Metro e ritmo nella poesia italiana. Guida anomala ai fondamenti della versificazione 9788884503916, 9788884504159, 9788884504388

Qual è la differenza tra metro e ritmo in poesia? Il metro è un insieme di regole e vincoli che si caratterizzano per es

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Metro e ritmo nella poesia italiana. Guida anomala ai fondamenti della versificazione
 9788884503916, 9788884504159, 9788884504388

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MARCO

PRALORAN

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QUADERNI

PI STILISTICA

E METRICA

ITALIANA

QUADERNI

DI STILISTICA E METRICA

ITALIANA

Diretti da Pier Vincenzo Mengaldo e Marco Praloran

MARCO

PRALORAN

METRO E RITMO NELLA POESIA ITALIANA GUIDA ANOMALA AI FONDAMENTI DELLA VERSIFICAZIONE

iF PER

FIRENZE EDIZIONI DEL GALLUZZO LA FONDAZIONE EZIO FRANCESCHINI 2011

Pubblicato con il sostegno della Fondazione Ezio Franceschini di Firenze

Fondazione Ezio Franceschini ONLUS Certosa del Galluzzo, I-$0124 Firenze tel. +39.0$$.204.97.49 - fax +309.0$$.232.04.23

segreteria.fef(@sismelfirenze.it www.sismelfirenze.it

SISMEL - Edizioni del Galluzzo loc. Bottai - via di Colleramole 11 c.p. 90 - I-$0023 - ‘Tavarnuzze - Impruneta - Firenze

tel. +39-055 2374537 - fax +39-055 2373454 order(@@sismel.it catalogo on line: www.sismel.it www.mirabileweb.it

ISBN

978-88-84$50-438-8

© 2011 :- Fondazione Ezio Franceschini ONLUS, SISMEL - Edizioni del Galluzzo e Gruppo Padovano di Stilistica

SOMMARIO

I.

IL RITMO,

IL METRO

E

IL DISCORSO

I. Premessa IO

2. Il ritmo dell’endecasillabo

18

3. Sulle implicazioni ritmiche della cesura

23 26

4. L’endecasillabo novecentesco $. Il settenario

36

6. Osservazioni sul verso libero

40

7. L’enjambement II. IL RITMO

45 49 $7 $9 65 73 85

DELLE

FORME

METRICHE

8. Preliminari teorici 9. La strategia dell’argomentazione nel sonetto IO. Îl sonetto nella contemporaneità II. Îl madrigale cinquecentesco I12. Metrica e racconto 13. Îl ritmo nella canzone BIBLIOGRAFIA

INDICI

95$

Indice delle cose notevoli

99

Indice dei nomi

METRO

E RITMO

GUIDA ANOMALA

NELLA

AI FONDAMENTI

POESIA

ITALIANA

DELLA VERSIFICAZIONE

'

CAPITOLO

IL RITMO,

IL METRO

I

E IL DISCORSO

I. PREMESSA

La nozione più consueta di ritmo è correlata al tempo, ma ancor più

ad una successione di durate, di gesti anche non orientati cronologicamente ma disposti uno accanto all’altro: così si può parlare di ‘ritmo”’ nella descrizione di un quadro. Certo, il ritmo è uno dei tre piani fondamentali della struttura musicale, accanto all’armonia e alla melodia, ma ricorre anche nell’analisi di un testo narrativo, di un romanzo. Per ritmo

del romanzo s’intende il variare della velocità della narrazione, il passare tra un modo di raccontare dettagliato, analitico, spesso drammatico e un modo rapido, a volte ellittico. La gerarchia drammatica degli eventi (eventi decisivi e eventi puramente accessori) causa effetti di ritmo in relazione alla loro disposizione nel racconto. Così, frequentemente si utilizza la nozione di ritmo nell’analisi di un film. Il ritmo è, in questo caso, strettamente legato al montaggio, cioè al rapporto tra le diverse sequenze, tra i tagli che attraversano la storia, da una vicenda all’altra, da un personaggio all’altro, da un tipo di focalizzazione ad un altro (primo piano o piani più lunghi). Il ritmo in tutti e due 1 casi è il modo in cui il tempo lineare e continuo della vita viene interpretato e filtrato nel racconto secondo la strategia di chi ce lo racconta. Ma il ritmo è tradizionalmente anche uno dei caratteri dell’espressio-

ne linguistica, non solo della poesia ma anche naturalmente nella prosa. Aldo Menichetti, ricordando Cicerone, osserva giustamente che «in una

4

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

lingua ad accento intensivo qual è l’italiano [il ritmo] è quello dato dal succedersi variamente combinato di sillabe toniche, di sillabe atone e di pause» (Metrica italiana, p. 360); tuttavia, il ritmo è anche costituito, su un

piano differente ma non indipendente, dalla successione di pause sintattiche e/o intonative che ‘tagliano’ il fluire del discorso. Interessante nella nostra prospettiva è andare alla ricerca del significato di ‘ritmo’ nella tradizione occidentale.

In un famoso studio, La nozione di «ritmo» nella sua espressione linguistica (1951), Émile Benveniste ha messo in luce il significato antico di @u@6-

uòG (rythmds) in greco e l’oscillazione di quel significato che, ben lungi da collegarsi direttamente a pgîv (réin, scorrere), è presso 1 creatori dell’atomismo una parola tecnica — lo sappiamo attraverso Aristotele — che esprime una delle possibili relazioni fondamentali dei corpi, che può essere resa come ‘forma’ o ‘configurazione’. Prender forma, ‘assetto caratteristico delle parti di un tutto’, è il significato più frequente, riferito sia agli elementi naturali (acqua, fuoco) sia a quelli astratti (per esempio, le istituzioni), oppure, in Erodoto, alla configurazione dei caratteri nei tragici e nei lirici, alla forma individuale del carattere umano.

È certo che pu@uéc, da Senofonte a Platone, non significa mai ‘ritmo”’, né è mai riferito al movimento

regolare delle onde. È, invece, stretta-

mente legato a ogfîjua (schema). Ma, mentre quest’ultimo significa l’elemento stabile di una forma, la conformazione duratura, il primo ne designa il carattere mobile, la conformazione in atto di un determinato movimento; da qui il rapporto con ggîv, termine tecnico della filosofia atomistica. Îl movimento-scorrere della natura porta a delle disposizioni, configurazioni non stabili ma immerse nel tempo, «una rappresentazione dell’universo — per ricorrere alle parole di Benveniste — nella quale le configurazioni particolari di ciò che è mobile si definiscono come dei ‘fluire’» (Problemi di linguistica generale, p. 397). È Platone, nel Filebo e nel Convivio, ad applicare questo significato di ‘forma distintiva’, ‘proporzione’, al movimento che il corpo umano compie nella danza e alla disposizione delle figure nelle quali si risolve questo movimento, forma sottoposta alla legge dei numeri e in rapporto alla nozione di nétpov (metron, ‘metro’). Rapporto che rimarrà fondamentale

1. PREMESSA

$

nella storia del concetto di ritmo, all’interno di molte teorizzazioni fino

a quelle del formalismo russo. Qual è la differenza tra metro e ritmo in poesia? Îl metro è un insieme di regole-vincoli che si caratterizzano per essere preliminari o più astratti dei fatti linguistici, per precederli e insieme per determinarli, o comunque per costituire il polo di una decisiva interrelazione. Il ritmo è, di fatto, il discorso nella sua enunciazione, realtà linguistica realizzata nel discorso: prosodia (regole dell’accentazione e del sillabismo),

sintassi, intonazione dunque, ma appunto visti nelle strutture versificate, cioè in rapporto a strutture prelinguistiche, scheletri formali: una forma metrica, un verso, una sequenza di rime in cui trovano posto. Da una parte, quindi, un elemento soggettivo e mobile, dall’altra un elemento ogget-

tivo, ‘dato’, sostanzialmente rigido — e si capisce bene come l’interrelazione tra queste due realtà sia un punto nodale per lo studio della poesia. Centro delle riflessioni delle poetiche antiche e medievali, il rapporto ritmo-metro va comunque focalizzato con una certa prudenza, cioè liberandosi dalla spontanea e in sostanza romantica percezione per cui vi si scontrerebbero un’istanza ‘positiva’ (perché inscrivibile nella libera scelta dell’autore) e un’i-

stanza ‘negativa’ (perché caratterizzata dalla norma e dalla meccanicità delle strutture). In realtà, come si intravede da un pur rapidissimo esame delle discussioni teoriche, la contrapposizione non appare sempre così netta. Per Aristotele, il metro è una realizzazione particolare del ritmo: ogni discorso è ritmico, quello poetico è anche metrico. D’altra parte, Ccome osserva Cicerone nel De Otatore (55$ a.C.), anche il ritmo (o ‘numero’), indipendente-

mente dalla metrica (così, per esempio, nella prosa), possiede delle figurazioni più o meno

convincenti, più o meno

appropriate. Sono considera-

zioni che ritroviamo, coerentemente sviluppate per rapporto alla lingua italiana, anche nel secondo capitolo delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo

(1525$). In questo

senso, il ritmo

è caratteristico di ogni tipo di

discorso e possiede tratti di maggiore o minore armonia, sicuramente percepibili, indipendentemente (o no) dal suo rapporto con il metro. Considerazioni estetiche strettamente legate al rapporto e alla proporzione tra i numeri, all’armonia e alle nostre facoltà percettive — non lontane dal concetto di proporzione euritmica che grazie a Vitruvio, autore

6

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

del De Architectura (25-23 a. C.), arriva al Rinascimento italiano di Leon

Battista Alberti e poi di Andrea Palladio — sono quelle di Agostino nel De Musica (388-391). Musica appunto della parola, in cui tuttavia l’avallo del metro è fondamentale e appropriato perché solo il metro, inteso come coerente disposizione dei piedi, si avvicina all’armonia profonda, inintelligibile. Nella poesia latina medievale rispunta l’opposizione caratteristica della metrica greca, tra una forma ‘finita’, chiusa, regolata dal metro, e una

‘aperta’, ritmica appunto (in pratica, tra un sistema metrico quantitativo, basato sul computo delle lunghezze, e uno più arcaico, ‘sillabometrico’, fondato sul computo delle sillabe e la disposizione preordinata delle lunghezze), per cui, a esempio, nel De metrica arte, Beda il Venerabile (672735)

osserva: «metrum

est ratio cum

modulatione,

rhytmus

modulatio

sine ratione», ‘1l metro è cadenza ritmica con misura, il ritmo cadenza ritmica senza misura’ (Patrologia Latina, 90, 173-4), in rapporto con i due

diversi tipi di poesia latina che si praticano nel Medioevo. Ricordiamo, incidentalmente, che intorno al III secolo si perde la capacità di distinguere le sillabe lunghe dalle sillabe brevi, e la versificazione si riorganizza allora attorno al concetto di eguaglianza sillabica. D’altra parte occorre anche osservare che ogni lingua ha una sua struttura prosodica e un suo sistema metrico. Per esempio, la metrica quanti-

tativa latina o quella greca (la quantità è la misura di tempo occorrente a pronunciare una sillaba lunga o breve) sono molto diverse da quella accentuativa italiana o da quella francese o spagnola. Queste differenze incidono sul rapporto tra la dimensione soggettiva del discorso e lo scheletro oggettivo della struttura data. Proviamo a chiarirci un po’. Nella metrica latina classica, fondata sul rapporto tra sillabe lunghe e sillabe brevi, e quindi sulla successione di piedi, esistono delle posizioni all’interno del verso che sono di fatto già lunghe o brevi, posizioni fisse date per stabilite, che vanno considerate su un piano ‘alto’, rispetto ai fatti linguistici, ma immanente alla forma poetica. In questo modo il fluire del discorso si frange contro queste posizioni, si adatta; così accade nel sistema sillabico-tonico tedesco o slavo, in cui

al numero delle sillabe si aggiunge un ulteriore elemento di regolarità,

1. PREMESSA

7

che consiste nella presenza di sedi toniche obbligatorie nel verso: ecco, ad esempio, il pentametro giambico russo, e prima ancora polacco. Nel verso italiano, invece, il carattere qualitativo dell’accentazione

fa sì che le

regole metriche condizionino molto meno la disposizione dell’enunciato linguistico nel verso: il verso appare uno spazio caratterizzato da un segnale di chiusa che verte sul conto delle sillabe. Ad esempio, nell’endecasillabo la decima posizione deve coincidere con l’ultima sillaba tonica, nel settenario la sesta, nel novenario

l’ottava, eccetera. Certo, accanto a

questo segnale ce ne possono essere altri. Nel verso francese, C’è un segnale di stacco obbligatorio all’interno del verso: la cesura, sia nel décasyllabe epico che nell’alessandrino, che ha un valore omologo a quello della fine di verso. Se, in generale, la scansione ritmica, come

osserva Bertinetto

(è una

regola di validità teorica complessiva), va rilevata nel rapporto tra uno schema metrico — insieme di regole immanenti, più ‘profonde’ della traccia linguistica dell’enunciato — e appunto la dinamica dell’enunciazione, è importantissimo notare che questo rapporto varia molto nei diversi sistemi, e quello dell’italiano appare tra i meno vincolanti, tra i più liberamente aperti al flusso naturale della lingua. La lingua italiana, nella sua forma parlata, ha naturalmente dei caratteri fonetici, prosodici e intonativi stabiliti. Ad esempio, nel parlato, più densa è la successione di accenti, più questi ultimi perdono intensità; meno fitta di accenti è una sequenza linguistica, più questi accenti sono rilevanti. In questo modo

è possibile che una sillaba non tonica diventi

sede di accento (pensiamo ad esempio a polisillabi di grande o grandissima estensione, quali gli avverbiali in -mente), o che diventi tonico un monosillabo solitamente (a causa della sua funzione linguistica) proclitico. Come

esempio

di una casistica assai ampia, può valere questo verso

petrarchesco: «per non ravvicinarmi a chi mi strugge» (Rvf XXxXIX 10), in cui, prima dell’accento di sesta, la prosodia dell’italiano ci obbliga a porre un altro accento, su «ravvìcinarmi» (come secondo accento di parola),

oppure su «non» (accentando, cioè, un elemento altrimenti atono). Nella lingua parlata l’accentazione è determinata anche da fenomeni legati all’enunciazione, come la velocità o l’enfasi, che vengono rilevati sul piano dell’esecuzione. Accelerando, alcuni accenti tendono ad annullarsi; ral-

8

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

lentando, alcune sillabe atone diventano sede di accento. La recitazione

può imporre anche violenti scarti all’interno dello stesso enunciato, un po’ come è possibile per un interprete in un’esecuzione musicale variare 1 contorni ritmici anche al centro di una stessa sequenza melodica. Ma, nella dimensione letteraria, dobbiamo obbligatoriamente pensare a una velocità costante e tendenzialmente lenta, o almeno sufficientemente len-

ta per poter avvertire la strategia del discorso poetico. Esiste anche un secondo aspetto linguistico dell’enfasi, quello che possiamo

definire

intonazionale-sintattico

(l’intonazione, infatti, può

essere

valutata a differenti livelli), che agisce sul piano della produzione del testo e non della recitazione, sicché è perfettamente avvertibile al livello del testo scritto, e influenza l’attribuzione degli accenti della poesia, o ictus (ricordiamo che, in origine, l’ictus è proprio l’abbassamento della mano o del piede di chi batte il tempo). Ecco perché sintassi e intonazione sono fattori decisivi per il ritmo. Queste considerazioni non si scostano molto da alcune posizioni dei più avvertiti teorici cinquecenteschi. Secondo Minturno, nell’Arte poetica (1563), «l’Harmonia è consonanza delle voci, le quali sono

acute, o gravi: et il Tempo et il Numero è misura del movimento; il quale è tardo, o veloce; sì come lo spatio, per lo quale egli si fa, lungo, o brieve. Onde il Tempo s’attende nel lungo, e nel brieve; e nel veloce, e nel tardo» (p. 355). Per Minturno, quindi, la lentezza e la velocità del verso (è veloce, per esempio, un endecasillabo di seconda e sesta, gravi e tardi quelli di quarta e sesta o di quarta e ottava, gravissimi e più lenti quelli di quarta, sesta e ottava) derivano da tre tipi di ‘pose’: 1) gli accenti del verso, 2) «le pose delle parole» (in sostanza, la loro struttura fonica), 3) «le pose delle sentenze» (la sintassi) legate alla struttura del «circoito» (il periodo) (pp. 361-3). Proviamo, ora, a soffermarci su due aspetti.

a) La scansione (l’attribuzione degli accenti) di un verso italiano — ciò

vale sicuramente per l’endecasillabo — deve procedere dai caratteri della lingua, e non apparire forzata per conformare gli accenti alla pressione di determinati modelli ritmici. Infatti, uno dei caratteri storicamente essen-

ziali del nostro verso più illustre è proprio la grande varietà d’accentazione, dovuta anche, ma non solo, all’ampiezza dell’arco sillabico che esso

sostiene: «temporis occupatione» ‘per misura di tempo”’, osserva Dante nel

1. PREMESSA

O

De Vulgari Eloquentia (IIl v 3). Pensare, come vuole la regola MalagoliCamilli, che non siano accettabili più di due sillabe atone, oppure che gli accenti contigui siano possibili soltanto dopo una forte pausa metrica e sintattica, la cesura, comporta

due gravi aporie. Da

una parte, il ritmo

poetico risulterebbe meno vario del ritmo linguistico (dove sono frequentissimi gli accenti contigui e gli spazi atoni superiori alle due sillabe); dall’altra, la morfologia dell’endecasillabo risulterebbe sostanzialmen-

te ridotta all’osso, con un curioso processo di omologazione che impedirebbe di mettere a fuoco le strategie ritmiche dei diversi autori, ovviamente tali anche per la scelta, almeno per i maggiori, di sovvertire o variare le figure della tradizione. Infine, in rapporto diretto con quanto detto, si imporrebbe a un enunciato-endecasillabo un ritmo differente, soprattutto molto meno vario di quello che lo stesso enunciato avrebbe in una situazione non letteraria. Sì capisce bene che in questa imposta-

zione, a nostro avviso francamente sbagliata, ha avuto rilievo l’assimilazione di teorie derivate da sistemi prosodici che prevedono un ritmo poetico impostato su caratteri molto diversi da quelli del ritmo della lingua parlata, per le pressioni di un modello metrico molto forte e marcato anche in senso verticale, fondato cioè sulla rispondenza tra verso e verso. Non c’è dubbio che un sistema fondato su regolari sequenze di piedi appaia molto più ‘costrittivo’ di quello accentuativo, proprio dell’italiano o del francese o dello spagnolo. b) La tradizione. Naturalmente. esiste, ed è ricchissima sia per un verso così prestigioso come l’endecasillabo, sia per il settenario. Ma, a difterenza di altre tradizioni che impongono un verso con il suo modello ritmico già stabilito, il maggiore verso italiano offre, fin dalla poesia delle origini, disparati

percorsi

ritmici

accentuativi.

Nella

corsa

diacronica

magari ne perde qualcuno, ma ne aggiunge degli altri; o meglio, aggiunge numerose figure ritmiche che avranno ampia rispondenza nei secoli SUCCessiVI. In una prospettiva storico-istituzionale, il ‘“fulcro’ della tradizione lirica

italiana è Petrarca. Con Petrarca 1l trattamento dell’endecasillabo comporta tutta una serie di prove

che, in sostanza, definiscono

l’orizzonte

d’utilizzo del verso almeno fino al Cinquecento. Per stabilire questo fatto con certezza, dovremmo servirci di amplissime ricerche di campo che

IO

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

in questo momento esistono soltanto per il Due-Trecento (ad esempio, il volume collettivo La metrica dei Fragmenta, a cura di Marco Praloran). Peraltro, questa è l’impressione che si ricava da una serie di sondaggi e analisi settoriali. Nel

Canzoniere,

rispetto alla poesia duecentesca

e allo stesso Dante,

non c’è selezione; piuttosto, un’appropriazione fortemente coerente dei modelli ritmici della tradizione volgare, che non rinuncia aprioristicamente a nessuna delle soluzioni accentuative. C’è spazio persino per i moduli con accenti al di fuori della quarta o sesta sede. Ma Petrarca sìi appoggia a una nuova ideazione del ‘tempo” ritmico del verso, che si avvale di una diversa resa dei rapporti fonici tra parole e di una nuova concezione dell’ordine delle parole nella frase (particolare eredità della prosa ciceroniana).

2. IL RITMO

DELL’ENDECASILLABO

Uno dei caratteri principali dell’endecasillabo è, come ha osservato Menichetti, la sua stabilità. Tale stabilità si evince da alcune caratteristi-

che, a cominciare dalla maggior frequenza di accenti sulle sedi pari (andamento giambico), in sintonia, secondo alcuni studiosi, con un modello profondo, dunque prelinguistico, del verso italiano, che prevedrebbe la presenza quasi obbligatoria di accenti centrali o sulla sesta o sulla quarta (o, naturalmente, su entrambe). Invece, 1 versi di 2° 7° e 3° 7° O 3° 8°, oppure di $° senza ictus adiacenti, sono rarissimi e sentiti irrego-

lari fin dai primordi del verso nella poesia siciliana. L’ipotesi di un ritmo profondo del verso, indipendente tanto dalle singole realizzazioni linguistiche (cioè dal livello della produzione del testo) che dal tipo di verso, appare interessantissima, ma non così pacificamente accettabile se si pen-

sa, per esempio, che il modulo ritmico più frequente del settenario antico è quello con accento centrale in terza sede. È più prudente notare, invece, che l’accento ‘metrico’ (di 10° nell’endecasillabo) condiziona il

passo degli accenti precedenti, e questo è tanto più evidente quanto più 1 versi sono brevi. Altro carattere di stabilità è la frequenza media di quattro accenti per verso. Privilegiati sono, in questo senso, i moduli di 2° 4° 8° 10° o 2° 4° 6?

2. IL RITMO

DELL’ENDECASILLABO

II

IO°, ma anche gli attacchi di 1° sono frequentissimi, e, ancora, endecasillabi con accenti centrali di 4° e 7° (la cui presenza risulta, tuttavia, forte-

mente contratta nella versificazione petrarchesca). Va ricordato, inoltre, il rilievo sempre maggiore che acquistano gli accenti contigui, soprattutto attorno alla cesura (in particolare quella di 6%), figura ritmica in seguito estesa da Petrarca a tutti i settori del verso, ma già avvertita e fatta propria, in modo molto marcato, da Dante nella Commedia. Il carattere più stabile, e nello stesso tempo più generale e caratterizzante, è l’andamento bipartito del verso, un andamento a due tempi, con-

trassegnato da una linea ascendente e poi discendente sul crinale della cesura. Non essendo possibile toccare tutti gli aspetti, ci soffermeremo su alcuni casi più emblematici. Gli schemi di 4° e 7° sono molto interessanti, perché Petrarca, come abbiamo detto, ne contrae l’impiego e ne trasforma la fisionomia ritmica. Con il prevalere del petrarchismo, tali schemi sono divenuti caratteristici della tradizione popolareggiante e narrativa, o nella mimesis del parlato — molto più rari, invece, nel genere lirico. Ecco alcuni esempi danteschi: lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte

con un vasello snelletto e leggero Tratto t’ho qui con ingegno e con arte

24710 24710

(Pg Il 131) (Pg xI 80)

4710 (Pg II 41) 14710 (Pg XxVII 130).

Sono versi classicamente bipartiti, alcuni grazie alla correlazione, altri grazie alla dittologia (coppia di parole della stessa classe grammaticale), che costituisce un sintagma intonativo, cioè una sequenza linguistica con

dei contorni autonomi. [In sostanza, ci sfuggono oggi le particolari proprietà ‘musicali’ del modulo, che ne determinarono la netta flessione in Petrarca. Possiamo solo immaginare che questo ritmo risultasse eccessivamente regolare e monotono, soprattutto con l’attacco di 1° (tonica, atona, atona: modulo dattilico ripetuto per tre volte), e osservare d’altra parte che, nel Canzoniere, l’impiego dell’endecasillabo di 4° e 7° non comporta in genere coincidenza tra la distribuzione degli elementi sintattici e retorici nel verso e la regolarità della scansione. Infatti, in Petrarca la dittologia è sì frequentissima, soprattutto nel finale di verso, ma molto rara-

12

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

mente il primo componente è sotto ictus di 7° (piuttosto di 8° o di 6%), a meno che non sia preceduto da un accento contiguo di 6°, che serve da slancio alla dittologia: se Morte li occhi suoi chiude et asconde.

ad acquetare il cor misero et mesto contra la qual non val forza né ’ngegno

- 246710

(Rvf CCXVIII 14)

46710 (Rvf CCCXLI S) 146710 (Rvf CCLXXI 14).

Îl ritmo di questi endecasillabi è molto differente: l’accento di 6° è, infatti, il perno della modulazione del verso e lo caratterizza (almeno i primi due esempi sono a maiori, appunto con forte pausa dopo l’accento di 6%°). Dall’accento di ‘crinale’ muove l’andamento discendente. Pur non mancando, nel Canzoniere, endecasillabi di 4° e 7°, raramente

sono rivestiti da figure retoriche come quelle che abbiamo osservato per Dante. Vediamone qualcuno: et viene a Roma, seguendo ”1 desio

Amor mi sprona in un tempo et affrena Se per salir a l’eterno soggiorno

24710

(Rvf XVI1 9)

24710 (Rvf CLXXVIII 1) 4710 (Rvf CCLI 12).

Naturalmente, a noi questi versi non appaiono meno melodici degli altri; potremmo

forse pensarli come

caratterizzati da un’organizzazione

discorsiva meno formale, meno controllata retoricamente.A queste nette realizzazioni, Petrarca affianca moduli dal diverso andamento, in cui l’ac-

cento di settima è preceduto da un monosillabo sostanzialmente proclitico ma pure in grado, col suo piccolo peso, di spostare la percezione del ritmo: piaggia ch’ascolti sue dolci parole torna volando al suo dolce soggiorno. forma senz’arte un sì caro monile

I 4710 (Rvf CLXII 3) 14710 (Rvf CLXXX 14) 14710 (Rvf CLXXXV 3)

breve conforto a sî lungo martiro.

14710 (Rvf XIV 14).

Questi tipi ‘misti’’, molto più frequenti degli altri nel Canzoniere (attestati anche nella produzione duecentesca e in Dante, ma solo episodicamente) sono classificabili, per la debolezza delle sedi di 6° (aggettivi

2. IL RITMO

DELL’ENDECASILLABO

13

monosillabici in posizione non marcata, la particella avverbiale proclitica), come versi dattilici (accenti di 1° 4° 7°), ma senz’altro alludono anche

allo schema con accenti contigui di 6° e 7°. Come tali, infatti, vengono imitati nella tradizione petrarchista. Il ruolo di appoggio potrà essere affidato ad altri elementi monosillabici: pronomi, ausiliari, avverbi; ma sostanzialmente

identica rimarrà la fisionomia ritmica:

de aver mercé dal mio viso divino 247 10 (Boiardo, Amorum Libri XXxV 11) fiamegia un spirto sî vivo d’amore | 24710 (Boiardo, Amorum Libri VI 10) Ma fatta Amor la sua bella vendetta 24710 (Poliziano, Stanze 1 68, 1) tien, miserello, 1 tuoi dolci pensieri

14710 (Poliziano, Stanze 1 $8, 7)

Or sino agli occhi ben nuota nel golfo

14710 (Fur. VII 27, $).

