winckelmann a Rilke, a cura di L. Borghese e P. Collini, Pisa, Edizioni ETS, 2011, pp. 97-116, cit., p. 110. Il pittore e incisore Albrecht Dürer nasce nel 1471 a Norimberga. Viene prima istruito dal padre come orefice e poi avviato alla bottega del pittore Michael Wohlgemuth (o Wolgemut) negli anni 1486-1490. Dal 1490 al 1494 svolge praticantato nella zona dell’alto Reno (Basilea, Colmar, Strasburgo). Richiamato dal padre a Norimberga dopo la Pasqua del 1494, il 7 luglio dello stesso anno vi sposa Agnes Frey. Sempre nel 1494 intraprende un primo viaggio in Italia (Venezia), nel corso del quale viene a contatto con le opere dei maestri del primo Rinascimento. Tornato in Germania, viene riconosciuto come Maestro e crea una propria bottega a Norimberga, dedicandosi soprattutto all’attività di incisore, come nelle xilografie dell’Apocalisse di Giovanni

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(1498). Della successiva celebrità anche nel campo della pittura sono testimonianza, tra gli altri, gli autoritratti di Dürer di questo periodo e l’Altare Paumgartner, (1500 ca.-1504 circa). Dopo aver soprattutto approfondito lo studio delle proporzioni del corpo umano e la prospettiva in ambito pittorico, intraprende dal 1505 ai primi mesi del 1507 il secondo viaggio in Italia (Venezia e Bologna). Tornato a Norimberga, realizza prima varie pale d’altare, come l’Adorazione della Santissima Trinità (1511), e poi, tra il 1513 e il 1514, tre capolavori assoluti dell’incisione, Il cavaliere, la morte e il diavolo, S. Girolamo nello studio e Melancholia. Dal luglio 1520 soggiorna nei Paesi Bassi. Dopo il suo ritorno a Norimberga nel luglio 1521, si dedica alla produzione di incisioni e studi teorici. In piena epoca luterana, assume uno stile severo e rigoroso come emblema dell’autentica virtù cristiana. Dürer muore nel 1528 a Norimberga. La sua tomba si trova tutt’ora presso lo Johannesfriedhof (cimitero della Chiesa di S. Giovanni) della stessa città natale, visitato da Wackenroder nell’agosto e settembre 1793: cfr. Resoconti Wackenroder, pp. 1057 e 1085. 50 L’umanista Willibald Pirkheimer (1470-1530), dopo aver studiato arti liberali e diritto presso le Università di Padova e Pavia (1488-1495), si stabilisce dall’autunno 1495 a Norimberga, dove svolge dal 1496 al 1523 la funzione di consigliere cittadino. È tra le figure di spicco del circolo di umanisti norimberghesi che sostengono un ampio rinnovamento nei campi dell’arte, della scienza e della morale pubblica e privata. Nella sfera religiosa, anche dopo la riforma luterana, la sua fede cattolica si configura sempre più come un’autonoma teologia umanistica. Realizza numerose traduzioni di testi classici e patristici greci in latino e, di lì, in parte, anche in tedesco. È amico intimo di Dürer, conosciuto probabilmente sin dalla più tenera infanzia. Wackenroder conosceva le lettere inviate da Venezia (1506) da parte di Dürer a Pirkheimer, oltre che altri scritti di Pirkheimer inerenti Dürer, grazie alla lettura del libro di C.G. v. Murr, Journal zur Kunstgeschichte und zur allgemeinen Litteratur, 17 Bände, Nürnberg, Zeh, 1755-1789; ivi Zehnter Theil, Nürnberg, 1781, rispettivamente pp. 3-34 e pp. 34-47. Dopo la morte di Wackenroder, Fiorillo tornerà tra l’altro a mettere in risalto l’importanza di tali lettere per una ricostruzione sia delle vicende biografiche düreriane, sia delle sue originali concezioni estetiche: cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Zweyter Band, Hannover, 1817, pp. 340-344; Storia delle arti del disegno, cit., pp. 226-227. 51 Il riferimento alle biblioteche di Norimberga si collega alla conoscenza personale da parte di Wackenroder dello storico della cultura Christoph Gottlieb von Murr, incontrato a Norimberga il 22.06.1793, e del suo testo C.G. v. Murr, Beschreibung der vornehmsten Merkwürdigkeiten in des H. R. Reichs freyen Stadt Nürnberg und auf der hohen Schule zu Altdorf. […], Nürnberg, Zeh, 1778. Cfr. Resoconti Wackenroder, pp. 975 e 977, e p. 1057 e 1189, nota 94. 52 Questa caratterizzazione delle chiese di Norimberga è relativa all’esperienza fatta da Wackenroder durante le visite del giugno, agosto e settembre 1793 nella stessa località. 53 Il concetto del “sublime” viene elaborato in ambiente neoplatonico dallo Pseudo-Longino, filologo anonimo dei primi decenni del I secolo d. C., nel-

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lo scritto Perì Hýpsous. Il trattato indaga il valore, per il quale l’oggetto artistico manifesta la sua “eccellenza”, innalzando l’animo dell’uomo a sentimenti e riflessioni “più alti” e nobili e a impressioni durevoli. Nell’ambito dell’estetica esso designa dunque la proprietà che l’arte presenta, grazie alle sue connotazioni di mistero e di ineffabilità, di indurre uno stato di estasi. Reintrodotto nella discussione estetica del XVIII secolo soprattutto dallo scritto A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757) di E. Burke, nella kantiana Kritik der Urteilskraft (1790) contraddistingue il sentimento che si genera alla vista dell’irresistibile potenza e infinità della natura; è un elemento che consente tuttavia alla ragione di acquisire una consapevolezza emotiva di sé, realizzando così quel superamento spirituale e morale della natura sensibile dell’uomo. Schiller, soprattutto nel saggio Über das Erhabene (1801), caratterizza invece il sublime come “sentimento misto” di “impotenza” e “limitazione”, da un lato, e “prepotenza” dall’altro. Uno status determinato dalla natura sensibile dell’uomo, in virtù della quale il “bello” è espressione di libertà entro i limiti della natura umana, mentre il “sublime” ci eleva al di sopra di essa, conferendoci dignità di “esseri morali”. Fattori che si riscontrano soprattutto nella sfera dell’arte, in cui l’esperienza del sublime si configura come pathos provocato dalla contraddizione tragica. Il concetto del “sublime” verrà poi depotenziato dalla successiva generazione romantica a favore del “bello”, passando sostanzialmente all’interno della semantica del “religioso”. Per la menzione del “sublime” in relazione allo Pseudo-Longino, si rimanda infine alla lettera di Tieck a Wackenroder del 10.05.1792; cfr. Carteggio, p. 615. 54 Il passo a cui si fa riferimento è contenuto nelle Tischreden (1531-1546); cfr. M. Luthers Werke. Kritische Gesamtausgabe. Tischreden, Bd. 6, Weimar, Böhlau, 1921, Nr. 7034. Cfr. anche ivi, Band 3, 1914, Nr. 3815. 55 Il pittore Tiziano Vecellio (1490-1576), apprendista nella bottega di Giovanni Bellini, collabora a Venezia con Giorgione. Dopo un soggiorno a Padova, opera principalmente a Venezia, poi a Roma e infine ad Augusta. Nell’agosto 1792 e nell’estate del 1796 Wackenroder aveva visitato Dresda, nella cui Pinacoteca (Gemäldegalerie) si trovavano molti dipinti di Tiziano, o a lui allora attribuiti; L. Tieck, Erinnerungen, cit., erster Theil, Leipzig, Brockhaus, 1855, p. 219. Nell’agosto 1793, presso il castello Weissenstein di Pommersfelden, Wackenroder poté inoltre ammirare dei quadri allora attribuiti a Tiziano, ma oggi considerati delle copie: cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1099. 56 Antonio Allegri, detto il Correggio (1489 ca.-1534), si forma con tutta probabilità nel clima culturale mantovano, giovandosi dell’insegnamento del Mantegna, del forte influsso del chiaroscuro leonardesco, della misura raffaellesca e della lezione sul colore della scuola veneziana (Giorgione e Tiziano). L’espressione più alta del primo periodo artistico di Correggio (15101514/1515), ancora attivo nella città natale, è la Madonna di San Francesco (1514-1515). La critica specialistica concorda nel segnalare un suo viaggio a Roma attorno al 1515, grazie al quale egli ha l’occasione di studiare direttamente l’arte antica e le opere di Raffaello e Michelangelo. Il secondo periodo

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artistico (1519 ca.-1534) lo vede principalmente attivo a Parma. Ai tempi di Wackenroder Dresda ospita il già menzionato dipinto a olio su tavola della Madonna di San Francesco, le pale d’altare della Madonna di S. Sebastiano (1524 ca.) e dell’Adorazione dei pastori (circa 1525-1530), oltre al dipinto della Madonna di S. Giorgio (1530-1532). Tutte queste opere sono oggi conservate presso la Gemäldegalerie Alte Meister. Presso il Castello di Pommersfelden Wackenroder ebbe infine modo di vedere due dipinti allora attribuiti alla scuola del Correggio e considerati copie delle sue opere, ossia Apollo e Marsia e Apollo dormiente; cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1099. 57 Erwin Panofsky, nel suo importante studio dedicato a Dürer, ricorda in sintesi, nell’introduzione, come Goethe fosse avvinto dal «vigore» e dall’«incessante virilità» dell’artista, mentre altrove (come negli Epigrammi romani) paventava il caos delle scene dell’Apocalisse. Tale instabilità di giudizio si traduceva poi in scrittori come Heinse in un allineamento alla valutazione dei contemporanei italiani di Dürer, che ne riconobbero il talento come autore di incisioni e xilografie, ma furono molto critici sulle sue doti pittoriche: «Dürer non seppe mai pienamente superare l’apprendistato nell’oreficeria di Norimberga; nelle sue opere vi è una diligenza confinante con l’ansietà che non gli permise mai di raggiungere una visione più ampia e sublime…»; cfr. E. Panofsky, The Life and Art of Albrecht Dürer, Princeton, Princeton University Press, 19552 (trad. it., Id., La vita e le opere di Albrecht Dürer, a cura di C. Basso, Milano, Feltrinelli, 19792, p. 18). Commentando la prassi poetica di Wackenroder, Kemper dedica una parte della sua monografia ai particolari generi contemplati dalle Effusioni, tra i quali, oltre agli aneddoti sugli artisti (Künstleranekdoten) e alla già menzionata descrizione poetica dei quadri (poetische Bildbeschreibungen), annovera anche l’omaggio alla memoria (Ehrengedächtnis) di persone che si sono distinte nel rendere grande la cultura tedesca. Secondo quanto riferisce Kemper, Wackenroder doveva avere avuto notizia da Erduin Julius Koch di un Ehrengedächtnis dedicato a Dürer nell’anno 1728 da parte di H.C. Arend nel suo Compendium der Deutschen Literatur-Geschichte, di cui si parla nel carteggio in data 16 febbraio 1794 (cfr. Carteggio, p. 847), ma aver preso l’ispirazione per un tale omaggio anche da Friedrich Nicolai, che aveva dedicato il proprio ad altre personalità rilevanti, come Ewald Christian Kleist e Thomas Abbt. Tuttavia, l’intimo carattere dell’omaggio e il tono pieno di affetto che il monaco esprime in questo ricordo del Maestro è una novità tutta riferita alla “cultura del cuore” della Frühromantik; D. Kemper, Sprache der Dichtung cit., pp. 244-249. Brad Prager si concentra sul rapporto tra il ruolo svolto da Dürer nelle Effusioni e la sua figura di maestro dell’arte tedesca nello Sternbald, evidenziando come per il pittore tedesco, diversamente che per i rappresentanti del Rinascimento italiano, anche un’estetica del brutto (con riferimento alle incisioni di van Leyden dello Eulenspiegel) possa avere un proprio fascino; cfr. B. Prager, “Image and Phantasm: Wackenroder’s ‘Herzensergießungen eines kunstliebenden Klosterbruders’, Tieck’s ‘Sternbalds Wanderungen’, and the Emergence of the Romantic Paradigm”, in Id., Aesthetic Vision and German Romanticism. Writing Images, Rochester, Camden House, 2007, pp. 34-65, qui p. 54.

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58 Paolo Veronese (vero nome Paolo Caliari, 1528-1588), dopo l’iniziale formazione nella città natale, dal 1553 circa opera a Venezia, dove sviluppa la sua pittura caratterizzata da colori brillanti e nitidezza delle atmosfere rappresentate. Tra le sue opere, che soprattutto nella fase matura risentono dell’influsso di Tiziano, del Tintoretto e del Bassano, si annoverano i conviti (Le nozze di Cana, 1563) e i dipinti realizzati per la chiesa di S. Sebastiano e il Palazzo ducale a Venezia. La Pinacoteca di Dresda e quella di Salzdahlum (nei pressi di Wolfenbüttel), quest’ultima visitata da Wackenroder e Tieck nell’aprile 1794, contenevano varie opere di Veronese: cfr. HKA I, p. 280; L. Tieck, Erinnerungen, cit., erster Theil, p. 175. Infine, presso il castello Weissenstein di Pommersfelden, Wackenroder vide alcuni quadri attribuiti allora allo stesso Veronese: cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1099. 59 Wackenroder riprende qui la tesi sostenuta da Vasari nelle Vite, nel capitolo relativo all’incisore Marcantonio da Bologna: cfr. Vasari, Le vite, cit., Tomo secondo, pp. 411-412. 60 L’idea qui espressa di una profonda affinità della concezione artistica in Raffaello e Dürer viene sostenuta da Wackenroder nel corso della sua visita al municipio di Norimberga nell’agosto 1793 (cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1061). 61 La fonte di questo passo è costituita dalle Vite del Vasari; cfr. Vasari, Le vite, cit., Tomo secondo, pp. 410-412 e G. Vasari, Leben der ausgezeichnetsten Maler, Bildhauer und Baumeister von Cimabue bis zum Jahre 1567, beschrieben von Giorgio Vasari, Maler und Baumeister. […], von E. Förster, Dritter Band, Zweite Abtheilung, Stuttgart/Tübingen, Cotta, 1845, p. 308, nota 15). L’amichevole scambio di opere tra Raffaello e Dürer viene rimarcato anche da un’altra fonte di Wackenroder, ossia J. v. Sandrart, L’Academia Todesca della Architectura, Scultura & Pittura: oder Teutsche Academie der edlen Bau-[,] Bild- und Mahlerey-Künste, Band 1, II. Theils II. Buch, VII. Capitel, Nürnberg, 1675, p. 97.

Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa 62

Questo testo di Wackenroder è diretto a criticare l’insufficienza della lingua umana, contrapponendole la lingua che è solo di Dio, ovvero quella della natura, e la lingua dell’arte, accessibile solo a pochi spiriti eletti. Uno dei passi fondamentali concerne l’indicazione del fatto che l’arte si «serve di una scrittura geroglifica, i cui segni noi conosciamo e comprendiamo secondo l’apparenza esteriore». Non solo l’arte è geroglifica, ma anche l’uomo che la esprime, secondo quanto aveva indicato Herder nella Aelteste Urkunde des Menschengeschlechts (Il più antico documento del genere umano, Riga, Hartknoch, 1774). Se sullo sfondo delle riflessioni di Wackeroder sulla lingua e sulla sua origine sono ancora ben visibili i segni della disputa che stava imperversando nella Berliner Akademie der Wissenschaften a proposito dell’origine divina o umana della stessa (cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung cit., pp. 157-163), Moritz aveva contribuito ad avanzare nella ricerca di una

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rappacificazione tra i due fronti, sostenendo in Auch eine Hypothese über die schöpfungsgeschichte Mosis (Anche un’ipotesi sulla storia della creazione di Mosé, 1784) che non potendo stare l’uomo a lungo senza definire gli oggetti del creato, Dio gli ascrisse fin da subito la facoltà di parlare per comprendere. Non solo. Moritz, nel suo saggio “Die Signatur des Schönen. In wie fern Kunstwerke beschrieben werden können?” (La segnatura del bello. In che misura si possono descrivere le opere d’arte?), originariamente pubblicato con il solo sottotitolo nella Monatsschrift der Akademie der Künste und mechanischen Wissenschaften zu Berlin, 1 Jg., Bd. 2, 1788, 4. Stück, pp. 159-168, aveva teorizzato che dove si manifesta l’essenza del bello, la parola deve necessariamente spegnersi e lasciar il posto alla mano sapiente dell’artista; cfr. K.P. Moritz, “Die Signatur des Schönen. In wie fern Kunstwerke beschrieben werden können?”, in Klassik und Klassizismus, hrsg. von H. Pfotenhauer und P. Sprengel, unter Mitarbeit von S. Schneider und H. Tausch, Frankfurt am Main, DKV, 1995, pp. 372-383, commento e note, pp. 748-757. Per il concetto di “geroglifico” nell’opera di Wackenroder cfr. W. Voßkamp, “Alles Sichtbare haftet am Unsichtbaren”, cit., pp. 25-45. 63 Questo rapporto emotivo e mistico con la natura mostra affinità con alcuni motivi centrali dell’impostazione filosofica e simbolica con cui Schiller, nella “Teosofia di Julius”, inserita a sua volta nelle Lettere filosofiche, traccia il rapporto panteistico tra Julius, la divinità e la natura: cfr. Fr. Schiller, Sämtliche Werke, Bd. V – Erzählungen-Theoretische Schriften, hrsg. von W. Riedl, München, DTV, 2004, pp. 336-357. Vanno anche rimarcate le affinità tra questo passo ed uno contenuto nel saggio di Sulzer sul genio. In esso l’osservazione della multiforme, prodigiosa natura, costituisce la via che consente, appunto attraverso l’esperienza sensibile, di farsi un’idea, di crearsi un’immagine mentale dell’onnipotenza divina: cfr. J.G. Sulzer: “Versuch über das Genie”, in Sammlung vermischter Schriften, cit., Band 3/1, pp. 56-58. 64 La riflessione filosofica del primo Illuminismo, soprattutto a partire dalla Monadologia (1714) di Leibniz, passando per Christian Wolff, fino all’opera di Kant, aveva approfondito lo studio delle rappresentazioni umane, evidenziando come nell’anima, secondo gradi di successiva chiarezza, si trovassero oggetti costituiti da rappresentazioni “oscure e confuse” (le sensazioni), rappresentazioni “chiare ma confuse” (le immagini) e rappresentazioni “chiare e distinte” (i concetti). A queste ultime faceva riferimento l’ambito della verità. Nel frattempo, Dubos aveva teorizzato, nella sezione iniziale della prima parte delle sue Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura (1719), come il sentimento (le passioni), in contrapposizione alla ragione, fosse alla base della produzione della bellezza nell’arte e nella poesia. Rispetto a queste considerazioni era stato tuttavia soprattutto Sulzer, nel suo Versuch über das Genie, ad insistere sugli “oscuri sentimenti” come risultato della “conoscenza intuitiva” (anschauende Erkenntnis) di Dio: cfr. J.G. Sulzer, “Versuch über das Genie”, in Sammlung vermischter Schriften, cit., Band 3/1, pp. 62-64. 65 Il passo presenta notevoli similitudini con un passaggio delle Lettere filosofiche: cfr. Fr. Schiller, Sämtliche Werke, Bd. V, cit., p. 352.

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Delle stravaganze del vecchio pittore Piero di Cosimo, artista della scuola fiorentina 66

Quella di Piero di Cosimo (vero nome Piero di Lorenzo di Chimenti, 1462 ca. - 1521 ca.) è una Künstlerchronik, in quanto il monaco ricorda di aver letto nelle storie di antichi pittori anche le curiose vicende che interessarono la sua vita. Pietro di Cosimo è apprendista attorno al 1480 presso la bottega di Cosimo Rosselli, dal quale eredita il nome con il quale è conosciuto e con cui collabora per la realizzazione degli affreschi della Cappella Sistina nel 14811482. Artista dalla natura multiforme e dotato di un temperamento bizzarro, caratterizzato da uno stile pittorico improntato al colore e alla resa atmosferica della luce, Piero di Cosimo viene prima influenzato dalla tecnica pittorica del fiammingo Hugo van der Goes e, al suo ritorno a Firenze nel 1483, fa proprie in maniera del tutto personale suggestioni dell’arte del Ghirlandaio e di Leonardo. La sua produzione comprende ritratti, soggetti sacri e mitologici. 67 Giovanni Antonio Sogliani (Firenze 1492 - Firenze 1544), allievo di Lorenzo di Credi, da cui eredita la semplicità e il tono devoto della rappresentazione, subisce in seguito l’influsso della pittura di Fra Bartolomeo e di Andrea del Sarto, sviluppando uno stile pittorico incentrato su atmosfere melanconiche. Le Vite del Vasari costituiscono la fonte utilizzata da Wackenroder, per la caratterizzazione dell’animo malinconico e la tenacia e pazienza nel lavoro da parte di Sogliani: cfr. Vasari, Le vite, cit., Tomo secondo, pp. 274-279. In particolare p. 274. 68 Questo motivo della tranquillità interiore come condizione preliminare per la più profonda ispirazione artistica può esser stata suggerita a Wackenroder da diverse fonti. La prima fa riferimento alla figura di Leonardo da Vinci e contiene, come nel testo di Wackenroder, l’immagine del “mare tempestoso”: cfr. J.G. Böhm, Des vortreflichen, cit., p. VIII (N.d.T.: Dal momento che le due prime sezioni del testo, ossia “Vorbericht” (pp. I-IV) e “Das Leben/des vortrefflichen Mahlers Lionardo da Vinci” (pp. V-XX) non sono paginate, si è qui deciso di indicarle con cifre in numeri romani). La seconda allude invece a Raffaello, descritto come “una chiara, quieta, profonda acqua, in cui si rispecchiava schiettamente la natura migliore”: cfr. W. Heinse, Ardinghello, cit., Zweyter Band, p. 20. La terza è costituita dalla tesi di Winckelmann, secondo il quale la quiete interiore, come un placido mare, consente all’artista di scrutare la propria interiorità, ricavandone una più elevata bellezza: cfr. J.J. Winckelmann, Geschichte der Kunst des Alterthums. Nach dem Tode des Verfassers herausgegeben von Friedrich Just Riedel, Wien, Akademischer Verlag, 1776, p. 317. Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima 69 L’immagine dei grani del rosario fa riferimento alla visita di Wackenroder al Duomo di Bamberga, in occasione della festa (Heinrichstag) in onore

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dell’imperatore, il già duca di Baviera Enrico II il Santo (circa 973-1024), e della susseguente partecipazione alla messa solenne di rito cattolico; cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1021. Nella parte del testo immediatamente successiva, Wackenroder combina ricordi e impressioni di questa visita con termini, motivi e atteggiamenti del fedele che rimandano, specificamente, alla cultura del pietismo. La grandezza di Michelangelo Buonarroti 70

Michelangelo (1475-1564), dopo una prima formazione umanistica, svolge l’apprendistato nel disegno presso la bottega di Domenico e Davide Ghirlandaio. Nel corso del suo primo soggiorno romano (1496-1501), esegue la Pietà. Ritornato a Firenze, realizza il David e il dipinto su tavola del Tondo Doni. Dal 1505 al 1513 si apre il secondo periodo romano, con la chiamata da parte del Papa Giulio II Della Rovere. Lavora sino all’ottobre del 1512 agli affreschi della Cappella Sistina e realizza il Mosè. Dal 1516 opera prevalentemente a Firenze. Ritornato nel 1534 a Roma, riprende e ultima i lavori agli affreschi della Cappella Sistina (1534 ca.-1541). Negli anni della vecchiaia Michelangelo si dedica in prevalenza a progetti architettonici e urbanistici, come la ristrutturazione di Piazza del Campidoglio, il completamento della facciata e del cortile di Palazzo Farnese e la redazione di progetti parziali per la Basilica di S. Pietro. L’ultimo capolavoro è la Pietà Rondanini. Ai tempi di Wackenroder Dresda ospita varie copie di dipinti di Michelangelo, tra i quali va ricordato Leda mit dem Schwan (Leda con il cigno, circa 1598-1600), allora attribuito a Michelangelo. L’autore del quadro, conservato presso la Gemäldegalerie Alte Meister, è in realtà Rubens, il quale si rifece al noto dipinto a tempera Leda e il cigno (circa 1530) di Michelangelo, andato perduto. Per il ruolo svolto dalla figura di Michelangelo e della sua arte tra la fine del ‘700 e l’800, cfr. tra l’altro K. Schwedes, “Raffael und Michelangelo: RenaissanceBarock?”, in Raffael als Paradigma. Rezeption, Imagination und Kult im 19. Jahrhundert, hrsg. von G. Heß, E. Agazzi, E. Décultot, Berlin, De Gruyter, 2012, pp. 239-253. 71 Cfr. Vasari, Le vite, cit., Tomo terzo, pp. 185-186. Cfr. G. Vasari, Vita di Michelangelo. Note e Appendici di G. Milanesi, a cura di I. Bomba, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1993. Dall’introduzione di I. Bomba: «D’altronde l’arte di Michelangelo è totalmente soprastorica in quanto antinaturalistica; non si può, infatti, parlare di classicismo michelangiolesco: il classicismo è la storicizzazione dell’idea di Natura. I suoi corpi, e solo corpi egli ha rappresentato in pittura come in scultura, sono la negazione della forma naturale e storica dell’uomo: sono espressivi del dramma esistenziale e non dell’esistere nello spazio e nel tempo come il classicismo rinascimentale insegnava» (p. XV). 72 Cfr. Vasari, Le vite, cit., Tomo terzo, pp. 185-362. 73 Il confronto tra Raffaello e Michelangelo appartiene ad uno dei topoi prediletti della storia dell’arte europea che va da Vasari, passando per Fiorillo, fino, tra gli altri, a Ernst Joachim Förster (1800-1885) nel cuore del secon-

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do Ottocento tedesco. Solitamente, oltre ad attribuire a Raffaello il primato nell’ambito della pittura e a Michelangelo in quello della scultura, si propendeva, come sostanzialmente fa lo stesso Wackenroder, a rimarcare la natura divina dell’arte del primo, frutto di un carattere sereno e gentile, contrapposta alla smisurata grandezza delle opere del secondo, la cui oscura genialità si accompagnava a una peculiare tendenza all’inquietudine interiore e all’isolamento. Nel caso specifico del passo contenuto nel testo, il richiamo alle lodi e ai biasimi potrebbe alludere agli scritti del già menzionato Ramdohr e alle sue valutazioni sull’opera di Raffaello; cfr. Fr.W.B. von Ramdohr, Ueber Malerei, cit., Erster Theil, pp. 118-175 e Dritter Theil, pp. 109-127, p. 248 e pp. 323-330) e Michelangelo (cfr. ivi, Erster Theil, pp. 175-183 e Dritter Theil, pp. 226-227, pp. 233-234, p. 307 e pp. 331-335). Friedrich Schlegel, che non amava particolarmente Michelangelo, osserva nel suo resoconto parigino del 1803 che Michelangelo dipinge come uno scultore; di analogo tenore è il suo frammento 372, contenuto nella rivista Athenäum, in cui evidenzia già tale tesi, aggiungendo che invece Raffaello dipinge come un architetto e Correggio come un musicista; Fr. Schlegel, “Nachricht von den Gemählden in Paris, 1803-1805”, in: Id., Gemälde alter Meister. Mit Kommentar und Nachwort von H. Eichner und N. Lelless, Darmstadt, WBG, 19952, p. 44. 74 Cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Erster Band, Göttingen 1798, p. 139. 75 J. Bialostocki, “Terribilità”, in Stil und Überlieferung in der Kunst des Abendlandes. Akten des 21. Internationalen Kongresses für Kunstgeschichte in Bonn 1964, Berlin, Mann, 1967, pp. 222-225. 76 Cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Erster Band, Göttingen 1798, pp. 362-363. Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga 77 L’attribuzione di questo capitolo risulta incerta. Essa è prima determinata, secondo le tipiche modalità del romantico “sin-poetare”, dall’affermazione di Tieck che, al termine della prima parte dello Sternbald (cfr. L. Tieck, Franz Sternbalds Wanderungen. Eine altdeutsche Geschichte. Erster Theil, Berlin, Unger, 1798), ossia nella sezione “Nachschrift an den Leser” (“Postfazione per il lettore”, ivi, pp. 373-375), sostiene di essere l’autore di questo capitolo e del successivo, vale a dire “I ritratti dei pittori” (cfr. ivi, p. 374). Successivamente, nella nuova edizione delle Fantasie (cfr. Phantasien über die Kunst, von einem kunstliebenden Klosterbruder, herausgegeben von L. Tieck. Neue, veränderte Auflage, Berlin, in der Realschulbuchhandlung, 1814), Tieck afferma di non riuscire più a ricordare, dopo così tanti anni dalla genesi del testo, quali parti nei capitoli “Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga” e “I ritratti dei pittori” siano da ascrivere a sé, e quali siano invece opera di Wackenroder, specificando tuttavia che le idee appartenevano del tutto a Wackenroder, mentre lui, Tieck, si era limitato a riscrivere e ad aggiungere qualcosa (cfr. ivi, p. I). Brad Prager discute, tra

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gli altri, l’attribuzione di questa parte a Tieck in riferimento allo Sternbald in Image and Phantasm, cit., pp. 34-65. La critica, nel suo insieme propende, in effetti, per un’attribuzione del presente capitolo a Tieck, il quale, tuttavia, avrebbe rielaborato, dopo la morte di Wackenroder, il materiale del Reisebericht di questi. Particolare importanza assume in questo contesto la menzione del passo del diario di viaggio di Wackenroder legato alla messa solenne di rito cattolico, alla quale egli aveva assistito nel Duomo di Bamberga nel luglio 1793, in occasione della Heinrichsfest (cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1005). Gran parte dei dettagli di questa messa confluiscono infatti nel presente capitolo delle Effusioni, rendendo in tal modo plausibile una spiegazione di questo tipo attorno alla sua attribuzione. La paternità del presente capitolo è stata ascritta a Tieck, tra gli altri, da Rudolf Haym, Oskar Walzel, Horst Lambrecht, Hans Heinrich Borcherdt, Bonaventura Tecchi, Dorothea Hammer, Martin Bollacher e Alfred Anger. Friedrich Strack propende invece per l’attribuzione di tale scritto a Wackenroder. 78 Come chiarito nella nota precedente, questa scena prende spunto dalla partecipazione di Wackenroder a una messa di rito cattolico nel Duomo di Bamberga nel luglio 1793. La rielaborazione letteraria ci mostra una conversione al cattolicesimo romano avvenuta in una “chiesa” non meglio specificata, che si trova tuttavia “qui a Roma”. La “rotonda” (Rotunde, nel testo tedesco originale), di cui qui si parla, sembra con tutta evidenza non indicare genericamente una “rotonda” qualsiasi. Infatti, va notato che l’appellativo “rotonda” si riferisce comunemente, quando lo si applichi alla città di Roma, al Pantheon (cfr. G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Parte Prima, Roma, Mascardi, 1672, p. 77; Fr.W.B. von Ramdohr: Ueber Malerei, cit., Dritter Theil, p. 305 e V. Russo, “Architettura nelle preesistenze tra Controriforma e Barocco. ‘Istruzioni’, progetti e cantieri nei contesti di Napoli e Roma”, in Verso una storia del restauro. Dall’età classica al primo Ottocento, a cura di S. Casiello, Firenze, Alinea, 2008, pp. 139-206; qui cfr. p. 198). Dal momento che nelle Effusioni la lettera del protagonista si riferisce a Roma, si può ipotizzare più che fondatamente che Tieck, magari accogliendo eventuali suggestioni del testo di Ramdohr, oltre che della parte conclusiva dell’Ardinghello di Heinse, si stia riferendo al Pantheon, e non ad una non meglio specificata chiesa con relativa rotonda. Questa tesi è supportata da A. Streibl, “Architektur, Symbol und Utopie. Zur Funktion des Pantheon in ‘Ardinghello und die glückseeligen Inseln’”, in Annali: Studi Tedeschi, 30, 1-3, 1987, pp. 31-43, qui p. 36. Da ultimo, si rammenta come il motivo della rotonda sormontata da un monumentale spazio a cupola – alludendo in questo caso esplicitamente al Pantheon di Roma – sia intenzionalmente volto in architettura a generare nel visitatore un effetto di devoto raccoglimento, come mostra la stessa concezione estetica alla base del progetto dell’Altes Museum (Museo Antico, 1830) berlinese da parte dell’architetto prussiano K. F. Schinkel (1781-1841). Questo raccoglimento induce così in maniera decisiva il visitatore stesso a percepire lo spazio museale non più (solo) in senso funzionale, bensì anzitutto come un “tempio”, una “chiesa” in cui dilettarsi e apprendere, secondo i dettami di un’“architettura religiosa” che si ricollega

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apertamente ai modelli letterari e filosofici del primo Romanticismo tedesco, incentrati sul motivo della Kunstreligion (cfr. B. Auerochs, Die Entstehung der Kunstreligion, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 20092 e Kunstreligion. Ein ästhetisches Konzept der Moderne in seiner historischen Entfaltung, Bd. 1. Der Ursprung des Konzepts um 1800, hrsg. von A. Meier, A. Costazza und G. Laudin, unter Mitwirkung von S. Düsterhöft und M. Schwalm, BerlinNew York, De Gruyter, 2011). Elementi pienamente presenti in questa scena delle Effusioni, in cui il valore architettonico-spaziale e insieme cultuale della Rotonda e la descrizione della successiva conversione religiosa riflettono in maniera evidente l’idea nel primo Romanticismo di una mistica esperienza dell’arte. Sul tema cfr. A. Gilbert: “Die ‘ästhetische’ Kirche. Zur Entstehung des Museums am Schnittpunkt von Kunstautonomie und -religion“, in Athenäum, 19, 2009, pp. 45-85. I ritratti dei pittori 79

L’attribuzione di questo capitolo risulta incerta e per esso resta valido quanto detto in nota circa il capitolo “Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga”. Sinteticamente si può qui affermare che la critica, nel suo insieme, propende anche in questo caso per un’attribuzione del presente capitolo a Tieck, come fa Martin Bollacher. Oskar Walzel ipotizza invece che le parole della musa siano da ascrivere a Wackenroder, mentre quelle del giovane a Tieck. La cronaca dei pittori 80 La fonte alla quale si rifà qui Wackenroder per la fase infantile della vita di Raffaello è Vasari, Le vite, cit., Tomo secondo, p. 90. 81 Pietro Vannucci, detto il Perugino (1450 ca.-1523), dopo aver probabilmente trascorso la prima fase educativa nel paese natio e a Perugia, si forma a Firenze presso la bottega di Andrea del Verrocchio. Nel 1480 circa interviene a decorare parte della Cappella Sistina. Nel corso del successivo, intenso decennio di attività tra le botteghe di Perugia e Firenze, la sua pittura raggiunge l’apice con opere dominate da atmosfere pacate e solenni e figure dotate di elegante raffinatezza e dolcezza, come nel Compianto sul Cristo Morto (1495 circa). Attorno agli anni 1496-1500 lavora agli affreschi del Collegio del Cambio a Perugia, molto probabilmente in collaborazione con il giovane Raffaello. 82 La Trasfigurazione è l’ultima opera eseguita da Raffaello prima di morire. Si tratta di un dipinto a olio su tavola originariamente commissionato tra la fine del 1516 e l’inizio del 1517 dal cardinale Giulio de’ Medici, poi futuro Papa Clemente VII (1523-1534), per la cattedrale della sede vescovile di Narbonne, di cui Giulio era allora titolare. Dopo la morte di Raffaello il 6.4.1520, nel giorno di Venerdì Santo, il quadro venne completato nella parte inferiore da Giulio Romano (1499 ca.-1546) entro il 1522. La fonte di Wackenroder

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è Vasari, Le vite, cit., Tomo secondo, p. 133. Per una discussione sulla Trasfigurazione nel XIX secolo, cfr. A.Valtolina, “Die Abgründe der Beschreibung. Nietzsche und Raffaels Transfiguration”, in Raffael als Paradigma, cit., pp. 295-312 e per il motivo tragico dell’opera, R. Preimesberger, “Tragische Motive in Raffaels Transfiguration. Emil Maurer gewidmet”, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 50, H. 1, 1987, pp. 88-115. 83 Cfr. Vasari, Le vite, cit., Tomo secondo, pp. 114-115. Il dipinto al quale si fa riferimento è lo Spasimo di Sicilia. La tavola fu commissionata dal monastero olivetano di S. Maria dello Spasimo di Palermo e completata da Raffaello attorno al 1517. Oggi è custodita presso il Museo del Prado di Madrid. 84 Domenico Zampieri, detto il Domenichino (1581-1641), frequenta prima la bottega di Denijs Calvaert e poi quella di Agostino e Ludovico Carracci a Bologna. Nel 1602 si trasferisce a Roma, dove studia i lavori di Raffaello e collabora con Annibale Carracci alla decorazione della Galleria di Palazzo Farnese. Tra i grandi affreschi di questo periodo si ricordano in particolare quelli della cappella di S. Cecilia in S. Luigi dei Francesi (Storie di S. Cecilia, 1611 ca.-1614 circa), in cui il Domenichino s’ispira alle statue classiche e all’opera di Raffaello. Nel 1630 si trasferisce a Napoli, dove decora la cappella del Tesoro del duomo. La fonte principale utilizzata da Wackenroder su Domenichino è G. P. Bellori, Le vite, cit., pp. 289-360. Questa sezione, a sua volta, si rifà ai due seguenti testi: C.C. Malvasia, Felsina pittrice, cit., Tomo secondo, pp. 309-343 e G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, nella stamperia d’Andrea Fei, 1642, pp. 381-385. Non si possono infine escludere suggestioni generate dalle ricerche di storia dell’arte del Fiorillo, anche se in questo caso la presente ipotesi fa riferimento a ciò che venne pubblicato dopo la morte di Wackenroder: cfr. J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Zweyter Band, 1801, pp. 576-589. Ai tempi di Wackenroder, i musei da lui visitati ospitavano una serie di opere attribuite al Domenichino: cfr. HKA I, p. 347. 85 Il riferimento alla vicinanza emozionale tra i pittori è un punto di forza di questo testo, che vuole fare emergere la profonda umanità di questi artisti. Il pittore e incisore Annibale Carracci, fratello minore di Agostino, nasce nel 1560 a Bologna e muore a Roma nel 1609. Dopo un primo apprendistato in famiglia e lo studio delle opere del Correggio e del Veronese, apre attorno al 1582 una bottega di pittura a Bologna, “l’Accademia dei Desiderosi”, assieme al fratello Agostino e al cugino Ludovico (1555-1619), caratterizzata da un eclettismo volto a sganciarsi dal manierismo. Successivamente si trasferisce a Roma. Qui viene in contatto con l’opera di Raffaello e l’arte antica e, assieme al fratello Agostino, decora la galleria di Palazzo Farnese. Come da sua volontà, viene sepolto nel Pantheon, a fianco della tomba di Raffaello. Le fonti della sezione su Annibale Carracci sono: G.P. Bellori, Le vite, cit., Parte Prima, pp. 347-348, e, in parte, J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Zweyter Band, 1801, p. 589. Ai tempi di Wackenroder, i musei da lui visitati ospitavano una serie di opere di Annibale Carracci o a lui attribuite, oltre

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a copie di suoi lavori; cfr. HKA I, p. 349, Resoconti Wackenroder, p. 1099, nonché HKA II, p. 606. 86 Agostino Carracci (1557-1602) si forma prima come incisore e poi come pittore nell’ambiente tardo-manieristico bolognese. Opera poi tra Parma e Venezia. Sul finire del Cinquecento si trasferisce infine a Roma dove lavora con Annibale, tra alterni contrasti, nel Palazzo Farnese. In questa sede si assiste a quei dissapori tra l’erudito e fine spirito estetico di Agostino e il rude genio pittorico di Annibale, messo in rilievo da Bellori nella scena relativa al gruppo scultoreo del Laocoonte e ripreso nelle Effusioni, anche se Wackenroder fa prevalere il secondo nella disputa, perché il naturale talento di Annibale e la dedizione al soggetto non hanno bisogno di «discorsi forbiti» per manifestarsi; cfr. G.P. Bellori, Le vite, cit., Parte Prima, pp. 19-98 (soprattutto p. 31) e pp. 103-131. Cfr. in merito anche J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Zweyter Band, 1801, pp. 505-518 (soprattutto pp. 514-515). Ai tempi di Wackenroder, i musei da lui visitati ospitavano una serie di opere attribuite ad Agostino Carracci o copie di suoi lavori: cfr. Verzeichniß der Hochfürstlich – Heßischen Gemählde-Sammlung in Cassel, cit., p. 160, n. 222 e Beschreibung der Herzoglichen Bilder-Galerie zu Salzthalum, von Christian Nikolaus Eberlein, Braunschweig, 1776, p. 27, n. 74. 87 In questa parte del testo, gli artisti sono connotati dalla peculiarità di aver scoperto la loro vocazione fin da fanciulli e in condizioni di estrema povertà. Il pittore, architetto e scultore Giotto di Bondone nasce a Vespignano del Mugello (oggi frazione di Vicchio, presso Firenze) attorno al 1267 da una famiglia di contadini, poi inurbatasi a Firenze, dove muore nel 1337. La pressoché totale mancanza di documenti, che consentano di ricostruire in via diretta e con certezza cronologia e paternità delle sue opere, contribuisce in maniera determinante a creare l’aura di leggenda attorno a Giotto quale fondatore della pittura moderna, cui si richiama lo stesso Wackenroder. In linea generale su Giotto va rimarcata la presenza di diverse fonti letterarie e cronachistiche, alle quali sembra alludere l’espressione “cronache”, immediatamente precedente nel testo delle Effusioni. Di queste “cronache” sono precipui autori Riccobaldo da Ferrara, Francesco da Barberino, Franco Sacchetti e Giovanni Villani. In riferimento al passo delle Effusioni, in cui si ripropone l’aneddoto della “scoperta” del giovane pittore da parte di Cimabue e lo stupefacente realismo dei disegni e dipinti dell’allievo, tali da superare in maestria l’arte dello stesso maestro, vanno invece particolarmente segnalati il Commento alla Divina Commedia d’Anonimo Fiorentino del secolo XIV, scritto fra il 1380 e il 1390 ed edito solo nel 1866; I Commentari (circa 1452-1455) dello scultore e scrittore d’arte fiorentino Lorenzo Ghiberti (1378-1455); le Vite del Vasari. Queste ultime costituiscono la fonte principale di Wackenroder (cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo primo, pp. 41-42). Cfr. in proposito anche J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Erster Band, Göttingen 1798, pp. 264-265. 88 Il pittore Cenni di Pepo, detto Cimabue, nasce a Firenze attorno al 1240 e muore a Pisa nel 1302. In riferimento alla biografia e paternità delle opere di Cimabue, alle fonti letterarie e cronachistische su di lui e alla definizione

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contenuta nelle Effusioni, relativamente a Cimabue quale “patriarca” di tutti i pittori e al rapporto tra questi e l’allievo Giotto, valgono qui le stesse considerazioni formulate sulle fonti concernenti Giotto. Ad esse si aggiungono anche i riferimenti al Purgatorio di Dante (Canto XI, vv. 94-96) e al cosiddetto Libro di Antonio Billi, mercante fiorentino vissuto tra la fine del ’400 e il 1550 circa, il cui manoscritto viene steso tra il 1481 e il 1530 circa ed edito nel 1892. In particolare, le Vite del Vasari rappresentano il testo principale al quale si rifà Wackenroder. Esse si aprono solennemente con la presentazione della vita di Cimabue, artista identificato come vero e proprio principio della rinascita della pittura italiana, capace di staccarsi dalla tradizione iconografica bizantina, basata su figure ieratiche e idealizzate, e di inaugurare una modalità della rappresentazione pittorica, quella occidentale, fondata su soggetti veri, dotati di umanità ed emozioni (cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo primo, pp. 1-6. Con accenti simili, Fiorillo definisce Cimabue “precursore” (Vorläufer) della nuova pittura italiana (cfr. J.D. Fiorillo: Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Erster Band, Göttingen, 1798, pp. 68-69). 89 Il pittore, scultore e incisore Domenico Beccafumi, detto il Mecherino (1486 ca. - 1551), nasce da una famiglia contadina. Come menzionato nelle Effusioni e illustrato nella sezione iniziale del capitolo delle Vite del Vasari dedicato a Domenico, Lorenzo Beccafumi, notabile senese che lo prende sotto la propria protezione e del quale Domenico assume poi il nome, osservando la grande abilità del fanciullo nel ritrarre le pecore al pascolo, lo manda a bottega presso un pittore senese. Attraverso il precoce studio dell’opera del Perugino e di Giovanni Antonio Bazzi (1477-1549) e grazie all’eccezionale luce e vitalità dei colori dei suoi quadri, il Beccafumi si afferma come uno dei massimi esponenti della scuola senese e uno dei fondatori del cosiddetto manierismo. Nel corso di un suo primo soggiorno romano nel 1510 ha modo di studiare l’opera di Raffaello e Michelangelo. Conclude la sua carriera a Siena; cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo secondo, pp. 509-521; qui cfr. p. 509. 90 Lo scultore e architetto Andrea Contucci, detto il Sansovino (1460 ca. 1529), nasce, come ricorda il Vasari nelle sue Vite, da una povera famiglia di contadini. Colpisce l’attenzione di un nobile fiorentino, probabilmente appartenente alla famiglia dei Vespucci, mentre disegna sul terreno e forma pezzi di argilla che ritraggono il bestiame da lui portato al pascolo. Sotto la protezione di questo signore fiorentino Andrea è mandato a bottega a Firenze, presso Antonio del Pollaiolo, dove perfeziona la sua maestria nel disegno e nella scultura. Oltre che a Firenze, lavora in Portogallo e a Roma, essendo successivamente attivo nelle Marche; cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo secondo, pp. 166-174; in particolare p. 166. 91 Il pittore Polidoro Caldara da Caravaggio (ca. 1499-1543) si trasferisce attorno al 1515 a Roma dove, attraverso la conoscenza del pittore, decoratore e architetto Giovanni da Udine (1487-1564 circa), entra nella bottega di Raffaello. Il Vasari ci narra nelle sue Vite le vicende del diciottenne Polidoro in relazione alle decorazioni delle Logge vaticane. Parte della critica specialistica attribuisce a lui gli scomparti con Giuseppe venduto dai fratelli e

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il Passaggio del Giordano. Dopo il sacco di Roma del 1527 soggiorna prima a Napoli e poi, dal 1528 circa, a Messina; cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo secondo, pp. 283-292; in particolare p. 283. 92 L’incisore e disegnatore Jacques Callot nasce a Nancy nel 1592 circa, dove muore nel 1635. La fonte da cui Wackenroder desume i dati biografici sull’appassionante vicenda artistica di Callot è rappresentata con tutta evidenza da A. Félibien, Entretiens Sur Les Vies Et Sur Les Ouvrages Des Plus Excellens Peintres Anciens Et Modernes, Tome Troisième, Trévoux, 1725 (1666-16881), pp. 358-385; in particolare pp. 362-365. Tra le principali tappe della sua biografia ricordiamo la prima (circa 1604) e la seconda (circa 1606) fuga da casa per raggiungere Roma, patria dell’arte. Dopo un apprendistato da orafo e incisore, Callot acquisisce i rudimenti del disegno e l’uso del bulino. Successivamente è attivo a Roma e Firenze, dove apprende la prospettiva e la tecnica dell’acquaforte. Tra le sue più note incisioni realizza la serie dei Capricci (1617), il Ventaglio (1619) e la Fiera dell’Impruneta (1620). Si distingue per un’eccezionale precisione nell’esecuzione, per una visione ampia ed elegante e per la capacità di restituire con originalità il pittoresco, i moti dell’animo e l’atmosfera che circonda eventi e luoghi. Dal 1621 fa ritorno a Nancy. Ai tempi di Wackenroder, Dresda ospitava una copia dell’Arquebusade (Archibugiata, 1633), facente parte della serie di acqueforti de Le grandi miserie della guerra, dal titolo Die Erschiessung (La fucilazione): cfr. HKA I, p. 354. Nell’ambito della produzione letteraria del Romanticismo tedesco si ricorda in particolare la “familiarità straniante” nella rappresentazione del reale che E. T. A Hoffmann ravvisa nella produzione incisoria di Callot, come espresso nei racconti Fantasiestücke in Callots Manier (Fantasie alla maniera di Callot, 1814-1815): cfr. F. Cercignani, “Hoffmann nella scia di Wackenroder. Kreisleriana e dintorni”, in Studia theodisca, 6, 1999, pp. 179-228; qui cfr. pp. 187-188. 93 Il pittore Mariotto Albertinelli (1474-1515) entra tra l’altro in contatto nella sua carriera con Piero di Cosimo, cui Wackenroder dedica un capitolo delle Effusioni. Oggetto dell’interesse di Wackenroder è il litigio che scoppiò nel 1513 tra Albertinelli e l’amico e collega Baccio della Porta (1472ca.-1517), anche a causa, come ricordano le Vite del Vasari e le Effusioni, dell’animo inquieto e sanguigno di Albertinelli e delle critiche ricevute relativamente ad alcune sue opere. Albertinelli abbandona dapprima la bottega d’artista e apre un’osteria. Dopo un breve periodo riprende tuttavia a dipingere autonomamente rispetto al Porta. La fonte di Wackenroder è rappresentata dal Vasari: cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo secondo, pp. 64-68; in particolare p. 66. Wilhelm Voßkamp ha sottolineato che «Wackenroder punta a un’arte che ha carattere di salvazione (heilsgeschichtlich). Si appella a quella parte di “partecipazione divina presente nell’uomo” che – nel segno delle dottrine emanazionistiche di stampo neoplatonico – pretende timore reverenziale e devozione»; W. Voßkamp, “Alles Sichtbare haftet am Unsichtbaren”, cit., pp. 31-32. 94 Il pittore e incisore Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (15031540), acquisisce i primi rudimenti tecnici nel disegno e nella pittura influen-

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zato soprattutto dall’osservazione degli affreschi parmensi del Correggio. Durante il soggiorno romano (1524-1527) esegue tra gli altri lavori la Visione di San Girolamo (1526-1527), la monumentale pala d’altare a cui fa riferimento il passo delle Effusioni. L’intenso lavoro preparatorio per questa tela viene interrotto dall’irrompere a Roma delle truppe dei Lanzichenecchi, al soldo dell’imperatore spagnolo Carlo V, che dal 6 maggio 1527 devastano la città (“sacco di Roma”), costringendo il Papa Clemente VII, alleato del re francese Francesco I, a rifugiarsi a Castel S. Angelo. Come ricorda lo stesso Vasari, il Parmigianino, attardatosi a fuggire, viene sorpreso dai soldati tedeschi mentre è intento al lavoro alla tela, ma lo stupore generato nei soldati dalla bellezza dell’opera gli consente di aver salva la vita. La Visione passa poi attraverso il refettorio di S. Maria della Pace in Roma e la chiesa di S. Agostino di Città di Castello (1558), per poi approdare in Inghilterra, dove oggi è custodita (National Gallery, Londra); cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo secondo, pp. 327-337; in particolare p. 330-331. Ai tempi di Wackenroder i musei da lui visitati ospitavano diverse opere del Parmigianino, o a lui attribuite: cfr. HKA I, p. 356. 95 Il pittore Lippo Scannabecchi (1352 ca.-1410 circa) sviluppa uno stile pittorico, inizialmente influenzato dalla scuola tardogiottesca toscana, che si avvicina sostanzialmente ai canoni della pittura bolognese del Trecento. Al di fuori di due lunghi soggiorni a Pistoia, egli opera a Bologna, dove avvia una propria bottega, dedicandosi prevalentemente ad opere devozionali, come testimoniato dalle pitture e degli affreschi per la Basilica di San Petronio e dalla Madonna dell’Umiltà (1397), realizzata per la chiesa di S. Maria della Misericordia. Al di là di un rapido riferimento all’opera bolognese di Lippo, operata dal Vasari (cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo primo, pp. 159-160), la fonte principale da cui Wackenroder trae, quasi alla lettera, le sue informazioni è contenuta in C.C. Malvasia, Felsina pittrice, cit., Tomo primo, p. 26. Il Malvasia ricorda la fama goduta da Lippo come pittore di Madonne, per questa ragione chiamato “Lippo delle Madonne”, e il dipinto della Madonna custodito da Papa Gregorio XIII in camera sua. 96 Il pittore e miniaturista Guido di Pietro, detto Beato Angelico (1400 ca.-1455), entra attorno ai vent’anni nel convento dei domenicani riformati di S. Domenico di Fiesole, la cui vita era improntata alla povertà assoluta e all’ascetismo. Si forma dal punto di vista artistico entro la scuola di miniatori fiorente nel convento di S. Maria degli Angeli, mentre il suo stile pittorico s’impernia su colori accesi, una luce fortissima e l’attenzione per il dettaglio prezioso, inseriti entro uno spazio prospettico realistico pervaso da un’aura mistica. Tra le maggiori opere della prima fase artistica, sino al 1438 circa, si ricorda il Giudizio Universale (1431-1433 circa), l’Incoronazione della Vergine (1432 circa) e la Deposizione dalla Croce (1432-1434 circa). Le notizie di cui Wackenroder parla nelle Effusioni si riferiscono alla seconda fase artistica del Beato Angelico, evidenziando la valenza spirituale, emozionale ed edificante della creazione pittorica. Gli affreschi del convento di San Marco a Firenze (1438-1445) ne sono testimonianza. Inoltre, come ricorda anche il Vasari, il pontefice Eugenio IV (1383-1447),

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indotto dalla condotta pia ed esemplare dell’Angelico, gli offre attorno al 1446 la carica di arcivescovo di Firenze, allora vacante. L’Angelico declina l’offerta; cfr. Vasari, Vite, cit., Tomo primo, pp. 309 -320; in particolare p. 313 e p. 315. 97 Il pittore Spinello di Luca Spinelli, detto Spinello Aretino (1350 ca.-1410), viene qui ricordato nell’ambito dei suoi ultimi lavori nella natia Arezzo e in riferimento al frammentario affresco raffigurante la Caduta degli Angeli ribelli, realizzato per la Compagnia di Sant’Angelo (o S. Michele Arcangelo); cfr. Vasari: Vite, cit., Tomo primo, pp. 147-154; in particolare pp. 153-154. La straordinaria vita del musicista Joseph Berglinger. In due capitoli (Federica La Manna) 98 Il monaco affronta qui la narrazione delle vicende di Joseph Berglinger, modificando lo stile dei testi precedenti soprattutto dal punto di vista temporale. 99 Quella della danza dell’anima è un’immagine ricorrente in Wackenroder e se ne ritroverà un’applicazione esemplare nella Meravigliosa favola orientale di un santo nudo; cfr. Fantasie, p. 461. 100 Si fa riferimento a un tema centrale dell’esperienza estetica musicale di Berglinger e di tutta la Frühromantik, cioè quella dell’isolamento come condizione necessaria per il pieno godimento dell’esperienza artistica; cfr. C. Dahlhaus, Die Idee der absoluten Musik, München, DTV, 1978, p. 65. 101 In questa fase dell’esperienza di Berglinger abbiamo un primo incontro con la sfera musicale che induce il soggetto, come scrive Wackenroder, a vagare «di continuo tra gli oscuri labirinti di sensazioni poetiche», nonostante l’apparente elevazione cercata con l’ascolto della musica sacra. Ciò sembra indicare, come è stato notato, che Berglinger è più “allettato” che “redento” dalla musica, ancorché sacra, in quanto l’approccio che egli ha con quest’arte è di natura estetica, più che spirituale. Ciò incide inevitabilmente sul suo destino di artista. Cfr. R. Bussa, Wackenroder: l’autore, l’opera, l’estetica, Torino, Trauben, 2009, pp. 141-156. 102 Il re Davide, oltre a essere figura di riferimento nella tradizione cristiana ed ebraica, conserva, sin dal Medioevo, doti musicali come arpista e, più in generale, come artista. Davide è spesso raffigurato come danzante davanti all’Arca, come riportato dalla Bibbia (Libro dei Re, II, 6) e questo motivo diventa centrale anche in ambito musicale (cfr. W. Salmen, König David – Eine Symbolfigur in der Musik, Freiburg Schweiz, Universitätsverlag, 1995; König David – biblische Schlüsselfigur und europäische Leitgestalt, 19. Kolloquium (2000) der Schweizerischen Akademie der Geistes- und Sozialwissenschaften, Freiburg Schweiz, Universitätsverlag, 2003). Anche nel Settecento la danza di Davide è centrale negli scritti coreutici e musicali, come testimoniano ad esempio le pagine dedicate al re Davide da Johannes Pasch in Beschreibung wahrer Tanz-Kunst. Nebst einigen Anmerckungen über Herrn J.C.L.P.P. zu G.

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Bedencken gegen das Tantzen, Franckfurth, 1707, quelle di Forkel in Allgemeine Geschichte der Musik, Band 2, Leipzig, Schwickert, 1801, pp. 193-195 e quelle certamente note a Wackenroder, come confermato dal prestito della biblioteca di Gottinga nel 1794, di L. de Cahusac: “Des Herrn von Cahusac historische Abhandlung von der alten und neuen Tanzkunst”, presenti in F. Nicolai (Hg.), Sammlung vermischter Schriften zur Beförderung der schönen Wissenschaften und der freyen Künste, Band 1/1, Berlin, 1759, p. 207. 103 Il passaggio rimanda alla concezione dell’ispirazione artistica come illuminazione, così come viene esposta più diffusamente nelle Fantasie, ad esempio nel saggio La Chiesa di San Pietro; cfr. infra, pp. 413 e segg. 104 Alcuni commentatori mettono in correlazione questa esperienza fisica della musica con la religione dell’arte, interpretando in questo modo i primi godimenti artistici del Berglinger come un’esperienza estatica di iniziazione all’arte. L’esperienza dell’estasi di Berglinger avverrebbe quindi in tre fasi: quella dell’elevazione, delle visioni e della catarsi, e infine del rientro in se stesso. Cfr. A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit. p. 182 e segg. 105 Il 5 maggio del 1792 Wackenroder scriveva a Tieck, da Berlino, quanto segue: «Quando vado a sentire un concerto, rilevo che assaporo la musica in un duplice modo. Solo un tipo di godimento è quello autentico: consiste nel cogliere nel modo più attento i suoni e la loro progressione, poi nel completo abbandono dell’anima, in questa corrente trascinante di sensazioni, nella presa di distanza e nell’eliminazione di qualsiasi pensiero che possa interferire e di ogni impressione sensoriale estranea. Questo modo avaro di sorseggiare i suoni è legato a uno sforzo che non può essere sostenuto a lungo. Proprio per questo suppongo che si possa godere della musica con partecipazione vera per un’ora al massimo e che per questo concerti e opere liriche e operette superino la misura dell’effetto naturale. L’altro modo nel quale la musica mi diletta non consta di un vero godimento di questa, di un assorbimento passivo delle impressioni legate ai suoni, ma di una certa attività dello spirito, che viene sollecitata e mantenuta dalla musica. In questo caso non sento più l’emozione che domina nel pezzo, ma i miei pensieri e le mie fantasie sono, per così dire, rapiti sulle onde del canto e non di rado si perdono in distanti anfratti» (cfr. Carteggio, p. 621). Questa dichiarazione di Wackenroder è rivelatrice del fatto che intende il rapporto con la musica come completa dedizione e non come accompagnamento dei pensieri, che rischiano di tenere viva l’attenzione, contemporaneamente su situazioni vissute o emozioni aliene a quella estatico-musicale. Non è un caso che successivamente, nel testo, si dica che le note parevano “parole” a Berglinger, indicando che il suo abbandono era ancora imperfetto. 106 Il concetto di sinfonia, nei testi wackenroderiani, ma più in generale, nella concezione musicale settecentesca, sta a indicare le introduzioni strumentali dell’opera, dell’oratorio e della cantata. La sinfonia, soprattutto nell’ultimo scorcio di secolo, iniziò a sviluppare una propria autonomia rispetto alla successiva composizione e a suddividersi in quattro movimenti. Nel saggio La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale contenuto nelle Fantasie, Wackenroder de-

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scrive la sinfonia e il suo meraviglioso effetto sul cuore umano; cfr. infra, p. 495. 107 Il termine “sinfonia” (symphǀnía) indicava originariamente presso i Greci le consonanze; la consonanza perfetta era costituita, in particolare, dall’ottava. Il latino classico designava come “symphonici” i cori, nei quali si cantava in ottava. All’inizio del Seicento, soprattutto per merito del compositore e teorico musicale Vincenzo Galilei (1520-1591), si diffonde il suo utilizzo per indicare il preludio strumentale all’opera lirica, allora agli albori in Italia. Attraverso l’elaborazione di uno stile recitativo, in grado di cadenzare la parlata corrente e il canto, si giunge così al melodramma. Nel corso del primo Settecento la sinfonia inizia a designare un brano orchestrale di ampie proporzioni, suddiviso in tre (o più) movimenti, a loro volta articolati secondo procedimenti formali ben precisi. In questo contesto, le scuole di Vienna e di Mannheim introducono sistematicamente l’elemento del bitematismo; esso dinamizza la composizione musicale e sta alla base dello sviluppo della forma-sonata. 108 La pantomima è rappresentazione scenica muta, che si affida soltanto alle modulazioni del corpo e alla mimica facciale. Nata in epoca classica, fu poi rinnovata nei contenuti e nella forma dalla Commedia dell’Arte del XVI secolo e visse un momento di particolare fulgore proprio nel Settecento, quando si definì come forma danzata di commedia, contrapponendosi, in quanto genere essenzialmente popolare, al balletto di corte. Questa forma artistica, a metà fra la danza acrobatica e la Commedia dell’Arte, si sviluppò nel XVIII secolo dalla Francia, dove fu inserita con dignità nel discorso teorico sul teatro (Jean-Baptiste Dubos, Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture, 1719; Denis Diderot, Discours sur la poésie dramatique, 1758). Anche in Germania si distinse come forma artistica di particolare interesse, proprio nel dibattito della seconda metà del secolo che seguiva con fervore l’intreccio fra arti drammatiche, pittura e poesia. Inserita come voce all’interno del lavoro enciclopedico di Sulzer (Johann Georg Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, Leipzig, bey Weidemanns Erben, 1771-1774), la forma della pantomima viene decisamente nobilitata in sede drammatica da Engel (Johann Jakob Engel, Ideen zu einer Mimik, Berlin, Mylius, 1785-1786) e diventa «strumento di interpretazione teatrale che si offre più semplice ed accessibile alla comprensione del pubblico. La pantomima è l’espressione più pura del linguaggio del corpo e lavora soprattutto sullo sguardo e sul movimento delle braccia, che enfatizzando la passione, riducono l’azione alla dinamica dei rapporti affettivi tra gli attori» (cfr. E. Agazzi, Il corpo conteso. Rito e gestualità nella Germania del Settecento, Milano, Jaca Book, 2000, pp. 188-189). Sulla pantomima nel teatro tedesco del Settecento cfr. H. Eilert, “‘… allein durch die stumme Sprache der Gebärden’: Erscheinungsformen der Pantomime im 18. Jahrhundert”, in E. Fischer-Lichte und J. Schönert (Hg.), Theater im Kulturwandel des 18. Jahrhunderts. Inszenierungen und Wahrnehmung von Körper – Musik – Sprache, Göttingen, Wallstein, 1999, pp. 339-360 e più in generale sul teatro settecentesco E. Fischer-Lichte, Semiotik des Theaters. Eine Einführung. Bd. 2: Vom “künstlichen” zum “natürlichen”

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Zeichen. Theater des Barocks und der Aufklärung, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 1995, pp. 339-360. 109 “Un fiume che scorre mi deve servire come immagine”; cfr. Fantasie, p. 491. 110 Formalmente il termine “oratorio” si riferisce a una forma musicale drammatica, mentre lo “Stabat Mater” è una sequenza religiosa. Anche Wieland, però, si riferisce allo “Stabat Mater”, tradotto da lui in tedesco nel 1779 (Der Teutsche Merkur vom Jahr 1781, p. 98) come a un oratorio. Cfr. E. Hertrich, Joseph Berglinger. Eine Studie zu Wackenroders Musiker-Dichtung, Berlin, de Gruyter, 1969, p. 32. 111 Lo “Stabat Mater” è una sequenza poetica della liturgia cattolica risalente alla fine del XIII secolo, attribuita dai più a Jacopone da Todi. Il testo, ricco della sofferenza e del dolore umano di Maria, ha ispirato numerose versioni di altrettanti musicisti. Le principali composizioni sono di Josqui Despres (1440 ca.-1521), Giovanni Palestrina (1525 ca.-1594), Alessandro Scarlatti (1660-1725), Agostino Steffani (1654-1728), Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), Franz Joseph Haydn (1732-1809), Luigi Boccherini (1743-1805), Antonio Ferradini (1718-1779), Gioachino Rossini (1792-1868), Giuseppe Verdi (1813-1901), Antonin Dvorak (1841-1904). La composizione più geniale è rappresentata, nel XVIII secolo, dal lavoro di Pergolesi che, proprio in Germania, ispirò il dibattito letterario ed estetico-musicale, come dimostra prima di tutto la rielaborazione di J.S. Bach che adattò la musica di Pergolesi al testo luterano Tilge, Höchster, meine Sünden (cfr. F. Degrada, “Lo ‘stabat mater’ di Pergolesi e la parafrasi ‘Tilge, Höchster, meine Sünden’” di Johann Sebastian Bach, in Studi pergolesiani, 2, Firenze, La Nuova Italia, 1988, pp. 155-184). Il testo poetico fu recato in lingua tedesca nella versione più nota da Klopstock (F.G. Klopstock, Golgatha nach Pergolesens Composition des Stabat Mater, Libretto, 1767) e nella traduzione aderente all’originale latino a opera di Christoph Martin Wieland, che, nel breve saggio anteposto al testo, giustifica la traduzione proprio in forza dell’aderenza all’originale (C.M. Wieland, “Der alte Kirchengesang, Stabat Mater, zur bekannten Komposition des Pergolesi, in gleichartige Reimen übertragen”, in Der Teutsche Merkur, 1781, Bd. 1, pp. 97-106). Anche Lavater, nel più puro spirito protestante, (J.C. Lavater, “Nach dem lateinischen Stabat Mater des Pergolesi”, in Vermischte gereimte Gedichte vom Jahr 1766 bis 1785, Winterthur, Steiner, 1785) propose una versione in tedesco del testo di Pergolesi. Per un’ampia trattazione della ricezione di Pergolesi in Germania si confronti J. De Ruiter, “Wahre Kirchenmusik oder Heuchelei? Zur Rezeption des ‘Stabat Mater’ von Pergolesi in Deutschland bis 1820”, in Die Musikforschung, 43, 1, 1990, p. 1 e segg.; J. Heidrich, Protestantische Kirchenmusikanschauung in der zweiten Hälfte des 18. Jahrhunderts. Studien zur Ideengeschichte “wahrer” Kirchenmusik, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2001. Wackenroder subì il fascino dell’opera di Pergolesi, tanto che alcuni commentatori individuano nella sfortunata esistenza del compositore italiano uno dei modelli del Berglinger (Cfr. C. Albert, “Zwischen Enthusiasmus und Kunstgrammatik: Pergolesi als Modell für Wackenroders Berglinger-Erzählung” in Ton-Spra-

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che: Komponisten in der deutschen Literatur, hrsg. von G. Brandstetter, BernStuttgart-Wien, Haupt, 1995, pp. 5-27). Ma fra i protagonisti del panorama musicale del tempo non vi era affatto concordanza nel giudizio su Pergolesi. Forkel, uno dei docenti di Wackenroder a Gottinga, diede un giudizio molto pesante sullo “Stabat Mater” di Pergolesi, affermando che i veri conoscitori dell’arte musicale considerano l’opera molto brutta e manchevole e il pubblico già da anni sbadiglia (cfr. S. Arteaga, Geschichte der italienischen Oper von ihrem ersten Ursprung an bis auf gegenwärtige Zeiten. Aus dem Italienischen übersetzt und mit Anmerkungen begleitet von Johann Nicolaus Forkel, Bd. 2, Leipzig, Schwickert, 1789, p. 18, n. 2). Diversamente si espresse invece Reichardt (cfr. J.F. Reichardt, Musikalisches Kunstmagazin, Bd. 2, 1791, p. 122) e Heinse dedicò parecchie pagine all’autore, lodando in particolare proprio lo “Stabat Mater” (cfr. W. Heinse, Hildegard von Hohenthal (1795-1796), in Sämmtliche Schriften, Bd. 2, Leipzig, Graul, 1857, p. 166 e segg.). Nel testo si è mantenuta la versione di Wackenroder che ha variato il II verso della quarta strofa, discostandosi dalla soluzione ufficiale 112 Il Lied è una delle forme più importanti della storia musicale e letteraria tedesca. Rispetto alle altre forme di canzoni scritte per essere musicate, il Lied si differenzia per la forte attenzione e per il rilievo dato al testo letterario. Nella seconda metà del XVIII secolo il Lied ebbe una vera rinascita, soprattutto grazie all’opera di Johann Adam Hiller (1728-1804), compositore, direttore d’orchestra e fondatore della prima rivista musicale tedesca, le Wöchentliche Nachrichten und Anmerkungen, die Musik betreffend, Leipzig, 1766-1770, egli stesso autore di molte raccolte di Lieder. I testi di Goethe, Schiller, Klopstock furono fondamentali per la rivisitazione del genere e furono musicati da autori quali J.F. Reichardt e K.F. Zelter, gettando le basi per la fioritura eccezionale del genere nei decenni seguenti. Sul finire del secolo, con la diffusione dell’uso del solo pianoforte e voce, il Lied si appresta a diventare un genere musicale carico di espressione sentimentale. 113 Santa Cecilia è figura nota come protettrice della musica e dei musicisti ed è festeggiata il 22 novembre. Nella versione narrata nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, Cecilia è una giovane di nobile famiglia vissuta durante l’impero di Marco Aurelio che, fatto voto di castità, durante le nozze, indossando uno stretto cilicio sotto le ricche vesti, innalza un canto al Signore perché le conservi la verginità. La sua devozione converte lo sposo Valeriano al punto da spingerlo a seppellire pietosamente i corpi dei cristiani martirizzati in epoca di persecuzione. Per questo reato viene condannato al martirio insieme al fratello e alla sposa. Cecilia viene condannata a morte per soffocamento, ma immersa ripetutamente in acqua non smette di innalzare il suo canto a Dio. Il carnefice è così costretto a decapitarla. Viene menzionata tra i santi nel canone della messa fin dal 496 d.C. All’origine dell’associazione di strumenti musicali con l’immagine della santa ci sarebbe però un errore di interpretazione del testo latino, che nella Passio originale descrive Cecilia che canta a Dio dentro di sé, mentre risuona la musica festosa matrimoniale. Nella versione medievale, invece, per l’omissione di alcune parole, il senso della frase diventa tale per cui Cecilia intona

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canti al Signore accompagnandosi con l’organo. Hans Maier ha dimostrato come l’errore sia stato recepito in Germania nel XVIII secolo, in primo luogo attraverso gli scritti di Herder (H. Maier, “Cäcilia unter den Deutschen. Herder, Goethe, Wackenroder, Kleist”, in Kleist-Jahrbuch, 1994, pp. 67-82). Herder, che contribuì massimamente all’affermazione della Santa Cecilia nell’ambito della musica sacra in Germania, dedica un breve dialogo apparso nel 1781 sul Journal von Tiefurt alla questione: un devoto al culto della santa, reduce dall’ascolto dell’“Alexander’s Feast” di Händel a Londra, dialoga con uno scettico che gli rivela l’errore nella leggenda di Cecilia: «Cecilia è una cantante di questa orchestra celeste, e non è quella Cecilia terrena» (J.G. Herder, “Die heilige Cäcilia oder wie man zu Ruhm kommt. Ein Gespräch”, in Das Journal von Tiefurt, in Schriften der Goethe-Gesellschaft, hrsg. von B. Suphan, Bd. 7, Weimar, Georg Olms, 1892, pp. 297-301). Sempre alla figura di Cecilia Herder dedica qualche anno più tardi, nel 1793, un più ampio saggio nel quale si legge: «[…] questa volta noi consideriamo l’errore del monaco una grande fortuna. Egli ha creato una bella musa cristiana che è diventata famosa attraverso dipinti e canti e grazie a loro ha operato del bene sul cuore degli esseri umani» (J.G. Herder, Cäcilia, in Sämtliche Werke, hrsg. von B. Suphan, Bd. 16, Hildesheim, Georg Olms, 1967, pp. 253-272; qui p. 255). Nel 1794 fu pubblicato postumo dall’editore Unger il frammento Die neue Cecilia di Karl Philipp Moritz, che coinvolge questioni estetiche intorno alla figura femminile. Cfr. A. Košenina, “‘Schönheit der Natur und Kunst’ als Stimulianzen der Liebe. Die neue Cecilia im Kontext von Moritz’ Ästhetik”, in Karl Philipp Moritz in Berlin 1789-1793, hrsg. v. U. Tintemann und C. Wingertszahn, Laatzen-Hannover, Wehrhahn, 2005, pp. 101-118. 114 Compare qui per la prima volta il concetto di “simpatia” e di componente “simpatetica” della musica, che ritorna all’interno delle Fantasie (cfr. La singolare essenza interiore della musica, infra, p. 487). Come ha ben rilevato Hertrich (E. Hertrich, Joseph Berglinger, cit., p. 79 e segg.), il termine viene utilizzato con evidente frequenza nei testi di teoria musicale dalla seconda metà del XVIII secolo e trae la sua origine nel concetto platonico. C.F.D. Schubart, ad esempio, nelle sue Ideen zu einer Aesthetik der Tonkunst (I ed., 1806) attribuisce caratteristiche specifiche a ogni singola tonalità, sostenendo che il compito di un compositore sia quello di studiare con attenzione il carattere dei suoni scelti per affiancare solo quelli a essi simpatetici (cfr. C.F. D. Schubart, des Patrioten, gesammelte Schriften und Schicksale, 8 Bde, Bd. V, Stuttgart, Scheible, 1839, p. 385). 115 Nella lirica wackenroderiana dedicata a Cecilia, la figura della santa assume connotati molto diversi da quelli della tradizione cristiana e accenti differenti anche dall’interpretazione herderiana di “bellissima musa”. La Cecilia cantata da Wackenroder ha caratteristiche decisamente femminee e seducenti, il rapporto fra colui che canta e la santa è intimo e Cecilia appare come una figura al cui cospetto l’autore è stregato e rapito, una sorta di Loreley che incita il protagonista all’abbandono e al godimento pieno della musica. Tra i due si stabilisce quasi una sorta di patto diabolico, come hanno visto alcuni interpreti, che idealmente conduce fino alla figura di Adrian Le-

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verkühn. Cfr. B. Naumann, Musikalisches Ideen-Instrument. Das Musikalische in Poetik und Sprachtheorie der Frühromantik, Stuttgart-Weimar, Metzler, 1990, p. 41 e segg. 116 Questa lirica si rivolge ora direttamente a Cristo, ma mantiene il tono della precedente, rivolgendosi al figlio di Dio in un’accorata preghiera. Anche in questo caso, come ha ben rilevato Kertz-Welzel, la musica assume tratti ambivalenti, essendo sia arte celestiale, sia arte dalle caratteristiche sensuali e seducenti, che lascia sprofondare il protagonista in oscuri conflitti (cfr. A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit., p. 198 e segg.). 117 Relativamente alla componente razionalistica e matematica della musica, vissuta da Berglinger in maniera sostanzialmente negativa, va ricordato il probabile influsso dell’opera del musicista e compositore tedesco Johann Philipp Kirnberger (1721-1783): cfr. J.P. Kirnberger, Kunst des reinen Satzes in der Musik, 2 Bde, Berlin und Königsberg, Decker und Hartung, 1774-1779 (I ed. 1771). 118 Il concetto di “grammatica artistica”, come necessario insieme di regole e leggi, è inserito nell’ambito della retorica musicale del tempo. Anche Forkel ne parla nella sua storia musicale dal punto di vista teorico e rimanda, per ciò che concerne l’accezione più tecnica e pratica, al già citato testo di Kirnberger (J. N. Forkel, Allgemeine Geschichte, cit., Band 1, 1788, pp. 21-24). Centrale in questo passaggio è però il forte conflitto presente nel personaggio Berglinger fra, da un lato, una percezione della musica come puro godimento estetico, come esperienza percepibile solo con il sentimento e ricreabile soltanto con l’emozione e un sentimento puro e libero e, dall’altro quella della musica come sistema algebrico. Questo conflitto, che nelle Fantasie diventa ricca ambivalenza («Fra i singoli rapporti matematici delle note e le singole fibre del cuore umano si è manifestata un’inspiegabile simpatia», in La singolare essenza interiore della musica, pp. 486-487), costituisce qui l’essenza dolorosa di Berglinger. 119 Si sottolinea qui l’evento fisico dell’esperienza musicale per Berglinger, già presente dalle prime battute del suo intimo rapporto con la musica (cfr. N. Gess, Gewalt der Musik. Literatur und Musikkritik um 1800, Freiburg i. Br.-Berlin, Rombach Verlag, 2006, p. 132 e segg.). 120 Il testo rimanda a un doppio livello metaforico. Da una parte si allude al “triplice accordo” che sta alla base dell’armonia musicale (cfr. J.N. Forkel, Allgemeine Geschichte, cit., Band 1, p. 22). Dall’altra parte, in ossequio al carattere ultramondano della musica, l’argomentazione acquisisce un carattere metafisico che, con tutta evidenza, rimanda al “triplice accordo” tra Dio, Natura e Uomo. 121 A proposito della Passione di Pergolesi, cfr. infra, p. 340. 122 Il pittore e incisore Guido Reni (1575-1642) frequenta prima la bottega del pittore Denijs Calvaert, dove studia l’opera di Raffaello e si esercita realizzando copie delle incisioni di Dürer. Alla morte del padre nel 1594 entra nell’Accademia dei Carracci, per poi allontanarsene in contrasto con Ludovico Carracci. Ottenuto nel 1598 lo status di pittore indipendente, opera poi prevalentemente tra Bologna e Roma. Nella città eterna esegue attorno al 1601 nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere l’Incoronazione dei santi

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Cecilia e Valeriano, il Martirio di S. Cecilia e una copia dell’Estasi di santa Cecilia di Raffaello, dal titolo Santa Cecilia con quattro santi, ora conservata nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Reni si pone in competizione con la visione naturalistica della pittura del Caravaggio, sviluppando uno stile personale e idealizzante. Esso parte dal classicismo raffaellesco, opportunamente mediato dalla lezione dei Carracci, di Rubens e della scultura contemporanea, e si contraddistingue per la misura e simmetria delle composizioni e per il sapiente e prezioso impiego del colore. Sulla sfrenata passione di Reni per il gioco, si veda tra gli altri C.C. Malvasia, Felsina pittrice, cit., Tomo secondo, p. 36, pp. 45-48 e p. 57 e J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste in Deutschland, cit., zweyter Band, pp. 567-568. Ai tempi di Wackenroder, i musei da lui visitati ospitavano una serie di opere di Reni o a lui attribuite. Nell’agosto 1793, presso il castello Weissenstein di Pommersfelden, Wackenroder poté inoltre ammirare un Cimon (Cimone) attributo a Reni: cfr. HKA I, p. 366 e Resoconti Wackenroder, p. 1103. 123 La fonte da cui Wackenroder riprende il motivo della litigiosa moglie di Albrecht Dürer, Agnes Frey (1475-1539), è costituita da J. v. Sandrart, L’Academia Todesca della Architectura, cit., Band I, II. Theils, III. Buch, III. Capitel, p. 228.

FANTASIE SULL’ARTE PER AMICI DELL’ARTE

Introduzione, traduzione e note al testo di FEDERICA LA MANNA

FEDERICA LA MANNA

Il tormento dell’artista Berglinger e gli scritti sulla musica

I due capitoli con i quali si concludevano le Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte rompevano la linearità e la coerenza del discorso sviluppato fino a quel momento, sia nella forma della narrazione che nel contenuto del racconto, dedicandosi alla vicenda di un giovane musicista osservato nel corso della sua breve vita trascorsa in un’oscillazione continua fra Schwärmerei e Melancholie, fra esaltazione e melanconia. Anche in questo capitolo finale, le vicende del protagonista, che a differenza degli altri personaggi non si occupa di arti figurative, ma soltanto di musica,1 vengono narrate dal monaco, che descrive gli avvenimenti e soprattutto la vicenda interiore di Joseph Berglinger con commozione e partecipazione.2 Il giovane Joseph Berglinger scopre la propria devozione alla musica durante un viaggio presso un facoltoso parente nella residenza vescovile e avvia un proprio percorso musicale e artistico che lo condurrà a diventare direttore d’orchestra, dopo grandi difficoltà iniziali dovute alla conflittualità con il padre, che voleva che si dedicasse alla medicina. Nella lettera indirizzata al monaco che apre il secondo capitolo del testo, Berglinger svela le delusioni e il dolore scaturiti dalla constatazione del difficile rapporto che intrattiene sia con il pubblico, sia con i propri colleghi. Quella che il monaco definisce la «lotta tra il suo entusiasmo etereo e le miserie meschine di questa terra»3 si conclude tragicamente: dopo aver completato una composizione sulla Passione di Cristo, muore prematuramente, sfibrato nel corpo e nello spirito.

1 Nei capitoli delle Effusioni, dedicati totalmente all’arte figurativa del passato, compare in riferimento alla musica soltanto un unico punto nel saggio Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer: «A un certo punto Lutero sostiene infatti, in modo perentorio ed esplicito, che accanto alla teologia, tra tutte le scienze e le arti dello spirito umano, la musica occupa il primo posto»; cfr. Effusioni, p. 181. 2 Elmar Hertrich rimarca la particolare identificazione fra la figura del monaco e quella di Berglinger e il tono partecipe del biografo. Hertrich avvicina la vicenda di Berglinger a quella di Francesco Francia, sottolineandone il medesimo destino come “martiri dell’entusiasmo artistico”. Cfr. E. Hertrich, Joseph Berglinger. Eine Studie zu Wackenroders Musiker-Dichtung, Berlin, De Gruyter, 1969, pp. 18-22. 3 Cfr. Effusioni, p. 285.

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FANTASIE SULL’ARTE

Il testo si volge ora alla contemporaneità e ne caratterizza le ambivalenze e le tensioni facendo capo alla figura di Berglinger, personaggio che fin da piccolo «patisce il contrasto fra corpo e anima, fra norme esistenziali borghesi e libertà artistica, fra un quotidiano prosaico e un entusiasmo poetico».4 È proprio in queste ambivalenze che riposa la modernità del personaggio, nella sua lacerazione interiore che lo pone all’inizio di una fruttuosa tradizione di personaggi letterari che sfileranno fra XIX e XX secolo, dalla figura di Kreisler in E.T.A. Hoffmann passando per i protagonisti dei testi di Mörike e Grillparzer, fino a giungere al Doktor Faustus di Thomas Mann.5 La ricezione del testo relativo a Joseph Berglinger ha seguito un percorso parzialmente differente rispetto a quello delle Effusioni. Dalle prime recensioni coeve al testo, la vicenda del musicista non viene quasi mai presa in considerazione. Soltanto nella recensione entusiastica di Schlegel compare un accenno alla vicenda interiore e musicale del Berglinger: «Nell’animo del lettore si imprime in modo dolorosamente profondo la verità del fatto che l’autonomia di carattere sia un requisito ineludibile per essere artista, sia per poter superare con decisione le avversità della realtà cui non ci si può sempre sottrarre, sia per conservare la libertà di spirito, nonostante la dipendenza da molteplici fattori, evitando così di oscillare tra un’esaltazione eccessiva e una malata prostrazione».6 In generale, il testo di Joseph Berglinger comincia a essere oggetto di attente analisi intorno alla metà dell’Ottocento, nel momento in cui l’estetica musicale percepisce i cambiamenti e le modificazioni che si erano ormai affermati nella teoria e nella pratica musicali. Wackenroder era stato colui che precocemente aveva imposto con la propria opera un modo nuovo di concepire l’ascolto attivo 4 M. Bollacher, “Wilhelm Heinrich Wackenroder: ‘Herzensergießungen eines kunstliebenden Klosterbruders’ (1796/97)”, in Romane und Erzählungen der deutschen Romantik. Neue Interpretationen, hrsg. von P.M. Lützeler, Stuttgart, Reclam, 1981, pp. 34-57, pp. 51-52. 5 La bibliografia è naturalmente molto vasta; si citeranno qui solo i maggiori studi che hanno ripercorso le figure letterarie fra i due secoli: R. Benz, Die Welt der Dichter und die Musik, Düsseldorf, Diederich, 1949; J. Mittenzwei, Das Musikalische in der Literatur. Ein Überblick von Gottfried von Straßburg bis Brecht, Halle, Veb Verlag Sprache und Literatur, 1962; Beziehungszauber. Musik in der modernen Dichtung, hrsg. von C. Dahlhaus – N. Miller, München, Hanser, 1988; G. di Stefano, La vita come musica. Il mito romantico del musicista nella letteratura tedesca, Venezia, Marsilio, 1991. 6 A. W. Schlegel, in Allgemeine Literatur-Zeitung, 1797, 10 Februar, Nr. 46, pp. 361-366, p. 365; HKA, I, pp. 418-423, qui p. 422.

INTRODUZIONE DI FEDERICA LA MANNA

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della musica, che doveva coinvolgere tutto l’essere;7 aveva elogiato la musica strumentale, quando la musica doveva ancora piegarsi al volere della parola,8 e si era spinto a liberare la musica da tutti i vincoli concettuali, creandole un apposito linguaggio metaforico e dando vita al concetto ottocentesco di musica assoluta.9 Dalla seconda metà del XX secolo si sono poi intensificate le ricerche e le indagini sull’estetica musicale, sul testo di Joseph Berglinger e sui saggi contenuti all’interno delle Fantasie, creando in parte quella che Bollacher definisce una «divisione dell’autore in due persone»: da una parte il creatore del monaco e dei saggi sulle arti figurative del passato, dall’altra l’autore dei testi su e di Berglinger. Sempre secondo Bollacher, queste due polarità rappresenterebbero soltanto due 7

Il passaggio più significativo è quello del carteggio – già citato nell’Introduzione generale al presente volume –, nel quale Wackenroder descrive i due modi di ascoltare musica, uno nel quale la musica pretende e richiede totale dedizione e l’altro, più legato all’esecuzione, nel quale diventa attiva la facoltà dell’individuo: «Quando vado a sentire un concerto rilevo che assaporo la musica in un duplice modo. Solo un tipo di godimento è quello autentico: consiste nel cogliere nel modo più attento i suoni e la loro progressione, poi nel completo abbandono dell’anima, in questa corrente trascinante di sensazioni, nella presa di distanza e nell’eliminazione di qualsiasi pensiero che possa interferire e di ogni impressione sensoriale estranea. (…) L’altro modo nel quale la musica mi diletta non consta di un vero godimento di questa, di un assorbimento passivo delle impressioni legate ai toni, ma di una certa attività dello spirito, che viene sollecitata e mantenuta dalla musica. In questo caso non sento più l’emozione che domina nel pezzo, ma i miei pensieri e le mie fantasie sono, per così dire, rapiti sulle onde del canto e non di rado si perdono in distanti anfratti», cfr. lettera a Tieck del 5 maggio 1792, infra, p. 621. 8 Sarà Schopenhauer a rovesciare definitivamente il rapporto fra musica e parola e a esaltarla come linguaggio in grado di esprimere «l’in-sé di ogni fenomeno»: «La musica quindi è – guardata come espressione del mondo – un linguaggio in altissimo grado universale, che addirittura sta all’universalità dei concetti press’a poco come i concetti stanno alle singole cose. Ma la sua universalità non è punto quell’universalità vuota dell’astrazione, bensì ha tutt’altro carattere, ed è congiunta con una perenne, limpida determinatezza», A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Bari, Laterza, 2004, III, § 52, p. 291. 9 Si fa qui riferimento esplicito a uno dei testi più importanti degli ultimi decenni, quello di Carl Dahlhaus che teorizza il concetto di “musica assoluta” a partire dal Romanticismo, concetto che definisce l’autonomia estetica in primo luogo nella poesia e nella pittura per riverberarsi poi fruttuosamente nella musica. L’idea della musica assoluta consiste nel fatto che la musica strumentale non abbia un fine, non sia concettuale e non abbia un oggetto cui riferirsi. I testi di Wackenroder, sia le Effusioni che le Fantasie, costituirebbero proprio la base della teoria romantica che si consoliderà successivamente. Cfr. C. Dahlhaus, Die Idee der absoluten Musik, München, DTV, 1978.

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modalità differenti della soggettività del protagonista, nel primo caso rivolta al passato aureo dell’arte e nel secondo orientata a un presente prosaico.10 I due capitoli sul Berglinger11 non rappresentano soltanto un accesso privilegiato verso nuove forme di comprensione dell’estetica musicale romantica, che si dispiegherà da questo momento, ma sono soprattutto un fortunatissimo esempio letterario che, nell’apparente semplicità della vicenda narrata, nasconde elementi poetologici di immensa portata. Fra gli esempi letterari che Wackenroder con certezza conobbe è da indicare prima di tutto il testo dell’amico e mentore Johann Friedrich Reichardt, che nel 1779 aveva pubblicato un romanzo dal titolo Leben des berühmten Tonkünstlers Heinrich Wilhelm Gulden nachher gennant Guglielmo Enrico Fiorino (Vita dell’illustre compositore Heinrich Wilhelm Gulden in seguito chiamato Guglielmo Enrico Fiorino).12 Il romanzo non ottenne affatto il successo sperato; rimase incompiuto e venne poi parzialmente ripubblicato all’interno del Musikalisches Magazin (Rivista musicale), la rivista che Reichardt pubblicò in due volumi fra il 1782 e il 1791.13 Quest’opera, definita 10

M. Bollacher, Wackenroder und die Kunstauffassung der frühen Romantik, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1983, pp. 139-140. 11 Fra gli studi, pubblicati nel corso degli ultimi trent’anni, gran parte è proprio dedicata all’ambito musicale, considerato sia in una prospettiva estetica, sia letteraria. Barbara Naumann, osservando la questione da un punto di vista essenzialmente letterario, considera l’interesse di Wackenroder e Tieck, e in generale della Frühromantik, dettato dal fascino della musica, quale sistema universale e areferenziale che, analogamente alla matematica, possiede una progressività sistematica e infinita. Cfr. B. Naumann, “Musikalisches IdeenInstrument”. Das Musikalische in Poetik und Sprachtheorie der Frühromantik, Stuttgart, Metzler, 1990, p. 3. Lo studio di Alexandra Kertz-Welzel tocca poi uno degli aspetti più interessanti e cioè quello del rapporto fra musica e sentimento, considerando anche le variazioni e le modulazioni che questo concetto attraversa fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Si tratta, secondo l’autrice, di osservare il concetto di trascendenza a partire dai sentimenti nel passaggio da un pensiero razionale e immanente a uno volto verso l’infinito che caratterizza lo spirito romantico: «i sentimenti diventano un accesso possibile a questi mondi lontani, diventano un garante dell’immediatezza e della mistica, come li descrive Schleiermacher nei suoi discorsi sulla religione», cfr. A. KertzWelzel, Die Transzendenz der Gefühle. Beziehungen zwischen Musik und Gefühl bei Wackenroder / Tieck und die Musikästhetik der Romantik, St. Ingbert, Röhrig Universitätsverlag, 2001, p. 13. 12 Il romanzo, incompiuto, comparve a Berlino per i tipi di August Mylius nel 1779; venne poi ripubblicato a Lipsia nel 1967 con una postfazione a cura di Günter Hartung. 13 J.F. Reichardt, Hermenfried oder über die Künstlererziehung, in Musika-

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una sorta di Émile in nuce,14 narra la vita di Heinrich, sviluppata come una parodia dell’educazione sentimentale à la Rousseau. Il padre, rozzo e insensibile, sfrutta il talento musicale del figlio, costringendolo a suonare il violino in bettole, taverne e luoghi malfamati, facendolo crescere in compagnia di guitti e vagabondi. I ritmi innaturali della vita di Heinrich gli rendono sempre più difficile lo studio approfondito della musica, costringendolo a invischiarsi in modo crescente nelle sordide questioni di interesse che tanto sono care al padre. A lui si contrappone la figura di Hermenfried, giovane che è stato educato invece in modo completamente sentimentale. L’incontro fra i due, previsto nella seconda parte del romanzo, non vide mai la luce. Il romanzo di Reichardt da un lato recuperava consapevolmente una tradizione narrativa di argomento musicale che risaliva alla fine del secolo precedente,15 ma dall’altro, secondo alcuni commentatori, mostrava scarsa conoscenza dello strumento letterario.16 Certo è che nel programma di Reichardt, nell’idea alla base della vicenda di Gulden e di Hermenfried, è sottesa un’intenzione: quella di integrare la musica, che al tempo di Reichardt è degradata e vilipesa, nel programma culturale, nella discussione sui valori etici ed estetici alla base di una nuova società, come specifica Klaus Harro Hilzinger nel suo saggio dedicato all’autore.17 lisches Magazin, Erster Band, III Stück, pp. 105-117. In nota l’autore afferma: «Questo episodio tratto da un libro, Vita dell’illustre compositore Heinrich Wilhelm Gulden in seguito chiamato Guglielmo Enrico Fiorino, per il cui completamento provo avversione, mi era troppo caro per non riproporlo in questa occasione in una forma migliore e più completa». 14 C.F. Cramer, Magazin der Musik, Erster Jahrgang, 1783, p. 240. 15 Cfr. ad esempio i romanzi di Johann Kuhnau (1660-1722), Der musikalische Quacksalber / nicht alleine denen verständigen Liebhabern der Music / sondern auch allen anderen / welche in dieser Kunst keine sonderbahre Wissenschaft haben, Dresden 1700 e la trilogia di Wolfgang Caspar Printz (1641-1717), Musikus vexatus, oder Der wohlgeplagte / doch Nicht verzagte, sondern iederzeit lustige musicus instrumentalis, Freyberg 1690, Musicus magnanimus oder Pancalus, der großmüthige Musicant, in einer überhaus lustigen, anmuthigen und mit schönen Moralien gezierten Geschichte, Freyberg 1691 e Musicus curiosus, oder Battalus, der vorwitzige Musicant. In einer sehr lustigen, anmuthigen, unerdichteten und mit schönen Moralien durchspickten Geschichte, Freyberg 1691. 16 Cfr. A. Anglet, “Leben des berühmten Tonkünstlers Heinrich Wilhelm Gulden. Reichardts Roman ei5nes musikalischen ‚Wundertieres‘”, in Johann Friedrich Reichardt und die Literatur, hrsg. von W. Salmen, Hildesheim, Georg Olms Verlag, 2003. 17 K.H. Hilzinger, “Die Leiden der Kapellmeister. Der Beginn einer literarischen Reihe im 18. Jahrhundert”, in Euphorion. Zeitschrift für Literaturgeschichte, 78. Bd., 2. Heft, 1984, pp. 95-110.

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Anche il romanzo di Wilhelm Heinse Hildegard von Hohenthal 18 viene indicato come uno dei possibili modelli del saggio sulla vita di Joseph Berglinger. In questo caso il protagonista del romanzo ad argomento musicale è un giovane musicista, Lockmann. Il personaggio heinsiano, che dopo un soggiorno in Italia, si prefigge di scrivere un’opera su libretto di Metastasio, svolge attività di maestro di cappella in una città in Germania. Qui incontra la nobildonna Hildegard che, oltre a essere particolarmente avvenente, è anche una cantante sopraffina. La vicenda vede naturalmente Lockmann invaghito della giovane Hildegard, che però alla fine troverà in un lord inglese il coronamento dei suoi sogni sentimentali. A Lockmann, autore della fortunata musica che darà successo a Hildegard, non rimarrà che consolarsi con la bellissima e italianissima Eugenia. Il romanzo, evidentemente banale nella trama e nell’intreccio, costituisce però un documento sulle riflessioni e le digressioni musicali dell’autore e conserva materiale documentario sulla musica di particolare pregio storico.19 Diverso è il discorso relativo a Karl Philipp Moritz, il cui romanzo Anton Reiser è identificato da molti critici come uno dei modelli per la vicenda di Joseph Berglinger.20 Pur discostandosi nella figura e nella valutazione del protagonista, che nel caso di Moritz è il prototipo del dilettante e nel caso di Wackenroder è invece un musicista realizzato, molti sono i punti in comune secondo Schrimpf.21 La figura di Moritz svolge un ruolo decisivo nella biografia e nell’opera di Wackenroder; i primi contatti diretti fra i due risalgono al periodo fra il 1789 e il 1793, dopo il ritorno dal viaggio in Italia di Moritz e prima della partenza di Wackenroder alla volta di Erlangen.22 Come dimostra lo studio di Silvio Vietta, alle lezioni di Moritz, Wackenroder non apprende

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W. Heinse, Hildegard von Hohenthal, Berlin, Voss, 1795/96. Fra i modelli letterari ispiratori della vicenda del Berglinger, Hertrich segnala anche la biografia di Jung-Stilling, storia di un’anima di stampo tipicamente pietistico. Cfr. E. Hertrich, Joseph Berglinger. Eine Studie zu Wackenroders Musiker-Dichtung, cit., p. 38 e segg. 20 Cfr. H.J. Schrimpf, “W. H. Wackenroder und K. Ph. Moritz. Ein Beitrag zur frühromantischen Selbstkritik”, in Zeitschrift für deutsche Philologie, 83, 4, 1964, pp. 385-409; S. Vietta, “Wackenroder und Moritz”, in Athenäum, 6, 1996, pp. 91-107. 21 H.J. Schrimpf, “W. H. Wackenroder und K. Ph. Moritz”, cit., p. 402. 22 Dirk Kemper, nel suo prezioso studio, oltre a determinare i possibili periodi durante i quali Wackenroder e Moritz potrebbero essersi frequentati, elenca anche con rigore i programmi delle lezioni fino al 1793. Cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung. Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung, Stuttgart, Metzler, 1993, pp. 51-63. 19

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soltanto la posizione moritziana nei confronti dell’autonomia estetica del bello, premessa unanimemente riconosciuta come anticipazione della Frühromantik, ma riconosce come propria anche la definitiva e rivoluzionaria soppressione del concetto di “utilità” propria del tardo Illuminismo.23 Il testo sulla vita di Joseph Berglinger, narrato dalla figura del monaco,24 è diviso in due parti, ma in esso vengono narrati tre momenti differenti nella vita del protagonista: la giovinezza, caratterizzata dalla curiosità e da un interesse ingenuo per la musica, il periodo di intensa applicazione e di studio della musica e il periodo finale caratterizzato dalla professione di direttore d’orchestra e di compositore, fino alla malattia e alla morte del protagonista. Il giovane Joseph viene presentato sin dalle prime battute come animato da uno spirito che anela a qualcosa di sempre più elevato e che, dovendo crescere in una situazione familiare particolarmente disagiata e misera, cerca disperatamente di trovare una propria strada, similmente al seme cresciuto integro in mezzo alle rocce cui si accenna nel testo. Il primo vero contatto con la musica o, più precisamente, la prima vera esperienza estatica della musica, ha luogo durante la sua prima visita alla residenza vescovile. La descrizione dell’allontanamento dal rumore brulicante della folla e quella dell’effetto potente della musica sull’animo di Berglinger ha le caratteristiche di un’iniziazione, di un momento di estasi profondamente religiosa. Michael Neumann ha interpretato il percorso di Joseph Berglinger nella dimensione estatica della musica come un’esperienza di rinascita di derivazione pietistica: «Wackenroder traduce l’accadimento centrale della religiosità pietistica in una religione dell’arte (…). La rinascita del nuovo essere umano in Cristo diventa la riunione con l’oggetto d’arte».25 Alexandra Kertz-Welzel ha poi analizzato i primi due momenti dell’esperienza con la musica di Joseph come estasi religioso-estetica e ne ha differenziato le varie fasi: nella prima si ha una sorta di purificazione e di liberazione dall’elemento terreno, nella seconda c’è una concentrazione su di sé e una 23

Cfr. S. Vietta, “Wackenroder und Moritz”, cit., p. 101. Proprio sulla base dei commenti del monaco, in particolare nella parte conclusiva dei due capitoli, Silvio Vietta sottolinea la distanza del narratore da ciò che viene narrato, in particolare per ciò che concerne l’entusiasmo e l’eccessiva fantasia che aveva sempre guidato le azioni del Berglinger. Cfr. S. Vietta, Literarische Phantasie. Theorie und Geschichte. Barock und Aufklärung, Stuttgart, Metzler, 1986, p. 242. 25 Cfr. M. Neumann, Unterwegs zu den Inseln des Scheins. Kunstbegriff und literarische Form in der Romantik von Novalis bis Nietzsche, Frankfurt a/M, Vittorio Klostermann, 1991, p. 167. 24

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perdita di contatto con l’esterno che produce visioni e conseguente catarsi, la terza e ultima fase è quella del rientro nella quotidianità. E proprio in questo momento d’estasi si sarebbe verificata la chiamata e l’iniziazione di Berglinger all’arte.26 Da questo momento in poi si creerà nel protagonista il conflitto fra la sua visione dell’arte, con la conseguente decisione di abbandonarsi ad essa, e il mondo reale. Questo è rappresentato, nella prima parte, dal padre,27 aspramente contrario alle decisioni del figlio di intraprendere un’attività artistica, e nella seconda da un pubblico incapace di comprendere come la musica rappresenti la vita e la religione e non soltanto un mezzo di intrattenimento e di futile esposizione di sé. Già nel primo capitolo Berglinger recita i versi dello Stabat Mater, una sequenza poetica, musicata anche da Pergolesi, che proprio in questo periodo era assurta a grandissima popolarità, come dimostrano le numerose traduzioni e i riadattamenti; in primis quello di J.S. Bach.28 Il motivo della Passione, che apre e chiude la vicenda del Berglinger, ha suggerito a Claudia Albert un’interpretazione del testo che muove proprio dalla figura di Pergolesi, nella sua ricezione in ambito estetico-musicale in Germania nella seconda metà del XVIII secolo, e dalla triste vicenda della sua esistenza, avvicinata alla parabola discendente del personaggio wackenrodiano.29 Un altro elemento di forte interesse nel primo capitolo della vita di Joseph Berglinger è rappresentato dalla comparsa della figura altamente simbolica di Santa Cecilia, evocata all’interno della lirica che esibisce il dolore del protagonista e la sua profonda lacerazione interiore. La tradizione legata al culto della santa in ambito musicale era nata da un’errata interpretazione del testo medievale.30 Era stato per primo Herder a evidenziare le differenze nella tradizione del culto alla santa, che avevano fatto sì che essa diventasse una celebrazione della musica. La lirica wackenrodiana dedicata a Cecilia recepisce la tradizione legata al suo culto, ma la caratterizza con accenti diversi sia dall’interpretazione cristiana tradizionale, sia dalla figura che emerge dagli 26

Cfr. A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit., p. 184 e segg. I primi commentatori dell’opera di Wackenroder hanno spesso messo in evidenza il riferimento biografico al conflitto con il padre, Christoph Benjamin Wackenroder, in particolare Rudolph Köpke, il biografo di Tieck, e il Koldewey. 28 Cfr. Effusioni, p. 324, nota 111. 29 Cfr. C. Albert, “Zwischen Enthusiasmus und Kunstgrammatik: Pergolesi als Modell für Wackenroders Berglinger-Erzählung”, in Ton – Sprache. Komponisten in der deutschen Literatur, hrsg. von G. Brandtstetter Bern - Stuttgart - Wien, Haupt, 1995, pp. 5-27. 30 Cfr. Effusioni, p. 325, nota 113. 27

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scritti di Herder. La santa Cecilia evocata nel Berglinger è personaggio dalle forti valenze femminee, seducente e sensuale. Il rapporto fra colui che canta e la santa è intimo e Cecilia appare come una figura al cui cospetto l’autore è stregato e rapito, quasi fosse una sorta di Loreley31 che incita il protagonista all’abbandono e al godimento pieno della musica. Tra i due si stabilisce una specie di patto diabolico, come hanno visto alcuni interpreti, che idealmente conduce fino alla figura di Adrian Leverkühn.32 Sia la lirica dedicata alla santa che la lettera indirizzata al padre con cui si apre il secondo capitolo della vita di Joseph Berglinger hanno la funzione di lasciare direttamente la parola al protagonista del testo, perché possa esplicitarsi con maggior forza il nucleo dei suoi tormenti, il suo rapporto con la musica, con il pubblico, con i musicisti e con una società di corte caratterizzata da vacuità e superficialità. La descrizione della sua ascesa a direttore d’orchestra disvela tutte le ambivalenze sia nel suo rapporto con la musica, potenziato dalla fantasia che lo mette al riparo dalle carenze e dai limiti del reale, sia nel rapporto con il mondo circostante, limitato e vacuo, che è però il mondo della responsabilità sociale. Ma è proprio in questa frattura lacerante del soggetto che trova spazio una nuova concezione di musica, non più legata al concetto di Nützlichkeit, di utilità tardo-illuministica e pietistica, ma piuttosto a quella, che verrà poi sviluppata pienamente nei saggi delle Fantasie, di musica autonoma, libera e, per dirla con Dahlhaus, assoluta. * * * Le Fantasie sull’arte per amici dell’arte, già preannunciato nell’introduzione alle Effusioni come un secondo capitolo, fu pubblicato dall’editore Perthes ad Amburgo nel 1799, quasi a un anno di distanza dalla morte di Wackenroder, sopravvenuta il 13 febbraio dell’anno precedente per una febbre tifoide. Si può forse presumere che Tieck avesse dato alle stampe il testo già sul finire del 1798, dal momento che la prima recensione all’opera fu pubblicata nelle Göttingischen Anzeigen von gelehrten Sachen nel numero di gennaio.33 31 Cfr. H. Maier, “Cäcilia unter den Deutschen. Herder, Goethe, Wackenroder, Kleist”, in Kleist-Jahrbuch, Stuttgart Weimar, Metzler, 1994, pp. 67-82, qui p. 79. 32 Cfr. B. Naumann, “Musikalisches Ideen-Instrument”. Das Musikalische in Poetik und Sprachtheorie der Frühromantik, cit., p. 41 e segg. 33 Christian Gottlob Heyne, Göttingischen Anzeigen von gelehrten Sachen 1799, 12. Januar, 7 Stück, pp. 69-72.

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L’opera, come sottolinea Tieck nell’introduzione, è costituita da saggi di Wackenroder e da alcuni testi aggiunti da Tieck stesso. Sebbene l’autore, nell’introduzione, avesse indicato con chiarezza quali fossero i testi da attribuirsi a Wackenroder e quali fossero i propri, alcuni critici hanno in seguito discusso sulla paternità di alcuni scritti, presenti in particolar modo nella seconda parte, che sono stati all’origine di confusione e dubbi, sottolineando però conclusivamente il riuscito esperimento del symphilosophieren della Frühromantik.34 Il lavoro filologico di Silvio Vietta e Richard Littlejohns ha raggiunto risultati condivisi nel dibattito sulle attribuzioni e ha fornito risposte inequivocabili per ciò che riguarda i singoli saggi, ma ha lasciato ancora insoluti i quesiti relativi alle liriche, la maggior parte delle quali sono state ripubblicate da Tieck nell’edizione del 1821. L’introduzione all’edizione del 1799 fornisce qualche indizio, seppur vago, sul periodo di composizione dei saggi contenuti nelle Fantasie. I testi di Wackenroder, posto che la sua malattia cominciò a rendersi evidente nella seconda metà del 1797,35 sono da collocarsi molto probabilmente nella prima metà dell’anno, anche se, dal punto di vista tematico e contenutistico, recuperano materiale di interesse musicale già presente nel suo orizzonte di pensiero. L’autore, infatti, si dedicò alla musica molto presto, come testimoniato anche dal carteggio e in particolare dalla lettera del 1 maggio 1792. Risulta anche dall’introduzione alle Fantasie che Wackenroder si era appassionato, anche se con scarsi risultati, alla composizione musicale. In particolare Tieck cita una cantata fra i componimenti wackenrodiani, andata però perduta. Nell’edizione delle Fantasie del 1814,36 34

Fra tutti, il caso sicuramente più dibattuto è quello relativo al testo Una lettera di Joseph Berglinger. Esso fu attribuito dai primi commentatori, fra tutti il Koldewey, a Tieck, in ragione dello spirito che lo caratterizza, denso com’è di quesiti laceranti e di una disperazione che mal si accorda con l’immagine dell’artista delicato e sognatore che si era imposta in relazione a Wackenroder già nell’opinione del biografo di Tieck, Köpke. Nonostante alcuni casi isolati di commentatori ancora dubbiosi, il saggio di Richard Alewyn ha messo fine alla confusione circa le attribuzioni e soprattutto ha fugato l’immagine stereotipica che a lungo si è attribuita a Wackenroder. (Cfr. R. Alewyn, “Wackenroders Anteil”, in The Germanic Review, XIX, 1944, pp. 48-58). 35 Pochi i riferimenti concreti. Si confronti ad esempio Friedrich Schlegel (Die Periode des Athenäums. Kritische Friedrich-Schlegel Ausgabe, Bd. 24, Padeborn, Schönigh, 1985, p. 89) quando parla della malattia melanconica di Wackenroder. 36 Phantasien über die Kunst, von einem kunstliebenden Klosterbruder, herausgegeben von L. Tieck, Berlin, in der Realschulbuchhandlung, 1814. Martin Bollacher caratterizza il carattere di questa seconda edizione come compilatorio

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Tieck si spinge anche a caratterizzare la personalità di Wackenroder, a indicarne desideri e aspirazioni e a delinearne meglio la biografia. Ricorda qui i passaggi fondamentali della sua esistenza, dallo studio a Erlangen del 1793 ai viaggi a Bamberga e in Franconia, lo studio a Gottinga e gli insegnamenti di Fiorillo, le collezioni di Kassel e di Pommersfelden, lo studio dell’arte e della musica sotto la direzione di Fasch a Berlino. L’intenzione di Tieck, quindi, sottolinea come gli amici dell’arte dovrebbero accogliere questi saggi «come tentativi compiuti da uno spirito nobile ed entusiastico» che si è spento troppo presto, molto prima di poter realizzare il sogno di viaggiare in Italia. La biografia culturale di Wackenroder, «il vero, seppur invisibile, spirito animatore del romanticismo di Jena, che si costituì un anno dopo la sua morte»,37 è la storia estetica del pensiero settecentesco non soltanto per i testi di riferimento e per le vicende che concernono l’autore, ma soprattutto per il quadro ricchissimo che deriva dal denso e prezioso carteggio con Tieck, nel quale compaiono anche i nomi delle personalità fondamentali per il suo percorso musicale. La formazione di Wackenroder in ambito musicale fu ampia ed entusiastica ed è testimoniata in primo luogo dal carteggio degli anni fra il 1792 e il 1793, dal quale traspare la volontà e il forte interesse nel crearsi solide basi musicali. Ancora prima di dedicarsi allo studio della storia dell’arte a Gottinga, Wackenroder si era occupato di musica e aveva compiuto la propria formazione in pianoforte da Christian Friedrich Carl Fasch (1736-1800). Fasch compositore, clavicembalista e insegnante, iniziò con il padre, allievo di Bach. Nel 1756 divenne clavicembalista di Federico II di Prussia, che accompagnava nei suoi concerti per flauto. Particolarmente interessato all’uso del coro nell’ambito della musica sacra, che, secondo lui, restituiva l’autentico senso religioso all’arte musicale, divenne famoso anche per la sua messa a sedici voci, scritta su suggerimento di Johann Friedrich Reichardt, che nel 1783 dall’Italia gli aveva procurato una messa di Orazio Benevoli (1605-1672). Fasch è noto per aver fondato nel 1791 a Berlino la Singakademie zu Berlin, successivamente diretta dal suo allievo Carl Friedrich Zelter (1758-1832), intimo amico di Goethe. Certamente Johann Friedrich Reichardt (1752-1814) è la figura centrale nel percorso musicale sia di Wackenroder che di Tieck ed è uno dei nomi più citati all’interno del carteggio, rappresentando quasi a partire dal titolo che sottolinea la vicinanza con le Effusioni. Cfr. M. Bollacher, Wackenroder und die Kunstauffassung der frühen Romantik, cit., p. 22. 37 L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, Torino, Boringhieri, 1978, parte II, p. 750.

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il mentore dei due giovani.38 Originario di Königsberg come Hamann e Herder, altri due nomi centrali nel panorama culturale settecentesco e fondamentali anche nella formazione di Wackenroder, nel 1775, ancora in giovane età, Reichardt viene nominato maestro di cappella di corte di Federico II. Personaggio singolare e polo d’attrazione per tutta una generazione di musicisti e teorici della musica fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento Reichardt, dopo aver svolto l’attività musicale per due anni come Kapellmeister, intraprende numerosi viaggi in Europa, a Vienna, Londra, Parigi e in Italia. Durante il viaggio in Italia del 1783, scopre la musica sacra italiana, apprezzando Benevoli, Monteverdi e soprattutto Palestrina, di cui sarà uno dei principali promotori in Germania.39 Sono questi gli anni in cui compone Lieder e romanze su testi di Klopstock, Goethe e Schiller e intrattiene stretti rapporti con la cerchia intellettuale costituita da Herder, Nicolai, Schiller e Lavater.40 Durante i viaggi in Francia, Reichardt si entusiasma alle idee rivoluzionarie e dopo la pubblicazione dei suoi Vertraute Briefe (Lettere confidenziali) del 1792 viene considerato un simpatizzante della Rivoluzione francese e licenziato da Federico Guglielmo II senza sussidio.41 Da allora si stabilisce a Halle, nella zona del Burg Giebichenstein dove, dal 1796, diviene direttore delle Saline. La tenuta di Giebichenstein si trasforma rapidamente in un luogo d’attrazione e di incontri fra letterati e musicisti del tempo e fra questi, oltre a Wackenroder e Tieck, anche Novalis, Brentano, Jean Paul e Hoffmann. Molta della popolarità di Reichardt si deve alla sua attività letteraria in ambito musicale. I testi presentati nel Musikalisches Magazin possono indubbiamente aver fornito modelli di riferimento per le Fantasie. Pubblicata fra il 1782 e il 1791 in due volumi,42 la rivista 38 Wackenroder e Tieck conobbero Reichardt attraverso il figliastro Gustav Wilhelm Hensler, che nel 1786 era diventato compagno di banco di Tieck al Friedrich Werdersches Gymnasium. 39 Per la fortuna di Palestrina in Germania, importante anche per la figura del Berglinger nelle Effusioni, cfr. W. Keil, “Die Entdeckung Palestrinas in der Romantik”, in Romantik und Renaissance, hrsg. von S. Vietta, cit., pp. 241-252. 40 I rapporti con Lavater e la fisiognomica produssero una serie di articoli dedicati alla “fisiognomica vocale” e non da ultimo un testo su Lavater, cfr. J.F. Reichardt, Schreiben an den Grafen von Mirabeau Lavater betreffend, Berlin, 1786. 41 J. F. Reichardt, Vertraute Briefe über Frankreich, Berlin, 1792. 42 Della rivista fu pubblicato un primo volume nel 1782, suddiviso in quattro parti; nel 1791 furono pubblicate altre quattro parti. Lo stile decisamente nuovo della rivista permetteva la lettura a un pubblico più ampio. Lo scritto iniziale di Reichardt, An jünge Künstler (Ai giovani artisti), rappresenta una sorta di testo programmatico nel quale la musica viene definita come la più nobile fra le arti perché di origine divina e che necessita di un impegno costante e quasi sacro. Il giovane artista

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spaziava fra argomenti musicali di vario genere e si avvalse della collaborazione di molti autori, fra i quali anche Herder. Ricostruendo le vicende di quel tempo, fra gli autori che di sicuro influenzarono Wackenroder nel suo approccio alla riflessione musicale, oltre ai già citati Reichardt e Fasch, è da nominare Johann Nikolaus Forkel (1749-1818), che aveva tenuto corsi musicologici all’università di Gottinga dal 1772 e che divenne particolarmente noto per la sua monumentale opera sulla storia della musica, la Allgemeine Geschichte der Musik, pubblicata a Lipsia nel 1788. Quest’opera fu presa in prestito da Wackenroder alla biblioteca di Gottinga nel 1794 insieme a un altro testo centrale per la nuova definizione della musica, Die Kunst des reinen Satzes di Johann Philipp Kirnberger.43 La ricerca in ambito musicale proseguì forse ancora più alacremente dopo il rientro a Berlino, se, come riferisce Köpke,44 il suo percorso si avvalse anche degli insegnamenti di Zelter.45 Proprio in questi anni, grazie a Reichardt, alla storia musicale di Kirnberger e alle teorie musicali di Wackenroder e di Tieck, si stava realizzando, nell’ambito della teoria musicale in Germania, un sensibile mutamento di gusto. L’idea che la musica, e in particolare la musica strumentale, sarebbe divenuta a breve il modello più puro d’arte, l’unica in grado di rivelare « il paese della fede, dove tutti i nostri dubbi e tutte le nostre sofferenze si perdono in un mare di suoni»,46 era ancora un’idea estremamente contrastata. Fino a quel momento la musica si organizzava, secondo la definizione platonica, in rapporti predefiniti che decide di dedicarvisi deve essere consapevole dell’importanza e del valore di quest’arte, che è la più nobile e in grado di trasportare chi ne fruisce in una dimensione diversa da quella reale. Per un’ampia trattazione di Reichardt, cfr. C. Dahlhaus / N. Miller, “Einleitung: Johann Friedrich Reichardt und die preußische Anfänge der Romantik”, in Id., Europäische Romantik in der Musik. Von E.T.A. Hoffmann zu Richard Wagner 1800-1850, 2 Bde, Stuttgart, Metzler, 2007, Bd. 1, pp. 3-54. 43 Johann Philipp Kirnberger (1721-1783), Die Kunst des reinen Satzes in der Musik, 2 Bde, Berlin und Königsberg, Decker und Hartung, 1774-1779 (I ed. 1771). Consulente musicale di Johann Georg Sulzer, Kirnberger viene considerato in particolare per le teorie dell’armonia. 44 R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, Leipzig, Brockhaus, 1855, 2 Theile, cit., erster Teil, p. 222. 45 Carl Friedrich Zelter (1758-1832) fu compositore e direttore d’orchestra e dal 1800 direttore della Singakademie di Berlino. Amico di Goethe, con il quale scambiò un fitto e interessante carteggio, fu una delle personalità più rappresentative in ambito musicale dell’Ottocento, anche per la composizione di numerosi Lieder, molti dei quali proprio su testi goethiani. 46 Cfr. Fantasie, p. 465.

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di armonia, ritmo e parola. A partire dalla fase romantica, invece, si manifesta, come sostiene Carl Dahlhaus, l’idea della “musica assoluta”, sciolta e liberata dai vincoli della parola, che non è più in grado né di affiancarla, né di descriverla.47 Nella Tonkunst si realizzano perciò, nel corso della fine del secolo, il superamento e la modificazione di quella teoria degli affetti48 secondo la quale la musica rappresentava, fra le arti, un linguaggio conforme a quello delle altre, o persino solo funzionale rispetto a quello poetico. Come la poesia, essa possedeva una propria retorica, anche se molto più primitiva ed essenziale, e a ogni suo aspetto corrispondeva un idoneo mezzo espressivo musicale.49 Le categorie musicali venivano affiancate dalla poesia, la quale era in grado di amplificare la gamma di affetti ed emozioni che la musica non riusciva a coprire, come si vede nel caso del melodramma. Con lo svilupparsi della musica strumentale e l’affrancarsi d’essa dalla poesia, si ottiene, a partire dagli ultimi decenni del Settecento, una decisa autonomia della prima rispetto alla seconda, evidenziando «un linguaggio sintatticamente complesso e non preso a prestito da altri linguaggi».50 Nella già citata recensione comparsa sulle Göttingische Anzeigen del gennaio 1799, Heyne51 mette in relazione le Fantasie con le Effusioni, considerandole una sorta di continuazione del testo del “monaco amante dell’arte”, in quanto contraddistinte dalla medesima mescolanza di entusiasmo artistico e senso religioso. I meriti sottolineati dal recensore sono quelli di aver saputo creare un mondo a sé e addirittura un soggetto nuovo in grado di ridefinire se stesso e la realtà circostante, di avere altresì unito purezza e semplicità del cuore, dolcezza e arrendevolezza religiosa e di aver creato in questo modo ciò che viene definito un «dolce fanatismo», in grado di trasportare anche il lettore in un mondo completamente trasfigurato. Fra le pri47 Cfr. C. Dahlhaus, Die Idee der absoluten Musik, cit., e Dahlhaus / N. Miller, “Die Klassik als Präromantik. Aspekte eines musikästhetischen Paradigmenwechsels”, in Id., Europäische Romantik in der Musik. Von E.T.A. Hoffmann zu Richard Wagner 1800-1850, cit., Bd. 1, pp. 33-56. 48 Per una chiara definizione della teoria degli affetti in musica e dei suoi rapporti con la retorica, cfr. K.H. Wörner, Geschichte der Musik, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1993. 49 Cfr. E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, Torino, Einaudi, 20014, p. 102 e segg. 50 Ibid., p. 103. 51 Christian Gottlob Heyne (1729-1812), filologo, originario di Chemnitz, dal 1763 fu chiamato a Gottinga per la cattedra di poesia e divenne poi bibliotecario e redattore della rivista.

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me recensioni è anche da citare quella apparsa nelle Neue Würzburger gelehrte Anzeigen. Il recensore, dopo aver indicato i temi e i motivi che caratterizzano i saggi sulla pittura e sulla musica, evidenzia le peculiarità linguistiche dell’opera. Lo stile delle Fantasie è «ricco di fantasia, denso e artificioso»,52 corpose e creative sono le numerose immagini utilizzate e quasi ogni frase contiene una metafora o una similitudine, mettendo in tal modo in luce una delle caratteristiche distintive rispetto alle Effusioni. La struttura delle Fantasie, infatti, differisce sostanzialmente da quella delle Effusioni. Se nella prima opera, sia grazie alla cornice che ai temi affrontati, era percepibile l’unità del testo, le Fantasie sfuggono a tale uniformità e mostrano saggi diversissimi fra loro. Le Fantasie hanno subìto uno strano destino. Da una parte sono state oggetto di ampie e approfondite analisi, quasi esclusivamente per i testi che ruotano attorno alla musica e rappresentano il corpus degli scritti di Joseph Berglinger che, di fatto, costituiscono la seconda parte dell’opera. La prima parte non è stata in generale oggetto di ricerche approfondite. Solo il Koldewey,53 nel 1904, ha preso in considerazione questi testi, relegandoli però in un capitolo dedicato all’influsso di Wackenroder su Tieck. I dieci testi che compongono la prima parte hanno un carattere fortemente disomogeneo. Essi mostrano, però, se presi singolarmente, elementi rilevanti per un’analisi più approfondita del portato della Frühromantik e mettono soprattutto in luce una prospettiva sociale e “politica” che risulta alquanto più sbiadita nelle parti relative alla musica. La disomogeneità di questi testi diventa tuttavia il loro punto di forza, così che, aprendosi a varie prospettive, le Fantasie assumono un carattere mosso e dinamico. Se la seconda parte contiene in sé omogeneità di temi e suggestioni, la prima è sostanzialmente una sorta di continuazione delle Effusioni. Non a caso inizia proprio con un testo che recupera la figura di Albrecht Dürer, concentrandosi, però, più sulla figura dell’uomo che dell’artista. La Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi, intessuta di riferimenti biblici e legata a un’immagine idealizzata della società rinascimentale, sottolinea come il genio artistico sia strettamente connesso alla grandezza etico-morale dell’individuo. Il testo, ricco di metafore tratte dalla quotidianità e dall’ambito lavorativo, mostra secondo alcuni una risoluta critica della società contempo52

Neue Würzburger gelehrte Anzeigen, 1, Nr. 76, 5. Oktober, 1799, pp. 717-

718. 53

P. Koldewey, Wackenroder und sein Einfluß auf Tieck, cit.

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ranea, ormai assoggettata alle nuove condizioni produttive; diventa perciò evidente la spersonalizzazione dell’individuo e la rottura del rapporto naturale e religioso dell’essere umano con il concetto di esistenza.54 Il rapporto intimo fra essere umano e artista viene poi ampliato e approfondito nella novella attribuita a Tieck, Eine Erzählung, aus einem italienischen Buche übersetzt (Un racconto tradotto da un libro italiano). Qui si discute nella forma di una fiaba morale il delicato rapporto fra l’artista e la propria opera d’arte e la questione del suo possesso, polarizzata tra il legittimo diritto di chi l’ha creata a considerarla sua e quello del collezionista che la possiede in forza di un acquisto. All’arte figurativa, nell’accezione di un rapporto con la cultura vasariana e con quella dei Salons di Diderot, sono poi dedicati tre testi: il primo sul Giudizio Universale di Michelangelo, redatto da Tieck, il secondo consistente nella descrizione elogiativa della magnificenza della Chiesa di San Pietro da parte di Wackenroder, e infine un saggio di Tieck che si propone la difesa e il tentativo di riabilitazione del Rococò francese di Antoine Watteau, il quale subiva dalla fine del secolo un evidente declino di popolarità per il cambiamento di gusto che si stava imponendo. Dopo un breve saggio sulle figure infantili nell’opera di Raffaello, Tieck inserisce in questa prima parte tre densi saggi che anticipano il registro teorico della seconda: si tratta di Ein Paar Worte über Billigkeit, Mäßigkeit und Toleranz (Un paio di parole sulla giustizia, sulla misura e sulla tolleranza), di Die Farben (I colori) e di Die Ewigkeit der Kunst (L’eternità dell’arte). «Gli uomini sono soltanto le porte attraverso le quali le forze divine, a partire dalla creazione del mondo, sono giunte sulla terra e si rendono visibili a noi nella religione e nell’arte duratura»,55 si dice nel saggio su San Pietro e questo è il filo rosso che attraversa i testi, l’assioma poetico che muove dal concetto di creazione infinita e trascendente a partire dal suo essere finito e immanente. Il movimento, caratteristico per tutti i testi delle Fantasie, ed esemplificato in modo perfetto nella “fiaba del santo nudo”, è quello ascensionale e verticale; il divino dell’essere umano ritorna al divino universale in virtù dell’opera d’arte. Una sorta di circolarità creatrice e intimamente religiosa 54 Cfr. Zur Modernität der Romantik, hrsg. von D. Bänsch, Stuttgart, Metzler, 1977; B. Schubert, Der Künstler als Handwerker. Zur Literaturgeschichte einer romantischen Utopie, Königstein, Athenäum, 1983; T.E. Schmidt, Die Geschichtlichkeit des frühromantischen Romans, Tübingen, Niemeyer, 1989. 55 Cfr. Fantasie, p. 415.

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che attraversa non solo l’essere umano, ma anche tutta la natura e le cose nelle quali ci si trova immersi. Sono proprio i testi di Tieck a fare da eco al pensiero di Wackenroder, come lui stesso dice nella lettera dell’11 maggio 1792, riferendosi al concetto di sublime: «Longino dice che per poter far cose importanti bisogna avere un’anima grande e sublime; da parte mia vorrei andare oltre e supporre che sia necessario anche un grande spirito per cogliere ciò che è grande e sublime; come ti potresti spiegare altrimenti che il piacevole e il commovente influenzi un numero infinitamente più grande di nature, di quanto non succeda per il grande e il sublime? Molti non comprendono per niente o non condividono questo punto di vista».56 Tieck si concentra sul concetto di entusiasmo che, lungi dall’essere forma deprecabile di Schwärmerei, di fanatismo, diventa invece il momento di riconoscimento del bello nell’arte. Nell’ultimo dei tre saggi di Tieck di questa prima parte, L’eternità dell’arte, egli riflette sul concetto di tempo e di eternità riferibile all’opera d’arte. Afferma che, nella contrapposizione fra l’eternità e la caducità della singola emozione generata dall’arte, sia sottovalutato il perdurare della scintilla creativa che, pur concentrata in un istante, produce effetti e conseguenze per tutti i tempi a venire. Lo stesso concetto di eternità non può e non deve contemplare solo l’immensità del futuro, ma comprendere in sé anche ciò che si riferisce al vertiginoso passato. Come nel campo di grano l’essere umano riconosce la potenza originaria del seme, allo stesso modo nell’opera d’arte è riconoscibile il divino che l’ha generato attraverso l’uomo. L’arte conserva in se stessa l’idea di eternità che si sottrae però al concetto di tempo, che è e rimane completamente umano. L’idea del tempo, e di conseguenza quella della caducità e dell’oblio, è solamente umana; l’arte, che ha in sé il germe del divino, riesce quindi a sottrarsi a una simile gabbia temporale. Con le Fantasie di Wackenroder si inaugura il Romanticismo della musica e della sua teoria; quest’opera rappresenta il punto di arrivo di teorie estetiche e musicali che avevano attraversato il Settecento da Rameau a Rousseau, per arrivare a Herder e, appunto a Wackenroder, e ancor di più si pone come punto di partenza dell’applicazione di nuove categorie estetico-musicali, che si svilupperanno poi nell’era classica della musica ottocentesca e che troveranno in Schopenhauer il suo vero cultore.57 56

Cfr. Carteggio, p. 615. Per un’approfondita analisi del periodo estetico e musicale, cfr. Die Wende von der Aufklärung zur Romantik 1760-1820. Band: Epoche im Überblick, hrsg. von H. A. Glaser / G. M. Vajda, Amsterdam/Philadelpia, John Benjamins Publishing Company, 2001. 57

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La musica supera il concetto di arte di intrattenimento, tradizionalmente subordinata alla poesia, per giungere a connotarsi come un’arte “asemantica”58 non più descrittiva o mimetica, ma in grado, invece, di cogliere scampoli di realtà molto più profondi e reali. Questo percorso settecentesco attraversa il pensiero di Rousseau per arrivare a Herder, che affermava che musica e poesia condividono la medesima origine, perché entrambe rappresentano l’espressione dell’anima e delle emozioni umane. Herder, con rigore e chiarezza, individuava nella musica il primo balbettio umano, la prima invenzione che nella genuina fusione di musica e parole scopriva l’universo interiore e iniziava a dare un nome alle sensazioni e alle emozioni.59 I brevi saggi sulla musica di Joseph Berglinger, contenuti all’interno delle Fantasie, per molti versi non proseguono il percorso teorico della figura dell’artista presente nelle Effusioni; in realtà sviluppano un percorso estetico autonomo, che riesce a spingersi molto più in là rispetto alle idee legate al soggetto Berglinger. Le riflessioni di Berglinger sulla musica, più spesso intuizioni da sviluppare, colgono profondamente l’essenza di quest’arte, spiegano senza chiarire i suoi meravigliosi e potenti effetti, rivelano quale sia il vero strumento in grado di permettere di ascoltare la musica, ovvero, lo strumento sentimentale: «Come ogni singola opera d’arte può essere colta e interiormente compresa solo per mezzo di quel sentimento dal quale è scaturita, allo stesso modo anche il sentimento può essere colto e compreso generalmente solo dal sentimento».60 Nei testi teorici sulla musica contenuti nelle Fantasie, Wackenroder esibisce la necessità di dare voce alle emozioni che hanno la loro prima origine nelle arti, come già era stato per le Effusioni. Ma è proprio in questi testi che si rivela agli autori quasi insopportabile e pressoché impossibile restituire con le parole «l’essenza interiore della musica». Essa sta diventando, in seguito al mutamento di gusto e di prospettiva teorica, un’arte totalmente autonoma che non può e non deve essere “tradotta” in altri linguaggi. Se le altre arti, la pittura e la scultura, possono coesistere e addirittura affratellarsi, la musica, invece, può «vivere per sé in un mondo isolato»;61 essa è «l’ultimo alito spirituale, l’elemento più sottile»62 e quindi non è più sottopo58

Cfr. E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, cit., p. 110. Cfr. J.G. Herder, Abhandlung über den Ursprung der Sprache, in: Werke, Bd. 1, hrsg. von U. Gaier, Frankfurt am Main, DKV, 1985, pp. 695-810. 60 Cfr. Fantasie, p. 491. 61 Ibid., p. 441. 62 Ibid. 59

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sta al principio mimetico. Ma Wackenroder e Tieck sono riusciti a restituire quell’alito divino della musica e per far ciò hanno utilizzato una lingua carica di immagini e di suoni e si sono serviti della poesia come eccezionale strumento sinestetico, in grado, almeno, di avvicinarsi alla «lingua degli angeli».63 Wackenroder sviluppa in questo modo un linguaggio per descrivere l’inesprimibile; esso si articola in una «lingua che non conosciamo nella nostra vita ordinaria, che però abbiamo imparato e non sappiamo dove e come».64 L’autore descrive l’assoluto e il trascendente presente nella musica utilizzando metafore appropriate, riproducendo secondo un codice sensoriale le potenzialità della musica, che a tratti diventa qualcosa di sacro e di misterioso e lo è tanto più in quanto rappresenta un sistema algebrico e matematico. La realizzazione wackenrodiana delle Fantasie, pur non sviluppando un pensiero e una riflessione organica e coerente, mostra però un’arguzia e una volontà profonda di cogliere l’essenza della musica, la più alta fra le espressioni artistiche umane. Tutto il discorso di Wackenroder è volto a riconsegnare alla musica il posto che le spetta nella gerarchia delle arti; essa è l’espressione primigenia dell’uomo, come già aveva detto Herder nella Abhandlung über den Ursprung der Sprache (Saggio sull’origine del linguaggio, 1772), ed è la più alta manifestazione della fede. Il discorso di Wackenroder tende alla mancanza di sistematicità proprio per evitare quel fervore critico che rimpicciolisce l’anima, quello dei cavillatori che inseguendo il ragionamento scoprono sempre «solo pensieri sul sentimento e non il sentimento stesso»65 e preferisce piuttosto lasciar libero l’entusiasmo e vedere come «una misera trama di proporzioni numeriche»66 conceda di rappresentare i sentimenti umani in modo soprannaturale. «Un fiume che scorre mi deve servire come immagine. Nessun’arte umana riesce a disegnare con parole per gli occhi lo scorrere delle molte correnti di un fiume»;67 la musica ha quindi in sé un carattere sacro e riesce, pur constando di proporzioni algebriche e venendo materialmente trasmessa da oggetti in legno e corda, a mettere in contatto con il divino, con l’ineffabile, con l’infinito. Sta proprio qui il mistero insondabile della musica, quell’intreccio di disciplina matematica e puro sentimento che riesce a parlare direttamente al cuore degli uomini. 63

Cfr. Fantasie, p. 467. Ibid. 65 Ibid., p. 489. 66 Ibid., p. 465. 67 Ibid., pp. 491 e 493. 64

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Nel saggio Das eigenthümliche innere Wesen der Tonkunst und die Seelenlehre der heutigen Instrumentalmusik (La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale), Wackenroder pone l’accento infatti su quella che definisce la nuova dottrina, «scritta in numeri dal significato profondo» e composta poi secondo un ordine fisso e misurato di molte singole note. La musica più alta è quella strumentale, perché autonoma rispetto al canto. La vera novità nel pensiero di questo autore è l’attenzione posta al complesso intreccio «fra i singoli rapporti matematici delle note e le singole fibre del cuore umano [tra i quali] si è manifestata un’inspiegabile simpatia».68 La musica diventa così uno strumento indispensabile per la descrizione delle sensazioni umane, nel quale è possibile ravvisare anche un forte elemento fisico e sensuale.69 Senza sottolineare l’intensità che il termine “simpatia” conserva nel pensiero settecentesco, è importante notare l’eccezionale modernità del pensiero di Wackenroder che non si perde nell’entusiasmo e nella Schwärmerei di fronte all’arte dei suoni, ma riconduce alcuni fili di quest’arte a un percorso razionale e scientifico. Certo è che rimarrà per sempre misterioso il vero nucleo di quest’arte, perché la bellezza e la sacralità delle cose non possono essere comprese con la ragione; alla musica ci si può soltanto avvicinare con il sentimento. Si trova poi un’ampia riflessione che riprende la dottrina degli affetti in musica. Se tutta la seconda metà del Settecento è profondamente interessata a valutare nell’individuo i differenti gradi degli affetti e delle sensazioni, dando origine anche a quell’ampia letteratura volta ad indagarne i segni sul volto umano, allo stesso modo si coglie qui un’indagine che recupera la relazione fra affetti, passioni e musica. Senza voler affrontare l’ampia e complessa tematica, fissata ad esempio nella Allgemeine Theorie der Schönen Künste (Teoria generale delle belle arti) di Sulzer, è necessario evidenziare il notevole cambiamento di prospettiva operato da Wackenroder nell’utilizzare nozioni riferite alla teoria degli affetti che si indirizzano alla conoscenza di sé. All’interno della riflessione diventa secondario nominare pas-

68 Cfr. Fantasie, p. 487. Il legame fra musica e cuore era anche al centro della voce «Musik» della Allgemeine Theorie der Schönen Künste di Sulzer; cfr., J.G. Sulzer, Teoria generale delle Belle Arti, a cura di A. Nannini, Bologna, CLUEB, 2011, p. 139: «La natura ha stabilito un’unione del tutto immediata tra l’udito e il cuore; ogni passione si annuncia attraverso suoni propri, e proprio questi suoni destano nel cuore di colui che li ode i sentimenti passionali da cui sono scaturiti». 69 Cfr. N. Gess, Gewalt der Musik. Literatur und Musikkritik um 1800, Freiburg i. Br. / Berlin, Rombach, 2006, p. 132 e segg.

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sioni e singoli affetti, mentre è centrale coglierne l’essenza e la vitalità. La musica è quindi eccezionale strumento di conoscenza: «nello specchio dei suoni il cuore umano impara a conoscere se stesso».70 Proprio perché la musica rappresenta l’indicibile, non si potrà definirla, ma soltanto cercare di scorgere in essa il mutevole passaggio delle sensazioni: «ma perché io, stolto, tento di sciogliere le parole in suoni?».71 Ancora una volta il discorso sulla musica si sottrae alla verbalizzazione e diventa un discorso esclusivamente letterario e poetico. Ora il soggetto si apre a un ascolto della musica non più mediato da concettualizzazioni, che sezionano e classificano le emozioni, ma come strumento per accedere alla propria sensibilità e a un universo ineffabile, che non tende alla comunicazione, ma piuttosto all’isolamento.72 Come riferisce Köpke,73 Wackenroder aveva anche accarezzato l’idea di viaggiare con Tieck verso l’Italia, e di formarsi musicalmente a Roma, ma aveva incontrato il diniego del padre. Alcuni interpreti hanno visto questa disillusione del sogno d’artista e l’infrangersi delle speranze come fonte per la vicenda del Berglinger.74 In realtà, gli interessi di Wackenroder per la musica non sono legati a un periodo specifico, ma attraversano tutta la sua esistenza, per cui è improprio immaginare che un singolo evento, per quanto frustrante, possa essere stato alla base di riflessioni così strutturate. Queste derivano da appunti e meditazioni elaborati in diversi momenti. D’altra parte, proprio questa continuità e articolazione dell’approccio estetico di Wackenroder, che si dispiega attraverso elementi razionalmente individuati, lungamente meditati ed efficacemente organizzati, rappresenta il motivo principale della grande modernità della teoria musicale di Wackenroder. La seconda sezione delle Fantasie si apre con Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo, il testo forse più attraente e interpretato delle Fantasie; seguono due lettere di Joseph Berglinger e tre brevi 70

Cfr. Fantasie, p. 493. Ibid., p. 499. 72 Cfr. C. Lubkoll, Mythos Musik. Poetische Entwürfe des Musikalischen in der Literatur um 1800, Freiburg i. Br., Rombach, 1995, p. 120. 73 R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, cit., erster Theil, p. 184. 74 Köpke racconta anche delle difficoltà esistenti fra Wackenroder e il padre che, nel momento in cui si era affacciata l’ipotesi di seguire una formazione musicale, rispose a Tieck, con una punta di disprezzo: «Pensate forse che mio figlio debba diventare un musicista che suona ai matrimoni?», in R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, cit., erster Theil, p. 223. 71

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saggi. Le due lettere di Joseph Berglinger che, con tutta evidenza, si ricollegano ai testi presenti nelle Effusioni, sono però di natura completamente diversa. Sia il Frammento da una lettera di Joseph Berglinger, sia Una lettera di Joseph Berglinger affrontano il tema della realtà immanente della musica. Qui manca completamente la voce del monaco per lasciare spazio al soggetto; d’altra parte il tempo della narrazione non è fissato nel passato, ma è condotto al presente. Il tono e l’argomento sono completamente intimistici; il personaggio Berglinger è colto in due disposizioni d’animo diverse: gioiosa nel primo caso e disperata nel secondo. Se all’interno delle Effusioni questo personaggio era stato osservato nella sua dimensione morale, qui viene colto invece l’aspetto più profondamente psicologico, mostrando un profilo individuale che lo accomuna al Werther o al Meister di Goethe. Il secondo testo presenta una chiara e lucida disamina della condizione solipsistica dell’artista: «L’arte è un frutto seducente e proibito; chi almeno una volta ne abbia assaggiato il suo interno e dolcissimo succo, è irrimediabilmente perduto per il mondo vivo e operoso».75 L’arte diventa una superstizione illusoria e fallace e mentre fuori sofferenze, malattie e affanno sfiancano gli esseri umani, l’artista sente la dolorosa condizione di chi, comodamente al riparo dalle avversità, dà forma a brani musicali come a bolle di sapone nell’aria. A quel punto diventa comprensibile per Berglinger il sacrificio dei martiri ascetici che, davanti al tormento del mondo, sceglievano di sottoporre il proprio corpo alle più tremende mortificazioni, per poter contribuire a ristabilire l’equilibrio sulla terra con il loro gesto. L’anima dell’artista rimane per sempre scollegata dalla realtà; «E così la mia anima assomiglierà per tutta la vita all’oscillante arpa di Eolo nelle cui corde spira un soffio estraneo e ignoto».76 Paradigmatico, per la concezione wackenrodiana, è il piccolo capolavoro costituito dalla Meravigliosa favola orientale di un santo nudo, il primo testo inserito nella sezione dedicata alla musica, summa delle riflessioni intorno all’arte dei suoni e gioiello letterario tout court, che si sottrae a un’interpretazione univoca e definitiva. La favola si inserisce nella tradizione del Kunstmärchen, della fiaba d’arte, e ha per protagonista un bizzarro personaggio, che in Occidente verrebbe chiamato “folle”, ma che in Oriente viene considerato, insieme ai suoi simili uno spirito soprannaturale, trasferito in una forma umana da un genio superiore. Questo individuo, chiamato il “santo nudo”, si trova in una dimora isolata e non ha pace né giorno né not75 76

Cfr. Fantasie, p. 503. Ibid., p. 507.

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te, perché continua incessantemente a sentire nelle orecchie la ruota del tempo. La sua occupazione consiste nel girare incessantemente l’enorme ingranaggio per evitare che si fermi o si inceppi e si adira nei confronti degli altri esseri umani che lo distolgono da tale attività. Molti elementi della favola sono stati sottoposti a differenti interpretazioni, a partire dalla figura del santo nudo e del suo strano rapporto con gli altri esseri umani.77 La favola, come del resto alcuni fra gli altri lavori considerati, si sviluppa sul modello di mondi separati.78 Già dall’incipit si definiscono un Oriente, luogo di tutte le meraviglie, con le stratificazioni e le simbologie che il Settecento, soprattutto francese, gli aveva attribuito, e un Occidente contrassegnato dalla presenza dell’intelletto e del pensiero razionale. Poi un “alto” e un “basso”, segnalato dalla caduta sulla terra del santo nudo smarritosi in forma umana; un mondo della fiaba e uno della realtà e infine un mondo monotono e frastornante e un mondo fatto d’amore e di suoni celestiali. Sulla figura del santo nudo si concentrano molte riflessioni già presenti altrove e in particolare quelle sui martiri ascetici contenute nella lettera di Wackenroder dell’11 dicembre 1792. Seguendone l’esempio, il protagonista di questa favola sceglie di sottoporsi a un incessante sforzo fisico e psicologico anche per il bene degli altri. Mentre 77 Numerose e diversissime fra loro le interpretazioni della novella, che però, proprio per le sue caratteristiche, rimane enigmatica e affascinante. Fra le interpretazioni si ricordano qui: P. Koldewey, Wackenroder und sein Einfluß auf Tieck, cit., p. 96 e segg.; G. Kühnlenz, “Wackenroders‚ ‘Wunderbares morgenländisches Märchen von einem nackten Heiligen’ in Deutschunterricht der Prima”, in Pädagogische Provinz, 12, 4, 1958, pp. 199-209; E. Hertrich, Joseph Berglinger. Eine Studie zu Wackenroders Musiker-Dichtung, cit., pp. 163-191; D. Arendt, Der “poetische Nihilismus” in der Romantik, Tübingen, Niemeyer, 1972, p. 243 e segg.; A. Tekinay, “Der morgenländische Bestandteil im ‘Wunderbaren morgenländischen Märchen von einem nackten Heiligen’ Wackenroders. Eine Studie zum frühromantischen Orientbegriff”, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, 218, 133. Jahrg., 1981, pp. 323-329; L. Zagari, “Il santo nudo e la ruota del tempo. L’impasse dell’intellettuale nella fiaba di Wackenroder”, in Mitologia del segno vivente. Una lettura del romanticismo tedesco, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 79-126; B. Naumann, „Musikalisches Ideen-Instrument“, cit., pp. 60-68; R. Köhler, Poetischer Text und Kunstbegriff bei W. H. Wackenroder, Frankfurt a. M., Peter Lang, 1990, pp. 157-170; A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit., pp. 151-163. 78 L’idea di un modello binario è efficacemente evidenziata anche nell’immagine degli scacchi: «Questa incessante, monotona alternanza di mille notti e giorni, ché tutta la vita dell’essere umano e tutta la vita dell’intero mondo altro non è che un continuo e bizzarro gioco a scacchi in campo bianco e nero, dove però alla fine non vince nessuno tranne la morte incresciosa»; Fantasie, p. 483.

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gli astanti lo guardano con curiosità, egli sente di dover assumere su di sé mortificazioni che potranno contribuire a espiare i mali del mondo. Ma lo sforzo sovrumano di girare la ruota è visto da due prospettive differenti: una interna al protagonista, l’altra esterna, attraverso gli occhi di coloro che lo vedono affannarsi inutilmente, muovendo il nulla e agitandosi senza alcun motivo. Se la ruota del tempo è stata interpretata sotto molteplici angolazioni, come simbolo della paura del tempo, come simbolo di nichilismo, come ispirata della dottrina del mistico islamico Gialal-aldin Rumi,79 altri vi hanno visto il meccanismo a orologeria tipico del pensiero meccanicistico settecentesco. Wackenroder in Una lettera di Joseph Berglinger dice quanto segue: «Alla base salda della mia anima si sprigiona il grido: è un’aspirazione così divina, quella dell’essere umano, a creare cose che non vengano divorate dal fine volgare e dal profitto, cose che, indipendenti dal mondo, splendano eternamente di una propria luce, cose che non vengano spinte da alcuna ruota dell’ingranaggio e a loro volta non spingano nulla».80 La ruota proietta l’idea di un meccanismo circolare, senza inizio e senza fine, l’uroboro esistenziale, la continua e incessante attività che può spegnere qualsiasi entusiasmo e affannare senza fine. Ma l’immagine della ruota è anche associata a un particolare effetto sensoriale, cioè quello del rumore fastidioso; si parla infatti di sibili, fracasso, fragore, fischiare, confusione. La ruota, per il protagonista, non soltanto gira incessantemente, ma provoca un rumore di fondo, a tratti intollerabile, un sibilo che di volta in volta viene definito con metafore sempre più pregnanti. La follia del santo, che in alcuni momenti scoppia in furore, quando i curiosi, incuranti e ignoranti, gli si avvicinano troppo, lascia poi il posto, seppur per brevi attimi, alla nostalgia che lo coglie in alcune notti particolarmente tranquille. Fino a quella notte d’estate. Fino a quella notte in cui il fragore della ruota cessa e al suo posto sale una melodia meravigliosa d’amore. I movimenti sconnessi, la vibrante angoscia che attraversa i suoi nervi lascia ora il posto a una danza, vaporosa e intrecciata, che lo porta fluttuando verso il cielo, là dove amore e musica si fondono nell’armonia celeste e tutto ritrova improvvisamente il proprio equilibrio. Gli ultimi saggi dell’opera sono attribuiti a Tieck e proseguono con coerenza il discorso estetico musicale wackenrodiano. Qui, so79 Gialal-aldin Rumi (1207-1273) fu un poeta e un mistico persiano. Le sue opere principali sono un canzoniere (Diwan) e un lungo poema (MasnavƯ). 80 Cfr. Fantasie, p. 501.

INTRODUZIONE DI FEDERICA LA MANNA

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prattutto in Suoni e in Sinfonie, si assiste allo svilupparsi dell’idea di un vero e proprio spettacolo uditivo. Sinfonie e ouverture diventano affreschi di affetti, emozioni e immagini che prendono forma dalla riproduzione delle singole note. L’ultimo testo delle Fantasie è una lirica in ottave scritta da Tieck,81 un canto d’addio e una celebrazione dell’amico prematuramente scomparso. Il canto ricorda il passo dei resoconti di viaggio nel quale l’autore aveva descritto il momento in cui i due amici si erano smarriti, insieme a una guida poco esperta, nel fitto intrico del Fichtelgebirge.82 Nella lirica gli amici si perdono all’interno di una gola; nell’oscurità della notte che sta sopraggiungendo scorgono un tenue bagliore verde: avvicinandosi scoprono che si tratta di un piccolo fiore luminoso. Da questo momento in poi si sviluppano immagini oniriche di luoghi ameni e situazioni rassicuranti che culminano nella visione di un angelo che scocca dardi dorati che attraversano il petto dell’amico trasformandosi in note. Come ha ben notato Mittner,83 tutti gli elementi simbolici e metaforici utilizzati nel canto finale delle Fantasie sono ripresi dall’orizzonte concettuale di Wackenroder e suggeriscono immagini e situazioni presenti nei suoi testi. Le ultime due strofe di cui si compone la lirica descrivono il brusco risveglio del sognatore che si accorge di non avere più al fianco l’amatissimo amico con il quale condividere le gioie dell’arte. Il sogno della lirica corrisponde alla poetica di Wackenroder fatta di estasi estetiche e ricerca del bello; con la sua scomparsa tocca a Tieck mantenere in vita il sogno, il ricordo e l’ispirazione dell’amico.

81 L’ottava è una forma metrica utilizzata nell’epica rinascimentale italiana, composta da otto endecasillabi rimati ABABABCC. Come sottolinea Ladislao Mittner, con questa lirica di Tieck ha inizio la moda romantica tedesca dell’ottava, come dimostra anche la traduzione dell’XI canto dell’Orlando Furioso di Ariosto ad opera di August Wilhelm Schlegel, inserito nel quarto fascicolo dell’Athenäum del 1799. Mentre nella tradizione italiana l’ottava compare essenzialmente nella narrazione epica, nella nuova moda tedesca è usata per rappresentazioni plastiche e pittoriche. Cfr. L. Mittner, “‘Galatea’. Die Romantisierung der italienischen Renaissancekunst und -dichtung in der deutschen Frühromantik”, in Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, 27, 1953, pp. 555-581, qui, p. 569. 82 Cfr. Resoconti Tieck, p. 1165 e segg. 83 Cfr. L. Mittner, Galatea, cit., p. 562.

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Consegno al pubblico questi fogli con un sentimento misto di fiducia e di timore. Una parte di questi saggi è un lascito dell’amico scomparso W. H. Wackenroder; di questi, gli ultimi sono stati rielaborati e consegnatimi poco prima della sua malattia e sarebbero dovuti essere una prosecuzione del volume Effusioni di un monaco amante dell’arte. Per questo il lettore ritrova il nome di Joseph Berglinger e in generale il tono di quel volume. Il mio amico aveva una particolare predilezione per i saggi sulla musica e desiderava moltissimo, con la bella vivacità che lo contraddistingueva, vederli pubblicati. Solo ora riesco a esaudire il suo desiderio e il lettore mi ringrazierà per avergli trasmesso questi saggi nei quali si troverà un criterio di rappresentazione ancora più audace e una lingua ancora più elaborata. Il suo stile, in questi saggi, è più serrato e potente, nelle sue immagini si può ammirare spesso il curioso, il temerario e il vero e ogni lettore sensibile lamenterà insieme a me la bella speranza che la letteratura tedesca ha perduto con la sua prematura scomparsa. Con non poca esitazione ho anche inserito fogli di mio pugno. Tutte queste osservazioni sono scaturite nei discorsi con il mio amico e avevamo deciso di costruire, per così dire, un insieme organico a partire dai singoli saggi; ma dal momento che io ormai ho perduto, nella fase di rielaborazione, sia i suoi consigli sia il suo appoggio, mi è pure mancato il coraggio che in sua compagnia mi avrebbe animato. Nella prima sezione di Wackenroder sono il primo e il quinto numero, fra i saggi di Berglinger sono miei gli ultimi quattro. Del mio amico ho tralasciato un saggio incompleto su Rubens così come una Cantata, della quale lui stesso era insoddisfatto.2 È sempre stato suo desiderio poter vivere per l’arte, la sua speranza più bella quella di poter essere annoverato un giorno fra gli artisti; se anche quest’ultima gli verrà negata, nessuno però di quelli che lo hanno conosciuto, che hanno avuto almeno una percezione della sua originalità nobile e generosa e che hanno rispettato il suo intimo amore per tutta l’arte, potrà comunque dimenticarlo.

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Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi: come esempi siano portati Albrecht Dürer e il padre Albrecht Dürer il Vecchio3 È una cosa bella far rivivere nuovamente nello spirito un artista scomparso da lungo tempo attraverso le opere che ci ha lasciato e trovare il punto focale cui si riconducono tutti i differenti raggi luminosi o meglio ancora la stella celeste dalla quale scaturivano. Abbiamo così davanti a noi l’anima del mondo4 di tutte le sue creazioni, un poema della nostra immaginazione dal quale la vita reale dell’essere umano ha preso commiato. Ma quasi ancor più bello è quando riusciamo col pensiero a rivestire di carne ed ossa questo spirito scintillante, quando riusciamo a immaginarlo come uno di noi, come un amico o un fratello, considerando come fosse anche lui un anello della grande catena dell’umanità, simile, nella sua natura esteriore, a tutti i suoi fratelli meno importanti. E così diventa presente in noi il pensiero di come anche questa bellissima anima dovesse prima uscire dal guscio dell’infanzia insipiente, di come padre e madre avessero messo al mondo un bambino senza sapere nulla del suo spirito, in futuro eccelso. Noi ci immaginiamo il magnifico artista in tutte le scene della vita: lo vediamo da ragazzo, che venera e ama il vecchio padre, da uomo mantenere legami d’amicizia con il fratello, la sorella e i parenti, lo vediamo prender moglie e diventare lui stesso padre, in breve, come sperimenti anche lui, dalla nascita alla morte, il destino che è proprio del genere umano. Questa considerazione diventa per me particolarmente commovente, confortante e istruttiva quando si considera che un simile artista, nonostante possedesse uno spirito straordinario e una rara abilità, conduceva tuttavia un’esistenza da uomo semplice e senza pretese, così come, nei secoli passati, facevano i nostri antenati tede-

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schi. Sono questi che voglio ora qui descrivere brevemente, poiché mi stanno così profondamente a cuore. Nei tempi passati si era abituati a considerare la vita come un bel mestiere o una professione alla quale si votano tutti gli esseri umani. Dio era considerato il grande mastro costruttore,5 il battesimo la lettera di apprendistato, il nostro vagare sulla terra un pellegrinaggio. Ma la religione per gli esseri umani era il bel manuale d’istruzione, grazie al quale imparavano a comprendere pienamente la vita e a rendersi conto del perché di essa e secondo quali leggi e regole fosse loro concesso compiere il mestiere della vita nel modo più facile e più sicuro. Senza religione la vita sembrava loro solo un gioco feroce e sregolato, un alzarsi e un abbassarsi del rocchetto sul telaio, ma senza che ne derivasse una trama. La religione in tutte le situazioni, dalle più grandi alle più insignificanti, era per loro costantemente bastone e appoggio; conferiva a ogni avvenimento, altrimenti senza valore, un senso profondo. Era per loro un magico elisir con il quale potevano risolvere tutte le questioni del mondo; essa diffondeva una luce tenue, uniforme e armoniosa sui destini confusi della loro esistenza, – un dono che può ben essere definito il più prezioso per gli esseri mortali. La sua patina dolce smussava l’intensità acuta del colore sgargiante della selvaggia sfrenatezza, ma gettava anche un bagliore rilucente sul colore della terra, secco e nero, fatto di infelicità. In questo modo gli uomini trascorrevano lentamente e riflessivamente le ore della loro vita, passo dopo passo, sempre nella consapevolezza del buon presente. Ogni istante era per loro degno e importante; essi compivano il lavoro dell’esistenza fedelmente e diligentemente, lo preservavano dagli errori, perché essi in coscienza non potevano sopportare di danneggiare con scellerata leggerezza il mestiere così lodevole e degno che era stato loro assegnato. Facevano il giusto non per una ricompensa, ma semplicemente per un inesauribile sentimento di riconoscenza nei confronti di colui che solo comprendeva l’arte di intessere, dall’impalpabile nulla, i primi fili della loro esistenza. Alla fine, quando il grande mastro costruttore li richiamava dal cantiere, essi, abbandonati in pensieri santi, gli davano in mano se stessi e tutto il lavoro della giornata con gioiosa commozione.6 Le caratteristiche del defunto venivano redatte come una breve cronaca oppure i parenti in lacrime tenevano davanti alla bara una breve commemorazione che originariamente aveva il significato di una testimonianza per il lavoro compiuto nel corso della vita in modo fedele e onesto e doveva servire alla gioventù da esempio. Ma il Dio sconosciuto, che stava in cielo, impiegava il lavoro compiuto nella giornata per i suoi fini grandi e misteriosi: perché da tutti i milioni di vite trapassate

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dalla terra, Egli costruisce, al di là del firmamento celeste, un nuovo mondo più splendente, più vicino al suo trono, dove ogni cosa buona troverà il proprio posto. Così erano fatti gli uomini nei devoti tempi passati. Perché devo dire erano? Perché, – se è concesso chiedere a un essere mortale, – perché Tu, Buon Cielo, hai lasciato che il mondo degenerasse? Guai ai nuovi saggi che, stoltamente, per povertà interiore e malattia dello spirito, considerano il mondo umano un indegno cumulo di insetti e dall’osservazione della brevità e della caducità delle migliaia di vite brulicanti su questa terra si lasciano indurre a una malinconia indolente e intrattabile o a una insolente disperazione, e credono di raggiungere la meta più alta mentre cercano di ammaccare e schiacciare intenzionalmente l’esistenza, quasi fosse un guscio vuoto.7 Chi disprezza così la vita, disprezza anche ogni forma di virtù e perfezione di cui l’uomo ha consapevolezza e di cui la vita è soltanto un palco e una palestra. C’è una grossa differenza se si disprezza il proprio mestiere o se con modestia si considera il proprio lavoro di poco conto, ma lo si ama, e si ha l’aria di esercitarlo semplicemente per la propria gioia. Certo noi siamo soltanto gocce nell’oceano; certo danziamo tutti una danza brulicante, per cadere, dopo una breve esistenza, nelle braccia della morte; solo il nostro spirito però supera gli angusti limiti, in lui abitano forze indicibili, a noi stessi incomprensibili, che sono in grado di trasferire, nel breve spazio che separa la nascita dalla morte, il cielo e tutta la terra, il tempo e l’eternità. La nostra esistenza è un ponte leggero che conduce da un luogo oscuro a un altro: per tutto il tempo che lo percorriamo vediamo rispecchiarsi nelle sue acque il firmamento celeste.8 Ma ai tempi dei nostri antenati tedeschi – poiché questa descrizione si basa essenzialmente sul carattere serio e silenzioso della nostra nazione – quando gli esseri umani con gioia e tuttavia in modo devoto, serio e lento, costruivano l’edificio della vita nel corso delle ore e dei giorni, chi può offrire fra quegli esseri umani alla nostra immaginazione, che è rivolta verso il passato, un’immagine più lieta e degna se non gli artisti che vivevano in questo modo? Perché per loro l’arte che esprimevano – in quanto non la esercitavano principalmente come passatempo o per combattere la noia (come succede di solito adesso), bensì con diligente zelo, come un mestiere – doveva essere un misterioso simbolo dell’esistenza senza che se ne rendessero conto. Sì, sia la loro arte che la loro vita erano fuse in un unico getto9 e in questa intima e corroborante unione la loro esistenza procedeva per un corso tanto più

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saldo e sicuro attraverso il mondo effimero che li circondava. In una quiete calma e riservata, senza spendere troppe parole sagaci, dipingevano o scolpivano le loro figure umane, conferivano loro fedelmente la stessa natura che il misterioso, meraviglioso vivace originale mostrava loro: e appunto così costruivano docilmente la loro vita seguendo i perfetti insegnamenti celesti della religione. Mai si ponevano domande cavillose sul perché il corpo umano fosse fatto proprio in questo modo e non altrimenti o per qual motivo lo imitassero e ugualmente non veniva loro in mente di chiedersi il motivo dell’esistenza della religione o del fine d’essa e il motivo per cui essi stessi fossero stati creati. Mai trovavano dubbi o problemi; compivano le loro azioni come sembrava naturale e necessario e combinavano tra loro spontaneamente azioni completamente corrette e giuste a formare il tempo della loro esistenza nello stesso modo in cui collocavano nelle loro figure dipinte ossa e muscoli al posto giusto seguendo la struttura del corpo umano. È per me una gran gioia contemplare, raccogliendo i pensieri, questi fedeli lavoratori, nell’arte come nella vita, che gli albori dell’epoca tedesca, e soprattutto quel fruttuoso sedicesimo secolo, hanno prodotto. Ma per portare un paio di esempi, vorrei spiegare la mia precedente descrizione generale con l’aiuto di alcuni singoli aspetti tratti dalla storia del mio caro Albrecht Dürer e di suo padre, l’orafo Albrecht Dürer il Vecchio. 10 E per quanto alcuni brevi tratti possano sembrare in sé insignificanti, tuttavia penso che, dopo il quadro da me schizzato, più eloquente che in precedenza, se ne comprenderà meglio il giusto senso e il vero significato. Con riferimento all’opera del nobile Joachim von Sandrart11 (nella quale l’autore con lodevole ardore vorrebbe cingere con entrambe le mani tutto il campo dell’arte) troviamo nel testo dedicato alla vita di Albrecht Dürer un breve saggio inserito dallo stesso artista nel quale egli ha tratteggiato, con poche ma oneste e devote parole, alcune notizie relative alla propria vita e a quella della sua famiglia, perché ne restasse un ricordo per se stesso e per i propri discendenti.12 A quel tempo non era inusuale riflettere e rivedere il corso della propria esistenza con fedeli annotazioni; in tali descrizioni non ci si distaccava mai dagli altri esseri umani, ci si considerava piuttosto un membro e un fratello del grande genere umano, e mentre si scorreva il proprio intero registro familiare, ci si assegnava con modestia un posto su un ramo laterale del vec-

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chio onorevole albero genealogico e non ci si poneva da soli in una posizione di capostipite della schiatta del mondo. La catena delle parentele, amorevolmente intrecciata, era un sacro vincolo; molti amici di sangue formavano insieme un’unica vita condivisa e ciascuno si sentiva di conseguenza tanto più ricco di forza vitale, quanto più in altri cuori pulsava lo stesso sangue degli antenati. Alla fine, tutte le parentele costituivano il piccolo e sacro vestibolo al grande concetto di umanità. Gli antichi avi, che il cielo aveva disposto a strumento per donare alla feconda posterità la vita e indirettamente tutti i beni dell’esistenza (intendo virtù e sentimento religioso), venivano invocati in virtù di un istinto bello e naturale quanto di un grato e profondo rispetto. In gioventù il figlio ascoltava attentamente il vecchio padre quando raccontava del suo destino o di quello di suo padre; teneva poi tutto a mente, con zelo, come se si trattasse di importanti articoli di fede, perché anche lui avrebbe dovuto compiere l’opera della vita che i suoi antenati così degnamente avevano completato. Questi sono i pensieri che mi sorgono quando leggo il resoconto di Albrecht Dürer su suo padre e i suoi antenati, che egli apre con le seguenti parole introduttive: «Io Albrecht Dürer il Giovane ho raccolto dagli scritti di mio padre da dove è venuto, come sia giunto e rimasto qui e come sia morto in pace; Dio sia misericordioso con lui e con noi. Amen».13 Quindi racconta: il padre di suo padre, chiamato Antonio Dürer, da ragazzino si era recato da un orafo in una cittadina dell’Ungheria e là aveva appreso il mestiere. Poi si era sposato con una giovane donna di nome Elisabeth, da questa aveva avuto quattro figli, di cui il primo, Albrecht Dürer, era stato il suo caro padre, divenuto anch’egli orafo. In seguito il padre era rimasto a lungo nei Paesi Bassi presso grandi artisti e nel 1445 era giunto a Norimberga, proprio nello stesso giorno in cui Philipp Pirkhaimer [sic! Pirkheimer, n.d.c.]14 celebrava le nozze al castello con un gran ballo che si tenne sotto il grande tiglio. Tutta la natura di suo padre Albrecht Dürer la esprime subito all’inizio in modo potente e conciso quando dice in due parole: è stato un uomo abile nel suo lavoro e puro. E alla fine aggiunge i seguenti elementi che lo dipingono con vivacità ai nostri occhi. Egli ha nutrito sé stesso, sua moglie e i suoi figli con il lavoro delle sue mani in modo appena sufficiente e ha trascorso la sua vita nella

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fatica, nel travaglio e nelle noie. Presso tutti quelli che lo hanno conosciuto, ha sempre riscosso lodi perché era un uomo timorato, paziente, mite, rispettabile e sempre molto riconoscente verso Dio. Inoltre è sempre stato di poche parole, ha sempre continuato a vivere nel silenzio e nella solitudine e ha goduto di ben poche gioie terrene. Il suo più grande desiderio è stato quello di educare i propri figli nell’onore di Dio e per questo motivo si è impegnato molto, parlando loro ogni giorno dell’amore di Dio. Alla fine, durante la malattia, nel momento in cui ha visto la morte davanti agli occhi, le si è dato docile, ha ordinato ai propri figli di vivere timorati ed è morto cristianamente nell’anno 1502, poco prima della mezzanotte, la sera di S. Matteo. Condurre una tale vita, silenziosa, sottomessa, non dimenticando mai di non essere nient’altro che un operaio di Dio, significa percorrere il sentiero più sicuro verso la felicità. Chi però non onora alcun Dio, in altre parole, chi voglia porre se stesso a dio e reggente del mondo, si trova in un infelice disordine e gode soltanto della felicità triste e falsa di un mendicante stolto e folle che si crede un imperatore con la corona.15 Nel passo sopra ricordato, troviamo ancora un elenco lasciato dal vecchio Dürer di tutti i suoi figli, diciotto di numero, che egli ha compilato accuratamente di propria mano in un libro, secondo nome, giorno e ora della nascita. Questo buon cittadino e orafo di Norimberga, Dürer il Vecchio, durante la sua vita deve aver avuto sicuramente spesso diversi buoni pensieri in testa; solo che non gli è venuto in mente di metterne per iscritto una grande parte, o forse gli sarà sembrato strano. Per lui è stato molto più naturale compilare con esattezza un registro di tutti i figli che il cielo gli aveva donato. Di tutti questi diciotto figli ricordiamo però ora, dopo un paio di secoli, solo il nostro amato Albrecht, tutti gli altri sono caduti nell’oblio, cosa che il padre alla nascita non poteva immaginare e per lui, senza distinzione, aveva aggiunto con le medesime parole usate per gli altri: «Item, nell’anno 1471 dopo la nascita di Cristo, nella sesta ora del giorno di San Prudenzio, nel venerdì della settimana delle Rogazioni, mia moglie Barbara partorì a me un altro figlio, che fu chiamato Albrecht come me».16 Dopo che il nostro Albrecht Dürer il Giovane ha ricopiato questo registro con tutti i fratelli e le sorelle dal libro del padre, ha aggiunto: «Ora le mie sorelle e i miei fratelli, i figli del mio caro padre, sono

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quasi tutti morti, molti ancora in gioventù, altri quando erano appena diventati adulti; solo noi tre fratelli siamo ancora in vita, per quanto Dio vorrà, io, Albrecht, mio fratello Hans e mio fratello Andreas».17 Per quanto Dio vorrà! Un bel modo di dire! Un sentimento infantile secondo cui noi esseri umani ci lasciamo cullare, dipendendo dai preziosi legami del suo amore, fra profumi di fiori di questa terra verde, finché gli parrà giusto che sia utile per noi. A Lui è sembrato utile farlo vivere, il nostro prezioso Albrecht Dürer, fino all’età di 57 anni; a lui ha anche benevolmente concesso di diventare nell’arte un uomo decisamente più importante di suo padre. All’inizio, costui gli aveva insegnato il mestiere dell’orafo, volendo trasferire l’arte del nonno sul nipote. Perché, nei tempi passati della Germania, una volta che l’arte era inoculata in un ceppo della famiglia, generalmente anche i rami successivi venivano infusi della nobile linfa e il legame della fratellanza di sangue veniva, per così dire, indorato da questa grande virtù artistica ereditata, della quale molte delle nostre famiglie d’arte, scaturite dalle fiorenti antiche città della Germania meridionale, danno un esempio. Il giovane Albrecht si esercitò quindi sotto la guida di suo padre nel mestiere di orafo e si spinse così lontano, (come racconta Sandrart) da riprodurre le sette cadute18 della Passione di Cristo lavorandole a sbalzo.19 A quei tempi, per ciascuno, senza che se ne rendesse effettivamente conto, era cosa evidente e naturale dedicarsi nell’arte a soggetti sacri e dimostrarsi grati al cielo per il risultato della prima giovanile abilità raggiunta con un soggetto a lui gradito. Ma Dürer aveva sviluppato interiormente una ben più forte inclinazione per la pittura e anche se il padre lo avrebbe tenuto volentieri come apprendista della sua arte, lo assecondò e – spiega Albrecht Dürer – «nell’anno 1486 il giorno di S. Andrea mio padre mi promise di condurmi per l’apprendistato da Michael Wohlgemuth, che servii per tre anni; in tutto quel tempo Dio mi concesse l’applicazione necessaria a imparare molto, ma dovetti soffrire molto a causa dei suoi servi. E dopo che ebbi terminato, mio padre mi fece andare via e rimasi lontano per quattro anni, fino a quando mio padre mi richiamò».20 Con questo tono modesto enumera le circostanze della sua vita; senza mai guardare né a destra né a sinistra, egli va diritto per il suo cammino e si comporta come se tutto ciò che incontra debba essere così e in nessun altro modo. Nei suoi quadri, nelle sue incisioni su rame e su legno, che per gran parte concernono soggetti sacri, Dürer mostra una cura fedele e artigianale. Questa disposizione d’animo, che fece affluire in lui la tensione verso un compiuta perfezione delle sue linee, che si mostra così evidente e naturale nelle sue opere, e che lo portò a seguire attentamente le migliori e più giuste proporzioni del corpo umano,

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conservandole in un libro poi tradotto in tutte le lingue e che servì come canone a tutti i popoli in grado di disegnare,21 ecco, questa era proprio la disposizione d’animo che gli permise di perseguire sia nella vita sia nel mestiere il giusto e il buono. Nonostante la tromba della fama proclamasse in lungo e in largo il suo nome e lo esaltasse in tutti i più importanti paesi d’Europa (ovvero, oltre che nel regno tedesco, in Italia, Francia, Spagna, Olanda e Inghilterra), così da fargli godere della più alta stima da parte dei più famosi pittori del tempo, come degli imperatori e dei re – cosa che mai era stata tributata a suo padre, l’onesto orafo – ciononostante, dunque, quest’uomo così amato non cambiò nulla del proprio stile di vita, puntò passo dopo passo il bastone da pellegrino del suo viaggio terreno, silenzioso e assennato, e fu un uomo abile nel suo lavoro e puro. Da tali esempi si evince che laddove arte e religione si uniscono, dalle correnti che confluiscono scaturisce il grande torrente della vita. Ma come però queste due grandi essenze divine, la religione e l’arte, sono le migliori guide dell’essere umano per la sua esistenza esteriore e reale, così le loro preziose proprietà sono anche per quella interiore e spirituale della disposizione dell’animo le più ricche e le più pregevoli e fonti inesauribili di pensieri e di sentimenti. Ha per me un senso, perciò, misterioso e importante quando, grazie a quest’immagine, le paragono a due specchi magici concavi22 che riflettono tutte le cose del mondo simbolicamente, e attraverso la loro immagine meravigliosa imparo a riconoscere e a comprendere lo spirito vero di tutte le cose.

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Un racconto tradotto da un libro italiano23 Ero in procinto di percorrere l’usuale sentiero che porta al bosco e già mi rallegravo del fatto che ora sarebbe stato completato il dipinto della Sacra Famiglia. Mi seccava che il pittore temporeggiasse così a lungo, che non cedesse ancora alle mie insistenti preghiere di concludere l’opera. Tutte le persone che incontravo, i singoli discorsi che udivo cammin facendo mi lasciavano indifferente, perché niente di tutto ciò aveva a che fare con il mio dipinto; tutto il mondo esterno era per me ora solo un’appendice, tutt’al più un commento all’arte, la mia occupazione preferita. Mi passarono accanto alcuni poveretti in età avanzata, ma non c’era nessuno che fosse adatto a un Giuseppe, nessuna fanciulla nel volto recava tracce della Madonna; due anziani mi guardarono come se non osassero chiedere l’elemosina, e solo molto dopo mi resi conto che avrei potuto farli contenti con poco. Era una bella giornata, il sole faceva capolino parsimoniosamente dall’oscurità, solo in pochi punti vedevo il blu chiaro del cielo. Pensai: com’è fortunato questo pittore che qui in solitudine, tra belle rocce, alberi possenti può attendere il suo genio, che non si accosta a nessun’altra delle meschine attività umane, che ama soltanto la sua arte e che per lei sola ha occhi e anima. Egli è il più felice fra gli esseri umani perché l’entusiasmo, che ci fa visita solo in pochi momenti, è di casa nella sua piccola dimora, i grandi dèi siedono accanto a lui, misteriose premonizioni, dolci ricordi fluttuano invisibili intorno a lui, forze magiche dirigono la sua mano e sotto la sua guida nasce la meravigliosa creazione che egli già conosceva, amichevolmente esce dall’ombra che la mantiene invisibile. In mezzo a questi pensieri mi ero avvicinato all’abitazione che si trovava un po’ discosta, nel bosco. La casa stava su un ampio spiazzo aperto, alte rocce si ergevano sullo sfondo, da cui frusciavano gli abeti e l’intricata boscaglia si muoveva nel vento.

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Bussai alla capanna. I due figli del pittore erano a casa, lui era andato in città a fare la spesa. Mi sedetti, il quadro era sul cavalletto, ma era terminato. Superava ogni mia aspettativa, i miei occhi si fissarono sulle belle figure: i bambini giocavano intorno a me, ma quasi non ci facevo caso, poi mi raccontarono della loro madre morta da poco, indicarono la Madonna, dissero che le assomigliava, credevano di vedersela ancora davanti agli occhi. Che bello è questo movimento del capo! Esclamai, com’è meditato, com’è nuovo! Come è tutto ben organizzato! Nulla di superfluo e tuttavia che meravigliosa pienezza! Il quadro mi è sempre stato caro, nei miei pensieri io lo vedevo già appeso nella mia stanza e di fronte, riuniti, i miei amici estasiati. Tutti gli altri dipinti, che stavano nello studio del pittore, risultavano ai miei occhi modesti in confronto a questo, nessuna figura era così intimamente viva, così totalmente intrisa di vita e spirito, come sulla tavola che io già consideravo mia. I bambini intanto osservavano quest’uomo estraneo, si meravigliavano di ogni mio movimento. Per loro i quadri, i colori erano usuali, non ci vedevano nulla di speciale, ma il mio abito, il mio cappello, questi oggetti erano per loro molto più singolari. A questo punto arrivò il vecchio dalla città con una grande cesta piena di cibo, era arrabbiato per non aver incontrato la vecchia signora del paese vicino che avrebbe dovuto cucinare per lui e per i suoi figli. Distribuì ai bambini alcuni frutti, tagliò loro del pane e a questo punto essi uscirono correndo dalla porta, facendo chiasso e perdendosi presto nella boscaglia. Sono contento, cominciai a dire, che voi abbiate terminato il mio quadro. È ben oltre ogni aspettativa, voglio farlo ritirare già oggi. L’anziano lo osservò attentamente e disse con un sospiro: Sì, è terminato, non so se riuscirò mai più a dipingerne uno simile; ma se volete farmi una cortesia, lasciatemelo fino a domani, così che fino ad allora possa ancora rimirarlo. Ero troppo impaziente, insistevo ancora per farlo ritirare assolutamente, il pittore alla fine doveva rassegnarsi. Iniziai dunque a contare i soldi, quando il pittore improvvisamente disse: ci ho pensato da allora, non posso assolutamente lasciarvelo per lo stesso prezzo esiguo che avete pagato per l’ultimo. Mi stupii, gli chiesi come mai volesse cominciare proprio da me per alzare il prezzo alle sue opere, ma lui non si fece confondere. Gli dissi che il dipinto sarebbe rimasto probabilmente in giacenza da lui se avesse persistito nella sua ostinazione, perché l’avevo commissio-

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nato io e nessun altro l’avrebbe comprato, come già qualche volta gli era successo. Egli mi rispose però molto brevemente: la somma concordata era troppo bassa, dovevo raddoppiarla, non sarebbe stata comunque troppo, e comunque non potevo continuare a infastidirlo con la mia insistenza. Mi irritò che il pittore non avesse alcun rispetto per le mie obiezioni, lo lasciai in silenzio e lui rimase pensieroso sulla sua poltrona di fronte al mio quadro. Non capivo come un uomo, schiacciato dalla povertà, potesse essere così ostinato, come potesse essere così dominato dalla cocciutaggine da non ricavare alcun utile dal proprio lavoro. Mi misi a vagare nei campi intorno per scacciare il cattivo umore per questo incidente. Girovagando così, mi imbattei in un gregge di pecore che pascolava mansueto nella valle silenziosa. Un vecchio pastore sedeva su una collinetta, sprofondato nei suoi pensieri e notai che stava intagliando accuratamente un bastone. Avvicinandomi lo salutai, costui alzò gli occhi e mi ringraziò molto amichevolmente. Gli chiesi del suo lavoro e lui rispose sorridendo. – Vedete, Signore, ora ho quasi finito un piccolo manufatto che ho intagliato quasi sei mesi ininterrottamente. Accade poi che a signori ricchi e distinti piacciano questi miei oggetti insignificanti e me li comprino per agevolare la mia esistenza ed è per questo che sono giunto a simili invenzioni –. Guardai il bastone, sul pomo era stato inciso un delfino, decisamente di buone proporzioni, sul quale stava seduto un uomo che suonava la cetra. Notai che doveva rappresentare Arione.24 La cosa più bella era che il pesce, la cui figura confluiva nel bastone, era separato molto finemente; ci si poteva stupire di come delle dita avessero avuto sia la pazienza, sia l’abilità di realizzare così perfettamente le figure e i loro movimenti e di lavorarli tuttavia così liberamente e senza esitazione: mi colpì come questo faticoso lavoro artistico dovesse infine essere soltanto un pomo su un normale bastone. L’anziano continuò a raccontare di come si fosse imbattuto in modo inatteso in un canto su questo delfino e Arione, che da allora gli era sempre rimasto in mente tanto da costringerlo quasi contro la sua volontà a intagliare la storia nel legno. È veramente meraviglioso e bello, disse, come l’uomo sieda sui flutti inquieti e come con il suo canto attragga il pesce, tanto che questo lo porta sicuro alla riva. A lungo mi sono scervellato pensando a come avrei potuto realizzare il mare in modo da rendere percepibile la pena e la miseria dell’uomo, ma allo stesso tempo era assolutamente impossibile, perché se anche avessi voluto realizzare il mare con strisce

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e intagli, non sarebbe stato così artistico, come appare ora con il bastone collegato attraverso la fine coda del pesce con l’immagine sovrastante. Chiamò un ragazzo, suo nipote, che stava giocando con il cane e gli ordinò di cantargli l’antica canzone e quello, in modo semplice, cantò queste strofe: Naviga Arione sulle onde del mare25 verso la cara sua patria, viene sospinto dal vento silenziosamente quieto e soave è il mare. I naviganti sono lontani e sussurrano, mentre il poeta guarda l’aurora mattutina, bramano i suoi tesori d’oro decretano la morte del cantore. Arione nota la silenziosa malignità, offre loro tutto il suo oro, si lamenta e geme che il fato ora non sia propizio alla sua sorte come un tempo. Ma loro l’hanno deciso, solo la sua morte dà loro sicurezza, giù nel mare egli viene gettato, già loro sono lontani con la barca. Ha salvato solo la sua lira, galleggia nella sua bella mano, adagiato nei flutti del mare la gioia è lontana da lui. Ma ugualmente pizzica le corde dorate da far risuonare forte la volta del mare, invece di lottare selvaggiamente con i flutti canta dolcemente note delicate: Suona mia lira, nei flutti cresce il mio coraggio, morissi ora, non avrei fallito il mio scopo.

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Infaticabile, sto arrivando, morte, il tuo comando non mi atterrisce, la mia vita l’ho goduta appieno. L’onda mi innalza nello splendore, presto seppellirà il nuotatore in profondi gorghi d’acqua. Risuonava il canto nelle profondità, le onde si fecero dolcemente mosse, negli anfratti degli abissi, dove dormivano, gli animali marini divennero agitati. Da tutte le profondità meraviglie blu che, guizzando, accerchiano il cantore molto più sotto della superficie del mare verdi nuotano i tritoni. Le onde danzano, i pesci saltano, da quando Venere emerse dai flutti, mai più si era sentito questo giubilo, questo suono di delizia nelle roccaforti del mare. Arione guarda con sguardo ebbro innalzando forte il canto nel trambusto del mare, procede sul dorso di un delfino, sorridendo suona ancora la sua lira. Spinto dall’aiuto che gli presta il pesce, si avvicina già alle rocce, giunge a terra, ha raggiunto lo scoglio e canta il suo ringraziamento al traghettatore. Sulla riva si inginocchia, ringrazia gli dei per essere sfuggito alla morte nei flutti. Il cantore trionfa nelle tempeste non lo vince il pericolo, né la necessità.

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Il fanciullo si impegnò nel canto con un’espressione molto naturale, mentre continuava a osservare il lavoro artistico di suo nonno. Chiesi al pastore quanto volesse per il suo lavoro e l’esiguo prezzo che esigeva mi lasciò stupefatto. Gli diedi più di quando pretendesse e questo era fuori di sé dalla gioia; ma mi prese ancora una volta il bastone dalle mani e lo osservò attentamente. Quasi piangeva, mentre diceva: ho lavorato così tanto a questa figura e ora devo consegnarla in mani estranee, forse è il mio ultimo lavoro perché sono vecchio e le dita cominciano a tremare e non so se riuscirò a portare a termine ancora qualcosa di così artistico. Da quando ho iniziato a esercitarmi ho intagliato parecchi oggetti, ma mai finora mi ci sono dedicato come adesso con tale assiduità; è la mia opera migliore. Mi commosse, mi accommiatai e mi misi in cammino alla volta della città. Più mi avvicinavo alle porte, più mi rendevo conto di quanto mi presentassi stravagante procedendo con un bastone così lungo. Pensai a come dovesse dare nell’occhio a tutti gli abitanti della città, a tutti i miei conoscenti il mio girare per le vie con un legno così lungo, sul quale appariva una figura così massiccia. È facile da evitare, pensai fra me e me, e già avevo preparato il mio pugno per spezzare il pomo variopinto, metterlo in tasca e gettare nel campo la parte rimanente del bastone. Mi fermai di nuovo. Quante ore faticose, dissi, vecchio, hai impiegato per unire questo pesce artistico al bastone, sarebbe stato per te più semplice intagliarlo separatamente e quanto ti dovrebbe sembrare crudele che io ora volessi distruggere per falso pudore il difficilissimo esercizio della tua opera, costata tanta fatica. Mi rimproverai della mia barbarie ed ero già arrivato alle porte della città fra questi pensieri senza accorgermene. Non mi spaventò affatto che la gente mi osservasse con attenzione; sano e salvo nella mia stanza posai il bastone in mezzo ad altri oggetti artistici. L’opera non sembrava più così bella come all’aperto, ma interiormente mi commosse ancora l’instancabile caparbietà, questo amore che si era associato al legno inanimato, alla materia ingrata, per così tanti giorni. Mentre osservavo ancora il lavoro, mi venne in mente di nuovo il pittore. Mi dispiaceva sinceramente di essermene andato via in modo così scortese. Anche nel suo caso la creazione della mano e della sua fantasia si erano così amichevolmente congiunte e ora avrebbe dovuto consegnare tutto, per sempre, a un estraneo per un’inezia. Mi vergognai di andare da lui e di mostrargli il mio pen-

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timento, ma le figure dei poveri bimbi stavano là davanti ai miei occhi, rividi la misera abitazione, l’artista afflitto che, abbandonato dal mondo, parlava agli alberi e alle rocce vicine come a suoi amici. Povero Correggio!26 Sospirai forte, anche il cammino della tua vita andò perduto, quanto avrai desiderato un amico! Quanto è solo l’artista che viene trattato come una macchina preziosa che produce oggetti d’arte che ci piacciono, di cui trascuriamo però il creatore. È egoismo grossolano e riprovevole. Controllai la mia vergogna che in quel giorno, per quasi due volte, mi aveva reso un barbaro; ancora prima del tramonto andai nel bosco. Quando mi trovai davanti alla casa, sentii il vecchio all’interno che suonava; era una melodia malinconica che egli stava suonando, mentre l’accompagnava col canto: Abbandonato dal mondo, tu mi sei vicina, Madonna, se gli uomini e il mondo mi odiano tu sei amichevolmente accanto a me, così io non sono abbandonato se vedo i tuoi occhi. Il mio cuore batteva, aprii la porta di scatto e lo trovai seduto di fronte al suo quadro. Piangendo, mi gettai al collo di costui, che all’inizio non capì come dovesse comportarsi con me. Il mio cuore di pietra, dissi, si è intenerito, mi sia perdonata l’ingiustizia che io vi recai questa mattina. Per il quadro gli diedi molto più di quanto chiedesse, di quanto si fosse aspettato; mi ringraziò con poche parole. Voi siete, continuai, il mio benefattore, non io il vostro, io do ciò che potreste ottenere da chiunque, voi mi donate i tesori più preziosi e intimi del vostro cuore. Il pittore disse: se volete far ritirare il quadro, allora mi sia solo permesso qualche volta, se non vi disturbo, o se non siete a casa, di poter entrare nella vostra casa per guardarlo. Un’irrefrenabile malinconia tormenta il mio cuore, tutte le mie forze soccombono e questo quadro è forse l’ultimo creato dalle mie mani. Per questo la Madonna porta le fattezze della mia defunta moglie, l’unico essere umano sulla terra che mi abbia mai amato veramente; ci ho lavorato a lungo, in questo quadro è riposta la mia arte migliore, la mia cura più affettuosa. Lo abbracciai di nuovo; solo ora mi apparve debole, derelitto, sofferente quello stesso uomo che la mattina ancora credevo di poter

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invidiare! Da quel giorno divenne mio amico, ci dilettammo spesso insieme mentre mano nella mano sedevamo davanti al suo quadro. Ma aveva ragione. Dopo sei mesi morì, aveva iniziato qualcosa, ma non aveva terminato nulla. Gli altri suoi lavori vennero messi all’asta, mi sono aggiudicato molte delle sue cose. Persone compassionevoli presero con sé i bambini; anch’io li aiuto. Un bracciante abita ora nella sua capanna dove una volta era di casa l’arte, dove una volta visi amichevoli gettavano sguardi dalla tela. Spesso ci passo davanti e ascolto i discorsi di coloro che vi abitano, spesso vedo ancora il pastore. Non riesco più a pensare a questo avvenimento senza una violenta commozione.

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L’immagine di Raffaello27 Già più volte ho espresso, nei pensieri e ad alta voce, a te, caro volto, tutte le mie preoccupazioni, ti ho confidato la mia pena in ore molto dubbiose, e tu allora mi hai guardato come se mi conoscessi, come se tu mi capissi meglio degli amici che mi circondano. Già dalla mia infanzia il suono del tuo nome mi ha confortato nel profondo. Cos’è che attrae la mia anima verso di te, sconosciuto, eppure a me così amico? Io ti parlo sempre come se fossi presente, in tua presenza mi sento intimamente legato a te, tutto ciò che penso, tutto ciò che mi accade, te lo racconto. Alla sera mi accommiato da te come da un caro confidente e mi riposo. Mi conosci? Sai chi sono? Tentenno e tremo sempre all’idea di incontrarti, ma poi tu sei di nuovo vicino al mio petto. Tu28 mi sei presente non soltanto come artista, non è soltanto ammirazione e amore ciò che mi attira fortemente verso di te, una beatitudine indicibile e rarissima si irradia da te e mi circonda come onde del mare, perché sei tu, soltanto tu, sono il tuo nome, la tua figura che io mi immagino, l’alto senso che ti governava; tutto ciò che rende soltanto te meraviglioso rispetto agli altri e ciò che io non posso neppure nominare, sono le catene scintillanti e indistruttibili che mi cingono, ciò che mi tiene tra cielo e terra come su ali d’angelo, da dove io ti vedo sempre al di sopra e irraggiungibile e non riesco a ritornare sulla terra e tu con amicizia compassionevole vedi il mio tendere le mani e la mia fervente lotta. Spesso rimprovero me stesso e come un biasimo della coscienza mi assale il timore che io guardi all’arte e a te e a questo vano meccanismo umano in modo troppo celestiale, troppo rapito, nel modo cioè con il quale i grandi apostoli, i santi martiri della Chiesa possono aver soltanto pensato al loro Signore e possano aver desiderato vicinanza al Salvatore del Mondo con questa adorazione che scioglie il cuore in una gioia tremante e infinitamente beata. Perché è vero, se io penso ad altri grandi nomi, agli antichi eroi, agli antichi poeti e profeti e tu improvvisamente precipiti nella mia memoria come una fulgida apparizione, così tutto ciò che rimane

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è scuro e incolore; spesso ero contento e di sublime umore, ma improvvisamente sento di essermi sbagliato e che tu governi la mia anima intera. Se poi mi guardo intorno e osservo gli altri uomini e la natura inanimata ma amichevole, allora devo meravigliarmi di me stesso. Perché il tuo soffio dal cielo, Dio di bontà, che permea la natura fin nelle profondità più recondite, che sollecita la vita soave nella creatura e nell’albero, che vibra nelle anime, così che loro venerino, adorino e si amino fra loro, questo tuo spirito mi scuote con maggiore violenza rispetto a tutti gli altri, una perenne beatitudine dettata dal godimento muove e distrugge e mantiene tronco e rami del mio essere: amore verso di te e amicizia fraterna, il mio Raffaello Sanzio29 è lo stormire di tutte le sue foglie. Io non oso ora pronunciare il tuo nome con parole, tu, che significhi tutti i pensieri verso cui tendono gli spiriti, anche se essi stessi non lo sanno e non se ne accorgono, tu, ultima fonte, mare grande, infinità della vita! Ma tu certamente mi perdonerai se io, con il mio amore grandissimo, abbraccio un’immagine interiore della mia anima, se io mi inginocchio umilmente davanti alla figura più cara, se io le do un nome umano e volentieri confesso che temo lo spavento dell’emozione con la quale oso pensarti, confesso che soltanto in rare ore segrete oso cercare l’annientamento dell’entusiasmo, il peso della gioia che di quando in quando mi afferra nel tempio e mi piega. Ma tu sei quello che noi crediamo con tutto l’entusiasmo e non far caso al fatto che io dica in modo infantile e tuttavia audace che tu hai mandato tuo figlio nel mondo per ricevere, travestito, il nostro amore e il nostro omaggio e certo ti rallegra anche di vederti onorato in mille altre immagini e per questo motivo susciti nelle anime dei buoni esseri umani le stesse immagini nelle quali essi ti adorano. Per questo motivo voglio anche dipendere da te, mio Raffaello, in modo sempre più tenace. Io vedo davanti a me tutta la tua vita e la tua opera, le ore sono per me quasi regalate ricordandomi delle tue. Mi meraviglio ogni volta da capo per come tu possa aver guardato attraverso la vita usuale, come ti si siano presentate tutte le miserie, tutti i furiosi disordini, tutti i meschini interessi; come tu abbia sorriso compassionevole e dei tuoi fratelli, tuttavia, niente ti sia stato estraneo e disprezzabile. Quando io, in ore cupe, mi abbandono allo scoramento e il mondo mi appare infelice, quando poi nulla mi rinfranca e mi ricordo di tutti gli amici che ho perduto, quando la mia anima si contorce nell’angoscia e io tendo le braccia verso un conforto senza speranza, allora invoco il tuo nome, Raffaello, come quello di un genio tutelare, a te

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chiedo allora aiuto e una tiepida luce del sole si diffonde sopra la terra scura, i fiori, che annunciano dolcemente la primavera, germogliano, tu invii una schiera di angeli nel mio animo ribelle e tutte le onde si calmano di nuovo. Con la pace che mi anima abbraccio prima di tutto te. Con tutte le forze tendo verso te, io vorrei attirarti nella mia sfera con i miei pensieri più intimi e piango perché rimani lontano. Di quando in quando credo e spero che dovresti uscire dall’aria vuota e renderti visibile, così che io ti possa abbracciare, stringerti e dirti tutto. Forse penso che in questi minuti di esaltazione tu mi fluttui intorno e la tua mano invisibile tocchi il mio povero cuore assetato. Credo che sia e che debba essere così, che il nostro amore attiri gli spiriti affini strappandoli alla loro pace beata. In questo modo la tua presenza mi protegge dall’azione e dall’affanno terreni. Come il vento della sera soffia attraverso le corde dell’arpa, così che esse risuonino leggere eppure distinguibili,30 toccanti e malinconiche senza melodia, così vola il tuo spirito nella fredda boscaglia, sfiorando il torrente mormorante della mia anima e io non capisco e non so quale improvviso ristoro attraversi il mio petto come un lampo dorato. Una nuova gioia di vivere scorre nel mio animo, una fonte fresca e pura continua a sgorgare e porta con sé sulle onde tutte le forme della preoccupazione, tutto il cupo passato e un futuro cristallino diventa il Lete che mi porge incoraggiante il calice dell’oblio. Meravigliosamente, con la tua arte, mi hai avvinto a te e da allora amo ogni nuova parola che posso imparare da te. Come mi appaiono grandi gli esseri umani che, toccati dalla penuria dei loro fratelli, non considerano i loro averi, la loro proprietà, ma volentieri donano tutto per asciugare le lacrime della povertà, per placare la fame, la sete degli infelici! Come è triste gettare uno sguardo sulla povertà, sulla necessità terrena, considerare come a molti manchi qualsiasi altra felicità e che un boccone di pane sia la loro unica e più grande felicità! Come là gli affamati si assembrano, così stanno le anime nobili attorno a te, immenso Raffaello, e ti implorano per un umile dono; tu dovresti esaudire e soddisfare il desiderio che sgorga dal loro cuore, i loro auspici più belli. Essi presagiscono, vorrebbero carpire il sentimento ultraterreno, i momenti più belli che appartengono già alla vita celeste. E tu, ineffabile, ora sei qui con una ricca benedizione e doni e vuoti la coppa d’oro. Non desideri risparmiare, non desideri trattenere nulla, meraviglie sempre più grandi si rivelano, sempre più dolcemente, sempre più serrati volano giù gli angeli e il battito delle loro ali agita l’aria in cerchi sottili e me-

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lodiosi. Innocente stai nel tuo splendore, imperturbabile, come se ricevessi e non donassi. In tutte le direzioni mandi i tuoi raggi, tu hai nobilitato l’arte pittorica, per manifestarti in essa, per trasfigurare tanto la tua essenza immortale quanto, nello stesso tempo, l’arte. Tutto ciò verso cui tendi è nuovo, bello e grande, ma tu sembri non saperlo, ti abbandoni al sentimento, consegui ciò che è divino senza orgoglio, e non ti meravigli della tua creazione. Dove indugia la tua mano benedetta nasce un nuovo mondo, una bellezza sconosciuta e misteriosa. Appagato in te stesso, tu apri le braccia pieno d’amore e accogli chiunque ti cerchi con cibi celestiali, con conforto, tranquillità e gioia. Come sono debole per lodarti! Come mi sembrano infelici coloro che visitano i saloni a te consacrati soltanto come pareti dipinte, che nominano Te insieme agli altri, ti lodano con parole scontate e che ancora di più vorrebbero farti da maestri! Per questo motivo ti sia risparmiato qualsiasi paragone, Raffaello. Mi sia solo concesso di citare il tuo grande fratello Buonarroti.31 Egli non vuole consolare o rasserenare, egli tende con passi ininterrotti verso una meta sempre uguale che sa raggiungere, per lui l’arte è la cosa più alta, l’ultima, e certamente avrà sorriso del tuo animo meraviglioso, imperscrutabile e mosso dall’alto. Solo un altro uomo ho il coraggio di nominare in tua presenza, il caro tedesco Albrecht Dürer.32 Il suo animo bello lo ha portato spesso a donare agli uomini, che a modo suo ha amato, ciò che tu dai loro grandiosamente: ma dai suoi stessi doni si evince che egli stesso faceva parte del gruppo di coloro che chiedevano; le preoccupazioni del mondo abitano nascoste nei suoi quadri, i suoi giorni tristi, i suoi oggetti d’arte sono come una festa organizzata da un infelice. Sia lodato per l’eternità Raffaello, e risvegli un degno scolaro che possa annunciare forte e chiaro ciò che io qui con una lingua maldestra ho voluto dire.

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Il Giudizio Universale di Michelangelo 33 Spesso mi sono proposto di dire qualcosa sull’opera sublime di questo grande uomo,34 ma ogni volta il coraggio di farlo mi ha abbandonato. Adesso voglio osare e inizio a parlare, non senza uno slancio speciale. Se tu, caro lettore, conosci ore in cui la natura è circondata come da una gloria benevola, in cui gli alberi stanno di fronte a te come fiori più grandi e un amore benedetto serra le sue braccia materne intorno alla terra, se tu, in quel momento, ti senti elevato e felice e tutto si disperde in un suono dolce, un’eco che proviene dal cielo: allora vai nei saloni che lo spirito di Raffaello ha adornato, e sarai così entusiasta da percepire le parole che egli ti dirà. Ma spesso la poesia ammutolisce, dalla montagna l’occhio vede il vivace, perenne scorrere dell’acqua, il bosco rimane solenne e stormisce, dietro di lui si stendono i campi, dietro l’immenso mare, a lato rocce torreggianti, il cielo pieno di nuvole in movimento, un esercito in marcia veloce: le aquile volano dai nidi, si fa sentire la tempesta che sale come un tuono lontano dal mare; poi il mondo sembra lottare con tutte le sue forze, nessun luogo è quieto e inanimato. Ritta nella sua imponenza, la natura sta di fronte a noi, il nostro sguardo non si posa su un solo fiore, su un singolo albero, noi vediamo invece manifestarsi potentemente le forze del mondo, tutto diventa un immenso quadro, una misteriosa allegoria e con questa sensazione, caro lettore, poniti di fronte al Giudizio Universale di Michelangelo. Cosa non si è criticato e cosa lodato! Ma con te, grande Buonarroti, è necessario abbandonare di certo qualsiasi paragone, in tua presenza si deve dimenticare di certo l’amore per Raffaello, perché il ricordo di quei quadri delicatamente umani e celestiali non può riflettersi luminosamente nel tuo grande dipinto. Michelangelo e Dante sono coloro che annunciarono e magnificarono la religione cattolica, se cerchi in loro storia e avventura, ti acco-

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sti alle loro opere con un’aspettativa irragionevole. Dante canta il suo poema in terzine profetiche, meravigliosamente intrecciate, mai una stasi, non un passo in cui cessi lo splendore dei versi imponenti; vieni condotto sempre più profondamente nella misteriosa allegoria, non trovando alcun elemento secondario, alcun punto di sosta sul quale il poeta si soffermi, tutte le forze si tendono per produrre una grande e magica impressione, ogni incanto è trascurato, la solennità ti accoglie, il miracolo del Cristianesimo, i segreti mistici ti avviluppano nei loro cerchi incomprensibili e ti portano con sé. Proprio tale carattere è in relazione con la poesia di Buonarroti. Entra con un fremito di riverenza nella cappella Sistina e le terzine sublimi e profetiche ti parleranno, il tuo spirito verrà trasportato verso il cielo, nessuna stasi, nessun elemento secondario, nessun appoggio sul quale lo sguardo possa fissarsi. Tutto il mondo, passato e presente, sono qui condensati in una poesia straordinariamente audace e sovrumana. La creazione del mondo con le sue grandi figure, Dio Padre; Adamo ed Eva, l’angelo, la perdita dal Paradiso, il tempo dei profeti, i personaggi terribili, lo spaventoso Ezechiele, l’incomprensibilmente altero Isaia, le Sibille e ora il futuro solenne giudizio, la terrificante distruzione della terra, la resurrezione dei morti, la fine dei tempi. Nelle immagini eterne si rispecchia la grandezza di Michelangelo, la sua grazia impetuosa, la sua bellezza terribile. Tutte le figure sono più grandi di quelle terrene, tutte sono caratterizzate dal marchio audace che le distingue per sempre da tutte le altre immagini, ma in nessuna esiste celato un così profondo senso allegorico, il mistero della religione, che è intessuto nel giudizio universale. Il futuro si schiude, tutte le immagini, tutta la forza e la fatica sono, per così dire, troppo deboli, troppo usuali, Buonarroti coglie qui l’imponente, il mostruoso, il suo dipinto è la conclusione di ogni poesia, di tutte le immagini religiose, la fine dei tempi. Per questo motivo è irrisorio discutere con il grande maestro sul soggetto scelto, sconveniente per questo affresco parlare di azione e perlomeno iniquo, se non ingiusto, biasimare la simmetria dei gruppi. Se i tuoi occhi potessero qui dominare tutto con un unico sguardo, allora questo non sarebbe un oggetto grande e onnipotente, non potrebbe essere quindi affatto una rivelazione del futuro, ma la simmetria dei gruppi rende possibile dopo qualche momento la visione d’insieme, in essi si trova nello stesso tempo il mistero dell’allegoria e per questo l’opera pittorica non può e non deve rappresentare alcuna azione che si svolga in un unico istante.

