Marco. Commento al Vangelo messianico

Negli anni fra le due guerre gli studiosi della scuo­la morfologica hanno spostato l'interesse dal van­gelo di Marc

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Italian, Greek Pages [779] Year 1977

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Marco. Commento al Vangelo messianico

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della stessa collana H. van den Bussche

GIOVANNI

Ja ed. - pagg. 670

-

L. 6.000

� un'opero monumentole che, facendo il punto sulle ricerche giovannee attuali, presento il primo commento moderno del testo integrale di San Giovanni. � un'opera lungamente maturata dall'A. nel corso del suo insegnamento a Gand e all'Università di Lovanio. A un senso spirituale aperto, l'A. unisce uno spirito critico ponderato. Lasciando le interpretazioni ingarbugliate egli prosegue il suo cammino domandando al testo stesso lo sua verità e i suoi insegnamenti. Il testo del quarto vangelo è commentato frase per frase, talvolta parola per parola, senza che questo modo di procedere stanchi il lettore con i suoi particolari: anzi, l'attenzione è costantemente trattenuta da quest'analisi precisa che, attraverso le ricerche tecniche, sa sviluppare le grandi intuizioni del discepolo prediletto: il lettore è addirittura trascinato a rivivere per conto proprio l'esperienza insigne di un discepolo di Gesù. Ortensio da

Spinetoli

MATTEO

Ja ed. rinnovata - pagg. 756

-

L. 7.000

Si sa che con il concilio l'indagine esegetica sulle fonti evangeliche si è totalmente rinnovata. Ciò che apparivo cronaca si è rivelato parabola {cfr. Mt. 1-2); i passi più pacifici (cfr. i racconti delle apparizioni di Gesù risorto) sono diventati i più problematici. Il vangelo di Matteo raccoglie i detti e l fatti di Gesù, ma non è uno scritto volutamente storico. L'abilità dell'esegeta sta nello scoprire le varie stratificazioni che sotto le pressioni kerigmotiche, catechetiche, liturgiche e pastorali dello chiesa si sono sovropposte al fatto originario. Il vangelo è la voce di Gesù, ma giunge attraverso lo problematico e soprattutto la comprensione, l'interpretazione e lo misuro della comunità apostolica. Più delle analisi l'Autore presento i risultati a cui esse sono giunte; per questo il commento pur non perdendo il suo procedimento scientifico, conserva un valore eminentemente pratico. � un volume che racchiude grande ricchezza e sicurezza di dottrina, utile per la ricerca, la predicazione, lo meditazione, indispensabile per uno conoscenza aggiornata del messaggio evangelico.

Vincent

Taylor

Commento al Vangelo messianico presentazione all'edizione italiana di Bruno. Maggioni

cittadella editrice assisi

titolo originale THE GOSPEL ACCORDING

TO ST. MARK

traduzione di ARMIDO R.IZZI

© per la lingua inglese THE MACMILLAN PRESS - LONDON

© per la lingua italiana CITTADELLA EDITRICE - ASSISI

Bruno Maggioni

presentazione a ll'edizione italiana

Il commento al vangelo di Marco di V. Taylor, la cui prima edizione risale al 1952, è frutto (come confessa lo stesso Taylor) di dieci anni di intenso lavoro. V. Taylor (morto nel 1968) è una delle fi­ gure più prestigiose nel campo dell'esegesi neote­ stamentaria. Molti sono i suoi lavori che lo hanno imposto all'attenzione degli studiosi di ogni ten­ denza. I principali: The Formation of the Gospel Tradition, 1933; Jesus and bis Sacrifice, 193 7; The Names of Jesus, 1953; The Life and the Ministry of Jesus, 1954; The Cross of Christ, 1956; The Per­ son of Christ in New Testament Teaching, 1958 ; The Passion narrative of St. Luke, 1972. Il com­ mento al vangelo di Marco è forse il suo lavoro più significativo, certo quello che maggiormente manifesta la maturità umana e scientifica dello autore, come appare dalla ampiezza dell'erudi­ zione (spoglia tuttavia di inutili virtuosismi e contenuta in un linguaggio misurato e scorrevo­ le), dalla padronanza dell'analisi letteraria e sto­ rica, dalla originalità di molte intuizioni e, so­ prattutto, da quella inconfondibile « saggia mo­ derazione » e onestà di giudizi che traspaiono da ogni pagina e che costituiscono, probabilmente, la nota che più di ogni altra colpisce il lettore. Re­ censendone la prima edizione P. Benoit (Revue Biblique 1953, pp. 295-299) dichiarava di trova rsi di

VI

Presentazione

fronte a uno studio che « ispira rispetto e fìdu� eia», e B. Rigaux (Temoignage de l'évangile de Mare, 1965, p. 189) non esitava a definirlo - e per la sua informazione e per la sua prudenza - « il miglior commentario esistente » al secondo l'an­ gelo. Potremmo moltiplicare simili giudizi. � certo ad ogni modo - al di là dei giudizi più o merzo calorosi - che questo commen tario ha se­ gnato una tappa negli studi del vangelo di Marco. P. Benoit, nélla recensione sopra citata, pensava· che sarebbe rimasto a lungo indispensabile. No n si è sbagliato. Dal 1952 al 1967 ristampe e riedi· zioni si sono succedute senza interruzioni. Ma questa nostra rapida presentazione non inten· de tessere le lodi del libro e nemmeno indicarne le prospettive. Il lettore scoprirà tutto questo da sé. Vuole invece rispondere a due domande. Dal· la prima guerra mondiale ad oggi il campo della esegesi dei vangeli è stato in continuo fermento, le analisi si sono fatte sempre più precise e nuo­ vi metodi si sono affacciati (non raramente spe­ rimen tati proprio sul vangelo di Marco): analisi delle forme, analisi della redazione, lettura strut­ turalista, lettura materialista. In questo panorama ampio e mutevole dove si colloca -'- ecco la prima domanda - il commen­ tario di Taylor? E per quale motivo - seconda domanda - se ne è decisa la traduzione a 25 anni dalla sua prima edizione e a 10 dall'ultima? Negli anni fra le due guerre gli studiosi della scuo­ la morfologica hanno spostato l'interesse dal van­ gelo di Marco alle singole unità letterarie che lo hanno preceduto e all'ambiente vitale in cui es­ se hanno preso forma e vita: non interessava tanto il vangelo nel suo insieme, come opera uni­ taria, quanto piuttosto la tradizione che lo ha preceduto. Successivamente invece, verso gli anni

Presentazione

VII

SO, l'interesse degli studiosi si è rivolto alla reda­

zione del vangelo di Marco, al progetto e all'am­ biente dell'evangelista, ai suoi interessi teologici. Ci sembra che il commentario di Taylor si col­ lochi, in un certo senso, sul crinale delle due scuo­ le: da una parte, l'analisi delle forme, che Taylor conosce molto bene, utilizza e decanta; dall'altra, l'analisi della redazione alla quale si avvia, senza però - ovviamente - quell'ampiezza di cono­ scenze che solo successivamente si è resa pos­ sibile. Due i difetti (o i rischi) della scuola morfologica: quello di ritenere impossibile (o quasi) risalire dai vangeli alla storia di Gesù, e quello di studiare la formazione del vangelo senza poi interessarsi alla composizione che ne è_ risultata. Quanto al primo, Taylor ha sempre reagito allo scettioismo . di Bultmann e Dibelius e molti altri, anticipando critiche oggi ampiamente condivise. Quanto al se­ condo, è fin troppo evidente che Taylor utilizza lo studio delle singole unità letterarie per compren­ dere meglio il lavoro di Marco, non per trascu­ rar/o. Dobbiamo ora rispo12dere alla seconda domanda, la più importante. Dopo l'apparizione di questo commentario - che risale, come già detto, al 1952 e che le successive edizioni hanno lasciato sostanzialmente immutato - gli studi sul vangelo di Marco hanno compiuto molti passi. Si è anzitutto esplorato - da angolature differen­ ti il suo lavoro rcdazionale, le sue intenzioni, i suoi interessi teologici: o studiando le sue cc anti­ patie » (Trocmè), o i miracoli (Tagawa, Kertel­ ge), o il segreto messianico (Minette de Tillesse), e così via. Innumerevoli le monografie su singole pericopi e temi. Il racconto di Marco sembra an­ che essere il terreno preferito per tentativi di let­ ture che si avvalgono, in un modo o nell'altro, dei metodi dell'analisi strutturale. Infine, il tanto -

VIII

Presentazione

(e giustamente) discusso La lecture materialiste de l'évangile de Mare di F. Belo (Parigi 1974). In un panorama così ricco e suggestivo perché proporre al pubblico italiano un libro che ebbe senza dubbio grande importanza ma che ora si direbbe superato? In realtà, a noi sembra che nel panorama italiano (in verità non molto ricco ma che forse si avvia ad esserlo: qualche segno lo lascia supporre) manchi proprio un libro come questo, un vuoto che è urgente e importante col­ mare. Non pensiamo agli specialisti, ma al pubbli­ co colto e interessato, agli studenti, alle comuni­ tà che si aprono alla lettura del vangelo e che al di là delle mode e delle facili conclusioni vogliono percorrere strade rigorose. Si fanno let­ ture esistenziali, teologiche, politiche, spirituali, materialiste e altre ancora. Riserve a parte (ne abbiamo più di una) è indubbio che non si pos­ sono intraprendere queste letture senza la pazien­ za e il rigore (anche · morale) di una previa lettu­ ra filologica seria, tranquilla, equilibrata: senza la preoccupazione di concludere in una direzione o nell'altra, senza l'ansia di essere ad ogni costo ·e subito attuale, ma unicame11te attenta a utiliz­ zare tutti gli strumenti a disposizione per scopri­ re come il testo si è formato, per quale motivo e cosa vuol dire. Questo libro di Taylor, dunque, non conclude la ricerca su Marco, non è l'ultima voce, non è la più originale. Il suo pregio è altrove. L'autore ne è consapevole, e così conclude (p. 25) il capitolo secondo nel quale è tracciata una rapida rassegna degli studi sul vangelo di Marco: « È una sciocchez­ za incredibile supporre che sia passato il tempo del commento critico, o che in un'epoca così affac­ cendata gli studenti possano risparmiare la fatica di acquistare una buona conoscenza del greco del Nuovo Testamento. Una politica del genere è con­ tro i veri interessi della teologia, e non può che sfociare in un nuovo gnosticismo, contro cui biso-

Presentazione

IX

gnerebbe nuovamente ingaggiare la lotta della let­ tera ai Colossesi. La lezione di questa nostra ras­ segna è che sintassi, critica e teologia sono un tut­ to indissolubile, che non può essere impunemente spezzato. Fiorisca pure la teologia, ma senza dimen­ ticare la base granitica su cui è stata sbozzata e la. cava da cui è stata estratta ». Parole che sotto­ scriviamo pienamente e che giustificano questa im­ presa editoriale non priva di rischi. BRUNO MAGGIONI

abbreviazioni

AA Aq.

BDB BS DCG

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An Aramaic Approach to the Gospels and Acts

(M.

Black).

Aquila.

Brown Driver, Briggs (Heb. Lex.). 'Bible Studies. (A Deissmann). A Dictionary of Christ and th e Gospel (J. Has• ,

tings).

EB GLNT HDB

HG

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JE JHC JJ

LS NTE os

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Encyclo pa edia Biblica (Cheine-Black). Grande Lessico del Nuovo Testamento (Kittel). Has tings Dictionary of the Bible. The Historical Geography of the Holy Land (G. A. Smith) . Horae Synopticae (J. C. Hawkins). Jewish Encyclopae dia. Jesus and His Church (R. H. Flew). Jesus-Jeshua (G. Dalman). Liddel e Scott (Greek Lex ) New Testament Essays. Oxford Studies in the SynOptic Problem (W. '

.

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Sanday).

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Th.

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The Parables of Jesus (J. Jeremias) . S tudies in. the Gospels. Sanday e Headlam Studiorum Novi Testamenti Soci etas. S acred Sites and Ways (G. Dalman) . .

Theodotion. Textu s Receptus.

The Vocabulary of the Greek Testament (Moul­

ton-Milligan). Winer-Moulton (Grammar of NT Greek) .

Riviste AJT

ATR CN CQR

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American Journal of Theology. Anglican Theological Review. Coniectanea Neotestamentica. Church Quarterly Review.

ET Exp. H TR JBL

JR

JTS

LQR

NTS RB RTP Th

ThLZ ThR

ZNTW

= = == = =

Expository Tìmes. Expositor. Harvard Theological Review. Journal of Biblica! Literature. lournal of Religion. Journal of Theological Studies. = London Quarterly and Holbom Review. New Testament Studies. = Revue biblique. Revue de Thélogie et de Philosophie. Theology. Theologische Literaturzeitung. = Theologische Rundschau. Zeitschrift fur die neutestamentliche Wissenschaft. =

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nota d el traduttore

Questo Marco (di Cittadella Editrice) non è una riduzione dell'opera di Taylor, ma è un'edizione sostanzialmente integrale. Le riduzioni riguardano alcuni punti precisi: Nell'Introduzione: i capp. IV-VI dell'originale sono stati condensati in uno solo, dal titolo: Vocabolario, sintassi, stile; lo sfondo se­ mitico del Vangelo (cap. VI dell'edizione italiana) . Nel commento: sono stati omessi gli elenchi dei codici nelle di­ scussioni di critica testuale; sono state condensate alcune discus­ sioni di carattere geografico; talora sono stati omessi dati di ca­ rattere statistico, quando apparivano del tutto irrilevanti. Nelle note addizionali: è stata tralasciata l'ultima, sulla data del­ l'Ultima Cena, dato lo sviluppo ulteriore degli studi dopo la com­ parsa del lavoro di Taylor. Altre osservazioni

- Le opere e le rispettive sigle sono state citate secondo l'originale inglese, eccetto il « Kittel » di cui è stato fatto il rimando all'edi­ zione italiana: GLNT (Grande Lessico del Nuovo Testamento). - Il testo seguito da Taylor è quello di Westcotte Hort (WH), sal­ vo le modifiche che egli vi apporta, e che vengono segnalate nelle discussioni di critica testuale nel commento. - Per la traduzione italiana, si è seguita la versione curata dalla CEI, apportandovi però quei ritocchi che le interpretazioni di Taylor impongono. - Per quanto, a differenza dell'originale, abbiamo dato per diste­ so il testo italiano di Marco, è tuttavia necessario avere davanti il testo greco, perché su questo viene condotto il commento.

2 l.

Introduzione

Papla

Ecco le sue parole, citate da Eus. HE, 3, 39, 15: « E l'Anziano disse anche questo: Marco, diventato l'in­ terprete di Pietro, scrisse accuratamente tutto ciò che ricordava delle cose dette e fatte dal Signore, ma senza ordi ne . Egli non aveva ascoltato il Signore né era stato suo discepolo, ma più tardi, come già dissi, era stato discepolo di Pietro, ·che adattava il suo insegnamento al­ le necessità (degli uditori) ma non aveva intenzione di dare un'esposizione ordinata dei detti del Signore. Così che Marco non commise errori nel riferire le cose esatta­ mente come le ricordava, perché la sua unica preoccupa­ zione fu di non omettere nulla di ciò che aveva udito, e di non adulterare nulla>>. Il giudizio dell'Anziano termina con la prima frase; il resto è opinione dello stesso Papia. La funzione di Mar,.( co fu quella di interprete; ma è ragionevole supporre che i suoi doveri includessero quelli di un assistente, quali egli svolse acco mpagnando Saulo e Barnaba nel viaggio missionario raccontato in Atti 1 3-14. Dal vangelo stesso potremmo dedurre che egli fu anche un maestro, ma l'Anziano non ne dice nulla. Il riferimento a Pietro richiama l Pt. 5, 1 3 : « Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio »; che è una « naturale ·e spressione di affetto tra apostolo e allievo >> (Selwyn, 244) . Cfr. Swete, xxv: « Ci si apre uno spiraglio sull'attività di Marco a Roma durante la permanenza di Pietro nella città ». Se da una parte l'Anziano garantisce che Marco ha scrit­ to accuratamente, dall'altra non può non rilevare la diffe­ renza tra la sua disposizione e quella degli altri racconti a lui noti. Probabilmente pensa a Giovanni (cfr. Moffatt, 187; Streeter, 20) più che a Matteo, anche se non si può escludere che avesse in mente ambedue (cfr. Grant, 99) o l'insegnamento orale (cfr. Bacon, 30). In ogni caso egli assume un atteggiamento di difesa. La disposizione di Marco era stata criticata a Efeso. Il resto del giudizio è opinione di Papia. Papia chiarisce che Marco non era sta­ to né un uditore né un discepolo di Gesù; era al seguito di Pi e t ro , che indirizzava il proprio insegnamento a neces­ sità pratiche. La forza con cui Papia afferma che Marco c non commise errori » mostra che egli avvertiva molto

Storia del vangelo nella chiesa primitiva

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bene la necessità di difendere Marco dalle critiche corren­ ti, e che egli annette una grande importanza alla testimo­ nianza dell'Anziano. La tradizione di Papia è stata /ampia­ mente accettata, e con buone ragioni; ma non dovrebbe comunque essere presa come convalida di tutto ciò che è contenuto in Marco, è neppure necessariamente per la maggior parte del vangelo, perché ci sono indizi chiari che l'evangelista usa altre tradizioni sia per i racconti che per i detti.

2. Il prologo anti-marcionita � risaputo da tempo che circolavano prefazioni a molte

Epis tole, di data antica, scritte in antitesi alle posizioni di Marcione, che fu il primo a tracciare un canone dei libri da lui riconosciuti come autentici e apostolici. Ma dal 1928 le ricerche di Dom Donatien de B ruyne 1 hanno mostrato che prologhi dello stesso tipo erano aggiunti ai vangeli e si trovano in molti manoscritti vetero-latini. La prefazione a Matteo non è ancora stata ritrovata, e quel­ la che apparteneva a Marco manca dell'inizio. Il frammen­ to è il seguente:

Marcus adseruit, qui colobodactylus 2 est nominatus, ideo quod ad ceteram corporis proceritatem digitos _mino­ res habuisset, iste interpres fuit Petri, post excessionem ipsius Petri descripsit idem hoc in partibus Italiae evange­ .[ium ». «

•••

« . lo ha affermato Marco, che è èhiamato cc dalle dita mazze"/, perché aveva dita piuttosto piccole in confronto ' con la statura del resto del corpo. Egli era l'interprete di Pietro. Dopo la morte di Pietro compose questo vange­ lo nelle regioni d'Italia ». Questo giudizio sembra parzialmente dipendere dalla tra­ dizione di Papia, ma aggiunge nuove informazioni. La tra­ dizione secondo cui Marco aveva dita piccole è stata fin qui conosciuta soltanto sulla base di scrittori più tardi, ..

« Les plus anciens prologues latines des Évangiles » in: « Revue Bénédictine » 40 ( 1928), 193-214. 2 Colobodactylus, traslitterazione dal greco, è uno degli indizi che i Prologhi erano originariamente scritti in greco.

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Introduzione

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lppolito e l'autore della prefazione al Codex Toletanus della Vulgata; ma l'aver stabilito che il prologo anti-mar­ cionita risale al secondo sec olo dà maggior peso alla tra­ dizione. Non c'è motivo di attribuire la peculiarità fisica a mutilazione, o di spiegare il termine nel senso di « di­ sertore » (così Tregelles, cfr. Swete, :xxvrr); dovrebbe trattarsi di difetto naturale. Più importante è l'affermazio­ ne secondo cui Marco ha scritto il vangelo in Italia dopo la morte di Pietro. Si tratta di una testimonianza anterio­ re a quella di lreneo, e conferma l'opinione secondo cui con l'espressione meta ten touton exodon (cfr. sotto) Ire­ neo intende la morte di Pietro e Paolo. Abbiamo dunque una testimonianza più pri mitiva in favore dell'origine ro­ mana del vangelo. 3.

Giustino Martire

Giustino non menziona direttamente il vangelo, ma parla certi Apomnemoneumata Petrou che contenevano le pa­ role onoma Boanerges, ho estin huioi brontes , o equiva­ lenti, che si trovano solo in Mc. 3, 17 (Dial. 106) . Inoltre, in Dial. 88, pare in riferimento a Mc. 6, 3, si trova l'e­ spressione tektonos nomizomenou. Cfr . pure Apol. 1, 66; Dial. 103, e vedi le tavole in Sanday, The Gospels in the Second Century, 91 ss, 113 ss. � stato detto che con il titolo « memorie di Pietro » Giustino intende il Vangelo di Pietro, ma quest'opinione è validamente confutata -da V. H. Stanton, l, 93-102. Cfr. Lagrange, XXI. Stanton data la Prima apologia attorno al 145-6, la Seconda un poco più tardi, e il Dialogo prima del 161. di

4.

Ireneo

La testimonianza di I.reneo si trova in una sezione in cui egli parla di tutti i vangeli (Adv. Haer., III, l, 2) . Dopo aver affermato che Matteo scrisse mentre Pietro e Paolo predicavano il vangelo e fondavano la chiesa a Roma, egli dice: « E dopo la morte di costoro, Marco, discepolo e inter­ prete di Pietro, egli pure tramandò a noi per scritto le cose predicate da Pietro ».

Storia de1 vangelo nella chiesa primitiva

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Dom J. Chapman, JTS, 6, 563 ss, Harnack 130 s, W. C. Allen 2, e altri hanno insinuato che Ireneo volesse mostra­ re che la predicazione degli Apostoli non cessava alla lo­ ro morte, e che quindi le sue parole non contraddiceva­ no la tradizione di Clemente d'Alessandria (cfr. sotto) se­ condo cui Marco fu scritto durante la vita di Pietro. Ma questa è un'interpretazione innaturale delle parole di Ire­ neo e contrasta con l'affermazione del Prologo anti-mar­ cionita. Ireneo usa exodos come in Le. 9, 3 1 , detto di partenza nel senso di morte, e dà così un'informazione cronologica sulla data di composizione. Il riferimento a Roma (en Romei) indica nel contesto che il vangelo fu composto in questa città. Il Canone Muratoriano

5.

Pubblicato da L. A .. Muratori nel 1740, il Canone è conser­ vato in un frammento malamente mutilato di un mano­ scritto corrotto di Bobbio (sec. VII-VIII), nella Bibliote­ ca Ambrosiana di Milano. Cfr. Souter, TC, 208 s. Esso contiene i libri riconosciuti a Roma nel 170-1 90. La frase introduttiva, chiaramente incompleta, si riferisce evidente­ mente a Marco poiché è seguita dalle parole: Tertium evangelii librum secundum Lucam. Vi si legge: « (ali ?) quibus tamen interfuit et ita posuit », « :È stato presente ad alcuni fatti, e così li ha. registrati ». :È ragionevole supporre che la frase incompiuta fosse pre­ ceduta, come nella tradizione di Papia, da un riferimen­ to all'insegnamento di Pietro. Lagrange, XXII s congettura che davanti a quibus si trovassero le parole sed iuxta quod audierat a Petro in concionibus, e afferma che in questo modo si spiega bene il tamen. Molti studiosi pen­ sano che quibus è la seconda metà di aliquibus; cfr. Swete, xxxiii; Rawlinson, XXVII. ...

6.

Clemente d'Alessandria

Tre passi degli scritti di Clemente vanno ricordati: due citati da Eusebio e un terzo che circolava in latino. (l) « Quando Pietro ebbe predicato pubblicamente la pa­ rola a Roma e annunciato il vangelo nello Spirito, i pre-

6

Introduzione

senti - che erano numerosi - pregarono Marco (perché lo aveva seguito a lungo e ricordava ciò che aveva detto) di scrivere le sue parole. Marco lo fece, e comunicò il vangelo a coloro che gliel'avevano chiesto . Quando Pietro venne a conoscenza del fatto, né proibì né incoraggiò l'im­ presa >> (Eus. HE, VI, 14, 6 s). (2) « Essi dicono che quando l'Apostolo seppe che cosa si era fatto, poiché lo Spirito glielo aveva rivelato, appro­ vò l'iniziativa di quelle persone e ratificò lo scritto per la lettura nelle assemblee » (Eus. HE, II, 15, 2) . (3) « Marcus Petri sectator palam praedicante Petro evan­ gelium Romae coram quibusdam Caesareanis equitibus et multa Christi testimonia preferente, petitus ab eis ut possent quae dicebantur memoriae commendare, scripsit ex his quae Petro dieta sunt evangelium quod secundum Marcum vocitatur » (Adumbr. in l Pet. 5, 13) . « Marco, seguace di Pietro, mentre Pietro predicava pub­ blicamente il vangelo a Roma alla presenza di certi cava­ lieri del Cesare e adduceva molte testimonianze su Cri­ sto, pregato da loro che li aiutasse a ricordare le cose che erano state dette, scrisse sulla base di quanto Pietro aveva narrato il vangelo detto di Marco ». Questi passi, specialmente il secondo e il terzo, illustra­ no lo sviluppo della tradizione petrina. Che Marco abbia scrit to per rispondere a delle richieste è abbastanza pro­ babile, vista la sua conoscenza della predicazione di Pie­ tro, ma che l'abbia fatto ancor vivo Pietro è improbabi­ le, alla luce della testimonianza di Ireneo e del Prologo anti-marcionita.

7.

Orlgene

Descrivendo la composizione dei quattro vangeli, Origene ribadisce la tradizione di Papia e la conferma con la cita­ zione di 1 Pt. 5, 13: « Il secondo, quello di Marco, che fece come gli aveva insegnato Pietro; questi lo considerò come un figlio nella epistola cattolica, quando scrisse: « Vi saluta la comuni­ tà che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio » (Eus. HE, VI, 25, 5) .

Storia del vangelo nella chiesa primitiva

7

8. Girolamo

Nel Comm. in Matt., Prooemium 6, Girolamo scrive: « Secundus Marcus interpres apostoli Petri e t Alexandri­

nae ecclesiae primus episcopus, qui dominum quidem sal­ vatbrem ipse non vidit, sed ea quae magistrum audierat praedicantem• iuxta fidem magis gestorum narravit quam ordinem ».

« Il secondo è Marco, interprete dell'apostolo Pietro e primo vescovo della chiesa d'Alessandria, che non vide personalmente il Signore salvatore, ma narrò quelle cose che aveva sentite predicare dal maestro, con fedeltà ai fatti più che alla loro disposizione ». Questa testimonianza dipende manifestamente dalla tradi­ zione di Papia. L'elemento nuovo è la tradizione secondo cui Marco fu il primo vescovo d'Alessandria. Questa noti­ zia non è ricordata da Papia, né da Ireneo, da Clemente e da Origene; e non è possibile conciliarla con la tradizio­ ne romana che questi scrittori attestano, soprattutto per il fatto che Girolamo e gli autori successivi affermano che Marco morì nell'anno ottavo dell'impero di Nerone (54-68 d. C.) ad Alessandria, cioè prima della morte di Pietro e Paolo .. Cfr. Girolamo, De Vir. ill., 8: mortuus est

autem octavo Neronis anno et sepultus Alexandriae succe­ dente sibi Anniano; Eus. HE, II, 16 e 24; Const. Ap. 1, 46; Epiph., Haer., 5 1 , 6. Cfr. Swete, xxvn, dove dice che

l'affermazione di Girolamo « sembra puramente una de­ duzione illogica dalla data ché Eusebio porta per la suc­ cessione di Anniano ». Vedi pure Lagrange, XXIV s. Sintesi

In una parola, possiamo dire che dall'inizio del secondo secolo le testimonianze esterne concordano nell'attribui­ re la composizione del vangelo a Marco, « l'interprete di Pietro », e nell'assegnare il luogo di composizione a Ro­ ma, malgrado opinioni tardive che lo fissano ad Alessan­ dria. Sul problema della data sono nate diverse tradizioni, ma il peso delle testimonianze favorisce una datazione dopo il martirio di Pietro piuttosto che durante la sua vita. Gli indizi esterni sono ben lungi dal suggerire che Pietro

8

Introduzione

sia stato l'unica fonte di informazione di Marco; tuttavia non meraviglia che la tendenza sia stata di sottolineare

questo rapporto e di renderlo più diretto. Malgrado ciò le testimonianze primitive non dissimulano che da un tempo molto antico il vangelo non era stato accolto con favore incondizionato ed era stato criticato per la sua mancanza di organizzazione I r ichiami più antichi alla tradizione di Papia fanno un'impressione favorevole per il candore e la s obrietà d i tono , e fi no ai tempi più recen ti essa è stata ampiamente accettata. Essa diventa vulne­ rab ile soltanto quando vi si fa troppo affi dament o e non si tien presente la eventualità che altre fonti di informa­ zione fossero accessibili all'evangelista, non s oltanto in ba­ se a testimonianze individuali ma nella vita e nel culto di una chiesa viva ,

.

­

.

capitolo secondo

l a storia del vangelo nella critica mod erna

Ci sono buone ragioni per far cominciare la storia del giudizio critico ai primi decenni del secolo XIX. Infatti, dopo l'iniziale popolarità e l'ampia diffusione, Marco è stato trascurato per secoli. Il vangelo preferito nella chie­ sa primitiva fu Matteo, e dal tempo di Agostino si impo­ se l'opinione che Marco non fosse altro che il lacchè e il sunteggiatore di Matteo : Marcus eum subsecutus tam­ quam pedisequus et breviator eius videtur, De Consensu evangelistarum, l, 2, 4. Nel quinto secolo, Vittore d'Antio­ chia afferma di non essere riuscito a trovare l'opera di un commentatore; e dopo di lui il prossimo di cui abbia­ mo notizia è Beda il Venerabile, a tre secoli di distanza. Commenti ne furono scritti nel Medio Evo e dopo la Riforma; ma soltanto dopo che fu dimostrata la priorità di Marco, poco più di un secolo fa, venne riconosciuta la sua importanza estrema per la critica storica. All'inizio del sec. XIX tre erano le teorie dominanti. L'ipo­ tesi del vangelo originale era sostenuta da J. G. Eichhorn (Einleitung in das Neue Testament, 1 804) . Secondo que­ sti, un compendio scritto dei più importanti elementi del­ la storia di Gesù veniva dato ai missionari cristiani per­ ché se ne servissero per il loro insegnamento; i primi tre evangelisti, indipendentemente l'uno dall'altro, incor­ porarono questo compendio nei loro vangeli. F. D. Sch­ leiermacher (Ueber die Schriften des Lukas. Ein kriti­ scher Versuch, 1817) postulò l'esistenza di molte fonti o frammenti scritti su tavole o fogli di papiro, che contene.

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Introduzione

vano pochi detti o la narrazione di un singolo avvenimen­ to o un episodio nella storia del vangelo, di cui gli evange­ listi si ·servirono. Così fu Schleiermacher. a suggerire quel­ la che venne conosciuta come l'ipotesi dei frammenti; ipotesi che egli in seguito abbandonò, ma a cui si nota un ritorno almeno parziale nell'opera recente di Martin Albertz (Die synoptischen Streitgespriiche, 1 921). La terza ipotesi fu quella della tradizione popolare, sostenuta da J. L. Gieseler nel suo Historisch-kritischer Versuch uber die Entstehung und die fruhesten Schicksafe der schriftli­ chen Evangelien, 1 8 1 8 . Questa opinione ipotizza l'esisten­ za di una tradizione evangelica originaria ricevuta dagli Apostoli e affidata ai missionari e ai catechisti cristiani primitivi, che in seguito raggiunse una forma scritta nei vangeli. Essa esercitò a lungo il suo fascino in Gran Bre­ tagna: la sostennero Westc òtt, A. Wright e G. Salmon. Ancora nel 1 908 quest'opinione si trova espressa nell'ope­ ra di Salmon Human Element in the Gospels : « La spiega­ zione più probabile del fatto che noi abbiamo oggi tre narrazioni della vita di nostro Signore, così simili l'una all'altra e tuttavia in molte parti così indipendenti, è che ci è stato conservato il vangelo orale come se fosse stato annunciato in tre centri diversi » (p. 27) . In Germania la Leben Jesu di D. F. Strauss, pubblicata nel 1835, scosse la fiducia nella teoria orale e stimolò uno studio ulteriore del problema sinottico. La possibili­ tà di dare un'interpretazione mitica degli eventi della vi­ ta di Gesù mise in luce anche troppo chiaramente quan­ to fossero precarie le basi critiche. Comunque, una miglio­ re interpretazione del problema sinottico venne raggiun­ ta attraverso uno studio più accurato dei vangeli. Nello stesso anno in cui Strauss pubblicava la sua Vita di Ge­ sù, C. Lachmann per primo anticipava la soluzione che ha costituito la pietra di paragone di tutta la ricerca seguente. In un'osservazione diventata fé).mosa egli scris­ se: « Nell'organizzazione dei racconti evangelici non c'è tutta quella diversità che normalmente si pensa. t:: certa­ mente molto grande se confrontate indiscriminatamente i vangeli sinottici tutt'insieme, o confrontate Luca con Matteo; ma se mettete a confronto Marco con gli altri due separatamente, la differenza è irrilevante » 1 • Veniva 1 Studien und Kritiken (1835), 574.

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così suggerita l'ipotesi della priorità di Marco e del suo uso .da parte di Matteo e di Luca; ipotesi che venne sviluppata da C. G. Wilke 2 e C. H. Weisse 3, e fissata da B. Weiss 4 e H. J. Holtzmann 5• Non è necessario descrivere ulteriormente questa grande conquista della scienza esegetica tedesca, né i passi attra­ verso i quali Holtzmann arrivò a combinarla con l'ipote­ si di Q, la fonte dei detti. Come ha detto Dibelius 6, la teoria delle due fonti « è ancora la base sicura della critica dei sinottici ».

Dal 1900 al

1914

Nei primi anni del secolo l'ipotesi dei due documenti venne accettata e sviluppata da studiosi di molti paesi : in Inghilterra da Sir John C. Hawkins 7, V. H. Stanton 8, W. Sanday 9, J. Moffatt 10, A. S. Peake 11 e altri; in Francia da A. Loisy 12 e M. Goguel13; negli Stati Uniti da E. de Witt Burton 14, C. S. Patton15, e B. W. Bacon 16• Sintomati­ co �ella stabilità dell'opinione critica è il fatto che in un commento moderno non è più necessario provare la prio­ rità di Marco17 • Gli estesi passi paralleli a Marco in Mat2 3 4 5 6 7 8 9

Der Urevangelist, 1838. Die evangelische Geschichte, 1838. Lehrbuch der Einl. in das NT ( 1886), 473-555. Die Synoptiker (190 1 ), 10-20. ET, 41, 537. Horae Syn opticae2 1909. The Gospels as H istorical Documeuts, 2 (1909). Exp .4 3, 81 s, 177 s, 302 s, 345 s, 411 s; Oxft:Jrd Studies in t h e Synoptic Problem (ed. 1911). 10 Introductiol13, 1918. n Introduction, 1909. 12 Les Evangiles syn., 1907. ·13 Introduction, 1, 1923. 14 Introduction to the Gospels, 1904. 15 Sources of the Synoptic Gospels, 1915. 16 The Beginnings of Gospel Ston•. 1909; The Gospel of Mark, 1925 Vanno pure ricordati H.J. Cadbury, B.S. Easton, e F.C. Gran t. 11 Questo va detto malgrado l'intelligente intervento di H.G. Jame­ son e poi di B.C. Butler in favore di una revisione del problema sinottico. Invece l'ipotesi dei quattro documenti, formulata da B.H. Streeter (The Four Gospels: A Study of Origins, 1924), non si stacca in linea di principio dall'ipotesi delle due fonti, ma ne costituisce una più precisa elaborazione. ,

,

.

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Introduzione

teo (il 90 per cento dei versetti di Marco) e in Luca (oltre il SO per cento) , l'alto indice di concordanze lessica­ li (circa il 5 1 per cento in Matteo e il 53 per cento in Luca) , la relativa uniformità nella disposizione, le miglio­ rie stilistiche e grammaticali nei due vangeli posteriori, l'attenuazione o l'omissione di affermazioni audaci di Marco, e il carattere vivace della sua narrazione, tutto converge a garantire che Marco è il nostro primo vange­ lo, usato come fonte da Matteo e da Luca. Nel nostro paese le discussioni furono decisive; ma ci volle del tempo prima che i risultati della critica apparis­ sero nei commenti. Il grande commento di H . B. Swete, ancora inestimabile per le sue osservazioni linguistiche e l'esegesi penetrante, fu pubblicato in prima edizione nel 1 898; ma, pure trattando della storia personale di Marco e della storia del vangelo nella chiesa primitiva, tace qua­ si del tutto sulla critica moderna; e le edizioni e ristam­ pe successive portano pochi cambiamenti. Una nota a p. LXV confuta l'ipotesi dell'Ur-Markus (il Marco origina­ rio) ma osserva in modo esitante che l'Autore non è pre­ parato per esprimere un suo parere attorno alla natura e all'estensione della revisione redazionale subita .dal van­ gelo. Una più ampia discussione critica venne offerta dai commenti di A. B. Bruce in Expositor's Greek Testa­ ment (1, 1 897) e di E. P. Gould in lnternational Criticai Commentary su san Marco (1 896), dove l'autore si rifà alle posizioni di H. A. W. Meyer, B. Weiss, W. Beyschlag, H. J. Holtzmann e altri. Nuovo interesse suscitò pure lo studio storico di A. Menzies in The Earliest Gospel (1901). Qui più di cinquanta pagine di introduzione discutono l'origine dei vangeli, i motivi che determinarono la forma­ zione della tradizione, il suo stato prima della composizio­ ne di Marco, la natura di questo vangelo, le sue fonti, la disposizione, il trattamento, i destinatari, la data e le prime testimonianze sull'Autore. Di spirito liberale, il com­ mento contiene molte osservazioni stimolanti, ma malgra­ do allusioni alle posizioni della critica continentale, gene­ ralmente nelle note, è molto indipendente nella trattazio­ ne e si basa sul testo inglese. I commenti di A. Plummer (1914) e W. C. Allen (1915) appartengono alla tradizione di Swete : il primo contiene molte note esegetiche di valo­ re, il secondo sostiene l'origine aramaica del vangelo. Manca ancora una trattazione esauriente dei problemi sto-

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rici e critici. Soltanto col commento di Rawlinson (1925) i problemi vitali di un'introduzione hanno ricevuto un trattamento adeguato. Ci troviamo così in presenza di una situazione curiosa: per un quarto di secolo, mentre gli studiosi inglesi apportano contributi classici al proble­ ma sinottico, i commentatori procedono quasi come se il problema critico non esistesse. Frattanto il dibattito continuò, specialmente in Germa­ nia·. In questo �ommario non è possibile descrivere in modo esauriente tutte le soluzioni che vennero proposte e discusse. La teoria dell'Ur-Markus verrà considerata nel­ la sezione sulle fonti 18, e l'ipotesi secondo cui il vangelo si basa su un originale aramaico o su fonti aramaiChe, nel capitolo 19 sul fondo semitico di Marco. Qui sarà me­ glio considerare le discussioni incentrate su punti focali : l a teoria del « segreto messianico » difesa d a W. Wrede, le prospettive della scuola escatologica radicale, rappre­ sentata soprattutto da J. Weiss e A. Schweitzer, e i contri­ buti dati da J. Weiss, J. Wellhausen, A. Loisy e B. W. Bacon ai problemi di interpretazione, specialmente per quanto riguarda il presunto « paolinismo >> di Marco e l'affermazione che quanto egli riferisce è Gemeindetheolo­ gie, un consolidamento della teologia della comunità cri­ stiana primitiva 20, Questi temi ci porteranno fino al tem­ po della prima guerra mondiale, dopo la quale essi vengo­ no di nuovo discussi insieme con la critica delle forme. In retrospettiva possiamo oggi vedere che una delle svol­ te decisive venne costituita dalla pubblicazione di W. Wre­ de, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien ( 1 901) , mes­ so alla portata dei lettori inglesi nei commenti e nella critica di W. Sanday nella sua Life of Christ in Recent Research (1908) 21• Wrede sostenne che fu soltanto dopo la Risurrezione che la dignità messianica di Gesù venne affermata nella comunità cristiana, e che di conseguenza le molte ingiunzioni di osservare il segreto sono in Mar­ co un accorgimento letterario per giustificare il silenzio

18 Vedi avanti, pp. 34-39. 19 Vedi avanti, p. 62. 20 L'espressione (« Der Niederschlag der Theologie der de » ) è usata da W. Bousset nel suo Kyrios Christos3 21 Pp. 36 ss.

Urgemein­ ( 1926), 10.

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Introduzione

della tradizione primitiva 22• Affronteremo in seguito que­ sto problema importante 23• Per ora, dobbiamo ricordare la posizione di A. Schweitzer nella sua opera importante Das Messianitiits und Leidensgeheimnis. Bine Skizze des Lebens Jesu ( 1 90 1 ) , pubblicata lo stesso anno dell'opera di Wrede, e nel suo Von Reimarus zu Wrede ( 1 906) , che il lettore inglese conosce nella traduzione di W. Montgo­ mery: The Quest of the Historical Jesus (191 1). Schweitzer descrive il rapporto tra la posizione di Wre­ de e la propria come un contrasto tra « scetticismo con­ seguente» e « escatologia conseguente» 24• Con Wrede -egli condivide la convinzione che l'« ipotesi marciana » nella sua formulazione rigida è interamente screditata 25; ma è molto più positivo sul valore storico della tradizio­ ne marciana, arrivando ad affermare che il riconoscimen­ to progressivo del carattere escatologico della predicazio­ ne e delle azioni di Gesù « comporta un ricupero progres­ sivo della tradizione evangelica >> 26• Di particolare interes­ se è la sua interpretazione delle narrazioni della moltipli­ cazione dei pani e dell'Ultima Cena come « sacramenti escatologici ». « Il pasto (alla moltiplicazione dei pani) - egli dice - fu più che una festa d'amore, più che un pasto di comunione. Dal punto di vista di Gesù fu un sacramento di salvezza >> 27• Schweitzer annette pure gran­ de importanza alla missione dei Dodici, al fallimento del­ l'attesa della Parusia, al ritiro oltre la Galilea, all'insegna­ mento sulle sofferenze messianiche, alla Trasfigurazione e alla confessione di Pietro, e non teme di riconoscere la presenza di idee dogmatiche nella mente di Gesù stes­ so 28• Tutte queste interpretazioni della storia di Marco sono collegate alla sua dottrina radicale della « escatolo-

Per Wrede, l'idea del segreto messianico non fu un'invenzione di Marco, ma doveva circolare in certi ambienti a cui egli apparte­

22

neva. Vedi avanti, pp. 97-99. 24 The Quest of the Historical Jesus, 329. 25 Op. cìt., 332. 26 Op. cit., 285 . n Op. cit., 315 . 28 Op. cit., 348: «Dopo tutto, perché Gesù non dovrebbe pensare in termini dottrinali, e fare storia nella prassi, così come un povero evangelista può farla sulla carta, sotto la pressione degli interessi teologici della comunità primitiva?». 23

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Storia del vangelo nella critica moderna

gia conseguente »; ma il legame non è, credo, così indisso­ lubile, da risultare impossibile conservare le prime senza quest'ultima. A questo punto vanno ricordati altri due studiosi, la cui opera ha esercitato un profondo influsso sugli studi mo­ derni di Marco : Julius Wellhausen e Johannes Weiss. La prima edizi one del commento di Wellhausen Das Evange­ lium Marci apparve nel 1 903 (la seconda nel 1909) , e nei quattro anni successivi fu seguita dai commenti a Mat­ teo, Luca e Giovanni e dalla Einleitung in die drei ersten Evangelien (1905, seconda ed. 1 9 1 1 ) . Giunto allo studio diretto dei vangeli dopo aver speso più di metà della vita allo studio dell'Antico Testamento, Wellhausen ha contribuito molto all'indagine sugli elementi aramaici in Marco e sul suo fondo giudaico; J. Cr�ed 29 ha ragione di dire che nelle sue discussioni vanno cercati i semi degli sviluppi più importanti degli anni recenti. Ma i commen­ ti sono molto brevi, e le osservazioni pregnanti di Well­ hausen sono di conseguenza più accennate che discusse. In opposizione a Schweitzer, la sua tendenza è di smorza­ re l'accento sulla dimensione escatologica, di sottolineare maggiormente la predicazione di Gesù come insieme, e di annettere grande importanza nella formazione della tra­ dizione primitiva all'attività della prima comunità cristia­ na, anticipando da questo punto di vista la posizione del­ la critica delle forme. Nel nostro commento faremo spes­ so riferimento alle sue posizioni, specialmente per quan­ to riguarda il regno di Dio, il Figlio dell'uomo, la missio­ ne dei Dodici, la moltiplicazione dei pani, e la conclusio­ ne attuale del vangelo. L'opera di Johannes Weiss è liberale nello spirito e nella prospettiva, ma è più costruttiva e stimolante che quella di Wellhausen. Il suo primo libro, Die Predigt Jesu vom Reiche Gottes (1 892, second a ed. 1900) , in cui il Regno è descritto come realtà interamente futura e trascendente, venne accolto con entusiasmo da Schweitzer, ma non ri­ chiede discussione su questo punto 30• Di maggior impor­ tanza per il nostro proposito immediato sono Das alleste

29 30

The Gospel according to St. Luke, vn. Nella seconda edizione, aumentata da 67 a 214 pagine, il trattamento è meno radicale. ·

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Introduzione

Evangelium (1903) , il commentario di Weiss a Marco in Die drei ii.lteren Evangelien (quarta ed. 1 929) , e il suo incompiuto magnum opus, Das Urchristentum, accessibi­ le ora in traduzione inglese, The History of primitive Chri­ stianity ( 1 937) 3 1• La prima di queste opere è di interes­

se eccezionale. Presenta legami con il passato nei riferi­ menti frequenti che Weiss fa alle fonti apostoliche, consi­ stenti in detti e racconti che suo padre, l'apprezzato Ber­ nhard Weiss, sosteneva essere una fonte usata da Marco per integrare le reminiscenze di Pietro. Egli si attiene anche a una forma modificata dell'ipotesi dell'Ur-Markus, in cui elementi propri a Marco sono spesso attribuiti al Bearbeiter, al redattore. L'ipotesi di Wrede viene forte­ mente criticata, e l'accento sulla segretezza - nei coman­ di di mantenerne il silenzio - viene collegata all'idea dell'indurimento del cuore, che troviamo pure in lo. 12, 37-40; questo passo potrebbe quasi essere considera to co­ me un motto per la prima parte del vangelo di Marco; esso riflette le idee del circolo paolina. Il trattamento delle fonti marciane, a prescindere dal pieno riconosci­ mento della tradizione petrina, anticipa in certi aspetti !!opera della critica delle forme 32• Weiss distingue infat­ ti : (l) narrazioni petrine, (2) racconti di controversie (Schul-und Streitgesprii.che) , (3) detti con o senza corni­ ce storica, e (4) tradizioni popolari secondarie. Weiss la­ scia aperta la questione se Marco debba essere identifica­ to con il Giovanni Marco di Atti 12, 12.25 ; 1 5, 37; inclina però verso una risposta negativa, in quanto considera di­ fettosa la tradizione di Gerusalemme nel vangelo e incer­ te le testimonianze primitive sull'identità di Marco. Mentre le idee di Wrede, Wellhausen e Weiss si sono dimostrate ricche di influssi e di suggerimenti, non si può dire lo stesso - almeno nel medesimo grado delle opere di Loisy e di B. W. Bacon. In Les E.vangiles synoptiques ( 1 907) Loisy cerca di distinguere tra un Mar­ co originale (Proto-Marco) , in cui l'autore usa reminiscen­ ze della predicazione di Pietro, e lo sviluppo secondario di un redattore successivo. Il vangelo attuale sarebbe 31 32

Tradotto da F. C. Grant e altri. Ogni narrazione conservata, ogni detto sopravvissuto, testimo­ nia questo o quell'interesse particolare da parte della chies a primi­ tiva » (The History of Primitive Christianity, 12) . «

Storia del vangelo nella critica moderna

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una compilazione anonima che riflette fortemente l'influs­ so della cristianità primitiva e in particolare dell'insegna­ mento di Paolo. Bacon, in The Beginnings of Gospel Story ( 1 909), richiama il grado straordinario di coinciden­ za nei risultati raggiunti da Loisy e da lui stesso. Marco sarebbe un seguace di Paolo, e nel suo vangelo si trove­ rebbe una di mensione fortemente redazionale. Nel saggio Is Mark a Roman Gospel ? (1919) , Bacon arguisce che Marco rappresenta il punto di vista dei « forti » di cui Paolo parla in Rom. 14, e che il suo atteggiamento è antigiudaico. In The Gospel of Mark ( 1925) egli discute la cristologia di Paolo e di Marco. Egli dubita che l'evan­ gelista abbia conosciuto le lettere paoline, ma pensa che non si può spiegare il vangelo di Marco senza la vita, il pensiero e l'insegnamento di Paolo. « Marco mostra una dipendenza diretta, ma non letteraria, dall'insegnamento del grande Apostolo dei Gentili » 33 • In quest'opera egli sostiene che una « profezia », formulata dapprima nell'an­ no 40 d. C. in relazione alla minaccia di Caligola di profa­ nare il tempio, venne reinterpretata nel SO « come una parola del Signore » nelle lettere ai Tessalonicesi (a cau­ sa delle mutate circostanze sotto Claudio) e venne usata da Marco · nella composizione della piccola apocalissi (Mc. 1 3) . Dal 1918 al 1939

Nel discutere l'opera di Bacon ho oltrepassato lo stadio in cui mi stavo muovendo nel raccontare la storia delle opinioni critiche. L'interesse prevalente fu costituito dal­ la critica letteraria, con accenni a un'attenzione crescen­ te per la dottrina e il suo rapporto con la tradizione. Malgrado la guerra del 19 14-18, ci si impegnò intensamen­ te in questo problema; e immediatamente dopo esso si impose in una rapida produzione di opere creative. Il quadro del vangelo di Marco, aggredito da Wrede e Schweitzer, fu fatto oggetto di un'indagine penetrante da parte di K. L. Schmidt in Der Rahmen der Geschichte Jesu pubblicato nel 1 919. Secondo l'opinione di molti, ,

33

Op. cit., 271 .

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Introduzione

Schmidt ha completamente demolito la costruzione sinot­ tica. Egli riconosce tracce di una storia continuata in al­ cune sezioni di Marco, come per es. in 4, 35 - 5, 43, ma pretende che il quadro come insieme sia una costruzione puramente artificiale. Nei confronti del materiale marcia­ no il suo atteggiamento è conservatore, specialmente per quanto riguarda nomi di luoghi e indicazioni topografi­ che e temporali nelle singole narrazioni; ma la sua conclu­ sione finale suona come una campana a lutto, che annun­ cia la morte di convinzioni a lungo predilette. « Non esi­ ste nell'insieme una vita di Gesù nel senso di una biogra­ fia che si va svolgendo, non esiste un tracciato cronologi­ co della storia di Gesù, ma soltanto storie singole, perico­ pae, che sono state inserite in una cornice » 34• Questa conclusione, credo, è troppo sbrigativa, sebbene sia indub­ biamente vero che Schmidt ha mostrato come la costru­ zione di Marco sia molto meno solida di quanto si fosse normalmente supposto 35• Discuteremo più avanti, alle pp. 1 15-1 1 9, questa importante questione. Nello stesso anno in cui appariva il libro di Schmidt, la critica delle forme faceva il suo ingresso negli studi del Nuovo Testamento in un piccolo volume pubblicato da M. Dibelius di Heidelberg sotto il titolo Die Formgeschi­ chte des Evangeliums 36• L'affermazione di base della nuo­ va disciplina era che durante il periodo orale la tradizio­ ne constava principalmente di unità isolate che possono essere classificate secondo la loro forma e seguite dalla loro origine nella predicazione e nell'insegnamento fino al punto in cui vennero messe per iscritto nei vangeli. La tesi fondamentale è descritta da Fascher 37 nello slo­ gan : « Am Anfang war die Predigt », « In principio era la predicazione ». Faceva eccezione il racconto della Passio­ ne, che Schrnidt e Dibelius si trovavano d'accordo nel 34 Op. cit. , 317. 35 Vedi l'importante

articolo di C.H. Dodd, ET (43) 396-400 , il quale conclude che, se non possiamo più dare alla sistemazione di Marco quella fiducia scontata di cui un tempo godeva, ci sono però buone ragioni per pensare che nelle grandi linee esso rappre· senta « una successione genui na degli eventi, in cui si può rintrac­ ciare un movimento e uno sviluppo ». 36 La seconda edizione, riveduta e ampliata nel 1933, è s tata tradot­ ta in inglese da B.L. Woolf in From Tradition to Gospel ( 1934). YI Die formgeschichtliche Methodé (1924), 54.

Storia del vangelo nella critica moderna

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considerare la parte più antica della tradizione che aves­ se preso forma scritta. Dibelius fa un passo decisivo quando distingue Paradigmen, le brevi storie che culmina­ no in un detto di Gesù, e Novellen, i racconti concepiti con più ampiezza in cui sono presentate scene più detta­ gliate; per quanto si possa dubitare che egli avesse ragio­ ne nell'assegnare le prime esclusivamente all'opera di pre­ dicatori e le altre a una categoria speciale di narratori che intendevano disegnare dei modelli per esorcisti e gua­ ritori cristiani. Meno soddisfacente è pure il modo in cui tratta i miti, o storie che riferiscono azioni di un essere divino, e le leggende, che raccontano i fatti di personag­ gi santi ; queste sono infatti etichette storiche che non descrivono forme narrative diverse. Nella seconda edizio­ ne del suo libro Dibelius pone maggior attenzione ai det­ ti. Questi, egli osserva, venivano raccolti a scopo esortati­ vo dai predicatori « per dare alle chiese consiglio, aiuto e direttive con le parole stesse del Maestro » 38• Il modo in cui egli tratta la tradizione è prevalentemente costrutti­ vo. Di particolare interesse è il fatto che la sua indagine si spinge oltre l'opera degli evangelisti, penetrando, attra­ verso le fonti, nella vita delle comunità primitive, con la sua ricchezza di aspetti. In ricerche del genere lo studio si estende necessariamente al di là delle « forme » e la critica delle forme diventa un ramo della critica storica. "l limiti della critica delle forme sono ancor più visibili nell'opera di Bultmann Die Geschichte der synoptischen Tradition ( 1 921, seconda ed. 1 93-1 ) . Invece che di Paradig­ men, Bultmann parla di Apophtegmata, distinguendo tra storie di controversia e storie biografiche; e invece di Novellen preferisce il termine più idoneo di Wunderge­ schichten (storie di miracoli) . I detti vengono classificati in:. ( l ) Logia, o parole di saggezza, (2) parole profetiche e apocalittiche, (3) parole della legge e norme comunita­ rie, (4) affermazioni di Gesù su se stesso, cioè detti alla prima persona singolare, e infine (5) parabole. Queste di­ stinzioni si basano sul contenuto piuttosto che sulla for­ ma 39 • Molte delle osservazioni di Bultmann su detti e apof­ tegmi sono acute e ricche di spunti, ma la tendenza del38 39

From Tradition to Gospel, 246. Cfr. EASTON, The Gaspel before the Gospels, 74.

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Introduzione

la sua critica è radicale fino all'estremismo 40• La maggior parte delle narrazioni storiche, che egli esamina in modo molto dettagliato, vengono dichiarate leggendarie ed elle­ nistiche di origine. In qualche misura il suo scetticismo esprime la preoccupazione di un critico di rendere piena­ mente giustizia all'influsso esercitato sulla tradizione dal­ la comunità che si atteneva e si richiamava alle parole di Gesù. Questo fatto appare nel suo saggio successivo Die Erforschung der synoptischen Evangelien (1930), in cui egli dice che, se l'indagine sui detti di Gesù conclude a una notevole incertezza, non deve però sfociare in un completo scetticismo 41 ; e più ancora nel suo Jesus (1925) 42, in cui, come attraverso un velo trasparente, i « detti della comunità » aprono una pittura vigorosa del­ l'insegnamento di Gesù. In confronto a Bultmann, Al­ hertz compie uno studio positivo e costruttivo delle « sto­ rie di controversia » nell'opera Die synoptischen Streit­ gespriiche (1921), mentre Die Leidengeschichte Jesu und der Christuskult (1922) di Bertram e Die Zusammenset­ zung des Markusevangeliums (1934) di Sundwall sono ne­ gativi al massimo 43. Fascher sostiene che la critica delle forme è uno strumen­ to nuovo e più acuto, ma solo uno tra tanti 44, e Koehler asserisce che il problema del Nuovo Testamento non è in ultima analisi una faccenda di critica delle forme ma una questione storica 45• Questi giudizi sono molto validi. Tuttavia, la critica delle forme ha _ portato alla discussio­ ne un contributo reale. Ha messo in rilievo la necessità di rintracciare il Sitz im Leben della tradizione evangeli­ ca nella vita e nelle necessità delle comunità primitive, e negli apoftegmi e nelle storie di miracoli ha scoperto « forme » che differiscono specificamente dalle storie at­ torno a Gesù in generale. Ha pure mostrato che raccolte 40

Albertz parla del suo « scetticismo sfrontato », Die synoptischen Streitgespriiche. 41 Op. cit., 32. 42 Traduzione inglese in Jesus and the Word { 1935 ); trad italiana: Gesù, Brescia 1972. 43 Andrebbero ricordati a questo punto anche altri s critti di Dibe­ lius e di K. L. Schmidt; nonché le opere di Fiebig, Windisch, Goguel e altri. 44 Op. cit., 228. 45 Das formgeschichtliche Problem des Neuen Testaments ( 1 927 ), 41. .

Storia del vangelo nella critica moderna

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di queste « forme » vennero fatte nel periodo pre-evange­ lico, e che la storia della Passione è stata la prima narra­ zione d'insieme a essere composta. Esprimeremo più tar­ di le nostre riserve, quando tratteremo del valore storico di Marco 46; per il momento dobbiamo riconoscere che la critica delle forme ha offerto contributi positivi allo stu­ dio dei vangeli, e di Marco in particolare. Mentre il lavoro della critica delle forme era in pieno svolgimento, altri studi meno spettacolari ma solidi anda­ vano emergendo. Nella sua opera lunga e dettagliata, Sy nop­ lische Studien (l, 1 925; II, 1 929; III, 1 93 1 ) W. Bussmann vuoi provare che Marco fu composto in tre stadi (G, B ed E) 47 e che Q include due fonti (R e T) ; gli studiosi continentali hanno ampiamente accettato le sue conclusio­ ni. In Inghilterra A. T. Cadoux, The Sources of the Se­ cond Gospel (1935) sostenne che Marco ha usato tre fon­ ti scritte, e J. M. C. Crum, St. Mark's Gospe l ( 1 936) ha indi­ viduato due stadi nella formazione del vangelo. La ricer­ ca affascinante delle fonti fu pure condotta nel primo volume dell'opera di Ed. Meyer, Ursprung und Anfiinge des Christentums (I�III, 1921-23) ; ma la sua opera ha inte­ ressi molto più vasti, in quanto studia i vangeli, lo svilup­ po del giudaismo e Gesù di Nazareth, gli Atti e l'inizio della cristianità, nella convinzione che lo svolgimento di questi temi è « uno dei compiti maggiori che toccano allo storico », Allo stesso periodo appartengono i commen­ ti di Rawlinson (1925) e Bartlet (1922) , i primi volumi di The Beginnings of Christianity (1-V, 1920-1933) , curati da Lake e Foakes Jackson, i Christian Beginnings di F. C. Burkitt ( 1 924) e la terza edizione del Kyrios Christos di Bousset ( 1 926) . Durante gli anni 1924-28 apparvero gli ine­ stimabili studi linguistici di C. H. Turner e il suo semina­ rio nel Journal of Theological Studies, XXV-XXIX, che si rispecchiano nel commento di Turner a Marco, ristampa­ to dopo la sua morte nel 1 930 da Gore in A New Com­ mentary o n Holy Scripture. Nel 1929 l'apparizione dell'o­ pera di M. J. Lagrange, Evangile selon Saint Mare, nella sua quinta edizione ampliata, affidò agli studiosi le conclu­ sioni mature di quel dotto autore sugli elementi semitici 46

47

Vedi pp. 103-119. Vedi pp. 37-39.

22

Introduzione

in Marco, sulla storia della critica, e su molti punti parti­ colari di esegesi. La vasta corrente degli anni venti divenne negli anni tren­ ta un fiume in piena, perché molte discussioni su temi speciali vennero ad aggiungersi alle opere più direttamen­ te riguardanti Marco. I due libri di C. C. Torrey, The Four Gospels (senza data) e Our Translated Gospels (sen­ za data) sostenevano che dietro Marco c'è un originale aramaico. L'opera di T. W. Manson Teaching of Jesus (1931) aprì nuove strade allo studio del problema del Figlio dell'uomo. F. C. Grant in Growth of the Gospels (1933) e B. S. Easton in Christ in the Gospels ( 1 93 0 ) mostra­ rono come venivano affrontati negli Stati Uniti importan­ ti problemi letterari e storici. A. T. Cadoux in The Para­ bles of Jesus (1930), C. H. Dodd in The parables of the Kingdom (1935) , e B. T. D. Smith in The Parables of the Synoptic Gospels (1 93 7) svilupparono le discussioni classi­ che dell'opera di Jiilicher Die Gleichhisreden Jesu ( 1 889-1910). Rudolf Otto con Reich Gottes und Menschen­ sohn (1 934) sviluppando il Reich Gottes und Kirche (1929) di Gerhard Gloege, aprì nuove rotte allo studio di temi familiari. Il commento a Marco di B. H. Branscomb nel Motfatt New Testament Commentary (1937) e l'opera Lo­ cality and Doctrine in the Gospels di R. H. Lightfoot ( 1 938) rispecchiano intensamente l'influsso di discussioni continentali. Nel 1937 apparvero i commenti di J. Schnie­ wind e E. Lohmeyer, ambedue di alto interesse teologi­ co, specialmente per quanto riguarda il « segreto messia­ nico >> in Marco, con un riferimento costante all'escatolo­ gia nel caso di Lohmeyer, e una più spiccata attenzione alla dimensione storica da parte di Schniewind. In aggiunta alle opere già nominate, se ne devono ricorda­ re altre che hanno influenzato in modo meno diretto gli studi su Marco. Di particolare importanza sono gli scrit­ ti di Gustaf Dalman. Il suo Worte Jesu ( 1 , 1 898) ha eserci­ tato un influsso profondo su tutte le discussioni successi­ ve a riguardo di problemi fondamentali come la signoria di Dio e l'uso dei titoli « Figlio dell'uomo », « Figlio di Dio », « Cristo », « Figlio di Davide », « Signore » e « Mae­ stro ». Un'altra opera, Jesus-Jeshua ( 1 924) ha esaminato le tre lingue parlate in Palestina al tempo di Cristo e i detti collegati con la Cena pasquale e con la croce. La sua argomentazione molto solida in favore dell'identifica-

Storia del vangelo nella critica moderna

23

zione dell'Ultima Cena con il pasto pasquale trova confer­ ma in argomenti analoghi elaborati da Joachim .Jeremias nel saggio capillare Die Abendmahlsworte Jesu (diverse edizioni; trad. italiana presso Paideia, Parole dell'ultima Cena) .

Un momento saliente di questo periodo è rappresentato dai contributi allo studio dello sfondo giudaico del vange­ lo: il Judaism (1927) di G. F. Moore, il monumentale

Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Mi­ drasch ( 1 -4 : 1 922-1928) di H. L. Strack e P. Billerbeck, e The Mishnah (1933) di H. Danby. Di altissimo valore è

pure il contributo di studiosi ebrei, tra cui I. Abrahams,

Studies in Pharisaism and the Gospels (l, 1 9 1 7 ; Il, 1 924) ;

C. G. Montefiore nella seconda edizione (aumentata) dei suoi Synoptic Gospels (1927) , in cui questo ebreo liberale commenta con franchezza e simpatia le opere di studiosi e critici tedeschi, inglesi, francesi e americani; e J. Klau­ sner, nel suo studio intelligente e interessante della vita, dei tempi e dell'insegnamento di Gesù: Jesus of Nazare­ th (1929) .

Anche i grammatici hanno consolidata e arricchita la no­ stra comprensione della lingua e dello stile di Marco. Ricordiamo tra tutti: Grammar of New Testament Greek, di F.�Blass (curata da A . Debrunner, 196 1 ) ; Gram­ maire du grec biblique, di F. M. Abel ( 1 927) ; il secondo volume della Grammar of New Testament Greek di J. H. Moulton (1929) con l'inestimabile appendice (di W. F . Howard) sui « semitismi nel Nuovo Testamento » . A que­ sti studi va aggiunto il Vocabulary of the Greek Testa­ ment di J. H. Moulton e G. Milligan (1914-1 929) , che pre­ senta e discute da un punto di vista linguistico i papiri e altre fonti non letterarie. Dal punto di vista testuale ricordiamo in particolare l'ap­ parato critico foltissimo di S. C. E. Legg in Novum Testa­ _

mentum Graece : Evangelium secundum Marcum (1 935) .

Contributi dei più diversi aspetti hanno dunque sviluppa­ to la nostra conoscenza di Marco; certo, la ricchezza del­ la letteratura di valore, se da una parte ispira lo studio­ so, dall'altra rende la sua impresa quasi disperata. Infat­ ti, oltre alle opere appena citate, troviamo molti contribu­ ti importanti nelle enciclopedie bibliche 48, e innumerevo48

Ricordiamo su tutti il Theologisches Worterbuch zum Neuen Te-

24

Introduzione

li articoli nelle riviste specializzate. Possiamo dire tran­ quillamente che nessun'opera del formato di Marco ha suscitato un dibattito altrettanto grande. La situazione attuale

Il contributo più importante allo studio di Marco dopo il 1940 è probabilmente The Historic Mission of Jesus (194 1 ) , di C. J. Cadoux; che non solo è una miniera di informazioni, ma offre molti spunti fecondi e costruttivi in rapporto alla storia di Gesù e quindi, indirettamente, all'interpretazione di Marco. Particolarmente stimolanti per la discussione sono l'accento che egli pone sull'impor­ tanza dei fattorj politici, e l'individuazione di un proces­ so di sviluppo nella mente di Gesù durante il suo ministe­ ro. L'opera di B. C. Butler, Originality of St. Matthew (1951) non rende giustizia agli argomenti molto forti in favore della priorità di Marco; e, rifiutando quest'ipotesi e accettando la dipendenza di Luca da Matteo, finisce con l'oscurare le ragioni dell'ipotesi Q. A. Farrer, nel suo A Study in St. Mark (1 951), attira l'attenzione sulla pre­ senza di elementi tipologici, prefigurativi, nella tradizio­ ne del vangelo; ma esagera l'estensione e l'importanza di questa dimensione. Nello scritto The Primitive Christian Calendar (1952) P. Carringt>. In 1 2 , 12 egli dice che, appe­ na rilasciato dalla prigione, Pietro andò alla casa di Ma­ ria, « la madre di Giovanni il cui altro nome era Mar­ co >>. La casa ha una porta sul portone d'ingresso, e la porta è custodita da una schiava di nome Rhoda. Si pre­ sume che 'Maria fosse una vedova e una donna abbiente: inoltre, che la sua casa fosse un luogo d'incontro per i primi cristiani a Gerusalemme. � naturale supporre che la « stanza superiore }> (huper6 on) , dove · i discepoli si radunarono dopo l'Ascensione ( 1 , 13), si trovasse in questa casa, e che fosse la « grande stanza superiore » (ana­ gaion mega) dove venne celebrata l'Ultima Cena (Mc. 14, 1 5 ; Le. 22, 12) . Ma queste sono speculazioni che non pos­ sono diventare la base di un argomento; e perdono anco­ ra valore se si pensa che è necessario integrarle con u,n'al­ tra congettura, cioè che il « padrone di casa » (Mc. 14, 1 4) sia morto nel breve intervallo tra la Cena e l'Ascensio­ ne, dato che non sentiamo più parlare di lui ma soltanto di Maria. Non � ci sono testimonianze decisive che « Gio­ vanni Marco » fosse in qualche modo collegato con la Cena; e, se egli è l'evangelista, il racconto disadorno di 14, 17-25 suggerisce il contrario. Tutto quanto sappiamo è che egli era il figlio di una vedova influ,ente di Gerusa­ lemme. Il secondo accenno di Luca è in Atti 12, 25. Qui è detto che, quando Barnaba e Saulo tornarono da Gerusalem­ me, dopo la visita in occàsione della carestia, portarono con sé « Giovanni, detto anche Marco �- Da Atti 15, 37-39, dove è usata la frase « Giovanni chiamato Mar­ co >>, sappiamo che Marco accompagnava gli Apostoli nel cosiddetto primo viaggio missionario, ma si separò da loro in Panfìlia. L'affermazione in Atti 13� 13 è « Giovan­ ni li lasciò (a Perga) e tornò a Gerusalemme ». Ramsay 5 The Church in the Roman Empire, 61 s; St. Paul the Traveller and the Roman Citizen, 90.

s

Autore, data e iuogo cii composizione

osserva che egli non era stato inviato, come Barnaba. e Saulo, dallo Spirito o dalla chiesa, e suggerisce che egli se ne tornò indietro perché il progetto di andare in una regione a nord del Tauro era nuovo e inaspettato. Eviden­ temente Barnaba non sollevò obiezioni a questo ritiro, perché quando fu progettato il secondo viaggio egli volle prendere Marco an cora con sé. Non si dice nulla dei compiti affidati a Marco, ma è ragionevole supporre che avesse a che fare con faccende di viaggio, come cibo e alloggio, messaggi, appuntamenti, e simili 6• Paolo, comun­ que, la pensava diversamente. A lui la partenza di Marco da Perga fece l'impressione di una defezione. Egli riten­ ne meglio non prendere con sé « uno che si ·era allontana­ to da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro · opera » (Atti 1 5 , 38). Sorse così la ben nota « aspra contesa »: Barnaba prese con sé Marco a Cipro, e Paolo partì per la Siria e la Cilicia con Sila. Queste sono le circostanze ricordate da Luca. Paolo stesso si riferisce a Marco in Col. 4, 10, Filem. 24 e 2 Tim. 4, 1 1 ; ma non accenna al nome Giovanni. In Col. 4, 10 egli trasmette alla chiesa di Colossi i saluti di Marco, che descrive come cugino (anepsios) di Barnaba. :e questa una delle « coincidenze non-intenzionali >> tra le lettere di Paolo e gli Atti, e rende virtualmente sicura l'identificazione tra Marco e Giovanni. L'interesse specia­ le che Barnaba dimostra per Marco, e la loro partenza per Cipro sono dovute alla loro relazione di parentela e alla stima reciproca. Le parole di Paolo « riguardo al quale avete ricevuto istruzioni, se verrà da voi , fategli buona accoglienza >> sono abbastanza chiare per i Colosse­ si, ma obbligano noi a fare delle congetture. L'ipotesi più semplice è che l'arrivo di Marco fosse incerto, che se ne fosse data informazione ai Colossesi, con istruzioni sul modo di accoglierlo. L'insinuazione che le chiese paoli­ ne fossero al corrente del dissenso e potessero riservare a Marco un'accoglienza meno cordiale 7, è molto preca­ ria. Non meno fragile è l'ipotesi di Swete 8, che Marco abbia rinunciato a quella visita per andare invece in Egit6 Cfr.

Swete,

XVI.

Cfr. T.K . .ABBOTT !CC, Eph. and Col. 8 Op. cit., XIX.

7

300 .

Introduzione

to. La cosa sicura è che al tempo dello scritto Marco si trovava con Paolo e Aristarco, e che deve aver avuto luogo una riconciliazione. Questa illazione è confermata da Filem. 24, scritta nel medesimo tempo : « Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori » (hoi sunergoi mou) . Se queste lettere vennero scritte da Efe� so 9, la data è attorno al 55 d. C., soltanto cinque o sei anni dopo la partenza di Paolo per la Siria e la Cilicia; se invece vennero scritte da Roma, il viaggio progettato per Marco a. Colossi appartiene più o meno al 62 d. C. L'ultimo accenno paolina a Marco è nella nota autentica inserita nella seconda lettera a Timoteo: « Prendi Mar� co e portato con te, perché mi sarà utile per il ministe� ro » (4, 1 1 ) . Questo messaggio è veramente commovente nella sua semplicità e nel suo pathos, ed è pienamente in accordo con il tipo di servizio presupposto dagli Atti. Chi può dubitare che esso ottenne risposta positiva? Co­ sì Marco venne a Roma, se pure non aveva già operato lì due o tre anni prima. L'altro accenno del Nuovo Testamento, su cui abbiamo già attirata l'attenzione 10, è l Pt. 5, 1 3 : « Vi 'Saluta la comunità che è stata eletta come voi, e dimora in Babilo­ nia; e anche Marco, mio figlio ». Questa relazione, tenera e personale, si estende all'indietro fino ai primi giorni della chiesa in Gerusalemme; ma, se l'epistola è .di Pie­ tro, l'allusione si riferisce alla collaborazione di Marco con Pietro a Roma, attorno al 64 d. C. o poco prima. 2 certamente strano che una persona così strettamente as­ sociata a Paolo negli Atti e nelle lettere paoline, possa essere qui descritta in rapporto così intimo con Pietro. Ma negli Atti Pietro appare in stretto rapporto con la casa di Maria, madre di Marco, e non c'è nulla di strano nel supporre che nei primissimi giorni di Gerusalemme Marco udisse l'Apostolo parlare degli eventi del ministe� ro e della morte di Gesù. Se neghiamo questa relazione, non abbiamo più alcun diritto di fare affermazioni di ril ievo per quanto riguarda rapporti personali nella comu­ n i tà primitiva. Considerazioni di probabilità, la tradiziot Crr. G.S. DUNCAN, IO Vrdi sopra, p. 2.

St. Paul's Ephesian Ministry, 1929.

Autore, data e luogo di composizione

31

ne di Papia, e il contenuto di Marco coincidono nel testi­ moniare il contatto di Marco con Pietro. Questa conclusio­ ne sussiste anche se si nega l'autenticità petrina della l Pietro 1 1 , ma è ulteriormente rafforzata se, come è probabi­ le, l'Apostolo scrisse la lettera. In questo caso i due sono in contatto quotidiano, alla fine non meno che all'inizio. Neppure nella solida tradizione che collega Marco a Pao­ · lo c'è qualcosa che getti un'ombra di dubbio su quanto detto. Le testimonianze già esaminate mostrano che i compiti di Marco en�.no amministrativi; soltanto in Fi­ lem. 24 egli vien chiamato collaboratore (sunergos) . Si potrà inoltre osservare che 12 , mentre condivide molte idee religiose di Paolo, Marco non è però �< paolinista » nel senso stretto del termine. Non può dunque essere così intensamente collegato a un gruppo ecclesiale paoli­ na da escludere un rapporto intimo con Pietro. Le tradizioni posteriori su Marco sono senza base nel Nuovo Testamento. Nell'insieme, la presunta relazione con Alessandria è destinata a restare dubbia. La tradizione secondo cui Marco ebbe le « dita mozze » 13 può anche essere una reminiscenza genuina. La voce che egli abbia subito il martirio, attestata nella Cronaca pasquale e ne­ gli Atti aprocrifi di Marco 14, è tardiva e, secondo Swete, non può risalire più in su del quarto o quinto secolo. Data

C'è praticamente unanimità nel ritenere che Marco abbia scritto durante il decennio 60-70 d. C. Tentativi di datare il vangelo anteriormente sono precarL L'opinione di C. C. Torry 15, che lo vuole composto attorno al 39-40 d. C., è basata sull'ipotesi che le parole « l'abominio della deso­ lazione sta là dove non conviene » (13, 14) debbano esse­ re state scritte appena prima dell'a,s sassinio dell'imperato­ re Caligola, il 24 gennaio del 41 d. C. Questa ipotesi è incerta in se stessa, e in ogni caso non ci obbligherebbe BEARE, The First Epistle of Peter, 1947. 101-106. 3-4. 14 Cfr. SWETE, XXVII s. 1 5 Vedi la discussione di Bacon in The Gospel of Mark, 54-63.

11 Cfr. F.W. 1 2 Vedi pp. 1 3 Vedi pp.

Introduzione

32

a datare il vangelo così presto. La data sostenuta da Har­ nack 16, il sesto decennio del primo secolo, è un'illazione dalla sua ipotesi - già dubbia - che gli Atti degli Apo­ stoli siano stati scritti poco dopo i due anni menzionati in 28, 30 s e prima della mortè di Paolo. Le considerazioni che hanno spinto molti studiosi a data­ re il vangelo a più tardi sono: la testimonianza di Ire­ neo 17 e del Prologo anti-marcionita 18, da cui risulta che Marco scrisse dopo la morte di Pietro e Paolo; la probabi­ lità che il discorso apocalittico di Marco 1 3 rifletta la situazione degli anni 64-66, prima dell'assedio di Gerusa­ lemme; l'accento che Marco pone sulla sofferenza e la persecuzione 19; e il suo interesse per il problema della libertà dei pagani 20• La vastità della convergenza di opi­ nioné risalta dalla seguente sintesi. Il vangelo è datato attorno al 65 da J. Weiss, Zahn, Streeter e Bartlet; tra il 65 e il 67 da Rawlinson e Blunt; dal 65 al 70 da Stanton, Plummer, Peake, Burkitt. e McNeile; dal 67 al 70 da Swe­ te; attorno al 70 da Menzies, Gould e Montefiore. Il decen­ nio seguente alla caduta di Gerusalemme (70 d. C.) è sug­ gerito da Wellhausen, Bacon e Branscomb, ma questo pe­ riodo è troppo in là senza motivo, e vi si oppone l'obiezio­ ne ben .sostenuta che 13, 14 non è più esplicito. Complessi­ vamente. la data che riceve più consensi è tra il 65 e il 67. l t

Il luogo di composizione

Il vangelo fu probabilmente scritto per l'uso della chiesa di Roma. La testimonianza del Crisostomo 21 , secondo cui il vange­ lo venne composto in Egitto, non può conciliarsi con le parole di Clemente di Alessandria 22 e di Origene 23, ed è

16 17 18 19

20 21

22

23

The Date of the Acts and the Synoptic Gospels, 126-133. Vedi pp. 4-5. Vedi pp. 3-4. Cfr. 8, 34-38; 10, 38 s; 13, 9-13; 8, 31; 9, 31;- 10, 33 s e 45. Cfr. 7, 17-23 .26 s; 13, 10. Prooemium in Matt. Vedi pp. 5-6. Vedi p. 6.

Autore, data e luo go di composizione

33

probabilmente dovuta a un fraintendimento di un'afferma­ zione ambigua di Eusebio : « Essi dicono che Marco, che fu mandato in Egitto, predicò prima il vangelo che poi mise per iscritto » 24• Senza il sostegno di una chiesa mol­ to più forte non è verosimile che Marco avrebbe avuto una posizione di tanta autorità da essere usato come fon­ te da Matteo e - Luca 25 , Il caso cii Antiochia è più serio. In favore di quest'ipote­ si �artlet 16 riporta diverse considerazioni: il fatto che Papia citi la testimonianza di Giovanni Presbitero che vi­ veva in Oriente; il collegamento di Pietro con Antiochia; il riferimento (15, 21) a Simone di Cirene (Atti 1 1 , 20; 1 3 , l ) ; l'uso di parole aramaiche in Marco; la posizione di Antiochia come centro di cultura romana; l'uso primiti­ vo di Marco da parte di Matteo e di Luca; l'uso di nomi geografici di Galilea e di Giudea senza spiegazione; la mancanza di testimonianze antiche sull'origine romana del vangelo. Nessuno di questi argomenti è decisivo; e l'ipotesi di Roma è molto più forte. In favore di questa soluzione è la testimonianza del Prologo anti-marcionita, di Ireneo, e di Clemente di Alessandria; i testi che si rivolgono a lettori pag�ni (7, 3 s ; 1 1 , 1 3 ; 12, 42) , non escluse le spiega­ zioni dei termini aramaici; le allusioni alla sofferenza e alla persecuzione (8, 34-38; 10, 38 s; 13, 9-1 3 ) , e la relativa frequenza di parole e formule latinizzate.

24

Hi s t . Ecci. 2, 16. 25 Turner fa notare che la cristianità di Alessandria rimase quasi completamente al di fuori delle principali correnti di vi ta ecclesia­ le per più di un secolo e mezzo dopo Cristo. Cfr. JTS 10, 169. � St. Mark, 36 s. ·

capitolo quarto

le fonti di Marco

Il successo ottenuto dal tentativo di determinare le fonti usate da Matteo e Luca incoraggiarono naturalmente la speranza di poter individuare anche quelle di Marco. Che Marco abbia usato fonti già esistenti è suggerito dal­ la presenza di doppioni nel vangelo (confronta il raccon­ to d ell a moltiplicazione dei pani per i quattromila e quanto segue 8, 1-26 con la storia della moltiplica­ zione per i cinquemila. e gli eventi che pure ne seguono 6, 30 - 7, 37) ; dalla presenza di « estratti »' da una fon­ te di detti (per es. 4, 2 1-25 ; 8, 34 - 9, 1 ; 9, 42-50) ; dal carattere peculiare del discorso apocalittico al c. 1 3 ; da­ gli indizi di diversi s trati nella narrazione della Passio­ ne; dalla assenza di un parallelo a 6, 45 - 8 , 26 in Luca; Tuttavia la determinazione delle fonti è un'altra faccen­ da. Nei vangeli successivi possiamo confrontare Matteo con Luca, ma le sezioni di Marco possiamo confrontarle soltanto con altre sezioni dello stesso vangelo, e conside­ rare l'uso che gli altri sinottici ne hanno fatto. Per lo più le indagini hanno preso la forma di tentativi di recu­ perare uno scritto più antico, l'Ur-Markus (Marco origina­ rio) ; m a con risultati ampiamente negativi. Tuttavia la ricerca non si è dimostrata affatto sterile. Se non possia­ mo ricuperare un proto-Marco, possiamo imparare molto dal vangelo stesso a riguardo della tradizione come Mar­ co l'ha trovata; e, se questa speranza si realizza, i risulta­ ti saranno molto più pregevoli che la scoperta di un ipo­ tetico scrit to di base. -

-

·

-

Le fonti di Marco

Dobbiamo anzitutto dare un breve ragguaglio delle molte forme in cui ha preso corpo l'ipotesi dell'Ur-Markus. Non sarebbe di nessuna utilità discuterne tutte le varia­ zioni, specialmente quelle in cui l'ipotetico originale sareb­ be più lungo del nostro Marco canonico 1; e, dovendo sce­ gliere, non possiamo fare di meglio che passare in rasse­ gna le posizioni di H. von Soden, E. Wendling, e W. Bussmann. Come appendice a queste teorie daremo an­ che qualche idea sulle ipotesi riguardanti la redazione e la composizione del vangelo. Le

ipotesi dell'Ur-Markus

H. von Soden

Le idee di von Soden sono esposte nella sua opera

Die

wichtigs.ten Fragen im Leben Jesu (19072), e sono discus­ se da C. S. Patton nel libro Sources of the Synoptic Gospels (1915). I principi in base a cui l'Ur-Markus viene

rintracciato sono soprattutto elementi di contenuto e di stile. Così, vi si distinguono due generi di narrazioni : il primo - il più antico - consiste in narrazioni in cui l'attenzione si co:Q.centra sulle parole di Gesù; il secondo, in cui l'interesse è puntato sugli eventi stessi. Mc. 2, l - 3, 6 è un esempio del primo genere; Mc. 4, 35 - 5, 43, del secondo. I Kernstucke (i nuclei) sono: 1 ,4-1 1 .16-20.21-39; 2, 1-3, 6; 3 , 13-19.20-35; 4, 1-8.26-32; 6, 1-16; 7, 24-30 ( ?) ; 8, 27 - 9, l ; 9, 33-40; 10 ; 13-3 1 ; 12, 13-44; 13, 1-6.28-37. Que­ sti passi appartengono, secondo von Soden, alla tradizio-_ ne petrina originaria, e Marco vi ha inserito altro materia­ le. Le storie sono straordinariamente fresche e vivaci; ogni cosa traspira l'odore della Palestina; non vi sono motivi teologici; la figura di Gesù è virile e umana. Notiamo che la distinzione di von Soden tra narrazioni imbastite con le parole di Gesù e altre in cui l'interesse è centrato sugli eventi anticipano il lavoro della critica delle forme, di Dibelius in particolare. Egli fa pure osser­ vazioni penetranti sulle singole narrazioni. Così, distin-

l

MoFFATT, Introduction, 192, ricorda Ewald, Weisse, Schenkel e

Réville.

Introduzione

gue 7, 32-37 e 8, 22-26 da 2, 1-12 e 3, 1-6. Nelle prime, l'interesse principale è la guarigione; nelle altre, il tema vero e proprio non è il miracolo ma il perdono e la legge del sabato. Tuttavia il suo tentativo di riscoprire un'edizione più anti­ ca di Marco deve considerarsi fallito. Molte delle narrazio­ ni riferite più diffusamente hanno lo stesso diritto di essere considerate petrine quanto i preferiti Kernstii.cke. Per esempio, 7, 32-37 e 8, 22-26, ricordati sopra, sono più primitivi che le storie di 2, l - 3, 6 che, concentrate su un tema, hanno raggiunto la forma attuale attraverso un pro­ cesso di levigatura. Così, adottando diversi principi di selezione, si potrebbe postulare un Ur-Markus totalmen­ te diverso. In una parola, il metodo adottato è estrema­ m�nte soggettivo. Inoltre, l'unità evidente dello stile di Marco costituisce un'obiezione formidabile a ogni forma di ipotesi Ur-Markus. E. Wendling L'ipotesi di Wendling è elaborata nel suo Ur-Markus (1905) e, con maggior completezza, nell'opera Die Entstehung des Markusevangeliums (1908) , ed è discussa da Patton, op. cit., 7 7-8 7 ; Moffatt, Introduction, 227 s; N. P. Wil­ liams, Oxford Studies, 389-42 1 ; e Lagrange, �vangile se­ ton Saint Mare, XLV s. Wendling distingue tre stadi nella

formazione del vangelo: M1, M2 e M3• L'abbozzo primitivo è analogo a quello ipotizzato da von Soden, ma il meto­ do in base a cui vengono delimitati gli stadi è un poco differente. Nel cap. IV vengono individuati due strati, cioè: 1�9 + 26-33 , e 10-25. Il secondo è redazionale, e in base al confronto con esso vengono pure ritenuti come inserzioni successive altri passi, per es. 3, 22-30. Comples­ sivamente, vengono isolati due blocchi separati di elemen­ ti posteriori, ottenendo così una struttura a tre livelli. M1 è opera di uno storico, M2 di un poeta, M3 di un teologo. La tesi viene brillantemente sostenuta, e basata su argomenti linguistici e dottrinali. L'autore si avvale della teoria del « segreto messianico » di Wrede, e consi­ dera operanti nel processo di composizione motivi dottri­ nali. Tuttavia, l'ipotesi suscita ammirazione più che con­ vinzione. Forse meno che nel caso di von Soden, comun­ que non v'è dubbio che congetture e considerazioni sog­ gettive offrono un materiale esile e poco consistente per

Le

fonti

di

Marcò

un edificio che voglia resistere ai venti della critica. Parti­ colarmente vulnerabile è la distinzione tra lo storico, il poeta e il teologo. « Uno stesso individuo » - chiede Stanton, The Gospels as Historical Documents, Il, 177 __:. « non potrebbe avete in sé un poco di tutt'e tre? >> . Nel­ la presunta opera del « teologo >> mancano le idee paoli­ ne più caratteristiche, e lo stile personale di Marco e i termini e le formule preferiti dall'evangelista compaiono in M1, M2 e M3 con un'imparzialità che lascia perplessi. Infine, ci resta completamente da spiegare l'organizzazio­ ne del vangelo; la quale, anche se meno precisa di quan­ to supponessero i commentatori antichi, è un po' troppo rigorosa per un edificio di pietre diverse, di colori diffe­ renti e di differenti stili di architettura 2 • L'ipotesi di Wendling potrebbe essere trattata nell'ambi­ to delle ipotesi redazionali. Ma, dato che M1, oppure M1 + M2, costituisce un « Marco originale », è più oppor­ tuno classificarla insieme con la teoria di von Soden. Lo stesso vale della ancor più elaborata ipotesi di Bussmann, di cui ora ci occupiamo. W. Bussmann

Abbiamo già accennato ai Synoptische Studien di Bus­ smann, pubblicati in tre parti · negli anni 1 925-1 93 1. Poco è stato detto di quest'opera in Inghilterra (cfr. Manson, SJ, 2 0 s, e due rassegne sul nostro autore: Hl XXIX, 757-60, XXX, 378-80) ; ma nel continente essa è stata accol­ ta con favore notevole (cfr. le osservazioni di Otto, KGSM, 83-85; Schniewind, ThR, 1930, 137 s.) . A noi in questa se­ de interessa la prima parte di questo importante volume intitolata Zur Geschichtsquelle. Si tratta, considerata in generale, di una « ipotesi dei tre stadi », come quella di Wendling; ma diversi sono i metodi e gli argomenti a cui s'appoggia. Il primo stadio, rappresentato col simbo­ lo G, è Marco quale venne conosciuto da Luca; il secon­ do stadio B è G ampliato da un redattore galileano, usa­ to come fonte da Matteo; la forma finale E è B quale esce dalle mani di un redattore finale romano, cioè il Marco canonico. 2 Per i contenuti di MI, M 2 , MOFFAIT, op. cit., 227.

e

M3 , vedi il sommario

ben fatto di

lntroduzionè

In sostanza, l'ipotesi non è nuova. Nel nostro paese pro­ poste analoghe vennero avanzate indipendentemente nel 191 1 da N. P. Williams e W. W. Holdsworth. Confutan do l 'opinione di Wendling, N. P. Williams 3 suggeriva che Marco circolasse in almeno tre recensioni nel periodo 70- 100 d. C. ( 1 ) . La forma originale, che mancava delle par­ ti 6, 45 - 8, 26 e c. 13; (2) una forma senza 6, 45 - 8, 26, usata da Luca; (3) il Marco canonico, usato da Matteo. L ' ipotesi di Holdsworth 4 fa prop rie delle indicazioni da­ te anteriormente da A. Wright 5, ed è ancor più vicina alla teoria di Bussmann. Egli distingue dun que (l) un 'edi­ zione primitiva palestinese, usata da Luca, in cui manca 6, 45 - 8, 26; (2) una seconda edizione per i giudei della diaspora, usata da Matteo; (3) Marco nella forma attua­ le, preparato dall'evangelista per la chiesa di origine paga­ na a Roma, che incluse aggiunte minori mancanti in Mat­ teo e in Luca. Il principale argomento di Bussmann è il suo rifiuto del­ la spiegazione proposta da P. Feine 6, da H . J. Holtz­ mann 7 e altri, secondo cui il timore dei doppioni da par­ te di Luca spiega la sua omissione di lunghe sezioni di Marco. Bussmann controbatte che Luca è tra i sinottici quello che ha più doppioni 8 , e che l'assenza in �uca di parti considerevoli di Marco è dovuta al fatto che esse non erano presenti nella versione di Marco che Luca ha usato 9 • In modo simile, le numerose indicazioni minori aggiunte, che mancano in Luca e in Matteo, come nomi personali, numeri, termini aramaici, commenti esplicati­ vi, termini latini, notazioni locali e temporali, non posso­ no essere state nella forma B usata da Matteo, ma devo­ no essere state aggiunte in E da Marco 10. Le prove di Bussmann non convincono per divèrse ragio­ ni. ( l ) La presenza di molti doppioni in Luca è dovuta all'uso di diverse fonti da parte dell'evangelista (Marco, Ox/ord Studies in the Synoptic Problem, 389421. The Chris t of the Gospels, 59-73. Synopsis2 , p. LVIII; The Gospel of St. Luke, 83. Einleitung in das NT, 1913, p. 138. Die Synoptiker'3, 1901 , p. 19. 8 Op. cit. , 57. 9 Op. cit., 105. lo Op. cit. , 100 s. 3

4 5 6 7

Le fonti di Marco

39

Q, L, i racconti dell'infanzia), e non esclude affatto la

possibilità che egli possa aver omesso racconti marciani e dettagli minori perché aveva racconti paralleli in altre fonti. (2) Il timore di doppioni non è in alcun modo l'unica ragione che i critici hanno avanzato per spiegare l'omissione da parte di Luca di passi marciani. Per esem­ pio, Hawkins 11 suggerisce come motivo dell'assenza di 6, 45 - 8, 26 da Luca: (a) il desiderio di evitare miracoli compiuti con procedimenti materiali (7, 32-37; 8, 22-26) ; (b) la volontà di prevenire i.J;J.debite ripetizioni; (c) una tendenza a tralasciare controversie antifarisaiche (7, 1-23) e (d) l'intenzione di « risparmiare i Dodici ». (3) L'improbabilità che molti dettagli vivaci di Marco, non­ ché i numeri, i nomi, e simili, siano redazionali. Non c'è che da leggere il testo G di Bussmann per convincersi che si tratta di una costruzione artificiale mai di fatto esistita. (4) La possibilità (o probabilità) che Luca non abbia usato Marco come fonte principale ma come fonte secondaria, offre la spiegazione più semplice della man­ canza di tanti elementi di Marco in Luca. L'ultimo punto è particolarmente importante. Non si è sottolineato abbastanza che l'ipotesi di Bussmann e l'ipote­ si del Proto-Luca sono tentativi indipendenti e reciproca­ mente escludentisi di spiegare gli stessi dati sinottici 12 • Si può rilevare che la seconda spiegazione è la più vali­ da; in questo caso, l'ipotesi di Bussmann riceve il colpo di grazia; ma anche a prescindere da questa forma di confutazione, i punti rilevati sopra sono sufficienti a mo­ strare che essa è insostenibile. Come contestazione ulte­ riore si può richiamare il fatto che, comunque Marco venga suddiviso, le singole parti hanno omogeneità lingui­ stica; e si può accennare alla probabilità che le consonan­ ze di minor rilievo di Matteo e Luca contro Marco siano molto spesso casi di assimilazione testuale u.

Il Oxford Studies, 66-14. 12 H o svolto questa osservazione nel mio ' Gospel Tradition, 200. 1.1 STREETER, The Four Gospels, 295-321.

studio Formation of the

40

Introduzione

Ipotesi di redazione

Le ipotesi dell'Ur-Markus potrebbero a buon diritto esse­ re incluse nella presente sezione; ma in quanto esse pre­ tendono di ricuperare una forma primitiva di Marco, dif­ feriscono dalle ipotesi che in maggior o minor grado rico­ noscono nel Marco attuale il vangelo scritto dall'evangeli­ sta, ma teqtano di distinguere in esso elementi redaziona­ li più tardivi. J. Weiss

L'opinione di J. Weiss in Das iilteste Evangelium (1903) può essere inclusa nell'una o nell'altra classe. Egli dubi­ ta che Marco quale noi lo conosciamo sia stato letto da Matteo e Luca, e spesso attribuisce alcuni passi al redat­ tore (Bearbeiter) . La sua opinione è quindi una versione della ipotesi dell Ur-Ma rk us 14 ; ma egli osserva espressa­ mente che, nella sua prospettiva, il redattore non ha alte­ rato la sostanza (Gesamtaufriss) dell'opera originaria, e il suo interesse principale è nei diversi generi di materia­ li usati da Marco. '

J. C. Hawkins

In Horae Synopticae, 1 52, Hawkins respinge l'idea di un Ur-Markus e dichiara che Marco sosì com'è è servito co­ me fonte a Matteo e Luca; ma aggiunge il commento: « Quasi, ma non del tutto ». Egli vede la mano di un redattore in l , l ( « Gesù Cristo ») , 9, 4 1 ( « di Cristo >>) ; probabilmente nell'inserimento di « il vangelo » e « perse­ cuzioni » in 8, 35 e 10, 29 s; forse anche nel riferimento a « i giudei >> in 7, 3 ; e ancora nei numeri 200 e 300 in 6, 37 e 14, 5 ; forse anche in 2000 (5, 1 3) e nella divergenza dei testimoni (14, 56.59) . V. H. Stanton

Quest'autore ha un elenco più abbondante di aggiunte redazionali. Cfr. The Gospels as Historical Documents, II, 142-145, 1 56-169. L'elenco delle differenze minori inclu­ de: l'uso di « vangelo » in senso assoluto, in l , l ; l , 14 s ; 14 Egli

accenna, consentendovi, alle opinioni di C . Weizsacker.

Le fonti di Marco

41

35; 10, 29; « il carpentiere » in 6, 3; l'accenno all'unzio­ ne degli infermi (6, 13) ; il detto « Il sabato è fatto per l'uomo » in 2, 27; il detto sull'essere servi di tutti in 9, 35; l'espressione « per tutti i pagani » in 1 1 , 17; le indica­ zioni temporali in 4, 35 s; le parole « egli non voleva che alcuno lo sapesse » e « perché istruiva i suoi discepoli >> in 9, 30�31a; « due volte » in 14, 30.72 ; e forse « nei giorni di Abiatar sommo sacerdote '>> in 2, 26, e il riferi­ mento agli scribi in 9, 14. Egli ipotizza ancora che la forma di Marco nota a Luca mancava di 3, 22-30; 4, 1 3b.24b.26-34; 6, 45 . 7, 23; !.J, 1-10. 14.16-2 1 ; 9, 41-50; 10, 2-12; 1 1 , 1 1b-14. 1 9-25 ; 13, 10.34-37; 14, 3-9. Si tratta di ampie concessioni da parte di uno studioso che rifiuta le ipotesi di von Soden e Wendling. In genera­ le si può dire che non ci possono essere obiezioni di principio a ipotesi di redazione. Ma, dove non sorgono problemi testuali, l'individuazione di elementi tardivi di­ venta necessariamente congetturale, e se vengono spinte oltre un certo punto, le ipotesi di redazione non si distin­ guono più dalle teorie dell'Ur-Markus, e sono allora su­ scettibili di tutte le obiezioni e le critiche a cui queste ultime sono esposte ts. 8,

Ipotesi di compilazione Le ipotesi di compilazione cercano di mostrare come l'e­ vangelista ha usato fonti scritte nella composizione del vangelo. Differiscono dalle ipotesi di redazione in quanto redattore ed evangelista sono la stessa persona. L'interes­ se è centrato non sulla sorte del vangelo dopo che è stato scritto, ma sul processo con cui è stato messo insieme.

