Marco. La lettura e la risposta. Un commento 8839911316, 9788839911315

Bas van Iersel presenta in quest'opera un commento incisivo e completo, episodio-per-episodio, del Vangelo di Marco

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Marco. La lettura e la risposta. Un commento
 8839911316, 9788839911315

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Bas van Iersel

MARCO La lettura e la risposta Un commento

QUERINIANA

Titolo originale Mark. A Reader-Response Commentary Sheffield Academic Press Ltd, Sheffield (England) © ©

1998 2000

by Bas M.F. van Iersel by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75- 25123 Brescia (Italia) tel. 030 2306925 - fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: [email protected]

Tutti i diritti sono riservati.

È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizza­ zione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN

88-399-1131-6

Traduzione dall'inglese di CARLO DANNA Edizione italiana a cura di FLAVIO DAil.A VECCHIA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

Prefazione

Con questo libro mantengo una vecchia promessa risalente al

1960,

quando ac­

cettai di scrivere un conunento a Marco per una serie di conunenti al Nuovo Testa­ mento in lingua olandese, serie di cui ero uno dei direttori1 e che purtroppo dovette essere interrotta prematuramente. Dati i miei compiti anuninistrativi all'università, non fui però in grado di mantenere la promessa. E soprattutto in quel medesimo periodo stavano avvenendo cambiamenti così radicali nel campo degli studi biblici che l'idea di aggiungere un commento storico-letterario in olandese a quelli già esi­ stenti in altre lingue non era affatto attraente, visto che la maggior parte delle per­ sone interessate poteva leggeme comunque in tedesco, inglese e francese. Tuttavia sentivo che i nuovi approcci non erano stati sviluppati fino al punto da essere ap­ plicati a un conunento completo di uno dei vangeli. Verso la fine della mia carriera accademica quello sviluppo aveva raggiunto un punto che permetteva di tentare un diverso tipo di conunento. Perciò decisi di scri­ vere dapprima un libro provvisorio, che consideravo una specie di prova. Redatto in olandese e pubblicato nel

1986,

esso fu tradotto in inglese, italiano e tedesco2•

Trattandosi di un esperimento, l'opinione dei miei colleghi era della massima im­ portanza per me. Le recensioni furono, tranne una, favorevoli e qualche volta an­ che elogiative. Vari recensori rilevarono che il libro, benché scritto per un più vasto pubblico, meritava pure l'interesse dei biblisti di professione. Perciò, anche se la se­ rie sopra menzionata era stata interrotta nel

1986,

ritenni mio dovere mantenere la

vecchia promessa e cominciai a lavorare a un conunento completo. Dal

1992

1987

al

ebbi poco o nessun tempo a disposizione, durante i primi tre anni a motivo

' Het Nieuwe Testament Vertaald en Toegelicbt, edd. W. Grossouw, B. van Iersel e F. Neirynck, Ro­ men, Roermond 1965-73; Romen, Bussum 1974-82; Katholieke Bijbelstichting, Boxtel1983-86. ' Marcus. Belichting van bet Bijbe/boek, Katholieke Bijbelstichting, Boxtel; Tabor, Brugge 1986. Per le traduzioni, dr. la bibliografia.

Prefazione

6

delle mie mansioni come vicecancelliere dell'Università di Nimega, e durante gli an­ ni successivi a motivo di un'altra carica prestigiosa, ma impegnativa, e a motivo di un periodo di malattia. Finalmente nell'autunno del 1992 potei cominciare a dedi­ carmi interamente a questo commento. Fin dall'inizio ho pensato a due edizioni, una olandese e una inglese. La prima, diretta a lettori che conoscono la mia opera attraverso vari libri e numerosi articoli, vide la luce nel 1997�. Poic�é penso che la mia interpretazione dei testi biblici sia primariamente un servizio reso a tali lettori, li considero come i miei primi e reali destinatari. Dall'altro lato mi sentivo anche obbligato a giustificare la mia interpreta­ zione di fronte ai miei colleghi, perché solo essi sono qualificati a giudicare la vali­ dità del metodo adottato e delle idee espresse nel commento. Di qui questa edizio­ ne inglese, che nelle più estese note in calce di pagina si confronta con altra biblio­ grafia specialistica e che va pertanto considerata come l' editio

maior.

A parte le note, il testo della traduzione inglese autorizzata differisce da quella olandese solo in pochi punti. La traduzione è opera del mio amico Willy Bissche­ roux ed è stata rivista da Mrs Sue Houston di lingua madre inglese. Sono molto gra­ to ad ambedue; a Willy Bisscheroux per aver attirato la mia attenzione su un certo numero di passi oscuri del testo, e a Sue Houston per aver svolto questo lavoro in difficili circostanze personali. Ma la mia gratitudine non va solo a loro. Ho imparato da molta gente. Per primi devo menzionare i miei alunni e colleghi del Dipartimen­ to di Nuovo Testamento dell'Università di Nimega. In seminari e incontri di lavoro abbiamo preso parte insieme allo sviluppo della ricerca biblica, che alla fine ha re­ so possibile la stesura di questo commento. Menziono similmente due gruppi di la­ voro della Society of New Testament Studies. Il primo, che al momento del mio in­ gresso era presieduto da Bernard Lategan e Edgar V. McKnight e che è attualmente presieduto da Bernard Lategan e James Voelz, ha operato sotto diversi nomi e porta ora il nome di 'Hermeneutics and the Biblica! Text'. Il secondo si occupa del vange­ lo di Marco ed è presieduto da Cilliers Breytenbach e Adela Yarbro Collins. I tanti colleghi, cui devo molte delle idee e dei punti di vista espressi nel commento, tro­ veranno il loro nome nella bibliografia. Il libro non avrebbe potuto essere scritto senza di essi. Bas van Iersel

3 Marcus, uitgelegd aan andere lezers, Gooi en Sticht, Baam; Kok, Kampen 1997.

INTRODUZIONE

l.

Lettura e lettori

Questo capitolo si occupa di idee recenti circa il ruolo de/ lettore nel processo del­ la lettura e circa il modo in cui l'autore di un commento rivolto al lettore dovrebbe tenerne conto.

Commento, ricerca e lettura

I biblisti scrivono commenti ai vangeli per mettere i risultati della loro ricerca a disposizione dei lettori dei vangeli e per definire le proprie posizioni rispetto a quelle dei loro colleghi. Nella maggior parte dei commenti l'interesse del commen­ tatore è incentrato sulla situazione in cui il testo ha avuto origine e specialmente sulle intenzioni dell'autore. Adottando questo metodo i commentatori vanno ad in­ grossare le fila degli studiosi che esaminano documenti antichi. Per varie discipline lo studio di testi scritti in un periodo precedente è importante per conoscere il passato. Se la conoscenza del passato è il primo intento dello stu­ dio, alcuni testi si prestano meglio di altri a tale scopo. I testi che vengono per pri­ mi in mente sono allora i documenti come leggi, contratti, regolamenti, registri, de­ libere, decreti, verbali, rapporti, note ecc., che vengono stilati e conservati precisa­ mente allo scopo di registrare e conservare delle informazioni per consultazioni fu­ ture. Altri testi, specialmente i testi letterari, si prestano meno bene a questo tipo di ricerca semplicemente perché non sono scritti a tal fine. C'è qualcosa di artificioso e di spurio nello studioso che interroga un testo letterario per ricavame le informazio­ ni che esso contiene sulla propria storia passata. Uno scrittore, quando produce un'opera letteraria come un poema o un romanzo, non lo fa con l'intenzione di re­ gistrare fatti e eventi come lo potrebbe fare un cronista. I poeti e i romanzieri sono

Introduzione

lO

alla ricerca di lettori con cui comunicare per mezzo dei loro testi. Naturalmente lo studio di un documento comporta la sua lettura, ma la lettura richiesta non ha biso­ gno di spingersi oltre l'inventario dei suoi contenuti. A sua volta chiunque usi la let­ teratura per conoscere come la gente usava vivere, organizzarsi o sbrigare le pro­ prie faccende non fa ovviamente nulla di sconveniente, ma valuta un'opera lettera­ ria come una fonte storica e non la legge perciò nel modo in cui dovrebbe essere letta.

L'approccio diacronico dell'esegesi biblica

Queste osservazioni valgono per l'approccio diacronico ai testi biblici.

Le

doman­

de tipiche di tale approccio sono: un determinato passo di Marco contiene del ma­ teriale che già esisteva in forma orale o scritta prima di entrare nel vangelo? Se sì, quel materiale, ad esempio nel caso di un testo riguardante un detto attribuito a Gesù, in che rapporto sta con un detto autentico di Gesù e che cosa egli intese dire con esso? Oppure, se il passo narra un episodio, tale episodio è o non è un evento storico? Domande collegate sono: un passo che contiene materiale incorporato in che rapporto sta con un materiale affine esistente all'interno e all'esterno di Marco? Che cosa è possibile dire circa l'origine e la storia del testo preesistente e circa la si­ tuazione in cui esso è nato e si è sviluppato? L'autore di Marco ha incorporato quel testo senza modificarlo, oppure lo ha revisionato o adattato? Per quale motivo l'ha incorporato e adattato? Il passo in che rapporto sta con passi paralleli di Matteo e Luca? La maggior parte di queste domande presuppone una concezione evolutiva del testo, concezione che spiega perché i biblisti ne esaminino l'origine e la forma­ zione e perché la loro ricerca sia chiamata ricerca diacronica. I commenti classici a Marco, così come quelli agli altri vangeli, sono normalmen­ te di tipo diacronico e rendono conto, passo dopo passo, di questa ricerca diacroni­ . ca. Poiché la maggior parte dei passi ha alle spalle una propria storia, questo ap­ proccio comporta un'enfatizzazione di quella che è chiamata microesegesi del testo o esegesi al più basso livello del testo, cioè al livello dei singoli episodi. Bisogna certamente riconoscere che alcuni di questi commenti prendono in considerazione anche il testo finale, che è, dopo tutto, il prodotto di uno sviluppo. Tuttavia, come c'è da aspettarsi da questo approccio particolare, il vangelo nel suo complesso di solito non riceve l'attenzione che merita. Un commentatore che segue questa linea di indagine svolge il ruolo di un esper­ to che spiega e chiarisce quanto l'autore intende dire. Di conseguenza, se tiriamo u­ na riga tra l'autore e i lettori, tra il narratore e gli ascoltatori, un commentatore di

Lettura e lettori

11

questo genere sta quasi automaticamente dalla parte dell'autore. Ciò è addirittura e­ splicitamente affermato nella massima, secondo la quale il criterio decisivo è costi­ tuito dall'intenzione dell'autore. La massima implica che esegeti e lettori sono deter­ minati da quanto l'autore intende dire con il proprio testo. A prescindere dalla questione se, nel caso dei vangeli, esista, oltre al testo, anche

un altro modo per arrivare a conoscere l'intenzione dell'autore, l'utilità di questo approccio, quando esso è applicato a un testo narrativo, è limitata da almeno due circostanze. Primo, dato che il metodo parte da presupposti che ·nelle circostanze presenti non sono in ultima analisi dimostrabili, i suoi risultati sono condannati a ri­ manere in larga misura ipotetici. Secondo, l'esito della ricerca e la stessa ricerca so­ no incompatibili con il modo in cui i lettori trattano un testo narrativo. La lettura di un racconto coinvolge il lettore nel tempo della narrazione e nella sequenza tempo­ rale degli eventi narrati. Il metodo diacronico di analisi cerca di mettere in luce una diversa cronologia nel testo di Marco, cioè l'ordine in cui i vari strati del testo han­ no avuto origine. I due sistemi di tempo sono incompatibili, così come lo sono il modello della ricerca e quello della lettura. La lettura e la ricerca presuppongono due atteggiamenti diversi: il ricercatore avvicina Marco come un oggetto testuale, il lettore lo sperimenta come una comunicazione a lui diretta e gli risponde. di conse­ guenza. Per queste ragioni non è possibile né auspicabile combinare i due approcci in un unico commento.

L'approccio sincronico all'esegesi biblica

Allo studio diacronico della Bibbia si contrappone l'approccio sincronico1• Esso è detto 'sincronico' perché, anziché studiare la genesi e lo sviluppo storico del testo

' Cfr. le opere seguenti su Marco, abitualmente con introduzioni metodologiche: B.H.M.G.M. STAN­ DAERT, L'Evangile selon Mare. Composition et genre littéraire, St Andriesbadij, Zevenkerken - Brugge 1978; Y. AI.MEIDA, L 'opérativité sémantique des récits-paraboles. Sémiotique narrative et textuelle. Hermé­ neutique du discours religieux, Bibliothèque des Cahiers de l'lnstitut Linguistique de Louvain 13, Cerf, Paris; Peeters, Louvain 1978; R. M. FoWLER, Loaves and Fishes. Tbe Function of the Feeding Stories tn the Gospel of Mark, SBLDS 54, Scholars Press, Chico, CA 1981; Io. , Let the Reader Understand. Reader-Re­ sponse Criticism and tbe Gospel ofMark, Fortress Press, Minneapolis 1991; D. RHOADS D. MICHIE, Mark as Story. An Introduction to the Narrative of a Gospe� Fortress Press, Philadelphia 1982; E. BEST, Mark. 7be Gospel as Story, T. & T. Clark, Edinburgh 1983; C. MYERS, Binding the Strong Man. A Politica/ Rea­ ding ofMark's Story ofjesus, Orbis Books, Maryknoll, NY 1 990'; S. D. MooRE, Literary Criticism and the Gospels. Tbe Tbeoretical Challenge, Yale University Press, New Haven 1989; B. VAN IERSEL, Reading Mark, T. & T. Clark, Edinburgh; Uturgical Press, Collegeville, MN 1989 (trad. it., Leggere Marco, Paoline 19891; M.A. TOLBERT, Sowtng the Gospel. Mark's World in Literary-Historical Perspective, Fortress Press, Minneapolis 1989; }. C. ANDERSON S.O. MOORE (edd.), Mark and Metbod. New Approacbes in Biblica/ -

-

Introduzione

12

prima che esso abbia assunto la sua forma fmale, si concentra sul testo così come adesso si presenta in forma scritta e come un tutto complessivo fatto di segnali te­ stuali. Tale approccio può considerare il testo come un tutto stabile e esaminarne le componenti nelle loro interrelazioni, oppure concentrarsi sulla funzione del testo nel processo di comunicazione tra l'autore e il lettore. Il testo narrativo come stru­ mento di comunicazione è stato fatto oggetto di vari tipi di esame, due dei quali so­ no di particolare importanza in questo contesto. Il primo ha precisamente analizza­ to la relazione tra l'autore/narratore e il lettore. Un diagramma disegnato da Sey­ mour Chatman è comunemente usato per mostrare come il testo narrativo stabilisce la comunicazione tra l'autore e il lettore2• (Vedi Fig. 1). testo narrativo autore

autore *

reale

lettore (narratore)

*

(narratario)

implicito

lettore

*

implicito

reale

Figura l

L'autore in carne e ossa o reale coinvolge e reale mediante il testo della sua narrazione e,

influenza il

lettore in

carne e ossa o

in particolare, mediante l'immagine

del lettore che egli crea nel testo. Questa rappresentazione è chiamata

cito e consiste

lettore impli­

negli elementi testuali, che invitano il lettore effettivo a rispondere al

testo in certi modi. Anche se nel caso di Marco non c'è bisogno di distinguere tra il

lettore implicito

e il

narratario,

essi sono menzionati nel diagramma per amore di

completezza. Le posizioni del lettore corrispondono a quelle dell'autore. Quando l'autore usa un personaggio per raccontare la storia, parliamo di un narratore espli­ cito. Un esempio in questo senso è il monaco Adso ne

Il nome della rosa di Umber­

to Eco. Anche se Marco non ha un narratore esplicito, nel testo ci sono tuttavia trac­ ce di un

autore implicito e

di un

narratore implicito,

che formano l'immagine spe­

culare dei due lettori presupposti dal testo.

Studies, Fortress Press, Minneapolis 1992; J.P. HEIL, 1be Gospel of Mark as a Mode/ far Action. A Reader­ Response Commentary, Paulist Press, New York 1992; H.M. HUMPHREY, He fs Risen! A New Reading of Mark's Gospel, Paulist Press, New York 1992; O. DAVIDSEN, 7be Narrative jesus. A Semiotic Reading of Mark's Gospel, Aarhus University Press, Aarhus 1993; P. L. DANOVE, 7be End ofMark's Story. A Metbodo­ logical Study, BIS 3, E.]. Brill, Leiden 1993; D.H. ]UEL, A Master of Surprise. Mark lnterpreted, Fortress Press, Minneapolis 1994. ' S. CHATMAN, Story and Discourse. Narrative Structure in Fiction and Film, Comell University Press, Ithaca, NY 1978, 151 [trad. it., Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nelfilm, Pratiche, Parma 1981, 158].

Lettura e lettori

13

I l modello sopra proposto h a u n grave difetto. R . M . Fowler h a criticato il fatto che nel diagramma di Chatman, il quale contiene solo delle frecce puntate in dire­ zione del lettore, non ci sia alcuna indicazione di un coinvolgimento attivo del let­ tore3. Per quanto ne so, Fowler non ha disegnato un diagramma che tenga conto della funzione produttiva del lettore. Tale funzione del lettore ha ricevuto esplicita attenzione in un tipo di ricerca che merita una menzione speciale. In particolare W. Iser ha dimostrato che i lettori, ol­ tre ad essere passivi, sono attivi perché, tra le altre cose, riempiono gli spazi bian­ chi che sono sempre presenti in un testo letterario4• A questo scopo P. L. Danove ha ideato un diagramma adattato, che presentiamo nella Figura 25• comunità/mondo testo autore -+ reale

autore -+

lettore (narratore)-+ (narratario) -+

+-+

implicito

implicito

lettore

reale

Figura 2

La freccia che indica il lettore reale è stata sostituita con una freccia che va in due direzioni, per indicare . Egli non a­ veva udito

il Signore, né l'aveva seguito. Più tardi, come ho già detto, seguì Pietro. Questi

impartiva i suoi insegnamenti secondo le necessità, senza porre in ordine i detti del Si­ gnore. Così Marco non ha commesso errore scrivendo alcune cose come le ricordava. Fe­ ce solo attenzione a non tralasciare nulla di ciò che aveva udito e a non falsarlo' .

Poiché, secondo altre tradizioni antiche, Pietro era stato a Roma ed era morto durante la persecuzione di Nerone, anche l'idea che Marco doveva essere stato scritto a Roma prese piede molto presto. A quanto pare questa sembra un'informa­ zione valida. Tuttavia dobbiamo tener conto della possibilità che l'annotazione di Papia sia tendenziosa. L'attribuzione del vangelo a Marco e, attraverso di lui, a Pie­ tro può dopo tutto esser stata motivata dal desiderio retrospettivo di conferirgli una maggiore autorità. Oggi un libro non porta solo il nome dell'autore, bensì anche il luogo e la data della sua pubblicazione. Tali dati mancano nei manoscritti antichi di Marco. Ma i bi­ blisti concordano generalmente nel dire che esso fu scritto, al più presto, nel 65 d.C. e, al più tardi, poco dopo il 70 d.C . , diciamo nella prima metà degli anni Set­ tanta2. Ritornerò su questo tema più avanti.

La provenienza di Marco

Per molti studiosi critici il dubbio circa l'affidabilità della tradizione di Papia ha anche significato la liquidazione di Roma come luogo della composizione di Marco3•

' V. TAYLOR, 1be Gospel According to St Mark, Macmillan, London 1957, 1-7, riporta le versioni e tra­ duzioni originali di EusEBIO, Historia Ecclesiastica 3,�9, 15, nonché i passi relativi a Marco presenti nel Prologo antimarcionita, in Giustino, lreneo, nel Canone muratoriano, in Clemente di Alessandria, Orige­ ne e Girolamo. ' Pochi prendono in considerazione una data anteriore. Cfr. specialmente G. ZUNrZ, •Wann wurde das Evangelium Marci geschrieben?·, in H. CANC!K (ed.), Markus-Pbtlologie. Historiscbe, ltterargescbicb­ tlicbe und sttlistiscbe Untersucbungen zum zwetten Evangelium, WUNT 33, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1984, 47-71; C.S. MANN , Mark. A New Translatton with Introduction and Commentary, AB 27, Doubleday, Garden City, NY 1986, 72-77. 3 Per le ipotesi favorevoli a Roma, cfr. specialmente S.G.F. BRANDON, 1be Pali of jerusalem and tbe Christian Cburcb. A Study of tbe Effects of tbe jewisb Overtbrow of AD 70 on Cbristianity, SPCK, London 1978; ID., ·The Date of the Markan Gospel·, in NIS 7 (1961) 1 26-141 ; ID., jesus and tbe Zealots. A Study of tbe Politica/ Factor in Primitive Cbristianity, Charles Scribner's Sons, New York; Manchester Univer­ sity Press, Manchester 1967 , 221-282; C. MAssoN, L 'Evangik de Mare et l'Eglise de Rome, Delachaux & Niestlé, Neuchatel 1968.

26

Introduzione

Tali critici pensano piuttosto alla Siria meridionale, anche se non hanno al riguardo alcuna informazione diretta da fonti attendibili. In assenza di informazioni del gene­ re viene da domandarsi se non sarebbe meglio lasciare la questione della prove­ nienza di Marco e dei destinatari dell'autore insoluta. In tal caso noi prenderemmo il testo così come esso ci si presenta, senza doman­ darci quali significati esso può aver avuto nella situazione in cui è nato. Questo è in effetti il modo usuale di leggere il vangelo. A un estremo della scala c'è il lettore comune, che è semplicemente guidato dai punti di vista della comunità interpretati­ va di cui fa parte, o che cerca a tastoni e a proprio modo una via attraverso il testo. All 'estremo opposto c'è il decostruzionista, che vede il testo di Marco, a somiglianza di qualsiasi altro testo, come un campo da gioco dove i significanti sono liberamen­ te e allegramente scambiati fra di loro e dove un significato definitivo è perpetua­ mente differito4• Questo commento non parte da nessuna di queste due posizioni estremistiche. Non dalla prima, perché i lettori a cui io penso sono diversi sia dal lettore ingenuo sia dai lettori che accettano di essere completamente guidati dalle coercizioni della loro comunità interpretativa. Tali coercizioni sono restrittive, perché si fissano su al­ cuni significati e ne escludono in partenza altri, mentre è mia intenzione mettere in luce nuovi significati ogniqualvolta ciò sia giustifìcato. Non dalla seconda posizione, perché cerco di spiegare Marco come un tutto dotato di significati coerenti, mentre il decostruzionista afferma che i testi mancano di coerenza. Queste due posizioni e­ streme nella lettura possono essere adottate senza riflettere sulla tensione fra dire­ zione e mancanza di direzione'. Le posizioni intermedie invece non possono igno­ rare tale tensione, e ciò significa anche che esse devono pervenire a una intesa cir­ ca la situazione dell'autore, circa il testo e circa i lettori antichi. È perciò necessario riconsiderare la questione se Marco sia stato scritto in Siria o a Roma. La scarsa reputazione della annotazione di Papia giustiflcherebbe una ri­ sposta negativa riguardo a Roma come patria di Marco, se essa fosse l'unica o la principale testimonianza in tal senso. Così però non è. Certo, oltre a Eusebio non possediamo altre testimonianze esterne, per cui deve essere fin dall'inizio chiaro che non riusciremo mai a risolvere con certezza tale questione. Ma pur così, un cer­ to numero di indicazioni interne al vangelo meritano di essere esaminate. Tali indi­ cazioni sono di vario genere. A prescindere da una curiosa coincidenza di un nome personale, esse riguardano una caratteristica linguistica peculiare di Marco e un sor­ prendente numero di riferimenti a temi importanti.

' Cfr. KEEGAN, ·Biblica! Criticism·, cit. Per un esempio di lettura decostruttiva, cfr. MooRE, Marie and Luke, cit. BERG (·Reading in/to Mark•, cit., 187-206) combina operazioni decostruttive con la ricerca di e­ lementi che le sembrano estranei, perché non collimano con i suoi punti di vista femministi ed ebraici. ll capitolo dedicato a Marco da Seeley (Deconst7Ucting, cit., 53-79) è deludente. 5 Cfr. FOWLER, Reader, cit., 155-227.

Autore e lettori, luogo e tempo

27

La prima indicazione necessita solo di una breve discussione, perché non suffi­ cientemente chiara per essere accettata come un argomento. In

Rom 16, 13

Paolo,

dopo aver menzionato molte altre persone, chiede di salutare anche ·Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia•. La possibile coincidenza è che anche Marco menziona Rufo. A somiglianza di Marco, pure Matteo e Luca chiama­ no ·Simone di Cirene• l'uomo costretto dai soldati a portare la croce di Gesù, ma so­ lo Marco Io qualifica come ·padre di Alessandro e Rufo- (15,21). Questa descrizione non avrebbe senso se i lettori che l'autore aveva in mente non conoscevano alme­ no uno dei due. Viceversa essa avrebbe senso, se il Rufo menzionato in Romani fosse la stessa persona menzionata in Marco, ma questo non può essere provato. Il latino

rnfus significa

'rossiccio' ed è, come caratteristica personale, particolarmente

adatto a fungere da nome proprio. Ciò è confermato dal fatto che esso era uno dei nomi più comuni nell'antica Roma6. Il riferimento al padre di Rufo in Marco e quel­ lo alla madre di Rufo in Romani sono interessanti, ma di fatto non ci dicono nulla sull'identità del figlio. Essi sono perciò condannati a rimanere una curiosa coinci­ denza, che di fatto ha scarso o nessun valore probativo.

Termini e espressioni latine

Nella bibliografia moderna relativa all'origine del libro, gli autori hanno presto e­ videnziato il fatto che i latinismi sono in Marco assai più numerosi che negli altri vangeli, e che ciò potrebbe costituire un'indicazione che Marco fu scritto a Roma'. I latinismi citati si dividono in tre categorie. La prima comprende parole che sono tra­

caesar, modius, specu/ator, denarius, sextarius, census, fragel/are, centurio, quadrans, praetorium, legio, grabatus e vae.

scrizioni greche di parole correnti latine come

La seconda comprende parole che vanno considerate traduzioni letterali di parole latine, come

vedente

8,27-10,45

corruce, cteco -> vedente Gerusalemme collegamento retrospettivo epilogo, il sepolcro Figura

8,22-26 10,46-52 1 1 , 1-15-39 15,40-41 15,42-16,8

10

Di nuovo la via

Nella struttura concentrica complessiva del libro l'enfasi tematica cade sulla parte centrale, dove la collocazione e il tema si riflettono a vicenda. Per defmire questa parte non possiamo ridurre 'la via' al suo significato letterale. In quasi tutte le reli­ gioni il termine ha anche un secondo significato metaforico, che riguarda le conce­ zioni e le azioni che regolano uno specifico stile di vita. In questo senso il termine ricorre anche nel Nuovo Testamento15• Quanto al contenuto e alla forma, la parte centrale contraddistinta da Èv 'tfi Mq> ha il suo nucleo nelle tre predizioni della mor-

" Cfr. anche il mio articolo ·Locality, Structure, and Meaning in Mark·, in LB

ding Mark,

cit.,

18-30.