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In tutte le opere d’arte di Michelangelo la tensione verso l’allegoria, questo grande ideale freddo, è privata di tutta la seduzione del casuale e dell’accessorio, ma in questa grande opera, uno dei suoi ultimi lavori, tutto tende principalmente a essa, tutto riceve importanza e dignità solo grazie all’allegoria. Spogliati di tutto ciò che è terreno, sia le figure che l’oggetto della composizione perdono completamente gli usuali significati di decoroso e sconveniente. Su fra le nuvole si vedono gli angeli che, con grandissimo sforzo, vogliono sollevare la croce, la colonna del martirio. Non si critichi e non si parli di inverosimiglianza per il fatto che la croce, che uno solo portò, ora sia troppo pesante per la forza di molti angeli; perché proprio in questo Michelangelo ha voluto porre un grande significato. I peccati della stirpe umana, i tormenti del Redentore, le attribuiscono questa pesantezza, essa viene continuamente trascinata verso il basso fino a quando la gloria dell’Onnipotente non sia compiuta, fino a quando tutti gli eletti non siano risorti e tutti i peccatori precipitati; fino ad allora la colonna, la croce santa, non può essere sollevata. Cristo emette il giudizio, la sua dolce madre atterrisce, si nasconde stando accosta a lui, il Redentore è in movimento concitato, così ora si alza e fa risuonare dalla sua bocca il terribile giudizio. I santi accanto a lui, uomini e donne, sono pacati nella loro beatitudine, sono consapevoli della loro felicità, e tuttavia l’attimo violento li scuote; Adamo è nell’adunanza, si riconoscono alcuni apostoli, i martiri. Fra loro si vedono gli angeli del giudizio, che con forza suonano le trombe per richiamare i morti alla vita eterna; l’osservatore è colto da orrore e raccapriccio, in essi è rappresentata la più composta magnificenza, essi non devono e non possono essere graziosi: bellezza e grazia distruggerebbero il dipinto. Ai lati svolazzano anime felici, ad alcune cade il lenzuolo funebre, i peccati li aggravano nell’ascesa, ma loro tendono verso l’alto, dibattendosi nella calca. L’allegoria domina tutte le figure del dipinto e tutte le figure degli eletti sono gravate ancora dal pesante peccato terreno. Per questo motivo devono essere portate verso l’alto figure di santi con un rosario: la preghiera ha effetto, i peccati vengono rimessi loro. Chi non comprende come l’allegoria possa trasformare sorprendentemente l’ordinario in sublime, troverà questa circostanza straordinariamente degna del suo biasimo. Di fronte i dannati, trascinati negli abissi da angeli malvagi. Il terrore e la fredda disperazione, la violenza più efferata e quanto c’è di più spaventoso sono qui rappresentati con una tale forza della fantasia, che quasi non si riesce ad ammirare abbastanza il grande mortale che ha dominato questa materia con pacatezza e ha condotto tutto verso il suo fine sublime.

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Al di sotto risorgono i morti. In strane posizioni escono strisciando fuori dalla terra e vedono il giudizio; molti atterriscono, altri sono ancora scheletri, alcuni hanno riacquistato le loro fattezze, ma sono ancora storditi. Caronte, il vecchio traghettatore, è fra di loro e ne trasporta alcuni nella sua barca, lo spaventoso Minosse esegue la sentenza. Non si avanzi l’obiezione che qui la mitologia dei greci venga mescolata alla dottrina cristiana, perché queste immagini sono autenticamente cattoliche e non dovrebbero disturbare l’effetto complessivo.35 Michelangelo non è il solo a introdurre antichi dèi della nazione greca, lo fanno anche alcuni poemi e tradizioni, ma qui si presentano come diavoli e il senso è che le figure, che i pagani immensamente idolatravano, erano spiriti malvagi, dannati e simulatori e regnarono sui loro troni finché Cristo non annientò il loro regno. Ora ritornano nel giudizio universale ancora riconoscibili, tuttavia in una forma diversa e terribile: la loro reale. Tale è l’effetto che mi ha sempre fatto questo grande affresco. Non si dica che il pittore ha scelto le posture per mostrare la sua conoscenza del corpo umano, la sua cognizione dei muscoli; al contrario tutto deve sollecitare e tendere a rappresentare la forza più grande, terrore, timore, disperazione, paura e speranza animano ogni figura, ogni singolo personaggio, anche la calma e l’alta consapevolezza dei santi e dei patriarchi sono fatica e lotta. È dolce accogliere la beatitudine della religione ristoratrice dalle mani dell’umano Sanzio, vedere la sua Passione36 nella quale si rispecchia così soavemente la sua grandezza: – ma qui, di fronte all’imponente dipinto murale di Michelangelo, amore e speranza indietreggiano per lo spavento, la fine dei tempi è arrivata, tutte le storie sante, i loro tempi antichi sono solo introduzione e preparazione a questo momento; dopo che esso è trascorso la fantasia non può escogitare né inventare nulla, il tempo morente si muove con tutti i muscoli in una lotta spaventosa, la religione emette un giudizio solenne e definitivo. Con queste parole ho voluto difendere il potente Buonarroti da alcune iniquità, poiché queste grandi figure sono state giudicate troppo spesso come se si trattasse di un altro racconto storico; se mi sono sbagliato, l’ho fatto con le migliori intenzioni, a paragone di quegli uomini più freddi che troppo volentieri sminuiscono il sublime per dare ragione a un altro prediletto in modo più pacato; o forse ci siamo sbagliati piuttosto per le medesime ragioni, per una predilezione perdonabile, e Dio e l’arte ci perdoneranno.

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V - LA CHIESA DI SAN PIETRO

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La Chiesa di San Pietro Sublime meraviglia del Mondo!37 Il mio spirito si leva in sacra ebbrezza quando osservo la tua smisurata magnificenza!38 Tu risvegli pensieri su pensieri con la tua silenziosa eternità e non lasci mai riposare l’animo pieno d’ammirazione. Un secolo intero si è raccolto nella tua grandezza in pietra e su innumerevoli vite umane ti sei elevata a questa altezza! Voi mura e colonne possenti, la vostra patria è nelle nude cave di pietra! Molte mani rudi, per una paga misera, hanno strappato massi di marmo alla natura indocile e grezza, noncuranti di cosa mai sarebbe diventata quella massa informe; l’unico pensiero dell’operaio era ogni giorno soltanto il suo utensile, il suo strumento fino a quando una volta e per l’ultima lo prese in mano e morì. E quanti di quelli che non si preoccupavano di null’altro al mondo che di sistemare, per una misera paga, queste pietre saldamente una sull’altra, hanno abbandonato il mondo! E quanti, la cui attività era quella di scolpire queste colonne e queste travature con tante piccole decorazioni in linee libere e pure e che potevano essere intimamente molto orgogliosi di un bel capitello, che ora si perde nell’infinita complessità, avranno chiuso i loro occhi e forse nessun occhio più al mondo avrà guardato quel capitello attentamente dopo che per l’ultima volta costui lo ha ammirato con gioia. Tutta una schiera di maestri di architettura si sono avvicendati nella creazione di questo colosso; furono loro che con disegni e modelli di piccole dimensioni diressero le centinaia di mani rudi ed esercitarono la magia sugli informi figli delle rocce per farli divenire belle figure, e uno dei più grandi maestri fu quello che, per mezzo di un asciutto intrico di numeri e di linee curve stese su pochi fogli, stabilì la regola dell’immensa cupola,39 per scalare audacemente il peso delle mura e mantenerla sospesa nell’aria. E anche una schiera intera di governatori della Santa Sede che, grazie a piccoli e miseri pezzi di metallo, che disseminarono per il mondo dai loro forzieri senza vita e silenziosi, portarono alla luce come attraverso lampi elettrici questa realtà unitaria e visibile, pro-

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veniente dalla forza sonnolenta delle mani rudi, dall’arte sopita dei lavoratori della pietra e dagli spiriti sognatori degli architetti, costoro ottennero in cambio, grazie alla misera uniformità, ripetuta milioni di volte di questi insignificanti pezzi di metallo, un’opera così meravigliosamente ricca di bellezza inesauribile e di magnificenza per il mondo e per la dignità umana: anche questi da lungo tempo si sono alzati dal loro seggio splendente e hanno posato umilmente il loro piede santo nell’oscuro territorio nel quale sono andati milioni fra coloro che li avevano venerati come governatori di Dio. Quante numerose tracce umane parlano da tutte le tue pietre! Quante vite si sono spezzate alla tua creazione! E tu rimani ferma, una costruzione immortale, ti sostieni sulle tue mura forti e guardi impavida, sorvolando interi secoli. Le migliaia di singole pietre ricavate dalle rocce, le masse informi, che assomigliavano a membra mutilate, si sono ricomposte in colonne slanciate, di cui l’occhio cinge la figura sublime con sguardo amabile, o si sono trasformate nella cupola, sulla cui dolce e forte curvatura lo sguardo con giubilo s’innalza. Sono scomparse le innumerevoli membra mutilate: al loro posto c’è un insieme di mura e colonne come se, nella formazione del mondo, questo insieme fosse stato costruito da giganti con la ricca argilla o fosse stato fuso in forme gigantesche da rocce liquefatte. E la straordinaria realtà di questo sogno incredibile, che spaventa la fantasia, dove poggia se non su un paio di parole fugaci e su pochi tratti di penna di quelle teste tre volte incoronate?40 Ma tu splendi nella tua esistenza e non hai più nulla della tua origine. Uomini ti crearono e tu sei di una natura più alta della stirpe dei tuoi creatori, lasci che le schiere mortali per lunghi secoli si inginocchino sotto la tua volta e le cingi con la divinità che parla eternamente dalle tue mura. Beato l’uomo mortale che può creare l’immortalità! Beato il debole e il profano che possono dare vita a una sublime santità davanti alla quale lui stesso s’inginocchia! Sotto il cielo dell’arte devota la forza creatrice mortale origina un frutto d’oro, più nobile del tronco e della radice; la radice può morire, il frutto d’oro racchiude forze divine. Gli uomini sono soltanto le porte attraverso le quali le forze divine, a partire dalla creazione del mondo, sono giunte sulla terra e si rendono visibili a noi nella religione e nell’arte duratura.41 È un pensiero magnifico e ardito quello di rappresentare le forme della bellezza, che apprezziamo in piccole opere caduche, in spazi giganteschi, maestosamente, usando rocce imperiture. Si tratta di un’ar-

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te molto nobile che, disprezzando ogni figura e lingua umana, alle quali tutte le altre arti sono soggette, sia soltanto orgogliosa di porre davanti ai nostri occhi un’immagine potente, sensuale della bella regolarità, della saldezza e della funzionalità di queste virtù cardinali e gli archetipi e i modelli originari insiti nell’anima umana. Queste opere sono (similmente all’armonica dottrina della saggezza nell’anima dei saggi) una bella e salda concatenazione di masse che sostengono e che sono sostenute, di colonne e pareti che audacemente tendono verso l’alto, di soffitti e volte protettive che pacatamente fluttuano e guardano verso il basso. Libere sotto il cielo di Dio si trovano le loro opere e sono radicate direttamente alla terra, teatro di tutte le cose; non si lasciano dominare dall’abilità delle mani, come le opere di arti differenti, la specie che le ha generate entra in loro, si sente racchiusa in esse e queste sono i nobili contenitori che conservano nei loro ambienti tutte le altre arti e scienze e addirittura la più nobile attività del mondo. Cosa possono conservare e racchiudere di più grande della tensione verso la divinità insita nell’essere umano? Le loro mura dovrebbero ampliarsi e innalzare il più possibile le loro cupole così da estendersi su uno spazio imponente per riunire tanti e tanti bambini della terra in un unico grande grembo materno, sul quale la preghiera solitariamente errante di migliaia di persone, riunite sotto questa volta, cinte dall’abbraccio eterno di queste sacre mura, brucerebbe in un’unica fiamma, così che la divinità accoglierebbe una degna offerta. Innumerevoli moltitudini nel passato hanno consacrato queste sante mura alla preghiera e nel futuro innumerevoli altre aspettano per cingerle ardentemente tra le loro braccia. Li sento bene i saggi giudiziosi che dileggiano e dicono: «Cosa serve al mondo questo sfarzo arido e senza vita?42 L’essere umano prega ugualmente pio in un ambiente più ristretto e disadorno e noi avremmo sfamato e vestito molti bisognosi, vedove e saggi, con questi tesori di pietra». Lo so bene che l’arte e la religione suscitano irate reazioni, quando si elevano agli occhi del mondo in ricco sfarzo regale. Questi potrebbero essere pensieri molto fondati della ragione umana, tuttavia non sono i pensieri della provvidenza creatrice. Secondo una proporzione calcolata dalla ragione umana e un rigido ordine spirituale delle cose, i saggi vogliono creare ex-novo la nostra terra. Ma cos’è la terra se non una percettibile eco della nascosta armonia delle sfere? Un lampo a noi visibile solo fugacemente dalle nubi scure nascoste dell’universo? E cosa siamo noi? Quell’impetuoso ribollire e raffreddarsi delle cose terrene – così che l’alto si unisca alle

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cose alte e le pianure e le profondità trascorrano abbandonate a se stesse – non mi sembra nient’altro che il battito caratteristico e misterioso, il terribile e incomprensibile respiro delle creature terrene. Se la terra vuole realizzare cose grandi e nobili per un’esistenza reale e fisica, la sua tensione non è altro che costantemente terrena e non conosce per grandezza e sublimità alcun compagno più degno dei tesori terreni. Così anche la stessa natura inanimata, proprio in senso terreno, ha ricompensato ancora con grande abbondanza la meravigliosa bellezza delle sue montagne con l’abbondanza sotterranea dei preziosi metalli, mentre deserti senza fine periscono sotto la loro mano avara. Per questo motivo taci, arguzia umana e voi sensi devoti lasciatevi incantare dalla magnificenza sublime e altera. Ahimè! Persino questa meraviglia del mondo, come scompare nella minuscola infinità delle cose di questa terra! Si rimpicciolisce quando l’occhio si allontana per un breve tratto e non è disponibile per tutte le altre cose del mondo. Intere parti del mondo non ne hanno mai sentito parlare e pure migliaia che la vedono devono pensare a cose più importanti e le passano davanti, indifferenti.

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I dipinti di Watteau 43 Sento spesso parlare con un certo disprezzo di questo artista dagli ammiratori dei grandi maestri e tutte le volte mi fa male perché ho provato spesso un sincero piacere contemplando i suoi dipinti.44 Ammetto che da queste immagini non irradi alcuna santità, nessuna grandezza da queste opere prodotte da un carattere lieto, che da questa lieve musica da ballo dipinta non parli alcun entusiasmo, alcuna tensione verso il cielo. Ma non avrei mai potuto essere così severo da chiudermi di fronte a ciò che di più amabile vi è nella nostra vita quotidiana, da non sentire quanto di più incantevole si trova nell’esistenza di migliaia e migliaia di individui. Perché così come Raffaello domina nella storia sacra, rivelandoci gli angeli e il Salvatore e annunciando il suo entusiasmo celeste attraverso l’opera delicata delle sue mani, come un soffio celeste e un canto dei cherubini spira e risuona attraverso le sue opere di poetica intensità, allo stesso modo questo artista, del quale orecchio e spirito erano sordi ai suoni celesti, accoglie in sé l’umanità più comune con piacere e amabilità. Mi si perdoni se cito questi due nomi uno accanto all’altro. Deve essere forse vietato cogliere i divertimenti più comuni, le ore allegre del vivace piacere sensuale, le graziose e lievi figure e rappresentarle abbellite? Mi sembra che lo spirito dell’essere umano sia meravigliosamente ricco, perché cinge gli oggetti che stanno a entrambe le estremità con le sue braccia, senza sforzo; ciò che appare come completamente separato non è mai così lontano come potremmo credere in un primo momento. Così, caro lettore, suoni terrestri si elevano verso di te, quando la musica da ballo mette le ali ai tuoi piedi e tu istintivamente e, sorridendo, segui le note dentro di te, ed esse ti conducono in un luogo che ti è molto vicino, pieno di figure fuggevoli, poi ritornano nel tuo animo momenti lietamente vissuti e quindi ti trovi davanti ai dipinti di Watteau.45 Qui vedi l’intimo chiacchiericcio dell’amore, le avventure piacevoli, l’incontro di occhi scintillanti. Abiti colorati e svolazzanti, maschere stravaganti e spassose si accompagnano nell’allegria generale, le figure più bizzarre si mescolano audacemente a quelle ordinarie. Le danze si susseguono in cerchio, una piacevole confusione cattura lo

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sguardo. Là gli amanti stanno in ascolto del suono della cetra che un giovinetto sorridente pizzica dallo strumento, poco distante siedono delle belle ragazze indifferenti, due begli uomini passano attraverso le ombre del giardino impegnati in discorsi senza importanza: guardano proprio verso le ragazze. Come accade che nella vita si allaccino facilmente rapporti e si sviluppino inavvertitamente degli avvenimenti, così anche qui; in altri fogli si crede di ritrovare quelle figure intrecciate, coinvolte in abbracci, che qui camminano uno accanto all’altra indifferenti. In altri racconti si vede lo struggimento della ragazza e del ragazzo; nella bella boscaglia scura origlia la spavalda curiosa. Arrivano carrozze con figure acconciate, altre se ne vanno. Anche se qui tu non dovessi accorgerti della forte attrazione magnetica dell’ideale, dovresti comunque considerare questi quadri come la vita reale e goderne allo stesso modo. Mi è sempre sembrato strano che l’artista, che fa saltellare e danzare intorno a sé queste creazioni, fosse un soggetto annoiato e misantropo. Egli si ritirava completamente nel suo mondo colorato, la sua fantasia diventava lieta e gaia non appena prendeva in mano il pennello. Io l’ho ringraziato spesso dentro di me per le sue romanze e per i suoi canti da ballo, per i suoi deliziosi canti sul vino; dopo aver osservato i suoi quadri, spesso ho sentito intorno a me l’impulso verso una vita più amabile. Ma per motivi più grandi è anche buona cosa se sentiamo interiormente l’elevatezza dell’arte e se veniamo purificati dallo spirito del sublime, mentre siamo richiamati da spiriti allegri nelle immediate vicinanze.

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VII - FIGURE INFANTILI NEI QUADRI DI RAFFAELLO

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A proposito delle figure infantili nei quadri di Raffaello Spesso è bello e meraviglioso perdersi nell’immediato presente con tutti i pensieri per accorgersi e avvertire così compiutamente il movimento della vita misteriosa! In questo modo veniamo restituiti a noi stessi e ritroviamo dolci sentimenti e presentimenti che forse già dalla fanciullezza ci abbandonarono. Così ci accade certe volte quando osserviamo l’umanità minorenne, quando posiamo lo sguardo per una volta con più attenzione su questi boccioli ancora chiusi, nei cui sorrisi disinvolti e nei cui occhi dolcemente sereni dorme un misero futuro; che se la godono così intimamente e non bramano di sapere null’altro. Quando noi osserviamo il volto incantevole dei bambini, dimentichiamo volentieri e facilmente le complicazioni del mondo, l’occhio sprofonda nei tratti meravigliosamente puri e come profeti di un lieto futuro, come piante delicate che sono tornate da un’età aurea da tempo fuggita, i bambini stanno intorno a noi. Noi non riusciamo a capacitarci di come queste figure siedano con noi intorno alla sorgente della vita e non facciano ancora nient’altro che contemplare se stessi in essa. Guardiamo giù con loro e non riusciamo a meravigliarci abbastanza del fatto che questa sia la vita. Così, allora, mentre la nostra anima sarebbe colta dal ricordo della dolce innocenza celeste, guarderemmo giù nell’acqua che rimanda la nostra immagine sempre più seriamente, più gioiosamente, credendo alla fine di non percepire null’altro che noi stessi e sopra il nostro capo le nuvole chiare che paiono in procinto di scendere dall’alto come gloria e di coronarci di raggi. Come accade che attraverso il fitto bosco spesso si diffondano suoni strani che non troviamo mai in altra circostanza, allo stesso modo ci sono sottili anime di pensieri, come mi piace chiamarle, che mai abiteranno in noi, che ci salutano e ci attraggono come da lontano; noi rivolgiamo loro sensibilità e spirito, ma non le catturiamo e non le conquistiamo mai, spesso ci accorgiamo di loro solo come di una forma che aleggia in modo persistente, come di un ricordo instabile. Quanto più a lungo l’essere umano vive nel suo involucro terreno, tanto più si abitua a tutte le apparizioni che stanno dentro di lui e fuori dalla

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sua sfera intima, egli si ritira sempre più nell’oscurità della vita terrena e crede di abitare la chiarezza; scintille e bagliori penetrano dall’alto solo di rado nella sua anima e se anche trattiene le luci più meravigliose e salvifiche, le considera soltanto, troppo spesso, illusioni. Questo barlume etereo, questi ricordi del mondo degli angeli, vivono e agiscono ancora limpidi e freschi nello spirito infantile. L’ombra scura delle cose del mondo non si è ancora insinuata in loro, oscurando il fulgore, le attività terrene, le nostre passioni e i progetti, l’amore indolente e l’odio selvaggio, tutto questo è ancora molto lontano, come una distorsione irriconoscibile; e per questo motivo i bambini stanno come grandi profeti fra noi, predicando in una lingua trasfigurata che noi non comprendiamo. Troppo spesso cerchiamo a fatica nel volto del bambino il futuro uomo,46 ma è più bello e più piacevole cercare nell’uomo le tracce della sua fanciullezza e gli esseri più felici sono quelli nei quali non ne è svanita completamente l’impronta. Non sono forse gli esseri umani dei bambini corrotti e snaturati? Non sono andati avanti, piuttosto sono tornati indietro; il bambino è in sé e per sé l’umanità bella. Questi bambini, così come li ho descritti qui, ce li hai rappresentati tu, Raffaello! Non hai considerato degno della tua fatica rappresentare il mondo propriamente irragionevole dei fanciulli così come hanno fatto abilmente altri pittori e per questo sei stato troppe volte biasimato. Non parlo qui del Salvatore, degli angeli che chiedono la nostra adorazione nei suoi quadri; anche in scene liete, suonando gli strumenti, facendosi scherzi, noi troviamo sui suoi dipinti bambini che con la loro saggezza, con la loro serietà composta e misteriosa mettono in imbarazzo gli anziani che li circondano, ai quali noi contemporaneamente ci rivolgiamo per chiedere consiglio su come si debba condurre la vita terrena. Sono così veri, seri e superiori, proprio perché non conoscono ancora la serietà e la superiorità che noi adulti siamo soliti invocare; infatti, loro sono ancora così vicini alla sorgente dello splendore, che si allontana sempre più nel buio man mano che la vita avanza con gli anni. Tutto il mondo ha bisogno dell’espressione “fanciullesco” e non fa che rimproverarsi costantemente per questo. O Raffaello, che sublime suggerimento ci hai dato! Come pronunci solennemente questa parola e come ci istruisci! Ma ti hanno ascoltato poco come hanno fatto con il Redentore, che come te disse: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite: a chi è come loro, infatti, è il regno di Dio”;47 e ancora: “In verità vi dico; se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.48 Con queste solenni parole voglio chiudere al meglio le mie considerazioni.

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Un paio di parole sulla giustizia, sulla misura e sulla tolleranza Molti avranno motivo di prenderla a male e di sorridere compassionevolmente per il fatto che io ritorni di continuo a Raffaello e che nelle mie parole su di lui non riesca più a contenermi. Mi biasimeranno per il fatto che parlo sempre di lui senza alcuna riserva, che non mi limito a un ragionevole entusiasmo e non do agli altri ciò che loro spetta. Anche se non cerco il suo nome, mi viene alla bocca quando il discorso concerne l’arte della pittura, mi serve come salda misura di riferimento per tutto ciò che è grande e bello, da immagine chiarificatrice. Chi viene toccato dal sublime,49 colui al quale si schiude il miracolo del bello, sentirà l’anima intera concrescere saldamente con l’entusiasmo e gli sarà impossibile accontentarsi di elogi privi di calore e misurati. Possiamo forse soppesare la natura divina dell’arte, la cosa più eccelsa che l’anima umana può produrre, secondo il cubito del commerciante o secondo il peso dell’oro? Il bello vero, la grandezza dell’arte è imperscrutabile, attrae il nostro cuore magneticamente a sé laddove la percepiamo, sentiamo fino alle più intime profondità la nostra eterna affinità, scuote il nostro spirito come i colpi della folgore, riconosciamo il divino e lottiamo per esso nella più bella battaglia, aspiriamo a dare un nostro segno, una ricompensa, un filo che possa legarci in modo inscindibile alla grandezza sublime che ci è affine e in questo modo la nostra lingua si profonde in discorsi entusiastici, perché allo stato attuale dobbiamo ancora manifestarci attraverso gli organi e la forza dell’anima non può sollevarsi immediatamente alle dorate immagini eteree. L’entusiasmo50 (di quello falso e ipocrita non mi è lecito parlare qui) non è un’esaltazione dello spirito ignoto, piuttosto una bella confessione della grandezza che ci è propria; della vera arte non si dovrebbe mai parlare senza entusiasmo. In modo simile, quando noi sentiamo agire le forse naturali intorno a noi, quando sorge il sole, maestoso e benefico, e intorno gli spiriti creano e permeano mille nature, e noi, dalla montagna, dalla valle, percepiamo e sentiamo la vita affine, le forze amichevoli, e siamo in armonia con il mondo visibile e invisibile, allora esprimiamo volentieri questa gioia, vorremmo dedicare

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un ricordo riconoscente alla profonda consapevolezza che abbiamo di noi stessi e così nasce la preghiera, il pensiero rivolto a Dio. Chi abbia percepito spalancarsi il proprio petto per accogliere questa sensazione ardente, come potrà controllare e contare le proprie parole, come potrà porre freno a se stesso innalzando un inno all’Altissimo e rendere giustizia a tutte le altre creature prescindendo da costui? Ritorno dal mio paragone, che non mi sembra così audace come potrà sembrare ai più. Molte persone credono sempre che il loro vantaggio, o quello altrui, che per lo più esse stesse non hanno in mente con chiarezza, verrebbe diminuito nel momento in cui si esaltasse qualcosa come il più alto, il più eccellente, il più compiuto. Come se ogni grandezza e bellezza non vivesse in un proprio mondo, in un proprio elemento, non si nutrisse e si mantenesse da sé. Nessuna violenza ostile può qui irrompere e distruggere; la bellezza, fondata eternamente come il mondo, che riposa in se stessa, impenetrabile, si muove all’interno delle proprie sfere e chiunque tentasse di seguirla, e non osasse farlo, apparirebbe così sciocco e degno di compassione, ma certo non degno di odio come colui che cerca di imprecare contro Dio con parole deboli. Non è un’impresa temeraria, è un disconoscere se stessi. Ma la maggior parte degli individui sente che il cuore terreno di cui sono dotati non è fatto per questo, per ospitare la gloriosa fiamma dell’entusiasmo. Atterriscono di fronte a questo sentimento, quando da lontano lo vedono arrivare verso di loro, perché in quest’attimo sembrano abbandonarli tutte le scempiaggini, l’insulsaggine, la loro gioia meschina, tutto quello che per loro ha valore e verso il quale nutrono un timore reverenziale, così come pure la felicità della vita domestica e il loro piccolo orgoglio per quanto essa sia perfetta. Un’acqua, che essi sopportano solo come sorgente, si diffonde nella forma di un grande mare scintillante e vuole inghiottirli con tutta la loro sapienza. Allora salvano volentieri se stessi e la loro miseria e preferiscono confessare la loro insufficienza, il fatto di essere troppo deboli per ospitare Dio, ammettono che dispiace che costui non si voglia accontentare di una scarsa considerazione e di una misera soddisfazione che essi tributano volentieri ai loro altri idoli. Per questo motivo calunniano l’entusiasmo, perché lo percepiscono come una persecuzione, prendono le immagini dei loro cari, dei loro artisti, che verrebbero distrutte di fronte all’arte vera, e li pongono come mura e trincee tutt’intorno. I nemici vogliono distruggere la nostra funzione religiosa! Strapparci ciò che è santo! E così si levano grida assordanti e il cieco frastuono riunisce tutti, perché nessuno fa caso all’arte che passa su una carrozza trionfale con i suoi cari e sorride degli armamenti di guerra, del presunto bisogno, della presunta guerra di religione dei deboli.

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Poi ce ne sono altri, che si reputano sommamente saggi, perché sono passati attraverso esperienze miserrime. Conducono l’esistenza come un sogno, che inizia e finisce senza motivo e che non ha un punto centrale. Vengono trascinati di qua e di là, governati o dall’umore o da piccole passioni. Sentono parlare della grandezza, degli eroi, della poesia e reputano che tutto ciò faccia parte della medesima follia, convinti di non aver mai vissuto in prima persona una simile debolezza. Si ammetta, poi, che vengano toccati da una passione per dipinti e per poeti che capitano nel loro raggio in qualità di più valenti: allora si fanno avanti con fervore passionale, bisticciano, litigano e credono di ammirare, senza rammarico scambiano questa follia con un’altra che viene sospinta nella loro direzione da un’onda nel flusso della vita. Essi conducono la loro esistenza fra cambiamenti costantemente instabili, sembra loro un folle chi si pone un obiettivo fisso e nobile e che, nonostante il vento e le onde, remi coraggiosamente in quella direzione. Sorridono dell’entusiasmo, assicurano e giurano che questa agitazione oggi, o al più tardi domani, passerà, che oggi una cosa viene lodata con trasporto, mentre sarà domani il turno di quella che al momento viene disprezzata. Ci mettono in conto la loro mancanza di sensibilità come se si trattasse di equità e sobrietà: pensano di considerare il mondo e tutto ciò che in esso è contenuto da molti lati, quando sono loro ad abbandonarsi a occhi chiusi al giocoso caso e in un presente privo di riferimenti ormeggiano qua o là. Ma che cosa devo dire di quanti mi hanno sempre infastidito moltissimo e mi hanno causato più noia? Quelli che da bambini inciampavano con inutile zelo e con incontenibile presunzione nell’arte e nella scienza e coglievano e strappavano tutto come fossero stati fiori per adornarsi; quelli che da ragazzi rimanevano ancora bambini e si abbandonavano senza coraggio al proprio interesse personale, all’occupazione del loro necessario benessere che chiamavano il loro destino, il loro fato? Avendo consumato l’esistenza fino al nocciolo, cadono macerie dietro a ogni passo che hanno fatto; essi guardano soltanto avanti, volgendosi al proprio vantaggio, alle proprie pretese, al rispetto che altri mostrano loro, il cammino si restringe sempre di più ai due lati, sempre più si restringe il loro cuore, e ciò di cui soffrono è l’orgoglio, la loro malattia è la loro felicità, che chiamano esperienza e saggezza. Essi accettano l’entusiasmo con limitato rincrescimento, perché lo considerano un fuoco giovanile al quale anche loro da bambini si bruciarono, per imparare a tenersene in seguito ben lontani; considerano facilmente l’entusiasta come un fratellino minorenne e gli dicono come tutto, proprio tutto, con gli anni scompaia, come poi imparerà a conoscere cos’è la vita vera, la vera realtà. Così la farfalla ammaestra

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l’aquila e vuole che prima o poi anch’essa si chiuda nel bozzolo, come ha fatto lei, e metta fine al volo e alla gioventù spensierata. È ben vero che molti, nell’inesperienza della gioventù, sono al proprio meglio, giacché il giudizio degli anni finisce con l’avvolgerli soltanto con la nebbia più fitta, tanto che poi negano lo splendore del sole. Ma come fai tu, minorenne, a lodare i tuoi deboli dèi, se li elogi tutti? Non nominare la parola tolleranza, perché non la comprendi: continui a degradare la cosa più alta per poter tollerare l’insignificante, ciò che è scialbo e ciò che è cattivo, tu maledici il Salvatore e preghi per il ladrone. Tollerante e indulgente è colui che ama l’arte con vero entusiasmo; vuole che tutto, lungo il percorso che gli è proprio, segua la propria esistenza secondo la misura più adatta, addirittura ciò che è sciocco e insulso, solo non vuole che si affianchi l’ordinario ai suoi dèi; egli può sopportare tutto, ma riesce ad amare e ad adorare solo l’Altissimo.

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I colori Tutte le volte che io guardo il meraviglioso mondo e mi immagino di guardarlo per la prima volta, mi meraviglio ogni volta dell’infinita varietà delle forme, della diversa natura dei gesti che ciascuna creatura compie in mezzo agli altri. Mi meraviglio di come tutto ciò che è vivo e inanimato, creature, rocce, piante, arbusti, si muova e cambi di posto in svariati modi, così come in un altro sistema organizzato resti immobile e la vita attiva insita in esso produca rami e foglie o tenda a separarsi in membra, zampe, ali. Il regno delle piante e quello delle pietre appartengono con anima e corpo alla terra che tutto produce. Gli esseri umani e gli animali formano uno stato che si sostiene da sé, si riproducono tra di loro in una sequenza ininterrotta, chiamano il resto della natura soltanto in aiuto della loro esistenza. Trovo però ancora più straordinario osservare i diversi colori, per mezzo dei quali tutti gli oggetti risultano ancora più separati e poi, per così dire, di nuovo resi affini e accomunati. Un’esistenza spirituale inintelligibile si estende come benevolo complemento su tutti gli oggetti visibili, senza essere la cosa in se stessa, ma da essa tuttavia indivisibile. Com’è meravigliosa e variopinta la verde foresta con le sue piante, con i suoi fiori nascosti, con le sue creature vive e gli uccelli multicolori! La luce del sole vi penetra e brilla, illumina e osserva se stessa con piacere su ogni foglia, su ogni filo d’erba. In tutto ciò non vi è muto e solitario silenzio: il vento vivificante soffia attraverso le cime delle piante e sfiora tutte le foglie quasi fossero altrettante lingue, la pianta si scuote di piacere e come scorrendo su un’arpa si muovono e frusciano dita invisibili.51 Gli uccellini esultanti vengono incoraggiati a cantare, migliaia di suoni e di voci vagano e si confondono l’uno con l’altro e gareggiano con l’irruenza del canto; la selvaggina non tace il proprio piacere, dalle nuvole scendono le allodole, seguono i ruscelletti che, come silenziosi sospiri dell’incanto, proseguono il loro corso nella parte più bassa della terra, – quale spirito, quale amicizia sfiora le molle invisibili e nascoste, così che tutto in una smisurata varietà si trasformi in canto e suono?

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Ma come posso descrivere lo splendore del tramonto e dell’aurora! Come l’enigmatico bagliore lunare e i riflessi rossastri che si rispecchiano nel ruscello e nel torrente! Intorno alle farfalle, ai fiori s’intesse il rosso splendore lucente e si afferra, l’uva, le ciliegie vengono sfiorate e rese luminose dal delicato tramonto e nel verde fogliame pendono con vistoso, cromatico contrasto i frutti rossi. Al sorgere e al calar del sole, al bagliore della luna, la natura si trova coinvolta in un rapido incanto spontaneo, in cui essa è ancora più generosa, ancor meno si risparmia, e come un pavone,52 vestito con orgoglio di un abito sfarzoso, dispiega intimamente compiaciuta tutto il suo tesoro con un fruscio. Fra i suoni della natura nulla posso paragonare al frullio e al canto dell’usignolo che gorgheggia verso un’eco.53 Così tutta la natura tende delle reti per accogliere lo splendore del sole, per trattenere e catturare i bagliori scintillanti. Così il tulipano mi appare come un effimero mosaico di bagliori serali sfavillanti, i frutti ne suggono il chiarore e lo conservano gioiosamente, fintantoché il tempo glielo concede; come le api cercano il miele, allo stesso modo le farfalle si lasciano cullare dalle tiepide brezze e rubano qualche bacio al sole fino a risplendere del blu del cielo, di rosso purpureo e di fili dorati. Così la natura gioca con se stessa in una chiarezza eternamente viva e mossa. Quando le nubi passano davanti al sole, allora fuggono tutte le luci fiammeggianti, svanisce il bagliore negli alberi e nei fiori, i colori diventano più sbiaditi: le ombre e il colore scuro divorano e smorzano l’esultanza, la gioia trionfante del mondo ardente. Tuttavia, allo stesso tempo, nelle profondità più ime e segrete della terra domina un altro sole invisibile. Come un Plutone terribile, governa gli elementi e infonde loro la vita nell’Ade orribile. Là risplendono i cristalli, raramente lascia tremolare raggi sulla superficie dei minerali d’oro e d’argento, di bagliori misurati addobba il suo regno impenetrabile e inaccessibile. Le sorgenti isolate fanno sgorgare, mormorando, una funebre melodia sotterranea. L’essere umano estrae dalle gole le pietre preziose e, liberandole dalla loro sepoltura, fa in modo che il sole sovrastante la terra possa illuminarle: allora esse brillano e risplendono di mille raggi e spesso catturano il suo folle cuore. I minerali d’oro e d’argento vengono fusi e levigati e imitazioni di soli forgiate in forme arrotondate; spesso l’uomo se ne sente attratto con tutti i sensi, dimentica l’aurora e il tramonto, la natura, la foresta verdeggiante, il canto degli uccellini e questi minerali, con il loro suono seducente, la loro voce di sirene sono per lui canto e magnificenza solare; egli li pone, in virtù del loro bagliore scintillante, accanto ai suoi idoli, così che pezzi di metallo senza vita lo trattano come un loro schiavo a paga.

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La musica ha collezionato quanto vi è di più bello fra i suoni della natura e li ha nobilitati, si è costruita degli strumenti, di metallo e legno, e l’essere umano ora può sollecitare volontariamente una schiera di spiriti dotati di voce melodiosa tutte le volte che vuole; l’arte domina questa grande e meravigliosa regione. La fantasia voluttuosa spera un giorno di incontrare un canto soprannaturale delle sfere celesti ancora più alto, nei confronti del quale l’arte di questo mondo non è che rozza e goffa. La pittura ha fatto bottino per sé di colori da piante, animali e pietre, e dunque riproduce e abbellisce forme e colorazioni della natura reale. Gli artisti hanno creato opere grandi e meravigliose; soltanto il pittore, come anche il musicista, può sperare, forse, un giorno, di trovare i prototipi, grandi e sublimi, per le sue immagini, che si muovono incorporee nelle forme più belle. Nella natura, il colore è gradevole complemento delle forme e a loro volta, i suoni, sono accompagnamento del colore cangiante. La varietà nei fiori e negli arbusti è una musica arbitraria in un bell’avvicendamento, in una dolce ripetizione: i canti degli uccelli, il suono dell’acqua, il grido degli animali sono allo stesso tempo, di nuovo, un frutteto e un giardino; l’amicizia e l’amore più teneri si stringono in formidabili legami fra tutte le creature, colori e suoni, indissolubilmente: l’uno attira l’altro verso di sé, magneticamente e irresistibilmente. L’arte umana separa la scultura, la pittura e la musica: ciascuna esiste per sé e percorre il proprio cammino. Mi è sempre sembrato tuttavia che la musica potesse vivere per sé in un mondo isolato, ma non così la pittura: per ogni bella rappresentazione con i colori esiste certamente un brano musicale affratellato che ha in comune con il dipinto un’anima. Quando poi risuona la melodia, certamente balenano ancora nuovi raggi vitali nel quadro, un’arte più potente ci parla dalla tela, suono, linea e colore si compenetrano a vicenda e si mescolano in un’ardente amicizia per diventare una cosa sola. Allora otterremmo davvero l’arte come pendant alla natura, come una natura massimamente abbellita, incorniciata dalla nostra più pura e più alta sensazione, davanti a noi. Perciò capita che nelle chiese persino quadri insignificanti ci parlino così meravigliosamente e ci pervadano con il soffio di un’anima viva, suoni apparentati allontanino la morta immobilità e stimolino in tutte le linee e i punti di colore un fermento vitale. La scultura vuole soltanto esprimere le forme, disdegna colore e lingua, è troppo idealistica per voler essere qualcosa più di quanto non sia. La musica è l’ultimo alito spirituale, l’elemento più sottile dal quale i sogni più reconditi dell’anima traggono il loro nutrimento

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come da un ruscello invisibile; risuona intorno all’essere umano, non vuole nulla eppure tutto, è un organo, più raffinato della lingua, forse più delicato dei suoi pensieri, lo spirito non può più utilizzarla come mezzo, come organo, ma essa è la cosa stessa, per questo motivo essa vive e si libra nei suoi cerchi magici. Ma la pittura è troppo innocente e sta, quasi abbandonata, nel mezzo.54 Essa cerca di illuderci come forma, vuole imitare il rumore, il chiacchiericcio del mondo che vive, aspira a muoversi vivacemente, tutte le forze sono stimolate, ma tuttavia è impotente e chiama in aiuto la musica perché le conceda una vita grande, movimento e forza. Per questo motivo è così difficile, quasi impossibile, descrivere un dipinto, le parole rimangono morte e anche al suo cospetto non spiegano nulla: se si tratta di una descrizione effettivamente poetica, insiste in chiarimenti e fa scaturire dal quadro un nuovo incanto, un’amena comprensione, perché ha lo stesso effetto della musica e grazie a immagini e a scintillanti figure e parole sostituisce la musica dei suoni che le è affine. Chi può negare che essa adempia a sua volta a un grande scopo? Addirittura un singolo fiore in natura, una singola foglia staccata può incantarci. Non è strano che esprimiamo soddisfazione per il semplice colore. Nei colori isolati parlano differenti spiriti della natura, come gli spiriti del cielo nei differenti suoni degli strumenti. Non possiamo esprimere fino in fondo come ogni colore ci scuota e ci commuova, perché i colori stessi ci parlano in una lingua più delicata: è lo spirito del mondo che si compiace di farsi comprendere in mille modi e allo stesso tempo di nascondersi. I colori isolati sono i suoi singoli suoni, noi porgiamo con attenzione l’orecchio e ci rendiamo conto di percepire qualcosa, tuttavia non riusciamo a farlo sapere a nessuno, neppure a noi stessi; ma una gioia segreta e magica ci pervade, crediamo di riconoscer noi stessi e di ricordarci di un’antica amicizia spirituale, infinitamente beata.

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X - L’ETERNITÀ DELL’ARTE

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L’eternità dell’arte Capita non di rado che alcune persone tentino di smorzare il nostro entusiasmo, ponendoci davanti agli occhi l’insignificanza e la caducità di tutte le cose umane. Per molti temperamenti è caratteristico il fatto che la loro fantasia risvegli già involontariamente le immagini della morte e dell’eternità per indicare una precisa destinazione all’eventuale entusiasmo.55 A questa capacità attribuiscono un alto valore e credono che soltanto ciò che è detto imperituro e immortale sia degno della loro adorazione. Se osserviamo e consideriamo il numero di stelle, il corso del tempo, che è già trascorso sopra un così ampio passato, se ci perdiamo poi nella profondità senza fondo dell’eternità, spesso l’essere umano comincia a tremare dentro di sé e dice: come puoi fissare un così alto prezzo per questo piccolo presente che si perde come un punto inosservato nello smisurato oceano? Cosa ci può guadagnare la tua adorazione interiore, se tu non sei sicuro che un giorno il cieco oblio non si inghiottirà tutti i tuoi dei? Se perciò davanti all’immagine di un eroe, di un grande artista, la nostra anima trema di brividi di piacere, se desideriamo concentrare insieme tutto il mondo e tutti i suoi esseri umani in questo unico momento, in quest’unica adorazione, e come l’ingranaggio più interno di un orologio vorremmo trasmettere a tutte le altre anime lo stesso impulso, d’altro canto un altro sorride spesso mesto e con silenziosa grandezza dell’inno che facciamo echeggiare, indica i profondi abissi del passato, il futuro eternamente ignoto, al punto che lo evitiamo come bambini stolti, mentre questo vorrebbe comunicarci di nuovo, con sincera partecipazione, il sentimento della generale irrilevanza delle cose. Volentieri vorresti, in questo modo, renderci quotidiano tutto ciò che è grande e nobile, con l’ombra nera della morte cerchi di cancellare ogni splendore. Ti immagini che la semplice idea della distruzione, il cieco mostro del tempo, debbano trionfare sul nostro amore più alto e più puro, che tutto debba piegarsi a idoli sconosciuti e che la violenza sia tanto più terribile, quanto più enigmatica e incomprensibile essa appaia. Se nel nostro presente ricco e vivo gettiamo uno sguardo imparziale sul mondo e sulla nostra interiorità, se percepiamo l’alto passaggio

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degli spiriti più nobili e sentiamo tutte le loro gesta, i loro pensieri e la loro arte molto vicini al nostro cuore, allora i fantasmi – che riempirebbero altrimenti troppo facilmente la nostra fantasia di terrore e timore reverenziale – ci sembreranno opachi e vuoti; noi sentiamo nel modo più vivo come il nostro amore sia eterno, come nessuna morte possa offuscarlo, nessuna immagine dell’eternità debba renderlo insignificante. Ci siamo abituati all’idea di pensare all’eternità soltanto con l’immagine del tempo futuro, ad affacciarci sul vertiginoso abisso della smisurata lunghezza degli anni a venire, ad accompagnare questi pensieri immaginandoci il ciclo periodico di eventi e avvenimenti. Una lunga serie di figure irriconoscibili ci strappa un cieco timore reverenziale, inorridiamo di fronte a una torbida immagine della nostra fantasia, abbiamo paura di noi stessi. Non è forse allora la maestosa immortalità che ci viene incontro? Dimentichiamo che il presente sia da considerare allo stesso modo eterno, che l’eternità può concentrarsi nell’estensione di un’azione, di un’opera d’arte, non perché essa sia imperitura, piuttosto perché è grande, perché è compiuta. Invece di rivolgersi verso l’esterno, qui l’eternità è rivolta all’interno; nella semente non si vede lo sviluppo dei campi e delle seminagioni, piuttosto nelle seminagioni e nello splendore del campo si vede ciò che una volta fu il seme. Tutto ciò che è compiuto, vale a dire, ciò che è arte, è eterno e imperituro, e se anche la cieca mano del tempo lo cancella di nuovo, la durata è casuale, una variabile: un’opera d’arte compiuta porta in sé l’eternità, il tempo è una sostanza troppo grezza per poter trarre da essa nutrimento e vita. Se in conseguenza anche le generazioni, le terre e i mondi passano, continua però a vivere lo spirito di tutte le grandi gesta, di tutte le poesie e di tutte le opere d’arte. Nel compimento dell’arte vediamo nel modo più puro e più bello l’immagine sognata del paradiso, di una felicità schietta. I dipinti scoloriscono, le poesie vanno perdendosi; – ma non erano versi e colori a creare la loro esistenza. La presenza dell’arte porta in se stessa l’eternità e non necessita del futuro, perché eternità indica soltanto compimento. Per questo motivo è uno spirito che difetta dell’arte quello che getta su tutti i luoghi scintillanti dell’esistenza le ombre meste della morte e della caducità: morte e immagine dell’eternità futura sono contrapposti alla vera arte, la innalzano e la distruggono, sostituendo a ciò che è spirituale, in sé finito, una materia grezza come condizione necessaria, poiché l’arte non conosce alcuna condizione e la sua totalità non è composta da parti differenziate.

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Allo stesso modo, il mescolare la morte con ogni forma di vita produce, in genere, la poesia manieristica;56 ci sono tratti e linee che, all’interno della cornice, potrebbero sembrare grandi e temerari, ma che, visti accanto a un altro dipinto veramente grande, scompaiono e tradiscono soltanto una certa abilità del maestro. Lasciateci quindi trasformare la nostra vita in un’opera d’arte, così da poter audacemente ritenere di essere diventati immortali già nella vita terrena.

Seconda sezione Appendice di alcuni saggi musicali di Joseph Berglinger

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AVVERTENZA

Avvertenza Il mio amato Joseph Berglinger, la cui toccante vita si è letta nelle Effusioni del cuore di un monaco amante dell’arte, ha messo per iscritto diverse fantasie sull’arte della musica, prevalentemente nel periodo dei suoi studi nella residenza arcivescovile,57 così che vorrei dunque allegare alcune di queste al mio libro. I suoi pensieri sull’arte si accordavano meravigliosamente ai miei e attraverso frequenti e vicendevoli sfoghi dei nostri cuori, i nostri sentimenti si affratellarono sempre più profondamente. In questi suoi brevi saggi, del resto, che sono il fiore di alcune ore belle, si troverà con gioia quella armonia melodiosa che, purtroppo, se consideriamo la quintessenza della sua vita reale, ci manca con amara tristezza.

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I - UN SANTO NUDO

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Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo 58 L’Oriente è la patria di tutto il meraviglioso, nell’antichità e nell’infanzia delle credenze di quei luoghi si trovano anche i più strani misteri ed enigmi, che si insiste ad affidare all’intelletto, che ritiene se stesso più sagace. Così, là, nell’isolamento, vivono spesso strani esseri che noi chiamiamo folli, che là, però, vengono adorati come esseri soprannaturali. Lo spirito orientale considera questi santi nudi come meravigliosi depositari di un genio superiore che, dal regno del firmamento, si è smarrito in una forma umana e ora non sa comportarsi secondo le usanze umane. Tutte le cose del mondo possono essere così o in un altro modo, a seconda di come le consideriamo; l’intelletto umano è un elisir miracoloso al cui contatto, tutto ciò che esiste, viene trasformato a nostro piacimento. Così uno di questi santi nudi abitava in una caverna rocciosa isolata vicino alla quale scorreva un fiumiciattolo. Nessuno poteva dire come egli vi fosse arrivato; era stato notato da alcuni anni: in un primo momento lo aveva scovato una carovana e in seguito ci furono parecchi pellegrinaggi verso la sua dimora solitaria.59 Questa bizzarra creatura non aveva mai pace nella sua dimora, né di giorno, né di notte, perché gli sembrava di sentire sempre incessantemente nelle orecchie la ruota del tempo, il sibilo della sua rotazione. Non poteva far nulla nei confronti di quel fracasso, né intraprendere nulla; la violenta angoscia che lo spossava nella perenne attività, gli impediva di vedere o sentire altro che come la terribile ruota girasse e rigirasse con fragore, con un violento fischiare del vento di tempesta che arrivava fino alle stelle e oltre. Come una cascata di mille e mille fragorosi torrenti che scrosciavano giù dal cielo, che si riversavano all’infinito senza un momento di pausa, senza la calma di un secondo, risuonava nelle sue orecchie e tutti i suoi sensi erano violentemente concentrati su quell’oggetto, la sua ansia lavorativa era sempre più catturata e trascinata nel vortice di quella violenta confusione, sempre più mostruosi si confondevano tra loro i suoni monotoni: egli non poteva trovare pace, e giorno e

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notte lo si vedeva nella concitazione più tesa e violenta, come quella che è di un uomo impegnato a girare una gigantesca ruota. Dai suoi discorsi frammentari e incontrollati si evinceva che egli si sentiva trascinato dalla ruota, che voleva venire in aiuto di quel furioso e velocissimo meccanismo con tutto lo sforzo del suo corpo, affinché il tempo non rischiasse di rimanere fermo neppure per un attimo. Se qualcuno gli chiedeva cosa facesse, egli gridava, come colto da convulsioni, queste parole: Infelici! Non sentite la rumorosa ruota del tempo? E girava e lavorava ancora più affannosamente, tanto che il suo sudore gocciolava a terra e con gesti scomposti metteva la mano sul suo cuore che batteva, come per sentire se il grande ingranaggio continuasse il suo eterno movimento. Si adirava quando vedeva che i viandanti, che andavano da lui in pellegrinaggio, stavano tranquilli ad osservarlo oppure andavano e venivano parlottando fra loro. Tremava dalla rabbia e mostrava loro l’inarrestabile rotazione della ruota eterna, lo scorrere monotono e ritmico del tempo; digrignava i denti perché questi non sentivano e non notavano nulla del meccanismo nel quale anch’essi erano invischiati e trascinati e li scaraventava lontano da sé se si avvicinavano troppo durante i suoi attacchi di follia. Se volevano evitare di mettersi in pericolo, dovevano imitare energicamente il suo spossante movimento. Ma la sua follia diventava ancor più violenta e pericolosa se accadeva che nelle sue vicinanze venisse intrapreso qualche lavoro fisico, se un essere umano, che non lo conosceva, vicino alla sua grotta raccoglieva erbe o tagliava la legna. A quel punto scoppiava a ridere selvaggiamente del fatto che nello spaventoso scorrere del tempo qualcuno potesse ancora pensare a queste insulse occupazioni terrene; come una tigre usciva allora con un solo balzo fuori dalla sua caverna e se riusciva ad acchiappare lo sfortunato, lo stendeva a terra con un solo colpo, uccidendolo, poi balzava di nuovo in fretta nella sua caverna e girava la ruota del tempo con ancora più veemenza di prima; ma rimaneva ancora a lungo furente e si esprimeva con frasi monche, chiedendosi come fosse possibile per gli esseri umani occuparsi ancora di qualcos’altro, di attività prive di discernimento. Non era in grado di tendere il suo braccio verso un qualunque oggetto o di afferrare qualcosa con la mano; non riusciva a fare un passo come gli altri esseri umani. Una vibrante angoscia scorreva attraverso tutti i suoi nervi, se avesse voluto interrompere anche per una sola volta il turbinio vertiginoso. Solo qualche volta, durante le notti più belle, quando la luna si affacciava improvvisamente davanti all’apertura della sua caverna oscura, si fermava di colpo, cadeva a

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terra, si buttava di qua e di là e piagnucolava di disperazione; piangeva anche amaramente come un bambino per il fatto che il fragore della possente ruota del tempo non gli dava pace per fare alcunché sulla terra, per agire, per produrre, per creare. Allora provava una struggente nostalgia per le cose belle e sconosciute; si sforzava di alzarsi e di muovere mani e piedi con un dolce e pacato movimento, ma invano! Egli cercava qualcosa di preciso e di sconosciuto da afferrare e al quale potersi appigliare; voleva salvarsi fuori da sé o forse in sé da se stesso, ma invano! Il suo pianto e la sua disperazione raggiungevano il limite, con un forte urlo si alzava da terra e ritornava a girare la possente e sibilante ruota del tempo. Tutto ciò continuò per molti anni, giorno e notte. Ma una volta, in una meravigliosa notte d’estate, chiara di luna, il santo giaceva di nuovo a terra nella sua caverna, piangendo e torcendosi le mani. La notte era incantevole: nel firmamento blu brillavano le stelle come decori dorati su un ampio scudo protettivo e la luna emanava dalle gote chiare del suo volto una luce delicata, nella quale la verde terra si bagnava. Gli alberi stavano sospesi nel bagliore incantato come nuvole ondeggianti sui tronchi e le abitazioni degli esseri umani si trasformavano in rocce scure e in indefiniti palazzi spettrali. Gli esseri umani, non più accecati dalla luce solare, stavano con i loro sguardi fissi al firmamento e le loro anime si rispecchiavano belle nel celeste bagliore della notte lunare. Due amanti, che volevano abbandonarsi completamente alle meraviglie della solitudine notturna, risalivano in quella notte su una barca leggera il fiume che scorreva accanto alla caverna del santo. Il penetrante raggio di luna aveva illuminato e dischiuso agli amanti le più intime e oscure profondità delle loro anime, i loro sentimenti più dolci si scioglievano e fluttuavano insieme in correnti senza sponde. Dalla barca saliva una musica eterea verso il cielo, dolci corni, e io non so quali altri miracolosi strumenti producevano un mondo fluttuante di suoni e nelle note che salivano e scendevano si poteva distinguere il seguente canto: Dolci tremiti di presentimento scivolano via60 sull’acqua e sul campo, raggi lunari preparano leggiadri un giaciglio ai sensi ebbri. Ah, come attirano, come sussurrano i flutti, e l’arco del cielo si rispecchia nelle onde.

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Amore nel firmamento sotto di noi nella marea lucente, si accende il bagliore delle stelle, nessuno brucerebbe se l’amore non ci desse il coraggio: a noi, fatti vibrare al vento del soffio celeste, cielo e acqua e terra sorridono La luce della luna è su tutti i fiori, le palme dormono già, nel santuario della foresta governa, suona la nota d’amore: dormendo annunciano tutti i suoni, palme e fiori la bellezza dell’amore. Con la prima nota della musica e del canto per il santo nudo era scomparsa la ruota sibilante del tempo. Erano le prime note che cadevano in questa solitudine; la nostalgia sconosciuta era sedata, l’incantesimo dissolto, il genio smarrito liberato dalle sue spoglie terrene. La figura del santo era scomparsa, un’immagine spirituale bella come un angelo, intessuta di vapore leggero, fluttuò fuori dalla caverna, allungò, piena di nostalgia, le braccia magre verso il cielo e si levò al suono della musica, con un movimento di danza, dalla terra verso l’alto. Sempre più in alto nell’aria ondeggiava la chiara figura aerea, portata in alto dai suoni dei corni e del canto che colmavano dolcemente lo spazio; con gioia celeste la figura danzava qua e là, di quando in quando sulle nuvole bianche che fluttuavano nell’aria, si spingeva sempre più in alto verso il cielo muovendo i piedi a ritmo di danza e alla fine in volute intrecciate volò tra le stelle. Allora tutte le stelle risuonarono e fecero echeggiare una soave musica argentina, fin quando il genio si perse nell’infinito firmamento. Carovane di viaggiatori guardarono stupite la miracolosa apparizione notturna e gli amanti credettero di vedere il genio dell’amore e della musica.

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II - I MIRACOLI DELLA MUSICA

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I miracoli della musica 61 Quando io godo intimamente per la sensazione di come dal vuoto silenzio si sprigioni, casualmente, una bella sequenza di note e salga come incenso e si culli nell’aria e di come di nuovo discenda sulla terra; in quei momenti sbocciano e si affollano così tante nuove immagini nel mio cuore, che non sto più in me dalla gioia. La musica mi sembra quasi una fenice che si solleva leggera e audace per propria gioia, per suo piacere sta su sospesa, orgogliosa, e rallegra dèi ed esseri umani con lo slancio del suo volo. La musica mi sembra essere quasi un bambino che fino a poco fa giaceva morto nella bara, un raggio di sole rossastro gli prende dolcemente l’anima ed egli, trasferito nell’etere celeste, gode gocce dorate di eternità e abbraccia le immagini primigenie di tutti i più bei sogni umani. E quasi – che meravigliosa pienezza di immagini! – quasi la musica mi sembra proprio un’immagine della nostra vita: una gioia breve e commovente che nasce dal nulla e termina nel nulla,62 che si solleva e ricade senza che se ne sappia il perché; un’isoletta gioiosa e verde, con la luce del sole, con canti e suoni, che galleggia sullo scuro oceano senza fondo. Chiedete a un musicista perché egli sia così intimamente contento del suo suonare uno strumento a corde. Egli risponderà “Non è forse tutta la vita un bel sogno? Una graziosa bolla di sapone? Così la mia musica!” È veramente un piacere innocente e commovente quello di godere dei suoni, dei suoni puri! Una gioia fanciullesca!63 Se altri si stordiscono con un’irrequieta operosità e, infastiditi da cattivi pensieri come da una schiera di uccelli notturni e di insetti molesti che ronzano, alla fine cadono a terra privi di sensi, – allora io immergo il mio capo nella sacra fonte rinfrescante dei suoni e la dea salvifica fa penetrare in me di nuovo gocce di innocenza infantile, così che io possa vedere il mondo con occhi nuovi e trovi una gioiosa conciliazione con tutte le cose. Se altri questionano per bizzarrie che essi stessi hanno partorito o se giocano un gioco d’arguzia disperato o se rimuginano nella solitudine su idee mostruose che, come gli uomini armati di corazza nelle favole,64 distruggono se stesse per disperazione; allora io chiudo gli occhi davanti alla guerra del mondo, – mi

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ritiro silenzioso nel paese della musica, come se fosse il paese della fede, dove tutti i nostri dubbi e tutte le nostre sofferenze si perdono in un mare di suoni, – dove, dimenticando il gracchiare degli esseri umani, nessun cicaleccio di parole e lingue, o confusione di lettere e di mostruosi geroglifici ci dia la vertigine, dove invece tutte le angosce del cuore vengono risanate d’improvviso con un tocco leggero. – E come? Troveremo risposte alle nostre domande? Verranno rivelati i misteri? No! Ma invece di avere risposte e rivelazioni ci verranno mostrate belle forme di nuvole vaporose, la cui vista ci tranquillizzerà, non sappiamo come; – con temeraria sicurezza ci aggiriamo nel paese sconosciuto, – salutiamo e abbracciamo come amici esseri estranei che non conosciamo e tutto ciò che ci è incomprensibile, che assale il nostro animo e che rappresenta la malattia del genere umano, scompare di fronte ai nostri sensi e il nostro spirito guarisce alla vista dei miracoli che sono ancora più incomprensibili e sublimi. Allora l’essere umano si sente nella condizione di poter dire: «Questo è quello che intendo! Ora l’ho trovato! Ora sono felice e contento!» Lasciateli deridere e farsi beffe, gli altri, che percorrono la vita come se fossero su un carro sferragliante e non conoscono nell’anima degli esseri umani il luogo della pace santa. Lasciate che si vantino del loro inganno e che si ostinino come se governassero il mondo con le loro redini. Verranno tempi in cui si consumeranno. Beato colui che, quando il terreno sotto i suoi piedi vacilla infido, riesce a salvarsi trovando rifugio in suoni vaporosi con animo sereno e, cedendovi, si culla dolcemente con loro, danza coraggiosamente e dimentica le proprie sofferenze con questi giochi amabili! Beato colui che (stanco del lavoro di scindere i pensieri in parti sempre più sottili, che gli rimpicciolisce l’anima) si concede ai dolci e potenti slanci del desiderio, che allargano lo spirito e elevano a una fede bella. Solo questo è il cammino verso l’amore universale e totale e solo attraverso questo amore ci avviciniamo alla beatitudine divina. Questa è l’immagine più grande e meravigliosa che posso concepire della musica, sebbene i più la considereranno una forma di presuntuosa esaltazione. Ma da che genere di preparato magico sale il profumo di questa scintillante apparizione di fantasmi? – Sto a guardare, – e non trovo nient’altro che una misera trama di proporzioni numeriche, chiaramente rappresentate su legno intagliato, su un telaio di corda

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di minugia e di fili d’ottone. – Questo è ancora più straordinario e io vorrei credere che l’arpa invisibile di Dio risuoni insieme alle nostre note, e conceda alla trama numerica degli esseri umani la forza celeste. E come giunse l’essere umano al meraviglioso pensiero di far suonare legno e metallo? Come giunse alla formidabile invenzione di quest’arte, che è la più bizzarra fra tutte le altre? – Questo è di nuovo così curioso e straordinario, che vorrei brevemente esporne la storia, così come la vedo. L’essere umano è originariamente una creatura totalmente innocente. Quando siamo ancora nella culla, il nostro animo infantile viene nutrito e cresciuto da centinaia di piccoli spiriti invisibili ed edotto in tutte le arti. Così, grazie al sorriso, impariamo a poco a poco a essere gioiosi, attraverso il pianto impariamo a essere tristi, stando con gli occhi ben aperti impariamo ad adorare ciò che è sublime. Ma come nella fanciullezza non sappiamo esattamente come usare i giocattoli, allo stesso modo non sappiamo neppure esattamente come intrattenerci con le cose del cuore, e in questa scuola delle emozioni scambiamo e confondiamo ancora tutto. Quando però invecchiamo, capiamo come collocare le emozioni, che si tratti di gioia o di tristezza o di altro; e allora talvolta le elaboriamo proprio bene, per nostra intima soddisfazione. Sì, sebbene queste cose altro non siano che un occasionale accessorio agli accadimenti della nostra vita usuale, tuttavia traiamo molto piacere nello sciogliere volentieri le cosiddette emozioni dal confuso guazzabuglio e dall’intreccio dell’esistenza terrena nella quale sono imprigionate, e le elaboriamo per noi in un bel ricordo, per conservarle in modo appropriato. Questi sentimenti, che salgono nel nostro cuore, ci sembrano talvolta così grandi e magnifici, che li racchiudiamo come reliquie in preziosi ostensori, davanti ai quali ci inginocchiamo gioiosi, e nell’ebbrezza non sappiamo se dobbiamo adorare il nostro cuore o il creatore dal quale discende tutto quello che di grande e di maestoso esiste. Per conservare questi sentimenti sono state fatte diverse belle invenzioni e così sono nate tutte le arti. Ma considero la musica la più prodigiosa fra queste invenzioni, perché rappresenta i sentimenti umani in un modo soprannaturale, perché ci mostra tutti i moti del nostro animo in modo incorporeo, che aleggiano sopra il nostro capo ammantati in nuvole dorate di vaporosa armonia, – perché parla una lingua che non conosciamo nella nostra vita ordinaria, che però abbiamo imparato e non sappiamo dove e come e che si potrebbe soltanto considerare la lingua degli angeli.65

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È l’unica arte che riconduce i molteplici e contraddittori moti del nostro animo alla stessa bella armonia che, con gioia e dolore, con disperazione e adorazione suona nelle medesime note armoniche. Di conseguenza essa è quella che instilla in noi la pura serenità dell’anima, il gioiello più bello che l’uomo possa acquisire; – intendo quella serenità nella quale tutto nel mondo ci appare naturale, vero e buono, nella quale pur in mezzo a una calca sfrenata troviamo una bella coerenza, così da sentirci affini e vicini a tutti gli esseri con cuore puro e, come bambini, guardiamo il mondo come attraverso il crepuscolo di un dolce sogno. Quando nella mia semplicità sono felice sotto il cielo sereno davanti a Dio, – mentre i raggi d’oro del sole distendono l’alta volta blu sopra di me e la verde terra ride intorno a me, – allora sono nel posto giusto per gettarmi a terra e ringrazio pieno di gioia il cielo, esultando per tutta questa magnificenza. Ma allora cosa fa il cosiddetto artista fra gli uomini? Mi ha osservato, interiormente confortato, se ne va silenzioso a casa, lascia sussurrare il suo entusiasmo simpatetico ancor più gioioso su un inerte strumento a corda e lo conserva in una lingua che nessun essere umano ha mai parlato, di cui è sconosciuta la patria e che cattura ogni essere umano fino alle più intime fibre nervose. Se mi è morto un fratello e in una tale occasione della vita sono assalito da una profonda tristezza, siedo in un angolo angusto e chiedo alle stelle chi mai possa essere più afflitto di me, – allora, – mentre dietro le mie spalle il futuro già si fa beffe e ride del dolore passeggero degli esseri umani, – a quel punto si trova di fronte a me il musicista e viene commosso così tanto dal mio lamentoso torcermi le mani, che a casa riproduce quel bel dolore con le sue note e abbellisce con passione e amore l’afflizione umana, la adorna, producendo quindi un’opera che commuove profondamente tutto il mondo. – Ma io, nel momento in cui da tempo ho dimenticato il mio angoscioso torcermi le mani per mio fratello morto e mi capita di ascoltare l’opera della sua tristezza, – mi rallegro allora come un bambino del mio cuore così gloriosamente magnificato e nutro e arricchisco il mio animo grazie alla meravigliosa creazione. Ma se gli angeli del cielo guardassero giù verso questo delizioso strumento che noi chiamiamo arte, allora dovrebbero sorridere malinconici della stirpe infantile sulla terra e sorriderebbero anche di questo innocente sforzo in questa arte dei suoni, grazie alla quale le creature mortali vogliono innalzarsi verso di loro.

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Dei diversi generi nelle arti e in particolare dei diversi tipi di musica sacra Ogni volta mi sembra strano quando le persone, che sostengono di amare l’arte, si fissano sempre, nella poesia, nella musica o in qualsiasi altra arte, su opere di un unico genere, di un solo colore e distolgono gli occhi da qualsiasi altro tipo. Anche se la natura ha per lo più disposto, per coloro che sono artisti, che essi si sentano a casa soltanto in un ambito della loro arte e solo su questo terreno natio trovino abbastanza forza e coraggio per seminare e coltivare, non riesco tuttavia a comprendere come un vero amore per l’arte non attraversi tutti i loro giardini e non si rinfreschi a tutte le fonti. Nessuno è nato con mezza anima! – Ma veramente – sebbene non abbia cuore di insultare la natura benevola, – al giorno d’oggi molte persone sembrano essere dotate di così poche scintille d’amore, da non riuscire a convogliarle che su un unico tipo di opere. Sì, sono orgogliosi della loro povertà; venendo da un’indolente oscurità, disdegnano di esercitare lo spirito anche nell’osservazione di altre bellezze; reputano di aver un merito ancor più grande per il fatto di limitarsi strettamente ad alcune opere predilette e credono di amare queste in modo più nobile e più puro, quanto più disdegnano le altre. Così è molto frequente che alcuni tendano a trovare piacere in cose allegre e bizzarre, altri solo in quelle serie e tragiche. Ma se io considero in modo imparziale la trama del mondo, vedo che il destino non ha bisogno di gettare la spoletta di qua o di là per creare nelle stesse anime umane all’istante una commedia o una tragedia. Di conseguenza mi sembra naturale che anche nel mondo dell’arte dedichi di buon grado me stesso e tutto il mio essere al suo destino, così come esso dispone. Mi libero da tutti i legami, navigo con vele spiegate nel mare aperto del sentimento e volentieri approdo sulla terra, ovunque il soffio celeste da lassù mi diriga.

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Se qualcuno volesse porre la domanda se sia più bello stare seduti in una piccola stanza, d’inverno, con la luce, in una lieta cerchia d’amici o sia più bello veder splendere il sole su deliziose pianure da un’alta montagna, cosa si dovrebbe rispondere? Chi conserva nel proprio petto un cuore che è felice quando si riscalda e che batte più forte quando prova qualcosa, costui si impadronirà di ogni bel momento del presente con entusiasmo, così da usare il suo caro cuore in questo fremito di beatitudine. Ottimo esempio ne sono per me quegli uomini felici che sono stati scelti dal cielo per la stola e per l’ordinazione sacerdotale. Un uomo simile, creato per questa bella occupazione, alla quale gli altri esseri umani non possono dedicare tempo sufficiente (perché il Creatore ha disposto l’essenza del mondo in modo fin troppo ricco), e che consiste infatti nel rivolgere i propri occhi fissi al Creatore, – così che i ruscelli più piccoli della gratitudine e della devozione che provengono da tutte le creature si uniscano in lui fino a diventare un fiume che scorre incessantemente e per l’eternità verso il mare: un uomo simile troverà ovunque nella vita buoni motivi per adorare Dio e per ringraziarlo. Ovunque egli innalzerà altari e la meravigliosa immagine del Creatore, proveniente da tutti gli aspetti confusi delle cose del mondo, brillerà ai suoi occhi trasfigurati. – E, così mi sembra, – poiché la maestosità dell’arte mi ha indotto a un paragone così audace, – tale dovrebbe anche essere colui che con cuore sincero si inginocchi davanti all’arte e voglia offrirle l’omaggio di un amore eterno e illimitato. Nell’arte meravigliosa, che il cielo alla mia nascita ha scelto caritatevolmente per me (per la quale io, fintanto che vivrò gliene sarò grato) mi è capitato sempre che quel tipo di musica, che ascolto ora, mi sembra essere ogni volta il primo e il migliore e mi fa dimenticare tutti gli altri. Credo in linea generale che il vero piacere e contemporaneamente l’autentica pietra di paragone della perfezione di un’opera d’arte si ottengano quando, grazie a questa, si dimenticano tutte le altre opere e non si pensa più a voler paragonarle a quella. Da questo consegue che provo piacere con uguale trasporto per i diversi tipi di musica, per esempio per la musica sacra e per la musica da ballo. Tuttavia non posso negare che la forza creatrice della mia anima tenda più verso la prima e si limiti a questa. Mi occupo prevalentemente di questa e su di essa voglio quindi esprimere ora la mia opinione con poche parole.

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Giudicando in base all’oggetto, la musica sacra66 è veramente la più nobile e la più alta, allo stesso modo in cui nelle arti della pittura e della poesia l’ambito sacro dedicato a Dio deve essere in questo senso il più venerabile per l’essere umano. È commovente vedere come queste tre arti diano l’assalto alla rocca celeste da parti molto differenti e come lottino fra di loro in un’audace competizione per avvicinarsi al trono di Dio. Ma credo che la ragionevole musa della poesia e soprattutto la seria e silenziosa musa della pittura possano considerare la terza sorella come la più temeraria fra le tre nel lodare Dio, poiché essa osa parlare delle cose del cielo in una lingua estranea e intraducibile, con un forte suono, con un movimento impetuoso e con l’associazione armoniosa di un gran stuolo di esseri viventi.67 Ma anche questa santa musa non parla sempre delle cose del cielo in un unico modo, ma si compiace invece maggiormente nel lodare Dio in modi differenti, e trovo che ogni modo, quando se ne comprende il reale significato, sia un balsamo per il cuore umano. Ora si muove con suoni vivaci e gioiosi, si lascia condurre da armonie semplici e allegre, o anche leggiadre e artificiose, per ogni sorta di piacevole e melodioso labirinto e loda Dio non diversamente da come fanno i bambini, che tengono un discorso di fronte al proprio padre nel giorno del suo compleanno o recitano un atto drammatico; questi prova certamente piacere quando essi ringraziano con vivacità infantile e naturale, e nel ringraziare danno allo stesso tempo una piccola prova della loro abilità raggiunta nell’arte. Oppure si può anche dire che questo genere della musica sacra esprima il carattere di quegli uomini a cui piace pronunciarsi con molte parole vivaci e cortesi sulla grandezza di Dio, che si meravigliano e, sorridendo di cuore, si rallegrano del fatto che Egli sia tanto più grande di loro. Non conoscono altra elevazione dell’anima che non sia una gioiosa e leggiadra; nella loro ingenuità non conoscono, per lodarlo e per onorarlo, una lingua migliore e diversa da quella che utilizzerebbero nei confronti di un nobile e umano benefattore e non sono in imbarazzo nel passare con lieve abilità dalle gioie e dai piaceri più piccoli della vita al pensiero rivolto al Padre dell’universo. Questo tipo di musica sacra è quello più comune e più amato e sembra veramente rappresentare l’animo della maggior parte degli esseri umani. Un altro tipo sublime è caratteristico solo di pochi spiriti eletti. Essi non considerano la loro arte (come fa la maggior parte) come un mero problema che richieda di comporre, dai suoni di cui di-

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spongono, un edificio musicale diverso e piacevole sulla base di regole e questo edificio non è il loro scopo più alto; essi utilizzano piuttosto grandi quantità di suoni come meravigliosi colori per dipingere all’orecchio ciò che è grande, sublime e divino. – Ritengono indegno portare la lode al Creatore su piccole ali di farfalla svolazzanti di gioia infantile, e piuttosto fendono l’aria con gli ampi e potenti movimenti d’ala delle aquile. – Essi non ordinano e non piantano le note come fiori in piccole aiuole regolari, nelle quali ammiriamo soprattutto la mano abile del giardiniere; creano piuttosto grandi rilievi montuosi e valli con sacri palmeti, che prima di tutto elevano a Dio i nostri pensieri. – Questa musica procede con suoni forti, lenti e orgogliosi e pone così la nostra anima in uno stato di tensione, la quale viene prodotta in noi da pensieri sublimi e che di nuovo produce tali pensieri. Oppure essa scorre anche più accesa e sfarzosa fra le voci dell’intero coro come un maestoso tuono fra le montagne. – Questa musica è simile a quegli spiriti che sono così oltre misura pieni di pensieri dell’onnipotenza di Dio, da dimenticare del tutto la debolezza del genere umano e da essere così arditi nell’annunciare alla terra con voce di tromba, forte e orgogliosa, la grandezza dell’Altissimo. Nella libera ebbrezza dell’entusiasmo credono di aver compreso l’essenza e la magnificenza di Dio fino al profondo; lo fanno conoscere a tutti i popoli e lo lodano, per il fatto che con tutte le forze tendono verso di lui nelle sfere celesti e si affannano ad assomigliargli. Ma ci sono anche delle anime silenziose, umili, sempre penitenti, alle quali sembra sacrilego parlare a Dio con una melodia che scaturisce dalla gioia terrena, alle quali pare irriverente e sfrontato accogliere temerariamente tutta la sua maestosità nella loro essenza umana: – per loro è inconcepibile anche quella gioia e manca loro il coraggio per elevarsi con audacia verso i cieli. Queste anime rimangono sempre a mani giunte e con lo sguardo abbassato a pregare in ginocchio, e lodano Dio presentando costantemente la loro debolezza e lontananza da lui, mentre appagano e nutrono il loro spirito con un mesto afflato nei confronti delle preziose proprietà degli angeli puri. – A costoro appartiene quell’antica musica corale che suona come un eterno Miserere mei Domine,68 le cui note lente e profonde procedono pian piano come i pellegrini carichi di peccati lungo le valli profonde. – La loro musa contrita rimane a lungo sugli stessi accordi; solo lentamente osa passare alle note vicine, ma ogni nuovo cambiamento degli accordi, anche il più semplice, in questo pesante e difficile sviluppo, sovverte tutto il nostro animo e la violenza impercettibilmente penetrante dei suoni ci fa tremare con un

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brivido spaventoso ed esaurisce l’ultimo respiro del nostro cuore ansioso. Talvolta entrano accordi più amari e contriti, durante i quali la nostra anima rimpicciolisce completamente davanti a Dio; ma poi suoni cristallini e trasparenti sciolgono di nuovo i lacci del nostro cuore, e consolano e allietano il nostro intimo. Alla fine l’andamento del canto diventa ancora più lento di prima e viene trattenuto da una nota di base profonda, come da una coscienza commossa, l’umiltà interiore si inanella in volute variamente intrecciate e non riesce a separarsi dal bell’esercizio di penitenza, fino a quando alla fine tutta la sua anima sciolta dai vincoli si esala in un lungo sospiro leggero e smorzato.

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Frammento da una lettera di Joseph Berglinger 69 Ultimamente, caro padre, in un giorno di festa, ho trascorso una serata deliziosa. Era una sera d’estate calda e io uscivo dalla porta vecchia della città, quando da lontano una musica allegra mi attirò a sé con i suoi suoni allettanti. La seguii attraverso i vicoli della periferia e fui condotto alla fine in un grande giardino pubblico, riccamente adorno di cespugli, viali e passaggi coperti, aiuole, vasche d’acqua, piccole fontane e piramidi di tasso e affollato da una gran quantità di persone in abiti variopinti. Nel mezzo, su una verde altura, si trovava un padiglione aperto, che era il punto centrale del brulichio. Andai su e giù nello spiazzo davanti al padiglione, gremito di gente, e il mio cuore fu visitato in quest’occasione dalle sensazioni più gioiose e allegre. Sul prato verde sedevano i musicisti e dai loro strumenti a fiato facevano uscire le note primaverili più vivaci e divertenti, fresche come il giovane fogliame che spuntava energicamente dai rami degli alberi. Questi suoni riempivano tutta l’aria con i dolci profumi della loro musica e ogni goccia di sangue esultava nelle mie vene. Davvero, ogni volta che ascolto musica da ballo, mi viene in mente che questo tipo di musica parla evidentemente la lingua più importante e più chiara e che essa inevitabilmente deve essere la musica più vera, più antica e quella originaria.70 Accanto a me, negli ampi passaggi, passeggiava ora gente di tutti i ceti sociali e di tutte le età. C’era il commerciante arrivato dal suo tavolo da lavoro, l’artigiano dalla sua officina, e parecchi giovani uomini distinti in abiti splendidi si aggiravano spensierati tra la gente che passeggiava lentamente. Talvolta arrivava una famiglia numerosa con bambini di ogni età che occupava tutta l’ampiezza del passaggio; e poi una coppia di settantenni che guardava sorridendo come l’esercito di bambini sul prato verde sperimentava con ebbra sfrontatezza la propria giovane vita, o come dei giovani più cresciuti si esaltavano in danze vivaci. Ciascuno aveva lasciato a casa le proprie preoccupazioni; nessuna preoccupazione poteva essere simile a un’altra, – ma qui tutti si accordavano nell’armonia del divertimento. E anche se,

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naturalmente, non tutti potevano essere interiormente felici e a proprio agio come me per la musica e per tutte le persone variopinte, – per me, tuttavia, tutto questo mondo vivace si era dissolto in un gioioso chiarore, – i suoni dell’oboe e dei corni sembravano giocare come raggi luminosi sui volti di tutti e mi parve di vedere tutte le persone come se fossero incoronate o andassero verso la gloria. – Il mio spirito, trasfigurato dalla musica, si insinuava in tutte le diverse fisionomie fino a penetrare ogni cuore e il mondo brulicante di gente attorno a me mi pareva uno spettacolo che io stesso avevo creato oppure un’incisione, che io stesso avevo tracciato: credo di vedere bene ciò che ogni figura esprima e significhi e come ciascuno sia o come voglia essere. Questi piacevoli sogni mi intrattennero a lungo, finché la scena non cambiò. Il chiaro calore della giornata si profuse gradualmente nel fresco buio della notte, le schiere variopinte tornarono a casa, il giardino divenne buio, deserto e silenzioso, – di quando in quando si librava, come uno spirito beato nel tenue bagliore della luna, un dolce canto di corno da caccia, – e tutta la natura, prima così vivace, si dissolse in una leggera febbre di melanconica tristezza. Lo spettacolo del mondo per questa giornata era terminato, i miei attori erano andati a casa, l’intrico di gente per oggi si era sciolto. Infatti Dio aveva tirato via dalla terra la metà luminosa adornata di sole del suo grande mantello e con l’altra metà nera, nella quale sono incastonate luna e stelle, aveva cinto il guscio del mondo, e ora tutte le sue creature dormivano in pace. Gioia, dolore, lavoro e lotta, tutto aveva un armistizio per ricominciare l’indomani da capo: e così via fino alle più remote nebbie dei tempi, dove noi non vediamo la fine. Ah! Questa incessante, monotona alternanza di mille notti e giorni, ché tutta la vita dell’essere umano e tutta la vita dell’intero mondo altro non è che un continuo e bizzarro gioco a scacchi in campo bianco e nero, dove però alla fine non vince nessuno tranne la morte incresciosa, tutto questo potrebbe far impazzire in alcuni momenti. Ma nel deserto di rovine, su cui la nostra vita viene frantumata, bisogna farsi largo con braccia coraggiose e tenersi con forza all’arte, grande e durevole, che raggiunge l’eternità superando ogni cosa, che ci offre dal cielo una mano luminosa, in modo che ci sia possibile librarci, stando temerariamente sospesi sugli abissi deserti, tra cielo e terra!

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La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale Il suono, o la nota, era originariamente una materia grezza con la quale i popoli selvaggi tendevano a esprimere i loro affetti informi, mentre, quando la loro interiorità era sconvolta, sconvolgevano anche l’aria circostante con grida e suoni di tamburo, come per mettere in equilibrio il mondo esterno con la loro ribellione interiore. Ma dopo che la natura, che opera in modo inarrestabile, ha disperso le forze dell’anima umana originariamente aggrovigliate, nel corso di molti secoli, in una trama che si allarga in rami sempre più sottili, nei secoli più recenti, anche dai suoni è stato costruito un sistema artistico e anche in questa materia, così come nelle arti relative a forme e colori, sono state fissate una rappresentazione sensibile e una testimonianza del piacevole affinamento e dell’armoniosa perfezione dello spirito umano odierno. La luce monocroma del suono si è frantumata in variopinti e sfavillanti fuochi d’artificio, nei quali scintillano tutti i colori dell’arcobaleno; ma non sarebbe potuto andare diversamente, dal momento che parecchi uomini saggi discesero negli antri degli oracoli della scienza più segreta, dove la stessa natura, che tutto crea, rivelò loro le regole primigenie del suono. Da queste misteriose cripte portarono alla luce la nuova dottrina, scritta in numeri dal significato profondo e composero poi un ordine fisso e sapiente di molte note singole, che rappresenta la vera sorgente dalla quale i maestri creano i più svariati registri musicali.71 La forza sensibile, che il suono porta in sé dalla sua origine, ha conseguito, per mezzo di questo dotto sistema, una raffinata varietà. Ma l’oscuro e l’indescrivibile, che giace nascosto nell’azione del suono e che non è rintracciabile in nessun’altra arte, ha guadagnato, grazie a questo dotto sistema, una meravigliosa importanza. Fra

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i singoli rapporti matematici delle note e le singole fibre del cuore umano si è manifestata un’inspiegabile simpatia,72 attraverso la quale la musica è diventata un congegno73 ricco e duttile per la descrizione delle sensazioni umane. Così si è formata la particolare essenza della musica odierna che, nella sua attuale compiutezza, è la più giovane fra tutte le arti.74 Nessun’altra arte riesce a fondere queste qualità di riflessività, di forza sensibile di rilevanza oscura e fantastica in un modo così enigmatico. Questa curiosa, stretta commistione di qualità apparentemente così contrapposte rappresenta l’orgoglio della sua superiorità; benché anche questa abbia prodotto parecchi curiosi turbamenti nella pratica e nel godimento di questa arte, e stoltissime zuffe fra caratteri che non sono mai stati in accordo tra loro. Le profondità scientifiche della musica hanno attratto alcuni di quegli spiriti speculativi, particolarmente rigorosi e acuti in tutta la loro attività, che non cercano il bello per se stesso, per amore sincero e puro, ma che considerano piuttosto che per puro caso esso possa irritare forze rare e particolari. Invece di salutare il bello in tutte le strade per le quali ci viene incontro con amicizia, dandogli il benvenuto come a un amico, considerano piuttosto quell’arte come un cattivo nemico, cercano di affrontarlo in una pericolosa imboscata, per poi menar vanto della propria forza. Grazie a questi uomini dotti, il meccanismo interno della musica, similmente a un telaio artificiale per tessuti lavorati, è stato portato a una perfezione straordinaria; ma i suoi singoli pezzi di bravura spesso non sono da considerarsi altro, come nella pittura, che studi anatomici eccellenti o complessi studi da accademia. È triste vedere quando questo talento fecondo si è smarrito in un animo goffo e povero di sentimento. In un cuore estraneo, poi, un’inclinazione fantastica, che è incapace di esprimersi con i suoni, aspira a trovare un punto di congiunzione, – mentre lo spirito creatore, che tutto vuole esaurire fino in fondo, sembra non disdegnare di intraprendere tristi esperimenti con tali dolorosi giochi naturali. Quindi nessun’altra arte, tranne la musica, ha una materia prima che sia già così pregna in sé di un tale spirito celestiale. La sua materia sonora, con la sua ricchezza ordinata di accordi, va incontro a mani esperte ed esprime già delle belle sensazioni, anche quando la si tocca in modo leggero e semplice. Da questo deriva che alcuni pezzi musicali, le cui note sono state sistemate in modo regolare dai loro maestri come cifre per fare un calcolo o come elementi per crea-

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re un dipinto musivo, e tuttavia ingegnosamente e seguendo l’ispirazione, una volta provati sugli strumenti parlino una poesia magnifica e piena di sensazioni, sebbene il maestro possa aver riflettuto poco sul fatto che, nel suo dotto lavoro, il genio incantato del regno dei suoni avrebbe battuto così maestosamente le sue ali per compiacere sensi eletti. Per contro alcuni spiriti interiormente duri e irremovibili, non ignoranti, ma nati sotto una sfortunata stella, entrano nei suoni goffamente, li strappano alla loro collocazione naturale tanto che, nelle loro opere, si percepisce solo un urlo di dolore del genio martirizzato. Ma se la buona natura riunisse le anime artistiche separate in un unico guscio, se il sentimento di colui che ascolta bruciasse con maggiore ardore nel cuore dell’artista dotto ed egli fondesse la profonda scienza in queste fiamme, allora ne potrebbe scaturire un’opera indicibilmente bella, nella quale sentimento e scienza sarebbero saldamente e inseparabilmente legati l’uno all’altra, allo stesso modo in cui in un dipinto a smalto sono fusi pietra e colori. Di coloro che considerano la musica e tutte le arti soltanto come istituti atti a fornire ai loro organi, semplici e rozzi, il necessario alimento per i sensi – dal momento che essi sono da vedersi soltanto come la lingua più forte, penetrante e umana con la quale ciò che è sublime, nobile e bello ci può parlare -, di queste anime infeconde, dunque, non è il caso di parlare. Dovrebbero, se potessero, adorare la sacralità profonda e inalterabile che è caratteristica di quest’arte rispetto a tutte le altre, così che nelle loro opere la salda legge oracolare del sistema, lo splendore originario della triade, non possano neppure essere distrutte e sporcate dalle mani più abiette, in modo che essa non possa in nessun caso esprimere ciò che è abietto, basso e ignobile del carattere umano, e possa fornire tutt’al più melodie rozze e stridule, da cui i pensieri terreni che ne dipendono sono costretti a prendere a prestito quanto vi è di più meschino. Se ora i cavillatori chiedessero dove fosse da scoprire veramente il nucleo di quest’arte, dove si trovi nascosto il vero significato e l’anima che tiene insieme tutte le altri differenti manifestazioni, io non saprei spiegarlo o dimostrarlo. Chi volesse scoprire con la bacchetta magica della ragione indagatrice ciò che si lascia sentire solo dall’interno, scoprirà sempre solo pensieri sul sentimento e non il sentimento stesso. Fra il cuore sensibile e le attività speculatrici esiste un’eterna scissione di natura ostile. Il cuore sensibile è una natura autonoma e chiusa in sé, che non può essere disserrata

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e sciolta dalla ragione. Come ogni singola opera d’arte può essere colta e interiormente compresa solo per mezzo di quel sentimento dal quale è scaturita,75 allo stesso modo anche il sentimento può essere colto e compreso generalmente solo dal sentimento: proprio come, secondo l’insegnamento dei pittori, ogni singolo colore, solo illuminato da una luce della stessa tinta, può lasciar riconoscere la sua vera essenza. Chi seppellisce le cose più belle e divine nel regno dello spirito con i suoi “perché” e con l’eterno indagare su effetto e causa, non si preoccupa veramente della bellezza e della sacralità delle cose in sé, ma dei concetti, come limiti e contenitori delle cose, con i quali esegue i suoi calcoli algebrici. Per parlare senza mezzi termini, chi sia stato trascinato fin dall’infanzia in modo irresistibile dall’impeto del suo cuore attraverso il mare dei pensieri, dritto come una freccia come un audace nuotatore, per approdare al castello incantato dell’arte, scaccerà coraggiosamente dal suo petto i pensieri come onde che lo contrastano e penetrerà nella zona più intima del sacro luogo, ben consapevole dei segreti che lo travolgono. Ed ora oso esprimere dal mio intimo il vero significato della musica e dico: se tutte le oscillazioni interiori del nostro cuore, – quelle tremanti di gioia, quelle tempestose dell’entusiasmo, i battiti forti dell’adorazione struggente, – se facessero tutte esplodere con un grido la lingua fatta di parole, come se fosse la tomba della rabbia interiore: allora rinascerebbero nella vita oltremondana sotto un cielo sconosciuto, accompagnate dalle vibrazioni di corde soavi di arpe in una bellezza trasfigurata, e festeggerebbero la loro resurrezione come figure d’angeli. Centinaia e centinaia di opere musicali parlano di gioia e di piacere, ma in ognuna canta un altro genio e per ciascuna delle melodie tremano altre fibre del nostro cuore. Cosa vogliono i cavillatori, esitanti e dubbiosi, che pretendono che gli si spieghi ciascuna delle centinaia e centinaia di opere musicali in parole e non riescono a capacitarsi del fatto che non tutte hanno un significato preciso come un dipinto? Tendono a misurare la lingua più ricca in base alla più povera e a disciogliere in parole ciò che disprezza le parole? O forse non sono mai riusciti a provare emozioni senza le parole? Non hanno mai percepito nel loro intimo il canto silenzioso, la danza mascherata degli spiriti invisibili? O forse non credono alle fiabe? Un fiume che scorre mi deve servire come immagine. Nessun’arte umana riesce a disegnare con parole per gli occhi lo scorrere delle

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molte correnti di un fiume, secondo tutte le sue migliaia di singoli flutti, lisci, appuntiti, tempestosi e schiumosi; la lingua riesce soltanto in modo scarno a enumerare e nominare i mutamenti, ma non riesce a renderci visibile le progressive metamorfosi delle gocce.76 E la stessa cosa accade con la misteriosa corrente nella profondità dell’animo umano. La lingua enumera, nomina e descrive i suoi mutamenti in una materia estranea; la musica la fa erompere davanti a noi. Suona coraggiosamente la misteriosa arpa, fissa nel mondo oscuro particolari segni magici e oscuri in una precisa sequenza, e le corde del nostro cuore risuonano e noi comprendiamo il loro suono. Nello specchio dei suoni il cuore umano impara a conoscere se stesso; è grazie a questi che impariamo a cogliere il sentimento; a molti spiriti sognatori, nei reconditi recessi del carattere, donano una consapevolezza viva e arricchiscono la nostra interiorità con magiche essenze emozionali del tutto nuove. E tutti gli affetti musicali vengono diretti e guidati, di fronte a quel sistema numerico arido e scientifico, come da strane magiche formule di scongiuro di un vecchio e terribile mago. Sì, il sistema produce, in modo bizzarro, parecchi cambiamenti e mutamenti delle sensazioni che risultano essere meravigliosamente nuovi, e anche il temperamento si stupisce della propria essenza, così come la lingua delle parole talvolta a partire dalle espressioni e dai segni dei pensieri riflette nuovi pensieri, dirigendo e dominando le danze della ragione nei suoi cambiamenti. Non vi è arte che descriva le sensazioni in modo così ingegnoso, audace, così poetico e proprio per questo così forzato per alcuni temperamenti freddi. La condensazione dei sentimenti, che nella vita reale vagano dispersi, in diversi blocchi compatti, costituisce l’essenza di tutta la poesia; essa divide ciò che è unito, unisce saldamente ciò che è separato e negli stretti e rigidi confini si infrangono onde più alte e ribelli. E dove si trovano i confini e gli slanci più marcati, dove si infrangono più alte le onde se non nella musica? Ma in queste onde scorre effettivamente soltanto l’essenza pura e informe, il moto e il colore e anche, in special modo, il mutevole passaggio delle sensazioni; l’arte ideale, pura come gli angeli, non conosce nella sua ingenuità né l’origine né il fine delle sue emozioni, non conosce il rapporto fra i suoi sentimenti e il mondo reale. E tuttavia essa, nella sua completa ingenuità, con il potente incanto della sua forza sensibile, provoca tutte le meravigliose e brulicanti schiere della fantasia che affollano i suoni di immagini magiche, che

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trasformano i moti informi in figure definite degli affetti umani che, come le immagini fantasmagoriche di una magica illusione, si presentano davanti ai nostri sensi.77 Allora vediamo la gioia saltellante, danzante, con il respiro corto, che istruisce ogni singola gocciolina del proprio essere a conseguire una gioia compiuta. La dolce e salda contentezza, che intesse tutta la sua esistenza a partire da una visione del mondo armoniosa e limitata e che applica a tutti i registri della vita le sue pie convinzioni, non cambia mai il suo movimento, spiana le asperità e a ogni passaggio smorza il colore. La gioia virile ed esultante, che percorre presto l’intero labirinto dei suoni in varie direzioni, come il sangue pulsante scorre nelle vene caldo e veloce, si erge poi con nobile orgoglio, con slancio e velocità come in un trionfo nei cieli. Il dolce languore nostalgico dell’amore, l’eterno e mutevole intensificarsi e svanire della nostalgia, poiché l’anima, dal dolce insinuarsi attraverso note vicine, si eleva d’improvviso con dolce audacia verso l’alto e poi s’abbassa nuovamente, da una tensione insoddisfatta con voluttuoso capriccio si avviticchia su un’altra, si adagia su accordi dolcemente tristi, brama eternamente la liberazione e alla fine si disperde soltanto con le lacrime. Il dolore profondo, che a volte si trascina come in catene, a volte geme con sospiri interrotti, a volte si riversa in lunghi lamenti, che erra attraverso tutti i tipi di dolore e solo di rado intravede nelle nubi fosche un debole bagliore di speranza. Lo stato d’animo spavaldo, liberamente gioioso che è come un vortice che fa dissolvere tutte le sensazioni gravi e nel gioioso turbine gioca con i loro frammenti, o come un demone grottesco, che deride tutte le sublimità umane e tutto il dolore umano scimmiottando da burlone e fa pagliacciate imitando se stesso, o come uno spirito aereo, instancabilmente in movimento, che divelle tutte le piante dalla terra nella quale sono saldamente radicate e le sparpaglia nell’aria infinita e vorrebbe far volatilizzare tutto il globo terrestre. Ma chi riesce a enumerarle e nominarle tutte, le fantasie aeree che danno la caccia ai suoni come fossero ombre cangianti nella nostra immaginazione? E tuttavia non riesco a fare a meno di lodare l’ultimo altissimo trionfo degli strumenti: intendo quei grandi e divini pezzi sinfonici78 (creati da anime ispirate) nei quali non vengono descritte le singole sensazioni, ma viene sprigionato un mondo intero, un dramma com-

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pleto degli affetti umani. Con parole comuni voglio raccontare cosa fluttua davanti ai miei sensi. Con gioia lieve e giocosa esce l’anima sonora dall’antro dell’oracolo, simile in questo all’ingenuità dei bambini che, pieni di aspettative, eseguono un primo ballo della vita e che, senza saperlo, si prendono gioco di tutto il mondo e sorridono soltanto della loro intima gaiezza. Ma presto le immagini intorno a lei raggiungono una salda consistenza, essa mette alla prova la sua forza confrontandosi con un sentimento più grande, osa improvvisamente gettarsi in mezzo ai flutti schiumanti, si rannicchia fra tutte le altezze e le profondità e fa rotolare su e giù tutti i sentimenti con coraggioso entusiasmo. Ma ahimè! Attraversa temeraria labirinti ancor più selvaggi, cerca con audace sfrontatezza gli sgomenti della malinconia, i più amari tormenti del dolore per placare la sete della propria forza vitale e a uno squillo di tromba tutti i terribili orrori del mondo, tutte le schiere guerriere dell’infelicità irrompono potentemente da ogni parte, come un nubifragio, e si rotolano spaventosamente in forme alterate, una sull’altra, orribilmente, come montagne diventate vive. In mezzo al vortice della disperazione, l’anima vuole elevarsi coraggiosamente ed estorcere un’orgogliosa beatitudine, ma viene sempre sopraffatta dalle schiere spaventose. D’improvviso si spezza l’audace e furiosa forza, le figure terribili sono spaventosamente scomparse, la primigenia e ormai lontana ingenuità compare nel doloroso ricordo con le fattezze di un bimbo coperto di veli, che saltella malinconicamente e lancia invano un’invocazione dietro di sé, la fantasia genera confusamente alcune immagini, smembrate come in un sogno febbricitante e con un paio di tenui sospiri esplode l’intero mondo vitale con fragore simile a una scintillante visione aerea nel nulla invisibile. Poi, quando nel silenzio avvolto dalle tenebre rimango là seduto, ancora, tendendo a lungo l’orecchio, mi sento come se avessi visto in sogno tutti i possibili affetti umani, come essi, senza forma, festeggiassero per il proprio piacere una curiosa e quasi folle danza pantomima, come se, con spaventoso arbitrio, simile alle sconosciute ed enigmatiche dee che reggono magicamente il destino, danzassero disordinatamente sfrontati e temerari. Quel folle arbitrio, con il quale nell’anima umana gioia e dolore, natura e necessità, innocenza e ferocia, scherzo e brivido di paura diventano intimi e improvvisamente si danno la mano: quale arte porta sulla sua scena quei misteri dell’anima con una valenza così oscura, misteriosa e commovente? Sì, a ogni attimo il nostro cuore oscilla fra gli stessi suoni, sia che l’anima musicale disprezzi audacemente tutte le vanità del mondo e con nobile orgoglio tenda verso il cielo, sia che disprezzi cielo e dèi

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e con sfrontata bramosia vada incontro a un’unica felicità terrena. E proprio questa sacrilega innocenza, questa terribile oscurità oracolare e ambigua, fa veramente della musica una divinità per i cuori umani.79 Ma perché io, stolto, tento di sciogliere le parole in suoni? Non è sempre come io sento. Venite suoni, avvicinatevi e salvatemi da questa propensione dolorosa e tutta terrena verso le parole, avvolgetemi con le vostre migliaia di raggi nelle vostre nubi scintillanti e innalzatemi nell’antico abbraccio del cielo che tutto ama.

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Una lettera di Joseph Berglinger Mio intimamente caro, venerabile padre! Questa volta vi scrivo con uno stato d’animo molto afflitto e nell’angoscia di ore dubbiose; come voi ben sapete, questo tormento mi ha già assalito di sovente e ora non mi vuole abbandonare. Il mio cuore si è contratto per uno spasimo doloroso, le mie fantasie si scompongono confusamente e tutti i miei sentimenti si sciolgono in lacrime. I miei amici, appassionati amanti dell’arte, sono avvelenati nel profondo del loro essere; io mi aggiro con l’anima malata e di quando in quando il veleno si riversa nelle mie vene. Cosa sono? Cosa dovrei fare, cosa faccio a questo mondo? Qual è il genio cattivo che mi ha scagliato così lontano da tutti gli esseri umani, tanto che non so come io debba giudicarmi? Tanto che ai miei occhi manca completamente la misura del mondo, della vita e dell’animo umano? Tanto che mi rigiro sempre e soltanto nel mare dei miei dubbi interiori, e ora vengo portato sull’alta onda al di sopra degli altri esseri umani, ora precipito negli abissi profondi? Alla base salda della mia anima si sprigiona il grido: è un’aspirazione così divina, quella dell’essere umano, a creare cose che non vengano divorate dal fine volgare e dal profitto, cose che, indipendenti dal mondo, splendano eternamente di una propria luce, cose che non vengano spinte da alcuna ruota dell’ingranaggio e a loro volta non sospingano nulla. Nessuna fiamma nel petto degli esseri umani sale più in alto e più dritta verso il cielo dell’arte! Nessuna creatura concentra in se stessa la forza dello spirito e del cuore dell’essere umano e lo rende così un dio autonomo e umano! Ma ahimè! Quando io mi ritrovo a tale rischiosa altezza e il mio spirito cattivo mi fa visita con il suo orgoglio sfrenato e mi chiede conto del mio sentimento per l’arte e con sfrontata alterigia mi chiede degli altri esseri umani, allora di colpo si aprono intorno a me, da tutte le parti, abissi pericolosi e scivolosi, tutte le immagini sacre e alte prendono commiato dalla mia arte e si rifugiano nel mondo di altri uomini migliori; così rimango disteso al suolo, ripudiato e mi sento posto al servizio della mia dea come uno stolto, un vanesio idolatra.

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L’arte è un frutto seducente e proibito; chi almeno una volta ne abbia assaggiato il suo interno e dolcissimo succo, è irrimediabilmente perduto per il mondo vivo e operoso. Dovendosi ridurre progressivamente, striscerà nella sfera del proprio godimento e la sua mano perderà tutta la forza per tendersi in modo efficace verso un altro essere umano. L’arte è una superstizione illusoria e fallace; noi crediamo di trovare in lei, al nostro cospetto, la più intima umanità e tuttavia essa ci offre in cambio sempre e soltanto una bella opera dell’essere umano, nella quale sono riposti tutti i pensieri e le sensazioni egoistiche, che nel mondo operoso rimangono infruttuosi e inefficaci. E io, idiota, considero quest’opera più alta dell’essere umano stesso, che è stato fatto da Dio. È spaventoso se ci penso! Tutta la vita sto qui seduto, eremita bramoso, e succhio tutti i giorni interiormente belle armonie e bramo d’assaggiare l’ultima ghiottoneria della bellezza e della dolcezza. E quando ascolto le notizie di come instancabilmente scorra vivace a me vicinissima la storia del mondo umano con migliaia di cose importanti e grandi, di come un agire senza posa degli esseri umani competa vicendevolmente, e come a ogni piccola azione nella serrata confusione seguano le conseguenze, buone e cattive, come grandi fantasmi, – e poi, la cosa più sconvolgente, – di come le ingegnose schiere guerresche della miseria, vicinissime intorno a me, torturino con migliaia e migliaia di differenti sofferenze, malattia, affanno e bisogno, di come, anche al di fuori delle spaventose guerre, la guerra sanguinosa dell’infelicità impazzi ovunque sull’intero globo terrestre e ad ogni secondo ci sia una spada affilata che qui e là ciecamente procuri ferite e non sia mai stanca del fatto che migliaia di esseri invochino miserevolmente aiuto! – in mezzo a questo tumulto io rimango tranquillamente seduto come un bambino sul suo seggiolone e do forma a brani musicali come a bolle di sapone nell’aria: tutto questo nonostante la mia vita si chiuda comunque in modo ugualmente serio con la morte. Ah! Questi sentimenti crudeli trascinano il mio stato d’animo in un’angoscia disperata e io mi consumo di amara vergogna di fronte a me stesso. Lo sento, lo sento amaramente che non comprendo, non riesco a condurre un’esistenza caritatevole, che piaccia a Dio, sento che gli esseri umani, che pensano dell’arte cose vili, e calpestano le migliori opere con disprezzo, operano il bene infinitamente più di me e vivono in modo molto più devoto. In tale angoscia comprendo come si sentissero quei devoti martiri ascetici che, affranti di fronte alla visione degli indicibili tormenti del mondo, come bambini disperati, sacrificavano, per tutta la loro esistenza, il loro corpo alle più raffinate mortificazioni e penitenze, sol-

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tanto per poter ristabilire l’equilibrio fra se stessi e l’eccesso terribile del mondo sofferente.80 E quando ora mi capita di incontrare lo spettacolo della miseria che invoca aiuto, quando esseri umani sofferenti, padri, madri e bambini si trovano vicinissimi a me e piangono insieme e si torcono le mani e gridano forte per il dolore, questi non sono affatto begli accordi voluttuosi, non è il piacevole e delizioso scherzo musicale, questi sono suoni strazianti e l’effeminato animo dell’artista cade nell’angoscia, non sa rispondere, si vergogna di fuggire e non ha le forze per aiutare. Si tormenta nella compassione, osserva involontariamente l’intero gruppo come se fosse un’opera della sua fantasia fattasi viva e non riesce a evitare di creare da questa infelice miseria qualcosa di bello e della materia artistica, per quanto nello stesso momento si vergogni di se stesso. È un veleno mortale quello che sta nascosto dentro il cuore innocente del sentimento artistico. È che l’arte strappa sfacciatamente alla terra materna i sentimenti umani, che sono saldamente concresciuti con l’anima, dalle più sacre profondità e con questi sentimenti strappati, ridotti ad artificio, intrattiene criminoso commercio e svolge la professione, giocandosi empiamente l’originaria natura degli esseri umani. È così che l’artista diventa un attore che considera ogni esistenza come un ruolo, che vede il suo palco come il vero mondo esemplare e normale, che considera l’impenetrabile nucleo del mondo e la vita reale e comune soltanto un’ imitazione misera e rattoppata, un guscio senza tenuta. Ma cosa aiuta se io, in mezzo a questi dubbi sconvolgenti sull’arte e su me stesso, giaccio malato e si alza una gioiosa musica! Ah! Allora tutti i miei pensieri fuggono in tumulto, l’attrazione cupida dell’aspirazione riprende il suo vecchio gioco; chiama e richiama irresistibilmente dal passato e tutta la beatitudine infantile si schiude di nuovo dinnanzi ai miei occhi. Io atterrisco se penso a quali folli pensieri i suoni sacrileghi potrebbero condurmi, con le loro voci seducenti da sirene, con il loro suono violento e gli squilli delle trombe. Per un tempo senza fine non riesco a metter piede sulla terraferma. I miei pensieri si rotolano e fanno capriole incessantemente e io barcollo, quando ambisco a trovare un inizio e una fine e una pace certa. Già qualche volta il mio cuore ha avuto questo spasimo e se ne è liberato autonomamente come ha potuto, e alla fine non era che un ripiegamento della mia anima in una dolorosa tonalità minore, che stava al posto giusto.

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Così derido me stesso e anche questa derisione è solo un misero ingranaggio. È una sfortuna che l’essere umano, che è totalmente disciolto nel sentimento dell’arte, disprezzi così profondamente la ragione e la saggezza che dovrebbe dare all’essere umano una pace stabile, e non riesca ad adattarsi. Il saggio considera la propria anima come un libro sistematico e trova inizio e fine, e verità e menzogna separate in determinate parole. L’artista la considera come un dipinto o un brano musicale, non conosce alcuna opinione definita e trova bello tutto ciò che sta al posto giusto. È come se la creazione tenesse separati tutti gli esseri umani, così come i quadrupedi e gli uccelli, secondo le specie e le classi della storia naturale dello spirito; ciascuno vede tutto dal proprio carcere e nessuno può uscire dalla propria specie. E così la mia anima assomiglierà per tutta la vita all’oscillante arpa di Eolo81 nelle cui corde spira un soffio estraneo e ignoto, e movimenti d’aria vi si insinuano a piacere.

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Tolleranza non musicale Se si considera la terra, con tutti i suoi vari esseri umani e avvenimenti, come la grande scena di un teatro, nel quale fanno la loro comparsa preoccupazione e fortuna, malinconia e gioia, le cose più sublimi e quelle più ordinarie come condizioni necessarie per uno spettacolo composito, come singole persone che poco a poco vi compaiono, scompaiono di nuovo e poi vi fanno nuovamente la loro comparsa, allora spesso ci spaventiamo al cospetto dell’eterna concatenazione delle cose, all’interno della quale noi non sappiamo quale parte debba spettarci, quante lacrime e follie, quanta fortuna sperperata e quale sofferenza inattesa siano da affrontare nel nostro ruolo. Spesso siamo poi soggetti a una sorda indifferenza e persi nella confusione di suoni disarmonici di cui non comprendiamo né riusciamo a trovare il significato, vorremmo svanire, tremiamo di fronte al futuro e sgradevole è il passato. La corrente piacevole, che altrimenti mette tutto in un movimento vitale leggero e fresco, sta immobile e silenziosa e gli alberi, le rocce, le nubi guardano scuri verso il basso e si rispecchiano incerti e rabbuiati nella cupa solitudine. Allora ritornano tutte le sofferenze e bussano con brutale violenza al nostro cuore avvilito; ciò che in passato non ci aveva mai intimorito, ora ci appare a figura ingrandita in questo triste tramonto, perduti e dimenticati restiamo molto in disparte e l’amicizia, l’amore e la speranza ci scorrono davanti agli occhi lungo un tracciato molto lontano. In queste ore tristi veniamo angustiati profondamente dalla pochezza della fortuna, dalla caducità di tutto ciò che chiamiamo nostro, veniamo oppressi da ogni parte dal tempo e dal disfacimento desolato e terribile, circondati dall’afflizione tanto che con dolorosa disperazione gridiamo: cosa sono il mondo e questa vita? Le nostre gioie sono soltanto dolori più grandi, perché passano come ogni lutto e ciò che oggi chiamiamo nostro e riteniamo buono per la nostra anima, domani sarà dimenticato o disprezzato, quello che speriamo oggi, sarà domani privo di significato e insulso come il presente davanti a noi e lo si noterà appena! Per cosa allora le lacrime, perché gli entusiastici canti di piacere? La mano fredda e silenziosa del tempo addolcisce tutto, appiana tutte le onde, annulla il conto e fa risaltare la differenza fra fortuna e sventura; di questo abbiamo fatto esperienza e possiamo

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sapere che sarà sempre così, per questo motivo vogliamo rimanere tranquilli in tutti gli avvenimenti, e allora perché le lacrime, l’entusiasmo, per i quali so in anticipo che potranno durare solo un minuto? Così accade facilmente che noi già nella vita priviamo di spiritualità la vita stessa e che percorriamo insensibili la corrente del tempo, simili agli oggetti imperturbabili che circondano la riva; e con ciò crediamo allora di aver già guadagnato molto, ci consideriamo migliori in questo, come molti altri esseri umani, che sopportano il loro destino in modo leggero e disinvolto, si ricordano solo di rado del passato e non temono alcun futuro. Un simile temperamento, che da molti viene spacciato come sublime, non è accettabile in nessun caso. Paralizza le nostre forze, ci rende cadaveri viventi. Da questo smarrimento ci libera, come con una bacchetta magica, l’arte. Ci conduce in un paese nel quale i raggi di luce diffondono dappertutto l’ordine più armonioso, questi raggi giocosi catturano anche il nostro cuore e lo animano di nuova forza, noi sentiamo noi stessi e il nostro valore secondo una vitalità nuova; tutte le fonti esaurite del conforto e della gioia tornano a zampillare e scrosciano rinvigorite sul cammino della nostra vita e il presente si trasforma in un unico grande fiore dal cui calice sale verso di noi un profumo celestiale. Perché a questo mondo il povero cuore assetato non viene soddisfatto da null’altro che non sia il piacere dell’arte, dal modo più raffinato di sentire e di comprendere se stessi. In un’immagine più chiara e soddisfacente, allora, l’umanità si trova di fronte a se stessa, si riconosce, ma con il sorriso e la gioia, crede di abbracciare qualcosa di estraneo e di stringerlo a sé, e percepisce e sente se stessa. Allora amiamo di nuovo la vita, e sopportiamo con grande calma tutte le sue debolezze. Il nostro cuore ricco commisera e compatisce i poveri che ci circondano, ma nessun odio arido e insensibile li perseguita più. Ma di quali parole mi devo servire per far conoscere la forza che la musica celeste con i suoi suoni pieni, con le sue leggiadre armonie esercita sul nostro cuore? Entra direttamente con la sua presenza angelica nell’anima e vi soffia un respiro celestiale. Come si riversano, come scorrono indietro in quell’attimo i ricordi di tutta la beatitudine, come si dispiegano nell’ospite tutti i nobili sentimenti, tutte le opinioni! Come, quale magica semenza, i suoni mettono rapidamente radici in noi e ora tutto muove e spinge con forze ardenti, invisibili e nell’attimo mormora un boschetto con migliaia di fiori meravigliosi, con colori incomprensibilmente bizzarri: la nostra

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fanciullezza e un passato ancora più lontano giocano e scherzano sulle foglie e sulle cime. Allora i fiori vengono destati e si muovono confusamente, il colore sfavilla sul colore, splendore risplende su splendore, e tutta la luce, i bagliori, la pioggia luminosa attirano nuovo splendore e nuova luce. Nelle più recondite profondità, disciolto nel piacere, disperso e trasformato in un qualcosa per il quale non abbiamo né pensieri né parole, qualcosa che è in sé un tutto, un sentimento massimamente denso di felicità, chi potrebbe gettare ancora uno sguardo a ritroso sulle miserie della vita, chi non se ne andrebbe volentieri e seguirebbe la corrente che ci trascina con violenza irresistibile dall’altra parte? Cos’è, allora, che parla in noi così potentemente più delle leggi, più della ragione e di tutta la filosofia? Come si può descrivere la forza che dai molti raggi di uno specchio ustorio82 fa convergere tutta la forza su di un unico punto, rendendo così possibile quanto vi è di più meraviglioso? Tutti i contrasti fra forze avverse, tutte le passioni spiacevoli, vengono vinti e ricondotti a uno stato di quiete, un mare in tempesta con venti burrascosi che nessun Poseidone dominante mette a tacere, che il dio delle muse Febo,83 virtuoso della lira, con il soave splendore dell’arte delle muse canta fino al suolo più profondo con un incomprensibile spirito pacificato. La musica provoca potentemente, nel nostro petto, l’amore per gli esseri umani e per il mondo, ci rappacifica con i nostri nemici, fra cui sopportiamo volentieri anche i peggiori, e il nostro cuore in giubilo sente soltanto il canto di trionfo della propria adorazione e nel trionfo non i lamenti, il rimprovero, l’invidia, la lingua miserabile di così tante creature sulla terra. È questo il punto sul quale l’essere umano più grande e più nobile della terra difetta, potrei quasi dire, per eccessiva generosità e così capita che per lunghi periodi si possa ammalare interiormente nel ricordo di questo fatto. Qui mi diventa chiaro come la vera grandezza debba e possa anche essere debole, come la nobiltà d’animo più elevata debba aggiungere a tutti gli altri sacrifici anche il fatto di poter rinnegare se stessa. Perché in questi bei minuti, nei quali percepiamo soltanto un mondo colmo di splendore, nei quali il nostro cuore perdona così di buon grado le peggiori offese, nei quali si potrebbe accettare il peggior destino con sorridente malinconia e sacrificio, in questi momenti, quando la voce della vita comune parla nei nostri entusiasmi, quando non percepiamo le piccole necessità, quando poi gli esseri umani, che non condividono il nostro piacere e non sanno che esso sta governandoci in questa ora, vengono da noi, ci cattura spesso un’improvvisa

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impazienza, una subitanea collera attraversa le onde del mare musicale, siamo più impetuosi e ingiusti, come se queste figure ci avessero agitato soltanto nell’usuale corso delle cose, come se il nostro cuore non si fosse elevato con alcun tipo di arte. In questi momenti, purtroppo, cadiamo più in basso delle creature più ordinarie proprio perché ci eravamo sentiti troppo sublimi; spesso poi ci mortifica il ricordo e molti si arrendono contro voglia all’estasi, perché si vergognano di se stessi. Altri desiderano che tutti gli eventi della vita si possano intrecciare, tutti i sentimenti belli e dolci, sfavorevoli e dilanianti, in una ghirlanda di fiori ed erbacce e che se ne possa tagliare la punta velenosa e da ciascuna si possano staccare le foglie più brillanti. Essi credono di poter sempre conservare nel cuore le più dolci vibrazioni e di venir sempre protetti segretamente da un genio musicale. Così vogliono trasformare tutta la loro vita in un canto che risuona forte e che scorre poi lieve. Costoro si prendono costantemente cura di se stessi, preservano il loro cuore da qualsiasi impeto di dolore o di entusiasmo, non permettono mai, come evocatori di spiriti, di far penetrare gli spiriti della passione nel cerchio che hanno tracciato intorno a sé. Ma con questo perdono la vera forza vitale, il loro cuore si distrugge in un’eterna contrizione, alla fine sono completamente incapaci di grandi impressioni. Sarebbero ben disposti a prendere piena coscienza dell’eternità del cielo, della caducità di tutti i beni terreni per proseguire ancora più placidamente per la loro strada: l’inno che intonano cala sempre di più in note sempre più lunghe e diventa un canto corale, struggente e pavidamente incerto. Un’altra passione, molto più piccola e più perniciosa, si alloggia nel cuore irritato, la gioia comune di poter superare tutto con queste armi e di potersi elevare al di sopra degli altri esseri umani. Si saziano di questo egoismo e invece di essere condotti a un amore più alto per gli altri, come all’inizio supponevano, disprezzano gli esseri umani ancora più ostinatamente. Non è possibile porre rimedio al fatto che il mondo non debba contraddirsi, così come fanno anche tutti i sentimenti in noi: tu non sei in grado di costruire un concerto armonico da note disarmoniche. L’essere umano è grande e nobile, se sente in ogni momento la contraddizione e tuttavia non ne viene offeso in nessun momento: se accetta di buon grado e docilmente nel suo petto tutto, e non si insuperbisce delle proprie forze, allora non ferirà mai se stesso e l’armonia nel suo petto; sopporterà di buon grado che il mondo musicale, che lo circonda con tutte le sue note confuse, irrompa rumorosamente in lui con la sua pienezza armonica, e dentro di lui

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rimarrà sempre presente il sentimento che così deve essere e che sia giusto così. Ma a cosa serve che io scriva questi pensieri che mi governano proprio adesso? Coloro che li leggeranno diventeranno forse per questo più miti? Sì, queste idee non si estingueranno forse con me e non mi troverò dunque a peccare contro di esse? Probabilmente, sì, vorrei proprio dire certamente! Ma questa è l’afflizione che accompagna tutto ciò che intraprendiamo e facciamo. Tuttavia, anche questo è necessario, e per questo motivo voglio essere contento e darmi pace. Sii contenta, anima oppressa. Una volta o l’altra tutte le contraddizioni verranno sciolte in qualche modo: e allora probabilmente ti renderai conto che non esistevano contraddizioni.

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I suoni Accade spesso che gli esseri umani si lamentino della quotidianità della loro esistenza, che colgano ogni passatempo per abbreviare il tempo che li opprime. Tutti sentono in petto un’inclinazione al meraviglioso e quasi tutti si lamentano del fatto che non capiti davanti ai loro occhi assolutamente nulla di meraviglioso; da qui l’insaziabile curiosità, la brama selvaggia e indomabile di ascoltare qualcosa di inaudito, di vedere qualcosa di mai visto. In realtà ogni essere umano assomiglia più o meno all’immagine di Tantalo84 nel mondo sotterraneo. Com’è perennemente spinto e sollecitato e come non ottiene assolutamente nulla! Di questa infelice passione si fa beffe anche il predicatore Salomone con il suo carattere sublime: «Non si sazia l’occhio di guardare/ né mai l’orecchio è sazio di udire.// Ciò che è stato sarà/ e ciò che si è fatto si rifarà; /non c’è niente di nuovo sotto il sole.// C’è forse qualcosa di cui si possa dire:/ “Guarda, questa è una novità”?/ Proprio questa è già stata nei secoli /che ci hanno preceduto».85 Così vaga, in cerchi eternamente uguali,86 il Tempo secondo la sua antica maniera, sordo e cieco per la sua strada, l’imperturbabile figlio di Dio sta sempre in attesa dal momento successivo, di un’insperata nuova e rara fortuna. Il sole va e torna di nuovo, la luna arriva e cala la notte, le ore fanno scorrere le settimane le settimane portano le stagioni. All’esterno nulla si rinnova, in te porti il tempo che cambia, in te solo fortuna e occasione. Ho già fatto spesso queste considerazioni, ogni volta che guardavo gli esseri umani e vedevo come si logoravano con il lavoro, mancan-

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do sempre l’obiettivo, perché cercavano troppo fuori da se stessi. A pochi è concesso di comprendere e sentire i miracoli che si verificano realmente e si rinnovano di continuo! Senza dubbio, la musica, l’arte dei suoni, l’effetto che essa è in grado di produrre in noi fanno parte delle cose più stupefacenti. Sì, potrei dire che fra tutte è la più indecifrabile, la più miracolosamente rara, l’enigma più impenetrabile che si muove in cerchi invisibili e tuttavia con splendore scintillante, che è ovunque e non sappiamo dire come si muova intorno a noi, come catturi noi e il nostro stato d’animo, le nostre sensazioni più belle e in che modo adorni la nostra più dolce fortuna come una splendida cornice. Se si può immaginare lo spirito del mondo presente dappertutto nella natura, se ogni oggetto è testimone e garante della sua amichevole vicinanza, allo stesso modo la musica è come un garante, il suono dell’anima di una lingua che parlano gli spiriti del cielo, che l’Onnipotente ha posto inintelligibilmente nel metallo, nel legno e nelle corde, così che noi qui cerchiamo e sfruttiamo la scintilla nascosta del suono. Gli artisti manifestano e annunciano su questi strumenti il proprio spirito nel modo più misterioso e, senza che lo sappiano, il mondo degli strumenti, echeggiante, animato, parla l’antica lingua che anche il nostro spirito una volta comprendeva e che in futuro imparerà di nuovo. E ora tutta la nostra anima più profonda, insieme a tutti i suoi ricordi, insieme alla sua forza vitale, la ascolta, e sa molto bene cosa sia ciò che le viene incontro con la grazia più leggiadra; ma, intrappolata nella sua essenza terrena e corporea, cerca, con pensieri e parole, con questi rozzi organi, di conservare e di trattenere questi pensieri più delicati e più puri, non potendo avere, naturalmente, speranza di successo. Non vedi scintillare il bagliore nei suoni?87 Sì, sono le dolci voci degli angeli, nella forma, nella figura, dove il tuo occhio guardò, nello splendore del colore, là ti è vicino l’Eterno, e tuttavia sta di fronte a te come un enigma. Ti è vicino e di nuovo molto lontano, lo vedi, lo afferri, poi sfugge al tuo sguardo, allo sguardo grave come un corpo non può riuscire di penetrare l’invisibile. Ancora più lontano, per essere cercato di più si nascose nelle note; ed è felice di destarsi là più libero, l’amore più certo ti viene incontro da là. Questo ero io un tempo. Ah! Lo sento profondamente, prima ancora che il mio spirito dormisse in questo corpo.

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Com’è meraviglioso quando ci si immagina di sentire la musica per la prima volta! Ma nessuno la ascolta con questo sentimento, accade che venga anche sminuita fino a essere un vile passatempo: gli esseri umani si sono abituati a questa meraviglia e perciò non capita più a nessuno di stupirsi. Ma cosa ci può essere di più stupefacente del fatto che grazie all’arte e allo sforzo dell’essere umano si producano improvvisamente, nel silenzio, spiriti invisibili che con gioia e beatitudine assediano il nostro cuore e lo conquistano? Che cosa più stupefacente del fatto, inoltre, che se noi distogliamo il nostro sguardo dall’arido presente, che talvolta ci pressa e ci opprime come le mura di una prigione, – si dischiude sopra i nostri capi, allora, un nuovo Paese, una zona paradisiaca, con fiori e magnifici alberi e fonti dorate? – Come nell’oceano tempestoso un’isola felice; come un tramonto, che si concentra improvvisamente in un essere denso e corporeo, ci prende sulle sue nuvole, ci libera dalla notte che c’è qui giù, ci circonda con i suoi raggi chiari e noi, ora, su quel terreno azzurro, camminiamo e ci sentiamo a casa, troviamo le nostre case nel bagliore rossastro, i nostri amici nelle nuvole luminose, tutto ciò che ci era caro e prezioso ci viene ora incontro, in forma visibile, sorridendoci. Proprio questa mi sembra essere la grandezza dell’arte, ma in special modo della musica, perché i suoi inizi sono così puerili e infantili, la sua tensione appare quasi follemente estranea, tanto che essa si vergogna di esprimerla a parole, – eppure, in questa ritrosia, in questo gioco fanciullesco, anela a ciò che è sommo e governa la materia che noi possiamo soltanto sentire e presentire. Perché, chi non potrebbe sorridere tra quanti sono persone serie, quando capita loro di incontrare qualcosa di mai visto che riguardasse il meccanismo con cui ha messo insieme parecchi strumenti musicali? – cosa potrebbe pensare il sordo delle diteggiature grazie alle quali il musicista fa parlare la sua opera e scioglie la lingua interiore in modo così semplice, e tuttavia così misterioso? E cosa potrebbe rispondere, alla fine, il grande musicista, se gli capitasse un uomo senza sentimento che gli chiedesse, nella sua ingenuità, cosa intenda creare con tutto il suo studio e con il suo entusiasmo? Nessuno che non sia invitato alla festa mistica,88 può comprendere il senso dell’arte oscura, questi suoni dello spirito non parlano a nessuno; nessuno vede lo splendore della più bella tra le cose belle, se nella profondità del cuore non arde il sigillo, che lo definisce un iniziato, grazie al quale lo spirito della musica lo riconosce.

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Perché si può sorridere, piangere con tristezza o adorare in modo sublime il fatto che il nostro cuore si elevi al di sopra della sua sfera terrena, che tutti i nostri pensieri finiscano in un elemento più sottile e più nobile, che tutte le preoccupazioni, le gioie, scompaiano come ombre e la miseria e la fortuna, l’entusiasmo e le lacrime si trasformino in una cosa sola e vengano rese più belle dal vicendevole riflesso, tanto che nei momenti di questo piacere non si riesce a dire più niente, niente più divide o separa, come è solito fare il nostro spirito, invece si viene trascinati sempre più in profondità da un vortice marino, allontanati sempre più dal mondo della superficie. E cos’è che ci rende così felici? Un’armonia di legno e metallo! Ma in realtà quell’uomo serio, quello sordo e quello senza sentimento non hanno completamente torto, se osserviamo come si comporta la maggior parte delle persone quando pensa di godere dell’opera di un grande musicista e di poterla giudicare. Nella natura vivente suono e rumore accompagnano incessantemente colore e forma. L’arte scultorea e quella del disegno prendono sempre a prestito le loro creazioni da là, anche se sono molto trasfigurate: sì, il tramonto e l’alba, la luce della luna, giocano nei colori e nelle nuvole che nessun pittore, con i suoi colori, può raggiungere o imitare. Lo splendore che arde in seno alla natura, la luce, con la quale si adorna la verde terra, è inaccessibile alla pittura. Accade tutt’altro nella musica! I suoni più belli prodotti dalla natura, il canto degli uccelli, lo scrosciare dell’acqua, l’eco di montagna, la voce del bosco, il mugghìo della selva, lo stesso tuono maestoso, tutti questi suoni sono solamente incomprensibili e rochi, parlano all’unisono soltanto nel sonno, non sono che singoli rumori se li confrontiamo con le note degli strumenti. Sì, queste note che la musica ha scoperto in modo meraviglioso e che cerca nei modi più disparati, sono di natura completamente diversa, non imitano, non abbelliscono, rappresentano un mondo isolato a sé stante. Sono allo stesso tempo una luce nuova, un sole nuovo, una nuova terra che è nata nella luce sulla nostra terra. Oltre l’orizzonte della musica originaria, c’è una natura grezza, ruvida, anche nel paese più bello e con il clima più favorevole. Natura ed esseri umani sono selvaggi: manca l’elemento che addomestichi tutto all’amicizia. Senza musica, la terra è come una casa deserta e non ancora terminata nella quale manca chi vi alloggi. Per questo motivo la prima storia greca e biblica, sì, la storia di ciascuna nazione, inizia con la musica. La musica è la poesia, il poeta

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inventa la storia. Non è possibile allo spirito umano immaginarsi prima qualcosa di affascinante, di bello e pieno di vita. Questi pensieri mi portano a dire qualche parola sulle note in quanto tali. Ogni singolo suono di un particolare strumento è come la nuance di un colore, e come ogni colore ha un tono predominante, allo stesso modo anche ogni strumento ha un unico suono peculiare che lo rappresenta di più e al meglio. Fu un’idea sfortunata quella di costruire un pianoforte a colori89 e di credere che il congegno infantile potesse produrre un qualche effetto positivo, similmente ai molteplici suoni di uno strumento. Non poteva risultare altro effetto che quello che si ottiene nel caso che fosse stato dato il medesimo tono dominante su vari strumenti a fiato o a corde, uno dopo l’altro; perché il suono lo si può comparare al colore, la melodia e la struttura del brano composto al disegno e alla sua composizione. I suoni della musica assomigliano spesso a un elemento sottile e fluido, a un ruscello chiaro e trasparente dove di frequente l’occhio, nei suoni scintillanti, crede addirittura di percepire come vogliano combinarsi figure affascinanti, eteree e sublimi, come si sforzino di salire dal basso e diventino sempre più chiare all’interno dei suoni fluidi. Ma la musica trae la sua gioia più vera dal fatto di non far pervenire mai nulla allo stato di autentica realtà, perché con un rumore chiaro fa esplodere di nuovo il tutto, e prepara a creazioni sempre nuove. Come potrei lodarti abbastanza, arte celestiale! Sento che qui le parole bastano ancor meno di quanto non accada per tutte le altre opere artistiche; potrei raccogliere insieme tutta la magnificenza delle immagini, l’orgoglio e l’audace slancio della lingua, per esprimere appieno col cuore ciò che mi dice il mio più intimo sentimento. Com’è felice l’essere umano quando, non sapendo dove trovar riparo, dove salvarsi, un unico tono, un suono gli si fa incontro, tendendogli mille braccia di angeli e lo prende e lo porta su in cielo! Se quando siamo lontani dagli amici, dai nostri cari e vaghiamo attraverso il bosco deserto con malinconica infelicità, da lontano risuona un corno e suona solo pochi accordi, sentiamo come sui suoni ci rincorra anche una nostalgia estranea, come tutte le anime, che ci mancavano e che piangevamo, siano di nuovo presenti. I suoni ci parlano di loro, sentiamo profondamente come anche noi manchiamo a loro e come non ci sia separazione.

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Se dal campo proviene un suono90 saluto sempre un amico, mi parla: perché piangi, mio caro? Guarda, l’amore splende come il sole: cuore a cuore, sempre uniti si superano le ore cattive. L’amore pensa in dolci suoni, perché i pensieri sono troppo distanti, solo con i suoni può render bello tutto ciò che vuole. Per questo motivo ci è eternamente presente quando la musica parla con i suoni, non le manca la lingua amata cara, su tutti i sentieri, l’amore non può muoversi se lei non gli concede il suo soffio. Sì, potrei sostenere qualcosa, in aggiunta a quanto detto. L’essere umano è generalmente così orgoglioso del fatto che gli sia permesso di concepire un sistema in parole e di svilupparlo, di poter fissare nella lingua usuale i pensieri che gli sembrano i più sottili e audaci. Ma qual è l’aspirazione più alta? Il suo trionfo maggiore è quello di sconfiggere ogni volta se stesso e l’esercito dei pensieri da lui creati, di rimanere là come un essere inattaccabile da alcuna violenza esterna, e di non lasciarsi mettere in catene da se stesso. Perché l’essere umano più nobile sente bene come anche i suoi pensieri più reconditi siano soltanto un organo e come la sua ragione e le sue conclusioni siano ancora indipendenti da quell’essere che è lui stesso e al quale in tutta la sua vita non riuscirà mai ad avvicinarsi completamente. Non è quindi indifferente se pensa con i suoni di uno strumento o con i cosiddetti pensieri? Con entrambi può soltanto trastullarsi o giocare e la musica, in quanto lingua più oscura e più sottile, lo appagherà sicuramente più dell’altra. Quando si rompono le corde dell’àncora,91 nelle quali tu confidi molto e su cui costruisci spesso la tua fortuna, e ora rabbiose parlano le onde, – allora lascia la barca alle onde, l’albero e la vela alle profondità marine,

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lascia che i venti soffino rabbiosi, mantieni solo in te l’equilibrio, trasportato dai suoni vedrai un paese bellissimo: la lingua ti ha solo ingannato, il pensiero ti ha mentito, rimani qui sulla riva.

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sentite la necessità, la tensione dello spirito puro e poetico, di essere liberati dalla conflittualità dei pensieri erranti in un paese silenzioso, allegro e tranquillo. Io ho sempre agognato questa liberazione e per questo motivo mi ritiro volentieri nel silenzioso paese della fede, nel vero territorio dell’arte. Il modo, in cui qui si comprende, è molto diverso da quello: ne deriva l’appagamento più completo, che ci tranquillizza senza bisogno di giudizio e senza ragionamento stringente e non ci arriviamo attraverso una serie faticosa di ragionamenti concatenati e di osservazioni, ma questa situazione si manifesta in un modo che il non iniziato,92 colui che è senza arte, non potrà mai comprendere. Qui accade che i pensieri vengano pensati senza quel lungo e faticoso giro di parole, qui sentimento, fantasia e forza del pensiero sono una cosa sola: la concordanza armoniosa ci sorprende magicamente, l’anima è di casa nell’opera d’arte, l’opera d’arte vive e governa nella nostra interiorità, siamo in accordo su tutto, il nostro spirito suona una melodia uguale a quella dell’anima dell’artista e non ci appare assolutamente necessario fornire prove e fare circostanziati discorsi sull’argomento. Questa fede interiore può anche fare a meno del convincimento, perché ciò che nella vita chiamiamo così è semmai una fede più debole o è da considerarsi come un inadeguato surrogato della fede. Il convincimento è la dimostrazione prosaica, la fede è il piacere di un’opera d’arte sublime, la sua comprensione: questo non può essere dimostrato, quello non può essere accolto nell’arte. Per questo motivo, prima di tutto, bisogna mostrarsi umili davanti ai grandi spiriti che hanno operato nell’arte, prima di voler entrare in empatia con essi e poi giudicarli. Per mancanza di questa umiltà accade di frequente che vengano respinte le cose eccellenti, in quanto gli esseri umani spesso coltivano convinzioni senza che ce ne sia bisogno, perché sanno quanto si estendono i confini dell’arte. Dal momento che le opere degli artisti sprovvisti d’arte si lasciano dimostrare, così accade per malintesa bonarietà e buona volontà che molti, forse la maggior parte, le considerino volentieri opere d’arte. Posto che qui possono dare pienamente spazio alla loro forza di giudizio, cosa rimane ancora da desiderare? Ho espresso questi pensieri, che mi sono sempre presenti, perché non è raro che anche nella musica, nonostante essa sia la più oscura fra tutte le arti, vengano pronunciati simili pregiudizi o non-giudizi. Perché la musica è certamente l’ultimo segreto della fede, la mistica, la religione completamente rivelata. Spesso ho l’impressione che essa si trovi sempre ancora in fase aurorale ed è come se i suoi maestri

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non dovessero misurarsi con nessun altro. Tuttavia non ho mai avuto l’intenzione di imporre questa opinione a soggetti di diverso temperamento. Ma forse non sarà inutile sostenere un’opinione ardita o sgradevole su alcune parti o su intere opere di quest’arte, perché, da sempre, solo in questo modo è potuto accadere qualcosa. Quando in piena estate i nostri occhi scorgono un arbusto di rose fiorite, possiamo provare per questo una gioia indicibile. I boccioli rossi, che traboccano da tutti i lati, e le gemme e i fiori sbocciati completamente che si alternano confusamente, che premono da tutte le parti sui rami verso l’aria calda e libera, baciati dallo splendore del sole: – chi non si dimentica in questa meraviglia di fiori il singolo giglio, la violetta nascosta? Così, in ogni arte, fiorisce una magnificenza piena ed esuberante, nella quale tutta la pienezza della vita e tutte le singole sensazioni si congiungono e indirizzano per ogni dove la loro tensione e la loro impazienza, mostrando coesione vitale con colori accesi e con suoni diversi. Nulla nella musica mi sembra svolgere questo ruolo meglio delle grandi sinfonie composte da molteplici elementi.93 La musica, così come la conosciamo, è chiaramente la più giovane fra tutte le arti;94 si è finora messa alla prova in misura esigua, non ha ancora vissuto un periodo realmente classico. I grandi maestri hanno coltivato singole parti di questo ambito, ma nessuno ha abbracciato l’insieme, neppure nel medesimo periodo più artisti hanno rappresentato un insieme compiuto nelle loro opere. In particolare mi sembra che la musica vocale e quella strumentale non siano ancora abbastanza separate, perché ciascuna si muova individualmente nel proprio ambito; le si considera ancora troppo come un’unica essenza congiunta e da questo deriva anche il fatto che di per sé la musica venga considerata spesso soltanto come completamento della poesia. La musica vocale pura dovrebbe muoversi nel vigore che le è proprio senza alcun accompagnamento degli strumenti e respirare nell’elemento che le è peculiare nello stesso modo in cui la musica strumentale segue un percorso proprio e non si cura di alcun testo o poesia di riferimento, compone per se stessa e commenta se stessa poeticamente. I due tipi potrebbero sussistere da soli, puri e separati. Ma quando sono uniti, quando il canto, come una barca sulle onde, viene sorretto e sospinto verso l’alto dagli strumenti, il musicista deve dominare molto bene il proprio ambito, deve governare il proprio regno con saldo vigore, se non vuole che accada che, o per abitudine consolidata o involontariamente, una di queste arti subordini l’altra. Questa eventualità si verifica fin troppo frequentemente

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nelle produzioni teatrali; presto ci accorgiamo di come la varietà degli strumenti serva soltanto a sviluppare un pensiero del poeta e ad accompagnare i cantanti, ma presto la poesia e il canto vengono sopraffatte e il compositore non aspetta altro che di farsi ascoltare attraverso i suoi strumenti in meravigliosi movimenti. Ora mi distanzio però da quest’arte per parlare espressamente dell’arte strumentale.95 Possiamo considerare anche l’organo umano della lingua e del suono come uno strumento nel quale i toni del dolore, della gioia, dell’entusiasmo e di tutte le passioni siano soltanto singole intonazioni, suoni fondamentali e tonici sui quali si basa tutto ciò che questo strumento può produrre.96 A rigore, questi suoni sono soltanto esclamazioni tronche o accordi prolungati di un lamento prorompente, di una gioia misurata. Se si ritiene che tutta la musica umana debba indicare o esprimere soltanto delle passioni, allora ci si rallegrerà del fatto di ritrovare questi suoni quanto più chiari e definiti su strumenti inanimati. Molti artisti hanno dedicato tutta la loro vita a innalzare ed abbellire questa declamazione, a elevare l’espressione con sempre maggiore profondità e forza e costoro spesso sono stati lodati e riveriti come gli unici veri e grandi musicisti. Da questo genere di musica si sono anche sviluppate diverse regole, incondizionatamente accettate da coloro che vogliono essere considerati persone di buon gusto. Si insiste a bandire da questa musica genuina ogni illusione, ogni ornamento, tutto ciò che si opponga a una nobile e semplice esecuzione. Non voglio qui biasimare simili atteggiamenti e l’effettiva musica vocale deve forse poggiare completamente proprio su analogie dell’espressione umana; esprime infatti l’umanità in modo ideale, con tutti i desideri e le passioni che le sono proprie. Con una parola, essa è musica perché l’essere umano di nobili sentimenti prova già in se stesso tutto in modo musicale. Ma in tutto ciò, quest’arte mi sembra sempre soltanto un’arte limitata; è e rimane una forma di declamazione e di discorso potenziato. Ogni lingua umana, l’espressione di ogni sensazione, dovrebbe essere invece musica in grado minore. Nella musica strumentale, invece, l’arte è indipendente e libera, scrive esclusivamente da sé le proprie regole, gioca di fantasia e senza alcun fine e tuttavia adempie al suo fine e raggiunge vette altissime: segue completamente i suoi istinti oscuri ed esprime ciò che vi è di più profondo e meraviglioso con i suoi trastulli. I cori pieni, le situazioni a più voci che vengono miscelate con grande arte, sono il trionfo della

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musica vocale. La vittoria più grande, il premio più bello degli strumenti sono le sinfonie. Le singole sonate, gli artistici terzetti e quartetti, sono quasi letteralmente esercizi volti alla perfezione dell’arte. Il compositore può mostrare qui il campo illimitato delle sue possibilità espressive, la sua potenza e la sua profondità. Qui può parlare la sua lingua poetica eccelsa che svela ciò che di più meraviglioso c’è in noi e rivela tutte le profondità; qui egli può risvegliare le immagini più grandi e grottesche e aprire i loro antri più reconditi. Gioia e dolore, felicità e malinconia vanno di pari passo; in mezzo stanno i più strani presentimenti, splendore e sfavillio fra i gruppi e tutto dà la caccia e si lascia inseguire e ritorna indietro e l’anima in ascolto esulta in questa piena magnificenza. Queste sinfonie sono in grado di rappresentare un dramma multiforme, vario, intricato e ben sviluppato, che un poeta non potrà mai offrirci, perché esse svelano con una lingua enigmatica ciò che vi è di più enigmatico, non dipendono da nessuna legge di verosimiglianza, non hanno bisogno di legarsi ad alcuna storia o ad alcun carattere, restano nel loro mondo di pura poesia. Per questo motivo evitano ogni mezzo per ammaliarci, incantarci, la situazione è dall’inizio alla fine cosa loro: il fine stesso è presente in ogni momento, fornisce l’inizio e la fine all’opera d’arte. E però spesso galleggiano nelle note immagini così individualmente perspicue che quest’arte, potrei dire, ci irretisce con gli occhi e con le orecchie allo stesso tempo. Spesso vedi delle sirene galleggiare sull’incantevole specchio del mare, mentre ti attraggono cantando con le note più dolci; poi ti aggiri nuovamente percorrendo un bosco bello e illuminato dal sole, passando per grotte oscure ornate di immagini avventurose, acque sotterranee echeggiano nelle tue orecchie, luci singolari ti passano accanto. Non ho ricordo di un altro godimento altrettanto intenso quanto quello che di recente mi concesse la musica durante un viaggio. Stavo andando a uno spettacolo e doveva essere rappresentato il Macbeth. Un famoso musicista97 aveva creato per questo grandioso dramma un’apposita sinfonia che mi entusiasmò e mi inebriò al punto che non riesco ancora a cancellare le forti impressioni prodotte sul mio animo. Non riesco a descrivere quanto mi sembrò meravigliosamente allegorico questo pezzo musicale e tuttavia denso di immagini fortemente individuali, come accade, infatti, per la vera e somma allegoria che, grazie a se stessa, perde di continuo la fredda generalizzazione che troviamo soltanto in quei poeti che non sono cresciuti alla loro arte. Vidi nella musica la nebbiosa

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landa desolata sulla quale all’imbrunire si aggrovigliano consessi di streghe e le nubi calano sempre più in basso, dense di veleni. Voci spaventose chiamano minacciose facendosi largo nella solitudine, tremule ombre simili a spiriti aleggiano in tutta la confusione, una gioia maligna, atroce e sogghignante si mostra in lontananza. Le figure assumono contorni più definiti, forme spaventose incedono nella nostra direzione gravide di significato attraverso la landa, la nebbia si scioglie. Ora l’occhio vede un essere spaventoso che giace all’interno del suo antro oscuro, legato saldamente da robuste catene. Cerca con violenza, con tutta la sua forza, di liberarsi, ma viene sempre trattenuto; intorno a lui inizia la danza magica di tutti i fantasmi e di tutti gli spiriti maligni. Un senso di gemente malinconia vibra a distanza e vorrebbe che le catene trattenessero il mostro, senza spezzarsi. Ma il fracasso diventa sempre più spaventosamente forte e, con un grido inquietante della più profonda rabbia, l’essere spaventoso si libera e si scaglia con un balzo selvaggio in mezzo agli spettri. Urla di dolore e di giubilo si confondono. La vittoria è decisa, l’inferno trionfa. Ora aumenta orribilmente lo scompiglio, tutti fuggono spaventati e poi tornano indietro. Il canto trionfante dei dannati conclude l’opera. Molte scene della pièce, dopo questa grande visione, mi sembrarono spente e vuote, perché il terribile e l’orrorifico erano già stati anticipati in modo più grandioso e poetico. Continuavo a ripensare soltanto alla musica, lo spettacolo opprimeva il mio spirito e turbava i miei ricordi, perché con la fine di questa sinfonia per me tutto si era completamente concluso. Non conosco nessun maestro e nessun componimento musicale che abbia prodotto un tale effetto su di me, nel quale abbia percepito un movimento così incessante e sempre più furioso di tutte le forze dello spirito, questo terribile cambiamento da capogiro dei battiti musicali. Lo spettacolo si sarebbe dovuto concludere con questo grandioso capolavoro e non si sarebbe potuto immaginare o desiderare con la fantasia niente di più elevato; questa sinfonia era poi la riproposizione più poetica del dramma, la rappresentazione più audace di un’esistenza umana perduta e deplorevole, assalita e vinta dagli spiriti maligni. In generale, mi sembra uno svilimento dei pezzi sinfonici utilizzarli come preludio alle opere o agli spettacoli e che prendano di conseguenza anche il nome Ouverture come equivalente. Si dovrebbe quasi credere che degli insignificanti compositori si siano sentiti veramente nel giusto costruendo la loro ouverture solo da differenti melodie che ripropongono nella stessa opera, collegandole qui solo debolmente.

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Per altri accade fin troppo spesso che noi si goda della poesia più alta in anticipo. Non si dovrebbero mai scrivere sinfonie particolari per gli spettacoli consueti, perché se soltanto dovessero adattarsi a essi in qualche modo la musica verrebbe resa dipendente da un’arte estranea. Perché mai collocare qui della musica? Nell’antico teatro inglese si sentivano soltanto alcuni accenni di tromba, – si dovrebbe reintrodurre questa abitudine o perlomeno lasciare che la musica diventi così insignificante come è del resto la maggior parte dei nostri spettacoli. Sarebbe molto più bello se i nostri grandi spettacoli e le opere venissero chiusi da una sinfonia audace. Allora l’artista potrebbe riassumere tutto qui, mettere a frutto tutta la sua forza e la sua arte. Anche il nostro grande poeta ha sentito questa necessità: in modo bello, audace e grande, ha bisogno della musica come spiegazione, come realizzazione dell’insieme nel suo Egmont! 98 Inizia già con note tenui, lunghe e dolenti, mentre si spengono le luci; diventa più coraggiosa, spirituale e meravigliosa all’apparizione degli spiriti e nel sogno, – il dramma si conclude, sopraggiunge una marcia, già anticipata, cala il sipario e una sinfonia vittoriosa conclude lo spettacolo sublime. Questa sinfonia vittoriosa sarebbe un grande compito per il vero musicista; qui potrebbe ripetere lo spettacolo in modo audace, tratteggiare il futuro e accompagnare il poeta nel modo più degno. Conclusione dei saggi di Joseph Berglinger.

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Il Sogno 99 Un’allegoria Per ombre scure dirigevo i miei passi,100 il mio caro amico procedeva al mio fianco, sentì la mia domanda angosciosa e fervida e indugiò soltanto per il mio bene. Ci ritrovammo quindi nel mezzo di una valle circondata da rupi, completamente chiusi da rocce minacciose: con il cuore angosciato lo tenni abbracciato, nascondevo il mio capo, dai miei occhi sgorgavano lacrime. Tremavamo al pungente vento notturno, perduti nell’oscura solitudine, le nubi nere scorrevano veloci, il gufo bubolava forte dalle rupi la notte si stringeva attorno a noi, come una benda scura, una cascata d’acqua schiumava e minacciava tempestosa: Ah? Sospirai, neanche una piccola stella vuole guardare giù e renderci felici con un debole scintillio? Cercammo di penetrare l’oscurità con lo sguardo, per scorgere una piccola stella, soltanto una lucetta! Meditabondi ci chiedemmo come i nostri passi ci avessero condotto a questi prati a notte fonda. Ma non appena ci sovvenne il ricordo, questo fuggì via di nuovo nel soffio della tempesta: eravamo abbandonati completamente a noi stessi e accanto a noi non c’era altra vita. Ah! A quel punto iniziò un dolce alterco, perché ciascuno voleva rassicurare l’altro, l’amore in queste oscurità dovrebbe accendere una luce lieta e dolce. Egli disse: mio caro amico, voglio guidarti, stringi con me un’alleanza senza cruccio, anche se l’oscurità dovesse avvolgerci ancora di più, tutto risplenderebbe, se ci abbracciamo fraternamente.

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Allora lottammo, per trovarci con gli sguardi, per regalarci un saluto benevolo con gli occhi, e legarci amorevolmente, fissandoci l’un l’altro. L’amicizia dovrebbe spegnere l’umor cupo, tuttavia, mai vuole accendersi l’oscurità, ci confortiamo con un bacio vicendevole e ciascuno, dall’altro afferrato, sopporta più lieto l’assalto nemico. È però proprio un’illusione dei nostri sensi? Ai nostri piedi una piccola stella, non riusciamo ancora a crederci, anche se l’occhio l’ha vista così chiaramente. Vediamo stillare piccoli raggi azzurri, le erbe, accanto al tenue bagliore, fanno luce soltanto con il loro verde delicato, così da sembrare, il piccolo spazio, luminosissimo. E mentre ancora non comprendiamo il miracolo, scintilla più chiara la stella perduta. Vedemmo distintamente strisce variopinte, e fissammo con piacere questo spettacolo: qui e là piccoli punti vagano di continuo, e vibrano velocemente qui e sempre più lontano e dall’enigmatico bagliore magico nasce improvvisamente una bella pianta. Apparve certamente maestosa solo ai nostri sguardi, oscilla e brilla come quando fiorisce il cardo, nessun altro sguardo ne godrebbe, giacché noi siamo attratti da un ignoto desiderio; già vogliamo cogliere l’alto fiore, per appuntarcelo con cura al cuore. Inspiegabilmente ci conforta nel dolore, è l’essenza di tutte le nostre gioie. E nessuno di noi pensa di chiedere, che felicità sia riposta in questo fiore, tutti i lamenti precedenti sono già dimenticati: sentiamo un audace e rinnovato spirito di vita. Al mio posto, ora, vuole portare tutto il dolore,

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sono felice del suo bene. Ci inchiniamo; risuona allora da lontano, leggiadro ed entusiasmante, un canto delle stelle. Un nuovo stupore tiene prigioniero il senso, mentre la melodia risuona più forte, nel petto trema un potente desiderio, che ci costringe ad ascoltare e a gioire. Le note vibrano meravigliose, e ogni suono ci porta un saluto d’amicizia, e tutti suggeriscono amabilmente di non strappare la pianta dalla roccia. Timorosi e colmi d’amore restiamo davanti al fiore, il desiderio, nel petto, freme dolce e tenero, ci sentiamo come in un tempio, l’amore passato ci sembra rozzo e selvaggio. Consideriamo come il nostro merito più bello, amare, non rubare quell’immagine. L’adorazione ci fa inginocchiare, il primo amore ritorna, più bello di prima. Ora per noi la solitudine era piena di vita, la nostra brama era rivolta soltanto al fiore, un’agitazione gioiosa e spirituale attraversava i sensi più profondi; percepivamo già un’inspiegabile propensione, rivolta soltanto a ciò che è più nobile e bello, l’estasi sottometteva quasi il cuore, sentivamo l’arbusto e l’albero e la rupe risuonare. Come se dei dolci spiriti ci dessero risposta, la voce suona benigna e meravigliosa da tutte le profondità oscure e sotterranee; così ci venne incontro un desiderio d’amore e un saluto, gli spiriti, che giacevano morti nelle rupi, risorsero, riacquistando tutti un impulso vitale: eravamo circondati da uno struggimento dolcissimo, attorniati strettamente da una presenza amorosa. Come può un fiore produrre tanta meraviglia? dissi, cominciando a ritornare in me.

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Può agitare così vigorosamente il petto, tanto da farmi dimenticare il mondo tutt’intorno e addirittura me stesso? Il cuore pulsa di battiti rinvigoriti, lo spirito brama l’infinito, Sono fortunato, amico mio, di poterne godere con te, insieme a te saluto la felicità più bella! E costui nell’estasi era rinato, sorrideva con sguardo rischiarato d’amicizia; per lui però parole e discorsi erano perduti, il suo volto trasfigurato esprimeva la sua felicità, sembrava predestinato soltanto alla somma beatitudine, e non ritrovò più il cammino per il vecchio mondo, sembrava fissare con estasi sublime un bel pascolo molto lontano. E come sono lieto del mio amico, la sua felicità mi commuove persino più della mia, il più bel blu splende sopra di noi, le nubi si diradano, un colpo di vento le porta via, il cielo sgombro sembra più chiaro, la luce benigna domina con splendore divino, il fiore tende verso l’alto, le foglie frusciano, e raggio e sfavillio si sprigionano dal calice. Ed eccolo assomigliare all’albero più alto. I germogli, ogni petalo si sviluppa, e dalla dimora più interna, dallo spazio verde sorgono curiosamente immagini angeliche. Noi stiamo lì e guardiamo il dolce sogno magico, Lo interrogo, mentre il suo sguardo chiede a me, i bambini hanno archi nelle mani, che dirigono verso di noi con dardi pronti a colpire. La corda viene tesa con lieve sforzo, il bel dardo sfreccia attraverso l’aria, con un guizzo giunge a noi, fruscia via, si dilegua in un abisso lontano. Di nuovo l’arco d’argento è già teso, si diffonde un profumo dolce ed etereo; rimaniamo esitanti, e il bel giovane chiama:

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Non temete, i dardi sono soltanto note! Ascoltammo allora come si infittivano come ognuna passava accanto a noi sfavillante, come poi l’aria, il bosco e il campo risuonavano, la natura parlava con voce benigna; allora le guance dell’amico si tinsero di rosa, parla ora entusiasta e con entusiasmo fa il giuramento: le dolci onde melodiose mi trascinano via, ai dardi voglio offrirmi! Allora il petto si concede ebbro a tutti i suoni, egli brama e aspira a esprimere il suo sentimento, guarda con sorriso allegro verso i bei fanciulli, si allietano sempre più al loro gioco, vorrebbero riconciliarsi con l’amico, e lo rendono soltanto più ansioso della meta, ciascuno vuole superare l’altro per guarire del tutto il prediletto dall’afflizione. Quando sono ancora nel pieno della viva contesa, si mostra un nuovo spettacolo meraviglioso, dalla vetta vedo scivolar giù delle figure, un esercito di spiriti discendere dall’alto albero, alla nobile schiera, che procede lieve verso il basso, si inchinano stormendo tronco e frasche e cima, si avvicinano, sento il mio cuore avvampare, sono in errore? Ora credo di conoscerli tutti. E dietro a loro, mentre avanzano ancora, attraverso il cielo, l’aria e sulla terra, mi sembra di vedere una luce chiara e bianca, i fiori del prato vi risplendono più belli. Gli alberi stanno ora come fiori più grandi, e ogni essere fa a gara per splendore, ogni cosa è profusa di poesia, ogni foglia è circondata da amore e armonia. Sono loro, i famosi spiriti del meraviglioso, il vecchio Omero, il primo della schiera, lo seguono Raffaello, e quel maestro, che fu sempre diletto per la mia anima, il coraggioso inglese, guardalo, cammina più intrepido

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di tutti, tutta la schiera a lui cede il passo. – Essi diffondevano una bella luce ed essa, profondendo gioia intensa, appare da lontano e oscura persino il sole. Tutt’intorno era germogliata l’estasi, vi abitiamo come sotto una tenda, tutto è circondato di luce magica quel vasto mondo risuona di dolci note, dove noi andiamo germogliano i fiori, di mille colori risplende il verde campo. La schiera canta: per questa felicità dovete ringraziarci, mai deve vacillare il vostro amore per noi! –, —————— Mi risvegliai allora dal mio sonno incantevole, e attorno a me c’era lo splendore, la dolce luce: Ma ahimè! O dolore insopportabile e amaro, non trovai l’amatissimo amico, cercai di nuovo il torpore svanito, il caro e meraviglioso volto di sogno, gli artisti erano ancora accanto, con amicizia, ma ahimè! Il mio occhio non lo vedeva più! E se devo restare ancora piacevolmente in questa vita, allora rimani, tu, che da tempo conosco, per condividere la gioia e il dolore profondo il destino mi legò a te già da bambino; rimani, e lascia che percorriamo mano nella mano il paese consacrato all’amatissima arte, senza di te perderei il coraggio di proseguire nell’arte e nella vita.

NOTE ALLE FANTASIE SULL’ARTE 1 L’edizione delle Fantasie fu curata, dopo la morte di Wackenroder, da Ludwig Tieck, come risulta anche dall’introduzione al testo. Le indicazioni del curatore chiariscono le attribuzioni dei testi, ma non in modo definitivo. Gli studi dell’edizione critica tedesca (W.H. Wackenroder, Sämtliche Werke und Briefe. Historisch-kritische Ausgabe, hrsg. von S. Vietta / R. Littlejohns, 2 Bde, Heidelberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1991), confortati da accurate indagini e da un meticoloso lavoro filologico, supportati inoltre anche da ricerche specifiche come ad esempio quelle di Alewyn (Richard Alewyn, “Wackenroders Anteil”, in Germanic Review, XIX, 1944, pp. 48-58), hanno delineato il quadro delle attribuzioni come nello schema qui riportato. Tieck Introduzione Wackenroder Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi: come esempi sono portati Albrecht Dürer e il padre Albrecht Dürer il vecchio Tieck Un racconto tradotto da un libro italiano Tieck L’immagine di Raffaello Tieck Il Giudizio Universale di Michelangelo Wackenroder La Chiesa di San Pietro Tieck I dipinti di Watteau Tieck A proposito delle figure infantili nei quadri di Raffaello Tieck Un paio di parole sulla giustizia, sulla misura e sulla tolleranza Tieck I colori Tieck L’eternità dell’arte Wackenroder Avvertenza Wackenroder Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo Wackenroder I miracoli della musica Wackenroder. Dei diversi generi nelle arti e in particolare dei diversi tipi di musica sacra Wackenroder Frammento da una lettera di Joseph Berglinger Wackenroder La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale Wackenroder Una lettera di Joseph Berglinger Tieck Tolleranza non musicale Tieck I suoni

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Tieck Tieck

Sinfonie Il sogno. Un’allegoria

Il termine “fantasia” o “fantasie” viene utilizzato già dal Cinque-Seicento in ambito musicale per indicare composizioni strumentali di forma libera. Il termine, inizialmente, indicava sia un brano di carattere brillante improvvisato, sia un brano liberamente imitativo. Gradualmente la fantasia si trasformò fino a diventare una composizione totalmente libera dal punto di vista formale. Dalla fine del Seicento si arricchì inoltre di elementi di improvvisazione con autori come Frescobaldi, Mozart, Bach e Telemann e successivamente con i romantici. In ambito letterario il termine compare solo pochi anni prima con le Patriotische Phantasien di Justus Möser (J. Möser, Patriotische Phantasien, Berlin, Friedrich Nicolai, 1774-1786) e nelle Launen und Phantasien di Carl Philipp Moritz (C.Ph. Moritz, Launen und Phantasien, Berlin, Ernst Felisch, 1796). 2 Composizione musicale che si differenzia dall’oratorio e dal melodramma per la minor durata e per la mancanza di carattere drammatico e si divide in cantata sacra e profana. La cantata sacra raggiunse forme altissime con Bach. La cantata profana, invece, da Beethoven e Schubert si trasforma gradualmente in Kantatenlied e poi in Lied. L’insegnante di Wackenroder, Carl Friedrich Christian Fasch, citato anche da Ludwig Tieck nell’introduzione all’edizione del 1814, compose molte sonate. La cantata di Wackenroder di cui parla Tieck non è però conservata. Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi: come esempi siano portati Albrecht Dürer e il padre Albrecht Dürer il vecchio 3 Il testo è da attribuirsi a Wackenroder, come evidenziato nell’introduzione di Tieck del 1799 e del 1814. Fu probabilmente concepito in occasione del viaggio a Norimberga nell’estate del 1793, durante il quale Wackenroder si appassionò all’arte e all’opera di Dürer, come testimoniato anche dalle lettere e in particolare da quella datata 23 giugno 1793 indirizzata ai genitori (cfr. Resoconti Wackenroder, p. 983 e segg.). Per studiare l’opera e la vita di Dürer, Wackenroder si affidò principalmente a due opere: la prima di Joachim von Sandrart, citata esplicitamente nel testo, la seconda, invece, consistente in una raccolta di articoli relativi all’arte di Norimberga e a Dürer contenuta nel Journal zur Kunstgeschichte und zur allgemeinen Litteratur (Giornale di storia dell’arte e di letteratura generale) del già citato Christian Gottlieb von Murr (1733-1811). Costui fu il fecondo studioso che si occupò prevalentemente di storia, storia dell’arte e archeologia e che fu editore di alcune riviste, fra le quali, appunto, il Journal zur Kunstgeschichte und zur allgemeinen Litteratur, il Neues Journal zur Litteratur und Kunstgeschichte (Nuovo giornale di storia dell’arte e di letteratura generale), pubblicato fra il 1798 e il 1799 e Der Zufriedene pubblicato fra il 1763 e il 1764. (cfr. C.G. v. Murr, Journal zur Kunstgeschichte und zur allgemeinen Literatur, 17 Bände, Nürnberg 1755-1789; ivi

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Zehnter Teil, Nürnberg, 1781, rispettivamente pp. 3-34 e pp. 34-47). Il testo si richiama con forza a un concetto dell’esistenza semplice e pio nel Medioevo tedesco ed è stato oggetto di analisi per la presunta critica alle mutate condizioni lavorative legate al nuovo modello capitalistico; cfr. D. Bänsch, “Zum DürerBild der literarischen Romantik”, in Zur Modernität der Romantik, hrsg. von D. Bänsch, Stuttgart, Metzler, 1977; B. Schubert, Der Künstler als Handwerker. Zur Literaturgeschichte einer romantischen Utopie, Königstein, Athenäum, 1983; T.E. Schmidt, Die Geschichtlichkeit des frühromantischen Romans, Tübingen, Niemeyer, 1989. 4 Il concetto di “anima del mondo” è religioso e strettamente connesso alla filosofia della natura. Si basa sull’idea di un’analogia tra la totalità del cosmo e il singolo essere vivente, specialmente l’uomo. L’universo in quanto macrocosmo è strutturato analogamente al microcosmo rappresentato dall’essere umano. Queste due grandezze sono accomunate dall’anima quale principio motore. Il concetto discende dal Timeo di Platone; nel neoplatonismo l’anima mundi costituisce l’ultima delle tre ipostasi del mondo, mentre Aristotele ne disconosce il movimento. Dopo Macrobio e Boezio nel Medioevo, è il filosofo e teologo Niccolò da Cusa (1401-1464) che ridiscute questo concetto nel De docta ignorantia e la definisce una “forma universale” intrinseca alle cose, ma non autonoma rispetto ad esse. Attraverso Marsilio Ficino, Pico della Mirandola fino ad Agrippa von Nettsheim, Gerolamo Cardano e Francesco Patrizi da Cherso, nell’Umanesimo e nel Rinascimento resta vivissimo l’interesse per questo tema, e si approda così a Giordano Bruno, che scrive all’anima mundi una forma di intelletto universale. Al contrario, l’Illuminismo cerca di sfatare le convinzioni che ruotano intorno a questo pensiero e solo Salomon Maimon (1753-1800) ritiene che l’anima mundi sia una sostanza divina e ne difende la qualità universale. All’epoca in cui sono attivi Wackenroder e Tieck, Schelling scrive un trattato sull’argomento, Von der Weltseele (1798), in cui considera questa dimensione solo come metafora di un principio che organizza il mondo. Novalis studia a fondo nel periodo dei suoi studi presso le miniere di Freiberg il testo di Schelling, che nega filosoficamente l’influenza reciproca tra spirito e corpo, e ne respinge l’assunto. Si interessa però alla relazione tra corpo fisico e calore e ai processi chimici riferiti al calore esposti da Schelling. Cfr. Novalis, Opera filosofica, vol. II, a cura di F. Desideri, Torino, Einaudi, 1993, pp. 9-10 dell’Introduzione. 5 Si è tradotto il termine tedesco “Werkmeister” con quello italiano di “mastro costruttore”, cercando di mantenere una coerenza con la metafora che ricorre anche poco più avanti. Il termine compare spesso nella traduzione della Bibbia di Lutero (ad esempio nei Proverbi 8.30; in Geremia 10.3, nelle Cronache I, 29.15). 6 Forse è un richiamo a Giobbe 14.6: «Distogli lo sguardo da lui perché trovi pace e compia, come un salariato, la sua giornata». 7 Si tratta di un probabile riferimento a Hobbes che nel Leviatano (cap. XVII) si riferisce all’essere umano paragonandolo alle api e alle formiche, sottolineandone però differenza fondamentale nella socialità, naturale per gli insetti, forzata a seguito di un patto artificiale per gli uomini.

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8 La metafora è citata da Blumenberg e si riferisce a un detto apocrifo di Gesù; cfr. H. Blumenberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 2013, p. 31 (trad.it. Paradigmi per una metaforologia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2009, p. 19). 9 Le metafore relative alla costruzione narrativa del testo in Wackenroder sono spesso riferite ai mestieri; ci si ricollega qui infatti a un termine propriamente utilizzato nella terminologia orafa, che si richiama con tutta evidenza all’attività di orafo del padre di Dürer, che viene raccontata poco più oltre. 10 Albrecht Dürer il Vecchio (1427-1502) era originario di Gyula in Ungheria: figlio dell’orafo Anton, si spostò presto per cercare lavoro e fortuna prima nei Paesi Bassi e poi in Germania. Dal 1455 si stabilì a Norimberga, dove iniziò a lavorare come apprendista presso l’orafo Hyeronymus Holper e nel 1467 ne sposò la figlia Barbara. Sempre nel 1467 ottenne la cittadinanza e nel 1468 divenne mastro orafo. Nel 1487 gli furono commissionati dei boccali per l’imperatore Federico III. I documenti da lui redatti riportano le notizie sulla sua famiglia e sui suoi diciotto figli. Di Albrecht Dürer il vecchio è presente un ritratto, realizzato dal figlio intorno al 1490, alla Galleria degli Uffizi di Firenze. 11 Joachim von Sandrart, pittore, incisore, collezionista e scrittore d’arte nacque il 12 maggio 1606 a Francoforte. Studiò da Peter Isselburg a Norimberga e dal 1622 da Egidius Sadeler a Praga. Dal 1628 viaggiò a Venezia, Bologna, Roma, Napoli, nel 1635 ritornò a Francoforte. Dal 1637 al 1642 fu ad Amsterdam, poi a Monaco, Norimberga e Vienna, dove fece un ritratto dell’arciduca Leopoldo, successivamente imperatore. Si stabilì quindi presso i suoi possedimenti a Ingolstadt, dal 1674 a Norimberga, stimato come uno degli artisti più importanti del periodo. Morì il 14 ottobre 1688. Cfr. Ch. Klemm, Joachim von Sandrart. Kunstwerke und Lebenslauf, Berlin, Deutscher Verlag für Kunstwissenschaft, 1986. 12 J. von Sandrart, L’Academia Todesca della Architectura, Scultura & Pittura: oder Teutsche Academie der edlen Bau-Bild- und Mahlerey-Künste, Nürnberg, Miltenberger, 1675. All’interno del capitolo dedicato ad Albrecht Dürer, Sandrart riporta notizie relative alla famiglia; cfr. Von der Hoch- und Nieder-Teutschen berühmten Mahler/ Bildhauer und Baumeister/ Leben und Tod, in L’Academia Todesca della Architectura, Scultura &Pittura: oder Teutsche Academie der Edlen Bau-Bild- und Mahlerey-Künste, II Theil, III Buch, p. 226 e segg. La cronaca familiare cui Sandrart si riferisce è andata perduta. 13 «Ich Albrecht Dürer der jüngere hab zusammengetragen aus meines Vaters Schriften, von wannen er her sey, wie er herkommen und blieben und geendet seliglich: Gott sey ihm und uns gnädig. Amen.» Il testo, con alcune piccole variazioni, è ripreso da J. von Sandrart, cit., p. 226. 14 Cfr. A. Reimann, Die älteren Pirkheimer. Geschichte eines Nürnberger Patriziergeschlechtes im Zeitalter des Frühhumanismus (bis 1501). Aus dem Nachlaß herausgegeben von Hans Rupprich. Mit einer Einführung von Gerhard Ritter, Leipzig, Koehler und Amelang, 1944, p. 47. Per informazioni biografiche su Pirkheimer, cfr. Effusioni, p. 306, n. 50. 15 La “festa dei Folli”, conosciuta anche come “Asinaria”, “Festum fatuorum” o stultorum e “Festum Baculi”, era un evento carnevalesco nel quale,

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con modalità diverse a seconda del periodo storico e dell’area geografica, si inscenava un’inversione del mondo. La Festa dei Folli si svolgeva in concomitanza con ricorrenze religiose di inizio anno, mescolando in modo leggero e programmatico l’evento sacro con elementi volutamente osceni. Le testimonianze dei tentativi della Chiesa di estirpare questa pericolosa pratica risalgono agli inizi del XII secolo e continuano per tutto il XVI secolo. (cfr. E. K. Chambers, The Medieval Stage, 2 voll., Oxford, Clarendon Press, 1903). 16 «Item, nach christi Geburt 1471 Jahr, in der sechsten Stunde am Sankt Prudentien Tag, an einem Freytag in der Kreuzwochen gebahr mir meine Hausfrau Barbara meinen andern Sohn, der war genannt Albrecht nach mir». 17 «Nun sind diese meine Geschwister, meines lieben Vaters Kinder, fast alle gestorben, etliche in der Jugend, die andern so sie erwachsen waren; nur wir drey Brüder leben noch, so lange Gott will, nämlich ich Albrecht, desgleichen mein Bruder Hans und mein Bruder Andreas». 18 Nella tradizione tardo medievale, diffusa in Germania e nei Paesi Bassi, le stazioni della via crucis coincidevano con le cadute di Cristo. Rispetto alle tre cadute della via crucis canonica moderna, la tradizione tardo medievale inseriva altre stazioni nelle quali veniva rappresentate altre cadute di Cristo oltre alle tre sotto il peso della croce. La prima testimonianza artistica è una xilografia realizzata a Norimberga nell’ultimo decennio del XV secolo e conservata all’Albertina di Vienna. Nel 1507 Hans Baldung, allievo di Dürer, ispirandosi a questa prima versione, illustra le cadute di Cristo nel testo Speculum passionis domini nostri Jesu Christi di Ulrich Pinder. Cfr. la voce Fälle Christi, sieben di Salome Zajadacz-Hastenrath in Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, München, C.H. Beck, 1973, Bd. 6, pp. 1366-1374. 19 Cfr. Joachim von Sandrart, L’Academia Todesca della Architectura, Scultura &Pittura: oder Teutsche Academie der Edlen Bau-Bild- und Mahlerey-Künste, cit., II Theil, III Buch, p. 228. L’opera a cui si riferisce non è conservata. 20 «im Jahr 1486 am St. Andreas Tag versprach mich mein Vater in die Lehrjahr’ zu Michael Wohlgemuth, drey Jahre lang ihm zu dienen; in der Zeit verliehe mir Gott Fleiß, daß ich wohl lernete, aber viel von seinen Knechten leiden mußte; und da ich ausgedient hatte, schickt‘ mich mein Vater hinweg, und blieb ich vier Jahre außen, bis daß mich mein Vater wieder fordert‘». Michael Wohlgemut, o Wolgemut, (1434-1519), fu artista importante sia per meriti personali, in particolare per le novità introdotte nell’esercizio della xilografia, sia per aver dato vita a un’intensa attività della sua bottega, nella quale, appunto, si trovava Dürer fra il 1486 e il 1489. Wolgemut fu ritratto dal Dürer nel 1516 e il dipinto è ora conservato a Norimberga. 21 Il riferimento è evidentemente al trattato di Dürer, pubblicato poco dopo la sua morte, sulla proporzione e sulla bellezza del corpo umano; Albrecht Dürer, Vier Bücher von Menschlicher Proportion, Nürnberg, 1528. Il testo fu prontamente tradotto in latino da Joachim Camerarius fra il 1532 e il 1534 e alla fine del secolo anche in lingua italiana da Giovanni Paolo Gallucci, Della simmetria dei corpi humani. Libri Quattro, Venezia, 1591. 22 Forse si tratta dell’anamorfosi catottrica. Mentre l’anamorfosi è una distorsione ottica per cui un’immagine viene proiettata in modo dilatato, così

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che possa essere visualizzata guardandola da una posizione precisa e si basa sulle regole della prospettiva piana, l’anamorfosi catottrica è ottenuta usando specchi circolari o concavi ed è legata al fenomeno della riflessione. Le immagini reali anamorfiche sono deformi, sproporzionate e confuse, ma se osservate attraverso il raggio riflesso ottengono aspetto armonico e lo specchio funge da decodificatore. Un allievo di Dürer, Gerhard Schön (1491-1542) fu prolifico realizzatore di questa forma di disegno. Il più famoso esempio di anamorfosi ottica è il dipinto di Hans Holbein il giovane “Gli ambasciatori”, realizzato nel 1533 ed esposto alla National Gallery di Londra. Cfr. Jurgis Baltrušaitis, Anamorphoses ou perspectives curieuses, Paris, Olivier Perrin, 1969. Un racconto tradotto da un libro italiano 23 Questo racconto, dai tratti commoventi, vuole essere un omaggio all’umile e devoto esercizio dell’arte dedicato a chi si è votato al bello pur senza assurgere alle vette della fama. 24 Arione di Metimna (VII-VI sec. a.C.) fu cantore e poeta greco. Erodoto racconta (Storie 1, 23-24) che Arione per primo compose e insegnò canti corali chiamati “ditirambi”. Dopo essere stato in Italia e in Sicilia, si imbarcò a Taranto per tornare a Corinto. Ma dei marinai gli tesero un’insidia per derubarlo del suo tesoro e lo posero davanti all’alternativa di un suicidio o di essere gettato in mare. Tuttavia, ascoltando le sue preghiere, gli permisero di cantare per un’ultima volta con la sua cetra in onore di Apollo, ma fu poi lui stesso a gettarsi in mare. Un delfino, allora, raccolse Arione sul dorso e lo trasportò fino al Tanaro. L’episodio ricorre in numerosi autori: nei Fasti di Ovidio (2, 83-118), nei Dialoghi degli dei del mare di Luciano (8). A partire dal Rinascimento, Arione viene rappresentato con la cetra in mano, sul dorso del delfino, come simbolo dell’ispirazione poetica (si vedano gli affreschi di Palazzo Farnese di Annibale Carracci). Andrea Mantegna ne esalta la storia nel 1474 per i dipinti della Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova. 25 La poesia, un ditirambo, fu ripubblicata da Tieck in Gedichte, 2 Tle., Erster Theil, Dresden, Hilscher, 1821, con alcune piccole varianti. Il ditirambo è una forma di poesia greca di ispirazione religiosa, generalmente cantata da un solista e dal coro in onore di Dioniso e accompagnata da danze. Il genere ditirambico fu riscoperto durante il XVI secolo per diventare essenzialmente forma monologica. In Germania fu ripreso inizialmente da Johann Gottlieb Willamov (1736-1777) con la raccolta Dithyramben (Berlin 1763), e fu anche al centro dei numerosi interventi di Herder sulla poesia. Herder, in particolare nel testo Pindar und der Dithyrambensänger (Pindaro e il cantore di ditirambi), da un lato esalta la rivalutazione della forma poetica, ma dall’altra critica le imitazioni a lui coeve. Il suo è il primo contributo teorico alla rinascita di questo genere poetico. La più grande ripresa nel periodo è quella realizzata da Goethe, mosso anche dagli scritti di Herder, con il Wanderers Sturmlied (Canto del viandante nella tempesta, 1774) e Harzreise im Winter

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(Viaggio invernale nello Harz, 1777), seguita da quella di Wackenroder (cfr. Liriche, p. 57) e di Tieck. Cfr. B. Zimmermann, Dithyrambos. Geschichte einer Gattung, Berlin, Verlag Antike e. K., 2008; F. Fantoni, Deutsche Dithyramben. Geschichte einer Gattung im 18. und 19. Jahrhundert, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2009. 26 La menzione del grande Correggio dipende forse dal carattere schivo e riservato del pittore, caratterizzato nei suoi dipinti anche dalla dolcezza espressiva. Per il rapporto fra Tieck e Correggio cfr. Hildegard Nabbe, Ludwig Tiecks Verhältnis zu Correggio, in Seminar 13, Heft 3, 1977, pp. 154169. Su Correggio cfr. Effusioni, p. 307, nota 56. L’immagine di Raffaello 27 Il testo ripropone al centro la figura di Raffaello già presente nelle Effusioni. La differenza fra il testo di Wackenroder e quello di Tieck risiede nel diverso approccio all’artista e alla sua opera. Qui, come per primo notò il Koldewey (Wackenroder und sein Einfluß auf Tieck, cit., pp. 157-160), si tratta dell’utilizzo, tipico in Tieck, dell’apostrofe. A differenza di Wackenroder, che usa con parsimonia questa figura retorica e, come vedremo, la riferisce solo agli oggetti come la Chiesa di S. Pietro, Tieck, conduce gran parte di questo testo rivolgendosi direttamente a Raffaello, realizzando, in tal modo, un rapporto molto intimo e confidenziale con il pittore. Se nelle Effusioni si trattava Raffaello come il punto d’approdo dell’arte e del creatore di una nuova religione artistica, fautore anche di una “rifondazione della visione” (cfr. P. Collini, “Descrizione di un’apparizione. Raffaello e le origini del romanticismo tedesco”, in Rivista di letterature moderne e comparate, 59, 2, 2006, pp. 151168, qui p. 155), nel presente testo si incontra una forma di divinizzazione del personaggio che contiene in sé la promessa di rigenerazione, come accade anche nel romanzo Franz Sternbalds Wanderungen. 28 Si è pensato di mantenere l’enfasi sul “tu” nella traduzione, perché proprio caratteristica di questo testo, strutturato come un dialogo intimo con l’artista. 29 Raffaello Sanzio, cfr. Effusioni, p. 290 e segg. 30 Riferimento al suono prodotto dall’arpa di Eolo o eolica, strumento che non viene fatto vibrare dall’uomo, ma dal vento. Costituito da alcune corde di minugia o di budello tese sopra una cassa di risonanza in legno, viene esposto al favore del vento in modo che le corde possano vibrare e produrre accordi armonici. Il primo a descrivere lo strumento fu Athanasius Kircher nella Musurgia universalis sive ars magna consoni et dissoni in X libros digesta (Roma, Corbelletti, 1650), dove, nella quinta parte del IX libro, descrive una “macchina armonica automatica”. Circa un secolo più tardi, il musicologo inglese John Hawkin recupera la descrizione di Kircher nel suo General History of the Sciences and Practice of Music (London, 1776). L’arpa eolica è anche oggetto di un saggio di Georg Christoph Lichtenberg del 1792 (Von der Äolus-Harfe in Göttinger Taschen Calender, pp. 137-138), nel quale

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descrive dettagliatamente, con interesse scientifico e passione personale, la storia dell’invenzione dello strumento, dando anche indicazioni per la sua costruzione. Nel 1801 Johann Friedrich Hugo von Dalberg (1760-1812), musicologo e compositore, dedica un volume allo strumento (Die Aeolsharfe. Ein allegorischer Traum, Erfurt, Beyer und Maring, 1801). Citata nel Visionario di Schiller, trova una forte eco nel periodo romantico; E.T.A. Hoffmann la utilizza per descrivere la voce di Antonia per bocca del consigliere Krespel come talmente soave da assomigliare al suono di un’arpa di Eolo. Tieck, nel suo romanzo Franz Sternbalds Wanderungen, la utilizza a più riprese (Franz Sternbalds Wanderungen, Stuttgart, Reclam, 1966, p. 46, 70, 157, 249). 31 Per Michelangelo Buonarroti, cfr. Effusioni, p. 215 e segg. 32 Per Albrecht Dürer, cfr. Effusioni, pp. 177 e segg. e 305, nota 49. Il Giudizio Universale di Michelangelo 33

Per la vita di Michelangelo cfr. Effusioni, p. 312, nota 70. Nel 1534 Michelangelo si stabilì definitivamente a Roma dove Clemente VII gli commissionò l’affresco della parete di fondo della Cappella Sistina. Nel 1536 iniziò ad affrescare la parete, terminandola nel 1541. Nel momento della stesura del testo Tieck non era ancora stato a Roma e aveva potuto ammirare l’affresco solo attraverso riproduzioni. Con ogni probabilità ne aveva potuto osservare alcune riproduzioni dal suo stesso maestro Fiorillo, che, come scrive nel primo volume della sua storia dell’arte (J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste von ihrer Wiederauflebung bis auf die neuesten Zeiten, (Storia delle arti del disegno dalla loro rinascita fino ai tempi più recenti: N.d.T.), Göttingen, 1798 (trad. it., J.D. Fiorillo, La storia delle arti del disegno (1798-1820), a cura di O. Rossi Pinelli, trad. it. parziale di S.A. Meyer, Bologna, Minerva Edizioni, 2001), erano 21, fra le quali anche una realizzata da Giorgio Mantovano (Giorgio Ghisi, 1520-1582) su undici fogli incollati insieme su tela. Fiorillo, come racconta lui stesso nel quarto volume della sua storia (J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste in Deutschland und den vereinigten Niederlanden, Hannover 1820) aveva anche offerto a Wackenroder, Tieck e Burgsdorf «un privatissimum sulla storia dell’arte, sulla teoria della pittura e su altro» (cfr. J.D. Fiorillo Geschichte der zeichnenden Künste, cit., Bd. IV, p. 83). Vietta e Littlejohns, curatori dell’edizione tedesca, includono anche fra le fonti possibili di Tieck il volume di Heinecken che Wackenroder prese in prestito dalla biblioteca di Gottinga il 19 agosto 1794 (K.H. Heinecken, Nachrichten von Künstlern und Kunst-Sachen, Leipzig 1768) che contiene, oltre a un elenco delle riproduzioni del Giudizio, anche un resoconto sull’opera (Wackenroder, Sämtliche Werke und Briefe, cit., Bd. 1, pp. 366379). 35 Nella già citata storia dell’arte di Fiorillo, nella parte dedicata alla descrizione dell’opera di Michelangelo, si fa riferimento alla critica, mossa da alcuni interpreti, circa la mescolanza di elementi biblici e mitologici, l’utilizzo 34

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della nudità e le critiche sul colorito delle figure (J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste von ihrer Wiederauflebung bis auf die neuesten Zeiten, cit., Bd. I, p. 364). Fiorillo, riferendosi ai critici dell’opera di Michelangelo, cita Francesco Albani, Giovanni Andrea Gilio, Roland Fréart de Chambray, T. Richardson, Domenico Andrea De Milo e Ludovico Dolci. 36 Si fa qui riferimento alla Deposizione Borghese di Raffaello, realizzata nel 1507 ed esposta a Galleria Borghese a Roma. La Chiesa di San Pietro 37 La storia della fabbrica di San Pietro è alla base del testo di Wackenroder che ne aveva letto in Sandrart e certamente in altre fonti. Iniziati con i lavori di rifacimento del coro della basilica di San Pietro sotto il pontificato di Niccolò V Parentucelli (1447–1455), la fabbrica di San Pietro coincide con i lavori di riedificazione della basilica costantiniana. Giulio II Della Rovere (1503–1513) diede il via ufficialmente ai lavori. Per la riedificazione della nuova basilica papa Giulio II scelse Donato Bramante e alla morte di questo, la direzione dei lavori fu assunta da Antonio da Sangallo il Giovane, assistente sin dal 1505 di Bramante. Dopo alterne vicende e trascorsi quarant’anni dall’inizio dei lavori, Michelangelo, libero di intervenire a suo piacimento, ricevette la nomina ufficiale. Michelangelo ritornava alla prima ispirazione di Bramante, ma con una concezione più vigorosa e semplificata. Trascorsi poco più di venti anni dalla morte di Michelangelo, il 19 gennaio 1587 Giacomo della Porta, assistito da Domenico Fontana, ricevette da papa Sisto V l’incarico di completare la cupola, riuscendo nell’impresa in meno di due anni. Paolo V Borghese, eletto nel 1605, decise di affrontare la definitiva demolizione di quanto restava dell’antico tempio e di accelerare il completamento del nuovo. Nel 1614 si ultimò l’immensa volta che copriva l’interno della Navata. Nel 1615, su progetto di Maderno, furono iniziati i lavori nell’area della Confessione e nello stesso anno fu demolito il muro divisorio fatto erigere da Paolo III. La domenica delle Palme, la basilica si presentò per la prima volta nella sua veste completamente rinnovata, in attesa dei futuri abbellimenti progettati in massima parte da Bernini. 38 P. Koldewey (Wackenroder und sein Einfluß auf Tieck. Ein Beitrag zur Quellengeschichte der Romantik, Altona, Hammerich & Lesser, 1904, pp. 64-66) mette in relazione alcuni passaggi relativi alla descrizione della magnificenza della basilica con un articolo di Karl Philipp Moritz apparso sulla sua rivista nel 1791; cfr. Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst, 1789-1793, 1. Bd., 4. St., 1791, pp. 82-96; 2. Bd., 1. St., 1792, pp. 28-31. 39 Il riferimento è naturalmente a Michelangelo, cfr. Vasari, Vite, Tomo III, 287. 40 Le tre corone che compongono la tiara, detta anche “triregnum”, stanno a indicare il triplice potere pontificio, come espresso nella formula che veniva usata nell’incoronazione dei papi fino al 1963 che, secondo il Pontifi-

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cale romano, designava il papa come «padre dei principi e dei re, rettore del mondo, vicario in terra di Cristo». 41 In questo punto viene espresso tutto il pensiero di Wackenroder sull’arte. 42 Anche in questo passaggio, riferito alla sfarzosità delle chiese cattoliche in confronto alla sobrietà di quelle protestanti, Koldewey rileva la vicinanza con il testo di Moritz, Italien und Deutschland in Rücksicht auf Sitten, Gebräuche, Litteratur und Kunst, cit., 1. Bd., 4. St., 1791, pp. 90-92. I dipinti di Watteau 43 Tieck presenta qui un proprio omaggio alla cultura del Rococò con un saggio dedicato a un pittore profano dotato di grande sensualità e di espressività tutta musicale. 44 Jean Antoine Watteau (Valenciennes 1684-1721 Nogent-sur-Marne) svolse dapprima a Parigi attività di decoratore e di copista di opere olandesi e fiamminghe. Negli anni della maturità si dedicò alla pittura di scene galanti e campestri, ricca di spensieratezza e di grazia malinconica. Molte delle sue opere sono state distrutte. Dopo un normale apprendistato presso un rinomato pittore della città natale, Watteau sbarcò a Parigi, dove frequentò il famoso e fantasioso incisore e pittore Claude Gillot. Il teatro e gli attori, temi cari a Gillot, influenzeranno l’opera di Watteau, che rappresenterà Les Comédiens-français, Pierrot, La Comédie italienne. Lo stile di Watteau, delicato e vaporoso, fa sua la tecnica pittorica di Rembrandt, El Greco e Velazquez. I suoi soggetti sono uomini e donne galanti che si muovono in paesaggi morbidi e raffinati, in un mondo sereno e festoso. Questa atmosfera sognante, i soggetti aristocratici e la sua tecnica pittorica quasi impressionistica sono stati un ostacolo nella ricezione della sua opera nel periodo illuminista. La sua influenza si eserciterà, invece, sui romantici che lo indicheranno come il pittore delle feste galanti e lo collocheranno tra i grandi della pittura. 45 A Watteau Fiorillo dedica una nota nella sua storia della pittura (J.D. Fiorillo, Geschichte der zeichnenden Künste in Deutschland und den vereinigten Niederlanden, cit. (Göttingen, 1805, III Bd., vol. III, pp. 298-301), e considera la frizione fra il carattere melanconico e incline alla tristezza e l’allegria delle scene da lui rappresentate. Indica quindi il volume relativo alla sua opera (Figures de differens caractères, de paysages, & d’etudes dessinées d’apres nature par Antoine Watteau, 2 voll.) e delle sue incisioni (Oeuvre gravé, 2 voll.). Fiorillo fa anche riferimento a una collezione completa di proprietà del signor Sillem, commerciante di Amburgo.

A proposito delle figure infantili nei quadri di Raffaello 46 Possibile riferimento alla fisiognomica di Lavater, dove, a proposito del volto dei fanciulli, si legge che nel volto del bambino si può già intravvedere e leggere il carattere dell’adulto; cfr. J.C. Lavater, Physiognomische Fragmente, 4 Bände, Leipzig 1775-1778, Bd. 3, p. 136.

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47 La frase originale in tedesco compare allo stesso modo nel Vangelo in Luca (18.16), in Matteo (19.14) e in Marco (10.14). Nella traduzione utilizzata (Bibbia ed. Cei 2008), le versioni italiane differiscono leggermente. Si è scelta qui la versione del Vangelo di Luca. 48 La frase è tratta dal Vangelo di Matteo (18.3), ed. Cei 2008.

Un paio di parole sulla giustizia, sulla misura e sulla tolleranza 49 Tieck, fra il 1792 e il 1793, aveva scritto un saggio frammentario dal titolo Über das Erhabene (Sul sublime) che si rifaceva al testo attribuito a Longino, tradotto in tedesco da Johann Georg Schlosser nel 1781, e ne parla nelle lettere a Wackenroder (lettera a Wackenroder del 10 maggio, p. 615; lettera del 29 maggio, p. 649, e lettera di Wackenroder dell’11 maggio, p. 633).Cfr. L. Tieck, Das Erhabene, in Schriften 1789-1794, hrsg. von A. Hölter, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag, 1991, pp. 637-651. 50 Per il concetto di entusiasmo, cfr. Effusioni, pp. 289-290, nota 2.

I colori 51

Si riferisce anche in questo caso all’arpa eolica. Cfr. supra, p. 564, nota

30. 52 Potrebbe trattarsi di un riferimento all’Adone di Giovan Battista Marino (1569-1625), che nel lungo episodio del “giardino dei sensi” indugia sulla mescolanza cromatica, di cui il piumaggio del pavone è simbolo. 53 In questo testo è possibile notare una caratteristica ampiamente presente nell’opera di Tieck e soprattutto nella sua produzione drammatica, quella di collegare, talvolta in modo sinestetico, suoni e colori. Nel saggio su Shakespeare, sottolinea per la prima volta quanto la compenetrazione fra musica e parole sia centrale nella realizzazione del testo drammatico (L. Tieck, Über Shakespeare’s Behandlung des Wunderbaren, in Schriften 1789-1794, hrsg. von A. Hölter, cit., pp. 685-722, qui pp. 707, 708). Si confronti anche Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, hrsg. von C. Stöckinger / S. Scherer, BerlinBoston, De Gruyter, 2011; Raumkonfigurationen in der Romantik, hrsg. von W. Pape, Tübingen, Niemeyer, 2009. 54 Nella gerarchia fra le arti, come dice Tieck, la musica ha un posto diverso, perché non è sottoposta al principio mimetico, a differenza delle altre. Se nelle Effusioni, fra di esse, è presente una sorta di principio di tolleranza e di uguaglianza, nelle Fantasie, questo risulta essere superato a favore di una netta supremazia dell’arte dei suoni. Cfr. M. Gamper, “«… in einer fremden, unübersetzbaren Sprache…»: Das Reden über Malerei und Musik bei Wackenroder und Tieck”, in Farbige Träume aus den durchsichtigen Gedanken. Romantik-Symposium 1994 in Mariastein, hrsg. von U.V. Kamber, Solothurn, Zentralbibliothek Solothurn, 1996, pp. 23-38.

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L’eternità dell’arte 55 Ancora una volta il discorso ritorna sull’entusiasmo, riallacciandosi quindi ai testi precedenti; cfr. Effusioni, pp. 289-290, nota 2. 56 Per il rapporto fra poesia manieristica e romanticismo, cfr. M Thalmann, Romantik und Manierismus, Stuttgart, Kohlhammer, 1963. 57 Cfr. Joseph Berglinger, in Effusioni, p. 261 e segg.

Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo 58 La favola del santo nudo è forse il testo più interpretato e allo stesso tempo più enigmatico nella produzione di Wackenroder. Alcuni avevano dubitato della paternità wackenroderiana del testo (W. Kohlschmidt, Der junge Tieck und Wackenroder, in Die deutsche Romantik. Poetik, Formen und Motive, hrsg. von H. Steffen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1967, pp. 30-44) muovendo dall’ipotesi che fosse invece di Tieck, più avvezzo alla prosa della novella e del racconto, ma questa ipotesi non ha mai trovato eco nella critica. La figura del santo nudo, insieme al simbolo della ruota del tempo, è quella che ha prodotto un maggior numero di differenti interpretazioni. Un primo accenno alla figura del martire e all’idea di un testo che si avvicina alla fiaba risale al 1792. Come osservato da Paul Koldewey (P. Koldewey, Wackenroder und sein Einfluß auf Tieck, cit., p. 96 e segg.) è presente nel Carteggio un accenno di Wackenroder alla vicenda di William Bligh (1754-1817), capitano del Bounty che nel 1789 subì l’ammutinamento da parte della sua ciurma e fu costretto ad abbandonare la nave nei pressi di Tahiti insieme a diciotto componenti rimasti a lui fedeli su una lancia, senza cibo e acqua e solo con un sestante a disposizione, nell’Oceano indiano. Solo dopo 47 giorni riuscì a raggiungere la terra ferma. Il racconto della vicenda del capitano fece enorme impressione su Wackenroder che, scrivendo a Tieck commentò: «Ho provato una sensazione come di disgusto verso me stesso, poiché me ne stavo calmo e felice; mi è sembrato di poter riscattare la sfortuna con una manciata d’oro e flagellare e mortificare il mio corpo» (cfr. Carteggio, p. 761). Quindi afferma di voler comporre un’ode. «Con ciò mi è venuto in mente, in seguito, di tradurre questa emozione in un’ode e di inaugurare, in generale, un tipo del tutto particolare di ode. Un tipo che chiamerei poesie liriche țĮIJ¶İȟȠȤȘȞ e che da sempre hanno rappresentato il mio genere preferito. Devono essere quadri fedeli del sentimento e della passione, del tutto individuali e dipinti secondo natura. Devono rappresentare l’autentica e vera esplosione della passione, alludere al loro germe e alla loro fonte, condurre alle conseguenze e servire pertanto a insegnare che cosa siano gli esseri umani e i loro cuori, a spiegarne e a scoprirne la natura e a difendere gli essere umani dall’aggressione dei loro simili» (ibid., pp. 761 e 763). Alcuni hanno poi visto nella ruota del tempo il tipico meccanismo a orologeria del pensiero meccanicistico settecentesco (E. Hertrich, Joseph Berglinger. Eine Studie zu Wackenroders Musiker-Dichtung, Berlin, De Gruyter, 1969, pp. 163-191), legato altresì a una critica dell’industrializzazione e al processo circolare di produzione e consumo, come avviene ad esempio nel primo saggio

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presente nelle Fantasie sul personaggio di Dürer (G. Kühnlenz, “Wackenroders ‘Wunderbares morgenländisches Märchen von einem nackten Heiligen’ in Deutschunterricht der Prima”, in Pädagogische Provinz, 12, 4, 1958, pp. 199-209). La ruota è stata poi interpretata sotto molteplici angolazioni, come simbolo della paura del tempo e come simbolo di nichilismo (D. Arendt, Der „poetische Nihilismus“ in der Romantik, Tübingen, Niemeyer, 1972, p. 243 e segg.), come ispirata dalle dottrine orientali di Gialal-aldin Rumi e come esperimento sulla figura del derviscio (A. Teckinay, “Der morgenländische Bestandteil im ‘Wunderbaren morgenländischen Märchen von einem nackten Heiligen’ Wackenroders. Eine Studie zum frühromantischen Orientbegriff”, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, Bd. 218, 133. Jahrgang, 1981, pp. 323-329), altri vi hanno visto la figura del martire, consapevole del proprio destino umano (L. Zagari, “Il santo nudo e la ruota del tempo. L’impasse dell’intellettuale nella fiaba di Wackenroder”, in Mitologia del segno vivente. Una lettura del romanticismo tedesco, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 79-126). L’immagine della ruota dell’ingranaggio è anche presente in Una lettera di Joseph Berglinger, cfr. Fantasie, p. 501: «Alla base salda della mia anima si sprigiona il grido: è un’aspirazione così divina, quella dell’essere umano, a creare cose che non vengano divorate dal fine volgare e dal profitto, cose che, indipendenti dal mondo, splendano eternamente di una propria luce, cose che non vengano spinte da alcuna ruota dell’ingranaggio e a loro volta non sospingano nulla» e ancora all’interno del medesimo testo compare la figura del martire: «In tale angoscia comprendo come si sentissero quei devoti martiri ascetici che, affranti di fronte alla visione degli indicibili tormenti del mondo, come bambini disperati, sacrificavano, per tutta la loro esistenza, il loro corpo alle più raffinate mortificazioni e penitenze, soltanto per poter ristabilire l’equilibrio fra se stessi e l’eccesso terribile del mondo sofferente» (cfr. Fantasie, pp. 501, 503 e 505). L’immagine della ruota è anche associata a un elemento proprio del testo, quello del rumore fastidioso; si parla infatti di sibili, fracasso, fragore, fischiare, confusione, elementi accresciuti anche dalla paratassi (cfr. R. Köhler, Poetischer Text und Kunstbegriff bei W.H. Wackenroder, Frankfurt a. M., Peter Lang, 1990, p. 168). Solo alcuni hanno poi posto l’attenzione alla musica, unica fra le arti (B. Naumann, “Musikalisches IdeenInstrument”. Das Musikalische in Poetik und Sprachtheorie der Frühromantik, Stuttgart, Metzler, 1990, p. 63 e segg.). Kertz-Welzel propone poi un’interpretazione della fiaba ancora più intimamente legata al fatto musicale; il santo non soltanto sarebbe il genio della musica, ma il corrispettivo pagano della santa Cecilia delle Effusioni e diventerebbe il collegamento fra dimensione umana e divina della musica (A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle. Beziehungen zwischen Musik und Gefühl bei Wackenroder / Tieck und die Musikästhetik der Romantik, St. Ingbert, Röhrig Universitätsverlag, 2001, pp. 155-157). 59 Molte ipotesi vengono avanzate sull’origine della figura del santo nudo e della ruota del tempo. Vercellone indica come possibile fonte l’influsso di Jakob Böhme del De signatura rerum oder Von der Geburt und Bezeichnung aller Wesen del 1622, ripubblicato nel 1730 dove la ruota rappresenterebbe il desiderio inappagato (Cfr. F. Vercellone, Introduzione a Wilhelm Hein-

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rich Wackenroder, Scritti di poesia e di estetica, Torino, Boringhieri, 1993, p. XXVII). 60 Inserita da Tieck in Gedichte, Dresden 1821. I miracoli della musica 61 In questo saggio è osservabile il nuovo concetto di musica inteso come espressione di sentimenti ed emozioni. Questa rinnovata estetica musicale del cuore, propugnata da autori come Reichardt e Herder, riscatta la musica e la pone al vertice nella gerarchia delle arti (cfr. E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, Torino, Einaudi, 20014, pp. 109-123). Elemento rilevante all’interno del testo è poi quello, centrale nell’opera wackenroderiana, della sacralizzazione della musica che, in questo saggio, ripropone, con modalità dialettiche differenti, l’essenza della favola del santo nudo, quella appunto legata alla trasformazione operata dalla musica e ne utilizza anche alcune immagini, come ad esempio quelle iniziali legate al movimento in torsione ascensionale. Le scelte semantiche e retoriche appartengono, per gran parte, all’ambito biblico ed evangelico. 62 È sottolineata in questo passaggio l’essenza propria della musica, trascendente ed effimera, immanente ed ambigua, che nasce dal nulla e si spegne nel nulla, ma che possiede in sé carattere religioso. Analoga espressione è utilizzata nel saggio di Herder Ob Malerei oder Tonkunst größere Wirkung gewähre? Ein Göttergespräch (Se sia la pittura o la musica a garantire un effetto maggiore? Un dialogo tra gli dei), nel quale, nella discussione fra le muse della Poesia, della Pittura e della Musica, quest’ultima afferma la propria capacità di creare suoni dal nulla, allo stesso modo in cui l’anima crea pensieri. (Cfr. J.G. Herder, Ob Malerei oder Tonkunst größere Wirkung gewähre? Ein Göttergespräch, in Sämtliche Werke, hrsg. von B. Suphan, Hildesheim, Georg Olms, 1967; Bd. XI, p. 233). 63 La gioia infantile e la potenzialità dell’artista di potersi rifugiare nell’innocenza del bambino è evidentemente tema caro alla Romantik e in particolare a Wackenroder. Cfr. D. Mazza, I virgulti dell’Eden: l’immagine del bambino nella letteratura tedesca del Romanticismo, Firenze, La Nuova Italia, 1995; H. Ullrich, Das Kind als schöpferischer Ursprung. Studien zur Genese des romantischen Kindbildes und zu seiner Wirkung auf das pädagogische Denken, Bad Heilbrunn, Klinkhardt, 1999. 64 Probabilmente il riferimento è alla vicenda di Giasone e alle prove che dovette affrontare per recuperare il vello d’oro. Come narrato da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, l’eroe seminò denti di drago dai quali nacquero giganteschi guerrieri corazzati; Giasone gettò in mezzo a loro una pietra e i guerrieri, come cani famelici attorno a un osso, si massacrarono l’un l’altro. 65 Il concetto, centrale nell’opera di Wackenroder, compare anche in Herder. Cfr. M. Buntfuss, Die Erscheinungsform des Christentums. Zur ästhetischen Neugestaltung der Religionstheologie bei Herder, Wackenroder und De Wette, Berlin, De Gruyter, 2004.

