Lettere copernicane - Sentenza e abiura 9788844049188, 884404918X

Sono i maggiori critici militanti e studiosi italiani a raccontare ogni opera in 10 parole chiave: per penetrare fino al

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Lettere copernicane - Sentenza e abiura
 9788844049188, 884404918X

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Collana
Frontespizio
Colophon
Sommario
Le 10 parole chiave di Roberto Carnero
1 VERITÀ
2 ESPERIENZA
3 BIBBIA
4 FEDE
5 TERRA
6 VOLGARE
7 IGNORANZA
8 PRUDENZA
9 PROCESSO
10 EPPURE
LETTERE COPERNICANE
1 – A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613)
2 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615)
3 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615)
4 – A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615)
SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633)
Sentenza
Abiura
LETTERE COPERNICANE – Testi originali
1 – A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613)
2 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615)
3 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615)
4 – A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615)
SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633) – Testi originali
Sentenza
Abiura
Galileo Galilei e il suo tempo

Citation preview

P A S S E P A R T O U T 24

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Collana a cura di: Paolo Fabrizio Iacuzzi Copertina: Enrico Albisetti Lettere copernicane è tratto da Scritture in difesa del sistema Copernicano, in Le Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale a cura di Antonio Favaro, G. Barbèra Editore, Firenze 1968, vol. V, pp. 279-348; Sentenza e Abiura sono tratte dal vol. XIX, pp. 402-407. Testo in italiano corrente e note ai testi: Angela Cerinotti Introduzione: Roberto Carnero www.giunti.it © 2019 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165, 50139 Firenze – Italia Piazza Virgilio 4, 20123 Milano – Italia ISBN 9788844049188 Prima edizione digitale: luglio 2019

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Sommario

Le 10 parole chiave di Roberto Carnero LETTERE COPERNICANE 1 – A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613) 2 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615) 3 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615) 4 – A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615) SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633) Sentenza Abiura LETTERE COPERNICANE – Testi originali 1 – A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613) 2 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615) 3 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615) 4 – A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615) SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633) – Testi 5

originali Sentenza Abiura Galileo Galilei e il suo tempo

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Roberto Carnero presenta in 10 parole chiave Lettere copernicane 1 VERITÀ 2 ESPERIENZA 3 BIBBIA 4 FEDE 5 TERRA 6 VOLGARE 7 IGNORANZA 8 PRUDENZA 9 PROCESSO 10 EPPURE 7

1 VERITÀ Galileo Galilei è stato tante cose insieme: uno studioso, uno scienziato, un pensatore, un letterato. Ma è stato prima di tutto un cultore della verità. Il concetto di verità non aveva per lui nulla di metafisico o di astratto, come avveniva ancora – per certi versi – con i filosofi rinascimentali. Galileo è interessato alla verità fattuale, vale a dire alla realtà delle cose. Questa ricerca ha rappresentato l’obiettivo principale della sua vita. Nessuna autorità, laica o ecclesiastica che fosse, è riuscita a sopprimere o a conculcare in lui questo anelito alla verità. In tale chiave, la sua opera può essere letta come un importante anello di congiunzione tra scienza, tecnica e umanesimo, ma anche come un passaggio fondamentale dell’epistemologia moderna, il che conferisce al pensiero galileiano un indiscutibile spessore filosofico. Lo si vede chiaramente già in un’opera del 1610, il Sidereus Nuncius (“Messaggero celeste”), un breve trattato in lingua latina in cui Galileo dà notizia delle prime ma già rivoluzionarie scoperte astronomiche fatte grazie all’uso del cannocchiale, destando enorme scalpore nel mondo scientifico, religioso e culturale dell’epoca. E anche nel Saggiatore, un’opera pubblicata nel 1623 sotto forma di epistola in volgare, l’autore entra in una disputa in merito alla natura delle comete, ma, al di là dell’argomento specifico, il testo è importante soprattutto per la polemica metodologica nei confronti della scienza tradizionale, volta com’era a ribadire concetti sui quali non c’era alcuna certezza empirica. Tale studio della verità appare anche nelle Lettere copernicane (1612-1615) un impegno costante, essendo 8

Galileo convinto – come si esprime nella lettera A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana, un testo in cui il vocabolo «verità» viene ripetuto molte volte – che «la moltitudine de’ veri concorre all’investigazione, accrescimento e stabilimento delle discipline, e non alla diminuzione o destruzione». Vale a dire: la verità non deve mai farci paura e il vero scienziato non la teme, ma deve piuttosto aborrire le false opinioni. Il rispetto della verità impone – come ammoniva sant’Agostino (non casualmente citato nella stessa lettera) – di essere molto cauti nel momento di compiere affermazioni di assoluta certezza in merito a cose oscure e difficili da capire. 2 ESPERIENZA Lo strumento fondamentale per giungere alla conoscenza della realtà – e dunque a una verità che, per quanto inconoscibile nella sua totalità, pure esiste e può essere avvicinabile – è per Galileo la ricerca scientifica condotta attraverso il metodo sperimentale, cioè attraverso l’esperienza. Rispetto all’intellettuale medievale che ancorava le proprie credenze alle affermazioni delle auctoritates (cioè i grandi autori del passato, in primis il filosofo greco Aristotele), lo scienziato moderno si fida soltanto di sé stesso e dei propri sensi. Per lui non ha alcun senso continuare a ripetere concetti pseudoscientifici (non dimostrati né dimostrabili) o riproporre tesi razionalmente infondate, magari accreditandole attraverso citazioni erudite. La natura, invece, è un libro che può essere letto fedelmente attraverso gli strumenti della matematica e della geometria. In questo, Galileo è il grande fondatore del moderno 9

metodo sperimentale, o, se vogliamo, della scienza moderna tout court. I risultati del progresso scientifico devono essere oggettivi, affidabili, verificabili e condivisibili. Come si esprime ancora nella lettera A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana, le «sensate esperienze» portano a «dimostrazioni necessarie»: gli esperimenti e le constatazioni empiriche conducono a conclusioni consequenziali. Con Galileo si passa cioè dal metodo deduttivo (dedurre le concezioni della realtà da principi astratti) a quello induttivo (ricavare la regola generale dalla concreta sperimentazione di situazioni reali). In base al metodo scientifico, le ipotesi relative ai fenomeni naturali, formulate dopo la raccolta dei dati empirici, vanno sottoposte a procedure di verifica sperimentale, che servono a confermarle (trasformandole in leggi scientifiche) o a confutarle (qualora si rivelassero erronee o fallaci). 3 BIBBIA Da questa moderna concezione della scienza deriva un nuovo modo di guardare alle Sacre Scritture, e in particolare a quei passi dell’Antico Testamento che venivano chiamati a supporto di teorie scientifiche ormai smentite dall’esperienza. Fin dove arrivano la ragione e l’esperienza, non serve, anzi è fuorviante, chiamare in causa la Bibbia, la cui autorevolezza si applica invece alle verità teologiche e morali che non avrebbero potuto essere trasmesse agli uomini per altra via se non attraverso quella della “rivelazione positiva”: «Io crederei che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni 10

umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell’istesso Spirito Santo» (A don Benedetto Castelli in Pisa). Se è stato Dio a dotarci di sensi capaci di orientarci all’interno della realtà, sarebbe ben strano che quello stesso Dio ci chiedesse poi di non utilizzarli per affidarci invece alle immagini poetiche dei testi sacri quasi come a una fonte di verità scientifica: «Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusione divise se ne legge nella Scrittura». Tanto più che l’astronomia – questo è l’oggetto del contendere – non trova nella Bibbia una trattazione completa e sistematica, non essendo quella l’intenzione dei suoi autori, seppure divinamente ispirati. Intenzione dello Spirito Santo che ha guidato la mano degli autori dei libri biblici era infatti quella «d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo» (A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana). In altre parole, la Bibbia non insegna come si muovano i corpi celesti ma come si possa salvare la propria anima. Tra dettato scritturistico e scienza non ci può e non ci deve essere alcun contrasto, poiché sono diversi i loro ambiti d’azione e di interesse: il primo mira a definire questioni teologiche e morali, la seconda le regole matematiche del reale. Quando i testi sacri accennano a fenomeni astronomici o naturali, non hanno la pretesa di avere validità scientifica. Se tra “libro sacro” e “libro della natura” talora pare di scorgere qualche contraddizione, essa è soltanto apparente, giacché riguarda – per così dire – le diverse modalità espressive dei due “libri”, più che la realtà in sé. Galileo ribadisce a più riprese nei suoi scritti l’assenza di una tale contraddizione, anche perché se avesse parlato 11

diversamente – mettendo cioè in contrapposizione le “due verità” – sarebbe potuta scattare con molta facilità l’accusa di eresia, cosa che fino all’ultimo egli volle evitare. Spiega invece che nel trattare le questioni naturali, gli autori della Bibbia hanno adottato il punto di vista del volgo, «assai rozzo e indisciplinato». Perciò i riferimenti naturalistici presenti nella Bibbia non vanno intesi per forza di cose in senso reale, ma possono avere un significato simbolico, dovendo essere semplici e alla portata di tutti. Quando essa parla del movimento del Sole, ciò non significa necessariamente che il Sole si muova, ma tale espressione deriva dalla volontà, da parte di chi l’ha utilizzata, di accordarsi alla visione della realtà propria dell’uomo comune, che in tal modo vi avrebbe trovato una descrizione del reale confacente al suo punto di vista. È interessante notare che lo stesso argomento era stato utilizzato già una ventina d’anni prima dal filosofo Giordano Bruno (1548-1600) nel dialogo La cena de le ceneri (1584), che però Galileo non cita mai: Bruno era stato infatti condannato per eresia e bruciato sul rogo dall’Inquisizione romana. 4 FEDE Galileo è un uomo di fede, è un cristiano, un cattolico, un credente. Per questo l’ostilità manifestata nei confronti dei suoi studi e della sua stessa persona da parte di alcuni autorevoli settori della Chiesa del tempo lo amareggia profondamente, ponendolo in uno stato di frustrazione psicologica molto duro da sopportare. Se per il fedele la Chiesa è madre, come può un figlio accettare l’ingiusta 12

durezza di chi invece dovrebbe amarlo e sostenerlo? Per questo egli rivendica, di fronte alla Chiesa, la piena cattolicità propria e di chi l’ha preceduto sulla via della ricerca scientifica: «Niccolò Copernico fu uomo non pur cattolico, ma religioso e canonico» (A monsignor Piero Dini in Roma, 16 febbraio 1615). La sua fede non entra in crisi per gli errori dei teologi, che magari leggono male i testi sacri. Il più grave di tutti è l’interpretazione puramente letterale (tipica di fondamentalismi di ieri e di oggi), prassi contro la quale Galileo argomenta la necessità di una sapiente ermeneutica tesa a leggere il testo nelle sue diverse dimensioni (figurate, simboliche, allegoriche ecc.): se ci fermassimo «nel puro significato delle parole […] vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d’ira, di pentimento, d’odio, e anco talvolta l’obblivione delle cose passate e l’ignoranza delle future» (A don Benedetto Castelli in Pisa). È perciò «necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per che siano sotto cotali parole stati profferiti». In tal modo fede e scienza – ancora una volta – non possono trovarsi in reciproca contraddizione. E a ben guardare, afferma Galileo, si troverà «molto più zelo verso Santa Chiesa e la dignità delle Sacre Lettere» in lui che nei suoi «persecutori» (A monsignor Piero Dini in Roma, 16 febbraio 1615). 5 TERRA La grande scoperta galileiana è, come è noto, quella del moto della Terra. A difendere questo risultato delle sue 13

osservazioni e delle sue ricerche lo scienziato pisano dedica diversi scritti, in particolare il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), ma anche diverse lettere, come queste Lettere copernicane, scritte tra il 1613 e il 1615, nelle quali Galileo cerca di convincere alcuni esponenti del mondo scientifico, politico ed ecclesiastico della validità delle proprie teorie e della loro conciliabilità con le verità di fede. Al paradigma tolemaico (dal nome dell’astronomo egiziano Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C.), Galileo sostituisce quello copernicano: nel 1543 l’astronomo polacco Niccolò Copernico aveva pubblicato a Norimberga il De revolutionibus orbium celestium libri VI (“Sei libri sulle rivoluzioni dei corpi celesti”). In base a quest’opera non erano più – come nella visione tradizionale – i pianeti a girare intorno alla Terra, ma erano i pianeti a ruotare attorno al Sole (Terra inclusa). Copernico basava queste sue conclusioni su calcoli matematici, mentre Galileo ne dimostra la validità con «sensate esperienze» e «dimostrazioni necessarie». Si trattava di una scoperta rivoluzionaria, perché minava la secolare concezione cristiana della Terra e dunque degli esseri umani come posti al centro dell’universo. Il passaggio dal modello geocentrico a quello eliocentrico privava l’uomo dell’idea di una condizione di privilegio alla quale si faceva fatica a rinunciare. Da qui derivò l’ostilità della Chiesa a una siffatta prospettiva, anche perché la Bibbia – che era il testo di riferimento per la cultura del tempo, non solo sul piano religioso ma anche su quello scientifico – in un passo del Libro di Giosuè (X, 12-14) accennava al movimento del Sole intorno alla Terra: per la preghiera di Giosuè (il condottiero ebraico, successore di Mosè, che guidò le dodici tribù di Israele attraverso il Giordano a occupare la terra promessa) Dio fermò il Sole – cioè prolungò la durata del giorno e ritardò l’inizio della notte – finché gli Israeliti riuscirono a 14

sconfiggere gli Amorrei loro nemici. Ma appellarsi alla Bibbia era forse più che altro un pretesto, pur di non accogliere una visione del mondo che metteva in crisi l’assodata concezione di una centralità dell’umano nel cosmo. Da qui, da questa straordinaria scoperta galileiana, comincia la crisi non semplicemente di una visione religiosa ma, in fondo, dello stesso pensiero occidentale. «Maledetto sia Copernico!» dirà, all’inizio del XIX secolo, il protagonista del Fu Mattia Pascal (1904) di Luigi Pirandello: «Copernico […] ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai le nostre». Insomma, la responsabilità dell’astronomo polacco è chiara e imperdonabile: è per colpa sua e della sua teoria che l’uomo ha perso la propria dignità, le proprie sicurezze, la fiducia incrollabile che dava senso alle sue imprese. E la “colpa” di Galileo, anch’essa imperdonabile, è stata quella di dimostrare inequivocabilmente che Copernico aveva ragione: «la mobilità della Terra» è «sicurissima, verissima, irrefragabile» (A monsignor Piero Dini in Roma, 23 marzo 1615). 6 VOLGARE Con diverse sue opere – non ultime le Lettere copernicane – Galileo occupa un posto di rilievo nella storia della letteratura italiana per essere stato praticamente il primo a scrivere in volgare di scienza. 15

Rispetto al lessico ereditato dagli scrittori precedenti, il suo bel fiorentino di matrice cinquecentesca presenta un numero non eccessivo di innovazioni, ma è ammirevole la duttilità grazie alla quale lo scrittore riesce a piegare quella lingua a significare nuove cose e nuovi concetti. Per questo, il volgare galileiano rappresenta una tappa importantissima nello sviluppo storico della lingua italiana. Si tratta, ovviamente, di un italiano in parte diverso dal nostro, essendo trascorsi alcuni secoli da allora: da qui la scelta, per la presente edizione, di fornire, a fronte del testo originale, una versione in lingua corrente (in alternativa alla soluzione di aggiungere una serie di note esplicative, che avrebbero però rischiato di rendere più faticosa la lettura). Mentre nella sua epoca i testi scientifici continuavano a essere redatti in latino, Galileo opta per il volgare, convinto com’è che la scienza debba essere alla portata di tutti. Non si tratta, dunque, di una semplice opzione estetica, ma piuttosto di un aspetto decisivo della sua “politica culturale”. Il genere epistolare – come d’altra parte quello dialogico – appare particolarmente congeniale allo spirito di Galileo, poiché è quello più adatto al confronto di idee, al loro scambio, alla loro condivisione. Comunicare i risultati della propria ricerca è un’attività altrettanto importante della ricerca stessa, è un aspetto imprescindibile dell’attività scientifica e intellettuale. La ricerca astronomica e la riflessione intellettuale hanno un senso, sono in grado di ottenere risultati concreti e di determinare conseguenze importanti nella misura in cui è presente un “altro”, un destinatario al quale rivolgersi, con cui trovare punti di consonanza o anche, in qualche caso, entrare in conflitto. Di fatto, come per tutti i grandi epistolari (da quello di Cicerone in poi), indirizzare lettere a specifici destinatari è una forma di comunicazione solo formalmente privata, essendo 16

destinata – potenzialmente e in ultima istanza – a una successiva più ampia diffusione. Inoltre, rinunciando allo stile dogmatico e impersonale del trattato in senso stretto e scegliendo il genere epistolare, Galileo può proporre testi che, configurandosi come privati, non necessitano di autorizzazione ecclesiastica. Proprio perché tale modo di comunicare deve essere immediato, diretto, privo di fronzoli, non ingessato in forme retoriche o stereotipate, Galileo opta per il volgare: per parlare della realtà bisogna utilizzare la lingua della realtà (e non quella dell’accademia). Così nelle Lettere copernicane troviamo riferiti, nella lingua di tutti i giorni, i progressi intellettuali, le conquiste scientifiche, ma anche le invidie e le gelosie che spesso rischiavano di fare terra bruciata attorno allo scienziato pisano, dunque i suoi stati d’animo di delusione, preoccupazione, ansia: sentimenti, a ripercorrere le tappe della sua vita tormentata, tutt’altro che immotivati. 7 IGNORANZA Il fatto è che i principali detrattori di Galileo mostravano una grande ignoranza nei confronti delle conoscenze scientifiche. Si tratta di coloro che «negano senza fondamento nessuno tutto quello che e’ non intendono» (A monsignor Piero Dini in Roma, 23 marzo 1615). Per questo lo studioso pisano fa appello a chi, all’interno dell’istituzione ecclesiastica, potesse valutare, in scienza oltre che in coscienza, i risultati delle sue ricerche: «Non mancano nella cristianità uomini intendentissimi della professione, il parer de’ quali circa la verità o falsità della dottrina non doverà esser posposto all’arbitrio di chi non è punto 17

informato e che pur troppo chiaro si conosce essere da qualche parziale affetto alterato» (A monsignor Piero Dini in Roma, 16 febbraio 1615). Gli uomini maggiormente pericolosi – allora come oggi – sono gli ignoranti, ancor più quando si aggiungano il fanatismo, la partigianeria e l’ipocrisia: quando, cioè, alla «malignità ed ignoranza» si somma una «fraude che va in volta sotto il manto di zelo e di carità». La battaglia di Galileo per la verità coincide con una lotta senza quartiere all’ignoranza e alla malafede. 8 PRUDENZA Abbiamo accennato prima all’orrenda fine di Giordano Bruno, il cui monumento di bronzo a Campo de’ Fiori (la piazza romana dove fu arso vivo) ricorda i tempi bui in cui il fanatismo religioso condusse, nell’Europa cristiana, ad azioni terribili ed efferate. Galileo dovette avere spesso davanti a sé il monito di quelle fiamme, un’immagine mentale che probabilmente contribuì a educarlo a una costante prudenza nella manifestazione del suo pensiero e nella conduzione dei rapporti interpersonali. Prudente era stato del resto lo stesso Copernico: il testo del De revolutionibus era stato stampato con una premessa nella quale si affermava che i calcoli e le conclusioni dell’opera andavano considerate come semplici ipotesi matematiche. Ciò inevitabilmente depotenziò il contenuto rivoluzionario del trattato copernicano. In realtà, se inizialmente si credette che autore della premessa fosse stato lo stesso Copernico, qualche decennio più tardi l’astronomo tedesco Giovanni Keplero (1571-1630) scoprirà che a scriverla era stato il 18

teologo protestante tedesco Andreas Osiander, il quale aveva inteso così rendere meno “pericolosi” i contenuti del lavoro di Copernico. Anche le Lettere copernicane di Galileo abbondano di prudenti dichiarazioni di ossequio e di obbedienza nei confronti degli alti prelati ai quali si rapporta. Egli afferma di intendere «solamente di riverire e ammirare le cognizioni tanto sublimi, e obbedire a i cenni de’ […] superiori, ed all’arbitrio loro sottoporre ogni […] fatica» (A monsignor Piero Dini in Roma, 23 marzo 1615) e di parlare «sempre con quella umiltà e reverenza che devo a Santa Chiesa e a tutti i suoi dottissimi Padri, da me riveriti e osservati ed al giudizio de’ quali sottopongo me ed ogni mio pensiero», fino a dichiarare di sottomettersi «totalmente al giudizio de’ […] superiori». Giunge persino a scrivere: «Prima che contravvenire a’ miei superiori, quando non potessi far altro, e che quello che ora mi pare di credere e toccar con mano mi avesse ad essere di pregiudizio all’anima, eruerem oculum meum ne me scandalizaret [“mi strapperei gli occhi piuttosto che trarne motivo di scandalo”]» (A monsignor Piero Dini in Roma, 16 febbraio 1615). Non si fatica a intuire la lacerazione interiore determinata in Galileo dal contrasto tra l’ossequio alla Chiesa (ossequio – crediamo – non solo formale) e il richiamo di una verità che la Chiesa non era disposta ad accettare. 9 PROCESSO Nonostante tutta la prudenza di cui Galileo dette prova, le sue tesi astronomiche vennero comunque considerate eretiche. Nel 1632 lo scienziato pubblica a Firenze il Dialogo 19

sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, in cui mette a confronto la visione tolemaica (geocentrica) con quella copernicana (eliocentrica): nonostante la forma dialogica – che nelle intenzioni dell’autore doveva servire, oltre che a rendere più efficace il confronto delle idee, anche a eludere la censura, ponendo una sorta di formale equidistanza dai due sistemi cosmologici – l’opera desta l’attenzione della Chiesa. Viene dunque istruito un processo e il 22 giugno 1633 Galileo si presenta, a Roma, di fronte ai giudici del Santo Uffizio, radunati nella grande sala del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, non lontano dal Pantheon. Due erano i capi di imputazione che gli venivano mossi: aver attribuito validità scientifica ai calcoli di Copernico e non aver rispettato il divieto, emanato nel 1616, di sostenere le tesi copernicane. A quegli studi Galileo aveva dedicato tutta la propria esistenza. Ora però di fronte al tribunale dell’Inquisizione decide di abiurare. Perché lo fece? Per paura della tortura e della morte? Già questa sarebbe una spiegazione. Oppure si risolvette a piegarsi formalmente all’autorità ecclesiastica per poter poi continuare le proprie ricerche come in effetti fece, seppure non più in campo astronomico, giungendo in seguito a pubblicare, in Olanda nel 1638, la sua ultima grande opera, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze? Non lo sappiamo, e con certezza non lo sapremo mai. Ciò che è certo è che uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi si inginocchia, all’età di settant’anni, di fronte agli inquisitori e rinnega «la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova» (Abiura), pronunciando la seguente abiura: «Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque 20

altro errore, heresia e setta contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simile sospitione; ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d’heresia lo denontiarò a questo S. Offitio». È interessante notare che ampi settori della storiografia moderna hanno sostenuto che il processo a Galileo fu, di fatto, un processo irregolare, non solo per tutta una serie di inesattezze formali che contraddissero la procedura ben codificata a cui normalmente l’Inquisizione si atteneva (situazione ampiamente documentata in particolare dagli studiosi tedeschi), ma perché – come lo storico Vittorio Frajese ha argomentato in modo convincente nel saggio Il processo a Galileo Galilei (Morcelliana, Brescia 2010) – alla sentenza di condanna mancarono le minime basi canoniche. Infatti, a parte una diffusa e generica ostilità alle prospettive disegnate dalla nuova scienza, non era mai stato emanato da parte dell’autorità ecclesiastica un decreto di condanna dell’astronomia copernicana come dottrina eretica e contraria alle Sacre Scritture né tanto meno un decreto di censura teologica dell’eliocentrismo. In altre parole, non sussistevano le premesse giuridiche per una sentenza di condanna che – al di là del merito, fermandoci per un momento solo al piano tecnico – stando così le cose risulterebbe illegittima. 10 EPPURE «Eppur si muove!»: questa sarebbe stata la frase pronunciata da Galileo, battendo la terra con un piede, all’uscita dalla sessione del tribunale ecclesiastico nel corso della quale aveva abiurato. Non esiste alcun documento 21

ufficiale che confermi questo aneddoto, ma soltanto una tradizione popolare che lo vuole veritiero. Possiamo dire che il fatto, se non è vero, è comunque verosimile. Galileo subisce la condanna e pronuncia l’abiura, eppure non rinuncia alla verità – la parola chiave da cui, non a caso, siamo partiti – che continuerà a ricercare negli anni che gli rimarranno da vivere. La sconfitta giudiziaria non sarà infatti la sconfitta della scienza. Se sulle prime il fatto desta grande scalpore e determina sofferenza e frustrazione in chi aveva sperato in un rinnovamento della cultura e della Chiesa stessa, la rete di discepoli e seguaci di Galileo manterrà vivi i contatti e gli scambi. Le ricerche iniziate dal maestro continueranno e daranno nuovi frutti. Una piena riabilitazione di Galileo da parte dell’istituzione ecclesiastica si è avuta soltanto in anni relativamente recenti, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Nel 1981 il papa polacco istituisce una commissione che il 31 ottobre 1992 rende noti i risultati dei suoi lavori, sulla cui base Karol Wojtyla ammetterà che la Chiesa aveva commesso, nel caso Galileo, un «errore soggettivo di giudizio». Così la sentenza “definitiva” – per così dire – è stata pronunciata dal Vaticano a quasi 360 anni da quella “di primo grado”.

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LETTERE COPERNICANE

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1 A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613)

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Padre Benedetto Castelli (1578-1643), monaco benedettino, fu discepolo e collaboratore di Galileo. Quando venne scritta questa lettera rivestiva presso lo Studio di Pisa l’incarico di lettore di matematica; dieci anni più tardi sarebbe stato chiamato alla Sapienza di Roma, da dove si diffuse la sua fama quale inventore di una nuova scienza, l’idraulica. Dall’attacco della missiva si apprende che Benedetto Castelli aveva chiesto al gentiluomo fiorentino Niccolò Arrighetti, accademico della Crusca, di riferire al Maestro i particolari di una disputa sorta alla Corte del granduca di Toscana Cosimo II (presenti anche sua moglie e sua madre Cristina di Lorena) sul modo di conciliare le Sacre Scritture con le nuove scoperte relative ai movimenti della Terra. Poco più di un anno dopo la stesura di questa lettera, il 7 febbraio 1615, il domenicano Niccolò Lorini da Firenze ne inoltrò una copia al Sant’Uffizio di Roma accompagnandola con la dichiarazione: «… a giudizio di tutti questi nostri Padri di questo religiosissimo convento di San Marco, vi sono dentro molte proposizioni che ci paiono o sospette o temerarie». Sospetto e accusa di temerarietà, contrariamente a quanto Galileo dovette credere in buona fede per lunghi anni ostinandosi a difendere in questo senso la sua posizione, non riguardavano evidentemente il contenuto di una ipotesi astronomica nuova (che per altro manteneva ancora l’immagine dei cieli mobili), ma la pretesa di autonomia del sapere e della ricerca scientifica rispetto all’autorità dogmatica della Chiesa.

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Reverendissimo Padre, degnissimo di essere onorato, ieri ho ricevuto la visita del signor Niccolò Arrighetti, che mi ha portato vostre notizie: sono stato molto contento nell’apprendere (cosa per altro sulla quale non avevo alcun dubbio) quanta soddisfazione ha recato allo Studio di Pisa la vostra presenza, tanto ai sovrintendenti quanto ai lettori e agli studenti provenienti da ogni parte, e nell’apprendere inoltre che il vostro successo non ha fatto crescere il numero degli emuli invidiosi, come capita di solito fra coloro che svolgono la stessa attività, ma, al contrario, ne ha decisamente assottigliato le fila; anche questi pochi d’altra parte dovranno mettere l’animo in pace, se non vorranno che l’emulazione competitiva, che talvolta può anche apparire come una forma di virtù, degeneri e si muti in un sentimento biasimevole e nocivo soprattutto a chi ne è portatore. Ma il piacere più grande mi è venuto dal sentirgli riferire le considerazioni che avete avuto occasione di esporre, grazie alla somma benevolenza delle Altezze Serenissime, in una conversazione tenutasi alla loro tavola e proseguita negli appartamenti di Madama Serenissima, presenti anche il Granduca e la Serenissima Arciduchessa, nonché gli illustrissimi signori D. Antonio e D. Paolo Giordano e alcune altre personalità di rilievo nel campo della filosofia. Quale favore maggiore potreste desiderare del vedere le Loro stesse Altezze compiacersi di discorrere con voi suscitando dubbi, ascoltandone la soluzione e infine traendo soddisfazione dalle risposte da voi, Padre, formulate? Le vostre argomentazioni, riferitemi dal signor Arrighetti, mi hanno fornito l’occasione di riprendere alcune osservazioni generali circa l’opportunità di citare la Sacra Scrittura in discussioni aventi per oggetto fenomeni naturali e 26

in particolare quel passo del Libro di Giosuè, ricordato dalla Granduchessa Madre con qualche replica ulteriore da parte della Serenissima Arciduchessa, che sarebbe in contraddizione con la mobilità della Terra e la stabilità del Sole. Circa il problema generale sollevato da Madama Serenissima, mi pare che molto saggiamente lei abbia affermato e voi Padre abbiate approvato il fatto che la Sacra Scrittura non può mai affermare il falso o sbagliare, essendo ogni sua proposizione di assoluta e inviolabile verità. Solamente io avrei aggiunto che, sebbene la Scrittura non possa mai sbagliare, non va escluso il caso che sbaglino alcuni dei suoi interpreti e commentatori, in vari modi. Tra questi ve ne sarebbe uno assai grave e frequente: il volersi attenere al significato letterale delle parole. Così infatti non solo si paleserebbero molteplici contraddizioni, ma si incorrerebbe in gravi eresie e addirittura nella bestemmia, perché sarebbe necessario attribuire a Dio piedi, mani e occhi, nonché sensazioni fisiche ed emozioni tipiche dell’uomo, come l’ira, il pentimento, l’odio e persino la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza di quelle future. Per cui, come nella Scrittura si trovano molte affermazioni che, fermandosi alla lettera, presentano un contenuto diverso dal vero, ma sono d’altra parte formulate in questo modo per venire incontro all’ignoranza del popolo, così per i pochi che meritano di essere distinti dal popolo ignorante è necessario che i commentatori espongano saggiamente il vero significato e spieghino in aggiunta i motivi per cui per un certo contenuto si è utilizzata quella particolare forma. Fermo restando dunque che la Scrittura in molti passi non solo è in grado di comunicare contenuti diversi dal significato letterale delle parole, ma si può addirittura trovare 27

nella necessità di farlo, mi pare che nelle discussioni di carattere scientifico la si dovrebbe proprio lasciare da parte: visto infatti che la Sacra Scrittura e la natura hanno la stessa origine nel Verbo divino, l’una in quanto dettata dallo Spirito Santo, l’altra come obbedientissima esecutrice dei disegni di Dio; visto per di più che siamo tutti d’accordo sul fatto che nelle Scritture, perché tutti possano capire, si utilizza un linguaggio, se ci si ferma alla lettera delle parole, spesso diverso dalla verità assoluta; visto ancora che, essendo la natura inesorabile e immutabile, in nessuna maniera è interessata alla spiegazione che gli esseri umani con i loro strumenti limitati possono dare dei suoi fini reconditi e dei suoi modi di esplicarsi, perché mai si discosta dalla legge cui è sottoposta; visto insomma tutto ciò, si può ragionevolmente concludere che di fronte a quanto i fenomeni naturali o la sensata esperienza ci pongono davanti agli occhi, o alle deduzioni alle quali ci conducono degli esperimenti rigorosi, non c’è motivo alcuno per sollevare dei dubbi, opponendo passi della Scrittura che all’apparenza sostengono il contrario, considerato anche che ogni proposizione della Scrittura non è vincolata dall’obbedienza severa a una legge come lo sono i fenomeni naturali. Anzi, se per il semplice fine di adeguarsi alla capacità di comprensione di popoli rozzi e non acculturati la Scrittura ha velato i suoi dogmi basilari, attribuendo persino a Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà intestardirsi a sostenere che, rinunciando a questo fine, nel parlare anche incidentalmente di Terra, di Sole o di qualsiasi altra creatura, abbia scelto di attenersi con il massimo rigore al significato ristretto e limitato delle parole? A maggior ragione perché avrebbe affermato a proposito di queste creature cose lontanissime dall’impostazione generale delle Sacre Lettere, anzi, cose tali che, se presentate come verità nude e crude, ne avrebbero 28

inevitabilmente compromesso il fine ultimo, rendendo il popolo più renitente a recepire i messaggi riguardanti la salvezza dell’anima. Stando così le cose ed essendo per di più ovvio che due verità non possono essere in contrasto tra loro, è compito dei commentatori saggi adoperarsi per scoprire il vero significato dei passi scritturali, in accordo con le conclusioni cui si arriva dall’osservazione della natura, certe e sicure perché sensibilmente manifeste o desunte da dimostrazioni metodologicamente ineccepibili. Di più: poiché, come ho detto, anche se dettate dallo Spirito Santo, per le ragioni addotte le Scritture presentano in molti punti esposizioni il cui vero significato è assai lontano da quello letterale, né d’altra parte possiamo affermare con certezza che tutti gli interpreti parlino ispirati da Dio, mi sembrerebbe un modo saggio di agire l’impedire a chiunque di vincolare tutti i passi della Scrittura come se dovesse in un certo senso dare per forza dei riscontri veritieri in materia di fenomeni naturali, dopo che i sensi o le dimostrazioni scientifiche hanno condotto a valutazioni contrarie. Chi vuole porre dei confini all’ingegno umano? Chi vorrà affermare che al mondo si sa già tutto quello che c’è da sapere? Per questo, al di là dei precetti per la salute dell’anima e la fermezza della Fede, contro la cui fondatezza non c’è alcun pericolo che possa mai sorgere una nuova dottrina valida o efficace, sarebbe forse un ottimo proponimento quello di non porre altri precetti, dal momento che non ce n’è alcuna necessità. Se questo è vero, quanta confusione ancora maggiore deriverebbe dal porli su richiesta di persone delle quali, oltre al fatto che ignoriamo se parlino ispirate da celeste virtù, sappiamo invece con certezza che sono del tutto spoglie dell’intelligenza necessaria non dico a correggere, ma semplicemente a capire le dimostrazioni con cui le scienze esatte giungono a trarre determinate 29

conclusioni? Io sono dell’opinione che l’autorità delle Sacre Scritture si sia posta l’unico fine di persuadere gli uomini circa le questioni che, essendo necessarie per la salvezza ed essendo trascendenti rispetto alle possibilità del linguaggio umano, non potevano con altra scienza o altro mezzo esser fatte apparire credibili che per bocca dello stesso Spirito Santo. Ma che lo stesso Dio il quale ci ha fatto dono dei sensi, dell’intelligenza e del linguaggio, abbia voluto, facendoci accantonare questi doni, renderci noto con strumenti diversi ciò che con quelli possiamo conoscere, a me non sembra che sia necessariamente da credersi, soprattutto a proposito di quelle scienze che hanno nella Scrittura una trattazione del tutto irrilevante e frammentaria. Tale è appunto l’astronomia, presente in maniera così sommaria che non sono neppure citati i nomi dei pianeti. D’altra parte se i primi scrittori sacri avessero avuto l’intenzione di comunicare al popolo verità circa la disposizione e il movimento dei corpi celesti, non ne avrebbero parlato così poco, che è come dire nulla in confronto alle continue, complessissime e mirabili acquisizioni che caratterizzano questa scienza. Siete dunque in grado di valutare, Padre, se io non mi sbaglio, quanta confusione producano coloro che nei discorsi sulla natura, che non riguardano direttamente la Fede, schierano come argomenti d’attacco certi passi della Scrittura, che spesso per di più non hanno nemmeno capito bene. Se poi questi signori credono per certo d’avere colto il vero significato di questo o quel passo della Scrittura, e per conseguenza sono sicuri di possedere la verità assoluta nella discussione che intendono affrontare, mi dovrebbero con sincerità dire se credono che in una discussione sulla natura colui che si trova a difendere la tesi vera abbia o non abbia un 30

grande vantaggio su quello cui tocca di sostenere la tesi falsa. So che mi risponderebbero che il vantaggio è certo, e che chi è dalla parte della tesi vera può a suo sostegno avere a disposizione mille esperienze e dimostrazioni inconfutabili, mentre l’altro dispone solo di argomentazioni capziose e di proposizioni false. Ma, allora, perché quando la contesa è a proposito di questioni puramente naturali e non si usano altre armi che quelle del pensiero, pur sapendo di avere tanta superiorità sull’avversario, ricorrono subito a un’arma inevitabile e tremenda, la cui sola vista spaventa il campione più abile ed esperto? Se devo dire la verità, io credo che siano loro i primi ad avere una paura terribile, e che, sapendo di non essere in grado di reggere all’assalto dell’avversario, tentino di trovare il modo per non venire al confronto diretto. In effetti poiché, come ho appena detto, chi sta dalla parte della verità ha un grande vantaggio, anzi, un vantaggio grandissimo sull’avversario, e poiché è impossibile che due verità siano in contrasto tra loro, noi non dobbiamo temere alcun assalto, da qualunque parte provenga, purché ci sia concessa la possibilità di parlare e di essere ascoltati da persone disposte a capire e non eccessivamente obnubilate da passioni o interessi particolari. Ciò premesso, vengo ora a parlare di quel passo particolare del Libro di Giosuè circa il quale, Padre, voi avete esposto alle Altezze Serenissime tre punti circostanziati; mi soffermo sul terzo, che avete giustamente ricondotto alla mia posizione, e aggiungo qualche ulteriore considerazione che mi sembra di non avervi mai comunicata in precedenza. Posto dunque e temporaneamente concesso all’avversario che le parole del testo sacro debbano intendersi così come suonano, cioè alla lettera, vale a dire che Dio su preghiera di Giosuè avrebbe fatto fermare il Sole e in questo 31

modo prolungato la durata del giorno, perché quello potesse portare vittoriosamente a compimento la battaglia, chiedo d’altra parte che anch’io goda dello stesso trattamento, e cioè che l’avversario, cui non sono stati posti dei vincoli da parte mia, non voglia dalla sua legare me pretendendo che si possa mutare o alterare il significato delle parole. Ebbene, io sostengo che proprio questo passo dimostra senz’ombra di dubbio la falsità e l’insostenibilità della concezione aristotelica e tolemaica del mondo, e che al contrario è perfettamente in accordo con quella copernicana. Per prima cosa chiedo all’avversario: sa quali sono i movimenti che compie il Sole? Se lo sa, deve rispondere che compie due movimenti: uno, della durata di un anno, da ovest a est, e un altro, della durata di un giorno, da est a ovest. Ecco la seconda domanda: questi due movimenti, così diversi e quasi contrari tra loro, appartengono al Sole e gli sono ugualmente propri? Deve necessariamente rispondere di no, e che un solo movimento è proprio e peculiare del Sole, cioè quello annuo, mentre l’altro non è specificatamente suo, ma del cielo altissimo, cioè del primo mobile, che conduce con sé il Sole, gli altri pianeti e l’intera sfera stellata, costringendoli a una conversione intorno alla Terra della durata di 24 ore, con un moto, come ho detto, quasi contrario a quello che è loro naturale e proprio. Vengo ora al terzo quesito: mediante quale di questi due movimenti il Sole produce l’alternanza del giorno e della notte? Con il movimento che gli è proprio o con il movimento del primo mobile? Si deve rispondere che tale alternanza è determinata dal movimento del primo mobile, mentre da quello proprio del Sole dipendono non il giorno e la notte, ma le diverse stagioni e lo stesso anno. Ora, se il giorno dipende non dal moto del Sole, ma da 32

quello del primo mobile, chi non può convenire che per allungare il giorno bisognerebbe far fermare il primo mobile e non il Sole? Anzi, chi fra quelli che capiscono anche solo questi principi elementari di astronomia potrebbe non arrivare alla conclusione che, se Dio avesse fermato il moto 1 del Sole, invece di allungare il giorno l’avrebbe accorciato? Infatti, essendo il moto del Sole contrario rispetto a quello con cui procede il giorno, quanto più il Sole si muovesse verso est tanto più ne risulterebbe ritardato il corso a ovest, mentre se il suo moto venisse accorciato o sospeso arriverebbe in meno tempo al tramonto: è quello che si vede accadere alla Luna, che compie rotazioni diurne tanto più lente di quelle del Sole quanto più il suo moto è più veloce di quello del Sole. Essendo dunque assolutamente impossibile stando al sistema tolemaico-aristotelico fermare il moto del Sole e allungare il giorno, come la Scrittura afferma che è accaduto, ne consegue che o i movimenti non sono quelli definiti da Tolomeo, oppure bisogna cambiare il significato delle parole, e affermare che, quando la Scrittura dice che Dio fermò il Sole, intendeva dire che fermò il primo mobile e che, per venire incontro a coloro che trovano difficoltà nel capire il fenomeno della nascita e del tramonto del Sole, si è espressa in modo contrario rispetto a quello cui sarebbe ricorsa se avesse dovuto parlare a uomini competenti. Si aggiunga poi che non è credibile il fatto che Dio abbia fermato solo il Sole, lasciando che proseguisse il moto delle altre sfere; avrebbe infatti senza alcuna necessità alterato e mutato l’intero ordinamento, aspetto e disposizione delle altre stelle rispetto al Sole e fortemente turbato tutto l’ordine della natura. Piuttosto, è credibile che abbia fermato tutto il sistema delle sfere celesti le quali, dopo l’interposizione di un momento di quiete, sarebbero tornate insieme al movimento abituale senza alcuna confusione o modificazione. 33

Ma poiché abbiamo inizialmente convenuto che non si debba alterare il senso delle parole del testo, ne consegue che si debba prendere in considerazione una diversa teoria sulla costituzione dell’universo, per verificare se il senso letterale delle parole vi si adegua correttamente e senza ostacoli, come di fatto si vede che succede. Pertanto, avendo io scoperto e dimostrato ineccepibilmente che il globo del Sole ruota attorno al proprio asse nel tempo circa di un mese lunare e nel senso in cui avvengono tutte le altre rotazioni celesti; essendo per di più molto probabile e ragionevole che il Sole, come strumento e riferimento principale della natura, quasi cuore del mondo, non solo fornisca la luce, come è evidente che fa, ma anche il moto a tutti i pianeti che gli girano intorno; se, in conformità con la posizione di Copernico, noi attribuiremo principalmente alla Terra la rotazione diurna, ebbene, chi non è in grado di capire che, per fermare tutto il sistema e ottenere, senza affatto modificare le altre relazioni reciproche dei pianeti, il solo prolungamento in estensione e durata dell’illuminazione diurna fu sufficiente fermare il Sole, come suonano appunto le parole del testo sacro? Ecco dunque spiegato come, senza turbare l’ordinamento del mondo e senza alterare le parole della Scrittura, si può, fermando il Sole, allungare la durata del giorno sulla Terra. Ho scritto molto più di quanto il tempo a mia disposizione mi avrebbe consentito: pertanto concludo, offrendomi come servitore vostro, baciandovi le mani e pregando per voi da Nostro Signore buone feste e ogni felicità. Firenze, 21 dicembre 1613 Di voi molto reverendo Padre l’affezionatissimo servitore 34

Galileo Galilei 1 - Se il movimento annuo apparente del Sole verso est, circa di un grado al giorno, si fermasse, il giorno solare eguaglierebbe il giorno sidereo e perciò si accorcerebbe di circa quattro minuti. (N.d.T.)

