Tradizione e innovazione nella poesia italiana del Novecento. Suggestioni stilnovistiche nella poesia di fine Ottocento 8870480704, 9788870480702

504 113 11MB

Italian Pages 270 [276] Year 1983

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Tradizione e innovazione nella poesia italiana del Novecento. Suggestioni stilnovistiche nella poesia di fine Ottocento
 8870480704, 9788870480702

Citation preview

è Dgiannone

9440 359I

DIZIONE E I DVAZIONE NELLA «LZ-SIA ITALIANA DEL NOVECENTO 1761 03

Pen La n nt Si

ANTI >A » ea

: 3;



> dai)SBa

dali ALL: =

Ta

Le

sa

O

Tata R_rR]

74

(id

Re

[San

i

Wo

290

6contempo

Due ternano

tendenze

contrastanti

si al-

e a volte si sovrappongono

nel corso delle vicende della poesia italiana contemporanea: da un lato, la decisa rottura con gli schemi del passato, il rifiuto di forme e moduli tradizionali, dall’altro, il recupero di alcuni modelli ’classici’, il ripensamento di fondamentali esperienze della nostra letteratura. Così, ad esempio, a una tendenza fortemente innovativa, che prevale nel primo quindicennio del Novecento, ne fa seguito un’altra, più orientata nel senso della conservazione o della ’restaurazione’, tipica del

periodo fra le due guerre. I saggi raccolti nel presente volume intendono affrontare, attraverso l’esame di alcuni autori e fenomenicampione, questo complesso nodo problematico, costituito dalla dialettica fra tradizione e innovazione nella poesia fra Otto e Novecento. Sul primo versante, si esaminano il revival neo -stilnovistico della fine dell’Ottocento e la varia fenomenologia della presenza del Petrarca nei poeti della prima metà del nostro secolo. Ma se il primo è un fenomeno che ha tutte le caratteristiche della ’moda’ letteraria, il secondo è legato invece alla decisiva funzione svolta dal modello petrarchesco sulla lirica italiana. Sull’altro versante, si prendono

siderazione

due

in con-

tra le principaprotonovecentesche,

li esperienze quelle di Corrado Govoni e di Giuseppe Ungaretti. Di Govoni si deliriea il processo di ’desublimazione’

far

o"

===

#**};- Ss (Cfr. F. Curi, Perdita d’aureola, cit., in particolare alle PP. è

151 gesti e atteggiamenti eccentrici, fuori dalle

che potevano sembrare norme della società:

strani,

Voi o uomini che mi deridete vedendomi passare, del mio cuore le indicibili piaghe non vedete, non mi scoprite l’interno dolore. Voi che un che

che mi deridete non sapete la mia vita è un gambo senza fiore, cimitero, voi non v’accorgete la mia grigia vita è senza amore.

(vv. 1-8)

In questi versi c'è già la consapevolezza di uno stato permanente di conflittualità, di un’insanabile frattura che si è prodotta tra il poeta e il suo pubblico. Lo scrittore non è più perfettamente integrato nel contesto sociale, non lancia più messaggi di natura politica, religiosa o morale, che vengono recepiti da una vasta

platea di lettori o ascoltatori, ma risulta sempre più un individuo tenuto al margine da una società domi-

nata dalle leggi della produzione e del consumo ea qui l’atteggiamento fieramente ribellistico, di violento

e insuperabile fine:

16

Come

contrasto,

scrive S. Jacomuzzi,

manifestato

da

Govoni

alla

« è la rinuncia definitiva della poesia

nza o di celebraa essere strumento originale ed esclusivo di conosce e un sommesso zione, di rivelazione e di decifrazione, per diventar

bordi dell’incombente linguaggio d’anima, una sorta di confessione ai delle cose vissute, avvilita e accorata ia pronunc a un'ultim silenzio, amaro e irrisberleffo lo — clima del fuori quasi già o — più raro e finale uscita la do, compien sta si che ne dente alla stessa operazio da dire’, di ’vergodi scena nella dichiarazione di ’non aver nulla morire’ » (Situagnarsi d’essere poeta’, di ’non saper far altro che zione dei crepuscolari, cit., p. 452),

152 Voi non sapete gli anni straziati de la mia giovinezza senza il miele de le rose per me invano mature!... Fatevi avanti, o vili, o disgraziati, e su la turpe faccia tutto il fiele vi sputerò de le mie sventure.