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Dei diversi generi nelle arti e in particolare dei diversi tipi di musica sacra 66 Il tema della musica sacra compare già negli scritti di Herder ed è al centro del saggio sulla Cecilia del 1793 (J. G. Herder, Cäcilia in Sämtliche Werke hrsg. von B. Suphan, Hildesheim, Georg Olms, 1967, Bd. XVI, pp. 253 e segg.), che mescola suggestioni legate al culto sacro della tradizione melodrammatica italiana allo spirito liturgico luterano protestante della tradizione tedesca. Al saggio sulla Cecilia, Herder pospone la rapsodia Die Tonkunst, già pubblicata nel 1791 sulla rivista di Reichardt (J.G. Herder, “Die Tonkunst. Eine Rhapsodie”, in Musikalisches Magazin, Berlin, 1791, p. 1 e segg.), all’interno della quale compaiono temi e assunti sviluppati poi anche da Wackenroder, come, ad esempio, l’origine divina della musica che si compenetra con l’anima dell’essere umano nel riconoscimento della comune origine. (Cfr. A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit., p. 87). 67 Il tema della disputa fra le arti è centrale nel corso del secolo, ma in questo saggio richiama in tutta evidenza il già citato testo di Herder, Ob Malerei oder Tonkunst größere Wirkung gewähre? Ein Göttergespräch, all’interno del quale compaiono in travestimento mitologico gli esiti dei discorsi sulle tre arti, quelle della musica, della pittura e della poesia. Il dialogo fra le muse era comparso per la prima volta all’interno del Journal von Tiefurt, una pubblicazione apparsa fra il 1781 e il 1784, scritta a mano e redatta in circa undici esemplari, che restituiva le discussioni estetiche fra i protagonisti della cultura weimariana, cioè Goethe, Wieland, Herder, Merck e altri. Il saggio di Herder risulta essere parte della discussione che era iniziata, sempre sulle pagine della medesima pubblicazione, con una serie di articoli, che cercavano di fornire risposta alla domanda posta nel quinto foglio, ovvero Was wirkt am stärksten auf des Menschen Seele, ist es die Musik oder die Malerei? (Che cosa ha maggior effetto sull’anima dell’uomo: la musica o la pittura?). Il primo testo, Erster Versuch über die Frage: Was würckt am stärksten auf des Menschen Seele, Mahlerey oder Musik, è a firma di “Musophilus”, nome dietro il quale si celerebbe Wieland (in Das Journal von Tiefurt, in Schriften der Goethe-Gesellschaft, hrsg. von B. Suphan, Weimar, 1892, 7. Bd., 6. Stück, pp. 52-57). 68 L’autore si riferisce al Salmo 51 nella versione della Vulgata (“Miserere mei, Deus”, “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore”, Salmo 51, Libro dei Salmi), cui si rifanno molte composizioni musicali, come ad esempio il Miserere composto da Gregorio Allegri (1582-1652) al tempo in cui fu maestro presso la Cappella Sistina. Anche Herder, nel già citato saggio sulla Cecilia, cita il salmo, attribuendo alla forma espressiva nel canto un valore eccezionale, capace di dare valore ed espressione alle diverse situazioni e stati d’animo e sottolineando il legame indissolubile fra musica sacra e parola, attribuendo particolare rilievo alla funzione del coro (Cfr. J.G. Herder, Cäcilia, op. cit. p. 258).

NOTE 66-71

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Frammento da una lettera di Joseph Berglinger 69 Il testo, che Kohlschmidt riteneva più consono alla sensibilità di Tieck che a quella di Wackenroder, rappresenta il pendant della favola del santo nudo calata in un’atmosfera gioiosa e concreta. Nella potenza celestiale della musica, i volti vengono attraversati e trasfigurati. (Cfr. E. Hertrich, Joseph Berglinger. Eine Studie zu Wackenroders Musiker-Dichtung, cit., p. 205 e segg.). 70 Diversamente da quanto affermato dai contemporanei, per Wackenroder la musica da ballo rappresenta l’espressione visiva del potere della musica, come avviene anche nel finale della favola del santo nudo che sale verso il cielo danzando. L’immagine è poi presente anche nelle Effusioni nel capitolo su Berglinger quando descrive il proprio rapimento sulle note della musica e si immagina di vedere il re David danzare di fronte all’arca della concordia, cfr. Effusioni, p. 261). Wackenroder si collega qui perciò al nascente discorso sulla danza, che proprio in questi anni trovava in Jean Georges Noverre un acuto e sofisticato rappresentante (Cfr. A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit., p. 157 e segg.).

La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale 71 Come puntualmente rilevato dal Koldewey, nella prima parte di questo saggio di Wackenroder, uno dei più importanti per ciò che concerne la teoria musicale e il rapporto fra musica e sentimento, è rintracciabile la fonte, cui l’autore si rifece. Si tratta della Allgemeine Geschichte der Musik (Storia generale della musica) di Forkel, dalla quale Wackenroder prende a prestito sia l’idea della nascita della musica come espressione di affetti e sentimenti (Cfr. J.N. Forkel, Allgemeine Geschichte der Musik, Erster Band, Leipzig, 1788, p. 2 e segg.), sia la riflessione sul sistema complesso, messa a punto dall’essere umano, per dare forma e colore ai suoni e dare loro la capacità di descrivere i sentimenti e gli affetti umani (J.N. Forkel, Allgemeine Geschichte der Musik, cit., p. 28). Nella descrizione di Forkel sulla nascita della musica individua essenzialmente tre periodi progressivi. Il primo, presente nelle società primitive, caratterizzato dall’immediatezza nella produzione del suono che rappresenta l’espressione sonora di un’impressione sensibile e molto spesso coincide con rumori forti come quello dei tamburi o delle trombe (cfr. pp. 2-3). Un secondo momento è caratterizzato dalla graduale differenziazione dei suoni, che diventano via via più complessi, dando espressione a sentimenti e sensazioni differenti e variegati. Il terzo periodo di sviluppo musicale è, per Forkel, rappresentato dal momento in cui l’essere umano riesce ad avere a disposizione un sistema così complesso, caratterizzato dalle armonie e dagli accordi, da poter così esprimere sfumature variegate del sentimento umano e dar corpo a innumerevoli sensazioni e sentimenti. Nel saggio di Wackenroder non è presente la suddivisione in periodi, ma soltanto la suggestione e l’idea del progressivo sviluppo della musica. Come in Forkel è presente un rapporto

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molto forte fra il progredire e lo sviluppo musicale e l’affinarsi della sensibilità dell’essere umano (A. Kertz-Welzel, Die Transzendenz der Gefühle, cit., p. 133 e segg.). Nella descrizione poi dell’origine oracolare della musica, sono rintracciabili ancora una volta elementi neoplatonici, già rilevati nelle Effusioni (D. Kemper, Sprache der Dichtung, Stuttgart, Metzler, 1993, p. 211 e segg.) che introducono l’elemento misterioso della musica, già evidenziato nella fiaba del santo nudo. 72 Il concetto di “simpatia”, di origine ippocratica, sta a definire originariamente l’azione congiunta e armonica delle varie parti del corpo umano nel mantenimento dell’equilibrio. Il concetto diventa centrale nell’antropologia settecentesca (cfr. W. Riedel Die Anthropologie des jungen Schiller. Zur Ideengeschichte der medizinischen Schriften und der ‚Philosophischen Briefe‘, Würzburg, Königshausen & Neumann, 1985; H. Schott, “Sympathie als Metapher in der Medizingeschichte”, in Würzburger medizinhistorische Mitteilungen, 10, 1992, pp. 107-127). Forkel utilizza il concetto di „simpatia dei suoni“, descrivendo l’acustica e indicando fra i vari elementi anche la simpatia fra le note (J.N. Forkel, Allgemeine Geschichte der Musik, cit., p. 30). 73 Come rilevano i curatori dell’edizione tedesca, il concetto di congegno sofisticato nella descrizione degli affetti umani connesso all’ambito musicale è da rintracciarsi prevalentemente nella teoria di Johann Philipp Kirnberger, che nella sua opera principale (J.Ph. Kirnberger, Die Kunst des reinen Satzes in der Musik, 2 Bde, Berlin und Königsberg, Decker und Hartung, 1774-1779, I ed. 1771) enuncia con rigore le regole dell’armonia e il complesso sistema algebrico e matematico legato alla produzione musicale. Johann Philipp Kirnberger (1721-1783), teorico della musica e compositore, Kapellmeister e compositore alla corte prussiana, fu interprete e seguace di Bach. 74 Come afferma anche Tieck nel saggio Sinfonie (cfr. Fantasie, p. 533 e segg.), la musica è la più giovane tra le arti perché non è ancora giunta a sperimentare un periodo classico. 75 L’idea che l’opera d’arte potesse essere compresa non in modo razionale, ma attraverso il sentimento che l’aveva prodotta, era stata espressa ampiamente in Herder, che riteneva che ogni conoscenza non potesse essere disgiunta dalla sensazione (J.G. Herder, Ueber Erkennen und Empfinden in der meschlichen Seele, 1774). L’argomento era al centro della discussione fra Wackenroder e Tieck, come risulta anche dalla lettera di Wackenroder e di Tieck di fine dicembre 1792 (cfr. Carteggio, p. 767 e segg.). 76 Il passaggio rinvia al tema della Wassermetaphorik, l’utilizzo insistito ed evidente di metafore e immagini legate all’acqua e al suo scorrere. L’esigenza di basarsi su materiale semantico di questo ambito, oltre che da una profonda radice pietistica, deriva anche dall’esigenza di utilizzare un lessico in grado di descrivere la dinamicità connessa al tema musicale. (A. Langen, Der Wortschatz des deutschen Pietismus, Tübingen, Niemeyer, 1954; U. Brandstätter, Musik im Spiegel der Sprache. Theorie und Analyse des Sprechens über Musik; Stuttgart, Metzler, 1990; A. Stollberg, Ohr und Auge – Klang und Form. Facet-

NOTE 72-81

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ten einer musikästhetischen Dichotomie bei Johann Gottfried Herder, Richard Wagner und Franz Schrecker, Beihefte zum Archiv für Musikwissenschaft, 58, München, Franz Steiner Verlag, 2006). 77 Facilmente ci si può riferire in questa occasione alla classificazione degli affetti in musica operata ed enunciata, ad esempio, da Forkel (Cfr. J.N. Forkel, Allgemeine Geschichte der Musik, op. cit. p. 44). È però anche osservabile il superamento delle rigide teorie classificatorie settecentesche secondo un percorso che privilegia l’ingenuità e l’innocenza dell’arte (Cfr. Kertz-Welzel, p. 137-140) 78 Si fa qui riferimento alla “sinfonia” che rimanda ancora al testo di Tieck Sinfonie. Sinfonia, nell’accezione comune al tempo di Wackenroder, sta a indicare un singolo movimento sinfonico, di norma il primo anteposto a un’opera, detto anche “Oeuverture” e, per l’autore, esempio sublime di musica strumentale. Nella Allgemeine Theorie der Schönen Künste di Sulzer, alla voce „Simphonie”, composta da Abraham Peter Schulz, si legge: «Un brano strumentale polifonico che viene utilizzato al posto di ouverture desuete (…). La sinfonia è particolarmente adeguata nella rappresentazione di ciò che è grande, solenne e sublime. Il suo scopo finale è quello di preparare l’ascoltatore a una musica importante o di annunciare in un concerto da camera tutta la magnificenza della musica strumentale» (J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, cit., p. 478 e segg.). I riferimenti alla sinfonia sono anche presenti nel carteggio, in particolare è descritta ad esempio l’Ouverture di Reichardt all’Amleto di Shakespeare nella lettera del 10 maggio 1792 (cfr. Carteggio, p. 615). La descrizione offerta da Wackenroder ripropone la divisione in quattro parti della sinfonia, utilizzando strumenti letterari. A lungo la critica ha cercato di trovare l’originale cui Wackenroder faceva riferimento. La più raffinata interpretazione delle quattro parti come restituzione metaforica dell’andamento musicale è stata fornita da Werner Keil che ha sottolineato l’eccezionalità del passaggio wackenroderiano, in grado di riprodurre verbalmente la struttura musicale. (cfr. W. Keil, “Wilhelm Heinrich Wackenroder und die Sonatenform”, in Athenäum, 6, 1996, pp. 137-151). 79 Si fa qui riferimento alla contraddizione implicita nel concetto wackenroderiano della musica, che nasce in una dimensione completamente terrena eppure che ha in sé il più grande potenziale trascendente. Una lettera di Joseph Berglinger 80 Ancora una volta si ritrova all’interno delle Fantasie la figura del martire, già presente come suggestione nella favola del santo nudo. Il riferimento, per questo passaggio, è anche alla lettera dell’11 dicembre 1792 (cfr. Carteggio, p. 761 e segg.). 81 Per il riferimento all’arpa di Eolo, cfr. supra, p. 564, nota 30.

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Tolleranza non musicale 82 A partire dal Rinascimento, gli esperimenti e le scoperte di Archimede relative agli specchi ustori assunsero rinnovato interesse, diventando lo spunto per il rivoluzionario atteggiamento scientifico successivo. La verifica dell’attendibilità della potenza originata dagli specchi ustori, a fini bellici, è stata studiata più volte nel corso del XVIII secolo; l’idea della resistenza eroica, geniale e scientifica dell’inventore siracusano doveva essere di ispirazione per il pensiero libertario illuminista. Wackenroder usa il termine all’interno del carteggio: «Oh, se solo potessi chiamare a raccolta tutta l’eloquenza che in ogni angolo del mondo ha piegato di volta in volta i cuori umani e concentrarla in un punto e potessi come per mezzo del raggio di sole dello specchio ustorio illuminare il tuo cuore smarrito con lo splendore della verità!» (cfr. lettera del 15 giugno 1792 a Tieck, Carteggio, p. 683). 83 Febo è appellativo di Apollo, con il significato di splendente. L’importanza della figura di Apollo risiede qui nella sua valenza di dio delle arti e in special modo della musica e nella sua capacità di incarnare la bellezza, la moderazione e l’armonia.

I suoni 84 Tantalo, sovrano di Lidia, si macchiò di parecchie colpe, fra queste quella di aver rubato nettare e ambrosia al banchetto degli dei, di aver rivelato i segreti delle divinità e di aver dato in pasto agli dei il proprio figlio Pelope per vedere se essi fossero veramente in grado di conoscere le azioni degli esseri umani. Il supplizio fu quello di rimanere nell’Ade con il mento immerso nell’acqua che si ritraeva quando lui voleva bere e circondato da frutti maturi che pendevano poco oltre la sua possibilità di raggiungerli. Il mito è al centro del dramma di J.M.R. Lenz Tantalus. Ein Dramolet, auf dem Olymp del 1776 che consiste in un dialogo sul monte Olimpo fra Mercurio, Apollo, Tantalo e Amore. Tantalo è colto nella sua ingenuità al centro del gioco delle divinità che si servono di lui come di un passatempo (Tantalus. Ein Dramolet, auf dem Olymp, in Friedrich Schiller Musenalmanach für das Jahr 1798, Tübingen, Cotta, 1798, pp. 224-236). 85 Qoelet, 1, Trad. del testo della CEI. Il testo tedesco riprende la traduzione della Bibbia di Lutero. 86 Con il titolo Zeit (Tempo), questa lirica è stata inserita in Ludwig Tieck, Gedichte. Zweyter Theil, Dresden 1821, p. 28. All’interno di questo saggio di Tieck trovano spazio cinque liriche che verranno poi ripubblicate nella raccolta del 1821. 87 Con il titolo Die Töne (I suoni) la lirica è stata inserita in Ludwig Tieck, Gedichte. Zweyter Theil, cit., p. 29. 88 Con il titolo Erkennen (Riconoscere) è stata inserita in Ludwig Tieck, Gedichte. Zweyter Theil, cit., p. 30. 89 Il pianoforte a colori fu un’invenzione del matematico francese Ber-

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trand Castel (1688-1757) per dare un’identità anche cromatica alla partitura musicale. Nel 1791 comparve a Lipsia il testo di una dissertazione su temi antropologici che si concentrava quasi essenzialmente sul concetto di pianoforte a colori. Le Ideen zu einer physiognomischen Anthropologie (Idee per una antropologia fisiognomica) di Johann Christian August Grohmann (J.C.A. Grohmann, Ideen zu einer physiognomischen Anthropologie, Leipzig, Dyck, 1791) rappresentano un’ampia discussione sulle questioni teorico-estetiche e pratico-sensoriali riferite all’invenzione di Castel. La scienza, e l’antropologia in particolare, sostiene Grohmann, hanno dedicato molta attenzione all’essere umano nella sua duplice essenza spirituale e morale, ma poco alla sua dimensione estetica. Il secondo capitolo del’opera è dedicato quasi esclusivamente all’invenzione del pianoforte a colori. Prima di tutto, l’autore sottolinea lo stretto rapporto che lega il senso della vista a quello dell’udito e analizza perciò l’idea di un orologio concepito con i colori: quelli chiari per i minor rintocchi, quelli più scuri per le ore con maggior rintocchi. Un tale strumento risulterebbe di aiuto anche per coloro che non possono sentire. Il rapporto che lega i suoni all’orecchio è come quello che lega i colori all’occhio. Ogni suono ha un colore armonico, ogni sequenza una successione armonica di colori. 90 Con il titolo Liebe (Amore) è stata inserita in Ludwig Tieck, Gedichte. Zweyter Theil, cit., p. 31. 91 Con il titolo Trost (Consolazione) è stata inserita in Ludwig Tieck, Gedichte. Zweyter Theil, cit., p. 32. Sinfonie 92

Il concetto di “iniziato”, di chiara derivazione massonica, compare spesso nei testi attribuibili a Tieck; cfr. Fantasie, p. 547 e segg. 93 Come evidenziato nel titolo di questo saggio, l’argomento centrale è quello delle sinfonie. Ed è proprio a Tieck e a Wackenroder che si deve una nuova valutazione in positivo delle sinfonie, che non hanno più solo una funzione di accompagnamento, di Ouverture, e di intermezzo, ma rispondono più propriamente a un’esigenza di autonomia della musica. 94 Nel Medioevo la musica apparteneva, insieme all’aritmetica, alla matematica e alla geometria, alle arti liberali del Quadrivio, dette anche “artes reales”, in grado cioè di descrivere il mondo e i suoi rapporti. Le arti del trivio, invece, chiamate anche “artes sermocinales”, erano quelle destinate a narrare il mondo. Dall’Umanesimo la musica non è più solo una grammatica volta a descrivere la realtà, ma acquista una valenza retorica, perché il suo scopo diventa quello di suscitare emozioni. In questo modo la sua collocazione slitterebbe verso le arti del trivio. È in questo contesto che la musica è capace di competere con il linguaggio verbale nel suscitare gli affetti, utilizzando mezzi e strumenti propri. Cfr. E. Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, cit., p. 17. 95 Una delle grandi novità che si affacciano in ambito musicale con gli scritti di Wackenroder e di Tieck riguarda proprio la nuova centralità confe-

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rita alla musica strumentale, come enunciato anche nel testo di Wackenroder La singolare essenza interiore della musica; cfr. Fantasie, p. 485 e segg. 96 In questo passaggio sembra di risentire un’eco delle teorie herderiane sulla musica come linguaggio originario, cfr. J.G. Herder, Abhandlung über den Ursprung der Sprache e Das sonderbare Mittel zur Bildung der Menschen ist Sprache (Il singolare mezzo per educare l’uomo è il linguaggio) in Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, Zweiter Theil, 9. Buch. 97 Il riferimento è probabilmente alla sinfonia creata da Johann Friedrich Reichardt Einige Hexenszenen aus Schackespear’s Macbeth / nach Bürgers Verdeutschung in Musik gesetzt und fürs Klavier ausgezogen von Johann Friedrich Reichardt, Berlin 1787. Nel carteggio si fa riferimento anche ad altre sinfonie create per le opere di Shakespeare. 98 Nel dramma goethiano Egmont, pubblicato nel 1788, molteplici sono i riferimenti alla musica nel testo e anche le indicazioni di regia presuppongono l’utilizzo di parti musicali. Fra il 1809 e il 1810 il dramma fu messo in musica da Beethoven nell’opera 84. Il sogno. Un’allegoria 99

Inserita in Gedichte di Tieck, 2. Theil, cit., p. 77. Probabile riferimento al salmo 23, 4: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza». 100

IL CARTEGGIO TRA WACKENRODER E TIECK

Introduzione, traduzione e note al testo di ELENA AGAZZI

ELENA AGAZZI

Il carteggio Wackenroder-Tieck

Il carteggio tra Wackenroder e Tieck, che interessa in modo precipuo gli anni tra il 1792 e il 1793, rappresenta una vivida testimonianza della loro amicizia e del loro esordio come scrittori ed è una miniera di informazioni e di opinioni sugli argomenti più cari alla cultura della Empfindsamkeit: la natura dei sentimenti e la loro efficacia nelle relazioni sociali, il rapporto tra il vero e il falso sentimento, il senso del sublime e del bello che si correla alla formazione del gusto, i legami affettivi e l’amore. In linea di massima, le ricerche che hanno fatto del carteggio oggetto di studio si sono finora limitate a ricostruire le sorti che hanno accompagnato la raccolta dell’epistolario, le scelte dei curatori (non scevre da errori e da interventi arbitrari, prima che Vietta e Littlejohns affrontassero lo spoglio filologico dei materiali) o gli eventi biografici correlati alla stesura delle lettere.1 Solo un’analitica ricostruzione del rapporto tra ambiente storico e progetto poetico di Wackenroder da parte di Dirk Kemper2 e un recente e importante ritorno di interesse per l’opera di Tieck ha potuto restituire spessore ai dibattiti culturali ivi contenuti e ha reso visibili alcune dinamiche performative intrinseche all’habitus della corrispondenza epistolare del tardo Illuminismo. 1 Per riflessioni preparatorie all’edizione del carteggio di Wackenroder cfr. R. Littlejohns, “Vor dem Studium: Der Briefwechsel mit Tieck”, in Id., Wackenroder-Studien. Gesammelte Aufsätze zur Biographie und Rezeption des Romantikers, Frankfurt a.M. [et al.], Peter Lang, 1987, pp. 9-18. Cfr. anche HKA II, pp. 9-13 e in relazione al ritrovamento di una lettera inedita di Wackenroder, S. Vietta, “Ein unbekannter Brief Wilhelm Heinrich Wackenroders”, in Jahrbuch des Freien Deutschen Hochstifts, 1993, pp. 169-182. Sono da segnalare due precedenti ricognizioni sul carteggio: O. Fambach, “Zum Briefwechsel Wilhelm Heinrich Wackenroders mit Ludwig Tieck”, in Jahrbuch des Freien deutschen Hochstifts, 1968, pp. 256-282 e R. Littlejohns, “Zum Briefwechsel zwischen Wackenroder und Tieck: Einige Berichtigungen und Bemerkungen”, in Zeitschrift für deutsche Philologie, 1978, 97, pp. 616-624. Cfr. infine H. Markert, “Schakspear, W[ackenroder], u[nd] die Natur umher machen mich sehr glücklich – zwei ungedruckte Briefe Ludwig Tiecks aus der Entstehungszeit der Romantik”, in „lasst uns, da es uns vergönnt ist, vernünftig seyn! –“. Ludwig Tieck (1773-1853), hrsg. vom Institut für deutsche Literatur der Humboldt Universität zu Berlin, Berlin-Frankfurt a.M. [et al.], 2004, pp. 231-256. 2 Cfr. in particolare i paragrafi 3 e 4 del secondo capitolo della monografia di D. Kemper, Sprache der Dichtung. Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung che presentano e commentano molte considerazioni dei due scrittori tratte dal carteggio; pp. 112-136.

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IL CARTEGGIO TRA WACKENRODER E TIECK

Wackenroder scrive da Berlino mentre è occupato in un fastidioso apprendistato, impostogli dal padre, presso avvocati e giureconsulti, mentre Tieck frequenta prima a Halle e poi a Gottinga due semestri di lezioni universitarie su materie disparate. La forzata separazione, compensata successivamente dalla possibilità di trascorrere un semestre di studi insieme a Erlangen, nel 1793, li strappa provvisoriamente a quel legame che fin dagli anni degli studi presso il ginnasio Friedrich Werder di Berlino è diventato molto intimo. Soprattutto Wackenroder si mostra fin dall’inizio conscio del fatto che la motivazione che permette di superare l’angoscia della distanza si fonda su due capisaldi: la fiducia e l’entusiasmo. Diversamente, si produrrebbe una comunicazione distorta, uno scambio del cuore e della mente inquinato da malintesi e foriero di malumori: «So bene che noi due ci comprendiamo sempre molto bene e che ci piace scriverci quello che ci fa piacere e come più ci aggrada. Non è così? Altrimenti scrivere una lettera è veramente un’attività curiosa. Quello che la scrive e quello che la riceve potrebbero trovarsi in cento diverse condizioni di umore e trovarsi in cento situazioni differenti; e se quelli che si scrivono non si conoscono a fondo e il destinatario non si trova nella disposizione d’animo adatta, questi potrebbe percepire ogni parola secondo una visione molto soggettiva delle cose».3 Albrecht Koschorke ha definito come fase di una costruzione della «semantica dell’amicizia» quella in cui, nel corso della seconda metà del ‘700, ci si svincola progressivamente dall’obbligo dell’ufficialità delle relazioni, riflesso della cultura di corte, e si considera il mondo esterno, costruito sulla base di codici comunicativi controllati, come un concreto impedimento a esprimere appieno la propria natura interiore.4 Per questo motivo, la solitudine dettata dalla distanza è tematizzata, da una parte, come un limite posto all’immediata condivisione delle esperienze («dal momento che non possiamo parlarci di persona, scrivimi al più presto e dilungati in dettagli», scrive Wackenroder), ma dall’altra come un’opportunità per arricchire l’orizzonte delle aspettative di reciproca crescita intellettuale («mi farebbe piacere» – scrive Wackenroder l’11 dicembre 1792 – «se potessimo mescolare i nostri pareri reciproci e se potessimo impastare una massa che diventasse in seguito una nostra proprietà, così come abbiamo fatto frequentemente in altre occasioni»); questo orizzonte si colora della promessa di futuri approfondimenti a voce dei temi trattati. 3

Cfr. Carteggio, p. 603 e, per i due passi successivi, pp. 607 e 761. A. Koschorke, Körperströme und Schriftverkehr. Mediologie des 18. Jahrhunderts, München, Wilhelm Fink Verlag, 20032, pp. 169-262. 4

INTRODUZIONE DI ELENA AGAZZI

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Il numero delle lettere pervenuteci non è cospicuo, ma è sufficiente a farsi un’idea molto chiara dello squilibrio prodottosi tra l’assiduità di Wackenroder nello scrivere all’amico e l’incostanza di questo nel prendere l’iniziativa o anche solo nel rispondere ai richiami del suo interlocutore. Non si tratta, nel caso di Tieck, di una semplice riluttanza nel soddisfare gli obblighi del rapporto epistolare, ma di un problema più diffuso, che si potrebbe definire taedium vitae. Per trovare motivazioni più generali per il comportamento di Tieck e leggere nella melanconia dello scrittore la cifra di un’epoca, può valere la considerazione di Odo Marquard sul tempo che nella cultura occidentale è stato definito come quello della “crisi delle teodicee”: «Questa perdita della grazia conduce – tramite il crollo della teodicea leibniziana a metà del Settecento – a una sovratribunalizzazione dell’umana realtà di vita […] Questa sovratribunalizzazione è lo stato di aggregazione specificamente moderno, della negazione escatologica del mondo».5 Dunque, i numerosi appelli che Wackenroder lancia a Tieck perché non scivoli nella china della melanconia, perché che non si lasci rapire definitivamente dai terrificanti spettri che occupano la sua mente, fin troppo incline a fantasticare, ha molto meno a che fare con una pretesa di costante attenzione, piuttosto che con la grave preoccupazione che l’amico non trovi più un senso nella vita. La frequenza con cui il berlinese si informa sulla salute dell’amico, in un sismografo emozionale che mostra accumuli di punti interrogativi e di esclamazioni accorate, registra un climax dopo che Tieck ha raccontato in una lettera del 12 giugno del 1792 di come, dando seguito alla propria passione per la lettura a voce alta, per un intero pomeriggio e fino a tarda notte ha affrontato un tour de force per coinvolgere due amici nelle avventure raccontate da Grosse nella sua opera Der Genius (Il genio). Le pagine in cui Tieck riassume la propria esperienza, esaltanti fino al deliquio, sono degne del drammaturgo che cova in lui e dell’assiduo frequentatore di testi di Shakespare. In un clima da romanzo gotico, Tieck ricostruisce lo stato febbricitante che lo ha catturato, una volta conclusa la lettura e spenta la luce. Come Plutone, trascinato nelle viscere dell’Ade da una carrozza tirata da cavalli imbizzarriti, ha perso la percezione dello spazio e del tempo e per alcuni istanti ha creduto di impazzire.6 5 O. Marquard, Estetica e anestetica, a cura di G. Carchia, Bologna, il Mulino, 1994, p. 223. 6 Si potrebbe riprendere a proposito degli stati di esaltazione notturna di Tieck una considerazione che il curatore dell’edizione italiana del saggio sul sublime di Schiller (Friedrich Schiller, Del sublime, Milano, SE, 1989, p. 129), Luigi Reitani, fa a proposito dell’emergere di un nuovo paradigma estetico con la pubblicazione

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Wackenroder non poteva immaginare che Tieck avrebbe trasformato in seguito questa palestra privata di lettura condivisa in un’occasione sociale, partecipata da un nutrito numero di spettatori che per giunta venivano dall’estero informati sulle sue qualità interpretative: «Le serate di lettura a voce alta di Tieck possono essere intese nel primo trentennio dell’800 come una forma di raduno della società civile», scrive Janet Boatin – «come un meet & greet borghese; in questo modo, si inseriscono nella cultura della socievolezza di quel periodo».7 Tieck, quando ormai Wackenroder era già scomparso da tempo, affinò a Dresda questa tecnica, intendendola anche come una terapia psicofisica contro i malanni che lo affliggevano; in particolare una forma di gotta che gli incurvò gravemente la spina dorsale. In effetti, da questa attività scaturiva un armonioso coinvolgimento del corpo, dell’attenzione e del linguaggio, nel quale Tieck puntava soprattutto al controllo della respirazione e alla mimica facciale, mentre la gesticolazione passava in secondo piano. Nel frattempo, l’importanza di una assidua lettura di libri, fosse essa pubblica o privata, era stata ratificata, tra gli altri, in un trattato di Johann Adam Bergk del 1799 intitolato Die Kunst, Bücher zu lesen. Nebst Bemerkungen über Schriften und Schriftsteller (L’arte di leggere libri. Con l’aggiunta di osservazioni su testi e scrittori) in cui il filosofo popolare incoraggiava a leggere molto per acquisire spontaneità di pensiero e autonomia di carattere. Ma ritorniamo all’epoca del carteggio. I casi di soggetti melanconici erano stati ampiamente indagati, in particolare a Halle, da un nutrito numero di medici che avevano applicato i metodi della terapia sull’anima per curare il corpo afflitto da disturbi comportamentali. Abbandonati ormai i principi cartesiani di una separazione del corpo dall’anima e perseguita la linea di una cooperazione tra pedagogia pietistica e empirismo del medico Stahl, personaggi come Johann Gottlob Krüger (1715-1759), Johann August Unzer (1727-1799) e Ernst di A Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (Inchiesta sul Bello e il Sublime, 1757, 17592) di Edmund Burke, che tratta il sublime come «il genio che si rispecchia nel disordine e nel dolore dell’universo»: «Le tesi che Burke adduce per chiarire come sia possibile il “piacere del dolore” rivestono massimo interesse. Lo stato di quiete e di riposo, sostiene Burke, può avere conseguenze nocive per l’organismo, giacché “le fibre perdono la loro necessaria tensione” e non risultano più in grado di svolgere i loro compiti. Se il “miglior rimedio contro questo male è il movimento e il lavoro”, lo spavento psichico è una sorta di medicina contro l’eccessiva rilassatezza dello spirito, i cui rischi sono ancora più gravi». Cfr. Carteggio, pp. 661 e 669. 7 J. Boatin, “Der Vorleser”, in Ludwig Tieck. Leben-Werk-Wirkung, hrsg. von C. Stockinger und S. Scherer, Berlin-Boston, de Gruyter, 2011, pp. 177-189, cit., p. 177.

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Anton Nicolai (1722-1802) avevano superato la dottrina dei temperamenti e si erano volti a indagare la malattia secondo un approccio “nervoso”.8 In questo contesto, ci si era convinti in misura crescente che la melanconia fosse un fatto fisico che conserva una forte dipendenza psichica; per questo il melanconico creerebbe nella propria mente immagini paurose e terribili che non gli fanno più discernere la realtà dal sogno, spesso gravato da incubi. Anche se nel carteggio non si fa specifico riferimento alle idee che circolavano sull’argomento in campo medico, sia la valutazione della natura del disagio dell’amico, da parte di Wackenroder, sia l’attenzione al rapporto tra disciplina del corpo in relazione a quella dell’animo, lasciano trapelare il latente sapere sull’argomento. Si pensi ad esempio ai timori espressi per l’amico Bernhardi da entrambi gli amici, che riconoscono in lui i sintomi dell’ipocondria, causata da una vita troppo sedentaria.9 Anche in altri passi è presente il tema della dieta del corpo di stampo ippocratico, in cui prevalgono i consigli a compiere lunghe passeggiate all’aria aperta e a osservare un giusto equilibrio tra sonno e veglia. Inoltre, la consapevolezza di entrambi gli amici di quanto sia dannoso spendere il tempo in attività che non nutrono la mente, ma soddisfano soltanto gli obblighi sociali, si riflette in un diffuso fastidio per frequentazioni di persone giudicate insulse o ignoranti o inclini al narcisismo. La scena della vita reale si trasforma qualche volta, nel discorso di Wackenroder e Tieck, in un contesto da commedia, se non da farsa, e sollecita paragoni con personaggi di note rappresentazioni teatrali del tempo. Così scrive Tieck all’amico il 10 maggio 1792: «A Coswig ho conosciuto anche il pastore Brunn di Zerbst […] un vero modello di riferimento per la figura di Wachtel negli Hagestolzen (Gli scapoli impenitenti): non parla d’altro che di vini e fagiani, di pernici e di pasticci di carne, può dilungarsi mezz’ora a raccontare di un’oca arrosto e ha parlato come in estasi di un prosciutto che aveva ricevuto da Lione o chissà da quale parte della Francia. Ci sono davvero tristi figure».10 Il discorso sul teatro occupa nel carteggio uno spazio importante quanto quello dedicato alla letteratura in voga all’epoca. La sua rilevanza dipende da tre ragioni principali: 1) consente a Tieck di confrontare l’efficacia della redazione delle sue prime opere dramma8 Per una documentazione sulla scuola medica di Halle cfr. “Vernünftige Ärzte”. Hallesche Psychomediziner und die Anfänge der Anthropologie in der deutschsprachigen Frühaufklärung, hrsg. von C. Zelle, Tübingen, Niemeyer, 2001 e F. La Manna, “più solitario di un lupo”. Tipologia del Melanconico nel Settecento tedesco. Con uno scritto di G. Cusatelli, Lecce, Manni, 2002, pp. 32 e segg. 9 Cfr. Carteggio, p. 767. 10 Ibid., p. 613.

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turgiche (ma anche narrative) con il successo o il fallimento di altre imprese già sperimentate in pubblico; 2) permette di riflettere sulla qualità della recitazione, che si estende all’osservazione sulla reazione del pubblico; 3) indica i possibili modi di definizione dei generi teatrali, passando per un tentativo di educarsi nel gusto sulla base delle opere più rappresentative. Per quanto riguarda il primo punto, è possibile ricostruire dallo studio di Köpke su Tieck11 che il giovane letterato fu, fin dagli anni universitari, molto sensibile alle messe in scena teatrali cui si poteva assistere a Berlino e pare che fosse grazie al particolare talento recitativo di Johann Friedrich Fleck, citato ben otto volte nel carteggio e caro a Tieck soprattutto per la sua interpretazione di ruoli shakespeariani, che egli decise di metter mano alla rielaborazione di classici teatrali (come I Masnadieri di Schiller, 1789), alla stesura di commedie pastorali (come L’agnello, 1790), di scene lirico-drammatiche (come la Niobe, 1790-1792) e di tragedie (come l’Anna Bolena, 1790-1792). Per i suoi esperimenti teatrali, Tieck poté contare sulla collaborazione di Friedrich Eberhard Rambach, già suo insegnante ginnasiale, e sul parere degli amici della ristretta cerchia dei fedelissimi, tra cui naturalmente Wackenroder e Bernhardi. La sua passione come lettore andava anche alla Trivialliteratur (letteratura popolare), che se intesa alla lettera può essere considerata “dozzinale”, e contribuì a formare la sua inclinazione per la creazione di racconti o romanzi da brivido e di storie cavalleresche. Di fronte ai pallidi tentativi poetici di Wackenroder, che a Berlino non trovava il tempo di concentrarsi su lavori di più ampio respiro e cercava almeno di coltivare il proprio interesse per la musica, le prove drammaturgiche e in prosa dell’esordiente Tieck ne indicavano già la talentuosa vena letteraria. Mentre Wackenroder maturava passo per passo una crescente passione per le leggende degli eroi germanici, per le poesie del Nord e per i Minnesänger, Tieck si indirizzava a studiare a fondo la drammaturgia inglese; non solo Shakespeare occupava le sue giornate, ma anche Jonson, Fletcher, Webster, Beaumont, Massinger, Rowley, Dryden. Negli anni interessati dal carteggio Tieck compose il dramma Alla-Moddin (1790) seguendo il modello di Misura per misura di Shakespeare, si ispirò in parte ai motivi di un Sogno di una notte di mezza estate per il racconto Abdallah (1791), rielaborò il Volpone di Ben Jonson e tradusse, tentandone una rielaborazione, la Tempesta di Shakespeare (1793). Dal carteggio risulta chiaro che Wackenroder inclina maggiormente a seguire i parametri dettati da Lessing per valutare l’efficacia 11 R. Köpke, Ludwig Tieck: Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mitteilungen, 2 Theile, s.e., Leipzig, Brockhaus, 1855.

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drammaturgica, ricordando alcuni principi che sono enucleati nella Hamburgische Dramaturgie (Drammaturgia d’Amburgo)12, mentre Tieck insiste da parte sua sull’importanza di prendere a modello la grandezza etica dei personaggi del dramma moderno, i quali, spogliatisi degli ideali patriottici e del severo stoicismo dei tempi antichi, sono ora lacerati da dubbi molto “umani”. La simpatia verso i personaggi non può prescindere dalla stima, secondo Tieck, alla quale si aggiungono la compassione e la gioia, in una perfetta mescolanza che è espressione di una sublime corrispondenza del sentire tra l’autore e il fruitore dell’opera.13 Mentre Wackenroder ritiene che il senso del sublime non possa suscitare la commozione necessaria per provocare un Mitleid (compassione) che ha come esito probabile il pianto e dunque sottolinea in un passo della sua lunga lettera scritta all’inizio di maggio (11 maggio 1792) che «le lacrime possono essere sollecitate solo da ciò che è commovente e […] da ciò che è orribile e spaventoso»,14 Tieck insiste sul fatto che il sublime, in quanto grande e dunque investito di una dimensione di eroismo, coinvolge il cuore con molta più violenza, strappando lacrime di viva partecipazione (10 maggio 1792). Quando si legge dunque il trattato del 1792 di Tieck, rimasto in forma di frammento, intitolato Über das Erhabene (Sul sublime), si apprende che l’autore, insoddisfatto dalla definizione di Longino su ciò che è sublime, tenta di definire così il problema: «un gran numero di sentimenti chiari costituisce la natura del bello, molti sentimenti oscuri il carattere del terribile e i pensieri il segno del sublime».15 Sono però proprio gli ultimi esempi concreti di Tieck, indicati in appunti stesi frettolosamente e mai più rielaborati in seguito, che definiscono schematicamente come il sublime che si manifesta attraverso le passioni non sia adatto a essere espresso da tutte le passioni. Sublimi sono la disperazione di Karl Moor e la paura di Franz Moor nei Räuber (I masnadieri), la follia di Bianca nello Julius von Tarent, mentre da alcune emozioni non possono gemmarne altre per giungere all’effetto sublime, perché se vengono potenziate, uccidono i pensieri che stanno alla base di questo effetto: «la melanconia è morta per le tutte le idee 12 G.E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo. Introduzione versione e note di P. Chiarini, Roma, Bulzoni, 1975 (ed. ted., G.E. Lessing, “Hamburgische Dramaturgie”, in Id., Werke und Briefe in zwölf Bänden, hrsg. von W. Barner [et al.], vol. 6, Werke 1767-1769, hrsg. von K. Bohnen, Frankfurt am Main, DKV, 1985, pp. 181-694). 13 Cfr. Carteggio, pp. 649 e 651. 14 Ibid., p. 633. 15 L. Tieck, “Über das Erhabene”, in Id., Schriften 1789-1794, hrsg. von A. Hölter, Frankfurt am Main, DKV, 1991, pp. 637-651, cit. 641.

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e può solo sollecitare un sentimento/ un odio sordo sarà per l’autore un carattere inutilizzabile […] se questo cogliesse il misantropo di Kotzebue, esso si manifesterebbe come la figura più sgradevole, che rimarrebbe sempre disprezzabile».16 Wackenroder e Tieck si mostrano ben consapevoli dei pericoli della ipersensibilità e dello stordimento dei sensi a cui la partecipazione di un sublime incontrollato può condurre e ne paventano entrambi gli effetti; ma se Wackenroder si rifugia in una dialettica interna del cuore che trova sfogo nella lirica monologizzante,17 Tieck fa appello a una forma di Empfindsamkeit (sensibilità) pre-wertheriana, ovvero “morale”, in cui il genio della virtù mitiga gli eccessi delle passioni.18 In ogni caso, se accostiamo il frammento sul sublime di Tieck al carteggio, noteremo che alcuni passi sono travasati dal secondo nel primo (o forse viceversa) e trattati secondo un pallido principio di sistematizzazione che non è stato sufficientemente efficace per strutturare il testo secondo un solido impianto teorico. Per quanto riguarda la qualità della recitazione, molti argomenti sollevati da Lessing sono riproposti qui, e sono inevitabilmente collegati al giudizio sull’opera rappresentata. Nella sua relazione del 24 luglio del 1767 (n. XXV), Lessing scriveva nella Drammaturgia di Amburgo: «Tanta importanza ha per il poeta tragico la scelta della materia; essa è sufficiente, perché anche i lavori più deboli e confusi possano avere una certa fortuna, e proprio in questi, non so come, i buoni attori fanno miglior figura. Forse, perché proprio nella mediocrità le loro qualità possono risaltare meglio; forse, perché la mediocrità ci lascia più tempo e agio per osservare la recitazione ecc…».19 Proprio su questo punto si sviluppa tra Wackenroder e Tieck un interessante dibattito sull’Athelstan di John Brown, una tragedia tradotta in tedesco da Leonhardi e interpretata da alcuni attori di pregio come Fleck e l’esordiente Greibe. Wackenroder sembra poter superare la propria avversione per la pièce, 16

Ibid., p. 650. «Con ciò mi è venuto in mente, in seguito, di tradurre questa sensazione in un’ode e di inaugurare, in generale, un tipo del tutto particolare di ode. Un tipo che chiamerei poesie liriche țĮIJ¶İȟȠȤȘȞ e che da sempre hanno rappresentato il mio genere preferito. Devono essere quadri fedeli del sentimento e della passione, del tutto individuali e dipinti secondo natura. Devono rappresentare l’autentica e vera esplosione della passione, alludere al loro germe e alla loro fonte, condurre alle conseguenze e servire pertanto a insegnare che cosa siano gli esseri umani e i loro cuori» (lettera di Wackenroder dell’11 dicembre 1792, infra, pp. 761 e 763). 18 Per la definizione di “morale pre-wertheriana” cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung cit., pp. 128-129. 19 G.E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo cit., p. 127. 17

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giudicata «un dramma greve e dilettantistico, scialbo e debole» pensando alla «nobile semplicità», (espressione di eco winckelmanniana) della recitazione di alcuni interpreti; Tieck controbatte, evidenziando la sostanziale impossibilità di recitare bene un’opera cattiva quando i caratteri sono tratteggiati in modo così grossolano che per il pubblico risulta impossibile immedesimarsi. Ci troviamo così al punto di intersezione tra i problemi della costruzione performativa e della rappresentazione esteticamente normata degli affetti, in cui Johann Jacob Engel viene chiamato in causa con le sue Ideen zu einer Mimik (Idee sulla mimica). In questo trattato, pubblicato tra il 1785 e il 1786, egli boccia l’aderenza al pathos e alla patognomica individuali per la definizione dei caratteri in scena e cerca di definire lo spazio simbolico che si produce tra gli stati della coscienza sensibile (Empfindungen) che si collegano ai sentimenti (Gefühle) e la ragione (Vernunft), in cui l’azione non deve imitare fedelmente il visibile.20 Sia dunque consentita qui una breve digressione sulla coerenza di Tieck nel cercare di organizzare le proprie idee sul carattere della Empfindung, anche in considerazione degli effetti che essa produce nella mediazione di diversi generi testuali: la poesia lirica, il dramma, il racconto e il romanzo. Quando Wackenroder spedisce in appendice alla sua lunga lettera scritta tra il 27 novembre e l’1 dicembre 1792 la poesia Disperazione, e poi vi fa seguire un’altra lettera dell’11 dicembre, riceve un po’ in ritardo un commento sul suo componimento lirico (anche se non siamo certi che non ci siano state altre lettere a interrompere la pausa tra una missiva e l’altra), che però chiarifica la posizione di Tieck sul rapporto tra particolarità ed esemplarità delle passioni. «Troppo individuale, troppo poco idealizzato» gli pare questo componimento che si nutre di un entusiasmo soggettivo che il lettore non potrà mai far suo, salvo intuirne la fonte, come cerca di fare Tieck, che pensa che Wackenroder si sia inconsapevolmente ispirato a una scena in cui il Fiesco schilleriano si abbandona alla rabbia dopo aver ucciso la moglie. E mentre tenta un’operazione sul testo dell’amico simile a quella che Kleist alcuni anni dopo suggerirà nel suo saggio Über die allmählige Verfertigung der Gedanken beim Reden (Sulla graduale produzione dei pensieri in chi parla), mostra in realtà quanto sia più fuorviante «fare illazioni sui processi del pensieri partendo da tracce scritte».21 L’accusa 20 Cfr. E. Agazzi, “Engel e le Idee per una mimica”, in Id., Il corpo conteso. Rito e gestualità nella Germania del Settecento, Milano, Jaca Book, 1999, pp. 139-152. 21 H. v. Kleist: “Über die allmählige Verfertigung der Gedanken beim Reden”, in Id., Erzählungen, Anekdoten, Gedichte, Schriften, Sämtliche Werke und Briefe, vol. 3, hrsg. von K. Müller-Salget, DKV, Frankfurt am Main, 1990, pp. 534-540 (trad. it., “Sulla graduale produzione di pensieri in chi parla”, in H. v. Kleist, Sul

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di eccessivo soggettivismo lirico, che certo confermerebbe una tendenza di Wackenroder a un rapporto più empatico con i propri sentimenti, viene associata da Tieck a un’osservazione sulla riluttanza dell’amico nel farsi guidare da idee universalmente condivise, appunto come farebbe un cattivo drammaturgo che non volesse perseguire il principio del sublime. Il modello virtuoso che gli viene messo dinanzi non è niente di meno che Schiller: «In Schiller si vede chiaramente il transito verso questa idea, ma si può dire lo stesso di te? In questo modo, perlomeno, è stata creata da Ovidio una gran messe di versi o quantomeno sono sorti molti graziosi trastulli, ma ti diffido dal commettere l’errore già compiuto da molti poeti di pensare, invece che di provare sentimenti. Il poeta deve comunicare a partire dal proprio cuore e solo allora ci commuoverà, se invece cerca una scorciatoia e passa dall’osservazione per giungere al sentimento, gli capiterà di percorrere il cammino sbagliato».22 Wackenroder rivela all’amico nella successiva lettera scritta tra l’11 e il 14 gennaio del 1793 che la sua deduzione è completamente errata, perché ha avuto in realtà in animo di presentare un omaggio ai molti vedovi che piangono le mogli scomparse prematuramente. Dunque l’ispirazione per la sua poesia è stata di natura sociale e non letteraria. Inoltre, Wackenroder riconosce di aver tentato di trasporsi nell’anima dolente di chi soffre per la scomparsa. Ma come sarebbe possibile altrimenti, si chiede Wackenroder, evitare che il raziocinio interferisca con la sfera delle emozioni? Wackenroder sembra dimostrare un’analoga propensione al sentimento come fruitore delle opere drammaturgiche, e in questo specifico caso, della Elise von Valberg di Iffland.23 Poiché Wackenroder relega i suoi alla fine della lettera, in verità molto lunga, ciò lascia presagire una certa riluttanza nel discutere a fondo sulla materia lirica, in cui sta muovendo ancora passi incerti. Mentre il poeta trasmette sensazioni che influenzano direttamente lettori, la ricaduta emozionale che un’opera teatrale ha sul pubblico è invece risultato dell’interazione delle prestazioni dell’autore, del regista (il Choragus) e degli attori. In vari passi del carteggio, infatti, si depreca il fatto che alcuni autori, come l’aborrito Kotzebue, sollecitino solo superficialmente le corde del cuore e ingenerino un’esplosione di sentimentalismo che, come un fuoco di paglia, si spegne ben presto, una volta calato il sipario. «Ma a che scopo lavora, dunque, il poeta, se la sensibilità non viene davvero nobilitata?»,24 scrive Tieck, che infastidito, il 10 maggio del teatro delle marionette. Aneddoti e saggi, a cura di G. Cusatelli, trad. di E. Pocar, Parma, Guanda, 1986, pp. 104-109). 22 Cfr. Carteggio, p. 787. 23 Ibid., pp. 691, 707 e 809. 24 Ibid., p. 615.

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1792 racconta di aver assistito a Menschenhaß und Reue (Misantropia e rimorso) e a Das Kind der Liebe (La figlia dell’amore) di Kotzebue. Lessing aveva scritto a Nicolai quali fossero a suo avviso i tre gradi di compassione che il pubblico deve provare di fronte all’azione scenica: commozione, lacrime e angoscia, ma insisteva sul valore funzionale del timore.25 Per Lessing non sono le iniziative drastiche o le azioni disperate dei personaggi a donare drammaticità alla loro figura, ma soprattutto la sconfitta sociale e la conseguente emarginazione, che in un attimo rendono vano qualsiasi tentativo di vivere dignitosamente. Dunque le sue considerazioni sono fortemente wirkungsästhetisch, ovvero tengono conto dell’effetto sul pubblico, soprattutto da un punto di vista etico-morale, piuttosto che preoccuparsi dell’esito strettamente interpretativo affidato all’attore. Lessing si astiene dall’approfondire la questione dell’angoscia, perché il grado estremo della sofferenza potrebbe provocare effetti davvero devastanti su un pubblico impreparato ad affrontare situazioni tragiche. Peter Szondi suggerisce, in una sua attenta analisi del portato innovativo della drammaturgia borghese di Lessing, di non separare con troppa nettezza la forma dal contenuto dell’esperimento drammaturgico lessinghiano: «Anziché separare in Lessing ciò che è effetto estetico da ciò che è critica sociale, occorrerebbe piuttosto chiarire le condizioni politiche e sociali di un’estetica che definisce le “lacrime di compassione” come l’effetto che il dramma con esito tragico intende produrre».26 I sentimenti esibiti con troppa insistenza, la pedanteria recitativa, i movimenti bruschi e l’ammiccare sulla scena sono alcuni dei peccati che i due amici rilevano negli attori meno dotati, sapendo ben distinguere tra i ruoli e la personalità degli interpreti. Si veda ad esempio il passo in cui Christine Engst viene tacciata di saccenteria da Tieck nella Entführung (Il rapimento) di Johann Friedrich Jünger, con la specificazione che tale difetto è tutto a carico dell’attrice.27 Ma certo, se i temi sono scelti male o dialoghi non si confanno ai personaggi che li devono intavolare, allora il disastro è completo. Il più volte citato Johann Jacob Engel, che compare nel gennaio del 1793 come auspicato valutatore del Nachspiel (postludio) di Bern25 F. Tucci, “‘Mitleid’ e teoria del tragico nei primi scritti lessinghiani”, in Id., Le passioni allo specchio. “Mitleid” e sistema degli affetti nel teatro di Lessing, Roma, Edizioni dell’Istituto Italiano di Studi Germanici, 2005, pp. 1-53; G.E. Lessing - M. Mendelssohn - Fr. Nicolai, Briefwechsel über das Trauerspiel, hrsg. von J. Schulte-Sasse, München, Winkler, 1972, pp. 54-55. 26 P. Szondi, Tableau und coup de théâtre. Zur Sozialpsychologie des bürgerlichen Trauerspiels bei Diderot. Mit einem Exkurs über Lessing, in Id., Schriften II, hrsg. von J. Bollack et al., Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1978, pp. 205-232, cit., p. 229. 27 Cfr. Carteggio, pp. 673 e 675.

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hardi al Julius von Tarent di Leisewitz, aveva pubblicato nel 1774 nella Neue Bibliothek der schönen Wissenschaften und der Freyen Künste un saggio decisivo sul rapporto tra immaginazione e rappresentazione in rapporto all’azione scenica. Tale saggio, scritto nel segno della Gefühlskultur, conferisce una veste moderna alla gestualità del corpo “messo in scena” per essere letto non solo dall’interno all’esterno, ma soprattutto dall’esterno all’interno.28 Il corpo deve essere in grado di raccontarsi, di esprimere una propria innere Bewegung (moto interiore) anche in assenza di un’azione, pur partecipando all’azione stessa perché si caratterizza come punto di arrivo di una serie di trasformazioni. Engel è chiaramente interessato a studiare l’armonia tra la sfera della mente e quella del cuore. Il suo discorso sposta il problema della rappresentabilità dal rapporto dell’autore con il proprio testo alla relazione del soggetto con le proprie riflessioni da una parte e con i propri sentimenti dall’altra. Solo in questo modo si ottiene un “adesso” dell’azione che esprime coesistenza degli avvenimenti rappresentati. Per quanto riguarda l’ultimo punto concernente la centralità del discorso drammaturgico, ovvero i possibili modi di identificazione dei generi teatrali nell’ottica di educare il gusto, Tieck trova riparo dalle incertezze affidandosi ai grandi autori del periodo. Interessante è, ad esempio, la scelta di appoggiarsi ai versi del Tasso (1790) di Goethe per far trasparire dalla propria lettera la sua Stimmung interiore; infatti, il dramma ha le caratteristiche delle “confessioni” di un poeta e in questo poeta Tieck cerca un proprio “alter-ego”, interpolando ai versi goethiani il racconto della propria solitudine creativa in mezzo a persone che non comprendono il suo tormento interiore. Dovendosi quotidianamente confrontare con amici che non hanno gusto per l’arte, come Schmohl e Bothe, Tieck affida ai versi del Tasso il compito di sottolineare quanto sia grande l’abisso tra il mondo delle apparenze e la profondità di spirito di un individuo dedito all’arte e alla meditazione. Tra le opere più lodate sia da Wackenroder che da Tieck troviamo Die Räuber (I masnadieri, 1781) e Kabale und Liebe (Intrigo e amore, 1784) di Schiller, insieme al Don Carlos (1787) tutti i testi teatrali di Shakespeare, le opere di Iffland – come la Elise von Valberg –, la versione di Gotter delle Fausses Confidences (Le false confidenze, 1738) di Marivaux e Le fils naturel (Il figlio naturale, 1757) di Diderot, di cui Wackenroder parla con particolare entusiasmo nella sua lettera del 20 28 Si possono citare, tra altri, due importanti studi su questo tema: R. Campe, Affekt und Ausdruck. Zur Umwandlung der literarischen Rede im 17. und 18. Jahrhundert, Tübingen, Niemeyer, 1990 e A. Košenina, Anthropologie und Schauspielkunst. Studien zur „eloquentia corporis“ im 18. Jahrhundert, Tübingen, Niemeyer, 1995.

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luglio 1792. Si tratta in questo caso del riferimento a una lettura fatta e non a un’opera vista e questo aspetto non è trascurabile, dal momento che le reazioni nei confronti di una pièce dipendono molto, nel caso di una rappresentazione, dall’interpretazione degli attori. Wackenroder esprime specifiche perplessità, in questo caso, sulla bontà del plot dell’altra grande opera di Diderot, Le père de famille (Il padre di famiglia, 1758), che sembra averlo colpito molto meno della prima. In effetti, il Père de famille si conclude con una scena molto convenzionale, in cui il tableau famigliare può risultare alquanto artificioso. Tuttavia, essendo entrambe “commedie serie” ambientate nella cerchia di parenti e amici, si tratta evidentemente di una questione di gusto, per Wackenroder, che chiede consiglio all’amico sul possibile motivo della propria diversa reazione alle due opere diderotiane. Poco tollerati da entrambi sono le operette, i Singspiele e le storie cavalleresche – come Ludwig der Springer (Ludovico il Saltatore, 1793) di Hagemann, – sebbene Tieck si cimenti in quest’ultimo genere, nella convinzione di poterne rinnovare il gusto, con la storia cavalleresca Adalbert und Emma (1792) e con Das Märchen vom Roßtrapp (La fiaba dell’orma del destriero, 1792), che da testo in prosa si tramuta in epos in versi. Nel carteggio si rileva come i due amici indichino l’uno all’altro quale sia la giusta vocazione da seguire e come sia possibile modificare il tono e la forma di un testo a vantaggio del gusto complessivo. Chi cerchi nel carteggio un’anticipazione della poetica delle Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte o delle Fantasie sull’arte sarà deluso, perché non viene mai discusso in questa fase l’interesse per la pittura (l’approccio ai temi di storia dell’arte è qui agli albori), mentre più rilevante è lo spazio dedicato da Wackenroder alla musica.29 Fin dalla prima lettera di cui disponiamo, Wackenroder dichiara di prediligere la discussione con Bernhardi su temi che concernono la musica e di voler «progredire ulteriormente nella composizione pratica». Come si constata, infatti, sulla scorta dell’interpretazione delle Effusioni di cuore di un monaco amante dell’arte e delle Fantasie sull’arte, Wackenroder, pur carezzando l’ambizione di diventare un vero poeta, ritiene che la musica sia un’arte dal carattere universale che non dipende dal carattere denotativo, tipico invece del linguaggio. 29 In un lavoro dottorale del 1968 Rose Kahnt ha analizzato in percentuale la menzione, nel carteggio, di temi riguardanti le arti figurative in relazione a quelli musicali e teatrali ed è giunta alle seguenti conclusioni: su 18 lettere di Wackenroder, il 4,5% dei riferimenti è diretto alla musica, solo lo 0,9% alle arti figurative, mentre gli argomenti concernenti il teatro e la letteratura riguardano il 28% dell’epistolario; cfr. R. Kahnt, Die unterschiedliche Bedeutung der bildenden Kunst und der Musik für W.H. Wackenroder, Marburg/Lahn 1968, p. 32.

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In questa fase della maturazione del suo interesse per la musica, Wackenroder ambisce per il momento a comporre brevi arie, duetti e cori per poter collaborare al successo di una commedia pastorale che Tieck ha scritto, Das Lamm (L’agnello), che però rimarrà inedita. Non si riscontra l’eco dell’idea di un’arte musicale da intendersi come “lingua divina”, come viene invece esplicitata nell’ultimo racconto inserito nelle Effusioni, dedicato al compositore Berglinger, ma è certo che Wackenroder comincia ad occuparsi intensamente degli effetti che la musica esercita su mente e cuore. Infatti, la lettera del 5 maggio 1792 è stata oggetto di attenzione di vari studiosi perché in essa lo scrittore distingue due diversi modi di accostarsi alla musica: il primo è analitico e si accompagna a una completa partecipazione emozionale all’esecuzione, sgombrando il campo da pensieri e impressioni sensoriali estranee; il secondo non richiede uno sforzo di concentrazione potente come il precedente: l’emozione che domina il pezzo non è colta dal soggetto e dunque il godimento difetta a tutto vantaggio di una disposizione delle idee che interferisce con il trasporto completo verso il mondo dei suoni.30 Metafore adeguate evidenziano questa passione musicale che non è ancora segnata dal pensiero religioso. Ma perché l’attento ascolto della musica, come racconta più tardi a Tieck, sollecita in lui una tensione nervosa verso la quale, talora, si sente impreparato?31 Barbara Naumann ha colto il problema quando ricorda che così come Wackenroder dice di stare davanti alla musica come davanti a un lenzuolo o a uno schermo, anche Berglinger aspira a dipingere la sua sensazione con un tratto di colore sulla tela, se solo i colori potessero esprimerla allo stesso modo: «La musica appare […] come il medium di una completa immanenza di senso, e la ritraduzione della sua logica metafisica in questioni che concernono i mezzi necessari a darle forma e i suoi aspetti compositivi distrugge ogni volta il suo carattere indifferenziato e complessivo».32

Un ultimo importante argomento di discussione presente nell’epistolario è rappresentato dal crescente interesse di Wackenroder per la filologia germanica e per la storia della letteratura tedesca medioevale. Questo interesse si sviluppa di pari passo con gli studi di Tieck su Shakespeare 30

Cfr. Carteggio, p. 621. Ibid., p. 745. 32 B. Naumann, Musikalisches Ideen-Instrument. Das Musikalische in Poetik und Sprachtheorie der Frühromantik, Stuttgart, Metzler, 1990, p. 46. Per altre osservazioni sullo scambio di idee sulla musica nel carteggio, cfr. Kahnt, Die unterschiedliche Bedeutung, cit., p. 32 e segg. 31

INTRODUZIONE DI ELENA AGAZZI

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e sull’antica letteratura inglese. Le tre lunghe lettere spedite da Wackenroder a Erduin Julius Koch – prima allievo di Christoph Heinrich Myller, autore della Sam(m)lung deutscher Gedichte aus dem XII, XIII und XIV Jahrhundert (Raccolta di poemi tedeschi del XII, XIII e XIV secolo, 1784-1787), e successivamente insegnante di filologia alla Realschule di Berlino, – tirano le fila dell’impegno dei due amici che, come sottolinea Wackenroder nella lettera del 20 febbraio 1794, giunge a un’interazione perfetta laddove «gli antichi misteri di Hawkins e Dodsley sono molto simili per forma, linguaggio e maniera alle opere sacre di Hans Sachs», così come presentano punti di contatto i discorsi morali di Hans Sachs e degli inglesi. Wackenroder compie un vero e proprio tentativo di promozione della fatica filologica e traduttologica di Tieck, quando propone a Koch di cercargli un buon editore che stampi i suoi lavori su autori inglesi precedenti e contemporanei a Shakespeare.33 Nel carteggio si fa menzione anche di un impegno assunto da Wackenroder per Koch nella primavera del 1793 come procacciatore di testi per la Gesellschaft der Deutschen Sprach-und Literatur-Forscher zu Berlin, da lui fondata, che nel 1793 constava di 4000 volumi, e come intermediario per la raccolta di saggi di filologi attivi a Norimberga per una rivista trimestrale che Koch intendeva inaugurare a breve. Una volta trasferitosi a Erlangen deve invece compiere delle ricerche, spostandosi a Kassel, su un manoscritto di Guglielmo d’Orange. Wackenroder lavora intanto intensamente su Hans Sachs e abbozza una Schilderung der dramatischen Arbeiten des Meistersängers Hans Sachs (Abbozzo delle opere drammatiche del mastro cantore Hans Sachs), rimasto in forma di frammento. Senza scendere in ulteriori dettagli sulle rispettive competenze filologiche maturate in quel breve periodo, è interessante constatare come Tieck diffidi a più riprese Wackenroder dall’occuparsi troppo intensamente della cultura letteraria medioevale e in particolare dei Minnesänger, giudicati monotoni. Per quanto riguarda il suo lavoro in area inglese, ormai completamente votato a traduzioni di Shakespeare e di autori a lui vicini, trae in seguito particolare giovamento dai suoi studi su Jonson, che gli consentono di elaborare alcune satire letterarie come il famoso Der gestiefelte Kater (Il gatto con gli stivali, 1797), ispirato al Volpone jonsoniano. Come si diceva all’inizio, questo carteggio offre un importante spaccato del carattere dei due corrispondenti, ai quali si aggiunge la terza figura di Sophie Tieck, sorella del poeta; costei è evidentemente provata dai lunghi silenzi del parente lontano. Wackenroder cerca, in buona fede, di compensare la laconicità di Tieck in nome dell’amicizia che li lega, anche se l’esito, come si evince, non è sempre felice. 33 Cfr. Carteggio, p. 853 e segg.; per la cit. precedente su Hawkins e Dodsley cfr. ibid., p. 861.

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1. A TIECK (1/5/1792)

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1. A Tieck: Berlino, [1 maggio] 1792 Berlino, martedì, 1792 Santo cielo, caro Tieck, come mi sembra strano star qui alla mia scrivania per scriverti: è la prima volta in vita mia. Eppure, per una volta non può essere diversamente. Prendere commiato da te mi è risultato sinceramente doloroso; e quel posto, davanti alla porta di Bernhardi,1 dove il destino ci ha strappato l’uno all’altro, resterà per me sempre fatale. Ma ti raccomando di scrivermi di frequente, e stai in salute, prenditi cura del tuo corpo e del tuo spirito, non lavorare troppo e non dimenticarti di me: sono appunto queste le condizioni in base alle quali posso sopportare la tua assenza. Sai bene che tali raccomandazioni vengono dal profondo del cuore e per questo non volermene. Non biasimo il fatto che tu non mi abbia ancora scritto; mi sarebbe però grato che in futuro tenessi fede alla promessa che mi hai fatto a voce, ricordandoti di scrivermi almeno ogni 14 giorni, se non più spesso. Ho letto la tua lettera a Rambach2 e mi sono rallegrato del fatto che il viaggio ti abbia giovato così tanto e che ne provi piacere. Continua così. Il mio più ardente desiderio verrebbe soddisfatto, se ora potessi raggiungerti grazie a una forza magica e se potessi assaporare con te la gioia della primavera che sboccia nei bei campi del tuo villaggio. Conduci davvero un’esistenza superba, laggiù. Ho visto anche la trascrizione del primo atto dell’Anna Bolena.3 Hai apportato ancora delle modifiche? Ho trovato la scena inserita prima del monologo di Norris.4 Le stesura di Schmohl e le tua si alternano in modo curioso. Una volta Schmohl ha scritto solo un paio di parole: è già un bene che tu abbia più pazienza di lui. Sono stato un paio di volte da Rambach. Mi piace molto. Già al primo incontro era così aperto nei miei confronti, da rivelarsi a me come l’autore della Maschera di ferro.5 Trarrò certo grande diletto nel frequentarlo. Un paio di giorni fa sono andato, tra l’altro, a passeggio da Bernhardi al Gesundbrunnen. Abbiamo conversato molto amabilmente. Sembra che gli piaccia particolarmente esprimere giudizi critici e apprezzamenti estetici sulla musica. Si tratta anche del mio oggetto di conversazione preferito e ci siamo dunque scambiati dei pareri in merito. Gli ho raccontato di alcuni temi su cui ero informato: rimane tuttavia forte in me il desiderio di progredire ulteriormente nella composizio-

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ne pratica. Questo mi consentirebbe di attingere a più ricche fonti di esperienza per il mio ragionamento. Mi basterebbe riuscire a comporre brevi arie, duetti, cori e così via, in modo da poter far balzare il tuo Agnello6 sul palco con il mio accompagnamento di zampogne e flauti. In verità, in questi 14 giorni ho avuto ancora troppo poco tempo per pensare seriamente al tuo Agnello o a qualcosa di simile. Volesse il cielo che mi trovassi in questo momento in una condizione così privilegiata come la tua. Con Bernhardi ho trattato di una questione che anche noi due abbiamo già sfiorato qualche volta in passato nelle nostre conversazioni e che ora mi risulta molto chiarificatrice: cioè del fatto che il gusto ha in gran parte il suo fondamento nella struttura e nell’organizzazione più delicata (più fragile e più sensibile) del corpo. Mi sono accomiatato da Wißmann.7 È naturale che gli farebbe molto piacere se gli scrivessi. Salutami Schmohl. Dunque scrivimi presto e spesso: la mia seconda lettera verrà spedita a Halle e non a Bülzig. Quella attuale ha un carattere di compendio e consta di aforismi: in futuro mi dilungherò maggiormente. So bene che noi due ci comprendiamo sempre molto bene e che ci piace scriverci quello che ci fa piacere e come più ci aggrada. Non è così? Altrimenti scrivere una lettera è veramente un’attività curiosa. Quello che la scrive e quello che la riceve potrebbero trovarsi in cento diverse condizioni d’umore e trovarsi in cento situazioni differenti; e se quelli che si scrivono non si conoscono a fondo e il destinatario non si trova nella disposizione d’animo adatta, questi potrebbe percepire ogni parola secondo una visione molto soggettiva delle cose. Ma questo non vale per noi. Ti auguro ogni bene, caro Tieck! Restami amico! Perché questa è la mia gioia più grande e il mio orgoglio. Non devo pensare troppo attentamente al fatto che ti trovi distante da me 14 o 30 miglia, sennò divento triste. Cerca di svagarti e di trovare soddisfazione nella vita, io farò lo stesso. Pensa però a scrivermi spesso e a breve. Mi senti? Spesso! Stai bene. Il tuo amico W. H. Wackenroder 2. Tieck a Wackenroder: Bülzig [presso Wittenberg], 1 maggio 1792 Mio carissimo Wackenroder, come stai? Pensavo di ricevere già una tua lettera, ma la mia speranza era vana, come pure importuna, dal momento che a mia volta mi sono mostrato lento nello scriverti. Non prenderla a male, carissimo Wackenroder, perché la colpa non è stata veramente tutta mia. So che mi risparmieresti questa scusante e che mi crederesti sulla parola.

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Attendo però una risposta a questa mia lettera, caro Wackenroder, e certamente mi scriverai, non è vero? Se scriverai entro pochi giorni, ti prego di indirizzare la lettera (la busta) solo a H. Fuhrmann a Wittenberg, e la lettera effettiva a me, da consegnare a Bülzig presso H. Schmohl; se però intendi scrivermi più avanti, allora indirizza la lettera direttamente a Halle, da consegnare nella Clausstrasse presso la casa del chirurgo Kern (Gregorius, Spillner8 è ancora Berlino?). Per il resto vivo qui in modo decisamente poetico e non sono niente meno che un poeta, perché - puoi credermi sulla parola - non ho scritto quasi niente più che il primo monologo per il mio breve testo Filopemene,9 di cui già ti ho parlato in passato. I paraggi qui sono splendidi, solo i primi giorni sono stati orrendi, perché tutto era già fin troppo bello, e poi ancora neve e gelo: non è forse successo anche a te di spaventarti, quando ti sei alzato la mattina? Le stagioni stesse si confondono, nevi gelate sprofondano nel grembo della rosa appena sbocciata, e sul capo del vecchio inverno, che ha un color grigio ghiaccio, come per scherno, viene posta una ghirlanda di graziose gemme estive.10 Sicuramente vedrai anche da questo piccolo esempio che anche qui sto leggendo il mio poeta preferito,11 che appare sempre più pregevole ai miei occhi, quanto più ne imparo a memoria i versi. (Se non dovessi ricordarti di questo passo, esso si trova nel primo atto del Sogno di una notte di mezza estate). Davanti a una delle finestre c’è un albero in piena fioritura, davanti all’altra molte colombaie, mentre in giardino si è insediato un usignolo che di sera canta in modo divino; spesso me ne sto sdraiato sul prato tra alcune pecore che pascolano lì con i loro agnellini. Queste bestiole miti si sono già talmente abituate alla mia presenza, che la mia vista non le disturba neppure più, al contrario, spesso mi si avvicinano. In particolare, c’è un agnellino che, quando sto seduto lì, mi sta continuamente appresso e gioca con i miei bottoni o con i cinturini dei miei stivali. In alcuni casi, quando mi sono addormentato, mi ha risvegliato, leccandomi il viso e le mani. Ho avuto spesso voglia di scrivere idilli: non hai avuto occasione di ripensare alla nostra commedia pastorale, L’agnello? Se riesci a ricordarti ancora di un paramito che si chiama La lira,12 ecco, a partire da quello mi sono riproposto di scrivere una piccola epopea pastorale che dovrebbe chiamarsi Il primo poeta; probabilmente, però, questo proposito fa parte del novero dei progetti che non verranno mai realizzati. Hai fatto visita di frequente a Rambach e a Bernhardi? Salutameli entrambi di cuore; a Rambach ho già scritto e gli ho mandato la trascrizione del primo atto dell’Anna Bolena, accompagnata da diverse piccole modifiche. Se trovi il tempo, sfoglia il testo ancora una volta e dimmi sinceramente se le modifiche apportate abbiano effettivamente condotto a dei migliora-

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menti. Di’ per favore a Bernhardi che gli scriverò di certo al più presto, ringrazialo a nome mio di avermi accompagnato in partenza da Berlino e cogli l’occasione per dirgli anche che abbia cura di sé, evitando di stare troppo a lungo seduto. Evidentemente questo è ciò in cui esagera anche adesso, per cui cerca di andare qualche volta a passeggio con lui. Potrei giocarmi tutta la facoltà di presagire gli eventi futuri di cui sono dotato, se non muore nell’arco di due o tre anni e non puoi neanche immaginare quanto mi abbia reso spesso triste questo pensiero, quando mi sono trovato a trascorrere le serate con lui: ti prego però di non far menzione di questo punto, assolutamente di nulla, perché è molto timoroso sulla questione, per quanto non dia mostra di esserlo. Caro Wackenroder, puoi perdonarmi l’allegria forzata dell’ultima sera, in occasione del nostro incontro? Non sono neppure in grado di descriverti come mi sono sentito quando te ne sei andato: è come se fossi stato esiliato improvvisamente in mezzo al deserto nella più oscura solitudine. Anche il commiato dai genitori e dalle mie sorelle13 mi ha intristito molto, come pure quello da Rambach e Bernhardi. Non sono forse un uomo fortunato? Di solito si dice che avere un amico in questo mondo costituisce di per sé già un successo; ma è mia convinzione che io abbia più di un amico: te, Piesker, Schmohl, Bernhardi, Rambach, e Toll,14 al quale ho dovuto pensare spesso, così che il suo ricordo mi ha reso veramente triste. Ah, Wackenroder, come mi manchi! Se mi capita di pensare spesso alle ore in cui siamo stati insieme allegri o tristi, se penso alle nostre passeggiate! Di sicuro non troverò un’altra persona che mi comprenda come te, che sia in grado di cogliere ogni singolo mio pensiero, che sia il traduttore di tutti i miei sentimenti, che si mostri tanto sensibile e dolce negli affetti, un individuo la cui fantasia sia tanto eterea quanto pura. Wackenroder, fin da ora penso con le lacrime agli occhi alla nostra frequentazione. Come mi sentirò tra tre mesi? Devo rivederti assolutamente alla fiera di San Michele.15 Non pensare che voglia lusingarti: sai bene come mi ripugni ogni forma di lusinga e come mi risulti più facile dire qualcosa di cortese a qualsiasi altra persona che non fosse il mio amico. Dal momento che non possiamo parlarci di persona, scrivimi al più presto e dilungati in dettagli, mandami pure qualche tuo lavoro se ce l’hai sotto mano: mi procureresti una gioia immensa. Schmohl è mio amico, un uomo straordinariamente buono di cui apprezzo l’animo, che amo, anche se spesso mi ha annoiato. Gli manca qualsiasi forma di entusiasmo per tutto ciò che è grande e bello, qualsiasi forma di ardore giovanile, tutto il calore della fantasia che lega tanto strettamente le anime dei giovinetti. In molte cose si rivela spaventosamente gretto e non riesce a farsi entusiasmare da niente. Ah, non troverò da nessuna parte qualcuno che ti assomigli! Sono stato due volte a Coswig e l’ultima volta vi ho sostato per più giorni, ed è stato questo fatto a ritardare la mia lettera. Laggiù ho avu-

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to un incontro molto piacevole con la madre del poeta Matthisson,16 che abbiamo avuto modo di apprezzare entrambi. Ricorda da vicino la moglie dell’ispettore forestale dei Cacciatori17 così come la interpreta la Brückner18 (nel caso che tu l’abbia vista recitare). Mi compiaccio con lei che sia la madre di un figlio simile e ben presto abbiamo familiarizzato a tal punto, che lei mi ha raccontato, immersa nelle più piacevoli chiacchiere, l’intera storia della giovinezza del figlio, così che più volte le lacrime stavano per sgorgarle dagli occhi, perché sono già otto anni che non lo vede. Se ne è andato di nuovo in Svizzera, ha detto, pregandomi di aver cura di me perché non diventi anch’io melanconico come lui. Infatti mi ha detto di aver notato che sotto molti aspetti assomiglio a suo figlio. Abbiamo conversato per oltre quattro ore. Ora è ripartita per Magdeburgo e se mi dovesse capitare prima o poi di andare laggiù, le farò senz’altro visita. Non riesco a spiegarmi come questa vicenda mi abbia potuto entusiasmare così tanto: infatti ero straordinariamente eccitato e per tutta notte non sono riuscito a prendere sonno. Schmohl è stato così freddo, in questa circostanza, che nel frattempo si è dedicato a tirar fuori dai giornali le ultime novità, al punto da farmi arrabbiare sul serio. In generale apprezza solo ciò che è di una qualche utilità. Conosci bene i miei pensieri in proposito. Jean mi ha regalato la silhouette di Matthisson, che mi è molto cara. Una delle sere più belle l’ho passata sabato scorso, quando sono stato a passeggio nei pressi di Coswig al chiaro di luna accanto a una palude dove si raduna un gran numero di usignoli. Alla prossima occasione voglio scriverti più a lungo, in particolare a proposito di un certo Calezky, in cui ho ritrovato completamente Hensler.19 Tutto fiorisce intorno a me, tutto è così bello, gli agnelli belano, i colombi tubano, le allodole e gli usignoli cantano, eppure sono così spesso triste! Schmohl ti saluta. Rimani mio amico. Bülzig, 1 maggio 1792

Tieck

Sii gentile, consegna questo biglietto a mia sorella. Potrei chiederti una cortesia? Piesker20 non è ancora arrivato e se ne non è ancora stato a Berlino, scrivigli qualche riga e digli di decidersi a venire finalmente a Bülzig, perché presto dovrò partire per Halle. Scrivigli con tutta la delicatezza possibile che mantiene così male la parola data, che spesso sto accanto alla finestra e guardo nella direzione da cui dovrebbe arrivare, che mi alzo continuamente di scatto quando sento abbaiare i cani, che sono arrabbiato con lui; in breve, scrivigli quello che vuoi, anche se in modo stringato. Indirizza la lettera a H. Piesker, l’R.B. in Fredersdorf, che deve essere inviata presso Vogelsdorff al castello del conte. Non prendertela a male, caro Wackenroder, non ho più tempo!

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3. Tieck a Wackenroder: Lipsia, 10 maggio 1792 Lipsia, 10 maggio 1792 Carissimo, ottimo Wackenroder! Se solo sapessi con quale nome preferiresti sentirti chiamare, che avesse l’effetto di trasportarti qui per magia: ma tutte le mie fatiche sarebbero vane. Forse hai ricevuto la mia lettera, ma io ho atteso invano la tua; penso, comunque, che tra poco una lettera più lunga scritta da te placherà la mia speranza delusa. Non voglio dubitare del fatto che tu stia bene e sia in pace con te stesso; da parte mia, se facciamo eccezione di alcuni giorni, sono stato costantemente bene e di buonumore e secondo l’opinione di molti testimoni dovrei avere anche un aspetto più sano e roseo dell’anno passato, cosa cui voglio credere volentieri. Sono stato ancora una volta a Coswig e ho preso alloggio per alcuni giorni presso la moglie del funzionario Calezki. Lei è una donna squisita, mentre suo figlio è in tutto e per tutto un babbeo [Hansnarr, N.d.T.], e anche nei pensieri gli ho dato più volte questo nome, un fanfarone, flemmatico, insomma un balordo, e nel corso dell’anno avrai occasione di conoscerlo; con questo individuo, appunto, ho trascorso una giornata intera nel giardino di Wörlitz. Cielo! Che abisso! Quando ho pensato a te, quando penso alla possibilità che adesso potresti camminare al mio fianco e mi vedo invece davanti questo Calibano… Amico amatissimo, non devi deludere la mia speranza che nell’arco dell’anno potremo aggirarci insieme in queste splendide contrade. Il giardino di Wörlitz21 è divino e ho avuto modo di osservare che questa volta alcune cose mi sono piaciute maggiormente dell’anno scorso, perché questa volta le mie attese non erano eccessive, al contrario, ero di umore un po’cupo; ma se vuoi veramente divertirti, pensa in una prospettiva miniaturizzata e infantile a tutte le rarità che vengono esaltate. Caro Wackenroder, alla fin fine bisogna cercare di identificarsi in tutti gli uomini; potrai credermi, se ti dico che ho giocato più volte a carte a Coswig e che ho trascorso quasi un’intera notte in compagnia di queste figurine colorate. Non è forse poco dignitoso per le persone sprecare il breve arco della loro esistenza, e come si può mai stimare questo spreco di tempo definendolo con la parola divertimento? Se penso a quante centinaia di migliaia di cose esistono al mondo e quante migliaia ne vengono scoperte quotidianamente per farci passare il tempo, mi sembra allora qualche volta che l’intero genere umano consti solo di bambini che per noia non sanno cosa fare. La maggior parte degli individui non raggiunge il cinquantesimo anno

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di età, trenta vengono trascorsi dormendo, mangiando e bevendo e i restanti sono preda della noia o di attività non degne di considerazione. Naturalmente non dovrei farlo, ma molto spesso la mia sensibilità mi spinge irresistibilmente a disprezzare una tal sorta di individui, mentre questo disprezzo fa ben presto posto alla compassione: caro Wackenroder, non attribuire questo mio comportamento all’orgoglio, si tratta di sentimento, non di pensiero e tu mi conosci bene. A Coswig ho conosciuto anche il pastore Brunn di Zerbst (suo figlio è professore al ginnasio di Joachimsthal), un vero modello di riferimento per la figura di Wachtel negli Hagestolzen (Gli scapoli impenitenti):22 non parla d’altro che di vini e fagiani, di pernici e di pasticci di carne, può dilungarsi mezz’ora a raccontare di un’oca arrosto e ha parlato come in estasi di un prosciutto che aveva ricevuto da Lione o chissà da quale parte della Francia. Ci sono davvero tristi figure. Gli altri individui, qui, sono perlomeno sopportabili: un precettore che si limita ad essere teologo ed economo, un funzionario, che non è nient’altro che un economo e che sono riuscito a render felice per alcuni giorni per il solo fatto di aver lodato il suo mediocre giardino. Questo giardino è piuttosto grande e ogni spazio è stato sfruttato con estrema cautela, ha pochi alberi, per farla breve, costituisce un affare lucroso, ma proprio per questo è meno bello, e questo funzionario è ora convinto che sia un modello artistico. Ho dovuto sopportare per un intero pomeriggio che mi mostrasse ogni cosa e che mi esponesse in modo estremamente prolisso la storia di tutte le migliorie che vi ha apportato. Alla fine ha detto che il giardino è a disposizione di qualunque amico dell’arte: nei suoi pensieri lo considera più bello del giardino di Wörlitz. Oh, immaginazione! Vorrei evocare quanto rendi ridicoli gli uomini, per parlare il meno possibile di me stesso, se non confidandomi con te e con l’amico più fidato. Una vecchia zitella, la sorella del funzionario, è una persona perbene e loquace e mi ha mostrato tutto il possedimento con le sue stalle e rimesse. I figli della moglie del funzionario sono due piccoli e amabili maschietti, di cui soprattutto il primo è molto intelligente. Sua figlia è una ragazza di tredici anni molto interessante, dall’aria ingenua, piuttosto alta e snella, e ha qualche somiglianza con Malchen;23 mi piace particolarmente stare in sua compagnia. Mi ha mostrato i suoi coniglietti, una giovane lepre che nutre personalmente, per farla breve, in quella casa sono così conosciuto come se facessi parte della famiglia e quando ho rotto il mio bastone da passeggio, me ne ha regalato uno piccolo e grazioso. Nel frattempo non ho trascurato Shakespeare, ho riletto ancora alcune volte con soddisfazione The Winter’s Tale (Il racconto d’inverno)24 e ho scoperto ancora qualche bellezza, ma mi arrabbio sempre di più nei confronti dei commentatori arroganti, che sono ciechi come talpe, verso

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quel modo di ripetere pappagallescamente che Shakespeare sarebbe un genio, ma senza gusto (genio senza gusto è ai miei occhi un’assurdità), che non avrebbe perizia artistica, mentre io trovo in ogni pagina un’arte così raffinata, un sentimento così raffinato, il gusto più fine. Longino25 dice che per poter far cose importanti bisogna avere un’anima grande e sublime; da parte mia vorrei andare oltre e supporre che sia necessario anche un grande spirito per cogliere ciò che è grande e sublime; come ti potresti spiegare altrimenti che il piacevole e il commovente influenzi un numero infinitamente più grande di nature, di quanto non succeda per ciò che è grande e sublime? Molti non comprendono per niente o non condividono questo punto di vista. Io posso ascoltare un adagio per armonica senza commuovermi alle lacrime, diversamente che nel caso di un salmo di Reichardt, per le sinfonie create per l’Amleto e l’Axur26 mi sono venute ogni volta le lacrime agli occhi; tutto ciò che è grande mi trasmette una sorta di furia, mentre nel caso di molte altre esecuzioni non sento quasi nulla, la mia anima rimane indifferente. La moglie di Reichardt mi disse una volta, ormai molto tempo fa, che ciò che commuove produce su di lei un effetto di gran lunga minore rispetto al sublime, di fronte al quale non saprebbe trattenere le lacrime. A quel tempo trovai questa affermazione alquanto curiosa, ma ora non più. In seguito ho espresso questo parere anche a Miekchen,27 a te e a molti altri. Tuttavia, per carità, questo pensiero non deve essere espresso a voce alta, perché altrimenti tutti i nostri giovani uomini e signore sbadiglierebbero assistendo a delle pièces commoventi e vorrebbero spargere le loro lacrime solo in risposta alle espressioni sublimi di Crébillon28 e di Shakespeare. In nessun altro luogo, infatti, come a Berlino sono di casa la sensibilità affettata e le smancerie, in nessun’altro luogo si discute così tanto di emozione e in nessun’altro luogo si provano così poche emozioni. Quando vengono rappresentati Menschenhaß und Reue (Misantropia e rimorso)29 e Das Kind der Liebe (Il figlio dell’amore)30 si consumano gli occhi in lacrime, eppure mi è capitato più volte di vedere la stessa signora che usciva con gli occhi ancora umidi di pianto dallo spettacolo scacciare con le espressioni più dure il povero che le chiedeva la carità. Ma a che scopo lavora, dunque, il poeta, se la sensibilità non viene davvero nobilitata? Si viaggia in carrozza e si va a cavallo per assistere ai supplizi della ruota e ai roghi di persone e ciononostante giovani dame e signori sono in preda a svenimenti quando Roller scampa al patibolo o la disonorata Berta viene umiliata nel Fiesco,31 mentre nella società raffinata si parla a sufficienza di argomenti di cui anche un carrettiere si vergognerebbe. Il senso più vero per ciò che è bello e decoroso si è deteriorato ed ora ci trastulliamo con un’ombra. Anche nei confronti di ciò che è spaventoso, orripilante e che provoca angoscia, gli animi reagiscono in modo molto differente; allorché lessi Shakespeare per la prima volta di sfuggita tutto mi apparve in una luce opprimente e spaventosa, mentre avevo superato frettolosamente le parti piacevoli e mi resi conto di queste parti solo dopo aver letto queste opere più di una volta. Piesker imparò fin dal primo momento a memoria queste parti piacevoli e tuttavia non riesce ancora a individuarle adesso.

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Per quanto riguarda Schmohl, ho rinunciato fin da subito a cercare di cambiare il suo punto di vista; Piesker non è venuto e in molte cose si è dimostrato molto meno nobile di quanto pensassi: in altri termini, è una natura del tutto comune. Non posso parlare con Schmohl di niente che abbia a che fare con la bellezza o con il gusto: in queste cose si dimostra del tutto arido e dà oltretutto segno di curarsene ben poco. Mi rammarico per il suo intelletto, buono e naturale. Gli ho letto il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare e lui ha commentato che si tratterebbe di una storia bizzarra condita di magia. Non era in grado di scorgere dove si trovasse quella dimensione divina di cui gli avevo parlato. Ho voluto spiegargli La tempesta, come ho fatto l’anno scorso con Piesker, ma la noia che ha dimostrato ha contagiato anche me e mi ha avanzato spesso delle obiezioni così infantili, mi fatto osservazioni veramente così assurde, che ho finito davvero per arrabbiarmi: meglio che si dedichi a potare gli alberi, a tagliare la legna e cose simili. Il suo sbadiglio, alla fine, mi ha talmente distolto dal mio proposito, che abbiamo smesso fin dalle prime scene. La sua conclusione usuale in queste circostanze è stata: “Questo è ciò che credi tu!” D’altro canto gli voglio molto bene perché ha un cuore generoso e dunque mi addolora dover scrivere questo di lui. Se solo potessi abituarmi al fatto di non vederti, ma penso che non potrei farlo neanche se restassimo distanti per anni l’uno dall’altro; siamo stati molto imprudenti ad aver scelto di rimanere così a lungo insieme negli ultimi giorni, e tuttavia questa imprudenza rientra nel novero di quelle cose che non voglio, né posso rimpiangere. Penso spesso a te con un piacere misto a melanconia e poiché non posso vederti, spero che mi scriverai; se dovessi aver sotto mano qualcosa dei tuoi lavori che puoi allegare alla lettera, ne sarò davvero felice. Se non dovessi avere nuovo materiale, inviami pure qualcosa in minuta dei tuoi scritti più antichi e se non ti disturba, alcune delle tue composizioni. Avrò presto occasione di farle eseguire per me, perché sabato prossimo partirò per Halle. Cosa fanno Rambach e Bernhardi? Salutali entrambi di cuore da parte mia e di’ di non prendersela con me; scriverò loro a breve e in modo diffuso. Scrivimi anche se per caso sei andato a teatro e di tanto intanto mandami qualche resoconto sugli spettacoli. Sicuramente avrai già consegnato a mia sorella il mio recente biglietto e scusami se ti procuro disturbo: cerca però di darglielo quanto prima, senza avertene troppo a male, carissimo Wackenroder. Avevi tra l’altro già espresso il desiderio di leggere qualcosa del mio amico Toll: ti mando dunque con questa mia una delle sue liriche più brevi, senza che tu debba mostrarla ad altri.

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Scrivimi presto, in modo che possa trovare la tua lettera a Halle, stai bene, scusami se mi sono dilungato in chiacchiere e resta sempre mio amico, così come io lo sono per te. Tieck Se dovessi incontrare Peter, quando consegni il biglietto, trasmetti a lui la mia raccomandazione. Stai bene, davvero bene, e mille volte bene e scrivi al più presto, perché non mi senta completamente abbandonato da te.

4. A Tieck: [Berlino], dal 5 al 12 maggio [1792] Sabato, di sera: 5 maggio Carissimo Tieck, la tua lettera mi ha procurato un piacere immenso; mi ha commosso davvero fino alle lacrime. Se sai come sono sensibile, mi crederai di certo. Tieck, sono estasiato per il fatto che tu mi ami così tanto! Werther32 dice in modo celestiale che egli adorerebbe se stesso, se l’amata gli rivelasse l’inclinazione del proprio cuore e ripete a se stesso una volta le parole «caro Werther» nel tono con cui lei si è rivolta a lui. Oh, Tieck, anch’io vorrei adorarmi se un uomo come te, le cui parole sono per me come un oracolo, mi trasponesse con l’immagine nobilitata di me se stesso nell’estasi e nell’ebbrezza. E dunque se ai tuoi occhi ho valore, a chi lo debbo se non a te? A te debbo tutto ciò che sono, tutto! Che cosa sarebbe stato mai di me, se non ti avessi conosciuto? Oh Tieck, leggi queste parole con ardore e sii orgoglioso del fatto che fai felice per sempre un uomo grazie alla tua amicizia – così come io sono orgoglioso del fatto che mi onori di essermi amico. Restalo, caro Tieck, restalo; sai bene che ti amerò al di sopra di ogni cosa, per l’eternità. Mi rallegro di cuore che al momento vivi in campagna così felicemente e piacevolmente. Su tutta la tua lettera alleggia lo spirito di una così dolce, bella e serena gaiezza, rifluita in te grazie al diletto che provi per le bellezze della natura. Cerca di rimanere di quest’umore e segui tu stesso la regola che applichi a Bernhardi, cioè quella di non stare seduto troppo a lungo. Speriamo che il triste presagio che hai espresso nei suoi confronti non si traduca in realtà. È così amichevole e veramente dolce verso di me, come non potrei sperare altrimenti, e io sono molto ben disposto verso di lui. Non di rado parliamo di te.

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Ieri sono stato con lui al teatro di prosa dove una signorina si è esibita con l’armonica. Lui ha ascoltato lo strumento per la prima volta e si è molto rallegrato. Io l’ho sentito per la terza volta con molto piacere. Quando vado a sentire un concerto, rilevo che assaporo la musica in un duplice modo. Solo un tipo di godimento è quello autentico: consiste nel cogliere nel modo più attento i suoni e la loro progressione, poi nel completo abbandono dell’anima, in questa corrente trascinante di sensazioni, nella presa di distanza e nell’eliminazione di qualsiasi pensiero che possa interferire e di ogni impressione sensoriale estranea. Questo modo avaro di sorseggiare i suoni è legato a uno sforzo che non può essere sostenuto a lungo. Proprio per questo suppongo che si possa godere della musica con partecipazione vera per un’ora al massimo e che per questo concerti e opere liriche e operette superino la misura dell’effetto naturale. L’altro modo nel quale la musica mi diletta non consta di un vero godimento di questa, di un assorbimento passivo delle impressioni legate ai suoni, ma di una certa attività dello spirito, che viene sollecitata e mantenuta dalla musica. In questo caso non sento più l’emozione che domina nel pezzo, ma i miei pensieri e le mie fantasie sono, per così dire, rapiti sulle onde del canto e non di rado si perdono in distanti anfratti. È curioso che io, immerso in quest’atmosfera, sia in grado di pensare alla musica anche sotto un punto di vista estetico, mentre ascolto la musica. È come se idee generali si separassero dalle sensazioni che il brano musicale trasmette e si disponessero velocemente e chiaramente dinanzi alla mia anima. Quanto goda della musica che viene eseguita tra un atto e l’altro delle rappresentazioni teatrali ho già avuto modo di raccontartelo. Ascolto sempre la prima sinfonia che precede il primo atto con un sentimento di ansiosa attesa e di intima partecipazione; ma per tutto quello che segue questo mi è impossibile e sto dinanzi alla musica che separa gli atti come davanti a uno schermo, come di fronte a un lenzuolo (da sempre mi sono rappresentato questa immagine davanti agli occhi) su cui io possa dipingere ancora una volta le scene dell’atto appena trascorso. Se la musica dovesse essere interrotta, è come se questo tessuto fosse lacerato e così mi manca qualcosa cui possa fissare le immagini della mia fantasia.33 Provano tutti queste sensazioni? Mi piacerebbe saperlo. —————— Rambach mi ha prestato la prima di una nuova edizione dei canti di Sined (Denis).34 L’edizione è stata stampata a Vienna in una veste elegante, in quarto, nel 1791 (un po’ come Unger stampa qui da noi) e contiene in sei volumi la traduzione di Ossian e le poesie che lui ha

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composto. La sto leggendo e trovo tra l’altro anche le sue traduzioni di antiche poesie del Nord che sono state raccolte dall’Edda35 e qui riunite. Mi sembra uno di quelli che gettano volentieri in un unico ripostiglio i begli dei del Parnaso greco con i cattivi poeti, la cui voce roca ha sconsacrato i loro nomi, e che risvegliano le antiche divinità nordiche dal loro torpore, volendole mettere sul trono dell’arte poetica. Tuttavia questo continua a contrastare con la mia sensibilità. So bene che gli antichi bardi e scaldi seguivano la natura alla lettera e che rappresentavano l’emozione in modo puro e senza orpelli. Trovo tra le traduzioni di Denis anche alcune che sono dolci, o quantomeno dei passi che si accostano all’idea di dolcezza e che hanno un’ impronta naturale. Comincio però a non credere più che la particolarità dei canti dei bardi, che li rende quasi tutti canti di guerra, in cui il valore e il coraggio nella selvaggia mischia della battaglia vengono lodati come le più sublimi qualità umane, costituisca uno stimolo per il tono colto della nostra epoca (infatti voglio aderire volentieri al tuo principio, secondo il quale «un vero poeta rende tutto poeticamente bello»). Sarà forse un guadagno se scambieremo la mitologia evoluta del più nobile, ardente e raffinato popolo che la terra ebbe modo di ospitare con il grezzo guazzabuglio del vecchio Nord? Fare cambio con barbari? Denis vuol essere bardo o scaldo, perché Odino e Thor e così via sono stati divinità patrie. Questa ragione mi appare singolare. Dove si vuole arrivare ai nostri tempi con questo amor di patria? Eppure al momento questo atteggiamento sembra essere di gran moda. Comuni insegnanti scolastici sembrano pensare veramente di aver fatto chissà quali grandi passi in ambito pedagogico, se raccontano ora in lungo e in largo al loro figlioletto di otto anni la storia del Brandenburgo come storia della patria. Un comune cittadino, o comunque un individuo che non voglia diventare uno studioso, ha veramente poco bisogno ai nostri tempi di una storia patria quanto di qualsiasi altra; a mio parere sarebbe più conforme allo scopo, se nella scuola primaria si tenessero lezioni su una storia interessante, senza tener conto del fatto che si tratti di questo o di quell’antico o nuovo popolo. Come ho detto, si potrebbe addurre un gran numero di ragioni contro l’inattuale amor di patria di Denis e dei suoi seguaci. Chi volesse ancora ricomporre in un edificio le rovine della mitologia del nord e colmare le lacune, non farebbe che realizzare un bel patchwork. Non si può del resto negare che a fronte di una eccellente e grande semplicità, di una fantasia accesa e sublime che i poemi dell’antico nord dimostrano di avere, si manifesta d’altronde un’esagerata quantità di cose che rasentano il ridicolo e l’insulso, così tanti aspetti goffi, così tante immagini spaventosamente rigide e prive di gusto, che se si dirigesse costante-

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mente la propria attenzione sulle divinità scandinave impellicciate si perderebbe qualsivoglia sensibilità per un delicato profilo greco. La differenza è come tra la foschia del calare della sera e l’aurora, come… ma tu stesso potrai istituire dei confronti in questo senso. —————— Prima che mi dimentichi: Bernhardi ha sentito un termine nuovo che mi ha subito comunicato come contributo alla nostra nota lingua incomprensibile. Gli ho detto che volevo metterti al corrente di questo per scritto. Stai attento, favet[a] linguis: al posto di Geleuchtet (illuminato), Geluchten! —————— Oggi ho trovato nella Allgemeine Deutsche Bibliothek36 questa recensione: Prove poetiche di Hamann.37 È davvero affar nostro? Mi sembra, come un ricordo semi-sopito mi sussurra qualcosa nell’orecchio a mezza voce, che lui ha inserito in un’occasione una poesia nella Berlinische Zeitung.38 La prova poetica che io ho letto sul giornale era nell’ordine dell’abituale; in alcuni casi, la rima mi è sembrata aver sottratto anche il senso che avrebbe potuto albergare nel verso. Anche il recensore era di questo avviso. —————— Ho fatto soltanto ancora una sola visita a Spillner. Presumo che sia partito questo giovedì. A Piesker scrivo, come tu chiedi (vale a dire domani) e lo prego di rispondermi in ogni caso, in modo che se non ti dovesse vedere nel breve tempo in cui ti trovi ancora a Bülzig sia in grado di esporti in seguito la ragione della sua latitanza. Ho consegnato la lettera per tua sorella e con ciò ho rivisto la graziosa dimora in cui alloggia. Se io fossi Alessandro, mi comporterei con questa come costui con la casa di Pindaro.39 Dovrebbe rimanere una eterna reliquia, anche se tutta Berlino sprofondasse. Non potrò mai osservare questa dimora senza provare commozione e senza essere afflitto da ricordi dolorosi. È un alloggio meraviglioso! —————— Se solo potessi essere con te e giocare con il tuo agnello preferito. La madre di Matthisson potrebbe diventare per me una conoscenza molto interessante, come è per te. Per quanto riguarda Schmohl, salutalo caramente da parte mia. Devo pensare che il tuo ardore debba essersi travasato, a seguito di una lunga frequentazione, nel suo sangue di gran lunga più freddo, così da sottrarlo all’ambito dell’arida osservazione e da farlo diventare un adepto della tua dea, ovvero della fantasia.

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Tra poco sarà mezzanotte. Ora mi corico per dormire e noto che è una vera delizia poterti scrivere. Beato, beato è il giorno che posso chiudere con il pensiero rivolto a te. Non mi lascerà neanche durante il sonno. Sognami anche tu. Stai pensando a me in questo momento? O mi stai forse sognando? Una delicatissima elegia di Voß,40 a me estremamente cara, inizia come segue: «Pensa a me la mia ragazza?» Vi è espressa un’emozione di natura eccezionalmente bella. Proprio adesso sono scoccate le 12. Buona notte. Tieck, vola qui da me e io stamperò sulle tue labbra il più ardente dei baci. Buona notte, il cielo ti accompagni! Buona notte! —————— 6 maggio, domenica mattina Guarda! Non è forse bello che io sia andato a letto pensando a te e che mi sia alzato dal letto stamattina di nuovo con il pensiero rivolto a te? Vedi che sono stato rapido nel risponderti. La mia prima lettera, che includeva anche Rambach, l’hai sicuramente ricevuta. Gli ho scritto proprio nello stesso giorno in cui anche tu gli scrivevi, cioè il 1 maggio. Sicuramente non mi risponderai prima di essere giunto a Halle; ma se puoi, esaudisci al più presto i miei desideri. Per quanto riguarda lo scrivere, io manterrò la mia promessa. Ancora una cosa! Non mandarmi più delle lettere affrancate. Perché dovresti accollarti inutilmente delle spese a causa mia? Mi senti? Devi assolutamente fare così. Siamo intesi. —————— Sì caro, ottimo Tieck, ci dobbiamo rivedere alla fiera di San Michele, attendo con impazienza questo momento. Anche per me il ricordo delle nostre passeggiate è la cosa più sacra che io conosca. Puoi facilmente pensare come mi sento ora al Tiergarten, quando lo frequento. Ogni movimento, ogni albero ti richiama qui a me; a ogni passo penso a te e desidero prenderti tra le braccia e sento che mi manca sempre qualcosa. Ma tuttavia – oppure, cosa dico – proprio per questa ragione, frequenterò ancora con regolarità e più spesso il Tiergarten, provandone piacere. Gli alberi del parco risaltano con il verde più splendido e fresco; con un verde che non è più possibile riconoscere in estate nei colori della chioma secca, bruciata e coperta di polvere. Non posso allegare ancora nulla dei miei lavori. Da Pasqua sono stato trattenuto da tanti inevitabili e sgradevoli impegni, che ho potuto a malapena dedicarmi al disbrigo delle banali faccende quotidiane. ——————

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Uno scherzo davvero irritante! E io ne sono responsabile. Ho saputo or ora che, dato che la posta viene portata via oggi alle 9, le lettere avrebbero dovuto essere già consegnate ieri sera alle 7. La mia sciocca insipienza l’ha fatta dunque da padrone sulla mia buona intenzione di risponderti subito. Perdonami. La lettera potrebbe dunque partire solo mercoledì (indirizzata a Bülzig) e dato che allora forse questa non ti raggiungerebbe più a Bülzig, preferisco spedirtela a Halle. —————— 11 maggio, venerdì a mezzogiorno Completo ora la mia lettera e mi arrabbio ancora una volta per il fatto che la mia disponibilità nei tuoi confronti non mi ha aiutato per niente. Dunque la mia lettera ti accoglierà nel tuo nuovo alloggio a Halle. Ho scritto subito a Piesker e il prima possibile: ma la sua anima fredda e inflessibile non s’è ancora degnata di rispondere ai miei lamenti e rimproveri commoventi. Ieri sera ho ricevuto del tutto inaspettatamente una lettera di Wißmann. —————— a sera Oh gioia, oh gioia! Oggi a mezzogiorno ho già ricevuto una seconda lettera da te; non hai idea di come abbia trionfato. Ma una cosa è curiosa. Tu non hai ricevuto la mia prima lettera (3 fogli in ottavo – non conteneva nulla di rilevante) – che ho consegnato il martedì di otto giorni fa a Rambach, perché vi allegasse un saluto. E cosa ancor più curiosa è il fatto che oggi sono andato subito dopo pranzo da tua sorella per portarle la tua lettera e lei mi dice che ti avrebbe scritto due volte; tu pure, nelle tue lettere, hai detto di non aver ricevuto nulla da lei. Forse che la causa di queste confusioni è tutta riposta in un’unica causa? Potrebbe essere colpa di H. Fuhrmann a Wittenberg? Disapprovo quasi il fatto che tu non sia diventato inquieto per questo motivo o che per questo motivo tu non mi abbia rimproverato maggiormente del fatto che io, secondo il tuo punto di vista, non ho ancora pensato a te con la penna in mano. Nel frattempo conosci tutto il contesto e lo svolgimento delle cose e dunque sarò discolpato ai tuoi occhi. Sei davvero sincero, caro Tieck, quando mi dici che non mi puoi dimenticare? Oh, deve essere vero! Mi ha davvero commosso che tu abbia scritto «è stato veramente imprudente da parte nostra l’esserci frequentati così assiduamente a Berlino nell’ultimo periodo». Davvero mi ha commosso. Oh Tieck, caro Tieck, certo ho

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creduto al fatto che tu mi sia affezionato, ma ho potuto a stento credere che tu mi rivolga pensieri tanto delicati. E so bene che non mi comunichi altro che il vero sentimento che scaturisce dal tuo cuore. Con che cosa posso ricompensarti? Mi umili. Adesso interrompo. —————— Come hai fatto a fare un così gran numero di conoscenze a Coswig? E, santo cielo, com’è possibile che tu abbia potuto giocare così a lungo a carte in società? Ciò è spaventoso. Credo che avrei potuto piangere di rabbia, se ti avessi visto invischiato in una situazione simile, te al tavolo da gioco, al trono di buffoni e bellimbusti, te! È davvero una sfida! Ti compiango. Anche il resto della società che hai frequentato a Coswig deve esserti calzata a puntino. Ma che tu abbia dovuto giocare a carte, fino a notte fonda, questo è ciò che mi fa venire maggiormente i brividi. Non riesco a togliermelo dalla testa. Il fato deve aver fatto necessariamente una mossa falsa nell’urna, giacché ha estratto per te la sorte di questo giorno: il fatale Fatum! —————— Rubi qualcosa dall’officina dei miei pensieri quando fai l’osservazione che per poter cogliere ciò che è grande nelle belle arti bisogna essere in sé e per sé uno spirito grande e sublime in campo critico. Io l’ho sempre pensato e se non sbaglio te l’ho anche già detto. Ma non posso approvare del tutto quello che aggiungi. Non so esattamente perché il sublime dovrebbe commuoverti maggiormente fino alle lacrime rispetto a ciò che è sentimentale. Per quanto riguarda il termine “sensibile”, voglio comunicarti ancora un dubbio e un’osservazione. Non sono del tutto sicuro di cosa si dovrebbe definire sentimentalismo. Mi sembra che alla fin fine questa non sia altro che una forma di sensibilità artificiosa e ti voglio dire perché.41 Gli insensibili dileggiatori della sensibilità definiscono spesso sentimentalismo ciò che di per sé è una sensibilità bella e delicata e la falsa sensibilità o il sentimentalismo si avrebbe invece soltanto se qualcuno se ne serve in modo ricercato. Non capisco perché il proposito di non voler andare sul prato, perché qui a ogni passo si annienta una miriade di piccoli esseri che giocano sotto il sole, in particolari situazioni e per un tempo breve, non debba essere considerata una forma di vera e autentica sensibilità. Se però ne parla qualcuno che è fanatico nei confronti delle mode e se scorgo dagli occhi che vengono stravolti in modo innaturale che si compiace di paradossi che sono

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en vague, allora riconosco in lui i sintomi dell’artificiosità. In questo caso direi che “sentimentaleggia”. Infatti non riesco a comprendere sostanzialmente perché non dovrebbe essere possibile provare delle emozioni nei confronti di tutte le cose create e in situazioni particolari. E se qualcuno si dispone in uno stato d’animo per cui prova nel suo cuore delle emozioni che nessuno ha mai provato prima, questa sua emozione deve essere per lui vera e giusta. O forse vuoi tentare di distinguere una falsa sensibilità dal sentimentalismo? Mi sono perso e per questo ti chiedo di mettermi a disposizione la tua fiaccola in questo piccolo e oscuro labirinto. Sii gentile e non esitare a illuminarmi su tali quesiti o dubbi ecc., se ne hai voglia. Per ritornare ancora una volta sulla materia che tratti a proposito del sublime, mi sembra che in questo ambito tu abbia fatto confusione. Voglio crederti quando dici che il sublime ti traspone in una sorta di furore, vale a dire nel massimo parossismo dell’entusiasmo e della beatitudine. Ma le lacrime possono essere sollecitate solo da ciò che è commovente e (come abbiamo convenuto a voce) da ciò che è orribile e spaventoso. Mi stupisce che Schmohl si ostini a non volersi mettere spontaneamente a servizio delle muse e che non voglia fare sacrifici sull’altare delle grazie. Il suo modo distaccato e gelido di porsi nei confronti del tuo intimo amico Shakespeare deve averti non poco offeso. Il tuo gusto non rischia di scolorare, se si contamina con il suo modo di pensare, così come con il mio? —————— Questa settimana non ho trovato Bernhardi a casa sua, in un’occasione, e Rambach in due. Per questo motivo, non ho potuto farmi dare ancora da lui la tua Anna Bolena, per quanto l’abbia desiderato. Ma lo farò a breve: leggerò il testo con attenzione e, per quanto mi è possibile, ti esprimerò il mio parere, anche se in relazione a piccoli problemi. Tra tutti gli impedimenti che mi hanno ostacolato in mille cose che avrei dovuto fare, con l’eccezione del pensarti e dello scriverti, ce n’è anche uno estremamente piacevole. Forse sai, o forse no, che io ho un amico in Sassonia dalle parti di Jena: lo è davvero, dal momento che lo stimo molto e mi sono convinto che è fatto per l’amicizia. L’ho conosciuto qui un paio di anni fa e da allora ho cercato di proseguire la frequentazione interrotta tra noi due per mezzo di uno scambio epistolare. Il suo nome? Si chiama Schuderoff ed è predicatore a Drakendorf e a Zöllnitz, a un miglio da Jena. Si tratta di un giovane amabile, il cui volto dotato di bellezza adolescenziale e i cui fini lineamenti esprimono una mentalità pura e un cuore nobile. È

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qui in visita e forse nel viaggio di ritorno passa da Halle. È un filosofo kantiano e recentemente ha pubblicato delle lettere sull’educazione morale che sto leggendo e che sono decisamente belle. Sono stato con lui due volte al Tiergarten. Il verde fresco delle foglie è di una magica bellezza. I viali di pioppi, che si piegano a formare una volta, rappresentano l’immagine più soave della primavera. E vuoi sapere quale gioia ho provato ieri incrociando il viale dei pioppi? Forse lo intuisci. La dannata statua senza testa era scomparsa. Vorrei sapere quale buon genio l’ha trascinata via o l’ha fatta sprofondare nelle viscere della terra. Il passeggio ci ha guadagnato in bellezza. —————— Vuoi sapere qualcosa a proposito del teatro. Tutto quello che posso darti ha un carattere frammentario. Da poco è stato rappresentato un nuovo lavoro teatrale di Jünger, I fratelli di campagna, che non deve essere eccezionale. Ci sono molte repliche di Gli scapoli impenitenti e Axur. Un tale Lißner42 dovrebbe rimanere qui e un altro attore, Garly,43 dovrebbe ottenere una scrittura. Mercoledì è stata rappresentata l’Emilia Galotti: un danese di passaggio, H. Preisler,44 ha recitato la parte del principe e Garly di Marinelli. Se sia vero che Czechtizky45 e Mattausch46 se ne andranno, non lo so. (N.B. Da quando è stato dato il Don Giovanni, quando ti trovavi a Fredersdorf, non sono stato più a teatro).47 —————— Grazie per la breve poesia del tuo amico Toll. È dolce e amabile e mi resterà molto cara. La conserverò con le tue lettere come un gioiello. Perdonami solo la mia penuria, per non poterti allegare adesso qualcosa di mio e la mia mancanza di tempo, che mi rende impossibile copiarti qualcosa. Potresti essere così generoso da considerare la lunghezza della mia lettera come una forma di compensazione? La nostra corrispondenza non deve ingarbugliarsi un’altra volta. Sarai così gentile da scrivermi di nuovo per primo, se non chiedo troppo? Scrivimi poco o tanto, in proporzione al tempo di cui disponi; se è di più, tanto meglio, ma sicuramente presto. Ma sono propenso a credere che se ti incalzo con questo “presto”, potrei offendere la tua delicata sensibilità, dato che le due lettere che mi hai mandato, l’una a breve distanza dall’altra, mi hanno comunicato un’idea molto alta della tua eccitabile attività scrittoria. Ti risponderò di sicuro molto presto. O sono forse precipitoso e sono ingiusto se pretendo di leggere qualcosa di tuo anche da Halle, dove hai molti più contatti e faccende da sbrigare? Ma cosa vado cianciando. Sei mio amico e

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saprai bene cosa mi giova e mi fa piacere. Voglio aver coraggio nel riporre speranza in te e nel puntare tutta la mia fiducia soltanto sulla tua amicizia. —————— Il 12 maggio, sabato a mezzogiorno Devo confessarti che delle odi, delle elegie e dei canti (Lieder) di Denis alcune cose mi sono piaciute molto. Più belle di tutte mi sembrano le poesie che lui chiama lamenti: ad esempio quella dedicata alla morte di Gellert,48 quella sull’abuso dell’arte poetica e così via. L’ultimo argomento viene trattato in maniera eccellente. Qui si parla davvero con parole forti e sfrontate della degenerazione della nostra repubblica delle lettere, si dice che il sentimento dovrebbe essere solo sentimento del genio, per poter ridar vita al canto, che l’arguzia non sarebbe altro che un bambino viziato, che dovrebbe essere di casa solo sull’altra sponda del Reno e molte altre cose ancora che, come sai, costituiscono la mia più intima convinzione. “Forse che l’arguzia debba far parte del canto?” si chiede Denis, e io me lo chiedo con lui. —————— Non mi resta molto tempo, per cui ti debbo augurare di cuore tutto il meglio. Cerca di esprimere di tanto in tanto i tuoi pareri sulle opinioni che ti manifesto nelle mie lettere. Fa’ solo in modo di scrivermi presto, davvero presto; ti risponderò anch’io velocemente. Riguardati e saluta Halle. O la cara famiglia di Reichardt! Se solo potessi vedere anch’io Miekchen! Salutala di cuore da parte mia; anche Schmohl e anche le bambine di Reichardt, di cui mi ricordo i nomi uno per uno. Magari la mia musa mi ispira ancora una piccolezza, che ti manderò subito. Scrivimi presto e restami amico. W. H. Wackenroder 5. Tieck a Wackenroder: Halle, 29 maggio 1792 Halle, 29 maggio 1792 Caro Wackenroder! Mi devi scusare, se non ti ho scritto per tanto tempo, dal momento che io, da parte mia, non riesco a perdonarmelo. Non riesco a capire: penso a te quotidianamente, ogni ora e ogni istante e so che cosa ti voglio scrivere – eppure non se ne è fatto niente. A mia volta, però, ho

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pensato di ricevere una lettera da te: non vorremo prendere alla lettera il fatto che uno non riprende a scrivere, prima che l’altro non gli abbia risposto. La lunga lettera che mi hai spedito recentemente mi ha fatto veramente piacere nella mia solitudine. Caro Wackenroder, mi hai commosso fino alle lacrime; parli nello stesso modo che a Berlino, vale a dire con un amichevole entusiasmo, con un’esaltazione che coprono ogni mio errore con una cortina molto spessa; se questo fuoco si spegnesse, caro Wackenroder, allora rischieresti di vedere i miei errori e le mie debolezze, e la mia amicizia ti diverrebbe indifferente. Non posso né voglio pretendere che tu mi parli sempre in questo modo, ma non permettere mai, carissimo Wackenroder, di arrivare a disprezzarmi e di pentirti di avermi parlato in passato in questo modo. Ma no! Questa preoccupazione è di quelle per cui non devo lasciar spazio nel mio petto, è anche inutile; lo so bene, ti conosco intimamente e se continui a rimanere quello che sei ora, ecco, per tutto questo tempo posso essere sicuro della tua più calorosa amicizia. D’altro canto non potrai cambiare in modo così deciso da dover ricusare il mio amore, perché in questo caso – ah!, amico caro, le lacrime mi salgono agli occhi, questi pensieri mi mettono in uno stato d’animo che nulla, se non il ricordo delle ore passate con te, può mitigare. Interrompo qui per non rendere triste anche te. Caro Wackenroder, nella tua lettera ti impegni in ogni modo a rendermi orgoglioso, ma non può riuscirti. Avresti qualcosa di cui essermi grato? Oh, se solo sapessi di quante cose ti sono debitore io! Di tutto! Non sei forse stato tu a guarirmi dalla più profonda melanconia? Forse che la tua frequentazione, la tua amicizia, non mi hanno restituito tutto quello che mi si poteva restituire? Tu hai affinato e reso nobili tutti i miei sentimenti; sei finora quasi l’unica persona che mi conosce veramente e che mi comprende. Solo adesso mi rendo conto vividamente di tutte le cose di cui ti debbo ringraziare, ora che devo fare a meno della tua amicizia. Mi capita spesso di indirizzare lo sguardo in direzione di Berlino e come accade per il sorgere della luna nella lontananza dell’orizzonte, così accade per tutte le scene in cui sono stato così felice, per poi sprofondare di nuovo, e la notte oscura mi avvolge, opprimendomi. Avevamo concordato che non avrei dovuto farmi eccessivamente illusioni sul fatto che saresti venuto ad abitare un anno o mezz’anno a Halle; non ho idea di come si sia arrivati a questo, non ne ho colpa, non sono stato io a coltivare questa pianta, ma essa è cresciuta fino a diventare un bell’albero, che ho scoperto con mio stupore e adesso, dal momento che non posso più cambiare il corso delle cose, mi riposo spesso all’ombra dei suoi ampi rami e osservo sopra di me il gioco delle foglie verdi e i bei fiori della consolazione cadono su di me dall’al-

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to. Non è colpa mia, caro Wackenroder, non guardarmi storto perché non ci posso davvero fare niente e dal momento che questa speranza è quasi la sola che posso coltivare, continua a concedermela sempre. Non ho mai sentito così vivamente come adesso quanto abbia bisogno di te per vivere, nel senso stretto della parola, caro Wackenroder, e se solo provi un poco di compassione per me, vieni da me senza indugi la prossima Pasqua; non posso sopportare altrimenti questa situazione, perché qui tutto è così angusto e opprimente, tutte le mie forze vengono meno, anche la natura più ammaliante perde ogni sua bellezza senza un amico con cui condividere le emozioni e invece della forza vivificante della primavera, in ogni essere si vede solo come ogni respiro lo avvicini un poco di più alla fossa, tutto si prosciuga e si estingue nella mia anima. Nei pochi giorni che sono stato qui sono stato triste come non lo ero più da un anno. Mi accorgo solo di ciò che ho perso e non di quello che possiedo. Oh, caro Wackenroder, se solo riuscissi a convincere tuo padre a consentirti di venire a Halle, se non per la fiera di San Michele almeno per Pasqua (vedi come sono audace nelle mie speranze)! Qui ci sono eccellenti professori e non hai bisogno di avere rapporti con gli studenti così come neppure io ne intrattengo, perché non conosco nessuno e nessuno mi conosce; qui si passa del tutto inosservati, la buona creanza è maggiore di un tempo. Se vivessi accanto a me e se io ti venissi a prendere per passeggiare insieme o lo facessi tu, come a Berlino, potremmo di nuovo leggere Shakespeare insieme, mi suoneresti qualcosa al pianoforte, potremmo far visita insieme a Reichardt – che prospettive divine! Non ti incantano come succede a me? Scrivi che devo rimanere in salute, così come lo sono ora e io sento che non posso darti ragione, perché qui non mi sono svagato neppure un attimo. Difficilmente potrò svagarmi, perciò, caro Wackenroder, fai tutto il possibile per convincere tuo padre a mandarti quaggiù, qui si può imparare molto ed essere diligenti e a Erlangen saresti tanto abbandonato a te stesso come lo sono qui, lo saresti molto più di quanto non lo sei ora a Berlino, forse molto più di quanto non lo sia io ora a Halle e questo avrebbe un grosso peso, perché io ho almeno ancora la famiglia Reichardt. Tuo padre ti ama davvero molto, è un uomo così benevolo e squisito che forse accondiscenderà alle tue preghiere. Rispondimi che cosa tu ed io possiamo sperare a questo proposito, perché questo è ciò che mi interessa di più al mondo. Io ho già letto più di una volta le tue care poesie; mandamene ancor di più quando hai tempo, fallo e, se puoi, scrivimi sempre lettere così lunghe, perché è tutto quello che puoi darmi. Leggi ancora il Tasso: è un dramma di Goethe49 che rappresenta nel modo più bello la situazione in cui mi trovo.

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Il sole non coglierà più sotto le mie ciglia la [t]ua bella immagine trasfigurata dai sogni, la speranza di veder[ti] non riempirà più di felice nostalgia lo spirito appena desto: il mio sguardo [ti] cercherà invano tra l’ombra rugiadosa dei nostri [campi e] giardini. Come si placava ad ogni chiara sera il desiderio d’essere con [te] e cresceva, frequentandoci, la voglia di conoscerci e capirci. Ogni giorno il cuore s’accordava in armonie sempre più belle e pure. Ma ora che crepuscolo innanzi a me! Il fulgore del sole, il tripudio del giorno pieno, il mondo splendido, denso di infinite forme è vuoto, immerso nella nebbia che m’è attorno. Un tempo ogni giorno era l’intera vita, l’ansia taceva, tacevano i presagi e, come felici naviganti, la corrente ci trascinava senza remi su onde lievi. In quest’attimo angoscioso m’assale per vie segrete lo sgomento del futuro.50 Senza di te non sono nulla, non so che aspetto ho ora, non mi riconoscerai alla fiera di San Michele, in quanto è impossibile che un vecchio amico, vissuto a lungo lontano in paesi stranieri, si senta di nuovo come un tempo appena ci rivede. Il suo animo non è cambiato: viviamo assieme qualche giorno e le nostre corde s’uniranno di nuovo in gioiosa e bella armonia.51 E ciò rappresenta ancora la mia consolazione. Mi crederai di sicuro se ti dico che non ho qui qualcuno con cui e in cui io viva effettivamente. Ti ho già tratteggiato Schmohl: resta sempre uguale a se stesso, piccino, pedante e freddo, e inoltre non è privo di affettazione; all’occorrenza vuole rivestire il ruolo del bello spirito, del sentimentale, del politico e cento altre parti di cui nessuna gli si attaglia e la cosa si spin-

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ge a tal punto, che nel far questo si rende persino ridicolo e considero tale cosa più insopportabile di tutto, è più vanesio di una donnetta, almeno più vanesio di quanto noi due potremmo perdonare persino alle nostre amate, una bollicina sulla faccia lo può occupare per più di un’ora, è capace di cambiarsi da tre fino a quattro volte al giorno da testa a piedi e non lo si vede mai più felice di quando può agghindarsi. E Bothe!52 Non hai la più pallida idea di lui, non potrai né vorrai credere e considererai questo uno sfogo del mio cattivo umore, il solo Bothe è ancor più vanesio di Schmohl, vanesio fino all’infantilismo: si veste in modo stravagante e può parlare per un’ora intera della fascia di un cappello o di un abito che pensa che gli stiano bene; quando mi fa visita, si guarda allo specchio come minimo ogni cinque minuti, sulla strada si contempla in continuazione e si sforza di apparire un individuo straordinario, portando il cappello in un certo modo o con qualche altra quisquilia. È fermamente convinto di possedere delle doti intellettuali particolari, tutti gli altri scompaiono ai suoi occhi in un niente, eppure loda spesso per il loro intelletto dei soggetti banali o sciocchi, in modo che la persona con cui sta parlando possa pensare di possedere ora un’intelligenza di gran lunga superiore. Ha sentito o letto che si disprezza solo quel sapere di cui si ha minor conoscenza e per questo loda senza eccezione ogni forma di sapere, solo perché si creda che è grande in ciascuna di esse allo stesso modo, solo che l’angusto animo degli uomini ha bisogno di due passioni: l’odio e l’amore.53 Sa ragionare così poco con la propria testa, che non fa altro che comportarsi come un pappagallo e dal momento che per disgrazia scimmiotta molte persone allo stesso tempo, non fa che contraddirsi in ogni istante. Essendo così vanesio e avendo una così alta considerazione di se stesso, prende molto male ogni singola faccenda insignificante per la quale un altro non si darebbe la minima pena; per questo devo stare sempre in guardia quando parlo con lui, e di questo sono molto infastidito. Chi biasima la saggezza? Ogni attimo della vita ci mostra che è necessaria. Ma come è bello se l’anima ci dice che non occorrono cautele sottili!54 Così è stata la mia frequentazione con te. Bothe assume anche così spaventosamente i modi del maestro, che è impossibile essergli amico. Mi ha sempre dato noia la sua ottusa sapienza e il suo eterno fare da maestro. Invece di vedere se lo spirito di chi l’ascolta non percorra già da solo un buon sentiero, ti insegna cose che hai capito meglio di lui,

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non ascolta una parola di quanto dici e ti considera nulla.55 Pensa di avere una grande sensibilità d’animo, che invece non possiede per nulla, e crede che per essere poeta basti unire insieme i pensieri di alcuni poeti?56 Anche la critica e l’estetica non sono affar suo e per questo motivo non gli ho letto nulla dei miei scritti e non lo farò neppure in futuro, per quanto me lo abbia chiesto, perché il suo rimprovero è così infantile, che si prova vergogna persino a schermirsi; inoltre loda e lusinga con un’aria di così magnanima concessione, che i suoi complimenti mi risultano insopportabili, – – – sa parlare così accorto e forbito che una sua lode si fa biasimo e nulla ferisce così profondamente quanto una lode del suo labbro.57 – – Quando è in società, fa continuamente lo spiritoso e tu sai quanto odio questo atteggiamento; per farla breve, ammira se stesso in ogni sua azione e parola. Non fa nulla, ma ama essere considerato un uomo molto diligente. Evidentemente Schmohl è meglio di lui, solo che le Grazie purtroppo rimasero lontane e chi manca dei doni di queste graziose dee può possedere e offrire molto, ma non saprà mai confortare chi riposa sul suo petto.58 Concordo assolutamente con te circa il significato del sentimentalismo, solo che a mio avviso bisognerebbe evitare di abituarsi a provare emozioni troppo intense per piccole cose, altrimenti si disimpara a farlo per quelle grandi che lo richiedono, e nella misura in cui la sensibilità degenera, allora si può chiamare un ipersensibile l’uomo che in occasione della morte di suo fratello non è in grado di piangere più profondamente nel suo intimo di quanto non lo faccia per la morte di una mosca, per quanto la sua emozione sia autentica e non affettata. In generale, non bisogna dare adito eccessivo alle piccole emozioni, perché in questo modo le corde dell’animo sono come scordate e, per quanto questo possa sembrare paradossale, si diventa insensibili ed incapaci di agire. Io ho seguito il tuo e il mio consiglio e finora sono rimasto inattivo, ma ciò facendo non sono migliorato un granché, – – – ma io mi sento sano solo se lavoro, solo il lavoro mi rende la salute. – – – non amo

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l’oziosa ricchezza. E la quiete non mi procura quiete. Al mio animo, l’avverto purtroppo, la natura non concede di nuotare felice sull’onda dei giorni verso il mare aperto del tempo.59 Devo ricominciare a scrivere qualcosa di poetico perché credo che mi sentirò meglio in quanto ritornerò ad essere attivo, infatti la vita non è più vita se non posso meditare e scrivere. Non puoi vietare al baco da seta di filare il filo che lo conduce a morte.60 Per questo motivo, ti manderò prossimamente il mio progetto per l’Agnello, così da cominciare insieme quest’opera sotto la protezione della musa pastorale. Leggi il Tasso di Goethe, che io ho letto con grande attenzione, come puoi vedere già dai passi che ho citato. Pensi che il grande, il sublime, non potrebbe commuovere fino alle lacrime? Ti voglio dire perché lo penso. Devi ammettere che tutto ciò che deve piacere nelle belle arti può piacere solo per il fatto che ogni artista usa toni che risuonano chiari e puri nella nostra anima; per questo uno ride mentre l’altro piange e pertanto solo il poeta può suscitare commozione, in quanto la commozione non è altro che simpatia nei confronti di persone che a loro volta ci commuovono, un impeto di amicizia che ci trascina verso di loro e fa sì che partecipiamo a tutti i loro destini. Li amiamo in misura maggiore o minore a seconda che il poeta li abbia tratti in misura maggiore o minore dalla nostra anima. Questo spiega la grande violenza che il poeta può esercitare sul cuore degli uomini. Spesso amiamo maggiormente un conte Appiani61 o un Just o un Tellheim62 rispetto agli uomini che frequentiamo e vediamo nella vita quotidiana, e ciò accade soltanto perché non simpatizziamo con loro e perché in quelli si riflettono le nostre anime. Mi pare che questo fenomeno si presenti anche nel caso del sublime. Nel sublime scopriamo noi stessi, la simpatia ci spinge verso la persona che pensa in modo sublime e questo amore che si mescola con la stima può essere così potente da sfociare in lacrime. Si tratta di un sentimento che è fatto di compassione, gioia e stima. Ci rallegriamo che un individuo di tale statura morale sia nostro amico o del fatto che dovrebbe essere tale e nello stesso istante ammiriamo l’umanità intera; vorremmo adorare il poeta che riuscisse a suscitare in noi una tale emozione e in quest’istante spargiamo le nostre lacrime, sentendo la nostra affinità con il poeta e rallegrandoci di essere uomini. Perciò può accadere facilmente che il sublime sia in grado di spingermi semplicemente

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alle lacrime, se in linea di massima sono solito disprezzare gli uomini e quindi mi sento preso improvvisamente amichevolmente per mano e nell’attimo più bello mi viene offerta la più incantevole rappacificazione; al contrario, un altro non è indotto a piangere pur percependo con la stessa intensità la dimensione del sublime, perché non ha bisogno di questa rappacificazione. A mio parere, però, la sola dimensione del sublime non può essere mai sufficiente nei caratteri delineati dall’autore di testi drammaturgici, perché li deve correlare costantemente con il pathos; infatti, un Catone di Utica63 è insopportabile, così come quando un’Arria64 pretende di sollecitare in noi lacrime e ammirazione. Per questo accade che anche nel passaggio del Kaspar der Thorringer, «Molto frastuono, ma anch’io ne sono capace» non si versi neppure una lacrima, solo perché si tratta di un momento di grandezza, ma che quando egli vede bruciare Thorring e poi, dopo un dissidio interiore, vuole andare a Landshut, allora vorremmo gettarci ai suoi piedi e stare in adorazione, versiamo lacrime di gioia per essere uomini e per il fatto che una parte di questa nobiltà d’animo investe anche noi. Mi pare che tutto questo si fondi sui principi secondo i quali un malvagio non può mai risultare soltanto odioso. Che così tanti, dunque, non provino alcuna emozione nei confronti del sublime dipende soltanto dal fatto che non sono animati da questa simpatia: essa appare loro inverosimile, dubitano e – se ne fanno beffe. Che la nostra epoca possa gloriarsi meno delle altre di una mentalità sublime appare evidente dalla maggior parte dei libri più recenti, in cui è proprio del costume criticare in modo meschino le grandi e nobili virtù della pregevole antichità e farle discendere da un gretto egoismo, come se per questo egoismo non fosse necessario non averne affatto per essere un Codro o un Muzio Scevola. Mi infurio ogni volta, quando penso che uomini che non hanno la minima percezione di cose di tal fatta, vogliono derubare al grande mondo antico la fama (l’unica ricompensa cui il vero merito e la vera grandezza possano aspirare), semplicemente perché non sentono nulla nel loro cuore di questo fuoco etereo. Perdonami se qui sciorino molte parole e poche idee, giacché oggi non sono per nulla preparato a riflettere su certi argomenti. Dopodomani è il mio compleanno e avrei desiderato essere con te a Berlino. Avrei ancora così tante cose da scriverti, soltanto che il mio orologio sta qui appeso davanti a me e mi indica con la sua seriosa lancetta scura che è ora di smettere. Salutami Rambach e Bernhardi, dì a Rambach che suo fratello non mi può fornire un esemplare della Maschera di ferro. L’hai già letta? Leggila, l’ultimo capitolo è tutto di mio pugno, se si fa eccezione di alcune singole aggiunte senza importanza, ma non dir nulla a Rambach del fatto che lo sai, forse te ne saresti reso conto

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da solo perché sei l’unico individuo che è in grado di farlo. Anche molta parte del penultimo capitolo è di mio pugno. Adesso ho anche spedito il secondo atto dell’Anna Bolena a Rambach; leggi una volta tutti e due con attenzione. Ho modificato ancora delle piccolezze, scrivimi dunque il tuo parere in proposito. È fatale che debba concludere, per cui la prossima volta mi dilungherò maggiormente. Ti auguro di star mille volte bene e pensa qualche volta al tuo amico Tieck, abbandonato.

6. A Tieck: [Berlino], 4 giugno [1792] Lunedì, il 4 giugno, di sera. Sto posando in questo momento la tua lettera, che ho appena terminato di leggere. Devo pensare al mio amico Tieck abbandonato? Oh, penso spesso a lui e con tutta la mia anima, ma che sia abbandonato, che la tetra tristezza si sia posata di nuovo come una cateratta sull’occhio sereno del suo spirito, che a Halle non abbia potuto ancora dilettarsi, non me lo sarei mai aspettato. Scrivi quasi come Wißmann, al quale ho risposto stamane, cercando di consolarlo. Nel suo caso lo intuivo, ma da te, davvero, da te non me lo aspettavo. Pensavo che laggiù ti saresti distratto e che avresti provato una gioiosa serenità almeno agli occhi dei tuoi amici e anche ai tuoi, se non ti scruti troppo in profondità. Oh, come mi addolora il fatto di essermi sbagliato! Non ti sei divertito per niente, finora, a Halle! Ti prego, caro Tieck, hai superato già da tempo la fase della vita, nella biografia degli uomini sensibili, in cui si prende a cuore ogni cosa e non si fa che coltivare l’umore tetro, considerando un peccato sottrarsi ai suoi artigli. Tu sai ben dominare te stesso, sei stato tu a insegnarmelo, tanto che io almeno mi do pena di non arrivare a questo punto. Da Bülzig mi avevi scritto con una serenità tale da farmi felice. Che devo dire? Mi dovrei vergognare del fatto di poter vivere qui più contento di quanto tu non sia a Halle. Tieck, ti prego, veglia su te stesso! Ciò che mi procura uno stupore dolceamaro è il fatto che ti manco così tanto. Oh Tieck, dunque mi ami più di quanto non avessi e potessi avere l’ardire di aspettarmi? È come se mi avessi sottratto dal mio cuore le mie emozioni nei tuoi confronti e lì facessi rifluire di nuovo su di me. Mi restituisci tutto ciò che io posso darti? Ti supplico, ces-

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sa immediatamente! È la benedizione più divina che cuore umano possa concepire sentirci lodare per bocca del proprio amico! Ma questo nettare potrebbe trasformarsi per me in veleno. Smettila di restituire e di scambiare questa devozione amicale, perché mi confondi, mentre nel nostro stato attuale (dal momento che non esiste un canale di comunicazione che possa trasferire dall’uno all’altro le parole a voce) non facciamo che renderci solo più infelici. Provo uno spavento violento quando mi dici in modo diretto che ti sono indispensabile per vivere! Ancora! Perché mi sottrai i sentimenti, perché scambi i ruoli nel bel duodramma in cui entrambi recitiamo, e ti prendi il mio? Tieck, mi sarei dovuto sdraiare nella polvere e avrei dovuto soffrire, se avessi saputo che la mia lontananza ti avrebbe procurato delle ore così fosche. Non avevo idea di questo! Non ti sei mai espresso chiaramente su questo punto. Oh, sono disperato – non so assolutamente cosa potrei fare per renderti felice. Tu chiami il mio linguaggio esaltazione. Se potessi amarti meno sarei l’uomo più riprovevole del mondo. E se la mia amicizia dovesse mai perder di valore ai tuoi occhi, allora ricordati che mi hai amato e abbi sufficiente compassione per trarmi di nuovo verso di te; non disprezzarmi! Ma basta! Tieck, lascia che le selvagge correnti delle nostre emozioni scorrano più tranquille. Noi sollecitiamo tutto il sangue bollente nelle nostre vene e con questa dannosa eccitazione compromettiamo la nostra salute. Quanto mi rincresce che Schmohl non riesca a entrare maggiormente in sintonia con te. Non mi aspettavo neanche questo. Sembra che lui si allontani da te, piuttosto che avvicinarsi a te. Puoi ben immaginare che anche quello che mi racconti di Bothe è per me altrettanto clamoroso e insospettabile. Ma so che è vero perché sei tu a raccontarmelo. Quanto possono cambiare gli esseri umani! Se continui a oscillare tra queste due personalità così aliene a te non puoi naturalmente trovar pace. Ma – ah, Dio! Proprio ora ho cercato di immaginarmi una consolazione per te, e – saprai ben interpretare il tratto di sospensione del mio pensiero. Sì! È difficile per me consolarti. Ma ben per te se a breve non avrai più bisogno di consolazione; se l’ala rapida del tempo avrà dissipato le nubi dinanzi a te, se poco a poco il soggiorno ti risulterà più sopportabile e se riuscirai a rapportarti a te stesso con soddisfazione. Raccogli le tue energie e mantieni vigorosi corpo e spirito. Ah, scrivo cose confuse! Volesse Iddio che tu possa essere felice. Oh, lo sarai, lo dovrai essere.

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7. Tieck a Wackenroder: Halle, 12 giugno 1792 Halle, 12 giugno 1792 Caro Wackenroder! Finalmente ho ricevuto di nuovo una tua lettera; vuoi forse punirmi ogni volta per la mia trascuratezza, non rispondendomi? Non farlo. Anche questa lettera arriva un giorno di posta più tardi di quanto preventivato, anche se non è colpa mia, perché il sabato passato ho dovuto necessariamente visitare il cugino di Bernhardi, avendoglielo promesso con assoluta certezza. Non hai idea di che contrasto ci sia tra questo cugino e suo padre, giacché costui è un uomo tanto assennato come pochi ce ne sono. Ho trascorso un intero pomeriggio e discusso con lui proficuamente. Possiede un gran numero di quadri e di incisioni di pregio e ne parla con molto giudizio; che sia un visionario di altro tipo (come forse hai già saputo da Bernhardi) si nota specialmente dai suoi occhi. Il cugino è come sempre tedioso, e questo profeta è ascoltato tanto poco nella sua patria quanto altrove. Ma smetto di raccontarti di questo individuo, perché la mia lettera rischierebbe di diventare altrettanto noiosa quanto lo è lui. Cosa faccio? Abbiamo concordato che devo essere molto schietto nei tuoi confronti e quindi devo dirti senz’altro che sono stato malato per alcuni giorni, ma malato sul serio e che ho rischiato di essere più che malato. Non spaventarti: ti voglio raccontare tutto con maggiore dovizia di particolari. Caro Wackenroder, se vuoi essere davvero felice per alcune ore, leggi allora la seconda parte del Genio,66 che è stato pubblicato per questa fiera di Pasqua. Mi ha procurato vera gioia. Non contiene nulla di straordinario, ma mi sono riconosciuto in modo così totale in quest’opera e le mie convinzioni più care sono sviluppate qui in modo così bello, che mi sono straordinariamente affezionato all’autore. Leggilo, prossimamente, e presta particolare attenzione alle scene che riguardano l’eremita, perché a mio avviso questa è la parte più bella, il trionfo dell’autore. È così che mi sono immaginato il mio Almansur67 (se ti ricordi ancora di questo componimento abbozzato), questo era il mio ideale e così avrei voluto scriverlo e dire tutto in questo modo. Ho ricevuto tutte e due le parti del Genio e poiché Schwieger68 mi fa spesso visita e inclina altrettanto al tedio e poiché con Schmohl non c’è molto da fare, ma soprattutto perché mi aspettavo molte cose belle dalla seconda parte, abbiamo deciso che avrei letto loro entrambe le parti di seguito, così che abbiamo incominciato alle 4 [16, N.d.T.]. Li

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ha straordinariamente interessati, come è nelle cose che la prima parte catturi tutti in modo irresistibile e così abbiamo deciso che Schwieger sarebbe rimasto da noi; infatti era prevedibile che difficilmente avremmo terminato prima delle 2 di notte. Il nostro calcolo corrispondeva alle attese, perché dopo le 9 avevamo finito di leggere la prima parte. Abbiamo iniziato la seconda e, oddio, da tempo non sono stato così felice, in particolare in relazione a quelle scene di cui ti ho già parlato, ma proprio quando vi siamo arrivati (era già dopo mezzanotte) i miei due ascoltatori stavano per addormentarsi entrambi; infatti qui non c’era azione, né sviluppo della storia, ma io ero di umore così lieto, tutti gli uomini mi erano così cari, il mondo così prezioso, che non volevo arrabbiarmi per nessun motivo. Quindi ho continuato a leggere con lo stesso entusiasmo e con incessante solerzia, in modo che dopo le 2 il libro era terminato. Ho fatto una breve pausa, in cui non sono stato in grado di dire una parola, di pensare a nulla, tutte le scene si ripetevano ai miei occhi e mi sono sentito come te dopo un atto particolarmente coinvolgente di una tragedia, mentre viene eseguita una musica insipida; sentivo il chiacchiericcio intorno a me, senza cogliere i discorsi, cullandomi nei sogni più dolci. Ho provato delle emozioni, come di raro mi accade, tipiche delle ore più belle del più felice entusiasmo. Mi sono sentito molti gradini più in alto del solito, mille idee, mille grandi propositi aleggiavano su nubi dorate intorno a me e facendomi cenno, lieti – ma a quale scopo cerco di descrivere a te ciò che tu senti meglio di ogni altro? Schmohl e Schwieger si sono diretti verso la camera per dormire, mentre io ho voluto trascorrere la notte sulla mia sedia, come deciso. Ho spento la luce, ero solo, la notte mi avvolgeva, solo un crepuscolo estivo penetrava attraverso gli scuri e occhieggiava insonnolito da dietro le tende bianche; la notte sembrava volgere lo sguardo al giorno con occhi torbidi e contrariati. Stavo, immerso nei pensieri, appoggiato con il braccio su una sedia, perso in quel delizioso, sublime deliquio e pronto a ricevere solo bellezza. Dolci suoni sfioravano il mio orecchio sognante come canti interrotti, immagini rosee mi si libravano attorno con ali di farfalla color blu, allorché – e provo ancora un brivido quando ci penso e non riesco a rendermi conto di come sia successo – tutte queste emozioni sono sprofondate in me come in un terremoto, tutte le colline verdeggianti, tutte le valli colme di fiori sono finiti in un abisso e tutto è diventato notte scura e spaventoso silenzio di morte, rupi orrende sono emerse solenni e terribili, ogni dolce suono è stato come spazzato via, la paura ha preso il sopravvento su di me, sono stato investito dai più orrendi brividi e tutto mi si è animato intorno. Le ombre si inseguivano spaventosamente in cerchio, è come se la mia stanza volasse con me in una immensità nera e terribile, tutte le mie idee coz-

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zavano l’una contro l’altra, il grande muro è rovinato con un rombo di tuono all’interno della casa e davanti a me si è mostrata un’arida spianata, mentre mi sfuggivano di mano le redini, i cavalli trascinavano all’impazzata la carrozza, io sentivo che i capelli mi si rizzavano sul capo e a quel punto, con un gran frastuono, sono piombato nella camera da letto. – Quelli, convinti che li voglia spaventare, gridano a loro volta, quando, improvvisamente, la piccola stanza da letto si amplia fino a diventare una grande sala, mentre in essa si mostrano due esseri giganteschi, alti e mostruosi, a me estranei, il cui volto è quello della luna piena (oh, adesso comprendo molto chiaramente questa descrizione calzante nel Re Lear).69 Mi sentivo dunque come se dovessi crollare, la paura e la rabbia mi scuotevano tutte le membra e li avrei colpiti entrambi a morte, se avessi avuto la mia spada con me. Per alcuni secondi sono stato veramente folle. Ora si ripresentava un’idea che avevo smarrito, mi precipitai per afferrare di nuovo la redine, la carrozza stava lì, Dio mio, impazzisco!, urlai e ricaddi così a terra mezzo svenuto. Dopo una breve lotta, tutto riacquistava ora il suo aspetto originario e io avevo ritrovato me stesso. Mi sentivo completamente spossato. Il battito cardiaco si sentiva distintamente. La mia fantasia continuava, però, a lavorare e come ricordo di brevi istanti, la vista del bianco mi terrorizzava. Per questo motivo, Schmohl ha dovuto indossare il suo soprabito, ma la sua persona continuava a essermi estranea, perché ogni volta che lo guardavo provavo spavento. Completamente privo di forze, mi sono finalmente sdraiato sul letto, ma tutto mi terrorizzava, la porta della camera da letto era spalancata e la nostra stanza mi sembrava il regno dei morti. Si è dovuto chiudere la porta; ho trascorso oltre un’ora in uno stato che era molto prossimo allo svenimento, mentre tutte le forze della fantasia lavoravano senza sosta. Finalmente la luce fu spenta. Non appena chiusi gli occhi, mi sembrò di nuotare in una corrente, come se la mia testa si staccasse e nuotasse a ritroso, mentre il corpo procedeva in avanti: una sensazione che non avevo mai provato fino ad allora. Quando aprivo gli occhi era come se fossi sdraiato in una cripta, tre sarcofaghi uno accanto all’altro. Vedo nitidamente le ossa bianche luccicanti. Tutte queste sensazioni si protraevano per un tempo spaventosamente lungo, tutte le mie membra mi erano diventate estranee e mi spaventai quando cercai di afferrare il mio volto con la mano. Schmohl continuava a rappresentare una spaventosa presenza mostruosa, che la pallida luce del mattino che stava sopraggiungendo trasformava in spaventose creature. È così che ho trascorso ancora un’ora di spavento, tutti gli orrori della morte e della decomposizione mi circondavano, tutto ciò che è bello era perito dentro di me, non riuscivo a pensare neanche a una cosa lieta. Sai bene che la fase in cui ci si addormenta inizia con una contrazione convulsiva, ma questa era così potente, che ne fui scagliato terribilmente in alto. Finalmente mi

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sono addormentato e mi sono svegliato completamente privo di forze. Non sono stato in grado di uscire per tutta la giornata e mi sono mosso a fatica da una sedia all’altra. Questo episodio è accompagnato dalla preoccupazione, ora molto più accentuata e diventata molto più verosimile, che ti ho già manifestato tempo fa e che mi incute terrore, ovvero il fatto di poter diventare folle. «Chi può sapere che cosa hanno in serbo i tempi a venire?», dice Carlos,70 e io pavento che nel risveglio, ancora adesso, si manifesti qualche presenza terribile, perché l’infelicità e la tristezza sono stati il mio destino fin dagli anni dell’infanzia; questo non muterà. Ah, se solo sapessi quali preoccupanti presagi mi aleggiano intorno! Avrei dovuto essermi già abituato a perder tutto ciò che mi è caro al mondo, ma ancora non sono giunto a questo punto, forse non potrò mai, ed ho forse vinto, se vi riesco? – Compatiscimi, amico caro; non hai mai voluto credere che non sarei potuto mai diventare felice: accetta ora la mia convinzione in proposito. Oh, perdona i miei deliri, che non hanno altro effetto che intimorirti, ma la schiettezza dovrebbe essere la prima legge della nostra corrispondenza; non voglio essere il primo a infrangere questa legge. Ciò può scusare la mia prolissità. Solo tra amici come lo siamo e lo vogliamo rimanere noi, è scusabile il fatto di parlare tanto di sé e io sento nell’intimo di continuo che i miei genitori, i miei fratelli e la tua amicizia sono l’unica cosa che mi può tenere ancora legato a questo mondo. Spesso mi auguro di essere amato meno da loro, per poter morire senza dover rivolgere neanche uno sguardo mesto sulla vita, perché questo sarà anche l’unico momento in cui potrò sicuramente essere felice. Sto di nuovo scivolando nel tono melanconico, mi viene voglia di piangere. Amico amatissimo, perdona la mia debolezza, metti da parte per qualche tempo la lettera e convinciti, grazie alla delicata sensibilità che ti caratterizza, che ora sto meglio, confidando in ogni momento in essa. —————— Scriverti mi ha reso molto melanconico. Ora sono diventato molto più debole di quanto non fossi prima. Otto giorni fa, di domenica, è stato dato un piccolo ballo dai Reichardt. Una delle sale che danno sul giardino è stato ornata molto poeticamente con rami d’abete e serti di fiori. Ho dato una mano anch’io, ma la domenica mattina ero già così indebolito dal profumo dei gelsomini e dalle correnti d’aria, che a malapena mi reggevo in piedi: tutte le mie membra tremavano e avevo l’aspetto di un morto. Solo una cura potente, come al solito, ha potuto giovarmi. Dun-

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que sono corso in città sotto il sole cocente con tutto il vigore che mi era consentito, ho bevuto in fretta e furia un caffè molto forte e sono ritornato indietro di gran carriera nell’afa ardente del mezzogiorno. In questo modo mi sono sentito meglio. Eppure, al ballo, circondato dalla gioia generale, non mi sono divertito per niente, perché il passato mi perseguita dappertutto, come se si trattasse di un amico troppo affettuoso. Tutto il ballo mi è sembrato, non so perché, un’unica futile attività; divertirmi, assolutamente privo di scopo. Ogni giorno che passa sono più convinto del fatto che non sono adatto a stare in società, sto meglio in solitudine. Il ballo è terminato alle 11; ho ballato parecchio, ma senza partecipazione. Quasi tutti i volti mi erano sgraditi, constatando dappertutto affettazione e miserabile vanità, anche quando non se ne dava il caso. Sono andato con Bothe, Schmohl e Sack in città, circondato dalle più insopportabili chiacchiere, che tolleravo malissimo a causa del mio umor nero; non ho detto una parola e non mi importa che abbiano considerato il mio comportamento come quello di uno smorfioso. È stato il 3 giugno, in occasione del compleanno della moglie di Reichardt; forse sei uscito, e ti ricorderai che si trattava di una sera divina, la luna splendeva così luminosa nel cielo, l’aria era delicata e il cielo di un blu intenso. Ho accompagnato come un automa i miei amici fino alla porta della città e poi ho fatto dietrofront, senza che se ne accorgessero e senza proferire parola. Ho chiesto alla natura un risarcimento per le ore perse e l’ho ottenuto, essendo per una volta veramente felice. Ho costeggiato dei giardini, nelle cui vicinanze mi ha avvolto il profumo balsamico di migliaia di fiori, le luci si spegnevano a poco a poco nelle case, i cani abbaiavano tutt’intorno. Sono passato davanti a un mulino ad acqua, la cui cascata spumeggiante ondeggiava come fiamme nel raggio della luna: tutto era così bello, così fantastico. Mi sono ripetutamente seduto per poter spaziare con lo sguardo su quei bei paraggi. La Saale splendeva dinanzi a me come un grande lago, mille piccole stelle tremolavano su quella superficie incerta, una sottile nebbia dorata riposava sul paesaggio, i flutti della Saale risuonavano nella notte solitaria come i passi del viandante, talora assumendo il tono dell’arpa, altre volte quello del remare di una barca. Oh, quante volte ho pensato a te, quante volte avrei voluto averti al mio fianco! Alla fine sono salito sulle rupi nella zona più bella vicino a Giebichenstein: come si distendeva tutto così romanticamente davanti a me! Mi sentivo come se vivessi nel passato più remoto; le rovine del castello mi osservavano da lontano con tale fierezza, le rupi di fronte, quelle sopra di me, gli alberi che dondolavano, l’abbaiare dei cani, tutto era così terribile, tutto stimolava la fantasia in modo puro e nobile. Spesso mi sono seduto in uno stato a metà tra il sonno e la veglia, contemplando dolci sogni con un occhio, con l’altro

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i bei paraggi. Il calare della luna mi commuove sempre, scende così silenziosamente e così umilmente per far spazio a qualcosa di più grande, piena di così quieta pudicizia, eppure sembra di poter scorgervi la profonda mestizia per questo suo ritirarsi e per non poter risplendere ancor più luminosa – ah, perdonami! Vedi bene come sono incline a sognare, oggi. Il sorgere del giorno mi turba sempre, tanto è carico di aspettative e tutta la natura sembra prestarvi attenzione. Poi sono salito sulla rupe più alta. L’aurora illuminava tutto l’orizzonte; per dirla in breve: questa notte appartiene ai momenti più belli della mia vita, rimarrà indimenticabile. In quest’occasione ho imparato qualcosa, ho sentito qualcosa di cui prima ero ignaro e che non avevo mai provato. Forse ti ricordi che una volta ti ho promesso a Berlino di scrivere la storia delle emozioni e delle idee della mia fanciullezza: ora mi trovo spesso d’un umore che mi ricorda questa promessa. Prossimamente vorrei mandarti l’inizio di queste considerazioni, sempre che ti interessi tanto quanto in passato. —————— Mi ero prefissato di mandarti l’abbozzo del nostro Agnello, solo che non ho avuto ancora il tempo di scriverlo, ma appena l’avrò fatto, non è vero, mi aiuterai a lavorarci? Per quanto riguarda la mia sistemazione, vorrei spendere solo poche parole. Abito in una strada alquanto angusta, al terzo piano, ma non molto in alto, in una stanza non tanto grande che ha camera da letto. Spesso mi alzo dopo le 4, perlopiù dopo le 5; la domestica mi porta il caffè, il parrucchiere mi pettina, mi vesto e dalle 6 alle 7 ascolto le lezioni di psicologia empirica da Jakob,71 dalle 7 alle 8 esegesi da Knapp,72 poi dalle 9 alle 10 logica da Jakob, dalle 14 alle 15 antichità romane da Wolf.73 Tutte le lezioni mi interessano abbastanza, ma in particolare l’ultima. Poi vado dai Reichardt oppure a passeggio, oppure leggo o non faccio nulla, oppure sono malato, come a Berlino, e mi manca quasi sempre una vita sociale, anche se di questa ne ho comunque fin troppa e troppo spesso. Se escludiamo i Reichardt, c’è solo un individuo da cui vado volentieri e questo è Burgsdorff.74 Abbiamo ripristinato la nostra frequentazione e ora intratteniamo un rapporto davvero confidenziale. Dal momento che è ricco, vive in modo decisamente brillante. Abita sulla strada che porta a Giebichenstein, in questo periodo estivo non frequenta le lezioni, ma studia qualcosa per conto suo. È una persona estremamente ragionevole, molto più che a Berlino, anche se in effetti non è circondato dalla compagnia migliore. Io lo reputo ora davvero

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un uomo di ingegno e sicuramente sa fare tutto ciò che desidera. Immediatamente dopo la prima visita, non ho potuto fare a meno di leggergli qualcosa dei miei scritti, perché non voleva convincersi del fatto che non avessi scritto niente di poetico, ha ascoltato l’Anna Bolena (perdona la mia debolezza) e sono molto contento di me stesso per il fatto di avergliela letta. Infatti mi ha fatto delle osservazioni molto acute e interessanti in merito, in particolare riguardo al carattere di Enrico, ma anche sull’Alla-Moddin75 ho imparato alcune cose buone da lui. Possiede una grande perspicacia naturale e se la affina con lo studio potrà sicuramente ottenere grandi risultati in ogni materia. È possibile che facciamo insieme, prossimamente, un piccolo viaggio nello Harz: la mia salute sembra davvero richiedere un viaggio. A breve vorrei vedere sorgere il sole sul Petersberg; deve trattarsi di uno degli spettacoli più belli. —————— Do di nuovo una scorsa alla tua lettera e sono felice del fatto che tu ti sia intrattenuto così piacevolmente; continua così e in questo modo il tuo diletto sarà anche mio. Guardati dal lavorare troppo, tu puoi essere ancora felice, ma se ti troverai al punto cui sono giunto io, ogni desiderio è inutile: la vera melanconia lascia così poco libero il proprio prigioniero, quanto l’Acheronte. L’apparizione del fantasma arrogante ha fatto su di te un’impressione diversa da quella che avrebbe fatto su di me; vedo bene che tu sei più forte di me. Un’esperienza di questo tipo mi mette ogni volta in una condizione di melanconico sconvolgimento (come la definisce molto appropriatamente l’autore del Genio); avrei provato vero raccapriccio fino ad arrivare persino ad ammalarmi, perché per me spesso realtà e immedesimazione in previsione delle conseguenze sono una cosa sola. Spillner ha una camera da letto molto angusta in cui trovano posto al massimo un letto e una sedia, la porta ha una finestra di vetro. Recentemente sono stato lì, quando Carow e Köhler76 gli hanno fatto visita. Spillner e Köhler si sono seduti in questa camera angusta con un lume e io sono rabbrividito a tal punto, da trovarmi proiettato in una sorta di rabbia, giacché all’improvviso mi sono diventati entrambi del tutto estranei (è una sensazione che scatta in me facilmente) e hanno assunto un’aria folle. Mi diventa sempre più chiaro come la follia sia contagiosa e credo che anche le parole di Amleto debbano essere interpretate in questo senso «Quei tali vogliono davvero farmi impazzire!» Infatti credo che anche l’uomo (se ha nervi fragili) diventi davvero folle

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se per qualche tempo finge di esserlo, e Shakespeare è ancora una volta abile a costruire un contrasto tra il forte ed eroico Edgar e il debole Amleto. Che nessun attore sia davvero diventato folle dopo aver sostenuto il ruolo del folle?77 Di cose di questo tipo si ha ben poca notizia. Avrei timore per me stesso di un effetto simile. Sono convinto che lo scrittore che descrive un folle debba esserlo a sua volta. —————— Dunque non pensi davvero di venire a Halle? Non hai idea di quanto questo mi dispiaccia terribilmente, perché per molte regioni mi risulterà difficile separarmi da Halle. Probabilmente conoscerò qui molti professori, i Reichardt sono sempre estremamente gentili nei miei confronti e posso accedere a tutte le lezioni che voglio; per quanto marginale possa sembrare, questa resta per me una ragione valida. Ma probabilmente finirò per venire con te ad Erlangen, se non si può fare diversamente, perché preferisco stare con te laggiù, piuttosto che qui senza di te; sebbene qui Woltaer78 sia un giurista in gamba e famoso e tu non abbia niente da temere dell’atmosfera di Halle (che oltretutto migliora di giorno in giorno), perché io sono qui già da qualche tempo e non conosco nemmeno uno studente, né ve n’è alcuno, che mi molesti. Molti studenti, che da qui si sono trasferiti ad Erlangen, sono molto scontenti anche laggiù; infatti pare che di tutto ciò che si dice del posto, poco corrisponda al vero. Non potresti studiare almeno per mezz’anno a Halle? Di fatto mi renderà triste dovermi separare da questi magnifici paraggi, ma comunque ci penserai tu a compensare la perdita. Non puoi forse allontanarti da Berlino già per la fiera di San Michele? Non è possibile? Posso immaginarmi che manderai una risposta a questa lettera nell’arco di otto giorni (oggi è martedì)? Scrivimi spesso, ma davvero spesso, mi senti? Non hai idea con quale desiderio io resti in attesa di ricevere una tua lettera. Sei hai tempo e voglia, scrivimi più spesso, anche se non dovessi averti scritto io, perché tutto quello che viene da parte tua mi rallegra. Ti ringrazio di cuore per il fatto che le tue lettere siano sempre così lunghe; se posso, voglio ricambiarti in ogni occasione. Rispondimi presto! Il sipario, di cui mi parli, a mio parere è di cattivo gusto: la Gola! Deve essere oggetto di una tragedia o di una commedia? La storia di Saturno e dei suoi figli sarebbe un soggetto più apprezzato. Mi viene in mente in proposito il tuo compito per l’allegoria; questa volta

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io non posso scrivere nulla, ma prossimamente sì. Di recente mi hai richiamato alle mie responsabilità per quanto riguarda l’effetto del sublime; mi vorrei vendicare per questa cosa e darti un altro enigma da risolvere. Se hai tempo e voglia di pensarci, scrivimi qualcosa a breve sull’ingenuo.79 È un tema estremamente complesso di cui abbiamo già parlato al Tiergarten e al quale non ho osato accostarmi per molto tempo. Credo però finalmente di aver trovato qualcosa di solido sull’argomento, per cui scrivimi se anche in quest’occasione, come in altre, i nostri pensieri possano incontrarsi. Se non dovesse premerti particolarmente (infatti spesso il caso che ci porta a concentrarci su un’idea è molto più efficace della riflessione più intensa), voglio mandarti io a breve alcune osservazioni sull’argomento che, a quanto mi risulta, sono nuove. Potrai giudicare in merito. Dici che l’interpretazione della Engst in Il rapimento80 getterebbe un velo su tutti gli errori della pièce? Su tutti? A mio parere solo su alcuni, perché sei stato proprio tu a rilevarne uno molto pesante, ovvero la saccenteria (ma della stessa Engst) della nipote nei confronti del vecchio zio, la miserabile ironia sui padri: ecco, la sua recitazione non ha potuto davvero nasconderli. Ma come hai potuto sbagliarti tanto sul mio conto? Come hai potuto credere che io fossi in grado di offendere qui la tua giusta e tenera sensibilità, una sensibilità che testimonia in modo evidente la nobiltà del tuo cuore. Il passaggio che menzioni sarebbe bastato già da solo (se escludiamo gli altri errori) a rendermi invisa questa pièce. In generale non posso soffrire l’atteggiamento di chi si fa beffe e motteggia su cose onorevoli; getta un’ombra molto sfavorevole sull’autore che si impegna in simili testi e una ancor più sfavorevole nei confronti di un’epoca che si bea di questo tipo di spiritosaggini. La nostra costituzione non tollera più i Codro, Curzio o Scevola, la nostra costituzione borghese ha soffocato ogni forma di patriottismo, tutte le grandi virtù; sono rimaste solo quelle più miti e umane, per elevare l’uomo al di sopra dell’animale, ma anche su queste incombe la turpe minaccia della nostra frivolezza, avendo questa purtroppo maggior effetto sulla nostra epoca, di quanto ne avessero le guerre civili a Roma. Oh, perché non si manifesta nessuno scrittore che voglia soffocare questo scempio? Riscuoterebbe la gratitudine dell’umanità intera. Già il sentimento e l’amore, questi figli del cielo che esso concede solo ai suoi beniamini, sono segnati con il marchio d’infamia; amore filiale e rispetto profondo nei confronti degli anziani sono annoverati nella nostra epoca tra i grossolani preconcetti, il rispetto per la religione va bene solo per lo stolto – e non possiamo aspettarci dunque che a breve si faccia avanti un genio che renda ridicola l’amicizia tra

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Carlos e Posa? Questa è forse l’ultimo baluardo verso il quale non si è peccato. Se questa virtù viene sovvertita, rimane solo l’uomo con il suo nudo e miserabile egoismo – lui a bastare a se stesso, il miserabile! Senza virtù, senza entusiasmo – meno che un animale! Oh, vergogna dei nostri tempi! Cerca tra le pagine di Shakespeare, tra i suoi personaggi più dissoluti: non c’è luogo dove si dimentichi che i genitori e ogni anziano devono essere degni del più profondo rispetto. Questa dissolutezza era stata tenuta in serbo per la nostra epoca illuminata, perché noi siamo retti dalla ragione, non abbiamo bisogno di altra guida. Oh, maledetta la ragione che ci sottrae ciò di cui solo l’uomo può essere orgoglioso, che ci insegna che la gratitudine e l’amore per i genitori sono solo pregiudizi. Mi si chiami pure sciocco e banale, se mi accontento di essere un uomo. Non si può pensare a qualcosa che sia più di cattivo gusto della trovata: «Non ho mai avuto scontri con mio padre, eppure avevo già due mesi quando lui è morto!»81 Se questa non è una battuta sbagliata, devo ancora imparare quale sia quella giusta. Ma per quanto sia raffinata la recitazione, a mio parere essa non potrà mai nascondere gli altri errori della pièce come l’insopportabile e insulso Czelitzky, la stupida, ebete Hellmuth, il miserabile buffone Reinwald, lo zio, debole al punto da incutere disprezzo e soprattutto il ruolo della Engst, più insopportabile ancora di tutti gli altri. Devo confessarti che niente potrebbe essermi più inviso del frequentare una donna di tal fatta: ai miei occhi è una caricatura. È così insopportabilmente spiritosa, e allo stesso tempo sempre così conscia di esserlo, così pronta a sputare sentenze su cose che non capisce e innamorata in modo così nauseante! Leggi il ruolo di Beatrice in Tanto rumore per nulla82 e forse imparerai a distinguere la natura dalla fantasia del drammaturgo. Non ci si potrà mai interessare per un carattere stilizzato in questo modo; in Shakespeare viene posto in situazioni in cui questa spavalderia, questa irresponsabilità vengono messi in una luce amabile; questa giocondità serve solo a preparare alla commozione e Dio mi scampi che un solo tratto della mia Anna si trasformi in quello che è questa Charlotte, o come si chiama. Forse questa pièce ti ha indisposto meno, perché non conosci altre opere di Jünger, perché altrimenti avresti visto che non si tratta altro che della più disgustosa ripetizione delle sue opere, lo stesso plot, le stesse persone, le stesse battute di spirito. Hai visto niente di più innaturale di Lippert nello Reinald?83 Qualcosa di più irritante del balzo teatrale che fa quando gli manca il cibo? Eppure scommetto che l’intera platea ha riso. Perché quanto più innaturale, tanto meglio! Nel suo caso si tratta della regola. Oh, quan-

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to ha bisogno Berlino di un drammaturgo che dia una limata al suo gusto grossolano. Dove risplende un Lippert, Thalia potrebbe circolare a buon mercato su un carro. Fai in modo che io riceva presto il resoconto tuo e di Bernhardi sulla Anna [Bolena]; me ne rallegro già perché sono abbastanza presuntuoso da desiderare di rendere per quanto è possibile perfetta quest’opera. Perché Rambach non mi scrive? Ricordaglielo, mentre tu te ne ricorderai certo da parte tua. Saluta lui e Bernhardi, e dì pure a quest’ultimo che gli scriverò al più presto. Stai in salute e stai allegro, stai bene e pensami e scrivimi. Tieck Non posso fornirti una documentazione soddisfacente sull’allegoria;84 le cose migliori si trovano ancora in Winckelmann, Lairesse e du Bos85 hanno scritto a loro volta sull’argomento, Sulzer86 ha fatto delle buone osservazioni in proposito, ma tutto quello che scrive costui è così gelido e superficiale, così poco filosofico, come lo sono tutte le cose di suo pugno in quest’ambito. Mi sembra che uno sviluppo dell’allegoria sarebbe più adatto nelle belle arti che nel testo poetico. I grandi poemi allegorici, secondo me, sono delle assurdità. L’allegoria sul sipario, in base alla tua descrizione, non è affatto un’allegoria, è un’insensatezza che deriva da un miscuglio di cose, fatta di un insieme di contraddizioni. A che cosa servirebbero altrimenti la musa comica e quella tragica e poi ancora la dea della drammaturgia? Non si è qui nel rispetto del mondo antico, invero, e se poi i poeti non più degli attori strappano la maschera al vizio, a che servono le virtù al seguito dell’arte drammaturgica? A che servono mai, allora, le virtù? A che scopo queste persone allegoriche, queste virtù e quest’arte drammaturgica in duplice copia? Una delle due è evidentemente superflua: non è forse vero che l’arte drammaturgica può fare da sé, sennò a che scopo esiste? E se la divinità agisce per conto suo, a che scopo ci sono le virtù? E come sono penetrati nel tempio i vizi? Già la scena teatrale rappresenta un’immagine della vita e dunque non si sarebbe dovuta scegliere un’allegoria composta di tanti elementi. Sono questi vizi e queste virtù che fanno sì che io non colga il senso complessivo; sarebbe stato bello se mi avessi mandato con la lettera l’annuncio stampato. Che senso hanno in generale l’antica idea di virtù e di vizio nel dramma? Ho sempre l’impressione che l’abbia inventata un sacerdote indulgente per dissimulare in questo modo la sua frequentazione del teatro. Il dramma è bello in tutte le sue parti, l’utilità morale è solo casuale, e nella misura in cui ogni forma di bellezza affina e nobilita il nostro senso estetico, nella stessa misura ogni arte bella esercita una diretta influenza sul nostro carattere. Non mi ricordo di un pittore

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che avesse già trattato questo pensiero come allegoria, anche se a mio parere essa ne sarebbe degna e anche se non dovrebbe rappresentare una difficoltà insormontabile rappresentare la più particolare influenza dell’opera teatrale appunto in maniera allegorica. Voglio scrivere a Wißmann e lo farò a breve. Nel frattempo ho conosciuto un gran numero di persone buone, che non erano felici e che non avrebbero mai potuto esserlo. Povero colui il quale rinunci alle fanciullaggini di questo mondo: deve pagare caro questo disprezzo! Credimi sulla parola se ti dico che Bernhardi è estremamente suscettibile; una volta l’ha ammesso anche lui, quando gliel’ho chiesto, mentre gli elementi su cui tu basi la tua convinzione contraria non sono convincenti. Tuttavia vedo che lui non mi ha ancora inquadrato veramente, per quanto mi dovrebbe conoscere abbastanza bene. Non mi merito affatto il rimprovero della ritrosia che lui mi rivolge. È evidente che Rambach e Bernhardi sono amici più intimi, di quanto fossimo io e Bernhardi: perché mai dovrei dunque imporre il mio biasimo a Bernhardi, se non fosse per il fatto che mi sia sentito superiore a Rambach, e non sarebbe, questa, una forma di gretta arroganza? Quando ha incominciato ad affrontare la questione, gli ho sempre esposto con decisione la mia opinione in merito. Se però avessi lodato diffusamente Rambach, non sarebbe accaduto di nuovo, come se desiderassi che Bernhardi lo riferisse a Rambach. Ai miei occhi però questa iniziativa sarebbe stata molto simile al desiderio di blandire, o forse Bernhardi avrebbe potuto credere che io volessi blandire direttamente lui, dal momento che dai meriti dei nostri amici più stretti ricade sempre qualche beneficio anche su di noi. Il mio errore è stato dunque, in generale, quello di aver usato un’eccessiva delicatezza. Se ne hai l’occasione, cerca di fargli intuire qualcosa in proposito, per liberarmi da quel rimprovero che offende sia me che lui. La famiglia Reichardt ti saluta con molta cordialità. Hensler studia a Kiel, adesso. Reichardt ha letto il Teseo87 di Rambach e io suo giudizio coincide quasi del tutto con il tuo. Vi trova molti versi belli, ma anche altrettante asperità; considera piuttosto algida la scena di Teseo e Arianna in giardino e dice che se vi fosse un compositore consapevole di quello che suscita un buon effetto a teatro nel canto, gliene cancellerebbe almeno la metà. Ti auguro ogni bene. Addì 12 giugno

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Sii gentile e trasmetti le lettere accluse. Non avertene a male.

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8. A Tieck: [Berlino], 15 [e 16] giugno [1792] Martedì, 15 giugno, di sera. Inizio a scriverti questa lettera con gli occhi umidi di pianto. Oh Tieck, mi hai già spremuto alcune lacrime; mille dolci lacrime, per cui non avrei desiderato tutti i tesori del mondo, ma anche lacrime amare e aspre, che mi hanno fatto bruciare gli occhi e che hanno suscitato in me una simpatia melanconica. Da tempo non mi hai scosso come con la tua ultima lettera. Se sai come echeggia violentemente un tale rombo di tuono, una tempesta che minaccia la tranquillità di un amico echeggiando nel cuore della sua altra metà, se ti puoi immaginare come è stato spaventoso e come vividi stanno dinanzi a me tutti i tratti e le immagini che la tua penna così fugacemente audace schizza sulla carta, allora potrai percepire come ciò che osi raccontarmi abbia riversato sulle mie membra la pioggia più gelida e abbia fatto sussultare violentemente tutti i miei nervi. Vivaddio! Sull’orlo di quale spaventoso abisso ti sei trovato! Oh Tieck, Dio non voglia che la nostra amicizia, che dovrebbe costituire un esempio di felicità umana, diventi materia per una tragedia. Per tutti i santi del cielo, quale demone si diletta mai a renderti infelice? Non so come la mia lingua si debba rivolgere a te: rimane paralizzata. Ma io ho assolutamente il dovere di lanciare un grido di allarme mentre percorri queste false piste, irte di pericoli; vorresti, – oddio, come siamo arrivati a questo punto. Non tener chiusi gli orecchi, mentre ti parlo con voce forte: lo devo fare. Parla! Sono forse io così necessario da trattenerti con decisione dalle situazioni di smarrimento e da voluttuose e pericolose sregolatezze nei piaceri dello spirito? Schmohl è davvero un’immagine di marmo così fredda, muta e insensibile? Ti prego, per tutto ciò che ti è sacro: utilizza un granello della tua ragionevolezza e osserva quello che hai fatto. Che terribile iniziativa, quella di leggere due volumi di seguito, in un pomeriggio e una notte, tutti di un fiato! E non basta! Si tratta di un’opera che scatena in misura estrema tutt’intorno la fantasia, superando i confini della coscienza! Com’è possibile che tu stesso non ti riconosca? O sacrifichi forse a un cupido desiderio, a un capriccio, la possibilità di ottenere risultati straordinari da te stesso; sacrifichi il tuo appagamento, di cui prevedi la distruzione? Tieck, mi vergogno e mi maledico per dover usare tali espressioni, ma non posso fare altrimenti. Ciò che è morto, l’essenza senza vita della lettera, può compensare la durezza delle parole. Schmohl è davvero così poco preoccupato della

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tua persona? Come si può concepire che essendo nella posizione di doverti sempre ascoltare, si addormenta alle tue parole come se fossi una macchina parlante, appisolandosi tranquillamente? Tieck, avrei voluto sacrificare molte cose, se solo la mia amicizia potesse pretendere da te una cosa sola. So che non tieni in gran conto la vita, che ti consideri uno che si muove in un mondo di morti, che vive con indifferenza in una condizione media e che osserva le cose intorno a sé come dalla tomba, come attraverso la grata di un tetro ambiente a volta; che sei uno che senza pensarci infligge al proprio corpo e alla propria anima delle penitenze solo per rispondere al cattivo umore e che tratta se stesso come una persona indegna, perché pensa di non aver nulla da perdere. Quando guarirai da questa infelice malattia? Oh, se solo potessi chiamare a raccolta tutta l’eloquenza che in ogni angolo del mondo ha piegato di volta in volta i cuori umani e concentrarla in un punto e potessi come per mezzo del raggio di sole dello specchio ustorio illuminare il tuo cuore smarrito con lo splendore della verità! Tieck, ti supplico per tutto ciò che ti è sacro, per la forza divina che anima il mondo e la cui favilla arde nella tua anima, ti supplico di chiedere consiglio alla tua ragione stordita. Ti avventi incessantemente sulla salute del tuo corpo e della tua anima, – e così, come puoi provare altro che disagio? In un attacco di spaventosa melanconia, il pensiero di distruggere l’intima essenza del sacro segreto della vita, di cui solo la natura possiede la chiave, questo pensiero ti aleggerebbe intorno e solleticherebbe affettuosamente in una luce serena la tua figliola prediletta, la fantasia, se la melanconia vedesse la ragione attendere con ansia davanti al suo trono come una mendicante in lacrime. Ma qui, qui è il tempo di fare appello al tuo amore! Qui pongo ai tuoi piedi la nostra amicizia e devi sovvertire questa stessa amicizia, prima di poter assaporare le gioie avventurose, magiche e ristoratrici di una vita senza vitalità o del non essere stesso. Oh, raccogli le tue forze caro amico, in questi istanti ti devo attaccare con l’orgoglio più ardito, con il sentimento della massima ansietà ti devo riportare sulla carreggiata della comune riflessione. Ma certo è tutto assurdo ciò che scrivo, non tieni in minima considerazione ciò che dico, non mi ascolti. Devo forse attaccarti con più delicatezza? Devo forse mostrarti nello specchio del futuro i giorni pieni di lacrime, lo sventurato destino che mi perseguiterebbe se tu, insofferente all’idea di seguire il corso di una natura che procede lentamente o per desiderio di diventare un grande intellettuale, ti rendessi sempre più infelice? E sono forse il solo? Non hai idea di quanto, ad esempio, Bernhardi ti ami, io invece sì. E tu, tu Tieck, potresti essere sufficientemente sconsiderato, per una

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forma di spavaldo umorismo, per una semplice misera voglia, per bramosia, per toglierti un piccolo insulso piacere, da fare qualcosa che rende infelici i tuoi amici per tutta la durata della loro vita, disseminando di miseria la loro esistenza serena e, per mezzo loro, propagando nel mondo che li circonda ancora sentimenti cupi e melanconici? Tu pensi, «voglio vedere se sono in grado di leggere in una sola serata il libro intero, vorrei sapere se potrei reggere un lavoro protratto per molte notti di seguito o in uno stato di forte eccitazione della mente, avrei voglia per una volta di percorrere 14 miglia in un giorno, mi piacerebbe per puro divertimento arrampicarmi in una notte assolutamente buia nei punti più impervi delle rocce di Giebichenstein», e mille altre cose di questo tipo. Spaventoso! I capricci del tuo umore, che vogliono essere soddisfatti con il misero godimento di un’ora piacevole, i tuoi capricci devono diventare l’idolo al cui altare vuoi uccidere l’amicizia, la felicità di uomini veri che hai illuso di amare, di amare sopra ogni cosa? Vorresti gettare i nobili sentimenti che noi ti abbiamo consacrato, tutte le beatitudini che il tuo sempre crescente potenziale intellettuale ci ha promesso per il futuro con un sorriso insulso e girando il capo all’altra parte nel tremendo oceano del nulla? Tieck, un angelo ti grida per tramite mio: conservati, preservati, sii felice per il desiderio dei tuoi amici! Mi ripugna averti dovuto dire cose così detestabili. Leggi velocemente questa mia e strappala – strappa la carta e le parole, ma il senso che ho voluto imprimerti nel cuore per mezzo di questo guazzabuglio di espressioni grossolane, imprimitelo nel profondo a lettere di fuoco. Tutto, tutto testimonia il mio intimo amore per te e vedrai questo, se mi conosci e mi degni di scrutarmi a fondo, trapelare chiaro e splendente anche attraverso tutti i vibrati rimproveri che ti ho sempre fatto. Ah, pensavo che saresti vissuto più lieto a Halle; non mi sarei aspettato davvero una tua ricaduta, ma cosa dico, il tuo persistere nella melanconia. Mi hai instillato un senso di profonda afflizione. Mi sorgono davvero di nuovo le lacrime agli occhi: Tieck, non ti sei dimenticato completamente che molti anni or sono hai provato diletto in mia compagnia? O sei in grado di ricordarti che nella tua vita hai riso più di una volta? Santo cielo! Forse è la separazione da me, dal tuo amico, la causa del tuo umore riprovevole? Vuoi iniziare proprio adesso a darmi motivo di dolore con un comportamento oppositivo, nel momento in cui incomincio ad applicare i tuoi insegnamenti di imperturbabile indifferenza nei confronti delle piccolezze della vita volgare? Mi duole nel profondo provar desiderio di avvolgere il mio migliore e unico amico con un nero mantello da lutto! Perché il mio

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amico è infelice! Oh, se la preghiera accorata che rivolgo al cielo potesse ottenere ascolto! Tieck, è necessario che la tua situazione migliori, che diventi migliore, dico – non lanciare sguardi di sbieco verso il triste luogo che circonda la chiesa, in cui si ergono tumuli e croci e dove cresce la livida artemisia88– no, è meglio restare in questa vita. Forse che il cielo ti ha fornito di una mente sublime solo perché tu ti possa tormentare? E, data questa premessa, vuoi trascorrere il tempo a contrastare la tua supposta disposizione all’infelicità? Non è possibile, Tieck! Sei un angelo! E dovresti essere dunque eternamente infelice? —————— Sabato, a mezzogiorno. Anche la tua risposta circa i miei dubbi sulla scelta di un’accademia mi ha alquanto stupito. Non me la sarei aspettata così. Convinci il mio cuore di quanto ti farebbe soffrire strapparti alla tua situazione a Halle e tuttavia, con una freddezza, con un’asciuttezza che mi hanno spaventato, perché sembrano essere il frutto di un umore pieno di disperazione, aggiungi che alla fine saresti disposto a venire con me ad Erlangen. Pensa bene a quello che fai; consigliati attentamente con te stesso, prima di osare decidere qualcosa che, sulla scorta della fretta, potresti rimpiangere di aver fatto. Non essere in collera e (cosa che sarebbe mille volte peggio) non fraintendermi, non sospettare che io ti possa nascondere nulla che si celi sotto questa cautela. Questo è un punto del quale devo discutere con te con la più nuda franchezza. Allora lo ripeto: rifletti bene prima di decidere; e per amor del cielo non pensare che io voglia turbare al momento sbagliato, per maligna freddezza e per sottigliezza, l’effetto dell’amore appassionato che nutri nei miei confronti. Ciò che ti dico è inteso per il tuo massimo bene. Fino a Pasqua potrai trovare a Halle crescenti comodità, potrai trovarti coinvolto in piacevoli relazioni e avrai occasione di intessere alcuni bei rapporti. Dunque esamina a fondo nel tuo cuore se sei abbastanza forte da sacrificare tutto per accondiscendere ad un solo individuo dal quale verresti comunque separato di nuovo nell’arco di uno o mezz’anno, per trasferirti 30 chilometri più all’interno della Germania. Nulla mi potrebbe addolorare maggiormente, se tu fraintendessi questo comportamento e fossi indotto a credere, anche solo per un istante, che il mio amore per te potrebbe risultare ridotto anche solo di un granello. Mio padre ritiene che forse non ti dispiacerebbe di aver visto un parte più ampia della Germania e di aver vissuto per un certo tempo ad Erlangen. Dunque, forse il cielo ci è propizio. Se solo

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fosse possibile che la mia presenza fugasse tutte le nubi che oscurano la tua fronte! Ma poi di nuovo la separazione! Che fulmine sarebbe per entrambi! Ma non accetto sacrifici da parte tua, Tieck! Non voglio portare il peso di una tale colpa! E se in futuro dovessi guadagnarmi anche una porzione più ridotta di amore e tu potessi ridurre un poco il tuo amore impetuoso, – ma, dove voglio mai andare a parare. Oh, non è concesso che possiamo essere felici insieme? Ebbene – forse! La speranza non mi deve mai abbandonare. E mi auguro che stia accanto anche a te! —————— Perdonami, se la mia lettera è impetuosa e singolare. Ti bacio dolcemente e ti prometto, se solo è possibile, di scriverti nel primo giorno utile per la consegna della posta. Dio sia con te. W. H. Wackenroder 9. A Tieck: Berlino, 18 [e 19] giugno [1792] Berlino, 18 giugno, lunedì sera. Dal momento che ho promesso di scriverti di nuovo, difficilmente posso deludere la tua aspettativa. Considero una simile promessa come il mezzo più potente per indurmi a fare qualcosa, caso mai l’impegno a pensarti, che è la cosa più dolce per me, avesse bisogno ancora di legarsi a un obbligo. In verità, come sento, ti avrei scritto in ogni caso almeno un paio di righe se anche avessi avuto impedimenti che mi avessero sottratto molto tempo, perché io stesso so fin troppo bene cosa significhi attendere inutilmente e vedere deluse le proprie speranze certe. Ma gli impedimenti e le dispersioni mi sono ora venuti a noia fino al disgusto. Ti posso offrire una grande consolazione dicendoti che puoi godere del tuo tempo come più ti piace e nella più gradevole indipendenza, mentre io sono continuamente disturbato, nel mio desiderio di scegliere a piacere come ristorarmi e come intrattenere rapporti di maggior soddisfazione, da questioni amministrative e da passatempi ingombranti, dal mio corpo indolente, abituato a un sonno imperturbabile, e dalle relazioni moleste con alcuni dei miei conoscenti. Amo molto Rambach e Bernhardi. Finora conosco di gran lunga meglio il secondo e oltretutto gli sono affezionato maggiormente di quanto non sia all’altro. Mi sono stupito, di recente, di aver riscontrato in lui una così grande somiglianza con te per il fatto che ha voluto rivelarmi qualche aspetto segreto della sua personalità

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e ha voluto intrattenermi con alcune considerazioni raffinate. Sappi che costituisci un oggetto prediletto della nostra conversazione e convinciti, per quanto ti dico, che ti stima nel profondo e che parla delle sere che hai trascorso con lui ricordandole nel modo più partecipe e gioioso. Da un paio di settimane a questa parte sono stato a teatro con lui due volte e in entrambi i casi gli sono stato accanto, nelle prime file, al centro della sala. Quando mi capita di avere al mio fianco un individuo di cui so che prova le stesse emozioni profonde che provo io, – bene, non so dire esattamente, ma mi sento sempre veramente a mio agio e nella confusione della massa degli spettatori sono così felice, che è come se mi trovassi solo nella mia stanzetta con un amico. Se però mi trovo nel parterre completamente perso e solo, circondato da gente che ride, che fa battute e che si comporta in modo sciocco, tutto mi sembra triste e desolato. Con nessuno, però, come con te, questo sentimento è stato così forte e chiaro: quando ti prendevo sottobraccio mi sentivo bene come quando potevo, la sera, finalmente buttarmi a letto dopo la spossatezza tipica di una grande fatica o come quando mi mettevo in salvo nella mia stanzetta dalla tempesta invernale e dalla pioggia. Le due opere cui ho assistito, e apri bene le orecchie perché sto per dirti qualcosa di clamoroso, sono Intrigo e amore89 e Elise von Valberg90 di Iffland, un dramma in cinque atti. Non appena il secondo, che è ritenuto il capolavoro dell’autore, fosse disponibile a stampa, leggilo senz’altro. Comunica più un senso del sublime piuttosto che commozione, se lo confrontiamo con Gli scapoli impenitenti, e possiede un’azione di gran lunga più vivace e più veloce. Niente supera l’interesse che suscitano qui le situazioni, l’impronta originale di alcune grandi scene, l’effetto che viene evidenziato dai piccoli tratti e niente ha superato, in occasione della rappresentazione cui ho assistito (che è stata anche la prima assoluta) la recitazione di Fleck, della Unzelmann, di Garly (conosci questo esordiente pieno di talento?) ecc. Anche Czechtizky91 e la Baranius hanno certamente recitato in modo molto bello e Mattausch è riuscito quantomeno, da parte sua, a controllare i suoi gesti. Quando l’innocente e disinvolta Elise si è trovata a parlare con la principessa, quando la ragazza semplice e aperta ha trovato il coraggio di dire le cose che le stavano a cuore, che un conoscitore degli uomini e della corte non avrebbe osato neppure pensare in questa occasione, quando ha convinto la principessa di essere assolutamente pura e di non essere stata violata dal principe, ricordandole d’altra parte il suo obbligo in qualità di moglie ed esibendo in sua presenza la propria freddezza e il proprio orgoglio nei confronti dell’uomo, ho dovuto pensare alla scena di Misura per misura92 in cui, allo stesso modo, la timida ragazza esprime il suo fervore davanti al duca. La pièce è assolutamente compiuta e ben configurata, così come del tutto naturale il suo svolgimento. Vorrei aggiungere qualcosa che non ti ho ancora detto. La finezza e la delicatezza con cui si esprimono i personaggi è insuperabile e inimitabile. Si possono citare ad esempio la scena del commiato tra Elise e Witting e la scena della riconcilia-

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zione tra il principe e la principessa. Intrigo e amore ha avuto su di me l’effetto sperato: forte, incredibilmente forte. Mi sono rallegrato di aver compreso tutto meglio di quanto non fosse successo alcuni anni fa, quando l’ho letto. Mi ricordo molto bene che all’epoca non fui in grado di capire questi versi di Goethe: «Non asciugatevi, non asciugatevi,/ lacrime del sempiterno amore! Oh come a occhi che vanno asciugandosi/il mondo appare squallido, smorto!».93 Ma non appena provai il sentimento dell’amore nel suo fiorire più bello, nella sua innocenza più pura e più ignara di sé, nella veste seduttrice con la quale lo sospingono i più nobili e dolci trovatori, allora ho sentito dentro di me anche ciò che quei versi volevano dire. Così si allarga a poco a poco la cerchia delle sensazioni e nelle cose in cui prima il cuore restava freddo, ora il sangue si sente spinto più rapido e caldo attraverso le vene. Questo è all’incirca quello che mi è successo in alcuni momenti dell’opera di Schiller. L’ho trovata divina e appartiene ai pochi trionfi che innalzano il glorioso poeta verso la cima più alta della fama. Chi è riuscito mai a dipingere l’emozione con più forza di quanto non abbia fatto lui, nella scena in cui il padre si lascia strappare dalle mani la donna amata dal figlio? Questa scena mi ha scosso nel modo più terribile. E il finale! Non si può immaginare una tensione maggiore delle passioni! Sento che se fossi stato al posto di Ferdinando, davvero, Tieck, non avrei potuto agire in modo diverso. Cosa ne pensi? Fleck,94 gli Unzelmann,95 Herdt,96 e in modo particolare anche Unzelmann nel ruolo di cameriere, hanno recitato magnificamente. Kaselitz non si presenta in modo particolarmente distinto ed espressivo e la Engst non mi è parsa del tutto adatta a ricoprire il ruolo originalissimo e complesso della signora inglese.97 La sua bocca insiste nell’atteggiarsi in un impercettibile sorrisetto, dai suoi occhi, che spuntano sotto le sopracciglia scure, balugina un non so che di spavaldamente astuto, la sua voce vuole sempre lasciarsi andare con un dolce accento a scherzi ameni; e questo carattere che le è innato, come sembra, traspariva sempre, anche quando si dava pena di gesticolare in modo appassionato con il braccio e di modulare con la propria voce i toni più appropriati a un’emozione genuina e sublime. La vera lingua schilleriana, spesso, è lo slancio più ardito della poesia. Ho letto il Groß-Cophta (Il gran Cofto)98 di Goethe, in cui ho trovato molte cose amabili. Ho anche letto tutte le poesie di Pfeffel,99 che contengono alcune favole graziose e conformi allo scopo, ma anche alcune cose che non incontrano il mio gusto: ad esempio romanze composte secondo un stile vecchio e un taglio usuale; racconti banali e sciocchi; racconti brevi che stanno lì, nudi e crudi e privi di interesse, e non si capisce perché siano stati compressi in un numero limitato di versi. Infine si trovano molte spiritosaggini insipide e insulse che vengono spacciate per epigrammi. Che solo non ci si dia pena di falsificare un simile denaro corrente, generico e volgare, quale sono gli

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epigrammi! Tra l’altro, Pfeffel mi sembra l’unico poeta cieco che non mostra alcuna traccia di oscura fantasia, ma che cerca piuttosto di rasserenare con il proprio buon umore se stesso e gli altri. Come mai questa cosa? È già un buon segno! Mi fa piacere che Burgsdorff sia ritornato in forma. Salutamelo molto caramente. Sarò sempre lieto di avere tue notizie e ciò avrà il valore di sacro pegno della nostra perdurante amicizia. Bernhardi ha il progetto, se riesce a liberarsi dagli impegni, di andare a Halle durante le ferie estive e già si rallegra di vederti. Era già in attesa di una tua lettera. Io gli ho dato la tua e ho dato la tua lettera anche alla tua cara sorella. Perché non scrivi più spesso? Caro Tieck, non dimenticarti di scrivere a lei e ai tuoi genitori. Mi senti? Tua sorella lascia trasparire una sensibilità così buona e dolce e così tanto amore e dolcezza nei tuoi confronti! —————— Martedì a mezzogiorno. In realtà non ho ancora avuto molto tempo per riflettere sull’”ingenuo”. È un oggetto di riflessione molto più complesso che interessante. Bernhardi ha in mano adesso la tua Anna Bolena. Gli succede quello che accade anche a me: gli riesce difficile biasimare qualcosa o proporre delle migliorie. Io mi sono impegnato per quanto è stato possibile, ma credimi, non trovo nulla da eccepire. Di giorno in giorno capisco sempre meglio il secondo atto e lo trovo sempre più bello. Trovo eccellente l’idea che alla fine Anna voglia fuggire solo per piacere al suo Enrico; solo per il suo bene, perché la sua presenza non lo disturbi. Che motivo straordinariamente raffinato, convincente e commovente! Stai bene e prenditi cura della tua salute e della tua soddisfazione personale. Scrivimi a breve, caro Tieck. Il tuo amico eterno W. H. Wackenroder

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10. Tieck a Wackenroder: [Walbeck presso Hettstedt], [nella notte dal 24 al 25 giugno e [Halle], 19 giugno 1792 Sabato, 23 o 24 giugno. Carissimo Wackenroder, ho ricevuto con somma gioia le tue lettere e ho evinto soprattutto dalla prima quanto mi vuoi bene. In linea di massima, sono già abituato al fatto che mi si fraintenda, ma noi, carissimo Wackenroder, non dovremmo fraintenderci. Non pensare che mi voglia dar l’aria di essere migliore di quanto non sia veramente. Conosco a sufficienza i miei difetti e le mie debolezze, ma ho abbandonato almeno questa debolezza. Dunque mi ritieni uno stolto, uno dei massimi stolti, un bambino che prima va a sbattere intenzionalmente la testa contro il muro e poi corre incontro a questo e a quello per lamentarsi che sente dolore? Il fatto che io mi sia ammalato, questa volta, non è davvero dipeso da me: niente a che vedere con la caparbietà che qualche volta ho avuto modo di constatare nella mia persona, dato che non mi conoscevo ancora a sufficienza e che mi sono attribuito molte più energie di quanto io non possieda nella realtà; dunque non si è trattato di uno sbaglio a priori. Ho esplicitato a te e a nessun altro le mie emozioni, dal momento che abbiamo pattuito di comunicare con la massima franchezza nel nostro scambio epistolare. Non odio più la vita, da quando ho degli amici che mi trattengono con le catene più amabili, da quando ti conosco, da quando so che forse mi attendono degli obblighi seri, che non devo uccidere le speranze come un maligno; i miei genitori mi amano e quindi la mia morte sarebbe anche la loro. Questo vale anche per mia sorella. Verrà forse un momento in cui potrò risarcirli di ciò di cui sono loro debitore e il pensiero di alleggerire la loro fragile vecchiaia fa parte dei miei sogni più belli. Vedi bene che se provo tutti questi sentimenti è difficile che io sia il superficiale che tu ritieni veramente che io sia, che io mi meni vanto di una facoltà che non mi è propria. Se io fossi solo al mondo, lo confesso, mi chiederei: a che vale tutto questo? Voglio interrompere però qui questo pensiero perché oggi sono stato, perfino, felice, per una volta, molto felice. Non trascurare di leggere la seconda parte del Genio, perché è meglio della prima. Ti ho già consigliato questo libro e il Tasso, ma ora ti voglio consigliare ancora un’opera più caldamente del Tasso e del Genio, ovvero la Estelle100 di Florian. Si tratta di un romanzo pastorale, un vero capolavoro, ma è necessario che tu mi invii un tuo parere sul questo testo, perché mi ha commosso più di una volta fino alle lacrime. Ti raccomando però di leggerlo in francese, perché la traduzione tedesca difficilmente ti procurerà anche solo un terzo del piacere che ho provato costantemente. Spesso è ingenuo e alcune volte ingenuo in modo commovente, ma tra tante idee molto ingenue ne

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vorrei evidenziare solo una: un pastore deve rimanere per un certo tempo separato dalla sua amata e perché questo tempo trascorra più velocemente, alla sera conduce molto prima degli altri pastori le pecore alla stalla, pensando che se la sera verrà anticipata, anche la mattina giungerà prima. Già questo aspetto dovrebbe motivarti a leggere tutta l’opera e oltretutto questo è necessario, se abbiamo (intendo dire tu) ancora intenzione di scrivere l’Agnello (per il quale ti mando magari già con questa lettera il progetto). Qualche tempo fa ho letto anche il Gran Cofto e devo confessare che non mi è piaciuto un granché; l’intreccio è molto buono, i personaggi sono ben sviluppati nei loro caratteri, e tuttavia sento la mancanza di quei tratti distintivi del grande genio che traspare in tutte le altre opere di Goethe. Avrei potuto smettere di leggerlo in qualsiasi punto lo desiderassi e oltretutto lo sviluppo della storia mi pare alquanto rigido e troppo serrato. Anche il carattere di Cagliostro avrebbe potuto essere tratteggiato in modo da non lasciar scorgere allo spettatore l’aspetto grossolano dei suoi intrighi, e poi che pallido rapporto intrattiene mai la sua storia con quella delle altre persone? In Intrigo e amore Fleck non mi è mai piaciuto neanche un po’ meno di tutte mi sono piaciute le scene con Louise, mentre recita divinamente nelle ultime e alla fine del secondo atto. Kaselitz e Reinwald sono forse criticabili. La Unzelmann se la cava abbastanza, mentre Herdt in modo eccellente (tutto questo secondo la mia personale opinione).Ti sei accorto che Schiller ha commesso un errore rilevante tratteggiando la personalità del segretario Wurm? Ti ricordi forse che una volta abbiamo ammirato insieme il fatto che i malvagi di Shakespeare non sono suscettibili di essere odiati? Non è questo il caso. Viene odiato a tal punto, che è proprio lui a disturbare l’illusione, proprio perché è esageratamente abominevole (infatti, ai miei occhi, è ancor più abominevole di Franz Moor, che pure fa ancora lo sforzo di pentirsi), soprattutto nella grande scena in cui detta una lettera a Louise. Voglio leggere prossimamente l’Elisa von Wallberg [sic!],101 che so da tempo essere un capolavoro. Nel caso che tu vada ad Erlangen, ti accompagnerò sicuramente e anche in questo mi hai frainteso, se hai considerato questa manifestazione, nella mia lettera, come l’atteggiamento di una fredda, rassegnata, disperazione; si trattava invece del risultato della mia riflessione sul fatto che qui non mi può trattenere nulla. Non ho legami tali da procurarmi dolore in caso di partenza, perché in te trovo cento volte tanto ciò di cui ho bisogno: qui manco persino troppo a me stesso in tua assenza. Hai idea del luogo da cui ti scrivo questa lettera? Da un’osteria a Walbeck sulla strada per Gernrode, dove intendo far visita a Burgsdorff. Ti ricorderai bene che mi volevo confezionare (per usare ancora una

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volta, di nuovo, questa bella espressione antica) un breve viaggio nello Harz e che poi una malattia mi ha trattenuto per otto giorni dal partire; dunque, oggi mi sono messo in viaggio. Accanto a me si fa musica e si balla, per cui do la colpa a questo e all’osteria se ci sono delle scorrettezze, un uso della carta di cattiva di qualità ecc. – Dunque non riceverai adesso la lettera, ma resta ferma la mia intenzione di spedirtela. Caro Wackenroder, è il viaggio che mi ha reso così contento, l’attività fisica ha rimesso molto più velocemente in movimento il mio sangue e le cose che vedo, il mio spirito. Dormi bene, io sono molto stanco. —————— 19 luglio 1792. Sono trascorse già quasi quattro settimane dalla lettera precedente e io sono di nuovo a Halle da tre. Perché non mi hai scritto? Attendo la tua risposta adesso, e al più presto. Sii gentile e consegna a mia sorella il biglietto. Mi dilungherò maggiormente in seguito, perché oggi non mi sento tanto bene. Il tuo Tieck. 11. A Tieck: [Berlino], 20 luglio [1792] Venerdì, 20 luglio. Mio dolcemente amato Tieck. Finalmente ho di nuovo tue notizie. È certo che ti avrei scritto a lungo, molto a lungo, se non fossi stato preso da mille impegni differenti. Ho dovuto davvero usare tutto il mio intelletto e il mio potenziale di autoconvincimento, vale a dire tutta la mia flemma, per non inquietarmi troppo a causa del tuo lungo silenzio, che mi ha procurato a lungo uno stato d’ansia. Dal momento che sospettavo che saresti andato nello Harz, non ero certo che la mia lettera ti accogliesse una volta ritornato a Halle. Nel frattempo, mi sono aspettato una lettera da te e oggi più che mai, e sono dunque intimamente felice di non essermi sbagliato. Ma credimi sulla parola se ti dico che, se avessi osservato ancora a lungo il silenzio, non avrei avuto il coraggio di fartene una colpa; davvero non l’avrei fatto. Dalla tua ultima lettera ho pensato spesso a te con un misto di dolce commozione e di viva emozione; sono particolarmente felice perché vedo che anche tu pensi ancora a me, con una partecipazione interiore che sono in grado di riconoscere davvero nel tuo linguaggio scritto solo da quando sei distante.