Ed. Meyer Ursprung und Anfi:inge des Christentums, I-III (1921-1923) , Meyer attira l'attenzione sugli accenni molto

In

1 s La posizione di Bacon in The Beginnings of Gospel Story ( 1909) equivale a un'ipotesi di compilazione, dato che egli considera co­ mc redattore l'evangelista stesso, un paolinista che aveva lasciato un'impronta dottrinale sulla tradizione cristiana primitiva (preva­ lentemente petrina).

Introduzione

42

frequenti ai discepoli in Marco, nella formula « i suoi discepoli >> ; e a fianco di questi, ma distinte da loro, le allusioni ai « Dodici » in 3 (14), 16 ( ?) ; 4, 10; 6, 7; 9, 35; 10, 32; 1 1 , 1 1 ; 14, 1 0 . 1 7.20 .43 . A suo avviso, Marco ha usato due fonti principali : una « fonte dei discepoli », che ingloba una tradizione uniforme e contiene molte nar­ razioni petrine, e una « fonte dei Dodici », non di o rigi­ ne petrina , usata nelle sezioni in cui i Dodici sono espres­ samente nominati, cioè 3, 1 5-19; 4, lOb- 1 2 ; 6, 7- 13 (30) ; 9, 33-50; 10, 32b-45 ; 14, l s.lO s . 1 7-24 ; a queste appartiene Le. 9, 52-55. Marco ha pure usato una fonte speciale nel cap. 1 3 e racconti paralleli della stessa tradizione (6, 30 - 7 , 37; 8, 1-26) .

La parte più dubbia di questa ipotesi è la « fonte dei Dodici ». Gli accenni ai Dodici in Marco sono caratteristi­ ci, e sollevano un difficile problema storico. Molte delle narrazioni in cui essi vengono menzionati sembrano esse­ re « costruzioni marciane » 16 più che unità della tradizio­ ne pre-marciana, � non c'è motivo di farli risalire a una fonte documentaria. t:: difficile concordare con C. H. Tur­ ner 17 quando afferma che da Cesarea di Filippo in poi « i discepoli » sono praticamente uguali con (< i Dodici » . Ci sono ragioni più valide per pensare che, al tempo in cui Marco scriveva, il termine fosse ormai soffuso di ar­ caismo, poiché dopo la missione in Galilea (6, 7-13) i Dodici erano immersi nel corpo generale dei discepoli. L'uso sporadico del termine in Marco conferma in qual­ che modo quest'ipotesi; così come la conferma il fatto che, eccettuato l'episodio narrato in 14, 12-16 (17), i Dodi­ ci non svolsero più funzioni caratteristiche del tipo di quelle descritte in 3, 1 3-19 e 6, 7-13 .

A . T . Cadoux Le ipotesi di compilazione sono sempre esposte al perico­ lo di sorvolare sui documenti. Gli spunti suggeriti posso­ no essere validi, come del resto possono esserlo altri. Questo rilievo critico vale per la « fonte dei Dodici » di Meyer, e vale pure per l'ipotesi più elaborata di A. T.

16 Vedi avanti, pp. t7 JTS, 28, 22-30.

S0-53.

Le fonti dì Marco

43

Cadoux. Nella sua dotta discussione in The Sources of the Second Gospel (1935) , Cadoux ipotizza che l'evangeli� sta abbia usato tre fonti : un vangelo palestinese, che egli chiama A, scritto in aramaico attorno al 40 d. C., forse sotto l'autorità di . Pietro; un vangelo della diaspo­ ra, B, scr� tto da Marco attorno al 67 ad Alessandria, meno petrino ma con una tendenza pro�giudaica; un van� gelo dei pagani, C, scritto attorno al SO per l'attività di san Paolo tra i pagani. Quest'ipotesi. dovrebbe spiegare le molte incoerenze, d iver­ genze e collocazioni slegate in Marco. Dovrebbe pure spie­ gare le molte ripetizioni e le differenti tradizioni nel van­ gelo: per es. le tre descrizioni di Giuda in 14, 1 0.20 e 43 ; i nomi delle donne al sepolcro in 15, 40 e 47; l'uso di « Joses » in 15, 40.47, e di « Joseph » in 15, 43.45 ; i tre racconti sulle opinioni a riguardo di Gesù, in 6, 14.16 e 8, 28; tre strati di materiale al cap. 4; le due moltiplica­ zioni dei pani in 6, 35-44 e in 8, 1-9; e le tre profezie della Passione in 8, 3 1 ; 9, 3 1 ; 10, 33 s. Molti altri punti sono raccolti in note di valore, con argomenti linguistici e dottrinali. Per chiunque apprezzi l'importanza di studiare la tradizio­ ne pre-marciana, il valore dell'opera di Cadoux è molto grande. Tuttavia la sua ipotesi è spinta tanto avanti da diventare eccessivamente congetturale. Bastino due esem­ pi : è attendibile l'assegnare i tre detti nel contesto della Ce­ na a fonti differenti (14, 22 ad A; 24 a B ; 25 a C) , e l'attri­ buire 16, 2a e 8b ad A, il resto di 16, 1-8 a B, e il testo eusebiano di Mt. 28, 1 8-20 a C ? Anche gli argomenti lingui· stici sono lontani dall'essere decisivi 1 8 • Il valore effettivo della discussione è di rivelare la grande varietà della tra­ dizione orale quale l'evangelista l'ha trovata; ed è a que­ sta situazione, più che a fonti scritte molto ipotetiche, che dovrebbe ·rivolgersi l'attenzione. J. M. C. Crum

Una conclusione identica è suggerita dallo studio di un'o­ pera stimolante di Canon Crum : St. Mark's Gospel: Two Stages of its Ma k ing (1936) . Qui vengono distinti due stra18 I n una rassegna (Methodist Recorder, dic. 1935) , W.F. Howard fa rilevare che i semitismi scovati dagli specialisti sono distribuiti

nei documenti sopraddetti come segue: 43 in A, 67 in B, 46 in C.

44

Introduzione

ti : Marco l, una storia evangelica che potrebbe essere stata narrata da un uomo cresciuto in stretto contatto con Pietro dal 30 al 60 d. C.; e Marco II, un altro scritto che elabora ed amplifica Marco I, c omp osto attorno al 65 d. C., che rispecchia una cristologia posteriore, usa il linguaggio dei Settanta e lavora su un documento forte­ mente co llegato a Q. Molti commenti di valore ci convin­ cono che Marco non è semplicemente un resoconto dei ricordi di Pietro, e che dietro il vangelo c'è l'esperienza di una chiesa viva. Questa duplice tradizione può essere stata messa per iscritto, ma non possiamo sperare di ritrovarne con precisione le fonti, ed è più verosimile pen­ sare che esse fossero molte e relativamente brevi.

Conclusioni Lo studio delle ipotesi che sono state esaminate è sterile se si conclude sottolineando i risultati puramente negati­ vi. Potremmo anche sentirei costretti a rifiutare tutte le forme conosciute del l 'ipotesi dell'Ur-Markus,_ ma c'è qual­ cosa di stonato in una ricerca che concluda con un Re­ quiescat Urmarkus 19• Lo stesso si può dire del rifiuto del­ le ipotesi redazionali e compilatorie. La critica dei sinotti­ ci non rappresenta un fallimento. Perché, se rigettiamo un'intuizione particolare elaborata con grande cultura e abilità, siamo però costretti a riconsiderare i testi su cui si basa, e a cercare una spiegazione migliore, nella consa­ pevolezza che una critica ulteriore può i llumi nare un'ipo­ tesi in modo ancor più valido e comprensivo. L'unica fonte che ottiene un'unanimità di consensi quasi generale è la raccolta dei detti in Marco; al riguardo esistono però differenze di opinioni sulla sua natura, uni· tà, identità 2D. L'importanza delle ipotesi che sono state passate in rassegna è la loro comune convinzione che l 'evangelista abbia usato molte fonti. Questa idea rimane altamente probabile anche se le fonti non sono le entità letterarie descritte da Wendl ing, Bussmann, Meyer e i lo­ ro successori. È dunque necessario studiare da capo il materiale marciano; vedere quali diversi tipi di tradizio19. Cfr. WILLIAMS, op. cit., 421; Turner, JTS, 26, 346. pp. 54-56.

20 Vedi avanti

Le fonti di Marco

45

ne vi sono inclusi; considerare il loro carattere, dal pun­ to di vista contenutistico o in altre forme; e cercare in che misura le narrazioni - o gruppi di narrazioni - con­ stano di reminiscenze storiche, e in che misura sono sta­ te influenzate da interess"i catechetici e dottrinali circolan­ ti. Sono questi i problemi che affronteremo nelle sezioni seguenti.

capitolo quinto

il materiale marciano

Il materiale contenuto . in Marco è di generi diversi. La

distinzione tra narrazioni e detti, sebbene primaria, non è sufficiente a coprire la varietà del materiale. Si deve tentare di questo una più dettagliata descrizione.

1. Apoftegmi Sono le brevi narraziom m cui tutto è subordinato al desiderio di riferire un detto di Gesù di particolare inte· resse e importanza per le comunità cristiane primi tive. Bultmann le chiama apoftegmi; e noi adotteremo questa terminologia in mancanza di meglio (la formula inglese di Taylor Pronouncemen't stories non è suscettibile di una buona resa in italiano. N.d.T.). Nell'isolare e descrive­ re questo genere di narrazioni la critica delle forme ha raggiunto il suo maggior successo; ma non è saggio limi­ tare gli influssi formativi a cui essi devono il loro caratte­ re peculiare alla predicazione o alla discussione entro la comunità, oppure descrivere il tipo in mQdo troppo ri­ stretto. Un apoftegma raggiunge la sua forma a un certo stadio della propria evoluzione, ma ci possono anche esse­ re narrazioni che non hanno ancor raggiunto questo sta­ dio o sono state modificate in diversi modi. Il tratto di­ stintivo di queste storie è che esse hanno un'origine popo­ lare invece di essere racconti personali riferiti da testimo­ ni oculari. A questo tipo sembrano appartenere una venti­ na di narrazioni di Marco.

Il materiale marciano

47

L'elenco è il seguente 1 : 1. 2, 5-10a 2. 2, ' 16 s 3. 2, 18-20 4. 2, 23-26 5. 3, 1-6 6. 3, _22-26 7. 3, 31-35 8. 7, 1-8 9. 7, 9-13 10. 9, 38 s 1 1 . 10, 1-9 12. 10, 13-16 13. 11, 27-33 14. 12, 13-17 15. 12, 18-27 16. 12, 28-34 17. 1 2 35-37 18. 12, 41-44 19. 13, 1 s ,

Sul perdono Sul mangiare con pubblicani e peccatori Sul digiuno Sul sabato (campi di grano) Sul sabato (uomo con la mano inaridita) Sulla collusione con Satana Sui veri parenti di Gesù Sulla lavanda delle mani Sul « Korbàn » Sui guaritori che non sono discepoli Sull'adulterio Sui bambini Sull'autorità Sul tributo a Cesare Sulla risurrezione Sul primo comandamento Sul Figlio di Davide Sull'elemosina Sulla distruzione del tempio

11 13

14 16 18 22 24

44 45

60

62 63 75 77

78 79

80

82 83

Altre narrazioni dovrebbero probabilmente essere inclu­ se in questo elenco: (64) Sulla vita eterna, (65) Sulla ric­ chezza, (66) Sulla rimunerazione. Ma nel complesso que­ ste ultime narrazioni trovano forse una classifkazione più oppqrtuna come storie riguardanti Gesù; storie che, al tempo in cui Marco scriveva, non avevano ancor rag­ giunto la forma stilizzata di apoftegmi. 1:. caratteristico di queste narrazioni che per la maggior parte esse vengano raggruppate tematicamente. Ciò vale delle prime cinque storie in 2, 1 - 3, 6 e delle cinque ( 1 3-17) in 1 1 , 27 - 12, 37; e ancora di 6 e 7, 8 e 9, 1 1 e 1 2 . Il n° 1 0 è inserito in un gruppo di detti in 9, 37-50; il no 1 8 segue i detti sul divorare le case delle vedove in 12, 40, e il 1 9 ·si trova all'inizio del discorso apocalittico al cap. 1 3 . È:-. quindi ragionevole dedurre che la collocazio­ ne di queste storie riflette interessi catechetici. 2.

Storie di miracoli

Le storie di miracoli sono quelle in cui l'interesse princi­ pale è il racconto del miracolo stesso. Tali storie hanno l I numeri a destra si riferiscono alla numerazione delle narrazio­ ni nel Commento.

48

Introduzione

normalmente una triplice forma, in cui sono descritte suc­ cessivamente le circostanze, il miracolo stesso e gli ef­ fetti prodotti. Una forma di questo genere è il modo naturale in cui i miracoli vengono registrati; ma va no­ tato che molte delle narrazioni marciane contengono maggior ricchezza di dettagli di quanto avvenga solita­ mente nella cosiddetta « forma )); essi sono giunti all'e­ vangelista attraverso canali più personali. Anche così, que­ ste narrazioni differiscono dalle altre storie riguardanti Gesù quanto al loro contenuto e quanto alla disposizione entro il vangelo. Possiamo redigerne un elenco di dicias­ sette: l. 2.

l, 23-28 l, 29-31

3.

32-34 1 , 40-45 2, 1-4.10b-12 4, 35-41 5, 1-20 5, 21-24.35-43 5, 25-34 6, 3544 6, 45-52 7, 31-37

4. 5.

6. 7. 8. 9.

10. 11. 12.

13. 14. 15.

16. 17.

l,

8, -1-10 22-26 14-27

8, 9, 10, 11,

46-52

12-14.20-22

L'indemoniato di Cafarnao La guarigione della suocera di Pietro Guarigioni di sera Guarigione di qn lebbroso Il paralitico di Cafarnao La tempesta sul lago L'indemoniato di Gerasa Risurrezione della figlia di Giairo L'emorroissa Prima moltiplicazione dei pani Gesù cammina sulle acque Guàrigione del sordomuto Seconda moltiplicazione dei pani Guarigione del cieco a Betsaida Guarigione del ragazzo epilettico Guarigione del cieco a Gerico Maledizione del fico

6 7 8 10

Il

32 33 34 35 41 42 48 49 52 57 70

72

Come negli apoftegmi, il raggruppamento di molte di que­ ste narrazioni è degno di rilievo, ma con la notevole diffe­ renza che in questi gruppi le storie sono legate assieme da notazioni geografiche o temporali. È il caso di l, 23-34 (nn. 1-3) e di 4, 35 - 5, 34 (nn. 6-9) . Salvo poche eccezioni (4, 1 3 , 15), le storie sono collegate a località determinate, menzionate nel racconto stc:sso o nel contesto immedia­ to. Dettagli vivaci, molti dei quali sono peculiari di Mar­ co, pongono queste narrazioni in stridente contrasto con le narrazioni scolorite e senza tempo dell'elenco preceden­ te, e insinuano che per questi episodi Marco ha a disposi­ zione informazioni più dirette della comune tradizione orale della chiesa.

Il materiale marciano

49

3. Storie riguardanti Gesù Simili alle storie di miracoli, ma differenti da queste per argomento, sono altre storie dal carattere vivo e colori­ to, ma senza forma caratteristica. Su queste narrazioni la critica delle forme non sa dare alcuna indicazione uti­ le, perché termini come « leggende » e « miti » sono ca- · ratterizzazioni che danno per scontata la soluzione. Il va­ lore delle narrazioni può essere giudicato soltanto in con­ formità ai principi ordinari della critica storica. Marco sembra aver ricevuto queste storie come unità già esisten­ ti di tradizione. Da questo punto di vista esse differisco­ no dalle narrazioni che egli sembra aver costruito sulla base della tradizione, anche se noi prendiamo in conside­ razione l'eventualità che egli nelle prime abbia introdot­ to modificazioni editoriali. Possiamo distinguere ventina­ ve narrazioni di questo tipo, dodici delle quali apparten­ gono alla storia della Passione. Eccone l'elenco:

l.

2.

3. 4.

5. 6. 7. 8.

9. 10.

l, l, l, l, l, 2,

6,

7, 8, 8,

1-8 9-11 12 s 16·20 35-39 13 s 1-6a 24-30 H-13 27-33

1 1 . 9, 2-8 12. 10, 17-22

13. 10, 23-27 14. 10, 28-31 15. 10, 35-40 16. 11, 1-ll 17. 1 1 , 15-19 18. 14, 3-9 19. 14, 12-16 20. 14, 22-25 2 1 . 14, 32-42 22. 14, 43·52 23. 14, 53-65 24. 14, 66-72 25. 15, 1-15 26. 15, 16-20 27. 15, 21-41 28. 15, 42-47 29. 16, 1-8

Giovanni Battista Il battesimo di Gesù La tentazione La chiamata dei primi discepoli Partenza verso un luogo deserto Vocazione di Levi Il rifiuto a Nazaret La donna siro-fenicia La richiesta di un segno La confessione di Pietro La Trasfigurazione La domanda dell'uomo ricco Conversazione sulla ricchezza Il problema della rimunerazione La richiesta di Giacomo e Giovanni L'ingresso a Gerusalemme La purificazione del tempio L'unzione Preparativi per la Cena L'ultima Cena Getsemani L'arresto Il processo davanti al Sinedrio Il rinnegamento Il processo davanti a Pilato Gli scherni dei soldati La crocifissione La sepoltura La visita al sepolcro

l 2 3

5

9 12 36

47 50 53

55 64

65 66 68 7l 73

92 94 96

98

99

100 101 102 103 104 105 106

50

Introduzione

Il racconto della morte di Giovanni (6, 17-29) è dello stes­ so tipo, ma non ha come oggetto Gesù. Le storie della Passione sono in stretto rapporto l'una con l'altra, e ven­ gono discusse separatamente nella nota J. La maggior parte delle storie sopra elencate sono narra­ zioni autonome. La partenza verso un luogo deserto fa eccezione, ed è strettamente collega,ta con le tre storie di miracoli in l , 21 39 La conversazione sulla ricchezza (13) e il problema della rimunerazione (14) sono connesse al­ la domanda dell'uomo ricco (12) nella serie 10, 17-3 1 . Tut­ te le altre sono storie complete in se stesse. � naturale supporre che queste storie pittoresche fosse­ ro note a Marco attraverso informatori personali, come Pietro e altri. Non tutte le storie sono petrine, perché alcune di esse possono aver raggiunto l'evangelista a par­ tire dalla tradizione cristiana primitiva, specialmente i nn. 1-3 , e altre raccontano episodi a cui Pietro non era presente, per es. i nn. 8, 23, 25, 26, 27, 28, 29. Ci sono comunque buone ragioni per far risalire alla sua testimo­ nianza la chiamata dei primi discepoli, la partenza per un luogo deserto, la voca.Zione di Levi, il rifiuto a Naza­ ret, la confessione di Pietro, la Trasfigurazione, la doman­ da dell'uomo ricco (e le due narrazioni che vi sono con­ nesse) , la richiesta di Giacomo e Giovanni, l'ingresso, la purificazione del tempio, l'unzione, Getsemani, l'arresto, il rinnegamento. Marco può essere debitore ai ricordi di Pietro anche per molte storie di miracoli, e per alcune delle tradizioni nelle narrazioni che l'evangelista stesso sembra aver costruito. Tutte queste possibilità esigono un'attenta considerazione nelle note introduttive alle sin­ gole narrazioni. Qui ci basta rilevare che la forma e il carattere generale delle storie di miracoli e delle storie riguardanti Gesù sono in armonia con la tradizione di Papia. -

4.

.

Costruzioni marciane

In aggiunta alle narrazioni sopra elencate ve ne sono al­ tre che mancano delle caratteristiche di vivacità di que­ ste storie e sembrano costruite da Marco stesso (o da un predecessore) a partire dalla tradizione frammentaria che circolava. Nel tempo in cui Marco scriveva esse non

51

Il materiale marciano

esistevano come narrazioni autosufficienti, riconducibili di­ rettamente o indirettamente a informatori. La tradizione che esse contengono è data, ma le narrazioni sono costrui­ te. Alcune sono poco più che registrazioni _di detti o di conversazioni con una breve introduzione narrativa. Da questo punto di vista esse assomigliano alla figura retori­ ca greca detta Chreia descritta da Dibelius, 1 52-1 64, che consiste nella « riproduzione di un detto conciso e pene­ trante di significato generale, che proviene da una perso­ na determinata e scaturisce da una determinata situazio­ ne »; ma, a differenza della Chreia, esse riportano non massime sagge e spiritose bensì detti con un interesse narrativo e un'intenzione religiosa. Trà queste narrazioni vanno contate le seguenti :

l.

2. 3. 4. s.

6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18.

3 , 13-19a

3, 19b-21

4, 6, 6, 6, 6, 8, 9, 9, 9, 10, 10, 13, 14, 14, 14, 14,

10-12 6b-13 14-16 30-34 53-56 14-21 9-13 30-32 33-37 32-34 41-45 3s ls 10 s 17-21 27-31

L'istituzione dei Dodici Le paure della famiglia di Gesù Lo scopo delle parabole La miss ione affidata ai Dodici Le paure di Erode

Il ritorno dei Dodici L'approdo a Gene sare t Il mistero dei pani La di sce sa dal monte La seconda profezia della Passione La vera grandezza La terza profezia della Passione Il rimprovero dei Dieci La domanda dei quattro discepoli Il complo t to dei sacerdoti · La congiura di Giuda Profezia del tradimento Profezia del rinnegamen to

20 21 26 37 38 40

43

51 56

58 59 67 69 84 91

93

95 fJ7

Il confine tra queste narrazioni e il gruppo precedente non può essere tracciato con precisione. Nel senso am­ pio del termine, tutte sono storie riguardanti Gesù, e for­ se i nn. l, 2, 4, 5, 6, 7 differiscono· dal resto unicamente perché si basano meno direttamente su testimonianze. Nella costruzione di queste narrazioni si avverte però un certo grado di artificiosità, come se Marco non dispones­ se di un'informazione adeguata. L'istituzione dei Dodici, per esempio, parla vagamente di un « monte » (o « regio­ ne collinosa ») , e riferisce soltanto che Gesù scelse e desi­ gn iché - come osserva J. Weiss, 154 l'imputazione di bestemmia è l'accusa più pesante e, rela­ tivamente parlando, l'ultima controversia è la più legge­ ra. Tuttavia, in ordine a scopi catechetici, il complesso è strutturato in forma molto intelligente. Albertz, 5, nega che la raccolta sia stata fatta da Marco per quattro ragioni : 3, 6 giunge troppo presto nel piano di Marco; il termine « Figlio dell'uomo » non ha il senso escatologico che lo accompagna da 8, 3 1 in poi; il raccon­ to di un'ulteriore controversia in 3, 22-26 è strano dopo 3, 6; l'allusione alla morte di Gesù in 2, 20 stride con l'intenzione di Marco in 8, 3 1 . Questi argomenti suggeri­ scono con forza che il complesso è pre-marciano; tutta­ via non si può escludere in assoluto che il compilatore sia stato Marco. L'obiezione che il complesso non è stato adattato al quadro del vangelo sussiste anche se si tratta dell'oper·a di un predecessore, ma è meno cogente che se l'autore è Marco. L'uso di fonti causa spesso oscurità in una narrazione posteriore, e forse in grado maggiore quan­ do un autore copia se stesso. Con una certa sicurezza

Struttura letteraria del vangelo

67

possiamo concludere che Marco compilò 2, 1 - 3, 6 prima di scrivere il suo vangelo 2• In questo caso, l'interprete di Pietro fu probabilmente maestro nella comunità di Roma.

4. 3, 19b-35 Di nuovo la sezione è composta in base al contenuto. Una breve storia in cui si dice che Gesù era uscito di senno ( 1 9b-2 1) ne precede una seconda in cui è accusato di essere posseduto da Beelzebul e di essere in collusio­ ne con Satana (22-26) . Questa storia è seguita dai detti sulla necessità di legare l'uomo forte e sulla bestemmia contro lo Spirito Santo (27-30) , e in fondo, viene libera­ mente messa in linea con 19b-2 1 , la narrazione sulla vera parentela di Gesù (3 1-35) . All'interno del complesso non ci sono elementi di congiunzione, e l'argomento è perfettamente omogeneo. L'intenzione è quella di descrive­ re le accuse a cui Gesù era esposto e il modo in cui egli le affronta. Il complesso viene incontro a una necessità che deve essere stata avvertita nel periodo orale, e che a quel tempo poteva essere soddisfatta. Un'occasione per il suo inserimento nel vangelo era offer­ ta in 3, 10-12 dal riferimento agli spiriti impuri che si gettano ai piedi di Gesù e lo proclamano Figlio di Dio. Ma spieghiamo meglio la sua presenza in Marco se suppo­ niamo che esistesse già in precedenza, perché il suo inse­ rimento rende conto dell'allentamento della tensione sor­ ta dopo il complotto di morte in 3, 6. Marco non compo­ ne liberamente, ma si serve di un altro gruppo di contro­ versie che egli desidera conservare intatte. Vi sono buone ragioni di pensare che il complesso non è costraito artificialmente, per quanto tenuto assieme dall'u­ nità tematica. Manson, SJ, 85, fa rilevare che Mc. 3, 3 1 -35 e Le. 1 1 , 27 s (« Beato il ventre che ti ha portato ») occu­ pano la stessa posizione rispettiva, alla fine c;li una serie di detti sul possesso demoniaco, e che hanno ambedue un centro comune, il compimento della volontà di Dio 3• « Ciò suggerisce la possibilità che Marco 3 , 20-35 fosse già una sezione compiuta prima di essere incorporata nel

2 DIBELIUS, From Tradition to Gospel, 3 Cfr.

Mc. 3, 35 e Le. 11, 28.

219.

68

Introduzione

vangelo; e che Le 1 1 , 17-28 sia analogamente una sezione completa in se stessa » . 5. 4� 1-34 Ancora una volta la sistemazione del materiale è contenu­ tistica. La serie include la parabola del seminatore (3-20) , un gruppo di detti (2 1-25) , la parabola della cresci­ ta segreta del seme (26-29) , la parabola del granello di senapa (30-32) , e un periodo sull'uso delle parabole (33 s) . Il raggruppamento non può essere primitivo, e non sorprende che molte parti siano state considerate inserzioni : vv. 10- 1 2 da Wellhausen, 3 1 ; vv. 1 0-20 da Klo­ stermann, 45; vv. 10-25 da J. Weiss, Die Schr. 4, 109-1 1 4. t! possibile che le tre parabole, con la spiegazione di quella del seminatore, fossero insieme in una fonte di detti, e che Marco abbia aggiunto 10-12 e 2 1 -25, nella convinzione che questi detti erano importanti per il significato delle parabole. Ma si può anche ventilare un'altra possibilità. Non è affat­ to da trascurare l'ipotesi che Marco abbia inserito entro la cornice storica, visibile in 3, 7-1 2 + 4, 1-9.33 s + 4, 35 - 5, 43, il materiale di 4, 10-32 dalla sua fonte di detti, insieme con 3, 13-19a (l'istituzione dei Dodici) e il grup­ po 3 , 1 9b-35 (cfr. sopra) . In questo modo si può spiegare perché la barca ricordata in 3, 9 e usata in 4, l s, manca in 4, 1 0-34, per riapparire improvvisamente in 4, 35 allo scopo di attraversare il lago. Un ulteriore punto di inte­ resse è che 4, 1-34, sebbene contenutistico, inizia come 2, 1 - 3 , 6 con un elemento narrativo, suggerendo un uso combinato di tradizione e di materiale catechetico. 6. 4, 35 - 5, 43 Questo complesso consiste in quattro narrazioni : la tem­ pesta sul lago, l'indemoniato di Gerasa, la risurrezione della figlia di Giairo, la guarigione dell'emorroissa. A diffe­ renza dei tre gruppi precedenti, ma esattamente come in l, 2 1 -39, un _ interesse narrativo è l'elemento di coagul,9 dell'insieme. Tratti di collegamento in 4 , 35; 5 , 1 .2 1 , il carattere vivace delle narrazioni, e l'intreccio della terza con la quarta, suggeriscono che Marco registra i fatti di un viaggio come ha potuto ascoltarli da un testimonio oculare, presumibilmente Pietro (cfr. v. 37) . Tuttavia è

Struttura letteraria del vangela

69

strano che quattro episodi miracolosi si susseguano in successione immediata entro un periodo di 24 ore. t!: pos­ sibile che la successione temporale sia frutto di un dise­ gno in prospettiva, e che, malgrado gli elementi di connes­ sione, ci sia uno stacco rispettivamente prima del v. 1 e del v. 2 1 \ Se è così, la sezione è allora una serie storica con un interesse secondario riguardo al contenuto, e in questo modo p�ò aver circolato già dall'inizio. Lo svolgimento completo della storia può essere solo og­ getto di congetture. Evidentemente, Gesù attraversò il la­ go sul tardo pomeriggio, e poco dopo la tempesta dev'es­ sere scesa la notte 5• Non è probabile che il soggiorno tra i Geraseni sia durato poche ore. L'indemoniato cono­ sceva qualcosa di Gesù prima di correre gridando verso di lui; e gli eventi successivi devono aver coperto un intervallo notevole di tempo. Inoltre, l'incontro con Giai­ ro non può essere accaduto immediatamente dopo la tra­ versata del lago o necessariamente sul luogo dell'appro­ do. Il complesso non perde di attendibilità se vi è stata inserita una serie più variata di avvenimenti; perché que­ sto può sempre accadere nel resoconto di un testimonio oculare. A prescindere dal problema se dare un'interpreta­ zione miracolosa del placarsi della tempesta e della risur­ rezione della fanciulla, ci sono buoni motivi per attribui­ re 4, 35 - 5, 43 alle memorie di Pietro. 7. 6, 30 - 56

Prima di questo gruppo ci sono tre storie isolate : il rifiu­ to a Nazaret (6, 1-6a) , la missione affidata ai Dodici (6, 6b-13) e i timori di Erode (6, 14-16) ; e, come pendant alla terza, il racconto della morte del Battista (6, 17-29) . Queste narrazioni non formano un complesso, perché non presentano tratti di connessione interna, né temi co­ muni. Invece, 6, 30-56, che riporta la prima moltiplicazione dei pani (35-44) , la traversata (45-52) e l'approdo a Genezaret (53-56) , costituisce un insieme compatto, che Marco intro­ duce con una storia del ritorno dei discepol� (30-34) , in 4 Cfr. Schmidt, 135-1 52. s Lagrange osserva che i discepoli possono aver trascorso la notte pescando, e aver toccato terra il mattino seguente.

Introduzione



riferimento alla già narrata miSSione dei Dodici (6b-13) . Poiché 7, 1-23 è un complesso tematico (cfr. sotto) , sorge la questione se 7, 24 37 non sia una continuazione di 6, 30-56; oppure - altra proposta spesso discussa - se 6, 30 - 7, 37 e 8, 1 -26 non formino un doppione 6• I ntanto, è meglio esaminare separatamente 6, 30-56, 7, 1 -23 e 8, 1-26, poiché la forma del primo è storica, quella del secondo è tematica, quella del terzo didattica. In 6, 30-56, la storia delfa moltiplicazione dei pani è vaga­ mente collegata con un « luogo deserto » (31 e 35), ma è strettamente connessa con la traversata mediante il riferi­ mento all'imposizione di Gesù ai discepoli e alla località di Betsaida (45) . La traversata è congiunta a quanto se­ gue dalle parole: « Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genezaret » (53). Abbiamo di nuovo la �tessa continuità storica che in l , 2 1 39 e in 4, 35 5, 43, in forte contrasto con le sezioni tematiche : 2, 1 - 3, 6; 3, 1 9b-35; 4, 1 -34 ; 7, 1-23. -

·

-

-

8. 7, 1-23

Il complesso è tematico. Consta di due apoftegmi sul lavarsi le mani (vv. 5-8) e sul J(orbàn (9-13), e di tre gruppi di detti sulla contaminazione (14 s. l7-19.20-23) , ed è preceduto da una breve introduzione narrativa (l s) e da una spiegazione sulle usanze giudaiche a riguardo del­ le abluzioni cerimoniali (3 s) . I residui elementi narrativi sono le formule redazionali di passaggio ai vv . 9, 14 e 20. Il complesso sembra essere stato compilato in ordine all'i­ struzione cristiana. Due tratti addizionali puntano in que­ sta direzione : il commento « dichiarava così mondi tutti gli alimenti )) (v. 19) , e l'elenco dei peccati ai vv. 21-23, espressi nella terminologia delle lettere 7• Il motivo dell'in­ serimento del complesso a questo punto sembra essere il desiderio di offrire una introduzione a 7, 24-37 e 8, 1-26, che sono concepiti da Marco come indicazioni �i un ministero presso i pagani. , Nell'insieme, è probabile che egli abbia usato un complesso già esistente, composto a questo scopo prima che fosse scritto il vangelo . . Esso trat-

6

Quest'ultima questione viene trattata nella Nota Commento in loco.

7 Vedi

C.

Struttura letteraria del vangelo

71

ta dei rapporti scottanti tra giudaismo e cristianità primi­ tiva, e il suo insegnamento dev'essere stato congeniale alla mentalità di Marco. Grandissimo rilievo dev'essere stato dato al detto: « Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui , possa contaminarlo ; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo » (v. 15). Il proble­ ma aveva un interesse tutt'altro che accademico, perché in base alla risposta data si decideva la possibilità per il cristianesimo di diventare una religione universale.

9. 7, 24 - 37 Come abbiamo già accennato, questa sezione può essere una continuazione di 6, 30-56. Essa descrive il ritiro di Gesù attraverso i confini della Galilea nella regione di Tiro (v. 24) , l'episodio della donna siro-fenicia (25-30) , il viaggio alla Decapoli (3 1) e la guarigione del sordomuto (32-37) . Le i:l;tdicazioni geografiche sono particolareggiate, anche se oscure; le narrazioni sono piene di vita. Si deve risalire certamente a una testimonianza personale, ma a quale grado non possiamo dire. La sezione presenta somi­ glianze con quelle di l , 2 1-39; 4, 35 - 5, 43; 6, 30-56.

10. 8, 1 - 26 Questo gruppo include la seconda moltiplicazione . dei pa­ ni e la traversata verso Dalmanùta (1-10) , ]a richiesta di un segno (1 1-13) , il mistero del lievito (14-2 1 ) e la guarigio­ ne del cieco (22-26) , Introdotto da una frase generica (« In quei giorni ») , questo complesso presenta riferimen­ ti precisi a Dalmanùta e a Betsaida. Schmidt ha ragione di affermare 8 che Marco deve aver trovato questi nomi nella tradizione, perché diversamente non possiamo spie­ gare come mai nomi di località siano così rari in Marco. Le prime tre storie non hanno la vivezza della quarta, ma tutte hanno come base ultima una tradizione storica. Tuttavia, questa base storica generale del complesso ha . subito nella sua formazione l'influsso di interessi liturgi­ ci e didattici. È difficile non pensare che il compilatore ha in mente una comunità che, analogamente alla chiesa

8

Op. cit. , 182 s, io7.

72

Introdi,.IZione

di Corinto, non ha compreso il significato dell'eucaristia. In queste circostanze egli racconta la storia della moltipli­ cazione dei pani e i fatti che seguono. Mentre, infatti, nessun segno è stato dato ai farisei, i discepoli hanno ricevuto il segno del lievito, che preannuncia l'eucari­ stia. Preoccupati di faccende materiali, essi non hanno capito il segno, ed è stata loro rivolta la domanda piena di rimprovero : « Non capite ancora? ». Ma, come nei giorni della sua vita terrena, Gesù continuava a essere colui che dona la luce. Non una volta, ma due, egli ha posto le mani su un cieco vicino a Betsaida, che dappri­ ma ha visto uomini soltanto come alberi che cammina­ no, ma alla fine fu guarito del tutto e vide ogni cosa chiaramente. Così è stato con i discepoli; e così dovreb­ be essere ancora. Il complesso appartiene a una. situazione di questo tipo. La catechesi è più antica dei vangeli, e un interesse cate­ chetico sta alla base della forma e della disposizione del­ le narrazioni. Questo spiega la forma molto netta del rifiuto di dare un segno ai farisei 9, l'enfasi posta sulla inintelligenza dei discepoli, e l'uso della guarigione del cieco con i suoi tratti distintivi. Loisy sbagliò spiegando questa narrazione come un'immagine simbolica dell'educa­ zione dei discepoli, ma colse molto acutamente il suo valore catechetico per il compilatore. Probabilmente il complesso esisteva già prima che il vangelo fosse scritto, e vocabolario, stile, idee 10 suggeriscono che il compilato­ re sia stato Marco. 1 1 . 8, 27 " 9, 29 Questo gruppo riflette interessi sia narrativi che temati­ ci. Vi si combinano narrazioni vive e detti : la confessio­ ne di Pietro e la prima profezia della Passione (27-33) , detti sul portare la croce, sul sacrificio e sul Regno (8, 34 - 9, 1 ) , la Trasfigurazione (9, 2-8) , la conversazione men­ tre scendono dal monte (9, 13) , la guarigione del ragazzo epilettico (14-29) . La prima narrazione, collegata al « vii· laggio di Cesarea di Filippo », è composita : la confessio-

9 Si confronti con Le. 11, 29. to Cfr. 8, 26.

Struttura letteraria del vangelo

73

ne di Pietro e il duro rimprovero che Gesù gli muove sono legate assieme da una predizione delle sofferenze messianiche, e i detti sono liberamente aggiunti median­ te la formula redazionale : « Convocata la folÌa insieme ai suoi discepoli, disse loro » (8, 34a) . L'ultimo detto (9, l) apre la strada all'episodio della Trasfigurazione « do­ po sei giorni »; la conversazione ha luogo « mentre scen­ devano dal monte » (9, 9) , e la storia del ragazzo epiletti­ co è introdotta dall'osservazione: « Giunti presso i disce­ poli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro » (9, 14) . Il gruppo differisce relativa­ mente da l, 2 1-39 e 4, 35 - 5, 43 e 6, 30-56; dobbiamo ammettere che qui si congiungono l'attività editoriale di Marco e l'uso di una serie di episodi già raccolti dalla tradizione. Egli potrebbe essersi servito di un complesso già esistente; ma, così come l'abbiamo oggi, il gruppo deve la sua forma al processo di compilazione del vangelo. ·

12. 9, 30 - 50 In 9, 30-50 Marco ha introdotto materiale derivato dalla sua fonte di detti, nella seconda profezia della Passione (30-32) e nella narrazione composita sulla vera grandezza (33-37) . La prima narrazione ha come introduzione la fra­ se: « Partiti di là, attraversavano la Galilea; ma egli non voleva che alcuno lo sapesse » (v. 30) , e la seconda le parole : « Giunsero intanto a Cafarnao » (v. 33) . Poiché Marco non può aver introdotto queste osservazioni arbi­ trariamente, è logico pensare che le abbia tratte da infor­ mazioni a sua disposizione. Ma è altrettanto chiaro che di questo viaggio egli doveva avere una conoscenza mol­ to approssimativa. Abbiamo già classificato i vv. 33-37 come una « costruzio­ ne marciana », poiché consta di frammenti di tradizione maldestramente raccolti. Probabilmente il v. 37 venne pre­ so dal lungo estratto della fonte dei detti in cui era sta­ to pure sistemato l'apoftegma dei guaritori che non sono discepoli (vv. 38 s) ; ed è possibile che altre parti dei vv. 33-37 provengano dalla stessa fonte. In ogni caso, ci sono indizi chiari che Marco, o un predecessore, ha dato for­ ma narrativa a un gruppo già esistente di detti. Ritrovia­ mo qui gli stessi tratti che in 4, 1-34, e nella raccolta di

74

Introduzione

apoftegmi in 2, l - 3, 6 ; cioè: materiale di detti sistemati tematicamente con un elemento narrativo all'inizio. 13. 10, 1 - 31 Come l'ultima sezione, questo complesso inizia con una indicazione topografica : « Partito di là, si recò nel territo­ rio della Giudea e oltre il Giordano ». Un àccenno alla folla e all'insegnamento introduce due apoftegmi : sul di­ vorzio (vv. 2-9) , con detti dello stesso genere cuciti assie­ me (10-12) , e sui bambini (1 3-1 6) con l'inserimento di un detto analogo (15) . Segue poi la domanda dell'uomo ricco ( 17-22) con i due complementi : la conversazione sulla ric­ chezza (23-27) e la domanda di ricompensa (28-3 1 ) . Gli elementi narrativi sono le notazioni seguenti : che Gesù incontra l'uomo ricco « mentre usciva per mettersi in viaggio » (v. 17) , l'accenno allo sguardo di Gesù (v. 23) , e l'osservazione che fu Pietro che cominciò a dire: « Ec­ co, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito » (v. 28) . Così l'insegnamento su temi collegati (matrimonio, bambini e ricchezza) riceve una cornice narrativa. Marco può essere il compilatore, ma può anche servirsi di una serie tradizionale usata nell'insegnamento cristiano. Di nuovo, come in 9, 30-50, egli non ha a disposizione un'in­ formazione dettagliata sul viaggio. Il quadro narrativo è redazionale, ma evidentemente frammenti di tradizione storica restano ancora incorporati entro la serie catecheti­ ca. Il processo di compilazione non è casuale; diversamen­ te, i due apoftegmi non sarebbero stati lasciati così scar­ ni. Si può presumere che Marco usi un'informazione es­ senziale, e si astenga dal creare un resoconto più dettagliato. �

14. 10, 32 - 52 Identiche caratteristiche appaiono in 10, 32-52. La breve indicazione d'apertura dice che « erano in viaggio per salire a Gerusalemme » ed è seguita dall'accenno allo stu­ pore e alla paura, quando Gesù si mise alla testa come se i discepoli avvertissero che la situazione stava diven­ tando misteriosa. Segue poi la terza predizione della Pas­ sione (32b-34) , la richiesta di Giacomo e Giovanni (35-40) , a cui è unito il rimp rovero ai Dieci (4 1-45) ; finalmente,

Struttura letteraria del vangelo

75

la storia della guarigione di Bartimeo (46-52) espressamen­ te connessa con Gerico (v. 46) . L'insieme è segnato da un interesse dottrinale, che raggiunge il punto più alto al v. 45 ; ma quanto questo interesse sia lontano dall'ave­ re il controllo assoluto sul materiale lo dimostra l'aggiun­ ta dell'episodio del cieco, la cui presenza non ha altra giustificazione all'infuori della collocazione a Gerico e del grido messianico riportato. L'unico indizio di un ante­ riore uso catechetico del materiale è nell'insegnamento sulla vera grandezza, nel rimprovero ai Dieci. Marco ha composto questo racconto sulla base dell'informazione a ­ sua disposizione, con la coscienza sempre più viva che l'ombra della croce si stia avvicinando.

15. 11, 1 - 25 La sezione consta di due storie riguardanti Gesù (ingres­ so a Gerusalemme, 1-1 1 , e purificazione del Tempio, 1 5-19) , di una storia di miracolo (la maledizione del fico, 12-14.20-22) e di un estratto dalla fonte dei detti su fede e preghiera (23-25) . Una precisione insospet tata caratteriz­ za il complesso. Gli eventi descritti abbracciano un perio­ do di tre giorni. Ci viene narrato in successione ciò che accadde « la mattina seguente » (v. 12) , « quando venne la sera » (v. 1 9) e di nuovo « la mattina seguente » (v. 20) . È chiaro che qui è stato fatto un tentativo di colloca­ re 1 1 , l - 13, 37 in un quadro cronologico, in continuità con il racconto della Passione, f4, 1 - 1 6, 8, allo scopo di ottenere un racconto giorno per giorno degli avvenimen­ ti dell'ultima tragica settimana. Se quest'ipotesi tiene, 1 1 , 1-25 differisce da l, 21-39, 4, 35 - 5, 43 c 6, 30-56 + 7, 24-37; e si può presumere che Marco, che altrimenti non usa ,accorgimenti redazionali, abbia seguito una sistema­ zione già corrente nella chiesa di Roma.

16. 11, 27 - 12, 44 Albertz 11 ha · portato ragioni valide in favore dell'ipotesi che questa sezione si basi su un complesso pre-marciano ( 1 1 , 1 5-17 + 27-33 + 12_, 13-40) paragonabile a 2, l - 3, 6

11

Die synoptischen Streitgespriiche, 16-36.

Introduzione

76

che include la purificazione del Tempio e i cinque apofteg­ mi (sull'autorità, sul tributo a Cesare, sulla risurrezione, sul primo comandamento, sul Figlio di David) , e un picco­ lo gruppo di detti sugli scribi (12, 38-40) . Dotate di scarsi elementi di connessione u, le narrazioni sono sistemate te­ maticamente, allo scopo di lumeggiare i conflitti di Gesù con gli scribi, ed è molto probabile che alcuni dei fatti qui narrati appartengano a periodi anteriori del ministe­ ro di Gesù. Marco ha ampliato il gruppo inserendovi la parabola dei vignaioli iniqui (12, 1-12) e aggiungendovi la storia dell'elemosina della vedova (12, 41-44) . Come in 2, 1 - 3, 6, vocabolario e stile suggeriscono che Marco stesso è il compilatore. In questo caso, si ha di nuovo ragione di dedurre che, anteriormente alla composizione del van­ gelo, egli ha combinato episodi della vita di Gesù con intenzioni catechetiche. 11. 13, 5 - 37

Base del discorso può essere una profezia apocalittica riguardante la Parusia in 5-8 + 24-27 ; ma per la maggior parte - e forse interamente - il materiale è stato trat­ to dalla fonte dei detti. Il suo contenuto, e il fatto che occupa sproporzionatamente il terzo giòrno di cui si par­ Ia in 1 1 , 20, suggerisce che esso dovette esistere in prece­ denza, e fu composto poco prima del vangelo. Vedi No­ ta E. 18. 14, 1 - 16, 8

Nella Nota J si sostiene la posizione secondo cui, nel periodo anteriore alla composizione del vangelo, la narra­ zione della Passione fu preceduta da una versione più breve, che più tardi venne integrata da Marco in base alle tradizioni petrine.

Sintesi Come s'è visto, i gruppi differiscono notevolmente quan­ to al loro carattere. Si possono distinguere almeno tre 12

Cfr. 12, 28.35.38.

Struttura letteraria del vangelo

T1

tipi, che sono tutti - in maniera diversa - rilevanti per il problema della composizione del vangelo.

Gruppi di narrazioni e detti formati sulla base di una tradizione esistente L'introduzione l, 1-13 (n. l) e i quattro grupp1 m 9, 30 - 1 1 , 25 (nn. 12-1 5) sono di questo carattere, e si può presumere che si siano formati nel processo di composi­ zione del vangelo. Anche così, essi riportano a raggruppa­ menti primitivi di materiale durante il periodo orale. Per esempio, era normale pensare che la storia del vange­ lo venisse inaugurata dalla predicazione di Giovanni (cfr. Atti l , 22; 10, 37) , e con questo tema erano connessi il battesimo e la tentazione di Gesù. Più caratteristici dei gruppi in questione sono 9, 30-50 (n. 1 2 ) , in cui il materia­ le dei detti è inquadrato narrativamente; 10, 1-31 (n. 1 3 ) , dove temi associati nella predicazione cristiana (matrimo­ nio, bambini, ricchezza) compaiono in un quadro narrati­ vo; 10, 32-52 (n. 14) , che suggerisce una combinazione di interessi st.orici e dottrina1i; e 1 1 , 1-25 (n. 15) , che sem­ bra rappresentare un tentativo anteriore di dare un qua­ dro temporale agli avvenimenti che conducono alla Passio­ ne. Forse 8, 27 - 9, 29 (n. 1 1 ) dovrebbe essere classificato entro questo gruppo, ma nell'insieme ci sono ragioni più valide per includerlo nel prossimo gruppo, dove nei com­ plessi compaiono narrazioni petrine.

Gruppi di narrazioni basate sulla testimonianza personale, probabilmente quella di Piet ro A questa classe appartengono l , 21-39 (n. 2) , 4, 35 - 5 , 43 (n. 6) , 6, 30-56 (n. 7) , 7, 24-37 '(n. 9) , e 8, 27 - 9, 29 (n. 1 1) . Sono tutti gruppi di narrazioni condotte con vivezza, col­ legate da indicazioni temporali e topografiche. � possibi­ le che alcune di queste siano state messe per iscritto da Marco prima che egli componesse il vangelo. In questo caso, nello scrivere il vangelo egli copiò se stesso. Comun­ que sia, i gruppi furono dapprima cicli orali di tradizio­ ne di cui Marco era debitore ai ricordi di un testimonio oculare. Nella sua forma attuale la Passione (14, 1 - 16, 8) (n. 18) è dello stesso tipo. Vedi Nota J. La struttura di 8, 1-26 (n. 10) è simile a quella degli altri gruppi, ma il suo

Introduzione

78

carattere didattico e la probabilità che si tratti in qual­ che modo di un doppione di 6, 30 - 7, 37, fa pensare che la sua connessione con la testimonianza petrina è più remota.

Gruppi di narrazioni sistemate dal pun to di vista tematico, che con_stano di detti e di apoftegmi Questi includono 2, 1 - 3, 6 (n. 3) , 3, l9b-35 (n. 4) , 4, 1-34 (n. 5) , 7, 1-23 (n. 8) , 1 1 , 27 - 12, 44 (n. 1 6) , e 1 3 , 1-37 (n. 1 7) . Il tratto distintivo di questi gruppi è il tipo di tradi­ zione che essi contengono e la mancanza di elementi con­ nettivi tra le diverse narrazioni. Essenzialmente essi ap­ partengono alla tradizione dei detti. . Se ciò è ovvio nel caso dei detti e delle parabole, non è meno vero delle narrazioni che vengono raccontate a causa di un detto significativo di Gesù a cui tutto il resto è subordinato. Non si può negare che in ultima analisi queste narrazio­ ni risalgano alla tradizione di testimoni oculari. Certo, è abbastanza sintomatico che all'inizio e alla fine di 2, 1 - 3, 6 e all'inizio di 4, 1-34 ci sia un elemento narrativo che suggerisce che Marco abbia a disposizione un'informazio­ ne storica supplementare a quella offerta dalla tradizio­ ne dei detti. Ma i gruppi stessi sono chiaramente di un altro genere e di una diversa origine rispetto a 1 , 21-39, 4, 35 - 5, 43 e ad altri complessi dei tipi già ricordati. Essi constano di narrazioni in cui l'interesse dominante è una parola di Gesù, e i gruppi sono compilati non per descrivere una serie di eventi ma per far conoscere il suo pensiero su problemi di importanza vitale per la co­ munità cristiana. A volte l'interesse è puramente temati­ co, come in 4, 1-34, 7, 1-23 , 13, 1-37. A volte è presente - un interesse storico secondario, come quando 2, 1 - 3. 6 e 1 1 , 27 - 12, 4 4 descrivono i conflitti di Gesù con gli scribi e la gerarchia giudaica, o quando 3, 19b 35 mette in luce il tipo di accuse a cui Gesù era esposto. Ma l'interesse prin­ cipale rimane quel che Gesù pensava. Così, questi gruppi hanno una storia più lunga che non i cicli petrini; sono stati compilati in precedenza per venir incontro alle ne-· cessità della comunità cristiana, o da Marco stesso o da un predecessore. In un caso come nell'altro, quando Mar­ co prese la penna i gruppi costituivano cicli ormai fissati di tradizione orale. -

Struttura letteraria del vangelo

79

Se la classificazione sopra tentata è relativamente valida, essa ha un peso decisiv o per determinare la composizio­ ne del vangelo. In modo opaco, come attraverso un ve­ tro, possi a m o vedere l'evangelista all'opera e sullo sfon­ do molti altri a cui egl i è debitore. Il suo equipaggiamen­ to era molto più ricco di un quaderno d'app unt i e una memoria tenace. Dietro di lui c'è l'attività di insegnamen­ to di una . chiesa viva. Egli vi partecipava e ne era dipen­ dente. Possiamo dire di più, perché l'insegnamento è basa­ to sulla riflessione e la riflessione sulla testimonianza. I predecessori di . Marco non erano soltanto insegnanti, ma anche predicatori ed evangelisti, uomini che avevano rice­ vuta, ripensata e proclamata la Buona Notizia del regno di Dio. Il suo vangelo è mo l to più di una iniziativa privata; è un prodotto della vita della chiesa, ispirato dallo Spirito di Dio.

capitolo ottavo

piano e sistemazione del vangelo

Nello scrivere il suo vangelo l'evangelista ha usato i com­ plessi che sono stati esaminati - assieme a narrazioni isolate e a sommari - per formare le sezioni generali della sua opera. Il tentativo non è completamente riusci­ to; perché il vangelo non è una composizione letteraria accuratamente progettata e strutturata, ma uno scritto popolare condizionato dalla situazione della tradizione esi­ stente e dal fatto che si trattava di una iniziativa di nuovo tipo. Nel sottolineare il carattere non-letterario del vangelo, alcuni studiosi non hanno sufficientemente valutato i limiti imposti all'evangelista dai raggruppamen­ ti. anteriori del materiale evangelico. Preoccupato di man­ tenere intatti i complessi pre-marciani, specialmente se alcuni di essi erano composizioni sue proprie, l'evangeli­ sta non si trovava nella posizione di scrivere liberamente come se disponesse del materiale a volontà e in conformi­ tà con un piano disegnato in anticipo. Egli poteva svilup­ pare le grandi linee della sua storia in ba se alla sua conoscenza del corso degli avvenimenti, ma era costretto a fare spazio alle brevi raccolte di episodi già esistenti e al materiale catechetico familiare a lui e ai suoi lettori. Se teniamo presenti queste circostanze, non cadremo nel pericolo di accettare a buon mercato alcune delle soluzio­ ni sbrigative che sono state formulate a riguardo della natura e dei meriti dell'opera di Marco. Sebbene il vange­ lo non sia conforme al modello della biografia antica, e soltanto a suo svantaggio possa essere confrontato con o-

Piano e sistemazione del vangelo

81

pere come i Memorabilia di Senofonte e la Vita Apollonii di Filostrato, è però qualcosa di più che uno dei libri di culto popolari della cristianità primitiva 1• Come mostra l'esordio (Mc. l , 1 ) , il vangelo è un tentativo di narrare come è cominciata la Buona Notizia riguardante Gesù Cri­ sto, il Figlio di Dio, e di svolgere così un compito, insie­ me religioso e storico. Le sezion't generali

Il vangelo inizia con una breve introduzione in l , 1-13, che racconta le storie della predicazione di Giovanni Bat­ tista, del battesimo e della tentazione di Gesù, come pre­ parazione alla narrazione del ministero in Galilea. Due sezioni maggiori riguardano la storia del ministero. La prima inizia con il sommario di l, 14 s, che narra come Gesù arrivò in Galilea predicando il vangelo dopo l'arresto di Giovanni, e sintetizza la sostanza del suo mes­ saggio. Questa parte raggiunge il punto culminante nel racconto del complotto dei farisei e degli erodiani di cui si parla in 3, 6. La seconda sezione inizia con il somma­ rio di 3, 7-12, ma non è facile determinare dove essa finisca. È stata data ogni risposta immaginabile: 4, 34; 5 , 43; 6, 6; 6, 1 3 ; 7, 23 ; 8, 26; 9, 50. Questa varietà di opinioni lascia intendere che le intenzioni dell'evangeli­ sta non possono essere stabilite con certezza; di conse­ guenza, i limiti della sezione devono essere fissati in ba­ se a considerazioni di carattere geografico e allo svilup­ po della narrazione. Da questo punto di vista emerge su tutti 6, 13, come propone K. L. �chmidt 2• Il ministero in Galilea ha raggiunto la sua punta con il rifiuto a Nazaret e la missione dei Dodici. I due episodi che seguono - i timori di Erode (6, 14-16) e la morte di ·Giovanni (6, 1 7-29) formano una specie di interludio che porta alla quarta sezione. Dopo 3, 7-1 2 non ci sono più sommari che reggano il confronto con questo, introducendo una nuova parte, ma -

l Il termine usato dalla Critica delle forme è . kultische Volksbucher; cfr. Bultmann, 398 s; Dibelius, 39 s; Fascher, 228-231 . 2 Der Rahmen der Geschichte Jesu, 171 s.

Introduzione

82

ci sono passi che introducono una nuova tappa nel corso degli eventi, cioè 8, 27; 1 1 , l ; 14, l. Questi passi vanno considerati come linee' divisorie. La quarta sezione, che inizia a 6, 14, si estende fino a 8, 26, ed ha come tema principale il ministero al di fuori della Galilea. La quin­ ta (8, 27 - 10, 52) descrive il viaggio a Gerusalemme, e la sesta ( 1 1 , 1 - 1 3 , 37) , il ministero a Gerusalemme. La sezio­ ne finale ( 1 4, l 16, 8) contiene il racconto della Passione e Risurrezione. :E. questo il punto più alto, a cui tende tutto il vangelo 3. -

Piano e sistemazione del vangelo I. Introduzione l , 1-13 (1)

Giovanni il Battezzatore Gesù

(2) Il battesimo di (3) La tentazione

l, 1-8 1, 9-11 1, 12 s

Il. Il ministero in Galilea 1 , 14 - 3, 6 (4) Sommario inaugurale (5) La chiamata dei primi

discepoli

l, 14 s 1, 16-20

(a) Il ministero a Cafamao l, 21-39

(6) (7)

(8)

(9)

( 10)

L'indemoniato nella sinagoga Guarigione della suocera di Pietro Guarigioni di sera Partenza per un luogo deserto Guarigione di un lebbroso

1 , 21-28

l, l, l, l,

29-31 32-34 35-39 4045

2, 2, 2, 2, 2, 2. 2, 3,

1-12 13 s 15-17 18-20 21 s 23-26 27 s 1-6

(b) Conflitti con gli sc:ribi 2, 1-3, 6

(11) ( 12) ( 13) ( 14) ( 15) ( 16) (17) ( 18)

Il paralitico e il perdono La chiamata di Levi A tavola con pubblicani e peccatori Sul digiuno Detti sulle toppe e sugli otri Sul sabato (campi di grano) Detti sul sabato Sul sabato (uomo con la mano inaridita)

3 Bultmann, 3%, cita l'espressione di M. Kahler, secondo il quale

i vangeli possono essere chiamati racconti della Passione con UJla introduzione circostanziata, e l'osservazione di A. Schlatter, che pe!-' ogni evangelista il vangelo è la presentazione del cammino di Gesù verso la croce.

83

Piano e sistemazione del vangelo

III. Culmine del minis t ero in Galilea 3, 7 - 6, l3 ( 19) (20)

Sommario: folla sul lago Istituzione dei Dodici

3, 7-12 3, 13-19a

(a) Accuse nei confronti di Gesù 3, 1 9b-35

(21) (22) (23) (24)

Timori della famiglia di Gesù

Collusione con Satana

Detti dell'uomo forte e sulla bestemmia Sulla vera pare nt ela di Gesù

3, 3, 3, 3,

19b-21 22-26

27-30 31-35

(b) Insegnamento in parabole 4, 1-34

(25) La parabola del semin atore (26) Lo scopo delle parabole (27) Interpretazione della parabola del semina-

4, 1-9 4, 10-12 4, 13-20

tore

Detti sulla lampada, sul non tenerla nascosta, ecc. (29) Parabola del seme che cresce in segreto (30) Parabola del grano di senapa (31 ) Sull'uso delle parabole (28)

4, 21-25 4, 26-29 4, 30-32 4, 33 s

(c) Un gruppo di storie di miracoli 4, 35-5, 43

(37)

La tempesta sul lago L'indemoni�to di Gerasa Risurrez ione della figlia di Giairo L'emorroissa > 4 • 4. Quarto, Marco non cerca di imporre ùna forma narrati­ va a complessi tematici già esistenti nella tradizione. Sot•

Vedi pp.

m s.

88

Introduzione

to questo punto di vista egli diffe ri sce completa m en te da Matteo; e la spiegazione va cercata in lui stesso e nel fatto che i gruppi primitivi di tradizi one di de tti aveva­ no una certa stabilità derivata dal loro uso nell 'insegna­ mento . 5. Quando Marco trova dei d op pi on i nella tradizione, usa ambedue gli elementi invece di sceglierne uno o di fonder­ li insieme. Le due moltiplicazioni dei pani sono un esem­ pio di questa tendenza, se la critica ha r a g ione di conside­ rarli un dop pion e . Egli le raccoglie ambedue perché una gli è familiare attraverso la tradizio ne orale e l'altra attra­ verso l'insegnamento cateche t ico (sebbene egl i sia indub­ biamente convinto che si tratti di due fatti distinti) . Se le caratteristiche ora elencate sono negative, presenta­ no però anche il loro versante positivo. La conoscenza storica deve molto alla s o br i età e riservatezza di Marco. Un giudizio positivo delle qualità di Marco come scritto­ re può scaturire solo da un esame dettagliat o della sua opera. La sua selezione del materiale porta i segni del suo interesse per gli esorcismi, la fo lla , i fatti miracolo­ si, la missione contemporanea ai pagani, l'apocalittica del tempo e soprattutto l'opera e la missione redentrice di Ge­ sù. Molti di questi interessi Marco li cond ivideva con la chiesa del tempo. È quindi necessario esaminare la teologia di questo vangelo e il grado in cui esso è rimasto fedele alla tradizione storica.

capitolo

nono

l a teologia

del vangelo

Sarà opportuno considerare la teologia del vangelo pri­ ma di affrontare il problema del suo valore storico , dato che nella discussione moderna si ritiene che la teologia dell'evangelista condizioni il suo scritto . Non è necessa­ rio esaminare la teologia di tutto il materiale evangelico, ma soltanto i suoi tratti distintivi e gli interessi speciali di Marco . I punti che studieremo sono il regno di Dio quale Marco lo intese, la sua escatologia, la sua cristolo­ g!_a, in particolare come emerge- dai nomi e dai t ftoli di Gesù che Marco adotta, la sua soteriologia e i punti dottrinali che egli condivide con Paol o . Il regno di Dio

L'idea fon damen t a l e del regno di Dio (basileia tou theou) è quella di « governo » o « signoria » di Dio, in conformità all'ebraico malkuth, « regalità », « governo re­ ga l e », « signoria », « sovranità » . La discussione recen­ te 1 ha sot tolineato con forza l'idea del governo regale di Dio, e con buoni motivi. Ma se il governo di Dio è l'idea centrale, quella di sfera d'influsso 2 o di comu nità vi è pure necessariamente imp l icata (cfr. Mc. 9, 47) . l Cfr. G. GLOEGE, Reich Gottes und Kirche, 49-54; T.W. MANSON, The Teaching of Jesus, 1 16-284; R. OTTo, The Kingdom of God and the Son of Man, 72-93; K.L. ScHMIOT, voce basil eia in GLNT, 2, 175-203; C.H. Dooo, The Parables vf the Kingdom, 34-80. 2 Cfr. R.N. FLEW, Jesus and His Church, 34.

Introduzione

90

Gesù ha parl ato del Regno come futuro (14, 25; Le. 1 1 , 2 ; ecc.), ma anche come p resente i n lui stesso e nel suo ministero (cfr . Le. 7, 18-23 ; 10, 23 s; 1 1 , 20.3 1 s). In un certo senso, dunque, egli insegnò una « escatologia realiz­ zata » 3 , ed è egli stesso « autobasileia » 4• Tuttavia s i può dubitare che queste idee così nette trovino chiara espres­ sione in Marco, perché nel suo v angelo l ' accento prin cipa­

le è posto sul Regno come futuro e, certo, imminente, e come comunità in cui si compie la volontà di Dio. L'idea dell'imminenza del Regno appare in l , 15 e 9, l . Nel primo passo (cfr. commento) Gesù annun cia che il Regno è « alle porte » ; nel secondo egl i dichiara che alcu­ ni dei suoi ascoltatori vivranno fino a vederne l'arrivo. Nelle parabole del seminatore (4, 3-9) , del seme che cre­ sce di nascosto (4, 26-29) e del granello di senapa (4, 30-32), il Regno è presente nella s ituazio ne in cui si tro­ va Gesù (come sostiene Dodd), e la stessa conc ezione è implici ta nelle parole dette allo scriba : « Non sei lonta­ no dal Regno di Dio » (12, 34) . t:. co munque incerto in che misura Marco abbia approfondito questa concezione. Dai detti di Marco raccogliere mmo piuttosto l 'impressio­ ne che la sua idea del Regno sia principalmente escatolo­ gica, cioè come di una comunità che tra poco sarà instau­ rata da Dio. Il detto sulla necessità di accogliere il Re­ gno « come un bambino » (10, 15) suggerisce l'idea di un dono divino che si può ricevere qui ora; quelli che parla­ no d i entrare nel Regno (9, 47; 10, l 5b.23 s) possono ave­ re sia un s igni ficato presente che uno futuro, ma nella prospettiva di Marco è più probabile quest'ultimo, specjal­ mente in 9, 47 dove è p resen t e l'antitesi con « essere get tat i nella Geenna ». In questi detti è pure implicita l' idea di una sfera di r�altà, il regno in cui prevale la sovranità di Dio. L'accenno al bere il vino nuovo nella Basileia (14, 25) e la descrizione di Giuseppe d ' Ar imatea in attesa di questo (15, 43) sono chia ramen t e escatologi­ ci; essi pu n tano al tempo in cui la volontà di Dio sarà perfettamen t e comp iuta . Nel complesso dunque dobbia­ mo dire che Marco ha del Regno una concezione escatolo­ gica, e che egli non riporta - e forse non ha assimilato

3 Cfr. 4 Cfr.

Dooo, op. cit., 51. ScHMIDT, op. cit., I, 591 .

La

teologia del vangelo

91

gli elementi più caratteristici dell'insegnamento di Ge­ impliciti nei detti marciani ma più chiaramente evi­ denti in O (cfr. Le. 1 1 , 20; 17, 20 s; Mt. 2 1 , 3 1 ) , e in parabole come quella del lievito (Le. 1 3 , 20 s) , del tesoro nascosto .nel campo (Mt. 1 3 , 44) e del mercante di perle (Mt. 1 3 , 45 s) . Questa conclusione concorda con l'accento posto sulla Parusia e l'uso che Marco fa della previsione apocalittica in 1 3, 5-8 + 24-27. Nell'insegnamento marcia­ no non c'è traccia di una concezion e del Regno come istituzione terrena o politica . Di carattere soprannatura­ le, il Regno presenta maggiore affinità con l'insegnamen­ to del libro di Daniele, sebbene Marco non dica nulla della risurrezione generale dei morti, del giudizio finale c del suo collegamento con la Parusia. Quest� caratteristi­ che negative testimoniano la presenza di un elem ento ori­ giriate nell'insegnamento di Gesù che emerge solo parzial­ mente in Marco. -

'

sù,

Escatologia

Nel discutere la dottri na di Marco sul Regno di Dio è stato inevit abile parlare della sua escatologia. Vi sono co­ munque due punti che esigono un ulteriore approfondi­ mento. ( l ) L'escatologia di Marco ha un carattere fortemente apo­ calittico. Non soltanto la Parusia costituisce l'oggetto del­ la sua accesa aspettativa, ma vengono fortemente accen­ tuati gli avvenimenti che la preparano, nonché il suo ca­ rattere spettacolare. La fine sarà .preceduta da segni rico­ noscibili : guerre, terremoti, carestie, prodigi celesti, e il Figlio dell'uomo apparirà visibilmente sulle nubi (13, 5-8.24-27) . Marco scrive per sottolineare che « non è anco­ ra la fine » (13, 7 . 1 0) , ma non ha dubbi che essa è immi­ nente e che sarà sperimentata. In questo insegnamento Marco è influenzato da convinzioni tenacemente condivi­ se nella chiesa del suo tempo (cfr. Atti 3, 1 9-2 1 ; 1 Tess. 4, 1 3-1 8 ; 2 Tess. 2, 1- 17) ed è probabile che la sua presen­ tazione dell'insegnamento di Gesù ne sia colorata e in una certa misura distorta. Gesù affermava che la profe­ zia di Dan. 7, 13 si sarebbe realizzata ( 1 4 , 6�) . e probabil­ mente parlava del s uo ritorno; ma la differanza notevole ,

92

Introduzione

tra l'insegnamento escatologico di Q s ed L e queUo di Marco e di M lascia capire che nella tradizione primitiva l'insegnamento di Gesù venne visto in modo sfocato. (2) In secondo luogo, Marco non mette mai l'insegnamen­ to della Parusia in relazione con l'idea della sofferenza messianica. Il Figlio dell'uomo viene senza cicatrici, e se viene preannunciato che egli risorgerà dopo tre giorni, non vien detto nello stesso testo che egli verrà nella glo­ ria. Questa indipendenza delle due serie di detti presenta un difficile problema. Identificare le profezie della Risur­ rezione con quelle della Parusia è forse una soluzione troppo facile; ma rigettare le profezie della Passione a favore dei detti sulla Parusia è un espediente troppo vio­ lento. Quest'ultima è la soluzione preferita da Bultmann. I detti sulla Parusia - egli sostiene - sono più antichi delle predizioni della Passione e della Risurrezione, che vanno considerati come vaticinia ex eventu 6• Questa spi� gazione non è soddisfacente, perché se 10, 33 s lascia tra­ sparire una conoscenza della storia della Passione, le pre­ dizioni di questa complessivamente intese sono troppo profondamente radicate in Marco e in L per essere liqui­ date in modo così sommario. Di fatto, ambedue le serie di testi hanno una coloritura di convinzioni e di speran­ ze cristiane; ma nessuna delle due può essere sacrificata all'altra. La soluzione migliore è quella sopra abbozzata : in Marco i detti sulla Parusia sono originali ma sfocati; Gesù predisse senza dubbio la sua Passione e morte, ma parlò del suo ritorno in termini meno espliciti e apocalit­ tici di quanto appaia in 8, 38 e 13, 26. Cristologia Il miglior modo di far emergere il carattere della cristolo­ gia di Marco è di considerare l'uso che egli fa dei nomi e dei titoli di Gesù.

Gesù

Gesù è spesso ricordato (8 1 volte) sotto il suo nome per­ sonale. « Gesù Cristo » è usato una sola volta ( 1 , l) ; « il s

Cfr. T.W. MANSON, op. cit., 262. 6 Theologie des Neuen Testaments (1948) , I. 30.

La teologia

del vangelo

93

Signore Gesù » soltanto nella finale spuria ( 1 6 , 19) , e Cristo Gesù » mai. In 1 , 24; 10, 47; 14, 67 e 16, 6 al nome è aggiunto l'aggettivo « Nazareno ». Questi fatti ri­

"

velano il carattere primitivo di Marco, perché nel vange­ lo non c'è nulla che qualifichi l'uso di « Gesù >> come nome cultuale. Cfr. A. Deissmann in Mysterium Christi, 3-27. Ancor pìù spesso Marco parla di Gesù senza alcuna desi­ gnazione, come « egli » o « lo >> (accusativo) . In questi casi si dà per scontato chi si voglia intendere. Cfr. Lohme­ yer, 1 . Cristo

Il termine com pare sol tanto in sette casi : 1 , 1 ; 8, 29; 9, 4 1 ; 12, 35 ; 13, 2 1 ; 14, 6 1 ; 1 5,32; e non è mai Gesù ad applicarlo a se stesso. La mancanza dell'uso di questo titolo è collegata al problemà della messianità di Gesù, ed è un'ulteriore conferma del carattere primitivo di Marco. Figlio di [)avide

Questo titolo messianico è applicato a Gesù due volte nella narrazione di Bartimeo (10, 47s ) . � pure usato una volta da Gesù in una controversia con gli scribi (12, 35) , ma non con riferime.nto diretto a se stesso. Invece Mat� teo adotta il titolo in altri sei casi. Figlio di Maria Mc 6, 3 è il solo passo del Nuovo Testamento in cui questa denominazione viene applicata a Gesù, e si tratta d i un passo sospetto dal punto di vista testuale. Vedi Commento in loco. Non c'è segno che Marco fosse al corrente della tradizione della nascita verginale. D'altra parte, Gesù non è descritto - a differenza di Le. 3, 23; 4, 22; Jo. l, 45 ; 6, 42 - come « il figlio di Giuseppe ». In 6, 3 si parla di lui come del « carpentiere »: ma probabilmen­ te si dovrebbe leggere « figlio del carpentiere », come in Matteo.

Signore

Marco usa kurie una sola volta, in maniera abbastanza

94

lntroduzlonè

appropriata, nelle parole della donna siro-fenicia (7, 28) ; e forse anche in l, 40 e 10, 5 1 . ho ku rio s compare in 1 1 , 3, probabilmente con il semplice significato di « maestro >> , « dottore » ; vi manca quel più profondo significato reve­ renziale che esso presenta in 16 o 17 esempi di Luca e in Giovanni dopo la Risurrezione. � possibile certamente che in 1 1 , 3 si riferisca al padrone del puledro. A riguar­ do di kurios, Burkitt CB 47 s osserva che il suo uso così sobrio nei vangeli sinottici è una delle molte testimonian­ ze che la tradizione si basa decisamente sul ricordo e non sulla fantasia creativa. « Qui, come altrove - egli aggiunge - la buona tradizione storica è dovuta soprat­ tutto all'influsso del vangelo di Marco : esso non era diret­ tamente molto letto, ma venne formando il linguaggio dei più diffusi vangeli di Matteo e di Luca » .

Rabbi, Maestro Sono queste le designazioni con cui abitualmente ci si rivolge a Gesù in Marco. Rabbi significa, letteralmente : « Mio grande uomo >> (il corrispondente più vicino, in in­ glese, sarebbe « Sir ») 7; e Rabbonì ha praticamente lo stesso significato. Sono espressioni di rispetto rivolte ai dottori della Legge. In Marco, Rabbi è usato tre volte: 9, 5; 1 1 , 2 1 ; 14, 45. Rabbonì in 10, 51 (ma importanti MSS leggono Rabbi) . Molto più comune, ad ogni modo, è « Mae­ stro » (didaskalos) , usato 1 1 volte (10 al vocativo) , e da Gesù stesso in 14, 14. Marco lo adotta come equivalente di Rabbi per i suoi lettori pagani.

Profeta Mc. 6, 1 5 e 8, 28 testimonia che Gesù veniva considerato come un profeta, e implicitamente egli parlò di se stesso in questi termini in 6, 4. Marco da parte sua però non usa questo titolo per Gesù. Figlio dell'uomo Ho huios tou anthropou è la traduzione, quasi inintelligi­ bile per un greco, dell'aramaico bar nasha, letteralmente 'l Cfr. BuRKITT, Christian Beginnings, 42.

La teologia del vangelo

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« u,omo », ma capace di assumere il significato di « l'uo­ mo » e quin di di e�sere usato in senso messianico. Per lo sfondo vetero-testamentario del titolo, vedi Commento -a 2, 1 0 . Eccetto Atti 1, 56, « Figlio dell'uomo » compare esclusivamente nei vangeli. In Marco, 14 volte; e, salvo 2, 10.28, a partire dalla domanda-sfida : « Voi chi dite che io sia? » (8, 29) , cioè : 2 10.28; 8, 3 1 .3 8 ; 9, 9.12.3 1 ; 10, 3 3 .45 ; 13, 26; 14, 2 1 (bis) , 4 1 , 62. Cfr. Q ( 1 1 volte) , Matteo (6 volte) , Luca (6 volte) , Giovanni ( 1 2 volte) ; ed esempi redazionali in Mt . 16, 1 3 .28; 24, 39 ( ?) ; 26, 2. La possibilità che il titolo venisse usato nell'accezione co­ mune si affaccia per 2, 10 e 28, ma per la maggior parte dei casi (e forse per tutti) questo uso è anteriore a Mar­ co, dove « Figlio dell'uomo » viene usato esclusivamente da Gesù, come titolo messianico personale. In nove passi marciani (8, 3 1 ; 9, 9.12.3 1 ; 10, 33.45; 14, 21 (bis) .4 1 ) il titolo è reinterpretato nei termini del Servo ·sofferente di Yahvé (ls. 52, 1 3 - 53, 1 2) ; in tre è usato escatologicamente per descrivere il Figlio dell'uomo qua­ le è descritto in Dan. 7 e nel Libro di Enoch. La concezio­ ne del Servo si profila dietro le parole della voce divina i n l , U: « Tu sei il mio Figlio diletto; in te metto la mia compiacenza ». L'idea ricompare, dopo Cesarea di Fi­ lippo, nei detti sopra elencati. Non si può escludere che « Figlio dell'uomo » venisse interpr,etato messianicamen­ te già prima di Gesù 8, e che l'idea del Messia sofferente circolasse già allora in certi ambienti 9; ma Gesù è l'inizia­ tore della dottrina nel senso che l'ha vivificata e ne ha fatto il punto decisivo del suo insegnamento e della sua azione. Il tentativo di attribuire l'origine alla comunità cristiana 10 non ha avuto successo, perché l'identificazione è opera di un genio creativo e perché il titolo appare esclusivamente nei detti di Gesù. I tre detti escatologici sollevano difficoltà. Mc. 14, 62 può essere spiegato plausibilmente come formulazione autenti­ ca di Gesù (vedi Commento) , e dietro 8, 38 e 13, 26 è •.

8 Cfr. W.D. DAVIES, Paul and Rabbinic Judaism, 279 s; e soprattut­ to lo studio capillare di HEGERMANN, Jesaja 53 in Hexapla, Targum und Peschitta (1954). 9 Cfr. W. MANSON, Jesrts the Messiah, 113 s; W.D. Davies, op. cit., . 276-284. to

Cfr. BoussET, Kyrios Christos.

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lntroduzione

probabi le che si trovi il suo insegnamento; ma un con­ fronto di 8, 38 con il detto parallelo in Q (Le. 12, 8 s = Mt. 10, 32 s) e il contesto apocalittico in cui 13, 26 compare testimoniano con forza sviluppi successivi nella tradiz ione marciana, sòtto l'influsso dell'attesa escatologi­ ca della comunità cristiana. Figlio di Dio

Questo titolo rappresenta indiscutibilmente l'elemento fon­

damentale della cristologia di Marco. Il nome compare quattro volte : all'inizio in l , 1 11, nella confessione degli indemoniati (3, 1 1 ; 5, 7) , n el la domanda del sommo s acer­ dote (14, 6 1 : « il Figlio del Benedetto ») e alla fine ne l grido del centurione (15, 39) . Ma a questi passi devono aggiungersi le parole della Voce divina al battesimo : « Tu sei mio Figlio » ( 1 , 1 1 ) e nel ra ccont o della Trasfigurazio­ ne : « Questo è il m io Figlio diletto : ascoltatelo » (9, 7) ; e la frase « neppure il Figlio » nel detto riguardante il Giorno (13, 32) . Nell'Antico Testamento il termine viene ap p li cato agli an­ ge li (Gen. 6, 2; Giob. l , 6; 38, 7), a Israele (Os. 1 1 , l ; Ex. 4, 22) e al re (2 Sam. 7 , 14; Ps. 2 , 7 ; 89, 26) ; e nella letteratura giudaica tardiva al Messia (cfr . 4 Esdra 1, 2 8) e all'Israele giusto (Sir. 4, 10; Ps. Sal. 1 3, 8; 17, 30; 18, 4) . Ma nessuno di questi usi spiega veramente il titolo marciano. Anche l'idea del Figlio di Dio come Mes­ sia dev'essere approfondita e dilatata, e ricevere un signi­ ficato p rim a mai avuto. Il Figlio di Dio in Marco è un essere divino che appare in forma umana, la cui dyna­ mis si manifesta nel comportamento, nelle parole e nelle ope re pote n ti , e la cui umanità è tuttavia così reale che egli si commuove profondam ente alla presenza della soffe­ renza umana ( 1 , 43) , si irrita di fro nte all'ipocrisia e si rat tris t a per la cecità del cuore dell'uomo (3, 5), si me raviglia dell'incredulità (6, 6) , si indigna per la stupidi­ tà e la mancanza di sensib i lità (1 0, 14) , ha una conos cen­ za limitata (13, 32) , si spaventa e trema all'avvicinarsi della morte (14, 33) , tace di fronte all'ingiustizia ( 14, 60; 15, 4) , alla vergogna (14, 65; 15, 16-20) , all'oltraggio (15,

li

Vedi Commento.

La teologia del vangelo

97

29-32) , è regale nella morte (15, 39) . L'umanità genuina del ritratto marciano colpisce anche il lettore più distrat­ to; eppure, egli . non vede che una faccia della realtà se non percepisce che quest'Uomo dei dolori è pure un esse­ re di origine e dignità soprannaturali, poiché è il Figlio di Dio. La stessa concezione è sottesa all'uso del titolo di « Fi­ glio d�ll'uomo », perché costui non è sol tanto il .Servo sofferente ma è pure Uno che siederà alla destra di Dio e verrà con potenza sulle nubi del cielo (14, 62) . La cristo­ logia di Marco è ad alto livel lo non meno delle altre del Nuovo Testamento, non escluso Giovanni. Si ha il diritto di affermare che essa comporta in ultima istanza una dottrina della pre-esistenza; tuttavia quest'idea non è mai suggerita in Marco. Spesso si è avanzata l'idea che in Marco Gesù d iventa Figlio di Dio per adozione; ma probabilmente essa poggia su una lettura superficiale del vangelo. La prospettiva dell'evangelista è piuttosto che Ge­ sù è per natura Figlio di Dio, e che la voce al battesimo lo dichiara tale. Marco non ha una teoria dell'Incarnazio­ ne, ma la sua convinzione sembra essere che Gesù è Deus absconditus. Non si tratta di docetismo, poiché l'u­ mani tà di Cristo è concepita come reale. C'è invece la convinzione che, dietro una vita pienamente umana, si nasconde la divinità; ma· essa è visibile per coloro che hanno occhi per vedere, nella sua personalità, insegna­ mento e attività. Questa nostra descrizione della cristologia di Marco è for­ se più precisa di quanto fosse nel pensiero dell'evangeli­ sta. Difatti, è difficile dire se egli abbia espressamente riflettuto su di essa; tutto quanto possiamo affermare è che questo è il carattere della cristologia implicata nel suo vangelo. La sua natura apparirà più chiaramente se consideriamo il significato del « segreto messianico » in Marco. -

,

Il segreto niessianico

Questa concezione, presentata in una forma particolar­ mente provocante da W. Wrede in Das Messiasgeheimnis in den Evangelien (1901) ha segnato potentemente tutta la successiva discussione della cristologia di Marco. Nel­ la forma 'in cui Wrede l'ha presentata, la teoria è stata

98

Introduzione

ampiamente confutata 12, ma essa continua a eserCitare un grande influsso, ed è quindi necessario - in un com... mento moderno - riprenderla in considerazione. L'ipotesi di Wrede si basa su elementi significativi del vangelo. I demoni che cercano di far conoscere Gesù so­ no tacitati (1, 25.34 ; 3, 1 1 s) ; viene imposto il silenzio dopo miracoli strepitosi ( 1 , 44; 5, 43; 7, 36; 8, 26) , dopo la confessione di Pietro (8, 30) , e al discendere dal mon­ te della Trasfigurazione (9, 9) . Gesù si ritira dalla folla per viaggiare in segreto (7, 24; 9, 30) e dà un'istruzione privata ai discepoli sul « mistero del regno di Dio » (4, 10-12) , su « ciò che contamina l'uomo » (7, 17-23), sulla preghiera (9, 28 s) , sulle sofferenze messianiche (8, 3 1 ; 9, 3 1 ; 10, 33 s) e sulla Parusia (13, 3-37) . · Wrede sostiene che Gesù tiene segreta la sua messianità fino a quando si trova sulla terra, e se rivela se stesso ai discepoli (a differenza del popolo) , rimane incomprensibi­ le anche per loro (9, 32) . Soltanto con la sua risurrezio­ ne 13 ha inizio la vera percezione di ciò che egli è. La trama del vangelo è attraversata da una forte corrente di idee dogmatiche, e il suo quadro è pieno di contraddi­ zioni e di inverosimiglianze. In contrapposizione a Wrede è stato osservato che Gesù non sarebbe mai stato confessato come Messia dopo la Risurrezione se egli non fosse stato riconosciuto come tale durante il suo ministero ; che la sua crocifissione è incomprensibile al di fuori dell'ipotesi della sua pretesa messianica; e che diversamente i primi predicatori non avrebbero affrontato l'odiosità di predicare un Messia cro­ cifisso. Più ancora - si oss èrva - l'iscrizione sulla cro­ ce e gli episodi della confessione di Pietro, dell'ingresso a Gerusalemme e del processo davanti al sinedrio testimo­ niano con forza la presenza di una tensione messianica durante il ministero di Gesù. Si tratta di argomenti molto consistenti. � dunque un fenomeno molto notevole la persistenza dell'influsso di Wrede nella critica moderna 14• « La fortezza è crollata, 12 Vedi per esempio: ScHWEITZER, The Quest of the Historical Je­ sus 336-348; J. WEISS, Das ii.lteste Evangelium, 52-60; LAGRANGE, XLI s; RAWL'INSON, 258-262. 13 « La vera conoscenza di ciò che egli è inizia soltanto con la sua Risurrezione » (op. cit., 114). 14 Cfr. R.H. LIGHTFOOT, History and- lnterpretation in the Gospel, ,

La teologia del vangelo

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ma la bandiera sventola ancora ». La spiegazione dev'esse­ re che, se l'idea del segreto messianico è insostenibile come l'ha presentata Wrede, tuttavia è di grande impor­ tanza storica e teologica. L'ipotesi secondo cui Gesù impo­ neva il silenzio per evitare il pericolo di una rivolta ts è valida entro i limiti propri, ma può indurre l'idea che Gesù cercasse di salvare la propria pelle. I dati esigono �ma spiegazione . più integrale. Infatti il segreto messiani­ co sottende quasi ogni narrazione in Marco, particolar­ mente la guarigione del paralitico, la prima moltiplicazio­ ne dei pani, l'ingresso a Gerusalemme, e il processo. Ma non è un'ipotesi imposta ai racconti da fuori, bensì un ele­ mento integrante della tradizione stessa. Gesù imponeva il silenzio a causa della natura della messianità quale egli· la concepiva. Per lui non si trattava in primo luogo di condizione d'esistenza ma di attività. Nella sua auto­ comprensione Gesù è Messia guarendo, esorcizzando, vin­ cendo il potere di Satana, soffrendo, morendo, risuscitan­ do, e venendo sulle nubi del cielo. La messianità è il suo destino : è ciò che egli fa, ciò che il Padre si compiace di compiere in lui e ciò che egli realizza in amore filiale. Ecco il motivo per cui egli tacita gli indemoniati e coman­ da . ai discepoli di non rivelare a nessuno il suo segreto se non dopo la Risurrezione. Pur essendo già Messia, egli non sarebbe stato Messia fino al compimento del suo destino. Possiamo anche essere d'accordo che si deb­ ba leggere la storia in termini di dottrina; ma la dottri­ na è quella di Gesù stesso. Questa concezione del segreto messìanico è in linea con la cristologia e la soteriologia di Marco. L'accordo è trop­ po sorprendente per essere frutto d'artificio; esso è il riflesso della realtà storica stessa.

Soteriologia Alla cristologia di Marco è indissolubilmente congiunta la sua soteriologia. Quest'ultima non può essere fissata artificialmente .sulla prima; ciò che Gesù fa scaturisce da 16-22; DIBELIUS, 223; BULTMANN, 371; e i commenti di di Lohmeyer. IS Cfr. PEÀKE, op. cit. , 66.

Schniewind

e

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Introduzione

che egli è, e non può essere capito che in questa luce. In qualità di Servo sofferente che è il Figlio dell'uo­ mo, egli deve soffrire, morire, risorgere, essere esaltato alla destra di Dio ed entrare nella gloria. Ques t'unità è l'argomento definitivo che giustifica il rifiuto dell'afferma­ zione che le profezie della Passione sarebbero idee dogma­ tiche della comunità cristiana retroproiettate nella storia di Gesù. È indiscutibile che 8, 3 1 ; 9, 3 1 ; 1 0, 33 s (special­ mente l'ultimo) sono stati in qualche misura modificati in base alla conoscenza della narrazione della crocifissio­ ne. Ma il punto che resiste anche alla critica più serrata è la convinzione di Gesù di dover molto soffrire come Figlio dell'uomo, di dover essere rifiutato, ammazzato, e poi risorgere. L'idea riaffiora in 9, 12 b, e viene illustrata in 1 0, 45 e 14, 24. Questi detti vengono di scus si dettaglia­ tamente nel Commento. Per ora basta affermare che, se essi sono autentici, come ci sono buone ragioni di credere, mostrano che Gesù ha affrontato la sofferenza e la morte con una chiara comprensione dello scopo che il Padre voleva realizzare attraverso lui. Nessun detto in Marco né in altri vangeli suggerisce che Gesù abbia interpretato la propria morte come un mez­ zo per risvegliare l 'amore di Dio. In tutto ciò che egli ha fatto l'amore del Padre è un dato fondamentale 16; ma l'attività redentrice in se stessa è concepita in modo dì­ verso. Le due metafore di 10, 45 e 14, 24 sono di "impor­ tanza decisiva. La vita di Gesù è data come « riscatto per molti », e in quahto viene consegnata diventa il « san­ gue dell'alleanza ». Le due idee sono sacrificali. Il « riscat­ to » è il prezzo pagato per liberare dal peccato e dal giudizio. Il « sangue della alleanza » ratifica un'alleanza stipulata tra Dio e gli uomini, una relazione di comunio­ ne e di obbedienza, fondata sul perdono, sulla redenzio­ ne e sulla riconciliazione. Queste metafore non sono ela­ borate nei detti marciani in forma di sintesi dottrinale; e tuttavia esse sono idee determinanti in un ciclo articola­ to di pensiero. Esse includono che Gesù abbia concepito la sua vita immolata nella morte come un'offerta persona­ le a Dio in nome degli uomini e in loro favore. Idee pagane di riparazione sono estranee a questa concezione. CIO

16

Cfr. lo. 3,

16;

l

lo. 3, 16; Rom. S, 8.

La teologi a dd vangelo

1ò1

1:-'offerta

personale è un mezzo per accostarsi a Dio, di carattere rappresentativo e comunitario, a cui viene rico­ nosciuto un valore per l'umanità. Vi è sottintesa una rela­ zione di fede, ma quest'idea non è espressa in nessun detto marciano. Questi detti si concentrano piuttosto sul­ l'opera redentiva del Cristo stesso, attraverso la quale si realizza il suo compito messianico. In particolare, il « sen­ tire paura e angoscia » di 14, 33 e il grido di morte di 15, 34 rivelano quell'esperienza di assunzione del peccato che appartiene inalienabilmente al destino d�l Figlio del­ l'uomo sofferente. In ultima analisi, la rappresentazione marciana appartie­ ne al ciclo di idee che sono state elaborate nella lettera agli Ebrei, ma ha un'affinità più stretta con la dottrina paolina espressa nella formula in Christo. Tuttavia, lungi dall'essere sviluppata in un'ipotesi teologica, rimane radi­ cata sul terreno puro e semplice dell'esperienza fattuale e degli eventi. Di importanza per il problema se la concezione marcia­ na rappresenti le idee di Gesù stesso o sia una costruzio­ ne successiva che riflette la fede cristiana primitiva è la radicazione storica, cjoè il fatto che non siamo costretti a muovere neppure un passo fuori dall'ambito delle con­ vinzioni giudaiche. « Riscatto )), « alleanza », « assunzio­ ne del peccato )) sono idee tipiche dell'Antico Testamen­ to; i l ricorso all'ipotesi di infiltrazione di concetti elleni­ stici è del tutto innecessario. Ciò che troviamo in Marco non è una costruzione dogmatica impostata dal di fuori ma sono le idee vigorose di Gesù stesso.

Affinità con l'insegnamento paolino Il paolinismo di Marco è stato oggetto di acceso dibatti­ to per quasi un secolo, dal tempo in cui - in antitesi alla scuola di Tubinga - G. Volkmar sosteneva che il vangelo era una presentazione allegorica della dottrina paolina in forma di racconto. In tempi più recenti il carattere paolino di Marco è stato sottolineato da Loisy 17 e Bacon ts, e intensamente contestato da A. Sch17 Les Evangiles synoptiques, l, 1 16. 1 8 The Beginnings of Gospel Story, xxvn s; The Gospel of Mark,

221-271.

102

Introduzione

weitzer 19, P. Wern1e 2n e M. Werner 21• Tutta la questione viene ripresa da Lagrange (pp. CLIV·CLXIV) e sintetizzata stupendamente da Rawlinson , XLII I-XLV. Se Marco abbia conosciuto le lettere di Paolo, se - e in che misura abbia subito l'influsso del suo insegnamento, può essere determinato soltanto dall'esame del suo vocabolario e dal­ la natura dell'affinità tra gli elementi caratteristici della sua teologia e le idee tipiche di Paolo.

Vocabolario Non stupisce che nel vocabolario di Marco e in quello di Paolo si debbano trovare elementi comuni. Il problema è costitu i to dalla loro estensione e dalle loro implicazioni. Tra i punti più importanti possiamo notare i seguenti : dunamis è usato 10 volte in Marco per descrivere la po­ tenza divina e le opere di potenza compiute da Gesù. Nelle lettere paoline ritroviamo il termine in ambedue i sensi (e specialmente come potenza di Dio) non meno di 44 volte. Cfr. Mc. 6, 14: « il potere dei miracoli opera in lui » con Gal. 3, 5 : « Colui che . . . oper� miracoli in mez­ zo a voi » . eireneuo : 9 , 50; Rom. 12, 1 8 ; 2 Cor. 1 3 , 1 1 ; l Tess. 5 , 13.

euaggelion : 7 volte (Paolo 56) . Cfr. « l'evangelo di Dio » in l, 14 con Rom. l, l ; 15, 16; 2 Cor. 1 1 , 7 ; l Tess. 2, 2; ecc. Lagrange si chiede se Marco avrebbe usato que­ sto termine nel caso che non avesse vissuto in compa­ gnia di Paolo. karpoforeo : 4, 20.28; Matteo (una volta) , Luca (una vol­ ta) , Paolo (quattro volte) . kerusso : 12 volte; 9 volte in Matteo, 9 in Luca, 8 in Atti, 16 in Paolo, 4 nel resto del NT. Logos viene usato in Marco in diverse accezioni; a volte, come in Luca , Atti e Paolo, è detto del messaggio cristia­ no. Cfr. 4, 1 6 : « quando ascoltano la parola, subito l'ac­ colgono con gioia � con l Tess. l, 6: « avendo accolto la parola éon gioia ». metamorfoo: 9, 2; Mt. 17, 2; Ro.m. 12, 2; 2 Cor. 3, 18. 19 31 zt

The Quest, 348. Die synoptische Frage, 199 s. Der Einfluss paulinischer Theologie im Markusevangelium ( 1923) ,

La teologia del vangelo

103

musterion: 4, 1 1 ; cfr. Rom. 1 1 , 25; 16, 25 ; l Cor. 2, l ; 4, l ; Ef. 3, 3 s. 9; 6, 19; Co l. l , 26 s; 2, 2; 4, 3. Nota « quelli di fuori » in Col. 4, 5 e in Mc. 4, 1 1 . paraptoma : 1 1 , 25; Mt. 6 , 1 4 s ; 1 6 volte in Paolo. p6r6sis : 3, 5; Rom. 1 1 , 25; Ef. 4, 18. Anche p6ro6: 6, 52; 8, 17; Jo. 12, 40; Rom. 1 1 , 7; 2 Cor. 3, 14. sofia : 6, 2 ; 28 volte in Paolo. Come Marco parla di una sapienza « data », così in Gal. 2, 9 e l Cor. 3, 10 Paolo parla di grazia. frone6 : 8, 33; Mt. 16, 23 ; Atti 28, 22; 22 volte in Paolo; l Tim. 6, 17. Christou este (« siete di Cristo ») : 9, 41; cfr. Rom. 8, 9 ; l Cor. l , 12: « io sono di Cristo » . Nota pure il vocabolario paolino di Mc. 7, 21-23, special­ mente porneia ( 1 0 volte in Paolo) , pleonexia (6 volte) , aselgeia (4 volte) , afrosune (3 volte) . Da questo elenco sarebbe rischioso voler cavare molto di più dell'affermazione che Marco può essere vissuto in un ambiente paolino e forse aver conosciuto la lettera ai Ro­ mani e la prima ai Tessalonicesi. Non vi avvertiamo un in­ flusso profondo delle lettere di Paolo, soprattutto se tenia­ mo presente l'accento ben diverso sulla pistis in Paolo, e l'assenza dai suoi scritti di lutron e lutroumai (antilu­ tron, l Tim. 2, 6) ; inoltre, l'assenza in Marco di termini tipicamente paolini come: giustizia, giustificare, mettere alla prova, credente, salvezza, umiliare; e luce e tenebre usati in senso metaforico .