BRECK,

7be Sbape,

cit.,

189-190,

n.

20,

53 (1983) 45-54,

e

Rea­

attribuisce erroneamente questa divisione a

Standaert, che invece propone una divisione assai diversa. Oltre al prologo e all'epilogo, Standaert ha le parti seguenti: narrazione

(1, 14-6, 13),

" I passi più importanti sono

At 22,4,

(6,14-10,52), scioglimento (11, 1-15,47), (L 'Evangi/e se/on Mare, cit., 25-37.263-372).

argomentazione

divisione basata sulla struttura del dramma classico

una

dove ·la via· (f) òooç) senza alcuna ulteriore qualificazione in·

dica la comunità cristiana e le sue credenze, e

At 24,14,

dove si esplicita che i cristiani indicano con

quel termine se stessi, mentre i loro avversari li chiamano una setta,

atpemç.

Una composizione per linee e cerchi

75

te e risurrezione di Gesù (8,31; 9,31; 10,33-34) e concerne U cammino di Gesù e il cammino di coloro che seguono le sue orme (8,34-9, 1; 9,42-48; 10,35-45).

Nella parte centrale Gesù parla ripetutamente della propria missione. Egli cerca di far comprendere ai discepoli che, di fronte al programma affidatogli da Dio e ai piani dei suoi avversari per liquidarlo, egli deve scegliere tra l'essere infedele alla propria missione e rischiare la vita, e che come conseguenza deve andare incontro alla propria esecuzione capitale in Gerusalemme. Nello stesso tempo cerca di far lo­ ro comprendere che questa sua via non può rimanere senza conseguenze per i suoi seguaci. In questo senso figurato 'la via' non solo assume la posizione centrale nel racconto, ma costituisce anche il tema centrale su cui Marco intende focalizzare l'in­ teresse dei propri lettori. Conseguentemente il lettore comprende perché le prime righe del libro già annuncino questo tema (1,2-3) e perché l'ultimo episodio lo completi con l'annuncio: -egli vi precede in Galilea•.

Le linee e i cerchi

Infine c'è la questione della relazione tra gli aspetti lineari e quelli circolari della composizione, e in particolare la questione se essi non siano gli uni agli altri di o­ stacolo durante la lettura. Cerco di rispondere così. La costruzione lineare procede di continuo in avanti. Gli eventi narrati si susseguono come accadono nel tempo, creando così una attesa nel lettore, che si domanda che cosa succederà dopo. Una costruzione circolare funziona diversamente. Il lettore non si rende conto della sua presenza fmché non ha superato il centro della costruzione e comincia a riconosce­ re che le componenti successive al centro corrispondono in sequenza inversa a quelle precedenti il centro. Ogniqualvolta l'ha riconosciuta, egli è invitato a guarda­ re retrospettivamente a quanto ha letto e a collegare gli elementi affini. Se la costru­ zione lineare o sequenziale della composizione alimenta soprattutto l'attesa e indu­ ce il lettore a proseguire nella lettura, le costruzioni circolari lo costringono a fer­ marsi e a meditare i significati che ha attribuito al testo. Così esposte, le due costru­ zioni sembrano avere realmente un effetto contrario, ma un effetto che è in confor­ mità con i due livelli del racconto, cioè con lo sviluppo narrativo e con il discorso.

Forse possiamo spingerei fino a dire che la costruzione lineare è la struttura dello sviluppo narrativo e la costruzione circolare la struttura del livello discorsivo del si­ gnificato, di cui la narrazione è il veicolo.

Introduzione

76 Sintesi

Dopo quanto precede, il lettore di questo commento comprenderà perché ogni parte importante si apre con un capitolo dedicato alla struttura, e perché il libro contiene un certo numero di diagramnù per visualizzare la struttura concentrica. Dato che le nostre convenzioni letterarie differiscono da quelle della letteratura an­ tica e dato che le composizioni concentriche hanno trovato scarsa accoglienza nella nostra letteratura, i modelli visuali sono indispensabili per evidenziare che la gente di allora udiva senza tali ausili. Invece la struttura lineare del testo è così nota che non occorre prestarle alcuna particolare attenzione.

COMMENTO

prologo NEL DESERTO

5. Voci nel deserto (1 , 1 -1 5)

Il /ettore, munito delle informazioni dell'introduzione, entra nel mondo che il narratore ha creato per i propri lettori. Il narratore lo immette nella condizione di spirito idonea mediante il titolo, mediante una citazione e presentandogli il perso­ naggio principale che egli introduce nel prologo e che colloca tra Dio in cielo e Sata­ na nel deserlo. Le voci risuonanti in questa breve parte sono numerose. Oltre alle vo­ ci di Giovanni Battista e dello stesso Gesù, il lettore ode una voce dal cielo. All'inizio ode anche la voce dell'a utore-narratore e, da/ lontano passato, la voce del profeta I­ saia.

n titolo (1,1)

Inizio della buona notizia di Gesù Messia (Figlio di Dio)'. 1, 1. Il libro comincia con un titold dal significato così denso che le sue poche parole meritano una trattazione specifica. Quando la Bibbia fu scritta, non era cosa abituale dare a un libro un titolo, come facciamo oggi, però non era neppure una

' La traduzione è desunta dalla NSRV. I pochi passi in cui mi scosto da essa sono segnati da un da una

+.

Per la traduzione italiana è stata utilizzata

La Sacra Bibbia. Edizione ufflcia/e della CE],



o

Roma

1974. ' Per un'ampia disamina, cfr. anche C.H. GIBLIN, ·The Beginning of the Ongoing Gospel (Mk

1,2-16,8)•, in FGN II, 975-985. La

975) che fmo ad allora nessun argomento tratto 1,1 come il titolo di tutto il libro non è del tut­ to corretta. Vedi il mio Reading Mark, cit., 31. DANOVE, 1be End, cit., 136, n. 9, respinge l'argomento, perché •1,1 identifica il personaggio principale, Gesù, e introduce la possibilità di raccontare 1,2-16,8-. Ma il suo ragionamento non regge, perché 1 ,2-8 non suppone questa identificazione e 1,11 gli conferi­ sua

osservazione

(p.

dal finale del vangelo era stato proposto per considerare

sce l'autorità di una voce, che è di un ordine superiore a quella dell'autore-narratore.

Prologo: Nel deserto

80

cosa sconosciuta o straordinaria. Nel testo ebraico dell'Antico Testamento e nella versione greca fattane dai Settanta, Osea, i Proverbi, il Qoelet e il Cantico dei Canti­ ci hanno titoli paragonabili a quello riscontrato all'inizio di Marco. E pure autori greci e latini diedero un titolo alle loro oper&. Il lettore di Marco che cosa può ap­ prendere dal titolo? Quando Marco fu scritto, il termine eùa"f}tA.tov non indicava ancora un tipo speciale di libro, per cui, diversamente dai lettori successivi, la pri­ ma generazione di lettori non poteva apprendere dal titolo che Marco era una spe­ cie di biografia. Se essi conoscevano alcune lettere di Paolo o le formule di fede da lui usate, cosa molto probabile, potevano presumere che il libro trattasse della mor­ te e risurrezione di Gesù ( 1 Cor 15,3-5 e Rom 1, 1-4). Così pure abbiamo buone ra­ gioni di supporre che il termine eùayytA.tov ricordasse loro il messaggero di Dio (in ebraico mebaSier, in greco eùayyeA.tç�oç), cui Isaia fa spesso riferimento. Se nel greco classico til6:yyeA.oç è il messaggero che annuncia la pace, una vittoria o un e­ vento ordinario come un matrimonio o la nascita di un bambino, in Isaia l'eùayye­ A.tç�oç è l'araldo che proclama che il regno di Dio è giunto e che questo è un tempo di salvezza e di celebrazione (ls 40,9-11; 52,7; 6 1 , 1) Che il lettore pensi le­ gittimamente così è confermato dal fatto che il titolo è subito seguito da un esplicito riferimento a Isaia con una citazione dal c. 40. Il titolo presenta quel che segue come l'inizio della buona notizia. Ciò può esse­ re inteso in vari modi'. I lettori che leggono solo la prima pagina sono subito con­ vinti che essa costituisce l'inizio. Alla fme della pagina il libro si congeda da Gio­ vanni Battista (v. 14) e introduce Gesù come il messaggero che porta la buona noti­ zia. Con la duplice ripetizione del termine ruayytA.tov (vv. 14-15) l'inizio è comple­ tato e incorniciato con Io stesso termine del titolo. Nell'applicare il termine 'inizio' alla prima pagina i lettori non sbagliano. Nondimeno dovranno forse tornare a ri­ pensare ad esso alla fme del libro, quando il giovane in veste bianca annuncia la ri­ surrezione del Gesù crocifisso con le parole della sintesi più breve possibile di quel che Paolo chiama il suo tilayytA.tov ( 1 Cor 15, 1-5). I lettori, quando vedono di nuovo il titolo ad una seconda lettura, si rendono conto che esso ha più di un si­ gnificato. La prima pagina riguarda il modo in cui Gesù cominciò a proclamare il regno di Dio, mentre il libro parla dell'inizio della proclamazione relativa a Gesù. Queste parole rispondono implicitamente alla vecchia questione del modo in cui bisogna intendere il genitivo 'di Gesù Messia'. Il lettore che non si spinge oltre i vv. .

3 Ricordiamo i titoli dei libri scritti da FlAVIO GIUSEPPE, 'IO"top!a. 'loOOaLlCOll 1tOÀtJ.I.Oll (Storia della guerra giudaica) e nept étl.Woeroç (Sulla distruzione), e di quelli scritti da FILONE m Al.EssANDRIA, nept 'Coli j3toù Mcouatmç (Sulla vita di Mosi) e nept 'tiilv !)txa 'J..&ywv (Sul decalogo), due autori dello stesso periodo. Questo sembra essere sfuggito all'attenzione di DANOVE, 1be End, cit., 136 n. 9, che liquida l'i­

dea che 1,1 sia il titolo del libro come un anacronismo. • I commenti usuali considerano le parole introduttive come il titolo del libro, 'inizio' esclusivamente in rapporto con la sua prima parte.

ma

mettono la parola

Voci nel deserto (1, 1-15)

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14-15 pensa che Gesù sarà presentato come il messaggero del vangelo, come l'aral­ do a cui Isaia si riferisce. Certo, nel corso del libro egli è descritto come colui che porta il vangelo con la parola e con i fatti. Nella seconda parte del libro egli parla tre volte della morte e risurrezione del Figlio dell'uomo (8,31; 9,31; 10,33-34) e una volta perfmo di quel che egli farà dopo esser risorto (14,28), ma questi detti sono molto dissimili per contenuto e tono da quel che il lettore associa al vangelo. Solo nell'ultima pagina del libro egli viene a sapere dal giovane presente nel sepolcro che anche lo stesso Gesù - e in particolare la sua morte in croce e la sua risurrezio­ ne - sono il contenuto del vangelo. Perciò la costruzione col genitivo 'vangelo di Gesù Messia' significa che il vangelo è sia da Gesù che su Gesù. Pure il termine Xpt) è piuttosto diversa dalle parole pronunciate dalla voce celeste nel v. 1 1 .

1, 12-13. Il racconto prosegue immediatamente. Questa è l a seconda volta, dopo il v. 10, che le azioni sono collegate da un 'immediatamente', 'subito' o da una qual­ che altra parola che possa essere usata per tradurre l'avverbio greco eùl'}Uç. L'uso frequente di questo termine, che ricorre non meno di 42 volte in Marco, accelera il ritmo del racconto. Il narratore ha chiaramente fretta di procedere. Il termine a vol­ te introduce un nuovo episodio, ma è anche usato per collegare diversi eventi al­ l'interno di un episodio, come nel caso del v. 10. Questo passo è così breve che non lo si può considerare un episodio separato. Sembra perciò preferibile prendere qui eùl'}Uç come un espediente connettivo operante all'interno di un episodio, tanto più che lo Spirito, il quale ha appena preso possesso di Gesù, lo sospinge subito nel deserto23• L'uso del verbo 'sospingere' (h:j3(xìJ.m) qui è estremamente interes­ sante, perché altrove in Marco esso è quasi sempre usato per indicare la cacciata di demoni. Poiché il termine 'deserto' è preceduto dall'articolo determinativo, siamo ancora nel deserto del v. 4, e tuttavia esso, come luogo dei 40 giorni delle tentazioni di Ge­ sù, ricorda al lettore i 40 anni della prova sostenuta da Israele nel deserto del Sinai (per es., Dt 8). La presenza di animali selvatici sottindende l'assenza di esseri uma­ ni. Poiché nulla viene detto sul modo in cui Gesù si comporta tra le bestie selvati­ che o sul modo in cui queste reagiscono alla sua presenza, è cosa un po' arbitraria dipingere la scena come un paradiso idilliaco o escatologico. Nel deserto Gesù è messo alla prova non, come Israele, da Dio, ma da Satana, dall'avversario di Dio. La descrizione estremamente breve non dice come e perché Gesù è messo alla prova, né come egli l'affronta. Il fatto che egli - probabilmente dopo la tentazione - sia servito da messaggeri (senza dubbio celesti) dà l'impressione che, dopo un digiuno impostogli dal cielo, egli è adesso rifocillato con un pasto con cui si indica che egli ha vinto la tentazione e superato la prova. Questa scena di Gesù nel deserto, e in 23 PAINTER,

Mark's Gospel, cit.,

29, sostiene esattamente l'opinione contraria. L'effetto dell'uso frequen­

te di rùM; •ne diminuisce la forza ed esso andrebbe interpretato come significante poco più di 'poi'•. gli non porta argomenti in favore della propria opinione, per cui è impossibile valutarli o confutarli.



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Prologo: Nel deserto

particolare i messaggeri che lo servono, ricordano al lettore Elia, che fu capace di camminare 40 giorni fino al monte Oreb nel deserto del Sinai, dopo che un mes­ saggero celeste lo aveva rifornito due volte di cibo (1 Re 19, 1-8). Se il Battista è l'E­ lia tornato e se Gesù sembra a sua volta qui dipinto con tratti presi a prestito dal profeta, le cose paiono divenire piuttosto complicate; ma questo è un problema che si risolve da solo con la continuazione del racconto. Il narratore, dopo aver introdotto Gesù come il personaggio principale o, narrati­ vamente parlando, dopo averlo installato come il protagonista o l'eroe del racconto - un 'eroe' che può tuttavia assumere i lineamenti di un 'anti-eroe' -, può comincia­ re a parlare delle sue azioni. Il lettore sa già che Gesù è posseduto dallo Spirito Santo di Dio e che Dio lo considera e lo tratta come proprio figlio. Da adesso in poi Gesù è se stesso, veramente se stesso. È divenuto tale solo con il battesimo, e lo Spirito Santo non era prima in lui? Questo è quanto il racconto sembra insinuare. Ciò significa anche che egli non era figlio di Dio prima del battesimo? Oppure che era figlio di Dio senza averne coscienza? Il racconto non risponde a queste doman­ de. Tutto quel che possiamo dire è che, se il narratore voleva dire questo, avrebbe fatto meglio a citare anche quanto segue le parole ·Tu sei il figlio mio•, e cioè •oggi ti ho generato· (Sa/ 2,7). Il fatto che egli non le abbia citate rende meno probabile la necessità per il lettore di pensare a una specie di (ri)nascita o adozione di Gesù, che lo avrebbe reso formalmente figlio di Dio. Oltre all'eroe è stato presentato al lettore anche uno dei suoi aiutanti, Giovanni Battista. Giovanni, nella sua qualità di precursore di Gesù, ha annunciato Gesù al popolo della Giudea e di Gerusalemme e, immergendolo nell'acqua del Giordano, lo ha messo nella condizione di ricevere lo Spirito e di udire che è figlio di Dio. Ci sono anche altri importanti personaggi, che fanno parte della costellazione at­ torno a Gesù. C'è, tanto per cominciare, colui che ha interpellato Gesù dal cielo, cioè Dio stesso, che chiamando Gesù proprio figlio ha qualificato se stesso come padre. Forse anche lo Spirito? Se nel v. 10 lo Spirito è entrato in Gesù - un'azione naturale per uno spirito -, nel v. 1 2 esso è più una forza interiore e inerente che non un personaggio a sé stante. Uno che agisce dùaramente come un personaggio indipendente nel libro è 'Satana'. Questo è un termine ebraico che originariamente indicava un pubblico ministero in un processo, ma che alla fme divenne il nome proprio dell'avversario di Dio, il Maligno, il Diavolo, o comunque lo vogliamo chia­ mare. La stessa cosa va detta degli 'angeli' (ciYYEA.ot), letteralmente 'messaggeri', e in Marco sempre messaggeri di Dio, i quali, anche se non è esattamente chiaro come il narratore li immagini o li visualizzi, differiscono dagli uomini, come risulterà più avanti nel libro. Gli animali selvatici vanno considerati come veri e propri personag­ gi? A parte il fatto che essi non compaiono più nel racconto, sembra meglio consi­ derarli come facenti parte del normale ambiente del deserto. Riassumendo, il rac­ conto presenta un certo numero di personaggi oltre agli uomini, personaggi che

Voci nel deserto (1, 1-15)

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non sono abitanti della terra, ma che hanno ciò malgrado molto a che fare con quanto accade a Gesù e agli altri personaggi del libro. Una situazione simile si ripropone con i luoghi del libro. La prima parte del rac­ conto è collocata nel deserto che, dal momento che noi siamo abituati a pensare per opposti, evoca il mondo abitato. Questo è specificato come le regioni della Giudea e della Galilea, la capitale Gerusalemme e la insignificante città provinciale di Nazaret. Più avanti nel libro la Galilea, Gerusalemme e - in misura molto minore - Nazaret assumeranno un loro specifico significato. Il mondo del racconto è tutta­ via più vasto del mondo abitato, perché, come abbiamo visto, il libro si riferisce an­ che al cielo. Questo è in primo luogo la volta celeste stesa sulla terra, ma è anche il luogo nell'alto da cui Dio fa sentire la sua voce e comunica con le persone sotto­ stanti tramite messaggeri. Il capitolo introduttivo è anche importante per la soggiacente struttura temporale. Il racconto comincia con il battesimo amministrato da Giovanni e con l'annuncio da lui fatto, ma in realtà comincia nel giorno in cui Gesù, dopo aver ricevuto il battesi­ mo dalle mani di Giovanni, emerge dal Giordano ed è mosso dallo Spirito. Il rac­ conto guarda anche indietro e ricorda quanto è registrato nelle Scritture. Il narratore fa rilevare ai lettori che quanto avviene nel racconto è stato scritto in Isaia secoli prima che il racconto cominciasse.

La proclamazione della buona notizia di Dio (1,14-15)

"Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando la buona notizia di Dio '5e diceva: 'Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; pentitevi e credete al vangelo'. Questi due versetti hanno all'inizio del libro la stessa funzione strutturale di

15,40-41 alla ftne; Essi collegano il prologo, ambientato nel deserto, con la Parte I, che riguarda la Galilea, così come 15,40-41 collegano l'epilogo, che è ambientato vicino al sepolcro, con la Parte III, che tratta di quanto accade in Gerusalemme. Es­ si servono chiaramente da transizione o cerniera, e uniscono due pannelli esterni più piccoli ai tre grandi pannelli collocati nel mezzo. Quanto al loro contenuto, o­ gnuno propone un riassunto conciso di una parte importante del libro: i vv. 14-15 guardano in avanti al ministero di Gesù in Galilea, mentre 1 5,40-4 1 guardano retro­ spettivamente a quanto il libro ha detto prima su Gesù. 1, 14-15. Il passo traccia una chiara linea divisoria tra il precursore e il protagoni­ sta del racconto. Giovanni ha svolto un ruolo essenziale, anche se sussidiario, nella

Prologo: Nel deserto

fase introduttiva, ma adesso il suo tempo è finito, e comincia il tempo di Gesù. Gio­ vanni esce di scena, ed entra Gesù24• Le parole, che parlano della partenza di Gio­ vanni, suonano minacciose, perché il verbo usato per indicare il suo arresto (1t tov) (1, 14-15), e finisce con una immagine speculare di tale fatto: il lebbroso che, contrariamente all'ordine di Gesù, proclama (Kepucrcrro) il messaggio (tbv A.(Jyov) con il risultato che Gesù diventa così noto che non può più entrare liberamente in una città e che la gente accorre a lui da ogni parte (1 ,45). Il messaggero è adesso diventato - contro la sua volontà? - il contenuto del messag­ gio. Il lettore, che ha percepito la relazione esistente tra i due episodi che fungono da cornice, non mancherà di notare l'opposizione esistente tra il racconto dei quat­ tro pescatori, che decidono di seguire Gesù (1 , 1 6-20), e la sua controparte costituita dal racconto di Simone e dei suoi compagni, che vanno alla ricerca (Ka.ta.�uox:ro) di Gesù, allorché egli dà l'impressione di allontanarsi dai suoi seguaci e di ritirarsi in un luogo dove star solo con se stesso, esattamente come prima che i quattro lo se­ guissero ( 1 ,35-39). Tra questi estremi ci sono tre episodi: la pubblica cacciata di un demone nella sinagoga di Cafarnao di sabato (1,21-28) e, come sua controparte, le guarigioni e gli esorcismi pubblici davanti alla porta della casa dopo il tramonto, quando il sabato è finito (1,32-34); e, tra questi due, l'episodio della guarigione del­ la suocera di Simone nel chiuso della casa in giorno di sabato (1,29-31). La cosa interessante di questa struttura è che la posizione centrale, su cui le com­ posizioni concentriche di solito focalizzano l'attenzione, sembra essere occupata dall'episodio meno importante: Gesù guarisce una singola donna, la suocera di Pie­ tro, sofferente di febbre, in maniera quasi casuale e senza altri testimoni al di fuori dei suoi quattro seguaci. È perciò improbabile che questo episodio costituisca l'ele­ mento centrale di una struttura concentrica, a meno che esso meriti questa attenzio..

Attività tn Galilea

108

ne speciale per motivi macro-sintattici. Dopo la guarigione la donna sembra fuori­ uscire dal quadro. Che ella non fuoriesca è una cosa che il lettore non scoprirà pri­ ma dell'ultima pagina del libro, dove il narratore menziona un certo numero di donne che servivano Gesù quando egli era in Galilea (15,40-41). Pertanto questa informazione è anticipata nella prima parte del libro dalla menzione di almeno una donna che serviva Gesù e i suoi compagni in Galilea (1 ,31). Questi sono i due soli passi in Marco, dove il verbo 3taJCovtro ('servire') è usato per indicare l'attività di persone in compagnia di Gesù. La seconda sequenza costituita da cinque episodi concentricamente disposti è rappresentata dalla Figura 13.

[

Luogo

Azione

Cafamao/casa banco dclle imposte/casa nessun indicatore spaziale nei campi

guarigione delle gambe paralizzate

2,1-12

a tavola con pubblicani e peccatori

2,13-17

niente digiuno, vecchio e nuovo raccolta in giorno di sabato di qualcosa da mangiare guarigione della mano inaridita

2,18-22

Cafamao/sinagoga

2,23-28 3, 1-6

Figura 13

Diversamente dai passi posti a loro fianco, i cinque episodi son tutti episodi po­ lemici. Inoltre l'episodio centrale e i due esterni contengono un riferimento velato ma facilmente riconoscibile alla morte violenta di Gesù: in 2,7 tramite il modo in cui l'accusa silenziosa degli scribi anticipa quella del sommo sacerdote in 14,64; in 2,20, dove il rapimento dello sposo allude alla morte di Gesù; e in 3,6, dove i farisei cominciano a consultarsi con gli erodiani per trovare il modo di eliminare Gesù. I­ noltre i tre episodi centrali coinvolgono i discepoli e riguardano il mangiare (man­ giare contrapposto al digiuno; digiuno contrapposto al non digiuno). Pure il primo e gli ultimi due episodi hanno un tema in comune: i primi due il perdono dei pec­ cati, gli ultimi due la portata delle norme del sabato. Nei primi due il perdono dei peccati è in maniera molto appropriata collegato con la funzione di Figlio dell'uo­ mo di Gesù (2,10), e negli ultimi due tale funzione è estesa fino a includere il titolo di 'padrone' in connessione con la limitata validità della legge del sabato (2, 28). Completo questa serie con un elemento strutturale, che non è stato finora rilevato. Esso riguarda la natura delle guarigioni narrate nel primo e nell'ultimo episodio. La mano e il piede fanno così chiaramente parte di un unico paradigma semantico che anche l'episodio iniziale e quello finale sono tra loro collegati a motivo di questa opposizione binaria e formano pertanto un'inclusione ancor più chiara di quanto essa sarebbe altrimenti risultata.

La strnttura della parte prima

109

Diversamente da quegli analisti che collocano una cesura prima di 4,1 e fanno terminare la sequenza con 3,352, io considero il testo parlato del cap. 4, assieme ai vv. 2 e 33-34, come una unità, e considero 4,1 come appartenente alla sequenza 3,7-4,P. In questo modo 3,7-4,1 forma la sequenza concentricamente disposta rap­ presentata nella Figura 14. Luogo

- lago

[::'

all'aperto - lago

Azione

ammaestramento, grande folla, preparazione di una barca Gesù forma un gruppo di Dodici discussioni sulla fonte dell'autorità di Gesù Gesù forma una nuova famiglia ammaestramento, grande folla, Gesù sale su una barca

3,7-12 3, 13-19 3,20-30 3,31-35 4, 1

Figura 14

Il primo e l'ultimo episodio, ambientati in riva al lago, sono i soli passi di Marco che menzionano la presenza di una grande folla (1toÀ.Ù 1tÀ.i'j'l'X>estatosi, sgridò il vento e disse al mare: 'Taci, calmati!'. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: 'Perché siete così paurosi? Non avete ancora fiducia"?'. 4'E furono presi da grande ti-

178

Attività in Galilea

more e si dicevano l'un l'altro: 'Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare ob­ bediscono?'. 5 'Intanto giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Geraseni. • NRSV: 'faith'; CEI: 'fede'. 4,35. Il v. 35, diversamente dal carattere generalizzante delle due proposizioni precedenti, introduce un altro evento. Il riferimento temporale è sia connettivo - lo stesso giorno - sia separativo - la venuta della sera. L'inuninente oscurità può offri­ re protezione, ma è nello stesso tempo fonte di incertezza circa la presenza di peri­ coli invisibili. Da un po' di tempo il nome di Gesù non è più stato menzionato, né lo è qui, dove è lui a prendere l'iniziativa di continuare il viaggio annunciato in 1 ,38. Sorprendentemente egli propone di attraversare il lago verso l'altra riva, po­ nendo così ftne ai suoi viaggi nei dintorni di Cafarnao. Come si vedrà, la traversata porta in un territorio pagano. Che questa fosse l'intenzione di Gesù non viene detto espressamente, ma è suggerito dal fatto che sia lui a prendere l'iniziativa. 4,36. Sembra che Gesù sia ancora nella barca su cui era salito in 4,1 e che il let­ tore ha perso più o meno di vista. È sorprendente come egli sia passivo dopo aver dato l'ordine di passare all'altra riva. Il lettore deve supporre che egli è stanco dopo gli eventi della giornata e che adesso lascia che siano i suoi compagni a eseguire l'ordine? Chi siano i suoi compagni - i Dodici, alcuni di loro, o anche altri - il testo non lo dice. Il lettore suppone che uno o alcuni di essi facciano parte dei quattro pescatori, che avevano probabilmente anche preparato la barca in 3,9 e su cui Gesù può contare. L'informazione che anche altre barche sono con Gesù non attira molto l'attenzione del lettore, perché egli sa ora che Gesù è costantemente seguito da o­ gni genere di persone. Solo quando la comitiva è in pericolo nel v. 38 la presenza di altre barche gli sembra strana. Anch'esse potevano perire, o prestare soccorso in caso di naufragio, per cui forse le altre barche sono aggiunte per aumentare la drammaticità dell'imminente disastro1 • Quando il lettore non incontra più altre volte una barca accompagnatrice nel libro, le domande di questo genere si moltiplicano, ma questo non significa che qualcuna di esse riceva una risposta.