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Perdona, in nome della amicizia che ti serbo, se nella mia penultima lettera l’umile espressione della mia grande stima ha assunto il tono imperioso di chi fa aspri rimproveri. Sono certo che mi hai già perdonato. Sono consapevole di come male mi si acconci questo tono e come i miei sentimenti ne risultino orribilmente deformati. Ma l’occasione che ha dato luogo a questa discussione mi ha scosso così violentemente, ed è dunque meglio che su questa questione cada l’eterno oblio. È possibile che il tuo malessere non sia stato un frutto della temerarietà che qualche volta, almeno nei pensieri, ho avuto modo di biasimare in te; ma sarai tu stesso ad ammettere che hai sofferto in generale di questa macroscopica debolezza (Tieck, in nome del cielo perdonami se la chiamo di nuovo debolezza; non potrei dirti una cosa simile in faccia e non so perché io mi autorizzi a scriverlo). L’unica intenzione che ha animato la mia invettiva contro di te è stata quella di distoglierti da questa situazione (e ben per te, se ti sei già curato da tale malanno). Oh, come mi appaio sublime quale anello della catena che ti tiene legato a questa terra! Credo di aver sufficientemente ottemperato al mio ruolo nel mondo, se solo posso essere un anello forte di questa catena. Che non si spezzi mai! Mi punisci con la massima gratificazione, quando dici semplicemente, rispondendo alla mia obiezione circa la scelta di Erlangen, che ti avrei frainteso. Se però non fossi sufficientemente indulgente in una materia in cui l’interesse personale (certamente il più nobile, penso) lotta con la preoccupazione per la soddisfazione dell’amico, se io potessi pretendere ancor più stringenti dimostrazioni da parte tua che la gioia che mi deve rallegrare non sia sottratta a te, troverei la tua spiegazione su questo argomento un po’ meno persuasiva. Non avresti dunque alcun legame a Halle il cui scioglimento non ti addolorerebbe? Non hai forse la famiglia Reichardt, Burgsdorff e magari altri ancora? Non ci sono forse bei paesaggi attorno a te, che ti conoscono e che tu ami, «Flumina nota» ecc.? Non sei più vicino ai tuoi genitori in questo modo? Ma la mia anima egoista mi tiene la bocca chiusa, mentre quella che ama mi consente di proseguire il mio discorso. Non ti appaio forse come un bimbo che tentenna abbastanza a lungo nell’accettare un dono, per poterlo poi afferrare con l’aria di averne ancor più diritto e con mani avide? Non voglio decidere quanto sbaglieresti nel nutrire un’idea simile sul mio conto. Ma, d’altra parte, pensa: esamina te stesso. Se il desiderio che entrambi culliamo più ardentemente potesse essere realizzato, se potessimo trascorrere nello stesso luogo gli anni più belli della nostra vita, che prospettiva indicibilmente attraente si proietterebbe sul nostro futuro! Due esseri, isola-

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ti dai tristi marosi e dal deserto del mondo, in uno stato di libertà che gli dei potrebbero invidiare, in una spensieratezza che si cerca inutilmente in altri luoghi della terra e in altri momenti della vita umana, per nulla incatenati agli altri uomini, ma solo l’uno all’altro per mezzo dei vincoli più indissolubili: così ci sediamo in uno stato di delizia sull’altalena della fortuna e ci lasciamo scagliare dai nostri amici, insieme, con forza, in uno splendido slancio, fin verso le stelle: «Coetusque vulgares udamque spernimus humum»!102 Ma mi sto nuovamente disperdendo! Ah, questa beatitudine mi pare talora così grande che, – devo parlare rispondendo alla rozza ingenuità delle mie sensazioni indistinte e presaghe? – che provo angoscia a questo pensiero. Infatti non riesco a persuadermi come il destino, così economo con le cose buone, che tiene libri contabili così precisi sulle gioie e sui dolori che ci commina, mi possa far dono di un capitale così grande senza poi chiedermi i più gravosi interessi in seguito. Eppure mi faccio carico di queste lamentele, se tu mi fai così felice; accetto peraltro questa tua azione benefica con l’animo più grato, se non ti costa troppo. Restiamo d’accordo così. Oggi ho già sognato splendide scene della nostra futura comunanza! Puoi ben immaginare come io abbia preso in mano la seconda parte del Genio senza poter evitare pensieri densi di preoccupazione e senza poter fare a meno di essere prevenuto: in altre parole, nel far questo, mi hanno accompagnato idee secondarie alquanto funeste. Non si può tuttavia negare che l’autore sia un personaggio originale, uno che ha il controllo sulla lingua come l’attore l’ha sulla propria voce, uno che sa cacciare il sangue in tutte le vene, che sa spremere fredde lacrime di paura dagli occhi, uno che è in grado di immergere l’anima in un mare ricco delle più incantevoli sensazioni. Per poter descrivere il suo stile e per poterlo lodare, si dovrebbe scrivere come lui. Basti pensare a che meravigliosi capolavori sono le descrizioni dei caratteri, che si affollano così numerose nella seconda parte! Per quel che mi riguarda non conosco esempi più nobili. Qui si afferrano le idee, si vestono con parole e si pongono chiaramente davanti all’anima, che generalmente si vede ammantata di nebbia e che spesso non è in grado di dar ragione di se stessa; qui sono portate alla luce le pieghe più minute dell’anima. Tutto, la sfera esteriore e quella interiore dell’individuo, sono tradotte in un quadro di parole in cui tutti i tratti sono realizzati e riuniti con l’ausilio dell’arte più bella in modo sincero, significativo e calzante. Le scene che concernono l’eremita sono eccellenti. I tuoi consigli circa i libri da leggere sono sempre i benvenuti. Cercherò di procurarmi il Tasso. Ma come hai detto che si chiama il romanzo di Florian? Estelle? Non riesco, di fatto, a recuperarlo.

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Naturalmente anch’io non ho trovato nel Gran Cofto niente di straordinario, diversamente dalle aspettative che si nutrono abitualmente nei confronti dell’autore del Werther. Trovi il carattere del segretario in Intrigo e amore troppo disgustoso, e più ancora di Franz Moor? Anche il secondo mi sembra in realtà bisognoso di essere molto più scusato, per quanto ci voglia molta più perspicacia di quella di cui dispongo per poter giustificare simili rare mostruosità nel dramma. Sai bene come tali caratteri mi risultino facilmente resi in tinte troppo accese e che detesto quando si mostra sulla scena una persona che non ha nulla di umano e che non sollecita in noi alcun desiderio di riconciliarci in qualche modo con lei o almeno di mitigare in noi la riprovazione, in modo che nella nostra anima resti ancora spazio per il sentimento della compassione e del rincrescimento. Naturalmente non ho trovato ancora nulla che possa dar adito a una reazione di questo tipo nel caso del ruolo appena menzionato. Qualche tempo fa ne ho parlato anche a Bernhardi. Ho la sensazione che egli abbia voluto individuare nella devozione nei confronti del presidente, nel servizievole zelo che un servitore così diabolico dimostra nei confronti del suo padrone, qualche elemento che valga a scusarne l’atteggiamento. Ma non voglio pronunciarmi sull’argomento. Infatti non vorrei attribuire un qualsivoglia errore a Bernhardi, dal momento che io stesso non sono sempre in grado di avere una mano felice quando cerco di afferrare simili questioni. Sicuramente troverai Elise von Valberg mille volte più squisita di quanto io sia in grado di giudicare, perlomeno fino a questo momento, perché l’ho vista una volta sola e perché tu sei abile nel confrontarti con le bellezze e raffinatezze dei progetti e delle situazioni riferiti ai drammi. Ma, cielo, che cosa mai è seguito a questo capolavoro! Il Hieronymus Knicker, l’operetta in due atti di Dittersdorf,103 è stato rappresentato già tre volte e purtroppo sembra aver successo! Dopo quello che ho udito soltanto da coloro i quali non erano disposti a rifiutare completamente a quell’affare la loro massima approvazione, se si considera la musica, lo spirito e il gusto del canto, dovrebbe essere persino inferiore a Cappuccetto Rosso.104 Finora tutte le cose del mondo hanno trovato una loro conclusione; persino la dannosa siccità, che è durata per 14 giorni, è stata interrotta, almeno in parte, da un temporale; ma questa insulsa smania dei berlinesi per l’operetta mi sembra trovare un terreno sempre più fecondo e sembra non aver raggiunto ancora il suo apice. Dovessimo mai arrivare a tanto, vi dovrebbe seguire necessariamente una rivoluzione, perché diversamente rischiamo di diventare barbari nelle cose artistiche almeno quanto i lapponi. Ma scaccio il pensiero di questa dannata pestilenza. Voglio raccontarti qualcosa di meglio. Si tratta del fatto che da poco ho letto il Padre di famiglia di Diderot105 e il trattato sull’arte drammatica che lo accompagna. Ma che uomo stimabilissimo è mai Diderot! Quanto significativamente si distingue il suo carattere, il suo gusto, dall’insen-

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sibile spirito francese! Quanto è dotato di ricchezza di emozioni, di antica bontà, di antica nobiltà dei sentimenti (infatti un atteggiamento del genere non sembra conforme al gusto moderno). Se il suo nome non fosse francese, lo si riterrebbe tedesco o inglese. Ricordati degli splendidi principi, dei suggerimenti e delle espressioni che si trovano nella poetica. Ricordati di quei magnifici passi che mi hanno eccezionalmente deliziato e che devono essere belli tanto per te quanto per me! Magari in seguito mi racconterai ancora qualcosa del tuo viaggio nello Harz. Sei al corrente del fatto che Bernhardi dovrebbe farti visita a breve? Non farci però conto in modo assolutamente certo; infatti mi ha detto che non è ancora sicuro se il tempo e le circostanze glielo consentono. Io glielo consiglio vivamente. In questo momento la sua amicizia mi è molto, molto preziosa. Adesso ci conosciamo molto meglio di prima e ci confidiamo molto di più di quanto non siamo stati abituati a fare. Se solo sapessi quanto ti vuole bene! Quanto si meriti di essere amato da te! Invece vedo Rambach più raramente. Di solito, o almeno di frequente, non è a casa quando voglio fargli visita. È dunque molto probabile che tu venga qui per la festa di San Michele? Evito di dire certamente, per fare a meno di sollecitare le tue obiezioni contro la mia stessa volontà.106 Tua sorella e io ci consoliamo della tua assenza, quando ho occasione di parlarle. Devo forse intentare una causa nei tuoi confronti presso la tua persona? Non devo forse invitarti a scrivere più di frequente e più a lungo a tua sorella e ai tuoi genitori? Sarebbero molto felici, se lo facessi. Tuo fratello è stato un paio di volte da Bernhardi, che lo ha amato prima di ogni altra cosa perché ti assomiglia nel volto e nell’aspetto esteriore. Accludo una lettera di tua sorella. Ho completamente dimenticato di offrirle prima questa opportunità. Se mi vuoi bene, rispondimi il prima possibile, in modo che il nostro scambio epistolare segua un corso regolare. Da parte mia farò tutto il possibile per contribuirvi. Il tempo scorre per me molto più velocemente ora, rispetto a prima, e questo mi induce a pensare quasi tutti i giorni alla mia partenza da Berlino. Mi costerà delle lacrime; se poi dovessi arrivare in un’università che si trova a 56 miglia di distanza senza il mio amico, non mi potrò certo sentire a mio agio. Ho trascurato tra l’altro di dirti, a proposito del Padre di famiglia, che la mia aspettativa è stata anche in questo caso delusa per un pelo. Il Figlio naturale di Diderot mi ha commosso fino a farmi versare calde lacrime per il bel sentimento che lo domina, e anche quando lo rileggo per l’ennesima volta mi suscita questa emozione. Trovo che il Padre di famiglia sia una bella pièce, ma non mi ha coinvolto interiormente; certamente non ne sono stato scosso come mi è accaduto per l’altra opera. Che nel Padre di famiglia si tratti di una bellezza che di-

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pende dal canovaccio? Forse potrei sentirmi più toccato intimamente se lo rileggessi di nuovo. Il figlio, il padre di famiglia e l’amata del primo sono concepiti splendidamente. Devo tuttavia confessare che non riesco a comprendere del tutto il senso dell’azione della modista della prima scena del secondo atto, ad esempio, e la funzione che questa scena intera debba avere o perché sia stata considerata necessaria. Forniscimi tu una spiegazione, se vuoi. Nella speranza di vederti qui alla festa San Michele e di ricevere un’imminente risposta da parte tua sono il tuo Wackenroder PS. Bernhardi ti scrive nel prossimo giorno di invio della posta se ha ancora intenzione di venire a Halle e ti invia alcune piccole considerazioni sulla Anna Bolena.

12. A Tieck: [Berlino, 6 agosto 1792] Lunedì. Amatissimo Tieck! Dov’è la lettera che avrei dovuto ricevere a breve? Se a tutte le tue qualità si aggiungessero l’osservanza dell’ordine e della puntualità, saresti un essere completo – forse troppo completo per questo mondo. Mi compiaccio molto con me stesso per il fatto di non notare in me quella riluttanza allo scrivere e quella trascuratezza nel corrispondere; infatti coltivo una serie di piacevoli rapporti epistolari. Ti svaghi e sei in salute? Bernhardi ha auspicato intimamente di farti visita durante le ferie estive, perché spera di intrattenere con te un buon rapporto e vorrebbe rasserenarsi in tua compagnia; purtroppo banali impedimenti lo hanno ostacolato. Come sarebbe stato bello, se fosse potuto venire da te e se avessi potuto accompagnarlo! Tieck, ti avrei potuto vedere a Halle! I miei impedimenti sono sostituiti da altri impedimenti. Il padre del mio Signor cugino con suo fratello di Stoccolma sono al momento in visita qui per un paio di giorni; con loro vedo questo e quello e vado qua e là: presto ripartiranno, per intraprendere un viaggio attraverso la Germania che è in parte di affari e in parte di piacere. Da qui si dirigono a Vienna, passando per la Sassonia. Cielo! Cosa diresti se li potessi accompagnare e, di passaggio, se potessi perlomeno abbracciarti!

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Il mio direttore didattico, l’assessore Köhler, è partito anche lui alla volta di Vienna; altri miei insegnanti, a loro volta, stanno sospendendo le loro lezioni. Sono occupato solo due mattine alla settimana. Che potrò mai combinare in questo periodo di vacanze inattese? Come potrò riempire le ore straordinarie di riposo senza aver con me un amico, un unico amico straordinariamente amato o senza poter fare un viaggio per vacanze a Halle, arrampicandomi con lui sulle rocce e osservando le anse della Saale, nelle armoniose campagne della Sassonia? Oggi stesso ho scritto ancora a Wißmann. Dal momento che né Bernhardi, né tu, né alcun altro suo conoscente gli scrive, non voglio dimostrarmi l’ultimo individuo dal cuore di ghiaccio. Sua madre, che ho modo di visitare qualche volta, è una donna spiritosa, sensibile, nobile e buona. Sono in buoni rapporti con lei. Vorrebbe che andassi a Francoforte da suo figlio. Ah, ma io vorrei venire prima di tutto da te! Da te, amico delle ore gaie e deliziosamente liete e dei miei giorni di aprile cupi e pieni di malumore. Quando mai ti rivedrò? Vuoi che ti procuri un piccolo spavento? Non voglio ingannarti più a lungo e raggirarti con preparativi vari. Volta la pagina e leggi la risposta: il prossimo lunedì! Ascolta la soluzione dell’enigma. Sono fuori di me per l’entusiasmo; vacillo di felice speranza! Il padre del mio Signor cugino ha convenuto con mio padre che lo accompagni passando da (ascolta come sono felice) Wörlitz, Dessau, Halle! Lipsia, Meissen, fino a raggiungere Dresda. Questa decisione è stata presa così a breve e tanto rapidamente, che non credo al fatto stesso di essere convinto della certezza della cosa. Ti vedrò questo lunedì a Halle! Chi avrebbe pensato che io sia nato per essere così felice! Mi affretto, però, a tener concione con un paio di noiose osservazioni che fanno cadere un paio di gocce d’acqua nel fuoco della mia beatitudine. Non potremo sostare per più di un solo giorno a Halle perché il nostro tempo è limitato. Inoltre, sono tenuto a fare una visita a Halle per conto di mio padre. Tuttavia, per tutto il tempo che il mio fato benevolo mi concederà o per tutte le ore, minuti e secondi che mi sarà possibile elemosinare dai miei compagni di viaggio – per tutto questo tempo vivrò solo per te. Ma non è forse ovvio? Ancora, e questa cosa non ti riguarda direttamente, ma pesa su di me e sul mio umore: i miei compagni di viaggio, con cui condivido lo spazio angusto di una carrozza aperta destinata alla posta speciale, sono il mio Signor cugino, i due Signori di –, e il loro maggiordomo. Questa cosa potrebbe effettivamente smorzare un po’ a tratti la mia gioia pura, piena di entusiasmo e il mio senso di benessere. Ma bando a questi

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pensieri! Il mio viaggio è splendido; sono così contento di vederti che non trovo nessuna espressione adeguata per la mia allegria. Partiamo giovedì a mezzogiorno; a sera arriviamo a Potsdam, il giorno successivo completiamo il viaggio arrivando a Wörlitz. Sabato avrò occasione di godere della bella natura e della bella arte in un luogo che tu hai visitato e che mi volevi far conoscere per primo (mi dispiace che in questo sia tradita la nostra speranza). Domenica andremo, poi, a Dessau, dando un’occhiata ai paraggi e poi a Halle, dal mio Tieck! Non è tuttavia escluso che si venga il lunedì mattina presto. Nel primo caso rimarremmo a Halle il lunedì, nel secondo il lunedì pomeriggio e il martedì mattina. Questo è tutto quello che posso anticipare al momento. Come è certo che appena io sia arrivato e ce ne sia la possibilità, indipendentemente che sia di mattina, mezzogiorno, sera o notte, vado in cerca della Klausstrasse e del chirurgo Kern, altrettanto è certo che io spero di trovarti sano e felice di abbracciare il tuo amico. Lunedì sarà uno dei miei giorni d’oro. Ancora una cosa! Porto con me un paio di amici muti: due lettere, una di tua sorella e una di Bernhardi. Voglio dire ancora una cosa. Se venissi a sapere che non vieni a Berlino per la festa di San Michele, una cosa, questa, che costituirebbe una grande consolazione per i tuoi genitori ecc., o per ragioni di impedimento o perché non lo desideri, mi dovrei armare di un intero pacchetto di ragioni per indurti a farlo, le quali dovrebbero avere una certa autorità, se scaturiscono dalla bocca di un amico. Chi altro vorrei vedere a Halle, oltre a te? Nessun altro se non i Reichardt! Amo e stimo intimamente questa famiglia. Oh, vedo già mentalmente come ci aggiriamo nel loro giardino romantico e come ammiriamo dall’alto delle rupi di Giebichenstein il paesaggio che si distende ai nostri piedi! E poi il mio braccio avvinto al tuo e la mia bocca sulle tue labbra: non immagino nulla di più sublime! In quel giorno potremo impegnare il tempo in chiacchiere amabili, così che nessun attimo risulti infruttuoso – allo stesso modo che accade in uno spazio opportunamente affollato di persone, in cui non c’è mela che possa cadere a terra. Stai bene, dunque, mio amatissimo amico! Brucio di un ardente desiderio di stringerti forte al petto! Solo una cosa: non attendermi troppo ansiosamente ad un’ora precisa, non rallegrarti troppo di un giorno fugace, mi senti? Ma continua ad essere, quando vieni toccato dalla mia mano, sempre quell’amico benevolo che sei rimasto a distanza di 20 miglia. Nella più dolce speranza di un arrivederci, il tuo amico W. H. Wackenroder

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13. A Tieck: Dresda, [20 agosto 1792] Dresda, lunedì sera dopo le 10. Carissimo, ottimo Tieck! Ahimè, sono di nuovo strappato a te e devo girovagare tra compagnie che sono tanto in contrasto con quella che ci lega, come la Venere che ho visto oggi nella galleria delle antichità rispetto al tipo che si trova nel giardino di Lipsia e che allo scoccare dell’ora si è conficcato un pugnale nella spalla!107 Dresda è una città deliziosa; tuttavia, mentre mi trovo in compagnia di queste persone, devo evitare di farmi cogliere di tanto in tanto da sensazioni sgradevoli che trasmette l’aspetto estraneo e poco noto di un luogo in cui non si è di casa. Se potessi tenerti a braccetto non mi sentirei un estraneo neppure in California. Non dimenticherò mai i sette sacri giorni che ho trascorso con te! Ricevi il mio più caloroso ringraziamento per la tua amicizia, dolcemente amato Tieck! Il sabato in cui abbiamo preso commiato l’uno dall’altro mi è stato naturalmente decisamente fatale. A mezzogiorno abbiamo mangiato a Hubertusburg dove si trovano un castello vecchio e uno nuovo di ottimo aspetto; la sera, poi, abbiamo cenato a Meißen, a 10 miglia da Lipsia. Ieri, di buon’ora, abbiamo ammirato sulla montagna il duomo e siamo saliti sulla torre, da cui si gode un panorama divino. L’intero monte è in una posizione molto pittoresca. La strada che da Meißen conduce a Dresda merita la lode che tutti le tributano. Si snoda costantemente in discesa lungo i flutti giallastri dell’Elbe ed è accompagnata dal verde delle colline coltivate a vigna, da cui ammiccano luccicando migliaia di piccole case bianche e di torrette. Ho goduto di queste bellezze in assoluto silenzio e, nel far ciò, ho provato ogni sorta di sentimenti poetici. La vista che si gode dal ponte di Dresda è quasi la stessa e per questo motivo, potendone approfittare nel centro della città, è di valore inestimabile. Ieri sera abbiamo assistito all’alquanto mediocre rappresentazione della compagnia di Seconda,108 che ha portato in scena Liebhaber und Nebenbuhler in einer Person (Amante e rivale in una persona).109 H. Cordemann110 (probabilmente il berlinese) ha coperto il ruolo del cavaliere travestito. Questa mattina abbiamo visitato la galleria delle antichità che insieme con quella capitolina, vaticana e fiorentina è la prima al mondo, poi, oggi pomeriggio, la galleria delle opere pittoriche, ma così di fretta, che in entrambe ho avuto a malapena il tempo di vedere un numero limitato di eccellenti opere. Se se ne presenterà l’occasione, visiterò entrambe ancora una volta. Domenica o lunedì partiremo e martedì o mercoledì saremo a Berlino. Ti prego, allora, di raggiungermi il prima possibile! Appena arrivo a Berlino ti scrivo subito. Scrivimi tu e quanto prima lo fai, tanto meglio!

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Stai in salute: saluta Burgsdorff, Reichardt e le rupi di Giebichenstein. Stammi bene, carissimo: la tua immagine è perennemente dinanzi a me e non dimenticherò mai i sette giorni, in modo particolare quello trascorso a Wörlitz. Sarà molto difficile separarmi da te, ma il tempo me lo impone. Stai bene! Il tuo eternamente affezionato W. H. Wackenroder A Berlino avremo modo di raccontarci ancora molte cose: ti racconterò tutto su Dresda.

14. A Tieck: [Berlino], 1 settembre [1792] Sabato, 1 settembre Mio caro, ottimo Tieck, mi trovo nuovamente a Berlino, nella mia stanza. Siamo giunti qui martedì sera a tarda ora, dal momento che abbiamo percorso le 20 miglia da Dresda fino a qui in due giorni. Dresda è una delle prime città al mondo in virtù delle sue bellezze naturali ed artistiche. Se solo potessimo andarvi insieme una volta! Otto giorni fa ci siamo trovati sul sublime Königstein, che vale veramente la pena di essere visto. Purtroppo oggi non ho molto tempo di scriverti a lungo, per quanto questo mi dispiaccia. Appena arrivi, voglio raccontarti tante cose quante te ne ha illustrate Bernhardi, con cui sono stato già due volte qui. Mercoledì scorso ho raccontato a 6-7 persone le mie esperienze dalle 8 di mattina fino alle 10 e mezza di sera e tutto d’un fiato. Ho qui una lettera di tua sorella. Lei e i tuoi genitori si rallegrano enormemente per la tua visita. Ho detto a loro che intendi arrivare ancora alla fine di questo mese. Sarebbe bene che tu non facessi di me un bugiardo. Cerca di venire almeno appena possibile e prima scrivimi appena possibile quando intendi arrivare. Ma fallo. Tua sorella attende ardentemente che tu definisca il giorno dell’arrivo. Il cielo ti restituisca i sette giorni felici che mi hai regalato. Penserò spesso alla mattina trascorsa a Wörlitz. Non so, spero davvero che l‘inverno ora se ne vada in fretta, per poter godere con te di un tempo felice, del più felice di tutti – ma devo avere pazienza. Con te ad Erlangen! Che felicità! Non mettere troppo a dura prova le tue energie con il viaggio a piedi. Vieni presto, in modo che io possa di nuovo abbracciarti e pos-

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sa godere con te delle gioie più sublimi e più nobili – e scrivimi presto, quando intendi venire. Un caro saluto a Burgsdorff da parte mia. Stai bene, mio caro Tieck. W. H. Wackenroder Tuo amico per sempre 15. Tieck a Wackenroder: Gottinga, 6 novembre 1792 Gottinga, 6 novembre 1792 Carissimo Wackenroder! Sono arrivato a Gottinga e ti dico che abito nella Weehnerstrasse, solo per darti subito notizie e non dimenticarmi completamente di comunicartelo, dal momento che mi succede spesso. Potrai mai scusare la mia trascuratezza per il fatto di non averti scritto neppure una volta durante il mio intero viaggio? Ma per favore, non punirmi come sei solito fare; so che tuttavia non lo farai, ti conosco fin troppo bene e per questo non voglio neppure scusarmi troppo diffusamente. Sono stato 14 giorni a Dahme sempre lieto e in salute; siamo andati quasi tutti i giorni al teatro di prosa, dove si esibiva una compagnia assolutamente scadente. Di tutte le pièces che sono stati in grado di alterare, quella che è stata rovinata più di tutte è Julius von Tarent (Giulio di Taranto).111 Durante il mio soggiorno in quella città, la Weller ha imparato un poco a cavalcare e mi ha accompagnato ancora a cavallo per un miglio, in occasione della mia partenza. Non appena sono giunto a Lipsia ho appreso che avrei dovuto attendere per un giorno intero la carrozza per Braunschweig. Dunque ho rivisto tutte le strade che abbiamo percorso di tanto in tanto insieme e ho provato una strana emozione nel rivedere tutto solo, senza la tua vicinanza, il mercato, tutti negozi, le insegne; da quel bel viaggio in poi mi sono immaginato Lipsia soltanto in tua compagnia e mi sono reso conto, allora, di trovarmi là veramente senza di te. Mi sono sentito così perso e così emarginato, perché privo di conoscenti; mi sono aggirato tutto solo nel trambusto della gente, nella massima confusione, e ho accuratamente evitato l’albergo in cui abbiamo alloggiato insieme per la folle preoccupazione di essere riconosciuto, quasi fosse un crimine essere a Lipsia senza di te. La sera sono ritornato a teatro, ma solo per un penoso senso di noia e per ostinazione perché, per quanto il tempo fosse bello, non sono uscito durante la giornata. Si è trattato dello stomachevole Betrug

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durch Aberglauben (Inganno per superstizione)112 con la compagnia in cui i Cordemann rivestono i ruoli principali. Ho trovato curioso che la musica fosse eseguita in modo molto più rapido e sbrigativo che a Berlino; infatti, a Berlino, l’opera dura tre ore mentre qui solo due. Si è applaudito a più non posso. Ciononostante ho trovato una compagnia più numerosa che a Berlino, l’azione muta delle comparse ha prodotto un effetto di illusione, se facciamo eccezione di un tale signor Geiling,113 i cantanti erano miserabili, mentre Dittersdorf viene venerato come un dio dagli studenti di Lipsia. Domenica sono passato in carrozza da Merseburg, Lauchstädt, Eisleben e Sangershausen per raggiungere Roßlau e in quell’occasione ho rivisto Halle. Durante il viaggio, mi sono esercitato un bel po’ nel francese con un inglese, familiarizzando molto l’uno con l’altro; si trattava di un uomo molto colto, con cui ho ragionato di cose di cui molto spesso ho discusso con te. Gli ha fatto piacere che io conoscessi i poeti inglesi, e tra le altre cose sapeva parlare anche italiano e spagnolo. Avrebbe voluto che andassi con lui in Inghilterra, offrendomi di mostrarmi tutte le curiosità del regno, senza che io mi preoccupassi di alcunché. Puoi ben immaginare come ne sia stato tentato. Si è molto incupito, quando abbiamo dovuto prendere commiato l’uno dall’altro a Roslau [sic!]; in quello stesso giorno ho viaggiato ancora per tre miglia fino a Nordhausen. Qui ho scoperto che per una strana disposizione la posta era già stata inviata sin dal mezzogiorno a Gottinga. Nel corso del lunedì mi sono riposato; Nordhausen è una città libera dell’impero e gli abitanti possiedono solo quanto di sgradevole connota i repubblicani, trattandosi di persone estremamente grossolane. Martedì ho preso una guida e ho cavalcato alla volta di Gottinga su strade male in arnese come non ne avevo mai viste prima. La città è molto graziosa e sono estremamente contento del cibo, dell’alloggio, dei modi del posto. Ho già ascoltato una lezione libera su Orazio tenuta da Heyne, trovando assai insipido il modo con cui il consigliere ha spiegato Orazio. Sii dunque così gentile da portare appena possibile questa lettera a mia sorella. Saluta cordialmente Rambach e Bernhardi da parte mia. Se ti è possibile, rispondimi immediatamente con il prossimo giro di posta. Dal viaggio appena intrapreso (se escludiamo Lipsia e Nordhausen) sono giunto sereno e in buona salute come non mi era mai successo prima ed auguro lo stesso anche a te. Tieck

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15 a. Tieck a Wackenroder: [Gottinga, 6 novembre 1792] Aggiunta o allegato della lettera precedente Ti mando qui ancora una grande piccolezza, che ho scritto per noia nella locanda di Lipsia. Ti sei preso gioco di me, già molte volte, per la mia disposizione poetica nelle locande. Ti offro con ciò, di nuovo, la migliore possibilità di farlo, accompagnandola con l’autorizzazione a esprimerti con tutta sincerità nella prossima lettera. Da tempo tu sei la disfatta di tutte le mie miserie e mi sono così abituato a leggerti qualcosa di mio, da esservi costretto a farlo anche in forma scritta, fossero anche soltanto dei versi. Se ti trovi al momento nella disposizione di umiliarmi in modo particolare, mandami in cambio almeno una nuova poesia ispirata dalla tua musa. Come vedi, la mia è diventata roca nel corso del viaggio e si dà pena di far di nuovo strillare la sua gola; per sfortuna tua ti trovi nei paraggi e devi pertanto ascoltare pazientemente lo strillio: Stai bene Elisa, rotto è ormai il giuramento che io stesso feci, a lungo ti sei presa gioco di me, Elisa, vedi, mi sono vendicato e riconciliato con la natura. —————— Non era forse sparita, la mia giovinezza? Non era forse un baratro mortale, il mondo? In relazione alle lacrime contai le ore. Guarite sono ora tutte le ferite, la vita sorge dalla sua tomba! —————— Il sole mi sorride allegramente e mille gioie si baciano, i fiori morti per le grandinate risveglia una pioggerellina primaverile, perché Laura Laura mi ama! ——————

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Lei mi ama! Sussurratelo a lei, o boschi, lei mi ama! Ripetilo tuonando, o tempesta! Ah! Sgorgano dai miei occhi lacrime di gioia! Come nel riflesso delle rosse fiamme il verme si crede improvvisamente un dio! —————— Porgetemi la coppa dorata del nettare in cui sorride il colore purpureo della delizia! Oh pena, spezza la tua faretra E poi guarda! Laura è la mia vendicatrice, temerariamente mi faccio beffe del tuo potere! —————— Da mortale voglio osare, sfrontato, accettare la scommessa: voglio sopportare ogni infelicità, se solo lei rimane, rimane per sempre mia. —————— Ah, vogliano poi con spade di fuoco susseguirsi compatti i fulmini ai fulmini, il tuono inseguire con sussulti il tuono, voglio combattere con te, destino, solo la mia morte ti conceda d’esser vincitore.114

16. A Tieck: [Berlino, 17 novembre 1792] Mio amato Tieck, mi ero immaginato che non mi avresti scritto tanto presto, ma mi rallegro molto nel sentire, almeno, che sei in salute, che ti sei divertito durante il viaggio e che ora sei soddisfatto di stare a Gottinga. Ho fatto fatica, però, a riconoscere la tua calligrafia sulla busta, quando ho ricevuto la tua lettera, tanto tempo è passato dall’ultima volta che l’ho vista. Nel frattempo ho evitato di pensarti con preoccupazione e provo ora piacere nel saperti sano e a tuo agio a Gottinga. Io sono stato bene e ho avuto qualche distrazione. Bernhardi e Rambach (a tutti e due ho

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portato, con piacer loro, i tuoi saluti) ricambiano i tuoi saluti e sperano di ricevere posta da te. Finora ho potuto vedere poco Bernhardi; il mercoledì siamo stati comunque molto spesso insieme in un concerto, giacché mi sono abbonato; ci siamo sistemati o seduti in un angolino e non ci siamo limitati soltanto ad ascoltare il buono e il cattivo, ma anche, come puoi ben immaginare, abbiamo ammirato, criticato, disputato, irriso e dileggiato dal profondo del cuore. Penso che se potessimo seguire le nostre volontà, lui diventerebbe subito un architetto per amore dell’arte e io un musicista – almeno per qualche mese. Rambach mi ha letto recentemente qualche passo dei suoi Syrakusern (Siracusani):115 sia Bernhardi che io troviamo che egli abbia conferito qui al suo stile un compimento e che abbia attribuito ai suoi pensieri e alle sue emozioni una dignità e una verità che aveva dovuto rinnegare nei suoi precedenti prodotti di fabbrica per ragioni legate a una fastidiosa costrizione. Lui stesso ammette di aver scritto quest’opera con ben diversa accortezza e riflessività. Ho visto di quanto sia capace. Mi sono rallegrato del fatto che tu abbia di nuovo pensato a me a Lipsia, ma mi è dispiaciuto d’altro canto che questi ricordi ti abbiano reso cupo per un’intera giornata. Ho conosciuto a Dresda la compagnia “in cui il Signor Kordemann [sic!] riveste ruoli di protagonista” (il Signor Kordemann recitava il ruolo del cavaliere in Amante e rivale in una persona). È certo vero che tutti i commedianti si danno d’attorno in una condizione di infelice mediocrità, se non di pessima resa. Il Signor Geiling è ancora sopportabile quando riveste ruoli comici, ma risulta caricaturale e possiede, come del resto avrai notato in tutti, un volto detestabilmente brutto e nauseante. N.B. La settimana scorsa è stato rappresentato qui Die heimlichen Vermählten (Il matrimonio segreto)116 che noi abbiamo visto insieme con molto godimento a Lipsia, ma forse, come potrai immaginare, per l’onore e la grande fama del pubblico berlinese, è stato accolto con estrema indifferenza. Una concausa di questo atteggiamento potrebbe essere il fatto che qui non si esegue la musica con l’ardore e con la vivacità con cui la si esegue a Lipsia (almeno questo è quanto ho sentito perché non ho potuto assistervi ancora di persona); penso però soprattutto che – e ti verrà un colpo se te lo dico – ciò dipenda dal fatto che la parte del giovane signore, del quale abbiamo tanto apprezzato l’impareggiabile leggerezza e spontaneità e grazia nei gesti e nel canto è stata interpretata qui dal rigido e legnoso Signor Franz, che ha il solo pregio di cantare bene. Lippert non è da meno rispetto a quell’italiano nell’intenso mulinare delle braccia. La garbata giovinetta viene interpretata dalla Müller. La Baranius117 recita la parte della vedova, mentre l’altro ruolo femminile è interpretato dalla Unzelmann. Come è facile intuire, lui, Unzelmann, che recita la parte dell’anziano pieno di fisime, è l’unico a reggere tutta la commedia. Oggi si rappresenta di nuovo una piccola commedia satirica di Babo, Die Mahler (I pittori).118 Il tuo lavoro da locanda non è forse, in generale, nulla di speciale. Ma nel leggerlo sono giunto a pensare che un uomo, che la natura

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poetica ha affinato e nobilitato e formato, uno che può scrivere un’Anna Bolena (quantomeno iniziarla – capisci?) non possa abbassarsi al punto di non mostrare almeno una scintilla del suo talento anche nella cosa più misera che scrive di getto. Ho sempre pensato che anche il massimo genio possa trovarsi, per circostanze disparate, a scrivere qualcosa di veramente miserabile; credo tuttavia che anche in questa materia miserabile ci sia sempre qualcosa, fosse anche una sola parola che rappresenta in piccolo un’immagine in miniatura del suo genio, e che forse gli è sfuggito, per così dire, a sua insaputa e contro la sua volontà. L’ultima strofa della tua poesia è davvero bella. Nelle altre c’è qualcosa che non mi piace: qualcosa di storto o di traverso oppure una forzatura della rima. Ma spiegami la frase (che per quanto nota possa essere, è stata ed è rimasta per me sempre alquanto enigmatica): «in relazione alle lacrime, ai singhiozzi e cose simili contare le ore!». Tra l’altro ti devo dire in tutta serietà che ogni piccola creazione della tua musa, per quanto sia grezza, favorisce sempre in me più facilmente che ogni altra cosa la mia disposizione poetica. Ho notato in generale che quando non sento e non vedo nulla di tuo, la mia musa si mette in vacanza e mi dimentico di lei. È come se il tuo spirito fosse parte di lei, come se da esso traesse nutrimento e non fosse nulla senza di lui. Trovo vistoso il fatto che non appena leggo qualcosa di tuo oppure, meglio ancora, mi addentro con te a voce nel campo della poesia, il mio sangue incominci a scaldarsi e io venga tentato di lasciar fluire da lì le mie emozioni più vive secondo un ritmo. Al momento ho poco tempo, ma se dovessi comporre qualcosa, te lo mando. Temo che però non sarà tanto presto. Viva vox docet, un modo di dire che mi pare trovare poco riscontro quando si tratta di molti studiosi di ambito scientifico, come ad esempio gli storici. Ma sento senz’altro che è necessaria la viva vox di un amico per riversare nelle vene forza intellettuale e gaiezza. La frequentazione giornaliera degli studiosi, come si ha nel mio caso, fiacca e rovina. Ma le cose cambieranno. Salutami di cuore Burgsdorff. A che punto è il suo Carneval,119 e dove sono Carlo e Montmorin? Bernhardi ha riso molto quando gli ho comunicato il tuo giudizio sulla lezione di Heyne e ha detto che non esita a crederci. E anch’io! Ma la cosa più curiosa è la fama, questa creatura tronfia con le gote gonfie. Se mai dovessi conoscere il Prof. Forkel,120 che ha scritto una storia della musica, una biblioteca critico-musicale e così via e che è uno straordinario critico musicale, scrivimi sul suo conto. Scrivimi anche se tiene in questo momento delle lezioni pubbliche sulla musica. È un uomo che attira il mio interesse.

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Non mi resta più tempo. Presto ti comunicherò molte più cose. Cerca di essere graziosamente ordinato nel corrispondere. Vero? Scrivimi presto. Io non mancherò di fare il mio dovere. Stammi bene e non dimenticarmi. Wackenroder, di sabato mattina.

17. Tieck a Wackenroder: Gottinga, 30 novembre 1792 Gottinga, 30 novembre 1792. Carissimo Wackenroder! Da tempo stavo aspettando la tua lettera e peccato che non sia stata più lunga. Quella che riceverò prossimamente forse vi porrà rimedio, particolarmente se tu volessi allegarvi una tua poesia. Gottinga mi soddisfa sotto ogni punto di vista, meno che per il fatto che qui la posta mi raggiunge con molto più ritardo rispetto a Halle. Da qualche tempo qui vengono aperte tutte le lettere che siano un po’ più pesanti del solito, per controllare che non contengano testi a stampa di natura sediziosa; se si dà un caso di questo tipo, il servizio di posta le riceve indietro. Bell’amministrazione! «Contare le ore in relazione alle lacrime» è, a mio avviso, una bella espressione, anche se probabilmente non molto nuova. Significa che se altri contano le ore in base ai minuti, altri lo fanno in relazione alle lacrime. Ho inviato Adelbert und Emma121 a Rambach; tu forse l’hai già visto, ma non ti può interessare per altri motivi se non per il fatto che è del tuo amico. Mi è pesato molto scriverlo così che l’ho terminato in tutta fretta. Se in seguito dovessi spedirti qualcosa, deve essere migliore di questo testo. Scrivimi il tuo parere in merito – il fatto che Emma vi si renda spregevole e Adelbert con lei è a mio avviso l’errore maggiore, considerando peraltro che l’intera esistenza dell’opera è un errore – conosci bene i miei principi sull’argomento. Al momento sono tutto concentrato su Shakespeare; non l’ho mai studiato con tanto fervore. In otto giorni ho ricopiato tutta La tempesta e ora sto mettendo insieme una gran quantità di varianti e di osservazioni. Sto cercando di penetrare di più nella sua lingua, anche se non ho ancora rinunciato alle mie fissazioni su di lui – da poco ho letto in inglese tutto il Romeo e Giulietta, l’Amleto e l’Otello, ma la traduzione non rende affatto l’idea dell’opera di Shakespeare. Ho letto anche il saggio di Eschenburg122 su di lui che da tempo desideravo possedere a Berlino: per chi ama Shakespeare non c’è quasi nulla che

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lo soddisfi, perché bisogna essere dei conoscitori del poeta per potervi trovare qualcosa di interessante; tuttavia vi ho imparato qualcosa. Burgsdorff ti saluta e ti prega di non dire nulla del suo testo; mi raccomando di darne notizia anche a Rambach e Bernhardi, perché la cosa gli sta particolarmente a cuore. Al momento sta ricominciando a riscriverlo da capo, perché anche così non ne era soddisfatto. Non dimenticarlo. Finalmente ho trovato il coraggio di lavorare molto e mi sembra sempre più convincente la mia idea che il frequentare quotidianamente delle persone abbia un effetto positivo sulla voglia e sulla capacità creativa. A casa di Rambach o in casa mia dovrebbe trovarsi ancora la terza parte della Anna Bolena; lascia che la cerchi, perché forse mi serve, anche se questo soggetto non suscita in me lo stesso interesse di un tempo. Ne sono molto scontento. Nonostante tutto, imparo delle cose alle lezioni di Heyne; Gottinga mi piace straordinariamente in confronto a Halle, i modi degli studenti sono decisamente più fini e accostumati. Non ho ancora visto né Bürger,123 né Forkel. Costui tiene molti concerti da queste parti e fa eseguire moltissima musica di Dittersorf e dubito molto, e forse tu ancora più di me, che affezionarsi allo Hieronymus Knicker si accordi con il buon gusto. Per dirla molto chiaramente, tu dovresti occuparti soltanto di musica ed io di letteratura, perché il mondo non è veramente fatto per noi, né noi per il mondo; noi continueremo a considerare le cose importanti che vi accadono come trascurabili (perlomeno io) ed esso a ritenerci dei sognatori eccentrici – eppure non si può cambiare questo stato di cose. Scrivimi lettere più lunghe, altrimenti mi vedo costretto a ricordarti quella che ho ricevuto a Halle. Spero che sarai così comprensivo da considerare quel breve componimento solo una finzione poetica. Dai a mia sorella questa lettera e scusami per il disturbo che ti arreco sempre in questo modo. Il tuo amico Tieck Salutami Rambach e Bernhardi.

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18. A Tieck: Berlino, 27 novembre [fino al 1 dicembre 1792] Berlino, 27 novembre Martedì, di sera Mio caro, profondamente amato Tieck, talora può sembrare che io possa per qualche tempo vivere senza di te divertendomi in via provvisoria; in realtà non è affatto vero ed io inganno me stesso, se mi credo capace di tanto. Puoi essere certo che in questo momento ti scrivo rispondendo a un vero bisogno: questa sera sento tanto la necessità di provare ancora un po’ di senso dell’onore e di buone maniere, quanto per te è necessario comporre qualcosa di teatrale. Dove sono mai i bei tempi in cui non potevo star tranquillo né un pomeriggio, né una mattina, senza averti visto, giacché ogni giorno potevo godere di una o due ore in tua compagnia e le nostre anime erano strette in un intenso abbraccio? Quante volte abbiamo passeggiato intorno a mezzogiorno oppure al tramonto nel Tiergarten, dove non sono stato ormai da un mese! E quando abbiamo preso commiato l’uno dall’altro non l’abbiamo fatto mai senza prima accordarci su quando ci saremmo rivisti? Una volta, volendo farti visita una domenica pomeriggio, sono andato in giro per la città, ti ho cercato davanti al teatro di prosa e due volte davanti all’ingresso di casa tua; sono tornato indietro e per una mezz’ora ho camminato su e già nella mia stanza, piangendo. Se solo sapessi, se solo potessi sentire come queste lacrime versate per te erano piene di delizia! Ma a che mi serve ricordarti questi fatti passati con tanta amichevole scortesia! In quell’occasione ero d’umore particolarmente sensibile. Mi rendo peraltro conto di non essere in grado di liberarmene così facilmente, perché provo dolcezza nel coltivarli. Ho portato i tuoi saluti a Rambach e Bernhardi: ne sono stati molto contenti. L’ultimo ha anche letto con grande piacere la tua lettera. Lui è il solo con cui possa confidarmi intimamente e dal cui spirito possa trarre nutrimento (la mia visita quotidiana lo costringe, infatti, al digiuno). Anche lui è tanto occupato quanto me e il suo tempo è limitato. Il lavoro che dedica al seminario lo ha impegnato molto, cosicché da qualche tempo lo vedo in media una volta sola in otto giorni. Ma non voglio lamentarmi. Che piccolezze sono mai queste di fronte a un futuro che mi premierà infinitamente? Ma voglio raccontarti subito che cosa si prospetta in questo futuro. Il predicatore Schuderoff ha scritto da poco a mio padre e a me, e alla mia richiesta ha risposto con aria gaia e con un’amichevole stretta di mano che sarà lieto di accoglierci entrambi a braccia aperte a

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Pasqua. Per essere più esatti, dopo Pasqua, perché nei giorni festivi è così sommerso da prediche e da cose simili, che può occuparsi solo della sua funzione. Con profonda felicità ci ha contemporaneamente informato del fatto – e noi abbiamo udito la notizia con la più calorosa partecipazione – che è intenzionato a sposare a gennaio una ragazza del vicinato veramente di buon cuore. Mi ha scritto con la gioia più intensa come intenda farci conoscere la sua futura sposa, gli splendidi paraggi in cui lui vive così lietamente e le città vicine, pensando persino di accompagnarci fin sulla strada per Erlangen. Si rallegra molto di vederti e di parlarti, dal momento che gli ho spesso raccontato di te, come è del resto nelle cose. Sa già scrivere molto bene il tuo nome. Ha già informato la sua futura sposa che faremo loro visita. Per dirla in breve, la sua lettera è così colma di tenerezze, che non posso apparecchiare alla mia speranza una festa più lieta se non predisponendola alla Pasqua che viene. Penso che trascorreremo dei giorni molto felici. Guarda un po’ come faccio presto a cadere negli estremi! Ho cominciato con il passato! Un salto, che costa un paio di righe, e sono già nel futuro. Dovrei forse dirigermi su un’aurea via media (anzi, meglio, dorata) contro la mia natura (contra naturam meam et indolem) e parlare del presente? (In realtà – lo dico en passant – questa stessa estate ho ancora trovato un motivo singolare che parla contro questa via media. Infatti ho visto con i miei stessi occhi nel villaggio di Falkenberg, a un miglio di distanza da Berlino, in un giardino padronale, un ponte in legno in cui la via media conduceva in acqua e sulla quale, per poter continuare a campare, ci si doveva per forza afferrare ai sostegni laterali. Chi sa se nel caso della famosa e citata Hünerstall-Brücke [il ponte di Hünerstall, N.d.T.] di Bittermann124 sua Eccellenza non abbia subíto un incidente proprio perché si è attenuto a quella miserabile regola scolastica? Mi sembra sufficientemente indolente per essere, con tutti i flemmatici, un adepto di questo, che non è niente di meno che un luogo comune. E, quae cum ita sint, per farla breve e per passare da ciò che è incerto a ciò che è sicuro, chi sa se è andata così, ma certo è innegabile il fatto che la dannata via media produce danni rilevanti anche nella drammaturgia. Perché se sua Eccellenza avesse avuto un poco più di genio, si sarebbe tenuto ai sostegni laterali della passerella, non avrebbe fatto in vita sua una simile figuraccia, non avrebbe dovuto strizzare il proprio abito di fronte all’onorabile pubblico e, cosa che mi sta più a cuore, non avrebbe aumentato i peccati degli autori aggiungendo la millesima trama cattiva alle novecentonovantanove già esistenti). Una volta cercherò di farlo (fai un giro nella pagina precedente, se vuoi sapere di che si tratta).

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Ma non so neanche io perché scado in questo tono. Sembra che questa debba essere una prova del mie future opere comiche, di cui però, ne sono convinto, non si è mai annidato neppure un embrione nella mia anima. Forse, nel momento in cui leggi queste righe, ti faccio un servizio assai cattivo. Ma tu non hai l’abitudine di fraintendermi e conosci, da botanico ben istruito quale sei, il tipo di terra e di terreno anche a partire da piante rare che vi crescono sopra. (N.B. Recentemente ho trovato in un vecchio catalogo musicale l’espressione “piante concertistiche”). Volevo parlare del presente. Di questo fa parte il fatto che di recente sono stato due volte al teatro di prosa. La prima volta ho visto Die Räuber (I masnadieri).125 Questa volta Fleck si è dato molto da fare e si è mostrato geniale. Ha eccelso nelle manifestazioni d’ira e nelle esclamazioni che mostravano il modo di respingere le passioni. Czechtizky, che con la bocca storta, i denti mostrati in modo ferino e gli occhi sgranati all’improvviso, crede di possedere il manuale di tutte le passioni che sembra aver convenuto con il pubblico che lo applaude dover essere quelle universalmente riconosciute, e ha nascosto meno del solito i tratti caratteristici di Franz, come ben si immagina. Forse, in qualche punto, è risultato anche convincente. Posso però giudicare solo superficialmente, perché il mio posto non mi consentiva osservare con attenzione ogni particolare. La Herdt126 nel ruolo di Amalie è un modello per tutto ciò che rende miserabile una pièce teatrale. Le scene con i masnadieri diventano sempre più stomachevoli, soprattutto quella in cui Kaselitz appare con la camiciola. Garly ha interpretato il ruolo di Kosinsky con una mimica gestuale molto studiata e armoniosa, che tuttavia tradisce forse ancora un po’ troppo la sua provenienza da corte.127 Franz, come Grimm, si è mostrato come il più abbietto e rozzo ciabattino e Berger ha rovinato un altro ruolo di masnadiere. La seconda volta che sono stato al teatro di prosa ho visto la prima replica di una vecchia opera ricercata, Athelstan,128 tradotta dall’inglese, in cinque atti. Da tempo non assistevo a un dramma così greve e dilettantistico, scialbo e debole, in cui ogni parola e ogni pensiero sembrava preso dalla Heerstraße, per usare una tua espressione. Certamente lo conosci. Mi ha però risarcito l’immensamente bella interpretazione di Fleck, che mi ha ricordato in modo vivido il suo re Lear. La sua figura si è fatta apprezzare molto ed egli ha colto con i movimenti più riusciti, con il tono più sincero della voce, l’elemento impetuoso e traboccante della passione. Mi sono rallegrato quanto stupito di vederlo ricoprire due volte di seguito, in modo così brillante, dei grandi ruoli. Per la prima occasione posso citare Bernhardi a testimone. Oltretutto Berger non mi è mai risultato tanto insopportabile come quando ha recitato la parte del re Harold. Nessuno come te è in

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grado di imitare così bene il suo tono del suo discorso, maledettamente cantilenante e scivoloso, che procede a strappi dal pianissimo al fortissimo. Tutto il trasporto affettivo viene cancellato dallo stile manierato del suo linguaggio. Nell’Athelstan si sono usati come elemento di riempimento la lattaia o i due cacciatori. Ho visto per la prima volta questa cosetta che (con tutta la riserva dettata dai miei principi sulle operette, sia detto) se la cava decisamente bene e graziosamente; ho visto per la prima volta il Signor Greibe farsi di sasso, ho sentito per la prima volta (mirabile auditu) il suo cuore scricchiolare dentro al corpo. Greibe sa recitare il proprio ruolo comico decisamente con una nobile semplicità. Lippert è spesso grossolano. La Baranius ha eseguito delle arie che mi sono piaciute molto e, in generale, ho goduto molto dell’ascolto di una musica piacevole, adeguata e semplice. Forse non ti ho neppure raccontato che qualche tempo fa ho assistito al Barbiere di Siviglia.129 Ci sono molte parti belle in musica; Kaselitz e Unzelmann recitano in modo molto gradevole ecc. ecc. A poco a poco sei arrivato al punto di sopperire ai miei giudizi (modesti)? Questo è quanto, per ciò che concerne le notizie dal teatro. Segue una piccola prova poetica composta da rime disperate, che forse possono essere talvolta soggette al dubbio se si debba metterle in rima oppure no, ma che, proprio perché sono state scritte in un’atmosfera di disperazione, non dovrebbero disperarsi per il fatto di essere commiserate da te e di essere giudicate in modo indulgente come povere rime compassionevoli che si disperano e sono piene di disperazione. Per dirla in tedesco: ti invio un breve componimento e attendo da te un giudizio schietto in proposito. Non so se abbia un qualche valore, finché tu non me lo abbia comunicato. Sono però quasi incline a credere che ci si sia poco o nulla che valga, ma che appartenga piuttosto al genere conosciuto e amato della poesia in versi sciolti. Incidentalmente voglio mostrarti sulla base di alcuni esempi di una poesia in anticotedesco, che mi sono capitati fra le mani, con quale naturalezza vi venga espressa la disperazione. Il fratello prende commiato dal fratello: Dunque tu ti vuoi separare da me e così comincio a soffrire a tal punto, che non proverò più sentimenti; e tutto ciò che è considerato buono anche questo voglio evitarlo e sottrarmi a tutte le virtù, né voglio servire Dio oltre. Si potrebbe sopportare la chiusa della quarta strofa nella mia poesia? ——————

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Perché scrivo questa lettera prima che tu risponda, te lo già detto fin da subito all’inizio: è la mia confessione. Ma adesso scrivi presto. —————— Non ti risulterà strano se sono al corrente delle lettere di Schmohl. Santo cielo, si fa una triste esperienza quando si scopre che gli individui si trasformano in modo così spaventoso e diventano così enigmatici! Non voglio sprecare altre parole sull’argomento. Ma sarei lieto se potessi contribuire a calmarti. Puoi ben immaginarti che la tua cara, buona sorella ha placato i tuoi genitori e se stessa con le ragioni più naturali contro quelle infamie che mi risultano incomprensibili. Sia ringraziato il cielo che te ne sei andato da Halle. Certamente non gli scriverai. Mi auguro dal profondo dell’anima e ti prego fervidamente di dimenticare il prima possibile lui e i suoi cattivi scherzi. Non voglio aggiungere altro circa questo caso inaudito. Ti prego solo di calmarti, caro Tieck! —————— Giovedì sera Ieri, come sono solito fare di mercoledì, sono stato al concerto. Dal momento che in queste circostanze sono molto attento, mi risulta particolarmente evidente quanto mi renda sempre stanco la musica. Sento davvero, chiaramente, come i toni, quando li si raccoglie con tutta l’anima, sollecitino i nervi, ne aumentino la tensione e li affatichino. Bernhardi ti saluta di cuore, ti risponderà presto e spera in una corrispondenza piuttosto continuativa con te durante l’inverno. Hai scritto anche a Rambach? E a tua sorella? Noi tutti ci meravigliamo, ma non senza rallegrarci di cuore, della tua accuratezza e solerzia nello scrivere. Sento che ti applichi allo studio con diligenza e ti diverti. Rimani in salute e non lavorare troppo, così che possa vederti in piena forma a Pasqua. Non immagini come abbia pensato in modo vivido, ieri sera, stando in un cantuccio alla fine del concerto, ai giorni magnifici trascorsi in viaggio e particolarmente a quelli passati a Wörlitz. Dio, che mattinata è stata quella! Non ne è mai trascorsa per me una più splendida! Ti ricordi della mezz’oretta che abbiamo passato nella caverna scavata nella roccia e dall’apertura abbiamo guardato scorrere il tranquillo corso d’acqua sotto di noi? Come sorrideva tutto, intorno, come risplendeva tenue il sole e di quale grazioso tono di blu si era rivestito il cielo! Nonostante tutto questo, credo di immaginarmi ora quel mattino ancora più bello di quanto non sia stato, e credo che questo mi accada con tutte

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le cose piacevoli che mi sono toccate in sorte in passato. Ricordando, la fantasia elimina automaticamente quanto vi è di eterogeneo, seleziona tacitamente tutto quanto non fa parte del carattere dominante dell’immagine e ci dona un ideale dell’immagine individuale, per quanto questa risulti ancora imperfetta. In senso più stretto, questo è il compito della speranza. Credo che al mondo non esista nulla che sia abbastanza bello da non poterselo immaginare ancora più bello e che quindi la banale esclamazione che ci si fa sfuggire davanti a un bel paesaggio, ovvero che non lo si potrebbe immaginare più bello, sia fondamentalmente falsa. Basterebbe aggiungere un arbusto laddove c’era una zona arida o un vuoto nel paesaggio, basterebbe eliminare un blocco di roccia che copre una vista leggiadra e tutto trarrebbe infinito guadagno dalla nostra mano creatrice. Ma non è facile rendersene conto. Recentemente ha scritto il padre del mio Signor cugino. Non posso dargli torto per il fatto che si sia un po’ risentito, perché durante il viaggio mi sono tenuto distante da lui. Ma non importa. È probabile che suo figlio andrà a stare con suo cugino, che si trova già ad Erlangen. Gli scriverò per prenotarci due sistemazioni in una casa. Mi pare che tu mi abbia detto che preferisci degli alloggi che non siano case di professori. Mi auguro dal profondo dell’anima che tu non mi ritrovi troppo insipido. In realtà mi sto istruendo nel modo migliore a diventarlo. Ma voglio spendere ancora una parola sulla frequentazione quotidiana delle persone che mi circondano. Non riesco ancora a convincermi, e riuscirò anche a fatica a farlo, che si possa mostrare a certe persone in tutta evidenza il proprio carattere e che si debbano esprimere completamente tutte le proprie opinioni più irrituali, quando se ne ha l’occasione, anche se queste non vengono imposte in maniera indiscreta. Il mio parere in proposito è questo: se faccio trapelare al cospetto di una tal sorta di persone una frase che scaturisce dal mio sistema di pensieri, se esibisco un’affermazione dalla mia riserva di principi, costui può scoprire l’intero sistema dei miei pensieri e si accorge che faccio parte della categoria degli originali, così che finisco sempre con lo scontrarmi con questa persona. Se gli dico per esempio che questo o quello mi sembrano insulsi, si presenta prima o poi il momento in cui costui condivide il parere di quello, che dice le stesse cose insulse di lui. Oppure mi si considera sempre uno che la vuole sapere più lunga degli altri (anche se volessi in tutta umiltà esprimere dei paradossi – e un paradosso è già il fatto che Gli scapoli impenitenti è meglio del Don Giovanni). Talora si trova rifugio nei giudizi sentenziosi che pronuncio come se si trattasse di un oracolo, ma talaltra si parla male di me alle mie spalle. Inoltre, non me la sento di coprire continuamente e ininterrottamente questo ruolo, giacché avendo a che fare con gente di tal sorta si può davvero parlare di un ruolo per ciò che concerne il mio carattere. Alcune volte posso essere anche più umano, più sensuale, più divertente,

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più comune; cosa può risultare più appariscente di questa instabilità? Ci si ritirerà tranquillamente, ostentando freddezza nei miei confronti, anche se mi rallegro di cuore per il bel tempo o se mi va di ridere con gli altri con aria complice per un aneddoto divertente. Mi sembra che (anche se le mie parole al momento non esprimono i miei pensieri in modo sufficientemente adatto e felice) tu possa riconoscere in questa faccenda la triste notorietà di molte esperienze di cui sei al corrente! Se solo potessi fornirti altri esempi! Ma al momento non me ne vengono in mente altri. Ma basta così, perché non posso mettere in mostra completamente il mio vero carattere. Facendo questo, potrei rovinarmelo da solo oppure conferirgli un indirizzo sbagliato. Preferisco coprire taluni punti che potrebbero, forse, risultare sconvenienti. Credo dunque, santo cielo, che non arrivo in questo modo al punto di umiliarmi ripudiando i miei fondamentali principi. Non c’è nulla che io detesti maggiormente, e non potrei far altro, in questo caso, che arrossire ancor più per la vergogna, che comportarmi come un musicista di Berlino che, per non irritare nessuno, interpellato sulla musica di Alessandri,130 diceva in ogni occasione sociale “eccellente, eccellente”, non riuscendo in realtà intimamente a sopportarlo. La mia medicina universale, il mio rimedio segreto già più volte sperimentato a mio vantaggio in innumerevoli occasioni e in casi infinitamente vari, è il silenzio, oppure, analogamente, fornire una spiegazione del tutto generale, del tutto generica e assolutamente insoddisfacente, che in realtà allontana da sé, più che soddisfare, la risposta effettiva. Non mi nascondo neppure di buon grado dietro cavillose ambiguità. Se non seguissi queste regole che mi sono dato, finirei con l’urtare in ogni momento la sensibilità comune (anche se tu non puoi rendertene conto appieno come me). La noia, la cattiva compagnia, la mancanza di gusto: chi può contare tutti gli argomenti che possono essere attraenti per un tale tipo di signori? Dici giustamente che in loro presenza non devo né sforzarmi, né sentirmi a disagio. Ma a che mi giova cercar lite e trascorrere ore sgradevoli? Non vedo alcun altro mezzo se non l’accostarmi un po’ di più a loro (spero che tu sappia in che modo). Non posso negare che ci siano occasioni in cui io mi abbasso più del necessario, cercando di divertirli con una trovata e difendendomi così dalla noia. Ma quale avventatezza e quale debolezza non potrebbe essere scusata nel faticoso periodo di un apprendistato che dura 365 giorni e poi ancora la metà di questi?131 Posso anche garantire ancora, d’altra parte, che molto più spesso mi infiammo naturalmente quando vedo che si parla e si giudica in modo troppo insulso. Poi, però, taccio subito e lo faccio volentieri, almeno quanto volentieri non lascio traboccare il mio naturale temperamento (tu mi conosci). Tu non devi immaginarti ora i due estremi portati al loro eccesso (da capo, tant’è, tu mi conosci e ti ho scritto queste cose in modo schietto, anche se non ho usato sempre le parole più adatte). Che ne pensi?

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Rambach, che oggi mi ha letto di nuovo un passo eccellente tratto dai suoi Siracusani (che ora si chiama Hiero e la sua famiglia) – Bernhardi lo reputa come me un lavoro compiuto –, mi ha chiesto oggi a sua volta se io non scriva niente per me stesso. Non dispongo di nessuna forma di vivo incoraggiamento, perché metà della mia anima mi è stata strappata. Oltretutto, il mio tempo viene spesso occupato da faccende indegne e da attività dispersive. Ah, la giurisprudenza! Quando potrò mai superare il disgusto di dover affaticare la mia memoria con la terminologia, le definizioni, le distinzioni e così via! Quale curioso intrico di parole e parole e parole, in cui sono avviluppate le cose più semplici, è mai il diritto romano! E che razza di funzione esercita un giudice! Quale opinione avrà mai di un evento che fa saltare i cuori e sconvolge le menti, di una faccenda della passione, dell’anima umana? Cerca tra i vari nomi barbari che i Romani hanno dato alle querele quella che più si adatta al caso e poi viene caricato l’orologio, questo si mette in movimento e poi la carica si esaurisce. È proprio come quando un fanciullo impara a contare e cerca sulla tavola pitagorica che è stata tracciata schematicamente il 4 in alto e il 5 di lato, e con tutte e due le dita cerca il punto di convergenza, finché non finisce sul 20. Prima che questa faccenda si sia conclusa, altre 100 nuove vi si sono aggiunte; la ruota gira sempre e in eterno – quegli individui eludono ogni forma di sensibilità umana, si nutrono di sangue e lacrime – oh, ci si può fare un’idea piuttosto spaventosa della situazione! Certamente il mio punto di vista è di parte. Ma con ciò non vorrei mai diventare né giudice né avvocato. Tu sei sempre stato abituato a ottenere da me il giudizio più schietto. Questo e nient’altro vuole essere la premessa al fatto che ti confesso di non aver trovato niente di particolarmente eccellente nel tuo Adalberto ed Emma, che ho letto stasera. La maggior parte di quanto scrivi è piuttosto ordinario (parlo sempre di te e in confronto a quello che sei in grado di fare), e reca in sé le chiare tracce della superficialità. Perché mai persone come te devono scrivere in fretta e furia? I passi, che butti lì in 10 parti del testo tra 100 meno belli potrebbero, se collegati tra loro, produrre dei capolavori! Se solo potessero essere pubblicate opere più compiute, quanto meno più curate nella fase di elaborazione! Ma non è questo non è il caso. In generale, rimango testardamente legato alla mia convinzione che l’elemento caratteristico del costume cavalleresco non viene rappresentato correttamente nel suo intero spirito. Ma su questo argomento ritornerò in un’altra occasione. Mi sembra inoltre che le singole situazioni non si siano offerte alla tua scrittura e non si siano piegate al tuo scopo, ma sembra invece che tu ti sia dovuto impegnare a raccoglierle e a condurle verso un obiettivo. Voglio dire che si vede sempre troppo chiaramente l’esigenza dell’autore; tutto è troppo debole. Anche le descrizioni ti

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sono sfuggite di mano troppo frequentemente. Ti potrei fornire molte prove e molti esempi, ma questo ci porterebbe troppo lontano. La descrizione di come Emma dimentica progressivamente il suo Adelbert, mentre Friedrich fa l’esatto contrario, funziona molto bene. Ma è decisamente sgradevole il fatto, invece, che in seguito Emma faccia un così rozzo confronto tra Wilhelm, che vede per la prima volta, e Adelbert, che è stato un tempo un uomo che ha profondamente amato e di cui il ricordo è ora sopito nella sua anima. L’unico passo geniale che mi è saltato all’occhio è la descrizione della cavalcata che Adelbert fa dirigendosi verso il castello di Friedrich alla fine: è davvero commovente. Molto buona è anche l’idea negli ultimi versi del finale. Il passo che dice “Allorché si svegliò la mattina, Adelbert e la sua promessa furono il suo primo pensiero” è scaturito dal profondo dell’anima umana. Sabato. Ieri sera ho letto a tua sorella la parte nuova del tuo dramma e mi sono rallegrato molto dei suoi giudizi. Coincidono quasi completamente con i miei. Alla lettura del passo sgradevole ha commentato: «Una nuova veemente passione cancella completamente il ricordo di quella antica». Nella giustificazione che Löwenhaus trova nei confronti di se stesso si trovano molti passi genuini e belli, soltanto che questi sono sparsi qua e là. Invio un saluto caloroso al tuo Burgsdorff. Wißmann ti saluta. Sono infinitamente felice per la Pasqua e per il periodo dopo Pasqua. Ti riservo ancora una stanza con camera annessa? Scrivimi presto, mio caro e unico Tieck e sta’ in salute. W. H. Wackenroder Disperazione 1792 1 Chi condivide con me le indomabili sofferenze che in me fanno ribollire il mio sangue infuocato? Ah! Ora potrei abbracciare i miei nemici, con febbre incurabile potrei scherzare ridendo; fin giù all’inferno mi getterebbe la rabbia. 2 Venite voi tutti, malvagi spiriti di Satana, E guardate con piacere queste spoglie: è la mia donna! Con forti grida di giubilo risuoni da voi a me un canto trionfale e riecheggi il conforto nell’animo mio profondamente sconvolto.

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3 Ah no! Voi stessi, voi avreste compassione, sarei troppo miserabile anche per il vostro divertimento! Tormentate più volentieri coloro che sono felici, – evitatemi, meschini! Chi accoglierò ora a braccia aperte? Chi stringerò al mio petto tormentato? 4 Sì, delle pietre vorrei premere sul petto: Trionfo! Ora conosco la vera beatitudine! Via di qua, voi cuori umani! Il vostro saluto lascia un vuoto desolato – voi ponti marcescenti del fiume scuro del nostro tempo di affanni! 5 Il variopinto marmo sia il mio svago Il fuoco adamantino sia il mio Dio! Bruci eternamente! Pula son tutti i doni di cui godono le anime belle glorificate! Via di qua, voi cuori umani! A voi il mio scherno!

19. A Tieck: [Berlino: 11 dicembre 1792] Martedì Mio caro, ottimo Tieck, le nostre lettere si sono incontrate e con loro le nostre anime. Che la mia corposa missiva abbia avuto la sfortuna di essere aperta? Cosa importa! Quanto si sarà riso della mia Disperazione in rima, che ti ho spedito! Contribuisce molto al mio piacere, addirittura alla mia vita, il fatto di saperti così felice a Gottinga. Spero che questa condizione non abbia mai fine, finché sarai lì e spero che tu possa aspettarti e che possa trovare un futuro altrettanto bello non appena potrò di nuovo stringerti tra le mie braccia. Mi rallegro già per come mi spiegherai Shakespeare a Erlangen. Dal momento che io ho poche occasioni di stimolo intellettuale, cerco di procurarmelo nel miglior modo possibile. Forse hai già visto dalla mia recente citazione da un poema antico-tedesco132 di che cosa mi sto occupando in questo momento. Sto seguendo delle lezioni seminariali sulla storia letteraria generale, che riguardano soprattutto le belle lettere in ambito tedesco, presso il predicatore Koch,133 un uomo estremamente dotto, ben informato e appassionato. Questo mi ha reso

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possibile incontrare alcuni interessanti poeti tedeschi antichi e mi ha fatto capire che questo studio, se intrapreso con un po’ di spirito, può essere molto attraente. Mi sono anche annotato alcuni testi e ora mi cullo spesso nella speranza (anche se infantile, almeno divertente), di aver un’occasione per fare delle scoperte in questa disciplina in qualche angolo di una biblioteca oppure di poterla quantomeno arricchire grazie ad alcune piccole spiegazioni. Già la lingua, l’etimologia e le affinità terminologiche (in modo particolare la piacevole sonorità dell’antica lingua della Franconia orientale) rendono interessante la lettura di quelle antiche vestigia. Ma anche se si fa astrazione da queste cose, in questi testi si trova molto genio e spirito poetico. Forse ti stupirai di come io sia capitato su questi argomenti; già solo il fatto di essere occupato è la cosa migliore per me e sicuramente non diventerò un erudito. Accanto a questo, coltivo però anche un altro studio prediletto, che potrei abbracciare con tutta la mia anima, se solo mi trovassi lì dove sei tu ora: si tratta dell’archeologia. Ti invidio: come avrei voluto poter utilizzare la biblioteca di Gottinga! Se dovessi avere occasione di esaminarvi l’una o l’altra opera importante sull’arte antica, ti prego di farmelo sapere. Spero comunque di potermi abbandonare con vero ozio alle mie inclinazioni più amate, a Erlangen, più di quanto non possa fare qui. Un paio di novità. Nella seconda parte del volume 110 della Allgemeine Deutsche Bibliothek ho letto pochissimo tempo fa la recensione del Theseus (Teseo) di Rambach. Gli è stata concessa solo una pagina e mezza e non si diceva altro se non che la traccia era cattiva, che da tempo non si vedevamo versi così stentati e privi di musicalità e che lo stile della prosa era assai affettato. Gli ultimi due punti sono stati discussi sulla base di esempi. Ancora una conferma al mio giudizio. Moritz si è sposato da poco. Siede134 (quell’essere orribile) se ne è andato con sua [di Moritz] moglie, ma sono stati raggiunti. Siede è agli arresti. Per quanto riguarda Moritz, mi viene in mente ancora una cosa. Dimmi, spiegami com’è che costui, a quanto pare, ha assunto un atteggiamento singolare: da qualche tempo ho sentito da persone degne di fede che presso l’Accademia si comporta nei confronti del conte [von Hertzberg] in modo bassamente mellifluo. Questo fatto mi risulta appena un po’ meno comprensibile del fatto che possa scrivere delle grammatiche.135 Cerca di spiegarmi questa cosa, te ne prego vivamente, cerca di spiegare questo fatto enigmatico al tuo fratello gemello. Non devi dubitare di quanto ti racconto. Su Adalberto ed Emma hai già avuto il mio parere. Naturalmente si è trattato solo di un’analisi superficiale, come tu stesso dici. Che Emma assuma una parte disprezzabile pare anche a te un errore?

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Dunque condividiamo come sempre lo stesso parere. Tua sorella, con mio sommo piacere, è stata capace, quando gliel’ho letto, di trovare molti parallelismi con tuoi lavori più antichi. Per quanto riguarda l’opera di Burgsdorff, ho portato la tua ambasciata. Perché lo mette sottosopra? E perché tu lasci perire la povera Anna Bolena? Te lo chiedo con grande serietà. Mi dispiacerebbe molto se questo soggetto avesse perso interesse ai tuoi occhi. Che cosa pensi dei miei recenti frammenti di una teoria della frequentazione? Non mi dispiacerebbe saperlo. Potrei farvi ancora qualche aggiunta, perché nella fretta non mi è venuto in mente di spiegare completamente il mio punto di vista e di garantirlo contro più di una pagina di obiezioni. Ad esempio, devo dire che naturalmente la mia proposta è solo l’ultima ratio e che c’è qualcosa di disgustoso quando si fa i finti tonti o i sostenuti; [devo aggiungere, N.d.T.] che stando in compagnia di più persone di vario valore non si dovrebbe esprimere in modo completamente aperto il proprio amore e la propria inclinazione per una parte, se non ci si vuole giocare il proprio ruolo verso l’altra e non si vuole pagare l’aspetto attraente di una frequentazione interessante durata ore per mezzo dei suoi esiti sgradevoli che, a causa della successiva frequentazione protratta degli altri, hanno come conseguenza una trasformazione del carattere e la messa a nudo della proprie reali opinioni. Mi viene in mente ancora un esempio. Se all’occorrenza parlo dell’educazione e contesto vigorosamente l’insulsaggine della comune educazione, se suppongo che si propini del veleno ai bambini, se nel loro quarto anno di età li si costringe con durezza ad andare a scuola, li si imbottisce di conoscenze di ogni tipo e si vuole che a casa ripartiscano il loro tempo in modo così razionale e gestiscano in modo tanto economico le loro cose come forse può fare il settantenne Arnoldi, se mi affido a certi discorsi accalorandomi (diversamente non mi è possibile), allora un attimo dopo il mio Signor cugino mi racconta con la massima asciuttezza (perché non potrebbe mai tenere per sé qualcosa che sa o pensa, perché sapere è la parola giusta, - ma cosa dico! Penso che si ammalerebbe se dovesse tenersela per sé) che anche lui è andato a scuola a partire dal quarto anno di età, e questo basta perché, specialmente se i miei genitori sono presenti, mi venga chiusa la bocca di colpo. Non sarebbe cento volte meglio, in quest’occasione, se dicessi: «Reputo che sia estremamente difficile impartire una buona educazione e non saprei come si potrebbe organizzarla al meglio». E cosa perdono qui allora alle mie peculiari opinioni? Quali principi mi attribuisco mai, a ragione della cortesia e della compiacenza, di cui io mi dovrei vergognare? Non conosco assolutamente nessun altro metodo che non sia il mio. Non devi pensare che questo sia il più comodo e che io lo apprezzi per questo; infatti mi risulterebbe

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molto più facile liberarmi del peso opprimente dei miei pensieri e dei miei sentimenti, piuttosto che soffocarli dentro di me. Tuttavia, preferisco sentire prima le tue obiezioni verso quello che ho già detto, prima che io dica di più. Mi scuserai se sono così prolisso su quest’argomento: mi farebbe piacere se ci potessimo accordare per una volta su questo punto, se potessimo mescolare i nostri pareri reciproci e se potessimo impastare una massa che diventasse in seguito una nostra proprietà, così come abbiamo già fatto frequentemente in altre occasioni. L’eccessiva irritabilità dei miei nervi, che non so come definire e della quale io non posso davvero andar fiero, mi aggrava molto in ogni circostanza sociale. Con chiunque altro parlerei per enigmi, ma tu potrai ben scrutare la mia anima se ti dico che la semplice vista di individui come *** offende il mio intelletto e mi procura sofferenza. Il solo vederlo mi opprime a tal punto il petto che non posso respirare liberamente. Ma quello che più conta, è che non posso vederlo per un istante, senza provare dentro di me la sensazione più sgradevole dell’avversione e dell’antipatia. Questa è sicuramente una sensazione che, se ripetuta, ha un effetto dannoso, perché ottunde la mente e danneggia il cuore. Ogni forma di gaiezza, di amore, di disponibilità verso il prossimo ci nobilita ed è essa stessa una virtù; ogni sentimento che abbia la sua origine nell’odio ci peggiora e ci svilisce. Questi sono dei principi di cui sono assolutamente convinto. Ora comprendo anche più del solito quello che mi hai detto una volta: cioè che la vista di un quadro bello e pieno di espressività, ovvero il godimento del bello in tutte le belle arti, nobilita il cuore in modo assolutamente diretto ed eleva l’anima. Percepisco chiaramente questo fatto, e se solo contemplo il tuo volto, sono in armonia con me stesso, ma quando guardo il suo, ciò fa stonare completamente le corde armoniose della mia anima. Poco tempo fa ho avuto ancora una prova della mia irritabilità. Una sera è stata raccontata a tavola, a proposito di un nuovo viaggio per mare, la toccante storia di capitano di vascello che, dopo essere stato costretto dai suoi marinai ammutinati a salire su una scialuppa, era ritornato da Tahiti verso l’Inghilterra con pochi fedeli compagni di viaggio tra gravi rischi di perire e costantemente terrorizzato dalla minaccia di morire di fame. Questo racconto mi ha messo talmente di malumore che me ne sono andato subito a letto. Ho provato una sensazione come di disgusto verso me stesso, poiché me ne stavo calmo e felice; mi è sembrato di poter riscattare la sfortuna con una manciata d’oro e flagellare e mortificare il mio corpo. Con ciò mi è venuto in mente, in seguito, di tradurre questa sensazione in un’ode e di inaugurare, in generale, un tipo del tutto particolare di ode. Un tipo che chiamerei poesie liriche katΔ exochn136 e che da sempre hanno

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rappresentato il mio genere preferito. Devono essere quadri fedeli del sentimento e della passione, del tutto individuali e dipinti secondo natura. Devono rappresentare l’autentica e vera esplosione della passione, alludere al loro germe e alla loro fonte, condurre alle conseguenze e servire pertanto a insegnare che cosa siano gli esseri umani e i loro cuori, a spiegarne e a scoprirne la natura e a difendere gli esseri umani dall’aggressione dei loro simili. Devono mostrare come tanto il soggetto felice quanto quello infelice possano essere indotti ad azioni criminose per gli eccessi del loro sentimento. Devono scaldare il cuore del più freddo degli ascoltatori e trascinarlo con sé, cosicché costui provi spavento nel constatare in quale abisso sia sprofondato, ma proprio per questo impari nel modo più sensibile a giudicare l’aspetto emozionale degli esseri umani. Alcune odi di Stolberg137 sono composte assolutamente secondo questo criterio. Le odi di Schiller138 sono i modelli ineguagliabili di questo genere. Guarda, al contrario, le odi di Ramler e quelle di Orazio!139 Il lettore si trova sempre esterno rispetto al mondo del poeta e può soltanto esercitare la propria critica sul criterio compositivo. Come cambia la situazione in quel caso? In seguito si può naturalmente anche prendere in considerazione e ammirare il poeta in quanto poeta, si può analizzare il disegno della sua opera: solo che, che disegno è mai questo? Non è un disegno! È la corrente infuocata della passione, che scorre come la lava dall’Etna e non ci si chiede perché questo flutto venga dopo quello, perché quel flutto più potente ingoi tutti i minori! Qui bisogna diventare del tutto soggetto che interpreta l’ode, sentire in prima persona, essere in sé e per sé poeta. Nel caso di Ramler, al contrario, bisogna affannare la propria perspicacia per cogliere e apprezzare la combinazione artificiosa e studiata delle sue idee e dei suoi pensieri sottili. Spero che tu mi comprenderai completamente, quando ti dico questo, così come io comprendo me stesso. L’ode che ti ho spedito recentemente dovrebbe essere un piccolo tentativo di questo tipo. In essa ho voluto tratteggiare lo stato d’animo di un uomo che viene a tal punto avvilito dai mille aspetti della miseria, essendo soddisfatto della propria vita, che precipita in solitari deserti dello spirito e, vaneggiando come colto da follia, decide di sottoporsi a varie forme di penitenza. Non dovrebbe forse, un’ode di questo tipo, gettare una chiara luce su quegli eremiti esaltati del Medioevo e mostrare la via, quantomeno una via, percorrendo la quale gli esseri umani sono giunti ad agire in un modo che i più considerano talmente sconsiderato e insulso, da ritenerli del tutto dissennati e indegni di far parte dell’umanità? Non dovrebbe mostrare che proprio il sentimento dell’esser uomini è stato quello che li ha condotti a coltivare le loro idee paradossali? Ho in mente molti più progetti di questo genere, ma finora, disturbato da mille difficoltà e seccature, non sono riuscito a realizzarne neppure uno. Per quanto concerne le mie piccole poesie, si tratta di composizioni più sentimentali che concettuali, perché se composte in quel modo,

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mi paiono molto più liriche di quanto non siano queste; quelle (che sono la maggior parte), che hanno rappresentato uno sfogo della mia sensibilità personale, possono considerarsi contributi alla storia del mio spirito. Se mai dovessi diventare, un giorno, giurista, la mia eccessiva emotività rappresenterà per me un vero fardello. Mio padre mi ha mostrato per un paio di sere gli atti di un piccolo processo e me li ha fatti leggere fino in fondo. È vero che per la corretta descrizione delle circostanze principali del fatto, per poterle giudicare e per potervi applicare le leggi, è necessario possedere un particolare spirito critico che occupa e affina l’intelletto, quantomeno quando si tratta di casi complicati. E che ogni forma di critica, come ora posso constatare con chiarezza, è una preziosa e amabile attività dello spirito. Ma considerato che nella giurisprudenza spesso è estremamente dubbio se la sua libertà sia o no limitata per mezzo di leggi stabilite, prassi consolidate e mille altre minuzie e che non può essere consolante acquietarsi semplicemente appellandosi alla propria buona coscienza, rimanendo del tutto incerti, dal momento che l’uomo non è onnisciente e che i processi prima o poi devono chiudersi, se si sia deciso secondo giustizia o ci si sia sbagliati, rendendo infelici chissà quanti uomini: bene, considerato tutto questo, mi appare una prospettiva estremamente sgradevole dover usare il mio freddo intelletto laddove i cuori entrano in collisione fra loro, dover spegnere il fuoco delle passioni con l’acqua, tagliare il nodo dell’interesse variamente intrecciato di molti, un fatto che mi farebbe scoppiare in lacrime se lo vedessi rappresentato in scena, perché sarei colto da profonda pietà, e dovrei considerare e riflettere se un simile avvenimento sarebbe una semplice variante di una versione banale del fatto e calcolare se si addice al contesto oppure no. Naturalmente si ha bisogno della giurisprudenza, in uno stato; naturalmente è necessario che il giudice (non posso dire altrimenti, perché non riesco a immaginare come potrebbe essere il contrario) deve sconfessare il sentimento umano e deve elevarsi sopra l’umanità come un essere che soppesa freddamente le azioni umane; naturalmente! Solo che io non posso farlo! E per ritornare alla questione della critica, potrai facilmente darmi ragione del fatto che essa non può essere né la preoccupazione più nobile, né il merito più grande dell’essere umano. La critica consiste sempre solo in comparazione, in composizione e divisione di ciò che esiste già, in trasformazione di quanto già esiste. Solo la creazione ci avvicina a Dio, e l’artista, il poeta è creatore. Viva l’arte! Solo lei ci innalza al di sopra della sfera terrena e ci rende degni del nostro cielo. Il mio amico Schuderoff ci ha scritto di nuovo. La gioia per una sposa che deve essere una fanciulla estremamente amabile lo ha posto

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in uno stato di ebbrezza eccitata. Scrive in uno stato di estrema spavalderia. Ci aspetta a braccia aperte e non si accontenterà di averci lì solo per 14 giorni. Da lui staremo divinamente. Quando puoi, scrivimi delle ultime novità in campo letterario e archeologico e antichistico, raccontami qualcosa dei professori di Gottinga, mentre mi rammarico del gusto di Forkel. Stai bene. Non far trascorrere neanche un attimo in più! Salutami Burgsdorff! Scrivi presto. W. H. Wackenroder 20. Tieck a Wackenroder: Gottinga [tra il 20] dicembre 1792 [e il 7 gennaio 1793] Caro amico, ti ringrazio mille e mille volte per la tua lunga lettera; ho ricevuto anche la seconda che mi hai mandato. Forse avrai aspettato alcune notizie da me, ma non essere arrabbiato perché ci ho messo così tanto tempo a risponderti; questa volta non si è trattato di trascuratezza bensì del fatto che sono stato trattenuto da alcuni lavori che ho ulteriormente approfondito. Ma è con te che parlo, per cui basterà dire che ti ho pensato quotidianamente, anzi ora per ora e che in futuro sarò più attivo su questo fronte. L’umore che hai provato come nel giorno in cui mi hai inutilmente cercato dappertutto lo comprendo molto bene, ma cerca di evitare simili stati d’animo perché portano a una incredibile spossatezza. Ho fatto più di una volta un’esperienza simile personalmente; si sprofonda in uno stato melanconica agitazione che ci ottunde e che ci spinge a una situazione letargica. Se questa disposizione si ripete di frequente, essa finisce col soffocare qualsiasi spinta a essere attivi. Cerca di andare più spesso da Bernhardi, se ne hai la possibilità, esci con lui, cerca di distrarlo; mi ha scritto e, se non vado errato, dalla sua lettera trapela già piuttosto chiaramente lo spirito dell’ipocondriaco. Continuo a preoccuparmi del fatto che potrei non vederlo per Pasqua; questa sensazione mi è straordinariamente presente. Già sai della mia inclinazione per questo tipo di farneticazione, ma non riesco a reprimerla. Datti da fare per cercare di guarirlo, ma non dirgli nulla della mia funesta congettura, perché per quanto egli sia istruito, questo lo renderebbe sicuramente ancor più sofferente. Forse sai che mi ha accompagnato fino a Zehlendorf a cavallo, che là abbiamo bevuto

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un caffè e che siamo andati su e giù per la stanza. Non l’avevo mai visto così triste, così freddo e così cupamente sconsolato; mi ha detto di non riuscire a reprimere la sensazione che non ci saremmo rivisti; in seguito, ha preso commiato da me con un’aria così melanconica, che eravamo entrambi sul punto di piangere. Poi io sono stato dominato per tutta la giornata dall’idea che l’avevo visto per l’ultima volta. Anche di questo non dirgli nulla e, in poche parole, se puoi, cerca di uscire con lui. Dal momento che ha sempre mostrato molto interesse nei miei confronti, ogni tanto puoi anche leggergli dei passi delle mie lettere (che non riguardino soltanto noi due), perché io non sono in grado di scrivere sempre con la stessa costanza e perché mi sembra, in particolare, che lui sia diventato il tuo amico più intimo. Non è ancora deciso chi di noi due si rallegri di più dell’arrivo della Pasqua. Io non voglio essere triste, posso assicurartelo, e questo a ragione del fatto che riesco sempre più a dominare il mio umore, perché mi diventa ogni giorno più chiaro che l’uomo migliore difficilmente può vivere in questo mondo arido, infruttuoso, miserabile. Deve crearsi un mondo ideale che lo soddisfi e solo allora gli è lecito osservare con occhio distaccato, dall’alto, tutta la cosiddetta felicità dei piccoli uomini che sono bastevoli a se stessi (ti ricorderai ancora delle lettere filosofiche). Questa è una beatitudine di cui quegli egoisti non hanno sentore, che non presagiscono – oh, non ho mai sentito dentro di me così tanta forza, così tanto coraggio, - ma che quanto mi gioverà tutto questo in Germania? – Ma basta così. Faremo senz’altro visita al tuo amato predicatore, e dunque dopo Pasqua? Successivamente resteremo un po’ più a lungo a Berlino. Non credevo che mi conoscesse già; probabilmente gli avrai raccontato fin troppe cose di me, perché rispetto alla mia persona, di fronte a te stesso, non ammetti la verità. Perdona la mia schiettezza, caro Wackenroder, ma tu hai in linea generale il pallino di avere un solo amico, anche se in questo amico si deve concentrare ogni cosa: tutto potenzia e nobilita la tua amicizia. Con un sorriso un po’ mesto ho già assistito alla tua infatuazione, e se mai tu dovessi esserne deluso, non perderò forse ingiustamente tutto quello che allo stato attuale sto guadagnando? Non devi fraintendermi; proprio perché sei un sognatore ti amo ancora di più, sono felice sulla scia dell’entusiasmo che riponi nell’amicizia; mi auguro solo che non venga il tempo in cui ti vergognerai di esser stato un amico entusiasta! Sto in effetti pensando che già poco tempo fa ti ho reso molto melanconico, in quella triste serata, prospettandoti questa situazione; non voglio dunque pensare che accada, soprattutto se stai acquisendo sempre più autonomia, come hai fatto finora. Capirai di certo cosa intendo dire, dato che ne abbiamo parlato molte volte.

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Mi ha fatto molto piacere che tu abbia sfogato il tuo malumore su Misantropia e rimorso,140 perché in tempi recenti sei stato un amico fin troppo entusiasta di questa pièce; giacché parli però per una volta di estremi, in questo contesto, cerca di non cadere nell’errore di disprezzare eccessivamente la via di mezzo (per quanto tu l’abbia amata, hai davvero un’inclinazione a saltare da un estremo all’altro) e cerca di non disprezzare quanto c’è di buono, in quest’opera, insieme a quanto non va – ma queste cose le puoi comprendere da solo. Recentemente hai visto i Masnadieri e io li ho riletti di nuovo. Oh, è davvero un dramma magnifico, divino – mi sento come se dovessi cadere in ginocchio davanti a Schiller e adorarlo – Dio, cosa può essere l’uomo; bisognerebbe forse credere che Schiller abbia qualcosa a che spartire con quell’arido sciocco, perché si rilevano tante somiglianze tra i due? In che cosa consiste la differenza? Gli stolti pensino pure quello che vogliono perché I masnadieri è un grande dramma. Io mi entusiasmo sempre più, quanto più lo comprendo; chi non lo comprende, si ricrei pure con la Klara von Hoheneichen141 e si faccia tranquillamente ricondurre a consumare il pastone per maiali dei drammi francesi, perché Schiller, Shakespeare e Goethe non hanno scritto per lui. Certamente, gli individui che si adoperano in tutti i modi a soffocare dentro se stessi tutto ciò che è umano, che non sanno formulare in prima persona una riflessione o che non sanno esprimere un sentimento, che con il loro meccanico modo di agire si considerano infinitamente superiori a tutti questi buffoni, non hanno idea di tutto questo; considerano la loro flemma come una forma di stoicismo e rinuncia eroica a tutte queste forme di infantilismo. Dal momento che non sanno esercitare né l’intelletto, né la fantasia, si rallegrano infinitamente dell’immaginario trionfo di cui possono gloriarsi nei confronti di queste opere – solo esseri umani sensibili possono essere considerati a mio avviso grandi e nobili. Dell’Athelstan non mi ricordo: dici di trovare l’opera decisamente cattiva e la recitazione di Fleck estremamente buona; devo confessarti che in questo punto non ti ho compreso molto bene. Si può pensare che un attore possa sollevare una pièce mediocre grazie a una buona recitazione, ma dubito molto che si possa recitare bene un’opera cattiva, soprattutto nel caso in cui sia qualcosa più dell’impianto a essere cattivo. Se i caratteri sono definiti in modo cattivo, rozzo e greve, senza conoscere l’essere umano, allora l’attore, per quanto grande possa essere, non vi può fornire alcun apporto significativo. Dovrebbe, in questo caso, rielaborare completamente l’intera sua scena, e tuttavia i caratteri tratteggiati miserabilmente sono miserabili proprio per il fatto che l’autore non è stato in grado di immedesimarsi in essi; da dove si dovrebbe mutuare, dunque, il parametro per la buona recitazione dell’attore, se tanto costui quanto lo spettatore non possono immedesimarsi nei caratteri?

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Mi scrivi che io dovrei aver imparato nel corso del tempo a supplire ai tuoi giudizi? Trovo nella tua lettera un esempio in cui non si dà questo caso, dove lodi la recitazione di Unzelmann e di Kaselitz nel Barbiere di Siviglia. Per quanto riguarda il primo condivido completamente il tuo parere: la recitazione di Unzelmann nel ruolo di Figaro è un vero capolavoro; ma anche quella di Kaselitz? Ammetto che egli presenta forse molte scene in modo naturale e alcune in modo comico, ma secondo me non recita bene in nessuna di queste, o per dirlo con una parola, risulta caricaturale e questa situazione non ha nulla di bello, per quanto vi venga investita molta espressività. In linea di massima, il comico e lo spaventoso hanno tra loro confini molto più labili di quanto non si pensi. A mio parere l’attore comico dovrebbe evitare di essere eccessivamente appariscente, sia nel vestire, sia nel linguaggio, sia nella gestualità. Quando va troppo alla ricerca dell’elemento comico, rischia di risultare estraneo, anche se ciò dura solo per pochi istanti, e questo disturba l’illusione. Per il mio sentire, l’elemento comico dovrebbe penetrare progressivamente nell’azione e, in un certo qual modo, lo spettatore dovrebbe essere guidato in questa dimensione a poco a poco, con l’aiuto dell’attore, come fa l’autore del testo. Forse proprio questa è la vera recitazione comica, come la restituisce Unzelmann, con leggerezza, en passant, senza fissare in modo esitante il singolo periodo, l’idea, la postura e senza tramutare in pietra le smorfie. In questo ruolo, Kaselitz è l’esatto contrario di Unzelmann. Facendo la sua prima apparizione, il suo aspetto ha ben poco di umano e ci si deve abituare a lui poco a poco. Mi ricordo molto bene dai tempi della mia fanciullezza che in occasione di una simile apparizione a teatro, che doveva essere a sua volta comica, non potei fare a meno di scoppiare in lacrime, perché provavo paura davanti a quest’individuo. Credo che in tutte le cose in cui la sensibilità è decisiva sono i bambini a rappresentare i giudici migliori, la fanciullezza è la dimora di tutte le nostre emozioni e una dottrina sottilmente intessuta di alcune parti dell’estetica con tutte le sue sottigliezze spesso non è altro che una felice rimemorazione degli anni dell’infanzia. Tutto ciò è anche molto naturale, perché alla fine tutto è ricondotto a un raffinato sentimento; fondamentalmente l’individuo poetico sente sempre allo stesso modo, sia esso bambino o uomo, i suoi sentimenti si rispecchiano in un certo senso sempre in modo nuovo e vario nelle esperienze che fa. Questi sentimenti non possono cambiare, ma solo moltiplicarsi e nell’individuo dotato di una sottile sensibilità tutto questo è insito in modo più chiaro e più vivo, anche se irregolarmente, rispetto al caso dello studioso di estetica, il quale convoglia i sentimenti in un morto sistema. Puoi constatare tu stesso, facilmente, che ai bambini non piacciono mai le caricature, perché solo a fatica essi vi riconoscono l’uomo, e ne hanno davvero paura; diversamente, essi possono osservare molto più a lungo una figura

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inespressiva e senza un carattere definito, meditarci sopra persino per giorni interi e trasportarvi espressione e carattere. Nella loro anima si sviluppano centinaia di sogni che, dopo dieci o vent’anni, con loro sorpresa, ritrovano nella loro mente o in un compendio, nel caso che essi abbiano una memoria sufficientemente forte da ricordarsi della loro infanzia. In generale, le caricature piacciono solo a un popolo nordico dal temperamento freddo, la cui sensibilità è troppo rozza per lo stimolo raffinato della quieta bellezza, oppure solo a quanti abbiano già attraversato la scuola della bellezza e siano in possesso di uno stomaco talmente sazio, che solo cibi molto speziati possono stimolarlo e che dunque sono favorevoli acciocché la bellezza venga sacrificata all’espressione, perché non trovano più nella bellezza un’espressione viva. Vedrai che io qui non parlo soltanto della caricatura comica, ma di qualsiasi espressione di una qualsivoglia passione che escluda la bellezza. Il pittore e lo scultore producono caricature quando rappresentano emozioni portate all’eccesso (vedi a questo proposito il Laocoonte),142 perché non deve esistere assolutamente un’arte della raffigurazione comica e così come l’attore tragico (confronta la Mimica di Engel)143 non deve rappresentare tutto fedelmente, così come questi deve identificare e scegliere, allo stesso modo dovrebbe evidentemente agire anche l’attore comico. L’autore di testi comici, infine, dovrebbe prestare grande attenzione a rinunciare ad ogni forma di emozione esasperata, se non vuole obbligare l’attore a interpretare delle caricature. Non possiamo immaginarci nessuna passione così potentemente forte che non avesse un effetto almeno altrettanto grande; la causa non deve rapportarsi a questo come un gigante nei confronti di un nano: infatti, la sproporzione e la disarmonia suscitano ovunque sgradevolezza nella natura. Immaginati un amante comico e sciocco, che sia però veramente soltanto innamorato; di certo, però, non riuscirai ad immaginartelo, perché non potrebbe più risultare comico. Elisabetta pretese da Shakespeare che rappresentasse Falstaff144 come amante, ma il poeta, che era ben più astuto, lo trasformò in un amante contraffatto. Anche un soggetto iracondo non è un personaggio adatto alla commedia; infatti, quando si tratta di passioni portate all’estremo non c’è più confine tra tragedia e commedia. L’Arpagone145 di Molière illude lo spettatore solo fintantoché non si infuria e sicuramente ti sarai accorto di questo fatto alla fine (quando si assiste alla grande scena insulsa della rasatura), quando Bartolo è davvero infuriato:146 solo uno spettatore rozzo può ridere di un uomo fuori di senno, così come solo un soggetto di tal sorta può piangere alla vista di un criminale sottoposto al supplizio della ruota. Forse ti ricorderai di come registrammo a proposito dei caratteri comici del divino Shakespeare che essi non scaturivano mai da un particolare tipo di indolenza e che proprio questo fatto li rendeva straordinariamente comici e gradevoli a un tempo. Se però condanno

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tutte queste caricature, cosa dovrei dire di Dittersdorf (e di tanto in tanto anche di Mozart) e di altri nuovi componimenti musicali? Ma termino qui, perché ne avrai già abbastanza delle mie chiacchiere. Tra l’altro, cerca di non applicarti troppo alla poesia del Medioevo, giacché davanti a noi si dischiude un campo così sorprendentemente bello costituito dall’Europa intera e dall’Asia e in particolare dall’antica Grecia e dalla nuova Inghilterra, che potrei quasi disperare di potermi un giorno dedicare all’eco dei provenzali. Oltre che occuparti del piacevole, non dimenticarti del bello vero. Per quanto conosco i Minnesänger,147 so che in ogni loro idea dominava oltretutto una sorprendente uniformità, tale che essi non possono considerarsi un buon indirizzo per lo spirito poetico di quest’epoca, dal momento che esisteva solo un tipo di poesie, solo questa cerchia di sentimenti a cui ciascuno di loro girava attorno con maggior o minor fortuna. Se si gira troppo a lungo in cerchio, le vertigini e lo stordimento della mente sono una conseguenza inevitabile che non ha mai prodotto grandi poeti, e questo è un argomento contro di loro. Dal momento che parli di Schmohl, devo dirti un paio di parole sull’argomento. Mi ha scritto, poco dopo che ero arrivato qui, una lettera molto impertinente in cui mi faceva sapere di aver scritto a mio padre. È vero che gli sono debitore di una cifra non particolarmente considerevole, ma su questo ci eravamo completamente accordati; così mi sono sorpreso e poi arrabbiato, da principio, per questo sciocco tiro mancino. Dal momento che però ci vuole del bello e del buono prima che io consideri male un individuo, mi sono ben presto calmato, scrivendogli una prima volta con freddezza e poi ancora una, in seguito, così che ora siamo diventati ottimi amici, come lo saremmo stati da sempre, se questo accadimento non avesse rappresentato una diversione. Nella tua lettera sembri temere che questa faccenda mi abbia reso molto inquieto, mentre non è davvero stato così. Ben presto è stato chiaro che Schmohl è solo un buffone e non un infame. In una lettera estremamente amichevole e tanto lunga quanto noiosa si è scusato in modo molto deciso per aver compiuto questo passo, fornendomi contemporaneamente la chiave per interpretare il suo comportamento. Dunque mi ha scritto di essersi innamorato di mia sorella, e accorgendosi d’altro canto che questa cosa non mi garbava affatto, come ha letto peraltro in una lettera di mia sorella (che lui ha veramente preso dalla mia valigia, come forse ricordi), non ha saputo trovare mezzo migliore per vendicarsi del fatto che lei lo disprezzava che scrivere questa lettera, in cui ha raccontato di me, così amato da lei, miserabili menzogne. Puoi immaginarti qualcosa di più insulso?

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Per quanto quest’uomo sia impoetico, ha sempre una stupefacente inclinazione a recitare come se si trovasse in un romanzo, anche se dovesse essere il solo interprete, costringendosi in una condizione di estrema disperazione per potersi convincere di essere un uomo straordinario. Molti uomini scambiano l’inclinazione verso cose bizzarre con la spinta a compiere grandi gesta, dimenticando che l’uomo di grande statura è normalmente grande senza sapere di compiere azioni nobili, così come gli altri mangiano e bevono, perché non può fare diversamente. Questa smania fatale, che spesso si accompagna alla sensazione di non essere soggetti particolarmente dotati intellettualmente, ha prodotto in Grecia Erostrato, tra le teste coronate Nerone e Filippo II e ai nostri tempi Schmohl e Moritz.148 Vuoi sapere cosa penso del secondo? È un matto, e anche se la sentenza è secca, è sufficiente. Da questo momento voglio sottrarmi a qualsiasi paragone con lui, perché non è altro che un piccolo e misero uomo. Non che sia privo di intelligenza e di fantasia: ha imparato qualcosa ma niente a fondo, ha nervi fragili e un’inclinazione all’ipocondria. Per questo ha dimostrato talora una sensibilità che altri non hanno, ma prova un gusto folle ad apparire sempre come un uomo straordinario, che per un suo passatempo ha scambiato con l’uomo di grande statura – sebbene poi questi si comportino in modo del tutto usuale nelle cose secondarie – e dunque, invece di provare sentimenti autentici, elucubra sempre sulle proprie emozioni. Mi scrivi a proposito del concerto e io sono stato a quello che si è tenuto qui; mi ha incredibilmente annoiato e Forkel qui non sembra nulla di straordinario. Il trillare e i colpi di timpano, ah, tutto questo entra da un orecchio ed esce dall’altro e il cuore non sa nulla di tutto questo; è tanto sgradevole quanto il frastuono che svegli uno che sta dormendo. Si è cantato un coro di Händel149 in modo insopportabile. Ancora una cosa: se non hai ancora scritto per la sistemazione, non scrivere affatto, perché è triste quando ci si deve affidare al gusto degli altri; tra l’altro ci sono moltissime case a disposizione nei quartieri universitari e possiamo sceglierci le migliori. Se vuoi, invece che stare in una casa potremmo metterci insieme in una stanza; forse è meglio per entrambi e corrisponde a quello che tu desideri. Devo aggiungere che incontreremo insieme un conoscente a Erlangen, vale a dire Schwieger. Devi però tenere ancora per te questa notizia come un segreto. Questo individuo assurdo si è molto appiccicato a me da quando mi sono sistemato a Halle; intende vivere ancora per mezz’anno con me e poi seguirmi segretamente a Erlangen; a suo tempo l’ho distolto da tutte le sue miserabili frequentazioni e lui è giunto a questa curiosa decisione eroica.

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Se devo essere sincero, mi sembra che tu abbia affrontato in modo troppo serioso la questione delle frequentazioni. Comportati con i giovani in modo da non essere troppo esigente ma neanche concessivo, dai ragione agli anziani nella maggior parte dei casi: mi sembra questa la via più breve. Non ferire la cortesia e godi delle ragioni del prossimo, questa è la regola più semplice che mi darei. Scusami se ti ho fatto mancare la mia risposta per alcuni giorni; dunque, ora continuo. Tu mi hai scritto qualcosa circa le tue frequentazioni e dunque approfitto dell’occasione per raccontarti qualcosa delle mie compagnie qui. Ne dedurrai che me la passo meglio di te. Da qualche tempo abbiamo creato una società di dotti e ci riuniamo ogni giovedì: una volta disputiamo delle tesi scelte per l’occasione, altre volte si tiene una lettura; ti voglio parlare ancora dei membri di questa società. 1) Gaudot, il presidente, è un aristocratico ma è un uomo che appartiene alle sfere più raffinate della società; è precettore presso il conte Muschin Puschkin; non ho incontrato finora un uomo raffinato come lui. Ha compiuto vari viaggi in Italia, Germania, Francia ed Inghilterra; non è privo di talento, ma la continua frequentazione del bel mondo ha fatto sì che egli ne faccia uso solo per le chiacchiere galanti. Non ha ragionato a fondo su nessun argomento, ma è tuttavia capace di ripetere con stile, pappagallescamente, quello che dicono le persone che invece hanno ragionato a fondo: peccato che però, in questo modo, i suoi pareri spesso si contraddicano. Il suo sistema è l’egoismo e come i francesi d’altri tempi è superficiale ed è un nemico di ogni forma di grande entusiasmo. 2) Budberg rappresenta per me una conoscenza davvero interessante; è segretario della società e studente, come tutti gli altri soci. Ha scritto qualcosa sull’epoca della pittura ad olio contro Lessing. Non dipinge male e possiede una biblioteca di pregio. È quello che qui frequento di più insieme con Burgsdorff; ha molto entusiasmo ed è un fervente democratico. La perspicacia e il grande ingegno non sono tra le sue qualità maggiori, ma è un uomo estremamente bonario, un buon amico di Heyne, da cui è molto conquistato. 3) Burgsdorff: tutto quello che ti ho già detto sul suo conto, lodandolo, si conferma sempre di più; è un uomo eccellente sia dal punto di vista della mente che del cuore. 4) Wittinghof è in realtà il più sciocco di questa società e per quanto sembri in gamba, facendo la sua conoscenza per la prima volta, è sempre molto silenzioso.

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5) Brodelit ha un cuore da democratico, ma circostanze famigliari hanno fatto di lui un aristocratico; è un giovane dal temperamento sanguigno e vitale che non ha avuto ancora modo di riflettere molto sulle cose del mondo, ma che non sembra privo di intelligenza. 6) Meyer è un aristocratico perché i francesi sono stati a Francoforte e lui proviene da lì; ha ricevuto qui un premio in diritto, ma vedo che per ottenere questo risultato non è richiesta una grande prestazione, perché non si può certo annoverare tra i più intelligenti. Si occupa di cose insignificanti dandosi un tono di grande importanza. 7) Muschin Puschkin è un conte russo e perciò anche un aristocratico convinto, assomiglia un po’ a Hensler, ma ha molto più ingegno ed è più spigliato perché ha viaggiato molto. Prossimamente leggerò pubblicamente qualcosa sulla possibilità di un’uguaglianza tra tutte le classi sociali e qualcosa sull’ingenuo, discetterò sui danni causati dalla scoperta dell’America e sull’ingenerarsi della dimensione ripugnante nelle caricature. La seduta si conclude sempre con un piccolo banchetto. A mezzogiorno pranzo in una locanda, che è frequentata anche da un certo Holzhausen, un aristocratico di poche parole, le cui idee si manifestano con una semplice risata, quando si tratta di perdite subite dai francesi. Un altro tizio, un tale Birla, è un individuo spaventosamente sciocco, un insulso aristocratico; non lo frequentiamo affatto, trattandosi di un comune nobile prussiano che è ancora orgoglioso del potere della monarchia prussiana. Parla molto delle famiglie di rango, conosce quasi tutte le stirpi dell’alta nobiltà tedesca e allo stesso modo conosce molto bene i vini. Non può quasi partecipare alla conversazione, perché Burgsdorff lo umilia immediatamente. Finora ha studiato a Francoforte e ti prego di scriverlo a Wißmann, quando avrai l’occasione di corrispondere con lui. Il conte Bernstorf fa qualche volta visita a Burgsdorff, è un danese brillante, ma neanche troppo, - poi ho conosciuto superficialmente un gran numero di altri individui che però mi sono sostanzialmente tutti indifferenti. Che la giurisprudenza non faccia al caso tuo non fatico a crederlo; sono quasi sul punto di prendere commiato per sempre dalla teologia, perlomeno molto più che in passato. Ti ringrazio per il tuo giudizio su Emma, ed ero assolutamente certo che avrebbe avuto questo esito; mi conosci abbastanza bene per sapere che, tra tutti i miei difetti, l’orgoglio dell’autore è uno degli ultimi. Mi può far piacere solo un giudizio schietto, perché in altra forma non è più un giudizio e non serve a nulla; se vedo che l’altro ha ragione, non sarò così folle dal fare opposizione e lottare contro la mia convinzione, se penso fondatamente che l’altro abbia torto, so

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comunque che la sua parola non è quella della definitiva verità accertata e non riesco ancora adesso a capire come gli scrittori possano offendersi per una recensione. E adesso ancora un paio di parole sulla tua poesiola. Sicuramente ti sarai reso conto di alcune rigidità come: mi getterebbe la rabbia, ponti del fiume scuro ecc. (un passaggio che mi risulta incomprensibile è A voi il mio scherno!), ma si tratta di piccolezze. Un’altra osservazione che devo fare, e che è molto più rilevante, è che tutto il componimento è troppo individuale, troppo poco idealizzato; si tratta di una questione su cui abbiamo discusso molto spesso. Ti concedo di aver scritto questa poesia in uno stato di vero entusiasmo, ma si tratta di un ardore che nessun altro comprende; hai composto la poesia solo per te, le immagini sono comprensibili per te, ma per nessun altro. Per un componimento così breve la situazione (tu comprenderai cosa intendo dire) è troppo nuova, troppo ricercata. Non mi ricordo di nessun’altra poesia che tratti un argomento di questo tipo. Un poeta vede che la sua donna è stata uccisa e tu pensi che prenderebbe il liuto e che canterebbe? (Ciò che si deve pensare in primis di una poesia dal tono lirico) è che il poeta canti nel primo momento dello stordimento, come emerge molto chiaramente dal tono che domina sulla poesia. Non troverà le parole, sprofonderà in uno stato di deliquio e romperà il suo liuto in mille pezzi, maledirà ogni canto che ha intonato un tempo e si maledirebbe, se ora potesse parlare. Il lettore si stupirà per un caso così clamoroso molto più di quanto non riuscirà a partecipare al dolore del poeta; le reazioni emotive che costui prova nei confronti di un tale accadimento non gli basteranno, perché vorrà conoscere il contesto della storia.150 Tutti i poeti lirici hanno provato finora queste emozioni e per questo girano in tondo in un ambito di idee e situazioni già note e se per una volta superano la soglia di questa abitudine, finiscono ogni volta per raccontare la storia. Un poeta lirico che si reinventi in una situazione del tutto nuova e che profonda i propri sentimenti su questa materia, mi pare che comprenderebbe il proprio vantaggio così poco, quanto succederebbe a un pittore che scegliesse dei soggetti sconosciuti e una storia estranea e se anche si giungesse a comprenderlo, sarebbe comunque superato sempre dal pittore che viene compreso più in fretta e che produce un’impressione maggiore. Mi sembra dunque che tu abbia finito per svolgere il lavoro del poeta drammaturgico; nel suo caso, questa pratica ha effetto perché lo si comprende da quanto precede e perché la storia interessa per le emozioni che suscita. Dal momento che mi sono abbandonato a schiette confessioni, voglio raccontarti anche come mi sono immaginato la genesi di questa poesia; ti divertirà, se indovino e

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non ti metterà di malumore, se ho ragione. Infatti, mi è saltata all’occhio la diversità delle idee che sono riposte in questa composizione e che dominano nella rabbia e nella disperazione di Fiesco, dopo che ha ucciso sua moglie.151 Fiesco desidera che tutto sia alterato, che ognuno patisca tra i dolori come accade a lui e vuole distruggere tutto il mondo; qui abbiamo invece qualcosa che è estremamente distante dalla passione, una forma di ironia disperata, che implica una riflessione a priori, una lunga graduazione della passione fino alla contemplazione e alla comparazione. Io mi immaginavo l’incipit della poesia in questo modo; con ogni probabilità avevi in mente il bel passo di Schiller che dice: «Se mi trovassi solo nel cosmo della creazione…»,152 che ti è piaciuta così tanto e di cui io da allora non sono riuscito assolutamente a liberarmi. Qualcosa di cui si è pregni da tanto tempo si è soliti paragonarlo con molta cura sotto tutti i punti di vista, senza esserne consapevoli; in una sorta di sogno si mette un passo di questo tipo in relazione con un altro e si osserva che effetto produrrebbe. In poche parole, si prova per gioco a contemplare da molte angolazioni questo tipo di immagine, finché si perde il vero punto di vista che lo concerne. È così che sei giunto a pensare di mettere la stessa idea in una relazione opposta: invece di amore generale, odio generale. Questa è l’origine ed è così che è sorto il componimento; hai poi messo per scritto la poesia e dal momento che ne avevi dimenticato l’origine e giacché ti eri familiarizzato con emozioni di tal sorta, non ti sei reso conto dell’elemento innaturale e peregrino che vi era insito, dal momento che tutto ti era familiare. Se questo presupposto è vero in rapporto alla genesi della poesia, ti prego di osservare ancora soltanto la differenza tra i tuoi versi e quelli di Schiller. Nel suo caso sento che, se fossi solo, potrei ritenere le rocce provviste di anima e potrei abbracciarle, nel tuo caso, dove si odia tutto ciò che ha una vita propria, vorrei amare da questo momento in poi solo le rocce. In Schiller si vede chiaramente il transito verso questa idea, ma si può dire lo stesso di te? In questo modo, perlomeno, è stata creata da Ovidio una gran messe di versi o quantomeno sono sorti molti graziosi trastulli, ma ti diffido dal commettere l’errore già compiuto da molti poeti di pensare, invece che di provare sentimenti. Il poeta deve comunicare a partire dal proprio cuore e solo allora ci commuoverà, se invece cerca una scorciatoia e passa dall’osservazione per giungere al sentimento, gli capiterà di percorrere un cammino sbagliato. Potremo ammirare ancora la struttura poetica ben organizzata e la bella metrica, ma svanirà dal nostro cuore e farà soltanto la gioia dell’erudito, che potrà così citare una gran quantità di luoghi paralleli da Catullo, Orazio e Virgilio. Questo mi ricorda all’occasione Ramler, di cui mi parli nella tua seconda lettera. Mi sovviene chiaramente l’epoca in cui consideravi ancora Ramler come il più grande poeta; su questo ti avevo espresso la mia opinione.

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Nel frattempo hai avuto modo di conoscere altri poeti e ora sembri essere caduto nell’estremo opposto. In generale, le tue prime poesie che ho qui con me sono da preferirsi di gran lunga a questa, a quella dedicata a Saffo e a quella che mi hai letto a Berlino recentemente, quando avevo mal di denti (te ne ricorderai bene).153 Tu hai preso ben prima di me la via giusta; tutte queste poesiole sono emozioni naturali, ma la sensibilità che era contenuta in ciascuna di esse, invece di ridursi al particolare e all’individuale (che peraltro nessuna lingua riuscirà ad esprimere), era riferita a una dimensione generale, vale a dire idealizzata. Dunque non posso assolutamente accettare l’idea che hai delle emozioni individuali e neppure il poeta drammatico riuscirà a rappresentarle completamente. Già la lingua mi obbliga a renderle più universali (generali); se volessi mettere su carta completamente la mia emozione, dovrei prima inventare una mia lingua e allora nessuno mi comprenderebbe e se anche imparasse questa lingua, resterebbe ancora da capire se proverebbe le stesse emozioni. È questo che ha spinto i poeti a idealizzare e per questo motivo ci appare bizzarro un poeta che non lo fa, che non fa scomparire nel genere il particolare, proprio perché nelle espressioni ciascuno pensa a qualcosa di diverso rispetto al poeta, perché il caso, l’educazione, l’organizzazione suscita in ogni anima qualcosa di diverso. A ciò si aggiunge che quelle sensazioni, di cui parli nella tua seconda lettera, constano di un caos di emozioni oscure; l’una rotola sull’altra, nessuna rimane ferma e stabile e ciò produce uno stato d’animo che difficilmente potresti trasformare in versi. Neppure un poeta drammatico è ancora riuscito, finora, a descrivere questa condizione, queste sensazioni in modo chiaro. Qui il lettore deve prendere il posto del poeta e qui risulta particolarmente giusto quello che Longino, se non mi sbaglio, ha già detto a suo tempo, cioè che un poeta presuppone un poeta come lettore.154 Non so se mi hai compreso completamente; parlamene nella tua prossima lettera. Prodigioso è soltanto il fatto che, considerando che io mi sono convinto da poco di ciò di cui tu eri a lungo convinto, fai dietro-front proprio nel momento di questa svolta e intraprendi il cammino sbagliato che io ho appena abbandonato. Ma non dimenticarti che l’originalità si sposa sempre ancora molto bene con questa idealizzazione. Come vedi, ho risposto scrupolosamente un punto dopo l’altro a quanto mi hai scritto nella tua lettera, per non dimenticare nulla, ma incidit in Scyllam ecc.,155 sono proprio per questa ragione caduto nell’errore di chiacchierare e tu ti trovi nei miei confronti ancora una volta nella triste condizione di dovermi perdonare l’una o l’altra cosa.

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Ieri ho di nuovo ricevuto un’amichevole lettera di Schmohl. Ti faccio gli auguri di buon anno nuovo. Leggi l’Ardinghello,156 se riesci a procurartelo; è vero che in generale è tutto assai unilaterale in questo testo, ma troverai molti bei passi e in un certo senso stimola anche a nuove idee. Non mi dici assolutamente nulla dei francesi? Voglio sperare che non ti siano diventati indifferenti, che non ti interessi di loro? Oh, se fossi un francese non vorrei sedere qui… Ma purtroppo sono nato sotto una monarchia che ha combattuto contro la libertà, tra uomini che sono ancora abbastanza barbari da disprezzare i francesi. Io sono cambiato molto, ora non sono contento se non posso disporre di giornali. Oh, essere in Francia deve produrre un gran sensazione, combattere sotto la guida di Dumouriez e far fuggire gli schiavi e anche morire sotto il suo comando: ma cos’è una vita senza libertà?157 Saluto con gioia il genio della Grecia che vedo aleggiare sopra la Gallia; ora la Francia costituisce il mio pensiero giorno e notte. Se la Francia è infelice, disprezzo tutto il mondo e dubito della sua forza; allora il sogno è troppo bello per il nostro secolo, allora noi siamo esseri degenerati e estranei e non abbiamo neppure una goccia di sangue da spartire con coloro che un tempo caddero alle Termopili. Se è così, l’Europa è destinata a essere una prigione. Le lettere non vengono più aperte; Burgsdorff ha subito inoltrato una buona rimostranza presso i regnanti, che hanno sottoscritto anche molti studenti e la sciocca disposizione è stata ritirata. Io qui sono contento e soddisfatto come sempre e forse te ne avrai a male se ti dico che qui non sento la tua mancanza con tutta l’angoscia che stringe il cuore come era avvenuto a Halle; penso a te quotidianamente, ma con molta più tranquillità. Burgsdorff è un essere di tutt’altra natura rispetto a Schmohl e Bothe. Penso che adesso ti potrei spiegare Shakespeare almeno un po’ meglio del solito, continuo a studiarlo. Per quanto riguarda l’archeologia, sai, mi trovo per così dire ancora a un primo stadio della conoscenza; tutto quello che so è più di quanto ho pensato sull’argomento e di quanto avrei appreso dal sistema, dalle opinioni e dagli errori di un altro studioso. È triste che l’uomo sia un essere così misero, che non si possa imparare senza dimenticare di nuovo; continuo a circoscrivere sempre di più la mia attenzione alla poesia e in otto giorno intendo incominciare a studiare lo spagnolo. È assai naturale che Moritz lusinghi; un uomo, che rimugina e medita costantemente su se stesso, che guarda sempre più nella trama

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confusa del proprio cuore deve incontrare lì così meravigliose e curiose manifestazioni, che è costretto via via a dubitare sempre più di sé stesso. Dinanzi a ogni azione, che il mondo reputa buona, diventerà diffidente e dovrà interpellare il proprio cuore, scoprendo che essa scaturisce dal più misero interesse personale, dalla più meschina e disprezzabile passione. Così, un uomo di tal fatta si abitua a considerare la virtù come una fantasticheria, seguendo i propri umori, gli stati d’animo del momento, senza indagare se siano da biasimare o da lodare, perché nel suo caso le due cose coincidono. Lo studio della psicologia è un gran danno, se lo si spinge alle massime conseguenze; l’uomo esaurisce ogni forza fattiva, si soffoca in lui ogni forma di entusiasmo e lui si perde in pigre speculazioni. Per questo io l’ho già abbandonata da molto tempo. Non riusciremo mai a sciogliere da soli l’enigma ed è un bene che non possiamo farlo; infatti è follia impelagarsi inutilmente, scrutare nella notte con sguardo ansioso, veder aleggiare di passaggio mille cose in forma oscura, senza riuscire a penetrarle. La conoscenza dell’uomo, ovvero la conoscenza del cuore, rimarrà sempre il nostro sommo oggetto di studio, anche se non condotto in questo modo. Un individuo che non lusinga mai, deve possedere una sorta di grandezza e questa io non me la sono mai aspettata da Moritz. Voglio affermare ancora una volta la mia presa di distanza da lui. Il mio modo di sentire confina con il suo, ma non il mio modo di pensare, ovvero il mio modo di fare uso dei sentimenti. Per il resto, Moritz è stato poco stimato; un individuo di questo tipo è abituato a disprezzarsi; da qualche tempo è diventato consigliere di corte, ma è così meschino da aspirare ad assurgere a cariche di sempre maggiore importanza. Anna Bolena è rimasta a riposare per molto tempo, tanto che l’avevo quasi dimenticata. È una fiaba che è stata raccontata centinaia di volte, per me così gelida. Nel frattempo ho cambiato il mio modo di pensare e di scrivere, tanto che la metà nuova sarà molto diversa dalla prima. Tuttavia, non vorrei ricominciare il dramma da capo. Troppi volti [caratteri, N.d.T.] fanno molto male, in questo hai ragioni da vendere, in particolare quando l’orgoglio e la stoltezza vi sono mescolati; sentiamo chiaramente quanto li disprezziamo e anche quanto, contemporaneamente, questi siano felici, quanto si credano onorati. Tutto ciò produce una dolorosa oppressione, l’oscuro, inquietante presagio, che a singoli tratti si manifesta, che potrebbe succedere anche a noi la stessa cosa. Non possiamo tuttavia fare nulla, fintantoché rimaniamo esseri umani dovremo provare odio e disprezzo e forse potremmo persino smettere di amare e di provare stima se disimparassimo questi sentimenti, o perlomeno non potremmo più nutrire amore e stima nella stessa misura. Fino a che provi delle emozioni, non potrai mai diventare veramente protervo nell’orgoglio e questo è già un grande vantaggio.

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Lo ripeto ancora una volta: con la tua idea finirai con svolgere il mestiere del poeta drammatico; a mio avviso, né le odi di Schiller, né quelle di Stolberg sono di questo genere. Sembra, in generale, che la gamma dei tuoi sentimenti stia diventando più vasta, come se tu stessi acquisendo ancor più la capacità di guardare anche nel cuore degli altri uomini, nel momento stesso in cui tu comprendi meglio te stesso, ma con ciò cadi nuovamente nell’errore (che in passato mi hai già confessato) di ritenere questo un particolare sentimento che altri non hanno. Scrivi un testo drammatico, perché adesso sembri più di un tempo incline a questo genere. Non posso scriverti nulla delle Göttingische Gelehrten [Anzeigen, N.d.T.]; sai bene cosa ne penso. Ti auguro mille volte di star bene. Ieri ho riletto il Werther. Goethe è un dio, mi ha coinvolto profondamente. Non so veramente quale folle possa aver parlato all’inizio di artificiosità. Scrivimi presto e stai bene, e resta in salute come me. Tieck Gottinga, 28 dicembre 1792.

21. A Tieck: Berlino [tra l’11 e il 14] gennaio 1793 Nel mese di gennaio del 1793. Caro, ottimo Tieck, vengo or ora dallo Hofjäger,158 dove ho trascorso tutto il pomeriggio seduto con Bernhardi, intento io a studiare la tua magnifica lettera a me indirizzata, lui la sua e una parte del tuo piccolo dramma. Mi ha appena dato l’incarico di ringraziarti per avergli fatto trascorrere oggi un pomeriggio così piacevole. Sulla strada del ritorno era molto sereno e rumoroso e mi ha recitato tutta una serie di passi tratti dallo Axur, che si sono impressi nella sua mente in modo indelebile e che lo hanno straordinariamente deliziato. Ti ringrazio che tu gli abbia procurato la gioia di mandarmi una lettera così colossale; infatti mi è sembrato del tutto inaspettato che oggi a mezzogiorno io non ne abbia ricevuta alcuna. È curioso che io abbia scoperto solo oggi tramite le tue risposte alle nostre lettere che lui è di nuovo ipocondriaco; nei miei confronti non ha lasciato trapelare nulla e io sono stato così felice di non notare

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a mia volta in lui nulla di particolare, che devo constatare come sia facile che mi sbagli in simili circostanze. Non ritengo che lui lavori così tanto e che non faccia sufficiente movimento, dal momento che va tutti i pomeriggi allo Hofjäger per bere caffè. Devo credere che abbia, in generale, anche distrazioni sufficienti. Non è contento di sé, prova disagio per la sua condizione, come mi ha confessato oggi. Che condizione infelice! Quale metodo può mai essere usato contro questa sventura, soprattutto quando la si racchiude con cura nel proprio petto e la si lascia invecchiare, quando ci si arma con una facciata di serenità, servendosi di una gaiezza contraffatta e forzata contro ogni forma di cura medica e di intervento di soccorso preventivo. Penso però che Bernhardi presto migliorerà. La melanconica fantasticheria di cui già da un anno ti fai carico, in base alla quale non lo rivedrai, è una fissazione di cui non vedo assolutamente il fondamento e grazie alla quale il tuo spirito incline ai presagi ti inganna. Non riesco a capire come tu ti possa mettere in testa delle idee che sono completamente campate in aria. Mi fa piacere che tu ami Bernhardi così tanto, dal momento che se lo merita, e anche lui ti ama in modo straordinario. Sicuramente lui qui è il mio migliore amico, l’unico amico. Su chi posso contare altrimenti? Su chi? Oh, come ti considero fortunato nella tua cerchia di intellettuali! In queste circostanze non posso darti torto quando mi scrivi con ironia: ho trattato l’argomento delle mie relazioni sul posto e della mia conseguente reazione con eccessiva serietà e che inoltre tu non rinunci affatto a pronunciarti sui miei lamenti, che sgorgano dalle ferite di un cuore malato, liquidandomi con un paio di frasi generiche, mostrando così una indefinibile via media come può fare solo il luogo comune di un moralista flemmatico. L’eterna storia: non troppo e non troppo poco! Le espressioni più generali che ci si possa aspettare! I più vaghi concetti, che suonano così poco pratici e così insoddisfacenti! Come già detto: non si può rimproverare alla persona felice che liquidi per troppa bonomia, con un’espressione di consolazione, che tale non è, colui il quale patisce per le privazioni; [ciò accade, N.d.T.] semplicemente perché non conosce la privazione. Non è in grado di far di meglio. In questo caso, sei tu quella persona. Naturalmente, le mie chiacchiere ti saranno suonate estranee e incomprensibili. Credi sicuramente che i pensieri che esprimo siano esagerati e portati all’eccesso. Pensi che io affronti le questioni in modo eccessivamente serio, che io dia loro eccessiva importanza, che attribuisca loro un’influenza esagerata e questo perché non le conosci abbastanza e non riesci a immedesimarti sufficientemente nelle circostanze di cui ti parlo. So bene di che si tratta! Ma ti assicuro che non è così come tu pensi, che non può essere così. Credimi sulla parola che tu non potresti sopportare un giorno di più questa situazione, i sacrifici, la pressione cui sono ora esposto. Non puoi immaginare come io aneli la libertà. Dio, come è

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scusabile che se ne faccia un cattivo uso quando si è tormentati così a lungo! Non deve darsi il caso che in Erlangen mi disturbi anche solo una voce umana. Da questo punto di vista, il mio commiato da Berlino mi è ancor più gradito rispetto alle ragioni per cui mi è doloroso. Quanto più sono rimasto lontano da te, tanto più mi sei mancato. Ah, Dio, purtroppo sento così potentemente questa cosa, e se dovessi rimanere separato da te ancor più a lungo, troveresti un individuo completamente diverso. Non ho potuto godere neppure di mezz’ora di entusiasmo e di gioia amicale, - perché diversamente io mi inebrio ogni giorno di simili nobili sentimenti – neppure di una sola in tua assenza, almeno per quanto riguarda la mia frequentazione di qualcun altro. Non ci dovrebbe meravigliare, se adesso cominciassi a studiare l’araldica, ma no, forse sto scrivendo semplicemente in un’ora cupa. Non essere allarmato, se rovino il mio gusto con la poesia antica tedesca. Cos’altro posso fare se non affidarmi a cose che nutrano il mio spirito con poche, somme idee. Queste al momento non mi aiutano; anzi, mi rendono ancor più visibile la tua mancanza. A che cosa mi serve leggere ora Shakespeare? Quanto mi aiuterebbe scrivere ancora un poesia così bella? Dovrei prendere in giro me stesso! Tra l’altro conosci ben poco della letteratura antico-tedesca, se conosci solo i Minnesänger. In generale la si conosce molto poco. Ha molti elementi positivi, interessanti e caratteristici ed è molto importante per la storia della nazione e dello spirito. Da tempo mi sono stupito del fatto che non mi hai chiesto che cosa penso dei francesi. La penso su di loro come te e sono completamente d’accordo con il tuo entusiasmo, te lo assicuro. Non posso tuttavia fare a meno di dirti quanto segue. Qui non parlo assolutamente con nessuno dei francesi e questo perché ognuno di loro parla e racconta le loro grandi gesta con un sorrisetto, come volesse dire: che cosa fanno mai i folli! E quando qualcuno parla di queste cose con un sorrisetto, vorrei dargli subito un manrovescio. Inoltre penso raramente agli affari di Stato: neppure io me spiego la ragione. Non leggo nemmeno i giornali, perché non ne ho il tempo e sento parlare da altri di queste faccende. In buona sostanza, se fossi un francese, per quanto orgoglioso della mia patria e della mia nazione, sicuramente non farei il soldato e non prenderei in mano la spada o il fucile, perché amo molto la mia vita e la mia salute e possiedo troppo poco coraggio fisico. So che ti meraviglierai della mia presunzione, del fatto che metto così a nudo i miei principi più grossolani, so che non comprenderai come si possa essere compiaciuti del fatto di percepire in sé così poco coraggio, da non voler partecipare in prima persona agli eventi. So che attirerò su di me, almeno per un paio d’ore, la tua

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ira. Ma rifletti su questo: puoi pretendere da un qualsiasi individuo un eroismo e un coraggio che non possiede? Mi sono molto ravveduto circa il fatto di aver poca stima di queste virtù fisiche, ma io non le possiedo. Ed è peraltro improbabile che tu possa imputarmi la colpa di pensarla così. Rinuncio a questa grandezza. D’altra parte la mia disposizione mi porta a ritenere la bellezza artistica ideale quale mio oggetto d’interesse preferito. Difficilmente posso partecipare con vivo interesse alle notizie che leggo sui giornali che dicono che ora i prussiani, ora i francesi hanno conquistato questa o quella postazione, e altrettanto a tutti i particolari che concernono questo stato di cose. Tutto mi è alquanto estraneo, troppo poco visibile; tutto ha un andamento troppo lento e non coincide con l’andamento ideale della mia fantasia; mi rende inquieto, non mi soddisfa. Probabilmente sono stati i giudizi a buon mercato a produrre su di me questo effetto. Questo è quanto, per il momento, il resto a voce. Forse nei tuoi confronti mi sarò comportato così in modo fin troppo schietto. —————— Devo rispondere alla tua lettera punto dopo punto, in modo da non dimenticare nulla. Il mio amico di Jena si sposa adesso in gennaio e spero che mi scriva a breve. Noi partiremo da qui intorno a Pasqua, oppure un paio di giorni prima o dopo Pasqua. Devo dunque pregarti seriamente di arrivare qui puntualmente, in altre parole: 8 giorni, oppure più di 8 giorni oppure 14 giorni prima di Pasqua (Pasqua è il 31 marzo). Di fatto, devi essere qui un po’ più di 8 giorni prima di Pasqua. E perché non dovrebbe funzionare? Non saranno le lezioni pubbliche a trattenerti. Se solo potessi essere qui, prima di tutto; e non appena fossi arrivato, non mi augurerei forse di essercene andati entrambi? Come ci organizzeremo per il viaggio? Per adesso ne ho solo un’oscura percezione. Una sera che sono stato da te, in realtà, abbiamo progettato in fretta e furia un piano di viaggio assai buono, solo che adesso sono incline a credere che sarà di difficile realizzazione, come deve accadere ai desideri buoni e pii, cui se ne aggiungono spesso altri 10 in un quarto d’ora. Prima di tutto, il tempo a nostra disposizione sarà breve. Il mio caro predicatore mi fa già il muso lungo, nella sua lettera, perché parlo di soli 8-14 giorni. Recentemente, poi, mi si voleva assicurare che le lezioni pubbliche, a Erlangen, cominciano già a metà aprile. Frattanto, sia come sia, il tempo a nostra disposizione sarà molto limitato. Oltretutto si può fare poco affidamento su quella stagione dell’anno, tanto che dovremmo aspettarci ben poco divertimento, se vogliamo fermarci a Wörlitz. E come potremmo sostare comodamente in quel posto se ci spostiamo con il servizio postale? Non voglio, per il momento, pensare a delle escursioni da Halle. Lo spostamento più breve e più funzionale sarebbe sempre un viaggio

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a Jena in un unico tragitto. Sarei sicuramente molto più incline a questa soluzione, i primi giorni, piuttosto che ad andare a passeggio a Wörlitz, per cui mi mancherebbe la voglia. Detto questo, mi dispiacerebbe sinceramente se tua sorella dovesse perdere per questo motivo l’occasione di un piccolo, piacevole viaggio, che ha desiderato tanto fare. Certo è che non possiamo fermarci a lungo e neppure in tanti posti diversi. A proposito del teatro. È fin troppo vero che io cado facilmente da un estremo all’altro, ma non nel caso di Misantropia e rimorso, e non lo è stato mai, per quanto mi riguarda. Apprezzo come sempre assai le scene belle e commoventi e ho solo notato che i personaggi comici, che in passato mi sembravano inseriti opportunamente, sono in realtà inseriti in modo maldestro ecc. Ancora una volta, il tuo entusiasmo sui Masnadieri e su Schiller mi è stato rubato completamente dall’anima. Non riesci a capire come Fleck possa recitare bene in un dramma di cattiva qualità? Hai ragione; mi sono solo espresso male, come spesso succede quando si comunicano le proprie esperienze e osservazioni particolari a una persona assente, che di conseguenza trova qualcosa poco chiaro o vago. È difficile che un attore possa recitare bene se ha una parte cattiva. E tuttavia lo si può immaginare, in un certo senso. Voglio dire, nell’espressione di alcuni emozioni che è facile incontrare e che sono comunemente diffuse, nelle esclamazioni che vanno dall’ah all’ahimè, nei passaggi silenziosi lasciati dall’autore, in modo che possano essere colmati con un muto gioco di espressioni o con gesti ben scelti – sono questi i luoghi in cui l’attore può dar prova di se stesso; qui, nei singoli passaggi, ma certamente non in generale. Ed è proprio questo che mi limitavo ad osservare. Per quanto riguarda la recitazione di Kaselitz nel Barbiere di Siviglia, condivido completamente la tua opinione; e sottoscrivo anche dal profondo della mia anima quello che dici a proposito delle caricature. C’è molto di vero e di azzeccato in questo. Da poco ho visto una nuova pièce, ovvero la commedia in quattro atti Le false scoperte, basata su Marivaux.159 Un’opera veramente ben riuscita e piena di sensibilità e di finezza. La seconda viene sostenuta eccellentemente grazie all’inimitabile interpretazione della Engst. Anche Unzelmann recita molto bene in quest’opera. Ora è assolutamente il mio preferito e lo considero quasi l’attore più completo del teatro locale; sarei addirittura propenso a cancellare il “quasi”. In generale, recita sempre bene e nei ruoli più diversi. Insieme a quella pièce ne ho vista un’altra nuova: Il giudice,160 commedia in due atti su un testo di Mercier. Semplice, ma piena di verità e in essa Fleck recita la parte di un vecchio contadino. Da allora ho assistito di nuovo anche alla Nina161 e sono stato commosso fin quasi alle lacrime dalla musica piena di espressività e dal canto della Unzelmann, in cui non si trova altro che autentico sentimento. Mercoledì è stato rappresentato per la prima volta Ludwig der Springer (Ludovico il saltatore),162

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tragedia cavalleresca di Hagemann (attore ad Hannover), a beneficio di Herdt.163 Di recente ho assistito alla nuova opera di Righini164 (di Magonza). La musica, in alcuni brani, e particolarmente nei terzetti, nei duetti e così via, è piena di pensieri e di spirito e qui viene molto ammirata. Solo che ogni tanto l’italiano, con le sue melodie cantabili e facili, così come dovrebbero essere, ma che tuttavia sono troppo affini alla maniera dei Lieder e alla musica da ballo, mi sembra eccedere un po’. Dal momento che non ti posso fornire alcun esempio delle bellezze di cui parlo, devo essere così ingrato da comunicarti un’idea insipida del compositore, che dimostra che le persone possono spesso sbagliarsi in modo significativo quando si abbandonano a delle bravate. Probabilmente ha contribuito in modo eccessivo alla propria originalità, quando ha lasciato che l’oracolo, che canta 6 o 8 versi, cantasse costantemente nella stessa tonalità. Per rendere la cosa ancora più originale – si può immaginare qualcosa di più insensato? – ha lasciato che questo tono, mantenuto costantemente, venisse accompagnato da nient’altro che dai più artificiosi passaggi virtuosi nelle somme regioni dei violini. Si erge ad esempio fra tutti gli esempi di espressività guastata. Forse le trombe e altri strumenti a fiato debbono essergli sembrati troppo banali. Devo dire ancora un paio di parole su un prodotto teatrale e tu non dovresti davvero indovinare l’autore: si tratta di Bernhardi. Ti manderà al più presto un postludio,165 che ha quasi finito di comporre, dal suo punto di vista, dall’epoca della festa di San Michele. Tu conosci la mia lentezza e il mio spirito autocritico all’atto della scrittura; ma in questo sono molto lontano dal competere con lui. Ha investito in questo lavoro tutto il tempo e la fatica possibili e sai qual è la sua intenzione? Quale dovrebbe essere la sua ricompensa? Un biglietto omaggio di entrata alla Commedia. Gli auguro di cuore di ottenerlo. Ne ha fornito una copia a Hagemeister,166 perché dopo qualche riflessione ha considerato questa la via migliore per far arrivare la pièce nelle mani di Engel. È molto timoroso e teme le reazioni di dissenso,167 perché pensa di non aver fatto abbastanza per il gusto rozzo del pubblico. Nel frattempo si è messo nell’ottica che se anche il suo prodotto infantile dovesse incontrare l’attenzione di qualche persona competente, può sentirsi tranquillo per non aver potuto fare di più di questo, essendo ben consapevole del punto a cui è giunto. Questo è perlomeno quello che dice, anche se non può essere veramente questa la sua opinione. Infatti non è facile conservare la calma pensando al destino delle proprie opere come succede a te, almeno per lui, che cerca di darsi il tono dell’imperturbabilità. Mi guardi e mi chiedi quale sia il contenuto dell’opera. Si tratta di una piccola e garbata commedia d’intrigo, in cui si scorge molta finezza alla Bernhardi, ma nessun tratto geniale. Nessuna parola è spesa in modo arbitrario. Ha rielaborato l’intero testo una mezza dozzina di volte e ancora più spesso i dettagli e non si è mai tirato indietro di fronte alla necessità di ripetere la trascrizione. Il piano, i nodi dell’intreccio, lo scioglimento, l’introduzione e l’intera azione di costruzione architettonica che riguarda l’opera sono stati condotti con il righello e con la squadra, seguendo precisi progetti e compu-

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ti, calcoli e schizzi. E una scena in particolare, in cui c’è molta partecipazione emotiva, alcuni tratti comici e alcune squisitezze tipiche di Bernhardi mi sono piaciuti molto e hanno conquistato il mio interesse per la pièce e, in particolare, per singole scene. Penso tuttavia che se il pubblico non è dell’umore giusto per essere un po’ serio e per prestare attenzione, potrebbe provare a tratti un po’ di noia, e mi riferisco precisamente al pubblico di Berlino. Puoi ben immaginare come è stata penosa la mia situazione quando mi ha chiesto un parere sull’opera, conoscendo io le sue intenzioni rispetto a questa. Ho cercato di comportarmi nel modo più conveniente possibile. Questo è quanto. Ora tocca a te esprimere un giudizio. Ha cercato a fatica, dal momento che non è nelle sue corde, di inserire nell’opera elementi briosi e comici. Ma non voglio aggiungere altro. Basta così, ma è curioso come sia evidente che la maniera con cui è stata composta la pièce sia così simile alla tua, anche se si tratta solo, nel tuo caso, di un postludio schizzato a titolo di prova, che mi hai letto a Berlino in occasione della festa di San Michele. Certamente ci sono molte cose buone nell’opera e credo che facciano onore a Bernhardi come prodotto della sua perseveranza, del suo spirito critico. Ma voglio dirti ancora una cosa che qui è al posto giusto. Com’è che non mi scrivi nulla del tuo piccolo dramma, che hai spedito a Bernhardi? A lui piace molto, ma io non ho ancora potuto leggerlo, perché lo ha prestato a un nuovo libraio che si è insediato qui, Nauke, per dargli un’idea del tuo stile. Costui, come ha concordato con lui, stamperà il tuo Abdallah168 e ti promette per i tuoi 24 fogli a stampa 96 talleri imperiali. Bernhardi mi ha letto lunghi passi dalla tua lettera e io ho fatto altrettanto dalla mia: a partire da queste abbiamo colto entrambi con piacere il tuo ardimento e la tua impudenza nel tuo pianificare come autore. Certamente la via migliore, oggi, per approdare ad una vita confortevole è far stampare le proprie opere. Varia. Per ritornare ancora una volta alla mia attuale inclinazione verso la poesia antico-tedesca, posso bene pensare che una volta che io sia di nuovo in tua compagnia e ritorni a condividere con te la passione per i tuoi autori più amati, dimentichi completamente quella e la riponga in un’unica categoria insieme alla diplomazia e ad altro ciarpame di questo tipo. Ma adesso vi sono molto attaccato, perché, vivaddio, non posso attaccarmi a nessun cuore umano che possa rendermi veramente felice. Penso che difficilmente potrò rovinarmi il gusto e il palato per questo motivo. Chi è mai quello che sceglie con timore ciò che gli giova maggiormente? Capita talora anche di consumare cibi pesanti. Per quanto li conosco, i Minnesänger sono sicuramente monotoni. Le osservazioni che riguardano l’antica lingua tedesca e la loro parentela con quella moderna sono spesso più interessanti dei risultati conseguiti nella poesia. Non sempre, però, si va inutilmente alla ricerca del merito. Non appena ci vediamo, ti posso raccontare qualcosa di bello che ho ricavato dalla raccolta di poemi epici che ho appena letto.

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Il curioso comportamento di Schmohl nell’ambito di un’avventura che lui stesso ha simulato come una specie di Don Chisciotte, non potrebbe essere più avventuroso. Non riesco a concepire come un individuo assennato, quale costui mi è parso almeno fino a due anni fa, possa combinare cose così irrazionali. Mi fa male sentire che vuoi svincolarti in modo così violento da quello che altrimenti è stato il tuo fratello gemello Moritz. Basandomi sul parallelismo sulla scorta del quale io vi ho sempre accomunato, e a ragione, dal momento che sei stato tu a mettermi su questa pista, risulta quasi impossibile che lui finisca con l’allontanarsi in questo modo da te. Non è molto precipitoso, troppo rapido, se mi è concesso dirlo nel senso in generale più stretto del termine, cadere da un estremo all’altro? Niente potrebbe farmi un effetto peggiore che veder confermata un’osservazione di questo tipo. Chiedi che io non scriva ad Erlangen per interessarmi per un appartamento? Ma, ciononostante, l’ho fatto lo stesso e proprio con la posta che è partita adesso. Lo chiedono i miei genitori per sicurezza. Con ciò, l’alloggio deve essere affittato per un solo mese o perlomeno per un trimestre, in modo che in caso di necessità possiamo andarcene. Ho cercato di fare in modo che l’alloggio consti di due stanze e di una camera messe una accosta all’altra. Ti può andare bene? Sicuramente è un problema che Schwieger abbia deciso di venire con te a Erlangen in segreto. Dimmi, come stanno le cose adesso? La tua società di dotti è eccellente. Credo bene che un’istituzione di questo tipo solleciti le attività e contribuisca molto ad una vita piacevole. Non fai che frequentare dei nobiluomini! Mi dispiaccio del fatto che la tua arguta ipotesi circa la genesi della mia piccola composizione in versi sia un colpo mancato. L’occasione non è stata data da altro che dal fatto che alcune signore, che ho conosciuto e apprezzato, e che frequentavano i miei genitori, sono morte una dopo l’altra e hanno lasciato alle loro spalle dei mariti tristi (dunque la donna della poesia non è stata intesa come ammazzata, ma come morta di morte naturale). In questo modo potrai spiegarti meglio che cosa c’è di innaturale nella composizione; infatti, ho voluto scrivere i versi partendo dalla mia anima, pur tentando di traspormi in quella di una persona estranea. Ciò che intendi per troppo individuale in questo componimento lirico deve corrispondere al vero; è curioso, tuttavia, che io incorra adesso in questo errore. Te ne voglio parlare però a voce. Non so spiegarmi da cosa dipenda. Devo evitare di pensare, e piuttosto provare sentimenti, quando scrivo una poesia. Molto bene. Ma non succede anche a te, qualche volta, di fare lo stesso? Ti sei lamentato e hai criticato la Elise von Valberg di Iffland con un tono così indifferente, come se ci fosse poco o nulla di bello nell’opera. Lungi da me il disprezzare la critica! Ma bisogna ammettere che il sentimento precede ogni altra cosa in quest’opera,e posso solo provare irritazione se si comincia da dietro a biasimare singoli errori nell’e-

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conomia della pièce, prima che ci si lasci deliziare dalle bellezze che si mostrano chiaramente agli occhi, per quanto concerne la trattazione delle scene e dei caratteri. Ai miei occhi Ramler era il più grande poeta, quando ancora non ne conoscevo altri. Anche nella valutazione che lo riguarda, però, non sono davvero caduto nell’estremo opposto. Devo ammettere che non ho compreso completamente quello che hai detto a proposito dell’idealizzazione. Vorrei parlarne più ampiamente a voce. Sarai sicuramente in grado di entusiasmarmi dal profondo. Devo essermi messo sul cammino sbagliato e devo aver fatto un’incursione nella poesia drammatica. Di fatto, lo ammetto, ho avuto l’impressione di recente che passi drammaturgici come quello di “essere o non essere” e così via avrebbero potuto produrre alcune tra le più belle composizioni liriche; ma mi rendo ora perfettamente conto del fatto che perderebbero in realtà di qualsiasi interesse. Che cosa mi combini di nuovo? Mettere da parte l’Anna Bolena? Mi dispiacerebbe molto, se fosse per sempre. Che cos’hai di nuovo da biasimare al tuo lavoro? Quanto mi fa piacere che tu sia contento, sereno e di umore più lieto a Gottinga. Se devo essere sincero, meno di un anno fa non me lo sarei aspettato da te. E se vai un po’ indietro con il pensiero, dovrai ammettere la stessa cosa. Come riesce a cambiare un uomo, persino un uomo come te! Cielo, è dunque vero che non sei più quel infelice melanconico, di cui il mondo prova disgusto, quale eri ancora durante quella triste serata? Vedi, già allora ti dicevo che sarebbe stato impossibile che tu rimanessi tale per sempre e tu, mio caro, mi rispondesti che tutta la tua letizia non poteva essere altro che un’ ingannevole copertura atta a nascondere il tuo umore nero. Oh, grazie al cielo, grazie a te, se non lo sei più! E buon per me! Alla terra è stato restituito un essere che più di qualsiasi altro si merita di essere felice! È stato un angelo, un dio, a trasformarti! Il tuo sorriso non è più una smorfia! Non devo più aver timore, quando sei contento, che nel tuo cuore mille aculei lacerino la felicità. Bene per me che nel futuro mi apparirai dinanzi sempre così a nudo, così vero quale sei, che non ci sarà bisogno neanche per un istante di soffocare un pensiero cupo o di scacciare una ruga dal volto. Il mondo ti ha di nuovo. Il tuo amico può ora stringerti al petto come una creatura simile a lui, non come uno spirito estraneo che non appartiene alla terra, e potrà godere con te di tutte le forme di beatitudine che la fantasia fa apparire per magia in questa vita. Tu osservi ancora con un sorriso un po’ dolente il mio entusiasmo amicale. Finché questo spirito respirerà in me, esso non si esaurirà, pena diventare un uomo

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del tutto diverso. Non posso soffocarlo. Oh, in futuro cerchiamo di vivere insieme come in cielo! —————— Scrivimi al più presto, quando intendi venire. Spero che sia 14 giorni prima di Pasqua. Sarebbe meraviglioso. Il tuo amico W. H. Wackenroder

22. A Tieck: Berlino [circa il 25] gennaio 1793 Berlino, gennaio 1793. Carissimo Tieck, a metà della tua letterina mi dici in dieci diversi modi che non ti scrivo e che ti dovrei scrivere, e mi tributi anche il titolo onorifico di zelante corrispondente epistolare. Non intendo giocarmi questo titolo. Le nostre lettere si sono di nuovo incrociate. Ho dato a tua sorella il Roßtrapp (L’orma del destriero).169 Per quanto riguarda questo e i tuoi ulteriori lavori destinati alla pubblicazione lascio a Rambach e a Bernhardi il compito di scriverti il resto e di trattare con te le questioni editoriali che ti riguardano come autore. Ma cosa mi resta da dire sul testo poetico? In primo luogo mi sembra che si finisce col rovinare qualcosa, se non molto, quando si trattano tanti argomenti in modo così passeggero e trascurato e io non vorrei che tu diventassi un erede di Rambach. Sicuramente è una magnifica illusione che in questo modo si conseguano una maggiore bravura, più ricchezza di idee e più cambiamenti; solo che non si tratta che di un’illusione. Infatti, alla fine ci sia abitua a scrivere in questo modo al punto che in seguito non si riesce più a realizzare qualcosa di respiro più tranquillo, di più ponderato e per quanto possibile completo in tutte le sue parti. In cento diversi luoghi si è in grado di produrre, in ordine sparso, pensieri e quadretti molto leggiadri e in tutto ciò quello che si crea è sicuramente qualcosa, ma non è un insieme completamente bello. In questo modo si perde la forza, la potenza e la perseveranza necessari a creare un’opera, in cui, in coscienza, si sia cercato di limare ogni singola parte, fin nei dettagli, e si sia cercato di condurla alla completezza, così da poter definire l’insieme come un prodotto del proprio sommo e nobilissimo impegno. Fondamentalmente, ogni poeta dovrebbe prefiggersi il proposito di cercare di portare ogni opera al quel massimo grado di

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compiutezza che le sue energie, nella forma più efficace di operosità, gli hanno concesso di conseguire. Credo naturalmente che le mie preoccupazioni possano risultare molto meno giuste nel tuo caso, di quanto non creda che queste si adattino ad altri (ad esempio Rambach). Il tuo L’orma del destriero non è nulla di eccezionale e ha il privilegio di stare alquanto al di sotto del tuo Emma e Adalberto (sono stato sufficientemente schietto?) La trovata? Credo che potrebbe essere migliore. La storia di una fanciulla che è riuscita a superare un precipizio a cavallo, perché è inseguita da un gigante, è una trovata banale che io stesso avrei potuto inventarmi e che nella conduzione della storia viene posta in luce ancor più misera. L’intero racconto non è sostenibile, non produce interesse, non è vitale. Perché il gigante perseguita la piccola comunità dei pastori? Che cosa vuole esprimere questa presenza spettrale? Perché il diadema ha potere di difendere dal gigante? Perché alla fine tutti gli spiriti si allontanano da quel luogo? Tutto è avvolto da nebbia. E poi, a metà della storia, hai dimenticato l’inizio: un Minnesänger giunge nella regione dello Harz (l’incipit in prosa conserva ancora la maggior forza e fantasia), descrive se stesso (anche se in modo alquanto rigido, come se fornisse al paesaggista delle idee frammentarie), i paraggi, e in seguito incomincia a cantare una storiellina in versi che, quando la cosa diventa troppo scomoda, preferisce recitare senza rima. È certamente un Minnesänger alquanto curioso! Deve aver avuto un umore alquanto bizzarro! Avrei voluto vederlo, mentre se ne sta seduto in quel luogo solitario e canta tra sé e sé una fiaba! Perché tutto il componimento non scaturisce da un unico flusso della fantasia e non è in versi fin dall’inizio? Perché non gli permetti di cantare quei luoghi in quadretti lirici e non fai in modo che nel suo entusiasmo lirico egli veda, come se fossero presenti, gli accadimenti del tempo passato? E poi quei versi! Sicuramente non hai mai letto questo componimento a voce alta; o devi averlo letto con l’intenzione di divertirti da solo. In ogni caso, se ti dovesse venire qualche altra intuizione poetica, vorrei fornirti un piccolo campione per farne l’uso migliore: Le fanciulle La buona sorte con sguardo propizio abita qui e si bea del sole nel faggeto nello splendore della primavera. E ancor più di questi versi, che in realtà sono versi di quattro piedi a rime accoppiate. Anche immagini come «il tuono si ferisce urtando contro gli scogli» sono state certamente inseriti da te per scherzo.

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Vedi bene quanto sono eloquente quando ti capita di produrre qualcosa di mediocre o di cattivo. Così agiscono gli spiriti gretti, quando credono di poter dominare di gran lunga quelli grandi, essendo in grado di scoprire degli errori nei parti ibridi del loro spirito, che loro non sarebbero neppure in grado di produrre. Di fronte ai capolavori tacciono, senza sapere cosa dire, perché sono troppo limitati per poter scoprire le sorgenti nascoste delle bellezze e per apprezzare in base al merito le bellezze stesse. Così faccio anch’io! Ho visto recentemente la nuova opera cavalleresca Ludovico il saltatore. Posso dire di non conoscere un’opera più scarsa, più dilettantesca, più riprovevole, più insipida, più insulsa, più insignificante, più noiosa, più banale, più comune (ma mi manca quasi il fiato). È scritta senza una scintilla, senza un’ombra di spirito tragico, di sentimento, di progettualità, di carattere e di situazioni! È talmente breve, che i protagonisti hanno solo il tempo sufficiente per parlare, al fine di rendere possibile di far comprendere la storia su cui è basata l’azione; non si tratta di altro che di un compendio storico in forma di dialogo. Per poterlo realizzare non ci si è serviti altro che dell’impianto e del tema. Non vi si trova una sola parte o una sola scena in cui il cuore possa partecipare con caloroso trasporto. La trama è come la tela di un ragno. In prima posizione si vede un Sancho Panza che recita il ruolo del buffone. Mentre le figure principali hanno il compito di portare avanti l’azione, vi sono inserite un paio di guardie carcerarie o gentaglia di questo tipo, che ci fanno passare il tempo con le burle più banali. La Baranius supera in tribunale la prova del fuoco e alla fine si ha un combattimento tra cavalieri: si godono entrambe le situazioni di più se le si vede, più che ascoltarle. Infatti le mute cerimonie di un tribunale segreto (se si vuole ben guardare) e lo sfarzo delle armature da torneo non mancano mai l’obbiettivo di suscitare impressione. Della bella e nobile (!) lingua che vi si parla ti fornisco solo un esempio: «Dovete far attaccare i cavalli, se volete portarmi via da qui», dice Ludovico al colmo della rabbia. Ed ecco il corpulento cocchiere che in stato di ebbrezza se ne sta lì, con il cappello a sghimbescio calato su un orecchio e le mani sui fianchi. Ma tutta la faccenda non è degna che io vi spenda neppure una parola in più. Bernhardi ha deciso in fretta e furia di portare di persona il suo postludio a Engel. Prima lo ha mostrato a Hagemeister, che lo ha lodato. Attualmente è stata fischiata due giorni di fila una nuova operetta, Die unruhige Nacht (La notte inquieta),170 basata su un testo di Goldoni, con musica di Lasser di Monaco. Ma cosa significano mai tutte queste novità di fronte a quelle che ti voglio comunicare adesso. Corruga pure la tua fronte, preparati ad un pensiero profondo e disponi la tua anima nel clima adatto a riceverle. Tre, quattro volte trionfo e vittoria! È giunta l’ora della mia fortuna e della mia salvezza; sono stato risollevato dalla polvere e ora posso toccare Orione con il mio capo. Solo adesso ho il coraggio di abbracciarti

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fraternamente e riunito con te, volare verso il tempio dell’immortalità! Scaccia via tutte le fantasie che forse in questo momento, come nuvole scure, attraversano la tua mente. Non sono nulla a confronto di quanto udirai a breve. Concedi a ogni più piccolo pensiero che vaghi nella tua anima una calma festosa e lascia che nella pausa sublimemente maestosa della tua attività intellettuale entrambe le tue orecchie siano colmate da queste auree e celesti parole: sono uno scrittore e, da capo, sono uno scrittore. Tuttavia, devo certamente discendere dall’altezza vertiginosa in cui mi trovo e raccontarti in breve, nel linguaggio degli uomini, quanto segue: Cur, quomodo, quando (NB. Tutto quello che senti sono segreti assoluti che svelo solo a te, a me stesso e a Bernhardi). Bernhardi è stato convocato come collaboratore di un nuovo mensile che a breve Rambach e Heydemann171 vogliono pubblicare (forse questa rivista è supportata anche da Zöllner,172 Jenisch,173 Eschenburg174 e Veit Weber175). Dunque Bernhardi mi ha chiesto in modo così pressante e incessante di concedere la stampa della mia Ode al Tempo, che ho avuto occasione di leggergli, che non ho potuto rifiutarglielo. Ha voluto assolutamente sapere le ragioni della mia riluttanza, e dal momento che io non volevo produrmi in prima battuta nel contesto di un gruppo di persone che mi lasciavano in parte ancora dei dubbi ed esordire nel mondo con un lavoretto così effimero, disprezzato e plebeo, non riuscendo a spiegargli chiaramente queste motivazioni, devo avergli dato l’impressione di non avere motivi validi. Per farla breve: ho dovuto, in parte costretto, dargli l’ode (pur con qualche modifica). Almeno mi ha promesso di mantenere il massimo riserbo. Dunque, l’ha letta a Rambach e a Heydemann stando a una certa distanza, in modo che non riconoscessero la mia calligrafia; ha ottenuto consenso e probabilmente verrà stampata. Quello che però è più divertente è che Bernhardi ha fatto credere in via confidenziale a Rambach che l’ode sarebbe del suo amico Schmiedecke176 e si rallegra già in anticipo per la scena comica che scaturirà fra questo e Rambach, perché sicuramente Schmiedecke, non appena quel chiacchierone di Rambach gli farà cadere sulla testa la paternità dell’ode, sarà in grado di fare la parte di quello che è caduto dalle nuvole meglio di chiunque altro. Non sono in grado di dire se Bernhardi abbia fatto bene a mentire per scherzo e se Rambach rimarrà fermo nella sua convinzione oppure sospetterà di me, cosa che non mi farebbe piacere. Sotto l’ode ho apposto il nome di Agathon,177 perché è il mio nome preferito. Ho un piacere da chiederti. Dal momento che la primavera scorsa hai parlato con la madre di Matthisson, mi puoi, forse, scrivere dove e quando è nato, dove si trovi adesso e ciò che sai altrimenti dei suoi

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anni giovanili e delle sue condizioni di vita. Non dimenticarti di fornirmi questi dati nella tua prossima lettera. Hai ancora l’antologia siberiana di Schiller?178 Hai intenzione di farmi vedere a Pasqua L’orma del destriero materialmente? Ma il periodo dell’anno e le condizioni climatiche e il poco tempo a disposizione! È difficile che ce la faccia. Devo rinunciare. Dobbiamo rendere il nostro viaggio per quanto possibile più facile e privo di soste. Ti prego anche, caro Tieck, di venire qui per la via più breve e il prima possibile. E ti prego anche di stabilire con anticipo (in modo da non farci preoccupare di nuovo), anche se si tratta anche solo di due giorni, quando pensi di venire. Come desidero pressantemente di poterti vedere qui almeno 14 giorni, se non da 8 a 14 giorni, prima di Pasqua (che cade l’ultimo giorno di marzo)! Tua sorella è del tutto in accordo con il mio desiderio. —————— Vedrai bene, caro Tieck, che fino a questo momento non avevo ancora letto la tua tragedia Der Abschied (Il commiato): su che argomento avrei dovuto scriverti, altrimenti, in prima battuta, se non su questo? E come è possibile che anche nelle tue lettere a me indirizzate non ne venga fatta menzione? Cielo, mi hai procurato nuovamente un’ora di gioia e mi hai trasportato per magia nei tempi in cui vivevamo ancora insieme e condividevamo sentimenti comuni. Oh, non è vero che non sono in grado di percepire le bellezze che vi sono contenute, fino alla più minuta! Invece sento, sento come tutto è creato a partire dal flusso del sentimento di un cuore gonfio di passione. Da che cosa devo cominciare? Non mi ha solo commosso, ma anche deliziato. È composto completamente nello spirito goethiano del Werther, di Stella!179 È assolutamente un quadro, il quadro più fedele dei sentimenti sublimi, eterei e sognanti che ci siamo scambiati qualche volta in ore di beatitudine. Se nel passaggio in cui Luise suona il Lied composto dal suo amato «Come ero pieno di diletto» hai pensato a me, te ne sono grato: sono felice se il pensiero che mi rivolgi aleggia intorno a te in simili momenti. Di quale natura pura è fatto Ramstein! Sarei fuori di me per la felicità se potessi recitare una volta la sua parte, mentre tu reciti quella di Waller! Come sono impareggiabili le due scene tra Luise e Ramstein! Come è realistico il marito infuocato e fremente! Come è autentica questa manipolabile debolezza del carattere femminile! I tratti più fini dei caratteri sono distribuiti dappertutto. Al momento non mi è possibile avvisarti su ogni singolo aspetto. Potrai facilmente immaginare quali siano le parti che mi hanno particolarmente deliziato. Forse il finale avrebbe potuto essere elaborato meglio e con consapevolezza ancora maggiore; oso supporre che talvolta è ancora lo scrittore a far parlare di più i suoi personaggi dei loro sentimenti, di quanto non farebbero questi seguendo il proprio

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sentimento. In ogni caso, lo splendore dell’insieme inghiotte questi difetti. Se fossi qui, potremmo leggere insieme il tuo testo e in ogni istante ti renderei partecipe della mia delizia. Ma in questo modo non posso evidenziare nulla, ci sarebbero troppe cose da dire e io sono troppo pieno di pensieri che vorrei comunicare. Oh, lascia perdere la poesiola! È questo il tuo ambito di azione, nel campo del tragico e della cupa melanconia. Come sarei felice se potessi comporre qualcosa di simile! Questo genere sarebbe il mio preferito. Ti ringrazio dal profondo, amato, ottimo Tieck, per il dolce svago che mi hai procurato! Perché non elabori il tuo Oreste180 trasposto in epoca cavalleresca? Scrivi presto e dimmi quando vieni. Il tuo amico W.H.W. 23. A Tieck: Berlino, [metà febbraio e 23] febbraio 1793 Berlino, febbraio 1793 Mio amato, ottimo Tieck! Stento ad aspettare più a lungo! Mancano giusto tre, fino a quattro settimane al massimo prima che tu arrivi qui e non mi scrivi ancora quando verrai; vivi allegro e svagato a Gottinga o a Kassel, dove hai voluto recarti, come mi racconta tua sorella: Nel frattempo io vivo qui in un tormento di cui non puoi avere idea. Tutto mi abbandona, mi trovo in uno stato di fastidiosa incertezza, giacché vorrei sapere prima di tutto qualcosa di preciso su alcune condizioni che concernono la mia situazione futura. Non ho ricevuto lettere da te, né dal mio predicatore; non ne sono arrivate da Erlangen. E l’ora del nostro appuntamento si sta approssimando. —————— Ho aspettato da martedì a sabato e da sabato a martedì; oggi è di nuovo sabato e non è arrivata nessuna lettera. Sono ancora abbastanza allegro da immaginare, che non sono stati altro che la trascuratezza o il divertimento a trattenerti dallo scrivere, non una possibile malattia. Il mio predicatore ha scritto finalmente. Il matrimonio è passato; è estremamente felice, nella sua nuova condizione coniugale, e ci aspetta a braccia aperte dopo Pasqua. Ti prego solo, in nome della nostra sacra amicizia, di scrivere anche solo un paio di righe, se non riesci a essere qui 14 giorni o al massimo 8 giorni prima di Pasqua. Quanto più a lungo mi sento costretto qui,

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nella mia situazione di infelicità, tanto più questa mi rende impaziente e di cattivo umore e mi porta talora alla disperazione. Trascino alcune giornate come fa l’asino con il carro. La mia mente, solitamente incline ad espandersi, si affloscia, le mie ali sono paralizzate, la loro elasticità è fiaccata. Sento più forte di ogni altra cosa questo: sei diventato più debole nell’intelletto e nel cuore; ogni battito del mio cuore mi trasmette questa ammissione tormentosa. Ma in nome di tutti i momenti di beatitudine, che io ho colto nei baci e negli sguardi delle ore più sublimi trascorse insieme, ti giuro questo: non appena il sole si fosse levato e fosse calato un paio di volte in un luogo sopra di noi, sentirei ancora abbastanza forza in me per potermi librare in alto, verso di te, mentre la magica pressione della tua mano e il bagliore magico che si riflette nel tuo sguardo, nonché il timbro magico della tua voce mi pervaderebbero di nuovo, riempiendomi di incantevole entusiasmo e coetusque vulgares et udam sperno humum fugiente pennâ.181 Se avessi tempo, vorrei raccontarti di tutto: di come mi sia arrabbiato a teatro assistendo a Betrug über Aberglauben (Inganno per mezzo della superstizione) e di come mi sia rallegrato, un’altra volta, nel vedere lo Axur; di come, con la sorpresa di tutto il mondo ragionevole, venga rappresentato il Julius von Tarent nella regia di Bernhardi nel nostro teatro e di come mi abbia deliziato l’impareggiabile dizione originale di quest’opera; di come, nel vedere Tellheim interpretato da Czechtizky non sia riuscito a cogliere nessuna scintilla del raffinato carattere del personaggio, ma abbia creduto, invece, di vedere sulla scena tutt’altro ruolo. Vorrei raccontarti soprattutto, però, di come io sia attualmente ammaliato dell’edizione musicale di Erwin und Elmire di Reichardt,182 in cui ciascuna, ogni aria respira dell’espressione più profonda e ogni suono emanano amore e sublime sentimento. Vorrei aggiungere ancora una cosa: ho fatto una conoscenza che non mi avrebbe potuto rallegrare maggiormente, vale a dire con un architetto, Gilly,183 che Bernhardi conosce. Ma ogni tentativo di tratteggiarne la personalità sarebbe troppo debole! Questo sì che è un artista! Nutre un entusiasmo così struggente per l’antica semplicità greca! Ho trascorso con lui alcune ore assai felici di intrattenimento estetico. È un individuo divino. —————— E ora ti scongiuro ancora una volta, mio eternamente amato Tieck, scrivimi e consolami al più presto. Oh Tieck! Non vogliamo forse vivere felici a Erlangen come se fossimo nell’Elisio? Dobbiamo! L’intera mia anima si eccita in ogni istante, ora, immaginando il quadro di questo futuro paradiso. Ma scrivi il giorno del tuo arrivo; vieni il prima possibile – come possono creare a te impedimento le lezioni pubbliche? Probabilmente potremo, dovremo partire il primo giorno della consegna postale successivo alla Pasqua; e Pasqua è il 31 di marzo. Scrivimi nello stesso giorno in cui ricevi questa lettera, se possibile: solo quanto è strettamente indispensabile, solo un paio di righe.

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Spero e mi auguro che tu stia bene e che ti diverta. Il tuo per sempre amico W. H. Wackenroder

24. Tieck a Wackenroder: [Gottinga, circa il 1 marzo 1793] Caro W, perdona davvero se ultimamente non ti ho scritto praticamente mai, perché mi sono allontanato proprio in quell’istante. Come è possibile che io debba aspettare così a lungo una tua lettera? Non voglio credere che tu sia malato. Al momento io non sono proprio malato, ma neanche in salute, e scusami, perciò, se ti scrivo poco; per quanto riguarda molti passaggi della mia lettera più recente, che tu hai frainteso, è meglio che discutiamo a voce. L’orma del destriero è brutto, ma non mi rendi molta giustizia, perché secondo l’opinione di Burgsdorff (che però non è la mia) sarebbe meglio dell’Adelbert e di Alla Moddin,184 che ho quasi portato a termine; è stata anche colpa sua, se l’ho composto in versi rimati, e in prosa qualcosa sarebbe risultato diverso. Ho rimaneggiato più volte alcuni passi, anche se farai fatica a crederlo. Forse hai già letto l’Abdallah, e perciò sono molto curioso sul tuo giudizio. Che io abbia cambiato così velocemente umore, o come devo chiamarlo, come tu mostri di credere nella tua ultima lettera, non è minimamente vero; di questo avrai forse trovato traccia nell’Abdallah. La ragione per cui non ti ho detto nulla del Commiato è che Bernhardi mi aveva pregato già da tempo di fornirgli una breve tragedia con tre personaggi che voleva spacciare per sua e voleva rappresentarla presso una famiglia, con l’intenzione poi di mostrarla a te e a Rambach e di chiedere il vostro parere. Vedi dunque che non potevo scriverti nulla sull’argomento, perché avresti dovuto assumere un ruolo fastidioso, se ne fossi stato informato, e ti prego anche adesso di non parlargliene. Non avrei mai creduto che ti sarebbe piaciuta tanto; io non l’ho ritenuta così buona, perché non ho mai scritto niente così velocemente come quest’opera. Ho scritto in una sola sera il primo atto e il secondo la sera successiva, trascrivendo l’intera opera quella sera stessa nel rispetto di come l’avevo redatta in prima battuta. Ma tu sai già da tempo, del resto, che non sono capace di scrivere lentamente. Non ho ancora iniziato l’Oreste: mi ci dedicherò a Jena, a Erlangen. Saranno certamente giorni belli, facilmente i giorni più belli della mia vita, ma se solo potessi esser intimamente lieto, non ci

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sarebbero impedimenti dall’esterno. Sono libero di vivere come mi pare, spesso sono in buona compagnia, ho conosciuto qui un pittore dotto di nome Fiorillo,185 che è una persona molto piacevole e fra un paio di giorni farò visita a Bürger. Si devono sopportare per ogni dove menti poco profonde e individui superficiali, così come la fissazione per cose di nessun valore e altre mille cose che possono privare un individuo del buon umore; ci sono solo poche persone che sono in grado di vivere in modo lineare e semplice, come la natura richiede, ma uno vuole essere filosofo, l’altro poeta, il terzo uomo di corte e così si tormentano da soli, invece di stare calmi e di vivere soddisfatti con se stessi e con gli altri. Per quanto ci è possibile, cerchiamo di essere noi la nostra compagnia a Erlangen e io cercherò di fare tutto ciò che in mio potere per evitare tutte quelle persone che non ti frequentano e che non ti sono vicine. Che cosa si dice a Berlino dell’esecuzione di Luigi?186 E che cosa il tuo cuore dolce e delicato di questa cosa? Temo che per questo motivo tu sia improvvisamente crollato insieme con l’ideale della libertà francese. Cerca di scrivere al più presto perché mi sono inutilmente rallegrato più che per ogni altra cosa per le tue lettere da Berlino scritte tuo pugno. Come ero pieno di diletto – naturalmente ho pensato a te quando ho composto questa parte e a Erlangen dovrai eseguirla spesso per me. In un paio di giorni riceverai la seconda parte dell’Abdallah e in 14 giorni, all’incirca, la terza. Scrivimi quando ricevi questa lettera. Che tipo di mensile è mai quello che Rambach vuole scrivere? Come può Rambach fidarsi fino a questo punto di Heidemann; io lo conosco solo superficialmente, ma mi risulta assolutamente insopportabile. Salutami mia sorella e dille che sto bene, perché credo che non le scriverò. Consegna i biglietti a Bernhardi e Rambach; scrivimi e restami amico, come faccio io Il tuo Tieck. 25. A Tieck: [Berlino], 2 marzo 1793 Sabato, 2 marzo 1793. Mio ottimo Tieck, sia ringraziato il cielo che ho ricevuto da te di nuovo un paio di righe lunedì scorso. Per quanto sia poco, ne sono stato immensamente felice.

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Sei partito alla volta di Kassel, per questo non ti ho scritto martedì; adesso dovresti essere ritornato. Posso leggere il tuo Abdallah solo nei prossimi giorni, nel frattempo l’ho prestato a tua sorella. Dalla Pasqua scorsa non mi sei mai mancato così tanto, non ho mai desiderato con tanta impazienza di riconquistare la tua rincuorante frequentazione come in questi ultimi mesi. Nel frattempo, devo confessarlo, ho trascorso alcune ore molto liete; tuttavia non posso nascondere che con te proverei un piacere del tutto diverso e molto più elevato. Ho ricevuto risposta da Erlangen; abbiamo un alloggio presso un sarto con due stanze e una camera da letto, le une accanto all’altra. L’alloggio sembra essere molto confortevole e deve essere situato in una zona buona. I dintorni che circondano Erlangen, cioè il territorio di Anspach e di Bayreuth, sono molto lodati; Erlangen, invece, non da tutti. Che voglia il cielo che tu sia contento laggiù. Solo che ti mancherà purtroppo la frequentazione, che hai invece a Gottinga, di così tante persone interessanti. È però impossibile che io ti possa scrivere più di questo; tutto il resto devi apprenderlo dalla mia viva voce. Ripeto le mie pressanti preghiere affinché tu ci scriva presto quando intendi venire e che tu venga entro un paio di settimane. Qui devi vivere in primis per la tua amabile sorella. Avanzo poche o nessuna pretesa nei tuoi confronti, perché in seguito (che meravigliosa prospettiva) potrò godere a lungo della tua presenza. Tutto il resto a voce. Cerca di venire per favore entro i prossimi 14 giorni, d’accordo? Con dolce nostalgia guarda al tuo arrivo l’amico che sempre ti ama W. H. Wackenroder 26. A Tieck: [Berlino], 5 marzo 1793 Martedì, 5 marzo 1793 Caro, ottimo Tieck, Ieri (lunedì 4 marzo) ho ricevuto a mezzogiorno la tua lettera. Tua sorella rinnova il suo affettuoso saluto per te. Al momento è in ottima salute e non desidera altro, più intimamente, di poterti riabbracciare qui presto. Ho letto Abdallah. Se ben ricordi, una sera dell’inverno scorso me lo hai già letto nella mia stanza. Dal momento che è stata stesa già un anno fa, intendo dire questa prima parte, corrisponde anche al vero quello che dici, e cioè che in essa si mostrerebbero le tracce evidenti del tuo antico umore. Già allora ti avevo espresso il mio apprezzamento

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per questo testo e ora lo ribadisco, essendone ancora più certo. Non si può ancora esprimere un giudizio sulla struttura intera dell’opera, perché finora si dispone solo di una parte dell’enigmatico intreccio di circostanze naturali in cui si inseriscono qua e là gli interventi di potenze magiche. Mi piacerebbe poter esprimere un giudizio sulla composizione del racconto, sulla disposizione dei capitoli e delle singole parti principali presenti in esso, solo che non riesco a coglierli ancora abbastanza bene, perché non ci ho riflettuto a lungo. Si tratta certamente di aspetti importanti, molto importanti, per quanto essi siano stati trascurati da migliaia di romanzieri che hanno sentito parlare solo del bel stile fiorito, che sono capaci unicamente di trasporre in spiritosaggini e in fiorellini finti. Ad esempio non so se il profilo [Charakteristik, N.d.T.] isolato del sultano, che costituisce l’inizio, sia collocato al suo posto giusto e così via. Oltretutto, in questa descrizione del carattere, come nelle altre, si possono riscontrare molti tratti naturali, autentici e indovinati. La fantasia che pervade tutta l’opera è focosa, grande e sublime e si mescola spesso così intimamente con la ragione, che è difficile separarle l’una dall’altra. Tuttavia, tua sorella ha espresso correttamente a me il suo pensiero sul fatto che il linguaggio immaginifico di cui sei dotato abitualmente e che padroneggi con facilità risulta sprecato in questo contesto. Di fatto, ci si aspetterebbe un componimento perfetto e bello quando lo scrittore è in grado di cogliere ogni immagine che la sua immaginazione prorompente gli offre quando scrive, e dal momento che in questo istante dell’entusiasmo poetico riesce a coglierla così bene, come accade che la butti lì così come gli si presenta, senza tener conto della rete di rapporti in cui è inclusa e senza aver presente l’intera struttura? Ipotizzando anche che tutte le immagini fossero in grado di reggere alla critica (si presenta forse questo caso per Abdallah e per molti altri?), ciò non sarebbe niente meno che una dimostrazione della loro legittimità in questo posto. Certamente uno stile letterario in cui lo scrittore, traboccante di sentimenti e di visioni fantastiche, saltasse da un’immagine all’altra e trascinasse l’una cosa nell’altra, non sarebbe migliore di uno stile in cui debba dominare un umore epigrammatico, in cui una spiritosaggine ne scacci un’altra e un gioco di parole un altro. Comunque questo discorso non ha valore per il tuo Abdallah. Mi sembra tuttavia innegabile che bisogna talora affaticare il proprio intelletto per cogliere i divertenti quadretti allegorici – non posso definirli altrimenti – che, del tutto eterogenei, sono disseminati l’uno dopo l’altro,187 e quando si è finito con uno, ci si deve buttare subito in un altro mondo di immagini, in un altro linguaggio metaforico che possa dare la chiave interpretativa dell’immagine che segue. Probabilmente questo lussureggiare di immagini sarà parso naturale alla tua mente sovraeccitata, ma non per questo può dirsi bello. Di contro potrei mostrarti i molti passi eccellenti del testo, se ti avessi qui con me. Allo stato attuale sono costretto a tenermi sulle generali. Le ipotesi filosofiche188 di Omar

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sono rappresentate in modo magistrale e sono state capaci di riportarmi indietro completamente, come per magia, in quella sera meravigliosa e ultraterrena. Ma (e questo sarà un parere condiviso da entrambi) lo spirito viene scosso, viene reso stonato nei confronti della gioie terrene e delle impressioni piacevoli, viene guastato per l’amicizia e l’amore, viene condannato a un eterno malumore e a una triste accidia se si abbandona a queste fantasticherie meravigliosamente spaventose e non vengono almeno esiliate in un dialogo al chiaro di luna con l’amico del cuore, in modo che possano essere scacciate il mattino dopo al tiepido chiarore del sole e che non possano sembrargli nient’altro di quello che in realtà sono: un sogno. La solitudine, che può ispirare pensieri e fantasie ben più consolatori e rinfrancanti e il giorno, che esige la nostra attività mentale a vantaggio nostro e del nostro prossimo rimangano scevri da questo veleno che consuma e che lascia decomporre la nostra anima prima che si separi dal corpo. Ma ahimè, questa verità solida come una roccia ti è fin troppo nota e il cielo ascolterà il mio desiderio più fervido, e non ti rimarrà inutilmente nota. Vogliamo vivere insieme lieti, Tieck; lieti ma saggi, lieti e non sepolti in una vana melanconia. Non credi? O certo, sicuramente! E la gaiezza, una gaiezza più saggia, si trasferirà pian piano nella tua natura, nel tuo essere! Tu sei sempre ancora il Tieck di una volta, il mio caro e ottimo Tieck! Anch’io sono come ero un tempo! Voglia Iddio che tu solo in questo non assomigli più a come eri allora, ma ora taccio sull’argomento, taccio! —————— Resto della mia convinzione, a proposito del tuo dramma: il Commiato è bello, molto bello. Bernhardi non ha mai fatto uso dello stratagemma cui aveva fatto cenno, cioè di spacciare per sua l’opera. Ma resto convinto anche di questa cosa: L’orma del destriero è cattivo e credo di non essere stato ingiusto nella mia valutazione. Per me è un enigma insondabile come Burgsdorff abbia potuto preferirlo allo Adelbert e all’Alla Moddin.. E avrei sicuramente rifiutato di credere che tu abbia rimaneggiato il testo più volte, se non me lo avessi detto. Se prescindiamo ora dai contenuti, sono la forma, i versi, lo stile, le immagini e la musicalità che mi offendono. Tu e Burgsdorff v’intendete mille volte più di me di sentimenti sublimi, alti, e del genio drammatico. Al contrario, suppongo presuntuosamente di poter giudicare in modo più preciso di voi due per quello che concerne la metrica, la musicalità, il ritmo, l’aggiustamento dei periodi, la costruzione delle metafore, le finezze della lingua e tutte le altre cosucce di questo tipo. L’esecuzione del re di Francia ha fatto indietreggiare per lo spavento tutta Berlino di fronte alle scelte dei francesi, ma non posso dire

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lo stesso di me. Sulle loro questioni conservo l’opinione di sempre. Non so giudicare se usino i mezzi giusti per procedere nel loro disegno, perché so ben poco delle circostanze storiche. Io stesso non so come Rambach possa essere così in confidenza con Heidemann, non riesco a spiegarmelo. Non mi scrivi mai quando vieni. Presupponi di nuovo che sarà al momento giusto? Devi essere qui in 14 giorni. Il mercoledì dopo Pasqua dovremo partire, così che sarai a Berlino per 14 giorni. In questo lasso di tempo, tua sorella deve godere della tua compagnia più di chiunque altro. Prenditi a cuore la salute e stai bene, mio amatissimo, ottimo Tieck. Il tuo W. H. Wackenroder 27. A Tieck: Bamberga, [14 luglio 1793] Bamberga, domenica. Sono accolto così cordialmente, qui, in particolare dal Prof. Sauer,189 e trovo così tante cose da vedere, che mi fermerò almeno un paio di giorni. Mi si vuole accompagnare anche al monastero di Banz, che dista tre miglia da qui. Poi vorrei arrivare ad Erlangen solo mercoledì o giovedì. Non sono però in grado di calcolare con esattezza i tempi. Ti sarebbe sicuramente piaciuto molto, se avessi fatto questo viaggio con me. Sono certo che la processione si terrà sabato prossimo di mattina, all’incirca tra le 7 e le 9. Sarei del parere di non parteciparvi, ma solo in cambio di fare qualcosa d’altro. Dubito molto che rimarrò qui fino alla processione. Ma se dovessi sostare ancora qui, sai dove mi trovo. Ma è molto improbabile. In ogni caso, ti rivedo ad Erlangen tra poco e, come spero, tu sarai in buona salute. W. H. Wackenroder

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28. A Sophie Tieck: [Erlangen, 17 o 18 luglio 1793] Aggiunta a una lettera di Tieck È da tempo che avrei voluto scrivervi e anche adesso dispongo di poco tempo per farlo. Sicuramente, a breve, mi dilungherò di più. Sollecito spesso il vostro caro fratello, che è in salute, a ricordarsi di scrivere e mi augurerei che deponesse la sua piccola indolenza nel curare la corrispondenza, che ora è diventata in lui così naturale. Non desidero di più che sapervi in buona salute e impegnata in piacevoli attività, come di solito accade. State bene e cercate, vi prego, di mantenervi di buon umore e allegra. Il vostro amico Wackenroder 29. A Sophie Tieck: Gottinga, 23 gennaio 1794 Gott. 23 gennaio 1794. Dal momento che vostro fratello non ha ancora ricevuto da voi alcuna risposta alla lettera che dovreste aver ricevuto ormai da parecchie settimane, vorrei rassicurarvi nel frattempo del fatto che sta bene ed è come sempre sano e allegro e che vi avrebbe scritto di nuovo in prima persona, se non lo avessero trattenuto dal farlo due impedimenti inevitabili, il lavoro e la trascuratezza. Volete permettermi di andare di tanto in tanto in suo aiuto e, quando si presentano quegli impedimenti, invece di lasciare che sia lui a dirvi che sta bene e che vive lietamente, sia io a farlo per lui, auspicando di apprendere la stessa cosa da parte vostra? Siete riuscita a uscire, qualche volta, nelle belle giornate che di tanto in tanto l’inverno ci ha concesso? Recentemente ho avuto modo di visitare i paraggi durante giornate soleggiate, constatando che sono alquanto spogli. Mi capita spesso di ricordare in compagnia di vostro fratello dei bei giorni di cui abbiamo goduto in Erlangen nei più bei paesaggi montani. Non rimpiange di avermi seguito in quel viaggio. Ho già trascorso, conversando, qualche serata in sua compagnia, richiamando alla memoria i momenti lieti della scorsa estate e la nostra vita precedente a Berlino. Mi farebbe molto piacere sentirvi dire che state bene e trascorrete ore liete. Rimango il suo estimatore e sincero amico Wackenroder

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30. A SOPHIE TIECK (13/2/1794)

30. A Sophie Tieck: Gottinga, 13 febbraio 1794 Gottinga, 13 febbraio 1794 Mia ottima amica, come è possibile che abbiate seriamente potuto nutrire le preoccupazioni che avete lasciato trasparire dalla vostra ultima lettera?190 Come? È stato il mio semplice scusarmi per una trascuratezza del vostro caro fratello, che naturalmente io stesso potrei a malapena tollerare nei miei confronti, a condurvi a idee dalle quali già il minimo sguardo a ritroso sul suo carattere, sull’intera natura di vostro fratello dovrebbe farvi desistere. Vi lasciate a tal punto indurre dall’afflizione, derivata dal fatto di non aver ricevuto da lungo tempo una sua lettera, dal presupporre con una sensibilità così approssimativa e con un’arida freddezza che persino io in un caso analogo, in presenza in un amico che mi fosse molto meno caro, mi asterrei dal supporre, dal presupporre, – ma non posso neppure nominare ciò che voi individuate come causa della sua trascuratezza e della mia missiva – e beato me! Suppongo che ricevendo questa lettera vi ricordiate a malapena delle idee confuse che sono scaturite da quel sogno cupo, in cui avete cercato la causa di una riluttanza fisica della mano e nel cuore, sì, in quel cuore che è il più puro, nobile e che è a voi perennemente incatenato da un vincolo eterno e sacro. Si è trattato di un sogno, del parto di una solitudine afflitta dalla preoccupazione e questo sogno non vi deve affliggere né inquietare neppure adesso, proprio perché si è trattato di un sogno transitorio, che non avrebbe potuto mai mettere radici nel vostro animo. Vi giuro che vostro fratello e quello che è il mio primo e unico amico non è diverso di un capello rispetto a prima; annovera i tempi che a trascorso con voi tra i più felici, gode che essi si protraggano nel ricordo e si rallegra del loro continuo rinnovarsi. Ma come mi sembra strano dover giurare questo a voi, che lo conoscete meglio di chiunque altro. Interrogo dunque il vostro cuore per sapere se pensate che sia possibile davvero credere che in lui si sia attuata una improvvisa trasformazione della sua personalità (e su che cosa dovrebbe mai basarsi?). Ma dovete certo sapere di lui che è in grado di pensare quotidianamente in modo partecipe ad una persona che gli sta a cuore e che ciononostante si astiene dallo scrivere, perché si assume degli impegni che gli lasciano poco tempo per scrivere o perché quattro settimane passano per lui così in fretta come se si trattasse di una. Ma voglio troncare qui il discorso sulla sua negligenza, che mi do pena di cercare di curare e cui ho quantomeno cercato di rimediare inviando le mie lettere, per non lasciarvi troppo a lungo senza notizie sul suo buono stato di salute. È un controsenso della natura che lui possa dimenticarvi; ma non posso dire

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altro e vi ho già detto già molte cose che voi stessa potete dirvi molto più consapevolmente di me. In occasione della Pasqua o della Pentecoste (non è ancora fissato esattamente il termine) potrete vedere vostro fratello con assoluta certezza e vedrete anche dal suo aspetto serio che egli è e rimane quello che è sempre stato. Dovrei darvi notizie di me, ma un resoconto sul mio attuale stile di vita non può costituire motivo di particolare interesse per voi, se si prescinde dalla mia amicizia con vostro fratello. Inoltre, mi sembra che per il fatto che cerco di convincervi con animo completamente sincero dell’eterno amore di vostro fratello, per quanto adesso possa essere di poco valore il mio sforzo di calmare il vostro animo, si possa avere la dimostrazione più sicura di quanto mi stia a cuore la vostra contentezza e quanto volentieri io mi definisca il vostro amico: Wackenroder. 31. A Erduin Julius Koch:191 Gottinga, 16 febbraio 1794 Gottinga, 16 febbraio 1794. Con quale piacere ho letto la vostra lettera! Potrete vedere dalla mia quanto mi stia a cuore tutto ciò che essa contiene e come io partecipi con felicità sincera al vostro benessere, tanto quanto alle vostre attività e ai vostri impegni letterari. Ma lasciate che io scrolli dal mio cuore per prima cosa le amarezze. Voglio dunque dirvi in tutta fretta e in breve che a causa di alcuni piccoli ostacoli, che tutti insieme ne rappresentano uno grande, non ho potuto recarmi a Kassel. Per quanto mi possa dispiacere non avervi reso l’auspicato servizio, non ho intenzione di mandarvi un noioso lamento a titolo di riparazione; infatti do per scontato che voi siate già consapevole di questa circostanza. Mi farebbe molto piacere potervi far dono di rarità letterarie che si trovano sepolte nelle biblioteche della zona; mi auguro che questo possa ancora essere possibile. Ho spedito immediatamente la lettera al Signor von Schlieffen,192 scrivendogli che tra qualche tempo (probabilmente nel periodo pasquale), recandomi a Kassel, sarei così ardito da fargli una visita di cortesia e che mi considererei fortunato, se mi potesse essere di aiuto nel soddisfare il vostro desiderio. Ho solo due preoccupazioni. In primo luogo, si lascia malvolentieri che una persona giovane, e in particolare uno studente, abbia accesso a tali rarità; perlomeno succede che si percepisca negativamente quando vuole dedicarsi troppo a lungo alla disamina di questo tipo di documenti. E poi sono un po’ impensierito dal fatto di poter terminare la lettura

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del manoscritto per tempo, dal momento che non sono ancora molto allenato in questa attività; tanto più che questa calligrafia è piuttosto arida, tarda, e di fatto piuttosto confusa, e potrebbe essere stata stesa con abbreviature o con simili accorgimenti. Le mie preoccupazioni non hanno nulla a che fare con un’immotivata timidezza; sarò abbastanza impudente da impegnarmi nell’impresa perché voi e la scienza mi spronate a farlo. E in seguito voglio attendere pazientemente di vedere se ho intenzione di prostituirmi oppure no. Infatti, sarebbe alquanto strano che io percorressi cinque miglia per un manoscritto che alla fine non sono in grado di leggere. Potete fornirmi un po’ di conforto su questo punto? Penso che voi avrete ancora bisogno di avere notizia del manoscritto dopo Pasqua. Tra l’altro, come ricordo molto bene, la maggior parte dei passi più interessanti si trova nella premessa di Guglielmo il Santo di Orange: se mi recherò a Kassel, potrò andare direttamente dal Signor von Schlieffen e potrò limitarmi a far riferimento anche solo alla vostra lettera? E se dovessi venire per Pasqua o in un altro momento a Braunschweig e Wolfenbüttel, potreste fornirmi una referenza dei vostri amici, dei manoscritti, e dei loro guardiani? Vi sono molto debitore per avermi fornito un esemplare dello Enenkel 193 e per quello del Re Lear. Naturalmente, e purtroppo, non si tratta nel caso dell’ultimo di un’edizione originale antica (che di fatto in Inghilterra sono così rare, che sarebbe stato un vero miracolo che un esemplare si fosse smarrito in Germania), bensì è una rielaborazione di Tate.194 Ma se voi me lo consentite, terrò ancora per un po’ il dramma e in cambio di questa cortesia potete fidarvi del fatto che non appena sarò giunto a Berlino incrementerò la Gesellschaftsbibliothek195 con un dono adatto. Devo confessarvi che questa biblioteca mi garantisce una prospettiva che mi delizia; prometto di darmi da fare, in futuro, per arricchirla. È stato sempre il mio massimo desiderio quello poter raccogliere una simile collezione, dedicata soprattutto alla materia delle belle lettere in area tedesca, in modo che possa essere utilizzata da molti zelanti amici di questo studio. Solo in questo modo è possibile che si realizzino nella nostra patria opere sulla nostra letteratura e sulla storia del gusto in una forma che stiamo ancora inutilmente cercando. Ed è ovvio che sia per voi, come per ciascuno, debba rappresentare una bella prospettiva che questo tesoro, raccolto a fatica magari per secoli, resti compatto e diventi utile alla collettività. Come è mai possibile che nessun potente, nessun proprietario di una biblioteca ben dotata, la lasci in eredità in un qualche luogo, in cui si raccolgono molti eruditi, e che non disponga che essa debba essere costantemente accessibile a questi come ad altri lettori, almeno fintantoché i volumi non vengano divorati dai vermi? Accade invece che le più splendide collezioni vengano disperse

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in occasioni di aste e si trasferiscano nella prigione di un cittadino privato in quella di un altro, rimando in giacenza, inutilizzati. O che approdino in una biblioteca cosiddetta pubblica, rimanendo pure in giacenza. Con quale lieta bramosia mi prospetto la pubblicazione di opere di pregio di cui voi siate l’autore! Potrei forse fornire un piccolo contributo al vostro Compendio196 segnalandovi il libretto in brossura che concerne la satira, che ho acquistato dall’antiquario. Quest’opera non è presente nel Flögel197 e dunque potrebbe risultarvi nuova. Si tratta di Gottsched ein Trauerspiel in Versen oder der parodierte Cato (Gottsched un dramma in versi, ovvero il Catone in parodia),198 Zurigo, agosto 1765, 47 pp. Preceduto da una breve relazione preliminare. Solo il primo e il quinto atto del Catone sono stati messi in parodia. Prima vengono elencati i personaggi del dramma (i personaggi del Catone) e poi i personaggi della parodia: Gottsched, Charlotte o Ursula, Krüger199 di Danzica, figlio di Gottsched, Kathrine, la confidente di Charlotte, Grimm,200 il galoppino di Gottsched, Satiro – un burlone, Hans Wurst, suo servitore, B*dm*r, un giornalistucolo, Ripel – un commediante del giro di Reibehand,201 i fautori di Gottsched e alcuni svizzeri. Umorismo e satira non sono davvero speciali. Bodmer non mi sembra per nulla un grande satirico. Le satire che riguardano gli scritti polemici svizzeri sono perlopiù tirate per le lunghe. A parte questo piccola opera teatrale, ho comperato qui ancora qualche scritto garbato: ad esempio una scelta antologica da Hans Sachs di Häßlein,202 poi il Theuerdank,203 Augsburg 1692 in folio, che contiene nella prima splendida edizione incisioni ispirate a quelle di Dürer e di Schäufelein,204 sebbene queste siano molto più rozze, e poi altre piccolezze. Mi assicurate che quando ritornerò potrò contare di trovare nella vostra biblioteca un imponente numero di novità nel campo della letteratura antico-tedesca? Trovo davvero eccellente che vogliate continuare la raccolta di testi di Müller.205 Sarebbe bello, se potesse riunire in questa raccolta le poesie piè belle, che si trovano ancora in forma di manoscritto. Se solo potesse esservi stampato il Das glückhafft Schiff (Il Fortunoso vascello di Zurigo) di Fischart!206 Non sarebbe possibile scrivere al proprietario di Karlsruhe e pregarlo di ricopiare un così breve poema? Infatti non sarebbe un problema, se la raccolta si estendesse anche ad un periodo che non fosse quello svevo. Sono molto ansioso di vedere la pubblicazione del primo fascicolo della rivista. Sono curioso di vedere quanto sia completo il glossario del XVI secolo del Signor Waldau.207 Contiene forse anche tutti gli idiotismi di H. Sachs, di Fischart e così via? I poeti di questo secolo ne mostrano un gran numero, perché scrivevano le poesie per il popolo, perché scrivevano satire, da cui risulta anche il più piccolo dettaglio della vita comune e perché si inventano le parole. Vi mando un pic-

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colo repertorio di parole tratte dalle opere di Hans Sachs. Mi sono molto stupito di trovarlo qui nella biblioteca in due edizioni: quella di Lochner, che è la seconda, in-folio e quella in quarto. Ho avuto modo di esaminare tutti i testi. L’estratto del Signor Häßlein dalla prima parte non contiene, cosa che mi stupisce molto, la maggior parte dei testi più belli (infatti, la prima parte è la migliore per ciò che concerne la poesia), e non presenta neppure dei campioni delle opere teatrali sacre. H. Sachs raggiunge il proprio apogeo nelle farse: si tratta in parte di magistrali racconti burleschi. Quando farete stampare il frammento del Signor Kinderling208 tratto dallo Heldenbuch (La saga degli eroi), non vorrete porvi accanto lo stesso passo che si trova nella vostra edizione? Questo passo si trova compreso (giacché ho ricopiato entrambi i testi in questo modo) tra il foglio 13, colonna 2, n. 2 al foglio 14, colonna 2, n.1. Mi sembra che sia molto interessante dedurre da un esempio di questo tipo come gli antichi romanzi cavallereschi siano stati trasformati, ampliati e poi di nuovo abbreviati ecc. È una bella cosa che per la rivista trimestrale abbiate ricevuto dei contributi consistenti in testi non ancora stampati. Mi piacerebbe tentare di fornire un qualche contributo a questa rivista, se non fosse che mi rendo perfettamente conto che per poter dire qualcosa su un breve periodo della storia della letteratura bisogna possedere una precisa conoscenza dell’intera epoca. Magari in futuro potrò farlo. Per adesso non dispongo che di ogni sorta di annotazioni abbozzate, che possono coagularsi in un insieme sopportabile solo una volta che io abbia conseguito una maggiore conoscenza della materia. Potrò spedirvi un indice dei materiali antico-tedeschi che si trovano nella locale biblioteca solo una volta che io abbia ottenuto un più stretto contatto con custodi che li hanno in consegna. Sono tipi che hanno dei caratteri molto particolari! Ma non aspettatevi nulla che provenga dalle biblioteche private. I Signori professori vivono qui in completo ritiro e sono collocati in una posizione di irraggiungibile superiorità. Non è possibile familiarizzare con costoro. Ho anche dei grossi dubbi, d’altronde, sul fatto che in queste biblioteche ci sia molto da scoprire. Lo studio delle belle lettere viene molto trascurato, da queste parti (anche nella biblioteca pubblica). Che tipo di materiali si possono trovare ad Hannover? E dove? Mi darei molta pena di cercare, se solo nelle cittadine di questa zona si trovassero delle rarità. Ma quale accesso può mai avere uno studente presso gli “Archivi delle residenze e delle chiese”? Mi fa piacere che il Signor Uhde209 studi gli archivi dei Minnesänger. Anch’io ne ho letto i materiali. Con la presente vi mando alcune osservazioni e alcune domande alle quali mi piacerebbe che voi o lui deste risposta. Sono molto desideroso di ricevere dei chiarimenti sugli oggetti di queste domande. I libri che ho chiesto a prestito al Signor Kinderling sono i seguenti: Leibniz, Collectanea Etymologica, Köhler, Dissertatio de libro Theuer-

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dank, Eccard, Catechesis theotisca e un paio di altri, di cui al momento non ricordo il nome. La ricompensa, credo, è stata all’incirca di 2 talleri imperiali. Il vostro ritratto, per il quale vi ringrazio, non mi pare riuscito così male come pare a voi. Posso sperare che a breve mi mandiate un’altra lettera? Rimango a voi, come al vostro sapere, debitore, con il segno di un’immutata stima W. H. Wackenroder Conclusioni circa le parole di H. Sachs Übersummen – Herzusagen: “Così ci siamo anche ripromessi di recitare a memoria (zu übersummen) una commedia”; Schlecht – si tratta spesso di un riempitivo di nessun conto: La faccenda era cattiva (schlecht) – la faccenda era buona; questa, dunque, era una buona cosa! [Espressione retorica inserita nella narrazione]; Posen – Böses tun?: “Gli empi che compiono azioni malvagie contro Dio”; Öhrling – Ohrfeige: ceffone; Die Gespons – die Verlobte, Braut: sposa; Fetsch dich – pack dich: vattene! [equivale all’inglese to fetch?]; Ein Unfurm – ein ungestaltes, unförmliches Geschöpf: un essere deforme; zu Kunft – Besuch: visita; Fatzmann, Tandmann – Narr, spaßhafter, lustiger Kerl: un buffone, un individuo spassoso e divertente; Vorteilhaftig – eigennützig: per interesse, interessato; Stadelfürst – Gipfel des Stalles, oberster Rand des Dachs: il punto più alto della stalla, l’estremità del tetto: il fienile; Zancken – ziehen, zerren, ausrecken: tendere, stirare, stiracchiare [z.B. Leder; ad es. la pelle]; Landfahrer – Reisender: il viaggiatore; Schmutzen – schmunzeln: sorridere compiaciuto; Er sieht haßlich – er sieht mürrisch aus: ha un aspetto scontroso; Nein ich zwar – keineswegs; das vernein’ich: in nessun caso, lo nego.