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2 A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615)

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Piero Dini era al tempo in cui fu scritta questa lettera referendario apostolico a Roma; nel 1621 sarebbe stato nominato arcivescovo di Fermo, ma mantenne comunque un rapporto di affettuosa amicizia con Galileo. Sullo sfondo della missiva si colloca un episodio clamoroso, avvenuto la quarta domenica d’Avvento del 1614: il domenicano Tommaso Caccini, predicando dal pulpito di Santa Maria Novella e commentando il Libro di Giosuè, si era violentemente scagliato contro Galileo e i suoi seguaci adattando, in latino, un’espressione del Vangelo di Luca («Uomini di Galileo, perché ve ne state a scrutare il cielo?») e accompagnandola con la maledizione dei cultori della matematica come arte diabolica per provocare eresie nel seno della Chiesa. L’invettiva aveva prodotto giusta amarezza, come si accenna all’inizio della lettera, in molti studiosi di grande prestigio, fra cui il principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei e amico di Galileo. Questi, sconsigliando a Galileo di scendere personalmente in campo nella polemica, si era adoperato per raccogliere la protesta dei matematici di vari Studi e indurre così l’arcivescovo di Firenze a pretendere dal frate una replica ufficiale, ma l’iniziativa non era andata a buon fine per l’ostilità compatta del clero fiorentino. Alla fine del poscritto si accenna anche a un altro insigne matematico, il napoletano Luca Valerio, allora lettore di matematica alla Sapienza e intimo del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. In merito al suo coinvolgimento nella vicenda sappiamo solo che si dimise dall’Accademia dei Lincei dopo che la Chiesa si risolse per la condanna della teoria eliocentrica.

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Illustrissimo e Reverendissimo Signore, cui devo la massima deferenza, poiché so che la Signoria Vostra Illustrissima e Reverendissima è stata tempestivamente informata delle replicate invettive che, alcune settimane fa, sono state scagliate dal pulpito contro la dottrina di Copernico e i suoi seguaci, e ancor più contro i matematici e la matematica stessa, non aggiungerò nulla sui particolari dell’episodio che avete già appreso da altri. Tuttavia desidero vivamente che sappiate come, benché né io né altri abbiamo fatto il minimo passo o espresso pubblicamente risentimento per gli insulti che ci hanno poco caritatevolmente colpiti, non per questo si sono placate le ire furiose degli avversari; anzi, essendo rientrato da Pisa il Padre che in quello stesso anno aveva già espresso la sua posizione in colloqui privati, ha nuovamente colpito la mia persona. Gli è infatti capitata tra le mani, non so come, la copia di una lettera che l’anno scorso avevo scritto a Padre Benedetto Castelli, lettore di matematica presso lo Studio di Pisa, a proposito della citazione delle Scritture in discussioni di natura scientifica e della spiegazione del noto passo di Giosuè. Ebbene, ne fanno un gran parlare e dicono di trovarci molte eresie; insomma, hanno aperto un nuovo fronte, pur di trovare la maniera di colpirmi. Siccome però da ogni altra persona che ha avuto in mano questa lettera non mi sono state sollevate obiezioni di alcun genere per cui debba farmi degli scrupoli, mi sorge il dubbio che chi l’ha trascritta possa avere inavvertitamente mutato qualche parola; tali modifiche, unite alla tendenza a un atteggiamento censorio precostituito, potrebbero anche far apparire le cose molto diverse dalla mia intenzione. Poiché alcuni di questi Padri, in particolare quello della predica, sono venuti a Roma per fare, come mi pare di capire, ulteriori passi con la copia della 38

suddetta lettera, non mi è sembrato a sproposito inviarne una copia anche alla Vostra Signoria Illustrissima nella forma precisa in cui l’ho scritta, con la preghiera di leggerla insieme con il Padre Gesuita Cristoforo Grienberger, insigne matematico e grandissimo amico, di cui mi dichiaro servitore. Se poi a Sua Reverenza parrà opportuno, potrà in qualche occasione farla pervenire anche nelle mani dell’illustrissimo Cardinal Bellarmino, sul quale questi Padri Domenicani hanno lasciato intendere di fare affidamento nella speranza di ottenere, almeno, che l’opera di Copernico, la sua dottrina e il suo pensiero, subiscano una condanna ufficiale. La lettera fu da me scritta di getto, ma gli ultimi avvenimenti e le argomentazioni che questi Padri adducono perché tale dottrina venga condannata mi hanno indotto ad approfondire la questione: in verità non solo mi rendo conto che hanno detto tutto quello che io ho scritto, ma molto di più, mostrando con quanta cautela si debbano trarre conclusioni in merito ad argomenti riguardanti la natura e non la Fede cui si può giungere mediante l’esperienza e l’applicazione del metodo scientifico, e quali gravissime conseguenze possano derivare dall’assumere come verità rivelate affermazioni delle Sacre Scritture di cui si può giungere a dimostrare il contrario. Su questi temi ho stilato uno scritto molto copioso, ma non l’ho ancora rifinito al punto da potervene inviare una copia, il che farò il più presto possibile. A proposito di questo scritto, quale che sia l’efficacia delle mie ragioni e delle mie argomentazioni, di una cosa sono certissimo: vi si troverà molto più zelo nei confronti della Santa Chiesa e molto più rispetto per le Sacre Lettere di quanto non appaia nei miei persecutori. Loro infatti si affannano per far mettere all’Indice un libro da tanti anni accettato dalla Santa Chiesa senza averlo, non dico letto o capito, ma nemmeno visto; io non faccio altro che chiedere 39

che se ne esamini la dottrina e se ne valutino le argomentazioni da parte delle persone più fedeli al cattolicesimo e più preparate; che se ne confrontino le affermazioni con le sensate esperienze; che insomma non venga condannato prima di provare che sia falso, se è vero come è vero che un’affermazione non può essere contemporaneamente giusta e sbagliata. Non mancano nella cristianità uomini espertissimi della materia, il cui parere circa la verità o la falsità della dottrina non dovrà essere posposto all’arbitrio di chi non ne è affatto informato e purtroppo rivela chiaramente di essere condizionato da qualche sentimento di parte, come sanno benissimo molti che si trovano qui, vedono come vanno le cose e sono almeno in parte informati della vicenda nel suo complesso. Niccolò Copernico non solo fu cattolico, ma anche uomo di Chiesa; fu chiamato a Roma sotto il pontificato di Leone X, quando nel Concilio Lateranense si decise la riforma del calendario e si fece riferimento a lui come a un grandissimo astronomo. Tale riforma restò incompiuta per il solo motivo che i movimenti del Sole e della Luna in termini di anni e mesi non erano abbastanza precisamente definiti, per cui Copernico, su richiesta di Paolo di Middelburg, vescovo di Fossombrone, delegato a occuparsi della questione, si impegnò a compiere ulteriori osservazioni e studi accuratissimi su tali periodi e ne trasse una così vasta conoscenza non solo da fornire le regole di tutti i moti celesti, ma da guadagnarsi anche il titolo di sommo astrologo; la sua dottrina fu poi seguita da tutti e la riforma del calendario recentemente attuata in conformità ad essa. Raccolse i risultati delle sue ricerche intorno al moto e alle proprietà dei corpi celesti in sei libri i quali, su richiesta di Nicola Schomberg, arcivescovo di Capua e nunzio pontificio in Francia, vennero editi con dedica al Papa Paolo III e da allora 40

sono pubblicamente in circolazione senza alcun motivo di sospetto. Ora questi buoni frati, per cattiva disposizione nei miei confronti, sapendo della stima che nutro per questo studioso, si vantano di assegnargli come premio delle sue fatiche la condanna di eretico. Ma ciò che fa ancora più riflettere è il fatto che la loro prima mossa contro questa teoria fu il lasciarsi convincere da alcune persone, che vogliono il mio male, che ne sono io l’artefice, tacendo che è in circolazione già da settant’anni. Continuano ad agire in questo modo anche con altri, al fine di imprimere in loro un’immagine negativa della mia persona: così è accaduto per esempio che, essendo pochi giorni fa arrivato qui a Firenze per compiervi le sue prime visite pastorali solenni Monsignor Baccio Gherardini, vescovo di Fiesole, alcuni miei amici che erano presenti lo sentirono prorompere in una veementissima invettiva contro di me, decisamente alterato, e dichiarare che si sarebbe fatto autorevolmente sentire con Loro Altezze Serenissime, perché i miei falsi e stravaganti convincimenti davano molto da dire a Roma. Forse a quest’ora avrà già dato esecuzione al suo proposito, a meno che non l’abbia distolto il fatto di essere stato opportunamente avvertito che l’autore di tale dottrina non è un fiorentino ancora in vita, ma un polacco di famiglia tedesca morto da tempo, che la rese pubblica settant’anni fa, dedicando la sua opera al Sommo Pontefice. Mentre scrivo mi rendo conto che sto parlando a una persona ampiamente informata su quanto sta accadendo, forse ancora più di me, poiché si trova nel luogo dove si fa maggior chiasso. Scusatemi la prolissità e, se trovate che nella persecuzione contro di me non c’è alcuna giustizia, datemi il vostro appoggio, di cui vi sarò eternamente obbligato. Con ciò vi bacio reverentemente le mani, rinnovando la mia 41

devota sottomissione e pregando Dio di concedervi il massimo della felicità. Firenze, 16 febbraio 1615 Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima l’obbligatissimo servitore Galileo Galilei Poscritto. Benché con grande difficoltà riesco a credere che si precipiti nella decisione di mettere all’Indice Copernico, tuttavia, avendo avute altre prove su quanto sia grande la mia disgrazia, alimentata dalla malignità e dall’ignoranza dei miei avversari, mi pare di non poter stare del tutto tranquillo circa la somma prudenza e la santità di coloro dai quali dipende l’ultima decisione, perché potrebbero ancora subire l’influsso di una macchinazione fraudolenta che si cela sotto il manto dello zelo e della carità. Perciò, al fine di non mancare, per quanto mi è possibile, di fronte a me stesso e a ciò che dalla mia lettera Vostra Signoria Reverendissima potrà constatare essere zelo autentico e sincero, desidererei che almeno la si possa vedere prima di prendere quella decisione che piacerà a Dio (da questo punto di vista sono in tanto salda disposizione che, prima di disubbidire ai miei superiori, quando non potessi fare altro e pensassi che ciò che ora credo e mi sembra di toccare con mano potrebbe compromettere la salvezza della mia anima, «mi strapperei gli occhi piuttosto che trarne motivo di scandalo»). Credo dunque che la soluzione a più facile portata sia quella di rivolgersi ai Padri Gesuiti, perché sono i più colti tra i frati. Potreste far loro pervenire una copia della lettera incriminata e legger loro anche questa, se vi sembrerà il caso, che vi sto inviando. In seguito, per la cortesia che vi contraddistingue, potreste informarmi di quanto si sarà potuto ottenere con questa iniziativa. Non so se sia 42

opportuno prender contatti con Luca Valerio e far pervenire anche a lui una copia della lettera, come a un uomo intimo del Cardinale Aldobrandini e che potrebbe intercedere con Sua Santità. In proposito e per ogni altra cosa mi rimetto alla vostra bontà e prudenza, raccomandandovi la mia reputazione e baciandovi nuovamente le mani.

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3 A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615)

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Questa seconda lettera di Galileo a Monsignor Dini, scritta poco più di un mese dopo la precedente, fa riferimento alla risposta data alla prima da parte del prelato, in data 7 marzo. Nel corso della lettera Galileo accenna a un’opera cui sta alacremente lavorando: si tratta del Dialogo sopra i due massimi sistemi (l’estensione del titolo – tolemaico e copernicano – a spiegare il contenuto del Dialogo è entrata nell’uso senza che Galileo l’abbia voluta all’atto della pubblicazione), stampato a Firenze solo nel 1632 con imprimatur sia romano sia fiorentino. Vi è esposta una conversazione che si protrae per quattro giorni e ha per protagonisti tre personaggi parzialmente immaginari, che incarnano la posizione dello scienziato innovatore, quella del conservatore pedante e acriticamente dipendente dall’autorità aristotelica e quella dell’uomo mediamente colto e apparentemente neutrale, sensibile tuttavia agli argomenti della logica, che punta sull’evidenza, piuttosto che a quelli della retorica, che mira alla persuasione. Nell’agosto dello stesso anno la vendita del libro venne bloccata e nell’ottobre Galileo fu citato a Roma dall’Inquisizione. A seguito del processo, nel giugno dell’anno successivo il libro fu definitivamente proibito. Nel proseguire della risposta al Dini, cui Galileo aveva chiesto il favore di far leggere al matematico Cristoforo Grienberger la sua lettera a Benedetto Castelli, la puntualizzazione si riferisce a quanto era emerso da questo contatto, riferito dal Dini nella lettera del 7 marzo: il Grienberger avrebbe visto meglio che Galileo «avesse prima fatto le sue dimostrazioni e poi entrato a parlare della Scrittura» e che avesse presentato le sue argomentazioni come «più plausibili che vere, poi che li fa paura qualch’altro luogo delle Sacre Scritture». 45

Illustrissimo e Reverendissimo Signore, cui devo la massima deferenza, risponderò in breve alla cortesissima lettera di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima, non potendo fare diversamente a causa del mio cattivo stato di salute. Circa il primo punto che avete toccato, cioè che per meglio orientare la decisione relativa all’opera di Copernico sarebbe opportuno introdurvi qualche postilla, in cui si dica che si tratta di ipotesi atte a spiegare i fenomeni celesti (come si è fatto ipotizzando gli eccentrici o gli epicicli per spiegare l’irregolarità dei movimenti apparenti dei pianeti), senza per questo porle come realtà, rispondo, rimettendomi sempre a chi ne sa più di me e solo per lo scrupolo che ciò che si deve fare debba esser fatto con il massimo della cautela possibile, che per salvare le impressioni dei sensi lo stesso Copernico si era già a suo tempo dato ampiamente da fare, per accontentare quei cultori dell’astrologia che si rifacevano ai principi del sistema tolemaico. Egli, entrando poi nel campo della filosofia ed essendosi risposto, dopo essersi domandato se una tale visione dell’universo potesse corrispondere alla natura, che non era così, sembrandogli d’altra parte che valesse la pena di indagare su come stanno realmente le cose, si mise a studiare la sua vera costituzione. Riteneva infatti che se una rappresentazione immaginaria non corrispondente alla realtà poteva soddisfare le apparenze, molto più si sarebbe ottenuto dalla rappresentazione vera e reale, e contemporaneamente la filosofia ne avrebbe avuto un vantaggio prezioso, potendo disporre della conoscenza della struttura reale dell’universo. Così, già ampiamente fornito, per le osservazioni e gli studi condotti in lunghi anni, di una grande quantità di nozioni specifiche relative agli astri, senza la scrupolosa comprensione e registrazione delle quali è 46

impossibile arrivare a definire la costituzione del mondo, con rinnovati studi e lunghissime fatiche giunse poi a quei risultati che suscitano l’ammirazione di tutti coloro che lo studiano con diligenza, per tenerne il passo e di lì procedere. Pertanto cercare di convincere che Copernico non riteneva reale il moto della Terra, a parer mio, sarebbe impresa vana se non presso coloro che non l’hanno letto, essendo pieni di considerazioni collegate al moto della Terra tutti i suoi sei libri, che da questo assunto traggono spiegazione e conferma. E se egli nell’introduzione dimostra di essere consapevole e confessa che l’affermazione della mobilità della Terra lo avrebbe fatto ritenere stolto alla massa, giudizio del quale dice per altro di non curarsi, sarebbe stato ben più stolto se avesse voluto farsi considerare tale per una affermazione fatta da sé stesso, senza che ci credesse veramente e completamente. Quanto poi all’affermare che gli studiosi principali che hanno parlato di eccentrici e di epicicli non li hanno giudicati reali, io non lo crederò mai, tanto meno perché oggi è assolutamente necessario ammetterli, essendo i sensi stessi a mostrarne l’esistenza. Non essendo infatti l’epiciclo altro che un cerchio descritto dal moto di un astro che non abbraccia nella sua rotazione il globo terrestre, non vediamo forse che quattro di tali cerchi vengon descritti da quattro astri attorno a Giove? E non è chiaro come il Sole che Venere descrive il suo cerchio intorno al suddetto Sole senza comprendere la Terra e per conseguenza forma un epiciclo? La stessa cosa accade per Mercurio. Inoltre, essendo l’eccentrico un cerchio che effettivamente circonda la Terra, ma non la contiene nel suo centro, bensì da una parte, non si può dubitare che il corso di Marte sia eccentrico rispetto alla Terra: lo si vede infatti ora più vicino ora più lontano, ora piccolissimo e ora sessanta volte più grande, per cui, qualunque sia il suo moto, circonda la Terra e una volta è otto volte più vicino di 47

un’altra. Di tutte queste cose e di numerose altre del genere ci hanno dato sensata esperienza le ultime scoperte, al punto che si può sostenere la mobilità della Terra anche solo sulla base delle conseguenze e delle prove che si ricavano dagli eccentrici e dagli epicicli come dato assolutamente sicuro, corrispondente a verità e incontrovertibile. Devo tuttavia osservare che tra coloro che hanno negato gli eccentrici e gli epicicli si distinguono due categorie di persone. La prima è la posizione di quelli che, essendo del tutto digiuni di nozioni relative ai movimenti degli astri e di ciò che in merito va tenuto fermo, negano senza alcun fondamento tutto quello che non capiscono, ma di questa gente non vale nemmeno la pena di parlare. Altri, molto più ragionevoli, non arrivano a negare l’esistenza di movimenti circolari descritti dai corpi degli astri attorno ad altri centri che non siano la Terra, perché è manifesto per i movimenti di tutti i pianeti che la Terra non ne è il centro comune, ma negheranno piuttosto che nel corpo celeste è presente una struttura di sfere solide divise e separate tra loro che, ruotando e sfregandosi, portino con sé i pianeti, e tali persone a me pare che ragionino benissimo. La loro posizione non significa tuttavia eliminare i movimenti degli astri eccentrici rispetto alla Terra o gli epicicli, che sono i veri e semplici assunti di Tolomeo e dei grandi astronomi, ma respingere l’ipotesi di sfere materiali solide e distinte, introdotte dai costruttori di teorie atte a facilitare le possibilità di comprensione dei principianti e l’esecuzione dei calcoli. Solo questa è la parte fittizia e non corrispondente alla realtà del sistema, avendo Dio la possibilità di far procedere le stelle per gli immensi spazi del cielo in percorsi che sono sì definiti e precisi, ma non incatenati o forzati. Tuttavia, relativamente a Copernico, è impossibile 48

mitigare la sua posizione, poiché il punto centrale della sua dottrina e suo fondamento generale è costituito dalla mobilità della Terra e fissità del Sole: perciò, o bisogna respingere del tutto la sua teoria, oppure bisogna lasciarla com’è, parlando io sempre entro i limiti delle mie personali capacità di giudizio. Ma che a proposito di una tale decisione sia necessario fare attente, ponderate e oculate considerazioni su quanto egli scrive, io mi sono impegnato a dimostrarlo in un mio scritto, nei limiti di quanto Dio benedetto mi ha concesso di fare, non avendo mai in mente altro scopo che la dignità della Santa Chiesa e a nient’altro orientando le mie modeste fatiche; sono d’altra parte certo che questi miei sentimenti puri e ispirati da autentico zelo religioso appariranno chiari nel suddetto scritto, anche se fosse pieno di ogni sorta di errori o di osservazioni di poco rilievo. Lo avrei già inviato a Vostra Signoria Reverendissima se ai miei già numerosi e gravi disturbi fisici non si fosse recentemente aggiunto un attacco di dolori acuti che mi ha messo non poco in difficoltà; in ogni caso ve lo spedirò al più presto. Anzi, ispirato dallo stesso zelo, sto raccogliendo tutte le argomentazioni di Copernico per metterle in una forma più chiara ai molti, dato che, così come sono, sono difficili da capire; intendo inoltre aggiungervi molte altre considerazioni, sempre fondate su osservazioni astronomiche, sensate esperienze ed eventi naturali, per offrirle poi al Sommo Pastore e all’autorità infallibile della Santa Chiesa, perché ne faccia quell’uso che parrà opportuno alla sua somma prudenza. Quanto al parere del Reverendissimo Padre Grienberger, lo lodo davvero e lascio volentieri la fatica di interpretare le Scritture a quelli che ne sanno infinitamente più di me. Ma il breve scritto che inviai a Vostra Signoria Reverendissima, è, come avete visto, una lettera privata, indirizzata più di un anno fa a un amico, perché lui solo la 49

leggesse; avendone però egli a mia insaputa lasciata circolare una copia, e venendo a conoscenza che era capitata in mano alla stessa persona che mi aveva tanto duramente attaccato persino dal pulpito e che costui l’aveva recata con sé a Roma, mi parve una buona cosa che ce ne fosse un’altra copia, per poterne prendere visione in caso di necessità, soprattutto perché egli e altri filosofi a lui molto stretti erano andati spargendo la voce che questa mia lettera era piena di eresie. Non ho dunque intenzione di porre mano a imprese tanto superiori alle mie forze; sono inoltre convinto che non si debba dubitare del fatto che la Benignità divina si degni talvolta di ispirare qualche raggio della sua immensa sapienza in intelletti umili, soprattutto quando siano animati da sincero e santo zelo, e che d’altra parte, quando si tratta di mettere a confronto passi delle Sacre Scritture con teorie scientifiche nuove e non comuni, è necessaria una conoscenza completa di tali dottrine, non potendosi accordare due corde se se ne ascolta una sola. E se io fossi sicuro di poter fare un qualche affidamento sulla debolezza del mio ingegno, oserei dire di trovare in alcuni passi delle Sacre Lettere e nell’assetto reale del mondo molte convergenze che non mi sembrano essere altrettanto bene rilevate dal sapere comune; e l’avermi Vostra Signoria Reverendissima accennato al passo del Salmo 18 come uno di quelli giudicati più in contrasto con tale opinione mi ha indotto a fare una nuova riflessione in proposito, che esito meno a comunicare a Vostra Signoria in quanto mi avete riferito che l’Illustrissimo e Reverendissimo Cardinal Bellarmino si è dichiarato interessato a vedere se dispongo di altri passi del genere. Pertanto, avendo io risposto a un semplice cenno di Sua Signoria Illustrissima e Reverendissima, dopo che Sua Signoria avrà visto questa mia riflessione, qualunque ne sia il valore, ne farà l’uso dettato dalla sua somma saggezza: io infatti intendo solo esprimere 50

rispetto e ammirazione per cognizioni tanto sublimi, obbedire ai cenni dei miei superiori e sottoporre ogni mia fatica al loro arbitrio. Dunque, non mettendo in discussione il fatto che, qualunque sia la verità della supposizione dalla parte della natura, altri possano svelare significati più profondi delle parole del Profeta, anzi, giudicando me stesso inferiore a tutti e pertanto sottoponendomi a tutti i sapienti, io direi questo: a me sembra che nella natura si ritrovi una sostanza del tutto spirituale, leggerissima e velocissima la quale, diffondendosi per l’universo, penetra in tutto senza trovare ostacolo, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le creature viventi. Mi pare anche che il corpo del Sole dia sensibilmente prova di essere il principale ricettacolo di questa sostanza spirituale, come quello dal quale emana e si diffonde per l’universo un’immensa luce, accompagnata dalla forza del suo calore, che penetra in tutti gli esseri vegetali rendendoli in grado di vivere e riprodursi. Si può ragionevolmente ritenere che si tratti di qualcosa di più che di luce, perché penetra e si diffonde in tutti i corpi, anche i più densi, rispetto a molti dei quali la luce non è in grado di fare altrettanto: per cui, così come vediamo e sentiamo che dal fuoco emanano luce e calore, e che questo passa attraverso tutti i corpi, per opachi e solidissimi che siano, mentre quella trova un ostacolo nella solidità e nell’opacità, così l’emanazione del Sole è luminosa e calda, e la componente del calore è quella più penetrante. Che poi di questa sostanza spirituale e di questa luce il corpo solare sia, come ho detto, un ricettacolo e, per così dire, una sorta di riserva che riceve dal di fuori, piuttosto che principio e fonte primaria dalla quale esse traggano origine, mi pare sia evidente nelle Sacre Scritture, in cui leggiamo di uno spirito con la sua virtù calorifica e feconda, prima della creazione del Sole, «che riscaldava le acque o si stendeva sopra le acque», 51

per le future generazioni. Parimenti leggiamo della creazione della luce il primo giorno, mentre il corpo solare viene creato nel quarto. Da ciò possiamo verosimilmente affermare che questo spirito fecondante e questa luce diffusa per tutto il mondo sarebbero concorsi a unirsi e fortificarsi nel corpo solare, a questo scopo collocato nel centro dell’universo, e da lì, con maggior splendore e vigore, si sarebbero nuovamente diffusi. Di questa luce primigenia e non splendente al massimo prima di convergere e raccogliersi nel corpo solare abbiamo un’attestazione dal Profeta nel Salmo 73, al verso 16: «Tuo è il giorno e tua la notte: Tu hai creato l’aurora e il Sole». L’interpretazione di questo passo afferma la creazione da parte di Dio di una luce simile a quella dell’aurora prima della creazione del Sole, anzi, nel testo ebraico invece di «aurora» si legge «lume» perché si intenda quella luce che fu creata molto prima del Sole, molto più debole di questa stessa ricevuta, rinvigorita e nuovamente diffusa dal corpo solare. A questa interpretazione sembra far riferimento l’opinione di alcuni filosofi antichi che hanno giudicato lo splendore del Sole frutto di un concorrere al centro del mondo dello splendore delle stelle, le quali, come sfere che gli stanno tutte attorno, fanno vibrare i loro raggi che, convergendo e intersecandosi nel suddetto centro, qui aumentano e moltiplicano mille volte la loro luce. Questa luce poi, resa in tal modo più forte, si riflette e si sparge molto più intensa e ripiena, per così dire, di virile e vitale potenza, e si diffonde a vivificare tutti i corpi che ruotano intorno a questo centro: più o meno come nel cuore dell’animale si rigenerano continuamente gli spiriti vitali, che sostengono e vivificano tutte le membra, ma l’alimento e il nutrimento senza i quali perirebbe vengono al cuore da fonte esterna, così nel Sole, analogamente alimentato dall’esterno, si mantiene quella riserva da cui continuamente derivano e si 52

diffondono la luce e il calore generatore, che danno la vita a tutti i membri attorno disposti. Benché della forza mirabile e dell’energia di questo spirito e luce del Sole, diffuso nell’universo, potrei chiamare a testimonianza molti filosofi e scrittori importanti, voglio limitarmi a un unico passo di san Dionigi l’Areopagita, nell’opera I divini nomi, che dice: «La luce anche accorda e attrae a sé tutte le cose che si vedono, che si muovono, che sono illuminate, che si riscaldano, in una parola quelle che stanno entro il suo splendore. Pertanto il Sole è detto Ilios, perché raduna e riunisce tutte la cose disperse». E poco più sotto scrive sullo stesso tono: «Se infatti questo Sole che vediamo, in rapporto alle essenze e alle qualità delle cose che cadono sotto i sensi, quantunque molto numerose e molto differenti fra loro, mentre lui stesso è invece uno solo, ugualmente sparge la luce, rinnova, nutre, preserva, fa maturare, divide, congiunge, riscalda, rende feconde, fa crescere, muta, rinvigorisce, fa sbocciare e le rende tutte vitali, e ciascuna cosa di questo universo, secondo la propria forza, è partecipe di un unico e dello stesso Sole, e ha ugualmente anticipate in sé le cause delle molte cose che partecipano, di sicuro a maggior ragione…» eccetera. Ora, di fronte a questa posizione filosofica, che è forse una delle principali porte d’accesso alla contemplazione della natura, mi sembrerebbe, parlando sempre con quell’umiltà e quel rispetto che devo alla Santa Chiesa e a tutti i suoi dottissimi Padri, cui vanno la mia reverenza e la mia osservanza e al giudizio dei quali sottometto me stesso e ogni mio pensiero, mi sembrerebbe, dicevo, che il Sole, nel famoso passo del Salmo 18: «II Signore pose nel Sole il suo Tabernacolo», debba intendersi come la sede più nobile di tutto il mondo sensibile. Dove poi si dice: «Egli, simile a sposo sorto dal letto nuziale, balzò come gigante per correr la sua via», intenderei l’espressione riferita al Sole che irraggia, cioè 53

alla luce e a quello spirito che dà calore e feconda tutte le sostanze corporee di cui s’è detto, il quale, traendo origine dal corpo solare, si diffonde velocissimamente per tutto il mondo. Mi pare infatti che tutte le parole si adattino perfettamente a questa interpretazione. In primo luogo abbiamo «sposo» che fa pensare al potere di fecondare e generare; nel «sorgere balzando» c’è l’indicazione di come avviene, per così dire “a salti”, l’emanazione dei raggi solari, e i sensi ce lo confermano; «come gigante», ovvero «come forte», denota l’attività potente e la virtù di penetrare attraverso tutti i corpi, e insieme la capacità straordinaria di muoversi velocissimamente per spazi immensi, essendo l’emanazione della luce praticamente istantanea. Si conferma dalle parole «sorto dal letto nuziale» che tale emanazione e tale movimento devono essere riferiti alla suddetta luce del Sole, e non al suo corpo. Infatti il globo solare è un ricettacolo, come lo è un «letto nuziale», di questa luce, né avrebbe senso dire che «il letto procede dal letto». Subito dopo nel Salmo («il suo sorgere dalla sommità dei cieli») si fa cenno alle parti più alte del cielo, vale a dire fino alle stelle del firmamento o addirittura a sedi ancor più elevate, come luogo donde all’origine derivano e provengono lo spirito calorifico e la luce. Il Salmo continua: «E va il suo corso fino alla sommità». Ecco la riflessione, per così dire una seconda emanazione, della stessa luce fino alla stessa sommità del mondo. Segue infine: «E nulla può sfuggire alla sua fiamma», dove viene additato il calore vivificante e fecondante, distinto dalla luce e rispetto a essa dotato di molto più potere di penetrazione attraverso le sostanze corporee, per quanto dense siano. Rispetto alla penetrazione della luce infatti esistono molti mezzi per difendersi e ripararsi, ma di fronte al potere calorifico «nulla può sfuggire alla sua fiamma». Non devo poi passar sotto silenzio un’altra mia considerazione, pertinente a 54

questo argomento. Io ho già scoperto il continuo manifestarsi di alcune ombre consistenti sul globo solare, che si presentano ai sensi come macchie scurissime, che poi si consumano e si dissipano. Ho accennato al fatto che si potrebbero interpretare come parte di quell’alimentazione (o forse dei suoi residui) di cui il Sole secondo alcuni antichi filosofi avrebbe necessità per sostentarsi. Ho anche dimostrato, in seguito a un’accurata osservazione di queste macchie, come il corpo solare compie di necessità un movimento di rivoluzione su sé stesso e per di più accennato al fatto che è ragionevole giudicare tale rivoluzione la causa dei movimenti dei pianeti attorno al Sole. Aggiungo allora: noi sappiamo che l’intenzione del Salmo 18 è quella di lodare la legge divina, che il Profeta paragona al corpo celeste, del quale, fra le cose mortali, nessuna è più bella, più utile e più potente. Perciò, avendo egli tessute le lodi del Sole e non essendogli nascosto che l’astro fa ruotare attorno a sé tutti i corpi mobili del mondo, passando alle maggiori prerogative della legge divina e volendo anteporla al Sole aggiunge: «Legge immacolata del Signore, che attrai le anime...», come per dire che tale legge ha qualità più eccelse del Sole stesso per il suo esser senza macchia e in grado di attrarre le anime, mentre quello è sparso di macchie e ha il potere di far ruotare attorno a sé solo globi materiali e mondani. So e confesso di osare troppo nel voler parlare, inesperto come sono delle Sacre Scritture, per spiegare contenuti di così alta speculazione. Tuttavia, come potrei essere scusato nel dichiarare la mia totale sottomissione al giudizio dei miei superiori, così la parte seguente del Salmo, «Le parole del Signore sono vere e rendon savi gli sprovveduti», mi ha fatto sperare: forse può accadere che l’infinita bontà di Dio indirizzi verso la purezza della mia mente un piccolissimo raggio della sua grazia, onde s’illumini 55

ai miei occhi qualcuno dei significati reconditi delle sue parole. Quanto ho scritto, mio signore, è un piccolo parto, che necessita di una forma migliore, di correzioni e rifiniture addotte con applicazione e pazienza; infatti si tratta solo di un abbozzo, suscettibile di assumere un aspetto e proporzioni confacenti, ma per il momento ancora disordinato e grezzo. Se me ne sarà data la possibilità, gli darò una forma più equilibrata; intanto vi prego di non permettere che vada in mano ad alcuno che, ricorrendo piuttosto che alla dolcezza della lingua di una madre all’asprezza e alla violenza dei denti d’una matrigna, invece di ripulirlo lo laceri e lo riduca a pezzi del tutto. Con ciò vi bacio reverentemente le mani, unitamente ai signori Buonarroti, Guiducci, Soldani e Giraldi, qui presenti alla chiusura della lettera. Firenze, 23 marzo 1615 Di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima l’obbligatissimo servitore Galileo Galilei

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4 A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615)

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Cristina di Lorena, figlia del duca Carlo di Lorena, nel 1589 era andata sposa del granduca di Toscana Ferdinando I, cui aveva generato Cosimo II, ormai sul trono quando nel 1615 Galileo le indirizzò questa lettera. Dapprima diffusa manoscritta, vide le stampe in Germania solo nel 1636, a cura di Mattia Bernegger. Nel 1605 Cristina aveva chiamato Galileo in Toscana perché curasse l’istruzione scientifica del principe ereditario, che si era molto legato al Maestro, al punto che nel 1610 lo nominò suo primario matematico e filosofo, senz’obbligo di insegnamento e residenza a Corte. D’altra parte dell’interesse dell’intera famiglia regnante per gli studi di Galileo si ha notizia dalla lettera a Benedetto Castelli, la prima riportata in questa raccolta. Nel corso della lettera Galileo polemizza con alcuni contemporanei, colpevoli a suo giudizio di abusare delle citazioni della Sacra Scrittura a sostegno di teorie che altro non sono se non «vane fantasie», smentite dall’esperienza e da ineccepibili dimostrazioni scientifiche. A proposito dei due esempi che fa in proposito, si devono almeno ricordare Francesco Sizzi, che nel 1611 negò la possibilità di esistenza dei cosiddetti “pianeti Medicei”, ovvero dei satelliti di Giove scoperti da Galileo e da lui così chiamati, e Giulio Cesare Lagalla, che sostenne esser la Luna dotata di luce propria contro l’evidenza delle prove astronomiche, in una pubblicazione che vide le stampe a Venezia nel 1612.