(vv.

9-14)

Lo stesso motivo ritorna nel sonetto immediatamente seguente della raccolta, Esortazione, dove anzi si amplia ancora di più quel divario esistente tra il poeta e la società, quel senso di irriducibile alterità dell’artista rispetto ai « meschini » e ai « vili » borghesi. Se questi non vogliono, o non possono, capire il tormento, la pena interiore, l’intimo dissidio del poeta, l’unica soluzione è quella di scavare fra sé e gli altri un abisso ancora più vasto e profondo, occultando il proprio dolore alla maniera di un clown, che nasconde la tristezza sotto la maschera del riso e della gioia. Al poeta non resta cioè che scegliere volontariamente, e polemicamente, per sé la parte che ormai gli assegna la società” : Perchè triste poeta il tuo dolore a l’incredule genti vuoi narrare? perchè il povero cuore senza amore vuoi ai meschini e ai vili palesare?

I? Anche questa immagine ritorna, come è noto, sia in Aldo Palazzeschi (« Chi sono? / Il saltimbanco dell’an ima mia », Chîì sono?, da Poemi, Firenze 1909, vv. 21-22), sia in Marino Moretti e rida rida perché / il poeta che si mostra / su un cavallo della giostra / sembra il pagliaccio ch'egli è », La giostra, da Poesie scritte col lapiîs, Napoli 1910, vv. 33-36). Sulla diffusione di questo motivo in area crepuscolare cfr. P. PIERI, Ritratto del saltimbanco da giovane. Palazzeschi 1905-14, ‘Bologna, 1980, pp. 13-72. x

è

153 Chiuditi tutto nel tuo dolore sconosciuto, ed il disadorno altare profuma con qualche altro fiore che ti dia illusione d’alveare.

E in mezzo a tanta gioia universale fa vedere che tu pure gioisci, imparando a piangere in silenzio ... Copri con la finzione il tuo male schifoso (non n’hai colpa, no!), e sorbisci l’amarissimo calice d’assenzio.

La riflessione govoniana sulla funzione della poesia e sul ruolo del poeta trova già un primo importante sbocco in Armonia în grigio et in silenzio, la raccolta apparsa subito dopo Le Fiale. Qui l’autore compie una netta inversione di tendenza rispetto alla poetica della « raffinatezza » e del « sublime », che d’altronde, come s’è visto, era entrata in crisi quasi nel momento stesso della sua attuazione. In questo secondo libro il poeta ferrarese rovescia infatti completamente la tipica tematica decadente de Le Fiale, sostituendola con una serie di motivi che formeranno il nucleo principale della poesia crepuscolare : le uggiose giornate di ‘pioggia, i tranquilli crepuscoli in campagna, i silenziosi interni piccolo-borghesi, i quieti conventi, i piccoli cimiteri di paese, le pendole, gli organi di Barberia. Anche i cigni e i pavoni della tradizione liberty scompaiono per far posto agli umili animali domestici o da cortile (gatti, galline, anatre, uccelli). Così come la preziosa flora della prima raccolta (gigli,

18

C. GovonI,

Armonia

in grigio et in silenzio, Firenze

1903.

154 tulipani, gardenie, rose thee) viene sostituita da un’altra più comune e quotidiana (viole, gerani, ciclamini, gelsomini) !'. Questa sembra essere ormai la sola realtà consentita alla poesia in un mondo in cui prevalgono i valori dell’utilità e del guadagno. Si tratta di una realtà banale, triste, grigia, che influenza ogni cosa e alla quale si « uniforma » anche l’anima del poeta : « E la mestizia delle cose aumenta » (XIII, v. 18), «E ogni cosa s’umilia e s’attrista » (XIV, v. 3), « Tutto è uniforme, tutto / è cinereo come / se ogni cosa vestisse il lutto, / fosse ogni cosa senza nome » (XV, vv. 41-44), «E a questo grigio muto s’uniforma / anche l’anima mia, impressionabile / anima come un odore, instagnabile / specchio che d’ogni musica s’informa » (XXII Sinfonia di grigio, vv. 5-8), « Le cose spirano come un’

occulta / pena ...» (IV Miniatura în roseo e în verde, vv. 9-10). E la poesia, per adeguarsi ancora di più a una simile realtà, ne mutua le principali caratteristiche, diventa uniforme, monotona, ripetitiva, in un estremo tentativo di mascheramento e di mimetizzazone nella prosaicità del vivere quotidiano. Tanto è vero che le

quattro sezioni in cui è diviso il libro sono composte da una serie di liriche che ripetono sempre, inevitabilmente gli stessi motivi, dando vita a un unico, ininterrotto « poema », come suggerisce il sottotitolo. Decisiva, in questo cambiamento di rotta, fu la lezione di al-