4,3 7-38. A un certo punto durante la traversata - al lettore non viene detto dove le barche siano arrivate e se nel frattempo si sia fatto buio o abbia già cominciato ad albeggiare - scoppia una violenta tempesta. Il Mar di Galilea è noto per i suoi rapidi cambiamenti di tempo e le sue pericolose tempeste. Viceversa il racconto di­ ce che Gesù è addormentato e che giace su un cuscino a poppa. Per vedere questo fatto come una prova della ftducia di Gesù in Dio2, bisogna presumere che egli non

' Cfr. LùHRMANN , Markusevangelium, cit., 96 . ' Cfr. GNILKA, Markus l, cit., 195 [trad. it. cit., 265]; GuEucH, Mark, cit., 220.

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

179

si sia addormentato prima della minaccia o dell'inizio della tempesta, ma non c'è in verità alcuna ragione per pensarlo. Sia la terminologia che descrive lo scoppio della tempesta che quella che descrive il sonno di Gesù rammentano da vicino Giona3• L'influsso del libro di Giona spiega anche perché il racconto menzioni prima la tempesta e poi il sonno4• L'articolo determinativo prima di 'cuscino' fa pensare che il termine indichi il cuscino del rematore, che fa parte dell'attrezzatura della barca, e non un cuscino che si trovava là per caso. Come nel caso di Giona, così anche il Gesù addormentato è svegliato dal grido •moriamo• CJ.LEfu), seguito da una invocazione di aiuto. A Giona viene chiesto di pregare il proprio Dio, Gesù riceve una richiesta più vaga e meno elevata sotto forma di rimprovero. Le parole del rimprovero .ricordano al lettore altri passi dell'Antico Te­ stamento, in cui l'Israele perseguitato, disperatamente alla ricerca di un aiuto di fronte alla distruzione imminente, pone a Dio - specialmente nei Sa/ 44,24-27; 59,6 - la stessa domanda posta dai discepoli a Gesù in Marcos. Come risultato, Marco presenta connotazioni specifiche per lettori che stanno di fatto soffrendo persecu­ zioni o vivono nella costante paura di esse. Nel terrore mortale dei discepoli, men­ tre Gesù dorme tranquillo, essi riconoscono i loro propri momenti di disperazione, in cui è possibile solo lanciare la loro disperata invocazione di aiuto.

4,39. Man mano che la tempesta si sviluppa, .il lettore si rende conto che Gesù è presentato come l'esatto opposto di Giona. Qui la salvezza avviene non perché il profeta è gettato a mare, come nel libro di Giona, ma perché il profeta Gesù, pren­ dendo a cuore la sorte di coloro che sono nella barca, si alza e placa il vento e le onde con una sola parola potente, così come egli ottiene obbedienza dai demoni in altri punti del racconto6• Il silenzio è improvviso, impressionante e sconvolgente co­ me lo era stata la tempesta. 4, 40. Il lettore si aspetta che i salvati rispondano con gratitudine e gioia, come a­ vevano fatto a Cafarnao i presenti alla guarigione del paralitico (2, 1 2), ma le cose vanno in maniera diversa. Anzitutto Gesù parla ai suoi compagni con la stessa du­ rezza con cui ha parlato al vento e alle onde. Come essi, durante la tempesta, ave-

3 Vale la pena di menzionare i seguenti termini greci di Gto l (LXX) : Jtl..oiov, rl.:u&ov IJt)uç �v tf1 001..00'1), 0 ÉKttdeulìe, avllO�ft�v J,lt-,av; cfr. B.M.F. VAN IERSEL - AJ.M. LIN­ MANS, •The Storm on the Lake: Mk IV 35-41 and Mt VIII 18-27 in the Light of Form Criticism, 'Redaktion­

sgeschichte' and Structural Analysis•, in T. BAARDA (ed.), Miscella nea Neotestamenttca II, NovTSup 48, E.}. Brill , Leiden 1978, 17-48 (21). • Cfr. LiJHRMANN, Markusevange/ium, cit., 97, e cfr. Gv 1,4.6. 5 Sul risveglio di YHWH, cfr. anche Sa/ 78,65. 6 n parallelismo è particolarmente sottolineato dal verbo Èm'ttJl{lro (1 ,25; 3,12; 4,39). Cfr. anche DA­ VIDSEN, 'fbe Na"ativejesus, cit., 86 e CAMERY-HOGGATI, /rony, Cit., 132. ·

Attività in Galilea

180

vano espresso la loro delusione nei confronti di Gesù, così adesso egli dice loro senza mezzi termini che l'hanno deluso. Una delusione provoca semplicemente l'al­ tra, o c'è qui qualcosa di più? La cosa non è chiara. Sin dalla fine della sezione delle parabole il lettore ha atteso invano da parte del narratore un'informazione, con cui si dicesse che i discepoli erano giunti a capire Gesù. Adesso il narratore rimedia a tale carenza, ma non nel modo atteso dal lettore. Egli fa dire direttamente dallo stesso Gesù ai suoi compagni di viaggio che la loro paura è un chiaro segno di mancanza di fiducia. Sotto questo aspetto i Dodici sono - dal momento che il letto­ re si rende conto che essi sono nella barca - le controparti dei quattro uomini che a Cafarnao scoperchiarono il tetto per portare il paralitico a Gesù (2,3-5). 4, 41 . Poi i discepoli rispondono all'evento. Quel che sorprende il lettore come u­

na cosa degna della massima attenzione non è il loro grande timore, ma il fatto che essi non reagiscono affatto alla loro propria salvezza, bensì solo a quel che hanno visto, cioè alla circostanza che, sulla parola di Gesù, la tempesta è cessata e il mare si è calmato. La domanda posta alla fine del passo ci dice che l'evento ha fatto comprendere ai discepoli che in Gesù c'è qualcosa di più di quanto essi hanno fi­ nora scoperto. Diversamente dai lettori, i quali sanno fm dalla prima pagina chi è Gesù e presumono di essere pienamente iniziati, i discepoli non conoscono che co­ sa manca alla loro conoscenza di Gesù. Coloro che sono nella barca non sanno neppure che Gesù, che si lascia guidare da quanto Dio esige da lui, è più grande di Giona', perché questa interpretazione presuppone la cornice in cui il narratore ha inquadrato il racconto. 5, 1 . Malgrado la tempesta Gesù e i suoi compagni di viaggio arrivano sani e salvi sulla riva opposta, nel territorio dei Geraseni, un nome a cui né i primi lettori di Marco né quelli odierni sono in grado di 'associare qualcosa. Esso è molto diverso da Ninive, dove Giona chiamò il popolo alla conversione e al pentimento, eccettua­ to forse il fatto che Gesù compare là da solo, cioè senza i discepoli che sembra non siano neppure scesi dalla barca8• 7 Cfr. Mt 1 2,41/l Le 1 1 ,32, dove ciò è detto con molte parole. • Molto inchiostro è stato versato sui problenù connessi al fatto che Gerasa dista troppo dal lago per essere la città menzionata in 5,14. Per una estesa· panoramica, cfr. GUEUCH, Mark, cit. , 275-277. Tuttavia ].H. MOULTON G. MiLLIGAN, The Vocabulary of the Greek Testament, Hodder & Stoughton, London 1957, 695, sotto la voce ·xwpa' menzionano un passo di un papiro, in cui il delta del Nilo è chiamato 'la regione degli Alessandrini' ('A�avlìperov xwpa), una costruzione non insolita con 'città' (1t6;l..tç): Mt 10,5; Le 9,52; At 16,14; 2 Cor 11,32. Se Mc 5, 14 non si riferisce a Gerasa, che non è stata menzionata prima, ma a un'altra città, allora non v'è alcun problema. Ad ogni modo il nome costituisce un proble­ ma solo per chi ha una sufficiente conoscenza geografica. Di regola c'è da ritenere che i lettori di Mar­ co non abbiano tale conoscenza, e generalmente si pensa che pure l'autore avesse solo idee vaghe del­ la situazione geografica. -

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

181

Una legione di demoni (5,2-20)

ZCo�e scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spiri­ to immondo. 'Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo lega­ to neanche con catene, •perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. 5Conti­ nuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, 'e urlando a gran voce disse: 'Che hai tu

in

comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio,

non tormentarmi!'. BGli diceva infatti: 'Esci, spirito immondo, da quest'uomo!'. 9E gli do­

mandò: 'Come ti chiami?'. 'Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti'. 10E pre­

se a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione. "Ora c'era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. 12E gli spiriti lo scongiuraro­ no: 'Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi'. 13Glielo permise. E gli spiriti immon­ di uscirono ed entrarono nei porci e

il

branco si precipitò dal burrone nel mare; erano

circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare. 141 mandriani allora fuggirono, por­ tarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse ac­ caduto. 15Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano

di men­

te, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. 1'Ed essi si misero a pregarlo di andarsene

dal loro territorio. 18Mentre risaliva nella barca, quello

che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. '"Non glielo permi­ se, ma gli disse: 'Va' nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che ·il Signore ti ha fatto e

la misericordia che ti ha usato'. lOEgli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati. 5,2. L'unico a scendere dalla barca

è

Gesù. I discepoli non svolgono alcun ruolo

in questa parte del racconto e . non sono più menzionati fino a 5,31 . Perciò il lenore non può che pensare che essi rimangano a bordo. Il fano che Gesù sia solo

è

tanto

più sorprendente, in quanto subito dopo il suo incontro con l'ossesso egli deve ve­ dersela con molti altri, con un esercito di demoni, con un gruppo di mandriani e con un numero indefinito di persone provenienti dal territorio circostante.

5,3-5. Inizialmente

tuna l'attenzione

descrive la situazione in un modo che

è

è

incentrata sull'indemoniato. Il narratore

singolarmente verboso e ripetitivo per lui,

ma le parole sono chiaramente inadeguate ad esprimere quanto l'ossesso sia in una situazione umanamente disperata, una situazione compensata solo dalla sua forza sovrumana e dalla gioia evidente che pervade il racconto. La struttura caotica di questo conferma l'impressione che esso riguardi un evento caotico. Diversamente dall'ossesso di 1,23-26, questo indemoniato

è

segregato dalla società e vive in un

sepolcro che non può essere lontano dal mondo abitato, perché la presenza di più

Attività .in Galilea

182

sepolcri indica la presenza di un'area residenziale, per quanto posta a una certa di­ stanza. In Palestina il sepolcro delle persone benestanti è costituito da un piccolo vano spesso ricavato nella roccia, con nicchie lungo le tre pareti e un ingresso ver­ so l'esterno chiuso da una pietra alta quanto u� uomo. Una tomba del genere costi­ tuisce un buon riparo per chi è in grado di entrarvi. Il racconto lascia intendere che l'indemoniato, essendo considerato turbolento e pericoloso, era stato invano incate­ nato in un sepolcro del genere. Quando Gesù arriva, sembra che egli sia di nuovo scappato.

5, 6-8. Il racconto non segue passo passo gli eventi, ma menziona l'intervento di Gesù in una proposizione conclusiva, con il risultato che il lettore non è in grado di determinare quando, secondo il narratore, Gesù ha ordinato al demonio di uscire dall'uomo. In 1 ,23 era stato l'ossesso a prendere l'iniziativa. Supporre la stessa cosa qui è piuttosto difficile a motivo della clausola esplicativa di 5,8, ma il lettore non sa da quale altra parte porre il comando di Gesù. Egli, già confuso dall'incertezza circa il giusto ordine degli eventi, è ulteriormente messo in difficoltà dal modo con­ traddittorio in cui l'indemoniato affronta Gesù. Il suo comportamento fisico è pieno di rispetto9, ma il tono della sua voce e le sue parole sono aggressivi. La doppiezza tradita da questo fatto non sorprende, perché anche colui che agisce e parla è dop­ pio: il demonio e la sua vittima, i quali, pur avendo interessi diversi, sono posti uno in compagnia dell'altro, una partnership a cui l'uomo non può che sottostare. Il let­ tore, posto di fronte a questa situazione schizofrenica, si domanda come vada qui inteso l'appellativo 'Figlio del Dio altissimo' e, di conseguenza, come esso vada in­ teso in tutti gli altri passi in cui i demoni lo usano o usano un nome simile parlando di Gesù. Sembra quanto mai probabile che esso sia inteso in senso ironico e addi­ rittura sarcastico. Inoltre c'è ragione di sospettare che l'ironia dei demoni si riferisca implicitamente a quanto la voce celeste ha detto al battesimo di Gesù. Interessante in questo contesto è che l'ingiunzione di non usare il nome di Gesù è tuttavia ripe­ tutamente ignorata. L'osservazione fatta nella sinagoga di Cafarnao che i demoni obbediscono a Gesù (1,27) non è falsa, però non è neppure tutta la verità, perché contravvenendo all'ingiunzione essi parlano in più di una occasione. Quel che avviene dopo è ancora più sconcertante. L'indemoniato capovolge i ruoli, cosicché l'ironia arriva a un punto estremo10• Egli parla a Gesù nel linguaggio di un esorcista, che ha a che fare con un caso di possessione demoniaca. Il lettore, se sa che nell'antichità la conoscenza di un nome era considerata come capace di

so

9 Il verbo ltpO(Jl('I)Vtro non indica mai una semplice azione fisica; di solito si riferisce all'omaggio re­ a una divinità e implica sempre questo elemento di omaggio anche quando l'oggetto non è una divi­

nità.

10

Cfr. anche CAMERY-HOGGATI, Irony, cit., 137.

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

1 83

conferire potere sulla persona nominata11, capisce che la conoscenza e l'uso del no­ me di Gesù danno a quell'esorcismo un senso di realtà. Tuttavia questo non è il so­ lo capovolgimento, perché il demonio, che poi implora Gesù di non tormentarlo, capovolge il destino dell'indemoniato che soffre a motivo del demonio che in lui al­ berga.

5,9-10. Il racconto subisce una svolta sorprendente quando il demonio, su ri­ chiesta di Gesù, rivela il proprio nome e si arrende quindi - secondo la credenza di quel tempo - a Gesù. A motivo di ciò egli può chiedere un favore a Gesù, e cioè di non esser costretto ad abbandonare quel territorio. La sua richiesta è basata sulla credenza popolare che i demoni, così come le divinità, sono legati a un luogo parti­ colare. Pure il nome del demonio è sorprendente: il nome latino Legio, 'Legione' in italiano, che è spiegato dallo stesso demonio. Finora non c'era stato motivo di sup­ porre che là vi fosse più di un demonio, ma il lettore, udendo adesso il nome, capi­ sce perché era stato così facile per l'indemoniato spezzare le catene e i ceppi con cui avevano cercato di controllarlo. Egli aveva la forza di un esercito perché una moltitudine di demoni - una legione contava dai cinque ai seimila uomini12 - aveva preso possesso di lui. Il lettore, tornando all'inizio del racconto, si domanda se la stessa forza collettiva non fosse dietro alla tempesta improvvisa di 4,37, che aveva quasi fatto sì che la traversata di Gesù fmisse in un disastro.

5, 11-12. La richiesta del demonio non viene esaudita prima che il narratore ab­ bia menzionato un enorme branco di porci e i mandriani che lo custodivano. La lo­ ro presenza dimostra il carattere pagano della regione. Pure chi conosce anche solo superficialmente le usanze ebraiche sa che la carne di maiale è un alimento proibi­ to e che i porci sono animali impuri non allevati dagli ebrei. Ciò significa natural­ mente anche che c'è una qualche affinità tra spiriti immondi e animali immondi, il che implica che la richiesta non sia poi tanto strana quanto sembra. Nei maiali i de­ moni sono, per così dire, a casa loro e trovano quindi un rifugio relativamente sicu­ ro in essi. 5, 13. La reazione di Gesù non è meno sorprendente della richiesta dei demoni. Il lettore non vede alcuna ragione per cui Gesù dovrebbe fare loro il piacere di un rifugio sicuro; eppure egli glielo fa, e quasi subito diventa chiaro perché. Gesù ha ingannato - per usare un termine volgare, che però è un tema da attendersi in rac-

11

Cfr. H. BIETENHARD, .Ovoj.la-, in TWNTV, 242-283 (250-251; 268-269; 277) [trad. it., G!Nf VIII, 681-

794 (706-709; 754-757; 77B-n9)J. " Cfr. D. KENNEDY, ·Roman Army•, in ABD V, 789-798.

184

Attività in Galilea

conti popolari - i suoi avversari, permettendo loro di scegliere il modo della loro distruzione. Con l'affogamento dei maiali anche i demoni periscono.

5, 14-1 7. Non sorprende che l'uomo, che è stato liberato dai demoni, scompaia di vista per un momento e che il racconto continui con la reazione dei mandriani al suicidio in massa dei porci. Tale reazione è quasi l'opposto di quanto il lettore ha imparato ad attendersi da storie precedenti di guarigione e dalle precedenti cacciate di demoni operate da Gesù. Là la reazione dei presenti era stata positiva13, qui essi se la danno a gambe. Quanti hanno sentito parlare dell'evento e vengono a vedere Gesù sono spaventati, la qual cosa è una reazione sorprendente, perché quanto essi vedono è una scena molto tranquilla. Al posto del forzuto furioso e pericoloso, che probabilmente portava solo pezzi dei ceppi e delle catene spezzate, vedono adesso lo stesso uomo in pieno possesso delle proprie facoltà, normalmente vestito e sedu­ to là tranquillo. Informati dai mandriani, che sono tornati indietro con loro, o forse da qualche testimone non menzionato dell'evento, essi chiedono a Gesù di abban­ donare il loro territorio'', senza che il lettore sia messo a conoscenza del motivo per cui lo fanno. 5, 18-19. Quando Gesù acconsente alla loro richiesta, il racconto prende ancora una volta una direzione inattesa. L'ex indemoniato chiede a Gesù che gli sia conces­ so di unirsi a lui. Per sempre? Questa sembra l'ovvia supposizione. Il racconto costi­ tuisce così un duplicato dei racconti di vocazione, in cui Gesù prende l'iniziativa di chiamare qualche individuo a seguirlo; ma con ogni nuova proposizione il racconto diventa sempre più l'opposto di una storia di vocazione, perché Gesù rifiuta di ac­ cogliere la richiesta. La ragione del rifiuto non è esplicitamente indicata, ma poiché all'uomo viene affidato un compito che è l'opposto della sua richiesta, il lettore non può che pensare che le due cose siano connesse. Anche questo conferma l'impres­ sione che l'episodio sia un racconto di vocazione al rovescio. Mentre i quattro pe­ scatori di 1 , 1 6-20 abbandonano le loro famiglie, quest'uomo è rinviato alla propria famiglia e ai propri amici, a cui era certamente divenuto estraneo a motivo delle proprie esperienze traumatiche. Lo scopo unico o principale del comando di Gesù non sta tanto nel fatto che l'uomo dovrebbe riannodare i contatti interrotti, ma piut­ tosto nel fatto che dovrebbe raccontare a parenti e amici quanto gli è accaduto. E pure questo è l'opposto di quanto solitamente avviene in racconti del genere'5• Le

13 Cfr. 1,27-28.45; 2,12. " CAMERY-HOGGAIT, Jrony, cit., 137, rileva i parallelismi esistenti tra i vv. 10 e 17, che sono collegati fra di loro e con il v. 18 anche per mezzo del termine mpaKaì.tro. Tuttavia egli non trae da questo al­ cuna conclusione; è strano che in proposito non rnenziorù il v. 12. 1 5 Cfr. 1,44; 5,43; 7,36; 8,26(?).

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

185

parole con cui Gesù dice questo sono interessanti, perché sollevano la questione di sapere a chi si riferisce il termine 'il Signore'. Si riferisce forse a Dio? O si riferisce a Gesù, che dopo tutto caccia i demoni con il potere dello spirito di Dio? Ad ogni buon conto è stato su comando di Gesù che i demoni sono stati costretti a lasciare l'indemoniato. Perciò 'il Signore' deve anche riferirsi a Gesù, ma i lettori originari del testo greco avevano solo bisogno di una modesta conoscenza dell'Antico Testa­ mento per sapere che 'il Signore' (o JC()pwç) è il titolo classico riservato a colui il cui nome è ineffabile per i pii ebrei. Da una parte precedente del racconto il lettore sa che il Figlio dell'uomo Gesù è 'signore' o 'padrone' (JC()ptoç) del sabato (2,28) e fin dall'inizio del libro sa che il titolo 'Signore' di Is 40,3, dove esso è riferito a Dio, è usato anche per Gesù. Se i lettori dell'antica Roma ricordavano ancora la lettera di Paolo, sapevano anche che la combinazione 'Gesù Cristo nostro Signore' è una for­ mula fissa ricorrente in quasi ogni pagina o colonna della lettera e che in parecchi passi della stessa Gesù è regolarmente chiamato 'il Signore'16•

5;20. L'uomo fa quanto gli è stato detto di fare, ma con la scelta di un verbo par­ ticolare (lCTlpfuO'ro) il narratore fa di lui un proclamatore cristiano e trasforma per di più tutta la Decapoli in un campo della sua azione, dove egli riesce a riempire tutti di meraviglia con la propria proclamazione. Sembrerebbe perciò che l'uomo inno­ minato sia aggiunto come una specie di tredicesimo membro del gruppo dei Dodici scelti da Gesù in 3, 13-1 5, anche se, a quanto pare, egli non ha per il momento biso­ gno di accompagnare Gesù o di dimostrare in qualche altro modo la propria com­ petenza. La connessione con 3,13-15 e 6,7-13 è sottolineata dal fatto che 5, 18-20 contiene un certo numero di elementi ricorrenti pure negli altri due passP7• Una dif­ ferenza sorprendente da tali due passi è che in 5,20 non si parla di conversione o anche solo di una chiamata alla conversione. L'episodio differisce talmente da altri passi del libro che è necessario scoprire quale impressione questo racconto controcorrente faccia al lettore. La questione più importante è quella di sapere se esso ha cambiato o modificato in misura sostanzia­ le l'immagine che egli si è sinora fatta di Gesù. La risposta è negativa, perché sia che consideriamo l'atteggiamento di Gesù verso l'indemoniato, sia il suo atteggia­ mento verso i demoni, l'immaginé rimane la stessa. Una seconda questione riguarda l'impressione che ai lettori di origine pagana e di origine ebraica fa la circostanza che il racconto sia ambientato in territorio pagano. Certamente interessante è il fatto che Gesù non annunci l'avvento del regno di Dio o la venuta del giorno del giudi­ zio e del castigo, né chiami la gente a pentirsi. Ciò è particolarmente sorprendente " Rom 1,1-4.7; 4,24; 5,1.11.21; 6, 1 1 .23; 7,25; 8, 1 1.39; 10,9; 13,14; 14,14; 15,6.30; 16,18.20.24. '' tva j.LE't' a'Ò'toii ii (3,14; 5,18); K'll Plioow (3 ,14; 5,20; 6, 1 2); h:PaA.À.w OO\J.16V\a (3, 1 5); 1tOÀ.À.à 00\].16v\a (6,13).

Attività in Galilea

186

dopo 4,35-5, 1 , dove egli è presentato come un profeta più grande di Giona, più grande del profeta che era riuscito con la sua parola a persuadere i niniviti pagani a convertirsi. Che i demoni siano particolarmente numerosi in regioni pagane non è cosa sorprendente. Un'altra conclusione da dedurre dal nostro racconto è che il vangelo di Gesù è destinato anche al mondo pagano e che la sua proclamazione è intrapresa da altri che agiscono in suo nome. Infine l'effetto prodotto da questo racconto sul lettore è completamente diverso da quello prodotto dai racconti classici di guarigione e di espulsione di demoni. Questi ultimi, avendo più o meno la stessa struttura ed essendo composti da ele­ menti simili con funzioni quasi identiche, assumono facilmente un carattere natura­ le. Invece questo episodio fuoriesce dalla prevedibilità del racconto classico e invita il lettore a prendere atto che molto di ciò che egli considera normale può essere ri­ sultato diverso.

Due donne guarite (5,21-43)

''Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla,

ed egli

stava lungo il mare. ''Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi '3e lo pregava con insistenza: 'La mia figliola è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva'. 24Gesù andò con lui. Molta folla lo se­ guiva e gli si stringeva attorno. '50ra una donna, che da dodici anni era affetta da emorragie 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggio­ rando, "udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28'Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita'. 29E all'istan­ te le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. 30Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: 'Chi mi ha toccato il mantello?'. 3'1 discepoli gli dissero: 'Tu vedi la folla che ti stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?'. 3'Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Gesù rispose: 'Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male'. 35Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: 'Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora

il

maestro?'. 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al

ca­

po della sinagoga: 'Non temere, continua solo ad aver fede!'. 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. l8. Io dubito però che il racconto sia così interessato alla persona di Erode. Se, come a me sembra, il punto saliente è piuttosto l'opinione di Erode secondo la quale Gesù è Giovanni risorto dai morti, allora l'ironia riguarda piuttosto questo fatto.

Attività tn Galilea

204

moria53• ll secondo segno, diversamente dal piatto servito e passato di mano in ma­ no al compleanno di Erode, è così ordinario e modesto che, malgrado il suo carat­ tere iconico, ha bisogno di parole che ne spieghino il significato. Un'altra e più im­ portante differenza è che, nel primo racconto, la figura dell'ospitante coincide con quella dell'assassino, mentre nel secondo coincide con quella della vittima. Per que­ sta ragione nel secondo racconto l'ospitante deve interpretare il segno prima di es­ sere assassinato.