Molto importante nella storia del nostro verso è la forte caratterizzazione degli accenti di 62 e 7%. È interessante, da un punto di vista distributivo (e, in un certo senso, inspiegabile), che, pur avendo statisticamente la 4° e la 6° ]la stessa ricorrenza, altissima, nel ricevere ictus, la 62 sì distin-

gua dalla 4° posizione. Infatti, essa assume molto spesso una caratterizzazione che la differenzia da tutte le altre sedi, forse perché è il vero ‘centro’ del verso, la sua cellula ‘critica’. Gli ictus ribattuti, contrastanti, di 6° e

di 7°, sul filo della cesura, amplificati fonicamente dallo scontro tra una parola apocopata (caduta della vocale finale dopo L, r, n e più raramente m)

o, meno

frequentemente,

tronca, e un

bisillabo

piano

o trisillabo

sdrucciolo, rappresentano una figura riconoscibilissima in tutto l’arco della tradizione del nostro verso. Colpisce, in questo

senso, la tendenza

a

costruire enunciati con inversione sintattica, proprio come suggello di un

forte stacco tra due parti contigue. Forse non c’è schema come questo, quasi sempre a maiori, che dia l’idea del modello più classico dell’endecasillabo con un andamento

ascendente

sì che lo suo voler tutto conservo. sì mi strugge lo cor doglia e pietanza de l’etterno piacer tutto sospeso per li grossi vapor Marte rosseggia et del peccato altrui cheggio perdono

e subito discendente.

16710 136710 367 10 36710 46710

(Cino, Rime C, 4) (Cino, Rime CXV 2) (Pg XXxIX 32) (Pg I1 14) (Rvf ccvii 80).

14

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

A volte non si tratterà di una variazione dell’ordine ma della costruzione di due sequenze, di cui la seconda, come abbiamo visto, costituita

da una dittologia. Una delle più interessanti novità petrarchesche sarà quella di rovesciare la linea melodica di questi versi, che verte anche sullo stacco fonico: tra una parola tronca o apocopata e, generalmente, un bisillabo iniziante per consonante. A queste realizzazioni Petrarca affiancherà tipologie differenti: pensando a la sua piaga aspra et profonda. un leggiadro disdegno aspro et severo co l’arboscel che ’n nime omo et celebro.

26710 (Rvf CCCXLII 4) 36710 (Rvf CCLXIV 96) 46710 (Rvf CXIVIII 8).

Gli accenti sono, in questi esempi, contigui per sinalefe tra una parola

piana e un bisillabo iniziante per vocale (come è noto, sinalefe è la fusione, nel computo sillabico ma non nella pronuncia, della vocale di uscita di una parola con la vocale iniziale della parola successiva). È curioso osservare come l’eftetto sia differente: la discontinuità sintattica ‘contrasta’ con la tendenza a sentire i due corpi di parola ‘legati’ uno all’altro, tanto più che questo legame viene spessissimo rafforzato con una ripresa con-

sonantica o vocalica; oppure viene rafforzato dalla presenza dello sdrucciolo come primo elemento della dittologia: un effetto altrettanto prezioso. Gli esempi danteschi e petrarcheschi sono quasi identici nella seconda parte del verso, e questo ci fa ragionevolmente capire che simili effetti timbrico-ritmici non erano per nulla sconosciuti a Dante ma certo meno frequenti: come, quando i1 vapori umidi e spessi porto ’1 cor grave et gli occhi humidi et bassi

136710 (Pg XVII 4). 1346710 (Rvf CCCVI 7)

I due endecasillabi si distinguono soprattutto perché mentre il verso del Purgatorio è nettamente a maiori, quello petrarchesco è a minori, essendo più rilevante la pausa dopo la 4° posizione. Îl tipo con una parola sdrucciola come primo elemento della dittologia avrà grande fortuna nel petrarchismo quattrocentesco e cinquecentesco (il successo di questa figura ‘preziosa’ si prolunga in seguito fino alla poesia contemporanea), che però predilige la realizzazione con apocope O

troncamento:

2. IL RITMO

DELL’ENDECASILLABO

IS

non da la prima età simplice e pura

467 10 (Boiardo, Amorum Libri XIV $)

mentre Borea ne’ dì torbidi et manchi O per cui tante invan lagrime e ’nchiostro

146710 (Della Casa, Rime LXIII 3) 346710 (Bembo, Rime L 1).

Altra tendenza petrarchesca sarà quella di concepire ictus contigui di 6° e 7° senza nessuna frattura del discorso, inseriti cioè in una linea assoluta-

mente ‘uguale’, senza oscillazioni. Accenti che appartengono a un unico sintagma, quasi sempre aggettivale: Quel’antiquo mio dolce empio signore Ti volga al Tuo dilecto almo paese. folgorar ne’ turbati occhi pungenti.

36710 (Rvf CCCLX 1) 26710 (Rvf CXXxVIII 8) 36710 (Rvf CxIVII 8).

Qui non c’è affatto cesura, per il secondo e terzo esempio si può proporre una pausa anticipata (rispettivamente sulla seconda e sulla terza sede). Colpisce questa concezione del verso, non più inteso come organismo bipartito con un acme centrale: la fisionomia ritmico-melodica è assai differente. Ancora una volta, ne troviamo traccia in Dante: «oh set-

tentrional diversi dal ai moduli ne si può

vedovo sito» (Pg 1 26). Non stupisce che questi esempi, così modello archetipico dell’endecasillabo, estranei anche rispetto tripartiti o quadripartiti (in cui, comunque, la nostra percezioagganciare a una delle increspature del discorso), non saranno

raccolti dal petrarchismo, anzi rimarranno, nella sostanza, tratto distintivo

dell’impronta non ‘geometrica’ dell’enumerazione petrarchesca. Tornando alla sinalefe, Petrarca se ne serve in tutte le sedi; e soprattutto in una posizione che il Dante della Commedia aveva investito di una esplicita tensione ritmica, la 9°: Poi ripigliammo nostro cammin santo già surto fuor de la sepulcral buca che non si mutan come mortal pelo».

146910 (Pg XX 142) 24910 (Pg XxI 9) 469 10 (Pg 11 36).

La linea intonativa è continua, e si addensa nel finale del verso con un

effetto di stacco fonico di cui è responsabile anche l’apocope. Petrarca, in analoghe condizioni sintattiche, ricorre molto spesso alla sinalefe:

16

IL RITMO, IL METRO

soavemente, et spargi quel dolce oro dico: «Onde vien’ tu ora, o felice alma? né dopo pioggia vidi ’] celeste arco Felice voi già preso a più dolce esca

E IL DISCORSO

469 10 (Rvf CCXXVII 3) 1246910 (Rvf CCCLIX 6) 1469 10 (Rvf CXLIV 3) 2469 10 (Bembo, Rime XxXxIII 12)

con un effetto sensibilmente diverso, più sfumato, anche in ragione della frequente armonizzazione dei suoni. In Dante, ma in qualche raro caso anche nella lirica duecentesca, gli ictus di 9° e 10° vengono marcati da uno stacco sintattico, con effetto ana-

logo a quanto visto per gli ictus ribattuti in clausola di sesta: L’animo, ch’è creato ad amar presto non ti potrebbe far d’un capel calvo E dì a colui ch’è d’ogni pietà chiave e quella ch’è di grazia e vertù piena

I69 10 (Pg XVIII 19) 469 10 (Pg XxVII 27) 2469 10 (Vita nuova XII 35) 2469 10 (Cino, Rime LXXII 7)

che furo a l’osso, come d’un can, forti

2469 10 (Inf Xxx1II 78)

che ne rafforza (emblematico è l’ultimo esempio dantesco) gli effetti di scontro e di tensione. Nel Canzoniere, anche in contrasto sintattico, Petrarca utilizza spesso la

sinalefe con eftetti di esasperata ricercatezza timbrica e ritmica: di cui si scrive ch’essendo fredda ella

2479 10 (Rvf CXXXV 62)

che del più chiaro fondo di Sorga esca né di muro o di poggio o di ramo ombra

469 10 (Rvf CCLXXXI 10) 369 10 (Rvf XXXVIII 3).

Ci troviamo, comunque, di fronte a versi in cui il nucleo portante è spostato verso la fine; l’intonazione ‘corre’ verso la punta del verso, dove si addensa la tensione ritmica. Si osservi come nel secondo e terzo esempio — il primo è, a tutti gli effetti, più tradizionale — la prima e unica pausa forte del verso è proprio quella in 9° (in modo più ortodosso, nelle realizzazioni cinquecentesche di questo modulo, ci sarà quasi sempre una pausa preliminare in cesura centrale). Il rallentamento causato dalla sintassi favorisce la ‘presa’ dei singoli suoni, fra cui emergono echi e risonanze, e nello stesso tempo in Petrarca la sinalefe (‘dialefe nella sinalefe’,

secondo la definizione di Dante Isella) li lega e li fonde insieme. Forse proprio a causa di questi versi, della percezione di un movimento desta-

2. IL RITMO

DELL’ENDECASILLABO

I7

bilizzante nell’endecasillabo, si deve l’osservazione di Trissino nella Poetica (1529-1532: III Xx) per cui gli accenti contigui per sinalefe dovrebbero essere limitati alle sedi di cesura (4° e, soprattutto, 6°). Anche in questi

casi così preziosi, il ritmo, nel suo significato più complesso e più rispondente alla realtà del discorso poetico, nasce dalla compresenza di vari aspetti, di cui soltanto uno è dato dalla posizione degli accenti. Tuttavia, sarebbe un po’ ingenuo pensare che, nella tradizione italiana, Ja strategia del ritmo, i suoi caratteri, si modifichino subito dopo Petrarca; la lezione petrarchesca viene recepita con ritardo, come in altri cam-

pi della metrica. Solo a tratti, in particolare nell’impiego insistito dei monosillabi nel corpo del verso, l’influenza petrarchesca è riconoscibile in due poeti del Trecento (del resto, si dimentica a volte come Petrarca stesso sia, a sua volta, un autore pienamente trecentesco), pur non tradizionalisti, come Antonio Beccari (ca. 1315-1373) e Fazio degli Uberti (ca. 1305-1367).

Nel

Quattrocento

petrarchismi

ritmici

sono

sicuramente

avvertibili in Giusto de’ Conti (ca. 1390-1449), e poi nel Boiardo lirico,

in Poliziano, in Sannazaro e in molti minori. Anche nel petrarchismo cinquecentesco si può constatare una netta selezione tra le tipologie petrarchesche: alcune vengono accolte, altre no. È, quest’ultimo, un problema molto interessante, ma solo in parte verificabile. Non c’è dubbio che, ad un certo momento nella storia di un istituto, si creino dei canoni che in sostanza agiscono come selezionatori in grado di orientare le scelte ritmiche secondo un modello dominante; per

cui, certi moduli ritmici resistono, altri cedono perché il loro andamento appare desueto e sembra scadere magari verso la prosasticità (come, ad esempio, è accaduto per il modulo di 4° e 7°). Ciò va visto in sintonia con la tradizione

dei generi; così, ad esempio, nelle commedie

Ariosto, il modulo

in versi di

di 4° e 7° viene utilizzato con frequenza, ma molto

meno nel Furioso, la cui lingua e stile si iscrivono in un modello ‘alto’, Ccioè petrarchesco. Nello stesso tempo, il canone (il fenomeno è particolarmente vistoso quando si studia il ritmo dell’endecasillabo) non comprende tutte le soluzioni dell’opera che è scelta come modello, ma solo alcune di esse. La grande varietà del verso petrarchesco non si riscontra né in Bembo, né in Della Casa, né in ‘Tasso, né in Marino, la cui selezione è anzi molto rigi-

18

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

da (nell’Adone, per esempio, lo schema dattilico di fatto scompare). È per noi estremamente interessante che stilemi fedelmente ripresi dal Boiardo lirico e anche, curiosamente, dal Boiardo

epico, non siano raccolti nel

Cinquecento. Ci limiteremo a un esempio. Gli endecasillabi su soli tre accenti sono in Petrarca una soluzione rara e al contempo fortemente caratteristica, in particolare per la loro preziosa fluidità: e ’] mormorar de’ liquidi cristalli

46 10 (Rvf CCXIX 3).

La variazione ‘assoluta’ degli accenti nel corpo di parola (rispettivamente tronca, sdrucciola e piana), il gioco finissimo sulle sonorità consonantiche e vocaliche, si rispecchiano idealmente in un verso degli Amorum Libri:

e lo ischiarir de’ lucidi liquori

3. SULLE

IMPLICAZIONI

RITMICHE

4 6 10 (Boiardo, Amorum Libri VI 3).

DELLA

CESURA

Abbiamo già osservato che il carattere più riconoscibile dell’endecasillabo italiano è dato da una forte pausa al centro del verso. Gli studiosi hanno dibattuto moltissimo se la cesura debba essere sentita come elemento metrico, cioè valere indipendentemente dalle realizzazioni concrete del verso, oppure

se debba

essere considerata storicamente

risultato di un processo compositivo. Da un punto di vista diacronico, si deve notare sue origini è quasi sempre un verso bipartito, e retorici, come l’enumerazione, hanno spesso la attorno a due cardini: quello di 6° o quello di 4%,

come

che l’endecasillabo alle che alcuni meccanismi funzione di bilanciarlo lo abbiamo già visto in

parte. È anche vero, tuttavia, che rispetto al suo modello, il décasyllabe anti-

co-francese e quello della prima fase della poesia trobadorica, la bipartizione appare meno rigida, e non solo perché la cesura può cadere in due diverse posizioni, appunto la 4° o la 6°, fatto che è già in sé, naturalmente, un elemento di variazione.

3. SULLE

IMPLICAZIONI

RITMICHE

DELLA

CESURA

IO

Mi sembra, infatti, difficile trovare negli antichi versi transalpini solu-

zioni già del tutto due-trecentesche, e comunque prepetrarchesche, come: che più non tardo, Amor, ecco ch’?’ moio

246710 (Cino, Rime XXXVI 2)

lo spirito mio, donna, ove voi state

256710 (Cino, Rime CXVIII 12)

in cui un inciso, frequentemente allocutivo o esclamativo, modifica il ‘tempo’ canonico dell’endecasillabo. L’effetto non è molto differente con il gerundio incidentale: per me fatica, andando, sì riceve?» A me pareva, andando, fare oltraggio

24610 (Pg XII 120) - 2468 10 (Pg xIII 73).

Îl verso non è più bipartito, c’è una battuta d’attesa incuneata proprio nello spazio centrale. L’intonazione è molto differente, e si percepisce immediatamente alla lettura. Frequentissima nel Canzoniere è una figura in parte simile, che pure non avrà grande fortuna nella tradizione petrarchista: tal che mia vita poi non fu secura

14610 (Rvf CXLIV 13)

né mortal vista mai luce divina

346710

o quella o simil indi accesa luce.

(Rvf CLI 5)

2468 10 (Rvf CVII 11).

L’eftetto è senz’altro simile a quello dei versi di Cino, e probabilmente derivato da una simile potenzialità dell’endecasillabo, di far rimanere in stallo l’intonazione nel settore centrale: guarda caso la 6°, quasi mai la 4°, frequentemente la 7°. Negli esempi petrarcheschi, tuttavia, assistiamo a una vera e propria intonazione ambigua, che non c’è nella serie precedente. Infatti, gli avverbi monosillabici non hanno forza tale da costituire una pausa autonoma, diciamo un segmento o sintagma autonomo inseri-

to nello sviluppo discorsivo; sono più deboli, e dunque si appoggiano ad un altro elemento. Ma quale? verso destra (proclitici) o verso sinistra (enclitici)? Spesso hanno, in realtà, la stessa possibilità di essere attratti da una parte o dall’altra. Ecco l’effetto di ambiguità, l’oscillare della cesura tra la 4° e la 6°, una specie di cadenza d’inganno. Questa fluttuazione del centro dell’endecasillabo è uno degli attacchi più marcati portati all’an-

20

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

damento del verso tradizionale, costituito da un accento di unità maggiore, spesso di frase, in posizione centrale, da un crescendo e da un immediato smorzando. Ecco alcuni esempi cinquecenteschi: come sovente, lasso, inganni et vinci! 146810 (Della Casa, Rime XVIII 14) che tra le gemme, lasso, e l’auro et gli ostri 468 10 (Della Casa, Rime XxXVI 3) qualche poco, Signor, leghi e riscalde. 136710 (Bembo, Rime II 14) non sarei più, Signor, come già, forte.

346910

(Bembo, Rime LI 14).

Come si vede, viene preferito in 6° sede l’inciso allocutivo o esclamativo, quello stesso inciso, intonazionalmente non ambiguo, che abbiamo visto negli endecasillabi di Cino e che è frequentissimo in tutta la lirica due-trecentesca e ancora in Petrarca. Eppure, malgrado questa limitazio-

ne, il valore melodico di questi versi, più rallentato e ampio, ne giustifica la distribuzione preferenziale nell’ultima posizione del sonetto, con una funzione di chiusa, di ritmo ‘allargato’. Figurazioni analoghe a quelle del Canzoniere, sicuramente derivanti da quelle, sì trovano invece nel Boiar-

do epico: questa matina qua vidi passare

non era al mondo prima cossa nova

146710

(Inn. II vIll $6, $)

2468 10 (Inn. I xIl 69, 6).

La fedeltà ritmica si avvia, come si è detto, verso percorsi molto più tortuosi di quelli previsti: in questo caso la si coglie in un’opera, quella

epica boiardesca, che all’apparenza si discosta completamente nello stile dai modelli del petrarchismo. Tuttavia, non è questa l’unica soluzione che contrasta il ritmo canonico del verso. Un altro modo, prevedibile, è quello di dividere la sequenza in tre unità invece che in due, per esempio attraverso l’enumerazione, nel tricolon semplice: e di pianto, d’angoscia e di sospiri e ’] piacer e ’l desire et la speranza.

3610 (Cino, Rime CVII 13) 3610 (Rvf CLXXXI 14)

o complesso: chiara alma, pronta vista, occhio cerviero

1246710 (Rvf CCXXXVIII 2)

3. SULLE

IMPLICAZIONI

RITMICHE

DELLA

solco onde, e ’n rena fondo, et scrivo in vento

CESURA

21

1246810 (Rvf CCXII 4)

ma, soprattutto, attraverso un ordine marcato dei costituenti della frase,

che agisce sull’intero sviluppo del verso, come nell’allontanamento del verbo dai suoi complementi predicativi: a farla del civil sangue vermiglia trovo ’] gran foco de la mente scemo farà in più chiara voce manifesto.

26710 (Rvf XLIV 2) 148 I10 (Rvf LxXIII 13) 24610 (Rvf CXIX 109)

e in moltissimi altri casi. E uno schema di tipo ACB, che viene percepito come modulazione ‘a tre’. Così anche nella Commedia, seppur meno frequentemente che in Petrarca: Già era l’angel dietro a noi rimaso Noi siam di voglia a muoverci sì pieni

1468 10 (Pg xxII 1) 24610 (Pg XVIII 115).

I ponti del verso, perché in questo caso sono due, si innescano all’inizio (dalla 1° alla 4° sede) e alla fine (dalla 6° alla 9%). Per lo più, uno di que-

sti ictus portanti cade su una delle due sedi classiche di cesura, ma a volte no, dimostrando così un andamento ancor meno canonico: intellecte da noi soli ambedui

non fosse nella mente mia venuta

36710

(Rvf CCCXLI

11)

268 10 (Cavalcanti, Rime XII 3)

in cui l’accento di sesta è di gran lunga il più debole. Spesso, nella parte centrale, si sviluppa una linea che, anche tematicamente, si differenzia da quella di fondo — come con l’immissione di una subordinata: l’altro col pie’, sì come mai fu, saldo. e i lumi bei, che mirar soglio, spenti.

146910 (Rvf CXIV 14) 2478 10 (Rvf CCLXXII 14)

tanto, per non tentare, è fatto sodo!»

168 10 (Pd XxVIII 60)

La mente, che qui luce, in terra fumma

268 10 (Pd Xxl 100)

con un grande efftetto di rallentato e di complessità (soprattutto nei versi petrarcheschi, non a caso in posizione finale del sonetto). Lo spazio-tempo, pur rimanendo virtualmente quello tradizionale, è colpito da una

22

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

concezione ritmica nuova, che ne rivela diverse potenzialità. Le due linee sono a volte in contrasto, come nella figura retorica della correctio: voi possedete, et io piango, il mio bene. Così sventura over colpa mi priva ch’altri che Morte, od ella, sani ’1 colpo

14710 (Rvf CCXXVI 14) 246710 (Rvf CLXVI 12) 14 6 8 10 (Rvf CXCV 13).

Anche da questa minima esemplificazione, si può avvertire come il verso possa essere sentito come un abito a volte stretto, a volte larghissimo, grazie all’azione concorde di espedienti di natura sintattico-retorica in grado di dilatarlo. Ciò è attinente alla percezione del tempo: più pause forti ci sono, più il tempo dell’endecasillabo è dilatato. Dunque, c’è una

differenza tra il tempo ‘fisso’ e astratto, normativo, di un verso e quello fisico, legato alla realizzazione linguistica dell’enunciato, quindi ritmico per eccellenza. Lo stesso rapporto si può cogliere tra il numero virtuale delle sillabe del verso e quello reale, moltiplicato dall’impiego della sinalefe. Anche questa relazione incide, naturalmente, sul senso della ‘durata’.

Vediamo questa successione petrarchesca: O anime gentili et amorose,

2610

s'alcuna à ’] mondo, et voi nude ombre et polve

24678 10 (Rvf CLXI 12-3)

in cui ad un verso rapido e lineare su tre accenti ne succede uno ampio e rallentato, con sei ictus di cui tre contigui. Nel primo

ci sono cinque

parole, nel secondo, grazie alle elisioni e alle sinalefi, undici. Lo spazio

grafico che li distingue va valutato sul piano secondo ‘dura’ nettamente di più: ricordiamo Petrarca valutava il momento della lettura ad finale della creazione artistica. La ‘durata’ del mente ritmico, e nasce dal rapporto dialettico gettività-discorso.

Del

resto, successioni

dell’emissione del suono. Il che anche un poeta come alta voce come il suggello verso è un fatto evidentetra istituzione-metro e sog-

di questo

tipo, anche

se con

minore escursione a causa dell’impiego meno abituale della sinalefe — le parole in Dante sono più ‘scolpite’, i contorni più netti — sono frequenti nello spettro stilistico della Commedia, dove si colgono, per rapporto al continuum delle terzine, marcate oscillazioni del ritmo:

4. ENDECASILLABO

NOVECENTESCO

23

lo ciel, che sol di lui prima s’accende,

246710

subitamente si rifà parvente

4 8 10 (Pd Xx 4-5).

Naturalmente la morfologia di un verso può variare quando cambia il suo partner metrico. Per esempio, sarebbe molto

interessante investigare

nel Cinquecento se sussistono differenti modalità d’impiego di questo verso col variare del contesto metrico di appartenenza: nel sonetto, nella canzone, nel madrigale, nell’ottava, eccetera. Alcuni

studi

hanno, infattii, messo

in luce

le oscillazioni

del ritmo

rispetto allo schema strofico: così l’uso dell’endecasillabo nell’ottava reagisce ad una logica distributiva molto complessa. Ciò conferma in modo molto netto, mi pare, come il ritmo sia un fattore del tutto pertinente nel processo della significazione, non perché possegga significati iconici (qua-

si mai verificabili) ma perché comporta valori semici autonomi (simili a quelli del linguaggio musicale), ingrediente fondamentale nel discorso poetico, nella poesia intesa come «fictio rethorica musicaque poita» cioè, con il Dante del De Vulgari Eloquentia, Come ‘invenzione poeticamente espressa secondo retorica e musica’ (II Iv 2).

4. L’ENDECASILLABO

NOVECENTESCO

La situazione tanto più cambia quando il contesto del verso non è più la metrica tradizionale ma quella ‘libera’ novecentesca. La storia dell’endecasillabo nella poesia moderna italiana è ricchissima, ed è stata tracciata recentemente da Pier Vincenzo Mengaldo (part. in La tradizione del Novecento. Terza serie, pp. 42-9). Lo studioso si sofferma su alcuni aspetti: a) La varietà d’accentazione. Tornano alcuni

moduli

comunque

sostanzialmente

estranei

rarissimi e poi completamente

nell’endecasillabo novecentesco alla

lirica

fin

dalle

origini,

rimossi, quelli appunto

o

senza

accenti di 6° o di 4° (esempi montaliani: «quando un giorno da un malchiuso portone» 13710, o «ma il commuoversi dell’eterno grembo» 3810).

Questo avviene da una parte per l’influenza dell’endecasillabo ‘neoclassico’ pascoliano ad attacco trocaico: «Nei lontani monti color di cielo» 35810,

dall’altra per la pressione di un tipo di décasyllabe, molto frequente nei sim-

24

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

bolisti francesi, con accento di $%. Mengaldo aggiunge poi che, per il tipo di 2° $° 8%, «l’endecasillabo è attratto ritmicamente da quel novenario pascoliano-myriceo che nel Novecento immane alla coscienza di tutti» (p. 43).

L’endecasillabo schema

vuoto

di alcuni poeti del primo

(lo scheletro)

e null’altro, una

Novecento misura

mantiene

astratta (non

lo una

misura e, insieme, una serie di percorsi), una sequenza a cui imporre liberamente successioni ritmiche che non tengano in nessun conto posizioni vantaggiose o posizioni svantaggiose, o addirittura che aggrediscano i

moduli più consueti e si avvalgano invece di schemi ritmici del tutto desueti, e cioè eterodossi rispetto alla tradizione. Va poi da sé che, soprattutto nei crepuscolari ma anche in parte negli Ossi di seppia (1925) di Montale, la ripresa di simili moduli è legata anche a una connotazione discorsiva ‘bassa’, idealmente vicina alla prosa. Le stes-

se implicazioni e il modello francese valgono per gli altri endecasillabi non canonici, di 2° 7°, di 3° 7°, di 3° 8°. b) Molto

consueto nella lirica novecentesca è «il falso endecasillabo,

calante o più spesso — che è indicativo — crescente»

(p. 44), frequente-

mente come variante dell’endecasillabo canonico con cui starà a contatto. Negli Ossi queste soluzioni sono frequentissime e sono realizzate in modi diversi o «dopo un’anacrusi [sillaba atona iniziale non conteggiata nella serie ritmica] proseguono come un endecasillabo normale (a / tradire il loro ultimo segreto [...]» (p. 44) oppure trasferendo all’interno del verso la sua proprietà di chiudere con uno sdrucciolo in rima mantenendo la misura sillabica coerente: «con strepere di muletti e di carriole». Spesso nei versi lunghi si insediano misure endecasillabiche, rintracciabili a volte molto facilmente, a volte no.

c) Il rapporto dell’endecasillabo con gli altri versi. È interessante che esso sia associato soprattutto ai versi lunghi, più che agli imparisillabi più brevi, come nella tradizione. Del resto l’endecasillabo, oltre alla particolare connotazione di cui può essere investito con più o meno

decisione,

appare strutturalmente, tanto più nella metrica novecentesca, al ‘confine’ della metrica classica. Una misura che da una parte guarda ‘dentro’ al sistema e dall’altra, grazie anche alla sua duttilità, guarda ‘fuori’, verso il passo

lungo generalmente preferito dalla poesia novecentesca. Ciò comporta una serie di frizioni e di consonanze.