Domande Non si hanno assolutamente notizie di altre opere drammaturgiche di tedeschi prima di Rosenblüt?210 (Se si prescinde dal Krieg zu Wartburg211 (La tenzone dei cantori alla Wartburg) e dalla Roswitha?212 Non c’è traccia di opere sacre? Neppure di farse burlesche? Non ci sono notizie soddisfacenti dello stato del teatro tedesco (nel senso stretto del termine) e dell’arte drammaturgica, a partire dal XV secolo o addirittura da prima? (Lo «Hannoverisches Magazin» del 1765 che voi mi avete citato durante la vostra lezione, non contiene nessuna storia del teatro, bensì una descrizione del carnevale

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veneziano). Non potrebbe darsi che nei manoscritti, nelle cronache e così via si trovi qualche notizia sull’argomento? A parte Hans Sachs, ci sono forse molti altri maestri cantori che oltre alle loro rime sacre (ovvero le canzoni strofiche dei maestri cantori), abbiano composto altre cose? E quali? Come era la condizione dei maestri cantori nel XV secolo? Non se ne conoscono altri prima di Rosenblüt? Nel Codice Manesse213 si trovano già alcune autentiche poesie dei maestri cantori, nella seconda parte (ad es. nella geografia composta in rime) tra i maestri cantori (vedi ad es. Wagenseil214 con il suo De phonascis) vengono citati, in base alla tradizione, alcuni poeti del Codice Manesse in quanto fondatori della poesia dei maestri cantori. Questi si chiamano in parte, già in quel codice, maestri (ad es. Konrad von Würzburg, Frauenlob),215 ma Walther von der Vogelweide, che si trova tra questi, viene chiamato “Signore” nel Codice Manesse. Ma cosa significa “Signore”? Nella seconda parte del Codice appare “Il Signor Friedrich il servo” NB. Vi prego di scusare la mia scrittura frettolosa e cattiva; vi prego di non dir nulla ai miei genitori circa il fatto che mi dedico alla lettura di alcuni testi di letteratura tedesca qui in biblioteca, o che intendo mandarvi qualcosa, perché penserebbero subito che vi dedico troppo tempo. Le mando il mio più sincero augurio di mantenervi in buona salute. Devo chiudere, perché la posta mi sta facendo fretta. 32. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 20 febbraio 1794 Gottinga, il 20 febbraio del 1794. Ho avuto il piacere del tutto inaspettato, mandando il pacchetto da parte vostra al Signor von Schlieffen, di ricevere una risposta stesa di suo pugno, in cui mi scrive, con una cortesia senza pari, che mi aspetta con grande gioia per poter soddisfare il vostro e il mio desiderio. È stato straordinariamente benevolo! Se solo è possibile realizzare questo piano, penso di trovarmi a Kassel ancora prima di Pasqua e sfrutto questa gentilezza. Il motivo principale per il quale io vi spedisco nuovamente una lettera dipende da un progetto che non ho avuto modo di illustrarvi nella lettera precedente, non essendovi sufficiente spazio. Si tratta di un progetto che, se realizzato, può essere utile e particolarmente interessante anche per voi e forse, per questo motivo, potrebbe non risultarvi del tutto indifferente il prendervi parte. In una parola, riguarda l’amico che si trova qui con me e di cui recentemente vi ho parlato; il suo zelante studio di Shakespeare e dell’antica letteratura inglese,

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come mi è sembrato poter evincere dalla vostra lettera, ha suscitato in voi una certa partecipazione. La vostra manifestazione di interesse mi ha perciò reso tanto audace, da volervi presentare la mia intera proposta senza divagazioni. Grazie ad uno studio che si è sviluppato nel corso di un certo numero di anni, il mio amico è giunto al punto di sentirsi in condizione di presentare al mondo alcuni lavori che consistono nella sua materia preferita; questi lavori sono sufficientemente conclusi e allo stesso tempo contengono elementi nuovi. Ben presto comparirà una prima prova dei suoi sforzi. Ma come prendereste la cosa se lui, che in generale ha pochi o nessun contatto che potrebbero agevolargli un ingresso in società, vi chiedesse aiuto per far conoscere un altro suo lavoro? Si tratta di un lavoro che di fatto, come voi stesso avete auspicato nella vostra lettera, ha un rapporto di affinità con la letteratura antico-tedesca e perciò è in parte interessante anche per questa. È però necessario che io vi dica prima qualcosa della persona stessa e di questi lavori. Credo di potermi ritenere persuaso del fatto che presterete fede alle testimonianze che concernono il mio amico, non considerandole un semplice segno della mia amicizia nei suoi confronti. Mi appello anche alle prove scritte delle sue capacità intellettuali, che presto avete modo di leggere e di cui io le avrei inviato volentieri un campione, se ciò non fosse connesso a troppe difficoltà. Lasciatemi dunque dire che il mio amico, che fin dagli anni della sua prima giovinezza si è consacrato alle belle lettere grazie ad una sua inclinazione a leggere davvero straordinaria e, in seguito, principalmente grazie ad un’instancabile riflessione su argomenti di estetica, da circa due anni ha impegnato la sua mente e l’intera attività del suo spirito soprattutto nella letteratura inglese e, ancora, in modo particolare in Shakespeare, il suo adorato poeta preferito che all’inizio, con un sentimento di assoluto trasporto, ha venerato in ogni sua riga entusiasticamente, ma che poi, applicando la propria critica estetica, ha imparato ad apprezzare in modo più importante e più vero, sapendo tributare minore stima per le sue trascuratezze e maggiore per le bellezze della sua opera. Ha letto i suoi drammi più di una volta in inglese; si applica spesso allo studio delle varie edizioni che si trovano in biblioteca e conosce la maggior parte dei numerosi testi critici che sono stati scritti sul suo poeta. Sta continuando incessantemente a studiarlo e scopre (per quanto ciò possa suonare presuntuoso, ma io ritengo che sia vero) persino degli aspetti nuovi, nuove bellezze, che un numero sorprendente di commentatori, dal momento che costoro hanno speso perlopiù la loro solerzia nello sforzo di chiarirne le parole, senza cercare di analizzare complessivamente l’opera da un punto di vista estetico, tacitamente trascurano. Da questo punto di vista, infatti, Shakespeare è stato valutato finora in modo estremamente carente e secondo un’ottica frammentaria e unilaterale. Contempora-

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neamente posso assicurare, per quanto concerne il mio amico, che è sufficientemente erudito nei temi di estetica e di poetica che riguardano gli antichi e i nuovi autori, da poter confrontare i principi che guidano gli studi altrui con i propri e per trarre, da una tale ampia familiarità, dei risultati molto fruttuosi per le sue ricerche estetiche e critiche, che in alcuni casi sono state intraprese percorrendo sentieri nuovi. Voglio aggiungere che ha sempre avuto maggiore propensione per la drammaturgia, che proprio in questo campo ha letto e ha riflettuto in modo più intenso e che dunque è in grado di assumersi del lavoro anche in un ambito in cui una mente meno orientata alla drammaturgia potrebbe produrre sempre la maggior parte delle lacune. Per il suo primo ingresso pubblico ha scelto una rielaborazione della Tempesta di Shakespeare, che lui, forse in modo incomparabilmente felice, ha tradotto in giambi e che, seguita da 12 piccole trattazioni (se si escludono dei commenti più brevi), pubblicherà probabilmente in occasione della fiera di San Michele. Le trattazioni sono dedicate ai seguenti temi: una breve storia del teatro inglese fino a Shakespeare – lo stato della vita teatrale prima di lui e al suo tempo – sulle tre unità – sui meriti e sugli errori di Shakespeare – sulla differenza tra tragedia e dramma – sulla Tempesta in generale – sulla trattazione del meraviglioso da parte di Shakespeare – sulla sua trattazione delle figure dei malvagi – sui caratteri che compaiono nella Tempesta – un confronto della Tempesta e del Sogno di una notte di mezza estate – sul Sea-Voyage (Viaggio per mare) di Beaumont e di Fletcher (basato sulla Tempesta)216 – sulla rielaborazione di Dryden della Tempesta.217 In queste trattazioni sarà compattato tutto quello che ha da dire su Shakespeare in generale e sulla Tempesta in particolare. Intende rendere possibile la pubblicazione di questo materiale attraverso la «Thalia» di Schiller; da poco ha mandato a Schiller un saggio della sua traduzione e la trattazione, di grande interesse, che riguarda il meraviglioso. Spero che l’ingresso nella «Thalia» possa presto avverarsi. Per imparare ad apprezzare, però, in modo opportuno, i meriti di Shakespeare (al quale, forse, al di fuori dell’Inghilterra nessuno consacra una parte così rilevante della propria esistenza - e certo non inutilmente – come il mio amico), e di fatto per poterlo comprendere completamente nell’antica lingua originaria, è necessario sviluppare una conoscenza più approfondita dei poeti a lui contemporanei e anche precedenti. Il mio amico ha spiegato per questa via, con l’aiuto di parallelismi applicati con successo, i singoli arcaismi in Shakespeare che non sono ancora stati spiegati da nessun commentatore. Inoltre, il fatto che non ha mai trascurato di leggere questi poeti, gli ha consentito di familiarizzarsi con l’inglese del XVI secolo in tutte le sue minuziose particolarità, così che è in grado di parlarlo e così che la maggior parte

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delle spiegazioni fornite dai commentatori di Shakespeare sono per lui del tutto trascurabili. Ma quanti sono gli aspetti per i quali gli sono utili questi sforzi secondari, questi percorsi affrontati accanto alla via regia delle sue attività! Jonson,218 Beaumont e Fletcher, e Massinger219 sono già degni di per sé, grazie al loro indiscusso talento, di essere conosciuti meglio; a confronto di Shakeapeare sono solo nuvole sulle quali il suo spirito risplende ancor più luminoso. Quanto deve essere interessante qui il paragone, così come l’indagine di come sia fallito il tentativo operato da parte di menti meno dotate di imitare il grande genio producendo opere analoghe, nonché la constatazione di quanto questi imitatori si trovino ben al di sotto della sua originalità e completezza in ogni parte dell’arte drammaturgica! Non ho bisogno di riferirmi al fatto che anche i rinvii storici, come altre allusioni presenti nell’opera di Shakespeare, possono essere spiegati solo a partire da questi poeti. Vale senz’altro la pena di considerare quanto i poeti del XVI secolo anteriori a Shakespeare (di cui le uniche prove d’autore stampate sono conservate nei tre volumi in ottavo di Hawkins220 e nel dodicesimo della collezione Dodsley221) impartiscano utili insegnamenti sulla situazione del teatro inglese di quel tempo e quanto dobbiamo ammirare il genio di Shakespeare, giacché ancora quarant’anni prima del suo esordio come poeta, il rito sacro tratto dalla Bibbia (i misteri) e i dialoghi di personaggi allegorici (i discorsi morali) erano tutto ciò che rappresentava il gusto del tempo e che il popolo poteva ammirare; [dobbiamo altresì ammirarlo, N.d.T.] perché in un’epoca più vicina al suo tempo si rappresentavano delle opere in cui i personaggi avevano riposto solo apparentemente la loro maschera allegorica e interpretavano a stento sulla scena, in modo impacciato, una storia del tutto improbabile. Vi prego dunque, oltre che di considerare la grande utilità che hanno rappresentato tutti questi poeti (che non sono altro che guardie del corpo e schiavi accanto alla personalità dell’eroe), di riflettere attentamente se in Germania il loro nome, e già questo a malapena, sia noto alla maggior parte delle persone. Vi chiedo inoltre se non sia meritevole voler far conoscere al lettore tedesco che abbia il vero senso del gusto letterario lo spirito di questi poeti, proprio ora che la letteratura inglese incomincia a diffondersi in modo così cospicuo come moda; inoltre, se questa impresa non possa pregevolmente colmare alcune lacune della nostra letteratura! Il mio amico presenterà con l’aiuto dell’edizione della Tempesta uno Shakespeare nel suo pieno e ancora non riconosciuto splendore. Rimette invece nelle vostre mani questi poeti, ai quali si applica, rielaborandone i testi, a fianco dell’attività principale per alternare l’una all’altra, avendo già fatto buoni progressi in questo lavoro. In altre parole, tutto questo significa, per avanzare dunque di un passo nella mia preghiera, senza il quale tutto quello che vi ho detto risulterebbe vano, chiede cortesemente a voi, per mio tramite e nel modo più fervido “di procurargli, cercando tra i librai di Berlino che voi conoscete, un editore che possa stampa-

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re una collana di volumi (sarà il gradimento del pubblico a contribuire a decidere quanti) in cui si è prefissato di rendere disponibili al pubblico le opere principali dei quattro scrittori menzionati (Jonson, Beaumont, Fletcher e Massinger) e delle due raccolte nominate, in parte tradotte (perché simili testi pregevoli – come ad esempio Volpone e Every Man in his Humor222 ecc. devono risultare necessariamente attraenti per il pubblico anche nella loro forma originaria), in parte in base ad estratti finalizzati allo scopo, aggiungendovi senza eccezione osservazioni di carattere storico e di altro tipo e soprattutto degli excursus estetici, con un occhio sempre rivolto a Shakespeare”. La traduzione sarebbe in questo caso in prosa, perché questi poeti non meritano la pesante fatica di rimuginare giorni e giorni su alcuni versi (scrivo tutto questo in qualità di testimone competente). Devo dunque presupporre tacitamente che voi potreste darvi pena di cercare un buon editore, che stampi bene e che sia al contempo del tutto affidabile nei patti, e che vi occupiate altresì di ottenere un congruo onorario che ripaghi la meritevole applicazione e il faticoso studio, dal momento che il mio amico è tanto trascurato dalla buona sorte per quanto riguarda le condizioni materiali, quanto eccellentemente dotato per ciò che concerne le sue potenzialità intellettuali. Qual è il suo nome? Concedetegli di tacervelo ancora; non mancherà tuttavia di rivelarvelo in seguito di persona. Posso assicurare fin da ora che egli vi ringrazierà nel modo più caloroso per il vostro impegno e coglierà ansiosamente l’occasione per mettersi a vostro servizio anche nell’ambito della letteratura tedesca. Per quanto riguarda l’affinità che questa ha con la letteratura antico-inglese posso rivelarvi che gli antichi misteri in Hawkins e Dodsley sono molto simili per forma, linguaggio e maniera alle opere sacre di Hans Sachs e che tra i discorsi morali ne ho trovato persino uno che coincide completamente con un dialogo allegorico di Hans Sachs. Inoltre, nell’inglese antico, si trovano molte più parole rispetto a quello attuale che derivano sostanzialmente dalla base del tedesco. Dal momento che il tempo scarseggia e che probabilmente vi ho già sottoposto con un inchiostro disastroso e con una scrittura frettolosa così tante righe che forse si fatica a decifrare, concludo qui. Ma vi chiedo cortesemente con la massima urgenza di scrivermi anche solo con due parole, non appena questo vi sia possibile, se un libraio (spero che potrete rendergli plausibile l’iniziativa dopo la lettera che vi ho inviato) possa assumersi con certezza l’incarico e se il mio amico possa continuare con il suo lavoro, spedendovi presto i primi saggi. Rifletterà ancora sull’ordine delle opere e si darà da fare perché vi sia avvicendamento e sia stimolato l’interesse. Potrebbe darsi che la mancanza di lettori possa distruggere una simile opera di pregio?

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Se dovesse accadere questo, cosa che ammetto sinceramente di non aspettarmi, spero che possiate essere così benevolo da evitare che il libraio avvisato non lasci che sia qualcun altro a completare l’impresa. Ma credo di non dover aver timore di questo. Sarà naturalmente meno probabile che in questo senso qualcuno volga a proprio vantaggio un lavoro in inglese antico. Vi prego ancora una volta di mandarmi a breve una risposta: certamente vi saremo molto grati per il suo impegno. Perdonatemi gli scarabocchi. Questo inchiostro spesso mi fa disperare. Colui che non vi dimentica mai W. H. Wackenroder Becker223 mi ha scritto da Halle: mi ha fatto sapere tra le altre cose che voi avete venduto all’asta parte dei vostri libri e che non abitate più nella casa di vostro padre. Dove allora? N.B. Per quanto riguarda l’opera di Dodsley e di Hawkins verranno naturalmente messe a disposizione solo poche opere e solo nella forma di estratti, dato che la lingua antica non può essere trascritta nelle sue caratteristiche peculiari. Dall’antica cronaca di Holingshead224 e da altre opere storiche antiche saranno ricavate alcune osservazioni storiche che riguardano lo stato del teatro e le cronache del tempo. Si terrà conto anche della cronologia delle opere. 33. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 13 marzo 1794. Aggiunta alla lettera smarrita indirizzata a Koch il 12 marzo 1794 Spedita da Gottinga il 13 marzo 1794 di prima mattina. Ieri, a Kassel, ero già in procinto di sigillare la mia lettera, ma dal momento che ieri in mattinata ho fatto ancora alcune scoperte nella biblioteca di Kassel, devo allegarvi anche queste (ieri sono partito da Kassel verso mezzogiorno e sono arrivato qui la sera). Notizie dalla biblioteca di Kassel 1) La mia scoperta più importante, che mi auguro possa esservi di grande aiuto, concerne il ritrovamento di un’edizione più antica di quanto la si conosca finora, del Libro degli eroi. Il Signor Panzer,225 e chiunque altro abbia famigliarità con antichi testi a stampa, conosceva finora l’edizione del 1509 come la più antica. A Kassel ve n’è una del 1504!226 L’edizione è in quarto, senza numeri di pagina o di foglio.

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È stampata su una carta più robusta dell’ordinario ed è spessa tre dita. Sulla prima pagina del primo foglio non c’è scritto nient’altro che «Das helden buch mit synen figuren» (Il libro degli eroi con le sue figure). Sulla seconda pagina del primo foglio c’è un’incisione che rappresenta il nano Elbe e altre persone dalla storia di Ortnit. La seconda pagina del secondo foglio inizia così: «La premessa di questo libro» «Qui comincia il libro degli eroi, che si chiama il Wolfdietherich ecc.» Questo è il contenuto, riassunto in breve, dell’intera opera, che va fino alla metà della prima colonna della prima pagina (perché ogni pagina dell’intera opera ha due colonne). Qui, alla fine di questo sommario, si legge: «Questa è una premessa» E immediatamente dopo si trova l’inizio o il prologo del libro degli eroi, che attacca così: «Qui un tempo l'educazione e l'onore erano davvero molto amati. Quando arrivava un uomo (poeta) esperto, volentieri lo si ascoltava cantare una storia...» questo inizio prende tutta lo spazio restante del secondo foglio (se non mi sbaglio, si trovo anche nella vostra edizione del 1560). Il terzo foglio inizia con: «Dell’imperatore Ortnit e dei suoi amici» E qui comincia il testo vero e proprio. In merito a questo, posso assicurare che la lingua non si discosta se non di poco o per nulla da quella della vostra edizione del 1560 e che ho ritrovato con le stesse parole anche i passi che avevo ancora in mente in relazione alla vostra edizione. Sicuramente ci sono delle piccole differenze, ma credo davvero che non siano di rilievo. La sezione in versi è appunto tale. Le quattro parti dell’opera non hanno titolazione del tipo «Parte prima» e così via, ma solo brevi titoletti come è quello citato a proposito della prima parte: (Dell’imperatore Ortnit e dei suoi amici). La seconda parte (seguendo un’indicazione di sezione e di denominazione più tarda) inizia con: «Qui comincia ecc.», la terza con «Qui seguono ecc.» e la quarta: «Questo è il piccolo giardino delle rose». Tra l’altro, i titoletti delle sezioni più brevi sono simili a quelli della vostra edizione del 1560. Quasi ogni titoletto è accompagnato da una piccola silografia; queste silografie sono diverse da quelle della sua edizione del 1560 e dunque più varie, meglio realizzate e più nitide. I caratteri a stampa sono alquanto ravvicinati, ma la qualità dei caratteri è buona e chiara. Di seguito alla quarta parte segue l’appendice in prosa che concerne gli antichi eroi, così come nella vostra edizione. Prima della seconda, della terza e della quarta parte c’è una silografia più grande.

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Alla fine di tutto, in coda all’appendice in prosa, c’è quanto segue: «Qui si conclude il libro degli eroi con il suo registro e l’ha impresso il Gran Signore Heinrich di Hagenau a spese del saggio e attento Hans Knoblauch, stampatore a Strasburgo, nell’anno 1509, il sabato dopo l’Assunzione di Maria. * è l’ultimo elemento che compare: o forse si tratta di un segno di interruzione, in quanto sƗpƯ sta alla fine della linea. Dunque, il libro è stato stampato a Hagenau nel 1504 (nell’esemplare di Kassel, sull’ultima pagina bianca si trova annotato in una scrittura antica un elenco o un conto di diversi stai di grano). Il libro degli eroi del libraio Unger227 è senza indicazione di anno, ha l’ultima pagina strappata o riporta un anno diverso? 2) Rosarium228 vuol dire giardino delle rose: Epigrammi latini ad opera del dottissimo e artisticamente dotato poeta latino-inglese John Owen, tradotti e portati su suolo frisone-orientale e ivi fatti conoscere da Bernard Nicaeus Ancumanum, pastore a Tergast. Stampato a Emden nell’anno 1638. In piccolo dodicesimo; la lingua non presenta caratteristiche di eccezionalità al confronto del comune tedesco settentrionale. 3) Diversi romanzi antico-tedeschi. Ad esempio: La storia del cavaliere Ponto, Strasburgo 1539, in quarto. Una bella storia del dell’Imperatore Ottaviano, 1533, in quarto. Il libro avventuroso della dama Melusina, senza luogo e anno, in quarto. 4) Poesie antico-tedesche: Reinike Fuchs, Rostock 1592, in tedesco settentrionale. Reinicke Fuchs, Frankfurt am Main 1597, Hans Sachs, edizione in quarto, stampato a Kempten, in 5 parti. Le poesie di Weckherlin.229 Le poesie scherzose di Lauremberg.230 Ho avuto però troppo poco tempo per poter esaminare in modo più approfondito un maggior numero di testi. Lo farò senz’altro in estate! Spero che le mie novità possano esservi utili. Consentitemi di inoltrare presso di voi ancora le seguenti richieste urgenti. Vi prego cortesemente di quanto segue: 1) di rispondermi appena possibile, se il tempo ve lo consente, soprattutto per quanto concerne il progetto del mio amico; mi interessa sapere anche di quali notizie farete uso; 2) di mantenere assoluta segretezza su questo progetto; e di non rivelare a nessuno la vostra ipotesi che il curatore potrebbe essere il Signor Tieck, perché a costui risulterebbe estremamente sgradevole di essere sospettato da qualcuno a Berlino di volersi dare all’attività di scrittore. Il mio amico desidera altrettanto che non si faccia parola dell’intero progetto; 3) di scrivermi se debba mandarvi i due esemplari della seconda parte di Guglielmo d’Orange231 a Pasqua; 4) di menzionarmi dei libri sulla cui base io possa imparare a leggere manoscritti in antico-tedesco. Quali opere diplomatiche insegnano questo?

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34-35. A SOPHIE TIECK (29/6 e 24/8/1794

34. A Sophie Tieck: Gottinga, 29 giugno 1794 Gottinga, 29 giugno 1794. Già con la posta giunta recentemente, che ha scritto vostro fratello, avrei voluto allegare una lettera diretta a voi, mia cara, ma purtroppo ho avuto un impedimento. Dunque mi affretto, per non rimandare ulteriormente questa decisione. Siamo ancora colmi dei ricordi del nostro recente viaggio nello Harz, che abbiamo intrapreso nelle ferie della Pentecoste. Ci siamo arrampicati con i cavalli (perché abbiamo affrontato il viaggio a cavallo) su alcuni monti scoscesi e abbiamo ammirato le masse imponenti delle montagne che sono ricoperte del verde scuro degli abeti. Oppure ci siamo rallegrati di luoghi solitariamente romantici dove, sulla cresta di una montagna, non troppo al di sotto delle nuvole, ci ha sorpreso la presenza di una casa isolata o di un piccolo villaggio completamente costruito in legno grigio. Poi il nostro cammino si è snodato per lunghi tratti lungo valli molto strette, accanto alla corrente di un fiume. Abbiamo poi potuto pascerci delle rocce pittoresche, nude o coperte di muschio, che stavano appese sul pendio, tra gli alberi, al nostro fianco. Lo scopo principale del nostro viaggio è stato la natura; abbiamo trascurato, come si dice, tutti gli aspetti più utili ed istruttivi. Abbiamo ancora solo tre mesi da trascorrere a Gottinga: trascorreranno in fretta. In seguito staremo ancora insieme per un bel po’di tempo. Potrò restituirvi a questo punto vostro fratello, che vi ho sottratto per un anno e mezzo, così da poter godere, tutti insieme, le massime delizie dell’amicizia. Permettetemi di rallegrarmi in vista di questo momento imminente e di attendere con lieta speranza di rivedervi. 35. A Sophie Tieck: Gottinga, 24 agosto 1794 Gottinga, 24 agosto 1794. Come potete immaginare, mi dispiace intimamente che abbiate avuto problemi di salute. Peccato che in questo mondo non si possa far di più che rammaricarsi, quando in realtà si vorrebbe fare sinceramente di più! Speriamo che la presenza di vostro fratello possa avere un’influenza positiva sulla vostra salute! Rallegratevi del fatto che presto sarà da voi; vi confermo, infatti, che verso la metà di ottobre saremo a Berlino.

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36. A TIECK (26/7/1795)

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Come potete scusarvi di avermi inviato una lunga lettera? Come se non si leggessero le notizie di una persona che si ama e che si stima con piena partecipazione. E anche se avrei dato molto per leggere più cose positive sulla vostra salute e il racconto di ore trascorse in più lieti passatempi, vi ringrazio tuttavia di cuore per la vostra lettera. Vi prego di scusarmi, per avervi spedito io delle lettere così brevi, benché da parte mia non sappia addurre motivazioni sufficienti per scusarmi, e mi riconosca piuttosto passibile di pena. Voglio darmi da fare per rimediare al mio errore quando staremo di nuovo a 100 passi di distanza l’uno dall’altra, piuttosto che 40 miglia. È tutt’altra cosa comunicare a voce, piuttosto che farsi reciprocamente da interpreti alle proprie dichiarazioni di volontà per mezzo di morti caratteri scritti. Guardo con sincera speranza a quel momento e me ne rallegro! Invio un grande saluto a vostro fratello, l’artista e a Bernhardi. Non dubiti mai dell’amicizia del vostro W. H. Wackenroder 36. A Tieck: Stettino, 26 luglio 1795 Stettino, 26 luglio 95. Caro T., dieci minuti prima della mia partenza il lunedì ricevo un pacchetto che alcuni viaggiatori hanno portato con sé. Lo apro e mi stupisco di trovarvi il Ben Jonson. In una breve lettera allegata Eschenburg232 mi ha scritto che il suo prezzo è di 5 talleri imperiali e di 12 scellini in oro e che per una svista lo ha avuto in giacenza presso di sé per lungo tempo, aggiungendo i propri saluti per te e auspicando di poter vedere con piacere a breve i tuoi lavori su Shakespeare. Gli spedirò il denaro mentre sono in viaggio. Deliziati alla lettura del volume. Ho ricevuto un’accoglienza molto buona e sono stato festeggiato cinque volte di seguito. I paesaggi acquatici sono una copia in miniatura di quelli amburghesi. A Rügen mi divertirò molto. Troverò laggiù presso il predicatore di Wyk, come ho saputo da qualcuno che gli ha parlato, Hagemeister nel ruolo di precettore. Salutami tua sorella e tuo fratello, Burgsdorff, Bernhardi, Wessely,233 Wißmann e stammi bene. Ho molta fretta, perché stiamo per partire per Swinemünde. Non ho tempo di scriverti di nuovo e dunque aspettami come tuo Amico Wackenroder.

NOTE AL CARTEGGIO 1 August Ferdinand Bernhardi (1769-1820) viene nominato più volte nel carteggio, perché stretto amico di Wackenroder e di Tieck, che pure esprime talora delle riserve sul suo carattere, giudicato alquanto suscettibile. Come già detto, Bernhardi fu insegnante allo Friedrichwerdersches Gymnasium di Berlino dal 1791, ed ebbe come allievi anche i due amici. Nel 1808 ne divenne rettore. Grazie alle sue competenze filosofiche e filologiche, fu molto attivo come pubblicista e come autore di testi linguistico-filologici (tra cui si ricordano la Vollständige lateinische Grammatik (Completa grammatica latina) del 1795-1797, la Vollständige griechische Grammatik (Completa grammatica greca) del 1797, la Sprachlehre (Grammatica) (1801-1803). Si ricordano anche le sue Bambocciaden (una raccolta di racconti e di altri scritti) (1799). Fu attivo collaboratore della rivista Athenaeum ed Europa e dunque amico dei fratelli Schlegel. Il matrimonio con la sorella di Tieck, Sophie, contratto nel 1799, si concluse traumaticamente con un divorzio. Bernhardi accompagnò Tieck per un tratto di strada, quando partì per Halle. Cfr. Liriche, p. 46, nota 6. 2 Friedrich Eberhard Rambach (1767-1826) fu dal 1791 insegnante di tedesco al Friedrichwerdersches Gymnasium, nonché prorettore; dal 1794 fu anche professore di antichità classiche presso la Preußische Akademie der Künste. Dal 1803 si trasferì in qualità di professore di filologia classica presso l’università di Dorpat, dove fece una brillante carriera. I suoi romanzi dell’orrore furono in parte redatti con la consulenza di Tieck, ma fu anche autore di numerose opere teatrali. Rambach viene sempre menzionato nella cerchia degli amici più intimi di Tieck e Wackenroder. Cfr. Liriche, p. 46, nota 5. 3 Anna Bolena è una tragedia storica che Tieck e Johann Georg Schmohl concepirono insieme nel 1790; di questa furono però ultimati solo i primi due atti e alcune scene del terzo. 4 Sir Henry Norris (1482-1536) fu cavaliere di corte di Enrico VIII e vicino ad Anna Bolena; quando costei cadde in disgrazia, fu accusato di esserne l’amante e venne giustiziato. 5 Die eiserne Maske: eine schottische Geschichte (La maschera di ferro: una storia scozzese) è un romanzo “ossianico” di Rambach, scritto con lo pseudonimo di Ottokar Sturm, nel 1792 . 6 Das Lamm. Schäferspiel (L’agnello. Commedia pastorale) è un’opera in due atti, composta da Tieck nel 1790, ma rimasta inedita. 7 Friedrich Ludwig August Wissmann (1770-1856) fu compagno di scuola di Wackenroder e Tieck a Berlino e nel 1792 si immatricolò alla facoltà di giurisprudenza di Frankfurt an der Oder. Successivamente visse a Königsberg. 8 Heinrich Rudolph Spillner era un amico di Tieck e della sorella Sophie che, immatricolatosi a Halle nel 1791 alla facoltà di teologia, raggiunse

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Tieck solo nel 1792 nella città universitaria, con una lettera della sorella per lui. 9 Filopemene fa parte delle opere drammaturgiche composte da Tieck nel 1792, ma non fu pubblicata. Filopemene (253-183 a.C.) fu un generale greco che si prodigò per far inserire il Peloponneso nella lega achea, promuovendone l’autonomia rispetto alla Macedonia e a Roma. 10 I versi sono tratti dalla commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream (Sogno di una notte di mezza estate) (II, 2). Tieck si sbaglia, qui, ritenendo questi versi inclusi nel I atto. 11 La passione di Tieck per Shakespeare si trasferì anche al suo desiderio di tradurne le opere. Esordì, dunque, quando aveva solo 21 anni, con una traduzione di The Tempest (La Tempesta). Si prefisse, inoltre, di scrivere un libro sull’opera di Shakespeare, Das Buch über Shakespeare, che rimase però allo stato di frammento. Tuttavia, il suo progetto di dedicarsi ad alcuni scrittori e drammaturghi vissuti prima di Shakespeare, gli diede modo di scegliere l’autore di Stratford-upon-Avon come costante figura di riferimento. Si ricorda il suo interessante studio Über Shakespeare’s Behandlung des Wunderbaren (Sulla trattazione del meraviglioso in Shakespeare), che fu posto come premessa della traduzione della Tempesta (1796). Cfr. R. Neubauer-Petzoldt, “Tieck als Übersetzer”, in Ludwig Tieck. Leben-Werk-Wirkung, cit., pp. 377-388, in particolare pp. 379-381. 12 Die Leyer (La lira) doveva seguire lo stilema formale dei “paramiti” di Herder, che erano riformulazioni di favole in cui si spiegavano mitologicamente alcuni fenomeni naturali. Fu cultore di questo genere anche Lessing, ancor prima di Herder, pubblicando nel 1759 una raccolta di favole esopiche. La lira fu pubblicata solo negli scritti postumi di Tieck (Nachgelassene Schriften, vol. 1, p. 192 ss.), mentre Der erste Dichter (Il primo poeta), che viene menzionato subito dopo, non fu mai redatto. 13 Tieck aveva in realtà solo una sorella, Sophie, e un fratello, Friedrich. 14 Johann Gustav Toll (1772-1790) frequentò con Wackenroder e Tieck il Friedrichwerdersches Gymnasium e in seguito si recò a Frankfurt an der Oder per continuare gli studi, ma morì improvvisamente a soli 18 anni. 15 La fiera si teneva a Lipsia in occasione della ricorrenza della festa di San Michele. Inizialmente Lipsia fu crocevia di grandi commerci per beni di varia natura, dopo che Massimiliano I aveva conferito alla manifestazione, nel 1497, il titolo di “mostra imperiale”; nel 1514 Papa Leone X concesse a Lipsia i diritti commerciali. Fu a partire dalla seconda metà del XVII secolo che anche i libri cominciarono a circolare con più frequenza e nel XVIII l’appuntamento con questa fiera venne considerato fondamentale per scoprire le novità librarie e prendere contatti con gli editori. 16 L’opera lirica di Friedrich Matthisson (1761-1831) viene così tratteggiata da August Wilhelm Schlegel nelle Notizen (Appunti) del V fascicolo dell’Athenaeum del 1800: «Le poesie che hanno principalmente fondato la fama di Matthisson, hanno carattere paesaggistico. Talvolta ritraggono, in modo eccellente, luoghi ameni, oppure, quando questo non sia il caso, la familiarità dell’autore con la natura grande e leggiadra della Svizzera, della Francia

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meridionale e dell’Italia conferisce a esse un riflesso smagliante A parte ciò, il fattore di novità che le distingue vantaggiosamente dalla descriptive poetry sino ad oggi conosciuta è l’utilizzo di misure liriche sillabiche suddivise in strofe»; A.W. Schlegel, “Appunti”, in Athenaeum [1798-1800]. Tutti i fascicoli della rivista di August Wilhelm Schlegel e Friedrich Schlegel, a cura di G. Cusatelli, E. Agazzi e D. Mazza, postfazione di E. Lio, Milano, Bompiani, 20092, p. 710. Tra le opere di Matthisson: Gedichte (Poesie) del 1787 e Erinnerungen (Memorie, 1810-1816). 17 August Wilhelm Iffland (1759-1814), autore di Die Jäger (I cacciatori, 1785), fu uno stimato drammaturgo, intendente teatrale e attore, e una delle più importanti figure di riferimento della Goethe-Zeit. Memorabile fu la sua interpretazione di Franz Moor nella prima dei Masnadieri di Schiller nel 1782. Nel carteggio vengono citati anche Die Hagestolzen (Gli scapoli impenitenti) e Elise von Valberg. 18 Katharina Magdalena Brückner (1718-1804) fu attrice al seguito della nota attrice Karoline Neuber e di altre compagnie teatrali e poi recitò dal 1786 al 1791 al Teatro nazionale di Berlino. 19 Gustav Wilhelm Hensler era stato compagno di scuola di Wackenroder e di Tieck e fu grazie a lui che essi vennero introdotti presso Reichardt, a Berlino. La zia di Hensler, Amalie Alberti, divenne in seguito la moglie di Tieck. Dal 1796 si arruolò nelle truppe francesi e morì a Parigi nel 1835. 20 Johann Siegmund Piesker fu un compagno di scuola di Tieck e Wackenroder. 21 La realizzazione del Parco di Wörlitz risale al periodo tra 1769 e 1773. Fu voluto dall’Arciduca Leopoldo III di Anhalt-Dessau (1740-1817), che era ritornato da un Gran Tour e aveva potuto cogliere la magia dei parchi non organizzati a giardino e con aiuole, tipici del gusto barocco-francese e dunque dispose di mantenere sgombri ampi spazi naturali, come nel gusto inglese. 22 La prima di questa commedia di Iffland venne rappresentata a Breslavia nel 1791, e a Berlino nel marzo del 1792. 23 Malchen è il vezzeggiativo di Amalie Alberti, futura moglie di Tieck. 24 Si tratta della nota tragicommedia o commedia romantica scritta da Shakespeare nel 1611. 25 Longino Cassio (213-273 d.C.), retore e filosofo greco, studiò con Plotino ad Alessandria. Fu maestro di filosofia, retorica e grammatica ad Atene, ma poi lasciò la Grecia per andare in Siria, dove assunse un importante ruolo politico. Aureliano lo fece giustiziare per aver opposto resistenza ai Romani. Scrisse Sul sommo Bene e Delle cause prime, anche se queste opere sono perdute, mentre resta la sua Retorica e un commento al manuale di metrica di Efestione. Il trattato sul sublime non è, con tutta probabilità, opera sua e per questo se ne ascrive la paternità a uno “Pseudo-Longino”. 26 L’opera tragicomica Tarare, su testo di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, fu riadattata da Antonio Salieri con la traduzione italiana di Lorenzo da Ponte (1787, prima rappr. 1788) e intitolata Axur, Re d’Ormus (in 5 atti). 27 Miekchen è il vezzeggiativo di Marie Alberti, una cognata di Reichardt, che divenne pittrice e poi madre badessa a Münster.

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28 Con un chiaro segno di stima, Tieck accosta Prosper Jolyot de Crébillon (1674-1762), drammaturgo incline al gusto truculento, a Shakespeare. Fu suo merito il nuovo impulso dato al teatro, con l’allontanamento dal classicismo di Corneille e Racine, biasimati anche da Lessing nelle recensioni della Hamburgische Dramaturgie (Drammatugia d’Amburgo, 1767-1769). Radamisto e Zenobia (1717) è considerato il capolavoro di Crébillon. 29 È il titolo di un dramma del 1788 di August von Kotzebue (1761-1819) che rientra nel filone del Rührstück (dramma lacrimoso). Il dramma segue le regole del teatro di corte e i protagonisti sono degli aristocratici, ma si conclude con un finale lieto, tipico della commedia. Kotzebue fu anche console generale in Russia, ma a seguito dei Karlsbader Beschlüsse, essendo diventato informatore personale dello zar, venne assassinato. Ebbe brillante carriera come direttore dello Hoftheater di Vienna e successivamente come direttore del teatro di Pietroburgo, ma fu sempre criticato, anche a causa del suo infido comportamento politico, dai grandi scrittori tedeschi del tempo. 30 Anche quest’opera di Kotzebue, la cui stesura risale al 1790, punta su elementi quali la commozione e la compassione. Fu rappresentata a Berlino dal 1790 al 1792. 31 La seconda opera ultimata da Friedrich Schiller nel 1783, dopo i Masnadieri, ovvero Die Verschwörung des Fiesco zu Genua (La congiura di Fiesco a Genova), si riallaccia a un fatto storico: la cospirazione del 1547 di Giovanni Luigi de’ Fieschi a Genova, ai danni di Andrea Doria. In realtà, Andrea aveva governato secondo ideali repubblicani la città ligure, mentre il vero despota era Giannettino, suo nipote, il quale aveva oltretutto violentato la figlia di Verrina, che innescò la miccia della rivolta. Per questo l’opera è stata definita un “dramma repubblicano” e ha consacrato Schiller a sommo autore della drammaturgia dell’epoca. 32 Il riferimento è a due passi dei Leiden des jungen Werther (I dolori del giovane Werther, 1774), il primo romanzo di successo di Goethe, scritto in forma epistolare: quello del 13 luglio, nel primo libro, e quello del 21 novembre, nel secondo libro. 33 Questa considerazione è una delle più preziose per comprendere il gusto e il senso estetico-musicale di Wackenroder, che distingue tra una fruizione emozionale, tutta dedita a cogliere la natura dell’opera e le qualità dell’esecuzione musicale e che è, quindi, riferita all’oggetto, e una emozionale maggiormente riferita al soggetto, che ascolta e tesse sulla partitura il proprio percorso interiore. Enrico Fubini ha ben espresso l’idea che, comunque, il sentimento che Wackenroder prova ascoltando la musica «rappresenta non tanto l’emotività personale, ma piuttosto l’organo di accesso privilegiato, rispetto all’intelletto, ai segreti più intimi del mondo, all’essenza delle cose»; E. Fubini, “Wackenroder: la musica come linguaggio privilegiato”, in: Id., L’estetica musicale dal Settecento a oggi, Torino, Einaudi, 20014, pp. 115-120, cit., p. 117. 34 Il qui citato Johann Nepomuk Cosmas Michael Denis (1729-1800), che adottò lo pseudonimo di “Sined il Bardo”, fu un poeta austriaco e bibliotecario a Vienna; insegnò nel collegio gesuitico teresiano finché, nel 1784,

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l’istituzione non fu soppressa. In seguito lavorò alla biblioteca di corte, diventandone il direttore. Gran parte della sua attività fu volta a familiarizzare gli austriaci con le saghe dei bardi scozzesi. Raccolse canti e ne compose di suoi, nel gusto ossianico in voga al tempo. Tradusse opere di Ossian (che erano in realtà in massima parte frutto dell’inventiva del contemporaneo James Mac Pherson, 1736-1796), e pubblicò nel 1772 Die Lieder Sineds des Barden (I canti di Sined il Bardo) e nel 1784 cinque volumi di poemi con il titolo Ossians und Sineds Lieder (I canti di Ossian e di Sined). 35 L’Edda poetica (o Edda maggiore) è una raccolta di poemi in norreno, tratti dal manoscritto medioevale islandese detto Codex Regius. Insieme all’Edda in prosa di Snorri Sturluson è la più importante risorsa sulla mitologia norrena e sulle leggende degli eroi germanici. 36 La Allgemeine deutsche Bibliothek fu una rivista dedicata alle recensioni delle novità librarie, fondata da Friedrich Nicolai nel 1765 e apparsa continuativamente fino al 1806, cambiando dal 1793 il nome in Neue allgemeine deutsche Bibliothek. Vi lavorarono circa 150 persone e tra queste Herder, che però se ne allontanò nel 1774 per un diverbio con Nicolai. La rivista seguì gli ideali dell’Illuminismo, anche quando ormai il gusto stava cambiando sull’onda dello Sturm und Drang e del classicismo di Weimar. Non può sfuggire il tono ironico con cui Wackenroder giudica la scelta di dar rilievo a prove poetiche, a suo avviso, di scarso valore. 37 Il figlio del ben più noto Johann Georg Hamann, il quale fu maestro di Herder e di Jacobi e amico di Kant, pur attaccando ferocemente l’Illuminismo razionalista, compose in gioventù tre raccolte di poesie, di cui questa è la seconda (1791). Le altre si intitolano Gedichte eines Dilettanten (Poesie di un dilettante) e Blätter des Gefühls und der Erinnerung (Pagine del sentimento e del ricordo) 38 La Berlinische Zeitung fu fondata con il nome di Königlich privilegierte Berlinische Zeitung von Staats- und gelehrten Sachen, ma assunse vera importanza dal 1751, quando si mise alla sua guida il libraio Christian Friedrich Voss. Per questo fu chiamata in seguito Vossische Zeitung. I suoi numeri uscirono dal 1721 al 1934. 39 Dopo la vittoria nei Balcani, Alessandro Magno (356-323 a. C) si recò a Tebe e avendo intrapreso la distruzione della città, risparmiò solo i templi e la casa del poeta Pindaro (522-446 a.C.). 40 Si tratta della poesia di Johann Heinrich Voss (1751-1826) Die Trennung (La separazione, 1776). Voss tradusse sia l’Iliade che l’Odissea di Omero e molto amato fu il suo poema, improntato all’idillio, Luise (1795). 41 Johann Heinrich Campe (1746-1818), pedagogista e linguista, fu uno degli intellettuali che contribuirono maggiormente a infiammare il dibattito sugli aspetti deteriori della sensibilità, dettati dalle mode e contrari ad una sana espressione dei sentimenti. Il termine Empfindelei, che viene contrapposto da Wackenroder a quello di Empfindung grazie all’aggettivo peggiorativo “affektierte”, rimanda a un importante scritto di Campe del 1779, Ueber Empfindsamkeit und Empfindelei in pädagogischer Hinsicht (Sulla sensibilità d’animo e sull’ipersensibilità da un punto di vista pedagogico). Littlejohns ri-

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corda nel suo commento (HKA, II, p. 473) che dato il precedente riferimento al drammaturgo Iffland, Wackenroder ha in mente probabilmente anche il saggio dell’autore degli Jäger e degli Hagestolzen dal titolo Ueber die Empfindsamkeit, comparso nello nel fascicolo 13 dello Hannoversches Magazin nel 1775. In generale si è cercato di tradurre Empfindung come “sensibilità”, Empfindelei con il termine “sentimentalismo” e Gefühl con “sentimento“. Talora si è usato il termine “emozione” per non forzare troppo il registro del testo nella traduzione italiana. Tuttavia non è stato sempre possibile osservare nettamente queste distinzioni, tra cui si è cercato di mediare seguendo il senso del discorso. 42 Littlejohns riferisce che quest’attore si esibì il 16 aprile 1792 al NationalTheater di Berlino. 43 Littlejohns, basandosi ancora una volta sulle notizie di Fambach, scrive che Garly fu attivo al National-Theater di Berlino dal 18 aprile del 1792 al 1794. 44 Sempre da un’informazione di Fambach, mutuata da Littlejohns, sappiamo che Preisler fu principalmente attore al teatro di Copenhagen. 45 Karl Czechtizky (1758-1813) fu membro della compagnia dei Döbbelin e recitò dal 1787 al 1795 al National-Theater di Berlino. 46 Franz Mattausch (1767-1833) fu ininterrottamente attivo al NationalTheater di Berlino dal 1789 al 1827. 47 L’opera di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) Don Giovanni (1787) fu rappresentata a Berlino per la prima volta il 4 aprile del 1792. 48 Wackenroder aveva preso a prestito da Rambach il quinto volume degli Ossians und Sineds Lieder del 1791, in cui si trovava anche il lamento Über Gellerts Tod. Di Gellert (1715-1769) scrive Ursula Bavaj nella sua monografia Gellert. Saggio sugli scritti teorici (Roma, Artemide, 2004) che «Gellert si fa portavoce di una pedagogia delle emozioni che va di pari passo con l’educazione al comportamento virtuoso. Egli mette il singolo a confronto con il proprio sostrato emotivo che, però, dovrà coincidere con l’imperativo etico, del quale il singolo è insieme soggetto e oggetto» (pp. 104-105). 49 Tieck cita ampi passi del dramma di Goethe, Torquato Tasso (1790), il cui primo abbozzo risale al 1780 e la realizzazione agli anni del viaggio in Italia (1786-1788), per sottolineare l’affinità del proprio stato d’animo melanconico e solitario con quello del poeta della Gerusalemme Liberata. Costui dovette lasciare la corte di Ferrara per uno scandalo scoppiato per un suo supposto slancio amoroso verso Eleonora d’Este, sorella del Duca di Ferrara Alfonso II. L’intrigo venne ordito da Antonio Montecatino, segretario di Stato, per gelosia. Goethe sostenne nei suoi dialoghi con Eckermann, a quasi quarant’anni dalla pubblicazione del Tasso (nel 1827) che «del resto la vita di corte e le storie d’amore erano uguali a Weimar e a Ferrara», e che per questo il Tasso era carne della sua carne e sangue del suo sangue; J. W. Goethe, Torquato Tasso, a cura di E. Bernardi, trad. it. di C. Lievi, Venezia, Marsilio, 1988. Cfr. J.P. Eckermann, Conversazioni con Goethe, a cura di E. Ganni, trad. it. di A. Vigliani, pref. di H.-U. Treichel, Torino, Einaudi, 2008, p. 494. 50 Goethe, Tasso cit., pp. 160-161.

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Ivi, pp. 96-99. Tieck sottolinea il contrasto tra il proprio desiderio di condurre una vita poetica nel segno dell’amicizia, con la superficialità di Friedrich Heinrich Bothe (1771-1855), che nonostante un’assidua frequentazione, non gli aprì mai completamente il suo cuore. Fu traduttore, tra l’altro, delle odi olimpiche di Pindaro e delle opere di Euripide, ma anche di testi della letteratura inglese come An Essay on Man (Saggio sull’uomo, 1734) di Pope e i canti popolari di Percy. Collaborò alla rivista di Rambach Berlinisches Archiv der Zeit und ihres Geschmacks (Archivio berlinese del tempo e del suo gusto). 53 Goethe, Tasso cit., pp. 188-189. 54 Ibid., pp. 122-123. 55 Ibid., pp. 186-187. 56 Ibid., pp. 188-189. 57 Ibid., pp. 186-187. 58 Ibid., pp. 106-107. 59 Ibid., pp. 230-231. 60 Ibid. 61 Il Conte Appiani è il promesso sposo di Emilia nel dramma di Lessing Emilia Galotti (1772). Per un complotto ordito dal Principe di Guastalla, che ambisce a concupire la giovane, viene ucciso. 62 Just è il servitore del Maggiore Tellheim nel dramma di Lessing, Minna von Barnhelm (1767); la sua levatura morale e fedeltà al padrone lo rendono caro al pubblico, così come la rettitudine morale e lo spirito di sacrificio di Tellheim catturano subito la simpatia del lettore. 63 Marco Porcio Catone (95-46 a.C.), statista romano e avversario di Cesare, dopo che costui ebbe vinto a Tapso sui pompeiani, con cui si era alleato, si tolse la vita. 64 Plinio il Giovane narra nelle sue Epistole (100-109 d.C.) che Arria (I sec. d.C.), moglie del consolare Cecina Peto, professava la dottrina stoica. Quando il marito venne condannato a morte per aver cospirato contro l’imperatore Claudio e gli fu imposto di pugnalarsi, esitò, mentre Arria gli diede l’esempio, uccidendosi prima di lui. 65 Tieck è convinto che sublime e pathos debbano essere sempre uniti per provocare il giusto senso di partecipazione alle tristi vicende dei personaggi dei drammi. Cerca di organizzare tra il 1792 e il 1793 un suo pensiero più compiuto sul tema del sublime in uno scritto, rimasto in forma di frammento, intitolato Über das Erhabene (Sul sublime). Nello specifico, ritiene che il concetto di sublime legato nel mondo antico alle idee di patriottismo, libertà e sacrificio di sé (cfr. i casi di Catone e Arria) non abbiano più presa nel mondo moderno. Tieck dialoga costantemente con il testo di Longino, di cui accetta solo in parte gli assunti. Diversamente da Burke, separa il terrificante dal sublime. Per un’accurata ricostruzione delle letture che fanno da sfondo al pensiero di Tieck sul sublime, cfr. J. Brummack, “Poetologische und kritische Schriften von 1792 bis 1803”, in Ludwig Tieck. Leben-Werk-Wirkung, cit., pp. 325-341, particolarmente p. 326. Il Kaspar der Thorringer, che viene indicato come opera storico-romantica, è un dramma cavalleresco in cinque 52

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atti, che fu redatto nel 1779, e che piacque a tal punto che ne apparvero in seguito molte versioni non autorizzate. 66 Carl Friedrich August Grosse (1768-1847) che, nato da una famiglia borghese, volle attribuirsi titoli nobiliari come “marchese di Grosse” e “conte di Vargas”, ebbe molto successo con la sua opera in quattro parti Der Genius. Aus den Papieren des Marquis C. von G. (Il genio. Dalle carte del marchese C. von G., 1791-1795). Aveva scritto a sua volta, nel 1788, un trattato sul sublime, che si ritiene che Tieck non conoscesse (Brummack, p. 326). Comunque la lettura di Il genio, che come ammette lo stesso Tieck non aveva contenuto di particolare valore poetico, fa parte delle esperienze che fecero scoccare la scintilla del biasimo di Wackenroder verso l’amico, incline all’esaltazione durante noti tour de force come lettore privato e pubblico. Probabilmente Tieck percepì in Grosse uno spirito avventuroso e una personalità decisa e se ne fece catturare completamente. La biografia dell’autore, che fu a lungo in Spagna e in Italia e che concluse la propria carriera a Copenhagen, conferma lo spirito inquieto di una personalità dotata di fervida immaginazione. 67 Non può sfuggire, a chi legga lo Almansur di Tieck, un racconto del 1790 che l’autore fece includere, anonimo, nel romanzo di Bernhardi Die Nesseln (Le ortiche,1798), che sia qui , sia nel romanzo di Grosse appena citato, compare la figura di un saggio eremita. “Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo” di Wackenroder, presente nelle Fantasie sull’arte, potrebbe aver subito a sua volta il fascino suasivo della figura dell’eremita. Il racconto presenta vari topoi, caratteristici dell’ambientazione orientale; cfr. A. Polaschegg, “Orientalismus”, in Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, cit., pp. 261-271, particolarmente pp. 262-263. 68 Schwieger accompagnò a cavallo Tieck nella sua visita a Schmohl e Piesker a Bülzig e si mostrò intenzionato a seguire l’amico a Halle nel 1793. 69 Il riferimento è alla scena di Re Lear di Shakespeare (IV, 6) in cui Edgar, figlio del Conte di Gloucester, che è stato spodestato dai suoi diritti dal fratello illegittimo Edmund, evoca un demonio nella mente del padre, accecato da Regan (una figlia di Lear) e dal marito Cornwall. La storia di Edgar rientra in un’azione secondaria, inventata da Shakespeare per fare da contrappunto a quella principale, che riguarda Lear e le sue tre figlie. 70 Fr. Schiller, Don Carlos, a cura di M.C. Foi, Venezia, Marsilio, 2004, pp. 70-71 (I, 1). Il Don Carlos fu pubblicato nel 1787. 71 Tieck enuncia a Wackenroder i programmi di studio delle sue giornate a Halle. La prima lezione del mattino era tenuta da Ludwig Heinrich Jakob (17591827), filosofo kantiano, economo e scrittore, membro della Accademia russa delle scienze. Insegnò come professore a Halle, dove aveva studiato, dal 1787 al 1806. 72 Georg Christian Knapp (1753-1825), di confessione evangelica, insegnò teologia a Halle a partire dal 1777. Dal 1785 diventò condirettore delle Franckesche Stiftungen, un’importante istituzione culturale fondata nel 1698, sede di attività sociali, pedagogiche e scientifiche, che prende il nome dal pietista August Hermann Francke (1663-1727) 73 Friedrich August Wolf (1759-1824) è il nome più noto tra quelli che compaiono nell’elenco, a ragione degli studi sulle antichità classiche di cui

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Goethe fu sempre strenuo fautore. Con Goethe, Johann Heinrich Meyer (1759-1832), Schiller e Karl Ludwig Fernow (1763-1808) costituì la cerchia dei Weimarische Kunstfreunde, incoraggiando mostre e premiazioni. I suoi Prolegomena to Homer (1795) insieme alla cura di nuove edizioni dell’Odissea (1784) e dell’Iliade (1785) e a studi sulle antichità greche e romane ne fecero uno studioso molto stimato. 74 Wilhelm von Burgsdorff (1772-1822), aristocratico proveniente da Ziebingen vicino a Frankfurt an der Oder, fu amico dei due scrittori fin dall’epoca della frequentazione del Friedrichwerdersches Gymnasium di Berlino. Nel 1791 si era immatricolato a Halle, ma poi si recò a Gottinga nel semestre invernale del 1792, trascorrendo con Tieck e Wackenroder un semestre di studi nell’inverno del 1793. Una vivida testimonianza dei suoi rapporti culturali con alcuni personaggi noti, oltre che con la famiglia Tieck, si trova nelle sue lettere, pubblicate nel 1907: W. v. Burgsdorff, Briefe an Brinkmann, Henriette von Finckenstein, Wilhelm v. Humboldt, Rahel, Friedrich Tieck, Ludwig Tieck und Wiesel, hrsg. von A. F. Cohn, Berlin, Behr’s Verlag, 1907. 75 Nonostante il titolo di questo dramma pubblicato da Tieck nel 1798 possa suggerire un’ambientazione orientale, la storia si svolge nelle Filippine e segue piuttosto un gusto esotico che condivide con Rousseau il topos dell’homme sauvage. Un modello per quest’opera può essere stato Tayti, oder Die glückliche Insel (Tahiti o dell’isola felice, 1777) di Wilhelm Zachariäs. Wackenroder apprezzò molto quest’opera di Tieck e ne favorì la pubblicazione presso l’editore Langhoff di Berlino. 76 Mentre Johann Friedrich Wilhelm Carow si immatricolò alla facoltà di giurisprudenza a Halle nel 1792, fu Carl Heinrich Gottfried Gustav Köhler di Dessau quello che conobbe Tieck e che si immatricolò in giurisprudenza nel 1791. 77 In questa lunga lettera, Tieck ha modo di ritornare più volte sulle scelte poetico-drammaturgiche e sui personaggi di Shakespeare, ai quali costui attribuisce un’apparente follia. Ciò accade nel caso di Edgar nel Re Lear e di Amleto dell’omonima tragedia. I tratti folli si debbono a una disperata ricerca della giustizia. Mentre Edgar è molto più risoluto e ha ragione del fratello, salvando il padre, Amleto è sovrastato dal dubbio, anche perché sa che la vendetta non gli restituirà la pace. 78 Johann Christian Woltaer (1744-1815) fu dal 1772 a Halle, prima per addottorarsi e poi per insegnare diritto. Tra il 1791 e il ’92 ricoprì il ruolo di prorettore. Esperto di diritto romano, ecclesiastico e statale, fu molto amato dagli studenti, come si evince anche da quanto dice Tieck. 79 Il tema dell’“ingenuo” e del “sentimentale” è centrale nella seconda metà del ‘700 e praticamente non c’è scrittore del periodo che non se ne sia occupato. Il culmine delle riflessioni su questo argomento viene raggiunto nel saggio di Schiller del 1794-95, Über naive und sentimentalische Dichtung (Sulla poesia ingenua e sentimentale) in cui il ritorno alla natura auspicato da Rousseau viene superato dall’idea che l’uomo debba conseguire per sé una maggiore naturalezza. Schiller venne attaccato da Friedrich Schlegel per la propria concezione del sublime idealistico con l’accusa di essere “un retorico

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sentimentalista”. Cfr. P. Szondi, “L’ingenuo è il sentimentale. Dialettica concettuale del saggio schilleriano”, in: Id., Poetica dell’idealismo tedesco, trad. it. di R. Buzzo Margari, con una postfazione di C. Cases, Torino, Einaudi, 1974, pp. 45-90. 80 È la commedia in tre atti di Johann Friedrich Jünger (1756-1797), che pubblicò cinque volumi di commedie tra il 1785 e il 1790, oltre che numerose altre pièces, che fu interpretata nel ruolo di Wilhelmine von Sachau da Christine Engst (1756-1795) alla prima del teatro nazionale di Berlino. 81 Si tratta della seconda scena dell’atto I di Il rapimento di Jünger, in cui Wilhelmine von Sachau si riferisce a suo padre dicendo: «nella mia vita intera non ho avuto il minimo dialogo con lui ed avevo già quasi cinque settimane di vita, quando è morto». 82 L’opera di Shakespeare, Much Ado about Nothing (Molto rumore per nulla) fu composta da Shakespeare tra il 1598 e il 1599. Si tratta di una tragicommedia ambientata a Messina di cui sono protagoniste due coppie, Ero e Claudio e Beatrice e Benedetto. 83 Karl Friedrich Lippert (1758-1803) lavorò al teatro nazionale di Berlino dal 1788 al 1796 come attore e cantante. 84 Nella nota 57 in HKA, II, p. 484 Littlejohns indica che che Wackenroder doveva aver pregato Tieck, nella sua lettera del 4 giugno 1792, di segnalargli alcune fonti per lo studio sull’allegoria. 85 Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), antichista e storico dell’arte, pubblica nel 1766 il Versuch einer Allegorie, besonders für die Kunst (Saggio sull’allegoria, specialmente per l’arte) in cui si appella alla “semplicità”, alla “chiarezza” e all’”amabilità” come requisiti della rappresentazione allegorica. Quest’ultima funzione risulta dunque incompatibile con l’iconologia legata alla patristica e alla teologia medioevale, esaltata invece in epoca barocca, e con l’iconologia dell’età rinascimentale, che Winckelmann interpreta come ridicolo travestimento di vizi e virtù umani; cfr. E. Agazzi, Introduzione a: J.J. Winckelmann, Saggio sull’allegoria, specialmente per l’arte, Argelato (Bo), Minerva Edizioni, 2004, pp. 7-25. Per quanto riguarda Gerard de Lairesse (1641-1711), pittore, arredatore e critico di grande respiro, sono note due tele dedicate all’allegoria dei cinque sensi (1668, Glasgow Museum) e all’allegoria delle scienze (1675-1783, Rijksmuseum di Amsterdam), ma anche le sue lezioni sulla teoria del disegno e della pittura riguardanti, tra l’altro, soggetti mitologici. Infine, l’abate Jean Baptiste Dubos (1670-1742), più volte citato da Winckelmann nelle sue opere per le Réflexions critiques sur la poésie et sur la peinture (Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, 1719) intreccia nei suoi precetti sulla pittura e sulla necessità di osservare la regola della verosimiglianza anche pensieri dedicati alla poesia, alla drammaturgia, alle condizioni climatiche e ai caratteri delle nazioni. 86 Johann Georg Sulzer (1720-1779) è noto come autore della Allgemeine Theorie der schönen Künste (Teoria generale delle belle arti, 1771-1774), strutturata come un’enciclopedia. 87 Theseus auf Kreta, Ein lyrisches Drama (Teseo a Creta. Un dramma lirico) di Friedrich Rambach, corredato da una prefazione di J.J. Eschenburg,

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fu pubblicato a Lipsia nel 1791. Tratta la nota storia dell’amore tra Arianna e Teseo, che si reca a Creta per uccidere il Minotauro. Il riferimento al giardino concerne l’atto II, scena 6, in cui Arianna cerca di dissuadere Teseo dall’affrontare il Minotauro. 88 Secondo tradizione popolare, la pianta di artemisia (di cui esistono diverse varietà), cresce su un suolo maledetto, ma altre leggende dicono che, in quanto pianta del solstizio d’estate, detta anche “erba di S. Giovanni”, è in grado di scacciare il demoniaco. 89 Il dramma in cinque atti di Friedrich Schiller, Kabale und Liebe (Intrigo e amore, 1783) mescola sapientemente tutti gli elementi della commedia e della tragedia e soprattutto mette in scena il difficile rapporto tra mondo aristocratico e borghese. Intorno all’impossibile storia di amore tra Ferdinando e Luisa Miller si respira aria di intrighi politici e di filisteismo morale, ma sono soprattutto gli stratagemmi e le implicazioni psicologiche con cui il bieco padre di Ferdinando, il Presidente von Walter, plenipotenziario del principe, tende la propria trappola a Luisa, per dividerla dal figlio, a indicare la caratura drammaturgica di Schiller. La Luisa Miller di Verdi, melodramma tragico in tre atti, liberamente tratto dall’opera di Schiller e su libretto di Salvadore Cammarano, venne rappresentata per la prima volta al teatro S. Carlo di Napoli l’8 dicembre del 1849. 90 Elisa von Valberg fu rappresentato il 16 giugno 1792 a Berlino, dopo Intrigo e amore, che era stato portato in scena il 7 giugno. 91 Karl Czechtizky (1759-1813) fu uno degli attori più apprezzati all’epoca per la sua recitazione appassionata e uno straordinario controllo della gestualità. Si era fatto conoscere nel ruolo di Amleto quando aveva sostato con la troupe dei Döbbelin a Berlino (9 dicembre 1782 - 25 aprile 1783), ma era ritornato a Berlino, per restarvi come attore tra il 1787 e il 1795, salvo poi scomparire per debiti di gioco. 92 Measure for Measure di Shakespeare è una commedia del 1603 in cui Angelo, vicario del duca di Vienna Vincenzo, si comporta in modo iniquo di fronte all’amore di una coppia, Claudio e Giulietta, mettendo in gioco la vita di Claudio, che ha messo incinta l’amata, per avere in cambio un rapporto sessuale con Isabella, sorella di Claudio. Il duca osserva le malefatte di Angelo travestito da frate e al momento opportuno ristabilirà l’ordine, obbligando il suo sostituto a onorare la propria promessa di unione con Mariana, precedentemente da lui abbandonata. La sorella di Claudio, novizia in un convento, diventerà la probabile sposa del duca. La scena menzionata è quella in cui Isabella chiede la punizione di Angelo per le sue azioni scellerate. 93 J.W. Goethe, Wonne der Wehmut (Voluttà della malinconia), in J.W. Goethe, Tutte le poesie, edizione diretta da R. Fertonani con la collaborazione di E. Ganni; pref. di R. Fertonani, 2 voll., Milano, Arnoldo Mondadori, 1989, vol. I, pp. 116-117. 94 Johann Friedrich Ferdinand Fleck (1757-1801) debuttò a Lipsia come attore nel 1777, recitò dal 1779 al 1781 ad Amburgo, prediligendo ruoli shakespeariani e dal 1783 fece parte dell’ensemble del teatro nazionale di Berlino. Nel 1790, il re Federico Guglielmo II lo nominò regista del regio teatro

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della città. Una delle sue massime performance fu la recitazione nel ruolo di Wallenstein nell’omonima opera di Schiller nel 1799. 95 Karl Wilhelm Ferdinand Unzelmann (1753-1832) sposò l’attrice Friederike Flittner e recitò con lei a Berlino a partire dal 1788. I ruoli da lui più amati erano quelli di personaggi delle opere di Lessing, Schiller e Shakespeare. Dal 1814 al 1823 svolse anche ruolo di regista. Il figlio Karl Wolfgang seguì la stessa carriera. 96 Samuel Georg Herdt (1755-1818) fu attivo tra il 1786 e il 1817 al teatro nazionale di Berlino. 97 Si intende qui la la figura di Lady Milford, rivale di Luisa Miller in Intrigo e amore. 98 Si tratta di una commedia in cinque atti che Goethe compose nel 1791 e che fece rappresentare per la prima allo Herzogliches Hoftheater di Weimar con musica di Johann Friedrich Kranz (1754-1810). Goethe volle con quest’opera richiamare l’attenzione sul rischio della corruttela delle corti, facendo riferimento per la sua trama all’”affare della collana” (1785) che in Francia travolse nello scandalo la regina Antonietta, il cardinale di Rohan e una coppia di nobili (Jeanne de Saint-Rémy de Valois e Nicolas de la Motte). 99 Gottlieb Konrad Pfeffel (1736-1809) fu scrittore, studioso di strategia militare e pedagogista. I Poetische Versuche (Esperimenti poetici) furono pubblicati a partire dal 1761 e ripubblicati a Basilea tra il 1789-1791. Ebbe molte cariche onorifiche e fu eletto membro della Bayerische Akademie der Wissenschaften nel 1810. Si sospetta un suo legame alle logge massoniche ed è forse per associazione di idee con l’opera di Goethe, il Gran Cofto, in cui pure di parla di società segrete, che viene citato Pfeiffel. 100 Jean-Piere Claris de Florian (1755-1794) è noto soprattutto per le sue favole e per i suoi racconti morali. Il titolo completo della novella pastorale è Estelle et Némorin (1788), che fu poi pubblicata in tedesco nel 1789. 101 Tieck scrive qui il titolo diversamente, ma si tratta del già menzionato Elise von Valberg di Iffland. 102 Si tratta di un riferimento a due versi della seconda ode romana di Orazio (III, 2, 23 e segg.): «coetusque volgaris et udam spernit humum fugiente pinna». 103 Il compositore e violinista austriaco August Carl Ditters von Dittersdorf (1739-1799), figlio di un fabbricante di costumi per la corte e per il teatro di Vienna, ebbe enorme successo come autore di lavori strumentali e di Singspiele. Christoph Willibald Gluck lo accompagnò in un viaggio per l’Italia, dove Dittersdorf si fece apprezzare come virtuoso del violino. Il titolo nobiliare gli fu conferito per i suoi meriti da Maria Teresa d’Austria nel 1773. Fu amico di Mozart, Haydn e di altri noti musicisti del tempo. L’opera più nota di Dittersdorf è Doktor und Apotheker (Dottore e farmacista) del 1786. Hieronymus Knicker, un’operetta comica, fu presentata a Berlino tra il 16 e il 19 luglio del 1792. 104 Das rothe Käppchen oder Hilft‘s nicht, so schadt’s nicht (Cappuccetto rosso ovvero Se non aiuta, non nuoce) è un’opera comica del 1790 su libretto di Dittersdorf. 105 Il Padre di famiglia di Denis Diderot (1713-1784), il drammaturgo francese più apprezzato dai tedeschi – soprattutto da Lessing – nella seconda metà

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del ‘700, ebbe immediata diffusione e fu rappresentato per la prima volta a Marsiglia nel 1760. Si tratta di una commedia di “genere serio”che venne accompagnata da un trattato, il Discorso sulla poesia drammatica, in cui – come aveva già fatto con il precedente lavoro teatrale, Il figlio naturale (1757) e un trattato che lo affiancava, Dorval e io o Dialoghi sul figlio naturale – Diderot cercava di motivare lo sviluppo dell’azione e i problemi sociali legati alla funzione del teatro. Il primo trattato è più analitico, rispetto al dramma di riferimento, il secondo è invece più sistematico; cfr. M. Grilli, “Introduzione”, in Denis Diderot, Teatro e scritti sul teatro, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 3-31. 106 Wackenroder cerca nel corso di tutta la sua lettera di mantenere un tono calmo verso l’amico, anche se è chiaro il suo biasimo per l’incapacità di Tieck di programmare la propria visita a Berlino. Si evince anche la scarsa propensione di Tieck a essere costante nel carteggio con la sorella e con i genitori. 107 Si confronti per questo riferimento la descrizione delle orribili statue di cui Wackenroder scrive a Tieck da Bamberga nel suo resoconto di viaggio del 12-17/18 luglio 1793, sottolineando che tali statue, sparse nei giardini, superano in bruttezza quelle viste a Lipsia (cfr. HKA, II, p. 218). 108 Come riferisce Littlejohns, «il 19 agosto del 1792 si esibì al teatro estivo “auf dem Linkeschen Bad”, di cui era stato direttore Joseph Seconda (morto nel 1820), la Deutsche Schauspieler-Gesellschaft diretta dal fratello più anziano Franz (1775 - dopo il 1817)»; cfr. HKA, II, p. 494. 109 Amante e rivale in una persona è una commedia cavalleresca in quattro atti del 1790 di Friedrich Julius Wilhelm Ziegler (1759-1827). L’imperatore Giuseppe II lo fece ingaggiare allo Hoftheater di Vienna a partire dal 1781. Le sue opere complete furono pubblicate in 13 volumi a Vienna nel 1824. 110 Friedrich Cordemann (n. 1769) fu attore allo Hoftheater di Weimar tra il 1798 e il 1805. Fu Schiller a impegnarsi per la sua assunzione, come scrisse in una lettera a Iffland il 12 aprile del 1805. Venne apprezzato particolarmente per la sua voce e per l’aspetto esotico, che il duca August von Sachsen-Weimar definiva “da arabo”. 111 L’opera di Johann Anton Leisewitz (1752-1806) è una delle più note dello Sturm und Drang, il movimento culturale nel quale si riconobbe anche Goethe all’epoca del Werther. Il dramma fu iniziato forse nel 1771 e pubblicato nel 1776 e risente ancora degli stilemi formali lessinghiani. La trama concerne la contesa di due fratelli, Julius e Guido, per avere Bianca, che veramente amata dal primo, è solo oggetto di interesse di Guido per rappresaglia nei confronti del fratello. Quando Julius cerca di rapire Bianca dal convento, viene ucciso da Guido, il quale si presenta spontaneamente al padre per affrontare il giudizio e la morte che costui gli infliggerà personalmente. 112 Si tratta di un Singspiel in due atti di Ditters von Dittersdorf, rappresentato per la prima volta a Vienna nel 1786. Cfr. supra, p. 883, nota 103. 113 Christian Traugott Geiling (1772 - ultime notizie 1797) fece parte della compagnia teatrale di Joseph Seconda e partecipò alla rappresentazione di Amante e rivale in una persona. 114 Littlejohns ricorda che «alcuni versi delle ultime due strofe di questa poesia confluiscono nell’ultima strofa della poesia Der Ungetreue (L’infedele),

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che fu pubblicata per la prima volta nel 1821 nel II volume dei Gedichte (Poesie) di Tieck»; cfr. HKA, II, p. 498. 115 Questo romanzo storico di Rambach fu pubblicato in due parti a Berlino nel 1793 con il titolo Hiero und seine Familie (Hiero e la sua famiglia). 116 Il matrimonio segreto, dramma giocoso di Domenico Cimarosa (17411801), fu rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 7 febbraio del 1792 e a Berlino il 5 novembre del 1792. Il libretto era di Giovanni Bertati, che aveva tratto spunto da The clandestine marriage (Il matrimonio clandestino) di George Colman the Elder e David Garrick. 117 Henriette Baranius (pseud. di Henriette Husen, 1768-1853) fu attrice e cantante lirica (soprano). Recitò prima per la compagnia dei Döbbelin e dal 1786 al 1796 lavorò al teatro nazionale di Berlino. Fu prediletta nella parte di Blondchen nella Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) di Mozart. 118 Josef Marius Babo (1756-1822) fu dal 1781 intendente della società teatrale di Monaco e nel 1783 compose la commedia Die Mahler (I pittori). 119 Littlejohns osserva che non sono note opere di Burgsdorff in generale, né in particolare un’opera intitolata Der Carneval; cfr. HKA, II, p. 500. 120 Johann Nikolaus Forkel (1749-1818) contribuì in modo sostanziale a sollecitare l’interesse musicale di Wackenroder, dal momento che questi lesse il primo volume della sua Allgemeine Geschichte der Musik (Storia generale della musica, 1788) mentre si trovava a Gottinga nel febbraio del 1794. Forkel fu un autodidatta dal grande talento e si fermò a Gottinga, dopo avervi studiato legge per due anni, diventando docente di teoria musicale e organista. Ancora oggi si legge la sua biografia di Johann Sebastian Bach come documento veritiero, dal momento che Forkel ebbe modo di raccogliere presso i due figli di Bach, Carl Philipp Emanuel e Wilhelm Friedemann, testimonianze dirette sul padre. 121 Adelbert und Emma oder das grüne Band (Adalberto ed Emma ovvero Il nastro verde) fu composto da Tieck a Halle nel 1792, seguito a breve distanza dalla tragedia Der Abschied (Il commiato). Tieck non fu per niente soddisfatto e anche Wackenroder tentennò in relazione alla qualità del testo. Si tratta di una storia cavalleresca con un finale tragico, in cui la figura femminile sposa Löwenau, ma viene perciò uccisa al rientro del cavaliere, il quale a sua volta muore per mano del nuovo uomo di Emma. 122 Johann Joachim Eschenburg (1743-1820), professore di letteratura e di filosofia al Collegium Carolinum di Braunschweig, viene menzionato da Tieck per la sua raccolta di saggi su Shakespeare, Ueber W. Shakespeare (1787) e viene ancor oggi ricordato per la monumentale traduzione delle opere di Shakespeare in 13 volumi (Zurigo, 1775-1782). 123 Gottfried Adolf Bürger (1747-1794), oltre che per l’ampia produzione di poesie, edite nel 1778, è noto per la sua ballata Lenore, di gusto gotico, e per aver inventato la figura del Barone di Münchhausen (1786-1789). Dal 1770 partecipò alle pubblicazioni del Göttinger Musenalmanach fondato dagli amici Boie e Götter e nel 1778 ne assunse la direzione. Scrisse anche interessanti saggi come Über Volkspoesie (Sulla poesia popolare, 1776).

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124 In Misantropia e rimorso di Kotzebue v’è una scena in cui il conte von Wintersee cade dal ponte menzionato, ma viene salvato dal misantropo Bittermann, il cui nome è già significativo (Bittermann=uomo amaro). 125 I Masnadieri di Schiller è il testo drammaturgico che celebra la grandezza del poeta nel 1781. Il pathos rivoluzionario di questo testo si sposa con il pessimismo di Schiller circa la possibilità che i conflitti possano essere ricomposti. Anche qui si trova, come in altri casi, la contesa di due uomini per una donna, i quali sono per giunta fratelli. Il terribile astio verso il fratello che grava sulla coscienza di Franz è dovuto anche al suo sgradevole aspetto fisico. 126 Charlotte Herdt, nata Rademacher (1764), fu ingaggiata dai Döbbelin prima e fu attiva al Teatro Nazionale di Berlino dal 1791 al 1824. 127 È una tragedia del 1756 di John Brown (1715-1766) che fu rappresentata nel novembre del 1792 nel Berliner National-Theater. 128 La tragedia Athelstan (1756) di John Brown (1715-1766) venne tradotta in tedesco da Johann Leonhardi negli anni ’70 del XVIII secolo. 129 Le Barbier de Sèville ou la Précaution inutile (Il Barbiere di Siviglia o la precauzione inutile) è una commedia scritta nel 1755 di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799), che fu rappresentata per la prima volta nel 1773; insieme con Le Mariage de Figaro (Il matrimonio di Figaro, 1783) e La Mère coupable (La madre colpevole, 1792), rappresenta una trilogia in cui sono coinvolti gli stessi personaggi. Dalla prima commedia Paisiello e Rossini trassero un’opera lirica (titolo: Almaviva o sia L’inutile precauzione), le cui rispettive prime si tennero nel 1782 e nel 1816. L’opera di cui si parla qui è quella di Paisiello, rappresentata il 20 novembre 1792 a Berlino. 130 Felice Alessandri (1747-1798) studiò musica a Napoli e poi rappresentò la sua prima opera a Roma nel 1765, ovvero l’oratorio Il Tobia. Le sue successive opere furono portate in scena nei maggiori teatri italiani, dal Regio di Torino alla Fenice di Venezia. Viaggiò in numerosi capitali europee. A Parigi fu ospite nel 1776 del compositore e tenore francese Joseph Legros, con il quale diresse i Concert Spirituel e scrisse la musica per i Concert des Amateurs. Non avendo avuto, invece, gli auspicati onori a San Pietroburgo, dove giunse nel 1786, alla fine degli anni ’80 si recò a Berlino, dove divenne maestro di cappella dell’opera di corte, ma per questo fu in perenne contrasto con Johann Friedrich Reichardt, senza ottenere la stima di Federico Guglielmo II. Nelle opere serie degli anni novanta fece uso di cori, della pantomima e di scene complesse, mentre per le commedie lo stile fu quello dei drammi giocosi con elementi dell’opera semiseria. 131 Per la prima volta, Wackenroder offre un pieno spaccato della propria emotività, sottolineando le sue difficoltà nell’entrare in sintonia con il contesto sociale e culturale berlinese. Dalle sue riflessioni emergono i parametri secondo i quali si misura la Geselligkeit (socievolezza) di un individuo. Wackenroder, piuttosto che vivere nella sfera degli obblighi pubblici richiesti a un borghese della grande città, vorrebbe coltivare relazioni più intime in un contesto di provincia. Al malessere di Wackenroder si aggiunge il fatto che il padre lo aveva costretto ad applicarsi agli studi giuridici e a fare praticantato presso degli avvocati, senza poter coltivare lo studio delle lettere, come avrebbe voluto.

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132 Si tratta della poesia citata nella lettera del 27 novembre (fino al 1 dicembre 1792) mandata a Tieck. Cfr. Carteggio, p. 743. 133 Le ultime lettere di questo carteggio sono inviate da Wackenroder, appunto, a Erduin Julius Koch (1764-1834), storico della letteratura e filologo classico. Formatosi già in periodo scolare nel medio alto tedesco, si applicò all’università di Halle agli studi di teologia e, contemporaneamente, di filologia classica presso Friedrich August Wolf. Successivamente insegnò greco, latino e tedesco, dal 1786 al 1793, alla Königliche Realschule di Berlino, lasciando poi questo incarico per diventare predicatore nella Marienkirche di Berlino. Dal 1810 dovette abbandonare l’incarico per problemi di alcolismo. Trovò ancora un impiego presso la biblioteca di Breslavia, ma venne presto licenziato. Morì in miseria in un ricovero per indigenti. 134 Lo scrittore Karl Philipp Moritz (1756-1793) sposò nel 1792 la figlia di un libraio, Christiane Friederike Matzdorff, che aveva solo 15 anni. Costei fu rapita da Christian Siede (1765-1806) suscitando grande scandalo nella comunità; per questo, poco dopo, i due si separarono. 135 Nonostante il fatto che Moritz avesse contribuito in modo rilevante alla formazione del gusto e del senso per l’arte di Wackenroder e Tieck, che ascoltarono alcune sue lezioni sul “concetto di bello” a Berlino, fu presto evidente ad entrambi gli amici che il soggetto aveva una spiccata tendenza all’intrigo e al carrierismo. I pareri che Wackenroder raccoglie su di lui nell’ambito della Akademie der Wissenschaften, in cui Moritz era stato nominato in una commissione volta a sostenere l’insegnamento e la diffusione della lingua tedesca, lascia tuttavia trapelare ancora qualche dubbio sull’autenticità delle voci che circolavano. Moritz lavorò nel 1792 a un Wörterbuch der deutschen Sprache (Vocabolario della lingua tedesca), ma redasse altri lavori sull’ortografia, sulla correttezza del discorso e compilò nel 1790 un abbecedario. Per un approfondimento sul rapporto tra Wackenroder e Moritz cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung. Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung, Stuttgart, Metzler, 1993, p. 51 e 58 e segg. e S. Vietta, “Wackenroder und Moritz”, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, 6, 1996, pp. 91-107. 136 L’espressione significa “per eccellenza”. 137 Il conte Friedrich Leopold zu Stolberg-Stolberg (1750-1819) fu scrittore, giurista e traduttore. Le sue odi, ballate, satire, descrizioni di viaggio e drammi ebbero un certo successo per il gusto incline alla sensibilità, che lo Sturm und Drang aveva enunciato come parte del proprio manifesto programmatico. Da segnalare la sua adesione alla cerchia di poeti del Göttinger Hain dal 1772. Nel 1783 furono pubblicate le poesie dei fratelli Friedrich Leopold e Christian con il titolo Gedichte der Brüder Christian und Friedrich Leopold Grafen zu Stolberg, herausgegeben von Heinrich Christian Boie, Carlsruhe 1783. Dopo una carriera diplomatica e culturale molto varia e piena di contatti con grandi personaggi come Goethe, Friedrich Leopold si avvicinò sempre di più alla religione cattolica, fino a convertirsi con tutta la famiglia, una volta trasferitosi a Münster, nel 1800. 138 Schiller aveva pubblicato alcune odi, come quelle dedicate a Laura (in realtà Luise Dorothea Vischer) nella Anthologie auf das Jahr 1782. Tali

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esercizi lirici giovanili furono messi in ombra dal componimento più famoso di Schiller, ovvero l’inno An die Freude (Alla Gioia, 1785) di cui alcune strofe furono inserite da Beethoven nella IX sinfonia in re minore nel 1823 e affidate ai solisti e al coro. 139 Karl Wilhelm Ramler (1725-1798) viene criticato per l’eccessivo controllo intellettuale della sfera dei sentimenti. Le sue odi furono pubblicate nel 1767 e le poesie liriche nel 1772. Il suo gusto era ancora legato agli stilemi formali della Spätaufklärung e forse anche il fatto che insegnasse Logica a Berlino dal 1748 al 1790 doveva aver colpito negativamente l’immaginario di Wackenroder, che dal 1792 si prefisse di poetare lasciando fluire liberamente entusiasmo e passione. 140 Cfr. supra, p. 875, nota 29. 141 Clara di Hoheneichen (1790) è un dramma cavalleresco in quattro atti di Christian Heinrich Spieß (1755-1799), drammaturgo, romanziere e attore. Il dramma fu rappresentato la prima volta a Praga nel 1792 e Goethe ne autorizzò la replica per dieci volte al teatro di corte di Weimar. Il suo romanzo gotico, Das Petermännchen (Il dragone, 1793), fu subito tradotto in inglese e in francese e influenzò probabilmente Matthew Lewis (1775-1818) per la stesura di The Monk (Il monaco, 1796). 142 Nel libro II dell’Eneide di Virgilio, al verso 49, Laocoonte pronuncia la nota frase “Timeo Danaos et dona ferentes” quando vede giungere i Greci che portano il cavallo in omaggio alla città di Troia. Laocoonte, sacerdote di Poseidone, viene perciò punito da Atena, alleata dei Greci, che manda dal mare due enormi serpenti marini che lo uccidono con i due figli. L’allusione di Tieck è però rivolta alla disputa che Lessing ingaggiò con Winckelmann nel 1766, pubblicando il proprio saggio sul Laocoonte, in cui smentiva l’idea che la rappresentazione dello strazio fisico fosse stato mitigato dagli artisti che si ispirarono ad esso per il gruppo statuario (oggi conservato nel cortile del Belvedere dei Musei Vaticani), ovvero Agesandros e i figli Athenodoros e Polydoros, per ragioni etiche e di grandezza morale. Lessing ritiene al contrario che non fosse possibile per ragioni estetiche rappresentare il brutto di un volto deformato dal dolore con la bocca spalancata. Tutto il suo discorso ruota intorno al principio di imitazione e alla dimostrabilità della supremazia della poesia sulle altre arti. Nella HKA (II, p. 514) si sottolinea che Tieck mostrò di voler approfondire lo studio su questo tema con un saggio del 1792, rimasto frammento, dal titolo Soll der Mahler seine Gegenstände lieber aus dem erzählenden oder dramatischen Dichter nehmen? (Il pittore deve trarre i propri oggetti preferibilmente dal romanziere o dal drammaturgo?); per un utile commento all’opera di Lessing cfr. M. Cometa, Presentazione di G.E. Lessing, Laocoonte, consulenza per le fonti classiche di G. Spatafora, Palermo, Aesthetica, 1991, pp. 7-19. 143 Le Ideen zu einer Mimik (Idee sulla mimica, 1785-1786) di Johann Jacob Engel (1741-1802) rappresentano uno dei trattati più importanti sull’arte drammaturgica nel XVIII secolo. Engel lavora tra psicologia dei personaggi e linguaggio del corpo e raccoglie un legato di Lessing, che nello Auszug aus dem Schauspieler des Herrn Remond de Sainte Albine

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(Estratto dall’Attore di Remond de Sainte Albine) si era riproposto di scrivere un trattato sull’eloquentia corporis. Tieck si riferisce al fatto che Engel teorizza la necessità di definire uno spazio simbolico che si produce tra i sentimenti e la ragione, promuovendo un modello dell’azione scenica in cui non è necessaria un’imitazione del visibile per creare il senso nell’azione stessa. 144 La figura di Falstaff, un cavaliere grasso e borioso, compare nelle due parti del dramma di Shakespeare King Henry IV (Enrico IV, 1597-1598)) e in The Merry Wives of Windsor (Le allegre comari di Windsor, 1599-1601?). Fu la regina Elisabetta a pretendere che il personaggio comparisse in un nuovo dramma, dopo Enrico IV, ma essendo un soggetto grottesco, i suoi comportamenti affettivi non potevano che essere da parodia. 145 Arpagone è l’avaro che ispira l’omonima opera di Molière (1668) e che monta su tutte le furie quando pensa che dal suo giardino sia stato rubato il tesoro che vi aveva sepolto. 146 Bartolo, nel Barbiere di Siviglia, scopre per caso una tresca tra la sua pupilla Rosina e il conte Almaviva e si abbandona a un attacco d’ira. 147 Poeti tedeschi, cantori d’amore, del XII e XIII secolo. 148 Tieck elenca una serie di personaggi dal carattere difficile, se non maniacale, ma il focus del discorso si concentra su Karl Philipp Moritz, che nel suo romanzo autobiografico Anton Reiser (1785-1790) mostra un carattere ipocondriaco ai limiti della sanità mentale. Wackenroder suppone una stima incondizionata di Tieck nei confronti di colui che gli era stato professore (oltre che suo) di belle arti a Berlino, mentre Tieck mostra invece di voler prendere decisa distanza da costui. 149 Georg Friedrich Händel (1685-1759), lavorò dal 1792 come compositore in Inghilterra. Gli oratori cominciarono a essere apprezzati in Inghilterra dall’inizio degli anni ’30, mantenendo colore musicale ed enfasi tipici dell’opera, ma spostando l’attenzione dalle arie soliste ai cori. 150 Tieck non sembra apprezzare molto la poesia Disperazione di Wackenroder e cerca vari argomenti per smontarne l’efficacia. 151 Andrea Fiesco uccide per sbaglio la moglie Eleonora, che si è travestita usando il mantello di Giannettino, suo rivale. 152 Tieck evoca un brano tratto da una poesia di Schiller, Die Freundschaft (L’amicizia), pubblicata per la prima volta nell’Anthologie auf das Jahr 1782. 153 Tieck si riferisce al suo rientro a Berlino nella pausa universitaria dalle lezioni, tra la fine di settembre e i primi di ottobre 1792. 154 Littlejohns suppone che Tieck potrebbe riferirsi ad un passo della sezione 14 del trattato sul sublime dello Pseudo Longino; il passo suona così: «Infatti, questi personaggi [Omero, Platone, Demostene, Tucidide, n.d.C.], venendoci davanti per effetto della nostra emulazione, solleveranno col loro splendore le nostre anime ai modelli che ci eravamo finti. Specialmente se penseremo a quello che direbbero Omero e Platone se ci sentissero recitare alla loro presenza quell’argomento»; cfr. Pseudo Longino, Il Sublime, a cura di G. Lombardo, postfazione di H. Bloom, Palermo, Aesthetica, 1987, p. 43. Cfr. HKA, II, p. 518.

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155 Walther von Châtillon (1135-1190), scrittore e teologo francese, compose il poema in esametri Alexandreis, da cui è tratta questa frase: «Chi vuole evitare Cariddi, finisce con l’incappare in Scilla». Lo stretto di Messina, pericoloso per i navigatori, divenne luogo di leggende riferite a orride presenze devastatrici ai due lati dello stretto. 156 Ardinghello und die glückseeligen Inseln (Ardinghello e le isole felici) composto nel 1785 e pubblicato 1787, è l’opera più nota di Wilhelm Heinse (1746-1803); ambientato in Italia nel XVI secolo, immagina una società libera e giusta in cui siano abolite proprietà privata e soprusi ed è un inno all’amore e alla tolleranza. In questo romanzo viene trattato per mezzo di una narrazione spigliata il tema dell’agone tra le arti, seguendo i dibattiti in voga nel tempo (ad es. Lessing versus Winckelmann). 157 Charles François Dumouriez (1739-1823) fu un generale francese dall’avventurosa carriera, segnata da continui cambi di fronte e dalla costante ricerca di vantaggi personali. Per quanto riguarda le sue velleità reazionarie, si può citare la sua disponibilità verso la Repubblica di Genova per reprimere la rivolta della Corsica, che la rifiuta, per cui sarà nel 1768 che egli aiuterà ad assicurarla alla Francia. Nel 1792, mentre guida l’armata delle Ardenne contro l’esercito del duca di Brunswick, costringe il nemico alla ritirata a Valmy, ma nel frattempo avvisa Federico Guglielmo di Prussia che il generale Custine vuole invadere i suoi territori. Nel 1792 è coinvolto nella sollevazione dei belgi contro gli austriaci, ma in seguito è lui stesso che occupa il Belgio, impedendo ai francesi di farne un loro territorio. 158 Si tratta di un caffè berlinese che si trovava nel Tiergarten e che prendeva il nome dal cacciatore di corte. 159 Les Fausses Confidences (Le false confidenze, 1737) di Pierre de Marivaux (1688-1763). Costui fu un narratore e commediografo molto attento agli intrecci amorosi e allo scandaglio psicologico dei personaggi, ma inclinò talora ad un moralismo eccessivo. Delle sue opere teatrali si ricordano in particolare l’Arlequin poli parl l’amour (Arlecchino educato all’amore, 1720), La surprise de l’amour (La sorpresa dell’amore, 1722), La double inconstance (La doppia incostanza, 1727), Le jeu de l’amour e du hazard (Il gioco dell’amore e del caso, 1730), Epreuve (La prova, 1740). Friedrich Wilhelm Gotter (1746-1797) aveva rielaborato l’opera per il teatro tedesco intitolandola Le false scoperte. Fu rappresentata a Berlino il 27 dicembre 1792. Lessing commentò l’opera di Marivaux nel resoconto del 30 giugno del 1767 della Drammaturgia d’Amburgo. 160 Le Juge (1774) di Louis-Sébastien Mercier (1740-1814) riflette gli ideali patriottici di un democratico che prenderà le distanze dai Giacobini durante la Rivoluzione Francese, essendosi già proiettato in una società utopistica con il suo romanzo filosofico di ispirazione russoviana An 2240 (L’anno 2240, 1770). Si ricorda l’importante saggio sul teatro Essai sur l’art dramatique (Saggio sull’arte drammatica, 1773). 161 Nicolas-Marie Dalayrac (1753-1809), compositore e violinista, scrive Nina ou la Folle par amour (Nina o la folle per amore) nel 1786. 162 Il titolo del dramma di Friedrich Gustav Hagemann (1760 – tra 1829 e 1835), Ludwig der Springer (Ludovico il Saltatore, 1793) prende il suo nome

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dal conte del castello della Wartburg, Ludovico il Salico (1042-1123), che secondo la leggenda, dopo aver ucciso il conte del Palatinato di Sassonia per appropriarsi delle sue terre a ovest della Saale, sarebbe stato imprigionato nella torre del castello di Giebichenstein vicino a Halle; da lì sarebbe evaso, dopo tre anni di prigionia, gettandosi nel fiume. La rappresentazione ebbe luogo il 9 gennaio del 1793 a Berlino. Cfr. anche supra, p. 817. 163 Si suppone che Wackenroder intenda che l’attore Samuel Georg Herdt si trovò a proprio agio nel ruolo del protagonista. 164 Il compositore Vincenzo Righini (1756-1812) fu attivo a Magonza tra il 1788 e il 1793 alla corte del principe elettore. Fu eccellente tenore e maestro di canto. Sue sono tra l’altro le opere La vedova scaltra (1774), La bottega del caffè (1755) e Il convitato di pietra (1766), una delle prime opere sul tema di Don Giovanni. 165 Si tratta del Nachspiel di Bernhardi a Julius von Tarent. Cfr. supra, p. 884, nota 111. 166 Johann Gottfried Lukas Hagemeister (1762-1806), attore, pubblicista e poeta, animò con i suoi commenti letterari l’Archiv der Zeit und ihres Geschmacks e scrisse alcuni drammi, tra cui Das große Loos (Il grande destino) e Johann von Procida (Giovanni da Procida), che furono rappresentati al Königliches Nationaltheater di Berlino nel 1791. Tradusse anche l’Otello di Shakespeare. 167 Nel testo tedesco si trova l’espressione «oft fürs Auspochen bange gewesen», che fa riferimento al battere le nocche da parte del pubblico quando lo spettacolo o la musica non erano graditi. 168 Insieme con la Verkehrte Welt (Il mondo alla rovescia, 1798) lo Abdallah (pubblicato nel 1795), che è un romanzo dell’orrore, fu concepito con la consulenza di Bernhardi. Questo romanzo oscilla tra il desiderio di dare ampio spazio al meraviglioso e il ritegno nei confronti del dettato della ragione, che controlla gli eccessi della fantasia. L’opera è stata probabilmente ispirata dai climi tenebrosi dei Masnadieri di Schiller, ma deve il modello del protagonista al Riccardo II di Shakespeare, che viene spesso evocato nell’opera. Tuttavia l’azione si svolge, come suggerisce il titolo, in Oriente, e precisamente nel Paese dei Tartari, anche se Andrea Polaschegg ha osservato che il gusto è ancora quello della tragedia barocca, con le sue quinte di cartapesta e con motivi scontati per quanto riguarda la tipologia dei personaggi; cfr. A. Polaschegg, “Orientalismus”, in Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung cit., pp. 264-267. 169 Come osserva Littlejohns, Das Märchen vom Roßtrapp. Der Gesang eines Minnesängers (La fiaba dell‘“orma del destriero“. Canto di un Minnesänger) è un epos in versi che Tieck aveva mandato a Berlino a Rambach tra la fine del 1792 e l’inizio del 1793. L’opera non fu pubblicata, ma è disponibile nel lascito dello scrittore; cfr. HKA, II, 524. 170 Die Unruhige Nacht (La notte inquieta) è uno Singspiel in tre atti che fu rielaborato da Johann Baptist Lasser (1751-1805) su un testo di Carlo Goldoni intitolato La notte critica (1766). 171 Johann Theophil Heidemann era membro del Seminar für Gelehrte Schulen di Berlino.

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172 Johann Friedrich Zöllner (1753-1804), pastore protestante e preposto al concistoro della Nikolaikirche di Berlino, fu colui il quale scatenò in Kant la nota reazione alla domanda provocatoria “Was ist Aufklärung?” (Cos’è l’Illuminismo?). Era amico del padre di Wackenroder. 173 Daniel Jenisch (1762-1804), teologo luterano, che dopo essere stato semplice predicatore, divenne diacono presso la Nickolaikirche dal 1792; scrisse vari lavori filologici, storici e filosofici. Compose un epos in versi, Borussia (1794), che venne dileggiato da Goethe negli Xenien, i famosi distici composti con Schiller per il «Musenalmanach auf das Jahr 1793». Scrisse per il Teutscher Merkur e per il Magazin für Erfahrungsseelenkunde di Moritz. 174 Cfr. supra, p. 885, nota 122. 175 Veit Weber (pseud. di Leonhard Wächter, 1762-1837) fu un interessante esponente della Trivialliteratur (letteratura di intrattenimento), con predilezione per il romanzo storico di ambientazione medioevale. Dal 1783 al 1786 studiò teologia, letteratura e storia a Gottinga, dove si legò al poeta August Bürger e divenne membro del Göttinger Hain. Nel 1792 combatté in Francia con i girondisti, al seguito del generale Dumouriez, ma fu ferito a Jemappes. Quando si trovò ad Amburgo nel 1813, difese la città con la Lega anseatica contro i francesi invasori. 176 Littlejohns ipotizza che si tratti di Wilhelm August Schmiedeke, referendario camerale del principato del Brandenburgo; HKA, II, p. 526. 177 Probabilmente Wackenroder pensa al personaggio del noto romanzo di formazione di Christoph Martin Wieland (1733-1813) Die Geschichte des Agathon (La storia di Agatone, 1766 e 1767, 2 voll., poi rielaborato nel 1773 e nel 1794). Quello di Agathon non è solo un percorso iniziatico affrontato sulla via di una maturazione nella saggezza, ma anche nell’amore. L’ambientazione è riferita al periodo tra il V secolo e il IV sec. e Agathon ha come mentori prima il sofista Ippia, da cui rimane deluso, e poi il maestro Archita, a Taranto, che gli ridarà fiducia nel genere umano. 178 Schiller aveva pubblicato la sua Anthologie auf das Jahr 1782, che finse di aver affidato alla stampa in una località siberiana di nome Tobolsko. La ragione di tale scelta era forse dovuta all’intenzione di Schiller di rianimare lo statico panorama poetico del suo tempo. 179 Ladislao Mittner ha definito efficacemente questo dramma di Goethe del 1775, ispirato alla biografia di Friedrich Jacobi, come “sororale”, perché un uomo ama due donne e queste, proprio per amore verso di lui, sono buone amiche. Nell’edizione dell’opera del 1805, invece, questo rapporto a tre ha un esito tragico; cfr. L. Mittner, Storia della letteratura tedesca. Dal Pietismo al Romanticismo (1700-1820), Torino, Einaudi, 1964, p. 373. 180 Quello che lo stesso Tieck chiamò il suo “Oreste tedesco” assunse il nome di Karl von Berneck. La stesura di questo dramma in cinque atti, connotato da ambientazioni di gusto gotico e ricco di apparizioni spettrali, fu iniziata da Tieck nel 1793 e l’autore la rimaneggiò a lungo, fino a pubblicarla nel 1797 tra i suoi Volksmärchen (Fiabe popolari). 181 Si tratta di nuovo di un riferimento alla seconda ode romana di Orazio; cfr. supra, p. 883, nota 102.

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182 Erwin und Elmire è, nella sua prima redazione, uno Schauspiel mit Gesang (1773-1775) mentre nella seconda un Singspiel (1787). Goethe si ispirò all’episodio di Edwin ed Angelica nel Vicar of Wakefield (Il vicario di Wakefield, 1766) dello scrittore anglo-irlandese Oliver Goldsmith (1730-1774). Reichardt musicò completamente il testo e certo avrebbe voluto sfruttarne l’ottima qualità facendolo rappresentare a teatro, ma trovò una certa freddezza in Goethe, che si allontanò vieppiù da Reichardt per divergenze ideologiche legate al mai sopito entusiasmo di questi per la Rivoluzione francese. 183 Friedrich Gilly (1772-1800) fu un celebre architetto a Berlino che ebbe come maestri Carl Gotthard Langhans (autore della Porta di Brandeburgo) e Johann Gottfried Schadow. A sua volta formò Karl Friedrich Schinkel, che poi proseguì il proprio lavoro a Berlino, e Leo von Klenze, che lavorò a Monaco di Baviera. Nel 1797 presentò un progetto faraonico per il monumento a Federico il Grande e poi per il Teatro Nazionale di Berlino; nessuno dei due fu realizzato. Fu creatore del teatro di Königsberg nel 1799, mentre a Berlino costruì soprattutto ville e palazzi. 184 Cfr. supra, p. 880, nota 75. 185 Per Johann Dominicus Fiorillo e il suo ruolo fondamentale come storico dell’arte per la formazione di Wackenroder e Tieck cfr. supra, p. 78. 186 Luigi XVI di Francia fu ghigliottinato il 21 gennaio del 1793. 187 Il racconto Abdallah è suddiviso in tre atti divisi ciascuno in dieci scene. 188 Omar interviene nelle riflessioni di Abdallah su come conquistare la figlia del tiranno Ali, consigliandolo di uccidere il proprio padre, che sta ordendo una trama contro il tiranno per rovesciarne il potere. Omar ha infatti stretto un patto luciferino con Modal, ma posto sotto ricatto, deve rispondere, pena la prospettiva di essere torturato, con l’impegno di costringere un giovinetto al parricidio. Per questo Abdallah finisce a sua volta preda di una trama di cui non è in grado di controllare le dinamiche. Alla fine uccide il padre, ma costui, nell’ultima parte del racconto, gli compare da morto e lo sopprime. 189 Johann Georg Franz Xaver Sauer (1758-1826) fu attivo come padre spirituale cattolico a Erlangen, ma venne poi chiamato a insegnare esegesi biblica all’università di Bamberga, nonché a svolgere la funzione di predicatore presso il duomo di Bamberga. Wackenroder aveva avuto l’incarico di trasmettere un pacchetto per lui da parte del giurista Glück e, approfittando della cortesia di Sauer, si era fatto accompagnare in una visita delle chiese e dei monasteri della città di Bamberga. Sauer era un fautore del pensiero illuminista. 190 Sophie Tieck, di cui Littlejohns ricostruisce il profilo personale e professionale (HKA II, pp. 464-465), era diventata molto suscettibile a causa della riluttanza del fratello nel mandarle notizie; a questo problema aveva cercato di rimediare Wackenroder, facendosi costante latore di novità sulla salute e sulle attività dell’amico, e consegnandole ogni volta le missive che arrivavano di suo pugno. Con lei lesse a Berlino le opere che Tieck gli sottoponeva. Il malumore di Sophie si acuisce in particolare a partire dal settembre 1793, quando Ludwig comunica di non avere l’intenzione di rientrare a casa durante il periodo delle ferie universitarie. 191 Cfr. supra, p. 12 e segg.

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IL CARTEGGIO TRA WACKENRODER E TIECK

192 Martin Ernst von Schlieffen (1732-1825), generale, politico, scrittore, fece probabilmente la conoscenza di Koch alla Akademie der Wissenschaften di Berlino, di cui divenne socio onorario, così come lo fu di quella di Monaco. Servì prima l’armata prussiana arruolandosi nel reggimento a Berlino dal 1745 al 1755. Successivamente, passò al servizio dell’Assia nel 1757 e divenne generale. La sua carriera culminò con un rientro in servizio per il re Federico Guglielmo II, diventando governatore e ottenendo alte onorificenze. Si ritirò nel 1792 nel castello di Windhausen. 193 Jans der Enikel (1230/1240- dopo 1302) fu un patrizio austriaco dedito all’attività di poeta e di cronista. Scrisse la Weltchronik, una storia del mondo in circa 30.000 versi in medio alto-tedesco in distici rimati. Si pensa che sia stata iniziata al più tardi nel 1272. Si servì di materiale antico-testamentario, dell’epos classico e giunse alla storia medioevale approdando alla morte dell’imperatore Federico II nel 1250. Compose anche un Fürstenbuch (Libro dei prìncipi), iniziato probabilmente nel periodo tra il 1280 e il 1290. Anche questo testo è in distici rimati e consta di 4000 versi. 194 Nahum Tate (1652-1715) fu poeta e drammaturgo irlandese. Sono note le sue rielaborazioni di opere shakespeariane come Riccardo II, Re Lear e Coriolano. Fu incline ad alterare i titoli delle opere e i nomi dei protagonisti. 195 La Gesellschaft der Deutschen Sprach- und Literatur-Forscher zu Berlin (Società berlinese per gli studiosi di lingua e letteratura tedesca) fu fondata da Erduin Julius Koch nel 1788. Koch diede pubblico annuncio di questa iniziativa nel 1793, nel suo lavoro dal titolo Ueber Deutsche Sprache und Literatur. Ein Aufruf an sein Vaterland (Sulla lingua e sulla letteratura tedesca. Un appello alla propria patria), in cui indicò peraltro i requisiti scientifici per appartenervi e si invitò tutti gli studiosi a incrementare i volumi della biblioteca con delle donazioni. Cfr. A. Gillies, “Wackenroder’s Apprenticeship to Literature. His teachers and their influence”, in German Studies. Presented to Professor H.G. Fiedler, Oxford, Clarendon Press, 1938, p. 188 e segg.; P. Raabe, “Erduin Julius Koch Pläne zur Erforschung der deutschen Sprache und Literatur”, in Studien zur deutschen Literatur. Festschrift für Adolf Beck zum siebzigsten Geburtstag, hg. von U. Fülleborn und J. Krogoll, Heidelberg, Winter, 1979, pp. 142-157. 196 Si intende qui il Compendium der Deutschen Literatur-Geschichte von den ältesten Zeiten bis auf das Jahr 1781 (1790), di cui Kock pubblicò in seguito una edizione corretta nel 1795. Un secondo volume uscì nel 1798. 197 Carl Friedrich Flögel (1729-1788), storico della letteratura e della cultura, fu noto per la sua Geschichte der komischen Litteratur (1784-87) in quattro volumi. 198 La tragedia Der sterbende Cato (Il Catone morente, 1732) di Johann Christoph Gottsched (1700-1766) fu di per sé un successo, perché ne furono pubblicate dieci edizioni fino al 1757. Il testo, in alessandrini e ligio alle tre unità di spazio, luogo e tempo, non fu biasimato dallo svizzero Johann Jakob Bodmer (1698-1783), di cui si cita qui una parodia dal titolo Gottsched oder der parodierte Cato (1765), per i criteri formali, quanto per la rigida morale dello stoicismo repubblicano che vi viene propugnata. Bodmer scrisse anche

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un saggio sull’argomento dal titolo Sinnliche Erzehlung von der mechanischen Verfertigung des Original-Stückes von Cato (cfr. Id., Sammlung Critischer, Poetischer, und andrer geistvoller Schriften, Zürich, 1741-1744, Bd. VIII, pp. 8096). Anche Lessing osservò nella epistola letteraria n. 17 del 16 febbraio 1759 che Gottsched aveva composto il suo Catone con colla e forbici. 199 Benjamin Ephraim Krüger (1724-1789) era fisico a Danzica e aveva composto alcuni drammi ispirandosi a Gottsched. 200 Friedrich Melchior Grimm (1723-1807) è uno dei personaggi più dileggiati nella parodia, perché compose una tragedia, Banise (1743), con lo stesso gusto drammaturgico di Gottsched. 201 Carl Friedrich Reibehand lasciò la propria attività di sarto nel 1730 e si mise a girare per la Germania con una compagnia scalcinata fatta di attori dilettanti, marionettisti e saltimbanchi. Il testo di Gottsched fu rappresentato ad Amburgo tra il 1753 e il 1754 le cronache dicono che fu seguito da una farsa dal titolo Il doppio Arlecchino: cfr. F. Winter, “Carl Friedrich Reibehand und Gottsched”, in Vierteljahresschrift für Litteraturgeschichte, 2, 1889, pp. 264-271. 202 Il titolo dell‘antologia era Hanns Sachsens sehr herrliche, schöne und wahrhafte Gedicht, Fabeln und gute Schwenck. In einem Auszuge aus dem ersten Buch, mit beygefügten Worterklärungen von J.H.H. (Le splendide, belle e veritiere poesie e favole e buone facezie di Hans Sachs, raccolte come estratto dal primo libro e accompagnate da spiegazioni lessicali, Nürnberg 1781). L’autore era Johann Heinrich Häßlein (1737-1796), un linguista al quale Wackenroder aveva fatto visita il 23 giugno e il 27 settembre a Norimberga. 203 Il Theuerdank è un importante poema allegorico del 1517 in cui si racconta la vita dell’imperatore Massimiliano I. Suddiviso in 118 capitoli, accompagnati ciascuno da un’incisione, segue le regole dell’epos di corte di gusto cavalleresco, in cui il protagonista deve superare molti perigli per poter raggiungere l’amata. 204 Come il ben più noto Albrecht Dürer, Hans Schäufelein (ca. 1480-circa 1540) fu incisore a Norimberga e suo allievo. 205 Si tratta della Sam(m)lung deutscher Gedichte aus dem XII, XIII und XIV Jahrhundert (Raccolta di poesie tedesche del XII, XIII e XIV secolo) intrapresa dallo zurighese Christoph Heinrich Myller (1740-1807), già allievo di Bodmer. Tale raccolta fu pubblicata in tre volumi a Berlino tra il 1784 e il 1787. 206 Il poemetto Das Glückhafft Schiff von Zürich (La nave avventurosa di Zurigo) fu pubblicato nel 1576 da Johann Fischart (1545/1550-1589/1590), uno dei più originali scrittori della letteratura primo alto-tedesca moderna. Fischart fu prima luterano e poi calvinista e si scagliò contro i gesuiti, gli ordini minori e il papismo. Scrisse numerose opere a carattere satirico e rifece anche il primo libro del Gargantua e Pantagruel di Rabelais, non mutando il testo, ma interpolando con commenti salaci l’originale; J. Fischart, La nave avventurosa di Zurigo, trad. it. di A. Baragiola, Padova 1884. 207 Il Thesaurus bio - et bibliographicus. Praefatus est Johann Georg Meusel (1792) e il Neues Repertorium von seltenen Büchern und Schriften. Nürnberg

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(1795-1797) sono solo due dei molti lavori pubblicati da Georg Ernst Waldau (1745-1817), teologo evangelico e storico della Chiesa. Il glossario cui fa cenno Wackenroder è il contributo sul XVI secolo che Waldau diede al volume curato da Koch con il titolo Für deutsche Sprache, Litteratur und Cultur-Geschichte; esso uscì nel 1794 al posto del periodico trimestrale che lo stesso Koch avrebbe voluto pubblicare dopo la fondazione della Deutsche Gesellschaft. 208 Johann Friedrich August Kinderling (1743-1807) fu predicatore e lavorò come linguista a opere di notevole valore come la Geschichte der niedersächsischen oder sogenannten plattdeustchen Sprache (Storia della lingua della Bassa Sassonia detta altresì del Basso Tedesco, 1800). Fece parte probabilmente della società degli studiosi fondata da Koch e recensì nel 1792 il primo volume del suo Compendium. Non risultano tuttavia notizie relative al frammento dello Heldenbuch di cui si parla. 209 Uhde fu referendario camerale e avrebbe dovuto collaborare con Koch alla nuova edizione del Compendium del 1798, che si sarebbe chiamato Grundriß einer Geschichte der deutschen Sprache und Literatur des Deutschen bis auf Lessing Tod (Elementi di una storia della lingua e della letteratura dei tedeschi fino alla morte di Lessing). 210 Rosenblüt, detto anche “der Schnepperer” (Il chiacchierone) girò per le corti come poeta araldico tra il 1431 e il 1460 e fu attivo a Norimberga. Cantò la vittoria dei cittadini di Norimberga a Hempach (1450) su Albrecht Achilles von Brandenburg. Compose farse e facezie. 211 Si tratta della sfida, avvenuta alla Wartburg, tra Heinrich von Ofterdingen (cui Novalis si ispirò per il suo omonimo romanzo) e Walther von der Vogelweide, cantata in un componimento in medio alto tedesco risalente alla seconda metà del XIII secolo. 212 Roswitha di Gandersheim (935-974) è stata la prima poetessa tedesca; ha composto le sue opere in latino. Scrisse sette poemetti agiografici e sei dialoghi drammatici, ma è nota soprattutto per il suo Gesta Othonis (962-968), una narrazione in 1517 esametri leonini riguardante la vita dell’imperatore Ottone I di Sassonia. 213 Il Codice Manessiano è un codice miniato che fu realizzato a Zurigo tra il 1304 e il 1340 e che prende il nome dalla famiglia dei committenti. 214 Johann Christoph Wagenseil (1633-1705) fu un ebraista cristiano; insegnò storia e lingue orientali ad Altdorf e concluse la propria carriera come professore di diritto ecclesiastico. Scrisse tra l’altro il menzionato De Civitate Noribergensi commentatio, accedit de Germaniae phonascorum, von der Meistersinger origine, praestantia, utililitate et institutis sermone vernaculo liber (1697). 215 Konrad von Würzburg, poeta epico, visse all’incirca tra il 1220 e il 1287. Frauenlob, il cui vero nome era Heinrich von Meißen (circa 1250-1318) fu un maestro cantore e direttore della corale di Magonza. 216 Francis Beaumont (1584-1616) e John Fletcher (1579-1625) sono ricordati sempre insieme perché composero in comune molte opere drammaturgiche sotto il regno di Giacomo I d’Inghilterra. La critica ritiene ora essere

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The Sea-Voyage (Il viaggio per mare, 1622) un’opera scritta a quattro mani da John Fletcher e Philip Massinger (1583-1540). 217 L’elaborazione della Tempesta shakespeariana da parte di John Dryden (1631-1700), che si avvalse dell’aiuto di William Davenant (1606-1668) risale al 1670. 218 Benjamin Jonson (1572-1637) è noto per aver fatto rappresentare dalla Compagnia di Shakespeare con grande successo, nel 1598, la sua commedia Every Man out of his Humour (Ognuno nel suo umore) e per aver curato ancora in vita la pubblicazione delle sue opere (1616). Volpone è una commedia del 1605 (trad. it., Volpone, a cura di F. Marenco, Venezia, Marsilio, 2003). Nel 1793 Tieck realizzò una rielaborazione del testo e pubblicò l’opera nel 1797 con il titolo Ein Schurke über den andern oder die Fuchsprelle (Un furfante sopra l’altro ovvero la trappola del volpone). 219 Philipp Massinger (1583-1640) sostituì forse John Fletcher al fianco di Francis Beaumont quando costui si ritirò dal lavoro di drammaturgo. La loro collaborazione dovrebbe essere durata dal 1613 al 1625 e insieme si pensa che abbiano realizzato circa 20 opere. La più famosa di Massinger è A New Way to Pay Old Debts (Un modo nuovo per pagare vecchi debiti, 1622). 220 Wackenroder si riferisce all’opera in tre volumi di Thomas Hawkins (1729-1772), The Origin of English Drama, illustrated in its various species by specimens from our earliest writers (L’origine del drama inglese illustrato nelle sue diverse tipologie sulla base di esempi relativi ai nostri primi poeti (Oxford, 1773). 221 Robert Dodsley (1703-1764), scrittore e drammaturgo, svolse varie attività culturali a Londra e collaborò con Samuel Johnson (1709-1784), specialista dell’opera shakespeariana, per il dizionario della lingua inglese (1755). Nel 1744 Dodsley pubblicò una Selection of Old Plays (Selezione di drammi antichi). 222 Cfr. supra, nota 218. 223 Littlejohns suppone che si tratti di Gotthelf Wilhelm Becker (17591823), che si dedicò a scritti storici e a romanzi cavallereschi e fu attivo e Lipsia e Dresda; cfr. HKA, II, p. 543. 224 Raphael Holinshed (1529-1580), scrittore inglese, divenne celebre per le sue Chronicles of Englande, Scotlande, and Irelande (Croniche di Inghilterra, Scozia e Irlanda, 1577 o 1578). 225 Georg Wolfgang Franz Panzer (1729-1805) pubblicò gli Annalen der älteren deutschen Literatur oder Anzeige und Beschreibung derjenigen Bücher, welche von Erfindung der Buchdruckerkunst bis MDXX in deutscher Sprache gedruckt worden sind (Annali della letteratura antico tedesca ovvero Segnalazione e descrizione di quei libri che sono stati stampati in tedesco dalla scoperta dell’arte della stampa al 1520, Norimberga 1788). 226 Wackenroder si convinse di aver scoperto un’edizione dello Heldenbuch precedente a quella indicata come prima da Panzer, ovvero quella del 1509, ma non aveva letto correttamente il frontespizio. 227 Johann Friedrich Gottlieb Unger (1753-1804) fu stampatore, tipografo e incisore. Dal 1788 fu nominato libraio accademico a Berlino e stampò anche

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IL CARTEGGIO TRA WACKENRODER E TIECK

molte opere commissionate dalla Akademie der Wissenschaften. Fu lui a stampare la traduzione di Tieck del Don Chisciotte 1799-1801). 228 Si tratta degli epigrammi satirici del gallese John Owen (1560-1622), che li pubblicò in dodici volumi in latino nel 1606-1612. Wackenroder si riferisce all’edizone in tedesco di Bernhard Nicaeus (1590-1666) che era pastore a Tergast. 229 Nel 1618-1619 apparve la prima edizione di odi e sonetti e nel 1641 un volume dei Geistliche und weltliche Gedichte (Poesie spirituali e mondane) di Georg Rodolf Weckherlin (1584-1653), lirico tedesco del tardo Rinascimento barocco. 230 Johann Lauremberg (1590-1658) ) si addottorò in medicina a Parigi, ma insegnò successivamente poesia dal 1618 al 1623 nella città natale di Rostock. Concluse la carriera come professore di matematica alla Ritterakademie di Søro, in Danimarca. Wackenroder ne cita i Veer Scherzgedichte (Quattro poesie satiriche) pubblicate nel 1653 in basso tedesco. 231 Cfr. supra, p. 845. 232 Littlejohns riferisce che Tieck si aggiudicò un’edizione in-folio delle opere di Ben Jonson del 1692, perché questo esemplare pervenne, in seguito allo scioglimento della biblioteca, alla British Library, con questa annotazione per mano di Tieck: «Posseggo già questa edizione di B.J. dall’autunno del 1793»; cfr. HKA, II, p. 547. 233 Carl Bernhard Wessely (1768-1826) fu compositore, direttore d’orchestra e maestro di cappella. Compose opere liriche e musica di accompagnamento per balletti e per drammi. Proveniente da una famiglia ebrea, fu legato a Mendelssohn, a Lessing e a Ramler e dal 1794 frequentò assiduamente a Berlino Ludwig Tieck e i suoi fratelli.

RESOCONTI DI VIAGGIO DI WACKENRODER E DI TIECK

Introduzione di FEDERICA LA MANNA Traduzione di ANDREA BENEDETTI Note di ANDREA BENEDETTI e FEDERICA LA MANNA

FEDERICA LA MANNA

I resoconti di viaggio di Wackenroder e di Tieck

I resoconti di viaggio redatti da Wackenroder consistono prevalentemente in lettere indirizzate ai genitori, in particolare al padre, nelle quali racconta esperienze e gite fatte durante il periodo del semestre estivo a Erlangen. Dopo aver terminato gli studi superiori al ginnasio Friedrich Werder di Berlino, mentre Ludwig Tieck si iscriveva prima a Halle e poi a Gottinga, Wackenroder, per volere del padre, utilizzò questi primi mesi per una formazione privata a Berlino. Il 2 maggio 1793 si iscrisse all’università di Erlangen,1 per frequentare lì il semestre estivo presso la facoltà di giurisprudenza, mentre Tieck si iscriveva a teologia. Questo semestre di studio diventa anche un’occasione di ricerca culturale e di sviluppo dei propri interessi e delle proprie inclinazioni; infatti i resoconti di Wackenroder costituiscono la prima esperienza di scoperta del viaggio romantico e del paesaggio.2 L’aggettivo “ro1 La Friedrich-Universität di Erlangen era stata fondata nel 1743 dal margravio Friedrich di Brandenburg-Bayreuth (1711-1763); nel 1791 l’ultimo margravio, Christian Friedrich Karl Alexander di Brandenburg-Ansbach (1736-1806), sottoscrisse un contratto con Federico Guglielmo II e, a fronte di un vitalizio, gli cedette i propri territori, che vennero quindi annessi alla Prussia, decidendo di ritirarsi a vita privata in Inghilterra insieme a lady Elisabeth Craven. Per giovani studenti berlinesi frequentare l’università di Erlangen, che alla data del 1793, a differenza delle università di Halle e di Gottinga, non poteva contare su grosse personalità di ambito scientifico e umanistico, era quasi «dovere patriottico o politico», come sostiene Kröll (cfr. J. Kröll, “Ludwig Tieck und Wilhelm Heinrich Wackenroder in Franken”, in Archiv für Geschichte von Oberfranken, 41, 1961, pp. 345-377, qui p. 346). La frequentazione della piccola università, il cui numero di iscritti si aggirava fra i 200 e i 300, era però anche un’occasione per poter conoscere realtà differenti, necessarie nel percorso di formazione dei giovani, ma anche per vedere una delle zone più incantevoli del territorio prussiano. 2 Wackenroder, con Tieck, ma anche solo, compì nel semestre a Erlangen cinque brevi gite nella zona francone. Il primo viaggio, fra il 17 e il 28 maggio, detto “viaggio di Pentecoste”, condusse i due amici nei territori da Erlangen fino alle rovine di Neideck, per giungere poi al castello di Sanspareil e a Bayreuth; da qui, i due si spostarono fino ai territori della Boemia e affrontarono il percorso attraverso le montagne del Fichtelgebirge. La seconda gita portò Wackenroder soltanto a Norimberga e la terza a Bamberga. Il quarto viaggio, realizzato fra il 12 e il 21 agosto, condusse gli amici prima a Norimberga, poi a Berneck e Zwernitz per giungere ai conventi di Banz e Langheim; rientrando verso Erlangen, ci fu certamente una delle visite al museo di Pommersfelden. L’ultimo viaggio intrapreso quell’estate durò solo pochi giorni, fra il 25 e il 27 settembre, e l’occasione era stata data dall’invito

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mantico” è uno dei termini utilizzati con maggiore frequenza sia nelle lettere di Wackenroder che in quelle di Tieck. Spesso compare in uno degli usi che si stavano imponendo in ambito tedesco, cioè quello paesaggistico. Il lessicografo tedesco Johann Christoph Adelung, nella seconda metà del Settecento, aveva riconosciuto l’uso del termine come riferibile a zone incantevoli, come quelle descritte nei romanzi e nei racconti cavallereschi.3 Ma il termine comprendeva anche due accezioni ulteriori; la prima si rivolge, in ambito letterario, a tutto ciò che si differenzia dalla realtà prosaica, in un’ineludibile tensione alla sorpresa e alla meraviglia. La seconda, come risulta in particolare dagli scritti di Wieland, si collega al Medioevo e a una concezione poetica e religiosa in netta contrapposizione al gusto classico dell’antichità.4 Come dalla variazione semantica che il termine stava assumendo in questi anni, anche il viaggio di Wackenroder e Tieck è caratterizzato dalla medesima commistione di meraviglia e di sorpresa, di attenzione verso il paesaggio, ma ancor più verso un ambiente completamente nuovo, non soltanto nei suoi aspetti esteriori; questa riguarda l’architettura e l’arte più in generale, ma anche le sollecitazioni offerte dalla popolazione, osservata sia nei momenti più intimistici del culto, sia nell’operosità artigianale, nei volti e nelle differenti attitudini. I viaggi compiuti in Franconia sono per lo più brevi, di pochi giorni. La rinnovata percezione ottica si dispiega già dalle prime pagine nell’osservazione della natura, affascinante e inconsueta, che Wackenroder incontra ad esempio nel primo viaggio di Pentecoste intrapreso con Tieck. Anche se Wackenroder scrive inizialmente al padre di aver noleggiato una carrozza con vetturino, il viaggio si svolge a cavallo.5 Vedono Streitberg, rovine e paesaggi fra i più incantevoli, i castelli del margraviato e Bayreuth. La natura che colpisce l’osservatore non ricevuto dal suo compagno von Wechmar a una festa in onore del compleanno del re ad Ansbach. La visita ad Ansbach fu anche l’occasione per conoscere Johann Peter Uz, poeta anacreontico molto amato da Wackenroder, ma che oramai aveva abbandonato la scrittura per diventare direttore del foro rurale di Norimberga. 3 Cfr. J.C. Adelung, Versuch eines vollständigen grammatisch-kritischen Wörterbuches der Hochdeutschen Mundart, Leipzig, Breitkopf und Sohn, 1774-1786, qui III, 1777, p. 1476. 4 Continua a essere di valore fondamentale, per una valutazione semantica e diacronica del termine, l’indicazione fornita nel Deutsches Wörterbuch dei Grimm, che attribuisce a “romantico” proprio queste tre variazioni di significato. 5 Solo nella lettera del 25 giugno confesserà al padre di aver intrapreso il viaggio a cavallo, un fatto taciuto in precedenza per evitare che i genitori si allarmassero inutilmente.

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è, pur nella sua regolata bellezza, quella dei parchi delle residenze di Sanspareil e di Fantaisie, percepiti come incantevoli e raffinati, ma alla lunga tediosi;6 è invece quella che si manifesta in immagini e in suoni, quella percepita nello strano rumore provocato dalle gocce d’acqua all’interno della grotta di Rosenmüller e donatagli dalla sensazione della potenza del ruscello alla fonte del Meno bianco. L’attenzione di Wackenroder viene catturata dal meraviglioso paesaggio che si dispiega lungo il percorso: dai prati irrigati attraverso le norie, grandi ruote che producono anche un rumore costante e monotono, simile alla ruota presente nella fiaba del santo nudo, dal panorama osservato attraverso una delle finestrelle della rocca di Neideck che assomiglia a un quadro, dalle gole incastonate fra montagne nere e tetre poco prima di Berneck. Wackenroder prega i genitori, già dalla prima lettera, di seguire il suo percorso sulla carta geografica a colori del 1782 realizzata da Güßfeld. Dichiara subito anche di aver letto con attenzione sia il diario di viaggio del pastore protestante Johann Michael Füssel,7 sia le relazioni sullo Harz e sulle miniere di Christoph Wilhelm Jakob Gatterer, noto studioso di scienze forestali, evidenziando un’acribica organizzazione nella preparazione del viaggio. Fra la letteratura consultata da Wackenroder un posto privilegiato è costituito dalle opere di Friedrich Nicolai,8 che vengono più volte menzionate e che addirittura potrebbero essere state prese a modello anche nella scelta delle cose da vedere e visitare e delle persone da conoscere.9 Il viaggio di Nicolai è esempio tipico di esperienza odeporica di tipo tardo-illuministico, che comprende l’inclinazione all’indagine e alla documentazione, dagli usi e costumi delle popolazioni incontrate, passando per le ricerche mineralogiche per arrivare alle indagini architettoniche e culturali. È proprio l’impianto del resoconto di Nicolai che Wackenroder prende 6

Cfr. ad es. infra, p. 937. Füssel aveva redatto un’ampia relazione sui territori della Franconia, cfr. J.M. Füssel, Unser Tagebuch oder Erfahrungen und Bemerkungen eines Hofmeisters und seiner Zöglinge auf einer Reise durch einen großen Theil des Fränkischen Kreises nach Carlsbad und durch Bayern und Passau nach Linz, 3 Theile, Erlangen, Johann Jakob Palm, 1787-1791. 8 Fr. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre 1781, nebst Bemerkungen über Gelehrsamkeit, Industrie, Religion und Sitten, 12 Bde, Berlin und Stettin, 1783-96. 9 Come ad esempio per quanto riguarda la visita a Johann Heinrich Häßlein, cfr. infra, p. 981, o quella al coniatore di medaglie Johann Christian Reich, cfr. infra, p. 1067, visite che ricalcano quelle fatte da Nicolai durante il suo viaggio e che spesso ripropongono anche lo stesso atteggiamento intellettuale. 7

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a prestito scrivendo lettere ai genitori nelle quali concede solo a tratti spazio a emozioni personali, preferendo affidarsi a un elenco di cose viste e di notizie forse perché, come suggeriscono anche alcuni commentatori,10 servono a rassicurare i genitori sull’utilità del percorso di studi a Erlangen e sulla scelta di visitare la Franconia. Molti dettagli, come l’elenco delle pietre e dei fossili visti nelle grotte e nelle miniere, sono pagine dedicate quasi esclusivamente al padre, amante delle collezioni di minerali, così come le notizie sulla cucina e sui cibi sono specificamente destinate alla madre. Ma queste lettere, così zeppe di informazioni e di notizie, evidenziano di quando in quando osservazioni più personali, non dettate dai gusti familiari e neppure dai modelli utilizzati. Nel primo resoconto, ad esempio, Wackenroder dedica molte pagine alla struttura delle miniere, all’organizzazione del lavoro, addirittura al salario degli operai, elencando in modo minuzioso ogni dettaglio concreto della struttura e della vita mineraria. Proprio all’interno di questo rigoroso elenco emergono dettagli inattesi che esplicitano le sensazioni provate,11 i rumori percepiti,12 oppure i ricordi che questi strani luoghi sembrano evocare.13 Wackenroder lamenta il fatto di non riuscire a esprimere a parole nessuna delle immagini che l’occhio riesce a cogliere e che lo colpiscono14 ed è convinto che ogni vana chiacchiera debba lasciare spazio a un racconto più fattuale.

10 Cfr. H. Höhn, Einführung zu den Reisebriefen, Berlin, Schneider, 1938, pp. 12-13 e Vietta e Littlejohns, Reiseberichte, in HKA II, p. 550. 11 Cfr. infra, p. 949: «Mi sembrava quasi come se dovessi esser accolto in una qualche società segreta, in un’associazione misteriosa, o condotto davanti a un tribunale segreto». 12 Ibid.: «Fa davvero una strana impressione quando, in lontananza, si sente il martellare sordo di un operaio e poi, via via avvicinandosi, lo si sente mentre saluta con un “Buona fortuna!” (Glück auf!) nel suo strano linguaggio da minatore». 13 Ibid.: «Mi ricordai di aver talvolta visto in sogno, durante la mia infanzia, simili gallerie, lunghe, strette e buie, e di aver scorto in fondo un minatore che, come un delinquente esiliato dal mondo, estrae dalle pietre, a forza di colpi di maglio, i tesori nascosti della natura facendosi luce». 14 Ibid. p. 931: «Non riesco assolutamente a trasmettere alla vostra immaginazione l’altezza di quella montagna, la larghezza di questo corso d’acqua, la molteplicità di forme e colori che costituiscono le parti dell’albero; la misura e il numero forniscono i concetti, non le rappresentazioni sensibili, e molte sono le cose che non sono neppur in grado di esprimere con la misura e il numero».

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I resoconti di viaggio di Wackenroder I resoconti di viaggio di Wackenroder, insieme a quelli di Tieck e soprattutto al carteggio fra i due amici, costituiscono uno dei documenti più importanti per conoscere l’origine della Frühromantik tedesca. Vi si scoprono tematiche e simboli che rivelano il passaggio fra tardo Illuminismo, l’humus di formazione di Wackenroder, e la cultura romantica. È la nascita di una nuova sensibilità che si impone in modo apparentemente impercettibile nel pensiero di Wackenroder, ma che avrà esiti eccezionali. Ed è proprio quel preciso momento nella formazione di Wackenroder, nel corso di quella “peregrinatio academica” così decisiva e fondamentale, che si realizza la presa di coscienza di una personale direzione estetica e artistica. I resoconti, con quel carattere a volte sospeso fra modello settecentesco di percorso istruttivo e creazione vibrante di un’esperienza completamente diversa e nuova, evidenziano una consapevolezza e una forte volontà nel dare vita e forma a una percezione che costituirà un linguaggio artistico completamente nuovo. Pur mantenendo sotto traccia l’impianto dell’opera di Nicolai, l’interesse di Wackenroder è attratto dalle esperienze sensoriali e intellettuali più ampie che spaziano dall’osservazione partecipe delle lavorazioni artigianali, in particolare a Fürth, nei dintorni di Norimberga, o dalla curiosità scientifica davanti ai congegni meccanici e ai globi geografici realizzati da Beringer a Norimberga. Norimberga è la città che più desta l’interesse speculativo dell’autore. Le pagine dedicate al luogo natale di Dürer sono fra le più vivide ed entusiastiche. Norimberga era stata doviziosamente descritta nelle sue opere da Christian Gottlieb von Murr nel 1776,15 e sia Wackenroder, sia Nicolai vi avevano attinto preziose informazioni. Molti erano i viaggiatori che sostavano nella città nei percorsi dal nord al sud,16 come Herder, di passaggio nel 1788 mentre si recava in Italia, o Goethe, che nello stesso anno rientrava dal suo memorabile viaggio italiano. Nella visita del 22 giugno Wackenroder descrive prima con attenzione gli incontri fatti, menziona il bibliografo Panzer, l’erudito Häßlein, il mercante d’arte Frauenholz, poi passa alla città vera e propria; il resoconto della terza giornata inizia con queste parole: «Norimberga è una città come non ne ho mai viste e riveste per me 15 Christoph Gottlieb von Murr era uomo di cultura a tutto tondo: gran viaggiatore, editore di riviste letterarie e conoscitore d’arte. 16 Cfr. L. Grote, Die romantische Entdeckung Nürnbergs, München, Prestel, 1967, p. 7 e segg.

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un interesse particolare».17 Lo sguardo di Wackenroder è attratto non soltanto nelle sue caratteristiche più pregevoli ed evidenti, ma anche dai dettagli della sua struttura, dalla confusione delle abitazioni addossate una all’altra, e soprattutto dalla coesistenza di pietra e colore che rimanda all’attenzione per l’architettura evidente nel saggio sulla chiesa di San Pietro nelle Fantasie.18 Ed è proprio dall’elenco di elementi decorativi e architettonici, dai dettagli quali le enormi figure dipinte sulle facciate delle case, i fili per i campanelli o i portoni realizzati con grande cura e la silenziosa venerazione del cimitero dove riposano Dürer, Sachs e Sandrart che, in alcuni momenti, risplende ancora più forte la magia del luogo e dell’opera d’arte che caratterizza le Effusioni. Norimberga non è solo una bella città nella quale spicca la storia medievale e in cui la verticalità dell’architettura risulta “romantica” allo sguardo del forestiero; è anche la città nella quale ogni cosa esteticamente bella risulta incomparabilmente fusa con il suo valore etico, una città nella quale si concretizza «un modello utopico nell’opera d’arte e nella bellezza»,19 come è compiutamente espresso nel saggio Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi: come esempi siano portati Albrecht Dürer e il padre Albrecht Dürer il Vecchio, all’interno delle Fantasie. L’elemento etico, che nel testo delle Fantasie viene collocato in un passato ormai lontano della storia tedesca, acquista nelle pagine dedicate a Norimberga una propria evidente specificità socioculturale; di fronte al malgoverno, i cittadini rispondono con un senso civico e un’operosità che trova difficilmente paragoni in altri luoghi. A Norimberga, durante la seconda visita, Wackenroder si sofferma su un dipinto di Dürer e comunica il proprio entusiasmo: «Due figure di apostoli, di A[lbrecht] Dürer, fanno parte dei quadri più belli che io conosca; essi mi hanno fatto comprendere quanto legittimo sia il suo diritto a fregiarsi del titolo di “genio” e dell’epiteto di “Raffaello tedesco”, che gli vengono conferiti».20 La figura di Dürer, così importante dal punto di vista artistico e poetico, era già stata menzionata. La prima volta quando Wackenroder, in visita da Frauenholz, il mercante d’arte, aveva potuto osservarne una serie di incisioni recanti il monogramma;21 la seconda volta, nella biblioteca del predicatore Strobel, quando aveva visto il ritratto di Melantone dell’artista di Norimberga. 17

Cfr. infra, p. 991. Cfr. Fantasie, p. 413 e segg. 19 Cfr. F. Vercellone, Oltre la bellezza, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 93. 20 Cfr. infra, p. 1061. 21 Ibid., p. 985. 18

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Ma è soltanto di fronte al dipinto degli apostoli, osservato nel duomo, che Wackenroder si sofferma con maggiore attenzione e, pur riconoscendo la propria inesperienza nel giudicare l’opera, apprezza con indicibile entusiasmo la pienezza dei tratti del volto e l’espressività delle sue figure. Per il giovane studente berlinese sono infatti i volti delle persone e i loro atteggiamenti a costituire un interesse particolare. Le consuetudini osservate nella popolazione in occasione di una processione nei pressi di Hollfeld, con donne e uomini che intonano canti per il viaggiatore totalmente incomprensibili, la curiosità della gente poco avvezza a vedere forestieri, l’abbigliamento, in particolare delle donne, entrano a far parte delle annotazioni di Wackenroder, incuriosito da cappelli e foulard dalla strana foggia e da gonne e corpetti per lui totalmente inusuali. Lungi dall’essere curiosità speculativa, il suo interesse è quello di chi vuole percepire lo spirito delle cose e delle persone per giungere a una più piena consapevolezza dei modelli culturali da cui prendere spunto negli excursus filologici e storico-artistici della sua opera. Fra il 12 e il 18 luglio Wackenroder visita Bamberga. Il comportamento degli individui, che Nicolai aveva descritto nelle sue pagine,22 colpisce Wackenroder, figlio della cultura protestante del nord, proprio e soprattutto perché, nella gestualità dei fedeli della religione cattolica, lascia trasparire le differenze tra le due anime della Germania, sia da un punto di vista territoriale che cultuale. La decisione di recarsi a Bamberga è suggerita proprio dal fatto di poter seguire una processione.23 Già all’interno del duomo viene colto da stupore nell’osservare la quantità di opere d’arte che lo affolla. Ma è la funzione religiosa, osservata nel buio della chiesa, che affascina l’autore, la novità costituita dal cerimoniale cattolico, fatto di gesti e con22

F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre 1781, cit. p. 131 e segg. Nicolai, editore della rivista tedesca Allgemeine deutsche Bibliothek, una delle pubblicazioni più importanti dell’Illuminismo berlinese, era intervenuto a più riprese nel dibattito sulla fisiognomica che aveva infuocato gli animi negli anni ’70 e ’80. L’osservazione fisiognomica, come lui stesso la definiva, era stata fra i suoi maggiori interessi da molti anni, tanto da aver inserito, all’interno della sua rivista, una rubrica dal titolo Physiognomik, nella quale, pur criticando le premesse eccessivamente teologiche della fisiognomica lavateriana, ne esaltava il valore probante soprattutto in relazione alle fisionomie nazionali. In relazione a Bamberga, Nicolai aveva affrontato l’argomento in modo molto ampio e si era dilungato sul carattere della “fisionomia nazionale” soprattutto nelle donne, che, rimanendo nello stesso luogo e non dovendo viaggiare e andare in guerra, mantenevano maggiormente i caratteri distintivi. 23 Cfr. infra, p. 1005.

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suetudini per Wackenroder misteriosi e incomprensibili, ma che agiscono su di lui con un effetto potente e sorpendente allo stesso tempo.24 L’impressione più profonda è fornita dal complesso gioco gestuale del credente, che si genuflette, china il capo, muove le labbra, si batte il petto e soprattutto rivolge gli occhi ora in basso, ora in alto. Quando passa l’ostensorio, l’intera comunità dei fedeli si genuflette con il capo abbassato e Wackenroder imita quel gesto e scrive poi: «se non mi fossi comportato così, avrei avuto qui l’impressione di non appartenere al genere umano».25 Durante tutta la cerimonia Wackenroder segue con attenzione ciò che accade, i suoni, i rumori, la luce delle candele e tutto agisce su di lui con un impatto fortissimo, pur rimanendo evidente la distanza di chi registra con fedeltà gli avvenimenti. Diversamente dallo sguardo distaccato di un uomo come Nicolai, che documenta con precisione i fatti, questo è lo sguardo di chi sente la forza religiosa che attraversa la comunità. Inevitabile è il riferimento alla Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga contenuta nelle Effusioni,26 nella quale compaiono le medesime suggestioni e contemporaneamente quella profonda esperienza estetica, piuttosto che religiosa, che è alla base del percorso esistenziale di Joseph Berglinger. Il suo incontro con la musica avviene sì all’interno di una chiesa, ma è presupposto di una ricerca tutta orientata verso l’arte. La suggestione e la fascinazione che gli deriva dalla forma e dalla liturgia cattolica diventa non il fine, quanto lo strumento; è il presupposto per un’esperienza di godimento e di estasi artistica, Kunstgenuß e Kunstbegeisterung, che difficilmente trova radici concettuali nella religione cattolica, ma costituisce piuttosto premessa formale per un’esperienza che trascende l’ordinario.27 24

«Tutto era una novità per me, e le diverse modalità del cerimoniale, che cambiavano ogni minuto in maniera ben determinata, fecero su di me, quanto più mi erano misteriose e incomprensibili, un’impressione tanto più forte / e sorprendente»; ibid., p. 1021. 25 Ibid., p. 1023. 26 Cfr. Effusioni, p. 223 e segg. (si ricorda che questo testo è attribuito a Tieck). 27 Il dibattito relativo al rapporto di Wackenroder con il cattolicesimo è stato già dai primi decenni dell’Ottocento origine di ampia discussione, come dimostrano gli accenni in Goethe, le pagine di Eichendorff e di Heine. Per un riepilogo delle differenti posizioni cfr. M. Bollacher, Wackenroder und die Kunstauffassung der frühen Romantik, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1983. Per ciò che riguarda il più ampio discorso sulla religione dell’arte si citeranno qui soltanto le ultime pubblicazioni di carattere più generale: B. Auerochs, Die Entstehung der Kunstreligion, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2009; A. Meier, A. Costazza, G. Laudin (a cura di), Kunstreligion. Ein ästhetisches Konzept der Moderne in seiner historischen Entfaltung, Bd. 1, Der Ursprung des Konzepts um 1800, Berlin-New York, De Gruyter, 2011.

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Non mancano del resto critiche al mondo cattolico. Si pensi ad esempio alla pessima ospitalità che viene offerta ai viaggiatori nei conventi di Banz e Langheim. Nell’abbazia di Banz, pur esibendo delle lettere di presentazione, i visitatori sono trattati con grande freddezza e con diffidenza, forse per il fatto di essere degli studenti e per di più berlinesi. Nella chiesa Wackenroder osserva dei modesti dipinti, e la sua attenzione si concentra su una pala d’altare che rappresenta san Dionigi decapitato che porta con sé la propria testa, «dimostrazioni, queste figure, del fatto che la religione e la mitologia cattoliche forniscono idee dell’arte tanto contrarie al buon gusto quanto belle».28 La particolare attenzione alla pittura diventa l’elemento distintivo delle relazioni di viaggio di Wackenroder, soprattutto nelle ultime lettere. I viaggi compiuti in quel semestre di studi a Erlangen costituiscono l’origine e il germe di quelli che, soltanto pochi anni dopo, saranno il nucleo tematico prima di tutto delle Effusioni e poi anche delle Fantasie. L’attenzione dedicata all’arte figurativa non trova uguale riscontro nel carteggio, laddove Wackenroder si sofferma solo sulle esperienze musicali e teatrali in un ininterrotto dialogo con l’amico.29 Anche nelle prime lettere, Wackenroder non si abbandona a lunghe descrizioni di quadri e la pittura costituisce, come gli altri argomenti, uno fra gli spunti nella conversazione epistolare con i genitori. L’ultimo resoconto,30 però, che descrive il viaggio a Bayreuth e Bamberga compiuto fra il 14 e il 21 luglio, diversamente dagli altri, non è indirizzato ai genitori, e presenta caratteristiche differenti, evidenziando più un carattere di resoconto privato, il carattere diaristico31 tipico di chi intende fissare nella memoria alcuni oggetti e prepararsi a future rielaborazioni delle proprie sensazioni. Se nella prima parte è ancora presente una forma narrativa, nell’ultima parte, quella relativa a Pommersfelden, scompare qualsiasi elemento discorsivo a favore di un elenco dettagliato di quadri, che solo all’apparenza è un impersonale apparato di riferimenti. 28

Cfr. infra, p. 1097. Cfr. R. Kahnt, Die unterschiedliche Bedeutung der bildenden Kunst und der Musik für W.H. Wackenroder, Marburg/Lahn, 1968, p. 43. 30 I testi dei resoconti erano originariamente sette, ma il resoconto del viaggio di inizio luglio 1793 è andato perduto. Se ne fa menzione nella lettera del 23 luglio, nella quale Wackenroder si riferisce al viaggio ad Altdorf e alla lettera inviata ai genitori. 31 I curatori dell’edizione tedesca suggeriscono, proprio sulla base degli elementi del resoconto, che questo sia stato scritto tempo dopo, addirittura forse nel 1794. 29

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Il principe elettore Lothar Franz von Schönborn aveva fatto erigere tra il 1711 e il 1718 il castello Weissenstein a Pommersfelden come propria residenza estiva. Qui il principe, grande amante della pittura, aveva fatto allestire una pinacoteca che sarebbe diventata una delle collezioni di maggior valore e di maggiore interesse in Germania. La collezione raccoglieva, come testimonia il catalogo che fu fatto realizzare a Byß nel 1719,32 prevalentemente opere di artisti italiani e olandesi del Cinquecento e del Seicento. Wackenroder si recò tre volte a Pommersfelden, come lui stesso enuncia all’inizio dell’ultima parte del resoconto. La prima volta fu probabilmente durante il viaggio da Berlino a Erlangen; la seconda è certamente databile al 21 agosto del 1793, come da indicazione di Wackenroder; e la terza è da collocarsi intorno ai primi di ottobre, alla vigilia del viaggio per Gottinga. La visita alla pinacoteca, i dettagli sui quadri, introducono al complesso tematico pittorico, ma rivelano anche un interesse per l’ambiente nel quale i quadri vengono esibiti. A quel tempo, la galleria rispondeva, nell’organizzazione del materiale, quasi essenzialmente a criteri di simmetria e di spazio. I dipinti venivano collocati sulle pareti seguendo principi tematici, ma anche con un occhio rivolto alla forma e alla dimensione. La galleria intesa in senso moderno è un’invenzione recente, che risale ai primi decenni del XIX secolo. Prima non esisteva una parte dell’edificio adibita a tal uso, ma i quadri erano presenti nelle parti nobili e anche in quelle private.33 Preoccupato dal nuovo modo di accostarsi alle opere d’arte da parte di un pubblico più vasto e spesso impreparato, Wackenroder rivendica maggiore concentrazione e maggiore “sacralità” nell’approccio con la pittura nel saggio Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima: «Le gallerie d’arte sono oggi considerate come fiere, nelle quali, attraversandole, si giudicano, si lodano e si criticano le nuove merci; dovrebbero invece essere come dei templi, in cui, con quieta e muta umiltà e in una solitudine capace di nobilitare il cuore, si possano ammirare i grandi artisti come le creature più eccezionali tra i mortali e in una lunga, assidua osservazione delle loro opere, si possa infervorare il nostro animo allo splendore dei pensieri e delle sensazioni più estasianti».34 32 J.R. Byß, Fürtrefflicher Gemähld- und Bilder-Schatz, so in denen Gallerie und Zimmern des Churfürstl. Pommersfeldischen neu-erbauten fürtrefflichen PrivatSchloß zu finden ist, Bamberg, 1719. 33 Cfr. J. Penzel, Der Betrachter ist im Text. Konversations- und Lesekultur in deutschen Gemäldegalerien zwischen 1700 und 1914, Berlin, Lit Verlag, 2007, p. 34 e segg. 34 Cfr. Effusioni, p. 209. Per ciò che concerne la considerazione, in epoca coeva, della galleria d’arte come cattedrale e come luogo di raccoglimento, si confronti

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Wackenroder aveva già potuto osservare diverse collezioni, tra cui quella di Dresda, come risulta dal carteggio,35 e le già citate collezioni private di Frauenholz e di Strobel. Ma la visita che avrà un impatto fortissimo sull’immaginazione di Wackenroder rimane quella alla galleria di Pommersfelden, in cui il giovane resta folgorato alla vista della “Madonna con il bambino” attribuita a Raffaello. Raffaello era per Wackenroder la quintessenza dell’arte pura, celestiale, era il nome utilizzato anche come pietra di paragone universale per l’arte eccelsa, come si evince dall’epiteto attribuito a Dürer di “Raffaello tedesco”.36 La descrizione della tela, attribuita da Wackenroder erroneamente a Raffaello, rappresenta una delle pagine più intense dei resoconti di viaggio e introduce naturalmente ai temi e alle atmosfere delle Effusioni. Alla Madonna, descritta nei minimi dettagli e nella postura, viene attribuita la più profonda quiete nell’atteggiamento. Il suo volto e la sua attitudine sono divini, eppure essa conserva nella sua pienezza espressiva una natura estremamente terrena: è fortemente umana e mostra «lo stigma della sua essenza terrena».37 Molti critici hanno giustamente accostato la descrizione della Madonna di Pommersfelden a quella della Madonna Sistina di Winckelmann,38 non soltanto per l’accenno di Wackenroder al Laocoonte di Lessing, e quindi al complesso tematico del dibattito settecentesco, ma anche per il lessico utilizzato e per la coincidenza di immagini e suggestioni tra le due descrizioni. Dalle pagine di Wackenroder affiora la traccia del percorso storico-artistico ed estetico tracciato da Dominicus Fiorillo, che lascia contemporaneamente spazio all’afflato verso una Kunstreligion in cui il fattore umano si sposa compiutamente con quello divino. Così, come sottolinea Littlejohns,39 si muove un passo decisivo verso l’estetica romantica. l’articolo di Annette Gilbert, nel quale viene osservato proprio il momento in cui si assiste all’affermarsi dell’idea del museo quale spazio compatibile con il concetto di religione dell’arte. Nell’Ottocento quindi nasce il museo come il luogo dell’esperienza estetica: A. Gilbert, “Die ‘ästhetische Kirche’. Zur Entstehung des Museums am Schnittpunkt von Kunstautonomie und -religion”, in Athenäum. Jahrbuch für Romantik, 19, 2009, pp. 45-85. 35 Cfr. Carteggio, pp. 717-719. 36 Cfr. infra, p. 1061. 37 Ibid., p. 1101. 38 J.J. Winckelmann, Gedanken über die Nachahmung der Griechischen Werke in der Malerey und Bildhauerkunst, Dresden-Leipzig, Walther, 17562. 39 R. Littlejohns, Wackenroder Studien. Gesammelte Aufsätze zur Biographie und Rezeption des Romantikers, Frankfurt am Main [et al.], Peter Lang, 1987, p. 45.

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Fra gli elementi caratteristici dei resoconti di Wackenroder, uno sembra costituire però una sorta di Leitmotiv all’interno di queste lettere: l’elenco. A più riprese Wackenroder compila liste; di quadri, di minerali e soprattutto di libri. Il viaggio a Norimberga, ad esempio, oltre che da interessi e curiosità propri, era stato sollecitato dal disbrigo di alcune commissioni per l’amico e mentore Erduin Julius Koch. Costui, predicatore a Berlino, ma soprattutto grande filologo e studioso di storia letteraria, aveva infatti già scritto nel 1790 il suo Compendium der Deutschen Literatur-Geschichte (Compendio di storia letteraria tedesca),40 che aveva stimolato in Wackenroder l’interesse per la letteratura degli antichi poeti tedeschi.41 A Norimberga Wackenroder incontra, dunque, eruditi come Panzer, Murr e Häßlein, individuati da Koch come potenziali alleati per sviluppare il progetto di una nuova rivista letteraria, il Journal der deutschen Litteratur (Giornale di letteratura tedesca. Nel corso di questi incontri, Wackenroder manifesta, nella fedele registrazione dei manoscritti che gli è dato consultare, un interesse ben più specifico legato alla biblioteca e alla collezione libraria. Questo risalta anche in occasione delle visite ai monasteri che catturano l’attenzione dello scrittore non soltanto per la loro funzione di istituti religiosi e per la scansione delle attività che vi si svolgono, ma anche e soprattutto per l’organizzazione delle biblioteche conventuali, che talvolta è descritta come scarsa e caotica.42 L’accuratezza nella compilazione delle liste delle opere che costituiscono il patrimonio librario suggerisce tanto il gusto filologico dell’autore, quanto la sua curiosità di bibliofilo in nuce. L’elenco è mezzo di ricordo e di conservazione ed è promessa di futuri sviluppi verso la creazione di un immenso regesto del patrimonio culturale tedesco, ancora ingiustamente nascosto o gelosamente custodito da pochi. Dunque, quel gusto e quell’attenzione all’enumerazione non possono essere intesi soltanto come formale registrazione di cose viste; essi rimandano a un apparato del sapere ben più ampio ed esprimono, nell’entusiasmo 40 E.J. Koch, Compendium der Deutschen Literatur-Geschichte von den ältesten Zeiten bis auf das Jahr 1781, Berlin, Im Verlag der Buchhandlung der Königl. Realschule, 1790. 41 Per ciò che concerne il “Wackenroder filologo” si confronti l’introduzione di Elena Agazzi al presente volume; cfr. supra, p. 12 e segg. 42 Dirk Kemper mette in correlazione questo interesse per le biblioteche e per l’universo librario anche con la figura del monaco delle Effusioni, rendendo la ricerca documentaria un accesso privilegiato a numerosi mondi. Cfr. D. Kemper, “Poeta philologus. Philologie und Dichtung bei Wackenroder”, in Deutsche Vierteljahresschrift für Literaturgeschichte und Geistesgeschichte, 68, 1994, pp. 99-133, qui p. 132.

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giovanile, il sogno della fruibilità illimitata come aspirazione all’infinito,43 una vera e propria vertigine estetica che risulta anche dalle liste di dipinti della galleria di Pommersfelden. La forma epistolare dei resoconti di Wackenroder, pur muovendo da premesse di occasione e da modelli ormai consolidatisi nella letteratura odeporica oltrepassa il limite della descrizione oggettiva e minuziosa. Consapevolmente o meno, Wackenroder supera a tratti la realtà oggettiva, abbandonando il terreno concettuale, per aprirsi a un mondo di significati accessibile solo attraverso il sentimento. I resoconti di viaggio di Tieck I resoconti di viaggio di Ludwig Tieck, immatricolatosi all’inizio di maggio all’università di Erlangen presso la facoltà di teologia, si compongono di due lunghe lettere alla sorella Sophie, della quali una indirizzata sia a Sophie che all’amico Bernhardi, mentre un’ultima lettera, che si inserisce temporalmente fra le altre due, è stata recentemente ritrovata e pubblicata da Heidrun Markert.44 La prima lettera descrive il viaggio da Berlino a Erlangen, compiuto insieme a Wackenroder nell’aprile del 1793, nella seconda viene descritta la visita a Norimberga e quella a Pommersfelden e la terza si compone di una lunga narrazione sul viaggio di Pentecoste fra il 17 e il 28 maggio. Come per le descrizioni di Wackenroder, si tratta anche in questo caso di un viaggio che realizza premesse estetiche romantiche a partire da quel termine, “romantico” appunto, che nel testo di Tieck compare 43 Inevitabile il riferimento a Goethe e allo scritto Der Sammler und die Seinigen del 1799. Gabriella Catalano, nella sua introduzione all’edizione italiana del testo, sottolinea proprio come la collezione diventi una sperimentazione dell’unione fra passato e futuro, un apprendimento che non giunge mai a conclusione. Cfr. “Introduzione” a Goethe, Il collezionista e la sua cerchia, Napoli, Liguori, 2000, pp. 1-20, qui p. 13. 44 L’originale della lettera, rinvenuta e pubblicata dalla Markert (non compresa nel presente volume), si trova al Museo di Goethe a Düsseldorf. L’epistola è incompleta, ma dagli elementi del testo, e dalle complesse ricerche della curatrice, si evince che la datazione può essere compresa fra l’11 e il 17 maggio del 1793. Cfr. H. Markert, “‘Schakspear, W[ackenroder], u[nd] die Natur umher machen mich sehr glücklich’: Zwei ungedruckte Briefe Ludwig Tiecks aus der Entstehungszeit der Romantik”, in “lasst uns, da es uns vergönnt ist, vernünftig seyn!”. Ludwig Tieck (1773-1853), Herausgegeben vom Institut für deutsche Literatur der Humboldt-Universität zu Berlin unter Mitarbeit von Heidrun Markert, Bern [et al.], Peter Lang, 2004, pp. 331-356.

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per ben tredici volte. E anche nel caso di Tieck, l’aggettivo supporta le emozioni provate davanti allo spettacolo naturale che si presenta agli occhi dello scrittore: «lo stormire di un bosco, un ruscello che scorre tra le rocce, uno sperone roccioso che si protende sulla valle, quasi volesse balzare su di essa – tutto ciò ha il potere di traspormi in uno stato di ebbra vertigine, che quasi confina con la pazzia».45 Sublime è lo spettacolo che si dispiega di fronte ai suoi occhi, indescrivibile quello stato dell’animo che assomiglia alla pazzia. La natura, prepotentemente presente tanto nei resoconti di viaggio di Wackenroder, quanto in quelli di Tieck, trova in quest’ultimo più voce; non è solo paesaggio ammirato o colto nelle sue peculiarità, ma è una natura subìta per il travolgente effetto che produce sull’animo. Non è la natura artificiale, come quella tipicamente romantica del parco di Sanspareil, nato dall’idea di dar vita a una natura a “misura d’uomo”, che con studiato adattamento degli spazi simula il contesto di un romanzo noto all’epoca;46 quella che affascina piuttosto è quella selvaggia attraversata nel “Fichtelgebirge”, oggi diremmo incontaminata, mai solcata da essere umano, incontrata nella gita in montagna durante la quale i due amici e la guida si perdono,47 quella nella quale Tieck si sofferma a osservare come la luce del sole penetri all’interno del bosco.48 Le descrizioni della natura che compaiono nelle relazioni di viaggio di Tieck, come ad esempio quella del fiume Saale che scorre scrosciando verso la pianura,49 colpiscono il lettore per la forte analogia con le scelte descrittive di Wackenroder, per la loro evidenza nell’esprimere lo stesso sentire e la medesima percezione fatta di colori e soprattutto di suoni e rimandano, in ultima analisi, alle pagine di straordinaria bellezza delle Fantasie. La natura diventa il luogo dell’espressione più vera, lontana dal rumore della città, il luogo della vera libertà. I resoconti di viaggio di Tieck, che in generale espongono le medesime esperienze fatte anche da Wackenroder, si esprimono in uno stile e in un tono talvolta molto differente, altre volte straordinariamente analogo a quello dell’amico. Come è già stato ricordato, le lettere sono destinate alla sorella e all’amico Bernhardi; il tono, quindi, 45

Cfr. infra, p. 1133. Gli elementi decorativi del parco di Sanspareil, le rovine, le rocce e il teatro si ispirano tutti, come era stato il volere della margravia, al romanzo di Fénelon, Les aventures de Télémaque del 1699, rendendo visibile il percorso di formazione del protagonista. 47 Cfr. infra, p. 1165 e segg. 48 Inevitabile, in questo passaggio, il riferimento alla descrizione della luce nella foresta contenuta in I colori all’interno delle Fantasie, cfr. supra, p. 437 e segg. 49 Cfr. infra, p. 1109. 46

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risulta meno misurato e contenuto rispetto a quello di Wackenroder che scriveva ai genitori e doveva dar loro l’impressione di compiere viaggi e gite essenziali per la sua formazione. Non a caso, infatti, nelle lettere di Tieck compaiono riferimenti ad avvenimenti come le cadute da cavallo dovute a strade molto scivolose,50 o, come si è già detto, le disavventure in luoghi impervi, oppure allusioni agli eccessi nel bere durante le cene o le serate in compagnia di amici, che sono taciute, invece, nei testi di Wackenroder. Tieck mostra un carattere decisamente prorompente, a tratti quasi incontenibile; la sua originalità e il suo anticonformismo sono palpabili e contrastano con l’indole del moderato Wackenroder. Ma è proprio attraverso le pagine di questi resoconti, attraverso le descrizioni a tratti critiche dell’amico, che appare un’immagine di Wackenroder limpida e complessa a un tempo.51 Tanto può essere critico, Tieck, quanto affettuoso, laddove descrive un Wackenroder maldestro nelle cose della vita quotidiana. Tieck tradisce nelle lettere la giovane età, il fuoco giovanile che da un lato divampa per le idee democratiche, e dall’altro lo induce a eccedere nel bere.52 Non fa mistero della propria simpatia per gli ideali della Rivoluzione francese. Nelle lettere sono costanti i riferimenti agli eventi e ai personaggi che stavano combattendo sul suolo tedesco; si citano, ad esempio, i generali dell’Armata francese, le battaglie e lo spirito democratico che si stava diffondendo anche in Germania. Tieck era inevitabilmente immerso nella questione “francese”, dato che gli anni fra il 1789 e il 1793 furono quelli in cui si formò lo scrittore. Nelle lettere 50

Ibid., p. 1135. Come ad esempio nel passo in cui, scrivendo a Bernhardi, fa un confronto fra il proprio modo di porsi in società e quello dell’amico: «Wackenroder è di indole molto introversa; nessuno osa avvicinarsi a lui a cuor leggero e, nonostante i suoi modi discreti, ha un’aria molto grave, un’aria molto vecchia, perché è stato da sempre poco a contatto con persone giovani. È negativo il fatto che la sua solidità non sia derivata dalle esperienze della vita; è freddo e posato, senza che questo suo carattere sia scaturito da un’intima necessità; non ha compiuto il percorso attraverso quelle idee che sono necessarie per dare vita a un carattere concreto, solido, che sia incrollabile – gli si mostri, da una prospettiva affascinante, poeticamente bella, ciò che egli in questo momento disprezza, ed egli diventerà più fragile di quelli che adesso schernisce». Cfr. Resoconti Tieck, p. 1143. 52 Come ad esempio nel passo in cui, ospiti da Otto Heinrich Tornesi, responsabile delle miniere a Bayreuth, Tieck eccede nel bere il Malaga, un vino molto liquoroso che gli dà immediatamente alla testa. Durante l’incontro, mentre Wackenroder sciorina le proprie conoscenze di mineralogia, Tieck mostra apparentemente di comprendere tutto; ma all’uscita dà sfogo alla propria irruenza e si mette a malmenare Wackenroder. Ibid., p. 1149. 51

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è evidente una forma, come la definisce Achim Hölter, di “entusiasmo democratico”.53 Le idee democratiche, infatti, circolavano già in casa Reichardt, licenziato proprio per le sue inclinazioni filo-giacobine,54 e nell’ambiente di Tieck: compagno di scuola e di viaggio era proprio quel Wilhelm von Burgsdorff, che nel 1793 era partito animato da propositi rivoluzionari alla volta della Francia, per poi essere arrestato a Spira.55 I riferimenti, come si è detto, sono molteplici; subito nella prima lettera, durante il tragitto per raggiungere Erlangen da Berlino, i due amici vedono salire a Naumburg su una carrozza il generale francese Neuwinger, catturato nella battaglia di Waldalgesheim e condotto a Magdeburgo. Tieck avverte l’amicizia di sangue nei confronti di quell’eroe e prova vergogna per il fatto che costui sarà presto prigioniero nella fortezza di quella città.56 Poco più oltre definisce se stesso prigioniero della propria madrepatria. In casa del pastore luterano e studioso di Kant, Johann Georg Jonathan Schuderoff, Tieck, che lo riconosce come un democratico, intona con lui a più riprese il canto simbolo della Rivoluzione francese, il “Ça ira”.57 Già nei resoconti di Wackenroder è presente, seppur in modo molto più marginale, l’esperienza della guerra e della rivoluzione. Durante la prima gita attraverso la Franconia i viaggiatori, vista la vicinanza, erano stati indotti a recarsi a Karlsbad in Boemia, dove avevano improvvisamente toccato con mano gli effetti della dichiarazione di guerra della Francia ai paesi confinanti. In Boemia, infatti, i doganieri, non considerando validi i loro documenti, che in realtà erano soltanto matricole universitarie, li avevano costretti a rientrare nei territori prussiani. L’esercito francese era arrivato a conquistare 53 Cfr. A. Hölter, “Exkurs: Tieck, die Französische Revolution und der Rousseauismus”, in L. Tieck, Schriften 1789-1794, hrsg. von A. Hölter, Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag, 1991, pp. 879-886. 54 I Vertraute Briefe (Lettere confidenziali) di Reichardt del 1792, scritti dopo un viaggio in Europa e soprattutto in Francia, gli costarono il licenziamento senza sussidio da parte di Federico Guglielmo II. 55 Wilhelm von Burgsdorff (1772-1822), di famiglia aristocratica, originario di Francoforte sull’Oder e compagno di scuola al ginnasio di Wackenroder e Tieck a Berlino, si era talmente entusiasmato per le idee rivoluzionarie, da decidere nel 1793 di partire per la Francia. A Spira, però, intercettato dall’Armata francese del generale Custine, fu incarcerato, perché preso per una spia prussiana. Rilasciato, ritornò a Erlangen dove rimase l’estate e alla fine di settembre accompagnò Tieck e Wackenroder a Norimberga e ad Ansbach. Cfr. A.F. Cohn, “Wilhelm von Burgsdorff”, in Euphorion, 14, 1907, pp. 533-565, qui p. 539. 56 Cfr. Resoconti Tieck, p. 1111. 57 Ibid.

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nel 1792 Francoforte e l’avanzata sembrava inarrestabile; d’altra parte, nei territori tedeschi, non era inusuale vedere prigionieri francesi e spie dell’una e dell’altra parte. A Kulmbach, infatti, Wackenroder e Tieck avevano incontrato numerosi prigionieri francesi: una ventina di ufficiali alloggiati in case private, che potevano spostarsi per la città e, nella vicina fortezza di Plassenburg, oltre 700 soldati sotto custodia. Benché i francesi fossero comunque nemici appartenenti a una forza di invasione, Wackenroder aveva registrato l’ambivalenza della situazione che si stava creando anche grazie all’entusiasmo di alcuni amici tedeschi per le idee rivoluzionarie francesi. La lettera di Tieck che descrive il viaggio compiuto fra il 17 e il 28 maggio, il cosiddetto “viaggio di Pentecoste”, è indirizzata sia alla sorella che all’amico August Ferdinand Bernhardi, professore al liceo di Berlino frequentato da Tieck e dal 1799 anche cognato dello scrittore. Nei resoconti di viaggio a lui indirizzati si trovano frequenti riferimenti alle opere in gestazione e alla letteratura in generale. Tieck consiglia letture, come nel caso del romanzo di Holcroft,58 commenta spettacoli teatrali a cui ha assistito,59 esalta le rovine medievali, ma soprattutto cita in continuazione i suoi modelli letterari: Goethe, Schiller, Shakespeare e Moritz. Goethe, in particolare, è l’autore al quale Tieck frequentemente si ricollega, riferendosi spesso al Werther e Faust e che avrà la possibilità di conoscere personalmente, grazie all’intervento di August Wilhelm Schlegel, soltanto nel luglio del 1799.60 Shakespeare è invece il nume che definisce l’arte drammatica, il faro e modello poetico a cui riferirsi. Infatti sarà presente nei lavori e nelle lettere di Tieck durante tutto il periodo di studio a Gottinga, a Erlangen e continuerà a essere un riferimento anche in altri lavori successivi.61 58

Cfr. infra, p. 1220, nota 90. Come nel caso della rappresentazione della Klara von Hoheneichen di Spieß che definisce “pietosa”; cfr. ibid., nota 93. 60 Cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, Leipzig, Brockhaus, 1855, erster Theil, p. 259. 61 Shakespeare di Measure for Measure è modello per il dramma Alla-Moddin, la figura di Abdallah si rifà a quella del Richard II; sono poi da considerarsi i riferimenti più diretti, come quelli alla base del frammento Über das Erhabene (Sul sublime) e quelli dei Briefe über Shakespeare (Lettere su Shakespeare) progettati già nel 1793, come si evince dalla lettera di Tieck alla sorella (p. 1183), ma pubblicato soltanto nel 1800 nel Poetisches Journal (cfr. nota 130). Come ben rileva Christian Sinn nel suo saggio, Shakespeare non è soltanto un ideale drammatico, ma diventa il fondamento di un modello teorico nel rapporto tra realtà e finzione; cfr. C. Sinn, “Englische Dramatik”, in Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, hrsg. von C. Stockinger und S. Scherer, Berlin-Boston, De Gruyter, 2011, pp. 219-233, qui p. 229. 59

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Nella lettera indirizzata alla sorella, presumibilmente scritta fra il 10 e il 17 maggio 1793, anche Tieck riferisce di essere stato al castello di Weissenstein a Pommersfelden e di aver potuto ammirare un originale di Raffaello.62 Le parole utilizzate per descrivere il dipinto coincidono eccezionalmente con quelle di Wackenroder e possono essere considerate il fondamento della nuova estetica romantica: «Era divino; di una bellezza assolutamente ideale e tuttavia anche del tutto individuale. Ogni tratto appare unico e caratteristico in sommo grado; in esso si contempla la suprema quiete della più pura bellezza e, allo stesso modo, il linguaggio e lo spirito che traspaiono da ogni muscolo della Madonna e del suo caro figliolo».

62 Cfr. H. Markert, “Schakspear, W[ackenroder] u[nd] die Natur umher machen mich sehr glücklich”, cit., p. 354.

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Cronologia dei viaggi 2 maggio 17 maggio 18 maggio 19 maggio 20 maggio 21 maggio 22 maggio 23 maggio 24 maggio 25 maggio 26 maggio 27 maggio 28 maggio 2-3 giugno 22 giugno 24 giugno Inizio luglio 12 luglio 18 luglio 23 luglio 12 agosto 13 agosto 14 agosto 15 agosto 16 agosto 17 agosto 18 agosto 19 agosto 20 agosto 21 agosto 24 agosto Fine agosto 25 settembre 26 settembre 27 settembre 4 ottobre 5 ottobre

immatricolazione a Erlangen viaggio di Pentecoste con Tieck in Franconia. Baiersdorf, Neideck, Sanspareil Bayreuth Bayreuth, visita l’Eremitage Bayreuth, visita del manicomio e del parco di Fantaisie verso Naila passando da Berneck visita di una miniera ad Asch in Boemia e ritorno a Wunsiedel Luisenburg si perdono tra le montagne del Fichtelgebirge. Arrivo a Bischofsgrün verso Kulmbach da Kulmbach verso Streitberg visita delle grotte di Muggendorf e rientro a Erlangen scrive il Resoconto 1 Norimberga. Fa visita a Murr, Panzer e Waldau. Scrive il Resoconto 2 rientro a Erlangen. Termina il Resoconto 2 visita ad Altdorf. Scrive il Resoconto 3 (non conservato) arrivo a Bamberga rientro a Erlangen scrive il Resoconto 4 con Tieck, Weißer e Burgsdorff a Norimberga Fürth e poi rientro a Erlangen con Tieck e Weißer verso Streitberg verso Bayreuth passando da Muggendorf verso Kulmbach passando da Berneck a Bamberga passando da Zwernitz Bamberga e Seehof Banz e Langheim rientro a Bamberga verso Erlangen passando da Pommersfelden scrive il Resoconto 5 scrive il Resoconto 7 verso Ansbach passando per Norimberga Ansbach e rientro a Norimberga Norimberga poi rientro a Erlangen scrive il Resoconto 6 probabile terza visita a Pommersfelden

Reiseberichte

Resoconti di viaggio

Reiseberichte Wackenroders

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resoconti di viaggio 1

1. 2-3/6/1793 (viaggio del 17-28/5)

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1. 2-3 giugno 1793. Viaggio del 17-28 maggio 1793 nella Svizzera Fran­cone, nella Foresta francone e nelle montagne del Fichtelgebirge 2 giugno 1793 Carissimi genitori, eccovi una breve descrizione del viaggio che ho intrapreso con T[ieck] durante le vacanze di Pentecoste nella zona di Baireuth e che ci è piaciuto molto. Il nostro scopo principale era quello di conoscere gli aspetti notevoli e curiosi della natura, che stando qui a Erl[angen] ci sono così prossimi, e questo intento lo abbiamo pienamente raggiunto, tanto da poter affermare di conoscere abbastanza bene il territorio di Baireuth. Oltre a ciò, abbiamo comunque avuto anche la fortuna di essere accolti dappertutto in maniera così ospitale da persone per le quali eravamo degli estranei, che voi a stento riuscireste a credermi. Quando vi racconterò come ci siamo arrampicati su per i monti e come siamo penetrati nelle viscere della terra, perché non riuscivo a resistere alla curiosità di vedere le cime del Fichtelgebirge e di visitare un paio di piccole miniere, credetemi sulla parola se vi dico che non ci siamo mai trovati in situazioni pericolose; siamo sempre stati guidati da uomini dei quali potevamo fidarci e abbiamo usato tutte le precauzioni possibili. Pressoché senza eccezioni, tranne che per i trattati di geografia, l’unico libro che si può andare a consultare prima di un viaggio nella zona di Baireuth e dal quale ho tratto anche degli estratti è Unser Tagebuch auf einer Reise durch einen großen Theil des Fränkischen Kreises (Il nostro diario steso durante un viaggio attraverso una vasta parte del circondario francone), di Füssel, Erl[angen] 1787-1791, in ottavo, 3 parti.2 Vi piacerà, se vorrete leggerlo, per quanto sia indubbiamente lacunoso. Per acquisire dei rudimenti sulle miniere ho dato una scorsa alla prima parte della Anleitung den Harz und andre Bergwerke mit Nutzen zu bereisen (Guida per viaggiare con profitto per lo Harz e per altre miniere) di Gatterer.3 In viaggio mi sono portato la carta dettagliata dell’Oberland della zona di Baireuth, edita da Homann4 (non sono riuscito, infatti, a procurarmi quella più recente, realizzata da Güssefeld).5 Su di essa voi potete seguire tutto il mio percorso. Esso è durato poco più di una settimana. Partimmo di buon mattino (con un vetturino ingaggiato per l’occasione).6 Il tempo era magnifico; in seguito trovammo, però, sempre tempo variabile, estremamente instabile e, nell’insieme, aria fredda e rigida, che comunque non ci diede troppo fastidio. Dipende dalla posizione elevata dell’intero Oberland, giacché qui si osservano in misura minore rocce frammentate e scoscese e si viaggia / invece semmai per molte miglia a quote elevate e attraverso luoghi collocati in alto. Quest’anno, d’altronde, fa molto freddo perfino a Erl[angen], tanto che dobbiamo ancora riscaldare gli ambienti; ciononostante, pare che qui in estate il caldo raggiunga temperature elevate, perché la città è chiusa a nord ai venti freddi grazie

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resoconti di viaggio 1

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al riparo offerto dalle montagne, mentre dagli altri tre lati è circondata da pianure sabbiose, risultando dunque qui completamente esposta al sole. – La prima mattinata abbiamo percorso 4 miglia, fino a Streitberg, un villaggio che si trova in una piccola circoscrizione appartenente al territorio di Baireuth. Viceversa, lungo tutto il percorso, eccezion fatta per la prima città di Baiersdorf, si passa soltanto per paesini del territorio di Bamberga e della cittadina bamberghese di Ebermannstadt. Per la strada si trovano immagini di Cristo di colore bianco e oro, appese a crocifissi alti e rossi, e piccole cappelle. Un’ampia e profonda strada di terra battuta, così come se ne vedono vicino a Berlino, conduce da Erl[angen] a Baiersdorf. Ai lati si gode la vista su freschi prati e sul Rednitz,7 che li bagna tramite delle norie. Queste sono delle grosse, ampie ruote che, mediante cassette a esse agganciate, attingono acqua dal fiume e la riversano sui campi: girano su se stesse giorno e notte, lentamente, producendo un rumore monotono, ma portando nella zona anche vita e movimento. Da Baiersdorf a Streitberg il paesaggio si fa sempre più incantevole. Le montagne diventano a poco a poco sempre più alte, mantenendo tuttavia la bellezza più delicata e seducente. Villaggi, disseminati di cespugli e di alberi verdeggianti e rigogliosi, riflettono la luce dalla loro posizione sulle alture, oppure riposano ai loro piedi, o s’inerpicano su pendii, offrendo allo sguardo il più piacevole dei colpi d’occhio. I paesini attorno a Bamberga sembrano nella maggioranza dei casi praticamente delle piccole chiazze. La strada attraversa spesso piccoli torrenti o prosegue per un tratto addirittura nei ruscelli; cosa che, nelle aree / montuose, non rappresenta una novità. La strada in queste zone resta comunque sempre in piano, anche se si snoda spesso in modo molto tortuoso. Durante l’intero viaggio non ci siamo mai veramente persi, ma, al contrario, siamo riusciti sempre a proseguire il nostro tragitto chiedendo informazioni. I villaggi sono frequenti e le persone mostrano il cammino con la più grande cortesia, premurandosi persino di controllare con lo sguardo se si procede nella giusta direzione. È soprattutto nella zona di Bamberga che le persone parlano in maniera davvero incomprensibile e confusa. In tutta la Franconia, se si chiedono informazioni sulla strada da percorrere, si mette solitamente il forestiero sulla buona via ricorrendo a una lingua, la cui pronuncia suona ampia e piena: «Vai sempre dritto dritto,8 né a destra, né a sinistra». Ma dei numerosi e strani provincialismi e della incomprensibile pronuncia dei Franconi, in particolare della gente comune, parlerò in un’altra occasione: la lingua è strettamente affine a quella austriaca e il riempitivo «halt», per esempio, lo si sente in ogni momento. Purtroppo mi convinco sempre più che è impossibile rendere partecipe a parole un altro individuo della fedele descrizione di una certa zona, così come la si è osservata con il proprio sguardo e come in parte la si ricorda anche in seguito. Se dovessi anche enumerare con precisione ciò che rende bello un panorama, alberi e rocce, o acqua e prati; se determinassi la natura, la posizione e la distanza di tutti questi singoli elementi, non potrei però comunque mai evocare vividamente l’idea della zona secondo le pe-

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culiarità individuali che essa ha per me, e che vorrei portare all’attenzione degli altri. Non riesco assolutamente a trasmettere alla vostra immaginazione l’altezza di quella montagna, la larghezza di questo corso d’acqua, la molteplicità di forme e colori che costituiscono le parti dell’albero; la misura e il numero forniscono i concetti, non le rappresentazioni sensibili, e molte sono le cose che non sono neppur in grado di esprimere con la misura e il numero. Gli altri non colgono mai il caratteristico, il colorito della zona; non sanno far altro che, ricorrendo agli stessi elementi, combinare assieme le componenti di una nuova zona, che risulta poi spesso essere molto dissimile da quella reale, della quale dovrebbe essere un’immagine. / Le bellezze sensibili allo sguardo possono esser pienamente avvertite mediante l’occhio, nell’originale della natura o nelle riproduzioni del pennello. – Ma chiacchiero troppo, poiché volevo solo dirvi che mi è impossibile restituirvi un quadro fedele della serie di certi panorami romantici,9 di cui abbiamo goduto questa mattina e durante l’intero viaggio. Comunque, farò quanto potrò. La zona attorno a Streitberg è una delle più belle che abbiamo visto nel corso di tutto il viaggio. Il villaggio si trova all’imboccatura di una valle di media grandezza che si snoda sinuosa tra rocce coperte di boscaglia, dalle quali però affiorano molti massi e spuntoni nudi. Il Wisent serpeggia passando in mezzo alla valle, attorniato da piccolo arbusti e circondato da freschi prati. Questo ruscello è prodigioso, in quanto dispensa le trote più grosse e più gustose, che qui ci si possa sempre procurare. Al limitare estremo di una montagna coperta di selve che sporge sulla valle, là dove questa forma una sorta di angolo, si stagliano, poggiando su uno zoccolo di rocce spoglie, le estese rovine della rocca di Neideck,10 sovrastate da un’alta torre che si protende con le sue forme piramidali verso l’alto. Non ho mai visto delle rovine più grandi e più belle. Ci spingemmo su passando per i massi rocciosi e la fitta vegetazione, che ha preso possesso delle pendici del monte, e ammirammo le imponenti macerie. Il fossato della roccaforte era coperto d’erba; alcune pareti rimanevano ancora in piedi poggiando su poche pietre. In castelli di questa fattura le mura sono costituite solitamente da massi di roccia tenuti assieme da una calce molto compatta, per quanto a volte resa molto friabile in alcuni punti dal tempo e dalle intemperie; in gran parte esse sono però rimaste ancora salde come la roccia. – – Presto riceverete il seguito e la conclusione della descrizione del viaggio. / Erl[angen], 3 giugno 1793. Carissimi genitori, nella descrizione del mio viaggio mi sono fermato da ultimo alla rocca di Neideck. Dall’alto si scorge sotto di sé Streitberg e, dalla parte opposta, a una

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distanza di un buon quarto di miglio, Muggendorf, stretta tra i monti e nota per le grotte presenti nelle vicinanze. I prati che si estendono lungo la pianura sono in parte irrigati da fossi rettilinei e paralleli che, visti dall’alto, paiono scintillanti fili d’argento che si snodano nel verde. Questi, quando ci si trova tra le mura della rocca, sono i paesaggi che si osservano in ogni direzione attraverso le finestre rimaste ancora intatte, dalle quali essi assomigliano a quadri racchiusi in una cornice. Davanti alla rocca di Neideck, dall’altra parte del villaggio, sta sospesa su brulli massi rocciosi la fortezza di Streitberg:11 è soltanto una casetta bianca. A Streitberg incontrammo il s[ignor] Meyer,12 che avevo conosciuto dal c[onsigliere] di corte Klüber;13 voleva andare a piedi a Culmbach14 per far visita a sua madre. Lo portammo con noi fino a Sanspareil,15 dove trascorremmo la prima notte. Percorremmo 3 miglia per giungere sino a lì. Subito dopo aver passato Streitberg si sale su verso il monte passando attraverso una lunga gola; quando si è in cima, si vede di fronte a sé l’ampia pianura, mentre alle proprie spalle si scorge la magnifica valle appena lasciata e tutto il territorio fino a Erlangen, e la stessa Erl[angen]. All’inizio la strada è piana, ma diventa poi molto rocciosa, sassosa e montuosa. Soprattutto intorno a Sanspareil tutti i campi sono fittamente disseminati di pietre e le strade sono strette, accidentate e piene di sassi. Paesaggi simili ne vedemmo in seguito ancora più spesso durante il viaggio. Il territorio è anche in parte brullo; e i massi rocciosi di colore grigio e nero, che nell’area di Sanspareil spuntano dai campi come funghi venuti su dalla terra spoglia, lunghi pressappoco 30 piedi, 50 o più, conferiscono alla natura di questi luoghi un aspetto veramente bizzarro; non riesco a definirlo in altro modo. Lungo il tragitto passammo / attraverso un bosco incantevole, ma anche tra siepi, prugni selvatici e altri arbusti, poiché in queste zone essi non di rado costituiscono graziosi ornamenti delle strade; in un paio di occasioni vedemmo accanto a noi verdi vallate con ruscelli, mentre in lontananza si delineavano dinnanzi a noi montagne azzurre. Passammo anche per la cittadina bamberghese di Holfeld. Prima avemmo modo di fare un incontro interessante. Una gran folla di uomini e donne si erano accampati sulla strada e cantavano o, piuttosto, pregavano intonando canti assolutamente incomprensibili. Si trattava di un pellegrinaggio: una scena per me del tutto nuova. Un quarto di miglio prima di Sanspareil si trova Wonsees, un misero borgo collocato fuori dal centro abitato, in cui vedemmo la stanza nella quale nacque l’erudito filologo e burlone Taubmann.16 La scritta posta all’esterno della casa asserisce che egli sia nato qui nel 1565 e sia morto come professore a Wittenberg nel 1613; e che suo padre sia stato calzolaio e borgomastro allo stesso tempo. Sanspareil (veramente il villaggio si chiama Zwernitz; nome con il quale si trova indicato sulla carta, 3 miglia a ovest di Baireuth) è uno dei 3 celebri

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parchi dell’antica corte di Baireuth.17 Ne fece iniziare la costruzione la sorella di Federico II, la Margravia di Baireuth. Ci si fa un’idea sbagliata se lo si considera un parco artificiale con un fastosa residenza estiva. In breve, non è altro che una selva completamente aperta, con massi di roccia naturali. È aperto quanto il giardino di Wörlitz,18 tanto che lo si può attraversare in calesse o a cavallo. Quanto a estensione, non è molto grande. Gli alberi che lo compongono sono i carpini bianchi più magnifici che io abbia mai visto: quasi tutti ugualmente diritti, forti e alti. La stagione attuale, che per il verde delle foglie è la più consona, conferiva a questa fitta boscaglia una squisita bellezza. Ma a stento qualcuno, che non abbia visto con i propri occhi questo tipo di rocce, potrà credere alla maniera in cui la natura, mediante gruppi di rocce davvero molto curiosi, ha trasformato questo posto di modeste dimensioni in un luogo di delizie. Non solo dalla terra si levano verso l’alto, in mezzo agli alberi, grandi massi di roccia coperti di muschio, così che questi paiono scolpiti e disposti l’uno sull’altro in maniera artificiosa, bensì / essi formano anche parecchie nicchie grandi e piccole, grotte e caverne, dal momento che la roccia sovrastante si estende generosamente e all’interno sembra lavorata con uno scalpello così da risultare liscia e concava; in alcuni punti si trovano anche 2 grossi massi che si appoggiano l’uno all’altro sulla sommità, lasciando tra di loro un’ampia fessura o una fenditura attraverso cui si può passare. Nello spazio retrostante, fittamente ricoperto di cespugli bassi, si trova una roccia completamente isolata e di forma piramidale, sulla quale poggia un padiglione,19 e un’altra roccia di colore rossiccio che forma un arco rampante, piuttosto schiacciato, ma ampio.20 Ebbene, posso ben immaginarmi che esistano per davvero anche in natura archi di trionfo di questo genere, così come li si trova raffigurati su una stretta parete del salone del padiglione nel nostro giardino. Dietro l’arco rampante è scavato nella roccia in maniera incantevole un piccolo teatro (è formato da 3-4 archi in muratura e ornati a mo’ di grotta con pietre colorate).21 – L’immaginazione ha trasformato il romantico boschetto nella dimora di Telemaco, nell’isola di Calipso: per questa ragione si trova qui la grotta di Calipso, della Sibilla, di Vulcano e di Amore, il tempio di Eolo, il monumento di Ulisse ecc.22 Mi rallegrai con piacere di questa allegoria, poiché, sin da quando diedi il primo sguardo a queste bizzarre formazioni rocciose, venni davvero condotto, come per magia, in un mondo del tutto sconosciuto. Alla bella isola manca tuttavia l’acqua. Si ha tuttavia il vantaggio che nella boscaglia, in estate, non si deve temere la presenza degli insetti. Si apprezza questo luogo soprattutto nelle giornate d’estate più calde, perché gli antri nella roccia e l’ombra fitta degli alberi lo rendono troppo fresco nelle altre stagioni dell’anno. La grotta di Vulcano è la più grande cavità che sia scavata nella roccia: è una piccola sala aperta. I posti a sedere sono scavati nella pietra. – Il bosco nel suo insieme mi colpì molto la / prima volta per i suoi scenari sorprendenti e per me assolutamente insoliti. In seguito però, dal momento che passai di nuovo

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per Sanspareil durante il nostro viaggio di ritorno e lo visitai nuovamente, ebbi l’impressione che esso, per certi versi, mostrasse un carattere troppo limitato che presto annoia. È davvero incantevole e fatato, ma nulla di più, e quel che è bizzarro ed estraneo è ciò di cui nel mondo sensibile, come a me sembra, ci si stanca per primo. Per la stessa ragione ci viene subito a noia anche un ballo in maschera. A Sanspareil ci fece da guida un castellano. Nel giardino si trovano diverse casette e, davanti, 4 edifici più grandi, ornati esternamente con grande raffinatezza da pietre colorate con la tecnica a grotta. L’editore Walther pubblica ora, davvero a buon mercato, 12 tavole molto raffinate del giardino (con la tecnica del fondo scuro e miniato).23 Le 4 già pubblicate, le ho viste. Mi auguro di potervele spedire, un giorno, se si presenta l’occasione. – Nel villaggio salimmo su per una vecchia torre rotonda,24 posta su di un’altura che si scorge da lontano e dalla quale si gode una buona vista. Al mattino prendemmo congedo dal s[ignor] Meyer, al quale promettemmo di rendere forse visita ancora una volta a Culmbach, e ci recammo a Baireuth (3 miglia). La strada è in gran parte molto sassosa; le vedute consistono soltanto in colline solitarie, desolate e piatte. Al termine di questo tragitto si passa per un bel bosco, viaggiando su un’ottima strada maestra. ½ miglio prima della città si passa dinnanzi alla residenza estiva di Fantaisie.25 Nelle sue vicinanze, lungo la strada, si trova un tiglio che, credo, ha una circonferenza di 19 braccia. Baireuth è più grande di Erlangen e generalmente ha case in ottimo stato e strade ampie. Il selciato è molto uniforme e composto di pietra liscia; ecco perché i cavalli cadono con facilità.26 La città si trova sul Meno Rosso. I sobborghi sono grandi e in parte persino impreziositi da case in stile berlinese e facciate dotate di colonne. A una certa distanza dalla città si trova il lago di Brandeburgo o S. Giorgio al Lago (il lago è prosciugato),27 un piccolo sobborgo o, se si vuole, una cittadina adiacente, che fa parte di Baireuth. Vi conducono 2 splendidi viali di grossi alberi, di uguale altezza e ombrosi. Di viali davvero eleganti / come questo, ve ne sono numerosi prima di entrare in città: essi assicurano passeggiate molto piacevoli. Di fronte alla città, su una distesa verde, sorge la caserma che, per forma e colori, presenta molte analogie con quella berlinese di Bellevue.28 Molte case sono fatte interamente di pietra arenaria. La città ha un castello antico e uno nuovo; (quest’ultimo non è mal costruito e si trova in una piazza, al cui centro si trova una fontana, o vasca o fonte in muratura, come spesso si trova da queste parti, dotata di una statua di un cavaliere decorata in oro).29 Una chiesa antica e imponente,30 con molte opere scultoree all’esterno. Un orfanotrofio. Un ginnasio. Una zecca. Una fabbrica di porcellane, nella quale però adesso non si produce più porcellana, ma vasellame inglese. Un edificio, che ospita al suo interno un maneggio,31 e nel quale ora, in un teatro davvero ben fatto, mette in scena le proprie opere la compagnia teatrale di Weber.32 Un teatro d’opera (che all’esterno è provvisto di un balcone grandissimo e sgraziato, mentre all’interno è molto ricco e sfarzoso, per quanto risulti, con i suoi fregi dorati, altrettanto antiquato e privo di gusto. Tra l’altro, è di certo grande

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quasi quanto l’Opera di Berlino ed è celebrato come uno dei più grandi e fastosi teatri d’opera del mondo),33 ecc. Un paio di chiese, di cui visitammo gli spazi interni, sono gradevoli e graziose. In una di esse la cripta dei sovrani è fatta di marmo bianco e nero di Baireuth.34 Un fratello del conte di Württemberg, attualmente regnante, abita nel castello nuovo in qualità di governatore della regione.35 La zona attorno a Baireuth è bella: è racchiusa in un’ampia cinta di monti. Avremmo approfittato volentieri del panorama che si gode dal vicino Sophienberg, se il tempo a disposizione ce lo avesse consentito. Abbiamo alloggiato molto piacevolmente presso l’«Anker» («Ancora») e lì mangiato alla table d’hôte assieme ad alcuni ufficiali prussiani. La guarnigione è giunta sin qui da Wesel.36 Ma adesso basta con questi argomenti: non riesco più a trattenermi dall’esaltare l’accoglienza squisita e inaspettata di cui abbiamo goduto qui a Baireuth. Un paio di giorni prima della mia partenza avevo pregato in tutta fretta il s[ignor] prof[essor] Mehmel,37 con il quale di mio impulso ho un po’ familiarizzato e che è noto a Baireuth, di fornirmi, / se gli fosse stato possibile, un qualche recapito di persone alle quali rivolgermi in questa zona. Mi consegnò 3 lettere: la prima era rivolta a un certo giovane s[ignor] Boie,38 che ci fece da guida sia in città che fuori, oltre che al castello di Fantaisie; la seconda era indirizzata al s[ignor] consigliere della camera di corte Schlupper,39 un uomo anziano, rispettabile e molto disinvolto, che ci portò al parco Eremitage e che ci avrebbe trattenuto per cena, se non fossimo già stati invitati dal s[ignor] consigliere governativo Spieß;40 la terza era destinata al s[ignor] consigliere della camera di corte Turnesi,41 un uomo estremamente dotto, fine, abile, gradevole e piacente, il quale, dopo essersi intrattenuto circa due ore con noi e dopo che avevamo fatto colazione da lui, a sua volta inviò immediatamente alla nostra locanda 3 lettere di presentazione per Naila, Wunsiedel e Bischoffsgrün. Verrete a sapere in seguito l’effetto che queste hanno sortito. Infine, il s[ignor] c[onsigliere] gov[ernativo] Spieß, al quale io feci prima visita da solo, e che non appena feci semplicemente cenno al fatto di avere un compagno di viaggio, si offrì subito di avere tutti e due come suoi ospiti per la serata e si comportò come se facessimo parte della sua famiglia. Il suo fare è del tutto privo di convenevoli: è un uomo molto buono. Ha 2 figlie adulte. Dopo cena si danzò; egli suonò e cantò anche dei motivi tratti dalle sue composizioni. – Non avevamo forse motivo di essere molto lieti di questa accoglienza? Ne godemmo del tutto immeritatamente. Dell’archivio non ho visto nulla: è nella fortezza di Plassenburg presso Culmbach.42 Anche l’Eremitage,43 a ½ miglio di distanza da Baireuth (un eccellente viale conduce fino a quel luogo), è un parco aperto al pubblico. In parte presenta grotte artificiali fatte di pietre non lavorate, vasche, fontane a getti d’acqua, eremi; un pergolato molto lungo e bello, un paio di piccoli edifici a colonne, / anch’essi rivestiti soltanto di pietruzze colorate, un padiglione rotondo (chiamato “il tempio del sole”), interamente deco-

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rato al suo interno con marmo di Baireuth dai più svariati colori, (i pilastri hanno i piedistalli e i capitelli dorati), ecc. Le parti delle fontane destinate ai giochi d’acqua, una volta deteriorate, vengono riparate. Una cascata ha cessato di funzionare. Lungo il muro laterale della vasca più grande sono state collocate in fila, a una certa distanza l’una dall’altra, delle nicchie. Quando al di sopra di queste nicchie una moltitudine di getti sgorga zampillando e, formando un arco, ricade nella vasca; chi si muove tra questa e le nicchie ha quasi l’impressione di trovarsi sotto un pergolato di zampilli d’acqua. La parte più consistente del parco è costituita però da un bosco del tutto privo di artificio estetico, con viottoli diritti, dai quali si aprono in ogni direzione belle e ampie vedute su colline e pianure, case, villaggi, prati e campi. Nell’orto ci sono delle grandi serre. – Fantaisie è, anch’esso, quasi totalmente un parco naturale; davanti c’è un castello. Il villaggio in cui si trova si chiama in realtà Dondorf44 (così si trova indicato anche sulla carta). Il giardino è aperto; in un punto presenta dei viali sovrastati da serti vegetali intrecciati ad arco; la parte restante è invece una foresta con prati, viottoli tortuosi e piccole rocce che spuntano dal terreno. Non l’ho percorso in tutta la sua lunghezza. – Il giardino di corte (così si chiama qui ogni giardino di castello), che si trova in città, ha una vasca e graziosi viali coperti e siepi. – Il giardiniere di corte Rosengarten, che il s[ignor] Reichenow conosce, è ancora vivo; però non ebbi tempo per fargli visita. – Nel cosiddetto Brandenburger (castello di Brandeburgo)45 si trova un manicomio molto ben organizzato, e un carcere, in cui abita il s[ignor] consigliere della camera di corte Turnesi, che ne ha la vigilanza. I detenuti e altri esperti di lavorazioni artistiche lavorano benissimo il marmo di Baireuth. Nel magazzino, davvero considerevole, vedemmo un gran numero di bellissimi ripiani da tavola, dosi da farmacisti, tabacchiere, vasi ecc., tutto magnificamente lucidato. Ci fu mostrato anche un campionario di 33 tipi principali e di 27 varietà di marmo di Baireuth, fissato su piccole lastre su ardesia: fossi stato in grado di procurarne uno per il nostro gabinetto delle collezioni, vi sarebbe certo piaciuto moltissimo. Vidi marmi di colore bianco, nero, giallo, bluastro, rossiccio, grigio, quasi belli come quelli italiani, parecchi anche con inclusioni fossili. Quello giallo viene da Streitberg; quello bianco si trova in grande quantità nel territorio detto Sechsämter,46 del quale Wunsiedel è il capoluogo. Questo marmo è bianco come la neve, ma purtroppo solo un po’ troppo tenero, ecco perché si scheggia e si sfalda; anche nelle vicinanze di Naila vi sono grandi cave di marmo, e in generale ve ne sono di molto ricche, sparse in gran numero per tutta la regione. Vi stupireste se vi dicessi che nel territorio di Baireuth, in parecchie zone, pezzi di marmo grandi e piccoli ci ostacolavano la strada ogni momento. Partendo da Baireuth percorremmo in cerchio il suo intero territorio, per conoscere la natura al di sopra e al di sotto della terra. Dapprima ci volgemmo in direzione di Naila, dunque verso nord, poiché qui si trovano le miniere migliori. Passammo per Berneck, ma poi, invece di proseguire per le cittadine di Gefrees e di Münchberg, percorremmo una strada più

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vicina passando per il villaggio di Stambach e la cittadina di Helmbrechts. Berneck è distante ½ miglio da Baireuth; Stambach 3 m[iglia]; Helmbrechts 4 m[iglia]; Naila 5 m[iglia] e ½. Un magnifico viale conduce a Berneck, alternando in parte curve, salite e discese. Incontrammo un gran numero di contadini con fascine, con carri e con oche, che andavano al mercato di Pentecoste a Baireuth. I panorami di cui godemmo ci parvero molto gradevoli. / Ma appena prima di Berneck si viene colti di sorpresa da una veduta che, insieme alla zona di Streitberg, fa parte di uno dei paesaggi più belli che abbiamo visto. Procedendo in mezzo ad alte montagne, si entra a un tratto in una stretta valle, nella quale la cittadina si trova come rinserrata in uno spazio angusto. Tutto è nero, tetro: dalle montagne sporgono dei massi rocciosi neri; sopra la città si eleva il campanile scuro a punta. Lì accanto s’innalza su verso il cielo, sicuramente a un’altezza analoga, l’ancor più ardita torre di una vecchia rocca e sembra quasi voler star sospesa e crollare sulla città, tanto audacemente si protende verso il cielo. Tutto ciò è racchiuso in una valle angusta, attraverso la quale scorre il Meno bianco. L’alta torre quadrangolare era la fortezza dei conti di Orlamünde.47 Dietro si trovano ancora le rovine della rocca dei conti di Wallenrode (con delle piccole volte) e della relativa cappella.48 Questa presenta, accanto alla porta a volta ogivale in stile gotico, l’antica e interessante epigrafe che segue, incisa nella pietra – con lettere molto arcaiche, simili a quelle latine: da . man . zalt . nach . XPI. (Christi) gepurt . m. cccc . lxxx . (1480) iar. an. sant. gurgē . abent . durch . veit . von . wallenrod . ist . der . erst . steyn- an. disse . kappellē . gelegt.49 Durante il nostro viaggio di ritorno attraverso Berneck acquistai dal s[ignor] postiere un piccolo scritto in ricordo della visita: Berneck, ein histor[ischer] Versuch (Berneck. Un saggio storico), di J.G. Hentze. Baireuth 1790.50 In quarto. 48 pagine, nel quale sono narrate la storia di Berneck e quella delle antiche rocche, è contenuta qualche informazione sull’antica religione slava e sono riprodotti alcuni documenti antico-tedeschi. Vi si trovano inoltre 2 piccole incisioni in rame del territorio attorno a Berneck. – Non riuscimmo a vedere la filanda a Berneck, poiché era giorno di festa.51 Tra l’altro qui, in un ruscello piccolo e poco profondo, si pescano anche delle perle, circa 100 pezzi all’anno. Per qualità si dice si avvicinino a quelle orientali. Non sono riuscito a vederne nessuna. Oltre ad alcune altre città dell’Oberland è particolarmente conosciuta per la pesca delle perle anche la cittadina / [di] Rehau (sulla strada da Hoff a Eger). Qui e a Berneck abita un ispettore espressamente addetto al controllo della pesca delle perle. Si dice che le conchiglie delle perle furono portate in passato nel territorio di Baireuth dalla Sassonia, dove ugualmente si trovano, e che esse si siano poi qui moltiplicate. Nel corso di tutto il nostro giro per l’Oberland, da Berneck sino al ritorno nella stessa località, vedemmo dunque un territorio dalle caratteristiche del tutto peculiari. Il terreno è interamente collocato a notevole