6,29. L'episodio finisce con la sepoltura del Battista. Non v'è nulla di sorpren­ dente nel fatto che i discepoli del Battista il lettore sa da 2,18 che egli ha, come Gesù, dei discepoli - vengano, prendano il suo corpo e lo depongano in un sepol­ · cro; ciò però dimostra in anticipo quanto dolorosamente infedeli i discepoli di Gesù saranno, allorché lasceranno a un estraneo il compito di seppellire il loro maestro morto. -

Infine il racconto ha un'altra funzione ancora. Il lettore sa da 3,6 che i farisei - i classici avversari di Gesù - hanno cominciato a complottare con gli erodiani per uc­ cidere Gesù. Gli erodiani non sono, a differenza dei farisei e degli scribi, un gruppo noto. È evidente che in Marco e�i sono collegati a Erode a motivo del loro nome. Già alla prima lettura i lettori interpretano l'esecuzione capitale del profeta decretata da Erode come un preavviso che anche Gesù corre il pericolo di non finire molto meglio di Giovanni. A una seconda lettura essi rimangono sorpresi nel constatare che l'episodio della morte di Giovanni ha tutta l'aria di una storia di passione e che il narratore, oltre a citare qualcuno a proposito di Gesù, cita anche qualcuno a pro­ posito di Giovanni, qualcuno che dice che egli è risorto dai morti.

Gli apostoli cercano un luogo tranquillo (6,30-34) 30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e

disse loro: 'Venite in disparte, in un luogo solitario, e ripos�tevi un po". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di

insegnato. 31Ed egli

mangiare. 32AIIora partirono sulla barca verso un luogo solitario,

in disparte.

videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere

33Molti però li

là a piedi e li pre­

cedettero. 34Sbarcando, vide molta folla e · si commosse per loro, perché erano come peco­ re senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Questo è uno dei brani che collegano due episodi più che costituire degli episo-

s•

Cfr. anche ANDERSON, ·Feminist Criticism•, cit., 132.

Attraversamento di confini (4,3�8,21)

205

di a sé stanti. Esso conclude il precedente racconto della missione dei Dodici ripor­ tandoli a Gesù e dispone le cose in modo tale che una gran folla si trovi in un luo­ go solitario assieme a Gesù e ai Dodici.

6,30-31. I Dodici, al loro ritorno, riferiscono a Gesù le loro esperienze. Degno di nota è il fatto che il narratore, che chiama di solito i discepoli 'i Dodici'54, li chiami qui 'apostoli' (à1tOO'tOÀ.Ot), un termine che ricorre un'altra volta sola in Marco (3,14) e, in tale occasione, soltanto secondo un limitato numero di manoscritti. In questo modo il narratore sottolinea la relazione tra l'invio (à1toa'ttU.CO di 6,7) e il ritorno dei Dodici. Il brano non dice se la loro missione abbia avuto successo o meno, ma il lettore non vede alcuna ragione per supj>orre che ci sia un motivo speciale dietro questo silenzio. Dal contesto è chiaro che i discepoli non sono soli con Gesù, men­ tre non è chiaro se la gente che colà si trova cerchi di raggiungere Gesù o se sia at­ tratta dalle attività dei Dodici. Il lettore propende per la prima ipotesi. Degno di no­ ta è il fatto che il narratore precisa per la seconda volta che, dato il gran trambusto, Gesù e i Dodici non hanno neppure il tempo di mangiare (vedi 3,20) . Tenuto conto delle parole pronunciate da Gesù nel v. 3 1 , il lettore si aspetterebbe che il narratore dica che essi non hanno neppure il tempo di dormire. Questo sorprendente riferi­ mento al mangiare induce i lettori a pensare che il narratore abbia al riguardo qual­ cosa in serbo per loro. L'invito rivolto da Gesù ai discepoli è perfettamente in linea con quanto è stato detto anche a proposito di lui (1 ,35).

6,32-34. Pure il mancato ritiro55 e il raduno della folla56 sono in linea con quanto è stato fmora detto di Gesù. Quanto la gente abbia nel frattempo imparato a indovi­

nare i movimenti di Gesù e dei Dodici risulta chiaro dal fatto che molti individuano subito dove essi sono diretti e pure loro si recano là. Il fatto che la gente, cammi­ nando a piedi lungo la riva, copra in minor tempo una distanza più lunga di quella coperta da Gesù e dai suoi con la barca costituisce un punto culminante nell'intera­ zione che si svolge tra Gesù e la folla sulla riva del lago. Adesso che Gesù e i Dodi­ ci non sono riusciti a raggiungere lo scopo della loro traversata, si tratta di vedere che cosa faranno. Si imbarcheranno di nuovo e cercheranno un luogo non affollato? Dopo il v. 31 c'è da aspettarselo. In considerazione di tale aspettativa, il narratore dice in termini specifici al lettore perché ciò non avviene. Gesù, quando sbarca e vede la folla in attesa, si ricorda - come dice il narratore onnisciente - di una me­ tafora regolarmente ricorrente nell'Antico Testamento57, e da essa motivato fa quel che sempre fa ogniqualvolta si trovi davanti a una moltitudine: le parla. " 3,14; 4, 10; 6,7;- 9,35; 10,32; 11, 1 1 ; 14,10.14. 17.20.43.

" Cfr. 1,36-37.45. 56 Cfr. 1,45; 2,2.13; 3,7-10; 4,1; 5,21. 57 Nm 27,17; l Re 22,17; 2 Cr 18,16; Gdt 1 1 , 19; Ez 34,5.8 (in contrasto con 34,23).

Attività in Galilea

206

Cinque pani e due pesci (6,35-44)

31Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: 'Questo luogo è soli­ tario ed è ormai tardi; 36congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i vil­ laggi vicini, possano comprarsi da mangiare'. 37Ma egli rispose: 'Voi stessi date loro da mangiare'. Gli dissero: 'Dobbiamo andare noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?'. 38Ma egli replicò loro: 'Quanti pani avete? Andate a vedere'. E, accerta­ tisi, riferirono: 'Cinque pani e due pesci'. 39Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sede­ re, a gruppi, sull'erba verde. 40E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquan­ ta. 4'Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. 42'futti mangiarono e si sfamarono, 43e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dèi pesci. 44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

Questo racconto è spesso chiamato la moltiplicazione miracolosa dei pani o il pasto miracoloso, ma tale caratterizzazione è lungi dall'essere ovvia e evidente. Fi­ nora il lettore non ha mai incontrato in Marco il racconto di un miracolo senza che colui che vi è direttamente interessato o senza che i presenti notino il grande cam­ biamento verificatosi; inoltre il narratore ricorda di regola o la loro meraviglia oppu­ re la loro risposta esuberante all'evento miracoloso58• Qui invece nessuno sembra rendersi conto della grande sproporzione esistente tra cinque pani e cinquemila uo­ mini. Neppure i Dodici, che contarono i pani e i pesci prima di distribuirli a quat­ tro-cinquecento persone cadauno, lasciano trasparire una qualche reazione. Né i di­ scepoli di Gesù né i Dodici hanno mai prima svolto una parte in un evento del ge­ nere. L'ovvia presupposizione che il loro aiuto debba essere stato necessario nel ca­ so di un pasto con tanti ospiti è contraddetta da quanto viene affermato nel v. 41 a proposito del pesce. Tutto ciò induce a domandarsi se questo racconto vada letto allo stesso modo in cui vanno letti il racconto della guarigione del paralitico di 2,1-

12 e il racconto delle due donne di 5,21-43. 6,35-36. Dall'invio dei Dodici è passato un certo tempo dalla durata indefinita; invece il pasto di massa è situato nello stesso giorno del ritorno degli apostoli e dei problemi collegati alla successiva traversata. Secondo la rappresentazione del rac­ conto, Gesù, mentre parla alla folla, si dimentica del tempo, e allora i discepoli in­ tervengono perché si fa tardi. Se il termine 'discepoli' si riferisca a un gruppo più vasto di quello dei Dodici non è chiaro, anche se le dodici ceste di resti fanno piut­ tosto pensare al gruppo dei dodici apostoli. Il fatto che sia tardi non significa che

S8

1,27.31.42.45; 2,12; 3,5; 5,1 5.20.29.42.

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

207

stia già scendendo la notte59• C'è solo il pericolo che presto diventi difficile o impos­ sibile rinviare la gente a casa in tempo o fornirle da mangiare sul posto60• Per que­ sto i discepoli suggeriscono a Gesù di finire di parlare, in maniera che la gente pos­ sa ancora approvvigionarsi nei dintorni.

6,3 7-38. Ma Gesù replica alla loro proposta dicendo che tocca loro dare alla fol­ la qualcosa da mangiare.

È

mai possibile interpretare queste parole se non come

parole intenzionalmente ironiche? Dopo tutto, nessuno ha fatto qualche preparativo per un evento di massa come questo, per cui, al presente, il lettore può solo vedere nelle parole di Gesù un ordine ironico che non potrà verosimilmente essere esegui­ to. Che la reazione dei discepoli sia letta come una domanda - come avviene nel­ l'edizione corrente del Nestle - o come una intenzione61 - come facciamo qui - non fa differenza sotto questo aspetto. Se necessario, i discepoli risolveranno il proble­ ma andando a comprare pane per 200 denari, una somma corrispondente a molte giornate di lavoro di un salariato e, quindi, una somma considerevole di denaro che permetterà di comprare molto pane62• Il lettore, il quale si ricorda che i discepoli hanno rinunciato alla loro fonte di sostentamento quando decisero di seguire Gesù ( 1 , 18.20)63, si domanda se essi posseggano del denaro e, in caso affermativo, se posseggano una simile grande somma64• Che l'ordine di Gesù sia ironico o no, se i discepoli non hanno denaro, ironico è certamente il loro proposito di andare a comprare pane per così tanto denaro65• La risposta immediata di Gesù dà al lettore l'impressione che egli segua una strategia ben precisa, anche se essa non gli è an­ cora chiara. Questa volta Gesù affida ai discepoli un compito semplice e esigibile. Devono accertare quanti pani hanno. Il numero cinque può avere un valore simbo­ lico, ma sembra spiegabile in maniera sufficientemente semplice in connessione

59 Per questo Marco adopera abitualmente l'espressione òljl(aç ')'EVOjJtVT\ç (1 ,32; 4,35; 6,47; 14,17; 15,42) e una volta òljf(aç oil011 ç 'tijç oopaç (1 1 , 1 1). 6o Tuttavia ciò avviene più tardi, perché la preoccupazione di Gesù per la gente non gli impedisce, a quanto pare, di mandarla via dopo il calar della notte, anche se essa ha allora già mangiato. 61 I manoscritti antichi non hanno punteggiatura e il testo non ha alcun segno, come. un punto inter­ rogativo, che indichi che si tratta di una proposizione interrogativa. Inoltre non c'è motivo di interpreta­ re la reazione dei discepoli come una domanda. Il fatto di tradurla come se si trattasse dell'espressione di una intenzione ha il vantaggio aggiuntivo di evidenziare il ruolo molto attivo svolto dai discepoli in questo episodio. 61 J.W. BETIYON, .Coinage·, in ABD I, 1076-89 (1086). 63 Successivamente essi si riferiranno al fatto d'aver lasciato tutto (10,28). 64 Che essi tengano una cassa comune è in linea con Gv 12,6, dove Giuda è presentato come uno che si approfitta della borsa del denaro a lui affidata. 65 È perciò strano che C. FOCANT, ·La fonction narrative des doublets dans la section des pains•, in FGN II, 1039-63 (1052), consideri la domanda dei discepoli di 6,37 come una violazione del comando, dato da Gesù in 6,8, di non prendere denaro con sé, perché la domanda non implica affatto che essi abbiano effettivamente quel denaro a loro disposizione.

208

Attività in Galilea

con gli altri cinque ricorrenti nel racconto: i cinquemila uomini che vengono sfama­ ti e i gruppi di cinquanta e cento (cioè due volte cinquanta), in cui i cinquemila so­ no divisi. Il numero cinque svolge un ruolo anche in un racconto simile a proposito di Eliseo (2 Re 4,42-44), che in un periodo di carestia ordina al proprio servo Giezi di dare venti pani da mangiare a cento profeti, cioè un pane ogni cinque persone. Qui invece la proporzione è di un pane ogni mille persone. I pesci rappresentano piuttosto un contorno nel racconto: Gesù non chiede ai discepoli quanti pesci han­ no, e la struttura della proposizione lascia intendere che essi siano stati fatti entrare piuttosto artificiosamente nel discorso (vv . 38 e 43).

6,39-41 . Adesso sembra abbastanza chiaro al lettore che Gesù, facendo di neces­ sità virtù, ha in mente un piano. Egli ordina ai discepoli di far sedere la folla a gruppi66• La divisione in gruppi più o meno uguali sembra avere lo scopo di ridurre la massa poco maneggevole a unità chiaramente ordinate, in modo da poter stimare il numero delle porzioni di pane necessarie e da facilitare la loro distribuzione. Il lettore, avendo in mente il racconto di Eliseo, sa più o meno che cosa accadrà: un pasto di massa , con un numero di pani che è sproporzionatamente piccolo rispetto al numero dei partecipanti. La menzione dell'erba verde evoca un altro contesto an­ cora. Essa rimanda il lettore indietro, al di là dell'episodio presente, al v. 34, un ver­ setto che presenta Gesù nell'atto di guardare con compassione alla moltitudine, per­ ché essa è come un gregge senza pastore, e che richiama implicitamente il Sal 23, dove vengono cantati non solo i prati di erba verde e il riposo lungo acque tran­ quille, bensì anche la partecipazione alla mensa di YHWH. Quando tutto è pronto, Gesù fa quel che ci si può attendere da un padrone di casa. Pronuncia la benedizione rivolto a Dio e spezza il pane. Non v'è qui motivo di pensare a un riferimento all'ultima cena67• Quindi Gesù porge le porzioni di pane ai discepoli, che a loro volte le servono ai presenti, così come Giezi aveva servito i venti pani ai cento profeti. Dei pesci il brano dice semplicemente - come in una specie di ripensamento - che Gesù li divide fra tutti. Il lettore si rende conto che i pesci ricevono un diverso trattamento dai pani, ma non sa dire se ciò stia a signifi-

"' Qui la traduzione e la lezione scelta vanno attentamente sintonizzate tra di loro. Alcuni manoscritti hanno il passivo àvadtl}fjvm, altri il medio àvawvro. Però, poiché airtoiç si riferisce ai discepoli, è cosa coerente leggere con Nesde (26.a edizione) àvo:IÙ..i:vro. In tal caso sono i discepoli a ricevere l'or­ dine di far sedere la gente a gruppi. 67 Come pensavo una volta; cfr. B. VAN IERSEL, ·Die wunderbare Speisung und das Abendmahl in der synoptischen Tradition•, in NovTB (1964) 167-194. CAMERY-HOGGATI, Irony, cit., 201, n. 87, concorda lar­ gamente con il precedente punto di vista da me espresso in ·Die wunderbare Speisung•. Adesso penso invece che i racconti dei due pasti, proprio perché i discepoli non capiscono quel che avviene e il let­ tore condivide tale incomprensione, aumentino la tensione che sarà allentata nel racconto dell'ultima cena.

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

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care che essi meritano un'attenzione speciale o viceversa. A motivo della domanda di Gesù nel v. 38, il lettore suppone per il momento che i pesci siano menzionati casualmente, senza una particolare ragione. Il narratore non avrebbe potuto trattare il pasto con maggior sobrietà. n poco che dice lascia intendere che la folla non si li­ mita a mangiare, ma si riempie abbondantemente lo stomaco. Dopo il pasto racco­ glie tranquillamente quel che è rimasto, e il fatto che ne raccolga dodici ceste non sembra sorprenderla. n numero può riferirsi a tutto Israele, che può ancora essere sfamato con esse. Ma può anche essere basato sul fatto che c'è una cesta piena la­ sciata per ogni apostolo, però in tal caso le cose sarebbero state più chiare se in questo episodio il narratore avesse parlato de 'i Dodici'. Dopo 6,7, in cui è stata u­ sata per l'ultima volta, tale denominazione è stata sospinta in secondo piano dall'u­ so di 'apostoli' e 'discepoli'. I resti dei pesci sono ancora una volta menzionati co­ me un elemento trascurabile. In questa frase c'è già una chiara prova della disparità considerevole esistente tra i cinque pani iniziali e le dodici ceste piene di avanzi, ma è la frase conclusiva a mostrare realmente quanto grande sia la sproporzione tra i cinque pani e i 'cinquemila uomini' - un numero, detto per inciso, che include donne e bambini68 - che hanno partecipato alla refezione. Essa mostra anche che il pasto preparato da Gesù e dai suoi discepoli è molto più abbondante di quello pre­ parato da Eliseo e Giezi e menzionato in 2 Re 4,42-44. Come già nel racconto relati­ vo a Eliseo, così anche questo racconto relativo a Gesù non specifica se la gente, saziatasi così abbondantemente, abbia notato qualcosa di straordinario. Che ciò sia vero di coloro che hanno partecipato al pasto il lettore lo può facilmente immagina­ re, ma che sia ugualmente vero dei discepoli lo trova più difficile da comprendere. Proprio per questo egli si trova posto di fronte al problema di sapere come que­ sto evento insolito e perciò sorprendente andrebbe interpretato. Forse è impossibile dirlo per il momento. La soluzione dipende in larga misura dalla risposta che diamo a questa domanda: su quali personaggi il narratore attira l'attenzione? L'interpreta­ zione corrente dice che il racconto fa parte dei cosiddetti racconti di miracoli, che narrano principalmente come Gesù vada incontro ai bisogni della folla in situazioni difficili. Qui non c'è una vera e propria emergenza, né certamente si parla di care­ stia come nei raccoti relativi a Elia e Eliseo. Oltre a ciò, l'interpretazione abituale non spiega perché nello stesso tempo venga posto tanto l'accento sul ruolo dei di­ scepoli. Forse il vero punto saliente del racconto è questo: Gesù, anziché seguire il

68 L'espressa limitazione agli uomini ricorre solo in Mt 14,21 e 1 5,38, che è forse un'interpretazione secondaria di Marco. Il richiamo di GUEUCH, Mark, cit., 341 e 344, alla divisione in gruppi del v. 39 co­ me a una ragione per cui tale limitazione andrebbe concepita come presente anche in Marco, mi sem­ bra meno giustificato a motivo del riferimento a Es 18,25, dal momento che in Es 18,17-26 tutto il popo­ lo è diviso in gruppi in vista dell'amministrazione della giustizia e anche le donne facevano uso di tale amministrazione ( 1 Re 3,16-28).

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loro consiglio, risponde ai discepoli che devono essere loro a dare qualcosa da mangiare alla folla: e questo non è in effetti ciò che accade alla fme? Inoltre ancora, in quale punto del racconto il riconoscimento del miracoloso, dell'elemento sor­ prendente, diventa visibile? Quando Gesù dà ai discepoli tanto pane quanto loro basta per distribuirlo a tutti? O nel momento in cui i discepoli distribuiscono il poco loro dato da Gesù a così tante persone? Il racconto è normalmente letto dal primo punto di vista, ma è anche possibile leggerlo dal secondo, una lettura che sembra più in sintonia con la parte da protagonisti assegnata ai discepoli nel racconto. In o­ gni caso l'episodio non avrebbe potuto esser meglio collocato che qui, quasi subito dopo 6,7-3 1 , dopo }"apprendistato' dei discepoli. Il racconto mostra che l'apprendi­ stato dei discepoli continua e che Gesù ha appena mostrato loro che l'impossibile può diventare possibile. In tal caso l'episodio non apparterrebbe al ftlone narrativo riguardante quel che Gesù fa per gli infermi e gli ossessi, bensì al filone narrativo riguardante i discepoli, a cui proprio in questa parte del libro Gesù presenta accen­ tuazioni completamente nuove.

Seconda traversata: un fantasma sull'acqua (6,45-53)

'50rdinò immediatamente ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, ver­ so Betsaida, mentre egli avrebbe licenziato la folla. 46Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. ""Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra. o!BVe­ dendoli però

tutti affaticati nel

remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ulti­

ma parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. '"Es­ si, vedendolo camminare sul mare, pensarono:

'È un fantasma', e cominciarono a gridare,

SOperché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la paro­ la e

disse : 'Coraggio, sono io, non temete!'. 5'Quindi salì con loro sulla barca e il vento di più dentro di loro molto si stupivano, 5Zperché non avevano capito il

cessò. E sempre

fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. 53Compiuta la traversata, approdarono e pre­ sero terra a Genesaret.

6, 45-46. Il narratore conduce di nuovo i lettori al Mar di Galilea, dove vedono e sentono - in una specie di visuale panoramica - ciò che accade sia sull'acqua che sulla riva. Sembra che i discepoli siano costretti a salpare senza Gesù, la qual cosa dà al lettore l'impressione che i discepoli e Gesù siano diventati inseparabili. Perché siano inviati a Betsaida anziché in qualche altro posto, rimane senza risposta. Tanto essi quanto Gesù, solo dopo esser stati a Genesaret (6,53) e solo dopo che sono ac­ cadute molte cose, arriveranno finalmente a Betsaida69• Gesù congeda la folla quella lfJ

Molto è stato scritto su questo viaggio, il quale, a motivo del dilazionato arrivo a Betsaida, è gene-

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stessa sera. Questa è l'unica volta che il libro menziona l a partenza della folla. Co­ me risultato, il lettore la perde di vista e non sa neppure più se deve pensare che essa è sempre costituita dalle stesse persone o se deve supporre che sia costituita da persone diverse ad ogni sua comparsa70• Pure il fatto che Gesù si accomiati dai discepoli ricorre una sola volta nel libro ed è collegato con la separazione obbligata di Gesù dai discepoli, che adesso se ne vanno per la loro strada, anche se non per molto. Gesù si ritira sul monte a pregare. Pure 'sul monte' egli aveva costituito i Do­ dici (3, 13), senza che fosse chiaro di che monte si trattasse e come il lettore potesse conoscerlo. A quanto pare è più facile per Gesù appartarsi da solo che non in com­ pagnia dei Dodici (6,31-32).

6, 4 7-48a. Non è chiaro se Gesù sia ancora sul monte, mentre i discepoli sono in una situazione critica sull'acqua. È anche possibile che egli si trovi sulla riva allo stesso livello della barca. Ad ogni modo, aiutato forse dalla luce della luna poco prima dell'alba, vede che i discepoli non riescono ad avanzare di molto a motivo del vento. Non c'è però alcuna indicazione che essi abbiano la sensazione che la loro vita sia in pericolo, come era invece successo in 4,37-38. 6, 48b-51 . Gesù stesso prende l'iniziativa verso 'la quarta veglia della notte', co­ me il testo dice letteralmente, cioè l'ultimo periodo di tre ore prima dello spuntar della luce del giorno. Egli va verso di loro 'camminando sul mare'. I discepoli nella barca discernono la figura che si avvicina, e neppure il lettore ha difficoltà a visua­ lizzarla. Tuttavia quel che nessuno può vedere e che il narratore, il quale mostra

ralrnente considerato come una irregolarità nel racconto. L'ubicazione dei luoghi viciito al lago svolge una parte importante in questo, mentre si dubita che l'autore e i suoi destinatari conoscessero la reale posizione di quei luoghi. Una panoramica delle soluzioni è reperibile in S.H. SMJTI{, ·Bethsaida via Gen­ nesaret. The Enigma of the Sea-Crossing in Mark 6,45-53-, in Bib 77 (1996) 349-374, il quale respinge le soluzioni fmora proposte. E.S. MALBON, Narrative Space and Mytbic Meaning in Mark, Biblical Seminar 13, JSOT Press, Sheffield 1991, 27-29, è dell'opinione che l'iniziale mancato arrivo dei 'discepoli' a Bet­ saida stia a significare la loro caparbietà e, in particolare, la loro resistenza all'idea che il vangelo potes­ se essere destinato, oltre che ai giudei, anche ai pagani (sommario desunto da Srnith a p. 362). Srnith propone una soluzione di più vasta portata. ·Il viaggio abortito di 6,45-53 può essere visto come ... un e­ sempio di sospensione tattica• (p. 374) non solo a proposito della missione tra i pagani, come E. S. Mal­ ben pensa, ma anche a proposito dell'identità di Gesù: ·La questione fondamentale non sta nel sapere per chi è il pane, ma nel sapere chi è il pane pienamente sufficiente• (p. 373). A mio giudizio questo è un problema per biblisti più che per i semplici lettori. I lettori possono benissimo leggere il racconto come un tutto coerente, spedalmente quando non conoscono la posizione di questi luoghi. Il viaggio verso Betsaida comincia allora in 6,45 e termina, dopo lo sbarco a Genesaret (6,53) e a Dalrnanuta (8,10), in 8,22. Il fatto che venga menzionata 'l'altra riva' o che si parli di 'traversata' è cosa naturale trattandosi di un lago (6,45.53; 8,13). L'unica volta che non viene detto che una imbarcazione si dirige verso l'altra sponda è 6,32, dove i discepoli si recano in un luogo deserto nelle vicinanze, come risulta dal fatto che la gente, che si dirige là a piedi, arriva prima di loro. 7\J

2,13; 3,7-10.32-35; 4,33; 5,24-37; 8,9-10; 9,14-27; 10,46-52.