4. L'ENDECASILLABO

NOVECENTESCO

2$

d) A questo si lega anche il quarto punto segnalato da Mengaldo: la

connotazione. Essa può apparire pienamente lirica, sia nella fattura sia nei valori tematici espressi, e apparire allora come squarcio e verticalizzazio-

ne del discorso, come in Sereni: «con le rade ci bacia ultime stille», oppure «Ombra, verde ombra, verde umida e viva», in cui traspare quel gioco di densità ritmica, di legato, di echi delle parole nelle parole, che appartengono alla grande ricerca petrarchesca sul ritmo del verso. Sì può

comunque

dire, in generale, che l’endecasillabo

abbia, nella

poesia italiana moderna, una fisionomia meno complessa, appoggiandosi su ritmi ‘allargati’ ma non lentissimi, quasi di sbrigativo anche se nobile recitativo. Molto frequenti sono i versi rapidi, su tre accenti, e più rari

quelli su cinque. In quest’ottica, è significativo ricordare come nell’opera di Andrea Zanzotto (nel poeta solighese, l’uso del verso è molto più ‘lirico’ rispetto alla media novecentesca) siano abbastanza infrequenti gli accenti di 8%, e rimanga spesso atono lo spazio dalla 6° alla 10° posizione (frequentissimi gli schemi di 2° 4° 6° o 7%), contrariamente alla carat-

terizzazione precedenti.

quasi programmatica

dell’endecasillabo

L’endecasillabo novecentesco, come

abbiamo

lirico

nei secoli

detto, è anche debitore

delle sperimentazioni pascoliane, che hanno fatto del verso uno spazio senza gerarchie e estremamente frammentato. Îl trattamento petrarchesco, come abbiamo cercato di mettere in luce, opponeva frequentemente un andamento differente a quello bipartito con pausa centrale, ma non per questo ricorreva ad una gerarchizzazione

disordinata delle pause come

accade nel discorso parlato: o una pausa o nessuna pausa o più pause, ma di valore uguale e perfettamente bilanciate nel movimento dell’intonazione. Una concezione ancora eufonica, anzi, radicalmente eufonica. In alcuni memoria

endecasillabi pascoliani, invece, lo spazio

‘temporale’ sono

del verso, la sua

dissolti, al suo interno si sviluppa un ritmo

frammentato e apparentemente casuale. Come osserva Beccaria «la linea stessa del verso è appunto occupata di frequente da inclusioni monosillabiche, o comunque brevi, che rompono la musicalità mnemonica e automatica del verso [...] non sono zeppe che servano a far tornare la misura sillabica del verso: esprimono gestualità concitata» (p. 244):

ansie, stupori, pulsioni indistinte, ed una

26

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

povera sì, sbiadita sì, ma, troppo,

(L’ederella, da Odi e Inni, 7)

di sangue, che, per nulla, ecco, agghiacciato

(Il negro di Saint-Pierre, da Odi

S’era per mamma, t’avrei qui; lo sento: viva; lo so: perdonami: sorridi.

e Inni, VI $)

(Colloquio, da Myricae, IN 7-8).

Si capisce bene anche da questi esempi, che divergono radicalmente dai modelli tradizionali dell’endecasillabo canonico 1so0accentuativo, come

la posizione degli accenti rappresenti solo una delle proprietà del ritmo. Endecasillabi simili sono, ovviamente, frequenti nella poesia crepuscolare ma, occorre dire, in modo non altrettanto radicale. Piuttosto, è la con-

cezione di questi versi a vivere in figure metriche discontinue, tipiche del Novecento. Intendo dire che proprio il loro carattere dissoluto — che, del resto, in Pascoli non è solo tipico degli endecasillabi, ma anche, ad esempio, dei novenari (non quelli con accenti ‘fiss’’ di Myricae) — li rende facilmente trasportabili in misure più lunghe.

$. IL SETTENARIO

Partner preferito dell’endecasillabo nella canzone, 1il settenario è, già

prima del De Vulgari Eloquentia, il secondo verso più prestigioso della tradizione lirica italiana: «et dicimus eptasillabum sequi illud quod maximum est in celebritate»,‘e diciamo che 1il settenario viene subito dietro al

verso più grande di tutti per fama’ (Il v 6). È molto importante notare come nella nostra poesia antica, in quella più comunemente letta, il settenario compaia raramente da solo, e quasi sempre in relazione con il verSo più prestigioso. Così, non solo astrattamente, ma in rapporto all’uso effettivo, il ritmo del settenario non può non essere collegato alle realizzazioni appena osservate per l’endecasillabo. Certo, occorre notare che, proprio per il tempo (temporis occupatione per Dante, come abbiamo ricor-

dato più sopra) più breve, è un verso per lo più caratterizzato da una sequenza intonativa continua, senza il classico ‘taglio’ del verso maggiore. In più, essendo la 3° sede in posizione centrale, essa acquisisce un rilievo molto netto. Non deve stupire, allora, che il modello di 3° e 6° sia il più

frequente (è il dato che emerge dalle statistiche fornite da Sergio Bozzo-

5. IL SETTENARIO

27

la nel già citato volume sulla metrica dei Fragmenta): non solo nel Canzoniere di Petrarca (in cui sta in rapporto con la predilezione nell’endeca-

sillabo per il modello parallelo a maiori) ma anche in Dante, in Cino e negli altri poeti duecenteschi. Questo ci ricorda ancora come sia più prudente, nell’analisi del ritmo, attenersi ai dati della ricerca piuttosto che anticiparli con assunzioni legate ad un ipotetico schema astratto, prelin-

guistico, che anche per il settenario sarebbe giambico. D’altra parte, è significativo che il settenario tragga dall’endecasillabo una grande varietà di soluzioni accentuative; e non potrebbe essere altrimenti, essendo i due

versi costantemente utilizzati insieme. Si può pienamente accogliere l’osservazione

di Bozzola

secondo

cui, nella canzone

petrarchesca, i versi

appaiono così fusi insieme, anche per il continuum sintattico che li avvolge, da dare l’idea di un ritmo che si svincola dalla segmentazione per versi e che abbraccia, almeno idealmente, con la stessa fisionomia, versi mag-

giori e minori. Questa ipotesi è tanto più suggestiva perché allora ci sembra più facile capire perché Petrarca non tenga conto della possibilità, prevista da Dante nel De Vulgari Eloquentia e realizzata concretamente, di creare canzoni di soli endecasillabi. Il settenario viene attratto nei Fragmenta nell’orbita preziosa del trattamento endecasillabico. Allora, vediamo un attacco molto

celebre di canzone:

Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra

1356 146

pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir’ mi rimembra)

146810 236 36

a lei di fare al bel fiancho colonna;

23610

herba et fior’ che la gonna leggiadra ricoverse co l’angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse date udienza insieme

a le dolenti mie parole extreme.

136 26 36 136 1368 10 146

46810

(Rvf CXXVI 1-13).

Îl trattamento ritmico è estremamente vario, non c’è posizione sillabica del settenario che non riceva ictus (altrove, in Petrarca, anche la più rara

quinta). Sì veda, soprattutto, la tendenza (un carattere ricorrente del ritmo

28

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

petrarchesco) a costruire microsequenze di settenari concepite come successioni

di contrazione

(accenti

numerosi

e contigui)

e slancio

(meno

accenti, e distanziati): tra 1 vv. 1-2 e poi, in decrescendo di intensità, tra i vv. 4-$ e in modo più complesso, a cornice, tra 7 e 10 (+ — — +) — movimento fra l’altro autonomo, contrappuntistico, rispetto a quello sintatticoargomentativo. D’altra parte, misure ampie e brevi sono fuse insieme. Così

come alcuni settenari sono ‘continui’ e altri segmentati, anche i quattro endecasillabi (che dei settenari riecheggiano a volte gli attacchi) sono molto differenziati nella loro intonazione, con accenti variamente dislocati, ma

soprattutto con linee melodico-ritmiche completamente differenti. La prevalenza di settenari non toglie nulla, in definitiva, alla formidabile oscillazione della linea intonativa e contemporaneamente alla sua naturalezza. Spostiamoci ora in avanti e osserviamo un altrettanto famoso attacco,

leopardiano: Quale in notte solinga, sovra campagne inargentate ed acque, là ’ve zefiro aleggia, e mille vaghi aspetti e ingannevoli obbietti fingon l’ombre lontane infra l’onde tranquille e rami e siepi e collinette e ville; giunta al confin del cielo, dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno

136 14810 136 246 36 136 136 24810 146 14610

nell’infinito seno scende la luna; e si scolora il mondo;

4 6 14810

(Il tramonto della luna, da Canti, 1-12).

Anche qui, endecasillabi e settenari sono fusi insieme; rispetto alla canzone petrarchesca, la linea melodica è meno rallentata e meno molecolare. Non ci sono settenari con accenti contigui, e nemmeno

endecasillabi;

i versi brevi sono tendenzialmente accordati su sequenze omologhe: si noti, in generale, la presenza di movimenti progressivi che tendono sostanzialmente verso due linee dominanti, (1)36 oppure

(2)46. A difte-

renza di quanto accade per lo più in Petrarca, i settenari contigui sono riecheggianti, mentre solo nel cambio di sequenza, preparato da un ende-

5. IL SETTENARIO

20

casillabo, cambia la posizione degli ictus. Probabilmente tale regolarità dipende anche dall’amplissimo giro sintattico, che comprende in una sola arcata tutta la prima stanza e l’inizio di quella successiva. Ciò è forse la principale ragione della presenza di un ritmo svincolato da marcati scarti e bruschi cambi di intonazione, anche se un altro motivo va probabilmente cercato nell’azione, viva nella poesia leopardiana, del settenario di Tasso e di Chiabrera, sostanzialmente un verso più ‘semplice’ di quello petrarchesco. Ciò che comunque accomuna queste due stanze di canzoni, diverse ritmicamente non tanto per le scelte accentuative, quanto per una concertazione complessiva, interversale, è, come si è già detto, la collocazio-

ne del settenario all’interno dello stesso modello ritmico dell’endecasillabo. Il ritmo prevale sul metro. La scioltezza dell’intonazione e una specie di effetto di ‘nobile parlato’ trova sede naturale in questi due versi dove nessuna legge astratta, se non quella di delimitazione sillabica, regola l’attribuzione degli ictus. Proviamo a tornare un po”’ indietro, cronologicamente, rispetto a Leopardi. Scendiamo nel melodramma settecentesco, in cui il settenario viene utilizzato da solo, per lo più in due quartine (è lo schema della canzonetta), e per lo più all’interno delle arie. Ecco un esempio, da un famosissimo libretto di Metastasio, L’olimpiade: Lo seguitai felice quand’era il ciel sereno, alle tempeste in seno voglio seguirlo ancor. Come

dell’oro il fuoco

scuopre le masse impure, scuoprono le sventure de’ falsi amici il cuor.

46 246 46 146 146

146 16 246

(L’olimpiade, II 111).

Scegliamo un secondo esempio dalla Semiramide riconosciuta, una tipica aria di lamento amoroso. La situazione accentuativa non cambia di molto. Le strofette sono di cinque versi (l’ultimo verso è un quinario), le rime tronche più frequenti:

30

IL RITMO, IL METRO

Fuggi dagl’occhi miei, perfido, ingannator;

E IL DISCORSO

146 16

ricordati che sei,

26

che fosti un traditor,

26

ch’io vivo ancora.

24

Misera, a chi serbai amore, fedeltà?

146 26

A un barbaro, che mai

26

non dimostrò pietà, che vuol ch’io mora.

46 24

(Semiramide riconosciuta, III vID).

Ne!i libretti metastasiani che abbiamo scorso, la situazione non cambia, il ritmo del settenario è decisamente diverso rispetto alle tipologie viste

prima. Non tanto perché gli schemi accentuativi non siano variati, ma perché, mentre

nel modello

classico, oltre alla 6°, obbligatoria, tutte le

posizioni sono virtualmente toniche: - + / - 4+4 /- 4+/- 41/- 4+/ +/ (>), qui invece alcune posizioni non lo sono mai, non possono mai esser-

lo perché un modello profondo non lo prevede (almeno, questo è il dato che sembra abbastanza indiscutibile da questa piccola indagine). Lo schema, assai differente, diventa allora il seguente: — +/ - + /-/-—-+/-/

+

/ (). Virtualmente, sono toniche tutte le posizioni pari e la 1°, la 3° e la s? sono invece sempre atone; sono inoltre assenti (non sono, cioè, tollerati dal

modello) gli accenti contigui, in qualsiasi posizione del verso. Così, se c’è accento in 1°, il secondo accento sarà in 4° o direttamente in 6°; se l’attac-

co è sulla 2°, la successione sarà la stessa. Il risultato, abbastanza sorprendente, è questo: il settenario diventa un verso meno vario, sia nella distribuzione degli accenti, sia nella quantità (o due, o tre). Forza del modello astratto giambico? Non direi, piuttosto presenza di un modello accentuativo caratterizzato da tratti molto marcati in opposizione alla versificazione che abbiamo visto fino ad ora, liberamente appoggiata sull’intonazione della lingua parlata. Non si possono, ovviamente, disconoscere i rapporti con la musica, essendo l’autentica esecuzione di questi versi di natura musicale; allora si può forse pensare che l’assenza o la limitatezza di varietà ritmica sia da collegarsi alla funzione di supporto rispetto all’elaborazione musicale, al canto. Negli esempi citati, l’«inerzia verticale» del ritmo (Menichetti, Metrica italiana, p. 468) è fortissima, anzi, più in gene-

5. IL SETTENARIO

3I

rale, è fortissima in tutti i versi utilizzati nelle arie metastasiane. Vale infatti per i quinari (che si comportano allora come mini-settenari: 1° 4° o 2°

4°), mentre per i senari la versificazione è ancora più rigida, accanitamente regolata da un modello astratto che comporta ben poche alternative: Se cerca, se dice: “L’amico dov’è?” “L’amico infelice”

rispondi “morì’”’ Ah no, sì gran duolo non darle per me. Rispondi, ma solo: ‘“Piangendo partì”.

25$ 25$ 25$

25 25 25$ 25 25$

(L’olimpiade IL X).

Del modello ritmico che abbiamo cercato di descrivere per l’endecasillabo non resta più nulla. Questo tipo di versificazione è naturalmente più apparentato ad altri modelli, in particolare quelli sillabico-tonici slavi o tedeschi, perché, oltre alla lunghezza sillabica del verso, sono previsti dal modello profondo ictus fissi in determinate posizioni. Il ritmo, incatenato dalla cadenza astratta, non può che spingere l’intonazione linguistica verso quell’unico esito previsto. È logico che, in questa prospettiva, non possono valere interamente quei criteri di analisi-scansione che ci sono utili per l’endecasillabo. L’inerzia verticale è così forte e modellizzante da spingerci in casi dubbi a scegliere la linea dominante o, nel caso del senario, unica. Così, in una successione di senari da un’aria di La buona figliuo-

la di Carlo Goldoni e Nicola Piccinni: Ciascuna oggidì col chiccherichì lustrissima sì. Bracciere di qua, bracciere di 1à! Pomposa... vezzosa

brillando sen va.

dobbiamo quasi sicuramente privilegiare nel e $°, adeguandoci alla potenza prevaricante sarà poi la musica a sviluppare quella varietà repressa. Ma, allora, le nostre considerazioni

(La buona figliuola, 1 X)

secondo verso la sequenza 2° del modello. Naturalmente, che qui sembra decisamente sulla libertà accentuativa del

32

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

verso italiano non valgono più? Valgono certamente per l’endecasillabo, per il settenario lirico, meno per altri versi. In sostanza, nell’analizzare la versi-

ficazione, occorre sempre grande prudenza. Non basta distinguere tra sistema e sistema ma tra verso e verso, tenendo anche conto dell’utilizzazione dei versi all’interno dei generi (settenario lirico vs settenario melico). Rimaniamo ancora nell’ambito dei libretti, e soffermiamoci su un testo prestigiosissimo, Il Don

Giovanni, composto

da Lorenzo

Da Ponte

per Mozart. Nelle arie e nei concertati c’è una notevole varietà metrica; molto frequente è l’ottonario, ad esempio nel drammatico concertato di voci basse (il Commendatore, Don Giovanni e Leporello) che accompa-

gna la morte del Commendatore: Il Commendatore

Ah soccorso!... son tradito!...

l’assassino... m’ha ferito...

(1) 37 37

e dal seno palpitante...

37

sento... l’anima... partir. Don Giovanni

137

(Ah già cadde il sciagurato. Affannosa e agonizzante già dal seno palpitante veggo l’anima partir.) Leporello Qual misfatto! qual eccesso! Entro il sen dallo spavento

(1) 37 37 137 137 37 137

palpitar 1l cor mi sento;

357

10 non so che far, che dir.

3$7

Apparentemente

in contrasto

con la grande

(Il Don Giovanni, I 1).

concitazione

scenica, il

ritmo dei versi è regolarissimo, ancora una volta fondato su posizioni obbligatorie (3° e 7°) e su posizioni solo virtualmente toniche (1° e $2). Lo schema è sostanzialmente questo: — +/ -/ +/-/-—- +/- / +,lo schema di un modello sillabico-tonico, appunto. Ma proviamo ad approfondire, proviamo a ragionare per piedi, affidando la scansione ad un tracciato più molecolare. Se teniamo conto degli accenti di parola e non di quelli di sintagma a cui normalmente ci riferiamo, il risultato è la moltiplicazione di un piede spondeo (+ S): àh soccorso sòn tradîto / l’àassassîino m’hà ferito / è dal sèno paàlpitànte.

5. IL SETTENARIO

33

In confronto all’ottonario, il settenario e il quinario offrono un pur minimo spettro di varianti, perché la partenza può essere dattilica o giambica, come nel duetto tra Don Giovanni e Zerlina: Don

Giovanni

Là ci darem la mano, ]à mi dirai di sì; vedi, non è lontano,

146 146 16

partiam, mio ben, da qui

246

Zerlina Vorrei e non vorrei

26

mi trema un poco il cor;

246

felice è ver sarei,

246

ma può burlarmi ancor.

246

(Il Don Giovanni, I 1X).

Al settenario rimane, dunque, parte della sua flessibilità originaria, flessibilità invece assente, sempre sul piano qualitativo, nell’impiego del decasillabo, come nell’avvio dell’«aria del catalogo»: Madamina, il catalogo è questo

360

delle belle che amò il padron mio;

369

un catalogo egli è che ho fatto io, osservate, leggete con me.

360 360

In Italia seicento e quaranta, in Lamagna duecento e trentuna, cento in Francia, in Turchia novantuna

360 369 13609

ma in Ispagna son già mille e tre. o nel coro dei contadini

con Masetto

369

(Il Don Giovanni, I V)

e Zerlina:

Zerlina Giovinette che fate all’amore non lasciate che passi l’età! Se nel seno vi bulica il core,

il rimedio vedetelo qua.

360 360 360

36

La la la la la la la la lera

360

che piacer, che piacer che sarà.

369

(Il Don Giovanni, I VII).

Anche il ritornello non può sfuggire a questa scansione.

34

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

In generale, almeno per tutto il Settecento, questa situazione, intravista qui per alcuni dei melodrammi più fortunati, va considerata stabile, anche se sarebbero indubbiamente necessarie ricerche ben più ampie di questi pochi cenni per cogliere questo aspetto con sicurezza (si veda il recente studio di Rodolfo

Zucco). Si può

forse pensare

che nel melodramma

(dove, ricordiamo, il ritmo linguistico è solo lo sfondo di una performance che si realizza nel canto) agiscano dei presupposti differenti, che richiedono la presenza di tralicci accentuativi più serrati e regolari, più discosti dalla naturale varietà intonativa dell’italiano. Ma torniamo, per un ultimo passaggio, al settenario. Non disponiamo, nemmeno per la lirica moderna, di uno studio complessivo su questo ver-

so. La quartina di settenari ha comunque una notevole fortuna nella poesia della fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento e, non a caso, soprattutto nei dialettali. Scegliamo per prima una poesia di Salvatore Di Giacomo, da Ariette e sunette, in cui le quartine di settenari sono il metro predominante: Ncopp’a n’asteculillo luce nu piezz’ ’argiento, e nu suspiro ’e viento passa pe ffronte a mme. Dimme, viento, chi luce

16 146 46 146 146

là ncoppa e s’annasconne? E ’o viento mme risponne:

26 26

«Nun vide? È ’a luna, oi ni’!

246

’A luna, cC’ogne notte, dint’ a sta cammarella (addò dorme ’a cchiù bella femmena ’e sta cità)

246 16 36 16

se mpizza p’ ’a fenesta lle porta na mmasciata, e ncopp’ ’a petturata po' scitlia e se ne va.»

26 26 26 26 (Notte ’e luna, da Ariette e sunette, 1-16).

Si può forse avvertire come Di Giacomo sembri poggiare la sua poesia, a tratti, su forme melodiche costanti, alludendo così, anche per la pre-

5. IL SETTENARIO

3$

dominanza degli accenti sulle sedi pari, al ritmo del settenario melico settecentesco, ma con una serie di giochi in realtà raffinatissimi, che fanno

di ogni quartina un’unità con una propria indipendenza ritmica (sì osservi come la terza strofa contrasta con la quarta) e, in generale, si noti anche come Di Giacomo tenda a non infittire troppo il numero di ictus (due o tre) per non far cadere quella scioltezza di ‘cantabile’ che è una delle caratteristiche ineliminabili della sua poesia, che fa perno, tra molte altre cose, anche sulla ‘forma’ del settenario del melodramma. E, infine, una poesia di Virgilio Giotti: probabilmente, tra ì nostri gran-

di dialettali novecenteschi, quello che più si è servito della quartina di settenari: Le fòie rosse casca;

246

seren seren xe el ziel.

246

i àlbori i se dispòia;

16

E l’àqua de la ròia

26

cori tra 1 sassi bianchi,

146

la se perdì m’i pra’.

36

Dapartuto xe zito:

Qui

36

1 usei nNo’ i xe più qua.

246

Solo le fò1e seche che scrica. Oh, andar per tera con lore! e po’ andar soto

146 2346 24$6

coverti c’una piera.

26

subito, ad una

prima

lettura, siì avverte

(Seren, da Colori). nuovamente

la grande

varietà del ritmo, l’oscillazione del numero e della posizione degli accenti, le simmetrie (nella prima strofa) e le assimetrie (nella seconda) tra rima

e accenti. I nuclei sono costruiti su momenti di tensione e di distensione, come in Petrarca. Sì nota anche, con immediatezza, la potenzialità del

settenario nel sopportare fortissime pause di scansione — per lo più, in Giotti, effetti dell’enjambement. Sì osservi anche la crescita di tensione emotiva e ritmica nella quartina finale, con l’espansione dei due settenari centrali, rotti e dilatati temporalmente (in questo testo, tutte le posizioni del settenario sono sede di ictus). Îl verso ritrova così, pur impiega-

3()

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

to da solo, la stessa complessità del suo confratello maggiore, la stessa potenzialità a contrarsi o gonfiarsi. Anche qui, l’intonazione sembra avvolgere liberamente lo schema, con la mutevolezza e naturalezza di un ‘nobile parlato’.

6. OSSERVAZIONI

SUL VERSO

LIBERO

È impossibile in questa sede affrontare il complesso problema del verso libero, o meglio della metrica ‘liberata’ e della metrica ‘libera’, secondo la distinzione di Mengaldo, ma ci si può comunque interrogare su alcune questioni. Ad esempio, nei versi più lunghi dell’endecasillabo, il ritmo perde il carattere binario? Non è facile rispondere, ma si può pensare che, ad eccezione di alcuni innalzamenti improvvisi (come abbiamo visto per Sereni, ma come avviene anche in Zanzotto, Fortini, Luzi e altri ancora),

il ritmo sia abbastanza lineare, in rapporto ad un andamento sintatticointonazionale meno marcato, rispetto alla tradizione, da violente inversioni. Questo è tanto più evidente in quegli autori che ricercano dichiaratamente una linea eccedente rispetto al sistema del verso italiano, un ideale di fluidità intonativa che fa perno — idealmente, ma le cose sono spesso più complesse — sulla naturalezza del parlato. Come è noto, nella metrica novecentesca un ruolo importante ha la distribuzione in ‘pied’, che agiscono come monadi ritmiche ripetute o variate già in alcuni esperimenti dannunziani e pascoliani; poi, in modo molto marcato nel primo periodo della poesia di Palazzeschi, con uno schema del tipo: atona-tonica-atona. In questi casi non è più la misura del verso ad orientare il ritmo, ma la ricorrenza di cellule ritmiche identiche. Questo ritmo per piedi o cellule può svilupparsi, come abbiamo visto, anche all’interno di un verso regolare; e, in una versione più debole, la presenza dei piedi può essere sentita come successione di versi isoaccentuativi, cioè disposti su un

‘uguale’ numero di accenti. È il caso dei versi lunghi di Cesare Pavese, dove la lunghezza sillabica è del tutto variabile, ma è facile riconoscere, al di là delle diverse lunghezze, non solo un andamento nettamente bipartito con una forte pausa sintattica centrale (per lo più il primo emistichio è un settenario), ma anche la presenza costante di un piede anapestico:

6. OSSERVAZIONI

SUL VERSO

LIBERO

37

Stupefatto del mondo mi giunse un’età -



+-+- — + - — +

che tiravo dei pugni nell’aria e piangevo da solo. —



+

-



+

--

+

-



+

-



+

-

Ascoltare i discorsi di uomini e donne -



+-



+

-



+

-

-

+

-

non sapendo rispondere, è poca allegria. _- —

+--

+--

+--

(Antenati, da Lavorare stanca, 1-4).

+

Per il nostro discorso, è importante osservare che l’utilizzo di ‘piedì’ modifica nettamente alcuni caratteri fisiologici dell’endecasillabo italiano e del settenario, cioè dei versi di maggior prestigio, perché ne limita la varietà accentuativa e assegna percorsi in cui la pressione dello schema finisce per imporsi al naturale ritmo linguistico. Secondo una prospettiva

dunque marcatamente avversa a quella che abbiamo cercato di evidenziare per l’endecasillabo. Certo, la metrica libera non si avvale solo di versi lunghi. Può essere, a

volte, altrettanto sperimentale nei versi brevi. Un esempio classico è rappresentato dai versicoli del Porto Sepolto (1916), poi in Allegria di naufragi (1919), di Giuseppe metricamente,

una

Ungaretti. Essi trasmettono concezione

graficamente, e quindi

diversa della ‘durata’ convenzionale

del

verso. La sillabazione ungarettiana (che troviamo in molti poeti europei, per lo più non indipendentemente, e che, forse, rappresenta uno dei lasciti più importanti

di questa poesia)

di fatto costituisce una nuova concezione

temporale della lingua poetica. Perché quei versi non sono affatto dei trisillabi o dei quadrisillabi; sono, grazie alla sillabazione, dei piccoli versi rallentati, dilatati di gran lunga oltre alla misura canonica delle loro sillabe. Noi leggiamo rallentando artificialmente su ogni sillaba, che diventa di fatto un’unità prosodica autonoma: le posizioni sono quelle, ma la loro ‘durata’ è differente, non più convenzionale. È come se il piano della recitazione rinvenisse sul piano della produzione. Ed è per questo ovviamente che l’accentazione è diversa: elementi tradizionalmente vuoti, sia nel-

l’intonazione poetica che in quella normale della lingua, si caricano di valore ritmico:

38

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

In un canto

di ponte contemplo l’illimitato silenzio di una bimba tenue e opaca

(Nostalgia, 9-14, nella redazione del 1916).