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Alla serenissima madama la Granduchessa Madre Galileo Galilei Come sa l’Altezza Vostra Serenissima, pochi anni fa, investigando il cielo, ho fatto varie scoperte il cui contenuto era rimasto ignoto fino a questo tempo. Il loro carattere di novità, insieme con le conseguenze che se ne devono trarre, in contrasto con alcune convinzioni in materia di natura diffuse dalla scuola e dai filosofi tradizionali, mi hanno attirato le ire di un non piccolo numero di tali insegnanti, come se fossi stato io personalmente a porre in cielo questi fenomeni per portar confusione nella natura e nelle scienze. Per così dire dimenticandosi che la molteplicità delle verità note alimenta la ricerca, allarga i confini del sapere e ne consolida le basi, invece che sminuirlo o distruggerlo, e dimostrandosi nel contempo più affezionati alle opinioni personali che a quelle vere, si sono affannati per negare e cercar di annullare quelle novità di cui i sensi stessi, se avessero voluto considerarle attentamente, avrebbero potuto renderli certi. Così si sono variamente dati da fare, pubblicando tra l’altro scritti pieni di argomentazioni inconsistenti, e, cosa ancora più grave, di citazioni dalle Sacre Scritture prese da luoghi che non hanno ben capito e hanno per di più riportato a sproposito. Forse non sarebbero incorsi in tali errori se avessero tratto un utilissimo insegnamento da sant’Agostino quando raccomanda la massima cautela nel momento di fare affermazioni di assoluta certezza in merito a cose oscure e difficili da capirsi sulla base delle sole parole. A proposito di un’osservazione di natura scientifica attinente ai corpi celesti 1 scrive infatti: «Ora, sempre attenendoci alla moderazione 59

della giusta prudenza, non dobbiamo temere di credere nulla di un argomento oscuro, per non arrivare a odiare per attaccamento al nostro errore ciò che la verità potrebbe casualmente far scoprire in seguito, quantunque in nessun modo possa esser contrario ai sacri libri, sia del Vecchio sia del Nuovo Testamento». Con il passare del tempo si è via via resa manifesta a tutti la verità delle mie scoperte, e insieme con le verità di fatto la diversità di atteggiamento tra quelli che sinceramente e senza pregiudizio alcuno non ammettevano tali verità e quelli che aggiungevano allo scetticismo passioni estranee. Perciò, così come gli astronomi e gli scienziati più esperti si sono convinti subito, a questo primo gruppo sono andati progressivamente affiancandosi tutti gli altri che avevano all’inizio una posizione negativa o di dubbio solo perché spiazzati dalla cosa del tutto nuova o perché non avevano avuto l’occasione di farne diretta esperienza; quelli invece in cui, oltre che l’attaccamento all’errore iniziale, giocano altri interessi che non so immaginare e sono da questi resi maldisposti non tanto verso le cose quanto verso chi le afferma, non potendo più negare l’evidenza, continuano ostinatamente a tacere, e deviando il loro pensiero verso inconsistenti fantasie, irritati più ancora di prima da ciò su cui gli altri si sono tranquillizzati e messi il cuore in pace, tentano di farmi del male in altri modi. Di loro per la verità non mi darei più pensiero di quanto non me ne sia dato per gli altri contrasti, di cui mi son sempre fatto beffe, sicuro dell’esito che avrebbe avuto la faccenda, se non constatassi che le nuove calunnie e le nuove persecuzioni non si limitano a una questione di molta o scarsa dottrina, del che mi importa poco, ma puntano a bollarmi di infamie che devono essere e sono da me più aborrite della morte, per cui non posso accontentarmi che a riconoscerne l’ingiustizia siano soltanto 60

quelli che conoscono me e conoscono loro, ma devo pretendere che siano tutti. Persistendo dunque nella loro prima determinazione a volere in ogni modo possibile abbattere la mia persona e le mie cose, sapendo come nell’ambito dei miei studi di astronomia e di filosofia, per quanto attiene alla struttura del mondo, sono convinto che il Sole, senza cambiar sede, sia al centro delle rotazioni degli astri, e che la Terra, che gira su sé stessa, gli si muova attorno; sapendo inoltre che sostengo tale convinzione non solo con il contestare le spiegazioni di Tolomeo e di Aristotele, ma anche con il produrre molte prove a loro contrarie, in particolare alcune relative a fenomeni naturali delle cui cause non si può forse trovare alcun’altra spiegazione, nonché prove astronomiche, derivate da nuovi dati acquisiti da scoperte recenti, che palesemente confutano la concezione tolemaica e sono invece perfettamente in accordo e confermano la posizione opposta; forse confusi dall’essere stata riconosciuta la verità di altre affermazioni da me fatte, diverse da quelle correnti, e pertanto temendo di non poter difendere le loro posizioni se restano nell’ambito della filosofia… per tutte queste ragioni insomma hanno deciso di tentare di coprire la fallacia dei loro discorsi sotto il manto di una religione simulata e l’autorità delle Sacre Scritture, da loro utilizzate, poco intelligentemente, per confutare argomentazioni né capite né ascoltate. Prima hanno personalmente cercato di diffondere la fama che le suddette convinzioni siano in contrasto con le Sacre Scritture e per conseguenza condannabili come eretiche; poi, vedendo come nella maggior parte dei casi la natura umana sia più disponibile ad approvare quelle imprese da cui il prossimo, anche se ingiustamente, subisce oppressione, piuttosto che quelle da cui gli deriva un giusto sollievo, non è stato loro difficile trovare chi, assumendo per 61

certo che tali convinzioni fossero condannabili come eretiche, lo ha predicato con insolita fiducia persino dai pulpiti, con poca pietà e ancor meno considerazione del danno che ne sarebbe derivato non solo a questa dottrina e a chi la sottoscrive, ma a tutta la matematica e ai matematici in generale. Infine, acquistato ulteriore credito, e sperando vanamente che quel seme che ha all’inizio posto radici nella loro malafede possa diffondere i suoi rami ed elevarsi fino al cielo, vanno mormorando tra il popolo che quella dottrina sarà entro breve tempo dichiarata eretica dall’autorità suprema. Rendendosi conto che una dichiarazione di questo genere destituirebbe non solo le affermazioni relative alla relazione tra Sole e Terra, ma attirerebbe la condanna anche su tutte le altre osservazioni prodottesi in ambito astronomico e scientifico che sono in necessaria relazione con la teoria eliocentrica, per rendersi il compito più facile cercano, per quanto possono, di far apparire tale teoria, almeno presso le masse, come nuova e mia personale, nascondendo di sapere benissimo che ne fu autore o meglio che la riprese nuovamente e la confermò Niccolò Copernico, studioso non solo cattolico, ma sacerdote e uomo di Chiesa. Egli era tanto stimato che, nel corso del Concilio Lateranense, sotto il pontificato di Leone X, quando si trattava di riformare il calendario ecclesiastico, venne chiamato a Roma dalle più remote parti della Germania perché partecipasse a questa riforma, che rimase incompiuta solo perché non si aveva ancora una perfetta conoscenza della durata precisa dell’anno e del mese lunare. Per questo da Paolo di Middelburg vescovo di Fossombrone, che allora presiedeva all’impresa, gli venne assegnato l’incarico di cercare con rinnovati studi e fatiche di giungere a conoscenze più precise e certe su tali movimenti celesti. Egli allora, con sforzi veramente giganteschi e con il suo ingegno straordinario, rimessosi al lavoro, avanzò tanto 62

in queste conoscenze e con tale esattezza rese conto della durata dei movimenti celesti che si guadagnò il titolo di sommo astronomo e non solo in seguito si è riformato il calendario conformemente alla sua dottrina, ma in base a questa si sono tracciate anche le tavole di tutti i movimenti dei pianeti. Avendo egli esposto i risultati delle sue ricerche in sei libri, li pubblicò su preghiera del cardinale Nicola Schomberg, arcivescovo di Capua, e di Giese Tiedemann, vescovo di Culma, e poiché si era tanto faticosamente dedicato a questa impresa per ordine del Sommo Pontefice, dedicò al suo successore Paolo III l’opera intitolata Rivoluzioni celesti, che, stampata nello stesso periodo, è stata accolta dalla Santa Chiesa, letta e studiata in tutto il mondo, senza che mai sia sorta la benché minima ombra di dubbio sulla validità della dottrina esposta. E mentre ora si va scoprendo come sia ben fondata su manifeste esperienze e dimostrazioni necessarie, lo stesso ci sono persone che, pur non avendo mai nemmeno visto quel libro, vogliono assegnare al suo autore come premio di tante fatiche la condanna per eresia, e questo solo per soddisfare il loro risentimento personale, irragionevolmente concepito contro un altro, che ha con Copernico il solo legame di approvarne la dottrina. Ora, per i falsi addebiti che costoro ingiustamente cercano di addossarmi, ho ritenuto necessario onde giustificarmi presso gli uomini tutti, dei cui giudizi e delle cui opinioni in materia di religione e reputazione devo tenere moltissimo conto, entrare nel merito degli argomenti particolari su cui fanno perno i miei detrattori perché sia detestata e abolita la suddetta teoria con il farla dichiarare non solo falsa, ma addirittura eretica. E in ciò continuano a trincerarsi dietro un finto zelo religioso e chiamano in gioco le Sacre Scritture, facendole per così dire ministre dei loro 63

proponimenti non sinceri. Di più: se io non mi sbaglio, essi vogliono accrescere la loro autorità e forse abusarne, contro gli insegnamenti delle Scritture e dei Padri della Chiesa, cosicché anche in materia di scienza e non di Fede pretendono che si debbano accantonare l’esperienza e le dimostrazioni condotte mediante la ragione in funzione di qualche passo della Scrittura, che talvolta sotto l’apparenza letterale delle parole potrebbe contenere un significato diverso. Io spero di dimostrare quanto zelo devoto e autenticamente religioso ispira me al contrario di loro nel momento in cui propongo non che quel libro non debba essere condannato, ma che non lo si condanni, come loro vorrebbero, senza capirlo, ascoltarlo e nemmeno vederlo. Ciò a maggior ragione perché l’autore non si occupa mai di cose attinenti alla religione o alla fede, né adduce argomenti in qualche modo connessi all’autorità delle Sacre Scritture, che potrebbe aver malamente interpretato, ma si attiene sempre a problematiche di natura scientifica, riguardanti i moti degli astri, trattati con dimostrazioni astronomiche e matematiche, prima fondate su sensate esperienze e accuratissime osservazioni. Non è che non avesse prestato attenzione ai passi delle Sacre Scritture: in realtà era perfettamente consapevole che, essendo la sua dottrina dimostrata, non poteva risultare in contrasto con le Scritture, se correttamente interpretate. Per questo alla fine della dedica, rivolgendosi al Sommo Pontefice, così si esprime: «Se ci saranno per caso dei fatui che, pur essendo ignari di tutte le scienze matematiche, ugualmente si pronunceranno intorno a esse, e per qualche passo della Scrittura, mal distorto al loro proposito, oseranno biasimare e attaccare questo mio principio, non mi interessa affatto, a tal punto disprezzo anche il loro giudizio come temerario. È risaputo infatti che Lattanzio, scrittore senz’altro notevole ma poco esperto di matematica, parla in modo 64

decisamente scherzoso della forma della Terra quando deride i sostenitori della sua forma globulare. Quindi non deve suscitare meraviglia negli studiosi se personaggi simili rideranno anche di noi. Le cose di matematica si scrivono per i matematici e questi nostri lavori, se io non mi sbaglio, sembreranno arrecare qualche vantaggio anche alla repubblica della Chiesa, di cui Vostra Santità regge ora il governo». Si capisce come appartengano alla categoria descritta quelli che si adoperano in ogni modo perché quest’autore venga condannato senza nemmeno vederlo e che per convincere che ciò non solo sia lecito, ma anche giusto, chiamano in campo l’autorità della Scrittura, dei santi teologi e dei Concili. Poiché io rispetto e tengo nella massima considerazione le suddette autorità, tanto che giudicherei estremamente temerario chi volesse contrastarle quando sono citate in conformità con i fini della Santa Chiesa, credo che sia giusto entrare nel merito quando sussiste il dubbio che qualcuno voglia, per interesse personale, richiamarsi a esse e servirsene per intenzioni contrarie a quelle santissime della Chiesa. Eccomi dunque pronto ad affermare (e credo che la mia sincerità si paleserà da sé) che non solamente sono disposto a rimuovere senza costrizione alcuna quegli errori nei quali potessi incorrere per mia ignoranza in questo scritto a proposito di argomenti connessi alla religione, ma anche a non voler su questi argomenti entrare in contrasto con nessuno, quand’anche ci fosse da discutere. Il mio fine infatti ad altro non tende, se in queste considerazioni che son lontane dall’attività che professo si trovasse tra gli errori qualcosa di confacente per indurre altri a recare utili avvertimenti alla Santa Chiesa nel momento di prendere una decisione sulla teoria di Copernico, che a mettere questo qualcosa a disposizione dei superiori perché ne facciano l’uso 65

che parrà loro più appropriato. In caso contrario, si stracci e si bruci pure il mio scritto, perché io non intendo o pretendo di cavarne alcun frutto che non sia in armonia con quanto si richiede a un buon cattolico. Aggiungo che, benché molte delle cose su cui mi soffermo io le abbia intese con le mie orecchie, ammetto e riconosco tranquillamente di fronte a chi le ha dette che invece non le abbia dette, se così gli piace, accettando l’ipotesi che io abbia potuto fraintenderlo; pertanto quanto rispondo non sia detto per loro, ma per chi la pensasse in quel modo. La ragione dunque che adducono perché sia condannata la teoria della mobilità della Terra e della stabilità del Sole consisterebbe nel fatto che, leggendo le Sacre Scritture, si trovano molti passi in cui si dice che il Sole si muove e la Terra sta ferma; siccome la Scrittura non può mai mentire né sbagliare, ne consegue di necessità che sia sbagliata e da condannare la posizione di chi volesse asserire che il Sole è immobile e mobile invece la Terra. Su questo argomento mi sembra di dover in primo luogo fare la considerazione che è stato molto santamente detto e saggiamente stabilito che la Scrittura non può mai mentire, una volta che se ne sia colto il vero significato. D’altra parte non credo si possa negare che tale significato appaia molte volte nascosto e molto diverso da quello letterale delle parole. Ne consegue che, tutte le volte che chiunque, nell’esporre le Scritture, volesse fermarsi sempre a ciò che letteralmente suonano le parole, potrebbe, essendo tale significato superficiale errato, far emergere non solo contraddizioni e affermazioni lontane dalla verità, ma gravi eresie e addirittura bestemmie: sarebbe infatti necessario attribuire a Dio piedi, mani e occhi, e parimenti sensazioni fisiche e sentimenti umani, come l’ira, il pentimento e l’odio, 66

e talvolta anche l’oblio delle cose passate e l’ignoranza di quelle future. Come queste immagini, in testi ispirati dallo Spirito Santo, furono utilizzate dagli scrittori sacri per venire incontro alle possibilità di comprensione del popolo assai rozzo e ignorante, così in rapporto a coloro che meritano di essere distinti dalla massa è necessario che i commentatori saggi ne svelino i veri significati e svelino anche quali particolari ragioni hanno indotto a esporli in quella forma. Ciò è così minutamente detto e specificato da tutti gli scrittori di teologia che sarebbe superfluo produrne delle prove. Mi sembra dunque di poter molto ragionevolmente dedurre che la stessa Sacra Scrittura, ogni volta che si è posta la necessità di fare affermazioni sulla natura, soprattutto a proposito di fenomeni molto complessi e difficili da capire, non ha messo da parte questo orientamento di fondo per non crear confusione nelle menti del popolo e allontanarlo dall’acquisizione dei dogmi relativi a misteri ben più elevati. Infatti se, come si è detto ed è palese, per il solo fine di adeguarsi alla capacità di comprensione del popolo, la Scrittura non si è astenuta dal velare verità fondamentali, arrivando persino ad attribuire a Dio aspetti lontanissimi e contrari alla sua essenza, chi potrebbe ostinarsi a sostenere che la stessa Scrittura, messo da parte questo criterio, parlando anche incidentalmente di Terra, acqua, Sole o di altre creature, abbia scelto di attenersi con assoluto rigore al significato letterale delle parole? E ciò soprattutto nel dire a proposito di queste creature cose che non hanno niente a che vedere con gli obiettivi prioritari delle stesse Sacre Scritture, cioè il culto di Dio e la salute dell’anima, e cose assai lontane dalla capacità di comprensione del popolo. Ciò dunque fermo restando, mi pare che nelle discussioni pertinenti ad argomenti scientifici non si 67

dovrebbe prendere il via da passi delle Scritture, ma dai dati empirici e dalle dimostrazioni metodologicamente rigorose. Infatti sia la Sacra Scrittura sia la natura procedono ugualmente dal Verbo, l’una dettata dallo Spirito Santo, l’altra obbedientissima esecutrice del piano divino; inoltre, per adeguarsi alle capacità di comprensione di tutti, nelle Scritture è stato necessario fare molte affermazioni che, se ci si ferma alla superficie e al significato letterale delle parole, suonano molto diverse dalla verità assoluta; d’altra parte, la natura opera in modo necessario e immutabile, senza mai valicare i confini delle leggi che le sono state imposte e senza curarsi del fatto che le sue nascoste ragioni e i suoi modi di operare siano comprensibili o meno per gli uomini. Da queste considerazioni sembra dunque che ciò che dei fenomeni naturali vediamo con gli occhi o deduciamo da dimostrazioni scientificamente corrette non debba in nessun modo essere messo in dubbio, e tanto meno condannato, sulla base di passi scritturali che suonassero all’apparenza in contraddizione, visto anche che non tutte le frasi della Scrittura sono legate da vincoli così rigidi come quelli cui è sottoposto ogni fenomeno naturale e che Dio ci si rivela non meno eccellentemente nelle manifestazioni della natura che nei sacri testi della Scrittura. 2 Questo probabilmente intendeva dire Tertulliano affermando: «Noi diciamo che Dio si deve in primo luogo conoscere dalla natura e in secondo luogo conoscere nuovamente dalla dottrina: nella natura dalle opere, nella dottrina dalla predicazione». Con questo non voglio dire che non si debbano tenere nella massima considerazione i passi delle Sacre Scritture, anzi, una volta che si siano acquisite delle certezze di natura scientifica, dobbiamo servircene come efficacissimi strumenti per spiegare correttamente tali Scritture e per interpretarne il contenuto, che non può che essere del tutto vero e in accordo 68

con le verità dimostrate. Tendo in proposito a credere che l’autorità delle Sacre Scritture abbia avuto l’obiettivo di persuadere gli uomini circa argomenti che, trascendendo le possibilità di conoscenza dell’uomo, non potevano essere resi credibili con strumenti razionali o altri mezzi che non fossero la bocca stessa dello Spirito Santo. Direi di più: anche circa gli argomenti che non riguardano la Fede, si deve reputare conveniente e necessario, per il fatto stesso che la sapienza divina supera ogni capacità di giudizio e di ipotesi umana, anteporre l’autorità delle stesse Sacre Scritture a quella di tutte le scritture umane in cui non sia adottato il metodo scientifico, ma che contengano semplici narrazioni, oppure anche ragionamenti motivati. Ma che lo stesso Dio che ci ha dotati di sensi, di intelligenza e della possibilità di esprimerci con il linguaggio abbia voluto, mettendo in secondo piano la funzione di questi suoi doni, darci con altro mezzo le conoscenze che possiamo con essi conseguire, così che anche a proposito della conoscenza della natura, che l’esperienza dei sensi e l’attività razionale espongono davanti agli occhi e all’intelletto, dobbiamo negare la funzione dei sensi e dell’intelligenza, io non penso proprio che si debba credere, soprattutto per quanto riguarda quelle discipline cui la Scrittura accenna solo in minima parte e in luoghi sparsi e lontani fra loro. Tale è appunto l’astronomia, così poco trattata che non sono neppure nominati i pianeti, tranne il Sole e la Luna e, una o due volte soltanto, Venere, con il nome di Lucifero. Se gli scrittori sacri avessero avuto l’intenzione di render noti al popolo l’organizzazione e i movimenti dei corpi celesti e noi conseguentemente dovessimo apprendere tali informazioni dalle Sacre Scritture, non ne avrebbero, secondo me, parlato così poco, che è come dire niente al confronto con l’enorme e straordinaria quantità di nozioni che tale scienza contiene e va di continuo acquisendo. Anzi, è opinione dei 69

santissimi e dottissimi Padri che non solo gli autori delle Sacre Scritture non hanno avuto la pretesa d’insegnarci l’organizzazione e i movimenti dei cieli e degli astri, le loro forme, grandezze e distanze, ma che volutamente, benché tutte queste cose fossero a loro notissime, si sono astenuti dal 3 farlo. Si leggono infatti in sant’Agostino le seguenti parole: «Si suole anche domandare quale forma e figura debbano essere attribuite al cielo secondo le nostre Scritture: molti infatti discutono diffusamente di questi argomenti, che con più prudenza i nostri autori hanno tralasciato. Non giovano infatti ai discepoli per la vita celeste e (il che è peggio) fanno sprecare molto del tempo che dovrebbe essere invece impiegato in questioni attinenti alla salvezza. Che cosa mi importa infatti se il cielo, come una sfera, circonda da ogni parte la Terra, librata al centro della mole del mondo, o la copre dall’alto da una parte sola, come un disco? Ma poiché si tratta della fede delle Scritture, per quel motivo che ho detto più di una volta, cioè affinché nessuno, non comprendendo le parole divine, quando intorno a questi argomenti trovi nei nostri autori o senta dire da loro qualcosa che gli sembri asserire il contrario di ciò che ha imparato, finisca per non credere più in nulla a coloro che raccomandano, affermano o raccontano altre cose utili, bisogna dire brevemente che intorno alla forma del cielo i nostri autori sapevano ciò che appartiene alla verità, ma lo Spirito di Dio, che parlava per mezzo di loro, non volle insegnare agli uomini queste cose, di 4 nessun giovamento per la salvezza». Questa totale noncuranza degli scrittori sacri circa ciò che si deve credere a proposito degli aspetti accidentali dei corpi celesti è ribadita nel capitolo seguente dallo stesso sant’Agostino quando accenna alla questione se il cielo debba intendersi come mobile o fermo: «Anche intorno al moto del cielo alcuni fratelli pongono la questione se stia fermo o si muova: perché 70

se si muove, dicono, in che modo è “firmamento”? Se invece sta fermo, come mai le stelle, che in esso si credono fisse, vanno da oriente a occidente, le settentrionali compiendo giri più brevi vicino al cardine, cosicché il cielo sembra ruotare come una sfera (se c’è un altro cardine a noi nascosto al vertice opposto) o come un disco (se non c’è un altro cardine)? A costoro rispondo che tali questioni sono state investigate con argomenti molto sottili e complessi, per capire come stiano veramente le cose, ma io non ho più il tempo per occuparmene ed entrare nel merito, né devono averne coloro che desideriamo ammaestrare su quanto è necessario per la loro salvezza e l’utilità della Santa Chiesa». Adattando queste osservazioni al nostro caso particolare, ne deriva come conseguenza necessaria che, non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muove o sta fermo, né se ha forma di sfera o di disco o di figura piana, né se contiene la Terra al centro o la copre da una parte, non avrà nemmeno avuto l’intenzione di informarci su altre questioni dello stesso genere e così strettamente collegate con le questioni predette che, senza un chiarimento su quelle, non si può affermare nulla su queste altre particolari, vale a dire il moto e la quiete della Terra e del Sole. Ma se lo Spirito Santo a bella posta ha tralasciato di fornirci simili conoscenze, perché non attinenti al suo scopo, cioè alla salvezza della nostra anima, come si può affermare adesso che l’assumere una posizione piuttosto che l’altra sia tanto obbligante che l’una è da ritenersi materia di Fede e l’altra errata? Come può essere insieme una posizione eretica e non aver niente a che fare con la salvezza delle anime? O si deve pensare che lo Spirito Santo ha voluto non insegnarci cose attinenti alla salvezza? In proposito ricordo quello che ho personalmente 5 sentito dire a un personaggio ecclesiastico di altissimo grado e cioè che l’obiettivo dello Spirito Santo è quello di insegnarci 71

come si va in cielo, e non come va il cielo. Ma torniamo a occuparci di quanto nella conoscenza della natura debbano essere stimate le dimostrazioni necessarie e le sensate esperienze e di quanto autorevoli le hanno giudicate i dotti e i santi teologi. Presso di loro, 6 insieme con cento altre testimonianze, troviamo: «Bisogna dunque porre scrupolosa attenzione ed evitare in ogni modo, nel trattare la dottrina di Mosè, di prestare ascolto e dire categoricamente qualunque cosa che si opponga a manifeste esperienze e alle argomentazioni della filosofia o di altre discipline: infatti, poiché ogni cosa vera è sempre in accordo con la verità, la verità delle Sacre Lettere non può essere contraria alle argomentazioni vere e agli esperimenti delle 7 dottrine umane». E in sant’Agostino si legge: «Se a una prova certa e manifesta si contrappone un’autorità come quella delle Sacre Scritture, c’è un difetto di comprensione: chi lo fa, contrasta la verità non con il senso della Scrittura, cui non è riuscito ad arrivare, ma piuttosto con il proprio senso, e fa opposizione non con ciò che in essa è contenuto, ma con ciò che trova in sé al posto di quella». Stando così le cose e non potendo due verità, come si è detto, essere in contrasto tra loro, è compito dei commentatori saggi adoperarsi per penetrare il vero significato dei passi sacri, che, senza alcun dubbio, concorderà con le conclusioni cui si approda nell’indagine della natura, accertate mediante l’esperienza o le dimostrazioni necessarie. Anzi, poiché come è stato anche già detto le Scritture per le spiegate ragioni possono in molti passi essere interpretate in modo diverso rispetto al significato letterale del testo e per di più non si può affermare con certezza che tutti gli interpreti parlino per ispirazione divina (se così fosse infatti, non potrebbe sorgere tra i commentatori 72

alcuna divergenza sul significato del medesimo passo), mi sembrerebbe un modo molto prudente d’agire l’impedire a chiunque di vincolare i passi scritturali e in un certo senso costringerli a suffragare questa o quella teoria scientifica, dopo che l’esperienza e le dimostrazioni rigorose fossero giunte a provare il contrario. Chi vuole porre un limite all’ingegno umano? Chi vorrà sostenere che si è già visto e saputo tutto quello che al mondo c’è da vedere e da sapere? Forse gli stessi pronti ad ammettere in altre occasioni (come grande verità) che «le cose che sappiamo sono una minima parte di quelle che ignoriamo?». Piuttosto, se per bocca dello 8 stesso Spirito Santo sappiamo che «Dio lasciò il mondo alle loro dispute, affinché l’uomo non scopra l’opera che Iddio ha compiuto dall’inizio alla fine», non si deve, secondo me, contraddire quest’affermazione e sbarrare la strada alla ricerca e al pensiero in merito alle cose del mondo e della natura, come se tutte fossero già state scoperte e rese note con certezza. Parimenti non si dovrebbe giudicare temerario l’atteggiamento di chi non si ferma alle credenze diffuse e non dovrebbe esserci, nelle discussioni che hanno per tema la natura, un interlocutore che si indigna con un altro che non sottoscrive la posizione che piace a lui, soprattutto a proposito di problemi che da migliaia di anni sono oggetto di controversia tra filosofi grandissimi, come il problema della fissità del Sole e della mobilità della Terra. Penso in proposito a Pitagora e a tutta la sua scuola, a Eraclide Pontico, che la pensava nel medesimo modo, a Filolao maestro di Platone e, come riferisce Aristotele, a Platone stesso. Di lui Plutarco, nella Vita di Numa, racconta che, ormai vecchio, sosteneva che era veramente assurdo avere un’altra opinione. In modo analogo la pensarono Aristarco di Samo, come si apprende da Archimede, il matematico Seleuco, il filosofo Iceta di Siracusa, citato da Cicerone, e molti altri, per arrivare a 73

Niccolò Copernico, che ampliò e confermò la teoria con molte osservazioni e dimostrazioni. E Seneca, filosofo eminentissimo, nel libro Sulle comete invita a impiegare la massima cura per accertare se sia il cielo o sia la Terra a compiere la rotazione diurna. Per questo non potrebbe essere che saggia e utile la decisione di non aggiungere, senza che ve ne sia la necessità, altri precetti a quelli che riguardano la salute dell’anima e la stabilità della Fede, contro i quali non c’è il pericolo che possa mai nascere una dottrina valida ed efficace. E se è così, sarebbe veramente fonte di disordine aggiungerli su richiesta di persone che, oltre al fatto che ignoriamo se parlino o meno ispirati dalla virtù divina, lasciano chiaramente a desiderare per quanto riguarda quell’intelligenza che sarebbe necessaria per capire, prima di criticare, le dimostrazioni di cui le scienze esatte si avvalgono per provare simili teorie. Se mi fosse lecito esprimere il mio parere, mi spingerei a dire che sarebbe più conveniente al decoro e alla maestà delle Sacre Scritture evitare che ogni scrittorucolo possa, per conferire autorità alle sue opere, spesso fondate su vane fantasie, spargervi passi della Sacra Scrittura interpretati, o più spesso stiracchiati, in direzione tanto lontana dalle rette intenzioni della Scrittura quanto vicina alla derisione di coloro che non senza qualche vana ostentazione se ne adornano. Si potrebbero fare molti esempi di un tale abuso, ma mi accontento di farne due, nell’ambito di problematiche di astronomia. Il primo riguarda le pubblicazioni contrarie ai pianeti Medicei, da me recentemente scoperti, contro la cui esistenza furono chiamati in gioco vari passi della Sacra Scrittura: ora che i pianeti si mostrano a tutto il mondo, mi piacerebbe sentire a quali nuove interpretazioni ricorrono quegli stessi oppositori nell’esporre la Scrittura e come spiegano la loro ingenuità. L’altro esempio recente di una 74

pubblicazione contro gli astronomi e i filosofi è quello per cui si sostiene che la Luna non riceve la luce dal Sole ma è dotata di luce propria, teoria che si pretenderebbe di convalidare con vari passi della Scrittura che, a detta dell’autore, non potrebbero essere salvati se tale teoria non venisse accolta come vera e necessaria. Tuttavia, che la Luna per sé stessa sia priva di luce, non è meno chiaro dello splendore del Sole. Pertanto resta fuori di dubbio che tali scrittori, per non aver capito il significato autentico di certi passi della Scrittura, se davvero avessero rivestito grande autorità l’avrebbero strumentalizzata per obbligare gli altri a considerare come vere delle affermazioni contrarie all’esperienza dei sensi e al ragionamento: che Dio ci salvi dal diffondersi di questo abuso e dal consenso che potrebbe acquistare, perché si sarebbe in breve tempo costretti a vietare ogni scienza. Essendo infatti molti di più gli uomini poco inclini a capire perfettamente sia le Sacre Scritture sia le altre scienze rispetto agli intelligenti, i primi, fermandosi alla superficie del testo sacro, si arrogherebbero l’autorità di dare giudizi definitivi su tutte le questioni che riguardano la natura, in forza di qualche parola che hanno male interpretata ed è stata espressa dagli scrittori sacri con altri propositi. Né il numero esiguo di quelli che capiscono qualcosa potrebbe arrestare il loro furioso dilagare, ed essi troverebbero tanti più sostenitori quanto più è gratificante acquistare la fama di sapiente senza studio e senza fatica che dedicarsi fino all’esaurimento delle proprie forze a scienze di grandissima complessità. Perciò dobbiamo sommamente ringraziare Dio benedetto che per sua bontà ci libera da questo timore e destituisce d’autorità gli individui di quella sorta, indicando nella somma sapienza e bontà dei prudentissimi Padri e nella suprema autorità di coloro che, assistiti dallo Spirito Santo, non possono che dar sante prescrizioni, l’ambito in cui consultare, risolvere ed esprimere 75

giudizi su questioni tanto importanti, e così autorizzandoci a non tener conto della vanità degli altri. Questa sorta di individui, a parer mio, sono proprio quelli contro i quali, non senza ragione, si scagliano i santi e profondi autori, fra cui in 9 particolare san Girolamo: «Di questa (dice a proposito della Scrittura) la vecchia pettegola, il vecchio fuori di senno, il sofista logorroico, tutti insomma si appropriano, la fanno a pezzi, la insegnano prima di imparare. Altri, con la fronte aggrottata, soppesando parole d’effetto, filosofeggiano sulle Sacre Scritture tra le donnette; altri ancora imparano, ahimè, dalle donne, quello che devono insegnare agli uomini e, come se non bastasse, con una certa facilità di parole, anzi, con audacia, spiegano agli altri quello che in prima persona non capiscono. Taccio dei miei simili che, se per caso sono approdati alle Sacre Scritture da una formazione letteraria profana, e sono avvezzi ad accarezzare le orecchie del popolo con discorsi forbiti, credono legge di Dio qualunque cosa hanno detto e non si degnano di sapere che cosa ne pensarono Profeti e Apostoli, ma adattano a quello che hanno in mente loro prove incongrue, come se non fosse un grave e perverso metodo di insegnamento deformare le frasi e piegare al proprio volere la Scrittura che a tal volere ripugna». Io non voglio annoverare tra simili scrittori mondani alcuni teologi, che io giudico uomini molto dotti e di costumi ineccepibili e tengo pertanto in grande stima e venerazione; non posso tuttavia negare che mi resta qualche perplessità, e desidero pertanto dissiparla, quando sento che pretendono di avere il diritto di costringere altri, facendo appello all’autorità della Scrittura, ad accogliere in questioni relative alla natura la teoria che a loro sembra più consonante con il testo sacro, ritenendosi contemporaneamente esonerati dal dover controbattere ai ragionamenti o all’esperienza che provano il contrario. Per motivare e suffragare questa posizione 76

sostengono che, essendo la teologia regina di tutte le scienze, non deve in nessun modo abbassarsi per confrontarsi con le altre scienze meno degne e sottoposte; sono invece queste che devono fare riferimento alla teologia come una sovrana assoluta ed eventualmente cambiare o modificare le conclusioni cui giungono in rapporto ai fondamenti e alle prescrizioni della teologia. Aggiungono per di più che, quando in una scienza di rango inferiore si dovesse approdare a una certezza, per via di dimostrazione o mediante l’esperienza, per la quale si trovasse nella Scrittura una formulazione in contrasto, gli stessi esperti di quella scienza devono di loro iniziativa accantonare le loro dimostrazioni e scoprire la fallacia delle loro esperienze, senza ricorrere ai teologi e agli interpreti delle Scritture. Ciò perché, come si è detto, non è dignitoso per la teologia abbassarsi ad analizzare gli errori delle scienze inferiori, ma le compete solo di vagliare la verità di un’affermazione scientifica, con l’autorità assoluta e la sicurezza di non poter sbagliare. Le proposizioni scientifiche per le quali essi dicono che dobbiamo attenerci alla Scrittura, senza commentarla o interpretarla diversamente che alla lettera, sono secondo loro quelle a proposito delle quali la Scrittura parlerebbe sempre nello stesso modo, e nello stesso modo le avrebbero accolte ed esposte tutti i Santi Padri. Di questa posizione io non posso fare a meno di soffermarmi su alcuni particolari, che ora prenderò in considerazione, per essere eventualmente richiamato da coloro che in questa materia sono più esperti di me e al cui giudizio io mi sottopongo sempre. Innanzi tutto dubito che non possa nascere qualche equivoco quando non si distinguano gli ambiti prioritari per i quali la sacra teologia è degna del titolo di regina. Essa infatti potrebbe essere tale per il fatto che comprende e dimostra con mezzi migliori e più profonda dottrina quello che viene 77

insegnato da tutte le altre scienze, come, per esempio, le formule per misurare e calcolare sono più sublimemente presenti nell’aritmetica e nella geometria di Euclide che nella pratica degli agrimensori e di chi si occupa di conti. Oppure la teologia potrebbe essere regina perché l’oggetto di cui si occupa supera in dignità gli oggetti di studio di tutte le altre scienze e perché impartisce i suoi insegnamenti con mezzi più sublimi. Che il titolo e l’autorità regale competano alla teologia nel primo senso, penso non possa essere ritenuto vero da quei teologi che hanno anche solo un po’ di pratica delle altre scienze. Nessuno di questi infatti potrebbe dire che nei libri sacri la geometria, l’astronomia, la musica e la medicina sono più eccellentemente e perfettamente contenute che in Archimede, in Tolomeo, in Boezio e in Galeno. Perciò sembra che si debba intendere la regale supremazia nel secondo senso, cioè per l’altezza della materia di cui si occupa e per l’ammirevole insegnamento delle rivelazioni divine su temi che gli uomini non avrebbero potuto capire per altra via, concernenti in primo luogo la salvezza eterna. Ma se la teologia, occupandosi dei disegni divini e avendo per questo dignità regale, ovvero la somma autorità, non si piega alle più basse e umili investigazioni delle scienze inferiori, anzi, come è stato detto, non se ne cura perché non hanno niente a che vedere con la salvezza dell’anima, i dotti e i ministri di questa scienza suprema non dovrebbero arrogarsi l’autorità di stabilire decreti negli ambiti che non esercitano e non studiano. Sarebbe infatti come se un sovrano assoluto, sapendo di essere libero di comandare e farsi ubbidire a suo piacimento, volesse, non essendo né medico né architetto, che si curassero i malati e si facessero costruzioni a modo suo, con grave pericolo di vita per i poveri malati e inevitabile crollo degli edifici. Quanto poi all’ordinare agli stessi esperti di astronomia 78

di cautelarsi da sé contro le proprie osservazioni e dimostrazioni, perché non possono essere altro che inganni e sofismi retorici, si tratta di un ordine che non può in nessun modo essere eseguito. Si ordina loro infatti non solo di non vedere quello che vedono e di non sentire quello che sentono, ma anche, nella ricerca, di trovare il contrario di ciò in cui si imbattono. Prima di pretendere ciò, bisognerebbe che fosse loro indicato come far sì che le facoltà distinte dell’anima possano dare ordini l’una all’altra, quelle inferiori a quelle superiori, così che la facoltà immaginativa e la volontà possano e vogliano credere il contrario di ciò che intende l’intelletto (parlo sempre di argomenti attinenti alle scienze della natura che non sono proposizioni di Fede, e non di argomenti soprannaturali e di Fede). Io vorrei pregare questi Padri molto saggi di prendere attentamente in considerazione la differenza che passa tra il sapere frutto di congetture e quello frutto di dimostrazioni per cui, avendo ben chiaro quanto sia il secondo vincolante, si rendessero meglio conto di come non sia possibile per chi lo professa cambiare opinione semplicemente perché lo vogliono loro, a proposito di questa o quella teoria dimostrata. È infatti molto diverso chiedere obbedienza a un matematico o a un filosofo o impartire disposizioni a un mercante o a un uomo di legge e non è ugualmente facile modificare le conclusioni dimostrate nelle scienze naturali o in astronomia e quelle relative alla liceità degli articoli di un contratto, di una rendita su capitale o di un cambio. Tale differenza è stata colta benissimo dai dottissimi e santi Padri, come dimostra il fatto che hanno posto moltissima cura nel confutare varie posizioni, o per meglio dire falsità, in ambito filosofico, e come espressamente si legge presso alcuni di loro. In particolare leggiamo in 10 sant’Agostino: «Non si deve esitare a palesare come non contraria alle nostre Scritture qualunque cosa i sapienti di 79

questo mondo pervengano a dimostrare veracemente intorno alla natura, e a credere d’altra parte assolutamente falsa qualunque cosa essi insegnino nei loro libri contraria alle Sacre Scritture e a palesarlo in ogni modo possibile: così restiamo fedeli a nostro Signore, in cui son nascosti tutti i tesori della sapienza, e non ci lasciamo sedurre dal vano parlare della falsa filosofia, né spaventare dalla superstizione di una religione simulata». Da queste parole mi pare si possa ricavare questa indicazione: nei libri dei sapienti di questo mondo sono contenute alcune teorie sulla natura correttamente dimostrate e altre semplicemente insegnate. Per quanto riguarda le prime, è compito dei teologi saggi palesare che non sono contrarie alle Sacre Scritture; quanto alle seconde, insegnate ma non correttamente dimostrate, nel caso in cui contengano qualcosa di contrario alle Sacre Lettere, devono essere giudicate senza alcun dubbio false e lo si deve palesare in ogni modo possibile. Se dunque alle conclusioni cui la scienza giunge con metodo corretto non devono essere opposti passi scritturali, impegnandosi piuttosto a spiegare come non ci possa essere contrasto, ne consegue che, prima di condannare una teoria scientifica, si deve puntare sul rendere evidente che non è stata dimostrata con metodo corretto. Questo non è compito di quelli che la credono rispondente a verità, ma di quelli che la ritengono falsa, come appare essere ragionevole e naturale. Vale a dire che è molto più facile che trovino le pecche di un discorso quelli che non lo condividono piuttosto che quelli che lo credono vero e sufficientemente motivato; anzi, accadrebbe in quest’ultimo caso che le persone convinte di una certa cosa, riprendendo in mano tutte le argomentazioni, esaminando le ragioni addotte, replicando le osservazioni e riverificando gli esperimenti, potrebbero maggiormente confermarsi nelle loro convinzioni. E Vostra 80