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altitudine; l’aria è sempre un po’ rigida e fredda; le alture non sono generalmente né ripide, né elevate, i luoghi sono spesso pieni di rocce e pietre, desolati e solitari. I villaggi sono molto meno frequenti rispetto alla zona di Bamberga e della Franconia meridionale. Qui tutte le qualità di frutta e i cereali maturano più tardi. Le principali fonti di sostentamento, d’altronde di notevole importanza, sono: l’industria mineraria (che riguarda quasi interamente il ferro, dal momento che le miniere d’oro a Goldkronach sono ormai inattive), l’allevamento dei bovini, la coltivazione del lino e anche quella dei cereali. I prati sono meravigliosi. Di buoi se ne trovano in enorme quantità, ma d’altronde non si vede quasi altro che buoi: il contadino li attacca al carro e all’aratro. Le mucche sono più rare. Di cavalli non c’è quasi traccia. Al contrario, ci sono invece begli esemplari di pecore e capre, che danno lavoro a molti buoni lanifici. Le capre, in questi paesi di montagna, hanno un vello molto più bianco e bello che da noi. Gli abitanti sono molto cordiali, bonari e leali. A ragione del diffuso allevamento dei bovini si trovano qui molti macellai. Le donne portano dei grandi cappelli di feltro rotondi che fanno, in linea di massima, un buon effetto. I villaggi hanno ovunque, in questa zona, un aspetto originale. Sono formati da singole casette isolate molto semplici, tutte ricoperte di scandole, peraltro fatte effettivamente tutte di legno; / non sorgono mai sulla nuda terra, bensì sempre su terreni ricoperti di vegetazione, in mezzo a rilievi, oppure disposte sui pendii, come casette di color grigio costruite con carte da gioco. Si trovano spesso piccoli torrenti, che scorrono qua e là, e strade disseminate di rocce. – Tutto questo vale per l’intera area dell’Oberland, a nord-est di Baireuth e Berneck. Dopo Berneck si prosegue ancora un po’ lungo la strada maestra, passando attraverso una gola bella e profonda. Poi si abbandona la strada maestra e, attraversando territori un po’ desolati (almeno così appaiono, se si proviene da Streitberg, Berneck e Baireuth, per quanto, come ho notato, ci si abitui senza dubbio anche troppo facilmente al fascino di zone tanto incantevoli e si diventi un po’ più ingrati verso altre meno belle), si giunge a Stambach e Helmbrechts, nei quali il venerdì di Pentecoste si era fatta festa nelle osterie scherzando rumorosamente e abbandonandosi ad abbondanti ubriacature. Consiglierei quasi di non trattenersi molto nei villaggi nei giorni di festa. Da Helmbrechts si arriva, passando per 2 piccoli borghi, miseri e simili a villaggi, Schauenstein e Selbiz, a Naila. La strada procede quasi costantemente sulla nuda roccia ed è piana come una strada maestra. In un punto si passa davanti a rocce molto scure. Naila, una brutta cittadina di modeste proporzioni, si trova sul fiume Selbiz, attraversato da un ponte di marmo. Anche la maggior parte delle case in città è di marmo. Questo dettaglio dà certamente l’idea di un grande sfarzo, se visto dalla prospettiva di Berlino, dove di sicuro si resta molto meravigliati se si sente parlare di case nei villaggi sassoni, costruiti interamente di pietra arenaria. Se si pensa però che il marmo, che comunque è soltanto una pietra calcarea più nobile, ricorre così spesso, che si costruisce senz’altro più a buon mercato con esso che con il legno e con i mattoni, allora /

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si comprenderà certamente meglio tutto questo. Il marmo negli edifici, tra l’altro, se lo si osserva solo approssimativamente, non sembra affatto migliore della pietra calcarea o della pietra arenaria. – A Naila capitammo proprio nel giorno del mercato. La piazza del mercato (alloggiamo al «Rotes Roß» [«Cavallo rosso»]) era tutta piena di gente, tanto che questo ci meravigliò davvero, dato che l’altro giorno avevamo visto che non vi si aggirava anima viva. Il s[ignor] vice capominiera Ullmann,52 al quale eravamo stati raccomandati dal s[ignor] consigliere della camera di corte Turnesi, ci dedicò più di mezza giornata e, con mio stupore, non si dispiacque di condurci sino a Kembles53 (oltre 1 miglio a nord di Naila, vicinissima al confine sassone) e di scendere qui assieme a noi in una miniera: una cortesia, che in verità può avere solo un uomo che lavora in miniera. Il territorio a nord di Naila ha delle alture, delle tetre foreste scure e un aspetto freddo e poco invitante. Il Selbiz mette qui in azione un numero straordinario di magli e mulini, e anche un mulino del marmo per alimentare la fabbrica di prodotti di marmo a Baireuth. Il rumore dei magli si sente dappertutto. Attorno a Naila vi sono 33 cave, che contengono quasi solamente ferro, ma in parte anche rame. Alcune sono naturalmente piccole. Nelle vicinanze della cittadina di Lichtenberg si cavano i più bei blocchi di malachite che si riescano a vedere in giro. Il ferro lo si trova in filoni puri, e cioè in tutte le forme possibili e nei più splendidi campioni di minerali che io abbia mai osservato: come terra ferruginosa di colore giallo, come compatta pietra minerale dai toni gialli o bruni, come ferro spatico lucente,54 “fiore di ferro”,55 “pietra sanguigna”,56 ematite, minerale ferrifero dalla forma sferica o a grappolo (dalla conformazione simile al calcedonio islandese a grappolo),57 stalattite e minerale ferrifero a forma di pilastro ecc. Il mastro minatore / (questo è il primo minatore) mi offrì dei bei campioni di minerali; il loro trasporto crea però troppi disagi. Se solo avessi potuto inviarvi tutto e subito a Berlino! Nell’abitazione del mastro minatore ci mettemmo giaccone, grembiule e cappello da minatore, sul quale venne sistemato un lume. (Questo mastro minatore riceve 2 fiorini leggeri e ½ alla settimana, alloggio e legna gratuiti, e non lavora, bensì è semplicemente preposto alla custodia della miniera. Nelle miniere di dimensioni ridotte i mastri minatori collaborano alle attività. Gli altri minatori ricevono un salario via via minore a seconda delle loro diverse mansioni.) La miniera che visitammo si chiama: «il dono di Dio» (Die Gabe Gottes). È una delle più profonde e produttive in questa zona. La sua profondità è pari a 26 tese (Lachter)58 = 173 piedi e 4 pollici (Zoll).59 (1 tesa ha 8 Bergschuh60 = 80 pollici, poiché 1 Bergschuh ha 10 pollici; dunque 1 tesa ha 6 piedi e 8 pollici dell’abituale unità di misura nella scala duodenaria.) Scendemmo in un pozzo (per delle scale a pioli). Sopra il pozzo è costruito uno spogliatoio (una casetta di legno). Alla sommità dell’apertura del pozzo si trova un argano a croce, per mezzo del quale viene tirato su il minerale. All’interno, il pozzo è completamente rivestito di un’intelaiatura di legno, alla quale sono fissate molto saldamente le scale, e scende in verticale. Ci si può

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tenere benissimo alle scale. La discesa è facile; l’ascesa, invece, alla fine è un po’ faticosa, perché si procede verticalmente. Non è possibile avere le vertigini per la profondità, dato che tutt’intorno non si vede altro che un barlume di luce. A ogni modo, quando considerai il fatto che, come raccontò il s[ignor] capo-miniera, sullo Harz vi sono pozzi di 100 e 200 tese, ma che in Svezia se ne trovano alcuni persino di 400 tese, che si estendono al di sotto della superficie del mare, la mia discesa mi apparve cosa di ben poco conto. – Giungemmo felicemente in fondo e si procedeva chini, uno dietro l’altro e con la lanterna in mano, poiché le gallerie e i passaggi (che per la maggior parte sono coperti di graticci di legno) sono molto angusti e così bassi / che in essi, a malapena, si riesce ad avanzare stando diritti. Mi sembrava quasi come se dovessi esser accolto in una qualche società segreta, in un’associazione misteriosa, o condotto davanti a un tribunale segreto. Mi ricordai di aver talvolta visto in sogno, durante la mia infanzia, simili gallerie, lunghe, strette e buie, e di aver scorto in fondo un minatore che, come un delinquente esiliato dal mondo, estrae dalle pietre, a forza di colpi di maglio, i tesori nascosti della natura facendosi luce. Fa davvero una strana impressione quando, in lontananza, si sente il martellare sordo di un operaio e poi, via via avvicinandosi, lo si sente mentre saluta con un «Buona fortuna!» (Glück auf!) nel suo strano linguaggio da minatore, e si osserva come affonda con visibile sforzo l’acuminato ferro del piccone con il maglio nella dura pietra. Nelle gallerie ammirammo il ricco minerale ferrifero che era incastrato accanto e sopra di noi tra i blocchi di ardesia nera (questa costituisce qui la ganga). In alcuni punti vedemmo dei bei campioni di minerali ferriferi, così come si presentano quando ancora si trovano nell’officina della natura, e anche della malachite verde, della pirite vitriolica e, infine, del vetriolo assolutamente puro e liquido, verde,61 che aderisce alle pareti: questa miniera, infatti, fornisce anche dell’eccellente materia prima destinata alla fabbrica per la produzione del vetriolo che visitammo nel pomeriggio. In alcuni punti le gallerie erano un po’ umide in basso e lungo le pareti; vedemmo anche un paio di pompe per estrarre l’acqua e una specie di grosso pozzo, chiamato Radstube (“camera della ruota”), volto a contenere una macchina destinata a questo scopo. Dopo esser passati carponi grosso modo per ogni anfratto della grotta, cercammo di ritornare di nuovo all’aria aperta; e raramente ho provato una sensazione più piacevole di quella che ebbi quando, con un balzo, saltai dall’ultimo piolo /della scala verso il cielo aperto. Il verde degli alberi, il blu del cielo, l’aria fresca, tutto penetrò i miei sensi con nuova e più forte intensità, tanto più che, quando eravamo scesi, una fredda nebbia mattutina aveva coperto l’intera zona. – A mezzogiorno mangiammo nel villaggio di Tsirgau, dove fummo ospiti del s[ignor] Ullmann. Tra l’altro, mangiammo un pesce delicato e simile alla carpa, chiamato Barbe (barbo). Dopo il pranzo visitammo la fabbrica del vetriolo e la ferriera nella miniera detta Hölle (Inferno). Lì vedemmo come il vetriolo viene bollito e depurato con procedimenti sempre più raffinati, per precipitare infine in

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bei cristalli verdi, e anche come nei serbatoi la liscivia si separi da sé, per mezzo dell’aria, dalle piriti vitrioliche scadenti; qui vedemmo inoltre come il ferro, sottoposto a elevate temperature, viene reso incandescente e poi battuto assumendo la forma di una barra piatta. Mantici e magli vengono messi in movimento dagli alberi delle ruote idrauliche. Prima di raccontarvi il seguito del nostro viaggio e la vicenda avventurosa del giorno successivo, devo confessarvi quale ardito progetto avevo ideato. È stato comunque davvero meglio che esso non potesse esser realizzato. Mi ero prefissato di partire da Naila, passando per Hoff, per giungere a … Karlsbad,62 allo scopo di osservare gli aspetti notevoli e curiosi della natura e visitare la terra boema, anche se per breve tempo. Poiché la distanza da Karlsbad (come io stesso sperimentai più tardi) mi veniva sempre indicata, da tutti quelli ai quali avevo chiesto informazioni, per difetto, venni ancor più corroborato nella piacevole idea che mi era balzata in testa; ciononostante, da Hoff saremmo certamente giunti lì in una giornata se, contrariamente a tutte le nostre aspettative, il singolare avvenimento, di cui subito verrete a conoscenza, non ce lo avesse impedito. Sempre nella stessa sera del giorno trascorso in maniera così piacevole nella miniera ecc., / percorremmo il miglio e mezzo che separa Naila da Hoff. La zona è situata a notevole altitudine e concede poche distrazioni allo sguardo, in quanto i rilievi appena pronunciati aumentano e diminuiscono, descrivendo un andamento ondulato che alla fine stanca. Passammo un piccolo bosco e giungemmo infine su una strada maestra veramente in buone condizioni. Il sole tramontava magnifico: metà del cielo risplendeva di fiamme dorate. – Hoff si trova in un bassopiano pianeggiante, in una zona abbastanza priva di alberi. La città presenta in linea di massima case a comignolo, un selciato liscio come quello di Baireuth, e ha un aspetto davvero allegro. Prendemmo alloggio presso il «Brandenburgisches Haus» («La casa brandeburghese»), un albergo di grandi dimensioni. La città è rinomata per le sue fabbriche. Il giorno successivo incontrammo nebbia, cielo fosco e pioggia. La strada sale di nuovo ad un’altezza notevole ed è piuttosto solida. Dalla parte destra, a valle, vedemmo il fiume Saale (che avevamo osservato anche nei pressi di Kembles) scorrere per verdi prati formando quasi soltanto cerchi concentrici, così che esso più volte si riavvicina ai luoghi che ha già attraversato. In un fitto bosco, che attraversammo, trovammo la strada argillosa già molto deteriorata dalla pioggia. Alla fine giungemmo presso il villaggio di Schönbach, ai confini imperiali della Boemia. Avevamo già passato la sbarra quando il s[ignor] doganiere e stradiere (così si chiamano i funzionari doganali austriaci) ci gridò: “Alt”! Dovemmo far ispezionare le nostre cose e quindi pretese i nostri passaporti, a conferma che fossimo davvero studenti universitari come avevamo dichiarato. Gli presentammo le nostre matricole, dal momento che avevamo portate con noi soltanto queste, perché in genere, quando si ha a che fare con

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studenti, esse fungono sempre da documento sostitutivo dei lasciapassare. Al s[ignor] doganiere sembrò tuttavia molto strano che si consegnassero dei passaporti in latino; fissò a lungo le matricole … ma le comprese altrettanto / poco. Pensò forse che potessero essere alla stregua di programmi di sala di commedianti francesi, o chissà che cosa. Ci squadrò da capo a piedi con occhi diffidenti e ritenne infine che la cosa migliore da fare fosse quella di farci accompagnare fino alla successiva città boema di Asch (nella piccola signoria di Asch) da un messo, il quale tenne per sé le nostre matricole per tutto il tempo del viaggio, in maniera da farle controllare poi là più accuratamente. Il s[ignor] giudice ad Asch comprese effettivamente le matricole, perché egli stesso aveva studiato all’università, ma ci scrutò altresì con tale severità, come se con il suo sguardo volesse penetrarci da parte a parte; chiacchierò di ogni sorta di argomenti marginali – per esempio gli parve sospetto che uno studente così giovane come me intendesse intraprendere subito un così lungo viaggio; c’interrogò sui nostri affari a Karlsbad; … e la fine della storia fu che le matricole non sono passaporti e non posseggono una piena validità che consenta di poter passare il confine. Che potevamo fare? Nella locanda, in cui ci ritemprammo pranzando, venimmo a sapere che le disposizioni relative agli stranieri che intendevano varcare il confine, a causa dei francesi emigrati, erano state inasprite da pochissimo tempo. Ci informarono tuttavia che ad Asch ci saremmo potuti far dare un foglio di via, che doveva però esser convalidato e firmato in ogni ufficio distrettuale, poiché chiunque fosse entrato in qualche modo nel Paese del tutto sprovvisto di passaporto doveva aspettarsi di esser posto in stato di fermo fino alla conferma della sua identità. In parte il brutto tempo, in parte le circostanze e le difficoltà, alle quali comunque potevamo ancora sempre esser esposti, in parte ancora la distanza da Karlsbad, ci spinsero presto a cambiar strada e a recarci immediatamente a Wunsiedel. Da Hoff ad Asch avevamo percorso due miglia e mezzo; da qui a Wunsiedel ne avevamo tre da fare. Dal messo, che non ci aveva ancora lasciati, venimmo a ogni buon conto formalmente accompagnati al confine e solo in quel momento egli ci riconsegnò / le nostre matricole. Comunque, avevamo quanto meno messo piede in Boemia e, dopo questa vicissitudine, riprendemmo soddisfatti il nostro viaggio. Questa zona si presenta di nuovo particolarmente solitaria e desolata. In precedenza ho dimenticato di dirvi che durante l’intero viaggio attraverso le località più remote dell’Oberland, le persone ci osservavano sempre con grande curiosità e ci chiedevano chi fossimo, dal momento che questa regione non viene affatto visitata così spesso dagli stranieri. Forse in ciò risiede in parte la ragione della buona accoglienza riservata agli stranieri. – La cittadina di Selb, attraverso la quale passammo, è piccola e brutta, e rivestita di un selciato davvero misero. In mezzo al bosco si trova il casale di Schwarzhammer, dotato di una ferriera, di una vetreria e di una fornace. Fu un vero peccato che non ne fossimo informati in precedenza, altrimenti avremmo potuto esaminare con attenzione la vetreria e il

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forno fusorio. Nessuna delle restanti fornaci nella zona di Baireuth, nelle vicinanze delle quali capitammo, erano in funzione (così come d’altronde generalmente ora capita per molti impianti minerari e fonderie che, in particolare, vengono molto meno utilizzati rispetto a quanto si potrebbe. Comunque sia, presto giungerà qui il giovane s[ignor] v[on] Humbold [sic!],63 l’esperto mineralogista, in qualità di ispettore delle miniere della zona di Baireuth. A casa del s[ignor] Turnesi vidi già una relazione molto ragguardevole sullo stato dell’industria mineraria che Humbold aveva steso durante un viaggio attraverso la regione.) – Quando uscimmo dal bosco scuro di pini e abeti, ci trovammo di fronte alla più sorprendente delle vedute. Imponenti rovine di una vecchia rocca con un’alta torre circolare, posta su una collina, balzarono fuori improvvisamente dietro / gli ultimi alberi. Giungemmo al villaggio, fino ai piedi dell’altura e in quel momento, con mio sommo piacere e del tutto inaspettatamente, venni a sapere che eravamo a Thierstein.64 Il s[ignor] Turnesi mi aveva detto che qui si trova il basalto articolato, o colonne di basalto, una magnifica peculiarità che probabilmente non si ritrova in nessuna altra parte dell’intera Germania e che si osserva in pochi altri luoghi, eccetto, credo, in Scozia, nella quale le grandi masse di colonne basaltiche sono molto celebri. Immediatamente mi guardai attorno alla ricerca della roccia di basalto e, guarda un po’ lì, era proprio la stessa roccia sulla quale erano collocate le rovine. Decidemmo dunque di fermarci ed esaminammo in maniera più approfondita quel luogo. La rupe, che si erge nel bel mezzo del villaggio, alta all’incirca quanto una casa, presenta su di un lato una gran quantità di neri cristalli di basalto a 6 angoli, se così posso definirli, i quali sono pressappoco larghi 1 piede e alti 1-2 piedi e si ergono l’uno sull’altro formando una sorta di scala. Alcuni blocchi sono caduti, oppure sporgono di traverso. Le rovine che si trovano in questo borgo, constano di mura molto alte e grandi, con finestre, e di una torre molto alta e rotonda. Vi si osserva la presenza di parecchio basalto integrato nella muratura. Sull’altro lato del piccolo masso si trovano invece diverse colonne di basalto alte ed esagonali che, disposte in maniera compatta una accanto all’altra e incastrate vicendevolmente, svettano quasi verticali verso il cielo. Rispetto a un diametro di circa 1 piede, hanno verosimilmente un’altezza all’incirca di 10 piedi e offrirono uno spettacolo per me del tutto nuovo e sconosciuto. È forse possibile che questa meravigliosa particolarità sia già molto nota a Berlino? La località si trova a circa metà strada tra Asch e Wunsiedel. Proseguendo, vedemmo ergersi dinnanzi a noi le selvagge montagne del Fichtelgebirge e alle nostre spalle scorgemmo, sotto forma di una linea che si stagliava tenue e alta all’orizzonte, la catena dei monti al centro della Boemia. / Le macchie boscose, da queste parti, hanno un carattere particolare: sono costituite da piccoli o appena più ampi gruppi o insiemi di alberi e, dal momento che nella maggioranza dei casi sono formate da conifere, paiono scure e tetre, oltre che esser disseminate qua e là per i campi. Wunsiedel o Wonsiedel ha 300 case e 2500 abitanti, si trova in una zona posta a notevole altitudine, per quanto si sviluppi in una piccola conca, ha

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un clima piuttosto rigido, ma una natura interessante tutt’intorno. Le strade procedono in salita; le case sono discretamente conservate. La città ha molte attività commerciali ed è davvero vivace. Alloggiamo presso l’albergo «Einhorn» («Unicorno»). Attorno alla città vi sono molte cave di marmo bianco che però, essendo così comune, viene spesso ridotto a calce. Le mura cittadine sono di marmo bianco, ed ecco perché questo centro viene di solito anche chiamato “la città dalle mura di marmo”. Parecchie case sono costruite sul marmo e fatte di marmo; diverse sono però anche realizzate con il granito rossiccio e biancastro, che, accanto al gneis,65 si trova frequentemente avvicinandosi al Fichtelgebirge e costituisce pure la struttura portante di queste montagne. Dal s[ignor] Turnesi venimmo affidati alla protezione del s[ignor] vice-capominiera Schubert,66 e quest’uomo estremamente cortese ci condusse, di mattina, a Luxenburg67 e a Sichersreuth, e, di pomeriggio, ad Arzberg; per pranzo, inoltre, ci invitò a casa sua. – Luxenburg è una parte del Fichtelgebirge, i cui singoli monti, generalmente, hanno i seguenti nomi: 1) il Luchsburg, Luxenburg o Losburg. Questo monte prese il nome dalle linci, presenti qui un tempo in gran numero, (ancora 3 anni orsono ne fu uccisa una nel vicino Palatinato bavarese,68 / e dall’antico castello che si trova sulla sua cima e della quale sono ancora oggi visibili i resti. I 4 alti massi rocciosi che si protendono verso il cielo sporgendo, completamente brulli, fuori dalle selve di questo monte, si chiamano: il Burgstein, lo Haberstein grande e piccolo, e lo Schauberg. – 2) l’alto Cössein; 3) l’Ewald; 4) il Todtenkopf; 5) le cime del Platten; 6) il Silberanger; 7) le alte vette del Fahrnleiten, 8) il Nußhart;69 9) lo Schneeberg; 10) lo Schloßberg o Rudolphsstein. Queste 10 montagne formano una catena. Dall’altra parte della valle, là dove è situato il lago Fichtelsee, si trovano 11) il Weißmann; 12) l’Ochsenkopf. I seguenti monti, infine, formano una catena distinta che si sviluppa in una direzione diversa: 13) il Waldstein; 14) il Langenstein; 15) l’Epprechtsstein; 16) il Kornberg. – Il Fichtelgebirge è completamente coperto di pini e abeti che, nelle zone situate più in basso, sono mescolati anche a qualche faggio; le cime più alte, tuttavia, sono nude. Osservato da lontano, esso appare nero, cupo e brullo. È lungo 4-5 miglia ed è scarsamente abitato e poco visitato. Le singole montagne si spingono dolcemente e gradualmente verso l’alto; precipizi improvvisi, non ve ne sono proprio. Perciò queste montagne non sembrano affatto tanto alte quanto sono; bisogna però considerare che esse si trovano in un territorio situato a un’altitudine molto elevata. È ancora incerto se le sue vette più elevate abbiano o meno un’altezza sul livello del mare maggiore di quella del Brocken. Inoltre, resta ancora in dubbio se la parte più alta del gruppo montuoso sia rappresentata dall’Ochsenskopf o dallo Schneeberg; la maggior parte delle opinioni sembra comunque propendere per quest’ultimo. Secondo gli Annali di Randel,70 il Brocken avrebbe un’altezza pari a 3569 piedi parigini71 sul livello del mare, il Fichtelberg, invece, di 3621. A pro-

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posito, in questo massiccio montuoso si celano di sicuro ancora depositi smisurati di minerali metallici /; tuttavia, non ci sì è ancora impegnati per cercare di scoprirli. Oltre a ciò, molto probabilmente è fondata l’antica leggenda secondo la quale questa montagna sarebbe ricca di pietre preziose. Ma chi si è mai dato la pena di cercarle? È poco ma sicuro che di frequente degli italiani vengono qui, svolgono le loro attività in località remote della montagna e, probabilmente arricchiti di pietre preziose, se ne vanno di nuovo via con fare segreto e in tutto silenzio. Il Luchsenburg è la montagna più vicina a Wunsiedel. La strada che porta fin lì è disseminata di granito; ai piedi della montagna i blocchi di granito si fanno eccezionalmente grandi e subito tendono ad appoggiarsi l’uno all’altro di traverso, così che ci si può strisciare in mezzo; oppure può capitare di vedere un masso enorme e largo che, poggiando su diversi più piccoli, disposti in cerchio attorno ad esso, forma in questa maniera una grotta naturale e fresca. Trovai tutti gli scenari di questo genere molto più grandi e meravigliosi che a Sanspareil. Su di un grande e piatto blocco di granito venivano un tempo rappresentate, ogni anno e in ottemperanza alle disposizioni stabilite da una fondazione,72 delle commedie pastorali e altre opere teatrali dagli studenti del ginnasio di Wunsiedel; gli spettatori sedevano tutt’attorno sui massi rocciosi all’aria aperta. Il s[ignor] vice-capominiera Schubert, da giovane, aveva preso parte alle rappresentazioni. Non lontano da questo luogo sgorga una fonte particolare dalla fessura di un masso di granito: il popolo la indica come la sorgente che Mosé fece scaturire percuotendo la roccia con il bastone. Oltre a ciò, ai piedi del monte e posto in mezzo a questi meravigliosi gruppi di rocce di granito, vedemmo uno spazio appositamente allestito, nel quale ogni anno / gli abitanti più in vista della città mangiano un paio di volte e trascorrono all’aperto una giornata piacevole con le loro famiglie. Vedemmo anche l’anziano borgomastro, dall’aspetto molto rispettabile, impegnato in prima persona a mostrare ad alcuni operai come sistemare un paio di grotte naturali e piazzole formate da rocce, in modo da renderle più belle e comode per le attività di intrattenimento. Una nobile dama, recentemente giunta a far visita a questi luoghi, aveva fatto incidere il suo nome sulla roccia. – Salimmo poi, passando attraverso folte boscaglie, per un sentiero che procedeva molto moderatamente verso l’alto, e giungemmo infine alla cima del Burgstein, che s’innalza come una torre rocciosa o un poderoso pilastro al di sopra degli abeti più alti. In cima è stata realizzata una galleria. Ebbene, da questo spazio angusto, le cui dimensioni sono di pochissimi piedi quadrati, non soltanto si abbraccia con lo sguardo l’intero complesso del Fichtelgebirge e Wunsiedel, bensì, su di un lato, anche il territorio di Baireuth e, sul versante opposto, le enormi e scure foreste del vicinissimo Palatinato, con a destra i monti della Boemia: un paesaggio sublime e composito, ma anche aspro e desolato. – Da qui proseguimmo in direzione di Alexandersbad,73 ossia verso le fonti d’acqua termale di Sichersreuth, che giacciono ai piedi del Luchsenburg, a un ¼ di miglio da Wunsiedel. Vengono purtroppo frequentate solo di rado e per breve tempo dagli abitanti del territorio di Baireuth, penalizzate come sono

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dalla presenza delle vicine acque termali boeme di Eger e Karlsbad. L’acqua ha un forte sapore minerale e viene inviata a Vienna, Trieste, Venezia ecc. L’edificio che ospita i bagni termali è un palazzo ancora nuovo, grande e costruito in granito, collocato in una posizione molto gradevole. Reca la / scritta: «Sanitati publicae aedes hasce aere suo exstrui jussit Alexander ecc.». – Tutto è molto grazioso: le stanze per gli ospiti dei bagni termali, oltre agli edifici adiacenti, ai viali sistemati ecc. Arzberg, dove andammo nel pomeriggio, si trova a ½ miglio da Wunsiedel. Intorno ad Arzberg ci sono 33 cave che, come quelle presenti attorno a Naila, appartengono soltanto a privati. Molte però ora sono chiuse o, come si direbbe in termini tecnici, non sono coperte da personale. Sono tutte miniere di ferro. Il ferro non si rinviene qui in filoni, come a Naila, bensì si trova disposto a piani (in agglomerati irregolari) e non è presente in campioni così belli come quelli là. Entrai nel pozzo usando una scala a pioli, in una miniera profonda 18 tese, la «Silberkammer» («camera argentea»). È la più redditizia. Nei filoni e all’estremità delle gallerie (vale a dire, nei punti in cui il metallo viene estratto e che vengono esplorati qua e là irregolarmente), sopra e accanto a me, non vidi altro che minerale ferrifero di colore giallo-bruno, in quantità inesauribili. Il mio lume venne spento un paio di volte dalle correnti d’aria (da esalazioni mefitiche o da aria stagnante). Vidi anche pendere in grande quantità dalle pareti delle gallerie una strana massa bianca, soffice e simile al cotone, che altro non è che un deposito di vapori. La maggior parte di quello che vidi qui era come ciò che avevo osservato a Naila. Per risparmiarmi le fatiche della risalita mi feci tirar su dalle profondità della terra sistemato su una stecca (un massiccio pezzo di legno, sul quale ci si siede) e mediante una corda tirata da 2 persone, dopo essermi accuratamente informato in anticipo sulla sicurezza di questa sorta di carrucola / . – Arzberg è una cittadina piccola e poco appariscente. Nelle sue vicinanze vi è anche una miniera di allume. In aperta campagna assistemmo anche al lavaggio del minerale di ferro: la pietra minerale, dapprima frantumata in piccoli pezzi, viene posta in un piccolo ruscello e ammassata con delle pale di ferro contro la corrente, in maniera tale che il corso d’acqua trascini via con sé il pietrame più leggero e torbido e lasci posare il minerale sul fondo del ruscello, ricoperto di tavole di legno. – Nei pressi del villaggio di Göpfersgrün, tra Arzberg e Wunsiedel, vi è una miniera, in cui si trova steatite, detta anche lardite: è una pietra tenera e presenta anche formazioni dendritiche. Quella bianca è la migliore. Viene spedita a Ratisbona e, da là, è probabilmente mandata a Trieste e in Turchia. Non si sa con precisione a quale scopo venga là utilizzata; si dice che con essa vengano realizzate le teste di pipa di schiuma. – Pertanto, diversi impianti minerari nelle vicinanze di Arzberg non sono al momento in funzione, perché i contadini dei territori di Baireuth e della Boemia, che prima consegnavano la pietra minerale alle ferriere, ora non fanno altro che trasportare cereali a Baireuth per le armate che si trovano sul Reno.74 – Nei paraggi di Wunsiedel si sono trovati dei pozzi molto vecchi e abbandonati: erano circolari e al loro interno erano ricoperti di

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graticcio. Si sa che in questa zona già nel 1400 era presente l’industria mineraria. In vista della mia visita a Wunsiedel avevo ricevuto dal c[onsigliere] di corte Schreber75 anche una lettera di presentazione per il borgomastro di quella città, il s[ignor] Schmidt. Questi ci procurò una guida, che il giorno successivo ci doveva accompagnare oltre il Fichtelberg fino a Bischoffsgrün, perché in queste remote montagne ricoperte di foreste ci si può facilmente perdere. – Dopo aver passato Wunsiedel, transitando per Schönbrunn e Leupoldsdorf, arrivammo nel luogo dove si trovano una ferriera e una fabbrica per la produzione della latta. Il padrone di entrambi gli stabilimenti, il s[ignor] consigliere commerciale Müller, / vedendoci intenti a osservare con attenzione la sua ferriera, ci invitò a colazione, pur senza conoscerci, e ci prestò un cannocchiale in maniera che potessimo guardarci intorno osservando la zona dall’alto. Le parti della montagna poste più in basso presentano, in mezzo ai pini e agli abeti, anche dei faggi. Passammo per strade sassose, paludose e invase dalla vegetazione, mentre torrenti scorrevano rapidi al nostro fianco o incrociavano il nostro cammino. Alla fine giungemmo alla cosiddetta «Zinnseife» [miniera in cui si esegue il lavaggio dello stagno, N.d.T.] e al «Zechenhaus» [la casa dei minatori, N.d.T.] (detta anche «Grubenhaus» o «Bergwerkshaus»). La «Zinnseife» è una grande miniera, in cui vengono lavati i minerali di stagno (la cui estrazione e lavorazione sono però adesso completamente trascurate, nonostante essi siano di qualità tanto buona quanto lo stagno inglese). Ci mancò il tempo per salire sullo Schneeberg, dal quale si gode di una vista ancora più ampia che dall’Ochsenkopf. (Sullo Schneeberg ci dovrebbe ancora essere un forno risalente alla Guerra dei Trent’Anni, dal momento che si cercava riparo tra queste vette). Proseguimmo il cammino oltrepassando il Fichtelsee e il Weißmann, fino a raggiungere la cima dell’Ochsenkopf. Il Fichtelsee, il lago senza fondo, o, se si vuole, il Seelohe, è un profondo acquitrino o palude coperto di muschio e giunchi, e pure di bassi e rachitici arbusti di abete rosso, che non si prosciuga mai, perché giace in una vallata ed è privo di deflusso, e nei periodi dell’anno ricchi di pioggia si trova invece semmai del tutto colmo d’acqua. Anche attualmente, nei punti in cui l’acqua supera il livello dell’acquitrino, si riesce a spingere il bastone fino a una profondità di 3-4 piedi. Si attraversa questa palude camminando su stanghe, legni e cespugli messi in fila sulla superficie dell’acqua. Arrivammo così nel cuore del territorio selvaggio e inospitale della montagna, che ero così curioso / di vedere. Sentieri poco battuti e abbastanza ripidi ci condussero, tra fitti cespugli, verso l’alto. Sopra noi torreggiavano, posti proprio in mezzo a dei tronchi d’albero, dei possenti massi di granito che, in parte spogli e in parte coperti di muschio, come dei giganteschi monumenti sfidavano, da chissà quando, il tempo. Vedemmo un paio di vecchie gallerie franate, piene d’acqua, e parlammo con un minatore, il quale possiede in questo luogo desolato una capanna e che, con aria misteriosa, ci svelò che grandi tesori di oro e altri minerali debbono certamente ancora trovarsi nascosti in questa montagna tutt’ora poco esplorata: un’affermazione che non appare

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improbabile. Fu per me un fatto assolutamente singolare quello di trovare qui, nel bel mezzo della foresta, il luogo in cui ha origine uno dei più grandi fiumi della Germania: osservammo la fonte del Meno bianco che, sgorgando da una cavità cinta da rocce e largo una piccola spanna, scorre giù sull’erba. Mi sedetti nei pressi della fonte, bevetti un po’ della sua acqua, mi sistemai come il colosso sopra la corrente del giovane fiume e cercai di trattenere con la mano tutta l’abbondanza delle sue acque. – Da qui, la strada si fa sempre più impervia. Procedemmo, camminando incerti sul terreno paludoso, o sulla neve, presente qua e là, o sull’erica alta, in mezzo alla quale spesso si trovavano celati rami o massi rocciosi. Infine raggiungemmo la cima, trovandovi un piccolo spazio circoscritto privo di rami e attorniato solo da massi di pietra. In alcuni punti, assicuro che è vero, riuscivamo a vedere sino a forse 20 miglia di distanza; ma cosa? Vicino, selve scure e parecchi centri abitati; lontano, pallide strisce di terra che si perdevano all’orizzonte. Il paesaggio / è troppo ampio, perché se ne possa godere in così breve tempo. Il nostro cannocchiale non era particolarmente potente; la nostra guida non fu in grado di indicarci con precisione i borghi e le località; e il cielo non si stagliava del tutto sereno all’orizzonte, benché il sole splendesse. Ciononostante, un simile panorama tanto esteso, anche se non se ne distinguono con esattezza i singoli elementi, è sempre sublime. – Nella nostra discesa lungo l’altro lato della montagna, verso Bischoffsgrün, c’imbattemmo nel bosco in alcune carbonaie (queste sono dei grandi e rotondi mucchi di pezzi di legno, simili a quelli che si accumulano nei forni, impilati l’uno sull’altro, che devono bruciare lentamente per trasformarsi in carbone) e osservammo i percorsi che il legname, tagliato in grandissima quantità sulla montagna, segue quando, in inverno, posto su delle slitte e ammassato in maniera da seguire un tragitto prefissato, viene fatto scivolare a valle sulla neve. Bischoffsgrün è un villaggio posto proprio ai piedi del Fichtelgebirge. Qui c’incontrammo nuovamente con il nostro vetturino, che aveva dovuto percorrere fin lì la strada carreggiabile. La vetreria locale non era in funzione. La locanda è pessima e il proprietario è un truffatore. Ci fece dunque molto piacere il fatto che il s[ignor] consigliere commerciale Müller (un cugino di quello ricordato in precedenza) ci accolse in maniera così ospitale a Fröbershammer, nelle immediate vicinanze di Bischoffsgrün. Eravamo stati raccomandati alla sua attenzione da parte del s[ignor] Turnesi ed egli non solo ci invitò a desinare assieme a lui, ma ci diede anche eccellente alloggio per la notte nella sua ampia abitazione, dove, con loro soddisfazione, / ha già ospitato molti stranieri. Visitammo anche la sua ferriera, la magona (dove si forgiano barre di ferro, oppure sottili stanghe vengono lavorate e trasformate in chiodi) e la sua fabbrica di bottoni (nella quale vengono realizzati bottoni per camicie e articoli del genere utilizzando vetro giallo, azzurro, marrone ecc. e di vari altri colori. Purtroppo, in quel momento, non era in funzione, poiché lavora solamente in inverno). A questo punto decidemmo, in maniera a dir la verità assai repentina e compiendo una deviazione, di far ritorno a Kulmbach, dove intendeva-

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mo far visita al nostro s[ignor] Meyer; e di questa decisione, in considerazione della magnifica bellezza di quella zona, ci è alquanto dispiaciuto. Da Bischoffsgrün a lì dovevamo percorrere circa 3 miglia e ½. Inizialmente attraversammo monti e boschi, e incontrammo ampi panorami. In seguito giungemmo di nuovo a Berneck, passando però da un’altra parte. Dall’alto vedevamo la cittadina, situata proprio in basso e stretta ai piedi della montagna: scendemmo a lungo prima di arrivare giù in fondo. – Berneck si trova sul Meno bianco, che in questa zona va attraversato più volte, scorrendo solo in piano. Si passa poi per prati e pianure molto belle, romantiche, arcadiche, la cui vista rallegrò davvero tanto i nostri occhi, mutando così repentinamente dopo le aspre contrade del Fichtelgebirge e di Berneck. Ci attirò particolarmente per il suo fascino un borgo posto alle pendici di un monte, confuso in mezzo agli alberi e situato in mezzo a una valle solitaria e verde. Nel villaggio di Himmelkron, nell’antica chiesa, visitammo i vecchi monumenti sepolcrali della contessa di Orlamünde,76 del conte di Merania ecc. Sono molto antichi. Le figure dei morti sono scolpite sulla pietra, accompagnate da iscrizioni in antico tedesco quasi completamente illeggibili, e sono interessanti per i loro costumi. – Nel vicino villaggio di Lanzendorf la fabbrica per la produzione di tela lucida è stata chiusa; al suo posto si trova un cotonificio. – Prima di arrivare a Kulmbach si passa per un faggeto lussureggiante, il cui verde, splendente e fresco, è particolarmente incantevole in questa stagione. Infine giungemmo in una valle molto bella, stretta e chiusa da monti piuttosto elevati, su cui prosperano rigogliosi boschi e giardini: proprio là dove la valle finisce si trova Kulmbach. La città è molto piccola; di essa, da questo punto di osservazione, non si vede altro che la grande e venerabile chiesa collocata in alto, la cui antica torre scura rappresenta la colonna di confine della valle. A destra, sopra la città, sta come sospesa sulla cresta del monte la roccaforte di Plassenburg,77 con le sue mura e torri rossicce. Questa valle forma un quadro paesaggistico molto bello, perfetto e conchiuso, e merita certo di esser accostata alle contrade nei pressi di Streitberg e Berneck. Kulmbach è costruita molto bene. I sobborghi, in rapporto alla città, non sono piccoli. In città è degno di nota il chiostro, abitato da una piccola colonia del convento di Langheim, composta da 3-4 frati. – Alle spalle della città la stretta, lunga valle (chiamata Wolfskehle [«gola del lupo»]) si allarga a formare un grandissimo e magnifico prato prospiciente il fiume, attraverso cui serpeggia il Meno bianco, attorniato da una vasta cinta di monti. Certamente saprete che a partire dalla scorsa guerra a Kulmbach si trovano prigionieri, di cui 20 ufficiali e 700 soldati / dell’armata francese. Gli ufficiali abitano in città, in abitazioni private, possono girare in città, ma non al di fuori di essa, senza essere accompagnati, e adesso hanno il loro caffè, dove giocano, leggono giornali e si svagano, pur nei limiti della

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loro condizione. I soldati sono tutti presso la Plassenburg, che visitammo assieme al s[ignor] Meyer, che eravamo andati a trovare. La strada per la fortezza è un viale largo e ombreggiato, che sale su tortuoso verso il monte. La fortezza dà l’impressione di una certa imponenza. I francesi, lassù, si allietano per quanto è loro possibile. In un grande cortile giocavano a trou-madame78 e avevano costruito un piccolo teatro delle marionette; in una loggia alcuni si esercitavano a tirare di scherma; in un’ampia sala altri impartivano lezioni di ballo ai loro compagni. Tutti erano molto cortesi e non ve n’era nessuno che mendicasse. Si mantengono puliti e ordinati, sono benvoluti, e sono sempre ben accolti. In città nessuno di loro può muoversi senza esser accompagnato. Alcuni erano ben vestiti e sembravano colti e di non bassa estrazione. – Il s[ignor] Meyer ci portò anche in uno spiazzo sui monti vicini alla «gola del lupo», dal quale il panorama, che avevamo già ammirato giù in basso nella stessa valle percorsa lungo il nostro tragitto, si presentava ancora più mirabile ai nostri occhi: la vista si spingeva oltre la città e con un sol sguardo abbracciavamo l’incantevole valle. Da Kulmbach riprendemmo il nostro percorso a ritroso per Erlangen, passando per Sanspareil e Streitberg. Per Sanspareil c’erano da percorrere 2 miglia e ½. Passammo davanti al castello di Steinhausen,79 dietro il quale confluiscono il / Meno Rosso e quello Bianco, e poi attraversammo il dominio del conte di Giech,80 nella cui capitale, Thurnau, scendemmo di carrozza per visitare un po’ il giardino di corte. Aveva un viale molto grande e ombroso, siepi, cespugli, spazi verdi organizzati come passeggiate francesi, e alcuni orti. Prima di Sanspareil si passa davanti anche a un paio di grandi cave di pietra arenaria. Sanspareil e Streitberg le conoscete già; devo dunque ancora descrivervi solo le grotte di Muggendorf, che visitammo al mattino, in maniera da essere a Erl[angen] per la sera. Muggendorf è collocata in fondo a una valle circondata di rupi, a oltre ¼ di miglio da Streitberg. L’ispettore delle grotte Wunder,81 che si occupa della ricerca e della vendita di fossili pietrificati e di erbe botaniche, ci guidò dentro 4 grotte.82 Non visitammo la grotta di Gailenreuth,83 dalla quale proviene un gran numero di fossili, e un’altra grotta, ricca di zooliti; si trovano entrambe abbastanza lontane. La grotta di Rosenmüller,84 (lo studente Rosenmüller di Erl[angen] è stato il primo a percorrerla lo scorso anno) è, in quanto a forma delle stalattiti, la più bella. Il suo ingresso è costituito da una stretta fessura tra pilastri rocciosi, in alto, sulla cima di un monte; e si discende su una scala a pioli posta di traverso, con l’ausilio di una lanterna. Una volta in fondo, ci si ritrova in uno spazio fatto a volta, molto alto e scuro, attraverso il quale penetra la luce pallida e magica del giorno grazie a quella lunga fessura dell’ingresso. La grotta non è grande. Si procede verso l’alto camminando su collinette rotonde di stalattite, umide e un po’ scivolose. Comunque, voragini o acque profonde / o altri punti pericolosi,

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non ve ne sono; né in questa, né in altre grotte. Negli angoli angusti, nei quali la volta si avvicina di nuovo al suolo, penzolano da quella numerose stalattiti, dalle cui punte scende sempre una goccia d’acqua. La caduta di alcune gocce isolate in questi recessi desolati produce uno strano rumore. Le stalattiti e le colonne (poiché dal terreno si levano verso l’alto delle piccole colonne che giungono talora sino alla volta), qui presenti, sono, come in nessuna delle altre grotte, del più bel giallo rossastro, più o meno dello stesso colore delle chele del gambero, e brillano magnificamente alla luce delle lanterne. – Le altre 3 grotte si trovano tra le rocce dall’altra parte della valle, ma non così in alto sulla cima. Sentieri solitari che si inoltrano per fitte boscaglie conducono alle loro entrate. In tutte e tre si entra direttamente, muovendosi su un terreno abbastanza pianeggiante. La “montagna cava” (der hohle Berg), o “tempio pagano” (der heidnische Tempel), anche detta “grotta di Oswald”85 supera in bellezza le più splendide grotte artificiali. Attraversa in linea retta la roccia, così che vi si entra passando per un’estremità e se ne esce dall’altra, e non è così lunga da aver bisogno di farsi luce all’interno. È una meravigliosa volta scavata nella roccia, con pilastri possenti, di grigia pietra calcarea. Le stalattiti, presenti in questa grotta e nelle 2 successive, sono di colore grigio, verdastro o nero, e bianche, quando assumono la forma di cascate che scorrono verso il basso. Il suolo in questa grotta è tutto pianeggiante. Si dice che / qui abbia vissuto l’eremita Oswald e devono essersi tenuti anche dei riti pagani. – La grotta di Wunder ha preso il suo nome dall’ispettore Wunder, che l’ha scoperta. All’inizio vi si entra strisciando attraverso un pertugio nella roccia, comunque piuttosto comodo. – Il passaggio di Vid (das Wizeloch)86 è la grotta più grande, sebbene la maggior parte di essa sia accessibile con estrema difficoltà a causa degli stretti pertugi. In questa grotta gli slavi celebravano i loro riti al dio della morte, Vid. Una pietra grande e larga era il loro altare. Su una specie di panche di pietra / dovrebbero aver amministrato una sorta di giustizia segreta. Qui, su un masso, venne ritrovata l’immagine del dio, che è stata purtroppo portata via ed è giunta nella residenza estiva di Triersdorf,87 nelle vicinanze di Anspach. Oltre a ciò, in questa grotta si trovano anche delle urne pagane nere. (Ne ho portato via con me un pezzetto, assieme a una terebratula fossile e a un paio di stalattiti rossicce della caverna dell’ispettore). Qui ci s’imbatte anche in resti di letame di bovini, nascostisi in questo luogo durante la Guerra dei 30 anni. – Le ultime 3 grotte sono, nell’insieme, simili l’una all’altra. – (Per informazioni su queste grotte, consultate: Hentze, Versuch über die ältere Gesch[ichte] d[es] fränk[ischen] Kreises [Saggio sulla più antica storia del circondario francone],88 ed Esper, Beschreib[ung] der in den Muggend[orfer] Höhlen gefundenen großen Versteinerten Knochen [Descrizione delle grandi ossa fossilizzate presenti nelle grotte di Muggendorf].89 L’ultimo scritto, del cui titolo preciso non sono a conoscenza, è un in folio con incisioni in rame.) Perdonate la dovizia di particolari. Alcuni dettagli avrei certo fatto meglio ad annotarli solo per me … e allora preferisco raccontarvi subito tutto. – Ho

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appena ringraziato anche per iscritto il s[ignor] Turnesi della sua bontà. Attendo senz’altro una vostra lettera, prima di scrivere nuovamente. – W. H. Wackenroder.

2. 22-25 giugno 1793. Viaggio del 22-24 giugno 1793 a Norimberga Descrizione di una breve gita a Norimberga.

Norimberga, 22 giugno; sabato di sera. – 1793. Carissimi genitori,

ho ricevuto venerdì mattina, 21 giugno, le vostre ultime, a me graditissime lettere del 15 giugno. Mi hanno reso molto felice; e soprattutto adesso imparo a godere dei miei anni universitari, che mai più ritorneranno, e a trascorrerli in maniera sia utile che divertente. Permettetemi di rispondere in seguito alle vostre lettere e di narrarvi ora ciò che resta come ricordo vivo di quello che ho vissuto nel pomeriggio di oggi. Dal momento che avevo ogni possibile motivo per andare a Norimberga, dovendo fare lì quasi una dozzina di visite e sbrigare delle commissioni, (poiché il s[ignor] p[astore] Koch90 mi aveva inviato 7 annunci del suo Journal für deutsche Litt[eratur] (Rivista di letteratura tedesca)91 da presentare ai signori che vi nominerò tra un attimo), mi decisi, incurante del tempo grigio, di recarmi rapidamente oggi in quella città. Tieck è rimasto a casa, perché le commissioni riguardavano solo me. Dato che durante la settimana scorsa sono uscito poco con il brutto tempo, mi son oggi messo in movimento per andarci a piedi: il tempo si è fatto abbastanza bello e non mi sono per niente stancato. Il miglio e ½ 92 si percorre comodamente in 3 ore. Partii prima di pranzo, dopo la fine del seminario. Il percorso è costituito da una grande strada maestra, completamente piana; il terreno è saldo e per lo più argilloso. Smarrire la strada sarebbe difficile. Si attraversano solamente 2 villaggi, ma se ne vede tutt’intorno una gran quantità, gli uni vicinissimi agli altri; in generale, se si lascia semplicemente il bosco, che accompagna una gran parte della strada su entrambi i lati, si abbraccia con lo sguardo una pianura molto ampia ed estesa, circondata solo a remota distanza da grigie catene di monti, qua più alte e là più basse. A sinistra si può certo indugiare con lo sguardo a notevole distanza, fino al Palatinato bavarese.Ebbene, vi prego solo di non pensare che io me ne sia andato via a piedi tutto solo e senza compagnia. Questa strada è sempre tanto animata da corrieri postali, in movimento tutti i giorni, dai servizi di posta straordinaria, da carrozze a noleggio, da carri da trasporto, da commessi viaggiatori, nei giorni di mercato a Erlangen (come oggi), da carri contadini e, infine, anche da zingari e da un gran numero di mendicanti che, per giorni

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interi, sembrano trovare sotto gli alberi la loro sistemazione; in questo modo / non ci si sente quasi mai soli. Inoltre, non ho ancora visto passare in nessuna città così tante diligenze postali, carrozze per servizi di posta straordinaria, carrettieri ecc. quanto sulla strada principale di Erlangen. Quasi ogni mezz’ora o ogni quarto d’ora si sente il corno del postiglione, o il fragore di una carrozza. – I contadini e le contadine di Norimb[erga] vanno per strada il più delle volte vestiti di nero. Le seconde portano in testa dei fazzoletti, come se avessero mal di denti, e indossano dei corpetti estremamente corti, sotto i quali una gonna molto striminzita le fascia, rigonfiandole oltre misura: questo abbigliamento le rende assolutamente goffe. A Norimb[erga] ho preso alloggio al «Rotes Roß» («Cavallo rosso»). Potete davvero farvi la migliore idea dell’aspetto esteriore di questa grande, labirintica città con l’aiuto delle vostre piccole tavole con le vedute della città, incise in rame e miniate.93 Con piacere vedo in natura, qui, luoghi che già da tempo mi sono noti e li riconosco in un batter d’occhio. La città – per via delle numerose chiese buie, riccamente sovraccariche di sfarzo gotico con i loro quadri e ornamenti, e per via delle antiche e solide case, costruite interamente in pietra squadrata, spesso dipinte con figure umane e animali, o anche decorate con antichissimi bassorilievi in pietra – presenta un aspetto vetusto e singolare. A ogni modo, sia all’esterno che all’interno, pressoché tutte le case mi paiono comunque non presentare alcun segno del gusto moderno. Non si vede nessuna facciata alla moda. La porta d’ingresso è spesso piccola e scura, e quasi sempre chiusa a chiave; si suona il campanello e la porta si apre; si sale una scalinata malmessa passando per angoli bui e vi si trovano persino uomini come il s[ignor] v[on] Murr94 e il s[ignor] “Schaffer” Panzer,95 i quali, in stanze che divengono gradevoli solo grazie a una biblioteca, siedono vicino a finestre dai piccoli vetri tondi,96 con lo sguardo rivolto verso il cortile o una viuzza. Certo dall’osservazione di queste abitazioni non voglio giungere a conclusioni valide per tutte le altre. È solo che, almeno se viste dall’esterno, sono tutte antiche. Nel s[ignor] v[on] Murr, a cui feci visita per primo, pensai di trovare un uomo dal cui aspetto rigido e insolito si potesse dedurre la passione per la letteratura cinese, indiana, americana e per qualunque altra espressione letteraria poco comune; trovai, invece, un uomo eccezionalmente amichevole, cortese e facondo, già avanti con gli anni. / Vive molto isolato, come un eremita. Parlai con lui di argomenti di vario genere riguardanti Norimb[erga]. Non si riescono a vedere facilmente le locali collezioni private d’arte e di dipinti. Il municipio, il castello (posto su una collina di fronte alla città, in direzione di Erl[angen]) e analoghi edifici pubblici sono visitabili da tutti e gratuitamente sempre a Pasqua e al lunedì dell’Angelo. Nelle chiese vi sono anche parecchie opere degne di essere viste. Il s[ignor] v[on] Murr mi mostrò una bozza a stampa della 7ma parte dei suoi Herkulanische Gemälde (Dipinti ercolanesi),97 di cui si prosegue la pubblicazione, e mi disse che in Italia, rispetto al testo originale, sarebbe uscita una nuova parte, che conter-

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rebbe però solo delle lucerne. Mi affidò però allo stesso tempo il compito di eseguire con urgenza le seguenti commissioni: 1) Chiede premurosamente di procurargli una piccola dissertazione, edita dall’autore stesso (a Prenzlau) e diventata adesso rara, da un’asta pubblica, o da una biblioteca privata o, se possibile, dal s[ignor] Sekt98 a Prenzlau, (al quale egli ha già scritto espressamente 3 anni fa, ma dal quale non ha ricevuto risposta alcuna). L’opera è: Car[oli] Steph[ani] Jordani, Disquis[itio] hist[orico-] litt[eraria] de Jordano Bruno, Primislaviae, 1732, in ottavo.99 Sareste così gentili da far sì che anche il s[ignor] p[astore] Koch possa reperire questa dissertazione, e poi di farne menzione al s[ignor] Sekt? 2) Prega di distribuire gli elenchi qui acclusi (perdonatemi se vi procuro parecchie seccature con la franchigia postale; è solo che dovevo pur fargli il favore!) di doppioni ecc. della sua biblioteca, che vende a prezzo maggiorato agli appassionati (su quest’aspetto ci si può, comunque, ancora in un certa misura, accordare). Intendete per caso far recapitare un esemplare al s[ignor] c[onsigliere] s[egreto] Oelrichs,100 e l’altro al s[ignor] p[astore] Koch? Quest’ultimo potrebbe forse assegnarne perfino un terzo dove gli sembri più opportuno (eventualmente al s[ignor] Kinderling101 a Kalbe, o altrimenti a un altro intenditore.) – Il s[ignor] Schaffer Panzer (prega di recare i suoi saluti al s[ignor] Möhsen)102 è stato straordinariamente amabile e amichevole nei miei confronti: mi ha mostrato le seguenti opere, davvero degne di nota, della sua biblioteca, sorprendentemente vasta e ricca di rarità. Una raccolta di numerose prove di stampa di svariate pubblicazioni antiche, (in particolare di tutte le antiche opere a stampa presenti nelle biblioteche di Norimb[erga]), che lui stesso ha copiato su carta trasparente con la più grande accuratezza, basandosi sugli originali. Tra gli antichi libri a stampa segnalo: la Editio princeps di Lattanzio, il primo libro stampato in Italia.103 La prima Bibbia in tedesco (prima di Lutero) del 1462, in folio.104 Senza indicazione del luogo di stampa. In passato, sulla base di una firma successiva e contraffatta, apposta sull’esemplare presente a Stoccarda (dove si trova la più grande collezione di Bibbie), si è ritenuto che questa Bibbia fosse stata stampata da Faust a Magonza;105 solamente il s[ignor] P[anzer], insieme con un altro esperto, confrontando le / forme dei caratteri, che in quella stamperia erano a quei tempi un po’ diversi, è riuscito a scoprire che essa è stata stampata a Strasb[urgo]. Un libriccino in lingua tedesca, stampato a Roma nel 1471, in ottavo, con tavole (sulle quali erano incise le lettere), che contiene nella parte iniziale una breve storia di Roma e poi presenta una descrizione delle sue chiese e di altre attrattive degne di esser menzionate, destinato agli stranieri, e nel quale è narrata come vera la storia della papessa Giovanna.106 Edizioni successive di questo libro, in lingua latina. Un messale, (una raccolta di messe cattoliche), in cui è contenuta una breve preghiera o messa per i dannati all’inferno. Un piccolo calendario in tedesco di Regiomontanus,107 del 1473, in ottavo, stampato con tavole in legno, nel quale sono raffigurate eclissi di luna e sono impartiti insegnamenti sul numero aureo, sul firmamento mobile ecc. I 7 salmi penitenziali, del 1517, in ottavo, il primo scritto di Lutero:108 molto raro. Il s[ignor] Nicolai, che lo considera un grande tesoro, presente nella biblioteca di Berlino, si è meravigliato di trovarlo qui.109 Alcuni fogli della Bibbia

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dei poveri con xilografie,110 una parte delle quali, a causa dell’inchiostro nero da stampa, un tempo ancora di cattiva qualità, era dilavata, essendosi imbevuta di troppa acqua. Le prime edizioni dello Heldenbuch (Libro degli eroi germanici), del Parzival, e del Renner.111 (Le prime edizioni tedesche a stampa presentano caratteri gotici, spigolosi. I caratteri più belli e tondeggianti giunsero qui da noi dall’Italia.) Manoscritti: di Persio, di Freydank112 e del Renner. Manoscritti autografi di Lutero. Un volume dei Meistergesänge (Canti dei maestri cantori) di Joh[annes] Foltz, maestro cantore a Norimb[erga] nel XV secolo, steso di suo pugno.113 Il s[ignor] Panzer possiede anche una cospicua collezione di ritratti incisi in rame, di tutte le epoche e di tutte le classi sociali, disposti in ordine alfabetico: di gran lunga più ampia della collezione del s[ignor] Möhsen. Dei ritratti che rappresentano persone originarie di Norimberga, egli si è fatto stampare un proprio catalogo (Norimb[erga], 1790, in quarto).114 – Ribadisco ancora una volta: egli si intrattenne con me in maniera straordinariamente amichevole. – Il s[ignor] p[astore] Waldau,115 presso il quale mi recai dopo esser stato da Panzer, mi riferì la spiacevole notizia, secondo la quale il duca del Württemberg avrebbe chiamato davvero il prof[essor] Malblanc116 all’università di Tubinga già a partire dalle festività di San Michele, e mi informò anche che il conte riteneva di poter richiamare con la forza presso quell’università chiunque avesse goduto nel suo regno di un sussidio; aggiunse tuttavia che una decisione in materia sarebbe stata molto probabilmente differita almeno sino a Pasqua; tra l’altro, precisò anche che M[alblanc], in realtà, non sarebbe veramente contento della sua esistenza a Erl[angen]; egli, infatti, sarebbe abituato a una vita ritirata e si abbandonerebbe, a volte, a una certa ipocondria. – Ebbene, dovevo anche consegnare un documento da parte del s[ignor] p[astore] Koch al s[ignor] Haller v[on] Hallerstein: il problema è, però, che raggiunsi un signore distinto, il quale ricopre la seconda carica nel consiglio cittadino, ma che non conosceva affatto il s[ignor] Koch! Era dell’opinione che probabilmente ci s’intendesse riferire a suo cugino.117 Nel frattempo gli lasciai lo scritto, mi scusai per il disturbo e mi allontanai velocemente da quell’illustre signore dal contegno rigido. Mi costò abbastanza fatica andare alla ricerca di tutti i signori illustri, sparsi per ogni angolo di questa città imperiale. – Domani completerò le rimanenti visite. – Questa sera, poiché cenai alla table d’hôte, vidi, o meglio ascoltai, qualcosa d’inconsueto: un ventriloquo che faceva udire la sua voce ai presenti. Teneva davanti a sé un fantoccio in legno raffigurante un bimbo e parlava ora in maniera naturale, ora con la pancia, tanto che pareva che il bimbo rispondesse. Si tratta di un’arte difficile, ma che merita biasimo e che risulta molto affaticante per il corpo. Quell’uomo deve inspirare molta aria e contrarre l’addome nella maniera più energica. – – Ora vado a letto. Che il cielo vi conceda sempre sonni molto tranquilli e una salute simile a quella che, grazie a Dio, accorda a me; allora, quando tornerò a Berl[ino], non vi troverò per nulla cambiati. – ————— Domenica, di sera, 23 giugno. Sono ancora a Norimb[erga] e trovo qui, ancora una volta e in più posti, una così grande accoglienza che mai mi sarei neppur sognato. Resterò

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qui ancora fino a domani, in quanto a Erl[angen], dato che è la festa di san Giovanni, non vi sarà lezione. Questa mattina presto, alle 8, mi sono recato prima di tutto in visita dal s[ignor] segretario del tribunale disciplinare Häßlein;118 un uomo che, a dire il vero, a causa della sua occupazione, non riesce ad addentrarsi così in profondità nella materia letteraria come il s[ignor] “Schaffer” Panzer, ma che comunque porta avanti per passione lo studio della lingua antico-tedesca e dell’etimologia del tedesco, e che possiede anche un numero considerevole di dizionari, cronache e romanzi antico-tedeschi ecc. Ha un aspetto borghese. Mi ha accolto con la più grande benevolenza, si trattenne piuttosto a lungo con me, offrendomi caffè dall’inizio alla fine. Il s[ignor] p[astore] Koch, così come il s[ignor] Sch[affer] Panzer, si ricordano di lui con benevolenza, ritenendolo un fervido filologo. Egli mi ha raccontato nuovamente, a proposito del p[rofessor] Malblanc, che questi acconsentirebbe certo malvolentieri alla chiamata del duca, poiché quest’ultimo, in un’occasione, lo avrebbe offeso nel modo più oltraggioso. Infatti, allorquando il duca, parecchi anni orsono, visitò Altdorf119 ed ebbe convocato a sé i professori, li fece sedere tutti, lasciando però solo lui, Malblanc, in piedi e gli si rivolse con un “Egli”, dato che Malblanc era un figlio nativo del regno del Württemberg; oltre a ciò, proprio in quel periodo egli, Malblanc, era stato “magnifico rettore” presso la stessa università.120 Il / s[ignor] Häßlein mi ha fornito anche le seguenti notizie. È possibile vedere la grande collezione privata di Praun, qui presente, costituita da dipinti, incisioni in rame, pietre preziose ecc., solo se illustri personaggi forestieri la stanno visitando proprio nello stesso momento.121 Il proprietario, il s[ignor] v[on] Praun, non è un esperto ed è a tal punto scortese da aver rifiutato la richiesta avanzata dalla stessa duchessa di Weimar di mostrarle la collezione, semplicemente perché egli, giusto negli stessi giorni, si trovava nel suo possedimento nei pressi di Norimb[erga]. La collezione è allestita in maniera assai caotica e stipata in uno spazio angusto. – I 3 automi di Vaucanson (vedi i Viaggi di Nicolai) sono stati trasferiti da qui e venduti al s[ignor] p[rofessor] Beyreis a Helmstädt.122 Sino a 10 anni fa a Norimb[erga] i maestri cantori dirigevano ancora regolarmente delle scuole di canto; la corporazione è però scomparsa, perché le loro lezioni di canto non registravano più alcun afflusso di gente, e i loro antichi canti spirituali, contrari al senso comune del nostro tempo, erano diventati ridicoli. Allorquando il s[ignor] Nikolai si trovò in questa città, il s[ignor] Häßlein volle portargli l’unico maestro cantore ancora rimasto; quello, tuttavia, se ne partì anche troppo alla svelta.123 Se questo cantore sia ancora in vita o meno, questo il s[ignor] H[äßlein] non lo sa con certezza. L’antica lingua tedesca mantiene comunque ancora una purezza abbastanza accettabile presso la locale corporazione dei ramai, in quanto essi rappresentano una forma di artigianato “esclusivo”, vale a dire che non possono lasciare il loro territorio. Non è facile comprenderli. – Ebbene, presso il s[ignor] H[äßlein] ho fatto anche la conoscenza, per me estremamente interessante, di suo genero, il s[ignor] mercante d’arte Frauenholz,124 del quale vi loderò tra breve la disponibilità. (Egli prega il s[ignor] p[astore] Koch, che conosce anche lui, di fargli sapere quanto prima se deve inviare, rilegato o sciolto, l’esemplare del volume di Vogel, Versuch üb[er] die Relig[ion] der Aegypter,125 al s[ignor] conte Herzberg.)126 – Ho incontrato il s[ignor] professore Mannert (autore della migliore geografia del

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mondo antico) seduto davanti alla sua opera.127 Aveva dinnanzi a sé delle carte, che ha disegnato di suo pugno, realizzate unicamente seguendo le indicazioni presenti in Tolomeo riguardanti la lunghezza e l’ampiezza delle coste, i centri abitati, le montagne ecc. (dal momento che altre tipologie di carte sono inesatte), e che ha fatto incidere. È incaricato della custodia della biblioteca cittadina, aperta tutti i mercoledì dall’1 alle 3. Nel ginnasio di questa città ha un impiego molto impegnativo. L’istituto ha 8 classi e ogni classe ha, secondo la vecchia consuetudine, solamente un insegnante, il quale ha l’obbligo di tenere 5 / ore di lezione tutti i giorni. Il s[ignor] M[annert] impartisce le sue lezioni alla prima classe in storia, geografia, latino, scienze naturali, e ha pure delle ore d’insegnamento di lingua francese. – Il s[ignor] p[astore] Herbst128 mi aveva raccomandato all’attenzione del s[ignor] dottor Panzer,129 un figlio del s[ignor] “Schaffer” Panzer. Nonostante mi avesse scritto di aver ingaggiato una piccola disputa letteraria con il padre, il s[ignor] P[anzer] si rallegrava in ogni caso molto che il genitore pensasse ancora a lui. È medico praticante e, con tutta probabilità, il solo esperto in scienze naturali a Norimb[erga], oltre a essere l’unico ad avere una collezione di oggetti e una biblioteca di storia naturale. Possiede un erbario e una collezione di insetti. Lo incontrai mentre si aggirava tra le sue piante; circostanza nella quale egli parlò con molta simpatia del s[ignor] d[ottor] Wildenow.130 – Il s[ignor] p[astore] Schuderoff131 mi aveva affidato una lettera di presentazione rivolta a un altro giovane medico, che è allo stesso tempo studioso della filosofia kantiana, il s[ignor] dottor Erhardt.132 È un uomo raffinato, dai modi garbati. Il s[ignor] Frauenholz, estremamente premuroso, mi ha dedicato l’intero pomeriggio, più o meno dalle 2 alle 8. È un giovane uomo, nativo della zona di Anspach, e ha lavorato come assistente commerciale. Nel 1790 ha aperto il suo negozio di oggetti d’arte, rispetto al quale le vecchie botteghe antiquarie di Knorr,133 Seligmann134 ecc. non sono minimamente paragonabili. Queste esercitavano il loro commercio (e alcune di esse esistono tutt’oggi) solo in virtù di un paio di ragguardevoli incisioni in rame, da loro stessi pubblicate; il s[ignor] F[rauenholz], al contrario, possiede allo stesso tempo un magazzino con una quantità indescrivibile d’incisioni in rame tedesche, francesi, inglesi e italiane, e si dedica alla pubblicazione delle opere più preziose. Il suo deposito si trova sulla piazza del mercato della frutta, ubicato purtroppo in uno spazio angusto e in stanze pessime. Qui abita anche il suo calcografo, un francese che Frauenholz ha fatto venire assieme alla famiglia 14 giorni fa a proprie spese da Parigi, perché moltissimo dipende dalla buona riuscita dell’incisione della lastra di rame, e qui, invece, nessuno comprende davvero bene quest’aspetto. Nelle camere situate al piano superiore ho visto anzitutto una collezione di quadri di piccole dimensioni dipinti ad acquerello, opera dalla famiglia norimberghese di pittori e mercanti d’arte Dietsch,135 che presentavano motivi di svariata natura, come fiori, frutti, paesaggi e ritratti; ho esaminato poi alcuni begli esemplari delle opere di Albrecht Dürer; qualcuno di Lukas Kranach; / qualche grande paesaggio; ecc. Ho visto inoltre i seguenti 3 libri, dei quali il s[ignor] F[rauenholz] è editore: 1) la Zoologia di Meyer, con incisioni in rame, miniate, nella quale gli scheletri degli animali sono sempre riprodotti a lato con un disegno; si tratta di una nuova edizione di un’opera precedente;136 2) Vedute di località italiane, con incisioni all’acquaforte molto belle di Dies,137 Reinhart e Mechau, tutti e

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tre a Roma in questo periodo. Ne sono stati pubblicati 3 fascicoli, ognuno dei quali contiene 6 stampe, e ogni stampa costa 12 soldi.138 L’opera dovrebbe constare in tutto di 12 fascicoli; 3) Una raccolta di illustrazioni di gemme, provenienti dalla collezione di pietre preziose del Barone Stosch, collocata attualmente a Potsdam e della quale Winkelmann ha pubblicato un catalogo completo.139 Il defunto incisore in rame Schweikardt,140 quando fu incaricato presso il signor Stosch a Firenze di custodirne la collezione, si fece fare dei calchi in zolfo di tutte le pietre preziose; e questa collezione è quella che il s[ignor] Frauenholz ha poi acquisito per se stesso. Egli ha selezionato 120 dei pezzi più interessanti e se gli è fatti riprodurre, in formato più grande e con gran lusso, come incisioni su rame per l’opera a stampa da Müller, direttore dell’Accademia di pittura di Stoccarda,141 da Klauber ad Aug[usta],142 e da Preisler a Copenhagen.143 Sino a ora sono usciti 2 fascicoli: ognuno di essi ha 6 stampe e costa 5 talleri imperiali, un prezzo non troppo alto. (Frauenholz mi dimostrò che a Norimb[erga], e in generale nell’impero, le incisioni in rame sono incomparabilmente più convenienti di quelle che si possono trovare a Berlino, che, in quanto ai costi, sono di poco inferiori rispetto a quelle reperibili in Inghilterra.) Si dà molta pena per completare quest’opera sulle gemme. La descrizione (il testo) se l’è dapprima voluta far fare da Casanova a Dresda,144 in seguito da un dotto francese, sino a che, alla fine, gli è stato consigliato da Heyer di rivolgersi al s[ignor] Schlichtegroll145 a Gotha, il quale dunque la scriverà. – Del numero enorme d’incisioni in rame e di singole stampe, io vidi quanto segue: un ritratto di Luigi XVI di Francia, realizzato da Müller a Stocc[arda], che il s[ignor] F[rauenholz] considera come il primo calcografo in Germania: una stampa impareggiabile, / rispetto alla quale la stessa opera di un artista francese, che rivaleggiava con il s[ignor] Müller, risulta di gran lunga inferiore. Il s[ignor] F[rauenholz] ha comperato per sé la lastra, della quale era stata dapprima realizzata una prova, e ne pubblicherà la stampa. Poi, 10 grandi incisioni inglesi, che rappresentano splendidamente alcune scene contenute in Romeo e Giulietta, Riccardo III, Così è se vi pare e Molto rumore per nulla di Shakespeare, e che avranno un seguito. Incisioni inglesi di Woollet,146 Scharp;147 lavori alla maniera punteggiata di Bartolozzi,148 Earlom;149 stampe, realizzate alla «maniera nera»,150 di Strange,151 Green,152 Simon,153 e di molti altri artisti inglesi. Stampe impresse a colori. Paesaggi bruni, realizzati con la tecnica dell’«incisione all’acquatinta», o lavati, di Kobell, di Mannheim,154 o di Madam Prestel, una norimberghese, residente a Londra.155 Si tratta di belle stampe, talmente splendide da sembrare dipinte; l’ideazione del procedimento artistico è nuova. Delle belle e grandi stampe di Volpato,156 di Roma, e del suo allievo Morghen,157 di Firenze, i due migliori incisori in rame italiani. Ritratti incisi, di Kohl;158 ritratti al punteggiato, di Pfeifer;159 ritratti realizzati alla «maniera nera», di Pichler,160 che rappresentano 3 artisti viennesi. Una buona copia d’incisione della Morte del generale Wolfe di [William] Woollett, realizzata da Guttenberg, un artista presente a Parigi alla Convenzione e da poco rientrato a Norimb[erga].161 Una buona riproduzione dell’incisione della Morte del generale Schwerin di Berger,162 realizzata da Nußbiegel di Norimberga.163 Delle stampe di Küfner di Norimberga.164 – Infine, esaminai una collezione alquanto completa delle stampe di A[lbrecht] Dürer con il caratteristico monogramma in un volume in folio alto 3 dita. Dürer morì il 6 maggio 1528,165 all’età

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di 56 anni. Si narra che Raffaello avesse affermato che Dürer ne avrebbe superato l’arte se solo fosse giunto in Italia e avesse studiato l’idea di ciò che è bello e nobile nelle forme dell’arte antica.166 Di lui vidi: 1) Xilografie, dalla grande forza espressiva e stampate in una gradazione di nero scuro come il carbone: sia singoli esemplari, sia una raccolta di immagini tratte dalla passione di Cristo e dall’Apocalisse. 2) Delle calcografie molto raffinate. 3) Un paio di incisioni su lamina di ferro, / rozze e aspre. 4) Disegni a mano, rossi e neri, oltre a schizzi fatti a penna. – Questo volume in folio è una vera rarità! – Dopo aver goduto di una tale, splendida gioia per gli occhi, il s[ignor] Frauenholz ha deciso di fare ancora una passeggiata intorno a un piccolo quartiere cittadino, nelle vicinanze del quale ci siamo ritrovati in alcuni graziosi parchi. – Tra gli artisti berlinesi egli apprezza particolarmente il s[ignor] Rhode167 e il s[ignor] Chodowiecki.168 Di quest’ultimo egli, nella sua collezione privata, possiede tutte le incisioni, salvo una decina di quadri. Al s[ignor] Dan[iel] Berger preferisce nettamente gli incisori in rame dell’impero – Müller, Klauber, Pichler, Guttenberg – dei quali a Berlino si trova o estremamente poco, o assolutamente nulla. Il ramo della sua attività commerciale non ha probabilmente in tutta la Germania imprese che le siano superiori in quanto a concessioni editoriali e commerciali, se non quella di Artaria di Vienna;169 difatti, la casa editrice Bremer di Braunschweig,170 e le Pascal e Morino171 di Berlino ecc., sono ben poco al confronto. Ogni anno il signor Frauenholz tiene una vendita all’asta di incisioni in rame. Quella di quest’anno includerà oltre 6000 pezzi e conterrà allo stesso tempo un’antica e preziosissima collezione privata norimberghese, quella di Welser.172 Compariranno incisioni francesi, italiane, olandesi, inglesi e tedesche; perfino quelle in assoluto più rare e antiche; tra l’altro, quasi tutte di Dürer. Egli mi ha regalato il catalogo.173 (Anche il s[ignor] v[on] Murr mi ha regalato un esemplare del suo catalogo e un suo breve scritto: Collectio amplissima scriptor. de Klinodiis – de coronatione Imperator. Germ., atque de rege Rom. et Electoribus, 1793, in ottavo.174 I libri lì indicati li possiede personalmente.) Di Norimberga in generale posso raccontarvi ancora quanto segue. Il presidente del consiglio cittadino è il s[ignor] v[on] Stromer, castellano e primo sindaco, come recita il suo titolo. Si racconta che i consiglieri comunali opprimano pesantemente i cittadini e che abbiano raggranellato una gran fortuna con la loro avidità. Il loro sfarzo e la loro ostentazione sono rappresentati da un edificio veramente immenso, un vestibolo grande e sontuoso, una gran quantità di utensili da cucina in argento che, senza venir adoperati, sono messi lì solo come ornamento; ecc. Ci si lamenta dello statuto cittadino. – La città / è molto grande, ma anche relativamente molto povera di abitanti. Per le strade si vedono poche persone; e ciascuna abitazione è abitata da una sola famiglia. Circa 100 anni fa Norimberga era una delle più floride città per il commercio, l’arte e l’industria; anzi era proprio la sede principale di ogni forma d’arte. Ebbene, adesso tutto questo è profondamente cambiato. Le grandi famiglie di pittori e mercanti d’arte (Knorr, Sandrart175 ecc.) si sono estinte e, all’incirca da 20-30 anni a questa parte, tramite vendite all’incanto, tutti i tesori artistici vengono portati via da Norimberga. In città vi sono pochi amanti dell’arte; al contrario, in passato, quasi in ogni abitazione privata vi era

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una piccola collezione d’arte. I maestri d’arte, esperti nella lavorazione dell’avorio ecc., non si trovano più, da parte loro, nella florida condizione di un tempo. I ramai adesso realizzano solamente pesi in ottone ecc., mentre una volta fondevano e davano forma a figure innegabilmente belle. Molte preziose opere letterarie si allontanano da Norimb[erga] anche attraverso vendite di libri all’asta che hanno luogo molto frequentemente, e vengono così sparpagliate per il mondo delle collezioni che, altrimenti, servirebbero come particolare ornamento della città. La grande biblioteca di Feuerlein176 verrà venduta all’asta questo anno; quella di Witwer,177 il prossimo. L’accademia del disegno, della quale il s[ignor] Ihle,178 un esperto pittore, è direttore, è in completa decadenza, perché il consiglio cittadino non ha minimamente pensato a sostenerla finanziariamente. In questo momento, comunque, ci si impegna per migliorarne la condizione. Norimb[erga] resta tuttavia a oggi principalmente degna di notevole attenzione come deposito di opere d’arte, oltre che di lavori d’artigianato di buona qualità e a buon mercato, nonostante abbia troppe città rivali per riuscire in futuro a raggiungere nuovamente la sua antica prosperità e gloria. Gli artigiani, che riforniscono i norimberghesi di chincaglierie, abitano ognuno isolato dall’altro e sparso qua e là per la città; ciascuno aiuta però l’altro a sostenere una certa attività. Manifatture di tessuti qui non ve ne sono. I campi intorno alla città vengono coltivati in maniera davvero eccellente; s’incrementa la capacità produttiva dei terreni con il più solerte impegno e non si usa lasciare i campi a maggese / . La zona attorno alla città è pianeggiante, ma non è male; a volte è un po’ sabbiosa. Non riesco ad appagare a sufficienza lo sguardo nell’ammirare la città, dal momento che non vi si trova un solo edificio recente, ma soltanto costruzioni antiche del X secolo; si viene pertanto completamente trasposti in un tempo remoto, e ci si aspetta sempre di incontrare un cavaliere, un monaco o un cittadino vestito con un abito dall’antica foggia, in quanto l’abbigliamento attualmente in auge non si accorda per nulla alla foggia degli edifici. Le porte della città sono in parte costituite da torri massicce, rotonde e scure. Le chiese sono delle grandi masse brune, piene di sculture e decorazioni in stile gotico, torricelle traforate a giorno, grossi portoni con figure ecc. Ve n’è una moltitudine. In passato qui c’erano molti conventi (dalle cui biblioteche provengono generalmente, oltretutto, i tesori letterari posseduti da Norimb[erga]). Le case sono pressoché tutte rossicce, parzialmente decorate con delle figure e piene di cuspidi. Non mi è ancora capitato di vedere figure che si prolungassero oltre le imposte. – Nello spazio frapposto tra le doppie mura cittadine (lo Zwinger) e il vecchio e ampio fossato attorno alla città, oltre che nei sobborghi, ci sono molti giardini. - Sulla sommità di alcune torri di questa area si trova il grande orologio, che scandisce in ogni stagione le ore dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba, così che il giorno più lungo ha 16 ore, e quello più breve, 8. Di sera alle 10, per esempio, esso batte in questo periodo le ore 2. – A Norimb[erga] esiste un grandissimo numero di antiche opere pie, da parte delle quali viene corrisposta ogni anno ai poveri una certa somma; vi sono anche alcuni ospizi per poveri. Si è calcolato che chi ottiene un sussidio da ognuna delle opere pie, dispone annualmente di una somma che deve certamente aggirarsi sui 300

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fiorini. Nonostante questo, vi è una grande moltitudine di mendicanti a Norimberga e nei suoi dintorni, proprio perché i cittadini devono contribuire in misura così elevata alla cassa dei poveri: una dimostrazione, questa, del / malgoverno. – L’ambasciatore del governo pruss[iano] a Norimb[erga] è il conte Soden v[on] Sassanfras, che scrive anche delle commedie.179 Il suo segretario di legazione è Ludwig Schubart, figlio del poeta Schubart.180 – Sembra che qui non prosperino circoli ricreativi o associazioni ludiche. Più o meno 6 mesi fa, 20 artisti di qua hanno fondato un circolo.181 – In inverno si tengono concerti in due grandi locande, il «Reichsadler» (l’«Aquila imperiale») e il «Rotes Roß» (il «Cavallo rosso»). – Adesso vi auguro di passare nuovamente una buona notte davvero, in quanto i miei occhi, che oggi hanno osservato così tante belle cose, dovrebbero ora riprendersi nel sonno dalle loro fatiche. ———— Norimb[erga]. Lunedì, a mezzogiorno. 24 giugno. Norimberga è una città come non ne ho mai viste e riveste per me un interesse particolare. Per via del suo aspetto, la si potrebbe definire “romantica” nel suo genere. A ogni passo lo sguardo si sofferma su un frammento di antichità, su un’opera d’arte realizzata in pietra o con l’ausilio del colore. Le fontane della città sono in parte pozzi a carrucola costruiti in pietra, di questa forma     , in parte fontane a getto d’acqua, scolpite con motivi artistici vari, in parte paiono piccole torri colme di figure. Sulla facciata di una casa trovai oggi la scritta: «Questa casa è posta nelle mani di Dio ed è chiamata “dei giganti”».182 Vi erano dipinte delle figure colossali,183 con le iscrizioni: Sansone, Davide, Golia, il gigante Sigenot,184 l’imperatore Ottone185 ecc. Sui muri di molte case si notano meridiane con i quadranti dipinti. Oggi ho abbracciato con lo sguardo una gran parte della città osservandola dalla fortezza186 (Burg, detta anche Veste), che è posta su una rupe proprio davanti alla città e include un gran numero di mura ed edifici eretti in maniera disordinata. La si vede dalle montagne nei pressi di Erlangen. Sulla punta più alta si erge una torre poderosa. – Le strade di Norimb[erga] sono costituite da un selciato uniforme e pulito, perché sono spesso scoscese e sono attraversate in parte da piccoli canali. Il fiume Pegnitz scorre per la città formando come 2 larghi rami. Presenta una moltitudine di vecchi ponti di pietra, alcuni dei quali sono coperti, e uno di questi è formato da un solo, grandissimo arco. Con quanta confusione le case siano addossate disordinatamente l’una sull’altra e quanto tortuose siano le strade, potete osservarlo voi stessi / sulla vostra pianta.187 – Questa mattina ho compiuto le mie 2 ultime visite e ancora una volta ne ho ricavato molta soddisfazione. Il s[ignor] pastore Strobel188 è pastore luterano a Wöhrd, un piccolo borgo isolato, che si trova prima di Norimberga, dotato di proprie porte, che si può tuttavia anche considerare un sobborgo di questa. Mi condusse immediatamente, senza che io glielo chiedessi, nella sua biblioteca. Si è quasi esclusivamente limitato a riunire gli scritti di e su Melantone; tuttavia, è altresì vero che ne possiede una collezione più completa rispetto a qualsiasi altro. Si tratta di

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una raccolta del tutto particolare. Occupa 3 armadi e ammonta a oltre 1800 volumi. Una parte di essa, di cui era in possesso quando pubblicò l’edizione provvista di note della biografia di Melantone scritta da Camerarius,189 l’ha citata nel volume menzionato riportandone i titoli. In un libriccino separato, egli ha in seguito indicato tutte le edizioni della dogmatica di Melantone (per la verità, l’opera si chiama Loci communes): si tratta di 59 edizioni! che vennero pubblicate dal 1521 al 1595.190 Nel primo anno ne vennero subito pubblicate 3. Dello scritto di Melantone Annotat. ad Evang. Johannem191 esistono 7 edizioni, tutte di uno stesso anno, il 1523! Un tale onore non capita agli autori più recenti! M[elantone] ha poi pubblicato quasi tutti gli autori latini e greci in edizioni corredate di note critiche e, come professore a Wittenb[erg], ha redatto ogni genere immaginabile di discorsi accademici su soggetti inerenti la teologia, la giurisprudenza, la medicina, la fisica e la matematica. Il s[ignor] p[astore] Strobel possiede inoltre quasi 100 differenti immagini in rame che raffigurano Melantone, alcuni quadri che lo ritraggono, delle monete del XV secolo con la sua effigie finemente impressa, il suo ritratto e quello di Lutero dipinti su un antico vetro da finestra, il miglior ritratto di lui, realizzato da A[lbrecht] Dürer, 2 orrende caricature in rame, con le quali i cattolici avevano inteso rappresentare lui e Lutero. Alcuni ritratti che lo raffigurano, in cera, e molte lettere scritte di proprio pugno, qualcuna anche di Lutero. M[elantone] scriveva con una grafia molto fitta, goffa e larga, anche se una lettera scritta al principe elettore di Sassonia presenta una calligrafia insolitamente / nitida. Oltre a ciò, vidi anche alcune poesie di Hans Sachs pubblicate singolarmente, in edizioni a stampa antiche e rare. Il s[ignor] p[astore] Strobel, (un uomo molto garbato), mi raccontò che tra i tessitori norimberghesi vi sarebbero per davvero ancora dei maestri cantori, i quali ogni anno, in occasione della festa della Trinità, si esibiscono tuttora nella sua chiesa, producendo però nulla più che strilli privi di qualsiasi armonia. Mi informò inoltre che, a causa dei confini del territorio di Norimb[erga], da 300 anni a questa parte si continuerebbe ancora a intentare processi. 8 anni fa un paio di ussari di Anspach sarebbero stati uccisi con armi da fuoco da contadini di Norimb[erga] per delle controversie sui confini. – Ebbene, ho appena completato tutte le commissioni del s[ignor] p[astore] Koch. Aveva invitato per lettera i signori [già menzionati, N.d.T.] a partecipare come collaboratori al suo Journ[al]192; solamente il s[ignor] “Schaffer” Panzer e il s[ignor] Häßlein sembrano volervi aderire; gli altri signori mi dissero che il tempo a loro disposizione sarebbe già troppo occupato da varie faccende, ma che all’occasione potrebbero eventualmente consegnare alcuni loro piccoli contributi. – La mia seconda visita odierna, presso il s[ignor] fabbricatore di congegni meccanici David Beringer193 (sullo Steig, un sentiero ripido a Norimberga, in una piccola casa), ha avuto molto successo. Il s[ignor] B[eringer] è il migliore o, per meglio dire, l’unico fabbricatore di congegni meccanici a Norimb[erga] (sebbene coloro i quali realizzano giocattoli, meravigliosi oggetti frutto di conoscenze di matematica e fisica, facciano scorte di questo genere di articoli, oltre che di camere ottiche ecc., e pure loro siano soliti definirsi inventori di marchingegni meccanici e ottici). Ha una moglie graziosa ed è lui stesso, cosa alla quale il s[ignor] p[rofessor] Bode194 certamente non crede, un uomo incredibilmente a modo, piacevole, non privo di competenze in

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matematica, oltre che diligente e meticoloso nel suo lavoro, che parla del s[ignor] p[rofessor] Bode con molto riguardo e ha in giacenza nella propria officina il suo Cielo stellato.195 Per la gioia del s[ignor] p[rofessor] Bode posso assicurare che tra 14 giorni Beringer immancabilmente gli invierà come modello un esemplare del suo primo globo terrestre e globo celeste, completamente rifinito, in modo da venir a sapere a tempo debito se questi, Bode, abbia eventualmente ancora dei desideri riguardanti la sua prestazione scientifica. Beringer promette quindi di consegnare a Berlino, ogni mese, circa 6 esemplari. Prende la cosa con impegno, rinuncia a tutti gli altri lavori, e si adopera in maniera straordinaria per accontentare il s[ignor] p[rofessor] Bode (di cui ha ammirato molto il disegno, allo stesso modo dell’incisione di Sotzmann).196 Le cause che gli hanno creato sino a ora degli impedimenti sono le seguenti. In primo luogo, indisposizioni, il clima invernale, e l’ineludibile attività di lavorazione ai quadranti197 ecc. per gli ingegneri del corpo militare di Würzburg. In particolar modo, però, le numerose prove gli hanno richiesto moltissimo tempo e gli sono costate circa 300 fiorini; denaro buttato via. Ha fatto inutilmente dei tentativi con 4-5 tipi di carta. Dalla Svizzera ha fatto ordinare della carta, che però è diventata bruna sotto l’azione della vernice. Ha avuto infine successo impiegando carta olandese, che ha fatto arrivare da Amsterdam, (sul foglio di carta sta scritto: «J. Howig et Zoonen»), di cui potrà tuttavia far uso solo dopo aver impiegato un preparato da lui espressamente ideato. Gli è poi costata molta fatica riuscire a ottenere delle sezioni di cielo ben stampate; nessuno stampatore di rame intendeva inizialmente arrischiarsi a stamparle 2 volte e in maniera tale che le stelle si trovassero esattamente al loro posto; cosa che genera delle difficoltà, particolarmente nel caso della stampa che contiene l’orizzonte e delle piccole circonferenze al suo interno. Anche a causa di questa complicazione ha dovuto escogitare un congegno per conto proprio. Da ultimo, è stato ostacolato anche dal fatto di dover costruire ogni oggetto da solo, perché non riesce in alcun modo a portare con rapidità nessuno a un livello di abilità tale, che costui possa realizzarlo in maniera acconcia. Aveva già realizzato invano anche molte sfere, in quanto si era reso conto più tardi che quella particolare carta che gli era arrivata in seguito richiedeva un globo un poco più grosso. Sagoma le sfere servendosi di cartone spesso ¼ di pollice, applicato sopra una sfera di legno: il cartone viene poi tagliato, staccato dalla sfera di legno, assemblato nuovamente; a esso viene quindi applicato un sottile rivestimento bianco / di propria composizione, la cui superficie viene resa sempre più uniforme e levigata. Vidi 25 di queste sfere sistemate in un armadio. In seguito, i segmenti furono attaccati con colla di farina; cosa che crea una serie infinita di difficoltà. Osservai 3 globi celesti e 3 globi terrestri che erano stati completati fino a quello stadio della lavorazione e mi accorsi che le parti erano state fissate con la più grande accuratezza possibile, e addirittura erano già state verniciate. Un paio di supporti (di color nero, con un po’ d’oro) erano sistemati in disparte. Il s[ignor] B[eringer] era all’opera, impegnato proprio allora nella lavorazione dell’ottone. Mi sono divertito molto da lui; mi pregò di rendergli visita più spesso e mi disse che anche il s[ignor] Heitmann di Berlino gli aveva fatto visita. ————

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997 Erlangen, la sera dello stesso giorno.

Ho fatto adesso ritorno dal mio interessante, breve viaggio, durante il quale ho riempito, messo a profitto e trascorso piacevolmente ogni ora, ho fatto la conoscenza di 11 persone davvero notevoli a Norimb[erga] e ho visto un gran numero di opere e luoghi degni di essere ammirati; il tutto per poco più di 3 talleri imperiali. – Questo pomeriggio, subito dopo pranzo, il s[ignor] Frauenholz, assieme alla sua amabile e giovane moglie, fece ancora una passeggiata con me a Dutzendteich, come già ieri mi aveva proposto di fare. Lungo il tragitto in città mi portò alla Chiesa di san Lorenzo che, per via della sua cupola alta e grigia, emana un’aura di rispettabilità, e presenta un gran numero di vetri colorati che compongono le finestre e un tabernacolo198 (ossia un contenitore per l’ostensorio) d’epoca cattolica, realizzato con estrema raffinatezza artistica. È molto alto, costruito a mo’ di torre e, posto vicinissimo a un pilastro, si sviluppa verso l’alto assumendo sempre più una forma a punta, fino al soffitto. È bianco ed è costituito da colonnine sottili poste l’una sull’altra a formare molti piani, da figure e da motivi ornamentali raffiguranti del fogliame e un gioco di intrecci reciproci eseguiti a regola d’arte. L’intero blocco dovrebbe esser formato da una pietra tritata, successivamente fusa e colata con un procedimento particolare. Da ultimo, in questa chiesa vidi – o, per meglio dire, non vidi – la famigerata opera d’arte, talmente geniale, da non / poter essere ammirata. Si tratta di un gruppo di figure, che rappresentano il «Saluto dell’angelo nell’Annunciazione», intagliate in un unico pezzo di legno, poste a 13 piedi di altezza e realizzate per la precisione nel 1518 da Veit Stoß.199 L’opera è celata in un grande sacco verde che, collocato davanti all’altare, pende dalla cupola della chiesa alla vista di tutti, recando disonore alla città di Norimberga. Dunque, che si nasconda anche il sacco! Il s[ignor] Frauenholz mi diede ad intendere che, se passassero qui in visita dei forestieri dall’aria distinta, il sacco verrebbe certamente aperto. – In città vidi inoltre appese a parecchie case d’angolo delle grosse catene, con le quali un tempo venivano sbarrate le strade quando si levavano tumulti tra la cittadinanza. – Dutzendteich è un paese collocato a meno di mezzo miglio proseguendo oltre Norimberga, che deve il suo nome alla dozzina (Dutzend) di stagni (Teichen) che vi si trovano tutt’intorno. Uno di questi è un lago davvero vasto, completamente circondato dai boschi: ogni anno o ogni 2 anni viene fatto svuotare, e allora i pescatori lo passano a guado e pescano. (Di esso avete l’incisione in rame: si tratta dell’ultima presente nella raccolta).200 Adiacente al lago c’è una locanda, nella quale tutte le domeniche e i giorni di festa i cittadini e le cittadine di Norimberga si ritrovano in gran numero, come si farebbe in un luogo di divertimento, e in cui si balla (quasi solo a ritmo di valzer). Nei pressi della costruzione vi sono dei viali graziosi; prima di giungervi si passa per un bosco. Nel corso di tutto il tragitto si osservava un andirivieni molto vivace, poiché i norimberghesi amano straordinariamente andare a passeggio e viaggiare in carrozza. Tra i villaggi circostanti si trovano diversi luoghi di svago. Il governo locale non dovrebbe mai, neppure nelle città imperiali, occuparsi delle forme di divertimento dei cittadini, costruire parchi ecc., come fa un principe. – Osservata dal versante di Dutzendteich, Norimberga si presenta in tutta la sua

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grandezza e splendore, con tutte le sue torri, tra le quali spicca in particolare la torre della fortezza, che svetta verso l’alto, là dietro. Sulla strada osservammo l’accampamento delle truppe del distretto francone, tutte in rappresentanza delle piccole Signorie, che stazionano qui già da alcune settimane e che non sono ancora presenti al completo. Anche nelle vicinanze di Fürth vi è un / accampamento del genere. Si dice che le truppe si trovino in condizioni molto mediocri. – Attorno alla città i patrizi possiedono un gran numero di vecchie ville e giardini. – Si racconta che i contadini di Norimberga, in occasione dell’annuale festa della consacrazione (chiamata «Kirwei», secondo la pronuncia locale; in realtà si tratta della festa del raccolto, che ha luogo però in ciascun villaggio in un periodo differente, persino già in primavera, come semplice festa popolare), organizzino, seguendo ancora oggi le vecchie usanze, ogni sorta di curiose attività ludiche e giochi di abilità. Dopo aver preso congedo dal s[ignor] Frauenholz, passai a pagare alla locanda. Essa è molto grande e gestita con onestà. Vi si mangia straordinariamente bene. Già da ½ anno alloggiano qui dei signori e delle signore fuggiti da Franc[o]f[orte] sul Meno a causa dei disordini. Il cameriere (Marqueur) (equivalente del termine qui usato Kellner), quando arrivai a piedi, mi squadrò dalla testa a piedi con sguardo pensoso; si fece tuttavia sempre più gentile, in quanto si rese conto che sono per davvero un uomo onesto, e perché da me ricevette la mancia. Alle 5 me ne andai da Norimberga e il mio ritorno fu molto piacevole. – – Per la terza volta vi auguro una buona notte. Domani risponderò alle vostre lettere201 e vi invierò la mia. Questa sera ho notato con piacere che sono arrivati qui da me gli appunti che presi a Berlino ecc.; vi ringrazio per tutto ciò che mi avete spedito. ———— 25 giugno, di mattina. Mi farebbe piacere, posto che non vi procuri disturbo, se poteste scrivermi di frequente. – Mi occuperò io della richiesta del s[ignor] d[ottor] Scheffler202 al s[ignor] Walther.203 – Il s[ignor] c[onsigliere di corte] [Johann Christian Daniel] Schreber mi disse ancora che le teste di pipa di schiuma non vengono ricavate dalla steatite presente nelle vicinanze di Wunsiedel,204 bensì da una magnesia bianca, fine e tenera, che viene tagliata nel Levante e rifinita a Norimb[erga]; egli mi mostrò anche una steatite completamente bianca. – I parenti della Pomerania svedese non mi hanno affatto invitato ad andare / nella loro villetta di campagna. Una volta andrò comunque a trovarli. Ero all’oscuro del fatto che Sack205 facesse parte della società. Di conoscenze fidate e interessanti tra gli studenti non ne ho purtroppo ancora fatte: una gran parte (gli studenti di Anspach e di Baireuth) sono abbastanza rozzi e privi di cultura; altri sono di estrazione troppo signorile e si lasciano andare alla compagnia di grandi gruppi di persone e al gioco delle carte, o semplicemente si abbandonano ai piaceri. Qui vi sono però studenti provenienti da moltissimi luoghi differenti: dalla Francia, dalla Svevia, dal Reno, e da diverse città imperiali del Reich. Presso l’abitazione del consigliere di corte Meyer206 feci la conoscenza di uno studente chiamato Yelin,207 un suo

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parente originario di Anspach, il quale è giurista e che oltre a ciò, per una sua naturale propensione, si dedica intensamente alla matematica; mi farà una visita e forse prenderò confidenza con lui. Sack vive piuttosto appartato, è una persona taciturna e non a proprio agio nel rapporto con gli altri. E, oltretutto, ho cercato finora inutilmente uno con cui poter discutere di questioni legate alla giurisprudenza. – Perdonatemi se vi fornisco ancora un’altra informazione sul nostro viaggio intrapreso a Pentecoste.208 Utilizzando la corriera postale non avremmo potuto compiere il tragitto con un risparmio davvero considerevole di tempo. Inoltre, in quella zona le diligenze postali non viaggiano dappertutto. I servizi di posta straordinaria sarebbero stati troppo costosi; lo stesso sarebbe stato nel caso di una carrozza a noleggio. Inoltre, un cocchiere proveniente dalla zona di Erlangen in quel territorio conosce tanto poco la strada quanto noi. Permettetemi dunque di dirvi che, diversamente da quanto scrissi di recente, non abbiamo fatto il viaggio in vettura, bensì / a cavallo. Non ve lo scrissi dunque subito, perché ritenevo che vi sareste allarmati inutilmente; tuttavia, poiché vedo che non avete disapprovato le visite da me compiute nelle miniere e nelle grotte, vi metto per iscritto del tutto sinceramente anche quanto segue. Vi prego solo di considerare il fatto che ci eravamo scelti i 2 cavalli più resistenti e sicuri di Erl[angen], sui quali caricammo a turno un porta-mantello; che entrambi gli animali erano allo stesso tempo molto mansueti; che li avevamo già messi alla prova in precedenza durante alcune passeggiate a cavallo, e in quelle occasioni avevo fatto degli ottimi progressi nel cavalcare; che i cavalli da nolo non sono mai ingestibili, in particolare quando ci si trova in viaggio; che, come con certezza posso assicurare, mi abituai ben presto a cavalcare per un lungo periodo di tempo, soprattutto dal momento che, se a esempio si vogliono percorrere 6 miglia in 1 giorno, basta solo andare al passo e al piccolo trotto; che non abbiamo mai sbagliato strada in maniera rilevante o allungato il tragitto, perché in ogni villaggio, e i villaggi in quella zona sono frequenti, chiedevamo informazioni sulla strada da percorrere, oltre al fatto che alle volte portavamo con noi una guida; infine, che su alcune strade strette, piene di sassi e che ora salgono e ora scendono, difficilmente saremmo stati in grado di procedere utilizzando una carrozza locale. I vantaggi che invece si hanno con questo modo di viaggiare sono davvero fuori dal comune. Si dipende quasi solo da se stessi, si gode sempre di una vista aperta, si può, se lo si vuole, avanzare molto velocemente e, in effetti, ci si stanca molto meno che in una vettura che dondola qua e là come una culla, perché si è sempre impegnati in prima persona, e il movimento del cavallo mantiene desti. Per prudenza contro i capricci del tempo ho indossato sempre 2 / giacche e dei pantaloni di protezione. Tra l’altro, a ognuno di noi il cavallo è costato solamente 4 talleri imperiali! Restammo via 12 giorni e per il primo e l’ultimo giorno pagammo 1 fiorino; per i giorni rimanenti, ½ fiorino. Viaggiare a cavallo è pressoché la voce commerciale a più buon mercato a Erl[angen]. (Alcune voci sono insolitamente care. Per esempio 25 penne d’oca costano 24, 36 o persino 48 carentani!)209 Il viaggio stesso non fu per nulla a buon prezzo, poiché non potevo certo pretendere da Tieck che egli spendesse così tanto denaro per una breve gita di piacere; mi perdonerete per questo! Il viaggio mi costa all’incirca 60 talleri imperiali (Il nostro viaggio da Berlino, per

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il quale nei 14 giorni in cui rimanemmo a Drakendorf210 non spesi nulla e che durò più o meno sui 12 giorni, mi costò sui 70 talleri imperiali. Viaggiare è a ogni modo, inevitabilmente, sempre dispendioso.) – Il s[ignor] c[onsigliere] g[overnativo] Spieß a Bayr[euth]211 si ricordava ancora benissimo di voi. Il parente che porta il suo stesso cognome212 vive ad Anspach e ha scritto commedie e romanzi. – Nella miniera non vi era davvero alcun pericolo.213 Le esalazioni non erano certo così malsane da poter recare danni in ¼ d’ora; e anche se il mio lume si spense, i minatori seppero reggere il loro con tale accortezza che rimase sempre accesso. Sulla superficie del Fichtelsee si trovano l’uno accanto all’altro numerose stanghe e cespugli, sopra i quali si può passare con facilità; inoltre, in questa stagione la palude in gran parte dei punti non è affatto così profonda. – Ieri ho ricevuto una lettera di Wißmann.214 Salutate sua madre, se la vedete. – Sono molto contento che la signorina Boden prenda parte al corso di canto: si tratta di un magnifico istituto!215 Ringrazio molto per le loro lettere il s[ignor] p[rofessor] [Johann Ehlert] Bode e il s[ignor] p[astore] [Johann Friedrich Wilhelm] Herbst. Il s[ignor] c[onsigliere] di corte [Johann Tobias] Meyer [Mayer, N.d.T] porge i suoi saluti al s[ignor] p[rofessor] Bode e, tra l’altro, in futuro intercederà un po’ per me presso di lui. – Il s[ignor] c[onsigliere] [Johann Friedrich] Zöllner pubblicherà il suo viaggio ad Amb[urgo]?216 – Il s[ignor] Borsch ecc. mi prega di salutarvi. – A Tieck il viaggio intrapreso a Pentecoste è piaciuto enormemente. – Augurandovi di mantenervi nelle migliori condizioni di salute, resto il vostro ubbidiente figlio, W. H. W. 3. [Attorno al 10 luglio 1793]. Viaggio d’inizio luglio 1793 ad Altdorf. [Resoconto] andato perduto217 4. 23 luglio 1793. Viaggio del 12-17/18 luglio 1793 a Bamberga.218 Viaggio a Bamberga. Carissimi genitori,

Erlangen, martedì, 23 luglio 1793.

giovedì sera, 18 luglio, ho ricevuto la vostra amabile lettera del 13. Comunque, prima di rispondere a questa, vi devo dare nuovamente notizia, mentre voi leggete la descrizione del mio viaggio ad Alt[d]orf, di una nuova visita, grazie alla quale ho avuto modo di conoscere un mondo per me del tutto nuovo, il mondo cattolico. Effettivamente intorno a Erl[angen] c’è un numero enorme di cose da vedere e grazie agli indirizzi dei cortesi professori, vengo messo nell’eccellente condizione di giovarmi di questi miei brevi viaggi. E dal momento che soltanto ora ho l’occasione migliore, credo di non impiegarvi certo inutilmente il tempo. Già di per sé mi rallegra il fatto che le mie particolareggiate descrizioni non vi annoino; cercherò dunque sempre di rendervi partecipi il più possibile delle mie osservazioni. Il distretto francone

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offre ancora abbondante materiale di analisi. All’infuori di Füssel (nel suo diario redatto durante un viaggio attraverso la Franconia),219 l’intero territorio di Baireuth non ha trovato ancora un solo narratore di viaggi e dunque merita invece assolutamente un osservatore più accurato e più abile nell’illustrare ciò che si è visto e vissuto. Di Bamberga si possono ancora raccontare aspetti inediti. Ecc. Il mio recente viaggio a Bamberga, per la verità, si è fondato su un malinteso. A Erl[angen] sentii dire che, in occasione della festa di Sant’Enrico (l’imperatore Enrico II, che vi istituì l’episcopato nel 1007), si sarebbe tenuta a Bamberga una processione; quando arrivai, venni però a sapere che si sarebbe svolta solo 8 giorni più tardi, perché i canonici di Bamberga avrebbero dovuto prima presenziare anche alla processione a Würzburg. Allo stesso modo, la processione della festa del Corpus Domini ha sempre luogo 8 giorni dopo il giorno del Corpus Domini, che cadeva il 30 di maggio. Entrambe queste processioni sono, tra l’altro, le uniche a svolgersi tutti gli anni a Bamberga; / un tempo esse erano ben più grandi, ma anche più caotiche, dal momento che vi partecipava l’intera cittadinanza, e non solamente una sua esigua parte, come avviene adesso. Inoltre, già la notte precedente avevano inizio tutte le volte le più sfrenate bisbocce e il baccano più selvaggio. Ciononostante, da circa 10 anni questi eccessi sono stati notevolmente ridotti tramite delle ordinanze. – È stato un peccato che Tieck non potesse partecipare al viaggio; questa cosa dispiacque in seguito sia a lui che a me. Tuttavia aveva da fare e, contro le mie intenzioni, poiché non contavo di restare più di una giornata a B[amberga], venni lì trattenuto per cinque giorni interi, e più precisamente da nient’altro che dall’accoglienza oltremodo amichevole, ricevuta in particolar modo da parte di un uomo, il quale compensò a tal punto la perdita della processione da parte mia, che me ne dimenticai del tutto; un uomo, di cui Tieck dovrà dunque far la conoscenza in un’altra occasione. Oltre a ciò, probabilmente la processione non si è poi affatto svolta il giorno in cui avrebbe dovuto, perché (sabato 20 luglio, di mattina, circa dalle 7 alle 9) il tempo era molto piovoso. Già da un po’ di tempo il s[ignor] Harleß220� mi aveva promesso di sua spontanea volontà di crearmi un contatto con il suo amico, il libraio ed editore Göbhard a B[amberga], fornendomi il suo indirizzo.221 Harleß me lo ha dato in questa occasione, specificandomi al medesimo tempo che il s[ignor] c[onsigliere di corte] Glück222 aveva altresì in quella città delle conoscenze più strette. Mi recai dunque anche da costui e, dopo avergli domandato se non avesse da far sbrigare delle commissioni a B[amberga], ricevetti da lui 2 pacchetti di lettere, che egli desiderava fossero consegnati proprio lì; uno destinato al consigliere di curia Schott223 (professore di diritto canonico all’università, con il titolo di «Reverendo-Sua Magnificenza») e l’altro al professore di teologia, s[ignor] [Franz Xaver] Sauer,224 che a Erl[angen], dove si trova una casa di preghiera cattolica, è stato pastore cattolico, e solo da 8 mesi è assunto come professore presso l’università di B[amberga]. È questo l’uomo squisito che mi ha fatto da guida alla città con la più premurosa disponibilità, con ogni profusione possibile di tempo e fatica, oltre che con la più semplice

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spontaneità e con affettuosa partecipazione. È un uomo nei suoi anni migliori e, come con grande piacere ho sentito affermare da ogni conoscente a B[amberga] ed Erl[angen], è amato e stimato dappertutto per il suo carattere nobile e amichevole. È un intimo amico di famiglia del s[ignor] Glück. Ammirai la sua bontà nei miei confronti (che si spinse a tal punto che voleva recarsi con me addirittura in giornata a Banz; proponimento che ho dovuto rimandare ulteriormente per via della mancanza di tempo), tanto più per il fatto che aveva già accompagnato in giro un professore proveniente da Stoccarda, chiamato Hoffsteter,225 di cui ho poi fatto la conoscenza a casa dello stesso Glück. Quell’uomo rispondeva a ogni cortesia con una cupa freddezza; era a tal punto pervaso da spirito illuminista da confessarmi di essere felice oltre ogni misura nel vedersi svincolato quanto prima dalla fede cattolica. Con atteggiamento di profonda solennità, mi rivolse delle domande in merito alla reputazione e alla fama di Silberschlag di Berlino;226 non aveva desiderio di recarsi a Berlino per altre ragioni, se non quella di - un tratto, questo, che più caratteristico non può essere - formarsi sotto la guida di Hermes,227 del quale ho però sentito parlare sia i cattolici che i protestanti con toni contraddistinti perlomeno da perplessità e sorrisi imbarazzati. – Il s[ignor] prof[essor] Sauer mi portò a visitare la maggior parte dei luoghi d’interesse; oltre a lui, vi erano un certo Meyer, studente di diritto e figlio del borgomastro Meyer, con il quale mi fece fare conoscenza, e il figlio del s[ignor] l[ibraio ed editore] Göbhard, lui stesso impegnato in attività commerciali. Tutti e due furono molto cortesi verso di me. Poiché la sera del giovedì precedente la mia partenza, come promesso, dovevo suonare il concerto di Haydn / nel circolo musicale della città,228 dal momento che credevo che la festa di Sant’Enrico avrebbe avuto luogo venerdì 12, piuttosto che nel giorno di commemorazione della sua morte (Hein­ richstag), e visto che la festa era invece fissata non prima di sabato 13 luglio, dunque lo stesso giorno del mio compleanno! – non conoscevo perciò altro espediente se non quello di recarmici, partendo subito di notte con un servizio di carrozza straordinaria. Il cielo notturno era a tal punto rischiarato dalle stelle e la notte era così amabilmente fresca, che non mi pentii della mia decisione, e mi ripresi molto piacevolmente dalla calura che c’era stata sin dal mio viaggio ad Alt[d]orf e che è sparita solamente un paio di giorni fa, così improvvisamente com’è arrivata. Partii in calesse alle 8 e ¾ della sera e arrivai alle 3 e ¼ del mattino. La distanza viene calcolata in 5 miglia, ma certamente ammonta solo a 4. Per il cavallo pagai ½ fiorino (7 soldi) al miglio. Prima di Forchheim inizia una splendida strada lastricata, sulla quale la carrozza avanza al trotto fino a B[amberga]. Mi trattenni a Forchheim solo ½ ora. Poiché questa città del distretto di Bamberga è completamente cinta da mura alla maniera di una fortezza e di notte viene chiusa, ho dovuto pagare 20 carentani come diritto d’entrata. – A B[amberga] ho alloggiato al «Weißes Lamm» («Agnello bianco»), un onestissimo albergo, e ho mangiato alla table d’hôte, dove quasi ogni giorno viaggiatori di passaggio differenti mi facevano compagnia. Qui il transito di uomini e mezzi è molto intenso, come a Erl[angen]. – Durante il mio viaggio notturno deliziai il mio orecchio allo scroscio solitario

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delle ruote ad acqua che sono in continua attività lungo il fiume Regnitz per irrigare i prati. – Dopo aver passato Forchheim sono transitato, allo spuntar del giorno, per i 2 villaggi bamberghesi di Hirschaid e di Strullendorf, che sono piuttosto grandi e ben costruiti. – Ebbene, ora vi racconterò dall’inizio alla fine / tutto ciò che ho appreso su B[amberga] dalla lettura dei racconti di viaggio ecc. (difatti non si ha ancora una descrizione completa e dettagliata di B[amberga]), dai racconti degli uomini, che ho conosciuto laggiù e, in particolar modo, da ciò che ho visto in prima persona. Bamberga si chiamava anticamente «Babenberg» (il monte di Baba) (così come trovai attestato su parecchie iscrizioni sepolcrali in duomo ecc.), «Pappenperc», «Papinburk»; denominazioni che stanno a significare qualcosa del genere come «Pfaffenberg» (il monte dei preti), oppure designano una città che si sviluppa sul monte «Babenberg». In effetti Bamberga si estende su diversi colli di considerevole altezza, il cui numero, in maniera certo abbastanza arbitraria, è stato fissato in 7. In parte per questo, in parte a causa della non comune ricchezza di prodotti della terra e di frutti degli alberi che vi sono coltivati, in parte perché un tempo l’orangerie si trovava sulla nuda terra nel giardino dell’antico castello vescovile,229 la città si è guadagnata da lungo tempo l’onorevole appellativo di “Roma tedesca”, di “Terra dell’Italia tedesca”. Il s[ignor] consigliere Schott, che è stato a Roma, trovò davvero delle analogie nella posizione delle due città in prossimità dei colli, con la sola differenza che qui nella città si trova disposto a sud ciò che là si trova orientato a nord. La città presenta delle porte, ma non delle mura, ragion per cui è considerata tra i 7 maggiori centri abitati in Germania. Più o meno ha questa forma particolare:

Gli ampi sobborghi terminano come le chele del gambero e l’insieme assomiglia a 2 linee parallele. Il Rednitz o Regnitz percorre la città formando 2 rami principali. Quello più largo in realtà / è solo un canale, attraverso il quale, nel caso di una sua piena, viene fatta defluire l’acqua; ma proprio in questo canale, nel 1784, il ponte in pietra più bello fu trascinato via dalla grande alluvione (della quale sentii parlare anche quando mi trovavo a Dresda230 e di cui vidi i segni). Al suo posto sono stati eretti adesso 2 pessimi ponti in legno, sostenuti da armature. Questo canale si presenta al momento quasi completamente insabbiato. Quando si sosta sui ponti, si ha una bella vista sui monti all’esterno della città, su entrambi i lati; e ci si può richiamare vividamente alla memoria l’ancor più splendida veduta dal ponte di Dresda. Nella zona retrostante B[amberga] il Regnitz si getta nel Meno. Il Regnitz permette un’intensa attività di navigazione e attualmente consente il trasporto di una grande quantità di cereali e foraggio alle armate prussiane e imperiali. Nel mio albergo alloggiava già da alcune settimane un commissario di Anspach, il quale, in questa zona, fa acquisti all’ingrosso di questo tipo. Bamberga è dotata di un selciato di pietra calcarea uniforme, liscio e bianco, così come in tutte le città della Franconia che ho visto. Questo selciato, quando è nuovo e omogeneo, è

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troppo liscio per i cavalli e quando il sole splende, i suoi riverberi diventano accecanti. I suoi abitanti sono oltre 20.000, forse persino 24.000; abitanti che rendono le strade molto affollate. I protestanti non vi celebrano pubblicamente le loro funzioni religiose. Gli ebrei versano ogni anno 10 fiorini per il tributo di domicilio e tutela (Schutzgeld)231 e alcuni tipi di commercio sono loro proibiti. Gli abitanti, per il resto, pagano assai poche imposte. Il vescovo, (sta immediamente sotto il Papa), viene abitualmente chiamato “il principe”. Quello attuale, Franz Ludwig,232 è / in ogni senso un eminente signore, il quale, malgrado ciò, nel suo territorio, almeno per quanto riguarda la gente comune, viene misconosciuto, o quanto meno non sufficientemente stimato. Il suo ritratto, che a quanto pare non corrisponde mai alla realtà, ma le cui fattezze appaiono invece dovunque assolutamente simili, sta spesso appeso in qualsivoglia convento ecc. Ultimamente il vescovo è rimasto per ½ anno a B[amberga]. – Il fatto che la cultura come espressione delle componenti spirituali e intellettuali sia qui di gran lunga più limitata rispetto a Würzb[urg] e a Banz, e che l’operosità dei dotti e degli artisti significhi qui ben poco, costituisce un motivo di lamentela comune. I cattolici da me conosciuti non avevano un atteggiamento ortodosso e sorridevano loro stessi delle stravaganze della loro religione. Pare che il carattere dei cittadini di Bamberga sia fatto in generale di rettitudine, flemma, superstizione e dalla frequente propensione a bere birra. I numerosi giorni di festa in tutti i Paesi di religione cattolica inducono all’ozio. I comuni caratteri nazionali del cattolicesimo233 sono molto vistosi e riconoscibili, in special modo presso le rappresentanti del genere femminile. Queste sono per lo più piccole, tutt’altro che belle, e hanno il naso schiacciato. Le donne che abitano la città portano delle cuffie che, coprendo entrambi gli orecchi, si sviluppano a punta verso il basso e dietro, là dove sono corte, lasciano intravedere una crocchia fermata in maniera salda e decisa. Le loro pettorine scendono giù, raggiungendo quasi la lunghezza delle gonne e sono prive di ornamenti, mentre le maniche, se non si estendono fino a coprire la mano, pendono morbide all’ingiù, fino a toccare quasi il ginocchio. Alcune di loro hanno sulla testa un piccolo e alto copricapo, interamente composto da pieghe increspate combinate assieme in maniera molto compatta. / Le case sono in gran parte abbastanza ben costruite e di gran lunga non così antiche quanto quelle di Norimberga. Malgrado gli sforzi fatti, non sono riuscito a procurarmi nessuna pianta della città, né tantomeno vedute delle belle località circostanti. Così avviene, quando non vi sono abbastanza artisti che si prendono a cuore la natura delle cose. Altre zone, ricche di artisti e molto meno degne di esser schizzate in un disegno, vengono invece fatte conoscere fino all’eccesso tramite delle incisioni in rame. – Attorno a B[amberga] si estendono aperte campagne, nelle quali il giallo dei cereali abbondanti si alterna al verde rigoglioso degli ortaggi, in piccoli appezzamenti di terreno che si susseguono continuamente l’uno dopo l’altro, diventando ancora più colorati e multiformi grazie al gran numero di alberi da frutta sparsi qua e là per i campi; nelle vicinanze si trovano catene di monti coperte di fitte boscaglie, ora più vicine, ora più distanti; esse hanno un aspetto tanto luminoso e bello, quanto grandioso e severo. Su un alto cocuzzolo si scorge il

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castello di Giech, che si trova a 2 ore da B[amberga] e che venne utilizzato in passato come castello di caccia.234 Nelle vicinanze si trova adesso uno stabilimento per l’allevamento dei cavalli. – Uno degli aspetti di maggior importanza di Bamberga è la rilevante frutticoltura e orticoltura (si vedano i Beyträge zur Statistik u[nd] Geographie von Bamberg (Contributi sui dati statistici e geografici di Bamberga).235 I giardinieri (che sono molto esperti) abitano tutti assieme in un sobborgo, formando un’autonoma corporazione artigiana che conta dai 6 ai 700 maestri, e hanno le loro usanze. Devono anche eseguire un lavoro a regola d’arte. Coloro i quali, a esempio, coltivano solamente liquirizia, / (poiché questo prodotto viene qui coltivato in quantità davvero considerevoli e da parte di alcuni come unica coltura), debbono estrarre dal terreno questa pianta a regola d’arte, con tutte le sue sottili radici, in maniera tale da non tagliuzzarne le fibre. La loro conoscenza della terra e dei metodi della sua coltivazione è eccellente. Si avvalgono di un appezzamento di terreno almeno 5 o 6 volte all’anno, ragione per cui sono soliti acquistare a un prezzo sproporzionatamente caro perfino una piccola porzione di terreno. In diverse località, per giunta, vidi sui campi verdure di due tipi mescolate l’una con l’altra entro un medesimo terreno. In alcuni paesini e borghi della zona di Bamberga, per esempio Neukirchen ecc., ci sono dei grossi vivai, dai quali spesso gli alberi vengono prelevati dai contadini e portati sino in Russia e Ungheria. La frutta in questa zona è assolutamente squisita: tutte le qualità sono vendute abbondantemente in città; anche a Erl[angen] arriva quasi esclusivamente frutta di Bamberga. Le ciliegie duracine bianche sono così polpose e rossicce che hanno un aspetto e un sapore completamente diversi da quelle di Berlino. Tutte le qualità di ciliegie sono meravigliosamente grosse e dolci. Cento grammi costano tra 4 e 1 carentano. La verdura coltivata nella zona di Bamberga viene trasportata lontano su nave o via terra, senza sosta, giorno e notte; sino a Baireuth, all’Assia, alla Sassonia, alla Boemia, anzi addirittura fino a Vienna. Mi soffermo adesso sulle singole attrattive della città. - Il castello vescovile, qui usualmente designato come “la Residenza”,236 si chiama la “Fortezza di Pietro”, giace su un’altura, il “Petersberg”, dalla quale / si gode già di uno sguardo d’insieme su una piccola parte del territorio di Bamberga; è stato eretto nel 1702 in stile italiano. È di colore giallo e ha un’elegante facciata. Al suo interno si dice siano esposti dipinti sia di buona che di cattiva fattura. Vicino al castello, sulla stessa altura, sta il duomo (das Tuhm, come si dice qui), o «chiesa del duomo di San Giorgio», fatto erigere nel 1110 dal vescovo Ottone VIII;237 ha un tetto di colore scuro e delle raffinate decorazioni in stile gotico ed è provvisto di 4 torri gotiche con copertura del tetto in piombo, poste ai 4 lati della costruzione, che di lontano fanno davvero bella mostra di sé. Le torricelle, i pinnacoli, le orlature, le balaustre e altri elementi architettonici di natura decorativa in chiese gotiche di questo tipo risultano davvero ricchissimi di ghirigori, intagliati come sono nella compatta pietra arenaria, e sono lavorati con grande finezza e buon gusto, come i tempietti compattati grazie alla gomma adragante che si vedono dai pasticcieri. Di fronte alla chiesa sono disposte 2 antiche figure animali di pietra arenaria, a tal punto

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sgraziate e sproporzionate che risulta a malapena possibile riconoscervi gli occhi e la bocca. Esse rappresentano gli animali che, durante la costruzione del duomo, si dice che separassero e disseminassero qua e là ogni notte le pietre; così come d’altronde a B[amberga] si sentono raccontare parecchie storielle di questo tipo. Potrebbero rappresentare dei leoni. Linneo li definisce «Bufones Bambergenses». – Al suo interno il duomo contiene un’indescrivibile ricchezza di antichi dipinti, monumenti funebri, bassorilievi ecc. Si trovano opere d’arte simili un po’ in tutte le chiese cattoliche, ma non sempre in tale quantità. Può risultare molto interessante indicare in maniera precisa tutti questi monumenti artistici dei tempi passati e descriverli; dalle antiche iscrizioni si potranno forse desumere alcuni dati inediti sulla storia di questo territorio; inoltre, in mezzo ai quadri e ad altre / opere d’arte si trovano a volte nascosti dei capolavori, o quantomeno delle preziose rarità, per quanto concerne le epoche passate. Qui si può perseguire questo proposito tanto più agevolemente, dal momento che tutte le chiese cattoliche restano di solito aperte l’intera giornata, tranne che a mezzogiorno, e non si disturbano le poche persone che, come raccolte in se stesse, pregano in diversi momenti della giornata. La difficoltà sta solo nel fatto che esaminare tutto, tutte le epigrafi, spesso collocate in alto, altre volte in angoli bui (il duomo è particolarmente buio), altre volte ancora cancellate dal tempo, e specificare tutte le modalità rappresentative dei bassorilievi storici ecc., richiede tempo e conoscenze di storia; inoltre, bisogna necessariamente percorrere tutti i luoghi in cui si trovano queste opere d’arte, se si va alla ricerca di tesori artistici da scoprire. Allo stesso modo, occorre non solamente tempo, ma specialmente una consistente competenza artistica di ordine critico e pratico, per poter analizzare tutti i dipinti, in relazione tanto alla loro bellezza quanto alla loro datazione, e per poter scoprire in un’opera d’arte figurativa danneggiata, ora dal tempo, ora da una cattiva vernice, la mano di questo o quel virtuoso dell’arte. Perfino il più elementare godimento di queste opere d’arte mi è spesso stato precluso, perché esse erano sovente disposte in alto o stavano appese in un qualche recesso privo di luce, e perché rappresentano leggende cattoliche dei santi a noi sconosciute. In questo campo fertile potei dunque raccogliere ben poco. Si dice che i dipinti presenti in duomo siano opera di discreti maestri tedeschi (Oswald,238 Merian239 ecc.) e italiani del passato; anzi, un paio sarebbero addirittura di Raffaello e Michelangelo.240 Se questa congettura sia fondata o meno è una questione sulla quale non riesco ad assumere una posizione: alcune opere erano veramente belle, ma è possibile che tra esse ve ne siano anche parecchie di livello basso o / mediocre, per quanto si incontri certamente una simile eterogeneità in tutte le chiese e i conventi dei tempi passati, che, in riferimento a questo aspetto, non sono ancora stati sufficientemente studiati da esperti. – In duomo mi annotai il seguente, interessante epitaffio, presente sulla tomba del vescovo precedente, sulla quale egli è rappresentato in ginocchio. L’iscrizione tombale è incisa in un marmo di colore nero, con lettere di grandi dimensioni e dorate:241

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D.O.M. Venerare. viator. cineres. Reverendissimi. ac. celsissimi. S.R.I. principis. Et. Franciae. orientalis. ducis. Adami. Friderici. Ex. illustrissima. prosapia. S.R.I. comitum. A. Seinsheim. Nati. xvi. Febr. 1708. electi in Episc. Herbipol. 7. Januar. 1755. In. Episc. Bamberg. 21. April. 1757. Denati. 18. Febr. 1779. Qui. Placens. Deo. et. hominibus. Samuel. Regendis. ecclesiis. electus. a. Domino. Sadoc. Instituendo. perpetuam. Christi. eucharistici. adorationem. religioni. Melchisedec. In. lucrandis. ecclesiae. proselytis. zelo. Paulus. Subditis. belli. temporibus. vigilantia. Onias. Populo. inedia. tabescenti. providentia. Joseph. Paperibus. misericordia. et largitate. Tobias. Litteris. ac. eruditis. protectione. Ptolomaeus. / Amicis. suis. fidelitate. Jonathas. Exteris. sapientia. ad. stuporem. Salomon. Omnibus. comitate. et. mansuetudine. David. Vivus. patriae. Pater. Defunctus. ut. speramus. Jeremias. Qui. multum. orabit. pro. populo. et. civitate. Requiescat. † in. † pace. †

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Per quanto coinvolgente sia a un primo sguardo lo stile linguistico di questo epitaffio, credo tuttavia che esso sortirebbe un migliore effetto se, invece di avere così tanti esempi, rispetto ai quali si viene poi continuamente stimolati ad aggiungerne tanti quanti ne detta l’arbitrio, ne contenesse più o meno solo 3. In questo modo sembra invece che il defunto vescovo avesse riunito in sé le più perfette qualità di tutti i grandi uomini dell’Antico e del Nuovo Testamento, in mezzo ai quali, per di più, sembra essersi smarrita in maniera davvero molto singolare anche la figura di Tolomeo d’Egitto. Mi farebbe piacere sapere se il s[ignor] p[rofessor] [Karl Wilhelm] Ramler,242 il quale comprende molto bene lo stile lapidario dal punto di vista teorico e pratico, formulerebbe un giudizio simile a questo. - Nella cattedrale sono sepolti quasi tutti i vescovi di B[amberga]: sono al tempo stesso presentati per mezzo di figure scolpite nella pietra poste alle pareti o sui piloni, e accompagnate da lunghe iscrizioni funebri. Mi imbattei in un bassorilievo dall’aria austera collocato in posizione orizzontale, che rappresentava a grandezza naturale un vescovo della fine del XIII secolo. Sotto l’altare maggiore venne costruita nel 1147 la tomba dell’imperatore Enrico II e di sua moglie Cunegonda.243 Nel duomo è sepolto anche l’imperatore Corrado III, morto a Bamb[erga] nel 1152. Un piccolo crocifisso di legno, presente nel duomo, dovrebbe provenire da Gerusalemme. Alle pareti sono appese diverse tavole esplicative a stampa, incorniciate e sistemate sotto dei vetri, sulle quali si può leggere a quali santi sono consacrati i 7 altari della chiesa, quando in passato il Papa ha accordato alla celebrazione della messa dinnanzi all’altare maggiore il potere di assolvere dai peccati, la dichiarazione secondo la quale chi, nei giorni festivi, prega assiduamente di fronte ai 7 altari per la redenzione della chiesa cattolico-cristiana e per l’estirpazione dell’eresia, ottiene la remissione dei peccati ecc. – In una cappella adiacente al duomo, di dimensioni abbastanza grandi (tutte le chiese cattoliche ne hanno parecchie simili a questa,) si trovano alle pareti, vicinissimi gli uni agli altri, circa 80 ritratti dei canonici qui sepolti, in bassorilievi di metallo. Alcuni sono abbozzati con delle semplici scanalature nel metallo. I ritratti più antichi presentano tutti delle nappe al lembo dei vestiti. Ognuna di queste figure è accompagnata da un’iscrizione sottostante. – All’interno del duomo è presente una biblioteca che contiene delle rarità davvero notevoli e una moltitudine di manoscritti ancora sconosciuti ecc., ma che, provocando l’irritazione degli stessi abitanti di Bamberga, viene mostrata ai forestieri solo a prezzo di grandi difficoltà e per brevissimo tempo. Il tesoro del duomo, straordinariamente ricco di reliquie, corone, vesti e altri sontuosi ornamenti dei più antichi imperatori tedeschi ecc., che viene solitamente mostrato al pubblico dietro permesso del vescovo e che, durante la processione della festa di sant’Enrico, viene in talune circostanze anche portato in giro, si trova attualmente già da un certo tempo, per paura dei francesi, imballato in casse, quasi fosse imprigionato, ed è stato condotto in sicurezza in un luogo sconosciuto. – In questo antico duomo, ai miei occhi così singolare, assistetti in occasione della festa in memoria di sant’Enrico, e con la più profonda partecipazione, alla messa solenne che si svolse sabato dalle 9 alle 10 dopo la predica e che ha luogo dovunque in un qualsiasi giorno festivo. Qui in / duomo la messa è officiata abitualmente dal vescovo in

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persona e, in sua assenza, dal vescovo ausiliario; ma qualora costui fosse malato, officierebbe il rito il decano del duomo o vicario, che è il primo tra i canonici (i quali, propriamente, sono «canonici del duomo» o «canonici della cattedrale») e il primo dopo il principe. Per strada c’erano in vendita dappertutto mazzi di fiori, che la folla portava dovunque con sé in duomo; davanti al duomo, stava seduta una donna che aveva da vendere rosari e scapolari. Acquistai un rosario per 3 carentani (più tardi, me ne sono comperato per ricordo uno migliore in un negozio) e uno scapolare. Per la precisione, questo è il nome di un pezzo di stoffa, che penzola sul petto e sul dorso di alcuni ecclesiastici. Va comunque detto che si chiamano allo stesso modo anche delle piccole immagini, che sono attaccate le une alle altre da 2 nastri e che si portano direttamente sul corpo come degli amuleti, uno davanti e uno dietro. Sul mio si trova Maria con Cristo, e la testa di una persona con la scritta: «Autentico ritratto di sant’Anastasio mart[ire], dell’Ordine dei Carmelitani, alla cui vista i demoni, gli spettri e persino le malattie vengono allontanati, come indicato dal II concilio monastico».244 Le immagini sono stampate con inchiostro nero, su un tessuto liscio. – Quando entrai nella buia e venerabile chiesa, la trovai già abbastanza piena di fedeli; mi spinsi innanzi, fino all’altare maggiore, e attesi dunque lo svolgimento della festosa manifestazione. Oh! Non mi aspettavo davvero di vedere così tante cose! Tutto era una novità per me, e le diverse modalità del cerimoniale, che cambiavano ogni minuto in maniera ben determinata, fecero su di me, quanto più mi erano misteriose e incomprensibili, un’impressione tanto più forte / e sorprendente.245 Mi trovavo in mezzo soltanto a fedeli cattolici, uomini, donne e bambini. Alcuni erano costantemente intenti a leggere passi dai libri delle preghiere; altri recitavano il rosario in piedi, altri ancora stavano in ginocchio in adorazione, vicinissimi a me. In questa circostanza trovai davvero una chiara conferma di quello che racconta Nicolai:246 quel rigido alzare lo sguardo durante la preghiera; sguardo che, senza indugiare sulle cose terrene, all’improvviso s’infiamma volgendosi verso l’alto. Quegli impercettibili, rapidi e muti movimenti delle labbra nell’atto di pregare. Quel farsi il segno della croce con sacro zelo. Quel percuotersi il petto con colpi carichi di fervore e risoluti che, accompagnato dallo sguardo più eloquente possibile rivolto verso il cielo e da un profondo sospiro, ha qualche cosa di particolarmente patetico. Osservai tutto ciò tanto negli anziani, quanto nei bimbi; i bambini più grandi davano una spinta a quelli più piccoli, per indurli a fare come loro. Neppure il più consumato degli attori saprebbe rappresentare la scena di una fervente preghiera in maniera più fedele e compiuta in relazione a queste persone, per le quali si è trasformata in un’abitudine, soprattutto per quanto concerne ciò che osservai in una ragazzina. Qui si viene iniziati totalmente allo spirito del cattolicesimo e per certi versi spronati a prendere parte a tutte le cerimonie. – A un certo punto sull’altare maggiore, parato a rosso, venne accesa una grande quantità di candele. Ogni fedele che passava dinnanzi a questo altare, s’inginocchiava. In quel momento 4 o 5 preti vestiti con paramenti sfarzosi, di colore verde e ricamati in oro, rosso e bianco, e con motivi a grandi fiori, si sistemarono

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sugli / scalini dell’altare e dettero inizio alla messa solenne, che viene officiata interamente in latino, ma che per la popolazione è disponibile in traduzione tedesca. A un certo punto, l’intera comunità intonò un canto in latino. La messa solenne di per sé era composta da un gran numero di atti cerimoniali tutti definiti per filo e per segno, la gran parte dei quali restarono a me tuttavia incomprensibili. Ora questo o quel prete prendevano a recitare o cantare, con voce roca, monotona e sgradevole, delle preghiere o dei passi della Bibbia, più precisamente ora davanti all’altare e ora di fronte a un leggio, sistemato dinnanzi all’altare, là dove, posti accanto al prete e reggendo un paio di lumi, stavano degli ecclesiastici di rango inferiore, abbigliati con delle cotte di colore bianco, a pieghe strette e con un colletto nero; gli ecclesiastici presentavano ora questa, ora quella cosa sull’altare; ora si scambiavano di posto, si inginocchiavano qua e là, su questo o quello scalino; ora l’organo li interrompeva ogni 2 o 3 parole e sosteneva il loro canto, del quale ho inteso solo alcune parole: un «Dominus vobiscum» e «In saeculo saeculorum», che venivano ripetuti di frequente. Ora da un’altra parte della chiesa venivano cantate arie e cori con l’accompagnamento di violini ecc.; ora l’ostia veniva fumigata d’incenso sull’altare con un turibolo d’argento, che pendeva giù da catene; ora, tenendo questo in mano, un chierico se ne andava all’altro capo della chiesa, ritornando poi dov’era partito, mentre ogni volta un soldato con un fucile procedeva davanti a lui; difatti, anche di fronte all’altare maggiore, a brevissima distanza da me, stavano in piedi 4 soldati; ecc. Ai lati erano seduti i canonici vestiti di cotte bianche e con un colletto rosso: anche verso di loro / avanzava il chierico con il turibolo, lo faceva oscillare verso l’alto nella loro direzione e li aspergeva d’incenso; la scena mi ha fatto molta impressione. Successivamente fece passare tra di loro una reliquia di sant’Enrico, incastonata in una preziosa cornice dorata; ognuno l’ha baciata e l’ha asciugata poi con un panno. Il momento più solenne fu però quello in cui un altro ecclesiastico mostrò l’ostensorio presente sull’altare (un reliquario luccicante, quasi fosse di cristallo, all’interno del quale vi è l’ostia) al popolo dei fedeli; in quel momento si udì uno scampanellio, i soldati presentarono le armi, si tolsero il cappello e caddero in ginocchio. La comunità intera si è inginocchiata e si è fatta il segno della croce, trombe squillanti hanno risuonato tutt’intorno e si sono confuse con il suono lungo dei corni. Anch’ io mi inginocchiai, perché se non lo avessi fatto mi sarei certamente esposto allo sdegno della gente; inoltre, mi sarebbe realmente costata fatica restare tutto solo in piedi, dal momento che un intero universo di persone stava inginocchiato attorno a me e tutto mi disponeva alla massima devozione. Se non mi fossi comportato così, avrei avuto qui l’impressione di non appartenere al genere umano. – Al termine della cerimonia molte persone rimasero ancora in chiesa, assistendo alla messa presso l’altare maggiore, oppure pregando da soli inginocchiati vicino agli altari minori, oppure ancora spingendosi nella cappella secondaria per baciare la reliquia che un chierico porgeva di qua e di là. – Il giorno succes-

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sivo (la domenica) andai in duomo alle 8 per ascoltare / la predica. Mi venne incontro un nutrito corteo di persone, preceduto da una bandiera rossa, da fiaccole ecc.; il prof[essor] Sauer era alla loro testa; erano i suoi parrocchiani (dal momento che Sauer è allo stesso tempo anche pastore) che egli, come si è soliti fare in alcune occasioni, portava in duomo. Qui ho fatto l’esperienza su me stesso del fervore religioso di un cattolico. Il corteo di persone in processione avanzava a capo scoperto; gli rivolsi il mio saluto, come tutte le altre persone che passavano sulla strada; tuttavia, non appena iniziai poi a camminare al suo fianco e avevo rimesso in testa il capello, uno dei cittadini, con aria molto irritata e seria insieme, prese dunque a dire: «Che mascalzone! Davanti a un corteo in processione non ci si toglie neppure il cappello!». Rimasi stupefatto; mi tolsi il cappello e continuai a camminare a fianco del corteo senza proferire parola e a capo scoperto. – A Bamb[erga] ho osservato anche un paio di altri, piccolissimi cortei in processione: una volta i monaci domenicani, che andavano a casa di un morto per accompagnarne la salma al cimitero; un’altra volta, un sacerdote con l’ostia, preceduto da un uomo che sorreggeva una croce di notevole altezza, mentre al suo fianco procedevano 2 uomini con lanternini e 2 soldati. Tutte queste persone si stavano recando a casa di un malato; il sacerdote entrò nell’abitazione per somministrargli la comunione, gli altri rimasero in piedi dinnanzi all’ingresso, cantando. Tutte le persone che erano per strada si inginocchiarono davanti all’ostia. L’ostia deve esser sempre illuminata e per questo motivo anche sull’altare maggiore di ogni chiesa rimane acceso un lume giorno e notte. Ma anche sugli altari laterali, e in altri punti delle chiese, bruciano continuamente dei lumi, se questo è quanto prescritto dalle fondazioni pie, come frequentemente accade. – Ritorno / tuttavia a parlare della predica nel duomo. Essa trattava della parabola dell’amministratore disonesto.247 Il sacerdote aveva una declamazione decisa e impiegava alcune frasi a effetto, in particolar modo per rimproverare i parrocchiani e per fornir loro un chiaro e vivido esempio dei loro peccati. Nella predica vi era meno dogmatica rispetto a ciò che mi aspettavo, anche se per il prof[essor] Sauer essa risulta sempre eccessiva. Alla comunità parrocchiale si rivolgeva con un «voi» («Sie») e con l’epiteto «pregiatissimi ascoltatori». Si raccomandava di frequente a sant’Enrico, volgendosi verso la sua tomba; al che la comunità dei fedeli, rivolta anch’essa in quella direzione, si inginocchiava: una scena, questa, che faceva molta impressione. Al termine della predica vennero annunciate per la domenica successiva la festa di san Giacomo, presso la pia fondazione di san Giacomo, e la festa dello scapolare dai frati carmelitani;248 trovai questo annuncio più tardi anche affisso sulle porte delle chiese. Voglio continuare il mio racconto soffermandomi ancora sulle chiese, sulle fondazioni benefiche e sui conventi. – Nella «chiesa parrocchiale della Nostra amata Signora» (Pfarrkirche unserer lieben Frau) si trovano 2 bassorilievi veramente grandi, in legno, ottimamente intagliati, che sono riprodotti come incisioni in rame nel volume di Schellenberg, Gesch[ichte] d[er] Pfarrei zu Uns[erer] L[ieben] Fr[au] in Bamb[erg] (Storia della chiesa parrocchiale della Nostra amata Signora a Bamberga), 1787, in ottavo.249 – Nella chiesa di San Martino,250 che il

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volgo assolutamente a torto considera un antico tempio pagano, vidi 2 figure di grandi dimensioni, rivestite di una splendente doratura, così come se ne trovano spesso in questo luogo. Nella chiesa del pio istituto «Gengolfo» (Gangolph) stanno appese alle pareti delle grosse ossa d’animale, che vengono spacciate per ossa di giganti. – La chiesa dell’università251� è costruita secondo i dettami di un vistoso stile italiano e si trova nella piazza del mercato / (nella quale si può osservare anche una vecchia statua di Nettuno, in pietra, collocata sopra una fontana). Al suo interno è imbiancata a tinte chiare, come parecchie chiese a B[amberga], che in questa maniera assumono un aspetto molto allegro e inedito; ha una cupola ben dipinta e una magnifica tavola d’altare di grandi dimensioni, la cui paternità artistica è attribuita a Raffaello.252 – Spesso, nelle chiese, ci s’imbatte in immagini di santi, tra l’altro anche molto antiche e realizzate su legno o pietra, che sono dipinte al vero e hanno un aspetto davvero orribile; talvolta si trova tra esse anche una “Madonna con Gesù Bambino”, entrambi avvolti in vesti dall’antiquato sfarzo, cariche di oro e argento e con delle grandi e goffe corone sul capo. A B[amberga] i fondatori dei collegi canonici, al vertice dei quali sta un decano, sono 3: esistono i collegi canonici di Santo Stefano, di San Gengolfo e della Nostra amata Signora – e anche quello di San Giacomo. Tutti i canonici, allo stesso modo degli ecclesiastici secolari (vale a dire, dei non monaci), hanno sulla nuca una piccola zona circolare rasata, grande quanto un tallero: (la tonsura). Vi sono 5 conventi, da me tutti visitati e che desciverò. Con la più impaziente curiosità feci visita a questi istituti degni di particolare menzione, che hanno esercitato un grande influsso sulla Germania; avevo tra l’altro sufficienti domande da porre sia a quelli che mi accompagnavano, sia ai monaci, per farmi un’idea, per quanto minima e parziale, della loro organizzazione, dal momento che tutto quello in cui m’imbattevo mi appariva nuovo ed enigmatico ed ero trasportato / in un mondo completamente nuovo. Sono venuto a conoscenza di un gran numero di nozioni. Ogni monastero è formato da patres, ossia «padri», e da fratres, vale a dire «fratelli», da frati laici. I primi sono i veri componenti del convento, e ognuno di loro viene chiamato «Sua Eccellenza». Nel monastero più rilevante di Bamberga, il convento dei francescani, sono 48; in altri, di meno. I frati laici, a seconda del numero dei «padri», vanno da circa 4 a 12. Sono degli ecclesiastici che non hanno studiato e non sono affatto dei monaci, bensì dei subalterni rispetto ai «padri», e degli artigiani. Infatti, nei monasteri tutti i lavori artigianali vengono compiuti in prima persona da costoro. Sono panettieri e birrai, si occupano della cucina, confezionano gli abiti dei monaci, sono bottai e falegnami. Indossano comunque anche l’abito del loro ordine religioso. Tra i patres vi è un unico rango, ma vi sono gradi differenti. Vi si trova persino un pater capocuoco, un pater cameriere ecc. Uno o due sono lectores (ecclesiastici lettori), cioè coloro i quali tengono un corso universitario ai novizi o agli studenti su discipline come filosofia e teologia, trattandole nella loro interezza, oltre a storia della Chiesa, diritto canonico ecc. Di solito sono i più eruditi in convento, oppure gli unici dotti, e generalmente operano anche come custodi di biblioteca. I novizi abitano nel monastero e viaggiano qua e là passando per i vari conventi dello stesso ordine, per assistere alle lezioni ora

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in questo, ora in quel monastero, secondo un piano prestabilito. Hanno solamente 1 o 2 ore di lezione al giorno. Perché se ne possano verificare le attitudini, restano in convento per un anno, nel corso del quale hanno la possibilità di potersene andare; trascorso questo periodo, sono vincolati. Il frate superiore di un monastero, nei differenti ordini monastici, / porta anche un nome differente. Nel caso dei francescani, dei cappuccini e dei domenicani, i quali sono frati questuanti e costituiscono gli ordini più poveri, quelli che non posseggono beni stabili ma che, al contrario, debbono provvedere al loro sostentamento con le offerte caritatevoli che vengono fatte loro sul territorio, il frate superiore si chiama pater guardian (padre guardiano); presso altri ordini ha il nome di pater prior (padre priore); nel caso dei benedettini, l’ordine più ricco e blasonato, si chiama prelato (Prälat) o abate (Abt). Il provinciale (Provinzial) è quel frate in monastero che deve sempre viaggiare per i conventi della sua provincia e controllarne lo stato; infatti, più conventi di uno stesso ordine in Germania costituiscono sempre tutti assieme delle cosidette province. Ogni pater, al momento del suo ingresso in monastero, riceve un proprio distintivo nome in latino, con il quale ci si rivolge a lui, come a esempio Pater Sebastian, Pater Clemens ecc. A ogni modo egli mantiene il suo vecchio nome, per esempio P[adre] Gallo Ermanno. – Nutrivo una concezione molto più idealistica dei monaci rispetto a come effettivamente li trovai, immaginandomeli come vegliardi introversi e solitari che, attraverso il loro originale modo di vivere, acquisiscono un’aria molto evidente di serietà, dignità e santità. Ho trovato invece degli esseri umani in tutto e per tutto come gli altri: in parte eruditi e rispettabili; in parte incolti, sempliciotti e con una pancia che tradiva la loro inclinazione preferita; in parte affabili, anzi perfino loquaci, in parte taciturni; in parte vivaci, anzi allegri e gioviali e addirittura capaci di tollerare scherzi sconvenienti; in parte asciutti e seriosi. Alcuni conversarono con me in modo molto confidenziale. In più di un convento mi feci raccontare le loro ben definite attività spirituali, che si differenziano presso ogni ordine solo in minima misura; / non sono tuttavia mai riuscito a tenermele a mente. Le loro abitudini di vita sono all’incirca queste. In media ogni 2 o 3 ore, sia durante il giorno che nel corso della notte!, e cioè ogni volta da ¼ d’ora a ¾ d’ora, a orari fissati con precisione, essi devono cantare preghiere in latino contenute nel breviario, o recitare salmi, oppure ancora (al mattino) dire messa, o mettersi a fare non so io stesso cos’altro ancora. Di tanto in tanto si ritrovano assieme in chiesa anche per una meditazione di una mezz’ora; vale a dire che restano seduti e in silenzio, riflettendo ognuno per sé su argomenti di ordine religioso. Comunque tutto è regolato in maniera assolutamente puntuale. Di notte devono alzarsi alle 12, alle 3 o alle 4, o più o meno qualcosa del genere. Inoltre, la loro occupazione principale consiste nel recarsi ai villaggi più vicini e di assistere i parroci nella diffusione della dottrina religiosa e nelle incombenze proprie dell’assistenza spirituale, come confessare ecc., o persino predicare nelle loro stesse chiese. Di solito mangiano alle 11 a pranzo e alle 6 di sera – o di notte, come si dice qui – e per la precisione in una sala molto vasta, che si chiama il refectorium. Stretti tavoli corrono

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tutt’intorno al muro e alle pareti pendono immagini dei santi del loro ordine e altri dipinti. Di pomeriggio i loro amici in arrivo dalla città sono soliti far loro visita in questa sala e giocare a carte, mentre i monaci servono della birra bella forte e del pane, entrambi di loro produzione. Anche a me hanno dato da mangiare e bere tutto questo, dovunque mi sia trovato, e la birra squisita mi ha reso quasi sempre un po’ brillo. In quanto a cibo e bevande non manca loro / di certo nulla. Il s[ignor] prof[essor] Sauer mi volle portare una volta, di sera, in convento, per consumare lì un pasto; purtroppo non se n’è fatto nulla. Quanto al resto, non tutti vivono un’esistenza così rigorosamente organizzata come si potrebbe pensare; in effetti i lectores, e altri, sono dispensati dal cantare nel coro. A tavola, uno dei monaci legge ad alta voce da un pulpito brevi passi ripresi da una delle storie della Chiesa, dalla Bibbia ecc., con voce da monaco monotona e stridula. Ebbi occasione di stare una volta in ascolto di questa lettura trovandomi all’esterno, nel giardino del convento, di cui nessun convento è d’altronde privo. I monaci non fanno assolutamente colazione; oppure, chiunque lo desideri, deve farsi preparare qualcosa. – Quello che in ogni monastero si può vedere è: la chiesa, il refettorio, la biblioteca; alcune celle … e forse gli edifici destinati alle attività agricole e il giardino. Le chiese, come tutti i luoghi di culto cattolici, hanno a una delle loro estremità un posto, usualmente separato da una grata e collocato in posizione rialzata su più scalini, detto coro. Qui si trovano collocati dei leggii con grossi libri utilizzati dai patres per cantare e vi si trovano passaggi di accesso collegati alla parte dell’edificio claustrale; è difatti qui che i frati conducono le loro attività spirituali. La biblioteca del convento si trova usualmente in una sala e contiene quasi esclusivamente vecchie opere del XVI e XVII secolo. Rimasi assolutamente stupefatto di fronte a tutto ciò, poiché vidi qui un gran numero di opere del tutto sconosciute, di teologia cattolica, di contenuto moraleggiante, di argomento filosofico ormai superato, di storia della Chiesa, di diritto canonico (infatti i cattolici si dedicano anche allo jus, e in particolare allo jus canonicum), di carattere polemico / e scritti di altra natura, tra l’altro anche vecchie grammatiche, dizionari, commentari biblici, opere dei padri della Chiesa ed edizioni di classici. Di antiche opere a stampa, e particolarmente di manoscritti, ne trovai però meno e di minore rilevanza, rispetto a ciò che mi sarei aspettato. La maggior parte sono Bibbie, missalia e breviaria (libri liturgici su messe e preghiere) in latino, e testi del genere. Trovai anche poche opere in antico-tedesco. I patres dotti non mi accompagnarono dappertutto di persona, giacché è sempre molto limitato il numero di coloro i quali mi avrebbero potuto mostrare con accuratezza le rarità. La maggior parte non si cura affatto della biblioteca. In un monastero, a esempio, la porta inizialmente non ne voleva sapere di aprirsi; in un altro, un padre mi parlò molto a lungo e con tono molto serio di un forno appena installato in convento! In diversi monasteri si trovano degli armadi chiusi a chiave con libri prohibiti, che a ogni modo possono essere letti solo con il permesso; nel convento dei benedettini e in quello dei carmelitani mi sono tuttavia accorto che le opere di Lutero sono accessibili da parte di chiunque. – Ogni padre ha nella sua

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stanza una piccola raccolta di libri più recenti, di idoneo contenuto religioso, ma anche di altri soggetti, e in particolare questo vale sempre per il p[ater] lector. Queste stanze (celle) sono piccole, hanno solo una finestra e sono sempre addobbate con piccole immagini di santi, crocifissi e oggetti di questo tipo. Su ogni porta sta scritto il nome di colui che vi alloggia. Si giunge alle celle passando per dei lunghi corridoi. – In tutti i conventi ci sono anche delle stanze separate per gli ospiti, destinate ai forestieri. Passo ora a parlare dei singoli conventi. – 1) Il convento dei benedettini.253 Gode della posizione più splendida sul Michelsberg (monte di San Michele) / o Mönchsberg (monte dei monaci) e rappresenta anche l’edificio più vasto tra i monasteri in questione. I benedettini indossano una veste scura, con dei bottoni davanti, in alto, fatta di tessuto liscio (non di panno) e senza cappuccio. – La chiesa ha 2 alte torri e al suo interno è particolarmente sfarzosa, oltre che completamente dipinta di bianco. La volta è stata fatta completamente decorare da un abate del monastero - il quale non aveva purtroppo altrettanto gusto, quanto aveva competenze in botanica – con motivi di fiori ed erbe, non di meno molto belli: un’idea veramente singolare quella di trasferire in cielo un herbarium (erbario). Per questa ragione la chiesa viene qui normalmente chiamata «il grande libro delle erbe» («das große Kräuterbuch»). Alle colonne mostra molti dipinti di santi, tra l’altro anche 2 immagini dorate; nel coro ci sono alcuni quadri bellissimi. Al di sotto del coro si trova il monumento funebre in pietra di sant’Ottone, il VI vescovo di B[amberga], del 1189, con figure ed epigrafe.254 Essa presenta un’apertura di forma quadrangolare che, secondo quanto è contenuto in un libriccino appeso a una catenella lì vicino, guarisce completamente dalla febbre intermittente chiunque, strisciando a carponi, vi passi attraverso per 3 volte. Tutt’attorno al monumento sepolcrale stanno appesi alle pareti numerosi e antichi dipinti, scoloriti dal tempo e raffiguranti scene relative alla storia dei miracoli di sant’Ottone. Appese ai muri si trovano qui in gran numero misere immagini di più piccole dimensioni, sulle quali si leggono le parole: «ex voto». Sono giunte fin qui e sono state esposte dopo aver fatto dei voti e in seguito alla guarigione da una malattia, o in circostanze simili. Esse ritraggono il supplice e sant’Ottone in mezzo alle nuvole. Raffigurazioni di questo genere si trovano in tutte le chiese cattoliche. All’interno dell’altare maggiore sono contenute le reliquie di sant’Ottone, avvolte in un tessuto e tempestate di galloni e perle. – Nella biblioteca ho visto le cose che elenco qui di seguito. Una macchina elettrostatica.255 Interessanti manoscritti di / parecchi padri della Chiesa, del Corp[us] jur[is] civ[ilis] et canon[ici] (Raccolta di materiale giuridico in materia di diritto civile e diritto canonico). Il manoscritto di una cronaca di Norimberga, risalente alla fine del XVI secolo. Un antico volume, ancora stampato con tavole di legno, l’ars memorandi, in quarto. Le lettere in diversi punti non erano affatto stampate in modo chiaro; l’inchiostro nero da stampa si era diluito, o mancava del tutto. L’opera di Calmet, in parecchi volumi in folio, che è il miglior commento alla Bibbia.256 Altri expositores (così vengono chiamati qui i commentari biblici, nei quali ci s’imbatte un po’ dovunque e frequentemente). Gli Annales ordinis Bened[icti] e gli Acta sanctorum Bened[icti] di Mabillon.257 Entrambi gli scritti sono presenti in diversi volumi in folio. Vedute incise in rame di Vienna, di città italiane, dei 2 castelli di Pommersfelden e di Gaibach del conte di Schönborn

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(Augusta, presso l’editore Wolff)258 ecc. Qui dovrebbe anche trovarsi un libro già stampato nel XV secolo in questo stesso convento. – L’edificio monacale è più recente della chiesa, è realizzato completamente in pietra arenaria ed è stato costruito splendidamente in stile italiano: assomiglia a un castello, all’interno ha grandi scale di pietra, celle di ottima fattura e delle sale belle e ampie. Il giardino presenta una bella fioritura di garofani, dei terrazzi che digradano lungo il fianco del monte e un pergolato ombroso all’estremità superiore del pendio, attraverso le cui aperture si gode della più incantevole vista sulla città e sulle contrade circostanti, che si alzano e si abbassano come i flutti del mare. Da qui si può scorgere la residenza estiva di Seehoff259 e si dovrebbe riuscire a vedere perfino l’abbazia di Banz, distante 3 miglia.260 – / – – 2) Il convento dei carmelitani.261 I carmelitani indossano un abito di panno scuro, con una cappa e una cintura di cuoio. (Tra l’altro, quasi tutti i monaci hanno il capo quasi rasato a zero.) Nella chiesa, che ha 2 torri, si trova la statua in argento massiccio di una santa. Una piccola cappella secondaria è stata edificata seguendo interamente il modello della Santa Casa di Loretto (sic!) e, per questa ragione, risulta davvero notevole: dietro una vetrata sta la preziosa immagine di Maria; dietro una grata si trovano pentole e piatti con la sua effigie; alle pareti pendono alcune raffigurazioni di bimbi e di mani, concepiti come ex voto; infine, sulla calce staccatasi dal muro quasi ovunque, si vede ogni genere di frammenti di figure dipinte, tra le altre anche quella di un cavaliere dell’Ordine Teutonico che cavalca un caprone. – Nella biblioteca, che è stata recentemente sistemata molto bene o almeno in parte, osservai le seguenti opere: un numero non trascurabile di manoscritti, in particolare molti dei padri della Chiesa, inoltre anche delle Bibbie, dei missalia (messali), degli antichi breviari di Bamberga del 1480 e testi simili. Di antiche opere a stampa vidi: tomi del Corp[us] jur[is] (Raccolta di materiale normativo in materia di diritto civile) e molte altre ancora. La Kirchen­ gesch[ichte] (Storia della Chiesa) di Fleury, consistente in oltre 80 volumi in ottavo.262 – Nel refettorio stanno appese ai muri immagini di santi dell’ordine carmelitano. Nella cella di p[adre] Clemens, che mi accompagnò qua e là, osservai i sermoni di Bourdoloue, di Bossuet e di Mavillon263 contenuti in diversi volumi ecc. Il monastero ha un ampio locale, in cui si fa il pane e si produce la birra, immediatamente a ridosso dell’edificio principale, cosa che non sempre accade; poi una cantina profonda e fresca scavata nella roccia, alla quale si accede dal laboratorio per la produzione della birra, dei bei giardini, degli appezzamenti di terreno coltivati a grano e luppolo, e dei vigneti. – Nel convento si trova imprigionato un canonico, il quale alcuni anni fa ha istigato a un omicidio.264 I canonici, provenienti da quella che dovrebbe essere un’illustre famiglia dell’alta nobiltà che conta 16 avi, sono gli esseri umani più arroganti e privi di ritegno che ci si possa immaginare. – Tra i frati laici ve ne sono un paio fuggiti da Magonza. Fu per me molto cuorioso venire a sapere che p[adre] Hederich, valente bibliotecario in questo convento, poco tempo fa, durante quella che sembrerebbe una breve gita, sia scappato a Berlino, senza che si riesca a sapere con chi egli abbia fatto conoscenza là e la ragione per la quale egli intenda restare in Prussia. – – 3) Il convento dei domenicani. I domenicani indossano una sottoveste nera e una sopravveste bianca. La loro bi-

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blioteca ha degli armadi marroni di buona fattura; la volta è dipinta con simboli allegorici, ognuno dei quali presenta un’iscrizione. Trovai: Bibbie, libri di preghiera e antichi messali di Bamberga in forma di manoscritto. Non mancavano poi vecchi testi a stampa, Bibbie in antico tedesco ecc. Vidi inoltre anche le Merckwürdigkeiten von Ketzern (Le stranezze degli eretici) di Weislinger e il suo libro dal titolo Friß Vogel oder stirb[!] (Mangia uccellino, oppure crepa[!]).265 La biblioteca del p[adre] lettore annoverava: 14 volumi in quarto, pieni di trattazioni su vari ambiti della teologia, del gesuita Zaccaria di Roma;266 molti dogmatici cattolici, storici della Chiesa e canonisti; la Dogmatica di Mosheim e la sua polemica,267 la Geographie di Büsching,268 la Gesch[ichte] der Deutschen (Storia dei tedeschi) di Schmidt.269 Nella sua stanza, il padre lettore aveva anche un orologio da tavolo del 1604 che, per mezzo di un disco che avanza progressivamente, mostra la lunazione / : una rarità antiquaria. Nel monastero vidi inoltre una vecchia copia della Strage degli innocenti a Betlemme di Rubens270 che voi, mio caro padre, avete disegnato a carboncino. – – 4) Il convento dei francescani.271 I francescani indossano un abito di panno di colore bruno, duro come il feltro e rigido, portato direttamente sulla pelle e che lascia il collo scoperto, sono dotati di semplici sandali, che lasciano scoperti i piedi, hanno un cappuccio rotondo e un cordone bianco attorno alla vita. Quando escono dal monastero mettono sulle spalle anche un mantello corto e di colore bruno. Nella loro chiesa vi sono 5 antichi quadri su sfondo dorato; una rarità. Sul più grande di essi sta quest’iscrizione: «1 29 (1429)». Descrivono scene della Passione di Cristo. Le figure sono rigide e attorno al capo hanno un’aureola dorata che, in maniera davvero originale, si stempera sul fondo dorato. – Nella biblioteca, ben ordinata, ho trovato le seguenti opere. Tra i manoscritti: Leggende dell’evangelista Giovanni, in latino, con dipinti su fondo d’oro, e di san Francesco. Il Terzo Libro dei Re, in latino. Virgilio, con varianti e glosse. Tra i libri a stampa: il Vogelbuch (Il libro degli uccelli) di Conradt Geßner, con descrizioni in latino, tradotto in tedesco da Rudolff Heüßlin su permesso di Sua Maestà Imperiale, con la riserva di non ristampare in maniera illegittima l’opera prima di otto anni, pena una punizione corporale e una multa di otto marchi d’oro fino, fedele all’originale,272 Zurigo 1557, in folio. (Gli stampatori illeggitimi sono dunque già così antichi!). Il Thierbuch (Libro degli animali) di C[onradt] Geßner, tradotto in tedesco dal d[ottor] Cünrat Forer, Zurigo / 1563, in folio.273 Entrambe le opere presentano parecchie incisioni in rame. – L’Herbarius (Erbario), stampato da Schönsberger, Aug[usta] 1488, in quarto.274 Il New Kreüterbuch (Il nuovo erbario) del d[ottor] m[edico] P[ietro] A[ndrea] Matthiolo, traduzione tedesca di G[eorg] Handsch, Praga 1563, in folio, con un gran numero di incisioni in rame di grosse dimensioni.275 Il Kreutterbuch, vonn allen Kreuttern, Bäum, Gestaud, vū Frücht deßgleichen Gethier (Erbario di tutte le erbe, alberi, arbusti e frutti, nonché repertorio degli animali), Fr[an]c[o]f[orte] sul Meno 1545. Il Fischbuch (Libro dei pesci) di C[onradt] Geßner, tradotto in tedesco da Cünrat Forer, Zurigo 1563, in folio, con incisioni in rame. Lo Spiegel der artzney, vor zeytten zu nutz vund trost den leyen gemacht (Panoramica della scienza medica a partire dai tempi antichi, realizzata per il beneficio e il conforto dei profani), di Laurentiū Frisen, 1532, in folio.276 Le Opera divi Joannis Mehul, ope et impensio Rainaldi Novimagii teutonici. In rectificat[ionem] medicinor[um] simplic[ium] (Le opere del divino Giovanni di Meung, stampate e edite a cura di Rinaldo il Tedesco, da Nimega. Per l’ammonimento dei medici creduloni), Venezia 1479, in folio.277 (Quest’opera è una tra i tanti libri stampati a Venezia già nel XV secolo che dimostrano fino a quale

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punto l’arte in quel tempo, subito dopo la sua rinascita, prosperava già in Italia, mentre in Germania compiva solo lenti passi in avanti. Nell’edizione veneziana si trovano caratteri latini netti, tondeggianti, simili a quelli odierni; nell’edizione tedesca si nota invece la presenza di lettere gotiche dal contorno approssimativo, informi, spigolose). Il Dictionarium Sacrae Scripturae, Historicum, Geogr[aficum] (Dizionario storico e geografico delle sacre scritture) ecc. di Calmet, Venezia 1726, in folio. Ne erano presenti vari tomi. Il Thesaurus Antiquitat[um] hebraicar[um] (Il dizionario delle antichità ebraiche) di Blas[ius] Ugolinus, Venezia 1744-69, in folio, 31 volumi.278 Augustini opera (Opere di Agostino). Critici Sacri. – Bullarium magnum (Una grande raccolta di bolle papali). – Gli Annales ecclesiastici (Annali ecclesiastici) di Baroni.279 – Italia sacra di Ughellii.280 Tutte opere di vasta portata, in parecchi volumi in folio, che si trovano anche in altre grandi biblioteche. Così come anche nel caso della Bibbia poliglotta di Walton.281 – Il Reichsarchiv (L’archivio imperiale) di Lünig.282 Il / Thesaurus resolutionum sacr[ae] congregationis consilii (La raccolta delle risoluzioni della sacra congregazione del concilio), in 57 volumi in folio. – I Concilia Germaniae (I concili tenutisi in Germania) di Schannat,283 11 volumi in folio. – La cronaca di Würzburg di Gropp, 1748-50, in folio, in 4 volumi.284 Infine, in biblioteca ho visto le raffigurazioni pittoriche di tutti i conventi francescani della provincia. – Nella cella del Padre lettore Gallo, che stava lavorando proprio in quel momento a una disputa scientifica, (i novizi, infatti, debbono anche dibattere su argomenti scientifici; perciò mi ha regalato un suo saggio scritto un po’ di tempo fa), trovai i grossi ed eccellenti commentari alla Bibbia di Calmet e di Smits,285 l’opera di Espen sul diritto canonico,286 gli scritti di Rosenmüller e di altri studiosi protestanti,287 l’Entdecktes Judenthum (L’ebraismo svelato) di Eisenmenger,288 la Gesch[ichte] d[er] Deutschen (Storia dei tedeschi) di Schmidt e altri libri interessanti, tra i quali anche quelli provenienti dalla biblioteca del convento, di cui egli faceva uso. Nella cella del P[adre] lettore Benno non trovai altro che un’immagine della passione di Cristo, un ritratto di Federico II di Prussia e un barometro. Aveva appena dato una sistemata alla biblioteca e ne stava redigendo un catalogo suddiviso in 3 parti, ovvero secondo l’alfabeto, la materia in generale e l’argomento specifico. – – 5) Il convento dei cappuccini. I cappuccini vanno vestiti proprio come i francescani, dal cui ramo essi provengono; l’unica differenza è che indossano un cappuccio appuntito al posto di uno rotondo (giacché i primi credono che san Francesco abbia indossato un cappuccio a punta, mentre i secondi sostengono che egli ne abbia portato uno arrotondato!!! Un serio motivo di contesa, come si può ben notare!) e portano una lunga barba, che li rende immediatamente riconoscibili e conferisce loro un aspetto venerabile. Uno di loro aveva una barba tutta rossa. – Le condizioni in cui essi abitano nelle loro dimore sono le peggiori, rispetto agli altri: le loro piccole celle / vengono quasi per metà occupate da un materasso che funge da letto; devono dormire su di esso con indosso la loro veste del tutto scomoda; inoltre non hanno stufe. Nella loro esigua biblioteca trovai: il manoscritto di una voluminosa cronaca relativa alla genesi del mondo, con una grande quantità di immagini ritratte al suo interno; alcune antiche opere a stampa, un libro stampato a Bamberga nel 1516 ecc. Di conventi di suore a Bamberga ce ne sono 2: quello delle clarisse, appartenenti all’ordine francescano, alle quali non è mai consentito mangiare carne, e quello delle suore del Santo Sepolcro, appartenenti all’Ordine domenicano. Si può parlare con le suore solo attraverso una grata; ma neppure questo sono riuscito a fare, per mancanza di tempo. Di contro, ho fatto visita all’Institut der Englischen Fräulein

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(Istituto delle Dame Inglesi), che è stato fondato in Germania da una dama inglese nel sec[olo] scorso ma che, in realtà, non è formato da vere e proprie suore.289 In esso si trovano 12 donne illibate. Si vestono di scuro, con una tonaca bianca, una cuffia dello stesso colore aggiustata bene intorno al collo e un velo nero che scende sulla schiena. La loro attività è quella di fare scuola alle ragazze. (Hanno anche delle ragazze che stanno da loro a pensione.) 4 suore fungono da istitutrici principali; ognuna si cura di una classe e a 2 a 2 le classi seguono le stesse lezioni. Nelle 2 classi inferiori esse insegnano alle bambine a leggere, scrivere, fare di conto e i rudimenti della religione cristiana; nelle 2 classi superiori il livello delle lezioni si innalza di un poco e il loro contenuto viene ampliato. In questo convento sentii le bambine leggere tutte assieme ad alta voce un breve estratto dalla bibl[ische] Gesch[ichte] (Storia biblica) dell’abate v[on] Felbiger,290 ora una ragazzina recitare a memoria dei lunghi brani, entrambe le cose con la più grezza e cantilenante monotonia. / C’erano anche 2 ragazze che s’interrogavano a vicenda sul contenuto di una storia biblica che avevano imparato a memoria, in maniera tale che ogni volta poneva una nuova domanda quella che aveva appena finito di rispondere. Una ragazzina ha dovuto persino correggere l’ortografia di una frase deliberatamente scritta in modo errato alla lavagna; cosa che si è svolta anche abbastanza velocemente e meccanicamente. In questo frangente mi stupii nell’ascoltare i nuovi termini tecnici della lingua tedesca: «ein Stummer» («una consonante muta), «ein Lauter» («una vocale sonora), «ein Zeitwort» («un’espressione di tempo»), «ein Fürwort» («una parola che fa le veci di»). Tutti vocaboli che corrispondono rispettivamente ai termini «consonante», «vocale», «verbo» e «pronome». Ognuna delle 4 classi ha sulle 100 alunne o più. Le celle delle istitutrici sono molto carine e offrono una vista stupenda, tra l’altro anche sul Michelsberg, in cima al quale i terrazzi del giardino claustrale, come fossero degli scalini, accompagnano l’occhio, su in alto verso la bella costruzione conventuale. L’istitutrice Eleonore mi mostrò alcuni saggi della sua amabile arte del ricamo in seta. L’università a Bamberga dovrebbe avere all’incirca 300 studenti. Gli studenti universitari e ginnasiali vanno tutti vestiti con mantelli, di colori differenti. Gli studenti di medicina, malgrado i manifesti inviti rivolti ai giovani del luogo, sono non più di 8. La maggior parte degli studenti provengono dai territori della diocesi locale; in mezzo a loro alcuni sono della zona dell’Alto Palatinato e di Magonza. A Pasqua, Pentecoste e Natale hanno sempre 14 giorni di vacanza e per la festa di san Michele291 sui 3 mesi e ½. Debbono però seguire il loro corso di studi universitari suddiviso in 4 anni e rispettare scrupolosamente il piano di studi loro prescritto. – I professori di teologia, escluso il s[ignor] prof[essor] Sauer, è probabile / che abbiano posizioni abbastanza ortodosse; tra loro c’è anche un ex gesuita, Möhrlein.292 – I 4 professori di giurisprudenza, i quali sono allo stesso tempo consiglieri di corte e consiglieri governativi, e che dunque hanno anche parecchie incombenze, sono: il consigliere di curia Schott che insegna jus canon[icum] (diritto canonico);293 il c[onsigliere] di corte Pfister, che insegna diritto pubblico e diritto tedesco;294 il c[onsigliere] di corte Gönner (in precedenza si trovava a Gottinga),295 che tiene corsi sulle pandette e sul diritto processuale, e il c[onsigliere] di corte von Reider (precedentemente era a Magonza), il quale insegna istituzioni giuridiche, diritto naturale e diritto penale e che è particolarmente preparato e sollecito.296 Fui condotto dagli ultimi due e frequentai anche le loro lezioni come uditore straordinario. Il secondo era assente in commissione: si dice che abbia un eloquio molto accattivante. – L’università è sorta dal collegio

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dei gesuiti che esisteva sino a circa 20 anni fa, allorquando l’ordine dei gesuiti venne abolito; essa, tuttavia, possiede ancora lo stesso stabile e la stessa chiesa dei gesuiti. Nell’edificio vi è una magnifica scala a chiocciola di pietra, molto ripida, il cui perno, come un cordone di pietra ricurvo a forma di serpente, sale sinuosamente verso l’alto. – La biblioteca universitaria, su disposizione vescovile, viene completamente risistemata proprio in questo periodo da parte di un ecclesiastico di nome Frey297 o, piuttosto, converrebbe dire realizzata ex novo. Questi, difatti, mi disse che sino a ora essa non poteva essere considerata una biblioteca universitaria vera e propria e che il s[ignor] Nicolai aveva designato in questi termini, assolutamente a torto, la vecchia biblioteca dei gesuiti da lui qui esaminata, sebbene avesse pienamente ragione nel disprezzarla, quando / affermava che essa era solo piena di un guazzabuglio di vecchi testi, di polemiche, di leggende ecc.298 Il s[ignor] Frey si è disfatto radicalmente di una grande quantità di materiali inutili, mantenendo solo quelli migliori; in questa maniera si è giunti alla formazione della biblioteca di corte; inoltre, tutto è esposto in maniera pressoché già completa in un salone molto vasto, nel quale è anche stata costruita una nuova galleria, davvero graziosa, che si sviluppa tutt’intorno alle pareti del locale. Al momento dovrebbero essere ulteriormente acquistati nuovi libri, adeguati alle reali necessità, e tutto dovrebbe essere consultabile pubblicamente nella sala di lettura che la precede. All’incremento dei titoli di cui poter disporre sono assegnati ogni anno 600 fiorini; inizialmente, forse, si destinerà a questo scopo una somma ancora più ingente. Il diritto è la materia più fortemente rappresentata. Per l’appunto, ho già visto in generale un gran numero di voluminose opere da biblioteca. L’esemplare più raro è rappresentato da un libro cinese di astronomia di questo secolo, in ottavo, rilegato in giallo. I fogli sono congiunti a 2 a 2 sul bordo esterno e non possono nemmeno essere tagliati, poiché proprio su questo punto si sviluppa su ogni foglio il titolo del libro, estendendosi poi verso il basso. Generalmente i caratteri, posti tra una riga e l’altra, vanno dall’alto al basso e si legge da destra a sinistra. Le figure disegnate al suo interno sono molto raffinate. Le vecchie opere a stampa non erano ancora state messe in ordine. Vidi un vecchio libro genealogico, con raffigurazioni, autografo, appartenuto a un parente di Melchior Pfinzing (l’autore del Theuerdank). In una stanza adiacente si vede un modello, molto accurato e abbastanza grande, del tabernacolo che il soprintendente della Chiesa luterana / Bodenschatz299 ha fatto realizzare a Baiersdorf e che il principe ha da lui comprato per 100 talleri imperiali. Qui si osserva anche un vecchio globo dalle grandi dimensioni, di 6 piedi parigini di diametro; era stato dipinto (si tratta di un globo terrestre), ma è stato nuovamente rivestito di carta, destinato in tal modo a esser di nuovo colorato. – In una sala separata dovrebbe esser collocata una nuova collezione di oggetti di storia naturale, per la quale è già stato acquistato un paio di grosse collezioni private di minerali e conchiglie. Il s[ignor] Frey dovrebbe assumere in seguito la custodia anche di tutto questo. Il ginnasio è nel suo insieme ancora organizzato come lo erano le scuole più di cento anni fa, alla maniera del pedante modello dei gesuiti. Apprendimento a memoria, trascuratezza nei confronti della lingua tedesca e di quella greca, versificazioni senza fine dal latino qui sono di casa. Nelle 3

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classi inferiori, che qui si chiamano la I, la II e la III, si insegna grammatica ecc. seguendo un programma veramente ampio; nella IV e nella V classe, logica, fisica e retorica, e nella VI e VII classe, filosofia. Per il loro livello di preparazione, le 2 ultime classi, per certi versi, fanno dunque parte nel contempo dell’università. Ogni classe qui viene anche chiamata “scuola”. In ognuna di esse bisogna restare un anno! Oltre a ciò, si trovano anche 2 scuole elementari, ognuna delle quali ha 5 classi, nelle quali anche in questo caso si è obbligati effettivamente a restare un anno, e un gran numero di misere scuolette private. Di tutte le opere pie e di altri lodevoli istituti, l’ospedale, eretto / da poco, credo nel 1790, è quello più eccelso. È un monumento durevole alla generosità dell’attuale principe, che lo ha fatto costruire a proprie spese e ha fatto tracciare una strada che conduce laggiù partendo dal suo castello, in modo da potersi trovare nel più breve tempo possibile nelle immediate vicinanze di quest’opera prediletta del suo altruismo.300 L’ampio edificio dalle forme semplici, assieme alle numerose costruzioni secondarie destinate a impieghi agricoli, gode di una piacevole posizione, collocato com’è vicinissimo al Rednitz. La struttura interna, che dovrebbe assomigliare a quella dell’ospedale di maggiori dimensioni chiamato Juliushospital301 a Würzburg, supera di gran lunga per ordine e funzionalità costruzioni di analoga destinazione d’uso. Attraverso tutto l’edificio passano dei tubi dell’acqua, che quindi portano immediatamente acqua dappertutto. Le stanze stupiscono chiunque vi faccia il suo ingresso per l’inattesa pulizia e l’ordine. In ognuna di esse si trovano, a seconda della grandezza, 2, 4 o persino 6 persone. Ogni letto ha una tenda che nasconde il malato e che lascia davanti al letto uno spazio sufficiente per aggiungervi un tavolinetto con delle vivande. Presso ogni malato sta appesa una lavagnetta nera, sulla quale sono segnati il suo nome, la sua malattia, la medicina e il cibo a lui destinati. In ogni camera ci sono inoltre delle lavagne pubbliche; in cucina si trova una grande tabella dei diversi alimenti, suddivisa in quarti di porzione, metà porzione o porzione intera e con i relativi prezzi. Osservai anche delle particolari tabelle recanti indicazioni sul / numero e sulle patologie dei pazienti, sulla mortalità, che qui in effetti è davvero minima ecc. In ogni stanza sta appeso un crocifisso. Ogni 2 stanze vi è un passaggio lungo il quale, da entrambe le parti, sono sistemate 2 o 3 strutture a forma di casetta, che hanno per ogni ammalato una porta che può essere chiusa dall’interno per ragioni di comodità; gli escrementi vengono incanalati verso il fiume passando per delle condutture. Oltre alle camere vidi anche: delle piccole stanze adiacenti con delle vasche per fare il bagno; una cappella privata piccola e disadorna, alla quale però i malati non accedono, ascoltando invece semplicemente la funzione religiosa attraverso le finestre aperte che dalla loro camera danno sulla cappella; la camera operatoria, con una macchina elettrostatica e con strumenti chirurgici che aumenteranno ancora di numero; una piccola farmacia domestica; la stanza in cui siedono in assemblea i dirigenti; e, ciò che mi parve più curioso, un guardaroba ricolmo di ogni sorta di abiti per uomini e donne,

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al cui interno ogni nuovo arrivato viene vestito come nuovo, da capo a piedi. Il numero dei degenti era al momento di 40, di entrambi i sessi: domestici; garzoni; poveri, alcuni dei quali sono a carico del principe, e infine persone distinte, vale a dire soggetti appartenenti a ceti sociali superiori, che soggiornano in camere separate e abbinati due a due. Tutti pagano veramente molto poco, oppure vengono mantenuti del tutto gratuitamente. L’inutile preconcetto delle persone comuni contro questo splendido istituto, che certo come il peggiore del suo stesso genere, reca lo / spiacevole appellativo di “ospedale” (Hospital), verrà mano a mano di certo sempre più attenuato. L’istituto è già talmente famoso che dei giovani dottori arrivano qua da Vienna e proprio in questi giorni 2 medici provenienti da Gottinga sono stati qui per partecipare alle attività cliniche della struttura. Il giardino botanico presente nell’area dell’osp[edale] dovrebbe esser ampliato e si dice che dovrebbero venirvi costruiti un teatro anatomico e una clinica ostetrica. Il primo direttore medico è l’esperto c[onsigliere] di corte Marcus.302 L’ispettore dell’osp[edale] è l’ex ge­ suita Maser, che in precedenza lavorava come “castellano” (Kastellan), o come “custode del castello” (Zimmerwart, come si dice da queste parti) a Seehoff.303 Quest’uomo pratica un’arte particolare: riveste completamente delle statue di legno, dipinte con grande cura e gusto, con delle piccole conchiglie multicolori, che ne costituiscono poi il vestito. È del tutto certo che le figure di Federico II e Alessandro Magno, che vidi un tempo assieme a mia madre nell’Hotel de Saxe, erano opera sua. Attualmente ha abbandonato questa attività. Il seminario dei clerici, situato in un grosso edificio con un giardino, accoglie 22 giovani ecclesiastici che hanno già terminato gli studi universitari e che si preparano al sacerdozio tenendo sermoni, dedicandosi ad attività di assistenza spirituale e studio personale, e che vengono lasciati liberi sotto ogni aspetto, anche nel vestire. Indossano già delle vesti nere di tessuto liscio, abbottonate sul davanti da capo a piedi: l’abito di tutti gli ecclesiastici secolari. Ognuno ha la propria stanzetta e consumano i pasti tutti assieme. Il padre guardiano è colui il quale, di volta in volta, riveste la funzione di vescovo ausiliario. La biblioteca consta di un paio di lasciti ed è particolarmente rilevante nell’ambito della giurisprudenza e delle / scienze mediche; si trova in una sala; una camera attigua, stipata di libri, dava l’impressione di estremo disordine. – L’istituto per la formazione degli insegnanti, fondato nel 1775, ha 7 allievi, ai quali vengono impartite lezioni da un solo insegnante, di nome Pez,304 in matematica, Sacre scritture, storia patria, geografia, in special modo quella del proprio Paese, in scienze naturali, pedagogia, grammatica della lingua tedesca, religione, morale e significato delle cerimonie ecclesiali cattoliche, e che vengono formati per diventare futuri maestri di scuola in città, in campagna o maestri del coro e organisti. Un insegnante apposito, in una camera separata, insegna loro pianoforte; la stanza accanto è destinata alle lezioni. Ricevono tutto gratuitamente, salvo l’abbigliamento, e dormono

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in 2 camere. La stanza adibita a biblioteca è ancora vuota. Come libri di testo e manuale il s[ignor] Pez adopera i seguenti libri: quello di v[on] Felbiger, Von den Eigenschaften, Wissenschaften u[nd] Bezeigen eines rechtschaffenen Schulmanns (Sulle qualità, le cognizioni e il contegno di un retto pedagogo), Bamb[erga] e Würzb[urg] 1791, in ottavo.305 – Lo Allgem[eines] Lesebuch für kathol[ische] Bürger u[nd] Landleute, v[on] einem kathol[ischen] Geistlichen in Franken (Libro di lettura generale per cittadini e gente di campagna, scritto da un ecclesiastico cattolico in Franconia) (in parte redatto dal s[ignor] prof[essor] Sauer), Bamb[erga] e Würz[burg] 1792, in ottavo.306 – Un libro di testo della Berl[iner] Realschule (scuola secondaria inferiore, a indirizzo tecnico-commerciale). Il Noth- u[nd] Hülfsbüchlein (Il libriccino di sostegno in caso di necessità) di Becker.307 Ecc. – L’istituto per la formazione degli insegnanti intitolato ad Aufseß308 ha 38 studenti del luogo, per quanto riesca a ricordarmi, frequentanti il ginnasio, anch’essi svincolati da imposizioni. – Tra le opere pie, vi sono pure: l’ospedale cittadino; lo stabilimento di cura, per i malati curabili; l’ospedale degli infermi, per i malati incurabili. A parte la città, ho visto Seehoff, Buch309 e la Altenburg. – Seehoff è una residenza estiva vescovile, a ½ miglio / di distanza dalla città. Sulla strada lastricata pianeggiante la nostra carrozza passava velocissima avanti e indietro. Il castello, di colore bianco e giallo, a pianta quadrangolare e provvisto di 4 torri rotonde agli angoli, offre una vista davvero pittoresca, collocato com’è al termine di un viale, su cui si affaccia con uno degli spigoli dell’edificio. In una certa misura è costruito secondo il vecchio gusto francone, ma in quella collocazione è davvero grazioso. Davanti al maniero si estende un lago molto grande.310 Tra i due si trova, su delle terrazze digradanti, (poiché il castello si trova in posizione leggermente rialzata), una bella fontana a getto d’acqua, congiunta a una piccola cascata. Essa viene fatta zampillare tutte le domeniche; tuttavia, per farmi un favore, la si mise in funzione anche in questa occasione. Dalla piramide, collocata in alto, nel punto più elevato, scaturiscono dei getti d’acqua che compiono un’ampia parabola verso l’alto; nel barlume del sole al tramonto creavano dei riflessi multicolori, simili a quelli dell’arcobaleno, ricadendo giù, illuminati dal cielo serotino delicatamente incandescente, come una pioggia d’oro o di diamanti e spruzzando tutt’intorno un lieve pulviscolo d’acqua. Draghi e altre figure sputavano fuori acqua, che scorreva verso il basso scivolando su dei gradini. Da grandi bacini si levavano getti d’acqua smorzati, per quanto grossi come un braccio. Da 2 fori si vedeva sgorgare l’acqua e assumere la sagoma di un compatto calice rotondo, dai riflessi cristallini, di questa forma

e da alcune sfere l’acqua usciva a fiotti, scorrendo poi in basso, mentre prendeva la forma di una sorta di emisfero, in questa maniera

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I getti d’acqua dalle mille forme, sia quelli che zampillavano all’insù, sia quelli che scorrevano giù verso il basso, davano vita alla più armoniosa delle serenate e rendevano più fresca l’aria afosa. Su entrambi i lati della / fontana idraulica si spalancano dei grossi pergolati ombrosi, i più belli e i più ombreggiati che io abbia mai visto, come delle grotte scure. Dal luogo lievemente rialzato sul quale sono collocati il castello e la fontana idraulica si ha una vista molto romantica: al di sotto si schiude l’ampio specchio d’acqua del lago, cinto alle sue spalle da un bosco esteso; al suo interno si scorgono dei piccoli, solitari capanni da caccia e, attraverso un paio di radure tra gli alberi, lo sguardo giunge sino alle torri della città e ai monti che la circondano. Il principe precedente311 si tratteneva per lungo tempo a Seehoff e svolgeva spesso delle battute di caccia nei boschi limitrofi, nei quali sono state costruite parecchie capanne da caccia e create deliziose passeggiate; anzi, la selvaggina una volta era talmente abbondante che il principe spesso sparava ai cervi facendo fuoco da un padiglione di caccia, situato nei pressi della fontana idraulica, oltrepassando il lago con lo sparo. Il principe attuale312 che, per fervente religiosità o per temperamento, disdegna i piaceri (ragion per cui non tollera neppure facilmente un teatro a B[amberga]), trascura Seehoff, non va a caccia e non esce neanche una volta. Dal giardino, che nel frattempo è utilizzato dai cittadini come luogo pubblico di passeggio, egli ha fatto rimuovere un enorme numero di statue, tutte opere di un unico maestro, Ferdinand Diez.313 Se esse, com’è presumibile, sono state tutte realizzate secondo il gusto che caratterizza le poche statue rimaste, allora merita un ringraziamento. Difatti vi si trova rappresentata la natura più comune e ordinaria che si possa concepire, / neppure lontanamente nobilitata, delle forme orribili, e soprattutto delle idee assolutamente contrarie al buon gusto, più di quante ne abbia mai viste realizzate su pietra, e che superano persino le opere scultorie che osservai nei giardini di Lipsia,314 come per esempio: servette che danzano indossando rigide gonne, arlecchini!, caricature di ebrei mendicanti con delle lunghe barbe!! – Il giardino ha 34 orti. È formato da siepi alla francese, spazi dedicati all’orangerie, viali, un labirinto, cespugli e presenta alcuni siti di piccole dimensioni con grotte e padiglioni. Su un lato del giardino si trova una fagianaia, sull’altro una vaccheria svizzera. Il giardino, in sé, non è nulla di particolare; quella vista sul lago gli conferisce però molto fascino. Nel corso di un’altra serata ci recammo a piedi al villaggio di Buch, che si trova a ¼ di miglio da B[amberga] e che rappresenta il principale luogo di divertimento per gli abitanti della città. La strada è costituita da un sentiero, che si snoda attraverso un bosco di querce molto bello e alternato a faggi, e che corre lungo il Regnitz, la cui sponda opposta è occupata da una catena di verdi colline. L’albergo del borgo, al quale ci si fa trasportare su un’imbarcazione, si trova immediatamente a ridosso del fiume. Su di esso ripercorremmo all’indietro il tragitto in barca con il sole che tramontava, al chiaro di luna: un’escursione molto piacevole. – Salii alla rocca di Altenburg o Ahlenburg, sul monte Kaulberg,315 forse il più alto presente nelle vicinanze della città, un mattino alle 6; da solo. In passato fu la residenza del principe di Babenberg,

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/ mentre oggi è una costruzione fortificata abbandonata, con un fossato ricoperto di vegetazione e una bianca torre circolare. La torre e il monte offrono la più bella veduta su ognuna delle località attigue a Bamb[erga] e, a sua volta, la cima del monte offre una magnifica vista sulla città, che con le sue torri prende posto tra un nutrito numero di sommità, e sui campi e le selve circostanti. Trovai staccata una parte delle mura della rocca, macerate sotto l’effetto degli agenti atmosferici e sprofondate su un lato, così che questa parte, producedo un effetto molto pittoresco, stava tutta storta. – Si dice che dovrebbe essere un’ottima zona anche quella dei monti attorno a Wirgau,316 a un paio di miglia di distanza da B[amberga]. Nei pressi di questa località, lungo un sentiero che porta a Baireuth, in una vallata rocciosa, deve esserci una scala a pioli, fissata a una parete rocciosa, sulla quale si racconta che valga la pena arrampicarsi. In città, vi è un sito occupato da alberi, non distante dal fiume, dotato di una visuale abbastanza ampia e chiamato promenade (passeggiata); molto frequentato di sera. Nelle vicinanze si trova un caffè con giardino. – Il giardino pieno di pergolati, siepi e orangerie presente nel vecchio castello vescovile (eretto nel 1583), entro il quale attualmente vi sono ancora i collegi dei magistrati, e collocato all’interno del cosidetto Geyerswöhrd, o Geyerswehr (vale a dire l’isolotto dei Geyer),317 viene utilizzato come luogo pubblico di passeggio. – Non distante da esso vi è il municipio, che è nondimeno degno di nota per il fatto che sorge esattamente sul fiume o, per essere più precisi, poggia con entrambe / le estremità su 2 ponti, in questo modo:

Esternamente è completamente dipinto con varie figure, eseguite da Johannes Anwandter318 all’inizio di questo secolo; così come appaiono, non sembrano neppure mal fatte. I colori sono molto vivaci. Sui quei 2 ponti di pietra prima menzionati si vedono un grande crocifisso in pietra e delle immagini di santi in pietra. – A breve distanza, vicino al fiume, si trova il fondaco (la dogana), nei cui paraggi si trova una gru e molti barili; e anche il mattatoio, che poggia sull’acqua avvalendosi interamente di un sistema di ponti sospesi. Sono stato una volta ospite a pranzo dal s[ignor] consigliere Schott.319 È un uomo amabile e dai modi raffinati e mi ha raccontato diversi episodi del suo viaggio in Italia. Nella sua graziosa dimora trovai 2 vedute di Roma, dipinte, e dei quadri di Guercino, Spagnoletto, Tintoretto, Sandrart.320 Egli è decano della fondazione benefica intitolata a san Giacomo.– Domenica sono stato portato nel “club”.321 Si riunisce tutte le domeniche, di pomeriggio e di sera, e d’estate si ritrova in un piccolo giardino. Si gioca a carte e a birilli, si consumano pietanze fredde e si balla. All’infuori del s[ignor] p[rofessor] Sauer, non vi è alcun prof[essore] di teologia che ne faccia parte come socio, per paura delle maldicenze!! Tra gli studenti, solo quelli che studiano giurisprudenza sono ammessi a farne parte.

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Infine, voglio anche riprendere la descrizione di alcuni aspetti di varia natura. – Sulla parete esterna del convento dei cappuccini ci sono dei grandi dipinti. – A B[amberga] vi è la strana abitudine, secondo la quale i fornai (Bäcker) (o Bäcken, come sono chiamati qui), provenienti dai villaggi intorno alla città, vi si recano 2 giorni / a settimana e vendono pane, ma per la precisione non seguendo il prezzo fissato dalle autorità, bensì, come capita per altre merci, in maniera tale che su di esso si facciano delle offerte, e dunque in base a prezzi pattuiti in modo spontaneo. Si debbono sempre presentare almeno 3 panettieri, altrimenti il loro privilegio va perso. Questa usanza trae origine da un periodo di carestia dei tempi passati. – I canonici, ovviamente, fanno celebrare al loro posto la messa da altri. In giornate particolari, tuttavia, (per esempio, il giorno precedente la festa di sant’Enrico, di pomeriggio, alle 2, durante il vespro) essi devono cantare in duomo, altrimenti perdono le loro prebende. – Durante il periodo in cui sono stato presente a B[amberga] sono transitati alcuni trasporti equini di dimensioni davvero notevoli, provenienti dalla Frisia orientale e destinati alla Savoia e a Napoli. Erano attaccati l’uno all’altro, disposti in una lunga fila. Ciò si verifica tutti gli anni. Ogni giorno percorrono al massimo da 1 a 2 miglia. Com’è possibile che in Italia non vi siano allevamenti di cavalli? – Per Bamb[erga] passò in questi giorni il c[onsigliere] di corte Lohder322 di Jena che, assieme ad altri medici, dovrebbe analizzare la sorgente d’acqua minerale di Kitzingen, nei pressi di Würzb[urg].323 – Il luogo nel quale si trova il convento dei francescani era abitato un tempo dai Templari. – La cappella del principe è di buona fattura. Bäumel324 e Jauchzer325 sono dei virtuosi. In inverno vi si tengono dei concerti. – Si dice che il principe sia tuttavia un po’ troppo parsimonioso. – A B[amberga] si mangia molto, e con una bizzarra successione delle portate. Taluni si fanno dispensare dal digiuno (vale a dire, dal rinunciare a consumare carne). Per mancanza di tempo non riesco a rispondere alla vostra lettera. Dovrei riuscire a farlo tra pochi giorni. W. H. Wackenroder 5. 24 agosto 1793. Viaggi del 12-13 agosto 1793 a Norimberga e Fürth e del 14-21 agosto 1793 nella Svizzera Francone e a Bamberga.