È forse utile uscire per un attimo dalla situazione italiana per osservare che tutti e due 1 tratti caratteristici del verso libero novecentesco, 1l ver-

so-frase (lunghe sequenze autonome, ideale riflesso di una intonazione parlata)

e i sillabati versicoli ungarettiani, sono

sperimentati

nei primi

anni del secolo da Guillaume Apollinaire. Î primi in modo programmatico già dalla poesia d’apertura di Alcools (1913), la famosa Zone: A la fin tu es las de ce monde ancien Bergère ò tour Eiftel le troupeau des ponts béle ce matin Tu en as assez de vivre dans l’antiquité grecque et romaine' (Zone, da Alcools, 1-3).

I secondi, apparentemente in modo meno dichiarato — ma non tanto da non risaltare nei Calligrammes (1918), se appena li cogliamo nella disposizione ‘simultanea’ e appunto ideogrammatica delle poesie. Consideriamo, per esempio, Loin du pigeonnier, in Case d’Armons (1915) poi in Calligrammes. Poèémes de la paix et de la querre (1913-1916). Hexa èdres bar belés mais un secret collines bleues

en sentinelle?

(Loin du pigeonnier, da Calligrammes).

I. Alla fine sei stanco di questo mondo antico / Pastora o torre Eiffel il gregge dei ponti bela stamattina / Non ne puoi più di vivere nell’antichità greca e romana (trad. mia). 2. Esa / edri / reti / colati / ma un segreto / colline blù / in sentinella (trad. mia).

6. OSSERVAZIONI

SUL VERSO

LIBERO

30

Per i versi brevi di Apollinaire e di Ungaretti è senz’altro significativo osservare la cronologia: le composizioni sono vicinissime, e vista l’amici-

zia e la frequentazione tra i due poeti non si può pensare che le scelte siano indipendenti. La sperimentazione di Apollinaire sui versi brevi (una sola parola, spesso solo alcune sillabe di una parola) nella sezione Case d’Armons è certamente collegata alla sua sensibilità per la disposizione grafica della poesia. Infatti, da una parte Apollinaire predispone diversi caratteri a stampa (con una funzione che può sembrare simile ai segni di ‘dinamica’ in una partitura: per esempio ‘forte’ o ‘piano’), dall’altra interviene sulla spaziatura (sostituzione in qualche modo della punteggiatura) fino a variare la tradizionale linea orizzontale della scrittura, creando in molte occasioni dei

veri e propri ‘calligrammi’ figurativi. In questa dimensione il ritmo assume un valore diverso, è anche 1l rit-

mo delle parole-segni ‘dipinte’ sulla superficie bianca della pagina. Possiamo forse pensare che la predilezione di Apollinaire per i versicoli sia anche legata a una strategia iconografica. L’impressione è in effetti questa, se si legge-guarda l’intera poesia Loin du pigeonnier. Loin du pigeonnier

Et vous

qual giere 3

è

u

@

savez pourquoi

°°\o dîa e

d lespoir_

w

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nous chantons

belé$ un secre! collines blenes

v

dans la Forét où

èdres

2e

en sentinelle

'è O $ @ en

gerbes des 306 déroute

40

IL RITMO, IL METRO

E IL DISCORSO

Il problema dell’intonazione è qui molto interessante, perché in qualche modo va visto alla luce del desiderio di realizzare contemporaneamente sequenze linguistiche differenziate. Ecco allora la necessità di una sillabazione ‘nucleare’, grazie alla quale diverse linee intonative possono trovare posto ‘contemporaneamente’ nella pagina.

7. L’ENJAMBEMENT

Qualche precisazione in questo breve studio sul ritmo merita l’enjambement, che è l’alterazione, graduata in diversi modi, della corrispondenza tra unità del verso e unità sintattica. Proprio perché nasce dalla relazione tra sintassi e metro, il rapporto tra i versi rappresenta generalmente

un

problema ‘ritmico’, e non c’è dubbio che l’enjambement o inarcatura vada studiato non tanto come deviazione da una norma ma come grado estremo di un rapporto articolabile in una scala tipologica estremamente varia.

È molto interessante studiare come questa figura s’insinui nello schema metrico, quale strategia distributiva presupponga, considerando che essa debba essere ritenuta, in sostanza, una variante rispetto a un procedimento più lineare. Naturalmente, più forte è il senso di tensione che procura l’inarcatura quando colpisce versi che sono normalmente sede di una pausa elocutiva. Ad esempio, ipotetici enjambements tra stanze di canzone — rarissimi esempi in Stefano Protonotaro

(sec. XIII) — verrebbero

percepiti come molto più devianti rispetto a un loro uso interno alla strofa. Parimenti, un’inarcatura tra fronte e sirma è percepita come molto più

‘grave’ (in senso cinquecentesco) di una interna alle singole sottounità. In questo senso, la tradizione del metro pone limiti non superabili: mentre nella canzone l’inarcatura tra sottounità strofiche è consentita, quella tra strofe in sostanza no, perché comporterebbe una ‘deviazione’ così violenta da mettere in crisi la coerenza e la riconoscibilità del sistema. Stesse considerazioni valgono per il sonetto, per l’ottava, per la terzina dantesca. Anche nel caso di quest’ultima, il discorso, pur continuo, si articola per lo più secondo terzine o multipli di esse, in modo che l’enjambement è relativamente raro tra una terzina e l’altra.

7. ’ENJAMBEMENT

41

Tendenzialmente l’inarcatura viene poi risolta, nel verso o nei versi immediatamente

successivi, con la ricomposizione della coincidenza tra

metro e sintassi. Essa appare allora come una deviazione da un percorso

che poi ritorna al suo alveo più naturale. L’inarcatura è una figura frequentissima nella poesia moderna, in cui ha una funzione, a volte lirica a volte antilirica, di accavallamento del discor-

so sopra la successione dei versi. Tuttavia, occorre osservare che la funzione dell’enjambement va valutata in modo differente nella metrica libera. Ogni forma metrica offre di fatto un orizzonte d’attesa, come si vedrà più avanti, un’intonazione tipo, graduata certo, ma comunque

entro alcu-

ni parametri. Se si va oltre, questo orizzonte viene stravolto. In un contesto libero, l’enjambement va sempre visto come un fenomeno di tensione ritmica, come elemento marcato, ma viene a mancare il campo di riferimento oggettivo.

Ricordando un saggio di Adorno, Norme per l’ascolto di una musica nuova (1963), possiamo osservare che nella poesia moderna, venendo a mancare queste strutture riconoscibili lungo le quali si indirizza la ricezione del pubblico — come in un sentiero ben tracciato, che prevede già degli ostacoli e la loro risoluzione —, il lettore siì muove

su un terreno meno

prevedibile: deve cogliere nessi e collegamenti che non corrispondono a una memoria stabilita, perchè non sono convenzionali. Si muove, tuttavia, su un terreno che già dall’inizio appare caratterizzato in questo modo. Penetrandovi, egli si sveste dunque di alcune attese: ad esempio, in modo aleatorio, al concetto di identità deve sostituire quello di somiglianza: alla rima si sostituirà (o non si sostituirà) l’assonanza, all’endeca-

sillabo l’endecasillabo ipermetro; e comunque non vi sono più elementi forti (portanti) ed elementi deboli (accessori): tutti idealmente stanno sullo stesso piano — o meglio, tutti vanno in primo piano.

Se diamo, senz’altro in modo approssimativo, alla nozione di dissonanza un valore simile a quello che caratterizza l’enjambement, possiamo pensare che, mentre nella poesia tradizionale gli enjambements, per quanto arditi e numerosi (nel Della Casa, nel Tasso), venivano sempre risolti e si

trovavano preferibilmente in certe situazioni e non in altre, nella poesia moderna «Tale rapporto tra elementi di sorpresa e elementi noti è annullato [...] Essa [la musica] non dà più alcun adito a una precisa aspettativa,

42

IL RITMO, IL METRO

e l’imprevisto non musicale che parla 48). Così vale per narcatura, al punto

E IL DISCORSO

è più giustificato da questa: è la logica del decorso unicamente per sé» (Adorno, Il fido maestro sostituto, p. la dissonanza, e così può valere, grosso modo, per l’iche essa finisce per perdere un valore contrastivo, per-

ché appunto non è più dialetticamente in contrasto con una situazione

non marcata. La cosa cambia se troviamo fenomeni ricorrenti e insoliti all’interno di una forma tradizionale. In qualche modo la nostra attesa è, allora, doppiamente rovesciata, perché 1l lettore si lascia trasportare su un binario che non ha la solita direzione e la sua aspettativa si presta ad essere di volta in volta disattesa. L’eftfetto è quello di una percezione diversa, strabica. Interessantissime, in questo senso, sono le scelte di Umberto Saba, ma forse più ancora quelle di Virgilio Giotti. Vediamo, ancora, una sua poesia del 1939, La tenda: Vardavo la mia man

co’ la pipa. E drio, averta, una porta vedevo;

la tenda tra erta e erta. Su malte, su saliso

e un pal storto, la bava de continuo averzeva la tenda e la serava.

E go quel quel drio

vardà vardà che passava drento quadrato de strada, la tenda ch’el vento

de siroco moveva,

viva. Oh! tuto quel che più ma ga piasesto al mondo, tuto quel che go ‘vudo de caro vivendo, xe passà par quel sbriso canton perso ne la zità.

(La tenda, da Novi Colori).

7. ENJAMBEMENT

43

È la struttura tipica della canzonetta melica settecentesca: quartine di settenari, rimate abcb (va ricordato che, quasi regolarmente in Giotti, ci sono ritorni fonici fittissimi in rima e all’interno dei versi). Si osservi

come sia frequente, ossessiva, la non rispondenza della sintassi con il metro, fra l’altro sempre più accentuata lungo la composizione, travalicando anche il confine delle quartine. La forma è sì la stessa della tradizione, ma

non

nostra memoria

l’i£1tonazione

che l’avvolge, che è del tutto diversa. La

ritmica, costruita (ricordiamo l’indicazione di Adorno)

su punti di tensione e di distensione prestabiliti o comunque attesi, viene messa in crisi. Sì può forse, allora, ipotizzare che in questo quadro ritmi-

co gli oggetti, pur descritti con mirabile precisione, perdano il loro valore consueto. È la sintassi, estremamente complessa, che giocando con la forma facile, stravolge le attese consolidate, stravolge anche i contenuti

sedimentati

della canzonetta: la leggerezza, l’impeto

melodico. Siamo

apparentemente in un mondo noto, ma quei quattro «oggetti umili» non sono più gli stessi, sono straniati.

CAPITOLO

IL RITMO

8. PRELIMINARI

DELLE

II

FORME

METRICHE

TEORICI

Intendendo 1l ritmo come realtà della lingua, come elemento soggettivo, diventa molto affascinante studiare le implicazioni che nascono dal rapporto tra questa dimensione e le grandi strutture che sono le forme metriche. Fino ad oggi, essenzialmente, ci si è dedicati a studiare queste strutture da un lato nel loro aspetto istituzionale e dall’altro nelle loro origini e genealogie: per esempio, l’invenzione del sonetto e il suo rapporto con la

stanza di canzone, l’invenzione dell’ottava e la sua paternità, eccetera. Fin dagli studi ottocenteschi, si è cercato di mettere a punto una morfologia degli schemi e una tassonomia, costituendo un catalogo esau-

stivo delle diverse tipologie di realizzazione di una forma. Così si è potuto studiare il problema anche da una prospettiva diacronica: 1l sonetto con

quartine a rime alternate delle origini, per esempio, ha lasciato via via spazio al modello con rime incrociate nelle quartine; nelle terzine, invece, a schemi con rime su due unità, all’inizio dominanti, sono stati prefe-

riti via via quelli su tre unità. Parimenti, sappiamo che nella canzone si sono affermati via via alcuni

modelli su altri: l’oscillazione di versi imparisillabi si è sostanzialmente assestata sulla compresenza di endecasillabi e settenari. La prima parte della stanza, la fronte, è stata intesa come organismo bipartito (composto da due ‘piedi’); la seconda parte, la sirma, come organismo unitario. Pur mantenendosi molto vari, gli schemi della canzone si sono strutturati su

4()

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

alcuni modelli-base, nell’ampiezza dei ‘piedi’, nel numero delle stanze, nella presenza di una connessione fra fronte e sirma (la «chiave» dantesca). Queste considerazioni di natura storico-istituzionale mettono in luce

gradi diversi di adesione e di differenziazione attraverso 1 secoli rispetto a differenti canoni. Proprio negli ultimi anni, si è coerentemente utilizzato un approccio di questo tipo per studiare il petrarchismo metrico nel Quattrocento e nel Cinquecento. Tuttavia, tutto ciò non ha implicazioni

reali col ritmo, l’oggetto di questi studi è di tipo esclusivamente metrico, non segna l’apertura alla discorsività. Una diversa possibilità si apre, invece, se si riflette sul rapporto tra 1l piano metrico e quello della discorsività, in cui confluiscono sia le strutture sintattiche che la linea dell’argomentazione. All’origine di questo incrocio, per la lirica italiana, ci sono, per esempio, le importantissime

riflessioni dantesche nel De Vulgari Eloquentia, dedicate alla divisione degli stili e dei temi in rapporto appunto ai contenitori metrici. Dante affidava alla canzone i contenuti illustri, e specificamente la salus, l’amor, la virtus: contenuti eroici, amorosi, filosofici, strettamente correlati a un deter-

minato tipo di canzone, sorretta da soluzioni di assoluta altezza di stile: «cum

gravitate

sententie

tam

superbia

carminum

quam

constructionis

elatio et excellentia vocabulorum concordat» ‘con la profondità del pensiero si accordano sia la magnificenza dei versi che l’altezza delle costruzioni e l’eccellenza dei vocaboli’ (II Iv 7). Ma, come si vede bene, non si tratta ancora di un problema di ritmo,

perché i contenuti sono sentiti indipendentemente dalla loro distribuzione nella forma; dunque, non si tratta ancora di una funzione ritmica, inte-

sa come rapporto dialettico tra discorsività e metro, rapporto ‘vivo’ che incide sulla ‘felicità’ dell’enunciato poetico. Occorre fare alcune distinzioni preliminari tra forme ‘chiuse’ (com’è il sonetto) e quelle ‘aperte’ (com’è la canzone); nel sonetto lo spazio-tem-

po è fisso, fissa è la sua ripartizione interna. Vengono in mente ovviamente analogie con le forme chiuse del linguaggio musicale, benché non esista nelle forme metriche un carattere tipico della scrittura musicale, quello dell’avanzare per così dire a ritroso, cioè attraverso un numero variabile di riprese e sviluppi di un tema determinato. È certo che il rapporto tra una misura chiusa ‘divisa’ in vari tempi o ‘quadr?’ articolati secondo dimensioni spaziali o temporali o spazio-tem-

8. PIRELIMINARI TEONRICI

47

porali, e 1il flusso della soggettività, la scrittura che la attraversa, è un oggetto affascinante per moltissime produzioni artistiche. Sì pensi ad un polit-

tico medievale, o ad una pala d’altare quattrocentesca. Ma forse potrà aiutare di più l’analisi di una vignetta dei Peanuts. Per lo più, Schulz lavora su ‘cartoni’ a quattro quadri. E per lo più, non sempre, il quarto è il momento del ‘rovesciamento’ concettuale, ciò che nella retorica antica si chiama ‘epifonema’. Vediamo due serie nella raccolta Grazie, Charlie Brown!: ECCO IL FAMOSO BRACCHETTO SCOUT CHE CONDUCE LA SUA SQUADRA IN SPEDIZIONE

o

VERSO LE CONTRADE SELVAGGE DOVE L'UOMO NON E° MAI PENETRATO!

OLTRE LA CIVILTA !

I protagonisti sono Snoopy e i suoi amichetti, il bracchetto li guida in una classica spedizione nella natura deserta. Il terreno è desolato e sel-

vaggio, nel suo soliloquio-dialogo Snoopy ‘immagina’ questa progressiva uscita dalla società: «verso le contrade selvagge dove l’uomo non è mai penetrato», «oltre la civiltà», fino a quando vede, sbalordito, un carrello da

supermarket abbandonato. Questo scarto, rovesciamento appunto, LEeTaBoAn (metabolé) per Aristotele, elemento decisivo che guida il coinvolgimento dello spettatore, cade nell’ultimo quadro, contrapponendosi allo sviluppo dei tre precedenti.

A volte, il trapasso non avviene come scarto concettuale sulla stessa linea, ma come invece un passaggio di linee, attraverso un movimento di traslazione per analogia. Proviamo a vedere un secondo episodio:

48

IL RITMO

DELLE

LA PIOGGIA CADE GUi COLLI E NELLE VALLATE ...

PIOVE SUI GIUSTI E SUGLI INGIUSTI

/

FORME

l

METRICHE

PIOVE SULLE CITTA E SULLA CAMPAGNA

: f ! Ì

l

E U

IA MIA FACCIA

Una giornata di pioggia, Linus e Sally Brown camminano prendendo l’acqua e Linus, come ama fare, ‘bibleggia’: «la pioggia cade sui colli e nelle vallate...», «piove sulle città e sulla campagna», «piove sui giusti e sugli ingiusti»; nel quarto quadro la scena cambia, Snoopy è sopra la sua cuc-

cia: «e sulla mia faccia». La continuità è imperniata sui meccanismi tematici e linguistici, l’anafora e 1il parallelismo, l’epifonema verte su un improvviso ‘abbassamento’ del tono, da una dimensione cosmica si passa improvvisamente ad una dimensione strettamente realistica e privata.

Ci sono molti altri tipi di realizzazione nelle vignette di Schulz. Tuttavia, da una parte si può dire che questo tipo è molto frequente, dall’altra che questa strategia passa solo apparentemente inosservata nei lettori, apparentemente perché condiziona di fatto 1 meccanismi della ricezione; inconsapevolmente noi ‘attendiamo’ uno scarto, una soluzione ingegnosa e sorprendente nell’ultima vignetta. Proprio la conoscenza del mondo narrativo dei Peanuts da parte del lettore favorisce questi meccanismi, egli conosce e quindi ‘prevede’ il carattere dei personaggi, le cui reazioni e comportamenti

sono ricorrenti, e attorno ai quali agisce un’attesa ade-

rente ai loro modelli psicologici e pragmatici (cioè legati al campo dell’azione), e insieme possiede una competenza che è in grado di prevedere la figurazione ‘ritmica’ dei quadri e delle parole.

9. LA STRATEGIA

DELL’ARGOMENTAZIONE

NEL SONETTO

40

Proprio questo ci preme segnalare: il terreno, quel pezzo di tessuto su cui cade il discorso, è tutt’altro che inerte, ma rappresenta di fatto uno

spazio sensibile, sensibile voglio dire anche nella sua forma immanente, prediscorsiva, che acquista un rilievo decisivo al momento della composiZzione.

9. LA STRATEGIA

DELL’ARGOMENTAZIONE

NEL

SONETTO

Spostiamoci di nuovo sul terreno della metrica, e proviamo a sondare il sonetto, il metro più stabile dal Duecento fino ad oggì, dai sonetti di Giacomo da Lentini, fino a quelli dell’ Ipersonetto (una collana di 16 sonetti) della raccolta Il Galateo in bosco (1978) di Zanzotto, e oltre.

Nelle realizzazioni duecentesche 1l sonetto è inteso quasi sempre come unità tematica. Prendiamo un esempio dantesco, dalla Vita nuova: Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver’ lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, sì che, bassando il viso, tutto smore,

e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira.

Aiutatemi, donne, farle onore.

Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide. Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile.

(Vita nuova XxXi).

Riportiamo anche brevemente il commento di Dante a questo sonetto di loda, risposta al cavalcantiano Chi è questa che ven: «Questo sonetto si ha tre parti: ne la prima dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo la nobilissima parte de li suoi occhi; e ne la ter-

so

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

za dico questo medesimo secondo la nobilissima parte de la sua intra queste due parti è una particella ch’è quasi domandatrice la precedente parte e a la sequente, e comincia quivi: Aiutatemi, terza comincia quivi: Ogne dolcezza» (ibid.). La seconda parte è

bocca; e d’aiuto a donne. La rapidissi-

ma, un’esclamazione allocutiva che chiude, clausola giustapposta, le due

quartine. L’attacco delle terzine non è altro che la conseguenza di quanto esposto prima: «Poscia quando dico: Ogne dolcezza, dico quello medesimo che detto è ne la prima parte» (ibid.). Anche nella costruzione sintattica, il profilo del sonetto viene sostanzialmente rispettato: un ampio periodo abbraccia le due quartine ed è chiuso da una proposizione irrelata ma logicamente connessa; poi due periodi, ciascuno per ogni terzina. Possiamo dire, rispetto allo schema immanente a+a1+b+br, che la struttura sintattica è sostanzialmente omogenea e, soprattutto, che lo spazio è interpretato come uno sviluppo argomentativo di tipo lineare, che pure porta in sé elementi di circolarità e dunque di maggiore connessione: «Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò ch’ella mira» (vv. 1-2), «Si è novo miracolo e gentile» (v. 14), un carattere molto

frequente del sonetto antico. Tra la ‘testa’ e la ‘coda’ del sonetto si assiste a un passaggio tra una percezione legata alla vista e un’altra «alla bocca», parola e sorriso. La coerenza del testo è assicurata da molti altri elementi; colpisce, comunque,

soprattutto la continuità senza fratture dell’argomentazione, con blocchi sostanzialmente simmetrici alle suddivisioni interne, a tratti assicurati, a tratti elusi ma

non

comunque

innestati altrove. Îl ritmo

nasce precisa-

mente da questo rapporto. . Proviamo ora a vedere un famosissimo sonetto dei Rerum lVulgarium Fragmenta: Zephiro torna, e ’1 bel tempo rimena e 1i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia, et garrir Progne et pianger Philomena, et primavera candida et vermiglia. Ridono i prati, e ’] ciel si rasserena;

Giove s’allegra di mirar sua figlia; l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena; ogni animal d’amar si riconsiglia.

9. LA STRATEGIA

DELL’ARGOMENTAZIONE

NEL SONETTO

SI

Ma per me, lasso, tornano i più gravi

sospiri, che del cor profondo tragge quella ch’al ciel se ne portò le chiavi; et cantar augelletti et fiorir piagge,

e ’n belle donne honeste atti soavi sono un deserto, et fere aspre et selvagge.

(Rvf CCCX).

La struttura sintattica, tutt’altro che semplice, è comunque nettamente modellata sulla partizione strofica. Del resto, caratteristica del trattamento petrarchesco di questa forma metrica, attratta nell’orbita eletta della canzone,

è, come

osserva

Arnaldo

Soldani,

la «connessione

strettissima

tra

schemi metrico-sintattici e percorso logico-semantico, a testimonianza di una concezione ‘profonda’ del sonetto, in cui traliccio formale e architet-

tura argomentativa sono generati come un’unità dinamica tra dimensioni solidali» (La metrica dei «Fragmenta», pp. 487-8). In Zephiro torna il passaggio tra a e al è netto, pur campeggiante sullo sfondo di una forte unità di tono stilistico, per la transizione da una sintassi di carattere soprattutto nominale a un movimento molto più dinamico ed energico, imperniato sulla successione dei tempi verbali; così come le due terzine, pur collegate dalla congiunzione, sono di fatto costruite su due periodi indipendenti. Così, come nel sonetto della Vita nuova, il tema iniziale viene ripreso

nella terzina finale: «e i fiori et l’erbe... / et garrir Progne et pianger Filomena»

si riecheggiano

sinonimicamente,

condensandosi

in: «et cantar

augelletti et fiorir piagge», risolvendo la tendenza alla circolarità, tipica della forma breve, come una sezione più breve di ritornello. A differenza di quanto accade in Dante, il movimento non è progressivo, ma sostanzialmente antinomico: il primo motivo, esposto nelle quartine, lascia il posto a un secondo motivo, naturalmente correlato ma di

valore opposto, antitetico. Non

è probabilmente

il caso di parlare di

secondo tema, ma di un secondo motivo all’interno del tema — essendo

il sonetto, anche per la sua brevità, per natura monotematico — segnato, tuttavia, da un netto passaggio all’attacco delle terzine, come la transizione da ‘maggiore’ a ‘minore’ in un tempo

di sonata. È un rovesciamento

imperniato sui valori tematici: da una connotazione euforica (la descrizione

del trionfo

primaverile

della natura)

si cade

improvvisamente,

in

$2

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

coincidenza dello stacco metrico centrale, a una connotazione profondamente negativa (la desolazione del soggetto aumenta nella rievocazione del tempo dell’innamoramento). Filtrata da questa connotazione, sìi sviluppa la ripresa, per cui i temi euforici vengono ora attraversati dal tim-

bro offuscato della desolazione soggettiva. Il sonetto può diventare, dunque, un campo di rovesciamenti semantici. Gli sviluppi argomentativi si appoggiano allo spazio ‘virtuale’ della forma, costituendo nell’attesa del pubblico un terreno, ‘dato’ ma nello stesso tempo aperto a giochi e trabocchetti. Lo scarto, che avviene quasi sempre nel sonetto petrarchesco sulla falsariga della suddivisione interna, può essere anticipato nella seconda quartina e, a volte, come nell’esempio successivo, gli scarti possono essere due:

Or che ”] ciel et la terra e ’l vento tace et le fere e gli augelli il sonno affrena, Notte il carro stellato in giro mena et nel suo letto il mar senz’onda giace, vegghio, penso, ardo, piango; et chi mi sface sempre m’è inanzi per mia dolce pena: guerra è ’ mio stato, d’ira et di duol piena,

et sol di lei pensando ò qualche pace.

Così sol d’una chiara fonte viva move ’] dolce et l’amaro ond’io mi pasco; una man sola mi risana et punge;

e perché ’] mio martir non giunga a riva, mille volte 1l dî moro et mille nasco,

tanto da la salute mia son lunge.

(Rvf CLXIV).

Dalla serenità idilliaca del notturno alla violenta passione e poi, punto di instabile risoluzione tra due motivi così dissonanti (anche la contrapposizione stilistica è fortissima), le due terzine dedicate alla natura ossimorica (giustapposizione di due elementi contrari) dell’amore di Francesco per Laura: nascita e morte insieme.