19 Fin dal 1918 Lionello Fiumi nella sua monografia notava che in Armonia în grigio et în silenzio « l’estetismo,

sovoniana che irrigi-

diva la poesia dannunziana come l’àmido irrigidisce una tela, in Govoni si comincia a bagnare di una sensibilità più dimessa e umana. Il prosaicismo, come una spugna umida, scolla l’estetismo » (L. FIUMI,

Corrado

Govoni,

Ferrara %

1918,

p. 25),

155 cuni poeti stranieri, primi fra tutti Francis Jammes € Georges Rodenbach, i quali presero il posto dei vari Robert de Montesquiou, Saint-Pol Roux, Sar Péladan, accolti, un po’ acriticamente, insieme a tanti altri, al tempo de Le Fiale. Ora invece Govoni individua in Jammes, e soprattutto in Rodenbach, i modelli più affini alla propria sensibilità e più adatti in funzione di quel programma di poesia anti-sublime, che si era prefisso di

svolgere. La tecnica principale di cui egli si serve per realizzare questo programma è quella dell’elencazione, dell’enumerazione, destinata a diventare la cifra inconfondibile della sua poesia. Questo procedimento trova una prima applicazione proprio in questo libro, ad esempio in una composizione come la XII della sezione La filo-

tea de le campane : — Ne la corte — Tre stracci ad asciugare sul muricciuolo accanto il rosmarino. Una scala seduta. Un alveare vedovo, su cui giuoca il mio micino.

Un

orciuolo

di marmo Dei che

che à sete sul pozzale

scanalato

da le funi.

cocci gialli. Un vaso vuoto. Un fiale à vomitato. Dei fogliami bruni.

— Su le finestre — Un pettine sdentato con due capelli come dei pistilli. Un astuccio per cipria. Uno sventrato guancialino di seta per gli spilli.

Una scatola di belletto. Un guanto mencio. Un grande garofano appassito. Una

cicca.

piegata,

Una

pagina

da chissà

mai

in un

canto

quale dito!

156 — Per l’aria — La docile campana d’un convento di suore di claùsura. Una lunga monotonia di zana. Un gallo. Una leggera incrinatura di vento. Due rosse ventarole cifrate. Delle nubi bianche. Un Un odore acutissimo di viole. Un odore acutissimo di fieno.

treno.

Qui Govoni priva veramente la poesia di tutta la sua tradizionale dignità, decorosità, di ogni forma di ricercatezza, di retorica, accentuando, al contrario, la banalità, la piattezza attraverso la massiccia immissione di una serie di elementi metrici, sintattici e lessicali di una estrema povertà espressiva. L’unico residuo carattere ancora riconducibile ai canoni consueti è coStituito dalla rima. E’ stato scritto di recente che liriche come queste rappresenterebbero « la testimonianza appariscente di un appuntamento mancato con la poesia»? Ma è lo stesso Govoni a non volersi più presentare all’appuntamento con quel tipo particolare di poesia, « così radicalmente rovesciata nelle sue istituzioni da essere totalmente negata come poesia e ridotta precisamente al contrario di se stessa »?. Nonostante il breve lasso di tempo intercorso, insomma, ci troviamo sul versante opposto rispetto alla poesia letteratissima e nobile de Le Fiale.

Anche i motivi di chiara origine decadente che compaiono in Armonia in grigio et în silenz io perdono completamente quel tono estetizzante che aveva no nella

20.

21

F. Livi, Tra

crepuscolarismo

F. Curi, Perdità è

d’aureola, 4

e futurismo...,

cit., p. 33.

cit. bp. 102.

157 precedente raccolta e vengono piegati a nuove esigenze espressive. Si veda il motivo dei ritratti, che ne Le Fiale era ancora unicamente il pretesto per una variazione sul tema «amore sensuale-amore spirituale» («O donna, da la testa portentosa / ricca d’una chioma mai sognata; / o bruna, da la bocca voluttuosa, / perchè, perchè

ti sei avvelenata?