Idee Marco presenta affinità dottrinali con l'insegnamento di Paolo nell'ambito della cristologia, della soteriologia , del­ l'universalità della salvezza, dell'indurimento e della ripro­ vazione dei Giudei, della Legge. Nella cristologia la convergenza più rilevante consiste nel­ l'uso dei termini « Figlio di Dio >> e « il Figlio ». Quest'u­ so, a ogni modo, è caratteristico di tutta la cristianità primitiva. Più ancora, ci sono differenze importanti tra la cristologia del Figlio dell'uomo in Marco e la cristolo­ gia del Logos-Sapienza in Paolo. Paolo non descrive Gesù come il sovrumano Figlio dell'uomo, sebbene presenti dei punti di contatto con questa concezione nella sua dot-

104

Introduzione

trina del secondo Adamo e dell'Uomo celeste (l Cor. 15 , 47) ; dall'altra parte, Marco non rappresenta Gesù come

« l'immagine del Dio invisibile » e non mostra di conosce­ re le dottrine della preesistenza e della kenosis. Per quanto riguarda la soteriologia, le . affinità sono mag­ giori; ma Paolo usa analogie diverse da quella del « ri­ scatto » e non è influenzato allo stesso grado da idee sacrificali e dall'idea del Servo sofferente; mentre il suo accento sulla morte di Cristo « per i nostri peccati » e sulla manifestazione dell'amore di Dio stesso è meno evi­ dente in Marco. I racconti marciano e paolino dell'istitu­ zione eucaristica rappresentano probabilmente differenti traqizioni liturgiche primitive, e rimane oggetto di discus­ sione se sia anteriore Mc. 14, 24 (« Questo è il mio san­ gue dell'alleanza >>) oppure 1 Cor. 1 1 , 25 (« Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue » ) . Al tempo di Marco l'universalità della salvezza (cfr. 13, 10; 14, 9) era una convinzione cristiana diventata patrimo­ nio comune, presente già nelle lettere di Paolo ma non necessariamente derivata da lui. Il proton di Mc. 7, 27 ( « Lascia prima che si sfamino i figli ») richiama alla mente la formula di Paolo « del giudeo prima e poi del greco » (Rom. l , 1 6 ; 2, 9 s) ; ma non era un'idea di Paolo che il vangelo dovesse essere predicato ai pagani soltan­ to quando fosse esaurito il compito presso gli ebrei 22 • È possibile che sia stato in un ambiente paolino che Marco giunse a cogliere pienamente la cecità e durezza di cuore degli ebrei 23 e il fatto del loro rifiuto da parte di Dio, e che in questo argomento e nell'insegnamento sulle tra­ sgressioni della legge si debba vedere l'influsso di Rom . 9-1 1 . Ma è pure evidente che queste idee appartenevano alla tradizione primitiva, e sono ancor più vigorosamente espresse in Mt. 2 1 , 43 e Jo. 12, 37-4 1 ; mentre l'insegnamen­ to paolino di una restaurazione finale di Israele (Rom. 1 1 , 1 3-36) non ha trovato eco in Marco. Dunque, il debi to di Marco a Paolo è tutt'al più indiretto e parziale più che diretto e completo. Lo stesso va detto dell'atteggiamento di fronte alla Leg­ ge in Marco e nelle lettere di Paolo. Ambedue si radica-

22

Cfr. LAGRANGE, CLXI. pòròsis; 10, 5 : sklerokardia; cfr. 4, 11 s.

23 Cfr. 3, 5:

La teologia del vangelo

105

�o nell'insegnamento di Gesù stesso. In 2, 27 s la legge del sabato è reinterpretata in un senso più ampio e più umano, ma senza essere abrogata, e in 12, 29-3 1 vengono raccomandati i più alti comandamenti della Legge: l 'amo­ re di Dio e del prossimo. La dottrina sul divorzio (10, 2.12) trascende la prospettiva della Legge mettendo uo­ mo e donna sullo stesso piano; ma in questa materia non è necessario appellarsi all'influsso di Paolo. In genera­ le, possiamo dire che a essere ripudiata non è tanto la Legge ma piuttosto « l'insegnamento degli anziani », e che l'impulso a questo modo di vedere le cose viene da Gesù. Il massimo che abbiamo diritto a sostenere è che l'accento posto sulla libertà può forse rispecchiare un am­ biente paolina. Ci riferiamo soprattutto all'impressione la­ sciata dal commento marciano in 7, 1 9 : « dichiarava co­ sì mondi tutti gli alimenti », dall'elenco dei vizi in 7, 21-23 e dall'accenno al velum scissum in 15, 38. Qui Mar­ co scrive come scriverebb� un cristiano di mentalità pao­ lina, sottolineando e commentando insegnamenti congenia­ li al suo modo di vedere. Lo studio della dottrina non ci porta più in là degli spunti già offerti dal vocabolario. Parallela alla mancan­ za di termini paolini caratteristici è l'assenza in Marco delle grandi idee di giustificazione mediante la fede, di unione di fede con Cristo, di vita nello Spiri to. Una cer­ ta atmosfera paolina, una certa influenza, forse una cono­ scenza delle lettere : tutte queste sono ipotesi possibili; rozza e inconsistente è invece l'ipotesi di una rifusione del vangelo primitivo in termini di paolinismo. Meno an­ cora possiamo condividere l'idea di scoprire elementi par­ tigiani in Marco, vedendo un'allusione all'Apostolo nell'e­ pisodio dell'esorcista non-autorizzato (9, 38-40) , o nella di­ chiarazione che i posti alla destra e alla sinistra di Gesù sono per coloro per i quali sono stati preparati (10, 40) , nel duro rimprovero rivolto ai discepoli per la loro man­ canza di intelligenza (8, 1 7-2 1 ) , o nella scena del fanciullo posto in mezzo e accarezzato da Gesù. Per percepire allu­ sioni del genere bisogna proprio avere gli occhi di un Loisy. La conclusione di Werner � è che, dove Paolo e Marco convergono, la tradizione consta di idee cristiane primiti2 4 Op. cft., 209..

106

Introduzione

ve; che le idee più tipiche di Paolo mancano· in Marco o sono diversamente presentate, e che dunque l'ipotesi di un influsso della teologia paolina dev'essere abbandona­ ta. Queste dichiarazioni vengono fatte con molta forza; tuttavia un giudizio pienamente equilibrato deve prender atto dell'interrogativo di Bacon 25: « Possiamo immagina­ re un vangelo come quello di Marco che venga composto in una comunità del tutto all'oscuro dell'insegnamento di Paolo ? ». Bacon risponde con « un " no " deciso ». Ri­ spettiamo questo « no )); ma una negazione più sfumata rappresenta con maggior verità la posizione effettiva. Mar­ co scrisse con la penna di un cristiano di Roma, e tutta­ via non ha né rimaneggiata né oscurata la tradizione stori­ ca. Il suo Gesù è il Gesù della Galilea .

. 25

Op. cit., 271 .

capitolo decimo

il valore storico del vangelo

Fino a che punto il vangelo di Marco offre un resoconto attendibile dell'insegnamento di Gesù, della sua persona e opera, del corso del suo ministero ? Nel giudicare uno scrittore antico come Marco non sareb­ be giusto applicare alla sua opera criteri moderni di accu­ ratezza, ma altrettanto ingiusto sarebbe valutario in base ai criteri più liberi dei migliori storici greci 1 • Marco non ha cercato. di scrivere una storia e non è uno storico. Il suo scopo era più semplice. Egli intese narrare come eb­ be inizio la Buona Notizia riguardante Gesù Cristo, Fi­ glio di Dio. Avendo una buona conoscenza del messaggio evangelico del suo tempo, egli volle raccontare la storia del suo inizio in Galilea e in Giudea, soprattutto essendo stato in rapporto con Pietro e ricordando il suo insegna­ mento. I motivi che lo spinsero a scrivere devono essere stati quelli che influenzarono tutti gli scrittori sinottici: il ritardo della Parusia, la scomparsa dei testimoni ocula­ ri, il desiderio di conservare l'insegnamento orale delle comunità primitive. Anche altri motivi (apologetici, liturgi­ ci, catechetici) devono aver comandato la sua iniziativa. Se è giusto cercare dietro il suo vangelo complessi mino­ ri di materiale evangelico, di carattere sia tematico che

t Come TucicÙde, il quale mette in bocca a ogni locutore i s enti­ menti adatti all'occasione, quali l'interessato stesso li avrebbe espressi, pur cercando di offrire il senso generale di ciò che venne effettivamente detto.

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Introduzione

narrativo, dobbiamo pensare che Marco abbia desiderato combinarli e strutturarli il più possibile in un tutto, spe­ cialmente se già egli aveva steso a Roma una breve sto­ ria della Passione, sulla base di reminiscenze di Pietro. Il bisogno di una narrazione del genere dev'essere stato avvertito molto presto, se si voleva capire il destino tragi­ co di Gesù coronato dalla gloria della Risurrezione : que­ sta illazione viene confermata non solo dal racconto stes­ so della passione, ma ancora dall'esis tenza di raccolte ora­ li o scritte, come 2, 1-3, 6 e 1 1 , 1 5-17 + 27-33 + 12, 1 3-40, la prima delle qttali termina con un'allusione al complot­ to mortale ordito contro Gesù da farisei ed erodiani. Se queste raccolte primitive sono state fatte, da Marco o da un pred �cessore, quale intenzione poteva essere più natu­ rale che quella di introdurre la storia della Passione con un resoconto del ministero storico, a cominciare dalla predicazione di Giovanni e dal battesimo di Gesù ? :E. del tutto errato spiegare il vangelo di Marco come una semplice trascrizione dei ricordi di Pietro. Il vantag­ gio notevolissimo di poter disporre di questa testimonian­ za è una delle maggiori prerogative di Marco; ma il conte­ nuto del vangelo .mostra che Pietro non fu la sua unica fonte di informazione e che i ricordi petrini variano consi­ derevolmente, da narrazioni particolareggiate a un tipo di tradizione frammentaria. Oltre alle narrazioni petrine, l'evangelista si servì di forme di tradizione ecclesiastica, che includevano apoftegmi e detti. Il valore storico del vangelo dipende dalla natura di queste fonti di informa­ zioni e dall'uso fattone.

Motivi vislblli nel vangelo Istanze apologetiche Non si può dire che le istanze apologetiche abbiano pro­ fondamente segnato l'opera dell'evangelista. Egli sottoli­ nea certamente la realtà dell'umanità di Gesù, ma non ne riceviamo l'impressione che si opponga a tendenze do­ cetiche o risponda a obiezioni. Da questo punto di vista Marco differisce da Matteo e Giovanni. Un interesse apolo­ getico nel senso lato del termine va indubbiamente rileva­ to nell'affermazione che Gesù è il Messia e il Figlio di

Valore storico del vangelo

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Dio, che egli è il vincitore su Satana e tutti i suoi poteri, che soffrì, morl e fu sepolt o, e che risuscitò vittorioso sulla morte; ma l'interesse di Marco consiste piuttosto nel confermare la fede dei suoi lettori che non nel deside­ rio di confutare avversari e di stab il ir e la verità. Nel racconto della Passione si avv erte un interesse per l'Anti­ co Testamento, che determina il linguaggio e forse nel caso di alcuni degli scherni indirizzati al crocifisso - aggiunge alla storia dei particolari ; ma tale interesse non è profondo o creativo, e non vi è nulla che corrispon­ da al desiderio di Matteo di mostrare che certi eventi accaddero « perché si adempisse ciò che era detto dai profeti )), Le parole riportate da molti MSS e versioni in 15, 28 : « E si adempì la Scrittura che dice ... » sono chia­ ramente un'aggiunta successiva; e non è escluso che 14, 49 « si adempiano dunque le Scritture )) sia la parte di un detto di Gesù, oppure - dato che la frase non è nello stile di Marco - il commento di un amanuense. Altri tratti apologetici, come per es. la notazione sul velo del Tempio , sono piuttosto elementi dottrinali. Analoga­ ment e , l'in sistenza sulla necessità di predicare il vangelo « a tutte le genti » (13, 10) è parenetica e catechetica più che apologetica.

Interessi liturgici Si possono forse considerare tali le allusio ni al digitino (2, 20) , all'unzione (6, 13) e alla preghiera (9, 29; 1 1 , 24 s) , cioè in argomenti di pratica religiosa. Un interesse alla liturgia della chiesa si esprime più chia ramente . nel­ l'attenzione prestata all'istitu z ione eucaristica (14, 22-25) e nella sua associazione alla Pasqua (14, 16-20) . La narra­ zione dell'Ultima Cena è liturgica nel s.enso che tutto l'in­ teresse è centrato sulle parole dèll'istituzione proferite da Gesù. � un racconto quale poteva appunto circolare nella prassi di una chiesa primitiva; mancano quei parti­ colari e quell'interesse a tratti secondari, che sarebbero invece comparsi in una narrazione petrina. Tutto è con­ centrato in ciò che Gesù fa e dice. Lo stesso interesse si manifesta negli episodi della moltiplicazione dei pani, spe­ . cialmente in 6, 4 1 e 8, 6 s, e forse anche in altri episodi che hanno a che fare col pane, come per esempio 7, 25-30 e 8, 14-2 1 .

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Introduzione

Sia la selezione che l'uso della tradizione sono quelli di una persona che ha in altissima stima il rito centrale della liturgia primitiva. L'aspetto storico di questo interes­ se liturgico sarà senza dubbio valutato in modi diversi. Coloro che vedono l'insegnamento semplice di Gesù tra­ sformato in un culto lo considereranno un segno dell'o­ scurarsi della tradizione primitiva; coloro invece che fan­ no risalire a Gesù stesso il simbolismo profetico presen­ te nel racconto avvertiranno che gli interessi liturgici han­ no influito in senso conservativo, custodendo la tradizio­ ne primitiva. Quest'ultima ipotesi ha una base solida nel carattere palestinese .della tradizione, nelle sue idee giu­ daiche e nelle formule aramaicizzanti, che fanno pensare che essa sia stata portata a Roma e che non si sia forma­ ta qui.

Motivi catechetici Molte indicazioni suggeriscono che Marco rifletta la cate­ chesi della chiesa per la quale il suo vangelo è stato scritto. I complessi tematici (2, l - 3, 6; 4, 1 - 34; 7, 1-23) , i principi tematici e mnemonici in base ai quali i detti sembrano essere stati compilati (soprattutto in 4, 2 1-25 ; 8, 34 - 9, l ; 9, 37-50; 1 1 , 23-25) , la successione di temi affini in 1 0, 1-3 1 , l'uso che pare sia stato fatto di 8, 1-26, e gli interessi presenti nel discorso apocalittico, aprono uno spiraglio sulla vita e sull'insegnamento di una comu­ nità cristiana già istituita prima della formazione de l van­ gelo. Anche questo fattore influisce sulla valutazione storica, e in modi diversi. Da una parte, gli insegnanti possono colo­ rire la tradizione esprimendola in un nuovo linguaggio e in un più recente vocabolario; dall'altra, essendo in que­ stione interessi cristiani vitali, essi cercano di offrire ai catecumeni la genuina tradizione. Ambedue le tendenze possono essere trovate in Marco, la prima in 4, 1 3-30; 7, 1 9b.21-3 ; 13 , 10.12 s; · la seconda nella attendibilità genera­ le della tradizione dei detti. Interessi catechetici compaio­ no pure nelle frequenti proposizioni esplicative introdot· te da gar ( « infatti ») , nella traduzione di termini aramai­ ci e nella spiegazione di termini ebraici (7, 1 1 ; 12, 42; 15, -42) e di usanze giudaiche (7, 3 s) . Insomma, la tenden­ za di questi interessi è di illustrare la tradizione, non di oscurare il suo significato originario.

Valore storico del vangelo

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Motivi dottrinali La nostra discussione sulla teologia d i Marco e le sue assonanze paoline conferma con vigore il valore storico del vangelo. Le convinzioni cristologiche e soteriologiche primitive vi sono fondate nella tradizione, e - malgrado ogni affermazione in contrario - ·riflettono il pensiero di Gesù. Questo è particolarmente evidente quando si pren­ dono in considerazione nomi e titoli di Gesù, poiché nel registrare la storia di Gesù è facile esprimere il punto di vista di un'epoca successiva. Contrariamente a quanto af­ ferma Wrede, il trattamento dell'idea del segreto messia­ nico da parte di Marco, lungi dall'essere una costruzione dottrinale, conserva come nessun altro vangelo un elemen­ to originale del pensiero di Gesù; e lo stesso va detto dell'accento posto dall'evangelista sull'idea di sofferenza messianica. � senza dubbi9 vero che il vangelo di Marco rispecchia le idee del kerygma cristiano primitivo 2; ma lo fa perché la predicazione più antica si atteneva a quan­ to Gesù aveva fatto e pensato. Tuttavia, Marco scrive una generazione dopo il ministero storico, e sarebbe davvero strano .che il suo vangelo non portasse i segni del suo tempo. L'interesse contempor�neo si manifesta in tre punti. Pri­ mo, nella confessione che Gesù è il Figlio di Dio, attribui­ ta ai demoni e al centurione pagano sotto la croce. Che Gesù fosse consapevole di una relazione filiale unica con Dio traspare dalla storia del battesimo, dalla sua concezio­ ne della messianità, e da alcuni suoi detti (13, 32; Le. 1 0, 2 1 s; ecc.) . Abbiamo bisogno, comunque, di testimonianze molto più valide di quelle che possediamo sul fatto che « Figlio di Dio » fosse un titolo messianico generalmente riconosciuto, per rifiutare l'ipotesi che 3, 1 1 sia una ver­ sione cristianizzata delle grida degli indemoniati. Lo stes­ so va detto della confessione del centurione. In queste confessioni Marco leggeva molto di più di quanto vi fos­ se effettivamente detto, perché guardava questi episodi con occhi cristiani. Dobbiamo dunque interpretare allo stesso modo il suo racconto della voce divina alla Trasfigurazione. Qui pren2 Cfr. Donn, The Apostolic Preaching, 38-43; BuLTMANN, 373, 398 s; 5CHNIEWIND, ThR ( 1930), 142, 158 s, 179-188.

1 12

Introduzione

de forma in linguaggio diretto la convinzione maturata dai tre discepoli intimi. In secondo luogo, un interesse contemporaneo appare an­ che nell'accenno al velo squarciato, in 15, 38. La convinzio­ ne irresistibile che tra Dio e l'uomo si è aperta una nuo­ va strada si riveste qui di uno sviluppo leggendario della tradizione, che Matteo porta molto più avanti. Una spiega­ zione analoga viene data dei miracoli di natura in Marco da parte di coloro che credono che la base di questa narrazione vada cercata in avvenimenti non miracolosi. Un terzo interesse contemporaneo appare nella dilatazio­ ne apocalittica della tradizione dei detti in Marco. Il di­ scorso apocalittico in Mc. 1 3 è l'esempio più chiaro di questa tendenza; ma essa affiora anche in 8, 38 se con­ frontiamo questo passo con il suo parallelo in Q, Le. 1 2 , 8 s = Mt. 1 0, 32 s. Come abbiamo già mostrato, l'« escato­ logia realizzata >> è implicita nelle parabole marciane e nella messianità di Gesù, ma non è presente in Marco con la chiarezza con cui compare in Q, perché l'accento principale di Marco è posto sulla « escatologia non realiz­ zata » della speranza della cristianità primitiva nella Paru­ sia. La soluzione finale è in avanti, quando il Figlio del­ l'uomo verrà sulle nubi del cielo. In questa rappresenta­ zione Marco è fedele all'insegnamento di Gesù, ma lo leg­ ge attraverso il velo dell'apocalittica. I l tempo della Paru­ sia, sebbene vicino, è ignoto ( 1 3 , 32) , ma il Giorno sarà preceduto da segni visibili, guerra, terremoto, carestia, persecuzione, e da segni celesti, e il Figlio dell'uomo rac­ coglierà i suoi eletti dai quattro venti. Tutto ciò è così diverso da Le. 17, 22 ss., che abbiamo motivo di sospettare che la tradizione originale sia stata trasposta in un'altra chiave .3 In che misura i vari interessi appena esaminati incidano sul valore storico di Marco è suscettibile di diversi ap­ prezzamenti. Io sono del parere che essi non lo intacchi­ no in misura degna di rilievo, se l'esegesi riesce a tener­ ne conto adeguatamente.

L'oggettività del vangelo Se i dettagli pieni di vita presenti in Marco sono origina3 Vedi T. W. MANSON, The Teaching of Jesus, 262.

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li. essi rivestono la più grande importanza nello stabilire il suo valore storico. In se stessi i tratti vivaci non sono un criterio sicuro, perché possono anche scaturire da un'immaginazione fervida; ma offrono elementi su cui si può fondare un giudizio, specialmente se si considera il loro carattere e la loro distribuzione. Tra gli elementi più importanti peculiari a Marco possiamo notare i se­ guenti nei capp . 1-6. l, 7 10

l,

l, 12 l, 13 l, 20 l , 23

l,

29 l, 33 l, 35

l, 1, l, 1,

36 41 43 45

2,

ls

2, 3 2, 4 2, 2, 2, 2, 2,

8 13 14 16 18

2, 2, 3, 3, 3,

23 26 4 6 7s

3, 9 3, 10 s

« chinarsi >> . « squarciarsi , detto dei cieli (Matteo e Luca hanno: « a­ prirsi »). « lo spinse • (sogetto: lo Spirito) . Matteo e Luca: « lo condusse ». « stava con le fiere ». « con i servi sal ariati », « uno spirito immondo ». « e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni ». « tutta la città era riunita davanti alla porta ». « di primo mattino, quand'era ancora buio ... e là prega­ va ». « e Simone, insieme a quelli che erano con lui . ». « mosso a compassione » (variante: « adiratosi » ). « immediatamente lo spinse via ». « al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamen­ te in città ». L'accenno a Cafarnao « dopo alcuni giorni », e la notizia che egli era « in casa », con la spiegazione che non c'era più posto neppure davanti alla porta, mentre « egli annun­ ziava loro la Buona Notizia ». « portato da quattro persone ». « Non potendo però portarglielo innanzi », essi « scoper­ chiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava » e « calaro­ no il lettuccio ». « nel suo spirito ». Riferimenti alla riva del lago, alla folla e all'insegnamento. « Levi, il figlio di Alfeo ». « gli scribi della setta dei farisei ». L'indicazione che i discepoli di Giovanni e « i discepoli dei farisei » digiunavano. « camminando ». « sotto il sommo sacerdote Abiatar ». « Ma essi tacevano ». « con gli erodiani ». « verso il mare », « dalla Galilea e dall'Idumea e dalla Transgiordania », « sentendo tutto ciò che faceva », La piccola barca a disposizione di Gesù a causa del­ .

la folla.

.

Il riferimento alla gente che aveva qualche malattia, che si gettava addosso a Gesù, e a quelli posseduti da spiriti immondi, che gli si gettavano ai piedi gridando: « Tu sei il F�glio di Dio ».

Introduzione

1 14 3, 13 3, 14 3, 17 3, 30 3, 31

3, 34 4, l

4, 10 4, 33 s 4, 35 4, 36 4, 4, 4, 4, 4, 5,

37 38 39 40 41 l

5, 2 5, 3-5

5, 5, 5, 5, 5, 5,

6 7 10 11 13 15

5, 16 5, 18 s, 19 5, 20 5, 21 5, 23 5, 26

5, 27 5, 29 5, 30

« quelli che egli volle ... « che stessero con lui ,. e predicassero e scacciassero· demoni . « Boanerghes, cioè figli d el tuono " · « poiché dicevano : è posseduto da uno spirito immondo ». ·

« lo mandarono a chiamare ». « girando lo sguardo su quelli che gli s tavano seduti

attorno ».

« Di nuovo si mise a insegnare ,., « stando in mare », « era a terra lungo la riva ». « quando poi fu solo », « i discepoli i nsieme ai Dodici ». « secondo quello che potevano intendere », « ma in privato,

ai propri discepoli, spiegava ogni cosa ». « in quel medesimo giorno, verso sera ». « e lasciano la folla e lo prendono con sé, cosl com'era » , « c'erano anche altre barche con lui ». « gettava le onde nella barca ... ormai piena "· « a poppa » , « sul cuscino », « non t'importa ... ? •· « T aci , calmati! ». « Non avete ancora fede? ». « furono presi da grande timore ». c del l ago "• « Geraseni » (Marco e Luca; Matteo ha « Ga­ dareni ») . « dalla barca », « uno spirito immondo ''· Il passo dà una descrizione vivace dell indemoniato che non può più esser tenuto legato neanche con catene, che spezza le sue catene e i suoi ceppi, che non può essere domato. « Continuamente, notte e giorno , tra i sepolcri e sui monti, gridava e si sfregiava con pietre ». « da lontaao », « accorse », « gli si gettò ai piedi » . « ti scongiuro, in nome di Di o >>. « fuori da quella regione » (Luca: « negli abi ssi » ) . « un numeroso branco ». « gli spiriti immondi », « erano circa duemila ». « l'indemoniato », « lui che era stato posseduto· dalla Le­ gione ». « i l fatto dei porci ». « colui che era stato indemoniato ». c non glielo permise », « dai tuoi », « il Signore "• « e la miser icord ia che ti ha usato ». « Decapoli », « e tutti ne erano meravigliati ». Il riferimento al nuovo passaggio « all'altra riva » , il radu­ no « di molta folla », e il fat to che « egli stava lungo il mare ». « agli estremi » (M�tteo: « è morta proprio ora ») . Descrizione della donna che aveva molto sofferto per ope­ ra d ei medici, che non aveva avuto nessun giovamento, anzi stava peggio. Cfr. Luca: « e che nessuno era riusci to a guarire ». « udito parlare di Gesù ». « e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male ». L'affermazione che Gesù era consapevole della potenza che promanava da lui. '

Valore storico del vangelo

s. 31 s. 32 s. 33 s. 35

5, s. 5, s. 5, 5,

36 37 39 40 41 42

s. 43

6, 1 6, 3 6, 4 6, 5 s 6, 7 6, 8 s

6, 1 2 s

6, 6, 6, 6,

14 17 19 20

n.

21

6 . 22 s 6, 24 s 6, 26

6, 27 29 6, 30 6,

Cl,

31

6, 33 6, 34 (1, 35 6,

37

6, 38

La protesta dei discepoli che ripetono la domanda: « Chi mi ha toccat o ? », « E si guardava intorno per vedere colei che l'aveva toéca­ to (Matteo: « E vedendola » ). « impaurita », c sap en do ciò che le er a accaduto », c tut­ ta la verità •. « vennero •,

« ancora »,

« udito quanto di ce\' an o « fratello di Giacomo "· «



perché fate tanto strepito? ».

« dove era la bambina ». « T al ità , kumi; che significa: fanciulla, io ti dico, alzati! ». « da grande stupore ». « che nessuno venisse a saperlo " · L'incarico di po rtare da mangiare alla bambina (cosi anche Luca) . « e i discep oli lo se gu i rono » . « qui ». « tra i suoi parenti » . L'affermazione che egli non poté operare nessun prodi­ gio, ma impose solo le mani a pochi ammalati, e che si meravigliava

della loro incredulità.

« a due a due » ( cfr. Le. 10, 1 ) . I l permesso d i portare i l bas tone e i sandali. Accenno alle conversazioni, agli esorc ismi e alle unzioni. « il nome di Gesù era infatti diventato famoso », « che egli aveva sposata ». « Erodiade gli port ava rancore » . « sapendolo giusto e santo, e lo proteggeva », « nell'ascol­ tarlo '' • « lo asc ol tava volentieri ». « per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notab il i della Galilea >>. « chiedimi quello che vuoi, e io te lo d a rò », « fosse anche la metà del m io regno ». Colloquio con la madre e veloce ritorno della ragazza. « triste », « non volle mancarle di parola ». « una guardia », « gl i fosse portata la testa ». « e lo p o sero in un sep olcro ». « (Gli Apostoli) si riunirono attorno a Gesù », « tutto », « quello che avevano fatto e insegnato ». « Ed egli disse loro: venite da voi s tes si in di sp arte , in luogo solitario, e riposatevi un po'. Era infatti molta la folla che andava e veniva , e non avevano più neanche il tempo di mangiare », L'affermazione che la folla li precedeva . « come pecore senza pastore » (cfr. Mt. 9, 36) , « e si mise a insegnare loro con calore » . « Era già molto tardi ». « gli dissero », domanda ironica: « dobbiamo andare noi a comprare duecento denari di pane e dar loro da mangia­ re? ».

La domanda: . « Quanti pani avete? », il comando di anda­ . re a vedere , e quanto segUe. «. a gruppi » (c fr . Luca), « l'erba verde », « a gruppetti », « di cento » (cfr. Luca) . .

6. 39 s

115

116 6, 41 6, 45 6, 46

6, 47 6, 48 6, 49 s 6, 51 6, 52 6, 53 6, 54 6, 55 6, 56

Introduzione « e d ivise i due pesci fra tutti •· « verso B ets ai da » (cfr. Le. 9, 10).

L'accenno al congedo della folla. « a terra », « vedendoli tutti affaticati nel remare •, « voleva oltrepas · sarli » . « pensavano », « perché tutti lo ave vano visto ,., « erano enormemente s tup i ti in se s tess i ». « perché non avevano capito il fat to dei pani, essendo il loro cuore accecato ». « approdarono ». « appena scesi dalla b arca , la gente lo riconobbe ,._ I malati portati sui lettucci « dovunque udivano che si trovasse ». « e dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze », « di potere almeno toccargli la frangia del mantello ».

Sarebbe utile continuare questa esemplificazione nei capp. 7-16; ma gli esempi dati bastano a mostrare la rilevanza della ricchezza marciana di dettagli. Alcuni di questi passi sono forse il risultato di illazione e di immaginazione. I seguenti sono probabilmente reda­ zionali : l , 45 ; 2, 13; 3, 7 s; 4, 10.33 s; 6, 12 s.34. I passi interpretativi comprendono: l, 2 3 (« uno spirito immon­ do » ) , 2, 8 (« nel suo spirito ») , 3, 17 ( « Boanerghès ») , 3, 30 (« poiché dicevano : è posseduto da uno spirito immon­ do ») , 5 , 37 (« il fratello di Giacomo »), 6, 14.17.19.20.3 lb.52. Più difficile è stabilire che cosa va attribuito all'attività fantastica. Sembra comunque probabile che alcuni parti­ colari siano visualizzati e descritti con l'aiuto della fanta­ sia: l, 7 (« chinarsi ») , lo squarciarsi dei cieli in l , 10, la spinta dello Spirito in l , 12, l'immagine di Gesù tra le fiere in l , 13, il quadro della città intera davanti alla porta ( 1 , 33) , la scena della gente con malattie e spiriti immondi, che si getta ai piedi di Gesù e grida : >, e ci si limita a indicare lo scopo della scelta dei Dodici e a dare una lista di nomi ? Perché non ci sono tocchi fanta­ siosi quando si parla delle paure della famiglia di Gesù (3, 2 1 ) , dello scopo delle parabole (4, 1 0-1 2) , della missio­ ne (6, 6b-13), della discesa dal monte (9, 9-13) e del rim­ provero dei Dieci ( 1 0, 4 1 -45) ? Come mai Marco non ha colto l'occasione di abbellire scene drammatiche come il complotto dei sacerdoti ( 14, l s) e la congiura di Giuda ( 1 4, 10 s) ; e perché le narrazioni sulla vera grandezza (9, 33-37) e sul mistero dei pani (8, 1 4-2 1 ) sono costruite così malamente? La spiegazione può soltanto essere che per queste narrazioni Marco dipendeva da una tradizio­ ne frammentaria, e non ha cercato di darle colore; Mar­ co non è uno scrittore creativo come un Luca o un Gio­ vanni. Ma se è così, i suoi limiti testimoniano la sua fedeltà alla tradizione. Nelle storie riguardanti Gesù e nel­ le storie di miracoli la ricchezza di dettagli che troviamo in Marco gli era offerta, non l'ha creata lui stesso. La sua oggettività è un segno dell'alto valore storico del vangelo. ...

4

Vedi sopra, pp. 50 ss.

118

Introduzione

La dlmenslone miracolosa nel vangelo In che misura il valore storico di Marco è intaccato dal­ la presenza di elementi leggendari, particolarmente nei miracoli di natura? Questo interrogativo solleva il proble­ ma ulteriore se nel vangelo siano presenti elementi leg­ gendari, e se sia valida la distinzione tra i miracoli di guarigione e i cosiddetti miracoli di natura. g difficile dubitare che vi sia una profonda differenza tra i miracoli di guarigione e i paralleli avanzati sulla base della psicoterapia moderna. Gesù usa metodi analoghi a quelli degli psicologi, ma nelle sue opere di guarigione egli esercita una dynamis sovrumana che appartiene alla sua pers ona e per la quale la psichiatria moderna non offre alcun parallelo adeguato. Molti lettori di Marco pen­ sano che la stessa spiegazione valga per i miracoli di natura. In breve, quando Gesù placa la tempesta, moltipli­ ca i pani, cammina sull'acqua e annienta l'albero del fico, egli libera una potenza divina che risiede in lui nel­ le circostanze della sua missione terrena. A questa pro­ spettiva non si possono opporre valide obiezioni filosofi­ che. L'idea della natura come sistema chiuso, obbediente a leggi fisse e immutabili, non è più sostenibile alla luce delle concezioni moderne della materia e dell'energia ato­ mica. Le cosiddette « leggi » riassumono quanto si può osservare nel mondo della natura sotto le nonnali condi­ zioni della vita quotidiana; ma esse non escludono l'emer­ genza di fenomeni insoliti, purché sia garantita la presen­ za di una causa sufficiente, che - senza alcuna controindi­ cazione conosciuta - può essere spirituale. Molti teologi, le cui idee sono degne di rispetto, ratifica­ no tutti i miracoli del vangelo per i motivi sopra accenna­ ti, e perché Gesù è l'incarnazione della potenza e dell'a­ more divini 5• In realtà, questi argomenti sono soltanto preliminari al problema; es s i liquidano l'obieziorte che i miracoli siano impossibili per motivi scientifici e filosofi­ ci; ma lasciano aperta la questione storica, se i miracoli di natura siano veramente accaduti, e la questione teologi­ ca, se essi siano davvero coerenti con una dottrina auten­ tica dell'Incarnazione. I miracoli di natura differiscono

s Cfr.

A. RICHARDSON, The Miracle Stories of the Gospels.

Va,lore

storico del vangelo

119

dai miracoli di guarigione in quanto non vengono esegui­ ti su persone vive; e, per ragioni che diremo avanti, appa­ re probabile - per motivi sia storici che dottrinali che un'interpretazione miracolosa sia stata sovrapposta al­ la tradizione originale. Il caso della risurrezione della figlia di Giairo occupa una posizione di confine; una deci­ sione a questo riguardo non può essere presa che in ba­ se . a ragioni di ordine storico e all'impressione che la narrazione fa su di noi. Anzitutto, è difficile non riconoscere un elemento leggen­ dario nelle storie di miracoli dove non entra in gioco l'azione di Gesù, come il battesimo, la Trasfigurazione e la visita al sepolcro. Nella critica moderna è ampiamen­ te accettato che il battesimo fu un evento altamente signi­ ficativo per la coscienza di Gesù, e che non .ci furono cieli squarciati né da altri fu udita alcuna voce. Si può comunque dubitare se sia questo che Marco intende; cer­ ' tamente nella tradizione sqccessiva vengono descritti feno­ meni visivi e uditivi 6• Un elemento analogo è presente nella Trasfigurazione, per quanto riguarda Mosè ed Elia, la voce dalla nube, e l'uso di « metamorfosi » ( « trasfigu­ rarsi ») . Nella narrazione della visita al sepolcro, a pre­ scindere completamente dal problema del sepolcro vuo­ to, ci sono particolari immaginosi nell'indicazione che le donne vennero a ungere Gesù, nella domanda: « Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro ? », nel messaggio dell'angelo, e nella spiegazione che esse non dissero niente a nessuno perché erano spaventate 7• Se si riconosce questo sviluppo leggendario, non si può esclude­ re a priori la possib ilità della sua presenza nei racconti dci miracoli di natura. In secondo luogo, elementi presenti in queste narrazioni sono suscettibili di un'interpretazione non miracolosa. Po­ chi commentatori riconoscono carattere storico all'episo­ dio della maledizione del fico. C'è un'ampia convergenza nell'affermare che la base di questa storia è una parabo­ la orale o una leggenda cresciuta attorno a un albero essiccato, accanto al quale si diceva che Gesù fosse passa­ to, sulla strada da Betania a Gerusalemme. Per quanto

6 Cfr. Le 3, 21s; lo. 1, 32. 7 Questi punti vengono discussi

dettagliatamente nel Commento.

120

Introduzione

riguarda la tempesta sedata, il cammino sulle acque e la moltiplicazione dei pani, la distinzione tra quanto è real­ mente accaduto e l'interpretazione aggiunta ai fatti dall'e­ vangelista o dagli stessi testimoni oculari è un compito importante. Gesù può essersi rivolto ai venti senza pensa­ re di placarli (cfr. 1 1 , 14.23) , e l'esclamazione: « Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono » può essere un commento spontaneo ma fuorviante. Nel racconto sul pasto nel deserto, soltanto il numero e l'indi­ cazione che tutti mangiarono e furono sazi suggerisce l'i­ dea del miracolo, mentre 6, 4 1 allude al banchetto eucari­ stico; e nell'episodio della traversata del lago i discepoli pensano d'aver visto un fantasma. Tratti analoghi sono presenti nella storia della figlia di Giairo : Gesù non pren­ de atto della notizia della morte; il detto : « la fanciulla non è morta ma dorme » è ambiguo, e t< aneste » (« si alzò» ) può anche significare semplicemente che essa si alzò da un sonno in forma di trance a. In terzo luogo, è difficile render conto in modo soddisfa­ cente dello scopo di questi fatti. - Nei racconti non ci sono elementi che suggeriscano che i miracoli siano stati compiuti per dimostrare la messianità di Gesù o per con­ vincere la gente delle sue pretese soprannaturali. Se le cose sono andate come vien riferito, devono essere stati atti eccezionali di compassione. È facile scorgere la com­ passione nella risurrezione della fanciulla; ma non c'era­ no molti genitori che avevano perso i figli in Galilea, e Gesù era abituato a risuscitare morti ? Tempeste sul lago erano frequenti, e nel pericolo dei discepoli Gesù poteva certamente confidare nella sollecitudine provvidenziale del Padre, tanto più che egli sapeva che la sua ora non era ancora venuta. Ma quali speciali circostanze esigevano il controllo dei venti e il potere di camminare sulle onde ? E i cinquemila si trovavano a un tale eccesso di fame da rendere necessario un atto creativo ? Si può certo ri­ spondere a questi interrogativi; ma . tutte le risposte cono­ sciute respirano un'aria di strano. Infine, la cristologia dei miracoli di natura è diversa da quella implicita nella tradizione marciana presa nel suo

Per i singoli problemi toccati in questa sintesi, vedi il Commen­ to ai rispettivi passi.

a

Valore storico del vangelo

in sieme. La cristologia di Marco è quella di

121 un

Deus

absconditus, che accetta pienamente i limiti di un'esisten­

umana e rimane nascosto eccetto che agli octchi della fede; la cristologia dei miracoli di natura è quella del Deus revelatus, il Dio che getta via ogni travestimento e non è vincolato dalle condizioni dell'esistenza umana. In Marco appaiono ambedue le rappresentazioni; ed è per questo che Dibelius 9 può parlare paradossalmente del vangelo come di « un libn..� di epifanie segrete »; ma sia­ mo piuttosto esitanti nell'accettare come storica questa concezione, sia perché le « epifanie » risultano poi leggen­ de, e più ancora perché ci possiamo ritrovare sulla stra­ da di una visione docetista della persona di Cristo. Dal punto di vista religioso e teologico, una dottrina dell'In­ carnazione che prenda sul serio l'espressione di Paolo « trovato nella condizione umana » è di maggior valore di una che insinui l'idea greca del semi-dio, e i rapidi guadagni di questa teologia sono un piccolo compenso per la perdita del miracolo continuo che vede la divinità • nascosta nella carne » e trova la sua vera gloria espres­ sa in queste righe : « Ha accantonato la sua gloria, l'ha avvolta nella nostra argilla; inoss ervata dallo sguardo umano sta nascosta la divinità ». Questo argomento teologico riceverà indubbiamente valu­ tazioni diverse; ma una considerazione compJessiva pie­ ga fortemente in favore della conclusione che le convin­ zioni e i presupposti del primo secolo hanno lasciato la loro impronta sui miracoli registrati nel vangelo, e soprat­ tutto sui miracoli di natura. Se questa nostra proposta viene accettata, sorge il proble­ ma di chiarire come essa possa non compromettere l'al­ to apprezzamento che noi abbiamo formulato a riguardo della tradizione di Marco. La risposta, a mio avviso, è questa : l'apprezzamento non ne viene sensibilmente dimi­ nuito, poiché esso si regge su basi sue proprie, a meno che noi pretendiamo di possedere l'infallibilità e travisia­ mo la verità de Ì la tradizione di Papia. La luce continua a brillare anche quando si ammette la rifrazione. Ciò che sorprende nel vangelo di Marco non è che esso contenga

za

9

Op. cit., 94 s; 229 s.

122

Introduzione

elementi leggendari , ma piuttosto la scarsa consistenza di questi elementi; il che può essere spiegato soltanto con la sobrietà dell'evangelista · e l'uso che egli ha potuto fare di una tradizione primitiva e valida. La miglior difesa dei miracoli di natura, come pure ·dei miracoli in generale, è l'opera di Alan Richardson : The Miracle Stories of the Gospels ( 1 941) . Richardson assu­ me la prospettiva che « le storie di miracoli sono una parte del vangelo stesso » (p. 126) , che Cristo è « la mani­ festazione della potenza di Dio nel mondo » e che « le sue azioni sono il segno dell'attività effettiva di questa potenza » . Egli afferma che, se accettiamo il vangelo pro­ clamato dagli evangelisti, « accettiamo la storia che essi raccontano »; se invece la rifiutiamo, « inevitabilmente ri­ fiuteremo l'idea che Gesù abbia compiuto dei miracoli » oppure cercheremo di spiegarli in forma riduttiva. Questo argomento semplifica in modo indebito il proble­ ma; non tien conto di una eventuale differenza tra i fatti originali e la forma in cui gli evangelisti li riportano; per giustificare posizioni del genere bisognerebbe ricorre­ re a qualcosa come la teoria dell'ispirazione verbale. Ri­ chardson è consapevole del pericolo di semplificare le co­ se; più avanti egli osserva che il problema della storicità di ogni miracolo riportato rimane aperto alla discussione cri­ tica e storiografica. Alla fine egli ammette che « ogni lettore del vangelo deve, sulla base dei suoi studi e delle sue prospettive personali, formarsi un suo giudizio sulla probabilità storica di ognuno degli episodi particolari », e che « egli non vorrà imporre ad altri le proprie conclu­ sioni » (p. 1 30) . Ciò è giusto e detto con pertinenza; ma, se ciò è vero, allora l'istanza teologica di base secondo cui « le storie di miracoli formano una parte essenziale e inseparabile della tradizione del vangelo >> (p. l) è su­ scettibile di rettifica, e dovrebbe essere sostituita dal prin­ cipio più modesto : « Alcune storie di miracoli, ma non necessariamente tutte, sono parte del vangelo stesso ». Vedi anche l'argomentazione vigorosa e convincente di D. S. Cairns in The Faith that Rebels ( 1 928) .

Il quadro marciano L'ultimo problema che va affrontato è di sapere in che misura il quadro di Marco offre un ragguaglio attendibi-

Valore storico del vangelo

123

le del corso del ministero di Gesù. La posizione - ampia­ mente diffusa - di molti studiosi continentali si associa a quella di K. L. Schmidt, il quale in Der Rahmen der Geschichte Jesu ha mostrato che il quadro è irricuperabil­ mente spezzato, con eccezione di episodi frammentari in alcuni dei complessi minori e nella narrazione della Pas­ sione 10• Dobbiamo ora stringere più da vicino questo . pro­ blema. Cominciamo col richiamare gli elementi fondamentali del­ la struttura. Il vangelo di Marco viene giustamente de­ scritto come un racconto della Passione preceduto da un'introduzione. Se ci atteniamo a questa visione e non pretendiamo di fare ricostruzioni storiche più ambiziose, possiamo ovviare a molte obiezioni. Si deve pure riconosce­ re che molto del materiale dì Marco era già stato sistema­ to - a scopi diversi - in gruppi, e in alcuni probabil­ mente da lui stesso. Egli non scrive con una libertà lette­ raria completa; copia altri e se stesso. L'evangelista comincia da dove cominciava la cristianità primitiva, con la predicazione di Giovanni, con il battesimo, con la tentazione. Egli non parla di un ministero prelimi­ nare in Giudea. Se noi accettiamo la testimonianza del quarto vangelo (come abbiamo buone ragioni di fare) allo­ ra c'è un vuoto nel quadro del vangelo all'inizio. Tutta­ via, Marco fissa con pro.prietà !'_arresto del Battista com� il momento decisivo per l'inaugurazione del ministero in Galilea, l'imminenza del Regno come suo messaggio carat­ teristico e la chiamata dei discepoli come sua prima tap­ pa. Appare subito chiaramente che egli non offre una cro­ naca quotidiana del progredire della missione, ma dimo­ stra un buon giudizio storico nell'usare un racconto d'in­ sieme suggestivo di una giornata tipica della vita di Ge­ sù (1 , 21-39) , seguito dall'episodio della guarigione di un lebbroso. Prima dell'accenno a Cafarnao in 2, l c'è di nuovo un vuoto nella frase « dopo alcuni giorni » , e vie­ ne poi utilizzato un gruppo pre-marciano di storie di con­ flitto sistemato tematicamente (2, 1 - 3, 6) , che provoca l'allusione al complotto omicida dei farisei e degli erodia­ ni, prematura nello svolgimento dell'insieme. La descrizio­ ne in 3, 7-12 della folla, delle guarigioni, dell'ansia del malato di toccare Gesù, e dell'imposizione del silenzio 10 Vedi so)>ra, pp. 17 s.

124

Introduzione

agli indemoniati offre una pittura vivace delle scene entu­ siastiche e tumultuose che accompagnavano la missione ; ma si tratta di una relazione sommaria. Il racconto dell'i­ stituzione dei Dodici è senza data, e la notizia delle accu­ se di collusione con Satana e dei timori della famiglia di Gesù è presa da un complesso già esistente. Nella prima parte della storia degli avvenimenti non c'è chiaramente alcuna sequenza ordinata, eccetto l, 21-39 e forse 3 , 1 9b-35. Ma se consideriamo la storia in un senso più ampio, dobbiamo riconoscere che Marco ci offre i punti principali, cioè l'annuncio del Regno, la scelta e l'istituzione dei Dodici, il ministero delle guarigioni, i con­ flitti con i farisei, le accuse avanzate contro Gesù. In 4, 1-34 viene alla ribalta l'insegnamento sulla riva del lago ; ma, dopo il passo narrativo di l s, i detti che compaiono vengono sempre sistemati redazionalmente. È notevole co­ me vengano messe in rilievo le giornate particolari. Que­ ste sembrano essere ricordate non solo per l'insegnamel'l­ to ma ancora per la traversata sul lago e il ritorno, e per una serie di avvenimenti forse ravvicinati ma riferiti in ordine cronologico (4, 34 - 5, 43) . All'inizio del cap. 6 c'è mancanza di precisione; ma Marco intende riferire che, dopo la missione dei Dodici, che segue il rifiuto a Nazaret, Gesù si ritira prima con i discepoli (6, 30-34) e in seguito da solo (7, 24) in un luogo appartato. Ricevia­ mo questa impressione non tanto da ciò che è detto in questo contesto particolare 1 1 , quanto dal corso globale della storia, specialmente se 6, 30-56 + 7, 24-37 e 8, 1-26 coprono lo stesso periodo, poiché in questo caso l'episo­ dio vicino a Cesarea di Filippo avviene subito dopo il ritiro a Tiro e Sidone e il ritorno a Betsaida 1 2• Malgrado quanto è stato detto in contrario 13, la confessione di Pie­ tro è uno spartiacque nel vangelo di Marco. Con questo episodio inizia l'insegnamento che il Figlio dell'uomo « de­ ve soffrire », e da questo momento Gesù, pur istruendo

11 Cfr. 7, 24.31 . 12 Vedi la Nota D a p. 727. 13 Cfr. BULTMANN, 375, il quale, seguendo Wrede, non vuoi considera­ re 7, 27-33 come una svolta nella storia, e afferma che in realtà si tratta di una nuova tappa nella vita del lettore, non nella vita di Gesù. Cfr. pure SCHWEITZER, op. cit., 329-334.

Valore storico del vangelo

125

ancora di quando in quando la folla 14, più spesso si dedi­ ca alla formazione_ dei discepoli 15. « Sei giorni » dopo la confessione di Pietro segue la Trasfigurazione; e con 9, 30 inizia il viaggio attraverso la Galilea e la Giudea ( 10, l) e Gerico ( 10, 46) verso Gerusalemme. Come abbiamo vi­ sto 16, per i det�agli di questo viaggio Marco non possiede un ' ampia informazione, ed è costretto a usare una tradi­ zione frammentaria. Gli avvenimenti a Gerusalemme e at­ torno ad essa sono pure narrati in modo molto somma­ rio, e un confron t o con Giovanni (cfr. 10, 40-42; 1 1 , 54-57) mostra come questo periodo sia stato più lungo e più variato. Passo passo il dramma sacro muove verso il suo punto culminante nella storia del tradimento , . dell'arre­ sto, del processo, della crocifissione, della morte e della risurrezione di Gesù. Se riconsideria m o questo quadro insieme con i vari grup­ p i sopra esaminati, po� siamo cogl iere la verità del giudi­ zio di Schmidt e insieme i suoi limiti. Il vangelo di Mar­ co è una raccolta di narrazioni concluse in se stesse, molte delle quali vengono raggruppate tematicamente e altre cronologicamente; ma non è un mucchio di perle sciolte. Al contrario, l'evangelista ha un senso autentico del cor­ so degli eventi, ne conosce gli sbocchi e le svolte. Il suo q u adro è contenutistico più che strettamente cronologi­ co. Egli scrive, di fatto, come su un piano semplice, così che è inut i le voler dedurre dal suo racconto se il ministe­ ro di Gesù è durato dodici mesi o meno, a differenza dei due o tre anni coperti da Giovanni ; ma il piano ha confi­ ni e linee divisorie che comportano un'ampia conoscenza dello svolgersi degli eventi come pure di molti dettagli 17• Ciò che Schmidt ha distrutto è l'ipotesi marciana intesa rigidamente, che pone uno schema storico inflessibile, di t ipo biografico. Il quadro è invece parziale e spezzato, come un fiume che a volte nel suo corso scompare dalla vista; ma la storia ha movimento e direzion'e, proprio

t4 La folla è nominata in 8, 34; 9, 14; 10, 1 .46; 1 1 , 18; 12, 37; e l 'insegnamento pubblico in 10, l; 1 1 , 17; 12, 35; 14, 49. 15 Cfr. 8, 31-33; 9, 9-13. 28 s. 31-50; 10, 23-45; 11, 22-25; 13, 1-37. 16 Vedi sopra, pp. 73-75. 17 Cfr. W. F. HowARD, LQR (luglio 1927), 79; C.H. DODo, ET 43 (giu­ gno 1932)� 400; F.C. BURKITT, JTS (aprile 1935) 36, 187 s.

126

Introduzione

come un fiume che raggiunge i l mare. Noi non useremo il quadro con la fiducia di' molti critici del passato, che scartavano con disprezzo altre tradizioni perché non era­ no marciane e ovviamente non entravano nello schema; ma ogni tentativo di narrare la storia di Gesù con una certa ampiezza, mostrando come a partire dalla primiti­ va predicazione del Regno di Dio essa sfocia nella morte e nella vittoria, deve usare - ed ha il diritto di usare il quadro offerto da �arco.

Sintesi In una parola possiamo affermare che in Marco abbiamo un'autorità di prima qualità per la nostra conoscenza del­ la storia di Gesù. Al tempo in cui egli scriveva, poco più di una generazione lo separava dalla · morte di Gesù; ma il suo contenuto ci riporta al periodo orale anteriore alla composizione del vangelo, alla tradizione della comunità palestinese e poi della chiesa pagana a Roma. Il valore storico di Marco dipende dalla fedeltà dell'evangelista al­ hi tradizione, non escluso il suo vantaggio particolare co­ me uditore della predicazione di Pietro. Noi possiamo giu­ dicare la sua opera considerando i vari influssi che l'han­ no segnata: apologetici, liturgici, catechetici e dottrinali; o possiamo considerare invece il suo carattere oggettivo. Arriviamo in ogni caso alla stessa conclusione : ci trovia­ mo in presenza di uno scritto di importanza storica eccel­ lente. I suoi elementi leggendari (relativamente scarsi) e le sue tendenze apocalittiche, nonché i vuoti nel quadro del corso degli eventi, modificano ma non demoliscono questo giudizio. Possiamo dire del vangelo di Marco ciò che Paolo dice dei primi missionari : abbiamo questo teso­ ro in vasi d'argilla, affinché la straordinaria grandezza di questa potenza venga attribuita a Dio (2 Co r. 4, 7) . Sen­ za questo vangelo, che è non soltanto inestimabile in se stesso ma è pure una delle fonti più importanti da cui dipendono tutti i vangeli, è impossibile capire la storia della cristianità primitiva o immaginare i pericoli da cui venne preservata; perché ciò che qui è al centro è la personalità di Gesù stesso e la sua opera redentrice per gli uomini.

Vangelo secondo Marco

capitolo primo

Introduzione

1.1-13

I primi tredici versetti del vangelo formano una sezione perfettamente compaginata, che serve come introduzione a tutto il vangelo. Nella edizione critica di Westcott e Hort, che lasciano uno spazio dopo l , 8, questa unità viene un poco messa in ombra. Non c'è una cesura reale a questo punto. Dopo aver enunciato il tema in 1 , l , l'intenzione dell'evangelista è di descrivere sommariamen­ te la predicazione di Giovanni Battista e il battesimo e la tentazione di Gesù, èome preludio alla storia della mis­ sione in Galilea. In questo egli seguiva una tradizione già esistente, perché è chiaro in base ad Atti l , 22 (« a cominciare dal battesimo di Giovanni ») che la predicazio­ ne cristiana primitiva iniziava ip. questo modo. Lo scopo è di porre il lettore nel giusto punto di vista per com­ prendere la storia di Gesù nel suo insieme. Non può dun­ que sorprendere se questa intenzione teologica ha basa­ to la sua importanza sul materiale derivato dalla tradizio­ ne cristiana. In che misura Marco abbia usato in questa sezione narrazioni esistenti è incerto; ma ci si deve aspet­ tare che egli abbia selezionato e ritoccato il suo materia­ le allo scopo di mostrare come abbia avuto inizio « la buona notizia attorno a Gesù Cristo, Figlio di Dio ».

l. Giovanni Battista ( l , 1-8) (Mt. 3 , 1-12; Le. 3 , 1-18)

Nel riferir� questa storia Marco si è avvalso di una tradi­ zione esistente. K. L. Schmidt, 18, trova l'unità originaria

130

Vangelo secondo Marco

in 4-8, a cui Marco avrebbe aggiunto 1-3, l'espressione « nel deserto » (v. 4) e la descrizione di Giovanni (v. 6) . In questo modo, egli asserisce, una storia che riguardava un battezzatore del Giordano venne adattata su misura per un predicatore nel deserto. Bultmann, 26 1 , concorda con quest'ipotesi, ma trova altre aggiunte in 7 s. Lohme­ yer, 10, 1 2 ravvisa indizi della tradizione più antica nell'u­ so assoluto di he eremos ( 1 , 3 s, 12 s, vedi comm.) , in esth6n (soltanto qui in Mc.), negli insoliti tempi perifrasti­ ci in l , 4.6, nel tempo di ebaptisa, e nella posizione inizia­ le dei verbi. La narrazione è composta in base a un processo di sele­ zione e di accentuazione. Marco aveva a disposizione al­ tre notizie su Giovanni. Sapeva che aveva raccolto attor­ no a sé un gruppo di discepoli (2 , 18; 6, 29) , che era stato messo a morte da Antipa {6, 14-29) , e che il suo grande successo aveva creato imbarazzo ai sommi sacer­ doti ( 1 1 , 27-33) . Considerando Giovanni come Elia redivi­ vu s (9, 1 3) , egli riferisce qui c h e la sua venuta costituiva l'adempimento della profezia ( 1 , 2 s) , e descrive la sua foggia di profeta ( 1 , 6) , il suo ministero e il battesimo di penitenza ( 1 , 4 s) , attirando l'attenzione sull'avvento del personaggio « più grande » e sul battesimo che egli ammi­ nistrerà ( 1 , 7 s) . Il suo scopo immediato lo porta a trala· sciare ragguagli ulteriori sulla predicazione di Giovanni e il suo annuncio del giudizio incombente (cfr. Mt. 3, 7-12; Le. 3, 7-14.17). La narrazione non è quella di uno storico ma di un credente cristiano profondamente inte­ ressato al messaggio escatologico di Giovanni e al suo rapporto con il ministero di Gesù. l . Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

2. Come sta scritto nel profeta Isaia : « Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. 3. Voce di uno che grida nel deserto : preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri », 4. si presentò Giovanni il battezzatore nel deserto, p�ed i­ . cando un battesimo di conversione per la remrsstone dei peccati. s. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti

Giovanni Battista i,t-8

hi

gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintu­ ra di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e di miele selvatico. 7. E predicava : « Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. 8. Io vi ho battezzati con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo ». ·

-

1. Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. « Inizio >> (arche) . Rawlinson, 6, traduce « punto di par­ tenza ». Cfr. Os. 1 , 2 : « Inizio della parola del Signore rivolta a Osea >>; Prov. 1 , l ; Qoel. l, 1 ; Can t. 1 , 1 . « Vangelo » (euaggelion) ; Mt. (4) , Le. (0) : buona notizia. Nel greco classico il termine significa originariamente « ricompensa di buone informazioni » ma è raramente usato al di fuori del NT e della letteratura cristiana pri­ mitiva. Nel senso di « buona notizia >> il plurale appare in una iscrizione (c. 9 a. C.) in riferimento alla nascita di Augusto (VGT, 259) . Caratteristico di Marco (Hawkins, 12) , e liberamente usato da Paolo, il termine si riferisce qui non al libro o a un'accezione generale, ma al messag­ gio apostolico della salvezza in Cristo (cfr. J. Weiss, 29-42) . Vedi 1 Tess. 3, 2; 2 Cor. 9 , 1 3 ; Gal. l , 7 ; Fil. l , 27. « Di Gesù Cristo » (lésou Christou) , soltanto qui in Mar­ co, è un nome personale. Il genitivo è oggettivo : « la buona notizia attorno a Gesù Cristo » ; cfr. Holtzmann, 1 1_ 1 ; J. Weiss, 26 s; Lagrange, 2; Swete, l ; Plummer, 5 1 ; Gould, 3. « Figlio di Dio » (uiou theou ) manca in diversi mano­ scritti. Vi sono comunque buone ragioni per accettare la frase come originaria, a motivo delle testimonianze valide, del­ la possibile omissione a causa dello homoioteleuton, e dell'uso del titolo nella cristologia di Marco (vedi Intr., pp. 92 s) . Per le testimoni;;tnze patristiche vedi Turner, JTS, 28, 1 50. Vedi pure Lagrange, 3, e Rawlinson, 4 s. Altrove in Marco si parla di Gesù come « il Figlio di Dio » (3, 2; 5, 7; 15, 39) , « il mio Figlio diletto >> (1, 1 1 ; 9, 7), « il FigliÒ del Benedetto » ( 14, 6 1 ) . L'idea non è · semv.

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Vangelo secondo MarCò

plicemente messianica. Vi si intende un essere sopranna­ turale, ma non con la precisione di Fil. 2 , 6 o Le. l , 35. Cfr. J. Weiss, Die Schr.4, 76-79; Bultmann, ThNT; 1 , 129-132. Il versetto vuoi probabilmente essere per Marco un tito­ lo, come indica l'assenza dell'articolo davanti ad arche (> egli amministrerà, in contrasto con il suo proprio battesi­ mo di acqua. Il presente « viene » (erchetai) accentua la nota di imme­ diatezza. Il « Forte » (ho ischuros) (3, 27) ha dietro di sé una lun­ ga storia (cfr. fs. 49, 25; 53, 12). Il termine è applicato in diverse forme a Satana {3, 27) , agli oppressori potenti (Apoc. 6, 1 5 ; 19, 18), agli angeli (Apo e. 10, l ; 18, 2 1 ) , e a Dio (Apoc. 18, 8; 1 Cor. 10, 22) . Qui, come implicitamente in 3, 27 e p�ù direttamente in Le. 1 1 , 22, esso descrive l'atteso liberatore e giudice escatologico. L'idea implica una cristologia primitiva, che Grundmann fa risalire a Gesù stesso. Giovanni parla di Uno più forte di lui (ho ischuroteros mou) ; il che può suggerire la coscienza di trovarsi all'inizio dello svolgersi del dramma escatologi­ co. È forse una sottigliezza l'indicazione di Lohmeyer (p. 18), che interpreta « dopo di me » (opiso mou) come una relazione di schiavo-padrone, insinuando così il para­ dosso sconcertante : questo Uno che viene dopo è niente meno che il Giudice e Salvatore della fine 'dei tempi. Infatti, se nei LXX opiso designa spesso il luogo, è però anche usato nel senso di successione temporale (cfr. spe­ cialmente 1 Re 1 , 6; Neh. 3, 17; 1 1 , 8 ; Dan. (Theod.) 2, 39; 7, 6 s). Per questo Liberatore, Giovanni confessa la propria inde­ gnità a compiere i doveri principali di uno schiavo. La -

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Vangelo secondo Marco

letteratura rabbinica offre diversi esempi sullo sciogliere o sul portare (Mt. 3, 1 1 ) le scarpe: cfr. Billerbeck, l , 121 ; 2 , 1 . Per il ridondante autou (« al quale ... i suoi sandali ») cfr. 7, 25 (9, 3 e 13, 19). _ La sua presenza, insieme ad altre costruzioni già notate, denota il tono semitico della narrazione. v. 8. Nel secondo detto, Giovanni sottolinea intensamente

il contrasto tra il suo battesimo e quello di Colui che viene; a questo contribuisce anche l'uso enfatico dei pro­ nomi « io » (ego) ed « egli >> (autos) . « Ho battezzato >> (ebaptisa) può essere « l'aoristo del fat­ to appena accaduto » (cfr. Howard, 2, 458 s) , ma più pro­ babilmente rappresenta il perfetto stativo ebraico. Mat­ teo ha « battezzo » (3, 1 1 ) . Pneumati agiO è detto dello Spirito Santo. I n l , 10.12 la forma è · to pneuma, e in 3, 29; 12, 36; 1 3 , 1 1 , to pneuma to agion. Se si guarda all'uso generale del Nuovo Testa­ mento, appare dubbio che qui si debba leggere « in spiri­ to santo ». In Q (Mt. 3 , 1 1 = Le. 3, 1 6) la frase corrispon­ dente è « in Spirito Santo e fuoco ». Nasce dunque l'in­ terrogativo se il contrasto originale fosse con un battesi­ mo di fuoco, cioè di giudizio : cfr. Am. 7, 4; !s. 3 1 , 9; Mal. 3 , 2 ; l Cor. 3, 1 3 ; 2 Tess. 1 , 7 s. Così Wellhausen, J. Weiss, Bultmann, Creed, Manson, Flemington. Quest'i­ potesi ha una base solida nel detto sul ventilabro, il grano e la pula, che in Q viene immediatamente dopo. In questo contesto un riferimento al fuoco del giudizio è naturale. Probabilmente, allora, l'accenno allo Spirito San­ to è stato introdotto sotto l'influsso della pratica cristia­ na del battesimo. È vero che negli ultimi tempi si atten­ deva l'effusione dello Spirito: cfr. Gioele 3, 28 s; ls. 44, 3 ; Ez. 36, 26; Test. Levi 1 8 ; ma lo Spirito non è descritto come il dono del Messia. Cfr. Lagrange, p. 8 : « In questi passi non si trattava di un intermediario ». Una proposta alternativa è che la frase originaria fosse « in vento e fuoco ». Questa correzione congetturale sarebbe in armo­ nia con la successiva allusione al ventilabro e al fuoco, mentre pneumati suggerirebbe a� lettori cristiani un riferi­ mento allo Spirito.

Il battesimo. di Gesù 1 ,9-11

139

Nota supplementare sul ritratto di Giovanni Battista in Giuseppe Flavio Giuseppe (Ant. 1 8, 5, 2) descrive Giovanni come una per­ sona retta. che esortava i giudei a praticare la virtù, a esercitare la giustizia nei rapporti reciproci, a esprimere la pietà verso Dio, e a ricevere insieme il battesimo. Il battesimo, egli spiega, sarebbe stato gradito a Dio non perché servisse alla remissione di determinati peccati, ma perché donava la purificazione del corpo, purché l'ani­ ma si fosse prima purificata mediante il compimento del­ la giustizia. Giuseppe ricorda l'impressione profonda eser­ citata dalla predicazione di Giovanni sul popolo. Ed è a questo fatto che egli attribuisce la decisione di Erode di arrestare Giovanni e poi di farlo decapitare nella fortez­ za di Macheronte. Erode pensò che fosse molto meglio prendere l'iniziativa e metterlo a morte « perché, se suc­ cedesse una rivolta, non venisse egli stesso coinvolto nel tumulto e non avesse motivo di pentirsene ». Queste con­ siderazioni non possono certo essere attribuite a un auto­ re cristiano, e dando credito a Giuseppe possono essere accettate come autentiche. Come Marco, ma per ragionj diverse, Giuseppe non accenna alla predicazione escatolo­ gica di Giovanni, e inoltre egli non menziona il suo an­ nuncio della venuta del Messia (cfr. Mc. l , 7) . « Ciò può essere dovuto a ignoranza; ma sembra più probabile che la sua testimonianza sia stata influenzata e alterata dalla pregiudiziale di non far parola sul messianismo ».

2. Il battesimo di Gesù ( l , 9- 1 1 ) (Mt. 3, 1 3-17; Le. 3, 21 s )

Questa storia riguardante Gesù si fon da sulla tradizio1,1e più antica, come dimostrano il vocabolario e le idee. Sen­ za negare che il battesimo di Gesù da parte di Giovanni sia storico, Bultmann, 264 , caratterizza la narrazione co· me una leggenda di fede (Glaubenslegende) , e Dibelius, 27 1 , ne parla come di un mito, cioè - secondo la sua definizione, - una storia riguardante le azioni di un esse­ re divino. Nessuno di questi termini designa una forma narrativa, e ognuno di essi esprime un giudizio svalutati­ vo, che non è però sostenuto da buone ragioni. Schmidt,

140

Vangelo secondo Marco

29, pensa che la narrazione esistesse come un articolo separato di tradizione. Aggiungendo gli incisi « in quei giorni » e « subito dopo », Marco ha usato tma narrazio­ ne che circolava indipendentemente da Mc. l , 1 (4)-8. Wen­ dling e von Soden - ci ricorda Schmidt - seguono l'ipo­ tesi opposta : vedono nell'introduzione un tutto senza so­ luzioni di continuità; il primo in l , 4-14, il secondo .in l , 1-1 5. Forse le due ipotesi sono ugualmente vere. Ci sono tracce di racconti separati del battesimo in Marco, Mt. 3, 14 s e probabilmente Le. 3, 21 s, mentre un'altra forma ancora circolava nel Vangelo secondo gli Eb rei (cfr. M. R. James , 5). Marco può aver usato un racconto già esi­ stente; ma lo ha integrato in modo così perfetto in l , 1-1 3, che questa sezione costituisce un vero e proprio in­ sieme. 2 probabile che egli considerasse 9-1 1 e 12 s come un'unica narrazione, perché nessuna pericope marciana termina in modo così brusco come 9-1 1 ; e l'azione dello Spirito, iniziata al v. 10, continua al v. 12. Nello studio di questo episodio, narrazione dell'evangeli­ sta ed esperienza di Gesù devono essere trattate separata­ mente. Ciò che si può dire dell'esperienza di Gesù viene discusso nella Nota A alla fine del volume. Questa distin­ zione mette in rilievo il fatto che Marco non inventa, ma registra una tradizione storica. Il nostro giudizio è sugge­ rito. dalle idee che sottendono la narrazione, come mette­ rà in luce il commento. Le narrazioni parallele confermano questa prospettiva. In Luca è mantenuta la seconda persona (cfr. Mc. l , 1 1) , ma la discesa dello Spirito è i n maniera evidente visibile a tutti (cfr. Le. 3, 22: « in forma corporea ») . In Matteo assistiamo a uno sviluppo tardivo della tradizione nell'u­ so della terza persona, nell'omissione della frase « il bat­ tesimo di conversione per la remissione dei peccati », e ilella storia delle esitazioni del Battista (3, 14 s) , che rap­ presenta un indizio del bisogno di spiegare come mai Gesù si sottopone al battesimo. (In Giovanni il battesimo non viene raccontato come tale; si dice semplicemente che il Battista ha visto lo Spirito scendere su Gesù e posarsi su di lui : l, 32-34) . Uno sviluppo ancor maggiore è visibile nel Vangelo secondo gli Ebrei, in cui Gesù dice: « Quali peccati ho commesso perché debba andare a far­ mi battezzare da lui ? a meno che questo che ho detto non sia forse un peccato di ignoranza ». La narrazione

Il battesimo

di Gesù 1,9-1 1

141

marciana � anteriore a queste difficoltà, che non sono ancora sentite dall'evangelista. Pur avendo descritto il bat­ tesimo di Giovanni come ordinato alla remissione dei pec­ cati, egli può dire obiettivamente che « Gesù fu battezza­ to da Giovanni ». Non s'è accorto della difficoltà. Il suo resoconto l;lppartiene chiaramente a un. punto di vista più vicino ai fatti come si sono svolti. Non è possibile accettare l'interpretazione di Lagrange, p. 1 3 : « Gesù rice­ ve la chiamata di Dio, e al tempo stesso Dio lo autorizza attraverso segni esterni »; perché non è a caso che le narrazioni più tarde descrivano una manifestazione pub­ blica, mentre quella più antica parla di un'assicurazione data a Gesù stesso. Il racconto di Marco è preferibile, senza possibilità di dubbio. Ne attestano il valore le idee palestinesi che esso contiene e l'uso originale della Scrit­ tura chè esso riflette. 9. Ed ecco, in quei giorni Gesù venne da Nazaret di Gali­ iea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10. E, uscendo dall'acqua, vide i ci eli ch e si squarciava­ no e lo Spirito discendere su di lui come una co­ lomba. 1 1 . E (venne) una voce dal cielo: « Tu sei il mio Figlio unico, in te metto la mia compiacenza ». v 9. L'espressione temporale indeterminata « In quei gior­ ni » (en ekeinais tais emerais) , che si ritrova in 8, l e 13, 17.24 sembra essere redazionale. Marco vuole indicare che il battesimo di Gesù avvenne durante il ministero del Battista. La costruzione kai egeneto (« e avvenne ») è rara in Marco. I n Luca e negli Atti la si trova spesso. Nel nostro passo essa ha un sapore semitico (cfr. Ex. 2, 1 1 ; Le. 2, 1 ; ecc.) . Usous (Gesù) è una trascrizione dell'ebraico Jeshua, for­ ma abbreviata di Jehoshua: « colui la cui salvezza è Jah­ vè » o « salvezza di · Dio ». È significativo che il nome venga introdotto senza alcuna spiegazione né indicazione di parentela, come nel caso di Giovanni. Per i primi letto­ ri del vangelo non c'era bisogno di spiegazioni. Per l'uso del nome come prova della storicità di Gesù, vedi Deis­ smann, Mysterium Christi, p. 26; Foerster, GLNT, 4, 934. Nazaret di Galilea » indica il luogo di partenza. « Da Non se ne trova traccia nell'Antico Testamento, né in Giu-

142

Vangelo secondo Marco

seppe Flavio né nel Talmud. La visione panoramica della pianura di Esdrelon dalle colline che la circondano è sta­ ta spesso descritta. Il battesimo viene raccontato nel modo più semplice pos­ sibile con le parole: « e fu battezzato nel Giordano da Giovanni », « Nel Giordano >> : eis ton Jordanén : eis è pra­ ticamente l'equivalente di en nel greco ellenistico (cfr. Moulton, Swete, Lagrange, Turner) . Il racconto di Marco non mostra in alcun modo quel senso di imbarazzo che è evidente nella storia delle esitazioni di Giovanni, aggiun­ ta da Matteo (3, 14 s) . Il racconto di Luca è fatto in forma participiale ; e include anche un accenno alla pre­ ghiera di Gesù: « mentre Gesù, ricevuto anche lui il bat­ tesimo, stava in preghiera » (3, 2 1 ). 10. Il soggetto di « vide » (eiden) è Gesù. Così Mt. 3, 16. i:: difficile decidere se Marco intenda descrivere una

v.

visione o fenomeni oggettivi. Probabilmente intende que­ sti ultimi; ma nulla dice che l'aprirsi dei cieli fosse visibi­ le ad altri. Schizomenous (« che si squarciavano ») descri­ ve una azione progressiva. L'aprirsi dei cieli è un tratto comune del pensiero apocalittico; vi è sottesa l'idea che cielo e terra sono separati da una solida cortina, che si squarcia soltanto in circostanze speciali (cfr. Apoc. Bar. 22, l ; Test. Levi 2, 6; 5, l ; 18, 6; Test. Jud. 24, 2; e nel Nuovo Testamento, Jo. 1 , 5 1 ; Atti 1, 56; Apoc. 4, 1 ; 1 1 , 19; 1 9, 1 1 . Si tratta d i un'idea antica, come mostra Is . 64, 1 .

All'aprirsi dei cieli, Gesù vede lo Spirito che scende su di lui come una colomba. Lo Spirito (to pneuma) è un termine cristiano; cfr. lo. l , 32 s; Atti 10, 19; Rom. 8, 16.26 s; ecc. Nella letteratura giudaica indicava piuttosto un demone o il vento (cfr. Dalman, p. 203 ) ; i termini più comuni per indicare lo Spirito sono « pneuma theou » (Mt. 3, 16) e « to pneuma to agion » (Le. 3 , 22) . Ma se il vocabolario è cristiano, le idee sono giudaiche. Tutti i passi apocalittici ricordati sopra collegano l'aprirsi dei cieli con la rivelazione; e 1 En. 49, 3; 62, 2; Psa. Sol. 17, 42; Test. Levi 18, 6 s; Test. Jud. 24, 2 s associano il dono dello Spirito con il Messia, una idea che risale in ultima analisi a Is. 6 1 , l (cfr. Barrett, Davies) . Tuttavia, il racconto di Marco è caratteristico. Egli non parla di dono dello Spirito, ma dello Spirito che scende su Gesù. « Non un

Il battesimo di Gesù 1 ,9-1 1

143

dono, ma una forma » osserva Lohmeyer, 23 Katabaino (« discendere ») usato in forma assoluta in 3, 22; 9, 9; 13, 1 5 ; 15, 30.32, è qui seguito da eis auton, nel senso di « a lui », « su di lui », come in lo. 2, 12; Atti 14, 25; 16, 8 ; 18, 22; 25, 6. Matteo e Luca hanno ep'auton, e in Mar­ co questa lettura è testimoniata dalla maggior parte dei MSS; ma eis auton è certamente originale perché, oltre alle testimonianze valide che la suffragano, è la lettura più difficile. Che eis significhi qui « a » (o « su di ») e non « in » è suggerì to da eiden ( « vide ») e dall'iniziati­ va immediata che lo Spirito prende dopo che s'è udita la voce divina. In Marco, Gesù non è spinto da un impulso interiore ma da un potere esterno. Lo Spirito è visto hos peristeran, « come una colomba » (cfr. 1 1 , 15). L'espressione è metaforl.ca. Luca aggiunge « in forma corporea ». L'origine della immagine della co­ lomba è oscura. Nella letteratura rabbinica la colomba e simbolo d'Israele. Il Targum del Cant. 2, 12 paragona la voce della tortora-colomba alla « voce dello Spirito San­ to salvatore »; ma la testimonianza è tardiva, e Biller­ beck, 1 , 125 non ne tien conto. La spiegazione migliore è di collegare l'immagine con il quadro dello Spirito di Dio che sovrasta o si libra creativamente sulle acque pri­ mordiali (Gen. 1 , 2) . Cfr. le parole di Ben Zoma, di poco posteriore agli Apostoli, in B. Hag. 1 5 a : « Stavo contem­ plando lo spazio tra le acque superiori e le acque inferio­ ri, e in -mezzo a loro non c'è che una distanza di tre dita, com'è detto. E lo . Spirito di Dio sovrastava sulla superficie delle acque come una colomba che covi sui suoi nati ma senza toccarli ». (Cfr. Lagrange, Creed, Bar­ tlet, Barrett) . Quest'ipotesi è molto più valida di quelle che parlano della colomba come simbolo di semplicità (Mt. 10, 16) o della sapienza divina (Filone, Quis rer. div. her. 127) , oppure del favore di Dio manifestatosi nella colomba che porta le informazioni a Noè (Gen. 8, 8-1 1 ) . « E una voce dal cielo (kai fone e k ton ouranon) . La frase è molto sconnessa, perché probabilmente biso­ gna omettere egeneto (« e avvenne ») , secondo le più sicu­ re testimonianze. Si può congetturare che l'assenza del verbo sia dovuta alla traduzione pedissequa di un orìgina­ le aramaicb. Gli amanuensi hanno ben presto avvertito

v . 11.

144

Vangelo secondo Marco

chiaramente il bisogno di un supplemento; e il lettore moderno dovrà sottintendervi « ci fu » o « venne ». L'analogia più vicina alla voce divina nel battesimo è il Bath qol (letteralmente « sorella della voce ») , spesso men­ zionato nella letteratura rabbinica. Vedi gli esempi nume­ rosi citati da Billerbeck, l , 125-132. L'autore della Toseph­ ta nel suo commento a Sanh. I la lo spiega come un suono che procede da un altro, « come quando un uomo emette un soffio potente e si sente un secondo suono ». Dunque il Bath qol è un'eco. A volte è paragonato al mormorare o al cinguettare di un uccello. Cfr. Abraha­ ms, I, 47 s. In B. Berach 3 a viene assimilato al gemito della colomba. Abrahams suggerisce che questa associa­ zione dell'uccello con la voce celeste illustra e autentica il simbolismo dei sinottici. Altra cosa è invece se quest'in­ teressante analogia spieghi adeguatamente l'esperienza di Gesù stesso. Le parole « Tu sei il Figlio mio unico, in te metto la mia compiacenza » (Su ei ho huios mou ho agapetos, en soi eudokesa) sono rivolte a Gesù. Così Le. 3, 22; Mt. 3, 1 7 presentà la terza persona. Agapetos (9, 7; 12 , 6) è usato nel senso di monogenes, « unico », « solo » (cfr. Swete, Turner, Souter) . Lagrange scrive: « Nell'A. T. non c'è grande differenza tra " ama­ to " e " unico " (p. 10) . Eudokesa (come ebaptisa i n l , 8 ) può essere considerato come un aoristo senza tempo (cfr. Moulton, 1 , 134 s) . È improbabile che si riferisca alla vita terrena di Gesù. W. C. Allen, St. Mt., 29 insinua che possa essere modellato sull'aoristo di fs. 42, l « che veniva probabilmente inter­ pretato come implicante l'elezione divina di Israele come qui l'elezione divina del Messia ». Se è così, non si può far pressione sull'aoristo; esso rappresenta probabilmen­ te il perfetto stativo ebraico, e può essere tradotto: « mi è gradito, mi compiaccio ». Cfr. Moffatt : « In te è la mia compiacenza ». L'importanza del v. 1 1 può essere difficilmente esagerata. Il linguaggio richiama quello del Sal. 2, 7 : « Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato », e di fs. 42, 1 : « Il mio servo, il mio eletto di cui mi delizio ». Ma non si tratta di una citazione, e vi risuona l'eco di altri passi: Gen. 22, 2: « il tuo unico figlio che ami »; fs. 44, 2: « Non temer.e, Giacobbe, mio servo, Israele da me eletto »; fs.

La tentazione 1 ,12s

145

62, 4 : « Il Signore si compiacera

m te », J. Weiss osser­ va che la versione di Marco è secondaria rispetto a quel­ la del testo occidentale di Le. 3, 22 (cfr. Ps. 2 ,7) : « Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato ». In questo caso la tradizione primitiva sarebbe stata una formula adozioni­ stica, che ·Marco avrebbe modificato in conseguenza della fede paolina in Gesù come il Figlio pre-esistente. Ma non soltanto quest'ipotesi è estremamente speculativa; essa inoltre non riesce a spiegare la straordinaria e originale combinazione di idee presenti in l , 1 1 . Qui l'idea del Figlio messianico si intreccia con quella del Servo; e ben­ ché sia possibile che questa fusione fosse già avvenuta in precedenza all'interno di determinati circoli (vedi In­ trod., pp. 94 s) , essa va fatta risalire allo spirito e all'espe­ rienza di Gesù piuttosto che a quella dell'evangelista. Va notato che Bultmann, 267 s, che attribuisce l'origine del­ la narrazione alla comunità ellenistica, riconosce che le parole di 1 , 1 1 possono essere state applicate a Gesù nel­ la cristianità palestinese, poiché esse non implicano neces­ sariamente · la filiazione metafisica. In realtà, le idee sono fondamentalmente giudaiche, sebbene siano combinate in forma nuova e creativa. I termini del messaggio non includono le espressioni messianiche più ovvie. Per esem­ pio, Gesù non viene chiamato « il Cristo ». Ciò che qui trova espressione è una nuova e vitale relazione a Dio, che trascende la funzione messianica com'era intesa nel pensiero giudaico. Mc. l, 1 1 offre una conferma robusta alla affermazione di Harnack, secondo cui « la coscienza filiale del Signore deve aver preceduto nel tempo la sua coscienza messianica, ma deve avere certamente costitui­ to una tappa importante verso quest'ultima », La caratte­ ristica fondamentale del detto è la condizion"e filiale di Gesù; e il miglior modo di comprendere queste parole è di leggerle come garanzia o conferma di quella relazione, più che come una rivelazione o un'illuminazione. Cfr. C. J. Cadoux, 52.

3. La .tentazione ( 1 , 12s) (Mt. 4 , 1-11;

Le.

4 , 1-13)

Questa narrazione è sorp rendentemente breve e spoglia. Lohmeyer, 26, osserva che essa differisce d� 1-8 e proba-

146

Vangelo secondo Marco

bilmente anche da 9-1 1 quanto al contenuto e allo stile. II soggetto sta all'inizio della proposizione, seguito dal verbo; e il presente storico appare come il primo tempo. C'è pure una struttura ritmica che può essere rappresen­ tata come a b/ a b. Cfr. J. Weiss) 135; Lohmeyer, 26 s Bultmann, 270 s i quali ritengono che la narrazione sia il re­ siduo di una precedente leggenda circostanziata riguardan­ te Gesù; o, più probabilmente, un mito di natura simile a quello del conflitto di Marduk con il Caos-mostro; o a una storia della tentazione del Budda o di Zaratustra o di successivi santi cristiani. L'espressione « tentato da Sata­ na » può essere un'aggiunta tardiva a una storia che origi­ nariamente narrava della vita in paradiso prima che l'uo­ mo vivesse in inimicizia con le fiere. Che. dire di tutte queste ipotesi? Se da una parte tutto è possibile, dall'al­ tra riteniamo preferibili spiegazioni meno speculative. Mar­ co potrebbe aver conosciuto la storia più dettagliata in Q, e averne supposto la conoscenza anche da parte dei suoi lettori ; oppure, come pare più probabile, non cono­ sceva quella narrazione (che sarebbe stato contento di avere a disposizione) ma aveva notizia soltanto del fatto della tentazione da parte di Satana, che circolava nella tradizione catechetica della chiesa (ipotesi, questa, favori­ ta dalla forma ritmica della narrazione) . Meno probabile la congettura che egli volesse evitare i particolari della narrazione di Q; diversamente, sarebbe anche rifuggito dall'affermare che Gesù fu tentato da Satana. Più anco­ ra, la storia integrale in Q gli avrebbe reso possibile de­ scrivere la vittoria del Figlio di Dio sull'avversario, tema a cui egli era molto interessato: cfr. 3, 22-26.27; 8, 33. Come abbiamo già notato, la narrazione è strettamente connessa con il battesimo. Bultmann, 270, ritiene seconda­ ria la connessione. Possiamo supporre, al contrario, che proprio perché questa associazione era già saldamente sta­ bilita nella tradizione Marco incluse la tentazione nella sua introduzione. Rawlinson, 12, osserva che la storia ha un valore catechetico: « Il cristiano battezzato di recen­ te dev'essere pronto, come il suo Signore, ad affrontare immediatamente l'assalto del tentatore ». Un elemento di immaginazione è presente nell'accenno agli animali selva­ tici e agli angeli; ma l'idea di base che Gesù fu tentato è legata alla Sua concezione della funzione messianica, ed è storica.

La tentazione 1,12s

147

12. Subito dopo lo Spirito lo spinse nel deserto 1 3 . e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. v. 12. ekballo. Swete, 10 s, pensa che sia troppo forte in questo contesto la traduzione della Vulgata: expellit. « Al più - egli dice - la parola designa qui una pressione da parte dello spirito (Victor: elkei) , non _un potere irresi­ stibile ». Questa interpretazione non appare convincente, se si tien presente l'uso di Marco; egli infatti impiega un­ dici volte il verbo, applicandolo all'espulsione dei demoni, alla necessità di cavarsi l'occhio (9, 47) , alla purifìcazione del Tempio ( 1 1 , 15) , e ai vignaioli che gettano l'erede fuori della vigna (12, 8) . Usato qui con euthus (« imme­ diatamente », « subito ») , il verbo sembra indicare una spinta forte, se non violenta, a confronto con il « fu con­ dotto » di Matteo (4, l ) e di Luca (4, 1 ) . Cfr. Rawlinson, 12. Swete, 1 1 , sembra distinguere il deserto da quello no­ minato in l , 4 (cfr. Klostermann, 13) ; ma il testo non offre indicazioni al riguardo, e probabilmente l'accenno è del tutto generico per disegnare il deserto come luogo delle potenze del male. Cfr. G. Kittel, GLNT, 3, 891 ss. Da notare l'uso vivace del presente storico (ekballei) , che è caratteristico dello stile di Marco (Hawkins, 143-149) : 1 5 1 volte in Marco, 93 in Matteo, 9 in Luca, 164 in Giovanni.

può essere un perfetto perifrasti­ ma il parallelismo con « gli angeli lo servivano » sug­ gerisce che il participio è usato indipendentemente (« ri­ mase nel deserto ... , tentato ») . L'accusativo di durata (« quaranta giorni ») è usato in senso generico. L'espressione richiama le esperienze di Mosè (Ex. 34, 28) e di Elia (l Re 19, 8) ; cfr. pure Atti 1, 3. Peirazo (8, 1 1 ; 10, 2 ; 12, 15) è usato nel senso di mettere alla prova con un'intenzione ostile. Ho Satanas (3, 23.26; 4, 15; 8, 33) è una traslitterazione dall'aramaiCo. Q ha ho diabolos. Come Paolo (diabolos : Ef. 4, 27 ; 6, 1 1 ) , Marco dimostra una preferenza per il termine Satanas. Nell'Antico Testamento, Satana ( = l'ac­ cusatore, l'avversario) è menzionato raramente e, nei li­ bri più tarc:Iivi, come un angelo il cui compito è di accusa­ re gli uomini (Giob. l , 2; Zac. 3, l s) e come una potenza v. 13. én ... peirazomenos co;

148

Vangelo secondo Marco

di male (1 Cor. 2 1 , 1 ) . Derivata evidentemente da fonti persiane, l'idea viene sviluppata e appare frequentemen­ te negli scritti tardivi del giudaismo, specialmente nei libri apocrifi e nella letteratura rabbinica, dove sotto di­ versi nomi (Beliar, Sammael, Mastema) Satana è il princi­ pe del male, l'avversario di Dio, e l'anticristo. Cfr. Char­ les, Apoc. II, 76-87; Billerbeck, I, 1 36-149; W. Foerster, GLNT, 2, 934-944. TheriOn, diminutivo di ther

= « animale selvatico ». L'ac­ cenno agli animali selvatici può servire a sottolineare la solitudine del luogo; cfr. Swete, 1 1 . Scrive G. A. Smith, 3 1 7 : « Per ore e ore, passando attraverso queste colline, non trovate alcun segno di vita al di fuori degli scorpio­ ni e delle vipere che il vostro passaggio mette in allar­ me; a distanza, poche capre selvatiche e gazzelle, e di notte il lamento dello sciacallo e l'ululo della iena. Egli era solo con le fiere ». Una seconda spiegazione è che la presenza di animali selvatici e feroci è tradizionalmente associata alle immagini vetero-testamentarie delle poten­ ze · del male (Ps. 22, 1 1-2 1 ; Ez. 34, 5.8.25) e al trionfo della giustizia (Giob. 5, 22 s; Is . 1 1 , 6-9) . In Test. Neft. 8, 4 sono ricordate assieme la fuga del diavolo, la paura delle fiere e l'aiuto degli angeli; e nel Ps. 9 1 , 1 1-13 si parla della vittoria sulle fiere e si promette il servizio da parte degli angeli. Si può forse anche pensare a una con­ trapposizione implicita tra Adamo e il Messia vittorioso. Non sappiamo quali idee i primi cristiani trovassero in questa narrazione; ma è probabile che attraverso il lin­ guaggio pittorico e immaginoso si esprimano concetti reli­ giosi e teologici. Diakoneo ( 1 , 3 1 ; 10, 45; 1 5 , 4 1 ) = « servire ». L'imperfet­ to ha l'aumento come se il verbo fosse composto (cfr. Blass, Moulton; vedi pure 1 , 3 1 ; 15, 4 1 ) .

capitolo s�condo

Inaugurazione del min istero i n Galilea

1,14-3,6

Una nuova sezione IniZia con il sommario l, 14 s e si estende fino a 3, 6. A 1 , 14 s fa seguito una storia isolata, la chiamata dei primi discepoli ( 1 , 16-20) ; poi un gruppo saldamente compaginato di storie che descrivono un gior­ no del ministero di Gesù ( 1 , 21-39) . A questo gruppo è collegata la guarigione del lebbroso (1, 40-45), seguita a sua volta da un secondo complesso di apoftegmi (2, l - 3, 6) collegati in modo piuttosto libero; essi mettono in lu­ ce come Gesù entrò in conflitto con scribi e farisei, con­ flitto che tocca il punto culminante nel complotto di mor­ te di cui parla 3, 6. Per la composizione di questi gruppi, vedi Introd. pp. 65-67. Lo scopo della sezione è di descri­ vere il periodo inaugurale del ministero in Galilea. Dato che gli stessi temi vengono ripresi in 3, 7 ss, dovremo chiederci perché l'intonazione di tragedia venga già intro­ dotta in modo così deciso in 3, 6. 4.

Sommano introduttivo ( 1 , 14 s ) (Mt. 4, 12-17; Le. 4, 14 s)

Questo passo, come 3, 1-12·, è uno dei sommari (Sammel­ berich te) che determinano il quadro del vangelo. A diffe­

renza di pas�i analoghi, che introducono o completano una narrazione particolare ( 1 , 45; 2, 1 ; ecc.) o sembrano apparttmere. a un complesso anteriore ( 1 , 2 1 s; 28.39 ; 2, l s ; 3, 6; ecc.), l , 1 4 s copre tutto il periodo che si conclu-

150

Vangelo secondo Marco

de con 3, 6. Il passo descrive l'inaugurazione del ministe­ ro pubblico, che inizia con l'arresto di Giovanni Battista e con la proclamazione del messaggio di Gesù. L'evangeli­ sta non ci dice qu�ndo o dove o in quali circostanze abbia avuto inizio il ministero, eccetto il sobrio accenno a Giovanni. Evidentemente, non era interessato a questi particolari. La sua cronologia è comandata dalla prassi di predicazione dc;!lla chiesa. Come afferma J. Weiss, 1 36, si tratta di una « heilsgeschichtliche Chronologie » ( « cro­ nologia netl'ottica della storia di salvezza »). Marco comin­ cia dove cominciavano i primi predicatori missionari, de­ scrivendo « ciò che è accaduto in tutta la Giudea, inco­ minciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni » (Atti 10, 37) . Può darsi che egli non abbia saputo di un'attività anteriore, a fianco di quella del _Bat­ tista. Come osserva Schmidt, 34, c'è una rottura tra l , 1 3 e l , 1 4 : qui c'è spazio per la tradizione speciale a cui si rifà il quarto evangelista. In ogni caso, Marco fissa giusta­ mente l'arresto di Giovanni come il momento decisivo per l'inizio del ministero. Matteo va oltre la sua fonte, quando scrive: « Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea » (4, 12.) Marco non dice dove Gesù sia andato. Diversamente da Matteo (4, 12) e da Luca (4, 1 6) , egli non menziona Naza­ ret e non parla di una successiva partenza per Cafarnao. Egli parla della Galilea, e noi ci troviamo improvvisamen­ te sulla riva del lago. Il messaggio di Gesù descritto in l , 15 è un sommario della sua predicazione (cfr. Wellhausen, Bultmann, Sch­ midt, J. Weiss, Rawlinson) . Ha ragione Wellhausen di os­ servare che Gesù non andava in giro ripetendo sempre la stessa formula, ma insegnava secondo le circostanze del momento; tuttavia Marco afferra giustamente nella predicazione di Gesù la nota escatologica. Molte parabo­ le del Regno, oltre a quelle riportate da Marco, e alcuni « detti del Figlio dell'uomo » in Q possono appartenere a questo periodo. 14. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando la Buona Notizia da parte di Dio, dicendo : 1 5. « Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; cm1Vertitevi e credete alla Buona Notizia »,

Sommario introduttivo 1,14s

151

v. 14. M eta

(« dopo ») e non kai meta, (come leggono alcuni MSS) : Marco intende qui sottolineare la svolta, lo stacco (come in 7, 24; 10, 32; 14, 1 ) . To paradothenai (« essere consegnato, arrestato ») : l'infini­ si trova 15 volte in Marco. Paradidomi to con l'articolo . (20 volte) in senso assoluto comporta nel Nuovo Testa­ mento l'idea di una consegna che corrisponde al disegno di Dio (cfr. 9, 3 1 ; ecc.) ; e in questa accezione è caratteri­ stico della teologia di Marco. To euaggelion tou theou : il genitivo è interpretato sia come oggettivo (« su Dio »; cfr. Rawlinson) , éhe come soggettivo (« da parte di Dio »; cfr. Lagrahge, Swete, J. Weiss, Gould, Branscomb). Rawlinson accenna all'ultima ipotesi come alternativa; ma in realtà è questa probabil­ mente la soluzione migliore. Tema della predicazione è la « buona notizia » da parte di Dio. L'espressione è paoli­ na (cfr. l Tess. 2, 2�8 s; Rom. l , l ; 1 5 , 16; 2 Cor. 1 1 , 7) . Molti manoscritti inseriscono tes basileias (« del Re­ gno ») davanti a tou theou; ma si tratta probabilmente di un'aggiunta dell'amanuense alla formula insolita di Marco. v. 15. kai legon (« e dicendo »), benché omesso da alcuni e posto tra parentesi da altri, va conservato. Tuttavia l'autenticità del kai è dubbia; ed è più verosimile pensa­

re (con Turner) che sia stato inserito che non l'eventuali­ tà che sia stato omesso. Legein hoti: 38 volte in Marco, per lo più in forma participiale o all'imperfetto. A volte, invece del discorso indiretto - che Marco evita - la costruzione viene usata per introdurre frasi tipo ritornel­ lo (cfr. 2, 12; 3, 1 1 ; 5, 28 ) oppure riassuntive (cfr. 3, 22; 7, 20; 13, 6) ; ma non lo si può arguire dalla costruzione stessa; è il contesto che deve decidere (cfr. 8, 3 1 ) . Kairos ( 10, 30; 1 1 , 1 3 ; 1 2 , 2; 1 3, 33) : « tempo », « stagio­ ne », « opportunità » (VGT, 3 1 5 ) . Per l'accezione di « tem­ po fissato, stabilito », cfr. Ez. 1, 12; Dan. 12, 4.9; Gal. 4, 4; Ef. l , 10. Nei detti di Gesù l'idea appare in Mc. 13, 33 : « Non sapete quando sarà il momento »; Mt. 26, 1 8 : « I l mio teinpo è vicino »; Le. 19, 44 : « il tempo i n cui sei stata visitata » ; Le. 2 1 , 18: « il tempo è vicino »; v. 24 : « i tempi dei pagani ». Pleroo (« riempire »; al passivo: « compiersi ») (14, 49) :

152

Vangelo secondo Marco

concetto escatologico. Il tempo è stabilito nel disegno di Dio. Basileia (20 volte, di cui 14 nella formula : basileia tou theou) . Corrispondente all'aramaico malkuth, l'espressio­ ne significa « il governo regale » di Dio, il suo « regno », la sua « sovranità ». Per la discussione dettagliata di que­ st'idea fondamentale, vedi Introd. pp. 89-9 1 , dove è . detto che, se l'accento è posto sul « governo di Dio » , vi è però necessariamente implicata l'idea di una comunità. Gesù parla della basileia come realtà futura (14, 25; Le. 1 1 , 2; ecc.) , ma anche come presente in lui stesso e nel suo ministero (Le. 7, 1 8-23 ; 10, 23 s; 1 1 , 20-3 1 s) . In certo senso, dunque, egli ha insegnato una « escatologia realiz­ zata » (Dodd, 5 1 ) ; ma è impossibile stabilire in che misu­ ra quest'idea sia presente nel nostro passo. Eggizo ( 1 1 , l ; 14, 42) (« avvicinarsi ») . Eggiken viene abi­ tualmente tradotto « è vicino », « è alle porte » : Swete, Rawlinson, Bartlet, Wood; Lagrange traduce « proche », ma sostiene « est arrivé »; ancora: Wellhausen, J. Weiss, Klostermann, C. J. Cadoux, B. T. D. Smith, Oesterley ecc. Dodd, 44, difende con forza la traduzione « è venuto ». Egli afferma (ET, 48, 140) che eggizo è usato in diversi tempi nei LXX per tradurre naga (spirito aspro!) = arri­ vare. È difficile accettare questa posizione. Degli esempi che egli porta l'unico caso sicuro sembra Giona 3, 6 : « La notizia giunse al re di Ninive ». Più ancora, in un certo numero di casi eggizo serve a tradurre qarab cioè « avvicinarsi ». Se dunque è forse possibile la traduzione > (negli anni , Le. l , 7; ecc.) . Oligon = « poco » è usato come avverbio di spazio e di tempo (6, 3 1 ) . Iakobos è i l nome di Giacomo, figlio d i Zebedeo, qui e in diversi altri passi ( 1 , 29; 3, 17; ecc.) . Tutto ciò che sappia­ mo da Marco, è che Giacomo era figlio di Zebedeo (proba­ bilmente il figlio maggiore) , che era uno dei Dodici, appar­ tenente alla cerchia intima di coloro che furono presenti alla r isurrezione della figlia di Giairo, alla Trasfigurazio-

v.