Îl rapporto musica-poesia può, conv’è noto, essere analizzato su molteplici piani. In quest’occasione possiamo

almeno

notare come

le letture

9. LA STRATEGIA

DELL’ARGOMENTAZIONE

NEL SONETTO

$3

poetiche dei musicisti siano spesso attentissime allo sviluppo dell’argomentazione. Tra questi sonetti petrarcheschi, due sono diventati celebri madrigali musicati da Claudio Monteverdì. In Zephiro torna, nel Sesto Libro de Madrigali (1614), l’interpretazione musicale sottolinea con forza la transizione, al v. 9, tra 1 due motivi: lo splendore della natura e la desola-

zione soggettiva. Sinteticamente, possiamo osservare che nel madrigale (a cinque voci) il passaggio è segnato da: a) un cambiamento di tempo, da ternario (caratteristico tempo di danza) a binario; b) il passaggio tra una

sonorità piena (cantano tutte le voci, come nella villanella o nella frottola) e una polifonia severa per imitazione; c) il passaggio tra voci acute e voci gravi. In sostanza, quindi, 1 segni del linguaggio musicale sostengono perfettamente la polarità gioia vs angoscia dei due motivi, e ne assecondano la disposizione a cavallo tra quartine e terzine. Anche in Or che ’l ciel e la terra, in Madrigali querrieri et amorosi. Libro ottavo (1638), l’interpretazione è interessantissima. Limitiamoci al passaggio tra le quartine: «et nel suo letto il mar senz’onda giace, // vegghio, penso, ardo, piango; et chi mi sface» (vv. 4-5). Per la ‘rappresentazione’ del notturno, Monteverdi sceglie un andamento per molte battute ‘omoritmico’, tornando

ripetutamente,

e abbastanza

sorprendentemente,

con

tutte le

voci sulla stessa nota. Nettissima è la sensazione di fusione e di omogeneità, senza o con pochissime oscillazioni. L’attacco della seconda strofa è caratterizzato invece — l’impressione è quella di uno stacco molto violen-

to — da un canto continuamente interrotto da pause. C’è un ripetuto ‘crescendo’, dal grave all’acuto per quarte giuste, contro il sostanziale dimi-

nuendo che caratterizza la prima quartina, con effetti di grande dissonanza (per esempio, tra il primo «veglio» e il primo «penso» c’è una dissonanza di settima minore). Oltre al dinamismo ritmico (a un certo punto nella

seconda quartina entra il teatrale ‘modo concitato’) e armonico, colpisce il fatto che nel secondo episodio le voci estreme (il basso e il soprano) tacciono. È interessante, inoltre, che il carattere aspramente negativo della seconda quartina, nella lettura monteverdiana, si rifletta già sulla rappre-

sentazione, estatica ma di colore ‘scuro’, del paesaggio notturno. Un’analisi appropriata si potrebbe fare soltanto sulla partitura, ma già l’ascolto permette di cogliere il meccanismo della messa in musica. Naturalmente rilievi ulteriori potrebbero senz’altro emergere dal confronto di diverse letture musicali dello stesso testo.

$4

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

Nel sonetto rinascimentale la soluzione più frequente è quella bitematica. Îl luogo della transizione è per lo più la seconda terzina, come in Movesi il vecchierel canuto e biancho petrarchesco, dove il comparante lascia finalmente lo spazio al comparato sotto 1il segno di una profonda dissonanza: et viene a Roma, seguendo ’] desio per mirar la sembianza di Colui ch’ancor lassù nel ciel vedere spera: così, lasso, talor vo cerchand’io,

donna, quanto è possibile, in altrui la disiata vostra forma vera.

(Rvf XVI 9-14).

Nella tradizione, e specificamente nel petrarchismo, queste strategie hanno contato molto. Ad esempio, nella lirica rinascimentale, anche fuo-

ri dell’Italia, è evidente la predilezione nel giocare la sottigliezza concettuale (agudeza, per i teorici spagnoli del Seicento) nell’ultimo quadro, così come nelle strisce dei Peanuts. Ecco un sonetto di Pierre de Ronsard, il

maggiore lirico francese: Son chef est d’or, son front est un tableau,

où je voy peint le gain de mon dommage, belle est sa main, qui me fait devant l’àge changer de teint, de cheveux et de peau. Belle est sa bouche, et son soleil jumeau,

de neige et feu s’embellist son visage, pour qui Jupin reprendroit le plumage, ore d’un Cygne, or’ le poyl d’un Toreau.

Doux est son ris, qui la Meduse mesme endurciroit en quelqgue roche blesme, vangeant d’un coup cent mille cruautez. Mais tout ainsi que le Soleil efface les moindres feux, ainsi ma foy surpasse le plus parfait de toutes ses beautez.

(Les Amoutrs, CLVI).3

3. Il suo capo è d’oro, la sua fronte è un quadro / dove vedo dipinta la vittoria della mia tristezza, / bella è la sua mano, che a dispetto dell’età / mi fa cambiare carnagione,

9. LA STRATEGIA

DELL’ARGOMENTAZIONE

NEL SONETTO

$$

Il topos della successione delle bellezze dell’amata, con tutti i suoi correlati mitologici e personificazioni, è pur nulla rispetto alla potenza dell’amore dell’‘io0’. Si veda come la tonalità esuberante e fiorita, affidata al

parallelismo che avvolge le quartine, lasci il passo a un movimento più semplice e lineare, in un certo modo più ‘autentico’, nella terzina finale, aggiungendo un cambiamento di timbro anche stilistico all’agudeza concettuale. Oppure, in un sonetto del Della Casa: O dolce selva solitaria, amica

de’ miei pensieri sbigottiti e stanchi, mentre Borea ne’ dì torbidi e manchi d’orrido giel l’aere e la terra implica; e la tua verde chioma ombrosa, antica,

come la mia par ch’ogn’intorno imbianchi, or, che ’nvece di fior vermigli e bianchi, ha neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica; a questa breve e nubilosa luce vo ripensando, che m’avanza, e ghiaccio gli spirti anch’io sento e le membra farsi: ma più di te dentro e d’intorno agghiaccio, ché più crudo Euro a me mio verno adduce, più lunga notte e dî più freddi e scarsi.

(Rime, XLIII).

I primi undici versi sono modulati sul confronto ‘paritario’ tra il confidente, la selva, e l’«io», entrambi vittime dei rigori invernali. Confronto

tanto più serrato perché compreso da un unico sviluppo sintattico, pur ritmato e guidato dall’intelaiatura strofica; fino a quando, all’attacco della seconda terzina, scatta 1l ‘rovesciamento’: «ma più di te...» che capovolge l’analogia e segna l’elemento temporale come discrimine dei due diversi capelli, pelle. // Bella è la sua bocca, e gli occhi gemelli, / di neve e di fuoco s’abbellisce il suo viso, / per cui Giove rivestirebbe il piumaggio / di un cigno o il manto nero di un toro. // Dolce è il suo riso che Medusa stessa / scolpirebbe in qualche livida roccia / vendicando in un sol gesto mille crudeltà. // Ma così come il Sole vince le stelle / più piccole, la mia fede supera / la più perfetta delle sue bellezze. (trad. mia).

5()

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

corsi: uno naturale e quindi ciclico, l’altro inesorabilmente progressivo usque ad mortem. La circolarità qui viene segnata da una serie di riprese sinonimiche: «Borea ne’ dì torbidi e manchi... / crudo Euro... e dì più freddi e scarsi», e rappresenta un segno di coerenza e coreferenza del testo come sfondo del rovesciamento semantico. Îl procedimento non è troppo dissimile in questo sonetto del grande secentista spagnolo Francisco de Quevedo: Colora abril el campo que mancilla agudo yelo y nieve desatada de nube obscura y yerta, y, bien pintada, ya la selva lozana en torno brilla. Los términos descubre de la orilla, corriente, con el sol desenojada;

y la voz del arroyo, articulada en guijas, llama l’aura a competilla. Las Édltimas ausencias del invierno anciana sena son de las montanas,

y en el almendro, aviso al mal gobierno. Sélo no hay primavera que habitadas de Amor y bosque son de flechas (Obstinado padecer sin

en mis entratias, arden infierno, y guadatias. intercadencia de alivio, da Obra poética 1 CCCCLXxXxX1).4

Topos primaverile, ma la natura ‘nuova’ è incipiente, affiorante solo a tratti, ancora in lotta con la durezza dell’inverno. Nella terzina finale la ‘stretta’ cade sull’«io», avvolto

dalla condizione

infernale del desiderio,

luogo inaccessibile anche alla sola speranza di un rinnovamento, fino

4. Colora aprile i campi che deturpa / un aspro gelo e una neve caduta / da scura e fredda nube. Tutt’intorno / è la selva una vivida pittura. // I margini ora scopre della riva / la corrente col sole rappaciata; / la voce del ruscello articolata / in sassi chiama il vento per sfidarlo. // Come ultimo rimpianto dell’inverno / sopra 1 monti è rimasto un segno antico / e il mandorlo denunzia il mal governo. // La primavera io solo non conosco, / che abitato da Amore ardo d’inferno / e son di falci e di saette un bosco. (Ostinato soffrire senza intervallo di sorta, in Sonetti amorosi e mortali, trad. Vittorio Bodini).

10. IL SONETTO NELLA CONTEMPORANEITÀ

$7

all’ultimo concettosissimo endecasillabo: sono un bosco di frecce e di falci, che riprende antinomicamente il motivo iniziale. In sostanza, come si è visto seppur rapidamente, nella storia ‘istituzionale’ del metro non solo i movimenti dell’argomentazione sono assai visibili, ma anzi diventano quasi ‘regolari’, soprattutto quando si adeguano ai caratteri della poetica dell’epoca. Più esattamente, il concettismo spagnolo trova in questa forma e nella sua storia uno schema aderente al tema della sorpresa e del colpo di scena, che sono parte integrante della sua poetica (osservazioni analoghe trovano facilmente conferma nel più grande trattato di poetica del barocco spagnolo, Agudeza y arte de ingenio di Baltasar GraciAn). Spesso la sua adozione comporta la ripresa, come nel caso appena visto, di temi già petrarcheschi; per esempio, la contrapposi-

zione del paesaggio naturale al paesaggio dell’anima. La stessa strategia discorsiva nel sonetto è strettamente legata alle diverse tipologie macrotematiche di partenza, rapporto che è stato studiato per il sonetto spagnolo (non ancora per quello italiano), per cui il lettore già dall’attacco del componimento può orientare le sue attese, prevedere una determinata successione argomentativo-sintattica piuttosto che un’altra.

IO.

IL SONETTO

NELLA

CONTEMPORANEITÀ

La fortuna del sonetto nel novecento italiano è nota, e si è già detto della tendenza alla ‘spoliazione’ di alcuni suoi caratteri costitutivi, come è accaduto per un’altra insigne forma come l’endecasillabo. Da una parte, quindi, svuotamento ‘dei fregi e degli orpelli’, e anche di quelle traiettorie interne che facevano parte della sua tradizione ‘aurea’; dall’altra, inve-

ce, il sonetto porta con sé una radicalizzazione dei fenomeni allusivi e iperletterari (figure stilistiche, ritmico-sintattiche e retoriche: enumerazione, dittologie, metafore, similitudini, endecasillabi esplicitamente ‘dan-

teschi’ o ‘petrarcheschi’, ‘tassiani’ o ‘dellacasiani’). Si pensi all’ipersonetto di Andrea Zanzotto («così ancora di te mi sono avvalso, / di te sonetto, righe infami e ladre — / mandala in cui di frusto in frusto accatto»), ai sonetti di Patrizia Valduga, di Franco Fortini, ma anche, già negli anni Trenta, di

Giacomo formale:

Noventa, che addossa alla forma un surplus di stratificazione

58

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

Se fussi vù, cussì, rime segrete,

come ne gèra el mio parlar co’ éla, sarìa contento, e lassarìa la vela

cercarme in te sti golfi ormai la chiete.

Ma no'’ ve gò nel cuor tanto costrete, che, perdendome in vù, no’ pensi a éla: gò scrito un nome su la bianca vela, e cerco sempre nei viagi chiete. Cercarò sempre nei viagi chiete, zà che no’ posso rinunziar a éla. Altri ve trovarà, rime segrete. A un fià de tèra mi ve gò costrete, sì che, taséndo, lassarò la vela

cercarne sempre oltre un’altra chiete.

- (Se fussi... da Versi e poesie).

Questo testo monotematico ha una complessità nell’articolazione e nelle figure di ‘versi similari’ da apparentarsi ad una forma ancora più chiusa com’è la sesta rima. Coerentemente, sì potrebbe parlare di un processo metamorfico, perché lo scheletro del sonetto è investito di una resa retorico-argomentativa

caratteristica

della

sestina:

ripresa

serrata

con

variazioni per ogni unità strofica, e non sviluppo progressivo. Resta il fatto che la ‘figura’ immanente della forma sonetto continua a condizionare 1l flusso discorsivo. Fatto eminentemente ritmico.

In Che fai? Che pensi?, undicesimo della serie zanzottiana, la letterarietà è scoperta e caratterizzata da un virtuosismo parodistico quasi inquietante (infinite citazioni: dall’attacco petrarchesco alle difficili rime dantesche). Tuttavia, la forma ritmica del sonetto agisce dichiaratamente nella dispositio argomentativa

e sintattica, nei meccanismi

di circolarità, nella

tendenza a far scattare nell’ultima quartina uno scarto concettuale: Che fai? Che pensi? Fd a chi mai chi parla? chi e che cerececè d’augèl distinguo, con che stillii di rivi il vacuo impinguo del paese che intorno a me s’intarla?

11. IL MADRIGALE

CINQUECENTESCO

SO

A chi porgo, a quale ago per riattarla quella logica ai cui filìi m’estinguo, a che e per chi di nota in nota illinguo questo che non fu canto, eloquio, ciarla? Che pensi tu, che mai non fosti, mai né pur in segno, in sogno di fantasma, sogno di segno, mah di mah, che fai? Voci d’augei, di rii, di selve, intensi

moti del niente che sé a niente plasma, pensier di non pensier, pensa: che pensi? (Ipersonetto, XI, da Il Galateo in Bosco).

II. IL MADRIGALE

CINQUECENTESCO

Il madrigale delle origini, trecentesco, è un metro caratterizzato strutturalmente da una notevole libertà formale, forse in rapporto anche alla connotazione ‘“umile’ che esso possiede, e in relazione al gusto del più

ampio pubblico trecentesco per la poesia musicale. Lo schema ritrova nel Cinquecento una grande fortuna, che anticipa di qualche decennio quella del madrigale musicale e poi l’accompagna. A differenza delle altre forme metriche, caratterizzate da più o meno marcate leggi di ricorrenza, la forma ‘madrigale’ è libera nella dimensione della strofa e nell’impiego delle rime. Come osserva il Bembo: «Libere poi sono quell’altre, che non hanno alcuna legge o nel numero de'’ versi o nella maniera del rimargli, ma ciascuno, sì come ad esso piace, così le

forma; e queste universalmente sono tutte madriali chiamate» (Prose della volgar lingua, XI). In uno studio, purtroppo inedito, Mariano Damian ha recensito molte centinaia di schemi possibili del madrigale rinascimentale, arrivando alla conclusione che, per contenere l’enorme proliferazione degli schemi e delle loro varianti, la definizione della forma non può fondarsi sull’indicazione di elementi fissi. Eccone, invece, le principali caratteristiche: a) libera scelta del numero

di versi, da un minimo

di tre a un

massimo di trenta (ma per lo più entro una misura intermedia: tra i dieci e i venti versi), b) libera alternanza di endecasillabi e settenari, c) le

60

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

rime in punta possono avere qualsiasi tipo di concatenazione, d) può esserci un certo numero di versi irrelati, ma non tutti. La libertà della for-

ma trova naturalmente contrappunto nel prestigio di alcuni modelli della tradizione, prima di tutto quelli petrarcheschi, che vengono ampiamente imitati (lo stesso Damian uno dei quattro).

ha studiato la fortuna dello schema di

Sono note le fortissime relazioni del madrigale poetico con quello musicale. Ma è anche importante ricordare che i madrigalisti mettono in musica non solo madrigali ma sonetti o parti di sonetti, stanze di canzone, ottave o altre forme metriche

(enorme è, ad esempio, la fortuna del

Pastor Fido di Guarini e della Gerusalemme Liberata del ‘Tasso). È, tuttavia, verosimile che questa scelta abbia trovato impulso proprio nella struttura

libera del madrigale poetico, cioè nella sua possibilità, appartenente al livello astratto della metrica, di aprirsi ad un amplissimo ventaglio di forme concrete. Occorre poi riflettere su un altro punto significativo: 1l testo poetico, nella sua messa in musica, muta la sua forma discorsiva, la dispositio. Se leggiamo una partitura trascurando la notazione musicale, ci rendiamo conto che il musicista, nell’atto di musicare 1l testo, lo sottopone

ad una profonda trasformazione, per ragioni che sarebbe ingenuo pensare di natura esclusivamente musicale, ma piuttosto, in senso più complesso, drammaturgiche: fenomeni di ripetizione e di suddivisione per voci. Se ascoltassimo un’ipotetica esecuzione recitata e non cantata del madri-

gale musicale, o (ipotesi più semplice) se cercassimo, in un concerto o in un ascolto registrato, di non tener conto della musica ma solo dello sviluppo del testo fra le voci, delle ripetizioni, dei cambiamenti di ritmo e di intonazione, potremmo forse capire di più l’essenza del madrigale in musica, l’ostinazione dei musicisti e dei teorici (ad esempio, nelle Istitu-

tioni Harmoniche del grande Gioseffo Zarlino) nel mettere in luce il valore fondamentale della parola poetica. Îl primo numero del quarto libro di madrigali a cinque voci di Monteverdiìi (1603) è un passo già citato del Pastor Fido, opera fortunatissima, fra l’altro trionfalmente fatta rappresentare a Mantova, dove Monteverdìi ancora lavorava, da Vincenzo Gonzaga nel 1598. Essa di fatto fa da ‘prete-

sto’ letterario al libro intero. Il testo è il seguente, tratto dal monologo di Amarilli nel III atto:

11. IL MADRIGALE

CINQUECENTESCO

G1

Ah, dolente partita! Ah, fin de la mia vita! Da te parto e non moro?

E pur +’ provo la pena de la morte, e sento nel partire un vivace morire,

che dà vita al dolore per far che moia immortalmente il core. Non possiamo riportare la partitura, caratterizzata da una grande ricer-

ca armonica, ma possiamo riflettere velocemente sulla distribuzione del testo tra le cinque voci. L’attacco del madrigale è affidato ai due soprani che cantano, leggermente sfalsati, i1 primi due versi. Dalla battuta quindi-

ci iniziano a cantare le voci più basse che cantano direttamente il terzo verso: da te parto e non moro? mentre le voci superiori ‘ripetono’ i primi

due versi. La situazione è sostanzialmente questa: Ah, dolente partita!

Ah, fin de la mia vita!

Ah, dolente partita! Da

te

parto

Ah, fin de la mia vita! e

non

moro?

La diversa spaziatura per il terzo verso vorrebbe segnalare 1l rallentamento del ritmo per le voci basse, ricercato in modo che le due sequenze, di diversa ampiezza sillabica, abbiano la stessa ‘durata’ e nello stesso tempo vengano entrambe intese con chiarezza da chi ascolta.

Îl tema del madrigale, fortemente ossimorico, è concentrato in due enunciati

logicamente

contraddittori: partenza

= morte

s partenza

=

morte; eppure, anche nel secondo caso, la partenza ha il principale attributo della morte: il dolore. Anche questo secondo passaggio viene espo-

sto con un forte contrasto, sempre affidato agli identici gruppi di voci: Ah, dolente partita! Ah, fin de la mia vita!

e pur +’ provo la pena de la morte.

62

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

La concreta esecuzione del testo poetico viene così attraversata da una nuova possibilità che sta, grazie alla dimensione polifonica della musica, nella percezione contemporanea di due diversi enunciati, fra di loro marcatamente antagonisti, che nella lettura abituale verrebbero recepiti ‘uno dopo l’altro’ e non, come qui, ‘uno accanto all’altro’. La nuova dispositio dunque favorisce, al di là dei valori specifici del linguaggio musicale con cui intrmamente collabora, l’espansione del concetto di partenza, una resa più ‘ingegnosa’ dei valori profondi del testo. In questo senso, a mio avviso, 1 rapporti tra poesia e musica nel madrigale rinascimentale possono ancora offrire motivi di interesse, perché 1il testo non è solamente occasione di partenza ma, a differenza di quanto accade in altri generi musi-

cali, è oggetto di un intervento che finisce per trasformarne visibilmente i caratteri originali. Ma ritorniamo al madrigale poetico. È possibile pensare che il madrigale rappresenti, nella lirica cinquecentesca, un controcanto alla formasonetto, non solo per la tendenziale divaricazione dei contenuti espressi, caratterizzati da maggiore leggerezza tematica e da più marcato abbandono all’ispirazione d’occasione, ma anche per il modo diversissimo di organizzare l’argomentazione: nel sonetto, come abbiamo visto, attorno ad uno schema stabilissimo; nel madrigale, invece, attorno ad uno schema

estremamente dinamico o plasmabile. Viene spontaneo osservare che, nel madrigale, i rapporti tra metro

e ritmo sono diversissimi: la struttura si

adatta al discorso poetico e non più viceversa; la struttura, estremamente

elastica, non pone ostacolo alla libera oscillazione dell’enunciazione. Nello stesso tempo, la convergenza tra le due forme metriche è determinata principalmente dal fatto che la loro ‘durata’ è grosso modo analoga; o, meglio, che il madrigale, nella varietà delle sue escursioni, si può avvici-

nare anche moltissimo alla canonica misura dei quattordici versi. La logica serrata del montaggio del sonetto viene accompagnata in controcanto, nelle raccolte rinascimentali, dall’arguzia, dalla condensazione, dall’élan

del madrigale. Uno dei principali autori di madrigali è so è attentissimo al gusto musicale del suo logo La cavaletta overo della poesia toscana), per musica si trova all’apogeo. Nelle rime

senz’altro Torquato Tasso. Tastempo (per esempio nel diaquando appunto il madrigale di ‘Tasso troviamo spesso serie

11. IL MADRIGALE

CINQUECENTESCO

()3

di madrigali legati vicendevolmente, collane in genere brevi, accomunate da un’occasione, da un destinatario. Proviamo a leggere un gruppo di quattro unità. Îl tema è, ancora, quello classico della lJontananza della donna (sono le Rime per Lucrezia Bendidio). Riporto a fianco lo schema delle rime:

>T

e ’] languir sì mi piace ch’infinito diletto ho nel martire.

OTFOAOI

al dolce foco de’ be’ vostri lumi;

>

lo non posso gioire

lunge da voi, che siete il mio desire; ma ’] mio pensier fallace passa monti e campagne e mari e fiumi; e m’avvicina e sface

(Rime, XxIII).

Si osservi la scioltezza dello sviluppo sintattico, un movimento

per

distici collegato dalle coordinazioni, senza rallentamenti, ma inteso come . l unico ‘fiato’ d’intonazione. Vediamo

ora 1il secondo:

Già non son io contento lunge da voi, che sete il mio tormento, in così dolce modo m’arde il pensier, ma s’egli a voi mi giunge, 10 vi rimiro ed odo allora più vicin che son più lunge, ed amo ed ardo e godo più del mio foco se maggior il sento. che ne è ovviamente

imitazione. Come

a A b C b C b A

(Rime, XXIV)

si nota facilmente, lo schema è

identico ma questa specularità è soltanto lo sfondo di una corrispondenza più ampia. Abbiamo segnalato in corsivo le connessioni (per ripresa lessicale o sintagmatica, e per sinonimi); si noti, in particolare, come l’at-

tacco sia costruito in modo perfettamente simmetrico. Il secondo madrigale è, dunque, una variazione che non fa progredire il nucleo concettuale presente nel primo, la forza fantasmatica del pensiero dell’amato congiunge l’oggetto d’amore, che pure è lontano. Ma ora osserviamo i due numeri

successivi:

IL RITMO

Come

DELLE

FORME

METRICHE

vivrò ne le mie pene, Amore,

>

()4



sì lunge dal mio core,

v

se la dolce memoria non m’aita di lei ch’è la mia vita?

age

Dolce memoria e spene, imaginata vista e caro obietto,

mo

voi siete 1il mio diletto, la mia vita e ’] mio bene;

ma pur mezzo son io tra morto e vivo, poi che del cor son privo.

Se ’l mio core è con voi, come desia,

e (Rime a Lucrezia Bendidio, XXV).

dov’è l’anima mia? Credo sia col pensiero, e ’1 pensier vago è con la bella imago; e l’imagine bella de la vostra bellezza è ne la mente

viva e vera e presente e vi spira e favella; ma pur senza il mio core è la mia vita dolente e sbigottita.

A

a

B

b C D d C E

e (Rime a Lucrezia Bendidio, XXV)).

Nel terzo e quarto numero, a loro volta simmetrici nello schema delle rime, il tema viene sì ripreso e variato, ma non solo; viene spostato decisamente verso una connotazione negativa: la dimensione alienata del desiderio svuota l’io, tutto avviene lontano dalla «sua vita». La forza con-

cettuale è di molto accresciuta, il tono ‘leggero’ di partenza è un poco mutato. [ quattro madrigali sono dunque congegnati a coppie, la seconda più complessa concettualmente e più articolata. E in quest’ultima, rovesciando la diposizione delle rispondenze nei primi due numeri, le connessioni più profonde sono nella sequenza di chiusa a cui si aggiunge un gioco minuzioso di echi fonici nelle rime. Tuttavia, ciò che ci interessa davvero notare è che 1il ciclo implica non solo forti elementi di ricorrenza tra 1 diversi numeri, ma anche che agisce sulla forma data, cioè sulla

struttura di partenza del madrigale. La perfetta rispondenza del metro è qui il primo segno della contiguità dello sviluppo argomentativo e della suddivisione in due tempi. Il metro diventa dunque un segno ritmico per

12. METRICA

eccellenza, perché

si piega

E RACCONTO

liberamente

()5

alla discorsività. D’altra

parte,

anche se sicuramente esistono per il madrigale dei tracciati preferenziali di tipo sintattico-argomentativo (potenzialmente analoghi a quelli che abbiamo visto per il sonetto), la straordinaria duttilità della forma li rende meno significativi, perché ciò che nel sonetto avviene nella dialettica tra metro e discorso-ritmo, qui invece può essere trasmesso dalla forma d’abbrivio. Il ritmo si trasferisce e occupa il lato proprio al metro — la dialettica cede. Si può forse, allora, comprendere perché la compresenza tra sonetto e madrigale nella poesia cinquecentesca sia così significativa.

I2. METRICA

Valutazioni

E RACCONTO

differenti valgono

per forme

diverse, come

sono

quelle

esplicitamente legate a una dimensione discorsiva di tipo narrativo. Essenziale, in questo caso, sarà considerare lo sviluppo del racconto, inteso come linearità cronologica, per rapporto alla segmentazione del testo in unità strofiche. Immaginiamo la riproduzione filmica di un avvenimento in cui la pellicola è composta da un nastro diviso in tacche di uguale durata. La corsa di questo nastro o pellicola è dunque discontinua, fatta di molteplici incominciamenti

e fini; la narrazione, che è un atto tenden-

zialmente ‘continuo’ e progressivo, deve adeguarsi a questa struttura. Il carattere distintivo del racconto in ottave sta proprio in questa relazione.

Nella tradizione trecentesca e quattrocentesca questa ‘discontinuità’ discorsiva ha un valore anche elocutivo: la voce sìi interrompe e riparte ogni otto versi, e certamente

questa meccanicità

ha giocato

un ruolo

decisivo nel carattere tipico del racconto canterino. Îl racconto prevede che l’articolazione delle sequenze della narrazione si muova parallelamente alla successione delle ottave, in modo che, idealmente, ad ogni pas-

saggio-pausa corrisponda una fase del racconto. Comunque, si capisce bene che l’interrelazione tra discorso e metro assume caratteristiche ben differenti da quelle che si è cercato di vedere per il sonetto. La forma dell’ottava, una struttura semplicissima, è stata legata fin dalle origini ad una funzione narrativa. Anche qui occorre segnalare come il Suo spazio, successione di rime alternate, dunque coppie, chiusa da una diversa rima baciata, suppone uno schema 8 [6 (2+2+2) + 2], tre piccole

66

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

clausole e una clausola più marcata verso la fine. Numerosi studi hanno investigato il rapporto tra sintassi e forma metrica; per esempio, si è osser-

vato che nell’ottava del Boccaccio prevalgono ampie campate sintattiche che tendono a ‘riempire’ la forma metrica senza attenzione alle sue partizioni interne. Nell’ottava canterina, al contrario, a fianco di un’organizzazione basata essenzialmente sulla progressione per distici (appoggiando,

dunque, una delle due possibilità immanenti dello schema), sono frequenti realizzazioni con suddivisioni asistematiche, che prevedono successioni di ‘versi-frase’ irrelati sostanzialmente modellati sulla struttura delle lasse delle chansons epiche: Per tutta l’oste si levò il romore: Rinaldo è fòre e ciascun suo fratello!