Attività in Galilea

212

ancora una volta di essere onnisciente, ciò malgrado comunica, è l'intenzione di Gesù di oltrepassare i discepoli. Ciò è una cosa molto diversa dal salire in barca con essi, come il lettore si sarebbe aspettato, e in un certo senso una cosa addirittu­ ra opposta. Perché Gesù vorrebbe fare una cosa del genere? Sfortunatamente il nar­ ratore non lo dice, ma non sorprende che questa lacuna abbia dato luogo a nume­ rose interpretazioni e supposizionF1• La cosa più in linea con la configurazione abi­ tuale del gruppo presentata altrove nel libro sarebbe che Gesù, dopo che i discep. Una cosa è comunque certa. Dal momento che questo dibattito non è collocato assieme a quelli menzionati, esso ha una funzione specifica, e ciò costringe il letto­ re a prender nota del suo tema come di qualcosa che ha un suo proprio significato. Ciò è confermato dal fatto che un'azione particolare è gradualmente elevata a rap­ presentare tutto uno stile di vita. Il lavaggio delle mani praticato da alcuni pii ebrei

è esteso fmo a diventare un'usanza che tutti gli ebrei dovrebbero osservare. Così il fatto di lavarsi o non lavarsi le mani fmisce per rappresentare l'osservanza o la non osservanza della tradizione ebraica. Poi esso è esteso fmo a diventare un comporta­ mento contraddittorio, che diventa visibile nell'osservanza dei precetti meno impor­ tanti e nella negligenza di quelli più importanti. Infme, nell'episodio successivo, an­ che le leggi alimentari ebraiche diventano oggetto di discussione. In una situazione in cui i cristiani di origine pagana e quelli di origine ebraica erano impegnati in un dibattito, 7,1-23 è un passo d'importanza centrale, tanto più in quanto subito dopo di esso l'attenzione dell'uditorio viene incentrata sulla relazione tra ebrei e pagani, e ancora una volta proprio mediante una discussione sull'alimentazione. 7,2-5. Diversamente dalle leggi alimentari, la lavanda o piuttosto l'abluzione ri­ tuale delle mani non è imposta dalla Torah scritta. Anzi si dubita persino che tale pratica fosse già in vigore al tempo di Gesù. Probabilmente solo nel periodo tra il

60 e il 70 d.C. un limitato numero di persone cominciò ad osservarla, e solo nell'an­ no 100 essa fu menzionata per la prima volta come una regola generale81• Se la pra­ tica risale a una data così recente, il racconto può essere stato scritto in quel modo

"' Cfr. più avanti il mio commento a 7,24-30. 81 Cfr S.T. LAcHs, A Rabbinic Commentary on tbe New Testament. Tbe Gospels ofMattbew, Mark, and Luke, Ktav, Hoboken, N] 1987, 246-247, il quale si richiama ad alcune precedenti pubblicazioni di S. Zeitlin; dall'altro lato GUELICH, Mark, cit., 364, è dell'opinione che questa fosse una pratica generale già .

al tempo di Gesù, e cita Ep. Arist. 305, Gdt 12,7 e Sib. Or. 591-593. Questi tre passi parlano del lavarsi le mani, ma non nel senso di una purificazione rituale prima di mangiare. La forte somiglianza termino­ logica tra Mc 7,3 e il citato passo dell'Epistola di Aristea è tuttavia interessante. Per questa pratica vedi ScHùRER VERMES, Htstory II, cit., 475-478 [trad. it. cit., II, 569-571); R.P. Boom , ]esus and the Law of Pu­ rity. Tradition Htstory and Legai Htstory in Mark 7, JSNfSup 13, JSOT Press, Sheffield 1986, 113-203. Degno di nota è il fatto che ]uEt, A Master ofSurprtse, cit. , 136-138, mentre sottolinea l'importanza della presunta profonda conoscenza delle usanze ebraiche da parte dei lettori di Marco, non evidenzia che 7,3 presume che i lettori ignorino in ogni caso questa pratica. Se Lachs ha ragione, l'informazione data da Marco non è corretta. -

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

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al tempo di Marco, ma le cose da esso narrate non possono essersi svolte esatta­ mente così al tempo di Gesù. La situazione dei vv. 1-2 ricorda quella di 2,23-34. U­ na differenza interessante tra le due è che nel nostro episodio il raduno degli avver­ sari è menzionato per primo. Ciò dà l'impressione che qui gli avversari - come in 3,2-6 ma in contrasto con 2,23-34, dove vedono per caso ciò che i discepoli stan fa­ cendo - stiano osservando Gesù e i suoi compagni per vedere se nel suo o nel loro comportamento vi sia qualcosa di cui possano accusarli. Il narratore presuppone che i suoi lettori non conoscano la prassi dell'abluzione rituale delle mani prima di mangiare ('mangiare pane' non si riferisce solo a pasti fatti principalmente di pane, ma a qualsiasi tipo di pasto, in quanto il pane era sempre la portata principale). Perciò spiega tale costume in un lungo inciso, che qui come altrove nel libro ha la forma di una proposizione yap (yap significa 'infatti', 'poiché'). È chiaro che i farisei si aspettano che i discepoli non si mettano a tavola senza preparazione rituale, per­ ché non solo essi ma tutti gli ebrei - così la rappresentazione storicamente non cor­ retta del narratore82 - seguono la regola di lavarsi le mani almeno con una minima quantità di acqua8� prima di mangiare 84• Tale regola è basata su quella che viene chiamata 'la tradizione degli antichi' sia nella spiegazione data dal narratore (v. 3) sia in quella data dagli avversari di Gesù nel corso del racconto (v. 5). Con questa espressione - in ebraico dibre zeqenfm o mi!jwot zeqenfrrP5 la Torah orale viene di­ stinta dalla Torah scritta. Gesù la chiama 'la tradizione degli uomini' (v. 8) e anche 'la vostra tradizione' (v. 9), distanziandosi così chiaramente da essa. Di conseguenza anche il lettore proverà un certo distacco, che è ulteriormente accentuato dall'ironia -

82 Oltre a ciò potrebbe esser utile avvertire i lettori odierni del pericolo di cadere senza volerlo in un'altra trappola. L'espressione 'tutti i Giudei' può facilmente rimanere nella loro memoria e dare così l'impressione che Gesù inveisca contro i Giudei nei vv. 6-13, perché essi sono attaccati a quel tipo di tradizione. Ciò però significherebbe fraintendere il testo, perché le parole di Gesù contenute nei vv. 6 e 9 sono esclusivamente dirette contro gli scribi e i farisei - e, forse, solo contro coloro che apparteneva­ no alla scuola di Shammai, come pensa A. FINKEL, Tbe Pbarisees and tbe Teacber of Nazaretb. A Study of their Background, tbeir Halacbic and Midrasbic Teacbings, tbe Similarlties and Differences, AGS]U 4, E.J. Brill , Leiden 1974, 140-141 - e perché egli non rimprovera loro di non osservare questa regola, ma di interpretarla senza dare la priorità alla Torah scritta. 63 L'interpretazione di 7tUYI!fi - 'con una manciata', 'completamente' (CEI: 'fmo al gomito'] - è stata molto discussa . Per una panoramica, cfr. GUEUCH, Mark, cit., 364-365. La questione non è ancora stata risolta. 84 }UEL, A Master of Surprise, cit., 135, citando un articolo di Hengel, vede dietro questo passo una dotta disputa rabbinica e conclude che i lettori, a cui l'autore di Marco pensava, devono averla cono­ sciuta e che essi erano familiari con il metodo rabbinico dell'interpretazione biblica. Questa opinione induce a domandarsi se sia possibile attribuire a tali lettori una conoscenza biblica accademica recente­ mente acquisita. Anche se non vedo argomenti convincenti per rispondere a tale domanda in senso ne­ gativo o positivo, penso tuttavia che essa vada posta. Per il momento è per me chiaro che i lettori origi­ nari, che ho in mente, mi inducono a preferire un punto di vista negativo anziché positivo. 65 Cfr. LAcHS, Rabbinic Commentary, cit., 246.

218

Attività in Galilea

dell'espressione 'tradizione degli antichi', perlomeno se al tempo della stesura del libro tale pratica è in realtà di data recente e il lettore ne è cosciente. La semplice menzione di altre pratiche lustrati, estranee al lettore - se i seguaci di Gesù le osservino o meno non è cosa chiara e neppure importante in questo contesto -, lo induce a sospettare che l'abluzione rituale delle mani prima dei pasti non sia un rituale isolato. Essa è infatti parte di tutto un sistema, in cui l'antica di­ stinzione tra animali puri e immondi in relazione al loro consumo da parte · dell'uo­ mo86 è stata completata con numerosi riti relativi alla purezza, che sono caratteristici del giudaismo e che conferiscono un tratto particolare alla vita quotidiana di un e­ breo. In questo modo il narratore prepara il lettore a futuri dibattiti sullo stesso ar­ gomento e alla generalizzazione dell'accusa implicita nella domanda degli avversari, e cioè all'accusa che la condotta dei discepoli non concorda con la Torah orale che per gli ebrei ha la stessa validità della Torah scritta. L'ultimo oggetto dell'elenco, 'letti', a cui la NRSV accenna in una nota, ricorre solo in pochi rnanoscritti87• Esso non è solo del tutto incongruente con gli altri oggetti, ma conferisce alla enumera­ zione un carattere forzato, con il possibile risultato che i non ebrei possano trovarla un po' ridicola88• 7, 6-8. Gesù si pronuncia contro la validità generale di questa pratica e lo fa in due modi. Mediante un rimprovero personale, ma formulato in termini molto ampi, dice francamente ai suoi avversari che essi sono degli ipocriti, persone che sanno come impressionare gli altri, ma che non sono quello che sembrano. E per convali­ dare questo suo giudizio cita alcune righe di Isaia (29,13). Questa è la terza volta che questo profeta viene citato nel libro, ragione suffi­ ciente per fermarsi un momento e considerare brevemente che cosa il lettore può qui imparare sulla lettura e sull'interpretazione. In 1 , 2-3 il narratore non ha solo ci­ tato esplicitamente il libro di Isaia, ma ha pure esplicitamente menzionato il nome del suo autore. Chi parla è il narratore in veste di lettore del libro di Isaia, lettore che desidera precisare subito che quanto sta per dire sulla comparsa di Giovanni

116 Cfr. per il principio Lv 20,25-26 e per la sua applicazione al mangiare Lv 1 1 . In Lv 15 sono previste abluzioni per l'impurità provocata da emissioni seminali e dalla mestruazione. "' Qui la scelta fatta va contro il principio che va preferita la versione più breve. Un'aggiunta da par­ te del copista è difficile da immaginare in questo caso; una omissione, d'altro canto, sembra molto pro­ babile perché i letti non quadrano affatto con gli altri oggetti menzionati nell'elenco. "' Cfr. H. SARJoLA, Marleus und das Gesetz. Bine redaktionskrltische Untersuchung, Annales Acade­ miae Scientiarum Fennicae: Dissertationes Humanarum Literarum 56, Suomalainen Tiedeakatemia, Hel­ sinki 1990, 48, n. 153, che cita Z. KAro, Die V6lkermission im Marleusevangelium. Bine redaktionsge­ schichtliche Untersuchung, Europaische Hochschulschriften 23.252, Peter Lang, Bem 1986, 78: ·Dieser Vers klang wahrscheinlich lustig in den Ohren des heidnischen Lesers, aber unverschamt fiir den Leser, der eine jiidische Herkunft batte- (-Questo versetto aveva verosimilmente un suono divertente agli orec­ chi del lettore pagano, e un suono sfrontato per il lettore di origine ebraica•).

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

219

corrisponde a ciò che è scritto i n Isaia e a ciò che egli h a letto là. A questo scopo e­ gli non esita a produrre la propria lezione, che mediante un suo ambiguo 'suoi' fa della via di Dio anche la via di Gesù. In 4,12 egli pone parole desunte da Isaia sulle labbra di Gesù, ma non lo dice al lettore, per cui Gesù diventa implicitamente un lettore di Isaia, lettore che ne prende a prestito le parole e le fa proprie senza aval­ larle con la diretta autorità del profeta. Qui in 7,6 - la terza volta che Isaia è citato ­ il narratore fa menzionare il nome del profeta dallo stesso Gesù, come aveva fatto lui in 1 ,2-3. Ma a differenza del passo di 1,2-3, il passo messo sulle labbra di Gesù in 7,6 è presentato come citazione desunta da un libro per illustrare qualcosa. Al contrario, Gesù fa rivolgere quelle parole - che, come ogni lettore di Isaia può de­ durre da 29, 1 . 5.8, sono indirizzate alla popolazione della Giudea e agli abitanti di Gerusalenune - direttamente dallo stesso profeta ai propri avversari, un certo nu­ mero dei quali è venuto da Gerusalenune. Con questa interpretazione data da Gesù le parole di Isaia, che sono state scritte molto tempo prima, sembrano raggiungere solo adesso la loro destinazione. In questo modo il narratore trasforma Gesù in un lettore di Isaia, che non solo dà alle parole del profeta un'interpretazione personale mediante il contesto in cui le pone, ma ne indica anche i destinatari. Ciò sembra troppo interessante per la teoria della lettura, dell'interpretazione e della condotta da tenere nel corso della lettura, quando si tratta della Scrittura, per non menzionar­ lo qui. Con l'ironico 'bene' (KaA.roç) Gesù si dichiara d'accordo con il giudizio espresso da Isaia senza farlo esplicitamente proprio. Due contrasti sono di importanza deter­ minante nelle parole di

Is 29, 13.

Il primo è il contrasto tra le labbra, quale organo

con cui le persone esprimono i propri pensieri e sentimenti, e il cuore, che rappre­ senta l'io interiore. L'interno e l'esterno di una persona dovrebbero corrispondersi. Se l'interno di una persona risulta essere meno rispettabile del suo esterno, quella persona merita di essere chiamata ipocrita, e ciò sicuramente quando il suo interno

è l'opposto del suo esterno. Gli ipocriti sono dipinti come persone che con le loro labbra sono rivolte a Dio, ma sono da lui lontane con il loro cuore. Il secondo con­ trasto è tra Dio e il suo comandamento, da un lato, e la gente con i precetti e le re­ gole che s'è fatta da sola, dall'altro lato. Tale contrasto, che è implicitamente pre­ sente nelle ultime dure righe di

Js 29, 13,

diventa esplicito nelle tre antitesi adopera­

te da Gesù per descrivere l'atteggiamento dei farisei e degli scribi: abbandono-os­ servanza, comandamento-tradizione e Dio-uomini (v. 8). In questo modo Gesù completa l'interpretazione di Isaia: 'ipocriti' defmisce bene la prima parte della cita­ zione, e il v. 8 la seconda.

7,9-13a. Pure introducendo le successive parole di Gesù, il narratore opera una cesura che è accentuata dalla ripetizione sia dell'ironico 'bene'

(x:aMi>ç, di

nuovo)

sia di quanto è stato appena detto. Tuttavia il v. 9 non è una semplice ripetizione:

220

Attività in Galilea

'la tradizione degli uomini' diventa 'la vostra tradizione' ed è così declassata alla po­ sizione di una arbitraria mutua convenzione. La maniera negativa condiscendente, in cui il narratore fa parlare Gesù a proposito della tradizione ebraica, non è stata finora motivata né da Gesù né dal narratore. Ciò avviene in quel che segue? La mo­ tivazione che Gesù adduce, o piuttosto contesta ai suoi avversari, è a prima vista solo l'ingiustizia del loro attacco ai discepoli, perché questi non osservano le regole della tradizione. Egli li accusa di attribuire maggior importanza alla tradizione che non ai dieci comandamenti di Mosè e, quindi, al comandamento di Dio. Agendo così essi permettono che si violi il comandamento di Dio e, come conseguenza del­ la loro interpretazione, proibiscono addirittura che lo si osservi (v. 12). Gesù non li rimprovera perciò per il loro comportamento, ma per il modo in cui, con la loro competenza di scribi, interpretano il quarto comandamento. Il lettore ignaro dell'e­ lemento della tradizione orale citato come esempio e, quindi, ignaro anche della sua rilevanza pratica, trova comunque chiaro il significato di korban a motivo della combinazione dell"offerta' esplicativa - fornita dal narratore - con quanto Gesù di­ ce nei vv. 12-13a. Di primo acchito il lettore ha l'impressione che il v. 13a presenti una nuova estensione, perché esso non parla di un altro ordine, regola o legge pro­ veniente da Dio, ma de 'la parola di Dio' (6 A.O}Qç 'toii �ou). Secondo la compren­ sione del lettore, Gesù contrappone quindi la tradizione trasmessa dagli uomini alla parola di Dio. La terminologia è sorprendente, perché in contrasto con 'la parola' (6 À&yoç), che è usata solo per indicare il messaggio di Gesù, la combinazione 'la pa­ rola di Dio' non ricorre altre volte in Marco. Perciò forse essa non è altro che un si­ nonimo di quanto nelle righe precedenti è chiamato il comandamento di Dio. 7, 13b. Alla fine della discussione con gli avversari le critiche di Gesù non riguar­ dano più un punto specifico, ma sono generalizzate. La sua osservazione finale chiarisce che la casistica del korban non può essere vista come un episodio incre­ scioso, ma è effettivamente il sintomo di un atteggiamento legalistico strutturale nei confronti della legge, e questa è la ragione per cui Gesù si oppone nel racconto ai farisei e agli scribi.

Tutti gli alimenti dichiarati puri (7,14-23)

"Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: 'Ascoltatemi tutti e intendete bene: '5non c'è nul­ la fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che esco­ no dall'uomo a contaminarlo'. "Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. "'E disse loro: 'Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che

Attraversamento di confini (4,3�8,21)

221

tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, '9perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?'. Dichiarava così mondi tutti gli alimen­ ti. 20Quindi soggiunse: 'Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. 21Dal di den­ tro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, o­ micidi, 22adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 2l'futte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo'. 7, 14-15. Il lettore tende a distinguere qui un nuovo episodio, perché cambiano i destinatari di Gesù. Il narratore ha rimosso i farisei e gli scribi dalla scena senza menzionare la loro uscita. Il loro posto è preso dalla folla. Il modo enfatico in cui Gesù la convoca e l'urgenza delle parole iniziali ad essa rivolte sottolineano l'im­ portanza particolare di quanto Gesù sta per dire non solo per i personaggi, bensì anche per i lettori del racconto. I due imperativi della proposizione iniziale: 'ascol­ tatemi' e 'intendete bene', fanno pensare alla presenza di un doppio significato. Dopo la discussione sull'abluzione rituale delle mani e sulla validità della tradi­ zione orale nell'episodio precedente, il tema dell'impurità continua a essere al cen­ tro dei detti che seguono. Il primo detto ha un suono molto apodittico - anche in greco -, ma è nello stesso tempo molto enigmatico. La ragione è ovvia: una senten­ za formulata in termini così generici è destinata ad avere tanti possibili significati.

Le cose che entrano nell'uomo dall'esterno sono infatti assai numerose ed estrema­ mente varie, e così pure le cose che escono dal corpo umano. I lettori odierni pen­ seranno all'aria inspirata e espirata, a stimoli ricevuti dai sensi esterni e da essi tra­ smessi all'interno, o a un frammento di vetro ficcatosi nei piedi, o anche a parole pronunciate e scritte, per non parlare di un bambino che nasce dal grembo di una madre. Tuttavia, se il detto è una metafora - come suggerito dalla proposizione ini­ ziale e confermato dal v. 17 -, i lettori penseranno piuttosto a qualcosa di concreto e di visivo come un seminatore, una lampada ad olio sotto il moggio, o a un picco­ lo seme che diventa un grande arbusto. Essi, con l'immagine delle prescritte ablu­ zioni delle mani ancora fresca in mente, ma senza alcuna esperienza personale del­ le abluzioni rituali quotidiane, penseranno anche a qualche pratica o usanza igi�ni­ ca. I lettori, che non associano subito il detto con qualche legge ebraica relativa alla purezza, possono anche vedere nella formula conclusiva una allusione agli escre­ menti, nel senso che non il cibo, ma le feci possono contaminare una persona89• Poi però essi si rendono conto che tale interpretazione del detto è troppo banale rispet­ to all'immagine che si sono sinora fatta di Gesù e del suo insegnamento, e troppo futile rispetto alla gravità delle parole introduttive90• Non essendovi alcuna risposta

"' Per un confronto, cfr. le prescriziorù riguardanti l'igiene dell'accampamento e le impurità risultanti dall'emissione seminale e dalla mestruazione in Dt 23, 10-15; Lv 15; Nm 5,1-4. 90 C. BREYrENBACH, •Vormarkinische Logientradition•, in FGN II, 725-749 (733-735), rileva correttamen­ te la stretta afflrùtà tra 7, 15 e Rom 14,14.

Attività in Galilea

222

da parte della folla convocata da Gesù per ascoltarlo91, il lettore è per il momento incapace di comprendere il significato della metafora.

7, 1 7-lBa. I discepoli, che non svolgono alcun ruolo nella discussione, anche se è stata la loro condotta a provocarla, rispondono adesso nel chiuso di una casa. Diver­ samente da 2,1-12 e 3,20 questa casa non è accessibile alla folla, cosicché essi posso­ no porre domande a Gesù senza che alcuno ascolti la loro conversazione. Gesù, pri­ ma di rispondere, manifesta la propria esasperazione per la loro mancanza di com­ prensione e lo fa con parole che echeggiano rimproveri simili fatti in occasioni pre­ cedenti92. Quindi, in accordo con l'osservazione fatta dal narratore in 4,34, dà ai di­ scepoli una spiegazione molto dettagliata, che chiarifica l'argomento anche al lettore. 7, 18b-23. La spiegazione di Gesù consiste in due detti proverbiali che, essendo l'uno l'immagine speculare dell'altro, riprendono nello stesso ordine l'elemento ne­ gativo e l'elemento positivo dell'affermazione del v. 15. Il primo detto (vv. 18c-19a) spiega quanto Gesù intendeva dire, nella metafora del v. 15a, con ciò che entra in un uomo dall'esterno senza poterlo contaminare. Si tratta del cibo che percorre la via che va dalla bocca allo stomaco, una via diversa da quella che si stende dal cuore alle labbra (v. 6). Arriva come una sorpresa il fatto che il primo detto menzio­ ni comunque ciò che va a finire nella fogna, per cui, retrospettivamente, la prima impressione del lettore suggerita dalla metafora del v. 15b era dopo tutto giusta. I­ noltre il lettore pensa di nuovo per un momento che l'interpretazione data nei vv. 18-19 spieghi completamente la metafora del v. 15 nel suo complesso. In realtà il lettore è stato messo su una pista errata. Il testo, approvando la comprensione ini­ ziale del detto da parte del lettore, suggerita dalla sua lettura del v. 1 5b - un'inter­ pretazione che successivamente il lettore ha di nuovo respinto , dà l'impressione di prendersi un po' gioco di lui. Solo nella seconda parte della spiegazione, più e­ stesa, che comincia con il v. 20, si chiarisce il vero significato della metafora riguar­ dante le cose che escono dall'uomo e lo contaminano (v. 1 5b). Adesso diventa chiaro che la prima interpretazione del v. 1 5b da parte del lettore, che vedeva in ta­ le versetto un riferimento ai prodotti di scarto del metabolismo, non può essere quella giusta. Ciò che nel v. 1 5b è descritto come ·le cose che escono dall'uomo• si riferisce invece alle azioni cattive di una persona. Solo adesso diventa chiaro che l'intimo di una persona viene rappresentato come in possesso di due distinti circui-

91 L'opinione di H. HOBNER, Das Gesetz in der synoptiscben Trad#ton. Studien zur Tbese einer pro­ gressiven Qumranisierung und judaisierung innerba/b der synoptiscben Tradition, Luther, Witten 1973, 217, e di SARioiA, Markus und das Gesetz, cit., 51, secondo la quale la folla avrebbe compreso, diversa­

mente dai discepoli, la metafora di Gesù, non mi pare trovi alcuna base nel testo. 92

4,13.40; 5,31; 6,49.52.

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ti, cioè quello dello stomaco, in cui il cibo entra, e quello del cuore, da cui i pen­ sieri e le azioni scaturiscono. Quel che entra in una persona dall'esterno (v. 1 5) in­ dica il cibo che essa mangia, e quel che fuoriesce da una persona indica la sua con­ dotta; perciò la tesi proposta in questi detti è che la contaminazione dell'uomo non è causata dagli alimenti, ma dalle azioni cattive. Di qui consegue che come lo sto­ maco, con quanto vi entra, è opposto al cuore e a quanto da esso fuoriesce, così l'impurità rituale provocata da cibi impuri è opposta all'impurità morale che si ma­ nifesta nelle azioni cattive. Solo la seconda forma di impurità è riconosciuta da Ge­ sù. La prima ha fatto il suo tempo. La lista dei pensieri e delle azioni cattive è interessante a motivo dell'uso fatto del numero tre. Il totale di dodici illeciti e la sua divisione in due gruppi di sei, il primo dei quali è al singolare e il secondo al plurale, sono ambedue multipli di tre. Essi sono anche posti in relazione con il decalogo93• Il difetto menzionato per ulti­ mo, la stoltezza o incomprensione (àer met­ terlo alla prova. 12Ma egli, con un profondo sospiro, disse : 'Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione'. 13E, !asciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda. 8, 10-11. Questo episodio, benché sia uno dei più brevi del libro, merita una de-

236

Attività in Galilea

bita attenzione. Gli avversari di Gesù non svolgono alcun ruolo negli episodi imme­ diatamente precedenti, la qual cosa è comprensibile, perché l'attività riportata in es­ si si è svolta in regioni confinanti non ebraiche. Ora che Gesù è tornato in Galilea è naturale che i suoi avversari lo cerchino di nuovo. L'episodio si apre con un dupli­ ce movimento: Gesù sta tornando in Galilea, e più o meno nello stesso tempo i fa­ risei, che devono aver sentito della sua venuta, partono per discutere con lui. Dalmanuta, il nome della località a cui Gesù è diretto, è del tutto sconosciuto da altre fonti, per cui i copisti adattarono il testo alla loro conoscenza geografica o al nome trovato in un altro vangelo'24, la qual cosa spiega i nomi di Dalmoenai, Mag­ dala e Mageda reperibili in antichi manoscritti. Un lettore poco informato, che non conosce questo problema, immagina spontaneamente Dalrnanuta come un villaggio o una piccola città posta da qualche pàrte sulla riva del lago. Inoltre egli non man­ cherà di notare che, dopo il secondo pasto di massa, Gesù se ne va via in barca e­ sattamente come dopo il primo (6,45), questa volta però in compagnia dei discepo­ li. Come gli scribi, così anche i loro alleati farisei hanno continuato ad opporsi a Gesù, da quando hanno deciso di ucciderlo (3,22-30; 7,1-13). Qui il modo in cui lo fanno è diverso, e il lettore che ha un'idea di tutto il libro sa che questa è l'ultima volta che essi lo avvicinano in Galilea. Con lo scopo di metterlo alla prova gli do­ mandano un segno da Dio che dimostri la sua autorità. A quale segno essi pensino, in sintonia con il ruolo loro ascritto dal narratore, non è chiaro. Il lettore sa perché i

farisei vogliono mettere alla prova Gesù, ma si domanda se il nome 'il santo di Dio', gridato da un indemoniato nella sinagoga di Cafamao (1,24) e diffusosi forse dopo di allora come un lampo attraverso la Galilea (1,28), sia impresso nella loro memoria. Essi hanno forse sentito i demoni gridare che Gesù è 'il Figlio di Dio'

(1,34; 3,1 1)? A proposito di tutto questo il narratore lascia il lettore all'oscuro, per cui è possibile rispondere sia positivamente che negativamente. Il lettore ricorda comunque un caso, che ammette una sola interpretazione, cioè il fatto che all'inizio del libro gli scribi hanno già presenziato a un evento che, con un minimo di buona volontà, poteva essere interpretato come un segno di Dio, ma che invece essi spie­ garono esattamente nel senso opposto (2,2-12). Il lettore potrebbe o dovrebbe im­ maginare che, dopo di allora, gli avversari di Gesù siano stati testimoni di altre gua­ rigioni, oltre a quelle di 2,2-12 e 3,1-6, e magari di esorcismi, per cui avrebbero spe­ rimentato altri eventi che possono essere interpretati come segni? Il narratore non risponde neppure a questa domanda. Nori è perciò chiaro se, nella rappresentazio­ ne del racconto, gli avversari facciano abitualmente o solo occasionalmente parte delle folle che sono attratte da Gesù e che in altre parti del libro sono state anche

"' Matteo ha Magadan (15,39).