Altezza sa che cosa accadde al Pomarance, matematico in passato attivo presso lo Studio di Pisa, quando si interessò ormai vecchio alla dottrina di Copernico. Nutriva la speranza di poterla fondatamente confutare (perché la riteneva falsa, non avendone mai presa visione), ma gli accadde che, non appena si rese conto dei suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, la sottoscrisse e da oppositore ne divenne un convinto difensore. Potrei nominare anche altri eminenti 11 matematici i quali, sulla spinta delle mie ultime scoperte, hanno dichiarato la necessità di modificare la tradizionale concezione del mondo, non potendo più reggere in alcun modo. Se per rimuovere la nuova teoria e gli insegnamenti su di essa fondati bastasse chiudere la bocca a uno solo, come sono forse convinti coloro che, misurando con il proprio metro le opinioni altrui, ritengono impossibile che tale dottrina possa sussistere e trovare adepti, la cosa sarebbe facilissima a farsi. Ma la questione si pone in altri termini perché, per raggiungere un simile obiettivo, sarebbe necessario proibire non solo il libro di Copernico e gli scritti degli altri studiosi che ne condividono la dottrina, ma lanciare l’interdetto sull’intera scienza astronomica, e vietare addirittura agli uomini di guardare il cielo. Così non potrebbero vedere Marte e Venere ora molto vicini alla Terra e ora molto lontani, con tanta differenza che si vedono rispettivamente sessanta e quaranta volte più grandi in un caso rispetto all’altro. Né potrebbero vedere la stessa Venere ora piena, ora a falce molto assottigliata alle punte, nonché fare molte altre sensate osservazioni che in nessun modo possono trovar spiegazione nel sistema tolemaico, ma offrono invece prove inconfutabili della validità di quello copernicano. Proibire Copernico, ora che molte nuove osservazioni e l’approfondimento della sua lettura da parte di 81

molti studiosi ne rendono ogni giorno più rispondente al vero e salda la dottrina, per di più dopo averla accettata per tanti anni quando non era ancora così seguita e provata, equivarrebbe a mio parere ad andare contro la verità e a cercare tanto più di nasconderla e sopprimerla quanto più si dimostra palese e chiara. Il non abolire poi tutta la sua opera, ma solo bollare come falsa questa teoria particolare, sempre se non mi inganno, sarebbe un danno ancora maggiore per le anime, che potrebbero esser messe di fronte al fatto che ha avuto approvazione una teoria della quale poi si sostiene che è peccato il crederla. Proibire infine la scienza nel suo complesso, che altro sarebbe se non smentire i moltissimi passi delle Sacre Scritture che ci insegnano come la gloria e la grandezza di Dio sommo si scorge mirabilmente in tutte le sue opere e si legge divinamente nel libro aperto del cielo? Né bisogna credere che la lettura dei sublimi concetti scritti in questo libro si esaurisca nella vista del Sole e delle stelle, del loro comparire e scomparire dal cielo, che è il livello cui si arrestano gli occhi dei semplici e degli ignoranti, perché vi sono contenuti misteri tanto profondi e concetti tanto sublimi che le veglie, le fatiche e gli studi di cento e cento ingegni acutissimi non hanno ancora permesso di penetrare, in ricerche che durano da migliaia e migliaia di anni. E siano pure i semplici a credere che, come quello che i loro occhi percepiscono nel guardare un corpo umano è una minima cosa rispetto ai congegni meravigliosi che vi scoprono l’anatomista diligente e lo studioso, mentre investigano sulla funzione di tanti muscoli, tendini, nervi e ossa, esaminano le funzione del cuore e degli altri visceri principali, ricercano la sede delle facoltà vitali, osservano la mirabile struttura degli organi di senso e, senza finir mai di stupirsi e senza accontentarsi, ricercano la sede dell’immaginazione, della memoria e del linguaggio, così ciò che mostra il solo senso 82

della vista è come nulla in rapporto alle sublimi meraviglie che, grazie a lunghe e scrupolose osservazioni, l’ingegno degli intelletti addestrati scorge nel cielo. E questo è tutto quello che ho da dire su tale questione. Circa poi l’altra, per cui le affermazioni a proposito della natura che la Scrittura ribadisce e tutti i Padri concordemente accolgono nello stesso senso dovrebbero essere intese attenendosi al significato puramente letterale, senza spiegazioni o interpretazioni, e accolte e ritenute come assolutamente vere, e quindi, facendo parte di queste affermazioni la mobilità del Sole e la stabilità della Terra ed essendo pertanto argomenti di Fede, si devono accogliere come vere e giudicare falsa l’opinione contraria, ho delle considerazioni da aggiungere. In primo luogo sulla natura si possono produrre alcune teorie che, con gli strumenti della ragione e del linguaggio, rientrano prima nel campo della verosimiglianza e della probabilità che della scienza fondata su dimostrazioni certe: è il caso, per esempio, della questione se le stelle siano animate. Di altre invece si ha, o si può essere sicuri di ottenere mediante esperimenti, prolungate osservazioni e dimostrazioni necessarie, assoluta certezza, e questo è il caso della mobilità o meno di Terra e Sole, nonché della sfericità o meno della Terra. Circa le questioni del primo tipo, non dubito che, quando gli strumenti di comprensione umana si rivelino insufficienti e non è quindi possibile acquisire certezze scientifiche, ma far solo delle congetture o credere per fede, sia opportuno per un credente attenersi scrupolosamente al significato letterale del testo sacro. Circa quelle del secondo tipo, invece, mi sembrerebbe il caso, come ho già detto, che prima ci si accerti del fatto, il quale aiuterebbe a scoprire il vero significato dei passi scritturali, che inevitabilmente risulterebbe in accordo con il fatto dimostrato, benché all’apparenza le parole suonassero 83

diversamente. Due verità infatti non possono mai essere in contrasto tra loro. Questo principio mi pare tanto più giusto e corretto in quanto lo trovo puntualmente ribadito da sant’Agostino che, parlando della forma che si deve credere abbia il cielo, visto che gli astronomi sembrano affermare il contrario di quanto dice la Scrittura sostenendo che è di forma sferica, mentre la Scrittura la definisce piatta come una pelle, precisa che non si deve dar peso al fatto che la Scrittura è in contrasto con gli astronomi e che si deve confidare sulla sua autorità, se essi fanno affermazioni false e fondate soltanto su congetture inficiate dall’imperfezione umana; se però quanto affermano fosse provato da ragioni inconfutabili, questo Santo Padre non dice che si deve ordinare agli astronomi di cancellare le loro dimostrazioni e di dichiarare in prima persona false le loro deduzioni, ma che si deve chiarire che quanto si dice nella Scrittura a proposito della forma piatta non contrasta con le dimostrazioni vere. Ecco le 12 sue parole: «Ma qualcuno si chiede in che modo non sia contrario a quelli che attribuiscono al cielo una forma sferica quel passo dei nostri libri che recita: “Colui che stende il cielo come una pelle”. E contrario sia, se ciò che essi affermano è falso; è vero infatti ciò che dice la divina autorità, piuttosto che ciò che presume l’umana imperfezione. Ma se per caso essi potranno sostenere la loro teoria con prove tali che non se ne possa dubitare, occorrerà dimostrare che quanto è detto nei nostri libri a proposito della pelle non è contrario a quelle vere ragioni». Prosegue poi con l’ammonirci a non essere meno scrupolosi nel ricercare l’accordo tra un passo della Scrittura con una teoria scientifica dimostrata che con un altro passo che suonasse il contrario. Mi pare proprio che debba essere ammirata e imitata la prudenza di questo Santo che, anche su questioni misteriose, a proposito delle quali si può essere certi che i mezzi umani non possano giungere a 84

certezze scientifiche, è molto cauto nel dire ciò che si deve credere, come si ricava dalla conclusione del suo scritto Del Genesi, esegesi letterale, parlando della possibilità o meno che le stelle siano animate: «A proposito di questa cosa, anche se fino a oggi non può essere facilmente compresa, penso tuttavia che, continuando a esaminare le Scritture, si potrebbero trovare dei passi più adatti a consentirci se non di dimostrare, almeno di credere qualcosa di certo sulla base di quanto scritto dalla santa autorità. Ma per ora, mantenendo ferma la moderazione della prudenza religiosa, non dobbiamo temere di creder nulla intorno a un argomento oscuro, affinché non ci capiti poi di odiare ciò che la verità avrà rivelato per attaccamento al nostro errore, quantunque tale verità non possa essere in nessun modo contraria ai libri sacri sia del Vecchio sia del Nuovo Testamento». Riflettendo su questi e altri simili passi mi sembra, se non m’inganno, che l’intenzione dei Santi Padri a proposito di affermazioni sulla natura e non di Fede sia quella di richiamare a considerare in primo luogo se sono incontrovertibilmente dimostrate o provate da palesi esperienze sensibili, o comunque se sia possibile provarle in questo modo; se così è, essendo questo sapere a sua volta un dono di Dio, vi si deve far riferimento nel ricercare il significato autentico di quei passi delle Sacre Scritture che presentassero all’apparenza un significato contrario. Tale compito sarà senza dubbio di pertinenza dei teologi sapienti, che indagheranno inoltre sulle ragioni per cui lo Spirito Santo ha voluto, in alcuni casi, perché ci esercitassimo e per qualche altra ragione a me sconosciuta, velare il vero significato sotto l’apparenza di un significato diverso. Continuando nelle mie osservazioni e tenendo presente lo scopo primario delle Sacre Scritture, non mi pare che 85

l’essersi sempre espresse nello stesso senso su una determinata questione infici la regola. Infatti se alla Scrittura occorre, per adeguarsi alle capacità di comprensione della massa, esprimere una volta concetti in una forma che suona differente rispetto al loro vero significato, perché non dovrebbe per la stessa ragione aver assunto tale orientamento tutte le volte che doveva dire la medesima cosa? Anzi, mi pare che il fare diversamente avrebbe aumentato la confusione e compromesso la disponibilità a credere del popolo. Che poi a proposito della mobilità e della fissità del Sole e della Terra fosse necessario, per adeguarsi alle capacità di comprensione della massa, dire quello che dicono le parole della Scrittura, è chiaramente provato dall’esperienza: anche ai tempi nostri il popolo assai meno rozzo è fermo nelle stesse convinzioni che, valutate ed esaminate con cura, risulteranno superficialissime e motivate da esperienze o del tutto false o totalmente estranee al caso; né è possibile smuoverlo da tali convinzioni, non essendo in grado di cogliere le prove contrarie, dipendenti da raffinate osservazioni e sottili dimostrazioni, che si avvalgono delle regole del pensiero astratto e che per essere capite richiedono troppo fervida immaginazione. Perciò, quand’anche tutti gli studiosi convenissero che la stabilità del Sole e la mobilità della Terra sono fatti certi e provati, bisognerebbe comunque, per mantenere credito presso la moltitudine, dire il contrario. Se infatti venissero interrogate mille persone scelte tra il popolo sulla suddetta questione, non se ne troverà forse nemmeno una che non risponda di creder per certo, come le par di vedere, che il Sole si muove e la Terra sta ferma. Non per questo tuttavia si deve addurre questo consenso popolare generalizzato come prova della verità di ciò che viene affermato, perché se si interrogassero le stesse persone circa le cause e le ragioni per cui credono quello che credono e ci si informasse su quali 86

esperienze e dimostrazioni inducano gli altri pochi a credere il contrario, si scoprirebbe che le convinzioni di questi ultimi poggiano su validissime ragioni mentre quelle degli altri su apparenze molto superficiali e riscontri inconsistenti e ridicoli. Che si dovesse attribuire il moto al Sole e la quiete alla Terra, per non confondere il popolo già poco perspicace e suscitare in esso resistenze e rifiuti rispetto agli argomenti principali, che sono assolutamente di Fede, è decisamente palese. Se dunque era necessario fare così, non c’è per nulla da meravigliarsi che le Sacre Scritture l’abbiano fatto con infinita saggezza. Anzi, non solo il rispetto delle limitate capacità del popolo, ma anche le convinzioni comuni a quei tempi fecero sì che gli scrittori sacri su materie non concernenti la beatitudine eterna si regolassero più sulle convinzioni correnti che non sull’essenza dei fatti. In proposito scrive san 13 Gerolamo: «Come se nelle Sacre Scritture non si dicano molte cose secondo le convinzioni del tempo cui i fatti si rifanno e non secondo ciò che era la verità della cosa». E lo 14 stesso Santo, in un altro passo: «È nella consuetudine delle Scritture che lo Storico relazioni su molte cose nel modo in cui erano credute in quel tempo da tutti». San Tommaso, 15 commentando il capitolo 27 di Giobbe, a proposito della frase «Lui che distende l’aquilone sul vuoto e sospende la Terra sul nulla», osserva che la Scrittura definisce “vuoto” e “nulla” lo spazio che abbraccia e circonda la Terra, mentre noi sappiamo che non è vuoto, ma pieno d’aria, e asserisce inoltre che, per adattarsi alle credenze del popolo, che pensa che in tale spazio non vi sia nulla, lo chiama “vuoto” e “nulla”. Queste le sue parole: «Perché l’emisfero superiore del cielo non ci mostra nulla, se non uno spazio pieno d’aria, che la massa del popolo reputa vuoto: l’esposizione è infatti 87

adeguata alle opinioni popolari correnti, come è consueto nella Sacra Scrittura». Proprio da questo passo mi pare si possa argomentare che la Sacra Scrittura, con lo stesso intendimento, abbia avuto molti più motivi per dire che il Sole è mobile e la Terra stabile. Infatti, se mettessimo alla prova la gente comune, incontreremmo maggiori resistenze a convincerla della stabilità del Sole e della mobilità della Terra che non del fatto che lo spazio che ci circonda è pieno d’aria. Dunque, se gli scrittori sacri su quest’ultimo punto, su cui il popolo non avrebbe avuto particolari difficoltà a essere convinto, si sono ugualmente astenuti dal tentare di convincerlo, dovrà sembrare molto ragionevole che su altre questioni ben più complesse abbiano adottato lo stesso atteggiamento. Anzi, essendo Copernico ben consapevole di quale forza esercitino nella nostra immaginazione un’abitudine inveterata e una maniera di concepire le cose acquisita già dalla prima infanzia, per non accrescere la confusione e la difficoltà in un processo di astrazione, dopo aver prima dimostrato che quelli che a noi sembrano movimenti del Sole o del firmamento appartengono in realtà alla Terra, quando arriva a stendere delle tavole per l’uso pratico, li chiama movimenti del Sole e del cielo che sovrasta i pianeti; parla infatti della nascita e del tramonto del Sole e delle stelle, di mutazioni nell’obliquità dello zodiaco e di variazioni nei punti equinoziali, di movimento medio, anomalia e prostaferesi del Sole, e così via, mentre sono in realtà movimenti che riguardano la Terra. Ma visto che noi ci stiamo sopra, per cui partecipiamo di ogni suo movimento e non possiamo di conseguenza rendercene conto, mentre possiamo al contrario metterla in relazione ai corpi celesti di cui i movimenti ci appaiono, chiamiamo fatti quelli che fatti ci sembrano. Da ciò si noti quanto sia opportuno adeguarsi al 88

nostro più comune modo di intendere. Sulla questione del comune accordo dei Padri nell’accogliere un’affermazione relativa alla natura con il medesimo significato, per cui sarebbe autenticata come materia di Fede e come tale dovrebbe essere assunta, io penso che, al limite, dovrebbe valere solo per quelle teorie che i Padri avessero studiate e analizzate con assoluta diligenza, verificando il pro e il contro prima di accordarsi ad accogliere all’unanimità questa o quella interpretazione. Ma quella della mobilità della Terra e stabilità del Sole non è una teoria di questo genere, perché a quei tempi era del tutto insondata e lontanissima dai temi di dibattito nelle scuole, non solo non presa in considerazione, ma anche non seguita da alcuno. Si può dunque pensare che ai Padri non venisse nemmeno in mente di discuterla, esprimendo i passi scritturali in proposito la loro stessa opinione, coincidente con quella diffusa fra tutta la gente, senza che nessuno sollevasse obiezioni. Non basta allora sostenere che tutti i Padri tengon per ferma la stabilità della Terra, eccetera, e prescrivere di assumer la cosa come una verità di Fede, ma bisogna provare che essi hanno condannato l’opinione contraria. Si può infatti sempre sostenere che il non aver loro avuta l’occasione di rifletterci e di discuterla li ha indotti a lasciarla perdere e ad assumere l’idea come corrente e non come definitivamente chiarita e accertata. Sono convinto di poter dire ciò con validissima ragione: o i Padri hanno riflettuto su questa teoria come controversa, o non l’hanno fatto; se non l’hanno fatto, non hanno nemmeno avuto la possibilità di arrivare a una conclusione, anche personalmente. Che poi abbiano trascurato la cosa, non ci obbliga ad accogliere precetti che non hanno mai avuto neanche l’intenzione di imporci: se ci si fossero applicati e li avessero valutati, giudicandoli falsi, li avrebbero condannati, ma si rileva che non è andata così. 89

Anzi, dopo che alcuni teologi hanno incominciato a occuparsi della questione, non l’hanno stimata errata, come si evince dalla lettura dei Commentari di Diego da Zuñiga a Giobbe (capitolo IX, versetto 6) a proposito dell’espressione «Che smuove la Terra dal suo posto», eccetera, in cui si sofferma a lungo sulla teoria di Copernico per giungere alla conclusione che la mobilità della Terra non è in contrasto con la Scrittura. Comunque io avrei qualche dubbio sulla questione, cioè se sia vero che la Chiesa obblighi ad assumere come di Fede teorie di questo genere relative alla natura, che hanno la sola caratteristica di un’interpretazione concorde da parte di tutti i Padri; e dubito che possa essere che chi la pensa così abbia desiderato forzare a favore della propria opinione le disposizioni dei Concili, che in materia proibiscono solo di interpretare in senso contrario a quello assunto dalla Santa Chiesa o unanimemente dai Padri solo quei passi che sono oggetto di Fede, oppure riguardano la morale, o ancora concernono la dottrina cristiana. Così infatti si esprime il 16 Concilio di Trento, alla IV Sessione. Ma l’argomento della mobilità o stabilità della Terra e del Sole non ha niente a che vedere con la Fede, né la morale, né con alcuna intenzione da parte di chiunque di stravolgere passi della Scrittura per contrastare la Santa Chiesa o i Padri, anzi, chi ha messo per iscritto questa dottrina non è mai ricorso a passi della Scrittura, lasciando all’autorità dei seri e sapienti teologi il compito di interpretare questi passi in conformità al loro vero significato. Che poi le disposizioni conciliari siano in armonia su questo con l’orientamento dei Santi Padri è molto chiaro: sono infatti tanto lontane dalla risoluzione che debbano essere assunti come verità di Fede argomenti riguardanti la natura o a condannare come errate le opinioni contrarie che, interessandosi pressantemente ai compiti prioritari della Santa Chiesa, reputano una perdita di tempo il cercare di 90

conseguire certezze in quell’ambito. Senta l’Altezza Vostra Serenissima che cosa risponde sant’Agostino a quei fratelli che sollevano la questione se sia vero che il cielo si muova 17 oppure stia fermo: «A costoro rispondo che queste cose sono state esaminate con argomentazioni molto sottili e laboriose affinché si colga secondo verità se la cosa sia in un modo o nell’altro, ma io non ho tempo per occuparmene e trattarle, né devono averne coloro che desideriamo siano ammaestrati per la loro salvezza e il bene necessario della Santa Chiesa». Quand’anche tuttavia circa le teorie sulla natura si dovesse prendere la decisione di condannarle o accettarle in relazione ai passi della Scrittura che tutti i Padri hanno interpretato nel medesimo senso, non vedo comunque come questa risoluzione possa essere presa nel nostro caso, perché gli stessi passi sono esposti dai Padri in modo diverso. Dionigi l’Areopagita dice che si fermò non il Sole, ma il primo mobile; la stessa cosa pensa sant’Agostino, cioè che si siano fermati tutti i corpi celesti; analoga opinione esprime il vescovo di Avila Alfonso Tostado. Di più: tra gli scrittori ebrei lodati da Giuseppe alcuni hanno pensato che il Sole non si sia veramente fermato, ma che così sia sembrato per il tempo brevissimo impiegato dal popolo di Israele a sconfiggere i nemici. Così del miracolo al tempo di Ezechia Paolo, vescovo di Burgos, pensa che non sia stato compiuto nel Sole, ma nello strumento di misurazione del tempo. Ma che sia necessario interpretare e commentare le parole del testo di Giosuè, in qualunque modo si pensi la costituzione del mondo, lo dimostrerò più avanti. Infine, concedendo a questi signori più di quanto domandano, vale a dire di sottoscrivere interamente il parere dei sapienti teologi, visto che questa particolare questione non 91

è stata dibattuta dai Padri antichi, potranno farlo i sapienti del nostro tempo i quali, dopo aver ascoltato il resoconto di esperienze e osservazioni ed esser stati relazionati sulle argomentazioni e le dimostrazioni dei filosofi e degli astronomi sostenitori dell’una e dell’altra teoria, dal momento che la controversia riguarda la scienza ed è di natura oggettiva, tale per cui le cose non possono che stare in un unico modo dei due contrapposti, saranno tranquillamente in grado di determinare la verità, secondo quanto la divina ispirazione detterà loro. Ma che, senza prendere in considerazione e discutere nei dettagli tutte le argomentazioni dell’una e dell’altra parte e senza certezza di come stanno le cose, si sia sul punto di prendere una decisione, non è certo auspicabile se non da parte di coloro che non si curano di compromettere la maestà e dignità delle Sacre Lettere per conferir prestigio alle loro vane immaginazioni ed è inoltre temibile da parte di coloro che desiderano solo che si ponderino i fondamenti di questa dottrina con il massimo scrupolo, ispirati da santissimo zelo per la verità e le Sacre Scritture, nel rispetto della loro maestà, dignità e autorità che ogni cristiano deve impegnarsi a tutelare. Chi non vede che questa dignità è più diligentemente riconosciuta e consolidata da quelli che, del tutto ubbidienti alla Santa Chiesa, chiedono non che si proibisca questa o quella teoria, ma solo che si prendano in considerazione tutti gli elementi che possono portare a una scelta più sicura, rispetto a quelli che, deviati da interessi personali o agitati da maligni risentimenti, sollecitano il ricorso alle armi potenti di cui senz’altro la Santa Chiesa dispone, senza considerare che non sempre è utile fare tutto ciò che si ha la facoltà di fare? Diversamente si sono mossi i santissimi Padri, anzi, consapevoli di quanto sarebbe frutto di pregiudizi e contrario al fine primario della Chiesa Cattolica il voler assumere da certi passi della Scrittura teorie 92

scientifiche definitive di cui, mediante esperienze e dimostrazioni rigorose, si potrebbe dimostrare il contrario di quello che suonano le parole alla lettera, non solo sono stati estremamente circospetti, ma hanno anche formulato i 18 seguenti precetti, per ammaestramento dei posteri: «Nelle cose oscure e lontanissime dai nostri occhi, se leggeremo dei testi, anche ispirati, che possono, fatta salva la Fede cui siamo educati, esprimere opinioni diverse, a nessuna di queste dovremo aderire con tale precipitazione che, se per caso la verità più diligentemente indagata l’avrà distrutta, rischiamo di soccombere, battendoci non per la posizione delle Sacre Scritture, ma per la nostra personale e pretendendo che sia delle Scritture quella che è un’opinione nostra, mentre dovremmo piuttosto volere che sia nostra l’opinione delle Scritture». Aggiunge più avanti, per ammaestrarci sul fatto che nessuna proposizione può essere contraria alla Fede se non è stato prima dimostrato che è falsa: «Non è contro la Fede fino al momento in cui non venga smentita da verità certissima, e se ciò accadrà, non sarà di un contenuto della Sacra Scrittura, ma di un portato dell’ignoranza umana». Da qui si ricava come sarebbero falsi i significati attribuiti ai passi della Scrittura quando non concordassero con verità dimostrate; per questo, con l’aiuto della verità dimostrata, se ne deve cercare il vero significato e non, fermandosi al senso letterale del testo che ci apparisse vero per le facoltà limitate cui facciamo ricorso, volere in certo qual modo forzare la natura a negare le esperienze e le dimostrazioni necessarie. L’Altezza Vostra potrà ancora notare con quanta cautela si muove quest’uomo santissimo prima di risolversi ad affermare una qualche interpretazione della Scrittura come certa e talmente sicura da non far temere il rischio di imbattersi in seguito nella difficoltà di eventuali contraddizioni. Non pago infatti di aver detto che ogni 93

significato che si assume dalla Scrittura deve concordare con le dimostrazioni scientifiche che siano state effettuate, aggiunge: «Se poi una prova sicura avrà dimostrato che un determinato significato è quello vero, resterà comunque ancora incerto se lo scrittore sacro con quelle parole abbia voluto che fosse intesa quella cosa o un’altra non meno vera: se infatti il restante contesto del discorso proverà che egli non voleva far intendere quella cosa, non per questo sarà falsa l’altra che voleva far intendere, ma senz’altro vera, nonché più utile». Ma ciò che desta ancor più meraviglia della prudenza con cui si muove questo autore è il fatto che, non bastandogli di verificare che eventuali prove scientifiche concordino con il senso in cui suonano le parole della Scrittura, nonché che il significato assunto concordi con quanto detto prima e dopo nel contesto, continua in questo modo: «Ma se anche il contesto della Scrittura non solleverà dubbi sul fatto che lo scrittore abbia voluto far intendere proprio quella cosa, resterà ancora da chiedersi se non abbia potuto voler far intendere anche dell’altro». Così, non risolvendosi ad accettare un significato e a escluderne un altro, anzi, non sembrandogli che sia mai possibile cautelarsi a sufficienza, precisa ancora: «Se poi scopriremo che ha voluto far intendere anche dell’altro, sarà incerto quale dei due sensi abbia voluto che fosse inteso, né è arbitrario stimare che abbia voluto farli intendere entrambi, se l’uno e l’altro son suffragati da circostanza certa». Infine, come per giustificare le sue istruzioni con il dimostrarci a quali pericoli esporrebbero sé stessi, le Scritture e la Chiesa quelli che, badando più a tener fermo un proprio errore che alla dignità della Scrittura, vorrebbero estenderne l’autorità oltre i limiti che essa stessa si dà, conclude con le seguenti parole, che anche da sole potrebbero bastare a reprimere e arginare l’eccessiva licenza che qualcuno pretende di prendersi: «Accade infatti molto 94

spesso che uno scrittore anche non cristiano intorno alla Terra, al cielo, agli altri elementi di questo mondo, al moto e alla conversione o anche alla grandezza e alle distanze degli astri, alle eclissi del Sole e della Luna, al corso degli anni e delle stagioni, alla natura degli animali, delle piante e delle pietre e delle altre cose di questo genere sia pervenuto a conoscerle e a possederne nozioni certissime attraverso l’esperienza e il ragionamento. È dunque oltre misura vergognoso, dannoso e da evitare con tutti gli sforzi possibili che su questi argomenti un infedele o da un cristiano parlare come se riferisse le Sacre Scritture in modo così delirante che vedendolo, così si dice, “errare per tutto il cielo”, possa a stento trattenere il riso. E non è tanto grave il fatto che venga deriso un uomo che sbaglia, ma il fatto che coloro che son fuori dalla Chiesa credano che i nostri autori la pensino così e come ignoranti siano criticati e disprezzati, con gran danno per quelli di cui ci sta a cuore la salvezza. Quando infatti hanno colto in errore qualcuno che faccia parte del numero dei cristiani in una cosa che essi conoscono benissimo, e sostengono che ha preso la sua convinzione sbagliata dai nostri libri, in che modo sulla base di questi stessi libri potranno credere alla resurrezione dei morti, alla speranza della vita eterna e del regno dei cieli, dal momento che li avranno giudicati fallaci a proposito di quelle cose che hanno già potuto sperimentare o recepire con ragioni che non ammettono dubbi?». Quanto poi vengano offesi i Padri veramente saggi e prudenti da parte di coloro che, a sostegno di affermazioni che non hanno capito, per così dire pongono dei vincoli sui passi delle Scritture, finendo per aggravare l’errore iniziale con il citare altri passi capiti ancora meno dei primi, lo spiega lo stesso Santo con le parole che seguono: «Non si dirà mai a sufficienza quanta molestia e rammarico arrechino ai fratelli prudenti i presuntuosi temerari allorché, 95

se capita che si incominci a riprenderli e a convincerli dell’errore a proposito di una loro distorta e falsa opinione da parte di coloro che non si attengono all’autorità dei nostri libri, per difendere ciò che avevano detto con leggerezza incosciente e palese falsità, tentano di mettere avanti gli stessi libri sacri, dai quali pretendono di assumer delle prove; oppure fanno a memoria molte citazioni credendo che valgano come testimonianze, senza capire né quello che dicono, né su che cosa si esprimono». A questa specie mi sembra appartengano costoro che, non volendo o non potendo capire le dimostrazioni e gli esperimenti con cui l’autore di questa teoria e i suoi seguaci la sostengono, si accaniscono nel trincerarsi dietro le Scritture, non accorgendosi che quanti più passi chiamano in gioco e quanto più persistono nell’affermare che sono chiarissimi e non ammettono altra interpretazione che quella che hanno in mente loro, tanto più pregiudicherebbero la dignità della Scrittura (naturalmente se il loro giudizio è di quelli che contano) se poi la verità apertamente conosciuta come contraria creasse confusione, almeno fra coloro che sono separati dalla Santa Chiesa, che pure li ha a cuore come madre desiderosa di ricondurli nel proprio grembo. Veda dunque l’Altezza Vostra quanto disordine creano quelli che, nelle questioni di scienza, schierano in prima linea a difesa delle loro posizioni i passi della Scrittura, che molto spesso non hanno ben capito. Se tuttavia costoro sono davvero e pienamente convinti di aver colto il vero significato di un determinato passo della Scrittura, ne consegue di necessità che sono assolutamente certi di possedere la verità assoluta a proposito della teoria scientifica che intendono discutere e che contemporaneamente sono consapevoli di avere un 96

grandissimo vantaggio sull’interlocutore, cui tocca di sostenere la tesi falsa. In effetti chi sostiene la verità può vantare dalla sua parte molte sensate esperienze e molte dimostrazioni necessarie, mentre l’avversario può avvalersi solo di apparenze ingannevoli, ragionamenti capziosi e menzogne. Dunque se essi, occupandosi di questioni esclusivamente naturali e non ricorrendo ad altre armi che a quelle filosofiche, sono comunque convinti di essere tanto superiori all’avversario, perché, al momento dello scontro diretto, metton subito mano a un’arma inevitabile e tremenda, per atterrire l’avversario con la sua sola vista? Se devo dire quello che penso, io credo che siano loro i primi a essere atterriti e che, sentendosi incapaci di fronteggiare l’avversario, cerchino il modo di impedire il confronto, vietandogli l’uso dello strumento verbale che la Bontà Divina gli ha concesso e abusando dell’autorità giustissima della Sacra Scrittura, che, se ben intesa e ben utilizzata, non può mai esser contraria a palesi esperienze o dimostrazioni scientifiche, conformemente a quanto reputano unanimemente i teologi. Che costoro ricorrano alle Scritture per coprire la loro incapacità di capire, non dico di smantellare, le tesi contrarie, non dovrebbe, se io non m’inganno, recar loro alcun vantaggio, non essendo mai stata condannata fino a oggi questa teoria dalla Santa Chiesa. Se volessero agire in modo sincero dovrebbero o confessarsi incapaci di trattare simili materie, o, quanto meno, considerare prima che non è in loro potere né di altri che non siano il Sommo Pontefice o i santi Concili il dichiarar falsa una teoria, mentre è loro facoltà discuterne la validità; poi, comprendendo come non è possibile che la stessa affermazione sia contemporaneamente vera e falsa, impegnarsi a dimostrare che quella determinata teoria è falsa, essendo questo il loro compito precipuo. Una volta fatto ciò, 97

o non sarebbe più necessario proibirla, perché non la sottoscriverebbe nessuno, o il proibirla sarebbe un atto sicuro, senza pericolo di suscitare alcuno scandalo. Perciò questi signori si applichino prima a smontare le ragioni di Copernico e di chi è d’accordo con lui e lascino il compito di condannarla come falsa ed eretica a chi ha il potere di farlo, ma non sperino di trovare nei cauti e sapientissimi Padri e nell’assoluta sapienza di Colui che non può sbagliare l’assenso a un comportamento precipitoso cui essi talvolta aderirebbero sulla spinta di qualche sentimento o interesse particolare. Su queste teorie e altre simili che non sono direttamente materia di Fede, infatti, non c’è chi dubiti che l’autorità di accoglierle o condannarle spetti esclusivamente al Sommo Pontefice e non è comunque in potere di alcuna creatura farle essere vere o false, diversamente da quello che sono per natura e di fatto. Per questo sembra che la decisione più saggia sia quella di assicurarsi prima della necessaria e immutabile verità del fatto, sulla quale nessuno ha possibilità di intervenire, piuttosto che, senza una tale sicurezza, privarsi dell’autorità e della libertà di poter sempre scegliere condannando una delle due teorie contrapposte e riportando in questo modo al vincolo della necessità scelte che al momento sono indifferenti e libere e sottoposte all’arbitrio dell’autorità suprema. Insomma, se non è possibile condannare come eretica una teoria della quale si dubita che possa essere vera, si rivelerà vana la fatica di coloro che pretendono di mettere al bando la teoria della mobilità della Terra e della stabilità del Sole se prima non dimostrano che è impossibile e falsa. Restano infine delle considerazioni da fare onde verificare se sia vero che il passo di Giosuè si possa assumere senza alterare il significato letterale delle parole e come sia 98

possibile che, avendo il Sole obbedito all’ordine di fermarsi impartitogli da Giosuè, ne derivasse come conseguenza un sensibile prolungamento del giorno. Ciò, se si ipotizzano i movimenti celesti in conformità alla teoria tolemaica, non può avvenire in alcun modo. Infatti, determinandosi il movimento del Sole lungo l’eclittica secondo la successione dei segni zodiacali, vale a dire da ovest a est, ciò è contrario al movimento del primo mobile, da est a ovest, che è poi il movimento che determina l’alternanza del giorno e della notte. Ne consegue che, interrompendo il Sole il moto che gli è peculiare, il giorno diventerebbe più corto, non più lungo, mentre per allungarlo sarebbe necessario affrettare il suo moto. Più precisamente, per fare in modo che il Sole restasse fermo sull’orizzonte per un certo tempo nello stesso punto senza declinare verso ovest, bisognerebbe accelerarne il moto in modo che pareggiasse quello del primo mobile, imprimendogli un movimento circa trecentosessanta volte più rapido del consueto. Se dunque Giosuè avesse voluto che le sue parole venissero intese rigorosamente alla lettera, avrebbe detto al Sole di accelerare il suo moto, quel tanto necessario a non farsi trascinare dal primo mobile verso il tramonto. Siccome però le sue parole erano udite da gente che forse non aveva altra nozione dei movimenti celesti che quella comunissima dell’oriente e dell’occidente, adattandosi a queste capacità d’intendere limitate e non avendo per obiettivo quello di impartire lezioni sul sistema delle sfere celesti, ma solo quello di far capire la grandezza del miracolo realizzatosi nell’allungamento del giorno, si espresse in conformità alle loro possibilità di comprensione. Forse fu questa la considerazione che indusse prima 19 Dionigi l’Areopagita a dire che con questo miracolo si fermò il primo mobile e di conseguenza si fermarono tutte le sfere 99