Chiamata dei primi discepoli 1,16-2ò

151

ne, al discorso sul Monte degli Ulivi e all'agonia di Gesù; e che condivideva con Giovanni l'aspirazione ai primi po­ sti nella Parusia ( 10, 35) . Zebedaios è ricordato sempre soltanto in relazione ai suoi figli. Ioanés : · per i riferimenti a Giovanni, vedi quelli insieme con Giacomo, appena sopra; inoltre, l'episodio dell'esorci­ sta non autorizzato (9, 38) . « Anch'essi sulla barca mentre riassettavano le reti » :· è una proposizione circostanziale, di carattere semitico (ma non esclusivamente: cfr. Howard, Black) . Cfr. pure 4, 27. Mt. 4, 21 omette il superfluo kai autous. Katartizo = « approntare », « restaurare », qui è detto del riassetto delle reti. Nel senso più generale di « restau­ rare » o « perfezionare » il verbo è usato da Paolo in

l; ,J Tess. 3, 10 (cfr. Lightfoot in loe.) . Vedi pure Le. 6, 40; Ebr. 10, 5 ; 1 1 , 3; 13, 2 1 ; l Pt. 5, 10. L'articolo determinato (en t6iploi6i) indica l'oggetto ap· propriato alla circostanza (cfr. 4, 2 1 ) . Marco usa spesso ploion (17 volte) , come ci si può aspettare in un vangelo

�o.m. 9, 22;

1 Cor. l, 10; 2 Cor. 13, 1 1 ; Gal. 6,

che parla di frequente del lago.

v. 20. Qui euthus significa « immediatamente ». ·Mt. 4, 22 collega eutheos con afentes; ma l'intenzione di Marco sembra piuttosto quella di suggerire che Gesù chiamò Giacomo e Giovanni appena li vide. Kaleo (2, i7; 3, 3 1 ; 1 1 , 17) è usato in Marco meno frequen­ temente di quanto ci si aspetterebbe. L'incondizionatezza della risposta è espressa dall'osservazione che essi lascia­ no il padre Zebedeo nella barca con i servi salariati e se ne vanno dietro a Gesù. Misthotos (cfr. lo. 10, 12 s) : « un servo salariato », L'e· spressione, propria di Marco, è probabilmente una remini· scenza. Non significa necessariamente che Giacomo e Gio­ vanni appartenessero a un ceto sociale elevato. In Le. 5, 10 i discepoli sono descritti come « soci », e probabilmen· te nessuno di essi dovrebbe essere considerato come so­ cialmen te indigente. Per opiso autou (« dietro di lui ») vedi l , 17. Marco dà l'impressione di pensare a una risposta che impegna per tutta la vita, forse esagerando l'episodio attuale, da· to che in 4, l e 35 la barca di Pietro sembra essere

Vangelo secondo Marco

i 58

ancora utilizzabile. Questa rappresentazione riflette verosi­ milmente un interesse catechetico. Il commento di J. Weiss, 1 40, osserva con molta pertinenza che lo stesso Pietro, come Paolo in Gal. l e 2, può aver dimenticato la crescita graduale del suo entusiasmo per Gesù; ma quel momento singolare in cui le parole di Gesù segnarono la decisione finale, rimase per lui indimenticabile. (a)

IL

]diNISTERO A CAFARNAO

l, 21-39

Questa sezione ben articolata, che è collegata a Cafarnao e vicinanze, include quattro narrazioni : (6) l , (7) l , (8) l, (9) l,

21-28 . 29-3 1 . 32-34. 35-39.

L'indemoniato nella sinagoga Guarigione della suocera di Pietro Guarigioni di sera Partenza per un luogo solitario

Per il carattere narrativo dell'insieme, confrontato con 2, 1-3, 6, vedi Introd., pp. 65-67. Questo gruppo si differenzia da altri perché si basa sulla testimonianza personale più antica; da questo punto di vista è paragonabile solo con '4 , 35 - 5, 4 3 ; 6, 30-56; 7, 24-37; e con il racconto della Passione. J. Weiss scrive: « Il carattere in sé compiuto del gruppo trova la sua migliore spiegazione nell'ipotesi seguente : Pietro ha voluto offrire un resoconto del gior­ no in cui Gesù arrivò la prima volta nella sua città nati­ va, con parole e fatti che avvennero in parte almeno nel­ la sua stessa casa » (Die Schr., 78) . 6.

L'Indemoniato nella sinagoga ( l, 21-28 ) (Mt. 7, 28 s; Le. 4, 31-37)

narrazione è una storia di miracolo (Bultmann, Ì23 s), ma non presenta la forma precisa a cui la Formge­ schichte assegna questo nome. È questa probabilmente la ragione per cui Dibelius, 43, la classifica come « para­ La

digrna di genere meno puro », e Bultmann opera tagli notevoli nella narrazione quale di fatto l'abbiamo. Egli infatti attribuisce all'evangelista le quattro parole iniziali

L'indemoniato nella sinagoga 1,21-28

159

al v. 2 1 , l'intero v. 22, la proposizione attorno al nuovo insegnamento dotato d'autorità al v. 27, e tutto if v. 28. Comunque, c'è un'altra maniera di spiegare i fatti. La forma della narrazione precede quella della storia di mi­ racolo vera e propria. Vi possiamo scorgere uno stadio anteriore a quello in cui è diventata una narrazione popo­ lare, più vicino alla testimonianza oculare originaria. Que­ sta soluzione rende conto nel migliore dei modi della de­ scrizione dell'impressione fatta dall'insegnamento di Ge­ sù (v. 22) , dei commenti degli uditori (v. 27) , dell'episo­ dio dell'indemoniato (v. 23) , con le sue parole audaci e la sua personalità divisa (v. 24) . Probabilmente i vv. 2 1 s e 28 sono parte integrante dell'insieme, o almeno del com­ plesso a cui appartiene. Così la storia veniva raccontata, c così Marco l'ha registrata. La narrazione abbonda di tratti primitivi. Non vi si dimo­ stra alcun imbarazzo nel riferire un episodio di esorci­ smo; mentre il quarto evangelista ha escluso dal suo van­ gelo questo genere di narrazioni. Gesù condivide le idee del tempo, ma insieme le trascende con tanta decisione che egli caccia gli spiriti impuri con la sola parola di comando, senza l'uso di pratiche magiche. :r:. Gesù stesso il soggetto della storia. Il suo insegnamento e il suo ac­ cento d'autorità, l'aura soprannaturale della sua persona, la sua reazione al male, il suo comando e la sentenza di espulsione: ecco i punti che attirano l'attenzione del letto­ re. La storia ha questo carattere non perché Marco ab­ bia abbellito una più succinta versione orale circolante nella comunità, ma perché egli riporta una tradizione che mantiene il colore e i dettagli dell'avvenimento attua­ le. L'opinione contraria di Wrede, 22-32, che nella cono­ scenza mostrata dai demoni a riguardo della dignità mes­ sianica di Gesù vede l'influsso di ideé dogmatiche, è riget­ tata da J. Weiss, 1 43-146, il quale si chiede: « Che c'è di non credibile in questi fatti ? » . L'unica posizione scientifi­ ca e critica - egli afferma - è di riconoscere in questo racconto un brano di tradizione molto originaria, non de­ rivato da idee ma con precisi riferimenti di tempo e di spazio e con l'attendibilità del ricordo personale. 2 1 . Entrarono a Cafarnao Ora, di sabato insegnava nella sinagoga. .

160

Vangelo secondo Marco

22. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché inse­ gnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. 23. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 24. « Perché t'immischi con noi, Gesù Nazareno? Sei ve­ nuto a rovinarci! Ti conosco; so chi sei: il santo di Dio ». 25. E Gesù lo sgridò (dicendo) : « Taci! Esci da lui ». 26. E lo spirito immondo, scuotendolo convulsamente e gridando forte, uscì da lui. 27. Tutti furono presi da stupore, tanto che si chiedeva­ no a vicenda: che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi, e gli obbediscono! )), 28. La sua fama si diffuse subito dappertutto nei dintor­ ni della Galilea. v. 21. Cafarnao è una delle rare località nominate in Mar­ co (2, l ; 9, 33) . L'Antico Testamento non ne parla mai.

La maggior parte degli studiosi moderni la identifica con Tell Hum sulla riva nord-occidentale del lago, a circa due miglia dal punto dove il Giordano vi si getta (cfr. Dalman, Rawlinson, Sanday, Lagrange, Schofield, ecc.) . Qui si possono ancora contemplare i resti di una sinagoga, non anteriore al secondo secolo o all'inizio del terzo, ma che ha forse sostituito un edificio più antico. Altri studio­ si, con minor probabilità, hanno identificato Cafarnao con Khan Minyeh, due miglia più a ovest (cfr. G. A. Smith, Sanday) . È strano che Cafarnao non sia stata men­ zionata fino a questo punto. Sia Matteo (4, 13) che Luca (4, 3 1 ) ne parlano prima della chiamata dei primi discepo­ li. Il procedimento di Marco è dovuto al fatto che egli si trovò tra mano l, 16-20 come un racconto completo e il riferimento a Cafarnao già connesso con il blocco l, 21-39. Questa soluzione è molto migliore dell'ipotesi secondo cui la frase formerebbe la conclusione del racconto della chiamata (J. Weiss e Wendling) . C'è quindi una soluzione di continuità tra l , 1 6-20 e 2 1-39; di conseguenza, diventa superflua la questione se l'ingresso a Cafamao avvenne il primo sabato dopo la chiamata (come suggeriscono molti commentatori) , oppure il giorno stesso della chia­ mata.

L'indemoniato nella sinagoga 1,21-28

161

In questo versetto euthus dovrebbe significare « e così » oppure « òra >>. Sabbaton è un termine semitico che, sebbene della secon­ da declinaziòne, nel Nuovo Testamento presenta sempre al dativo plurale la finale della terza declinazione. Non si intendono qui più sabati, perché il plurale è abituale quando si tratta di feste (cfr. 14, 1 : gli azzimi; 6, 2 1 : il genetliaco; lo. 10, 22 : la festa della Dedicazione) ; dun­ que: « il giorno di sabato ». lettu­ « Entrato di sabato nella sinagoga, vi insegnava >>: ra molto incerta; il participio è omesso da diversi MSS, che . leggono (insieme con Origene) « insegnava nella sina­ goga » (edidasken eis tén sunagogén) . Quest'ultima lettu­ ra dovrebbe essere quella giusta. Eis = en (come in l , 9.39; 10, 1 0 ; 13, 9) . Eiselthon (« entrato ») è probabilmen­ te una correzione grammaticale alessandrina. Marco mette in grande rilievo l'insegnamento di Gesù; cfr. 2, 1 3 ; 4, l ; 6, 2.6.34; ecc. Didasko è usato 17 volte. In queste affermazioni di carattere generale è inutile di soli­ to cercare quale possa essere stato il tema dell'insegna­ mento. Ma in questo passo, alla luce del v. 24 (« Sei venuto a rovinarci ! ») è ragionevole arguire che Gesù par­ lasse del regno di Dio e della distruzione delle potenze del male. Sunagogé, originariamente « convegno, appuntamento » venne a significare « assemblea » (cfr. ekklésia) , special­ mente un'assemblea religiosa giudaica, « una sinagoga » (cfr. Deissmann, VGT) . In Giac. 2, 2 è detto dell'assem­ blea cristiana. I vangeli mostrano che Gesù all'inizio sfrut­ tù l'opportunità offerta dalla sinagoga (cfr. pure 3, l ; 6, 2 ) . Più tardi anche Paolo (Atti 9, 20; 13, 5.14; 14, 1). Città anche piccole e villaggi avevano la loro sinagoga, dove la gente si radunava per la liturgia, la preghiera, la lettura e il commento della Legge e dei Profeti. Non soltanto scribi e anziani, ma ogni membro dell'assemblea poteva essere invitato dal presidente della sinagoga a esporre la Legge e a insegnare (cfr. Abrahams, I, 1-17) . L'opportuni­ tà era notevole; ma naturalmente essa andò scomparen­ do, a mano a . mano che s'allargava la breccia tra Gesù e i rabbini. v. no

22. L'effetto prodotto è descritto dalla frase « Ed era­ stupiti del suo insegnamento ». E kplessomai (6, 2; 7,

162

Vangelo secondo Marco

37; 10, 26; 1 1 , 18), passivo nel Nuovo Testamento, è una parola intensa che indica stupore. II plurale è impersona­ le, come l 'uso di « man » in Germania e « on » in Francia Didache (1, 27; 4, 2; 1 1, 18; 12, 38) ; tre volte in Matteo una in Luca, tre in Giovanni (cfr. Deissmann). La ragio: ne dello stupore è che egli insegnava loro con autorità, e non come gli scribi. Exousia ( 1 , 27; 2, 10; 3, 15; 6, 7; 1 1 , 28 (bis) .29.33; 13, 34) = « autorità », « diritto » , « libertà », « potere » . Del­ l'idea generale di « potere di agire », exousia e nei LXX e nel Nuovo Testamento esprime l'idea di « autorità » piut­ tosto che quella di « potere ». Nel NT, l'idea di « cono­ scenza » e quella di « potere >> si intrecciano (cfr. Reitzen­ stein, VGT, Barrett, Dodd) . In 1 , 2 1 l'idea di autorità è suggerita dalla contrapposizione al l 'insegnamento degli scribi. Essa comporta una diretta garanzia interiore di verità, fondata su un senso profondo di ispirazione divi­ na. L'autorità è un dono (Mt. 28, 1 9) ed ha carattere profetico. Gli uditori restavano stupiti perehé la voce del­ la profezia aveva taciuto a lungo in Israele (cfr. 1 Macc. 4, 46; vedi Foers ter , GLNT, 3, 649 ss) . Hos echon indica il modo di predicare. Hoi grammateis (21 volte) . Nel greco classico il termine significa « segretario» o « amanuense »; nei LXX un im­ piegato pubblico (Ex. 5, 6) o un ufficiale militare subordi­ nato che conserva dei documenti (D t. 20, 5) ; nei papiri, un impiegato pubblico, ecc. (VGT, 1 3 1 s) . Nei vangeli, hoi grammateis sono gli scribi, i dottori della Legge. Luca li descrive pure come nomikoi e nomodidaskaloi. La mag­ gior parte degli scribi apparteneva al partito dei farisei (cfr. 2, 16) ; ma alcuni erano sadducei (12, 18). Nella loro interpretazione della Legge l'insegnamento mancava di spontaneità, essendo tutto basato sulla tradizione. A­ brahams , 1 , 14 s sostiene che sarebbe improprio opporre la se m p l i cità e immediatezza di Gesù allo scolasticismo dei rabbini, poiché . il metodo talmudico rapprese ntò uno sviluppo più tardivo (cfr. Lohmeyer, 35) . Pur ammetten­ do questo, la differenza dev'essere stata grande. L'espres­ sione « non come gli scribi » li presenta in una luce sfa­ vorevole; ma Marco riferisce pure l'episodio dello scriba a cui Gesù dice: « Non sei lontano dal regno di Dio >> (12, 34) (Cfr. Schiirer, Ed. Meyer, Swete, Montefiore, ecc.) .

L'indemoniato nella sinagoga

1,i1-ià

163

Kai d avanti a ouch deve probabilmente essere omesso (con alcuni MSS) . L'asindeto è caratteristico dello stile

di Marco·.

v. 23. La storia vera e propria comincia con l'interruzio­ ne dell'indemoniato. � difficile dai ragione a Wellhausen, 10, secondo il quale euthus (vedi, l , 10) va insieme con anekraxen. Tuttavia, se l'avverbio è collegato a én, non convince tradurlo con « immediatamente » né con « e al­ lora ». Saremmo tentati di considerarlo come un'inserzio­ ne successiva, poiché manca in molti manoscritti (e pure in Le. 4, 33). Comunque, trattandosi della lettura più dif­ ficile, è più verosimile dar ragione ai manoscritti che lo contengono. Nella formula en pneumati akatharto, la preposizione en rappresenta l'ebraico b i = « con », « avendo ». Luca ren­ de appunto: « avendo lo spirito di un demonio impu­ ro ». Cfr. Howard, 2, 464 : « en pneumati akatharto è un sl!mitismo mentale, che adotta spontaneamente questa co­ struzione possibile anche in greco ». Meno probabile è intendere en come strumentale o modale (cfr. Blass, Swe­ te). Marco usa 1 1 volte pneuma akatharton, tante quante usa daimonion. Cfr. 9, 25 : « spirito muto e sordo ». Gli aggettivi possono indicare diverse manifestazioni del pos­ sesso diabolico; ma più probabilmente akatharton rappre­ senta un giudizio religioso da parte dell'evangelista più che una forma particolare di impurità cerimoniale. In quest'ultima ipotesi la possessione espone le persone a una impurità, che le rende inabili all'azione liturgica e alla comunione con Dio (cfr. Hauck, GLNT, 4, 1291 ss) . Anakrazo = « gridare forte », « urlare » : indica un'emo­ zione intensa (greco classico, LXX; cfr. VGT, 34) . Altrove Marco ha il semplice krazo (3, 1 1) . Egli registra più vol­ te le grida dei posseduti; e spesso, come nel nostro caso, è difficile - se non impossibile - dire se si tratta delle grida delle persone sofferenti o degli spiriti impuri. Qui sembra che l'indemoniato identifichi se stesso con il de­ monio, e . parli in nome della classe a cui appartiene.

24. L'interiezione ea è ampiamente attestata, ma è pro­ babilmente un'assimilazione a Le. 4, 34. Nel greco classico, l'interrogativo ti émin kai soi signifi­ cherebbe : « Che abbiamo in comune? » ; ma qui corriv.

164

Vangelo secondo Marco

sponde verosimilmente a una formula ebraica (Gios. 22, 24 ; Giud. 1 1 , 12; l Re 17, 18; ecc.) , con il . significato: « Perché ti immischi nelle nostre faccende ? » (cfr. Ra­ wlinson, Lagrange; e vedi Le. 4, 3 4; Jo. 2, 4) . « Noi >> designa qui la categoria dei demoni. Nazarenos (10, 47; 14, 67; 16, 6 ; Le. 4, 34 ; 24, 1 9) . Marco non usa la forma Nazoraios, che appare invece in Mt. 2, 23 ; 26, 71; Le. 1 8 , 37; Jo. 18, 5.7 ; 1 9 , 1 9. Significato e provenienza di questa parola sono discussi. L'espressione « Sei venuto a rovinarci >> è presa sovente come una domanda (Swete, Lagrange, Plummer, ecc.) ; ma è meglio intenderla come un'affermazione di sfida (Ra­ wlinson, Klostermann, Micklem) . La distruzione delle po­ tenze del male nell'era messianica era oggetto di attesa ampiamente diffusa (cfr. 1 En. 69, 27; Le. 10, 1 8 ; Apoe. 20, 10) . La persona posseduta avverte un senso di minac­ cia nella presenza e nell'insegnamento di Gesù, e implici­ tamente lo riconosce come il Messia. Per la formulazione del grido, cfr. 1 Re 17, 1 8 : « Che c'è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare .il ricordo della mia iniquità e per uccidermi il figlio? >>. Il cambiamento brusco nella prima persona singolare ( « Io so chi tu sei ») è altamente drammatico. D iversi mano­ scritti mantengono il plurale; Turner (JTS, 28, 154) pen­ sa che esso dovrebbe spiegarsi come assimilazione al plu­ rale precedente. Se ( « conosco te chi tu sia ») è ridondante, ma produce un effetto intenso; e Le. 4, 34 lo conserva. Ho hagios tou theou (Le. 4, 34; Jo. 6, 69) non è un titolo messianico noto; m� neppure una designazione cristiana primitiva corrente. Troviamo una formula corrisponden­ te nell'Antico Testamento nella designazione di Aronne co­ me « il santo del Signore » (Ps. 105 ( 1 06) , 16) , e di Eli­ seo come « uomo santo di Dio » (2 Re 4, 9). In !s. 40, 2 5 ; 57, 15, Dio è il solo Santo; e in Atti 3, 14; 4, 2 7.3 0; 1 Jo. 2, 20; Apoe 3, 7, hagios è applicato a Cristo; e in Atti 2, 27; 13, 35 lo stesso vale di hosios. È probabile quindi che l'indemoniato usi ho hagios tou theou con significato messianico, per esprimere il senso di presenza di una persona soprannaturale. J. Weiss, Die Sehr.2, 80, in modo rigoroso, fa risalire questo discernimento alla reazione dell'uomo di fronte alla predicazione di Gesù riguardan­ te l'irruzione del regno di Dio e la fine del potere dj .

L'indemoniato nella sinagoga 1,21-28

16.5

Satana; ma bisogna notare che nella quarta edizione di questo commento ( 1 929) , curata da W. Bousset e W. Heitmliller, la descrizione dell'uomo viene invece spiega­ ta rifacendosi alla stessa rappresentazione stereotipa mar­ ciana che compare in l , 34; 3, 1 1 ; 5, 7, dove il posseduto saluta Gesù come il « Figlio di Dio ». Qui tutto dipende da come si interpreta il « segreto . messianico >> : vedi In­ trod., PP-. 97-99. A me pare più valida la so Ìuzione di Weiss che quella dei suoi revisori. Vedi anche Lagrange, Rawlinson, Procksch (GLNT l , 27 1-275) ; . quest'ultimo sug­ gerisce che « il santo di Dio » designa Gesù come il porta­ tore dello Spirito. v. 25. Gesù apostrofa lo Spirito impuro, e gli comanda di tacere e di uscire dall'uomo. A differenza dal greco classi­ co, nel Nuovo Testamento epitimao (3, 1 2 ; 4, 39; ecc.) significa « rimproverare, ammonire » (vedi Moulton, VGT, Allen) . Auto si riferisce allo spirito, come mostra il comando. Il tono deciso usato da Gesù fa parte del metodo terapeuti­ co, ma esprime pure il senso di indignazione che la pos­ sessione suscita in Gesù, e il suo rifiuto di permettere la testimonianza del posseduto. Per il « segreto messiani­ co >> vedi Introd. pp. 97-99. Fimoo : « mettere la museruola » in l Cor. 9, 9 ; 1 Tim. 5, 1 8 ; « tacere » qui e in 4, 39; Mt. 22, 12.34; Le. 4, 3 5 ; l Pt. 2, 15. Il verbo è uno di quelli il cui significato si è attenuato, �ddolcito, nel greco ellenistico (cfr. embrimao­ mai, l , 43; skullo 5, 35; ecc.) . Rohde, Psyche, 2, 1 24, sostiene che fimoo era usato nel greco egizio-siriaco per designare l'incatenamento di una persona attraverso un sortilegio. Quest'idea si applica meglio alla situazione nar­ rata in 4, 39 (la tempesta sul lago) che non al passo presente, in cui il comando di tacere - seguito dalla cacciata è la conclusione che uno si aspetta. Il coman­ do indica che Gesù condivideva la convinzione nell'esisten­ za di possessioni demoniache, così caratteristica del suo tempo. Non v'è accenno a un semplice adattarsi di Gesù alle idee del posseduto, a scopo terapeutico. Cfr. 5, 1-2 1 ; -

9, 14-27.

Preferibile la lettura « da lui » a quella « da quell'uo­ mo » (in base ai migliori manoscritti) . Va invece con-

166

Vangelo secondo .Maréò

servato legon (« dicendo »), in · tutto conforme allo stile di Marco. v. 26. Segue la descrizione dell'esorcismo. Lo spirito impu­ ro scuote l'uomo �d esce da lui gridando forte. Sparasso (9, 26; Le. 9, 39) significa nel greco classico « dilaniare » . Swete, 2 1 , suggerisce « dare le convulsioni », alludendo ai LXX che traducono l'ebraico di 2 Sam . 22, 8 e di Dan. 8, 7 (cfr. Lagrange: « l'agita convulsivement ») . Purtrop­ po VGT, 582, offre soltanto un esempio incerto del verbo nei papiri. Le. 4, 35 dice: « gettatolo a terra in mezzo alla ,gente ... senza fargli alcun male », che fa pensare a movimenti convulsi più che a lacerazioni. Uguale sembra il significato in Marco. Mickelm scrive (p. 53) : « Il sinto­ mo principale che accompagna la guarigione è chiaro, ed è che l'uomo cad e a terra in convulsioni ». Vedi l'uso parallelo di sunsparasso in 9, 20 (Le. 9, 42) . Fonésan foné megalé : un forte grido durante il parossismo (cfr. 5 ,7; 15, 34.37) . Fonésan va preferito a kraxan, benché quest 'ul­ timo sia ampiamente attestato; perché, come osserva Tur­ ner, se il testo avesse avuto kraxan, nessuno l'avrebbe alterato.

'27. Come spesso nelle storie di miracoli, viene ora descritto l'effetto sui presenti. Thambeomai (10, 24.32) = « essere stupito »; un termine molto intenso, pre­ sente nei poeti del greco classico e occasionalmente nei LXX; nel linguaggio. comune serviva a esprimere una me­ raviglia molto forte. Cfr. Lagrange, 24 : « marque un extreme étonnement, la stupeur, mais non pas toujours l'effroi » (anche Moulton; VGT) . L'uso del verbo va sottoli­ neato, perché per gli ebrei un esorcismo non era un fat­ to insolito: cfr. Le. 1 1 , 1 9 ; Atti 19, 1 3 . Lo stupore è dovu­ to al fatto che Gesù caccia lo spirito impuro con una parola, senza l'uso di formule magiche; ma è pure causa­ ' to dall'insegnamento di Gesù, come mostra il commento della: folla, e soprattutto da un senso di arcano, di sopran­ naturale, che emana dalla personalità di Gesù. A differen­ za dei racconti giudaici e greci, nelle narrazioni evangeli­ che non ci sono casi in cui la realtà dell'esorcismo è provata rompendo una statua o facendo girare una cioto­ la· e neppure vien cavato fuori il demonio dal naso del p �sseduto mediante un anello. « Nel caso di Gesù basta v.

L'indemoniato nella sinagoga 1 ,21-28

167

una parola ... Invan� si cercherebbero nelle storie miracolo­ se del Nuovo Testamento manipolazioni magiche dello stesso genere (di quelle che si trovano altrove) » (Fa­ scher, 127 s) . Per storie parallele, cfr. Bultmann, 247; Fie­ big, Jild_. Wundergeschichten, 25 s. Hapas invece di pas è molto comune in Luca e negli Atti, Autous è usato correttamente e dovrebbe probabilmente essere mantenuto, contro pros autous che pur è ampia­ mente documentato; infatti Marco usa sunzéte6 in costru­ zione assoluta (8, ll ; 9, 10; 1 2 28) o detto di discussione con altri (9, 14. 16) . Kainos è « nuovo » in senso qualitativo, a differenza di neos, « nuovo » in senso temporale (cfr. 2, 2 1 s) . Alcuni collegano kat'exousian (« con autorità ») con la proposi­ zione che segue ( « comanda agli spiriti impuri con autori­ tà, ed essi gli obbediscono ») (Torrey, Swete; cfr. Le. 4, 36) . Ma, in analogia al v. 22 (« insegnava loro come uno che ha autorità ») , è preferibile collegarlo con didaché kaine (così Lagrange, Wellhausen, J. Weiss, Klostermann, Gould, Blunt) . Ciò che suscita stupore non è soltanto l a novità dell'insegnamento, ma anche il suo carattere di autorità (cfr. Moffatt: « Costui porta un insegnamento nuovo con autorità ») . Per kata con accusativo ( = « con >>, « nel modo di ») vedi Rom. 4, 16; Fil. 2, 3 . I l kai davanti a tois pneumasi segna i l punto culminante dello stupore : « persino agli spiriti ... ». ,

28. L'effetto del miracolo è ulteriormente descritto in riferimento al diffondersi della notizia. Akoé (7, 35; 13, 7) significa sia « udito >> che (in questo passo) « voce > > , « fa­ ma >>. Il genitivo autou _è oggettivo: « la voce su di lui », come nei LXX in Ger. 6, 24; 27, 43; 44, 5. Euthus significa qui « immediatamente », « subito »: esprime l'immediatezza con cui si diffuse la notizia riguar­ dante Gesù; così come pantachou descrive l'ampiezza di questa diffusione. Molti MSS omettono pantachou (« dappertutto ») ; ma l'a­ nalogia con Le. 4, 37 (panta topon = « in ogni luogo ») inclina a mantenerlo; la ridondanza è una caratteristica dello stile di Marco. Con olén tén perich6ron tes Galilaias si può intendere la regione attorno alla Galilea (cfr. Mt. 4, 24) o « attra�er­ so la Galilea »; intendendo il genitivo come epesegebco v.

·

168

Vangelo secondo Marco

(cfr. Swete, 22) . Ma è piU probabile che Marco intenda tutte le parti della Galilea nelle vicinanze di Cafarnao (cfr. Le. 4, 37) . L'interesse prevalente di Marco è di mettere in luce la profonda impressione fatta da Gesù sul popolo; e proba­ bilmente il sommario appartiene alla storia stessa, poi­ ché in esso la narrazione raggi�nge un apice naturale. 7.

La guarigione della suocera di Pietro ( 1 , 29-3 1 ) (Mt. 8, 14 s; Le. 4, 38 s)

Come la narrazione precedente, anche questa storia di miracolo (Bultmann, 226 s) è vicina al resoconto di un testimonio oculare. I dettagli, non abbondanti, sono però significativi, e constano non tanto di elementi connessi alla malattia e alla guarigione, quanto di tratti secondari di interesse per i personaggi della scena. Così, vien detto che la casa è quella di Pietro e di An­ drea, e si accenna di passaggio alla presenza di Giacomo e di Giovanni. La domanda di guarigione è implicita nel­ le parole: « gli parlarono di lei ». Non vengono riportati detti di Gesù, sebbene sia ragionevole pensare che la gua­ rigione non sia stata compiuta in silenzio. Il risultato è contenuto nella semplice affermazione: « la febbre la la­ sciò ed essa si mise a servirli ». I racconti paralleli in Matteo e Luca accentuano l'elemento miracoloso e omet­ tono dettagli che sembrano di importanza secondaria (seb­ bene, in realtà, siano questi che danno alla storia il suo carattere di verità vicino alla vita) . Abbiamo buone ragio­ ni di considerare petrina questa narrazione. Così J. Weiss, Branscomb e molti altri. Infatti tutto viene narrato dal punto di vista di Pietro, dando rilievo a cose che devono avere interessato lui. Zahn, 2, 496 osserva con quanta na­ turalezza la storia potrebbe �ssere narrata in prima perso­ na: « Immediatamente uscimmo dalla sinagoga ed en­ trammo a casa nostra, in compagnia di Giacomo e Gio­ vanni; mia suocera era a letto con la febbre; subito noi gli parlammo in nome dell'inferma >>. Del « dettaglio su­ perfluo » riferito a riguardo di Gesù nei confronti dell'in­ ferma, Weiss, 147 scrive: « Ma Pietro era solito raccon­ tarlo, perché per lui era indimenticabile ». Non tu�te . l� narrazioni di Marco presentano un carattere cos1, pnmltl-

Guarisione della suocera di Pietro 1 ,29-31

169

vo; per questa ragione è importante osservare i tratti peculiari di questa. Lohmeyer, 40, arriva a dire che non c'è nessun altro racconto in Marco che presenti un carat­ tere così distante eppure così vicino di ricordo personale. 29. E, uscito dalla sinagoga, si recò sub i to in casa Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30. La suocera di Simone era a letto con la febbre, subito essi gli parlarono di lei. 3 1 . Egli, accostatosi, la sollevò prendendo/a per mano; febb re la lasciò ed essa si mise a servirli.

di

di e

la

v. 29. Il racconto è collegato con quanto precede dalle parole : « E subito, uscito dalla sinagoga, si recò . . ». Il senso di euthus può essere « e allora » ; ma è pure possi­ ..

bile che l'intenzione sia di sottolineare che la prima cosa fatta da Gesù al lasciare la sinagoga fu di entrare nella casa di Simone e Andrea. Così Moffatt: - « ... andarono subito a ... ». Exelthon elthen: il singolare è altrettanto ben documen­ tato del plurale, dal punto di vista testuale; e va probabil­ mente preferito poiché sintonizza con il posto centrale occupato da Gesù in questa narrazione; quindi « usci­ to ... si recò » meglio di « usciti ... si recarono » (cfr. J. Weiss, Swete) . Oikia e oikos (2, 1) sono frequenti in Marco. La casa è quella di Simone e Andrea, dove evidentemente vivono ambedue. Matteo e Luca parlano soltanto di Simone (Pie­ tro, per Matteo) ; e Marco è l'unico che accenna alla pre­ senza di Giacomo e Giovanni. Si ha l'impressione che la casa di Simone fosse in questo periodo il punto di riferi­ mento per Gesù e i discepoli. Diversi commentatori (J. Weiss, Klostermann, Bultmann) pensano che i tre nomi, propri a Marco, siano un'aggiunta posteriore. Turner, 1 6, invece sostiene che la proposizione pesante si spiega sol­ tanto se la mettiamo in bocca a Pietro: « Ci recammo a casa nostra con Giacomo e Giovanni >> , = « suocera » : Pietro era dunque sposato al tempo della sua chiamata. Cfr. l Cor. 9, 5, dove appa­ re che successivamente la moglie lo accompagnò nei suoi viaggi missionari.

v. 30. Penthera

170

Vangelo secondo Marco

Puresso « aver la febbre », « essere febbricitante » (Mt. 8, 14) : termine raro, che si trova in pochi scrittori classi­ ci (LS, B auer) ma non nei LXX e neppure nei papiri. Non è possibile determinare se la malattia fosse appena avviata oppure a uno stadio grave. Luca la interpreta come una « gran febbre » (4, 38) , seguendo l'uso di medi­ ci antichi che distinguevano le febbri con i termini « gran­ de » (megas) e « piccola » (smikros) . Marco usa di nuovo euthus, qui senza dubbio nel senso di « immediatamente ». Parlare a Gesù dell'inferma fu la prima cosa che essi fecero. Turner afferma che legousin è usato impersonalmente (« gli vien detto ») ; ma sembra più probabile che il soggetto sottinteso sia « quello attor­ no a Simone » (cfr. Swete, Lagrange) . È stata avanzata l'ipotesi che l'intenzione fosse di giustificare la mancanza di ospitalità a causa dell'assenza della malata (cfr. J. Weiss) . Lagrange fa lo stesso commento, ma aggiunge: « forse con una speranza quasi inconfe ssata ». Nel com­ plesso, sembra che la migliore interpretazione sia: « e subito essi gli parlarono di lei» come una domanda spon­ tanea che egli vogHa usare in suo favore il proprio pote­ re taumaturgico. È questa l'interpretazione di Luca: « lo pregarono per lei » (4, 38) . 31. Proselthon indica o l'accostarsi di Gesù all'inferma o il suo ingresso nella stanza dov'essa si trovava (Lagran­ ge, 25) . Kratésas con un genitivo (come in 5, 4 1 ; 9, 27) esprime un'azione concomitante (Swete) più che antecedente (Bur­ ton) ; quindi: « prendendola per mano ». Luca quasi per­ sonifica la febbre : « chinatosi su di lei, intimò alla feb­ bre » (4, 39) . Puretos (« febbre )>-) : Mt. 8, 1 5 ; Le. 4, 38; lo. 4, 52; Atti 28, 8. Diékonei: il servizio a cena viene ricordato come espres­ sione della guarigione. Notevole è l'uso accurato dei tem­ pi, imperfetti e aoristi. Matteo sostituisce autois con autoi, presentando così il servizio a tutti come un atto di gratitudine verso Gesù. v.

Guarigioni di sera 1 ,32-34

8. Guarigioni di (M t. 8, 16 s;

sera

171

( 1 , 32-34 )

Le. 4, 40 s )

Sebbene la narrazione ricordi guarigioni ed esorcismi, non è ima storia di miracolo, né un sommario come 3 , 7-12. È una storia centrata su Gesù , connessa con un particolare tempo e luogo, che registra fatti rievocati al termine di una giornata memorabile. L'indicazione tempo­ rale all'inizio e il riferimento tacito alla casa di Simone al v. 33 collegano la narrazione alla storia precedente, entro il gruppo 1 , 21-39. Alla luce di quanto precede, appaiono pienamente verosimili il raccogliersi della folla all'inizio, l'esposizione di malati e posseduti, e il senso di tensione e di eccitazione nel racconto. Abbiamo buoni motivi per classificarlo come petrino. La versione di Matteo è breve e più convenzionale, e l'espressione semitica di Marco: « guarì molti >> viene esplicitata nella formula « guarì tutti >> (Mt. 8, 1 6) . Il racconto di Luca accentua ulteriormente l'elemento mira­ coloso affermando che egli pose le mani su ognuno di loro e li guarì, e descrivendo i demoni che, al venire " esorcizzati, gridavano : « Tu sei il Figlio di Dio » (4, 40 s ; cfr. Mc. 3 , 1 1 ) . Confrontate con la narrazione di Marco, queste versioni sono manifestamente secondarie. Di interesse eccezionale nel raccol!to di Marco è l'afferma­ zione secondo cui Gesù non avrebbe permesso ai demoni di parlare perché essi lo conoscevano. Se questo detta­ glio appartenga alla tradizione o sia una costruzione dog­ matica di Marco (cfr. Lohmeyer, 4 1 ) dipende dalla posizio­ ne che si prende nei confronti del « segreto messianico ». 32. Venuta la sera, al calar del sole, gli portavano tutti

i malati e gli indemoniati. 33. Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34. Guarì molti che erano afflitti da vari e malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demo­ ni di- parlare, perché lo conoscevano. v. 32. Opsios (4, 3 5 ; 6, 47; 14, 17; . 15, 42) : sottintendendo hora, designa il tardo pomeriggio, e in Marco è sempre usato al genitivo assoluto. L'espressione hote edusen ho helios precisa che si tratta del tramonto. Dunque, come succede spesso in Marco, le due frasi non sono tautologi-

172

Vangelo secondo Marco

che come sembra a prima vista. Matteo ha un parallelo solo alla prima frase, e Luca alla seconda; ma bisogna notare che Matteo non ha collegato al sabato la storia precedente. Marco rende esplicito che, quando la folla si raccoglie portando i malati, il sabato è terminato. Soltan­ to allora le guarigioni possono succedere senza infrange­ re la Legge. Da notare qui l'uso di de mentre Marco ha una forte preferenza per kai. Edusen (variante : edu) = « calò », « si immerse ». Eferon: impersonale : « la gente portava » (Swete, 24 : « giungevano l'un dopo l'altro ») . Una volta ancora, l'im­ perfetto è usato in modo pertinente (cfr'. l , 30 s) . L'espressione. idiomatica hoi kakos echontes ( 1 , 34; 2, 17; 6, 55) designa persone inferme (quattro volte in Matteo; una vqlta in Luca) . Esse vengono chiaramente distinte dai posseduti. Daimonizomai (5, 15 s. 1 8 ; Le. 8, 36; lo. 10, 2 1 ; sette volte in Matteo) , che appartiene al greco ellenistico, corrispon­ de al classico daimonao: « essere sotto il potere di un daimon » cfr. VGT, 1 35). v . 33. Questo passo descrittivo, peculiare al racconto di Marco, è caratteristico al cento per cento del suo stile. Perciò dobbiamo andare adagio nell'accogliere l'ipotesi se­ condo cui, non essendo presente in Matteo e in Luca, sarebbe opera di un redattore (J. Weiss, 148) . La formu­ la perifrastica descrive con vivezza il crescere della folla. Episunago appartiene al greco tardo ed è una forma raf­ forzata di sunago = « radunarsi assieme ». Hole he polis è iperbolico : « tutta la città » (come « tut­ ta la regione della Giudea » in l , 5) . Per pros con accusativo nel senso di « attorno » o « da­ vanti a », vedi pure 2, 2 e 1 1 , 4. La « porta » è quella della casa di· Pietro. Questo particolare suggerisce che la sezione 1 , 21-39 è un'unità, e che la storia ·� narrata dal punto di vista di Pietro. v. 34. Therapeuo (3, 2.10: 6, 5.13) = « servire » o « fare un trattamento medico ». Quest'ultima accezione classica è ben documentata nei papiri e nelle iscrizioni; e Ram­ say sostiene con ragione che è questo il senso del verbo in Luca e in Atti. È comunque inverosimile che Marco usi il verbo con questo significato o che Gesù consideri

Partenza per

un

luogo solitario 1,35-39

173

se stesso capace di « trattare » la malattia. La migliore traduzione è « guarì » o « curò » (Moffatt) . t:. stato spes­ so osservato che Marco afferma che Gesù guarì « molti » (pollous) , sebbene al v. 32 abbia usato « tutti » (pantas) . Ma è dubbio che Marco intendesse distinguere tra i due termini. Probabilmente si tratta di un semitismo (J. Jere­ mias, Lohmeyer) . Gli altri evangelisti rimuovono la dif­ ficoltà : Mt. 8, 1 6 traspose « molti » e « tutti »; e Le. 4, 40b legge : « Egli, imponendo su ciascuno le mani, li gua­ riva ». Luca dunque migliora l'ordine della proposizione spostando la notazione sulle « varie malattie » all'inizio della storia. Poikilos: originariamente significa « multico­ lore », « variegato >> poi - COil'\e qui - « vario >> , « molte­ plice >>, Daimonion: ( 1 , 34.39; 3, 1 5 .22; 6, 1 3 ; 7, 26.29 s; 9, 38; 1 6 , 9) : sostantivo formato dal neutro dell'aggettivo daimo­ nios = « divino », Nel greco classico significa « potere di­ vino », « divinità »; in seguito, come nel Nuovo Testamen­ to, uno « spirito cattivo », un « demonio » (cfr. VGT, 1 3 5 ) . Come in l , 3 2 , malattie e possessioni vengono distin­ te; la realtà di queste ultime è sottintesa (cfr. 1 , 23) . La forma efien è derivata da afiò, come se il verbo fosse semplice (cfr. 1 1 , 1 6 , e vedi Moulton) . Per afiemi (o afiò) con infinito = « permettere », « tollerare », vedi 5, 3 7 ; 7, 12.27; 10, 1 4 . Qui hoti = « perché ». Per la conoscenza mi­ steriosa dei p9sseduti vedi la nota a l , 24. Se, come è probabile, Marco capiva che si trattava della messianità di Gesù, si è controllato non aggiungendo alcuna interpre­ tazione. Luca aggiunge : sapevano « che egli era il Cri­ sto » (4, 41), e diversi MSS hanno assimilato a questa lettura anche il testo marciano. Questo passo, insieme con l , 25, fa parte dei dati su cui si basa la teoria di W. Wrede: il « segreto messianico » è una concezione dottrinale con la quale Marco ba carat­ terizzato il suo resoconto del ministero di Gesù. Vedi Introd., pp. 97-99

9. Partenza per un luogo solitario ( l , 35-39 ) (Le. 4, 42-44 )

Questa storia riguardante Gesù differisce da molte narra­ zioni di Marco perché non è autosufficiente ma deriva il

174

Vangelo

secondo Marco

suo significato dalle tre storie precedenti. Tratti primiti­ vi sono le indicazioni cronologiche insolitamente abbon­

danti e pittoresche all'inizio del racconto, e i termini e le formule : « Simone e quelli che erano con lui », « si mise sulle sue tracce », « Tutti ti cercano! », « per i vil­ laggi vicini ». Lohmeyer considera questo brano come un Traditionsstilck. Vi è presente « qualcosa del respiro di un mattino orientale >> (Wohlenberg, 66, citato da Sch­ midt, 58) . Gli studiosi della Formgeschichte lo considera­ no per lo più una « formazione redaziÒnale » o il somma­ rio di un periodo dell'attività di Gesù (cfr. Bultmann, Sundwall) . Designazioni del genere contrastano l'opinio­ ne della maggior parte dei commentatori, che vedono nel­ la narrazione una storia nata dalla vita. Cfr. J. Weiss, 149, che cita di nuovo un'affermazione di . Zahn: « Simo­ ne e quelli che erano con lui » rappresenta un originale « noi ». Cfr. anche Schmidt, Lagrange, Bartlet, Swete, Grant, Rawlinson. Quest'ultimo osserva che i fatti descrit­ ti in l , 2 1 -39 sono scene « tipiche ». Questo è vero; ma non esclude che si tratti di fatti storici. La storia termi­ na con la parola di Gesù : « Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto ». Il v. 39, su Gesù che predica nelle s inagoghe di tutta la. Galilea e caccia i demoni, è · un sommario che dà forma compiuta ali� sezione e prepara la strada a quanto segue. Matteo omette questo episodio. I cambiamenti stilistici e. interpretativi di Luca sono di grande interesse, e vengo­ no indicati nel commento. 35. E alzatosi di primo m attino, quand 'era ancor buio,

uscì e si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.

36. E Simone, insieme a quelli che erano con lui, si mise sulle sue tracce;

37. e lo trovarono e gli dissero : « Tutti ti cercano! ». 38. Egli disse loro : « Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti

sono venuto!

».

39. E predicava nelle loro sinagoghe pe r tutta Ja Galilea, e scacciava i demoni.

35. L'indicazione temporale iniziale, che consiste in tre avverbi, è un caso quasi unico nei vangeli (cfr. 16, 2; lo.

v.

Partenza per

un

luogo solitario 1,35-39

175

è: « Di primo mattino, mentre era ancor n.otte ». Luca perde la vivacità della frase inelegan­ te di Marco, traducendo nel suo greco migliore: « sul far del giorno » (genomenes dehemeras) . proi ( 1 1 , 20; 1 3 , 35; 1 5, l ; 1 6 , 2 ; Mt. 20, l ; 2 1 , 1 8 ; Jo. 1 8 , 2 8 ; 20, l ; Atti 28, 23) ·= « presto », « di mattino », ennucha è il neutro plurale di ennuchos = « notturno », usato avverbialmen­ te. Lian (6, 5 1 ; 9, 3 ; 16, 2) = « molto », « grandemente ». La strana costruzione temporale sembra riflettere il pun­ to di vista di quelli di casa, quando s'accorsero che Gesù se n'era andato. Cfr. J. Weiss, 148. Anastas exelthen ( « alzatosi uscì ») è il primo di molti esempi di un participio ridondante seguito da un verbo di moto (cfr. 2, 14; 7, 24; 10, 1 ) . La costruzione è semiti­ ca ma non esclusivamente tale. Lagrange cita Tucidide e afferma che l'uso « non è una costruzione esclusivamen­ te ebraica ». Kai apelthen è omesso da diversi MSS ; altri invece non hanno exelthen kai; alcuni commentatori spie­ gano la costruzione ridondante come una formula enfati­ ca (Swete, 26) ; ma il doppio verbo è « prettamente mar­ ciano » (Turner) , e dovrebbe essere conservato. Quindi : « alzatosi ... uscì e si ritirò ». Il « luogo deserto » (eremon topon) non è il deserto, perché la zona attorno a Cafarnao era coltivata a quel tempo, ma un luogo solitario e ritirato. « E là pregava » (proseuketo) : esclusivo di Marco. Altro­ ve egli ricorda la preghiera di Gesù in 6, 46; 14, 35 .39. È strano che Luca, il quale parla molto più spesso di que­ st'abitudine di Gesù (3, 2 1 ; 5, 16; 6, 1 2 ; 9, 18.28 s; 1 1 , l ; 22, 4 1 .44) , tralasci questo particolare marciano. Per que­ sto motivo J. Weiss, 148, accenna alla possibilità che si tratti della aggiunta di un redattore; ma questa ipotesi non sembra necessaria.

20, 1 ) . Il significato

·

36. Katadiokò: il perfettivo di dioko ·si trova spesso nei LXX, generalmente in senso ostile (cfr. Gen. 3 1 , 36; ecc.), ma anche in senso buono (Ps. 22 (23) , 6; 37 (38) , 21) : « perseguire », « seguire », « andare in cerca di )) v.

(cfr. Moulton, Moffatt) . Più probabile la lettura al singola­ re. Il verbo descrittivo sembra conservare il ricordo vivi­

do di una ricerca attiva, Per l'uso frequente di verbi composti in Marco, cfr. Moulton, l , 1 1 1-1 18, 237; Hawkins, 174 s.

176

Vangelo secondo Marco

« Simone e quelli che erano con lui », cioè i quattro di­ scepoli ricordati in l , 2 9 . Evidentemente, essi erano con­ vinti che Gesù stesse perdendo una grande occasione of­ fertagli dalle guarigioni e dagli esorcismi a Cafarnao. La vivezza dell'originale marciano acquista rilievo se la con­ frontiamo con Le. 4, 42. Invece di « Simone e quelli che erano con lui » Luca ha « le moltitudini » ; e invece del pittoresco katedioxen ( « si misero sulle sue tracce ») ha epezetoun auton (« lo cercavano ») .

v. 37. Meglio la lettura « lo trovarono e gli dissero » (heu­ ron kai legousin) che non c trovatolo, gli dissero »; la prima infatti è caratteristica di Marco (cfr. Tumer) . Per la stessa ragione non sembra necessario mettere un pun­ to fermo dopo auton e unire le prime tre parole con il versetto precedente. Come in l , 15.40, segue lo hoti reeita­ tivum. Nulla di più naturale che le semplici parole : « Tutti ti cercano! » (pantes zetousin se), che testimoniano la pro­ fonda impressione suscitata dal ministero a Cafarnao e il desiderio della gente che Gesù restasse con loro. Luca dice : « volevane trattenerlo perché non se ne andasse via da loro » (4, 42) . Cfr. lo. 6, 26. v. 38. Allaehou ( « altrove ») : molti MSS lo omettono a causa della sua ridondanza e forse anche perché era con­ siderato come fuori uso. Ho eehomenos = « vicino », « qui attorno » è comune nei LXX ma raro nel Nuovo Testamento (cfr. Le. 13, 33; Atti 13, 44; 20, 15; 21, 26; Ebr. 6, 9) . Komopolis è una cittadina di provincia che ha soltanto le dimensioni di un villaggio. Sconosciuto ai LXX, il voca­ bolo è usato da Strabone e da Giuseppe. Le parole « per questo sono venuto » indicano che il mo­ tivo della partenza da Cafarnao era il desiderio di una predicazione a più ampio raggio. Non ne segue che il verbo sottintenda « da Cafarnao », come pensano molti commentatori (cfr. Gould, Bartlet, Turner, Rawlinson, Wood) . Altri credono che Luca abbia interpretato corret­ tamente la sua fonte quando scrive: « per questo sono stato mandato » (4, 43) , e che exelthon significhi: « Sono venuto dal Padre >> (cfr. Swete; Plummer, Lagrange, Klo­ stermann, Schmidt) . Ma è piuttosto problematico che si

Guarigione di un lebbroso 1 ,40-45

177

tratti di un'idea così dogmatica; è meglio concludere che Marco pensa alla missione di Gesù in Galilea: « A que­ sto scopo ho intrapreso la mia missione ». La narrazione suscita l'impressione che Gesù abbia lasciato Cafarnao per sfuggire alla pressione del ministero di guarigioni in questa -città; Marco però non lo dice, e il v. 39 insinua il contrario. Nell'insieme, motivi determinanti sembrano il desiderio di una comunione ininterrotta con il Padre e la necessità di predicare altrove. Sebbene con termini diversi, Luca esprime la stessa idea (4, 43) . Vocabolario e stile suggeriscono che questo somma­ rio è stato aggiunto da Marco o nel comporre il vangelo o a uno stadio ancor più antico (cfr. Schmidt, 59) . Probabilmente, invece di « andò predicando » (elthen . . kerusson) bisogna leggere la perifrastica « predicava » (en . kerusson) . L'imperfetto perifrastico è caratteristi­ co di Marco, e si trova nel passo parallelo di Le. 4, 44 (cfr. Schmidt, Klostermann, Turner) . In confronto a 1 , 28, il ministero di Gesù si è ora allarga­ to a tutta la Galilea. Invece di « Galilea » Luca ha « Giu­ dea » (4, 44) ; che secondo Creed, 73, è una lettura inoppu­ gnabile (cfr. Plummer, St. L!c, 141). Probabilmente è usa­ to qui in senso inclusivo, per intendere tutta la Palesti­ na. J. Weiss, Wendling e altri considerano l'inciso « e scacciando i demoni » come l'aggiunta di un redattore; ma è meglio pensare che Marco volesse dare un resocon­ to sommario dell'attività di Gesù che è debolmente colle­ gata al contesto immediato. Un accenno analogo all'esorci­ smo in 6, 13 fa pensare che l'allusione sia in qualche modo convenzionale. Matteo sviluppa notevolmente il som­ mario (Mt. 4, 23) . Il suo uso di periegen (« andava attor­ no ») potrebbe confermare la lettura di elthen (« andò ») in Marco; ma può anche essere interpretato come una sostituzione dell'imperfetto perifrastico, costruzione che egli adotta solo tre volte. Cfr. Howard, 2, 452.

v. 39.

.

..

10.

Guarigione di un lebbroso ( 1 , 40-45 ) (Mt. 8, . 1-4; Le. 5, 12-16)

Questa narrazione fa da ponte tra 1 , 21-39 e 2, 1 - 3, 6, due sezioni che chiaramente formavano dei blocchi com-

178

Vangelo secondo Marco

piuti prima che venisse composto il vangelo. La narrazio­ ne è una storia .di miracolo, ma presenta una costruzio­ ne non stereotipa, e soltanto a prezzo di molte cancellatu­ re può essere ridotta alla forma descritta dalla Formge­ schichte. Così, Bultmann, 227, attribuisce all'evangelista i vv . 43 e 45 nonché le parole « Guarda di non dir niente a nessuno, ma » del v. 44; e Dibelius, 7 1 t 73 s pensa la stes­ sa cosa del v. 45, ma classifica la narrazione tra le Novel­ len. Queste ricostruzioni sono possibili, ma è preferibile - come nel caso dell'episodio dell'indemoniato nella sina­ . goga ( 1 , 2 1 -28( - assegnare la narrazione alla tradizione più antica, prima che il processo di logorio orale la ridu­ cesse a una forma stilizzata. Nomi di persone e di luoghi sono ormai scomparsi, ma la narrazione mantiene anco­ ra la forma un po' rozza della testimonianza primitiva. La storia di miracolo propriamente detta sembra finire al v. 42, seguito forse dal v. 45; i vv. 43 s hanno l'apparen­ za di un apoftegma sul problema dell'obbedienza alla Leg­ ge, problema di grande interesse per le comunità giudai­ cO:.cristiane. Naturalmente, è possibile che Marco abbia combinato due versioni della stessa storia (cfr. J. Weiss, 1 5 3n.) , come egli ha fatto chiaramente in 2, 1-12; ma è preferibile la spiegazione alternativa, cioè che 1 , 40-4 5 è un gruppo di cellule della tradizione primitiva in proces­ so di biforcazione. Il brano sull'osservanza della Legge (43 s) è ancora saldamente collegato all'episodio della pu­ rificazione del lebbroso (40-42. 45) ; ma è già pronto per essere staccato e diventare come le cinque storie in 2, 1 - 3, 6, in cui l'interesse è centrato su problemi di impor­ tanza religiosa per la comunità, in relazione ad atti e parole significative .di Gesù. Uno stadio successivo può essere visto nella breve narrazione di Mt. 8, 2-4, in cui sono omessi i particolari marciani primitivi e il punto culminante è raggiunto nel comando di conformarsi alle ordinanze della Legge (cfr. Schmidt, 67) . I primi razionalisti (per es. Paulus) descrivevano la narra­ zione come la versione tardiva di una storia che origina­ riamente narrava di un lebbroso nella crisi della guarigio­ ne; il quale, invece di presentarsi ai sacerdoti come pre­ scriveva la Legge, cercava da Gesù una dichiarazione di guarigione. Questa spiegazione, vista di buon occhio da J. Weiss, 1 52 s, fu decisamente rifiutata da D. F.

Guarigione di

un

lebbroso

1 ,4045

179

Strauss 1 , quando osservò che il significato di « Lo vo­ glio, guarisci ! » è determinato dalle parole : « Ed egli fu guarito » (le quali mostrano che katharizo è usato qui nel senso di purificazione attuale, come in Mt. 10, 8; 1 1 , 5 ) e d� haptomai (v. 4 1 ) , che è detto di un tocco curati­ vo. L'unico elemento in favore dell'ipotesi che non si sia trattato di un miracolo di guarigione è la stranezza del comando di osservare la Legge, e · il fatto che katharizo può significare « dichiarare puro (o guarito) )) non meno che « rendere puro ». Questi argomenti sono troppo esili per sostenere l'ipotesi, soprattutto perché la narrazione contiene tratti p rimi t ivi audaci, specialmente gli accenni alla collera e all'emozione profonda di Gesù, che solleva­ rono gravi difficoltà nella mente degli evangelisti successi­ vi e dei copisti. Bartlet, 1 1 8, classifica la narrazione come « tradizione apostolica primaria (petrina) », a differenza del « materia­ le caratteristicamente petrino )); e la distinzione, sebbene sottile, non è senza giustificazione. D'altro canto J. Weiss, 1 52, suppone invece che Pietro non sia stato pre­ sente (durante il periodo rico rdato in l, 39) e che dun­ que la tradizione petrina non offriva nulla a Marco su questo punto. È evidente che il fatto ha un legame piutto­ sto blando con il suo contesto presente; il comando: « Va', presentati al sacerdote » ha suggerito l 'ipotesi che esso fosse accaduto in Giudea. È comunque sintomatìco che Marco non cerchi di offrire indicazioni locali o tempo­ rali. In questo egli differisce da Matteo, che introduce la storia con le parole : « Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva )) (8, l ) , e da Luca il quale scrive che il lebbroso venne mentre Gesù era « in una città » (5, 12). Questi sviluppi mostrano che le « ricostruzioni )) hanno alle spalle una lunga storia, e che in un certo senso gli evangelisti successivi sono i primi critici stori­ ci. Marco scrisse prima di loro, e nell'episodio presente non mostra segn i di queste tendenze. Di conseguenza, se non vengono av�nzat� obiezioni più positive , egli ha tutti i titoli per essere letto con fiducia quando colloca i fatti lungo il ministero galileano primitivo. I problemi decisivi sono la guarigione e il comando di

l

Life of Jesus.

Vangelo secondo Marco

180

osservare il silenzio. L'ipotesi di una guarigione per sugge­ stione ha un certo rilievo nella misura in cui, secondo la convinzione comune, la malattia non era la lebbra quale la conosciamo oggi ; tuttavia una spiegazione del genere non soddisfa del tutto, perché presumibilmente la guari­ gione è istantanea. Una decisione al riguardo dipende dun­ que dalla convinzione o meno che Gesù fosse investito di un potere taumaturgico superiore a ogni analogia cono­ sciuta. Il comando di osservare il silenzio viene frainteso se lo si isola dalla ingiunzione : « Presentati al sacerdo­ te ». t:: questo il primo dovere che l'individuo deve com­ piere. Non vi sono difficoltà serie a riguardo di quest'in­ terpretazione; ma ci si può chiedere se Marco abbia inte­ so l'ingiunzione in questo modo; in questo caso, l'ipotesi del « segreto messianico » balza in primo piano. Nessu­ na di questa difficoltà esclude l'ipotesi che Marco dipen­ da da una tradizione valida; e se prendiamo in considera­ zione il realismo della narrazione e specialmente l'accen­ to sulla risposta di Gesù al bisogno del malato, carica di emozione, abbiamo buone ragioni per pensare che la tra­ dizione risale in definitiva a un testimonio oculare. Se Marco debba direttamente a Pietro il racconto rimane oggetto di congettura; ma è pienamente attendibile l'idea che il testimonio oculare sia stato Pietro o qualcuno a lui noto. 40. Allora venne a lui un lebbroso, lo supplicava in ginoc­

chio e gli diceva

«

Se vuoi, puoi mondarm i!

».

41. Adiratosi, stese la mano, lo toccò e gli diss é : 42. 43. 44.

45.

v.

« Lo voglio, sii mondato! », Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. Mosso da un profondo sentimento, immediatamente lo spinse via, e .gli disse: « Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presen­ tati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quel­ lo che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro » . Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare inten­ samente e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

40. Una volta ancora la narrazione comincia cen una

Guarigione di

un

lebbroso 1 ,40-45

181

semplice paratassi. Il presente storico erchetai (« vie­ ne » ) è ·caratteristico di Marco. Lepros « lebbroso »: Luca ha « un uomo coperto di leb­ bra » (5, 1 2) . La lebbra in questione non è - probabil­ mente .- la malattia tubercolare o anestetica che oggi conosciamo, e che si manifesta in paralisi, nell'imputridir­ si delle dita delle mani e dei piedi, nella deformità del viso, e nella perdita di sensibilità, ma piuttosto una ma­ lattia che attaccava la pelle; secondo Lev. 13, 1-59, essa era caratterizzata da lucide macchie e chiazze bianche sulla pelle e dall'imbiancarsi dei capelli, dalla depressio­ ne delle macchie e dal diffondersi della scabbia o di pustole (cfr. Mickelm, Lagrange, C. Creighton; E. W. G. Mastermann) . Parakaleo (5, 10.12.17 s.23 ; 6, 56; 7, 32; 8, 22) = « supplicaR re », « implorare », « ammonire », « confortare ». Kai gonupe ton : benché manchi in alcuni MSS, è solida­ mente documentato e deve con probabilità essere mante­ nuto (cfr. Swete, Turner, Klostermann, Plummer, Holtz­ mann; e vedi Mt. 8, 2 e Le. 5, 12) . Il verbo significa « cadere in ginocchio », « cadere davanti a uno » (10, 1 7 ; M t . 17, 14; 27, 29) ; termine recente, ignorato dai LXX. Per la costruzione lego hoti, vedi l , 1 5 . La presenza del titolo Kurie (« Signore ») prima delle paR role del lebbroso e dentro di esse (attestata da alcuni MSS) è interessante. Questo titolo, comune in Matteo ( 1 9 volte) e i n Luca ( 1 7 volte) , i n Marco s i trova soltanto in 7, 28 (e. in 1 0, 5 1 secondo alcuni MSS) . Non è dunque caratteristico di Marco, e può essere- nel nostro passo - un'assimilazione a Mt. 8, 2 o a Le. 5, 12. La costruzione ean con il congiuntivo, seguita qui dal presente indicativo dunasai (« se vuoi, puoi ») è abituale in Marco, normalmente con il futuro nell'apodosi. In que­ sto passo, essa non esprime dubbio ma piuttosto fiducia, purché Gesù si decida ad agire. Katharizo (l, 41 s; 7, 19) = « purificare » : ellenistico, per l'attico kathairo (lo. 1 5 , 2) . Sia nelle iscrizioni che nei LXX, il verbo è usato a riguardo di purificazioni sia fisi­ che che cerimoniali (cfr. Lev. 13, 14; 2 Re 5, 10.12) , nel · senso di dichiarare puro come in quello di rendere pu­ ro ; ma nel nostro episodio non c'è alcun motivo che por­ ti a preferire la prima accezione.

182

Vangelo secondo Marco

v. 41.

C'è una variante che ha « mosso a compassione » (splanch nistheis) . Sebbene si trovi altrove in Matteo (5 volte) e in Luca (3 volte) , è assente nelle narrazioni paral­ lele di questi vangeli. Questo fatto rafforza l'ipotesi, mol­ to probabile in se stessa, che la lettura originale marcia­ na fosse orgistheis (« adiratosi ») , attestato da alcuni MSS ; è facile infatti vedere perché questa lettura sia stata cam­ biata nella prima ( « mosso a compassion e »), mentre. non sarebbe agevole spiegare il contrario (cfr. per es. Rawlinson, Turner, Branscomb, Creed, Moffatt, Cadoux, Nicklem) . Hort, 23, pensa che la lettura è forse suggeri­ ta dal v. 43, oppure derivata da una fonte estranea; Plum­ mer, 7 6, pensa a una glossa marginale; Swete, 29, rifiutan­ do la spiegazione di Efrem (« Quia dixit : " Si vis ", ira­ tus est ») osserva che a questo punto della storia non c'è nulla che suggerisca la collera. La bilancia dell'argomen­ to pende fortemente in suo favore, e credo che dovrebbe essere accettato. « Stese la mano » è un dettaglio storico più che un trat­ to puramente stilistico delle storie di miracoli (cfr. Bult­ mann, 227) . Seguito da « lo toccò », è un elemento carat­ teristico di questo episodio, che porta C. G. Montefiore a scrivere : « Cominciamo qui a cogliere il tratto nuovo del mini s tero di Gesù: la sua intensa compassione per l'emarginato, il sofferente, che a causa del suo peccato o della sua malattia ... si è messo al di fuori della rispettabi­ le società giudaica » ( 1 , · 39) . Marco presenta un interesse speciale per il fatto che Gesù tocca i malati: 7, 33; 8, 22 (cfr. 10, 1 3 ) , o che essi lo toccano : 3, 10; 5, 27 s.30 s ; 6, 56. « Sii mondato », seguito - nel verso 42 - da « fu monda­ to », fa pensare a una purificazione effettiva più che a una dichiarazione (cfr. supra) . Se bìsogna leggere « adiratosi », la collera la si spiega meglio come la reazione di Gesù alla malattia (così Bran­ scomb, Cadoux) che come indignazione per l'interruzione del suo ministero di predicazione o per la violazione del­ la Legge da parte del lebbroso (cfr. Rawlinson) . 42. Euthus = « subito » indica qui il carattere istanta· neo della guarigione. Il verso è un esempio dell'abbondan­ za espressiva tipica dello stile di Marco. Mentre Luca con serva solo la prima parte (5, 13), Matteo (8, 3) ha sem pl icemente : « E subito la sua lebbra fu guarita ».

v.

Guarigione di

un

lebbroso

l ,40-45

183

Nota che Naaman fu mondato ma non toccato: 2 Re 5, 1 1 .14. 43. Emb rimaomai (14, 5; Mt. 9, 30; Jo. 1 1 , 33.38) indica un sentimento intenso di una persona tra sé e sé (Moul­ ton) . Il" verbo è raro nel greco classico e nei LXX (Dan. 1 1 , 30; cfr. Lam. 2, 6) ; nessun esempio ne viene citato dai papiri in VGT, 206. Per questo passo è difficile trova­ re una traduzione soddisfacente. In Jo. 1 1 , 33 .38 la versio­ ne migliore è « turbarsi »; ma in Mc. 1 , 43; 14, 5; e in Mt. 9, 30 il verbo è seguito da un complemento persona­ le al dativo. Nel nostro caso potremmo adottare « gridan­ do » o un'espressione avverbiale come « con forza »; par­ lare di minacce e rimproveri è un po' troppo forte (la Volgata ha: « comminatus est ») . Molti commentatori se­ guono Swete, 30, che adotta una parafrasi: « Gli ingiun­ se rigorosamente ». Lagrange traduce : « Et s'adressant à lui avec sévérité >>. Eccellente il commento di Bernard : « Questo verbo rappresenta i suoni inarticolati che sfug­ gono a chi è fisicamente sopraffatto da una grande onda­ ta di emozione. E Gesù, l'uomo perfetto, ha fatto questa esperienza come ha fatto ogni altra esperienza umana non segnata dal peccato. Quando egli ingiunse al lebbra­ so e al cieco da lui soccorsi di non dir nulla di quanto aveva fatto per loro, inciampava nelle parole, tanta era l'agitazione che trapelava dal tono alto e aspro d�lla sua voce. « Urlò verso di loro » non renderebbe esattamente il senso, perché suggerirebbe violenza di linguaggio o co­ mando. Ma è più vicino al senso primario del nostro verbo che non la formula: « Comandò loro severamen­ te » (ICC, St. Jn, 392 s) . Traduzioni che suggeriscono l'i­ dea di rabbia, sebbene strettamente connesse al significa­ to del verbo (cfr. Klostermann, Holtzmann) non sono sod­ disfacenti se insinuano che Gesù si sia adirato con il Iebbroso ; perché non c'è null a che indichi una interpreta­ zione del genere. Torrey fa l'interessante osservazione che emb rimesamenos può essere una traduzione scorret­ ta del verbo ebraico e aramaico rghz che originariamen­ te significava una forte agitazione ma venne in seguito usato sempre più esclusivamente per rab bia. Quest'osser­ vazione comunque è congetturale, se sembra ignorare che il verbo greco ha altri significati oltre quello di adi­ rarsi. Egli ha però ragione di sottolineare l'idea di agita-

v.

184

Vangelo secondo Marco

zione; e la miglior traduzione di l , 43 è probabilmente : « Mosso da un profondo sentimento nei suoi confronti, immediatamente lo spinse via ». In questo contesto abbiamo motivo di tradurre exebalen con « spingere via ». Swete, 30, sottovaluta la situazione quando dice che l'originale « implica almeno un po' di pressione e d'urgenza ». Per molti commentatori il verbo comporta espulsione da una casa (cfr. Wellhausen, Weiss, Rawlinson) ; altri pensano a una sinagoga; ma nes­ suna delle due ipotesi si impone, e l'episodio può benissi­ mo essere accaduto sulla strada (cfr. Schmidt, Branscomb, Plummer) . Non meraviglia che Matteo e Luca omettano questo ver­ setto, come fanno pure alcuni MSS. Ma non vi possono essere dubbi sulla sua autenticità e sul suo carattere pri­ mitivo. Soltanto raramente nei vangeli sono descritte le emozioni di Gesù e indicate le sue reazioni nei confronti di altre persone. Cfr. 3, 5; 6, 6; 10, 14.2 1 ; 14, 33, e le implicazioni di 8, 33. Per quanti possano essere i punti oscuri di l, 43 , ci troviamo qui . vicino agli eventi così come sono effettiva­ mente accaduti. v. 44. Horao (8, 15.24 ; 9, 4; 13, 26; 14, 62; 16, 7) . Nel comando « guarda di non dir niente a nessuno », l'impe­ rativo presente hora è seguito da me con l'aoristo con­ giuntivo, che esprime una proibizione. Il doppio negativo è caratteristico dell'uso di Marco. Matteo e Luca omettono meden, come pure importanti MSS del testo di Marco ; ma esso è indubbiamente origi­ nale. La costruzione spezzata in « guarda di non dir nien­ te a nessuno » e poi ancora in « va', presentati al sacerdo­ te », è un tratto caratteristico dello stile di Marco, a vol­ te nelle narrazioni ma più spesso nei detti; e, come seri� ve Lagrange, LXXI , nella maggior parte dei casi l'omissio­ ne rende lo stile più rapido e quindi più espressivo. Il cambiamento dall'indicativo presente ai due aoristi (d e i­ xon = « mostrati » e prosenegke = « offri ») illustra anco­ ra una volta la facilità di Marco nell'uso dei tempi. Hupago ( 1 5 volte) = « andare » ; nel greco classico, sia transitivo (« condurre ))) che intransitivo; raro nei LXX ma comune nel vernacolo. « Il termine è evitato da Lu­ ca, forse - come osserva Abbott - a causa della varietà

Guarigione

di

un

lebbroso

1,40-45

185

di accezioni nel vernacolo, dove essa si gnifica « continua­ re » o « progredire », come pure « tornare » (VGT, 650) . Il comando di non dir nulla a nessuno è un esempio ulteriore (cfr. l , 34) dell'imposizione del segreto, caratteri­ stica di Marco. Vedi introd., pp. 97-99. Qui il comando si spiega · naturalmente con il ritiro di Gesù da Cafarnao e il suo desiderio di dedicarsi al ministero della predicazio­ ne ( 1 , 38) . L'idea della messianità è così lontana, sullo sfondo, che si arriva a pensarci solo alla luce del detto - non riportato da Marco - che la guarigione del leb­ broso è uno dei segni dell'attività messianica (Le. 7 , 2 2 = Mt. 1 1 , 5). L'istruzione secondo cui i l lebbroso guari­ to deve presentarsi al sacerdote testimonia il riconosci­ mento da parte di Gesù della validità della Legge mosai­ ca (Lev. 1 3, 49) anche dove non si tratta di questioni morali. Cfr. Le. 11, 14 ; Mt. 5, 23 s. « Al sacerdote »: l'articolo designa il sacerdote in funzio­ ne (cfr. Klostermann, 24) . Prosfero = « offrire », « portare » (2, 4; 10, 13) . Katharismos (Le. 2, 22; 5, 1 4 ; lo. 2 , 6; 3, 25; Ebr. 1 , 3 ; 2 Pt. l , 9 ) = « purificazione » : qui s i tratta d i purifica­ zione reale, non di semplice dichiarazione di purità. Per l'offerta in questione, vedi Lev. 1 4 , 4 ss. Eis marturion autois, cioè per testimoniare ai sace.rdoti che la guarigione è completa. L'osservazione di Swete, 3 1 , secondo cui si tratterebbe di testimoniare la presenza di un Profeta in mezzo a loro, che potrebbe essere ritenu­ to il Messia (cfr. Mt. 1 1 , 5), legge nella frase quello che forse non c'è. Autois è dativo di vantaggio, senza alcuna venatura di ostilità. L'accordo è a d sensum, sia che il pronome venga riferito ai sacerdoti (Swete, Plummer, McNeile) , sia che venga riferito al popolo in generale, come pensano molti commentatori (Klostermann, Lagran­ ge, Creed, Easton, Luce) .

v. 45. Non è indicato alcun cambiamento di soggetto, ed è quindi possibile interpretare exelthon (« allontanatosi >>) di Gesù e intendere ton logon come il vangelo, il « mes­ saggio di salvezza » (Heilsbotschaft) . Così Allen, Kloster­ mann. Ma è molto più probabile che Marco voglia dire che il lebbroso se ne andò e, disobbedendo al comando di Gesù, cominciò a diffondere la sua storia ( « ton lo-

186

Vangelo secondo Marco

gon » : Lutero : die Geschichte) in lungo e in largo. Cfr. Rawlinson, 22. Marco usa 26 volte la costruzione, « cominciò a » con l'infinito. Di questi esempi Matteo non ne conserva che sei. Luca li riduce a due, ma adotta la stessa costruzione in 23 o 25 altri casi, cinque in contesti. marciani. Anche l'uso marciano di polla in senso avverbiale ( « mol­ to ») è probabilmente dovuto all'influsso dell'aramaico (cfr. Howard; Lagrange, il quale tuttavia osserva che l'uso è perfettamente greco in ogni periodo; Al1en) . Hawikins nota nove esempi in Marco, quatro nelle lettere di Paolo, uno solo in tutto il resto del Nuovo Testamento. « In tutti gli altri casi - egli dice - polla è più probabilmen­ te un accusativo »; Diafemizo = « diffondere », « far conoscere ». Per la co­ struzione hos te con accusativo e infinito, ve di l , 2 7 . Sch­ midt, 66 , inclina a pensare che faneros sia stato aggiun· to dall'evangelista alla sua fonte, poiché c'è una contraddi­ zione interna nel versetto: dopo l'accento posto su « pub­ blicamente », ci si aspetterebbe l'affermazione che Gesù poteva entrare solo in segreto nella città. J. Weiss e Wre­ de vedono nel versetto un motivo dogmatico connesso con l'idea del « segreto messianico >>. Può essere che Mar­ co abbia enfatizzato l'idea del segreto; ma Schmidt ha certamente ragione di pensare che il v. 45 appartiene al­ la storia originale, e che al più la clausola « al punto che ... se ne stava fuori >> è un'aggiunta. L'affermazione che il lebbroso proclama la grande impresa di Gesù e che la gente viene a lui da ogni parte costituisce un eccel­ lente punto di arrivo di tutto il racconto. « Venivano »: plurale impersonale. Pantothen = « da tutte le parti » (LXX, VGT, 478). (b)

CONFLI TTI

CON

GLI

SCRIBI

2, 1-3, 6

Questa sottosezione Gesù e i rabbini, è e a costruzione dal me la troviamo in, guenti:

tematica, che descrive conflitti tra molto differente quanto a contenuto gruppo di narrazioni in l , 2 1-39. Co­ Marco, essa include gli episodi se­

(U) 2, 1-12. Il paralitico e il perdono

II paralitico e H perdono 2,t-1i

(12) 2, ( 13) 2, (14) 2, ( 1 5) 2, ( 1 6) 2, ( 1 7) 2,

13 s. 15-17. 1 8-20. 21 s. 23-26. 27 s.

( 1 8) 3, 1-6.

187

La chiamata di Levi A tavola con i pubblicani e i peccatori Sul digiuno Detti sulle toppe e gli otri Sul sabato (le spighe) Detti sul sabato Sul sabato (l'uomo con la mano inaridita)

Per la discussione sul carattere pre-marciano di questo complesso, vedi Introd., pp. 64 s, dove si conclude che ' esso const.a di un gruppo di cinque apoftegmi, in cui l'episodio della chiamata di Levi e i detti ai vv. 21 s e 27 s sono stati inseriti per affinità di contenuto.

1 1 . Il paralitico

e

il perdono (2, 1-1 2 )

(Mt. 9 . 1-8; Le. 5, 17-26)

Il fatto di . dover adottare un duplice titolo per questa narrazione insinua che ci troviamo davantj a un raccon­ to composito. � strano che Dibelius, 43, lo classifichi entro una serie di otto paradigmi che « rappresentano il tipo con notevole purezza ». Bultmann, 1 2-1 4 , 227, dimo­ stra una più acuta comprensione della sua natura quan­ do lo descrive come la combinazione di un apoftegma (in Sb-1 0a) e di una storia di miracolo (in 1-5 a. 10b-12) . A conferma dell'ipotesi che 5b-10a è un'inserzione egli cita Wrede, Volter, Fridrichsen, Loisy e Klostermann. Tra i commentatori inglesi, Rawlinson, 25, mentre rifiuta l'ipo­ tesi che 5b-10a sia un'interpolazione, ritiene che l'episo­ dio venne ampliato nella predicazione cristiana, e che l'e­ lemento di controversia « si insinuò come un'eco delle controversie cristiane primitive con la sinagoga ». � pure interessante ricordare lo spunto di J. Weiss, 156, secon­ do il quale Marco derivò la narrazione dalla « fonte apo­ stolica » (rappresentata da Mt. 9, 1-8) , ma l'integrò con molti dettagli attinti ai suoi ricordi . delle narrazioni di Pietro. Sembra comunque necessaria una qualche ipotesi di origine duplice; personalmente aderisco a quella espo-

188

Vangelo secondo Marcò

sta in FGT, 66-68, che è sostanzialmente quella di Bult­ mann sopra ricordata. Già possibile nella storia del leb­ broso, quest'ipotesi ha più salde basi per quanto riguar­ da la narrazione presente. Sono molte le considerazioni che suggeriscono una compi­ lazione. (l) La vivacità di 3-5a. l l s, con i particolari dello scoper­ chiamento del tetto, della folla e della casa, fa pensare a una dipendenza dalla tradizione primitiva. (2) La sezione di controversia, 5b-1 0a, è di un altro stampo. (3) Le frasi : « disse al paralitico », in Sa e lOb, hanno l'apparenza di suture editoriali. (4) I vv. 1 1 s riferiscono soltanto l'atto della guarigione, e nell'intenzione dell'evangelista « tutti » si riferisce alla folla; mentre, così come si trova la narrazione, è suscetti­ bile dell'interpretazione erronea che anche gli scribi vi siano inclusi. (5) Sebbene vi manchi un'introduzione, 5b-10a ha una for­ te somiglianza - quanto alla forma e alla costruzione con gli apoftegmi ai vv . 1 6 s.l S-20.23-26; 3, 1-6. Naturalmen­ te, può essere che, come l , 40-45, anche 2, 1-12 sia un'uni­ tà originale e ineguale, al di fuori della quale sono pron­ ti a svilupparsi elementi nuovi. Un processo del genere avviene in Mt. 9, 1 -8 , in cui il miracolo rimane sullo sfon­ do, mentre il primo piano è occupato dal problema del perdono dei peccati. A ogni modo, le ragioni più solide sono a favore dell'ipotesi sopra abbozzata. In 5b-10a i nomi di persone, le indicazioni di tempo e luogo, e i dettagli vivaci nel corso degli eventi sono scom­ parsi. Tutto è concentrato sul problema del perdono. Que­ st'interesse dev'essere stato suscitato dalla vita e dall'e­ sperienza della comunità primitiva (cfr. lo. 20, 23; l Cor. 5, 3-5; 2 Cor. 2, 5-1 1 ) che, in presenza di problemi spiritua­ li acuti, si richiamava all'esempio e all'autorità di Gesù. Sembra ragionevole suggerire che la testimonianza stori­ ca dovesse essere preferita all'invenzione creativa in un tempo in cui erano ancora in vita i testimoni oculari. Questa considerazione induce a pensare che il racconto è storico e non teologia della comunità (Gemeindetheolo­ gie) .

Il paralitico e il perdono 2,1-li

189

l . Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si

seppe che era in casa

2. e si radunarono tante persone, che neppure lo spazio

3. 4.

5.

6. 7. 8.

9. 10. 11.

12.

davanti alla porta riusciva più a contenerle; ed egli annunziava loro la Buona Notizia. Si recarono da lui con un paralitico portato da quat­ tro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a· causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si tro­ vava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico : « Figlio­ lo, ti sono rimessi i peccati » . Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor lorò : « Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può ri­ mettere i peccati se non Dio solo? ». Ma Gesù, accortosi nel suo spirito che così pensava­ no tra sé, disse loro : « Perché pensate così nei vo­ stri cuori? Che cosa è più facile : dire al paralitico : Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire : Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il pote­ re sulla terra di rimettere i peccati, ti dico. - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua ». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodava­ no Dio dicendo : « Non abbiamo mai visto nulla di simile! ».

v. l. Eiselthon = « entrato » : è un esempio di anacoluto o costruzione spezzata, un tratto che Hawkins, 135, nota come « particolare caratteristica di Marco ». Naturalmen­ te, la tradizione manoscritta mostra che sono stati fatti tentativi per migliorare la connessione, introducendo un verbo finito; ma non vi sono dubbi che il testo è cor­ retto. « Dopo alcuni giorni » (di'hemeron) . Qui dia con il geniti­ vo designa l'intervallo trascorso tra due punti di tempo. La costruzione è classica, e appare nei papiri {cfr. Atti 24, 1 7 ; Gal. 2, 1 ) . Probabilmente questa indicazione tempo-

190

Vangelo secondo Marcò

rale dovrebbe essere collegata con « entrato » piuttosto che con « si seppe » (cfr. Swete, Klostermann, Lohme­ yer) . Palin (2 8 volte) è un vocabolo caro a Marco; . il significa­ to originale di « dietro » si è trasformato nel greco tardi­ vo nel senso di >, « contenere » (lo. 2, 6; 2 1 , 25; Mt. 19, 1 1 s; 2 Cor. 7, 2) . Ta pros ten thuran significa lo spazio attorno alla porta,

Il paralitico e il perdono 2,1-12

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probabilmente sulla strada. Questa casa modesta non ha « atrio » (Mt. 26, 7 1 ) né cortile (Mc. 14, 68) . Ho logos significa qui « la Buona Notizia », come in 4, 1 4 ss. 33; 16, 20. Altrove significa invece « detto » (5, 36; 1, 29; 8, 32.38 ; 9, 10; 10, 22.24; 13, 3 1 ) , « storia » (1, 45) , • questione » ( 1 1 , 29) ; « discorso » (12, 13) ; « petizione » (14, 39) ; « parola (di Dio) » (7, 1 3 ) . In Atti 4, 29.3 1 ; 8 , 25; ll , 19; 13, 4 9 ecc. Lalein ton logon è « proclamare il messaggio cristiano » ; ma non c'è motivo di trovare questa accezione in Marco. Il sommario di 2, l s in troduce l'episodio del paralitico più che l'intera sezione. Se ne riceve l'impressione che Marco si serva di una tradizione ben definita. Non è faci­ le dire in che misura egli la modifichi per i suoi scopi editoriali. Schmidt, 78 s, afferma che originarìamente l'epi­ sodio iniziava con le parole: « Ed era in casa », seguite dal v. 3; 'tutto il resto di questi due versetti sarebbe stato interpolato dall'evangelista. 3. La storia inizia con le quattro persone che portano l'individuo paralitico dalla nascita. Erchontai ( « si recaro­ no ») è impersonale e presente storico. Lagrange, 33, pen­ sa si riferisca ai parenti. « Paralitico >> (2, 4 s. 9 s; Mt. 4, 24; 8, 6; 9, 2.6; Le. 5, 24) : Marco ha paralutikos, termine tardivo, assente nel greco classico e nei LXX. Luca ha paralelumenos. La frase « portato da quattro persone » è esclusiva di Marco. Non si vede perché spiegarla come un'aggiunta posteriore (J. Weiss, 155). Al contrario, si tratta di un dettagl io ricordato da un testimonio oculare. Weiss fa ri­ salire la storia a Pietro, e dice che erchontai è scelto dal punto di vista della casa (quindi: « vennero ») . v.

Prosfer6 è qui usato nel senso di « portare ». Swe­ te, 33, osserva che l'assenza di un oggetto diretto (au ton) può render conto della lettura proseggisai (« avvicinar­ s i ») di alcuni MSS. Sebbene la presenza della folla sia stata accennata in l, 5.33.45, Marco usa qui ho ochlos (31 volte) per la prima volta. Stege (Mt. 8, 8; Le. 1, 6) : « tetto » (greco classico, LXX, papiri) . Si tratta di un tetto piatto coperto di terra. Lu.­ ca parla di una casa coperta di tegole (5, 1 9) . Cfr. Creed, 79. L'espressione « scoperchiarono il tetto » anticipa l'a-

v. 4.

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Vangelo secondo

Marco

zione descritta da « fecero un'apertura », ed è ridondan­ te; ma può darsi che Marco intenda spiegare ciò che avvenne in funzione dei lettori pagani (J. Weiss, 155) . Wellhausen, 15, spiega l'espressione come una cattiva tra­ duzione dall'aramaico, che più correttamente significhe­ rebbe: « lo portarono sul tetto ». Quest 'ipotesi è accetta­ ta da alcuni commentatori, ma è congetturale e non ne­ cessaria . Altri accolgono l'idea di un aramaico sottostan­ te, mfl. pensano che l ' espressione in questa lingua signifi­ casse « scoprire il tetto ». Vedi Howard, 470. Exorusso (Gal. 4, 15) = « scavare » (greco classico, LXX, papiri) . Il participi o è molto realistico (Lagrange: « a­ yant fait une ouverture », 3 5) , e designa il carattere della casa. Il tetto era probabilmente formato da travi con ra­ mi messi di traverso, coperti di terra compressa. Fare una apertura abbastanza larga per un letto non doveva essere difficile. Cfr. Lagrange, 33 s. Il luogo dove si trova­ va Gesù può essere stato una stanza superiore, ma non è probabile che ci sia stata una veranda coperta attorno alla aulé (Edersheim, l , 50 3) . Vedi Swete, 33 s. La salita sul tetto, di cui Marco non parla (cfr. Le. 5, 19) dev'esse­ re avvenuta mediante una scala esterna (cfr. 1 3, 15) . Chalao = « abbassare », « calare » : Le. 5, 4 s (calare le reti) ; Atti 9, 25 (S. Paolo calato in una cesta a Dama­ sco) ; 27, 17.30; 2 Cor. 1 1 , 33 (come Atti 9, 25) . Krabattos è il letto della povera gente; quindi più appro­ priato a questa narrazione che kliné con cui l'hanno sosti­ tui to Mt. 9, 2 e Le. 5, 18 (in 5, 1 9.24, Luca ha klinidion) . Il termine di Marco non è attico ma forse di origine macedonica (Moulton) ; ne deriva il lati no grabatus, pa­ gli ericcio . Invece di « su cui giaceva il paraliti co », Luca ha « davanti a Gesù nel mezzo della stanza » (v. 19) e più avanti « su cui era disteso » (v. 25) . La descrizione, come s'è visto, è piena di colore locale. Matteo omette il versetto e Luca lo ritocca, mentre i MSS occidentali omettono exoruxantes ( « fatta un'apertu­ ra ») probabilmente perché il cenno era oscuro per letto­ ri non palestinesi. Dobbia�o dunque �olto a Marco eh� . ci ha riportato la scena m modo visivo, sulla base dt una buona tradizione. v. 5. Pis tis = « fede » (4, 40; 5, 34; 10, 52; 1 1 , 22) è molto frequente in Marco che pisteuo = « credere )>. Deno-

meno

Il paraliticO e il perdono 2,1-12

193

ta un abbandono fiducioso in Gesù e nel suo potere di aiuto. Vittore ed Efrem (cfr. Swete, 34) interpretano « la loro fede » come la fede dei quattro portatori più che di quella del paralitico, ma la maggior parte dei commentatori moderni giustamente include anche la fe­ de di quest'ultimo (per es. Klostermann, Lagrange; Gould, Bartlet) . « Figliolo » (teknon) è usato qui come una forma affettuo­ sa di interpellazione (10, 24; cfr. Mt. 2 1 , 28; Le. 2, 48; 15, 31; 16, 25; lo. 13, 33; l Cor. 4, 14.17; Gal. 4, 19) . Confronta­ re con l'uso di huie (« figlio ») in Prov. l , 8.10; 2, 1-; ecc. È strano che questa tenerezza sia assente dall'appella­ tivo « uomo » : anthrope) di Luca (5, 20) . Afiémi è usato qui con il significato di « perdonare », più particolarmente di « rimettere », cioè accantonare pecca­ ti e trasgressioni. Mentre il presente è normalmente dura­ tivo, afientai è qui puntuale (cfr. Burton, Moulton) con il significato� « in questo momento sono perdonati », L'af­ fermazione è una dichiarazione autoritativa. Questa deci­ sione di tono è assente nel perfetto di Luca (5, 20) . Il riferimento al perdono mentre ci si aspetta la parola di guarigione è brusco. Sembra giustificato pensare che Gesù facesse risalire la situazione di quell'uomo al pecca­ to e considerasse la sua restaurazione· spirituale come una condizione primaria e indispensabile per la· guarigio­ ne. Non che Gesù ritenesse il peccato l'unica causa di sofferenza e di disgrazia (cfr. lo. 9, 2; Le. 13, 1-5) , ma egli non poteva fare a meno di notare la stretta connes­ sione tra condizioni mentali, spirituali e fisiche, anticipan.: do da questo punto di vista le conclusioni della psicotera­ pia moderna a riguardo delle forme isteriche di paralisi. Vedi Micklem, 88-9 1 , che cita casi di questo genere nella pratica medica moderna; J. Weiss. 158n. Che nel nostro caso si sia trattato di una paralisi di questo tipo possia­ mo soltanto arguirlo dall'offerta di perdono immediato da parte di Gesù. È anche possibile che la dichiarazione di Gesù avesse già intenzione curativa. Sembra . sprovvista di fondamento in questo contesto l'ipo­ tesi che il perdono dei peccati fosse una funzione messia­ nica. Cfr. B illerbeck, l , 495, 1017. Gesù non ha autorità di rimettere i peccati in quanto Figlio dell'uomo secondo Enoch ma in quanto Figlio dell'uomo nel senso in cui

194

Vangelo secondo Marco

egli intende il titolo: senso fondato sulla relazione unica in cui egli crede di trovarsi con Dio e con gli uomini. v. 6. Dialogizomai (2, 8; 8, 16 s; 9, 33; 1 1 , 3 1 ) = « ragiona­ re », « ponderare » (greco classico, LXX, papiri) . Nei docu­ menti egiziani il verbo è usato per descrivere i conven­ tus o incontri giudiziali del prefetto; nel Nuovo Testamen­ to significa invece dibattito o deliberazione interna. Kardia = « cuore >> : l'espressione è ebraica: in conformi­ tà alla concezione dell'Antico Testamento, il cuore è cen­ tro di percezione e di pensiero non meno che di affezio­ ne. Nel racconto gli scribi non dicono nulla; ma i loro pensieri, visibili sui loro volti, vengono ugualmente de­ scritti (2, 7) .

« perché? >> : questo uso è presente altrove in Marco (2, 16; 9, 1 1 .28) . Nel nostro caso, i MSS che lo portano sono pochi ma di grande attendibilità; e la lettura ha ottime ragioni per essere accolta, dato che - come mostra la tradizione dei manoscritti - gli seri­ bi avevano la tendenza a sostituire hoti con ti o con dia ti. Houtos = « costui » : sembra dispregiativo (come il lati­ no iste) . Lalei significa qui « parla ». « Bestemmia! »: è questo il senso di blasfeme6 sia nel greco classico che nei LXX. Wellhausen, 15, interpreta i due verbi (« parla » e « bestemmia ») come una tra duzio­ ne errata di due participi aramaici, il secondo dei quali dovrebbe essere tradotto come participio. Cfr. l'uso del sostantivo (« dice una bestemmia ») da parte di Luca (5, 21). Moulton (1, 23 1 ; 2, 16) rifiuta questo suggerimento e osserva che la puntuazione con l'interrogativo dopo il .primo verbo è perfe ttamente greca. Heis ho theos (cfr. 10, 1 8) è abitualmente interpretato come monos ho theos (Le. 5, 21 = « Dio solo ». E. F. F. Bishop preferisce rendere l'intera espressione: « eccetto l'unico Dio », e suggerisce che l'originale dovette essere probabilmente : « Chi può perdonare i peccati se non l'U­ nico? » ; ho theos sarebbe così un commen�o di Marco. Come ved iamo, Marco rappresenta gli scribi che accusa­ no mentalmente Gesù di bestemmia! II perdono è una p rerogativa di Dio nella concezione dell'Antico Tes tamenv.

7. Roti sta per ti

=

Il paralitico e il perdono .2,1-1�

to (cfr. Ez. 3 4 , 6 s; Is. 43, 25; 44, 22) ; dunque, usurpare questo d�ritto equivale a bestemmiarlo. La punizione del­ la bestemmia era la lapidazione (cfr. Lev. 24, 1 5 s; 1 Re 21, 1 3 ; cfr. lo. 10, 33; Atti 7, 58). Questa interpretazione dell'atteggiamento degli scribi era indubbiamente tradizio­ nale, basata in parte sulle parole di Gesù in -2, 10 e ultimamente sulle impressioni di testimoni oculari. Si do­ vrebbe osservare che l'accusa è ancora abbozzata e non attualmente formulata. Così è rispettato il realismo degli eventi. L'immaginazione creativa, possiamo sospettarlo, non avrebbe avuto tanta discrezione. Bartlet, 125, fa un'osservazione molto penetrante quando dice che gli seri­ bi mostravano una certa capziosa disposizione a vedere nelle parole di Gesù una pretesa personale stravagante, « che andava aldilà di quella di una " autorità " delegata o profetica, di dichiarare in nome di Dio il perdono divi­ no dei peccati dell'uomo », 8. Epigin6sk6 (5, 30; 6, 33.54) « osservare >', « percepi­ re », « riconoscere » (greco classico, LXX, papiri) . In uno studio accurato del termine, J. A. Robinson (Eph., 248 ss) conch,tde che esso designa non tanto una �noscen­ za più piena o più perfetta quanto un conoscere che sca­ turisce dal rivolgere l'attenzione direttamente a (epi) una persona o a un oggetto particolari. Moulton e Milli­ gan dicono che questa interpretazione nasce nell'insieme dalla testimonianza dei papiri; ed essa è certamente docu­ mentata in Mc. 2, 8 e 5, 30, dove il significato è « accorgendosi », « percependo >>, ' T6i pneumati au tou (cfr. 8, 12) è dativo di luogo figura­ to: « nel suo spirito » o, come diremmo noi, « in se stesso ». Non c'è alcun riferimento allo Spirito Santo (cfr. Swete, 36),, né si intende una c_onoscenza di caratte­ re soprannaturale. È il risultato di un discernimento spiri­ tuale che l'uomo condivide con Dio (cfr. Ps. 139, 2; Atti 15, 8) e che Gesù · possiede in grado eminente (cfr. 10, 21; 1 1 , 3 1 s; 12, l5 ; 14, 20) . Cfr. Bartlet, 125: « Il suo spirito legge nelle loro animè " come in un libro " » (cfr. Mt. 9, 4; Le. 5, 22) . « Tra sé » (en heautois) ha lo stesso significato che « in cuor loro » (v. 6) e « nei vostri cuori » (v. 8) . Matteo para­ frasa la sua fonte: « Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore ? » (9, 5) . Gesù mostra più interesse per v.

-

·

196

Vangelo secondo Marcò

gli uomini che ragionano in questo modo che non per le loro obiezioni. Superficialmente è più facile dichiarare perdonati i peccati ; perché dire: « Alzati, ecc. » significa esporsi all'e­ same del successo o del fallimento, mentre dichiarare « Ti sono perdonati i tuoi peccati » significa affermare qualcosa che non può essere verificato. (Così ..Swete, La­ grange, Montefiore, Rawlinson, e la maggior parte dei commentatori) . Gesù è pronto a sottoporsi all'esame di fat­ to, come alla prova che egli era autorizzato a dichiarare perdonati i peccati dell'uomo. Inoltre, la guarigione è un segno che i peccati sono effettivamente perdonati. Il pro­ blema dottrinale della bestemmia è ignorato; ma nel ver­ setto prossimo Gesù dichiara la propria autorità a perdo­ nare i peccati.

v. 9.