Carissimi genitori,

Erlangen, 24 agosto, sabato, 1793.

lunedi, 8 giorni orsono, di primo mattino, si è presentato alla porta con mia grande felicità il s[ignor] d[irettore] a[ggiunto] Weisser;326 gli abbiamo dato il nostro benvenuto e, dopo avergli espresso la nostra contentezza per la sua visita, abbiamo trovato svariati argomenti di cui chiacchierare tutti assieme. Noi – ossia Burgsdorf,327 Tieck e io – dopo pranzo ci siamo subito recati con lui a Norimberga e da lì, nella mattinata del giorno seguente, abbiamo proseguito per Fürth, da cui siamo poi ritornati martedì pomeriggio, verso sera. Su Norimberga devo però ancora raccontarvi altre cose. Sempre lunedì, di pome-

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riggio, visitammo la chiesa di San Sebaldo e la chiesa di San Lorenzo, le due principali chiese di Norimberga, ciascuna dotata di 2 alte torri. Degli antichi dipinti e delle opere d’arte in pietra, legno e metallo, che si possono ammirare nelle numerose chiese norimberghesi, delle attrazioni presenti nelle collezioni private di oggetti artistici, e particolarmente delle insegne imperiali, si trovano descrizioni davvero ampie nelle Merkwürdigkeiten v[on] Nürnberg (Attrazioni di Norimberga) di Murr;328 anche se va detto che ciò vale solo per questi oggetti artistici. Ma anche in questo caso ci sono alcune lacune, quando si parla in maniera troppo estesa di altre questioni. Parecchi quadri veramente ottimi del primo pittore ritrattista tedesco, Kupetzky,329 alcuni oggetti antichi presenti nella fortezza, molti / antichi dipinti e bassorilievi degni di menzione, presenti all’esterno di abitazioni private ecc., vengono del tutto tralasciati, non so per quale motivo. – La maggior parte delle chiese a N[orimberga] sono state costruite verso l’inizio del XIV secolo e la gran parte delle opere d’arte presenti al loro interno risalgono al XV e XVI secolo e sono le testimonianze più eloquenti della fioritura delle arti in questa città, allora senza pari.330 Tutti questi monumenti, che sono già indubbiamente venerandi non semplicemente in virtù della vetustà, ma possiedono certamente in gran parte anche un autentico ed intimo valore, sono però purtroppo allo stesso tempo i monumenti funebri della perduta arte. Essa, infatti, si riduce qui oggigiorno quasi solo all’attività di mediocri incisori di rame. Albrecht Dürer, Sandrart, Hans Sachs e altri riposano in uno splendido cimitero aperto al pubblico che si trova al di fuori delle mura cittadine, sotto il variopinto manto di fiori dalle mille forme;331 il più bel camposanto che abbia visto fino a ora e più interessante di qualsiasi altro, per la presenza al suo interno delle spoglie di quegli artisti che, almeno nella loro epoca, vennero universalmente riconosciuti come grandi e la cui città natale era Norimberga. Nella chiesa di San Sebaldo si trova la tomba del santo, davvero degna di menzione, fusa in bronzo nel 1519 da Peter Vischer.332 È distaccata dalla parete e misura circa 5 piedi in lunghezza, 2 piedi in larghezza e 6 piedi in altezza. Lungo tutta la sua superficie si trovano delle figure che vanno da 1 piede a ½ piede di altezza, delle piccole colonne e dei motivi decorativi a forma di fogliame − tutti elementi ottenuti fondendo e lavorando in sommo grado il metallo, con raffinatezza e precisione, e conferendogli dei bei contorni. È di colore nero. – All’esterno della medesima chiesa si osserva un grande bassorilievo in pietra, «La sepoltura di Cristo» di Adam Kraft, realizzata nel 1492,333 nel quale un paio di volti evidenziano l’espressione più compiuta. Simili bassorilievi di grandi dimensioni, collocati all’esterno delle chiese, in una cripta o dietro una grata, si trovano pressoché in tutte le vecchie chiese cattoliche, così come a Bamberga ecc. Parecchi di questi bassorilievi rappresentano Cristo sul monte degli ulivi, con il capo di Dio Padre che sporge su in alto, fuori dalla parete. Molti sono di pessima qualità e approssimativi, presentano delle figure dipinte (che di frequente sono oltretutto completamente separate l’una dall’altra) e uno sfondo semplicemente decorato sulla parete. – La chiesa di San Lorenzo, nell’interno, è la più venerabile, la più antica e la più singolare che io conosca. La navata centrale è stretta e alta e, come tutte le chiese del passato, non

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presenta alcun coro. Poiché gli archi in stile gotico, presenti tra i piloni che delimitano la navata, si sviluppano quasi solo fino a metà dell’altezza totale, così che tutto ciò che c’è al di sopra è muratura, e dal momento che tutte le finestre sono, completamente o in parte, decorate, l’interno riceve da fuori / solo una debole luce e risulta ancora più buio per via del colore grigio scuro della pietra. Sulle finestre sono dipinti a colori stemmi, storie bibliche ecc., che paiono tutti incendiarsi e che al momento sono certo poco appariscenti. Il rosso, il verde, il blu, il giallo, il viola hanno la più briosa vivacità. Tutte le figure e le loro parti sono dipinte su singoli pezzi di vetro, che vengono prima uniti con delle strisce di piombo e poi messi insieme l’uno con l’altro. Per questa ragione dall’esterno si vede l’intero contorno delle figure costituito da strisce di piombo. Nella chiesa di San Lorenzo si trovano anche parecchi dipinti molto antichi, su sfondo dorato. – Lunedi sera assistemmo alla commedia Hans Dollinger, ein altdeutsches Stück (Hans Dollinger, una commedia antico-tedesca), di Schikaneder.334 Il teatro è piccolo e basso, la facciata presenta delle colonne dipinte, e da un lato, là dove esso confina con un’angusta viuzza, è costruito con pietre massicce non lavorate. Martedì di buon mattino ci recammo dal s[ignor] Beringer, che tra pochi giorni invierà i primi esemplari dei suoi globi al s[ignor] p[rofessor] Bode. Essi sono già raffinatamente miniati e dipinti. Beringer vi sta apportando alcuni piccoli ritocchi. Il meridiano in ottone non si arrotonda fino a questo punto per fusione, ma viene battuto o percosso a colpi di martello. In seguito visitammo il municipio e la fortezza. Per ognuno dei due si paga 1 fiorino (giacché i prezzi per monumenti di questo genere / qui sono fissi). Tutti e due sono molto interessanti da vedere, soprattutto per i numerosi dipinti antichi di pittori tedeschi, in particolare di Norimberga. Il municipio presenta una facciata in stile italiano che, per quanto non tenga testa alle critiche, desta comunque veramente una stupita meraviglia. Sui cortili interni si affacciano dei grandi loggiati aperti con arcate. Qui è tutto un brulicare di persone. Una volta giunti in alto, dopo aver salito le ampie scalinate di pietra, entrammo subito nell’antisala, maestosa e vasta, che trovate riprodotta nella collezione delle vedute di Norimberga in vostro possesso. Fa una notevole impressione, principalmente in virtù dell’alta volta lignea, inarcata come un semicerchio. Ebbene, qui ho visto anche alcuni consiglieri comunali vestiti con i loro costumi tedeschi o spagnoli, scuri e antichi, con abiti ampi, pieni di pieghe e corti, grosse parrucche e spade, così come li si vede raffigurati in quelle incisioni a stampa; una scena a effetto. Nella sala del consiglio comunale non ci è stato possibile entrare. Davanti alle porte si trovano degli abitanti della liberà città imperiale di Norimberga, armati di alabarde arrugginite. Visitammo, dunque, solo alcune sale e stanze piene di dipinti, nelle quali a volte si riunisce il consiglio esterno (der äußere Rath) del comune, formato da cittadini abbigliati con mantelli. Il consiglio comunale interno consta di 32 patrizi. I dipinti che abbiamo ammirato sono di Albrecht Dürer, Sandrart, Michael Herr,335 Kupetzky, Daniel Preisler,336

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Juvenell,337 Georg Pens,338 Franz Floris339 ecc. Due figure di apostoli, di A[lbrecht] Dürer, fanno parte dei quadri più belli che io conosca; essi mi hanno fatto comprendere quanto legittimo sia il suo diritto a fregiarsi del titolo di “genio” e dell’epiteto di “Raffaello tedesco”, che gli vengono conferiti.340 Per quanto il mio occhio inesperto ha potuto vedere, osservai qui dei volti colmi di potenza espressiva, ritratti in maniera veramente magnifica, e vesti con grandi pieghe disposte con gusto, tutte peculiarità che si rifanno in pieno al modello della scuola italiana, e in particolare una semplicità nell’insieme341 e una peculiare lontananza dai colori accecanti che costituiscono il tratto distintivo di Raffaello. – Visitammo inoltre una grande stanza, che funge da sala dell’assemblea dei consiglieri franconi. – I vetri delle finestre del municipio sono piccoli, tondi, concavi al centro e in rilievo tutt’intorno. Sul soffitto di un corridoio, sopra un bassorilievo bianco, è rappresentato un torneo tenutosi a Norimberga; solamente gli stemmi sono dipinti. Nella fortezza vedemmo, a dire la verità, solo l’edificio nel quale hanno abitato, per un certo periodo, quasi tutti i più antichi imperatori tedeschi, quando la loro dimora era ancora provvisoria. Non vedemmo le torri e le costruzioni dei burgravi di Norimberga, che d’altra parte non valgono la visita. Nel cortile della fortezza imperiale si trova / un tiglio bello e forte, che si dice sia stato piantato dall’imperatrice Cunegonda, moglie di Enrico II. Nell’atrio si vede un’armatura di colore bianco che si racconta sia appartenuta al compagno cavaliere di Götz von Berlichingen, Franz von Sickingen. Nella prima sala ho visto delle vecchie bandiere, un grosso guscio di tartaruga, usato come scudo, un raffinato bassorilievo in legno, un antico dipinto tedesco, straordinariamente fine ecc. Nella cappella piccola, sull’altare, c’è un’antica opera intagliata in legno e dipinta. Nelle stanze e nelle sale restanti sono appesi alle pareti dei dipinti (si veda il libro di v[on] Murr);342 tra gli altri, anche i ritratti di Lutero e Melantone di Lukas Kranach.343 In un corridoio pende dal muro un’enorme xilografia, sulla quale è riprodotto un torneo allestito ad Augusta nel 1536 da Carlo V;344 il tutto privo di prospettiva; infatti le figure si sovrappongono l’una all’altra. Accanto ad ogni coppia di lottatori sono state stampate alcune righe a chiarimento delle persone ritratte; in basso vi è poi anche una lunga descrizione. In diversi anditi e stanze pendono dalle pareti delle piante molto grandi di Roma, Vienna ecc. Dalla sala abitualmente occupata da alcuni imperatori, ai cui muri stanno appesi i ritratti a grandezza naturale degli ultimi 9 imperatori, escluso quello attuale, e nella quale si trova un’iscrizione in ricordo della presenza di Giuseppe II a Norimberga, si gode, così come in / altre stanze, di un’ampia vista, che mostra tuttavia che Norimberga giace in una pianura un po’ desolata e monotona. Da qui si vede la fortezza dei margravi di Anspach a Wülzburg,345 che si trova a 6 miglia e ½ di distanza. Nella sala, nella quale un tempo si trovava la cancelleria imperiale, vi sono delle credenze con bicchieri antichi, decorati con gusto e altri oggetti e opere d’arte; tra questi c’è anche un dipinto, piccolo e raffinato, realizzato con estrema cura con il solo impiego di seta sfilacciata, vale a dire composto da piccoli fili di seta di diverso colore,

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attaccati tra loro. Parecchie delle stanze sono del tutto prive di mobili. – Nel cortile vi è un pozzo profondo 56 tese,346 che attraversa le rocce e che ha un’acqua di evidente purezza e freschezza. Ne abbiamo sorseggiata un po’, vi abbiamo poi anche versato dell’acqua e solo dopo 7 secondi l’abbiamo sentita gorgogliare dentro il pozzo. Di mattina avevamo visitato il mercato, che era molto vivace. L’antiquato costume tedesco delle contadine di Norimberga lo conoscete già. Vi abbinano delle calze nere o verdi. Tengono il latte in recipienti di rame di questa forma:

che trasportano in canestri di vimini intrecciati, simili a questo:

Essi convergono in basso attorno a un’assicella dalla forma squadrata. Come potete notare, tutti e due i tipi di contenitori hanno una bella / forma, che riprende appieno la semplicità e le belle linie arcuate dei recipienti antichi. In questi luoghi si evidenzia in oggetti del genere anzitutto il buon gusto. A Norimberga, Erlangen ecc. le donne trasportano l’acqua in lunghi recipienti di legno dalla forma ovale o leggermente schiacciata, come in questo caso:

e nel territorio attorno a Bamberga e a Kulmbach si trasportano i raccolti dei campi in cesti aperti, dall’intreccio largo, come il seguente:

A Norimberga ogni elemento delle abitazioni è abbellito con grazia. Lo stesso filo dei campanelli, presenti in tutte le case, ha ora la forma di una catena, ora quella di una ghirlanda di fiori, ora assume delle sinuosità serpeg-

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gianti. I portoni di tutte le abitazioni, non esclusi quelli di più infima qualità, sono sormontati da un arco, mai da un cornice diritta. I portoni di grandi dimensioni sono abbelliti da intagli in legno realizzati in tempi remoti, scintillanti maniglie d’ottone e antiche e poderose serrature. Molte case sono dipinte con colori a olio. Al momento, 2 ponti sono stati sormontati di casette di cattiva qualità, non consentendo così più di poterli attraversare. L’ampio ponte Fleischbrücke (Ponte del mattatoio o Ponte della carne)347 è ad arco unico, è grande, ha poca pendenza e assomiglia grosso modo al ponte di Rialto a Venezia. – La casa sulla quale sono raffigurati i giganti348 è una casa d’angolo. Sul lato lungo dell’abitazione si possono vedere ritratte / a figura intera le raffigurazioni di Sansone, Davide, Golia e del forte Eck;349 dei restanti 7 giganti si vedono solamente i ritratti a mezzo busto sopra le porte e le finestre, e i loro nomi, eccetto quelli del gigante Sigenot e dell’imperatore Ottone il Grande, sono completamente illeggibili: li osservai attentamente e a lungo, ma non riuscii a scoprire alcunché, se non che accanto a uno di essi mi sembrava di leggere il nome «Hug Dietrich»,350 sebbene in maniera molto incerta. Inoltre, sull’altro lato della casa vi sono altri 4 ritratti a mezzo busto, (in tutto ci sono dunque 15 figure), i cui nomi sono stati ugualmente cancellati dal tempo. Tutti sono rappresentati in abiti da cavaliere e la maggior parte di loro è armata. – La ripartizione delle finestre nelle case di N[orimberga] è spesso del tutto asimmetrica; di frequente, sono sfalsate nella sovrapposizione sulla facciata; e al piano terra sono realizzate quasi ogni volta badando a risparmiare, oppure sono troppo alte, troppo basse, troppo piccole e distribuite senza un ordine. A N[orimberga] si notano mode e tradizioni stravaganti. Tra gli anziani ci sono, (come a Bamberga), dei soggetti grotteschi, tanto per il modo di vestire, quanto per la loro figura. Nei pressi di Norimberga vidi passare in carrozza una dama che portava con sé un parasole con delle frange dorate. Davanti a un signore e a una dama tutta agghindata che andavano a cavallo vidi passare di corsa un lacché, mentre dietro di loro procedeva a cavallo un servitore completamente sporco, il quale pareva nero quanto il proprio cavallo. – In un’altra occasione, invece, a N[orimberga], entrando casualmente in una stretta viuzza, assistetti a una vecchia usanza, assolutamente bizzarra. Era proprio il giorno della festa patronale, o un giorno di mercato. Il vicolo era pieno / di gente. A una fune, tesa sopra la via, stava appesa una tinozza che era stata riempita di sangue. Un giovane, che indossava una parrucca con dei fiocchi colorati e una maschera, era costretto ad andare sotto la fune e a lasciare che il sangue gli cadesse sulla testa. Fu poi sistemato su una piccola slitta e, tutto rosso di sangue, fu trascinato per alcune vie da altri giovani, tra il giubilo della popolazione. Successivamente, iniziò a girare tra la gente con un barattolo e a raccogliere soldi. Questa scena si ripeté più volte. La osservai con stupore. «Si rappresentano le vicende dell’uomo insanguinato», mi risposero le persone alle quali avevo chiesto delle spiegazioni. Deve trattarsi di un’usanza molto antica e comunemente nota; infatti in Inghilterra, ai tempi di Shakespeare, ve n’era una simile (vi si fa allusione in Molto rumore per nulla, atto I, scena IV).351 Al posto del sangue vi era però una grande quantità di fuliggine, mentre un gatto veniva messo in un contenitore; inoltre, colui il quale, correndo via da sotto la corda e infilzan-

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do il fondo del contenitore con una lancia, riusciva a svignarsela con rapidità sufficiente a non far cadere nulla sulla propria testa, veniva considerato l’eroe della festività. – Voglio anche far notare che a N[orimberga] ci sono persino dei mendicanti privilegiati, e che si trovano anche dei ragazzi mendicanti che, con dei barattoli di latta, corrono dietro ai forestieri per interi tratti di strada. La strada da N[orimberga] a Fürth,352 che si trova solo a ½ miglio di distanza, è molto sabbiosa e desolata. Fürth è / una città che pullula di artigiani ed ebrei. Tutti sono operosi e svolgono un mestiere. Gli ebrei mettono a disposizione in grande quantità ogni sorta di mercanzia per la vendita. La città è circondata da molti più spazi aperti rispetto a un villaggio: le strade sfociano direttamente tra i prati e i campi e non si scorge la minima traccia di recinzioni. A mezzogiorno mangiammo al «Prinz von Preußen» («Principe di Prussia»). Di fronte si trova il «Brandenburgisches Haus» («La casa brandeburghese», un nome comune alle locande di parecchie città della Franconia), che è uno degli alberghi più grandi che io abbia mai visto e che, in una cittadina come questa, non ci si aspetterebbe. Dopo aver mangiato, vedemmo moltissime cose in poco tempo. Visitammo il mulino dedicato alla politura del vetro e osservammo come gli specchi (che giungono grezzi dalla Boemia,) vengano levigati, lucidati e, (cosa particolarmente interessante,) trattati con argento vivo. Anche la macchina per la lucidatura del vetro è ingegnosa. Nei testi che si occupano di tecnologia tutto questo sarà certo descritto in modo preciso; solo, è un peccato che qui io non disponga di opere del genere! Comunque, mi son fatto delle idee abbastanza chiare e ho osservato tutto con attenzione e con piacere. Nella fabbrica di lapis vedemmo l’intero procedimento di fabbricazione della matita. Visitammo anche una fabbrica di bottoni di metallo (composti di stagno e dello stesso bronzo che si usa per le campane) e un laboratorio di battiloro. Qui ho trovato un gran numero di vecchi documenti e libri di corali francesi, di pergamena, che erano stati comperati in Francia; infatti, le piccole lamine dorate vengono battute tra / la pergamena. Me ne sono stati lasciati alcuni fogli per mia curiosità. – Inoltre, abbiamo anche fatto visita al s[ignor] medagliere di corte Reich e ai suoi 2 figli.353 Il padre è un genio dei marchingegni meccanici, ma di categoria inferiore, privo di gusto e senza grandi conoscenze, e un po’ esaltato. All’inizio costruiva organi. Da lui vedemmo quanto segue. Un grosso orologio da parete, al cui interno erano stati collocati un armonium (un positivo),354 e, nella parte superiore, un paio di ninnoli frivoli e privi di gusto, ossia una barchetta che ondeggiava qua e là sull’acqua e un mulino a vento perennemente in movimento. Diverse medaglie incise da lui, di qualità abbastanza scadente. Una macchina pneumatica e una macchina elettrostatica da lui realizzate; infatti, egli costruisce anche strumenti che funzionano seguendo i principi della fisica e della matematica. Una macchina dal moto perpetuo (perpetuum mobile), che non era tuttavia ancora proprio a punto, di questa forma:

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Il piatto di latta a, oscillava sull’asse fissa bb, in qua e in là, in maniera tale che una sfera, posizionata sulla scanalatura, ruotasse in maniera permanente tutt’intorno alla circonferenza del piatto. Per preservare l’equilibrio e generare l’impulso cinetico in basso si trovava un peso c, mentre in alto vi era una molla d’acciaio d che oscillava qua e là, anch’essa provvista di un pesetto, fissata a una stanga che attraversava il piatto. Nell’officina / vedemmo dei gettoni di metallo coniati con una macchina da conio. In maniera analoga venivano coniati dei bianchi bottoni di metallo con l’effigie di Luigi XVI di Francia. Dalla meridiana di ferro, murata sulla parete, il s[ignor] Reich riteneva di poter desumere che, da 25 anni a questa parte, il sole sorge a 6 gradi di distanza (per esprimersi nei suoi termini) dal suo originario punto d’ascensione e voleva farci credere che i professori a Gottinga e a Erlangen avessero avviato in questo periodo delle ricerche riguardanti questo spostamento del sistema solare. Se è vero, però, che la teoria di questo spostamento non trova fondamento nella sua meridiana, o nelle sue idee, solamente il s[ignor] p[rofessor] [Johann Ehlert] Bode è in grado di prendere le distanze da questo grande inventore.355 Da ultimo, ci ha anche mostrato con bizzarra ostentazione parecchie lettere di gran signori, a esempio dell’attuale Re di Prussia, del generale Elliot356 ecc., nelle quali essi lo ringraziano per le medaglie da lui realizzate. – Uno dei suoi figli è cinturaio e realizza delle belle dorature di cornici di specchio ecc. – L’altro è un artista tornitore, crea fausses montres357 e altri oggetti di lusso, e 1 o 2 anni fa ha inventato una strumentazione, grazie alla quale egli realizza un incredibile sistema meccanico, di / cui mantiene però segreto il funzionamento. Proprio davanti ai nostri occhi ha lavorato al tornio l’immagine a mezzo busto del re attuale, grande quanto un esemplare di moneta da sei quattrini (pfennig), ottenendone una piccola lastra d’avorio di forma ovale; un procedimento durato neppure 5 minuti! La macchina era coperta. Non si vedeva nulla, se non che egli girava con la mano destra una ruota, per mezzo della quale veniva messo in movimento un fuso orizzontale, a contatto del quale, sul davanti, veniva fissata la piccola lastra d’avorio, giusto mentre su questa batteva un acuminato stilo di ferro, collocato in posizione fissa e disposto orizzontalmente, che componeva la figura. L’enigmaticità della macchina deve risiedere in quel cilindro, o dietro ad esso. Lo stilo

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ha iniziato la sua opera incidendo un forellino al centro della piccola lastra e, a partire da quel punto, ha continuato a imprimere i tratti del volto della figura seguendo in maniera ininterrotta una linea a spirale che giungeva sino al margine della lastra stessa. Durante la lavorazione al tornio si videro solo i granelli d’avorio spandersi come polvere qua e là, attorno al foro che era stato praticato, senza che si vedesse la figura. Quando, durante la rotazione del piatto, lo stilo giungeva alla figura posta in rilievo (poiché essa non era scavata, bensì lavorata a basso rilievo), la lavorazione al tornio si faceva lenta e scrupolosa. Il cilindro con la piccola lastra, passando attraverso gli ingranaggi della macchina nel movimento di rotazione, deve per forza di cose esser rivolto in direzione opposta allo stilo collocato in posizione fissa, in maniera tale che questo possa incidere in maniera autonoma e corretta la / figura; come questo avviene, resta tuttavia un enigma. Il s[ignor] d[irettore] a[ggiunto] [Carl Gottlieb] Weisser, che di lavori al tornio ha esperienza, diede a intendere in un’occasione, in un libro concernente l’arte di lavorare al tornio, di essersi imbattuto in una simile invenzione, ritenendo tuttavia che quel meccanismo presentasse delle analogie con una cosidetta “macchina per la tornitura rotonda o ovale”. Della nutrita scorta di piccole effigie del Re di Prussia attuale e di quello precedente ne comprai una del secondo, per 12 carentani. Vi prego dunque di diffondere la notizia di questa scoperta veramente notevole, in particolare al s[ignor] consigliere [Johann Friedrich] Zöllner. Quest’artista tornitore, che è un uomo molto garbato e modesto, potrebbe guadagnare probabilmente molto denaro, se fosse più noto rispetto a quanto ancora ingiustamente non sia, e se i suoi prodotti, che egli realizza in così breve tempo, venissero spediti ai negozi di oggetti d’arte di altre città. – Rispetto a Erlangen, Fürth è distante quasi quanto Norimberga. Nei successivi due giorni mostrammo al signor d[irettore] a[ggiunto] [Carl Gottlieb] Weisser le grotte nei pressi di Muggendorf che egli, per la loro bellezza, preferisce di gran lunga alla grotta di Baumann,358 perché quest’ultima ha certo delle stanze più ampie, ma è ben più buia, scura e poco interessante. La grotta di Rosenmüller359 assomiglia alla volta di una chiesa, alta e in stile gotico, che si restringe in alto e che riceve una fioca luce dall’esterno solo per mezzo della lunga e stretta fessura nella roccia, attraverso la quale, quando si è in alto, ci si riesce a malapena a spingere / per discendere la scala a pioli che si trova lì. Nessuno riuscirebbe a trovare da solo questo ingresso: pare una spaccatura nella roccia che non prosegue affatto giù in profondità. Il suolo della caverna, procedendo dalla parte anteriore a quella posteriore, sale verso l’alto assumendo la forma di un piccolo cumulo di stalattiti disposte a gruppi e di forma arrotondata, e nella zona retrostante si avvicina così tanto alla volta che solo a fatica, passando attraverso le stalattiti e le colonne, ci si riesce a spingere fin dentro gli anfratti più lontani, là dove la più grande varietà immaginabile di queste stalattiti e colonne pende dalla volta e spunta dal terreno. Esse hanno un diametro che va da 1 a circa 6 pollici e una lunghezza di 1, 2 fino a 3 piedi. In un certo punto una stalattite ampia e sottile sta a penzoloni come una bandiera. – Abbiamo mostrato al s[ignor] Weisser ancora altre belle località nelle vicinanze di Baireuth, e abbiamo preso congedo da lui a Bamberga, dalla quale siamo ripartiti a ritroso. Quelle zone le conoscete già a partire dal mio viaggio di Pentecoste.

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Da quando Burgsdorf è qui, mangiamo da Toussaint al «Wallfisch» («La balena»), la miglior locanda, per 2 fiorini alla settimana. Di solito vi si mangia: una zuppa, spesso una minestra a base di tagliolini, poi sempre carne di manzo, con senape, insalata di cetrioli e rafani, che qui vengono consumati frequentemente, per quanto siano duri come il legno e insipidi; / poi delle verdure; in seguito dell’arrosto; infine, burro o persino dolci. Talvolta, tra 2 portate o anche come contorno, vengono distribuite delle tortine; consuetudine non insolita da queste parti. Le verdure qui si cuociono, una volta che sono state finemente tagliate e, a mio avviso, risultano molto meno buone che a Berlino. In questi paraggi si mangiano molto di rado i fagioli e i piselli; al contrario, si consumano differenti qualità di cavolo, rape e lattuga con radici bianche; un cibo comune in questa zona, ma allo stesso tempo molto sobrio. In linea generale si mangia più carne che verdure. La preparazione dei cibi, da Toussaint, è molto buona. Qui mangiano parecchi studenti, 2 esuli e dei forestieri. – In diversi piatti di questi dintorni si aggiunge una grande quantità di zafferrano, che per me è la cosa più disgustosa che conosca. Tutti gli alimenti, anche il burro, sono quasi del tutto senza sale. L’acqua in tutta Erl[angen] è tenera e di qualità molto mediocre, perché il terreno è talmente sabbioso e basso che, scavando, ci s’imbatte subito nell’acqua. – Queste notizie sul cibo sono per la mamma. Presto vi scriverò di nuovo. Vi auguro di godere della miglior salute e di giornate sempre liete e resto Il vostro



ubbidiente figlio W. H. Wackenroder.360

La particolareggiata descrizione di Wackenroder del viaggio dal 14 al 21 agosto 1793 si trova nel “Resoconto di viaggio” 7 (pp. 1087-1103) che, almeno in parte, è stato redatto dopo l’ottobre 1793.

6. 4 ottobre 1793. Viaggio del 25-27 settembre 1793 ad Anspach passando per Norimberga. Viaggio ad Anspach e Norimberga. Erlangen, 4 ottobre 1793. Carissimi genitori, nell’ultimo periodo, poiché i corsi universitari ai quali prendo parte sono già terminati, ho compiuto l’ultima escursione partendo da Erlangen. Mi recai

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cioè mercoledì 25 sett[embre], a mezzogiorno, con il s[ignor] v[on] Wechmar,361 il s[ignor] v[on] Quilfeld e Burgsdorff ad Anspach, in parte per assistere al ballo tenutosi mercoledì sera ad Anspach in onore del compleanno del Re, in parte per farci mostrare alcune attrazioni della città il giorno successivo dal s[ignor] v[on] Wechmar, figlio di un defunto ministro di Anspach. Il compleanno del Re viene qui celebrato con cerimonie molto più sontuose rispetto a Berlino e al territorio attorno a essa; ad Anspach, Baireuth, Erlangen, Hoff e probabilmente anche in numerose altre località si organizzano grandi feste da ballo. Passando per Norimberga, viaggiammo lungo la strada principale, completamente lastricata. Nella zona attorno ad Anspach la strada lastricata è in uno stato particolarmente buono. Per giungere ad Anspach bisogna coprire 4 miglia di distanza da Norimberga; da Erl[angen], dunque, sono 5 miglia e ½. Per percorrere 1 miglio su strade lastricate non ci s’impiega molto più di 1 ora. A Norimberga ci siamo comperati della frutta al mercato, dove è sempre possibile procurarsi una grande quantità di ottima frutta di tutte le qualità. Oltrepassando di poco Norim[berga], si attraversa l’interessante villaggio di Schweinau, nel quale vengono realizzate scatole di cartapesta e altri prodotti in grande quantità. A causa della laccatura fresca delle scatole, per tutto il paesino si spande un forte odore di vernice. – Sulla strada tra Norimberga e Anspach si passa per 8 villaggi e per la cittadina di Heilsbronn, che un tempo aveva un convento e che ancor oggi viene semplicemente chiamata «Kloster» («convento»). Il territorio di Anspach comincia immediatamente oltre Norimb[erga]. I villaggi si distendono amabilmente in mezzo al verde e sono ben fatti, in parte con case costruite in pietra arenaria rossiccia, in parte bianche con intelaiature di legno dipinte di rosso. Si viaggia passando quasi sempre per aperte campagne, pianeggianti e interrotte solo da piccole alture, e solamente per un breve tratto si procede attraverso un boschetto di abeti. Il suolo è costituito da fertile terreno argilloso. La veduta talvolta si spinge a distanza, ma, eccezion fatta per alcuni prati verdi e diversi piccoli appezzamenti, non è affatto interessante. In aperta campagna vedemmo con nostro stupore, per niente distanti da noi, 8 cervi riuniti in un branco, che per un po’ restarono immobili, standosene lì ad osservarci. Qui c’è ancora parecchia selvaggina, poiché il margravio amava molto la caccia.362 Sulla strada maestra, invece della pietra miliare, vi sono delle piccole panche di pietra disadorne, sulle quali sono indicate le distanze. Prima di Anspach la strada maestra è abbellita da alberi. Anspach giace in una valle, circondata da prati e attorniata a breve distanza da dolci colline arate. La posizione è dunque analoga a / quella di Baireuth; è solo che le vedute offerte dalla zona intorno a Baireuth sono ben più ampie e ricche. Anspach in sé, vale a dire la città vera e propria, è vecchia ed è tutta angoli e viuzze, pur avendo comunque delle solide abitazioni. I grossi sobborghi presentano invece delle strade tutte diritte, ampie, ben lastricate e graziose case bianche, che conferiscono a queste un aspetto gioioso, come le migliori strade di Baireuth. La città è molto ben illuminata; lanterne stanno appese (come a Parigi) a delle corde che vengono fissate a debita altezza in

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mezzo ad abitazioni prospicienti, oppure, nelle grandi piazze, tra dei pali. Anche Erlangen ha un paio di lanternoni di questo tipo; per il resto è invece del tutto priva di illuminazione; neppure Norimberga ha lanternoni e, a causa delle numerose strette viuzze e delle alte abitazioni, è molto sgradevole camminare lì nel buio. Quando giungemmo ad Anspach, di sera, verso le 9, vedemmo che la sede della società di tiro a segno era illuminata, in onore del re. Prendemmo alloggio al «Goldener Stern» («Stella dorata»), un bell’albergo in periferia. Qui, al piano terra, nella sala da pranzo, osservai quella che può essere definita come la più bella stufa che, grosso modo, io abbia mai visto: aveva la forma di un armadio, era rivestita interamente di piastrelle di colore marrone ed era adornata di anelli dorati che simulavano / le maniglie di cassetti. Poiché avevamo sentito dire che assieme alle danze si sarebbe tenuto un ballo in maschera, prendemmo maschera e mantello e ci dirigemmo subito verso il teatro nel quale si svolgeva la festa di ballo. Per i canoni di Anspach, si trattava davvero di una festa di prim’ordine. Alcuni uomini erano vestiti da turchi, cavalieri, sacerdoti e americani. Si ballava appassionatamente e accompagnati da buona musica. La fila dei palchi era piena di spettatori. Sulla scena sedeva la nobiltà, intenta a osservare la festa. Non rimasi lì molto a lungo. Il mattino seguente visitammo per primo il castello, costruito su 3 piani,363 che si trova in periferia, situato davanti a una piazza. L’ampia facciata ha pilastri dall’inizio alla fine, ma è privo di un balcone al centro, ha anche molti fregi brutti e invece di avere un portale vistoso, ne ha uno del tutto ordinario e mediocre. Per questa ragione l’edificio è privo di un aspetto nobile e accattivante. È di colore bianco. È imponente e percorremmo un gran numero di stanze. Alcune hanno tappezzerie lavorate a hautelisse; altre sono rivestite di legno; 2 sono interamente rivestite di piccole mattonelle bianche, dipinte in blu, alla cinese; altre sono decorate con figure in porcellana, tavoli di marmo ecc. In una stanza vi sono alcuni piatti e coppe / d’avorio, rivestiti completamente di figure in avorio, intagliate in altorilievo in maniera raffinatissima; – in un’altra osservai la rappresentazione di un portico, inserita in una cornice, costituita più precisamente da stucco colorato. In alcune stanze pendono dalle pareti dipinti e ritratti di famiglia. Nel salone, che viene in realtà chiamato “la galleria dei dipinti”, si trovano alcuni ritratti di Naumann,364 un bel ritratto di uno scultore italiano, opera di van Dyk,365 e in particolare i seguenti lavori di Kupetzky: «la sua famiglia», «il Samaritano misericordioso», «san Francesco», presente in 2 versioni, e «3 eremiti». – Inoltre, nel castello vedemmo una stanza, in cui lavora il pittore della corte di Anspach, il s[ignor] Naumann, e nella quale osservai parecchi suoi dipinti. Mi sembra un artista di livello assolutamente mediocre, sebbene nel territorio in cui risiede egli goda, come è abituale, di una certa reputazione. In quella stanza, vidi di lui le seguenti opere: una

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grossa tela, di soggetto storico, che presentava Cornelia nel momento in cui le viene annunciata la morte di Pompeo; un ritratto di Raffaello, copia di uno splendido quadro dello stesso Raffaello; alcune altre copie; un certo numero di ritratti; e, infine, diversi altri disegni di volti, seguendo il modello di antichi e bellissimi dipinti di Wohlgemuth366 e Dürer presenti nella chiesa di Schwabach, e di altri quadri di Wohlgemuth e Schäufelein, che si trovano nella chiesa della / menzionata cittadina di Heilsbronn. – Il giardino del castello ad Anspach non ha alcuna recinzione. Fatta eccezione per l’ampia orangerie, detta «die Hecken» («le siepi»), e i bei viali, esso non è che un semplice orto. Al mattino visitammo inoltre anche 2 musicisti della cappella di Anspach, che è di ottimo livello: il s[ignor] Schwarz che, al fagotto, assieme al s[ignor] Jäger, al violoncello, e al figlio di questo,367 ha eseguito per noi dei brani musicali. Non sono in grado di giudicare se essi non godano qui, in questa zona, di un’eccessiva fama, come abitualmente si verifica per ogni aspetto della vita nelle cittadine; sono però quasi portato a crederlo. Tutti e due compiranno tra pochissimo un viaggio con i loro figli, della durata di 1 anno, in Inghilterra o in Russia. – La nostra ultima visita presso l’uomo più interessante di Anspach, il poeta Uz,368 mi ha dato poco più soddisfazione del fatto di averlo semplicemente visto. Brevi visite del genere a eruditi sortiscono purtroppo raramente effetti maggiori; bisognerebbe infatti essere completamente soli con loro, incontrarli quando sono proprio di buon umore, essere abbastanza preparati, vale a dire sapere in anticipo qualcosa sul loro conto e porre loro in maniera dissimulata minuziose domande su aspetti interessanti della loro storia. E, pur prendendo in considerazione tutti questi fattori, ci si congederebbe in ogni caso parecchio insoddisfatti da molti di loro. Per questa ragione ci si deve / soltanto accontentare di cogliere negli eloquenti tratti del volto, e tutt’al più nelle espressioni assunte dalla bocca, una parte dello spirito degli uomini di questo tipo, ammirati attraverso i loro scritti. – Uz è un anziano di più di 72 anni, ma vivace, di buon cuore e molto cortese, che pur non occupandosi più da lungo tempo di poesia, ma essendo attivo in qualità di direttore del tribunale territoriale, si mostra uomo operoso e molto esperto. Ha scritto le sue poesie ad Anspach, il suo luogo natale, standosene alquanto in disparte. Quando gli consegnai una lettera di presentazione del s[ignor] prof[essor] Ramler, si rallegrò molto che questo si ricordasse ancora di lui. Abita in una piccola casa, conducendo una vita riservata. Dopo pranzo lasciammo Anspach. I sobborghi, per via della loro regolarità, delle abitazioni in buono stato, delle passeggiate circondate da alberi e del castello, presenta delle analogie con Schwedt.369 Il castello e le passeggiate a Schwedt sono però di gran lunga più belli. – Ad Ansp[ach] si trovano in questo momento degli ussari prussiani in uniforme gialla. Sulla strada del ritorno visitai la chiesa di Heilsbronn, che in passato è stata chiesa conventuale. Al suo interno è bianca, grande e presenta diver-

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se cappelle minori. Da segnalare sono i numerosi, antichissimi dipinti dei padri della pittura tedesca, i quali a dire il vero sono in parte caratterizzati da più imperfezioni e risultano più inespressivi e privi di gusto delle prove di un allievo, ma in parte, con una sublimità semplice e priva di pretese, catturano lo sguardo per mezzo della pura espressione della natura nei visi e nelle posture delle figure, senza artifici, e, grazie agli / eleganti panneggi delle vesti, rendono questa chiesa un luogo assolutamente degno di esser visitato. La figura di una donna in preghiera presente su un altare fu l’opera che mi affascinò maggiormente. Inoltre, la chiesa presenta anche: 24 tombe di margravi di Anspach, alcune delle quali sono adornate di belle figure e decorazioni in pietra e in bronzo; il ritratto dipinto di un margravio con le sue 2 consorti, raffigurati a grandezza naturale, con numerose decorazioni tutt’intorno; un gran numero di antichi bassorilievi in pietra, tra i quali alcuni rivelano i primi rudimenti dell’arte; molte immagini di santi, in legno; ecc. Per via di questa ricchezza di opere dell’antichità la chiesa è degna di particolare menzione. Di sera facemmo ritorno a Norimberga, nella quale venerdì, per quanto mi fu possibile nel breve tempo a disposizione, mi assicurai anche una piccola racimolatura di tutto quello che volevo ancora vedere e riuscire a fare in quella città, dal momento che non speravo di potervi fare ritorno nuovamente. I miei accompagnatori comperarono nel frattempo ogni sorta di cose; infatti, ogni genere di oggetti, articoli di lusso e altre chincaglierie si acquistano bene e a buon mercato a N[orimberga]; a prezzi più convenienti che a Lipsia. (Per esempio una catena d’orologio d’oro, robusta e semplice, costa 24 fiorini; una raffinata teiera inglese di Wedgwood,370 di colore nero, ½ fiorino ecc.). Venerdì sera eravamo a Erl[angen]. Per prima cosa, a Norimb[erga], feci visita al s[ignor] v[on] Murr e gli portai la trascrizione della diss[ertazione] de Jordano Bruno.371 Mi ringraziò con la più cordiale gentilezza e con grande cortesia mi fece prontamente dono della sua Beschreibung der Reichskleinodien (Descrizione delle insegne dell’impero), della sua Beschreib[ung] des Rathhauses (Descrizione del municipio) di Norimb[erga]372 e di un supplemento di un catalogo francese di libri con estratti da antichi manoscritti francesi. Desiderava inoltre che il s[ignor] c[onsigliere] s[egreto] [Johann Karl Konrad] Oelrichs scegliesse dei testi tra quelli presenti nel catalogo di libri a lui segnalati, che egli poi con gran piacere intendeva regalargli. La piccola, angolosa casa del s[ignor] v[on] Murr è piena di libri. Nel suo studiolo pendono dalle pareti, tutt’attorno a lui, i dipinti di Federico II, Leibniz, Kant, Spinoza e Rousseau. – Presi poi congedo dal s[ignor] [Johann Heinrich] Häßlein e dal s[ignor] [Johann Friedrich] Frauenholz. Il primo si è ammalato d’ittero e non ha dunque potuto scrivere al s[ignor] p[astore] [Erduin Julius] Koch. È un uomo dalla salute molto cagionevole. – Infine, feci visita al s[ignor] commerciante Matti, italiano di nascita.373 Mi chiese scusa per il fatto che non potesse invitarmi a pranzo, perché di venerdì, come cattolico, ha sulla tavola solo vivande adatte ai giorni di digiuno. A ogni modo, mi mise davanti della cioccolata, mi raccontò alcune cose del commercio norimberghese e tramite

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suo figlio mi fece fare un giro da alcuni artigiani. – A Norimb[erga] non si trovano quasi grandi manifatture di stoffe e altri generi di fabbriche. Gli oggetti, in particolar modo le chincaglierie, per i quali gli artigiani di qui sono così famosi, vengono realizzati separatamente da singoli artigiani, i quali hanno pochi o nessun aiutante; oggetti che vengono poi consegnati ai commercianti all’ingrosso / (ai quali appartiene anche il s[ignor] Matti) a un prezzo eccessivamente basso, da sempre stabilito, a discapito dei poveri artigiani. I commercianti li inviano poi in grandi quantità in tutta Europa; e, in seguito a questa attività di fornitura di ogni tipo di beni di piccola necessità, Norimb[erga] gode effettivamente di un rango particolare tra tutte le città in cui siano presenti mestieri e attività commerciali. - Per prima cosa facemmo visita ad un produttore di scatole. Le scatole di cartapesta vengono formate da cartone assemblato, indurite tramite cottura in forno e verniciate, o anche decorate d’oro e dipinte. Tramite un tornio di acciaio (quello che vidi io era stato realizzato a Parigi al prezzo di 700 fiorini) viene incisa sulle scatole ogni sorta di disegni e linee dalle forme regolari. È una macchina ingegnosa. – Nella bottega di un tornitore che compie lavori in osso vidi dei pomi di bastoni, astucci, misirizzi (pupazzi, N.d.T.) e altri oggetti di poco conto, lavorati al tornio e in avorio o ossa di bue. Quest’uomo predispone anche le teste di pipa di schiuma che, formate da una terra magnesia malleabile e bianca, giungono dalla Turchia presentandosi in forme compatte e dalle dimensioni notevoli; una volta arrivate qui a Norimb[erga] vengono comunque tagliate in pezzi più piccoli e graziosi, immerse 3 volte nella cera gialla bollente e infine lucidate. – Da un tornitore in legno vidi dei pupazzi e dei giocattoli di legno, realizzati nella stessa maniera nella quale sono fatti anche a Fürth, Erlangen e in talune altre località del Reich. Vengono intagliati a mano libera /. I volti, le mani, i piedi, diverse parti che vanno lavorate con fine delicatezza, a volte persino quasi delle intere figure, prendono forma da un impasto di farina e gesso di colore bruno che si solidifica sempre più. Anche le figure intagliate, composte pressoché interamente da legno, non sono formate da un unico pezzo, bensì da diverse parti incollate assieme. – Il s[ignor] Matti mi accompagnò anche in una grande fabbrica di aghi, una delle poche fabbriche a Norimb[erga] e l’unico sito, da queste parti, nel quale vengono prodotti aghi. Nondimeno, malgrado avessimo visto una macchina in funzione, e un operaio, al quale avevamo chiesto informazioni, ci avesse assicurato che oggi si sarebbe lavorato, il padrone dello stabilimento fu a tal punto impertinente da assicurarci del contrario. Un esempio, questo, o della caparbietà di un proprietario di fabbrica, o dell’insolita riservatezza mantenuta nei confronti di alcuni processi di fabbricazione. Oltre a ciò, i mulini, sui quali un fonditore di rame o un ramaio lavorano al tornio ogni sorta di oggetti in ottone (un procedimento lavorativo particolare, come se ne osservano in pochi posti), è cosa che nessun estraneo riesce a osservare, se non su esplicita disposizione del consiglio dei fonditori e dei ramai, che deve prestare giuramento di fronte a questa corporazione. Io ne ero già a conoscenza; il s[ignor] Matti, che desiderava mostrarmi quei mulini, si fece spiegare per la prima volta la disposizione da

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un artigiano, che aveva sollecitato in quel senso; una dimostrazione, questa, di come un forestiero, il quale si occupi delle attrazioni di una località, spesso ne sappia più dell’abitante della stessa. / Oltre a ciò, a Norimb[erga] vidi anche 2 chiese. La chiesa di Maria, situata nella piazza del mercato, è antica e di colore scuro. Sulle porte a battenti presenti nei pressi dell’altare, collocati a gruppi di 2 o 3 uno sopra l’altro, vi sono quadri antichi, tra i quali si osservano alcune belle figure. A fianco dell’altare sta appesa una «Mater dolorosa», un antico dipinto purtroppo deterioratosi a causa di un restauro. Alle pareti e agganciati ai pilastri si trova un gran numero di raffinate figure intagliate nel legno, in parte dorate e in parte su sfondo dorato. Il pavimento della chiesa si chiama “il pavimento di rame”, perché in passato vi era la curiosa abitudine di non permettere ad alcuno di calcarlo, se prima non avesse attaccato alle pareti un’incisione in rame. Due piccole tavole in legno, vergate in versi, invitano, l’una gli uomini e l’altra le donne, a donare con assiduità il loro obolo. Molte delle incisioni in rame, delle quali le pareti del pavimento erano un tempo rivestite, sono già state rimosse. In un armadio collocato su questo pavimento osservai anche le figure dipinte dei 7 principi elettori, composte da piastre di rame, che nei giorni delle festività solenni, collocate sui perni di un piedistallo e sistemate su una lastra rotonda, girano attorno alla figura dell’imperatore sospinte dal meccanismo di un orologio.374 La parte anteriore della lastra sporge dalla facciata della chiesa, rivolta verso il mercato. – La chiesa di Sant’Egidio375 è la più recente di Norimb[erga]. Al suo interno è grande, priva [di orpelli], /rivestita di un colore bianco candido regolare e presenta ricche decorazioni sul soffitto, con stuccature e un grande dipinto sulla volta. Sull’altare, proprio di fronte, vi è un dipinto di [Anton] van Dyk: «Christi Leichnam mit 3 Figuren» («Il corpo di Cristo, con 3 figure»), caratterizzato da una composizione ben strutturata e pieno di espressività. Su questo altare si trovano 2 grossi candelieri di ottone, arricchiti di motivi decorativi e ornamentali di buon gusto, realizzati da un ramaio di queste parti. I ramai creano anche i grossi e sontuosi candelieri d’altare che giungono poi nelle chiese russe. – – Il cimitero di San Giovanni,376 di fronte alla città, ha una quantità innumerevole di lapidi, in mezzo alle quali spiccano molti girasoli. Ogni lapide presenta nella parte superiore una targa con un’iscrizione funeraria, o uno stemma, o delle figure in rilievo ecc., di bronzo. Questi ornamenti sono molto vari e in parte, specialmente quelli più antichi, fusi in maniera raffinatissima. Inoltre, esaminai ancora una volta i bei dipinti presenti in municipio. Nella cosiddetta “bella sala” stanno appesi alle pareti i seguenti lavori di Kupetzky, che si distinguono per il colore e la verità della rappresentazione e che non si ritrovano citati nella Descrizione di Norimb[erga] di Murr: ritratto di Pietro il Grande; un mercante di Norimb[erga], di nome Huth, con sua moglie; lo stesso [Huth] al lavoro; lo stesso [Huth] alla luce di una lampada; lo stesso Kupetzy; lo stesso Kupetzky con suo figlio; l’apprendista pittore di

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Kupetzky; [il figlio e] la moglie di Kupetzky / ; un anziano con un bicchiere di vino; un anziano con una pipa; una figura di uomo; un’altra ancora; un piccolo quadro olandese di vita agreste; e un altro ancora. Le 2 ultime opere sono a figura intera. Le altre 12 sono a mezzo busto, realizzate a grandezza naturale. In questa sala pendono dalle pareti anche parecchi saggi pittorici e capolavori di antichi pittori di Norimberga, che in passato formavano una vera e propria corporazione. – Per mancanza di tempo termino qui. – Domani partiremo da Erl[angen] e tra circa 10 giorni saremo a Gott[inga]. Vi auguro di godere della miglior salute. W. H. Wackenroder. Mi sono congedato da tutti i miei conoscenti qui residenti, in particolare dai professori. Il s[ignor] c[onsigliere di corte] [Gottlieb Christoph] Harleß vi porge i suoi saluti, allo stesso modo del s[ignor] p[rofessor] [Gabriel Peter] Haselberg.377 Viaggeremo passando per Würzburg. Non vedo l’ora di arrivare a Gottinga, peraltro senza che mai pensi al mio soggiorno a Erl[angen] in altri termini se non con il più grande piacere. Perdonatemi per la fretta di queste righe. Siamo occupati a impacchettare le nostre cose, pagare conti, prendere congedo dalle nostre conoscenze, stabilire le tappe del viaggio ecc. – Già solo per questa serie di ragioni è certamente utile frequentare l’univers[ità], in maniera da fare così alcune esperienze e imparare a orientarsi nella vita. 7. [In parte redatto dopo l’ottobre 1793]. Viaggio del 14-21 agosto 1793 nella Svizzera Francone e a Bamberga.378 Questo resoconto si riferisce dunque, almeno nella prima parte (pp. 1087-1097), a un viaggio effettuato prima di quello descritto nel resoconto 6 e già abbozzato nel resoconto 5 (p. 1071). Viaggio da Erlangen ai territori attorno a Baireuth e Bamberga con il s[ignor] direttore aggiunto [Carl Gottlieb] Weisser. Mercoledì 14 agosto 1793, a mezzogiorno, partimmo da Erlangen. Eravamo 4 persone e pagammo al vetturino (postiglione), che ci condusse velocemente e bene con 2 cavalli, 5 fiorini al giorno. (A Erlangen vi sono all’incirca 12 vetturini che ogni giorno trasportano abitanti della zona, studenti o stranieri. Inoltre, qui si trovano comunque anche alcuni postiglioni particolari, che si servono di garzoni carrettieri. I postiglioni viaggiano conducendo sempre personalmente la vettura. I cocchieri trasportano spesso i viaggiatori a parecchie miglia di distanza. A Norimberga si recano giornalmente 2 carrozze, oltre alla posta, anch’essa con frequenza quotidiana).

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Passammo Baiersdorf, lasciandocela sulla sinistra. Il percorso è piacevole. I monti, sino a Streitberg, si fanno sempre più alti, e a poco a poco si raggruppano sempre più vicini l’uno all’altro. A destra si trova un villaggio, che si sviluppa in lunghezza sul dorsale, a sinistra un altro, sul pendio di un / monte. In tutti i paesini lo spazio frapposto tra le abitazioni è colmato da alberi. In alcuni villaggi bevemmo della buonissima birra di Bamberga, decisamente migliore di quella di Erlangen. Pretzfeld ed Ebermannstadt, collocate ai piedi dei monti, fanno un’impressione molto gradevole. A Streitberg, quella stessa sera, salimmo su per la rocca di Neideck.379 In passato aveva avuto una doppia cinta di mura e fossati e doveva avere un’ampiezza davvero notevole, dal momento che a ragguardevole distanza dalla torre principale si trovano ancora i resti di alcune grandi torri circolari. Sulla torre principale si fece udire l’eco più chiara che abbia mai sentito: se l’uno, situato in un certo punto, parlava in direzione della rocca, anche solo a bassa voce, l’altro, allo stesso modo, quando era posto in un altro determinato punto, udiva distintamente ogni sillaba. – Ridiscendemmo al chiaro di luna, dopo aver ritrovato con fatica lo / stretto sentiero, che conduce attraverso la fitta boscaglia, e che avevamo scovato nel salire. Sul ponte che passa sopra il Wisent vedemmo la luna riflettersi nell’acqua. – Nell’albergo «Zum goldenen Löwen» («Al leone d’oro») trovammo dei prezzi straordinariamente bassi. Il giorno seguente ci recammo a piedi di buon’ora a Muggendorf e visitammo le 4 grotte più vicine. La grotta di Rosenmüller380 è la più notevole: il s[ignor] d[irettore] a[ggiunto] [Carl Gottlieb] Weisser affermava che questa e quella chiamata “la montagna cava”381 erano di gran lunga più belle di quella di Baumann,382 che ha sì degli ambienti più grandi, ma più scuri e bui; - inoltre, in essi non si troverebbe alcun passaggio stretto, eccetto quello presente nella grotta di Wunder.383 La grotta di Rosenmüller assomiglia al suo interno alla volta di una chiesa, alta e in stile gotico, che si restringe verso l’alto e che lascia intravedere / la fioca luce dall’esterno per mezzo della lunga fessura nella roccia, attraverso la quale, quando si è in alto, ci si riesce a malapena a spingere. Il suolo è formato da stalattiti arcuate occupate da piccoli e robusti pilastri, umide e un po’ scivolose: il suolo s’innalza procedendo dalla parte anteriore a quella posteriore, come un piccolo cumulo, così che, nella zona retrostante, si riesce ad avanzare solo a fatica strisciando fin dentro gli anfratti più lontani, là dove una grande varietà di stalattiti pendenti e colonne verticali della lunghezza di 1, 2 fino a 3 piedi offrono lo spettacolo più meraviglioso che ci si possa immaginare. Il colore è di un fresco giallo rossigno. Le forme sono veramente le più svariate; a volte la stalattite pende dalla volta presentandosi nella forma di un’ampia bandiera. Salimmo anche su per un alto monte dietro Muggendorf, la cui sommità (detta «das Quakenschloß» – «il castello degli animaletti»)384 accoglie un paio di massi rocciosi isolati. Da qui si osserva tutto attorno l’intero territorio montuoso, 14 castelli e, all’orizzonte, il Fichtelberg. Sulla strada di ritorno per Muggendorf passammo attraverso la zona che si snoda lungo la valle di

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Streitberg, dietro / Muggendorf, che si trova proprio in mezzo. Qui il territorio è particolarmente angusto, roccioso, disabitato e romantico; tra sponde ricoperte di un fresco verde scorre rapido il Wisent, le cui onde di frequente s’increspano, scivolando sull’alveo sassoso, e si ricoprono di schiuma bianca. Dopo pranzo partimmo da Streitberg, passando per zone situtate a notevole altitudine, desolate, pietrose e ricoperte solamente di massi di rocce scure, e dirigendoci verso Baireuth. Si sale in carrozza su per il monte Speckberg e si passa per Truppach. (½ miglio alle spalle di Streitberg, a destra rispetto a questo tragitto, nella zona in cui confluiscono i fiumi Wisent e Aufsees,385 nei pressi di Rabeneck, si osserva una bella cascata, alta pressappoco 50-60 piedi.) – Nelle vicinanze di Muggendorf, sulla strada che conduce alla «montagna cava» ecc., si trova un gran numero di macigni di pietra calcarea sparsi qua e là, sui quali si riconoscono facilmente moltissime impronte di ammoniti e frammenti di fossili pietrificati. Venerdì 16 ag[osto] partimmo di buon ora / da Baireuth, passando per l’Eremitage,386 che visitammo brevemente, e dirigendoci verso Berneck. Le 3 rovine387 sono disposte l’una dietro l’altra, sulla cresta di un monte che divide la vallata in 2 parti; nella prima scorre il Meno scendendo dai monti; nella seconda si snoda la strada maestra verso Gefrees. Della cappella e dei resti della rocca rimangono ancora le porticine a volta in stile gotico, fatte di pietra arenaria; in quella si possono ancora trovare dei davanzali di pietra arenaria. Le mura andate in rovina sono ricoperte di arbusti. Il sito in cui sorgeva la rocca presentava un fossato e un muro di cinta con 4 torri circolari poste ai 4 angoli. – A mezzogiorno ci ritrovammo a Kulmbach, dove, nella fortezza, vedemmo i prigionieri francesi.388 All’incirca 100 erano qui già morti; circa 100 stavano a letto ammalati. 60 vennero rimessi in libertà il mattino successivo. I 20 ufficiali che abitavano in città sono scesi a 12, perché alcuni, che si erano spacciati per ufficiali, sono stati portati nella fortezza. Di sera degli ufficiali prussiani, presso l’albergo «Zum weißen Roß» («Al cavallo bianco»), rappresentarono in maniera pietosa i Werber (I reclutatori) di Stephani,389 una commedia miserabile. Dopo di che si diede inizio alle danze e sulla piazza del mercato si fecero i fuochi d’artificio. Nobiluomini e dame di Baireuth ecc. erano arrivati in carrozza per assistere a questo evento festoso. Alloggiammo a buon mercato presso il «Goldener Anker» («Ancora d’oro»). Sabato 17 ag[osto] ci recammmo a Sanspareil,390 passando per Thurnau, e pranzammo a Holfeld. Di pomeriggio percorremmo le quattro miglia e mezzo che separano questa località da Bamberga. Per 2 miglia, sino a Wirgau, ci s’imbatte nella strada più malridotta che mi sia capitato di vedere, sprofondata nel terreno argilloso; e, mentre la si percorre, la vista spazia sulle località più desolate, pietrose e spopolate che abbia mai osservato. La causa di quest’ultima peculiarità è certamente la notevole altitudine alla quale si trova questo territorio. Nella zona di Baireuth, per esempio a Sanspareil, attorno a Hoff ecc., ho sempre avuto modo di osservare che i territori posti a considerevole altitudine sono brulli, desolati e privi di attrattiva. Immediatamente prima di Wirgau si procede per una gola molto lunga e ripida, o si ridiscende lungo una vallata trasversale, chiusa ai lati da scheggioni di pietra calcarea, privi di vegetazione ed erosi dagli agenti atmosferici, che, ammassati in grandi blocchi, stanno quasi sospesi al di sopra della strada, mentre si viene accompagnati dallo scrosciare vivace e

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rumoroso di un torrente. Per quanto poco attraente possa essere questa grossa apertura tra la roccia – poiché i massi qui presenti non assomigliano a sublimi piramidi o a splendide costruzioni / della natura, bensì a una sorta di gigantesca ossatura della terra, orribile e protesa in avanti – la vista di questo territorio mi salvò comunque dalla fastidiosa flemma nella quale mi aveva fatto sprofondare il viaggio precedente e quello presente, in cui si procedeva a passo di lumaca, impiegando 4 ore per coprire 2 miglia di distanza. Una volta giunti ai piedi della lunga vallata, si percorre una bella strada maestra da Wirgau a Bamberga e giunti a questa città ci si ritrova in una pianura, dalla quale si può cingere con lo sguardo la sommità del territorio percorso in precedenza, al cui circondario appartiene anche Sanspareil. Nella zona retrostante Wirgau si trova l’antico e vasto castello di Giech, di colore giallognolo (ora utilizzato come deposito), che si presenta maestoso, ubicato com’è sulla cima di un monte elevato,391 mentre non lontano da qui, sul versante sinistro, situata su un altro monte, si osserva un’antica e altissima chiesa.392 Prima di giungere a Bamberga passammo per la cittadina di Scheslitz393 e per Seehoff.394 A B[amberga] alloggiammo al «Goldener Adler» («Aquila d’oro»), sullo «Steinweg», non distante dal «Weißes Lamm» («Agnello bianco»). Quest’albergo era interamente occupato dal seguito del principe di Thurn u[nd] Taxis395 che stava facendo ritorno da Hildburghausen, dove si era brevemente recato in visita, a Ratisbona. È un uomo attempato. – Nel corso della stessa serata il s[ignor] d[irettore] a[ggiunto] [Carl Gottlieb] Weisser / se ne partì con la diligenza postale. Domenica visitammo alcune chiese. Nel duomo vi sono alcuni magnifici dipinti; in particolare, ne notammo 2: 1) Un santo viene bruciato su una graticola. Leva una mano verso l’alto e nel suo portamento manifesta una magnifica espressività. Anche le figure intorno a lui sono piene di vitalità e di espressività. – 2) Una santa viene decapitata.396 – Nella chiesa dei gesuiti397 ammirammo a lungo un «Cristo in croce», oltre a un paio di altre opere. Nella volta centrale della chiesa, interamente tinteggiata di bianco, vi sono finestre rettangolari inframmezzate da colonne e una cupola sovrastante, dipinta alla rinfusa e in una maniera particolarmente priva di buon gusto: la prospettiva è regolata in modo tale che la si coglie solo da davanti, entrando in chiesa, osservando a partire dal punto prospettico posto a destra; le finestre rettangolari hanno un aspetto orrendo. La tavola d’altare non è certamente di Raffaello.398 L’atmosfera è di un azzurro troppo abbagliante e secco. Nella chiesa dei Carmelitani vi è un’immagine di Cristo dipinta in maniera magistrale. – Nella chiesa di San Martino si trovano le figure degli apostoli, intagliate in legno. Da questa chiesa vedemmo avanzare un lungo corteo di uomini e donne in processione verso la «chiesa parrocchiale d[ella] N[ostra] a[mata] S[ignora]», nella quale si celebrava la festa della Madonna con la messa solenne, accompagnata da bella musica e pure da spari di fucile / dinnanzi alla chiesa. Una processione di carmelitani, domenicani, francescani e cappuccini uscì dalla chiesa. Tra loro vidi alcuni vegliardi venerabili e dall’espressione davvero sublime. In vista della processione era stato allestito un altare in strada. Procedevamo camminando sempre a capo scoperto accanto al corteo in processione. Dopo pranzo viaggiammo in direzione di Seehoff, lì bevemmo un caffè e passeggiamo qua e là in giardino. Le statue399 hanno un disegno vistosamente

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scadente e sono assolutamente di pessimo gusto. – Sul far della sera salimmo inoltre sul monte Kaulsberg400 e, nel magnifico bagliore del sole al tramonto, godemmo della vista più incantevole. Lunedì, di buon ora, feci visita al s[ignor] prof[essor] Sauer, il quale mi disse che avremmo trovato un’eccellente accoglienza, pur senza disporre di presentazione, a Banz401 e Langheim,402 due conventi che intendevamo visitare. Partimmo immediatamente per Banz (3 miglia). Bamberga, osservata da questo versante, fa proprio bella mostra di sé. Collocata ai piedi di bei monti, Bamberga si fa notare per le 4 torri del duomo, per le due dell’abbazia benedettina, che si erge su verdi terreni disposti a terrazza, / per la grande reggia e per l’antica rocca, che pare una sorta di corona del monte situato alle spalle della città e la cui bianca e alta torre splende in lontananza. – Una strada maestra in ottime condizioni conduce fino alla cittadina di Staffelstein, passando attraverso fertili campi ed è accompagnata in permanenza, a una certa distanza, da una catena di verdi monti che percorrono l’intero territorio di Bamberga e che gli conferiscono un aspetto davvero affascinante e ameno. Oltre Staffelstein si procede passando il Meno e risalendo il monte, in cima al quale si erge, completamente solitaria, l’abbazia di Banz, offrendosi allo sguardo come un sontuoso edificio dalle grandi dimensioni e dotato di 2 alte torri; edificio che garantisce una piacevole vista già ben prima di giungervi. Entrammo con la carrozza in cortile. L’edificio, nel suo insieme, è costruito con sobrietà e nobile eleganza; solo la scalinata esterna con la rampa per le carrozze, sul retro, è troppo grande e sfarzosa. Entrai nell’edificio principale, portai al s[ignor] consulente legale Fischer403 una lettera di presentazione del s[ignor] prof[essor] Sauer e mi aspettavo che sarei stato accolto in abbazia assieme ai miei compagni di viaggio e che sarei stato invitato a desinare; difatti, mi era stata presentata un’opinione così elevata dell’ospitalità di questi due monasteri che le mie attese / non mi sembravano esagerate. Al contrario, ci trattarono in maniera estremamente scortese e disdicevole, più di quanto pensavo fosse possibile. Non so se i conventi diano ospitalità solamente a conoscenti o a viaggiatori illustri, cosa che sarebbe in sé molto negativa, oppure se essi siano gremiti oltre misura di viaggiatori, in particolar modo di studenti. Questo appellativo sembrò nuocerci particolarmente. Non seppi cosa pensare quando vidi accomodarsi al tavolo altri ospiti con i patres, poiché era proprio ora di pranzo, mentre mi si voleva dare da mangiare e bere nella stanza del servitore del prelato, assieme a un altro lacchè o un altro individuo del suo pari! Dissi che i miei compagni di viaggio erano nella locanda (infatti avevamo preso alloggio nella locanda del convento, che è però destinata solamente a vetturini forestieri, servitori ecc.) e mi allontanai. Qui mangiammo qualcosa. Poi ci presentammo nuovamente in monastero (nessuno si prese cura di noi) e Padre Placido (Sprenger),404 che era in biblioteca con altri forestieri, ce la presentò, ma con grande freddezza e con evidente diffidenza nei confronti della nostra estrazione sociale e delle nostre conoscenze. La biblioteca è realizzata con sfarzo. Gli eleganti armadi hanno, al posto di una grata, delle ante con motivi ornamentali di

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ottone. Il soffitto è stato dipinto da Bergmüller405 /. Qui si trovano 2 globi di grandi dimensioni. Di vecchi testi a stampa sono pieni 9 scaffali. Sono presenti pochi manoscritti; di opere in antico-tedesco ce ne sono pochissime. (A Langheim se ne trovano molte di più.) Tra gli altri titoli si trovava anche questo: (Brusch?) Beschreibung des Fichtelbergs (Descrizione delle montagne del Fichtelgebirge), Lipsia 1716, in quarto, c[on] i[ncisioni]406 e con una poesia che descrive queste montagne. Padre Placido, tramite un attendente, ci fece poi vedere la chiesa. Nessuno si occupò ulteriormente di noi. La chiesa presenta dei dipinti molto mediocri, possiede però molte reliquie e parecchi scheletri completi di santi, che si trovano esposti in teche di vetro, abbigliati assolutamente senza gusto con vesti ornate d’oro e di ricami. La tavola d’altare rappresenta san Dionigi decapitato,407 che afferra - un mirabile miracolo, davvero - la propria testa recisa e la porta via con sé. La stessa spaventosa rappresentazione si trova, riprodotta in figure in pietra, nel cortile anteriore. (Credo che il santo sia giunto una volta nel luogo in cui sorge il monastero.) Dimostrazioni, queste figure, del fatto che la religione e la mitologia cattoliche forniscono idee dell’arte tanto contrarie al buon gusto quanto belle. / – La vista che si gode dal «Banzberg» è limitata e solitaria, ma proprio per questo romantica. Verso sera ci recammo al convento di Langheim, che si trova a circa ¾ di miglia di distanza e dove credevamo di esser accolti meglio; venimmo invece trattati ancora peggio. Dovemmo rassegnarci al fatto che molti forestieri, i quali giungevano lì in occasione della festa di san Bernardo,408 prevista per il giorno successivo, venivano ospitati nel monastero e di venir noi alloggiati in un malandato edificio lì vicino, nel quale solitamente soggiornavano solo i valletti al servizio di forestieri di passaggio; anzi, ci dovemmo adeguare al fatto che non avremmo avuto altro da mangiare che pane, vino, birra e acqua. Per cause di forza maggiore ci toccò dunque anche digiunare. A fatica riuscimmo ad ottenere anche un poco di burro. Imprecammo contro l’ospitalità di questi rinomati conventi e, mezzo sorridenti e mezzo indispettiti, ci addormentammo. Il giorno seguente non c’era nessuno che ci potesse portare del caffè. Facemmo colazione con del pane imburrato della sera prima e con dell’acqua. Nessuno ci venne a cercare. / Giunsero poi anche altri forestieri, ai quali venne data accoglienza in monastero. – Ci recammo poi nella chiesa, che non ha nulla di particolare. Presenta diverse figure di cavalieri scolpite in pietra arenaria. Udimmo della musica e assistemmo alla messa solenne tenuta dal prelato di Banz, al quale al termine della funzione venne posta sul capo la mitra e consegnato il pastorale. Verso mezzogiorno proseguimmo il nostro viaggio e pranzammo nella cittadina di Lichtenfels. Di sera eravamo a Bamberga e ci rammaricammo solo di esserci giovati così poco di queste 2 ultime giornate, sciupate in quel modo. Mercoledì facemmo ritorno a Erlangen passando per Pommersfelden. Da Bamberga a Pommersfelden ci sono 2 miglia da percorrere. Inizialmente si viaggia sulla strada maestra per Würzburg. I territori non hanno nulla che salti particolarmente all’occhio. – La collezione privata di dipinti a

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P[ommersfelden] mi procurò per la seconda volta un grandissimo piacere.409 Presi notizia delle seguenti opere: / Pittori italiani. Raffaello: Maria con il Bimbo Gesù:410 un’opera che si deve studiare a fondo e che induce i più profondi e intimi sentimenti; si tratta forse del dipinto più bello che io abbia mai visto. Corregio: Apollo e Marsia. Cupido dormiente, di piccole dimensioni.411 – Tiziano: diverse opere.412 – Paolo Veronese: Il trionfo degli angeli. Il trionfo della religione. Sono le 2 opere di maggiori dimensioni presenti nella collezione.413 – Michael Angelo da Merigi, detto Caravaggio: 2 vigorose figure virili.414 – Trevisano: ritratto a mezzo busto di santo Stefano, bello, realizzato pienamente nello stile di Guido [Reni, N.d.T.]. Una testa di Cristo; una testa di Maria: belli entrambi. Diverse altre opere.415 – Spagnuoletto: un santo, con ombre molto marcate.416 – Annibal Caracci: 2 opere di soggetto biblico.417 – Strozzi: I discepoli di Emmaus.418 – Albani: una Venere nuda.419 – Pietro da Cortona: 2 opere.420 – Zanetti: un bel Cristo.421 – Carlo Dolce: Una testa di Cristo con la corona di spine. Una testa di Maria Maddalena.422 Pittori olandesi. Paul Rubens: San Francesco. Una madre con 4 bimbi. Un gruppo pittorico traboccante di fuoco, natura e vita. Un crocifisso.423 – Anton van Dyk: alcuni magnifici ritratti. Un’opera di soggetto storico.424 – Paul Rembrand: / una donna; il volto e i capelli sono dipinti con grande finezza e i colori non sono così foschi come nelle sue opere solitamente si presentano. San Paolo. Una vecchia donna. Entrambi i dipinti sono eccellenti, colmi di verità.425 – Teniers: una galleria di quadri. Dipinti con scene di vita agreste.426 – Schalken: parecchie opere con figure rappresentate secondo vari effetti di luce. Diana.427 – Adrian van der Werft: Maria Maddalena in preghiera. 2 altre opere.428 – Gerard Hondhorst: un cavadenti: pieno di potenza espressiva. Un quadro di vita familiare olandese.429 – Backhuysen: una tempesta marina.430 – Rudolph Bys (pittore di corte a Pommersfelden): I 4 elementi. Il Paradiso. Dipinge pienamente alla maniera dei francesi.431 – Paul? Mieris: un paio di opere molto raffinate: ritraggono delle figure umane. Le vesti sono però troppo manierate.432 – van Huysum: nature morte di fiori.433 - Wouvermann: scene di battaglie ecc.434 – von der Hughtenburg: paesaggi ecc.435 – Peter Neefs: interno di 2 chiese.436 – Adrian van der Neer: 2 paesaggi lunari; molto belli.437 – Saft­ leven: bei paesaggi.438 Pittori tedeschi. Albrecht Dürer. La crocefissione di Cristo. Le figure sono piccole. Lo stile pittorico è aspro. Il disegno è impreciso. Si nota scarsa espressività.439 – Johann König: un’opera.440 – Adam Elzheimer: 3 paesaggi, uno dei quali rappresenta la fuga di Giuseppe e Maria in Egitto.441 – Kupetzky: San Francesco.442 – Hans Holbein: 3 ritratti.443 – Una Maria Maddalena, di un pittore di Würzburg divenuto noto di recente, Fessel.444 – Franz Frank, un antico pittore tedesco: un’opera.445 Pittori francesi. Cossiau: paesaggi ritratti privi di buon gusto artistico.446 – Mignon: opere che ritraggono nature morte di fiori e frutta e oggetti inanimati. Belle!447 – Lairesse: un’opera bella ma enigmatica.448 /

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Un’opera realizzata in mosaico romano e una in mosaico fiorentino. Una testa marmorea in bassorilievo. Al di sopra della bella e grande scalinata si trova il soffitto dipinto da Rudolf Bys.449 Gli ampi gradini in pietra della scalinata e le colonne sono ciascuno ottenuti da un unico blocco di materiale. La pietra proviene da una cava di pietra arenaria del territorio attorno a Bamberga. Di pomeriggio percorremmo le 3 miglia che conducono fino a Erlangen, dove giungemmo in serata, alle 7. ———— Pommersfelden. Questa è la terza volta che vengo qui nel corso del 1793; ci passammo, allorquando, in occasione della fiera di San Michele, eravamo in viaggio da Erl[angen] a Gott[inga]. Restai purtroppo solo circa ½ ora nel castello, per mancanza di tempo. Annotai quanto segue. Pittori italiani. Raffaello: Maria con il Bimbo Gesù:450 Maria siede a sinistra, diritta, con la più beata quiete. Nel suo volto è riunita, nella maniera più felice, la forma soprannaturale, universale della bellezza ideale greca con la più espressiva, / incantevole individualità; mentre essa, simile a una dea, sta come sospesa tra cielo e terra, lo stigma della sua essenza terrena, che in lei traspare, permette di annoverarla tra i mortali, nella sfera umana. Questa conciliazione si esprime sin nei più fini lineamenti del viso, là dove il pennello si prende gioco della lingua, incapace di esprimersi, di colui che contempla estasiato. La fronte è dritta e, all’altezza del naso, lievemente abbassata: il riflesso della serenità celeste unita alla riflessione. Gli occhi sono abbassati, ma senza che lo sguardo risulti fisso o piantato su qualcosa; gli occhi sono miti e benigni come l’azzurro del cielo, posandosi in parte sul fanciullo, in parte sul grembo di Lei. Il naso è diritto, senza sporgenze, e un poco lungo; nella parte inferiore esso ha una fattezza propria. Ma chi mai, servendosi di parole, potrebbe emulare la bocca; quella bella bocca socchiusa, eppure così espressiva, che desta tanta commozione? Chi mai potrebbe imitare l’insieme di quel viso pieno di mite sublimità, colmo di beata malinconia, del tutto presago degli anni a venire del fanciullo? / Un’intuizione che sospinge fino all’estasi la figura della madre, ma così come può esser sospinta una semidivinità, per di più di genere femminile. Una creatura mortale soccomberebbe ai moti dell’animo, tutti i tratti del volto si distenderebbero e un torrente di lacrime rivelerebbe la sua felicità mondana con rumorosi singhiozzi. Non così però la Madre di Dio: riflette maggiormente, laddove, invece, quella avverte maggiormente sensazioni; il suo alto spirito, che fa propri i pensieri assimilandoli uno dopo l’altro, fa emergere per magia nei suoi tratti esteriori quella celeste quiete che certo si abbatte contro gli argini delle fluttuanti emozioni, ma non li rompe … non lasciando dunque che tutti i muscoli del viso si rilassino, appianandosi in un’unica espressione. Abbiamo qui un notevole esempio del principio esposto da Lessing in rapporto al viso colmo di dolore del Laocoonte:451 è questo l’istante in cui l’arte mostra il principio, il primo passo della sensazione e, proprio grazie a ciò, la fantasia di colui il quale contempla con ammirazione fa percepire

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più profondamente la sua potenza. – Il contorno del volto di Maria è un bell’ovale, / anche se non è del tutto uguale a quello puro ed etereo che spicca nel ritratto di una Niobe. Gli splendenti capelli bruno dorato scendono dalla sommità del capo su entrambi i lati; dietro sono fissati a una cuffia a rete. La sottoveste è di un rosso giallastro sfavillante; la sopraveste è di un bel blu. La mano sinistra è lasciata cadere con graziosa noncuranza; l’indice pende diritto, le 3 dita arretrate sono un po’contratte. Con la destra la madre abbraccia il bimbo nudo, il quale le gioca sul grembo, si volge con lo sguardo verso la madre e le indica con il braccio sinistro un vaso posto su un tavolo. Non sono in grado di far risaltare in maniera degna l’espressivo profilo di tutte le membra di questo fanciullo; la Natura stessa, qui, ha guidato la mano dell’artista. Il volto di Gesù Bambino è nobile, per quanto questa caratteristica possa accordarsi con la sua natura di bimbo: anzi, lascia presagire ben più di uno spirito comune e si manifesta come l’involucro di una creatura proveniente da più alte regioni del cielo. / Ma cos’è che ci annuncia in maniera ancor più distinta il fatto che stiamo scorgendo un bimbo divino, se non quel suo paio di fulgidi occhi che brillano come astri gemelli e che al delicato fanciullo rivolgono uno stupefatto sguardo di adorazione? … Ebbene, riduca a brandelli le mie parole chi abbia l’occasione di contemplare l’immagine divina, e si sciolga nell’estasi chi è in grado di osservarla. Strozzi: Cristo e i discepoli di Emmaus.452 Entrambi i discepoli allargano tutte e 5 le dita per la meraviglia: un’uniformità un po’ sgradevole. Uno dei due mostra in volto la più vigorosa espressione di fisso stupore. Cristo è rappresentato in maniera troppo ordinaria. La distribuzione della luce sulla tela è condotta a regola d’arte (la scena è illuminata). La luce non è circoscritta, come avviene in Rembrandt. – Guido Reni: Cimone, allattato in carcere dalla figlia Pero.453 – [Paolo] Veronese: Il trionfo degli angeli:454 opera carica di accesa fantasia; rappresenta un carro in volo, con 2 cavalli bianchi; tutt’intorno al carro degli angeli precipitano tra le nuvole. – Balestra.455 – Belluci.456 / Pittori olandesi. [Paul] Rubens: Dio Padre (con un volto non sufficientemente nobile), avvolto in un mantello giallo, sorregge il corpo morto di Cristo; in alto si osserva la colomba come Spirito Santo.457 – Willebrand van der Geest, detto “il nobile frisone”: un quadro di vita familiare olandese; ritrae donne anziane e bambini, abbigliati di vestiti neri con grandi colletti bianchi di pizzo; la composizione è precisa e i volti sono pieni di naturale spontaneità.458 - Opere che ritraggono oggetti inanimati, in particolare nature morte di frutta ecc., di de Heem.459 Si nota la capacità di creare un’eccelsa illusione ottica. – Lingelbach: 3 paesaggi.460 Opere di parecchi maestri ignoti. La scalinata all’interno del castello è magnifica. La facciata del castello perde in attrattiva, poiché non ha un portale, bensì solo 3 porte a cancello, tonde in alto e fatte di ferro, … e l’aggetto sporge eccessivamente in avanti, è troppo sottile e alto ed è arrotondato ai 2 angoli.

Reiseberichte Tiecks zu den gemeinsamen Reisen

Resoconti di Tieck sui viaggi compiuti assieme

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1. 2 maggio 1793. Viaggio dal 3 aprile a fine aprile 1793 da Berlino a Erlangen. Lettera a Sophie Tieck Carissima sorella, La prima cosa che intendo fare qui a Erlangen dovrà pur essere anche quella di scriverti! Dunque sarai già al corrente del fatto che sono arrivato qui; volevo però aggiungere che sono arrivato anche in buone condizioni e sano e salvo. Penso che sarò già soddisfatto se saprò che godi di buona salute come me. – Ebbene, devo dunque certo raccontarti qualcosa del mio grande viaggio che, almeno fino ad ora, è il più importante che abbia intrapreso. Partimmo da Berlino dopo le nove del mattino di mercoledì, passando in carrozza davanti alla nostra via e mi dispiacque molto di non poterti vedere ancora una volta. Mi allontanai uscendo nuovamente dalla Porta di Lipsia, a partire dalla quale ho del resto intrapreso un gran numero dei miei viaggi; anzi, quasi tutti. La strada maestra fino a Potsdam è, nell’insieme, davvero in buone condizioni e la si può percorrere rapidamente, procedendo proprio senza indugi; all’1 eravamo già là. Da lì sino a Belitz e a Treuenbrietzen si percorre poi una pessima strada sabbiosa; giunsi nella seconda città soltanto quando era oramai notte, già abbastanza intirizzito dal freddo. Giovedì, alle 10 del mattino, eravamo a Wittemberg, dove il territorio inizia già a diventare molto più interessante. – Per la festa di San Michele a Jessen / (dove mi hanno conosciuto grazie a Piesker)1 ho dovuto promettere di fare nuovamente visita alle persone che vi abitano (in particolare a una ragazza giovane e carina). Riuscii dunque a convincere Wakkenrod[er] a restare fino a lunedì a Wittemberg, mentre io mi recavo a Jessen. – Mi sistemai un po’, cambiandomi d’abito, e mi misi in cammino. Jessen si trova a 3 miglia da Wittemberg; il tragitto per arrivarci è molto piacevole. Solo che quel giorno tirava un gran vento; W[ackenroder] mi accompagnò per quasi un miglio. – Passando per Elster, un villaggio collocato in una posizione molto gradevole, arrivai a Jessen di sera, alle 9. Mangiai poco e non trovai a casa i figli e la figlia, poiché pressappoco a partire da quel giorno si svolgeva una sorta di festa di ballo che ha luogo solo una volta all’anno. Più tardi vi andai anch’io, ballando allegramente fino alle 3 del mattino; poi dormii un paio di ore e, dopo il viaggio notturno con la diligenza postale, quello a piedi e dopo il ballo, ero vispo come prima. A Jessen mi sono divertito molto; più precisamente, ho voluto esibirmi di nuovo, da quelle parti, sciorinando moltissimi proverbi. Il rettore presente in quel luogo, un uomo abbastanza anziano, suona in maniera incantevole. Ripartii domenica mattina e Wakken[roder] / mi venne in-

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contro all’altezza di Elster. Questi, nel frattempo, aveva fatto la conoscenza a Wittemberg di un sagrestano, che possedeva una carrozza e un cavallo e li noleggiava per dei viaggi; ci accordammo con lui su ogni dettaglio. Indossai nuovamente i miei vestiti da viaggio e, così organizzati, partimmo già domenica sera da Wittemberg, invece di metterci in viaggio lunedì di buon ora con la diligenza postale. La carrozza era molleggiata e risultava molto comoda; il tetto si poteva aprire o chiudere completamente. Il nostro vetturino era un vecchio tizio estremamente stravagante. Per la notte prendemmo alloggio a Düben,2 dove, molto stanco, caddi in un sonno profondo o russai. Di notte faceva abbastanza freddo e in modo particolare prima di arrivare a Lipsia, l’indomani mattina, patimmo molto il gelo. Prendemmo alloggio a Lipsia e ci riposammo nuovamente; andai a trovare il libraio ed editore Barth; del racconto su Adalberto ed Emma non era ancora stato stampato altro che il titolo; mi feci mostrare questo e i primi fogli a stampa della raccolta.3 – Avevamo preso a noleggio la carrozza sino a Jena o, per essere più precisi, fino a Drakendorf, nei pressi di Jena, in cui Schuderof,4 un amico di Wakk[enroder], era predicatore. La zona in quel periodo era davvero già incantevole; i monti si succedevano alle valli, e di tanto in tanto si potevano già intravvedere anche delle rocce. A mezzogiorno arrivammo a Weissenfels, dopo aver visto Merseburg e parecchie città collocate alla nostra destra. A partire da qui il territorio si fa splendido, il fiume Saale si snoda in centinaia di meandri, scorrendo per verdi prati coperti dai boschi; le acque di una moltitudine di mulini scrosciano correndo verso la pianura e mugghiano in cascate spumose; sull’altro lato della sponda del fiume si vedono vigneti collocati in alto con un gran numero di graziose casette di vignaioli; sulla sinistra, addossati temerariamente l’uno sull’altro e minacciosamente incombenti sulla città, si vedono massi rocciosi protendersi anche al di sopra delle strade; se si procede per la città, si nota anche un castello di grandi dimensioni,5 che domina maestoso su tutto il territorio circostante. – Superando Weissenfels, il territorio si fa sempre più romantico; è quasi bello come alcune zone dello Harz che ho visto, nelle quali si viaggia continuamente tra vigne e grossi blocchi di rocce, procedendo a brevissima distanza da profondi dirupi. La Saale ci accompagnava costantemente, mentre in lontananza si stagliavano delle rovine; fu un pomeriggio divino. Avrei desiderato che con me ci fossi tu, o un amico di Berlino, in particolar modo Bernhardi,6 al quale ho pensato davvero piuttosto spesso nel corso del viaggio. – Il nostro vetturino si lamentava, stupito, della grande quantità di “massi roccosi”,7 come li chiamava. – Prima di giungere a Naumburg si passa davanti / a un castello cavalleresco diroccato;8 è collocato in una posizione sublime, circondato com’è solo da massi di roccia; la zona qui attorno diventa sempre più selvaggia: pensavo continuamente a Götz von Berlichingen e a Goethe; costui [Götz, N.d.T.] è infatti andato a scuola a Pforta, non lontano da Naumburg, e certamente si è aggirato qua e là molto spesso nei magnifici territori qui intorno.9 Di sera giungemmo a Naumburg e, dal momento che non era possibile proseguire il viaggio di notte passando sui sentieri

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rocciosi a meno di rischiare la vita (poiché il nostro vetturino non conosceva questa zona), decidemmo di passare la notte a Naumburg. La città è ben costruita e noi alloggiammo in un albergo davvero delizioso. Quando, il giorno dopo, stavamo per partire, vidi il valoroso generale francese Neuwinger10 salire nella sua carrozza; veniva portato a Magdeburgo, ferito in maniera grave. – Mi si strinse il cuore nel vedere quell’eroe accompagnato da un sottotenente prussiano dall’aspetto davvero ordinario; avrei proprio desiderato parlargli. Avvertivo nelle mie vene l’amicizia di sangue, grazie alla quale mi sentivo affine a lui; fino ad oggi non sono riuscito a dimenticare il suo viso; presto sarà un onore trovarsi prigioniero nella fortezza di Magdeburgo, e una vergogna – comunque, non mi va di parlarne ancora – basta! Avevo completamente dimenticato Goethe e Götz / von Berlichingen; ero prigioniero come un Tifone11 sotto il peso della mia indegna madrepatria; il territorio intorno a me non mi appariva più bello, perché non vedevo davanti a me altro che i suoi meschini abitanti. Mi infuriavo, dunque, con me stesso pensando di dover assistere all’esaltazione di quei miserabili che adesso, dopo le batoste dei francesi,12 si ritengono tanto sapienti e superiori da prendere la parola contro coloro i quali parlano la loro stessa lingua, calpestando con disprezzo le loro stesse genti; pensando, appunto, a quelli di cui si può in verità dire, con Cristo, che “non sanno ciò che fanno”. – A Dornburg,13 un villaggio, ci fermammo di nuovo, mangiammo e bevemmo. La zona qui attorno è di nuovo meravigliosa; il borgo è collocato in basso, è circondato tutt’intorno da monti e boschi, e di fronte, sul monte più alto, c’è una vecchia fortezza. Salimmo con qualche difficoltà: in cima si trovano diversi castelli e cinte murarie; la zona, in alto, è di una bellezza indescrivibile. Un po’ alla volta mi ritornarono alla mente piacevoli sensazioni; m’immaginai l’avvento di un futuro propizio per il mondo intero, per quanto non lo avrei vissuto di persona. L’incoercibile / necessità alla fine trae a sé la somma felicità; anche in questi territori regneranno finalmente le idee di libertà e uguaglianza; le catene dei despoti debbono infine spezzarsi, proprio perché con queste tengono legata troppo stretta l’umanità. – Giungemmo poi a Jena. La zona qui è bella, ma i monti attorno sono un po’ spogli; la città, in sé, è molto brutta e ci limitammo ad attraversarla. – Drakendorf si trova a ¾ di miglia di distanza da Jena; qui il territorio è magnifico; a grande distanza, tutt’intorno, si vedono monti con castelli; nelle immediate vicinanze della cittadina di Lobeda, su una cima, si scorgono delle rovine. Drakendorf stessa gode di una piacevole posizione, tra monti e pianure. – Il pastore luterano14 e sua moglie sono delle gran belle persone; lui studia la filosofia kantiana con grande impegno e, nei limiti delle mie conoscenze, ho discusso con lui alcuni argomenti. – Sin da subito l’ho inquadrato tra i democratici (sebbene egli vi si riconoscesse già quasi dalla prima ora). Più tardi abbiamo intonato assieme infinite volte il canto “Ça ira[!]”.15 – Nei territori di

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Weimar, di Gotha, in tutte le province non prussiane e non austriache le persone sono generalmente molto più orientate verso posizioni democratiche / rispetto alla Prussia; qui, tuttavia, il contadino è benestante; il borghese è ricco e il principe, per lo più, è un essere umano e una persona razionale; il terreno è fertile; il principe e il suddito sono piuttosto vicini l’uno all’altro; i ceti sociali sono abbastanza omogenei. In poche parole, quasi ogni cosa è diversa dalla Prussia. – Siamo rimasti 14 giorni a Drakendorf (ti ho scritto anche da lì);16 andavamo molto spesso a passeggiare; la zona qui attorno, dopo quella che circonda Naumburg, è la più bella nella quale mi sia imbattuto nel corso dell’intero viaggio sino a Erlangen. Mi sono più volte divertito sulla fortezza di Lobedaburg17 (così si chiamano le rovine nei pressi di Lobeda); tutto è così indescrivibilmente bello; lo stesso vale per la “Wilmse”,18 il punto panoramico più elevato in quella zona: si giunge con lo sguardo sino dentro ai territori della Turingia. Osservata dalla “Wilmse”, ebbi l’impressione che quella zona fosse pari in bellezza a una qualsiasi altra dello Harz, ma più placida. – Proseguimmo a piedi da Drakendorf a Jena, per far visita a diverse persone. Reinhold19 (tu sei abbastanza impreparata, credo, da non conoscerlo; è il massimo esperto di Kant; un uomo che ammiro quasi quanto Schiller) fu il primo che andammo a trovare. È un uomo squisito, privo di arroganza; entrammo presto in stretta confidenza e diventammo buoni amici; un giorno mi piacerebbe certo studiare a Jena, per / ascoltarne le lezioni. Restammo abbastanza a lungo da lui; parlò con molta schiettezza di Berlino e della Prussia; è un magnifico democratico! Schütz20 non era a casa, ahimè, e – cosa che mi dispiacque moltissimo – neppure Schiller … dovrò pur conoscerlo un giorno! Facemmo poi visita anche a un diplomatico di nome Mereau.21 Questi ha sposato solo pochi giorni orsono una donna22 molto piacevole, che sosteneva d’altronde delle idee estremamente illuminate e da libera pensatrice, soprattutto per quanto concerne la sua condizione di donna. Più tardi costei fece visita al pastore luterano a Drakendorf. – Da Dr[ackendorf] proseguimmo a piedi verso una piccola città situata a 3 ore di distanza, Kahla, nella quale, assieme al pastore, andammo a trovare i suoi genitori; erano davvero brave persone e mangiammo e bevemmo proprio bene; nel frattempo - visitammo la zona e la città; un arcidiacono fu particolarmente cortese nei nostri confronti e ci fece fare un bel giro, mostrandoci tutte le attrazioni. – Il giorno seguente facemmo ritorno a Dr[ac]k[endorf] e W[ac]k[en­roder] si sentì un po’ indisposto. – Rossel è un borgo, sede di distretto amministrativo,23 situato, passando per Jena, a 6 ore da Dr[ac]k[endorf] (l’espressione non suona forse come se fosse ripresa dalla Geographie di Hager?);24 lì avevamo intenzione di recarci dopo aver girovagato per un paio di giorni, poiché la sorella del pastore è là sposata con il commissario distrettuale /. Uscimmo di casa di mattina, mettendoci in cammino a piedi; il tempo era abbastanza grigio, speravamo però che potesse volgere al bello. Già prima di raggiungere Jena, iniziò a nevicare un po’, si trattava comunque solo di una spruzzatina di neve e, nonostante il tempo avverso, pensavamo solo a divertirci. Passeggiammo per la città, salendo su per lo Steiger (un monte abbastanza alto); intanto il tempo si faceva sempre più scuro, la neve cadeva sempre più fitta, la strada diventava sempre

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più sporca. Persi la suola di una scarpa; eravamo tutti bianchi di neve e in condizioni davvero penose. Arrivammo così a Krippendorf e facemmo una sosta; non sapevamo proprio come trarci d’impaccio da quella situazione: continuare camminando era impossibile e d’altro canto non vi era comunque modo di procurarsi una carrozza per proseguire il viaggio. Alla fine riuscimmo, tuttavia, a procurarci un carro a 2 ruote, molto diffuso da quelle parti, e un vecchio cavallo; in questa maniera, seduti sulla paglia, ci mettemmo in viaggio procedendo come in un corteo assolutamente strampalato. Ciononostante eravamo molto tristi, anche se alcune persone ridevano di noi; più di uno mi avrà certo considerato, per via della mia giubba rossa, un prigioniero francese; infatti sentii spesso fare allusioni del genere, dal momento che per giunta stavo seduto molto in basso e scomodo, come se fossi incatenato. Avanzando in corteo così sistemati, passammo anche per una città, (Apollostadt),25 / nella quale ci presero in giro non poco; a dispetto di ciò, le nostre spiegazioni ci aiutarono a cavarcela, seppur con qualche difficoltà. Infine giungemmo a Rossel, che si trova in una piacevole posizione, sebbene in pianura. Marito e moglie erano persone deliziose, tutti e due ancora abbastanza giovani e con loro entrai proprio subito in confidenza. – In quelle zone domina in genere, dappertutto, un modo di parlare e comportarsi molto amichevole e disinvolto, che non ho ancora trovato da nessun’altra parte; a Kahla, Jena e Rossel pare sia molto alla moda fare battute con la gente già dopo mezz’ora che ci si conosce. – Mi divertii molto a Rossel, sebbene il tempo fosse e rimanesse così brutto che non desideravo affatto uscire di casa. Il c[ommissario] distrettuale era una persona molto assennata; conversammo subito di argomenti di natura politica, così come adesso ovviamente avviene ovunque e come io faccio anche con piacere, se mi accorgo di avere a che fare con persone dotate di una certa ragionevolezza; anche qui, tuttavia (per quanto mi sia già imbattuto in diverse persone piuttosto assennate), non si poteva concepire alcuna idea di uguaglianza, e per quanto a grandi linee si parteggiasse per i francesi, la maggior parte delle persone si dimostrano molto affezionate ad aspetti secondari e a circostanze fortuite; confondono in ogni momento, / con la massima incoerenza possibile, l’accidentale con l’essenziale. – Mi giunsero in questa località le notizie sulla meschinità di Dumourier;26 non mi ero dunque sbagliato nel mostrarmi diffidente sul suo conto. Quel superbo dovrà dunque ora portare nel proprio cuore lo stesso disprezzo che lo anima; il suo piano fallito deve certo renderlo quasi pazzo. Mi stupisce il fatto che non gli si assegni un titolo nobiliare, o che non gli si conferisca una decorazione. Se lo sarebbe assolutamente meritato! Per la Francia mi dispiace solamente che essa abbia ancora tali figli. Adesso anche Custine mi è divenuto sospetto;27 ora ripongo grande fiducia nel prode Dampierre;28 ha già più volte dato prova del suo eroismo. – Di sera mi fecero visita le belle dame di Rossel, annoiandomi però molto. – Il giorno dopo, del tutto inaspettatamente, trovai qui la prima edizione dei Masnadieri,29 che per tanto tempo ho inutilmente cercato dappertutto; non sono però riuscito a leggerla sino alla fine, perché mi hanno continuamente disturbato. – La sera successiva le dame si riunirono di nuovo; la mia scarpa adesso

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era stata risistemata; nel nostro piccolo, organizzammo una festa di ballo; il comm[issario] distrettuale suonò per noi delle melodie da ballo al suo pianoforte a coda in una sala abbastanza ampia. – Si decise di partire il mattino seguente. / Il tempo era di nuovo brutto e piovoso; una confessione e una predica costrinsero però Schuderof a fare marcia indietro; inviammo allora un messaggero a Jena, per mandarci da là una carrozza con la quale fare il viaggio a ritroso (per lasciarci tornare indietro, in realtà); a metà mattina capitò anche un pastore protestante che abitava lì vicino, molto divertente, con il quale ebbero nuovamente inizio discorsi di contenuto politico. – La carrozza arrivò nel pomeriggio, trasportando al suo interno, con nostro grande stupore … Mad[ame] Mereau, la quale fece visita al comm[issario] distrettuale e fece poi ritorno con noi a Jena. – Si rallegrò molto di conoscere le mie posizioni di democratico; se fossi restato più a lungo a Jena, grazie alla sua ospitalità, sarei divenuto ancora più intimo. – Bevemmo del tè da lei e ritornammo poi a Dr[ac]k[endorf] – Il predicatore aveva promesso di unirsi a noi nel viaggio per Gotha, perché lì ha diversi parenti e conoscenti; facemmo dunque venire la diligenza postale, portammo le nostre cose in città e ci mettemmo in cammino a piedi alle 3 del mattino (di non so quale giorno)30 in direzione di Jena. Fu un’esperienza assolutamente incredibile osservare le montagne tremolare incerte nell’ancor grigio albeggiare del mattino; il cielo, che si schiudeva poco a poco come un occhio al risveglio; il territorio, i cui tratti si facevano sempre più netti e certi, come un oscuro presagio che si trasformi in un sentimento. – Passammo / per Weimar; eccetto lo Schnekkenberg, il territorio sino a Weimar è completamente piatto e monotono. Ci recammo in visita da un parente del predicatore, a casa del quale mangiammo della torta e bevemmo del buonissimo caffè e del vino; percorremmo in gran fretta lo «Stern» («stella») (così si chiama il bel giardino lì situato)31 e poi proseguimmo ancora oltre. Oh, che peccato che non sia riuscito a vedere Goethe e Herder!32 – Goethe che, per così dire, sin dalla mia nascita è stato il mio compagno di giochi; lui, i cui Götz e Werther abbiamo molto spesso letto assieme; lui, di cui leggevo le opere quando non ero ancora in grado di riuscire a capirle e nelle quali scopro ogni volta qualcosa di nuovo; lui che, in certo qual modo, solamente per il mio tramite è divenuto più acuto e ragionevole – ripartii uscendo dalla porta cittadina con una sensazione di dolore nel petto. – La nostra tappa successiva fu Erfurt. – Una città che già dalla mia infanzia sembrava sottrarsi alla mia visita e al mio sguardo, poiché da sempre nel suo nome risuonava qualche cosa di distante, oscuro, singolare. – Ebbi una strana sensazione quando mi si presentò dinnanzi con tutte le sue torri; mi era gradita anche solo per via del miserevole Venceslao di Erfurt33 (del quale certamente ti ricordi). – Giungemmo di pomeriggio e avevamo in programma di ripartire verso sera. / Io e W[ac]k[enroder] facemmo un giro per la città. – Andammo a fare una passeggiata sui bastioni; erano ben vivi in me gli stati d’animo di Reiser,34 che questi descrive in maniera così appro-

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priata nella IV parte del testo; la città è molto grande e solo scarsamente popolata; la maggior parte della popolazione è di fede cattolica. Visitammo anche il convento dei certosini situato davanti alla porta cittadina, convento del quale Reiser riferisce così spesso. Qui vidi (a meno che non mi sbagli), per la prima volta in vita mia, dei monaci. La piccola chiesa fa un’impressione molto bella; peccato che non ci fosse la messa in quel momento. – I conventi non debbono essere demoliti per nessuna ragione; qui l’essere umano che ripudia il mondo, o che da esso è respinto, trova pur tuttavia un sicuro e santo rifugio. Per quanto il misantropo sia anche un miserabile, un essere umano in parte spregevole (cosa della quale sono ora fermamente convinto), si può tuttavia immaginare che condizioni di vita e stati d’animo particolari possano essere vincolati a organismi corporativi, al cui interno è probabilmente necessario un più tenace eroismo, in maniera tale da restare fedeli all’amore per il prossimo e da non rifugiarsi nella misantropia e nel disprezzo di sé. – Ci recammo poi in un’altra chiesa cattol[ica], nella quale si era appena concluso il “servizio divino” (una parola orribile!); destava in me delle strane sensazioni osservare una moltitudine di poveretti che, per abitudine o per ostinato convincimento (mi mancano le parole; anche l’espressione cieco istinto sarebbe in questo caso veramente eccessiva), muovono meccanicamente il loro corpo e i loro arti in vuoti cerimoniali, come se venissero tirati per il filo alla maniera di marionette; e tuttavia, mi sembra d’altra parte così difficile individuare con assoluta precisione il confine tra il cerimoniale insignificante e quello significativo; la religione cattolica presenta davvero così tanti aspetti belli e capaci di elevare l’animo. Potrebbe pur sempre avere un notevole effetto anche sugli spiriti dotti. Ora, però, essa (come d’altronde fa l’intera nostra religione cristiana) soffoca ogni forza spirituale, ogni anelito di sublime elevazione, rende avvezzi alla schiavitù ed è la detestabile serva del dispotismo delle nostre forme di governo; essa ha contribuito al decadimento dell’umanità, invece di elevarla e nobilitarla, come avrebbe dovuto, per mezzo del grande ideale della pura morale di Cristo.35 – Fummo costretti ad attendere la diligenza postale dalle 2 di pomeriggio a mezzanotte. Ma prima salimmo ancora in città su per il Petersberg, altura sulla quale si trova anche una bella chiesa;36 da lassù si abbraccia con lo sguardo la città intera e si scende per numerosi scalini in pietra arrivando alle strade; la chiesa deve certamente essere molto vecchia; ci perdemmo proprio passeggiando qua e là nei chiostri in rovina. / – Nella notte viaggiammo da lì a Gotha (partendo da Jena, la strada che passa per Gotha decisamente non è la più breve per raggiungere Erlangen); il mattino seguente arrivammo a Gotha. La città gode di una bella posizione, in particolare il castello;37 l’atmosfera è quanto mai vivace; vi è presente un grandissimo numero di società; quella più in vista è la Mohrengesellschaft,38 nella quale venimmo anche introdotti, ma in cui ci annoiammo un po’. Al secondo giorno, all’ora di pranzo, mi feci persuadere a mangiarvi alla table d’hôte, ma era una decisione che avrei pagato a caro prezzo. Un tenente debosciato disse cose che a malapena avrei ritenuto potessero esser pronunciate da labbra mortali; era un aristocratico talmente volgare che a stento riuscivo ad

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adirarmi; non lo contraddissi quasi per niente, e mi limitai solo a sorridere in continuazione, come se dicesse tutto ciò solamente per scherzo; feci visita ad André e al suo istituto femminile,39 a Doering (un filologo),40 a Loeffler (un teologo molto intelligente).41 Non avevo desiderio di vedere Becker;42 il suo Noth- und Hülfsbüchlein (Libriccino di sostegno in caso di necessità) e la sua Deutsche Zeitung (Giornale tedesco) mi hanno spinto a un’enorme repulsione nei suoi confronti, non minore di quella che nutro per l’istituto pedagogico e filantropico di Schnepfenthal del rozzo Salzmann.43 – Poi / mi recai presso un’altra società, nella quale persino il tempo che vi trascorsi non passava mai, sebbene le persone qui si dimostrassero molto garbate nei confronti dei forestieri. – Andai a trovare anche Schlichtegroll,44 il quale mi mostrò la sua biblioteca; è piccola, ma annovera una gran quantità di preziose rarità, che a null’altro servono se non a essere esibite ai forestieri; la collezione di arte antica (si tratta semplicemente di calchi di opere dell’antichità) è assolutamente mediocre. – Il terzo giorno desinai dal «maitre des plaisirs» (“maestro di cerimonie”) di qui, Mereau45 (Padre del Mereau professore a Jena); fu un incontro molto piacevole; è un uomo molto perspicace, con il quale mi fu dunque finalmente possibile discutere di nuovo, in maniera ragionevole, dei francesi, oltre che ascoltare discorsi in merito dello stesso tenore; rispetto ai tedeschi, i francesi, nella maggior parte dei casi, sono proprio delle persone affascinanti, vivaci, capaci di cogliere prontamente ogni cosa e di comprenderla; se verrò di nuovo a Gotha, passerò prima di tutto a trovare quest’uomo. Qui ritrovai anche, dopo lungo tempo, alcuni numeri del Moniteur,46 che mi rallegrarono come il rivedere una vecchia piacevole conoscenza. – Da lì ripartimmo per Smalcalda. – Prima di giungervi attraversammo un piccolo tratto della Selva di Turingia, nella quale è ancora un po’ rischioso addentrarsi. – Il territorio era estremamente bello e / insolito, tutto monti, boschi e pianure, piante dai colori scuri, incolte e abbandonate, confusamente attorcigliate l’una con l’altra, così come mi sono sempre immaginato la Turingia; già qui s’inizia a parlare una lingua sgradevole, che non riesco proprio a comprendere e che, d’altro canto, non permette neppure alla gente di capirmi. – Ce ne andammo poi da lì, viaggiando in direzione di Coburg; la fortezza gode di una bella posizione. – A Bamberga rivissi delle sensazioni che avevo provato da bambino, leggendo le scene del Götz von Berlichingen che sono ambientate in quella località. – Da là proseguimmo per Erlangen. Il tempo è stato pessimo; non ho ancora potuto vedere le località qui attorno. A Gotha mi recai inoltre anche nel circolo più elegante che vi sia, nella cosiddetta Theegesellschaft (compagnia del tè) – Qui vidi lo scialbo bibliotecario Reichardt;47 è assolutamente come me lo ero immaginato: ordinario, affettato, tutto disinvolta leggerezza alla francese e banale natura priva di carattere; parlai anche a Gotter48 e a un gran numero di dame assai garbate e carine. A Erlangen sono andato a trovare diverse persone: Harles, un anziano facondo;49 Ammon,50 molto sagace; Mehmel, persona dai modi affettati;51 Beier,52 un tipo contorto; Hänlein, ottimo;53 Marc, molto perspicace;54 Meusel, molto cortese55 – e molti altri.

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Ebbene, eccoti dunque una lettera piuttosto lunga / e verbosa. Io e Wa[c]k[enroder] stiamo bene. Porgiamo entrambi i nostri saluti a te e ai miei cari genitori. – Se dovessi vedere il mio caro Bernhardi, salutamelo affettuosamente; invia i miei saluti, per il suo tramite, anche a Seidel56 e a Rambach.57 Il diario del mio viaggio è altrettanto particolareggiato e irrilevante quanto quello dell’armata prussiana a Magonza,58 con la sola differenza che non l’ho infarcito di bugie e che esso t’interesserà pure un po’ di più. Saluta da parte mia anche Peter e l’artista.59 Ah, sì, pure quelli di Golzow, se gli scrivi – o se ci vai. Tuo fratello, Tieck.

2 maggio [17]93.

P. S. Non dimenticare di salutarmi Bernhardi … oppure … consegnagli, se vuoi, l’intera lettera; per quanto essa sia insignificante, la sua amicizia nei miei confronti potrà forse ravvisarvi elementi di un certo interesse. – Stai bene; scrivimi!

2. [Fine luglio/inizio agosto 1793]. Viaggio del 17-28 maggio 1793. Lettera ad August Ferdinand Bernhardi e Sophie Tieck. Erlangen, 1793.60 Carissimo amico! È da tanto che mi riprometto di raccontarvi qualcosa del mio viaggio nella zona del Fichtelgebirge. Perciò voglio prontamente mantenere la tacita promessa fatta a voi nella miglior maniera a me possibile, dal momento che già ora mi accorgo di essermi assolutamente dimenticato di molti dettagli, che fino a cinque settimane fa erano ancora ben vivi nella mia memoria. Che cosa miserevole sono in genere la memoria e l’immaginazione dell’essere umano. Egli viaggia in lungo e in largo per il mondo; tutti i suoi sensi sono, per così dire, tesi a fare un solo boccone dell’universo delle bellezze ma, non appena ne abbia tratto godimento, è già assetato di un nuovo piacere, perché quello precedente si è già dileguato per sempre. – Inizio allora davvero a raccontare procedendo con ordine, partendo da una proposizione generale, come si faceva con le antiche crie.61 – Prima di fare questo, tuttavia, ho ancora un favore da chiedervi: se non avete nulla in contrario, mostrate pure questa lettera a mia sorella; è da molto tempo che non le scrivo e so che la rallegra ogni cosa provenga da me.

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Se vi capita tra le mani una carta della Franconia, o ancora meglio di Bayreuth, troverete il nostro girovagare molto divertente. Il venerdì prima di Pentecoste montammo a cavallo alle 5 del mattino, in presenza di un bellissimo cielo chiaro e di una piacevole arietta. Avevamo con noi della biancheria e dei vestiti sistemati in un porta-mantello che, così come c’eravamo accordati, ognuno a turno avrebbe dovuto assicurare dietro di sé, sul cavallo, mediante delle fibbie; io fui il primo. Erlangen si trova in una bellissima pianura; si ha un’ampia vista su verdi prati e campi; il sole era appena sorto e conferiva al paesaggio un fascino ancora maggiore. Ci dirigemmo a cavallo verso la parte nord della città, uscendo per il “Bayreuther Thor” (la porta di Bayreuth). Non appena si oltrepassa il ponte di Erlangen, ci si trova davanti lo “Altstädter Berg” (il “monte della città vecchia”),62 che offre una vista assai piacevole. Situate sotto degli alberi, lungo la strada che conduce su verso il monte, si trovano parecchie casette; tra queste vi è anche la sede della società di tiro a segno della città vecchia (Schützenhaus) (Erlangen si divide in città nuova e città vecchia); per questa ragione, di domenica, qui a volte è pieno di gente; perfino osservando dalla città si riesce a vedere il monte verde, con begli alberi increspati che lo ricoprono. Fino a Bayersdorf si cavalca sempre accanto a prati deliziosi; nei pressi di Bayersdorf (una cittadina situata a 1 ora e ½ da Erlangen) si osserva molto distintamente la piccola fortezza di Forchheim, davanti alla quale passai nel corso del viaggio che mi condusse in questo territorio. Vicino a Bayersdorf si trova un castello vecchio e devastato,63 che gli abitanti di Forchheim avevano abbattuto a colpi di cannone durante la Guerra dei Trent’Anni. – Nel corso del viaggio avevo già dovuto patire parecchio a causa del mio porta-mantello che traballava qua e là; mi feci perciò tagliare qui delle nuove cinghie da un sellaio, in maniera da poterlo fissare più saldamente. – Durante il tempo necessario a questo lavoro entrò a piedi nella bottega un certo precettore Meyer,64 il quale il giorno prima aveva fatto un gran parlare di un suo viaggio fatto a Bayreuth in un bel calesse. Molte persone ci avevano persino consigliato di approfittare di quell’occasione; ne eravamo però venuti a conoscenza troppo tardi e nel corso del tragitto a cavallo ci eravamo ripromessi di affidargli il nostro fastidioso porta-mantello sino a Bayreuth – e adesso lui stesso si presentava a piedi, senza che fosse giunto l’atteso calesse. Ci mettemmo a ridere tutti insieme sull’accaduto e cominciammo a conversare con lui; concordammo che lo avremmo aspettato a Streitberg, dove intendeva prendere a nolo un cavallo, per poter viaggiare a cavallo assieme a noi. Inoltre, dal momento che il tempo in quei giorni era davvero molto bello, decidemmo di passare prima per Sanspareil e solo a quel punto di proseguire da lì in direzione di Bayreuth, visto che invece in precedenza ci eravamo proposti di recarci a Bayreuth e, da lì, di fare solo una capatina a Sanspareil. – Proseguimmo dunque il nostro viaggio a cavallo; il territorio e il tempo si facevano sempre più belli; attraversammo parecchi villaggi che godevano di una posizione davvero incantevole; i monti diventavano man mano sempre più imponenti, le contrade sempre più romantiche. Nei pressi di Hirschberg, di fronte e collocata su un alto monte, si trova una piccola cappella davvero bella e isolata; riesco sempre a osservarla sul Rathsberg, nei

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pressi di Erlangen, grazie all’altezza di cui gode, e ogni volta me ne rallegro. Passammo poi per Ebermannstadt, una cittadina cattolica; qui si trovano dappertutto crocifissi e immagini di santi; se ne vedono in abbondanza persino lungo le strade maestre. La gente nella zona di Bayreuth e nell’intero territorio attorno è splendida, cosi come, in generale, tollero più facilmente i cattolici rispetto ai miei gelidi correligionari; hanno ancora molto più entusiasmo religioso; sono tutti molto amichevoli e cortesi; accompagnano per interi tratti il forestiero per mostrargli la strada; se si chiedono informazioni sul tragitto, si presentano subito 6 persone che vogliono rispondere; nella locanda spesso ti si fa incontro l’intera famiglia; in breve, sono per lo più premurosamente gentili e amichevoli, in una misura che non avrei mai creduto possibile, dal momento che si parla sempre così tanto della perfidia dei cattolici verso i luterani. A Ebermannstadt tutti furono molto gentili. In particolar modo le donne, che nel territorio cattolico sono quasi tutte bionde e hanno occhi azzurri e un certo fervido sguardo da Madonna. Gli uomini hanno pressoché tutti i capelli di un nero corvino e hanno l’aspetto di Pietro e Giuda nei lori dipinti; un carattere severo e saldo; le immagini e i quadri devono certo avere un notevole effetto sulla costituzione fisica della popolazione, in quanto le donne li osservano ogni giorno e, almeno di tanto in tanto, sono trascinate in uno stato di autentico entusiasmo.65 – Passata Ebermannstadt, si cavalca senza interruzioni percorrendo una vallata molto romantica, attraverso la quale scorre serpeggiando il fiume Wisent, formando un gran numero di meandri; su entrambi i versanti si ergono monti dall’altezza abbastanza ragguardevole; diritti di fronte a sé, allo stesso modo, si osservano dei monti. Fino a ora ho goduto poco di giornate così belle; è, questa, una zona che invita a perdersi in mille fantasticherie, avendo qualcosa di oscuramente malinconico e, tuttavia, anche di così estremamente benigno. – Oh, la natura è davvero inesauribile in quanto a bellezza! Solo qui risiede il vero godimento; un bel paesaggio nobilita l’essere umano; uno brutto, lo abbatte e lo rende timoroso; quello sublime lo dispone a stati d’animo sublimi – d’altronde, solo in una zona del genere potrebbero trovarsi repubblicani così mirabili e valenti! – Oh, Svizzera, Francia – se solo potessi spiccare il volo verso quelle genti, godendo assieme a loro della libertà e, con loro, per la libertà morire!66 - Per raggiungere Streitberg da Erlangen bisogna percorrere 4 miglia. Oh, amico mio, quanto è diverso questo tragitto rispetto a quello che conduce da Berlino a Potsdam; tragitto lungo il quale si sbadiglia, ci si appisola e si vedono solamente sabbia, piccoli pini e stemmi prussiani! – Prima di giungere a Streitberg si passa anche da Geiseldorf.67 – Poi arrivammo alla stessa Streitberg. Si trova in una valle che si sviluppa in mezzo a rocce, per la maggior parte coperte di vegetazione. 2 castelli si ergono l’uno dinnanzi all’altro; il primo, situato nel villaggio vero e proprio, è ancora quasi completamente intatto ed è adibito a magazzino;68 il secondo, collocato sulla montagna di fronte, è più grande, ma è formato quasi solo da ruderi.69 Voi siete a conoscenza della mia predilezione per il romantico Medioevo: simili ruderi sono per me, sempre, venerabili al massimo grado; il Medioevo

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presenta per la fantasia elementi di grandissima attrazione e l’intelletto lo trova più vigoroso e preferibile al nostro insulso secolo. – Ebbene, io e Wack[enroder] ci arrampicammo su per la parete rocciosa passando per il versante più impervio; per fretta eccessiva perdemmo la strada e dovemmo pertanto affrontare qualche disagio. Sulla rupe c’è, per così dire, un gran numero di sporgenze; singoli spuntoni di roccia si protendono minacciosi verso l’esterno; la rocca si chiama Neideck. Raggiungemmo la cima. È talmente vasta che fino a ora non ho ancora visto una sola fortezza come questa; in passato aveva delle doppie mura di cinta, diverse torri, grandi fossati – e si pensi che era stata persino eretta su un’alta rupe. Dalla sommità si godeva di una magnifica vista sull’intero territorio, in particolare in direzione di Muggendorf, dove ci sono le famose grotte. – In quella direzione sono stati scavati parecchi canali in mezzo ai prati e, osservandoli attraverso una finestra della rocca, il paesaggio pareva esattamente quello che si osserva abitualmente nelle cartine geografiche dell’Olanda; il tutto formava il più bel dipinto che ci si possa immaginare e da ogni singola finestra si contemplava un nuovo paesaggio. Camminammo molto, inerpicandoci qua e là tra i desolati ammassi di pietra e prendemmo poi la strada del ritorno marciando in direzione di Streitberg. – Là hanno delle trote eccellenti e, dopo la lunga escursione, le trovammo buonissime. – L’albergo si trova in una posizione incantevole e ben mi piacerebbe abitare per un po’ di tempo a Streitberg; si vede la rocca di fronte a sé; un piccolo ruscello scorre sotto le finestre; si sentono gli alberi stormire e il ticchettare delle pale dei mulini in lontananza. – Un certo Rebmann ha scritto un romanzo, Heinrich von Neideck (Enrico di Neideck),70 assolutamente pietoso. Nonostante ciò, se voi doveste venirne in possesso, vi prego di dargli una scorsa; vi compaiono alcune di queste località. Ripartimmo di pomeriggio; ci venne a prendere [Heinrich Christoph] Meyer. Non c’era tempo a disposizione per andare a vedere le grotte di Muggendorf e rinviammo questa visita a un’altra occasione. In paese bisogna salire a cavallo su per un monte abbastanza alto; monte che è anche abbastanza scosceso – in cima, però, si gode di una vista sublime; lo sguardo supera tutti i monti circostanti, spingendosi fino a una valle che corre sino a Erlangen; allo stesso modo, anche sul Rathsberg, nei pressi di Erlangen, riesco a vedere Streitberg in maniera assolutamente nitida. – Passata Streitberg, vidi per la prima volta un pellegrinaggio: un gran numero di persone procedevano a piedi lungo il loro percorso, camminando lentamente e cantando; poi ripresero a sorridere e si trasformarono in un’allegra compagnia di uomini, donne e ragazze; andavano in pellegrinaggio a rendere omaggio a un’immagine miracolosa di Maria, nel territorio di Culmbach. Un pellegrinaggio del genere non deve certo essere del tutto spiacevole! – Passammo poi per diverse belle località; un villaggio, di cui però mi sono dimenticato il nome, si trovava in una posizione particolarmente bella, in una pianura circondata tutt’intorno da siepi e alberi verdi. Io e il mio cavallo, un morello di grossa stazza e di grande coraggio, passammo con grande piacere sopra fossati e colline; la zona, comunque, era anche molto bella e il tempo era bellissimo. – Nei pressi di

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un paesino giungemmo ai piedi di un monte molto ripido, al quale un sentiero stretto conduceva molto più vicino rispetto alla strada carrozzabile; non volevamo però prenderci il rischio di percorrere a cavallo quel sentiero, fino a che, non curante delle esitazioni di Meyer e dei timori di Wack[enroder], mi gettai al galoppo in quella direzione; colti da vergogna, mi seguirono dunque anche gli altri signori e alla fine ne furono molto contenti. – Giungemmo poi a Holfeld, una cittadina bamberghese, che si trova in una posizione davvero molto bella; è costruita in modo un po’ bizzarro. Passammo poi per un paio di villaggi e per un bosco molto grazioso; qui prevale ovunque l’allegria e l’operosità; la terra è fertile, tutti i giardini sono cinti da belle siepi verdi; tutte le persone sono in salute e allegre. – O meglio, ciò vale per quanto è almeno dato osservare circa il carattere di un popolo, passando al galoppo dinnanzi ai luoghi abitati; infatti, è ben possibile che ugualmente ve ne fossero tante, di queste persone, o anche tantissime, ammalate e indispettite, che molte fossero pigre – ma in quella giornata ogni cosa appariva serena all’anima mia e la natura nel suo insieme è per l’essere umano, se il suo animo si trova in una disposizione poetica, semplicemente uno specchio nel quale egli non ritrova altro che se stesso. – Successivamente arrivammo a Wunses,71 un grazioso paesino situato in una vallata; è il luogo natio del celebre Taubmann,72 noto per la sua grandezza sia come erudito che come buffone di corte; un uomo che, nella sua epoca, si caratterizzava come un luminare assolutamente fuori dall’ordinario – era figlio di un calzolaio di questo villaggio e ancora oggi si mostra ai forestieri la casa nella quale è nato. Scendemmo da cavallo e la visitammo; è una casa piccola e poco appariscente e riuscii a immaginarmi vividamente i primi anni di vita e la gioventù di Taubmann in questa abitazione. – Rimontammo a cavallo e giungemmo quindi a Zwernitz, ossia a Sanspareil. Il territorio attorno non ha assolutamente nulla di bello, ma del parco che si trova lì voi avrete probabilmente già sentito parlare, perché è molto conosciuto. Si era già fatta sera; ordinammo dunque una cena e ci dirigemmo poi immediatamente verso il parco. Sanspareil dista 4 miglia da Erlangen. – Rappresenta un fenomeno veramente degno della massima attenzione il fatto che qui, in una selva, si trovi, completamente isolata, una grande quantità di enormi massi rocciosi, che formano in maniera naturale delle capanne e delle grotte; le rocce spuntano audaci e selvaggiamente agglomerate dalla terra e si trovano sotto degli alberi in un’area, nella quale altrimenti non vi è alcuna traccia di rocce; ho visto fino a ora poche cose in grado di fare una siffatta bizzarra impressione come in questo caso. – In seguito ho notato che l’intera zona qui attorno ha caratteristiche analoghe; rocce del genere si trovano fino a Streitberg (3 miglia); esse diventano tuttavia man mano sempre più piccole, per scomparire infine in mezzo ai consueti massi disseminati qua e là; in direzione di Bayreuth si osserva esattamente la stessa cosa; lo stesso riguarda anche il territorio di Culmbach. – Ci s’imbatté in questo spettacolo, qui nei pressi di Zwernitz, nel corso di una battuta di caccia73 e adesso quella selva è stata trasformata in un parco dall’atmosfera assolutamente fatata. I grossi massi di rocce

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nel bosco, l’impressione dell’enorme e del selvaggio che mediante ciò si produce nella fantasia, una sorta di galleria dalla straordinaria bellezza, – per mezzo di tutto questo il parco acquisisce tuttavia anche un aspetto assolutamente monotono e vi si percepisce una certa freddezza; non vi si trovano altro che boschi e massi rocciosi; per poter godere di una vista bisogna spingersi a notevole altezza, – e, a ogni modo, in ogni parco, senza eccezione, si smarrisce sempre quell’alto e sacro stato d’animo che la natura genera in noi; a Wörlitz ho provato molto spesso questa sensazione74 e qui mi è nuovamente successa la stessa cosa – lo stormire di un bosco, un ruscello che scorre tra le rocce, uno sperone roccioso che si protende sulla valle, quasi volesse balzare su di essa – tutto ciò ha il potere di traspormi in uno stato di ebbra vertigine, che quasi confina con la pazzia. A Sanspareil l’artificio è certo molto limitato, e ciononostante pensavo continuamente al fatto che mi trovavo in un parco; di ogni viale sapevo che mi avrebbe condotto a un altro masso roccioso; se avessi trovato per caso tutti questi elementi del parco in un bosco vero e proprio; oh, allora sì che essi mi avrebbero entusiasmato infinitamente di più! Andai dunque alla loro ricerca, ma in un parco la natura, per così dire, mi perseguita con tutti i suoi spazi - e se la natura è inoltre così appariscente, come in questo luogo, allora si avvicina assolutamente ai limiti del bizzarro – in questo caso, a dire il vero, non si manifesta in me alcun autentico godimento della bellezza. – A ogni modo c’era una parte del parco che mi affascinava totalmente: la grotta di Vulcano (tutti i nomi sono ripresi dal mito di Telemaco).75 Si trova in una spianata piccola e dalla forme regolari, circondata tutt’intorno da massi rocciosi. – Nel parco si trova anche, collocato all’aperto, un piccolo teatro, nel quale di solito si rappresentano delle opere teatrali; è stato eretto seguendo in pieno il gusto del parco; le quinte sono costituite da pietre, rese multicolori dalle molte pietruzze che le adornano; la platea è formata da un’unica grossa cavità rocciosa naturale, fatta a volta in una maniera che incute quasi terrore e sotto la quale si deve passare piegandosi. – Per trascorrere la notte al chiaro di luna non vi è forse luogo più bello di questo parco – illuminato dovrebbe essere assolutamente incantevole. – Quando uscimmo da quel luogo, gli ultimi vapori rossi del sole, che stava tramontando proprio allora, cingevano, come sospesi nell’etere, le boscaglie; con un guazzabuglio di stati d’animo alterati feci ritorno alla locanda. – Il cibo era pessimo; stanco, mi addormentai ancora più facilmente. Sabato. Secondo giorno. Che l’essere umano sia un essere mutevole è un detto antichissimo. – Fino ad alcuni anni orsono con quale difficoltà riuscivo appena ad attendere il giorno della partenza, quando si decideva di intraprendere un viaggio; quanto mi era difficile, per svariate notti, prendere sonno; con che trepidazione tendevo l’orecchio quando la carrozza sopraggiungeva rotolando sull’acciottolato; il mio cuore palpitava; mi sembrava che tutta la città dovesse invidiarmi, – ora, invece, sono così distaccato rispetto a quella che, una volta, era la mia più grande felicità. Attendo in tutta tranquillità l’ora della partenza; con assoluta apatia mi abbandono al tempo, osservando come mi vorrà portare da un luogo all’altro; nessuna località mi incanta ormai così tanto, come durante

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la mia fanciullezza; i più bei fiori della fantasia sono in me ormai da lungo tempo sfioriti. – Di mattina, con il castellano di Sanspareil, visitammo ancora una volta il parco; il tempo era un po’ scuro; ci portò a fare un giro anche per gli edifici circostanti, di scarso interesse. – In questi giorni viene pubblicata qui a Erlangen, per i tipi di Walther, una descrizione di Sanspareil con incisioni in rame;76 forse voi siete in grado di procurarvene una copia a Berlino. – Ci eravamo trattenuti un po’ troppo a lungo e quando facemmo ritorno alla locanda il nostro accompagnatore Meyer era già partito per Culmbach, la sua città natale. Decidemmo dunque anche noi di continuare il percorso a cavallo. Percorrere la zona attorno a Sanspareil è un’esperienza molto sgradevole; dà la forte impressione di qualcosa di desolato. Allendorf,77 un villaggio, è collocato in una posizione molto gradevole. Vi stavamo scendendo a cavallo, passando per un terreno davvero scosceso, quando il cavallo di Wackenroder perse un ferro e dovette esser nuovamente ferrato sul posto; un ruscello abbastanza largo, ma non profondo, scorreva lungo tutto il paesino, conferendogli un aspetto molto romantico. – Dopo questa località, la zona si fece di nuovo abbastanza monotona; procedemmo a cavallo superando diversi monti calcarei; ora godevamo di alcune vedute, ora no; avanzando in questa maniera giungemmo infine sulla strada maestra per Bayreuth. Nell’ultimo villaggio prima di Bayreuth vi è un parco che si chiama Fantaisie.78 – Questo villaggio si trova in una bellissima posizione, costruito ad anfiteatro su per una collina; in basso si apre come un’enorme voragine e, sull’altra sponda, si vedono di nuovo singole case. – Proprio in questa sorta di voragine è situato il parco; la veduta era magnifica. – Superato questo paesino si trova un vecchio tiglio, veramente notevole: il suo tronco, credo, misura oltre 20 tese di circonferenza. – Ancora un poco più avanti la strada maestra procede considerevolmente in discesa; il cavallo di Wack[enroder] era stanco e scese a precipizio; Wack[enroder], che non è proprio un provetto cavaliere e per il quale un evento come questo era insolito, iniziò a gridare a voce alta; non potei fare a meno di ridere ancor più rumorosamente. – Giungemmo quindi a Bayreuth; la strada è rivestita di un selciato composto da una sorta di pietra calcarea; cavalcavo a passo spedito e il mio cavallo rovinò a terra ancora più speditamente, dal momento che, a causa del frequente passaggio delle vetture e dei cavalli, diversi punti sono talmente lisci da sembrare levigati. – Prendemmo alloggio al «goldener Anker» («Áncora d’oro»); si serviva il cibo proprio in quel momento; mi sedetti dunque immediatamente a tavola. – La compagnia era formata tutta da ufficiali, attori – i quali erano impegnati in una rappresentazione proprio in quella località – e da un conte francese,79 che viveva in Germania da lungo tempo e che il primo giorno credetti, tra l’altro, fosse anche lui un attore. – Gli ufficiali erano le creature più meschine che ci si possa immaginare; il loro modo di intrattenersi era più o meno quello in cui ci s’imbatte con gli studenti di Halle, che sono tra l’altro degli amici per la pelle, quando sono sbronzi – bene, ora ve ne sarete fatta la migliore opinione! Questi ufficiali, dicevo, bestemmiavano, battevano i pugni sul tavolo, facevano battute sciocche; mostravano di non avere un briciolo d’ingegno o di estro e manifestavano la più ordinaria giovialità plebea, associata a un torpore dello spirito e a una pigrizia del corpo, che erano in

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tutto e per tutto ripugnanti – erano prussiani al massimo grado; infatti, degli ufficiali così volgari non li si trova di certo in mezzo a nessun altro esercito. Gli attori erano un po’ più piacevoli. Dopo aver pranzato, ci facemmo sistemare i capelli e ci vestimmo; poi visitammo la città. È un po’ più grande di Erlangen; quasi tutte le case sono molto ben costruite, o per lo meno tutte sono edificate in pietra; la città presenta un gran numero di deliziosi parchi, in particolare un doppio viale che conduce tutt’intorno a un lago. Anche il territorio attorno alla città è incantevole. – Mi informai poi dello stato dei nostri cavalli e lo stalliere, con l’espressione del viso più seria e sincera al mondo, mi assicurò che «i cavalli dovranno certo pur ricordarsi con piacere di Bayreuth!». – La sera andammo a teatro; proprio allora veniva rappresentato lo Hieronimus Knicker di Dittersdorf.80 L’afflato lirico della commedia è tale che in questa maniera si potrebbero mettere in fila, l’uno accanto all’altro, degli (si fa per dire) intrighi senza fine e si potrebbe continuare a rappresentare, allo stesso modo, un’opera teatrale ininterrottamente per un paio d’anni. La maggior parte degli attori recitò in modo decisamente modesto. – Nella stessa sera mi ritrovai in spiacevole compagnia degli ufficiali, con alcuni dei quali feci una più approfondita conoscenza; è, infatti, un mio principio quello di non evitare o di rifuggire alcuna compagnia, senza eccezione, a meno che non abbia di meglio da fare, o che non mi trovi in una disposizione d’animo particolarmente grave o lirica; se s’intende fare la conoscenza degli esseri umani, bisogna anche osservarli e ascoltarli. Anche dal più meschino c’è comunque sempre qualcosa da imparare, ed essere in grado di sopportarli fa parte davvero della più nobile e della sola autentica tolleranza. – Wackenroder ebbe molto da ridire al riguardo. Domenica. Terzo giorno. Di mattina Wackenroder andò a trovare il consigliere governativo Spieß; non si tratta del produttivo scrittore; quest’ultimo, al contrario, è drammaturgo a Praga.81 Wackenroder aveva portato con sé da Berlino delle lettere e gliele aveva inviate da Erlangen. Fummo invitati tutti e due a fargli visita di sera. – Ebbene, ci recammo assieme da un altro consigliere di corte,82 di cui non sono mai riuscito a imprimermi nella mente il nome; eravamo già stati ieri là per consegnare una lettera del professore Mehmel, che risiede qui; questo consigliere di corte non era in casa ed eravamo solo riusciti a far visita alle figlie – oggi si trovava a casa; si stava facendo acconciare i capelli e stava conversando con un segretario di camera. Aveva già letto la nostra lettera e ci sedemmo sul sofà. – Non scambiò neppure una parola con noi, ma continuò a parlare ininterrottamente per quasi un quarto d’ora con il suo segretario. – Alla fine, tutto d’un tratto, ci apostrofò dicendo: «Cosa diamine - come mai siete venuti qui a Erlangen?» – (Sapeva, infatti, che eravamo di Berlino) – Ci giustificammo nella maniera che ci sembrava la migliore possibile, poiché pareva non fargli piacere che

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studiassimo qui. – Riprese nuovamente a discutere con il suo segretario su quanto era rimasto in sospeso. Terminò di sistemarsi i capelli, si alzò e si diresse verso una credenza. Ne tirò fuori una bottiglia e versò del liquore in un bicchiere; nell’altra mano teneva del buon panpepato di Norimberga; me li porse entrambi. Mi giustificai per il fatto che il liquore sarebbe certo stato troppo forte per me. – «Macché!», disse, «uno studente deve esser capace di trangugiare e tracannare ogni cosa!» – Dunque, mangiai e bevvi di buon umore, iniziando allora a parlare con lui esattamente con lo stesso piglio che lui usava nei miei confronti; così facendo, nessuno dei due si sentiva imbarazzato. A quel punto approfondimmo realmente la nostra conoscenza e discutemmo di moltissimi argomenti, sensati e sciocchi, giacché pareva essere un grande estimatore sia degli uni che degli altri. Quel signore era estremamente bonario; era già molto anziano ed era tormentato dalla gotta ai piedi e da un gran numero di altre malattie; tendeva anche a rimanere troppo seduto e in gioventù doveva certo esser stato una persona molto gioviale; si lamentava dei suoi dolori e, nello stesso momento, faceva di nuovo un’altra battuta. Ci domandò se non volessimo visitare l’Eremitage (un grande parco nei pressi di Bayreuth); gli rispondemmo che avevamo destinato il pomeriggio a quell’escursione; lui e il suo segretario si offrirono allora di farci da accompagnatori; dovevamo solamente andarli a prendere di pomeriggio. Ci congedammo gli uni dagli altri dopo essere davvero entrati in stretta confidenza. – Dovevamo consegnare delle lettere anche al consigliere della camera di corte Turnesi;83 abita nel Brandenburger (castello di Brandeburgo), ossia presso S. Giorgio al Lago, un sobborgo collocato a circa ¼ d’ora da Bayreuth. È il responsabile delle miniere nel territorio di Bayreuth e contemporaneamente direttore del manicomio e del carcere, che si trovano nello stesso Brandenburger.84 Non era, però, in casa; consegnammo allora le nostre lettere e c’incamminammo sulla strada del ritorno. Un bel viale porta da Bayreuth al Brandenburger; appena prima della porta di Bayreuth, su una colonna, si trova un bassorilievo, sul quale è raffigurata una persona che cade da cavallo. In una iscrizione apposta sulla colonna si legge che questo individuo era stato nano di corte di non so quale margravio, che era caduto da cavallo e che era morto; ridemmo a lungo sull’espressione nano di corte come se, per così dire, fosse solamente dipeso dal fatto di essere nano il poter essere anche un aiducco (Heiduck),85 o un lacchè (Läufer) o un alfiere (Flügelmann). – Ci recammo poi anche da un giovane professore, Boje, al quale dovevamo consegnare una lettera sempre da parte di Mehmel. Ci portò anche a fare un giro per la città, mostrandoci i parchi pubblici; entrammo inoltre anche in un paio di chiese. Dietro il castello si trova un parco piacevole, di ampie dimensioni. – Mi sono spesso stupito dello strano campanilismo delle persone che si sforzano in tutti i modi di rendere attraente il luogo in cui abitano agli occhi di un altro individuo; cercano deliberatamente di nascondere ogni elemento sgradevole e mostrano a questo individuo tutto ciò che esse, per una qualche ragione,

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ritengono possa recare piacere; persino gli studenti si comportano in questo modo, pur non essendo neppure nativi del luogo in cui abitano. Ogni difetto della città – questo è ciò che quelle persone credono – ricade su di loro – e pur tuttavia, non sono stati loro a edificarla! Nei confronti di tutti i forestieri che mi è sempre capitato di condurre qua e là per Berlino, mi sono sforzato di far apparire la città come davvero orribile – cosa m’importa del luogo in cui sono nato? – Bayreuth ha un teatro d’opera veramente grande e sfarzoso. – Il tempo non era proprio bellissimo; a Bayreuth fa inoltre sensibilmente più freddo che a Erlangen, per via dei monti vicini. Mi misi a tavola davvero affamatissimo; dovetti però attendere ancora abbastanza a lungo, perché era giusto il primo giorno di Pentecoste. – La compagnia era quella consueta; gli ufficiali, da queste parti, sono stupidi a tal punto, da non essere neppure in grado di dire sciocchezze sulla guerra e sui francesi; cosa che in questo periodo, di certo, fanno nel mondo la maggior parte degli ufficiali e degli allievi ufficiali. Dopo pranzo, ci recammo dall’anziano consigliere della camera di corte: ci attendeva già un bel calesse. Lui e il segretario vi presero posto e così sistemati partimmo a gran velocità per l’Eremitage, distante un’ora e mezza dalla città. Quando arrivammo lì, stava piovendo; andammo in una locanda e bevemmo del caffè. Sino ad ora non ho mai bevuto nessun caffè tanto squisito, – be’, certo, escluso quello dei Reichardt86 – da nessuna parte del mondo, quanto in questa locanda. Questa locandiera aveva scovato il grande arcano, ovvero la fine squisitezza con la quale il caffè deve esser trattato. Allorché smise di piovere, andammo con il segretario nel parco; l’anziano signore, a causa della debolezza delle sue gambe, dovette restare nella locanda. – L’Eremitage è collocato su alcune dolci colline e ciò rende il paesaggio, specialmente le valli, molto bello; inoltre, alcune vedute sono davvero graziose; anche alcuni viali molto estesi, comunque, sono particolarmente belli. La serra è molto vasta e contiene un gran numero di piante esotiche. Le opere idrauliche sono veramente magnifiche; peccato solo che in quel momento non fossero in funzione. In alcuni punti l’acqua zampilla disegnando un numero infinito di archi che formano una volta vera e propria, sotto la quale si può molto piacevolmente andare a passeggio nei periodi di calura. – Vi è poi una rotonda costituita interamente da marmo di Bayreuth, molto più pregiato di quello della Slesia e che riceve una lucidatura di gran lunga più bella. L’Eremitage, a dispetto dei molti elementi artificiosi, mi piacque più di Sanspareil; se mi fosse dato di vivere in un luogo, sceglierei quello. Wackenroder era di opinione opposta. – Quando ritornammo alla locanda, ci attendeva già un eccellente Borgogna, che soprattutto io seppi apprezzare molto. Il consigliere della camera di corte, non avendo ospiti, ci invitò poi a cena a casa sua e si rammaricò molto quando sentì che eravamo già impegnati in questo senso presso l’abitazione di Spieß. Facemmo ritorno molto velocemente in città e ci recammo poi da Spieß. – Avevamo temuto di ritrovarci in una vasta

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compagnia di persone del gran mondo, ma ci eravamo sbagliati; le persone, a Bayreuth, sanno trarre meglio godimento dalle circostanze; si trattava di una piccola cerchia familiare: sua moglie, le sue figlie, suo figlio, un ufficiale e una signorina; lui stesso stava seduto e suonava per loro dei brani al pianoforte. – Lo avevo già conosciuto 1 anno e ½ prima a Berlino, da Reichardt, e in questa occasione rinnovammo la nostra conoscenza; fu molto cortese, senza tuttavia mettere in imbarazzo né se stesso, né noi; continuò a suonare e poi si ballò. – Nel frattempo suo figlio si presentò a me; era una persona semplice, ma dall’animo decisamente bonario e mi mostrò una grande confidenza. Ho notato che, in generale, molte persone, giovani e anziane, familiarizzano facilmente con me, perché al momento sto dedicando tutte le mie energie a essere il più naturale possibile, non rozzo ma neppure stupido, a non atteggiarmi a persona pretenziosa o dominata da comportamenti umorali, a non trascinare a forza la conversazione verso un determinato argomento, che potrebbe indurmi a esprimermi in modo diretto, e a non sottrarmi ad alcun argomento di conversazione; voglio essere un semplice essere umano. – Wackenroder è di indole molto introversa; nessuno osa avvicinarsi a lui a cuor leggero e, nonostante i suoi modi discreti, ha un’aria molto grave, un’aria molto vecchia, perché è stato da sempre poco a contatto con persone giovani. È negativo il fatto che la sua solidità non sia derivata dalle esperienze della vita; è freddo e posato, senza che questo suo carattere sia scaturito da un’intima necessità; non ha compiuto il percorso attraverso quelle idee che sono necessarie per dare vita a un carattere concreto, solido, che sia incrollabile – gli si mostri, da una prospettiva affascinante, poeticamente bella, ciò che egli in questo momento disprezza, ed egli diventerà più fragile di quelli che adesso schernisce. Ha evitato da sempre ogni tipo di relazioni dalle quali poter trarre insegnamenti per rapportarsi agli altri; per questa ragione ha veramente scarsissima conoscenza degli esseri umani; odia e disprezza senza aver la capacità di immedesimarsi nell’anima di colui il quale viene colpito dal suo disprezzo. Voi saprete certamente quanto sia pernicioso un simile atteggiamento di superiorità rispetto agli altri esseri umani, con quanta forza esso conduca alla più tremenda intolleranza, alla misantropia. – Non raccontategli però nulla di questa mia franchezza; io stesso spesso ne ho parlato con lui, mi pare tuttavia che continui ancora a non comprendermi nella giusta maniera, meno che mai per quanto riguarda la mia affermazione: il massimo sforzo deve indirizzarsi a essere semplicemente un essere umano, a non recitare alcuna parte davanti a se stesso; quest’idea preserva almeno dalla terribile unilateralità, con la quale così tanti esseri umani giudicano impietosamente degli altri; dunque, adesso comprendo bene l’espressione degli stoici – «vivere secondo natura» – e la dottrina cristiana che recita «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto».87 – «Siate umani»: un’espressione molto bella, che racchiude in sé tutto. – E tuttavia – oh, perdonatemi – ma voi avrete certo inteso ciò che intendo dire! – L’ufficiale accompagnò a casa la signorina e noi ci sedemmo a tavola. Mentre stavamo ancora mangiando, si avvicinò

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un gran numero di ragazze molto carine, curiose di vederci; si sedettero tutt’intorno a noi, senza però mangiare in nostra compagnia. – Dopo cena si riprese a suonare e a cantare, mentre Spieß e sua moglie si congedavano da noi per non metterci, neppur minimamente, in imbarazzo. All’inizio si ballò, si conversò e si rise – inoltre, si era unito a noi anche un giovanotto (commissario, segretario, consigliere militare, o Dio sa che cosa fosse – insomma, era molto sciocco). Si avanzò la proposta di allietarci al gioco del fischietto. Io e Wackenroder eravamo curiosi di conoscere il gioco. Se voi non lo conoscete, ne approfitto qui per descrivervelo; è infatti veramente molto divertente e forse voi potreste intrattenerci una compagnia di persone. Venne portato un piccolo fischietto, al quale era legato un nastro di seta. Una dama mi bendò gli occhi, mentre il fischietto veniva fatto girare qua e là; ci si accordò quindi sul fatto che qualcuno avrebbe fischiato; se io avessi scoperto chi era stato, quella persona sarebbe allora venuta al mio posto. Le bende mi vennero tolte dagli occhi; le dame avevano formato un cerchio molto stretto attorno a me. Improvvisamente sento fischiare dietro di me; mi giro, ma non riesco a scoprire chi sia stato; mentre faccio per guardarmi intorno un’altra volta, ecco che si fischia nuovamente alle mie spalle; si sentono delle risate; mi volto; mi faccio mostrare le mani da una delle ragazze, ma non trovo nulla. Ancora una volta si ode un fischio alle mie spalle! … e così quel gioco continuò più e più volte, senza che io riuscissi a spiegarmi la rapidità con la quale il fischietto correva da un’estremità del cerchio all’altra. – Infine, scopro il fischietto - più precisamente sulla mia schiena, legato a uno dei bottoni della mia giacca, in modo tale che, in ogni istante, una persona diversa poteva subito fischiare mentre io mi giravo. Tutti si misero a ridere e mi si raccontò che in questo modo ci si poteva prendere gioco per ben più di un’ora di persone un po’ sciocche, prima che queste si rendessero conto dello scherzo. L’uomo, al quale ho sopra accennato, mi si accostò con fare molto sincero e mi assicurò con assoluta ingenuità che con lui il trucco sarebbe durato più di due ore, prima che se ne potesse rendere conto. – Alla compagnia si era inoltre aggiunto anche un ufficiale; allora si giocò al «gioco della civetta»,88 nel corso del quale si doveva correre in continuazione e durante il quale ricevetti alcuni vigorosi colpi dall’ufficiale. – Ebbene, a quel punto eravamo entrati tutti parecchio in confidenza l’uno con l’altro, come se ci conoscessimo già da alcuni anni; mi sentivo proprio come mi capitava di solito a Berlino a casa dei Reichardt. A tarda sera, il s[ignor] Spieß si ripresentò in vestaglia da camera; ancora una volta si suonarono dei brani e si ballò; poi ci congedammo. – C’era uno splendido chiaro di luna, molto emozionante; accompagnai ancora alcune delle dame a casa, poi rientrammo alla locanda dove, prima di tutto, non potemmo fare a meno di svegliare tutti, per riuscire ad addormentarci; difatti, era già molto tardi.

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1147 Lunedì. Quarto giorno.

Non so se mia sorella vi abbia mostrato una mia lettera, nella quale le raccontavo molto succintamente il mio viaggio da Berlino a qui; perlomeno questo era l’incarico che le avevo affidato nella lettera.89 – Già ieri Turnesi ci aveva invitato da lui per la mattinata di oggi; ci mettemmo dunque in cammino e ridemmo di nuovo quando passammo dinnanzi al monumento del nano di corte. Arrivammo troppo in anticipo; Turnesi non si era ancora vestito e non voleva accoglierci in quello stato. – Nel frattempo visitammo con il capolaboratorio la bella collezione di oggetti di marmo, che tutti quelli che dimorano nel carcere devono lavorare a lucido. Ci recammo poi anche nel manicomio. Wackenroder non dimostrò proprio alcun desiderio di andarci; anch’io ne temevo le conseguenze, poiché so quale effetto può avere un simile spettacolo su dei nervi fragili; inoltre, mi ricordavo anche quali conseguenze scene del genere avevano già sortito su di me; è tuttavia un mio principio quello di non cedere ad alcuna delle mie debolezze e di obbedire semplicemente alla ragione; bisogna poi seguire realmente l’umanità sino al punto in cui essa diviene irriconoscibile. Non bisogna disprezzare il fratello, indipendentemente dalle forme esteriori attraverso le quali egli ci si presenta dinnanzi; certamente un povero pazzo non è un’opera d’arte, rispetto alla quale posso sperare in un piacevole godimento del mio senso artistico, – ma nessun essere umano può tollerare in sé una simile unilateralità di giudizio, altrimenti si giungerebbe alla fine a non essere in grado di prestare aiuto a nessun miserabile, perché alla vista della sua disgraziata condizione si cadrebbe in deliquio per la troppa sensibilità. Per questa ragione lo si evita, mantenendosi a grande distanza da lui, mentre nel contempo ci si lamenta e si sospira per la sua condizione. Questa debolezza fa certamente parte del più insopportabile degrado della nostra epoca; si può dire ciò che si vuole in merito. La ragione sa tutto sull’essere umano e la nostra ragione non ci sa fornire altro scopo - se non quello di favorire la felicità degli altri, e poi la nostra. – (N. B. Voi avete già letto l’Anna St. Ives? – L’ha tradotta Moritz; oh, è un libro magnifico.90 Vi prego davvero tanto di farne avere una copia a mia sorella, dato che in questo periodo soffrirà certamente di una grande penuria di libri). I miei timori erano però stati del tutto inutili; le persone erano assolutamente sopportabili; nessun maniaco, pazzo o demente, in senso vero e proprio, era presente nella struttura; tutti erano, semplicemente, un po’ “alienati” e per essere più precisi, lo erano in misura così esigua che, nei più illustri circoli della buona società, si trovano casi che li superano di gran lunga.91 Infatti, tra tutte queste persone, a nessuna è fino a ora venuto vagamente in mente di affermare che il grande edificio confinante sarebbe anche il loro, perché in quel momento alloggiavano in manicomio, o che si potrebbe garantire l’esistenza di una repubblica rendendola parte di una monarchia assoluta. – Facemmo ritorno da Turnesi, che ci accolse. È un uomo molto fine e colto; ci trattò con la più grande amabilità. Ha

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molte affinità con [Karl Leonhard] Reinhold di Jena. Egli udì che intendevamo visitare delle miniere nelle vicinanze e ci promise che ci avrebbe dato delle lettere da consegnare ai capiminiera. Con Wackenroder discusse anche parecchio di minerali e di industria mineraria; io, a ogni modo, diedi mostra di comprendere tutto. – (In questo viaggio ho comunque appreso molto su queste faccende). La cosa più importante fu tuttavia che egli ci diede da bere dell’ottimo Malaga, un vino così oleoso e dal gusto talmente forte, come mai mi è capitato sino a ora di berne. Rimanemmo da lui fino a verso mezzogiorno ed era tempo che ce ne andassimo; avevo bevuto parecchio e il vino mi era andato alla testa a tal punto, che ero in procinto di dire solo sciocchezze e di saltare qua e là per la stanza come un pazzo. – Una volta usciti dall’abitazione diedi libero sfogo ai miei capricci: malmenai Wackenroder, girai correndo qua e là e alla porta di Bayreuth mi misi a ridere a voce più alta che mai sul “nano di corte”. – A tavola, nella cerchia della divertente compagnia, ci bevvi sopra anche del vino francese, per mettermi davvero di buon umore. Ci eravamo messi d’accordo con Boje e il giovane Spieß per recarci assieme a cavallo di pomeriggio al parco Fantaisie. Attraversammo dunque la città al galoppo e il mio cavallo rovinò a terra più volte.92 Quando bevo vino, però, ho il doppio del coraggio e soprattutto quel giorno avrei galoppato a rotta di collo giù per i monti più scoscesi! – Passai dinnanzi alla porta di Bayreuth cavalcando in una maniera affatto diversa da quella del più vigoroso dei fantini. Wackenroder si spaventò molto in alcuni momenti – in questo modo giungemmo in alcuni minuti a Fantaisie. – Visitammo immediatamente il parco, che ha alcuni angoli molto gradevoli; se ci si trova in basso, là dove il terreno forma una sorta di voragine, il villaggio, costruito a forma di anfiteatro, offre una prospettiva particolarmente piacevole. Bevemmo poi del caffè e osservammo nella locanda delle persone che ballavano. Dopo di che ritornammo in città a cavallo. – Prendemmo congedo da Spieß e dall’anziano consigliere (giacché la nostra partenza era fissata per il giorno successivo), e andammo a teatro, dove veniva rappresentata la Clara von Hoheneichen (Clara di Hoheneichen).93 Assolutamente pietoso. (Da 4 settimane abbiamo la stessa compagnia di attori a Erlangen). Le dame piangevano non poco per la povera Clara e per il querulo ed effeminato Adelung; io, invece, per questo motivo ridevo quasi ancora di più, soprattutto per il fatto che ero riuscito a penetrare nel fondo di alcuni passaggi dell’opera. – Il personaggio di Bruno veniva recitato da un tipo che ciarlava con voce stridula. Voi saprete che Adelung viene fintamente liberato e riportato in prigione da Bruno. – Quando il Langravio riceve questa notizia, chiede: «E cosa disse Adelung?». Bruno risponde: «Niente, ma digrignò i denti, in particolare quando sentì che ecc.».94 – L’attore della zona di Bayreuth, che recitava la parte di Bruno, rispose invece: «Niente, anzi digrignò i denti in maniera così eccelsa» – e a questo punto l’attore s’ingarbugliò in una lunga aggiunta da lui stesso ideata; non riuscivo a

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fare a meno di ridere ogni qual volta pensavo all’idea che Adelung fosse un virtuoso particolarmente versato nel digrignare i denti. – La figura di Ullo veniva invece interpretata da un individuo che recitava completamente in dialetto bavarese e non potevo fare a meno di ridere non appena si presentava sulla scena - in particolare nella scena nella quale viene scoperto il passaggio sotterraneo; scena, in cui egli franò a terra assieme alle mura95 e gridò: «Per tutti i diavoli!».96 – Dopo la commedia feci ritorno alla mia divertente compagnia; oggi mi si avvicinò come buon ultimo il conte francese. Giungemmo presto a parlare della Rivoluzione e della guerra – era un uomo molto divertente; mentre descriveva i príncipi (ne conosceva personalmente alcuni) non si riusciva a fare a meno di ridere ininterrottamente. Entrammo sempre più in confidenza l’uno con l’altro; i suoi princípi propendevano mano a mano sempre più verso la libertà e l’uguaglianza; alla fine mi accorsi che, in certa qual misura, persino lui coltivava idee alquanto giacobine. – Sicuramente non doveva aver trovato, per lungo tempo, delle persone adatte con le quali conversare, e infatti la sua facondia era inarrestabile; Wackenroder era però molto stanco e perciò ci ritirammo infine nella nostra camera. Rimasi ancora un po’ in piedi per impacchettare le mie cose. – In Germania vi sono certamente più propugnatori della libertà o giacobini rispetto a quel che si crede; è solo che si camuffano notevolmente; per l’appunto, avevo considerato uno sciocco questo signore, all’inizio, mentre in seguito trovai in lui un uomo fine e molto perspicace; mi rammaricai di non averlo conosciuto prima, così da rifarmi della perniciosa presenza della restante compagnia. (A proposito, voi avete letto il miserabile affare che Eberhard ha scritto recentemente per i cittadini e le cittadine? –)97 Martedì. Quinto giorno. Oh, quanto dovete essere triste voi a Berlino! O, per meglio dire, quanto sarei infelice io lì! Nient’altro che campi, pianure sterili, luoghi in cui godere dei raggi del sole al Tiergarten è già da considerarsi una cosa che manda in estasi una persona, che lo si voglia o meno; infatti, quella è la cosa più bella che si possa vedere in quei paraggi. A ogni modo, non intendo screditare ancor di più Berlino ai vostri occhi … Lacuna nel testo: qui mancano 8 pagine del manoscritto … Andai quindi nuovamente a passeggiare, più precisamente in direzione del piccolo sobborgo, nel quale si suonavano i corni. Fu uno spettacolo davvero divino! – Oh, con quanta semplicità ed evidenza si presentano a noi i più incantevoli godimenti – e pensare che andiamo a cercarli, passando per vie traverse ampie e faticose – non riuscendo alla fine neppure a provare piacere, a causa dello sforzo profuso. – Oh, con quanta forza mi sa ammaliare il suono di un corno da caccia che si spande per la silenziosa notte rischiarata dalla luna! Allora mi sembra quasi di riuscire a vedere gli spiriti che il meraviglioso suono proveniente dalle nuvole attira a sé e che

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fluttuano nell’etere oltre la linea dell’orizzonte. Spesso si dispiegano dinnanzi al mio sguardo passato e futuro e, come per incanto, il mio io esce da se stesso! E quanto freddo, quanto insensibile sono, quasi una quercia, quando assisto ai nostri artificiosi concerti! – Mi sedetti su una pietra solitaria e mi misi in ascolto con il massimo raccoglimento, fino a che la musica non si stemperò nella quiete notturna; mi diressi allora di nuovo al mio ponte di marmo. – Alcuni degli ubriachi che mi venivano incontro nel meraviglioso chiaro di luna dovevano certo osservarmi come si fa con un fantasma, o qualcosa del genere; infatti, restavano fermi, spesso molto esitanti; camminavo molto lentamente a capo scoperto, avvolto nella mia sopravveste corta e strana, con le braccia conserte e le mie orme riflettevano a tratti una curiosa luminosità – e mentre costoro mi seguivano a lungo con lo sguardo, io non feci il benché minimo sforzo di strappare alcuni di loro alle loro false congetture. – Mi aggirai così qua e là per molto tempo, feci poi una capatina alla locanda e ancora una volta al ponte – fino a che non fu passata l’una di notte; poi mi misi a dormire. – Non appena mi fui addormentato, ebbe però inizio per davvero la musica al piano di sotto; ebbene, in quell’occasione, per la prima volta, si erano presi grossi tamburi e piatti e tutte le volte che li si udiva, l’intero edificio tremava. Per questo motivo, nel corso dell’intera notte, riuscii a dormire a malapena alcuni minuti; c’era un frastuono terribile, che tuttavia non mi era del tutto sgradevole; talvolta si sentiva che i clienti del locale volevano picchiarsi o, almeno, che vi erano frequenti motivi di litigio e che si battevano con forza colpi sui tavoli; è probabile che la povera guardia civica abbia avuto il suo bel da fare. – Verso il fare della mattina, quando ci alzammo, la situazione si era un poco tranquillizzata. Mercoledì. Sesto giorno. Proprio ora sto rileggendo ancora una volta la mia lettera e mi spavento per primo di fronte al gran numero di cose di nessuna importanza che vi racconto con la massima prolissità; mi ci sono spinto per caso, senza sapere nemmeno io come. Perdonatemi dunque e rammentatevi che una volta mi avevate chiesto di scrivervi anche delle piccolezze più irrilevanti, così da poter ricevere da me solo delle lettere davvero lunghe. Tra l’altro, se voi prendete in mano la carta speciale di Bayreuth98 e seguite poi con attenzione ciò che ho scritto, allora il nostro viaggio potrà probabilmente riservarvi qualche piacere. – Il capominiera99 giunse abbastanza presto e attraversammo a cavallo lo stesso sobborgo, nel quale ieri avevo ascoltato il bel suono dei corni. Adesso tutto era silenzioso e tranquillo; il cielo era molto scuro e pioveva persino un po’; quanto mi apparvero diverse allora le case rispetto alla sera precedente! - Per via delle mie camminate a passo sostenuto avevo acquisito una straordinaria conoscenza di Naila e delle sue strade, e di quasi tutte le abitazioni. – Arrivammo in una località piuttosto priva di interesse; il tempo si faceva sempre più sgradevole; una pioggerellina fredda

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e tagliente ci si faceva incontro; una nebbia umida saliva dai monti e dai boschi. – Le vie erano orribili; erano strade di pietrisco, strette e disagevoli, sulle quali spesso non sarebbe stato neppure possibile viaggiare con una carrozza. – Cavalcammo passando per Klingensporn e poi per Isigen; passata quest’ultima località iniziai a tremare, come solo in inverno è possibile fare. Il tempo divenne sempre più brutto; le nuvole stavano come sospese a una tale vicinanza dal terreno, che spesso ci passavamo in mezzo cavalcando e che riuscivamo appena a vedere a pochi passi da noi. – Nel corso di questa giornata ho avuto modo di osservare che le nubi, che si alzano dai monti e dai boschi, acquisiscono a volte la forma di questi stessi monti e boschi; con il tempo sereno è poi anche possibile che le nuvole, pur conservando le loro peculiarità, assumano la forma di rilievi e selve; in questa maniera sarei dunque in grado di spiegarmi la frequenza con la quale, in un territorio formato da monti, ho visto delle nubi che acquisiscono esattamente la forma dei rilievi limitrofi. – Ci era possibile cavalcare solo ad andatura lenta e proprio per questo tremavo ancor di più per il freddo; un calesse, che vidi salire su per un monte con quel brutto tempo, mi fece un’impressione molto strana. – Giungemmo nelle vicinanze del confine sassone; si riusciva persino a spaziare con lo sguardo fino a dentro la Sassonia (la Saale separa in questo punto il territorio sassone da quello di Bayreuth). Infine, passammo a cavallo per Kumblos.100 Dietro questo villaggio si trova la miniera chiamata Gottesgab (Dono di Dio), che intendevamo visitare. – Smontammo da cavallo, ci riparammo nella casupola del mastro minatore e ci riscaldammo vicino alla stufa per un po’; difatti, ero talmente irrigidito dal freddo, da non riuscire assolutamente a far uso delle mani e dei piedi. Frattanto ci furono procurati degli abiti da minatori e ci vestimmo. Io e Wackenroder avevamo un aspetto proprio buffo, con indosso il grembiule, il giaccone e il cappello da minatore. Il mastro minatore prese dei lumi e un pezzo di legno resinoso acceso e, così attrezzati, ci dirigemmo verso la miniera. A ognuno di noi venne dato un lume, che sistemammo sul cappello da minatore; a quel punto iniziammo la discesa. – Mi adattai ben presto a questa discesa. Le scale a pioli scendevano verticalmente, a volte sporgendo anche un po’, ed era assolutamente bizzarro vedere sotto di me il lume di quelli che salivano e sopra di me quello del capo miniera che scendeva. Talvolta il piolo della scala era vicinissimo alla roccia, così che a malapena si poteva raggiungerlo con l’estremità del piede, riuscendo a sostenersi solo con la punta delle dita. – Ciò che però alcune persone scrivono – anche voi avrete certamente già letto qualcosa in questo senso – sugli aspetti raccapriccianti, sui tremori e le esitazioni al momento di scendere nel pozzo di una miniera, di tutto questo non ho avuto la pur minima percezione. Era pericoloso - questo è vero - quando capitava che sfuggisse la presa; ma anche rispetto a quando ci trovammo giù in basso, devo dire che mantenni assolutamente il sangue freddo. Non me la sentirei neppure di chiamarlo “coraggio”, poiché non rientra in questo contesto; ritengo che solamente persone dalla fantasia povera e limitata possano, in un luogo come quello, inorridire e tremare; quelle stesse persone che lì, tutto d’un tratto e per mezzo dell’esperienza reale, si

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confrontano con visioni orribili, superiori alla loro fantasia. Io, tuttavia, con l’aiuto della mia fantasia ho dimestichezza con luoghi molto più spaventosi, così che non ho ancora trovato da nessuna parte un punto di arrivo alle mie visioni ed è certamente questo ciò che permette che io reagisca in maniera così controllata rispetto alla maggior parte dei cosiddetti luoghi pericolosi e terrificanti. Solo una volta ho avuto le vertigini in vita mia, ossia quando stavo discendendo lungo gli spuntoni rocciosi della Roßtrappe,101 sulla quale prima di me, probabilmente, pochi esseri umani si erano avventurati … Lacuna nel testo: qui mancano 4 pagine del manoscritto … esaminare, in maniera tale da mettere assieme da mille piccolezze degli indizi sospetti; persino un bastoncino, che avevo con me, contribuiva a questo suo intento; anche il fatto che Wackenroder intraprendesse già un viaggio, dopo che era arrivato a Erlangen appena a Pasqua, lo infastidì.102 Ai suoi tempi, rimarcò il giudice, le cose non erano così; contro queste osservazioni gli feci intendere che fosse anche probabile che lui avesse studiato in un’università molto mediocre. Ci congedammo dunque in completo disaccordo e, per quanto mi riguardava, con il fermo proposito di tornarmene indietro. – Ci dirigemmo a cavallo alla stazione di posta per mangiare. Quel vecchio non ci voleva lasciare; era dell’opinione che fosse necessario riportarci anzitutto oltre il confine; non si sarebbe sentito rassicurato se prima non avesse realizzato questo suo proposito. Dunque, restò anche lui in quel locale e mangiò con noi. Per rallegrare l’atmosfera feci portare del vino ungherese, che qui è molto a buon mercato; aveva però un certo qual gusto, come se, in verità, non fosse un Tocai vero e proprio. Il vecchio, agli occhi delle persone lì presenti, si era comportato con fare molto misterioso nei nostri confronti, come se fossimo dei perfetti furfanti; perciò quelli continuarono a guardarci di traverso, fino a che io non narrai loro l’intera vicenda. Il tempo continuava a essere sempre molto brutto; ci venne suggerito che avremmo potuto ottenere molto agevolmente un foglio di via sino a Carlsbad e viaggiare così indisturbati; il vecchio si dimostrò estremamente disponibile a procurarcelo, dal momento che aveva mangiato assieme a noi. Osservammo tuttavia le condizioni atmosferiche, riflettemmo sul cammino abbastanza lungo da compiere e poi sull’ancora più lungo tragitto per il ritorno; in breve, prendemmo la decisione di recarci a cavallo lo stesso giorno a Wunsiedel, che dista solamente 2 ore da Asch e per la quale avevamo anche delle lettere di presentazione. Il vecchio ci dovette dunque accompagnare oltre il confine passando per una porta diversa e fummo oltretutto costretti a dargli ancora del denaro per il disturbo che gli avevamo arrecato. – Non appena ci trovammo di nuovo su suolo tedesco, anche il tempo subito migliorò un po’; pian piano smise di piovere: a volte il sole iniziava perfino a splendere un tantino. Al confine avevamo finalmente riavuto le nostre matricole. Passammo per il borgo di Selb; è rivestito di un selciato talmente orribile che, giunti al centro di quella località, muovendoci a cavallo per poco non ci rompemmo l’osso del collo; fino a questo momento non ho ancora mai visto da nessuna parte un

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selciato che fosse così poco funzionale ai suoi scopi: una pietra stava diritta, rivolta verso l’alto; immediatamente accanto c’era una buca profonda; poi di nuovo si trovavano delle pietre ammassate le une sulle altre. Per farla breve: è più semplice provare di persona un selciato del genere che descriverlo, come succede per molti aspetti della vita. Sia come sia, so solo che le strade in città erano peggiori e più pericolose di quelle che avevamo trovato fino a quel momento, nel corso dell’intero viaggio. – Passato Selb, il tempo e il territorio si fecero molto più piacevoli. – Attraversammo infine un delizioso boschetto solitario, al quale conduceva una strada che si snodava sul dorsale di varie colline. Al termine del bosco godemmo di una vista molto gradevole; allo stesso tempo c’imbattemmo però anche in 2 strade, che avevano esattamente lo stesso aspetto e tra le quali non sapevamo quale dovessimo prendere. Per fortuna incontrammo un uomo con alcuni buoi; dovevamo procedere a cavallo passando per Höstädt.103 Mi avvicinai dunque a lui e, mentre gli indicavo la strada posta a sinistra, gli chiesi: «Questa strada qui va verso Höstädt?». – «Oh no, nemmeno per idea!» – «Ebbene, dove si trova dunque la strada giusta?» – «Be’, come dicevo, è in tutt’altra direzione». – «È forse questa qui a destra?» – «Si, anche quella strada va verso Höstädt». – «C’è quindi anche un’altra strada che porta laggiù?» – «No!». – Gente bizzarra di questo genere ne abbiamo trovata parecchia lungo il cammino. – Cavalcammo poi su una bella pianura, circondata da monti e boschi; dinnanzi a noi si trovava una vecchia rocca con le sue rovine, collocata su un monte, in una posizione davvero molto pregevole e romantica. – Presto arrivammo a Thierstein, un villaggio. Già a Bayreuth Turnesi aveva richiamato la nostra attenzione su questo paesino; infatti, qui si trova probabilmente l’unico luogo in Germania, nel quale vi è basalto articolato; certamente voi sarete a conoscenza delle grandi foreste di colonne basaltiche in Scozia. Il nostro desiderio di scendere da cavallo qui fu accresciuto dalla presenza di una magnifica e vecchia rocca, che poggiava sulle spalle del monte di basalto. – Dall’albergo ci dirigemmo immediatamente in quella direzione. – In cima al monte si gode di una bella vista su una moltitudine di prati e verso il villaggio, giù in basso. Le colonne di basalto in questa località sono assai inconsuete; parecchie sono abbastanza grosse, come cristalli di rocca perfettamente modellati. La vecchia rocca è molto ampia e maestosa. – Ben presto riprendemmo il nostro percorso a cavallo; il tempo adesso si era volto assolutamente al bello e il cielo era chiaro; la sera giungemmo a Wunsiedel. La città è piccola; una parte delle case sono collocate su un’altura; al centro ha un aspetto un po’ stravagante. – Consegnammo la lettera di presentazione portata da Erlangen al borgomastro Schmidt,104 un uomo corpulento e noioso. Portammo poi la lettera di presentazione di Turnesi al capominiera;105 questi non era a casa, ma ci fece visita subito dopo nel nostro albergo; c’invitò il giorno seguente a pranzare a casa sua e organizzò assieme a noi una piccola escursione ad Arzberg e nei dintorni.

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Venerdì. Ottavo giorno. Vi ricorderete certamente del passo nel Werther, nel quale si parla della smania dell’essere umano di porsi dei limiti e della sua inclinazione a perdersi nel mondo: quanto è vero quel passo e tutto il resto nel Werther! Anche nel Faust di Goethe,107 in relazione allo stesso atteggiamento, si trovano eccellenti considerazioni; forse poche persone hanno fatto in merito esperienze così sorprendenti nella propria vita, quanto me. – Com’è seducente l’idea di vivere in una piccola e bella valle, insensibile ai richiami del mondo e alle sue meschinità, con un amico nel cuore e la tranquillità nel petto, in intimo rapporto con ogni pianta e con ogni colle e, in una condizione di felice limitatezza, agire in maniera tale che, entro uno stretto cerchio, i desideri e i pensieri ruotino attorno a un punto mediano – e poi di nuovo gettarsi a capofitto nel mondo, nelle sue gioie e nei suoi dolori! Passare attraverso tutti i piaceri possibili, viaggiare in lungo e in largo alla scoperta della terra e dei suoi tesori! – – Quando mi svegliai mi trovai in uno stato d’animo di estrema pigrizia; non avevo il minimo desiderio di viaggiare in compagnia di altri; lasciai dunque che Wackenroder proseguisse il cammino e continuai a dormire; pian piano mi alzai e andai a passeggiare un po’. – Il territorio attorno a Wunsiedel non ha proprio niente di particolarmente bello, semmai è un poco desolato (da questa sola osservazione voi immaginerete che ho notevolmente mutato il mio criterio di ciò che si considera “una bella zona”; per Berlino e le 10 miglia del circondario, questo territorio sarebbe certamente un paradiso); poi a mezzogiorno mangiai dal capominiera. Nel pomeriggio andai di nuovo a fare una passeggiata. La zona intorno a Wunsiedel è molto fredda; gli alberi lì erano in procinto solo allora di fiorire; molti avevano appena messo le prime foglie. Wackenroder si era recato a cavallo con il capominiera ad Arzberg e nelle località limitrofe.108 – Anche io feci un giro a cavallo, in un luogo distante solo un quarto di miglio, verso una fonte nei pressi di Wunsiedel,109 dove per gli ospiti dei bagni termali sono stati costruiti degli alloggi molto gradevoli e comodi; in quel momento, però, non c’erano ospiti. Poco dopo percorsi a cavallo la strada a ritroso e feci una passeggiata a piedi. Su di un monte, nei pressi di Wunsiedel, si trova una cappella, o meglio ciò che ne è rimasto; da lì si ha una vista molto bella e ampia. Dietro Wunsiedel vi è una zona che presenta delle somiglianze con la miniera detta Hölle (Inferno) nei pressi di Caila;110 anche in questo luogo, come in quello, dei grossi macigni rocciosi si trovano confusamente disseminati qua e là sulla cima di un monte, il che conferisce a quella zona un aspetto molto selvaggio, triste. – Sul far della sera percorsi la strada del ritorno; nel corso della giornata il tempo mi era passato lentamente e in quel momento mi dolsi di non aver partecipato alla visita della miniera di Arzberg. – Quando Wackenroder fu di ritorno, mangiammo e andammo a dormire. 106

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1163 Sabato. Nono giorno.

Nel corso di un viaggio, uno degli aspetti più interessanti è costituito dall’osservare in che misura una cosa, che noi ci eravamo prefigurati, corrisponde alle nostre attese, o se le supera, oppure se resta ben al di sotto di esse. Nulla è come ce lo eravamo immaginato; ciò in cui abbiamo spesso riposto speranza con trepido desiderio, lo esaminiamo con sguardo distaccato e privo di commozione. Manca il raggio di sole abbacinante, ciò che è incantevolmente prodigioso, con il quale la nostra fantasia ci allettava. Allo stesso modo il ricordo di un bel luogo rappresenta, il più delle volte, un piacere molto più puro dell’istante stesso del piacere. Da questo punto di vista, l’essere umano è una creatura infelice: spera, cerca di acchiappare il piacere, si sente deluso mentre gode del piacere, le fibre del suo sentimento sono snervate, i colori vivaci nella natura vengono a mancare, nell’istante del piacere si attende un ulteriore piacere e si rammenta delle sue gioie con un’illusione, volta ad abbellirne i contorni, che lo pone in uno stato di oscura malinconia. – Il borgomastro a Wunsiedel ci aveva raccomandato all’attenzione di un suo incaricato, che si sapeva orientare sui monti del Fichtelgebirge; Wunsiedel si trova infatti vicino alla cima del Fichtelberg e, in effetti, vedere questa montagna costituiva lo scopo principale del nostro viaggio. – Questo incaricato ci venne a prendere di primissimo mattino. Inizialmente c’era nebbia e faceva abbastanza freddo; solo in alcuni punti i raggi del sole riuscivano a fendere la cortina, disegnando delle belle e romantiche linee chiare nel paesaggio fosco. Giungemmo a Leupoldsdorf. – In questa località intendevamo visitare una ferriera e c’incontrammo con un uomo che, seppure con fredda cortesia, ci fece fare un giro di visita; in seguito ci accompagnò anche nel suo alloggio e in quel momento venimmo a sapere che era consigliere commerciale e padrone della ferriera;111 sentimmo il suo cognome e venimmo anche a conoscenza del fatto che egli era un cugino di un altro consigliere commerciale a Bischofsgrün, al quale dovevamo consegnare una lettera di presentazione di Turnesi. Fu molto gentile, e lo fu sin dall’inizio, prima di conoscerci, e così come in genere è testimoniato dallo squisito carattere della gente del posto; qui si intrattengono reciproci rapporti di natura ancora autenticamente patriarcale. Ci offrì una grappa eccellente, che ci rimise proprio al mondo, rispetto al freddo patito. Quando ce ne andammo via a cavallo ci diede persino un cannocchiale da portare con noi, per consentirci di osservare bene tutt’intorno dalla cima della montagna. – Continuammo dunque a cavalcare, salendo su per un’altura; in quel luogo, se si volge lo sguardo all’indietro, si gode di una vista straordinariamente bella. Il tempo adesso si era rischiarato e si era fatto caldo; al di là di una grande piana verde, occupata da monti e foreste, nella valle giù in basso, si scorgevano due laghi lucenti; nei pressi di uno dei due si trovava Leupoldsdorf, cinta in maniera assolutamente pittoresca da intricati arbusti – malgrado ciò, la zona aveva qualche cosa di solitario, di cupamente malinconico; le vicinissime vette del Fichtelberg conferivano al territorio un aspetto gra-

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ve, persino maestoso. – Ebbene, il Fichtelberg aveva inizio con un bel faggeto; il sole vi penetrava con la sua luce mattutina; tutte le foglie scintillavano; gli uccelli cantavano; i prati diffondevano il loro profumo – nel contempo si avvertiva la sensazione di trovarsi in una zona singolare, solitaria – era un mattino divino! Mano a mano che giungevamo più in alto, osservavamo di tanto in tanto attraverso gli alberi le bellezze di un territorio pressoché sconfinato, che poi improvvisamente si sottraevano ai nostri occhi. – Presto ci rendemmo conto che la persona che ci era stata inviata, a dispetto degli elogi che le erano stati fatti, non era del tutto pratica della zona; infatti, tentò ben presto di andare ora per questa strada, ora per quella, ma nessuna sembrava convincerlo; mentre avanzavamo riuscimmo certo a vedere delle parti della foresta di notevole interesse. La questione è solo che, riflettendo sul fatto che in una foresta così estesa si può facilmente continuare per un giorno intero a cavalcare qua e là, senza riuscire a trovare la strada, questa considerazione ci rese sgradevole l’intera situazione. In alcune occasioni raggiungemmo strade veramente pericolose; erano dei gradini di roccia veri e propri lungo i quali scendevamo con i cavalli. Ora procedevamo cavalcando a destra, ora a sinistra, ora in discesa, ora di nuovo in salita. Alla fine capitammo su un cammino paludoso; i cavalli, a volte, vi affondavano in modo preoccupante. La situazione peggiorò ulteriormente; quel cammino era stato in altri tempi una strada fatta di grossi bastoni tondi; nell’acquitrino stavano infilati alcuni tronchi, che i cavalli calpestavano di tanto in tanto nel terreno paludoso, inciampando e ricadendo quindi pesantemente in avanti. Questa situazione riguardava soprattutto il mio grosso morello; fu, nel senso vero e proprio del termine, una situazione da “rompersi l’osso del collo”. Spesso i cavalli sprofondavano nella melma fino al torace. M’infuriai con la guida, dal momento che rompersi il collo in una palude per una stupidaggine del genere è decisamente la cosa più spiacevole di tutte. Infine i cavalli riuscirono a riprendere forza e a fare presa sul terreno; ci trovammo in una piccola vallata, circondata tutt’intorno da massi rocciosi e da bosco fitto; la strada s’interrompeva lì. La guida, noi e i cavalli ci guardammo intorno indispettiti; alla persona che ci era stata inviata dissi: «Amico caro, Lei indica la strada a tutti in questa maniera?» – «Oh, no!» – «Ci siamo completamente persi».112� – «Certo. È la prima volta in vita mia». – «Per questa maledetta strada bisogna per forza rompersi l’osso del collo». – «Sì, certamente». – «Dunque, che cosa facciamo adesso?» – «Lo saprà Dio». – «Dobbiamo ritornare indietro!» – «Certo». – E disse tutto questo con la massima imperturbabilità filosofica; per quanto fossi irritato, non potei tuttavia fare a meno di ridere di quel tipo stravagante. Dal momento che tutti e due, Wackenroder e io, non avevamo alcun desiderio di rischiare ancora una volta l’osso del collo ripercorrendo la strada a ritroso, scendemmo da cavallo e consegnammo i cavalli all’incaricato che ci era stato inviato, affinché fosse lui a condurli; in questo modo erano in grado di reggersi più saldamente sulle zampe e, fossero anche rovinati a terra, non saremmo comunque caduti assieme a loro; un egoismo che è del tutto naturale e ragionevole. – Percorrendo la strada a ritroso per un certo tratto, mi ritrovai in un punto in cui, mentre camminavo su un sentiero laterale, sprofondai alcune volte nella palude fino al ginocchio; facemmo nuovamente una sosta in una piccola pianura circondata dai boschi e tenemmo un

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gran consiglio di guerra sul da farsi: l’inviato ci chiese perdono in maniera formale e si addentrò nel bosco per cercare una via d’uscita. – La nostra situazione si presentava come assolutamente avventurosa: io sedevo su una roccia; i cavalli brucavano dell’erba dopo le grandi fatiche sostenute; Wackenroder stava seduto accanto a me; tutt’attorno a noi c’era una selva inanimata e silenziosa; la natura intera era come morta; non si udiva alcun suono fino a dove giungeva il nostro orecchio … e tutto questo capitava in una zona già considerevolmente inoltrata tra i monti disabitati e deserti del Fichtelberg. Con il mio bastone diedi un colpo molto lieve su una roccia; esso rimbombò profondo giù verso il basso, nella valle e nella selva, echeggiando sonoramente. Sarei potuto restare lì, comodamente seduto, per molte ore; alcuni massi di pietra sparsi qua e là intorno a me rendevano il tutto ancora più selvaggio e singolare. La persona incaricata di farci da guida aveva individuato una strada; salimmo a cavallo e la percorremmo al meglio delle nostre capacità; difatti, è altamente probabile che nessun essere umano si sia ancora mai avventurato a cavallo in quel territorio, è assolutamente verosimile che fino a ora nessun cavallo sia stato cavalcato in quella zona e ci si augura che in quei luoghi, nei tempi a venire, nessuno imiti il nostro esempio. – Procedemmo cavalcando sempre in salita; trovai particolarmente curiosa una sorta di scalinata ripidissima composta interamente da spuntoni di roccia frantumati, sulla quale probabilmente, chissà quando in passato, un torrente boschivo si era precipitato con grande furia - fu molto faticoso per i cavalli percorrere questo punto e mi aspettavo in ogni momento di rompermi il mio caro osso del collo – il Signore ci ha aiutato a superare anche questa situazione pericolosa, che però altro non è che il normale effetto della Sua onnipotenza, in quanto era stato proprio Lui a creare anche l’infame scalinata. – Cavalcammo ancora per parecchio tempo e arrivammo nei pressi di una miniera di stagno interrata, quasi sulla cima di un monte, vicino a una piccola capanna solitaria, nella quale abitavano le persone che avevano lavorato in passato in quella stessa miniera di stagno. – Qui si è estratto dell’ottimo stagno, di qualità quasi tanto buona quanto quello inglese; dal momento però che l’industria mineraria qui nei territori di Bayreuth non viene sovvenzionata in misura sufficiente, questa miniera è stata completamente abbandonata. Spesso ho già letto in libri antichissimi – e fa inoltre già parte di un’antica tradizione popolare – che, chi se ne intende, può trovare nei monti del Fichtelgebirge molte varietà di pietre preziose – Pare che ciò, come sentii dire con certezza a Bayreuth, non sia altro che una storiella. Si narra, infatti, che quasi ogni anno degli italiani si aggirino con pettini di ferro, trappole per topi ecc., vaghino qua e là per i monti del Fichtelgebirge, scavino delle buche nel terreno e se ne vadano via con un bel carico di pietre preziose (Spieß ha basato su questi elementi uno dei suoi romanzi più recenti e maggiormente privi di gusto: Der Mäusefall[en] und Hechelkrämer (Il merciaio di trappole per topi e di pettini di ferro).113 Voi conoscete questi arnesi? – Le località del Fichtelberg, che egli descrive servendosi della fantasia, non esistono affatto in quel territorio). Smontammo da cavallo nei pressi di questa capanna, perché qui avremmo dovuto ricevere un nuovo inviato che ci avrebbe condotto per i monti; quello attuale doveva però portare i cavalli a Bischofsgrün. Avevo moltissima fame; per questo chiesi a delle persone

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del pane e del burro; ricevetti entrambi con squisita disponibilità. – Ci sedemmo sull’erba vicino a un piccolo stagno, portando il cibo con noi; i cavalli brucavano l’erba tutt’intorno; l’inviato mangiò con noi – nel contempo avevamo dinnanzi a noi e dietro di noi un’ampia vista, anche se non c’erano altro che montagne ricoperte di foreste di pini, in mezzo alle quali lo Schneeberg e il cosiddetto Ochsenkopf svettavano come dei giganti. Il luogo era straordinariamente solitario e romantico; la piccola capanna, in particolare, suscitava nel paesaggio grandioso e selvaggio un effetto meravigliosamente malinconico. – Proprio mentre stavamo per smettere di mangiare, giunse su per l’altro versante della montagna un gran numero di persone - nella solitudine del luogo quella era l’ultima cosa che mi sarei immaginato; avevano misurato alcuni tratti di bosco sottoposti a controllo e a vincolo e ci osservavano come se fossimo dei veri e propri animali prodigiosi, senza essere però scortesi; una di queste persone era particolarmente curiosa e ci pose moltissime domande; gli rispondemmo, almeno per quanto le cose potessero risultargli comprensibili. – Quando feci per dare del denaro a quelle persone per il loro burro, quelle, per quanto povere fossero, reagirono respingendo l’offerta; dovetti quasi costringerle ad accettare. – Da quel gruppo di persone si era unito a noi un contadino, in qualità di uomo esperto della zona; lo portammo con noi per farci da guida; i cavalli restarono con il primo accompagnatore che ci era stato inviato, il quale li condusse sui sentieri che portano a Bischofsgrün. – La compagnia di persone discusse a lungo se fosse più alto lo Schneeberg o l’Ochsenkopf; alcuni ci consigliarono di affrontare la salita di questa montagna, altri di salire su per quella. Da ciò conclusi che dovevano più o meno equivalersi in altezza e dunque scegliemmo l’Ochsenkopf, in quanto lungo il tragitto avremmo trovato anche altri luoghi ed elementi di notevole richiamo. Il contadino, con il quale ora ci spostavamo, era un tipo molto particolare, estremamente flemmatico e ottuso, ma molto bonario. – Giungemmo al lago Fichtelsee, una zona davvero degna di nota. – Si tratta propriamente di una valle abbastanza ampia, cinta tutt’attorno da montagne. Non riuscendo qui pioggia e neve a defluire, esse, da tempo immemore, hanno dunque dato forma, in questo punto, a un lago. Ebbene, questo lago ha formato già da tanto tempo una palude coperta di piccoli arbusti di pino, che non riescono mai a crescere, a causa dell’acquitrino nel quale si trovano. Sopra questi acquitrini sono sistemate delle stanghe, di modo che in genere, anche se con un po’ di fatica, si riesce a passare dall’altra parte, eccetto quando la neve è sciolta, o nel caso in cui abbia piovuto a lungo. – Il contadino abbatté con la sua ascia due piccoli fusti d’albero e ce li diede, perché ci potessimo appoggiare su di essi, chiedendoci inoltre scusa per non essere riuscito a sistemarli in maniera più adeguata a causa della fretta. – Per quanto ho potuto osservare, la Germania del sud ha veramente più sensibilità per l’arte rispetto al nord; è solo che questa sensibilità si volge in maniera del tutto accidentale verso oggetti bizzarri, barocchi; non di meno, le persone di qua vogliono decorare e rendere bello tutto ciò che posseggono; le case vengono tinteggiate, i canestri vengono

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intrecciati con grazia, i loro buoi sono ornati di cuoio variopinto. Inoltre, i recipienti di queste parti sono lavorati con buon gusto, le ceste, portate sulle spalle, hanno la forma di urne; le lattiere e i contenitori d’acqua assomigliano quasi a dei recipienti etruschi. – Giunti oltre il lago, iniziammo immediatamente a salire su per la montagna. – Su un’altura di una certa importanza c’imbattemmo di nuovo in una capanna solitaria, abitata da un ex minatore; sembrava essere una persona d’ingegno; proprio in quel momento faceva degli esperimenti con dei metalli sopra un fuoco, e asseriva che nel Fichtelgebirge si poteva impiantare una miniera d’oro molto proficua. – Vedemmo anche la fonte del Meno; da lì nasce anche la Saale. Successivamente trovammo, lungo il cammino, un piccolo fiume e chiedemmo il suo nome alla nostra guida; egli rispose con aria molto grave: «Lo si qualifica anche come “il Meno bianco”». – In quella zona ci sono dei bambini che, quando non sono ancora in grado di camminare, si qualificano come “Karl” o “Fritz”; o almeno questo è il modo in cui rispondono sempre i genitori, quando gli si chiede il nome dei loro figli. – Quanto più salivamo in alto, tanto più selvaggio diventava il territorio; dei vecchissimi alberi erano già completamente marciti; tutto quel che ci circondava era straordinariamente tetro e malinconico; un poco alla volta, nel cuore della selva, trovammo delle pareti rocciose, che aumentavano di dimensioni tanto più in alto salivamo, e che erano di gran lunga più belle di quelle a Sanspareil. Parecchie di esse avevano un’aria quasi minacciosa. Infine arrivammo in cima all’Ochsenkopf. Nel corso del cammino avevamo già trovato molta neve; lassù in alto ve n’era ancora moltissima; sulla vetta non vi erano altro che spuntoni di roccia mescolati selvaggiamente alla rinfusa, che davano alla sommità della montagna un aspetto molto originale. In cima era abbastanza freddo. – Si riusciva a vedere a una distanza assolutamente sbalorditiva, verso la Boemia e sin dentro il Palatinato - è solo che – come mi è già capitato di sperimentare molto spesso nei luoghi di alta montagna – il territorio non faceva quasi più alcun effetto su di me, poiché quello che io vedevo del territorio vero e proprio era fatto allo stesso modo, in cui l’avevo osservato in una serie infinitamente frequente di occasioni; ciò che restava erano strisce di luce e ombre che si fondevano con l’etere. Mi annoiai ben presto anche di questo. – Nel frattempo la nostra guida esplorava con molta solerzia i dintorni, desiderando mostrarci il ritratto dell’Ochsenkopf (testa di bue), (come egli lo definiva), che la natura aveva abbozzato con tratti molto essenziali su una delle cime più elevate di questo luogo, e dal quale la montagna, nel suo insieme, ha preso il nome. – Proseguimmo poi lungo un cammino molto insolito, procedendo in discesa verso Bischofsgrün. Ma salendo e scendendo, nessun percorso era così pericoloso quanto lo era stato quello paludoso, così che avremmo potuto cavalcare in salita abbastanza comodamente. – Erano già le 3 passate quando giungemmo a Bischofsgrün. Mangiammo e la nostra prima guida propose di mettersi al servizio nostro e dei cavalli; inoltre, chiese ancora una volta scusa per i contrattempi provocati. Il proprietario della locanda in cui alloggiavamo aveva 2 giovani figli molto graziosi che, per

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nulla intimiditi, rimanevano tutte le volte con noi, combinando ogni sorta di sciocchezze. Di pomeriggio ci recammo da un certo consigliere commerciale (lo si è già ricordato in riferimento a Leupoldsdorf), al quale dovevamo consegnare una lettera di presentazione di Turnesi. – Il villaggio si trova in una posizione veramente bella, soltanto un po’ troppo isolata e malinconica, ai piedi del Fichtelberg; qui fa molto freddo; una circostanza che, da sola, riuscirebbe a farmi disamorare anche della più bella delle località. – Il consigliere commerciale fu molto amichevole; ci offrì alloggio per la notte nella sua abitazione e noi non facemmo complimenti, perché la locanda in paese era davvero pessima. – Il suo capolaboratorio era, con nostra grande gioia, proprio quella persona che, all’interno di quel grande gruppo di gente, nel quale ci eravamo imbattuti nei pressi della capanna del minatore, era stato il più curioso nei nostri confronti, ponendoci un gran numero di domande. – Questi ci portò a fare un giro per la località; ci fece vedere una filanda e una fabbrica di bottoni, nella quale vengono lavorati dei piccoli bottoni per camicie, in vetro e di tutti i colori; li si trova qui a prezzi estremamente convenienti e molti vengono poi venduti da altri commercianti a prezzi molto più alti, spacciati per bottoni di ambra, proprio perché hanno lo stesso aspetto di questi. – Gustammo una cena squisita; in precedenza avevamo già bevuto dell’ottimo vino di Wertheim. Quell’uomo114 era molto assennato, solo un po’ rozzo e naturalmente la sua intelligenza non oltrepassava di molto i confini della sua tenuta; odiava immensamente i francesi. – In seguito fummo condotti in una camera davvero ottima, dove trovammo dei letti straordinariamente belli. – Guardammo ancora a lungo dalla finestra; era una notte splendida; il territorio tenebroso e solitario si distendeva molto romanticamente dinnanzi a noi; la luna l’osservava dall’alto con aria grave. Il Fichtelberg stendeva maestosamente il suo sguardo sull’intero territorio - quella scena colmava l’animo di un’indescrivibile tranquillità. – In seguito dormimmo molto bene. Domenica. Decimo giorno. Ci alzammo più tardi rispetto a ciò che ci eravamo proposti di fare. Facemmo colazione e ritornammo poi alla nostra locanda, nella quale dovemmo pagare un conto sconsideratamente alto; il proprietario, in effetti, è conosciuto in tutto il circondario per la sua impudenza. – Avevamo deciso di vedere anche Culmbach e ci mettemmo dunque in cammino. Lungo la strada incontrammo un gran numero di persone, villaggi interi in atteggiamento di profonda devozione, che si recavano in chiesa. – Risalimmo a cavallo una montagna e, quando fummo in cima, godemmo di una vista incantevole. – Berneck (nella quale eravamo già stati una volta) si trovava giù in fondo, sotto di noi, con i suoi giardini e le sue siepi; si riusciva a vedere fin dentro le singole strade; di fronte, collocate su dei monti, si osservavano delle antiche rovine. A destra e a sinistra si stendevano le vallate più belle e più romantiche. – Scendemmo da cavallo e c’inerpicammo quindi su per le rovine. Sono tra le più estese e inconsuete che abbia mai visto sino ad ora; si

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tratta di 2 castelli e di una cappella. – Il primo castello115 ha una torre, così come avveniva un tempo con quasi tutti i castelli, che si erge diritta verso l’alto ed è costruita in modo da risultare perfettamente rotonda e verticale, senza porta e finestre, ma anche priva di tetto. Si saliva dentro torri del genere tramite delle scale a pioli, che vi venivano appoggiate contro, e poi ci si difendeva. Alla base della torre vi erano delle pietre che si erano staccate e mi ci introdussi dentro strisciando. – È una sensazione strana, quella che si prova stando in piedi in uno spazio molto angusto in mezzo ad alte mura, mentre sopra di sé si scorge il cielo blu e le nuvole che transitano, fluttuando nell’aria. Alla lunga diventa davvero inquietante. Successivamente salimmo su per le rovine che si trovavano di fronte; sono, se possibile, ancora più belle, con a destra e a sinistra delle valli di un divino splendore! – Questa zona è la più incantevole in cui mi sia imbattuto durante tutto il viaggio. – Dovemmo poi attendere abbastanza a lungo un incaricato che ci facesse da guida, in quanto la strada più vicina che conduceva a Culmbach era difficile da trovare; essa passava per i prati e, a causa dei corsi d’acqua che si dovevano superare a cavallo, si diceva perfino che fosse piuttosto pericolosa. Alla fine la strada apparve davanti a noi. – Lasciataci alle spalle Berneck, il tragitto rimase pressoché sempre così romantico; l’unica differenza è che il territorio diventa sempre più dolce; il suo carattere si fa sempre più fascinoso; quanto più ci si allontana da Berneck, la grandezza dei paesaggi che là si nota svanisce ben presto. – Arrivammo in seguito a Himmelskron. La zona qui attorno si può definire “divina”; finora ho visto pochi esempi di località situate in una posizione così graziosa, quanto quella di questo paesino, che gode anche di una vista molto ampia. – Qui in paese vi è una chiesa, antichissima e notevole.116 Al suo interno vidi il monumento sepolcrale della contessa che, per amore di Alberto il Bello, uccise i suoi due figli;117 nella chiesa si trovano anche statue di cavalieri che paiono essere molto antiche e che sono certamente molto importanti per uno studio più accurato del Medioevo. – In questa località c’era in passato il viale alberato più ampio e bello della Germania, ma da un anno è stato abbattuto. – Passata Himmelskron, la zona si fa ancora più bella; qui l’incaricato si congedò da noi. – Giungemmo in cima a un monte abbastanza alto, senza però fermarci mai, neppure a guardare indietro per una volta. Osservato da quel luogo, il territorio è di una bellezza veramente indescrivibile: un gran numero di dolci alture tutt’intorno, ricoperte degli alberi più belli; nella valle, dei piccoli corsi d’acqua cinti da cespugli; a grande lontananza, i monti del Fichtelgebirge. – Prima di arrivare a Culmbach passammo per uno splendido bosco. Già da lontano si vede la fortezza.118 – La chiesa è collocata al di fuori delle mura cittadine e noi giungemmo proprio nel momento in cui le persone uscivano dalla chiesa; per un lungo lasso di tempo non riuscii a sapere cosa significasse tutto quell’assembramento di gente. – Prendemmo alloggio in un albergo piuttosto buono. Ci facemmo subito acconciare i capelli e ci vestimmo, per poter visitare la città. – Vidi parecchi ufficiali francesi; questi, infatti, abitano in città; i soldati, invece, nella fortezza.119 Tutti avevano un ottimo aspetto;

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erano tutte persone belle e ben fatte, per la maggior di fini lineamenti. Entrai in un caffè, nel quale erano soliti trattenersi; ciononostante, proprio quel giorno non si trovavano lì; avevano avuto un alterco con gli ufficiali prussiani, che ugualmente frequentavano quel locale. – Culmbach è una cittadina molto graziosa; è parecchio più piccola di Erlangen, ma costruita in maniera regolare; da quasi tutti i suoi punti si vedono i bei monti, che si stagliano di fronte alla città; dalla strada principale si riesce quasi a guardare attraverso entrambe le porte cittadine. – Andammo a fare una passeggiata. – La zona intorno a Culmbach è divina; dopo Berneck, può essere considerata la più bella di tutto il nostro viaggio. Giace in una valle, attorniata a sinistra da un anfiteatro di monti e delimitata a destra da una bella pianura di pascoli pensili e da bei monti. – Di sera ci recammo a fare visita a Meyer,120 che ci aveva accompagnato fino a Sanspareil. Abita qui a Culmbach e promise di portarci il giorno seguente alla fortezza, che si chiama Plassenburg. – I francesi si comportano molto bene e sono benvoluti pressoché da tutti; un maggiore ed ex conte spesso aiuta spontaneamente a portare l’acqua e a pulire la strada; questo comportamento viene giudicato alquanto sconveniente; per quanto mi riguarda, posso trovarlo non esattamente straordinario, ma è comunque molto assennato e dimostra quanto profondamente già alberghi nell’animo dei francesi l’idea dell’uguaglianza. – Più tardi vagabondammo ancora un po’ qua e là, mangiammo assieme a degli ufficiali prussiani dai modi semplici e andammo poi a dormire. Lunedì. Undicesimo giorno. Meyer ci venne a prendere di mattina. Salimmo su per la fortezza, che si trova abbastanza in alto. Il territorio, osservato da quel punto, è di una straordinaria bellezza. Ci inoltrammo poi in un boschetto, che si trova sul monte non distante dalla fortezza; sino a ora non ho visto quasi nulla di così bello: un piccolo bosco con viottoli, tutti molto romantici. In ogni momento inoltre, osservando attraverso gli alberi, si gode di una vista divina. Fu particolarmente bello quando, aggirandoci nei dintorni, ci sistemammo sulla cima di un monte, dal quale si domina con lo sguardo l’intero territorio; questo, Berneck e Roßtrappe sono le tre località più belle che fino a ora conosco. – Facemmo poi ritorno alla fortezza e visitammo il cortile, nel quale stanno i francesi prigionieri. Erano all’incirca tutte persone dall’aspetto molto gradevole, alte e forti; tra loro c’erano molti ex nobili. Quasi tutti erano molto allegri e gioviali. Parlai con alcuni di loro: erano persone molto assennate. Nell’insieme, vivono qui in condizioni molto soddisfacenti. – Salimmo poi nuovamente sui nostri cavalli. Ci fermammo a Thurnau, poiché qui c’è un giardino, appartenente a un conte,121 che è permesso visitare. Alcuni suoi viali sono molto piacevoli; non vi sono attrattive particolari. – Giungemmo poi nuovamente

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a Zwernitz, ossia a Sanspareil; percorremmo ancora una volta il parco e poi mangiammo. Di pomeriggio proseguimmo a cavallo. – Il territorio da un lato era brutto, dall’altro era bello. – Il sole stava tramontando proprio in quel momento, quando, in cima al monte sopra Streitberg, ci arrestammo; c’era una vista divina che si estendeva oltre le ampie e belle vallate. – Ci mettemmo presto a dormire, dato che eravamo stanchi. Martedì. Dodicesimo e ultimo giorno.122 Voi avrete notato che la mia loquacità è un po’ diminuita e credo che me ne sarete riconoscente. – Di primo mattino, percorrendo una strada davvero molto bella, ci recammo a Muggendorf, nelle cui vicinanze si trovano le grotte, davvero notevoli. Per giunta, Rosenmüller123 ne ha scoperta una nuova da pochissimo tempo, piena di formazioni stalattitiche assolutamente particolari. Visitammo questa grotta e altre 3, nelle quali a volte fummo costretti a procedere strisciando rasoterra e assumendo scomode posizioni. – Dopo pranzo ripartimmo a cavallo, facendo ritorno molto lentamente a Erlangen. Ci accorgemmo per l’ennesima volta di come delle località, che ci sembravano meravigliose all’inizio di un viaggio, ci apparissero invece spesso al suo termine come molto mediocri rispetto ad altre che avevamo visto nel frattempo. – Si era già fatto scuro, quando ci ritrovammo a una distanza di ancora mezzo miglio da Erlangen. Le luci provenienti dal villaggio di Rathsberg, che si proiettavano verso il basso sul fianco dal monte, creavano un effetto davvero romantico. – Stanchi, giungemmo a Erlangen a tarda ora, bevemmo della cioccolata e andammo a dormire. Eccovi dunque un’ampia descrizione del nostro viaggio. Considerate questa lunga lettera, nel suo insieme, come un’unica richiesta di scuse per non avervi scritto prima. State bene e scrivetemi presto; restate in salute e rimanetemi amico. – Aggiungo poi alcune parole per mia sorella: Cara sorella, perdonami anche tu per non averti scritto per così tanto tempo; ciononostante, ti ho pensato costantemente; sono certo che mi crederai – tra l’altro, non perdo neppure la speranza di poterti rivedere presto. Oh, se al posto di scrivere, potessi stringere tra le mie braccia te e il mio caro Bernhardi! – Quanto prima ti scriverò sicuramente una lunghissima lettera; inoltre, puoi certo considerare quest’ultima anche come una missiva davvero lunga indirizzata a te. Ti prego solamente di non essere triste; cerca dunque di fare qualche buona conoscenza; esci più spesso; in breve, stai bene! – Stai pure certa che ti voglio bene e te ne vorrò in eterno – e che un giorno vivremo certamente insieme; dunque, stai bene. – Che ti possa allora rivedere presto! Tuo fratello, che sempre ti vuol bene, Tieck.

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E ora, carissimo amico, ancora un paio di righe destinate solo a voi. – Assieme a questa lettera vi invio la descrizione dell’incisione relativa al racconto Abdallah, oder das furchtbare Opfer (Abdallah, o del terribile sacrificio).124 – Vi ringrazio per lo sforzo profuso e mi scuso per il disturbo che vi ho arrecato; vi ringrazio mille volte! Vi ringrazio anche per la vostra lettera amichevole; è da tanto tempo che speravo di ricevere uno scritto di vostra mano. Non stiate sempre a compiangervi a quel modo; mi affliggete l’animo in continuazione! Sareste dovuto venire in viaggio con me sin qui per tre mesi; avreste dovuto visitare tutte queste belle località assieme a me. Oh, la vostra salute sarebbe certamente migliorata e di sicuro sareste diventato più allegro! – Non lasciate che tutte le meschinità che ci circondano vi tocchino troppo l’animo; consideratele con distacco – si sarebbe veramente costretti alla disperazione, se ogni essere dall’animo piccino e ogni miseria potesse rendere infelice una persona; riguardo a questo punto sono ora più forte che mai, e sono convinto di aver avuto la meglio. Bisogna diventare del tutto insensibili rispetto a situazioni del genere; infatti, quale stato d’animo vi resterebbe nel cuore, se vedeste trionfare nel complesso l’infamia sulla singola cosa buona? Posso chiedervi, se possibile, di fare qualcosa anche per lo sfortunato dramma Alla-Moddin?125 Non se lo merita, lo ammetto; ciò nonostante - mundus vult decipi.126 Non avete scritto nulla? Prossimamente vi mando del materiale relativo ai piccoli drammi; probabilmente il Philopömen (Filopemene).127 Ancora una richiesta: Devo supplicarvi davvero di non modificare nulla nell’Abdallah. Voglio che le parti malriuscite dell’opera vengano imputate alla mia responsabilità; da quel che mi ricordo, sono soddisfatto dello stile nel suo insieme. Un estraneo può mancare molto facilmente di cogliere il tono e l’intenzione dell’autore; lo scritto appare ancor più rabberciato; semplicemente, per questa ragione, vi prego dunque, veramente, di attenervi a quanto vi scrivo, altrimenti il lavoro riuscirà ancor meno, rispetto allo stato attuale, a presentarsi come un insieme unico. A questa richiesta mi ha spinto ancora di più la rilettura dell’Emma.128 Ammetto che questa cosa non ha alcun valore; ma diversi elementi sono stati ora omessi o inseriti in maniera diversa, il che rende il testo del tutto privo di forma. Il fattore per me più evidente è costituito dal fatto che è stata completamente eliminata la prima sezione, cioè quella in cui Löwenau, tutto preso dalla sua passione amorosa, cerca di convincere se stesso con sofistiche argomentazioni, adducendo un gran numero di ragioni e giustificazioni. Questo rendeva in una certa misura sicuramente plausibile l’andamento degli eventi; adesso, invece, il tutto si presenta come un guazzabuglio e deve necessariamente risultare incomprensibile a qualsiasi lettore. Mancano anche alcune piccolezze, delle quali non ho più un ricordo così vivo, come nel caso del dettaglio che sto per esporvi, e che sono particolarmente presenti negli ultimi fogli: il verbo ahnen (presagire) al posto di ahnden è certamente opera vostra.129 Wieland è pressoché l’unico scrittore che opera questa differenza, fondamentalmente superflua. Mi suona sempre come una cosa spiacevole. Entrambi i significati dell’espressione scaturiscono da un comune significato di base e certo si tratta sempre e solo di un unico vocabolo. – E tuttavia, mi perdoni per l’osservazione.

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2. Fine luglio/inizio agosto 1793 (viaggio dal 17-28/5)

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In aggiunta, voglio farvi anche un’altra proposta. Allo scopo di poterci scrivere più spesso e affinché il nostro carteggio possa anche per voi acquisire maggiore interesse, voglio scrivervi delle lettere shakespeariane;130 vale a dire, non lettere del tipo di quelle che Shak[e]speare forse ha scritto ai suoi amici, bensì ho intenzione di rendervi partecipe in forma epistolare di diverse mie posizioni in merito a Sh[akespeare]. Non vi saranno certamente molti elementi di novità, ma Sh[akespeare] forse vi interessa comunque ancora oggi come in passato, e per questa ragione, per amore del poeta, mi perdonerete per le osservazioni su di lui. L’intenzione sarebbe dunque quella di esaminare assieme le opere teatrali nella successione, nella quale egli probabilmente le ha scritte. Non vorreste dunque leggere prima Titus Andronicus (Tito Andronico) e Love’s Labour’s Lost (Pene d’amor perdute) e in seguito informarmi anticipatamente della vostra opinione su queste opere? Presto vi scriverò qualcosa in merito. – Il signor Rambach possiede l’opera omnia di Sh[akespeare]; sarà dunque agevole per voi procurarvene ogni volume. Vi prego di rispondermi al più presto, così che io veda se mi avete perdonato del tanto parlare

Erlangen.

il vostro sincero, eterno amico, Tieck.