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celesti, opinione condivisa da sant’Agostino, che il vescovo 21 di Avila conferma diffusamente. Anzi, che l’intenzione dello stesso Giosuè fosse quella di far fermare tutto il sistema delle sfere celesti si comprende dall’ordine esteso anche alla Luna, benché essa non avesse niente a che vedere con il prolungamento del giorno: dietro l’ordine impartito alla Luna sono compresi gli altri pianeti, taciuti in questo passo come in tutto il resto delle Sacre Scritture, cui non è mai appartenuta l’intenzione di insegnarci l’astronomia. Se dunque non m’inganno mi pare che si possa chiaramente vedere come, accettando il sistema tolemaico, sia indispensabile interpretare le parole in un significato diverso da quello letterale. Ammonito dagli utilissimi avvertimenti di sant’Agostino, non direi che l’interpretazione corretta debba essere necessariamente questa, per cui a nessuno non ne possa venire in mente un’altra forse migliore e meglio adattabile al testo. Desidero come ultima cosa che si consideri se questa stessa, più conforme a quanto leggiamo in Giosuè, non si possa ritrovare nel sistema copernicano, con l’aggiunta di un’altra osservazione, recentemente compiuta e dimostrata da me a proposito del corpo solare. Parlo in ogni caso mantenendo fermo lo scrupolo di non essere talmente affezionato alle cose mie da volerle anteporre a quelle degli altri e da pretendere che non se ne possano addurre di migliori e più conformi all’intenzione delle Sacre Scritture. Posto dunque in primo luogo che nel miracolo di Giosuè si sia fermato tutto il sistema delle sfere celesti, secondo il parere dei nominati autori (e questo perché, fermandosene una sola, non si confondesse l’intera struttura e si introducesse senza necessità grande turbamento in tutte le regole della natura), aggiungo in secondo luogo la considerazione che il corpo solare, benché fermo nello stesso 100

luogo, compie però un movimento di rivoluzione su sé stesso, che si completa in un mese circa, così come mi sembra di avere definitivamente dimostrato nelle lettere che ho scritto sul tema delle macchie solari. Ora, noi vediamo sensibilmente che questo movimento, nella parte superiore del globo, è inclinato verso sud e quindi, verso la parte inferiore, si piega verso nord, conformemente appunto a come avvengono le rivoluzioni di tutti i pianeti. In terzo luogo, considerando la nobiltà del Sole, che è fonte di luce, da cui, come io provo con dimostrazioni necessarie, vengono illuminati non solo la Terra e la Luna, ma anche tutti gli altri pianeti, di per sé stessi oscuri, non credo lontano dalla buona filosofia il dire che esso, come massimo ministro della natura e in certo qual modo anima e cuore del mondo, infonde agli altri corpi che lo circondano non solo la luce, ma anche il moto, volgendosi su sé stesso; cosicché, come cessando di muoversi il cuore dell’animale cesserebbero tutti gli altri movimenti delle sue membra, nello stesso modo cessando la rivoluzione del Sole cesserebbero quelle di tutti i pianeti. Benché della mirabile forza ed energia del Sole mi sarebbe possibile trovare assenso in molti scrittori di gran peso, voglio limitarmi a un solo passo del Beato Dionigi l’Areopagita, tratto dall’opera I divini nomi, che a proposito del Sole così si esprime: «La luce anche accorda e trae a sé tutte le cose che si vedono, che si muovono, che sono illuminate, che si riscaldano, in una parola quelle che stanno entro il suo splendore. Pertanto il Sole è detto Ilios, perché raduna e riunisce tutte le cose disperse». E poco più sotto scrive dello stesso Sole: «Se infatti questo Sole che vediamo, in rapporto alle essenze e alle qualità delle cose che cadono sotto i sensi, quantunque molto numerose e differenti fra loro, mentre lui stesso è invece uno solo, ugualmente sparge la luce, rinnova, nutre, preserva, fa maturare, divide, congiunge, riscalda, rende feconde, fa 101

crescere, muta, rinvigorisce, fa sbocciare e le rende tutte vitali, e ciascuna cosa di questo universo, secondo la propria forza, è partecipe di un unico e dello stesso Sole, e ha ugualmente anticipate in sé le cause delle molte cose che partecipano, di sicuro a maggior ragione…», eccetera. Essendo dunque il Sole sia fonte di luce sia principio dei vari moti, volendo Dio che all’ordine di Giosuè tutto il sistema del mondo restasse per molte ore immobile nel medesimo stato, bastò fermare il Sole perché si determinasse anche l’immobilità di tutti gli altri movimenti in atto e Terra, Luna, Sole e tutti gli altri pianeti insieme mantenessero il proprio ordinamento; né per tutto quel tempo declinò il giorno verso la notte, ma si prolungò miracolosamente. In questo modo, senza fermare il Sole, senza affatto alterare o confondere gli aspetti specifici e le reciproche relazioni tra gli astri, poté essere allungata la durata del giorno sulla Terra, proprio in strettissima conformità al significato letterale del testo sacro. Se ancora non mi inganno, non si deve poi sottovalutare il fatto che, adottando il sistema copernicano, si può molto agevolmente interpretare alla lettera un altro particolare riferito dalla Scrittura a proposito di questo miracolo, vale a dire che il Sole si fermò in mezzo al cielo. È un passo che ha creato difficoltà a importanti teologi, perché sembra molto probabile che, quando Giosuè chiese che fosse allungato il giorno, il Sole fosse prossimo a tramontare, e non nella posizione meridiana; se così fosse stato infatti, essendo il tempo all’incirca quello del solstizio estivo, quando i giorni sono lunghissimi, non sembra verisimile che fosse necessario pregare perché il giorno si allungasse per conseguire la vittoria nella battaglia in corso, essendo sicuramente sufficienti al proposito le sette e più ore di luce che rimanevano ancora. Su tali considerazioni appunto questi serissimi teologi hanno supposto che il Sole fosse in effetti 102

vicino al tramonto e così sembra proprio che suonino le parole: «Ferma, Sole, fermati». Se infatti fosse stato mezzogiorno, o non serviva domandare un miracolo, o sarebbe bastato semplicemente chiedere un piccolo ritardo. Di questa opinione è Tommaso De Vio, vescovo di Gaeta, e la sottoscrive il Magellano, ulteriormente suffragandola con il dire che quello stesso giorno Giosuè aveva fatto molte cose prima dell’ordine impartito al Sole, troppe per esser compiute in mezza giornata. Per questo si risolvono a interpretare le parole «in mezzo al cielo» per la verità con qualche forzatura, spiegando che equivalgono a dire che il Sole si fermò nel nostro emisfero, cioè sopra l’orizzonte. A tale forzatura e a ogni altra, se non mi sbaglio, potremmo sfuggire collocando, secondo il sistema copernicano, il Sole nel mezzo, cioè al centro delle orbite celesti e dei moti dei pianeti, come si deve necessarissimamente fare; infatti, supponendo qualsiasi ora del giorno, non importa se mezzogiorno o un’altra ora prossima quanto si vuole alla sera, con il fermarsi del Sole in mezzo al cielo, dove risiede, si allungò il giorno e si fermarono tutti i moti degli astri. Questa interpretazione è tanto più rispondente al testo letterale, oltre che per le ragioni addotte, per il fatto che, quand’anche si fosse voluto affermare che l’immobilità del Sole si verificò a mezzogiorno, si sarebbe dovuto propriamente dire che «si fermò nel mezzogiorno, o circolo meridiano», e non i«n mezzo al cielo», perché di un corpo sferico, quale è il cielo, il mezzo è di fatto e solo il centro. Quanto poi agli altri passi della Scrittura che sembrano contraddire questa teoria, io non dubito che, una volta che fosse riconosciuta come vera e dimostrata, gli stessi teologi che, mentre la ritengono falsa, giudicano quei passi non interpretabili in base a essa, sarebbero in grado di trovare interpretazioni assai ben congruenti, soprattutto quando alla 103

capacità di comprensione delle Sacre Scritture aggiungessero qualche conoscenza delle scienze astronomiche. Come adesso che la stimano falsa hanno l’impressione di imbattersi, leggendo le Scritture, solo in passi che la smentiscono, una volta assunta l’opinione contraria ne troverebbero probabilmente altrettanti in accordo. Allora forse si convincerebbero che la Santa Chiesa ha molto opportunamente detto che Dio collocò il Sole al centro del cielo e che quindi, facendolo girare su sé stesso come una ruota, contribuisce a determinare l’ordinato corso della Luna e degli altri astri erranti, quando canta: Del cielo Dio santissimo, che del polo il lucido centro d’infuocato splendore dipingi, con la grazia di ancora più luce; che il quarto giorno fiammante del Sole il disco creando imponi alla Luna una regola, 22

e i vaghi percorsi alle stelle. Potrebbero convenire che la parola “firmamento” si addice molto bene alla lettera alla sfera delle stelle e a tutto ciò che sta sopra ai moti dei pianeti che, in questa configurazione, è fermo e immobile. Così, compiendo la Terra un moto circolare, si potrebbe pensare che si stia parlando dei suoi poli quando si dice: «Non aveva ancora fatta la Terra e i fiumi e i cardini dell’orbe terrestre», cardini che sembrerebbero insensatamente attribuiti al globo terrestre se su di essi non dovesse girare. 1 - Del Genesi, esegesi letterale, libro II, conclusione. 2 - Tertulliano, Contro Marcione, libro I, capitolo 18.

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3 - Sant’Agostino, Del Genesi, esegesi letterale, libro II, capitolo 9. 4 - Pietro Lombardo, maestro di sentenze, afferma la stessa cosa. 5 - Il Cardinal Baronio. 6 - Pererio, Del Genesi, più o meno all’inizio. 7 - Lettera settima a Marcellino. 8 - Ecclesiaste, capitolo 3. 9 - Lettera a Paolino, 103. 10 - Del Genesi, esegesi letterale, libro I, capitolo 21. 11 - Come Clavio. 12 - Del Genesi, esegesi letterale, capitolo 9. 13 - Sul capitolo 28 di Geremia. 14 - Matteo, capitolo 13. 15 - In realtà si tratta del 26. (N.d.T.) 16 - Concilio di Trento, sessione IV. 17 - Del Genesi, esegesi letterale, libro II, capitolo 10. 18 - Sant’Agostino, Del Genesi, esegesi letterale, libro I, capitoli 18, 19. 19 - In Lettera a Policarpo. 20 - Cose mirabili della Sacra Scrittura, libro II. 21 - Questioni 22 e 24 in Giosuè, capitolo X. 22 - Inno attribuito a sant’Ambrogio. (N.d.T.)

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SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633)

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Riportiamo il testo della Sentenza pronunciata dal Sant’Uffizio contro Galileo, nonché quello dell’Abiura sottoscritta dallo scienziato. Galileo, dopo la pubblicazione e la breve circolazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi, tolemaico e copernicano (febbraio-luglio 1632), tentò di evitare un confronto diretto con l’Inquisizione e di resistere all’ordine di presentarsi a Roma, poiché nel frattempo si erano fatte più cagionevoli le sue condizioni di salute e si era prospettata ormai la brutta stagione. Dovette tuttavia partire, in inverno, per il processo formalmente allestito contro di lui, che si concluse con la sentenza qui riportata il 22 giugno 1633, emessa nel convento di Santa Maria sopra Minerva. Dei dieci ecclesiastici costituenti la corte, non sottoscrissero il verdetto Gasparo Borgia, vissuto a lungo a Roma senza mai tuttavia interrompere legami di stretta collaborazione con il re di Spagna; il genovese Laudivio Zacchia, che aveva studiato giurisprudenza a Pisa e si era dato tardi allo stato ecclesiastico, e Francesco Barberini, creato cardinale da Urbano VIII, suo zio, nel 1623.

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Sentenza Noi: Gaspare Borgia, titolare di Santa Croce a Gerusalemme; Felice Centini, titolare di Ascoli; Guido Bentivoglio, titolare di Santa Maria del Popolo; Desiderio Scaglia, titolare di Cremona; Antonio Barberini, titolare di Sant’Onofrio; Laudivio Zacchia, titolare di San Sisto; Berlingero Gessi, titolare di Sant’Agostino; Fabrizio Verospi, titolare di San Lorenzo in Panisperna; Francesco Barberini, titolare diacono di San Lorenzo in Damaso; Marzio Ginetti, titolare diacono di Santa Maria Nuova; Cardinali di Santa Romana Chiesa per misericordia di Dio, Inquisitori generali specificamente deputati dalla Santa Sede Apostolica contro il veleno dell’eresia in tutta la Repubblica Cristiana; poiché tu, Galileo, figlio del fu Vincenzo Galilei, fiorentino, dell’età di settant’anni, fosti nel 1615 denunciato presso questo Sant’Uffizio perché ritenevi vera la falsa dottrina insegnata da alcuni, secondo la quale il Sole è al centro del mondo ed è immobile e la Terra compie anche un moto giornaliero; che avevi discepoli ai quali insegnavi la medesima dottrina; che sulla stessa tenevi corrispondenza con alcuni matematici di Germania; che avevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle macchie solari, in cui esponevi tale dottrina come vera; che rispondevi alle obiezioni che ti 108

venivano talvolta mosse producendo passi della Sacra Scrittura interpretati a modo tuo; che sei stato estensore di una lettera, successivamente presentataci, la quale si diceva essere stata da te inviata a uno che era stato tuo discepolo e dove, dal momento che vi era sottoscritta la teoria di Copernico, si trovano inserite varie posizioni contrarie al vero significato e all’autorità della Sacra Scrittura; volendo pertanto questo Sacro Tribunale rimediare al disordine e al danno che ne derivavano e andavano accrescendosi con pregiudizio della Santa Fede, per ordine di Nostro Signore e degli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali di questa Suprema e Universale Inquisizione, dai Teologi specificatamente deputati a farlo furono valutate le enunciazioni relative alla stabilità del Sole e al moto della Terra in questi termini: che il Sole sia centro del mondo e non si muova dalla sua sede è una proposizione falsa e assurda da un punto di vista filosofico ed eretica nella forma, perché espressamente contraria alla Sacra Scrittura; che la Terra non sia il centro del mondo né immobile ma che sia dotata anche di un moto diurno è proposizione parimenti assurda e falsa dal punto di vista filosofico e considerata in teologia «quanto meno erronea nella Fede». Tuttavia, volendosi allora mostrare benevolenza nei tuoi confronti, fu decretato dalla Sacra Congregazione tenutasi il 25 febbraio 1616 che l’Eminentissimo Cardinale Bellarmino ti ordinasse di abbandonare del tutto la suddetta falsa dottrina, di non insegnarla a nessuno né difenderla o parlarne, e che, se tu non ti fossi adeguato a questi precetti, dovessi essere incarcerato; e per esecuzione dello stesso decreto, il giorno successivo, nel palazzo e alla presenza del suddetto Eminentissimo Cardinale Bellarmino, dopo essere 109

stato da Lui stesso benevolmente avvisato e ammonito, ti fu ufficialmente comunicato dal Commissario del Sant’Uffizio di quel tempo, alla presenza di un notaio e di testimoni, che dovevi del tutto abbandonare la suddetta falsa teoria e che per l’avvenire non avresti dovuto crederla, né difenderla, né insegnarla in alcun modo, né a voce né per scritto e, poiché avevi promesso di ubbidire, fosti congedato. E per togliere di mezzo definitivamente una dottrina così pericolosa e non continuare a serpeggiare con grave rischio per la verità Cattolica, venne emesso un decreto della Sacra Congregazione dell’Indice con cui furono proibiti i libri che trattano tale dottrina, la quale venne dichiarata falsa e contraria alla Sacra e divina Scrittura. Ma poiché ultimamente è qui arrivato un libro, stampato a Firenze l’anno scorso, la cui intestazione rivelava che tu ne eri l’autore, recitando il titolo Dialogo di Galileo Galilei sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, e poiché per giunta è stata informata la Sacra Congregazione che con la stampa di quel libro prendeva ogni giorno più piede e andava sempre più diffondendosi la falsa teoria del moto della Terra e della stabilità del Sole, il suddetto libro venne diligentemente analizzato e fu verificata in esso un’esplicita trasgressione all’ordine che ti era stato impartito, poiché vi prendevi le difese della teoria già condannata e come tale a te direttamente dichiarata, benché nel libro tu ti ingegnassi con espedienti capziosi a far credere di lasciarla sussistere come ipotesi ancora da provare, il che è comunque un errore gravissimo, non potendo essere in nessun modo probabile un’opinione già dichiarata e definita in contrasto con la Sacra Scrittura. Così su nostro ordine fosti convocato da questo Sant’Uffizio, dove, dopo averlo esaminato, riconoscesti il 110

suddetto libro come da te composto e dato alle stampe. Confessasti che, dieci o dodici anni fa, dopo che ti era stato ordinato come sopra si è detto, avevi cominciato la sua stesura; che avevi chiesto l’autorizzazione a stamparlo, senza tuttavia far presente a coloro che poi te la concessero che avevi ricevuto l’ordine di non credere, né difendere, né insegnare in qualunque modo tale dottrina. Confessasti allo stesso tempo che l’esposizione del suddetto libro è, in più punti, in una forma tale che il lettore potrebbe ritenere che gli argomenti addotti a sostegno della falsa teoria vengano presentati in modo così efficace da farli assumere come pertinenti piuttosto che da accantonare; scusandoti poi, letteralmente, di essere incorso in un errore tanto lontano dalla tua intenzione, per averlo scritto in forma di dialogo e per quella naturale inclinazione a compiacersi delle proprie sottigliezze e del rivelarsi più arguto del comune nel trovare, anche attraverso false proposizioni, ingegnosi e all’apparenza non improbabili argomenti a sostegno. E poiché ti fu assegnato un termine utile a predisporre la tua difesa, presentasti una dichiarazione autografa dell’Eminentissimo Cardinale Bellarmino, da te richiesta, come dicesti, per difenderti dalle calunnie dei tuoi nemici, che ti accusavano di aver abiurato e di essere stato punito dal Sant’Uffizio, nella quale si dice che non avevi abiurato e nemmeno che ti era stata comminata una pena dal Sant’Uffizio, ma che ti era semplicemente stata resa nota la dichiarazione fatta da Nostro Signore e pubblicata dalla Sacra Congregazione dell’Indice in cui si dice che la dottrina del moto della Terra e della stabilità del Sole è contraria alle Sacre Scritture, per cui non si può né difendere né abbracciare; e che perciò, non facendosi nella dichiarazione alcun cenno agli altri due termini dell’ordine a te impartito, vale a dire 111

«insegnare» e «in qualunque modo», si deve credere che nel corso di quattordici o sedici anni te ne eri dimenticato e che, per questa stessa ragione, avevi taciuto sull’ordine ricevuto quando chiedesti l’autorizzazione a stampare il libro, aggiungendo che il tutto non mirava a scusare l’errore bensì a farlo giudicare frutto non di cattiva intenzione ma di vana ambizione. Tuttavia questa dichiarazione, da te spontaneamente prodotta per difenderti, ha ulteriormente aggravato la tua posizione perché, dicendosi in essa che la suddetta teoria è contraria alla Sacra Scrittura, hai comunque avuto l’ardire di parlarne, di difenderla e di cercare di convincere sulla sua probabilità; né valgono i pretesti da te artificiosamente e furbescamente addotti per scusare la licenza che ti sei presa per non aver rispettato l’ordine ricevuto. E poiché ci sembrava che tu non avessi detto tutta la verità sulle tue intenzioni, abbiamo ritenuto necessario sottoporti a un rigoroso esame nel quale, senza però alcun pregiudizio su quanto hai confessato ed è emerso contro di te nella valutazione delle tue suddette intenzioni, rispondesti cattolicamente. Pertanto, visti e attentamente valutati gli elementi a tuo carico in questo processo, comprese le tue ammissioni e le tue giustificazioni, nonché tutto ciò che si doveva prendere in considerazione e valutare, siamo giunti contro di te a un verdetto definitivo, qui di seguito riportato. Invocato dunque il Santissimo nome di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua gloriosissima Madre sempre Vergine Maria; per questa nostra sentenza definitiva, da noi emessa in quanto tribunale, su consiglio e parere dei Reverendi Maestri di Sacra Teologia e Dottori della legge sacra e di quella umana, nostri esperti, ci pronunciamo in questo scritto in 112

merito a questa causa e su quelle condotte prima di noi da una parte tra Marco Carlo Sinceri, Dottore dell’una e dell’altra legge, Procuratore fiscale di questo Sant’Uffizio, e dall’altra te suddetto Galileo Galilei, reo qui presente, inquisito, processato e confesso come sopra si è detto; diciamo, pronunciamo, sentenziamo e dichiariamo che tu, suddetto Galileo, per le ragioni emerse nel processo e da te come sopra confessate, ti sei attirato fortemente il sospetto da parte di questo Sant’Uffizio di essere colpevole di eresia, cioè di avere mantenuta e creduta vera una dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, vale a dire che il Sole è il centro per la Terra e non si muove da oriente a occidente, mentre al contrario la Terra si muove e non è il centro del mondo, e di aver ritenuto possibile mantenere e difendere come probabile una teoria dopo che questa è stata dichiarata e definita contraria alla Sacra Scrittura; e che di conseguenza sei incorso in tutti i provvedimenti e nelle pene previste dalla legge sacra e dalle altre disposizioni generali e particolari assunte e promulgate contro simili colpevoli. Da esse ricaviamo che tu possa essere assolto purché prima, con cuore sincero e autentica fede, in nostra presenza abiuri, maledica e respinga i suddetti errori ed eresie, e qualunque altro errore ed eresia contraria alla Chiesa Cattolica e Apostolica, nel modo e nella forma che ti saranno da noi prescritti. E affinché questo tuo grave e dannoso errore e la trasgressione di cui ti sei reso colpevole non restino del tutto impuniti, e tu possa essere più cauto per l’avvenire e di esempio agli altri, così da astenersi da simili colpe, ordiniamo che con pubblica sentenza sia proibito il libro dei Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condanniamo al carcere formale in questo Sant’Uffizio a nostro arbitrio; e come penitenza per la salute 113

della tua anima ti imponiamo di recitare per i prossimi tre anni una volta la settimana i sette Salmi penitenziali, riservandoci la facoltà di moderare, cambiare, togliere del tutto o in parte le suddette pene e penitenze. Così diciamo, pronunciamo, sentenziamo, dichiariamo, ordiniamo e ci riserviamo di agire in questo e in ogni altro modo e forma migliore, avendone la facoltà e il dovere. Così ci pronunciamo noi sottoscritti Cardinali: Cardinale Felice Centini di Ascoli Cardinale Guido Bentivoglio Cardinale Fra Desiderio Scaglia di Cremona Cardinale Antonio Barberini di Sant’Onofrio Cardinale Berlingero Gessi Cardinale Fabrizio Verospi Cardinale Marzio Ginetti

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Abiura

Io Galileo, figlio del fu Vincenzo Galilei, fiorentino, di anni settanta, personalmente convenuto in giudizio e inginocchiato davanti a voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali Inquisitori generali in tutta la Repubblica Cristiana contro la malvagità eretica; avendo davanti agli occhi i santi Vangeli, su cui poso le mani, giuro che ho sempre creduto, credo e con l’aiuto divino crederò per l’avvenire tutto ciò che accoglie, predica e insegna la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica. Ma poiché questo Sant’Uffizio, per avere io, dopo essermi stato formalmente intimato con un precetto dello stesso di abbandonare completamente la falsa teoria che il Sole è il centro del mondo e non si muove e la Terra non è il centro del mondo e si muove, e di non mantenere, difendere né insegnare in qualunque modo, né a parole né per iscritto, la suddetta falsa dottrina, e dopo essermi stato notificato che tale dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, dopo aver scritto e dato alle stampe un libro in cui ne parlo pur essendo già stata condannata e avendo portato argomenti efficaci a suo favore, senza prendere netta posizione, mi ha giudicato fortemente sospetto di eresia, cioè di aver tenuto fermo e creduto che il Sole è il centro del mondo ed è immobile e la Terra non ne è il centro e si muove; pertanto, volendo cancellare dalla mente delle Vostre Eminenze e da quella di ogni cristiano questo grave sospetto, giustamente concepito contro di me, con cuore sincero e autentica fede abiuro, maledico e detesto i suddetti errori ed eresie e in generale ogni altro errore, eresia o setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più 115

né asserirò, a parole o per iscritto, cose tali per cui possa rinascere su di me un tale sospetto, ma che, se m’imbatterò in qualche eretico o sospetto d’eresia, lo denuncerò a questo Sant’Uffizio, ovvero all’Inquisitore o all’Ordinario del luogo dove dovessi trovarmi. Giuro inoltre e prometto di adempiere e osservare interamente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno inflitte da questo Sant’Uffizio e che se, Dio non voglia, dovessi contravvenire in qualche modo alle mie promesse o ai miei giuramenti, mi sottometterò a tutte le pene e castighi previsti dal diritto canonico e dalle altre disposizioni generali e particolari previste e promulgate contro questi reati. Mi possano in ciò aiutare Dio e i suoi santi Vangeli, su cui poso le mani. Io, suddetto Galileo Galilei, ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obbligato come sopra; e in fede della verità ho firmato di mio pugno il presente documento di abiura e l’ho recitato parola per parola, a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, oggi, 22 giugno 1633. Io, Galileo Galilei, ho sottoscritto la suddetta abiura, di mio pugno.

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LETTERE COPERNICANE

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1 A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613)

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Molto Reverendo Padre e Signor mio Osservandissimo, Ieri mi fu a trovare il Sig. Niccolò Arrighetti, il quale mi dette ragguaglio della P. V.: ond’io presi diletto infinito nel sentir quello di che io non dubitavo punto, ciò è della satisfazion grande che ella dava a tutto cotesto Studio, tanto a i sopraintendenti di esso quanto a gli stessi lettori e a gli scolari di tutte le nazioni; il qual applauso non aveva contro di lei accresciuto il numero de gli emoli, come suole avvenir tra quelli che sono simili d’esercizio, ma più presto l’aveva ristretto a pochissimi; e questi pochi dovranno essi ancora quietarsi, se non vorranno che tale emulazione, che suole anco tal volta meritar titolo di virtù, degeneri e cangi nome in affetto biasimevole e dannoso finalmente più a quelli che se ne vestono che a nissun altro. Ma il sigillo di tutto il mio gusto fu il sentirgli raccontar i ragionamenti ch’ella ebbe occasione, mercè della somma benignità di coteste Altezze Serenissime, di promuovere alla tavola loro e di continuar poi in camera di Madama Serenissima, presenti pure il Gran Duca e la Serenissima Arciduchessa, e gl’Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori D. Antonio e D. Paolo Giordano ed alcuni di cotesti molto Eccellenti flosofi. E che maggior favore può ella desiderare, che il veder Loro Altezze medesime prender satisfazione di discorrer seco, di promuovergli dubbii, di ascoltarne le soluzioni, e finalmente di restar appagate delle risposte della Paternità Vostra? I particolari che ella disse, referitimi dal Sig. Arrighetti, m’hanno dato occasione di tornar a considerare alcune cose in generale circa ’l portar la Scrittura Sacra in dispute di conclusioni naturali, ed alcun’altre in particolare sopra ’l luogo di Giosuè, propostoli, in contradizione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, dalla Gran Duchessa Madre, 119

con qualche replica della Serenissima Arciduchessa. Quanto alla prima domanda generica di Madama Serenissima, parmi che prudentissimamente fusse proposto da quella e conceduto e stabilito dalla P. V., non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma essere i suoi decreti d’assoluta ed inviolabile verità. Solo avrei aggiunto, che, se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de’ suoi interpreti ed espositori, in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d’ira, di pentimento, d’odio, e anco talvolta l’obblivione delle cose passate e l’ignoranza delle future. Onde, sì come nella Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomodarsi all’incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritano d’esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per che siano sotto cotali parole stati profferiti. Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell’ultimo luogo: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale, 120

dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch’avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura. Anzi, se per questo solo rispetto, d’accomodarsi alla capacità de’ popoli rozzi e indisciplinati, non s’è astenuta la Scrittura d’adombrare de’ suoi principalissimi dogmi, attribuendo sino all’istesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che ella, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra o di Sole o d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i limitati e ristretti significati delle parole? e massime pronunziando di esse creature cose lontanissime dal primario instituto di esse Sacre Lettere, anzi cose tali, che, dette e portate con verità nuda e scoperta, avrebbon più presto danneggiata l’intenzion primaria, rendendo il vulgo più contumace alle persuasioni de gli articoli concernenti alla salute. Stante questo, ed essendo di più manifesto che due verità non posson mai contrariarsi, è ofizio de’ saggi espositori affaticarsi per trovare i veri sensi de’ luoghi sacri, concordanti con quelle conclusioni naturali delle quali prima il senso manifesto o le dimostrazioni necessarie ci avesser resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come ho detto, che le Scritture, ben che dettate dallo Spirito Santo, per l’addotte cagioni 121

ammetton in molti luoghi esposizioni lontane dal suono litterale, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’interpreti parlino inspirati divinamente, crederei che fusse prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno l’impegnar i luoghi della Scrittura e obbligargli in certo modo a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol por termine a gli umani ingegni? chi vorrà asserire, già essersi saputo tutto quello che è al mondo di scibile? E per questo, oltre a gli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ quali non è pericolo alcuno che possa insurger mai dottrina valida ed efficace, sarebbe forse ottimo consiglio il non ne aggiunger altri senza necessità: e se così è, quanto maggior disordine sarebbe l’aggiugnerli a richiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiaramente vediamo ch’elleno son del tutto ignude di quella intelligenza che sarebbe necessaria non dirò a redarguire, ma a capire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienze procedono nel confermare alcune lor conclusioni? Io crederei che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell’istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così 122

piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti. Però se i primi scrittori sacri avessero auto pensiero di persuader al popolo le disposizioni e movimenti de’ corpi celesti, non ne avrebbon trattato così poco, che è come niente in comparazione dell’infinite conclusioni altissime e ammirande che in tale scienza si contengono. Veda dunque la P. V. quanto, s’io non erro, disordinatamente procedino quelli che nelle dispute naturali, e che direttamente non sono de Fide, nella prima fronte costituiscono luoghi della Scrittura, e bene spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali veramente credono d’avere il vero senso di quel luogo particolar della Scrittura, ed in consequenza si tengon sicuri d’avere in mano l’assoluta verità della quistione che intendono di disputare, dichinmi appresso ingenuamente, se loro stimano, gran vantaggio aver colui che in una disputa naturale s’incontra a sostener il vero, vantaggio, dico, sopra l’altro a chi tocca sostener il falso? So che mi risponderanno di sì, e che quello che sostiene la parte vera, potrà aver mille esperienze e mille dimostrazioni necessarie per la parte sua, e che l’altro non può aver se non sofismi paralogismi e fallacie. Ma se loro, contenendosi dentro a’ termini naturali né producendo altr’arme che le filosofiche, sanno d’essere tanto superiori all’avversario, perché, nel venir poi al congresso, por subito mano a un’arme inevitabile e tremenda, che con la sola vista atterrisce ogni più destro ed esperto campione? Ma, s’io devo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosi inabili a potere star forti contro gli assalti dell’avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare. Ma perché, come ho detto pur ora, quello che ha la parte vera dalla sua, ha gran vantaggio, anzi grandissimo, sopra l’avversario, e perché è impossibile che due verità si contrariino, però non doviamo temer d’assalti che ci venghino fatti da chi si voglia, pur che a 123

noi ancora sia dato campo di parlare e d’essere ascoltati da persone intendenti e non soverchiamente alterate da proprie passioni e interessi. In confermazione di che, vengo ora a considerare il luogo particolare di Giosuè, per il qual ella apportò a loro Altezze Serenissime tre dichiarazioni; e piglio la terza, che ella produsse come mia, sì come veramente è, ma v’aggiungo alcuna considerazione di più, qual non credo d’avergli detto altra volta. Posto dunque e conceduto per ora all’avversario, che le parole del testo sacro s’abbino a prender nel senso appunto ch’elle suonano, ciò è che Iddio a’ preghi di Giosuè facesse fermare il Sole e prolungasse il giorno, ond’esso ne conseguì la vittoria; ma richiedendo io ancora, che la medesima determinazione vaglia per me, sì che l’avversario non presumesse di legar me e lasciar sé libero quanto al poter alterare o mutare i significati delle parole; io dico che questo luogo ci mostra manifestamente la falsità e impossibilità del mondano sistema Aristotelico e Tolemaico, e all’incontro benissimo s’accomoda co ’l Copernicano. E prima, io dimando all’avversario, s’egli sa di quali movimenti si muova il Sole? Se egli lo sa, è forza che e’ risponda, quello muoversi di due movimenti, cioè del movimento annuo da ponente verso levante, e del diurno all’opposito da levante a ponente. Ond’io, secondariamente, gli domando se questi due movimenti, così diversi e quasi contrarii tra di loro, competono al Sole e sono suoi proprii egualmente? È forza risponder di no, ma che un solo è suo proprio e particolare, ciò è l’annuo, e l’altro non è altramente suo, ma del cielo altissimo, dico del primo mobile, il quale rapisce seco il Sole e gli altri pianeti e la sfera stellata ancora, constringendoli a dar 124

una conversione ’ntorno alla Terra in 24 ore, con moto, come ho detto, quasi contrario al loro naturale e proprio. Vengo alla terza interrogazione, e gli domando con quale di questi due movimenti il Sole produca il giorno e la notte, cioè se col suo proprio o pure con quel del primo mobile? È forza rispondere, il giorno e la notte esser effetti del moto del primo mobile e dal moto proprio del Sole depender non il giorno e la notte, ma le stagioni diverse e l’anno stesso. Ora, se il giorno depende non dal moto del Sole ma da quel del primo mobile, chi non vede che per allungare il giorno bisogna fermare il primo mobile, e non il Sole? Anzi, pur chi sarà ch’intenda questi primi elementi d’astronomia e non conosca che, se Dio avesse fermato ’l moto del Sole, in cambio d’allungar il giorno l’avrebbe scorciato e fatto più breve? perché, essendo ’l moto del Sole al contrario della conversione diurna, quanto più ’l Sole si movesse verso oriente, tanto più si verrebbe a ritardar il suo corso all’occidente; e diminuendosi o annullandosi il moto del Sole, in tanto più breve tempo giugnerebbe all’occaso: il qual accidente sensatamente si vede nella Luna, la quale fa le sue conversioni diurne tanto più tarde di quelle del Sole, quanto il suo movimento proprio è più veloce di quel del Sole. Essendo, dunque, assolutamente impossibile nella costituzion di Tolomeo e d’Aristotile fermare il moto del Sole e allungare il giorno, sì come afferma la Scrittura esser accaduto, adunque o bisogna che i movimenti non sieno ordinati come vuol Tolomeo, o bisogna alterar il senso delle parole, e dire che quando la Scrittura dice che Iddio fermò ’l Sole, voleva dire che fermò ’l primo mobile, ma che, per accomodarsi alla capacità di quei che sono a fatica idonei a intender il nascere e ’l tramontar del Sole, ella dicesse al contrario di quel che avrebbe detto parlando a uomini sensati. 125

Aggiugnesi a questo, che non è credibile ch’Iddio fermasse il Sole solamente, lasciando scorrer l’altre sfere; perché senza necessità nessuna avrebbe alterato e permutato tutto l’ordine, gli aspetti e le disposizioni dell’altre stelle rispett’al Sole, e grandemente perturbato tutto ’l corso della natura: ma è credibile ch’Egli fermasse tutto ’l sistema delle celesti sfere, le quali, dopo quel tempo della quiete interposta, ritornassero concordemente alle lor opre senza confusione o alterazion alcuna. Ma perché già siamo convenuti, non doversi alterar il senso delle parole del testo, è necessario ricorrere ad altra costituzione delle parti del mondo, e veder se conforme a quella il sentimento nudo delle parole cammina rettamente e senza intoppo, sì come veramente si scorge avvenire. Avendo io dunque scoperto e necessariamente dimostrato, il globo del Sole rivolgersi in sé stesso, facendo un’intera conversione in un mese lunare in circa, per quel verso appunto che si fanno tutte l’altre conversioni celesti; ed essendo, di più, molto probabile e ragionevole che il Sole, come strumento e ministro massimo della natura, quasi cuor del mondo, dia non solamente, com’egli chiaramente dà, luce, ma il moto ancora a tutti i pianeti che intorno se gli raggirano; se, conforme alla posizion del Copernico, noi attribuirem alla Terra principalmente la conversion diurna; chi non vede che per fermar tutto il sistema, onde, senza punto alterar il restante delle scambievoli relazioni de’ pianeti, solo si prolungasse lo spazio e ’l tempo della diurna illuminazione, bastò che fosse fermato il Sole, com’appunto suonan le parole del sacro testo? Ecco, dunque, il modo secondo il quale, senza introdur confusione alcuna tra le parti del mondo e senza alterazion delle parole della Scrittura, si può, col fermar il Sole, allungar il giorno in Terra. 126

Ho scritto più assai che non comportano le mie indisposizioni: però finisco, con offerirmegli servitore, e gli bacio le mani, pregandogli da N. S. le buone feste e ogni felicità. Di Firenze, li 21 Dicembre 1613. Di Vostra Paternità molto Reverenda Servitore Affezionatissimo Galileo Galilei.