La clausola hina = « perché » dipende probabilmen­ te da « dico » (sottinteso o implicito nel « ti dico » del v. 1 1) . Cadoux vede nel « sappiate » un esempio· di con­ giuntivo con valore di imperativo (come in 5, 23) . La cosa non è impossibile, ma più probabile sembra il sen­ so finale (« perché sappiate ») . Scopo dell'azione è che gli scribi sappiano che il Figlio dell'uomo ha autorità sul­ la terra di perdonare i peccati. Ho huios tou anthropou (2, 28; 8, 3 1 .38; 9, 9.12.3 1 ; 1 0 33.45; 1 3 , 2 6 ; 1 4 , 21.4 1 .62) . L'origine del titolo risale alme­ no a Dan. 7, 13, dove « uno simile a un figlio d'uomo » viene « con le nubi del cielo )> verso « l'Anziano dei gior­ ni )>, rappresentando il popolo ebraico, « i santi dell'Altis­ simo »; e al libro di Enoch, in cui il « Figlio dell'uomo » è una figura sovrumana di grande dignità e potere (cfr. l Enoch. 46, 1 .3; 48, 2 s; 5 1 , 3 ; 62, 2.6 s; 69, 27-29. Prece­ dentemente, in Ez. 2, · l , ecc., e in Ps. 8, 4, il termine è sinonimo di « uomo ». L'espressione greca è un tentativo di tradurre bar nahsa, perifrasi aramaica di « uomo ». Si è voluto sostenere che l'espressione aramaica non può significare altro che « uomo » ; cfr. Wellhausen, Lietzmann) ; ma Dalman, WJ, 234 ss ha mostrato che essa significa non « uomo » in generale, ma « l'Uomo )>, e potrebbe co­ sì essere usata come designazione messianica. Tra le principali interpretazioni della formula si possono distinguere le seguenti :

v. 10.

Il

paralitico e il

perdono 2,1-12

197

(l) Alcuni ritengono che Gesù parlasse di « uomo » in generale (cfr. Wellhausen, Klostermann, T. W. Manson, Branscomb, McNeile, C. J. Cadoux) . (2) Per coloro che assumono un'interpretazione collettiva del termine, un'interpretazione possibile è che Gesù pen­ sasse alla comunità messianica eletta di cui egli è il ca­ po (cfr. Drummond) . (3) In diversi modi si delinea la posizione secondo cui Gesù si riferiva a se stesso : (a) o come Messia (b) o come l'uomo « ideale » o « rappresentativo ». L'ultima in­ terpretazione è offerta da molti Padri (cfr. Lagrange, che cita Vittore) e da Driver, Swete e Bartlet. (4) Un'altra eventualità è che Gesù parlasse di se stesso senza pretendere (espressamente) di essere il Messia, usando la forma indeterminata bar nash = tis, -cioè : « un tale », « io che parlo ». Cfr. Bultmann, T. W. Man­ son. Campbell osserva che la frase usata fu hahu bar nasha, che dovrebbe essere tradotta « questo è il figlio dell'uomo », « una formula che esprimeva e anche enfatiz­ zava la realtà umana di Gesù e la sua solidarietà con il genere umano ». (5) Infine, un'opinione ampiamente seguita è che « Fi­ glio dell'uomo » in 2, 1 0 rappresenti la teologia della co­ munità cristiana primitiva (Bultmann, Bousset, Bran­ scomb) . � evidente che alcune di queste posizioni non sono vicen­ devolmente esclusive. Nell'insieme, mi pare si debba opta­ re per la terza posizione o forse per la quarta. Vedi la Nota alla fine della sezione. La exousia .(vedi l, 22) del Figlio dell'uomo è la sua auto­ rità di rimettere i peccati. La formula « sulla terra » sug­ gerisce una contrapposizione. L'autorità di rimettere i peccati sulla terra è contrapposta alla prerogativa divina esercitata nei cieli. Nel contesto del passo ciò implica che l 'autorità è donata, e che colui che parla la possiede in quanto Figlio dell'uomo. Le parole : « disse al p araliti co » richiamano la medesi­ ma formula in 2, 5, e sono probabilmente l'indizio della fusione di fonti separate. 11. « Ti dico » (soi leg6) è enfatico e, insieme con la costruzione asindetica (cfr. l, 44), dà al comando un tono deciso se non perentorio.

v.

198

Vangelo secondo Marco

« Va' a casa tua » : è probabilmente da questo versetto che la formula è scivolata, in alcuni MSS, al v. 9. Molti commentatori deducono da questo inciso che il paraliti­ co abitasse a Cafarnao. v. 12. Euthus non sembra avere qui un'importanza partico­ lare, e potrebbe essere tradotto con « dopo di che » o frasi analoghe. Emprosthen (9, 2) = « in presenza di », è molto comune in Matteo, mentre Luca preferisce enopion. Il primo è usato in buon greco, ma il suo uso in Matteo ( 1 1 , 26; 18, 14; 23, 1 3) viene considerato da Howard (2, 465) innegabil­ mente semitico. Existemi è · causale al presente, all'imperfetto, al futuro e all'aoristo 1 : « stupire », · « meravigliare � ; è intransitivo all'aoristo II, al perfetto, al piuccheperfetto, al medio e al passivo (in questo passo e in 5, 42; 6, 5 1 ) : « essere -stupito » (anche : « essere fuori di sé »: 3, 2 1 ) . « Tutti si meravigliarono >> indica uno stupore intenso. Gli evangeli­ sti successivi parafrasano la loro fonte : Mt. 9, 8 : « la folla fu presa da timore »; Le. 5, 26: « lo stupore prese tutti >>. « Lodare Dio » è abituale a Luca e agli Atti, ma in Mar­ co compare soltanto qui. Nel greco classico, doxazein è « opinare » , « elogiare » ; ma nei LXX (come qui) è usato nel significato più profondo di doxa (cfr. Kittel, GLNT, 2, 1348ss) , per esprimere l'idea di lodare e glorificare, di attribuire a Dio lo splendore dovuto al suo nome. Mat­ teo aggiunge (riferito a Dio) : « che aveva dato un tale potere agli uomini », che probabilmente si riferisce al miracolo. L'espressione: « non abbiamo mai visto nulla di simile » è colloquiale e piena di vita. Matteo la omette, e Luca ha : « Oggi abbiamo visto cose prodigiose » (5, 26) . Come avviene spesso nelle storie di miracoli, è qui descritto l'effetto sui presenti. Questa descrizione è vivace e contie­ ne termini non altrimenti abituali a Marco. L'evangelista raccoglie evidentemente una tradizione. È'. notevole che lo stupore verta esclusivamente sul miracolo, non sul per­ dono dei peccati, così che 1 1 s è più strettamente collega­ to a l-Sa che a Sb-10. Questo punto riguarda il significato di quel « tutti » che, così com'è, sembra includere gli scribi: cfr. Bartlet, 1 27. Matteo parla di « folla »; e que­ sto sembra il significato inteso da Marco.

Nota sul

«

Figlio dell'uomo

»

199

�ota sul significato di « Figlio dell'uomo » In Mc. 2, 10 Questo problema, pur costituendo a tutt'oggi una crux interpretum, è più vicino alla soluzione, nel senso che si riconosGe sempre più che certe interpretazioni non sono soddisfac enti e che i termini vanno capiti alla luce dell'at­ teggiamento di Gesù di fronte al problema della sua mes­ sianità. Per Marco personalmente, e nella tradizione da lui accolta, « Figlio dell'uomo » era un titolo messianico. � pure possibile che in certi circoli del giudaismo il titolo avesse questo significato al tempo della missione in Galilea, poiché il suo uso nel Libro di Enoch offriva questa interpretazione; ma è dubbio che quest'idea fosse ampiamente diffusa. Possiamo dunque ritenere che, se il termine venne usato da Gesù nella sua risposta agli seri­ bi, si sarebbero subito accorti delle sue pretese messiani­ che. Ma si può anche dubitare che fosse sua intenzione manifestare apertamente tale pretesa in questo primo pe­ riodo. (l) Sebbene ampiamente accettata, l'opinione, secondo cui Gesù pensava c.he l'uomo avesse l'autorità di perdona­ re i peccati sulla terra, è sprovvista di fondamento; an­ che a prescindere dalle obiezioni di carattere filologico, questa spiegazione è improbabile in se stessa. Essa incor­ re nella obiezione fatale che un'idea del genere è estra­ priminea alla mentalità del giudaismo e della cristianità tiw. (2) L'idea che il Figlio dell'uomo è la comunità eletta è congetturale, ma non può essere esclusa nell'interpretare alcuni dei « detti del Figlio dell'uomo ». In 2, 10, comun­ que, nulla suggerisce quest'idea. ln questione è unicamen­ te l'azione di Gesù. Altro problema è se si possa dire che in Sb- 1 0 la comunità palestinese cerca di fondare il pro­ prio diritto a esercitare il perdono dei peccati, sull'esem­ pio di Gesù. Bultmann, 1 3 s, sostiene questa posizione a riguardo di Mt. 9, 8, affermando che il plurale « agli uomini » mostra che « l'autorità di Gesù di perdonare i peccati è della comunità >> (A. Schlatter, Der Evangelist Matt. 301 ) . Anche Smith, 1 16, osserva che Matteo pensa alla comunità cristiana « a cui Gesù, investito di ogni autorità in cielo e in terra, ha dato il potere di perdona­ re i peccati a nome suo », La validità di quest'opinione è

200

Vangelo secondo Marco

incerta, poiché Mt. 28, 18 non accenna al perdono. Que­ sto sviluppo appare soltanto nella reinterpretazione di Mt. 16, 1 9 e 18, 18 fatta da lo. 20, 22 s, e rimane un problema aperto se lo si possa far risalire alla comunità palestinese o alla comunità ellenistica nei suoi primi gior­ ni. Anche 1 Cor. 5 , 3-5 non comporta altro se non la convinzione che la comunità possa esercitare la discipli­ na, e 2 . Cor. 2, 10 parla di perdono tra uomini, non del potere di mediare il perdono di Dio. Queste considerazio­ ni rafforzano l'opinione che in 2, 10 l'autorità è persona­ le e non comunitaria, e infatti Bultmann, 13, afferma espressamente che in questo detto « Figlio dell'uomo » era originariamente una traduzione di « io », Dobbiamo concludere che in un certo senso Gesù parlava di se stesso. (3) L'eventualità che « Figlio dell'uomo » non fosse un termine messianico corrente non esclude che Gesù potes­ se usarlo a riguardo di se stesso in questo senso. Al contrario, Lagrange, 39, ha probabilmente ragione quan­ do dichiara che fu appunto per questo motivo che Gesù usò il titolo. « Gesù non ha scelto un titolo messianico corrente appunto perché non voleva dar a intendere di essere il Messia conforme alle attese ». Gesù usa dunque bar nasha in 2, 10 secondo un'accezio­ ne che era messianica per lui personalmente, ma nop messianica - benché contenga una provocazione alla ri­ flessione - per le orecchie dei suoi avversari. Non biso­ gnerebbe pensare che egli volesse essere capito immedia­ tamente, specialmente se nella sua stessa autocomprensio­ ne - e non soltanto per Marco - egli era M essias ab­ sconditus. Si accorda bene con questa prospettiva il fat­ to che dopo Cesarea di Filippo il termine viene ulterior­ mente interpretato. in chiave di sofferenza messianica. (4) La posizione alternativa è che sia stato Gesù a usare la forma indeterminata bar nash (« Io che parlo ») e che solo in seguito nella tradizione cristiana questa sia stata sostituita da bar nasha (« Figlio dell'uomo ») . In questo caso, la tradizione non fece che dispiegàre le implic�zio­ ni dell'espressione più semplice usata da Gesù, poiché egli parlava non semplicemente come un uomo ma sullo sfondo della sua coscienza messianica. Questa prospetti­ va è possibile; ma più probabile sembra che egli si riferis­ se a se stesso come bar nasha, « Figlio dell'uomo » ,

Nota sul « perdono dei peccati ))

201

(5) Sul problema se 2, 10 rifletta la convinzione della comunità cristiana, si possono esprimere soltanto opinio­ ni. Non vedo r�gione di riconoscere quest'influenza, al di là della possibilità remota notata sopra. La opinione di Bransco.mb, 44, secondo cui « il detto contraddice ciò che noi possiamo ricostruire delle convinzioni e dei meto­ di di Gesù » mi pare infondata. Essa acquista validità soltanto se si può mostrare che Gesù non era in alcun modo convinto di essere il Messia. Se invece, come cre­ do, egli aveva la sua personale concezione della messiani­ tà, il detto è pienamente in armonia con la riserva con cui egli avanza la sua pretesa messianica. Non c'è quindi bisogno di tirare in ballo la teologia della comunità. La forma allusiva di 2, 10 è caratteristica di Gesù ma non della successiva dottrina cristiana. Su questi argomenti ogni lettore di Marco deve giungere a sue proprie con­ clusioni personali. (6) L'idea di Cristo come « uomo rappresentativo » e « i­ deale » ha una certa analogia con la figura collettiva del Figlio dell'uomo, e soltanto sotto questo aspetto ha un certo rilievo nell'interpretazione di 2,10. Nota

su

Gesù e il perdono dei peccati

L'autorità di perdonare i peccati, menzionata in 2, 10, è stata diversamente interpretata, da alcuni come l'eserci­ zio della prerogativa divina, da altri come l'assicurazione ai penitenti che .Dio li aveva perdonati. La prima interpretazione è quella che danno in silenzio gli scribi in 2, 7; ma va notato che Gesù non dice « io ti perdono », e che la sua autorità · egli la esercita « sulla terra » e in qualità di Figlio dell'uomo. Non si tratta dun­ que di una funzione che possa essere esercitata da chiun­ que. Si tratta di attività profetica e non puramente di­ chiarativa. Gesù parla come Uno che viene da Dio ed è investito di dunamis divina. D'altra parte però le parole « i peccati ti sono perdonati » non sono il linguaggio della divinità ma l 'espressione di uno che può parlare con completa certezza e con l'incarico di dichiarare un fatto spirituale meraviglioso. La verità è che la storia non ci . offre analogie a un fatto del genere; e ciò basta a mostrare che la nostra narrazione è storica e non sempli-

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Vangelo secondo Marco

cemente il prodotto di una comunità credente. Quando Natan dice : « Il Signore ha tolto via il tuo peccato » (2 Sam. 12, 13), abbiamo una somiglianza in quanto le paro­ le di Natan offrono l'assicurazione di un profeta di Dio, ma non un parallelo completo. Natan pronuncia con rive· renza il nome di Dio dando piena garanzia di verità; ma Gesù dice personalmente: « Ti sono perdonati i pec­ cati », con la convinzione di chi vede il paralitico attraver­ so gli occhi di Dio. Più ancora, in questo caso non si tratta soltanto di conoscenza ma anche di azione. Senza implicare che il peccato sia la causa universale della ma­ lattia, Gesù vede che il perdono è indispensabile per la guarigione, e si sente capace di mediare il perdono al paralitico. L'azione è divina più che dichiarativa, senza tuttavia violare la prerogativa dell'onnipotenza divina. Se non abbiamo parole per descrivere azioni di questo gene­ re, dobbiamo riconoscere che questa è precisamente la situazione in cui dobbiamo trovarci se pensiamo alle fun­ zioni spirituali di Uno che è veramente il Figlio di Dio, ma che assume la forma di servo, divenendo simile agli uomini. È comunque una spiegazione troppo ingenua del racconto supporre che esso venne composto semplicemen· te per illustrare questa verità teologica. Dobbiamo inve­ ce pensare che esso appartenga ai dati storici a partire dai quali si va formando la dottrina dell'Incarnazione.

12.

La chiamata di Levi (2, 13 s ) (Mt. 9, 9; Le. 5 ,

21

s)

Introdotto da un'indicazione redazionale, al v. 13 questo breve episodio sqmiglia da vicino a l , 1 6-20. È una storia riguardante Gesù, narrata tante volte fino a essere ridot· ta ai suoi elementi essenziali; dove l'unico elemento vivo è il quadro di Levi seduto al banco delle imposte quan­ do gli vien data la convocazione : « Seguimi ». Bultmann, 26 s, parla di un apoftegma biografico, poiché l'interesse è posto sulla vicenda e non soltanto su un detto di Ge­ sù. La sua ulteriore determinazione di 1, 1 6·20 e di 2, 13 s come « scene ideali » è giustificata soltanto nel sen· so che gli episodi sono tipici e descrivono la risposta cristiana caratteristica . . Ma in questo processo di caratte· rizzazione nulla preclude la possibilità che le narrazioni

La chiamata di Levi 2,13s

203

siano storiche. Esse narrano ciò che era stato ricordato e ritenuto di valore; e se l , 16-20 risale alle reminiscenze di Pietrò , altrettanto va detto di 2, 13 s. Naturalmente, meno sicure sono la posizione assegnata a questa scena nel vangelo e le circostanze immediate. Marco ritiene che il pasto eh� seguì offrì agli scribi l'occasione di solle­ vare l'obiezione: « Come mai egli mangia in compagnia dei pubblicani e dei peccatori? »; e l'assenza di questa connessione altrove fa pensare che egli scriva sulla base di informazioni. Comunque, questa illazione è soltanto probabile. Lo stesso si deve dire dell'accenno all'insegna­ mento lungo il lago, nel v. 13. Sebbene il passo sia reda­ zionale, presenta validi elementi letterari e descrive vero­ similmente le circostanze effettive. Poiché tutti vanno e vengono e Gesù insegna sulla riva del lago, Levi ha l'occa­ sione di ascoltare il suo insegnamento e di farsene un'i­ dea. Così, quando la chiamata arriva, la sua risposta è drammatica ma non senza motivazioni. 13. E usc ì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva

da lui ed egli li ammaestrava. 14. Passando vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto all'ufficio delle imposte, e gli disse: « Seguimi », Ed egli, alzato­ si, lo. seguì.

v. 13. Il versetto prepara la strada all'episodio della chia­ mata. Matteo lo omette, e Luca ha semplicemente: « Do­ po di ciò egli uscì » (5, 27) . Wellhausen, 17, osserva che palin può soltanto indicare una transizione (« inoltre ») ; ma la maggior parte dei commentatori pensa che si trat­ ti di un richiamo retrospettivo a l, 16.35 o 45 (Swete, Lagrange, ecc.) . , La variante del Codice Sinaitico inserisce il soggetto (« Ge­ sù ») ; la ragione è probabilmente l'uso che si faceva di questo episodio nelle letture pubb liche della chiesa. Cfr. Schmidt, 82. « Veniva » - « ammaestrava »: i due imperfetti indica­ ' no l'andare e venire di gruppi successivi di uditori. autous ( « li »: plurale) è usato ad sensum, come in 3, 8 ; 4, l s; 1 4 , 44. v. 14. II racconto è strettamente parallelo alla chiamata dei primi discepoli ( 1 , 16-20) . Cfr. « passando vide » e « lo seguì » in ambedue i racconti.

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Vangelo �ecqndo Marco

« Levi » (Leueis) è nominato soltanto qui e in Le. 5, 27.29. Matteo dice: « un uomo ... chiamato Matteo » (9, 9) . I l problema è ulteriormente complicato dal fatto che nell'elenco dei Dodici in 3, 1 6-19 compare Matteo ma non Levi. L'elenco include « Giacomo figlio di Alfeo »; e nel nostro passo troviamo la stessa dizione (invece di « Le­ vi, figlio di Alfeo ») in diversi MSS (cfr. Swete, Lagrange, Klostermann) . Anche Origene (Contra Celsum 1 , 62) dice che Levi, il pubblicano che seguì Gesù « non fu del nume­ ro degli Apostoli, salvo per alcuni manoscritti del vange­ lo secondo Marco ». Con le conoscenze a nostra disposizio­ ne non è possibile alcuna soluzione completa; si possono però notare i seguenti punti. (1) L'identificazione di Levi con Matteo è ampiamente accettata, ma purtroppo non possiamo essere sicuri che sia qualcosa di più di una congettura primitiva, dato che né Marco né Luca la so- J stengoho. (2) La lettura « Giacomo, figlio di Alfeo », atte­ stata da manoscritti occidentali, cesariani e siriaci, è pu­ re un'ipotesi primitiva, che può risalire al più alla metà del II secolo. (3) Che una stessa persona portasse i due nomi « Levi » e « Giacomo » è di nuovo soltanto una congettura, cui si può obiettare che Marco non ne dà conferma, come invece fa nel caso di Pietro (3, 16) . (4) Sebbene Levi possa anche non essere stato considerato da Marco come un Apostolo, tuttavia la stretta somiglian­ za di 2, 14 con 1, 16-20 suggerisce il contrario. Complessivamente, la soluzione migliore del problema va cercata nella incertezza che prevalse attorno agli anni 60-100 d. C. a riguardo della costituzione esatta del colle­ gio apostolico. Gli elenchi dei vangeli sinottici e di Atti 1, 1 3 sono suscettibili di un coordinamento non più che congetturale; e la ragione è probabilmente che al tempo in cui Marco fu scritto le funzioni speciali dei Dodici erano ormai cessate da tempo. Che esse fossero diventa­ te un ricordo lontano è provato dal fatto che nelle lette­ re paoline i Dodici vengono ricordati una sola volta, in 1 Cor. 15, 5 (« apparve ... quindi ai Dodici ») , in una frase che potrebbe essere un'interpolazione successiva oppure una « formula tradizionale ». Se si accetta questo rilie­ vo, ne viene illuminato il metodo letterario di Marco. Convinto che Levi fosse un Apostolo, e sapendo che il suo nome è assente dall'elenco usato in 3, 1 6-19, egli la scia la tradizione come la trova. Se questa illazione è

Con pubblicani

e

peccatori 2,15-17

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giustificata, ne deriva un obbligo di cautela nel mettere in questione le sue indicazioni positive, e insieme libertà nel chiedersi se le sue interpretazioni sono valide. Telonion = '' ufficio delle imposte » : il suffisso ion desi­ gna il posto connesso con la persona (cfr. Moulton, 2, 342) . Tell Hum (Cafarnao : vedi 1 , 21) sarebbe la prima località di rilievo attorno alla punta settentrionale del lago per gente che proveniva dal territorio di Erode Filip­ po e dalla Decapoli (cfr. Lagrange, Rawlinson) . Levi dun­ que dev'essere stato un ufficiale al servizio di Erode An­ tipa. Per epi con ace. nel senso di « a » cfr. Blass, 136. L'aoristo ekolouthesen ( « lo seguì ») esprime una rispo­ sta immediata alla chiamata-sfida « Seguimi ». I commen­ tatori osservano giustamente che la rinuncia di Levi fu più grave che quella dei quattro discepoli ricordati in l, 16-20, poiché all'occasione questi potevano tornare alla lo­ ro pesca. La decisione di Levi fu irrevocabile. 13. A tavola con pubblicani (Mt. 9, 10-13; Le. 5, 29-32)

e peccatori (2, 1 5-17 )

Questa narrazione consta di un apoftegma nei vv. 16 s, con una cornice narrativa al v. 15. Dibelius, 43, la classifi­ ca come un paradigma di tipo meno puro, in cui 1 7b è un'aggiunta successiva; Bultmann, 16, come un apofteg­ ma (o Streitgespri:ich) , in cui il v. 17 era originariamente un logion isolato. Questo detto, egli osserva, è una forma­ zione cristiana costituitasi attraverso la controversia con avversari giudei, e 15 s deve la sua origine al fatto che kalein ( « chiamare ») venne inteso come un invito a con­ dividere la tavola, fatto altamente apprezzato nella comu­ nità per la sua importanza simbolica. È questa la miglio­ re spiegazione di una scena oscura, che gli evangelisti seguenti hanno cercato di rendere un po' più intelligibile. Indubbiamente, molte cose sono oscure. Non sappiamo quando e dove gli scribi comparvero, come presero con­ · tatto con. i discepoli, e quando Gesù rispose loro. Cfr. Wellhausen, Schmidt, Bultmann, J. Weiss, Strauss. La ri­ costruzione di Bultmann non convince. Un narratore che inventasse senza tener conto della tradizione, non avreb­ be lasciato tanti punti aperti. Si ha motivo di pensare

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Vangelo secondo Marco

.che, al tempo in cui Marco scrisse, per un processo di corrosione dovuto alla continua ripetizione, il racconto avesse acquistato la forma attuale. Marco sapeva che i rimproveri degli scribi presero occasione da un banchet­ to a cui Gesù partecipò in compagnia di pubblicani e di gente che trasgrediva abitualmente hi Legge; m� era tut­ to quanto sapeva. L'impressione che la sua narrazione suscita è di grande sobrietà. Egli non dice che gli scribi fossero presenti; e, se omettiamo autois (cfr. Commen­ to) , non riferisce che Gesù si sia rivolto a loro. Certamen­ te, si può anche pensare che, senza ricorrere alla tradizio­ ne, Marco abbia collegato un detto riguardante la condivi­ sione della tavola con un banchetto nella casa di Levi. Un'affermazione del genere non può essere né provata né confutata. Possiamo regolarci soltanto alla luce della pra­ tica generale di uno scrittore; ebbene, a me pare che, giudicato in base a questo testo, Marco è uno scrittore degno di fiducia. Egli racconta quello che sa, senza tenta­ re di rispondere a questioni ulteriori. Un altro punto nella discussione di Bultmann è molto suggestivo. � stato probabilmente l'inter�sse al problema della condivisione dei pasti nella comunità primitiva che ha portato alla conservazione dell'episodio; cfr. Atti 1 1 , 3 ; Gal. 2 , 1 2 . .Quando « vennero alcuni da parte di Giaco­ mo », Pietro « cominciò a evitare (i pagani) e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi ». Ma, in primo luo­ go, che cosa lo ha spinto a mangiare con i pagani? Si ricordava forse del rimprovero : « Perché mangia con pub­ blicani e peccatori ? » e della risposta: « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati ; non sono. venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori » ? Non pos­ siamo provare che quest'ipotesi è vera; ma essa è certo più giustificata .che l'ipotesi della invenzione creativa.

15. Mentre Gesù stava .a mensa in casa di_ lui, molti pub­

blicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo man­ giare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: « Come mai egli mangia in compagnia dei pubblicani e dei peccatori? ». 17. Avendo udito questo, Gesù disse: « Non è la gente

Con pubbficani e peccatori i,lS-17

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forte che ha bisogno del medico, ma chi sta male; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccato­ ri ». 15. Per la costruzione con ginetai (« avvenne »), vedi la nota a l , 9. Qui, come in 2, 23, segue l'accusativo + infi­ nito. Matteo cambia il presente storico nel più familiare aoristo (egeneto) . Questo compare anche nella maggior parte dei MSS di Marco; ma è probabile che debba prefe­ rirsi il presente. L'espressione è ambigua. La maggioranza dei commentato" ri riferisce auton e autou a Levi, e legge quindi che Levi tenne una festa a casa sua; alcuni invece pensano che Gesù sia l'ospitante e che il banchetto sia dato a casa sua o in quella di Pietro. Luca dice espressamente: « Le­ vi gli preparò un grande banchetto nella sua casa » (5, 29) ; e Matteo, pur omettendo autou ( « sua ») , pensa pro­ babilmente la stessa cosa (9, 10). Katakeimai, usato i n l , 30 e 2, 4 del malato, è qui riferito - come in 14, 3 - a chi mangiando si sdraia appoggiato sul gomito sinistro. Questa usanza, dovuta a influssi elle­ nistici, sebbene in definitiva di origine orientale, era uni­ versale al tempo di Gesù (cfr. Lagraoge) ; ma J. Jere­ mias, 22 s, sostiene che ai pasti ordinari ci si sedeva abi­ tualmente a tavola. Marco usa con lo stesso significato altri verbi greci (cfr. 6, 26; 14, 1 8 ; 6, 39.40; 8, 6; ecc.) ; in questo stesso versetto : sunanakeimai. Telones = « esattore » corrisponde al latino portito r più che a publicanus, che è usato nella Volgata e da . cui è derivata la versione « pubblicano » . I pubblicani erano coloro a cui venivano date in appalto le entrate pubbli­ che, mentre i portitores o telonai raccoglievano le impo­ ste, spesso con concussione. Universalmente riprovati per la loro rapacità e bassezza· morale (cfr. Eronda, Lucia­ no, Cicerone) , i telonai del vangelo erano disprezzati per motivi politici e perché il loro lavoro implicava contatto con i pagani. Levi era verosimilmente di livello professio­ nale superiore. Cfr. Lagrange, 43 : « Ma Levi - come Zaccheo - non era di quegli impiegati di ultima catego­ ria che spesso appartenevano agli schiavi ». Per la tradu­ zione italiana conserveremo il termine « pubblicano », che ha perso la connotazione specifica dell'originale latino e può quindi corrispondere di fatto al greco telones. v.

.

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= « peccatore » (2 : 16.17; 8, 38; 14, 4 1 ) e agget­ tivo; ma in Marco al plurale è sempre usato (salvo 8, 38) come sostantivo; come pure spesso negli altri scritti del Nuovo Testamento. Eccetto pochi esempi sporadici anti­ chi, la parola è recente (LXX, Gen. 13, 1 3 ; ecc.; e spesso nei Salmi e nel Siracide) ; ma l'uso che se ne fa nel­ le iscrizioni sepolcrali per ammonire i ladri di sepol­ cri (Deissmann, VGT) mostra che nell'accezione comune non aveva quella coloritura religiosa che presenta nelle lettere di Paolo (cfr. Rom. 5, 8.19; Gal. 2, 17) , · dove desi­ gna persone separate da Dio e in consapevole opposizio­ ne a Lui (vedi K. H. Rengstorf, GLNT , l , 861-910) . Affini­ tà con l'uso paÒlino si trovano nei Sinottici, specialmen­ te in Luca (5, 8; 15, 7.10; 18, 13) e forse anche in Marco (8, 3 8 ; 14, 41, dove però l'accezione primaria è « i paga­ ni », come in Gal. 2, 15). In Mc. 2, 15.16 s il termine è usato insieme con telOnai per designare gente che trascu­ ra l'osservanza della Legge secondo l'ideale farisaico (cfr. lo. 7, 49 : « Questa gente che non conosce la Legge è maledetta ») . Probabilmente vi è intesa anche gente di vita immorale, e non soltanto quella contaminata da prati­ che pagane (Le. 7, 37.39) . Che Gesù tratti con gente del genere e mangi con loro costituisce per gli scribi un pro­ fondo motivo di offesa. Mathetes (circa 43 volte) è regolarmente usato al plurale per designare i « discepoli » di Gesù. Nel greco classico (Erodoto, Platone) il termine è riferito agli allievi di filo­ sofi e retori, non però nel circolo di Socrate. I LXX ignora­ no questo termine (salvo pochissimi casi nelle lezioni va­ rianti), e il suo equivalente ebraico talemid compare sol­ tanto in l Cron. 25, 8; fatto sorprendente, dovuto al carat­ tere della religione di Israele come religione di rivelazio­ ne (cfr. Rengstorf, GLNT, 6, 1 160 ss) . I profeti dell'Antico Testamento hanno servi (l Re 18, 43; 2 Re 4� 12; ecc.) , non discepoli. Fu nel giudaismo rabbinico che la parola venne comunemente usata (forse per influsso del greco) per designare i discepoli di rabbini di alto rango. Nei papiri mathétés è detto degli apprendisti (VGT) . Il trat­ to distintivo dei discepoli di Gesù era la loro dichiarata devozione alla sua persona e non semplicemente al suo insegnamento. « Non è per loro un rabbi = didaskalos, ma il loro Signore » (Rengstorf) . Loro compito è di testi­ moniarlo. Entro la cerchia più ampia dei discepoli sono

Hamartolos

Con puhblicani e peccatori 2,15-17

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gli Apostoli (vedi 6, 30) e, come gruppo minore, i Dodici (vedi 3,. 14) ; il gruppo minimo è costituito dai tre discepo­ li Pietro, Giacomo e Giovanni (vedi 5, 37) . Il riferimento ai discepoli in 2, 1 5 è improvviso, perché finora non c'è stato altro accenno che alla chiamata di cinque discepo­ li. Essi vengono introdotti a questo punto come un grup­ po ben definito, in preparazione a 1 6 s. Questo spiega la formula riassuntiva: « erano molti quelli che lo seguiva­ no ». Essa rivela la consapevolezza dell'evangelista di non aver ancor accennato al seguito numeroso di discepo­ li e di doverlo fare ora. Molto meno probabile è l'ipotesi secondo cui Marco intenderebbe i pubblìcanl e i peccato­ ri (Swete, Bartlet) e quella che unisce « lo seguivano » con « gli scribi della setta dei farisei >> (Swete, Gould, Plummer) . Nei vangeli akoloute6 è detto dei discepoli (cfr. Kittel, GLNT, 1, 576 ss) , non dei nemici; e la presen­ za di scribi nella casa di Levi è altamente improbabile (Lagrange, Klostermann). In conformità alla paratassi semitica, il kai prima di eko­ louthoun può essere usato nel senso del pronome relati­ vo (« che lo seguivano » : Wellhausen, Ed. Meyer, Rawlin· son) . Questo accenno di passaggio è in armonia con lo stile di Marco (cfr. 7, 1 9) . v. 16. L'espressione « gli scribi dei farisei », che si trova unicamente in questo passo, intende gli scribi che appar­ tengono alla fazione dei farisei. Cfr. Atti 23, 9: « alcuni scribi del partito dei farisei >>. Matteo e Luca semplificano la formula (Mt. 9, 1 1 : « i farisei »; Le. 5, 30 : « i farisei e gli scribi ») ; e anche per Marco c'è una variante: « gli scribi e i farisei » rappresentata da diversi MSS. Quanto ai « farisei », la maggior parte dei passi dove essi compaiono in Marco (2, 18.24; 3, 6; ecc.) appartiene alle storie petrine, e nessuno alla narrazione della Passio­ ne. In generale Marco preferisce parlare degli scribi (2 1 volte) , degli anziani (7 volte) e dei capi dei sacerdoti ( 1 4 volte) . I farisei erano discendenti spirituali dei IJasidim (« i devoti ») che sostennero i Maccabei. Intensamente legati alla Legge e alla tradizione, essi credevano - in contra­ sto con i sadducei (12, 18) nella provvidenza divina, in una vita futura con ricompensa e castigo, negli angeli e nei demoni (cfr. Giuseppe Flavio, Schtirer, Billerbeck, -

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Klostermann, Jackson e Lake, ecc.). La derivazione del nome è oscura. Normalmente lo si fa derivare da un ter­ mine aramaico che significa « separatista », per designa­ re coloro che, per fedeltà alla Legge, si separavano dal­ l'impurità e specialmente dalla « gente del paese >> � ' am­ ha'arez) . Alcuni studiosi hanno sostenuto che il nome si­ gnifica « interpreti »; altri, che esso vuoi dire « secessio­ nisti » o « espulsi ». Ed. Meyer, 2, 284, pensa che il nome « separatisti » nasca dalla separazione dei 1Jasidim dai partigiani di Giuda Maccabeo nel 1 63 a. C. Recentemente, T. W. Manson ha osservato che farisaios è la forma greciz­ zata dell'aramaico « persiano », e che veniva applicato come nomignolo dai sadducei ai loro rivali per denunciare gli élementi stranieri presenti nelle convinzioni di fede dei farisei. I farisei chiamavano se stessi Haberim, « associa­ ti », ma questo è ovviamente un nome descrittivo e non un titolo di partito. Davanti a « vedendo » alcuni MSS leggono un kai; varian­ te interessante, perché indica che alcuni copisti collegava­ no « lo seguivano » (v. 15) con « gli scribi della setta dei farisei » (vedi sopra) . Il tempo esthiei (« mangiare » all'indicativo presente) è quello della percezione originaria. L'ordine « i peccatori e i pubblicani » rovescia quello dei vv. 15 e 16b. Swete, 42, osserva che questo fatto indi­ ca che l'accusa di trovarsi in compagnia di peccatori era la più importante nella testa degli scribi; ma le loro paro­ le « mangia con pubblicani e peccatori » testimoniano piuttosto il contrario. « Dicevano » : l'imperfetto può indicare che l'accusa ven­ ne fatta ripetutamente. Il secondo hoti potrebbe essere un recitativum, e in questo caso il rilievo: « Mangia con pubblicani e peccatori » è implicitamente una accusa; ma è più probabile che questo hoti sia un interrogativo (vedi ti in 9, 1 1 .28; così Swete, Gould, Klostermann, La­ grange, Turner) : « Come mai mangia con pubblicani e peccatori? ». Matteo e Luca hanno diati appunto in senso interrogativo. Alla fine del versetto, dopo « mangia » moltissimi MSS aggiungono « e beve » (kai pinei) ; ma è più verosimile l'omissione.

Con pubblicani e peccatori 2,15-17

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v. 1 7. « Avendo udito questo »: indica o che Gesù sente parlare direttamente gli scribi o che le loro parole gli vengono riportate. Quest'ultima interpretazione è miglio­ re, perché non è probabile che gli scribi fossero presenti al banchetto (vedi nota al v. 15) ; quest'illazione viene confermata se, con diversi MSS, omettiamo autois (« dis­ se loro ») . Ischuo (5, 4 ; 9, 1 8 ; 14, 37) = « essere forte », « essere capace », « prevalere >> (greco classico, LXX, papiri) . Luca ha hugiainontes (5, 3 1 ) = « coloro che godono buona salu­ te ». Il proverbio sul medico e il malato era usato dai Cinici e dai rappresentanti di altre scuole filosofiche; ma il para­ gone viene così naturale che non c'è bisogno di pensare a prestiti. (Swete cita Pausania, Plutarco e Diogene Laer­ zio; cfr. pure Lagrange, Klostermann ) . Bultmann, 96, e Dibelius, 64, spiegano il detto finale: « Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccato­ ri », come una aggiunta dottrinale. Tanto più che il sen­ so locale di « venire » (cfr. 1 0, 45 e 1 , 38) e l'uso del termine paolino dikaios (« giusto ») (6, 20) sembra favori­ re quest'ipotesi. Ma l'uso che Marco fa di « giusto » si muove in senso opposto. Il termine si riferisce agli seri­ bi e, malgrado l'esitazione di Swete, 43 (che cita Teofilat­ to) , sembra usato ironicamente (cfr. Plummer) . Gesù non è venuto a chiamare gente come 'gli scribi, che riten­ gono se stessi giusti, ma a chiamare i peccatori. Il senso della parola è più vicino a quello del corrispondente ver­ bo in Luca (« Voi vi ritenete giusti » 16, 1 5) che all'uso paolino. Se kalesai ( « chiamare ») è usato nel senso di « invitare » (cfr. Rawlinson, Manson, Cadoux), c'è una ra­ gione in più per esitare; ma questa interpretazione suppo­ ne che Gesù fosse l'ospite della festa (vedi sopra 2, 1 5). Nell'insieme, la conclusione migliore è che Gesù parli del­ la chiamata alla conversione. È questa l'interpretazione di Luca (5, 32) : eis metanoian; formula che, probabilmen­ te, sotto l'influsso di Luca, è stata aggiunta come glossa al testo marciano in alcuni MSS. Plummer, 90, osserva la frequenza di « non ... ma >> in Marco, sempre in detti : 3, 26.29; 4, 17.22; 5, 39; 7, 19; 9, 37; 10, 8. Considerazioni più generali, comunque, determinano il ca­ rattere storico di questo detto. Il suo spirito è lo spirito di Gesù. Il detto porta l'impronta della sua personalità, è

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caratteristico di lui. « Non evita i peccatori, ma va a cercarli. Anch'essi sono figli di Dio. Questo è stato il contributo nuovo e sublime allo sviluppo della religione e della moralità » (Montefiore, l , 55) . L'episodio non è unico nel suo genere. Va messo accanto a quelli della peccatrice (7, 36-50)e di Zaccheo {19, 1-10) in Luca; e, soprattutto, accanto al detto conservato in Q: « Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccato­ ri » (Le. 7, 34 = Mt. 1 1 , 1 9) . Cfr. Cadoux, 39-50. 14.

Sul digiuno (2, 1 8-20 ) (Mt. 9, 14 s; Le. 5, 33-35)

Di nuovo questa narrazione è un apoftegma, senza connes­ sione con quanto precede e quanto segue. Cfr. Dibelius, 43 ; Bultmann, 17. Luca riporta invece in una sola sezio­ ne la chiamata di Levi, il banchetto e il problema del digiuno. Non è necessario supporre che la storia appartenga ai primi giorni del ministero in Galilea. Al contrario, il fat­ to che i discepoli di Gesù siano distinti da quelli di Giovanni e - se la frase in 2, 18 è originale - da quelli dei farisei, fa pensare a un periodo più avanzato, forse dopo l'esecuzione del Battista. Si trattava originariamen­ te di una testimonianza oculare; ma nel corso della tra­ smissione l'episodio ha perso tutte le connotazioni di tem­ po, di luogo e di situazione, eccetto l'indicazione generi­ ca che i discepoli di Giovanni e i farisei digiunavano (18a) . L'episodio veniva raccontato perché faceva conosce­ re qual era il pensiero di Gesù sul digiuno. Bultmann sostiene che, se 1 8a si riferisce a una usanza in generale, la situazione non corrisponde allo stile dello Streit­ gespriich (dialogo di controversia) ; se invece si intende un digiuno attuale, allora dovrebbe essere specificato. Ma questo dilemma non esaurisce le possibilità. Si tratta probabilmente di un digiuno ben definito (vedi commen­ to) , ma il suo carattere preciso può essere stato dimenti­ cato, perché ciò che vien contestato è l'assenza della prati­ ca del digiuno in generale. All'altra obiezione di Bult­ mann, che cioè il problema riguarda solo i discepoli e non Gesù stesso, si può rispondere che spesso nelle con­ troversie religiose ven12:ono attaccati i sef2:Uaci di un mae-

Sul digiuno 2,18-20

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stro PJ:ima di passare direttamente alla sua contestazio­ ne. Non ci sono dunque ragioni di dubitare che la narra­ zione rispecchi una tradizione attendibile. Un problema a parte è costituito dall'ambito della narra­ zione. Che 19b e 20 siano un'aggiunta successiva è opinio­ ne ampiamente condivisa; ma nel commento io presento buoni motivi per rifiutare questa opinione. Un problema ulteriore è se 18a sia opera di un redattore successivo (cfr. J. Weiss, 160) oppure un chiarimento dato da Mar­ co. La prima ipotesi ha a proprio favore unicamente il fatto che Matteo e Luca non accennano alla circostanza del digiuno dei discepoli di Giovanni e dei farisei. Che sia stato Marco ad aggiungere il chiarimento è cosa possi­ bile e, almeno per quanto riguarda l'accenno ai farisei, probabile (vedi commento) . Come plurale impersonale, er­ chontai (« vengono ») ( 1 8b) sarebbe un inizio molto buo­ no per la narrazione; le circostanze vengono infatti de­ scritte nella domanda che segue. Comunque, dal punto di vista della forma, non ci possono essere obiezioni con­ tro l'originarietà della precisazione che i discepoli di Gio­ vanni digiunavano, perché storie rabbiniche iniziano allo stesso modo. Cfr. Fiebig, Altjii.dische Gleichnisse (Parabo­ le giudaiche antiche) , 20 ss: « Un giorno alcuni discepoli celebravano il sabato a Joppa. Ma Rabbi Jehoshua non celebrava il sabato qui. E quando finalmente i discepoli vennero da lui, egli disse ... >>. Infatti le storie rabbiniche collegano spesso detti e similitudini con fatti. Possiamo dunque concludere sostanzialmente che Marco ci dà una storia quale egli l'ha trovata, con un minimum di svilup­ po redazionale. 18. Ora i discepoli di Giovanni e i farise i stavan o facendo

un digiuno. E si recarono alcuni (da Gesù) e gli dissero: « Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei fari­ sei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiuna­ no? ». 19. Gesù disse loro: « Possono forse digiunare gli amici dello sposo quando lo sposo è con loro ? Finché han­ no lo sposo con loro, non possono digiunare. 20. Ma · verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora, in quel giorno, digiuneranno >>. v. 18. I « discepoli di Giovanni » vengono nominati an-

214

che in Mc. 6, 29;

Le. 7, 1 8 14, 12; lo. l, 35.37; 3, 25.

Vangelo secondo Marco =

Mt. 1 1, 2; Le. 1 1 , l ; Mt.

Alcuni commentatori pensano che il riferimento ai fari­ sei e ai loro discepoli sia redazionale (cfr. Lohmeyer, Wellhausen, Klostermann, Montefiore, Rawlinson) , e che originariamente la domanda menzionasse solo i discepoli di Giovanni. L'osservazione può anche essere semplice­ mente una congettura; ma ha il vantaggio di confermare l'illazione successiva, che il digiuno in questione fosse « un'espressione di lutto per il loro maestro » (Rawlin­ son, 3 1 ) . A ogni modo, anche leggendo il testo come di solito, questa spiegazione può restare valida, perché il contrasto di cui parla 18b comporta un digiuno di lutto. Non è necessario supporre che i discepoli di Giovanni e quelli dei farisei osservassero lo stesso digiuno, sebbene normalmente si nutra questa convinzione. Si tratta a ogni modo con tutta probabilità di un digiuno ben defini­ to (o di digiuni ben definiti) . L'imperfetto perifrastico esan ... nesteuontes significa « stavano facendo un digiu­ no )) (Swete, Lagrange, Klostermann) , non « erano soliti fare un digiuno )) (cfr. Le. 5, 33 : « digiunano spesso e fanno orazioni »: con il presente e non con l'imperfetto perifrastico) . Il solo digiuno imposto dalla Legge era quello del giorno dell'espiazione (Lev. 1 6 , 29) : cfr. Atti 27, 9, dove la festa della espiazione è chiamata: he nesteia . Ma i farisei osser­ vavano digiuni supplementari due volte la settimana, il lunedì e il giovedì (cfr . Le. 18, 12: « digiuno due volte la settimana )) ) . Si osservavano pure digiuni tradizionali, com­ memorativi di eventi storici {per es. il grande digiuno del 9 agosto) . � impossibile però individuare con certez­ za di quale digiuno (o di quali digiuni) di tratti in 18a. Per le congetture dei commentatori, cfr. Schmidt, 87n. Il plurale erchontai (presente storico : « vennero », « si recarono ») è probabilmente impersonale (Turner, Lagran­ ge, Klostermann) . Swete, 43, pensa che il soggetto siano gli scribi; ma la mancanza di collegamento tra questa storia e 2, 1 5-17 contraddice quest'ipotesi. Si deve tradur­ re : « Si recarono da lui alcuni )), Luca ha: « essi (cioè scribi e farisei) dissero )) (5, 33) , e Matteo: « i discepoli di Giovanni » con la domanda in prima persona: « Per­ ché noi . .. ? » (9, 14) ; ma si tratta soltanto di tentativi piuttosto maldestri di dare alla narrazione marciana una

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presentazione più letteraria, e non fanno che rivelare il carattere più primitivo di questa. La frase « i discepoli dei farisei � suscita gravi difficoltà, e viene spiegata da molti commentatori come un'aggiun­ ta (Bultmann, Wellhausen, Lohmeyer) . Le obiezioni so­ no molto forti. Un « discepolo » aveva un rapporto perso­ nale intenso con un « maestro » (Rengstorf, GLNT, 6 1 1 70 s) , mentre i farisei - eccetto quelli che erano an­ che scribi - non erano maestri. Inoltre non abbiamo altra testimonianza di « discepoli dei farisei » oltre Mt. 1 2 , 27 ( = Le. 1 1 , 1 9) : « i vostri figli » normalmente inter­ pretato come « compagni » (cfr. McNeile, Easton, Luce) , e Mt. 22, 1 6 : « i loro discepoli », dove il termine sem­ bra usato senza precisione. Rengstorf (op. eit , 6, 1 1 90 ss) difende l'autenticità della formula, ma non rie­ sce a portare altre testimonianze oltre quelle sopra cita­ te e il fatto che i legami tra scribi e farisei fossero pas­ seggeri e le comunità si raggruppassero attorno a scribi che facevano da guida. Ma in questo caso dovremmo piut­ tosto avere la frase: « i discepoli degli scribi ». Nell'insie­ me, l'incertezza di questa frase rafforza l'ipotesi sopra notata, che originariamente la narrazione ricordasse solo i discepoli di Giovanni. I « farisei » e i « discepoli dei farisei » sono stati aggiunti perché, nell'epoca anteriore alla composizione di Marco, la storia era inclusa in un gruppo di « storie di conflitto » che illustravano la rottu. ra tra Gesù e i rabbini. .

con indicativo suggerisce una risposta negativa. « camera nuziale » : termine raro, usato in To b 6, 14.17. In Mt. 22, 1 0 è la stanza in cui si celebra la festa nuziale; cfr. Lohmeyer, 59n. Quindi nel nostro pas­ so: « i figli della camera nuziale », o « gli amici dello sposo » (numfeutai) (cfr. Swete, Rawlinson, Lagrange, Dodd, Easton, Gould) , o « gli invitati a nozze » (cfr. RSV, Rawlinson, McNeiJe, Smith, Souter) . Questo uso di huios (o teknon) con genitivo in un'espressione metafori­ ca è ebraico ma non contrario alla lingua greca (cfr. Deissmann, Howard, VGT) . Cfr. « i figli del tuono » (3, 19), « figli della Geenna » (Mt. 23, 15), « figli della pace » (Le. 10, 6) , « i figli di questo mondo » (Le. 16, 8; 20, 34), « figli della risurrezione » (Le. 20, 36) . Si può considera­ re una formula di « greco di traduzione », un greco passa-

v.

19. Me

Nu m fo

=

.

216

Vangelo secondo Marco

bile che ricalca l'aramaico. � notevole il fatto che tutti i passi appena citati sono detti di Gesù. Numfios = « sposo », Influenzato da passi dell'Antico Te­ stamento (come Os. 2, 1 9 ; /s. 54, 4 ss; 62 , 4 ss; Ez. 16, 7 ss) in cui Yahvè è presentato come lo sposo del suo popolo d'alleanza, l'idea dello sposo ha acquistato significato mes­ sianico, e appare nel Nuovo Testamento in lo. 3, 29 (dove è usato numfios) e in 2 Co r. 1 1 , 2; Ef. 5, 32; Apoc. 19, 7; 21, 2. Tra i rabbini si svolge uno sviluppo parallelo quan� do essi parlano della Legge come contratto matrimonia­ le, di Mosè come testimonio di nozze, e di Dio come sposo di Israele sua sposa. Cfr. E., Stauffer, GLNT, 2, 366 ss. Molti commentatori affermano che qui Gesù si manifesta come lo sposo messianico (cfr. Bernard, Swete, Bartlet) . Lagrange, 47, contesta questa interpretazione. « Non so­ no direttamente i tempi messianici a essere paragonati a una festa di nozze; è la gioia dei discepoli di avere con sé il loro maestro », Quest'obiezione tuttavia è di dubbia consistenza. Wellhausen, 18, trova allegorico non soltanto il v. 20, come riconoscono facilmente coloro che guarda­ no al versetto come a una formazione cristiana tardiva (per es. Klostermann, 33) , ma anche il 1 9 ; e, coerentemen­ te con questa prospettiva, rifiuta ambedue i versetti. ( « Il senso allegorico brilla già in 2, 19 ... e non se ne può staccare 2, 20 »). Se si tiene presente il rifiuto - ampiamente condiviso - dei vv. 1 9b e 20 (vedi sotto) , questa opinione nei con­ fronti di 19a (generalmente accettato come detto autenti­ co) è importante. Ma, a prescindere dal peso dell'opinione critica, considera­ zioni generali favoriscono l'ipotesi di numfios come espressione messianica. È verosimile che Gesù, a cui era familiare lo sfondo veterotestamentario sopra accennato, usasse la metafora della festa matrimoniale e applicasse a se stesso il nome di « sposo » in senso generale? L'om­ bra di Jiilicher non deve distoglierci dal riconoscere l'alle­ goria quando la vediamo. Ovviamente, in 19a Gesù non avanza la pretesa pubblica di essere il Messia; egli la sottintende tacitamente, e la sua proposta è per coloro che hanno orecchi per intendere. Il dett o implica che il Regno è già presente, che egli ne è il Signore autorizza­ to, e che è incompatibile con questa situazione di gioia che gli amici dello sposo siano in lutto. Una situazione

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217

parallela può essere lo sfondo della parabola delle dieci vergini · (cfr. Dodd, 1 7 1-174) , sebbene questa parabola, co­ me si trova in Mt. 25, 1-13, abbia una tonalità escatologi­ ca; e non si può nemmeno escludere che, insieme con la convinz�one che il Regno era già presente, Gesù parlasse pure del Regno come futuro e anticipasse la gioia del banchetto messianico (cfr. 14, 25) . La seconda metà del versetto, 19b, non ha paralleli in Matteo e in Luca, ed è omessa da diversi MSS; ma la sua ridondanza ne spiega l'assenza dagli altri vangeli, e l'uguaglianza di terminazione (homoioteleuton) spiega l'o­ missione testuale. Come osserva Wellhausen (p. 18), ripeti­ zioni del genere sono perfettamente nello stile dei vange­ li; e in particolare questa coloritura semitica è caratteri­ stica di Marco (cfr. 12, 23 ; 1 3 , 19) . Hoson ehronon accusativo di durata: « durante il tempo in cui », « finché ». Cfr. Rom. 7, l. Già queste parole im� plicano per contrasto la scomparsa dello Sposo. Per l'autenticità di 1 9b, vedi la nota al v. 20. ·

·

20. « Verranno giorni >> : cfr. Le. 17, 22; 2 1 , 6; e pure 19, 43; 23, 29. Apairo = « toglier via », « rimuovere » (Mt. 9, 1 5 ; Le. 5, 35; cfr. ls. 53, 8) . Secondo alcuni (McNeile, A. T. Ca­ doux) , vi è indicata una morte non violenta; ma quest'opi­ nione non convince, specialmente alla luce di ls. 53, 8 (« fu eliminato dalla terra ») . Cfr. Lohmeyer, 60. Il passo di Isaia può essere presente per allusione nel detto mar­ ·ciano; in ogni mqdo, esso illustra l'uso del verbo sempli­ ce con significato di morte violenta. In questo verso è generalmente riconosciuto l'uso allegorico di « sposo >>. Ed è questo uno dei motivi pe:r cui si sospetta dell'auten­ ticità del versetto, in base alla considerazione che in 19a « quando lo sposo è con loro » significa « durante le cele­ brazioni nuziali ». Cfr. Wellhausen, 1 8 ; Dodd, 1 1 6n. Abbiamo sostenuto che in ambedue i versi è presente l'allegorizzazione. Si può tuttavia dubitare che sia questo il termine migliore da usare. Gesù parla dello « sposo » in terza persona, così come parla di se stesso in qualità di « Figlio dell'uomo » in terza persona. Inoltre, nell'e­ spressione « sarà loro tolto » non c'è allegoria, come nep­ pure nel resto della proposizione. « Digiuneran�� » è lin­ guaggio della profezia; ma prender!� come p redizione delv.

218

Vangelo secondo Marco

futura istituzione del digiuno sembra inutilmente pro­ saico. Qui primeggia l'idea del lutto, di cui il digiuno è un segno. L'espressione « in quel giorno » dopo « allo­ ra » (sorprendentemente raro in Marco, 6 volte, di cui 4 nel discorso apocalittico) è formalmente ridondante, ma aggiunge una particolare intensità alla predizione, intensi­ tà che va perduta nell'omissione della formula in Mt. 9, 15. Luca ha « in quei giorni » (5, 35) . L'opinione secondo cui i vv. 19b e 20 sono un'aggiunta tardiva a 1 9a, intesa a giustificare la pratica del digiuno nella comunità cristiana successiva, è ampiamente accetta­ ta. Cfr. Wellhausen, Bultmann, Bousset, Dibelius, Bran­ scomb. La profezia della Passione, si dice, appare troppo presto in Marco; la spiegazione migliore è di vedervi un vaticinium ex eventu; il v. 20 appare allegorico se con­ frontato con 19a; e l'attitudine al digiuno (sempre al v. 20) è in contrasto con quella che si rispecchia nella prete­ sa che gli amici dello sposo non possono digiunare. La critica stessa ha svigorito la prima di queste obiezioni, riconoscendo oggi ampiamente che il fatto può essere suc­ cesso più tardi (cfr. Menzies, Bartlet, K. L. Schmidt, Ca­ doux) , e che la sua posizione attuale in Marco può esse­ re dovuta all'uso da parte dell 'evangelista di un comples­ so premarèiano. L'obiezione di dubbio valore basata sul­ la presenza della allegoria è discussa sopra. L'argomento che fa forza sul digiuno si l imita troppo esclusivamente a 19a, senza ·prendere in considerazione altri detti di Ge­ sù (per es. Mt. 6, 16) . Infine, la struttura poetica di 1 9-20 rende precarie le ipotesi redazionali. Le parti 19a e 19b offrono un buon esempio di parallelismo semitico, e c'è pure un'antitesi tra 1 9a e 20a e tra 19b e 20b. In breve, l'ipotesi critica in questione non convince, non riesce a cogliere la delicata allusività dei vv. 19-20.

la

15.

Detti sulle toppe e sugli otri (2, 2 1 s ) ( M t. 9 ,

15 s ; Le. 5 , 36-38)

L'evangelista può aver trovato questi detti già collegati con l'episodio riguardante il digiuno, o può averli aggiun­ ti lui stesso da qualche raccolta di detti in circolazione. In ogni caso, essi avevano p robabilmente un'esiitenza in-

betti sulle toppe e gli otri 1,i1s

.219

dipendente, perché 2, 18-20 costituisce una unità compiu­ ta, e p�rché il princ ipio che li informa è più radicale di quanto comporterebbe il dibat tito su una pia usanza. È impossib i le dire in quali circostanze i due detti siano stati pronunciati la prima volta. Come molti detti parabo­ lici, possono essere il residuo di apoftegmi, di cui si son persi elementi di dettaglio nel processo di trasmissione. I sentimenti che essi esp rimono sono rivoluzionari, poi­ ché affermano che un nuovo me s sagg io deve trovare un nuovo veicolo, se non vuoi far perire e distruggere istitu­ zioni esistenti. Da questo punto di vista i detti richiama­ no passi del Nuovo Testamento in cui il nuovo è in con­ trasto con il vecchio; cfr. Rom. 7, 6; Ef. 4, 22 ss; Col. 3 , 9 s; Ebr. 8, 13. Non sorprende che a volte sia stato affer­ mato a loro ri guardo un influsso paolina; cfr. Introd. 101-106. Può invece sorprendere che non sia stata presa in considerazione la possibilità che il loro carattere di origi­ nalità abbia stabilito principi che vennero poi naturalmen­ te e inevitabilmente sviluppati nell 'insegnamento paolina. 21. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vesti­

to vecchio; altrimenti il rattoppo lo squarcia e si for­ ma .uno strappo peggiore. 22. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono otri e vino. Ma vino nuovo in otri nuovi.

21. « Una toppa di panno grezzo » : Matteo riproduce la frase, ma Luca la semplifica con la parafrasi « strap­ pando un pezzo da un vestito nuovo )) (5, 36) . « Cu ci re » (epirapto) : verbo tardivo, non il lustrat o in VGT. Matteo e Luca sostitu i scono epirapt6 con epiball6. Come osserva Streeter, 3 10, il sos tantivo epiblema (« toppa ») imponeva quasi a un reda t tore di camb iare il p rimo ver­ bo col secondo. « Altrimenti » (ei dé me) : uso classico (con omissione del verbo nella protasi) . Anche pler6ma (letteralmente : « compÌemento ») , può es­ sere tradotto con « toppa )) ' « rattoppo )) (cfr. Rawlin­ son, McNeile, Allen , Smith ) . To kainon tou palaiou sembra significare « la parte nuo­ va del vestito vecchio )); ma è prob ab ilmente una glossa v.

220

Vangeio secondo Marco

esplicativa (dr. Wellhausen, Klostermann, Bultmann, Bur­ ney) . Il senso generale del detto è l'incompatibilità di combina­ re il nuovo con il vecchio. La toppa di panno grezzo si restringe, e il vestito vecchio si lacera ulteriormente. Di­ versi commentatori riferiscono il detto o ai farisei o ai discepoli di Giovanni (cfr. Swete, B. Weiss, Lagrange) . Ma è più verosimile che Marco collegasse i due detti dei vv. 21 s ai vv. 1 8-20. « Non conosciamo - ed è inutile cercare di indovinarlo - il contesto in cui questi detti sono stati originariamente pronunciati. Sono modi di esprimersi caratteristici di Gesù e indimenticabili nella loro forza e vivacità familiare » (Rawlinson, 32) . 22. Questo detto è collegato al precedente nel modo più semplice possibile (con un « e >>) , ed è costruito nel­ la stessa forma: prima, un principio negativo, e poi un giudizio su ciò che accade se non viene osservato. Il verbo comune ballo è usato qui in senso debole, per « mettere », « versare ». Sebbene la distinzione tra neos (recens, nuovo in senso temporale) e kainos (fresco, nuovo in senso qualitativo) non venga particolarmente sottolineata nei papiri, essa è nettamente rilevata in questo detto. Il vino è di fattura recente e non dev'essere versato in otri vecchi. Se si dimentica questa norma, il vino fermentando fa scoppia­ re gli otri, e si perdono così l'uno e gli altri. Matteo e Luca parlano separatamente della perdita del vino e del­ la distruzione degli otri : il vino viene versato fuori (Le. 5, 37; Mt. 9, 17). Questa convergenza a sfavore di Marco scompare se (con Streeter) attribuiamo la redazione di Matteo (non uniforme, tra l'altro, nei MSS) a un proces­ so di assimilazione a Luca. Le parole « ma vino nuovo in otri nuovi » sono omesse in alcuni manoscritti; e vengono spesso spiegate come assimilazione a Matteo e Luca. Ma si può anche spiega­ re, con Streeter, l'omissione dei termini « vino » e « o­ tre » nei manoscritti di cui sopra con la volontà di evita­ re un'eccessiva ripetizìone. Meglio dunque conservare la breve frase finale; e se mai spiegarla come un'aggiunta redazionale di Marco (a modo di commento esegetico) al detto nel suo tenore originario. Turner osserva che, met­ tendo tra parentesi la frase « altrimenti il vino spacchev.

Spighe strappate di sabato· 2,23-�6

221

rà gli otri e si perdono vino e otri », si ottiene il paralleli­

smo antitetico: « Nessuno versa vino nuovo in otri vec­ chi, ma vino nuovo in otri nuovi ». ·Ma in questo modo si spezza l'identità di struttura con il v. 2 1 . La struttura completa di 21 s è: a b a b ; l'espressione finale 22c sem­ bra quindi un'aggiunta di Marco. spighe strappate e il problema del sabato (2, 23-26 )

16. Le

(Mt. 12, 1-4; Le. 6, 1 -4 )

In questo apoftegma, dopo un breve accenno alle circo­ stanze, vien posta a Gesù una domanda, a cui egli rispon­ de con una controdomanda. Schmidt, 89, descrive la nar­ razione come un esempio caratteristico di episodio isola­ to, senza indicazioni di luogo e di tempo (cfr. Dibelius, 46; Bultmann, 14 s; Albertz, 9 s) . La semplicità della narra­ zione marciana spicca nettamente in un confronto con i paralleli in Luca e in Matteo, in cui si cerca di dare alla storia una forma più letteraria, in Luca con l'inserzione del termine misterioso deuteroprotoi, in Matteo con la frase introduttiva « in quel tempo », con l'aggiunta di ulteriori argomenti scritturistici, e col portare entro la storia stessa Mc. 2, 28 nell'espressione culminante: « Il Figlio dell'uomo infatti è signore anche del sabato » (12, 8) . Comunque, nella sua semplicità, il racconto marciano ha un'introduzione pittoresca, con quell'immagine di Ge­ sù che passa attraverso i campi di grano in giorno di sabato, e dei discepoli che strada facendo strappano le spighe. Ma questo dettaglio è strettamente subordinato alla domanda sulla mietitura durante il sabato, che costi­ tuisce il punto culminante della storia, oltre il quale non c'è più nulla da dire. L'aggiunta colorita di Luca ( « sfre­ gandole con le mani ») manca in Marco. La probabilità che l'episodio sia accaduto nelle settimane che vanno da aprile all'inizio di giugno non è basata su indicazioni temporali del testo, ma sul fatto che il grano era maturo per essere mangiato. La narrazione è una storia popolare che circolava nella comunit.à cristiana primitiva, e che venne custodita per­ ché trattava del problema scottante dell'osservanza del sabato. Quanto dev'essere stato serio questo problema risulta evi-

222

Vangeio secondo Marcò

dente dal fatto che esso viene sollevato in una seconda storia marciana (l'uomo dalla mano inaridita), nelle sto­ rie lucane della donna curva ( 1 3 , 10-17) e dell'uomo idropi­ co ( 1 4, 1-6) e nelle narrazioni giovannee dell'infermo alla piscina di Bethesda (5, 1 - 1 9) e del cieco nato (9, 1 -4 1 ) . A partire da molto presto, a causa della Risurrezione, la cristianità primitiva celebrò il primo giorno della settima­ na (cfr. Apoc 1 , 10; Ignazio, Ad Magn 9, l ; Vangelo dz Pietro, 9; Didaché, 14, 1 ) ; è dunque naturale che venisse­ ro ricordate e tramandate storie di conflitto sul proble­ ma del sabato. Queste considerazioni, insieme con il carattere di Mc. 2, 23-26, non permettono di ridurre l'elemento narrativo del­ la storia marciana a pura cornice entro cui collocare una prova scritturistica citata da Gesù (cfr. Bultmann, 14) . Il libero uso della storia di Davide corrisponde al modo in cui Gesù si servì anche in altre circostanze del­ l'Antico Testamento; inoltre, non può sfuggire il respiro umano di questo racconto. .

23. E avvenne che in giorno di sabato Gesù passava per i campi di g rano, e i discepoli, camminando, comincia­

rono a strappare le spighe. > richiama 1 , 34 a . Né qui né là (e neppure in 10, 45) con « molti >f Marco vuol dire « alcuni ma non tutti »; ed è · quindi inutile speculare sul cambiamento di Matteo, che invece di « molti » scrive « tutti » (12, 15). Cfr. Le. 6, 19.

v.

240

Vangelo secondo Marco

Tuttavia, la sobrietà della descrizione di Marco non è meno degna di nota della sua vivacità. « Si gettavano addosso per toc.carlo ». Mentre in 1 , 4 1 leggevamo i l gesto di toccare d a parte di Gesù, qui vedia­ mo l'ansia di toccarlo nei malati (cfr. 5, 27 ss; 6, 56) . Luca spiega che un'energia (dunamis) usciva da lui e che egli guariva tutti. Marco riporta la stessa idea in 5, 30. I malati sono descritti come « coloro che avevano qual­ che male ». Letteralmente mastix = « flagello », « piaga >) (5, 29.34; Le. 1, 2 1 ; Atti 22, 24; Ebr. 1 1 , 36) . Qui, come nel greco classico, il termine è detto di malattia considerata come castigo divino. v. 11. Per gli « spiriti immondi » cfr. 1 , 23. Hotan, normalmente usato con il cong., è qui seguito dal­ l'indie. Non è il caso di tradurre « ogni volta che » ; il senso è semplicemente che quando gli spiriti impuri vede­ vano Gesù, cadevano davanti a Lui (cfr. Moluton, La­ grange) . Le parole « Tu sei il Figlio di Dio » sono una versione cristianizzata del grido degli indemoniati : cfr. 1 , 24 : « il santo di Dio » e 5, 7 : « Gesù Figlio del Dio altissimo )), Sono formule importanti per la comprensione della teolo­ Jia di Marco (vedi Introd., pp. 96 s) . :B insoddisfacente intendere la formula come titolo messianico; essa espri­ me la convinzione di Marco che la personalità di Gesù è soprannaturale. Vedi pure 14, 6 1 ; 15, 39.

v. 12. Polla ha significato avverbiale : « ·molto », « intensa­

mente ». Hina me è probabilmente finale: « li sgridava perché non . .. » ; ma non si può escludere la possibilità che si tratti di una clausola esprimente il contenuto della proibi­ zione : « ingiungeva loro di non ... ». Per l'ordine di mante­ nere il silenzio, vedi 1 , 25.34.44, ecc., e Introd., pp. 97-99. Gesù non gradisce la testimonianza degli indemoniati, e mantiene e ingiunge il silenzio in pubblico a riguardo della sua messianità. Matteo, dopo aver seguito alla lette­ ra questo versetto, aggiunge una citazione dal poema del · Servo in ls. 42, 1-4 : « Ecco il mio Servo che io ho scel­ to . . . » (Mt. 12, 17-21).

L'istituzione dei

«

dodici

»

3,13-19a

241

20. L'istituzione dei Dodici (3, 13-19a ) (Mt. 10, 24;

Le.

6, 12-16; Atti l, 13)

Questa narrazione sembra essere stata costruita ad hoc sulla base di una tradizione già esistente. Vedi Introd., pp. 50-53. È po�sibile, come propone Schmidt, 1 10 s, che essa fosse anteriore a Marco; ma non ci sono ragioni positive per sostenere quest'ipotesi, salvo la probabilità che l'elenco dei Dodici ai vv. 1 6-19a sia tradizionale. Mancano nel rac­ conto quei dettagli realistici che tradiscono l'uso di remi­ niscenze di un testimonio oculare. Il riferimento al mon­ te o all'altura è vago, e non si può dire con certezza se Gesù sia andato o da dove abbia convocato i discepoli. Nel racconto prende voce la convinzione che Gesù sepa­ rò dodici discepoli per associarli più strettamente a sé e per inviarli come araldi ed evangelisti. Ci sono comun­ que buone ragioni per pensare che il racconto si basa su una tradizione storica. Le funzioni dei Dodici differisco­ no da quelle esercitate più tardi dagli Apostoli e dagli Anziani al Concilio apostolico di Gerusalemme (Atti 1 5 ) ; e l'unica spiegazione d i tale oggettività è che Marco ab­ bia scritto quel che è effettivamente accaduto. Non si sostiene l'affermazione di Wellhausen, 24, secondo cui l'e­ pisodio è semplicemente un elenco presentato in forma narrativa, o quella di Weiss, 165, per il quale pure si tratta di un elenco, che inquadra un'idea dogmatica. Ca­ ratterizzazioni del genere si fondano sul presupposto che l'istituzione dei Dodici non è storica; presupposto che Wellhausen e Weiss giustificano quasi soltanto rifacendo­ si al silenzio de lle Lettere. Ma questo silenzio e le difficol­ tà che l'elenco presenta possono trovare spiegazioni mi­ gliori; e vi sono altre considerazioni, soprattutto il carat­ tere semplice e sobrio della narrazione, che sono a favo­ re di una conclusione più positiva. L'ipotesi di Ed. Me­ yer (vedi Introd., pp. 4 1 s) è forse troppo esplicita nel porre una fusione di due fonti distinte; ma ha ragione nel sostenere l'uso di un materiale più antico. Questo giudizio vale senza dubbio per l'elenco. Un catalogo che include nomi propri, un patronimico, soprannomi e no­ mi composti, che omette Levi e contiene nomi come Boa­ nerges e Iscariota (strani forse già per lo stesso Marco)

242

Vangelo secondo Marco

non può essere il tipo di composizione che l'evangelista avrebbe messo assieme se avesse scritto liberamente ... Lo stesso vale, sia pure in minor grado, per la narrazio­ ne. Non soltanto Marco usa un elenco tradizionale, ma egli sa pure perché i Dodici sono. stati nominati, e i motivi che ne offre sono in linea con le condizioni del ministero in Galilea. Inoltre, in mancanza di una più esat­ ta informazione, egli non tenta di aggiungere tocchi fanta­ siosi inventando dettagli che solo un testimonio oculare potrebbe aver fornito. Vedi più avanti la nota B sui Dodi­ ci e gli Apostoli. 1 3 . Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. 14. Ne costituì Dodici che stessero con lui 15. e anche· per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni. 16. Primo Simone, al quale impose il nome di Pietro; 17. poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giaco­ mo, ai quali diede il nome di Boanèrges, cioè figli del tuono; 18. e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Gia­ como di Alfeo, Taddeo, Simone lo Zelota, 19. e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.

v. 13. L'espressione « sul monte » è del tutto vaga; ma

potrebbe intendere la zona collinosa a nord del lago (cfr. Swete, Lagrange) . Black, 96, pensa che oros tradisca l'in­ flusso di tura, che nell'aramaico palestinese può significa­ re sia « monte >> che « zona aperta », in opposizione a luo­ ghi abitati. « Salì » (presente storico in greco) : l'iniziativa è presa da Gesù: egli chiama a sé chi vuole. Proskaleomai (« chiamare ») è usato spesso da Marco, in riferimento ai discepoli, come qui (cfr. 3, 23; 6, 7; 8, l ; 10, 42; 12, 43) , o alle folle (7, 14; 8, 34) , o per esprimere la convocazione del centurione presso Pilato ( 1 5 , 44) . « E andarono da lui »: la risposta è immediata (vedi l , 17.20) . � probabile che qui si intenda un gruppo 'più am­ pio dei Dodici nominati al v. 14. Matteo non ha alcun parallelo a questo versetto. Luca dice che Gesù andò sul monte a pregare e passò la notte in orazione (6, 12).

L'istituzione dei vv.

«

dodici

»

3,13-19a

243

14 s. Epoiesen dodeka: il verbo signific� qui « costitui­

re » ; significato €he non è classico ma è usato nei LXX per intendere l'istituzione dei sacerdoti (l Re 12, 3 1 ; 13, 33 ; 2 Cron. 2 , 18), di Mosè e Aronne (l Sam. 12, 6) . Questo uso di poieo dovrebbe essere classificato come un esempio di « greco di traduzione )), influenzato dai LXX (cfr. Rawlinson, Klostermann) . Il numero dodici è scelto in riferimento alle dodici tribù di Israele (cfr. Mt. 1 9, 28; Le. 22, 30). Marco si riferisce spesso ai Dodici con la formula hai dodeka (4, 10; 6, 7; 9, 35; ecc.) . Anche Matteo (3 volte) ; ma ha pure « i dodici apostoli )) (10, 2) e « i dodici discepoli >) (10, l ; 1 1 , l ; 20, 17; 24, 20) ; sei volte in Luca, una in Atti, una in 1 Cor., quattro in Giovanni. I Dodici non sono la stessa cosa che « i discepoli » (vedi 2, 15), né lo stesso che « gli Apostoli », che rappresenta­ no una cerchia più ampia di quella dei Dodici. - Vedi la nota su apostolos in 6, 30. L'inciso « che chiamò apostoli », benché attestato in mol­ ti manoscritti, è verosimilmente un'assimilazione al testo di Le. 6, 13 (cfr. Klostermann, Turner, Bartlet, Lagrange) . Lo scopo dell'istituzione dei Dodici è duplice: (l) che essi possano godere di una più stretta comunione con lui; (2) che egli possa inviarli a predicare e a cacciare i demoni. Alcuni manoscritti aggiungono « guarire le malat­ tie » ; ma si tratta probabilmente di un'assimilazione a Mt. 10, l . La missione di predicare e di esorcizzare non viene svolta fino a 6, 7; l'intenzione di Marco è di suggeri­ re la presenza di un certo periodo di tempo in cui i Dodici sono in contatto intimo con Gesù. Ed. Meyer, l , 1 35-138, pensa che i due scopi sopra menzionati siano in· compatibili, e che la loro presenza - insieme con la ripe­ tizione di « costituì i Dodici » al v. 1 6 - indichi che Marco ha combinato due diversi racconti dell'istituzio­ ne : i vv . l3-14a da una « fonte dei discepoli )>, e 14b-1 9a da una « fonte dei Dodici ». Su questa proposta vedi Introd. pp. 41 s . Qui ci limitiamo a dire che una rottura dopo la frase « stessero con lui » (14a) sembra inelegante e innecessaria, e che nella seconda indicazione dell'istituzio­ ne (v. 1_6) il testo è incerto. La frase « costituì dunque i Dodici » manca in mol­ ti manoscritti (cfr. Clark, Rawlinson, Klostermann) . I com­ mentatori che la mantengono notano che la ripetizione v.

16.

244

Vangelo secondo Marco

può essere dovuta alla necessità di riprendere il filo do­ po la motivazione « che stessero ... e avessero il potere . » (cfr. Swete, Plummer) . L'articolo, si dice, è inserito per­ ché i Dodici sono già stati nominati, e anche perché la formula con articolo è abituale in Marco (cfr. Lagrange) . Ma non possiamo dar troppo peso all'argomento gramma­ ticale. I manoscritti che omettono questa frase sono (sal­ vo pochissime eccezioni) gli stessi che omettono pure la precedente « che chiamò apostoli ». Può quindi essere che l'inserimento di quest'ultima frase abbia creato o al­ meno accresciuto la necessità di aggiungere l'altra. Me­ glio dunque ometterle ambedue, e riconoscere che il te­ sto originale è stato alterato. La stessa possibilità si pre­ senta nella seconda metà del versetto, dove ci si aspetta che Simone venga nominato prima dell'inciso riguardan­ te il cambiamento del nome, come nel caso di Giacomo e Giovanni (v. 17). Infatti alcuni manoscritti, davanti a « impose il nome » hanrio un proton Simona; ed è la lezione più attendibile. « Imporre il nome » : cfr. Erodoto, Platone, LXX. « Per un'accezione simile a quella dell'ebraico sem, onoma nel Nuovo Testamento viene a significare il carattere, la fa­ ma, l'autorità della persona indicata (cfr. Fil. 2, 9 s; Ebr. l , 4) » (VGT, 45 1 ) . La costruzione è spezzata. Dopo « im­ pose » col dativo ci aspetteremmo che anche Giacomo e Giovanni fossero al dativo, mentre li troviamo all'accusati­ vo. Allora: o il testo è un esempio lampante di anacolu­ to, oppure conferma la lettura di proton Sim6na. Qui:q­ di : « primo Simone, e gli pose il nome di Pietro, poi Giacomo e Giovanni ... e pose loro il nome ... ». Petro� è usato qui per la prima volta in Marco (19 vol­ te) , e lo sarà d'ora in poi in tutto il vangelo (salvo « Si­ mone » in Mc. 14, 37) . Significa « pietra », ed è l'equiva­ lente greco dell'aramaico Kepha' (lo. l , 42; 1 Cor. l , 12; 3, 22; 9, 5 ; 1 5 , 5 ; Gal. l , 1 8 ; 2, 9. 1 1 . 14) , forma che Marco non usa. Secondo Jo. l , 42 il nome venne conferito la prima volta che Simone fu chiamato. Preso in se stesso, .Mc. 3, 16 sembra indicare che esso sia stato conferito in occasione dell'istituzione dei Dodici; ma è probabilmente ·corretta l'osservazione di Agostino: « hoc recolendo di­ xit, non quod tum factum sit » (De Cons., 109) . Il nome viene inteso come connotazione del carattere di Simone, non della sua funzione (contro Westcott, Lagrange, Klo..

L'istituzione dei « dodici

»

3,13-19a

245

stermann) ; esso ha tuttavia valore anticipativo (cfr. Mt. 16, 1 8) . Simone diventa Pietro a Pentecoste. Alcuni manoscritti assegnano il nome Boanerges a tutti i _ discepoli. Lettura di molto interesse, ma con poca probabilità di essere originale (cfr. Lagrange, 65) . Boanerges viene abitualmente spiegato come una traslit­ terazione di un nome ebraico o aramaico. La prima parte della · parola rappresenta l'ebraico bene « figli di )). La seconda parte suscita problemi che non sono stati ancora risolti. Dalman lo fa risalire a roghez = « agitazio­ ne >), « furia », che è usato in Giob. 37, 2 per il rumore della tempesta. Questa è a tutt'oggi l'ipotesi migliore; ma è un po' indebolita dal fatto che l'ebraico usa normal­ mente un altro termine per dire « tuono ». Lagrange pre­ ferisce trovare l'originale in bene regheS. Egli riconosce che rghs in ebraico e aramaico non è mai usato in senso di « tuono »; ma osserva che è questo il senso di radjas in arabo, e che potrebbe essere stato corrente nell'uso popolare. Vedi pure Torrey, 298, per il quale « tempesta con tuoni )) sarebbe forse una traduzione più accurata di v. 17.

rughsa.

Queste .e altre ipotesi sono tentativi di giustificare la fra­ se esplicativa : « cioè figli del tuono », formula certamen­ te appropriata al contesto di 9, 3 8 e di Le. 9, 54. Può essere però che originariamente avesse un altro significa­ to, perché J. Rende! Harris ha mostrato che « figli del tuono » è una formula strettamente connessa con il cul­ to dei gemelli. Giacomo e Giovanni hanno ricevuto un nome simbolico perché erano gemelli (cfr. Wood) o ami­ ci intimi (Schulthess) ? Se potessimo essere ragionevol­ mente sicuri che il nome venne imposto a tutti i Dodici (come - abbiamo visto - attestano alcuni manoscritti), se ne potrebbe anche concludere che essi furono chiama­ ti a coppie (cfr. Findlay) , come più tardi vennero inviati « a due a due ». Ma con le conoscenze a nostra disposizio­ ne non è possibile andare oltre spunti e congetture; per­ ché potrebbe anche darsi che (analogamente a Dalmanou­ tha: 8, 10) Boanèrges sia un'alterazione che Marco ha cercato di spiegare come poteva. La formula ho estin ( « cioè ») è caratteristica del suo stile ; unici altri esempi nel Nuovo Testamento sono Col. l , 24; Ebr. 7, 2; Apoc. 2 1 , 17.

246

Vangelo secondo Marco

18. In Marco, come in . Atti 1 , 13, Andrea è ricordato dopo Giacomo e Giovanni; in Matteo e in Luca, immedia­ tamente dopo Pietro. È questo l'ordine che ci aspetterem­ mo naturalmente in Marco (cfr. l , 16) . Lo stesso ordine marciano è seguito in 13, 3 ; e si basa sul desiderio di dare priorità ai tre discepoli principali : Pietro, Giacomo e Gio­ vanni (5, 37; 9, 2; 14, 33) . Andrea e Filippo sono nomi pret­ tamente greci. A prescindere dagli accenni frequenti in Giovanni, Filippo è ricordato soltanto nell'elenco dei Do­ dici nei Sinottici e negli Atti. Negli Atti si parla di un se­ condo Filippo tra i . sette diaconi (6, 5) ; egli è probabil­ mente anche il missionario tra i samaritani (8, 5-40) e l'« e­ vangelista » di 2 1 , 8. I due vengono spesso confusi dagli scrittori antichi. Bartolomeo (Mt . 10, 3 ; Le. 6, 14; Atti 1 , 13) : patronimi­ co = « figlio di Talmai ». Il nome « Talmai » compare in 2 Sam. 3, 3 ; 1 3 , 37. A volte Bartolomeo è identificato con Natanaele (Gv. l , 45; ecc.) ; ma quest'idea (cfr. Swete, Lagrange, Westcott) non va oltre la congettura� Matteo (Mt. 9, 9; 10, 3 ; Le. 6, 1 5 ; Atti l , 1 3) è una forma abbreviata di Mattatia (l Cr. 15, 2 1 ; l Macc. 2, 1 ) , derivata d a mata n « dono » (non d a math = « uomo ») (cfr. Lagrange, 66) . Mt. 10, 3 aggiunge « il pubblicano )>, identificando così l'Apostolo con Levi (cfr. 9, 9) ; e in Mar­ . co (per assimilazione a Matteo) vi sono manoscritti che portano la stessa aggiunta. Se Marco avesse identificato i due, avrebbe presumibilmente scritto « Levi detto Mat­ teo >> (Klostermann) . Vedi inoltre la nota a 2, 14. Tommaso (Mt . 10, 3; Le. 6, 15; Gv. passim; Atti l, 13) è interpretato da Gv. 1 1 , 16; 20, 24; 21, 2 come avente il significato di « gemello ». Gli Atti di Tommaso parlano di lui come « Giuda Tommaso »; lo stesso alcuni mano­ s critti di Gv. 14, 22. Dai documenti traspare che Tomma­ so (che non è un nome greco) era sentito come un so­ prannome o addirittura un nomignolo. Giacomo di Alfeo è così chiamato per ' distinguerlo da Giacomo figlio di Zebedeo. Ricordato soltanto qui in Mar­ co (e in Mt. 10, 3 ; Le. 6, 1 5 ; Atti 1, 13) , viene a volte identificato con Giacomo il Minore (cfr. 1 5 , 40) , o con Levi (cfr. 2, 14) . Potrebbe essere il fratello di Levi (Tur­ ' ner) . Alfeo è probabilmente, ma non necessariamente, pa­ dre di Levi e di Giacomo. È stato spesso identificato con

v.

L'istituzione dei

«

dodici

»

�,l3-19a

247

Clopa (Gv. 1 9, 25) e con Cleopa (Le. 24, 1 8) . (cfr. Linght­ foot, Swete, Dalman) . Secondo Moulton questa identifica­ zione presenta difficoltà di carattere grammaticale; che però egli riconosce non insuperabili. Lightfoot scrive : « Un UOJ!lo il cui nome aramaico fosse Clopa poteva gre­ cizza.re il termine e chiamarsi Cleopa » (p. 267) . Taddeo (Mt. 10, 3) = Teuda, forma abbreviata di Teodo­ sio, Teodoto o Teodoro (Dalman, Lagrange) . Non sappia­ mo nulla di sicuro di questo discepolo. La tradizione col­ lega il suo ministero con Edessa. Le. 6, 1 5 e Atti l , 1 3 gli sostituisce Giuda di Giacomo (mentre alcuni manoscritti leggono qui in Marco e in Mt. 10 , 3 Lebbeo) ; o, in forma dilatata, Taddeo chiamato Lebbeo. Scrittori ecclesiastici antichi identificano Taddeo, Lebbeo e Giuda di Giacomo; per es. Origene, secondo il quale era solito tra gli ebrei usare due o tre nomi. A rigu ardo di questo discepolo, la confusione del catalogo raggiunge il suo punto più alto, e non si può far altro che formulare ipotesi a tentoni. (l) La tendenza all'assimilazione comincia molto presto, e la lezione originaria di Marco può essere sia Lebbeo che Taddeo. (2) Tenuto conto di tutto, non è probabile che Lebbeo sia un primo tentativo per introdurre nel catalogo il nome di Levi. (3) Taddeo e Lebbeo possono essere diminutivi, che descrivono la persona nominata at­ traverso la somiglianza con qualcosa della stessa natura: così che Taddeo significherebbe capezzolo, e Lebbeo cuo­ re (cfr. Lagrange, Allen; ma vedi Dalman) . (4) In questo caso, Giuda di Giacomo (Luca e Atti) potrebbe essere il vero nome del discepolo, e sarebbe così da ritenere cor­ retta l'identificazione tradizionale Taddeo = Lebbeo = Giu­ da di Giaeomo. Spiegazioni noiose e incerte, e che tutta­ via hanno un peso notevole per il problema dell'origine e della storia primitiva dei Dodici. Vedi inoltre la nota B a pp. 714-723. Simone il Cananeo (Mt. 10, 4; Le. 6, 1 5 : Simone sapranno­ minato Zelota; Atti l , 1 3 : Simone lo Zelota) . Cananeo non significa qui né abitante di Canaan né abitante di Cana, ma un aderente al partito più tardi conosciuto co­ me degli Zeloti ; ed è quindi esatta la traduzione di Luca. Sebbene gli Zeloti appartengano a un periodo posteriore, avendo agito soprattutto come capi della rivolta armata contro i Romani, essi furono preceduti (dal tempo di Giuda di Galilea in poi) da molti non esclusi farisei -

248

Vangelo secondo Marco

dell'ala sinistra - di forti tendenze nazionalistiche; Simo­ ne può essere stato tra costoro (cfr. Wellhausen, Kloster­ mann, Wood, Branscomb, Bartlet) . L'alternativa preferita da Swete, Lagrange, Jackson e Lake, McNeile, Smith, è di considerare il termine di Zelota come designazione del­ l'intenso zelo religioso di Simone. La prospettiva dell'e­ vangelista è probabilmente la prima, e non ci sono moti­ vi validi per rifìutarla. J9a. Giuda Iscariota (14, 10.43; Mt. 10, 4; 26, 14; Le. 6, 16; 22, 3 ; lo. 6, 7 1 ; 12, 4 ; 1 3 , 2.26; 14, 22) . L'interpretazio­ ne più comurre del soprannome è « uomo ('is) di Kerio­ th >>; e questa località è identificata o con Kerioth-He­ zron (Gios. 15, 25) dodici miglia a sud di E b ron , o con Kerioth in Moab (Ger. 48, 24) . Wellhausen obietta che ' ii

v.

non era in uso in aramaico al tempo di Cristo; ma Dal­ man osserva che i soprannomi ebraici e aramaici restava­ no comunemente inalterati indipendentemente dalla lin­ gua in uso nel tempo. Lo spunto molto suggestivo, che il nome avesse origine da sicarius ( « assassino ») non ha ottenuto molti consensi (cfr. Klostermann, che ricorda Wellhausen, Merx e Schulthess; Dalman, Lagrange con un punto escla mativo ) . � sorprendente che Marco non dia alcuna spiegazione di Iskari òth . « Abbiamo tutte le ragioni per pensare che Iskariòth fosse ormai incompren­ sibile per l'evangelista >> (Dalman, Wl, 52) . La frase « che poi lo tradì >> batte una nota che risuona in tutti i vangeli. Cfr. Mc. 14, 10.43 ; Mt. 10, 4 ; Le. 6, 16; lo. 6, 64 ; anche Atti l , 1 3 ; ecc. � un segno spiccato della fedeltà storica dei vangeli che la presenza di un tradito­ re in mezzo ai Dodici venga francamente dichiarata. Cfr. Lagrange, 68 : « Questo particolare mette in luce la fedel­ tà della tradizione evangelica » ; Ed. Meyer: « Come si potrebbe pensare che la comunità abbia annoverato tra gli eletti il traditore, di cui si vergognava, se egli non vi avesse effettivamente appartenuto? » ( 1 , 297) . (a)

ACCUSE CONTRO GESÙ

3, 19b-35 Questo insieme di narrazioni e di detti è organizzato in base al contenuto, per mettere in luce il tema generale

Le

paure della famiglia di Gesù 3,19b-21

249

delle accuse contro Gesù. Lo compongono i passi seguenti: (21) 3, 19b-21. Le paure della famiglia di Gesù. (22) 3, 22-26. Collusione con Satana. (23) , 3, 27-30. Detti sull'uomo forte e sulla bestemmia. (24) 3, 31-35. La vera parentela di Gesù. Introdotti dalla frase « Entrò in una casa », questi detti e narrazioni hanno un nesso reciproco piuttosto blando; e l'ultimo è semplicemente aggiunto al resto. È evidente che Marco non conosce il tempo e le circostanze dei fatti. La presenza di quest'insieme collocato a questo punto solle­ va il problema se esso esistesse nella forma attuale già prima della composizione del vangelo. Vedi Introd., pp. 67 s. Nel descrivere l'ostilità suscitata dal ministero di Gesù, Mc. 3, 19b-35 è in stridente contrasto con Mc. 3, 7-12, e prepara la strada alla parabola del seminatore (4, 1-9) . È forse per questi motivi che in Marco lo troviamo collocato nella posizione presente.

2 1 . Le

paure della famiglia di Gesù ( 3, 19b-2 1 )

Anche questa narrazione è una costruzione marciana, co­ me mostrano vocabolario, stile e mancanza di dettagli dal vero. Essa si basa sulla migliore tradizione storica. Ne�suno ha avuto il coraggio di insinuare che si tratti di una creazione della comunità, perché nessun narratore primitivo avrebbe affermato che la famiglia di Nazaret riteneva Gesù fuori di sé ed era andato a prenderlo, se questo non fosse corrisposto alla verità dei fatti. Non sorprende che Matteo e Luca omettano quest'episo­ dio, e non è affatto verosimile che sia stato aggiunto in Marco da un redattore (cfr. J. Weiss, 166) . Bultmann, 28 s, ritiene che in origine i vv. 21 e 31-35 formassero un'unità singola; meglio ancora, i vv. 21 e 35, con l'inseri­ mento successivo di 22-34. Anche Dibelius in un primo momento collegava 20 s con 31-35; ma nella seconda edi­ zione della sua Formgeschichte des Evangeliums ritrattò questa opinione per avanzare quella secondo cui i vv. 20 s furono scritti dall'evangelista come « introduzione preparatoria alla storia di 3, 3 1 ss », Schmidt, 122 s, ritie-

250

Vangelo secondo Marco

ne altrettanto che nei due passi è questione di due diver­ se tradizioni. Questa è seriza dubbio l'ipotesi migliore. Introdotta dalle parole « Entrò in una casa » (in 19b) , la narrazione è un frammento indipendente di tradizione pri­ mitiva. 1 9b. Entrò in una casa. 20. E si radun ò di nuovo at torno a lui molta folla, .al punto che non potevano neppure p re nde re cibo.

2 1 . Allora i suoi, sentito questo, uscirono pe r andare a prenderlo; poiché dicevano:

«

È fuori di sé

>> .

19b-20. L'uso del presente storico (erchetai) , di palin di hoste con l'ace. e infinito e la doppia negazione lascia capire che Marco scrive liberamente senza l'aiuto di una fonte. La casa e l'adunarsi della folla sono tra gli espedienti più semplici che egli usa nel descrivere episo­ di della storia di Gesù. Sunerchomai ha qui il senso di « raccogliersi », -« adunarsi >> (Erodoto, LXX, Papiri) . Palin (« di nuovo ») si riferisce a 3, 7. « Non potevano neppure prender cibo » : cfr. 6, 3 1 . Sebbene non vi siano altri elementi di collegamento (al­ l'infuori del palin) con quanto precede, è chiaro che l'epi­ sodio appartiene al primo periodo del ministero, durante l'alta marea del successo. Matteo e Luca non hanno paral­ leli a 19b-2 1 ; ma non vi può essere dubbio che si tratta di un elemento originale in Marco, omesso dagli evangeli­ sti successivi a causa del suo carattere ardito.

vv.

e

v.

21. Nel greco classico, hoi par'autou significa « invia­

o « ambasciatori ». Nei LXX designa « aderenti » o « seguaci » (l e 2 Macc. passim) , ma anche « genitori » e altri « congiunti » (Prov. 3 1 , 21). Nei papiri l'espressio­ ne è usata liberamente per descrivere « agenti », « vici­ ni », « amici » e « congiunti » (Field, VGT, Moulton) . È quest'ultimo il significato in Marco. Qui si intende la sua famiglia di Nazaret, e non soltanto i suoi amici. Cfr. Holtzmann, Klostermann, Lagrange, Gould, Swete, Rawlin­ son, Bartlet, Plummer, Branscomb, Wood. Non si tratta in alcun modo dei discepoli (cfr. hoi peri auton : 4, 10) e ancora meno degli scribi (come vorrebbero alcuni mano-

ti »

le paure della famiglia di Gesù

3,�9b-il

scritti) . Le circostanze in cui i membri della famiglia si muovono sono indicate da « avendo sentito » e da « per andarlo a prendere ». Che cos'abbiano sentito, non vien detto; ma sarebbe andare fuori strada limitare l'informa­ zione al fatto che Gesù trascurqsse di curare i propri interessi personali. Kretesai auton è un'espressione forte. Il verbo è usato in l, 3 1 ; 5, 4 1 ; 9, 27, nel senso di « pren d ere (la mano) », e in 7, 3 s.8, per « osservare (la tradizione) »; ma in 6, 17; 12, 12; 14, 1 .44.46.49.5 1 , nel senso di « arrestare una perso­ na ». È questa l'accezione che il verbo ha nel nostro pas­ so. La famiglia vuoi prendere Gesù, controllare le sue azioni, e non soltanto, come scrive Lagrange, 70 « co­ stringerlo, con una violenza affettuosa, a occuparsi della propria persona ». In quest'atteggiamento si mescolano un profondo interesse personale per Gesù e la mancanza di simpatia per i suoi obiettivi e le sue intenzioni. È naturale prendere i « suoi » come soggetto di « diceva­ no »; ed è questa la lettura della maggior parte dei com­ mentatori (cfr. Holtzmann, Klostermann, Swete, Gould, Branscomb, Bartlet, Wood) . Tuttavia altri preferiscono considerare il verbo come impersonale : « la gente dice­ va » : così Turner, Lagrange, Streeter. Secondo quest'inter­ pretazione l'accusa « è fuori di sé » era un giudizio popo­ lare riportato alla famiglia di Nazaret, non un giudizio formulato dai suoi stessi membri. Tutto sommato, quest'i­ potesi · non convince. L'uso impersonale dell'imperfetto è certamente noto a Marco; ma ciò che qui lo sconsiglia è che il contesto suggerisce naturalmente il soggetto del verbo. D'altra parte questa interpretazione non assolve la famiglia di Gesù; perché, pur non avendo messo in circolazione l'accusa, essa vi ha pur sempre creduto e ha agito di conseguenza; ed è difficile pensare che l'unico loro motivo fosse la sollecitudine amorosa verso Gesù per la sua dimenticanza di prender cibo. L'osservazione di Streeter, secondo cui sarebbe del tutto inverosimile che Marco avesse raccontato la storia se il suo significa­ to fosse stato quello che comunemente si ritiene, non convince; infatti gli sono caratteristici il realismo e il coraggio; e del resto il quarto vangelo dice chiaramente che « i · suoi fratelli non credevano in lui » (Gv. 7, 5) . Più ancora, l'episodio sull� vera parentela di Gesù (3, 31-35) , che Marco ha presente in questi vv. 19b-21, ha una inne �a-

Vangelo secondo M arcò

bile atmosfera di tensione, che si spiega molto meglio se la famiglia di Gesù ha condiviso l'opinione espressa da quel « è fuori di sé » . In conclusione: soggetto di « dice­ vano » sono « i suoi )), Exeste significa « è fuori di sé », « fuori di mente » , (cfr. Moffatt) . L'aoristo è atemporale, e va tradotto al presen­ te (cfr. le traduzioni latine: exsentiat, excutiat, in furo­ rem versus est . . .) . La stessa accusa è stata enunciata nei confronti di Paolo da Festo (Atti 26, 24), e l'Apostolo usa lo stesso verbo in 2 Cor. 5, 13, detto di se stesso, in contrasto con « essere assennati )), Alcuni commentatori (per es. Lagrange, Plummer) pensano che una traduzione come « pazzo » o come quella della Volgata « in furo­ rem versus est » sia troppo forte; ma il verbo può avere questo significato, e può essere stato usato iperbolicamen­ te per descrivere un tipo di comportamento che ha l'appa­ renza della follia; come quando diciamo : « ma quello è matto! )> , Eccellente il commento di Loisy (citato da La­ grange, 70) : « Non dicono che Gesù ha perso la ragio­ ne ... ma lo considerano in uno stato di esaltazione misti­ ca che gli ha fatto perdere il senso reale della vita e della sua condizione personale ». L'unico interrogativo che resta è se essi non abbiano detto più di quanto effettiva­ mente pensassero. 22. Collusione con Satana ( 3, 22-26 ) (Mt. 12, 22-26;

Le. 1 1 , 14-18)

Durante il periodo della tradizione orale questo apofteg­ ma (cfr. Bultmann, 10-12) venne conservato perché dava la risposta di Gesù all'accusa di esorcizzare i demoni col potere di Satana. Normalmente l'episodio è chiamato « la controversia di Beelzebùl » ma, come spiega il com­ mento, questa abitudine è forse dovuta alla tendenza di collegare l'episodio con la tradizione - analoga ma non identica - secondo cui Gesù era posseduto da uno spiri­ to cattivo; tradizione attestata da Mc. 3, 21-22a.28-30, da Mt. 12, 27 s = Le. 1 1 , 19 s, e da Jo. 1, 20; 8, 48 s.52; 10, 20 s. L'episodio è stato raccolto anche in Q (cfr. Mt. 12, 22-26 = Le. 1 1, 14 s.17 s) ; e dalle due narrazioni è possibi­ le ricostruire con qualche attendibilità la storia della tra­ dizione. La forma Q è più originale nel riferire che la

éoiiusione con Satana �,22-26

controversia sorse in relazione alla cacciata di un demo­ nio muto. Invece di questa introduzione, Marco ha il pas­ so rèdazionale 3, 22-23a, in cui attribuisce l'accusa agli scribi di Gerusalemme. Analogamente all'accenno di Mat­ teo ai farisei, anche questo può essere un tentativo di precisare meglio la tradizione (cfr. Le. 1 1 , 1 5 : « Alcuni di loro ») . Per il resto, il racconto di Marco conserva la storia con grande fedeltà, maggiore per alcuni aspetti di quella di Q (cfr. 3, 24 s con Le. 1 1 , 17). Da tempo molto antico la storia è diventata un nucleo attorno a cui si sono coagulati detti affini : 3, 27 in Marco, e Mt. 12, 27-29 = Le. 1 1 , 19-2 1 in Q. Un altro materiale attirato a Q è probabilmente il detto : « Chi non è con me è contro di me » (Mt. 12, 43-45 = Le. 1 1 , 24-26) . In queste aggiunte è chiaramente evidente il processo della tradizione, in cui un apoftegma. originale si è dilatato per l'addizione di altri detti. Cfr. Bultmann, 12. Il valore storico della tradizione spicca con rilievo. Non è la relazione di un testimonio oculare, ma il residuo di una tradizione molto primitiva. Vi appare la feroce oppo­ sizione a cui il ministero di Gesù era esposto, e la sua intensa consapevolezza di essere a una stretta mortale con Satana e con tutti i suoi poteri. 22. Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dice­ vano : « Costui è posseduto da Beelzebùl, e inoltre scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni ». 23. Ma egli, chiamatili, diceva loro #n parole: « Com � può Satana scacciare Satana ? ». 24. Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; 25. se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. 26. Alla stessa maniera, se Satana si ribella contro se s tesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire.

v. 22. Come mostra il vocabolario, questo passo redaziona­ le è op era di Marco. Vi manca il racconto della guarigio­ ne del l 'indemoniato, che in Q (Le. 1 1 , 14 = Mt. 12, 22 s)

precedeva la controversia e ne costituiva probabilmente l'occasione. Invece di « scribi » , Matteo ha « farisei », e Luca « alcuni di loro ».