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testimoni di guarigioni e esorcismP25• In 3,8 tra la folla sono espressamente menzio­ nate persone provenienti da Gerusalemme, ma là non c'è ragione di supporre che esse facciano parte degli avversari di Gesù (cfr. 3,22; 7,1). In 7, 1 il testo dà l'impres­ sione che i farisei e gli scribi non siano stati presenti agli eventi narrati in 6,54-56. Tutto sommato, sembra piuttosto che il narratore abbia disegnato il proprio raccon­ to in maniera tale che la folla e gli avversari abbiano i loro specifici episodi, in cui svolgono ruoli distinti126. Altra questione è quella di sapere che cosa il narratore intenda da parte sua per segno dal cielo. C'è motivo di ritenere che, per lui, le guarigioni e gli esorcismi non cadano sotto questo titolo. In Marco le guarigioni non sono associate con il cielo o con Dio, e le poche volte in cui viene detto qualcosa circa la loro effettuazione si fa riferimento a un potere speciale di Gesù, alla fiducia del paziente o ad ambedue le cose127• In 3,28-30 gli esorcismi sono collegati con lo Spirito Santo e, solo perché lo Spirito discende su Gesù direttamente dal cielo, essi potrebbero essere considerati come segni dal cielo. Ma in 13,4 e 13,22, i due altri passi in cui il termine 'segno' (CJ11 fl€WV) è usato in Marco, esso ha lo stesso significato che ha nella maggior par­ te dei passi dell'Antico Testamento, ove, esattamente come in 13,4, un segno è un evento percettibile speciale, a volte annunciato in anticipo, che dà la certezza che anche un altro annuncio - in 13,4 la distruzione del tempio - a lungo termine si av­ vererà128. In 13,22 il testo parla di 'segni e portenti' prodotti da individui per legitti­ marsi come profeti129. Quel che i farisei vogliono deve dunque essere una legittima­ zione. In realtà già è stato menzionato un segno legittimante dal cielo all'inizio del libro, cioè in 1 , 10-1 1, dove dopo il battesimo di Gesù i cieli si aprono e Gesù vede lo Spirito discendere su di lui e ode una voce celeste. In Marco questo segno è per­ cepito solo da Gesù e rivelato al lettore dalla comunicazione del narratore. Non v'è alcuna indicazione che qualche altro personaggio del racconto, e meno che mai i farisei, lo conosca. Pertanto il lettore si domanderà forse se la richiesta di un segno vada presa sul serio. I farisei sarebbero veramente disposti a riconsiderare il loro atteggiamento

l� 126

1 ,32-34.39; 3,7-10; 5,21-34; 6,33-44; 6,54-56.

Ciò rimarrà così fino a l 5, 11. m Cfr. W. GRUNDMANN , .0Wal!at•, in 7WNJII, 286-318 (303) [trad. it., GINI'XII , 1473-1556]. 128 Cfr. K. RENGSTORF, •OTIJJE'ioV•, in 7WNJ VII, 199-261 (209-214) [trad. it. , GINI'XII , 17-172 (44-57)]. Un chiaro esempio ricorre in 1 Sam 2,34, dove un profeta annuncia a Eli la morte simultanea dei suoi due figli quale un segno o prova (LXX : 01JJ.IE'ioV) che si avvererà anche l'annuncio che nessun membro della sua famiglia invecchierà. 129 Si tratta di un sintagma classico per la legittimazione di Mosè davanti agli Israeliti in Es 4,1-9; per quella di Mosè e Aronne davanti al faraone: Es 4,17; 7,3.9 (LXX); 7-12; Dt 4,34; 7,19; 1 1,3; 26,8; 29,2; 34, 1 1 ; Ne 9,10; LXX Sa/ 77,43; 134,9; Sap 10, 16; LXX Ger 39,20-21; Bar 2,11; e per quella di profeti in Dt

3, 1-2.

Attività in Galilea

238

verso Gesù, se fosse loro dato un segno da Dio130? Il lettore non se lo aspetta affat­ to. Inoltre il narratore qualifica chiaramente tale richiesta come un tentativo di 'met­ tere alla prova' (1retpal;ro) Gesù. Ciò conferma la convinzione del lettore che la ri­ chiesta ha un sapore ironico o addirittura sarcastico. I farisei cercano di vedere fm dove possono spingersi con Gesù e come egli reagirà alla richiesta di un segno, che pensano sia incapace di dare. Se essi non cercano sinceramente un segno da parte di Gesù, non c'è bisogno di domandarsi quale tipo di segno essi abbiano in mente; il lettore non può però fare a meno di cercare di visualizzarlo. I segni celesti appar­ tengono all'apocalittica e al tempo fmale13\ ma a proposito di tali portenti non vie­ ne detto che essi sono 'dati'. Il punto in questione è un segno dal cielo che Dio po­ trebbe e vorrebbe forse dare, così come lo ha dato per confermare l'autorità di Mo­ sè e di Aronne. Infme il lettore familiare con il libro di Isaia può anche riconoscere questo confronto tra Gesù e i farisei come un contraltare di Js 7,1 1-17132• Qui il pro­ feta invita il re Acaz a chiedere un segno dal profondo degli inferi o dalle altezze dei cieli. Quando il re rifiuta, dicendo che non intende mettere alla prova Dio, Isaia stesso promette un segno che YHWH 'darà' di propria iniziativa, non un segno co­ smico e lontano, ma un segno semplice e vicino: una giovane ragazza avrà un bam­ bino che sarà chiamato Emmanuele e che inaugurerà una nuova età, un tempo feli­ ce quale mai si è visto prima.

8, 12-13. I custodi della classe dirigente spirituale, forti della propria autorità, chiedono a Gesù di fornire un segno dal cielo come prova positiva dell'autenticità della sua missione - e anchè questo elemento è l'opposto di Is 7 -, ma quel segno viene rifiutato. Il fatto che Gesù sospiri profondamente può aver a che fare con il carattere profetico del suo rifiuto, ma sospirando profondamente egli si sintonizza anche con la lunghezza d'onda dello spirito (1tVeu�cx) prima di pronunciare il suo giudizio apoditticom. Si tratta in effetti di un giudizio molto duro, che mostra come Gesù abbia coscienza del loro gioco. I farisei, che presumono che Gesù sia incapa­ ce di produrre un segno da Dio, sono serviti di barba e capelli e non ricevono al­ cun segno. Essi sono indicati come 'questa generazione' (� ')'EVEà CXÙ'tTJ). Tale e­ spressione, che ricorre solo una volta nell'Antico Testamento, precisamente in Gen 7, 1 , dove indica i contemporanei di Noè, connota in maniera talmente forte una de­ pravazione incorreggibile da risultare predominante in passP34 in cui tale deprava-

'30

Cfr. 15,31-32.

m Is 13,10; G/ 2, 10; 3,3-4; Mc 13,24-26. 131 La maggior parte dei termini del v. l lb-c si trovano anche alla lettera o per mezzo di sinonimi in

Is 7,1 1-12, specialmente se àxò "toii oùpavoii va inteso nel senso di àxò toii �oii. 133 Cfr. Ez 21,6-7, dove anche i LXX usano verbi derivanti dalla radice mev{II;ro, come il verbo 'sospi­ rare profondamente' che ricorre in Mc 8,12. 134 Cfr. H.M.F. BOCHSEL, ..-yevt:ci•, in TWNJ'I, 66-66 1 (661) [trad. it. , GINfii , 391-393 (392)].

Attraversamento di confini (4,3�8,21)

239

zione non è espressa. Essa denota una forma di disprezzo che colora anche la fme dell'episodio. Finora Gesù non ha mai cercato il contatto con i suoi avversari. Fino­ ra sono sempre stati i farisei e gli scribi ad attaccare Gesù, benché a volte solo con una condanna interiore, come in 2,6-7, o con un'intenzione aggressiva non espres­ sa, come in 3,2135• Gesù, senza neppure degnarli di un altro sguardo, sale di nuovo in barca per riprendere il viaggio interrotto. Questo è il suo ultimo incontro con i farisei in Galilea.

Terza traversata: la cecità dei discepoli (8,14-21)

"Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo. 15Allora egli li ammoniva dicendo: 'Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!'. 16E quelli dicevano fra loro: 'Non abbiamo pa­ ne'. 1'Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: 'Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? 18Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, 19quando ho spezzato i cinque pani per i cinque­ mila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?'. Gli dissero : 'Dodici' . 20'E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?'. Gli dissero: 'Sette'. 11E disse loro: 'Non capite ancora?'.

Questo episodio, come quello precedente, ha una funzione conclusiva e termina con una nota negativa. Gli avversari dovranno fare a meno di un segno legittiman­ te, e i discepoli, che sono ormai da tempo molto vicini a Gesù, non comprendono il senso della sua missione. Lo stupore provato dal lettore quando i discepoli, in oc­ casione del secondo raduno di migliaia di persone senza cibo, non ricordavano nul­ la del primo raduno, si trasforma qui in confusione. L'ipotesi che possiamo conside­ rare qui una qualche negligenza da parte del narratore va ora respinta. Esattamente l'opposto sembra esser vero. Il narratore stabilisce un legame diretto tra i due pasti di massa, li fa menzionare esplicitamente da Gesù e collega la loro interrelazione con l'incomprensione dei discepoli.

8, 14. Per la terza volta il narratore fa assistere i lettori a un viaggio in barca sul lago. Dopo una pausa Gesù e i discepoli sono ancora in viaggio verso Dalmanuta. Già due volte si sono verificati degli inconvenienti durante tali traversate, e il lettore non si aspetta che le cose andranno questa volta diversamente, anzi si aspetta che una tempesta o un vento contrario provochino di nuovo qualche complicazione;

135

2,6-7. 16. 18.24; 3,2.22; 7,1-5; 8 1 1 ,

.

Attività in Galilea

240

ma quanto accade questa volta è tanto poco il risultato di avverse condizioni atmo­ sferiche che esso sarebbe potuto accadere ovunque. 'Dimenticare' è il primo verbo di questa parte del racconto, e fm dall'inizio la dimenticanza è collegata ai pani. Ciò conferisce subito un senso di ironia al racconto. Non molto tempo prima di reim­ barcarsi i discepoli hanno raccolto sette sporte di avanzi del pasto di massa (8,8), ma non appena hanno preso il largo il narratore rileva che essi han dimenticato di prenderle con sé sulla barca. Perché abbiano adesso bisogno di pani, mentre non ne avevano avuto bisogno nelle traversate precedenti, il narratore non lo dice. Il lettore lo trova tanto più interessante in quanto pensa che Gesù e i discepoli abbia­ no appena mangiato con gli altri presenti al pasto di massa. E prima della fme della prima frase è ancora più incuriosito da quanto il narratore aggiunge subito dopo. I discepoli, anche se hanno dimenticato di prendere dei pani, ne hanno tuttavia uno a bordo. Si tratta di uno dei sette pani menzionati in 8,5? O di un pane preso da u­ na delle sette sporte? Il narratore non risponde a queste domande, ma, come presto si vedrà, mediante i due termini 'dimenticare' e 'pani' ha posto il lettore di fronte al­ le due idee basilari di questa parte del racconto. 8, 15. Prima di arrivare al punto in questione - così almeno sembra al lettore - , il narratore menziona un detto enigmatico di Gesù. Enigmatico perché esso contie­ ne una immagine oscura e anche perché non è chiaro come esso c'entri con il tema del passo. Contrariamente a quanto il narratore ha detto in precedenza, e cioè che Gesù spiega tutte le immagini ai discepoli (4,34), il lettore non trova qui alcuna spiegazione che dica a che cosa il lievito dei farisei e di Erode si riferisca. Sia in Paolo'36 che negli scritti rabbinici137 il lievito rappresenta una pericolosa fonte di cor­ ruzione. Il lettore ha incontrato i farisei e gli erodiani insieme solo una volta, cioè in 3,6, dove essi complottano per uccidere Gesù. E quanto efficienti le donne e gli uomini di Erode siano nell'attuare simili piani egli lo conosce fin troppo bene dalla decapitazione di Giovanni (6,17-29). Il detto, usato con riferimento ai farisei, è pie­ no di ironia'38• Il 'lievito' ha una connotazione negativa a motivo di un certo numero di prescrizioni della Torah. Esso non va usato nella settimana successiva alla Pasqua ebraica (Es 13,3-7; Dt 16,3-4), e gli israeliti devono pertanto disfarsene il primo gior­ no di quella settimana (Es 12,15). Le offerte di grano dovranno essere completa­ mente senza lievito (Lv 2, 1 1). E proprio a questo lievito i farisei, che si considerano anzitutto come persone osservanti della Torah, sono paragonati! E se quel che acca­ de ai farisei minaccia anche di accadere ai discepoli, ciò non potrebbe essere la ce-

'36 1 Cor 5,6-8. 137 ll8

Cfr. LAcHS, Rabbinic Commentary, cit., 253-254. Cfr. CAMERY-HOGGATI, lrony, cit. , 153.

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

cità di cui il v. 18 parla?

È

241

infatti la cecità che minaccia di . far sì che i discepoli di­

ventino simili agli estranei di 4,12139• Per i lettori che conoscono il resto del libro il detto di Gesù del v. 15 contiene un inequivocabile ma ancora oscuro riferimento alla cena pasquale che Gesù cele­ brerà con i discepoli (14,22-25). Quella occasione è caratterizzata due volte come il giorno del pane non lievitato

(tà. açu!la., 1 4, 1 . 12). Se il lettore ricorda quanto Paolo

scrisse in l Corinzi sul vecchio lievito e sul nuovo pane pasquale non lievitato (5,6-

8) e sull'unico pane condiviso da tutti (10, 16-17), comincia a sospettare che la cena di addio di Gesù con i Dodici fornirà forse la chiave per interpretare quanto è qui detto sull'unico pane.

8, 16-18. Dopo questo detto enigmatico il racconto torna a uno dei suoi temi principali, quello dei pani, ma adesso sono gli stessi discepoli a parlare della man­ canza di pane e a farlo in un modo che mostra che essi la sperimentano come una deficienza (v. 16). Perché e come l'assenza di pane debba implicare una deficienza - dal momento che, oltre al pane, sono naturalmente molte le cose che i discepoli non hanno con sé - non risulta chiaro. Inoltre la loro conversazione non riguarda più l'unico pane presente nella barca e menzionato in precedenza. Essi non avreb­ bero coscienza, a differenza del narratore, della sua presenza? In tal caso i lettori ne saprebbero ancora una volta più dei discepoli, anche se l'importanza di questa co­ noscenza non è per il momento ancora chiara. Il rimprovero di Gesù sottolinea l'incomprensione dei discepoli. La scelta delle parole ricorda al lettore il rimprovero di 4,40, della prima volta che i discepoli pro­ varono spavento nella barca. Ma la situazione attuale è più grave. Non solo essi non hanno fiducia, come in 4,40, ma non comprendono neppure cosa stia accaden­ do. Lo stupore espresso dalla domanda esplicita di 4,41 - ·Chi è dunque costui?· - è qui divenuto incomprensione totale. Il rimprovero di Gesù, secondo cui il loro cuo­ re è indurito, non può che suonare sarcastico al lettore, il quale nota che il detto è costellato degli stessi termini adoperati nell'accusa rivolta dal narratore ai farisei in

3,5. Quel che il lettore vede all'opera qui è un espediente a cui il narratore è già ri­ corso in antecedenza: egli mette parole prima usate da lui stesso sulle labbra di Ge­ sù (6,34 e 8,2). Anche se i fronti non sono cambiati, l'uso dello stesso linguaggio of­ fensivo sia per gli amici che per i nemici di Gesù mostra che la posizione dei disce­ poli sembra molto meno lontana da quella degli avversari di Gesù di quanto si sia prima verificato nel libro. Ciò è sottolineato in modo particolare da una allusione a

Ger 5,21

nel v. 18. Queste parole del profeta, originariamente rivolte a Giuda e for­

mulate alla terza persona (•che ha occhi ma non vede•), sono applicate - nella se-

,,. Per una interpretazione molto simile, cfr. CAMERY-HOGGATI, lrony, cit., 153.

Attività in Galilea

242

conda persona e quindi in maniera più aggressiva - ai discepoli e mostrano di esse­ re spiacevolmente simili alla citazione di

ls 6,9-10,

con cui in 4,12 veniva descritta la

situazione degli estranei. Su questo sfondo anche il detto relativo al lievito ha una chiara funzione. Che ciò sia casuale o meno, se le ultime parole del v. 17 ricordano al lettore 3,5 e 3,6, e­ gli non può far a meno di vedere l'incomprensione dei discepoli come un equiva­ lente del rifiuto di Gesù da parte dei farisei. Quel rifiuto porterà alla fme alla morte di Gesù. Il detto sul lievito mostra ai discepoli quali possono essere le conseguenze della loro mancata comprensione di Gesù. Che questo velato ammonimento non sia superfluo, ma neppure efficace, il lettore lo sa - anche se non conosce ancora gli ulteriori sviluppi del racconto - dalla allusione al tradimento di Gesù da parte di Giuda Iscariota fatta in 3,19.

8, 19-20. Sembra che la mancanza di comprensione abbia, dopo tutto, a che fare con i pani; non con i pani che i discepoli han dimenticato di prender con sé nella barca, ma con i pani dei pasti di massa. Nel caso del secondo pasto la memoria di quanto era accaduto nel primo sembrava essere stata completamente spazzata via o soppressa. Sembrava, perché dietro la duplice domanda di Gesù essi ricordano il numero delle ceste riempite con quanto era avanzato dei pani che Gesù aveva spezzato per la moltitudine140•

8,21 . Gesù ripete la domanda imbarazzante, che è veramente il punto in questio­ ne di questo passo. Si presume probabilmente che questo ricordo sia sufficiente per comprendere quanto deve esser compreso e per interpretare correttamente quanto era successo nei pasti di massa. Il problema dell'interpretazione è chiaramente l'a­ spetto più importante di questo episodio. Esso è in effetti un racconto elevato al quadrato, un racconto che si riferisce al racconto vero e proprio o perlomeno a una parte di esso e al suo significato. Questo risulta chiaro dal fatto che l'episodio è pie­ no di termini relativi al vedere (v. 16), al conoscere (v. 17), al ricordare (v. 18), al

'"' La sproporzione tra il numero dei pani e il numero dei commensali, che nel primo pasto di massa era di un pane ogni mille persone e nel secondo di un pane ogni settecentosettanta persone, è così grande che un pane è owiamente più che sufficiente per i discepoli e per Gesù. Quanto Gesù dice al riguardo deve essere una allusione al fatto che si dovrebbe intendere qualcos'altro. Ma i discepoli non comprendono. Non basta riconoscere, con TOLBERT, Sowing the Gospel, cit., 102, l'ironia della siruazione. A livello del discorso pure il lettore si domanda a che cosa l'allusione si riferisca. Oltre alle sproporzio­ ni menzionate sopra, l'unico pane potrebbe riferirsi al pane che Gesù spezza per i discepoli in 14,22 e che, attraverso lo 'Ùltèp JtoÀÀG>V ('per molti') pronunciato sul vino in 14 , 24, echeggia l'àv'tl 1toU&v ('per molti') di 10,45. L'unico pane a bordo potrebbe quindi contenere un riferimento al Figlio dell'uomo, che dà la propria vita per gli altri. Quel che la presenza di Gesù nella barca in ogni caso significa è che preoccuparsi dell'assenza di pane dopo 6,35-44 e 8,1·9 è cosa totalmente ingiustificata e anche sconve­ niente.

Attraversamento di confini (4,35-8,21)

243

comprendere (vv. 17.21) e ai relativi organi come il cuore (v. 17), gli occhi e le o­ recchie (v. 18), con l'accento posto sulla comprensione. Ciò costituisce indubbia­ mente un dato chiave per il lettore. Ma è esattamente per questa ragione che non si capisce perché mai i discepoli non siano forniti della chiave per la soluzione del problema. Sembra che tutti gli elementi necessari per poter comprendere siano pre­ senti, ma che i discepoli non siano capaci di riconoscere la connessione che orga­ nizza tali elementi sino a formare un tutto dotato di senso. Per il momento quindi la dolorosa domanda di Gesù conclude il fll one narrativo relativo ai discepoli: essi sono sordi e ciechi e, anche se il mistero del regno è stato dato loro, non capiscono quel che dovrebbero capire. Se i lettori sono disposti ad accantonare per un momento questo fatto, si rendono conto che, sotto questo a­ spetto, essi non sono in una posizione migliore di quella dei discepoli, per cui le domande dei vv. 17, 18 e 2 1 riguardano anche loro. Neppure essi capiscono bene dove Gesù vuole andare a parare e si domandano perciò come dovrebbero combi­ nare i frammenti della loro conoscenza per arrivare alla necessaria comprensione. Dopo i due pasti di massa i lettori, che sono consapevoli della presenza di un pane a bordo, sanno naturalmente che non sarà difficile per Gesù provvedere a suf­

ficienza da mangiare con un unico pane ai tredici individui presenti nella barca141 •

Nello stesso tempo pensano che non sia verosimile che Gesù si preoccupi d'una cosa così banale. Pertanto cominciano a capire che il fatto di essere stati iniziati fin dall'inizio del libro, con la conseguenza che sono capaci di parlare correttamente dell'identità di Gesù, non è a quanto pare sufficiente. Ma per il momento non pos­ sono far altro che mandare a mente l'ultima domanda di questo episodio. Ciò è scoraggiante, ma sanno che il libro è ancora ben lungi dall'essere terminato.

'''Cfr. TOLBERT, Sowing tbe Gospe� cit., 102.

parte seconda LA VIA

10. La struttura della parte seconda

l/ lettore arriva adesso al centro tematico e narrativo de/ libro. In questa parte gli elementi strutturali sono in un certo senso l'immagine speculare degli elementi della sezione precedente. Se l'alternanza di tre traversate e due pasti di massa è riassunta nella formula a1-IJI-a'-li-a>, la struttura di questa parte, con due ciechi e tre predi­ zioni di quanto accadrà a Gerusalemme, può essere riassunta nella formula a1-IJI ­ li-hl-al. Come i due pasti di massa formano il nucleo e le tre traversate la cornice della sezione precedente, così le guarigioni dei due ciechi formano la cornice della parte centrale (8,22-26 e 10,46-52), mentre le tre predizioni della passione e risurrezione di Gesù, nonché le loro implicazioni per i suoi seguaci, sono la spina dorsale della composizione (8,27-38; 9,31-50; 10,32-45). C'è un ampio consenso sulla funzione strutturale di questi elementi. Sulla base dell'azione, dei personaggi interessati, della collocazione e del tema, le due linee strutturali costituite da tali elementi sono vi­

,8 2 -26 8t )7-38 2

sualiizate nella Figura 20.

Azione

Personaggi

Tema

guarigione del

pubblico, cieco

cieco-vedere

discepoli, Pie-

morte-vita-

cieco l

predizione l

tro, pubblico

9,30-50 predizione

i Dodici, Gio-

10,32-45 predizione 3

Discepoli, Gia-

vanni como, Giovanni

10,46-52 guarigione del

pubblico, cieco

cieco 2 Figura 20

seguire morte-vitaseguire morte-vitaseguire cieco-vedere

La via

248

Le

due linee strutturali sono attentamente tracciate. Le tre predizioni hanno un

vocabolario molto simile, cosicché il lettore non ha difficoltà a identificare la prima linea. Esse formano chiaramente una serie ascendente che, partendo dal discorso indiretto nella prima predizione e passando al discorso diretto nella seconda, giun­ gono all'apice nella terza, la più dettagliata ed elaborata delle tre. Composte con molta accuratezza sono pure le due guarigioni, che a motivo della loro collocazione formano la cornice di questa parte. Esse sono gli unici due racconti del libro, in cui Gesù guarisce una persona cieca, per cui il lettore, quando arriva alla seconda gua­ rigione, si ricorda della prima e si rende conto delle differenze esistenti fra le due.

La prima guarigione richiede uno sforzo notevole da parte di Gesù e si verifica in due tappe. Come nel caso del sordomuto di 8,33-34, Gesù usa una terapia che comporta due trattamenti. Prima umidifica gli occhi del cieco con la saliva e poi gli impone le mani. La terapia riesce tuttavia solo in parte, per cui, per completare la cura, si rende necessaria la ripetizione di parte del trattamento. Pure nel racconto della seconda guarigione viene menzionata una ripetizione, ma adesso ad essere ri­ petute sono la richiesta del cieco e l'applicazione a Gesù dell'importante appellativo 'figlio di Davide' . La guarigione di questo cieco non ha bisogno di trattamento tera­ peutico da parte di Gesù, che la attribuisce alla fiducia dell'infermo. Ma la maggior differenza rispetto alla prima guarigione sta nel fatto che l'uomo guarito non viene inviato a casa sua, perché il racconto finisce con le parole 'prese a seguirlo per la strada', parole che sottolineano il tema di questa parte del libro. Queste due linee sono così chiaramente incise in questa parte che ogni lettore le riconosce come elementi strutturali. La struttura degli episodi inclusi fra di loro è però molto meno chiara. Si sono fatti parecchi tentativi per dimostrare che essi so­ no disposti concentricamente, ma nessuno ha avuto pieno successo. Così Stenger sottolinea in particolare le somiglianze tra 9,2-29 e 10,1-31, perché questi brani strutturano gli episodi intermedi� . I due brani sono collegati fra loro da quattro somiglianze. Primo, da una certa somiglianza nelle ubicazioni: il monte

(9,2) e la casa (9, 28) del primo brano corrispondono alla Giudea e alla regione oltre il Giordano (10, 1), alla casa (10,10) e all"in viaggio' (10, 17) del secondo. In ambe­ due i brani questi sarebbero stati luoghi per una istruzione esoterica dei discepoli. La seconda somiglianza riguarda la presenza degli avversari, che non compaiono in questa parte al di fuori di qui (9 , 14 e 10,2). Terzo, ambedue i brani includono ele­ menti relativi al tema dell'identità di Gesù. Nel primo brano la voce · proveniente dalla nube dice ai discepoli di ascoltare Gesù, collocando così Gesù quale Figlio di Dio al di sopra di Mosè e Elia (9,7); nel secondo Gesù si considera competente per interpretare con autorità un comando impartito da Mosè (10,5-8)2. Quarto, i due

' STENGER, ·Die Grundlegung•, cit., 26-28. 2

Jbid. ,

26.