// Perchè,

a vent’anni,

rosa

rugiadosa, con la tua bianca mano sconsigliata dai voluto arrestar la dilettosa / corsa dei tuoi giorni infiorata? // Dovevi con libidinosità / da le tue bellezze lusinghiere / spremere tutto il succo de l’amore », Davanti a un ritratto, vv. 1-11), mentre qui si carica di risonanze tipicamente crepuscolari : Ne le cornici d’ebano, i ritratti quante storie secrete si raccontano piano, tra loro, quanti mesti fatti i cui ricordi friabili già smontano! In un quadro le dagherrotipie ritraggon tutte de le vecchie dame, de le dame da le fisonomie vizze e da le gonnelle col fiorame : de le duchesse con il guardinfante e i larghi sboffi, e la scriminatura, qualche riproduzione d’un Infante biondetto da la torva guardatura.

(XVII

La psicologia

dei ritratti, vv. 1-12)

Così pure un notevole cambiamento subisce il motivo dei chiostri. Questi, nella raccolta precedente, erano descritti nel loro abbandono, nella loro solitudine, mentre ora si animano, si popolano di figure. Govoni non li osserva più dall’esterno, ma penetra nelle sale, li descri-

158 ve negli aspetti più desueti con un gusto spiccato per il dettaglio, per il particolare trascurabile: V’abitano tre suore tutte tre de la stessa età, nitide nitide come il fiore de la loro castità. Anno il loro giardino pieno di dolci gigli; ne la gabbiuzza tinta di turchino ànno i loro bisbigli. Nel corto dormitorio tengono a capo del letto

la pila e il crocefisso d’avorio, il mingherlino cero benedetto.

(IV

Convento

în miniatura,

vv.

9-20)

Non contrasta con tale scelta di una poesia antisublime l’uso dell’analogia, che in Armonia în grigio et în silenzio acquista un notevole rilievo, al contrario di quanto accadeva ne Le Fiale, dove invece prevaleva la comparazione. In questo libro anzi Govoni rivela a pieno quella sua estrosa vena immaginativa che lo ha reso famoso. Naturalmente anche l’analogia si adegua al tono generale della raccolta, all'atmosfera di tristezza e di grigiore dominante. Numerose sono infatti le metafore ispirate alla malattia: « Il crepuscolo muore come un tisico. / L'ombra stagna la piaga de lo specchio » (I Musica per camera, vv. 13-14), « la sera luminosa / pare malata di psicopatia » (XIII, vv. 3-4), « Il

sole coi suoi stuelli / si prova di guarire l’endemia

f

de la pietra...» (X Ore candide, vv. 13-15), « sembra che la pietra suppurri / per le commessure ingorde » (XI Particole di emozione, vv. 3-4), « Il sole largisce %

159 ai fiori malati / le sue calde pozioni» (XII Ore di pace, vv. 3-4), « La piccola facciata senza origine / è invasa di giallognola empetigine » (XX Nel sacrato di un convento, vv. 5-6), « ... e la luce si compendia / nei fanali malati d’itterizia » (XXII Sinfonia di grigio, vv. 15-16), « ... Un tamburo / avanza la sua triste epidemia / di rulli ... » (XII Tra gli ex-voti del bosso, vv. 13-15). E frequenti sono anche le analogie o le similitudini ispirate al chiuso mondo conventuale e chiesastico : « L'anima addolorata si pacifica / come un cero che si smorza » (ZII, vv. 9-10), « Ogni finestra à la

tenda

/ bianca come

un’assoluzione » (XI Particole

di

emozione, vv. 5-6), « il giardinetto è l’aria / d’un giorno de la prima Comunione » (XIII Ore innocenti, vv. 1516), « Il giardino è corretto / come un congregazionista» (XVI Ore tranquille, vv. 5-6), « Sui muri rosicchiati il tenue sole / à un’innocenza di comunicanti » (XXVI Nel convento di S. Antonio, vv. 11-12), « si raffina il noviziato d’un piano » (IV Miniature in roseo e în verde, v. 8). In Complicazionîi di tinello, poi, ogni oggetto della stanza trova un corrispettivo preciso in un arredo sacro, secondo un procedimento peculiare del poeta, che verrà sviluppato in Fuochi d’artifizio: Il grande lampadario veneziano è un turibolo a gocciole. Un tappeto copre come un altare un bel divano di damasco. Le tende ànno un roseto come un fresco. Ogni vaso di Murano è un ciborio per un Oliveto. L’ordinazione dei gigli sul piano à l’aria d’un organico canneto.