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2 A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615)

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Molto Illustre e Reverendissimo Signor mio Colendissimo, Perché so che V. S. molto Illustre e Reverendissima fu subito avvisata delle replicate invettive che furono, alcune settimane fa, dal pulpito fatte contro la dottrina del Copernico e suoi seguaci, e più contro i matematici e la matematica stessa, però non gli replicherò nulla sopra questi particolari che da altri intese: ma desidero bene che lei sappia, come, non avendo né io né altri fatte un minimo moto o risentimento sopra gl’insulti di che fummo non con molta carità aggravati, non però si son quietate l’acces’ire di quelli; anzi, essendo ritornato da Pisa il medesimo Padre che si era fatto sentire quell’anno in privati colloquii, ha aggravato di nuovo la mano sopra di me: ed essendogli pervenuta, non so donde, copia di una lettera ch’io scrissi l’anno passato al Padre Mattematico di Pisa in proposito dell’apportare le autorità sacre in dispute naturali ed in esplicazione del luogo di Giosuè, vi vanno esclamando sopra, e ritrovandovi, per quanto dicono, molte eresie, ed insomma si sono aperti un nuovo campo di lacerarmi. Ma perché da ogni altro che ha veduta detta lettera non mi è stato fatto pur minimo segno di scrupolo, vo dubitando che forse chi l’ha trascritta possa inavvertentemente aver mutata qualche parola; la qual mutazione, congiunta con un poco di disposizione alle censure, possa far apparire le cose molto diverse dalla mia intenzione. E perché alcuni di questi Padri, ed in particolare quest’istesso che ha parlato, se ne son venuti costà per far, come intendo, qualche altro tentativo con la sua copia di detta mia lettera, mi è parso non fuor di proposito mandarne una copia a V. S. Reverendissima nel modo giusto che l’ho scritta io, pregandola che mi favorisca di leggerla insieme col Padre Grembergiero Gesuita, matematico insigne e mio 129

grandissimo amico e padrone, ed anche lasciargliela, se forse parrà opportuno a S. R. di farla con qualche occasione pervenire in mano dell’Illustrissimo Cardinal Bellarmino, al quale questi Padri Domenicani si son lasciati intendere di voler far capo, con isperanza di far, per lo meno, dannar il libro del Copernico e la sua oppinione e dottrina. La lettera fu da me scritta currenti calamo; ma queste ultime concitazioni, ed i motivi che questi Padri adducono per mostrare i demeriti di questa dottrina, ond’ella meriti di essere abolita, mi hanno fatto veder qualche cosa di più scritta in simili materie: e veramente non solo ritrovo, tutto quello che ho scritto essere stato detto da loro, ma molto più ancora, mostrando con quanta circonspezione bisogni andar intorno a quelle conclusioni naturali che non son de Fide, alle quali possono arrivare l’esperienze e le dimostrazioni necessarie, e quanto perniciosa cosa sarebbe l’asserir come dottrina risoluta nelle Sacre Scritture alcuna proposizione della quale una volta si potesse aver dimostrazione in contrario. Sopra questi capi ho distesa una scrittura molto copiosa, ma non l’ho ancora al netto in maniera che ne possa mandar copia a V. S., ma lo farò quanto prima: nella quale, quel che si sia dell’efficacia delle mie ragioni e discorsi, di questo ben son sicuro, che ci si troverà molto più zelo verso Santa Chiesa e la dignità delle Sacre Lettere, che in questi miei persecutori; poi che loro proccurano di proibir un libro ammesso tanti anni da Santa Chiesa, senza averlo pur mai lor veduto, non che letto o inteso; ed io non fo altro che esclamare che si esamini la sua dottina e si ponderino le sue ragioni da persone cattolichissime ed intendentissime, che si rincontrino le sue posizioni con l’esperienze sensate, e che in somma non si danni se prima non si trova falso, se è vero che una proposizione non possa insieme esser vera ed erronea. Non mancano nella cristianità uomini intendentissimi della 130

professione, il parer de’ quali circa la verità o falsità della dottrina non doverà esser posposto all’arbitrio di chi non è punto informato e che pur troppo chiaro si conosce essere da qualche parziale affetto alterato, sì come benissimo conoscono molti; che si trovono qua in fatto, e che veggono tutti gli andamenti e son informati, almeno in parte, delle macchine e trattato. Niccolò Copernico fu uomo non pur cattolico, ma religioso e canonico; fu chiamato a Roma sotto Leone X, quando nel Concilio Lateranense si trattava l’emendazione del calendario ecclesiastico, facendosi capo a lui come a grandissimo astronomo. Restò nondimeno indecisa tal riforma per questa sola cagione, perché la quantità de gli anni e de’ mesi de’ moti del Sole e della Luna non erano abbastanza stabiliti: onde egli, d’ordine del vescoro Semproniense, che allora era sopraccapo di questo negozio, si messe con nuove osservazioni ed accuratissimi studii all’investigazione di tali periodi; e ne conseguì in somma tal cognizione, che non solo regolò tutti i moti de’ corpi celesti, ma si acquistò il titolo di sommo astronomo, la cui dottrina fu poi seguita da tutti, e conforme ad essa regolato ultimamente il calendario. Ridusse le sue fatiche intorno a’ corsi e costituzioni de’ corpi celesti in sei libri, li quali, a richiesta di Niccolò Scombergio, cardinale Capuano, mandò in luce, e gli dedicò a Papa Paolo III, e da quel tempo in qua si son veduti publicamente senza scrupolo nessuno. Ora questi buoni frati, solo per un sinistro affetto contro di me, sapendo che io stimo questo autore, si vantano di dargli il premio delle sue fatiche con farlo dichiarare eretico. Ma quello che è più degno di considerazione, la prima lor mossa contro questa oppinione fu il lasciarsi metter su da alcuni miei maligni che gliela dipinsero per opera mia 131

propria, senza dirli che ella fosse già 70 anni fa stampata; e questo medesimo stile vanno tenendo con altre persone, nelle quali cercano d’imprimer sinistro concetto di me: e questo gli va succedendo in modo tale, che, sendo pochi giorni sono arrivato qua Monsignor Gherardini, Vescovo di Fiesole, nelle prime visite a pien popolo, dove si abbatterono alcuni amici miei, proroppe con grandissima veemenza contro di me, mostrandosi gravemente alterato, e dicendo che n’era per far gran passata con Loro Altezze Serenissime, poi che tal mia stravagante oppinione ed erronea dava che dire assai in Roma; e forse avrà a quest’ora fatto il debito, se già non l’ha ritenuto l’essere destramente fatto avvertito, che l’autore di questa dottrina non è altramente un Fiorentino vivente, ma un Tedesco morto, che la stampò già 70 anni sono, dedicando il libro al Sommo Pontefice. Io vo scrivendo, né mi accorgo che parlo a persona informatissima di questi trattamenti, e forse tanto più di me, quanto che ella si trova nel luogo dove si fanno gli strepiti maggiori. Scusimi della prolissità; e se scorge equità nessuna nella causa mia prestimi il suo favore, chè gliene viverò perpetuaente obbligato. Con che le bacio riverentemente le mani, e me gli ricordo servitore devotissimo, e dal Signore Dio gli prego il colmo di felicità. Di Firenze, li 16 Febbraio 1615 Di V. S. molto Illustre e Reverendissima Servitore Obbligatissimo Galileo Galilei. Poscritta. Ancorché io difficilmente possa credere che si fosse per precipitare in prendere una tal risoluzione di annullar questo autore, tuttavia, sapendo per altre prove quanta sia la potenza della mia disgrazia, quando è congiunta con la malignità ed ignoranza de’ miei avversari, mi par di 132

aver cagione di non mi assicurar del tutto sopra la somma prudenza e santità di quelli da chi ha da dipender l’ultima risoluzione, sì che quella ancora non possa esser in parte affascinata da questa fraude che va in volta sotto il manto di zelo e di carità. Però, per non mancare, per quanto posso, a me stesso ed a quello che dalla mia scrittura vedrà in breve V. S. Reverendissima che è vero e purissimo zelo, desiderando che almanco ella possa prima esser veduta, e poi prendasi quella risoluzione che piacerà a Dio (ché io quanto a me son tanto bene edificato e disposto, che prima che contravvenire a’ miei superiori, quando non potessi far altro, e che quello che ora mi pare di credere e toccar con mano mi avesse ad essere di pregiudizio all’anima, eruerem oculum meum ne me scandalizaret); io credo che il più presentaneo rimedio sia il battere alli Padri Gesuiti, come quelli che sanno assai sopra le comuni lettere de’ frati: però gli potrà dar la copia della lettera, ed anco leggergli, se le piacerà, questa che scrivo a lei; e poi, per la sua solita cortesia, si degnerà di farmi avvisato di quanto avrà potuto ritrarre. Non so se fosse opportuno essere col Sig. Luca Valerio, e dargli copia di detta lettera, come uomo che è di casa del Cardinale Aldobrandino e potrebbe fare con S. S. qualche offizio. Di questo e di ogni altra cosa mi rimetto alla sua bontà e prudenza, e gli raccomando la riputazion mia, e di nuovo gli bacio le mani.

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3 A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615)

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Molto Illustre e Reverendissimo Sig. mio Colendissimo, Risponderò succintamente alla cortesissima lettera di V. S. molto Illustre e Reverendissima, non mi permettendo il poter far altramente il mio cattivo stato di sanità. Quanto al primo particolare che ella mi tocca, che al più che potesse esser deliberato circa il libro del Copernico, sarebbe il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse introdotta per salvar l’apparenze, nel modo ch’altri introdussero gli eccentrici e gli epicicli, senza poi credere che veramente e’ sieno in natura, gli dico (rimettendomi sempre a chi più di me intende, e solo per zelo che ciò che si è per fare sia fatto con ogni maggior cautela) che quanto a salvar l’apparenze il medesimo Copernico aveva già per avanti fatta la fatica, e satisfatto alla parte de gli astrologi secondo la consueta e ricevuta maniera di Tolomeo; ma che poi, vestendosi l’abito di filosofo, e considerando se tal costituzione delle parti dell’universo poteva realmente sussistere in rerum natura, e veduto che no, e parendogli pure che il problema della vera costituzione fusse degno d’esser ricercato, si messe all’investigazione di tal costituzione, conoscendo che se una disposizione di parti finta e non vera poteva satisfar all’apparenze, molto più ciò si arebbe ottenuto dalla vera e reale, e nell’istesso tempo si sarebbe in filosofia guadagnato una cognizione tanto eccellente, qual è il sapere la vera disposizione delle parti del mondo; e trovandosi egli per l’osservazioni e studii di molti anni, copiosissimo di tutti i particolari accidenti osservati nelle stelle, senza i quali tutti diligentissimamente appresi e prontissimamente affissi nella mente è impossibile il venir in notizia di tal mondana constituzione, con replicati studii e lunghissime fatiche conseguì quello che l’ha reso poi ammirando a tutti quelli che 135

con diligenza lo studiano, sì che restino capaci de’ suoi progressi: tal che il voler persuadere che il Copernico non stimasse vera la mobilità della Terra, per mio credere, non potrebbe trovar assenso se non forse appresso chi non l’avesse letto, essendo tutti 6 i suoi libri pieni di dottrina dependente dalla mobilità della Terra, e quella esplicante e confermante. E se egli nella sua dedicatoria molto ben intende e confessa che la posizione della mobilità della Terra era per farlo reputare stolto appresso l’universale, il giudizio del quale egli dice di non curare, molto più stolto sarebb’egli stato a voler farsi reputar tale per un’opinione da sé introdotta, ma non interamente e veramente creduta. Quanto poi al dire che gli attori principali che hanno introdotto gli eccentrici e gli epicicli non gli abbino poi reputati veri, questo non crederò io mai; e tanto meno, quanto con necessità assoluta bisogna ammettergli nell’età nostra, mostrandocegli il senso stesso. Perché, non essendo l’epiciclo altro che un cerchio descritto dal moto d’una stella la quale non abbracci con tal suo rivolgimento il globo terrestre, non veggiamo noi di tali cerchi esserne da quattro stelle descritti quattro intorno a Giove? e non è egli più chiaro che ’l Sole, che Venere descrive il suo cerchio intorno ad esso Sole senza comprender la Terra, e per conseguenza forma un epiciclo? e l’istesso accade anco a Mercurio. In oltre, essendo l’eccentrico un cerchio che ben circonda la Terra, ma non la contiene nel suo centro, ma da una banda, non si ha da dubitare se il corso di Marte sia eccentrico alla Terra, vedendosi egli ora più vicino ed ora più remoto, in tanto che ora lo veggiamo piccolissimo ed altra volta di superficie 60 volte maggiore; adunque, qualunque si sia il suo rivolgimento, egli circonda la Terra, e gli è una volta otto volte più presso che un’altra. E di tutte queste cose e d’altre simili in gran numero ce n’hanno data sensata esperienza gli ultimi 136

scoprimenti: tal che il voler ammettere la mobilità della Terra solo con quella concessione e probabilità che si ricevono gli eccentrici e gli epicicli, è un ammetterla per sicurissima, verissima e irrefragabile. Ben è vero che di quelli che hanno negato gli eccentrici e gli epicicli io ne trovo 2 classi. Una è di quelli che, sendo del tutto ignudi dell’osservazioni de’ movimenti delle stelle e di quello che bisogni salvare, negano senza fondamento nessuno tutto quello che e’ non intendono: ma questi son degni che di loro non si faccia alcuna considerazione. Altri, molto più ragionevoli, non negheranno i movimenti circolari descritti da i corpi delle stelle intorno ad altri centri che quello della Terra, cosa tanto manifesta, che, all’incontro, è chiaro, nessuno de’ pianeti far il suo rivolgimento concentrico ad essa Terra; ma solo negheranno, ritrovarsi nel corpo celeste una struttura di orbi solidi e tra sé divisi e separati, che, arrotandosi e fregandosi insieme, portino i corpi de’ pianeti etc.: e questi crederò io che benissimo discorrino; ma questo non è un levar i movimenti fatti dalle stelle in cerchi eccentrici alla Terra o in epicicli, che sono i veri e semplici assunti di Tolomeo e de gli astronomi grandi, ma è un repudiar gli orbi solidi materiali e distinti, introdotti da i fabbricatori di teoriche per agevolar l’intelligenza de i principianti ed i computi de’ calculatori; e questa sola parte è fittizia e non reale, non mancando a Iddio modo di far camminare le stelle per gl’immensi spazii del cielo, ben dentro a limitati e certi sentieri, ma non incatenate o forzate. Però, quanto al Copernico, egli, per mio avviso, non è capace di moderazione, essendo il principalissimo punto di tutta la sua dottrina e l’universal fondamento la mobilità della Terra e stabilità del Sole: però, o bisogna dannarlo del tutto, o lasciarlo nel suo essere, parlando sempre per quanto 137

comporta la mia capacità. Ma se sopra una tal resoluzione e’ sia bene attentissimamente considerare, ponderare, esaminare, ciò che egli scrive, io mi sono ingegnato di mostrarlo in una mia scrittura, per quanto da Dio benedetto mi è stato conceduto, non avendo mai altra mira che alla dignità di Santa Chiesa e non indirizzando ad altro fine le mie deboli fatiche; il qual purissimo e zelantissimo affetto son ben sicuro che in essa scrittura si scorgerà chiaro, quando per altro ella fusse piena d’errori o di cose di poco momento: e già l’averei inviata a V. S. Reverendissima, se alle mie tante e sì gravi indisposizioni non si fusse ultimamente aggiunto un assalto di dolori colici che m’ha travagliato assai; ma la manderò quanto prima. Anzi, per il medesimo zelo, vo mettendo insieme tutte le ragioni del Copernico, riducendole a chiarezza intelligibile da molti, dove ora sono assai difficili, e più aggiungendovi molte e molte altre considerazioni, fondate sempre sopra osservazioni celesti, sopra esperienze sensate e sopra incontri di effetti naturali, per offerirle poi a i piedi del Sommo Pastore ed all’infallibile determinazione di Santa Chiesa, che ne faccia quel capitale che parrà alla sua somma prudenza. Quanto al parere del M. R. P. Grembergero, io veramente lo laudo, e volentieri lascio la fatica delle interpretazioni a quelli che intendono infinitamente più di me. Ma quella breve scrittura che mandai a V. S. Reverendissima è, come vede, una lettera privata, scritta più d’un anno fa all’amico mio, per esser letta da lui solo; ma avendon’egli, pur senza mia saputa, lasciato prender copia, e sentendo io che l’era venuta nelle mani di quel medesimo che tanto acerbamente m’aveva sin dal pulpito lacerato, e sapendo ch’ei l’aveva portata costà, giudicai ben fatto che ve ne fusse un’altra copia, per poterla in ogni occasione incontrare, e massime avendo quello ed altri suoi aderenti teologi sparso 138

qua voce, come detta mia lettera era piena d’eresie. Non è, dunque, il mio pensiero di metter mano a impresa tanto superiore alle mie forze; se ben non si deve anco diffidare che la Benignità divina tal volta si degni di inspirare qualche raggio della sua immensa sapienza in intelletti umili, e massime quando son almeno adornati di sincero e santo zelo; oltre che, quando si abbino a concordar luoghi sacri con dottrine naturali nuove e non comuni, è necessario aver intera notizia di tali dottrine, non si potendo accordar due corde insieme col sentirne una sola. E se io conoscessi di potermi prometter alcuna cosa dalla debolezza del mio ingegno, mi piglierei ardire di dire di ritrovar tra alcuni luoghi delle Sacre Lettere e di questa mondana constituzione molte convenienze che nella vulgata filosofia non così ben mi pare che consuonino: e l’avermi V. S. Reverendissima accennato, come il luogo del Salmo 18 è de i reputati più repugnanti a questa opinione, m’ha fatto farci sopra nuova reflessione, la quale mando a V. S. con tanto minor renitenza, quanto ella mi dice che l’Illustrissimo e Reverendissimo Cardinal Bellarmino volentieri vedrà se ho alcun altro di tali luoghi. Però, avendo io satisfatto al semplice cenno di S. S. Illustrissima e Reverendissima, veduta che abbia S. S. Illustrissima questa mia, qualunque ella si sia, contemplazione, ne faccia quel tanto che la sua somma prudenza ordinerà; ché io intendo solamente di riverire e ammirare le cognizioni tanto sublimi, e obbedire a i cenni de’ miei superiori, ed all’arbitrio loro sottoporre ogni mia fatica. Però, non mi arrogando che, qualunque si sia la verità della supposizione ex parte naturæ, altri non possino apportare molto più congruenti sensi alle parole del Profeta, anzi stimandomi io inferiore a tutti, e però a tutti i sapienti sottoponendomi, direi, parermi che nella natura si ritrovi una substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale, 139

diffondendosi per l’universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende feconde tutte le viventi creature; e di questo spirito par che ’l senso stesso ci dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo, dal quale espandendosi un’immensa luce per l’universo, accompagnata da tale spirito calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, gli rende vivi e fecondi. Questo ragionevolmente stimar si può essere qualche cosa di più del lume, poi che ei penetra e si diffonde per tutte le sustanze corporee, ben che densissime, per molte delle quali non così penetra essa luce: tal che, sì come dal nostro fuoco veggiamo e sentiamo uscir luce e calore, e questo passar per tutti i corpi, ben che opaci e solidissimi, e quella trovar contrasto dalla solidità e opacità, così l’emanazione del Sole è lucida e calorifica, e la parte calorifica è la più penetrante. Che poi di questo spirito e di questa luce il corpo solare sia, come ho detto, un ricetto e, per così dire, una conserva che ab extra gli riceva, più tosto che un principio e fonte primario dal quale originariamente si derivino, parmi che se n’abbia evidente certezza nelle Sacre Lettere, nelle quali veggiamo, avanti la creazione del Sole, lo spirito con la sua calorifica e feconda virtù foventem aquas seu incubantem super aquas per le future generazioni; e parimente aviamo la creazione della luce nel primo giorno, dove che il corpo solare vien creato il giorno quarto. Onde molto verisimilmente possiamo affermare, questo spirito fecondante e questa luce diffusa per tutto il mondo concorrere ad unirsi e fortificarsi in esso corpo solare, per ciò nel centro dell’universo collocato, e quindi poi, fatta più splendida e vigorosa, di nuovo diffondersi. Di questa luce primogenea e non molto splendida avanti la sua unione e concorso nel corpo solare, ne aviamo attestazione dal Profeta nel Salmo 73, v. 16: Tuus est dies et tua est nox: Tu fabricatus es auroram et Solem; il qual luogo 140

vien interpretato, Iddio aver fatto avanti al Sole una luce simile a quella dell’aurora: di più, nel testo ebreo in luogo d’aurora si legge lume, per insinuarci quella luce che fu creata molto avanti il Sole, assai più debile della medesima ricevuta, fortificata e di nuovo diffusa da esso corpo solare. A questa sentenza mostra d’alludere l’opinione d’alcuni antichi filosofi, che hanno creduto lo splendor del Sole esser un concorso nel centro del mondo de gli splendori delle stelle, che, standogli intorno sfericamente disposte, vibrano i raggi loro, li quali, concorrendo e intersecandosi in esso centro, accrescono ivi e per mille volte raddoppiano la luce loro; onde ella poi, fortificata, si reflette e si sparge assai più vigorosa e ripiena, dirò così, di maschio e vivace calore, e si diffonde a vivificare tutti i corpi che intorno ad esso centro si raggirano: sì che, con certa similitudine, come nel cuore dell’animale si fa una continua regenerazione di spiriti vitali, che sostengono e vivificano tutte le membra, mentre però viene altresì ad esso cuore altronde sumministrato il pabulo e nutrimento, senza il quale ei perirebbe, così nel Sole, mentre ab extra concorre il suo pabulo, si conserva quel fonte onde continuamente deriva e si diffonde questo lume e calore prolifico, che dà la vita a tutti i membri che attorno gli riseggono. Ma come che della mirabil forza ed energia di questo spirito e lume del Sole, diffuso per l’universo, io potessi produr molte attestazioni di filosofi e gravi scrittori, voglio che mi basti un solo luogo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus, il quale è tale: Lux etiam colligit convertitque ad se omia, quæ videntur, quæ moventur, quæ illustrantur, quæ calescunt, et uno nomine ea quæ ab eius splendore continentur. Itaque Sol Ilios dicitur, quod omnia congreget colligatque dispersa. E poco più a basso scrive dell’istesso: Si enim Sol hic, quem videmus, eorum quæ sub sensum cadunt essentias et qualitates, quamquam multæ sint ac dissimiles, tamen ipse, qui unus est 141

æqualibiterque lumen fundit, renovat, alit, tuetur, perficit, dividit, coniungit, fovet, fœcunda reddit, auget, mutat, firmat, edit, movet, vitaliaque facit omnia, et unaquæque res huius universitatis, pro captu suo, unius atque eiusdem Solis est particeps, causasque multorum, quæ participant, in se æquabiliter anticipatas habet; certe maiore ratione etc. Ora, stante questa filosofica posizione, la quale è forse una delle principali porte per cui si entri nella contemplazione della natura, io crederrei, parlando sempre con quella umiltà e reverenza che devo a Santa Chiesa e a tutti i suoi dottissimi Padri, da me riveriti e osservati ed al giudizio de’ quali sottopongo me ed ogni mio pensiero, crederrei, dico, che il luogo del Salmo potesse aver questo senso, cioè che Deus in Sole posuit tabernaculum suum come in sede nobilissima di tutto ’l mondo sensibile; dove poi si dice che Ipse, tanquam sponsus procedens de thalamo suo, exultavit ut gigas ad currendam viam, intenderei, ciò esser detto del Sole irradiante, ciò è del lume e del già detto spirito calorifico e fecondante tutte le corporee sustanze, il quale, partendo dal corpo solare, velocissimamente si diffonde per tutto ’l mondo: al qual senso si adattano puntualmente tutte le parole. E prima, nella parola sponsus aviamo la virtù fecondante e prolifica; l’exultare ci addita quell’emanazione di essi raggi solari fatta, in certo modo, a salti, come ’l senso chiaramente ci mostra; ut gigas, o vero ut fortis, ci denota l’efficacissima attività e virtù di penetrare per tutti i corpi, ed insieme la somma velocità del muoversi per immensi spazii, essendo l’emanazione della luce come instantanea. Confermansi dalle parole procedens de thalamo suo, che tale emanazione e movimento si deve referire ad esso lume solare, e non all’istesso corpo del Sole; poi che il corpo e globo del Sole è ricetto e tanquam thalamus di esso lume, né torna ben a dire che thalamus procedat de thalamo. Da quello che segue, a 142

summo cæli egressio eius, aviamo la prima derivazione e partita di questo spirito e lume dall’altissime parti del cielo, ciò è sin dalle stelle del firmamento o anco dalle sedi più sublimi. Et occorsus eius usque ad summum eius: ecco la reflessione e, per così dire, la riemanazione dell’istesso lume sino alla medesima sommità del mondo. Segue: Nec est qui abscondat a calore eius: eccoci additato il calore vivificante e fecondante, distinto dalla luce e molto più di quella penetrante per tutte le corporali sustanze, ben che densissime; poi che dalla penetrazione della luce molte cose ci difendono e ricuoprono, ma da questa altra virtù non est qui se abscondat a calore eius. Né devo tacer cert’altra mia considerazione, non aliena da questo proposito. Io già ho scoperto il concorso continuo di alcune materie tenebrose sopra il corpo solare, dove elleno si mostrano al senso sotto aspetto di macchie oscurissime, ed ivi poi si vanno consumando e risolvendo; ed accennai come queste per avventura si potrebbono stimar parte di quel pabulo, o forse gli escrementi di esso, del quale il Sole da alcuni antichi filosofi fu stimato bisognoso per suo sostentamento. Ho anco dimostrato, per l’osservazioni continuate di tali materie tenebrose, come il corpo solare per necessità si rivolge in sé stesso, e di più accennato quanto sia ragionevol il creder che da tal rivolgimento dependino i movimenti de’ pianeti intorno al medesimo Sole. Di più, noi sappiamo che l’intenzione di questo Salmo è di laudare la legge divina, paragonandola il profeta col corpo celeste, del quale, tra le cose corporali, nissuna è più bella, più utile e più potente. Però, avendo egli cantati gli encomii del Sole e non gli essendo occulto che egli fa raggirarsi intorno tutti i corpi mobili del mondo, passando alle maggiori prerogative della legge divina e volendola anteporre al Sole, aggiunge: Lex Domini immaculata, convertes animas etc.; quasi volendo dire 143

che essa legge è tanto più eccellente del Sole istesso, quanto l’esser immaculato ed aver facoltà di convertir intorno a sé le anime è più eccellente condizione che l’essere sparso di macchie, come è il Sole, ed il farsi raggirar attorno i globi corporei e mondani. So e confesso il mio soverchio ardire nel voler por bocca, essendo imperito nelle Sacre Lettere, in esplicar sensi di sì alta contemplazione: ma come che il sottomettermi io totalmente al giudizio de’ miei superiori può rendermi scusato, così quel che segue del versetto già esplicato, Testimonium Domini fidele, sapientiam præstans parvulis, m’ha dato speranza, poter esser che la infinita benignità di Dio possa indirizzare verso la purità della mia mente un minimo raggio della sua grazia, per la quale mi si illumini alcuno de’ reconditi sensi delle sue parole. Quanto ho scritto, Signor mio, è un piccol parto, bisognoso d’esser ridotto a miglior forma, lambendolo e ripulendolo con affezione e pazienza, essendo solamente abbozzato e di membra capaci sì di figura assai proporzionata, ma per ora incomposte e rozze: se averò possibilità, l’andrò riducendo a miglior simmetria; intanto la prego a non lo lasciar venir in mano di persona che, adoprando, invece della delicatezza della lingua materna, l’asprezza ed acutezza del dente novercale, in luogo di ripulirlo non lo lacerasse e dilaniasse del tutto. Con che le bacio riverentemente le mani, insieme con li Signori Buonarroti, Guiducci, Soldani e Giraldi, qui presenti al serrar della lettera. Di Firenze, li 23 Marzo 1615 Di V. S. molt’Illustre e Reverendissima Servitore obligatissimo Galileo Galilei

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4 A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615)

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Alla Serenissima Madama la Granduchessa Madre Galileo Galilei. Io scopersi pochi anni a dietro, come ben sa l’Altezza Vostra Serenissima, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune conseguenze che da essi dependono, contrarianti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi, mi eccitorno contro non piccol numero di tali professori; quasi che io di mia mano avessi tali cose collocate in cielo, per intorbidar la natura e le scienze. E scordatisi in certo modo che la moltitudine de’ veri concorre all’investigazione, accrescimento e stabilimento delle discipline, e non alla diminuzione o destruzione, e dimostrandosi nell’istesso tempo più affezzionati alle proprie opinioni che alle vere, scorsero a negare e far prova d’annullare quelle novità, delle quali il senso istesso, quando avessero voluto con attenzione riguardarle, gli averebbe potuti render sicuri; e per questo produssero varie cose, ed alcune scritture pubblicarono ripiene di vani discorsi, e, quel che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle Sacre Scritture, tolte da luoghi non bene da loro intesi e lontano dal proposito addotti: nel qual errore forse non sarebbono incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento che ci dà S. Agostino, intorno all’andar con riguardo nel determinar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser comprese per via del solo discorso; mentre, parlando pur di certa conclusione naturale attenente a i corpi celesti, scrive 1 così: Nunc autem, servata semper moderatione piæ gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod 146

postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri erroris oderimus. È accaduto poi che il tempo è andato successivamente scoprendo a tutti le verità prima da me additate, e con la verità del fatto la diversità degli animi tra quelli che schiettamente e senz’altro livore non ammettevano per veri tali scoprimenti, e quegli che all’incredulità aggiugnevano qualche affetto alterato: onde, sì come i più intendenti della scienza astronomica e della naturale restarono persuasi al mio primo avviso, così si sono andati quietando di grado in grado gli altri tutti che non venivano mantenuti in negativa o in dubbio da altro che dall’inaspettata novità e dal non aver avuta occasione di vederne sensate esperienze; ma quelli che, oltre all’amor del primo errore, non saprei qual altro loro immaginato interesse gli rende non bene affetti non tanto verso le cose quanto verso l’autore, quelle, non le potendo più negare, cuoprono sotto un continuo silenzio, e divertendo il pensiero ad altre fantasie, inacerbiti più che prima da quello onde gli altri si sono addolciti e quietati, tentano di progiudicarmi con altri modi. De’ quali io veramente non farei maggiore stima di quel che mi abbia fatto dell’altre contradizzioni, delle quali mi risi sempre, sicuro dell’esito che doveva avere ’l negozio, s’io non vedessi che le nuove calunnie e persecuzioni non terminano nella molta o poca dottrina, nella quale io scarsamente pretendo, ma si estendono a tentar di offendermi con macchie che devono essere e sono da me più aborrite che la morte, né devo contentarmi che le sieno conosciute per ingiuste da quelli solamente che conoscono me e loro, ma da ogn’altra persona ancora. Persistendo dunque nel primo loro instituto, di voler con ogni immaginabil maniera atterrar me e le cose mie; sapendo come io ne’ miei studi di astronomia e di filosofia tengo, circa alla 147

costituzione delle parti del mondo, che il Sole, senza mutar luogo, resti situato nel centro delle conversioni de gli orbi celesti, e che la Terra, convertibile in sé stessa, se gli muova intorno; e di più sentendo che tal posizione vo confermando non solo col reprovar le ragioni di Tolommeo e d’Aristotile, ma col produrne molte in contrario, ed in particolare alcune attenenti ad effetti naturali, le cause de’ quali forse in altro modo non si possono assegnare, ed altre astronomiche, dependenti da molti rincontri de’ nuovi scoprimenti celesti, li quali apertamente confutano il sistema Tolemaico e mirabilmente con quest’altra posizione si accordano e la confermano; e forse confusi per la conosciuta verità d’altre proposizioni da me affermate, diverse dalle comuni; e però diffidando ormai di difesa, mentre restassero nel campo filosofico; si son risoluti a tentar di fare scudo alle fallacie de’ lor discorsi col manto di simulata religione e con l’autorità delle Scritture Sacre, applicate da loro, con poca intelligenza, alla confutazione di ragioni né intese né sentite. E prima, hanno per lor medesimi cercato di spargere concetto nell’universale, che tali proposizioni sieno contro alle Sacre Lettere, ed in consequenza dannande ed eretiche; di poi, scorgendo quanto per lo più l’inclinazione dell’umana natura sia più pronta ad abbracciar quell’imprese dalle quali il prossimo ne venga, ben che ingiustamente, oppresso, che quelle ond’egli ne riceva giusto sollevamento, non gli è stato difficile il trovare chi per tale, ciò è per dannanda ed eretica, l’abbia con insolita confidenza predicata sin da i pulpiti, con poco pietoso e men considerato aggravio non solo di questa dottrina e di chi la segue, ma di tutte le matematiche e de’ matematici insieme; quindi, venuti in maggior confidenza, e vanamente sperando che quel seme, che prima fondò radice nella mente loro non sincera, possa diffonder suoi rami ed alzargli verso il cielo, vanno mormorando tra ’l popolo, che 148

per tale ella sarà in breve dichiarata dall’autorità suprema. E conoscendo che tal dichiarazione spianterebbe non sol queste due conclusioni, ma renderebbe dannande tutte l’altre osservazioni e proposizioni astronomiche e naturali, che con esse hanno corrispondenza e necessaria connessione, per agevolarsi il negozio cercano, per quanto possono, di far apparir questa opinione, almanco appresso all’universale, come nuova e mia particolare, dissimulando di sapere che Niccolò Copernico fu suo autore e più presto innovatore e confermatore, uomo non solamente cattolico, ma sacerdote e canonico, e tanto stimato, che, trattandosi nel concilio Lateranense, sotto Leon X, della emendazion del calendario ecclesiastico, egli fu chiamato a Roma sin dall’ultime parti di Germania per questa riforma, la quale allora rimase imperfetta solo perché non si aveva ancora esatta cognizione della giusta misura dell’anno e del mese lunare: onde a lui fu dato carico dal Vescovo Semproniense, allora soprintendente a quest’impresa, di cercar con replicati studi e fatiche di venire in maggior lume e certezza di essi movimenti celesti; ond’egli, con fatiche veramente atlantiche e col suo mirabil ingegno, rimessosi a tale studio, si avanzò tanto in queste scienze, e a tale esattezza ridusse la notizia de’ periodi de’ movimenti celesti, che si guadagnò il titolo di sommo astronomo, e conforme alla sua dottrina non solamente si è poi regolato il calendario, ma si fabbricorno le tavole di tutti i movimenti de’ pianeti: ed avendo egli ridotta tal dottrina in sei libri, la pubblicò al mondo a i prieghi del Cardinal Capuano e del Vescovo Culmense; e come quello che si era rimesso con tante fatiche a questa impresa d’ordine del Sommo Pontefice, al suo successore, ciò è a Paolo III, dedicò il suo libro delle Revoluzioni Celesti, il qual, stampato pur allora, è stato ricevuto da Santa Chiesa, letto e studiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa pur minima ombra 149

di scrupolo nella sua dottrina. La quale ora mentre si va scoprendo quanto ella sia ben fondata sopra manifeste esperienze e necessarie dimostrazioni, non mancano persone che, non avendo pur mai veduto tal libro, procurano il premio delle tante fatiche al suo autore con la nota di farlo dichiarare eretico; e questo solamente per sodisfare ad un lor particolare sdegno, concepito senza ragione contro di un altro, che non ha più interesse col Copernico che l’approvar la sua dottrina. Ora, per queste false note che costoro tanto ingiustamente cercano di addossarmi, ho stimato necessario per mia giustificazione appresso l’universale, del cui giudizio e concetto, in materia di religione e di reputazione, devo far grandissima stima, discorrer circa a quei particolari che costoro vanno producendo per detestare ed abolire questa opinione, ed in somma per dichiararla non pur falsa, ma eretica, facendosi sempre scudo di un simulato zelo di religione e volendo pur interessar le Scritture Sacre e farle in certo modo ministre de’ loro non sinceri proponimenti, col voler, di più, s’io non erro, contro l’intenzion di quelle e de’ Santi Padri, estendere, per non dir abusare, la loro autorità, sì che anco in conclusioni pure naturali e non de Fide, si deve lasciar totalmente il senso e le ragioni dimostrative per qualche luogo della Scrittura, che tal volta sotto le apparenti parole potrà contener sentimento diverso. Dove spero di dimostrar, con quanto più pio e religioso zelo procedo io, che non fanno loro, mentre propongo non che non si danni questo libro, ma che non si danni, come vorrebbono essi, senza intenderlo, ascoltarlo, né pur vederlo, e massime sendo autore che mai non tratta di cose attenenti a religione o a fede, né con ragioni dependenti in modo alcuno da autorità di Scritture Sacre, dove egli possa malamente averle interpretate, ma sempre se ne sta su conclusioni naturali, attenenti a i moti 150

celesti, trattate con astronomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate esperienze ed accuratissime osservazioni. Non che egli non avesse posto cura a i luoghi delle Sacre Lettere; ma perché benissimo intendeva, che sendo tal sua dottrina dimostrata, non poteva contrariare alle Scritture intese perfettamente: e però nel fine della dedicatoria, parlando al Sommo Pontefice, dice così: Si fortasse erunt matæologi, qui, cum omnium mathematum ignari sint, tamen de illis iudicium assumunt, propter aliquem locum Scripturæ, male ad suum propositum detortum, ausi fuerint hoc meum institutum repræhendere ac insectari, illos nihil moror, adeo ut etiam illorum iudicium tanquam temerarium contemnam. Non enim obscurum est, Lactantium, celebrem alioqui scriptorem, sed mathematicum parum, admodum pueriliter de forma Terræ loqui, cum deridet eos qui Terram globi formam habere prodiderunt. Itaque non debet mirum videri studiosis, si qui tales nos etiam ridebunt. Mathemata mathematicis scribuntur, quibus et hi nostri labores (si me non fallit opinio) videbuntur etiam Republicæ Ecclesiasticæ conducere aliquid, cuius principatum Tua Sanctitas nunc tenet. E di questo genere si scorge esser questi che s’ingegnano di persuadere che tale autore si danni, senza pur vederlo; e per persuadere che ciò non solamente sia lecito, ma ben fatto, vanno producendo alcune autorità della Scrittura e de’ sacri teologi e de’ Concilii: le quali sì come da me son reverite e tenute di suprema autorità, sì che somma temerità stimerei esser quella di chi volesse contradirgli mentre vengono conforme all’instituto di Santa Chiesa adoperate, così credo che non sia errore il parlar mentre si può dubitare che alcuno voglia, per qualche suo interesse, produrle e servirsene diversamente da quello che è nella santissima intenzione di Santa Chiesa; però, protestandomi (e anco 151

credo che la sincerità mia si farà per sé stessa manifesta) che io intendo non solamente di sottopormi a rimuover liberamente quegli errori ne’ quali per mia ignoranza potessi in questa scrittura incorrere in materie attenenti a religione, ma mi dichiaro ancora non voler nell’istesse materie ingaggiar lite con nissuno, ancor che fossero punti disputabili: perché il mio fine non tende ad altro, se non che, se in queste considerazioni, remote dalla mia professione propria, tra gli errori che ci potessero essere dentro, ci è qualche cosa atta ad eccitar altri a qualche avvertimento utile per Santa Chiesa, circa ’l determinar sopra ’l sistema Copernicano, ella sia presa e fattone quel capitale che parrà a’ superiori; se no, sia pure stracciata ed abbruciata la mia scrittura, ch’io non intendo o pretendo di guadagnarne frutto alcuno che non fusse pio e cattolico. E di più, ben che molte delle cose che io noto le abbia sentite con i proprii orecchi, liberamente ammetto e concedo a chi l’ha dette che dette non l’abbia, se così gli piace, confessando poter essere ch’io abbia frainteso; e però quando rispondo non sia detto per loro, ma per chi avesse quella opinione. Il motivo, dunque, che loro producono per condennar l’opinione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, è, che leggendosi nelle Sacre lettere, in molti luoghi, che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o errare, ne séguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza di chi volesse asserire, il Sole esser per sé stesso immobile, e mobile la Terra. Sopra questa ragione parmi primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si possa negare essere molte 152

volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno, nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani ed occhi, e non meno affetti corporali ed umani, come d’ira, di pentimento, d’odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozo e indisciplinato, così per quelli che meritano d’esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori ne produchino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per che e’ siano sotto cotali parole profferiti: ed è questa dottrina così trita e specificata appresso tutti i teologi, che superfluo sarebbe il produrne attestazione alcuna. Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo medesimo avviso, per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio. Perché se, come si è detto e chiaramente si scorge, per il solo rispetto d’accomodarsi alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all’istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che l’istessa Scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra, d’acqua, di Sole o d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore 153

dentro a i puri e ristretti significati delle parole? e massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla salute dell’anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo. Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima essecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini; pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura, né meno eccellentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura che ne’ sacri detti delle 2 Scritture: il che volse per avventura intender Tertulliano in quelle parole: Nos definimus, Deum primo natura cognoscendum, deinde doctrina recognoscendum: natura, ex operibus; doctrina, ex prædicationibus. Ma non per questo voglio inferire, non doversi aver 154

somma considerazione de i luoghi delle Scritture Sacre; anzi, venuti in certezza di alcune conclusioni naturali, doviamo servircene per mezi accomodatissimi alla vera esposizione di esse Scritture ed all’investigazione di quei sensi che in loro necessariamente si contengono, come verissime e concordi con le verità dimostrate. Stimerei per questo che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto la mira a persuadere principalmente a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell’istesso Spirito Santo: di più, che ancora in quelle proposizioni che non sono de Fide l’autorità delle medesime Sacre Lettere deva esser anteposta all’autorità di tutte le scritture umane, scritte non con metodo dimostrativo, ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto l’istessa divina sapienza supera ogni umano giudizio e coniettura. Ma che quell’istesso Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all’intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente, ed anco in conclusioni divise, se ne legge nella Scrittura; quale appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, ed una o due volte solamente, Venere, sotto nome di Lucifero. Però se gli scrittori sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e movimenti de’ corpi celesti, e che in conseguenza dovessimo noi ancora dalle Sacre Scritture 155