La struttura della parte seconda

249

brani sono tematicamente uniti dalla potenza della fiducia, che si esprime nel detto ·Tutto è possibile per chi crede· (9,23) e ··Impossibile per gli uomini, ma non pres­ so Dio· (10,27), ambedue con le parole

nav'tZanzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nel­ l'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci'. 23Gesù gli disse : 'Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede'. 2411 padre del fanciullo rispose ad alta voce: 'Credo, aiutami nella mia incredulità'. 25Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: 'Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi en­ trare più'. 16E gridando e scuotendolo fortemente, se ne usd. E il fandullo diventò come morto, sicché molti dicevano: 'È morto'. 21Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi. 28fultrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: 'Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?'. 29f:d egli disse loro: 'Questa spede non si può scacdare in alcun modo, se non con la preghiera'. 9, 14-16. Mentre i tre hanno avuto un'esperienza eccezionale e illuminante sul

monte, gli altri discepoli hanno avuto una grave delusione nella pianura sottostante. Qui la situazione è un po' confusa, cosa che si riflette nel modo in cui il racconto è narrato. Gesù non è menzionato prima del v. 23, e il racconto è pieno di pronomi (in greco in parte forme verbali, come nel v. 26), senza che sia subito chiaro a chi essi si riferiscano. Un caso del genere sono i pronomi del v. 19. Gesù e i tre, scesi

dal monte, trovano i discepoli intenti a discutere con alcuni scribi in mezzo a una grande folla. Con l'arrivo di Gesù la situazione cambia completamente. Egli diventa subito il centro dell'episodio, perché il pronome del v. 1 5 si riferisce indubbiamente a lui. Egli chiede di che cosa i discepoli e gli scribi stiano discutendo. Il lettore sup­ pone che egli rivolga la domanda ai discepoli, ma se la seconda persona plurale si riferisca ad essi o agli scribi rimane oscuro, anche perché il verbo 'discutere' (cruçll­

-retv) è usato per ambeduele parti nel resto del libro (8, 1 1 ; 9,10. 14; 12,28). 9, 1 7-18. Un cambiamento inaspettato si verifica quando la domanda di Gesù non riceve una risposta dai discepoli o dagli scribi, a cui essa è rivolta, ma da un membro della folla. Si tratta del padre di un ragazzo incapace di parlare - successi­ vamente Gesù dirà che egli è muto e sordg (v. 26) - e che il padre vorrebbe veder guarito. L'uomo non risponde, e forse non può rispondere, alla domanda originaria di Gesù, per cui il lettore continua a domandarsi quale fosse il tema della discussio­ ne tra i discepoli e gli scribi. Sembra che il padre avesse prima cercato Gesù e, non avendolo trovato, si fosse rivolto ai discepoli, forse perché conosceva la loro attività esorcistica (6,7. 13). Il fatto che il ragazzo, oltre ad essere sordomuto, soffra anche di attacchi epilettici è una ragione sufficiente per pensare a un demone che, a interval­ li regolari, ha pienamente potere su di lui. Il demone era troppo forte per i discepo­ li? O il loro potere esorcistico non era sufficientemente grande?

Deciso per la propria via (8,22-10,52)

277

9, 19. Gesù risponde con un severo verdetto, la cui traduzione letterale suona: ·O generazione senza fiducia•. Le parole sono molto simili a quelle usate da Gesù nel suo giudizio sui farisei in 8, 12 e nella sua denuncia degli avversari in 8,38. Ma que­ sto verdetto non può esser diretto contro gli scribi, che dopo l'entrata di Gesù in scena non sono più menzionati in questo episodio, né contro la folla, che ha accol­ to Gesù con tanta cordialità. Alla luce del v. 24 il padre potrebbe certamente essere considerato uno di coloro che sono 'senza fiducia', ma è perlomeno degno di nota

il fatto che in tutti gli altri casi, in cui il narratore o lo stesso Gesù sottolineano la potenza della fiducia, non c'è mai di mezzo un indemoniato32• Inoltre nella proposi­ zione introduttoria c'è il plurale 'loro' (airtotç), per cui sembra che le parole 'gene­ razione senza fiducia' si riferiscano o ai discepoli, che non sono riusciti a liberare il ragazzo dallo spirito cattivo, o a tutti coloro che per caso erano presenti ai piedi del monte, inclusi i discepoli. Che i discepoli cadano in ogni caso sotto il verdetto è in sintonia con la caratterizzazione fattane da Gesù in 4,40 e 8,17-20. Le due do­ mande retoriche esprimono la frustrazione di Gesù e fanno chiaramente intendere al lettore che la missione di Gesù è lungi dall'essere terminata.

9,20-24. Il ragazzo, non appena viene portato a Gesù, ha immediatamente un at­ tacco. Il padre, dopo aver detto a Gesù che suo figlio soffre di questi attacchi peri­ colosi fin dall'infanzia, lo implora di guarirlo, ma non senza osservare che pure Ge­ sù potrebbe non essere in grado di farlo. Questo è il punto saliente del racconto. Gesù risponde - e il lettore avverte una nota di sarcasmo nella sua voce - ripeten­ do le parole: ·Se tu puoi!•. Ma contrariamente all'aspettativa del lettore, la sua indi­ gnazione non riguarda il sospetto che forse egli è incapace di fornire l'aiuto richie­ sto, ma il fatto che i presenti non comprendono che chi crede può tutto33• Ciò è in linea con quanto egli ha detto ai discepoli e a tutti i presenti nel v. 19.

È

pertanto

stata la mancanza di fiducia e non la resistenza del demonio a rendere i discepoli incapaci di cacciare lo spirito cattivo. Fiducia in che cosa o in chi? Il testo non lo dice. Nella rappresentazione del nar­ ratore il padre ha almeno tanta fede quanto basta per chiedere aiuto a Gesù, ma è possibile che egli non abbia avuto fede sufficiente nei discepoli, quando scoprì che Gesù era assente. Anche i discepoli possono aver avuto una fede troppo scarsa nel­ l'autorità che avevano ricevuto da Gesù in 6,7 e che avevano esercitato con succes­ so in 6,13, o una fede troppo scarsa nella loro competenza e potenza personal&"�.

La risposta del padre, che esprime la propria fiducia in Gesù, è una delle afferma­ zioni più paradossali, ma anche una delle più commoventi del libro. 32

2, 5 ; 4, 40; 5, 34; 10,52 ; 1 1 ,22; cfr. 6, 4-6.

" MARsHAll, Faith, cit., 118-120 , attira giustamente l'attenzione sul significato molto generale del det­ to e sulla sua applicabilità, per quanto in modi differenti, a Gesù, al padre e ai discepoli. 34

Cfr. 1 1 ,23.

278

La via

9,25-2 7. Gesù si affretta a compiere la guarigione, forse perché desidera evitare la folla (come in 3,9; 4,2; 6,31). Guarisce il ragazzo non con un trattamento terapeu­ tico, ma liberandolo dallo spirito cattivo e senza elevare gli occhi al cielo, come nel caso della guarigione del sordomuto di 7,33-34. Questo esorcismo, che è l'ultimo del libro, è eseguito quasi nella stessa maniera in cui era stato eseguito il primo e­ sorcismo nella sinagoga di Cafamao in 1 , 23-27, eccettuato il fatto che esso non è preceduto da una disputa verbale, come lo erano stati gli esorcismi di Cafamao in 1 ,23 e di Gerasa in 5,5-12. Ciò può dipendere dal fatto che il ragazzo posseduto dal demonio è muto, ma il lettore osserva che, essendo egli anche sordo, lo spirito po­ trebbe essere stato pure incapace di udire, e soprattutto di intendere, la formula di espulsione. Il finale ha strette affinità con la guarigione della figlia di Giairo. In ambedue i casi la vittima rimane così immobile che la gente pensa che essa sia morta (5,35 e 9,26), fmché Gesù la prende per mano (5,41 e 9,27) e la solleva (5,42 e 9,27). Due delle tre frasi che costituiscono l'ultimo versetto ricorrono quasi alla lettera in 5,41 , e la terza in 5,42. Il narratore non informa il lettore se il ragazzo parlerà e sentirà di nuovo, oppure no. 9, 28-29. La ragione è semplice: il narratore non si interessa tanto del ragazzo, o del demone, o del padre del ragazzo, quanto piuttosto dei discepoli che non erano riusciti a cacciare il demone. Per il lettore la domanda dei discepoli è superflua, perché la risposta è già stata data nelle parole pronunciate da Gesù nei vv. 19 e 23: i discepoli non hanno alcuna fiducia o - come il padre del ragazzo - solo una fidu­ cia condizionata, simili in ciò ai compatrioti di Gesù (6,6). Ciò malgrado la risposta di Gesù è sorprendente. Primo, a motivo del gioco di parole contenuto nel greco où&vi, che significa 'da nessuno' oppure 'con niente'. Per evidenziare il doppio si­ gnificato il v. 29 andrebbe tradotto così: •Questa specie non può essere scacciata da niente o nessuno se non con la preghiera•. Il primo elemento si riferisce all'attività menzionata alla fme, alla 'preghiera', il secondo alla persona che cerca di compiere l'esorcismo, e i due insieme al fallimento dei discepoli. Non è chiaro se 'questa spe­ cie' si riferisca ai demoni come a una specifica categoria di esseri, o a una specifica categoria di demoni, una categoria molto potente che richiede un approccio specia­ le. In ogni caso, qualunque sia il giusto significato dell'espressione, 'questa specie' non può essere esorcizzata senza preghiera. Guardando indietro alla scena dell'esorcismo, il lettore è sorpreso nel constatare che Gesù non ha fatto ricorso al mezzo richiesto nel racconto. Ciò è tanto più de­ gno di nota in quanto l'elevazione degli occhi al cielo da parte di Gesù nella scena del sordomuto di 7,31-37 è un gesto che sembra implicare una preghiera. Pertanto la risposta del v. 29 non sembra quadrare bene con l'episodio che la precede. Tutto sommato, dopo l'esperienza eccezionale dei tre sul monte e dopo gli esor-

Deciso per la propria via (8,22-10,52)

279

cismi positivi di 6,13 compiuti dai discepoli, questo episodio è una mezza doccia fredda. Esso significa forse che Pietro non ha veramente memorizzato le parole det­ te da Gesù in 8,33 e che anche i suoi compagni continuano a pensare a cose uma­ ne anziché a cose divine?

n primo dev'essere l'ultimo (9,30-37)

30Partiti di là, attraversarono la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 3'1strui­ va infatti i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nel­ le mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà'. 32Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. 33Giunsero intanto a Cafarnao. E quando

fu

in casa, chiese loro: 'Di che cosa stavate di­

scutendo lungo la via?'. 34Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. 35Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: 'Se uno vuol esse­ re il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti'. 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 3''Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato'.

9,30. Come adesso diventa chiaro, la precedente parte del racconto si è svolta fuori della Galilea. Adesso che Gesù attraversa la Galilea, è quanto mai possibile che le folle accorrano di nuovo a lui, con il risultato che egli non avrebbe il tempo di dedicarsi alla preparazione dei discepoli. I tentativi di evitare le folle sono finora fallitP5, per cui il lettore si domanda se questa volta Gesù ci riuscirà. 9,31-32. L'insegnamento di Gesù riguarda la sua esecuzione capitale e la sua ri­ surrezione. Quanto alla scelta delle parole, esso differisce dalla predizione di 8,31, ma il contenuto è praticamente lo stesso, anche se non c'è menzione della sofferen­ za, della sua necessità e delle autorità del tempio. La reazione dei discepoli è sba­ gliata come quella di Pietro in 8,32. Gesù, come qualsiasi altro maestro, vuole esser capito, ma i discepoli, anziché domandargli che cosa intende dire, rimangono in si­ lenzio. Il testo non dice perché hanno paura di fargli delle domande, né precisa quali sono le cose che essi non comprendono. Due sono le possibilità: o essi non comprendono affatto il detto, oppure, come in 9, 10, non comprendono la parte re­ lativa alla risurrezione. Per i lettori cristiani, dell'antica Roma o odierni, ciò non fa differenza. Essi conoscono benissimo ciò di cui Gesù sta parlando e non riescono a immaginare - pure se dubitano della risurrezione - che le parole di Gesù siano dif-

" 1 ,45 ; 2,2; 3,9-10; 4, 1.21; 6,31 .54-56.

280

La via

ficili da comprendere. I lettori non cristiani non avranno difficoltà a comprendere la prima parte del detto, e così tutti i lettori sono consapevoli della tensione provocata dal fatto che essi comprendono molto bene quanto rimane incomprensibile ai di­ scepoli, ma non comprendono che cosa e perché tale linguaggio relativamente semplice rimanga a questi ultimi incomprensibile. 9,33-34. Gesù è molto noto a Cafamao, per cui questa non è la località dove egli possa trovare la privacy che cerca per sé e per i discepoli; ma 'la casa' - probabil­ mente la stessa menzionata prima (1 ,29; 2,1; 3,19) - offre una soluzione. Tutto ciò che segue sembra svolgersi qui fm quando Gesù abbandona di nuovo la Galilea in 10, 1 . Mentre i discepoli hanno paura di fargli una domanda, Gesù cerca di conti­ nuare il proprio insegnamento ponendo lui una domanda a loro, e precisamente u­ na domanda molto semplice che sembra avere l'unico scopo di avviare la conversa­ zione. Ma è subito chiaro che Gesù conosce ciò di cui essi stavano parlando. Forse egli ha captato qualcosa di quel che dicevano o lo sa semplicemente, così come prima aveva conosciuto i pensieri della gente o scrutato a fondo una situazione36. E­ gli intende chiaramente usare la loro risposta per rimproverarli, ma i discepoli ri­ mangono in silenzio. Solo a questo punto il narratore informa i lettori che i discepoli avevano di­ scusso la questione di chi fosse il più grande. La formulazione è così vaga e gene­ rale che il lettore, ponendosi nella posizione dei discepoli, può pensare a un cer­ to numero di possibili risposte, per esempio, a Mosè, Elia, il Messia o lo stesso Gesù. Ma come risulta dalla reazione di Gesù, la questione non era affatto aperta, ma riguardava specificamente uno dei Dodici. Essa ha lo stesso senso della richie­ sta che il lettore troverà più avanti in 10,35, ma ai nomi di Giacomo e Giovanni là menzionati dovremmo perlomeno aggiungere il nome di Pietro, che non solo fa parte della ristretta cerchia dei Dodici37, ma a volte agisce anche come portavoce di tutto il gruppo38• Tutto ciò non viene però specificato nel racconto. Diversa­ mente dalla prima predizione di 8,31 e dalla terza di 10,32-34, la seconda di 9,31 non è seguita da qualche nome. E ciò è esattamente quel che dà da pensare al lettore. 9,35. Il fatto che Gesù chiami quindi i Dodici conferma che i detti successivi - i quali, presi di per se stessi, sono applicabili a chiunque - riguardano le relazioni al­ l'interno del loro gruppo. La risposta di Gesù al loro silenzio non lascia dubbio che egli abbia messo il dito nella piaga. Il detto è molto simile per forma ai detti di

2,8; 3,1-4; 5,30.39; 9, 1 . 1,16-20.29; 5,37; 9,2. "' 8,29.32; 9,5.

36 37

Deciso per la propria via (8,22-10,52)

281

8,34-35. In ambedue i passi la sequenza è la stessa: prima un detto che inizia con 'Se uno vuoi' (d nç �. 8,34 e 9,35), e poi un certo numero di detti che iniziano con 'Chi' (Oç [E)av, 8,35-38; 9,37-42). Inoltre i due passi sono pieni di paradossi. In 9,35 ce ne sono due, il primo dei quali è completo - primo opposto a ultimo -, mentre il secondo consta di un solo termine, 'servo', che evoca automaticamente il termine contrario 'padrone' o 'signore'. Il detto di Gesù non è una risposta diretta alla questione discussa dai discepoli tra di loro, ma mina il presupposto su cui essa si basa. Nessuno è superiore a motivo del proprio rango o della propria posizione. L'unica condotta giusta sulla via di Gesù consiste nel servire gli altri.

9,36-3 7. Le relazioni contrapposte primo-ultimo, padrone-servo evocano tutto un paradigma di opposizioni binarie incentrate sull'antitesi di base superiore-inferiore, due delle quali sono qui espresse: adulto-bambino, governante-messaggero. La pri­ ma è resa visibile in un'azione metaforica, e consiste nel fatto che Gesù pone un bambino nel mezzo di un gruppo di adulti. Gesù, abbracciando il bambino, cancella l'opposizione, con il risultato che il bambino, proprio in quanto bambino, è ricevuto nella compagnia degli adulti e può trovarsi a proprio agio ed essere felice in mezzo a loro. Se il bambino è un membro della famiglia - come sembra qui ovvio -, il detto di Gesù comporta l'inverso di quanto sembra essere qui il caso, e cioè che non il bambino, ma Gesù stesso è ricevuto come un ospite nella casa dove era stato ospite prima39• Inoltre un vero gioco di equivalenze e di opposizioni è qui all'opera, con la con­ seguenza che il lettore è invitato ad ascrivere contemporaneamente diversi significa­ ti all'evento metaforico e al detto. Primo, c'è un'equivalenza tra l'offerta dell'ospita­ lità e l'accoglimento e l'abbraccio di un bambino, che di conseguenza si trova bene nella compagnia di adulti che stanno in casa come ospiti. Pertanto c'è un'equivalen­ za anche tra il bambino e la persona di Gesù, che è stato poco prima proclamato Figlio di Dio (9,7), mentre dall'altro lato c'è una netta opposizione tra l'uomo matu­ ro e il bambino piccolo. Ricevere un bambino del genere nel nome di Gesù è nello stesso tempo uno dei servizi richiesti a un seguace di Gesù40; ma c'è anche una spe­ cie di equivalenza tra Gesù come messaggero di Dio e colui che lo invia, perché colui che è mandato (ebraico, salfa}J) è sempre e ovunque il rappresentante legitti­ mo di colui che lo invia41• Ciò significa, per gli ospitanti di Gesù nel nostro episo­ dio, che essi, estendendo la loro ospitalità a Gesù, hanno Dio nel loro mezzo. Così il racconto stabilisce una serie di connessioni a proposito della posizione di Gesù. Lungo la via Gesù cammina in testa come un maestro e una guida del

39

1,29; 2,1; 3, 19.

"' Mt 25,40 e la controparte negativa nel v. 45. " Cfr. KH. RENGSTORF, -àlt6a'toM>ç•, in TWNTI, 414-446 (414-420) [trad. it.,

GINI'l, 1 108-1125].

La via

282

piccolo corteo. Quando cade nelle mani degli uomini egli diventa, ultimo di tutti, la vittima di assassini, un destino che egli accetterà volontariamente e senza risenti­ mento, come il servo di Dio di /s 52, 13-53,12 e come il giusto di Sap 2,12-20. Nella casa Gesù pone il bambino di fronte ai discepoli e lo abbraccia. Nello stesso tem­ po c'è un'equivalenza tra Gesù e il bambino. Alla fme dell'episodio Gesù è presen­ tato come inferiore a colui che sfida qualsiasi equivalenza, cioè come inferiore a Dio che lo ha inviato a portare la notizia che il regno di Dio è imminente, ma per chiunque dà il benvenuto a Gesù e lo accoglie, una qualche equivalenza del gene­ re esiste.

Seguaci in difficoltà (9,38-SO)

l8Giovanni gli disse: 'Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri'. :19Ma Gesù disse: 'Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parla­ re male di me. 4°Chi non è contro di noi, è per noi. 41Chiunque vi darà da bere un bicchier d'acqua nel mio nome perché siete

di

Cristo, vi di­

co in verità che non perderà la sua ricompensa. 42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli legas­ sero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare . .USe la tua mano ti scandalizza, tagliala : è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. 45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. 47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, 48dove il loro venne non muore e il fuoco non si estingue. 49J'erché ciascuno sarà salato con

il fuoco. 50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza

sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli

altri'.

9,38-50. Questo episodio sembra incompleto, ma ho omesso i vv. 44 e 46 (sem­ plici ripetizioni del v. 48), perché essi mancano nei migliori manoscritti. L'episodio dà l'impressione di essere piuttosto disarticolato, ma possiede una coerenza mag­ giore - certamente in greco - di quanto a prima vista appaia. I vari detti sono uniti l'uno all'altro da parole di richiamo e espressioni identiche o equivalenti, nonché da termini iniziali dal suono simile. Le parole di richiamo e le espressioni identiche so­ no rappresentate nella Figura 23.

Deciso per la propria via (8, 22-10,52)

283

uno di questi bambini. . .

37

38 39 41

scandalizza scandalizza 45 scandalizza 47 scandalizza 48 43

uno di questi piccoli Geenna/fuoco

49 50

Geenna fuoco fuoco sale

42

nel mio nome . . . nel tuo nome . . . nel mio nome. . . nel nome di Cristo è meglio . . . gettato è meglio ... gettato è meglio ... gettato è meglio . . . gettato salato salato

Figura

23

Nella Figura 24 i termini iniziali sono riportati in greco, perché nelle traduzioni le associazioni sonore (specialmente yàp 8ç

..

. xat 8ç ... 8ç -y(rp 1taç -y(rp) vanno perdu­ ...

te.

37



39 40 41 42 43 45 47 49 50

ou&l.ç -y(rp .. oç

&v prop6ç ('portiere')

&()pcxtç

('vicino, alle porte') del v. 29 riecheggia nel

del v. 34, per cui l'attenzione del lettore è indirettamente foca­

lizzata sul padrone della casa nei vv. 34-36.

La metafora della seconda parabola risponde infine alla domanda relativa a chi

o

a che cosa sta per venire. Il portiere aspetta alla porta il proprio padrone che ritor­ na da un viaggio. Il padrone della casa sta per il Figlio dell'uomo, che ritorna nella notte, quando il sole e la luna sono assenti.

La parabola del portiere, che attende il padrone, è collegata con l'idea basilare e­ spressa in precedenza. Essa è inserita in una cornice, in cui Gesù chiama prima i quattro (vv. 33-36) e poi tutti quanti ad agire come una vera guardia notturna (v.

37), e tratta dei doveri di tale guardia. La metafora e l'applicazione sfumano una nell'altra, per cui alcuni aspetti della parabola diventano chiari solo nell'applicazio­ ne (vv. 35-36). Uno dei (molti) servi deve vegliare alla porta. L'applicazione lascia intendere che è stato incaricato di vegliare durante la notte, quando i pericoli prò­ venienti dall'esterno obbligano a tener la porta della casa chiusa a chiave, però la parte più importante del suo mandato consiste nell'esser pronto ad aprire la porta quando il padrone torna a casa. La possibilità che il padrone possa tornar di giorno non viene presa in considerazione. Vigilare durante il giorno non è di solito un pro­ blema. Solo di notte risulta difficile non addormentarsi, specie quando la notte sem­ bra non finire mai e non c'è ancora alcun segno dell'arrivo del padrone47• La men­ zione dei quattro periodi, in cui i romani dividevano la notte, ci dice che il padrone tarda a venire. Forse più importante ancora è il fatto ch'egli può arrivare in una qualsiasi di queste ore. Infatti, anche se nella parabola soltanto uno dei servi è inca-

" Esiste una chiara connessione tra la parabola e il suo corrispettivo costituito dal racconto dei se· guaci di Gesù che dormono nel giardino (14,31 -42), ma tale connessione diventa evidente solo a una seconda lettura.

La .fine del tempio e del mondo (13, 1-3 7)

375

ricato della veglia notturna, l'applicazione lascia intendere che ogni lettore ha qual­ cosa del portiere e che per ognuno di essi la venuta del Figlio dell'uomo può verifi­ carsi in qualsiasi punto dei quattro momenti menzionati, anche se si verificherà pri­ ma della fme di cui parla il v. 13. 'Vigilate e aspettate' è perciò il messaggio con cui la parabola comincia e finisce. Essa non parla di una vigilanza da ripetere notte do­ po notte, ma l'assegnazione dei diversi compiti ai vari servi già presuppone che il padrone sarà via per qualche tempo. La parabola viene completata in due fasi. Nei vv. 35-36 Gesù diçe ai quattro discepoli, usando di nuovo la seconda persona plu­ rale48, di vigilare nella notte. Il v. 37 conferma che quanto Gesù ha appena detto si applica a tutti coloro che sono disposti ad ascoltare. Anch'essi devono vigilare, cioè badare ai pericoli che possono venire da ingannevoli pseudosalvatori, dai persecu­ tori e dai loro complici. Specialmente l'ultima esortazione ha direttamente coinvolto il lettore nel messag­ gio comunicato dal narratore tramite il discorso di Gesù. La parte più importante del messaggio destinata al lettore si trova nella catena di imperativi, che ribadiscono tutti quanti la stessa cosa: guardate (v. 5), non allarmatevi (v. 7), badate (v. 9), non preoccupatevi (v. 1 1), pregate (v. 18), state attenti (v. 23), state attenti, vegliate (v. 33), vigilate (vv. 35. 37), nonché nel detto del v. 1 3 posto al centro: ·Chi avrà perse­ verato sino alla fine sarà salvato•, che implica la convinzione che il Figlio dell'uomo Gesù ha l'ultima parola. Forse è perché vuole prolungare il coinvolgimento del lettore che il narratore, anziçhé concludere il racconto del discorso con proprie parole, come aveva fatto in 4,33-34, lo conclude con l'ultimo . invito di Gesù alla vigilanza. Di conseguenza lo sviluppo del racconto è per il momento lasciato in sospeso. Il narratore non dice neppure se Gesù e i quattro lasciano il monte degli Ulivi. Quando egli riprende il filo del racconto in 14, 1 , lo fa non solo dopo una precisa cesura, bensì anche dopo una chiara interruzione temporale.

'" Come in 5.7.9. 1 1 . 13.14.18.21.23.28.29.30 e 33.

15. Perde la vita (14,1-15,39)

Con il discorso sul tempo finale Gesù ba detto tutto quel che c'era da dire. Egli ba già predetto quanto lo attende a Gernsalemme, e tale sua predizione determina in­ dubbiamente anche l'aspettativa del /ettore.

Unto con un profumo prezioso (14,1-11) 'Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di arrestarlo con inganno, per ucciderlo. 2Dicevano infatti: 'Non duran­ te la festa, perché non succeda un tumulto tra il popolo'. 3Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di

gran

valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo. 4Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: 'Perché tutto questo spreco di olio profumato? 5Si poteva benissimo vendere quest'olio a più di trecento denari e darli ai poveri! '. Ed erano infuriati contro di lei. 6Allora Gesù disse: '!.asciatela stare; perché le date fastidio? Ella

ha compiuto

verso di me un'opera buona; 7i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, invece non avrete sempre me. BElla ha fatto ciò ch'era in suo potere, un­ gendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9J:n verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fat­ to'. 10Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù. "Quelli all'udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l'oc­ casione opportuna per consegnarlo.

Anche un lettore impreparato si accorge subito della struttura concentrica di que­ sto passo. La parte centrale è ambientata nella sfera privata della casa di Simone il lebbroso a Betania. L'ambientazione delle due parti esterne non è specificata, ma il

Perde la vita (14, 1-15,39)

377

lettore suppone che quegli eventi si svolgano da qualche parte nella zona del tem­ pio di Gerusalemme. Inoltre l'evidente continuità tra i vv. 1-2 e 10-11 lascia intende­ re che gli eventi narrati in essi e quelli narrati nei vv. 3-9 avvengano simultanea­ mente. In tal caso Giuda non sarebbe stato coinvolto nell'episodio verificatosi du­ rante il pasto o non avrebbe neppure presenziato ad esso1• Quanto al contenuto, è meglio parlare dell'eventuale presenza di connessioni dopo aver esaminato le parti separatamente.