NOTE AI RESOCONTI 1 1 Il testo originale tedesco presenta a volte delle lacune, che nella HKA sono segnalate con una barra obliqua « / ». La traduzione italiana si conforma a tale soluzione diacritica. 2 Il riferimento è al diario di viaggio del pastore protestante, già studente all’università di Erlangen, e precettore di Gefrees (Alta Franconia), J.M. Füssel: Unser Tagebuch oder Erfahrungen und Bemerkungen eines Hofmeisters und seiner Zöglinge auf einer Reise durch einen großen Theil des Fränkischen Kreises nach Carlsbad und durch Bayern und Passau nach Linz, 3 Theile, Erlangen, Johann Jakob Palm, 1787-1791. Quella di Füssel (1753-1824) è una delle relazioni più dettagliate su Erlangen e sulla zona della Franconia e non è orientata soltanto a descrivere le bellezze naturali e artistiche, ma è anche interessata all’ambito sociale ed economico della città. 3 Ch.W.J. Gatterer (1759-1838), Anleitung den Harz und andere Bergwerke mit Nuzen zu bereisen, 6 Theile, 5 Bde, Göttingen-Nürnberg, Vandenhoeck-Bauer und Mann, 1785-1793. Gatterer (1759-1838) era mineralogista e studioso di scienze forestali; nel 1787 fu chiamato dall’università di Heidelberg a ricoprire la cattedra di scienze economiche e tecnologia che era stata fino a quel momento di JungStilling. 4 Johann Baptist Homann (1664-1724) fu cartografo ed editore a Norimberga. 5 Si tratta molto probabilmente della carta geografica “Der Fränkische Kreis”, realizzata da F.L. Güßfeld a Norimberga nel 1782. 6 In realtà il viaggio fu intrapreso a cavallo, come chiarirà lo stesso Wackenroder nella lettera ai genitori del 25 giugno, cfr. supra, p. 1001. 7 Il Rednitz è un fiume della Franconia che attraversa Schwabach e Norimberga. 8 L’originale dialettale tedesco, «Do gechts immer kerzengrod», può anche essere tradotto in italiano come “dritto come un fuso”; letteralmente, qui si dice “dritto come una candela”. 9 Per l’aggettivo “romantisch” si confronti l’Introduzione ai Resoconti, pp. 904905. Harald Tausch ha dedicato un paragrafo ai resoconti di viaggio in Franconia di Wackenroder e Tieck in Literatur um 1800. Klassisch-romantische Moderne, Berlin, Akademie Verlag, 2011, pp. 33-37. 10 Le rovine della rocca di Neideck, che si trovano su una cima sopra il fiume Wiesent, rappresentano un simbolo della regione della Franconia svizzera. La rocca, di origini medievali, fu distrutta nel 1553 durante la seconda guerra dei margravi. 11 Di fronte alla rocca di Neideck si trovano le rovine della fortezza di Streitberg. Di origine medievale, la fortezza divenne nel XVI secolo un centro militare e amministrativo del margraviato. Distrutta anch’essa nel 1553, fu ricostruita successivamente, ma subì forti danni durante la Guerra dei Trent’anni. Nel periodo in cui la visitò Wackenroder veniva utilizzata quasi esclusivamente come magazzino. 12 Heinrich Christoph Meyer (n. 1766), fra i primi incontri che fecero Wackenroder e Tieck, era originario di Kulmbach. Era precettore presso la casa del ministro di Wechmar ad Ansbach e fu probabilmente il tramite per la conoscenza fra Wackenroder e il figlio del ministro, Ernst Adolf Heinrich von Wechmar, compagno di studi a Erlangen. Dal 1793 diventò avvocato governativo a Bayreuth, ma si occupò per diletto anche

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di storia locale. Meyer aveva anche pubblicato Kleine Sittengemälde nach englischen Urbildern entworfen, Schwabach, Mizler, 1791, una raccolta di racconti moraleggianti da fonti anglosassoni, e Albrecht, der Krieger, Markgraf zu Brandenburg. Ein historisches Gemälde aus dem sechzehnten Jahrhundert, Erlangen, Palm, 1792. 13 Johann Ludwig Klüber (1762-1837), dal 1787 professore di diritto all’Università di Erlangen, fu autore di numerosi scritti di storia del diritto. Dopo l’annessione di Ansbach-Bayreuth alla Prussia, nel 1791, iniziò anche a collaborare con Hardenberg, il ministro prussiano per i territori della Franconia. Dal 1807 fu professore di diritto all’Università di Heidelberg e proprio su invito di Hardenberg svolse un ruolo non marginale al Congresso di Vienna fra il 1814 e il 1815. 14 L’odierna Kulmbach. 15 Il castello e il parco di Sanspareil furono fatti costruire intorno al 1745 dalla margravia Friederike Wilhelmine Sophie di Prussia (1709-1758), sorella di Federico II e moglie del margravio Friedrich di Brandenburg-Bayreuth reggente dal 1735 al 1763. Per l’architettura dei giardini, l’incarico fu affidato a Joseph Saint-Pierre e a Giovanni Battista Pedrozzi, i quali si ispirarono alle descrizioni mitologiche del romanzo di Francois de Salignac de la Motte Fénelon, Les aventures de Télémaque (1699) tradotto in tedesco nel 1733. Già dal 1749 comparvero le prime incisioni del castello e del giardino, come la serie di Johannes Thomas Köppel, che, pur essendo lavoro dilettantistico, è stata preziosa nei lavori di restauro; di notevole interesse anche le pagine del diario di Füssel dedicate alla struttura. 16 Friedrich Taubmann (1565-1613) fu personaggio molto celebre ancora nel XVIII secolo. Poeta in lingua latina, umanista, autore di facezie, dal 1595 tenne la cattedra di poesia all’università di Wittenberg. Oltre alle numerose raccolte di liriche, se ne ricorda la grossa edizione di Plauto nel 1605. Il principe elettore Friedrich Wilhelm von Weimar gli diede il soprannome di “kurtzweiliger Rath” (consigliere comico). Campione di retorica e di ironia, le sue burle e le sue facezie furono pubblicate quasi un secolo dopo la sua morte, nel 1702, con il titolo di “Taubmanniana”. 17 Si fa probabilmente riferimento anche agli altri due parchi della zona, quello di Eremitage e di Fantaisie. La corte di Bayreuth fu istituita nel 1398 come parte dell’asse ereditario di Federico V di Norimberga. Dopo essere confluita nel margraviato di Brandeburgo alla fine del XV secolo, la sua casa regnante si estinse nel 1769, passando a Karl Alexander von Brandenburg-Ansbach, che, nel dicembre del 1791, ne vendette la sovranità a Federico Guglielmo II di Prussia. 18 Si riferisce alla visita di Wackenroder a Wörlitz del 10 maggio 1792. Cfr. Carteggio, p. 611. 19 Questo era un Belvedere che nel 1835 andò distrutto. 20 Questo arco rampante formava quella che veniva e viene definita “la grotta di Calipso” all’interno del giardino di Sanspareil, prendendo il nome dall’omonima grotta del Telemaco di Fénelon. 21 Si tratta del “Ruinentheater”, il teatro di finte rovine, ancora esistente. 22 Tutti gli elementi decorativi del parco di rovine si ispirano al romanzo morale di Fénelon, agli avvenimenti di Telemaco, figlio di Ulisse, nel corso del suo viaggio di formazione accompagnato da Mentore. 23 Il testo a cui si fa riferimento è la raccolta di incisioni di Johann Gottfried Köppel (1749-1798), pubblicata fra il 1793 e il 1794: Die Eremitage zu Sanspareil / nach der Natur gezeichnet und beschrieben von Johann Gottfried Köppel, Erlangen, Walther, 179394. Köppel, figlio di Johannes Thomas (cfr. supra, nota 15), era disegnatore e incisore; fu attivo prima alla corte del margravio e dal 1795 divenne ispettore della cancelleria governativa di Ansbach. Nella sua opera su Sanspareil sono presenti anche le cinque incisioni realizzate dal padre. 24 Il paese è il borgo medievale di Zwernitz nel quale si trova Sanspareil.

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25 Il castello e il parco di Fantaisie furono realizzati fra il 1761 e il 1763 dalla figlia di Wilhelmine, Elisabeth Friedrike Sophie von Württenberg come residenza estiva a Donndorf, a circa 5 km da Bayreuth. 26 Incidente che avvenne effettivamente a Bayreuth a Tieck (cfr. Resoconti Tieck, p. 1135). 27 Si tratta dello stagno di Brandeburgo, utilizzato fino al XVII secolo come vivaio per i pesci. Il margravio Georg Wilhelm (1678-1726) lo ampliò fino a farlo diventare navigabile. Sulle sponde vennero poi eretti il castello e il borgo barocco di S. Giorgio. Nel 1775 il laghetto si prosciugò. 28 Il castello di Bellevue a Berlino, attuale sede del presidente federale, fu costruito fra il 1785 e il 1789 per Ferdinando di Prussia su disegni dell’architetto Philipp Daniel Boumann. 29 La statua rappresenta il Margravio Christian Ernst von Bayreuth (1644/1655-1712). 30 La chiesa cui si fa riferimento è la Heilige Dreifaltigkeit (Santa Trinità), costruita in stile gotico fra il XII e il XIII secolo. 31 All’edificio che comprendeva dal 1761 il (nuovo) maneggio, venne aggiunto nel 1786 anche un piccolo teatro. L’edificio ospita oggi la Stadthalle. 32 Franz Anton von Weber (1734-1812), padre del più noto Carl Maria von Weber, fu compositore, maestro di cappella e direttore teatrale. Organizzò una compagnia teatrale che tra il 1793 e il 1794 fu fra Bayreuth ed Erlangen e proponeva una o due operette a settimana. 33 Il teatro è l’Opernhaus, costruito fra il 1744 e il 1748, per l’esterno dall’architetto Joseph Saint-Pierre, e per gli interni da Giuseppe e Carlo Galli da Bibiena. 34 La cripta si trovava nella Schlosskirche (Chiesa del Castello), completata nel 1756. 35 I due fratelli sono Friedrich Eugen von Württemberg (1732-1797) e Karl Eugen von Württemberg (1728-1793). 36 Il riferimento è alla città di Wesel, situata nel Rheinland-Westphalen. Passata nel 1609 sotto il dominio del ducato di Brandeburgo, si sviluppò sotto il Principe Elettore Friedrich Wilhelm in una città fortificata. 37 Gottlieb Ernst August Mehmel (1761-1840), dopo aver frequentato gli studi di teologia e filosofia a Halle, ottenne un incarico come precettore del figlio di Karl August von Hardenberg, con il quale si trasferì dal 1791 a Erlangen. Grazie a Hardenberg ottenne all’Università un posto di straordinariato di filosofia e belle arti. L’anno seguente si recò con la moglie a Königsberg, dove venne in contatto con Kant e con Hippel. Fervente kantiano, dal 1799 divenne ordinario di filosofia e dall’anno seguente redattore della rivista Erlanger Literaturzeitung, grazie alla quale stabilì anche uno stretto rapporto con August Wilhelm Schlegel. Cfr. supra, p. 1121. 38 Moritz Boyé (ca. 1755-1806) è stato un consigliere della camera delle finanze regie di Prussia. 39 Johann Georg Schlupper (1729-1809) fu al servizio del margravio di Bayreuth dal 1755 e successivamente consigliere demaniale e membro del consiglio di guerra. 40 Philipp Ernst Spieß (1734-1794) fu storico e archivista. Dal 1759 gli fu affidato l’incarico all’archivio della fortezza di Plessenburg presso Kulmbach, dove divenne anche consigliere di corte e governativo. 41 In realtà Otto Heinrich Tornesi (1748-1814) era consigliere del’amministrazione delle miniere a Bayreuth. Membro della società scientifica di Berlino, si occupò anche di redigere carte mineralogiche e topografiche della zona, molto apprezzate anche da Alexander von Humboldt. 42 La fortezza di Plassenburg fu costruita nel XII secolo dai conti di Merania. Distrutta durante le guerre delle confederazioni, fu ricostruita in stile rinascimentale tra il 1559 e il 1569. Nella fortezza di Plassenburg era custodito l'archivio del margraviato di Brandeburgo-Kulmbach-Bayreuth.

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43 L’Eremitage era la residenza di campagna della margravia Wilhelmine. Costruita fra il 1715 e il 1718 dal margravio Georg Wilhelm, fra il 1743 e il 1745 fu ampliata dalla margravia Wilhelmine che si occupò soprattutto dei giardini, affidandone l’orchestrazione architettonica anche in questo caso a Joseph Saint-Pierre. 44 Attuale località di Eckersdorf-Donndorf. 45 Il castello, il cui nome deriva dallo stagno prosciugatosi (cfr. supra, p. 1186, nota 27), fu fatto erigere da Georg Wilhelm, nel periodo in cui questi regnava a Bayreuth (1712-1726). 46 Il Sechsämter, un distretto costituito da sei unità amministrative (Amt), rappresentava una suddivisione politica dell’antico Margraviato di Brandeburgo-Bayreuth. Era formato dai distretti di Hohenberg, Kirchenlamitz, Selb, Thierstein, Weißenstadt e Wunsiedel e corrispondeva grosso modo all’odierno circondario (Landkreis) di Wunsiedel nel Fichtelgebirge. 47 Si riferisce alla torre di Walpotenburg, che nel XIII secolo passò ai conti di Orlamünde, una dinastia della Turingia sviluppatasi a Orlamünde, sulle rive della Saale, ed estinta dalla metà del XIV secolo. 48 La fortezza di Wallenrode e la cappella furono costruite dai conti di Wallenrode fra il 1448 e il 1491. 49 «Da man zählt nach Christi Geburt 1480 Jahre am St. Jürge-Abend (= 22. April) durch Veit von Wallenrode ist der erste Stein an dieser Kapelle gelegt.» [«Oggi, allorquando si contano 1480 anni dalla nascita di Cristo, per la ricorrenza della festa liturgica di S. Giorgio (22 aprile), per mano di Veit von Wallenrode è stata posta la prima pietra a questa cappella»]. 50 Il riferimento è al testo di J.G. Hentze, Berneck: ein historischer Versuch, Bayreuth, Lübecks Erben, 1790. Hentze (1763-1798) lavorò alla segreteria dell’archivio di Bayreuth e dal 1790 divenne assessore al tribunale della corte prussiana. 51 Il martedì di Pentecoste. 52 Il riferimento è probabilmente a Immanuel August Ullmann. 53 S’intende l’odierna Kemlas. 54 Si tratta della siderite, un minerale composto da carbonato ferroso, molto ricercato per l’estrazione del ferro. 55 Si tratta dell’aragonite coralloide. Il termine “fiore di ferro” è usato nella letteratura specialistica settecentesca. 56 La pietra sanguigna è ematite che al suo interno conserva un’anima rossastra. Opportunamente appuntita, viene utilizzata per il “disegno a sanguigna”. 57 Il calcedonio si presenta di solito in forme stalattitiche. 58 La tesa (Lachter) è un’unità di misura utilizzata nell’ambito dell’attività mineraria; una tesa è pari a circa due metri. 59 Il pollice (Zoll) come unità di misura della lunghezza è pari a cm 2,54. 60 Alla lettera “scarpone”, che corrispondeva a 11 181/864 di pollice viennese. A sua volta un “pollice viennese” (Wiener Zoll) corrisponde a cm 2,63. 61 Si tratta del “vetriolo verde” o “solfato ferroso”, sale di ferro dell’acido solforico. 62 Il riferimento è alla città ceca di Karlovy Vary. 63 Alexander von Humboldt (1769-1859), già durante il periodo dei suoi studi a Freiberg, faceva parte del dipartimento montano della Prussia. Nel 1792 aveva ottenuto l’incarico di “assessor cum voto” al dipartimento centrale di Berlino e dal 1793 venne inviato come esperto della soprintendenza delle miniere (Oberbergmeister) nel ducato francone di Ansbach-Bayreuth, che dal 1791 era passato sotto la Prussia. Durante questo periodo si sforzò in ogni modo di riattivare il lavoro minerario della zona e si prodigò anche per migliorare le condizioni lavorative e sociali dei minatori, creando una scuola professionale. Per questo motivo creò una lanterna adeguata, simile a quella che nel 1815 inventò Davy, e una “macchina respiratoria” (Respirationsmaschine); cfr. A. von Humboldt, Über

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die unterirdischen Gasarten und die Mittel ihren Nachtheil zu vermindern. Ein Beytrag zur Physik der praktischen Bergbaukunde, Braunschweig, Vieweg, 1799. È inoltre possibile che Wackenroder conoscesse i fratelli von Humboldt dal tempo delle lezioni di Moritz a Berlino; cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, Leipzig, Brockhaus, 1855, erster Theil, p. 90. 64 La fortezza di Thierstein fu costruita nel 1340 da Albrecht VI Notthaft, membro di una dinastia bavarese, come centro amministrativo. Fu distrutta nel 1462 durante le guerre bavaresi. 65 Il termine, nato intorno alla fine del XVIII secolo, indica una roccia con una particolare tessitura. 66 Si tratta di Johann Christoph Schubert (1731-1752), nato in Sassonia, a Torgau. 67 Anche detta Luxburg, si tratta della odierna Luisenburg (così rinominata a partire dal 1805). 68 Si tratta della zona denominata “Oberpfälzer Wald”, foresta dell’Alto Palatinato, termine con il quale si indicava il Palatinato di Bayreuth, rispetto al Palatinato della zona renana. Può anche essere chiamato Palatinato bavarese. 69 Oggi chiamato Nußhardt. 70 Johann Adolph Friedrich Randel (1739-1793), consigliere di guerra del re prussiano, dopo il 1786 si dedicò alla produzione di scritti soprattutto nell’ambito della statistica. Fu autore tra gli altri del testo Annalen der Staatskräfte von Europa nach den neuesten physischen, gewerblichen, wissenschaftlichen und politischen Verhältnissen der Sämmtlichen Reiche und Staaten, in tabellarischen Übersichten. In Drey Stücken, Berlin, Vieweg, 1792. I riferimenti sono contenuti a p. 4 dello stesso testo. 71 Un “piede parigino” è pari a 0,3248394 m. 72 La scuola di latino di Wunsiedel aveva iniziato nel XVIII secolo a presentare delle pièces teatrali, in occasione del semestre estivo, servendosi dello scenario naturale della zona. 73 L’attuale Bad Alexandersbad, che deve il suo nome al margravio Christian Carl Alexander di Ansbach-Bayreuth cui si deve l’iniziativa di aver trasformato la sorgente minerale, scoperta nel 1734, in un centro termale nel 1783. 74 Armate prussiane e austriache impegnate sul Reno contro la Francia rivoluzionaria. 75 Johann Christian Daniel Schreber (1739-1810), botanico e zoologo, dal 1770 divenne professore di medicina, occupandosi anche di botanica e dietetica. Dal 1771 divenne direttore del nuovo giardino botanico di Erlangen e dal 1777 diresse il museo naturalistico della città. Fu traduttore di molte opere di Carl von Linnè. 76 Himmelkron era un complesso cistercense fondato nel 1279 dal conte Otto III della dinastia di Orlamünde-Weimar. La chiesa fu ristrutturata in stile barocco fra il XVI e il XVII secolo. Fra i monumenti sepolcrali all’interno, quello di Agnes di Weimar-Orlamünde e della contessa Anna di Norimberga. 77 Cfr. supra, p. 1186, nota 42. 78 Trou-madame è un gioco simile al biliardo. Variante della Bagatelle in auge presso la corte di Luigi XIV, il Trou Madame prevedeva, su un tavolo di legno con sponde e fondo ricurvo, un piccolo ponte ad archi attraverso cui dovevano passare le biglie, dopo aver abbattuto almeno un birillo. A testimoniarne la sua notorietà e diffusione fin da epoche molto precedenti, lo si trova citato anche in Shakespeare (Winter's Tale, IV, scena III). La sua evoluzione tecnologica è il moderno flipper. 79 Si riferisce all’odierno castello Steinenhausen a Melkendorf. 80 Antica dinastia francone. Il castello di Thurnau, appartenuto alla dinastia Giech, fu costruito inizialmente nel XIII secolo e poi ampliato e ristrutturato fino al XIX. 81 Il riferimento è probabilmente a Johann Ludwig Wunder (1771-1819). 82 Cfr. altri due passaggi che descrivono le grotte: Resoconti Wackenroder, pp. 1071 e segg. e 1089.

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83 Si tratta della cosiddetta «Zoolithenhöhle» (grotta degli zooliti) nei pressi di Burggaillenreuth, una delle più antiche grotte della Svizzera francone. 84 La grotta di Rosenmüller prese il nome dallo studente di medicina di Erlangen Johann Christian Rosenmüller (a lui si deve anche la scoperta dei linfonodi di Rosenmüller) che, nel 1792, fu il primo estraneo ad addentrarsi nella grotta scoperta due anni prima da Johann Ludwig Wunder. Nel 1796 pubblicò anche un’opera che descriveva anche con incisioni a colori le grotte di Muggendorf: J. C. Rosenmüller, Abbildungen und Beschreibungen merkwürdiger Höhlen um Muggendorf im Baireuthischen Oberlande für Freunde der Naturund Kunst, Erlangen, Palm, 1796. 85 La grotta di Oswald («Oswaldhöhle»), prima comunemente detta “höhler Berg” (montagna cava), fu chiamata così dopo che Johann Andreas Georg Friedrich Rebmann (1768-1824), giurista e scrittore, nel suo famoso romanzo cavalleresco Heinrich von Neideck individuò la grotta come abitazione per uno dei suoi personaggi, l’eremita Oswald. Cfr. J.A.G.F. Rebmann, Heinrich von Neideck. Ein romantisches Gemählde aus dem Mittelalter (Heinrich von Neideck. Un quadro romantico del Medioevo), Erlangen, Walther, 1791. 86 L’attuale «Witzenhöhle» (grotta di Wit) costituisce, insieme alla grotta di Wunder, un unico sistema di grotte. Deve il suo nome al dio Vit. Secondo la leggenda, qui risiedeva il dio della giustizia e della vendetta, che presso gli slavi era noto con il nome di “svantevit”. 87 Nell’attuale Triesdorf i margravi di Ansbach avevano costituito dal XVII secolo la loro resisdenza estiva. 88 Cfr. supra, p. 1187, nota 50. J.G. Hentze (1763-1798), Versuch über die ältere Geschichte des fränkischen Kreises, insbesondere des Fürstenthums Bayreuth, Bayreuth, Lübecks Erben, 1788. 89 J.F. Esper, Ausführliche Nachricht von neuentdeckten Zoolithen unbekannter vierfüsiger Thiere, und denen sie enthaltenden, so wie verschiedenen andern denkwürdigen Grüften der Oberbürgischen Lande des Markgrafthums Baireuth, Nürnberg, Knorrs Erben, 1774. Johann Friedrich Esper (1732-1781), pastore a Erlangen dal 1764, si dedicò a temi naturalistici. In seguito a un viaggio nel 1771, durante il quale visitò le grotte di Muggendorf, decise di pubblicare la Ausführliche Nachricht, corredandola di incisioni a colori e facendo conoscere le grotte della zona, fino ad allora quasi completamente sconosciute. 90 Si riferisce al pastore protestante Erduin Julius Koch (1764-1834), storico della letteratura e filologo classico. Koch si era formato prima a Berlino, e tra i suoi insegnanti aveva avuto Christoph Heinrich Müller, a sua volta discepolo di Bodmer a Zurigo, quindi aveva compiuto gli studi di teologia a Halle; iniziò nel 1793 la sua attività di predicatore alla Marienkirche di Berlino. Wackenroder, nel 1792, aveva seguito le lezioni di Koch a Berlino di storia della letteratura, trovando in lui un docente e un referente (cfr. anche supra, p. 887, nota 133). Cfr. D. Kemper, Sprache der Dichtung. Wilhelm Heinrich Wackenroder im Kontext der Spätaufklärung, Stuttgart-Weimar, Metzler, 1993, p. 28 e E. Agazzi, “‘Gebundene’ und ‘ungebundene’ Zeit im Briefwechsel zwischen Wackenroder und Tieck (1792-1793). Lektüren, Arbeitspläne und philologische Studien im freundschaftlichen Austausch”, in Gebundene Zeit, Zeitlichkeit in Literatur, Philologie und Wissenschaftsgeschichte, hrsg. von J. Standke, unter Mitwirkung von H. Dainat, Heidelberg, Winter, 2014, pp. 178-187. 91 Si riferisce al volume Für deutsche Sprache, Litteratur und Cultur-Geschichte, Berlin, 1794, curato anche da Koch e annuciato già nel corso dell’anno precedente. Cfr. Carteggio, pp. 894 e 896, nota 207. 92 Le miglia antiche erano di 7,42 km, quelle prussiane erano invece di 7,53. 93 Si tratta probabilmente della serie di incisioni di Norimberga realizzata da Johann Adam Delsenbach (1687-1765), i Nürnbergische Prospecte, creati fra il 1715/16 e il 1754. L’opera era in sette parti e constava di circa 113 incisioni. 94 Si riferisce a Christoph Gottlieb von Murr (1733-1810), dal 1760 addetto agli uffici della dogana, ma soprattutto poliedrico uomo di cultura. Gran viaggiatore, nel

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1758 visitò Venezia, Padova e Vicenza, Murr pubblicò una Bibliotheca glottica universalis, una Bibliotheca matematica universalis, una Bibliotheca rhetorica e una Bibliothèque de Peinture, de Sculpture et de Gravure (Frankfurt und Leipzig, Krauss, 1770). Pubblicò anche riviste di argomento letterario e artistico: tra il 1775 e il 1789 in 17 fascicoli il Journal zur Kunstgeschichte und allgemeinen Litteratur (che nel 1794 fu preso in prestito da Wackenroder alla biblioteca di Gottinga), fra il 1798 e il 1789 in due volumi il Neues Journal zur Litteratur und Kunstgeschichte e fu anche l’editore della rivista Der Zufriedene, pubblicata fra il 1763 e il 1764 in quattro volumi. 95 Si riferisce a Georg Wolfgang Franz Panzer (1729-1805), uno dei più famosi bibliografi tedeschi del suo tempo. Dal 1760 divenne diacono alla chiesa di San Sebaldo a Norimberga e nel 1773 fu nominato pastore della medesima. I suoi interessi erano incentrati sul collezionismo di antiche bibbie a stampa e di opere di letteratura, sia tedesca che straniera, del Cinquecento. Pubblicò fra il 1793 e il 1803 in undici volumi gli Annales Typographici, una sorta di repertorio di tutto il materiale a stampa realizzato fino al 1536, fra il 1780 e il 1805 gli Annalen der älteren deutschen Literatur, che raccoglievano le opere tedesche edite fino al 1526 e nel 1789 la Älteste Buchdruckergeschichte Nürnbergs. Il nome “Schaffer” con cui viene appellato è quello destinato in ambito evangelico al più vecchio fra diaconi. Cfr. anche supra, p. 897, nota 225. 96 Le immagini evocate in questo passaggio, le “biblioteche”, gli “angoli” bui e le “finestre dai piccoli vetri tondi”, rimandano alle medesime descrizioni contenute nelle Effusioni, nella sezione dedicata a Norimberga e ad Albrecht Dürer; cfr. Effusioni, p. 177. 97 C.G. von Murr, Abbildungen der Gemälde und Alterthümer, welche seit 1738 sowohl in der verschütteten Stadt Herkulanum als auch in den umliegenden Gegenden an das Licht gebracht worden: nebst ihrer Erklärung, Augsburg und Nürnberg, Deckhardt, 6 Bände, 1777-1782. Nell’opera Murr descriveva le incisioni realizzate da Georg Christoph Kilian. La bozza di stampa a cui si riferisce Wackenroder è una seconda edizione ampliata del 1793 in sette volumi. Apparve poi nel 1799 una terza edizione ulteriormente ampliata in otto volumi. 98 Johann Samuel Seckt (?-1819) è l’autore di una storia di Prenzlau, Versuch einer Geschichte der Ukermärkischen Hauptstadt Prenzlau, Prenzlau, Ragoczy, 1785. 99 Karl Stephan Jordan, Historisch-literarische Untersuchungen über Giordano Bruno, Prenzlau, 1732. 100 Johann Karl Konrad Oelrichs (1722-1799), storico e storico del diritto. Dal 1752 divenne professore di diritto al ginnasio accademico di Stettino. Autore di molti scritti di argomento giuridico, storico e anche letterario, specie riguardo la Pomerania. 101 Johann Friedrich August Kinderling (1743-1807) fu predicatore e filologo a Calbe sulla Saale. 102 Johann Karl Wilhelm Moehsen (1722-1795), medico, dal 1778 archiatra di Federico II di Prussia, fu autore di studi scientifici di epidemiologia, si occupò in particolare del vaiolo, ma anche di storia della medicina, di letteratura e di numismatica. La sua biblioteca comprendeva circa 15.000 volumi, era arricchita anche da monete, quadri, manoscritti e medaglie di ambito prussiano, e fu poi lasciata all’Accademia delle Arti di Berlino. 103 La editio princeps di Lattanzio fu pubblicata a Roma nel 1465 da Conrad Sweynheim e Arnold Pannartz. 104 La prima Bibbia in lingua tedesca apparve a Strasburgo per i tipi di Johannes Mentelin nel 1466. 105 Johann Fust a Magonza aveva stampato una Bibbia già nel 1462, ma ancora in lingua latina. 106 Potrebbe trattarsi di un’edizione tedesca dei Mirabilia Urbis Romae, una sorta di guida della città in latino che si occupava sia della parte religiosa che di quella profana e che risaliva al Medioevo. Nel corso dei secoli si arricchì di elenchi delle chiese di Roma e delle storie dei papi.

NOTE 95-117

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107 Johannes Müller (1436-1476), matematico e astronomo di Könisgberg, da cui appunto il nome di Regiomontano. 108 Nel 1517 Lutero tradusse e fece stampare il suo primo testo biblico in tedesco, i sette Salmi penitenziali. 109 Friedrich Nicolai (1733-1811), uno dei più noti protagonisti dell’Illuminismo berlinese, editore della Allgemeine Deutsche Bibliothek, pubblicò fra il 1783 e il 1796 un lungo e dettagliato resoconto di un viaggio attraverso la Germania e la Svizzera: Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre 1781, 12 voll., Berlin und Stettin, 1783-96. Nel primo volume, in riferimento agli eruditi della città di Norimberga, cita Georg Wolfgang Panzer: «Il signor Georg Wolfgang Panzer, Schaffer (o primo diacono) presso la chiesa di St. Sebald, è noto per parecchie prove letterarie lodevoli. Ha un’eccellente biblioteca, se ne trovano raramente di simili da privati, sia per quanto riguarda il numero che per quello che concerne la scelta adeguata. Vi si trova una ragguardevole collezione di volumi inglesi di argomento teologico e buoni libri filosofici, inoltre un’imponente collezione di eccellenti edizioni di autori classici, all’interno della quale anche alcuni molto preziosi; un grande numero di scritti in parte rari che appartengono alla storia dei letterati e dei libri ecc. In particolare ha una collezione decisamente completa di Bibbie. Crede di possedere tutti gli originali e altre edizioni dalla traduzione di Lutero», F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre 1781, cit., Bd. 1, pp. 292-293. 110 Anticamente gli affreschi, le tele e i mosaici erano detti la “Bibbia pauperum”, perché presentavano le scene della Bibbia a coloro che non sapevano leggere. Successivamente si indicò con Bibbia dei Poveri o Biblia Pauperum una raccolta d'immagini in cui è raccontata la vita di Cristo fino al Giudizio finale nella maniera consueta al sec. XIII, dando cioè un particolare sviluppo ai fatti dell'Infanzia e della Passione. Ogni immagine è messa in relazione con due fatti del Vecchio Testamento, e con medaglioni che recano quattro profeti, reggenti quasi sempre dei nastri con parole allusive ai misteri del Vangelo. Accompagna le figure un testo esplicativo assai breve, specialmente per quelle del Vecchio Testamento. 111 Si tratta del testo Der Renner (Il cavallo da corsa), l’unica opera conservata di Hugo von Trimberg (ca. 1230 - dopo 1313). Il testo, che consta di 26.611 versi, è una raccolta di testi edificanti e di considerazioni morali intorno ai sette peccati capitali. 112 Freydank o Freidank è il nome di uno scrittore del XIII secolo, proveniente dalla Germania meridionale o dalla Svevia, autore di una collezione di sentenze dal titolo Bescheidenheit (Umiltà), che fu pubblicata per la prima volta da Wilhelm Grimm nel 1834. Cfr. W. Grimm, Vridankes Bescheidenheit, Göttingen, Dieterich, 1834. 113 Johannes Folz, o Hans Folz (ca. 1440-1513) era un maestro cantore originario di Worms, che si affermò presso la scuola di Norimberga, la più importante. Fu autore di farse carnascialesche, di facezie e di indovinelli ed è anche noto come riformatore del Meistergesang (Canto dei maestri cantori). 114 G.W.F. Panzer, Verzeichnis von nürnbergischen Portraiten aus allen Staenden, gefertiget von G.W. Panzer. Auf eigene Kosten, Nürnberg, Bieling, 1790. 115 Georg Ernst Waldau (1745-1817) teologo evangelico e storico della chiesa, dal 1791 predicatore a Sant’Egidio; cfr. supra, pp. 895-896, nota 207. 116 Julius Friedrich Malblanc (1752-1828) era professore di diritto, prima ad Altdorf, dal 1779, dove fu anche rettore e decano della facoltà per due mandati, e quindi dal 1792 a Erlangen. Nel 1793 fu chiamato all’università di Tubinga. 117 Gli Haller von Hallerstein erano una famosa famiglia patrizia di Norimberga. Poteva quindi trattarsi di Karl Haller von Hallerstein (1774-1817), che aveva studiato architettura a Stoccarda e a Berlino con David Gilly e si era poi dedicato all’archeologia; o anche del fratello Christoph Jakob Haller von Hallerstein (1771-1839), pittore, miniaturista e incisore.

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118 Johann Heinrich Häßlein (1737-1796) fu impiegato del tribunale di Norimberga dal 1783, ma la sua autentica passione rimaneva quella della linguistica, a cui non aveva potuto dedicarsi professionalmente forse per questioni economiche. Häßlein si era volto quindi da autodidatta agli studi storico-letterari, etimologici e linguistici e aveva anche pubblicato dei testi di Hans Sachs. Di lui parla Nicolai durante la sua permanenza a Norimberga, sottolineandone le ampie conoscenze nell’ambito della lingua tedesca, cfr. F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre 1781, cit., Bd. 1, pp. 291-292. 119 Altdorf fu sede dell’università dal 1622 al 1809. 120 Cfr. supra, p. 1191, nota 116. 121 I Praun erano una famiglia patrizia di commercianti rintracciabile nelle cronache di Norimberga già dalla fine del XIV secolo. Paulus Praun (1548-1616) fu anch’egli commerciante e svolse le proprie attività fra Norimberga e l’Italia; a Bologna venne a contatto con l’ambiente artistico e riuscì a crearsi una preziosa collezione di quadri e stampe che trasportò a Norimberga. Qui ereditò anche una “Kunstkammer” dal padre che, insieme alle ulteriori acquisizioni, arricchì notevolmente la collezione. Non avendo alcun discendente diretto, Paulus Praun lasciò nel testamento la clausola secondo la quale la collezione dovesse rimanere alla famiglia; soltanto l’ultimo discendente avrebbe potuto decidere di venderla. Nel 1793 la collezione era di un erede della famiglia, Siegmund Christoph Ferdinand von Praun (1731-1795), assessore giudiziario. Già nel 1772, la famiglia aveva però deciso di vendere i preziosi oggetti d’arte e aveva fatto compilare un catalogo delle opere, terminato nel 1797, da Christoph Gottlieb von Murr, che aveva già dedicato alcune pagine alla storia della collezione; cfr. C.G. von Murr, Beschreibung der vornehmsten Merkwürdigkeiten in des H. R. Reichs freyen Stadt Nürnberg und auf der hohen Schule zu Altdorf. Mit Kupfern, Nürnberg, Zeh, 1778. La collezione fu definitivamente venduta nel 1801 per gran parte al mercante d’arte Johann Friedrich Frauenholz, ma nel 1797 Goethe aveva fatto ancora in tempo ad ammirarla. 122 I tre automi di Vaucanson (1709-1782), presenti alcuni anni prima a Norimberga, erano il suonatore di flauto, un pastore provenzale e la famosa anatra in grado di muovere le ali. Vaucanson aveva presentato questi preziosi marchingegni in legno nel 1738 a Parigi e aveva pubblicato anche un breve saggio che ne descriveva il funzionamento, cfr. J. De Vaucanson, Le Méchanisme du fluteur automate présenté à messieurs de l’Académie royale des sciences, Paris, 1738 (ed. ted., Id., Beschreibung eines mechanischen Kunst-Stucks, und automatischen Flöten-Spielers, … samt Einer Description sowohl einer künstlich-gemachten Ente, … als auch einer andern gleichfalls wunderbaren Figur, Augsburg, Menschenbaur, 1748). Furono poi venduti a un certo du Moulin che, dopo essersi trasferito in Germania, dove aveva tentato di vendere gli automi per ripianare i debiti personali, era emigrato definitivamente a San Pietroburgo, lasciando le opere in casse chiuse a Norimberga. Nel 1781 i tre automi vennero acquistati da Gottfried Christoph Beireis (1730-1809), medico e chimico di Helmstedt, grande appassionato e collezionista di apparecchiature singolari, di curiosità e di rarità. Nell’agosto del 1805 anche Goethe fece visita al “mago di Helmstedt”, come era chiamato Beireis proprio per il suo gusto del mistero e le collezioni di meraviglie, potendo ammirare gli automi, cfr. W. Goethe, Tag und Jahreshefte, WA, I, 35, p. 207 e segg. 123 Cfr. F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz im Jahre 1781, pp. 291-292. 124 Johann Friedrich Frauenholz (1758-1822), il mercante d’arte che aveva acquistato gran parte della collezione di Praun, era sposato con la figlia di Häßlein e aveva fondato, insieme al pittore Johann Peter Rößler e al filosofo Johann Benjamin Erhard, il Nürnberger Verein für Künstler und Kunstfreunde (Associazione di Norimberga per artisti e amici dell’arte). 125 Paul Joachim Siegmund Vogel (1753-1834), Versuch über die Religion der alten Ägypter und Griechen, Nürnberg, Frauenholz, 1793.

NOTE 118-136 126

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Si tratta di Ewald Friedrich conte di Hertzberg (1725-1795). Konrad Mannert (1756-1834) storico e insegnante al ginnasio di Sant’Egidio, dal 1796 venne chiamato dall’università di Altdorf come professore di storia e di lingue occidentali. Il testo a cui si riferisce Wackenroder è Geographie der Griechen und Römer, 10 Bände, Nürnberg, Grattenauer, 1788-1825. 128 Johann Friedrich Wilhelm Herbst (1743-1807), pastore e predicatore, terzo diacono dal 1783 alla chiesa di Santa Maria di Berlino. Accanto alla sua attività spirituale affiancò anche interessi legati alla storia naturale e alla zoologia e fu membro della Gesellschaft naturforschender Freunde (Società degli amici naturalisti) di Berlino. 129 Georg Wolfgang Panzer (1755-1829), medico e botanico, fu fra i precursori dell’entomologia, classificando e descrivendo la fauna degli insetti della Germania. 130 Carl Ludwig Wildenow (1765–1812), medico e botanico, dal 1798 professore di storia naturale al Collegio medico-chirurgico di Berlino e dal 1809 professore di botanica all’università di Berlino. Le sue ricerche botaniche, che lo interessarono fin dai primi anni di studio, durante il quale scambiò contatti amichevoli e scientifici con Alexander von Humboldt, lo portarono a pubblicare nel 1792 l’opera Grundriß der Kräuterkunde (Fondamenti di botanica) che ebbe ben sette ristampe solo a Berlino, due a Vienna e fu tradotta in molte lingue straniere. 131 Johann Georg Jonathan Schuderoff (1766-1843) fu pastore e predicatore. Dal 1790 presso Drackendorf (Jena), successivamente ad Altenburg. Fu anche impegnato attivamente nella pubblicazione di scritti letterari e teologici, occupandosi anche del rapporto fra stato e chiesa e della riunione delle confessioni religiose. 132 Johann Benjamin Erhard (1766–1827), già citato per aver fondato insieme a Frauenholz e Rößler il Verein für Künstler und Kunstfreunde (cfr. supra, p. 1192, nota 124), fu medico e filosofo. Formatosi come medico a Würzburg, dalla giovane età aveva sviluppato un forte interesse per la filosofia, prima di Wolff e poi di Kant. Dal 1790 si trasferì a Jena dove strinse amicizia con Schiller, grazie al quale poté pubblicare alcuni scritti su Thalia. Dopo essere riuscito a conoscere a Königsberg il suo “maestro” Kant, rientrò a Norimberga dove avviò la propria attività di medico, continuando però l’attività letteraria e pubblicando sulla rivista di Wieland Der Teutsche Merkur. Dal 1799 si trasferì definitivamente a Berlino e strinse rapporti con Rahel Varnhagen e con suo marito. Wolfgang Proß ha ipotizzato potesse essere l’autore di Le veglie di Bonaventura; cfr. W. Proß, “Jean Paul und der Autor der ‘Nachtwachen’ – eine Hypothese”, in Aurora. Jahrbuch der Eichendorff-Gesellschaft, 34, 1974, pp. 65-74. 133 Georg Wolfgang Knorr (1705-1761), mercante d’arte e incisore in particolare di soggetti naturali, nel 1759 aveva pubblicato l’opera Allgemeine Künstler Historie, oder berühmter Künstler Leben, Wercke und Verrichtungen mit vielen Nachrichten von raren, alten und neuen Kupferstichen beschrieben (Nürnberg, Bieling, 1759) all’interno del quale era presente un lungo saggio su Albrecht Dürer. 134 Johann Michael Seligmann (1720-1762), incisore e mercante d’arte a Norimberga, aveva pubblicato opere a carattere prevalentemente naturalistico. 135 La famiglia Dietsch o Dietzsch di Norimberga annoverava fra i suoi componenti alcuni artisti nel XVIII secolo, fra i quali Johann Christoph (1710-1783), pittore e incisore, Barbara Regina (1706-1783), autrice di opere a carattere naturalistico, in particolare fiori e uccelli, e Margaretha Barbara (1726-1795), autrice di quadri e incisioni. 136 Johann Daniel Meyer (1713-1757), Populäre Zoologie, oder Beschreibung und Abbildung des äußern und innern Bau derjenigen Thiere, deren nähere Kenntniß allgemein nützlich ist, Nürnberg, Frauenholz, 1790. L’opera precedente, alla quale si fa riferimento, era J.D. Meyer, Angenehmer und nützlicher Zeit-Vertreib mit Betrachtung curioser Vorstellungen allerhand kriechender, fliegender und schwimmender, auf dem Land und im Wasser sich befindender und nährender Thiere [...], Nürnberg, Fleischmann, 1748-1756. 127

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137 Albert Christoph Dies (1755-1822) fu pittore incisore e anche biografo; sua infatti è la biografia di Haydn del 1810. Dal 1755 si trasferì a Roma, dove ebbe contatti con Jakob Philipp Hackert (1737-1807) e Johann Christian Reinhart (1761-1847). Insieme a Reinhart e a Jakob Wilhelm Mechau (1745-1808) pubblicò da Frauenholz a Norimberga l’opera Malerisch radierte Prospekte aus Italien fra il 1792 e il 1796, 72 incisioni menzionate da Goethe nella Italienische Reise. 138 12 soldi corrispondevano a un tallero. 139 Philipp von Stosch (1691-1757), antiquario e collezionista e archeologo, viaggiò per tutta Europa e visse per la maggior parte del tempo in Italia. Von Stosch dispose nel testamento che Winckelmann realizzasse un catalogo completo delle sue gemme, che fu pubblicato poi a Firenze con il titolo Description des pierres gravées du feu Baron de Stosch. La raccolta di illustrazioni di gemme menzionata da Wackenroder è invece Dactyliotheca Stoschiana oder Abbildung aller geschnittenen Steine, die ehemals der Baron Philipp von Stosch besass, die sich jetzt aber in dem Kön. Preussischen Museum befinden: nebst der Beschreibung derselben von Johann Winckelmann und mit Anmerkungen und Erläuterungen von Friedrich Schlichtegroll, 2 Bde, Nürnberg, Frauenholz, 1805. 140 Johann Adam Schweikart (1722-1787) esercitò il mestiere di incisore; dal 1742 fu a Firenze e collaborò con Stosch. 141 Johann Gotthard Müller (1747-1830) fu un famoso incisore (nel 1774 Lavater gli aveva chiesto di collaborare alla realizzazione dei Frammenti fisiognomici, ricevendo però un rifiuto) che dal 1776 ottenne l’incarico di professore della tecnica di incisione e di direttore dell’Accademia di Stoccarda. Fra le sue incisioni il ritratto di Friedrich Schiller, di Justus Christian Loder e di Jèrôme Bonaparte. 142 Ignaz Sebastian Klauber (1754-1820) fu uno dei più famosi incisori tedeschi, in particolare per i suoi ritratti. 143 Johann Martin Preisler (1715-1794) dal 1744 fu incisore di corte e dal 1750 insegnò all’Accademia di Kopenhagen. 144 Johann Casanova (1728-1795) direttore dell’Accademia di disegno di Dresda dal 1764. 145 Adolf Heinrich Friedrich Schlichtegroll (1765-1822) fu archeologo, numismatico e primo biografo di Mozart (il suo necrologio apparve su Nekrolog auf das Jahr 1791). Dopo gli studi filologici a Gottinga, dove poté avvalersi degli insegnamenti di Christian Gottlob Heyne, si trasferì a Gotha dove insegnò al ginnasio ed ebbe incarichi di bibliotecario. Dal 1790 circa cominciò a collaborare con l’editore Perthes nello scrivere saggi e testi per le pubblicazioni di necrologi (Nekrolog der Deutschen) e fu lui a scrivere annotazioni e osservazioni nella grossa pubblicazione della collezione von Stosch (cfr. supra, nota 139). 146 William Woollett (1735-1785), incisore inglese, annovera fra i suoi pezzi più noti The Death of General Wolfe (1776) e la Battle of La Hogue (1781). 147 William Sharp (1749-1824) fu un incisore inglese che divenne membro onorario dell’Accademia imperiale di Vienna e di quella regia di Monaco. 148 Francesco Bartolozzi (ca.1728-1815) fu un incisore fecondissimo in grado di perfezionare la tecnica sull’uso congiunto del bulino e dell’acquaforte. Fra le sue celebri incisioni la serie dedicata al Guercino e la serie dei ritratti per le Vite del Vasari. Dal 1764 si trasferì a Londra, diventando uno dei fondatori della Royal Academy of Arts. 149 Richard Earlom (1743-1822) fu un incisore inglese noto per l’uso della mezzatinta. 150 Detta anche “stampa a fumo” o “mezzatinta”. 151 Robert Strange (1721-1792) fu un incisore scozzese, che dal 1760 iniziò un lungo tour in Italia, dove incise da Correggio, Tiziano e Raffaello e dove diventò il rivale di Bartolozzi. Nel 1765 rientrò in Inghilterra. 152 Valentine Green (1739-1813), incisore inglese, lavorò e pubblicò incisioni tratte dai capolavori presenti alla galleria di Düsseldorf.

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153 Jean Pierre Simon (prima del 1750 - ca. 1810) era un incisore francese. Alcuni dei suoi lavori vennero inseriti nella collezione della Shakespeare Gallery, un’esposizione permanente di opere ispirate ai drammi shakespeariani creata nel 1789 da John Boydell (1719-1804) a Londra. Nel 1794 Tieck scrisse un breve saggio sulle incisioni della galleria di Londra che fu pubblicato l’anno seguente: L. Tieck, “Ueber die Kupferstiche nach der Shakespearschen Gallerie in London. Briefe an einen Freund”, in Neue Bibliothek der schönen Wissenschaften und der freyen Künste, Bd. 55, Zweytes Stück, pp. 187-226. 154 Si tratta di uno dei fratelli Kobell, Ferdinand Kobell (1740-1799), pittore e incisore; suo fratello Franz Kobell (1749-1822) fu pittore. 155 Maria Katharina Prestel, nata Höll (1747-1794), si dedicò dal 1769 principalmente alla riproduzione di incisioni famose utilizzando la tecnica dell’acquatinta. Dal 1786 si separò dal marito e si trasferì a Londra, anche grazie a Frauenholz, con il quale era in contatto epistolare. 156 Giovanni Volpato (1733-1803) fu un incisore. Dal 1762 fu chiamato a Venezia da Bartolozzi, si trasferì poi a Roma dal 1772, dove incise tavole degli affreschi delle Stanze e delle Logge Vaticane. 157 Raffaello Morghen (1758-1833) è noto soprattutto per le sue incisioni virtuosistiche tratte da capolavori di grandi maestri quali Leonardo e Raffaello. 158 Clemens Kohl (1754-1807), austriaco, fu nominato dall’imperatrice Maria Teresa incisore di corte. Sue sono le incisioni contenute nella prima edizione delle opere di Wieland; incise inoltre molti ritratti di scrittori, fra i quali Bürger, Geßner, Gellert. 159 Karl Hermann Pfeifer (n. 1766 ca.) incisore originario di Francoforte. 160 Probabilmente si tratta di Johann Peter Pichler (1765-1807), incisore originario di Bolzano che si formò all’Accademia di Vienna. Intorno al 1790 ottenne l’incarico da parte del principe di Anhalt-Dessau di incidere tavole da opere della galleria di Braunschweig, Dresda e Kassel. 161 Karl Gottlieb Guttenberg (1743-1792) fu un incisore tedesco formatosi a Stoccarda. 162 Daniel Berger (1744-1825) incisore noto inizialmente per le illustrazioni e per i ritratti. Dal 1787 fu direttore della scuola di incisione di Berlino. Riprodusse in diversi formati il ritratto di Federico II e molti generali prussiani. Al 1791-99 risalgono i lavori migliori, fra i quali scene di battaglia come la morte del generale Kurd Christoph von Schwerin caduto nel 1757 a Praga. 163 Johann Nussbiegel (1750-1829), membro della Nürnberger Malerakademie, figlio dell’incisore ed editore Georg Paul Nussbiegel (1713-1776). 164 Abraham Wolfgang Küfner (1760-1817) pur essendo un famoso pittore e incisore, lega il suo nome a un falso e a una grossa truffa che lo coinvolse. Nel 1799, infatti, gli fu commissionato il restauro dell’autoritratto di Dürer del 1500; in quell’occasione, probabilmente effettuò lo scambio con una copia da lui realizzata. La truffa venne scoperta nel 1805 quando Küfner tentò di vendere l’originale al principe elettore Massimiliano Giuseppe di Baviera. Nel frattempo la copia era stata portata a Parigi dai francesi che avevano occupato Norimberga nel 1801. Attualmente l’originale è alla pinacoteca di Monaco e la copia al museo Dürer di Norimberga. 165 Dürer morì in realtà il 6 aprile 1528. 166 Cfr. il passo del capitolo su Dürer nelle Effusioni , p. 185: «E così pure non sono affatto d’accordo con le frasi rituali di quelli che affermano: “Se solamente Albrecht Dürer avesse abitato per un po’ di tempo a Roma e avesse imparato da Raffaello la pura bellezza idealizzata, sarebbe diventato un grande pittore; lo si deve compiangere e meravigliarsi solo per tutto quello che egli, pur nella sua condizione, è riuscito a fare”». 167 Christian Bernhard Rode (1725-1797) fu un pittore e incisore e dal 1783 direttore dell’Accademia delle arti di Berlino. Su sollecitazione dell’amico Karl Wilhelm

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Ramler, si rivolse prevalentemente a soggetti storici. Fra le opere più importanti è la serie cosiddetta “brandeburghiana”, 14 dipinti sulla storia del Brandeburgo e la serie “Frideriziana”, sette dipinti creati dopo la morte di Federico II. 168 Daniel Nikolaus Chodowiecki (1726–1801) fu uno dei più importanti illustratori, pittori e incisori del suo tempo, successore di Rode nella direzione dell’Accademia delle arti di Berlino. Chodowiecki disegnò e incise tavole per molti testi letterari del suo tempo, fra cui la Minna von Barnhelm di Lessing, i Masnadieri di Schiller, il Werther di Goethe, opere di Wezel e Lichtenberg. Fra Chodowiecki e Frauenholz, che si conoscevano già da parecchio tempo, ci fu un intenso scambio epistolare. 169 Casa editrice fondata nel 1770 da Karl (Carlo) Artaria (1747-1808) prima essenzialmente specializzata in tavole artistiche e geografiche e successivamente in opere musicali (ad esempio di Haydn, Salieri e Bach). 170 Si riferisce allo stampatore Carsten Friedrich Bremer (1716-1789) e al figlio Justus Frantz Friedrich Bremer (1743-1783), concessionari di vendita di carte geografiche e incisioni. 171 Johann Morino fu editore e libraio a Berlino. 172 La collezione della famiglia Welser, famiglia di commercianti e banchieri di Augusta, era composta da monete e incisioni. 173 J.F. Frauenholz, Verzeichnis einer beträchtlichen Kupferstichsammlung, alter und neuer groestentheils seltener Blaetter aus allen Schulen, nebst Handzeichnungen, Kupferstich-Werken und Kunstsachen: welche den 30. September 1793 und den folgenden Tagen in der Frauenholzischen Behausung in den Nachmittags-Stunden oeffentlich gegen baare Bezahlung in Conventionsgelde sollen versteigert werden, Nürnberg, Frauenholz, 1792. 174 C.G. von Murr, Collectio Amplissima Scriptorum de Klinodiis S. R. Imp. Germ. de Coronatione Imperatorum German. atque de Rege Romanorum et Electoribus, s.l., 1793. 175 Il riferimento è alla figura di Joachim von Sandrart (1606-1688) e al testo J. v. Sandrart: L’Academia Todesca della Architectura, Scultura & Pittura: oder Teutsche Academie der edlen Bau-, Bild- und Mahlerey-Künste, Nürnberg, Miltenberger, 1675. 176 Collezione appartenuta ai Feuerlein, famiglia di studiosi e teologi franconi tra cui Jakob Wilhelm Feuerlein (1689-1766), teologo, professore di logica ad Altdorf e dal 1723 rettore dell’università. 177 Philipp Ludwig Wittwer (1752-1792) fu medico e professore di medicina all’università di Altdorf. 178 Johann Eberhard Ihle (1727-1814) fu un famoso ritrattista e dal 1771 direttore dell’accademia di disegno di Norimberga. 179 Friedrich Julius Heinrich conte Soden von Sassanfahrt (1754-1831) fu ambasciatore della Prussia a Norimberga dal 1781 al 1796. Anche durante l’attività di ambasciatore aveva coltivato la passione per le lettere, scrivendo e pubblicando parecchi drammi, commedie e racconti. Ma fu proprio dal termine della carriera diplomatica che iniziò a dedicarsi completamente al teatro. Nel 1802 fondò il teatro di Bamberga, nel quale dal 1808 chiamò come direttore musicale E.T.A. Hoffmann, dopo che questi aveva messo in musica un libretto di von Soden, Der Trank der Unsterblichkeit (La pozione dell’immortalità); nel 1804 fondò il teatro di Würzburg, che diresse lui stesso per alcuni anni. 180 Ludwig Schubart (1766–1811), figlio dello scrittore Christian Friedrich Daniel Schubart, fu segretario di legazione prussiano nel territorio francone dal 1789. Anch’egli fu dedito all’attività letteraria e compose liriche, scrisse biografie (la più famosa è quella di Ulrich von Hutten del 1791) e tradusse dal francese e dall’inglese. Si dedicò inoltre alla pubblicazione dei testi del padre. 181 Cfr. supra, p. 1192, nota 124, e p. 1193, nota 132. 182 La scritta in originale suonava così: «Diß Haus steht in Gottes Hand, bey den

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Rißen (d. i. Riesen) wird es genannt». Altrimenti la migliore traduzione alla lettera sarebbe: «Questa casa sta nelle mani di Dio; “dei giganti” è chiamata». 183 Cfr. supra, p. 1065. 184 Sigenot compare nel poema medievale svevo-alemanno della saga di Dietrich, che descrive la lotta del giovane Dietrich von Bern contro il gigante, che riesce a gettarlo in una buca e a tenerlo prigioniero. Il vecchio Hildebrand trova il gigante, lo uccide e libera il giovane. 185 Si riferisce a Ottone I di Sassonia, il Grande (912-973). 186 Si tratta della «fortezza imperiale» o Reichsburg. 187 Cfr. supra, p. 1184, nota 5. 188 Il pastore Georg Theodor Strobel (1736-1794), era diventato predicatore dal 1774 nella cittadina di Wöhrd nei pressi di Norimberga. Qui aveva potuto proseguire efficacemente le sue ricerche sulla storia della Riforma e sul ruolo di Melantone, pubblicando numerosi scritti sull’argomento e dando anche alle stampe alcune lettere di Lutero inedite. Lasciò la sua ricchissima biblioteca alla città di Norimberga. 189 Joachim Camerarius il Vecchio (1500-1574) fu un umanista e il più grande filologo tedesco del XVI secolo. Amico di Melantone, nel 1566 ne pubblicò la biografia, riedita poi nell’edizione curata da Strobel nel 1777. Cfr. Ioachimi Camerarii, De Vita Philippi Melanchthonis Narratio, Halle, Gebauer, 1777. 190 P. Melanchthon, Loci Communes Rerum Theologicarum Seu Hypotyposes Theologicae, Basel, Adam Pétri, 1521. Il libriccino al quale fa riferimento Wackenroder dovrebbe essere: G.T. Strobel, Versuch einer Litterär Geschichte von Philipp Melanchthons Locis Theologis als dem ersten evangelischen Lehrbuche, Altdorf und Nürnberg, Schüpfel, 1776. 191 P. Melanchton, Annotationes in evangelium Iohannis (1523). 192 Si riferisce alla pubblicazione progettata da Koch nel 1793 dalle pagine del suo Ueber deutsche Sprache und Literatur che sarebbe stata a cura della Gesellschaft der Deutschen Sprach- und Literaturforscher fondata da lui. Questa rivista uscì però in un unico numero nel 1794 con il titolo Für deutsche Sprache, Litteratur und Cultur-Geschichte. Cfr. lettera a Koch del 16 febbraio 1794, supra, p. 894, nota 195. 193 David Beringer (1756-1821) fu un costruttore di oggetti meccanici come bussole, meridiane e globi. Anche a Goethe costruì un globo nel 1798, come si evince dalle lettere di Goethe: WA, IV, 50, p. 18. 194 Johann Ehlert Bode (1747-1826) fu uno dei più importanti astronomi del XVIII secolo. La sua Anleitung zur Kenntniß des gestirnten Himmels (Guida alla conoscenza del cielo stellato), pubblicata ad Amburgo nel 1768, ebbe addirittura dieci ristampe. Dal 1772 si trasferì da Amburgo a Berlino e qui, dal 1777, diresse anche il Berliner Astronomisches Jahrbuch (Annali astronomici di Berlino). Dal 1786 fu anche direttore dell’Osservatorio astronomico. Il suo nome è anche legato alla “galassia di Bode”, scoperta da lui nel 1772. Bode faceva parte della cerchia di amicizie del padre di Wackenroder. 195 Si riferisce alla Anleitung zur Kenntniß des gestirnten Himmels. 196 Daniel Friedrich Sotzmann (1754-1840) fu un cartografo, dal 1796 membro dell’Accademia Prussiana Reale delle scienze. Nel 1789 progettò un globo terrestre che doveva rappresentare il corrispettivo del globo celeste che Bode aveva presentato da Beringer a Norimberga nel 1790. 197 Quadranti intesi come strumenti di misurazione utilizzati per i cannoni. 198 Il tabernacolo fu realizzato da Adam Kraft (ca. 1460-1508/9) fra il 1493 e il 1496. 199 Il cosidetto Engelgruss, o “saluto dell’angelo” fu realizzato da Veit Stoß (14471533) fra il 1517 e il 1518. Le figure, intagliate da legno di tiglio, rappresentano l’annunciazione dell’angelo a Maria. Con “Englischer Gruß” si intende dal Medioevo il saluto dell’angelo, e non esiste nessuna affinità con il termine “inglese”. 200 Si tratta di una delle incisioni di Delsenbach; cfr. supra, p. 1189, nota 93.

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Riferimento alle lettere del 15 giugno 1793 ricevute dai genitori; cfr. supra, p.

973. 202 Potrebbe trattarsi di Georg Anton Christoph Scheffler (1762-1825) insegnante al Pedagogium di Helmstedt e poi dal 1790 al ginnasio di Wolfenbüttel, grande conoscitore delle lingue e delle culture classiche. 203 Forse si riferisce all’editore Walther. 204 Cfr. supra, p. 961. 205 Wilhelm Friedrich Sack (1772-1854) presidente in capo del tribunale superiore reale. 206 Come si evince nella parte finale della lettera (cfr. supra, p. 1003) il riferimento è a Johann Tobias Mayer (1752–1830), matematico e fisico, professore prima ad Altdorf, dal 1786 a Erlangen e dal 1799 a Gottinga. Autore di numerosi testi scientifici, contribuì fra l’altro all’affermazione delle teorie di Lavoisier in Germania, fu noto soprattutto per i suoi lavori in ambito geodetico. Mayer scrisse anche per gli Annali astronomici diretti da Bode (cfr. supra, p. 1197, nota 194). 207 Julius Conrad Yelin (1771-1826) si iscrisse all’università di Erlangen nel 1791 terminando nel 1794 la laurea in matematica e diritto. Yelin fece poi carriera in ambito giuridico. 208 Si riferisce al viaggio del 17-28 maggio 1793 nella Svizzera Francone (Fränkische Schweiz), nella Foresta francone (Frankenwald) e nelle montagne del Fichtelgebirge. 209 Il “Kreuzer”, la moneta austriaca, rappresenta la centesima parte di un fiorino. 210 Oggi Drackendorf. Si riferisce al viaggio del 9-23 aprile 1793 presso Schuderoffs a Drackendorf, vicino a Jena. 211 Per Philipp Ernst Spieß (1734-1794) cfr. supra, p. 1186, nota 40. 212 L’omonimo è naturalmente Christian Heinrich Spieß (1755-1799), popolarissimo scrittore di biografie, di romanzi, di testi teatrali e di racconti del brivido. Dopo aver raggiunto la popolarità con le biografie dei suicidi (Biographien der Selbstmörder, 1785), genere al quale ritornò anche con le biografie dei folli (Biographien der Wahnsinnigen, 1796), Spieß pubblicò un romanzo Das Petermännchen, Geistergeschichte aus dem 13. Jahrhundert (Il dragone. Storie di fantasmi del XIII secolo) edito fra il 1791 e il 1792, che lo incoronò come creatore del genere del brivido in Germania (il testo, tradotto prontamente in inglese e in francese, pare abbia fortemente influenzato la nascita della “gothic novel” in Inghilterra). 213 Si riferisce alla miniera di Arzberg, detta «Silberkammer», descritta nella lettera del 3 giugno; cfr. supra, p. 961. 214 Friedrich Ludwig August Wissmann (1770-1856), compagno di scuola di Wackenroder e Tieck a Berlino. Cfr. Carteggio, p. 872, nota 7. 215 Il riferimento potrebbe essere all’Accademia di canto diretta da Karl Friedrich Fasch, fondata a Berlino nel 1791. Cfr. supra, p. 343. 216 Per Johann Friedrich Zöllner cfr. supra, p. 892, nota 172. 217 Come risulta dalle parole di Wackenroder del resoconto ai genitori di martedì 23 luglio, egli doveva aver spedito un’altra lettera che, alla data del 13 luglio, non era ancora arrivata a Berlino. 218 Le impressioni di viaggio ricevute nei cinque giorni di soggiorno a Bamberga sono fondamentali per i testi futuri di Wackenroder. Wackenroder, senza Tieck in questa escursione, colleziona esperienze e visita luoghi sacri e storici grazie anche ad alcune conoscenze, come Johann Georg Franz Sauer (cfr. infra, p. 1199, nota 224) e al figlio del libraio Göbhardt. Visita molti monasteri, conosce le abitudini e le funzioni dei religiosi cattolici, ne visita le celle e soprattutto osserva con attenzione il materiale librario presente nelle biblioteche, di cui elenca acriticamente il contenuto. 219 Cfr. supra, p. 1184, nota 2. 220 Gottlieb Christoph Harleß o Harles (1738-1815), storico della letteratura e fi-

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lologo. Dal 1770 ricoprì la cattedra di poesia ed eloquenza dell’università di Erlangen, dove dal 1777 istituì il seminario filologico, creando le basi per un forte interesse per gli studi umanistici. Harles pubblicò inoltre molti scritti e diede alle stampe numerosi testi classici. 221 Tobias Göbhardt (1734-1794) fu appunto un libraio ed editore di Bamberga. 222 Christian Friedrich Glück (1755-1831) fu professore di diritto all’università di Erlangen dal 1784. 223 Johann Schott (1746-1798) professore di diritto ecclesiastico e consigliere di curia dal 1778 a Bamberga. 224 Per Johann Georg Franz Xaver Sauer (1758-1826), cfr. Carteggio, pp. 837 e 893, nota 189. Sauer si preoccupò di mostrare a Wackenroder la città di Bamberga e fu probabilmente grazie a lui che il previsto soggiorno di una giornata si trasformò in una permanenza di cinque giorni. 225 Probabilmente si riferisce a Johann Heinrich Hochstetter (1751-1796), professore di diritto a Stoccarda. 226 Il teologo luterano Johann Esajas Silberschlag (1716-1791) era membro del concistoro supremo di Berlino. Il suo nome divenne noto allorché entrò a far parte di una commissione che doveva far osservare l’editto del 1788. Sotto la direzione di Johann Christoph von Wöllner (1732-1800) era stato infatti realizzato un editto religioso che mirava a eliminare la teologia razionalistica tra i pastori protestanti in Prussia. Fra coloro che si opponevano all’editto compaiono i nomi di Anton Friedrich Büsching e Johann Samuel Diterich, appartenenti alla cerchia di amicizie del padre di Wilhelm Heinrich Wackenroder. 227 Hermann Daniel Hermes (1731-1807) teologo protestante e membro del concistoro supremo. Dal 1791 fu chiamato a Berlino per far parte della commissione creata da Wöllner per l’osservanza del suo editto. 228 Wackenroder si era già formato musicalmente a Berlino sotto la direzione di Christian Friedrich Carl Fasch e aveva anche iniziato a comporre delle sonate. L’educazione musicale rientrava nell’ambito culturale ed educativo. Il giorno 11 luglio Wackenroder racconta quindi ai genitori di aver suonato presso un circolo musicale. Per ciò che riguarda la formazione musicale di Wackenroder, cfr. supra, p. 342 e segg. 229 Si riferisce al castello vescovile di Geyerswörth; cfr. infra, p. 1205, nota 317. 230 Wackenroder aveva visitato Dresda nel luglio del 1792, come testimoniato dalla lettera a Tieck; cfr. Carteggio, p. 717 e segg. Qui si riferisce alla piena che il 2 febbraio 1784 distrusse la “Seebrücke”, il ponte barocco fatto costruire dall’arcivescovo Johann Philipp von Franckenstein nel 1752. 231 Alla fine del Medioevo, i singoli principati tedeschi riconoscevano a un ristretto numero di ebrei residenti uno stato legale protetto in cambio di una tassa (Schutzgeld). Il sistema era istituito prevalentemente per ottenere un ulteriore gettito fiscale dai commercianti ebrei che erano costretti a pagare una "tassa" per poter esercitare la loro attività senza incorrere nella limitazione dei diritti civili a cui gli ebrei erano solitamente sottoposti. Con l'arrivo di Napoleone questo sistema fu abrogato in molti stati tedeschi (con un Editto del 1812 il Re di Prussia garantì uguali diritti civili a tutti gli ebrei). Tuttavia, con la fine dell'epoca napoleonica, molti stati reintrodussero il Schutzgeld. 232 Franz Ludwig von Erthal (1730-1795), principe e arcivescovo di Würzburg e Bamberga. 233 Nella descrizione di viaggio di Friedrich Nicolai (Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, Bd. I, p. 130 e segg.) molte pagine erano state dedicate alla fisionomia della popolazione, in particolare a quella che contraddistingueva i cattolici. Nicolai era stato uno dei protagonisti di quel dibattito fisiognomico che era seguito alla pubblicazione dei Frammenti fisiognomici di Lavater ed era intervenuto più volte

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nella discussione, non scagliandosi contro le nuove teorie lavateriane, ma piuttosto contro le premesse teologiche conservatrici che ne erano alla base. Cfr. J. Saltzwedel, Das Gesicht der Welt. Physiognomisches Denken in der Goethezeit, München, Fink, 1993, p. 128 e segg.. 234 Il castello medievale dei conti di Giech si trova nelle vicinanze di Bamberga; fu distrutto nel XVI secolo e ricostruito in quello seguente. 235 Si riferisce al testo di Benignus Pfeufer, Beyträge zu Bambergs Topographischen und Statistischen so wohl älteren als neueren Geschichte, Bamberg, Dederich, 1791, nel quale una parte considerevole è dedicata all’agricoltura e all’orticoltura. 236 Il castello vescovile fu costruito a partire dal 1613 e completato fra il 1697 e il 1703 dall’architetto Johann Leonhard Dientzenhofer (1660-1707). 237 Fu Ottone I il Santo (1102-1139), ottavo vescovo di Bamberga, che fece ricostruire il secondo edificio del duomo dopo l’incendio del 1081. 238 Oswald Onghers (1628-1706) fu un pittore vescovile attivo fra Bamberga e Würzburg. 239 Matthäus Merian il Giovane (1621-1687) fu pittore e incisore, allievo di Joachim von Sandrart a Francoforte, con il quale viaggiò ad Amsterdam, Londra e a Parigi. Si espresse particolarmente nei ritratti, ma realizzò anche pale d’altare, come quella per il duomo di Bamberga. Sandrart, nella sua Teutsche Academie, cita la grande pala d’altare realizzata per il duomo di Bamberga. 240 In realtà nel duomo di Bamberga non furono mai presenti né opere di Raffaello, né di Michelangelo. Forse Wackenroder potrebbe essersi confuso con la pala d’altare che rappresentava l’ascesa in cielo di Maria del Tintoretto. 241 L’epitaffio fu trasferito dal 1838 nella Michaeliskirche di Bamberga, dove si trova tutt’ora, ed è l’epitaffio del vescovo di Würzburg e Bamberga Adam Friedrich Anton Joseph Maria von Seinsheim (1708-1779). 242 Karl Wilhelm Ramler (1725-1798), fu poeta, traduttore e critico, esponente dell’Illuminismo berlinese. Dal 1748 fino al 1790 fu insegnante di filosofia alla Scuola dei Cadetti (Accademia militare). Fu inoltre un famoso traduttore di Orazio, Catullo e Marziale che gli valse fra i contemporanei anche l’appellativo di “orazio prussiano”. Cfr. supra, p. 46. 243 La tomba venne in realtà realizzata nel 1513 da Tilman Riemenschneider (14601531) e la data di morte di Enrico II fu nel 1024. 244 A Sant’Anastasio martire detto “il Persiano” (morto nel 628) furono attribuite proprietà taumaturgiche che furono addirittura riconosciute dal consiglio di Nicea del 787. 245 Questa descrizione della funzione religiosa osservata all’interno del duomo di Bamberga va necessariamente messa in relazione al saggio delle Effusioni, “Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma”, all’interno del quale si ritrovano le medesime suggestioni e lo stesso tono di stupore e meraviglia che contraddistingue questo passaggio all’interno delle descrizioni di viaggio, nonostante l’attribuzione del testo delle Effusioni sia incerta. Cfr. Effusioni, p. 223 e segg. 246 Si riferisce al passo in cui Nicolai sottolinea i piccoli movimenti del volto del cattolico impegnato nella preghiera. Nicolai osserva come la preghiera sia un movimento del pensiero a cui meccanicamente segue un movimento labiale; ad esso si associano poi il segno della croce, che viene fatto con frequenza, l’atto di battersi il petto e il convulso movimento degli occhi che cercano l’alto, tutte cose sconosciute a un protestante. Cfr. F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland, cit., Bd. 1, pp. 135-138. 247 La parabola dell’amministratore disonesto è nel Vangelo secondo Luca (16, 1). 248 Lo scapolare viene portato in onore della Madonna del Carmine, in seguito a una visione celeste avuta da Simone Stock, carmelitano inglese del secolo XIII. La festa dello scapolare ha luogo il 16 luglio.

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249 Augustin Andreas Schellenberger (1746-1832), Geschichte der Pfarrei zu Unserer Lieben Frau in Bamberg, Bamberg, Dederich-Klietsch, 1787, con incisioni in rame di Caspar Weinrauch (1765-1846). 250 La chiesa a cui si fa riferimento fu distrutta nel 1804. 251 La chiesa dell’università era originariamente la chiesa dei gesuiti, costruita fra il 1689 e il 1691, poi rinominata “Martinskirche” dopo il 1804. 252 La tavola dell’altare maggiore in realtà era opera di Andrea Pozzo (1642-1709). 253 Il convento dei benedettini (Kloster Michelsberg) fu soppresso nel 1803. 254 In realtà si tratta dell’ottavo vescovo di Bamberga. Ottone era morto a Bamberga dopo una vita intensa da missionario. Per i miracoli che, tramandano, si verificarono sulla sua tomba, fu canonizzato nel 1180 e poi fatto santo nel 1189. Sant’Ottone è invocato in caso di morso da cani affetti da rabbia e nei casi di febbre. La sua tomba fu realizzata nel 1435 circa. 255 Le macchine elettrostatiche erano strumenti in grado di generare elettricità statica. L’interesse per i fenomeni elettrici, che si dispiegò nelle ricerche di Galvani e soprattutto nell’invenzione della pila da parte di Volta nel 1799, era molto sviluppato già dal XVII secolo in tutta Europa. La prima macchina fu creata dal newtoniano Francis Hauksbee (ca. 1666-1713) che, perfezionando il generatore elettrostatico di Otto von Guericke, creò un globo di vetro in grado di rendere osservabili gli effetti di attrazione e repulsione elettrostatici. L’attenzione per i fenomeni elettrici e per queste macchine si sviluppò rapidamente anche in Germania con Georg Matthias Bose (1710-1761), Christian August Hausen (1693-1761) e Johann Heinrich Winkler (1703-1770). 256 Augustin Calmet (1672-1757), Commentaire littéral sur tous les livres de l’ancien et du nouveau Testament, Paris, Pierre Emery, 1707-1717. 257 Jean Mabillon (1632-1707), Annales ordinis S. Benedicti occidentalium monachorum patriarchie, Luteciae Parisiorum, Caroli Robustal, 1703-1739 e Acta sanctorum ordinis S. Benedicti in saeculorum classes distribuita, Luteciae Parisiorum, 1668-1701. 258 Lothar Franz von Schönborn (1655-1729) fu principe vescovo di Bamberga (1693-1729) e arcivescovo di Magonza (1695-1729). Fra il 1711 e il 1718 fece erigere il castello di Weißenstein a Pommersfelden e fra il 1694 e il 1710 fece ristrutturare in stile barocco il castello di Gaibach. Le vedute dei due castelli erano state stampate presso l’editore Wolff nel 1728: S. Kleiner, Représentation au naturel des chateaux de Weissenstein au dessus de Pommersfeld, et de celui de Geubach appartenants à la Maison des Comtes des Schönborn avec les Jardins, les Ecuries, les Menageries, et autres dependances, Augsburg, Jeremias Wolff, 1728. 259 Il castello di Seehof era la residenza estiva dei principi vescovi di Bamberga. Il castello fu realizzato dall’architetto Antonio Petrini fra il 1687 e il 1696. 260 Il castello di Banz era un monastero benedettino più volte distrutto, fu rinnovato dall’architetto Leonhard Dientzenhofer all’inizio del XVIII secolo. 261 Il convento Santa Maria e San Teodoro fu dapprima cistercense e poi, dal 1553, divenne convento dei carmelitani. 262 Cardinale Claude Fleury (1640–1723), Histoire ecclésiastique, Paris, 1691-1720. Id, Histoire ecclésiastique, précédée du Discours sur cette histoire, Paris, 1691; Id., Histoire ecclésiastique, pour servir de continuation à celle de M. l'abbé Fleury, Paris, 1691-1738. 263 Louis Bourdaloue (1632-1704) fu un gesuita francese, famoso per i suoi sermoni; Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704) fu un teologo e vescovo, precettore del figlio di Luigi XIV; Jean Mabillon (1632-1707) fu un monaco e teologo francese, ritenuto il fondatore della paleografia e della diplomatica. 264 Adolf Franz Wolfgang Erkenbert Freiherr von Dalberg (1730-1794) tesoriere comunale di Worms; dopo aver fatto uccidere un passante nel 1782, fu dichiarato insano di mente e incarcerato nel convento carmelitano dal 1787, come riferiscono i curatori dell’edizione tedesca; cfr. HKA II, p. 585.

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265 Johann Nikolaus Weislinger (1691-1755), Außerlesene Merckwürdigkeiten von alten und neuen theologischen Marckschreyeren, Taschen-Spieleren, Schleicheren, Winkkel-Predigern, falschen Propheten, Blinden-Führeren, Splitter-Richteren, Balcken-Trägeren, Mucken-Seigeren, Cameel-Schluckeren, und dergleichen, Straßburg, Le Roux, 1738 e Id., Friß Vogel, oder stirb! Das ist: Ein, wegen dem wichtigen Glaubens-Articul deß Christenthums, von der wahren Kirchen, mit allen uncatholischen Prædicanten scharff vorgenommenes Examen und Tortur, Straßburg, Lerse, 1717. 266 Francesco Antonio Zaccaria (1714-1795), gesuita e teologo. Nel 1750 diede inizio alla pubblicazione del periodico Storia letteraria d’Italia, nel 1754 fu nominato dal duca Francesco III di Modena direttore della biblioteca estense, incarico ricoperto, prima di lui, da Ludovico Antonio Muratori. 267 Johann Lorenz Mosheim (ca. 1694-1755), teologo protestante, fu professore di teologia all’università di Helmstedt dove teneva con ardore lezioni di teologia dogmatica. Mosheim è considerato uno dei principali storiografi ecclesiastici. Il testo a cui si riferisce Wackenroder era: Elementa theologiae dogmaticae, a cura di Christian Ernst von Windheim, Nürnberg, Monath, 1758. 268 Anton Friedrich Büsching (1724-1793), teologo e geografo, pubblicò molte opere sia in ambito teologico che pedagogico, ma il suo nome è legato prevalentemente alla monumentale opera di geografia che mirava a una classificazione scientifica del mondo: Neue Erdbeschreibung, Hamburg, Johann Carl Bohn, 1754-92. 269 Michael Ignatz Schmidt (1736-1794), professore di storia del regno tedesco dal 1773 a Würzburg e dal 1780 direttore dell’archivio di Vienna. M.I. Schmidt, Neuere Geschichte der Deutschen, Ulm, 1788-1808. 270 Wackenroder aveva scritto un saggio su Rubens, secondo quanto riferito da Tieck nell’introduzione alla Fantasie del 1799 (cfr. Fantasie, p. 361), rimasto incompleto e andato perduto. La “strage degli innocenti” di Rubens è attualmente alla Alte Pinakothek di Monaco. 271 Anche questo convento fu soppresso nel 1803. 272 Questo il sottotitolo del testo tedesco: «durch Rudolff Heüßlin – Teutsch – Mit Kaiserlicher Maiestät freyheit, in acht jahren nit nachzudrucken, bey peen und straff acht March lötigs golds, nach laut des Originals». 273 Conrad Gessner (1516-1565) fu un naturalista, teologo ed erudito svizzero. Nel 1545 pubblicò la Bibliographia universalis, un sincero tentativo di realizzare una bibliografia delle opere latine, greche ed ebraiche fino ad allora realizzate. I testi di Gessner visti da Wackenroder sono i seguenti: C. Gessner, Historia avium liber (Vogelbuch), Zürich, 1555; Id., Historia animalium (Thierbuch), Zürich, 1551-58. 274 Herbarius zu teutsch und von aller handt kreuteren, Augsburg, Hans Schönsperger, 1488. 275 Pietro Andrea Mattioli, Kräuterbuch: Mit den allerschönsten vnd artlichsten Figuren aller Gewechß, dergleichen vormals in keiner sprach nie an tag kommen, Prag, Georgius Handsch, 1563. Mattioli (1501-1578) fu umanista e medico a Siena. 276 Lorenz Fries o Friese, Spiegel der Artzney, vor Zeyten zü nutz unnd Trost den Leyen gemacht... durch den selbigen Laurentium... gebessert..., Straßburg, durch Balthassar Beck, 1532. 277 Giovanni di Meung/Jean de Meun/Jean Chopinel (ca. 1240-1305), poeta francese, il continuatore del Roman de la rose, lasciato incompiuto da Guillaume de Lorris. 278 Blas[ius] Ugolinus, Thesaurus Antiquitatum Sacrarum... in quibus veterum Hebraeorum Mores, Leges, Instituta, Ritus Sacri et Civiles illustrantur. L’opera fu pubblicata in 34 volumi, non in 31 volumi, come erroneamente indicato da Wackenroder. 279 Cesare Baronio (1538–1607), Annales ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198, 12 voll., 1588-1607.

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Ferdinando Ughelli (1595-1670), Italia sacra, 9 voll., Roma, 1642-62. Brian Walton (ca. 1599-1661), Biblia Polyglotta, London, 1653-1657. 282 Johann Christian Lünig (1662-1740), storico e giurista, Das Teutsche ReichsArchiv, Leipzig, Lanckisch, 1710-1722. 283 Johann Friedrich Schannat (1683-1739), storiografo, la cui opera Concilia Germaniae venne pubblicata postuma in 11 volumi dal 1759 al 1790. 284 Ignaz Gropp (1695-1788), Collectio novissima scriptorum et rerum Wirceburgensium, Würzburg, Engmann,1748-1750. 285 Probabile riferimento agli scritti dell’orientalista ed esegeta olandese, il francescano Willem Smits (1704–1770), autore, tra gli altri, di una vulgata della Bibbia in più volumi, Biblia vulgatae editionis, Antwerpen, Everaerts, 1753. 286 Zeger-Bernhard von Espen (1646-1728), professore di diritto canonico all’università di Lovanio. La sua opera maggiore, Ius ecclesiasticum universum (1700), è un ampio trattato di diritto canonico. 287 Georg Rosenmüller (1736-1815), teologo protestante, dal 1785 divenne professore di teologia all’università di Lipsia e presidente del concistoro supremo. 288 Johann Andreas Eisenmenger (1654-1704), Entdecktes Judenthum oder gründlicher und wahrhafter Bericht, Frankfurt, 1700. Il testo, per il suo violento antisemitismo, fu sequestrato e solo dal 1711 ristampato a Berlino. 289 Quella delle “dame inglesi” è la più antica congregazione di suore votate all’educazione delle fanciulle. Fu fondata da Mary Ward, italianizzata in Maria della Guardia, (1585-1645) che nel 1609 aprì un primo istituto in Francia, nel 1626 uno a Monaco e nel 1717 creò un istituto a Bamberga. La congregazione fu riconosciuta dal Papato solo nel 1703. 290 Johann Ignaz von Felbiger (1724-1788), pedagogo cattolico, riformatore della scuola in Prussia e incaricato da Maria Teresa d’Austria dal 1774 di riorganizzare quello austriaco. Pubblicò nel 1777 a Bamberga il testo Kern der biblischen Geschichte alten und neuen Testaments mit beygesetzten kurzen Sittenlehren (L’essenza della storia biblica), Bamberg - Würzburg, Gebhardt, 1777. 291 Il giorno della festa di San Michele cade il 29 settembre. 292 Ferdinand Möhrlein (1728-1802), professore di teologia e orientalista. 293 Johann Schott (1746-1798), professore di diritto canonico a Bamberga dal 1776. 294 Carl Melchior Pfister, dal 1789 professore di diritto pubblico tedesco a Bamberga. 295 Nicolaus Thaddäus Gönner (1764-1827), giurista, dal 1789 professore a Bamberga di diritto delle istituzioni, dal 1791 professore di pandette. In seguito si trasferì a Landshut. 296 Elias Adam von Reider (1763-1807), dal 1789 professore di diritto e dal 1791 professore di istituzioni giuridiche a Bamberga. 297 Konrad Frey (1765–1813) fu bibliotecario e pedagogo. 298 Cfr. F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, cit., Bd. 1, p. 142. 299 Johann Christoph Georg Bodenschatz (1717-1797), teologo protestante, dal 1780 fu sovrintendente a Baiersdorf. Studioso dei testi dell’Antico Testamento, fece costruire una tenda secondo il modello del “mishkan” ebraico, una sorta di santuario trasportabile. Nel 1748-49 pubblicò la Kirchliche Verfassung der heutigen, sonderlich der deutschen Juden, nella quale descriveva riti e usi ebraici. 300 L’ospedale di Bamberga fu fatto costruire tra il 1788 e il 1789 dal principevescovo Franz Ludwig von Erthal ed era considerato uno dei più moderni in Europa. 301 L’ospedale di Würzburg era stato creato nel 1579 da Julius Echter von Mespelbrunn (1545-1617), principe vescovo di Würzburg. 281

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302 Adalbert Friedrich Marcus (1753-1816) dal 1778 era diventato medico all’ospedale di Bamberga e dal 1781 archiatro di Franz Ludwig von Erthal, che gli aveva anche concesso il titolo di consigliere di corte. La confidenza che aveva presso il principevescovo gli aveva permesso di chiedere innovazioni a vantaggio della popolazione di Bamberga. Quando nel 1802 l’università di Bamberga venne chiusa, Marcus fondò una propria scuola chirurgica. Fu autore di numerosi trattati e strinse amicizia professionale con Friedrich Wilhelm Schelling, con il quale si interessò e applicò le teorie mediche di John Brown (Brown aveva pubblicato nel 1780 gli Elementa medicinae nel quale esponeva la propria teoria dell’eccitabilità del cervello che ebbe grandissima diffusione in tutta Europa). Nel periodo in cui E.T.A. Hoffmann fu a Bamberga (1803-1808) ebbe frequenti contatti (Hoffmann gli chiese una consulenza per il suo racconto Der Magnetiseur, dato che Marcus era anche interessato al mesmerismo). Dal 1797 Marcus divenne anche il direttore del teatro dilettantesco di Bamberga. 303 Peter Maser (1732–1802) fu un gesuita che, dopo la soppressione dell’ordine nel 1773, era diventato castellano di Seehof. Fu un personaggio curioso per le sue attività di meccanico (aveva costruito una vettura senza l’ausilio dei cavalli con la quale si procedeva con l’uso di pedali) e per la creazione di figure a grandezza naturale, decorate con conchiglie, che aveva anche mostrato alla fiera di Francoforte. Le descrizioni del personaggio furono fatte sia da Nicolai, che da Füssel: cfr. F. Nicolai: Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, cit., Bd. 1, p. 122 e segg. e M. Füssel, Unser Tagebuch oder Erfahrungen und Bemerkungen eines Hofmeisters, cit., 2. Theil, p. 212. 304 Johann Baptist Betz o Beez (1764-1801) fu nominato nel 1791 direttore dell’istituto da Franz Ludwig von Erthal. 305 Johann Ignaz von Felbiger, Eigenschaften, Wissenschaften und Bezeigen rechtschaffener Schulleute, um in den Trivialschulen in den Städten und auf dem Lande der Jugend nützlichen Unterricht zu geben. Mit einem Anhange vom Briefschreiben, Neue Auflage, Bamberg-Würzburg, Gebhardt, 1791, in ottavo. Cfr. supra, p. 1203, nota 290. 306 Allgemeines Lesebuch für katholische Bürger und Landleute für Stadt und Landschulen eingerichtet von einem kath[olischen] Geistlichen in Franken [Verf.: Georg Friedrich Seiler; kath[olischer] Bearbeiter: [Franz Xaver Sauer] o[hne] O[rtsangabe] [Erlangen], o[hne] V[erlag] [Bibelanstalt], 1790, Erstausgabe [Für Protestanten], Erlangen 1790]. 307 Rudolf Zacharias Becker (1759-1822), Noth- und Hülfsbüchlein für Bauersleute oder lehrreiche Freuden- und Trauergeschichte des Dorfes Mildheim, Gotha, 1787. 308 Istituto per la formazione degli insegnanti, fondato nel 1738 da Jobst Bernhard von Aufseß (1671-1738), di cui parla lo stesso Nicolai. F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, cit., Bd. 1, pp. 138-140. 309 Si tratta dell’odierna località di Bug. 310 Si tratta dello Altsee. 311 Adam Friedrich von Seinsheim regnò a Bamberga dal 1757 al 1779; cfr. supra, p. 1200, nota 241. 312 Franz Ludwig von Erthal, vescovo di Bamberga e Würzburg dal 1779 al 1795. 313 Ferdinand Dietz (o Tietz) (1708-1777) fu uno scultore dal 1736 attivo a Würzburg, specializzato in particolar modo nella decorazione di giardini. Fra le opere a Seehof, la più nota è la scultura di Atena in stile barocco. Wackenroder, nel suo giudizio, sembra concordare con l’opinione di Nicolai che, nelle sue descrizioni, aveva definito queste statue «di una natura comune e senza ideale». Cfr. F. Nicolai: Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, cit., Bd. 1, pp. 120-121. 314 Si confronti il Carteggio, p. 717 e segg. 315 La rocca di Altenburg fu costruita nel Medioevo, distrutta nel XVI secolo e ricostruita a metà del XVIII secolo. Il medico Adalbert Friedrich Marcus (supra, p. 1204, nota 302) la acquistò nel 1801 e vi ospitò anche E.T.A. Hoffmann durante il soggiorno a Bamberga. Hoffmann aveva a disposizione un atelier, la cosiddetta Hoffmann-Klause

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(la cella di Hoffmann), che decorò con disegni e caricature dei personaggi di Bamberga. Cfr. E.T.A. Hoffmann, Tagebücher, hrsg. von F. Schnapp, München, Winckler, 1971, p. 126 e 147. 316 L’odierna Würgau. 317 Si riferisce a una delle due parti, che sono il Geyerswöhrd e il Mählenwöhrd, in cui è diviso l’isolotto o penisola che separa la parte superiore da quella mediana della città di Bamberga. All’interno dell’isolotto sta il castello in cui si trovava il giardino di cui parla Wackenroder, e tra l’isolotto e la città vi erano vari ponti di legno per il collegamento ai quartieri. Il castello vescovile di Geyerswörth, costruito nel XVI secolo, fu utilizzato fino al XVII secolo come residenza vescovile e poi divenne sede del foro rurale. 318 Johann Anwander (1715-1770) fu pittore rococò e affrescatore. Tra le sue opere si ricorda la facciata del vecchio municipio di Bamberga. 319 Johann Schott, cfr. supra, p. 1199, nota 223. 320 Cfr. supra, p. 1196, nota 175. 321 Il “Klubb”, un circolo creato sul modello delle associazioni artistiche francesi, ma anche di quelle mesmeristiche, era stato fondato da Adalbert Friedrich Marcus e da Nicolaus Thaddäus Gönner nel 1791. Dal 1808 prese il nome di Harmonie. Nelle serate si giocava, si discuteva e si ballava. Anche Hoffmann divenne socio del club durante il periodo trascorso a Bamberga. 322 Justus Christian von Loder (1753-1832) fu medico, anatomista, chirurgo; dal 1778 fu chiamato all’università di Jena dove per venticinque anni esercitò la teoria e la pratica medica. Dal 1781 iniziò ad avere contatti sempre più frequenti con la cerchia di Weimar, in primo luogo con Goethe. Dal 1810 si trasferì in Russia dove divenne archiatro dello zar Alessandro I, per poi dirigere l’ospedale militare di Mosca. 323 Il riferimento è al famoso Gesundbrunnen della località di Kissingen, oggi Bad Kissingen. 324 Johann Kaspar Bäuml di Eger (ca. 1730-1796) dal 1771 fu violinista alla cappella vescovile di Bamberga, dal 1773 primo violino e direttore dell’orchestra. 325 Georg Jautzer (1734-1810) dal 1772 fu il primo suonatore di oboe alla cappella vescovile di Bamberga, dove fu attivo fino al 1802. 326 Carl Gottlieb Weißer era direttore aggiunto del Friedrichswerdesches Gymnasium di Berlino. 327 Wilhelm von Burgsdorff (cfr. Carteggio, p. 880, nota 74), originario di Ziebingen nei dintorni di Francoforte sull’Oder e compagno di scuola al ginnasio di Wackenroder e Tieck, si era trasferito insieme a quest’ultimo per studiare a Gottinga. Animato da idee rivoluzionarie, nel 1793 era partito per andare in Francia. A Spira, però, fu incarcerato dall’armata francese perché preso per una spia prussiana. Rilasciato, era tornato a Erlangen dove vi rimase l’estate. Cfr. Alfons Feder Cohn, “Wilhelm von Burgsdorff”, in Euphorion, 14, 1907, pp. 533-565. 328 Christoph Gottlieb von Murr, Beschreibung der vornehmsten Merkwürdigkeiten der H. R. Reichsfreyen Stadt Nürnberg und Altdorf, cfr. supra, p. 1192, nota 121. 329 Johann Kupetzky (1667-1740), originario di Bazin in Ungheria, era un ritrattista barocco. Dopo periodi trascorsi in Italia e a Vienna, dal 1726 si stabilì a Norimberga. Wackenroder vide opere di Kupetzky nel castello di Ansbach e di Pommersfelden. 330 Cfr. Effusioni, «Con quanta intensità mi riconducono a quel secolo remoto, in cui tu, Norimberga, eri la scuola viva e brulicante dell’arte tedesca, e uno spirito artistico davvero fecondo ed esuberante viveva ed operava entro le tue mura»; cfr. supra, p. 177. 331 Ibid., p. 179. 332 La tomba di San Sebaldo, all’interno di una delle più pregevoli chiese evangeliche di Norimberga, fu realizzata nel 1508 da Peter Vischer il Vecchio (ca. 1460-1529) e

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completata dai suoi cinque figli nel 1519. Sebaldo era un religioso eremita vissuto nell’VIII secolo, dichiarato santo dalla chiesa cattolica; le sue reliquie sono però conservate in una chiesa evangelica. 333 Si tratta dell’Epitaffio di Schreyer, con scene della Passione e della Resurrezione, realizzato da Adam Kraft nel 1492. 334 La pièce o dramma cavalleresco Hans Dollinger, oder das heimliche Blutgericht (Hans Dollinger o del segreto giudizio di vita e di morte) di Emanuel Schikaneder (1751-1812) fu pubblicato nel 1792. Schikaneder, uno dei più originali drammaturghi del suo tempo, aveva iniziato come attore di compagnie vaganti e dal 1778 aveva assunto ad Augusta la direzione della compagnia di Moser, muovendosi fra la Svevia, la Franconia e l’Austria. Apprezzato dall’imperatore Giuseppe II, ebbe il permesso di costruire un teatro, progetto però fallito per mancanza di fondi. Dal 1787 fu direttore del teatro di corte “Thurn und Thaxis” di Ratisbona e dal 1789 rientrò a Vienna. Nel 1791 realizzò il libretto per Il flauto magico di Mozart. 335 Michael Herr, o Heer (1591-1661) fu pittore ritrattista, che lavorò quasi sempre a Norimberga. 336 Daniel Preißler (1627-1665) pittore che dal 1652 fu a Norimberga. Il suo capolavoro è la scena biblica di Caino che uccide Abele e le decorazioni delle due ali laterali dell’organo nella chiesa di san Sebaldo del 1658 con raffigurazioni di musicisti. 337 Paul Juvenell (1579-1643) fu affrescatore e pittore. Sandrart apprezzò le sue copie di antichi maestri, in particolare del Dürer. 338 Georg Pencz (ca. 1500 circa-1550) fu pittore e incisore di Norimberga, formatosi con Albrecht Dürer. 339 Franz Floris de Vriendt (ca. 1518-1570) pittore di Anversa che si formò a Roma. Famoso per i suoi cicli storici. 340 Si riferisce con ogni probabilità al dittico dei quattro apostoli (Paolo, Marco, Giovanni e Pietro) realizzato da Albrecht Dürer su tavole di tiglio del 1528 circa che fu trasferito a Monaco nel 1627 dall’elettore di Baviera Massimiliano I (tuttora presente all’Alte Pinakothek di Monaco). Wackenroder quindi non vide gli originali, ma le copie che erano state realizzate da Johann Georg Fischer o Vischer (1580-1643). Anche Christoph Gottlieb von Murr, nella sua descrizione della città, cita gli apostoli del Dürer, ma anche in questo caso si riferisce a delle copie: cfr. C.G. von Murr, Beschreibung der vornehmsten Merkwürdigkeiten der H. R. Reichsfreyen Stadt Nürnberg und Altdorf, cit., p. 407. Murr cita, come Wackenroder, solo due figure di apostoli, quelle di Marco e di Paolo, e con ogni probabilità sono le stesse descritte anche da Wackenroder. 341 Cfr. Omaggio al nostro venerabile antenato, in Effusioni, nel passo in cui si identifica nella “semplicità” il carattere comune della pittura di Raffaello e Dürer. Cfr. p. 183 e segg. 342 C.G. von Murr: Beschreibung der vornehmsten Merkwürdigkeiten der H. R. Reichsfreyen Stadt Nürnberg und Altdorf, cit., p. 380 e segg. 343 Lukas Cranach il Vecchio (1472-1553) fece parte della Scuola danubiana degli artisti rinascimentali, in cui si annoverano Dürer e Altdorfer. 344 Si tratta della litografia del 1536 di Jörg Breu (ca. 1480-1537). Il torneo ebbe luogo nel 1530 circa. 345 Si tratta della Ansbachische Höhenfestung Wülzburg, a Weißenburg. 346 Riferimento all’unità di misura detta «Klafter» = tesa, pari grosso modo all’ampiezza dell’apertura delle braccia, circa 6 piedi. Dunque 1 tesa = circa m. 1,949. La profondità del pozzo è di circa m. 109. 347 Si tratta della Fleischbrücke di Norimberga, un ponte in pietra che solca il fiume Pegnitz, inaugurato nel 1598. Come il Ponte di Rialto ha un’arcata ribassata ed è formato da un solo arco. Il suo nome deriva dalla presenza nelle sue vicinanze di un mattatoio. 348 Cfr. supra, p. 1197, nota 184.

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349 Il gigante Ecke è personaggio presente nel poema epico medievale Eckenlied della saga di Dietrich. 350 Si riferisce a Dietrich (Teodorico) dell’omonima saga. 351 In realtà il riferimento è all’Atto I scena I. Il personaggio Benedick afferma: «BENEDICK. If I do, hang me in a bottle like a cat and shoot at me». 352 La città di Fürth era già nota nel XVIII secolo come centro manifatturiero e protoindustriale. In particolare esistevano innumerevoli fabbriche di specchi, di matite, di oggetti di lusso, di pettini, occhiali, e vario genere di oggetti di latta, laboratori di laminatura dell’argento e dell’oro. In questo passaggio dei resoconti di viaggio di Wackenroder è percepibile la forte curiosità nei confronti di un artigianato massiccio e di una nuova tecnologia. Molti anni più tardi Tieck pubblicò una delle sue opere più famose, la raccolta Phantasus (1812-16), nella quale antepose un dialogo fra due amici, Ernst e Theodor, facilmente identificabili con i giovani Wackenroder e Tieck. Theodor si ricorda del viaggio a Norimberga e della visita che fece con l’amico a Fürth insieme a un vecchio insegnante di Ernst. E si ricorda di come Ernst sia rimasto indifferente di fronte ai più disparati laboratori di specchi, di bottoni e di orpelli e di come soltanto davanti ad antiche pergamene, che servivano per la laminatura dell’oro, abbia mostrato entusiasmo. A quel punto è Ernst a prendere la parola e a ricordare la gioia nel tornare a Norimberga, là dove aveva lavorato il Dürer, nell’attraversare le viuzze, i ponti e le piazze dove ogni cosa gli ricordava l’epoca bella della Germania, là dove anche le case erano decorate con immagini di giganti e antichi eroi. Cfr. L. Tieck, “Phantasus”, in Id., Schriften, Bd. 4, Berlin, Reimer, 1828, pp. 10-12. 353 Johann Christian Reich (1740-1814) fu uno stagnaio e un coniatore di medaglie e dal 1790 ricevette il titolo di coniatore di medaglie della corte prussiana. Le sue monete e le sue medaglie esaltavano spesso eventi storici importanti. 354 Per “positivo” si intendeva un organo più piccolo, in grado di essere trasportato. 355 Nel testo originale è evidente l’ironia di Wackenroder nell’utilizzare il termine Verrückung sia nel senso di deviazione o sfasamento, sia nel senso di “essere sfasato” o “essere pazzo”. 356 George Augustus Eliott (o Elliott), barone di Heathfield (1717-1790), generale scozzese che combatté come volontario nell’armata prussiana fra il 1735 e il 1736. Nel 1775 fu nominato governatore di Gibilterra e nel 1779 divenne famoso per la sua difesa del territorio dagli attacchi spagnoli. 357 I fausses montres erano dei finti orologi da tasca, che fungevano da portaritratto. 358 Le grotte di Baumannsshöhle si trovano nello Harz, secondo la leggenda il nome deriverebbe da Friedrich Baumann, colui che le scoprì nel 1536. 359 Cfr. supra, p. 1189, nota 84. 360 Nella lettera Wackenroder non parla né della visita a Banz e a Langheim né della visita alla pinacoteca di Pommersfelden; cfr. supra, p. 1095 e segg. 361 Ernst Adolf Heinrich Freiherr von Wechmar (1775-1854), futuro canonico a Magdeburgo, era figlio del ministro von Wechmar (cfr. supra, p. 1184, nota 12). Si era immatricolato nel 1792 a Erlangen. Nel suo album di ricordi è presente la firma di Wackenroder e il suo motto: «Entbehren und genießen! Zum Andenken von W.H. Wackenroder aus Berlin. Erlangen, am 4. Oktober 1793» (Rinunciare e godere! Ricordo di W.H. Wackenroder di Berlino. Erlangen, 4 ottobre 1793). Il padre di Wechmar, Friedrich Heinrich von Wechmar (1715-1792), era stato ministro e presidente del governo di Ansbach. 362 Si riferisce all’ultimo margravio, Carl Alexander von Ansbach-Baireuth (17361806) che sottoscrisse un contratto con Federico Guglielmo II nel 1791 cedendo i propri territori, che vennero quindi annessi alla Prussia. 363 Si riferisce alla residenza dei margravi di Ansbach. Ricavato da una struttura preesistente di origine medievale, il castello fu ultimato tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo.

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364 Friedrich Gotthard Naumann (1750-1821) fu un pittore originario di Dresda. Nel 1772 intraprese un viaggio di formazione artistica in Italia e raggiunse Roma dove per qualche tempo lavorò nel laboratorio di Anton Raphael Mengs. A Roma conobbe il margravio Alexander che nel 1781 lo chiamò ad Ansbach come pittore di corte. Dal 1790 fu professore di disegno e pittura all’università di Erlangen. Dopo l’annessione di Ansbach alla Prussia continuò a lavorare seppur in modo più marginale. Nel 1821, solo e pressoché dimenticato, si uccise nelle stanze della residenza di Ansbach. 365 Si tratta dell’opera Studienkopf eines Kindes di Anton van Dyck (1599-1641), ancora oggi presente nella Galleria della Residenza di Ansbach. 366 Michael Wohlgemut (1434-1519) è uno dei più importanti rappresentanti della scuola di pittura di Norimberga, noto anche per essere stato maestro del Dürer. Famosi, oltre ai suoi raffinatissimi lavori di xilografia, i retabli e le pale d’altare, come, appunto, l’altare nella chiesa di Schwabach, realizzato nel 1507. Cfr. Effusioni, p. 305, nota 49, e Fantasie, p. 562, nota 20. 367 Johannes Jäger, nato nel 1747, fu violoncellista e direttore della cappella di corte di Ansbach dal 1776. Il figlio, Johann Zacharias Leohard Jäger, nato nel 1777, fu un virtuoso del violoncello. Dal 1798 si stabilirono a Breslau. 368 Johann Peter Uz (1720-1796) fu uno dei rappresentanti della poesia anacreontica in Germania. L’attività poetica, iniziata durante il periodo di studio a Halle insieme a Gleim e Götz, continuò anche quando Uz ritornò ad Ansbach. Solo dal 1763 decise di diventare direttore del foro rurale di Norimberga e abbandonare l’attività poetica. Come riferisce Klein, la poesia anacreontica, in particolare quella di Uz e di Gleim, fu fra le letture preferite da Wackenroder: J. Klein, Erinnerungen an Christoph Benj. Wackenroder Königl. Preuß. geh. Krieges-Rath und erstem Justiz-Bürgermeister zu Berlin, Berlin, Dieterich, 1809, p. 31. 369 Si riferisce probabilmente alla città di Schwedt sul fiume Oder. 370 Le porcellane del ceramista inglese Josiah Wedgwood (1730-1795) si ispirarono a partire dal 1768 ai soggetti e alle decorazioni del mondo classico, acquistando fama anche nell’Europa continentale. 371 Cfr. supra, p. 1190, nota 99. 372 C.G. von Murr, Beschreibung der sämtlichen Reichskleinodien und Heiligthümer, welche in der des H. R. R. freyen Stadt Nürnberg aufbewahret werden, Nürnberg, Bauer und Mann, 1790 e Id., Beschreibung des Nürnbergischen Rathhauses, ivi, 1790. 373 Su Giovanni Domenico Matti (1737-1808) non è stato possibile raccogliere informazioni. 374 Si tratta del cosiddetto Männleinlaufen, un carillion posto sulla facciata della chiesa con delle figure, i sette principi elettori, che si inchinano a Carlo IV, due turchi e sei araldi, che sfilano davanti all’imperatore. Fu realizzato tra il 1505 e il 1509 dall’orologiaio Jörg Heuss ed evoca l’emanazione della Bolla d’oro del 1356. 375 La chiesa avengelica e luterana di San Egidio fu distrutta nel 1696 e ricostruita fra il 1711 e il 1718 in stile barocco. 376 Si confronti il passaggio contenuto all’interno delle Effusioni (supra p. 179): «Ma in questo momento il mio spirito afflitto va al luogo consacrato che sta davanti alle tue mura, o Norimberga; al cimitero, in cui riposano le spoglie mortali di Albrecht Dürer, che un tempo fu il vanto della Germania, anzi dell’Europa. Esse giacciono là, onorate dalla presenza di pochi visitatori, tra innumerevoli pietre tombali, ognuna delle quali è contrassegnata da un’effigie in ferro, segno dell’arte antica, e in mezzo alle quali si ergono copiosi degli alti girasoli, i quali trasformano il camposanto in un delizioso giardino. Così riposano le ossa dimenticate del nostro vecchio Albrecht Dürer, per amore del quale mi è grato essere tedesco». 377 Gabriel Peter von Haselberg (1763-1838) fu dal 1788 professore di diritto a Helmstedt e dal 1791 al 1797 a Erlangen. Particolarmente noto per essere stato l’editore dal 1789 al 1790 della “biblioteca giuridica” e dal 1791 al 1794 della “nuova biblioteca

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giuridica” pubblicata a Gottinga. Questo contribuì alla chiamata al tribunale di Wismar dal 1797. Nel 1831 ottenne la nomina di presidente dell’alta corte. 378 Il resoconto di viaggio 7 differisce dai precedenti prima di tutto perché non è una lettera ai genitori e poi perché, specie nell’ultima parte, è una sorta di diario del viaggio compiuto in agosto. Dello stesso viaggio Wackenroder aveva già scritto nella lettera ai genitori datata 24 agosto. Come rilevano i curatori dell’edizione tedesca, questo testo fu probabilmente iniziato nell’agosto del 1793, ma completato soltanto nei mesi successivi. 379 Cfr. supra, p. 1184, nota 10. 380 Cfr. supra, p. 1189, nota 84. 381 Cfr. supra, p. 1189, nota 85. 382 Cfr. supra, p. 1207, nota 358. 383 Cfr. supra, p. 1189, nota 84. 384 Il nome deriva dai fossili, detti appunto “Quacken”, racchiusi nella grotta a galleria. 385 Ora «Aufseß». 386 Cfr. supra, p. 1187, nota 43. 387 Si tratta delle tre fortezze di Walpoten-Burg, della Burg Neu-Wallenrode e della Burgkapelle. 388 Si riferisce a Plassenburg, cfr. supra, p. 1186, nota 42. 389 Si riferisce alla commedia soldatesca in cinque atti Die Werber (I reclutatori, 1769) del drammatugo austriaco Christian Gottlieb Stephanie (1741-1800) che aveva iniziato come attore in rappresentazioni private a casa di Anton Mesmer. Dal 1769 fu impegnato al teatro Kärtnertor di Vienna. 390 Cfr. supra, p. 1185, nota 15. 391 Cfr. supra, p. 1200, nota 234. 392 Si tratta del santuario tardo gotico di Gügel, detto di “San Pancrazio”. 393 Ora «Scheßlitz». 394 Cfr. supra, pp. 1049 e 1201, nota 259. 395 Karl Anselm (1733-1805), principe di Thurn und Taxis dal 1773. 396 Si tratta di due dipinti, presenti allora nel duomo e successivamente, nel 1836, trasferiti in quello che ora è il museo diocesano. Il primo dipinto è il Martirio di San Lorenzo del 1648 e il secondo è la Decapitazione di Santa Caterina del 1653 realizzati da Matthäus Merian il giovane (1621-1687); cfr. supra, p. 1200, nota 239. 397 Si tratta della Martinskirche (Chiesa di san Martino), cfr. p. 1201, nota 251. 398 Si tratta della pala di Andrea Pozzo; cfr. supra, p. 1201, nota 252. 399 Cfr. supra, p. 1204, nota 313. 400 Il monte Kaulberg, di cui si parla in riferimento alla rocca di Altenburg; cfr. supra, pp. 1204-1205, nota 315. 401 Cfr. supra, p. 1201, nota 260. 402 Anche a questi monasteri Nicolai dedica alcune pagine; F. Nicolai, Beschreibung, cit., Bd. 1, p. 94 e segg.. 403 Si tratta di Franz Valerius Fischer, nato intorno al 1749, che aveva frequentato gli studi di diritto a Bamberga e dal 1781 era consulente dell’abbazia di Banz. 404 Placidus Johann Philipp Sprenger (1735-1806), dotto prete benedettino, bibliotecario dell’abbazia di Banz e poi priore. Nel 1762 era entrato al monastero, dal 1773 era diventato professore di teologia e poi nel 1777 bibliotecario. Fu editore di riviste letterarie e teologiche. Nicolaj lo definisce uno dei teologi più dotti (F. Nicolai, Beschreibung einer Reise durch Deutschland und die Schweiz, cit., Bd. 7, Anhang, p. 77). 405 Si tratta del pittore di Augsburg, Johann Georg Bergmüller (1688-1762). Fu il principale insegnante nella tecnica dell’affresco all’accademia di disegno fondata nel 1710 ad Augusta. Gli affreschi presso il convento di Banz furono realizzati attorno al 1730. 406 Kaspar Brusch [o Bruschius] (1518-1559), poeta e storico, scrisse un’opera dedicata alle montagne del Fichtelgebirge: Des Vichtelbergs, in der alten Nariscen land

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gelegen, aus welchem vier schiffreiche wasser, der Mein, die Eger, die Nab vnd Saal, entspringen, gründtliche beschreibung: Darinnen vil alter historie[n] erkleret werden; Item ein klare beschreibung des flusses Eger, und aller inflissenden wassern vnd anstossenden flecken, Nürnberg, Petreius, 1542; l’edizione citata da Wackenroder, pubblicata a Lipsia nel 1716, è una versione rielaborata e ampliata da G. Pachebel von Gehaag. 407 San Dionigi (III secolo d. C.), primo vescovo di Parigi e martire. Il quadro (tavola d’altare), dal titolo Die Enthauptung des heiligen Dionysius (La decapitazione di San Dionisio, 1714), dovrebbe essere opera del pittore della corte di Bamberga, Sebastian Reinhard (1654-1716). 408 La festa dedicata a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) si celebra il 20 agosto. 409 Il castello Weissenstein di Pommersfelden fu fatto costruire dal vescovo di Bamberga e principe elettore di Magonza Lothar Franz von Schönborn tra il 1711 e il 1718 in stile barocco all’architetto Johann Dientzenhofer, come residenza estiva privata del principe. La pinacoteca del castello era ed è una delle collezioni di maggior pregio in Germania che al tempo annoverava pitture italiane e olandesi del XVI e XVII secolo. Nella Cronaca dei pittori all’interno delle Effusioni è evidente il richiamo a questa esperienza: «Quando, nel corso dei miei anni giovanili, vagavo qua e là con spirito irrequieto, volgendo con ardore lo sguardo dovunque vi fosse da osservare qualcosa legato al mondo dell’arte, in un’occasione mi ritrovai pure in un castello sconosciuto appartenente a un conte, nel quale per tre giorni non mi stancai di ammirare i numerosi dipinti presenti. […]». Cfr. Effusioni, p. 239. Come affermano anche i curatori dell’edizione tedesca (cfr. HKA II, pp. 604-605) è molto difficile determinare il materiale pittorico effettivamente esistente nel 1793, quando Wackenroder poté visitare la pinacoteca. Esiste un catalogo delle opere, ma risulta poco affidabile per alcune errate attribuzioni (cfr. Johann Rudolph Byß, Fürtrefflicher Gemälhd- und Bilder-Schatz so in denen Gallerie und Zimmern des Churfürstl. Pommersfeldischen neu-erbauten fürtrefflichen Privat-Schloß zu finden ist, Bamberg, 1719 (successivamente Würzburg, 1746 e Ansbach, 1774). Probabili cambiamenti avvennero anche alla morte dell’elettore avvenuta nel 1729. A ciò si aggiunse anche la vendita all’asta di alcuni capolavori nel 1867 e il trasferimento a Parigi, tra gli altri anche quello della Madonna di Pommersfelden (cfr. il catalogo Galerie de Pommersfelden. Catalogue de la Collection de Tableaux Anciens du Château de Pommersfelden, Paris, Claye, 1867 e il catalogo delle opere rimaste a Pommersfelden, Verzeichnis der Gemälde in gräflich Schönborn-Wiesentheid’schem Besitze. Zusammengestellt von Dr. Theodor von Frimmel, Pommersfelden, 1894). 410 Si tratta della famosa Madonna di Pommersfelden, erroneamente attribuita a Raffaello. L’opera, databile fra il 1530 e il 1555, risulterebbe provenire invece dalla scuola di Anversa di Joos van Cleeve (1485-1540), forse del figlio, Cornelis van Cleeve (1520-1567). Cfr. R. Littlejohns, “Anfänge der Kunstbegeisterung: Pommersfelden und die Folgen”, in Id., Wackenroder-Studien. Gesammelte Aufsätze zur Biographie und Rezeption des Romantikers, Frankfurt am Main, Peter Lang, 1987, pp. 53-54. 411 Per Antonio Allegri detto il Correggio (1489 circa-1534); cfr. Effusioni, p. 307, nota 56. 412 Per Tiziano Vecellio (1480/1485-1576), cfr. ibid., p. 307, nota 55. 413 Per Paolo Veronese (vero nome Paolo Caliari, 1528-1588), cfr. ibid., p. 309, nota 58. 414 Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610). Dal catalogo del 1719 risulta presente a Weissenstein, e tuttora presente, un dipinto dal titolo Caino e Abele. 415 Di Francesco Trevisani (1656-1746) non comparivano i dipinti descritti, ma altri tredici. Attualmente sono presenti Il Cristo incoronato di spine e la Santa Maria. Il Guido a cui si riferisce Wackenroder dovrebbe essere Guido Reni. 416 Jusepe de Ribera, detto Spagnoletto (1591-1652). Dal catalogo del 1719 non risulta alcun dipinto dello Spagnoletto, ma oggi al castello è presente il dipinto di San Girolamo.

NOTE 407-439

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417 Per Annibale Carracci (1560-1609) cfr. Effusioni, p. 316, nota 85. Dal catalogo del 1719 risultava una copia di “Maria con il bambino”. Ora a Weissenstein sono presenti due opere: Esaú vende la sua primogenitura (1640-1642) e Isacco benedice Giacobbe (1640-1642). 418 Bernardo Strozzi (1581-1644). Il dipinto indicato nel catalogo del 1719, “Cristo a Emmaus” (dopo 1630), è ancora presente a Weissenstein. 419 Francesco Albani (1578-1660). Il dipinto “Venere, Amore e Adone” (1578) del catalogo del 1719 è ancora presente a Weissenstein. 420 Pietro da Cortona (Pietro Berrettini 1596-1669). Dei cinque dipinti elencati nel 1719, attualmente ne è presente soltanto uno, Sant’Antonio con l’ostia. 421 Domenico Zanetti (prima del 1694 - morto dopo il 1712). Attualmente si trova un Ritratto a mezzo busto di Cristo, non presente però nel catalogo del 1719. 422 Carlo Dolci (1616-1686). Attualmente alla pinacoteca sono presenti due dipinti di Dolci: Cristo incoronato di spine e Santa Maria con fazzoletto blu. Nel catalogo del 1719 compariva solo un San Sebastiano. 423 Peter Paul Rubens (1577-1640). Il dipinto San Francesco d’Assisi in estasi fu venduto nel 1867; Una madre con due bambini sarebbe il dipinto La carità, ancora presente. 424 Anton van Dyck (1599-1641). Il quadro con soggetto storico potrebbe essere il San Martino, presente nel catalogo del 1719 e ancora oggi. 425 Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669). Sia il dipinto La profetessa Anna (1631), sia San Paolo (1627), presenti nel catalogo del 1719, sono stati venduti nel 1867 e si trovano attualmente alla pinacoteca di Stoccarda. 426 David Teniers il Giovane (1610-1690). Nel catalogo del 1719 era presente il dipinto La galleria dell’arciduca Leopolodo Guglielmo di Bruxelles, venduto nel 1867. Stessa sorte anche per i dipinti Scena da osteria. Un contadino che fuma e Interno di una mescita di contadini, entrambi presenti nel 1719. 427 Godfried Schalcken (o Schalken) (1643-1706). Ancora presente è il dipinto Diana con altre ninfe. 428 Adriaen van der Werff (1659-1722). La Maddalena penitente del 1711, presente nel catalogo del 1719, è stata venduta nel 1867. Ora è nella collezione dei maestri antichi di Dresda. 429 Gerrit van Honthorst, noto anche come Gherardo delle Notti (1592-1656). Il cavadenti, del 1622, era presente nel catalogo del 1719. 430 Ludolf Backhuysen (1631-1708). Nel catalogo settecentesco erano compresi tre dipinti con tempeste marine. Al momento nessun dipinto è presente. 431 Johann Rudolf (o Rudolph) Byß (1660-1738). Pittore svizzero e autore del catalogo del 1719. Il ciclo dei “4 elementi” è ora nella galleria di Würzburg. Il Paradiso è invece ancora a Weissenstein. 432 Si tratta molto probabilmente dell’olandese Frans van Mieris il Giovane (16891763). Il dipinto Compagnia galante del 1706 è ancora presente a Weissenstein. 433 Jan van Huysum (1682-1749). Tre sue nature morte furono messe all’asta nel 1867. 434 Philips Wouwerman (1619-1668). Battaglia a cavallo è il titolo di un dipinto presente a Weissenstein. 435 Jan van Huchtenburg (1647-1733). A Weissenstein sono presenti alcuni dipinti con scene di battaglia. 436 Peter Neefs il Vecchio (1578-1656). Tre dipinti raffiguranti interni di chiese di Anversa furono venduti nel 1867, solo due dei quali presenti nel catalogo del 1719. 437 Aert van der Neer (1603-1677). Due dipinti, non presenti nel 1719, furono venduti all’asta del 1867. 438 Herman Saftleven (1609-1685). Nel 1719 erano presenti undici paesaggi, la maggior parte dei quali ancora presenti a Weissenstein. 439 Di Albrecht Dürer esistevano nel 1719 due dipinti: Die Himmelfahrt Maria

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(L’assunzione in cielo di Maria) e Ein Mannskopf (Testa virile). Questa opera, venduta all’asta nel 1867, si trova oggi presso lo Staatliches Museum Preußischer Kulturbesitz di Berlino, con il titolo Bildnis des Nürnberger Patriziers Jakob Muffel (Ritratto del patrizio norimberghese Jakob Muffel, 1526). Attualmente a Weissenstein sono presenti due dipinti attribuiti a Dürer: Ecce Homo e e Bildnis des Bischofs Georg III. von Bamberg (Ritratto del vescovo Giorgio III di Bamberga, 1517). 440 Johann König (1586-1642), pittore, miniaturista e disegnatore di Norimberga. Fra il 1610 e il 1614 fu a Roma e proseguì poi la sua attività prevalentemente ad Augusta. Attualmente a Weissenstein è presente il dipinto Gebirgslandschaft mit der Versuchung Christi (Paesaggio montano con la tentazione di Cristo, 1620) probabilmente presente anche nel 1719. 441 Adam Elsheimer (1578-1610) fu un pittore paesaggista e disegnatore originario di Francoforte attivo soprattutto a Roma. Attualmente è presente a Weissenstein Landschaft mit der Flucht in Aegypten (Paesaggio con la fuga in Egitto). 442 Johann Kupetzky (1667-1740); cfr. supra, p. 1205, nota 329. Il San Francesco, una delle sue opere più belle, era presente a Weissenstein nel 1719 ed è ancora oggi compreso nella collezione. 443 Di Hans Holbein il Giovane (1497/1498-1543) attualmente non è presente alcun dipinto, ma il catalogo del 1719 ne indicava sei. 444 Attualmente è presente Die Büßende Magdalena (Maria Maddalena penitente, 1792) di Christoph Fesel (1738-1806). 445 Potrebbe trattarsi sia del pittore Franz Francken (1581-1642), del quale è presente il dipinto Esther vor Ahasver (Ester davanti ad Assuero), sia di Franz Friedrich Franck (1627-11687) del quale nel 1719 erano presenti due dipinti. 446 Jan Joost van Cossiau (ca. 1660-1732) fu un pittore e incisore fiammingo attivo principalmente a Francoforte. Fu direttore della galleria di Pommersfelden insieme a Byß. Attualmente sono presenti circa una ventina di paesaggi. 447 Abraham Mignon (1640-1679) originario di Francoforte. Nel 1719 erano presenti cinque sue nature morte. Attualmente è presente solo un dipinto. 448 Gérard de Lairesse (1641-1711) fu pittore e incisore olandese. Nel 1719 erano presenti due dipinti; attualmente è possibile ammirare Prometheus, mit der Fackel über die Erdkugel hinschreitend (Prometeo con la fiaccola, mentre avanza sulla terra). 449 Si riferisce al grande affresco che decora lo scalone interno del palazzo, realizzato da Byß nel 1717, dal titolo Die Erdteile im Lichte Apollos (I continenti nella luce di Apollo). 450 La descrizione del quadro, erroneamente attribuito a Raffaello, contiene però riflessioni estetiche di notevole interesse e rivela inoltre forti similitudini con la descrizione del dipinto all’interno del saggio Descrizione di due dipinti nelle Effusioni. Al contrario di Lessing, che è citato all’interno della descrizione, non compare nel testo di Wackenroder il nome di Winckelmann, che però permea l’intera descrizione perfino nell’utilizzo delle categorie estetiche. Cfr. J.J. Winckelmann: Gedanken über die Nachahmung der Griechischen Werke in der Mahlerey und Bildhauerkunst, Dresden-Leipzig, Walther, 17562. 451 Il riferimento al saggio di Lessing, Laokoon: oder über die Grenzen der Malerei und Poesie (1766), concentra l’attenzione ancora più esplicitamente sul dibattito fra Neoclassicismo e Romanticismo nell’ambito delle teorie estetiche. Il volto della Madonna è caratterizzato da un’evidente dualità, fra volto ideale della dea ed espressione della più piena umanità, giudizio che concorda con quello di Tieck secondo il quale la Madonna esprimeva bellezza ideale e sensuale. Cfr. H. Markert, “‘Schakspear, W[ackenroder] u[nd] die Natur umher machen mich sehr glücklich’: zwei ungedruckte Briefe Ludwig Tiecks aus der Entstehungszeit der Romantik”, in “Lasst uns, da es uns vergönnt ist, vernünftig seyn!-” Ludwig Tieck (1773-1853), hrsg. v. H. Makert, Bern [et al.], Peter Lang, 2004, pp. 331-356.

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Per Bernardo Strozzi, cfr. supra, p. 1211, nota 418. Guido Reni (1575-1642). Il soggetto del dipinto è Cimone che in età avanzata viene nutrito in carcere dalla figlia Pero, che gli offre il proprio seno. 454 Per Paolo Veronese, cfr. supra, p. 1210, nota 413. 455 Antonio Balestra (1666-1740). Nel catalogo del 1719 comparivano cinque dipinti attribuiti a Balestra. 456 Antonio Bellucci (1654-1726). Quattro erano i dipinti presenti nel 1719 e tuttora alla pinacoteca. 457 Si riferisce probabilmente al dipinto Die Dreieinigkeit (La Trinità) non di Rubens, ma attribuito a Gaspar de Crayer (1584-1669). 458 Wybrand Simonz van der Geest (1592-dopo il 1660) fu pittore olandese, molto attivo a Roma, dove era soprannominato “L’aquila della Frisia”. Attualmente non è presente alcun dipinto. 459 Potrebbe trattarsi delle opere sia di Jan Davidsz de Heem (1606-1684), sia del figlio, Cornelis de Heem (1631-1635) che compaiono nel catalogo del 1719 e a tutt’oggi sono presenti a Weissenstein. 460 Johannes Lingelbach (1622-1674). Nel catalogo del 1719 erano presenti quattro suoi dipinti, ma nessun paesaggio. Attualmente è presente un unico dipinto: Porto italiano. 453

NOTE AI RESOCONTI 2 1

Johann Siegmund Piesker fu compagno di scuola di Wackenroder e Tieck. Ci si riferisce alla odierna Bad Düben, collocata a circa km 57 da Jessen, passando per Wittenberg. 3 Si riferisce al libraio ed editore Johann Ambrosius Barth (1760-1813) di Lipsia, presso il quale uscì la storia cavalleresca di Tieck Adelbert und Emma oder das grüne Band. Eine Rittergeschichte, cfr. Carteggio, p. 885, nota 121. La novella di Tieck era stata inserita all’interno di una raccolta di F. E. Rambach pubblicata con lo pseudonimo “Hugo Lenz” dal titolo Ritter, Pfaffen, Geister in Erzählungen a Lipsia da Barth nel 1793 (“Adelbert und Emma oder das grüne Band. Eine Rittergeschichte”, in Ritter, Pfaffen, Geister in Erzählungen, Bd. I, I, Leipzig, Barth, 1793, pp. 31-120). 4 Per Johann Georg Jonathan Schuderoff (1766-1843), cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1193, nota 131. 5 Si dovrebbe trattare del castello di Neu-Augustusburg a Weißenfels, costruito nella seconda metà del XVII secolo. Dal 1680 al 1746 fu la residenza estiva dei duchi di Sachsen-Weißenfels. 6 August Ferdinand Bernhardi (1769-1820), linguista e scrittore e professore al liceo di Berlino frequentato da Tieck e da Wackenroder. Bernhardi fu una figura di riferimento sia per Wackenroder che per Tieck, ma a quest’ultimo, in particolare, fu legato da una sincera amicizia. Nel 1799 sposò la sorella Sophie, ma il matrimonio non fu felice, i due si separarono definitivamente nel 1807. Da quel momento i rapporti con Tieck si interruppero del tutto. Si interruppe anche la loro lunga collaborazione. Anche Bernhardi, come del resto l’altro amico e insegnante al liceo di Berlino Eberhard Friedrich Rambach (cfr. supra, p. 46, nota 5, e p. 872, nota 2), aveva la tendenza ad appropriarsi dei lavori di Tieck, come avvenne nel caso di Almansur, inserito nel romanzo Nesseln (Ortiche) e, come sostiene Köpke, anche nel caso del racconto Die Sühne (Espiazione) e del dramma Der Abschied (Il commiato) dichiarati da Bernhardi come propri. Cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters nach dessen mündlichen und schriftlichen Mittheilungen, Leipzig, Brockhaus, 1855, erster Theil, p. 227 e R. Paulin, “Tieck in Berlin”, in Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, hrsg. von C. Stockinger und S. Scherer, Berlin-Boston, De Gruyter, 2011, p. 19. Cfr. anche Carteggio, p. 872, nota 1. 7 Il termine utilizzato nel testo è “Stenfelsen”, vocabolo per definire “massi rocciosi”, “rocce”, “rupi”. 8 Si fa riferimento al castello di Schönburg, situato nelle immediate vicinanze di Naumburg; eretto attorno al 1200, era già in decadenza nel corso del XVI secolo. 9 Potrebbe forse trattarsi di un errato riferimento, dal momento che Goethe non andò alla Fürstenschule Schulpforte, frequentata invece da Klopstock dal 1739 al 1745. 10 Joseph-Victor Neuwinger (1733-1808) generale dell’Armata francese che si era distinto nell’occupazione di Spira, Worms e Francoforte nel 1792. Il 27 marzo del 1793 fu ferito e catturato prigioniero nella battaglia di Waldalgesheim nei pressi di Bingen insieme a circa centocinquanta soldati. 11 Tifone era mitologicamente un essere gigantesco dal corpo di serpente con cento teste a forma, anch’esse, di serpente. Nella lotta con Giove, si era impadronito della sua spada e gli aveva reciso i tendini delle mani e dei piedi. Allora Giove, secondo il terzo inno omerico, lo seppellì prima in Cilicia e poi sotto l’Etna, dove ancora urla ed erutta. Secondo Esiodo, Tifone è all’origine del turbine di vento. 2

NOTE 1-26

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12 Fra le sconfitte patite dalle truppe francesi ci si riferisce a quelle di Francoforte del 1792 e alla battaglia di Neerwinden del marzo 1793. 13 In realtà Tieck si riferiva a Dorndorf, situata prima di Naumburg. I castelli posti sulle colline circostanti sono chiamati “Dornburger Schlösser”, i castelli di Dornburg. 14 Il pastore luterano è Johann Georg Jonathan Schuderoff, del quale aveva già parlato Wackenroder; cfr. supra, p. 1193, nota 131. Dal 1790 era pastore a Drackendorf. 15 “Ah! ça ira!” (“Ah, riusciremo”) è il canto popolare più in voga durante la Rivoluzione francese. Deriva da un’espressione contenuta in una canzone nota a partire dal 1790. La formula era stata anche utilizzata da Benjamin Franklin in visita a Parigi a chi gli chiedeva della Rivoluzione d’Indipendenza americana. 16 La lettera non è conservata. 17 Si riferisce alle rovine di Lobdeburg. 18 La “Wilmse”, ora quartiere di Jena, è una cima a nord di Drackendorf, nelle vicinanze di Ziegenhain. 19 Il filosofo Karl Leonhard Reinhold (1758-1825), nato a Vienna e lì diventato prete cattolico barnabita, nel 1783, probabilmente per una crisi religiosa, era fuggito a Lipsia e si era convertito. Dal 1784 si era trasferito a Weimar dove aveva conosciuto Christoph Martin Wieland, con il quale strinse lunga amicizia, iniziando prima a pubblicare articoli nella rivista Der Teutsche Merkur e poi a diventarne collaboratore. Dal 1785 aveva iniziato a occuparsi con fervore degli scritti di Kant, pubblicando, tra l’altro, anche i Briefe über die kantische Philosophie (1786-87), che crearono un diffuso interesse intorno al filosofo, anche da parte di Herder. Dal 1791 divenne professore di filosofia all’università di Jena. Dal 1794 si trasferì all’università di Kiel dove strinse amicizia con Friedrich Heinrich Jakobi. Le sue lezioni erano particolarmente famose e nell’ultimo semestre a Jena raggiunse i seicento uditori. 20 Christian Gottfried Schütz (1747-1832) fu professore di filosofia a Halle dal 1777 e dal 1779 di arte poetica e di eloquenza a Jena. Con Friedrich Justin Bertuch (17471822) fondò nel 1785 a Jena la Allgemeine Literatur-Zeitung, una rivista di recensioni che arrivò ad avere fino a duemila abbonati. Grande ammiratore della filosofia kantiana, che considerava l’inizio di una nuova epoca filosofica, fu anche’egli fra i promotori della sua opera in Germania, riuscendo a ottenere dei contributi del filosofo per la rivista. 21 Friedrich Ernst Karl Mereau (1765-1825), avvocato al tribunale di Jena e bibliotecario, dal 1795 divenne professore di diritto. 22 Sophie Mereau, nata Schubart (1770-1806) fu poetessa, scrittrice e una delle personalità più importanti nella cerchia culturale jenense. Si era sposata con Mereau il 4 aprile del 1793, forse per ragioni economiche, e aveva avuto due figli. Successivamente, nel 1803, sposò Clemens Brentano. Schiller, che la apprezzava molto, pubblicò nella sua rivista Die Horen alcune sue poesie. La Mereau fu tra le scrittrici più produttive del suo tempo, pubblicò poesie, romanzi e racconti; fu anche un’ottima traduttrice dall’inglese e dal francese. Fra i suoi romanzi sono da citare Das Blüthenalter der Empfindung (La primavera del sentimento) del 1794 e Amanda und Eduard del 1803. 23 Si riferisce alla località di Nieder-Roßla, sede amministrativa delle attività contabili e giudiziarie. 24 La Ausführliche Geographie di Johann Georg Hager (1709-1777), pubblicata in tre volumi fra il 1746 e il 1747, fu uno dei libri di testo più utilizzati in tutte le scuole tedesche per l’impianto fortemente didattico. 25 Si riferisce alla città di Apolda. 26 Il generale Charles François Dumouriez (1739-1823) aderì alla rivoluzione e divenne ministro degli Esteri e della Guerra francese. Durante le guerre rivoluzionarie francesi, gli venne assegnata l’armata del Nord, con la quale nel 1792 sconfisse gli austriaci a Jemappes conquistando il Belgio. Accarezzando l’idea di una nazione bel-

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ga indipendente, fu d’intralcio alle intenzioni della Convenzione che intendeva farne un territorio francese. L’anno seguente venne sconfitto a Neerwinden, scatenando i suoi nemici alla Convenzione che ne domandarono la messa in stato d’accusa, chiedendogli conto anche della moderazione con cui aveva trattato le provincie occupate. Sospettando che fosse in combutta con il duca di Orléans (il futuro re Luigi Filippo), vennero inviati quattro commissari e lo stesso ministro della guerra per indagare sulla sua condotta. Dumouriez reagì facendo arrestare i commissari e il ministro per passare immediatamente dalla parte degli austriaci, mostrando il suo vero volto di partigiano dei Borboni. Le sue truppe, tuttavia, insorsero contro di lui e lo costrinsero alla fuga. Vagò per diversi paesi offendo le proprie competenze militari ai nemici della Francia e di Napoleone. Respinto dalla Restaurazione per aver accettato lodi e anche una pensione dall’Inghilterra, morì nell’oscurità e nelle ristrettezze. 27 Adam Philippe conte di Custine (1740-1793), detto general moustache per i vistosi baffi neri, nacque da un’antica famiglia di nobiltà lotaringia. Partecipò alla guerra d’indipendenza americana e aderì alla Rivoluzione francese appoggiando le ragioni del Terzo Stato. Al comando dell’armata francese del Basso Reno divenne famoso per le conquiste di Spira, Magonza, Worms e Francoforte. La sua fortuna cambiò all’inizio del 1793, quando cominciò a subire una serie di sconfitte. Accusato dal giornalista radicale Hébert di connivenza con il nemico prussiano, anche in considerazione del suo titolo nobiliare, fu convocato dinnanzi al Comitato di Salute Pubblica a Parigi che lo condannò a morte nonostante il suo difensore fosse nientemeno che Robespierre. Venne ghigliottinato il giorno successivo alla sentenza. 28 Auguste Marie Henri Picot marchese di Dampierre (1756-1793) fu un generale francese. Si formò prima della Rivoluzione viaggiando tra Inghilterra e Berlino dove studiò tattiche militari prussiane. Grandissimo ammiratore di Federico II di Prussia, prese ad imitarlo anche nei più piccoli dettagli e persino nell’abbigliamento. Agli ordini del generale Dumouriez si distinse per una particolare azione di coraggio durante la battaglia di Jemappes (6 novembre 1792). Dopo la defezione di Dumouriez, venne incaricato di sostituirlo, ma con le poche truppe che gli rimasero dovette affrontare un nemico molto più numeroso. Il 6 maggio del 1793 tentò un attacco generale dividendo la sua armata in due colonne, una verso Valenciennes, l’altra verso Quiévran, ma dovette ritirarsi sotto il pesante fuoco dell’artiglieria austriaca. Ferito nella battaglia, Dampierre morì il 9 maggio. 29 Die Räuber. Ein Schauspiel di Schiller, fu completato nel 1780 e fu dato alle stampe dall’autore stesso a sue spese l’anno seguente (Leipzig und Frankfurt, 1781). Nel 1782 comparve poi una rielaborazione del testo realizzata da Schiller: Die Räuber. Ein Schauspiel von fünf Akten, herausgegeben von Friedrich Schiller. Zwote verbesserte Ausgabe, Frankfurt und Leipzig, 1782. Nello stesso anno circolava anche una sorta di terza edizione: Die Räuber, ein Trauerspiel von Friedrich Schiller. Neue für die Mannheimer Bühne verbesserte Auflage, Mannheim, in der Schwanischen Buchhandlung, 1782. Cfr. F. Schiller, “Die Räuber”, in Id., Sämtliche Werke, hrsg. von A. Meier, Bd. I, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 2004, pp. 955-956. 30 La data si aggira intorno al 23 aprile. 31 Lo “Stern” è la parte del giardino di Weimar che si trova vicino alla Schloßbrücke. 32 Tieck conobbe personalmente Goethe solo il 21 luglio del 1799, e si recò da lui insieme a August Wilhelm Schlegel e a Novalis. All’incontro anche Köpke dedicò alcune pagine, cfr. R. Köpke, Erinnerungen aus dem Leben des Dichters, cit., erster Theil, p. 259 e H. Fröschle, Goethes Verhältnis zur Romantik, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2002, pp. 217-220. Nello stesso anno Tieck conobbe anche Herder. 33 Il riferimento potrebbe essere al principe boemo, divenuto poi santo, Venceslao I di Boemia (Wenzel von Böhmen, ca. 908 - ca. 929/935). Cfr. gli studi dedicati da Tieck alla poesia medievale e in particolare alla figura di Wenzel von Böhmen. Cfr. L.

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Tieck (Hrsg.), Minnelieder aus dem Schwäbischen Zeitalter, Berlin, In der Realschulbuchhandlung, 1803 e per un inquadramento critico, cfr. Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, cit., pp. 208-210 e 691. 34 Si riferisce all’Anton Reiser di Karl Philipp Moritz. 35 Tieck, che si era immatricolato all’università di Erlangen presso la facoltà di teologia, interpreta l’esperienza della messa cattolica da un’ottica prevalentemente politica e sociale e, pur intravvedendo gli aspetti più spirituali ed elevati, ne percepisce soltanto l’apparato esteriore e superficiale. Della Chiesa cattolica, in questo passaggio, evidenzia le forti ambivalenze. Cfr. D. Lutz, “Religion”, in Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, cit., pp. 291-302. 36 Si riferisce al duomo di Erfurt. 37 Si riferisce al castello di Friedenstein a Gotha. 38 Si tratta di una società che si riuniva presso la locanda «Zum Mohren» («Al moro»). 39 Christian Karl André (1763-1831) fu un pedagogo e studioso del diritto. Dopo aver iniziato la professione come consigliere, abbandonò la carriera per dedicarsi alla formazione culturale delle classi meno abbienti. Nel 1785 fondò un istituto ad Arolsen e nel 1790 divenne direttore di una scuola femminile a Gotha. Nel 1791 fondò insieme a Rudolph Zacharias Becker Der allgemeine Rechtsanzeiger, una rivista di argomento giuridico. 40 Friedrich Wilhelm Doering (1756-1837) fu filologo e preside del ginnasio di Gotha. Curò e pubblicò autori latini, fra i quali Catullo, Livio e Cicerone. 41 Josias Friedrich Christian Löffler (1752-1816) fu un teologo evangelico, soprintendente generale e membro del concistorio supremo a Gotha. Nel semestre 1787-88 ebbe fra i suoi studenti a Francoforte sull’Oder anche i fratelli von Humboldt. 42 Rudolph Zacharias Becker (1759-1822) fu insegnante, scrittore e libraio. Nel 1782 era diventato insegnante al Philantropinum di Dessau, fondato da Johann Bernhard Basedow. A Gotha fondò nel 1785 la Deutsche Zeitung für die Jugend und ihre Freunde (Giornale tedesco per la gioventù e per gli amici), una delle riviste politico-morali più diffuse. Il testo citato è Noth- und Hülfsbüchlein für Bauersleute, oder lehrreiche Freuden- und Trauergeschichten des Dorfes Mildenheim; für Junge und Alte beschrieben (Libriccino di sostegno in caso di necessità per i contadini, ovvero storie felici e tristi del villaggio di Mildenheim, scritte per i giovani e gli anziani), Gotha, G.J. Göschen, 1788/1798, 2 voll. Dopo il successo del volume, aprì a Gotha nel 1797 una libreria adibita anche a stamperia. 43 Christian Gotthilf Salzmann (1744-1811), pedagogo e insegnante dal 1781 presso il Philantropinum di Dessau, fu poi il fondatore nel 1784 di un istituto pedagogico con intendimenti filantropici a Schnepfenthal nei pressi di Gotha. Autore di numerosi testi pedagogici, scrisse anche il romanzo Carl von Carlsberg oder über das menschliche Elend, Leipzig, Crusius, 1783-88, 6 Bde. 44 Per Adolf Heinrich Schlichtegroll (1765-1822), cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1194, nota 145. 45 Karl Hubert Mereau (1727-1797) era maestro di danza e “Sous-Directeur de Plaisir” dal principe di Gotha. Nato a Parigi, collaborò con August Wilhelm Iffland anche nella traduzione di testi francesi. Il suo testo Réflexions sur le maintien et sur le moyens d’en corriger les défauts (Gotha, Mevius und Dieterich, 1760) offriva necessario materiale a Iffland per le regole di portamento dell’attore. 46 Le Moniteur universel, inizialmente noto anche come Gazette nationale, era un giornale di propaganda nato a Parigi nel 1789 e chiuso nel 1901. Sin dal primo numero, datato 24 novembre, il giornale mirava a restituire dibattiti e avvenimenti senza commento; dal 1799 divenne organo ufficiale del governo francese. 47 Heinrich August Ottokar Reichard (1751-1828), dal 1780 bibliotecario di corte a Gotha, ma soprattutto direttore di teatro e scrittore molto fecondo. Autore, oltre che

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di scritti teatrali e massonici, anche di una serie di guide di viaggio dedicate all’Europa, a partire dallo Handbuch für Reisende aus allen Ständen, nebst zwey Postkarten, zur großen Reise durch Europa (Leipzig, Weygand, 1784). Pubblicò inoltre la Bibliothek der Romane (Biblioteca dei romanzi), 21 Bde, 1773-94, collaborò insieme a Lichtenberg alla pubblicazione della rivista Gothaische Gelehrte Zeitungen e fu redattore della rivista Olla Potrida dal 1778 al 1800. 48 Friedrich Wilhelm Gotter (1746-1797) scrittore e poeta. Dal 1772 fu segretario del duca, ma ebbe un’intensa attività letteraria. Realizzò rielaborazioni di testi teatrali dal francese, inglese e dall’italiano, scrisse commedie, drammi, e liriche; dal 1770 fondò anche, insieme a Heinrich Christian Boie, il Göttinger Musenalmanach. 49 Gottlieb Christoph Harleß (1738-1815) filologo, professore dal 1770 di poesia ed eloquenza a Erlangen; cfr. Resoconti Wackenroder, pp. 1198-1199, nota 220. Una descrizione di Harleß è anche presente nel testo di Rudolf Köpke, Erinnerungen aus dem Leben des Dichters, cit., erster Theil, pp. 157-158. 50 Christoph Friedrich Ammon (1766-1849) fu dal 1790 professore di teologia a Erlangen, nel 1794 fu chiamato a Gottinga, ma rientrò a Erlangen nel 1804. Noto come coltissimo predicatore, era orientato a un razionalismo critico che aveva le basi nel pensiero kantiano. Grande erudito, è una delle personalità più note del suo tempo. 51 Gottlieb Ernst August Mehmel (1761-1840) fu professore di filosofia a Erlangen; cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1186, nota 37. 52 Albrecht Bayer (1751-1818) dal 1785 professore di filosofia a Erlangen. Dal 1794 si trasferì ad Ansbach come terzo diacono. 53 Heinrich Karl Alexander Hänlein (1762-1829) dal 1789 professore di teologia a Erlangen. Dal 1808 divenne direttore del Concistorio superiore di Monaco. 54 Potrebbe trattarsi di Charles Chrétien Henri Marc (1771-1840), studente di medicina a Erlangen e futuro medico a Parigi. 55 Johann Georg Meusel (1743-1820) professore di storia a Erlangen dal 1779 e bibliografo. La sua opera più importante è Das gelehrte Teutschland oder Lexikon der jetztlebenden teutschen Schriftsteller (Germania dotta o dizionario degli scrittori tedeschi viventi), pubblicato con Georg Christoph Hamberger; fondò anche la rivista Der Geschichtsforscher, pubblicata dal 1777 al 1779 e collaborò al Teutscher Merkur di Wieland e all’Allgemeine deutsche Bibliothek di Nicolai. 56 Günter Karl Friedrich Seidel (1764-1800) insegnante di inglese di Tieck al liceo di Berlino, citato anche nelle memorie di Tieck: cfr. R. Köpke, Erinnerungen aus dem Leben des Dichters, cit., erster Theil, p. 122. 57 Friedrich Eberhard Rambach (1767-1826) era insegnante al liceo di Berlino (cfr. supra, p. 46, nota 5, e p. 872, nota 2). Rambach era anche autore di romanzi e di racconti nel suo testo sulla storia di Matthias Klostermayr, il fuorilegge rivoluzionario della Baviera, si era fatto aiutare proprio dal suo allievo, pubblicando il testo con lo pseudonimo di Ottokar Sturm: F.G.E. Rambach, Geschichte des famosen Wilddiebs und Straßenräubers Mathias Klostermayers, genannt der bayrische Hiesel, in Thaten und Feinheiten renomirter Kraft- und Kniffgenies, Berlin, Himburgische Verlagshandlung, 1791, 2 Bde. Anche il romanzo di Rambach, Die eiserne Maske: eine schottische Geschichte (La maschera di ferro. Una storia scozzese), Frankfurt-Leipzig, Barth, 1792, pubblicato con il medesimo pseudonimo, si avvalse della collaborazione di Tieck. 58 Il riferimento è alla riconquista di Francoforte sul Meno da parte delle truppe prussiane nel dicembre 1792 e al successivo assedio alla repubblicana Magonza dal 10.04.1793. 59 L’“artista” per Tieck è sempre suo fratello, lo scultore Christian Friedrich Tieck (1776-1851). 60 Tieck, in questa lettera a Bernhardi, si riferisce al viaggio di Pentecoste, iniziato il 17 maggio 1793, giacché la festa cadeva il 19 maggio. Data la serie di riferimenti nella

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lettera, da confrontarsi con quelli dei Resoconti di viaggio 5 di Wackenroder, si evince che questa possa essere stata scritta il 13 o il 14 agosto 1793. 61 Nella retorica classica, commento, spiegazione di una sentenza, di un luogo comune. 62 Si tratta dell’odierno dorso di monte denominato Burgberg. 63 Si tratta del castello di Scharfeneck, distrutto già nel 1634. 64 Per Heinrich Christoph Meyer, cfr. Resoconti Wackenroder, pp. 1184-1185, nota 12. 65 Anche in questo caso, come già era stato per Wackenroder, inizialmente Tieck subisce l’influsso degli stereotipi fisiognomici del suo tempo. La fisiognomica nazionale, come si è già visto, era presente in misura massiccia negli scritti di Friedrich Nicolai, ma anche di molti contemporanei. Interessante, nel caso di Tieck, l’individuazione di un meccanismo opposto, quello dell’ingerenza dell’arte figurativa nella costituzione esteriore. 66 Francia e Svizzera assurgono a modelli di democrazia e di diritti civili. 67 Si tratta dell’odierna Gasseldorf, a km 2 da Streitberg. 68 La rocca di Streitberg, distrutta nel 1632 durante la Guerra dei Trent’Anni, a partire dal 1700 fu utilizzata come magazzino per i cereali. Cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1184, nota 11. 69 Si tratta della rocca di Neideck; cfr. ibid., nota 10. 70 Johann Andreas Georg Friedrich Rebmann (1768-1824), autore di Heinrich von Neideck. Ein romantisches Gemälde aus dem Mittelalter, Erlangen, Walther, 1791. Cfr. ibid., p. 1189, nota 85. 71 Si riferisce all’odierna Wonsees. 72 Friedrich Taubmann (1565-1613), cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1185, nota 16. 73 La Margravia Wilhelmine von Preussen trasformò la selva nei pressi di Zwernitz nel parco di Sanspareil e il Margravio Friedrich von Bayreuth fece costituire una riserva di caccia nei pressi di Zwernitz. 74 Cfr Carteggio, p. 611 e passim. 75 Cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1185, nota 22. 76 Ibid., nota 23. 77 L’odierno Alladorf. 78 Cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1186, nota 25. 79 Il conte francese comparirà ancora nella lettera del lunedì; cfr. ibid., p. 1151. 80 Si riferisce all’operetta comica Hieronymus Knicker (1789) di Carl Ditters von Dittersdorf (1739-1799); cfr. Carteggio, p. 883, nota 103. 81 Si tratta del consigliere governativo Spieß (1734-1794); cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1186, nota 40. 82 Si tratta di Johann Georg Schlupper (1729-1809); cfr. ibid., nota 39. 83 Otto Heinrich Tornesi (1748-1814); cfr. ibid., nota 41. 84 Tornesi era consigliere d’amministrazione delle miniere e viveva all’interno del castello di Brandeburgo che era allo stesso tempo carcere e manicomio. 85 Tieck utilizza il termine “Heiduck”, corrispondente all’italiano aiducco, che nell’antico esercito ungherese era per la fanteria quello che gli ussari erano per la cavalleria. 86 Si riferisce a Johann Friedrich Reichardt e alla sua famiglia. A casa di Reichardt, Tieck era stato introdotto dal suo compagno di scuola Wilhelm Hensler, figliastro del compositore. La madre Johanna Alberti, sorella più grande della Amalia Alberti che diventerà la futura moglie di Tieck, era già stata sposata. Reichardt svolse un ruolo fondamentale nella vita dei due giovani, per Wackenroder in senso più strettamente musicale, per Tieck nella più ampia accezione di gusto. Reichardt mise poi in musica dieci racconti di Tieck. Cfr. W. Salmen, “Gedichte, Novellen und Märchen Tiecks in Musik gesetzt”, in Ludwig Tieck. Leben – Werk – Wirkung, cit., pp. 634-641.

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87 La citazione di Tieck è dalla Lettera ai Romani di San Paolo, 12,15, che però nell’originale tedesco era leggermente diversa: «Frewet euch mit den Frölichen / vnd weinet mit den Weinenden». 88 “Plumpsack spielen” è il gioco di fare a civetta, ossia un antico gioco di società in cui ci si percuote a vicenda con l’intento di far cadere il cappello. 89 Si riferisce alla lettera alla sorella del 2 maggio. 90 Si riferisce al romanzo Anna St. Ives (1792) di Thomas Holcroft (1745-1809). Holcroft era un drammaturgo e scrittore inglese che dal 1783 si trasferì a Parigi come corrispondente della testata Morning Herald. Il romanzo epistolare di Holcroft è considerato uno dei primi romanzi giacobini per la concezione sociale che fa da sfondo alla vicenda di Anna. La protagonista femminile deve scegliere fra due uomini, ma non è una figura femminile facile preda del sentimentalismo; piuttosto è una donna che per capacità intellettuali e morali è pari a un uomo. La scelta cadrà alla fine su Frank, figlio del valletto del padre e sarà dettata non soltanto da evidenti ragioni sentimentali, ma soprattutto dalla medesima visione del mondo etica e morale e dalla convinzione che anche i singoli individui e le loro decisioni possano modificare la società e quindi la storia. Il romanzo fu prontamente tradotto in tedesco da Karl Philipp Moritz: Th. Holcroft, Anna St. Ives. Aus dem Englischen übersetzt von Karl Philipp Moritz, Berlin, Unger, 1792-1794. 91 L’edificio che ospitava la casa di correzione e il manicomio era nato come residenza della principessa (Prinzessinhaus), la margravia Sophie, nel 1722. Abbandonato dal 1763, prima divenne una casa di correzione alla quale nel 1784 fu affiancato un manicomio (Irrenanstalt). Dal 1805 fu chiamato nell’istituto Johann Gottfried Langermann (1768-1832), che mirava a una soppressione dei tradizionali sistemi repressivi nei confronti dei malati. Grazie al suo intervento, questo manicomio divenne il primo istituto psichiatrico per malati di mente in Germania. 92 L’incidente era capitato anche a Wackenroder; cfr. Resoconti Tieck, p. 1135, nota 26. 93 Il dramma cavalleresco Klara di Hoheneichen (1792) era opera di Christian Heinrich Spieß; cfr. Carteggio, p. 888, nota 141. Di questa serata non fa cenno Wackenroder. 94 Il passo è contenuto nel Vierter Aufzug, Erster Auftritt (IV, 1) dell’opera. C.H. Spieß, Klara von Hoheneichen, Prag-Leipzig, Schönfeld und Meißnerischer Buchhandlung, 1790, p. 119. 95 Cfr. C. H. Spieß, Klara von Hoheneichen, cit., “Vierter Aufzug, Vierter Auftritt” (IV, 4), p. 133. 96 L’espressione «Was Deuwel!» non è contenuta nel testo originale, può quindi intendersi come esclamazione dell’attore. 97 Si riferisce probabilmente a Johann August Eberhard (1739-1809), filosofo e teologo. Dal 1763 si trasferì a Berlino dove venne a stretto contatto con Moses Mendelssohn e Friedrich Nicolai. Nel 1778 fu chiamato a Halle a ricoprire la cattedra di filosofia che era stata di Georg Friedrich Meier. Divenuto membro dell’Accademia delle Scienze di Berlino, Eberhard divenne famoso, tra l’altro, per le sue posizioni fortemente antikantiane. Fra il 1793 e il 1794 pubblicò in due volumi Ueber Staatsverfassungen und ihre Verbesserungen: ein Handbuch für deutsche Bürger und Bürgerinnen aus den gebildeten Ständen (Sulle costituzioni e sul loro miglioramento: un manuale per cittadini e cittadine tedeschi), Berlin, Voss, 1793 e 1794; il testo si proponeva di riflettere sull’idea di stato e di costituzione, di libertà e uguaglianza, alla luce degli avvenimenti francesi e si risolveva alla fine in una strenua difesa dell’ordine costituito. 98 Si riferisce alla carta della zona di Bayreuth realizzata da Homann; cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1184, nota 4. 99 Si riferisce al vicecapominiera Ullmann, di cui si parla nei Resoconti Wackenroder, p. 1187, nota 52.

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Si intende Kemlas. Il riferimento è alla roccia di pietra di granito nello Harz, osservata nel viaggio di Tieck del 1793, cfr. supra, p. 1177. 102 Qui Tieck sta narrando l’avventura nel territorio boemo e ad Asch. Cfr. Resoconti Wackenroder, p. 953. 103 L’attuale città di Höchstädt nel Fichtelgebirge. 104 Wackenroder e Tieck avevano ricevuto una lettera di presentazione per il borgomastro di Wunsiedel, Johann Georg Schmidt (1746-1819), da parte di Johann Christian Daniel Schreber (1739-1810). 105 Si tratta del vice-capominiera Johann Christoph Schubert; cfr. Resoconti Wackenroder, pp. 957 e 1188, nota 66. 106 Il passo del Werther a cui Tieck si riferisce è nella lettera del 21 giugno in J.W. Goethe, Die Leiden des jungen Werther, WA, Bd. 19, p. 38; trad. it. in J.W. Goethe, I dolori del giovane Werther, a cura di Giuliano Baioni, Torino, Einaudi, 1998, p. 57: «Caro Wilhelm, ho fatto ogni sorta di considerazioni sulla smania degli uomini di uscire dalla propria casa, di fare nuove scoperte, di perdersi lontano nel mondo; e poi sull’impulso che abbiamo di porci di buon grado dei limiti, di seguire il solco delle abitudini e di non preoccuparci di quel che succede a destra e a sinistra». 107 Si riferisce evidentemente a Faust. Ein Fragment, pubblicato a Lipsia nel 1790. 108 Cfr. Resoconti Wackenroder, p. 961. 109 Si riferisce probabilmente alle fonti di acqua termale di Sichersreuth, ad Alexandersbad. 110 Probabile errore ortografico; si riferisce a Naila. 111 Si tratta del consigliere commerciale Müller. Cfr. Resoconti Wackenroder, p. 963. 112 Dell’avvenimento Wackenroder non fa menzione nelle sue relazioni. Ne dà notizia invece Köpke. Cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters, erster Theil, p. 161. 113 C.H. Spieß, Der Mäusefallen- und Hechelkrämer, eine Geschichte, sehr wunderbar, doch ganz natürlich, Prag, Meißner, 1792. La storia raccontata da Tieck, è presente anche in Wackenroder (cfr. supra, pp. 959 e 1198, nota 212). La leggenda dei cercatori d’oro fra queste montagne è presente anche nelle leggende della Franconia: cfr. Der Sagenschatz des Frankenlandes, herausgegeben von L. Bechstein, 2 Bde, Würzburg, Voigt & Mocker, 1842. 114 Si riferisce al cugino del consigliere commerciale Müller. 115 Si riferisce al “Walpotenburg”. Cfr. supra, p. 1187, nota 47. 116 Si riferisce al monastero di Himmelkron, cfr. ibid., p. 1188, nota 76. 117 Secondo la leggenda Agnese di Weimar-Orlamünde, detta la “dama bianca”, vedova di Ottone III di Orlamünde, avrebbe ucciso i suoi due figli per potersi risposare, in seconde nozze, con il burgravio Albrecht von Hohenzollern (ca. 1319-1361), detto Alberto il Bello. Pentitasi, fondò il monastero di Himmelkron, di cui divenne badessa. 118 Si riferisce a Plassenburg, cfr. Resoconti Wackenroder, p. 1186, nota 42. 119 Cfr. ibid., p. 1091. 120 Heinrich Christoph Meyer, cfr. ibid., p. 1184, nota 12. 121 Si tratta del giardino del conte di Giech. Cfr. ibid., p. 1188, nota 80. 122 Si tratta del 28 maggio 1793. 123 Cfr. ibid., p. 1189, nota 84. 124 Il lungo racconto notturno o romanzo dell’orrore Abdallah. Eine Erzählung, Berlin-Leipzig, Nicolai, 1795, cfr. la nota 168 del Carteggio, composto fra il 1791 e il 1793, compare qui con un sottotitolo, poi eliminato nell’edizione del 1795 per i tipi di Carl August Nicolai. 125 Il dramma Alla-Moddin. Ein Schauspiel in drey Aufzügen (cfr. Carteggio, p. 880, nota 75), composto fra il 1790 e il 1793-1794, ma pubblicato soltanto nel 1798 per i 101

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tipi di Johann Georg Langhoff a Berlino, secondo quanto afferma Köpke, fu ispirato dalla lettura dell’articolo Der König der Suluh-Inseln. Ein Gegenstück zu dem König der Pelew-Inseln di Gottlob Nathanael Fischer, comparso sulla rivista Deutsche Monatsschrift nel 1790 (3, 1790, pp. 317-328). Köpke afferma che alla stesura del testo Tieck fu spinto dall’amico Rambach che giudicava la storia adatta per la forma drammatica. Cfr. R. Köpke, Ludwig Tieck. Erinnerungen aus dem Leben des Dichters, erster Theil, p. 117. 126 Il motto latino completo è “mundus vult decipi, ergo decipiatur”, il mondo vuole essere ingannato, dunque lo si inganni. 127 Il dramma Philopömen (Carteggio, p. 873, nota 9), incompiuto e mai pubblicato, fu scritto nel 1792 e pubblicato nel 1793 dall’editore Barth a Lipsia all’interno del volume di Rambach Ritter, Pfaffen, Geister in Erzählungen registrato con lo pseudonimo di “Hugo Lenz”. 128 Si riferisce al romanzo Adelbert und Emma oder das grüne Band; cfr. p. 1214, nota 3. 129 Il verbo “ahnden” è forma più arcaica di “ahnen” che mantiene il medesimo significato di “presagire”. “Ahnden” però aveva anche il significato di “punire”, “vendicare”. La forma più arcaica si è persa proprio per questa assonanza. 130 Probabilmente si riferisce a un’idea che troverà poi espressione compiuta nei Briefe über W. Shakespeare contenuti nel Poetisches Journal (1800). Cfr. C. Stockinger, cit., p. 690 e H. Markert, “‘Schakspear, W[ackenroder] u[nd] die Natur umher machen mich sehr glücklich’, cit., pp. 331-356, in part. pp. 341-347.

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INDICE DEI NOMI*

Adelung, Johann Christoph 904 Albani, Francesco 1099 Albert, Claudia 340 Alberti, Amalie (detta Malchen) 613 Alberti, Marie (detta Miekchen) 615, 637 Albertinelli, Mariotto 251 Alessandri, Felice 749 Alessandro Magno 625, 1047 Alighieri, Dante 405, 407 Allegri, Antonio (v. Correggio) Ammon, Christoph Friedrich 1121 André, Christian Karl 1121 Anger, Alfred 13, 82, 289 Anwander (o Anwandter), Johann 1053 Arione di Metimna, 385, 387 Arnoldi 759 Arria 651 Artaria, Karl (Carlo) 987 Aufseß, Jobst Bernhard von 1049 Babo, Josef Marius 729 Bach, Johann Sebastian 340, 343 Backhuysen, Ludolf 1099 Bäuml di Eger, Johann Kaspar 1055 Balestra, Antonio 1103 Baranius (pseud. di Husen), Henriette 691,729, 743, 817

Baronio, Cesare 1039 Barth, Johann Ambrosius 1109 Bartolozzi, Francesco 985 Baumann, Friedrich 1071, 1089 Baumgarten, Alexander Gottlieb 20, 98 Bayer, Albrecht 1121 Beato Angelico (Giovanni Angelico da Fiesole) 253 Beaumont, Francis 588, 857, 859, 861 Beccafumi, Domenico 249 Becker, Gotthelf Wilhelm 863 Becker, Rudolf Zacharias 1049, 1121 Beireis, Gottfried Christoph 981 Bellori, Giovanni Pietro 89 Bellucci, Antonio 1103 Benevoli, Orazio 343, 344 Benz, Richard 80 Berger, Daniel 741, 985, 987 Bergk, Johann Adam 586 Bergmüller, Johann Georg 1097 Beringer, David 907, 993, 995, 1059 Berlichingen, Götz (o Gottfried) von 1061, 1109, 1111 Bernhardi, August Ferdinand 46, 302, 587, 588, 593, 595, 601, 603, 605, 607, 617, 619, 625, 633, 651, 657, 677, 679, 683,

* Si sono tenuti presenti i nomi dei personaggi storici presenti nel testo. L’elenco non include i nomi che figurano nelle note ai testi.

1262 689, 695, 707, 709, 711, 713, 715, 719, 723, 727, 729, 731, 735, 737, 741, 745, 751, 767, 795, 797, 805, 807, 813, 817, 819, 825, 827, 829, 835, 871, 915, 916, 919, 1109, 1123, 1179 Bernstorf, Graf von 783 Berrettini, Pietro (v. Pietro da Cortona) Betz (o Beez), Johann Baptist 1047 Birla, 783 Bligh, William 47 Boatin, Janet 586 Bode, Johann Ehlert 993, 995, 1003, 1059, 1069 Boden 1003 Bodenschatz, Johann Christoph Georg 1043 Bodmer, Johann Jakob 847 Bollacher, Martin 80, 335 Borsch, Herr von 1003 Bossuet, Jacques Bénigne 1035 Bothe, Friedrich Heinrich 594, 645, 655, 665, 791 Bourdaloue, Louis 1035 Boye, Moritz 939, 1139, 1149 Brabant, Wilhelm von 13 Bramante, Donato 109 Bremer, Friedrich Carsten 987 Bremer, Justus Frantz Friedrich 987 Brentano, Clemens 344 Brodelet, Alexandre Jean Joseph de 783 Brown, John 590 Brückner, Katharina Magdalena 609 Brunn (pastore) 587, 613 Brusch, Kaspar 1097 Budberg, Otto Christoph Freiherr von 781 Bürger, Gottfried Adolf 735, 829 Büsching, Anton Friedrich 1037 Buonarroti, Michelangelo (v. Michelangelo)

BIBLIOGRAFIA E INDICI

Burgsdorff, Wilhelm von 667, 695, 699, 703, 719, 721, 731, 735, 753, 759, 767, 781, 783, 791, 827, 835, 871, 918, 921, 1055, 1073, 1075 Byß, Johann Rudolf (o Rudolph) 912, 1099, 1101 Cagliostro, Alessandro di 699 Calezky, 609, 611 Caliari, Paolo (v. Veronese) Callot, Jacques 249 Calmet, Augustin 1033, 1039 Camerarius, Joachim il Vecchio 993 Caravaggio 1099 Carlo V d’Absburgo 251, 1061 Carow, Johann Friedrich Wilhelm 669 Carracci, Agostino 221, 247 Carracci, Annibale 221, 245, 247, 1099 Cartesio (Descartes, René) 18 Casanova, Johann 985 Casparson, Johann Christian 13 Castiglione, Baldassarre 19, 88, 109 Catone, Marco Porcio 651 Catullo, Gaio Valerio 45, 787 Cavazzoni, Francesco 123 Cecilia, (Santa) 123, 125, 269, 271, 340, 341 Chigi, Agostino 89 Chodowiecki, Daniel Nikolaus 987 Cimabue 247, 295 Codro 32, 651, 673 Contucci, Andrea 249 Cordemann, Friedrich 717, 723, 729 Corrado III di Svevia 1019 Correggio 183, 185, 221, 393, 1099 Cossiau, Jan Joost van 1099

INDICE DEI NOMI

Cranach, Lukas 383, 983, 1061 Crébillon, Prosper Jolyot de 615 Cristo di Nazareth (il Redentore) 131, 155, 193, 195, 219, 229, 237, 243, 253, 285, 333, 339, 375, 377, 409, 411, 427, 929, 987, 1021, 1037, 1039, 1057, 1085, 1093, 1099, 1103, 1111, 1119 Cunegonda (imperatrice) 1019, 1061 Cünrat, Forer 1037 Curzio, Mezio 673 Custine, Adam Philippe de 1115 Czechtitzky, Karl 635, 675, 691, 741, 825 Dahlhaus, Carl 341, 346 Dalmasio, Lippo (v. Scannabecchi, Lippo) Dampierre, Auguste Marie Henri Picot de 1115 David (re) 205, 261 Del Sarto, Andrea 78 Denis, Johann Nepomuk Cosmas Michael (detto Sined) 621, 623, 637 De Vriendt, Franz Floris 1061 Diderot, Denis 348, 594, 595, 707, 709 Dies, Albert Christoph 983 Dietsch (o Dietzsch), Johann Christoph 983 Dietsch, Margaretha Barbara 983 Dietz, Ferdinand 1051 Dittersdorf, August Carl Ditters von 707, 723, 735, 777, 1137 Dodsley, Robert 597, 859, 861, 863 Doering, Friedrich Wilhelm 1121 Dolci, Carlo 1099 Domenichino 245 Donato di Angelo di Pascuccio (v. Bramante)

1263 Dryden, John 588, 857 Dubos, Jean-Baptiste 77, 677 Dürer, Albrecht 17, 25, 75, 7781, 83, 87, 93, 177, 179, 181, 183, 185, 187, 189, 223, 225, 227, 235, 285, 347, 365, 371, 373, 375, 377, 379, 403, 847, 907, 908, 913, 983, 985, 987, 993, 1057, 1059, 1061, 1079, 1099 Dürer, Albrecht il Vecchio 365, 371, 373, 375 Dürer, Andreas 377 Dürer, Barbara 375 Dürer, Elisabeth 373 Dürer, Hans 377 Dumouriez, Charles François 791, 1115 Dyck, Anton van 1077, 1085, 1099 Earlom, Richard 985 Eberhard, Johann August 1151 Eccard, Johann Georg 851 Eisenmenger, Johann Andreas 1039 Eliott (o Elliott), George Augustus 1069 Elisabetta I d’Inghilterra 775 Ellis, John 77 Elsheimer, Adam 1099 Engel, Johann Jacob (o Jakob) 591, 593, 594, 775, 805, 817 Engst, Christine 593, 673, 675, 693, 803 Enrico il Santo 1007, 1019, 1023, 1055, 1061 Erhard, Johann Benjamin 23, 24, 983 Erthal, Franz Ludwig von 1011 Eschenburg, Johann Joachim 733, 819, 871 Espen, Zeger-Bernhard von 1039 Esper, Johann Friedrich 971 Ezechiele (profeta) 407

1264 Fallersleben, August Heinrich Hoffmann von 13 Fasch, Karl Friedrich 33, 39, 343, 345, Federico II di Prussia 343, 344, 935, 1039, 1047, 1071, 1081, 1216 Federico II imperatore 935 Federico Guglielmo II di Prussia 344, 1069, 1071, 1075 Felbiger, Johann Ignaz von 1041, 1049 Fesel, Christoph 1099 Feuerlein 989 Filippo II di Spagna 779 Fiorillo, Johann Dominicus 35, 78, 343, 829, 913 Fischart, Johann 847 Fischer, Franz Valerius 1095 Fleck, Johann Friedrich 588, 590, 691, 693, 699, 741, 771, 803 Fletcher, John 588, 857, 859, 861 Fleury, Claude 1035 Flögel, Carl Friedrich 847 Florian, Jean-Pierre Claris 697, 705 Floris, Frans (v. De Vriendt, Franz Floris) Folz, Johannes (o Hans) 979 Forer, Cünrat 1037 Forkel, Johann Nikolaus 321, 345, 731, 735, 767, 779 Forster, Georg 93 Francesco I di Francia 157 Francia, Francesco 28, 93-95, 97, 119, 121, 123, 125, 127 Franck, Franz 1099 Frauenholz, Johann Friedrich 907, 908, 913, 981, 983, 985, 987, 997, 999, 1081 Frey, Konrad 1043 Freydank (o Freidank) 979 Fries(e), Lorenz 1037 Fubini, Enrico 76

BIBLIOGRAFIA E INDICI

Füssel, Johann Michael 905, 927, 1005 Fuhrmann, Hans 605, 629 Fust, Johann 977 Garly 635, 691, 741 Gatterer, Christoph Wilhelm Jakob 905, 927 Gaudot 781 Gedike, Friedrich 16 Geest, Willebrand van der 1103 Geiling, Christian Traugott 723, 729 Gellert, Christian Fürchtegott 637 Gessner, Conrad (o Konrad) 1037 Gialal-al Din Rum 356 Giech, conte di 969, 1177 Gilly, Friedrich 825 Giocondo, Francesco del 155 Giocondo, Lisa del 155 Giordano Bruno 1081 Giotto 215, 247 Giovanna (papessa) 977 Giovanni Evangelista 1037 Giuseppe II imperatore 1061 Glück, Christian Friedrich 1005, 1007, Göbhardt, Tobias 1005, 1007 Gönner, Nicolaus Thaddäus 1041 Goethe, Johann Wolfgang 80, 82, 84, 93, 343, 344, 354, 594, 641, 649, 693, 699, 771, 795, 907, 919, 1109, 1111, 1117, 1161 Goldoni, Carlo 817 Gotter, Friedrich Wilhelm 594, 1121 Gottsched, Johann Christoph 847 Green, Valentine 985 Gregorio XIII papa 253 Greibe, Friedrich Ernst 590, 743 Grillparzer, Franz 334 Grimm, Friedrich Melchior 847 Gropp, Ignaz 1039 Grosse, Carl Friedrich August 585

INDICE DEI NOMI

Guercino 1053 Guido di Pietro (v. Beato Angelico) Güßfeld, Franz Ludwig 905, 927 Guglielmo d’Orange 597, 845, 867 Guttenberg, Karl Gottlieb 985, 987 Händel, Georg Friedrich 779 Hänlein, Heinrich Karl Alexander 1121 Häßlein, Johann Heinrich 847, 849, 907, 914, 981, 993, 1081 Hagemann, Friedrich Gustav 595, 805 Hagemeister, Johann Gottfried Lukas 805, 817, 871 Hagenau, Heinrich von 867 Hager, Johann Georg 1113 Haller von Hallerstein, Karl 979 Hamann, Johann Georg 27, 28, 344, 625 Handsch, Georg 1037 Harleß (o Harles), Gottlieb Christoph 1005, 1087, 1121 Haselberg, Gabriel Peter von 1087 Hawkins, Thomas 597, 859, 861, 863 Haydn, Franz Joseph 1007 Heem, Cornelis de 1103 Heidemann, Johann Theophil 819, 829 Heinse, Wilhelm 82, 338 Heitmann 995 Hellmuth, Mariane 675, 729 Hensler, Gustav Wilhelm 609, 679, 783 Hentze, Johann Gottlieb 943, 971 Herbst, Johann Friedrich Wilhelm 983, 1003 Herder, Johann Gottfried 11, 12, 28, 48, 49, 340, 341, 344, 345, 349-351, 907, 1117

1265 Herdt, Charlotte 741 Herdt, Samuel Georg 693, 699, 805 Hermes, Hermann Daniel 1007 Herr (oppure Heer), Michael 1059 Hertzberg, Ewald Friedrich von 757, 981 Heusler, G. W. 39 Heüßlin, Rudolff 1037 Heyer 985 Heyne, Christian Gottlob 346, 723, 731, 735, 781 Hilzinger, Klaus Harro 337 Hochstetter (o Hoffstetter), Johann Heinrich 1007 Hölter, Achim 918 Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus 334, 344 Hoffmann von Fallersleben, August Heinrich 13 Holbein, Hans il Giovane 36, 77, 81, 1099 Holcroft, Thomas 919 Holinshed, Raphael 863 Holshausen, Johann Justinian Georg Freiherr von 783 Homann, Johann Baptist 927 Honthorst, Gerrit van 1099 Huchtenberg, Jan van 1099 Humboldt, Alexander von 955 Huysum, Jan van 1099 Iffland, August Wilhelm 592, 594, 691, 809 Ihle, Johann Eberhard 989 Isaia (profeta) 407 Jäger, Johannes 1079 Jakob, Johann 667 Jakob, Ludwig Heinrich 667 Jautzer, Georg 1055 Jean Paul (Richter, Jean Paul) 344 Jenisch, Daniel 819 Jonson, Ben 588, 597, 859, 861, 871

1266 Jünger, Johann Friedrich 593, 635, 675 Juvenell, Paul 1061 Kant, Immanuel 20, 22, 95, 96, 918, 1081, 1113 Karl Anselm, principe di Thurn und Taxis 1093 Kaselitz 693, 699, 741, 743, 773, 803 Kemper, Dirk 12-13, 16, 75, 80, 92, 583 Kern, Gregorius 605, 715 Kertz-Welzel, Alexandra 339 Kinderling, Johann Friedrich August 849, 977 Kirnberger, Johann Philipp 345 Klauber, Ignaz Sebastian 985, 987 Klein, Johann Gottlieb 45 Kleist, Henrich von 591 Klopstock, Friedrich Gottlieb 40, 344 Klüber, Johann Ludwig 933 Knapp, Georg Christian 667 Knoblauch, Hans 867 Knorr, Georg Wolfgang 983, 987 Kobell, Ferdinand 985 Kobell, Franz 985 Koch, Erduin Julius 12-14, 16, 17, 39, 46, 597, 755, 843, 853, 863, 914, 973, 977, 979, 981, 993, 1081 Köhler, Carl Heinrich Gottfried Gustav 669, 713, 849 König, Johann 1099 Köpke, Rudolf 45, 84, 345, 353, 588 Kohl, Clemens 985 Koldewey, Paul 347 Konrad von Würzburg 853 Koschorke, Albrecht 584 Kotzebue, August von 590, 592, 593 Kraft, Adam 177, 1057

BIBLIOGRAFIA E INDICI

Krüger, Benjamin Ephraim 847 Krüger, Johann Gottlob 586 Küfner, Abraham Wolfgang 985 Kupetzky, Johann 1057, 1059, 1077, 1085, 1087, 1099 Lairesse, Gérard de 817, 1099 Lasser, Johann Baptist 677, 1099 Lattanzio 977 Lauremberg, Johann 867 Lavater, Johann Caspar 75, 76, 344 Leibniz, Gottfried Wilhelm 18, 849, 1081 Leisewitz, Johann Anton 594 Leonardo da Vinci 35, 93, 95, 96, 143, 145, 147, 149, 151, 153, 155, 157, 207, 235 Leonhardi, Johann 590 Lessing, Gotthold Ephraim 93, 96, 588, 590, 593, 781, 913, 1101 Leyden, Lucas van 82 Lingelbach, Johann 1103 Linneo 1015 Lippert, Karl Friedrich 675, 677, 729, 743 Lissner, Karl 635 Littlejohns, Richard 11-13, 342, 583, 913 Lochner 849 Loder, Justus Christian von 1055 Loeffler, Josias Friedrich Christian 1121 [Pseudo]-Longino 349, 589, 615, 789 Lünig, Johann Christian 1039 Luigi XVI di Francia 829, 835, 985, 1069 Luther, Martin 181, 290, 977, 979, 993, 1031, 1061 Mabillon, Jean 1033 Malblanc, Julius Friedrich 979, 981

INDICE DEI NOMI

Malchen (v. Alberti, Amalie) Malvasia, Carlo Cesare 94 Mann, Thomas 334 Mannert, Conrad 981, 983 Marc, Charles Chrétien Henri 1121 Marcus, Adalbert Friedrich 1047 Maria (Madonna) 34, 35, 80, 89, 111, 161, 165, 227, 381, 383, 393, 913, 920, 1093, 1127 Marivaux, Pierre de 594, 803 Markert, Heidrun 915 Marquard, Odo 585 Marziale, Marco Valerio 46 Maser, Peter 1047 Massinger, Philipp 588, 859, 861 Mattausch, Franz 635, 691 Matthisson, Friedrich von 609, 625, 819 Matti, Giovanni Domenico 1081, 1083 Mattioli, Pietro Andrea 1037 Mayer, Johann Tobias 999, 1003 Mazzola, Girolamo Francesco Maria (v. Parmigianino) Mechau, Jakob Wilhelm 983 Mehmel, Gottlieb Ernst August 939, 1121, 1137, 1139 Melanchthon, Philipp 908, 991, 993, 1061 Mendelssohn, Moses 588 Mengs, Anton Raphael 81, 296 Merania, conte di 967 Mercier, Louis-Sébastien 803 Mereau, Friedrich Ernst Karl 1113 Mereau, Karl Hubert 1121 Mereau, Sophie 1117 Merian, Matthäus, il Giovane 1015 Merisi, Michelangelo (v. Caravaggio) Metastasio, Pietro 338 Meung, Jean de 1037 Meusel, Johann Georg 1121

1267 Meyer (borgomastro) 1007 Meyer, Friedrich Johann Lorenz 783 Meyer, Heinrich Christoph 933, 937, 967, 969, 1125, 1129, 1131, 1135, 1177 Meyer, Johann Daniel 983 Meyer, J. Heinrich 80 Meyer (studente) 1007 Michelangelo 35, 80, 93, 97, 98, 103, 185, 215, 217, 219, 221, 235, 237, 348, 403, 405, 407, 409, 411, 1015 Miekchen (v. Alberti, Marie) Mieris, Frans van, il Giovane 1099 Mignon, Abraham 1099 Mittner, Ladislao 89, 357 Möhrlein, Ferdinand 1041 Moehsen, Johann Karl Wilhelm 977, 979 Mörike, Eduard 334 Molière (Poquelin, Jean-Baptiste) 775 Monteverdi, Claudio 344 Montmorin 731 Morghen, Raffaello 985 Morino, Johann 987 Moritz, Karl Philipp 12, 31-34, 39, 97, 338, 339, 757, 779, 791, 793, 809, 919, 1147 Mosé 219, 959 Mosheim, Johann Lorenz 1037 Mozart, Wolfgang Amadeus 777 Müller 963, 965, 1163 Müller, Mariane (v. Hellmuth, Mariane) Müller, Johann Gotthard 985, 987 Müller, Johannes (v. Regiomontanus) Murr, Christian Gottlieb von 306, 559, 907, 914, 921, 975, 987, 1057, 1061, 1081, 1085 Musin-Puškin-Bryus, Vasilis Valentinoviþ 781, 783

1268 Myller, Christoph Heinrich 597, 847 Nauck, Gottfried 807 Nauke (v. Nauck, Gottfried) Naumann, Barbara 596 Naumann, Friedrich Gotthard 1077 Neefs, Peter il Vecchio 1099 Neer, Aert van der 1099 Nerone 779 Neumann, Michael 339 Neuwinger, Joseph-Victor 918, 1111 Nicaeus, Bernhard 867 Nicolai, Ernst Anton 587 Nicolai, Friedrich 344, 593, 905, 907, 909, 910, 977, 981, 1021, 1043 Norris, Henry Sir 601 Novalis (Hardenberg, Georg Friedrich Philipp von) 11, 344 Nussbiegel, Johann 985 Oelrichs, Johann Karl Konrad 977, 1081 Omero 555 Onghers, Oswald 1015 Orazio, Caio Flacco 45, 46, 723, 763, 787 Orlamünde, contessa di 967, 1175 Ottaviano (imperatore) 867 Ottone il Grande (imperatore) 991, 1065 Ottone VI vescovo 1033 Ottone VIII vescovo 1013 Ovidio, Publio Nasone 592, 787 Owen, John 867 Palestrina, Giovanni 344 Panzer, Georg Wolfgang 983 Panzer, Georg Wolfgang Franz 863, 907, 914, 921, 975, 977, 979, 981, 983, 993 Parmigianino 251

BIBLIOGRAFIA E INDICI

Pascal (editore) 987 Pencz, Georg 1061 Pergolesi, Giovanni Battista 340 Persio, Flacco Aulo 979 Perthes, Friedrich 341 Perugino, Pietro 123, 241 Pfeifer, Karl Hermann 985 Pfeffel, Gottlieb Konrad 693, 695 Pfinzing, Melchior 1043 Pfister, Carl Melchior 1041 Pichler, Johann Peter 985, 987 Pietro di Cosimo 28, 93, 96, 199, 201, 205, 207 Piesker, Johann Siegmund 607, 609, 615, 617, 625, 629, 1107 Pietro da Cortona 1099 Pietro il Grande zar 1085 Pindaro 625 Pirkheimer, Philipp 373 Pirkheimer, Willibald 177, 225 Polidoro da Caravaggio 249 Porsenna 32 Praun, Paul von 981 Preisler, Johann Martin 985 Preißler, Daniel 1059 Prestel, Maria Katharina 985 Quillfeldt, Friedrich Cord von 1075 Raabe, Paul 17 Raffaello Sanzio 17, 19, 25, 28, 36, 75, 77, 79, 80, 81, 83, 84, 87, 88, 89, 92-94, 97, 103, 107, 109, 111, 113, 121, 123, 125, 127, 129, 131, 133, 137, 139, 185, 187, 189, 219, 221, 225, 237, 241, 243, 249, 285, 348, 397, 399, 403, 405, 411, 421, 425, 427, 429, 555, 908, 913, 920, 987, 1015, 1027, 1061, 1079, 1093, 1099, 1101 Rahmdor, Friedrich Wilhelm Basilius von 103

INDICE DEI NOMI

Rambach, Friedrich Eberhard 46, 588, 601, 605, 607, 617, 621, 627, 629, 633, 651, 653, 677, 679, 689, 709, 723, 727, 729, 733, 735, 737, 745, 751, 757, 813, 815, 819, 827, 829, 837, 1123, 1183 Rameau, Philippe 349 Ramler, Karl Wilhelm 45-47, 763, 787, 811, 1019, 1079 Randel, Johann Adolph Friedrich 957 Rebmann, Johann Andreas Georg Friedrich 1129 Regiomontanus 977 Reibehand 847 Reich, Johann Christian 1067 Reichard, Heinrich August Ottokar Reichardt, Johann Friedrich 39, 81, 336, 337, 343-345, 615, 637, 641, 663, 665, 667, 671, 679, 703, 715, 719, 825, 918, 1121, 1141, 1143, 1145 Reichenow 941 Reider, Elias Adam von 1041 Reinhart, Johann Christian 983 Reinhold, Karl Leonhard 1113, 1149 Reinwald, Johann David 675, 699 Rembrandt, Paul 1099, 1103 Reni, Guido 285, 1099, 1103 Ribera, Jusepe de (v. Spagnoletto) Riepenhausen, Friedrich (Franz) 80 Riepenhausen, Johann Christain (Johannes) 80 Righini, Vincenzo 805 Robusti, Jacopo (v. Tintoretto) Rode, Christian Bernhard 987 Rosenblüt, Hans 851. 853 Rosengarten 941 Rosenmüller, Georg 905, 969, 1039, 1071, 1089, 1179

1269 Rousseau, Jean-Jacques 18, 48, 337, 349, 350, 1081 Rowley, William 588 Rubens, Peter Paul 363, 1037, 1099, 1103 Sachs, Hans 13-15, 17, 40, 78, 177, 597, 847, 849, 851, 853, 861, 867, 908, 993, 1057 Sack, Wilhelm Friedrich 665, 999, 1001 Saftleven, Herman 1099 Salzmann, Christian Gotthilf 1121 Sandrart, Joachim von 371, 377, 908, 987, 1053, 1057, 1059 Sanzio, Raffaello (v. Raffaello Sanzio) Saffo 789 Sauder, Gerhard 75 Sauer, Johann Georg Franz Xaver 837, 1005, 1007, 1025, 1031, 1041, 1049, 1053, 1095 Schäufelein, Hans 847, 1079 Scevola, Caio Muzio 32, 651, 673 Scannabecchi, Lippo (detto Dalmasio) 253 Schalken (o Schalcken), Godfried 1099 Schannat, Johann Friedrich 1039 Scheffler, Georg Anton Christoph 999 Schellenberger, Augustin Andreas 1025 Schikaneder, Emanuel 1059 Schiller, Friedrich 12, 21-25, 46, 47, 344, 588, 591, 592, 594, 693, 699, 763, 771, 787, 795, 803, 821, 857, 919, 1113 Schlegel, August Wilhelm 11, 12, 35, 79, 81, 84, 85, 96, 334, 919 Schlegel, Caroline 84 Schlegel, Friedrich 10-12, 40, 80, 81, 84, 85, 90, 93, 96 Schleiermacher, Friedrich 21, 85-87

1270 Schlichtegroll, Adolf Heinrich 985, 1121 Schlieffen, Martin Ernst von 843, 845, 847 Schlupper, Johann Georg 939 Schmidt, Johann Georg 963, 1159 Schmidt, Michael Ignatz 1037, 1039 Schmiedecke, Wilhelm August 819 Schmohl, Johann Georg 594, 601, 603, 605, 607, 609, 617, 625, 633, 637, 643, 645, 647, 655, 657, 659, 661, 665, 681, 745, 777, 779, 791, 809 Schönborn, Lothar Franz von 912, 1033 Schönsperger, Hans 1037 Schopenhauer, Arthur 349 Schott, Johann 1005, 1009, 1041, 1053 Schreber, Johann Christian Daniel 963, 999 Schrimpf, Hans-Jürgen 338 Schubart, Christian Friedrich Daniel 991 Schubart, Ludwig 991 Schubert, Johann Christoph 957, 959 Schuderoff, Johann Georg Jonathan 633, 737, 765, 918, 983, 1109, 1111, 1117 Schütz, Christian Gottfried 1113 Schwarz 1079 Schweikard, Johann Adam 985 Schwieger, 657, 659, 779, 809 Seckt, Johann Samuel 977 Seidel, Günter Karl Friedrich 1123 Seinsheim, Adam Friedrich von 1017 Seligmann, Johann Michael 983 Sforza, Ludovico 153, 157 Shakespeare, William 83, 585,

BIBLIOGRAFIA E INDICI

588, 594, 596, 597, 613, 615, 617, 633, 641, 671, 675, 699, 733, 755, 771, 775, 791, 799, 853, 855, 857, 859, 861, 871, 919, 985, 1065, 1183 Sharp, William 985 Sickingen, Franz von 1061 Siede, Johann Christian 757 Silberschlag, Johann Esajas 1007 Simon, Jean Pierre 985 Sined (v. Denis, Johann Nepomuk Cosmas Michael) Smits, Willem 1039 Socrate 27 Soden von Sassanfahrt, conte Friedrich Julius Heinrich 991 Sotzmann, Daniel Friedrich 995 Spagnoletto 1053, 1099 Spalding, Johann Joachim 29, 30 Spieß, Christian Heinrich 1003 Spieß, Philipp Ernst 939, 1003, 1137, 1141, 1145, 1149, 1167 Spillner, Heinrich Rudoph 605, 625, 669 Spinello di Luca Spinelli (detto Spinello Aretino) 253 Spinoza, Baruch 1081 Sprenger, Placidus Johann 1095 Stahl, Georg Ernst 586 Stephanie, Christian Gottlieb 1091 Stolberg zu Solberg, Friedrich Leopold 46, 763, 795 Stosch, Philipp 985 Stoß, Veit 997 Strange, Robert 985 Strobel, Georg Theodor 908, 913, 991, 993 Stromer 987 Strozzi, Bernardo 1099, 1103 Sulzer, Johann Georg 352, 677 Szondi, Peter 593 Tate, Nahum 845

1271

BIBLIOGRAFIA

Taubmann, Friedrich 933, 1131 Teniers, David il Giovane 1099 Tieck, Ludwig 10-12, 25, 31, 32, 34, 35, 39, 40, 45-48, 76, 78-85, 88, 92, 341, 342-345, 347-349, 351, 353, 356, 357, 563, 583597, 601, 603, 605, 609, 611, 619, 627, 629, 637, 653, 655, 679, 681, 683, 685, 687, 689, 693, 695, 697, 701, 703, 711, 715, 717, 719, 721, 725, 727, 733, 737, 745, 753, 755, 767, 795, 813, 821, 823, 825, 827, 829, 831, 835, 837, 839, 841, 867, 871, 893, 903, 904, 907, 915, 916-920, 921, 927, 973, 1001, 1003, 1005, 1055, 1123, 1179, 1183 Tieck, Sophie 40, 597, 839, 841, 869, 915, 919, 1107, 1123 Tintoretto 1053 Tiziano 183, 1099 Toll, Johann Gustav 607, 617, 635 Tolomeo Claudio 983 Tolomeo d’Egitto 1019 Tornesi (o Turnesi), Otto Heinrich 939, 941, 947, 955, 957, 965, 973, 1139, 1147, 1159, 1163, 1173 Toussaint 1073 Trevisani, Francesco 1099 Ughelli, Ferdinando 1039 Ugolinus, Blasius 1039 Uhde, 849 Ullmann, Immanuel August 947, 949 Unger, Johann Friedrich 75, 621, 867 Unzelmann, Friedrike (nata Flittner) 691, 699, 729, 803 Unzelmann, Karl Wilhelm Ferdinand 693, 729, 743, 773, 803

Unzer, Johann August 586 Uz, Johann Peter 1079 Vannucci, Pietro (v. Perugino) Vasari, Giorgio 16, 76, 78, 98, 127, 187, 207, 215, 217, 243, 255, 348 Vaucanson, Jacques de 981 Vecellio, Tiziano (v. Tiziano) Venceslao di Erfurt vescovo 1117 Veronese, Paolo 185, 1099, 1103 Verrocchio, Andrea 95, 145 Vietta, Silvio 11, 12, 96, 97, 338, 342 Virgilio, Publio Marone 787, 1037 Vischer, Peter 1057 Vogel, Paul Joachim Siegmund 981 Volpato, Giovanni 985 Voß, Johann Heinrich 627 Wackenroder, Wilhelm Heinrich 10-19, 21, 25-30, 31-35, 39, 40, 45-49, 75-85, 88-98, 334, 336, 338, 341-345, 347, 348, 349, 350-353, 355, 356, 357, 361, 577, 583-592, 594-598, 603, 605, 607, 611, 613, 617, 637, 639, 641, 657, 689, 697, 701, 711, 719, 721, 725, 733, 767, 769, 813, 827, 831, 837, 839, 843, 851, 863, 871, 903-920, 973, 1055, 1073, 1087, 1107, 1109, 1113, 1117, 1123, 1129, 1131, 1135, 1137, 1141, 1145, 1143, 1147, 1149, 1151, 1155, 1157, 1161, 1167 Wächter, Leonhard (Veit Weber, pseud.) 819 Wagenseil, Johann Christoph 853 Waldau, Georg Ernst 847, 921, 979 Walther von der Vogelweide 853 Walther (editore) 937, 999, 1135 Walton, Brian 1039

1272 Watteau, Antoine 348, 421 Weber, Franz Anton von 937 Weber, Veit (v. Wächter, Leonhard) Webster, John 588 Wechmar, Ernst Adolf Heinrich von 1075 Weckherlin, Georg Rudolf 867 Wedgwood, Josiah 1081 Weisser, Carl Gottlieb 921, 1055, 1071, 1087, 1089, 1093 Weislinger, Johann Nikolaus 1037 Weller 721 Welser 987 Werder, Friedrich 46, 584, 903 Werff, Adriaen van der 1099 Wessely, Carl Bernhard 871 Wieland, Christoph Martin 904, 1181 Wildenow, Carl (o Karl) Ludwig 983 Winckelmann, Johann Joachim 9, 12, 19, 35, 76-78, 91, 96, 591, 677, 913, 985 Wissmann (o Wißmann), Friedrich Ludwig August 603,

BIBLIOGRAFIA E INDICI

629, 653, 679, 713, 753, 783, 871, 1003 Wittinghof 781 Wittwer, Philipp Ludwig 989 Wohlgemuth (o Wolgemut), Michael 377, 1079 Wolf, Friedrich August 80, 667 Wolff, Jeremias 1035 Wolfram 13 Woltaer, Johann Christian 671 Woollett, William 985 Wouwerman, Philips 1099 Württemberg, duca del 979 Wunder, Johann Ludwig 969, 971, 1089 Yelin, Julius Conrad 999 Zaccaria, Francesco Antonio 1037 Zampieri, Domenico (v. Domenichino) Zanetti, Domenico 1099 Zelter, Carl (o Karl) Friedrich 40, 343, 345 Zöllner, Johann Friedrich 819, 1003, 1071

INDICE GENERALE

ELENA AGAZZI, LA BREVE STAGIONE DELLA FRÜHROMANTIK Premessa Gli studi filologici di Wackenroder

Il concetto-chiave di “autoriflessione” nella Frühromantik Genio artistico ed entusiasmo WILHELM HEINRICH WACKENRODER. CENNI BIOGRAFICI

7 9 12

18 29 39

OPERE LIRICHE Introduzione di F. La Manna La primavera Disperazione. 1792 Il tempo. Ditirambo Il Mare Dove siete voi, ideali belli Note EFFUSIONI DI CUORE DI UN MONACO AMANTE DELL’ARTE Introduzione di E. Agazzi Al lettore di queste pagine La visione di Raffaello Nostalgia dell’Italia La singolare morte del vecchio pittore Francesco Francia, che godette ai suoi tempi di vasta fama e che fu il primo della scuola lombarda L’allievo e Raffaello Una lettera del giovane pittore fiorentino Antonio al suo amico Jacopo a Roma Il modello di un pittore geniale, e allo stesso tempo profondamente erudito, presentato nella vita di Leonardo da Vinci, celebre iniziatore della scuola fiorentina Descrizione di due dipinti

43 45 53 55 57 63 67 68 71 73 103 107 115 119 129 137 143 161

1274

INDICE GENERALE

Alcune parole sull’universalità, sulla tolleranza e sull’amore per il prossimo nell’arte Omaggio alla memoria del nostro venerabile antenato Albrecht Dürer da parte di un monaco amante dell’arte Di due lingue meravigliose e della loro forza misteriosa Delle stravaganze del vecchio pittore Piero di Cosimo, artista della scuola fiorentina Come e in quale maniera bisogna propriamente osservare le opere dei grandi artisti della terra e avvalersene per il bene della nostra anima La grandezza di Michelangelo Buonarroti Lettera di un giovane pittore tedesco a Roma al suo amico a Norimberga I ritratti dei pittori La cronaca dei pittori La straordinaria vita del musicista Joseph Berglinger

169 177 191 199 209 215 223 233 239 257

Primo capitolo, 257 Secondo capitolo, 275

Note

288

FANTASIE SULL’ARTE PER AMICI DELL’ARTE Introduzione di F. La Manna Prima sezione I. Descrizione di come vivevano gli antichi artisti tedeschi: come esempi siano portati Albrecht Dürer e il padre Albrecht Dürer il Vecchio II. Un racconto tradotto da un libro italiano III. L’immagine di Raffaello IV. Il Giudizio Universale di Michelangelo V. La Chiesa di San Pietro VI. I dipinti di Watteau VII. A proposito delle figure infantili nei quadri di Raffaello VIII. Un paio di parole sulla giustizia, sulla misura e sulla tolleranza IX. I colori X. L’eternità dell’arte Seconda sezione. Appendice di alcuni saggi musicali di Joseph Berglinger Avvertenza I. Una meravigliosa favola orientale di un santo nudo II. I miracoli della musica III. Dei diversi generi nelle arti e in particolare dei diversi tipi di musica sacra IV. Frammento da una lettera di Joseph Berglinger

329 331 363 365 381 397 405 413 421 425 429 437 445 451 453 455 463 471 481

INDICE GENERALE

1275

V.

La singolare essenza interiore della musica e la dottrina dell’anima dell’odierna musica strumentale VI. Una lettera di Joseph Berglinger VII. Tolleranza non musicale VIII. I suoni IX. Sinfonie Il Sogno. Un’allegoria Note IL CARTEGGIO TRA WACKENRODER E TIECK Introduzione di E. Agazzi 1. A Tieck: Berlino, [1 maggio] 1792 2. Tieck a Wackenroder: Bülzig [presso Wittenberg], 1 maggio 1792 3. Tieck a Wackenroder: Lipsia, 10 maggio 1792 4. A Tieck: [Berlino], dal 5 al 12 maggio [1792] 5. Tieck a Wackenroder: Halle, 29 maggio 1792 6. A Tieck: [Berlino], 4 giugno [1792] 7. Tieck a Wackenroder: Halle, 12 giugno 1792 8. A Tieck: [Berlino], 15 [e 16] giugno [1792] 9. A Tieck: Berlino, 18 [e 19] giugno [1792] 10. Tieck a Wackenroder: [Walbeck presso Hettstedt], [nella notte dal 24 al 25 giugno e [Halle], 19 giugno 1792 11. A Tieck: [Berlino], 20 luglio [1792] 12. A Tieck: [Berlino, 6 agosto 1792] 13. A Tieck: Dresda, [20 agosto 1792] 14. A Tieck: [Berlino], 1 settembre [1792] 15. Tieck a Wackenroder: Gottinga, 6. novembre 1792 15 a. Tieck a Wackenroder: [Gottinga, 6 novembre 1792]. Aggiunta o allegato della lettera precedente 16. A Tieck: [Berlino, 17 novembre 1792] 17. Tieck a Wackenroder: Gottinga, 30 novembre 1792 18. A Tieck: Berlino, 27 novembre [fino al 1 dicembre 1792] 19. A Tieck: [Berlino: 11 dicembre 1792] 20. Tieck a Wackenroder: Gottinga [tra il 20] dicembre 1792 [e il 7 gennaio 1793] 21. A Tieck: Berlino [tra l’11 e il 14] gennaio 1793 22. A Tieck: Berlino [circa il 25] gennaio 1793 23. A Tieck: Berlino, [metà febbraio e 23] febbraio 1793 24. Tieck a Wackenroder: [Gottinga, circa il 1 marzo 1793] 25. A Tieck: [Berlino], 2 marzo 1793 26. A Tieck: [Berlino], 5 marzo 1793 27. A Tieck: Bamberga, [14 luglio 1793] 28. A Sophie Tieck: [Erlangen, 17 o 18 luglio 1793]. Aggiunta a una lettera di Tieck

485 501 509 519 533 547 558 579 581 601 603 611 619 637 653 657 681 689 697 701 711 717 719 721 725 727 733 737 755 767 795 813 823 827 829 831 837 839

1276

INDICE GENERALE

29. A Sophie Tieck: Gottinga, 23 gennaio 1794 30. A Sophie Tieck: Gottinga, 13 febbraio 1794 31. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 16 febbraio 1794 32. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 20 febbraio 1794 33. A Erduin Julius Koch: Gottinga, 13 marzo 1794. Aggiunta alla lettera smarrita indirizzata a Koch il 12 marzo 1794 34. A Sophie Tieck: Gottinga, 29 giugno 1794 35. A Sophie Tieck: Gottinga, 24 agosto 1794 36. A Tieck: Stettino, 26 luglio 1795 Note

839 841 843 853

RESOCONTI DI VIAGGIO DI WACKENRODER E DI TIECK Introduzione di F. La Manna Resoconti di viaggio di Wackenroder 1. 2-3 giugno 1793. Viaggio del 17-28 maggio 1793 nella Svizzera Francone, nella Foresta francone e nelle montagne del Fichtelgebirge 2. 22-25 giugno 1793. Viaggio del 22-24 giugno 1793 a Norimberga 3. [Attorno al 10 luglio 1793]. Viaggio d’inizio luglio 1793 ad Altdorf. Andato perduto 4. 23 luglio 1793. Viaggio del 12-17/18 luglio 1793 a Bamberga 5. 24 agosto 1793. Viaggi del 12-13 agosto 1793 a Norimberga e Fürth e del 14-21 agosto 1793 nella Svizzera Francone e a Bamberga 6. 4 ottobre 1793. Viaggio del 25-27 settembre 1793 ad Anspach passando per Norimberga 7. [In parte redatto dopo l’ottobre 1793]. Viaggio del 14-21 agosto 1793 nella Svizzera Francone e a Bamberga Resoconti di Tieck sui viaggi compiuti assieme 1. 2 maggio 1793. Viaggio dal 3 aprile a fine aprile 1793 da Berlino a Erlangen. Lettera a Sophie Tieck 2. [Fine luglio/inizio agosto 1793]. Viaggio del 17-28 maggio 1793. Lettera ad August Ferdinand Bernhardi e Sophie Tieck Note

899 901 925

BIBLIOGRAFIA E INDICI Bibliografia Indice dei nomi Indice generale

863 869 869 871 872

927 973 1003 1003 1055 1073 1087 1105 1107 1123 1184 1223 1225 1261 1273