apprender tal notizia, non ne avrebbon, per mio credere, trattato così poco, che è come niente in comparazione delle infinite conclusioni ammirande che in tale scienza si contengono e si dimostrano. Anzi, che non solamente gli autori delle Sacre Lettere non abbino preteso d’insegnarci le costituzioni e movimenti de’ cieli e delle stelle, e loro figure, grandezze e distanze, ma che a bello studio, ben che tutte queste cose fussero a loro notissime, se ne sieno astenuti, è opinione di santissimi e dottissimi Padri: ed in S. Agostino si 3 leggono le seguenti parole: Quæri etiam solet, quæ forma et figura cæli esse credenda sit secundum Scripturas nostras: multi enim multum disputant de iis rebus, quas maiore prudentia nostri authores omiserunt, ad beatam vitam non profuturas discentibus, et occupantes (quod peius est) multum prolixa et rebus salubribus impendenda temporum spatia. Quid enim ad me pertinet, utrum cælum, sicut sphera, undique concludat Terram, in media mundi mole libratam, an eam ex una parte desuper, velut discus, operiat? Sed quia de fide agitur Scripturarum, propter illam causam quam non semel commemoravi, ne scilicet quisquam, eloquia divina non intelligens, cum de his rebus tale aliquid vel invenerit in libris nostris vel ex illis audierit quod perceptis assertionibus adversari videatur, nullo modo eis cætera utilia monentibus vel narrantibus vel pronunciantibus credat; breviter dicendum est, de figura cæli hoc scisse authores nostros quod veritas habet, sed Spiritum Dei, qui per ipsos loquebatur, noluisse ista docere 4 homines, nulli saluti profutura. E pur l’istesso disprezzo avuto da’ medesimi scrittori sacri nel determinar quello che si deva credere di tali accidenti de’ corpi celesti, ci vien nel seguente cap. 10 replicato dal medesimo S. Agostino, nella quistione, se si deva stimare che ’l cielo si muova o pure stia fermo, scrivendo così: De motu etiam cæli nonnulli fratres quæstionem movent, utrum stet an moveatur: quia si movetur, 156

inquiunt, quomodo firmamentum est? si autem stat, quomodo sydera, quæ in ipso fixa creduntur, ab oriente usque ad occidentem circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta cardinem peragentibus, ut cælum, si est alius nobis occultus cardo ex alio vertice, sicut sphera, si autem nullus alius cardo est, veluti discus, rotari videatur? Quibus respondeo, multum subtilibus et laboriosis ista perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit; quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctæ Ecclesiæ necessariam utilitatem cupimus informari. Dalle quali cose descendendo più al nostro particolare, ne séguita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuta intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere, e collegate in maniera con le pur ora nominate, che senza la determinazion di esse non se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole. E se l’istesso Spirito Santo a bello studio ha pretermesso d’insegnarci simili proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla nostra salute, come si potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte, e non quella, sia tanto necessario che l’una sia de Fide, e l’altra erronea? Potrà, dunque, essere un’opinione eretica, e nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente alla salute? Io qui direi che quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo 5 grado, ciò è l’intenzione delle Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo. Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni 157

naturali si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi teologi; da i quali, tra cent’altre attestazioni, 6 abbiamo le seguenti: Illud etiam diligenter cavendum et omnino fugiendum est, ne in tractanda Mosis doctrina quidquam affirmate et asseveranter sentiamus et dicamus, quod repugnet manifestis experimentis et rationibus philosopiæ vel aliarum disciplinarum: namque, cum verum omne semper cum vero congruat, non potest veritas Sacrarum Literarum veris rationibus et experimentis humanarum doctrinarum esse 7 contraria. Ed appresso S. Agostino si legge: Si manifestæ certæque rationi velut Sanctarum Scripturarum obiicitur authoritas, non intelligit qui hoc facit; et non Scripturæ sensum, ad quem penetrare non potuit, sed suum potius, obiicit veritati; nec quod in ea, sed in se ipso, velut pro ea, invenit, opponit. Stante questo, ed essendo, come si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de’ saggi espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de’ luoghi sacri, che indubitabilmente saranno concordanti con quelle conclusioni naturali, delle quali il senso manifesto e le dimostrazioni necessarie ci avessero prima resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come si è detto, che le Scritture per l’addotte cagioni ammettono in molti luoghi esposizioni lontane dal significato delle parole, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’interpreti parlino inspirati divinamente, poi che, se così fusse, niuna diversità sarebbe tra di loro circa i sensi de’ medesimi luoghi, crederei che fusse molto prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno impegnare i luoghi della Scrittura ed in certo modo obligargli a dover sostener per vere queste o quelle conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero 158

manifestare il contrario. E chi vuol por termine alli umani ingegni? Chi vorrà asserire, già essersi veduto e saputo tutto quello che è al mondo di sensibile e di scibile? Forse quelli che in altre occasioni confesseranno (e con gran verità) che ea quæ scimus sunt minima pars eorum quæ ignoramus? Anzi 8 pure, se noi abbiamo dalla bocca dell’istesso Spirito Santo, che Deus tradidit mundum disputationi eorum, ut non inveniat homo opus quod operatus est Deus ab initio ad finem, non si dovrà, per mio parere, contradicendo a tal sentenza, precluder la strada al libero filosofare circa le cose del mondo e della natura, quasi che elleno sien di già state con certezza ritrovate e palesate tutte. Né si dovrebbe stimar temerità il non si quietare nelle opinioni già state quasi comuni, né dovrebb’esser chi prendesse a sdegno se alcuno non aderisce in dispute naturali a quell’opinione che piace loro, e massime intorno a problemi stati già migliaia d’anni controversi tra filosofi grandissimi, quale è la stabilità del Sole e mobilità della Terra: opinione tenuta da Pittagora, e da tutta la sua setta, e da Eraclide Pontico, il quale fu dell’istessa opinione, da Filolao maestro di Platone, e dall’istesso Platone, come riferisce Aristotile, e del quale scrive Plutarco nella vita di Numa, che esso Platone già fatto vecchio diceva, assurdissima cosa essere il tenere altramente. L’istesso fu creduto da Aristarco Samio, come abbiamo appresso Archimede, da Seleuco matematico, da Niceta filosofo, referente Cicerone, e da molti altri; e finalmente ampliata e con molte osservazioni e dimostrazioni confermata da Niccolò Copernico. E Seneca, eminentissimo filosofo, nel libro De cometis ci avvertisce, doversi con grandissima diligenza cercar di venire in certezza, se sia il cielo o la Terra in cui risegga la diurna conversione. E per questo, oltre a gli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ quali non è pericolo alcuno che possa insurgere mai dottrina valida 159

ed efficace, non saria forse se non saggio ed util consiglio il non ne aggregar altri senza necessità: e se così è, disordine veramente sarebbe l’aggiugnergli a richiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiaramente vediamo che in esse si potrebbe desiderare quella intelligenza che sarebbe necessaria prima a capire, e poi a redarguire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienze procedono nel confermare simili conclusioni. Ma più direi, quando mi fusse lecito produrre il mio parere, che forse più converrebbe al decoro ed alla maestà di esse Sacre Lettere il provvedere che non ogni leggiero e vulgare scrittore potesse, per autorizzar sue composizioni, bene spesso fondate sopra vane fantasie, spargervi luoghi della Scrittura Santa, interpetrati, o più presto stiracchiati, in sensi tanto remoti dall’intenzione retta di essa Scrittura, quanto vicini alla derisione di coloro che non senza qualche ostentazione se ne vanno adornando. Esempli di tale abuso se ne potrebbono addur molti: ma voglio che mi bastino due, non remoti da queste materie astronomiche. L’uno de’ quali sieno le scritture che furon pubblicate contro a i pianeti Medicei, ultimamente da me scoperti, contro la cui esistenza furono opposti molti luoghi della Sacra Scrittura: ora che i pianeti si fanno veder da tutto il mondo, sentirei volentieri con quali nuove interpretazioni vien da quei medesimi oppositori esposta la Scrittura, e scusata la lor semplicità. L’altro esempio sia di quello che pur nuovamente ha stampato contro a gli astronomi e filosofi, che la Luna non altramente riceve lume dal Sole, ma è per sé stessa splendida; la qual immaginazione conferma in ultimo, o, per meglio dire, si persuade di confermare, con varii luoghi della Scrittura, li quali gli par che non si potessero salvare, quando la sua opinione non fusse vera e necessaria. Tutta via, che la Luna sia per sé stessa tenebrosa, è non men chiaro che lo splendor del Sole. 160

Quindi resta manifesto che tali autori, per non aver penetrato i veri sensi della Scrittura, l’avrebbono, quando la loro autorità fosse di gran momento, posta in obligo di dover costringere altrui a tener per vere, conclusioni repugnanti alle ragioni manifeste ed al senso: abuso che Deus avertat che andasse pigliando piede o autorità, perché bisognerebbe vietar in breve tempo tutte le scienze speculative; perché, essendo per natura il numero degli uomini poco atti ad intendere perfettamente le Scritture Sacre e l’altre scienze maggiore assai del numero degl’intelligenti, quelli, scorrendo superficialmente le Scritture, si arrogherebbono autorità di poter decretare sopra tutte le questioni della natura, in vigore di qualche parola mal intesa da loro ed in altro proposito prodotta dagli scrittori sacri; né potrebbe il piccol numero degl’intendenti reprimer il furioso torrente di quelli, i quali troverebbono tanti più seguaci, quanto il potersi far reputar sapienti senza studio e senza fatica è più soave che il consumarsi senza riposo intorno alle discipline laboriosissime. Però grazie infinite doviamo render a Dio benedetto, il quale per sua benignità ci spoglia di questo timore, mentre spoglia d’autorità simil sorte di persone, riponendo il consultare, risolvere e decretare sopra determinazioni tanto importanti nella somma sapienza e bontà di prudentissimi Padri e nella suprema autorità di quelli, che, scorti dallo Spirito Santo, non possono se non santamente ordinare, permettendo che della leggerezza di quelli altri non sia fatto stima. Questa sorte d’uomini, per mio credere, son quelli contro i quali, non senza ragione, si riscaldano i gravi e santi scrittori, e de i quali in particolare 9 scrive S. Girolamo: Hanc (intendendo della Scrittura Sacra) garrula anus, hanc delirus senex, hanc sophista verbosus, hanc universi præsumunt, lacerant, docent antequam discant. Alii, adducto supercilio, grandia verba trutinantes, inter 161

mulierculas de Sacris Literis philosophantur; alii discunt, pro pudor, a fæminis quod viros doceant, et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, imo audacia, edisserunt aliis quod ipsi non intelligunt. Taceo de mei similibus, qui, si forte ad Scripturas Sanctas post seculares literas venerint, et sermone composito aurem populi mulserint, quidquid dixerint, hoc legem Dei putant, nec scire dignantur quid Prophetæ quid Apostoli senserint, sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia; quasi grande sit, et non vitiosissimum docendi genus, depravare sententias, et ad voluntatem suam Scripturam trahere repugnantem. Io non voglio metter nel numero di simili scrittori secolari alcuni teologi, riputati da me per uomini di profonda dottrina e di santissimi costumi, e per ciò tenuti in grande stima e venerazione; ma non posso già negare di non rimaner con qualche scrupolo, ed in conseguenza con desiderio che mi fusse rimosso, mentre sento che essi pretendono di poter costringer altri, con l’autorità della Scrittura, a seguire in dispute naturali quella opinione che pare a loro che più consuoni con i luoghi di quella, stimandosi insieme di non essere in obbligo di solvere le ragioni o esperienze in contrario.In esplicazione e confirmazione del qual lor parere, dicono che essendo la teologia regina di tutte le scienze, non deve in conto alcuno abbassarsi per accomodarsi a’ dogmi dell’altre men degne ed a lei inferiori, ma sì ben l’altre devono riferirsi ad essa, come a suprema imperatrice, e mutare ed alterar le lor conclusioni conforme alli statuti e decreti teologicali: e più aggiungono che quando nell’inferiore scienza si avesse alcuna conclusione per sicura, in vigor di dimostrazioni o di esperienze, alla quale si trovassi nella Scrittura altra conclusione repugnante, devono gli stessi professori di quella scienza procurar per se medesimi di scioglier le lor dimostrazioni e scoprir le fallacie delle proprie 162

esperienze, senza ricorrere a i teologi e scritturali; non convenendo, come si è detto, alla dignità della teologia abbassarsi all’investigazione delle fallacie delle scienze soggette, ma solo bastando a lei il determinargli la verità della conclusione, con l’assoluta autorità e con la sicurezza di non poter errare. Le conclusioni poi naturali nelle quali dicon essi che noi doviamo fermarci sopra la Scrittura, senza glosarla o interpretarla in sensi diversi dalle parole, dicono essere quelle delle quali la Scrittura parla sempre nel medesimo modo, e i Santi Padri tutti nel medesimo sentimento le ricevono ed espongono. Ora intorno a queste determinazioni mi accascano da considerare alcuni particolari, li quali proporrò per esserne reso cauto da chi più di me intende di queste materie, al giudizio de’ quali io sempre mi sottopongo. E prima, dubiterei che potesse cader qualche poco di equivocazione, mentre che non si distinguessero le preminenze per le quali la sacra teologia è degna del titolo di regina. Imperò che ella potrebbe esser tale, o vero perché quello che da tutte l’altre scienze viene insegnato, si trovasse compreso e dimostrato in lei, ma con mezi più eccellenti e con più sublime dottrina, nel modo che, per essempio, le regole del misurare i campi e del conteggiare molto più eminentemente si contengono nell’aritmetica e geometria d’Euclide, che nelle pratiche degli agrimensori e de’ computisti; o vero perché il suggetto, intorno al quale si occupa la teologia, superasse di dignità tutti gli altri suggetti che son materia dell’altre scienze, ed anco perché i suoi insegnamenti procedessero con mezi più sublimi. Che alla teologia convenga il titolo e la autorità regia nella prima maniera, non credo che poss’essere affermato per vero da quei teologi che avranno qualche pratica nell’altre scienze; de’ quali nissuno crederò io che dirà che molto più eccellente ed esattamente si contenga la geometria, la astronomia, la 163

musica e la medicina ne’ libri sacri, che in Archimede, in Tolommeo, in Boezio ed in Galeno. Però pare che la regia sopreminenza se gli deva nella seconda maniera, ciò è per l’altezza del suggetto, e per l’ammirabil insegnamento delle divine revelazioni in quelle conclusioni che per altri mezi non potevano dagli uomini esser comprese e che sommamente concernono all’acquisto dell’eterna beatitudine. Ora, se la teologia, occupandosi nell’altissime contemplazioni divine e risedendo per dignità nel trono regio, per lo che ella è fatta di somma autorità, non discende alle più basse ed umili speculazioni delle inferiori scienze, anzi, come di sopra si è dichiarato, quelle non cura, come non concernenti alla beatitudine, non dovrebbono i ministri e i professori di quella arrogarsi autorità di decretare nelle professioni non essercitate né studiate da loro; perché questo sarebbe come se un principe assoluto, conoscendo di poter liberamente comandare e farsi ubbidire, volesse, non essendo egli né medico né architetto, che si medicasse e fabbricasse a modo suo, con grave pericolo della vita de’ miseri infermi, e manifesta rovina degli edifizi. Il comandar poi a gli stessi professori d’astronomia, che procurino per lor medesimi di cautelarsi contro alle proprie osservazioni e dimostrazioni, come quelle che non possino esser altro che fallacie e sofismi, è un comandargli cosa più che impossibile a farsi; perché non solamente se gli comanda che non vegghino quel che e’ veggono e che non intendino quel che gl’intendono, ma che, cercando, trovino il contrario di quel che gli vien per le mani. Però, prima che far questo, bisognerebbe che fusse lor mostrato il modo di far che le potenze dell’anima si comandassero l’una all’altra, e le inferiori alle superiori, sì che l’immaginativa e la volontà potessero e volessero credere il contrario di quel che l’intelletto intende (parlo sempre delle proposizioni pure 164

naturali e che non sono de Fide, e non delle sopranaturali e de Fide). Io vorrei pregar questi prudentissimi Padri, che volessero con ogni diligenza considerare la differenza che è tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acciò, rappresentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non è in potestà de’ professori delle scienze demostrative il mutar l’opinioni a voglia loro, applicandosi ora a questa ed ora a quella, e che gran differenza è tra il comandare a un matematico o a un filosofo e ’l disporre un mercante o un legista, e che non con l’istessa facilità si possono mutare le conclusioni dimostrate circa le cose della natura e del cielo, che le opinioni circa a quello che sia lecito o no in un contratto, in un censo, o in un cambio. Tal differenza è stata benissimo conosciuta da i Padri dottissimi e santi, come l’aver loro posto grande studio in confutar molti argumenti o, per meglio dire, molte fallacie filosofiche ci manifesta, e come espressamente si legge appresso alcuni di loro; ed in particolare aviamo in S. 10 Agostino le seguenti parole: Hoc indubitanter tenendum est, ut quicquid sapientes huius mundi de natura rerum veraciter demonstrare potuerint, ostendamus nostris Literis non esse contrarium; quicquid autem illi in suis voluminibus contrarium Sacris Literis docent, sine ulla dubitatione credamus id falsissimum esse, et, quoquomodo possumus, etiam ostendamus; atque ita teneamus fidem Domini nostri, in quo sunt absconditi omnes thesauri sapientiæ, ut neque falsæ philosophiæ loquacitate seducamur, neque simulatæ religionis superstitione terreamur. Dalle quali parole mi par che si cavi questa dottrina, cioè che nei libri de’ sapienti di questo mondo si contenghino alcune cose della natura dimostrate veracemente, ed altre semplicemente insegnate; e che, quanto alle prime, sia ofizio 165

de’ saggi teologi mostrare che le non son contrarie alle Sacre Scritture; quanto all’altre, insegnate ma non necessariamente dimostrate, se vi sarà cosa contraria alle Sacre Lettere, si deve stimare che sia indubitatamente falsa, e tale in ogni possibil modo si deve dimostrare. Se, dunque, le conclusioni naturali, dimostrate veracemente, non si hanno a posporre a i luoghi della Scrittura, ma sì ben dichiarare come tali luoghi non contrariano ad esse conclusioni, adunque bisogna, prima che condannare una proposizion naturale, mostrar ch’ella non sia dimostrata necessariamente: e questo devon fare non quelli che la tengon per vera, ma quelli che la stiman falsa; e ciò par molto ragionevole e conforme alla natura; ciò è che molto più facilmente sien per trovar le fallacie in un discorso quelli che lo stiman falso, che quelli che lo reputan vero e concludente; anzi in questo particolare accaderà che i seguaci di questa opinione, quanto più andran rivolgendo le carte, esaminando le ragioni, replicando l’osservazioni e riscontrando l’esperienze, tanto più si confermino in questa credenza. E l’A. V. sa quel che occorse al matematico passato dello Studio 11 di Pisa, che messosi in sua vecchiezza a vedere la dottrina del Copernico con speranza di poter fondatamente confutarla (poi che in tanto la reputava falsa, in quanto non l’aveva mai veduta), gli avvenne, che non prima restò capace de’ suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, che ei si trovò persuaso, e d’impugnatore ne divenne saldissimo mantenitore. Potrei anco nominargli altri matematici, i quali, mossi da gli ultimi miei scoprimenti, hanno confessato esser necessario mutare la già concepita costituzione del mondo, non potendo in conto alcuno più sussistere. Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina bastasse il serrar la bocca ad un solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co ’l loro proprio, gli par impossibile che tal opinione abbia a poter 166

sussistere e trovar seguaci, questo sarebbe facilissimo a farsi: ma il negozio cammina altramente; perché, per eseguire una tal determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro del Copernico e gli scritti degli altri autori che seguono l’istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d’astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardar verso il cielo, acciò non vedessero Marte e Venere or vicinissimi alla Terra or remotissimi con tanta differenza che questa si scorge 40 volte, e quello 60, maggior una volta che l’altra, ed acciò che la medesima Venere non si scorgesse or rotonda, or falcata con sottilissime corna, e molte altre sensate osservazioni, che in modo alcuno non si possono adattare al sistema Tolemaico, ma son saldissimi argumenti del Copernicano. Ma il proibire il Copernico, ora che per molte nuove osservazioni e per l’applicazione di molti literati alla sua lettura si va di giorno in giorno scoprendo più vera la sua posizione e ferma la sua dottrina, avendol’ammesso per tanti anni mentre egli era men seguito e confermato, parrebbe, a mio giudizio, un contravvenire alla verità, e cercar tanto più di occultarla e supprimerla, quanto più ella si dimostra palese e chiara. Il non abolire interamente tutto il libro, ma solamente dannar per erronea questa particolar proposizione, sarebbe, s’io non m’inganno, detrimento maggior per l’anime, lasciandogli occasione di veder provata una proposizione, la qual fusse poi peccato il crederla. Il proibir tutta la scienza, che altro sarebbe che un reprovar cento luoghi delle Sacre Lettere, i quali ci insegnano come la gloria e la grandezza del sommo Iddio mirabilmente si scorge in tutte le sue fatture, e divinamente si legge nell’aperto libro del cielo? Né sia chi creda che la lettura de gli altissimi concetti, che sono scritti in quelle carte, finisca nel solo veder lo splendor del Sole e delle stelle e ’l lor nascere ed ascondersi, che è il termine sin dove penetrano gli occhi dei bruti e del vulgo; ma vi son dentro 167

misteri tanto profondi e concetti tanto sublimi, che le vigilie, le fatiche e gli studi di cento e cento acutissimi ingegni non gli hanno ancora interamente penetrati con l’investigazioni continuate per migliaia e migliaia d’anni. E credino pure gli idioti che, sì come quello che gli occhi loro comprendono nel riguardar l’aspetto esterno d’un corpo umano è piccolissima cosa in comparazione de gli ammirandi artifizi che in esso ritrova un esquisito e diligentissimo anatomista e filosofo, mentre va investigando l’uso di tanti muscoli, tendini, nervi ed ossi, essaminando gli offizi del cuore e de gli altri membri principali, ricercando le sedi delle facultà vitali, osservando le maravigliose strutture de gli strumenti de’ sensi, e, senza finir mai di stupirsi e di appagarsi, contemplando i ricetti dell’immaginazione, della memoria e del discorso; così quello che ’l puro senso della vista rappresenta, è come nulla in proporzion de’ l’alte meraviglie che, mercé delle lunghe ed accurate osservazioni, l’ingegno degl’intelligenti scorge nel cielo. E questo è quanto mi occorre considerare circa a questo particolare. Quanto poi a quello che soggiungono, che quelle proposizioni naturali delle quali la Scrittura pronunzia sempre l’istesso e che i Padri tutti concordemente nell’istesso senso ricevono, debbino esser intese conforme al nudo significato delle parole, senza glose o interpetrazioni, e ricevute e tenute per verissime, e che in conseguenza, per esser tale la mobilità del Sole e la stabilità della Terra, sia de Fide il tenerle per vere, ed erronea l’opinion contraria; mi occorre di considerar, prima, che delle proposizioni naturali alcune sono delle quali, con ogni umana specolazione e discorso, solo se ne può conseguire più presto qualche probabile opinione e verisimil coniettura, che una sicura e dimostrata scienza, come, per esempio, se le stelle sieno animate; altre sono, delle quali o si ha, o si può credere 168

fermamente che aver si possa, con esperienze, con lunghe osservazioni e con necessarie dimostrazioni, indubitata certezza, quale è, se la Terra e ’l Sole si muovino o no, se la Terra sia sferica o no. Quanto alle prime, io non dubito punto che dove gli umani discorsi non possono arrivare, e che di esse per consequenza non si può avere scienza, ma solamente opinione e fede, piamente convenga conformarsi assolutamente col puro senso della Scrittura. Ma quanto alle altre, io crederei, come di sopra si è detto, che prima fosse d’accertarsi del fatto, il quale ci scorgerebbe al ritrovamento de’ veri sensi delle Scritture, li quali assolutamente si troverebbono concordi col fatto dimostrato, ben che le parole nel primo aspetto sonassero altramente; poi che due veri non possono mai contrariarsi. E questa mi par dottrina tanto retta e sicura, quanto io la trovo scritta puntualmente in S. Agostino, il quale, parlando a punto della figura del cielo e quale essa si deva credere essere, poi che pare che quel che ne affermano gli astronomi sia contrario alla Scrittura, stimandola quegli rotonda, e chiamandola la Scrittura distesa come una pelle, determina che niente si ha da curar che la Scrittura contrarii a gli astronomi, ma credere alla sua autorità, se quello che loro dicono sarà falso e fondato solamente sopra conietture dell’infirmità umana; ma se quello che loro affermano fosse provato con ragioni indubitabili, non dice questo Santo Padre che si comandi a gli astronomi che lor medesimi, solvendo le lor dimostrazioni, dichiarino la lor conclusione per falsa, ma dice che si deve mostrare che quello che è detto nella Scrittura della pelle, non è contario a 12 quelle vere dimostrazioni. Ecco le sue parole: Sed ait aliquis: Quomodo non est contrarium iis qui figuram spheræ cælo tribuunt, quod scriptum est in libris nostris, Qui extendit cælum sicut pellem? Sit sane contarium, si falsum est quod illi dicunt; hoc enim verum est, quod divina dicit authoritas, 169

potius quam illud quod humana infirmitas coniicit. Sed si forte illud talibus illi documentis probare potuerint, ut dubitari inde non debeat, demonstrandum est, hoc quod apud nos est de pelle dictum, veris illis rationibus non esse contrarium. Segue poi di ammonirci che noi non doviamo esser meno osservanti in concordare un luogo della Scrittura con una proposizione naturale dimostrata, che con un altro luogo della Scrittura che sonasse il contrario. Anzi mi par degna d’esser ammirata ed immitata la circuspezzione di questo Santo, il quale anco nelle conclusioni oscure, e delle quali si può esser sicuri che non se ne possa avere scienza per dimostrazioni umane, va molto riservato nel determinar quello che si deva credere, come si vede da quello che egli scrive nel fine del 2° libro De Genesi ad literam, parlando se le stelle sieno da credersi animate: Quod licet in præsenti facile non possit compræhendi, arbitror tamen, in processu tractandarum Scripturarum opportuniora loca posse occurrere, ubi nobis de hac re secundum sanctæ authoritatis literas, etsi non ostendere certum aliquid, tamen credere, licebit. Nunc autem, servata semper moderatione piæ gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri erroris oderimus. Di qui e da altri luoghi parmi, s’io non m’inganno, la intenzion de’ Santi Padri esser, che nelle quistioni naturali e che non son de Fide prima si deva considerar se elle sono indubitabilmente dimostrate o con esperienze sensate conosciute, o vero se una tal cognizione e dimostrazione aver si possa: la quale ottenendosi, ed essendo ella ancora dono di Dio, si deve applicare all’investigazione de’ veri sensi delle Sacre Lettere in quei luoghi che in apparenza mostrassero di sonar diversamente; i quali indubitatamente saranno penetrati da’ sapienti teologi, insieme con le ragioni per che lo 170

Spirito Santo gli abbia volsuti tal volta, per nostro essercizio o per altra a me recondita ragione, velare sotto parole di significato diverso. Quanto all’altro punto, riguardando noi al primario scopo di esse Sacre Lettere, non crederei che l’aver loro sempre parlato nell’istesso senso avesse a perturbar questa regola; perché, se occorrendo alla Scrittura, per accomodarsi alla capacità del vulgo, pronunziare una volta una proposizione con parole di sentimento diverso dalla essenza di essa proposizione; perché non dovrà ella aver osservato l’istesso, per l’istesso rispetto, quante volte gli occorreva la medesima cosa? Anzi mi pare che ’l fare altramente averebbe cresciuta la confusione, e scemata la credulità nel popolo. Che poi della quiete o movimento del Sole e della Terra fosse necessario, per accomodarsi alla capacità popolare, asserirne quello che suonan le parole della Scrittura, l’esperienza ce lo mostra chiaro: poi che anco all’età nostra popolo assai men rozo vien mantenuto nell’istessa opinione da ragioni che, ben ponderate ed essaminate, si troveranno esser frivolissime, ed esperienze o in tutto false o totalmente fuori del caso; né si può pur tentar di rimuoverlo, non sendo capace delle ragioni contrarie, dependenti da troppo esquisite osservazioni e sottili dimostrazioni, appoggiate sopra astrazioni, che ad esser concepite richieggon troppo gagliarda imaginativa. Per lo che, quando bene appresso i sapienti fusse più che certa e dimostrata la stabilità del Sole e ’l moto della Terra, bisognerebbe ad ogni modo, per mantenersi il credito appresso il numerosissimo volgo, proferire il contrario; poi che de i mille uomini vulgari che venghino interrogati sopra questi particolari, forse non se ne troverà uno solo, che non risponda, parergli, e così creder per fermo, che ’l Sole si muova e che la Terra stia ferma. Ma non però deve alcun prendere questo comunissimo assenso popolare per 171

argumento della verità di quel che viene asserito; perché se noi interrogheremo gli stessi uomini delle cause e motivi per i quali e’ credono in quella maniera, ed, all’incontro, ascolteremo quali esperienze e dimostrazioni induchino quegli altri pochi a creder il contrario, troveremo questi esser persuasi da saldissime ragioni, e quelli da semplicissime apparenze e rincontri vani e ridicoli. Che dunque fosse necessario attribuire al Sole il moto, e la quiete alla Terra, per non confonder la poca capacità del vulgo e renderlo renitente e contumace nel prestar fede a gli articoli principali e che sono assolutamente de Fide, è assai manifesto: e se così era necessario a farsi, non è punto da meravigliarsi che così sia stato con somma prudenza esseguito nelle divine Scritture. Ma più dirò, che non solamente il rispetto dell’incapacità del vulgo, ma la corrente opinione di quei tempi, fece che gli scrittori sacri nelle cose non necessarie alla beatitudine più si accomodorno all’uso ricevuto che alla essenza del fatto. Di che parlando S. 13 Girolamo scrive: quasi non multa in Scripturis Sanctis dicantur iuxta opinionem illius temporis quo gesta referuntur, et non iuxta quod rei veritas continebat. Ed altrove il 14 medesimo Santo: Consuetudinis, Scripturarum est, ut opinionem multarum rerum sic narret Historicus, quomodo eo tempore ab omnibus credebatur. E san Tommaso in Iob, al cap. 27, sopra le parole Qui extendit aquilonem super vacuum, et appendit Terram super nihilum, nota che la Scrittura chiama vacuo e niente lo spazio che abbraccia e circonda la Terra, e che noi sappiamo non esser vòto, ma ripieno d’aria: nulla dimeno, dice egli che la Scrittura, per accomodarsi alla credenza del vulgo, che pensa che in tale spazio non sia nulla, lo chiama vacuo e niente. Ecco le parole di S. Tommaso: quod de superiori hemisphærio cæli nihil nobis apparet, nisi spatium 172

aëre plenum, quod vulgares homines reputant vacuum: loquitur enim secundum existimationem vulgarium hominum, pro ut est mos in Sacra Scriptura. Ora da questo luogo mi pare che assai chiaramente argumentar si possa, che la Scrittura Sacra, per il medesimo rispetto, abbia avuto molto più gran cagione di chiamare il Sole mobile e la Terra stabile. Perché, se noi tenteremo la capacità degli uomini vulgari, gli troveremo molto più inetti a restar persuasi della stabilità del Sole e mobilità della Terra, che dell’esser lo spazio, che ci circonda, ripieno d’aria: adunque, se gli autori sacri in questo punto, che non aveva tanta difficoltà appresso la capacità del vulgo ad esser persuaso, nulla dimeno si sono astenuti dal tentare di persuaderglielo, non dovrà parere se non molto ragionevole che in altre proposizioni molto più recondite abbino osservato il medesimo stile. Anzi, conoscendo l’istesso Copernico qual forza abbia nella nostra fantasia un’invecchiata consuetudine ed un modo di concepir le cose già sin dall’infanzia fattoci familiare, per non accrescer confusione e difficoltà nella nostra astrazione, dopo aver prima dimostrato che i movimenti li quali a noi appariscono esser del sole o del firmamento son veramente della Terra, nel venir poi a ridurgli in tavole ed all’applicargli all’uso, gli va nominando per del Sole e del cielo superiore a i pianeti, chiamando nascere e tramontar del Sole, delle stelle, mutazioni nell’obliquità del zodiaco e variazione ne’ punti degli equinozii, movimento medio, anomalia e prostaferesi del Sole, ed altre cose tali, quelle che son veramente della Terra. Ma perché, sendo noi congiunti con lei, ed in conseguenza a parte d’ogni suo movimento, non gli possiamo immediate riconoscere in lei, ma ci convien far di lei relazione a i corpi celesti ne’ quali ci appariscono, però gli nominiamo come fatti là dove fatti ci rassembrano. Quindi si noti quanto sia ben fatto l’accomodarsi al nostro più consueto modo 173

d’intendere. Che poi la comun concordia de’ Padri, nel ricever una proposizione naturale dalla Scrittura nel medesimo senso tutti, debba autenticarla in maniera che divenga de Fide il tenerla per tale, crederei che ciò si dovesse al più intender di quelle conclusioni solamente, le quali fussero da essi Padri state discusse e ventilate con assoluta diligenza e disputate per l’una e per l’altra parte, accordandosi poi tutti a reprovar quella e tener questa. Ma la mobilità della Terra e stabilità del Sole non son di questo genere, con ciò sia che tale opinione fosse in quei tempi totalmente sepolta e remota dalle quistioni delle scuole, e non considerata, non che seguita, da veruno: onde si può credere che né pur cascasse concetto a’ Padri di disputarla, avendo i luoghi della Scrittura, la lor propria opinione, e l’assenso de gli uomini tutti, concordi nell’istesso parere, senza che si sentisse la contradizione di alcuno. Non basta dunque il dir che i Padri tutti ammettono la stabilità della Terra, etc., adunque il tenerla è de Fide; ma bisogna provar che gli abbino condennato l’opinione contraria: imperò che io potrò sempre dire, che il non avere avuta loro occasione di farvi sopra reflessione e discuterla, ha fatto che l’hanno lasciata ed ammessa solo come corrente, ma non già come resoluta e stabilita. E ciò mi par di poter dir con assai ferma ragione: imperò che o i Padri fecero reflessione sopra questa conclusione come controversa, o no: se no, adunque niente ci potettero, né anco in mente loro, determinare, né deve la loro non curanza mettere in obligo noi a ricevere quei precetti che essi non hanno, né pur con l’intenzione, imposti: ma se ci fecero applicazione e considerazione, già l’averebbono dannata se l’avessero giudicata per erronea; il che non si trova che essi abbino fatto. Anzi, dopo che alcuni teologi l’hanno cominciata a considerare, si vede che non l’hanno stimata erronea, come si legge ne i Comentari di 174