160 Ciascun ritratto è in guisa di pentacolo. Il silenzio dentro lo specchio stagna tra le fiammelle simili a baldorie. Lo stipo chiude nel suo tabernacolo una reliquia come un’ostia magna, e i quadri sono de le cartaglorie.

L’indubbia abilità di Govoni sta soprattutto nella capacità di variazione, proprio mediante lo strumento analogico, di certi temi che saranno topici della poesia crepuscolare, nei quali egli rivela un atteggiamento «fondamentalmente anticonformista, ed eversivo già in sottintesa polemica con un repertorio di maniera » ”. Già Gaetano Mariani ha analizzato alcuni dei più classici motivi di questo repertorio, utilizzati « in direzione felicemente personale » °: il crepuscolo, la pioggia, l'organo di Barberia, le campane. Ma assai convincenti sono anche le variazioni del tema del vento, che compaiono in questo libro e che mette conto di registrare: « Il vento con le sue lingue / lambisce le piante moribonde » (III, vv. 5-6), « il vento frivolo abbraccia una pianta secca, // e folleggiando con i suoi diti le toglie / tutti i suoi rami rotti e le sue morte foglie »

(IV, vv. 2-4), « Il vento nel silenzio benevole / dirigendo le sue odorate orchestre / sfoglia le rose e dischiude i bocciuoli » (XI Temporale primaverile, vv. 16-18), dove il rapporto vento/musica, stabilito da Govoni, verrà ripreso in un’immagine di Montale”, « Ed il vento rac22 *G. MARIANI, Crepuscolarì e futuristi: contributo cazione, in La vita sospesa, Napoli 1978, p. 199.

23

Ibid., p. 198.

24

Cfr. E. MONTALE,

stasera suona strumenti

attento

Ossì

/ —

dei fitti alberi» x

è

di seppia,

Corno

a una

inglese: « Il vento

ricorda un forte scotere di lame

(vv.

1-3).

chiarifi-



che

/ gli

161 coglie / mesto le sue chiome bionde / scapigliate lungo le soglie, / e le pettina con le monde // mani in un angolo appartato » (XV, vv. 33-37), «Il vento studia da flautista » (XVIII Crepuscolo sul Po, v. 7), dove ritorna, ma più essenzializzata, l’immagine del rapporto vento/ musica, « Il vento macina la neve » (II Vigilia di Natale, v. 8), « Il vento in un abete solitario / si lamenta con la malinconia d’un basso » (IV Miniatura în roseo e în verde, vv. 13-14), « Il vento pettina le sue chiome arruffate / ne lunghi pettini dei pioppi » (XX La siesta del micio vv. 11-12). In Fuochi d’artifizio, la terza raccolta uscita nel 1905, Govoni porta avanti quel processo di desublimazione del registro stilistico, iniziato con Armonia în grigio et in silenzio. Dal lato tematico, trait d’union con il libro precedente si può considerare la prima poesia, Stu-

dio di nudo : Grigio uniforme della mia vita! Pare un qualche povero salone provinciale rischiarato da un troppo grande focolare, in un triste crepuscolo domenicale.

Chi scalda quella fiamma stanca di bruciare di nascosto? Che vuoto! Solo un canterale con un stipo in cui si sente rosicchiare un tarlo, e sotto un vetro un mazzo artificiale.

(vv. 1-8)

Il tono di grigiore che in Armonia aveva investito sulla contutta la realtà circostante, qui si riverbera o ricord’anim stato dizione interiore del poeta, il cui flusso al rente è di completa abulia, di abbandono disperaquotidiano dell’esistenza e, a volte, di cupa della ni illusio poche delle zione, che lo porta al rifiuto 11. A. L. Giannone

- Tradizione

e innovazione

162 vita. Non esistono più nemmeno lo sfogo del pianto, la compagnia delle lacrime, sostituita da un’« aridezza spaventevole », in cui viene meno ogni speranza : Lagrime, lagrime, o mie piangevoli sorelle, perchè mai ve ne siete tutte andate così improvvisamente come fan le rondinelle quando arriva la fine dell’estate? Lagrime, lagrime, e a che dunque mi valse l’avervi tanto predilette se or siete lontane? Anche voi eravate dunque false? Anche voi eravate dunque vane?