Del padiglion fuggì lo imperadore. Que’ di Rinaldo menavon rastrello, tagliòr le corde al padiglion maggiore. Chi caricava e chi facea fardello;

e tanto s’armò Carlo e gente molta: sovra que’ di Rinaldo ognun s’affolta.

(Cantari di Rinaldo XV 39).

Questa seconda modalità di articolazione è molto interessante perché costituisce un esempio lampante di forte ricorsività tra differenti forme metriche, la prima — la lassa — aperta sia nelle dimensioni sia nella strutturazione interna, la seconda chiusa. Molto spesso nelle canzoni di gesta il décasyllabe possiede anche una forte autonomia semantica — singoli spezzoni, narrativamente autonomi —, proprietà che rimane ancora visi-

bile nelle ottave-lasse canterine. La lassa è quindi un contenitore che viene interpretato come enunciato dai contorni autonomi, azioni ‘staccate’

si susseguono anche con forti sbalzi temporali o logici, legate cioè in una prospettiva logico-narrativa, non sintattica o logico-sintattica. Nelle ‘lasse-ottave’, lo spazio è sì fisso, ma disossato internamente e suddiviso in singole schegge narrative, disposte su uno o due versi e piuttosto autonome. Sarà invece devoluta all’ultimo verso dell’ottava la funzione di dare unità logica allo spazio precedente, un carattere fortemente connettivo e conclusivo. In ogni caso, in una narrazione in cui l’aspetto orale è comun-

que presente (nella realtà concreta dell’esecuzione, oppure alluso per mezzo di segni che continuamente rinviano alla presenza e alla parteci-

12. METRICA

E RACCONTO

()7

pazione del pubblico), la strategia dell’enunciazione si fonda anche sui vuoti, cioè sugli scarti dell’emissione, su ciò che, pur essendo costitutivo della forma, viene prepotentemente sfruttato in funzione della felicità dell’atto comunicativo. In questo senso, il silenzio tra un’ottava e l’altra rilancia e amplifica l’emozione del racconto, altrimenti indebolito da una struttura linguistica formulare, referenzialmente e retoricamente debole. Nel Morgante di Pulci, il ritmo della sintassi si avvia per lo più su movimenti ‘pari’, molto

meno

frequentemente

‘dispari’ ($+3)

(3+5). È fre-

quentissima la presenza di fenomeni connettivi, di natura non sintattica,

utilizzati per consolidare l’ottava a fronte di una sintassi paratattica e giustapposta: fenomeni retorici molto semplici, come l’anafora o 1l parallelismo. È avvertibile, insomma, la tendenza a concepire l’ottava come spazio logicamente più unitario e, anche in rapporto alla struttura narrativa,

a consolidarne l’autonomia e nello stesso tempo il collegamento con le altre unità metriche:

F’ si doleva Mattafolle solo ch’Astolfo un tratto non venga a cadere; e minacciava in mezzo del suo stuolo,

e porta una fenice per cimiere.

Astolfo ne sare’ venuto a volo,

per cadere una volta a suo piacere; ma Ricciardetto, che sapea l’omore, non vuol per nulla ch’egli sbuchi fore.

(Morgante IX 4).

Occorre osservare, comunque, che nel genere cavalleresco 1l ritmo dell’ottava è strettamente correlato con la strategia narrativa: scarti di focalizzazione, passaggi da primi piani a piani collettivi. Nell’ottava del Boiardo gli schemi dispari sono ancora molto frequenti, comunque meno che nel Morgante, e rimane viva la tendenza canterina ai ‘versi-frase’, che tuttavia non sono più irrelati ma logicamente collegati, per lo più in senso anaforico (ma anche, spesso, cataforicamente, con una funzione di rilancio), chiudendo, con una clausola asindetica e con un valore semantico di

tipo iperbolico, un periodo che occupa i versi precedenti: L’arme, che intorno avea tagliate e sparte, getarno foco e fiama in ogni lato,

68

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

facendo sopra lor un fumo oscuro: tremò la tera in cierco e tuto °l muro.

(Inn. II x1 27).

Sì tratta in sostanza di un crescendo (climax) che si serve dello stacco

d’ottava per isolare una sequenza linguistica e narrativa di particolare emozione: ‘presa improvvisa di tensione’, procedimento che, raccoglien-

do un’eredità della tradizione

canterina di per sé già connotante, la

ristruttura all’interno di una concezione dello spazio metrico più moder-

na e più complessa. L’ottava così diventa un terreno ricco di sorprese, di giochi che fanno affidamento sulla sua solidità e sull’orizzonte d’attesa del pubblico, la cui memoria ritmica si aspetta un’espansione dell’emozione anche grazie alla forma

metrica. Confermando

le osservazioni dello slavista e semiologo

Jurij Lotman sulle strofe dell’Evgenij Onegin di Puskin, si può dire che il testo del poema cavalleresco in ottave è fondamentalmente costruito in modo da mantenere sempre viva nel lettore l’aspettativa di pause in determinati punti strutturalmente programmati. Si può parlare così, con Lotman, di una ‘intonazione convenzionale”’ (Il testo e la storia, part. pp. 11621). Proprio per questo, gli scarti da questa intonazione-tipo

(che sono

frequenti in un grande scrittore) contraddicono l’orizzonte d’attesa del pubblico-lettore. Vediamo un’ottava guerresca di Boiardo: Costui ch’io dico, è Re de Libicana; un volto non fo mai cotanto fiero:

larga la boca avea più d’una spana,

grosso e membruto, e come un corbe nero. Orlando l’assalì con Durindana

et ispicoli il capo tuto intiero:

via volò l’elmo e dentro aviìa la testa.

Già per quel colpo il Conte non s’arresta.

(Inn. II XxxI1 24).

Lo schema dell’ottava è 4+2+2, e la suddivisione si vale di partizioni

logico-sintattiche oltreché sintattiche. La tensione del racconto cresce rapidamente verso il finale, che in climax diventa il punto di esplosione dell’energia iperbolica boiardesca; e tuttavia, proprio mentre si chiude la sequenza, se ne apre una seconda attorno al valore aspettuale del presente. L’interruzione strofica non blocca questa volta il movimento del rac-

12. METRICA

E RACCONTO

conto, lo rilancia: spazio bianco su cui, come

69

una battuta d’attesa, vola

senza respiro l’attenzione del pubblico: perché adochiato avìa Tanphirione re de Almasila, horrenda creatura,

che escie oto palmi e più sopra al’arzone et ha la barba insin ala cintura. A questo gionse 1l figlio di Melone, e ben gli fece pegio che paura perché ambedoe le guanze a megio il naso partì a traverso il viso a quel malvaso.

(Inn. II XXxI1 25).

Nell’Orlando Innamorato sì trovano così alternate alle ottave tradizionalmenté chiuse su segnali forti, in cui le traiettorie della segmentazione metrica e di quella narrativa sono parallele, stanze ‘aperte’ — le azioni hanno spesso bisogno di arcate narrative più ampie e articolate — in cui la corsa del racconto trova una battuta d’attesa e accumula un surplus d’emozione prima di fluire nell’unità metrica successiva. È, eminentemente,

una questione ritmica, cioè di oscillazione nel rapporto tra i differenti piani della composizione. Di norma, comunque, la continuità narrativa cade

sulla discontinuità

metrica, naturalmente,

e sintattica. Anche

per

questo sono così frequenti 1 fenomeni connettivi (coblas capfinidas nella tradizione lirica, ‘lascia e prendi’ nella tradizione popolare) che legano le ottave tra di loro, innestando una continuità anche lessicale sulla normale discontinuità

metrico-sintattica

(intonazione

tipo), come

in questo

esempio ariostesco: «taglia lo scudo e sino al fondo fende, / e sotto a quello in su la spalla scende. // Scende alla spalla; e perché la ritrovi / di doppia lama e di maglia coperta, / non vuol però...» (Fur. XLI 75-6), perfetta ripresa formale di una tecnica già boiardesca: «Con quela vien adosso al maledeto / e sì come era di furor acceso, / tuto s’abandonò sopra al Pagano / con ogni forza, e tocca ad ambe mano. // Ad ambe man il tocca il damisello / sopra del’eIlmo, ch’è cotanto fino, / e roppe la corona e ’l suo cerchiello, / né vi rimase perle né robino» (Inn. II xXIV 62-3). Lo sviluppo è simmetrico, la ripresa ‘lega’ le stanze, attorno all’immagine più in rilievo, ma a volte l’azione scorre senza nessun sostegno, la sintassi è continua: «l’elmo, lo scudo, l’osbergo e l’arnese, / venne fendendo in giù ciò ch’el-

70

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

la prese; // e nel volto e nel petto e ne la coscia / lasciò ferito il re di Sericana» (Fur. XLI 83-4).

Nell’Orlando Furioso, al di là delle diverse utilizzazioni dello spazio strofico (in Ariosto non ci sono quasi più suddivisioni dispari), assistiamo a un differente uso sintattico per cui, soprattutto attraverso Petrarca, pene-

trano nel metro narrativo una grande fluidità e varietà nell’articolazione del periodo e una rete finissima di relazioni e connessioni tra le singole parti (sensibile è anche l’influenza delle Stanze del Poliziano), che tuttavia non rallentano la ‘velocità’ del racconto. Ma, in comune con il poema boiardesco, rimane l’idea forte dello spazio d’ottava come piano d’appoggio, omogeneo e nello stesso tempo assai sensibile alla varietà nell’ar-

ticolazione del racconto. Difatti, il rapporto tra ottave (discontinuità nella continuità, come progressione e scarto fondante del movimento narrativo) apre una prospettiva ideale per scorgere il ritmo del racconto. Per il nostro ultimo esempio, possiamo parlare di intonazione ‘non marcata’. Vediamone un esempio ulteriore: Cade in tanto dolor, che si dispone allora allora di voler morire: e il pome de la spada in terra pone; che su la punta si volea ferire. Lurcanio che con grande ammirazione avea veduto il duca a me salire,

ma non già conosciuto chi si fosse,

scorgendo l’atto del fratel, si mosse;

e gli vietò che con la propria mano non si passasse in quel furore il petto.

(Fur. V _ $2-3).

L’emozione, l’incertezza — si noti lo splendido montaggio alternato, da Ariodante, che sta per uccidersi per aver visto la sua amata nelle braccia del rivale, a Lurcanio, che vede e si lancia — e, in seguito, la risoluzione,

nascono anche dal gioco metrico. È impossibile non accorgersene. Se guardiamo con più attenzione, notiamo che la suspence viene alimentata anche dall’ambiguità sintattica. Infatti, 11 discorso e il periodo sembrerebbero chiudersi nell’ultimo verso dell’ottava 5$2, certo non la sequenza narrativa, che rimane

apertissima. Tuttavia, Ariosto li tiene aperti con una

12. METRICA

E RACCONTO

71

semplicissima congiunzione che accelera la nostra percezione, che rende più vibrante il coup de théatre, perché il passaggio è più veloce, fondandosi appunto su questa discontinuità-continuità sintattica, sull’improvviso scarto dall’intonazione normale che sembrava insediarsi. Invece di fermarsi e ripartire, magari grazie ad una ripresa amplificante (come negli esempi precedenti), il discorso sbocca senza soluzione di continuità. Proprio per questo la relazione sintattica è del tipo più semplice, paratattica, affidata al polisindeto, perché si unisce all’ultimo momento ciò che appariva diviso. È una scelta tutt’altro che infrequente, e sempre correlata alla messa in luce di valori emotivi: [QOlimpia] «... Or già non scalda e cova / più le vedove piume, ma si getta / del letto e fuor del padiglione in fretta: // e corre al mar, graffiandosi le gote» (Fur. X 21-2); «Segue Gradasso, e l’avria tosto giunto, / poco più che Baiardo avesse punto. // Ma nel voltar degli occhi, il re Agramante / vide condotto all’ultimo periglio» (Fur. XLI 97-8).

Che l’ottava rimanga anche nel Furioso uno spazio distintivo, lo si può notare anche da questi esempi, che sono così riusciti proprio perché si fondono sull’attesa di un altro tipo di relazione. Lo si avverte comunque da molti altri indizi, per esempio dal modo in cui il discorso ne tiene conto nei suoi scarti, nelle sue oscillazioni, perché le transizioni tra diverse

modalità di narrazione vengono scandite sul filo della successione delle stanze. Sono, insomma, effetti propriamente ritmici attraverso i quali gli stessi avvenimenti

vengono

visti, per esempio, attraverso opposti valori

aspettuali — un cambio di filtro che fa leva sull’impiego di diversi tempi verbali, come in queste notissime ottave: Di su la soglia Atlante un sasso folle, di caratteri e strani segni insculto. Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,

che fuman sempre, e dentro han foco occulto. L’incantator le spezza; e a un tratto il colle riman deserto, inospite et inculto; né muro appar né torre in alcun lato, come se mai castel non vi sia stato.

Sbrigossi dalla donna il mago alora, come fa spesso il tordo da la ragna;

72

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

e con lui sparve il suo castello a un’ora, e lasciò in libertà quella compagna. Le donne e i cavallier si trovàr fuora de le superbe stanze alla campagna: e furon di lor molte a chi ne dolse;

che tal franchezza un gran piacer lor tolse.

(Fur. IV 38-9).

Lo sviluppo narrativo è continuo, simili sono anche le azioni che vi sono narrate, puntuali e risolutive, tuttavia l’utilizzo dei tempi appare nettamente discriminato: da una parte appunto il presente, dall’altra il perfetto. Allora, nella prima ottava l’esito (in presenza del mago) appare ancora connotato da indeterminatezza e sospensione, come se tutto ciò potes-

se essere ancora nella trama degli inganni, e dunque

apparente; nella

ripresa invece (Atlante scompare) la trasformazione è veramente risoluti-

va, gli stessi avvenimenti di una prosecuzione. La muta, il tempo riprende Simili giochi percettivi,

vengono tensione allora a di cui il

focalizzati sottolineando l’impossibilità si scioglie, la percezione psicologica correre nella sua marcia più naturale. Furioso è ricchissimo, poggiano quasi

sempre sulla discontinuità strofica, accogliendo insomma tutte le potenzialità di cui questo discorso ‘discontinuo’ è fecondo.

Proprio grazie all’elemento strofico del racconto, cioè alla successione costante di unità uguali, Ariosto può importare in un genere eminentemente narrativo e proprio nelle parti narrative (non solo in quelle com-

mentative, come i prologhi, o descrittive, in cui non c’è diegesi) organizzazioni discorsive tipiche del genere lirico. Qui, a mio avviso, si può riscontrare uno degli aspetti più mirabili del petrarchismo ariostesco, la tendenza cioè a collegare le ottave non in progressione (sintagmaticamente) ma secondo un processo di similarità, quasi fossero due stanze di canzone. Vediamo un esempio, ad apertura di pagina: La bella donna, disiando invano

ch’a lei facesse il suo Ruggier ritorno, stava a Marsilia, ove allo stuol pagano dava a travagliar quasi ogni giorno;

[...]

Standosi quivi, e di gran spazio essendo

passato il tempo che tornare a lei

13. IL RITMO

NELLA

CANZONE

il suo Ruggier dovea, né lo vedendo, vivea in timor di mille casi rei.

73

(Fur. XIII 45-6).

Il parallelismo lessicale, ma anche sintattico, si insinua nella linearità del racconto, rallentandola e dilatandone gli aspetti di maggior tensione drammatica, un ‘andirivieni’ che si serve dell’intonazione lirica come supporto dell’istanza narrativa. Eccone un altro caso, in una dimensione tem-

porale ben altrimenti urgente: De la percossa è il cavallier caduto: l’altro che ’l vide attonito giacere, per dargli morte l’elmo gli dislaccia; e fa sì che Ruggier lo vede in faccia. Vede Ruggier de la sua dolce e bella e carissima donna Bradamante scoperto il viso; e lei vede esser quella a cui dar morte vuol l’empio gigante

(Fur. XI 18-9).

Una sospensione narrativa, una dilatazione lirica del tempo che pure insorge rapidissimo, a stento trattenuto.

I3.

IL RITMO

NELLA

CANZONE

Veniamo, infine, alla canzone, la più prestigiosa delle nostre forme metriche e la più difficile da analizzare dal punto di vista delle implicazioni metrico-sintattiche e argomentative. Infatti, a differenza del sonetto e dell’ottava, la struttura di questo metro è ‘aperta’, nel senso che non presuppone un numero fisso di versi e di soluzioni di rima. Unica regola sostanziale è che, data una combinazione per la prima strofa (stanza), questa combinazione, per posizione dei versi e per schema di rime, deve essere ripetuta in tutte le altre stanze. Ma libero, pur entro misure discrete, è il numero delle stanze, e il numero dei versi di ciascuna. Fin dalle origini della canzone italiana, come abbiamo visto, ha nettamente prevalso uno schema binario costruito sulla divisione tra una prima parte (fronte) e una

74

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

seconda (sirma). A loro volta, fronte e sirma sono suddivisibili rispettiva-

mente in piedi e volte omogenei. Quindi, nella forma della canzone si creano quattro possibili modalità di combinazione, anche se è stata una sola di queste a prevalere storicamente e anche teoricamente già dal De Vulgari Eloquentia dantesco: una fronte divisa e una sirma indivisibile. Negli schemi più classici, 1 piedi della fronte sono di due, tre o quattro versi con le stesse rime anche se non sempre nello stesso ordine, la sirma generalmente maggiore dei due piedi (a esempio 6+8 o 8+10), il legame tra le due parti sancito dalla ripresa nel primo verso della sirma dell’ultima rima della fronte — in Dante, concatenatio pulchra (II XIII 7) — il rapporto tra endecasillabi e settenari correlato alla gravità dell’argomentazione (più sono 1 contenuti drammatici, più sono frequenti gli endecasillabi), sia

in Dante che in Petrarca. In sostanza gli schemi di canzone utilizzati dai due poeti toscani rappresentano il modo più coerente per affrontare la canzone antica, compresi gli schemi irregolari o quelli derivati, come la sestina. Vista la varietà dell’articolazione, l’utilizzo di uno dei vari schemi ha

un’importanza storico-istituzionale notevolissima: lo scheletro puro, al di là del contenuto discorsivo e della sua articolazione. Ma

ciò, lo si è già

osservato, non tocca il nucleo del nostro discorso, che ha come oggetto il ritmo. Malgrado il grandissimo spettro di soluzioni degli schemi di canzone, i rapporti con l’argomentazione, a tutt’oggi poco studiati, sono di straordinario interesse. Dante, come sappiamo, ha dedicato alla storia della canzone romanza gran parte del secondo libro dell’incompiuto De Wulgari Eloquentia, esaltandone proprio l’attitudine a legarsi idealmente ai contenuti più ‘sublimi’ dell’espressione poetica. È per noi fondamentale comprendere il modo in cui questi contenuti si fondono con le strutture e le ripartizioni dello schema metrico eletto, e il peso che queste realizzazioni hanno nella rete dell’intertestualità. Non è possibile in questa sede affrontare un discorso generale, ma solo procedere per alcune rapide esemplificazioni attraverso il Dante ‘petroso’ e Petrarca. Io son venuto al punto della rota che l’orizzonte, quando il sol si corca, ci partorisce il geminato cielo, e la stella d’amor ci sta remota

13. IL RITMO

NELLA

CANZONE

per lo raggio lucente che-lla ’nforca si di traverso che le si fa velo;

e quel pianeto che conforta il gelo si mostra tutto a‘nnoi per lo grand’arco nel qual ciascun d’i sette fa poc’ombra: e però non disgombra un sol penser d’amore, ond’io son carco, la mente mia, ch’è più dura che pietra in tener forte imagine di pietra. Lèvasi della rena d’Etiopia il vento peregrin che l’aere turba, per la spera del sol ch’ora la scalda; e passa ’] mare, onde conduce copia di nebbia tal che, s’altro non la sturba,

questo emisperio chiude e tutto salda; e poi si solve, e cade in bianca falda di fredda neve ed i: noiosa pioggia, onde l’aere s’atrista tutto e piagne: e Amor, che sue ragne ritira al ciel per lo vento che poggia, non m’abandona, sì è bella donna

questa crudel che m’è data per donna.

[...] Versan le vene le fumifere acque per li vapor che la terra ha nel ventre, che d’abisso li tira suso in alto;

onde cammino al bel giorno ci piacque che ora è fatto rivo, e sarà mentre

che durerà del verno il grande assalto; la terra fa un suol che par di smalto, e l’acqua morta si converte in vetro per la freddura che di fuor la serra: e 10 de la mia guerra non son però tornato un passo a dietro, né vo’ tornar, che se ’l martiro è dolce, la morte dee passare ogn’altro dolce.

(Rime 9 (C), 1-26 e $3-65).

75

76

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

Per motivi di spazio ci siamo limitati alla prima, seconda e quinta stanza. Lo schema è classicamente diviso tra una fronte endecasillabica (due

piedì di tre versi ciascuno) e una sirma di sette versi con un settenario in posizione centrale. Ogni stanza si chiude con una rima baciata (combina-

tio) che è sempre per tutta la canzone rima ‘identica’ o ‘“equivoca’. Îl lettore può già capire perché questo schema (fronte bipartita e sirma indivisibile) sia stato quello vincente della canzone italiana: sì avverte infatti un contrappunto tra la fronte più serrata e la sirma più lieve e aperta, più frequentemente sede di settenari. Ci aspettiamo dunque il confine tra le due parti come segnale forte dell’organizzazione discorsiva; e molto spesso è così, ma

non

in questo

caso. Ciononostante, le cinque

stanze

sono costruite in modo visibilmente simmetrico. È marcata la tendenza a costruire blocchi sintattici legati dalla congiunzione e, che ha valore di ponte modulante, ma nello stesso tempo di netta transizione tra le parti, spesso esplicitamente avversativa. Questi blocchi seguono le sfalsature dello schema: 1 piede: «Io son venuto [...] cielo»; 2 piede «e la stella d’amor [...] le sì fa velo»; primi tre versi della sirma (fino al settenario): «e quel pianeto [...] poc’ombra»; ultimi quattro versi (un settenario + 3 endecasillabi); «e però non disgombra [...] imagine di pietra». Un movimento, dunque, a quattro tempi, che sceglie il settenario come

della seconda parte. uguale nella sostanza l’ultimo). Colpisce la colpisce la decisione

discrimen

Le pause sono sintatticamente di valore uguale, e è la durata dei movimenti (leggermente più ampio prodigiosa simmetria nell’organizzazione discorsiva, di costruire un rapporto di continuità sensibilmen-

te ritmato dalle ‘separazioni’ del metro, due immanenti, una tratta da quel

particolare schema. Ma spostiamoci sul piano argomentativo; il tema (inventio) della canzone è costruito su una evidente opposizione: da una parte la natura e il

cosmo descritti nella cupezza invernale, cupezza che serra ogni forma di vita in un microcosmo raggelato, dall’altra il desiderio dell’io, che continua

ad agire

rimosso disciolti, il poeta canzone,

pur

in una

simile

sfavorevole

stagione. L’amore,

(«e tutti gli animali che son gai / da lor / però che ’1 freddo lor spirito amorta», vv. ossessivamente. Proprio su questo contrasto e il punto di transizione tra i due motivi è

altrove

natura, son d’amor 33-$), riempie di sé è costruita tutta la scelto non tra fron-

13. IL RITMO

NELLA

CANZONE

777

te e sirma, ma all’interno della sirma, in coincidenza del quarto blocco sintattico (aperto sì da una congiunzione, ma avversativa). Probabilmente uno dei motivi di questa scelta sta nell’idea di contrapporre due blocchi non omogenei, disponendo il rovesciamento in una espressione più concitata e serrata, pur all’interno di un omogeneo tessuto linguistico di fortissima espressività e sperimentalismo.

Nelle cinque stanze tutto funziona con straordinaria simmetria, blocchi concettuali sbalzati uno sull’altro quasi per far passare anche nella testa dell’ascoltatore più disattento la formidabile antinomia e la lacerazione che procura il movimento ‘non naturale’ dell’amore. Solo 1il congedo esce da questa ossessiva contrapposizione, rivelando ciò che fino ad allora era implicito: «Canzone, or che sarà di me nell’altro / dolce tempo novello, quando piove / in mare e in terra amor da tutti i cieli» (vv. 66-8). Non è possibile commentare a lungo questo testo, si può solo aggiungere quan-

to conti in questa realizzazione ‘estrema’ la nozione della forma ‘canzone’ come identità nella moltiplicazione. Ora una canzone

di Petrarca: Di pensier in pensier, di monte in monte,

anch’essa notissima e, nello schema, molto vicina alla canzone dantesca:

cinque stanze di tredici versi. Leggiamo dalla seconda alla quinta strofa: Per alti monti et per selve aspre trovo qualche riposo: ogni habitato loco è nemico mortal degli occhi miei. A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna, che sovente in gioco gira ’l tormento ch’?’ porto per lei; et a pena vorrei

cangiar questo mio viver dolce amaro, ch’?’ dico: Forse anchor ti serva Amore ad un tempo migliore; forse, a te stesso vile, altrui se’ caro. Et in queèsta trapasso sospirando:

or porrebbe esser vero? or come? or quando?

Ove porge ombra un pino alto od un colle talor m’arresto, et pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. Poi ch’a me torno, trovo il petto molle

78

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

de la pietate, et alor dico: Ahi lasso,

dove se’ giunto, et onde se’ diviso! Ma mentre tener fiso posso al primo pensier la mente vaga, et mirar lei, et obliar me stesso,

sento Amor sì da presso che del suo proprio error l’alma s’appaga: in tante parti et sì bella la veggio che, se l’error durasse, altro non cheggio. I’ l’ò più volte (or chi fia che mi ’l creda) ne l’acqua chiara et sopra l’erba verde veduto viva, et nel tronchon d’un faggio e ’n bianca nube, sì fatta che Leda

avria ben detto che sua figlia perde, come stella che ’l sol copre col raggio; et quanto in più selvaggio loco mi trovo e ’n più deserto lido, tanto più bella il mio pensier l’adombra. Poi quando il vero sgombra quel dolce error, pur lì medesmo assido me freddo, pietra morta in pietra viva, in guisa d’uom che pensi et pianga et scriva. Ove d’altra montagna ombra non tocchi, verso ’] maggiore e ’1 più expedito giogo tirar mi suol un desiderio intenso;

indi i miei danni a misurar con gli occhi comincio (e ’ntanto lagrimando sfogo di dolorosa nebbia il cor condenso) alor ch’?’ miro et penso quanta aria dal bel viso mi diparte, che sempre m’è sì presso et sì lontano. Poscia fra me pian piano: che sai tu, lasso? forse in quella parte or di tua lontananza si sospira; et in questo penser l’alma respira.

(Rvf CXXIX 14-65).

Si veda nell’interpretazione ‘classica’ dello schema la tendenza a un parallelismo per contiguità tra le stanze, e non una spinta alla linearità e alla progressione temporale.