�54

Vangelo secondo Marcò

« Discesi da »: ' come 1'n Le. 2 , 5 1 l· 1 0 l 30 s ; Att l' 8 , 26 . la formula significa qui l'itinerario a partire dalla ca­ pitale. Le due accuse, singolarmente esplicitate ( « dicevano che ... e che ») , sono distinte, e potrebbero essere state avanzate da gruppi diversi (cfr. Lagrange, 7 1 ) . La prima: « egli ha Beelzebùl » significa che Gesù è posseduto da uno spirito cattivo (cfr. 3 , 30) ; la seconda, che i suoi esorcismi erano compiuti col potere del « principe dei demoni », cioè da Satana, dove en può essere o strumenta­ le o locale metaforico = « nella sfera di ». Matteo e Lu­ ca combinano. le due accuse ( « scaccia i demoni in nome i Beelzebùl ») , identificando così Beelzebùl con Satana. Sembra più probabile che le due denunce fossero distin­ te; perché nella prima Beelzebùl è il nome di uno spiri­ to cattivo particolare, non altrimenti noto, mentre nel secondo l'accento è posto sul potere di Satana « princi­ pe dei demoni ». Per questa denominazione cfr. : « il prin­ cipe del mondo » (lo. 14, 30) ; « il principe di questo mon­ do » (lo. 16, 1 1 ) ; « il principe delle potenze dell'aria » (Ef. 2, 2) . Cfr. G. Delling, GLNT, l , 1298-1302. Queste affermazioni sono, ovviamente, congetturali; l'iden­ tificazione generalmente accettata: Beelzebùl = principe dei demoni = Satana, può essere sostenuta non solo in base a Mt. 12, 24 = Le. 1 1 , 15, ma anche in base al detto « Se io col potere di Beelzebùl scaccio i demoni, i vostri figli in nome di chi li scacciano? » (Mt. 12, 27 = Le. 1 1 , 19) . Questo passo tuttavia non è decisivo, poiché l'accezio­ ne Beelzebùl = Satana è suggerita soltanto nel contesto in cui appare. Potrebbe trattarsi di un detto isolato, inse­ rito in questo contesto dal compilatore di Q. L'obiezione più forte all'identificazione è che in nessun testo della let­ teratur.a giudaica Satana è chiamato Beelzebùl, mentre gli vengono applicati altri nomi, come Mastema, Sam­ mael, Asmo deo, Beliar. Se Beelzebùl era il nome di uno spirito cattivo subordinato, non è difficile spiegare l'assen­ za di accenni a lui, se si tien presente la ridda di nomi applicati agli spiriti cattivi nei Papiri magici dei primi secoli cristiani (cfr. Deissmann, 254-264) . Beelzebùl: Mt. 10, 25; 12, 24.27 ; Le. 1 1 , 1 5 . 1 8 s. Incerte sono sia l'ortografia del nome che la sua etimologia. Quan­ to alla prima, non si giustificano le forme Beezebùl e Beelzebùb, presenti in �lcuni manoscritti. Quanto alla se-

Collusione con

Satana 3,22-26

255

conda, ricordiamo tre tentativi di spiegare l'origine della forma corretta Beelzebùl: (1) il secondo elemento (ze­ bùl) sarebbe una alterazione derisoria del termine che in ebraico significa « letame »; Beelzebùl significherebbe dun­ que « signore del letame »; (2) sempre zebùl deriverebbe da zebhul = « altezza » o « abitazione »; e Beelzebùl sa­ rebbe « signore dell'abitazione » cioè dell'aria o comun­ que dei luoghi in cui egli dimora; (3) tutto il nome sareb­ be collegato con il termine che in aramaico significa « ne­ mico » (cfr. Lagrange) . Non è possibile decidere con sicu­ rezza; �a un forte argomento per la seconda ipotesi è dato da Mt. 10, 25: « Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa ... ». Vedi inoltre Nestle, Foerster, Lagran­ ge, Swete, McNeile. v. 23. La formula introduttiva è redazionale. Parabole = « parabola », « massima », « detto di sapien­ za » (greco classico e LXX) . VGT 480 scrive: « Le nostre

fonti non ci dicono molto su questo termine che nel Nuovo Testamento si trova soltanto nei sinottici (nel sen­ so di " parabola ", " similitudine ") e due volte nella lette­ ra agli Ebrei (9, 9; 1 1 , 1 9 : nel senso di " figura ", " ti­ po ") >> . Il quarto vangelo usa paroimia (10, 16; 16, 25.29) . Sebbene parabole venga usato nel greco classico nell'acce­ zione di « paragone », « illustrazione », « analogia », il suo uso nei vangeli sinottici va fatto risalire, attraverso i LXX, all'ebraico masal che designa espressioni gnomiche, proverbi, ammonizioni; enigmi e storie illustrative (cfr. Giud. 9, 8-15 ; 2 Sam. 12, 1-4) . Per i diversi tipi di paàtbo­ le nei vangeli, vedi la nota a 4, 1-9; e per il problema dell'uso dell'allegoria, vedi 4, 13 e 12, 6. La formula en parabolais, adottata qui e in 4, 1 1 e 12, l , è avverbiale, e può essere tradotta « in similitudini », « in parabole »; si riferisce alle massime pittoresche e allusive che seguo­ no e che servono a confutare l'accusa di agire sotto il potere del principe dei demoni. È da notare che Gesù non usa il nome di Beelzebùl ma quello di Satana (vedi la nota a l , 1 3 ) . � indubbio che egli condividesse la fede dei contemporanei nella realtà di Satana come signore del regno del male. Questa fede è implicita nel detto presente, in cui l'accusativo Satanan significa non il solo Satana ma anche coloro sui quali egli esercita il suo go­ verno. L'atteggiamento c;li Gesù è pure- messo in luce dal.

.



256

Vangelo secondo Muco

la sua convinzione a riguardo della realtà del possesso diabolico, dalla storia della tentazione ( 1 , 12 s) , dal detto sull'uomo forte (3, 27) , e dai detti lucani : « Vedo Satana cadere dal cielo •> (10, 1 8) , « Questa donna, che Satana ha legato » (13, 16) e « Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano » (22, 31). Questa fede non può essere interpretata come semplice adatta­ mento alle idee popolari; essa è un aspetto delle condizio­ ni necessarie alla realtà dell'Incarnazione. Il cristiano mo­ derno non è tenuto a condividere quella convinzione. Il suo atteggiamento di fronte alla dottrina riguardante Sa­ tana sarà determinato dalla sua filosofia del male e da ll a sua interpretazione dei fatti della vita e dell'esperienza religiosa. Il v. 23 è peculiare a( racconto della controversia ìn Mar­ co; ma il detto « come può Satana scacciare Satana » è implicito in Mt. 12, 26. Marco non ha un parallelo dell'af­ fermazione (presente in Q) che Gesù conosceva i pensie­ ri dei suoi interlocutori; cfr. Mt. 12, 25 : « conosciuto il loro pensiero »; Le. 1 1 , 17: « conoscendo i loro pensie­ ri ». Ma cfr. 2, 8 nella storia del paralitico. _

24 s. Il principio generale che Satana non può scaccia­ re Satana viene illustrato da due paralleli in forma condi­ zionale: il regno diviso e la casa divisa, introdotti dalla costruzione ean con il cong.; e, al v. 26, dalle circostanze attuali presupposte, cioè -Satana diviso, espresse da ei con l 'indie . Ef'heautèn = « in se stesso » oppure « contro se stes­ so »; si trova pure in Le. 1 1 , 17 s e in M t. 12, 26, ma è sostituito in Mt. 12, 25 da kath'heautes. Invece di « non può resistere >> , Matteo e Luca hanno « cade in rovina » (cfr. Mt. 12, 25 = Le. 1 1 , 17) . Questa convergenza è una delle piccole indicazioni che in Q doveva trovarsi, come in Marco, un racconto della controversia. Nella versione di Luca il destino della casa è parte della distruzione che irrompe sul regno: « una casa cade sull'altra ». Man­ son pensa che questa sistemazione sia più originale, e similitudine in Marco e in Matteo sia 'che la seconda un'espansione della prima. Il parallelism o tuttavia è semi­ tico, e sembra più probabile che sia stato Luca a ridurre le due parabole a una. vv.

Sull'uomo forte e la bestemmia

3,27-30

257

26. L'argomentazione raggiunge il suo punto centrale mostr�ndo l'implicazione attuale dell'accusa. Di qui il cam­ bio di costruzione (cfr. 24 s). Invece di « si ribella ... ed è diviso » Luca ha soltanto « è diviso », e Matteo « scaccia Satana ·» ; e ambedue, seguendo Q, hanno l'apodosi nella forma: « come potrà reggersi il suo regno ? ». Marco con­ serva il parallelismo con i vv. 24 s. L'espressione finale « ma sta per finire » suona come una nota di condanna. Tenuti presenti questi particolari, la versione di Marco sembra più originale che quella di Q. Telos (« fine >)) è detto qui della morte, come nel greco classico (Platone, Senofonte, Erodoto, ecc.) . Col v. 26 la sotto-sezione finisce; ma il v. 27 può essere stato aggiunto molto presto. A questo punto Q presenta­ va i due detti: « Se io scaccio i demoni col potere di Beelzebùl e « se io scaccio i demoni con il dito (Matteo: lo spirito) di Dio » (Mt. 12, 27 s = Le. 1 1 , 19 s) , e poi una versione del detto sull'uomo forte '(Le. 1 1 , 21 s), a meno che questa venga da L. Vedi anche la nota a 3, 27. La ridondanza evidente in 3, 26 è effettiva, e potrebbe esse­ re intenzionale.

v.

23. Detti sull'uomo forte e sulla bestemmia (3, 27-30) (Mt. 12, 29,31 s; Le. 11, 21; 12, 10)

Come 2, 21 s e 27 s, questi detti sono stati presi da una raccolta primitiva. Il detto sull'uomo forte sembra esse­ re stato collegato con 3, 22-26 molto presto, dato che la stessa associazione si trova in Marco e in Q. Questa siste-­ mazione è naturale, se si considera il contenuto, ma è redazionale, se 3, 22-26 costituisce un'unità in se stesso. Il tema di 3, 27 è lo stesso, ma l'argomeptazione è nuo­ va. In essa è implicato che gli esorcismi dimostrano che Satana è stato legato da Gesù o dal potere di Dio in forza del quale Gesù agiva. Originariamente escatologica, questa attesa trova un adempimento attuale nel ministe­ ro storico di Gesù, e si trova così in linea con quanto egli insegnava a riguardo del regno di Dio. Detti come questo, accordati sull'entusiasmo della speranza escatolo­ gica, sono della più grande importanza per comprendere la mentalità e gli obiettivi di Gesù. Bultmann, 1 10, vi vede qualcosa di caratteristico, di nuovo, che va aldilà

258

Van&elo secondo Marco

della saggezza e della pietà popolari, e tuttavia ha ben poco a che vedere con l'insegnamento degli scribi, dei rabbini o degli apocalittici. « Se vi sono elementi caratte­ ristici della predicazione di Gesù, vanno cercati qui » (tra le espressioni di questo tipo Bultmann enumera Mc. 3, 24-2 6 .27 ; 7, 15; 8, 35; 10, 15.23b.25.31 ; Le. 9, 60a.62; 14, 1 1 ; 16, 1 5 ; Mt. 5, 39b-4 1 .44-48; 7, 13 s; 22, 14). Mc. 3, 28 s è un detto separato, proveniente da un conte­ sto diverso, come mostra il parallelo in Q (cfr. Le. 12, 10) . Ma Marco ha avuto una intuizione giusta, o è stato guidato da una buona tradizione, quando lo ha collegato con l'accusa di possesso diabolico. Nella forma di solen­ ne ammonimento contro il pericolo di bestemmia nei con­ fronti dello Spirito Santo, questo detto fa parte della difesa di Gesù dall'accusa. Non c'è nessuna ragione di considerarlo « una produzione dell'età apostolica » (Bran­ scomb, 74) , sebbene in Le. 12, 10 = Mt. 12, 32 (cioè in Q) possa essersi esercitato l'influsso di interessi tardivi. 27. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e

rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. 28. In verità vi dico : « tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; 29. ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno : sarà reo di colpa eter­ na ». 30. Poiché dicevano : « t:; posseduto da uno spirito im­ mondo ». 27. Ho ischuros = l'uomo forte, qui detto di Satana, riflette l'influsso di !s. 49, 24 s: « Anche il prigioniero sarà strappato al forte, e la preda sfuggirà al tiranno », e forse anche di ls. 53, 12: « dividerà il bottino con il potente )) , È dunque probabilmente corretto affermare che dietro il detto vi è la consapevolezza che Gesù è il Servo vittorioso di Dio (cfr. Grundmann, GLNT 4, 1219 s) . Co­ munque, anche a prescindere da questi echi dell'Antico Testamento, la convinzione che Gesù è « il più forte » è suggerita dal detto stesso. I suoi esorcismi provano che egli. è penetrato nella casa dell'uomo forte, lo ha legato e ne ha saccheggiato i beni. Skeuos è regolarmente usato

v.

Sull'uomo forte

e

la bestemmia 3,27-30

nel greco classico per designare recipienti o utensili di ogni tipo, e nei papiri per descrivere mobili, oggetti, be­ ni e ·anche attrezzature di una nave. In 2 Cor. 4, 7 e in l Tess. 4, 4 è detto del corpo come involucro dell'anima. In questo passo di Marco è naturale pensare che ta s k eue ·autou sia il « posseduto », reso schiavo da Sata­ na: e molti commentatori fanno propria questa interpre­ tazione (Swete, Bartlet, Turner, McNeile, Manson) . Ma mentre ho isehuros è un nome simbolico, è molto proble­ matica l'allegorizzazione di ta s k euè e di oikia (« casa ») , che vengono usati per completare il quadro. Ta skeu e aU­ tou sono « i suoi beni » ; cfr. Le. 1 1 ,21 : « le sue sostan­ ze ». Deo (« legare ») : l'idea dell'incatenamento del potere catti· vo è una concezione escatologica, presente in /s. 24, 22 s e, per quanto riguarda Satana, lumeggiata in Apoe. 2 0 , 2 s. La stessa idea appare nella religione Zend. Per la letteratura apocalittica, cfr. 1 Enoeh 10, 1 1 s; Test. Levi 18, 12. Un'idea parallela, spesso associata alla preceden­ te, è quella di Satana che cade, precipita a terra: cfr. Apoe. 12, 9; Le. 10, 1 8 (« vedevo Satana cadere dal cielo come folgore >>); lo. 12, 3 1 . Colui che incatena può essere Dio (cfr. Creed, Rawlinson, Branscomb) , ma è più proba­ bilmente Gesù stesso (cfr. Manson) , armato della poten­ za di Dio (cfr. Le. 1 1 , 20) . La ridondanza nelle parole « allora ne saccheggerà la casa » è semitica. La versione di Matteo (12, 29) segue da vicino quella di Marco ed è interamente basata su di essa. Le. 1 1 , 2 1 s differisce notevolmente, ed è più pittoresco. Compare in un contesto dovuto a Q, ed è normalmente assegnato a Q (cfr. Moffatt, Creed, Manson) . Egli presenta l'uomo for­ te tranquillo finché viene attaccato e sopraffatto da uno più forte di lui, che gli strappa via l'armatura e ne distri­ buisce il bottino. Cfr. !s. 49, 24 s. Il fatto che sia Marco che Q, indipendentemente l'uno dall'altra, pongano questo detto in stretta connessione con la storia della controversia sull'esorcismo indica che l'associazione dei due era tradizionale già molto presto. Cfr. Manson, SJ, 85. In Marco il detto sembra essere configurato a somiglian­ za di . quelli che precedono (cfr. ou dunatai e la doppia negazione, come in l, 44) . Il rapporto col. v. 26 è blan­ do (solo un alla fa da trait-d'union, per di più omesso in •

260

Vangeio secondo Marco

diversi manoscritti) . Queste e altre considerazioni inducono a ritenere più originaria la versione di Luca. ·

v. 28. La frase introduttiva : « in verità, vi dico » si trova esclusivamente nei detti di Gesù, e conferisce enfasi e solennità a quanto segue. Nell'Antico Testamento ( l Re l, 36; Ger. 1 1 , 5 ; Sal. 4 1 , 14; ecc.) si riferisce invece· a quanto precede. Schlier (GLNT, l , 909-916) arriva a dire che in questa formula è contenuta in nuce tutta la cristo­ logia. « Ai figli degli uomini » è una traduzione pedissequa del­ l'originale aramaico; cfr. Mt. 12, 3 1 : « agli uomini », In Q si pàrla del Figlio dell'uomo (Le. 1 2 , 10 = Mt. 12, 32) . Probabilmente le due versioni sono traduzioni diverse del­ la stessa espressione aramaica. Alcuni studiosi preferisco­ no la forma Q (Bultmann, 138, che cita Fridrichsen e Goguel; cfr. Easton) ; ma la maggior parte - a ragione, credo - scelgono quella di Marco (cfr. Wellhausen, Bult­ mann, Jackson e Lake, Manson, Cadoux, Dalman) . � sta­ ta però formulata l'ipotesi che nel collegare « saranno perdonati » con « i figli degli uomini » Marco modifichi il detto originale, in cui la bestemmia o l'invettiva con­ tro uomini (cfr. Rom. 3, 8; l Cor. 10, 30) stanno in contra­ sto con la bestemmia contro lo Spirito Santo (cfr. McNei­ le, Smith) . Una possibile alternativa è che Gesù abbia usato il singolare, > (epesen) sulla terra buona, e questa portò frutto in continuità (imperf.: edidou) , spuntando e crescendo (anabainonta kai auxanomena) , e continuò a dare frutti (eferen) in abbondanza. Dunque: anabainonta è nominativo neutro, riferito ai semi, non accusativo ma­ schile riferito al frutto. Inutile attardarsi sulle molteplid varianti testuali. Notiamo soltanto che l'enumerazione finale (« ora il trenta, ora ... ora ... ») è un semitismo (cfr. Allen, Black, Wellhausen, Lagrange, Howard), che testimonia come il greco della parabola marciana sia vici­ no all'originale aramaico. Matteo grecizza l'enumerazio­ ne; e Luca ha semplicemente « cento volte tanto » (8 , 8) . Questo versetto costituisce il baricentro della parabola. Se è vero che alcune parti della seminagione vanno perdu­ te in diversi modi, rimane però che il resto - forse la parte maggiore - porta un frutto straordinario. Cfr. lo. 4, 35: « Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura ». v. 8.

i

Scopo delle parabole 4,10-12

277

v. 9 La formula « chi ha orecchi ... » appare spesso nei detti di Gesù: cfr. 4, 23 ; 7, 16; Mt. 1 1 , 15; 13, 9.43 ; Le. 8, 8; 14, 35; anche Apoc. 2, 7.1 1.17.29; 3, 6.13.22.; 13, 9. Si tratta chiaramente di un'espressione caratteristica con cui Gesù imprime nei suoi uditori la necessità di fare attenzione alle sue parole. Nel nostro contesto, subito dopo quanto è scritto al v. 8, il detto indica che la messe è la chiave di interpretazione della parabola. Forse la formu­ la rispecchia anche la consapevolezza di Gesù che le sue parabole erano sempre facili da capire.

26.

Lo scopo delle parabole (4, 10-1 2 ) ( Mt. 13, 10-15; Le. 8, 9 s)

Questa pericope è una costruzione marciana (vedi Introd., p. 50) cioè un passo redatto da Marco stesso sulla base della tradizione. Ha l'apparenza di un apoftegma, ma non è una narrazione popolare circolante nella comuni­ tà. Segni del lavoro redazionale sono presenti in sun tois dodeka ( « con i Dodici ») e nella formula kai elegen au­ tois (« e disse loro ») che introduce i vv. 1 1 s (probabil­ mente in origine isolati) . Il v. 10 era forse originariamen­ te collegato ai vv. 13-20, con il singolare (« sulla parabo­ la ») invece del plurale (« sulle parabole ») ; quest'ultimo sembra . essere un adattamento fatto appunto per introdur­ re i vv. 1 1 s. Il commento metterà in luce come il detto si riferisse nel suo tenore primitivo a tutto l'insegnamen­ to di Gesù, e come Marco, credendolo invece riferito allo scopo delle parabole, lo abbia introdotto nel contesto at­ tuale, creando così una difficoltà che ha tirato avanti fino ai tempi moderni. Egli lo ha fatto in forza della sua convinzione che Gesù si servisse delle parabole per na­ sconderne il significato a « quelli di fuori », mentre lo scopo effettivo di Gesù era di spiegare il proprio messag­ gio sollecitando la riflessione. 10. Quando poi fu so lo, i discepoli insieme ai Dodici lo

interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: l i . « A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; per quelli di fuori invece tutto diventa un enigma, 12. perché guardino ma non vedano, ascoltino ma non intendano perché non si convertano e venga loro per­ donato »,

278 v.

Vangelo secondo

10.

Marco

Questo passo redazionale prepara il detto dei vv.

1 1 s. L'espressione avverbiale kata monas (sottinteso choras oppure odous, cioè: in zone solitarie o su strade solitarie) è classica (Tucidide) , ed è usata nei LXX (Gen. 32, 1 6 ; Giud. 7, 5 ; ecc) col significato di « solo »; ma nel

Nuovo Testamento la troviamo soltanto qui e in Le. 9, 18. Essa vuoi dire che Gesù era lontano dalla folla, in una casa o per strada (c�r. 7, 17; 9, 28; 10, 10) . A differenza di hoi par'autou (« i suoi ») di 3 , 2 1 , hoi peri auton sono i discepoli, da cui si distinguono i Dodi­ ci. L'espressione « con i Dodici » (vedi 3, 14) è stata intro­ dotta in modo maldestro. Bultmann la spiega come un'ag­ giunta marciana alla sua fonte. Ed. Mayer come la combi­ nazione di una « fonte dei Dodici » con una « fonte dei discepoli » (vedi Introd. pp. 41 s) . Erotao nel greco classi­ co significa « interrogare , « domandare »; nel greco tar­ divo (LXX, papiri) « fare una petizione » � richiedere ». Marco ha sempre l'imperfetto di erotaò, e lo costruisce qui con due accusativi, altrove con peri e genitivo. Si può rendere: « lo interrogavano sulle parabolè ». Mt. 13, 10: « Perché parli loro in parabole? >>; "te. 8, 9 : lo interro­ garono su che cosa volesse dire la parabola. Alcuni mano­ scritti hanno « la parabola >> al singolare anche in Mar­ co; si tratta evidentemente di una correzione. Il plurale indica che i vv. 10-12 costituiscono un'unità a sé stante. 1 1 . Musterion: nel greco classico è usato per dire un « segreto », un « mistero », specialmente al plurale « i misteri >> - in connessione con le religioni misteriche pagane. Nei LXX lo troviamo otto volte in Daniele 2, e negli apocrifi dell'Antico Testamento, col significato di « segreto ». Nel Nuovo Testamento, specialmente nelle let­ tere paoline, l'accezione è quella di « segreto manife­ sto », fatto conoscere da Dio, e si riferisce al vangelo, alla sua estensione ai pagani. In nessun caso la parola designa riti occulti o conoscenze esoteriche comunicate a « iniziati ». Nel nostro passo (e paralleli) mistero è detto di una conoscenza che riguarda il regno di Dio e che è stata donata ai discepoli ma non alla gente in generale (« quelli di fuori ») . Questa conoscenza si riferisce verosi­ milmente al regno come governo di Dio, imminente e già all'opera con la sua potenza. Matteo e Luca specificano « conoscere » e hanno il plurale « i misteri ». Luca atte-

v.

Scopo delle parabole 4,10-12

Zl9

nua «

quelli di fuori » con « gli altri ». Matteo dice sem­ plicemente « loro ». Queste varianti mostrano che il rac­ conto' di Marco è più originale. En parabolais: normalmente si traduce « in parabole », come in 3, 23 e in 4, 2. Ma nel caso presente, non solo viene fissata una . distinzione tra il metodo di insegnamen­ tò adottato per i discepoli e quello adottato per « quelli di fuori », ma si parla di parabole in tono di discredito, ed esattamente (4, 1 2) come di un mezzo per dissimulare la verità. La formula equivale a « in enigmi », e la frase dovrebbe essere tradotta: « tutto diventa un enigma ». L'obiezione a questa interpretazione è che essa gioca su due diverse accezioni del termine parabole (cfr. Smith, Creed) . Ma l'obiezione non è decisiva, dato che probabil­ mente 4, 10-12 è un'unità separata proveniente dalla tradi­ zione e inserita poi nel contesto attuale. Fuorviato dalla formula en parabol,ais, Marco o un compilatore anteriore ha interpretato il passo come riferito alle parabole, e lo ha introdotto a orecchio .(cfr. 9, 33-50) a questo punto. La decisione di questo dibattito dipende dall'interpretazio­ ne d'insieme dei vv. 10-12. Certo, ta panta ginetai (« tut­ to avviene », « tutto diventa ») è una strana formula per descrivere l'insegnamento, e non sorprende che alcuni ma­ noscritti abbiano sostituito il verbo con legetai (« vien detto ») v. 12. Questo versetto è una celebre crux interpretum. Il detto è basato su Is. 6, 9 s, che descrive ironicamente in _forma di comando quello che sarebbe stato il risultato effettivo del ministero di Isaia: « Va' e riferisci a que­

sto popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere; osser­ vate pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e acceca i suoi occhi; e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esse­ re guarito ». Questo modo di usare un comando per espri­ mere un risultato è tipicamente semitico. Tra le altre differenze, si noterà soprattutto che Marco (diversamen­ te da Mt. 13, 1 5) omette il duro giudizio di /s. 6, 1 0 sull'indurimento del cuore del popolo ecc., e s i stacca s ia dell'ebraico che dai LXX leggendo « e venga loro per­ donato ». La formula di Marco concorda qui con quella del Targum (cfr. T. W. Manson) . Manson osserva che

280

Vangelo secondo Marco

basterebbe questo fatto per « caratterizzare il detto co­ me palestinese di origine, e fissare così un argomento valido in favore della sua autenticità ». La costruzione di Marco blepontes bleposi ... akouontes akouosi è un semitismo che nel Nuovo Testamento si trova soltanto (salvo forse Ef. 5, 5) in citazioni dai LXX: cfr. Mt. 1 3, 14; Atti 1, 34; Ebr. 6, 14. Con questo uso del participio + indicativo i traduttori dei LXX cercano di rendere in greco la costruzione enfatica ebraica dell'infini­ to assoluto + verbo finito. Il significato è dunque : « Ve­ dono certo ... ascoltano certo ... » o « con tutto il loro vedere ... con tutto il loro ascoltare ». La distinzione tra blepo e eidon è evidentemente parallela a quella tra akouo e suniémi: « guardino ma non vedano; ascoltino ma non intendano ». Mé pote = « affinché non ». In astratto la costruzione po­ trebbe anche significare : « forse essi possono ancora pen­ tirsi ... » ; ed è impossibile decidere quale dei due sia sta­ to il significato della forma originale del detto. Ma nella collocazione che esso ha in Marco, non c'è dubbio che il significato è il primo: per coloro che non sono discepoli lo scopo d_elle parabole è di nascondere la verità e di prevenire il pentimento e il perdono. Epistrefò = « girare », « voltarsi » viene usato qui in sen­ so morale: « pentirsi » (cfr. Atti 3, 1 9) : greco classico, LXX, papiri. Afethei (« sia perdonato ») è usato impersonalmente, co­ me in Mt. 12, 32 e in Giac. 5, 15. Questa interpretazione dello scopo delle parabole è così difficile da digerire che è stata messa in questione dai primissimi tempi. Luca conserva il primo « affinché » (hina) ma tralascia la se­ conda clausola (Le. 8, 10). Matteo ( 1 3 , 1 3 ) ha hoti invece .di hina, suggerendo così l'idea che Gesù parla in parabo­ le a causa dell'ottusità del popolo. Egli cita poi per inte­ ro la profezia di Isaia, ma secondo i LXX, con « li risa­ ni » invece di « venga loro perdonato ». Diversi tentativi sono stati fatti per mostrare che lo hina di Marco è una traduzione sbagliata. Si è detto ( l ) che hina è usato nel senso di hoti (Allen, Pernot) , oppure di hopos = « così che » (Lagrange) ; (2) che hina traduce imperfettamente una particella aramaica (realmente usa­ ta nel Targum) che significherebbe invece hoi = « coloro che » (Manson, Torrey) ; (3) che hina è usato imperativa-

Scopo delle parabole 4,10-12

281

mente: « guardino pure e non vedano ... » (C. J. Ca­ doux) . . Tutte queste osservazioni sono interessanti; ma, qualunque sia la loro importanza a riguardo del detto ori­ ginale, è molto improbabile che essi tocchino il significato di Marco Cfr. Black: « Nulla di più certo del fatto che Marco · abbia scritto e inteso hina . me pote )> , Ambedue sono usate con valore finale. Non sorprende che a partire dalla famosa discussione di Jiilicher, I, 1 1 8 s, 1 34 s, 146 ss, abbia riscosso ampi con­ sensi la posizione che il detto non è autentico ma rappre­ senta una convinzione cristiana postuma, quando ormai l'interpretazione delle parabole era diventata oscura e quando la mentalità cristiana aveva oramai subito l'influs­ so possente dell'insegnamento paolina (Rom. 9-1 1) sull'in­ durimento di Israele e sul suo rifiuto. Cfr. J. Weiss, Sch­ weitzer, Bultmann, Bousset, Klostermann, Ed. Meyer, Go­ guel, Rawlinson, Smith, Dodd, Luce, Lightfoot. Ora, non c'è dubbio che il passo così come l'abbiamo in 4, 1 1 s rappresenti la convinzione di Marco. In che misura egli abbia subito l'influsso dell'insegnamento paolino è un pro­ blema ancora aperto, perché Marco non parla dell'indurì­ mento di Israele come fa invece per la cecità dei discepo­ l i (6, 52; 8, 17) e degli scribi (3, 5) , e dal canto suo Paolo non accenna all'uso delle parabole. Marco distingue tra rivelazione ai discepoli e occultamento alla folla; e per questo si è basato sui detti di Q (Le. 10, 2 1 = Mt. 1 1 25 s; Le. 10, 23 s = Mt. 13, 1 6 s) . Ciò che crea difficoltà è l'applicazione di questo insegnamento all'uso delle para­ bole, e il rigqre con cui Marco presenta la citazione di ls. 6, 9 s. Lungi dall'essere un detto del tutto inautentico, Mc. 4, 1 1 s può essere benissimo spiegato come risalente a un'espressione effettivamente pronunciata da Gesù: que­ st'ipotesi è avvalorata dal suo sapore intensamente pale­ stinese e dai detti autentici sopra ricordati. Marco ha dato una versione inautentica di" un detto autentico. La forma originale del detto può essere soltanto oggetto di congettura. Probabilmente non aveva alcun rapporto con le parabole. Marco può essere stato fuorviato dall'enigma­ tico en parabolais, che potrebbe significare « in enig­ ma ». E non è da escludere che Gesù fosse colpito dalla somigl ianza tra i risultati del suo ministero e l'esperien­ za di Isaia, e che si servisse delle espressioni ironiche di [s. 6, 9 s dopo il fallimento della missione dei Dodici e i .

.

,

282

Vangelo secondo Marco

risultati deludenti della sua stessa attività a Corazin Bet­ saida e Cafarnao (Mt. 1 1 , 20-24 = Le. 10, 13-1 5 ) . Ai di;cepo­ li egli aveva fatto conoscere i segreti del regno, ma per quelli di fuori tutto diventava un enigma! Ben conoscen­ do la cost ruz ione finale semitica di /s. 6, 9 s, non c'era ragione per non farne uso egli stesso, dal momento che era volontà del Padre nascondere la rivelazione ai saggi e ai prudenti e svelarla ai piccoli. Questa ipotesi non può essere provata; ma è comunque molto più valida del­ l'opinione secondo cui Mc. 4, 1 1 s è un'invenzione marciana. 27.

Interpretazione della parabola del seminatore ( 4, 1 3-20 ) (Mt. 13, 18-23; Le. 8, Jl-15)

Questa pericope sembra un 'interpretazione cristiana della parabola. « :e difficile non pensare che questa presentazio­ ne è piuttosto il modo in cui la parabola veniva normal­ mente applicata al tempo in cui scriveva Marco, che non una parola autentica di Gesù » (Rawlinson, 52 s) . Questa po sizione è ampiamente condivisa dai commentatori mo­ derni. Cfr. Wellhausen, J. Weiss, Bultmann, Dibelius, Luce, Branscomb, Dodd, Smith, C. J. Cadoux. In senso più con­ servatore : Swete, Gould, Lagrange, Plummer, Bruce. Bru­ ce osserva che è molto probabile che Gesù parlasse ai suoi discepoli dei vari tipi di uditori, della loro condizio­ ne spirituale, e che li paragonasse alle situazioni della parabola; ma altra cosa - egli afferma - è sapere se que­ st'interpretazione è s tata esattamente conservata da qual­ cuno dei sinottici . Le ragion i che inducono a considerare 4, 1 3-20 una tradi­ zione secondaria sono: (l) il carattere non-ebraico dello stile; (2) il vocabolario, che include molti termini che ritroviamo solo nelle Lettere; (3) l'impressione di vedere profilarsi dietro quest'interpretazione una comunità cri­ stiana; (4) il concentrarsi dell'interpretazione su dettagli importanti più che sul punto centrale della p arabola . Par­ ticolarmente seria è la mancata percezione che, malgra­ do i diversi fallimenti, il messaggio centrale è l'abbondan­ za meravig liosa della messe. Sarebbe tuttavia errato pen­ sare che l ' interpretazione ha perso completamente contat-

i nterpretazione paraboia seml.natore 4,13-2Ò

283

to con l'insegnamento di Gesù. Non siamo in presenza di una pura allegoria. La persona del seminatore non viene identificata, e non si fa alcun tentativo (come invece si farà più tardi) di trovare un senso nascosto nei termini « trenta per uno », « sessanta per uno »; « cento per uno » . . Insomma la spiegazione è un adattamento parziale dell'insegnamento di Gesù a condizio�i posteriori. 13. Continuò dicendo loro : « Se non comprendete que­ sta parabola, come potrete capire tutte le altre para­ bole? 14. " Il seminatore " semina la parola. 15. " Quelli lungo la strada " sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito vie­ ne Satana e porta via la parola seminata in loro. 16. Similmente " quelli che ricevono il seme sulle pie­ tre " sono coloro che, quando ascoltano la parola, su­ bito l'accolgono con gioia, 17. ma non hanno radici in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si bloccano. 18. Altri sono " quelli che ricevono il seme tra le . spi­ ne " : sono coloro che hanno ascoltato la parola, 19. ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. 20. E " quelli che ricevono il seme su terreno buono " sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e por­ tano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessan­ ta, chi del cento per uno ».

13. È: qui chiara la distinzione tra oida, conoscere per intuizione, e gin6sk6, conoscere per osservazione e per esperienza. Tutte le traduzioni inglesi considerano « non comprendete » come una domanda implicante un rimpro­ vero (cfr. 8, 17 s) ; ma Lutero la legge come un'affermazio­ ne. Sia Matteo che Luca omettono il rimprovero. Matteo inserisce, prendendo da Q, il detto: « Beati i vostri occhi ... » (13, 16 = Le. 10, 23 s) ; e prosegue: « Voi dun­ que intendete la parabola del seminatore ». Luca scrive : « Il significato della parabola è questo >> (8, 1 1) . Pasas tas parabolas = « tutte le mie parabole » o « le altre parabole ».

v.

284

Vangelo secondo Marco

14. Da questo punto in avanti le espressioni usate nel­ la parabola vengono prese e spiegate a modo di commen­ tario. Questo prcedimento spiega la goffaggine del greco dal v. 1 5 in poi; e sarebbe utile nella traduzione mettere le frasi citate tra virgolette: per es. : « il seminatore » semina la parola. « Il seminatore >> è quello di cui parla la parabola, cioè in generale; non si tratta né di Cristo né del missionario cristiano. Ton logon indica probabilmente il messaggio cristiano (cfr. 1 Tess. 2, 13), ma la frase può essere usata nel senso di « insegnamento >> o di « buona novella ».

v.

15. La seconda espressione ripresa dalla parabola è « quelli lungo la strada ». Benché non sia tale e quale nella parabola, vi si trova però un'allusione molto chiara (« una parte cadde lungo la strada ») . � stato notato che nella parabola si parla di diversi gruppi di semi, mentre nella spiegazione sono diventati diversi tipi di terreno. Ma questa osservazione semplifica a oltranza il problema. Nella parabola la descrizione è data natural­ mente dal punto di vista del seminatore. Ma per l'ascolta­ tore ciò che avviene a ognuno dei gruppi di semi gettati fa pensare a diversi tipi di persone: « quelli lungo la strada », « quelli che ricevono il seme sulle pietre », ecc. Di qui la complicazione della frase : « E questi sono " quelli lungo la strada " : dove la parola viene seminata, e quando hanno ascoltato ... ». Strettamente parlando « do­ ve la parola è stata seminata » è ridondante; ma è caratte­ ristico di un metodo di esposizione scolastico. Per ho logos (« la parola »), vedi 4, 14. Luca ha semplificato la sua fonte e scrive: « Quelli lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata ... » (8, 12) . Matteo ha rimaneggiato la proposizione di Marco. Adottando il genitivo assoluto. egli spiega che gli uditori non_ hanno capito la parola del Regno. Sia Matteo che Luca parlano del cuore dell'uo­ mo : Matteo, come del terreno in cui il seme è stato seminato; Luca, come del luogo da cui il diavolo porta via la parola. Luca aggiunge: « perché non credano e non siano salvati ». Queste variazioni successive sottolineano la brevità della spiegazione di Marco. Tutto ciò che Marco dice è che la parola viene seminata e Satana se la porta via immediata-

v.

Interpretazione parabola seminatorc 4,13-20

285

mente. Ciò significa che essa non viene accolta (cfr. vv. 16, 18, 20) . Si può ricordare la parabola di Q sulla casa disabitata che viene invasa e posseduta da sette demoni (Le. 1 1 , 24-26 = Mt. 12, 43-45) . _ Per « Satana » vedi le note a 1 , 1 3 e a 3 , 2 3. 16�17a. L'interpreta,zione affronta ora il caso di « quel­ li che ricevono il seme sulle pietre ». Swete, 78, intende homoiòs = « come » « in base allo stesso principio di inter­ pretazione »; Wellhausen invece (p. 32) osserva che esso ha probabilmente lo stesso valore di hos in 4, 3 1 , e che in buon greco si sarebbe dovuto dire homoio i tois ( « sono uguali a coloro che ») . Questi uditori ricevono subito la parola con gioia. Purtroppo, essi sono come alberi pianta­ ti dove il terreno non è profondo, e non hanno quindi radici. Sono dunque provvisori, incostanti (è questo il senso di proskairos nel greco tardivo e nei LXX; mentre il significato classico è « opportuno ») . Matteo segue Mar­ co ma usa sempre il singolare; Luca introduce alcuni cambiamenti verbali e abbrevia la sua fonte.

vv.

v. 17b. Da qui in avanti si riflettono nel commento alla parabola le esperienze della comunità cristiana primitiva. Thilpsis (3 volte in Marco; 4 in Matteo, 2 in Giovanni, 5 negli Atti, 24 nelle lettere paoline e 7 volte nel resto del NT) = « tribolazione », « afflizione », Diògmos = « caccia »; ma nel Nuovo Testamento e nella prosa successiva: « persecuzione ». Come mostra la distri­ buzione, i termini appartengono al vocabolario della cri­ stianità primitiva (cfr. 2 Tess. l , 4) . Scandalizò: 6 volte in Marco, 14 in Matteo, 2 in Luca, 2 in Giovanni, 3 nelle lettere paoline: verbo non classico, ma esclusivo dei LXX e del Nuovo Testamento. Derivato da skandalon, il verbo significa « prendere al laccio », « intralciare» , « intrappolare », più che « mettere un ostacolo sulla strada ». La traduzione « sono subito in trappola » si adatta al contesto; ma, bisogna ammetterlo, altrettanto vale della traduzione « inciampano subito » « si abbattono subito ». Troppo sottile sarebbe collegare il verbo della formula « a causa della parola » e intende­ re « la parola li intrappola » cioè li riduce all'impotenza. L'idea è invece che quando sono perseguitati a causa del-

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Vangeio secondo Marcò

la parola, restano subito come in trappola, si bloccano subito perché la loro fede è così debole. Luca pensa all'a­ postasia: « nell'ora della tentazione vengono meno » (8, 13), mentre Matteo segue Marco quasi verbatim. 18. s. « Quelli che ricevono il seme tra le spine ». L'aori­ sto akousantes sottolinea il fatto che costoro hanno v�ra­ mente ascoltato la parola. Purtroppo le spine la soffoca­

v.

continuamente. Il cambio di soggetto al v. 19 è repentino, e i termini sono o hapax legomena o appartengono prevalentemente al vocabolario delle Lettere. L'interpretazione è allegorica. Merimna = « preoccupazione », « affanno >> (greco classi­ co, LXX, papiri) . Per « preoccupazioni del . mondo » s'in­ tende l'inquietudine, l'affanno fuori luogo. Apate = « inganno », « tradimento » (greco classico, LXX, papiri) . Deissmann ritiene che il significato sia qui, come nel greco popolare ellenistico, quello di « piacere ». Cfr. Luca: « si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita » (8, 14) . Ploutos = « ricchezza »; epithumia = « bramosia »; akar­ pos = « senz-a frutto »: sono anch'esse - come le prece­ denti - parole il cui uso è prevalente (pur senza essere �sclusivo) delle Lettere. Epithumia = « desiderio », « brama » (epi è di orientamen­ to: avere l'animo - thumos - rivolto verso) . A volte ha un senso positivo (Le. 22, 1 5 ; Fil. l, 23; l Tess. 2, 17) , ma per l o più s i riferisce a passioni e piaceri cattivi. « Tutte le altre bramosie » è un'espressione molto genera­ le e intende coprire tutti gli oggetti di desiderio al di Peculiare al testo di Marco, la fra­ fuori della ricchezza. se acquista un certo colore personale in forza di quel « sopraggiungono » (eisporeuomenai) . « Rimane senza frutto »: cfr. v. 7: « non diede frutto ». Luca scrive: « non giungono a maturazione ». Vocabolario e motivi dei vv . 17b-19 rispecchiano chiara­ mente gli interessi e le esperienze della comunità cristia­ na primitiva. È vero che preoccupazioni e affanno non appartengono a un solo periodo; ma la combinazione di « preoccupazioni del mondo », « inganno della ricchez­ za » e « tutte le altre bramosie » insieme all'accenno ad afflizione e persecuzione « in nome della parola » lascia­ no indovinare un periodo successivo a quello del ministeno

Un gruppo di detti 4,21-25

287

ro in Galilea. La collocazione più naturale di questo perio­ do è agli inizi della persecuzione di Nerone a Roma. Questa interpretazione non diminuisce affatto il valore e il significato del passo per il lettore moderno, perché nel­ la storia del mondo periodi come quello ritornano ciclica­ mente .. Possiamo ritrovare senza difficoltà nell'Europa di oggi ognuno dei pericoli cui il brano accenna. 20. La spiegazione della parabola riprende per ultimi « quelli che hanno ricevuto il seme su terreno buono », La scelta di ekeinoi, dopo houtoi (v. 15 s) e allai (v. 18) conserva almeno una traccia dell'idea che si tratta qui del punto centrale. Ma l'accento non viene sviluppato: gli stadi precedenti hanno assorbito l'attenzione del com­ mentatore. Quindi egli si limita a dire che l'ultimo grup­ po ascolta la parola, la accoglie volentieri e, nel linguag­ gio stesso della parabola, porta frutto « per il trenta, il sessanta, il cento per uno », Non c'è altro che una pura contrapposizione alle categorie negative. Come si è ridot­ ta la comprensione della parabola! Come mai il tempo passato (sparen tes = « quelli che han­ no ricevuto il seme ») invece del presente (speirome­ noi = « quelli che ricevono il seme ») come ai vv. 1 6 e 1 8 ? Swete, 80, spiega questo cambiamento come un riferi­ mento diretto alla parabola: « quelli che nella parabola sono stati rappresentati come ... ». Lagrange, 1 08, invece commenta: « come se l'azione fosse più lontana, poiché il frutto è già prodotto ». Paradechontai: « l'accolgono »: greco classico, LXX, papi­ ri. È più forte del semplice [ambano, e può esprimere l'idea del gradimento, del benvenuto. Il commento si chiude con la semplice ripetizione dell'e­ numerazione della parabola. Matteo rovescia l'ordine (« o­ ra il cento, ora il sessanta, ora il trentà per uno ») e Luca aggiunge « con la loro perseveranza >> (8, 15) . v.

28.

Un gruppo di detti ( 4, 21-25 ) (Mt. 13, 12; Le. 8, 16-18)

Questo gruppo suscita interrogativi interessanti a riguar­ do dell'origine e dell'uso della tradizione di detti in Mar­ co. Si è spesso ripetuto che l'evangelista li attinge a Qj

288

Vangelo secondo Marco

ma a mano a mano che si andava riconoscendo l'esisten­ za di altre raccolte oltre Q, quest'ipotesi perdeva terre­ no. Essa non convince, perché doppioni di alcuni dei detti compaiono in altri contesti, in Matteo e Luca, che dipen­ dono da Q. � meglio dunque concluderne che Marco li ricava da una raccolta indipendente di detti o da una tradizione orale. Di queste alternative la prima è la mi­ gliore. Perché un insieme di detti dovrebbe essere raggrup­ pato in modo così artificiale, se l'evangelista non fosse sta­ to condizionato da una sistemazione già esistente? In que­ sto brano si può distinguere una duplice struttura di base, una duplice sistemazione· di due detti collegati da gar (« infatti ») e introdotti dalla formula di citazione kai elegen autois (« e diceva loro ») . E diceva loro: « Si porta forse la lampada .. . ? Infatti (gar) non c'è nulla di segreto ... 2. E diceva loro : « Con quale misura . .. ? infatti (gar) a chi ha ... L

(21) (22) (24) (25)

Forse il v. 23 apparteneva originariamente al primo grup­ po; ma esso ha piuttosto l'apparenza di un trait-d'union che collega i detti alla parabola del seminatore (cfr. 4, 9) . Il v. 24a può essere una sutura per introdurre i due detti di 24 s, che starebbero meglio in Q e sono invece meno adatti allo scopo di Marco. Si può pensare che l'evangelista li abbia trovati staccati nella sua raccolta di detti e li abbia uniti, mediante clausole redazionali, per sviluppare il tema dell'insegnamento in parabole. Egli in­ tendeva probabilmente mitigare la severità dei vv. 1 1 s citando altri detti di Gesù. Lo scopo ultimo di Gesù, direbbe Marco, è di diffondere ampiamente il segreto del regno, esattamente come la funzione della lampada è di illuminare: anche quando una cosa è nascosta, il nascon­ dimento è grazia di rivelazione. Inoltre Marco intendeva aggiungere ammonimenti pronunciati da Gesù. Dio stes­ so misura gli uomini in base alla loro misura di verità. L'uomo che possiede la verità riceve di più mentre colui che è povero di verità perde la luce che ha. Evidentemen­ te Marco leggeva i vv. 24 s nel senso indicato; e poteva usare i detti in questo modo perché li aveva trovati stac­ cati da un contesto interpretativo. Quanto al detto « A

Un gruppo di detti 4,21-25

289

chi ha sarà dato », egli era certamente vicino al suo signi­

ficato originale (cfr . Mt. 25, 29; Le. 19, 26) ; meno felice è invece l'uso della massima: « .Con la misura ... », che Ge­ sù aveva pronunciato in riferimento al giudizio sugli al­ tri (cfr. Mt. 7, 2 ; Le. 6, 3 8) . Altri gruppi marciani d i detti, soprattutto 9, 35-50, sono coordinati da parole-chiave; alcuni studiosi {per es. Bult­ mann, R. H. Lightfoot) ne trovano esempi (meno chiari, come essi stessi riconoscono) anche nel nostro brano : come i termini « misura », « misurare », « moggio ». Que­ sta spiegazione non s'impone; ma è possibile che questi termini indicassero l'uso dei detti in un capitolo avente come tema la semina. Marco dovette ricordarsi di questo rapporto quando fece seguire i vv. 10-12 e 13-20 alla para­ bola del seminatore.

2 1 . Diceva loro: « Si porta forse la lampada per metter­ la sqtto il moggio o sotto il letto? O non piuttosto per metterla sul lucerniere? 22. Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba esse­ re minifestato e nulla di segreto che non debba esse­ re messo in luce. 23. Se uno ha orecchi per intendere, intenda! ». 24. Diceva loro : « Fate attenzione a quello che udite : Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più. 25. A chi ha, infat ti, sarà dato; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha ». v. 21. Modios è il latino ·modius, una misura per solidi contenente circa due galloni. Gli articoli determinati (la lampada, il moggio, il letto, il l ucemiere ) testimoniano che si tratta di oggetti ben noti. Matteo omette questa parte del ·dett9. Luca cerca di ri­ metterlo in sesto stilisticamente : « Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario » (8, 16) . E, sotto l'influsso di Q, aggiunge : « perché chi entra veda la lu­ ce » . La versione parallela in Q (Le. 1 1 , 3 3 = Mt. 5, 15) concor­ da sostanzialmente con la forma marciana; Matteo però dice che la lampada dà luce a tutti quelli che sono nella casa, e Luca che essa accoglie gli estranei. Probabilmen-

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Vangelo secondo 1\llarco

te la forma marciana è più vicina all'originale (cfr. Bult­ mann, Manson) . La domanda stilisticamente rozza e l'uso dell'intransitivo erchetai ( « si porta ))) invece del norma­ le passivo puntano in questa direzione. � molto meno probabile che erchetai sia un'espressione dogmatica-- (cfr. 1 0, 45) riferita all'apparizione di Gesù sulla terra (cfr. J. Weiss) . Allen spiega questo verbo come una cattiva tradu­ zione dell'aramaico 'th' (nella forma aphel o ittaphal: « portare » o « essere portato ») , e rafforza la sua argo­ mentazione con l'elenco di 1 3 passi in cui Matteo ha cam­ biato un verbo attivo o medio di Marco in un passivo. Il detto afferma insistentemente che la vera funzione del­ la lampada è di illuminare. � impossibile d ire in quale contesto questa affermazione sia stata fatta. Marco la in­ troduce a questo punto perché è convinto che essa sia importante per lumeggiare le idee del mistero del regno e della segretezza della rivelazione. La connessione tra il v. 2 1 e il v. 22 risulta chiara se si sottintende l'obiezio­ ne : « E se la luce restasse nascosta per ragioni che ap­ partengono al disegno della Provvidenza ? ». Questa connes­ sione può dunque essere originale. Lohmeyer pensa che i detti siano escatologici. v. 22. Il gar (« infatti ))) comporta un nesso con il v. 2 1 .

« Non c'è nulla infatti d i nascosto che non . . . »: i l signifi­ cato avversativo « non è nascosto, ma è destinato a esse­ re rivelato )) e il significato concessivo (« benché sia na­ scosto, è destinato .. . » ) si identificano praticamente (Wel­ lhausen vede dietro la formula greca ean me hina un termine aramaico che ha ambedue i significati) . La costnt­ zione greca è impacciata; Luca la migliora : « non c'è nulla di nascosto che non sarà manifestato )) (8, 17), an­ che sotto l'influsso di Q (cfr. Le. 12, 2 = Mt. 10, 26) . Bumey, seguendo Wellhausen fa risalire la differenza tra Marco e Q all'ambiguità della particella aramaica d. « Se non in ordine a rivelarlo », egli dice, dovrebbe essere sta­ to tradotto con « se non ciò che sarà rivelato )) (cfr. Q) . Black contesta questa affermazione, osservando che le due versioni - Marco e Q - sono notevolmente diverse. Egli ritiene molto più probabile che la versione di Mar­ co non sia quella di un traduttore - a meno che si tratti di un errore - ma quella di uno scrittore greco. Sarebbe avventato intervenire in questa disputa tra spe-

Un

gruppo

di detti 4,21-25

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cialisti; ma sembra probabile che il greco di Marco, così poco elegante, sia più vicino all'originale che non la ver­ sione · più composita di Q ; e che, se non si tratta di un vero e proprio errore di traduzione, il cambiamento sia piuttosto da attribuirsi a Q. Come al v. 21, il detto marciano si riferisce alla manife­ stazione del regno di Dio; ed è possibile che sia stato ,questo il suo significato originale. Se il Regno è un miste­ ro, non lo sarà per sempre, perché non è destinato ad esserlo. Il nascondimento è il metodo sapiente della divi­ na Provvidenza. Questa sembra l'interpretazione che Mar­ co dà del detto, e un accenno retrospettivo a 4, 11 s sembra innegabile. In Q il detto viene invece interpreta­ to altrimenti. Sia in Matteo che in Luca esso è in un contesto definito dall'esortazione: « Non temete! ». In Mat­ teo si trova alla base del comando di rendere noto ciò che è stato detto in privato (lO, 27); in Luca esprime ,il fondamento della certezza che « la verità verrà allo sco­ perto » (12, 3). La versione e la collocazione di Luca so· no più originali che quelle di Matteo (cfr. Easton, Man­ son, Creed) e sono più vicine a Marco. Inoltre Le. 12, 3 è preceduto dal detto sulla lampada (11, 33), e tra i due stanno i detti sulla luce (11, 34-36) e i « guai! » rivolti ai farisei e ai dottori della legge (11, 37 -12, l); quest'ulti­ mo brano non appartiene a Q. Queste considerazioni raf­ forzano . la possibilità che Marco abbia trovatp i vv. 21 e 22 già uniti, e che li abbia correttamente interpretati come indirizzati ai discepoli. v. 23. « Se uno ha orecchi per intendere, intenda! ». Per

questa espressione caratteristica di Gesù vedi la nota a 4, 9. Nel contesto presente il detto inizia con « Se uno ha ... » (mentre in 4, 9 l'avvio è « Chi ha ... ») , e non ci sono paralleli in Matteo e in Luca. Lasciamo irrisolta la questione se Marco l'abbia aggiunta o se l'abbia trova�a già unita con i vv. 21 s. v. 24. « Diceva loro » : a questo punto potrebbe indicare che i vv 24 s non erano insieme con 21 s nella fonte di detti marciani. Blepo = (qui) « fare attenzione a »- è usato nello stesso senso con apo in 8, 1 5 ; 12, 38; con me + cong. in 13, 5; e in costruzione assoluta in 13, 23.33. Luca ha « come » e ag..

292

Vangelo secondo Marco

giunge un « dunque » (8, 18), cambiando così leggermente il significato. Gesù si riferisce all'oggetto, non al modo di attenzione : « Fate attenzione a quello che udite ». Il detto che segue, introdotto senza alcun collegamento, ne dà la ragione. In questo contesto non c'è parallelo in Matteo e in Luca; ma il parallelo si trova in Le. 6, 38 = Mt. 7, 2, uniti dall'espr:essione: « Non giudicate e non sarete giudicati ». Il significato del detto in Marco è oscuro. Swete, 83, lo interpreta così : « La vostra attenzio­ ne all'insegnamento sarà la misura del profitto che ne ricaverete ». Questa esegesi dà l'impressione di una certa forzatura. Dobbiamo allora orientarci verso una di que­ ste due soluzioni: (1) o il detto è un'aggiunta posteriore in Marco (2) oppure Marco lo ha preso da una raccolta e lo ha inserito in un contesto innaturale. La seconda ipotesi sembra preferibile, perché è conforme al costu­ me di Marco di attaccare detti a narrazioni o ad altri detti. Il nostro è una specie di proverbio, e il suo signifi­ cato originale è meglio conservato in Q (vedi sopra) . In Marco il nesso con l'esortazione « Fate attenzione a quel­ lo che udite » -sembra secondario. « E vi sarà dato di più >> è esclusivo di Mc. 4, 24. In Mt. abbiamo un parallelo nella formula « a chi ha sarà da­ to » (cfr. « e sarà nell'abbondanza : 1 3 , 12 e 25, 29, che manca in Mc. 4, 25) . È evidente che a un certo stadio la tradizione ha subito degli ampliamenti.

v. 25. Sia Matteo ( 1 3 , 12) che Luca (8, 1 8b) riproducono questo detto con l'unica differenza che Matteo aggiunge a Marco « e sarà nell'abbondanza », mentre Luca invece di « ciò che ha » scrive « ciò che crede di avere ». I due evangelisti posteriori danno pure una seconda ver­ sione del detto, Matteo da M alla fine della parabola dei talenti (25, 29) . Luca da Q dopo la parabola d_elle mine ( 1 9 , 26) . Se, com'è possibile, Matteo 25, 29 viene da M, il detto « a chi ha sarà dato » è attestato in tre delle nostre fonti primarie. L'associazione del detto con versioni evi­ dentemente diverse della stessa parabola denota una tra­ dizione primitiva. Marco, sembrerebbe, l'ha trovato stacca­ to da questa collocazione e, insieme con il v. 24, se ne è servito per illustrare il tema dell'insegnamento in para­ bole. Il detto può essere un proverbio popolare suggerito dal'

�eme che

cresce

di

nascosto

4,26-29

le condizioni sociali nella società orientale (cfr. Rawlin­ son, 55; e, per paralleli giudaici, Bultmann, 112) . Il ricco, avendo il potere, riceve di più, mentre il povero è « spo­ gliato anche dell'ultimo centesimo » (Rawlinson) . Usata da Gesù, l'osservazione è applicata ai beni spirituali, e anche in questo senso corrisponde alla realtà (cfr. Man­ son, Cadoux, Lagrange) . 29.

Parabola del seme che cresce di nascosto ( 4, 26-29)

Questa parabola è esclusiva di Marco. Luca la omette del tutto, e Matteo le sostituisce la parabola della zizzania ( 1 3 , 24-30) nello stesso contesto. Non ci sono ragioni vali­ de per supporre, con B. W. Bacon, che Matteo al;>bia riscritto la parabola di Marco; tuttavia il suo vocabola­ rio nella parabola della zizzania mostra che egli la cono­ sceva (cfr. Hawkins) . Divetse interpretazioni della parabo­ la sono state date, a seconda che si punti l'attenzione primariamente sul seme, sul processo di crescita o sulla messe. Nella maggior parte dei casi la si considera riferi­ ta al regno di Dio, e quest'ipotesi è certamente valida, anche se originariamente essa doveva iniziare con le paro­ le « come un uomo che vuoi gettare » (cfr. 13, 34; Mt. 25, 1 4) . Cfr. Bultmann, 186 s . Tra i tipi principali di interpretazione possiamo distingue­ re i seguenti: (l) il tema è il seme divino che Cristo pianta nei cuori e nella chiesa; (2) la parabola insegna l'evolversi graduale del Regno nella società umana (inter­ p retazione caratteristica del secolo scorso) ; (3) interpreta­ zione escatologica : l'accento cade sulla messe, che signifi­ ca l'irruzione improvvisa del regno; (4) la parabola si riferisce alla situazione immediata di Gesù e dichiara il regno già presente davanti agli occhi degli uomini (Dodd, A. T. Cadoux, altri) . J. Weiss, 177, considerava come scopo principale della pa­ rabola insegnare la necessità della pazienza ( (( soltanto pazienza, il Signore sta arrivando, il raccolto è pron­ to ! ») . Il seminatore, Gesù stesso o i suoi discepoli, deve seminare e attendere. Analoga è la posizione di Lagran­ ge, 1 1 8, per il quale la parabola è particolarmente adatta al carattere dei galileani « in attesa febbrile degli avveni-

294

Vangelo secondo Marcò

menti, e sempre pronti a· intervenire con la violenza per stabilire il regno di Dio ». Ma al di là di questo significa­ to più generale, il senso fondamentale della parabola va cercato in una delle quattro posizioni sopra riportate. Poco da dire sulla prima, dato che nulla nella parabola suggerisce che Gesù pensi a se stesso o al seme divino che egli pianta. Improbabile è pure che Gesù intendesse descrivere la lenta maturazione del Regno. Tuttavia non bisognerebbe trascurare l'idea della crescita, che appare non solo al v. 28 ma anche nella parabola del seminato­ re, in quella del granello di senapa e in quella del fico. L'interpretazione escatologica, nella forma in cui l'ha pre­ sentata Schweitzer, si spinge troppo avanti, perché la parabola non descrive un evento imminente. Ma l'insisten­ za sul fatto che il Regno è opera di Dio e non dell'uomo (cfr. Rawlinson, Otto, Smith)_ è valida, purché non ne derivi che la parte dell'uomo è puramente passiva (cfr. Bultmann, Gloege) . Dopo tutto, il seminatore pianta il seme, e non è affatto sottolineata la sua impotenza. La migliore interpretazione è la quarta, ·che collega la para­ bola con la situazione di Gesù. « Dice infatti la parabo­ la: Non vedete che la lunga storia delle azioni di Dio con il suo popolo ha raggiunto il suo punto culminante? Dopo l'attività del Battista non rimane che una cosa: mettere mano alla falce, perché la messe è matura » (Dodd, 1 80). Questa lettura rende giustizia . all'idea della crescita, presente al v. 28, e alla sensazione di imminen­ za del momento dec;isivo, che si avverte al v. 29. Schweit­ zer, 354, non si sbagliava nell'identificare la semina con « il movimento di penitenza suscitato dal Battista » e poi intensificato dalla predicazione di Gesù ; e sia A. T. Cadoux che Dodd sottolineano a ragione l'importanza del detto di Q: « La messe è molta, ma gli operai sono po­ chi; pregate dunque il padrone della messe perché man­ di operai per la sua messe » (Le. 10, 2 = Mt. 9, 37 s; cfr. Jo. 4, 3 5-37) . Per la base aramaica della parabola e la sua forma poeti­ ca, vedi B lack, 12� s.

26. Diceva : « Il regno di Dio è come un uomo che vuol gettare il seme nella terra; 27. egli dorme e veglia, di notte e di giorno, mentre il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa.

Seme che cresce di nascosto 4,26-29

295

28. Spontaneamente la terra produce prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29. Ma quando il frutto lo permette, subito si mette ma­ no alla falce, perch� la messe è pronta ». v. 26. Ho sporos = « semina » è detto qui del seme. Balei: l'uso del congiuntivo è insolito. Moulton osserva che il senso più idoneo è forse il futuro intenzionale : « come un uomo che vuoi gettare» . Lo stesso vale dei quattro congiuntivi presenti al v. 27. Non ci sono motivi per pensare che il seminatore sia Cristo stesso. Anthropos ( « uomq >>) è detto in generale, e l'azione del seminatore non è che una circostanza descrittiva. L'uo­ mo getta la sua semente, dorme e si alza, e la semente spunta e cresce. Tutti questi particolari sono tratti del di­ segno. Lagrange spiega il passaggio dall'aoristo al pre­ sente congiuntivo al v. 27 come a significare che l'uomo, una volta gettato il seme, torna alla sua vita tranquilla di ogni giorno.

v. 27. Per i congiuntivi, vedi la nota al v. 26. « Mentre il seme spunta >> : il kai è probabilmente un semitismo (cfr. Wellhausen, Howard) . L'ordine in « di notte e di giorno )) è insolito, e può essere un semitismo oppure dovuto all'influsso di « dor­ me » (cfr. 5, 5 ; Le. 2, 37) . Hos dopo i verbi di dire, pensare, sapere, significa « co­ me » e non « quando » : « egli non sa come ». Il quadro è quello di un seminatore che ha compiuto la sua opera seminando, e poi non può far altro che seguire la propria routine quotidiana, incapace di spiegare il mi­ stero della vita e della crescita. v. 28. Il versetto sottolinea ulteriormente il mistero della

crescita, indipendente dall'uomo e promossa unicamente dalla potenza di Dio. L'accento cade su questo aspetto della crescita, senza peraltro negare l'importanza del lavo­ ro, della pioggia e del sole ( « non excluditur agricultura et éaelestis pluvia solesque >> Ben gel) . Automatos: è usato quasi come un avverbio: « spontanea­ mente » (greco classico, LXX) . La posizione della -paro-

296

Vangelo secondo Marco

la e l'assenza di congiunzioni le dà una forza maggiore (il gar - « infatti » - che molti manoscritti aggiungono non è originale) . Chortos = « erba », ma qui « stelo ». « Il chicco pieno » : la lezione greca migliore è pleres siton (con l'aggettivo indeclinabile) . La descrizione degli stadi della crescita suggerisce un con­ fronto, con 1 Clem. 23, 4 : « O staiti, paragonatevi a un albero; prendete la vite. Anzitutto essa perde le fo­ glie, poi spunta una gemma, poi una foglia, poi un fiore; dopo di che un acino aspro, poi un acino pienamente maturo. Vedete che in poco tempo il frutto dell'albero raggiunge la maturità. Veramente la sua volontà si compi­ rà presto e all 'improvviso; lo testimonia anche la Scrittu­ ra quando dice: " Egli verrà presto e non tarderà; e il Signore verrà improvvisamente nel suo· tempio, proprio il Santo che voi aspettate " » . Il passo non è una citazio­ ne; potrebbe essere stato suggerito da Mc. 4, 26-29; ma questa illazione è poco probabile. La stessa similitudine compare in 2 Clem. 1 1, 2 s. L'applicazione è escatologica, e mette i1,1 luce una tendenza esegetica a cui le parabole erano esposte. 29. Il de (« ma ») segna un forte contrasto, introducen­ do il punto focale . della parabola. Paradidòmi è qui usato nel senso di « permettere », che si ritrova pure nel greco classico (la forma paradoi è congiuntiva) : « quando il frutto lo permette ». Manson legge una traduzione errata di un termine aramaico che significa « è pienamente maturo », mentre Black vede die­ tro il greco un'altra espressione aramaica: « quando la messe è pronta ». Il resto della frase è basato su Gioele 4, 1 3 : « Date ma­ no alla falce perché la messe è matura ». Linguaggio e concetto sono escatologici; cfr. Apoc. 14, 1 5 « Getta la tua falce e mieti ... perché la messe della terra è matu­ ra » ; ma ciò non determina necessariamente l'uso della parabola· fatto da Gesù. Paristemi = « essere presente »; qui, come in Gioele : « es­ sere pronta »-(detto deHa messe), « essere matura », v.

Granello di senapa 4,30-32

30.

La parabola del granello di senapa ( 4, 30-32 ) (Mt. 13, 31 s; Le. 13, 18 s)

Questa parabola si trova sia in Marco che in Q. Si tratta di uno degli elementi meglio documentati nell'insegnamen­ to di Gesù, ed è particolarmente importante perché rive­ la la sua concezione della natura del regno. L'interpreta­ zione ha fondamentalmente seguito quattro linee, a secon­ da che il centro della parabola è stato individuato nelle idee di (l ) crescita, (2) di sviluppo lento e graduale, (3) di irruzione rapida e catastrofica del regno, (4) del regno come collegato alla situazione immediata di Gesù, con l'in­ clusione dei gentili. Di queste ipotesi le migliori sono la prima e la q ùarta, specialmente se combinate. La mag­ gior parte dei commentatori sottolinea a ragione l'idea di crescita; essa è un momento essenziale del confronto con il minuscolo seme che spunta e diventa un albero capace di dare rifugio. Si può tuttavia dubitare se l'accen­ to principale stia su quest'aspetto (cfr. Dodd, Manson, Blunt) , sebbene Mc. 4, 3 1 lo sottolinei. Né il concetto di un'evoluzione lenta e continua (cfr. Smith) , né l'interpre­ tazione escatologica estremista (Schweitzer) possono fon­ darsi su quanto la parabola dice, sebbene la lettura esca­ tologica si soffermi giustamente sul carattere soprannatu­ rale. del regno, come dono e manifestazione della poten­ za di Dio. Le interpretazioni migliori e più convincenti sono quelle che collegano la parabola con la situazione di Gesù, il quale vide il regno come realtà presente, il governo di Dio che abbraccia tutti i popoli, già ora e in promessa. « In questa parabola Gesù afferma che è giun­ to il tempo in cui le benedizioni del regno di Dio sono venute per ogni uomo ... Il regno di Dio è qui : gli uccelli accorrono per trovare rifugio all'ombra dell'albero » (Dodd, 191 ) . « Il regno ha iniziato la sua venuta nella missione di Gesù, e deve ora seguire il suo corso fino al compimen­ to finale » (Manson, SI, 122) . « Un regno futuro non può crescere e non può essere in alcun modo paragonato a una realtà che cresce. Nel nostro· caso, Cristo presenta agli uomini qualcosa che è già in azione attorno a lui e ai ·suoi uditori come un miracoloso processo che essi devono cogliere e interpretare correttamente come tale » (Otto, 123) . « Tutte queste parabole implicano che il re­ gno è già presente in germe attraverso l'attività di Gesù

298

Vangelo secondo Marco

stesso�� (Wood, 167) . Per il riferimento a tutte le nazio­ ni, cfr. Cadoux, Rawlinson, Bartlet, Come per 4, 1-9 e 26-29, Black, 123, ricostruisce dietro la versione greca un origi­ nale aramaico in forma poetica. 30, Diceva : « 4 che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale similitudine possiamo descriverlo? 3 1 . Esso è come un granellino di senapa che, quando vie­ ne seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; 32. ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra ».

Mt. 1 3 , 3 1 s è una combinazione di Marco e di Q; e che Le. 13, 18 s è derivato da Q. (cfr. Streeter, Bultmann) . Sia Marco che Q hanno la duplice formula interrogativa. Cfr. Le. 1 3 , 18: « A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rasso­ miglierò? » . Matteo ha semplicemente: « Il regno di Dio è simile a ... » (13, 31) . La ripetizione in Marco e in Q è di stampo semitico. Cfr. Wellhausen, 35, che cita Le. 7, 3 1 e 1 3 , 1 8 , e nota che in Le. 1 3 , 20 e i n Mt. 1 1 , 6 ; 13, 3 1 non c'è invece parallelismo. Parabole è usato qui nel senso ampio di similitudine o figura (cfr. Ebr. 1 1, 19). I congiuntivi sono deliberativi : « Come potremo ... ? » o « come dovremmo ... ? ». Fiebig, 36, mette in luce il carattere perfettamente giudai­ co dell'inizio di questa parabola, e cita un interessante parallelo, cioè un'interessante controversia tra rabbi Ga­ maliele e un filosofo : « mi spiegherò con una similitudi­ ne. A chi possiamo pensare? A un re in carne e ossa che va alla guerra ... ».

v. 30. Si ammette generalmente che

31. Sinapi è una forma greca tardiva: sinapis nigra, di origine egiziana. Mikroteros (« il più piccolo ») : come è normale nella koinè, il comparativo ha la funzione di superlativo. La costruzione mikroteron è piuttosto curiosa. Lagran­ ge la spiega come una forma di accusativo assoluto; ma è molto meglio considerarla come un'aggiunta di Marco o di un redattore, per sottolineare l'idea degli inizi trascurabili del Regno. Inoltre è sbagliato, di fatto, v.

Granello di senapa 4,30-32

considerare il grano di senapa come il più piccolo dei semi, sebbene in Palestina esso venisse proverbialmente ricordato in questo senso (cfr. Le. 1 7 , 6 = Mt. 17, 20) . La ripetizione di epi tes ges (« per terra ») e di hotan sparei (« quando viene seminato ») indica probabilmente che il testo non è nella sua forma originaria. Lohmeyer avanza un'ipotesi ingegnosa: si sono qui sovrapposte due diverse versioni della parabola. Secondo B lack, la ripetizio­ ne distrugge il parallelismo antitetico. Torrey ritiene che il passo confuso sia dovuto al fraintendimento di un grup­ po analogo di parole nell'originale aramaico, che era sem­ plice e chiaro : « Come un grano di senapa, che è inferio­ re a tutti i semi; ma quando è seminato. nel terreno cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi ». Indica­ zione molto ingegnosa, ma destinata a restare inverifìcabi­ le; anzi, innecessaria, se teniamo presente la possibilità sopra accennata di un'alterazione del testo a scopo espli­ cativQ. Le varianti testuali mostrano come già nell'antichità ve­ nisse percepita la difficoltà del testo di Marco. Comun­ que la lettura hos kok koi ... mikroteron on non solo è saldamente documentata, ma è confermata dalla più sem­ plice versione di Matteo : « un granello di senapa ... Esso è il più piccolo . .. » (13, 31 s) . v. 32. Anabainei è

un termine strano per descrivere il crescere della pianta (vedi nota a 4, 7) , e potrebbe essere una traduzione pedissequa dell'originale aramaico. Lachanon = « erbe da orto », « ortaggi » (greco classico, LXX, papiri) . Q (Lè. 13, 19; Mt. 13 , 32) parla più generica­ mente di «albero » (dendron) . Katask enoo = « accamparsi », « rifugiarsi >>. In Q gli uc­ celli si annidano tra i rami; in Marco si fermano all'om­ bra della pianta. L� senapa « cresce spesso all'altezza da 8 a 12 piedi, e un gran numero di uccellini si posa sul tronco per beccare i semi » (EB, col . 3244). Per l'immagi­ ne cfr. Dan. 4, 9: « Le bestie della terra si riparavano alla sua ombra e gli uccelli del cielo facevano il nido fra i suoi rami »; Ez. 11, 23 : «Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccel­ li dimoreranno; ogni volatile all'ombra dei suoi rami ripo­ serà >>. In questi passi l'albero simboleggia la protezione data ai popoli subaltern,i da un grande impero. E. quindi

300

Vangelo secondo Marco

ragionevole pensare che Gesù intendesse qui riferirsi alle nazioni pagane (cfr. Manson, Dodd) . 31.

Sommario sull'uso delle parabole (4, 33 s) (M t. 13, 34 s)

Questo brano editoriale completa la sotto-sezione 4, 1-34. Come spiega il commento, vi sono indizi per ritenere che originariamente, forse nella fonte usata da Marco, i vv. 33 s fossero direttamente annodati ai vv . 1-9. In questa prospettiva è più facile dare una visione d'assieme soddi­ sfacente della composizione di 1-34. Può essere che il v. 34, specialmente l'inciso « ma in privato, ai suoi discepo­ li, spiegava ogni cosa » , abbia suggerito aWevangelista l'in­ serimento dei vv. 1 1 s e la spiegazione della parabola del seminatore ai vv. 13-20. Quest'ipotesi è più valida che non quella secondo cui il v. 34 sarebbe redazionale (solle­ citato da 1 1 s) ; dato che il v. �4 si riferisce all'esposizio­ ne di parabole, non a un genere diverso di insegnamen­ to. Se quest'osservazione è esatta, il sommario doveva ori­ ginariamente essere preceduto da una parabola, quella del seminatore, che serviva come esempio per molte al­ tre. Considerazioni ulteriori che si potrebbero fare al ri­ guardo dipendono dalla concezione più generale della com­ pilazione del complesso 4, 1-34. Vedi p. 68. 33. Con molte parabole di questo genere annunciava loro

la parola secondo quello che potevano intendere.

34. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai

propri discepoli, spiegava ogni cosa.

vv. 33 s. È utile considerare insieme i due ver�etti per cogliervi il parallelismo semitico. Luca omette questo pas­ so, ma Matteo lo conserva, tralasciando solo « secondo quello che potevano intendere » e « in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa ». parabole di questo genere » (toiautais) : implica « Con che è stata fatta una selezione. Plummer sottolinea l'uso corretto. degli imperftft ti (cfr. 4, 2 . 1 0). si riferisco/ evidentemente alla « folla enorme » « Loro » : 13, 34 : «alle folle ». L'uso del pronome lascia Mt. di 4, l. trasparire la possibilità che originariamente i vv. �3 s fos-

Uso delle parabole 4,33 s

301

sero direttamente congiunti con i vv . 1-9, tanto più che l'insieme 10-32 mostra chiari indizi di compilazione. Ton logon è la buona novella del regno, come in 2, 2. « Secondo quello che . . . »: cfr. lo . 16, 12; 1 Cor. 3, 2. > (cfr. Swete, Plum­ mer, Moffatt, Torrey) . Se questo è vero, il passo è soffu­ so da una nota di intimità che è accordo con 4, 1 s . Epilu6 significa « sciogliere »: l'accettazione metaforica di « spiegare », comune nel Nuovo Testamento, si trova in scrittori tardivi. (c)

UN GRUPPO DI STORIE DI MIRACOLI

4,35-5,43

Il gruppo include le seguenti narrazioni : La tempesta sul lago. (32) 4.35-41. (33) 5,1-20. L'indemoniato geraseno. (34) 5,21-24.35-43. Risurrezione della figlia di Giairo. L'emorroissa. (35) 5,25-34. Queste narrazioni sono più vive e pittoresche che quelle del gruppo l, 21-39, e del tutto diverse nella forma da quelle di 2, 1-3, 6 e 3, 19b-35. Nelle narrazioni che ci accingiamo a studiare gli episodi vengono narrati per se stessi, con ricchezza di particolari, allo scopo di presenta­ re Gesù come operatore di azioni benefiche e meraviglio­ se. Dibelius chiama queste storie Novellen, e le fa risali­ re all'attività di narratori nella comunità cristiana primiti-

302

Vangelo secondo Marco

va. � meglio chiamarle, con Bultmann, 223�260, « storie di miracoli ». In che misura vadano attribuite a ricordi di testimoni oculari, se e in che misura siano state colori­ te di motivi popolari, e se la successione dei fatti narrati sia originale, sono alcune delle questioni che dovremo af­ frontare. 32. La

tempesta sul lago ( 4, 35-41 )

(Mt. 8, 23-27; Le. 8, 22-25)

La narrazione è una storia di miracolo. Comunque si prenda l'elemento miracoloso della storia, è fuori dubbio

che essa appartiene alla migliore tradizione, probabilmen­ te quella di un testimonio oculare e presumibilmente di Pietro (cfr. J. Weiss, Lagrange, Wood, Bartlet) . I particola­ ri, a un tempo vivi e semplici, orientano verso questa conclusione : l'indicazione cronologica, l'indicazione che i dl scepoli prendon9 con sé Gesù « così com'era », l'accen­ no alle « altre barche », il particolare del cuscino, il rim� pr.overo sfacciato dei discepoli, l'apostrofe diretta agli ele­ menti, il rimprovero che a sua volta Gesù rivolge con forza ai discepoli. Non riescono convincenti f tentativi di far risalire la storia all'influsso del Sal. 106, 9: « Minac­ ciò il Mar Rosso e fu disseccato » (cfr. Strauss) o al Sal. 89, 10: « Tu domini l 'orgo glio del mare; tu p lachi il tumulto dei suoi flutti ». E neppure più valide sono le obiezioni basate su narrazioni parallele. La migliore di queste è forse la storia citata da Bultmann, 249, che nar­ ra del ragazzo ebreo la cui preghiera fa cessare la tempe­ sta, riemp i endo di stupore i pagani che allora venerano il suo Dio; ma il parallelo non è comp leto. Forse l'evange­ lista aveva presente la storia di Giona e può averne subì� to l'influsso in qualche formulazione; tuttavia Wellhau­ sen afferma recisamente che il racconto di Marco non è un'eco di questa storia. � abbastanza curiosa e sorpren­ dente la somiglianza con la storia di Enea (vedi il com­ mento) ; ma Marco aveva letto Virgilio ? Queste considerazioni sono valide per quanto riguarda il valore storico della narrazione, ma non toccano l'illazio­ ne: « Chi è dunqu e costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono? ». Come spiega il commento, i discepoli vengono rimproverati per la loro mancanza di fede in

La tempesta sul lago 4,35-41

303

Dio, non nel potere di Gesù di controllare le forze della natura. Abbiamo buone ragioni per considerare la loro domanda come un'illazione tratta immediatamente e sot­ tolineata nella tradizione successiva, provocata dalla fine improvvisa della tempesta e dalle parole di Gesù. Ma ·che cos 'è accaduto realmente ? È giusto contestare l'ipote­ si secondo cui con le parole « Taci, calmati! » Gesù si sarebbe rivolto ai discepoli e non al vento (vedi la nota a 4, 39). È difficile pensare che i discepoli possano essersi sbagliati su questo punto. Più ancora, l'atteggiamento di Gesù di fronte alla natura come veicolo della potenza di­ vina gli rendeva naturale ciò che per noi è difficile pen­ sare, cioè rivolgersi al vento e al mare. Le sue parole so­ no un comando, ma sono pure l'espressione di un'assoluta e totale dipendenza dal Padre, sostenuta dalla fede che « la sua ora non era ancora venuta ». Il miracolo fu pro­ babilmente un miracolo della provvidenza divina. Gesù si affidò a Dio, e la sua fiducia non venne delusa. Non dobbia­ mo chiudere la nostra intelligenza alla possibilità che, come nei detti di Gesù trapela l'illuminazione divina (cfr. Le. 10, 2 1 s = Mt. 1 1 , 25-27) , così che nelle sue opere possa esserci stato un flusso della potenza divina che trascende­ va il tenore normale della sua vita cosciente. Ma qui en­ triamo in un problema di carattere teologico, la cui so­ luzione dipende dalla nostra interpretazione del modo del­ l'Incarnazione nella sua manifestazione storica. Altre spie­ gazioni del fatto, inclusa quella abbozzata sopra, sono pure compatibili con la fede in uno che, pur trovandosi nella condizione divina, si svuotò per assumere la condizione del servo. 35. In quèl medesimo giorno, verso sera, dice loro; « Pas­

siamO. all'altra riva ».

36. E lasciano la folla e lo prendono con sé, così com'e­

ra, nella barca. C'erano anche altre barche con lui.

37. Nel frattempo si solleva una gran tempesta di vento;

e gettava le onde nella barca, tanto che ormai e­ ra piena. 38. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliano e gli· dicono: « Maestro, non t'im­ porta che moriamo? ». 39. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: « Taci, calmati! ». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia.

304

Vangelo secondo Marco

40. Poi disse loro : « Perché siete così paurosi? Non ave­ · te ancora fede? ». 41. E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'al­ tro : « Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono? ». 35 s. L'esattezza dell'indicazione cronologica introdutti­ va « in quel medesimo giorno, verso sera >> richiama l , 32 e 35. Bultmann, 230, accetta i l riferimento all'ora tar­ da come appartenente alla storia originaria (tenendo pre­ sente il v. 38), ma ritiene redazionale « in quel medesi­ mo giorno ». Con molto vigore Schmidt, 135, sostiene che aggiunte di questo genere non sono caratteristiche di Mar­ co, che ambedue le indicazioni cronologiche appartengo­ no alla tradizione che l'evangelista ha assunto, e che lo stesso vale dei dettagli, topografici che seguono. Bult­ mann (e con lui Wellhausen) lo riconosce per quanto riguarda l'accenno alle « altre barche ». Ma questi due studiosi contestano l'autenticità di hos en (« com'era ») che riesce sgraziato dopo quanto precede. Una spiegazio­ ne semplice e convincente è che l'espressione significhi: « senza sbarcare >> (Swete, 88). È Gesù stesso a prendere l'iniziativa con le parole: « Passiamo all'altra riva », e i discepoli, come barcaioli, lo prendono con sé così com'e­ gli era. Cfr. 2 Re 7, 7: « e lasciarono le loro tende ... e il campo come si trovava », I presenti storici aggiungono vivacità alla scena, e il con­ giuntivo (« passiamo ») dà un carattere di urgenza. Per­ ché Gesù lasci la riva occidentale può essere solo ogget­ to di congettura. Forse perché la folla lo premeva da tutte le parti, oppure per trovare un nuovo sbocco al suo ministero; l'analogia con l, 35 suggerisce la seconda ipotesi. \ Dierchomq.i si dice no� almente di un viaggio a terra. Ramsay ritiene che negli Atti, dove è usato liberamente, esso significhi un viaggio missionario. Qui (cfr. 1 Cor. 10, 1) è detto dell'attraversamento del lago. L'espressione eis to peran ( « all'altra riva ») -si riferisce in generale alla riva orientale. Schmidt sostiene che nei LXX e nel Nuovo Testamento il senso è sempre questo; affermazione ecces­ siva, se si pensa che in Jo. 6, 17 « verso l'altra riva » descrive un viaggio a Cafarnao.

w.

La tempesta sul lago 4,35-41

305

Al v. 36, afiousin (« lasciano la folla >>) è molto più atten· dibile di afentes (« lasciata la folla ») . Paralambano = « prendere », « ricevere»: in 9, 2; 10, 32; 14, 33 è detto dell'azione di Gesù sul prendere con sé i suoi discepoli, mentre nel nostro passo l'azione è dei discepoli stessi. ·Le « altre barche >> devono essersi disperse nella tempe· sta che insorge, dato che poi n_on ne sentiremo più parla· re. Questo particolare, così innecessario alla storia, è pre· sumibilmente una reminiscenza genuina. Mt. 8, 23 e Le. 8, 22 permettono di cogliere la maggiore originalità di Mar­ co. Luca omette « verso sera » e legge « un giorno »; in Matteo mancano ambedue le indicazioni temporali. Inol­ tre ambedue gli evangelisti indipendentemente parlano di Gesù che sale sulla barca con « i suoi discepoli >>. Anco­ ra: ambedue tralasciano il particolare delle altre barche; e Luca dichiara: « Presero il largo » . Questi cambiamen­ ti si spiegano in forza dei nuovi contesti in cui la narra­ zione viene collocata, e per la necessità di abbreviare il racconto. 37. Una « tempesta di vento >>: il genitivo è di uso popolare. Il lago è soggetto a tempeste improvvise di vento, che si abbattono sulle valli. « L'atmosfera è quasi sempre cal­ ma e pesante, ma le correnti fredde, quando provengono dall'ovest, vengono risucchiate in vortici d'aria o da gole ristrette a picco sul lago. Allora sorgono quelle tempeste improvvise per le quali la regione è famosa » (G. A. Smi­ th, 441 s) . Il genitai (« si sollevò ») di Marco è molto efficace; ma più ancora il katebe (« si. abbatté ») di Luca. Hoste = « tanto che » : designa il risultato : le onde batto­ no sulla barca, fino a riempirla. Ede = « ormai », cioè « ora » in senso relativo; da distin· guere da nun = « ora », « al presente», e da arti = « or ora». Queste distinzioni sono ben rappresentate nel Nuo­ vo Testamento. Matteo ha « così che la barca era ricoperta dalle onde » (8, 24) , e Luca « imbarcavano acqua ed erano in perico­ �o» (8, 23 ; cfr. Giona l, 4) . v.

v. 38. I l v. 38a è es clusivo di Marco, e si basa probabil­

mente sulla testimonianza oculare. Mt. 8, 24 scrive: « e-

Vangelo secondo Marco

306

gli dormiva » ; Le. 8, 23 : « mentre navigavano si addor· mentò ». Attribuire 38a a un redattore è frutto di pregiu­ dizio, perché la descrizione pittoresca è parte integrante della storia. C'è forse una certa enfasi in autos, un contra­ sto implicito tra Gesù e i discepoli. « Se ne stava a poppa » : Lagrange spiega che il posto d'onore è il piccolo sedile sul retro della barca, e cita Virgilio (En. 4, 554): « Aeneas celsa in puppi, iam certus eundi, carpebat somnos >>. Il timoniere, egli aggiunge, si pone sull'orlo della parte posteriore (p. 1 23) . «Sul cuscino » : probabilmente il solo a bordo, e presu· mibilmente un sedile per rematore, di legno o di pelle, usato come appoggia-testa. L'imperfetto perifrastico (en ... katheud6n) significa un sonno continuato. I presen­ ti storici ( « lo svegliano ... gli dicono ») ravvivano la sce­ na. Matteo e Luca hanno « accostatisi . »; Didaskalos = « maestro » : è l'equivalente greco di « rab· bi >> (cfr. 9, 5), che Marco usa raramente. Matteo ha « Si­ ' gnore » e Luca ha « capo, maestro >>. Tutti i commentato­ .ri fanno notare come gli altri evangelisti attenuino il teno­ re della domanda dei discepoli quale viene formulata in Marco. Matteo ha: « Signore, salvaci, siamo perduti »; Luca: « Maestro, maestro, siamo perduti >>. Il tratto sa· liente è la spregiudicatezza dell'originale : « Maestro, non t'importa che moriamo ? ». Lagrange osserva, con al­ tri, che ou melei soi (« non t'importa? ») contiene un'in­ flessione di rimprovero che Matteo e Luca non hanno conservato : ma è un giudizio ancorà troppo debole. Il grido dei discepoli esprime indignazione e paura. Lagran­ ge cita ancora Virgilio : « ate dea, potes hoc sub casu ducere somnos, nec quae circumstent deinde pericula cernis ? >> (En 4, 560). I di cepoli sono sicuri che la mor­ te li minaccia, e si risentono del fatto che Gesù dorma, incurante della loro situazione (cfr. Swete, B lunt) .

.

!

.

v. 39. Diegeir6

« svegliarsi » : Gesù si desta, non si alza in piedi. I l vento viene drammaticamente rampognato, come se fosse un potere ostile o un demonio. Per altri casi in cui Gesù si rivolge a oggetti inanimati vedi 1 1 , 1 4 (il fico) e 23 (la montagna) . È fuorviante interpretare que­ sto linguaggio come un tipo di animismo primitivo; esso riflette il riconoscimento della natura come veicolo della potenza divina: mentalità estranea all'uomo moderno.

=

La tempesta sul lago 4,3541

307

Fimoo (« calmare ») è usato da Gesì1 nel comando all'inde­ �oniato, in l, 25; nel nostro passo, all'imperativo perfet­ to, più raro ma più enfatico. Rohde, Psyche, ii (tr. ingl. 604) , sostiene che il verbo era usato nel greco egiziano-si­ riaco incolto per designare l'arte di legare una persona mediante una formula magica, così da renderla innocua; esempi di questo uso magico si trovano nei papiri. Il c::ontrasto tra la violenza della tempesta e la situazione dopo il comando di Gesù è fortemente rilevato. Il vento cessa e subentra una grande calma. Con incqnsapevole senso artistico, le vocali lunghe di galene megale (« gran­ de bonaccia ») suggeriscono un'atmosfera di pace com­ pleta. L'ipotesi che le parole siano rivolte ai discepoli, sebbene non inammissibile in se stessa, non ha alcun fondamento nel testo. Al contrario, il rimprovero di Gesù ai discepoli viene dopo la calma della natura. Più ancora, esso si riferi­ sce alla fede in Dio, non alla fede nel potere di Gesù. Nel valu�are la base storica dell'episodio bisognerebbe ri­ conoscere che Gesù si è rivolto al vento. Non ne segue che l'illazione al v. 41 sia giustificata. « Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono ? » : è Jiipotesi dei discepoli; in conformità ad essa, soltanto le pa­ role « Taci, calmati! » sono state conservate nella tradizio­ ne. È possibile che Gesù abbia detto anche altro. Decide­ re su questo punto significa fare i conti con l'episodio come unità globale e col problema del miracoloso. Vedi pp. 1 18- 122. v. 40. La pistis di cui parla Gesù (vedi 2, 5) è fede

in Dio, fede nella sollecitudine del Padre : quélla che egli dimostrava quando dormiva tranquillamente sul cuscino. Non si tratta di fiducia nel potere miracoloso di Gesù, e non c'è null a che tradisca l'influsso di idee cristiane posteriori (cfr. Wellhausen, Rawlinson, Bartlet, Lagran­ ge) . Matteo, invece di « non avete ancora fede? », scri­ ve « uomini di poca fede »; e colloca il rimprovero pri­ ma della fine della tempesta; mentre Luca ha semplice­ mente: « Dov'è la vostra fede? » (8, 25). È evidente la maggiore originalità di Marco. Il tono del rimprovero è aspro. È la prima di una serie di rimproveri rivolti ai discepoli per la loro mancanza di fede o di comprensio­ ne (cfr. 7, 1 8 ; 8, 17 s; 21. 32 s; 9, 19) .

308

Vangelo secondo Marco

v. 41. Il verso descrive l'effetto prodotto dal miracolo sui discepoli, e l'immediata conclusione che essi ne tirano. Fobeo è usato qui, come sempre nel Nuovo Testamento, come un passivo deponente : « aver paura ». L'accusativo fobon megan è affine : « essi ebbero una grande paura »; cfr. Le. 2, 9 ; 1 Pt. 3, 14. Cfr. pure l Macc. 10, 8 ; e Giona 1, 1 0 : « E furono presi da grande timore e gli domanda­ rono » : un passo, quest'ultimo, che può aver influenzato la storia marciana. Il senso è che i discepoli furono pie­ ni di un sentimento di timore riverenziale, del senso del­ l'arcano. Il passaggio all'imperfetto è deliberato: « e si dicevano l'un l'altro ». Ara = « dunque » è illativo. L'uso di ho ti invece del relativo hai è semitico; tuttavia Lagrange porta un esempio simile da Platone. Per il verbo al singolare con due soggetti cfr, Mt. 5, 1 8 ; 6 , 1 9 ; l Cor. 15, SO; Apoc. 9, 12. � difficilmente contestabile che la conclusione che venti e mare obbedissero a Gesù sia stata tratta sul posto. Matteo e Luca, indipendentemente l'uno dall"altro, inter­ pretano il timore come stupore. Matteo afferma che i · presenti esclamarono: « Chi è mai costui ? » ; e Luca ren­ de esplicito ciò che è implicito nella sua fonte, scriven­ do : « Dà ordini ai venti e all'acqua » (8, 25) . La tenden­ za della tradizione è di enfatizzare la conclusione già trat­ ta dai discepoli. 33.