(vv. 1-8)

Correlato a questo sentimento è il tono stilistico della maggior parte del libro, ispirato a una sorta di « poesia-diario » °°, come è stata definita, cioè di una poesia che si limita a una registrazione fedele, minuta, realistica di fatti e momenti della giornata. Esemplari in tal senso sono alcune composizioni come Nella casa paterna, In campagna, Al rezzo della sera, Mezzogiorno di domenica o, ancora, Piccole cose, dove (e il titolo è indicativo), l’autore, a brevi e staccati flashes, descrive una serie di momenti di un mezzogiorno di sabato, nella loro estrema banalità, senza nemmeno intervenire con il consueto scatto analogico: Da ogni parte le campane suonano il mezzogiorno,

2 La definizione è di F. Livi, Tra crepuscolarismo e futurismo ..., cit., p. 124, ma viene usata in un’accezione piuttosto negativa. Per Livi, infatti, ogni qualvolta Govoni si allontana dal cosiddetto « codice » decadente, rischia di cadere in una « irritante scipitezza » (p. 126), «in una specie di catalogo che esula dalla nozione di ‘poesia » (ibid.). “

163 come morbide zane che vogliano cullare

il giorno.

Nella cucina il vecchio pendolo scatta. Il micio è andato fuori. Giù, nella via, un fruttivendolo grida — hei pomi, cavoli fiori! — Il moro del caminetto ascolta la sua trottola di gesso. Mia madre sta facendo il letto. Io mi sono alzato adesso.

Ed è sabato, la vigilia di Domenica. I raggi del sole sbiadiscono. Il calendario nota vigilia. Passa un birroccio. I vetri abbrividiscono.

si miQui la poesia, o l’« anti-poesia » , di Govoni ta, diventanmetizza tra le « piccole cose » della giorna , insignifibanale altri, gli do uno elemento come tutti vengono che i oggett cante, comune come le azioni e gli fa tapoeta il descritti e nominati. In questo modo , zzanti probula rasa delle primitive infatuazioni esteti razione delle cedendo, al contrario, a una radicale dissac . istituzioni poetiche tradizionali in FuoE’ stato peraltro giustamente affermato che tematica in dichi d’artifizio c'è un allargamento della inga e che rezione di una realtà più familiare e casal sembra dente prece ta raccol quel tono di grigiore della si sofi Govon o quand a tratti scomparire. Ma anche in oli ivend descr ferma su certi ambienti « paesani », 6

—— ——+

26 Perdita

Di

« anti-poesia » govoniana

d’aureola,

pp. 72 e 88.

cit., anche

ha

in Metodo

parlato

F. Curi,

oltre

storia

strutture

Torino

che

in

1971,

164 alcuni momenti di gioiosa partecipazione collettiva intorno a feste e fiere, come in La fiera o Per la festa di San Giovanni, o quando osserva il ristretto nucleo familiare, riunito intorno al tavolo del tinello o nei modeSti interni campagnoli, come in L’ora di notte, Il tinello, La cucina di campagna, Fuori di moda, Le pendole di campagna, non viene mai meno a questo modo estremamente spoglio e dimesso di narrare. Si veda questa descrizione del dopocena in L’ora di notte, con il preciso, minuzioso resoconto dei fatti e dei gesti più abitudinari: E’ finita la cena, e s’è già sparecchiato. Sul tavolo unto, come chioccia tra i pulcini, c’è la [rustica mezzina tra i bicchieri, col vino sparagnato della grande botte che sembra reggersi la pancia dentro la cantina. L’angelus della sera è stato recitato E i campanili s’augurarono la buona notte. Ed ora si sta tutti intorno al fuoco come in un almanacco fiammingo, nelle sedie impagliate ad ascoltare

sull’arola

il vento che borbotta per l’affumicata gola del camino ch'è l’orco casalingo pensando a la burrasca che farà nel mare. Un s'alza da sedere e spoglia la lumiera della veste cartacea del verde paralume.

sternutando;

si sente

un

rosso

chicchirrìcchiechì

d’un [gallo.