13. IL RITMO

NELLA

CANZONE

79

Tutte e due le canzoni sono ‘tragiche’ per l’ampia parte affidata agli endecasillabi. Anche qui due piedi di tre endecasillabi formano la fronte, così la sirma su sette versi; l’unica sostanziale differenza rispetto a lo son venuto sta nella presenza di un settenario in più nella concatenatio. Parallela alla petrosa è anche la combinatio endecasillabica (il distico baciato finale) e anche la marcata scelta di avviare le stanze con endecasillabi complessi e ritmicamente

rallentati, raccomandata, come

abbiamo

visto, nel

De Vulgari. In tutti e due i testi ci sono forti connessioni foniche in rima tra le stanze, e anche notevolissime riprese ritmico-sintattiche (per esempio, sia in Dante che in Petrarca i settenari sono quasi sempre sede di enjambement). A fronte di questa simmetria sul piano metrico tra i due componimenti, l’organizzazione sintattica in Petrarca è costruita su un modello di variatio. Vediamo rapidamente: nella seconda stanza, conformemente alla divisione metrica

(3+3+$+2)

viene isolata la combinatio,

a differenza di

Dante, all’interno della sirma, con una divisione che risulta però meno equilibrata ($+2 a fronte di 3+4), e così nella terza; nella quarta invece un

unico periodo comprende tutta la fronte, e la sirma è divisa sì in due parti ma con proporzioni differenti da quelle delle precedenti stanze: 6+3 +4; nella quinta viene rotto anche lo stacco tra fronte e sirma: 3+6+4, in par-

te invertendo la suddivisione della quarta strofa. Grande gioco di variazioni dunque, in cui sono pur netti echi e richiami; significativa la tendenza a contrapporre nella stanza movimenti ampi (cinque o sei versi) a movimenti più brevi, anche su due soli versi, ritmo dunque complessivamente differente da quello tendenzialmente ‘“uguale’ dantesco. Ma veniamo all’argomentazione. Anche in Di pensier in pensier esiste un

rapporto tra mondo naturale e io, ma i due attanti non sono contrapposti come in Dante, sono fusi insieme. Il paesaggio è il teatro della contemplazione di sé e dell’amore, un amore in cui, come è stato osservato da Ste-

fano Agosti, citando il Freud di Lutto e malinconia, «l’Oombra del soggetto perduto cade sull’io» (Gli occhi, le chiome, p. 64), e pur nell’incalzare delle continue proiezioni, nessun oggetto riesce a sostituire quello lontano.

Mancando questa forte contrapposizione, il ritmo della canzone mette in luce degli strappi sul piano del senso che potremmo definire pas-

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IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

saggi tra due stati d’animo: uno euforico e uno disforico. Passaggi che hanno peraltro come sfondo l’assoluta instabilità delle sensazioni che troviamo già esposta nella prima stanza: «et come Amor l’envita, / or ride, or piange, or teme, or s’assecura» (vv. 7-8), un elemento ben noto della

poetica petrarchesca. Tuttavia, nel prosieguo delle stanze, l’«intermittenza del cuore» si sviluppa secondo fasi differenziate, sempre sul filo della divisione metricosintattica. Nella terza strofa, il virare da una tonalità luttuosa a una di speranza avviene tra fronte e sirma: «Poi ch’a me torno, trovo il petto molle / de la pietate, et alor dico: Ahi lasso, / dove se’ giunto, et onde se’ divi-

so! / Ma mentre tener fiso / posso al primo pensier [...] / sento Amor sì da presso / che del suo proprio error l’alma s’appaga» (vv. 30-7); nella quarta il passaggio, stavolta da modo maggiore a minore, avviene a metà della sirma, in coincidenza dell’ultimo movimento sintattico: «Poi quando il vero sgombra / quel dolce error» (vv. 49-$0); nella quinta, infine, le

modulazioni sono due, sempre in coincidenza delle divisioni sintattiche. Non commentiamo ulteriormente, nemmeno questa volta, il testo, ma non deve sfuggire come l’oscillazione dello stato d’animo petrarchesco trovi profonda consonanza nella struttura e nel ritmo della canzone; è la ragione per cui l’analisi e il confronto di simili realizzazioni, soffio discorsivo che percorre le partizioni metriche, risulta un fervido terreno di studio, tanto in sé che in una prospettiva storico-istituzionale.

La struttura della canzone in Petrarca, con questa tendenza alla variazione e oscillazione nella ripresa di temi che, una volta esposti, non la lasciano fino alla fine, e con questa instabilità sul piano della sintassi, da cui nascono rapporti sempre nuovi — mutevole esercizio di accordo con le articolazioni immanenti, quasi correlato oggettivo —, sembra far prevalere nella nostra percezione la sensazione di una diversa durata delle stanze, proprio al contrario di Dante che sull’isomorfismo costruisce la potenza verticale della sua rappresentazione. Sembra, insomma, nella canzone petrarchesca di sentire aleggiare l’aria della canzone libera leopardiana, come rispondenza della forma all’emozione soggettiva. Rimaniamo ancora per un po’, prima di concludere, nell’ambito della canzone. La prospettiva metrica, a partire da uno studio fondamentale di

13. IL RITMO

NELLA

CANZONE

81

Dionisotti, è servita a tratteggiare le linee del petrarchismo, i modi dell’imitazione di Petrarca. Noi sappiamo ad esempio, per quanto riguarda la canzone, come nel petrarchismo più ortodosso Sannazaro sia stato un imitatore

fedelissimo,

mentre

Bembo

abbia

alluso

alle varie

canzoni

petrarchesche piuttosto che riprenderle nella loro integralità. Ma questo sul piano dello schema, e dunque del metro. Ben poco conosciamo del rapporto tra lo sviluppo, anche sintattico, del tema e la struttura della forma. In qual dutra alpe, in qual solingo e strano di Sannazaro riprende perfettamente lo schema di Di pensier in pensier. Leggiamo la terza, quarta e quinta stanza:

Vivo fui 10, mentre tener la vela

fermo potei de la mia ricca nave, e venian l’aure a’ miei desir seconde. Poi che importuna nube il sol mi cela, sento fortuna ognor farsi più grave, se ben mi accorgo al mormorar de l’onde; né già più mi risponde Portuno o Galatea, che fur più volte al mio bel navigar felici scorte. Or ripregando morte vo, che le voci mie pietos’ascolte;

c’a bada star non dee nel mondo cieco chi la grazia del ciel non ha più seco. Vita, che, di tormenti e d’error piena,

sei pur di pianto e di sospir albergo; vita, che mai non riposasti un’ora,

quando mi lascerai, falsa sirena? Maligna Circe, per cui volto e tergo portai cangiati sempre e porto ancora,

quando sarò mai fòra di tuoi sttetti legami, o forte maga? quando ricovrarò l’antica forma? ché già non metto un’orma che bisulca non sia, ferina e vaga, poscia che dietro a te perdei la luce che data mi era qui per segno e duce.

82

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

Oh chi fia mai che di quest’empia guerra pace m’apporte? oh perc’al mondo io nacqui, se veder non devea del mio mal fine? se luttar con un’idra che mi atterra? con un Anteo, sotto il qual vinto giacqui,

con mille ispide fiere peregrine, tra boschi folti e spine, come irata Giunon seppe guidarme? Ma tu che pòi, Signor, movi al mio scampo, che con disnore in campo non pèra, anzi al bisogno stringa l’arme; c’a generoso spirto o viver bene o morir altamente si convene.

(Sonetti e canzoni, LXXXIII 27-65).

Si nota facilmente come il movimento sintattico, pur caratterizzato da una certa fissità, preveda una suddivisione per blocchi di volta in volta variati tra stanza e stanza. La terza strofa ha uno schema

quadripartito:

3+3+3+4, confermando, come le prime due (che non abbiamo citato) la

divisione tra fronte e sirma che passa tra sesto e settimo verso; ma nelle due ultime, esattamente come nel modello petrarchesco, il fraseggio salta questa divaricazione (rispettivamente 4+4+5$ e 3+5$+s) accogliendo dun-

que la tendenza petrarchesca ad una continua oscillazione delle ripartizioni interne e anche la strategia di partire da una suddivisione canonica, con ‘taglio’ tra fronte e sirma, poi progressivamente trasgredita, come per effetto irresistibile della progressione argomentativa. Ma in Sannazaro, proprio sul piano dell’inventio, a differenza delle due canzoni considerate in precedenza, il tema non è bipartito: non c’è opposizione tra due linee, non c’è contrasto. Così l’oscillazione delle sottounità strofiche non riflette l’oscillazione di stati d’animo. L’imitazione, apparentemente perfetta, non coglie dunque appieno 1il legame profondo, necessario (come necessario e opposto era quello dantesco) tra forma dell’espressione e forma del contenuto. Ben più complesso, ma anche attraente, forse, appare allora il problema dell’imitazione se l’analisi abbraccia l’intero dispiegarsi del discorso poetico e non solo l’astratto schema del metro. Questa

tendenza

alla modulazione,

che è una caratteristica costante

petrarchesca, la ritroviamo anche nella sestina, cioè nel tipo di canzone più vincolato dalla forma immanente alla struttura. Prendiamo, come

13. IL RITMO

NELLA

CANZONE

83

ultimo esempio, L’aere gravato, et l’importuna nebbia, una delle sestine più antiche del Canzoniere, molto vicina tematicamente alle canzoni appena analizzate, per il rapporto tra amore e natura: L’aere gravato, et l’importuna nebbia compressa intorno da rabbiosi vènti tosto conven che si converta in pioggia; et già son quasi di cristallo i fiumi, e ’n vece de l’erbetta per le valli , . C non se ved’altro che pruine et ghiaccio. Et io nel cor via più freddo che ghiaccio Ò di gravi pensier’ tal una nebbia, qual si leva talor di queste valli, serrate incontra agli amorosi vènti et circundate di stagnanti fiumi, quando cade dal ciel più lenta pioggia. In picciol tempo passa ogni gran pioggia,

e ’] caldo fa sparir le nevi e ’1 ghiaccio, di che vanno superbi in vista 1 fiumi; né mai nascose il ciel sì folta nebbia che sopragiunta dal furor d’i vènti non fugisse dai poggi et da le valli. Ma, lasso, a me non val fiorir de valli,

anzi piango al sereno et a la pioggia et a’ gelati et a’ soavi vènti: ch’allor fia un dì madonna senza ’1 ghiaccio dentro, et di for senza l’usata nebbia,

ch’?’ vedrò secco il mare, e’ laghi, e 1 fiumi.

Mentre ch’al mar descenderanno i fiumi et le fiere ameranno ombrose valli,

fia dinanzi a’ begli occhi quella nebbia che fa nascer d’i miei continua pioggia, et nel bel petto l’indurato ghiaccio che tra del mio sì dolorosi vènti. \

(Rvf LXVI 1-30).

La nostra analisi si sofferma sulle prime cinque strofe. Sì osservi il grado fortissimo di ricorrenza che è tipico di questa forma metrica, il carat-

84

IL RITMO

DELLE

FORME

METRICHE

tere ossessivo (la retrogradatio cruciata) tende a trattenere il tema da un’i-

stanza progressiva. Tuttavia, nella realizzazione petrarchesca, dunque quasì combattendo 1 vincoli della forma immanente, si avverte la ricerca di

una continua modulazione e di uno sviluppo. Due sono i motivi (sostanzialmente gli stessi, all’avvio, di Io son venuto): quello del paesaggio naturale, invernale e oppressivo all’inizio, ma poi raddolcito dal variare delle stagioni, e quello dell’amore di Francesco che rimane invece sempre segnato da una profonda negatività. Notiamo così come in tutta la prima metà della sestina la rappresentazione del paesaggio sia dominante, solo nei primi due versi della seconda strofa fa la sua comparsa l’immagine dell’io: «Et io nel cor via più freddo che ghiaccio / ò di gravi pensier’ tal una nebbia, / qual si leva talor di queste valli, / serrate incontra agli amorosi

vènti»

(vv. 7-10),

che

viene

subito,

senza

transizioni

sintattiche,

‘coperta’ dal primo tema a cui è profondamente accomunata. È solo con la quarta strofa, nel momento in cui lo sviluppo di A, ciclo della natura, è portato verso una tonalità più luminosa (l’avvento della primavera), che B diviene dominante: «Ma lasso, a me non val fiorir de valli» (v. 19). Ma,

proprio grazie alla ricorrenza delle parole-rima — costituite tutte da elementi concreti del paesaggio — il secondo motivo, pur dissonante, è intessuto dalle stesse linee melodiche che appartenevano ad A. La metaforizzazione degli elementi naturali nella quinta stanza è il segno sorprendente di questa trasformazione. Questa particolare realizzazione ci fa riflettere, dunque, sul modo

in cui la forma-sestina, tendenzialmente concepita

per quadri riecheggianti, venga attraversata da un movimento tematico profondamente asimmetrico e oscillante, che trova proprio nel ‘continuo’ costrittivo la possibilità, servendoci di una metafora musicale, di rovesciare la tonalità mantenendo

lo stesso materiale melodico.

BIBLIOGRAFIA

La bibliografia attorno alle questioni del metro e del ritmo è immensa. Ricordo qui, e non certo in modo esaustivo, gli studi e le opere direttamente utilizzate in queste pagine. Aldo Menichetti, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova,

Antenore, 1993 (part. il cap. $, Il ritmo. Gli accenti, pp. 360-446). Lo studio di

Émile Benveniste è pubblicato con titolo La nozione di ritmo nella sua espres-

sione linguistica in Problemi di linguistica generale [1 (1966) e 11 (1974)], trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1990, pp. 390-9. Molto interessante, anche in prospettiva teorica, il libro di Henri Meschonnic, Critique du rythme: Anthropologie historique du langage, Lagrasse, Verdier, 1982. Naturalmente, sono fondamentali le osservazioni dei formalisti russi, raccolte in italiano in parte in I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico [1965], a cura di Tzvetan Todorov, prefazione di Roman Jakobson, Torino, Finaudi, 1968 (soprattutto, per il rit-

mo: Osip Brik, Ritmo e sintassi [1927], pp. 151-85). Per Jakobson, un’ottima sintesi nei saggi raccolti in Autoritratto di un linguista. Retrospettive, introduzione e cura di Luciana Stegagno Picchio, Bologna, Il Mulino, 1987.Tra gli stu-

di italiani, con particolare attinenza ai problemi qui trattati: Gian Luigi Beccaria, L’autonomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Torino, Einaudi, 1975. Naturalmente sono tradotte le principali opere di poetica antica e medievale, tra quelle esplicitamente citate nelle nostre osservazioni: di Aristotele, la Poetica (a cura di Diego Lanza, Milano, Rizzoli, 1987), e la Retorica (introduzione di Franco Montanari, testo critico, traduzione e note a cura di Marco

Dorati,

Milano, Mondadori, 1996), di Cicerone il De Oratore (con un saggio introduttivo di Emanuele Narducci, Milano, Rizzoli, 1994), il De Musica di Agostino (a cura di Giovanni Marzi, Firenze, Sansoni, 1969). Il testo del De metrica arte di Beda si può ora consultare in rete nel Patrologia Latina Database (PLD).

86

METRO

E RITMO

DELLA

POESIA

ITALIANA

Tra gli studi, cfr. almeno Mario Pazzaglia, Il verso e l’arte della canzone nel «De vulgari eloquentia», Firenze, La Nuova Italia, 1967 e Roger Dragonetti, La musique et le lettres. Études de littérature médiévale, Genève, Droz, 1986.

Per una sintesi comparatistica dei sistemi metrici europei, oltre al già citato Jakobson, cfr. Mikhail Leonovich Gasparov, Storia del verso europeo [1989], Bologna, Il Mulino, 1993. Ci sono preziose osservazioni sulla costruzione del verso russo nel romanzo di Vladimir Nabokov, Il dono [1937], a cura di Serena Vitale, Milano, Adelphi, 1991.

Sulla prosodia dell’italiano si veda da ultimo l’importante volume di Marina Nespor (a cui si rinvia anche per la ricca bibliografia), Le strutture del linguaggio. Fonologia, Bologna, Il Mulino, 1994° e Pier Marco Bertinetto - Emanuela Magno Caldognetto, Ritmo e intonazione, in Introduzione all’italiano contemporaneo.

Le strutture, a cura

1993, pp. 141-92.

di Alberto

A. Sobrero,

Roma-Bari,

Laterza

Per i teorici cinquecenteschi citati: Pietro Bembo, Prose della volgar lingua,

in Prose e rime, a cura di Carlo Dionisotti, Torino, Utet, 19662?; Giovan

Gior-

gio Trissino, La poetica, in Tiattati di retorica e poetica del Cinquecento, a cura di Bernard Weinberg, Bari, Laterza, 1970, vol. I, pp. 21-158

Il pp. S-90

(divisioni V-VI), e Antonio

Sebastiano

(divisioni 1-IV) e vol.

Minturno,

L’arte poetica

(1564), Munchen, Fink, 1971.

La bibliografia sull’endencasillabo italiano è ricchissima. Fondamentali gli studi di d’Arco Silvio Avalle, a partire da Preistoria dell’endecasillabo, MilanoNapoli, Ricciardi, 1963, fino a Dalla metrica alla ritmica, in Lo spazio letterario

del Medioevo. Il Medioevo Latino. 1: La produzione del testo, diretto da Guglielmo Cavallo - Claudio Leonardi - Enrico Menestò, Roma, Salerno, 1992, pp.

391-476. Di assoluto rilievo anche il già citato manuale (in realtà uno studio estremamente articolato, sulla prosodia e sul ritmo del verso italiano) di Menichetti, Metrica italiana (a cui si rinvia anche per un’esaustiva bibilografia). Sulla teoria della scansione del verso cfr. Pier Marco Bertinetto, Strutture soprasegmentali e sistema metrico. Ipotesi, verifiche, risposte, «Metrica», 1 (1978), pp- 1-54; il principio Malagoli-Camilli è stato formulato da Giuseppe Mala-

goli in Teoria e pratica dell’accento tonico nelle parole italiane, con accenni sulla pro-

nunzia dei nomi geografici e storici, antichi e moderni, dei cognomi e dei vocaboli scientifici e tecnici, Firenze, Barbera,

1899

e ripreso

da Amerindo

Camilli

in Pro-

nuncia e grafia dell’italiano, terza edizione riveduta a cura di Piero Fiorelli, Firenze, Sansoni,

1965. Sul concetto

di cesura, oltre a Bertinetto, Pietro G.

Beltrami, Cesura epica, lirica, italiana: triflessioni sull’endecasillabo di Dante, «Metrica», IV (1986), pp. 67-107. Su dialefe e sinalefe, cfr. (oltre alla già citata

BIBLIOGRAFIA

87

Metrica italiana) Aldo Menichetti, Sulla figura di sinalefe /dialefe nel «Canzoniere» di Petrarca: l’incontro fra nessi bivocalici finali e vocale iniziale della parola seguente, «Studi Petrarcheschi», 1 (1984), pp. 39-50; Dante Isella, L’officina della «Notte» e altri studi pariniani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968, p. S1.

Per quanto riguarda i singoli autori, sono curiosamente molto più numerosi gli studi su Dante che su Petrarca. Su Dante, cfr. Ignazio Baldelli, Endecasillabo, in Enciclopedia

Dantesca, Roma,

Istituto

dell’Enciclopedia

Italiana,

vol. II, 1970, pp. 672-6; Pier Marco Bertinetto, Ritmo e modelli ritmici. Analisi computazionale delle funzioni periodiche nella versificazione dantesca, Torino, Rosemberg

& Sellier, 1973; Patrick Boyde, Retorica e stile nella lirica di Dante,

Napoli, Liguori, 1979; Pietro G. Beltrami, Metrica, poetica, metrica dantesca, Pisa, Pacini, 1981. Su Petrarca, cfr. Dante Bianchi, Di alcuni caratteri della verseggiatura petrarchesca, «Studi

Petrarcheschi», VI (1956), pp. 81-121, ma

soprattutto

(naturalmente, non solo su Petrarca) Mario Fubini, Metrica e poesia. Lezioni sulle forme metriche italiane, Milano, Feltrinelli, 1970?. Ci siamo rifatti particolarmente

al volume

La

metrica

dei «Fragmenta»,

a cura

di Marco

Praloran,

Padova, Antenore, 2003, con gli studi di Andrea Afribo, Sergio Bozzola, Stefano Dal Bianco, Andrea Pelosi, Marco Praloran, Arnaldo

Soldani.

'

Per il rapporto tra musica e poesia, si veda ora il volume di Luca Zuliani, Poesia e versi per musica. L’evoluzione dei metri italiani, Bologna, Il Mulino, 2000.

Per l’analisi dei madrigali di Monteverdiìi, ci siamo serviti, rispettivamente, per il Sesto Libro dell’interpretazione del ‘“Concerto Italiano’, diretto da Rinaldo

Alessandrini, Arcana, 1992; per i Madrigali Guerrieri et Amorosi dell’interpretazione della ‘Capella Reial de Catalunya’, diretta da Jordi Savall, Astrée, 1995; per il Quarto Libro, ancora dell’interpretazione del ‘Concerto Italiano’, Opus III, 1993. La bibliografia sul madrigale rinascimentale è ricchissima. Ci limitiamo a ricordare il classico studio di Alfred Einstein, The Italian Madrigal, trad. ingl., Princeton, Princeton University Press, 1949. Per Monteverdi, almeno le fondamentali osservazioni di Nino

Pirrotta, Scelte poetiche di Monteverdi, in Scelte

poetiche di musicisti. Teatro, poesia e musica da Willaert a Malipiero, Venezia, Marsilio, 1987, pp. 81-146. Per i secoli successivi e in particolare sul genere lirico, come si è già osservato, mancano

studi complessivi. Per il Quattro

lirico e epico, Pier Vincenzo Olschki, l’«Orlando

1963

e Marco

Innamorato»,

e Cinquecento, sul Boiardo

Mengaldo, La lingua del Boiardo lirico, Firenze,

Praloran, in Marco

Forme Praloran

dell’endecasillabo - Marco

e dell’ottava

Tizi, Narrare

nel-

in ottave.

Metrica e stile dell’«Innamorato», con una premessa di Pier Vincenzo Mengal_

88

METRO

E RITMO

DELLA

POESIA

ITALIANA

do, Pisa, Nistri-Lischi, 1988, pp. 17-211. Su Ariosto, Emilio Bigi, Petrarchismo

ariostesco, in Dal Petrarca al Leopardi. Studi di stilistica storica, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954, pp. 47-76; Pier Marco Bertinetto, Il ritmo della prosa e del verso nelle commedie dell’Ariosto, in Ludovico Ariosto. Lingua, stile, tradizione. Atti del congresso organizzato dai comuni di Reggio Emilia e Ferrara (12-16 ottobre 1974), a cura di Cesare Segre, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 347-77; sull’impiego dell’endecasillabo sciolto nel Cinquecento, cfr. Arnaldo Soldani, Verso un classicismo “moderno”: metrica e sintassi negli sciolti didascalici del Cinquecento, «La parola del testo», II1/2 (1999), pp. 279-344. Per il Novecento fondamentale la sintesi di Pier Vincenzo Mengaldo, Questioni metriche novecentesche, in La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Finaudi, 1991, pp. 27-70, a cui rinvio anche per l’accurata bibliografia. Sull’endecasillabo e il novenario, e gli autori da noi brevemente citati, sono indispensabili, sempre di Mengaldo, 1 quattro volumi della Tiadizione del Novecento: Prima serie, Torino, Bollati-Boringhieri, 1996; Seconda serie, Torino,

Finaudi, 2003; Terza serie, Torino, Einaudi, 1991; Quarta serie, Torino, BollatiBoringhieri, 2000. Cfr., inoltre, Gian Luigi Beccaria, Ricerche sulla lingua poetica del primo Novecento: corso di storia della lingua italiana, Torino, Giappichelli, 1971, oltre al già citato L’autonomia del significante; Franco Fortini, Verso libero e metrica nuova [1958], in Saggi italiani, Milano, Garzanti, 1987, pp. 340-9; Gianfranco Contini, Innovazioni metriche tra Otto e Novecento, in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, 1970, pp. 587-99; Mario Pazzaglia, Figure metriche pascoliane: i novenari di Castelvecchio, in Teoria e analisi metrica, Bologna, Patron, 1974, pp. 77-127; Francesco Stella, Metri regolari in Ungaretti, «Autografo», IV/10 (1987), pp. 41-68; Guido Capovilla, Appunti sul novenatio, in Tradizione traduzione società. Saggi per Franco Fortini, Roma, Editori Riuniti, 1989, pp. 75-88; Quaderno Montaliano, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Padova, Liviana, 1989; Pietro Spezzani, Per una storia del

linguaggio di Ungaretti fino al «Sentimento del tempo», in Ricerche sulla lingua poetica contemporanea. Rebora, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese. Saggi di Fernando

Bandini, Lorenzo Polato, Pietro Spezzani, Pier Vincenzo Mengaldo, Anco Marzio Mutterle, presentazione di Gianfranco Folena, Padova, Liviana, 1972, pp. v1-160; Andrea Pelosi, La metrica scalare del primo Sereni, «Studi Novecenteschi», XV/35 (1988), pp. 143-$3; Stefano Dal Bianco, Tiadire per amore. La metrica del primo Zanzotto, 1938-1957, Lucca, Pacini Fazzi, 1997. Sull’enjambement, come rapporto tra norma e deviazione (cfr. ancora i citati studi dei formalisti russi), si veda almeno Viktor Maksimovich Zhirmunskij, Introduction to Metrics: The Theory of Verse, The Hague, Mouton, 1966 (trad.