L'indemo�iato

gerasen

(Mt. 8, 28-34, Le. 8, 26-39)

r

(5, 1-20)

Bultmann, 224, fa notare che la narrazione ha la forma caratteristica della storia di miracolo (esorcismo) : in­ contro con l'indemoniato, suo carattere pericoloso, suoi sospetti sull'esorcista, esorcismo, partenza dei demoni, im­ pressione fatta sui testimoni oculari. La storia, egli scri­ ve, è nella sua forma originaria, salvo le formule di pas­ saggio al v. l, e il v. 8, redazionale. Questa opinione non rende giustizia integralmente alla narrazione. Questa non è ancora ridotta alla forma stilizzata che le storie di miracoli hanno quando sono passate attraverso una serie di narratori; è invece molto più vicina aUa testimonianza di un testimonio oculare. Lo dimostra la disugualianza

L'indemoniato geraseno 5,1-20

309

della narrazione. I vv. 6 s, con il disegno dell'indemonia­ to che vede Gesù da lontano, accorre e cade ai suoi piedi, suonano quasi come l'inizio di un nuovo racconto; mentre i vv. 3-5 stanno a sé, come l'indicazione realistica 4i vicini abituati da tempo alle violenze dell'uomo. Il v. 8 sembra riflettere l'imbarazzo dell'evangelista nel dover riprodurre un materiale troppo abbondante. Tutti questi tratti vengono spiegati molto bene se noi supponiamo che egli abbia sentito raccontare la storia più di una volta, e abbia sovrapposto i vari e lementi che ricordava. Un'altra caratteristica della narrazione è la sistemazione di scene in cui il punto d'interesse scivola dall'uomo (vv. 1-10) al branco di porci (vv. 1 1-13) , poi agli abitanti della città (vv. 14-17), e finalmente torna all'uomo lungo la ri­ va del lago (1 8-20). In forma rudimentale abbiamo l'ini­ zio di un piccolo dramma in quattro atti. E tuttavia non riceviamo l'impressione di una creazione artistica immagi­ naria; la storia è così com'è perché descrive quanto è accaduto. « L'ipotesi più naturale rimane sempre che qui abbiamo la tradizione di fatti realmente accaduti )) (J. Weiss, 190). � vero che le storie di miracoli possono incorporare moti­ vi . come quello dei demoni gabbati (vedi la nota al v. 1 3 ) , o la convinzione che i demoni appartengono all'abis­ so (cfr. Le. 8, 3 1 ) ; ma non ne segue che tutte le narrazio­ ni che rappresentano questi motivi siano costruzioni pura­ mente immaginarie. Meno di tutte la presente. I molti dettagli semplici, la figura di un uomo che fa a pezzi le catene e si percuote con le pietre, il dialogo, l'espulsione, la descrizione dell'uomo « seduto, vestito e sano di mente )), l'atteggiamento degli spettatori, il tipo di messaggio che il miracolato proclama nella Decapoli, sono dettagli presi dalla vita. Abbiamo buone ragioni P.er classificare questo racco� to come petrino di origine. Come vada interpretato quando viene narrato è un'altra cosa. La difficoltà maggiore è data dall'episodio dei porci. Se rigett iamo spiegazioni mitiche, o l'indicazione di Dibe­ lius (secondo cui qui è stata incorporata una storia profa­ na : vedi nota al v. 13), e se accettiamo una spiegazione psicologica di possesso, dobbiamo spiegare il panico dei porci come lo spiega Wei ss, cioè come provocato dal pa­ rossismo della guarigione dell'uomo.

310

Vangelo secondo Marco

l . Intanto giunsero all'altra rivq. del lago, nella regione

dei Geraseni. 2. Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepol­ cri un uomo posseduto da uno spirito immondo. 3. Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno Più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, 4. perché più volte era stato legato con ceppi e catene, aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. 5. Continuamente, not t e e giorn o, tra i sepolcri e sui mon­ ti, gridava e si sfregava con pietre. 6. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, 7. e urlando a gran voce disse: « Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiu­ ro, in nome di Dio, non tormentarmil ». 8. Gli diceva infatti: « Esci, spirito immondo, da que­ st'uomo! >> . 9. E gli domandò : « Come ti chiami? ». « Mi chiamo Le­ gione, gli rispose, perché siamo in molti » . 10. E lo scongiurava con insistenza di non cacciarlo fuo­ ri da quella regione. 1 1 . Dra c'era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. 12. E gli spiriti . lo scongiurarono: « Mandaci da quei por ci, facci entrare in essi » . 13. Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed en­ trarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare. 14. I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. 15. Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato sedu­ to, vestito e sano di mente, lui che era stato possedu­ to dalla Legione, ed ebbero paura. 16. Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. 17. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18. Men tre risaliva nella barca, colui che era stato inde­ moniato lo pregava di permettergli di stare con lui.

L'indemoniato geraseno 5,1-20

311

19. Non glielo permise, ma gli disse: « Va' nella tua ca­ sa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato », 20. Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapo­ li ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano mera­ vigliati. l. Invece di « Geraseni » alcuni manoscritti hanno « Ga­ dareni »; ma si tratta di un'assimilazione al testo di Mat­ teo (cfr. Swete, Lagrange, Turner, Rawlinson) . Le varian­ ti testuali sono dovute al fatto che sia Gerasa (30 miglia a sud-est) che Gadara (6 miglia a sud-est) sono troppo lontane dal lago, e aJ.la necessità di trovare un luogo dove la montagna scenda a precipizio nel lago. Non c'è dubbio che Marco ha scritto « la regione dei Geraseni » intendendo il distretto che si estende fino al lago, di cui Gerasa è la città principale. In questo egli seguiva una tradizione già esistente, dato che non è sua abitudine introdurre nomi di luoghi (cfr. Schmidt, J. Weiss) . La descrizione di Marco è vaga, probabilmente a causa della mancanza di una conoscenza precisa del luogo di sbarco. La cosa non sorprende, se egli era un cristiano di Gerusalemme; ancor meno, se era un cristiano di Ro­ ma. L'approdo era sulla riva orientale del lago, ma la sua identità può solo essere congetturata. Origene nota l'inadeguatezza sia di Gerasa che di Gadara (In. Joann. 6, 41). Egli ritiene che il posto fosse Gergesa, « una antica città ... sul lago, oggi chiamata Tiberiade, da cui sporge sul lago uno scoglio : da qui i porci vennero precipitati dai . diavoli ». Alcuni studiosi moderni identificano il luo­ go di Kersa o Kursa, all'imboccatura del Wadi es-Samak (cfr. Dalman, Lagrange) . Tuttavia, poiché a questo punto la riva è pianeggiante, Dalman, seguendo una vecchia indi­ cazione di C. W. Wilson, pensa che lo sbarco sia avvenu­ to due chilometri più a sud, a Moka'-'Edlo, dove « un pendio abbastanza ripido, alto 44 metri, di una propaggi­ ne del promontorio raggiunge versò l'interno 40 metri di riva ». Anche Lagrange ha finito per seguire quest'opinio­ ne. Nella vicinanza non ci sarebbero sepolcri; ma secon­ do Lagrange ve ne sono alcuni, con l'apparenza di abita­ zioni, a quattro o cinque km. di distanza. v.

v. 2. Il genitivo assoluto, come spesso nel Nuovo Testa-

312

Vangelo secondo Marco.

mento, si riferisce al pronome della proposizione principa­ 'le; questo uso non classico è comune nel greco elleni­ stico. L'incontro con l'indemoniato ha luogo evidentemente po­ co dopo lo sbarco, ma non necessariamente subito (insie­ me con molti manoscritti omettiamo euthus) . L'uomo vie­ ne incontro a Gesù « dai sepolcri ». Era convinzione po­ polare che i cimiteri fossero infestati dai demoni; secon­ do il v. 3 , l'uomo ha qui la sua dimora. Matteo e Luéa interpretano il testo marciano. Luca dice che Gesù e i discepoli « approdarono » alla regione dei Geraseni, e spiega che essa « sta di fronte alla Galilea » (8, 26) . Inoltre l'uomo viene « dalla città ». Matteo parla di due indemoniati (8, 28; cfr. 20, 30, dove egli parla di due ciechi) .

vv. 3-5. Questo passo pittoresco può essere preso come un tutto, perché è in larga misura esclusivo di Marco. Matteo si limita a riportare il senso del brano nella sua descrizione dei due indemoniati come pericolo pubblico ( « tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quel­ la strada » 8, 28) . Anche Luca dimostra di conoscere il racconto di Marco, ma qui scrive soltanto : « da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri » (8, 27) . Più avanti (8, 29) egli riporta i tratti essenziali dei vv. 3-5 di Marco. Questi versetti contengo­ no diversi termini che non - si trovano altrove in Marco {« dimora », « catene », « ceppi », « spezzare », « doma­ re ») . Non è il caso di cercare significati particolari nel­ l'associazione dell'indemoniato con i sepolcri. Spesso le tombe erano abitate; e la violenza dell'uomo, così realisti­ camente descritta, basta a giustificare perché fosse stato costretto a vivere separato dagli altri. Cfr. Sal. 67, 7 (LXX) ; /s. 65, 4. Evidentemente, erano stati fatti tentativi per metterlo a freno; ma nessuno più riusciva a tenerlo legato. La costruzione dia to con l'infinito è usata qui per indica­ re circostanze passate che spiegano la situazione presen­ te. Più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato in due le catene e aveva fatto a pezzi i ceppi, e nessuno riusciva a domarlo. Della sfilza di perfet­ ti Swete, 93, dice: « È come se l'immaginazione dello scrittore avesse captato le parole dei vicini mentre essi

L'indemoniato geraseno 5,1-20

313

raccontavano la storia dei loro ripetuti fallimenti e li avesse incorporati nel suo racconto senza cambiare il tem­ po >> (cfr. anche Lagrange, Lohmeyer) . Questa supposizio­ ne è comprovata dal cambiamento di tempo alla fine, dove Marco torna all'imperfetto come al v. 3 . Il modo di vita attuale dell' indemoniato è descritto al v. 5. Continuamente tra i sepolcri e le colline egli gridava e si sfregiava con pietre. « Notte e giorno » : a intervalli sia di notte che di giorno (cfr. 4, 27) . Katakopto : in un senso derivato il verbo può significare « battere », « per­ cuotere »; ma probabilmente qui il significato è « taglia­ re >> o « sfregiare » .

6 s. In questi versetti riprende il racconto. S i h a l'im­ pressione che i vv. 6 s appartengano a un resoconto diver­ so dei fatti, perché in 1 s anche omettendo euthus ( « su­ bito ») , l'incontro ha luogo appena la barca tocca la spon­ da. Qui invece l'indemoniato vede Gesù da lontano, e cor­ re e cade ai suoi piedi. Ma la mancanza di armonia po­ trebbe anche essere semplicemente una slegatura nella narrazione, provocata dall'introduzione dei vv. 3-5. Proskuneo qui è « cadere in ginocchio » ; altrove (Mt. 2, 2; Le. 4, 7; ecc.) è « adorare » (greco classico, LXX, papi­ ri ; generalmente con il dativo nel Nuovo Testamento) . Diversi tratti sono comuni agli episodi di indemoniati già narrati da Marco ( 1 , 2 3 s e 3, 1 1) : il gridare ad alta voce, l'inginocchiarsi, la domanda : « Che hai tu in comu­ ne con me? » (cfr. 1 , 24) , la confessione di Gesù come « Figlio del Dio altissimo » (cfr. l , 24 : « il santo di Dio »; 3, 11 : « il Figlio di Dio ») , la paura di essere tor­ mentati (cfr. l , 24: « Sei venuto a rovinarci ») . Frustrato nella sua speranza di placare l'esorcista sconosciuto e ren­ derlo innocuo mediante l'uso del suo nome, l'indemonia­ to nel suo terrore lancia un'invocazione frenetica : « Ti scongiuro in nome di Dio, non tormentarmi ». L'uomo te­ me che Gesù stia per punirlo. Basanizo = « torturare »; per l'idea della punizione nell'apocalittica contempora­ nea vedi Apoc. 18, 7 s ; 20, 1-3.7-10. Matteo omette il v. 6 ; ma Luca ha « alla vista di Gesù ». La seconda parte del v. 7 suscita evidentemente difficoltà in ragione della sua audacia. Matteo tralascia « ti scon­ giuro in nome di Dio » e trasforma il resto secondo una modal ità escatologica; « Sei venuto qui prima del tem-

vv.

314

Vangelo secondo Marco

po a tormentarci ? » (8, 29) . Luca attenua la forza di Marco: « Ti prego di non . tormentarmi » (8, 29) . Ancora una volta, è evidente la maggiore originarietà di Marco. v. 8. Questo passo è la spiegazione che Marco dà delle parole frenetiche dell'indemoniato (cfr. 6, 52; 16, 8) . t:. quasi l'unica aggiunta che egli ha fatto alla sua fonte. Cfr. Bultmann, 224 nota: è troppo circostanziata l'ipotesi di chi considera che originariamente il v. 8 precedesse il v. 7, forse al posto del v. 6. Bultmann ha probabilmente ragione; perché non possiamo pensare che in origine la narrazione avesse una forma più logica. L'ipotesi di cui sopra descrive come avrebbe proceduto uno scrittore che avesse usato a mano libera della tradizione. Noi pen­ siamo invece che Marco abbia trovato i vv. 6 s come un'unità già fissata, che egli ha conservata come tale; ed è notevole che Luca, l'evangelista che sa scrivere meglio, abbia seguito Marco, accontentandosi di sostituire « gli diceva » con « gli ordinava » e il discorso diretto con quello indiretto, e aggiungendo la sostanza della descrizio­ ne dell'indemoniato fatta da Marco ai vv. 3-5 . Elegen (al v. 8) (« diceva ») è usato nel senso di un piuc­ . cheperfetto (cfr. 5, 28; 6, 1 8 ; Mt. 14, 4; Atti 9, 39) . Que­ st'interpretazione è preferibile a quella secondo cui Mar­ co vorrebbe dire che Gesù · andava ripetendo : « Esci, spi­ rito immondo ». Ques te parole richiamano quelle di l , 25 : « Esci da costui » . Evidentemente un semplice coman­ do non bastava; era necessario un trattamento più com­ pleto. Si potrebbe pensare che in un primo momento Gesù avesse comandato inutilmente al demonio di uscire.

9. Eperota.O compare qui per la prima volta in Marco: in tutto 25 volte : « domandare », « consultare ». « Legione » : questo termine latino è entrato nel greco ellenistico e nell'aramaico, ed è abbondantemente rappre­ sentato nei papiri. Le idee sottese alla domanda « Come ti chiami ? » sono connesse con l'antica convinzione che la conoscenza del nome portasse con sé il potere su un avversario (cfr. Gen. 32, 29) e su un demonio. Vellhau­ sen, 39, osserva che forse il demonio evita di dare il proprio nome e dà invece il proprio numero; ma l'indica­ zione più comune �ppare ragionevole : la vista di una legione, che normalmente constava di oltre 6.000 uomini, può aver dato occasione all'uso del nome (cfr. Swete,

v.

Vindemoniato geraseno �.1-2ò

31S

Lagrange) . « Applicando a se s tesso questo nome, l'inde­ moniato si appella alla pietà di Cristo. I l nome significa che egli si sente una pura e semplice congerie di impulsi scoordinati e di forze cattive, senza unità morale di volon­ tà; dunque, non un soggetto, ma un aggregato di molti » (Bartlet, 176) . L'alternanza di singolare e plurale ai vv . 9- 1 3 conferma questa lettura. Può darsi che nella sua com­ passione Gesù si sia adattato alla situazione dell'infer­ mo; ma non ci sono affatto motivi per pensare che egli non condividesse le convinzioni contemporanee sull'effica­ cia del nome. v. 10. Soggetto di parekalei può essere « egli » come pu­ re « essi » ( = i demoni) ; forse migliore questa seconda pos sibilità. La cosa non ha grande importanza, perché in ogni caso è l'uomo che parla; e, come avviene nei casi di personalità plurima, egli parla ora a suo nome ora collet­ tivamente a nome delle potenze da cui crede di essere posseduto. Polla è avverbiale: « intensamente >>, « con insistenza ». Hina me .. (col congiuntivo) : non esprime lo scopo ma il contenuto della domanda (cfr. 3, 9) . L'idea implicita nella formula « fuori da quella regione » era ampiamente con­ divisa nel mondo antico. Si credeva che i demoni fossero particolarmente collegati con una località particolare, dal­ la quale erano restii a lasciarsi cacciare. In Le. 1 1 , 24, per esempio, i demoni cacciati cercano un luogo dove abitare, e sono angustiati di non poterne trovare (cfr. Klostermann, Bultmann) . Nel nostro passo, Luca (8, 3 1) sostituisce l'espressione di Marco con « andare nell'abis­ so », in base alla convinzione che i demoni temano soprat­ tutto di essere imprigionati fino alla loro distruzione (cfr. Apoc. 9, l ; 20, 10) . .

vv. 11 s. Inizia qui un nuovo stadio della narrazione. Pros con il dativo è raro nel Nuovo Testamento: in tut­ to sei esempi. Essendo la regione molto montagnosa, è praticamente impossibile precisare il posto di cui Marco parla. La presenza del branco di porci mostra: che la regio­ ne era prevalentemente pagana. « Lo scongiurarono » : è una richiesta specifica, differente dalla ripetuta preghiera del v. 10. Il v. 12 è di una eccessiva ridondanza, anche per un van-

Vangc1o secondo Marcò

gelo che di ridondanze ne contiene molte; è opportuno considecare 1ìina con carattere di imperativo : « Mandaci da quei porci, facci entrare in essi ». Matteo e Luca evita­ no in modi diversi la ridondanza: « Se ci scacci, manda­ ci in quella mandria » (Mt. 8, 3 1 ) ; « che concedesse loro di entrare nei porci » (Le. 8, 32) . 13. Hormao = « mettere in movimento », « spinger� » (greco classico, LXX, papiri) . In tutti i casi del Nuovo Testamento è usato intransitivamente nel senso di « spin­ gersi >>, « precipitarsi ». « Circa duemila » : il particolare è esclusivo di Marco; è cifra tonda, probabilmente un'esagerazione. Matteo e Lu­ ca apportano nel complesso piccole variazioni; Matteo in particolare dice: « perì nell'acqua » (8, 32) . In questo verso, osserva J. Weiss, 188, ci sono quattro particolari : due visibili e due imp iiciti : (a) Gesù permet­ te agli spiriti di uscire, forse con un segno o con un gesto; (2) essi escono e (3) entrano nei porci; (d) i porci si precipitano nel lago. Egli aggiunge, insieme ad altri interpreti, che a spingere il branco è stato il parossismo che accompagna l'esorcismo. L'uomo si scaglia sui porci, li terrorizza e li spinge nel lago. Egli è stato a lungo dominato dall'idea che i demoni da cui era posseduto avrebbero voluto entrare nei porci, e coglie ora l'occasio­ ne offertagli dall'esorcista sconosciuto che gli ha chiesto il suo nome. Che cosa c'è, si chiede Weiss, di inconcepibi­ le in questa spiegazione, e in che cosa fa violenza al racconto? � comune chiamare queste spiegazioni « psico­ logizzanti », come se fosse possibile interpretare una nar­ razione antica senza leggere tra le righe ! Vi sono anche spiegazioni alternative : per es. che il racconto illustra il motivo letterario dei demoni imbrogliati (Wellhausen) , oppure il motivo inverso dei demoni che ingannano Gesù (Bauernfeind) , o ancora che l'episodio di un esorcista giu­ daico è stato attribuito a Gesù (Dibelius) ; ma anche qui si tratta di « letture tra le righe », più suscettibili dell'ac­ cusa di distorsione che non la sobria interpretazione di Weiss. Molti si sono pure soffermati a discutere sulla . responsabilità di Gesù nei confronti della distruzione dei porci. v.

v.

14. A questo punto comincia un terzo stadio della nar-

L'indemoniato geraseno S,t-iò

razione. I mandriani fuggono e raccontano l'accaduto in città e nei dintorni. « Agros >> : « la regione », « i parag­ gi ». Il termine è classico, e viene usato liberamente nei LXX; qui (e in 6, 36.56) esso designa le « case . isolate » (Lagrange, 1 3 1 : hameaux) , in quanto distinte dalle città e dai villaggi. Quanto alla città, non viene nominata, e non possiamo fare ipotesi attendibili al riguardo. Elthon è impersonale: « la gente si mosse ». Luca segue Marco da vicino (8, 34 s) ; Matteo precisa « portarono la notizia » con « raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati » (8, 33) .

.vv. 15 s. Un nuovo inizio con il presente storico ( erchon­ tai) segna il punto d'arrivo : la gente viene a Gesù. Non sembra necessario, con Swete, concluderne che, trovando finalmente di nuovo tutto tranquillo, la gente scende alla· spiaggia. >, Swete) . IIi Matteo i particolari scenici scompaiono, dato che l'epi­ sodio è collocato subito dopo i detti sul vestito e sugli otri, e con l'unica introduzione della formula « mentre diceva loro queste cose » (9, 18) . Luca generalizza l'indica­ zione di Marco, in quanto afferma che, al ritorno di Ge­ sù, le folle lo accolgono, essendo tutte in attesa di lui (8, 40) .

v. 22. Marco descrive a questo punto l'arrivo di Giairo. Diversi manoscritti hanno qui un « ed ecco », che però più probabilmente è un'assimilazione a Matteo e a Luca. Giairo è uno dei « capi della sinagoga » (cfr. Le. 8, 49; 13, 14; Atti 13, 1 5 ; 18, 8.17) , non necessariamente il re­ sponsabile del culto, ma un membro di spicco. Il nome Giairo è originale in Marco ? C'è chi lo ritiene interpola-

322

Vangelo secondo Marco

to da Luca. Schmidt pensa che si tratti sì di un'aggiunta, ma verificatasi nella tradizione prima della composizione di Marco. Per Rawlinson l'assenza del nome nei mano­ scritti occidentali è casuale. Le cose stanno così : oltre al fatto che il nome di Giairo manca iti alcuni manoscritti (e in Matteo) , bisogna tener presente che l'Unica persona ricordata per no.me, all'infuori del racconto della Passio­ ne· e Òltre i . discepoli, è �artimeo (10, 46) ; inoltre, che Giairo stesso non viene più chiamato per nome ai vv. 35 s, 38 e 40. Ancora : l'uso di onomati (« di nome ») è lucano piuttosto che marciano ; altrove Marco usa onoma col dativo (3, 16 s; 5, 9) . Tutt o sommato, tendo a pensare che l'inciso « · di nome Giairo » sia l'aggiunta di un ama­ nuense antico (o che almeno vada messo tra parentesi) . Non si può dare per certo che a suggerirlo sia stato Le. 8, 4 1 , perché in Luca l'espressione è « un uomo di nome Giairo » (a.ner hoi onoma Iaeiros ) . Giairo = « egli illumina » ( da una radice ebraica: cfr. Num. 3 2, 4 1 ; G iud. 10, 3 s) . Alcuni studiosi lo derivano da un'altra radice, e lo interpretano come « egli si sve­ glia », dandogli un significato simbolico. Ma hÌ pertinen­ za del simbolo è tutt'altro che sicura: non è Giairo, ma la figlia, a risuscitare (cfr. Klostermann, Rawlinson, Ea­ ston, Plummer) . Il ritratto è realistico : nell'intensità del .suo dolore; Giairo accantona la sua dignità sociale -e cade ai piedi di Gesù. . In Matteo il parallelo è molto breve : « giunge uno dei capi che gli si prostrò dinnanzi » (9, 18) . Luca segue Mar­ co da vicino. 23. « Lo pregava )) (o « lo pregò » : presente storico : ambedue le lezioni sono ben documentate) : il capo comin­ cia (o continua) a supplicare Gesù di venire in aiuto alla figlia. Thugatrion : diminutivo : « la mia figlioletta » : espressione d'affetto diversa da « figlia )) ai vv. 34 s, usata da Gesù nel rivolgersi all'emorroissa. Eschatos echei = « è in pericolo di morte », « è agli estre­ mi » : costruzione condannata dagli atticisti. Luca riferi­ sce il fatto in forma narrativa, e scrive : « che stava per morire )) (8, 42) : Matteo invece dice senza mezzi termini, per bocca del padre : « è morta proprio ora )) (9, 18) . Hina elthon ep ithéis può essere s piesato sottintendendQ v.

Guarigione emorroissa 5,25-34

323

« ti prego » ; « ti prego che venga a imporle le mani »; oppure - più probabilmente - come imperativo: « vie­ ni a imporle le mani » (cfr. 5, 12 e 10, 5 1 ) . Sull'imporre le mani cfr. 6, 5 ; 7, 32 ; 8, 23.25; 1 6 , 18. Da questi accenni al gesto di Gesù di imporre le mani ai malati (gesto abituale negli antichi episodi di guarigio­ ne: cfr. Bultmann, 237 s) è sorto più tardi l'analogo rito ecclesiastico. Sozo qui nel senso di guarire (cfr. nota a 3, 4) . L'uso dei due verbi (« sia guarita e viva >>) non è superfluo, perché le idee sono distinte. Giairo chiede che la figlia sia guari­ ta e che viva. Naturalmente, è anche possibile prenderli come sinonimi; è quanto fa Matteo, che scrive solo « ed essa vivrà >> (9, 18) . Black pensa che Marco possa aver trovato due diverse traduzioni dello stesso verbo aramai­ co hayah; ma se i due verbi esprimono idee leggermente diverse, la differenza può benissimo essere stata espressa in aramaico non meno che in greco (come Black stesso .conferma) . v. 24. Il versetto, con l'accenno alla folla che preme, prepara la strada all'episodio dell ;emorroissa. Non si di­ ce che cosa Gesù abbia risposto alla preghiera di Giairo. La risposta di Gesù è l'azione : egli se ne va insieme con il capo. Matteo non parla della folla, ma dice che Gesù seguì il càpo della sinagoga accompagnato dai discepoli (9, 19). Luca scrive : « Durante il cammino, le folle gli si accalcavano attorno » (8, 42) .

35.

Guarigione dell 'emorroissa ( 5, 25-34 ) (Mt. 9, 20-22; Le. 8, 43-48)

La singolarità di questa narrazione è di essere intreccia­ ta entro quella della figlia di Giairo. Le parole che conclu­ dono la prima parte della storia (v. 24) introducono il racconto della guarigione; il filo viene poi ripreso nella seconda parte con le parole : « Mentre ancora parlava » (v. 35) . Dato che in Marco non ci sono altri casi con elementi connettivi di questo genere, è ragionevole dedur­ re che la connessione è storica e non puramente lettera­ ria (cfr. Schmidt, Dibelius) . Bultmann, 228 s, ipotizza che inizialmente le due storie esistessero separate, ma Sch-

�24

Vangelo secondo Marco

midt, 148, sostiene che l'intreccio è dovuto a una remini­ scenza storica ( « Qui il ricordo effettivo si è rifatto a una situazione storica: la guarigione della donna è avve­ nuta strada facendo verso la casa di Giairo ») . Si tratta di un caso alquanto diverso da 3, 22-26 e da 14, 3-9, che separano storie o sezioni differenti; è difficile quindi soste­ nere che siamo di fronte a « un esempio della tendenza di Marco a incastrare una storia nell'altra » (Rawlinson, 42 s, 67) . Una storia può essere narrata per riempire un intervallo (per es. 6, 14-29) ma non è una caratteristica di Marco l'intercalare narrazioni. La narrazione stessa conferma che l'episodio della donna poggia su una tradizione eccellente. � una storia di mira­ colo, e ne ha i tratti caratteristici : la descrizione dell'in­ ferma, il fallimento di molti medici, la guarigione e la sua conferma pubblica; ma non si tratta affatto di una scena ideale composta a livello di tradizione mediante l'applicazione di motivi comuni. Al contrario, il realismo psicologico del racconto della paura della donna e della . sua iniziativa coraggiosa, l'intervento rozzo dei discepoli e il ritratto di Gesù lasciano nella mente una forte im­ pressione di verosimiglianza. Tuttavia l'episodio ha costituito oggetto di riflessione. In­ _sieme ai fatti sono combinate delle illazioni, per es. che Gesù si accorse che era uscita da lui la sua forza tauma­ turgica (v. 30) , e la spiegazione che Marco dà dei pensie­ ri della donna .(v. 28) . Ma si tratta di illazioni primitive, che possono essere state tratte al tempo degli avvenimen­ ti stessi. Non si può dare una spiegazione effettivamente adeguata della domanda : « Chi mi ha toccato il mantel­ lo ? »; ina la protesta un po' lamentosa dei discepoli ren­ de inverosimile l'idea che sia stata inventata. La psicotera­ pia può offrire paralleli moderni (E. R. Mickelm, 122 s) . . L'autosuggestione è una spiegazione troppo facile della guarigione. Secondo la narrazione essa è dovuta alla fede della donna alimentata e irrobustita dalla personalità di Gesù: e questa rimane la migliore spiegazione di una storia che non può essere completamente ridotta entro i canoni della ragione. 25. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emor­ ragia

Guarigione emorroissa 5,25-34

26. e aveva molto sofferto per opera di molti medici,

27.

28. 29. 30.

31.

32. 33.

34.

spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spal­ le, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: « Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita ». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertendo che la potenza promanan­ te da lui era uscita, si voltò alla folla dicendo : « Chi mi ha toçcato il mantello? ». l discepoli gli dissero : « Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato? ». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose : « Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male ».

25-27. Questo passo è notevole perché è uno dei po­ chissimi esempi in Marco di un periodo greco abbastan­ za lungo, con participi subordinati, a differenza della co­ struzione paratattica quasi sempre usata: « . affetta ... dopo aver sofferto ... spendendo ... peggiorando ... udito parlare ... venuta . . . toccò » Vedi 14, 67; 1 5 , 43. La donna è descritta come « essendo in flusso di san­ gue » : giro semitico; Matteo sintetizza: « donna emorrois­ sa » (9, 20) . L'accusativo di durata « dodici anni », che corrisponde all'età della figlia di Giairo, può essere una coincidenza (Lagrange) , ma più probabilmente è una: ci­ fra approssimativa per esprimere un'infermità di lunga durata. Non solo la donna era stata a lungo malata, ma aveva molto sofferto per opera di diversi medici e aveva speso tutto senza riceverne alcun beneficio, anzi un peggiora­ mento. Pascho con hupo ha qui il senso di « patire per mano di ». Lagrange, 1 40, rileva che a tutt'oggi è un'usan­ za orientale molesta di chiamare il maggior numero possi­ bile di medici, con il risultato che le loro prescrizioni provocano sofferenze, costa_no molto e peggiorano la sivv .

..

Vangelo secondo MarcO

tuazione. Matteo non ha un parallelo a questo versetto nella sua breve riproduzione dell'episodio. Luca abbrevia molto (la frase « avendo speso tutto il suo avere per i medici » è probabilmente spuria) ; dice semplicemente che la donna « non era riuscita a guàrire con nessuno »­ (8, 43) . « Udito parlare di Gesù » : si riferisce al racconto delle guarigioni da lui operate. La donna lo raggiunge attraver­ so la folla, alle spalle, e tocca il mantello di Gesù. Mat­ teò dice: « il lembo del suo mantello » (cfr. Num. 15, 38; Dt. 22, 12), intendendo uno dei quattro fiocchi (o fran­ ge) che la Legge ordina a ogni ebreo di attaccare agli angoli del suo vestito esterno. L'azione sottintende la con­ vinzione delle virtù guaritrici del contatto, ma il fatto significativo è la fede della donna (cfr. 3, 10; 6, 56) . Essa arriva in segreto perché la malattia la rendeva ritualmen­ te impura e avrebbe portato impurità a tutti coloro che fossero venuti in contatto con lei (cfr. Lev. 15, 25) . Questo versetto di spiegazione è aggiunto da Mar­ co o dalla tradizione che egli seguiva. Mette in luce i pensieri della donna; e Matteo esplicita questo aspetto (9, 2 1 ) . Luca invece omette tutto il versetto. Secondo la convinzione degli antichi, anche fazzoletti e grembiuli por­ tati dalla persona del guaritore possedevano una virtù curativa (cfr. Atti 19, 12) ; e anche la sua ombra (Atti 5, 15) . La persona del guaritore veniva considerata come po­ tente, e le sue vesti e la sua ombra, a seconda del caso, erano ritenute estensioni della sua personalità. In quest'e­ pisodio, la donna desidera toccare Gesù, e l'espressione « almeno il suo mantello » denota l'intensità del suo desi­ derio (M t. 9, · 2 1 : « se riuscirò anche solo a toccare ... ») :

v. 28.

La guarigione è immediata: l'emorragia cessa. Per la formula « flusso di sangue » vedi Lev. 12, 7. L'uso corretto dei tempi è notevole: i due aoristi ( « si fermò », « sentì ») esprimono azioni passate ben definite, mentre il perfetto indica le conseguenze durature (« era stata guarita ») . L'accenno alla consapevolezza della don­ na di essere guarita è peculiare di Marco. Matteo omette tutto il versetto.

v. 29.

v. 30.

Marco torna a sottolineare l'immediatezza dell'azio-

Guarigione emorroissa 5,25-34

311

ne (« subito », come al v. 29) . Gesù ha coscienza che una pot�nza è uscita da lui (cfr. 2, 8; lo. 6, 61 ; 1 1 , 38) . E pignous ( « avvertendo ») sembra designare una percezio­ ne immediatamente attinta all'osservazione (epi) del fat­ to. Vedi la nota a 2, 8. Dopo i verbi di percezione l'accusa­ tivo con il participio è usato nel senso della costruzione con accusativo + infinito; non dunque « avvertendo la po­ tenza che era uscita » ma « avvertendo che una potenza era uscita » (vedi 2, 16, con la differenza che nel nostro caso si tratta di una percezione esterna) . In Luca Gesù dice esplicitamente: « Ho sentito che una forza è uscita da me » (8, 46) . Vedi pure Atti 24, 10; Ebr. 13, 23. Duna­ mis : nel senso di una potenza concreta, o di un'opera di potenza è usato in 6, 2.5.14; 9, 39. In 9, l è detto della potenza con cui viene il regno di Dio; in 13, 25 dei corpi celesti ò degli spiriti che risiedono in essi; in 13, 26 della Parusia del Figlio dell'uomo; in 12, 24 e 14, 62 è usato come perifrasi per designare Dio (Grundmann, GLNT, 2, 1 5 1 0-1 556) . Dunamis era « uno dei termini più comuni e caratteristi­ ci del linguaggio della devozione pagana. Potenza era ciò che i fedeli rispettavano e adoravano; ogni dimostrazio­ ne di potenza doveva avere la sua causa in qualcosa di divino ». (Ramsay) . Tuttavia nel Nuovo Testamento il si­ gnificato di dunamis è determinato dall'uso biblico. Fon­ damentalmente dunamis è la potenza del Dio vivente per­ sonale, o un'opera di potenza » che la manifesta. Nel nostro passo « la potenza che era uscita da lui » (ten ex eautou dunamin) è la forza divina di guarigione che abi­ ta in Gesù (cfr. Le. 5, 17: « E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni >> ) e procede da lui ( « da lui usciva una forza che sanava tutti » Le. 6, 19) . Nella frase di Marco ex autou è aggettivale : « la potenza da lui », intendendo con questo il procedere di una potenza personale che risiede in lui ed è capace di guarire. La traduzione esatta è quindi : « era uscita la potenza che procede da lui ». Certo, la costruzione di Marco è impac­ ciata; ma questo è ciò che egli intendeva dire; e questa sfumatura va perduta nella traduzione più comune : « che uria potenza usciva da lui ». Se quest'ultimo fosse stato il senso inteso da Marco, gli sarebbe stato facile colloca­ re ex autou in altro posto (come fanno alcuni manoscrit­ ti) . In che modo Gesù potesse avvertire questa appropria-

328

Vangelo secondo Marco

zione della sua potenza da parte della donna non sap­ piamo; fa parte del segreto della sua sensibilità spiri­ tuale. La domanda: « Chi mi ha toccato il mantello? » tradisce non una conoscenza soprannaturale ma piuttosto il rove­ scio, perché -appunto rimane in attesa di una risposta. Il fatto che i poveri malati fossero soliti toccarlo (3, 10; 6, 56) può avergli suggerito il significato del contatto, spe­ cialmente se questo coincide con la consapevolezza espres­ sa dalla frase appena studiata ( « avendo avvertito che una potenza ... ») : ma queste illazioni appartengono alla speculazione. :E. anche possibile che Marco dia espressio­ ne a convinzioni della cristianità primitiva. Bisogna però aggiungere che la rudezza del commento dei discepoli al v. 31 rende improbabile che la domanda sia un'inven­ zione.

s La rimostranza alquanto spiccia dei discepoli (in Luca, di Pietro) non viene registrata da Matteo e viene addolcita da Luca: « Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia >> (8, 45) . La differenza mette in luce il carattere primitivo della redazione marciana. « La rifles­ sione dei discepoli non è molto rispettosa per Gesù; essa parte da un buon senso piuttosto ottuso, che non pene­ tra nell'intenzione del Maestro » (Lagrange, 1 4 1 ) . Per l'accenno allo sguardo di Gesù intorno a s é vedi la nota a 3 , 5. L'imperfetto indica uno sguardo lungo e pene­ trante (Lohmeyer, 103) . Il participio aggettivale femmini­ le (« per vedere colei che aveva fatto questo ») è scritto dal punto di vista dell'evangelista, e non comporta neces­ sariamente una conoscenza soprannaturale da parte di Gesù (cfr. Klostermann) . vv. 31

v. 33. « Impaurita e tremante » : cfr. « con molto timore e trepidazione » (1 Cor. 2, 3) ; « con timore e trepidazio­ ne » (2 Cor. 7, 1 5 ; Ef. 6, 5; Fil. 2, 12). La donna è presa dalla paura e comincia a tremare pensando a ciò che le era accaduto. Luca attribuisce la sua azione (il presentar­ si a Gesù) alla consapevolezza che sarebbe stata scoperta (« vedendo che non poteva rimanere nascosta » 8, 47) ; ma questo motivo non è rilevato da Marco. Per lui l'ini­ ziativa della donna è causata dalla guarigione stessa e forse anche (dato che egli parla dello sguardo di Gesù

Guarigione emorroissa 5,25-34

329

tutt'intorno) alla sua intuizione che Gesù desideri che lei si faccia conoscere. Altre ragioni che sono state avanzate · (per es. il fatto che la donna ha reso . Gesù ritualmente impuro, o l'inquietudine per aver agito di nascosto) non sono basate sul testo . Comunque sia, l'azione della don­ na nel farsi avanti e nel gettarsi ai suoi piedi testimonia coraggio e gratitudine. Marco non sottolinea il carattere pubblico di questa azione, come invece fa Luca ( « davan­ ti a tutto il popolo » v. 47) , ma afferma che la donna racconta tutto a Gesù. L'espressione « tutta la verità » è classica ( Platone) ed è giovann ea (lo. 16, 1 3) . Luca preci­ sa la frase dicendo che essa dichiara perché ha toccato Gesù e come ne sia stata immediatamente guarita (v. 47) . 34. Gesù attribuisce la guarigione della donna alla sua fede, come egli fa anche nel caso di Bartimeo (10, 52) . Questa spiegazione non può essere diluita nell 'ipotesi di un'autosuggestione , dato che per il Nuovo Testamento la fede deriva senza eccezioni il suo contenuto e la sua for­ za dall'oggetto a cui aderisce. La fede in Dio : cfr . 1 1 , 22) , per esempio, non è un'esperienza puramente soggetti­ va, ma un'esp erienza spirituale che inizia con una decisio­ ne ardua dello spirito ed è costituita e resa effettiva da Dio stesso. Un'eco di quest'idea risuona nella storia pre­ sente, tanto più intensa quanto più sempl.ice, nel fatto che Gesù è consapevole che le sue risorse spirituali sono state attivate dalla fede di una donna. La formula « va in pace >> corrisponde all 'ebraico [ach'ì [asalOm (l Sam. 1, 17; ecc .) e trova la sua derivazione più naturale nell'influsso dei LXX; cfr. Le. 7, 50; 8, 48; Atti 16, 36; Giac. 2, 16. 1:. una formula d'augurio; ma come tutte le frasi del genere è suscettibile di essere caricata di . quel significato che il locutore vi immette (cfr. Lagran­ ge) . Non è necessario considerare « sii guarita » come un ara­ maismo : si trova anche nei LXX e nei papiri. La guarigione che Gesù ha operata è permanente: lo dico­ no le sue ultime parole. Matteo, aggiunge: « da quel mo­ mento ». v.

·vangelo secondo Marco

330

34.

Risurrezione della figlia di Glairo (cont.) ( 5, 35-43 ) (Mt. 9, 23-26; Le. 8, 49-56)

Per la prima parte della storia vedi l'Introduzione pp. 68-69. Lohmeyer, 104, distingue nella narrazione quattro stadi : sulla riva del lago (2 1-24) ; lungo la strada (35-37) ; nel cortile della casa (38-40) ; nella camera della ragazza (4 1-43) . Cfr. l� sistemazione della storia dell'indemoniato geraseno (5, 1-20) . Anche Lohmeyer rileva la differenza di linguaggio e di stile tra 2 1 24 35-43 e 25-34. Non ci sono ellenismi, non ci sono discorsi indiretti, non ci sono perio­ di, quasi nessun participio, ma costruzione paratattica, semitismi (vv. 22, 42) e una frase aramaica (v. 4 1 ) . -

,

35. Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sina­ goga vennero a dirgli: « Tua figUa è morta. Perché disturbi ancora il Maestro? ». 36. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga : , « Non temere, continua solo ad aver fe­ de! ». 37. E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pie­ tro, a Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38. Giungono alla casa del capo . della sinagoga, ed egli vede trambusto e gente che piange e urla. 39. Entrato, dice loro : « Perche_ fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme ». 40. Ed essi lo lj.eridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bam­ bina. 4 1 . Presa la mano della bambina, le dice : « Talità, kum », che significa: « Fanciulla, io ti dico, alzati! ». 42. Subito la fanciulla si alzò, e camminava,· aveva infat­ ti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43. Gesù ingiunse loro rigorosamente che nessuno venis­ se a saperlo e ordinò di darle da mangiare. v. 35. Mentre Gesù sta ancora parlando alla donna, giun­ ge il messaggio di morte. Al v. 23 era « figlioletta »; qui è « figlia ». Il cambiamen­ to può essere dovuto all'influsso del « figlia » de �to all'e­ morroissa da Gesù nel versetto precedente; ma più pro-

Risurrezione figlia di Giairo (cont.) 5,35-43

331

babilmente va spiegato dal fatto che prima era il padre stesso a parlare, ora sono i messaggeri. Evidentemente apethanen è un perfetto aoristico: quindi col significato di « è morta » (non « morì ») . Skullo = « scorticare » nel greco classico; ma acquista poi il significato più debole di « disturbare », « turbare ». Al­ tri casi di attenuazione del significato originario col pas­ saggio al greco ellenistico : embrimaomai ( 1 , 43) , fi.moo ( 1 , 25) , chortazo (6, 42) . La domanda sbrigativa sottinten­ de l'assenza di un'aspettativa di intervento miracoloso da parte di Gesù. Per didaskalos vedi 4, 38. In questo versetto Luca segue Marco letteralmente, mentre Matteo non dice nulla del messaggio e della conversazione che segue. ·

36. Gesù ha udito il messaggio per caso, o l'ha voluta­ mente ignorato ? � questo il problema sollevato da pa­ rakousa� : questo verbo nel greco classico è detto del sentire per caso oppure senza badare (cioè « rifiutarsi di sentire ») . È quest'ultimo significato operante nei sette esempi dei LXX e in Mt. 18, 1 7 : « se si rifiuta di ascoltar­ li . . . ». E così l'interpretano nel nostro passo molti com­ mentatori (Swete, Plummer, Bartlet, NcNeile) . Molti altri però preferiscono « udire casualmente » (Klos termann, La­ grange, Rawlinson, Turner, Gould) soprattutto perché Ge·· sù sembra agire sulla base di quanto ha udito. Ma s: potrebbe dire con uguale verosimiglianza che egli si rivolto a Giairo proprio perché vuole ignorare il messag­ gio; « non dando ascolto » può significare che egli si rifiu· ta di prenderlo così come suona. Quest'ultima soluzione · sembra la migliore; soprattutto perché, se traduciamo pa­ rakousas con « avendo udito per caso », dobbiamo sottin· tendere che Gesù non ne ha tenuto conto. Me fobou = « non temere » : l'uso del presente (invece dell'aoristo) implica che il padre è già spaventato. Gesù allora gli dice di continuare a credere.

v.

37. In Marco, Gesù permette soltanto a Pietro, Giaco­ mo e Giovanni di accompagnarlo. Invece in Luca la folla viene presumibilmente licenziata solo quando Gesù rag­ giunge la casa; in questa possono entrare unicamente i tre discepoli. Questa variazione dipende dalla compressio·· ne del racconto; ed è ancora per questo motivo che a v.

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Vangelo secondo Marco

questo punto Luca nomina, con poca naturalezza, il pa­ dre e la madre della ragazza. Marco, che invece li ricor­ da più avanti, ci offre la forma più primitiva del raccon­ to. I tre discepoli sono presenti pure alla Trasfigurazione (9, 2), al Getsemani (14, 33) e, insieme con Andrea, al monte degli Ulivi (13, 3) . Marco li nomina sempre in que­ st'ordine: Pietro, Giacomo, Giovanni (così pure Le. 6, 14), mentre in Le. 8, 5 1 ; 9, 28; Atti l, 1 3 Giovanni è messo al secondo posto, in considerazione dell'importanza che egli aveva nella chiesa primitiva. I tre formano un cerchio interno al gruppo apostolico; ma è dubbio che la presen­ za di un solo articolo in Marco intenda espressamente rappresentarli come unità (cfr. 9, 2; 14; 33) . I vv . 35-37 mancano completamente in Matteo. 38. Notiamo ancora una volta l'efficacia dei presenti storici. La descrizione di Gesù che vede la casa in tumulto è peculiare al racconto di Marco e richiama il suo frequente uso del « girare lo sguardo attorno ». L'e­ spressione « trambusto e gente che piange ... » è strana; Matteo l'ha sostituita con « i flautisti e la gente in agita­ zione )) (9, 23) , e Luca con « tutti piangevano e facevano lamento su di lei » (8, 52) . Molti commentatori pensa­ no alla presenza di prefiche di professione (Swete, Plum­ mer, Bartlet) , ed è questa la prospettiva di Matteo (« i flautisti » : 9, 23) ; ma forse non c'è stato tempo per orga­ nizzarli (cfr. Lagrange, Rawlinson) , e si devono quindi in­ tendere membri della famiglia. Polla (« molto ))) è avverbiale. La scena è molto vivace : Gesù contempla quella confusione enorme, e la gente che piange. v.

v. 39. Dove entra Gesù ? Nel cortile davanti alla casa (Swe­ te) o nella casa stessa (Le. 8, 5 1 ) ? Il particolare è impor­

tante, in vista delle parole pronunciate da Gesù; ma pur­ troppo il racconto di Marco non permette una risposta decisiva. Nel detto di' Gesù, il significato di katheudei solleva una questione della più grande difficoltà. Il verbo si può riferi­ re al sonno della morte, ed è usato in questo senso nei LXX (Sal. 87, 6; Dan. 12, 2) e in l Tess. 5, 10. Ma que�to significato è escluso qui da ouk apethanen ( « non è mor­ ta )>) . � dunque possibile che katheudei sia detto del son-

Risurrezione figlia di Giairo (cont.) 5,3543

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no naturale. Turner osserva che, se leggiamo Marco senza pregiudiziali sulla base di Matteo e di Luca, il significato che si impone è quello di « coma » ; altri (Creed, McNei­ le, Plummer) ammettono questa possibilità. Tuttavia un'interpretazione del genere è suscettibile di obiezioni. Quando pronuncia queste parole, Gesù evidentemente non ha ancor visto la bambina (anche se non si può premere sul silenzio della narrazione su questo punto) . Inoltre, le sue parole non sono una diagnosi : Gesù non parla di solito come un medico. Se dunque egli intende una for­ ma di sonno, dobbiamo dedurne che egli ha attinto non sappiamo dove questa intuizione o convinzione. D 'altra parte, è possibile che, se katheudei non designa la morte nel senso che gli uomini danno a questo termine, la desi­ gni invece com'essa è vista dagli occhi di Dio, cioè come ùn sonno da cui ci si sveglierà rapidamente (cfr. Swete) . In questo senso il « sonno » è ricordato in un passo rab­ binico citato da Billerbeck (1, 523) . In riferimento a Gia­ cobbe (Gen. 47, 30) qui vien detto : « Tu dormirai ma non morirai ». Ora, dal contesto risulta chiaro che non si può trattare del « sonno » in senso naturale, ma di una « morte >> che non è morte. Giacobbe « sorgerà da mor­ te » il giorno del giudizio o « starà davanti » al trono del giudizio di Dio (cfr. Black) . Se questo è il significato, Gesù entra nella camera convinto che la ragazza morta sarà ricondotta alla vita. È più difficile pensare che egli intendesse risuscitarla, perché nulla ci permette di crede­ re che Gesù fosse solito risuscitare i morti o di capire perché la risurrezione di questa ragazza dovesse essere un'eccezione. In ogni caso, resterebbe ancora un proble­ ma aperto se la reintegrazione della vita sia stata un caso di risurrezione. Il detto presenta una grossa ambi­ guità. Se, come probabile, Marco stesso considerava l'epi­ sodio come un caso di risurrezione, egli lo ha riferito con grande oggettività, tanto che è possibile dare un'inter­ pretazione diversa dalla sua. Mt. 9, 1 8 e Le. 9, 53.55 fan­ no un'impressione molto diversa; ed è questa diversità, come pure l'ambiguità del detto marciano, che insinua trattarsi di un caso di morte apparente. Il diminutivo paidion (greco classico, LXX, papiri) desi­ gna un bambino dalla nascita in poi, e può essere usato come diminutivo di affetto (cfr. Cv. 2 1 , 5). Luca lo omet­ te; Matteo ha korasion (« fanciulla ») .

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Vangelo secondo Marco

40. La gente deride Gesù. Ma egli, cacciatili fuori, pren­ de con sé padre e madre della bambina ed entra nel luogo dove questa si trova. Il fatto che tutt'e tre i sinotti­ ci dicono « e lo deridevano » è un segno evidente di dipen­ denza letteraria, dato che l'espressione è così libera e che il verbo non è usato altrove nel Nuovo Testamento (in katagelao, la preposizione ha forza perfettiva) . « Li cacciò fuori »: ekballo (cfr. 1 , 1 2) ; qui comporta un certo grado di violenza. � naturale che padre e madre della bambina vengano nominati a questo punto, e non come Luca (cfr. nota al v. 37) . I tre discepoli vengono descritti come « quelli che erano con lui » (cfr. 1 , 36) . Nelle risurrezioni di morti narrate dall'Antico Testamen­ to, Elia ed Eliseo sono soli, e in tutti i casi pregano (l Re 17, 1 9 s; 2 Re 4, 33) . Scrivendo che Gesù « entrò dov'e­ ra la bambina » probabilmente Marco vuoi indicare che Gesù entra nella stanza per la prima volta. Matteo non ricorda coloro che hanno accomp agnato Gesù ; mentre Lu­ ca, come abbiamo visto, ne parla prima. All'indicazione « lo deridevano », Luca aggiunge: « sapendo che era mor­ ta » (8, 53) , accentuando così il fatto che la bambina era morta davvero .. . v.

v. 41. Come in 1 , 3 1 , Gesù prende la mano della b ambina. Taleitha, koum è una traslitterazione dall'aramaico. Altri esempi di termini aramaici in Marco si trovano in 3, 1 7 ; 7 ; 1 1 . 34 ; 1 1 , 9 s ; 14, 3 6 ; 15, 22.34. In Luca scompaiono tutti, mentre Matteo ne conserva uno solo (15, 22: « Gol­ gotha >> ) . In tutti i casi, salvo il 1 1 , 9 s, Marco traduce l'originale per i suoi lettori pagani. Qui taleitha è tradot­ to con korasion (diminutivo del classico kore = « ragaz­ za ») : vedi anche 6, 22.28; Mt. 9, 24 s; 14, 1 1 , L'imperati­ vo aramaico è usato senza riferimento al sesso (sebbene sia grammaticalmente maschile) , ed equivale a « in pie­ di ! » (Lagrange : debou t!) . Non sorprende che diversi ma­ noscritti l'abbiano corretto al femminile (koumi). L'uso di termini stranieri fa parte della tecnica delle anti­ che storie di miracolo (cfr. Bultmann, Dibelius) ; ma è improbabile che Mc. 5, 4 1 o 7, 34 siano esempi di questo fenomeno, poiché nella maggior parte dei casi in cui Mar­ co cita termini aramaici non si tratta di guarigioni (3 , 17; 7 , 1 1 ; 14, 36; 15, 22.34) . Nel nostro episodio (come pure in 7, 34) per spiegare l'uso dell'aramaico basta indicare la

Risurrezione figlia di Giairo (cont.) 5,35-43

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conoscenza d,i ciò che è stato effettivamente detto : il che testimonia il carattere primitivo della narrazione di Marco. v. 42. In risposta al comando di Gesù, la ragazza balza

in piedi e comincia a camminare, con grande stupore di tùtti gli astanti. L'accento cade sull'immediatezza del fat­ to (euthus) . I tempi sono accuratamente distinti, e va data loro tutta la forza e la precisione che gli è propria : la fanciulla « si alzò » (aoristo) e « camminava » (imper­ fetto) . L'età viene qui dichiarata per spiegare come mai sapesse camminare. Aneste è ambiguo: ma in Marco ha quasi certamente il significato semplice : « si alzò ». In Luca invece acquista chiaramente il carattere di risurrezione: « Il suo spirito ritornò in lei, ed ella si alzò = risuscitò all'istante » (8, 55) . Cfr. Mt. 9, 25 : « la fanciulla si svegliò = risuscitò ». Il ter­ mine così obiettivo di Marco lascia il problema aperto. Lo stupore degli spettatori (Luca: « i genitori ») è espres­ so intensamente dalla frase « furono presi da grande stu­ pore » (lett: « e stupirono di grande stupore ») . L'uso del verbo finito con il sostantivo (qui al dativo) della stessa radice è caratteristico dei LXX, e sostituisce la co­ struzione ebraica dell'infinito assoluto + verbo finito (cfr. Gen. 2, 16 s) . Altre volte il sostantivo è all'accusati­ vo (Mc. 4, 4 1 ) . È un buon indizio in favore dell'origine palestinese della fonte che Marco ha usato. La forza notevole dell'espressione adottata per dire la me­ raviglia dei presenti fa pensare a qualcosa di assolutamen­ te inatteso, che i testimoni oculari considerano come un ritorno dalla morte. Matteo non ha parallelo; Luca parla dello stupore dei genitori (8, 56) . v.

43. La storia termina con l'ingiunzione a mantenere il

silenzio e col comando di dar da mangiare alla ragazza. Diastellomai = « ingiungere », « comandare », è uno dei verbi caratteristici di Marco (7, 36 (bis) ; 8, 1 5 ; 9, 9). Polla (avverbiale) ha qui il senso di « rigorosamente )), Hina ... gnoi: esprime non il fine ma il contenuto del comando. Il quale va considerato insieme con le altre ingiunzioni di mantenere il silenzio ( 1 , 25.44 ; 3, 12; ecc.l Spesso è stato notato che questo esempio mostra l'artifi· ciosità della schematizzazione di Marco, dato che qui il

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Vangelo secondo Marco

fatto non poteva restare nascosto (cfr. Bousset. Bultmann, Klostermann, Easton, Branscomb) . Ma allora ci dovrem­ mo meravigliare che anche Marco non se ne sia accorto. Sembra più probabile che egli raccolga una tradizione. Nell'introduzione (pp. 97-99) cerchiamo di dimostrare che il « segreto messianico » rappresenta un'intenzione di Gesù. Nell'episodio presente possiamo pensare che egli abbia cèrcato per un certo periodo almeno di evita­ re l'imbarazzo della pubblicità (cfr. Swete, Lagrange, Plum­ mer, Rawlinson, Bartlet) . Se Gesù avesse interpretato il fatto diversamente dagli spettatori, ci sarebbe stata una ragione in più per non divulgare la notizia. Luca ripete la sostanza del racconto di Marco (8, 56) , mentre Matteo non dice nulla della consegna del silen­ zio, e scrive : > non ha paralleli nei vangeli e nelle lettere e solleva difficili problemi storici. 1:. contrario al costume ebraico designare un uomo come figlio della madre, anche quando il padre è morto da tem­ po, salvo in termini di insulto (cfr. Giud. 1 1 , l s) . :È im­ probabile che Marco, e ancor più gli abitanti di Nazaret, fossero a conoscenza della tradizione della nascita vergi­ nale. Queste considerazioni suscitano l'interrogativo se l'e­ spressione appartenga al testo originale. In Matteo il te­ sto è del tutto diverso: « Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? » ( 1 3 , 55) . Nella sua narrazione parallela Luca ha: « Non è il figlio di Giuseppe ? » (4 , 22 ; cfr. lo. 6, 42) . « Il carpentiere, il figlio di Maria >> è attestato da tutti gli unciali, da molti minuscoli; ma diversi manoscritti importanti sostengono un testo analogo a quello di Matteo. La variante « il figlio del c·arpentiere » si fonda su molti manoscritti (minuscol i) , su alcune versioni, sul papiro "P45 e sulla testimonianza di Origene, Contra Celsum (6, 36) , dove replicando a Celso egli nega che Gesù venga chia­ mato carpentiere in qualche passo dei vangeli che circola­ no nella chiesa. Inoltre la maggior parte dei manoscritti ricordati aggiunge « e di Maria ». La testimonianza del papiro "P45 mostra che « il figlio del carpentiere » era letto in Marco già nella prima metà del Jo secolo, e forse prima ancora. È la stessa direzione della testimonianza di Origene. Il testo di Matteo è comunemente attribuito a motivi di rispetto : egli non amerebbe presentare Gesù come carpen­ tiere (Allen, Rawlinson) ; ma contro quest'ipotesi si osser­ va giustamente (McNeile) che egli « non rifugge dal ripor­ tare titoli molto più pesanti » (cfr. 1 1 , 19; 12, 24) . « Fi­ glio di Maria >> sarebbe stata una formula congeniale alle sue convinzioni (cfr. Mt. l, 2) , e non è verosimile pensa­ re che egli avrebbe invece adottato la formula « figlio del carpentiere » se non l'avesse già trovata in Marco. Nell'insieme, sembra meglio concludere che Marco ha ·

_

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Vangelo secondo Marco

scritto « il figlio del carpentiere » e che un amanuense primitivo ha sostituito questa lezione con « il carpenti�­ re » ed ha aggiunto « il figlio di Maria » Tekton è pure detto di un artigiano in pietra o in metal­ lo (LXX : l Sam. 13, 19), ma si applica particolarmente al carpentiere. Così, probabilmente, nel nostro caso. Giusti­ no Martire (Dia!. 88) parla di Gesù come costruttore di aratri e gioghi; Ilario (su Mt. 14) lo descrive come fabbro. Per i fratelli di Gesù, vedi la nota a 3, 3 1-35 . Delle sorelle si dice : « non stanno qui da noi? »; il che ha indotto a formulare l'ipotesi - non necessaria - che Maria e i fratelli in quel periodo non risiedessero a Nazaret. Skandalizo : qui il· significato è « prendere scandalo »; per altre accezioni cfr. la nota a 4, 17. Il verbo regge qui en, in conformità all'uso ebraico (Sir. 9, 5; 23, 8) . 4. Questo proverbio comune si trova non solo qui e in Mt. 13, 57, ma anche nella storia parallela di Le . 4, 24 e in lo. 4, 44. La formulazione di Luca è: « Nessun profe­ ta è bene accetto in patria ». Numerose formulazioni ana­ loghe sono state raccolte (cfr. Bultmann, 30 nota; Biller­ beck, I, 678) . Marco è il solo ad aggiungere l'accenno ai parenti (cfr. anche 3, 20 s.3 1-35) . Implicitamente Gesù acce tta il titolo di « profc�ta » (cfr. Le. 13, 33) . Che egli fosse considerato dalla gente come tale appare chiaro da. Mc. 6, 15; 8, 28; Mt. 2 1 , 1 1 ; Le. 7, 1 6.39; vedi pure Le. ·24, 1 9 ; lo. 4, 19; 6, 14; 7, 40.52; 9, 17; Atti 3, 22; 7, 37; e per il titolo « il profeta » : lo. 6, 14; 7, 40. Nella comunità primitiva questo titolo è rapi­ damente caduto a causa della sua inadeguatezza. v.

5,6a. Questo passo è una delle affermazioni più libere dei vangeli, perché ricorda qualcosa che Gesù non riuscì a fare (cfr. 13, 32) . Luca non lo ha conservato, e Matteo lo ha rimaneggiato : « non tece molti miracoli a causa della loro incredulità » (13, 58) . Secondo Wellhausen, il v. Sb contraddice Sa; ma si tratta di un'esagerazione. Tutto ciò che possiamo dire è che Sb modifica il Figore di Sa, ricordando un'eccezione (cfr. 8, 14) . Sull'imposizione del­ le mani vedi la nota a 5, 23. La meraviglia di Gesù di fronte .all'incredulità della gen-

vv.

Missione àffidata ai Dodici 6,6b-13

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te è un tocco umano realistico. :È come se egli ritenesse la fede un atteggiamento naturale, sebbene nell'episodio del servo del centurione egli rimanga sorpreso e profon­ damente commosso dalla forza della fede del centurio­ ne : « in verità vi dico, presso nessuno in Israele ho tro­ vato una fede così grande » (Mt. 8, 10) . Matteo omette l'accenno alla sorpresa fatto da Mc. 6a. 37.

La missione affidata al Dodici (6, 6b-13 ) (Mt. 9, 35; 10, 1 .9-1 1 .14; Le. 9 , 1-6)

Questa narrazione sembra essere stata compilata dall'e­ vangelista stesso ; è poco più che una cornice per la mis­ sione affidata ai Dodici. I detti sono il nocciolo storico; ma derivano o da una tradizione orale o più probabilmen­ te da una raccolta primitiva paragonabile a Q e a M. La narrazione stessa è redazionale. Quest'ipotesi è suggerita dal vocabolario e dallo stile ai vv. 7 e 1 2 s (cfr. commen­ to) , in cui nulla - salvo forse gli accenni all'unzione e agli esorcismi - lascia trapelare qualcosa al di là di Marco. Ma forse la · testimonianza più forte è il fatto che Marco non apprezza adeguatamente la immensa importan­ za dell'evento stesso nella storia di Gesù. Egli riferisce detti che, anche nella loro succinta collocazione marcia­ p.a, sono come soffocati da un senso di urgenza, ma non ci dice poi nulla del risultato. Scrive che i Dodici usciro­ no a predicare, ma non dice nulla del loro messaggio, eccetto la frase « che la gente si convertisse », e ha soltanto idee vaghe sulle loro esperienze e sul risultato della missione. Come Marco lo racconta, il fatto è puramente una dilat�­ zione del ministero di insegnamento di Gesù. L'importanza della missione è fuori discussione. L'opinio­ ne di Wellhausen, 44, a riguardo del suo carattere stori­ co, è del tutto fuori bersaglio. Il brano, egli dice, « non contiene alcuna tradizione storica ». « I Dodici hanno semplicemente fatto un esperimento, dopo di che resta­ no con la stessa mancanza di indipendenza e con la stes­ sa passività di prim�, sebbene l'esperimento abbia avuto successo. In verità Gesù non ha istituito per i suoi disce­ poli alcun viaggio missionario sperimentale. Tuttavia l'i­ struzione qui impartita è importante come testimonianza

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Vangelo secondo Marco

della natura della più antica missione cristiana in Palesti­ na ». Cfr. Bultmann, 1 5 5 s, per il quale la storia -è un prodotto della comunità, dove a parlare è il Signore risor­ to e glorificato. Agli antipodi sta il giudizio di molti altri studiosi del Nuovo Testamento. La posizione di Creed è incerta: « Può essere accaduto così. D'altra parte, non pare vi siano ragioni conclusive per pensare che Gesù in certi periodi non abbia associato i Dodici alla sua attività di predicazione dell'avvento del Regno » (St. Lk, 125; cfr. Rawlinson, 76) . Più perspicace è la chiara posizione di Manson, SJ, 73, che scrive: « La missione dei discepoli è uno dei fatti ben assodati della vita di Gesù »; e accanto a questa si può collocare la posizione di Branscomb, 101, per il quale « l'avvenimento descritto in questi pochi ver­ setti è uno dei più significativi fra quanti la tradizione ·cristiana ha conservato della vita attiva di Gesù lt , È la testimonianza congiunta- di Marco, Q, M e L che fissa il valore storico dell'avvenimento. Secondo l'analisi di Manson, la versione Q va cercata in Le. 10 2 s.8-12.13-16 (con paralleli in Matteo) , la relazione M in Mt. 10, 5-8 .9-16.23�25; 10, 40 - 1 1 , t ; e il brano L in Le. 10, 1 .4-7.17-20. In queste fonti la nota di urgenza presente in Marco (6, 8-1 1 ) è ancor più evidente. Come Giezi nella sua missio­ ne di vita e di morte (2 Re 4, 29) , i messaggeri non devono salutare nessuno per strada (Le. lO, 4) ; devono considerare cibo e bevanda come fattori secondari, procla­ mare il Regno e sapere che chi li ascolta ascolta anche Gesù, e chi li rifiuta rifiuta Gesù e Colui che l'ha inviato (Le. 10, 1 6) . t! il tempo della- messe, ed essi devono prega­ re il signore della messe che mandi lavoratori per miete­ re (Le. 10, 2) . Forse la critica non ha ancor detto l'ulti­ ma parola su Mt. 10, 23: « non avrete finito di percorre­ re le città di Israele, prima che venga il Figlio dell'uo­ mo >> ; e forse. - in un senso diverso da quello inteso da Schweitzer - i messaggeri 'dovevano proclamare l'avven­ to del Figlio dell'uomo. La narrazione sottintende un periodo più tardivo nel mi­ nistero in Galilea; ma il suo contesto è poco rigoroso: appartiene a un momento imprecisato del ministero, e non ha una connessione diretta con l'episodio della pau­ ra di Erode che segue immediatamente.

Missione affidata ai Dodici 6,6b-13

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6b. Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

7. Allora chiamò i Dodici. ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. 8. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella cintura,· 9. ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuni­ che. 10. E diceva loro: « Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. 1 1 . Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascol­ teranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi a testimonianza per loro ». 12. E partiti, predicavano che la gente si convertisse, 13. scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti in­ fermi e li guarivano.

v. 6b. « Gesù andava attorno per i villaggi insegnando ». La maggior parte dei curatori di testi critici e dei com­ mentatori annette questo passo al brano presente, colle­ gando così la missione con un periodo nel quale Gesù pas­ sava di villaggio in villaggio in Galilea. Invece Wellhausen e Schmidt connettono questo passo all'episodio del rifiuto a Nazaret. In tal caso esso descrive il risultato del rifiuto. Impossibilitato a insegnare nelle sinagoghe, Gesù si rivol­ ge ai villaggi nella regione circostante. Ambedue questi collegamenti sono possibili; ma il primo è migliore, poi­ ché la storia del rifiuto termina con 6a, e in 6b non c'è che un fugace accenno al viaggio. Il breve passo è un sommario redazionale analogo a 1 , 39 e 2, 13, ma poggia sulla tradizi o ne. Periag6 è qui intransitivo: « andare attorno » (è questa l'accezione che ha normalmente nel Nuovo Testamento)'. K6me = « villaggio », cioè una città non cinta da mura; si differenzia da agroi = « case sparse » (5 , 14; 6, 36.56) . Luca non riporta nulla; Matteo aggiunge « per tutte le città » e ripete sostanzialmente Mt. 4, 23b. v. 7. Vocabolario e stile suggeriscono che questo versetto è composto dall'evangelista come cornice della missione che segue. Ne abbiamo già incontrati tutti i termini; l'uni­ co elemento nuovo è « a due a due >> . Cfr. 6, 39 s : « a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta »; 14, 1 9 : « u-

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no dopo l'altro »; Le. 10, 1 : « a due a due » ; Mt. 1 3 , 30: « a manipoli ». La pratica di viaggiare a coppie è giudai­ ca; venne adottata dai discepoli del Battista (cfr. Le. 7, 1 8 ; lo. l, 37) , e nella chiesa primitiva da Barnaba e Pao­ lo, Paolo e Sila, ecc. Il tempo di edidou (« mandava »: imperfetto) può signifi­ care che il potere veniva dato a coppie successive; ma questa illazione non è sicura. In ogni caso, la proposizio­ ne sugli esorcismi è difficile, perché, in 9, 18 i discepoli non sono capaci di scacciare uno spirito, e in Le. 10, 17 i 72 parlano della cacciata dei demoni in nome di Gesù come di un fatto inaspettato. Più ancora, mentre M ha « cacciate i demoni » (Mt. 1 0, 8) , l'invio in missione in Q e in L non parla di esorcismi. È quindi possibile che qui e al v. 13 Marco anticipi senza saperlo idee e pratiche poste­ riori. Per « i Dodici >> vedi la Nota B ; e per l'opinione di Ed. Meyer, secondo cui 6, 7-1 3 (e 30) deriverebbe da una « fonte deì Dodici », vedi pp. 4 1 s. Matteo e �uca seguono Marco con qualche cambiamento di scarso rilievo. 8 s. L'invio in missione consiste, in Marco, in due stral­ ci da una raccolta di detti, introdotti da « ordinò loro » al v. 8 e da « diceva loro » al v. 10. Peculiare alla versione di Marco è l'eccezione del basto­ ne (« non prendete nulla, salvo il bastone ») . In Mt. 10, 10 e in Le. 9, 3, probabilmente sotto l'influsso di Q, il bastone è proibito. Nella prima edizione del suo commen­ to Wellhausen notava che il gr�co ei me (« se non », « eccetto ») è un errore di traduzione dall'ebraico (do­ vrebbe essere « né ») . Lagrange ritiene « poco verosimi­ le » quest'indicazione, e penso �bbia ragione, perché il permesso di portare il bastone va considerato insieme con l'ordine di portare i sandali al v. 9 (cfr. Mt. 10, 10; Le. 10, 4 : « né sandali ») : ambedue queste eccezioni so­ no influenzate dal fatto che viaggiatori a piedi nudi e senza un bastone erano un fatto strano per lettori occi­ dentali. Le proibizioni più rigide di Matteo e Luca sono indubbiamente più originali. Lo stesso va detto del co­ mando di non prendere né pane (omesso da Matteo) né danaro. Per quest'ultimo Matteo dice « non procuratevi oro né argento né monete di rame nelle vostre cinture » (cfr. anche Le. 9', 3; 10, 4; 22, 35) . Era un'antica usanza

vv.

Missione affidata ai Dodici 6,6b-13

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di portare una piccola somma nella cintura. L'espressio­ ne marciana sembra più primitiva che quella di Luca (« né borsa ») . Anche la bisaccia (péra) è proibita. Lagran­ ge nota che era superfluo proibire una bisaccia di provvi­ gioni dopo aver proibito il pane. Si tratta quindi di una borsa da mendicante. Tutti questi comandi negativi presuppongono che la mis­ sione fosse di estrema urgenza: « La conclusione natura­ le è che i missionari devono essere come un esercito di invasione e vivere sul territorio » (Manson, SJ, 1 8 1 ) . Citan­ do il Talmud (Berakoth, 9, 5) , dove viene stabilito che « non si può entrare nel Tempio con il bastone, con i sandali e con la bisaccia », Manson formula l'ipotesi che la missione venga considerata come una speciale impre­ sa sacra. Il viaggio non era semplicemente un giro di predicazione, e le guarigioni costituivano un interesse se­ condario. Le coppie di discepoli vengono inviate come araldi incaricati di consegnare un proclama. Marco non dà indicazioni sul contenuto di questo proclama, salvo il v. 12 (« predicavano che la gente si convertisse ») , ma non si vede cos 'altro potesse essere al di fuori dell'irruzio­ ne imminente del Regno. Cfr. Mt. 10, 7 ; Le. 9, 2 ; 10, 9. Al v. 9 c'è un doppio cambiamento di costruzione : pri­ ma con « calzati i sandali >> e poi con il passaggio al discorso diretto in « non indossate due tuniche ». La tuni­ ca (chiton) è l'indumento interno che si indossa sulla pelle; due tun i che sarebbero un lusso non conveniente per un viaggiatore. La stessa proibizione si trova anche in Matteo e in Luca.

vv. 10 s. La scelta del secondo stralcio dal racconto della missione è probabilmente dovuta all'importanza che l ìo­ spitalità assunse in rapporto alla primitiva predicazione missionaria. I comandi di Gesù ai Dodici vennero presi come norma sempre valida (cfr. Didaché, 1 1 , 4 s) . Matteo dice: « In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indi­ care se vi sia qualche degna persona » (10, 1 1 ) . I l detto descrive poi il comportamento che si deve assu­ mere quando un posto rifiuta ai predicatori l'ascolto e l'accoglienza. I Dodici devono scuotere la polvere dai lo­ ro piedi. L'azione è simbolica: significa che quel posto dev'essere considerato come pagano. « Il significato del rituale di strofinare i piedi prima di lasciare la città è

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Vangelo secondo Marco

che questa città viene considerata come pagana, e i suoi abitanti non fanno parte der vero Israele, anche se si tratta di una città d'Israele e di gente ebrea di nascita » (Manson, SJ, 76) . L'azione è in armonia con la convinzio­ ne che il giro missionario partecipa della natura di una missione sacra. Cfr. Atti 13, 5 1 (Paolo e Barnaba ad Antio­ chia) ; 1 8 , 6 (Paolo a Corinto) . Lo scuotere la polvere non è una maledizione rappresentata, ma· una testimonianza intesa a provocare riflessione e a condurre gli uomini alla conversione (cfr. Swete, Gould, Plummer) . Non è com­ piuta contro di loro (come in Le. 9, 5 : ep'autous) , ma per o verso di loro. Marco dice « testimonianza per lo­ ro » (eis marturion autois) : vedi l, 44. Le variazioni di Matteo e Luca nei confronti di Mc. 6, 1 1 mostrano che questi due evangelisti nel servirsi di Mar­ co sono stati influenzati da Q. Inoltre, in Mt. 10, 12 s vi sono detti addizionali di cui esiste un parallelo in Le. 10, 6 s. Mt. 1 0, 12 s comanda di rivolgere il saluto alla casa all'entrarvi e garantisce che, se essa ne è degna (Le. 10, 6 : « se vi sarà un figlio della pace ») la Jor(_) pace resterà su di essa; diversamente, ritornerà a loro. Le. 1 0, 7 aggiun­ ge che essi devono restare nella medesima casa, mangian­ do e bevendo ciò che verrà loro dato, perché l'operaio è degno della sua mercede. L'insieme deJle testimonianze mostra che l'invio missionario era ampiamente attestato, e che Marco non ne ha dato che degli stralci. La ragione va cercata nella documentazione frammentaria e nell'inte­ resse speciale che ha spinto Marco a scrivere. 12 s. Come al v. 7, stile vocabolario e idee mostrano che questi versi sono stati composti dall'evangelista per offrire un'intelaiatura narrativa alla spedizione missiona­ ria. Quasi tutte le parole sono già state usate da lui altrove : uscire, predicare, convertirsi, demoni, cacciare, infermi, guarire. Unici termini nuovi sono « ungere » e « o­ lio ». L'uso medico dell'olio era familiare al mondo antico : cfr. ls. 1 , 6 ; Le. 10, 34; per testimonianze rabbiniche vedi Billerbeck, Il, 1 1 s. Marco però non considera l'olio co­ me un semplice emolliente; per lui si tratta di un'appen­ dice alla guarigione miracolosa. L'unzione con . olio è ricor­ data nei vangeli soltanto qui e in Le. 10, 34, e solo in Giac. 5, 1 5 p er il resto del Nuovo Testamento: il che suggeri­ sce che questi accenni riflettono forse una p ratica del

vv

Missione affidata ai Dodici 6,6b-U

.tempo; ma è pure possibile che Marco segua una tradizio­ ne antica riguardante un uso simbolico dell'olio da parte dei discepoli prima che sorgesse la pratica di guarire nel nome di Gesù. Cfr. Schmidt, Lagrange. Per la connessio­ ne con il successivo rito ecclesiastico della estrema unzione vidi Swete, 1 19; Lagrange, 1 55 . Dal cambio di tempo in eleifon ( « ungevano ») Swete arguisce il caratte­ re occasionale delle guarigioni durante la missione. « La predicazione è considerata come un tutto, mentre i mira­ coli sono ricordati come fatti che accadono di quando in quando durante il corso della predicazione », Sul proble­ ma degli esorcismi vedi le note a l , 23-28 e a 5, 1-20. « Che la gente si convertisse )) è il solo accenno alla pre· dicazione. Il collegamento di questo verbo con la predica­ zione del Regno in l , 1 5 in dica che i discepoli proclamava­ no l'avvento prossimo del nuovo eone. Cfr. Luca 9, 2 : « annunciare il regno di Dio )) ; Mt. 10, 7 : « strada facen­ do, predicate che il regno dei cieli è vicino »; Le. 1 0 , 9 : « S i è avvicinato a voi il regno d i Dio » . Cfr. Mt. 1 0 , 23 : « fino a che venga il Figlio dell'uomo ».

capitolo quarto

il ministero fuori della Galilea

6,14-8,26

Una nuova sezione inizia in 6, 14. Invece di un sommario come 1 , 14 s, e 3, 7-12, Marco narra gli episodi della pau­ ra di Erode (6, 14-16) e della morte di Giovanni Battista (6, 1 7-29) , per formare una specie di interludio che fac­ cia da introduzione a una sezione in cui Gesù è quasi continuamente fuori della Galilea (salvo 6, 53-56 e 8 , 1 1-13) . Se si eccettua il brano tematico 7, 1-23, non troviamo più l'insegnamento pubblico. Per quasi tutto il tempo Ge­ sù è in ritiro, soprattutto durante il soggiorno nella regio­ ne di Tiro (71 24-30) � nella Decapoli (7, 3 1 -37) ; e la sua attenzione è rivolta soprat tutto ai discepoli e a coloro che rispondono al suo insegnamento (6, 30-44) . Le guari­ gioni hanno qui un'importanza secondaria, e vengono com­ piute in privato e quasi contro l'intenzione di Gesù (cfr. 7, 24-30.3 1-37; 8, 22-26) . Il termine della sezione sembra tracciato da 8, 26, perché in 8, 27 si raggiunge un nuovo stadio a Cesarea di Filippo. La sezione è divisa in queste parti : (a) gli episodi collega­ ti con Erode Antipa (6, 1 4-29) ; (b) la moltiplicazione dei pani per i cinquemila, e il seguito (6, 30 - 7, 37) ; (c) l a moltiplicazione dei pani per i quattromila, e il seguito (8, 1-26) . (a)

INTERLUDIO

6, 14 - 29

Questa breve parentesi si svolge nell'intervallo tra la mis­ sione dei Dodici (6, 6b-13) e il ritorno dei discepoli (6,

te paure di Erode 6, 14-16

30-34) , che introduce alla .storia della moltiplicazione dei pani per i cinquemila (6, 35-44) e al suo seguito (6, 45 - 7, 37) . Non sappiamo dove Gesù sia stato nell'intervallo e che cosa abbia fatto. Evidentemente Marco non aveva in­ formazioni, e non ha tentato di ricostruire il corso del ministero di Gesù in questo periodo. Egli si limita a ri­ portare una storia che rivela le idee popolari su Gesù e la mentalità di Erode Antipa. La convinzione del tetrar­ ca che il ministero di Gesù fosse un rinnovamento dell'at­ tività del Battista spinge Marco a raccontare una storia popolare sulla morte di Giovanni, un fatto evidentemen­ te accaduto qualche tempo prima. Questa parte include: (38) 6, 14-16. Le paure di Erode (39) 6, 17-29. La morte di Giovanni Battista

38.

Le paure di Erode ( 6, 14-16 ) (Mt. 14, l s; Le. 9, 7-9)

Analogamente a 6, 6b-13, questa narrazione è composta dall'evangelista sulla base di una tradizione popolare. Per alcuni (per es. Goguel) la narrazione è una forma attenuata di una storia originale in cui l'atteggiamento di Erode appariva più minaccioso. Infatti era questo sen­ za dubbio l'atteggiamento di Erode, come mostra Le. 13, �1. La stessa spiegazione vale pure per il resoconto mar­ ciano dello svolgimento successivo dei fatti, dove Gesù evita prevalentemente la· Galilea (ma cfr. 6, 53; 8, 10) , muovendosi nella regione di Tiro (7, 24) , nella Decapoli (7, 3 1 ) , nelle terre di Erode Filippo (8, 27) , affrettandosi quando passa attraver�o la Galilea (9, 30) , e camminando verso Gerusalemme su una strada a est del Giordano (10, 1 ) . Cfr. Burkitt, 89 - 101 . Ma affermare che 6, 1 4-1 6 non si trova nella sua forma originale è pura congettura. Marco stesso non presenta i movimenti di Gesù come una fuga da Erode, e Le. 13, 31 mostra che il suo atteggia­ mento di fronte alle minacce di Erode era di grande coraggio. Altri motivi sono presenti in Marco : il deside­ rio di Gesù di sostare un poco con i discepoli (6, 30-34) e forse anche la necessità di affrontare nella solitudine i problemi suscitati dalla probabilità di subire la persecu-

350

Vangelo secondo Marcò

zione e là morte. È più valida l'ipotesi che 6, 14-1 6 _ non dia abbastanza peso all'ostilità di Erode, piuttosto che sia una ricostruzione arbitraria della narrazione. 14. Il re Erode - il nome di Gesù infatti era diventato famoso - sentì che ·la gente diceva : « Giovanni il battezzatore è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opff-ra in lui )>. 15. Altri invece dicevano ; « È Elia »; altri ancora diceva" no : « È un profeta, come uno dei profeti ». 16. Ma Erode, al sentirne parlare, diceva : (6, 16 s) : era figlio di Erode il Grande, e ricevette alla morte del padre la tetrarchia di Galilea e Perea. La sua ambizione di essere re sfociò nell'esilio comminatogli il 39 d. C sotto Caligola. Sia Matteo che Luca lo chiamano correttamente « il tetrarca » (Mat. 14, 9 ha « il re » ) . Marco in quest'episodio e nel seguente parla invece di « re » (vv. 22.25 s.27) ; alcuni lo considera­ no un errore, ma può forse trattarsi di una denominazio­ ne locale (cfr. Swete, Lagrange, Rawlinson, Gould, Goguel, ecc.) . Quali erano le voci giunte a Erode ? Il fatto che i vv. 14-16 riguardano solo Gesù dimostra che la missione dei Dodici non c'entra; si tratta del ministero e delle opere potenti di Gesù attraverso la Galilea. Mt. 14, 1 aggiunge: « della fama di Gesù », e Le. 9, 7: « di tutti questi avve­ nimenti ». Matteo data anche il fatto: « in quel tempo ». In ogni caso, tra il v. 13 e il v. 14 c'è soluzione di continui­ tà, ed è impossibile dire quando il fatto sia accaduto. « Infatti il suo nome era diventato famoso » è una paren­ tesi. Il « nome » è la persona di Gesù manifestatasi in parole e azioni. Secondo Goguel, si tratta di un tentativo inelegante di dissimulare l'assenza di un complemento che è indispensabile. « La narrazione originale deve aver riportato ciò che Erode aveva udito, e che lo aveva deter­ minato a prendere misure contro Gesù » (p. 355) . Contro questa opinione sta il fatto che sovente in Marco vengo­ no aggiunti dall'evangelista commenti esplicativi introdot­ ti da gar (« infatti ») : cfr. l , 22; 2, 1 5 ; 3, 10.22; 5, 8.28; ecc.; sono un tratto caratteristico del suo stile. Inoltre, l'accenno al « nome » di Gesù appare in 9, 37 s.39.4 1 ; 13,

Le paure di Erode 6, 14-16

351

6 . 1 3 ; 16, 17. Insieme però Goguel ha ragione nel sostene­ re che l'opposizione di Erode era molto più intensa di quanto Marco ci faccia supporre, sebbene sia lui a ricor­ dare gli erodiani (3, 6; 12, 13) e « il lievito di Erode » (8, 15). La lezione elegon (« si diceva », « la gente diceva ») è probabilmente corretta, contro il singolare elegen letto dalla maggior parte dei MSS. Cfr. Wellhausen, Kloster­ mann, Lagrange, Swete, Rawlinson, Turnér, Field, Lohme­ yer. Il plurale è in accordo con « altri ... altri » al v. 1 5 ; mentre l'opinione d i Erode è riferita a l v. 16. Il singola­ re è verosimilmente un adattamento dell'am�uense a ekousen ( « sentì parlare » ) . Il kai prima di elegon può essere usato nel senso di hoti : « E il re Erode sentì ... che la gente diceva ». Su Giovanni Battista vedi l , 4 e la nota speciale a pp. 1 3 8 s. Egeirein è usato qui (come in 6, 16; 12, 26; 14, 28; 16, 6.14) per « risorgere da morte >>. In 8, 3 1 ; 9, 9 s 3 1 ; 10, 34; 12, 23.25 ; 1 6, 9 troviamo invece anastenai, ma il signifi­ cato non camb ia Le idee popolari che identificavano Gesù con il Battista redivivus o con Elia redivivus, o che lo paragonavano a uno dei profeti, vengono riportate di nuovo in 8, 28; in tutt'e due i casi i riferimenti sono appropriati alla storia narrata. Peculiare della narrazione presente è l'illazione : « per questo il potere dei miracoli opera in lui ». Qui hai dunameis è detto non direttamente dei miracoli (co­ me in 6, 2) , ma più generalmente dei poteri taumaturgi­ ci, come in l Cor. 12, 10.28 s; Gal. 3, S. Energousin è qui intransitivo, e significa: « sono all'ope­ ra » (cfr. Gal. 2, 8; Ef. 2, 2; Fil. 2, 1 3 ) . La convinzione che, i n quanto risorto da morte, i l Batti­ sta sia investito di nuovi poteri, non è incoerente con il fat­ to che durante. la sua vita egli non abbia compiuto miracoli (Jo. 10, 41). Goguel, 352, ritiene questa affermazione di seconda mano, perché nessuno scrittore giudeo o pagano testimonia la convinzione che chi risuscita da morte pos­ segga poteri soprannaturali; secondo l'autore, l'origine di tale convinzione va cercata nell'insieme di credenze con­ ' nesse con la risurrezione di Gesù. Tuttavia, come Goguel ammette, l'idea di poteri soprannaturali di una persona risusci t ata da morte è abbastanza facile da cap ire, e può .

.

352

Vangelo secondo Marco

essere esistita come spiegazione popolare di un fenome­ no così eccezionale. Matteo fa propria la spiegazione dei miracoli di Gesù co­ me Battista redivivo, ma l'attribuisce a Erode stesso. Per Luca, Erode « non sapeva cosa pensare » (9, 7) di fronte alle diverse voci popolari. Il suo greco « è un'ele­ gante parafrasi di Marco » (Creed, 127) . 15 s Per la credenza nel ritorno di Elia, vedi Mal. 3, l ; 4, 5 ; e le note a Mc. 1 , 6; 9, 9-1 3 . Nell'ultimo passo

vv.

Gesù identifica il Battista con Elia. È difficile dire in che misura queste opinioni fossero effettivamente coltivate; ma è abbastanza chiaro che da Erode stesso l'identifica­ zione con Giovanni era interpretata simbolicamente (v. 16). La frase « è un profeta come uno dei profeti » significa che assomiglia a uno dei profeti àntichi (Giud. 16, 7.1 1 ) . Luca l a interpreta come uno degli antichi profeti tornati in vita (9, 8) . Di tutte queste voci, Erode fa sua la pri­ ma; ma le sue parole significano probabilmente : « Sono ancora alle prese con Giovanni Battista! » (cfr. Wellhau­ sen, Creed, Rawlinson) . Il suo atteggiamento è ostile. Lu­ ca trasforma la sua fonte dividendola in un'affermazione e in una domanda: « Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose? » (9, 9) ; e aggiunge: « cercava di vederlo ». Forse, come insi­ nua Goguel, per metterlo a morte (cfr. Le. 13, 3 1 ) .

39. Morte del Battista (6, 17-29) (Mt. 14, 3-12; Le. 3, 19 s)

Questa narrazione fa storia a sé, in Marco, perché è l'uni­ co episodio che non si riferisca in un inodo o nell'altro a Gesù. A riguardo del suo carattere storico sono state enunciate le più diverse opinioni. In una frase spesso citata, H. J. Holtzmann, 77, chiama questo episodio un tipico esempio di leggenda ( « das Muster einer Legen­ de ») . Se questo termine è usato nel suo senso proprio, .di cose narrate (legenda) a riguardo di un grande perso­ naggio, senza pregiudicare la base storica della narrazio­ ne, potremmo sottoscrivere il giudizio. Purtroppo la mag­ gior parte dei critici parla di « leggenda » nel senso di

Morte del Battista

6,17-29

353

racconto irreale, prodotto di fantasia e immaginazione re­ ligiosa. Cfr. Bultmann, 328 s, che ne tratta in un'appendi­ ce, e pensa che Marco lo abbia probabilmente attinto a una tradizione ellenistico-giudaica. Anche Bacon ne parla come di un racconto « leggendario al più alto grado ». J. Weiss, 201-204, tende ad attribuirlo a un redattore succes­ sivo, e non vuole riconoscerne l'ascendenza petrina. La narrazione ha esattamente lo stesso carattere pieno di colore di altre storie marciane, specialmente quella del­ l 'indemoniato geraseno, e soprattutto al v. 20 rivela un'in­ tuizione psicologica acuta del carattere di Erode Antipa. Particolarmente realistico è il rincrescimento del re quan­ do si vede intrappolato nella sua ebbra follia e invischia­ to nei suoi giuramenti. Le difficoltà della storia nascono dalle indicazioni di Giu­ seppe Flavio e dalla danza pubblica di Salome. Contro Giuseppe, Marco parla di Filippo come primo marito di Erodiade; mentre in realtà egli era marito di Salome; ancora : Marco sembra collocare la scena di corte a Tibe­ riade, mentre Giuseppe dice che Giovanni era imprigiona­ to nella fortezza di Macheronte e, se autou al v. 22 è originale, egli descrive la ragazza come figlia di Antipa e la chiama Erodiade. Inoltre, Marco si stacca da Giusep­ pe nell'attribuire la morte di Giovanni all'implacabile osti­ lità di Erodiade, mentre per Giuseppe essa è dovuta a motivi politici. « Erode, temendo che il grande influsso esercitato da Giovanni sul popolo lo rendesse capace e lo stimolasse a sollevare una ribellione (la gente infatti sembrava pronta a fare qualunque cosa egli decidesse) , ritenne opportuno metterlo a morte e prevenire così bgni danno che egli potesse causare, invece di mettersi nei guai risparmiando un uomo e dovendosene poi forse pentire troppo tardi » (Ant. 18, 5, 2) . Più ancora: nel racconto sono presenti motivi dell'Antico Testamento, con reminiscenze delle storie di Gezabele e di Ester. L'obiezione nel suo insieme è formidabile; ma essa cade, in buona parte, se la sottoponiamo a un'analisi lucida. � improbabile che, al v. 22, autou sia originale, e che Mar­ co considerasse la ragazza figlia di Antipa e con lo stesso nome della madre. Marco si è sbagliato nell'identificare con il tetrarca Filippo il primo marito di Erodiade; ma non si tratta di un errore grave e, in una famiglia dove gli stessi nomi tornavano continuamente, resta da prova-

354

Vangelo secondo Marco

re che il marito abbandonato residente a Roma non si chiàmasse Filippo. t:. ugualmente di poca importanza se Marco colloca la scena di corte a Tiberiade; ma in realtà egli non nomina la località, ed eccellenti commentatori ritengono non impossibile localizzare il fatto nel palazzo di Mache�onte. Quanto all'assolo di danza, le opinioni sono necessariamente discordanti; ma la spiegazione da­ ta da Rawlinson e Branscomb (vedi la nota al v. 22a) è attendibile, mentre le affermazioni sull'età avanzata di Sa­ lame hanno un fondamento molto esile. Il punto più consistente è il conflitto sulla causa dell'assassinio di Gio­ vanni; ma obiettivi politici e la rabbia di una donna offe­ sa non si escludono a vicenda; possono essere ambedue veri. Il giudizio di Rawlinson è convincente : « La versio­ ne di Giuseppe riporta i fatti quali si presentavano a uno storico che scriveva sessant'anni più tardi, e il cui interesse era di rintracciare le cause politiche di una guerra. La storia di Marco vuoi essere un resoconto, scrit­ to con un certo indice di libertà letteraria, di ciò che si andava bisbigliando nei negozi o sui mercati della Palesti­ na al tempo degli avvenimenti . . . >> (p. 82) . La libertà lette­ raria riguarda i tratti che richiamano le storie di Gezabe­ le e di Ester, mentre il parlare di creazione sulla base di queste storie comporta notevoli difficoltà. Se alle conside­ ra�ioni già fatte aggiungiamo la fedeltà della narrazione di Marco nel ritrarre il carattere scaltro ma incerto di Erode ( « quella volpe » Le. 13, 32) e quello audace e fran­ co di Giovanni, non rimàngono più molti dubbi sul giudi­ zio da formulare. Non è possibile dire dove Marco attin­ ga la sua storia. Non vi sono ragioni adeguate per conside­ rarla come un'aggiunta successiva, dato che Matteo se ne serve. La presenza di molti termini insoliti si spiega in base all'argomento ; del resto non �ancano indizi del­ lo stile marciano. 17. Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo ave­ va messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. 1 8 . Giovanni diceva a Erode : « Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello » . 19. Per questo Erodiade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva

Morte del Battista 6,17-�

20. perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e lo proteggeva; e anche se nell'ascoltarlo resta­ va molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. 2 1 . Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. 22. En trata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piac­ que a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza : « Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò ». 23. E le fece questo giuramento : « Qualsiasi co sa mi chie­ derai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno ». 24. La ragazza uscì e disse alla madre: « Che cosa devo chiedere? ». Quella rispose: « La testa di Giovanni il Battista ». 25. E subito entrata con impazienza dal re fece la richie­ sta .dicendo : « Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista » . 26. Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramen­ to e dei commensali, non volle mancarle di parola. 27. Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa. 28. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede alla madre. 29. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne · presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. v. 17. autos : molti, cònsiderandolo una ripresa di ego (v. 1 6) , traducono: « lo stesso Erode »; in realtà, il pronome è qui semplicemente ridondante, e quindi non va tra­ dotto. Gli aoristi dei vv. 17-19 sono virtualmente piuccheperfet­ ti. Si racconta un episodio anteriore ai vv . 14-16 (e poste­ riore a l , 14) . Secondo Giuseppe (Ant. 1 8, 5 , 2) ., Giovanni venne impri­ gionato e ucciso nella fortezza di Macherontè , situata al­ Tangolo nord-orientale del Mar Morto vicino al deserto di Giudea. Il racconto di Marco sembra supporre che il posto dell'esecuzione fosse la corte di Erode a Tiberiade. Erodiade era la figlia di Aristobulo, figlio di Erode il Grande e di Mariamne, e quindi nipote di Antipa. L'affer­ mazione che essa era moglie di Filippo, fratello di Anti­ pa, è evidentemente un errore, se Marco intende Filippo

'v�ngeio secondo Marco

il tetrarca, che sposò Salome figlia di Erodi ade (v. 22) . Giuseppe dice che Erodiade era maritata a Erode, figlio di Erode il Grande e di Mariamne, figlia di Simone som­ mo sacerdote. Che anche quest'Erode portasse il nome di Filippo non è impossibile ( Lagrange) , ma non è docu­ mentato, e sembra piuttosto un tentativo di conciliare Marco e Giuseppe. « La cosa più sempl i ce è supporre che Marco o il suo informatore confondesse marito e genero di Erodiade » (Turner, 32) . « Che egli aveva sposata » : la distinzione classica tra ga­ meo ( del marito) e gameomai (della moglie) tende a cade­ re in disuso nel greco ellenistico, pur sopravvivendo nel linguaggio legale dei contratti di matrimonio. Giuseppe riferisce che la moglie di Antipa, saputo delle intenzioni del marito, si ritirò a Macheronte e di qui fuggì sotto la protezione del padre Areta, re di Arabia, che mosse guer-; ra ad Antipa e ne sconfisse l'esercito (36 d. C.) ; alcuni interpretarono questo fatto come punizione divina per l'assassinio del Battista. Matteo segue Marco da vicino. Luca dice sinteticamente (3, 1 8-20) che Erode, biasimato da Giovanni a causa di Erodiade, moglie di suo fratello , e di tutti i misfatti che aveva compiuti , « aggiunse agli altri misfatti anche que­ sto : fece rinchiudere Giovanni in prigione » (v. 20) . v. 18. Marco aggiunge di nuovo una nota esplicativa . Co­ me Elia (1 Re 17 s; 2 Re 1 , 1 5 ) Giovanni può aver fatto l'accusa direttamente , ma è anche possibile che le parole messe alla seconda persona siano state riferite a Erode. « Non ti è lecito »: cfr. Lev. 1 8 , 16; 20, 2 1 . Matteo abbre­ via la sua fonte: « Non ti è lecito tenerla » (14, 4) . v. 19. Come Gezabele (1 Re 2 1 ) , Erodiade s'infuria contro Giovanni e cerca l'occasione per liquidarl o . Enech o nel greco classico significa « avere in », « tènere dentro »; Erodoto , aggiungendo « bile » (cholon) , lo usa una volta nel senso di « portare odio, rancore ». Qui, pur cadendo il complemento oggetto, il verbo mantiene lo stesso signi­ ficato.

v. 20. Il versetto spiega perché Erodiade non poteva

rea­ lizzare il suo progetto. Erode temeva (meglio: rispetta­ va) Giovanni, sapendolo un uomo giusto e santo, e lo

Morte del Battista

351

6,17-29

proteggeva (contro Erodiade) . Suntereo ha qui appunto il significato di proteggere, più che quello di spiare, vigila­ re (Swete, Turner, Lagrange) . Hagios (« santo ») : è qui l'unica volta in tutto il vangelo che .l 'aggettivo viene applicato a un uomo. Marco aggiunge che, quando lo ascoltava, restava molto perplesso, e tuttavia lo ascoltava volentieri. Aporeo >) . In contrasto con il terrore dei discepoli, Gesù subito si rivolge loro e di­ ce : « Coraggio, sono· io, non temete >>. Matteo, oltre a qualche piccola variante, differisce da Mar­ co nell'aggiungere il racconto di Pietro che cammina sul­ le acque (vv. 28-3 1 ) . La maggior parte degli studiosi del Nuovo Testamento interpretano questo passo come una dilatazione omiletica della narrazione di Marco; ma è al­ trettanto vero - benché non da tutti riconosciuto che gli stessi motivi sono già all'opera nella formazione del racconto originario di Marco. vv. 51 s. L'affermazione sul cessare del vento si trova alla lettera in 4, 39; ma questa ripetizione non offre che una base, molto esile all'ipotesi secondo cui l'episodio presen­ te sarebbe un doppione della tempesta sul lago, perché il motivo originale in 6, 45-52 è la camminata sulle ac­ que, non il tema della tempesta (cfr. Bultmann, 23 1 ) . La ripetizione di frasi uguali è indizio di composizione popo­ lare. « Salì con loro sulla barca » : normalmente Marco ha em­ bain o (cfr. 4, l ) ; Swete spiega che anabaino ritrae la salita dal cavo dell'on4a sul fianco della barca; spiegazio-

Traversata del lago 6,45-52

3Tl

ne fantasiosa, ma che dà una ragione della scelta del verbo. Comunque l'uso è classico (Omero, Tucidide) . L'im­ pressione prodotta sui discepoli è di totale ma silenzioso stupore. La spiegazione di Marco giunge al1 v. 52. I discepoli non sono riusciti ad afferrare il significato della moltiplicazio­ ne dei pani, e la loro mente (kardia, 2, 6) è ottenebrata (vedi la nota sulla p6r6sis in 3, 5) . In Marco la stessa idea riappare in 8, 1 7 : « Avete il cuore accecato ? ». Sem­ bra qui intesa una mancanza di percezione affine.alla ceci­ tà morale più che un'ostinazione volontaria. Pur senza sottoscrivere l'affermazione che Marco è profondamente imbevuto di « paolinismo », si avverte in questi passi l'in­ flusso dell'insegnamento paolino. Cfr. 2 Cor. 3, 14: « ma le loro menti furono accecate » ; Rom. 1 1 , 7 : « gli altri sono stati accecati »; v. 25 : « l'accecamento di una parte di Israele è in atto »; Ef. 4, 1 8 : « per l'accecamento dei loro cuori ». L'interpretazione secondo cui i discepoli non hanno capi­ to « il fatto dei pani » perché le loro menti erano ottene­ brate non arriva a convincere il lettore moderno; perché se essi avessero osservato la moltiplicazione dei pani, non sarebbero rimasti del tutto stupiti di fronte a Gesù che �amminava sulle acque. Swete osserva che « forse il loro impegno a distribuire il cibo li distrasse dall'opera compiuta dal Signore » ; ma il rilievo non dissolve l'obie­ zione. Secondo Lagrange i discepoli non avevano ancora una vera percezione della persona di Gesù. Forse il com­ mento di Marco rivela un imbarazzo da parte sua. Esso « approfondisce la nostra impressione che la faccenda dei pani fu realmente un po' diversa e meno straordina­ ria di quanto voglia far credere il racconto tradizionale » (Bartlet, 108) . La versione di Matteo offre un esempio dello sviluppo ulteriore della tradizione. Egli segue da vicino il v. 5 1 , m a si stacca radicalmente dal v . 52, scrivendo che quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a Gesù e lo dichiararono il Figlio di Dio ( 14, 33) . Questa modificazio­ ne mette in luce il desiderio di Matteo di « risparmiare i Dodici » e la sua tendenza ad abbellire le narrazioni nell'interesse della dottrina. Giovanni dice che i discepoli volevano prendere Gesù sulla barca e che essa rapidamen­ te toccò la riva a cui erano diretti (6, 2 1 ) .