(vv. 1-12, 25-26, 29-30)

Contribuiscono

ad

abbassare

ulteriormente

il re-

gistro stilistico della raccolta il tono discorsivo e i frex

è

165 quenti inserti colloquiali che compaiono in alcune novelle liriche, alla maniera di Jammes, quali Oro appassito e lilla smontato e Passeggiata romantica”, e la | presenza di alcuni termini, propri del linguaggio infantile, inseriti in Le litanie del mao (« mao », « checca », « micina », « coccolina »), oltre che le numerose onomatopee, di chiara origine pascoliana, sparse un po’ dappertutto : « che grufola — cruff, cruff — e che si voltola nel fango » (A4/ rezzo della sera, v. 14), « Turutuntuntun, tun, tun, tuntuntun — Avanti» (La fiera, v. 1), «e polli i quali sembrano dire : cucù!...» (ibid., v. 27), «e schiaffeggiandosi. — Turuntuntuntuntun! » (ibîd., v. 45), « scoppiano i mortaretti — bun, bun, bun bun, bun!» (ibid., v. 48), « che scappa — grechechè, gregrechechè — e che voli! » (Le litanie del mao, v. 15), «...E lui — Mo boia, 7 ché, ché, ppff! —...» (ibid., vv. 19-20), «... si sente un rosso chicchirrìcchicchì d’un gallo » (L’ora di notte, v. 30), « Dopo che s’è segnato e coricato soffia il lume ad oglio — pff — » (ibid., v. 42), « che sbuca dal suo nido d’improvviso e fa — cù — cù » (Le pendole di campagna, v. 18), « con un cane da caccia il quale abbaia — bù — bù — bù» (ivid., v. 22), «Psstt! psstt! — Sì, sì: lo riconosco il tuo richiamo »

(La speranza, v. 1), « — Psstt! psstt! — Ma se t'ho detto

ch’io ti conosco ...» (ibîd., v. 13), « che canta dei consunti DE 27

chicchirricchicchì

d’ore » (La camera

da letto, v.

Si legga, ad esempio, il seguente brano di Passeggiata romantica:

« Ora fan siesta nel cortile selciato / d’un rosso castello diroccato, / vicino ad una piccola cascina / in cui c'è una fanciulla che si chia-

ci merà Adelina. / — Ah se l’avessimo noi quella bella mucca, / chè fa tanto bene il latte! E questa zucca / chissà come deve esser buona fritta! — / — Non sai che pecchi di desiderio? Sta zitta!» (vv. 7-16).

166 Ma in Fuochi d’artifizio Govoni indica anche un’ altra possibile strada per la poesia, che è quella del privato divertimento, dei versi utili solo al loro autore, il quale crea, inventa situazioni a suo piacere mediante l’uso della metafora e dell’analogia. In questa raccol. ta infatti compaiono anche, da un lato, poesie quasi espressionistiche per la violenza delle immagini, per la prevalenza della morbosa allucinazione, della visione qua-' onirica sulla descrizione oggettiva della realtà, come, ad esempio, Sonetto a quatiro mani?, Metamorfosì, La prova del fuoco, Il vascello fantasma, Nel deserto, Sursum. corda e, dall’altro, poesie che sembrano preludere al surreale, al nonsense, per l’aspro, stridente contrasto, causato dall’accostamento di situazioni a volte lontanissime tra di loro o addirittura senza nessuna relazione, come In esiîglio, Le fantasie della neve, Rosa e cappuccino, Malinconia, Clinica di tristezza, Decalcomania o Armonie, che riportiamo : Un girovago una scimmia

porta in giro su una spalla vestita a la garibaldina che si gratta il didietro lustro come una cipolla, rialzandosi comicamente la gabbana. Una tribù di Pelli Rosse infilza sopra un’asta un marinaio e poi gli balla intorno urlando percuotendosi [nel petto.

28 Si legga, ad esempio, Sonetto a quattro mani : « Il tragico castello sorge in mezzo dello stagno / febbrile come un sogno pieno d’occhi di fosforo; / il silenzio distende le ali viscido e grifagno / sull’acqua incoronata di costellazioni d’oro. // Un’enorme cometa che si capovolge nello stagno / gonfia la sua vela d’uno sfolgorio sonoro; / scivola un bolide pel firmamento come un ragno / sull’infinito filo d’un immenso

ragnatelo d’oro. // I miasmi

accendono

dei fuochi fatui nel canale

/

che incatena il castello d’archi, e l’aria abbrividisce / di ribrezzo sentendo le unghie dell’epidemia. / Unico umano un mentecatto corre per le sale / senza pausa ed ignudo, mutamente, che gestisce ti invasando gli specchi della sua rossa pazzia ». N

è

167 Alla porta d’un gran palazzo in mezzo a una foresta un servo attacca a un chiodo un cartello d’affitto. In una piazza un orso zoppo salta con un fantoccio acconciato di fasce. Piangendo, nella gabbia, un innocente ascolta legger la sua condanna mentre il popolo applaudisce. Una bimba malata, in un cortile senza erba, mangia svogliatamente dei pasticcini caldi. Su la soglia d’una chiesetta un’orba conta nella saccoccia i suoi soldi.