Didaco a Stunica sopra Iob, al c. 9, v. 6, sopra le parole Qui commovet Terram de loco suo etc.: dove lungamente discorre sopra la posizione Copernicana, e conclude, la mobilità della Terra non esser contro alla Scrittura. Oltre che io averei qualche dubbio circa la verità di tal determinazione, ciò è se sia vero che la Chiesa obblighi a tenere come de Fide simili conclusioni naturali, insignite solamente di una concorde interpretazione di tutti i Padri: e dubito che poss’essere che quelli che stimano in questa maniera, possin aver desiderato d’ampliar a favor della propria opinione il decreto de’ Concilii, il quale non veggo che in questo proposito proibisca altro se non lo stravolger in sensi contrarii a quel di Santa Chiesa o del comun consenso de’ Padri quei luoghi solamente che sono de Fide, o attenenti a i costumi, concernenti all’edificazione della dottrina 15 cristiana: e così parla il Concilio Tridentino alla Sessione IV. Ma la mobilità o stabilità della Terra o del Sole non son de Fide né contro a i costumi, né vi è chi voglia scontorcere luoghi della Scrittura per contrariare a Santa Chiesa o a i Padri: anzi chi ha scritta questa dottrina non si è mai servito di luoghi sacri, acciò resti sempre nell’autorità di gravi e sapienti teologi l’interpretar detti luoghi conforme al vero sentimento. E quanto i decreti de’ Concilii si conformino co’ Santi Padri in questi particolari, può esser assai manifesto: poi che tantum abest che si risolvino a ricever per de Fide simili conclusioni naturali o a reprovar come erronee le contrarie opinioni, che, più presto avendo riguardo alla primaria intenzione di Santa Chiesa, reputano inutile l’occuparsi in cercar di venir in certezza di quelle. Senta l’A. V. S. quello che risponde S. Agostino a quei fratelli che muovono la quistione, 16 se sia vero che il cielo si muova o pure stia fermo: His respondeo, multum subtilis et laboriosis rationibus ista 175

perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit: quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctæ Ecclesiæ necessariam utilitatem cupimus informari. Ma quando pure anco nelle proposizioni naturali, da luoghi della Scrittura esposti concordemente nel medesimo senso da tutti i Padri si avesse a prendere la resoluzione di condennarle o ammetterle, non però veggo che questa regola avesse luogo nel nostro caso, avvenga che sopra i medesimi luoghi si leggono de’ Padri diverse esposizioni: dicendo Dionisio Areopagita, che non il Sole, ma il primo mobile, si fermò; l’istesso stima S. Agostino, ciò è che si fermassero tutti i corpi celesti; dell’istessa opinione è l’Abulense. Ma più, tra gli autori Ebrei, a i quali applaude Ioseffo, alcuni hanno stimato che veramente il Sole non si fermasse, ma che così apparve mediante la brevità del tempo nel quale gl’Isdraeliti dettero la sconfitta a’ nemici. Così, del miracolo al tempo d’Ezechia, Paulo Burgense stima non essere stato fatto nel Sole, ma nell’orivuolo. Ma che in effetto sia necessario glosare e interpretare le parole del testo di Iosuè, qualunque si ponga la costituzione del mondo, dimostrerò più a basso. Ma finalmente, concedendo a questi signori più di quello che comandano, ciò è di sottoscrivere interamente al parere de’ sapienti teologi, già che tal particolar disquisizione non si trova essere stata fatta da i Padri antichi, potrà esser fatta da i sapienti della nostra età, li quali, ascoltate prima l’esperienze, l’osservazioni, le ragioni e le dimostrazioni de’ filosofi ed astronomi per l’una e per l’altra parte, poi che la controversia è di problemi naturali e di dilemmi necessarii ed impossibili ad essere altramente che in una delle due maniere controverse, potranno con assai sicurezza determinar quello che le divine ispirazioni gli detteranno. Ma che senza 176

ventilare e discutere minutissimamente tutte le ragioni dell’una e dell’altra parte, e che senza venire in certezza del fatto si sia per prendere una tanta resoluzione, non è da sperarsi da quelli che non si curerebbono d’arrisicar la maestà e dignità delle Sacre Lettere per sostentamento della reputazione di lor vane immaginazioni, né da temersi da quelli che non ricercano altro se non che si vadia con somma attenzione ponderando quali sieno i fondamenti di questa dottrina, e questo solo per zelo stantissimo del vero e delle Sacre Lettere, e della maestà, dignità ed autorità nella quale ogni cristiano deve procurare che esse sieno mantenute. La quale dignità chi non vede con quanto maggior zelo vien desiderata e procurata da quelli che, sottoponendosi onninamente a Santa Chiesa, domandano non che si proibisca questa o quella opinione, ma solamente di poter mettere in considerazione cose onde ella maggiormente si assicuri nell’elezione più sicura, che da quelli che, abbagliati da proprio interesse o sollevati da maligne suggestioni, predicano che ella fulmini senz’altro la spada, poi che ella ha potestà di farlo, non considerando che non tutto quel che si può fare è sempre utile che si faccia? Di questo parere non son già stati i Padri santissimi; anzi, conoscendo di quanto progiudizio e quanto contro al primario instituto della Chiesa Cattolica sarebbe il volere da’ luoghi della Scrittura definire conclusioni naturali, delle quali, o con esperienze o con dimostrazioni necessarie, si potrebbe in qualche tempo dimostrare il contrario di quel che suonan le nude parole, sono andati non solamente circospettissimi, ma hanno, per 17 ammaestramento de gli altri, lasciati i seguenti precetti: In rebus obscuris atque a nostri oculis remotissimis, si qua inde scripta, etiam divina, legerimus, quæ possint, salva fide qua imbuimur, aliis atque aliis parere sententiis, in nullam earum nos præcipiti affirmatione ita proiiciamus, ut, si forte 177

diligentius discussa veritas eam recte labefactaverit, corruamus; non pro sententia divinarum Scripturarum, sed pro nostra ita dimicantes, ut eam velimus Scripturarum esse, quæ nostra est, cum potius eam, quæ Scripturarum est, nostram esse velle debeamus. Soggiugne poco di sotto, per ammaestrarci come nissuna proposizione può esser contro la Fede se prima non è dimostrata esser falsa, dicendo: Tamdiu non est contra Fidem, donec veritate certissima refellatur: quod si factum fuerit, non hoc habebat divina Scriptura, sed hoc senserat humana ignorantia. Dal che si vede come falsi sarebbono i sentimenti che noi dessimo a’ luoghi della Scrittura, ogni volta che non concordassero con le verità dimostrate: e però devesi con l’aiuto del vero dimostrato cercar il senso sicuro della Scrittura, e non, conforme al nudo suono delle parole, che sembrasse vero alla debolezza nostra, volere in certo modo sforzar la natura e negare l’esperienze e le dimostrazioni necessarie. Ma noti, di più, l’A. V., con quante circospezzioni cammina questo santissimo uomo prima che risolversi ad affermare alcuna interpetrazione della Scrittura per certa e talmente sicura che non si abbia da temere di poter incontrare qualche difficoltà che ci apporti disturbo, che, non contento che alcun senso della Scrittura concordi con alcuna dimostrazione, soggiugne: Si autem hoc verum esse certa ratio demonstraverit, adhuc incertum erit, utrum hoc in illis verbis sanctorum librorum scriptor sentiri voluerit, an aliquid aliud non minus verum: quod si cætera contextio sermonis non hoc eum voluisse probaverit, non ideo falsum erit aliud quod ipse intelligi voluit, sed et verum et quod utilius cognoscatur. Ma quello che accresce la meraviglia circa la circospezzione con la quale questo autore cammina, è che, non si assicurando su ’l vedere che e le ragioni dimostrative e quello che suonano le parole della Scrittura ed il resto della testura precedente o 178

susseguente cospirino nella medesima intenzione, aggiugne le seguenti parole: Si autem contextio Scripturæ, hoc voluisse intelligi scriptorem non repugnaverit, adhuc restabit quærere, utrum et aliud non potuerit; né si risolvendo ad accettar questo senso o escluder quello, anzi non gli parendo di potersi stimar mai cautelato a sufficienza, séguita: Quod si et aliud potuisse invenerimus, incertum erit, quidnam eorum ille voluerit; aut utrumque voluisse, non inconvenienter creditur, si utrique sententiæ certa circumstantia suffragatur. E finalmente, quasi volendo render ragione di questo suo instituto, col mostrarci a quali pericoli esporrebbono sé e le Scritture e la Chiesa quelli che, riguardando più al mantenimento d’un suo errore che alla dignità della Scrittura, vorrebbono estender l’autorità di quella oltre a i termini che ella stessa si prescrive, soggiugne le seguenti parole, che per sé sole doverebbono bastare a reprimere e moderare la soverchia licenza che tal uno pretende di potersi pigliare: Plerumque enim accidit, ut aliquid de Terra, de cælo,de cæteris huius munda elementis, de motu et conversione vel etiam magnitudine et intervallis siderum, de certi defectibus Solis et Lunæ, de circuitibus annorum et temporum, de naturis animalium, fruticum, lapidum, atque huiusmodi cæteris, etiam non Christianus ita noverit, ut certissima ratione vel experientia teneat. Turpe autem est nimis et perniciosum ac maxime cavendum, ut Christianum de his rebus quasi secundum Christianas Literas loquentem ita delirare quilibet infidelis audiat, ut, quemadmodum dicitur, toto cælo errare conspiciens, risum tenere vix possit; et non tam molestum est quod errans homo derideretur, sed quod authores nostri ab eis qui foris sunt talia sensisse creduntur, et, cum magno exitio eorum de quorum salute satagimus, tamquam indocti repræhenduntur atque respuuntur. Cum enim quemquam de numero Christianorum ea in re quam ipsi optime norunt 179

errare depræhenderint, et vanam sententiam suam de nostris libris asserent, quo pacto illis libris credituri sunt de resurrectione mortuorum et de spe vitæ æternæ regnoque cælorum, quando de his rebus quas iam experiri vel indubitatis rationibus percipere potuerunt, fallaciter putaverint esse conscriptos? Quanto poi restino offesi i Padri veramente saggi e prudenti da questi tali che, per sostener proposizioni da loro non capite, vanno in certo modo impegnando i luoghi delle Scritture, riducendosi poi ad accrescere il primo errore col produrr’altri luoghi meno intesi de’ primi, esplica il medesimo Santo con le parole che seguono: Quid enim molestiæ tristitiæque ingerant prudentibus fratribus temerarii præsumptores, satis dici non potest, cum si quando de prava et falsa opinione sua repræhendi et convinci coeperint ab eis qui nostrorum librorum authoritate non tenentur, ad defendendum id quod levissima temeritate et apertissima falsitate dixerunt, eosdem libros sanctos unde id probent, proferre conantur; vel etiam memoriter, quæ ad testimonium valere arbitrantur, multa inde verba pronunciant, non intelligentes neque quæ loquuntur neque de quibus affirmant. Del numero di questi parmi che sieno costoro, che non volendo o non potendo intendere le dimostrazioni ed esperienze con le quali l’autore ed i seguaci di questa posizione la confermano, attendono pure a portare innanzi le Scritture, non si accorgendo che quante più ne producono e quanto più persiston in affermar quelle esser chiarissime e non ammetter altri sensi che quelli che essi gli danno, di tanto maggior progiudizio sarebbono alla dignità di quelle (quando il lor giudizio fosse di molta autorità), se poi la verità conosciuta manifestamente in contrario arrecasse qualche confusione, al meno in quelli che son separati da Santa Chiesa, de’ quali pur ella è zelantissima e madre desiderosa di ridurgli nel suo grembo. Vegga dunque l’A. V. quanto 180

disordinatamente procedono quelli che, nelle dispute naturali, nella prima fronte costituiscono per loro argumenti luoghi della Scrittura, e ben spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali veramente stimano e interamente credono d’avere il vero sentimento di un tal luogo particolare della Scrittura, bisogna, per necessaria conseguenza, che si tenghino anco sicuri d’aver in mano l’assoluta verità di quella conclusione naturale che intendono di disputare, e che insieme conoschino d’aver grandissimo vantaggio sopra l’avversario, a cui tocca a difender la parte falsa; essendo che quello che sostiene il vero, può aver molte esperienze sensate e molte dimostrazioni necessarie per la parte sua, mentre che l’avversario non può valersi d’altro che d’ingannevoli apparenze, di paralogismi e di fallacie. Ora se loro, contenendosi dentro a i termini naturali e non producendo altre armi che le filosofiche, sanno ad ogni modo d’esser tanto superiori all’avversario, perché, nel venir poi al congresso, por subito mano ad un’arme inevitabile e tremenda, per atterrire con la sola vista il loro avversario? Ma, se io devo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosi inabili a potere star forti contro alli assalti dell’avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare, vietandogli l’uso del discorso che la Divina Bontà gli ha conceduto, ed abusando l’autorità giustissima della Sacra Scrittura, che, ben intesa ed usata, non può mai, conforme alla comun sentenza de’ teologi, oppugnar le manifeste esperienze o le necessarie dimostrazioni. Ma che questi tali rifugghino alle Scritture per coprir la loro impossibilità di capire, non che di solvere, le ragioni contrarie, dovrebbe, s’io non m’inganno, essergli di nessun profitto, non essendo mai sin qui stata cotal opinione dannata da Santa Chiesa. Però, quando volessero procedere con sincerità, doverebbono o, tacendo, confessarsi inabili a poter trattar di simili materie, o vero prima considerare che 181

non è nella potestà loro né di altri che del Sommo Pontefice o de’ sacri Concilii il dichiarare una proposizione per erronea, ma che bene sta nell’arbitrio loro il disputar della sua falsità; dipoi, intendendo come è impossibile che alcuna proposizione sia insieme vera ed eretica, dovrebbono occuparsi in quella parte che più aspetta a loro, ciò è in dimostrar la falsità di quella; la quale come avessero scoperta, o non occorrerebbe più il proibirla, perché nessuno la seguirebbe, o il proibirla sarebbe sicuro e senza pericolo di scandalo alcuno. Però applichinsi prima questi tali a redarguire le ragioni del Copernico e di altri, e lascino il condennarla poi per erronea ed eretica a chi ciò si appartiene; ma non sperino già d’esser per trovare nei circuspetti e sapientissimi Padri e nell’assoluta sapienza di Quel che non può errare, quelle repentine resoluzioni nelle quali essi talora si lascerebbono precipitare da qualche loro affetto o interesse particolare: perché sopra queste ed altre simili proposizioni, che non sono direttamente de Fide, non è chi dubiti che il Sommo Pontefice ritien sempre assoluta potestà di ammetterle o di condennarle; ma non è già in poter di creatura alcuna il farle esser vere o false, diversamente da quel che elleno per sua natura e de facto si trovano essere. Però par che miglior consiglio sia l’assicurarsi prima della necessaria ed immutabil verità del fatto, sopra la quale nissuno ha imperio, che, senza tal sicurezza, col dannare una parte spogliarsi dell’autorità e libertà di poter sempre eleggere, riducendo sotto necessità quelle determinazioni che di presente sono indifferenti e libere e riposte nell’arbitrio dell’autorità suprema. Ed in somma, se non è possibile che una conclusione sia dichiarata eretica mentre si dubita che ella poss’esser vera, vana doverà esser la fatica di quelli che pretendono di dannar la mobilità della Terra e la stabilità del Sole, se prima non la dimostrano 182

essere impossibile e falsa. Resta finalmente che consideriamo, quanto sia vero che il luogo di Giosuè si possa prendere senza alterare il puro significato delle parole, e come possa essere che, obedendo il Sole al comandamento di Giosuè, che fu che egli si fermasse, ne potesse da ciò seguire che il giorno per molto spazio si prolungasse. La qual cosa, stante i movimenti celesti conforme alla costituzione Tolemaica, non può in modo alcuno avvenire: perché, facendosi il movimento del Sole per l’eclittica secondo l’ordine de’ segni, il quale è da occidente verso oriente, ciò è contrario al movimento del primo mobile da oriente in occidente, che è quello che fa il giorno e la notte, chiara cosa è che, cessando il Sole dal suo vero e proprio movimento, il giorno si farebbe più corto, e non più lungo, e che all’incontro il modo dell’allungarlo sarebbe l’affrettare il suo movimento; in tanto che, per fare che il Sole restasse sopra l’orizonte per qualche tempo in un istesso luogo, senza declinar verso l’occidente, converrebbe accelerare il suo movimento tanto che pareggiasse quel del primo mobile, che sarebbe un accelerarlo circa trecento sessanta volte più del consueto. Quando dunque Iosuè avesse avuto intenzione che le sue parole fossero prese nel loro puro e propriissimo significato, averebbe detto al Sole ch’egli accelerasse il suo movimento, tanto che il ratto del primo mobile non lo portasse all’occaso; ma perché le sue parole erano ascoltate da gente che forse non aveva altra cognizione de’ movimenti celesti che di questo massimo e comunissimo da levante a ponente, accomodandosi alla capacità loro, e non avendo intenzione d’insegnargli la costituzione delle sfere, ma solo che comprendessero la grandezza del miracolo fatto nell’allungamento del giorno, parlò conforme 183

all’intendimento loro. Forse questa considerazione mosse prima Dionisio 18 Areopagita a dire che in questo miracolo si fermò il primo mobile, e fermandosi questo, in conseguenza si fermoron tutte le sfere celesti: della quale opinione è l’istesso S. 19 20 Agostino, e l’Abulense diffusamente la conferma. Anzi, che l’intenzione dell’istesso Iosuè fusse che si fermasse tutto il sistema delle celesti sfere, si comprende dal comandamento fatto ancora alla Luna, ben che essa non avesse che fare nell’allungamento del giorno; e sotto il precetto fatto ad essa Luna s’intendono gli orbi de gli altri pianeti, taciuti in questo luogo come in tutto il resto delle Sacre Scritture, delle quali non è stata mai intenzione d’insegnarci le scienze astronomiche. Parmi dunque, s’io non m’inganno, che assai chiaramente si scorga che, posto il sistema Tolemaico, sia necessario interpretar le parole con qualche sentimento diverso dal loro puro significato; la quale interpretazione, ammonito dagli utilissimi documenti di S. Agostino, non direi esser necessariamente questa, sì che altra forse migliore e più accomodata non potesse sovvenire ad alcun altro. Ma se forse questo medesimo, più conforme a quanto leggiamo in Giosuè, si potesse intendere nel sistema Copernicano, con l’aggiunta di un’altra osservazione, nuovamente da me dimostrata nel corpo solare, voglio per ultimo mettere in considerazione; parlando sempre con quei medesimi riserbi di non esser talmente affezionato alle cose mie, che io voglia anteporle a quelle degli altri, e creder che di migliori e più conformi all’intenzione delle Sacre Lettere non se ne possino addurre. Posto dunque, prima, che nel miracolo di Iosuè si fermasse tutto ’l sistema delle conversioni celesti, conforme al 184

parere de’ sopra nominati autori, e questo acciò che, fermatone una sola, non si confondesser tutte le costituzioni e s’introducesse senza necessità perturbamento in tutto ’l corso della natura, vengo nel secondo luogo a considerare come il corpo solare, ben che stabile nell’istesso luogo, si rivolge però in sé stesso, facendo un’intera conversione in un mese in circa, sì come concludentemente mi par d’aver dimostrato nelle mie Lettere delle Macchie Solari: il qual movimento vegghiamo sensatamente esser, nella parte superior del globo, inclinato verso il mezo giorno, e quindi, verso la parte inferiore, piegarsi verso aquilone, nell’istesso modo appunto che si fanno i rivolgimenti di tutti gli orbi de’ pianeti. Terzo, riguardando noi alla nobiltà del Sole, ed essendo egli fonte di luce, dal qual pur, com’io necessariamente dimostro, non solamente la Luna e la Terra, ma tutti gli altri pianeti, nell’istesso modo per sé stessi tenebrosi, vengono illuminati, non credo che sarà lontano dal ben filosofare il dir che egli, come ministro massimo della natura e in certo modo anima e cuore del mondo, infonde a gli altri corpi che lo circondano non solo la luce, ma il moto ancora, col rigirarsi in sé medesimo; sì che, nell’istesso modo che, cessando ’l moto del cuore nell’animale, cesserebbono tutti gli altri movimenti delle sue membra, così, cessando la conversion del Sole, si fermerebbono le conversioni di tutti i pianeti. E come che della mirabil forza ed energia del Sole io potessi produrne gli assensi di molti gravi scrittori, voglio che basti un luogo solo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus; il quale del Sole scrive così: Lux etiam colligit convertitque ad se omnia, quæ videntur, quæ moventur, quæ illustrantur, quæ calescunt, et uno nomine ea quæ ab eius splendore continentur. Itaque Sol Ilios dicitur, quod omnia congreget colligatque dispersa. E poco più a basso scrive dell’istesso Sole: Si enim Sol hic, quem videmus, eorum quæ sub sensum cadunt essentias et 185

qualitates, quamquam multæ sint ac dissimiles, tamen ipse, qui unus est æquabiliterque lumen fundit, renovat, alit, tuetur, perficit, dividit, coniungit, fovet, foecunda reddit, auget, mutat, firmat, edit, movet, vitaliaque facit omnia, et unaquæque rea huis universitatis, pro captu suo, unius atque eiusdem Solis est particeps, causasque multorum, quæ participant, in se æquabiliter anticipatas habet; certe maiore ratione etc. Essendo, dunque, il Sole e fonte di luce e principio de’ movimenti, volendo Iddio che al comandamento di Iosuè restasse per molte ore nel medesimo stato immobilmente tutto ’l sistema mondano, bastò fermare il Sole, alla cui quiete fermatesi tutte l’altre conversioni, restarono e la Terra e la luna e ’l Sole nella medesima costituzione, e tutti gli altri pianeti insieme; né per tutto quel tempo declinò ’l giorno verso la notte, ma miracolosamente si prolungò: ed in questa maniera col fermare il Sole, senza alterar punto o confondere gli altri aspetti e scambievoli costituzioni delle stelle, si potette allungare il giorno in Terra, conforme esquisitamente al senso literale del sacro testo. Ma quello di che, s’io non m’inganno, si deve far non piccola stima, è che con questacostituzione Copernicana si ha il senso literale apertissimo e facilissimo d’un altro particolare che si legge nel medesimo miracolo; il quale è, che il Sole si fermò nel mezo del cielo. Sopra ’l qual passo gravi teologi muovono difficoltà: poi che par molto probabile che quando Giosuè domandò l’allungamento del giorno, il Sole fusse vicino al tramontare, e non nel meridiano; perché quando fusse stato nel meridiano, essendo allora intorno al solstizio estivo, e però i giorni lunghissimi, non par verisimile che fusse necessario pregar l’allungamento del giorno per conseguir vittoria in un conflitto, potendo benissimo bastare per ciò lo spazio di sette ore e più di giorno che rimanevano ancora. Dal che mossi gravissimi teologi, hanno veramente 186

tenuto che ’l Sole fusse vicino all’occaso; e così par che suonino anco le parole, dicendosi: Ferma, Sole, fermati: ché se fosse stato nel meridiano, o non occorreva ricercare il miracolo, o sarebbe bastato pregar solo qualche ritardamento. Di questa opinione è il Caietano, alla quale sottoscrive il Magaglianes, confermandola con dire che Iosuè aveva quell’istesso giorno fatte tant’altre cose avanti il comandamento del Sole, che impossibile era che fussero spedite in un mezo giorno: onde si riducono ad interpretar le parole in medio cæli veramente con qualche durezza, dicendo che l’importano l’istesso che il dire che il Sole si fermò essendo nel nostro emisferio, ciò è sopra l’orizonte. Ma tal durezza ed ogn’altra, s’io non erro, sfuggirem noi, collocando, conforme al sistema Copernicano, il Sole nel mezo, ciò è nel centro de gli orbi celesti e delle conversioni de’ pianeti, sì come è necessarissimo di porvelo; perché, ponendo qualsivoglia ora del giorno, o la meridiana o altra quanto ne piace vicina alla sera, il giorno fu allungato e fermate tutte le conversioni celesti col fermarsi il Sole nel mezo del cielo, ciò è nel centro di esso cielo, dove egli risiede: senso tanto più accomodato alla lettera, oltre a quel che si è detto, quanto che, quando anco si volesse affermare la quiete del Sole essersi fatta nell’ora del mezo giorno, il parlar proprio sarebbe stato il dire che stetit in meridie, vel in meridiano circulo, e non in medio cæli, poi che di un corpo sferico, quale è il cielo, il mezo è veramente e solamente il centro. Quanto poi ad altri luoghi della Scrittura, che paiono contrariare a questa posizione, io non ho dubbio che quando ella fusse conosciuta per vera e dimostrata, quei medesimi teologi che, mentre la reputan falsa, stimano tali luoghi incapaci di esposizioni concordanti con quella, ne troverebbono interpetrazioni molto ben congruenti, e massime quando all’intelligenza delle Sacre Lettere 187

aggiugnessero qualche cognizione delle scienze astronomiche: e come di presente, mentre la stimano falsa, gli par d’incontrar, nel leggere le Scritture, solamente luoghi ad essa repugnanti, quando si avessero formato altro concetto, ne incontrerebbero per avventura altrettanti di concordi; e forse giudicherebbono che Santa Chiesa molto acconciamente narrasse che Iddio collocò il Sole nel centro del cielo e che quindi, col rigirarlo in sé stesso a guisa d’una ruota, contribuisce gli ordinati corsi alla Luna ed all’altre stelle erranti, mentre ella canta: Cæli Deus sanctissime, Qui lucidum centrum poli Candore pingis igneo, Augens decoro lumine; Quarto die qui flammeam Solis rotam constituens, Lunæ ministras ordinem, Vagosque cursus siderum. Potrebbono dire, il nome di firmamento convenirsi molto bene ad literam alla sfera stellata ed a tutto quello che è sopra le conversioni de’ pianeti, che, secondo questa disposizione, è totalmente fermo ed immobile. Così, movendosi la Terra circolarmente, s’intenderebbono i suoi poli dove si legge: Nec dum Terram fecerat, et flumina et cardines orbis Terræ; i quali cardini paiono indarno attribuiti al globo terrestre, se egli sopra non se gli deve raggirare. 1 - Lib. sec. De Genesi ad literam, in fine. 2 - Tertullianus, Adversum Marcionem, lib. p.º, cap.º 18. 3 - D. Augustinus, lib. 2, In Genesim ad literam, c. 9. 4 - Il medesimo si legge in Pietro Lombardo, maestro di sentenze. 5 - Cardinal Baronio.

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6 - Pererius, In Genesim, circa principium. 7 - In Epistola septima, ad Marcellinum. 8 - Ecclesiast., cap.º 3º. 9 - Epistola ad Paulinum, 103. 10 - Cap. 21, lib. 1, Genesis ad literam. 11 - Clavius. 12 - In Genesis ad literam, c. 9. 13 - In cap. 28 Hieremiae. 14 - Cap. 13 Matthaei. 15 - Concilio Tridentino, sess. 4. 16 - In Genesim ad literam, lib. 2, c. 10. 17 - D. Augustinus, lib.p.º De Genesi ad literam, cap. 18, 19. 18 - In Epistola ad Polycarpum. 19 - Lib. 2 De mirabilibus Sacrae Scripturae. 20 - Quaest. 22, 24 in Cap. X Iosue.

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SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633)

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Sentenza Noi Gasparo del tit. di S. Croce in Gerusalemme Borgia; Fra Felice Centino del tit. di S. Anastasia, detto d’Ascoli; Guido del tit. di S. Maria del Popolo Bentivoglio; Fra Desiderio Scaglia del tit. di S. Carlo, detto di Cremona; Fra Ant.o Barberino, detto di S. Onofrio; Laudivio Zacchia del tit. di S. Pietro in Vincoli, detto di S. Sisto; Berlingero del tit. di S. Agostino Gesso; Fabricio del tit. di S. Lorenzo in Pane e Perna Verospio: chiamati Preti; Francesco del tit. di S. Lorenzo in Damaso Barberino; et Martio di S.ta Maria Nova Ginetto, Diaconi; per la misericordia di Dio, della S.ta Romana Chiesa Cardinali, in tutta la Republica Christiana contro l’heretica pravità Inquisitori generali dalla S. Sede Apostolica specialmente deputati; Essendo che tu, Galileo fig.lo del q.m. Vinc.o Galilei, Fiorentino, dell’età tua d’anni 70, fosti denuntiato del 1615 in questo S.o Off.o, che tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il sole sia centro del mondo et imobile, e che la terra si muova anco di moto diurno; ch’havevi discepoli, a’ quali insegnavi la medesima dottrina; che circa l’istessa tenevi corrispondenza con alcuni mattematici di Germania; che tu havevi dato alle stampe alcune lettere intitolate Delle macchie solari, nelle quali spiegavi l’istessa dottrina come vera; che all’obbiettioni che alle volte ti 191

venivano fatte, tolte dalla Sacra Scrittura, rispondevi glosando detta Scrittura conforme al tuo senso; e successivamente fu presentata copia d’una scrittura, sotto forma di lettera, quale si diceva esser stata scritta da te ad un tale già tuo discepolo, et in essa, seguendo la positione del Copernico, si contengono varie propositioni contro il vero senso et auttorità della Sacra Scrittura; Volendo per ciò questo S.cro Tribunale provedere al disordine et al danno che di qui proveniva et andava crescendosi con pregiuditio della S.ta Fede, d’ordine di N. S.re e degl’Eminen.mi e Rev.mi SS.ri Card.i di questa Suprema et Universale Inq.ne, furono dalli Qualificatori Teologi qualificate le due propositioni della stabilità del sole e del moto della terra, cioè: Che il sole sia centro del mondo et imobile di moto locale, è propositione assurda e falsa in filosofia, e formalmente heretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura; Che la terra non sia centro del mondo né imobile, ma che si muova etiandio di moto diurno, è parimente propositione assurda e falsa nella filosofia, e considerata in teologia ad minus erronea in Fide. Ma volendosi per allora procedere teco con benignità, fu decretato dalla Sacra Congre.ne tenuta avanti N. S. a’ 25 di Febr.o 1616, che l’Emin.mo S. Card. Bellarmino ti ordinasse che tu dovessi omninamente lasciar detta opinione falsa, e ricusando tu di ciò fare, che dal Comissario di S. Off.io ti dovesse esser fatto precetto di lasciar la detta dotrina, e che non potessi insegnarla ad altri né difenderla né trattarne, al quale precetto non acquietandoti, dovessi esser carcerato; et in essecutione dell’istesso decreto, il giorno seguente, nel palazzo et alla presenza del sodetto Eminen.mo S.r Card.le 192

Bellarmino, dopo esser stato dall’istesso S.r Card.le benignamente avvisato et amonito, ti fu dal P. Comissario del S. Off.o di quel tempo fatto precetto, con notaro e testimoni, che omninamente dovessi lasciar la detta falsa opinione, e che nell’avvenire tu non la potessi tenere né difendere né insegnar in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto: et havendo tu promesso d’obedire, fosti licentiato. Et acciò che si togliesse affatto così perniciosa dottrina, e non andasse più oltre serpendo in grave pregiuditio della Cattolica verità, uscì decreto della Sacra Congr.ne dell’Indice, col quale furono prohibiti li libri che trattano di tal dottrina, et essa dichiarata falsa et omninamente contraria alla Sacra et divina Scrittura. Et essendo ultimamente comparso qua un libro, stampato in Fiorenza l’anno pross.to (sic), la cui inscrittione mostrava che tu ne fosse l’autore, dicendo il titolo Dialogo di Galileo Galilei delli due Massimi Sistemi del mondo, Tolemaico e Copernicano; et informata appresso la Sacra Congre.ne che con l’impressione di detto libro ogni giorno più prendeva piede e si disseminava la falsa opinione del moto della terra e stabilità del sole; fu il detto libro diligentemente considerato, et in esso trovata espressamente la transgressione del predetto precetto che ti fu fatto, havendo tu nel medesimo libro difesa la detta opinione già dannata et in faccia tua per tale dichiarata, avvenga che tu in detto libro con varii ragiri ti studii di persuadere che tu la lasci come indecisa et espressamente probabile, il che pur è errore gravissimo, non potendo in niun modo esser probabile un’opinione dichiarata e difinita per contraria alla Scrittura divina. Che perciò d’ordine nostro fosti chiamato a questo S. Off.o, nel quale col tuo giuramento, essaminato, riconoscesti 193

il libro come da te composto e dato alle stampe. Confessasti che, diece o dodici anni sono incirca, dopo esserti fatto il precetto come sopra, cominciasti a scriver detto libro; che chiedesti la facoltà di stamparlo, senza però significare a quelli che ti diedero simile facoltà, che tu havevi precetto di non tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo tal dottrina. Confessasti parimente che la scrittura di detto libro è in più luoghi distesa in tal forma, ch’il lettore potrebbe formar concetto che gl’argomenti portati per la parte falsa fossero in tal guisa pronuntiati, che più tosto per la loro efficacia fossero potenti a stringer che facili ad esser sciolti; scusandoti d’esser incorso in error tanto alieno, come dicesti, dalla tua intentione, per aver scritto in dialogo, e per la natural compiacenza che ciascuno ha delle proprie sottigliezze e del mostrarsi più arguto del comune de gl’uomini in trovar, anco per le propositioni false, ingegnosi et apparenti discorsi di probabilità. Et essendoti stato assignato termine conveniente a far le tue difese, producesti una fede scritta di mano dell’Emin.mo S.r Card.le Bellarmino, da te procurata, come dicesti, per difenderti dalle calunnie de’ tuoi nemici, da’ quali ti veniva opposto che havessi abiurato e fossi stato penitenziato dal S.to Off.o, nella qual fede si dice che tu non havevi abiurato, né meno eri stato penitentiato, ma che ti era solo stata denuntiata la dichiaratione fatta da N. S.e e publicata dalla Sacra Congre.ne dell’Indice, nella quale si contiene che la dottrina del moto della terra e della stabilità del sole sia contraria alle Sacre Scritture, e però non si possa difendere né tenere; e che perciò, non si facendo mentione in detta fede delle due particole del precetto, cioè docere e quovis modo, si deve credere che nel corso di 14 o 16 anni n’havevi perso ogni 194

memoria, e che per questa stessa cagione havevi taciuto il precetto quando chiedesti licenza di poter dare il libro alle stampe, e che tutto questo dicevi non per scusar l’errore, ma perché sia attribuito non a malitia ma a vana ambitione. Ma da detta fede, prodotta da te in tua difesa, restasti magiormente aggravato, mentre, dicendosi in essa che detta opinione è contraria alla Sacra Scrittura, hai non di meno ardito di trattarne, di difenderla e persuaderla probabile; né ti suffraga la licenza da te artefitiosamente e calidamente estorta, non havendo notificato il precetto ch’havevi. E parendo a noi che tu non havessi detto intieramente la verità circa la tua intentione, giudicassimo esser necessario venir contro di te al rigoroso essame; nel quale, senza però pregiuditio alcuno delle cose da te confessate e contro di te dedotte come di sopra circa la detta tua intentione, rispondesti cattolicamente. Pertanto, visti e maturamente considerati i meriti di questa tua causa, con le sodette tue confessioni e scuse e quanto di ragione si doveva vedere e considerare, siamo venuti contro di te alla infrascritta diffinitiva sentenza. Invocato dunque il S.mo nome di N. S.re Gesù Cristo e della sua gloriosissima Madre sempre Vergine Maria; per questa nostra diffinitiva sentenza, qual sedendo pro tribunali, di consiglio e parere de’ RR. Maestri di Sacra Teologia e Dottori dell’una e dell’altra legge, nostri consultori, proferimo in questi scritti nella causa e cause vertenti avanti di noi tra il M.co Carlo Sinceri, dell’una e dell’altra legge Dottore, Procuratore fiscale di questo S.o Off.o, per una parte, e te Galileo Galilei antedetto, reo qua presente, inquisito, processato e confesso come sopra, dall’altra; Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te 195

confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto d’heresia, cioè d’aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch’il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un’opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie, et qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica et Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell’avvenire et essempio all’altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t’imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte, le sodette pene e penitenze. Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potemo e dovemo. Ita pronun.mus nos Cardinales infrascripti: F. Cardinalis de Asculo. G. Cardinalis Bentivolus. Fr. D. Cardinalis de Cremona. 196

Fr. Ant.s Cardinalis S. Honuphrii. B. Cardinalis Gipsius. F. Cardinalis Verospius. M. Cardinalis Ginettus.

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Abiura

Io Galileo, fig.lo del q. Vinc.o Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, constituto personalmente in giuditio, et inginocchiato avanti di voi Emin.mi et Rev.mi Cardinali, in tutta la Republica Christiana contro l’heretica pravità generali Inquisitori; havendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica et insegna la S.a Cattolica et Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Off.o, per aver io, dopo d’essermi stato con precetto dall’istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa dottrina già dannata et apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna solutione, sono stato giudicato vehementemente sospetto d’heresia, cioè d’haver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo et imobile e che la terra non sia centro e che si muova; Pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze V.re e d’ogni fedel Christiano questa vehemente sospitione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori et heresie, e generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta 198

contraria alla S.ta Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simile sospitione; ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d’heresia, lo denontiarò a questo S. Offitio, o vero all’Inquisitore o Ordinario del luogo dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d’adempire et osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Off.o imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da’ sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m’aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani. Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; et in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiuratione et recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633. Io, Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria.

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Galileo Galilei e il suo tempo

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LA VITA E LE OPERE

STORIA, ARTE, SCIENZA E LETTERATURA

1564

15 febbraio: nasce a Pisa da Vincenzo, compositore, teorico musicale e liutista, e da Giulia Ammannati, di famiglia artigiana.

1563: il Concilio di Trento termina i suoi lavori. 18 febbraio: muore a Roma Michelangelo Buonarroti.

1574

Si trasferisce con Muore a Firenze la famiglia a Giorgio Vasari (n. Firenze, dove 1511). studia.

1581

Intraprende con scarso interesse lo studio della medicina a Pisa.

Prima edizione della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.

1583

Allievo di Ostilio Ricci a Firenze, studia matematica e geometria.

Il gesuita Matteo Ricci inizia l’evangelizzazione della Cina.

1583-

Progetta

una 1584: 201

Giordano

1587

bilancia idrostatica per la determinazione della densità dei corpi. Scopre l’isocronismo delle oscillazioni del pendolo.

1589

Ottiene la Enrico IV di Borbone cattedra di viene incoronato re matematica di Francia. all’Università di Pisa.

1591

Muore il padre. Studia il movimento dei gravi e formula le leggi sulla caduta dei corpi nel vuoto.

Giordano Bruno, accusato di eresia, è arrestato e consegnato all’Inquisizione di Roma.

15921610

Insegna a Padova, che aveva ospitato nel 1501 Copernico (14731543): studia le sue dottrine e le teorie di Keplero sull’ottica.

1592: Tintoretto inizia L’ultima Cena. L’anno dopo, l’Euridice di Caccini segna la prima apparizione del “dramma in musica”.

202

Bruno pubblica De l’infinito, universo et mondi e La cena delle ceneri. 1587: Elisabetta I condanna a morte Maria Stuarda.

16091610

Costruisce il cannocchiale: compie osservazioni sulla Luna, le stelle, le macchie solari, Giove, Venere e Saturno. Pubblica a Venezia il Sidereus Nuncius. Si trasferisce a Firenze. Costruisce con due lenti un microscopio.

1609: muore Ferdinando I; Cosimo II, protettore di Galileo, diventa granduca. 1610: Maria de’ Medici è reggente sul trono di Francia. Muore Caravaggio sulla spiaggia di Porto Ercole in Toscana.

1611

Ottiene a Roma l’approvazione delle sue scoperte da parte degli studiosi gesuiti del Collegio Romano e la benigna accoglienza di papa Paolo V.

Viene messa in scena La tempesta di Shakespeare. Keplero pubblica la Dioptrica sulla teoria fisica delle lenti.

16121615

Scrive le quattro Lettere copernicane, una delle quali indirizzata a Cristina di

1612: esce il primo Vocabolario degli Accademici della Crusca. 1613: muore il Cigoli (Lodovico Cardi),

203

Lorena per sostenere l’eliocentrismo. Nel 1613 pubblica Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari.

pittore amico di Galileo. 1614: Napier pubblica la sua scoperta dei logaritmi.

1616

Il cardinale Bellarmino cerca di convincerlo ad abiurare. Nonostante l’ammonizione, non si dà per vinto e resta a Roma altri mesi per far valere le sue opinioni.

5 marzo: la Chiesa mette all’indice il De revolutionibus orbium coelestium di Copernico. Muoiono Shakespeare, Cervantes e Garcilaso de la Vega.

16181623

La comparsa di tre comete fa nascere accese discussioni sulla loro natura. Galileo risponde con il Discorso delle comete (1618). Scoppia una nuova polemica a cui risponde con Il

1618: inizia tra gli stati europei la guerra dei Trent’anni. 1620: il filosofo Francesco Bacone scrive il Novum Organum. 1621: muore il pittore fiorentino Cristofano Allori.

204

Saggiatore. 1624

Inizia la stesura del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano.

1623: è eletto papa Urbano VIII. Richelieu diventa primo ministro di Francia.

1632

Pubblica a Firenze il Dialogo che dedica al granduca Ferdinando II.

Due anni prima muore il tedesco Giovanni Keplero (n.1571).

16331634

12 aprile: a Roma è processato e condannato dal Sant’Uffizio. 22 giugno: abiura e gli viene imposto il confino a Siena, poi ad Arcetri (Firenze). L’anno dopo muore la figlia Virginia (n.1600).

1633: escono postume le Poesie del poeta John Donne. Gian Lorenzo Bernini termina Palazzo Barberini a Roma. 1634: cattolici inglesi fondano la colonia del Maryland.

1637

Perde la vista, è René Descartes assistito (Cartesio) scrive il dall’allievo Discorso sul metodo. Vincenzo 205

Viviani. 1638

Pubblica a Leida, in Olanda, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.

1636: Justus Sustermans, pittore fiammingo, dipinge il Ritratto di Galileo Galilei.

1642

8 gennaio: muore ad Arcetri. Pochi giorni dopo viene tumulato nella Basilica di Santa Croce a Firenze.

Rembrandt dipinge Ronda di notte. 1643: nasce Isaac Newton in Inghilterra.

206

Indice Collana Frontespizio Colophon Sommario Le 10 parole chiave di Roberto Carnero 1 VERITÀ 2 ESPERIENZA 3 BIBBIA 4 FEDE 5 TERRA 6 VOLGARE 7 IGNORANZA 8 PRUDENZA 9 PROCESSO 10 EPPURE

2 3 4 5 7 8 9 10 12 13 15 17 18 19 21

LETTERE COPERNICANE 1 – A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613) 2 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615) 3 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615) 4 – A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615) 207

23 24 36 44 57

SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633) Sentenza Abiura

106 108 115

LETTERE COPERNICANE – Testi originali 1 – A don Benedetto Castelli in Pisa (Firenze, 21 dicembre 1613) 2 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 16 febbraio 1615) 3 – A monsignor Piero Dini in Roma (Firenze, 23 marzo 1615) 4 – A madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana (1615)

SENTENZA E ABIURA (Roma, 22 giugno 1633) – Testi originali Sentenza Abiura

117 118 128 134 145

190 191 198

Galileo Galilei e il suo tempo

208

200