373

Van�elo secondo Marco

43. Lo sbarco a Genesaret ( 6, 53-56 ) (Mt. 14, .3+36) Il brano è una narrazione composta da Marco sulla base della tradizione. Da questo punto di v is t a è analogo a 3 , 7-1 2 . Cfr. Dibelius, 224; Bultmann, 366. Non è t u t tavia un quadro puramente letterario e fantas ti co . La nostra affer­ mazione si basa su valide ra gioni . Il ne sso con la stor ia

precedente della traversata è buono , e si h a motivo di credere che la moltiplica zione dei pani, la traversata e lo sbarco , documentati due volte da Marco ( 6 , 30-56 e . 8, 1-10) e da G iovanni (6, 1 -25) formassero una serie già fiss a ta nella tradizione più antica. Vedi Nota C. Di nuo­ vo : la narrazione tratteggia con vivacità il ministero gali­ leano ed è caratteri stica p er ché non vi si nomina alcun insegnamento, mentre vi si descrive un rapido e mi sterio­ so v i a gg iare da un luogo all 'altro . Che il brano sia compo­ sto da Marco è dimostrato dal vocabolario (c f r . commen­ to) ; ma il rit ratto della gente che corre avanti e indietro e porta i malati sui lettucci dovunque sen ta che Gesù si trovi , e la descrizione di ciò che accadeva quando egli entrava nei villaggi , nelle città, nei cascinali , trova la spie­ gazione più attendibile in una tradizione che si fondi sulla conoscenza dei fatti. ·Loisy parla del brano collie di un « so uve n i r historique » ( 1 , 939) , e J. Weiss usa termi ­ ni analog h i per caratterizzare il gruppo a cui appartiene (p. 223 ) . Lagran ge , facendo osservare l'ambito esclusivo della pianura di Genesaret e l'uso di choran al v. 55, rileva giustament e che Marco può aver disegnato sinteti­ camente ( « e n raccourci ») ciò che an d ava accadendo nel cammino dalle rive del lago alla regione di T iro (7, 24) . Egli cita e condivide l'opinione di Loisy : Gesù non è venuto a Genesaret per predicare (p. 1 78) . Ge sù pensava di non es sere riconosciuto e, a causa della folla, continua­ va il suo viaggio come se volesse raggiungere finalmente un posto dove poter s tare - lui e i suoi discepoli - in pace e al si curo dalle attenzioni di Antipa. Bisogna ricono­ scere che Marco non c on tribuis c e molto a questa ricostru­ zione.

53. Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genesaret. 54. Appena scesi dalla barca, la gente lo riçonobbe,

·

Sbarco

a

Genesaret 6;53-56

55. e accorrendo da tutta qu e lla region e cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovun­ que udivano che si trovasse. 56. E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di poter­ gli toccare almeno la f ra ng ia del mantello; e ql! an ti lo to c cava n o guarivano. v. 53. Alcuni MSS hanno « compiuta la trav ersata da Bet­ saida )) ; ma si tratta p robabilmen te del tentativo di spie­

gare come mai la barca abbia approdato a Genesaret ment re i d iscepoli erano partiti per Bet saida. L'opinione ormai generale è che il vento impedì l'approdo a Betsai­ da ; e si tratta probabil m ente di opinione corretta . Genesare t : viene normalmente ritenuta la pianura ferti­ le, lunga tre mig lia e larga più di un mi glio , a sud di Cafarnao. Secondo Lagrange, essa avrebbe dato il nome a una città (o un villaggio) ivi situata. Prosormizomai v.

54

s.

=

«

gettare

l'ancora »,

« prendere

terra ».

A differenza del v. 56, che d escrive ciò che accade­

va quando Gesù entrava nelle varie città e villaggi della regione, questi versetti ritraggono la gente che lo segue di luogo in luogo, a mano a mano che la sua presenza viene segnalata, e portano i malati sui lettucci. Eccetto peritrecho ( « accorrere ») e perifero ( « portare ») , il voca­ bolario consta di termini marciani comun i . « Accors� ro » è .impersonale. Il passo è redazionale, come l , 39.45 e 3, 7- 1 2 ; ma riflette una buona tradizione e non è puramente immaginario. Non si fa alcun accenno alla predicazione o all'in segna­ mento, e non ci sono ragioni per pensare che Gesù abbia ripreso il ministero sospeso in 6, 3 1 . È:. evidente che egli cerca inutilmente di appartarsi. Matteo· abbrevia il passo, scrivendo semplicemente che « la gente del luogo )) diffuse la notizia attraverso la re­ gione e portava a G esù « t ut ti » i .malati .

56. Come nel v. 54 s, anche qui il vocabolario è mar­ ciano . Agora, che sarebbe propriame n te il {{ mercato » e la « piaz­ v.

za del mercato » è qui usato in senso più generale, dato che strettamente parlando so l tanto le città più grandi

380

Vangelo secondo

Marcò

avevano la agora. Secondo diversi commentatori, il termi­ ne significa in questa sede spazi aperti e spiazzi erbosi del villaggio. Per la pratica del toccare Gesù, vedi l , 4 1 ; 3, 10. Come i vv. 54 s, anche il v. 56 è composizione di Marco. Egli scrive sulla base della tradizione, sebbene non si possa dire con certezza se tutti i particolari descritti ap­ partengano alla realtà. Matteo omette la prima metà del v. 56, e dà l'impressione che Gesù si limiti a sbarcare senza girare nella zona ; J. Weiss pensa che questa rappre­ sentazione dei fatti corrisponda meglio al loro effettivo svolgersi. Questo non è vero, almeno se intende insinua­ re che la seconda metà del v. 56 sia l'aggiunta di un redattore successivo. Ancor meno soddisfacente è l'opinio­ ne secondo cui i vv. 53-55 non sarebbero che una varian­ te di 3, 1 0 s (Bussmann) . È invece meglio spiegare 3, 7-12 come anticipazione di fatti che in seguito vengono narra­ ti nei particolari. 44. La questione (Mt. 15, l s, 7-9)

della lavanda delle mani ( 7, 1-8 )

La narrazione è un apoftegma che definisce l'atteggiamen­

to di Gesù di fronte alle regole dettate dagli scribi sulla lavanda delle mani. - Il carattere vincolante della tradizio­ ne orale giudaica dev'essere stato un problema scottante nei primi decenni del cristianesimo; la storia presente è stata conservata per il significato che essa presenta a riguardo di questo p roblema. Bultmann, 15 s e Albertz, 36-39 la classificano come Streitgespri:ich (dialogo-polemi­ ca) . Come tutte le storie di questo genere, la narrazione probabilmente circolava come unità separata della tradi­ zione, senza precise indicazioni di tempo e di circostan­ ze. Secondo Albertz, l'unità originaria è contenuta nei vv. 5-8, oppure, in alternativa, quest'unità può essere stata l s, 5-8, mentre i vv. 3-4 sarebbero l'appendice esplicativa dell'evangelista o di un redattore posteriore. Nel commen­ to assumiamo la seconda alternativa come più probabile. Il valore storico dell'episodio è fuori dubbio; l'unico pun­ to veramente incerto è se la citazione dei vv. 6 s sia sta­ ta assimilata a una lezione più vicina a quella dei LXX . Per Bultmann l'origine della storia va cercata nelle discus-

Questione della lavanda delle mani 7,1-8

381

sioni interne alla comunità cristiana (Gemeindepolemik) , soprattutto perché agli interrogativi non viene data alcu­ na risposta reale; tuttavia egli riconosce che la narrazio­ ne proviene dalla comunità palestinese, e preferisce trova­ re l'unità originale in 1-8 piuttosto che (come fanno Dibe­ Iius e A. Meyer) in 1 5 + 1 5 . Dibelius 220-222, no n inclu­ de la narraz ione nei suoi Paradigmen e spiega i vv. 5-23 come una raccolta di detti su temi paralleli. Questa spie­ gazione non rende giustizia all'unità di 1-8. Il problema importante è quello dell'autenticità. Non so­ lo è molto problematica l'ipotesi di un autore collettivo, ma è destinata a cadere anche l'accusa secondo cui non verrebbe data risposta al problema: « Perché i tuoi disce­ poli non si comportano secondo la tradizione degli anti­ chi, ma prendono cibo con mani immonde ? ». Una citazio­ ne pungente da Isaia, introdotta dal commento ironico : « Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti », saldata con l'accusa: « Trascurate il comandamento di Dio e osserva: te la tradizione degli uomini » costituisce una risposta demolitrice, perché, accantonando debitamente il riferi­ mento ai discepoli, viene alle prese con il problema cen­ trale e risponde con un « no >> deciso. -

,

Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. 2. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate, 3. i . farisei infatti e tutti i giudei non mangiano se ,non si sono lavati le mani col pugno chiuso, attenendo­ si alla tradizione degli antichi, 4. e tornando dal mercato non mangiano senza aver fat­ to le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradi­ zione, come lavature di bicchieri, stoviglie e ogg�tti di rame S. quei farisei e scribi lo interrogarono : « Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione de­ gli antichi, ma prendono cibo con mani immonde? » . 6. Ed egli rispose loro : « Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. 7. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. l.

-

382

Vangelo secondo Marco

8. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini ».

vv. l s. A differenza delle tre storie che precedono, qui non c'è trait-d'union tra la narrazione e il resto, nessuna indica­ zione temporale o locale che ci dica quando e dove n · fatto è accaduto. Anche nella forma la narrazione è completamen­ te diversa, e per trovare un parallelo dobbiamo risalire a 2L l - JL�- e a 3, 22-26. L'accenno ad alcuni scribi che vengo­ no da Gerusalemme (cfr. 3, 22) comporta che il fatto sia av­ v_enuto in Galilea, e i farisei di cui si fa parola sono proba­ bilmente del luogo. L'unica circostanza rilevata « avendo vi­ sto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con ma­ ni immonde » è importante per il problema che viene sollevato al v. 5, e viene notata appunto in questa prospet­ tiva. Koinos significa « comune » , « partecipato >> ; ma viene usato nel Nuovo Testamento nel senso ebraistico di « pro­ fano », « impuro », « non permesso » (nei papiri riveste varie accezioni) . L'espressione esplicativa « cioè non lavate ,> è aggiunta da Marco per i lettori pagani. Matteo abbrevia molto la sua fonte, soprattutto tralascian­ do la circostanza che dà occasione al dibattito. v. 3. Questo versetto e il seguente danno una spiegazione del cerimoniale giudaico di abluzione per i lettori pagani· del vangelo. Si tratta dunque di un'aggiunta di Marco (o di un redattore successivo) alla narrazione originale. Pas­ si esplicativi introdotti da gar (« infatti ») sono in sinto­ nia con lo stile di Marco ; inoltre, « attenersi alla tradizio­ ne ,, (kratountes ten paradosin) è tra le sue formule carat­ teristiche. Invece l'espressione « tutti i giudei » è strana sotto la sua penna, dato che nel �angelo non si trova altrove eccetto che nel titolo « il re dei giudei » ( 1 5 , 2.9. 12.1 8.26) . Alcuni commentatori pensano che l'espressio­ ne venga adottata (come in Giovanni) per designare i giudei di Gerusalemme, che osservavano str€ttamente la legge o per descrivere le usanze della diaspora occidenta­ le (cfr. Swete, Rawlinson) ; ma non c'è nulla in Marco che suggerisca questa lettura limitativa (Lagrange : « que­ st'accezione non compare mai nei sinottici », 1 80) . L'e­ spressione sarebbe più intelligibile da parte di un paga-

Questione della lavanda delle mani 7,1-8

383

no; ma non è impossibile che Marco l'abbia adottata met­ tendosi dal punto di vista del cristiano di estrazione paga­ na. Il tono è certamente ostile, qui come in tutto il passo. Per « i farisei >> vedi 2, 16. Pugme: termine difficile, di cui non si può dare alcuna spiegazione pienamente soddisfacente. Le varianti testua­ li mostrano che la difficoltà venne sentita fin dai primi tempi. Alcuni infatti lo tralasciano; altri vi sostituiscono termini che mostrano una qualche somiglianza con esso. Ma pugme (che letteralmente significa « pugno ») va con­ servato, con i manoscritti più attendibili. Delle varie tradu­ zioni ( « diligentemente >> oppure « fino al gomito » o al­ tre) la migliore sembra la più letterale : « con il pu­ gno », intendendo con questo il gesto di strofinare con il pugno chiuso il palmo della mano oppure il versare l'ac­ qua sulle dita serrate . Presbuteros è comparativo di pre­ sbus « anziano »; nei papiri egiziani vale come titolo ono­ rifico e si riferisce alle autorità del villaggio o del comu­ ne; in Asia Minore si dice dei membri di una corporazio­ ne o dei preti dei templi pagani. In questa sede si inten­ dono gli onorati maestri giudaici della Legge, i cui giudi­ zi venivano tramandati e considerati come normativi da scribi e farisei. Altrove in Marc9 il termine designa i capi religiosi degli ebrei (8, 3 1 ; ecc.) . Per i problemi storici ed esegetici sollevati da questo pas­ so e dall'episodio nel suo insieme, vedi le note a parte sulle abluzioni cerimoniali e sul Korban, pp. 385-386 e 387-388.

v. 4. Questo versetto completa la parentesi esplicativa dan­ do esempi di tradizioni che riguardano abluzioni rituali, come il lavare cose portate dal mercato, e il purificare tazze, stoviglie e oggetti .di rame. Nel catalogo si avverte una vena di ironia. Ap'agoras può essere una frase pregnante : « quando tor­ nano dal mercato », ma può anche essere un partitivo: « qualcosa dal mercato >>. Delle due lezioni baptisontai e rantisontai è più probabi­ le la seconda, sia perché si tratta di un termine meno familiare, sia perché il contesto preferisce « aspergere » o « levare » invece che « fare il bagno », essendo quest'ul­ tima la pratica degli esseni e dei farisei più rigorosi. Giustino e Taziano parlano di purificazione del cibo.

384

Vangelo secondo Marco

Baptismos è il lavare immergendo. Kest es è la brocca, la karaffa (forse dal latino sextarius, una misura romana che equivale a una pinta) . v. 5. In questo versetto vien posto un problema caratteri­ stico dell'apoftegma. « Farisei e scribi » ha tutta l'aria di essere una ripetizione della frase parallela al v. l , provocata dall'inserimento della parentesi vv . 3-4. S e è così, vuoi dire che la narrazione originaria è l s + S-8. Mentre apparentemente la denuncia riguarda i discepoli, in realtà essa si rivolge contro Gesi1 in persona,yerché il suo insegnamento sulla validità della legge orale vien messo in questione. Gesù infatti accetta la sfida, e nella risposta non accenna minimamente ai discepoli. L'origi­ ne palestinese della storia è testimoniata dall'uso di peri­ pateo (cfr. 2, 9) , che in tutti i sinottici ricorre soltanto qui nel senso ebraico di condurre un certo tipo di vita, comportarsi in un certo modo. Cfr. 2 Re 20, 3; Prov. 8, 20; Sir. 1 1 , 9; e spesso in lo. (8, 12; ecc.) e neile lettere paoline (Rom. 8, 4; ecc.) . La maggiore originarietà del racconto di Marco risalta dal confronto con la versione più prosaica di Matteo ( 1 5 , 2) . A questo ,punto poi Mat· teo inserisce nella storia presente il detto sul Korbàn (Mc. 7, 9-1 3) . vv. 6 s. La risposta di Gesù vien data con le parole di Is. 29, 13, che sono direttamente applicate agli scribi e ai farisei al v. 8. Hupocrites nel greco attico significa un attore; qtù: « ipo­ crita » ; l'epiteto appare improvvisamente in Marco, per­ ché l'evangelista usa una unità isolata di tradizione. La citazione differisce dai LXX in due punti importanti : ( l ) il testo più breve tralascia « con la sua bocca »; (2) l'ultima riga dei LXX legge « insegnando precetti di uo­ mini e dottrine », mentre la versione di Marco corrispon­ de a quella di Paolo in Col. 2, 22 : « insegnando dottrine che sono precetti di uomini >>. Sorge naturalmente la que­ . stione dell'influsso paolino sul tes to marciano ma « è più ragionevole non insistere su una diretta interrelazio­ ne letteraria >> (Bacon, 266) . Probabilmente Marco (e for­ se anche Paolo) dipendeva da una forma del testo greco che differiva dai LXX, forse da un florilegio di profezie dell'Antico Testamento che circolava a Roma. Come ci si

Nota sulla purificazione rituale

385

può aspettare in una citazione, il vocabolario include ter­ mini non abituali a Marco; tra questi notiamo didaska­ lia = « insegnamento )) e entalma = « precetto » . Il fatto che l'argomentazione poggi sul testo dei LXX piut­ tosto èhe su quello ebraico crea una difficoltà. Rawlin­ son la esprime con forza: « Il fatto che la citazione non sia basata sul testo ebraico è che un'accurata traduzione dell'ebraico non avrebbe dato esattamente lo stesso risul­ tato è una ragion e per pensare che esso è dovuto all'evan­ gelista o a una delle sue fonti, piuttosto che a nostro Signore » (p. 94) . Per quanto riguarda la forma del testo l'osservazione è valida; ma è dubbio che l'ebraico non offra una base per la stessa denuncia. L'ebraico dice : « poiché questo popolo si avvicina a me solo a parole e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani, perciò ... » (29, 12). Qui dunque la denuncia fatta è che il culto di Yahvè è in parte « ipocrisia consapevo­ le » (Delitzsch) .

v. 8. Qui l'accusa viene precisata. Il comando di Dio e il comando degli uomini vengono posti in opposizione radicale. La legge orale, con le sue regole gravose at­ tinenti alle abluzioni cerimoniali, contraddice l'intenzio­ ne divina, anzi la riduce a zero. En tolè : Lagrange, 1 84, osserva che il termine singolare designa l'unità della legge divina in contrapposizione ai precetti singoli imposti dagli uomini. Il v. 8 è il punto d'arrivo di tutta la narrazione, che circolava indipendente­ mente dai versetti seguen ti (9-1 3) ; non può dunque esse­ re considerato come un doppione del v. 9.

Nota sulla purlficazione rituale � stato obiettato (cfr. A. Biichler, ET, 2 1 , 34-40) che la pratica descritta in 7, 3 poteva riguardare solo i sacerdo­ ti, non i giudei laici, e che di conseguenza i giudei di cui il testo parla devono essere stati sacerdoti che avevano raggiunto da poco il rango di farisei e avevano adottato le leggi rigorose di purificazione istituite dai rabbini per salvaguardare la purezza !evitica dei doveri sacerdotali. In risposta all'obiezione è stato osservato che i vangeli si-

386

Vangelo secondo Marco

nottici sono un'autorità almeno altrettanto valida in fatto di costumi vigenti nel periodo 1-70 dopo Cristo quanto il Talmu d , e che se anche ai laici in questo periodo non veniva richies ta Ja totale purezza cerimoniale, essa poteva tuttavia venir osservata con molto rigore dai giudei più pii. « La stretta codificazione di un'ordinanza è molto spesso soltantQ la tappa finale di uno svolgimento; e si ha il diritto di pensare che l'estensione formale di que­ ste regole di purificazione ai laici non sarebbe stata intro­ dotta se esse non avessero già messo rad ici nelle co­ scienze e nella condotta della gente più pia » (Margoliou­ th, ET, 22, 26 1 -263). Quest'autore ammette che il .pantes (« tutti ») al v. 3 ,non può essere preso alla lettera, e afferma che i costumi di cui si parla erano generalizzati più che universali. La questione è discussa da Montefiore, l, 1 3 3- 1 44, il quale ritiene che l'argomento riportato per primt> andrebbe pre­ so con minor leggerezza, ma ammette che se lo acce ttia­ mo siamo costretti a dichiarare che la storia marciana non può aver avuto origine prima del 1 00 d. C. o dopo la morte di Ak ìba ( 1 30 d. C.) , e che « questa conclusione sarebbe assurda ». Montefiore aggiunge allora che, secon-· do qùanto afferma Btichler, alcu ni o anche molti giude i nella diaspora escogitarono e praticarono regole che in Palestina erano sconosciute (cfr. Giudit. 12, 7) , e si do­ manda se la storia marciana non abbia avuto origine fuo­ ri di Palestina. BultmannJ 16, fa risalire alla comunità palestinese i vv. 1-8 e 9-1 3 ; per questa comunità il proble­ ma della relazione tra paradosis ( « tradizione »} e Legge era molto vivo. Montefiore stesso ammette che « dopo tutto, ci p ossono essere stati al tempo di Gesù alcuni rabbini le cui ten denze e abitudini più rigide non venne­ ro fissate nel Talmud o ven nero addirittura ignorate » (op. cit. 142) , e scrive che, con 1:1n'intuizione profetica, Gesù colse la verità che la contaminazione religiosa è essenzialmente morale e spirituale. Può anche essere che, dovuta a un'interesse con temporaneo circolante a Ro­ ma, la spiegazione di Marco ai vv. 3 s sia per questo dichiarata con rigore ; ma non si risolv� molto assegnan­ do il passo a un redattore, dato che la sfida « Perché i tuoi discepoli non si comportano s�condo la tradizione degli antichi . . . ? » compare al v. 5 cd è fondamentale per la storia.

Questione del K-orbàn 7,9-13

38?

45. La questione del Korbàn ( 7, 9-1 3 ) (Mt. 15, 3-6)

Il brano ha l'apparenza di un detto isolato, cucito a 7, 1-8 secondo il modo tipico di Marco. Cfr. Bultmann, 1 5 ; Dibelius, 220. M a una sistemazione del genere non è del tutto soddisfacente. � possibile che lo Streitgesprach or i ginario terminasse con 9-13, o che 9-1 3 sia tutto quanto rimane di un apoftegma indipendente da 1-8 e parallelo ad esso. La difficoltà di quest 'ipotesi è che noi non sappia­ mo se 9-1 3 sia la risposta all'in terrogativo posto a Gesù a riguardo del Korbàn oppure alla domanda provocato­ ria da lui rivolta agli scribi (cfr. 1 2 , 3 5-37) . Più importan­ te è il carattere storico del detto, che discutiamo in una nota a parte (pp. 409 s) . Non ci sono ragioni per dubita­ re che le parole siano state pronunciate da Gesù e metta­ no in luce il suo atteggiamento di fronte alla leggè orale. Su quest'argomento Marco, essendo una testi monianza quasi contem poranea, merita un cred i to maggiore che non illazioni basate sulla Mi shnah. ­

9. E diceva loro : «Siete veramente abili nell'eludere il comandamento d� Dio. per· stabilire la vostra t.radtzia­ ne » . 1 0 . Mosè infatti disse : « Onora tuo padre e tua madre » e « Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte ». 1 1 . Voi invece dicendo : « Se uno dichiara al padre o al­ la madre : Korbà11, cioè offerta sacra è quella che ti sarebbe dovuta da me, 1 2 . non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, 13. a n n ul la n do così la parola di Dio con · za tradizione che voi avete riceyuto. E di cose simili ne fate molte ». '

v. 9. Quasi tutti i term i ni appartengono già ai vv. 1-8. La lezione stésete (« stabilite ») è attestata da molti MSS, e ha le carte in regola per essere originale (Lagran­ ge) . Klostermann legge la frase come una domanda; ma è meglio vedervi un'esclamazione. Letto così il detto può essere originale ; diversamente, ha l'aria di un elemen­ to redazionale di collegamento, ·per introdurre i vv. 10-1 3. La denuncia è fatta i n forma estrema. La tradizione è

388

Vangelo secondo Marco

definita « la vostra tradizione », e l'accusa è di rigettare il comandamento di Dio per stabilirla. Se l'accusa sia giusta o meno, dipende dall'interpretazione del difficile passo che segue (vv. 1 0-13) . La formula « E diceva loro » serve spesso a introdurre i detti. Bisognerebbe poter decidere se i vv. 9-1 3 sono un estrat­ to dalla tradizione dei detti o il residuo di un apoftegma parallelo a 1-8. La versione matteana del v. 9 è diversa soprattutto perché Matteo ha inserito l'intero brano nel­ la storia precedente. v. 10. Le citazioni (Ex. 22, 12 e 2 1 , 17) seguono quasi alla lettera i LXX. Nel secondo passo l'ebraico dice : « co­ lui èhe maledice » o « colui che disprezza » : ambedue questi significati sono pertinenti con quanto vien detto ai vv. 1 1 s a riguardo del Korbàn. Billerbeck cita paralle­ li rabbinici in favore della traduzione : « chi maledice ». Anche Lagrange fa notare che la pena di morte suppone un'ingiuria equivalente alla maledizione. E tuttavia, può l'espressione ho kakologon essere usata in questo senso ? O non è invece, il suo significato, quello di > (Ned. 4, 6) ; o ancora : « Ko­ nam sia qualunque vantaggio mia moglie trae da me, perché ha rubato il mio borsellino » (Ned. 3, 2) . Queste testimonianze provengono dal secondo secolo, e non sap­ piamo con certezza fino a quando possono risalire. In Marco l'interessato dichiara che il sostegno su cui i genitori potrebbero aver contato è Korbàn; cioè : è dedi­ cato a Dio, o è oggetto di un giuramento pronunciato fox::s e in un· accesso di passione. L'interdizione può essere reale o ipotetica (« Korbàn! se qualcosa ti fosse dovu­ to ») , ma in ambedue i casi, malgrado il quarto comanda­ mento, in forza di questo giuramento i parenti hanno perso la loro speranza di aiuto. Montefiore sostiene che « opera della tradizione (rabbinica) era l'annullamento, non il mantenimento dei voti » ( 1 , 149) ; e ancora, che « secondo la legge rabbinica codificata nella Mishnah e commentata nel Talmud, i rabbini sono dalla parte di Gesù e seguono in pieno la sua linea ». Con importanti restrizioni questo giudizio è giusto. Nella Mishnah, per esempio, in riferimento a un caso simile a quello di Mar­ co, rabbi Eliezer dice : « Essi possono aprire agli uomini la via (alla conversione) in ragione dell'onore dovuto al padre e alla madre ». « Ma - continua il testo - i saggi lo proibiscono; e vien portata l'opinione contraria di rabbi Zadok . E infine viene detto : « Ma i saggi si trovano d'accordo con rabbi Eliezer che quando si tratta del rapporto tra uomo e suo padre o sua madre, la via gli può essere aperta in ragione dell'onore dovuto al pa­ dre e alla madre » (Ned. 9, 1 ) . Bisogna però aggiungere che questo documento è tardivo ; ed è possibile che ai tempi di Gesù prevalessero vedute più anguste. Cfr. McNei­ le, 224 s; Lagrange, 185 s.

46. Detti sulla contaminazione ( 7, 14-23 ) (M t. 15,

lO s.lS-20 )

Questi detti sono attaccati a 7, 1-8.9-13 secondo il metodo già illustrato in 2, 2 1 s.27 s; 3, 27-29 e 4, 21-25, con cui Marco congiunge ad apoftegmi o a parabole, detti di con-

Detti sulla contaminazione 7,14,23

391

tenuto analogo. La sistemazione è quindi contenutistica, e gli elementi n�rrativi sono esigui. In 7, 14 essi si limita." no all'accenno : « chiamata di nuovo la folla, diceva lo­ ro », che sembra puramente redazionale; e in 7, 17 alla notazione « quando entrò in una casa lontano dalla fol­ la », che è pure redazionale ma poggia forse su una tradi­ zione che parla di istruzioni private date ai discepoli. In 7, 14-16, il v. 15 è incontestabilmente autentico. Afferman­ do il princiEi_Q che nmpurità viene da dentro e non da fuori, · quest o versetto instaura una verità - insolita nel giudaismo contemporaneo - che era destinata a liberare il cristianesimo dalla servitù del legalismo. La forma del detto è quella del parallelismo antitetico semitico, e il modo parabolico di espressione è tntenzionale e ha lo scopo di stimolare la riflessione. Questo fatto ci mette in guardia dalla fretta eccessiva nell'escludere la possibilità che i discepoli ponessero domande sull'argomento e ne ricevessero indicazioni ulteriori. Ancor più probabile è che da questo dibattito sia nata la discussione e l'inter­ pretazione sviluppatasi nella chiesa primitiva. La chiarez­ za di linguaggio di 1 8b-19 e la sua crudezza di espressio­ ne suggeriscono che questo detto esplicativo ricevette la sua forma in una comunità pagana; non potremmo infat­ ti spiegarci le dispute a Gerusalemme e ad Antiochia se Gesù avesse parlato così direttamente. Vocabolario e trat­ ti caratteristici dei vv. 21 s si muovono nella stessa dire­ zione. Intendiamoci: interpretare non è sinonimo di alterare; al contrario, l'interpretazione può dar voce a idee laten­ ti. I due detti sono un targum cristiano che, nella chiesa per la quale furono formulati esplicitarono il vero signifi­ ca�o dell'insegnamento di Gesù e lo applicarono alla situa­ zione esistente. La nostra unica sorpresa può essere che una chiesa che aveva ricevuto questa istruzione catecheti­ ca avesse ancora bisogno dell'insegnamento di Paolo in Rom. 14, 2 s sul mangiare legumi. Vedi anche pp. 70 s.

14. Chiamata tutta la folla, diceva loro : « Ascoltatem i tut­ ti e intendete bene : 15. non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo.

392

Vangelo secondo Marco

16. Chi ha orecchi per intendere, intenda. 17. Quando entrò in una casa -lontano dalla folla, i disce­

18.

19.

20. 21.

22.

23.

poli lo interrogarono sul significato di quella para­ bola. E disse loro : « Siete anche voi così privi di intellet­ to? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna? ». Dichiarava così mondi tutti gi i alimenti. Quindi soggiunge : « Ciò che esce - dall'uomo , questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini , escono le intenzioni cattive : prostituzioni, furti, omi­ cidi, adultèri, lussuria, malvagità, inganno, scostumatezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo· »-.

14 s. L'introduzione al brano in 14a consta di termini marciani abituali ed è quasi certamente . libera composizio­ ne dell'evangelista. Particolarmente caratteristico del suo stile è l'uso di proskalesamenos (« chiamata ») . Il coman­ do di ascoltare attentamente richiama l'introduzione alla parabola del seminatore; ma qui gli aoristi, in quanto riferiti a un detto singolo, sono più appropriati. Matteo ha imperativi presenti. Ex6then = « fuori >>. « La terminazione then è diventa­ ta stereotipa e senza particolare significato in quasi tutti i casi dei termini es6then (' dentro ' : 7, 2 1 .23) e ex6then (' fuori ': 7, 1 8) ; il che vale del resto sovente anche nel greco attico » (Blass, 59) . Koino6: nel greco classico significa · « rendere comune », « comunicare », « partecipare » ; nei LXX e nel Nuovo Te­ stamento è usato nel senso di « contaminare » , « profana­ re » (Atti 1 0, 15; 1 1 , 9 : « considerare profano ») ; cfr. koi­ nos 1, 2. Nelle sue implicazioni il detto al v. 1 5 è rivoluzionario; ma è espresso in termini generali e in forma enigmatica, che il v. 17 chiama « parabola » o « enigma ». Matteo lo rende esplicito aggiungendo : « nella bocca » e « dalla bocca » (15, U) . � anche possibile che nella formulaziovv.

-

-

Detti sulla contaminazione 7,14-23

393

ne marciana le espressioni « entrando ·in lui » e « uscen­ do » siano aggiunte esplicative, perché si possono stacca­ re e sono caratteristiche del vocabolario di Marco (cfr. Hawkins, 12) . In questo caso il detto originale è più inten­ so. In ultima istanza esso comporta l'ab rogaz ione della legge che concerne i cibi puri e impuri (cfr. 7, 1 9b) ; ma questa conseguenza non è esplicitamente formulata (cfr. Klostermann) . Non è neppure probabile che Gesù abbia direttamente ripudiato la legge degli alimenti di Lev. 1 1 = Dt. 14, poiché in questo caso non si spiegherebbero le esitazioni della chiesa primitiva su questo problema (cfr. Atti 10, 1 4; 1 5 , 28 s; Gal. 2, 1 1-17; Rom. 14, 14; Col. 2, 20-22) . Cfr. Swete. Pochi principi religiosi, tuttavia, si sono dimostrati così pregnanti. Negli scritti rabbinici non c'è alcun parallelo a questo detto (cfr. Billerbeck) , ma il principio è sottoscritto da ebrei liberali moderni. « Non le cose, ma solo le persone possono essere religio­ samente pure o impure. E le persone non possono esse­ re contaminate dalle cose, ma possono solo contaminarsi da se stesse agendo in modo irreligioso » (Montefiore, l, 153). Il corrispondente antico dell'idea di persona è espresso dall'uso di ho anthropos (« l'uomo ») , come in 2, 27. Sull'autenticità del detto non vi possono essere dubbi. Bultmann, 158, non esita nel riconoscervi la voce di Ge­ sù (cfr. pure Sundwall, J. Weiss, Montefiore) . Montefiore afferma. che dubitare della sua autenticità « fa l'impressio­ ne di giocare avventatamente allo scetticism o » ( 1 , 132 s) . Marco può aver derivato il detto da una raccolta romana primitiva. Dal punto di vista testuale : nel v. 14 è preferì­ bile panta a palin; quindi « chiamata tutta la folla » inve­ ce che « chiamata di nuovo la folla » ; ed è pure più probabile che si debba conservare il v. 1 6 ( « chi ha orec­ chi per intendere, intenda »), con la maggior parte dei manoscritti (cfr. Lagrange, Rawlinson, Moffatt, Plummer, Bartlet) : il detto è particolarmente appropriato in que­ sta sede, in quanto viene subito dopo una sentenz� gnomi-. ca intesa a suscitare la riflessione. A questo punto Matteo aggiunge una domanda da parte dei discepoli: « Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole? » seguita da un detto attinto a M: « .og ni pianta che non è stata piantata dal Padre mio celeste sarà sradicata. Lasciateli ! Sono ciechi e guide di

394

Vangelo secondo Marco

ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutt'e due cadranno in un fosso » ( 1 5 , 12-14) .

vv. 17-19. Giudicato in base al suo vocabolario, stile e contenuto, il v. 17 venne composto dall'evangelista per offrire una collocazione alla spiegazione che segue. « In una casa » : l'ipotesi che la casa possa essere stata quella di Pietro a Cafarnao è pura speculazione, special­ mente se 7, 1-23 è un ciclo di tradizione catechetica for­ matasi prima che il vangelo fosse scritto. Parabole : l'uso di questa parola nel senso di « detto oscuro » (mashal) è giustificata dai termini di 7, 15, e quindi la domanda di una spiegazione è naturale. Il che non significa che la spiegazione sia senz'altro originale. Se non lo è, i vv. 17-1 9 sono un commento esegetico formatosi nel corso della prassi catechetica. La domanda che segue rafforza quest'ultima ipotesi. Cfr. « Siete anche voi dunque privi d'intelletto ? » e 6, 52; 8, 17. L'evangelista tende a enfatizzare l'ottusità dei discepo­ li. Houtos non è rafforzativo di « privi » ((< così privi ») ma significa qui : « dunque », « non è così che • ; cfr. Vulgata: « sic et vas imprudentes estis ? 'IF, Asunetos = « stupido », « inintelligente » : dal punto di vi­ sta sia morale che intellettuale (cfr. Rom. l , 2 1 .3 1 ; 10, 19). Il v. 1 8b ripete quanto alla sostanza l Sa; e la spiegazione è data al v. 19. Già dai primi tempi ha fatto difficoltà l'inciso: « dichiara­ va così mondi tutti gli alimenti >> (katharizon panta ta bro­ mata) . Matteo non -Io riporta. D'altra parte, esso è troppo solidamente attestato per essere considerato spurio. La spiegazione migliore è vederlo come una didascalia dello evangelista. Già Origene, Crisostomo e Gregorio Taumatur­ go lo collegavano con le parole : « E disse loro ». In questo modo l'accento cade sulle implicazioni dell'insegnamento di Gesù (« E disse loro ... dichiarando così mondi tutti gli alimenti >>) più che su quanto egli ha effettivamente detto (« tutto ciò che entra . . . >>) , Oltre le addizioni già rilevate, Matteo come introduzione al detto aggiunge una breve do­ manda, di Pietro: « Spiegaci la parabola >> (15, 15). vv. 20-23. Viene ora una spiegazione ulteriore, in cui il v. lSb è ripetuto al singolare nel v. 20 e svolto nei vv. 21-23. Dall'interno della persona, vien detto, provengono

Detti sulla _contaminazione 7,14·23

395

i cattivi pensieri ; e ne segue un elenco che non ha corri­ spondenti nei detti di Gesù. Dialogismos = « discussione », « pensiero », « progetto » nei. -LXX --e nel Nuovo Testamento. I dialogismoi hoi kakoi non sono soltanto i cattivi pensieri, ma i cattivi propositi che sfociano in azioni basse e in vizi quali quel­ li ora ricordati. Per elenchi analoghi vedi Gal. 5, 19-2 1 ; Rom. t 29-3 1 ; 1 Pt. 4 , 3 . Cfr. pure Sap. 14, 25 s , che tra altri ricorda l'omicidio, il furto, l'inganno, l'adulterio, l'im­ pudicizia. Cataloghi di virtù e vizi erano stilati dai filoso­ fi greci, per es. Aristotele, Et. Nicom. 2, 7; essi compariva­ no pure nelle commedie e sui gettoni usati nei giochi di salotto. Klostermann, 80 s, cita un interessante esempio buddista: « Distruggere la vita, uccidere, ferire, legare, rubare, pronunciare menzogne, frodi e inganni, parlare a vuoto, avere rapporti con la moglie di un altro : queste sono le cose che contaminano ; non il mangiar carne ». Dei dodici nomi dell'elenco marciano sei sono al plurale, e in diCa no atti cattivi, e sei al singolare, e designano i diversi vizi. Porneiai sono gli atti del vizio sessuale. Originariamente significava fornicazione; in seguito il termine (raro nel greco classico) è venuto a significare baratto o traffico nel vizio sessuale, coprendo un ambito più ampio di moi­ cheia. Per furti, omicidi, adulteri, cfr. Os. 4, 2 : « Omicidio, fur. to, adulterio si commettono sulla terra ». Pleonexiai: sono atti di cupidigia, ma possono anche esse­ re « lussuria » perché per qualche tempo - come nel nostro caso la parola è associata a termini che descri­ vono peccati sessuali (cfr. Ef. 4, 1 9 ; 5, 3; Col. 3, 5 ; 2 Pt. 2, 3). Questa accezione non si trova nel greco classico, ma VGT, 5 1 8, cita un �sempio dai papiri in cui la parola è collegata con peccati della carne. Poneriai: termine generale che designa atti di èattiveria, e corrisponde a quello altrettanto ampio di afrosune alla fine della seconda metà dell'elenco. Possiamo dire: « mal­ vagità ». In testa ai sei vizi sta dolos = « inganno », seguito da aselgeia = « impudicizia », « sregolatezza ». La storia di aselgeia ci è sconosciuta. In Platone significa impudenza, ·ed è quindi affine alla hub ris ; ma nel greco posteriore è associata all'idea di sensualità. Il termine suggerisce però -

396

Vangelo secondo Marco

un atteggiamento pubblico e svergognato. « Uno può esse­ re akathartos, ' impudico ' e nascondere il suo peccato; egli diventa aselges soltanto quando offende il pubblico pudore » (Lighfoot, Gal. 2 1 0) . La traduzione migliore è dun­ que· « scostumatezza ». Ofthalmos poneros è l'occhio cattivo; quindi l'invidia, o forse lo sguardo malefico che ammalia la gente (quest'i­ dea non è da escludere, soprattutto se i vv . 20-23 sono un'interpretazione dell'insegnamento di Gesù) . La mag­ gior parte dei commentatori segu�mo la prima lettura. Cfr. Le. 1 1 , 34 = Mt. 6, 22 s; Dt. 1 5 , 9; Sir. 34, 1 3 ; Tob. 4, 1. Citando Mt. 20, 1 5 : « t:. i l tuo occhio cattivo ' ( - = sei tu invidioso) se io sono buono? >>. C. R. Smith ar­ guisce che Gesù ha rivoluzionato l'idea dell'occhio catti­ vo, interpretandolo come la cattiva intenzione che diven­ ta un boomerang morale (cfr. Mt. 6, 22 s) . Qui, come forse in 3, 28, blasfemia è « calunnia » piutto­ sto che « bestemmia » (14, 64) . t:. strano che huperefania compaia soltanto qui in tutto il Nuovo Testamento, mentre huperefanos si trova in Le. l , 5 1 ; Rom. l , 30; 2 Tim. 3 , 2; Giac. 4, 6; 1 Pt. 5, S. Nel greco classico la parola significa «. ·arroganza » ; qui possiamo tradurla con « superbia ». Il miglior commen­ to ne è la parabola del ricco stolto (Le. 12, 16-2 1 ) . L'ultimo vizio è afrosune = « stoltezza », cioè l a stupidi­ tà dell'uomo che manca di giudizio morale. Per quanto riguarda il problema se l'elenco è -interpretati­ va, il vocabolario ha un peso notevole. La distribuzione si presenta come segue :

pomeia klope fonos moicheia pleonexia poneria dolos aselgeia ofthalmos poneros blasfemia huperefania afrosune

Mt

Mc

l l

3 l l l

2

l l l 2 l l

3

1

l l 4

Le

Jo

1 2

l l

1

l ? l

Atti Lett. paol.

Apoc. Resto

3

lO

7

l

l

l

l l

l

6

3 3 4

l 2

3

4

l

2

l 16

1 Pt.

5

2

13

·9

3

12

5

3

6

32

4

l..a

donna siro-fenicia 7,24-30

397

La tavola mostra che il vocabolario è paolino, specialmen­ te per quanto concerne porneia, pleonexia, pò néria, do­ las, aselgeia, afrosune. Questo fatto, l'assenza di elenchi del genere nella tradizione dei detti, il commento « di­ chiarando mondi tutti gli alimenti » e altri indizi di un interesse catechetico in 7, 1-23, inducono ·a pensare che i vv. 20-23 siano un'antica interpretazione cristiana di 7, 1 5 . Cfr. Bultmann, Bartlet, Blunt, Branscomb, Lohmeyer. L'interpretazione esplicita ciò che è latente nel detto origi­ nale. In Matteo questo processo è portato più avanti. Se da una parte l'evangelista tralascia molte delle voci della lista marciana, dall'altra aggiunge pseudomarturiai (« fal­ se testimonianze ») e cerca di accordare più dettagliata­ mente la lista dei vizi col Decalogo. « Queste sono le cose che contaminano l'uomo » egli scrive; e poi, collegan­ do l'insieme con la disputa sulla lavanda delle mani, ag­ giunge : « ma il mangiare senza lavarsi le mani non conta­ mina l'uomo » ( 1 5 , 20) .

47. La- donna siro-fenicia (7, 24-30) (Mt. 15, 21-28)

Questa narrazione è pm vtcma, quanto alla forma, a un apoftegma che a una storia di miracolo. Bultmann, 38, ne tratta in una appendice ai Biographische Apophthegma­ ta. L'interesse centrale è l'atteggiamento di Gesù nei con­ fronti dei pagani . Tuttavia, la narrazione non ha ancora assunto la forma caratteristica di apoftegma; è ancora un racconto vero e proprio che contiene particolari che ne tradiscono il carattere primitivo. Tra questi particola­ ri sono la collocazione geografica del fatto, l'inutile ricer­ ca di riservatezza, la acuta risposta della donna e il gradi­ mento che Gesù ne dimostra, il riferimento rapido alla guarigione, i segni della tradizione aramaica riflessi nel vocabolario e nello stile. Vedi il commento. Marco ha presenti i let tori pagani quando riporta il detto: « lascia prima che si sfamino i figli »; ma se è così, nel riferire le parole « non è bene prendere il pane dei figli e gettar­ lo ai cagnolini », ha seguito con fedeltà una tradizione già esistente. La- relazione tra Marco e Matteo è diffici le da definire. D ibelius, 26 1 , ritiene che i due- attingano a una fonte

398

Vangelo secondo Marco

comune, appartenente al la tradizione dei detti, che conte­ neva soltanto i discorsi e presupponeva la guarigione, analogamente alla fonte presupposta dalla storia del ser­ vo del centurione in Mt. 8, 5- 13 = Le. 7, 1-10. Altri studio­ si pensano che Matteo abbia fuso due fonti presenti ri­ spettivamente in Marco e in M (cfr. Streeter, Manson) . Questa seconda ipotesi è migliore perché non s i può nega­ re che Matteo si sia servito di Marco, non solo in Mt. 1 5 , 2 1 .26 s , dove l'uguaglianza è perfetta, ma anche n�lle mo­ dificazioni del v. 26 e forse del v. 28; mentre l'inserimen­ to (da M) dei vv. 22-25, o almeno di 24, trova conferma in altri casi in cui Matteo inserisce detti nel quadro mar­ ciano (per es. Mt. 9� 1 3 ; 1 2 , 5-7. 1 1 s) . Mt. 1 5 , 24 : « Non sono · stato inviato che alle pecore perdute della casa d'I­ sraele » è uguale, quanto al tono, a Mt. 10, 5 s: « Non and ate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samarita­ ni; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'I­ sraele ». Probabi lmente ambedue questi detti devono la loro rigidezZa all'uso che i cristiani di estrazion è giudai­ ca ne facevano nel le controversie sulla missione presso i pagani. Possiamo capire con più verità l'atteggiamento di Gesù verso i pagani e il processo che. ·ha dato origine a questi detti, se studiamo la narrazione di Marco. Questa convinzione è confermata dalle caratteristiche secondarie del testo di Matteo. In Marco la guarigione è presupposta. Nessuna parola o promessa di guarigione viene pronunciata; viene soltanto espressa la forte sicurezza che il demonio è uscito dalla · ragazza. Può darsi che Marco consideri il fatto come una guarigione operata a distanza, ma non ne parla in questi termini, e un'interpretazione come questa solleva serie difficoltà. La tradizione . marciana abituale è che le guari­ gioni vengono operate per contatto (1, 3 1 s ; 3, 1 0 ; 5, 4 1 ; 6, 5.56 ecc.) o attraverso una parola di comando ( 1 , 25; 5, 8; 9, 25) ; se .si tra·ttasse di una guarigione diretta, ci aspetteremmo una relazione più simile a quel la di Mat­ teo. Più ancora, ci sono forti ragioni per pensare che gli accenni alla guarigione non appartengono alla forma origi­ nale neppure della storia parallela del servo del centurio­ ne. Nella versione di Luca tutto ciò che vien detto è che il centurione trovò il servo in buona salute. C'è chi por­ ta paralleli dalla psicoterapia e richiama esempi di guari­ gioni a distanza (Fernheilungen) nell'antichità (Bultmann,

La donna siro-fenicia 7 ,24-3o

399

248) : per es. la gu ari gio ne del figlio di Gamaliele II me­ diante la pregh iera di rabbi Hanina ben Dosa; ma non si · tratta in questi casi di guarigioni dirette. Bisogna rico­ noscere che nelle guarigioni di Gesù c'è un elemento uni­ co, per il quale non e s ist ono paral leli esa t t i . Tuttavia, gli argomenti sopra sintetizzati e il carattere oggettivo della narrazione marciana suggeriscono, come alternativa all'i­ potesi della . guarigione a distanza, la spiegazione della co­ noscenza soprannaturale. Questa alternativa è pure mira­ colosa, nel senso che co mpo rta una conoscenza trascen­ dente quella della comune esperienza; ma presenta sull'al­ tra grossi elementi di van taggi o . Essa dà al racconto di Marco il suo significato più naturale ; non è esposta alle difficoltà dell'interpretazione comune, che di fatto si ba­ sa su Matteo più che su Marco, ed è in armonia con quella conoscenza intuitiva che è parte del segreto di Gesù (cfr. Mc.. 2, · 8) e si accorda con - la sua conoscenza unica della volontà del Padre (cfr. Mt. 1 1 , 25-27 = Le. 10, 21 s) . Tutto ciò che possiamo dire di questa conoscenza è che essa scaturisce da un incomparabile sentimento di comunione con Dio, sostenuto dalla preghiera e reso pos­ sibile da una ineguagliabile coscienza di figliolanza. Se si vede Gesù in questa luce, non si è sorpresi di costatare che, con assoluta certezza, egli abbia detto alla donna: « Per questa tua parola va', il ' demonio è uscito da tua figlia » . . 24. Partito di là, andò ne lla regione di Tiro. Ed entrato in una casa, Voleva che n essuno "lo sapesse, ma non poté restare nascosto. 25. Subito una don na che aveva la sua figlioletta possedu­ ta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi. 26. Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demo­ nio era greca, di origine siro-fenicia. 27. Ed egli le disse: « Lascia prima che si sfamino i figli; n on è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini ». 28. Ma essa replicò : « Signore, e i cagnolini sotto la tavo­ la mangiano delle briciole dei figli )), 2_9 . Allora le disse : « Per questa tua parola, va', il demo­ nio è uscito da tua figlia » .

400

Vangelo secondo Marco

30. Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n'era andato. v. 24. « Partito di là » : l'indicazione geografica e l'u5o raro in Marco del de testimoniano un nuovo ciclo nella storia di Gesù. È così raro anche l'uso di ekeithen (« di là ») in Marco (5 volte) , che possiamo concluderne che questo avverbio doveva trovarsi già nella sua fonte. Sem­ bra riferirsi alla casa menzionata in 7, 17; ma più proba­ bilmente va riportato alla pianura di Genesaret (6, 53-56) . Può anche darsi che originariamente si trovasse in collegamento con un'altra serie di avvenimenti (cfr. Schmidt, 198) . La « regione di Tiro » : descritta come « Fenicia » negli Atti ( 1 1 , 1 9) e in Erodoto ( 1 , 2), è la zona che si estende sino ai confini della Galilea. Non vien detto in che misu­ ra Gesù sia penetrato in questa regione pagana, ma non c'è motivo di pensare a un viaggio molto oltre il confine. « E di Sidone » (assente in molti MSS) è probabilmente un'assimilazione a Mt. 1 5 , 21 e a Mc. 7, 3 1 (cfr. Turner) . Lo scopo di questo appartarsi non è missionario. Non vi si parla di discepoli, e non v'è accenno nel racconto di Marco a una fuga dalla minaccia di Erode Antipa. L'e­ spressione « ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse » mostra che Gesù era in cerca di un luogo dove poter restare solo; alla luce dell'episodio che segue, si può pensare che egli desiderasse riflettere sulla porta­ ta e sullo svolgimento· del suo ministero. Comunque, Ge­ sù non riesce a trovare la solitudine di cui ha bisogno: « non poté restare nascosto >>. Forse Marco, mentre rag­ guaglia su un dato di fatto, vuoi anche dire che era im­ possibile per Gesù restare in incognito. Ciò era probabil­ mente dovuto al fatto che la fama di Gesù era arrivata oltre i confini di Galilea, e che la gente di là aveva sapu­ to della sua presenza. Matteo non dice nulla di corrispondente a questa secon­ da parte del v. 24. Nella sua versione della storia rimane dubbio se Gesù abbia superato i confini (cfr. v. 22) ; può anche essere che egli non voglia dire che c'erano cose che Gesù non riusciva a fare (cfr. McNeile, Smith) . vv. 25 s. Euthus può essere qui «immediatamente », ma po­ trebbe anche essere inteso in senso più generale : « allo­ ra ».

La donna siro-fenicia 7,24-30

401

Non vien detto che cosa la donna abbia sentito: della fama di Gesù, o della sua presenza, o di ambedue. Per lo « spirito immondo ,, cfr. l , 23. Mol ti tratti linguisti ci tradiscono che questa narrazione riflette una tradizio­ ne aramaica. Si tratta di un punto importante, pe rché apre la possibilità che Marco abbia adattato la storia ai lettori pagani. « Si gettò ai suoi piedi » : ri chiama 3, 1 1 e 5, 23. Questa prostrazione è segno del più profondo rispetto e insieme di dolore. Il racconto di Matteo è molto più abbondante. ·La donna si rivolge a Gesù con le par o le : « Pietà di me, Signore, figlio di Davide; mia figlia è crudelmente tormen­ -tata da un demonio ». E l'evangelista aggiunge : « ma egli non le rivolse neppure una parola » (15, 22) . I disce­ poli intervengono : « Esaudiscila, vedi come ci grida die­ tro » e Gesù replica: « Non sono s t ato inviato che alle pecore perdute della casa d'Israele » (15, 2 3 s) . Così la narrazione matteana è p i ù ebraica nel tono, e alcuni la considerano più originaria. Marco designa la donna come « una greca », e poiché appena do po dice che era « di origine siro-fenicia » , è probabile che quell'aggettivo sia sinonimo di « pagana », «· gentile ,, ; un segno che egli si rivolge ai pagani. Marco allora, come rileva la maggior parte dei commentatori, designa la donna in base alla sua religione e alla sua nazionalità (siro-fenicia vuoi distinguerla dai libico-fenici o cartaginesi) . Matteo ado t ta il termine biblico cananea, e osserva che essa « veniva da quelle regioni » (v. 22) . Questa frase po­ trebbe sottintendere che Gesù è ancora in Gal ilea , se l'e­ spressione « si diresse verso le parti di Tiro e Sidone » (v .2 1 ) s i gn ifica che Gesù si è rit irato in direzione della zona di Tiro e Sidone. ­

.

vv. 27 s. « I figli » è detto qui degli ebrei; cfr. ls. 1 , 2 : « Ho allevato e fatto crescere figli » ; Le. 15, 3 1 ; Rom. 9, 4. L'idea che Gesù sia il « Padre » che in un senso « gio­ vanneo ,, dà il pane ai suoi figli (Lohmeyer) è lontana da questo genere di narrazioni. Molti hanno osservato che proton (« prima ») è una modi­ ficazione del testo originale, introdotta da Marco o da un redattore posteriore sotto l'influsso dell'insegnamento paolina di Rom. 1 , 16 (« del giudeo prima, e p oi del

402

Vangelo secondo Marco

greco ») ; 2, 9 s (cfr. Bultmann, Klostermann, Holtemann, B. Weiss, J. Weiss) . Bussmann ( 1 , 49-52) attribu i s ce tutta la storia a una redazione ulteriore di Marco. L'assenza di uil parallelo di questo mezzo versetto in Matteo dà un sostegno molto incerto alla teoria redazionale, poiché la prospettiva di Matteo differisce da quella di Marco. Dal punto di vista della coerenza interna ci sono buone ragio­ ni per pensare che 27a sia ori ginale; infatti se la donna risponde in quel modo pieno di spirito (v. 28) , vuoi dire che l'atteggiamento di Gesù . deve averla incoraggiata; co­ sa che non corrisponde certo alle scosfanti parole di 27b. Ebbene:

48. Guarigione del sordomuto (7, 3 1-37 ) (Mt. 15, 29-3 1 )

La forma della narrazione è quella di una storia di mira­ colo. Cfr. Bultmann, 227. Dibelius, 72, la classifica tra le Novellen. Ambedue ritengono che l'unità originale inizi al v. 32, e che il v. 36 (l'imposizione di tacere) sia un'ag­ giunta di Marco. Per Dibelius, anche il v. 37 è un'aggiun­ ta. Per quanto riguarda il v. 31 quest'analisi è probabil­ mente corretta, perché l 'indicazione geografica fa da colle­ gamento tra questa narrazione e quella della donna siro­ fenicia. Che il v. 36 venga considerato marciano o meno dipende dalla concezione che si ha del « segreto messiani­ co »: nel commento il comando di Gesù vien preso come parte della storia originaria. Per quanto riguarda il v. F, Dibelius ha probabilmente ragione; si tratta « piuttosto della conclusione di un certo numero di episodi che non dell'acclamazione popolare a Gesù che si trova lì di pas­ saggio ». Quando la storia venne narrata per la prima volta, il narratore dovette pensare a fs. 35, 5 s, forse an­ che a fs. 29, 1 8-23 e al Sal. 37 (38) , 14, e vedere l'impor­ tanza dell'episodio per uditori pagani ; ma il riconoscimen­ to di un interesse simbolico non deve compromettere il valore storico della narrazione. Al contrario, i particolari della storia, il mettere le dita nelle orecchie del malato, l'uso della saliva, il toccargli la lingua, il sospirare, e l'uso della parola « Effatà » testimoni ano che siamo in presenza della realtà. Questa convinzione viene rafforzata dal fatto che gli altri evangelisti tralasciano questa narra­ zione. 31.

32. 33. 34. 35.

Di ritorno poi dalla regione di Tiro, passò per Sido­ ne, dirigendosi verso il mare di Galil�a in pieno terri­ torio della Decàpoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di impor­ gli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lin­ gua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse : « Effatà » cioè : « Apriti! ». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

Guarigione del sordomuto 7,31-37

405

36. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano 37. e, con uno stupore immenso, dicevano : « Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti! ». v. 31. Il versetto è un passo redazionale che collega la narrazione con quanto segue. Palin si riferisce al v. 24, col senso di « quindi », « poi ». L'itinerario descritto è tortuoso e incerto. Molti commen­ tatori delineano un viaggio a nord di Sidone, poi a sud­ est attraverso il Leonte continuando a sud oltre Cesarea di Filippo e dirigendosi verso la zona a est del Giordano attraverso la parte settentrionale della Decapoli (cfr. Swe­ te, Lagrange, Burkitt) . Per Dalman l'espressione « in pie­ no territorio della Decapoli » è « evidentemente inesatta dal punto di vista geografico e non deve essere presa alla lettera ». Commentatori recenti sono più espliciti : « la geografia è impossibile » (Blunt) ; è come andare da Roma a Milano via Venezia (Rawlinson) . La ragione di questo lungo giro sarebbe o l'ostilità di Antipa (Burkitt, Turner, Swete) o il desiderio di concedere riposo e di istruire i Dodici (Swete, Plummer) . Ma il testo di Marco non dà appoggio a nessuna di queste due ipotesi; a par­ te il fatto che esse non spiegherebbero ancora l'itinerario. Un punto di particolare difficoltà è dia Sidonos (« per Sidone ») , perché Sidone sta sulla costa circa 20 miglia a nord di Tiro. La lezione « e Sidone » è più facile, ma è probabilmente un tentativo molto antico di ovviare alla difficoltà geografica. Per Schmidt, Marco vuoi forse dire « la regione di Tiro e Sidone », e si è espresso male; per Bacon invece egli ha una conoscenza abbastanza confusa della geografia della Palestina. Brillante ma non fondata la congettura di Wellhausen: dia Sidonos sarebbe una cattiva trascrizione dall'aramaico e che andrebbe invece reso con : « verso Betsaida ». Comunque, l'itinerario sug­ gerito da questa congettura - dalla regione di Tiro a l3 etsaida è molto probabile, perché elimina la necessi� tà di un lungo ,giro sulla costa di Tiro e attraverso la Palestina del Nord . Gesù ritorna al di qua dei confini pas­ sando per Betsaida nel mezzo della Decapoli. Dal punto di vista storico quest'itinerario è attendibile. L'ipotesi la­ scia ancora aperto il problema della « geografia di Mar­ co » perché, fedele alla sua fonte, egli ha accettato la -

406

Vangelo secondo Marco

lezione dia Sidonos, che comporta il tortuoso viaggio al nord descritto dai commentatori. Il problema non può essere utilmente affrontato se non si considera tutta la geografia di Marco nel suo insieme. Resta da considerare « in pieno territorio della Decapo­ li ». Ana meson significa « nel mezzo »; raro nel greco classico, compare nei LXX ed è normale nei papiri (cfr. Moulton, Blass, Lagrange) . Spesso l'espression� marciana viene riferita alla regione est o nord-est del lago e molto vicino ad esso, per trovare uno scenario adatto alla secon­ da moltiplicazione dei pani e alla successiva traversata verso Dalmanùta. In se stessa l'espressione suggerisce più naturalmente un punto nell'entroterra, tra le colline della Decapoli. Matteo omette l'accenno a Tiro, Sidone e alla Decapoli, dicendo soltanto che Gesù s'allontanò di là e giunse pres­ so il mare di Galilea; ma aggiunge che egli salì sul monte e vi si fermò ( 1 5 , 29) . ·

v. 32. Queste parole introducono l'episodio della guarigio­ ne del sordomuto, che non contiene indicazioni di tempo o di luogo. Collocandola dopo il v. 3 1 , Marco mostra di voler collegare la guarigione con una località della Deca­ poli, e in ciò egli segue probabilmente una tradizione esistente. Come in 2, 3 , l'episodio inizia con un plurale impersona­ le: « gli condussero ». Kofos significa ottuso; oppure « muto » (in riferimento al parlare) e ancora « sordo » (in riferimento all'udito) . Qui vale l'ultima accezione. Mogilalos significa, letteralmente, « che parla con difficol­ tà ». Il v. 37 può fa r pensare che qui si tratti di muto (« fa parlare i muti ») ; ma il v. 35 (« parlava corretta­ mente ») fa piuttosto pensare alla balbuzie (cfr. Swete, Lagrange, Mickelm) . Questo va tenuto presente anche se si adotta per comodità la dizione « sordomuto ». Matteo omette quest'episodio, ma mostra chiaramente di conoscerlo sia nell'indicazione geografica che offre .( 15, 29) sia nel resoconto sommario di molte guarigioni e nel­ la risposta entusiastica della folla (vv. 30 s) . vv.

33 s. L'azione di Gesù che prè nde l'uomo a parte per

un trattamento privato è parallela alla guarigione del cie­ co in 8, 22-26.

Guarigione del sordomuto 7,31-37

4()7

L'accenno alla folla, nominata per la prima volta a que­ sto punto, può indicare che originariamente la storia sta­ va in un altro contesto. Le ragioni dell'appartarsi posso­ no solo essere congetturate : il desiderio di fuggire la pub ­ blicità cui dà occasione il seguito di guarigioni spe.ttacola­ ri, e l'uso di azioni manuali, sono supposizioni ragionevo­ li. Mettere le dita negli orecchi del malato, sputare, toc­ cargli la lingua sono azioni che suggeriscono potentemen­ te la possibilità di gualligione. Si tratta di gesti comuni alla tecnica dei guaritori sia greci che ebrei (cfr. Bult­ mann, Klostermann, Dibelius, Billerbeck) . Una storia fa­ mosa riferita a Vespasiano (cfr. Tacito, Svetonio) narra di come egli abbia guarito un uomo con la saliva. Queste pratiche unite alla magia erano condannate dai rabbini. Gli unici casi in cui si dice che Gesù abbia usato della saliva sono quest'episodio, quello della guarigione del cie­ co e la narrazione giovannea del cieco nato. Nel caso presente l'accenno allo sputo è così accidentale che non possiamo essere del tutto certi su come si sia svolta l'a­ zione. La tradizione dei manoscritti ha cercato in diversi niodi di colmare questa lacuna. Il testo or i gi nale è proba­ bilmente che Gesù applicò la saliva alle labbra o la pose nella bocca dell'infermo per facilitargli l'uso della paro­ la. Le varianti includono anche gli orecchi. Nessuna delle azioni compiute da Gesù esige di essere �nterpretata in senso magico; esse fanno piuttosto pensa­ re alle manipolazioni usate nella moderna psicoterapia. Cfr. il caso di afonia isterica descritto da E. R. Mickelm, 11 9 : « Il trattamento ... si basa sulla persuasione diretta, ma è spesso opportuno compiere simultaneamente mani­ polaz"ioni garb a te con le dita sulla glottide, ripetendo con­ tinuamente parole di incoraggiamento e di convincimen­ to ». Nel la nostra storia, oltre a mettere le dita negli orecchi del sordomuto e a toccargli la lingua, Gesù gli dice « parole di incoraggiamento » nel comando pronun­ ciato in aramaico: « Effatà », che Marco traduce per i suoi lettori con « Apriti ! ». L'uso di parole straniere è caratteristico delle storie di miracolo (Bultmann) ; ma questo rilievo non ha importanza nel nostro caso, dato che l'aramaico era la lingua naturale in cui Gesù si espri­ meva. E che l'uomo fosse sordo non fa difficoltà, perché o non lo era completamente o comunque era capace di leggere il movimento delle lab bra di Gesù (cfr. Plummer) .

408

Vangelo secondo Marco

Due tratti distinguono questa narrazione dalle storie anti­ che e moderne di guarigione, cioè i due gesti « guardare verso il cielo » e « emettere un sospiro ». Sebbene il so­ spirare appartenga alla tecnica della magia mistica, voler trovare nel sospiro di Gesù qualcosa di più che il segno della sua profonda partecipazione alla sofferenza dell'in­ fermo significa preferire la bizzarria alla sobria esegesi. Analogamente a embrimaomai, questo verbo (stenazo) è un esempio dell'audacia con cui Marco parla della profon­ dità delle emozioni di Gesù (cfr. 8, 1 2) . Anablepo indica, qui e i n 6 , 4 1 , l'atto di pregare. Sono questi tratti, insieme con la personalità di Gesù stesso, che caratterizzano l'attività di guarigione nei vangeli. Per l'uso di « Effatà » e della saliva nei riti ba.ttesimali primitivi a Milano e a Roma, cfr. Swete, Klostermann. vv. 35 s. I risultati dell'intervento di Gesù sono descritti con semplicità. Gli orecchi si aprono, la lingua si scio­ glie, e l'uomo parla chiaramente. Secondo Deissmann « il nodo della lingua » è l'espressio­ ne tecnica dell'idea antica secondo cui Ul) uomo può esse­ re legato da influssi demoniaci . Cfr. Le. 13, 1 6 : « Questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto legata ... ». Tutta­ via non c'è nulla nel racconto -che suggerisca un caso di possesso diabolico, ed è meglio considerare la formula come una descrizione figurativa della guarigione (cfr. La­ grange, Plummer, Rawlinson). �< Parlava correttamente » : come già notato, l'avverbio ( or­ thos) suggerisce che si trattava di espressione difettosa più che di vera mutezza. Per il comando di mantenere il silenzio, cfr. l , 25.44; 3, 12; 5, 43; 8, 26. Qui il comando suona strano poiché il cambiamento dell'uomo non pote­ va passare inosservato; vedi Introd. pp. 97-99. Comun­ que, la riluttanza a che si diffondesse ampiamente la vo­ ce della guarigione poteva essere sentita ed espressa, an­ che se il comando sarebbe stato certamente trasgredito. « Ma più egli ... più essi . . . »: la serie degli imperfetti esprime il ripetersi dell'azione: quanto più egli continua­ va a imporre il silenzio, con tanto maggior impazienza essi diffondevano la notizia della guarigione. v. 37. L'effetto della guarigione è che la gente rimane stupita aldilà di ogni misura (huperperissos = « in ecces-

409

Moltiplicazione dei pani 8,1-10

so », « all'estremo ») : è questo l'unico passo, in tutta la letteratura greca, in cui è usato questo avverbio (invece il verbo huperpisseuo si trova in Rom . 5, 20 e 2 Cor. 7, 4) . In nessun'altra parte del vangelo di Marco si parla di una meraviglia così intensa. « Ha fatto bene ogni cosa » : è forse un indizio che origi­ nariamente la storia apparteneva a un gruppo (cfr. il plurale : « sordi ... muti ») . � probabile che sullo sfondo ci sia Is. 35, 5 s : « Allora ... si schiuderanno gli orecchi dei sordi ... griderà di gioia la lingua. del muto » (cfr. Bacon, Lagrange, Rawlinson, Branscomb, Blunt) . Se è co­ sì, vorrebbe dire che Marco ha rielaborato la conclusio­ ne dell'episodio a scopo catechetico. Vedi la nota introdut­ tiva alla narrazione. Altri indizi di questo interesse sono il presente poiei ( « fa udire ») e il gioco linguistico ala­ lous lalein (« parlare i muti ») . Ancor più consistente è l'attività redazionale in Mt. 15, 3 1 dove è detto che la gente si meravigliava e « glorificava il Dio d'Israele » (cfr. Is. 2 9, 23 : « e temeranno il Dio d'Israele »; .G en. l , 3 1 ; Sir. 39, 16) . SECONDA �OLTIPLICAZIONE DEI PANI TRAVERSATA A DAL�ANÙTA E RITORNO A BETSAIDA 8, l 26 -

Per questa terza sotto-sezione nella sezione IV, special­ mente per il suo carattere e i suoi contenuti, vedi In­ trod., pp. 7 1 s; e per la sua relazione con i fatti narrati in 6, 30 - 7, 37, vedi la Nota C. La sotto-sezione include : (49) 8, 1-10. La moltiplicazione dei pani per i quattromila (50) 8, 1 1-13. Richiesta di un segno dal cielo (5 1 ) 8, 14-2 1 . Il mistero dei pani (52) 8, 22-26. Guarigione del cieco L'interesse catechetico è notevole: vedi commento.

49. La moltiplicazione dei pani per l quattromila (8, 1-10) (Mt. 15, 32-39)

'Come la prima moltiplicazione, anche questa è una sto­ ria di miracolo. Dibelius, 78 nota, non la include tra le Novellen (a cui invece assegna 6, 35-44) , perché la conside­ ra « completamente carente di quei tratti che contraddi-

410

Vangelo secondo Marco

. stinguono il dono e l'attrattiva di un narratore ». Quest'o­ pinione è coerente con la sua definizione di Novellen; ma la classificazione di Bultmann, 232, che la colloca tra i « miracoli di natura » (Naturwunder) è più adatta, in quanto l'intenzione del narratore è di riferire uno dei più grandi prodigi compiuti da Gesù. Altri motivi sono pure presenti; La storia viene narrata perché anticipa l'eu­ caristia cristiana e perché viene ravvisato in essa un se­ gno per i pagani, così come la prima moltiplicazione dei pani era un segno per i giudei (cfr. Bacon, Rawlinson) . In che misura quest'interesse sia conforme alla verità sto­ rica è naturalmente tutt'altra questione. La probabilità che a un pasto di comunione sia stata data un'interpretazione miracolosa è strettamente legata al significato della prima moltiplicazione. Qui basti dire che se quest'interpretazione è valida nel caso di 6, 35-43, essa è ancor più verosimile in 8, 1 -10, in cui già dall'ini­ zio è presupposto un miracolo. Da notare che nessun'indi­ cazione viene data sull'effetto della moltiplicazione dei pa­ ni sui discepoli o sulla gente; il che dimostra che il miracolo in se stesso non è il solo punto di interesse di �arco. La narrazione è strettamente collegata con 7, 24-37 dalla formula « in quei giorni » : formula generica, che tradi­ sce la mancanza di informazioni più precise da parte del­ l'evangelista. Si può ragionevolmente concludere che egli intenda collocare il fatto nella Decapoli e metterlo in rei a­ zione ai pagani. Marco non descrive esplicitamente una missione tra i pagani. Tuttavia egli narra l'episodio in modo tale da farci capire che egli ha presente la chiesa di estrazione pagana dei suoi giorni. Questo interesse non gli impedisce di trattare con relativa fedeltà la tradi­ zione esistente, perché in 8, 2 ci sono particolari (special­ mente l'accen_no a « tre giorni ») che non sono necessari al suo scopo. In questo accenno temporale e nel riferi­ mento ai discepoli (di cui si è parlato per l'ultima volta in 7, 17) vi sono indizi che a uno stadio anteriore della tradizione la storia si trovava in un contesto più ricco, che è ormai impossibile ricuperare. ·

l.

In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, chiamò a sé i discepoli e diss e loro :

Moltiplicaz ione dei pani 8,1-iò

2. 3. 4. S. 6.

7. 8. 9. 10.

4i1

« Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se· li rimando digiuni alle proprie case verrann_o me­ no per via; e alcuni di loro vengono da lontano ». Gli risposero i discepoli : « E come si potrebbe sfa­ marli di pane qui, in un deserto? ». E domandò loro: « Quanti pani avete? » . Gli rispose­ ro: « Sette ». Gesù ordinò alla folla di sedersi per terra. Presi allo­ ra quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuiro­ no alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; dopo aver pronuncia­ ta la benedizione su di essi, disse di distribuire an­ che quelli. Così essi mangiarono e si saziarono; e portarono via sette sporte di pezzi avanzati. Erano circa quattromila. E li congedò. Salì poi sulla ba rca con i suoi discepoli e andò da lle parti di Dalmanùta.

v. 1. Non vi sono indicazioni geografiche; ma la collocazio­ ne del racconto, dopo 7, 3 1 , indica che Marco pen sa alla regione collinosa abitata da pagani, a nord-est del lago. La presenza di una folla notevole viene segnalata ( « es­ sendoci molta folla ») ; palin ( « di nuovo ») si riferisce a 7, 33 o a 6, 34. A differenza di 6, 35, Gesù prende l'iniziativa di chiamare a sé i discepoli (cfr. Jo. 6, 5). Matteo tralascia l'indicazio­ ne temporale. Il racconto inizia senza alcun elemento di connessione e anche in modo scolorito. vv. 2 s. Viene qui espresso in discorso diretto quello che Mc. 6, 34 diceva in discorso indiretto: Gesù ha compassio­ ne della folla. Ma il motivo è diverso : là Gesù era mosso da compassione perché la gente era come un gregge senza pastore; qui, perché sono stati tre giorni senza mangia­ re. Hèmerai treis è un nominativo parentetico (costruzio­ ne che si trova nei papiri : cfr. Moulton, Howard, Lagran­ ge) ; non c'è dunque bisogno, con Wellhausen, di spiegar­ lo come un semitismo, o, con Swete, di sottintendere un eisin (« sono tre giorni ») .

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Vangelo secondo Marcò

Questo accenno ai « tre giorni » è peculiare alla narrazio­ ne presente, e la distingue da 6, 35-44, in cui traversata, pasto e nuova traversata avvengono tutti nello stesso gior� no. Non essenziale all'economia della storia, questa indica­ zione cronologica appartiene con probabilità alla tradizio­ ne di cui Marco si serve. Un altro dettaglio peculiare a 8, 1-10 è il fatto che l'idea di congedare le folle è subito respinta da Gesù, mentre in 6, 36 essa è insinuata dai discepoli. Inoltre, l'inciso « alcuni di loro vengono da lon­ tano» sottintende che ve ne sono anche di quelli che abitano sul posto. Tutti questi punti sono rilevanti per dirimere il problema se 6, 3 5-44 e 8, 1-10 costituiscano un doppione. Vedi Nota C. « Vengono » (keasin) : viene rigettato dai molti MSS e da Lagrange, ma, come scrive Moulton, l , 53 : « dopo tut­ to, si tratta di una forma che ci aspetteremmo in Marco, così cQme ci aspetteremmo di vederla rimossa dai corret­ tori sia allessandrini che siriaci ». Matteo ripete alla lettera il v. 2, ma rimaneggia il v. 3 come segue : « Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada » (15, 32) . 4 s. La domanda: « Quanti pani avete ? » ripete alla lettera quella di 6, 38; ma- nella risposta no:t:t si parla di pesci (tuttavia Marco ne parla poi al v. 7) . Invece di sette, in 6, 38 i pani sono cinque. Il fatto che i discepoli si mostrino perplessi malgrado quanto è stato narrato in 6, 35-43 è una delle ragioni principali che spingono molti autori moderni a considera­ re le due narrazioni come resoconti diversi dello stesso evento. Cfr. J. Weiss, Klostermann, McNeile, Turner, Stree­ ter. Branscomb scrive: « Se la tradizione avesse inteso descrivere due episodi diversi, non avrebbe presentato i discepoli così stupiti alla seconda occasione » (p. 1 36). E Williams: « Supporre che essi abbiano dimenticato il pri­ mo episodio equivale a postulare una quasi incredibile ottusità da parte dei discepoli ». LagraiJ-ge, 202, osserva che, se sarebbe un'esagerazione affermare che essi chiedo­ no un miracolo, si può però affermare che, pur timida­ mente, la loro domanda non sottolinea tanto l'impossibili­ tà del miracolo quanto l'imbarazzo in cui essi si trovano. Il primo miracolo è accaduto molto tempo prima, e ci sono state certamente molte occasioni di bisogno in cui vv.

Moltiplicazione dei pani 8,1-10

4H

Gesù non è più intervenuto operandone un altro. Cfr. Plummer : « Essi confessano la propria impotenza e af­ fidano a lui la soluzione ». Tutte queste spiegazioni sono forzate e non convincono. L'unica alternativa ragionevole all'ipotesi del doppione è la proposta di Gould, 142. Que­ st'autore sostiene la storicità di ambedue i fatti, eppure sostiene insieme che « la stupida ripetizione della doman­ da (da patte dei discepoli) è psicologicamente hnpossibi­ le »; allora vuoi dire che in questo punto i due racconti si sono mescolati, ed è scivolata anche nel secondo la domanda posta dai discepoli nel primo. Vedi anche Nota C. Il carattere derivato della versione di Matteo è e­ vidente. vv.

6 s. Gesù comanda alla gente di sedere (cfr. 6, 39 s) .

Non si parla di « erba verde », di « gruppi e gruppetti », di « a cento e a dnquanta ». Il racconto è liscio e scolori­ to. Ma le due narrazioni sono molto vicine nel presenta­ re il gesto di spezzare e distribuire il pane: cfr. 8, 6 con 6, 4 1 . Ugualmente lampante è l'uguaglianza con 14, 22 s; qui c'è anche l'identità di eucharistésas (« rese grazie ») . Secondo W. L. Knox, la presenza di questo termine è · il segno dell'origine ellenistica della narrazione (cfr. la no­ ta a 6, 41 s) ; infatti euchariste6 e i suoi derivati compaio­ no piuttosto tardi nella letteratura greca « con una con­ notazione piuttosto formale, spesso di tipo religioso » spe­ cialmente in Filone e in Giuseppe Flavio; egli sostiene che la presenza di questo verbo nella nostra narrazione mostra che il miracolo è stato riconosciuto come una figura dell'eucaristia (come nel IV vangelo) . Anche l'azio­ ne dei discepoli nel distribuire il pane è in linea con la pratica eucaristica primitiva, in cui i diaconi distribuiva­ no gli elementi ricevuti dal vescovo che presiedeva la celebrazione. Al v. 7 spunta fuori in modo maldestro l'accenno ai pesci. La « benedizione )) pronunciata sui pesci non ha un signi­ ficato diverso dalla « azione di grazie » detta sui pani: si tratta nei due casi di un atto di ringraziamento a Dio. Il versetto non è necessariamente un'addizione successiva, ma è espresso in modo trascurato perché ha perso ben presto di importanza nell'interesse liturgico che è alla ba­ se della formazione del racconto. Le modifiche di Matteo in 15, 35 s sono di carattere stili-

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Vangelo secondo Marco

stico. Soprattutto egli anticipa l'accenno ai pesci, analoga­ �ente alla prima moltiplicazione (cfr. Mc. 6, 4 1 = ·Mt. 14, 19 = Le. 9, 16) . vv. 8 s . I l v. 8 ripete 6, 42 s, con l'unica variante d i « set­ te sporte di pezzi avanzati » invece di « dodici ceste pie­ ne di pezzi di pane e anche di pesci », Perisseuma = « ciò che àvanza », « il surplus >> (2 Cor. 8, 13 s) è un termine tardivo, che si ritrova una volta nei LXX , e in Le. 6, 45 = Mt. 1 2 , 34· (qui ha · il significato di « abbondanza ») . Sfuris è una cesta per provvigioni. La formula conclusiva « li congedò » ha un parallelo nel­ la storia della traversata (6, 45) . Un confronto tra 6, 35-44 e 8, 1-9 dà l'impressione che sotto molti punti di vista la seconda narrazione sia la versione abbreviata della prima; ma i termini che le so­ no propri (sei sostantivi e d ue verbi) lasciano però inten­ dere che la compilazione è stata indipendente. Le varianti introdotte da Matteo ai vv. 8 s- tendono a raf­ forzare l'idea dell'intervento miracoloso. 10. Il vocabolario di questo versetto è identico a quel­ lo di 6, 45 . Non conosciamo nulla di Dalmanùta. Matfeo parla di Magadan o Magdala; e diversi MSS cercano di armonizzare Marco con questa lezione matteana. Dei molti tentativi fatti dagli sWdiosi per identificare die­ tro questo nome una località nota, nessuna soddisfa; e ha ragione Lagrange di concludere : « t:. meglio stare sul sicuro, e conservare Dal manùta, in attesa di una soluzio­ ne. più soddisfacente » (p. 205 ) . Si tratti di Tiberiade o di località adiacente, è comunque probabile che venga qui intesa una città sulla riva occidentale del lago. Se è così, dopo le due narrazioni delle moltiplica�ioni dei pani la barca raggiunge più o meno lo stesso punto di prima. Inoltre, l'oscurità di Dalmanùta può essere tm segno che Marco si se·rve di una tradizione primitiva. Se avesse in­ ventato, avrebbe scelto una località familiare (cfr. Sch­ midt , 2 1 0) . v.

Domanda di un segno dal cielo 8,11-13

50. Domanda di (Mt. 16, 1-4)

un segno

415

dal cielo ( 8 , } 1-13)

Scopo di questa narrazione è di mettere in luce l'atteggia­ mento di Gesù di fronte alla richiesta di segni. Si potreb­ be trattare d� un apoftegma; ma è più verosimile una storia riguardante Gesù, costruita dall'evangelista stesso. Questa soluzione è suggerita dalla cornice narrativa (vv. 1 1 e 1 3) e dalla forma abbreviata del detto al v. 12 (in confronto alla versione di Q) , che rispecchia la convinzio­ ne di Marco che il vangelo rimane nascosto ai giudei ostili. Bultmann, 357, parla della narrazione come di una forma analoga all'apoftegma; e Dibelius, 1 59, la classifica tra i detti che mancano di un contesto storico e ricorda­ no la figura retorica greca detta « chreia ». La storia di cui Marco si serve riflette una tradizione valida nel ripor­ tare il rifiuto di Gesù di accettare l'esame di segni come prova della sua missione e del suo messaggio; manca qui però l'implicazione, presente nel detto corrisponden­ te di Q (Le. 1 1 , _ 29 = Mt. 12, 39) , c he la sua missione, come quella di Giona ai Niniviti, si autentica da sé. L'epi­ sodio sembra introdotto a questo punto in opposizione al segno dei pani che hanno sfamato la folla; se è così (come in lo. 6, 14), Marco interpreta questo avvenimento come un « segno >> per i discepoli, pur senza accennarvi esplicitamente. In questa prospettiva risulta evidente l'in­ teresse catechetico che comanda la sezione. e l'inquadra­ mento degli episodi che vi sono contenuti. 1 1 . Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere

con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. . 12. Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse : « Come questa generazione chiede un segno ? In verit-à vi di­ co : non sarà dato alcun segno a questa generazione ». 13. E /asciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda. v. 11. � naturale pensare che i farisei vengano dalle par­ ti di Dalmanùta; ma la collocazione dell'episodio in que­ sto contesto può essere dettato da ragioni di carattere contenutistico. Sèmeion : « segno » ; è usato nei papiri çome « sigillo » o

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Van�elo secondo Marco

« contrassegno che distingue esteriormente ». Nel Nuovo Testamento, soprattutto in Giovanni, il termine designa un miracolo concepito come un'azione significativa, rivela­ trice della persona sovrumana di Gesù. Non è questa l'ac­ cezione normale dei miracoli del vangelo in Marco. Infat­ ti, di sette esempi di semeion in Marco, tre riprendono il termine perché è usato dai farisei (nel nostro episo­ dio) , due appartengono al discorso apocalittico, due alla finale spuria. La concezione fondamentale di Marco è quella di dunamis (vedi 5, 30) , cioè l'irradiazione della potenza divina. Il « segno dal cielo » cercato dai farisei è uno sfoggio che secondo loro dovrebbe accreditare Gesù e il suo mes­ saggio. Il commento « per metterlo alla prova » (che Mar­ co ha _ pure in 10, 2 e cfr. 12, 15) interpreta correttamen­ te la loro azione come un tentativo di sottoporlo a un esame. Essi hanno attribuito i suoi esorcismi a Beelze­ bul (3, 22) , e ora pretendono un segno celeste che rispon­ da pienamente a quanto Gesù dice di essere. Teuda pro­ mise ai suoi seguaci che avrebbe diviso il Giordano per farli passare con facilità (cfr. Giuseppe Flavio) . Gesù non fa promesse del genere. Dal punto di vista dei fari­ sei la domanda crea un dilemma : se Gesù tenta di dare un segno, farà cilecca; se rifiuta, perderà l'appoggio popo­ lare. Per Gesù il dilemma non esiste. Le modifiche di Matteo ( 1 6 , l) sono puramente stilistiche. vv. 12 s. Come in altri casi (3, 5 ) , Marco rileva l'emozione

di Gesù: indignato, egli sospira profondamente (« nel suo spirito » è qui pleonastico),. Il significato dell'interrogativo ti è, ·in questa sede: « co­ me? ». L'uso di genea (« generazione ») sembra rispecchiare pas­ si come Dt. 32,. 5 e Sal. 94 (95), 10. Per. amen leg6 vedi 3, 28,

Ei dothese tai ( « non sarà dato ») è una negazione vigoro­ sa (Mi. 16, 4 : ou dothesetaz), in cui ei = 'im ebraico comporta un'imprecazione (per es. « Possa morire, se fac­ cio una cosa del genere!). Il rifiuto è assoluto. Cfr. La­ grange, Howard. A parte citazioni dai LXX in Ebr. 3, 1 1 ; 4, 3.5, è questo l'unico esempio del Nuovo Testamento. Il detto parallelo da Q in Le. 1 1 , 29 = Mt. 12, 39 aggiun­ ge l'importante eccezione: « se non il segno di Giona »,

Il mistero dei pani 8,14-ll

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che comporta che il messaggio di Gesù si autentica da sé. Molto meno probabile è l'interpretazione escatologica di Bultmann, 1 24 : « Così il Figlio dell'uomo verrà dal cielo su questa generazione » La versione d i Marco è mol­ to recisa; ed è forse sotto l'influsso di questa concezione che la messianità di Gesù viene nas costa al popolo e ai suoi capi. La versione di Matteo combina Marco con Q: « Una gene­ razione perversa e adultera ·pretende un segno! Ma nes­ sun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profe­ ta » ( 1 2 , 39) . Al v. 13, palin (« di nuovo ») può andare sia con > e trasforma così lo hoti in recita­ tivum seguito dalla prima persona: « Non abbiamo pa­ ne ». Diversi commentatori e traduttori leggono così an­ che Marco, sulla base di varianti testuali; ma questa ba­ se non è sufficientemente solida. Per di più, essi interpre­ tano Marco alla luce di Matteo più che in se stesso. In realtà, in Marco i discepoli discutono sulla loro mancan­ za di provviste, su chi ne è il responsabile, e su che cosa fare. In questo modo l'autore intende sottolineare che essi non hanno capito un bel niente del segno dei pani nella storia della moltiplicazione miracolosa. e questo che a lui sta a cuore ; ed è attorno a questo cbe ruota tutta la narrazione, non soltanto il v. 1 6 . v. 17. La conoscenza di Gesù in questo caso non è- né intuitiva né soprannaturale, ma scaturisce dall'osservazio­ ne della discussione sulla barca. Come in 3, 5 e in 6, 52 la porosis ton kardion è oscuramento dell'intelligenza più che durezza di cuore. « L'associazione con gli " occhi che non vedono " favorisce l'interpretazione « cecità mo­ rale »; mentre « durezza » fa pensare a un'ostinazione ca­ parbia che sarebbe fuori luogo qui o in 6, 52 » (J. A. Robinson, Eph. 266) . Marco non attribuisce la severità del rimprovero di Gesù alla mancata comprensione da parte dei discepoli del det­ to sul lievito dei farisei, ma alla loro mancanza di fede nel suo potere di venir incontro alle loro necessità. La lezione di alcuni MSS, « uomini di poca fede », sebbe-

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Vangelo secondo Marco

ne possa essere un•assimilazione a Mt. 16, 8, è pienamen­ te in armonia col senso della narrazione di Marco. A parte la frase appena citata (« uomini di poca fede ») , Matteo abbrevia e attenua il rimprovero di Gesù; traspa­ re in questo l'attenzione a « risparmiare i Dodici ». v. 18. La domanda indignata « Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? » (che Matt eo omette) è rivol­ ta secondo il linguaggio dei LXX. Cfr. fs. 6, 9 s (già in Mc. 4, 12) ; Ger. 5, 2 1 ; Ez. 12, 2. vv. 19-21. In forma di domanda e risposta il v. 19 richia­ ma la prima moltiplicazione dei pani (6, 35-44) , e il v. 20 la seconda (8, 1-9) . I numeri sono riportati con esattezza, e c'è perfino la distinzione tra le « ceste » del primo epi­ sodio (6, 43) e le « sporte » del secondo (8, 8). La corrispondenza dimostra che il compilatore di 8, 1-26 distingueva due episodi separati e conosceva bene il te­ sto di 6, 43. Ne segue che, se 6, 35-44 e 8, 1-9 sono un doppione (vedi Nota C) , la forma dei detti in 19-2 1 è redazionale. È la conclusione a cui giungono molti com­ mentatori, tra i quali Wellhausen, J. Weiss, Wendiling, Loisy, Branscomb e Turner. Turner, 39, arriva a dire che Marco « ha falsificato le parole del Signore ». Non pensia­ mo che « falsificare » sia il termine giusto ; è più probabi­ le che Marco abbia registrato la tradizione quale l'ha tro­ vata. Ma è poco probabile che i detti siano nella loro forma originaria. È troppo evidente che essi sono stati adattati nella tradizione sotto la spinta di interessi omi­ letici. Anche se le due narrazioni formano un doppione, è possibile che Gesù e i suoi discepoli abbiano celebrato più di un pasto di comunione, e che egli abbia richiama­ to loro queste esperienze passate. Ma se 6, 35-44 e 8, 1-9 sono relazioni secondarie dello stesso fatto, 8, 19-2 1 dev'es­ sere una formulazione adulterata delle ·p arole di Gesù. La versione matteana presenta i detti in uno stadio ulte­ riore di adattamento. La versione di Marco è prima ab­ breviata e poi integra.ta. Il punto culminante di Marco : « Non· capite ancora? » è dissolto in Matteo in un nugo­ lo di parole : « Come mai non capite ancora che non alludevo al pane ·quando vi ho detto : Guardatevi dal lievh to dei farisei e dei sadducei? » (16, 1 1) . La messa in guar-1 dia contro il lievito dei farisei è ripetuta, e viene aggiun-

Guarigione del cieco 8,22-26

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ta la spiegazione temperata che Gesù non raccomanda ai discepoli di guardarsi dal lievito reale ma dalla (falsa) dottrina. Non vien lasciato nulla all'immaginazione. La nostra conclusione dev'essere che in Marco siamo più vicini alla tradizione originale che non in Matteo, ma tut­ tavia a una distanza maggiore di quanto sia solito portar­ ci Marco. La spiegazione va cercata nelle circostanze che portarono alla composizione dell 'intero brano 8, 1-26 e negli interessi che esso era destinato a servire. 52. Guarigione del cieco

( 8, 22-26 )

Questa storia di miracolo e la guarigione del sordomuto (7, 32-37) formano un'accoppiata esclusiva di Marco, con sorprendenti somiglianze linguistiche. Dunque: ambedue le guarigioni vengono compiute in privato o in forma semi-privata; in ognuno dei due casi viene usata la saliva e l'imposizione delle mani; il ristabilimento avviene con qualche difficoltà o a stadi; finalmente, in ambedue le situazioni vien dato il comando di mantenere il segreto. Ci sono, naturalmente, importanti differenze; ma le somi­ glianze sono così strette, così numerose e così vistose che non ci sorprende se molti critici considerano le due narrazioni come un duplice resoconto dello stesso episo­ dio. Cfr. Bultmann, 228 ; Wendiling, 77. Abbiamo già fat­ to notare che affinità linguistiche tra narrazioni diverse sono caratteri stiche di Marco (vedi 8, 1-10) ; ma esse so­ no così rilevanti nelle due narrazioni in questione (e in 9, 1�6 e 14, 13 - 1 6 ) , da esigere una considerazione speciale. Seguiamo questo quadro sinottico·: Guarigione del sordomuto ( 7,32-37 ) 32. e glz condussero un sordomu­ to pregandolo di imporgli la mano 33. e portandolo in disparte (apolabi.nnenos ) lontano dalla folla gli pose le dita negli orecchi (eis ta) e con la sa­ liva gli toccò la lingua

Guarigione del cieco ( 8,22-26) 22. e gli condussero un cieco pregand.alo di toccarlo 23. e preso il cieco (epilabomenos) per la mano lo condusse fuori del villaggio e dopo avergli messo della saliva sugli occhi ( eis ta) gli impose le mani e gli domandò: « Vedi qual­ cosa? ,.

Vangelo secondo Marco

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34. e guardando verso il cielo ( anablepsas) gli dice « Apri­

36.

ti! e

»

comandò loro

di non dirlo a nessuno

24. 26.

Ed egli alzando gli occhi ( anablepsas ) disse: « Vedo gli uomini ...

lo rimandò a casa dicendo: « Non . dirlo a nessuno . .. »

e

� evidente che l'ipotesi del doppione è una spiegazione possibile. A prescindere dalle somiglianze effettive, alcu­ ne delle varianti sono dovute a,l fatto che una storia ri­ guarda il sordomuto e l'altra il cieco. Più ancora, ci sono somiglianze diversamente formulate : « in disparte lonta­ no dalla folla » corrisponde a « fuori del villaggio »; e « parlava correttamente >> a « vedeva ogni cosa a distan­ za » . Ma, detto questo, dobbiamo concludere che l'ipotesi è molto improbabile, alla luce delle differenze lampanti. Da una parte anablepsas ( « alzando gli occhi », « guardan­ do ») descrive un atteggiamento di preghiera di Gesù; dal­ l'altra, lo spontaneo sollevarsi dello sguardo del cieco quando viene interpellato. Inoltre, in 7, 32-37 non c'è nul­ la che corrisponda all'osservazione curiosa: « Vedo gli uomini ; ma sembrano come alberi, quando camminano ». Questa non è una variante di quelle che possono saltar fuori facilmente quando si danno resoconti diversi dello stesso fatto; è un dettaglio altamente caratteristico che imprime sulla narrazione il segno dell'autenticità. Più an­ cora, il riferimento a una seconda imposizione delle ma­ ni al v. 25 è senza paralleli nei vangeli, e non è verosimi­ le che sia stato inventato. L'impressione che la narrazio­ ne ci lascia, di una guarigione operata con grande difficol­ tà, o almeno a stadi, è un contrassegno di verità storica, e il suo franco realismo è probabilmente il motivo per cui Matteo e Luca l'hanno tralasciata. È vero che nella tradizione orale può sorgere facilmente una confusione attorno alla natura di una malattia particolare. Ne abbia­ mo la prova nel confronto tra Mt. 12, 22 s (un indemonia­ to cieco e muto) e Mt. 9, 32 s (un indemoniato muto) e Le. 9, 14 (un indemoniato muto) . Ma nelle due storie marciane le differenze sono molto più rilevanti, così rile­ vanti da appartenere a episodi diversi. In una certa misura le somiglianze linguistiche possono essere spiegate con la riconosciuta tendenza di Marco a ripetersi, e con la facilità con cui le narrazioni popolari assumono forme fisse nella tradizione orale. Forme del g