14, 1-2. L'inizio costituisce una delle più chiare cesure di tutto il libro. Solo nel v. 3 questo episodio è collegato - in maniera assai implicita - con quello precedente. Ciò è tanto più notevole in quanto 1 1 , 1 1- 1 2 costituisce il punto di partenza dell'arco cronologico che continuerà sino alla fme del libro. C'era quindi ogni ragione per la­ sciare che tale sequenza proseguisse anche attraverso 14, 1-2, ma ciò appunto non avviene. Viceversa esso è interrotto da un riferimento temporale, che collega l'epi­ sodio a un evento che si verificherà due giorni dopo2, cioè alla Pasqua e alla festa degli Azzimi, una chiara indicazione per i lettori cristiani che si tratta del pesacb e­ braico. Prima di 1 1 , 1 1-12 l'ordine degli eventi corrisponde alla sequenza o all'ordine degli episodi, invece in 1 1 , 1 2-14 il tempo dell'azione è collegato a un certo tempo dell'anno, anche se solo in maniera vaga e poco accentuata, cioè attraverso le paro­ le di Gesù che non è ancora la stagione dei fichi ( 1 1 , 1 3). All'inizio del presente epi­ sodio, in 14, 1-2, quel tipo di connessione è fatto in maniera esplicita, non nella for­ ma di un'aggiunta o di una proposizione subordinata, come nel caso delle indica­ zioni delle ore del giorno in altri passP, bensì per mezzo di una proposizione prin­ cipale, che sta per di più all'inizio dell'episodio. Qui più che mai il lettore è reso consapevole che una nuova parte del racconto sta per aver inizio. Inoltre la prima frase ha ancora un altro effetto. La menzione separata dei pani azzimi collega l'epi­ sodio così esplicitamente al pesach ebraico che il lettore si aspetta che ci sia una specifica connessione tra i due, aspettativa che sarà quasi subito soddisfatta. Dopo 3, 6 e in particolare dopo i tre annunci di 8,31; 9,31 e 10,33-34, per il letto­ re non è più una sorpresa che gli avversari di Gesù stiano cercando un modo per catturarlo e ucciderlo. La stessa cosa si dica del fatto che non sono i farisei e gli e' In Gv 12,4-6 Giuda svolge il ruolo che, in Marco, è svolto da una delle persone anonime presenti; a motivo della differenza tJ'a il singolare e l'identificazione di chi critica in Giovanni, e il plurale e l'anonimato in Marco, il lettore odierno sta attento a non riempire lo spazio bianco dell'uno con la co­ noscenza derivata dall'altro. ' Alcuni autori pensano che J.LE'tà 01io �paç (letteralmente 'dopo due giorni') significhi il giorno dopo. Cfr. U. SoMMER, Die Passionsgeschtchte des Markusevangeliums. Oberlegungen zur Bedeutung der Geschtchte fur den Gla uben, WUNT 2/58, ].C.B. Mohr, Tiibingen 1993, 29 e gli autori ivi menzionati. Al­ tri, i quali pensano che in tal caso l'autore avrebbe usato 'tft bta'()ptov ('il giorno seguente') come in 1 1,12, pensano che l'espressione indichi eventi che si verificano due giorni prima della festa di pesach. ma

3

1,32.35; 4,35 ; 6 ,35.47.48; 1 1 , 1 1 . 19.

378

Passione a Gerusalemme

rodiani, come in 3,6, ma i sommi sacerdoti e gli scribi a voler entrare in azione. La circostanza che essi abbiano bisogno di uno stratagemma per raggiungere il loro scopo conferma il lettore nella convinzione che il loro piano va contro le leggi e le regole esistenti. La menzione del complotto per uccidere Gesù, collegata com'è con la festa di pesach, assume una nuova dimensione, almeno al livello dei significati secondari. Tale connessione richiama i racconti di Es 1 1-13 sulla liberazione degli ebrei dall'E­ gitto, sul modo in cui YHWH risparmiò i primogeniti degli israeliti mentre l'angelo della morte passava di porta in porta uccidendo i primogeniti degli egiziani e del loro bestiame. È un'amara ironia che proprio in questa settimana festiva le autorità del tempio, invece di risparmiare l'unico Figlio di Dio, siano impegnate nel pianifi­ care la sua morte4• Anche se inizialmente esse non vogliono che l'arresto e la morte di Gesù si verifichino durante le celebrazioni pasquali, una volta avviata l'operazio­ ne esse non sono più in grado di bloccarla, cosicché quella cinica coincidenza si verifica ugualmente. La spiegazione data dal narratore nel v. 2 a proposito del motivo per cui le auto­ rità del tempio non vogliono catturare Gesù durante la festa, sembra a prima vista piuttosto banale e allude a un diverso problema. È la popolarità di Gesù tra la gen­ te - a proposito della quale il narratore, usando lo stesso termine (Mx6ç), ha detto in 1 1 ,32 che essa era dalla parte di Giovanni - a costringere gli avversari a differire l'attuazione dei loro piani. Tra i numerosi pellegrini accorsi a Gerusalemme per la celebrazione ce n'erano sicuramente molti che avevano un buon ricordo di Gesù, come risulta dalle frequenti menzioni della sua fama e del suo successo tra la folla5• 'La festa' (éop't'r]) potrebbe riferirsi sia al raduno festivo che al giorno di festa. È me­ glio lasciare la questione aperta. A una più attenta considerazione il motivo delle autorità per dilazionare la loro azione contro Gesù non è dopo tutto così banale, perché proprio mediante la sua combinazione con ò À.a.6ç (il popolo) esso sottoli­ nea la distanza e addirittura l'opposizione tra le autorità del tempio e il popolo e­ braicd.

14,3. Il racconto dell'unzione di Gesù, qui inserito, si svolge a Betania e confetma l'impressione ricavata dal lettore da 1 1 , 1 1-27 che Gesù è attivo a Gerusalemme du­ rante il giorno, mentre passa la notte fuori città a Betania. Gesù dev'essere tornato a Betania dopo 13,37. Dal testo non risulta chiaro se l'evento narrato si è verificato I lettori romani avranno anche pensato a Rom 8,32, che mostra l'altra faccia della medaglia, cioè al fatto che neppure Dio risparmiò il proprio Figlio, mentre invece rispanniò il figlio di Abramo in Gen •

22, 1-8. 5 1,28; 3,7-8; 4,1 ; 5,20; 6,33 .54-56 ; 8,1. 6 Ciò concorda bene con il coerente uso di o iixl..oç (la folla) in 15, 6-14, dove essa chiede la libera­

zione di Barabba e la crocifissione di Gesù.

Perde la vita (14, 1-15,39)

379

quella stessa sera o il giorno dopo. Il lettore immagina che Gesù avesse un pied-à­ terre a Betania, così come l'aveva a Cafarnao. Il fatto che colui che lo ospita sia chia­ mato 'Simone il lebbroso' è probabilmente collegato con la circostanza che nel libro ci sono vari personaggi chiamati Simone'. L'ospitalità di cui Gesù gode è veramente incompatibile con la lebbra del padrone di casa8, a meno che nel frattempo Simone sia guarito dalla sua malattia. Il fatto che egli mangi in casa sua - presumibilmente alla stessa tavola di colui che, secondo l'immaginazione del lettore, è ancora !ebbro­ so - peggiora le cose. Questo caratterizza ancora una volta l'atteggiamento di Gesù, che dà la precedenza alle persone rispetto alle regole. L'episodio in quanto tale si svolge

in un attimo. Il narratore sottolinea l'alto prezzo e l'eccellente qualità del pro­

fumo. Il vasetto, una volta rotto dalla donna per aprirlo, non può più essere chiuso. Ciò indica che ella fa un uso generoso del prezioso unguento, e infatti versa tutto il contenuto sulla testa di Gesù. Il narratore, che altrove informa regolarmente i lettori sui motivi e sui retroterra, nulla dice sul motivo che la donna ha di compiere quell'a­ zione. La sua uscita

di scena è istantanea come la sua entrata, e dopo l'episodio ella

rimane anonima come prima, cosicché quanto Gesù dice a suo riguardo si trasforma in un paradosso, perché non possiamo ricordare una donna che non ha nome9•

14, 4-5. L'atto generoso della donna contrasta vivamente con gli acidi commenti di alcuni dei presenti. Chi essi siano non è chiaro. Forse si tratta

di Simone e di mem­

bri della sua famiglia, o dei discepoli di Gesù, o forse di qualche altro ospite10• Essi considerano uno spreco inutile quanto la donna ha fatto, e dicono che quell'un­ guento prezioso poteva essere venduto e che se ne poteva dare il ricavato ai poveri.

Al lettore la loro indignazione non sembra ingiustificata, perché il loro proposito concorda con la raccomandazione fatta da Gesù all'uomo ricco in 10,21: vendi quan­ to hai e danne il ricavato ai poveri. L'unica obiezione valida

in questo contesto è che

il consiglio di Gesù va messo personalmente in pratica e non deve essere imposto ad altri, ma se fossero stati i discepoli a criticare la donna, le cose cambierebbero, perché essi potrebbero giustamente dire d'aver già agito così (10,28; cfr. 1 , 1 6-20).

14, 6-8. Anche se i contestatori avevano forse ragione, Gesù liquida il loro disap-

7 3,16 . 18; 6,3; 15,21. ' Cfr. S. LùCKJNG, Mimesis der Veracbteten. Etne Studie zur Erzdblweise von Mk 14, 1-1 1, SBS 152, Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1993, 71. 9 Così LùCKING, Mimesis, cit., 71. 10 Tra gli evangelisti successivi, Matteo identifica i criticoni con i discepoli (Mt 26 ,8). Luca, nel riscri­ vere il racconto, lo ambienta nella casa di un fariseo di nome Simone, che dentro di sé critica l'azione di una donna secondo lui peccatrice e viene per questo severamente ripreso da Gesù (Le 7,36- 50). Gio­ vanni pone la protesta sulle labbra di Giuda e, oltre al suo tradimento, menziona anche il fatto che Giu­ da rubava il denaro dalla cassa comune, di cui aveva la custodia (Gv 12, 4-6).

380

Passione a Getusalemme

punto come irrilevante, perché questo specifico momento impone altre priorità. I contestatori, e al riguardo chiunque altro, possono dar denaro ai poveri ogniqual­ volta lo vogliano. In questo momento però, in cui le autorità hanno deciso di ucci­ dere Gesù, è lo stesso Gesù ad aver bisogno di aiuto, cioè di predisporre il corpo per la sepoltura. Questo è l'ultimo servizio che si può rendere a una persona cara, e questo è quanto quella donna ha fatto. Ella non ha solo sparso un profumo pre­ zioso su Gesù, ma l'ha imbalsamato nel momento in cui è stato condannato a morte e in cui i piani per la sua esecuzione capitale attendono solo di essere attuati. Che coloro che ne criticano la condotta siano o no discepoli di Gesù - e il lettore comincia a sospettare che possano essere veramente loro -, la donna, che compare solo per la durata di una frase nel racconto, contrasta vivamente con i Dodici. Anzi­ tutto perché è una donna e perché è sola, ma poi anche e soprattutto perché capi­ sce Gesù e agisce di conseguenza, mentre i dodici uomini rimangono ostinatamente inconsapevoli di quanto sta per accadere a Gesù. Ella è simile al veggente cieco Bartimeo, il quale pure fu capace di vedere quanto rimaneva nascosto agli altri (10,46-52). Le parole di Gesù: -essa ha fatto ciò che era in suo potere- la collocano vicino alla vedova povera di 1 2,41-44, che ·ha messo tutto quello che aveva•. Tipico delle due donne - e della suocera di Pietro ( 1 ,29-31 ) - è forse il fatto che neppure una loro parola è riportata nel racconto. Ciò è particolarmente singolare nel caso della donna di Betania perché, anche se ella non parla, è fatta oggetto di una lode speciale e perché è diventata un oggetto esplicito di memoria e di conversazione. D racconto è un altro chiaro esempio di ironia narrativa. Il significato dell'episo­ dio risulta difficilmente comprensibile ai personaggi del racconto, e neppure il letto­ re riesce realmente a comprenderlo prima d'essere arrivato alla fme del libro.

14,9. Le parole pronunciate da Gesù in difesa della donna conferiscono al breve episodio un ruolo unico: l'atto da lei compiuto sarà raccontato ovunque il vangelo sarà proclamato. A nessun'altra azione raccontata nel libro viene data una simile preminenza e permanenza. Oggi le donne, quando si riferiscono a questo fatto, non lo fanno per congratularsi con se stesse, ma solo per citare quanto Gesù non ha detto di nessun altro se non di questa donna anoniman. Il paradosso che il suo no­ me non è menzionato è superato dal fatto che la menzione dell'episodio conferisce un potere performativo alle parole poste dal narratore sulle labbra di Gesù nel v. 912• Come tali parole siano state recepite nella cultura maschilista della Roma del sec. I, noi lo possiamo solo congetturare; ma questa piccola miniatura, in misura an-

11 E. ScHùSSLER FIORENZA, In Memory oj Her. A Feminist Tbeological Reconstrnction oj Christian Orl­ gins, Crossroad, New York 1983, passtm [trad. it., In memoria di lei. Una ricostrnzionefemminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 19901. " LùCKING, Mtmesis, cit., 81.

Perde la vita (14, 1-15,39)

381

cora superiore al racconto di Bartimeo e a somiglianza della miniatura della vedova di 1 2,41-44, contrasta con i costumi dell'antichità. La letteratura ufficiale del tempo parla solo di personaggi illustri dal grande nome e guarda dall'alto in basso ai bam­ bini, alle donne e agli schiavi. In Marco questi ruoli sono capovolti13: non solo i bambini e le donne sono fatti oggetto di una pronunciata attenzione da parte di Ge­ sù e del narratore1\ ma lo stesso Gesù muore come uno schiavo e sceglie l'immagi­ ne dello schiavo come immagine chiave del significato della propria morte (10,45).

14, 10-1 1. La menzione dei sommi sacerdoti risolve il problema dei vv. 1-2. Sia­ mo tornati a Gerusalemme, dove le autorità del tempio esaminano il problema del­ l'arresto di Gesù in una città affollata di suoi sostenitori. Assistiamo a come Giuda entri in combutta con loro per impadronirsi di Gesù, svolgendo la parte che il nar­ ratore gli ha assegnato fm da 3,1915• Con l'esplicita affermazione che Giuda era uno dei Dodici, il narratore comincia a raccontare il completo fallimento del gruppo rac­ colto attorno a Gesù. Giuda non chiede né pretende, in Marco, del denaro per consegnare Gesù. In realtà il narratore non offre alcuna spiegazione della sua azione, cosicché il lettore è completamente all'oscuro circa i motivi del suo tradimento. Il denaro gli viene of­ ferto in un momento successivo, probabilmente per indurlo a mantenere la parola e per incoraggiarlo a completare il tradimento. Nello stesso senso il lettore intende anche il versetto che conclude l'episodio. Giuda, una volta che gli è stato offerto del denaro, cerca l'occasione che consenta alle autorità di arrestare Gesù senza su­ scitare troppo scalpore. La menzione del denaro ha anche un altro effetto sul lettore. Essa sottolinea il contrasto tra la donna anonima e Giuda. La donna ha speso molto denaro per fare ciò che doveva esser fatto per Gesù in quell'ora. Giuda invece beneficia finanziaria­ mente del proprio tradimento. Tuttavia questo è solo un aspetto secondario. Il vero contrasto sta nel fatto che un discepolo consegna Gesù, tradendo la fiducia che questi aveva riposto in lui, mentre questa donna anonima sta vicino a Gesù nel mo­ mento del bisogno. '3 LiicKING, Mtmesis, cit. , 24-26 .29-30.114-115. " Cfr. , oltre a 15,40-41, già menzionato unitamente a 1,29-31, i passi 5,21-43; 7,24-30; 9,33-37; 10, 13-

16 .

" In greco il nome '10'6lìaç ha con 'lo'lllìoiot una connessione più stretta di quanto ']udas' l'abbia con ']ews' (ebrei) in inglese. B.L. MAcK, A Myth of lnnocence. Mark and Christian Origins, Fortress Press, Philadelphia 1988, 305, accosta molto i due: ·Se Giuda è un'invenzione, gli ebrei sono diventati il capro espiatorio di Marco-. Nel caso di Marco questa visuale sembra esagerata. 'Io(JOOç è un nome mol­ to comune; anche uno dei fratelli di Gesù si chiama Giuda (6,3). In Marco questo nome, quando viene attribuito al discepolo, è sempre seguito dall'epiteto 'Imcaptro9 o da qualche altra qualifica (3, 19; 14,10.43), e questo rende molto difficile, a mio avviso, vedere il plurale 'Iou&xi.m come una specie di generalizzazione di 'Io1ilìaç.

382

Passione a Gerusalemme

Preparazione della Pasqua (14,12-16) 1211 primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: 'Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?' . 13Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: 'Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo 14e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta, là preparate per noi'. 161 discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepara­ rono per la Pasqua.

14, 12. Il racconto nulla dice sulla scena dell'azione, ma dal contesto è chiaro che essa si svolge da qualche parte fuori di Gerusalemme. Il lettore suppone perciò che Gesù sia ancora a Betania nella casa di Simone. Qui i discepoli gli domandano dei preparativi della Pasqua. Se essi risiedano nella medesima casa con lui, rimane po­ co chiaro. Il giorno già menzionato in 1 4, 1 è adesso arrivato. Si tratta del giorno in cui, al tramonto, dopo la macellazione degli agnelli nel tempio, ogni famiglia con­ suma la cena in commemorazione della liberazione dall'Egitto e della scampata pre­ matura morte dei primogeniti d'Israele. Anche molti pellegrini si radunano verso il tramonto in gruppi sufficientemente grandi per consumare un intero agnello. Du­ rante la festa gli abitanti di Gerusalemme solevano ospitarli e permettere loro di ce­ lebrare la Pasqua secondo le norme correnti. In modo simile la domanda dei disce­ poli riguarda la casa dove Gesù pensa di celebrare la Pasqua con loro. 14, 13-15. La risposta di Gesù somiglia molto alle istruzioni impartite a proposito dell'asinello in 1 1 ,2-3. Anche qui egli invia due discepoli. Perché di nuovo due? Forse perché il narratore ama avere i discepoli - prima chiamati due alla volta (1 , 16-20) e in qualche caso menzionati due a due (1,29; 3,17) che operano in coppia (6,7; 10,35). Forse perché la loro congiunta esperienza è una testimonianza più forte della correttezza della predizione molto dettagliata di Gesù. Questa volta Gesù sa in anticipo che da qualche parte della città i due discepoli incontreranno un uomo con una brocca d'acqua. Ciò sarà un segno sufficiente. In Palestina le donne e le ragazze usavano brocche per andare ad attingere l'acqua alla riserva o al pozzo centrale e le portavano a casa sulla testa, mentre gli uomini portavano be­ vande e altri liquidi in otri fatti di pelle di capra. Se il padrone della casa, che i di­ scepoli troveranno seguendo l'uomo con la brocca, sia o no un conoscente di Gesù e/o dei due discepoli, il racconto non lo dice, ma se anche egli fosse stato un estra­ neo il racconto sarebbe ugualmente credibile a motivo del costume di mettere a di­ sposizione dei pellegrini una stanza per consumare la cena pasquale. -

Perde la-vita (14, 1-15,39)

383 '

14, 16. In poche parole viene detto al lettore che i due discepoli trovarono ogni cosa così come aveva detto Gesù. Nella stanza superiore loro indicata essi prepara­ no il necessario. In che cosa tale preparazione consistesse non viene specificato, ma poiché nel v. 1 2 è stata espressamente menzionata la macellazione degli agnelli pasquali, il lettore immagina che i due abbiano procurato anche l'agnello macellato necessario per la cena. L'episodio ha la stessa funzione di quello di 1 1 , 1-6. La ricorrenza del motivo del­ la preveggenza di Gesù rafforza considerevolmente l'impressione del lettore che, malgrado a Gesù non sia dato conoscere quando arriva la fine (13,32), egli conosca con esattezza quanto attende lui e i discepoli in Gerusalemme. Inoltre ciò aumenta l'aspettativa che, anche quando egli sarà caduto nelle mani degli avversari e questi faranno di lui ciò che vorranno, egli rimarrà ugualmente, in qualche maniera nasco­ sta, padrone degli eventi.

A tavola con i Dodici (14,17-25)

1'7Venuta la sera, egli giunse con i Dodici. 180ra, mentre erano a mensa e mangiavano, Ge­ sù disse: 'In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà'. 19Allora co­ minciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l'altro: 'Sono forse io?'. 20Ed egli disse loro: 'U­ no dei dodici, colui che intinge con me nel piatto. 2111 Figlio dell'uomo

se

ne va, come sta

scritto di lui, ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo è tradito! Meglio per quell'uomo

se non fosse

mai nato!'.

22Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede lo­

ro, dicendo: 'Prendete, questo è il mio corpo'. 23Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse: 'Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza che è versato per molti. 25ln verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al gior­ no in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio'.

14, 1 7-18. Adesso che tutto è pronto per la cena pasquale, il lettore si unisce al narratore nella stanza degli ospiti per assistere ai prossimi eventi. Al calar della sera Gesù arriva accompagnato dai Dodici, dai suoi confidenti. Il gruppo include anche Giuda, indicato in antecedenza nel racconto come il futuro traditore di Gesù16 e a­ desso a quanto pare di ritorno dal suo incontro con i sommi sacerdoti. Quando

16 Anche se il greco ha per questo termini specifici, come ltj)Oiìi&o!tt e ltpoi>Ontç. tenuto conto del contesto e specialmente di quello in cui il libro veniva letto nell'antica Roma è meglio tradurre il verbo xapal>i&o!tt, quando esso è usato per indicare l'azione di Giuda (3,19; 14,10. 1 1 . 18.21 .42.44), con 'tradi­ re', con buona pace di S. LÉGASSE , Le procès de ]ésus II, La Passion dans /es quatre évangiles, LD Com­ mentaires 3, Cerf, Paris 1995, 30, n. 9.

384

Passiorw a Gerusalemme

Giuda fu scelto da Gesù in 3,19, il lettore aveva supposto che egli fosse in buona fede, anche se il testo non esclude mai che egli avesse concepito il piano di conse­ gnare Gesù già allora. Da 3,19 fino a 14, 1 0 egli è sempre stato nell'ombra in seno al gruppo dei Dodici e il suo nome non è mai stato menzionato. D narratore pone fine almeno per il lettore - a questa presenza anonima proprio prima della prepara­ zione della Pasqua. Il lettore suppone che i Dodici, eccettuato Giuda, non conosca­ no ancora il tradimento, ma non è sicuro se lo ignori anche Gesù, che ha dimostra­ to di possedere il dono della prescienza. Egli ha predetto che il Figlio dell'uomo sarà tradito e consegnato nelle mani degli uomini (9,31) e che i sommi sacerdoti e gli scribi lo consegneranno ai pagani (10,33), ma non c'è alcuna indicazione che di­ ca se egli conosce o meno la parte svolta in tale frangente da Giuda. Dall'altro can­ to il lettore, a motivo dei due passi attestanti la dettagliata preconoscenza di Gesù (11,2-6; 14,13-16) e specialmente a motivo del fatto che il secondo di tali passi pre­ cede immediatamente la Pasqua, dà veramente per scontato che Gesù sappia di Giuda. Rimane però da stabilire quale sia il momento in cui Gesù ha scoperto tale tradimento. Questi punti interrogativi rendono la relazione tra Gesù e Giuda molto interessante. Dopo che il gruppo si è messo a tavola, il carattere della cena pasquale passa in secondo piano. Il centro d'interesse non ha nulla a che fare con una cena pasquale e contrasta in maniera flagrante con essa. La prima scena è piena di tensione. Gesù sembra dopo tutto conoscere che uno dei Dodici lo tradirà e lo dice loro aperta­ mente e di propria iniziativa, senza però identificare il traditore. Egli parla diretta­ mente della presenza del traditore a tavola in termini che rinviano il lettore al Sal 40,9 (LXX) , dove la condivisione del pane è considerata un segno di stretta amicizia e l'aggressione contro un commensale un'esperienza amarissima e penosissima. -

14, 19-20. La reazione dei Dodici è una reazione piena di sbalordimento. Molto importante è per il lettore il fatto che ognuno dei Dodici, senza eccezione, domandi a Gesù se è lui il colpevole. Ciò pone il lettore di fronte al fatto che ognuno può di­ ventare un traditore. Si tratta di un dettaglio che deve aver avuto un impatto parti­ colarmente forte su una comunità, in cui alcuni membri erano stati persuasi a fare il nome di altri cristiani alle autorità e avevano pertanto messo in pericolo la loro vita. Gesù, anziché rispondere alla domanda rivoltagli dai Dodici uno alla volta, reitera l'annuncio con altre parole. Il lettore interpreta il ripetuto annuncio di Gesù come un ultimo disperato appello rivolto a Giuda, affinché ritorni sui suoi passi e non tenga fede alla promessa fatta alle autorità del tempio. Poiché non c'è alcuna rea­ zione da parte di Giuda, i discepoli non conoscono per il momento il nome del tra­ ditore. 14,21 . Il racconto continua, senza che ai Dodici venga indicata la sua identità. In

Perde la vita (14, 1-15,39)

385

più, essi hanno tutti quanti intinto il pane nel piatto con Gesù. Il lettore, che non o­ de altro, si rende conto che Giuda non sarebbe stato chiamato un traditore in 3,19 se egli non avesse mantenuto la promessa fatta alle autorità del tempio, e pertanto conclude che tutto si svolgerà come convenuto. Neppure le parole minacciose di Gesù nel v. 21 sembrano a quanto pare in gra­ do di cambiare il corso degli eventi. Una speciale attenzione merita la protasi. .È la seconda volta, dopo le parole enigmatiche di 9, 12, che il narratore fa esplicitamente collegare a Gesù la morte del Figlio dell'uomo con quanto è scritto di lui. Ancora u­ na volta il lettore si domanda dove le Scritture parlino di ciò. Forse in

(LXX)? È

Sal 40,9-11

interessante notare che, in questo contesto, l'Antico Testamento menziona

con frequenza le sofferenze, la morte e, a volte, anche la riabilitazione del giusto o del servo di YHWH, ma mai quelle del Figlio dell'uomo o del Messia17• Comunque sia, il tradimento da parte di un amico fidato e di un commensale è menzionato so­ lo in

Sa/ 40 ,9 (LXX) . La

formulazione della minaccia nell'apodosi

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