(vv.

1-16)

Ne Gli aborti Govoni procede a una prima ricapitolazione generale della sua poesia, riprendendo temi e modi di tutte le raccolte precedenti, in una sorta di consuntivo, di globale riesame di questo « primo tempo » della sua produzione. Attingendo ai già considerevoli depositi di immagini e motivi, costituiti dai suoi tre libri, e sfruttando l’intera gamma dei registri stilistici adoperati, egli costruisce ora una poesia sulla poesia, una poesia al quadrato, per così dire. Non stupisce perciò che nella prima delle due sezioni, in cui è diviso o il volume, intitolata Le poesie d’Arlecchino, ritornan QueFiale. Le de » ti anche i caratteristici temi « decaden ci sto però non vuol dire, come è stato sostenuto, che orialle troveremmo di fronte a un « inatteso ritorno apparigini », alla « potente rivincita dei motivi più strano te veramen Sarebbe °°. » scenti della decadenza una di l’ideale fondo se, dopo aver perseguito fino in sua alla poesia anti-retorica, dopo aver fatto toccare Tra crepuscolarismo e 29 Queste espressioni sono sempre di F. Livi, 140, e 137 futurismo ..., cit., p.

168 « musa », per

dirla

con

Spagnoletti,

«i bui e lubrichi

inferni della vita quotidiana » *, Govoni volesse ora farle risalire precipitosamente la china del sublime. E, d’altronde, nella composizione collocata in apertura de Gli aborti, e da noi esaminata all’inizio del presente lavoro, egli aveva chiarito a sufficienza in quale direzione intendesse ormai muoversi. A una diversa valutazione, in verità, potrebbe indurre la seguente dichiarazione, contenuta nel sonetto Loengrino, la quale, a tutta prima, potrebbe sembrare in fiagrante contraddizione con la linea esposta in Alla musa: Vender

viole al canto della via più non è tempo, sulle gialle soglie dei conviti esibir le tue voglie come maschere di malinconia. Musa, la tua più bella azzurra veste (troppo aspettammo!) è tempo d’indossare, non di piangere piano, ma cantare e celebrare le tue nuove feste.

(vv. 1-8)

Ma tale contraddizione, a rente. Le « feste », a cui il no « nuove », come « nuova Fiale, è la sua concezione

nostro avviso, è solo appapoeta invita la « musa » so», rispetto al tempo de Le poetica. Ed è proprio alla

luce di questa diversa, e opposta, concezione

della poe-

Sia che egli intende ricantare quegli antichi motivi. E difatti in questo libro ritornano sì alcuni dei temi più tipici della poesia decadente, ma ritornano, per l’ap-

30 G. SPAGNOLETTI, Itinerario di Govoni, Antologia poetica (1903-1953), cit., p. 11. N

è

introduzione

a C. Govoni,

169 punto, in maniera nuova, cioè in maniera ironica, straniante, parodica. Un esempio di questo ritorno ironizzato dei motivi decadenti è costituito dalla serie di sonetti dedicati ai fiori, alcuni dei quali (L’odore delle gardenie, La rosa doppia, Barba-blù, Magnolie) richiamano addirittura i temi erotici e sensuali di Vas luxuriae *, la sezione espunta da Le Fiale. Si legga, ad esempio, Barbablù : Come il principe Luigi di Gonzaga puro non sei, o giglio, ma osceno, e il tuo profumo è un morbido veleno preparato da qualche esperta maga. A te d’intorno, o lussurioso, allaga il pacifico sangue sereno delle vergini rose che hanno il seno turgido aperto da un’orribil piaga

(vv. 1-8),

o Magnolie : Vestali ignude e impure fornicanti, grosse odalische languide, magnolie, vergini arse d’incestuose voglie, Pasifi di voluttà singhiozzanti.

Mammelle bianche e dure di baccanti discoperte nell’orgia, oscene soglie della libidine; sessi di foglie gonfi di gravi spermi estasianti.

(vv. 1-8)