BIBLIOGRAFIA

80

it. parziale: L’enjambement, in La metrica, a cura di Renzo

Cremante

- Mario

Pazzaglia, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 187-92, antologia ricca e ancora utilissima). Sull’inarcatura nel verso italiano, per la Commedia, anche in una prospettiva teorica, il sopra citato libro di Beltrami su Dante. Importanti anche gli studi sull’impiego di questa figura nella Gerusalemme Liberata: sì veda, anche per i rilievi teorici e la bibliografia, Arnaldo Soldani, Attraverso l’ottava. Sintassi e retorica nella «Gerusalemme Liberata», Lucca, Pacini-Fazzi, 1990. Le considerazioni di Theodor W. Adorno sul nuovo orizzonte d’attesa della musica moderna sono in Norme per l’ascolto della musica nuova [1963], in Il fido

maestro

sostituto. Studi

sulla

comunicazione

Finaudi, 1969, pp. 39-105. Per la ‘canzonetta’ settecentesca Rodolfo

Zucco,

Istituti metrici

Name, 20017; su Saba: Antonio

della

musica, trad. it., Torino,

(e precedentemente

per il settenario):

del Settecento: l’ode e la canzonetta,

Genova,

Girardi, Metrica e stile del primo Saba [1984], in

Cinque storie stilistiche. Saba, Penna, Bertolucci, Caproni, Sereni, Genova, Marietti, 1987, pp. 1-48. La metrica di Giotti non è stata ancora studiata in modo persuasivo, si veda comunque Anna Modena, Sulla metrica delle poesie in dialetto di Virgilio Giotti, «Autografo», 11/6 (1985), pp. 34-46; assai suggestive le considerazioni di Mengaldo nell’antologia Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, pp. 295-8. Per quanto riguarda le importanti sono gli studi Novecento, in particolare: XIII e XIV [1888], Firenze,

forme metriche italiane, numerosissimi della scuola storica tra fine Ottocento Leandro Biadene, Morfologia del sonetto Le Lettere, 1977; Giuseppe Lisio, Studio

e ancora e inizio nei secoli sulla for-

ma metrica della canzone italiana nel secolo XIII, Imola, Galeati, 1895$.Tra i con-

tributi fondamentali: Thérèse Labande-Jeanroy, La technique de la chanson dans Pétrarque, in Pétrarque. Mélanges de littérature et d’histoire, publiés par l’Union intellectuelle franco-italienne, Paris, Leroux,

1928, pp. 143-214; Leo

Spitzer,

Una questione di punteggiatura in un sonetto di Giacomo Lentino (e un piccolo contributo alla storia del sonetto), «Cultura Neolatina», XVIII (1958), pp. 61-70; Ernest H. Wilkins, The Invention of the Sonnet, and Other Studies in Italian Literature, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1959; più recentemente, Cristina Montagnani, Appunti sull’origine del sonetto, «Rivista di letteratura italiana», IV/I (1986), pp. 9-64; Roberto Antonelli, L’«invenzione» del sonetto, in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia, Modena, Mucchi 1987, pp. 35-75; Wilhelm Pòètters, Nascita del sonetto. Metrica e matematica al tempo di Federico II, Ravenna, Longo, 1999 e Furio Brugnolo, Ancora sulla genesi del sonetto, in Dai

9O0

METRO

E RITMO

DELLA

POESIA

ITALIANA

siciliani ai siculo-toscani. Lingua, metro e stile per la definizione del canone (Atti del Convegno di Lecce, 21-23 aprile 1998), a cura di Rosario Coluccia - Riccardo Gualdo, Galatina, Congedo, 1999, pp- 93-106. In una prospettiva storico-istituzionale sono molto importanti: Carlo Dionisotti, Fortuna del Petrarca nel

Quattrocento,

Guglielmo

«Italia

medioevale

e umanistica»,

XVII

(1974), pp. 61-113;

Gorni, Metrica e analisi letteraria, Bologna, Il Mulino,

1993; Marco

Santagata - Stefano Carrai, La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento, Milano,

Angeli, 1993; Armando Balduino, Appunti sul petrarchismo metrico nella lirica del Quattrocento e primo Cinquecento, «Musica e storia», III (1995), pp. 227-78. Cfr.,

inoltre, i repertori di Adriana Solimena, Repertorio metrico dello Stil novo, Roma, Società filologica romana, 1980; Roberto Antonelli, Repertorio metrico della scuola poetica siciliana, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1984; Andrea Pelosi, La canzone italiana del ‘Trecento, «Metrica», V (1990), pp. 3-162; Massimo Zenari, Repertorio metrico dei «Rerum vulgarium fragmenta» di Francesco Petrarca, Padova, Antenore, 1999. Sulla sestina LXVI di Petrarca, cfr. Luigi Blasucci, La sestina LXVI, in Lectura Petrarce 1982, Padova, Società Coo-

perativa Tipografica, pp. 41-60. Sul sonetto nella poesia novecentesca, oltre alle Questioni metriche novecentesche di Mengaldo, si veda Claudio

Marazzini, Revisione ed eversione mettrica.

Appunti sul sonetto nel Novecento, «Metrica», Il (1981), pp. 189-205. Per i sonetti noventiani, Marco

Praloran, Il «cantar» allusivo. Metrica e stile in Noventa,

«Rivista di letteratura italiana», IX/3 (1991), pp. $21-64. Sull’organizzazione retorica, Aldo Menichetti, Implicazioni retoriche del sonetto, «Strumenti critici», IX/1 (1975), pp. 1-30 e Marco Santagata, Dal sonetto al canzoniere. Ricerche sulla preistoria e la costituzione di un genere, Padova, Liviana 1970.

Un recente volume dedicato al fondamentale rapporto tra sintassi e metro nel sonetto petrarchesco è Natascia Tonelli, Varietà sintattica e costanti retoriche nei sonetti dei «Rerum Vulgarium Fragmenta», Firenze, Olschki, 1999. Per i rapporti con l’argomentazione e la sintassi, esemplari gli studi, poco noti in Italia, di Antonio Garcia Berrio sul sonetto spagnolo, per esempio Construcciòn textual en los sonetos de Lope de Vega: tipologia del macrocomponente sintactico, in «Revista de filologia espanola», LX/1-4 (1978-80), pp. 23-157. Alcune interessanti osservazioni in Hugo Friedrich, Epoche della lirica italiana [1964], trad. it., vol. 1, Dalle origini al Quattrocento, Milano, Mursia, 1974. Per il madrigale antico, l’ormai classico studio di Guido

Capovilla, Mate-

riali per la morfologia e storia del madrigale ‘antico’, dal ms. Vaticano Rossi 215 al Novecento, «Metrica», III (1982), pp. 159-252; per il madrigale rinascimentale,

BIBLIOGRAFIA

OI

è ancora inedito il repertorio di Mariano Damian, Motrfologia e storia del madtrigale cinquecentesco, Tesi di Dottorato, Università di Padova, 1991, ma cfr. dello

stesso Sul madrigale con schema ABC ABC DD, in Stilistica, metrica e storia della lingua. Studi offerti dagli allievi a Pier Vincenzo Mengaldo, a cura di Tina Matarrese - Marco Praloran - Paolo Trovato, Padova, Antenore, 1997, pp. 135-5SI. Fondamentale

la riflessione teorica di Gioseffo Zarlino, Le istitutioni harmo-

niche: Venezia, 1561, saggi introduttivi di Ilain Fenlon e Paolo Da Col, varianti dell’edizione del 1589 e indice a cura di Paolo Da Col, Sala Bolognese, A. Forni, 1999 e di Torquato Tasso, La Cavaletta overo de la poesia toscana, in Dialoghi, a cura di Giovanni

Baffetti, introduzione

di Ezio Raimondi,

Milano,

Rizzoli, 1998, pp. 665-728. Per l’ottava, sull’ancora aperto problema delle origini, si vedano almeno Carlo

Dionisotti, Appunti su antichi testi, «Italia medievale

e umanistica», VII

(1964), pp. 77-131; Aurelio Roncaglia, Per la storia dell’ottava rima, «Cultura Neolatina», XxV _ (1965), pp- 5-14; Michelangelo Picone, Boccaccio e la codificazione dell’ottava, in Boccaccio: secoli di vita. Atti del Convegno Internazionale (Los Angeles, 17-19 ottobre 1975), a cura di Marga Cottino-Jones e Edward E Tuttle, Ravenna, Longo, 1977, pp. 53-65; Guglielmo Gorni, Un’ipotesi sull’origine dell’ottava rima, «Metrica», 1 (1978), pp- 79-84; Domenico

De Robertis, Nascita,.

tradizione e venture del cantare in ottava rima, in I cantari. Struttura e tradizione. Atti del convegno internazionale (Montréal, 19-20 marzo 1981), a cura di Michelangelo Picone - Maria Bendinelli Predelli, Firenze, Olschki, 1984, pp. 9-24; Armando Balduino, «Pater semper incertus». Ancora sulle origini dell’ottava rima, in Boccaccio, Petrarca e altri poeti del Trecento, Firenze, Olschki, 1984, pp. 93-140. In una prospettiva diacronica si rinvia ad Alberto Limentani, Struttura e storia dell’ottava rima, «Lettere Italiane», XIII/1 (1961), pp. 20-77. Per l’ottava del Poliziano: Ghino Ghinassi, Il volgare letterario nel Quattrocento e le «Stanze» del Poliziano, Firenze, Le Monnier, 1957; per l’Innamorato, cfr. il già citato Praloran-Tizi, Narrare in ottave, e, anche sull’ottava ariostesca, Marco

Praloran, Le

lingue del racconto. Studi su Boiardo e Ariosto, Roma, Bulzoni, 2000, oltre al clas-

sico studio di Luigi Blasucci, Osservazioni sulla struttura metrica del Furioso [1962] e Nota sull’enumerazione nel «Furioso», in Studi su Dante e Ariosto, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969, pp. 73-112 e 113-20, e a Cristina Cabani, Costanti ariostesche. Tecniche di ripresa e memoria

interna nell’«Otrlando

Furioso», Pisa,

Scuola Normale Superiore, 1990. Alcune considerazioni sul ruolo dell’ottava nelle strategie narrative si trovano in Marco Praloran, Tempo e azione nell’«Orlando Furioso», Firenze, Olschki, 1990.

2

METRO

E RITMO

DELLA

POESIA

ITALIANA

Per le considerazioni tipologiche, Giovanni Pozzi, La rosa in mano al pro-

fessore, Friburgo, Edizioni Universitarie, 1974 e Alberto Mario Cirese, Gli strambotti dalle origini romanze alla tradizione orale moderna, in Ragioni metriche. Versificazione e tradizioni orali, Palermo, Sellerio, 1988, pp. 35-173. Per la nozione di ‘intonazione convenzionale’, Jurij M. Lotman, Il problema

dell’intonazione.

«Il romanzo

richiede la chiacchiera», in Il testo e la stotria.

L’«Evgenij Onegin» di Puskin [1975], trad. it., introduzione di Vittorio Strada, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 111-21 ma anche i già citati lavori di Jakobson e Beccaria. Per un’ipotesi sulle dinamiche ‘profonde’ dei Fragmenta, cfr. Stefano Agosti, Gli occhi, le chiome. Per una lettura psicoanalitica del Canzoniere

Milano, Feltrinelli, 1993.

di Petrarca,

INDICI

INDICE

DELLE

COSE

NOTEVOLI

Sono esclusi dall’indice concetti generali come metrica, metro, ritmo, forma, strofa, verso,

che nel testo ricorrono ad apertura di pagina, tranne in alcune accezioni più specifiche (es. forma aperta/chiusa). Sono inclusi altri concetti meno canonici, che ricorrono esplicitamente magari solo una volta, ma la cui presenza si ritroverà sotto traccia lungo tutto il libro (es. discorsività, variatio).

accentazione: $, 7-8,23,37.

calligramma: 30.

accento — contiguo (ribattutto): 9, 11-$, 17,

cantare: 66, 91. 84.

(ictus): 7-

I18, 20-36, 8$-6.

canzone di gesta: 66. canzonetta: 43, 89.

— intensivo: 4.

cesura: 7, 9, II, 13, 15-22, 86.

canonico

(dell’endecasilla-

bo): 10, 23-4. — metrico: 10. agudeza: $4-5. alessandrino: 7. anafora: 48, 67.

chiave, vedi concatenatio. clausola: 16, $0, 66-7. climax: 68.

coblas capfinidas (lascia e prendi): 68.

apocope (parola apocopata): 13-5. argomentazione:

17, 46, 80.

canzone: 23, 26-9, 40, 4$5-6, $1, 60, 72-

22, 28,30.

— di parola: 7, 18, 32. — di sintagma intonativo

— non

canone:

46, 49-$8,

62, 64-5$,

74, 76-77, 79-80, 82-3, 90.

aria: 20, 31-3.

attesa: 41-3, 48, $2, $7, 71.

— battuta d’a.: 19, 60. — orizzonte d’a.: 41, 68, 80.

bisillabo (elemento bisillabico): 13-4.

combinatio: 76, 79. concatenatio (chiave): 46, 74, 79 concertato: 32. concettismo: $7. connotazione: 24-$, $1-2, $9, 64, 68 (connotante), 72 (connotato). correctio: 22. decasillabo: 33. décasyllabe: 7, 18, 23, 66. dialefe: 16, 86-7.

96

METRO

E RITMO

discorsività: 46, 65. dispositio: $8, 60, 62. dissonanza: 41-2, $2-4. distico: 63, 66, 78-9.

DELLA

POESIA

ITALIANA

durata: 3, 22, 37, 61-2, 6$, 76, 80.

madrigale (metro): 23, $9-65$, 87, VO. madrigale (musicale): $3, 59-63, 87, 90. melodramma: 20, 33-$. metabolé, vedi rovesciamento. mimesis: 11. modello sillabico-tonico, vedi sistema

emissione: 22, 67.

modulazione: 12, 21, 80, 82, 84.

dittologia: 11-2, 14.

enclitico (elemento enclitico): 190. endecasillabo:

7-32, 36-7, 40, 4$, $7,

$9, 74, 76-7, 86-8.

— a maiori: 12-4, 27. — a minori: 14. — falso endecasillabo: 24. — isoaccentuativo: 26. — non canonico: IO0, 23-4. enjambement (inarcatura): 35, 40-$, 70, 88.

enumerazione: I$, I8, 20, $7, 91. enunciato: 7-9, 13, 22, 46, 61-2, 66. enunciazione: $, 7, 62, 67. epifonema: 47-8. esecuzione: 7-8, 30, 60, 62, 66. focalizzazione: 3, 67, 72. forma — aperta: 6, 46, 66, 73.

— chiusa: 6, 46, $8, 66. fronte: 40, 45-6, 73-4, 76, 79-80, 82.

ictus, vedi accento di sintagma. inarcatura, vedi enjambement. 1NC1iso: 19-20. intonazione: $, 8, I16, 19-20, 28-31, 368, 40-1, 43, 60, 63, 68-71,73, 86, 92. inventio: 76, $82. inversione: 13, 36. Ipersonetto: 49, $7-9. isomorfismo: 80.

lascia e prendi, vedi coblas capfinidas. lassa: 66.

$.-t.

monosillabo

(elemento

monosillabi-

co): 7, 12-3, 17, 10. narrazione: 3, 6$-6, 71. novenario: 7, 24, 26, 88.

orizzonte d’attesa, vedi attesa. ottava rima (ottava): 7, 23, 40, 45, 60,

65-73, 87, 80, 91.

ottonario: 32-3.

parallelismo: 48, $5, 67, 73, 78. parlato: 7, 11, 25, 29, 36. pausa: 4, 9, 12, 14-6, 18-9, 25, 35-6, 40, $3, 6$, 68, 76.

pentametro giambico russo e polacCO: 7. petrarchismo:

II, 14-5, 17, 20, 46, $4,

72, 81, 87, V0.

piano (elemento p.): 13-4, 18. piede: 6, 9, 11, 32, 36, 37. — anapestico: 36.

— dattilico: 11 (modulo), 13 (verso dattilico, vedi), 18 (schema), 33 (partenza). — giambico:

7,

33

(partenza),

10

(andamento), 27 (settenario, v.), 30 (modello), 33 (partenza). — spondaico: 32. — trocaico: 23 (attacco d’endecasillabo). piede (unità della fronte di canzone): 45-6, 74, 76, 79. polisillabo: 7.

INDICE

DELLE COSE

NOTEVOLI

7

proclitico (elemento p.): 7, 12-3, 19.

sillabazione: 37, 40.

prosodia: $-7, 85-6.

sinalefe: 14-17, 22, 86-7. sintagma intonativo: II, I1$, 10, 32.

quadrisillabo: 37. quartina

sirma: 40, 4$-6, 74, 76-7, 79-80, 82. sistema metrico

— (metro): 20, 34-5, 43.

— di sonetto: 45, $0-3, $$, S8. quinario: 20, 31, 33.

realizzazione: $, I10, 12, 14, I8, 22, 4$, 48-9, 66, 77, 80, 84.

(principio)

di

Malagoli-

Camilli: 9, 86.

retrogradatio cruciata: 84.

rima: 5, 24, 35, 41, 43, 58-60, 63-4, 734, 79, 84-$,I.

— alternata: 4$, 65. — baciata: 65$, 76. — equivoca: 76. — identica: 76. — incrociata: 45. — tronca: 290. rovesciamento (metabolé): 47, $1-2, $5-

6, 77.

(modello

s.-t.):

6, 31-2. sonetto: 20-1, 23, 40, 4$-6, 49-5$9, 62, 6$, 73, 82, 89-90. stanza: 209, 40, 45$-6, 60, 69, 71-3, 7682, 84.

terzina — dantesca: 22, 40. — di sonetto: 45, $0-6. trisillabo: 13. troncamento: 14-5. tronco (elemento t.): 13-4, 18, 20. variatio: 78. velocità: 3, 7-8, 70. versicolo: 37-9.

Verso

scansione: 7-8, II, 31 (analisi-scansione), 32-3, 35, 86. sdrucciolo (elemento s.): 13-4, 18, 24. segmentazione: 27, 65, 60. senario: 31I. sequenza:

— sillabico-tonico — sillabometrico: 6.

racconto: 3, 6$-73, O1.

regola

— quantitativo: 6.

3, $, 7-9,

II, 14, 24, 26, 28,

31, 38, 40, 64-$, 68, 70.

sestina (sesta rima): $8, 74, 82-4, 90. settenario: 7, 9-10, 26-37, 43, 4$, $O,

74, 76, 79, $89.

— frase: 38, 66-7. — imparisillabo: 24, 45.

— ipermetro: 41 (endecasillabo i., vedi). — irrelato: 60 (i. nella rima), 66-7 (sintatticamente 1.).

— isoaccentuativo: 26 (endecasillabo 1., vediì), 36.

— libero: 36-40. volta: 74.

INDICE

Adorno, Theodor W.: 41, 43, 80. Afribo, Andrea: 87.

Agosti, Stefano: 92.

Agostino: 6, 85. Alberti, Leon Battista: 6. Alighieri, Dante: 8, 10-2, 14-6, 22-3,

26-7, 40, 46, 49, S1, 74, 79-80, 857, 80, 91.

Antonelli, Roberto: 89-90.

Apollinaire, Guillaume: 38-9.

Ariosto, Ludovico: 17, 70, 72, 88, 91. Aristotele: 4-5$, 47, 85. Avalle, d’Arco Silvio: 86.

Baldelli, Ignazio: 87. Balduino, Armando: 90-1. Beda 1il Venerabile: 6, 85. Beccari, Antonio: 17. Beccaria, Gian Luigi: 25, 88, 92. Beltrami, Piero G.: 86-7, 89. Bembo, Pietro: $, 1$5-7, 20, $9, 81, 86. Benveniste, Émile: 4, 85. Bertinetto, Pier Marco: 13, 86-8. Biadene, Leandro: 89. Bianchi, Dante: 87.

Bigi, Emilio: 88. Blasucci, Luigi: 90-1. Boiardo, Matteo

Maria:

20, 67-8, 87, 1.

DEI NOMI

Boyde, Patrick: 87. Bozzola, Sergio: 27, 87.

Brik, Osip: 85. Brugnolo, Furio: 89. Cabani, Cristina: 91. Camilli, Amerindo: 9, 86.

Capovilla, Guido: 88, 90. Carrai, Stefano: 90. Cavalcanti, Guido: 21, 49. Chiabrera, Gabriello: 29. Cicerone, Marco Tullio: 3, $, 10, 85. Cino da Pistoia: 13, 16, 19-20, 27. Cirese, Alberto Mario: 92. Conti, Giusto de’: 17. Contini, Gianfranco: 88. Dal Bianco, Stefano: 87-8. Damian, Mariano: s9-60, 91. Da Ponte, Lorenzo: 32. Della Casa, Giovanni: 1$, 17, 20, 41,

$5.

De Robertis, Domenico: 91. Di Giacomo, Salvatore: 34-5. Dionisotti, Carlo: 81, 86, 90-1.

Dragonetti, Roger: 86.

13, 15, 17-8,

FEinstein, Alfred: 87. Erodoto: 4.

I100

METRO

E RITMO

DELLA

POESIA

ITALIANA

Fazio degli Uberti: 17.

Nabokovw, Vladimir: 86.

Fortini, Franco: 36, $7, 88.

Nespor, Marina: 86.

Friedrich, Hugo: 90.

Noventa, Giacomo: $7, 90.

Fubini, Mario: 87. Palazzeschi, Aldo: 36.

Garcia Berrio, Antonio: 90.

Palladio, Andrea: 6.

Gasparov, Mikhail: 86.

Pascoli, Giovanni: 23-6, 85

Ghinassi, Ghino: 91. Giacomo

Pavese, Cesare: 36, 88.

da Lentini: 40, 80.

Pazzaglia, Mario: 86, 88.

Giotti, Virgilio: 35, 42-3, 80.

Pelosi, Andrea: 87-8, 90.

Girardi, Antonio: 89.

Petrarca, Francesco: 7, 9-12, 14-22, 25,

Goldoni, Carlo: 31.

27-9, 35, 50-4, 60, 70, 74, 77-84, 87,

Gorni, Guglielmo: 90-1.

90-2.

Guarini, Giovan Battista: 60.

Piccinni, Nicola: 31.

Picone, Michelangelo: 91.

Jakobson, Roman: 85-6, 92.

Pirrotta, Nino: 87. Platone: 4.

Labande-Jeanroy, Thérèse: 80. Lanza, Diego: 85. Leopardi, Giacomo: 28-0, 88.

Poliziano, Angelo: 13, 17, 70, 91. Potters, Wilhelm: 80. Pozzi, Giovanni: 92.

Limentani, Alberto: o01.

Praloran, Marco: 10, 87, 90-1.

Lisio, Giuseppe: 89. Lotman, Jurij: 68, 92.

Pulci, Luigi: 67. Puskin, Aleksandr: 68, 92.

Luzi, Mario: 36.

Roncaglia, Aurelio: 80, 91.

Magno Caldognetto, Emanuela: 86. Malagoli, Giuseppe: 9, 86.

Ronsard, Pierre de: $4-$.

Marazzini, Claudio: 90.

Saba, Umberto: 42, 88-9.

Marino, Giovan Battista: 17. Mengaldo,

Pier Vincenzo:

23-5$,

36,

87-01.

Menichetti, Aldo: 3, 10, 30, 85-7, 90. Meschonnic, Henri: 8s. Metastasio, Pietro: 29-31. Minturno, Antonio Sebastiano: 8, 86. Modena, Anna: 80.

Montagnani, Cristina: 80. Montale, Eugenio: 24, 88. Monteverdìi, Claudio: $3, 60, 87.

Mozart, Wolfgang A.: 32.

Sannazaro, lacopo: 17, 81-2. Santagata, Marco: 90. Savall, Jordi: 87. Schulz, Charles M.: 47-8. Senofonte: 4. Sereni, Vittorio: 25, 36, 88-9. Soldani, Arnaldo: s1, 87-9. Solimena, Adriana: 90.

Spezzani, Pietro: 88. Spitzer, Leo: 89. Stella, Francesco: 88.

INDICE

Tasso, Torquato: 17, 29, 41, 60, 62, OT1. Tizi, Marco: 87. Todorov, Tzvetan: 85. Tonelli, Natascia: 90.

Trissino, Giovan Giorgio: 17, 86. Ungaretti, Giuseppe: 37-9, 88. Valduga, Patrizia: 57.

DEI NOMI

IOI

Vitruvio Pollione, Marco: $. Wilkins, Ernest H.: 80. Zanzotto, Andrea: 25, 36, 49, $7, 88. Zarlino, Giosefto: 60, 91. Zenari, Massimo: 90.

Zhirmunskij, Viktor: 88. Zucco, Rodolfo: 34, 89. Zuliani, Luca: 87.

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A cura di Lino Leonardi

e di Alessio Decaria, Pàr Larson, Giuseppe Marrani, Paolo Squillacioti ARCHIVIO ROMANZO, 20 - LIRICA EUROPEA, 4 LirIO è uno dei risultati del programma di ricerche sulla più antica tradizione lirica italiana che si è sviluppato da diversi anni tra Firenze e Siena, nel tentativo di far interagire l’indagine sulla formazione della lingua poetica e l’analisi della trasmissione manoscritta. Dopo LIO-ITS. Repertorio della lirica italiana delle Origini. Incipitario dei testi a stampa (secoli XIII-XVI) su inmasonen CD-ROM, pubblicato dalla Fondazione Ezio Franceschini nel 2005, questo CORPUS DELLA LIRICA FTALIANA nuovo strumento offre il corpus testuale edito della più antica tradizione itaiuco ro liana, dagli inizi fino a comprendere la stagione dello Stilnovo. Realizzato nell’ambito di un Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale coordinato da Roberto Antonelli presso la Sapienza - Università di Roma, il CD-ROM si affianca a quelli analoghi allestiti per le altre aree romanze, nella serie intitolata «Lirica europea». Îl corpus italiano, consultabile tramite il programma GATTO, è estrapolato dalla base testuale del Tesoro della Lingua Italiana delle E Origini, presso ’OVI, con gli aggiornamenti e le integrazioni emersi dai lavori di scavo filologico in corso per il repertorio LIO, presso la Fondazione. Il risultato è una raccolta digitale che può offrire sicure garanzie su entrambe le qualifiche determinanti per l’efficacia di un data-base testuale: completezza del corpus e affidabilità delle edizioni. } |P(ìl.! (NIZI AL 1137

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Rivista del Gruppo Padovano di Stilistica

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con il concorso della Fondazione Ezio Franceschini Archivio Gianfranco Contini



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Direttore

2

PIER VINCENZO MENGALDO

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MARCO

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Vicedirettore

PRALORAN

Comitato scientifico

A

A. BALDUINO, G. L. BECCARIA, L. BLASUCCI,

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A. GIRARDI, TD. ISELLA, A. MENICIHETTI, TG. PozZ1, M. TAVONI, P TROVATO

a

G. CAPOVILLA, V. COLETTI, F GAVAZZENI,

La rivista «Stilistica e metrica italiana», diretta da Pier Vincenzo Mengaldo e proinossa da alcuni studiosi padovani legati al suo insegnamento, nasce con l’intento di riempire il vuoto creatosi da alcuni anni negli studi letterari con la fine delle pubblicazioni della prestigiosa rivista «Metrica», edita da Ricciardi. Da una parte essa intende esserne così idealmente la continuazione ospitando studi e indagini specificamente dedicati a questa disciplina, dall’altra si apre a tutte le analisi di carattere formale che hanno come oggetto l’italiano letterario, poesia e prosa.

II (2011) L. Blasucci, Lettura metrica (ma non solo) di un segmento della pazzia di Orlando (Furioso XxXIII 100-15) — P.V. Mengaldo, Ancora sull’ottava ariostesca: 1l distico finale e la rima a ritroso — E. Koban, La sintassi della Ricreazione del savio di Daniello Bartoli — L. Facini, L’ottava della Pulcella d’Otrleans di

Vincenzo Monti — A. Pelosi, “Il corpo de’ pensieri”: la versificazione dei Canti leopardiani — E. Bausi, Antico e moderno nel Medioevo carducciano. Studio metrico-stilistico di Poeti di parte bianca — F. Zedda, Forme della testualità in Fortini

critico — L.

Cadamuro,

Assassinio

nella cattedrale di

Giovanni Raboni da T. S. Eliot: uno studio linguistico-stilistico. NOTE E DISCUSSIONI. E. Testa, Tensioni narrative nella poesia contemporanea. . \RECENSIONI.

SEGNALAZIONI.

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Qual è la differenza tra metro e ritmo in poesia? Il metro è un insieme di regolevincoli che si caratterizzano per essere preliminari o più astratti dei fatti linguistici, per precederli e insieme per determinarli, o comunque per costituire il polo di una decisiva interrelazione. .

Il ritmo è, di fatto, il discorso nella sua enunciazione, realtà linguistica realizzata

nel discorso: prosodia (regole dell’accentazione e del sillabismo), sintassi, intonazione dunque, ma appunto visti nelle strutture versificate, cioè in rapporto a strutture prelinguistiche, scheletri formali: una forma metrica, un verso, una sequenza di rime

in cui trovano posto. Da una parte quindi un elemento soggettivo e mobile, dall’altra un elemento oggettivo, ‘dato’, sostanzialmente rigido.

L’interrelazione tra queste due realtà è un punto nodale per lo studio della poe-

sia. Affrontarlo, sia nell’articolazione prosodica dei principali versi sia nello sviluppo

delle forme metriche, è la novità di questo originalissimo manuale, sintesi degli studi

di Marco Praloran sulla poesia italiana.

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